A passo di gambero

di Mistiy_Ronny
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vecchi tempi ***
Capitolo 2: *** Vecchi tempi- parte seconda ***
Capitolo 3: *** Vecchi tempi- parte terza ***
Capitolo 4: *** Erika?! ***
Capitolo 5: *** Il diario di Lysa ***
Capitolo 6: *** Passi incrociati ***
Capitolo 7: *** Un minuto ***
Capitolo 8: *** Abbandono ***
Capitolo 9: *** dove ho lasciato la mia vita ***
Capitolo 10: *** ragazzi tosti ***
Capitolo 11: *** Nulla è finito per sempre ***



Capitolo 1
*** Vecchi tempi ***


A passo di gambero


vecchi tempi- prima parte


Era calata una notte buia, priva di stelle e luna. Al di fuori della finestra tutto pareva immobile, neppure il vento si muoveva nell'oscurità. Il silenzio esterno rispecchiava quello interno: il castello era silente dato che tutti s'erano coricati, da ore avevano annunciato la “buona notte” ma Levi lo sapeva, si trattava d'una farsa dato che il giorno seguente era stata organizzata una spedizione al di fuori delle mura. Se l'immaginava i membri della sua squadra sotto alle coperte con gli occhi spalancati colmi di paura ed eccitazione. Chi morirà? Chi sopravviverà? Domande che verranno sanate quando il sole sarà alto, quando i cancelli delle mura s'innalzeranno.
Le notti precedute dalle missioni erano sempre così silenziose e Levi ne approfittò per starsene solo con i suoi pensieri, difatti era in cucina, sedeva al tavolo in compagnia d'una tazza di tè e i suoi pensieri erano tutti rivolti verso quel futuro così prossimo. Mentalmente rielaborava il piano di Erwin, non si domandò se andrà a buon fine perché non aveva alcun senso: potevano anticipare tutti gli imprevisti possibili ma alla fine si trattava sempre d'una questione di attimi, bisognava sempre avere la lama a portata di mano e gli occhi ovunque.
Decise di liberare la mente dal futuro prossimo focalizzando lo sguardo sulla notte nera e i pensieri camminarono all'indietro ritornando a un passato lontano.


. * .


Un giovane Levi camminava lungo un terriccio roccioso stando ben attento a non calpestare pozzanghere aquitrine. Ai lati di quella sotto specie di strada, c'erano case scosciate ricoperte di muffa e fango. Gli parevano delle tane per topi perchè solamente questi erano creati per vivere sotto terra.
Il fetore di piscio e fogna era devastante per le narici, stava andando a casa perché lì l'odore del disinfettante soffocava quello della muffa. Il desiderio venne soffocato da una distrazione: vide una nuca argentea appartenente a un vecchio uomo, l'andatura barcollante e le rughe profonde gli suggerirono che doveva avere più di sessanta anni. Lo seguì con lo sguardo e questo scomparì dietro le ante d'una lurida taverna. Lo seguì anche con il passo perché il vecchio doveva aver vissuto a lungo nel mondo sovrastante poiché nessun uomo nato nel ghetto riusciva a raggiungere quell'età. Proprio perché non erano ratti, la mancanza dei raggi solari provocavano delle debolezze nel sistema immunitario così molti finivano per morire precocemente a causa di qualche sciocchezza.
Aprì le ante di legno ammuffite per entrare in una stanza circolare cosparsa di tavoli occupati da uomini. Gli ubriaconi parlavano con toni vocali troppo alti per i suoi gusti. Nell'angolo a sinistra vi era una nicchia di gente che stava in piedi intrattenendosi nel gioco delle freccette, quelli erano i più rumorosi. Il suo sguardo andò al banco dove china vi era una testa argentata, lo sgabello accanto al suo era vuoto. Levi vi si sedette senza troppi complimenti

<< Vecchio >> disse secco e due occhi spenti dalle cataratte si voltarono.

<< Ti offro da bere >>

<< Tu sì che sei un bravo ragazzo! >> lo sguardo divenne subito allegro e come se temesse un repentino cambiamento d'idea, il vecchio si sbracciò attirando l'attenzione del barista, ma poteva fare anche con comodo poiché Levi non avrebbe di certo ritirato l'offerta. Kenny gli aveva insegnato a comportarsi così quando voleva sciogliere la lingua di un alcolista.


Due bicchieri di Gin si deposero sotto ai loro nasi. Il vecchio trangugiò avido una buona parte del liquido, Levi ne prese un sorso sentendo quanto bruciante fosse quella porcheria, lo depose di nuovo sul banco. Ovviamente la sua espressione non tradì alcun disgusto.
Quando constatò che il calice del vecchio era stato svuotato, decise che era giunto il momento di parlare.
<< Vecchio, presuppongo che hai vissuto a lungo in superficie >>
la nuca scompigliata annuì
<< Bene, allora devo … >>
<< Prendo un altro bicchiere, va bene ragazzo? >>
<< Sì >> sputò fuori irritato dal fatto d'essere stato interrotto
Arrivò il secondo bicchiere di Gin e Levi con un tutta la calma di cui disponeva, riagganciò il discorso.
<< Allora, hai vissuto a lungo fuori da questa topaia? >>
<< Sì, sì. Mi sono rintanato qua sotto perché ho assassinato uno della capitale reale, sai uno di quelli che indossano il cappello a cilindro >>
<< Questo non mi interessa >> sentenziò arido.
<< Quello che voglio sapere è come è la vita là sopra, sicuramente si sta meglio che in questo buco di merda, però voglio sapere come? Parlami anche dei giganti, sono una minaccia? >>
<< Oh, i giganti! Mi ricordo che quando ero un moccioso e andavo a scuola, un mio compagno di classe salì su dei trampoli indossando una maschera inquietante, gridò: “son un gigante, ora vi mangio tutti”. Nessuno si spaventò, ma quando quell'idiota cadde, dio quanto ridemmo! Rido ancora oggi al solo pensiero >>
<< Non mi interessa >> Levi serrò i denti reprimendo l'impulso di sferrare un pugno sulla mascella del vecchio << quello che voglio sapere è quanto è migliore la vita là sopra >>
Il vecchio lo fissò, l'euforia nata dal racconto di poco fa era svanita
<< Ragazzo, ho capito cosa vuoi dire. Certo ero giovane il corpo non mi faceva male ed ero pieno d'entusiasmo, allora stavo meglio rispetto ad ora. Un tempo non dovevo alzarmi sette volte a notte per pisciare, ora bevo una pinta di birra e dopo poco rischio di farmela addosso. Giusto … >>
Si alzò dallo sgabello portando la mano sulla patta del pantalone << vado al cesso >>
Levi non attese il suo rientro e s'immerse nelle strade della città.
Tutti parlavano di come erano giunti in quel posto, del crimine che avevano commesso come se fosse una sorta di manifesto, di pubblicità. Senza problemi lo narravano, eppure nessuno raccontava come era la vita là fuori. Era come se tutti eliminassero dal passato i raggi solari.
Sapeva che doveva uscire da lì, non sapeva cosa lo aspettasse al di fuori di quel soffitto roccioso ma ne era cero, sarebbe stato meglio vivere sotto una volta celeste piuttosto che schiacciati da stalattiti rocciosi. Questo era il suo unico scopo, racimolare più soldi che poteva per procurarsi dei documenti falsi e uscire da quello schifo, però avere qualche informazione in più sulla vita esterna gli avrebbe fatto comodo. Un domani si sarebbe ritrovato là fuori e avrebbe anche voluto conoscere la faccenda dei giganti che venivano qualche volta menzionati ma di fatto sembrava che nessuno li avesse mai visti.

Il flusso dei suoi pensieri venne spezzato da un grugnito quasi animalesco, Levi si blocca sui propri piedi dato che quel ruggito lo conosce fin troppo bene.
Si voltò e vide una ragazza che se ne stava con la schiena abbandonata contro il muro. La chioma bionda brillava nella semi ombra, gli occhi invece non emanavano alcun riflesso, erano fissi verso un punto ceco. Stava immobile mentre il grassone le si spalmava addosso, le metteva le mani ovunque, le dita tozze la percorrono da capo a piede, dalla bocca uscivano grugniti sconnessi quando non era impegnata a leccare il profilo della giovane.
Poteva andarsene, girare i tacchi e proseguire per la sua strada dato che non era in cerca di rogne, ma successe. La ragazza girò il capo come se si fosse accorta della sua presenza, lo fissa e i suoi occhi erano due pozzi neri nel quale non si poteva far altro che sprofondare.



<< Lo hai steso con un calcio? >> disse la ragazza incredula nell'osservare il vecchio riverso a terra.
<< Non è morto, perciò ti conviene sloggiare >> difatti il vasto pancione si muove con una certa fretta, su e giù. Levi era intervenuto perché non era stato in grado di mettere a tacere la coscienza, a dirla tutta non l'ascoltò appieno: quest'ultima voleva uccidere, voleva vedere il vecchio porco morto con le budella squarciate. La sua coscienza sarebbe stata soddisfatta, lui no, non voleva seguire le orme di Kenny per diventare “Levi lo squartatore”.
Girò le spalle pronto per tornare a casa.
<< Aspetta! >>
Con una certa noia arrestò i propri passi, non voleva alcun ringraziamento, era intervenuto solamente per soddisfare un desiderio personale.
Lei si piazzo dinnanzi a lui a tre dita di distanza, per istinto Levi arretrò d'un passo, mai stare troppo vicini a una persona, per quanto piccola ed innocua quella potrebbe tirare fuori un pugnale. Kenny gli aveva insegnato così.
<< Il mio nome è Erika >> disse abbozzando un sorriso.
<< Levi >> disse lui secco, non avevano altro da di dirsi perciò era giunto il momento d'andarsene ma successe. In uno scattò lei accorciò la distanza e le sue labbra si posero sulle sue combaciando alla perfezione. Levi rimase granitico con gli occhi sbarrati dalla sorpresa, reagì solamente nel momento in cui sentì la lingua estranea intrufolarsi oltre le labbra.
Levi si staccò facendo un balzò all'indietro, portò le mani alla bocca umida riscoprendosi sorpreso,accaldato e sconcertato.
<< Che c'è? Hai forse avuto delle brutte esperienze col sesso? >> chiese lei allarmata dallo sguardo che le stava rivolgendo, pareva aver voglia di sgozzarla.
<< Scusa, io volevo solamente ringraziarti >> disse lei senza avvicinarsi. 
Levi s'asciugò con la manica della camicia la bocca umida e si ricompose ricercando quell'autocontrollo che non riuscì a riacquistare, era percosso da troppe sensazioni.
<< Potevi evitare, non voglio i tuoi fottutti ringraziamenti >>
Levi le cacciò un ultima occhiata rognosa e svanì con velocità dalla vista lasciando una ragazza senza domande e risposte, non aveva visto nessun uomo reagire in quel modo ad una sua attenzione.


Levi sbattè la porta con rabbia.
La prima cosa che fece fu quella d'andare in bagno, acchiappò lo spazzolino e prese a spazzolarsi il denti con furia. Sciacquò la bocca, sputò riprendendo a spazzolare con frenesia la cavità. Le gengive avevano preso a bruciare ma non gli importava, la bocca era sporca e quella sporcizia pareva non volersene andare.
Prese a lavarsi il viso con foga, anche quello gli pareva lercio.
Era arrabbiato, non per il bacio in se ma per le sensazioni che gli aveva arrecato. Era un ventenne e come tutti i giovani aveva fatto i conti con le sensazioni elettriche derivanti dalla giovinezza, ma nonostante ciò mai, neppure per un secondo, gli era saltato alla testa l'idea di intrattenersi nel calore d'una donna. Le ragioni erano tante, di fatti era un ragazzo dall'aria scontrosa, i suoi modi di fare poco gentili non attiravano affatto l'altro sesso, e poi aveva tante cose da fare. Stava racimolando denaro per uscire dalla città sotteranea, era un progetto ambizioso che richiedeva tutte le sue energie, non poteva spendere queste ultime per coltivare la sessualità. Inoltre l'idea di toccare qualcuno gli pareva così sporca come il bordello in cui era vissuto. L'odore della muffa s'appiccica ovunque, nei muri, nelle strade, sui vestiti, nei capelli. Non importava quanto ti lavassi, l'odore ti s'addossava come una seconda pelle, non voleva odorare il fetore addosso ad un'altra persona.
Era strano, nonostante tutti questi elementi, la bocca dello stomaco s'era chiusa.
Una sensazione solleticante correva lungo tutta la lunghezza della pelle.
Era stato disgustoso ma ne voleva ancora, voleva sentire di nuovo quelle labbra color pastello sopra le sue.
L'incisivo affondò nella carne morbida, il fatto che gli fosse in un qualche modo piaciuto, gli faceva schifo. 


Buona sera! :)

Questa piccola long (sarà lunga all'incirca otto capitoli), è in corso da così tanto tempo che finalmente mi son decisa a pubblicare il primo capitolo.
Non voglio anticiparvi nulla di questa storia, posso solamente dirvi che i capitoli sono quasi tutti scritti e pubblicherò con cadenza regolare ( non lo prometto ma ci proverò >.< )

Spero che questo primo capitoletto vi sia piaciuto e non vedo l'ora di conoscere le vostre impressioni.

un abbraccio grande

Mistiy

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Capitolo 2
*** Vecchi tempi- parte seconda ***


Vecchi tempi – parte seconda


La incontrò pochi giorni dopo al mercato nero.
Levi s'era diretto verso un banco poco affollato, sopra alla lastra di legno stavano scatole cubiche, su una di queste c'era scritto “tè nero”. Senza indugio allungò la mano, era una merce cara lì sotto dato che era considerato un bene di lusso al quale molti cittadini della città sotterranea potevano rinunciare.
Le dita s'allungano ma una mano veloce l'anticipò sottraendo l'oggetto del desiderio. Levi indispettito, voltò il capo pronto a fulminare con lo sguardo l'usurpatore ma la palpebre si spalancarono nel momento in cui incontrò due grandi occhi neri.
<< Ciao! >> esclamò Erika con voce allegra e lo stomaco di Levi s'accartocciò su se stesso.
Lui ricambiò il saluto con un cenno del capo
<< Anche a te piace il the nero? >> domandò con curiosità e anche stavolta si limitò ad annuire.
<< Però c'è solamente una scatola … chi se lo prende? >>
Lui non rispose, in quel momento esistevano solamente le labbra a forma di cuore cucite sul volto della ragazza stante di fronte sé.

Sono un porco” pensò con accidia tra sé e sè

<< Hai ragione, non c'è alcun problema, vale la legge “chi prima arriva meglio alloggia”, perciò … >> tirò fuori dalla tasca qualche moneta per consegnarle al mercante
Levi infastidito da tutto ciò, girò le spalle pronto per andare via
<< Aspetta dove scappi? >> la ragazza s'affiancò a lui
<< Che vuoi? >> arcigno sputò fuori. Non interruppe la camminata perché non voleva guardarla in volto, la cinghia presente nello stomaco prendeva a stringere sempre più forte.
<< Ti va un tè? >> di sottecchi le rivolse una delle sue occhiatacce
<< Sai, è il minimo che posso fare >> proseguì lei guardandosi le scarpe << sai mi hai salvata e voglio ringraziarti … >>
<< Non voglio i tuoi fottuti ringraziamenti, mi sembra d'avertelo già detto >>
Erika gonfiò le guance e dalle labbra uscì un lungo e pesante soffio
<< Che uomo esasperante! Dai che diamine ti costa? >> si piazzò di fronte a lui ponendo le mani sui fianchi e Levi fu costretto a fermarsi.
<< Voglio ringraziarti a tutti i costi perciò ora verrai a casa mia, ti preparerò la cena e poi il tè, capito? >>
Levi storse il naso e corrucciò le sopracciglia dinnanzi a quel repentino cambio d'atteggiamento, poco fa era una ragazzetta dal fare giocoso e in tre quattro otto s'era tramutata in una piccola donna chiassosa.
<< Va bene >> sibilò acido << spero tu sappia cucinare >>
<< ah, ti stupirò! >> disse tutta contenta ritornando al suo fianco


. ***.


Erika viveva in una specie di monolocale, dall'esterno pareva una catapecchia pronta a cadere da un momento all'altro. L'interno della casa rispecchiava il degrado esteriore: i muri erano scrostati, le mattonelle decorate da lunghe crepe nere, ma per lo meno era un luogo pulito, non puzzava di sterco come l'intera città.

Stavano seduti al tavolo rettangolare, non avevano parlato un granchè, Erika aveva provato a instaurare una conversazione orientata sulle varie tipologie di the, Levi aveva partecipato in modo abbastanza attivo alla conversazione, ma quando alla fine giunsero alla conclusione che il te nero era imbattibile, calò il silenzio. Il vuoto di parole indusse Erika a sparecchiare la tavola, appoggiò sul tavolo due tazze di te e al centro pose un vasetto di vetro, al suo interno c'era un mazzo di primule appena sbocciate. Lo sguardo di Levi s'incollò su quei piccoli petali bianchi
<< Ti piacciono? >> chiese lei speranzosa d'instaurare una nuova conversazione
<< Non sono male >> disse allungando il pollice e tastando la morbidezza del piccolo petalo. I fiori nella città non sbocciavano mai, li aveva già visti in passato ma non ricordava dove, forse nel bordello ove lavorava sua madre?
<< Dove li hai presi? >> chiese incuriosito dal dubbio appena sorto.
<< li ho comprati al mercato nero, c'era un tizio che era riuscito a sgattaiolare fuori per qualche ora, ha preso su tutte le erbacce che ha trovato >>
Levi ci credette, o per meglio dire finse di crederci.
Continuò a tastare con le dita il morbido petalo, i fiori erano così rari nella città, eppure era convinto che al di sopra della volta grottesca, ce n'erano a bizzeffe. Probabilmente gli abitanti della terra sovrastante non li degnavano d'uno sguardo.
<< Se vuoi te li regalo >> la buttò lì così tanto per dire
<< No, voglio vederli incorporati ad un suolo mica in un vasetto >>
<< Vuoi comprare la cittadinanza? >> chiese lei incuriosita dall'affermazione
<< Certo, tutti vogliono uscire da qua >>
Alla risposta secca come una sentenza, lei scosse le spalle verso l'alto con disinvoltura.
<< Non tutti >>
<< Ti piace vivere nella spazzatura? >> chiese sarcastico incrociando le braccia, gli pareva un'affermazione talmente imbecille
<< Certo, non mi piace vivere qua sotto però anche in questo squallore posso trovare la bellezza >> si alzò in piedi così che Levi poté scrutarla da capo a piede. Indossava un vestito ampio, troppo grande per la sua corporatura
<< Tali volte la bellezza la ritrovo nelle cose, altra volte nelle persone. >>
Sotto l'occhio attento quanto vigile di Levi, Erika piegò le ginocchia dando un bacio a stampo sulla guancia diafana.
<< Che cazzo fai? >> chiese strabuzzando gli occhi, lo aveva sorpreso.
<< Niente, ti ho solo dato un bacetto >>
<< Perchè? >>
<< Perchè sei bello! >> la buttò lì come se si trattasse d'un fatto talmente scontato che non meritava neppure d'essere espresso.
Lei si chinò per schioccare un altro bacio a fior di pelle ma Levi arretrò un poco il busto, sospettoso ma la contempo stupito la guardò dritta negli occhi per cercare una risposta più soddisfacente.
Erika non s'arrese, colmò la distanza fra loro e si sedette sulle sue ginocchia, i muscoli di Levi s'irrigidirono.
<< Levati dalle palle >> disse arido, sentirla così vicina lo infastidiva.
<< Perchè? >> chiese lei un poco sorpresa da quell'atteggiamento così remissivo
<< Ti faccio così schifo? >>
<< Non mi fai schifo, devi solamente levarti da qui >> lo disse con tutta l'acidità risiedente nell'animo, ma nonostante ciò non si scansò via, neppure quando le braccia di Erika andarono ad allacciarsi dietro al suo collo
<< Senti, non so che problemi hai con il sesso però se lo si fa con la persona giusta al momento giusto, può rivelarsi un cosa bella >> alitò sul suo viso le seguenti parole, e la pelle di Levi cominciò a tremare. Quella vicinanza, quell'abbraccio emanavano un calore strano al quale non era affatto avvezzo. Kenny aveva dimostrato il suo affetto(se così si poteva definire), a suon di calci e schiaffi che Levi s'era dimenticato del calore derivante dalla vicinanza d'una altra persona. Non ricordava l'ultima volta che aveva avuto un essere umano così vicino, forse l'ultima persona che s'era avvicinato a lui in tal modo era stata sua madre, l'unica anima che s'era sprecata di trasmetterle un briciolo di calore.
Levi rimase immobile, guardò quelle labbra avvicinarsi alle sue rimanendo ascoltò delle sensazioni discordanti che si dimenavano all'interno del suo petto: il disgusto serrava il suo stomaco, il calore scaturito dalle calde labbra mandavano scosse elettriche lungo la pelle.
Dischiuse la bocca e lasciò che le lingue si scontrassero in quel bacio bagnato, sporco ma piacevole. Sì per quanto lo odiasse, per quanto lo ripudiasse il calore derivante dalle bocche era confortante.

Un 'immagine passò veloce e letale come un colpo di frusta: una donna dai capelli corvini viene schiacciata contro la parete, l'uomo la bracca, le blocca le braccia stringendole i polsi. La ingabbia, non le lascia alcuna via di scampo schiacciandola contro la parete con il peso del corpo. Il piccolo Levi guardava senza capire il motivo per cui quel vecchio si impegnava: lei non si sarebbe ribellata non lo faceva mai, sarebbe rimasta lì granitica a subire ogni forma di violenza.

Il ricordo lo disgustò a tal punto che afferra le spalle di Erika per allontanarla.
<< Perchè vuoi farlo? >> chiese lui serio, non c'erano spazio per i dubbi. << per ringraziarmi? >>
<< Te l'ho già detto >> affondò la mano tra i ciuffi corvini << Perchè sei bello >>
<< Tutto qua? >> chiese con un certo scetticismo, gli pareva una cosa così assurda che una donna potesse trarre piacere da un rapporto carnale. Gli uomini del bordello giungevano come ladri, ogni qualvolta uscivano con un sorriso, anche sua madre sorrideva eppure giorno dopo giorno diveniva sempre più tirato e suoi occhi sempre più spenti. Giorno dopo giorno si prendevano un pezzo della sua dignità fino a a quando non si ritrovò sdraiata nel letto, immobile con lo sguardo fisso chissà dove. A quel punto i ladri non venivano più avevano già preso tutto quello che potevano da sua madre, quest'ultima si lasciò morire derubata da tutte le emozioni, svuotata fino al midollo, morì sotto gli occhi impotenti del figlio, abbandonata dal bordello.
Erika abbozzò un timido sorriso poi si chinò
<< Tutto qua >> soffiò sulle sue labbra, Levi strinse forte gli occhi, stava lottando contro il suo istinto quello che assomigliava al ladro. Erika ignara della battaglia che s'agitava all'interno dell'animo del ragazzo, infilò una mano sotto la sua camicia. Il palmo si apre, aderisce contro la pelle e il suo petto vibrò.
Levi imprigionò tra le mani il volto della ragazza, scostò le lunghe onde gialle dal suo volto per guardarla dritta negli occhi. Erano talmente neri che parevano due pozzi senza fondo nel quale non si poteva far altro che precipitare. Decise, si lasciò cadere.


. * .



Avevano consumato un rapporto sessuale impacciato, quasi imbarazzato e Levi ne era convinto, Erika non s'era divertita affatto, eppure non glielo aveva fatto pesare, l'aveva congedato con un sorriso.
Al di là del piacere fisico Levi s'era sentito strano: i corpi privi di vesti che s'erano intrecciati la notte scorsa, gli aveva lasciato addosso uno strano calore. Il piacere che gli s'era cucito addosso non poteva essere in alcun modo paragonato all'orgasmo momentaneo. La pelle era calda e i muscoli parevano essersi sciolti sotto le carezze della ragazza.
Levi camminava ripensando alla notte precedente, doveva svolgere un furto per conto di un riccone abitante della città sotterranea ma aveva del tempo libero a disposizione, così decise d'andare nell'appartamento della ragazza. Non voleva ripetere la vicenda della notte scorsa, voleva semplicemente vederla.
Arrivata alla sua porta bussò. Un'occhiata fugace alla finestra e l'assenza di luce gli confermò che non era in casa.
Sarebbe passato più tardi, allora si direzionò verso il punto d'incontro ove si sarebbe svolta la rapina. Imboccò una strada qualunque, il mondo sotterraneo era talmente misero che bastava un paio d'ore per percorrerlo. Conosceva le strade, i sottopassaggi, le case dannatamente bene, eppure per pura causalità si ritrovò a percorrere la strada in cui stava il bordello. Volutamente ignorò la struttura marrone come la terra sottostante ma l'occhio cadde sul porticato, volente o meno era il luogo in cui era cresciuto e per quanto fosse disgustoso e deplorevole, era impossibile ignorarlo.
Vide una chioma gialla, e lo sguardo tornò dinnanzi a sé.
Non erano affari suoi e poi aveva un lavoro da svolgere.


. *** .


Levi stava nel suo appartamento seduto sulla sedia, con i gomiti posati sul tavolo e il volto intrappolato fra le mani.
Il lavoro era stato terminato con successo, sentiva il peso delle monete nella tasca del pantalone, eppure ogni pensiero era rivolto verso la nuca bionda ondulata intravista poche ore fa. Era Erika, ne era certo dato che aveva infilato le dita tra quelle onde gialle, come avrebbe potuto non riconoscerle?
Levi non era un ingenuo, il sospetto che la ragazza fosse una prostituta era nato la prima volta che l'aveva vista: aveva addosso vesti troppo appariscenti per essere indossate da una qualsiasi ragazza.
Sentì lo stomaco chiudersi, non aveva costretto Erika a intrattenersi in quel rapporto carnale, eppure non poteva fare a meno che sentirsi in colpa: la ragazza faceva sesso con gli uomini per vivere, e l'aveva fatto anche con lui durante il suo tempo libero.
I polpastrelli affondarono nella nuca e strinse forte i capelli. Doveva fare qualcosa per liberarsi dal macigno che s'era depositato nella bocca dello stomaco.


 Ciao a tutti:)

Il flash back riguardante la città sotterranea terminerà nel prossimo capitolo, solo allora comincerà la vera storia:)
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, spero di sentire le vostre opinioni <3
Ci tengo a ringranziare tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite, preferite e ricordate, dedico un caldo ringraziamento a coloro che hanno commentato fino ad ora:)

un abbraccio
Mistiy

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Capitolo 3
*** Vecchi tempi- parte terza ***


Vecchi tempi- parte terza


<< Voglio la bionda >>
Disse gettando le monete sul banco.
<< Signore ne abbiamo due >> rispose il proprietario mostrando un sorriso sdentato
<< Quella con i capelli lunghi e mossi >> specificò evitando di pronunciare il nome della ragazza, sicuramente tra quelle mura utilizzava uno pseudonimo.
<< Oh, vuoi la bella Olivia? >>
Levi annuì nascondendo il malessere che il vecchio gli stava arrecando con quel sorriso puzzolente. L'odore di marcio derivante dalla sua bocca arrivava fino alle sue narici.
<< E' fortunato, ora non ha nessun cliente, la trova nella stanza dieci situata al secondo piano. >>
Non se lo fece ripetere una seconda volta, si voltò sorpassando i clienti che se ne stavano ammassati nell'altro in attesa d'essere soddisfatti dalle prostitute. Percorse le scale a passo calibrato cercando d'ignorare i gradini cigolanti, le lunghe crepe attorno ai muri: quel posto pareva essere rimasto immutato e non voleva concentrarsi su alcun particolare perché altrimenti non ce l'avrebbe fatta, il nervosismo avrebbe preso il sopravvento e non sarebbe riuscito a giungere nella stanza ove stava Erika.
Stava realmente andando da lei? Levi auspicava una risposta negativa, sperava di trovarsi dinanzi a un volto sconosciuto poiché la ragazza non meritava quel tipo di vita. A dirla tutta nessuna donna doveva condurre uno stile di vita così logorante. Aveva visto sotto i suoi occhi una madre ammalarsi: uomo dopo uomo, anno dopo anno, quelli giungevano per poi andarsene via intascandosi un pezzo della sua dignità fino a quando non era rimasto più niente tramutandosi in un involucro privo di vita.
Giunto alla porta bussò ma non aspettò il consenso, l'aprì e quando la vide il respiro si disperse nel petto.
La stanza era avvolta nella semi oscurità, solo il lume posto sotto la finestra faceva risplendere gli occhi scuri della ragazza
<< Levi?! >> esclamò lei sorpresa dell'apparizione.
Lui con un calcio chiuse la porta dietro di sé e il mondo per qualche secondo prese a girare, il pavimento pareva voler prendere il posto del soffitto e viceversa.
<< Non dovevi venire qua >> disse lei cercando d'apparire sorridente, la bocca saliva verso l'alto ma i suoi occhi erano lucidi e frenetici.
<< Ah sì? Per vederti devo prendere appuntamento e pagarti, giusto? >> la ragazza arretrò d'un passo colpita in pieno dall'accidia. L'aveva ferita, Levi ne era cosciente eppure non poteva farci niente, l'aggressività era l'unico modo che conosceva per esprimere il suo dolore.
<< Cosa vuoi che ti dica? Io non sono la donna di nessuno >> nel dirlo puntò lo sguardo per terra e la sua voce strisciò fuori con una tale stanchezza .
<< Levi!? >> lo chiamò ad alta voce, ma quest'ultimo se l'era filata via sbattendo sonoramente la porta.


. *** .

Io non sono la donna di nessuno, aveva detto questo Erika ma legalmente non era così.

