Maharajakumar: Tumse Hi

di Kara
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dosti ***
Capitolo 2: *** Pyaar ***



Capitolo 1
*** Dosti ***


Questo racconto è uno spin-off di Maharajakumar - Chura liya hai tumne jo dil ko di Melantò ed è tutto dedicato a lei, perchè ha scritto questa bellissima storia che a me piace molto e perchè ama tantissimo i ciccioli*_*






Dosti

(Amicizia)




“Accidenti Hajime! Ma dov’eri finito? Iniziavo a preoccuparmi!"
Nonostante quelle parole fossero state poco più di un’increspatura nel silenzio delle calda notte estiva, giunsero con chiarezza al ragazzo in uniforme che si muoveva furtivo alla base della bassa costruzione di arenaria rosa.
Scivolando tra le ombre del giardino illuminato dalla soffusa e argentea luce lunare, il giovane raggiunse un gruppo di cespugli che crescevano a ridosso dell’edificio. Lì si fermò, guardandosi intorno con circospezione, alla ricerca di eventuali pericoli. Soltanto quando fu sicuro di non essere stato seguito sollevò il viso, rivelando due scintillanti occhi neri e denti da coniglio.
“Sono andato a farmi un giretto Teppei. Sai com’è… mi annoiavo…” rispose, arricciando le labbra in una smorfia irritata e lanciando un’occhiataccia all’amico che lo stava aspettando affacciato a una delle finestre del primo piano, quelle che davano sul retro della costruzione. Benché sussurrata la sua risposta grondò sarcasmo. “Ho dovuto aspettare il momento giusto per defilarmi. Non potevo svignarmela subito, se ne sarebbero accorti” chiarì, avvicinandosi al muro e tastandolo con le dita per controllarne lo stato. Dopo aver annuito con soddisfazione, iniziò ad arrampicarsi con destrezza, usando come appiglio le fessure tra i blocchi di pietra.
“Ho capito, ho capito. Sbrigati! Non abbiamo molto tempo” ribatté l’altro in tono pressante, passandosi nervosamente una mano tra i corti riccioli scuri.
Quasi fosse una scimmietta, e con un agilità che denotava la sua lunga pratica, Hajime raggiunse velocemente la finestra.
Subito Teppei si allungò oltre il parapetto e gli tese una mano per aiutarlo a issarsi sul davanzale.
“Ci sono” mormorò il giovane, puntellandosi con un ginocchio sul bordo e aggrappandosi con la mano libera a una profonda crepa. “Spostati”. Come l’amico ebbe fatto spazio saltò all’interno, atterrando sul pavimento con la leggerezza e la grazia di un gatto. Immediatamente si sentì afferrare per un braccio e tirare.
“Andiamo! Gamo sta già ispezionando le camerate al piano terra, presto arriverà alle nostre”.
Senza perdere tempo in chiacchiere, i due ragazzi percorsero il corridoio deserto a grandi passi, consapevoli che se qualcuno li avesse scoperti sarebbe stata la fine. Non rischiavano soltanto una punizione esemplare ma addirittura di essere radiati dalla guardia reale. Soprattutto Hajime si trovava in una posizione delicata: aveva abbandonato il suo posto per tornare agli alloggi dei cadetti. In quel momento avrebbe dovuto essere di ronda lungo il perimetro interno delle alte mura che circondavano il palazzo del Maharaja.
Ma entrambi erano disposti a qualunque azzardo pur di proteggere il fedele compagno e amico Mamoru Izawa.
Erano cresciuti insieme e fin da piccoli avevano accarezzato lo stesso sogno: diventare soldati, entrare a far parte della guardia reale e guadagnarsi il diritto di portare il corto pugnale ricurvo, appannaggio esclusivo di quell’elite tanto ammirata.
“Aspetta!” sussurrò Teppei quando giunsero davanti alla porta della stanza che veniva usata come ripostiglio. “Prima dobbiamo fare un paio di preparativi”. Dalla tasca dei churidar estrasse una piccola chiave di ottone che infilò nella toppa, facendo scattare la serratura. “Vieni!”. Lo precedette all’interno e richiuse accuratamente l’uscio alle loro spalle. Lo stanzino era ben illuminato dalla luce lunare che penetrava attraverso un’alta finestra.
“Dove hai preso quella chiave? Lascia stare… non lo voglio sapere…”. Hajime scosse la testa, sospirando con rassegnazione. “Ora finalmente ti deciderai a dirmi cosa hai escogitato?” chiese, alzando le sopracciglia con impazienza e incrociando le braccia sul petto.
“Certo!” rispose l’altro, inginocchiandosi davanti a una delle cassapanche di cedro in cui venivano riposte le lenzuola pulite. “Tu prenderai il suo posto” annunciò, sollevando il coperchio di legno.
Impegnato a cercare quel che vi aveva nascosto poco prima, non vide il viso dell’amico impallidire per lo sconcerto e poi farsi rosso per la rabbia.
“Che cosa?! Ma sei impazzito per caso?”. La voce di Hajime schioccò nello stretto ambiente come un colpo di frusta, facendolo sobbalzare.
“Non urlare!” l’ammonì subito quello, girandosi a metà per lanciargli uno sguardo di ammonimento. “Vuoi farci scoprire dagli altri cadetti?”.
“Non sia mai” replicò ironico. “Perché togliere questo piacere a Gamo in persona?”. Stizzito, sciolse le braccia e si portò le mani ai fianchi. “Dannazione Teppei!” lo sgridò, preoccupandosi comunque di tenere la voce bassa, le palpebre ridotte a due fessure. “E’ questo il tuo fantastico piano? Quello che, a sentir te, dovrebbe salvare le chiappe a Mamoru? Stai scherzando vero?”.
“Non capisco perché ti scaldi tanto” ribatté Teppei, frugando tra la biancheria. “Funzionerà!”.
“Funzionerà?” fece eco incredulo, stringendo i pugni fino a farsi sbiancare le nocche nel tentativo di trattenersi dall’afferrare l’amico per il kurta blu che indossava e scuoterlo nella speranza che gli tornasse la ragione. “Teppei!”.
L’altro ignorò le sue proteste e continuò a rovistare nella cassa.
“Perché ti ho dato retta? Perché?” si lamentò, nascondendo il viso in una mano e chiudendo gli occhi, indeciso se maledirsi per la propria stupidità o rivolgere una preghiera agli Dei. Optò per la seconda soluzione: meglio chiedere la protezione divina dal momento che stavano per cacciarsi in un mare di guai. E di questo non poteva incolpare altri che se stesso, non avrebbe dovuto dare ascolto a Teppei.
