Sole di febbraio

di n3rieko
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Caffè ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Note: Nella storia sono presenti  tematiche riguardanti morte e depressione, se siete sensibili a questi argomenti per favore leggete con prudenza. 

 

二月の太陽
Sole di febbraio


Prologo


Akaashi non era stato in grado percepire appieno cosa stava accadendo quell'inverno, quando Bokuto ancora lavorava nel cafè sull'angolo e la neve cominciava a sciogliersi sotto il sole pallido.

Sorrideva, Bokuto, e quello era sempre stato un buon segno, perciò la sua attenzione si era affievolita. Era felice del periodo di tranquillità che sembrava finalmente averli avvolti. Anche l'appartamento in cui dormivano assieme, l'uno tra le braccia dell'altro come avevano desiderato per anni, sembrava più luminoso in quelle giornate.
In quegli anni Akaashi aveva studiato, dividendosi tra part-time ed esami, vivendo una rigida routine che gli permettesse di passare poche ore a settimana con la persona che fin dal liceo poteva definire come la sua rumorosa e gentile metà.


Nonostante la distanza che li divideva e gli orari discordanti delle loro occupazioni, il loro tempo assieme era un piccolo rifugio, un luogo in cui la realtà era diversa, quasi piacevole. Il lunedì mattina Keiji tornava alle sue occupazioni, lasciava Bokuto con un bacio leggero sulla fronte per non svegliarlo e le settimana riprendeva nella speranza che quel male non tornasse.
Era sempre stato semplice accorgersene, anche soltanto attraverso un messaggio o una telefonata.
Quando la loro vita ruotava attorno alla pallavolo Akaashi sapeva come gestirlo, tutto si risolveva con poco, tanto da assumere una sfumatura comica agli occhi dei compagni.

Ma gli anni erano passati e la loro strada si era dimostrata più crudele di quanto si sarebbero potuti aspettare. Quei momenti di demotivazione che caratterizzavano la personalità di Bokuto -se così era corretto definirli- erano peggiorati, trasformandosi in qualcosa di più profondo e radicale, legato non più alle sua capacità come sportivo, ma alla sua intera esistenza.

Fino a due anni prima tutto passava in giornata. Akaashi se ne preoccupava e faceva modifiche ai suoi orari per passare tempo con lui, guardare un film e mangiare ciambelle di notte, finché il suo raggio di sole non tornava a ridere come aveva sempre fatto. I messaggi allora si riempivano di punti esclamativi ed Akaashi poteva sorridere dolcemente quando riceveva selfie di Bokuto assieme al labrador di qualche cliente o foto di disegni di cacao sulla schiuma di un cappuccino. Gli si scaldava il cuore nel saperlo felice.
Era la spinta che lo faceva studiare fino a tarda notte dopo il turno di lavoro.

La situazione però era degenerata improvvisamente quando una telefonata, arrivata una domenica sera sul cellulare di Bokuto, aveva come risucchiato la vita dai suoi occhi dorati.

“Keiji” aveva detto una volta chiusa la conversazione, lo sguardo fisso sul pavimento e le braccia abbandonate in grembo. Akaashi, nel sentirlo pronunciare il suo nome con un filo di voce, si era precipitato da lui.

“Aki...” le parole non vollero lasciare le sue labbra. “ Aki è...”

Non erano necessarie molte spiegazioni, l'espressione stravolta e le lacrime che scivolavano lungo le sue guance pallide erano abbastanza perché Akaashi capisse.

Quella notte lo aveva abbracciato, lo aveva stretto a sé accarezzandogli i capelli nel tentativo di calmare entrambi, immobili come alberi spogli persi in una nebbia gelida, in un doloroso e grave silenzio.

L'incidente che aveva spezzato la vita di Akinori fu per Bokuto l'inizio di un male che per quanto tentasse di combattere, continuava a ricrescere ogni volta più forte di prima.