Levi s'era informato, Erika era stata abbandonata e comprata all'età di dodici anni dal vecchio proprietario del bordello, in poche parole era una schiava e apparteneva a quel posto.
Levi non riusciva a giustificare un fatto: la ragazza possedeva un appartamento, quello in cui era stato assieme a lei, dove avevano consumato quell'amore impacciato. Perchè una schiava del sesso poteva avere una casa tutta sua? Forse qualche cliente gliela aveva donata, o magari se l'era comprata con i pochi soldi derivanti dalla sua professione ...
Non lo sapeva, l'unica cosa che gli interessava era il fatto che aveva un posto in cui stare.
Il giorno dopo si ripresentò al bordello, dinnanzi al proprietario con un sacchetto di tela colma di denaro.

<< Olivia, la voglio comprare >> disse mostrandosi deciso e intransigente.
Il vecchio scosse il capo, disse che era una bella ragazza e avrebbe perso molti clienti, così Levi aggiunse qualche altra moneta e il proprietario acconsentì. Con quel denaro poteva comprarsi altre due figlie di nessuno.
Una lurida e veloce stretta di mano e il contratto orale venne stipulato e perfezionato con la consegna dei documenti della giovane, quelli che dichiaravano che era la schiava del vecchio.
Levi piegò il foglio infornaciandolo nella tasca del pantalone.
Percorse le scale per dirigersi nella stanza di Erika, passo dopo passo si ripromise che mai più sarebbe inciampato in quel posto, neppure la ragazza.
Con poca grazia aprì la porta.
<< Levi?! >> sobbalzò sulla sedia su cui stava.
Non disse nulla, si limitò ad afferrare il suo braccio con una salda presa.
<< Cosa fai? >> sbottò lei spaventata da quell'aggressività, ma lui non emise alcuna parola, si limitò a trascinarla via. Erika cercava di piantare i piedi al suolo per non essere trasportata, ma la forza dell'uomo era inaffrontabile.
Giunti fuori dal bordello, Levi lasciò la presa
<< Che cosa ti è preso?! >> sbottò con una voce stridulaa mostrandosi confusa quanto spaventata da quella rudezza.
Levi diede una risposta tirando fuori il documento.
<< Mi hai comprata?! >> incredula sgranò gli occhi color onice.
<< Ora non sei la donna di nessuno >> porse il foglio e la ragazza timidamente lo prese fra le mani. Senza aggiungere alcuna parola il ragazzo s'incamminò verso un'altra strada, via dal bordello e dalla ragazza dagli occhi neri. Aveva utilizzato tutti i risparmi per poter tranciare le catene che legavano la ragazza al bordello, non era pentito della sua scelta poiché lei non era la donna di nessuno e così doveva essere. Gli aveva offerto una seconda possibilità, quella che non aveva potuto donare a sua madre. Non voleva mai più rivederla poiché lei non apparteneva a nessuno e lui non desiderava possedere alcunché, tanto meno la vita d'una giovane.
<< Levi! >> il chiamato arrestò i propri passi ma non si voltò.
<< Là fuori, noi due ci rincontreremo sotto al sole >> la voce tremante dall'emozione giunse così forte e chiara che non c'era bisogno d'aggiungere alcuna altra parola.
Levi andò avanti e un sorriso tirato si disegnò sul suo volto, voleva credere alla promessa silenziosamente stipulata.


. *** .

Esattamente undici anni dopo l'accaduto, Isabel, Farlen e Levi sedevano al tavolo circolare d'una locanda semi vuota.
Nel giro di pochi anni avevano creato un legame indissolubile che poteva essere paragonato alla fratellanza. Levi s'era abituato alla presenza dei due, eppure gli pareva strano poter aver qualcuno al proprio fianco. Lui era sempre stato un cane solitario, teneva tutti a distanza poichè nessuna esistenza doveva gravare sulle sue spalle, eppure s'era ritrovato a condividere la sua vita con Isabel e Farlen.
<< Andiamo al mercato, dobbiamo far rifornimento di viveri >> disse Farlan alzandosi in piedi
<< Sì! >> esultò energica Isabel per affiancarsi al ragazzo
<< A causa di questa mangia pane a tradimento, le dispensa della cucina s'è svuotata >> uno schiaffetto scherzoso s'assestò sulla nuca rossa e Isabel si lamentò pronta a discutere con Farlen
<< Hey! Guarda che devo crescere! E poi chi s'è sbafato tutti i biscotti? Non io! >>
<< Vieni Levi? >> chiese Farlan ignorando volutamente Isabel giusto per farla infuriare.
<< Andate, io vi raggiungo dopo >> disse tagliando corto
Con un saluto si congedarono e Levi rimase solo ad osservare il liquido presente nella sua tazza. Il locale era semi vuoto e nell'aria s'era diffuso un chiacchiericcio tollerabile, ma una voce grossa e ruvida si sovrappose alle altre.
<< Allora, hai avuto i soldi dalla puttana? >>
Di sottecchi movimentò gli occhi, a tre tavoli di distanza stavano due uomini dotati d'una costituzione massiccia, un era vecchio e calvo, l'altro più giovane dotato d'una capigliatura nera e arruffata come un nido d'uccello.
Erano degli strozzini, la feccia peggiore della città sotterranea: quelli prestavano soldi a gente disperata richiedendo interessi ingiusti rendendo sempre più misere le esistenze dei debitori. Levi li aveva riconosciuti dall'abbigliamento, difatti questi giravano indossando degli impermeabili come a dimostrare il fatto che erano superiori, che la sozzeria della città scivolava sul tessuto impermeabile per non addossarsi alle loro pelli.
<< No, non me li ha dati >> disse il giovane stravaccandosi sulla sedia
<< E quindi che hai fatto? >>
<< C'era poco da fare, ovviamente l'ho uccisa >>
Il vecchio sbuffò tirando fuori dalla tasca un taccuino e una penna
<< Un altro nome da depennare dalla lista riscossione crediti, come si chiamava? >>
<< Boh … >> si grattò la nuca con noncuranza << Credo Rika o Reika, non so qualcosa del genere >>

Erika! “ il cuore di Levi perse un battito, ma continuò a porgere l'orecchio. Ne esistevano tante di Erika nel mondo, non poteva trattarsi della stessa ragazza conosciuta anni fa.
<< Dove hai lasciato il cadavere? >> chiese il vecchio tracciando una riga sul foglio. Parlavano in toni tranquilli, avevano appena annullato l'esistenza d'una persona e loro rimanevano intrappolati in uno stato annoiato, come se il valore d'una vita potesse essere quantificata col denaro.
<< L'ho lasciata vicino al mercato nero, sai in quel vicolo dove la gente butta la spazzatura >>
Levi s'alzò in piedi, a passo spedito uscì dalla taverna perchè non necessitava d'altre informazioni.


. * .


Con un fazzoletto posto sul naso camminava lungo il vicolo nauseabondo.
Alzava le ginocchia per evitare d'imbrattare i pantaloni, evitava i sacchi straripanti di spazzatura. Lungo quelle due mura strette il fetore di marcio penetrava nei polmoni per sconvolgere le viscere.
Gli occhi nella semi oscurità li teneva bassi, calciava qualche sacco e i ratti correvano via spaventati. Cosa era costretto a fare, vivere nella città sotterranea non era già abbastanza disgustoso? No, quel posto non faceva altro che risucchiarti per trascinarti sempre più in fondo.
Assestò un calcio rabbioso verso un altro sacco ma il piede non tornò a terra, rimase lì fermò a mezz'aria: gli pareva d'aver visto qualcosa di luminoso nell'oscurità.
Con la punta dello stivale spinse via qualche altro sacco e dal terreno emersero lunghe ciocche bionde. Con la consapevolezza che lì sotto c'era un corpo, s'abbassò, le mani frenetiche presero a cacciare di lato la spazzatura ingombrante e le ciocche divennero lunghi capelli. Lo strozzino diceva il vero, lì aveva lasciato un corpo dalla stazza minuta, supino a pancia in giù.
Levi ingoiò a vuoto, lo stomaco gli s'era chiuso, la gola s'era arrotolata su se stessa e il respiro era scomparso, ma nonostante ciò afferrò la spalla rigida della sagoma senza vita, la girò in uno scatto quasi violento come a voler scoprire al più presto l'identità della donna.
Vide occhi semi chiusi, scuri come le ombre della città, li riconobbe immediatamente. Lo sguardo corse lungo un volto tumefatto, lividi violacei spiccavano sopra alla pelle tirata come la carta d'una pergamena. Le labbra un tempo rosse e piene, non esistevano più, s'erano arricciate verso l'alto e mostravano denti resi marroni dal terreno sottostante.
Lo sguardo corse giù e dalla tunica marrone vide tre fori macchiati di sangue.

Questo posto è letteralmente senza fondo “
Nell'osservare il corpo prossimo alla decomposizione di Erika, gli venne in mente questa frase detta da Farlen poco tempo fa.
Le viscere presero a rivoltarsi su se stesse, gli odori nauseanti che fino a poco fa potevano essere tutto sommati tollerati, penetrarono nella narici, con forza si fecero largo lungo o stomaco. S'alzò in piedi reprimendo un conato, non voleva vomitare vicino a lei.
Con movimenti veloci simili a scatti, si svestì del soprabito per porlo sopra al cadavere della ragazza, lo infastidiva così tanto vedere la salma della giovane riversa nello squallore assoluto.
A falcate caute ma ben decise uscì dal vicolo, sapeva cosa doveva essere fatto.


Ritornò al locale, ma non entrò. S'appoggiò al muro, vicino alle ante che conducevano all'entrata. A braccia conserte con il capo chino attese fino a quando non vide una nuca scura uscire a passo sbilenco. Doveva essersi ubriacato ma a Levi non interessava.
Lo pedinò con discrezione mantenendo un'adeguata distanza in modo tale che non s'accorgesse della sua presenza.
Dopo qualche isolato l'uomo arrestò la marcia storpiata per fermarsi presso una catapecchia di mattoni, anche Levi si fermò accostandosi dietro al muro.
Lo guardava mentre cercava la chiave nella tasca del pantalone, la trovò e a tentoni ricercò la serratura , ridacchiò e questo fatto lo fece incazzare terribilmente. Aveva ucciso una persona e osava ridere, doveva metterlo a tacere per sempre.
Dopo qualche minuto la serratura scattò, aprì la porta e Levi scattò in un balzo arrivò dietro alle sue spalle. Con un calcio secco lo spinse all'interno dell'appartamento.
<< Che cazzo … >> sbottò l'uomo cadendo a terra.
Chiuse l'uscio e lo sguardo corse lungo la stanza, non c'era nessuno. Solamente lui e l'assassino di Erika.
<< Chi cazzo sei? >> urlò con voce imperiosa cercando d'alzarsi ma Levi glielo impedì ponendo la pianta dello stivale sul suo petto. Lo schiacciò e la vittima sottostante emise un grugnito.
<< Hai ucciso tu la ragazza, quella lasciata nel vicolo? >> chiese con un tono vocale atono, ma l'espressione contorta in mille pieghe esprimeva tutta la sua ira.
<< Chi? La puttana? >> sputò l'uomo con tono quasi scherzoso e Levi perse tutto l'autocontrollo di cui disponeva, si spogliò della sua umanità per divenire un concentrato di furia e fu l'istinto a guidarlo. Il pugnale finì nella mano destra, scagliò quattro pugnalate secche e veloci lungo il petto dell'assassino sorridente.
<< Si chiamava Erika! >> quasi urlò rialzandosi in piedi con la mano tremante. Il suo corpo fremeva ma gli occhi rimanevano fissi sull'uomo ferito. Lo guardò contorcersi, bestemmiare fino a quando la bocca si riempì di sangue e l'uomo non poté far altro che muoversi scompostamente urlando suoni sconnessi e soffocati. Fu una questione di minuti, piano piano il corpo perse la capacità di contorcersi, compiva scatti leggeri, come se venisse mosso da piccole scosse elettriche, infine si paralizzò in in una grande pozza di sangue.
Levi lo fissò qualche minuto, sospirò consapevole di non aver tratto alcuna soddisfazione dall'atto appena compiuto. Lo aveva ucciso vendicando Erika, ma lei era morta e quell'uccisione non aveva fatto altro che rendere il mondo sotterraneo ancora più profondo. Era così, ci s'ammazzava a vicenda per vendetta, per denaro come se il sangue della vittima potesse in un qualche modo colmare l'angoscia, ma alla fine il rosso lasciava addosso solamente un grande senso di vuoto.
Prese dalla tasca un fazzoletto pulendo il pugnale sporco.
Girò le spalle per incamminarsi là dove aveva lasciato Erika. Meritava una degna sepoltura.



Il caporale Levi osservava la tazza divenuta tiepida sotto al suo naso, da quanto tempo non pensava ad Erika? Erano trascorsi molti anni eppure mai aveva gettato lo sguardo indietro alla ricerca della sua memoria. Quel giorno l'aveva sepolta con la convinzione che non sarebbe più tornata nella sua mente, difatti non indagò sul motivo per cui era tornata nel bordello, neppure il perché s'era rivolta a degli strozzini per ricevere del denaro. Qualunque fosse la ragione lei era morta.
La città sotterranea era così, ti inghiottiva portandoti sempre più a fondo e la maggioranza della gente si lasciava cadere. Si finiva col identificarsi con quel posto con la convinzione che non c'era altro, il futuro come il mondo esterno poteva offrire solamente spazzatura perciò era inutile ribellarsi per guadagnarsi un posto nel mondo.
Dei passi derivanti dal soffitto spezzarono il corso dei suoi pensieri.
Gettò lo sguardo, la notte non era più così buia. Il cielo si stava schiarendo perciò il momento della battaglia s'avvicinava. S'alzò in piedi pronto per indossare la sua divisa, pronto per combattere.

Ciao:)
Ecco qua, il lungo flash back riguardante la città sotterranea è terminato, da questo momento in poi le vicende che verranno raccontate sono ricollocabili dal capitolo 24 del manga( in poche parole dalla comparsa del gigante femmina )
Il finale della vicenda è infelice e spero non ci siate rimasti\e troppo male per la fine di Erika, non ho mai analizzato la psiche interna del personaggio ma non vi preoccupate, in un qualche modo rispunterà fuori ;)
Lo ammetto, mi è dispiaciuto farle fare questa morte, ma senza la sua morte la storia non poteva proseguire:(
Comunque sia spero che il capitolo vi sia piaciuto e mi auguro che continuerete a seguire la storia dato che la storia è appena cominciata.

Ci tengo a ringraziare tutti voi che avete inserito la Fic tra le preferite, ricordate o seguite. Ovviamente un grazie speciale lo dedico a tutti voi che avete commentato la storia fino ad ora <3.

Un abbraccio

Mistiy


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Capitolo 4
*** Erika?! ***


Erika?


Un senso d'angusta sconfitta dilagava tra i soldati della legione. La missione avvenuta al di fuori delle mura s'era rivelata un vero e proprio fallimento a causa del titano femmina, aveva spazzato via metà dei componenti della legione. Oltre al danno ingente s'era verificata anche la beffa: nel tornare all'interno delle mura, i sopravvissuti avevano dovuto attraversare i cancelli per essere accolti da un coro composto da voci lamentose, irate, piangenti. I cittadini s'erano sfogati sui sopravvissuti ricoprendoli d'insulti, denigrandoli, odiadondoli per il sol fatto d'essere vivi, avrebbero preferito veder tornare i propri cari.

.
I soldati tavano nell'infermiere del quartier generale situato tra le mure Rose, i letti erano pieni di giovani feriti e mutilati. I membri della legione rimasti in piedi, s'aggiravano frenetici in aiuto delle infermiere. Era stata una lunga notte per tutti e il cielo pareva imbrunirsi, finalmente un giorno nuovo stava per cominciare, tutti volevano dimenticare seppure per qualche ora di sonno, quella terribile battaglia. Era bastato un gigante per far inginocchiare la legione, quanto erano deboli gli esseri umani? La vittoria che stavano inseguendo poteva trattarsi d'una illusione?
<< Ragazzi, chi può camminare venga qua >> disse il caporale Hanji mettendosi al centro della stanza, al comando si alzarono sette ragazzi vestiti in armatura.
<< Il caporale Levi è stato ferito, necessita di riposo perciò abbiamo bisogno di due volontari che vadano a dare una mano al castello dove sta Eren Jaeger >>
facce dalle pelli tiratissime rimasero intrappolate in espressioni atone, dopo aver visto cosa aveva fatto la gigantessa anomala, nessuno voleva rischiare di stare in compagnia d'un altro suo simile. Tutti i presenti rimasero con i petti bloccati e le bocche serrate, tranne uno.
<< Hey >> un ragazzo abbassò il capo verso una nuca color inchiostro
<< Hai paura di Eren? >> sussurrò
<< Dovrei averne? >> bisbigliò la giovane lasciando trapelare il sarcasmo
<< Caporale Hanji! >> si rizzò in piedi attirando l'attenzione dei presenti
<< Io e Lysa ci offriamo volontari >>
Tutti trassero un sospiro di sollievo, tranne la chiamata, questa si premurò di lanciare all'amico uno sguardo carico d'angustia.
<< Bene, Andate a sellare i cavalli, si parte! >> l' entusiasmata Hanji s'incamminò, i due la seguirono.


. *** .


Davanti a segnare la loro strada stava in sella al proprio cavallo il caporale Hanji affiancata da altri due soldati.
I soldati semplici s'erano premurati di lasciare qualche metro di distanza come a simboleggiare in qualche modo la supremazia che i veterani esercitavano nei loro confronti.
I due amici cavalcavano fianco a fianco, sulla stessa strada eppure erano così diversi, talmente diversi che nessuno riusciva a comprendere come questi due potessero mai definirsi amici.
Trevis era un ragazzo dotato d'una chioma folta e brillante, la sua capigliatura rispecchiava il suo essere solare e sempre disposto a tutto pur d'aiutare un compagno.
Lysa era una diaciassettenne riservata poco propensa alla chiacchiera, difatti raramente s'intratteneva in feste o giochi organizzati dai compagni. Utilizzava la laringe per esprimersi solamente nei casi che (secondo il suo parere), riteneva necessari. Uno di questi casi s'era presentato, così aprì la bocca per dire: << sei proprio uno stronzo >>
Era stanca, non vedeva l'ora di coricarsi per riposare un poco le membra, invece il suo compagno l'aveva invischiata in quella faccenda scomoda.
<< Dai Lysa, non essere così acida >> la canzonò lui
<< Trevis, chiudi quella boccaccia di merda >>
Il biondo rise, oramai non faceva più caso ai termini scurrili: col tempo aveva compreso che la giovane non pronunciava gli insulti con rabbia, era semplicemente il suo modo di rivolgersi alle persone.
<< Pensa a Eren, è stato sconfitto in battaglia, tutti lo incolpano per la grave sconfitta … >>
<< Io non lo sto incolpando >> intervenne nel discorso agile come una saetta
<< Appunto! Non credi che abbia bisogno di amici come noi al suo fianco? >>
<< Amici? >> disse con tono beffardo << ma se ci siamo arruolati nella legione un anno prima di lui? E poi quanto hai parlato con Eren? Gli avrai rivolto sì e no due battute in croce >>
<< E' vero, non siamo esattamente amici >> ammise lui emettendo uno sbuffo rassegnato. questa fu costretta ad innalzare il collo per incontrare lo sguardo celeste di Trevis.
<< Non siamo amici nel senso stretto, ma siamo compagni d'armi e i compagni si aiutano a vicenda, giusto? >>
Seppure con una certa riluttanza, Lysa annuì, aveva passato tutta la notte ad aiutare i compagni feriti perchè mai doveva trascorrere anche tutta la giornata ad aiutare un altro compagno?
<< Se, se … >> bofonchiò distogliendo lo sguardo dal sorriso del compagno, doveva essere stanco quanto lei eppure sul suo volto non era presente la spossatezza. Quanto la faceva incazzare quel fatto ...
<< Tu tiri sempre fuori belle parole, e ora ci tocca sgobbare >>
<< Dai, non essere così egoista Lysa >> non era un rimprovero giacchè l'aveva pronunciato con un sorriso, difatti lei le lanciò un'occhiataccia intimidatoria ma priva di cattiveria.
Come poteva odiare Trevis? Era un ragazzo genuino come solo una persona di buon cuore poteva esserlo.

Non vivrai a lungo se continuerai a comportati così, non lo sai che quelli che non muoiono mai sono i cattivi?” pensò fra sé e sé posando gli occhi a terra.


. ***


Levi stava seduto sulla sedia.
Toccò il ginocchio fasciato e dolorante, eppure il dolore non era così insopportabile, trovava decisamente più intollerabile quel tavolo rettangolare, fino a ieri era occupato dalla sua squadra in quel momento era vuoto, orridamente silenzioso, come se fosse notte fonda quando in realtà il sole troneggiava alto nel cielo.
Eren stava nella sua stanza, non aveva molta voglia di parlare e Levi preferì così. In quel momento anche il suo umore era così incrinato che non poteva sputare qualche parola di conforto per il ragazzo, quest'ultimo se le meritava, difatti il fallimento dell'operazione così come la morte della sua squadra, non poteva essere ricondotto a lui, a chi allora? Forse a se stesso dato che non era intervenuto subito o forse alla gigantessa? Con il senno di poi tutto si sarebbe chiarito.
Stava attendendo Hanji, Erwin e altri membri della legione esplorativa per discutere sulla possibile identità del gigante. Si sarebbero riuniti verso sera perciò decise di ritrovare il silenzio nella sua stanza, non voleva correre il rischio d'incrociare qualcuno prima della riunione.
S'era abituato, aveva visto così tanti cari morire ma nonostante ciò non era divenuto immune nei confronti della morte. Giungeva spesso lasciandogli dentro un senso d'angoscia, l'età e la vita l'aveva reso più forte eppure l'angoscia rimaneva sempre lì, si nascndeva nel suo petto mandando in cancrena ogni sentimento.
Con una fatica perfettamente celata, si alzò in piedi, neppure in solitudine si concedeva il lusso di mostrarsi dolorante. A passo storpiato si diresse verso la sua stanza, lì nessuno sarebbe venuto a disturbarlo, non voleva recepire nemmeno una parola confortevole. Qualche ora di solitudine e poi si sarebbe sentito un poco meglio, certo l'angoscia rabbiosa non se ne sarebbe andata, ma il silenzio lo avrebbe tranquillizzato.
Dopo avrebbe pensato anche ad Eren, non voleva che quest'ultimo si scoraggiasse dato che era l'unica carta vincente dell'umanità. Gli avrebbe fatto uno dei suoi discorsi, poco sensibili ma veritieri. Era fatto così, non riusciva a rivestire con belle parole i suoi pensieri, quella era una dote che lasciava ad Erwin.


. *** .



Che stronzata” pensò la giovane nel rovesciare il secchio colmo d'acqua insaponata lungo il pavimento. Prese in mano lo spezzettatone e a schiena piegata prese a pulire il pavimento
Quando Hanji aveva chiesto aiuto, di certo non s'aspettava di dover pulire il castello.

Non mi sono arruolata per fare la domestica!”

Era arrabbiata per essersi ritrovata in tale situazione, ma quella mansione le pareva troppo assurda: erano in guerra e quelli pensavano alle pulizie? Le pareva una cosa troppo paranormale. A confermare la sua teoria erano gli sguardi, appena si girava intravedeva gli occhi di un soldato: la stavano spiando, probabilmente anche Trevis che era stato incaricato di pulire l'ala opposta del castello, stava ricevendo lo stesso trattamento.
Il motivo le era sconosciuto giacché non aveva violato alcuna regola, in battaglia s'era dimostrata discreta, non era stata impulsiva e non aveva messo a repentaglio la vita di nessuno.
A testa bassa movimentò lo spazzetone per non pensare a quegli sguardi sfuggenti, si concentrò sulle piccole bolle di sapone presenti sul pavimento. Apparivano bianche e brillavano sotto i raggi obliqui.
La mente tornò indietro, ove il biancore dominava


. * .

Le reclute stavano svolgendo una piccola missione che consisteva nel scalare la montagna per arrivare al punto di raccolta, una piccola baita in legno. La bufera s'intensificava passso dopo posso, il vento sputava a raffica sul suo volto fiocchi di neve ghiacciati.
<< Hey! >> urlò Trevis. Il vento era talmente rombante che le parole venivano coperte da quest'ultimo, diffatti Lysa continuò a proseguire. Il ragazzo pose la mano sulla sua spalla così da attirare la sua attenzione

<< Dobbiamo fermarci! >> gridò e lei accnsentì dato che non riuscivano a vedere una accidente.
Presero dalla sacca un tendone verde impermeabile, lo agganciarono a dei bassi rami sistemandolo a mo di tenda.
S'erano costruiti una minuscola cupola, in quel miser spazio la neve non gli pioveva addosso e il vento non feriva i timpani.

Stanca e infreddolità si sedette
<< Odio la neve >> disse irata contro quell'addestramento.
<< Perchè? >> domandò lui quasi scandalizzato, di rimando lei le cacciò un'occhiataccia, una di quelle che intendevano farti rimangiare le parole appena dette
<< Va bene, capisco che questa non sia una bella situazione, or ora la neve non ci aiuta affatto, però se fossi a casa tua, accanto al caminetto con una tazza di cioccolato caldo in mano, la odieresti comunque? >>
<< Sì >>
<< Perchè mai? >>
<< Perchè è fredda ed ingombrante! >> disse irritata affondando il collo nel colletto della giacca. Sì, la neve era fredda e ingombrante, però questo non era il reale motivo per cui odiava la neve. Il clima del mondo sotterraneo era perennemente umido, ma quanto fuori cadeva la neve, la roccia assorbiva tutto il gelo e l'umidità diveniva così gelida che neppure l'abbraccio di mamma riusciva a scaldarla. Anche se era fuori dalla città grottesca, permaneva l'odio nei confronti di quella bianca coltre.
<< Non posso darti torto, ma ti assicuro che l'amerai >>
Lei innalzò un sopracciglio critico al quale lui rispose con un sorriso
<< Il prossimo inverno verrai a casa con la mia famiglia, mangeremo l'esagerato pranzo di mamma e poi ci sederemo sul portico con una tazza di cioccolata calda per contemplare il paesaggio rivestito di bianco. Dopo magari insceneremo una battaglia a palle di neve insieme ai mie fratelli e vedrai che persino tu riuscirai ad amare la neve >> terminò quel discorso con un meraviglioso sorriso e lei divenne paonazza.
<< Sei un cretino >> bofonchiò e lui le rispose per l'ennesima volta con un sorriso.


. * .

Lysa sorrise nel rimembrare quel piccolo aneddoto. Trevis aveva capito che l'odio nei confronti nella neve s'allacciava a brutti aneddoti. Lui gli avrebbe offerto un nuovo ricordo.
Il prossimoinverno” ripeté fra sé. Il caldo s'appiccicava sulla pelle e l'inverno era lontano, eppure non vedeva l'ora di sapere come poteva essere una giornata immacolata.
Sì, se sopravviviamo” il pensiero s'introdusse nella sua mente, e il sorriso svanì. Lysa riprese a pulire il pavimento con maggiore energia.


. *** .

Hanji s'era intrufolata nella sua stanza senza neppure chiedere il permesso, non s'era neppure accorta che Levi s'era sdraiato con gli avambracci posti sopra gli occhi. Hanji lo conosceva troppo bene, sapeva che non stava dormendo perciò cominciò a parlare camminando avanti e indietro per la stanza.
<< Sai ho chiesto ai membri in salute della legione esplorativa di venire a dare una mano al castello. Se ci fosse una talpa non credi che quest'ultima accetterebbe al volo l'occasione di catturare Eren? Concordi con me giusto? Orbene, si sono offerti due ragazzi che a quanto so, sono nella squadra di Mike, però non sembrano minimamente interessati ad Eren. Li sto facendo sorvegliare di soppiatto e quelli sembrano così concentrati nella pulizia ... magari è solo una finta?! Forse aspettano il momento propizio per attaccare … che ne pensi? >>
Levi alzò il busto per poter guardare Hanji con un certo cipiglio. Ammirava la sua intelligenza, la sua curiosità e il suo modo d'approcciarsi ai problemi con l'intento di risolverli, però il piano gli pareva una colossale scemenza.
<< E secondo te queste possibili talpe si farebbero sgamare così facilmente? >>
Lei scrollò le spalle << sta succedendo un tale casino che mi sento in dovere di escludere ogni possibilità >>
<< Allora escludi questa, il titanio femmina non può essere un membro della legione >>
Si sdraiò di nuovo, mosse la gamba e una piccola smorfia di dolore si dipinse sul suo viso.
<< Se vuoi degli analgesici per il dolore … >>
<< No, sto bene così. Ora esci che voglio riposare >> disse lui riponendo l'avambraccio sopra lo sguardo.
<< Va bene, allora ti farò portare almeno un tè >> e svanì via chiudendo la porta dietro di sé.
<< Che spacca palle >> disse piano anche se l'idea di bere un te non gli dispiaceva affatto.




. *** .


<< Lysa! >> colta di soprassalto rizzò la schiena, abbandonò la scopa per compiere il saluto militare, bisognava comportarsi così dinnanzi a un superiore.
<< Potresti andare a preparare un te e portarlo al caporale Levi? >>
<< Devo terminare le pulizie … >>
<< Non ti preoccupare, quelle le farai dopo >> con velocità si dileguò dalla vista senza poter neppure obbiettare. Lysa strinse i denti intrappolando un'imprecazione. Sapeva come si preparava un te, l'avrebbe preparato per chiunque ma non voleva presentarsi dinnanzi al caporale Levi, nonché l'uomo più forte dell'umanità. Non era la paura quella a frenarla, neppure il timore dato che sul suo conto così come si narravano leggende, si narrava anche il fatto che fosse un uomo scontroso, dall'arrabbiatura facile. In breve lo si poteva definire simpatico come una matita conficcata in un occhio. Il fatto era che non voleva essere notata da un uomo così popolare perché aveva imparato che mantenere l'anonimato era una questione fondamentale per non andare in contro ai guai.
<< Fanculo >> pronunciò la parola in un soffio per dirigersi verso la cucina, in fondo doveva solamente consegnare un te caldo.