Quando, dopo aver trascorso insieme a lui la serata in città, era tornato ai dormitori e si era reso conto che Mamoru non era ancora rientrato, si era subito allarmato. Era già la seconda sera che il compagno spariva senza dare spiegazioni e lui, grazie al suo intuito, aveva capito immediatamente che si era cacciato in qualche pasticcio. Di che tipo, però, non avrebbe saputo dire. Sperava solo che non si fosse infatuato di una dama di palazzo, perché in quel caso avrebbe potuto rischiare addirittura la morte. Era un cadetto, apparteneva a un rango inferiore, non avrebbe mai potuto aspirare alla mano di una nobildonna come quelle che vivevano alla corte del Maharaja. Aveva messo Teppei al corrente dei suoi timori e il ragazzo, con il suo solito senso pratico, aveva suggerito di preoccuparsi di una cosa alla volta. Al momento, l’importante era coprire la sua assenza al contrappello notturno che veniva effettuato ogni volta che gli permettevano di andare in città e per questo era necessario farsi venire un’idea.
Ma cosa fare? E come?
Aveva lasciato l’amico in camerata a lambiccarsi il cervello e si era recato in armeria per cambiarsi. A complicare le cose ci si mettevano anche i turni di guardia: quella notte gli sarebbe toccato il secondo. Teppei l’aveva raggiunto mentre stava finendo di vestirsi. Dopo averlo trascinato in un angolo, al riparo da orecchie indiscrete, gli aveva annunciato di aver ideato un fantastico piano per salvare Mamoru. Nell’udire quelle parole un brivido gelido, quasi un presentimento, gli aveva attraversato la schiena. L’aveva ascoltato con attenzione spiegargli come e dove incontrarsi ma quando aveva cercato di farsi dire qualcosa di più, l’amico aveva assunto un’aria misteriosa e si era rifiutato. “Ti dirò tutto a tempo debito” gli aveva assicurato dandogli una pacca sulla schiena, prima di schizzare fuori dalla sala come se avesse il Dio Rudra in persona alle calcagna, lasciandolo perplesso e inquieto.
Gemette tra sé e sé. Ormai era troppo tardi per escogitare un’altra soluzione. Certo, avrebbe potuto rifiutarsi; poteva far finta di nulla e tornare al suo posto, così Gamo non l’avrebbe scoperto e fatto a fettine. L’unico problema era che a fettine ci sarebbe finito sicuramente Mamoru e questa era una cosa che non avrebbe mai potuto permettere. Finché ci fosse stata una seppur minima speranza di salvare la carriera e il sogno dell’amico, lui non si sarebbe tirato indietro.
Stava per rivolgere un’invocazione a Brahma quando Teppei lo chiamò, distogliendolo dal suo proposito. Lentamente abbassò la mano e lo fissò.
Il compagno si era rialzato. Tra le mani teneva un kurta di colore verde, che Hajime riconobbe appartenere al cadetto dai lunghi capelli neri. Corrugò la fronte e sospirò di nuovo, sconfortato. Ma davvero quello scemo pensava di farlo passare per Mamoru facendogli indossare un suo vestito?
“Su, che aspetti?” l’esortò l’altro, porgendogli l’indumento. “Indossa questo”.
Rassegnato al suo destino, Hajime fece quanto ordinatogli. Fortunatamente Mamoru era più alto di lui e il kurta era abbastanza ampio da consentirgli di indossarlo direttamente sull’uniforme.
“Ora bevi questo!”.
“Cos’è questa roba?” chiese diffidente, prendendo l’ampollina di metallo che Teppei gli stava porgendo e stappandola. Ne annusò il contenuto con cautela. Non puzzava e già questo era incoraggiante ma non ne avrebbe ingurgitata nemmeno una goccia senza prima aver avuto tutte le spiegazioni del caso. Non voleva altre sorprese, ne aveva già avute abbastanza quella sera. “Allora? Cos’è?”.
“Ma niente…” rispose Teppei, stringendosi nelle spalle. “Su bevi!”.
“Teppei! Ti avverto!” ruggì, contraendo la mascella con fare minaccioso. “La mia pazienza è arrivata al limite. Sputa il rospo o me ne vado”.
“E va bene! Va bene! Non ti arrabbiare… Come ti ho già detto dovrai farti passare per Mamoru, per questo ti ho fatto mettere un suo kurta. Ma non basta certo un abito per renderti uguale a lui, il tuo viso è sempre riconoscibile. Per questo dovremo fare in modo che nessuno ti guardi in faccia”.
“E che centra questa con la mia faccia?” domandò, agitandogli la boccetta sotto il naso.
“Questa ti farà venire un alito pestilenziale”. Teppei gli rivolse un sorriso candido. “Ti sdraierai nel letto di Mamoru e farai finta di essere malato. Ovviamente io ti coprirò per bene di modo che restino fuori solo i capelli. Il vostro colore è lo stesso. Fidati! Intorno a te ci sarà così tanta puzza che nessuno oserà avvicinarsi” concluse, con espressione soddisfatta.
Per una manciata di secondi Hajime lo fissò a bocca aperta. Di tutte le idee che nel corso degli anni Teppei aveva tirato fuori questa era la più… la più… LA PIU’!!
Non riusciva nemmeno a trovare un termine adatto per qualificarla!
“Tu e Mamoru dovrete mantenermi a vita visto che stanotte Gamo ci sbatterà fuori dal palazzo a pedate” ringhiò a denti stretti, vuotando il contenuto della fiala con un solo sorso.
“Bravo!” lo incoraggiò Teppei, facendo finta di non aver udito. “E ora il tocco finale”. Gli si avvicinò e gli scompigliò i capelli, poi prese un lenzuolo bianco e glielo avvolse intorno al collo, di modo che gli coprisse parte del viso. “E ora raggiungiamo la camerata, abbiamo perso anche troppo tempo. Gamo starà già salendo le scale”. Gli mise una mano sulla schiena per costringerlo a camminare curvo e lo spinse fuori dalla porta. “Lamentati un po’” gli disse a mezza voce, pungolandogli il fianco con il gomito mentre camminavano lungo il corridoio. “Devi far finta di stare malissimo”.