Il mese che seguì il tragico evento fu un'unica ed interminabile notte senza luna in cui la presenza di Akaashi costituiva la sola luce che lo collegasse ancora alla realtà. Keiji passava le notti da lui, in quell'unico futon pieno di dolore. Cucinava i pasti in anticipo, lavava i piatti e faceva la lavatrice, la sera portava a casa un dolce comprato al cafè sull'angolo in cui Bokuto aveva smesso temporaneamente di lavorare.
Faceva del suo meglio e se i voti degli esami erano più bassi della media non se ne curava, in quei momenti tutto passava in secondo piano, persino la sua salute o il suo futuro.

Akaashi sapeva di non essere indistruttibile, anche lui aveva passato notti ad osservare il soffitto con la sensazione di soffocare, perduto in un mondo incomprensibile e crudele. Ma Bokuto non doveva sapere, così aveva imparato a controllare la voce, a voltarsi nel momento in cui i suoi occhi tradivano le sue emozioni.
Aveva elaborato il dolore da solo nei momenti in cui nessuno poteva accorgersene.

Eventualmente anche quell'inverno divenne primavera, e mentre sulle strade cadevano i petali di cigliegio e l'aria si faceva tiepida, Bokuto tornava sporadicamente ad essere il solito gufo rumoroso. Finalmente, nei primi giorni di Aprile, riprese a lavorare permettendo ad Akaashi di trovare loro un appartamento e di dedicarsi al suo terzo ed ultimo anno di studi.

Da allora le loro vite crebbero una in funzione dell'altra.
Akaashi imparò a gestire quei periodi di depressione -che da una giornata erano arrivati a durare settimane nonostante l'aiuto medico- e Bokuto continuava ad essere la luce e l'energia che lo sostenevano.

Lo conosceva, sapeva quando qualcosa non andava, sapeva quando il suo Bo era se stesso e sapeva quando invece quell'ombra malvagia lo avvolgeva.

Akaashi lo conosceva.

Ecco perchè, quell'inverno, quando Bokuto lavorava ancora al cafè sull'angolo e la neve cominciava a sciogliersi sotto il sole pallido, tutto inizò a sgretolarsi. 


 

"BokutoAndSuffering.odt" mi dispiace raga, qui si soffre. L'idea viene da una fanfiction su AO3 che parla di shinigami e tanta sofferenza (si chiama "Don't fear the reaper" è molto dolce e struggente) ç_ç So che bokuto è una pallina di piume e felicità ma, ugh... ci verso dentro i miei problemi quando sono in piena crisi di notte, quindi chiedo perdono, probabilmente è un po' diverso da come ce lo si aspetta -cerco tuttavia di non andare ooc °^°
Qualunque parere, idea, consiglio è benvenuto! Al prossimo aggiornamento :) Mi dispiace per la spaziatura di alcuni paragrafi, ho tentato di alleggerire il testo.

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Capitolo 2
*** Caffè ***


Caffè



«Akaashi!» Bokuto sorrideva da dietro al bancone, in mano il panno con cui stava pulendo. Per qualche motivo non aveva messo il gel ed i capelli ormai quasi completamente neri gli ricadevano sul viso, facendolo sembrare ancora un liceale con la testa tra le nuvole.

Akaashi lo salutò e si getto sul loro divanetto preferito, dove la sera dei giorni lavorativi, quando il locale si faceva deserto e la luce dei lampioni filtrava attraverso le vetrine, si sedevano entrambi a bere un caffè prima di tornare a casa assieme. Le colleghe di Bokuto ormai lo conoscevano e facevano in modo di lasciare ai due un po' di tempo prima della chiusura.

A volte, quando entrambi erano stanchi, sedevano vicini senza parlare, Bokuto si appoggiava alla sua spalla e gli stringeva la mano.

Quella sera Akaashi era così stanco che le sue dita pallide tremavano leggermente quando allungava il braccio per prendere un sorso dal caffè. Sbatteva più volte le palpebre per mettere a fuoco le immagini, ed essendo quella la terza bevanda alla caffeina della giornata, non avrebbe nemmeno potuto addormentasi, continuando quindi a fluttuare in uno stato di lucidità precaria.

«Sei sempre così stanco.»