Quando l'acqua all'interno del pentolino raggiunse l'ebollizione, versò il contenuto con cautela all'interno della tazza. Mise il piccolo filtrino e lo lasciò navigare nell'acqua per qualche minuto, fino a quando l'acqua non si tinse d'un marrone scuro. Allungò il naso verso il vapore caldo, era un aroma buono e avvolgente come solamente il te nero poteva esserlo.
Dovrebbe andare bene, e se ha qualcosa da ridire, io gli risponderò che sono una soldatessa, mica una cameriera” pensò tra sé e sé per poi rinnegare immediatamente il pensiero, se avesse in un qualche modo criticato la preparazione della bevanda, si sarebbe presa su gli insulti senza battere ciglio.
A passo cauto con la tazza di coccio fra le mani, si direzionò verso la stanza più temuta dell'edificio. Quando arrivò dinnanzi alla lastra di legno, pose le nocche e bussò con leggerezza, non voleva apparire troppo irriverente.
Il suono fu assecondato da una specie di grugnito, lei lo interpretò come una sorta di permesso ed aprì la porta. Una nuca corvina stava ripiegata sopra voluminosi ammassi cartacei, la scrivania sopra cui stavano i fogli era in fondo alla stanza. Lysa attraversò il piccolo corridoio con lunghe falcate, caricando il peso del corpo sulle punte dei piedi: non voleva distrarlo, voleva comportarsi come un fantasma e filare via il prima possibile, ma non poté azzittire il rumore della tazza che si pose sul legno della scrivania. A passo di gambero arretrò, occhi sfuggenti la sfiorarono per poi incollarsi sulla sua figura.
Le palpebre fino a pochi attimi fa strette, si spalancarono alla vista della ragazza

Erika? “ la domanda interiore prese a rimbalzare tra le pareti del craneo per produrre echi sempre più forti e violenti come onde d'urto.
che cazzo ho combinato? “ pensò la giovane fra sé e sé cercando di sfuggire da quelle pupille grige taglienti, sentiva la pesantezza del suo sguardo e la cosa cominciava a mandarla in paranoia. Perchè era così interessato? Forse aveva combinato qualche guaio? La conosceva? No, impossibile, non s'erano incrociati neppure per sbaglio.
<< Le ho preparato il te signore >> disse a voce alta, schiena ritta e pugno sul cuore. Voleva distrarlo, sembrava orridamente incantato da lei e francamente Lysa non vedeva l'ora di filare via, così disse
<< Posso congedarmi? >>
<< Sì, vai >> alle sue orecchie arrivò una voce calma e autoritaria, così uscì a cuor leggero. Forse s'era trattato solamente d'una sua impressione, magari il caporale Ackerman era caratterizzato da quello sguardo pazzoide. Un'informazione che non gli era giunta all'orecchio ma tutto era possibile, non bisognava mai affidarsi troppo alle voci di corridoio.
La porta si chiuse e il cuore di Levi non si placò, anzi batteva così forte che persino le tempie presero a pulsare.
Quella ragazza era tale e quale ad Erika: aveva riconosciute le labbra a forma di cuore, il naso dritto, la carnagione rosea, era la ragazza conosciuta sedici anni fa
Non era lei, anzi non poteva essere lei dato che la ragazza possedeva lunghi capelli neri, la giovane della città sotterranea era dotata d'una lunga chioma ondulata, chiara come il grano.
Nervosa la mano affondò nella chioma, strinse forte l'attaccatura per poi ripetere il gesto. Due falangi si soffermarono su un ciuffo di capello, era talmente nero che le dita bianche parevano pezzi di luce
<< Hanji! >> imperioso la chiamò, aveva sentito i suoi passi oltre la porta, quest'ultima irruppe nella stanza, sbatté la porta contro al muro mandando al diavolo ogni forma di cortesia.
<< Che c'è Levi? Stai male? >> chiese lei direzionandosi verso di lui con l'occhio concentrato sulla gamba.
<< No >> riuscì a recuperare il suo consono autocontrollo, perlomeno in apparenza.
<< Puoi portarmi i fascicoli riguardanti i due soldati venuti oggi al castello? >>


Hanji non si fece troppe domande, Levi pareva tranquillo quanto una statua e così pose i fascicoli sulla scrivania per andarsene, aveva tante cose da fare, dovevano catturare la gigantessa!
Quando la porta si chiuse, l'autocontrollo mantenuto da Levi andò a farsi benedire, afferrò immediatamente il fascicolò che sfogliò con frenesia. Non appena incontrò la piccola fotografia della soldatessa si soffermò e gli occhi andarono a leggere le scritte.
C'erano così poche informazioni sul suo conto a livello anagrafico, neppure la data di nascita era trascritta. Però c'era un nome, Lysa.
<< Lysa >> lo ripeté ad alta voce come a volerselo imprimere bene nella memoria. Proseguì la lettura, c'era trascritto che aveva compiuto l'addestramento cominciato all'età di tredici anni, pochi anni dopo s'era arruolata nella legione esplorativa.
<< diciasette anni >> ripeté. Le informazione su Lysa finivano lì, non gli bastava. C'era una questione che doveva assolutamente conoscere, la risposta non tardò ad arrivare

cittadinanza: acquisita 11\5\ 445

Il respiro si mozzò in gola, s'annodò tra la bocca dello stomaco e l'esofago.
Aveva conosciuto Erika sedici anni fa ed era morta pochi anni più in là.
Lysa aveva diciassette anni e proveniva dalla città sotterranea.

Non è possibile” pensò fra sé lasciando andare via quel respiro imbottigliato.


. *** .

Raggi solari obliqui attraversavano le grandi vetrate, facendo splendere il pavimento ove Lysa aveva passato con lo straccio.
La luce accarezzava la sua figura, la pelle acquisiva un colore roseo, ma sui capelli i raggi non l'avevano vinta, quelli erano talmente neri che cacciavano via la luce.
Lysa stava con gli occhi a terra concentrata a compiere la mansione, ignara del fatto che Levi stava poggiato sullo stipite del corridoi a guardarla. Il suo cuore perse un battitto quando distrattamente la ragazza alzò lo sguardo verso la vetrata e vide brillare due pupille grige. Gli occhi non erano stretti come i suoi, ma erano più grandi ornati da lunghe ciglia scure. Vide il volto della ragazza e lui si ritirò nascondendosi dalla sua vista. Si sentiva un dannato vigliacco e per la prima volta il suo spirito combattivo era andato a rintanarsi chissà dove. Dinnanzi a quella minuta ragazza si sentiva così disarmato: come avrebbe dovuto approcciarsi a lei? E per quale motivo avrebbe dovuto farlo? Su quale supposizione poteva basare il suo rapporto filiazione? Su qualche somiglianza fisica? Era così ridicola la questione, era vero che il mondo umano era minuscolo, però di gente ce n'era tanta e la causalità spesso portava a designare soggetti somiglianti fra loro. Forse Levi era incappato in questa causalità, anzi gli pareva l'unica opzione sensata, allora perché non riusciva a staccarle gli occhi di dosso?


Buona sera:)

Ecco qua il quarto capitolo e che posso dire spero d'avervi in un qualche modo sorpreso ma al contempo spero che non l'abbiate trovato troppo assurdo.

Molte cose le ho inventate di sana pianta ( come per esempio il piano bislacco di Hanji), ma nonostante ciò spero che la lettura sia risultata interessante e coinvolgente.

ritaglio un piccolo spazio per ringraziare tutti voi che seguite questa storia, che avete commentato, che avete inserito la fics tra le storie preferite, seguite, ricordate. Mi rendete così felice <3

Non vedo l'ora di conoscere le vostre impressioni

un abbraccio

Mistiy


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Capitolo 5
*** Il diario di Lysa ***


10 / 12/ 445

Prologo: perchè una futura soldatessa scrive un diario?


Ho preso su questa abitudine da quando mi sono arruolata nel corpo d'addestramento, la ragione principale è chiara: la noia.
Quando tutti dormivano accovacciati nei loro letti, io dopo le tre di notte ero già vigile come un grillo, pronta per sottopormi a un addestramento massacrante. Dato che era vietato per le reclute girovagare a vuoto nelle ore notturne, dovevo starmene costretta a letto a fissare il soffitto.
Un bel giorno scoprii sotto al letto un taccuino abbandonato da chissà chi. La copertina di cuoio era logora e impolverata, ma le pagine interne erano candide, parevano non aver subito gli effetti del tempo. Allora che feci? Trovai una penna e via, cominciai a scrivere frasi sconnesse, mi limitavo a tracciare dei commenti e così feci per varie notti, come se non volessi mai esprimere chiaramente un mio pensiero, a chi poteva mai interessare la mia opinione? A nessuno, neppure a me interessava. Fu così che mandai al diavolo l'idea del diario. Passarono tre notti e la nullafacenza mi logorava, quando la noia t'avvolge la mente parte e comincia a correre via, nel passato, nel presente e persino nel futuro. Questa cosa non m'andava molto a genio giacché non facevo altro che procurarmi ansie fantasme: con il sorgere del giorno si sarebbero disperse fra un esercizio fisico e l'altro, fra le urla dell'istruttore e gli schiamazzi dei miei coetanei, ma la notte tornava sempre assieme ai fantasmi.
Allora elaborai una soluzione: se scrivessi questi dannatissimi pensieri su carta, non rimarranno chiusi lì? Sì, in tal modo divenivano tangibili così da poterli leggere e ridicolizzare.
Così è maturata la decisione di scrivere un diario, una soluzione quasi perfetta per una come me che non può mai esprimere quello che le gira in testa.
Non m'interessa conoscere me stessa dato che sono una folle, non m'importa neppure dei miei sentimenti, voglio solamente liberarmi di questi dannati pensieri.
Mi piacerebbe divenire vuota come il nulla e profonda come un bicchiere di birra. È l'unico modo per non soffrire è quella di spogliarsi d'ogni sentimento, giusto?
Quando il diario sarà finito, difatti lo getterò o lo brucerò, in tal modo ogni mia debolezza sarà annullato.
Ecco qua il motivo per cui una soldatessa impugna una penna.

12\ 3 \ 446
La gabbia è popolata da folli


In questo folle mondo si distinguevano due grandi categorie di persone guidate da un'ideologia: quelli che stanno bene e si godono la pace( se così si può chiamare), e quelli che fanno di tutto per cercare di uscire dalla gabbia, quest'ultimo movimento può essere tranquillamente identificato con la legione esplorativa.
Gli aristocratici benestanti abitanti nelle mura Sina additano con criticità i legionari, coloro che combattono i giganti nella speranza di abbatterli per sempre per poi spaccare le mura, di conseguenza i soldati della legione esplorativa guardano con sguardo infimo coloro che s'accontentano di questa vita limitata.
Chi ha ragione? Chi torto? Nessuno, secondo me son tutti irragionevoli poiché nessuno riesce in un qualche modo a piantare la bandiera della ragionevolezza.

Gli aristocratici pensano che i giganti esisteranno per sempre perciò il genere umano deve starnarsene buono e zitto all'interno delle mura cercando di non disturbare le orride creature.
I legionari credono che se non si trova una soluzione per sterminare i titani, questi prima o poi ci annienteranno.

Il quesito esistenziale è il seguente: accontentarsi di questa vita che va avanti da un secolo, vivere alla giornata per sperare di non attirare l'attenzione dei giganti, oppure combattere, sacrificare la propria vita per vivere come persone “Libere”?
E' questa la scelta che ogni persona deve compiere, io opterò per la seconda ma è stata una decisione imposta dalle circostanze poiché nessuna delle due scelte può essere definita moralmente sbagliata.

Se fossi nata in una famiglia ricca e aristocratica, sicuramente non avrei intrapreso la strada militare: sarei andata a scuola, mi sarei laureata e infine avrei trovato un impiego tranquillo presso il tribunale. sarei stata una folle tranquilla ma ahimè, son nata nella melma, povera, priva d'un cognome e d'una famiglia, perciò mi arruolerò prendendo parte alla schiera dei folli esuberanti. Il motivo per cui entrerò nella legione esplorativa anziché in quella militare( ove la percentuale di mortalità non era così schiacciante), è molto semplice: visto che non posso rientrare nella tranquilla aristocrazia, tanto vale associarsi ai folli esuberanti. Una scelta priva di morale e passione basata esclusivamente su un ragionamento astratto ma va bene così: dato che siamo tutti folli di conseguenza lo sono anche io, perciò quale fondamento può mai avere il ragionamento d'un irragionevole?



3 \ 4 \ 446

Rimango chiusa in me stessa con l'armatura addosso.


Mi arruolerò nella legione esplorativa perciò morirò presto, ma questo non significa che creperò facilmente. Ovviamente farò del mio meglio per sopravvivere il più a lungo possibile, si può dire che giocherò a nascondino con la morte.
L'unico modo per rimanere in vita là fuori è essere abili con le spade e le armature 3D, ma questo non basta, bisogna anche essere furbi sì, questa abilità serve per sopravvivere nella gabbia di roccia.
Ho acquistato la cittadinanza perciò teoricamente son libera di scorrazzare tra le mura liberamente, di fatto è così ma il problema sorge nel caso vado incontro a responsabilità penale perché commetto una qualche sorta di atto illecito. È più facile di quanto si creda compiere un atto illecito, Un esempio? Mollo un cazzotto a un ragazzo che m'ha palpato il sedere, questo magari mi denuncia, salta fuori il fatto che provengo dalle fogne e boom! In tre e quattrotto tramite sentenza mi spediscono giù a marcire. Sono leggi specifiche indirizzate a noi ex abitanti del sottosuolo ma su quale fondamento si basano? Sullo stereotipo, difatti le persone abitanti della gabbia vedono il cittadino sotterraneo come un individuo sporco, maleducato, rabbioso e privo di rispetto nei confronti degli altri. In poche parole non è altro che immondizia.
Dato che non ho potuto occultare la data dell'acquisizione della cittadinanza, i miei superiori lo sanno che provengo da là sotto perciò cerco di rispettare in un qualche modo lo stereotipo: son gentile ma non cortese, tengo sempre la fronte corrucciata così da dimostrare che son sempre incazzata e infine cerco di mantenere disordinato il mio alloggio. Ovviamente pulisco le lenzuola e lavo lo sporco giacche non sono una bestia, però lascio sempre le coperte stropicciate, magari qualche vestito sparso qua e là giusto per rientrare nello stereotipo e per essere ben inquadrata dai mie superiori. In tal modo non li confondo.

Un'altra cosa importantissima per sopravvivere è quella d'apparire comune, non soltanto da un punto di vista fisico, ma anche intellettuale e tecnico. Difatti durante l'addestramento non do il meglio, anzi m'impegno a non essere brava, perché i bravi vengono sempre messi alla prova di conseguenza crepano prima delle persone comuni.

Se non ho potuto occultare le mie origini ai miei superiori, posso nasconderlo ai miei coetanei, perciò cerco di dialogare il meno possibile con loro, mi limito a rispondere alle domande senza instaurare alcuna forma di dialogo, mi mostro annoiata dinnanzi a qualsiasi dichiarazione. Devo ammettere che questa strategia ha funzionato poiché i miei compagni si limitano a salutarmi e cercano di starmi alla larga. Sono riuscita a isolarmi, a chiudermi all'interno di me stessa assieme al mio segreto, l'unico che s'ostina stare al mio fianco è Trevis. Io quello non lo capisco.
Più di una volta l'ho liquidato con rispostacce degne d'una scaricatrice di porto e sapete come reagisce lui? Si mette a ridere. Inizialmente pensavo che fosse una forma per ridicolizzarmi difatti presi maggiori distanze, ogni volta che vedevo per caso la sua capigliatura leonina, io giravo i tacchi ma poi un giorno non potei sfuggire alla sua persona, ci incrociammo in un corridoio e lui si fermò
<< Ciao Lysa, come stai? >>
<< Son cavoli miei >> risposi per proseguire per la mia strada e lui ovviamente si mise a ridere.
<< Si può sapere perché cazzo ridi?! >> sbottai e repressi la voglia di spaccargli la mascella con un gancio.
<< Rido perché sei una persona divertente >> s'asciugò le piccole lacrime poste ai lati degli occhi. << Non ho mai incontrato una ragazza schietta ma al contempo gentile come te >>
Mi riscoprii analfabeta, io che avevo sempre la battuta pronta non seppi come reagire dinnanzi a quel complimento così poco veritiero, lui deve aver in un qualche modo interpretato il mio sconcerto perché continuò a parlare
<< Sì, sei gentile! Quando vedi un nostro compagno che cade a terra per qualche motivo idiota, tu non ti metti a ridere assieme agli altri, quando cammini eviti di calpestare i fiori. È evidente, sei una persona gentile. >>

che cazzone” pensai con la voglia di spaccargli la faccia, ma non lo feci. Mi voltai bofonchiando “ pensala come ti pare”.
Me ne andai via da sola quel giorno, ma il giorno successivo Trevis stava al mio fianco e devo ammetterlo, la sua presenza non m'infastidì e non m'infastidisce tuttora.


Ciao, ho aggiornato presto, strano non è vero?Xd
Ho deciso di introdurre nella storia questa novità, nonché il diario di Lysa. Tra un capitolo e l'altro inserirò questi piccoli scritti, è solamente un modo per farvi conoscere il personaggio e spero che l'idea vi piaccia.
I capitoli riguardanti il diario di Lysa sono pezzi disconnessi, difatti non c'è un filo temporale a tenere unite queste “pagine di diario”.

Spero che l'idea vi piaccia

Un abbraccio

Mistiy

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Capitolo 6
*** Passi incrociati ***


Passi incrociati


Il sole s'era andato a nascondere dietro le colline, la cena era stata consumata e finalmente Lysa poté lasciar cadere sul materasso il proprio corpo. Le ultime energie le aveva utilizzate per buttarsi sotto la doccia, un'insaponata, una sciacquata e andò sotto le lenzuola.
<< Lysa, dormi? >> arrivò fastidiosa quanto il ronzio d'una zanzara la voce di Trevis.
<< Se stai zitto … >> rispose lei mal celando l'irritazione, nonostante ciò aprì un occhio per ritrovarsi faccia a faccia con un volto fiacco ma pur sempre sorridente.
<< Non so come diamine puoi dormire, t'invidio sai? >>
<< Trevis, siamo in piedi da due giorni, la sonnolenza arriva anche se non la cerchi >> disse lei secca pronta a chiudere lo sguardo.
<< No, anche io sono stanco però non riesco a dormire. Ho visto molti veterani morire, ho visto la crudeltà di quel gigante anomalo e poi credo che qualcosa si stia movimentando … >>
Trevis si sedette sull'orlo del materasso.
Affranta Lysa s'alzò a sedere. L'amico non l'avrebbe lasciata dormire in alcun caso, tanto valeva ascoltarlo .
<< Erwin e Hanji hanno corso tutto il giorno avanti e indietro per il castello assieme ad altri soldati, sono certo che fra poco metteranno in atto un piano, uno di quelli pericolosi … >>
<< E allora? >> arida la sua voce spezzò il flusso di parole dell'amico
<< Tu come me sei un soldato semplice, non sei né un caporale né uno stratega. L'unico obbligo che ti da l'uniforme che indossi è “ obbedire”. Quando questo presunto piano verrà rivelato anche a noi, tu farai la parte del bravo soldatino, annuirai e accetterai l'incarico che t'assegneranno. >>
Lysa si sdraiò su un fianco porgendo la schiena a Trevis, pronta per intraprendere il sonno tanto atteso, ma quest'ultimo non sembrava intenzionato a imitarla.
<< Vattene a letto Trevis, non ricordi la regola del buon soldato: mangia, bevi e dormi quando puoi, ora è tempo di dormire. >>
Sottile la risata maschile si diffuse nella stanza.
<< Hai ragione, noi non dobbiamo riflettere troppo >> disse l'amico alzandosi, con un soffio spense la candela per poi scomparire nel suo letto.
Lysa finalmente libera da qualsiasi rumore disturbante chiuse gli occhi.
Si sentì una dannata ipocrita


. *** .


<< Mamma >> la chiamò accovacciandosi per terra.
Kuchel stava supina, ritta come un asse di legno con il volto rivolto verso il soffitto.
<< Mamma >> la richiamò perché lei non stava dormendo, da quella veduta poteva osservare delle palpebre semi chiuse. Il piccolo Levi decise di prendere la sua mano, la strinse forte
<< Mamma! >> con agitazione la richiamò e il suo animo s'acchetò quando questa voltò il capo verso di lui. Rivelò un volto spigoloso, scavato dalla magrezza, uno sguardo privo d'espressione ma era viva. Levi s'accontentò di tal fatto.
<< Mamma sono io, Levi >> disse lui stringendole forte la mano. La guardò negli occhi, se li ricordava grigi eppure sotto la fioca luce della candela apparivano neri, allora concentrò lo sguardo alla ricerca del chiarore e lo vide: attorno alle grandi pupille scure stavano due sottili cerchi chiari
<< Levi … >> flebile uscì la sua voce e il figlio esultò internamente perché da giorni non parlava.
<< Sì, son io >> rispose cacciando giù in gola le lacrime amare. Era un bambino, però se lo sentiva sotto pelle, sua madre non sarebbe vissuta a lungo e voleva godersi ogni istante che le rimaneva assieme a lei.
<< Levi … >> nel momento in cui le labbra secche si riaprirono, le palpebre calarono nascondendo uno sguardo color inchiostro.


Levi si svegliò con uno strano gusto in bocca.
Si rizzò a sedere scoprendo che il sole non era sorto.
Un'occhiata fugace all'orologio e capì che aveva dormito tre ore. Non s'era riposato, la sua mente aveva viaggiato verso un passato lontano che in quel momento pareva così vivido e tangibile.
Era assurdo, stava accadendo il finimondo, difatti grazie ad Aremin s'era designata una sospettata: Annie poteva essere il gigante femmina. Le sue mani fremevano, non vedeva l'ora di spazzare via quella bastarda che aveva decimato la legione con una tale crudeltà. La voleva torturare pian piano, giorno dopo giorno, sentirla urlare dal dolore, voleva essere crudele. Era un sentimento vendicativo che desiderava placare ad ogni costo col sangue e le urla del mostro, ma Levi lo sapeva: la vendetta non lo avrebbe portato verso alcuna soddisfazione poiché sì, ogni uomo si dirigeva verso la legge del taglione ma di fatto non riusciva mai a placare il senso d'angoscia, quello che ti schiaccia le viscere.

Mosse il ginocchio, una scossa dolorosa promanante dalla gamba scosse tutto il corpo.
Non aveva rimpianti, aveva agito d'istinto poiché quella giornata avevano già perso troppi soldati, non poteva morire anche Mikasa. L'aveva guardata dritta negli occhi e lo aveva capito, per salvare Eren era disposta a tutto, persino sacrificare la sua stessa vita. Anche lui avrebbe fatto lo stesso per Isabel e Farlen.
Gettò l'occhio sulla scrivania, c'era una bottiglia di Gin mezza vuota, arricciò il naso con un certo disgusto. Non amava l'alcool poiché questo appannava i sensi rendendo le persone più disinibite e poco ragionevoli, lui era stato educato ad essere costantemente vigile e attento, però quella sera ricordò il detto ripetuto nel ghetto: “ bevi per dimenticare”. Lo mise in pratica.
Voleva dimenticare Lysa, voleva fingere che non fosse mai entrata nel suo ufficio eppure era un desiderio ridicolo dato che la persona da eliminare dalla memoria non era la giovane soldatessa bensì Erika.
Lysa pareva la fotocopia di Erika, per dimenticare la ragazza del sottosuolo non sarebbe bastato neppure l'alcool presente in tutto il mondo. Lo stesso discorso valeva per Kuckel.
Ricordava così poco della madre, nella memoria erano rimasti attimi trascorsi assieme, non erano altro che un ammasso di sensazioni e parole mezze dette. Alla sua persona più che altro riusciva ad associava sensazioni calorose, a volte momenti d'affetto, ma nella sua testa s'erano insidiati quegli occhi neri, nonché l'ultimo sguardo di sua madre verso il mondo circostante. Era sempre così, ogni qualvolta che la madre riaffiorava nella sua mente, il calore, l'affetto venivano sempre schiacciati dalla morte, dal suo ultimo respiro e da quel lento battito di palpebra.
Nervosamente si alzò sulle gambe, la ferita gli intimò con una scossa elettrica di tornarsene a letto ma lui ignorò il dolore, infilò gli stivali e uscì dalla camera. Non sarebbe riuscito a riprendere il sonno, non voleva correre il rischio d'inciampare nel ricordo mortale di Kuckel, neppure in quello di Erika.


. *** .


I raggi lunari filtravano nella stanza, i colori bluastri danzavano per ricoprire ogni cosa compresi due occhi sbarrati verso il soffitto. Nessun rumore aveva destato il sonno di Lysa, eppure era sveglia con lo sguardo vigile. Era un dato di fatto, lei riusciva a dormire quattro ore a notte, neanche un minuto di più. La guerra, i giganti non erano stati loro a rubarle il sonno, era così da quando ne aveva a memoria. Rimanere lì a letto a poltrire? Poteva essere una prospettiva allettante, ma non per Lysa. Scostò le coperte e in punta di piedi cercò i suoi abiti ritrovandoli piegati accuratamente sulla sedia. Con estrema delicatezza si svestì per indossare la divisa. Lasciò perdere le cinghie e l'attrezzatura 3D. Con entrambe le mani acchiappò tutti i capelli per intrappolarli in una salda coda, nemmeno un capello doveva rimanere appiccicato sulla fronte, la vista non poteva essere intralciata da alcun ciuffo. Acchiappò la sacca verde, quella che si portava sempre appresso per spostarsi e trasportare i suoi pochi averi.
Lentamente stando ben attenta a non produrre alcun rumore, prese fuori il taccuino e la penna. Le dita tamburellarono sopra la copertina, non aveva alcuna voglia di gettare su carta i propri pensieri così lo ripose al suo posto.
Guardò Trevis sepolto sotto alle coperte, dormiva sdraiato supino con le braccia incrociate sul petto, il suo respiro era cauto e regolare. Lysa si sedette al suo fianco così da poter notare una piccola contrattura in mezzo alla fronte, non stava facendo un sonno tranquillo ma almeno dormiva e la ragazza non aveva alcuna intenzione di svegliarlo.

Dalle labbra uscì un sospiro sconnesso, breve e leggero. Stava succedendo il finimondo, probabilmente tutti i soldati dormivano avvolti dagli incubi come Trevis, lei invece no. Aveva visto morire così tante persone eppure non riusciva a provare niente. Paura, angoscia, ansia, compassione … nulla. Perchè avrebbe dovuto provare tristezza per i soldati morti? Avevano intrapreso la strada della battaglia e si sa, chi va a combattere ha la vita appesa a un filo, perciò perché si sarebbe dovuta rattristare per loro? Nessuno li aveva realmente costretti, si sono lasciati convincere dal discorso di Erwin ed hanno impugnato le lame.

Ieri sono morti loro, un domani toccherà a me “ pensò e un sorriso sinistro comparve sulle sue labbra.


Uscì dalla stanza per ritrovarsi nel corridoio deserto, dalle finestre entravano raggi di luce bluastri e la notte non pareva così buia.
Con estrema lentezza aprì la finestra sedendosi sul davanzale, lasciò le gambe ciondolare nel vuoto. Era al secondo piano, con un balzo sarebbe potuta scendere e scappare via, ma si limitò ad alzare il naso all'insù e uno sbuffo sfuggì dalle labbra quando vide una luna grande e piena. Lei preferiva la mezza luna, poiché non amava quel cerchio perfetto.

E' così grande e luminosa, ma non può sostituire il sole” pensò fra sé e sé e si prese in giro per quel pensiero così infantile.

Incrociò le gambe e sentì qualcosa all'interno della tasca del pantalone, con curiosità lo tirò fuori per ritrovare tra le mani un sigaro. Quel pomeriggio aveva pulito una stanza inabitata del castello, aveva trovato una scatola cubica in legno posta dentro l'armadio. La curiosità l'aveva spinta ad aprirla per scoprire una lunga fila di sigari ben allineati e così se n'era intascato uno così tanto per fare, senza una ragione precisa dato che non amava fumare.
Con una scrollata di spalle lo mise fra le labbra e lo accese, sì visto che c'era aveva preso anche il pacchetto di fiammiferi.
Un impeccabile soldato sarebbe dovuto rimanere nella stanza, ma tali volte le piaceva trasgredire le regole. Nella città sotterranea l'unica legge vigente era la “sopravvivenza” perciò la trasgressione non esisteva: la prostituzione, gli omicidi, la povertà, la violenza, erano tutte cose facenti parte della quotidianità.
Sbuffò e guardò la densa nuvola di fumo sospingersi verso l'alto.
Fumare non era vietato, non venivi di certo condannato a qualche pena se un superiore ti beccava, ma una giovane soldatessa non sarebbe stata guardata con un buon occhio. Di questo Lysa ne era certa, nel suo piccolo stava infrangendo qualche norma almeno morale.

Finchè nessuno mi vede posso fare ciò che voglio, giusto? “ il pensiero volò via assieme a un'altra folata fumosa.

Stanca di contemplare la volta celeste, gettò il sigaro ancora acceso fuori dalla finestra lasciando così la prova tangibile di quella piccola trasgressione.
Ripose i piedi sul pavimento del corridoio decidendo d'andare a bersi qualcosa giù in cucina
La notte era ancora lunga e voleva infrangere qualche altra regola.


. ***.