“Non credo che dovrò far finta” gemette Hajime, fermandosi e stringendosi l’addome con le braccia, in preda a dei terribili crampi. Il dolore era iniziato quasi subito. Come il liquido aveva raggiunto lo stomaco una vampata infuocata gli era risalita su per la trachea, accompagnata da un rigurgito acido. “Teppei… mi… sento male…” biascicò, incapace di procedere oltre, le gambe improvvisamente molli. Lunghi brividi gli scuotevano il corpo e gocce di sudore freddo imperlavano la sua fronte, bagnandogli i capelli.
“Tieni duro, siamo quasi arrivati”. La voce dell’amico gli giunse lontana e ovattata, come proveniente da un sogno ma non il suo braccio robusto, che gli cinse la vita sostenendolo nel momento stesso in cui le ginocchia cedettero. Fortunatamente Teppei era dotato di buona forza fisica e riuscì a trascinarlo senza problemi fino al letto di Mamoru. Lo fece distendere con le spalle alla porta e gli rimboccò accuratamente il lenzuolo, coprendolo fino alla testa.
In preda a fitte lancinanti, Hajime si raggomitolò su se stesso, in posizione fetale, premendosi le mani sulla pancia nel tentativo di alleviare la sofferenza. Si accorse a malapena della presenza degli altri cadetti e delle loro domande perplesse, così come delle pronte risposte del compagno.
“State tranquilli non è niente di grave, Mamoru ha soltanto mangiato e bevuto un po’ troppo… no, non c’è bisogno del guaritore, deve solo liberare lo stomaco. Tranquilli è tutto a posto. Come? Puzza? Ovvio! Anche tu puzzi quando vomiti e non dire di no Oda, ti ho visto vomitare come un dannato parecchie volte. Che dici Iwami? Un fetore nauseabondo? Prova ad annusare le tue scorregge e poi ne riparliamo. Sì, forse è meglio che usciate in corridoio, vedrete che tra un po’ starà meglio e potrete andare a dormire…”.
“Dato… Tep… pei… cosa… hai… dato…”. Cercò di scostare il lenzuolo, che lo stava soffocando, e di tirarsi su ma una mano decisa lo tenne inchiodato al materasso.
“Shhhhhhhhh… non muoverti” gli sussurrò Teppei in un orecchio. “Gamo è proprio qui fuori”.
Avrebbe voluto urlargli di lasciarlo andare, che non riusciva a respirare ma le parole gli rimasero strozzate in gola. Aveva bisogno di aria. Il suo petto si alzava e abbassava con affanno, in rapidi ansiti. Si agitò debolmente ma non riuscì a liberarsi dalla presa. Non gli importava nulla di Gamo. In quel momento il comandante era l’ultimo dei suoi pensieri. L’unica cosa su cui riusciva a concentrarsi era quel fuoco infernale che gli stava bruciando i visceri e che non accennava a placarsi. Non sapeva cosa Teppei gli avesse dato da bere ma era certo che fosse quel liquido la causa del suo malore. La stretta che lo teneva fermo si allentò nell’istante stesso in cui un’ondata di nausea lo costrinse a sollevarsi su un gomito e a sporgersi oltre il bordo del letto. Un secchio di legno comparve come per magia sotto il suo viso.
E lì, nella loro camerata, semisdraiato sul letto di Mamoru, Hajime smise di pensare e rimise anche l’anima.
Dopo quelle che gli parvero ore ma che dovevano essere solo pochi minuti e dopo aver rigettato a più riprese, iniziò a sentirsi meglio. Sollevò la testa e si guardò intorno, passandosi la lingua sulle labbra secche. Aveva un orribile sapore in bocca ma almeno i conati erano cessati.Non ricordava di essere mai stato così male in vita sua, tranne una volta, da bambino, e anche in quell’occasione era stata colpa di Teppei.
L’amico aveva rubato alcuni dolcetti e glieli aveva regalati, senza sapere che fossero avariati. Lui era stato felicissimo di quel dono; oltre ad avere un bellissimo aspetto, quei dolciumi erano anche i suoi preferiti. Ne aveva fatto un sol boccone, divorandoli dal primo all’ultimo, salvo poi accasciarsi al suolo e vomitare come un indemoniato. Quando si era rialzato da terra, ansimante per lo sforzo, con i vestiti macchiati e con la faccia sporca, si era ritrovato un Teppei piangente e singhiozzante tra le braccia. Il ragazzino era sconvolto per quanto successo e lui aveva dovuto abbracciarlo stretto e rassicurarlo, ripetendogli più volte che stava bene. A distanza di tanti anni aveva ancora impresso nella mente il suo sguardo terrorizzato.
Si girò verso di lui e lo fissò, aspettandosi di trovare la stessa espressione dipinta sul suo volto ma Teppei sembrava tranquillo e rilassato, come se quel malore fosse veramente dovuto a una serata di eccessi e non al maledetto intruglio che l’aveva costretto a bere. Soltanto quando i loro occhi si incrociarono e Hajime lesse angoscia e rimorso in fondo alle sue iridi cioccolato, capì che l’amico non era calmo come voleva dare a vedere ma, al contrario, profondamente scosso.
“Gamo?” chiese con una voce così esile che l’altro dovette chinarsi per sentire.
“E’ tutto a posto” lo rassicurò Teppei. “C’è caduto in pieno, come tutti gli altri. Nessuno ha avuto il coraggio di avvicinarsi. Comunque questa pozione è eccezionale. Gli effetti sono stati esattamente quelli che mi avevano descritto. E Iwami aveva ragione, puzzi davvero in modo impressionante!”.
Il suo tono entusiasta lo indispose ma era troppo malandato ed esausto per arrabbiarsi. Inoltre non riusciva a capacitarsi che il piano avesse funzionato, non ci avrebbe scommesso sopra un soldo. Contrariamente a ogni previsione ce l’avevano fatta.
“Ci siamo riusciti…. non riesco a crederci…” borbottò, lasciandosi ricadere sulla branda. Rilassò i muscoli doloranti e respirò a fondo, prendendo ampie boccate d’aria. La nausea era quasi passata e il dolore si era trasformato in un indolenzimento diffuso ma sopportabile. Con il dorso della mano si scostò i capelli bagnati dalla fronte sudata e socchiuse le palpebre, fissando il vuoto davanti a sé. Se l’era vista veramente brutta, per un attimo aveva anche pensato di morire. Grazie al cielo gli Dei avevano avuto pietà di lui! Si ripromise di recarsi al Tempio, alla prima occasione, per offrire un sacrificio in loro onore.