«Mh» Keiji fece in un sospiro. Teneva gli occhi chiusi, la testa appoggiata allo schienale. «Non ti preoccupare Bo»

Ed era sincero, non c'era bisogno di preoccuparsi; il suo raggio di sole sorrideva ed era felice, e ciò era abbastanza. Se il lavoro lo sfiniva e lo studio era pesante poteva sopportarlo.

«E' colpa mia.»

«Non dirlo neanche per scherzo. Vieni qui.» fece segno a Bokuto di appoggiarsi alla sua spalla.

Akaashi sapeva di freddo e smog, ma anche di Akaashi, un odore che Bokuto trovava calmante e nostalgico. Era facile perdersi nei ricordi di una partita, di decine e decine di allenamenti, della prima volta in cui avevano dormito assieme, del primo bacio; momenti colorati da una luce calda e pervasi dal quel profumo.

I dieci minuti di pace prima della chiusura sembrarono volatilizzarsi nel nulla, come se le lancette si dimenticassero di passare su tutte le tacche dell'orologio. Akaashi attese che Bokuto finisse di sistemare. Non seppe dire se avesse sognato o fosse rimasto sveglio in quel lasso di tempo, ma quando dovette alzarsi sentii addosso un'inquietudine che prima era certo di non avere.

«Akaashi, ascoltami, devi dormire» pigolò Bokuto con i suoi grandi occhi ambrati fissi sul profilo del compagno chino sulla scrivania. Tornati a casa, avevano cenato con riso al curry ed avevano entrambi fatto una doccia veloce per levarsi di dosso il freddo ed il grigiume delle tristi giornate nuvolose.

Bokuto aveva ragione, Akaashi doveva dormire. La caffeina non poteva fare miracoli, ed in ogni caso, in uno stato del genere non riusciva a memorizzare nulla di ciò che studiava.

«Lo so che continui a lavorare per me.»

«No, continuo a lavorare per pagare l'affitto, il cibo, le bollette.»

«Il mio lavoro basterebbe.»

Il silenzio che seguì nascose la risposta che entrambi conoscevano: non sei stabile, non ci possiamo affidare a te soltanto.

Bokuto si alzò e spense la luce, e lasciando accesa soltanto la piccola abat-jour vicino al futon, gettò le braccia attorno al collo di Keiji, lasciando piccoli baci leggeri sulla sua pelle. Lo sentì rabbrividire sotto il suo tocco.

«Per oggi hai fatto abbastanza. Vieni a letto.»

Senza nemmeno chiudere i libri, Akaashi seguì quell'invito come un marinaio in balia del canto di una sirena, incapace di fare altrimenti che seguire la sua voce. Si gettò sul futon ed un'ondata di piacere lo pervase nel sentirsi finalmente al sicuro e privato di ogni peso, lì accanto alla sua metà.

«Bo» la sua voce era roca, ma suonava serena, in pace. «Andrà tutto bene.»

Quelle parole avevano sempre calmato Bokuto, erano la sicurezza che non aveva, la prova che Akaashi lo avrebbe protetto e salvato, qualunque cosa fosse successa. Era bello sentirle.

«Andrà tutto bene» ripetè Bokuto come a scolpirle nel silenzio. Le sue mani si mossero automaticamente per accarezzare la schiena di Keiji e stringerlo a sé.

Il corpo tra le sue braccia si abbandonò presto al dolce tepore del sonno, il respiro si fece lento e regolare, la fronte perennemente corrugata si spianò e le labbra screpolate dal freddo si socchiusero.

«Scusami, Keiji» sussurrò, gli occhi lucidi e la gola stretta in una morsa.

Akaashi stava sacrificando tutto il suo tempo per non farlo sentire sotto pressione, usava tutte le sue energie per assicurarsi che stesse bene, che fosse felice. Il suo Akaashi, che nonostante fosse più giovane, era per lui il mondo intero.
E' colpa mia. Ti sto facendo del male.

Avrebbe voluto tornare indietro, quando la pallavolo era ancora nella sua vita ed Akinori era nella sua squadra. Quando era ancora un capitano ed aveva ancora la forza di affrontare un esercito e conquistare imperi, senza terapista nè antidepressivi.

«Chissà come sarebbe la tua vita se non ci fossi io a rovinarti così.»