Scendere le scale fu faticoso dato che la gamba non smetteva di ardere e pulsare.
Hanji gli ripeteva che per guarire doveva cercare di muoversi il meno possibile, sì ma stare immobile significava non fare niente di conseguenza la mente rimaneva attiva, quest'ultima s'agitava verso pensieri passati e futuri. Levi era un uomo riflessivo perciò spesso trascorreva ore immobile a cercare di designare certe situazioni, ma il periodo del riposo era troppo lungo e per lui risultava inconcepibile starsene immobile a rimembrare i vecchi tempi. Quelli dovevano essere sepolti nel passato, sotto le rocce della città sotterranea e se ne dovevano stare buoni e zitti lì.
In prossimità della sala comunale vide la luce giallastra abbattersi contro le mattonelle

Chi diamine è sveglio a quest'ora? “ si domandò con un certo nervosismo dato che ricercava la compagnia d'una silenziosa tazza di tè. S'affacciò e vide una figura minuta illuminata dalla fioca candela posta sul tavolo. Le mostrava le spalle e una nuca corvina costretta in una salda coda.
Lysa “ pensò fra sé e l'istinto lo fece arretrare in un scatto, fu troppo veloce, troppo rumoroso perché la ragazza si voltò immediatamente. Quando gli sguardi s'incrociarono il respiro di Levi andò in apnea, Lysa invece rizzò la schiena e con la mano libera dalla tazza di coccio mise il pugno sul petto.
Con un gesto della mano il caporale la slacciò dalla formalità e lei lasciò cadere il pugno lungo il fianco. Levi non si concentrò sulla soldatessa poiché non era certo che il suo cuore avrebbe retto la sua vista, doveva mantenere il suo consono autocontrollo dato che lui era il caporale Levi, l'uomo inflessibile che caratterizzava la legione, la punta di diamante dell'esercito.
Gli occhi sfuggenti andarono all'ambiente circostante, vide un pentolino sul fornello spento, c'era ancora dell'acqua calda e allora si preparò un te per poi prendere posto al tavolo.
Sentì dei passi incamminarsi verso l'uscita
<< Dove credi d'andare? >> domandò lui con quel suo solito tono scontroso
<< Vado nella mia stanza signore >> sputò fuori frettolosamente senza neppure voltarsi
<< Siediti e finisci di bere >>
<< E' un ordine? >> chiese lei con una nota sarcastica che avrebbe tanto voluto ricacciare giù nella gola. Era un suo superiore e quella sfacciataggine non era affatto consona alla situazione.
<< Sì >> disse secco ma si sentì un autentico cretino nel momento in cui Lysa si sedette qualche posto più in là dal suo. Non voleva parlarle, non voleva conoscerla, non voleva sapere assolutamente nulla di lei eppure c'era una forza che l'attirava verso quella ragazza minuta. Era entrata a passo scalzo nella sua vita e se ne sarebbe potuta andare con la stessa cadenza, ma qualcosa d'irriconoscibile si dimenava nel suo petto. Levi non sapeva dare un nome a quella strana attrazione.
Un silenzio immobile calò, Lysa sentendosi imbarazzata da quella situazione inverosimile, sorseggiò la bevanda. Voleva finirla il prima possibile per scappare via ma l'acqua aromatizzata bruciava come l'inferno, se l'avesse bevuta tutta d'un sorso si sarebbe scorticata l'esofago e la lingua.
<< Hai dei problemi col sonno? >> fu lui a spezzare il silenzio.
<< No >>
<< E allora perché non dormi? >> chiese Levi sbirciandola sottecchi. Voleva mostrarsi disinteressato, anche se il suo petto sembrava non volerglielo permettere.
<< Signore, sono successe così tante cose, chi riuscirebbe mai a dormire bene? >>
Il pensiero cadde immediatamente sulla sua squadra, in un flash passarono gli occhi spenti di Petra. Li scacciò via dalla testa ponendo una seconda domanda alla ragazza
<< Hai perso dei compagni? >>
<< Sì >> disse lei frettolosa, donava domande circoncise come se temesse che una parola in più potesse rivelare un qualcosa di se stessa. Levi l'aveva intuita così, non gli pareva semplice nervosismo dato che non era presente alcuna titubanza nella sua voce.
<< Hai avuto paura? >> le domandò e lei non rispose immediatamente, Levi gettò di sfuggita lo sguardo sulla ragazza, questa stava con la schiena ritta come una corda di violino.
<< No >> rispose infine la ragazza che decise di spiegare la risposta inconsueta poiché tutti avevano paura dei giganti, anche i veterani.
<< Erwin ci aveva già spiegato cosa c'aspettava là fuori, ci avete insegnato a combattere perciò non ho paura d'uscire dalle mure >>
Colpito dalle parole solenni alzò lo sguardo e Levi prese coscienza d'un fatto fondamentale: gli occhi grigi erano grandi, adornati da lunghe ciglia come quelli di Erika, ma nonostante ciò non vide la ragazza del sottosuolo. Quest'ultima aveva gli occhi vivaci seppure velati da una certa tristezza, quelli di Lysa erano severi, contratti, quasi autoritari. Era lo sguardo d'una adulta cucito addosso a una ragazzina nonché lo sguardo d'un soldato che aveva combattuto.
La vide alzarsi da sedere in uno scatto
<< Posso congedarmi? Domani m'aspetta una giornata dura perciò vorrei approfittare delle poche ore rimaste per riposare >>
Un cenno del capo e Lysa filò via veloce come una gazza.

Guardandola e ascoltandola Levi aveva capito una cosa fondamentale: Lysa era una persona completamente differente da Erika.
Erika era una ragazza, Lysa era una soldatessa.
Potevano anche assomigliarsi fisicamente, ma non c'era alcuna traccia della personalità di Erika, neppure un soffio.

Nelle sue vene non scorre il sangue di Erika “ sentenziò infine, ogni dubbio poteva essere sepolto.




. *** .


Lysa entrò nella sua stanza, con delicatezza chiuse la porta.
Cercò con lo sguardo la sacca verde, l'acchiappò per tirar fuori il taccuino e la penna. Si sedette a gambe incrociate sul pavimento utilizzando una coscia come scrivania.
Impugnò la penna, tremante era la sua mano ma questa non la fermò

Lo sa, il caporale lo sa! Sa che provengo dalle fogne e scommetto che la cosa non gli va tanto a genio, scommetto che non vuole che un cumulo di spazzatura come me faccia parte della legione esplorativa. Lo sa, ho visto nei suoi occhi il rimprovero nei confronti della mia esistenza, ma cosa posso farci? Sarò nata anche per sbaglio però devo pur fare qualcosa della mia vita, no?
Lo sa e scommetto che farà di tutto per sbattermi fuori, oppure mi manderà a crepare in una qualche missione impossibile e così si sbarazzerà di me e poi …

Allontanò la penna dal foglio per trarre un lungo respiro. Doveva darsi una calmata. Si stava agitando, il cuore batteva troppo forte e così pose l'orecchio verso l'esterno, verso il cauto respiro di Trevis. Lo guardò, era immobile intrappolato nella stessa posizione in cui l'aveva lasciato poco fa. Chiuse gli occhi e prese a respirare cercando di seguire il respiro armonioso dell'amico. Riuscì a placare il cuore e quando respirare tornò ad essere un gesto meccanico, impugnò di nuovo la penna.

Il caporale Levi lo sa, forse non m'importa così tanto. Se non gli vado a genio, se vorrà farmi sparire la cosa mi sta bene, in fondo puzzo di muffa e la sporcizia deve essere eliminata.
Mi sta bene, posso accettare la cosa purché spifferi in giro. Se si diffondesse tra i miei coetanei il fatto che son una cittadina della città sotterranea, anche Trevis lo verrà a sapere. A quel punto lui vorrà ancora essere amico mio?

Lesse l'ultima frase e lo stomaco si strinse.
Chiuse il quaderno, non voleva una riposta a quella domanda, preferiva non conoscerla.


Ciao:)

Ecco qua un altro capitolo e che dire, ci sono sentimenti contrastanti anche se provo un poco di rammarico perché sto procedendo con troppa lentezza, ma non oso spezzare il filo narrativo già costruito in passato, non vorrei correre il rischio di bloccarmi e lasciare in sospeso anche questa storia (Guai mai :O)

Spero che la lettura sia risultata piacevole e scorrevole ( ho corretto tutti gli erori? Lo spero >.<)

A costo di sembrare ripetitiva, ringrazio tutti voi che continuate a seguire questa storia, che commentate, che avete messo la storia tra le seguite o preferite, ricordate. Grazie perché davvero non m'aspettavo che questa Fics venisse seguita da così tante persone <3

Grazie di cuore
Spero di sentire la vostra opinione
un abbraccio

Mistiy

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Capitolo 7
*** Un minuto ***


Un minuto


Levi stava nella sala dove si sarebbe svolta la riunione presieduta da Erwin.
Il capitano ha narrato ai capi squadra il fatto che Annie era la presunta gigante, questi ultimi avevano girato ogni quartier generale per diffondere la notizia che si sarebbe svolta una riunione urgente senza comunicare il tema principale.
Il silenzio era stato necessario poiché per acchiappare un intruso la segretezza era fondamentale, ma tale silenzio mandava in visibilio le menti dei giovani soldati stanti fuori dall'edificio. La riunione si sarebbe svolta fra meno di un'ora e Levi a braccia conserte scrutava oltre la finestra che s'affacciava al cortile del castello.
I legionari correvano per il cortile con fare indaffarato e sguardi colmi di ansia oppure paura, ognuno li poteva interpretare a proprio modo.
Erano nervosi e sconvolti, si aggiravano nel giardino con una certa irrequietezza, assomigliavano a bestie racchiuse in gabbie.
Guardò alla ricerca di una nuca corvina ma non la vide, probabilmente stava ancora nella sua stanza ma gli pareva strano che non fosse uscita incuriosita dagli schiamazzi prodotti dai giovani fuori stanti.
Sentì l'uscio aprirsi e vide Mike, si afiancò a lui.
<< Buongiorno >> disse lui e Levi rispose con un cenno del capo. Erano compagni d'armi e nessuno poteva mettere in dubbio il fatto che in battaglia si sarebbero coperti le spalle a vicenda, ma da quando l'aveva messo al tappeto quel giorno nella città sotterranea era nata nei suoi confronti una certa antipatia provocata dalla sconfitta.
Levi non era una persona infantile e di certo non provava rancore nei suoi confronti per una tale sciocchezza, però Mike era stato uno dei pochi in grado di sconfiggerlo in un combattimento corpo a corpo.
<< La soldatessa Lysa, come se la cava in battaglia. So che ha combattuto nella tua squadra … >> gli venne in mente quell'informazione scritta sul fascicolo della ragazza.
<< Bene. È diligente e non s'abbatte sui giganti con lo spirito dell'eroe. Diciamo che lei li uccide con colpi secchi solamente quando è necessario. >>
<< Quindi è un buon soldato >> disse Levi infine senza riuscire a trattenere il sollievo. Era brava perciò poteva sopravvivere qualche anno in più nella legione.
<< Sì … però devo ammettere che mi ha sorpreso. Nelle schede valutative compilate durante l'addestramento non aveva voti alti, anzi a malapena raggiungeva la sufficienza! Difatti nessun caposquadra voleva collaborare con lei, a dirla tutta neanche i suoi compagni a parte Trevis … >>
<< E allora perchè tu l'hai presa? >> chiese con un certo sarcasmo
<< Perchè il suo odore assomiglia al tuo >>
<< Che razza di giustificazione è mai questa? >> domandò Levi arricciando le sopracciglia.
<< Niente di che, mi mancava un membro della squadra e Nabada l'aveva vista in azione durante la prima spedizione, poi ha l'odore del nanerottolo più forte dell'umanità perciò decisi di inserirla nella mia squadra >>
Levi non disse nulla seppure sentì lo stomaco attorcigliarsi su se stesso. L'olfatto di Mike era paranormale e praticamente infallibile, quella poteva essere definita un'altra prova della presunta paternità?

No, non posso essere un padre “ disse a se stesso, ma il suo sguardo navigò oltre la finestra: voleva vederla per convincersi per l'ennesima volta che quella non poteva essere figlia di Erika, così come non poteva essere sua.


. *** .


Come sono entrata nella squadra di Mike
459

Puzzo di muffa e merda.
Posso farmi tutte le docce che voglio, posso strofinare la spugna fino a quando la pelle non diventa rossa, ma io puzzo. Sento addosso l'odore della città sotterranea, ci ho vissuto così a lungo che mi si è appiccicato addosso.

Ero appena entrata nella legione, avevamo compiuto da pochi giorni la nostra prima missione al di fuori delle mura ma nonostante ciò i nuovi arrivati erano costretti a svolgere le infime mansioni, difatti quel giorno io e Trevis stavamo pulendo un corridoio del quartier generale situato tra le Mure Rose. Avevamo combattuto, i veterani ci avevano visto e protetto e ora dovevano decidere a quali squadre assegnarci. Per tal motivo noi stavamo a piede libero a pulire i pavimenti, le armature e così via. In poche parole le matricole erano delle sguattere.

Ero rassegnata al fatto che avrei trascorso anche quella giornata a pulire cessi e pavimenti quando apparve un uomo alto con il volto coperto da un frangione frastagliato. Al suo fianco c'era Nabada ci salutò con gentilezza, io e Trevis ricambiammo.
<< Tu >> l'uomo possente indicò Trevis
<< Sarai nella mia squadra nella prossima missione >> detto ciò, s'incamminò verso un corridoio ma Trevis lo fermò
<< Aspetti caporale Mike! >>
Si fermò pronto ad ascoltarlo e io tesi l'orecchio incuriosita.
<< Non può prendere anche Lysa nella sua squadra? È brava! >>
Strinsi forte il manico della scopa e cacciai giù in gola le imprecazioni, come diamine si permetteva a porre una domanda del genere a un superiore? Pensava che ero così incapace che nessuno m'avrebbe ammessa in una squadra?
M'aspettavo che il caporale mandasse al diavolo Trevis e invece non fu così: l'uomo si avvicinò ponendosi di fronte a me, si chinò ed ispirò profondamente. Io rimasi immobile come una statua, sbigottita da quella vicinanza a dir poco inappropriata. Devo ammettere che è stata dura reprimere l'impulso d'arretrare.
Mike ritornò in posizione eretta ed annui.
<< Sì, anche tu sarai nella mia squadra >>
Voltò le spalle e camminò via, rivolsi uno sguardo interrogativo verso Nabada e lui mi rispose con un sorriso e una scrollata di spalle, come per dire: “ non farci casa, lui è fatto così”


Lysa sorrise nel leggere su carta quello strano incontro.
Riponeva una grande fiducia in Mike ma nonostante ciò continuava pensare che era strano quell'uomo che utilizzava l'olfatto anziché la vista per conoscere le persone.
Girò le pagine a casaccio per poi soffermare la vista su un altro scritto.


Morirò giovane
459


7 cadetti del nostro battaglione d'addestramento decisero di arruolarsi nella legione esplorativa. Io, Trevis, una ragazza dai capelli rossi, Nabada e altri sette ragazzi. Li avevo visti durante l'addestramento, mi ero allenata con loro ma di fatto non ricordavo i loro nomi, non m'era mai interessato conoscerli.
Dopo il discorso di Erwin, ci consegnarono le mantelle verdi, quelle con la stampa delle ali della libertà, ricordo che era una sera primaverile poiché faceva fresco e nel momento in cui la indossai provai un certo calore.
I veterani ci dissero di divertirci, d'andare a festeggiare poiché fra pochi giorni s'andava fuori dalle mura perciò la ragazza dai capelli rossi propose d'andare a bere qualche bicchiere di birra. Due ragazzi e Nabada declinarono l'invito con cortesia, anche io espressi il mio dissenso ma alla fine Trevis mi convinse, lui e quel suo maledetto sorriso...


Ci dirigemmo verso la prima taverna incontrata strada facendo, era un luogo spartano, poco affollato così ci sedemmo ad un tavolo rettangolare.
I calici di birra arrivarono e tra una chiacchiera e l'altra scoprii che la ragazza si chiamava Mika, il ragazzetto gracile dai capelli neri si chiamava Arthur, invece l'altro era Mirko. Lui era alto e muscoloso, indossava una espressione seria e corrucciata, pareva l'immagine del perfetto soldato pronto a tutto pur di farsi ammazzare in nome dell'umanità.
Si persero in chiacchiere maestose, non vedevano l'ora d'andare fuori a mozzare i colli dei giganti, non vedevano l'ora di contribuire alla salvezza dell'umanità anche se riconobbi un certo timore nascosto negli occhi annebbiati dalla gloria.
Un brindisi dopo l'altro e Mika saltò su spiazzando tutti con la seguente domanda
<< Quando uscirete dalla legione, che farete? >>
<< Ti sei arruolata con l'intento di scappare via il prima possibile? >> puntualizzò Mirko con tono beffardo
<< Certo che no! Però ho un sogno da realizzare: dopo aver prestato servizio alla legione, voglio una famiglia numerosa tutta mia! >>
<< Ma sei scema? Guarda che non puoi ritirarti dall'esercito così facilmente? >>
puntualizzò Mirko ridendo. Sì, stavamo facendo troppi brindisi difatti le guance di tutti i presenti erano scarlatte.
<< Dalla legione esplorativa non si esce >> disse Mark ridendo eppure non c'era alcun motivo per essere allegri, era risaputo che chi andava a combattere prima poi ci lasciava le penne.
Mika gonfiò le guancia per produrre un lungo e sonoro sbuffo
<< Allora poniamo la questione in questo modo: se mai in futuro potreste uscire dalla legione, cosa vi piacerebbe fare? >> calò uno strano silenzio riflessivo, era un gioco dalle note amare leggermente zuccherato dal tasso alcolico circolante nelle nostre vene. Chi sarebbe mai uscito dallla legione? Nessuno, indossando quella mantella avevamo stipulato una sorta di contratto silenzioso: la nostra vita in cambio d'un sogno, la libertà.
<< Io farei l'insegnante >> Trevis fu il primo a rispondere e tutti si misero a ridere, neppure io resistetti. Ve l'ho già detto che avevo bevuto?
<< Lysa, perchè ridi? >> chiese Trevis, provò a corrucciare le sopracciglia per mostrarsi in un qualche modo offeso, ma il sorriso lo tradiva.
<< Saresti un pessimo insegnante perché sei troppo indulgente >> dissi infine e l'immagine d'un Trevis che cerca di acchetare gli animi vivaci dei bambini a suon di sorrisi … non so, la trovavo una scena comica e al contempo bizzarra.
<< Ha ragione, quelli ti rigirerebbero come una frittata >> sentenziò Mika
<< Ora tocca a te Lysa >> curiosi si voltarono verso di me e io scossi le spalle.
<< Boh, io non credo che sopravviverò. Morirò giovane >> lo dissi con leggerezza, così tanto per fare, solo successivamente mi resi conto d'aver spezzato l'atmosfera allegra, persino il sorriso di Trevis s'era infiacchito.
Avevo rivelato la verità scomoda non riuscendo a stare al gioco, ma Mika non s'arrese.
Con entusiasmo acchiappò un tovagliolo di carta e una penna
<< Allora in tal caso ci conviene scrivere le nostre ultime volontà. Moriremo giovani ma potremmo pur decidere come celebrare il nostro funerale >>
<< Ma smettila con sta faccenda macabra! >> la liquidò Arthur con fare scocciato
<< Macabra? Se non sono libera di decidere del mio futuro, sarò ben libera di decidere come celebrare il mio funerale?! >>
<< Signore! Ci porti altre birre! >> urlò Trevis con un sorriso che illuminò la stanza e il barista s'affrettò a posare altri calici.
<< Dunque … >> Mika utilizzò la penna per grattarsi la nuca ed assunse un'espressione pensierosa
<< Ci sono! >> schizzò allegra e cominciò a scrivere a raffica sul fragile tovagliolo
<< la mia salma deve essere vestita con quell'abito blu posto nell'armadio della mia camera, quel colore fa risaltare i miei occhi. Al collo voglio una collana di perle, perle vere eh! Mica quelle da quattro soldi che si comperano ai mercati cittadini. Poi … i miei cari non devono piangere >>
<< Perchè mai? >> chiesi incuriosita, i funerali non erano stati creati per compiangere il defunto?
<< Oh cara Lysa, devono tenersi le lacrime in tasca, le devono conservare per le loro disgrazie personali. Gli unici che devono piangere durante il funerale sono i bei ragazzi: guardando quanto sarò bella da defunta, quelli si metteranno le mani fra i capelli dicendo tra un singhiozzo e l'altro: “ oh perchè diamine non mi sono affrettato a corteggiare una ragazza così bella!? Una donna così mi avrebbe regalato dei figli belli e sani” >>
A quel punto tutti noi scoppiammo a ridere senza ritegno, tra un singhiozzo e l'altro le dicemmo che era una scema, una screanzata spiritosa e ridemmo così tanto che la mia memoria s'arresta qua.
Ci addormentammo sul tavolo tra una scemenza e l'altra, fu il barista a svegliarci il giorno seguente.
Non ricorderò la restante serata, però nella mia anima son rimasti impressi i loro nomi e quelle risate così gioiose.


Mika morì nella seconda spedizione schiacciata dal piede d'un gigante
Arthur e Mirko morirono nella quarta spedizione divorati dallo stesso gigante.
A quel tavolo ora possiamo sederci solamente io e Trevis, mi domando chi sarà il prossimo a scomparire.


I resti del corpo di Mika tornarono a casa ma il becchino non era riuscito a ricomporla così il suo funerale si svolse a bara chiusa. Non posso farne a meno, mi chiedo a cosa sia servita la sua morte: Mika, ha realmente contribuito alla salvezza dell'umanità? Non credo proprio.
Mika sarebbe potuta diventare una ottima madre, magari avrebbe allevato otto figli possenti e degni d'appartenere all'armata ricognitiva e anche questi sarebbero morti là fuori.
È inutile ricercare un senso, ogni volta il pensiero va verso la fine dei giochi nonché verso il cammino finale, la morte. Probabilmente si vive per morire, in questo mondo noi possiamo solamente decidere come morire.

Non vidi con i miei occhi la dipartita di Mika perchè stavamo in squadre diverse, la sua morte venne narrata da un soldato durante il macabro appello, quello che si compie ogni qualvolta che ci si accampa per la notte. Si contano i vivi, i morti e poi nessuno aveva più voglia di dire nulla, neppure una parola di conforto.

Sopra di noi stava una volta celeste tetra, priva di stelle e luna.
c'eravamo accampati presso un rudere, stava vicino alla foresta dei giganti, alcuni dormivano all'interno delle mura, altri avevano preferito dormire in tende.
Anche io avevo deciso di dormire in tenda ma ovviamente non ci riuscii. La luna non c'era, stavano dei soldati fuori a fare la guardia eppure avevo la sensazione che se avessi chiuso gli occhi non li avrei mai più riaperti. Mi stava bene morire in battaglia ma non nel sonno, magari c'erano giganti capaci di movimentarsi senza la necessità d'essere illuminati dai raggi lunari, chi poteva saperlo? Non avevamo certezze.
Mi rigirai più di una volta nel sacco a pelo, un altro fatto che non mi faceva prendere sonno era la ragazza con cui condividevo la tenda. Piangeva, cercava di soffocare le lacrime contro il cuscino ma i singhiozzi arrivavano impetuosi alle mie orecchie. Non la conoscevo, ma quel pianto mi suggerì che si trattava d'una novellina che aveva visto per la prima volta i giganti. Avrei tanto voluto urlargli qualcosa addosso poiché era tempo di dormire, i suoi compagni li avrebbe pianti durante i funerali ma alla fine preferii stare zitta. Se voleva piangere io non potevo impedirglielo ma potevo rifiutarmi d'ascoltarla. Così uscii dalla tenda, a piedi scalzi camminai lungo l'erba fresca. C'era il vento e così decisi di slegare la coda e lasciai i capelli svolazzare via. Fu una bella sensazione sentire il vento addosso, l'aria era calda ma pulita. Chiusi le palpebre e quasi mi dimenticai del fatto che eravamo in missione,che quella non era di certo una scampagnata. Inspirai profondamente. Era così buona l'aria.
Il mio sguardo andò nel buio verso ovest, oltre la foresta dei giganti e sentii qualcosa stringersi attorno allo stomaco. Volevo andare via, volevo camminare verso ovest e scoprire una nuova terra, libera dai mostri, senza città sotterranea, senza mura e armi. Ma chi volevo prendere in giro?! Se per assurdo esistesse una terra priva di giganti, i soldati e le armi servirebbero comunque: che ci piaccia o no, l'uomo nasce con un senso di morte nel cuore, quello che ti incita a prendere la lama e a sgozzare un tuo compagno. L'uomo desidera la guerra anche se aspira alla pace perchè alla fine siamo bestie e si sa le bestie sono irragionevoli. Perchè siamo così? Non lo so, forse non c'è nulla da capire. Pace e guerra, due contraddizioni, due facce senza il quale la vita non esisterebbe.
Scacciai via il pensiero distogliendo lo sguardo che incontrò della luce, erano le due lanterne accese dai soldati che facevano la guardia, vidi anche la tenda di Trevis.
Trevis era da solo, ne ero certa perché il soldato con cui doveva condividere la tenda era morto. Decisi d'andarlo a salutare e così a passo felpato camminai, non volevo farmi notare dai soldati.
Piano scostai i tessuti per poi gattonare all'interno.
<< Chi è? >> chiese di soprassalto
<< Shhh … coglione sono io! >> gli intimai a bassa voce. Per accertarsi della mia presenza accese la piccola lanterna.
<< Lysa che ci fai qua? >> mi chiese senza sorpresa stropicciandosi le palpebre con una mano. Era dannatamente stanco e io che ci facevo lì? Non lo sapevo.
<< Niente, torna a dormire >> dissi pronta a sloggiare via ma lui afferrò il mio braccio, fu una presa leggera e con una scrollata avrei potuto cacciare via le sue dita.
<< No, resta >> me lo chiese eppure la domanda m'arrivo come una sorta di supplica. Non sorrideva e nei suoi occhi leggevo la stanchezza e l'orrore della giornata trascorsa. Chissà cosa aveva visto nei miei, forse i suoi occhi non erano altro che il riflesso del mio sguardo.
Entrambi ci accomodammo a gambe incrociate.
<< Ti hanno assegnato il turno di guardia? >> mi chiese come se sentisse la necessità di colmare il silenzio
<< No, tu? >>
<< Neppure >>

Annuì, eravamo stati fortunati eppure non mi sentivo graziata.
Per tante cose dovevo sentirmi grata, come per esempio essere viva ma non riuscivo a provare gratitudine per tal fatto. Non riuscivo a ringraziare nessuno, neppure la fortuna che fino a quel momento aveva risparmiato la mia esistenza.
Ero così affaticata che non riuscivo a tenere il collo dritto, era una stanchezza strana che non promanava dai muscoli o dalle ossa, bensì dalle interiora. Forse ero stanca d'essere un soldato, forse la morte di Mika mi aveva sconvolto a tal punto che il senso della mia stessa esistenza vacillava. Che ci stavo a fare lì? Combattevo una guerra senza fine legata a un ideale a cui non riuscivo a credere. La libertà non esisteva, seppure libera dalla prigione di roccia le mie origini stavano lì sotto e tra quelle mura dovevo fingere d'essere una soldatessa come tante altre, eppure il vento fuori dalla città era diverso. Era caldo, piacevole e non puzzava di muffa.
Sarebbe bello vivere nel verde con l'orizzonte privo da qualsiasi muraglia. Questa può essere chiamata libertà?

Alzai il capo e m'accorsi che Trevis mi stava fissando.
<< Che c'è? >> chiesi innervosita, odiavo e odio tutt'ora quando qualcuno concentra lo sguardo su di me.
<< Niente, è solo che sembri molto stanca >>
<< Anche tu hai una faccia di merda >>
Un fiacco sorriso affiorò sul suo volto, ogni volta che esprimevo la mia aggressività lui rideva. Lo fa tuttora, credo che non mi prenda sul serio. Magari è così, forse non sono realmente arrabbiata con il mondo.
<< I tuoi capelli … >>
<< Che cosa hanno? >>
<< Un bel niente, sono bellissimi. Dovresti portarli spesso sciolti >>
<< Sono scomodi >> dissi arida affondando le dita nella cute. Erano talmente sporchi e impasticciati di sudore che a stento i polpastrelli scorrevano lungo la chioma.
La mano di Trevis si allungò per accarezzare un ciocca nera. La strinse piano tra le dita
<< Sono belli >>
Io non dissi nulla, non cacciai via la sua mano neppure quando questa si pose sulla mia guancia. Non mi scostai neppure quando pose la fronte sulla mia. I nostri respiri s'incontravano per abbattersi l'uno sulla pelle dell'altro. Era piacevole, come la brezza che stava là fuori.
Non lo fermai, lui si avvicinò e lasciai che le labbra s'accostarono sopra le mie. Non avevo bisogno di fare sesso ma di sentirmi viva perchè sì, eravamo destinati a morire e tutto quello che ci rimaneva era l'attimo. Volevo godermelo fino in fondo
Allungai la mano per spegnere la piccola lanterna, non volevo guardarlo in volto.
Ci spogliammo senza dire alcunché, le parole sembravano così inutili e poi cosa c'era da dire? Una frase e il bisogno di sentire le nostre pelli si sarebbe annullato nell'imbarazzo. Spensi la luce e ci rotolammo, ci abbracciavamo un po' impacciati, un po' inesperti ma privi di imbarazzo. In fondo eravamo giovani e stanchi, cosa c'era di sbagliato nel fare l'amore?
Le nostre mani andavano ovunque anche se devo dire che le mie sapevano dove direzionarsi perché purtroppo conoscevo i punti giusti, quelli necessari per risvegliare il piacere.
Non ero affatto innocente dato che la mia prima esperienza se l'era portata via mio padre. Non posso provare rancore nei confronti di quel bastardo bavoso dato che ho praticato la legge del taglione: lui si è preso la mia femminilità, io mi sono presa la sua vita.
Eppure sotto le carezze di Trevis mi sentivo viva e innocente, ogni pensiero veniva annullato dai nostri respiri flebili, dalle carezze tremanti e dai battiti dei nostri cuori.

Trevis si addormentò abbracciandomi da dietro, il suo respiro leggero scivolava lungo il collo. Io non mi addormentai, difatti non volevo rimanere lì poiché non volevo esserci al suo risveglio. Non doveva illudersi: per quanto piacevole e rigenerante, l'accaduto durante la notte era paragonabile a una parentesi apertasi e chiusasi nell'arco di poche ore.
Mi vestii e tornai nella mia tenda dove stava la ragazza piangente.

