Urla di morte

di _shin
(/viewuser.php?uid=529771)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una mattina come un'altra ***
Capitolo 2: *** Che l'incubo abbia inizio ***



Capitolo 1
*** Una mattina come un'altra ***


Capitolo 1

Affacciato al balcone della cucina al terzo piano, pensavo, come sempre, che mai mi sarei abituato  alla bellezza di Rocca sul Mare neanche se fossi vissuto lì per 1000 anni buoni. Il paesaggio era mozzafiato; il mare era di un colore cosi azzurro acceso che sembrava essere uscito da una tavolozza di un pittore, che si infrangeva sulla alta scogliera. Ah quanti tuffi avevo fatto da lì; proprio io che a stento sapevo nuotare ma che non riuscivo mai a rinunciare a quella scarica di adrenalina che mi procurava stare lì, a quasi 20 metri di altezza, ad osservare le onde che di lì a poco mi avrebbero inghiottito. Pensavo a tutto questo quando sentii mia madre urlare “ Dario dai entra dentro che il caffè si raffredda” manco se ero a un isolato di isolato da lei. Entrai in cucina e dovevo ammettere che il profumo di caffè era invitante e io senza berne un sorso mai e poi mai avrei iniziato la giornata. Oggi era impegnativa la giornata scolastica, 3 ore di storia col professor Ferrante erano paragonabili alla guerra dei cent’anni trà Inghilterra e Francia. Per fortuna poi  sarebbe arrivata una bella oretta di educazione fisica dove poteva stracciare come sempre Vincenzo e Massimo a calcetto inglese dove lui era un portento. Assorto dai miei pensieri stavo rischiando di far tardi, così corsi in camera raccolsi la borsa e filai dritto alla porta pronto per iniziare un’altra  giornata di liceo in quell’uggiosa giornata di novembre. Appena attraversai la strada, all’incrocio tra il distributore della Q8 e la farmacia Visconti vidi Massimo che si accingeva a correre da lui. Massimo era poco più basso di me ed era riconoscibile dal suo immancabile e perfetto pizzetto che portava ormai da un anno, e gli dava un’aria molto matura bisogna ammettere, e dalla treccia che gli scendeva dondolando fino al collo. “ Ehy coglione pronto per un’altra lunga giornata in compagnia del sottoscritto?”  iniziò come sempre in modo ironico Massimo. “ Devo ammettere che anche stare una giornata insieme a te è un ottimo movente per un suicidio” scherzai”. “Risparmiati il suicidio per dopo perché tre ore con quello sembreranno tre autunni” disse con aria afflitta Massimo ma sempre col sorriso sulle labbra. Ecco, era questo che mi era sempre piaciuto di lui, poteva cadergli il mondo addosso ma mai avrebbe rinunciato al sorriso. Era il ritratto della felicità e ammetto che questo mi aveva sempre affascinato e sarei un bugiardo se non ammettessi che un poco lo invidiavo per questa sua caratteristica. Eppure Massimo aveva motivi per non essere felice, orfano della madre da quando aveva 7 anni,  a causa di un tumore alla spalla della giovane donna, era vissuto tutto il tempo con il padre, con cui per sua stessa ammissione non aveva un bel rapporto. Ma non dava mai a vedere di essere triste anche se spesso le persone si abituano così tanto a portare una maschera, che alla fine la modellano sul proprio volto e non riescono più a staccarla via. “Dario a che stai pensando, guarda che bel sole c’è oggi non pensiamo a quelle tre ore tanto passeranno e stasera se ti và ce ne andiamo al cinema tu e Enzo a vedere l’ultimo film di Rambo al cinema”. “Hai ragione Max, ma spero che stavolta il popcorn telo compri e non fai come l’altra volta che dicendo che ne volevi giusto un poco te ne sei mangiato quasi la metà” scherzai anche se era vero. “Tranquillo spilorcio lo compro, non sia mai che il tuo stomaco possa rimanere a digiuno”. Queste erano le tipiche frasi che odiavo. Era vero, tutto si può dire tranne che io sia magro ma era brutto sentirsi offesi dagli amici, perché a sentire offese, risolini dagli estraneii ti ci abitui, soffri ma ti ci abitui, ma sentirselo dire dagli amici è una coltellata che ti trapassa l’anima e ti fa sentire sporco, inutile accanto a loro. Pensavo a questo quando ci trovammo all’ ingresso della scuola. “Bè ecco che inizia un’altra giornata indimenticabile qui nel meraviglioso Liceo Scientifico Galileo Galilei” disse sarcasticamente Massimo. Mai si sarebbe immaginato che quella giornata oltre che ad essere indimenticabile sarebbe stata l’inizio dell’incubo che avrebbe risucchiato lui e i suoi amici.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Che l'incubo abbia inizio ***