Se io non ci fossi...

«Saresti felice, Keiji?»

Se io non ci fossi, saresti felice?


 

La mattina seguente Akaashi si alzò prima del solito ed andò in università senza svegliarlo. Lo osservò per qualche secondo prima di uscire, fuori le strade erano ancora buie ed i lampioni ancora accesi; abbracciato ad un cuscino e con i capelli scompigliati, Bokuto faceva una tenerezza immensa, come un bambino assieme al suo pupazzo preferito.

Sarebbe voluto rimanere con lui, dormire ancora qualche ora riscaldato dal suo corpo, ma Akaashi si accontentò di vederlo così, e mentre camminava svelto fino alla stazione si trovò a canticchiare un motivetto.

Bokuto si svegliò tardi, la luce del sole che illuminava metà del suo volto ed un silenzio irreale nell'appartamento.

«Akaashi?» chiese ignorando l'orario e pensando di trovare il compagno ancora in casa.

Giusto, il giovedì aveva il turno al pomeriggio ed Akaashi l'aveva lasciato dormire.

Pensò dovesse essere triste alzarsi così presto, dover far tutto in silenzio, bere il caffè della sera prima alla luce sterile del cucinotto ed uscire senza poter ricevere un saluto in risposta. Bokuto avrebbe voluto preparargli la colazione, dargli un bacio prima di uscire, vederlo salutare con il suo sorriso dolce, le labbra in parte nascoste dalla sciarpa blu che gli aveva regalato a Natale.

Si appallottolò nelle coperte e nascose il viso dal sole stranamente forte per una giornata di Febbraio, i pensieri della notte prima ancora vividi nella mente che pulsavano come un'emicrania.

Se io non ci fossi, saresti felice.


 

«Hey, hey, hey! Akaashi!»

«Hey» fece il moro appoggiandosi al bancone.

«Caffèlatte?»

«Sì, per favore.» Le occhiaie erano addirittura più scure della sera prima. «Stasera potrei fare tardi, quindi non mi aspettare per cena. Ci dovrebbe essere della carne in frigo.»

Bokuto mantenne il sorriso e preparò l'ordine. Un senso di colpa gli strinse lo stomaco ma il suo viso non lo diede a vedere.

«Mi dispiace, Bo» fece poco dopo Akaashi, accarezzandogli dolcemente il dorso della mano nel tentativo di consolarlo. Gli occhi di Bokuto erano particolari quel pomeriggio, si muovevano più del solito.

«Non ti preoccupare! Ehi, ci vuoi la panna?»

Forse, pensò Bokuto, forse poteva sorridere senza volerlo davvero, poteva apparire davvero ruomoroso e felice senza esserlo veramente, e se ciò faceva stare bene Akaashi allora avrebbe continuato ad agire così.

Non attese risposta e mise una quantità esagerata di panna, una cialda ricoperta di cioccolato a forma di cuore, una spolverata di cacao ed una cannuccia colorata in quel caffè al latte che sembrava uscito da un cartone animato.

Akaashi accennò un sorriso e si sporse quanto bastò per lasciargli un bacio sulla guancia ed i trecento yen sul bancone.

«Grazie» disse prima di allontanarsi.

«A stasera!»

Quando la sua figura lasciò il negozio scomparendo nel caos della capitale, i colori del locale sembrarono sbiadire come nascosti da una nube di fumo. Akaashi era il sostegno al quale Bokuto poteva aggrapparsi, uno scoglio sul quale avrebbe sempre trovato appiglio, e per quanto forte lo stringesse, per quanto l'avesse eroso con la sua presa disperata, quello spuntone di roccia non lo avrebbe mai lasciato alle correnti. Ma Bokuto sapeva che ad ogni tempesta una nuova crepa lo percorreva ed i frammenti venivano portati via dall'acqua, lasciandolo più piccolo di prima. E lui era l'unica causa di tutto ciò.

«Bokuto, le ciambelle! le ciambelle!»

«Vado!» urlò fiondandosi in cucina. Il lavoro l'avrebbe distratto ancora per un po' di ore, fino al momento della chiusura, quando sarebbe dovuto rientrare a casa da solo.