Quando il cielo cominciò a imbrunirsi, fummo svegliati dai capi squadra. Veloci risistemammo le tende e recuperavamo i nostri cavalli pronti per tornare nella gabbia.
<< Buongiorno >> Trevis mi colse di spalle mentre stavo sellando il mio cavallo. Sorrise e si avvicinò con una strana disinvoltura, come se dalla notte precedente si fosse accaparrato il diritto di toccarmi. La sua mano s'avvicinò alla mia guancia e io mi scostai.
Le sopracciglia bionde si corrucciarono e io risposi a quella domanda inespressa.
<< Si è trattato solamente d'una notte >> dissi secca con tutta l'accidia di cui disponevo. Vidi qualcosa di strano passare lungo il suo volto, tristezza, stupore non lo capii, non potei soffermarmi e riflettere sul suo stato d'animo perchè inarcò le labbra all'insù e mi regalò un sorriso luminoso, uno di quelli che ti rassicurano e ti scaldano le ossa.
<< Va bene. Ho capito >> disse per poi dirigersi verso il suo cavallo.

Ho capito” disse Trevis ma ne dubito.
Non credo che Trevis abbia compreso che non posso essere la fidanzatina di nessuno, non sono il tipo di ragazza che può permettersi d'instaurare una relazione talmente intima poiché non ne sono capace.
In passato ho amato una persona con tutta me stessa e quando questa se ne è andata ... diavolo mi ha distrutta! Ha lasciato solamente ombre nel mio cuore.
Non sono più disposta a respirare nel nome di qualcun altro.
Quante riflessioni inutili sto scrivendo, perché perdo tempo a rimuginare? Presto la guerra mi ridurrà in un mucchietto di polvere perciò ogni dubbio verrà annientato.
Mi auguro solamente di non dover vedere Trevis morire.


Lysa chiuse il diario distratta da un chiacchiericcio proveniente dall'esterno così accorse alla finestra. Il sole stava a mezza via e sotto i raggi obliqui vide soldati in armatura.
Alcuni camminavano avanti e indietro, altri muovevano le labbra e alcuni dialogavano utilizzando la mimica delle mani. Non poteva udire le conversazioni ma l'intuito le urlò che non stavano narrando storielle divertenti.
<< Cazzo … >> sussurrò ripensando a quello che Trevis le aveva detto la sera precedente. Aveva ragione, un piano era stato architettato.
Gettò lo sguardo verso l'amico, quello se ne stava beatamente spaparanzato sul materasso. I piccoli ricci biondi si depositavano leggeri sulla federe del cuscino, le palpebre erano distese all'ingiù e un rigolo di bava colava dall'angolo della bocca. Pareva la personificazione della beatitudine.
Innervosita da tal fatto, Lysa aprì la mano per scagliare uno schiaffo sulla nuca leonina.
<< Svegliati! >> disse a denti stretti
<< Lysa! Ti pare questo il modo di svegliare un amico? >> disse lui a palpebre semi chiuse tastando il punto della nuca dolorante
<< Non c'è tempo per cazzeggiare, guarda … >> un cenno del capo alla finestra e Trevis corse sul davanzale
<< Che ci fanno tutti i membri della legione nel cortile del castello? >> domandò guardando Lysa e quest'ultima alzò le spalle
<< Io che diamine ne so. Vestiti e andiamo a sentire >> rispose trattenendo l'impulso di mollargli un altro ceffone: se avesse avuto la risposta a portata di mano, di certo non starebbe rimasta chiusa in quella stanza con il cuore palpitante.
Trevis obbedì e senza troppe cerimonie prese a svestirsi per indossare l'armatura. Lysa distolse immediatamente lo sguardo ponendolo a terra.
Venne colta da uno strano disagio così in fretta stando ben attenta a non guardare l'amico, raccolse la sacca e tutte le cose sparse per la stanza
<< Muoviti, ti aspetto giù >> uscì senza neanche attendere una contro risposta.


. * .


Lysa stava a braccia incrociate, presto si sarebbe svolta la riunione ma nessuno sapeva quale sarebbe stato il tema trattato.
Picchiettava il piede sinistro e la sua impazienza usciva da ogni poro della pelle, quando li avrebbero convocati? Perché doveva starsene lì a rimuginare nell'angoscia? Tale fatto le pareva ingiusto, voleva sapere a cosa stava andando incontro, a quale morte era destinata. Allora s'incamminò verso il castello, verso la sala ove si sarebbe tenuta la lezione. Trevis le corse dietro per fermarla, per domandarle dove stesse andando, ma un tonfo arrestò la camminata di entrambi.
Sia Trevis che Lysa si voltarono per vedere un giovane a terra.
Aveva la fronte fasciata da un grande benda, le stampelle di legno s'erano spezzate. Uno sguardo alla sua figura accasciata e Lysa notò che era privo d'un polpaccio. Era un sopravvissuto della battaglia avvenuta qualche giorno fa, era la testimonianza vivente di quanto sia stata feroce e letale la gigante femmina.
Un cerchio di persone si formò attorno a lui, Trevis corse verso il ragazzo e Lysa lo seguì a passo cauto.
<< Ragazzi io vorrei tanto venire con voi perchè questo mondo sta andando in malora e io … >> pose le dita tremanti là, dove il polpaccio non esisteva più. Toccò l'aria e il ragazzo prese a piangere.
Tutti stavano ritti sulle proprie gambe e guardavano il ragazzo piangere con compassione, eppure l'unico a inginocchiarsi fu Trevis: si accovacciò al suo fianco, pose una mano sulla spalla per dire: << non ti preoccupare, ora ci penseremo noi. Ti presteremo la nostra forza e in tuo onore combatteremo anche per te >>
Le parole di Trevis non produssero alcun effetto calmante dato che prese a singhiozzare. Lysa imprecò mentalmente, avevano poco tempo, dovevano riunirsi al castello per conoscere il piano architettato così decise d'intervenire.
<< Hey, tu. Piantala di frignare >> un volto irrigato dalle lacrime si innalzò
<< Hai perso una gamba e non puoi più fare niente per la legione esplorativa, rassegnati a questo dato di fatto e torna a casa dalla tua famiglia >> non v'era alcuna accidia nelle sua voce, pronunciò la frase con solennità come se stesse leggendo un importante articolo di cronaca.
Il ragazzo era rimasto ammutolito e i suoi occhi parevano aver cristallizzato le lacrime, però pochi secondi dopo prese a singhiozzare con una tale forza ...
<< Lysa! Come diamine puoi dire queste cose? Ma ce l'hai un cuore? >> Lysa guardò gli occhi sbarrati dell'amico colmi di rimprovero. Le parole giunsero come schegge ardenti dritte al suo petto. Se l'avesse detto qualcun altro la frase non l'avrebbe neppure sfiorata per caso. Girò gli occhi e nel suo campo visivo rientrarono tanti sguardi alcuni stupidi, altri minacciosi, altri ancora accusatori.
Lysa strinse forte la mascella e a passo veloce percorse la strada per entrare nel castello, lasciò la porta chiudersi dietro di sé, non si curò dei passanti, neppure di porgere i saluto militare ai superiori incrociati verso la sala ove si sarebbe tenuta la riunione. Quando giunse chiuse la porta dietro di sé, abbassò la nuca lasciando fuggire dalle labbra un ringhio soffocato.

Ce l'ho anche io un cuore, il problema è che l'ho lasciato sotto terra “ pensò tra sé e sé nascondendo il volto tra le mani.

Lei si sentiva una ragazza dall'animo spietato, privo di compassione. Era sbagliata, lo sapeva e tutti narravano questo fatto, anche Trevis aveva udito le voci di corridoio riguardanti il suo conto, eppure non aveva mai accusato il suo modo di essere, ma a quanto pareva neppure lui l'accettava. Forse in quel minuto si era accorto della sua vera natura: spietata, letale, apatica.
<< Stai bene? Hai un aspetto di merda >>
La schiena di Lysa si rizzò, il collo si movimentò frenetico assieme agli occhi per ritrovare la fonte della voce severa: era il caporale Levi, se ne stava seduto all'angolo della stanza con le braccia incrociate.
<< Sto bene signore >> disse frettolosa cacciando giù in gola il tormento emozionale.
Prese posto a una sedia, erano poste in linee ritte e perpendicolari dinnanzi a una grande lavagna che occupava l'intera parete frontale.
Lysa voleva ignorare la faccenda appena accaduta ma Levi non glielo permise dato che aveva visto tutta la scena attraverso la finestra. Non aveva udito le parole, ma attraverso la mimica e gli sguardi dei soldati aveva compreso l'accaduto.
S'alzò in piedi e s'appoggiò al muro, di fianco seduta sulla sedia pieghevole c'era la soldatessa con il capo basso e lo sguardo incollato a terra.
<< Quel soldato non può più combattere, deve rassegnarsi e condurre un'altra vita >>
Finalmente lo sguardo di Lysa si innalzò
<< Mi stai dando ragione? >> chiese lei senza nascondere la sorpresa
<< No >> disse secco << non so cosa sia giusto o sbagliato, quali sia il modo migliore per rivolgersi a una persona menomata. Sto solamente dichiarando una situazione di fatto >>
I grandi occhi grigi si sbarrarono dinnanzi a quelli del suo superiore che parevano freddi, taglienti quanto l'acciaio, eppure Lysa sentì un piccolo formicolio formarsi nel petto.

Allora, forse qualcuno mi comprende” pensò tra sé e sé riabbassando lo sguardo. Non voleva mostrare gli occhi inumiditi, stava mettendo in pratica una regola d'ora appresa durante la vita: mai mostrarsi vulnerabili.
Levi allungò inconsciamente la mano verso la nuca e quando s'accorse del gesto che stava per compiere, la ritirò immediatamente tornando al proprio posto.
Era stato posseduto dall'istinto d'accarezzarle la testa come per porgerle una sorta di conforto.

sono proprio un coglione, lei non è mia figlia” pensò tornando al proprio posto, dall'altra parte della stanza, lontano da lei.


. *** .


Il contenuto della missione era stato narrato nell'arco di un'ora: Mikasa, Armin, Eren, dovevano costringere Annie a scendere giù, nel passaggio sotterraneo situato nella capitale, se questa nell'arco d'un minuto non fosse scesa con i tre, dieci persone dovevano intervenire per immobilizzarla: in tal modo non si sarebbe tramutata in un gigante. Era un incarico pericoloso, Trevis si offrì immediatamente volontario, anche Lysa: era un suo amico perciò non l'avrebbe lasciato solo.

Erano usciti dal castello e il corteo silenzioso si dirigeva verso la capitale, i soldati cavalcavano lentamente dietro una grande carrozza e altri carri contenenti gli armamenti necessari per affrontare il mostro.

Tutti erano rimasti ammutoliti, privi di domande e risposte ma anche sospettosi: se Annie era riuscita a infiltrasi così facilmente nell'esercito, quanti altri mostri sotto vesti umane esistevano?

Hanno fatto un bel lavoro, ora chi sta al nostro fianco può essere un nemico “ pensò Lysa notando quanto fossero sfuggenti e inorriditi gli occhi dei compagni.
Lei era rimasta sconvolta della rivelazione come tutti gli altri, ma Annie non l'aveva sorpresa: non la conosceva, difatti non s'erano scambiate neanche una parola, eppure l'aveva vista in mezzo ai soldati e la bionda le era rimasta impressa perché si comportava come se non facesse parte realmente dell'armata. Se ne stava sempre in disparte con quell'aria annoiata, come se nulla le interessasse realmente. La gente si comportava in tal modo quando doveva nascondere un grande segreto, quello di Annie era scabroso e rivoltante. Lysa provava nei confronti della giovane una strana comprensione perché anche lei si nascondeva, con il suo atteggiamento rigido e dispotico allontanava tutti, persino Trevis.

Ogni giovane stava silenziosamente racchiuso nei propri pensieri con una speranza nel cuore: che Annie non fosse realmente un gigante. Affrontarla dentro alle mura li terrorizzava, tutti rimembravano cos'era successo qualche anno fa quando le prime mure crollarono.
Lysa si guardò in giro e l'occhio cadde sulla carrozza, uno sguardo alla vetrata e vide una nuca color inchiostro, un'altra color grano. Il caporale Levi e il comandante. Si chiese il motivo per cui il guerriero più forte dell'umanità veniva dato che era ferito, quale utilità poteva mai avere un soldato ferito?
Cercò con gli occhi Eren e gli altri due soldati che avrebbero dato inizio all'operazione, non li vide, forse erano già arrivati alla capitale. Lysa scacciò via il pensiero, era solamente una soldatessa perciò si sarebbe limitata ad eseguire il compito affidatogli.
<< Lysa? >> guardò di sottecchi per scoprire un timido sorriso
<< Che vuoi Trevis? >>
<< Io … volevo chiederti scusa per quello che ho detto. Non ho riflettuto … >>
<< Sì, sei stato uno stronzo >> interruppe il filo del discorso con una tale repentinità che Trevis si ritrovò ad annuire silenziosamente. Era pentito e avrebbe raccattato su qualsiasi insulto pur d'essere perdonato.
<< Però lo sono stata anche io perciò lascia perdere la questione, concentrati sulla missione >> disse infine raddrizzando la schiena e riponendo gli occhi verso l'orizzonte.
<< Ok >> il sorriso del ragazzo si ampliò ma il suo cuore non si alleggerì, difatti con una certa titubanza parlò
<< Non posso fare quel che dici, non posso pensare alla missione … >>
Lysa gli rivolse un'occhiataccia ma con un cenno del capo lo invitò a proseguire. Era visibilmente nervoso, vedeva le sue mani tremare attorno alle cinghia di cuoio perciò era curiosa di sapere cosa affliggeva l'animo dell'amico.
<< Lo sai che questa potrebbe essere l'ultima volta che ci parliamo? >>
<< Taci! >> tagliò secca roteando gli occhi verso il cielo. Trevis aveva ragione, eppure non voleva udire discorsi dipartitici, quelli pieni di disperazione e rimpianti. Ne aveva uditi fin troppi durante la carriera militare.
<< Lysa, parlo sul serio … >>
Si voltò e non vedendo alcun sorriso lo invitò a proseguire il discorso con un cenno frettoloso del capo.
<< Ecco … >> le parole vacillarono pareva non essere più in grado di pronunciare alcun suono, difatti le sue labbra erano dischiuse ma neanche un ronzio usciva fuori dalla gola.
<< Che c'è? Un gigante ti ha mangiato la lingua? >> lo incalzò lei con quel fare impregnato di sarcasmo acido.
<< No, sei tu. Tu mi fai questo effetto ogni volta che provo a dirti questa cosa, il tuo sguardo divora il mio coraggio e le mie parole s'annullano >>
<< Trevis, che c'è? Sputa il rospo una volta per tutte e mettiamoci una pietra sopra! >> disse esasperata da quell'atteggiamento intimidito, da quando in qua l'amico dotato d'una parlantina fuori dal comune aveva paura di comunicare?
<< Io non voglio mettere una pietra sopra a quello che dirò >>
<< Che c'è, non vuoi più essere amico mio per quello che ho detto al ragazzo? >> sputò fuori irosa celando alla perfezione la paura d'una tale prospettiva.
<< No! >> s'affrettò a dire per poi recuperare la calma << O per meglio dire sì, io non voglio più essere un tuo amico perché vorrei essere qualcosa di più per te … >>
Il respiro di Lysa si bloccò nel petto il cuore cominciò a pulsare sempre più velocemente ma non espresse in alcun modo il suo stato d'agitazione, si limitò ad osservare gli occhi sfuggenti dell'amico.
<< Io, lo sai no Lysa? Tu mi piaci, mi piaci dalla prima volta che t'ho vista >> e lo sguardo di Trevis andò verso terra, aveva dovuto cacciare fuori dall'anima un grande coraggio per esprimere ciò che provava dato che temeva la risposta della ragazza, quella che appariva dinnanzi agli occhi di tutti come una persona fredda, priva di sentimenti. Trevis lo sapeva, tutti si sbagliavano: Lysa era calda come il fuoco e sentiva ogni cosa, l'unico problema era che lo nascondeva dannatamente bene.
<< Trevis >> il chiamato alzò lo sguardo speranzoso che quell'amore acerbo potesse essere ricambiato in un qualche modo, ma lei non lo guardava, manteneva gli occhi fissi verso l'orizzonte.
<< Io non posso essere la ragazza di nessuno >>


. *** .


La mano di Levi s'appoggiò sul ginocchio dolorante, ogni piccolo balzo compiuto dalla carrozza era un dolore. Balzo dopo balzo, dolore dopo dolore e il ginocchio pareva infuocato.
Era irrequieto ed evitava di guardare il volto di Erwin che stava seduto di fronte a sé. La sua agitazione era causata da tanti fattori, come il piano per catturare Annie, avrebbe funzionato? Quanta gente morirà? Quanti soldati? Quanti civili? La cosa che lo faceva più incazzare era il fatto di non poter scendere in campo a combattere, doveva rimanere nell'angolo a braccia incrociate come un misero osservatore.
Si voltò e attraverso il quadrato vetrato vide il profilo della ragazza proveniente dalla città sotterranea, non sembrava impaurita: seduta sul cavallo, manteneva la schiena dritta e lo sguardo fisso chissà dove. Non pareva preoccupata eppure aveva tutte le ragione per esserlo dato che s'era offerta volontaria per mettere in pratica il piano iniziale, quello che senza alcun dubbio sarebbe fallito dato che Levi pensava fosse impossibile impedire a una persona di procurarsi del dolore fisico. Bastava una misera unghia scheggiata per procurare un graffietto.
Lysa s'era offerta e Levi ne era convinto, era spacciata e sarebbe definitivamente scomparsa dalla sua vita assieme ad Erika. Il pensiero non gli procurò alcun sollievo, sentì una strano malessere accartocciarsi all'interno del petto.
Lysa si stava dirigendo verso il suicidio e lui non avrebbe fatto nulla per impedirglielo poiché era una soldatessa: arruolarsi nella legione esplorativa significava morire per l'umanità, la ragazza l'aveva capito perciò stava andando incontro alla propria scelta.
<< La conosci? >>
Levi si voltò incontrando il volto di Erwin.
<< Chi? >> chiese con quel suo fare sgarbato
<< La ragazza, quella con i capelli neri. La stai fissando da tempo >> osservò lui e Levi gli rispose con un'occhiataccia, una di quelle furenti dato che non voleva affrontare l'argomento, ma non si stupì della domanda. Erwin era un uomo intelligente, un'osservante impeccabile, per tal motivo era il capitano che dirigeva la legione.
<< Ti assomiglia tantissimo >> dichiarò infine e il corpo di Levi s'irrigidì. Non rispose giacché Erwin aveva capito tutto, aveva compreso il dilemma nascente nel suo essere. Il nome del padre della ragazza era scolpito sul suo viso, eppure non vi erano certezze, solo sospetti fondati su date e somiglianze fisiche.
<< Non vuoi fermarla? >> chiese infine Erwin guardando la ragazza col petto fiero
<< Non posso, ha fatto la sua scelta e non posso intervenire >>


. *** .

Un minuto.
All'apparizione di Annie, Eren Mikasa e Armin avevano a disposizione tale lasso di tempo per convincere la ragazza a direzionarsi giù, verso il passaggio sotterraneo. Se non ci riuscivano, i soldati dovevano intervenire per immobilizzarla.
Stavano tutti accovacciati e schiacciati contro le pareti, respiravano piano per non produrre alcun rumore. Erano tutti vestiti in abiti civili, anche Lysa. Con le dita andò a lisciare la lunga gonna, un gesto stupido e futile che le permise di non pensare al fatto che al suo fianco stava Trevis.
Era stata severa, forse troppo perché non s'erano rivolti alcuna parola dopo la sua affermazione, ma per quanto dolorosa Lysa s'era limitata a dire la verità. Non poteva essere la ragazza di nessuno poiché non voleva fare la fine delle donne che aveva incrociato durante la sua vita. Se avesse cominciato a dipendere in qualsiasi modo da qualcuno, primo o poi avrebbe cominciato a vivere nel nome di qualcun altro trascurando se stessa e alla fine sarebbe morta per quest'ultima persona. Succedeva così, indipendentemente dal rapporto instaurato si finiva per annullare se stessi pur di proteggere la persona amata.

E' meglio morire per una causa più grande di me che per una persona” pensò tra sé con una certa amarezza. Forse non esisteva un modo giusto di morire, alla fine si muore e basta, che sia per i giganti o per Trevis.
Arrivò Annie assieme a una persona incappucciata.
I soldati smisero di respirare. Un veterano picchiettò a suon di piuma il dito sul palmo della mano, ogni battito silenzioso indicava il secondo che scorreva. Lysa non svuotò la mente, quello poteva rivelarsi il suo ultimo minuto di vita e così fissò lo sguardo sul dito del soldato che si movimentava con cadenza regolare.
Pensò a Trevis e pregò che si salvasse, anche se non poteva essere la sua donna non voleva veder morire il suo amico.
L'indice colpì quindici colpi e il pensiero si direzionò verso una lunga chioma dorata come il sole. Immaginò le dita passare lungo la chioma ondulata, ne percepì la consistenza. La donna bionda sorrise e anche la piccola Lysa, quella vissuta all'interno della gabbia rocciosa.

Chissà dov'è ora? Chi starà mai toccando quei capelli luminosi?” pensò fra sé e sé.
Rimanevano altri dieci rintocchi silenziosi, a chi poteva rivolgere il suo ultimo pensiero? All'umanità? Ai giganti? Alle prostitute del bordello? A se stessa?
Non c'era più tempo, il dito si bloccò, i sessanta secondi erano trascorsi e la figura di Annie stava immobile con i piedi incollati al suolo.

E' giunta l'ora di andare. ciascuno di noi va verso la stessa strada: io a morire voi a sopravvivere. Che cosa sia meglio, nessuno lo sa.”
Un cenno della mano e via, armati di corde i soldati partirono, verso la morte, verso l'oblio, verso la vittoria.



Ciao :)

Inannzitutto chiedo scusa a tutti i lettori, ho avuto un periodo abbastanza pieno e il tempo dedicato alla scrittura è andato a quel paese >.<
Comunque sia ecco qua il settimo capitolo, devo dire che ho dato poco spazio a Levi ma non temete, sarà molto intesnso.
Che posso dire di Lysa? E' il personaggio più contorto e difficile che abbia mai creato e beh … spero vi piaccia XD
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, non vedo l'ora di conoscere le vostre impressioni,  mi rendono sempre molto felice <3

Dedico un abbraccio a tutti coloro che continuano a leggere questa folle storia ;)
un altro abbraccio
Mistiy

P.S. La faccenda della missione basata sul “minuto” ovviamente me la sono inventata, spero l'abbiate trovata plausibile >.<

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Capitolo 8
*** Abbandono ***


Abbandono


Levi osservava il fumo levarsi verso l'alto assieme alla gigantessa.
Osservò la coltre fumosa ove le anime dei dieci soldati volontari si erano dissolte per levarsi verso il cielo sospinte dal vento .
La terra tremava sotto piedi, le mura tremavano, le persone, le cose vibravano sotto i passi titanici.
La coltre di fumo diventava sempre più fitta e Levi vide un'altro gigante innalzarsi verso l'alto. Un ruggito echeggiò, sobbalzò sopra ogni cosa e il mondo pareva volersi capovolgere.

 Potrebbe essere viva” pensò non credendoci affatto. Osservò da lontano i giganti rincorrersi e se li immagina, dei pezzi di Lysa stavano sotto le piante dei loro piedi.
Levi stava a sedere su una cassa di legno con la schiena incurvata verso il basso e i gomiti poggiati sulle ginocchia. I ciuffi neri ricadevano sugli occhi, nel campo visivo rientrano soldati esagitati. Azionarono il 3D per andare verso i giganti con le gambe tremanti ma con l'animo d'acciaio.
<< Levi >> si voltò e vide Erwin in piedi, al suo fianco stava Nile a braccia incrociate con le ciglia corrucciate.
Lo sguardo dell'amico indicò un punto lontano, ove le case si erano sostituite alle macerie.
<< Lo so che vuoi andare, perciò sbrigati >>
<< Dove diamine dovrei mai andare? >> sputò fuori arido. Quanto lo infastidiva il fatto che Erwin aveva già intuito ciò che stava accadendo nel suo cuore
<< Lo sai >> disse infine Erwin con tono solenne.
Uno sbuffo carico di stanchezza escì dalle labbra. Levi non voleva andare a vedere ciò che restava di Lysa ma doveva farlo per chiudere definitivamente la faccenda riguardante Erika. Solamente guardando il corpo privo di vita della giovane avrebbe potuto dire per sempre addio al suo passato.
Senza dire alcunché si alzò, a passa storpiato si diresse verso la meta rivelatrice.


. *** .


Due occhi si spalancarono, si immerssero in una spessa coltre fumosa.
L'aria bruciava, entrava a fatica nei polmoni, questi sembrano infilzati da tanti piccoli aghi infuocati.
Lysa aprì la bocca e boccheggiò incapace di trattenere ossigeno. Si sentiva schiacciata e non vedeva nulla. La terra tremava ma non riusciva a sentire alcun rumore, le sembrava d'essere all'interno d'una bottiglia e lei era liquido privo di forma e consistenza. Sentiva solamente una grande pressione che la schiacciava verso il basso.
Comandò alla mano di muoversi e questa strisciò piano. La vide scivolare lungo la roccia.

 allora son viva “ pensò con stupore ma il sentimento venne immediatamente sostituito dalla paura quando avvicinò la mano al proprio volto. Era scarlatta. Roteò gli occhi all'impazzata e il fumo si affievolì. Il pavimento sotto stante era scarlatto. Gli occhi girarono ancora di più e vide braccia, gambe, articolazioni rosse sparse ovunque.
<< Trevis … >> voleva urlare il suo nome per farsi sentire dall'amico, ma dalla gola uscì un misero brontolio.
Comandò a quel corpo di muoversi ma quest'ultimo pareva essere una massa informe disobbediente. Lente e tremanti le mani si movimentarono e toccarono roccia dura e aguzza. Gli ci vollero pochi secondi per realizzare il fatto che era schiacciata sotto un masso. Prese coscienza del suo corpo e del suo dolore, difatti dalla vita in giù era bloccata.
Tastò la superficie sovrastante, la graffiò cercando inutilmente di spostare quello che pareva un blocco roccioso.

 La mia strada è stata segnata, morirò qui “ pensò cercando inutilmente di portare ossigeno ai polmoni.
Rassegnata lasciò le braccia cadere giù, contro il pavimento tappezzato da pozzanghere scarlatte.
Lasciò le palpebre calare verso il basso, la sua sarebbe stata una lotta inutile quanto dolorosa. Non ne valeva la pena, lo sapeva.
Nelle orecchie si ripercuoteva un lungo ronzio, sonoro rimbalzava contro le pareti del cranio. Quello era il canto della morte, la incitava ad arrendersi, a calarsi in quel ronzio poiché fra pochi istanti tutto sarebbe finito. Il mondo sarebbe divenuto un posto silenzioso privo di colori e rumori. Il canto della fine era così silente ma al contempo assordante, un rumore che pareva un ossimoro ma la morte è così per tutti gli uomini: un ossimoro inconcepibile giacchè noi siamo vita e non possiamo comprendere la fine di quest'ultima.
Le palpebre calarono ma si riaprirono quando vide due occhi grigi come i suoi.

 Il caporale Levi “ constatò con apaticità. Vide le sue labbra muoversi ma non udì alunchè, nemmeno l'uomo più forte dell'umanità poteva azzittire il canto mortuario.
Vide il suo volto accartocciarsi in mille pieghe.

 sta provando compassione per me? “ pensò non sapendo come interpretare quell'apparizione così inaspettatata. Quando scomparve dalla sua vista un certo senso di sollievo si insinuò in lei poiché voleva morire sola, non voleva essere scrutata da nessuno durante i suoi ultimi faticosi respiri. Non sarebbe potuta crepare in pace sotto occhi esterni.
La pressione percepita fino a quel momento svanì, il ronzio scordante venne sostituito da un urlo, non sembrava appartenere un umano. Era lungo ed echeggiante, così stridulo che i timpani presero a bruciare. Lysa si rese conto che quella disperazione non proveniva da una fonte esterna ma dalla sua gola.
Il corpo divenne una massa solida costituita da dolore. Respirò a fondo ma i polmoni vennero bloccati. Inclinò la testa e vomitò sangue.
La mente, il corpo parevano essere impazziti, gli occhi rotearono verso l'alto e l'ultima immagine che riuscì a identificare fu il volto del caporale Levi.


. *** .


Levi stava seduto su una sedia a gambe incrociate con gli abiti impolverati.
Al suo fianco c'èra Lysa sistemata sul letto ospedaliero.
Levi si tastò le mani sporche e colme di graffi. Per salvare Lysa aveva dovuto sollevare quel pezzo di muro che la comprimeva impedendole di respirare. Lo aveva sollevato e poi se l'era caricata sulla spalla con una tale velocità, l'aveva portata dai soccorritori. Questi l'avevano medicata alla bene meglio, le avevano fatto sputare tutto il sangue che le impediva di respirare e poi l'avevano posta su un carro diretto verso il primo ospedale. C'era salito anche lui, quando arrivarono una squadra di medici la caricò su una barella per trascinarla in sala operatoria. Levi aveva atteso ore fino a quando non venne posta nella stanza a fine operazione.

La mano sporca andò a infossarsi tra i capelli neri. Era stanco, terribilmente stanco.
Quando era giunto nel luogo in cui Annie s'era tramutata in gigante, s'aspettava di vedere un pezzo di cadavere e invece non fu così. Vide una ragazza boccheggiare stancatamene ma era ancora viva. Quando i suoi occhi si movimentarono … quale gioia immensa naque nel suo cuore! Una gioia che venne immediatamente sostituita dal terrore di veder morire la ragazza. Lysa doveva assolutamente vivere perchè Levi non era disposto ad aggiungere un altro nome nella lista delle anime scomparse.