“Te l’avevo detto no?”. Teppei si accucciò davanti a lui e gli passò un panno umido sulle guance pallide, strappandogli un involontario, seppur tirato, sorriso. “Come ti senti?”.
“Mh… meglio ora… mi hai ingannato Teppei, ti ucciderò per questo…”.
“Lo so”. Lo sentì ridacchiare, sollevato. “Hajime, devi alzarti”. Il suo tono si fece serio. “I ragazzi stanno scalpitando e non rimarranno fuori a lungo. Non possiamo farci scoprire proprio ora. Vieni, appoggiati a me, diremo che ti accompagno alle latrine”.
Con l’aiuto di Teppei riuscì a mettersi in piedi e a camminare. Utilizzando gli stessi accorgimenti di prima, i due amici riuscirono ad allontanarsi indisturbati lungo il corridoio. Nessuno li fermò. Non era la prima volta che uno di loro si sentiva male ed era normale aiutarsi tra commilitoni.
Quando furono a distanza di sicurezza, si diressero il più rapidamente possibile verso il retro dell’edificio. Hajime era malfermo sulle gambe e il suo passo ancora incerto ma il braccio di Teppei era un sostegno sicuro.
Si fermarono davanti alla stessa finestra dalla quale Hajime era entrato.
“Andrò ad aspettare Mamoru ai margini del boschetto che divide le caserme dal palazzo, sicuramente passerà di là. Gli spiegherò tutto e rientreremo insieme, continuando la messinscena”. Teppei sembrava aver pensato a ogni cosa. “Ridammi il kurta”.
Hajime annuì e si tolse l’indumento, sfilandolo dalla testa. Appoggiò una spalla al muro e osservò con interesse l’altro arrotolare il kurta verde per nasconderlo sotto il proprio.
“Hajime, pensi davvero che Mamoru si sia innamorato di una dama di palazzo?”.
“Non lo so Teppei e non sono nemmeno sicuro di voler affrontare l’argomento con lui…”. Si prese il labbro inferiore tra i denti, nel tipico gesto che compiva sempre quando rifletteva e lo mordicchiò, ignorando il sapore disgustoso che ancora permeava la sua bocca. “Credo sia meglio non chiedergli niente, per ora” concluse. “Se vorrà parlare lo farà di sua spontanea volontà. E poi le mie sono solo illazioni. Magari mi sbaglio… ma se così non fosse… spero solo che abbia riflettuto bene sulle conseguenze. Ci sono cose in questo regno che non saranno mai consentite. Io e te lo sappiamo bene”. C’era amarezza nella sua voce e una sofferenza che nessun mal di stomaco avrebbe potuto eguagliare.
Teppei chiuse le palpebre per un istante e si limitò ad annuire. Il suo silenzio fu più eloquente di mille parole.
“Ora devo andare…” .
“Ce la fai a scendere?”. Le iridi cioccolato del cadetto riccioluto traboccavano di apprensione.
“Certo!” rispose spavaldo, mostrando una sicurezza che non provava. Gli diede le spalle e si appoggiò con entrambe le mani al davanzale della finestra, per guardare fuori. Scrutò con cura il prato sottostante e i dintorni, cercando di penetrare l’oscurità della notte, alla ricerca di possibili osservatori indesiderati. Sembrava non ci fosse nessuno. Sollevò lo sguardo al cielo; la luna stava tramontando e ben presto sarebbe scomparsa oltre l’orizzonte, portando con se la sua debole luce. Era il momento giusto.
“Vado”. Fece per sedersi sul parapetto ma Teppei lo bloccò, trattenendolo per un braccio. “Che c’è?” chiese, scoccandogli un’occhiata sorpresa.
“Hajime… scusami. Mi spiace tanto per la pozione. C’ho pensato e ripensato, credimi, ma non sono riuscito a trovare un altro modo. E nessuna finzione, per quanto buona, avrebbe ingannato Gamo; il comandante è troppo furbo. Il tuo malore doveva essere reale. Dannazione! Se avessi potuto l’avrei preso io quel dannato intruglio. Tutto, pur di non farti stare male! Anche quando eravamo piccoli, anche allora sei stato male per colpa mia! Se solo avessi i capelli più simili ai vostri… Oh Dei! Ma perché mi avete fatto con questi maledetti ricci?!”. Ne afferrò una manciata e li tirò con furia. La sua frustrazione era palese, così come la rabbia per essere stato costretto a guardarlo soffrire senza poter far nulla per alleviare il suo tormento.
“Che idiota che sei”. Hajime scosse piano la testa e lo costrinse a mollare la presa, sostituendo la sua mano con la propria. “A me piacciono…”. Immerse le dita tra i morbidi riccioli bruni, inanellando una ciocca intorno all’indice. “…e non li vorrei diversi. Non sentirti in colpa, non ne hai motivo. Dovevamo fare una cosa e l’abbiamo fatta. Comunque, anche se tu avessi avuto i nostri stessi capelli, non ti avrei mai permesso di bere una cosa che ti facesse stare male, quindi… va bene che l’abbia presa io”. Lasciò scivolare la mano sulla sua guancia e il pollice si tese a sfiorare le labbra, che si socchiusero per accoglierlo.
“Hajime…” gemette Teppei facendosi più vicino, gli occhi carichi di desiderio, il respiro che iniziava a farsi veloce.
“Non qui Teppei… è troppo pericoloso” mormorò con rammarico. “Dobbiamo stare attenti… e poi puzzo da far schifo, non ti conviene baciarmi”.
“Non mi importa… un bacio solo, ti prego, ne ho bisogno…”.
“Non possiamo”. Lo allontanò a malincuore, non prima di avergli accarezzato i capelli per un ultima volta. Si costrinse a ignorare il suo sguardo deluso, pur sapendo che l’amante aveva bisogno di stringerlo a sé per placare l’ansia e la paura che aveva provato, e si sedette sul davanzale di pietra, scavalcandolo. Se fosse rimasto un secondo di più non avrebbe risposto delle sue azioni e quello non era il momento adatto, ma quando Teppei lo guardava con quella luce negli occhi, tutta la sua determinazione andava a farsi benedire. Sospirò, osservando, senza realmente vederli, i propri piedi penzolare nel vuoto. “Mi auguro che Mamoru abbia più fortuna di noi”. E il suo era un augurio sincero. “Ci vediamo domattina”.
“A proposito di Mamoru… vorrà sicuramente sapere come sdebitarsi” lo avvisò il compagno, trattenendolo di nuovo. “Sai com’è fatto. Cosa devo dirgli?”.
“Nulla. So che lui avrebbe fatto lo stesso per noi e questa certezza è già una ricompensa sufficiente”.