Era un viaggio terribile, un momento in cui perdersi a pensare. Era facile porsi le solite domande e giungere alle solite, logore conclusioni che tanto gli procuravano sofferenza. Ma senza nessuno a camminare al suo finaco, senza l'ombra di Akaashi ed il ruomore dei suoi stivaletti sull'alsfalto, come tenersi lontano dal tanto familiare oceano in tempesta? Non che vi provasse attrazione, era più come camminare sul bagnasciuga con la marea che poco a poco sale, rendendo impossibile sfuggire alle onde che prima o poi l'avrebbero trascinato in acque alte e cupe.

Quando rientrò quella sera, Bokuto aveva un tremendo mal di testa. Le tempie gli pulsavano e si sentiva come un fantasma ancora attaccato al corpo, che incapace di staccarsi, ne ha perso ogni controllo. Prese la scatola degli antidolorifici e la gettò sul kotatsu, si cambiò i vestiti infilandosi qualcosa di comodo e recuperò un pacchetto di cracker con l'intenzione di mangiarne almeno metà prima di prendere il farmaco.

Riuscì a malapena a deglutire il secondo boccone prima di arrendersi pervaso dalla nausea. Inghiottì due pastiglie senza nemmeno l'acqua e si sdraiò, cadendo in un sonno leggero e sognando immagini di una passato che non voleva ricordare.


 

Akaashi rientrò alle dieci e mezza. Bokuto dormiva ancora al kotatsu. La sua fronte scottava ed ogni tanto rabbrividiva e si rigirava in cerca di altre coperte.

«Bo?» Akaashi aveva preso un bicchiere d'acqua ed il termometro. In parte non voleva svegliarlo, avrebbe voluto che si riposasse, perché in fondo si sentiva colpevole. Bokuto era tornato a casa sentendosi male ed aveva preso dei medicinali senza nemmeno mangiare a dovere. Se Akaashi fosse stato a casa gli avrebbe preparato della minestra e gli avrebbe rinfrescato la fronte ed accarezzato i capelli. Ma così non era stato, si era dovuto trattenere al lavoro per coprire il turno di suo collega in malattia e non aveva potuto fare nulla di tutto ciò.

«Bokuto?»

«Mnhh»

«Come stai?»

«Akaashi? Mhh... che ore sono?» sbiascicò sbattendo le palpebre per abituarsi alla luce.

«Le dieci e mezza»

Seguì un lungo silenzio in cui il viso di Bokuto si trasformò.

«Mi- mi dispiace, non ho preparato niente da mangiare. Ah...Aspetta, metto a bollire il ri-» Akaashi lo bloccò prima che riuscisse ad alzarsi. Qualcosa in quel comportamento fu tenero ed allo stesso tempo inquietante. Lo sguardo era perso, come nel realizzare con disperazione che per una propria mancanza qualcun'altro stava perendo sul rogo. Era un'espressione che in un qualche modo ferì Akaashi, così come quando si fa del male per sbaglio ad un bambino. Era quel tipo di male per cui avrebbe voluto chiedere il perdono prostrandosi a terra.

«Apri la bocca» disse invece porgendogli il termometro. Bokuto obbedì senza fare domande, ancora confuso ed infreddolito.

«Preparo qualcosa di caldo. Tu non ti muovere» non riuscì a guardare quel viso un secondo in più senza sentirsi stringere il petto.

Si diresse ai fornelli a preparare una minestra istantanea. Era completamente sveglio ora, preoccupato non più per la tesi ma per qualcosa di più importante, più importante di qualunque altra cosa.

Il termometro segnò trentotto gradi e quattro. Bokuto si era infilato completamente sotto le coperte del kotatsu ed osservava le spalle di Akaashi appoggiato al piano della cucina in attesa che l'acqua arrivasse a bollore. Si chiese perché non venisse da lui e non gli facesse compagnia, non perché se ne sentisse offeso, anzi, perchè era preoccupato che Akaashi potesse avercela con lui, che in qualche modo fosse arrabbiato. Per tale motivo non disse nulla finché le ciotole fumanti non furono portate sul tavolo.