Strinse forte le mani callose e ripensò a quello che aveva provato nello stringerla forte a sé.
Si dimenava urlava di dolore con gli occhi bianchi privi di pupille. Una persona compassionevole le avrebbe dato un colpo di grazia mettendo fine a quell'agonia espressa dalle urla agonizzanti, eppure non ci era riuscito. L'aveva stretta forte a sé trascinandola dai paramedici. Il suo cuore aveva preso a battere talmente forte che i rumori erano scomparsi.
Durante tutto il tragitto non riuscì a staccare gli occhi da quella minuta ragazza ricoperta di sangue, il suo petto scalpitava su e giù con la stessa cadenza del passo di un cavallo impazzito. Levi stringeva le braccia attorno ai fianchi per reprimere l'impulso d'accoglierla tra le sue. Ne era certo, sarebbe morta durante il tragitto e lui non voleva mollarla neppure per un secondo finchè il suo corpo era ancora caldo.
Non sapeva spiegarselo, che fosse sua figlia o meno, che fosse figlia di ERika o no, non voleva perderla di conseguenza non poteva lasciarla andare.


La sala dove riposava Lysa era stracolma di letti occupati da altrettanti soldati. Gli infermieri agitati si movimentano tra gli schiamazzi e le urla doloranti. Anche quella missione era stata devastante ma questa volta erano state coinvolti anche i civili, difatti vedeva uomini privi d'armatura agonizzare.
Vide parecchi giovani, dovevano avere la stessa età di Lysa e Levi si ritrovò a pensare ai loro padri che se ne stavano nell'ansia a pregare per la vita del proprio figlio. Fu inevitabile, cascò nel ricordo di Petra, più precisamente in quello di suo padre.
Quel giorno gli si era avvicinato con entusiasmo narrando quanto la ragazza fosse energica, che doveva vivere ancora così tante avventure. Levi lo ascoltò in silenzio perchè lui stesso aveva visto quel corpo esamine rotolare via nella landa verde. Petra era destinata a decomporsi nel verde e non riuscì a comunicare tale fatto al padre.


Prese un fazzolletto inumidito dalla tasca, si pulì le mani impolverate con energia, c'erano delle chiazze vinacce essiccate sui palmi, erano residui del sangue di lysa.
Strofinò fino a quando non scomparvero.
Gettò nella pattumiera il bavero giallastro e una strana nausea strinse il suo stomaco.
Sì voltò verso la ragazza, era viva ma ferita.
Le avevano bloccato l'emorragia interna, la gamba sinistra era stata praticamente frantumata perciò gliela avevano ricostruita con del metallo, difatti questa era ricoperta da un grande gesso dal quale uscivano fuori lunghi chiodi.
I medici dissero che sarebbe sopravvissuta, non si sapeva in quale stato ma il suo cuore continuerà a battere.


La pelle della ragazza era cerea quanto il lenzuolo sotto al quale riposava. Grandi chiazze grige ricoprivano il suo volto, sangue secco e raggrumato era cosparso lungo la fronte. Guardò il volto macchiato con un certo disgusto, vederla in quello stato feriva il suo animo, lo sporco presente sul suo volto lo irritava. Allora prese dalla tasca un altro fazzoletto bianco e con delicatezza passò lungo il volto.
Riconobbe le labbra formose di Erika, i suoi zigomi alti, le lunga ciglia scure e poi vide altro.
Lo stracciò passò lungo il profilo di quel naso posto all'insù, vide delicate sopraccigliare nere e capelli scuri quanto le ombre della città sotterranea. Quelle caratteristiche le aveva viste tante volte nel suo stesso riflesso.
Stancamente Levi si risedette sulla sedia e un sospiro flebile scappò dalle labbra.
Non aveva più alcun dubbio, non conosceva la ragazza eppure lo sapeva, Lysa era nata da quell'amore impacciato condiviso con Erika anni fa. Poteva chiedere a Hanji di effettuare qualche accertamento tramite esami del sangue ma gli parevano così inutili.
Quale paura aveva provato nel vedere Lysa in quello stato e quale angoscia sentiva nel vederla riversa in quel letto? Le sue ossa erano stanche e indolenzite ma il suo petto bruciava come se fosse stato trafitto da una spada infuocata. Da anni non provava una tale apprensione nei confronti di qualcuno, ogni volta che l'occhio cadeva su Lysa sentiva il sangue caldo rabbrividire all'interno delle vene.
Poteva costruirsi tutte le scuse mentali possibili ma Lysa era sua figlia e che razza di padre le era capitato? Un uomo incapace di manifestare il suo affetto, un uomo talmente ferito e colmo di ombre che ha bruciato tutta la strada addietro per divenire un soldato spietato.

 Che cazzo di padre potrò mai essere? “ pensò con una certa rabbia rancorosa e il pensiero cadde su Kenny. Non l'aveva chiamato mai “padre” eppure di fatto lo era stato. Lo aveva raccolto dalla strada, gli aveva dato un pugnale in mano e gli aveva insegnato a sopravvivere a suon di calci e rimproveri. Quello era l'unico esempio di padre che avrebbe mai potuto mettere in pratica, ma Lysa non se lo meritava. Nessuno si meritava un padre del genere. Nonostante il disprezzo nei confronti di Kenny, un dolore allo stomaco nacque nel rimembrare l'ultimo giorno in cui lo vide.

. * .


Un vecchio ubriacone l'aveva sbattuto a terra per divertimento. La sua risata bassa e roca rimbalzò tra le pareti rocciose assieme a un generale vociare.
Levi cercò d'alzarsi in piedi e per un attimo vide tanti volti divertiti attorno a sé, vide anche un impermeabile bianco ma non potè registrare l'immagine poiché un calcio in faccia annientò ogni possibilità di rialzarsi. Le risate aumentarono assieme al dolore causato dal calcio.
Sentiva il sangue scorrere e battere veloce lungo le vene e ne era certo, Kenny era tra quei spettatori ridenti. Un altro calcio arrivò sulla schiena e un'altra certezza naque: Kenny era lì e non avrebbe fatto niente per aiutarlo, se la doveva cavare da solo per dimostrargli che aveva assorbito ogni suo insegnamento, che non era più un moccioso ingombrante ma un giovane assassino.
Alzò il volto dal fango sottostante e senza pensare al dolore, tornò in posizione eretta. Guardò in faccia il vecchio panzone sdentato che rideva senza ritegno, come se si trovasse dinnanzi a un piccolo scarafaggio da schiacciare, ma Levi non lo era affatto. Prese la forza dalla rabbia, dall'orgoglio di dimostrare quello che era dinnanzi agli occhi del padre e si mosse con agilità. Colpì le ginocchia grasse per atterrarlo, scagliò calci e pugni per renderlo silenzioso e inoffensivo, infine sguainò il pugnale. Sentiva gli occhi di Kenny addosso perciò pose la lama sulla carotide dell'uomo morente e urlò parole minacciose piene di Ira, in tal modo nessun altro si sarebbe avvicinato a lui, nessun altro avrebbe osato mettere in dubbio la sua forza.
Roteò lo sguardo e nel campo visivo rientrarono volti stupiti, altri impauriti, altri ancora sconcertati ma di quella nicchia anonima non gli importava un bel niente. Voleva vedere per una volta quegli occhi perennemente sprezzanti colmi d'orgoglio. Non s'aspettava di certo una pacca sulla spalla accompagnata da un commento approvativo, però non s'aspettava neppure di vedere l'uomo che l'aveva cresciuto camminare via.
La sua schiena si dirigeva verso la strada opposta alla sua e nella testa di Levi nacque spontaneamente una domanda: Ho sbagliato?
Aveva messo in pratica i suoi insegnamenti, s'era difeso massacrando di botte l'assalitore eppure Kenny scomparve.
Lo ricercò tra le strade buie nella speranza di rivederlo per caso ma lui s'era dissolto nel nulla. L'aveva abbandonato e il giovane Levi rimase solo e privo di risposte.

. * .


Lo aveva abbandonato e per lungo tempo lo aveva segretamente rimproverato ma con gli anni capì che Kenny gli aveva dato la possibilità di sopravvivere in quell'inferno roccioso. Che fosse suo padre o meno, gli aveva regalato tutti gli strumenti necessari per uscire dalla città sotterranea, perciò non poteva far altro che provare riconoscenza nei sui confronti. Nessun legame di sangue li univa dato che mai s'era dichiarato padre, se n'era andato e Levi non poteva pretendere alcuna spiegazione per tal fatto. Come poteva rimproverare Kenny in quel momento? Lui aveva fatto la stessa cosa, aveva abbandonato Lysa.

Quel giorno lontano quando aveva ritrovato il cadavere di Erika, s'era limitato a consumare la vendetta per poi seppellire il corpo della giovane. Non aveva minimamente preso in considerazione il fatto che la donna potesse avere dei legami, né tanto meno una figlia, per tal motivo non s'era preso il disturbo di comunicare il decesso della donna. L'aveva seppellita in silenzio.
Sarebbe dovuto tornare all'alloggio di Erika e magari lì avrebbe trovato una piccola Lysa impaurita, sola e abbandonata.

 Che cosa avrei mai potuto fare?” pensò Levi. All'epoca aveva in testa un'unica cosa: la cittadinanza e salvare dalle fogne Isabel e Farlan. Se avesse trovato Lysa? Si sarebbe comportato come un padre? Sarebbe stato capace d'accollarsi il peso della sua vita sulle spalle?
Levi non lo sapeva, domande su domande s'accavallavano nella testa e un'unica certezza s'affermò: lui non poteva essere padre. Era un criminale violento con le mani sporche di sangue umano, poi era divenuto un soldato con l'armatura sporca del sangue dei giganti. Il sangue di questi ultimi evaporava via ma l'odore marcio d'interiora lacerate rimaneva addosso.
Un assassino non poteva essere un padre, era una contraddizione che non poteva stare in piedi: l'assassino strappa via la vita, il padre la dona per poi proteggerla. Lui non apparteneva a quest'ultima categoria, ne era certo.
Anche senza la sua presenza Lysa era cresciuta bene visto che era riuscita a sopravvivere nella città sotterranea perciò anche senza il suo intervento, sarebbe andata avanti.
Levi s'alzò in piedi pronto per camminare via verso la legione per capire cosa stesse succedendo, l'esercito necessitava della sua presenza, invece Lysa no. Era cresciuta senza di lui fino a quel momento, ora mai era grande perciò se la sarebbe cavata benissimo da sola. Rivelare la paternità sarebbe stato doloroso per Lysa poiché magari aveva un padre seppure non biologico al quale era affezionata.
Magari era stata cresciuta da un umo amorevole oppure da un cinico killer, cosa importava?
Chi diamine era lui per stravolgere questa possibilità? Nessuno, era solamente un uomo.
Con questa convinzione attraversò i corridoi dell'ospedale per andarsene via con la speranza di poter scacciare via il desiderio di rivederla.


Ciao! :)

La storia oramai sta giungendo verso la fine, mancano un paio di capitoli.
Non ho rispettato perfettamente il filo narrativo del manga ma nonostante ciò spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Ringrazio tutti coloro che continuano a leggere questa storia, che commentano, che l'hanno inserita tra le seguite, preferite o ricordate.

Un abbraccio grande
Mistiy




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Capitolo 9
*** dove ho lasciato la mia vita ***


Dove ho lasciato la mia vita

448

Il diario di Lysa


Degradante”,
Definiscono così la città sotterranea, di conseguenza la gente che vive là sotto è “degradata”. Strano, quando ero una bambina non sapevo neppure cos'era il degrado; passavo le giornate nella polvere con i miei coetanei, giocavamo, ci azzuffavamo, ci mordevamo per poi tornare a casa pieni di lividi. Ammazzavamo il tempo così.
Tornavo a casa e aspettavo il rientro di mamma, lavorava tanto e io avevo un sacco di tempo libero così quando non stavo fuori a rotolarmi nella polvere, lavavo il piccolo alloggio da cima a fondo. Quando giungeva a casa, mamma era felice di trovare la catapecchia pulita.
Il mondo sottoterra è piccolo, cupo, sporco quanto la tana d'un topo, ma il mio pianeta iniziava e finiva nella mamma. Era un mondo caloroso, piccolo ma al contempo immenso. L'affetto che mi donava non poteva essere quantificato, tuttora non so dargli una dimensione.
Aspettavo sempre il suo rientro e quando giungeva scoppiavo di gioia poi ci sedavamo alla tavola apparecchiata per mangiare.
Mamma mi prometteva che si sarebbe presa un giorno libero per stare con me perché ero piccola e non dovevo trascorrere tutto quel tempo da sola. Non lo faceva mai, il lavoro assorbiva tutto il suo tempo ma non m'interessava, m'accontentavo della promessa e sorridevo.

Mi bastava fermarmi pochi attimi con lei per essere felice.
Il sole non batteva nella città ma non m'importava un granché, passavo le dita tra i capelli biondi, l'abbracciavo e mi sentivo già riscaldata, chi aveva bisogno del sole quando c'era qualcuno che t'amava?
Il tutto non m'appariva così degradante.
Trascorsi così la mia infanzia e mai neppure per una volta ho pensato d'essere una persona degradata, ma poi si cresce e io dovetti farlo in fretta.


Successe un giorno, credo d'aver avuto allora dieci anni e come al solito mamma tornò a casa. Non sorrise, non si complimentò per l'odore di pulito, per l'assenza di polvere in casa. Era strana, sotto gli occhi s'erano formati due solchi neri quanto le sue pupille. Camminava con lentezza a schiena incurvata.
<< Mamma, stai bene? >> domandai con titubanza
<< Sì, sì . Devo solo riposarmi. Non preoccuparti >> sorrise per poi nascondersi sotto le coperte. Mi rassicurò più di una volta del suo stato di salute, eppure il timore si fece spazio nella mia anima.


Il timore dopo due giorni si tramutò in terrore poiché era ufficiale: la malattia s'era insidiata nella nostra casa.
Da quando s'era messa a letto non s'era più alzata. Non faceva altro che dormire, il suo respiro pesante veniva spezzato da colpi di tosse potenti e io tremavo. Avevo visto così tante persone scomparire, forse era giunto il momento di mamma ma non potevo accettarlo.
Dormiva ma io mi ostinavo a svegliarla perchè doveva nutrirsi per combattere la malattia, lei apriva le palpebre lentamente e mi liquidava con parole confortevoli del tipo “ non preoccuparti, fra qualche giorno starò bene”.

Passò una settimana e non ero più impaurita ma terrorizzata! Mamma era cambiata: le sue guance erano scavate e il colore della sua pelle aveva assunto sfumature bluastre.
Dovevo fare qualcosa e così alla mente balenò un'idea: aveva bisogno di un farmaco e solo chi vive nella città sotterranea sa quanto è difficile procurarsene uno, li vendevano al mercato nero, erano pochi e talmente cari che la gente s'indebitava per acquistarli. Non era il nostro caso, noi avevamo dei soldi messi da parte. All'interno dell'armadio c'era una piccola scatolina di legno colma di banconote stropicciate, ogni volta che mamma tornava a casa dal lavoro metteva all'interno qualche soldo.

Questi soldi sono intoccabili Elysa, li useremo per uscire dalla città sotterranea” mi disse una volta.
Stando ben attenta a non produrre alcun rumore, aprii l'armadio, rovistai tra gli ammassi di stoffa alla ricerca del piccolo tesoro. Quando lo presi tra le mani un grignolino di gioia mi sfuggì dalle labbra e purtroppo svegliai anche mia madre. Venni colta in fragrante: nel momento in cui i nostri sguardi si scontarono, nascosi dietro la schiena la scatola rettangolare ma fu inutile poiché mia madre ci vedeva dannatamente bene.
<< Rimettilo al suo posto >> la sua voce era fioca ma il rimprovero giunse forte e chiaro alle mie orecchie.
<< No >> dissi guardando le punte delle mie scarpe. Mamma raramente mi sgridava poiché era una donna affettuosa e ogni rimprovero era rivestito da un tono vocale morbido sempre accompagnato da un mezzo sorriso, ma quella volta il suo volto era spaventoso. La sua voce era flebile e ruvida quanto la carta vetrata, mille pieghe s'erano formate lungo la fronte.
<< Rimettili al suo posto >> m'intonò con un velo di minaccia insito nella voce.
Scossi la testa senza innalzare gli occhi.
<< Smettila di fare i capricci e rimetti la scatola al suo posto … >> innalzò il tono vocale ma la frase rimase sospesa nell'aria poiché fu colta da un ruggente colpo di tosse.
Cercava di soffocare il rumore ponendo la mano sulla bocca, ma la tosse promanante dai polmoni era talmente rumorosa che mi spaventai. L'avevo fatta agitare e un malato doveva starsene tranquillo, così rimisi la scatola al suo posto e mi affiancai a lei per massaggiarle la schiena.
Quando finalmente smise di tossire, scostò la mano dalla bocca. Sul palmo s'erano deposte gocce di sangue.Guardai il rosso e fui colta da una disperazione ceca.
<< Mamma, non morire! >> urlai e lei non si scosse. Si limitò a guardarmi mentre cercavo di trattenere le lacrime brucianti.
<< Non posso deciderlo io, ma anche se morissi la vita continua, tu vivrai anche senza di me … >>
<< No, no! >> urlai forte ponendo le mani contro le orecchie. Non volevo sentirla, non poteva arrendersi perché non potevo immaginare una vita senza di lei.
<< Elysa … >> intrappolò la mia testa fra le  mani e mi guardò dritta negli occhi, aprì le labbra ma io le impedii di parlare poiché urlai
<< Abbiamo i soldi! Usiamoli per curarti! >> sbottai, quanta paura rivestita di rabbia s'era insinuata nel mio cuore.
Lei incurvò le labbra verso l'alto rivolgendomi un sorriso forzato.
<< No, quelli non si possono toccare. Sono per la tua cittadinanza >>
<< Non me ne importa nulla! Se tu non ci sarai più che cosa me ne faccio della cittadinanza?! >>
<< Per vivere una bella vita >>
Piansi e l'abbracciai forte. Non le dissi che non potevo esistere senza di lei, non riuscivo neppure a immaginarmi un futuro. In fondo ero una mocciosa e nessun moccioso presente al mondo vuole assistere alla morte del proprio genitore.
Piansi tanto e lei si limitò ad accarezzarmi la schiena. Non disse nulla per tutto il tempo, mi cullò e tra un singhiozzo e l'altro m'addormentai.


Il giorno seguente mi risvegliai sola con gli occhi gonfi e brucianti. Un senso d'affanno mi colse vedendo il lato del letto accanto vuoto.
La morte se l'è portata via!” pensai, come se un morto potesse camminare via così facilmente, quanto ero stupida? I cadaveri rimangono immobili a decomporsi, fino a quando non puzzano talmente tanto che qualche buon samaritano li getta via da qualche parte.
Difatti la morte non se l'era portata via, mamma rincasò dopo poche ore. Il mio cuore scoppiò di gioia quando la vidi estrarre dalla borsa un flacone di vetro. Si trattava del suo salvavita, noi del ghetto chiamavamo così i farmaci.
Le andai incontro e l'abbraccia stando attenta a non farle male, diavolo s'era consumata così tanto nel giro di poche settimane!
<< Hai utilizzato i soldi della cittadinanza! >> non glielo domandai, era un'esclamazione esuberante giacché aveva deciso di non lasciarsi morire.
Lei slacciò l'abbraccio e mi rivolse un sorriso strano, non era malinconico, forse beffardo. Tutt'ora non lo riesco a interpretare, comunque sia mi disse : << no, quei soldi non si toccano >>
Io scrollai le spalle, come si fosse procurata il denaro non poteva fregarmene un bene amato niente. Ero troppo felice per preoccuparmene.

Passo dopo passo, giorno dopo giorno riprese le forze. Certo dormiva molto e non era nelle condizioni di lavorare perciò il cibo scarseggiava a casa, dato che quei dannati soldi non si potevano toccare, mi dilettai in piccoli furti. Quando mamma dormiva andavo al mercato nero, mi nascondevo nella baraonda di gente e furtiva allungavo la mano qua e là rubando il cibo presente sui banchi, tali volte riuscivo a prendere anche dei portafogli. Mi procuravo il necessario per mantenerci in vita.
L'unica cosa che m'importava era che lei si stava riprendendo: le guance tornavano piene, gli occhi più lucidi e la pelle non era più così pallida. Mamma si stava rigenerando e la mia vita sarebbero tornate quella di sempre. Io fuori a giocare con i miei coetanei, poi a casa ad attendere il suo rientro.


Quel giorno fu il rumore della serratura a svegliarmi. Mi alzai di scatto con gli occhi semi chiusi e vidi mamma dinnanzi alla porta.
<< Esci? >> chiesi stropicciando le palpebre con le dita.
<< Sì >>
<< Vai a lavorare? >>
Non ripose subito, ma alla fine annuì, allora rasserenata dalla conferma mi sdraiai con la sicurezza che tutto era tornato come prima.
Mia madre m'impedì di chiudere gli occhi perché si sedette sull'orlo del materasso.
<< Elysa? >> alzai gli occhi per incrociare quelli neri di mamma. Le sue labbra erano incurvate verso il basso e trovai il fatto alquanto strano. Pensai che doveva comunicarmi qualcosa d'importante e così mi sforzai di tenere le palpebre aperte.
<< Se qualcuno bussa alla porta tu non aprire, mai, per nessuna ragione, chiaro? >>
Annuì, era una cosa che mi diceva sempre prima d'uscire
<< Ricordati che i soldi quelli nascosti nell'armadio, non si toccano. Servono per comprare la cittadinanza. Quando sarà il momento opportuno, tu vai dai gendarmi con i soldi in tasca >>
Annuii di nuovo. Era una delle tante raccomandazioni.
Ci fu un momento di silenzio, durò qualche istante e vidi gli occhi di mamma diventare liquidi come inchiostro. Non mi diede il tempo di preoccuparmi di tale cosa perché le sue labbra s'incurvarono verso l'alto e mi regalò un sorriso stupendo, uno di quelli capaci di dissipare ogni dubbio, d'eliminare ogni incertezza.
<< Ricordati che ti amo >> mi accarezzò la guancia e sorrisi. Anche quella era una delle tante cose che mi diceva.
Mi addormentai immediatamente, con la certezza che sarebbe tornata per ridirmelo.


Mamma non tornò.
Nessuno bussò alla porta.
Non so quanto tempo trascorsi chiusa in casa, fatto stava che alla fine uscii per cercarla tra le strade. Ovviamente non la trovai.


Erapassata una settimana, la trascorsi in solitudine, tali volte uscivo per cercarla ma poi tornavo sempre a casa. Per non pensare, per non annegare nella preoccupazione, pulivo. Ogni angolo, ogni mobile, ogni crepa, io la rendevo immacolata così che quando mamma sarebbe tornata a casa … che gioia! Quella casa doveva risplendere a tutti costi

I giorni passavano e qualcuno bussò alla porta
<< Erika? Sei in casa? >> con insistenza continuò a bussare. Era una voce femminile e non pareva affatto minacciosa così decisi d'infrangere il comando di mamma e con titubanza aprii l'uscio. Mi ritrovai dinnanzi a una donna alta con il volto pieno di lentiggini e una testa colma di ricci focosi.
<< Tu sei la figlia di Erika, giusto? >>
<< Sì , tu chi sei? >>
<< Sono adriana, una collega di lavoro di Erika. Dov'è tua madre? Non si fa viva da giorni >>
<< Non lo so. >>
<< Davvero? >> disse sbarrando le palpebre senza celare la preoccupazione, la stessa che mi stava divorando da giorni.
<< allora chiederò in giro dove si è cacciata …. >>

La donna sparì per poi ripresentarsi qualche giorno più in la. Mi disse che mia madre pareva essere scomparsa nel nulla, nessuno sapeva dove s'era cacciata e così mi propose d'andare a vivere con lei ma declinai l'offerta. Quella poveretta aveva già cinque figli da tirare su e poi io ce l'avevo già una mamma, non volevo sostituirla. Non era né morta né scomparsa, sarebbe tornata, ne ero certa. Non avrebbe mai osato lasciarmi sola.

Lei era il mio mondo nonché il terreno sul quale poggiavo i piedi, dove sarei mai potuta andare? Senza il mio suolo sarei precipitata punto e basta. Con questa convinzione lavai da cima fondo casa, andai persino a pulire gli angoli spigoli, mi arrampicavo sui mobili alti perchè volevo eliminare qualsiasi granello di polvere. Serrai la porta, chiusi le finestre, perchè la casa era immacolata e l'aria malsana della città non doveva contaminarla. Trascinai il materasso nell'ingresso, sotto alla porta così quando mamma sarebbe tornata a casa l'avrei accolta a braccia spalancate, e lei sarebbe stata tanto felice di trovare la casa immacolata.
Tutto sarebe tornato come prima. Mamma, io, la casa pulita, mi bastava questo per essere felice.

I giorni passarono e mamma non tornò, io non volevo uscire ma le scorte di cibo erano terminate, i soldi c'erano ma quelli erano intoccabili così andai a bussare alla porta di Arianna
<< Dove lavorava mamma? >> gli chiesi, avevo deciso di cercare un lavoro e magari potevo sostituirla ma di fatto non sapevo che mestiere praticasse, neppure l'ubicazione del luogo.
La rossa storse il naso << se tua madre non te l'ha detto ci sarà un perchè >>
<< Non m'importa, portami nel luogo in cui guadagnava il pane perché anche io devo mangiare >>
<< No, sei troppo piccola! >> sbottò lei irritata ma io me ne infischiai, insistetti così tanto che alla fine decise d'accompagnarmi. La strada non fu lunga, qualche isolato ed Arianna mi indicò una grande case marrone incastonata tra le catapecchie laterali. Non cadeva a pezzi come la maggior parte delle costruzioni della città sotterranea. Era alta, dotata di sei piani.
M'incamminai verso il porticato dove stavano delle donne agghindate, non udendo il rumore dei passi di Arianna mi arrestai per domandarle
<< Tu non vieni? Non lavori anche tu qua? >>
<< Oggi è il mio giorno libero e non voglio sprecarlo lì dentro >>
Scrollai le spalle per marciare verso la casa colossale
<< Aspetta >> esclamò la rossa e io mi voltai
<< Tua madre faceva la donna delle pulizie, domanda per questo lavoro, se Lukro ti vuole affidare un'altra mansione non accettarla, capito? >> le pronunciò con una serietà unica così annuì per accontentarla, solo in seguito capii il senso delle sue parole e oggi la ringrazio per averle pronunciate: il vecchio proprietario disse che le mie mani erano troppo belle per essere immerse nel detersivo, io non gli credetti e alla fine diventai la bimba delle pulizie del bordello.



Non sapevo che mestiere praticasse la mamma, lavorava tanto perché s'assentava anche per giorni da casa ma io non ero curiosa, non m'interessava come si procurava il necessario per vivere. in fondo ero una bambina, mi bastava che tornasse a casa e il resto non era rilevante..
La consapevolezza del mestiere che le donne praticavano arrivò gradualmente a passo scalzo. Non sapevo cosa fosse il sesso fino a quando non lo vidi, sì lo vidi con i miei occhi. Stavo pulendo il corridoio del piano superiore, una delle tante porte era socchiusa e da questa giungevano rumori soffocati che non parevano appartenere a bestie. Spinta da una curiosità timorosa, mi accostai alla porta e sbirciai, quello che vidi mi sconvolse: due corpi nudi, la donna stava sotto a gambe aperte, invece il maschio si dimenava con ferocia.
Scottata dalla scena mi allontanai immediatamente, afferrai la scopa e ricomincia a pulire con energia, cercai d'ignorare i suoni disgustosi provenienti dalla stanza.

Ero una sciocca sconvolta, cosa potevano mai fare delle donne chiuse in quelle stanze? Perchè arrivavano solamente uomini in quella grande casa? La risposta era talmente ovvia, ce l'avevo lì sotto al naso eppure ci arrivai solamente quando la vidi con i miei stessi occhi.
Poi arrivò anche la consapevolezza che mamma non era la donna delle pulizie, ma solamente una prostituta, una delle tante. Lo dimostrava la paga settimanale, con quella che ricevevo riuscivo a malapena a procurarmi il cibo, invece con le monete che portava a casa mamma potevamo permetterci di soddisfare qualche sfizio.
Eppure mamma non era come le prostitute situate nella casa, queste si distinguevano in due categorie: alcune erano rabbiose, suscettibile e bastava una mezza parola per farle arrabbiare e m'arrivava uno schiaffo sui denti, altre invece parevano amebe prive di carattere. Si movimentavano, parlavano con una strana lentezza. A dire il vero parevano sorde e ceche.
Mamma non era così, lei era energica, rideva, mai neppure per scherzo ho pensato che fosse una persona triste, forse all'interno del bordello soffocava se stessa e si trasportava con la mente in un altro posto durante le degradanti ore lavorative.
E allora in quel tumulto di amebe finsi anche io d'essere sorda e ceca.