 

Fine...

...e palla al centro.

Ringraziamenti:

In primis ringrazio Melantò per aver scritto una storia bellissima come Maharajakumar, tra le sue credo sia la mia preferita. In questa stupenda favola Yu e Mamo sono due pucciotti dolci e teneri, soprattutto Yu è un cucciolino morbido che fa venire voglia di strappazzarlo di coccole.
E poi la ringrazio di avermi autorizzato a scrivere questo spinoffino con i due ciccioli. E per avermi trovato il termine "amicizia" in hindi.

E ringrazio anche le mie povere betuzze on line nene ed Eos, che sono sempre costrette a sorbirsi tutte le mie pare e i miei dubbi. Grazie tesore!

Credits:

I personaggi di CT appartengono a Yoichi Takahashi che ne detiene tutti i diritti.

 

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Capitolo 2
*** Pyaar ***


Storia da collocarsi temporalmente il giorno dopo Shapath.

Pyaar
(Amore)


 

 

La luce del tramonto dipingeva la stanza di una calda sfumatura arancio.
Il lungo pomeriggio volgeva al termine e a oriente il firmamento aveva già iniziato a tingersi di un cupo color indaco.
I suoi occhi seguirono gli obliqui fasci di luce posarsi sui semplici mobili di legno che arredavano l'ambiente, rifrangendosi sulle rifiniture in ottone, per poi tornare ad appuntarsi allo scorcio di cielo che si intravedeva attraverso l'alta finestrella a volta. La tenda era stata tirata per lasciar entrare quel poco di frescura che il caldo intenso della stagione permetteva e il lento ma inesorabile avanzare della notte era chiaramente percettibile dalle variazioni della luminosità.
Ben presto il sole si sarebbe eclissato dietro le pianure a ovest, sancendo la fine di un'altra giornata e la luna avrebbe regnato incontrastata. Brillando alta nel cielo, avrebbe indicato la strada a coloro che avessero deciso di sfidare le tenebre notturne.
Quella notte, però, lui non sarebbe stato uno di loro.
Si mosse, allungandosi come un gatto per stirare la schiena e sciogliere i muscoli, e le braccia che lo avvolgevano accentuarono la stretta, attirandolo contro il corpo caldo alle sue spalle.
"Non dormi?"
La domanda, sussurrata tra i suoi capelli, gli fece curvare le labbra in un sorriso affettuoso, che si accentuò quando la nuca venne sfiorata da un bacio leggero.
"No... non ne ho voglia..." mormorò, chiudendo le palpebre e crogiolandosi nella sensazione di profondo benessere che quella stretta sapeva trasmettergli. Un sospiro appagato gli sollevò il petto al pensiero che non c'era nessun altro posto al mondo dove avrebbe voluto trovarsi in quel momento; era dove doveva essere, tra le braccia di Hajime, la persona per lui più importante.
La sua mano cercò e strinse quella del compagno, intrecciando strettamente le loro dita. "Ormai capita così di rado di stare da soli in questo modo che non voglio sprecare nemmeno un attimo nel sonno."
"Non posso darti torto." Hajime fece scivolare le labbra lungo il suo collo in tanti piccoli baci che non avevano lo scopo di riaccendere la passione quanto piuttosto di coccolarlo.
Sbuffò un sorriso tra i cuscini e si strinse, se possibile, ancora di più contro di lui. Amava sentirselo addosso: il contatto con la sua pelle nuda, il ritmo lento del respiro, il fiato caldo che lo solleticava, era un altro modo di godere dei loro corpi e della reciproca vicinanza. E in quell'essere soltanto loro due e nient'altro, il mondo acquistava una sua propria perfezione.
"Non riuscivo a credere alle mie orecchie quando Gamo ci ha concesso questo giorno di licenza premio per la nostra promozione a soldati effettivi. Erano quasi due mesi che non riuscivamo a passare una notte intera fuori dal palazzo."
E gli era pesato, gli era pesato tantissimo, non riusciva a dirgli quanto. Non soltanto per il bisogno fisico che aveva di lui, del suo modo di toccarlo, di amarlo, ma per la possibilità di poter esternare liberamente i propri sentimenti, senza doverli reprimere come al solito per timore di compiere qualche gesto inopportuno e mettere entrambi in pericolo. A volte gli sembrava di essere diviso in due: il Teppei che si mostrava agli altri e il Teppei che era davvero e che nessuno, a parte Hajime, conosceva; quello che non era costretto a fingere continuamente di essere qualcosa che non era.
"Non farmici pensare..." borbottò il compagno, sospendendo per un attimo le sue carezze prima di riprendere a lambirgli il collo con le labbra. "Stavo diventando pazzo."
Il tono frustrato con cui Hajime pronunciò le ultime parole lo fece sospirare con mestizia. Prima di arruolarsi era più facile riuscire a ritagliarsi del tempo in cui stare da soli. Bastava scappare fuori Mumtaz, tra i ruderi di Bhoot Bangla, l'antico villaggio che si diceva fosse infestato dai fantasmi e dove erano sicuri che non avrebbero incontrato nessuno. Ma da quando erano diventati cadetti anche raggiungere Bhoot Bangla era diventato complicato, praticamente impossibile con il buio ed era soprattutto di sera che gli veniva concessa, ogni tanto, qualche libera uscita.
"Fortuna che in questi giorni mia madre e Makoto hanno accompagnato papà nel suo viaggio commerciale lungo il fiume, così possiamo passare la notte qui a casa mia in tutta tranquillità. Spero, però, che nel futuro le cose cambino un po’. Ora che siamo passati a soldati effettivi dovrebbe diventare un po’ più semplice con le licenze e tutto."
"Sempre che Gamo ce le accordi e non credo sarà così facile come pensi tu."
"Forse... ma sicuramente sarà meglio di come è stato finor.." Hajime si interruppe e ridacchiò con ironia, scuotendo piano la testa. "Predico bene..."
"Cos'è che ti fa ridere?" Incuriosito, si girò tra le sue braccia e gli scostò il ciuffo ribelle dal viso, per guardarlo dritto negli occhi.
"Rido perché sono un idiota" rispose l'altro senza spiegare, infilandogli una mano tra i ricci scuri per avvicinare il suo viso e baciarlo. Un semplice scambio di fiato, uno sfiorarsi di labbra prima di allontanarsi di nuovo.
"L'importante è esserne consapevoli" convenne con un sorrisetto insolente, facendogli scorrere le mani lungo il torace per poi intrecciarle dietro al suo collo, sotto la massa dei neri capelli indisciplinati.
"Ma senti te che stronzetto" masticò Hajime con una smorfia, spostando l'altra mano dalla sua schiena per allungandogli un pizzicotto su un gluteo.