Akaashi, prima di sedersi, respirò profondamente.

Mangiarono lentamente, la mano di Bokuto ogni tanto tremava e faceva cadere un po' di minestra di nuovo nella ciotola. Akaashi gli prendeva il cucchiaio di mano e lo imboccava. A fine pasto, prese dalla scatola di medicinali una bustina di antipiretico e lo fece sciogliere in mezzo bicchiere d'acqua. Sorrise nel vedere l'espressione contorta di Bo dopo averlo buttato giù in un sol sorso; lo aveva sempre fatto, era una di quelle tante piccole cose che lo rendevano ancora Bokuto, uno di quei pezzi del meccanismo che non erano stati sostituiti, e che appartenevano ancora al progetto originale. Sapeva dove trovare quei pezzi, Akaashi, ma aveva anche paura che un giorno ne avrebbe perso traccia, trovandosi davanti a qualcosa di completamente sconosciuto ed a lui incomprensibile. Un meccanismo che funzionava in maniera totalmente diversa, che non aveva istruzioni e che non avrebbe potuto capire. Ecco perché scoprire che quel piccolo tassello originale era ancora al suo posto gli dava ancora speranza di poter, un giorno, ritrovare ciò che era stato alterato dagli ultimi anni.

Preparò l'asciugamano ed una bacinella d'acqua vicino al futon, spostò le coperte, e guidandolo e sorreggendolo per i fianchi, mise Bokuto a letto.

Quella notte, prima di addromentarsi, lo strinse più forte del solito, e gli baciò la fronte. Lo sguardo che gli era stato rivolto poco prima ancora scolpito nella mente.

«Ti amo, Bokuto» le parole uscirono senza che ne avesse il controllo, come se fossero una parte necessaria del loro abbraccio, qualcosa di naturale ed inopinabile. Ed in fondo lo erano, l'amore di Akaashi era un parte, se non tutto ciò che era. Avrebbe voluto che avessero più potere, che guarissero dalla febbre e dal male, che facessero brillare il suo raggio di sole come aveva sempre fatto quando era felice.

Bokuto strofinò la faccia contro il suo petto e mugolò qualcosa, prima di rispondere: «Anche io, Akaashi. Anche io ti amo.»

Ma subito dopo la sua voce si spezzò e le sue mani strinsero con più forza.

«Akaashi, ti prego perdonami-»

Akaashi trattenne il fiato, incapace di dire nulla, sconvolto.

«Sei sempre stanco, Akaashi. Il lavoro ti sfinisce, ed io mi ammalo e sono solo un peso – sono un peso, e ti sto facendo del male. Sei sempre con me - mi aiuti sempre ed io non riesco ad aiutare te. Lo sai quanto male fa, Akaashi? Io voglio che anche tu sia felice- non mi ammalerò più - ...Akaashii-»

«Ehi, shh. Cosa stai dicendo? Bo, tu mi rendi felice, tutti i giorni. Questa è la mia felicità.»

«Mhh- lo dici sempre ma- »

«Perchè è vero. Non pensare a queste cose.»
Lo stava pregando. Dal profondo del suo cuore. Akaashi voleva che fosse solo la febbre a parlare e non il suo Bokuto.
Sperava che quella dannata ombra che si impossessava del suo ragazzo fosse ancora in letargo, o che fosse a marcire da qualche parte senza vita, lontano da loro, dove non poteva far del male.

Il sonno li colse prima che altre parole si spandessero nel buio della stanza, increspando il velo del silenzio come cerchi sulla superficie di un lago perfettamente calmo.  



 

Ahhh scusate, è noiosa probabilmente D: Non lo so, mi sembra sia tutto troppo immobile. 
Non lo so. In poche parole... non lo so.
E' triste? No. Boh. Bokuto è diverso da come è di solito? Sì, cioè sono successe cose, forse lo immagino in modo diverso da come sarebbe.
Ahhh scusate ^^''  potete insultarmi se volete, probabilmente gradirò anche quei commenti in questo momento (◎-◎;)
Attuale stato emotivo: da confermarsi.

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