Tra la puzza di fumo, incenso e detersivo, divenni un adolescente senza neppure accorgermene. Fu Arianna a farmelo notare
<< Hey tu! >>
Mi girai per ritrovarmi dinnanzi a una donna dai lunghi capelli ricci e focosi
<< Che cosa diamine stai a fare qua? >> chiese lei con severità, dato che ero muta le mostrai lo spazzettone e il secchio colmo d'acqua acquitrina. Era ovvio il mio mestiere.
<< Non intendevo questo. Ti sei guardata allo specchio? Hai visto come ti guardano i clienti? >>
accennai un no col capo dal momento che non guardavo mai il mio riflesso, ci vedevo spesso la mamma e la cosa m'infastidiva. Stavo sempre con la schiena piegata sul pavimento alla caccia di macchie e sporcizia.
Uno sbuffo esasperato uscì dalla sua bocca, si avvicinò e con poca grazia pose la mano sul mio seno. Scandalizzata scattai all'indietro urlando << “ che cazzo fai?! >>
<< Che cazzo fai tu? Non lo capisci? Ti sta crescendo il seno, ti stanno venendo fuori i fianchi, stai diventando una donna appetibile, credi veramente che potrai continuare a pulire i cessi d'un bordello? >>
<< Perchè, dove sta il problema? >>
<< Sei davvero così ingenua? >> Arianna alzò gli occhi verso il soffitto per poi proseguire con una certa noia << tra le gambe hai una piccola miniera d'ora e ben presto il proprietario ti costringerà ad usarla, a nessun cliente importa che il luogo sia profumato. >>
Sconvolta sbarrai le palpebre, qualcuno poteva veramente costringermi a prostituirmi?
<< Vattene via finché sei in tempo, altrimenti farai la mia fine e quella di tua madre. >>
Quelle parole bruciarono come fuoco, avrei fatto la fine di mia madre? Ma quale era stata la sua fine? Non sarebbe mai più tornata, oramai era divenuto un fatto chiaro e cristallino dato che non l'avevo mai più incrociata neppure per caso. Ma che fine aveva fatto?
Certo, da quello che avevo capito aveva trascorso gli anni lì dentro, s'era lasciata possedere da uomini schifosi in cambio di denaro che io stessa avevo utilizzato per sopravvivere all'interno della città. Anche io avrei percorso i suoi stessi passi?
Abbandonai la scopa per chiudermi all'interno d'una delle camere vuote del bordello. Mi spoglia dinnanzi allo specchio, scostai la lunga frangia dal viso e mi guardai con un certo distacco, come se il riflesso non rispecchiasse me stessa bensì un'altra persona. Era una ragazza così magra, le scapole erano talmente pronunciate che parevano voler schizzare fuori dalla pelle.
Corse giù lo sguardo e vidi due piccole coppe morbide e pallide, scesi ancora di più e dalle costole sbucavano due curve aguzze.
Arianna aveva ragione, stavo diventando una creatura simile a tutte le donne presenti nel bordello. Avevo due scelte: diventare una prostituta per poi consumarmi fino a morire, oppure andare via verso un mondo che non conoscevo e tentare di vivere.
Mentre mi rivestivo promisi a me stessa che me ne sarei andata.


Ogni giorno rimandavo la dipartita dal mondo sotterraneo, la vita che stavo vivendo era degradante e il futuro si prospettava peggiore del presente stesso, eppure qualcosa mi tratteneva. Probabilmente era la paura, già avevo paura d'andare via da sola. Il mondo sotterraneo faceva schifo, ma almeno lo conoscevo. Il mondo sovrastante invece era una incognita, chi poteva mai assicurarmi che sotto un cielo blu avrei vissuto una vita migliore?


. ***

<< Ce l'ho un padre? >>
lo chiesi un bel giorno spinta da una curiosità innata che tutti i bambini sprovvisti d'un genitore possiedono.

Mamma mi prese in braccio e seduta sulle sue ginocchia cominciò a raccontare: disse che mio padre era un'eroe che era sceso a patti con se stesso ma nonostante tutto credeva nella libertà ma non la processava poiché lui era un uomo dall'animo gentile, non avrebbe mai osato opporre una propria convinzione nelle teste altrui. Era un uomo che non si piegava allo squallore, alla vigliaccheria, al malessere generale. Lui era l'uomo che aspirava alla libertà, un piccolo eroe che combatteva contro se stesso e il mondo circostante, che non si piegava dinnanzi a nessuno e che un giorno l'avrei incontrato lassù, nel mondo sovrastante perché nelle mie vene scorreva il suo sangue, per tal motivo dovevo seguire le sue orme.
Non mi disse il suo nome poiché non glielo chiesi, allora non m'interessava, mi bastava sapere d'essere stata generata da un padre.
Lavorando nel bordello mi resi conto che m'aveva raccontato una bella quanto finta fiaba.

Mia madre lavorava nel bordello da anni, ancora prima che nascessi perciò l'uomo che aveva contribuito alla mia nascita non poteva trattarsi d'un eroe ma d'un lurido cliente. 
Li vedevo come i clienti trattavano le donne: le prendevano con violenza, le piacchiavano scaricavano addosso lo squallore della loro stessa vita. Certo, alcuni erano gentili, così si potevano definire coloro che s'accontentavano dell'ebbrezza del coito sacrificando qualche moneta.
Mio padre non era un eroe, era uno schifoso puttaniere che aveva ingravidato mia madre costringendola a quella miserabile vita. Già, avevo riflettuto a lungo ed ero giunta a una convinzione: se mia madre non fosse rimasta incinta, lei se ne sarebbe andata dal bordello dopo aver racimolato i soldi necessari per la cittadinanza e invece sono capitata io. Mio padre ed io siamo stati la sua rovina, il suo cancro che l'ha costretta a rimanere immobile lì, a consumarsi giorno dopo giorno per mantenere una figlia nata dalla violenza e dal soldo.
Avevo contribuito alla scomparsa di mia madre.

Non volevo conoscere mio padre ma un giorno accadde.
Era una giornata tranquilla, non c'erano clienti nella hall così mi misi a pulire il grande spiazzo sotto l'occhio vigile di Lukro, quello se ne stava a sedere beatamente dietro al bancone. Mi guardava e poi leggeva il registro contabile tra una boccata di pipa e l'altra.
L'uscio si aprì, in genere non guardavo mai i clienti che entravano, ma di sottecchi sbirciai. Era vestito in modo elegante, portava una camicia e una giacca nera di velluto. Dietro gli abiti perfettamente stirati si nascondeva una grossa e disgustosa pancia, ricordo che bottone della giacca a stento rimaneva fermo sul punto vita.
Era un grasso porco, come tanti, ma quello che catturò la mia attenzione furono i suoi capelli: dal cappello a cilindro scendeva una capigliatura liscia e scura quanto le ombre della città. Quella tonalità così nera l'avevo vista solamente addosso a me stessa.
Non fu solo questo ad attirare la mia attenzione. Il grasso porco si fermò e i nostri sguardi si incrociarono e li vidi, sotto le soffuse luci del locale vidi brillare due piccoli occhietti cerei. Si infossavano tra le pieghe del suo volto ma ne ero certa, quegli occhi erano grigi come i miei, come l'acqua sporca raccolta all'interno del secchio sotto stante ai miei piedi.
Ci scrutammo a lungo, ci studiammo e sentii qualcosa movimentarsi nel mio petto, era animalesco e rabbioso.
Alla fine camminò via verso Lukro e io continuai a spazzare il pavimento con una certa foga. In me s'era accesa la rabbia, una miccia pericolosa che non portava a nulla di buono.

Non c'erano dubbi. Quello era mio padre e non vedevo l'ora di ucciderlo.


. *** .


Quell'uomo è interessato a te, che dici? Vuoi fare un po' di soldi?” mi disse Lukro e io ovviamente accettai, potevo rimanere sola con quel porco e così colsi l'occasione .


Il giorno seguente mi ritrovai distesa sul letto di una delle tante camere che avevo pulito da cima a fondo.
Addosso avevo un lunga e setosa camicia da notte, l'aveva comprato l'uomo per farmela indossare.
I lunghi capelli erano racchiusi in una treccia che cadeva sulla spalla destra, mi aveva pettinato con cura una prostituta del posto.
Lo attendevo con impazienza. Toccai la punta del pugnale posta sotto al cuscino e il cuore cominciò a battere frenetico, gli occhi balenavano lungo la stanza e il fiato diveniva sempre più corto. Ero eccittata, tale stato fisico non scaturiva dalla prospettiva del sesso, bensì dalla vendetta: non vedevo l'ora d'immergermi nel sangue del porco, berlo per poi invocare la giustizia.
Arrivò senza bussare, rimasi immobile mentre chiuse la porta. Lo guardai spogliarsi per porre le vesti sulla sedia. Era disgustoso, la pelle sbilenca cascava verso il basso, ogni movimento era accompagnato da un tremore del suo corpo. Non m'importava, mi bastava porre il pollice sulla lama del coltello nascosto e il disgusto calava giù nello stomaco.
Si mise sopra di me a cavalcioni, voleva domarmi e io rimanevo inerme, qualsiasi cosa poteva farmi poiché sapevo come sarebbe finita quella vicenda, ovviamente tutto era a mio beneficio. Dovevo solamente ignorare le sue mani grassocce e sudate, le labbra bavose e vogliose, l'erezione schifosamente ritta.
M'aveva strappato le vesti di dosso e non faceva altro che strusciarsi. Quando spalancò le mie gambe capii che il momento stava giungendo. Io sudavo e ansimavo, forse lui deve averla intesa come una sottospecie di febbri citazione sessuale, così fu veloce. In un colpo solo penetrò.
Strinsi i denti per soffocare il dolore e lo guardai. Si muoveva dentro di me con spinte forti, la sua pelle si dimenava e la voglia di sgozzarlo cresceva sempre di più, ad ogni spinta. Ma dovevo essere paziente e così attesi il momento che non tardò ad arrivare. Lo vidi stringere forte gli occhietti grigi, emanò un lungo brontolio gutturale. Era il momento, era distratto e reso ubriaco dall'orgasmo. Inclinò all'indietro la testa mostrandomi la lunghezza della gola e così lo feci. Veloce piantai la lama, sprofondò nella carotide.
Mi arrivò addosso una cascata calda odorante di ruggine, tenni le palpebre aperte, non distolsi lo sguardo da quegli occhietti stupiti. Spalancati e inniettati di sangue mi guardava, apriva la bocca per emanare brontoli sbottanti di sangue.
Mi cascò addosso e il suo corpo preso dalla convulsioni si muoveva a scatti. Non mi scostai, rimanevo lì a sentirlo, petto contro petto il suo cuore scalpitava come se volesse uscire dalla gola. Rimasi lì, immersa nella sostanza vischiosa fino a quando il suo corpo non smise di tremare assieme al suo cuore.
Rimaneva un'ultima cosa da fare: avevo eliminato il cancro principale di mia madre, ora rimanevo io. Puntai la lama sulla carotide pulsante ma ero indecisa. Avevo visto mio padre morire eppure la cosa non m'aveva recato alcuna gioia, neppure un briciolo di soddisfazione. Difatti non era cambiato niente: lui era morto ma la mamma non sarebbe mai più tornata a casa, cosa avevo risolto? Un bel niente. Se mi fossi suicidata avrei risolto qualche problema? No, però avrei smesso di soffrire.
Scostai il cadavere con rabbia, non lo guardai neppure.
Mi alzai e acchiappai dei vestiti che infilai in fretta e furia.
Il suicidio non era la risposta, soltanto soffrendo là fuori avrei estirpato la colpa d'essere venuta al mondo.

Ricordo d'essermi cambiata, d'aver pulito meticolosamente ogni traccia di sangue dal mio collo, dal volto, dalle braccia. Indossai degli indumenti puliti, che avevo preparato sulla sedia
Ignorai il cadavere e per evitare d'essere vista da Lukro e dalle restanti donne, mi buttai giù dalla finestra. Era al secondo piano perciò riusci a cadere sui miei piedi senza procurarmi alcun dolore.
Non mi voltai, neppure per dare una fugace occhiata alla struttura. Il bordello, le persone conosciute fino a quel momento appartenevano già al passato. C'ero solamente io, la mia angoscia e il mondo fuori stante.


Quando tornai a casa afferrai una sacca, ci buttai dentro i soldi e qualche indumento. Il minimo indispensabile. Non volevo macchiare il mio futuro con qualche oggetto del passato.
Uscii senza voltarmi, a passo spedito mi recai dinnanzi alla gradinata, quella che conduceva verso l'esterno. Un gendardo allampanato dal volto allungato si parò davanti.
<< Voglio comprare la cittadinanza >> allungai immediatamente il plico di soldi.
Lui mi scrutò da capo a piede arricciando il naso. Le afferrò e le contò il denaro, quando arrivò alla cifra desiderata, s'intascò il compenso e tirò fuori un quaderno e una penna.
<< Dimmi il tuo cognome >> ordinò asettico
<< Non ce l'ho >> dissi spontaneamente.
<< Puoi anche inventartelo >>
<< No >> dissi secca. Che senso poteva mai avere? Il cognome designa la famiglia d'appartenenza dell'individuo e dato che mia madre era la figlia di nessuno, il cognome non ce lo avevo. Se mi fossi informata sull'identità di mio padre avrei potuto accontentare il Gendarmo irritato. Quest'ultimo difatti sbuffò chiaramente scocciato dalla situazione.
<< Il nome, quello ce l'hai? >>
<< Lysa >> prima di rispondere riflettei e in un battito di ciglia decisi di lasciare giù nella terra sotterranea la E, la vocale che stava ad Erika. Elysa non esisteva più.
Il soldato compì un giro attorno a me, mi ispezionò controllando che addosso non avessi armi.
<< Non sei armata, hai i soldi e non sembri malata . Manderò la richiesta al registro anagrafe e se tutto fila liscio ti consegnerò i documenti fra breve>>


Attesi sulle gradinate un'intera giornata, non sarei tornata a casa per nessuno ragione al mondo. Non temevo più il mondo esterno, bensì quello che m'ero lasciata dietro. Un terribile ammasso di violenza, sangue, fame e ricordi, alcuni dolci, altri brutali. Era strano, ma quelli che facevano più male erano momenti addolciti dalle carezze di mamma, quelli pieni di risate poiché sapevo che là fuori non avrei mai trovato lo stesso calore che mamma m'aveva trasmesso durante gli anni. Avevo perso qualcosa di così grande e lo sentivo, nel mio petto s'era formata una voragine che niente e nessuno avrebbe più potuto colmare.



L'ingresso nel nuovo mondo fu ceco.
Non vidi nulla, fui letteralmente accecata dal sole. La luce m'arrivava dritta in faccia producendo lunghe e dolorose fitte alla testa.
Camminai a lungo su passi incerti, tenevo la testa bassa per controllare i miei piedi dato che non riuscivo a rizzare la schiena che un raggio solare mi colpiva e la vista diveniva tutta cosparsa di macchie e lustrini.
Ceca camminai a lungo fino a quando non sbattei contro il petto d'un ragazzo, non domandai scusa e quest'ultimo mi inseguì. Convinta che volesse mollarmi una ceffone per l'offesa arrecata, strinsi il pugno pronta per difendermi.
Ma non fu così, mi sbagliai di grosso. Non potendolo vedere in volto a causa della cecità, mi limitai ad ascoltarlo e capii che si trattava d'un giovane come me, lui però era gentile.
Non ricordo il motivo, ma ci sedemmo su una panca e lui cominciò a narrare il fatto che si stava addestrando per arruolarsi nella legione esplorativa, mi raccontò dei giganti, di quanto fossero misteriosi e spaventosi. Mi parlò della libertà e mi spiegò il motivo per cui eravamo obbligati a combatterli.
Il giovane si scusò perché s'era messo a blaterare senza neppure presentarsi così a lungo che difatti il sole era calato dietro le mura. Finalmente potei alzare gli occhi senza essere ferita dal sole. Vidi il suo sorriso, era sincero, liscio si distendeva lungo il volto.
<< Il mio nome è Trevis, tu come ti chiami? >>
<< Lysa >> risposi, infine stringemmo la mano.

Il giorno seguente cominciai l'addestramento per divenire soldato


Gli occhi si aprirono piano per incontrare un soffitto grigio.
Si svegliò con la bocca arida, secca e priva di saliva. Masticò a vuoto per scacciare via la secchezza . La sensazione arida venne immediatamente sostituita dal dolore, scaturiva dalla gamba e si propagava lungo tutto il corpo, ogni centimetro di pelle era inquinato, schiacciato da dolorose scosse elettriche.
Si sentiva così male che le pareva d'essere un vaso rotto con i pezzi incollati qua e là.
<< Buongiorno >>
piano girò il collo per trovarsi faccia faccia con un omino sciupato. Indossava il camice bianco così dedusse che si trattava d'un dottore
<< Signorina Lysa, durante la battaglia ha riportato un grave trauma toracico, inoltre la gamba gliela abbiamo dovuta ricostruire in sala operatoria >>
Gettò l'occhio all'ingiù e la vide appesa all'aria. Era ricoperta da un grande e spesso gesso dal quale uscivano due lunghi chiodi.
<< Potrò tornare a combattere >> chiese a voce roca, voleva saperlo immediatamente e difatti fu l'espressione corrucciata del medico prima delle sue parole a confermare il suo timore.
<< Signorina, tutti i partecipanti alla missione sono morti, è un miracolo che sia ancora viva. Si riposi >> si congedò con parole asettiche, come se fosse stata così fortunata da non meritarsi nient'altro che la vita. Certo, era viva, ma che vita le avevano lasciato? Quella di una storpia e i soldati storpi combattevano? Ovviamente no, quelli venivano congedati con una medaglia, il loro futuro era sconosciuto perché sparivano dalla vista di tutti. Forse andavano a rifugiarsi nella città sotterranea ove nessun poteva vederli.
Non ebbe tempo di riflettere su ciò perché le palpebre calarono contro la sua volontà.


I giorni passarono e Lysa aveva perso il senso del tempo. Tali volte riapriva gli occhi che era giorno, altre era notte. Non poteva far altro che chiudere gli occhi e alle sue orecchie arrivavano rumori, voci soffuse e lontane. Le sembrava d'essere racchiusa in una bottiglia di vetro, difatti ogni singola cosa arrivava con una lentezza spossante e spesso non capiva neppure il senso delle frasi, tali volte arrivavano urla, altre volte sentiva qualcuno piangere ma nulla riusciva a riscuoterla da quello strano stato di sonnolenza perenne. Nulla riusciva a penetrare quella gabbia di vetro nel quale giaceva.


Si svegliò, quella volta riuscì a tenere le palpebre aperte. Incredula e stupita del fatto di non essere sprofondata nel tepore del dormiveglia, rizzò un poco il busto per circumnavigare con lo sguardo l'ambiente circostante. Il silenzio dominava nella grande sala cosparsa di letti posti perpendicolarmente e colmi di persone sdraiate. Alcuni dormivano fasciati da capo a piede, altri invece stavano immobili come stoccafissi con lo sguardo rivolto verso l'alto. Parevano involucri vuoti privi di energia. Le uniche forme di vita in quella stanza sembravano essere le infermiere. Queste s'aggiravano tra i feriti a passo felpato con gli occhi altalenanti, pronte a intervenire in caso di bisogno.
Le pupille della ragazza girarono all'impazzata, sapeva chi cercare ma non vide la chioma color grano. Lo sguardo navigò alla ricerca di quel sorriso. Ne sentiva la mancanza

Trevis non c'è, sarà stato ricoverato in un altro ospedale. Devo trovarlo” pensò tra se e sé.

Si sbilanciò di lato pronta per mettere in pratica la ricerca.
<< Cosa sta facendo! >> urlò l'infermiera mettendosi subito al fianco di Lysa per impedirle di scendere dal letto
<< Me ne vado via. Sono viva e mi sento meglio, perciò voglio lasciare questo letto al prossimo ferito che verrà >> disse lei cercando di cacciare via le mani dell'infermiera che la bloccavano.
<< Non può! Ha subito pochi giorni fa un grosso intervento perciò deve riposarsi >>
<< Preferirei riposare a casa, non voglio stare in un ambiente asettico>>
Le mani dell'infermiera non si allontanarono, però la signora chinò il viso per guardarla dritta negli occhi.
<< Immagino che per te sarà più rilassante riposare in un ambiente familiare >>
Lysa guardò il volto rugoso della vecchia infermiera ed annuì con energia, aveva imparato a mentire nel corso degli anni.
<< Capisco. Allora domanderò al medico che ti ha operata se puoi tornare a casa. >> finalmente lasciò le sue braccia e prima d'incamminarsi fuori dalla stanza le intimò
<< Guai a te se scappi >>
Lysa annuì solennemente ma era una brava bugiarda, difatti non attese l'infermiera. Afferrò delle stampelle poste al fianco del letto, camminò via a passo zoppo stando bene attenta a non incrociare infermieri e dottori lungo la via.

Percorse la città. Le viscere dolevano, ogni passo su quelle stampelle e ogni pezzo di pelle tirava così tanto che le ossa perevano voler uscire fuori dalla pelle.
A denti stretti continuava a camminare, vedeva persone correre tra le macerie, scavare tra i sassi, urlare nomi nella speranza che i chiamati rispondessero sotto i pezzi di mura.
Anche Lysa stava cercando qualcuno, ma non lo chiamò dato che gli pareva inutile.

Si recò nel posto dove era rimasta ferita.
Grazie alla presenza di sangue rosso schizzato tra le macerie riuscì a riconoscere il luogo.
Zoppiccò qualche passo non sapendo neppure dove guardare in quello sfacelo. Guardò attentamente e non vide alcun cadavere, neppure qualche pezzo di pelle.
<< Trevis … >> chiamò a bassa voce senza crederci realmente. Non era ingenua, la speranza che fosse sopravvissuto non era altro che una bella balla che si narrava a se stessa. Una dolce bugia come quelle che le raccontava sua madre.
Doveva essere rude con se stessa per scacciare via la splendida illusione
<< Trevis, tu sei morto. Mi hai salvato e sei crepato. Anche il caporale Levi mi ha salvata, chissà se lui è morto … >> disse sottovoce per voltare le spalle alle macerie.
Ogni passo era uno sforzo incredibile, camminava evitando i massi sparsi qua e là fino a quando non fu costretta a fermarsi. Il fiato si era fermato nella gola, la pelle era madida di sudore e i capelli le si appiccicavano alla fronte rendendole impossibile proseguire il cammino.
<< Fanculo >> ringhiò cercando di scostare con una mano i ciuffi appiccicati.

perchè il caporale mi ha salvata? “ pensò tra se e sé con rabbia, come se gli avesse procurato un dispetto enorme lasciandogli quella vita.

Levi lo aveva già visto da qualche parte, non a cavallo mentre si direzionava verso la la guerra, neppure mentre scorrazzava nel cielo come una rondine. L'aveva già incontrato, magari mentre passeggiava in abiti civili, sì doveva essere andata così perché sentiva d'averlo già incontrato, la sensazione era nata nel momento in cui i loro occhi s'erano incrociati all'interno del castello. Quell'espressione strafottente, i capelli neri come l'ebano e poi gli occhi che parevano dello stesso colore della tempesta. Li aveva già incontrati.
Si fermò per prendere fiato, camminare affidandosi a una sola gamba e alle braccia era terribilmente faticoso.
Alzò lo sguardo per incontrare la vetrina impolverata d'un negozio rimasto miracolosamente intatto. Rimase immobile con le palpebre spalancate a scrutarsi perché nel riflesso c'era una persona che non doveva esserci, eppure c'era sempre stata. Il problema è che non l'aveva mai notata.
Scosse la testa con energia per scacciare via il pensiero.
<< Devo riposarmi … >> disse sotto voce.
L'unica casa che l'era rimasta era sotto terra, nel ghetto dove aveva lasciato la sua vita.
Lì andrà per ricomporre i pezzi, i pensieri sbilenchi.


Ciao :)

Mi inchino e chiedo scusa a tutti coloro che seguono la storia perché ho pubblicato con un ritardo spaventoso. Ho dichiarato fin dall'inizio che la storia era già stata scritta ma ahimè, mi sono lasciata trasportare dalle modifiche, dai ripensamenti, così ora mi ritrovo a riscrivere i restanti capitoli.
Tornando al capitolo appena pubblicato, che posso dire? Lo definirei un capitolo doveroso perché ho fatto una volta per tutte luce sul passato di Lysa e devo ammettere che ho provato un po di ansia nel momento in cui l'ho pubblicato dato che il personaggio non ha vissuto una vita molto piacevole, ma in fondo parliamo della città sotterranea e credo che nessun individuo possa condurre una vita adagiata in quel luogo.
Per quanto riguarda la storia ormai siamo agli sgoccioli, ci sono giusto altri due capitoli, forse uno se riesco a narrare tutto.

Che altro posso dire? Niente, lascio a voi l'opinione:D

Spero di sentirvi

un abbraccio

Mistiy

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Capitolo 10
*** ragazzi tosti ***


Buonasera carissimi/me

Prima di lasciarvi alla lettura devo assolutamente scusarmi con tutti voi, sono scomparsa dal forum di punto in bianco senza avvertire coloro che seguono la storia.

Non posso essere scusata ma in un qualche modo mi devo assolutamente giustificare: ho passato un periodo intenso tra lo studio,  problemi familiari e sentimentali, avevo la mente talmente affollata di preoccupazioni che non riuscivo neppure a scrivere una frase a senso compiuto.

Qualche settimana fa la voglia di scrivere è tornata grazie al cielo, perciò vi chiedo scusa e spero che tutti voi continuate a leggere questa storia così particolare.

Ci tengo a ringraziare tutti voi che avete recensito, tutti voi che avete inserito la storia tra le preferita, seguita o ricordata. Grazie di cuore perché m'incoraggiate a proseguire questa storia.

Vi lascio alla lettura del penultimo capitolo

un abbraccio

Mistiy


Ragazzi tosti


Levi dopo la cattura di Annie, era tornato all'ospedale per verificare le condizioni di Lysa. Non la trovò, l' affanno s'era formato alla bocca dello stomaco. Afferrò il braccio del primo infermiere vagante per i corridoio per interrogarlo sulla questione

<< Dov'è la soldatessa Lysa? >> domandò Levi.
<< Non ne ho idea, ci sono troppi soldati per ricordare i nomi >> disse l'infermiera con noncuranza pronta per correre via ma Levi non glielo permise: la mano si strinse attorno all'avambraccio, le dita affondarono prepotenti nel camice.
<< Lysa è bassa, ha capelli neri, occhi grandi di colore grigio, viso tondo e carnagione chiara. Allora, dove si trova? >> il tono di Levi era pacato e tranquillo, eppure le sopracciglia incurvate verso il basso, il volto contratto in mille pieghe, tratti visivi che lo facevano somigliare a una belva pronta a divorarla. La ragazza tremò sentendo la presa sul braccio ferrea, sbarrò gli occhi e balbettò : << S … sì, mi ric .. ricordo di lei. Se n'è andata via senza permesso poiché desiderava riposare a casa >>
Levi abbandonò il braccio della giovane e quest'ultima s'affrettò ad andar via come una pecorella impaurita dal lupo.
Levi non si rammaricò della ragazza terrorizzata, non aveva tempo per provare un tale sentimento. Rifletté sulle parole della giovane : … Tornare a casa”. Quale casa? Da quello che sapeva Lysa alloggiava negli ostelli riservati ai soldati e non s'era mai presa un congedo, perciò non aveva un luogo in cui tornare.

Casa. Ripeté mentalmente e la risposta arrivò fulminea poiché tutti hanno un luogo in cui sono nati, in cui hanno vissuto una parte notevole della propria esistenza. La casa di Lysa era la città sotterranea.
Rimase lì immobile sui propri piedi mentre la gente esagitata gli passava accanto alla ricerca dei propri cari.

Si poteva affermare che il destino aveva tracciato una soluzione perfetta: la ragazza era certamente tornata giù nel ghetto e a causa delle condizioni fisiche in cui riversava, Lysa sarebbe rimasta lì fino alla fine dei suoi giorni. Comodo, no?
Arrivò l'immagine della ragazza, distesa in una pozza melmosa con le vesti strappati, un volto bianco tumefatto tracciato da grandi ematomi. Colto da un brivido freddo, scacciò via la macabra visione, non ci riuscì. La figura rimaneva in fondo alle pupille. No, non poteva lasciarla morire, non doveva fare la stessa fine di Erika.
Dal primo momento che l'aveva vista, aveva desiderato che Lysa scomparisse via per sempre dalla sua esistenza. Il desiderio si stava realizzando con una tale facilità ma non poteva lasciar che la causalità tranciasse in tal modo il legame con la ragazza. Levi non poteva lasciarla morire giù, soffocata dalla puzza di fogna in balia dei criminali, dei stuprarti e dei morsi della fame.



. *** .


<< Non ci siamo … non ci siamo … >> Kenny sbuffò e scose la testa lentamente per dare maggiore enfasi alle parole dette.
<< Moccioso di merda?! >>
Levi si sentì chiamato, innalzò il mento e sotto la fioca luce della candela apparì un occhio solo, il sinistro era chiuso, gonfio come una prugna acerba.
<< Come accidenti pensi di sopravvivere in questo posto di merda se continui a farti pestare da chiunque? >>
<< Diventerò forte >> disse con fermezza, sapeva che era sempre una buona cosa mostrarsi deciso e imperturbabile. Non doveva mai apparire lagnoso o insicuro, seppure bambino, doveva sempre mostrarsi adulto dinnanzi agli ochhi di kenny.
<< Dventerò forte >> ripetè Kenny in falsetto con l'intento di deriderlo. Proseguì: << una mezza sega come te? Sei basso, gracile come una bambina! Come credi di diventare forte?!>>
<< Mi allenerò >> rispose con la stessa fermezza dato che i commenti dell'adulto non lo avevano ferito, s'era sentito dire cose ben peggiori.
<< Non dovrai diventare solamente forte. Per spravvivere in questo posto di merda dovrai diventare il figlio di puttana più tosto della città, e magari un giorno potrai uscire da qua sotto, sempre se sopravviverai >>


Alla mente tornò quel momento, quanti anni erano passati? Ventitre? Ventiquattro? Levi non se lo ricordava e preferì non farlo, aveva altre faccende da sbrigare.
A passo storpiato percorse la gradinata, gradino per grandino s'allontanava, a poco a poco la luce diveniva sempre più tetra. L'odore acre di fogna sempre più intenso si faceva largo nelle narici per scendere giù nei polmoni e rivoltare lo stomaco. Il fetore era sempre lo stesso, non era cambiato nel corso degli anni.
Dinnanzi ai suoi occhi si destava un paesaggio roccioso. Le Catapecchie diroccate la dicevano lunga: il gigante femmina aveva provocato danni non solo sul mondo sovrastante, ma anche in quello sotto stante. I passi titanici avevano mosso il terreno a tal punto che la maggioranza delle case erano crollate su se stesse.