"La verità fa male?" ridacchiò, sporgendosi per posargli un piccolo bacio all'angolo della bocca. Hajime girò il viso per incontrare le sue labbra ma lui si tirò indietro, fissandolo malizioso da sotto le lunghe ciglia nere.
"Tu cerchi guai."
"E va bene, va bene" ridendo di gusto gli si avvicinò di nuovo per strusciare leggermente le labbra sulle sue. "Contento adesso?"
"No!" Hajime lo prese per la nuca e si impossessò a forza della sua bocca. Con decisione lo costrinse a farlo entrare per esplorare l'umida cavità a suo piacimento e soltanto quando fu pienamente soddisfatto lo lasciò andare, sogghignando nel vederlo annaspare in cerca d'aria. "Ora sì."
Guardandolo da sotto in su lo fissò ansante, mentre il suo petto si alzava e abbassava velocemente nel tentativo di riprendere fiato. Hajime aveva la capacità di imporsi su di lui con una determinazione che gli annientava la volontà, gli toglieva la ragione e gli faceva desiderare di assecondarlo in tutto e per tutto.
"Allora? Non vuoi dirmelo?" chiese in tono incerto, ancora leggermente affannato, cercando di calmare i battiti furiosi del cuore che gli martellava la cassa toracica.
Hajime si strinse nelle spalle e mosse la mano, inanellando un ricciolo intorno a un dito mentre con l'altra lo avvicinava un po’ di più a sé.
"L'altra sera ho rimproverato Mamoru per avermi detto pressappoco la stessa cosa. Anche lui era convinto che la nostra promozione gli avrebbe dato quel po’ di libertà in più." Un'espressione seria gli incupì i tratti del viso e lui avvertì distintamente il suo corpo irrigidirsi. Anche la mano sulla sua testa si fermò e le dita si contrassero, tirandogli leggermente i riccioli.
"Ma questo non cambia le cose. Né per lui né per noi. Non cambia la legge, non cambia il fatto che siamo uomini, non cambia il dannato fatto che saremo sempre costretti a nasconderci! Possiamo chiamarle come vogliamo ma rimangono comunque briciole e..."
Gli posò due dita sulle labbra, stoppando il suo sfogo.
"Per un affamato anche una briciola può fare la differenza." E pensava soprattutto a se stesso.
Per lui, quelle poche ore che riuscivano a passare insieme erano un tesoro inestimabile il cui ricordo rendeva meno gravosi i giorni in cui non riuscivano a scambiarsi nemmeno un bacio fugace. Hajime aveva ragione, quello che diceva era vero, ma anche lui come Mamoru voleva vedere ciò che avevano conquistato, più che soffermarsi su ciò che non avrebbero mai potuto avere, e se quello che avevano ottenuto erano solo una manciata di ore in più da trascorrere insieme, lui le avrebbe accolte come un dono degli dei.
Hajime ricambiò il suo sguardo per qualche istante, prima di stemperare l'espressione seria in una più dolce. "Hai ragione" rispose, coprendogli la mano con la sua e baciandogli prima un dito e poi l'altro. "Scusami. E' solo che a volte..."
"Ti senti in trappola."
Quella constatazione lo feri, perché alimentava il suo timore più grande: quello di perderlo. E quel pensiero non solo lo angosciava ma lo faceva sentire in colpa, perché gli sembrava di mancare di fiducia in quello che non era solo il suo amante ma anche il suo migliore amico. Non ricordava un solo giorno della sua vita in cui non si fosse fidato ciecamente di Hajime e proprio in virtù di questo, se il compagno diceva di amarlo, non avrebbe dovuto dubitare.
Ma l'amore, si era reso conto con il tempo, cambiava gli equilibri consolidati, creava ombre laddove un tempo c'era stata luce, sfiorava corde di cui non aveva sospettato l'esistenza e mostrava sentieri che abbracciavano spazi molto più estesi di quelli che avevano percorso in precedenza.
Conosceva l'Hajime amico ma l'Hajime amante era tutta un'altra storia, la cui pergamena aveva iniziato a srotolare da poco.
E questa insicurezza lo destabilizzava, perché non sapeva come affrontarla.
"Già, ed è una cosa che odio. Lo sai."
"Sì..." Certo che lo sapeva, lo conosceva bene e proprio per questo non riusciva a soffocare del tutto quella paura strisciante di perderlo che gli si insinuava ogni volta sotto la pelle, graffiandogli i visceri.
"Non mento se dico di desiderare che le cose siano diverse da come sono. Ehi!"
Le dita di Hajime strinsero forte le sue e solo in quel momento si rese conto di aver ritratto la mano in un gesto involontario di cui non si era accorto. Distolse lo sguardo, per evitare che l'altro gli leggesse negli occhi quanto si sentisse colpito e si divincolò dalle sue braccia, alzandosi di scatto dal basso materasso che fungeva da giaciglio. Senza curarsi della propria nudità attraversò la stanza per avvicinarsi alla finestra. Guardò, senza realmente vederlo, il piccolo cortile interno ancora visibile nel crepuscolo ormai avanzato, cercando di placare il tumulto interiore e riprendere il controllo di sè.
"Che hai?" Sentì confusione nella voce di Hajime e con gli occhi della mente lo vide corrugare la fronte con espressione perplessa.
"Niente" assicurò, poggiando le mani aperte sul davanzale di pietra. "Volevo solo prendere una boccata d'aria. Oggi fa molto caldo." Seguitò a rifuggire i suoi occhi, continuando a tenere lo sguardo fisso all'esterno. Sopra il grezzo muro perimetrale iniziavano ad accendersi le prime stelle della sera e la brezza notturna smuoveva le fronde delle palme che svettavano alte nel cielo.
"Si certo, come no." Percepì distintamente la confusione lasciare posto al nervosismo nella frase pronunciata a mezza voce. Se si fosse voltato avrebbe visto il viso di Hajime accigliarsi sempre di più.
"Che ne diresti di mettere qualcosa sotto i denti?" Ruppe nuovamente il silenzio, dando alla sua voce un tono volutamente leggero nell'intento di cambiare discorso, senza rendersi conto che così come lui conosceva Hajime, anche il compagno lo conosceva nello stesso modo e si era accorto del suo cambiamento d'umore.
"Ho una fame... prima però credo che dovrei darmi una ripulita, sono tutto appiccicoso." Sentì chiaramente il nervosismo nella propria risata e si rese conto che anche all'altro non sarebbe sfuggito, ciò nonostante continuò.
"C'è dell'acqua in casa? Forse no, andrò fuori a prenderne un po'..."
"Non prendermi in giro Teppei!" La voce di Hajime schioccò nell'aria come un colpo di frusta, bloccandolo nell'atto di dirigersi verso la porta. "E non provare a cambiare discorso. Lo capisco quando qualcosa ti frulla per la testa."