Entrammo in classe giusto il tempo che la prof di latino iniziasse la lezione. Ci sedemmo accanto al penultimo banco della fila di destra e salutammo gli amici che erano in torno. Eravamo una classe atipica visto che eravamo solo 14 elementi e per una classe di seconda era un numero veramente esiguo. Questo era da imputare alle 10 espulsioni dell’anno precedente, credo record storico per l’istituto. “Ehy Dario bel taglio di capelli” disse Simona facendomi arrossire prepotentemente. “Ehm grazie ero stanco di tenerli sempre così semplici e quindi ho optato per un taglio un po’ più sbarazzino” dissi sperando che non notasse il fatto che il suo sguardo mi scioglieva ogni grammo di sicurezza nella voce. “Hai fatto proprio bene, sei molto più carino così” disse ammiccando e portando la mia soglia di arrossamento ai limiti del colore di Marte. “Grazie” gli dissi solo semplicemente non sapendo cosa altro dire anche se in cuor mio le parole correvano a fiotti ma intasavano quei pochi neuroni funzionanti che Simona stava intasando. Ah com’era bella lei, con quei suoi capelli rossi che gli cadevano dolcemente sulle spalle, e quel neo sulla guancia destra che sembrava prendere la forma di un cuoricino quando rideva; e anche se aveva un filo di pancetta e non era propriamente la classica fotomodella da rivista, mi piaceva, soprattutto il suo sorriso e la sua dolcezza quando mi parlava, senza quel classico sguardo giudicante che intravedevo in tutte le altre persone che guardavano la mia pancia. Mi girai verso Dario che appena mi vide con la faccia paonazza non potè fare a meno di ridere e darmi una gomitata, “Quand’è che la inviterai fuori per un caffè e un aperitivo eh? Quando il Milan tornerà a vincere un’altra Champions? Non mi sembra il caso di aspettare così tanto” disse senza smettere di sorridere. “Aspetto il momento adatto, ricorda le donne devi farle bollire nel loro brodo” anche se sapevo che stavo dicendo una palla colossale non volevo che Dario iniziasse la solita manfrina su Simona. “Si si tu aspetta e aspetta e quando finalmente ti sarai deciso di invitarla, e secondo i miei calcoli tra almeno altri 12 anni, lei sarà già che bella che sposata”. “Dai Max smettila seguiamo la lezione prima il prof inizi a cazziarci” tagliai corto per cambiare discorso sapendo purtroppo che Dario stava dicendo la verità. E spesso la verità fa male, molto male. Pensavo a questo quando sentii una sensazione sgradevole che mi partiva dalla schiena e si insinuava nel cervello. Non saprei come spiegarla ma la parola più adatta credo sia ansia anche se non capivo per che cosa in particolare. Sembrava che le mura della scuola si stringessero attorno a me e sentivo un urlo agghiacciante che partiva dalle viscere della terra e scoppiava nella mia testa. Tutto questo sarà durato si e no 20 secondi e come iniziò, così terminò e notai che nessuno dei miei amici aveva sentito quest’urlo che mi aveva congelato l’anima e mi aveva fatto sentire impotente, un essere inutile nella classe. Non riuscivo a comprendere cosa era successo ma imputai tutto all’ansia delle prossime 3 ore con il professor Ferrante e la chiacchierata, se così si può definire, con Simona. Presi un bel respiro profondo e mi sforzaii di seguire la lezione, ma sentivo che quell’urlo aveva assorbito da me tutte le energie e mi sembrava di vivere in universo parallelo, come se le persone presenti in classe erano perfetti sconosciuti. “Ehy Dario ti senti bene? Sei diventato pallido quasi come Michael Jackson e non è certo un bel vedere” mi disse Enzo che probabilmente era la persona che mi conosceva più di tutti sulla faccia della Terra e a cui non sapevo e non potevo nascondere nulla, tanto lui avrebbe scoperto cosa non mi andava solo guardandomi fisso negli occhi. Avevo sempre un po’ di timore di quegli occhi azzurri, sembrava che aveva i raggi X e che non gli potevi nascondere nulla. A volte è proprio vero che gli occhi oltrepassano barriere che noi costruiamo per proteggerci. “Si Enzo credo ho solo un pò di mal di testa ora esco un pò fuori a prendere una boccata d’aria”. “Vai vai fai bene” disse scrutandomi come sempre. Chiesi alla prof di uscire, e lei, forse notando anche il mio colorito, non fece storie anche se era la prima ora e mi fece andare in bagno. Uscii e mi diressi verso il bagno, e a ogni passo mi sembrava che le pareti della scuola si stringevano sempre di più e mi sentivo le gambe come due blocchi di cemento. Arrivai arrancando al bagno e aprii la porta. Quello che vidi all interno è la causa dei miei incubi notturni da 20 anni. Era l’inizio dell’Inferno e quando ci entri dentro e lo superi il resto della tua vita rimane un esile purgatorio. Urlaii, eccome se urlaii, un urlo che riecheggia ancora nelle mura della mia vita come un martello pneumatico.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3452755