Il fruscio del materasso sul pavimento gli fece capire che si era alzato. Non sentì i suoi piedi nudi calpestare la pietra ma ne avvertì la presenza quando gli arrivò alle spalle. Le mani di Hajime gli sfiorarono le braccia, scivolando verso i gomiti in una lenta carezza, e lui si irrigidì.
"Perché non me ne parli? Non tacermi i tuoi pensieri, non lo sopporto."
Chinò la testa, spostando lo sguardo sulle proprie mani ancora adagiate sul bordo di pietra. Contrasse la mascella e strinse i pugni con ostinazione. Non aveva intenzione di rivelargli quanto l'avesse ferito la sua affermazione, perché non voleva che Hajime si sentisse in qualche modo costretto a misurare le parole. Il compagno doveva continuare a essere spietatamente sincero, come era sempre stato. Il suo parlare chiaro e senza peli sulla lingua era una delle qualità che più apprezzava in lui, così differente da se stesso, meno incline a rivelare con facilità i propri sentimenti e pensieri.
Trovare un nuovo equilibrio tra ciò che erano stati e ciò che erano adesso era un qualcosa che doveva fare da solo perché quell'insicurezza di fondo era un problema suo, Hajime non centrava nulla.
"Ti ho detto che non ho niente. Che poi... Non posso avere i miei pensieri? Non sono obbligato a dirti sempre tutto..."
"Dirmi tutto? E quando mai? Ma se devo sempre tirarti fuori le cose a forza!" Lasciando libero sfogo all'esasperazione Hajime lo prese per le spalle, costringendolo a voltarsi con la forza.
"Non farti pregare..." Lo sentì minacciare a bassa voce, il viso sempre più vicino tanto da sentirne il fiato caldo sulla pelle. E avvertiva, attraverso le dita che lo stringevano, i suoi muscoli contrarsi per la rabbia crescente.
"Non è vero che devi tirarmi fuori le cose a forza..." ribatté con riluttanza, girando la testa per evitare il suo sguardo deciso, non potendo negare che l'altro avesse ragione da vendere. Anche quella era una novità nel loro nuovo rapporto. In passato, quando erano solo amici, tendeva a confidarsi con maggiore facilità ma ora preferiva tenere il più possibile per sé le proprie preoccupazioni, per non caricare Hajime di altri problemi oltre a quelli che già avevano e non aumentare la sua insofferenza.
"Lasciami andare..." Lo pregò in tono sommesso, continuando caparbiamente a evitare i suoi occhi.
Dopo quella che gli parve un'eternità e nella quale si sentì quasi trapassare dal suo sguardo, Hajime mollò la presa e fece qualche passo per la stanza, dandogli le spalle.
"Per Shiva Teppei! Io davvero non ti capisco più!" esclamò esasperato, le mani sui fianchi e la schiena rigida per la tensione. Gli sentì prendere ampi respiri, nel tentativo di calmare la rabbia, mentre si avvicinava al mobile decorato sul quale campeggiava una piccola candela accesa.
Lo vide aggrapparsi con entrambe le mani al ripiano, la testa china e il respiro affannato, le dita che stringevano spasmodicamente il bordo di legno.
Per lunghi minuti rimasero immobili, mentre il silenzio scavava un solco tra di loro, innalzando un muro invisibile ma spesso quanto le mura del palazzo del maharaja.
Fissò la sua schiena nuda, la sagoma della spina dorsale che l'attraversava, i muscoli visibilmente tesi sotto la pelle e sentì la presa sulla propria ostinazione farsi più debole. Il senso di colpa lo spinse a fare un passo verso di lui, ma prima che potesse raggiungerlo Hajime si riscosse, passandosi una mano tra i capelli per scansare il ciuffo nero dalla fronte. Sembrava agitato e allo stesso tempo rassegnato, come se fosse venuto a patti con qualcosa all'interno del suo animo. Teneva le spalle basse, in un atteggiamento sconfitto. Quando parlò, lo fece con un tono sofferente, così inusuale in lui, da fargli corrugare la fronte.
"Teppei... hai intenzione di lasciarmi?"
Quella domanda lo centrò come un pugno nello stomaco, lasciandolo a bocca aperta.
Tutto si sarebbe aspettato, tranne una domanda del genere. La sorpresa lo aveva lasciato talmente sbigottito che gli ci volle qualche secondo per riprendersi e costringere il cervello a formulare un pensiero coerente.
Interpretando il suo silenzio come una conferma, Hajime riprese a parlare.
"Dovevo immaginarlo..." L'amarezza avviluppava la sua voce. "Pensavi davvero che non mi fossi accorto di quanto sei cambiato negli ultimi mesi? Non ti confidi più con me come facevi un tempo. Parli solo di cose senza importanza, non di quello che ti preoccupa veramente. E io lo so che c'è qualcosa che ti tormenta, ti conosco. Ho aspettato con pazienza, sperando che ti decidessi a parlarmene spontaneamente, ma non è cambiato niente. Continui a tenermi fuori, lo stai facendo anche adesso. Ti guardo e ti vedo lontano, chiuso in te stesso, dove non posso raggiungerti, nonostante tutti i miei sforzi. E mi chiedo perchè. Abbiamo sempre discusso di tutto, condiviso ogni cosa. Perché non mi parli più? Forse... è per colpa mia? Ti ho ferito in qualche modo? Non riesco a darti ciò di cui hai bisogno? Non sai quante volte me lo sono chiesto... ora... ora è diverso rispetto a prima, me ne rendo conto. E' più facile farsi male... E se ho fatto qualcosa che non va... dimmelo, cambierò atteggiamento, farò ciò che vuoi." Chiuse la mano a pugno e iniziò a colpire il ripiano con le nocche, prima piano poi sempre più forte. "Mi sono chiesto anche se la verità non fosse un'altra... Teppei... mi ami ancora? Se non mi ami più dimmelo chiaramente ma non continuare a tacere, ti prego, perché io sto impazzendo." Diede un ultimo colpo e si fermò, nascondendo il viso in quella stessa mano.
"Per gli dei non posso crederci..." riprese con voce soffocata, come parlando a se stesso. "La cosa che più temevo si sta avverando..."
Il dolore che trapelava dalle sue parole lo colpì come una scudisciata e in rapide falcate lo raggiuse, spinto dalla necessità di eliminare tutta quella sofferenza. Non riusciva a crederci. Non avrebbe mai immaginato che anche Hajime provasse i suoi stessi dubbi, i suoi stessi timori. Non il suo Hajime, così spavaldo e sicuro di sè. E invece... anche lui sembrava essersi reso conto che il cammino che avevano imboccato celava, sotto le rose dai colori cangianti, spine dalle lunghe punte aguzze.
"Hajime, Hajime, no! No!" Lo cinse alla vita, stringendosi forte contro la sua schiena. Nascose il viso nell'incavo della sua spalla e gli posò le labbra sul collo. "Ma come puoi pensare una cosa del genere? Come?" sussurrò sulla sua pelle, deponendovi tanti piccoli baci. "Non farlo! Non dubitare di me. Ti prego..." E continuò a stringerlo e a baciarlo, finché le mani di Hajime non si posarono sulle sue.
"Non devo?" Lo sentì chiedere con voce bassa e tesa, i muscoli che non accennavano a rilassarsi.
"No" sospirò, staccandosi da lui per dargli modo di girarsi e guardarlo.
"E allora dimmi tu cosa devo pensare, perché io non lo so più."
Cercò il suo sguardo, e nei suoi occhi neri come la pece non riuscì a trovare la solita sicurezza ma esitazione e incertezza.
"Vieni qui." Con dolcezza gli posò una mano sul collo e con l'altra prese una delle sue per portarsela sul cuore. "Lo senti? Senti come batte? Batte così solo per te, sai? E lo farà per sempre." Lo fissava dritto negli occhi, in modo che gli leggesse nelle iridi color cioccolato quanto fosse sincero. "Per sempre Hajime."
Su quello non aveva dubbi né incertezze. Non ne aveva mai avuti, fin dalla prima volta in cui si era accorto di provare per l'amico ben più di un sentimento fraterno. E guardando i suoi occhi che non nascondevano nulla, non era possibile fraintendere o confondere il sentimento che gli brillava tra le lunghe ciglia scure. Splendeva intenso e avvolgente, ardente come una fiamma e nulla al mondo avrebbe mai potuto estinguerlo.
"Tu mi dai già tutto quello di cui ho bisogno. E ti voglio esattamente così come sei, con la tua decisione, il tuo parlare chiaro, la tua insofferenza, il tuo modo di amarmi... perciò ti prego... non cambiare..."
Sotto la sua mano, sentì le dita di Hajime carezzargli piano il petto, proprio lì dove il cuore batteva forte. L'espressione del viso meno tirata ma ancora titubante, in attesa. E capì che non avrebbe potuto negargli ancora una volta una spiegazione.
Fece scivolare via la mano che teneva sul suo collo ma con l'altra continuò a premersi quella di Hajime sul petto.
"Quello che hai pensato... la tua paura..." Abbassò lo sguardo e non vide l'espressione del compagno farsi prima perplessa e poi attenta nel socchiudersi delle palpebre.
"Io mi fido di te Hajime, mi sono sempre fidato, credimi. Non è una mancanza di fiducia la mia. Però... non ero preparato a sentirmi così... così..." Scosse la testa, cercando, senza riuscirci, le parole giuste per spiegargli come si sentisse, quali sentimenti provasse. "Quando sono con te, quando penso a te... io... provo così tante cose... tu mi fai sentire felice..." Rialzò lo sguardo, lasciando che quelle stesse emozioni, che sentiva traboccare dal cuore, si riflettessero negli occhi. "E confuso... turbato... senza fiato... eccitato. Non avevo mai provato niente del genere prima."
Strinse più forte la mano di Hajime nella sua e con l'altra gli cinse la vita. "E anche impaurito." Lo confessò in un sussurro, nascondendogli il viso nel collo. "A volte ho così tanta paura di perderti che..."
Le parole gli si impigliarono in gola, invischiate in quella stessa paura che, come evocata, era tornata a far sentire il suo sapore acre. Riprese a parlare soltanto quando la mano di Hajime gli si posò sui ricci in una lieve carezza.
"Ma non volevo caricarti anche di questo, non volevo crearti ulteriori problemi, volevo risolverla da solo. E' una paura mia. Tu non centri nulla. Non volevo farti preoccupare, non quando già ti senti... quando la situazione è già pesante di suo." Si corresse all'ultimo momento e non si accorse del lampo che balenò nelle iridi nere del compagno.
Il gemito tra l'esasperato e il sollevato con cui Hajime rilasciò quel "Tu mi farai morire giovane." gli strappò una smorfia contrita.
Si sentì prendere per il mento e si scostò da lui, per ritrovarsi il suo viso a pochi centimetri dal proprio.
"Io e te dobbiamo parlare, abbiamo parecchie cose di cui discutere. Tutte queste emozioni e questi nuovi sentimenti ci hanno scombussolato e dobbiamo trovare il modo di affrontarli. Ma lo faremo insieme. E voglio sapere tutto quello che passa per quel tuo cervello che pensa troppo. Tutto Teppei. Intesi? Non voglio più passare settimane a rompermi la testa e a soffrire come un cane." Hajime fece scivolare la mano dal suo mento alla nuca. "Ricominciamo, vuoi?" Gli chiese sfiorandogli la tempia con le labbra e annuì in risposta al suo sì sussurrato.
"Ma adesso ho qualcos'altro da dirti, perciò apri bene le orecchie." Tornò a guardarlo in viso. Il tono e lo sguardo di Hajime erano di nuovo decisi come sempre. "Quando dico che mi sento in trappola... E non ti azzardare a negarlo perché l'ho capito che questo è uno dei problemi!" Si impuntò, storcendo le labbra. "Quando dico che mi sento in trappola, parlo della situazione e non di te, né del nostro rapporto. Della situazione Teppei! Ti è chiaro ora? Ma come diavolo puoi pensare che... Dannazione!" Hajime si interruppe, cercando visibilmente di calmarsi. Quando riprese a parlare il suo tono era più pacato. "Tu per me sei l'unico, lo sei sempre stato. Tutto il resto non ha importanza."
Le braccia di Hajime lo strinsero forte. E in quella stretta così familiare, amata, le sue paure persero consistenza, evaporando come la brina sotto i raggi del sole. Gli cinse il collo con le braccia e gli poggiò la fronte sulla spalla.
"Per gli Dei, Teppei, io per te darei tutto: i miei sogni, il mio ultimo respiro, la mia stessa vita." Hajime lo esalò premendo la bocca sulla sua guancia per poi cercare le sue labbra con una dolcezza che gli arrivò dritta al cuore.
E mentre rispondeva al bacio con tutto se stesso, Teppei non poté fare a meno di pensare che quella sera avevano iniziato a porre delle solide fondamenta per un nuovo rapporto, diverso da quello che avevano vissuto fino a ora.
Non più amicizia, non solo amore, ma il meglio che entrambi avevano da offrire.

Close your eyes, give me your hand, darlin'
 Do you feel my heart beating
 Do you understand
 Do you feel the same
 Am I only dreaming
 Is this burning an eternal flame

 I believe it's meant to be, darlin'
 I watch you when you are sleeping
 You belong with me
 Do you feel the same
 Am I only dreaming
Or is this burning an eternal flame

Eternal flame - The Bangles

Fine...

...e palla al centro.

Dedico la storia a Melanto che ha ideato questa bellissima saga e che mi ha dato l'opportunità di scrivere questi missing moment. I personaggi appartengono al Maestro.

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