Camminava a passo zoppicante, la gamba faceva ancora male ma mai quanto il ritrovarsi sotto la cupola rocciosa: quelle catapecchie gettate lì, la puzza di melma e fogna, gli squitti dei topi. Ritornava indietro a quei tempi in cui si dannava come un matto per la realizzazzione di quella leggenda, sì la si poteva definire così perchè uscire dalla città, acquistare la cittadinanza era un'impresa così impossibile che in pochi perseguivano quel sogno. Loro tre invece erano speciali, qualche volta capitava che si mettevano ad un tavolo ed Isabel parlava di cieli stellati, del sole, dell'aria fresca. Lui l'ascoltava con aria disinteressata ma ogni volta il suo petto si stringeva al solo pensiero di poter essere libero. Libero, lo era veramente?Passava sul terriccio aquitrino, ai lati dellla strada fangosa erano situate catapecchie malconcie, accellerrò il passo e le catapecchie divennero macerie. Fermò i piedi solamente quando vide una piccola gradinata, oltre un tempo ci stava una casa, per l'esattezza la casa che condivideva assieme ad Isabel e Farlen. Rimase fermo sui propri passi un poco turbato dalla vista. Sì, durante gli anni in segreto aveva coltivato il desiderio di distruggere quel posto con le proprie mani, di raderlo al suolo e farlo crollare su se stesso eliminandolo per sempre dal mondo, eppure quella vista non gli procurò alcuna soddisfazione. Isabel e Farlan erano morti e in quella catapecchia stavano le loro ultime cose, i loro oggetti, si poteva affermare che la loro memoria risiedeva lì dato che non erano stati sepolti.Levi proseguì, continuò a camminare, in fondo gli oggetti non erano così importanti, i nomi dei suoi amici erano cuciti col fil di ferro nel suo animo e un piccolo terremoto non li sarebbero riusciti a cancellare. Mai, così come i numerosi compagni persi in quelle guerre senza senso.

Continuò a marciare tra le rovine e si dovette di nuove fermare. Vide un arco, era alto formato da pilastri circolari e spessi. Lo chiamavano “l'arco dei defunti”, poiché oltrepassato s'entrava in un grande spiazzo di roccia dove erano conficcate croci di legno.
S'appoggiò alla colonna e lasciò navigare lo sguardo, le croci un tempo ritte e ammassate si presentavano spezzate, tutte sparse alcune sepolte sotto massi e stalattiti staccatesi dalla volta grottesca.
Sotto la terra argillosa, sotto i pezzi di legno, erano sepolte Kuchel ed Erika. Ma dove stavano esattamente i loro corpi? Le croci con incisi i loro nomi erano spezzate e sparse tra i tanti legni dedicati agli altri defunti, dove stavano? Levi non ricordava la locazione esatta e per un secondo sentì qualcosa salirgli dalla bocca dello stomaco: rabbia, paura, tristezza, disperazione, impotenza? Non seppe dargli un nome e non volle rifletterci su poiché decise di ingoiare e ricacciare giù nello stomaco l'emozione. Doveva andare da Lysa, lei era viva e necessitava d'aiuto.


. *** .


La ragazza lasciò il corpo cadere sul materasso. Sfinita dalla lunga marcia chiuse gli occhi, inspirò ed espirò lentamente per recuperare fiato, ma non perse troppo tempo per regolarizzare il respiro poiché gli occhi roteavano lungo la stanza. Non ci poteva credere, era tornata a casa e questa non aveva subito alcuna trasformazione. Nessun ladro era entrato per impossessarsi dei pochi beni rimasti, nessuno l'aveva occupata abusivamente. Pareva essere rimasta lì congelata nel tempo, solo la polvere depositata in ogni dove testimoniava il fatto che erano trascorsi anni. Ne era certa, se avesse aperto l'armadio avrebbe rivisto ogni abito di sua madre ma non lo fece. Per quanto sciocco ed impossibile non era giunta lì per rimembrare il passato remoto, ma per risistemare gli eventi recenti. Troppe cose erano accadute e Lysa doveva riordinare i ricordi, ripescarli poiché le parevano fuggiti via dalle mani.
Si alzò dal letto trattenendo una bestemmia, aveva posato la gamba ingessata a terra dimenticandosi che era frantumata. Strinse gli occhi per non piangere, strinse forte le labbra per non urlare e quando la scarica di dolore si placò, movimentò con lentezza il braccio alla ricerca della stampella. L'acchiappò, cauta si mosse verso la scrivania. Nel terzo cassetto stavano dei fogli e una penna, così ricordava, difatti la memoria non l'ingannò. Con cautela si sedette, afferrò la penna stilografica e per qualche minuto osservò il foglio ingiallito dalla polvere.
Doveva far luce su ciò che era accaduto durante la missione e l'unico modo per recuperare i ricordi era scriverli una volta per tutte sulla carta.

Trevis è morto.
Come è morto?
Mi ricordo, il segnale del capo squadra e tutti ci muovemmo. Una manciata di soldati arrivò da Annie, le corde erano già strette attorno a lei. Io ero rimasta indietro pronta per aiutare i primi arrivati all'obbiettivo. Correvo veloce ma Trevis mi superò. Si voltò, i nostri sguardi s'incrociarono e nei suoi occhi vidi qualcosa che non riuscii ad interpretare poiché non mi diede il tempo. Mosse le labbra, disse qualcosa e poi mi diede una gomitata talmente potente che persi l'equilibrio finendo a terra con lo sguardo verso il cielo, un gran frastuono giunse, il cielo divenne nero. Quando riaprii gli occhi c'era solamente polvere e pezzi di carne.
Trevis è morto, non l'ho visto morire eppure dicono che sono stata l'unica a sopravvivere, perchè?
No, no, no … una cosa alla volta, cosa ha detto Trevis? È dentro di me, ne sono certa, cosa ha detto Trevis? I suoi occhi azzurri come quello stesso cielo visto poco prima della devastazione, le labbra si mossero, come si mossero? So leggere il labiale, le ho viste bene movimentarsi … devo ricordarmelo! Ha mimato una “s”, poi di nuovo una”s”, poi una “a”. Ha detto “ssa”? No, non ha senso, ci deve essere un'altra lettera. Dopo la prima “s” …. giusto! Una “c”.

Scsa”.
Manca una lettera, per una questione di logica deve essere stata la “u”, esce la parola “ scusa”.


Lysa si congelò sul posto, smise di scrivere, di respirare, di leggere, di pensare, per mera inerzia il cuore continuò a battere, quanto avrebbe voluto arrestare anche quel muscolo.
La mano prese a tremare ma nonostante ciò ricominciò a scrivere poiché la verità stava giungendo, per quanto dolorosa, per quanto sofferente la verità arrivava.


scusa”
Trevis aveva capito: Annie si stava trasformando, pochi attimi c'erano così anziché salvarsi, correre via seguendo l'istinto della sopravvivenza, lui si è voltato per gettarmi a terra. È per questo che mi sono salvata perché l'urto non mi è arrivato direttamente addosso.
Mi ha salvata per poi scusarsi. No, non lo perdono!
Perché non ti sei gettato Trevis? Diavolo se c'era qualcuno che meritava di vivere quello eri tu! Trevis, il ragazzo più dolce, simpatico, sincero e amichevole che abbia mai conosciuto. Come hai potuto privare il mondo dei tuoi sorrisi? Quelli che compievi ogni volta che mi guardavi anche quando eri stanco e privo di forza tu riuscivi a sorridere. Tu riuscivi a donare conforto a chiunque senza sforzo, anche se non lo conoscevi tu porgevi una carezza a qualsiasi volto piangente. Trevis, come hai potuto lasciare senza figlio i tuoi genitori? Quando giungerà la neve la tua famiglia riserverà un posto a quella famosa tavola bandita di cibo preparato dalla tua cara mamma eppure tu non ti presenterai. I tuoi fratelli giocheranno a palle di neve e sentiranno la tua mancanza, come hai potuto fare questo, Trevis!


La verità giunse. Come un pugno infuocato arrivò dritta allo stomaco, sentì il bruciore promanare dal petto per poi espandersi lungo il corpo, il cranio e in un battere d'occhio tutto il corpo pareva andare a fuoco. Strinse forte gli occhi, le sentì le lacrime arroganti volevano uscire ma Lysa non voleva piangere. Non era pronta, non poteva affrontare una tale sofferenza.
Si diede uno schiaffo in testa per scacciare via Trevis, si concentrò sul dolore presente nella gamba per non pensare alla sofferenza proveniente dal petto.
Lo sguardo girò affannato lungo la stanza per incrociare il proprio riflesso in uno specchio.
Vide due occhi grigi iniettati di rosso e si ricordò del caporale Levi, colui che le somigliava così tanto.

Può essere mio padre “ tal pensiero era passato in testa ma lo aveva rimosso poiché le pareva assurdo: lei, figlia dell'uomo più forte dell'umanità? Una menzogna ridicola, inoltre il padre non esisteva più, lo aveva ucciso anni fa nel bordello.

Un rumore e Lysa rizzò il collo colta dallo spavento. Due occhi nervosi si spostarono, il corpo s'irrigidì pronta per attaccare colui che si stava introducendo in caso.
Si congelò sul posto quando la tremolante luce della candela illuminò il volto di Levi. Basita, senza parole rimase a bocca semichiusa, la sorpresa nel vederlo nella casa natale era tale che neppure un pensiero passò nella mente della ragazza.
Levi rimase immobile, prima d'osservarla girò gli occhi lungo l'abitacolo. Lo guardava senza curiosità, con una certa noia e Lysa ebbe la sensazione che era già stato in casa sua.
<< Qui abitava Erika vero? >> domandò Levi con titubanza, come se avesse timore della risposta.
Lysa si limitò ad annuire, era ancora scandalizzata, non le pareva vera quella situazione.
<< Erika era tua madre, vero? >>
Lysa annuì
<< Ho conosciuto tua madre diciassette anni fa e credo di essere tuo padre. Pensi sia possibile? >>
Lysa annuì, non aveva né parole né pensieri da esprimere.


. *** .


Quello che rimane di Erika è una ragazza rancorosa “ pensò mentre osservava la ragazza mangiare senza appetito.
Erano usciti dalla città sotterranea per rifugiarsi all'interno della prima tavola calda.
Lysa era stanca, a stento riusciva a tenere il mento alto, per mero orgoglio non lasciava cadere la testa sul piatto. Provò compassione per quella ragazza che fino all'altro giorno pareva così fiera sul suo cavallo, in quel momento invece appariva un'altra persona: gracile, con le guance smunte, spalle incurvate verso il basso.

Ha un aspetto di merda” pensò Levi, non espresse a voce tal pensiero poiché era certo che anche lei ne era consapevole. Doveva mangiare perciò decise di lasciarla tranquilla. Nel giro di pochi giorni le guance erano divenute concave verso l'interno e le sue spalle sparivano nella blusa bianca. Non sembrava aver fame dato che portava la forchetta alla bocca con inerzia poiché erano passati troppi giorni dall'ultima volta che aveva mangiato. Dopo un lasso di tempo prolungato i morsi della fame s'attenuano fino a scomparire, Levi lo sapeva bene. Anche lui era stato colpito da fame cronica. I sintomi se li ricordava: lo stomaco duole e pare volersi distaccare dal corpo, il budello si muove e produce quel fastidioso rumore simile ad un rantolo animalesco. La cosa peggiore della fame è che ti strappa la capacità di pensare, s'impadronisce della mente e occupa ogni cosa. Pur di placare quel dolore sei disposto a compiere ogni gesto, persino massacrare qualcuno pur d'ottenere un pezzo di pane. Levi l'aveva fatto? Qualche volta era capitato, altre volte non ce n'era stato bisogno perchè la fame tutto d'un tratto smette d'assillarti, non la si sente più. Il fisico necessita d'un supplemento eppure lo stomaco tace.
E' come se il corpo smettesse di lottare per sopravvivere, si rassegna a morire” pensò Levi, probabilmente quello era il caso di Lysa.
Vide che la ciotola di terra cotta contenente la zuppa era quasi vuota. Erano rimaste due fette di pane in un piatto poco distante.
<< Mangia anche quelle, dopo ordina qualcos'altro >> disse Levi e due occhi taglienti come lame d'acciaio lo trafissero. Lui non distolse lo sguardo anche se la cosa non lo lasciò affatto indifferente.

Devi diventare il figlio di puttana più tosto della città”
La voce proveniente dal passato arrivò forte e chiara alle orecchie come se Kenny fosse lì dinnanzi a lui.
Levi era divenuto tosto, eccome se lo era! Era sopravvissuto nel ghetto, era riuscito a uscire, aveva perso il conto dei giganti uccisi nel corso delle missioni, aveva visto morire Kuckel, Erika, Isabel, Farlan e tanti altri compagni ma nonostante ciò era ancora vivo. Era divenuto talmente tosto che s'era meritato il soprannome “l'uomo più forte dell'umanità”. Nonostante il passato tormentato dalle mille difficoltà superate, dinnanzi allo sguardo diffidente della giovane non si vedeva forte, si sentiva solamente un comunissimo :“figlio di puttana che aveva abbandonato sua figlia”.
Lysa non disse nulla, distolse lo sguardo da Levi e afferrò una fetta di pane.
Sapeva di doverle parlare ma non sapeva come fare, difettava in delicatezza poiché lui era famoso per la sua schiettezza. Tutto d'un tratto s'era ritrovato a rivestire le vesti d'un padre, non aveva idea che indumenti indossassero questi ultimi, né quali parole utilizzassero.
<< Lysa >> richiamò la sua attenzione, la chiamata non innalzò il mento ma solamente le pupille. Continuò a masticare
<< Erika non mi ha mai parlato di te, non sapevo che tu esistevi fino a quando non ti sei arruolata nella legione esplorativa … >>
<< Come hai conosciuto mia madre? >> pose la domanda con disinvoltura, non alzò neppure gli occhi eppure Levi sbarrò le palpebre colto dalla sorpresa.
<< L'ho conosciuta per le strade della città >> disse decidendo d'omettere il fatto che l'aveva salvata da uno stupratore. Una piccola bugia bianca, un piccolo riguardo nei suoi confronti.
<< Quindi non l'hai conosciuta nel bordello >>
<< No >> disse velocemente e con la stessa velocità arrivò un dubbio che espresse immediatamente: << sei cresciuta nel bordello? >>
<< No, ci ho lavorato quando mamma se ne è andata >>
In un secondo il corpo di Levi si pietrificò sul posto, una pressione si stanziò sul petto fino a quando Lysa non s'affrettò a dire: << lavavo i pavimenti, non mi prostituivo >>.
Riprese a respirare.
<< Mia madre … >> la ragazza prese a parlare a voce bassa, con titubanza e lui capì che doveva porgli una questione importante così non la esortò in alcun modo. Si limitò a stare in silenzio fino a quando Lysa ritrovò le parole.
<< Mia madre … sai dove è finita? >>
La domanda lo spiazzò e il respiro se ne andò via assieme a un battito cardiaco.
Lysa non sapeva della morte di Erika, come avrebbe potuto saperlo? Levi quel giorno s'era limitato a inseguire il carnefice della donna per poi seppellirla in silenzio. Non ne aveva fatto parola con nessuno poiché comunicare al mondo la sua morte era una questione troppo dolorosa e poi aveva dato per scontato che Erika fosse sola al mondo. Non pensava che qualcuno l'aspettasse a casa, quel qualcuno lo guardava con occhi colmi d'aspettativa. Dopo così tanti anni doveva comunicare la perdita alla stessa figlia, colei che era rimasta nel dubbio per tutto quel tempo.
<< L'ho trovata deceduta nella discarica, quella vicina al mercato nero. >> disse infine e Lysa non mostrò alcuna emozione poiché chinò il mento, lunghe ciocche di capelli ricaddero lungo il viso formando un ombra sui suoi occhi.

Sono un pezzzo di merda “ pensò Levi tra sé e sè
<< L'hai uccisa tu? >> domandò lei con fermezza senza mostrare il viso.
<< No >> la domanda non lo sorprese. Era evidente, diffidava da lui e la cosa gli stava bene così, nonostante tutto erano estranei anche se i lineamenti confermavano il loro legame di parentele.
<< L'ha uccisa uno strozzino, l'ho ammazzato senza domandare il suo nome >> disse infine, come se la cosa potesse in un qualche modo confortarla.
<< Lysa, se avessi saputo che tu esistevi … >>
<< Cosa avresti fatto? Saresti tornato a prendermi? >> domandò e la sua voce risuonò arida e carica d'accidia.
<< Sì >> rispose Levi senza esitazione perchè ne era certo, sarebbe andato a prenderla. Non sapeva se avrebbe fatto il padre, se l'avrebbe tenuta con sé oppure l'avrebbe affidata a una buona famiglia. Allora aveva così tante cose in testa …
<< Hai fatto bene a non venire, ti avrei ammazzato >>
Levi non si sentì ferito dalla dichiarazione, capì una cosa: Lysa era una ragazza tosta esattamente come lui. Chi l'aveva resa così? Nel suo caso era stato Kenny, chi aveva ricoperto lo stesso ruolo? Chi l'aveva guidata verso la violenza?
La vide. Le spalle tremavano assieme alle mani posate sul tavolo. Il volto chino all'ingiù nascondevano la sua espressione. Lysa era una ragazza tosta addolorata e lo sapeva bene, i tosti non mostrano a nessuno le proprie lacrime.
Rispettò il suo dolore, distolse lo sguardo verso il locale, verso le cameriere, verso i pochi clienti presenti.
Poteva dire qualche parola di conforto, una cosa del tipo “passerà” o “ andrà tutto bene”, ma Levi non era quel tipo di persona, non riusciva a mentire e donare false speranze. Ci sono cose che passano attraverso i muscoli, i nervi, le vene e non se ne vanno mai più via.

Potrai seppellirlo sotto milioni di faccende, sotto le preoccupazioni del presente ma non passerà mai poiché arriveranno quei momenti di noia, di calma piatta e ci ripenserai. Il medesimo dolore ripasserà, lungo i muscoli, i nervi, le vene” pensò tra se e sé decidendo di rimanere in silenzio. Per non ferire il suo orgoglio, spostò gli occhi verso le cameriere, i clienti, le mura del locale.

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Capitolo 11
*** Nulla è finito per sempre ***


Buongiorno a tutti.

Da quanto tempo? Tanto!
Devo scusarmi con tutti coloro che seguono la storia, purtroppo avevo accantonato questo ultimo capitolo, ma finalmente ho avuto il tempo per risistemarlo e pubblicarlo.
Prima di lasciarvi alla lettura, ci tengo a precisare che è presente un salto temporale: le vicende trattate nel testo che leggerete, si collocano dopo il capitolo 70 del manga, per tal motivo sconsiglio a tutti coloro che non seguono con regolarità Hajima di non proseguire la lettura per non cadere nello “Spoiler”.

Un abbraccio
spero di sentirvi

Mistiy


Nulla è finito per sempre


Ti ho visto.

Era una notte limpida, priva di nubi, le stelle brillavano alte assieme alla luna.
Tu volavi utilizzando il 3D, l'arpione si conficcava tra le mura degli edifici e agile come un'aquila volavi, a volte appoggiavi i piedi sui tetti per prendere la rincorsa ed innalzarti sempre più in alto. Io ti stavo dietro tenendo gli occhi fissi sullo stemma stampato sul tuo mantello, le ali della libertà. Quella notte ti calzavano a pennello dato che non riuscivo starti dietro.
Da quando in qua sei diventato così veloce? Diamine, mi avevi fatto venire il fiato corto, lo sai?! Nonostante ciò riuscii a non perderti di vista, persino quando voltasti il capo mostrandomi una parte del tuo viso, sorridesti.
<< Che cavolo ridi?! >> rabbiosa urlai, ma non ridevi di me. Eri semplicemente contento di sentire l'aria scompigliare i riccioli, d'andare controvento.
Continuammo a rincorrere la luna poiché stava sul nostro orizzonte, alta e luminosa come non era mai stata.
Appoggiammo i piedi sulle tegole d'un edificio e mi bastò un'occhiata fugace per capire che non potevamo proseguire: dinnanzi a noi c'era una pianura, una infinita valle erbosa priva di alberi e mura. Il 3D era divenuto inutilizzabile perciò era giunto il momento di voltarci e ripercorrere il tragitto intrapreso, ma tu non condividevi la mia idea perchè ti vidi correre. Quando capii che volevi gettarti nella valle gridai << fermati >>
Non ubbidisti, anzi …
<< Pazzo! >> sbraitai.
Quando giungesti alla fine delle tegole, saltasti in alto, azionasti il gas, un'altra spinta in alto e ti guardai con terrore, osservai sapendo che ti saresti sfracellato contro il suolo ed io corsi già pronta a soccorrerti ma non avevi bisogno del mio aiuto.
Non sei caduto, anzi ti innalzavi verso l'alto, sempre di più. Volevi raggiungere la luna e il 3D non ti serviva più, ci pensava il vento a sospingerti con leggerezza verso il cielo. Incredula ti guardai svolazzare in aria come un fazzoletto di carta. Ti muovevi un po' a destra, poi a sinistra ma sempre verso l'alto verso quella luna luminosa. Ridevi, diavolo se ridevi! Gioiosa come quella di un bambino privo di pensieri la tua risata echeggiava nella notte. Non resistetti, persino io risi anche se tu t'allontanavi sempre di più

Mi sveglia che era giorno e tu non c'eri.

Se devo essere sincera ti ho visto altre volte.
Due giorni fa mentre camminavo nel paese.
Ti ho visto in armatura camminare assieme a un nostro compagno d'armi. Il mio respiro si bloccò in gola, poi ti focalizzai per comprendere che non eri tu. Era un ragazzo qualsiasi con i capelli ricci, ma non eri tu.

Un altro giorno ti vidi dinnanzi alla vetrina d'una bottega, un altro ancora ti trovai di spalle rivolto verso una bella ragazza, poi in una locanda ma non eri mai tu. Il motivo è ovvio, sei morto due settimane fa. Ero persino presente al funerale.
Mia madre diceva spesso: “ Nulla è finito per sempre”.
I contesti in cui diceva tal frase non lo rimembro, eppure solo oggi a distanza di anni sono entrata in empatia con tal affermazione.
Nulla è finito per sempre.
Anche se tu sei morto, continuerai a riapparire all'improvviso strappandomi il respiro e il cuore. Anche se sei cenere ritornerai a farmi compagnia durante la notte, t'intrufolerai nei miei sogni senza neppure chiedere il permesso. Non c'è niente da fare, sei nel mio animus e non te ne andrai con facilità.


Colta da un brivido di freddo causato dal vento, appoggiò la penna, si voltò per guardare oltre la finestra un cielo cerino. Le nubi scure racchiudevano acqua che non voleva scendere verso terra, eppure il temporale era vicino. Lo sentiva nell'odore del vento che correva lungo gli alberi, l'erba, le case, fino ad arrivare nella sua stanza per scuotere le tende e i capelli.
Un sorriso amaro apparve sulle sue labbra perché le pareva di vedere in quel cielo il riflesso dei suoi occhi. Non aveva pianto per la morte di Trevis, l'intenzione c'era eppure non ci riusciva. Ogni volta che sentiva gli occhi pizzicare, non riusciva a versare quelle stramaledette lacrime liberatorie che forse l'avrebbero fatta sentire un poco leggera.

leggera?!” il pensiero scatenò una risata sgradevole.
L'unica volta in cui si era sentita leggera era quando imitava le aquile, quando volava con 3D al fianco dell'amico. Entrambe le cose non c'erano più.
Toccò la gamba ingessata, il suo secondo motivo per piangere. Era diventata una storpia in così poche ore che ancora non riusciva capacitarsene. Non riusciva a convincersi del fatto che la sua vita era cambiata radicalmente.
Il suo posto non era più tra i combattenti, neppure sotto terra tra i malfamati, allora dove stava?
Levi s'era premurato d'offrirle un appartamento in affitto situato in una campagna del Wall Sinea. Era un luogo pacifico, l'attività principale dei cittadini del paese era l'agricoltura. Stava bene, eppure sapeva di non poter stare lì per sempre. Non poteva dipendere per sempre dall'arbitrio di un uomo.

Riprese la penna in mano per proseguire la scrittura.

Nulla è finito per sempre eppure io devo dirti addio, anche se non sarà difficile, ci devo provare, per andare avanti per realizzare il fatto che non sarai più con me in carne ed ossa. Vivrai nei miei ricordi, nelle cose circostanti, nella mia anima ma non sarai più al mio fianco ad aiutarmi.
Prima di salutarti, voglio dirti come sta proseguendo la mia vita. Mi sento in dovere di raccontartelo dato che sei stato tu a salvarmi.
Al momento vivo qui, in un piccolo paese rurale situato tra le mura Sinea.
È un luogo tranquillo composto da piccole case e fattorie. È stato Levi a procurarmi questo alloggio provvisorio, difatti la casa appartiene a un vecchio signore proprietario d'una fattoria a tre km da qui.
Levi è mio padre,assurdo! L'ho sempre visto sul suo cavallo, negli uffici della legione a comandare tutti i sottoposti con quell'aria perennemente imbronciata ed ora scopro che un uomo del genere è mio padre. Ed io che pensavo d'essere nata da una carogna!
Non so cosa pensare di Levi, onestamente non ho neppure avuto modo di parlare con lui. Il giorno dopo in cui è venuto a tirarmi fuori dalla città sotterranea, mi ha portato in questo luogo poi non l'ho più visto. Forse non vuole avere a che fare con me e come posso biasimarlo?! L'ho minacciato, gli ho detto che l'avrei ucciso se si fosse presentato durante la mia adolescenza! Ahaha …
Non so se voglio ampliare il mio rapporto con lui poiché non mi pare quel tipo di persona affettuosa incline ad entrare in empatia con un altro individuo, eppure pare essere l'unica persona che mi sta aiutando. Levi potrebbe essere l'ultima persona che vuole avere a che fare con me.
Basta divagare, questa è l'ultima volta che ti scrivo, cosa sarà della mia vita .. non ne ho idea, ma il momento è giunto Trevis.
Ti ringrazio per essere stato al mio fianco in tutti questi anni, d'aver sopportato il mio carattere aggressivo, d'aver ignorato i miei costanti insulti perché tu eri bravo a guardare le persone. Eri un ottimo interprete perché tra i miei insulti sprezzanti, riuscivi a scorgere il mio amore per te.
Avevi ragione, ti voglio tanto bene. Te ne vorrò per sempre.

Conoscerti è stato un toccasana per il mio spirito.
Ti abbraccio forte per poi lasciarti andare.
Addio


Un rombo assordante.
Un flash squarciò il cielo nuvoloso.
Il diluvio cominciò


.***.


Piano lasciò chiudere la porta dietro di sé.
Era notte fonda e Levi decise di compiere lentamente i passi, non sapeva se Lysa dormiva, ma non c'era alcuna fonte di luce perciò decise di procedere con cautela.
Afferrò il lume posto sul tavolo della cucina, con un fiammifero l'accese.
Con cipiglio guardò l'ambiente circostante: era il caos totale: ndividuò una pila di stoviglie nel lavello, armadietti aperti, giornali cartacei ammassati sul tavolo, qualche vestito buttato sulle sedie.
Un caos del genere non era ammissibile, anzi era intollerabile secondo gli standard di Levi. Se non fosse stato così stanco avrebbe pulito ma per la prima volta l'idea di cimentarsi nelle faccende casalinghe, non lo allettava affatto. La testa faceva male come i suoi muscoli, troppe cose erano capitate in quei giorni, per l'umanità, per la legione esplorativa, per se stesso. Dopo anni aveva incontrato Kenny, l'uomo che credeva suo padre.
Nei suoi ultimi attimi di vita aveva smentito tale credenza dichiarandogli che era solamente suo zio. Inizialmente s'era sentito sollevato, Kenny era un uomo spregevole e il fatto di non derivare direttamente da lui l'aveva rincuorato.
Kenny era solamente suo zio, non aveva alcun obbligo morale nel stare al suo fianco, anzi aveva fatto già troppo insegnandogli a stare al mondo.

Sarò il figlio di chissà quale puttaniere” pensò fra se e sé ben sapendo che non l'avrebbe mai saputo. In fondo era giusto così, che la sua curiosità non sarebbe mai stata accontentata. Sapeva già che il padre biologico sarebbe stato un cittadino della città sotterranea, perciò una gigantesca delusione. Non ci voleva neppure pensare, voleva solamente vedere Lysa. Intraprese il corridoio in punta di piedi, non continuò in avanti verso il bagno. Si bloccò per aprire con lentezza la porta socchiusa, fu colto da una folata di vento. Pose in avanti la candela, vide la ragazza giacere sul letto, sdraiata sul fianco sul letto. S'affretto per chiudere la finestra sbarrata. Un vento gelido era giunto per rompere il clima primaverile. Non diede della screanzata alla ragazza per essersi addormentata in quel gelo, neppure per non aver mantenuto in uno stato decente l'appartamento, anche la camera come la cucina era immerso nel disordine. Lysa doveva riprendersi doveva adeguarsi alla nuova situazione, come poteva fare qualcosa con quel gesso invadente?

Domani pulirò da cima a fondo la casa, poi assumerò una domestica”

Si accomodò sull'orlo del materasso rivolgendosi verso la ragazza. Sotto la tremolante luce della candela vedeva mezzo volto, la parte mancante sprofondava nel cuscino. Avvicinò di poco la candela e da quel poco che riusciva ad avvistare, lei pareva star bene: respirava, non c'erano tracce di sangue, lo zigomo sotto la luce non era incavato. Non aveva altri indicatori per valutare lo stato di salute della giovane dato che stava raggomitolata su se stessa.
Levi non la svegliò, non le pareva giusto disturbarla per saziare la sua curiosità.
Era stanco e voleva dimenticare il volto bruciato di Kenny. Voleva chiudere gli occhi per qualche minuto così pose la candela sul comodino. Veloce sfilò gli stivali per sdraiarsi sulla schiena. Il letto matrimoniale era abbastanza grande, se ne sarebbe stato lì qualche minuto per poi ritornare negli alloggi della legione.


La luce del lume danzava creando ombre sulle pelli.
Due corpi scoperti dalle lenzuola giacevano sul materasso.
Lei appoggiava il volto sul suo petto, il braccio cingeva la vita del ragazzo. La gamba s'intrecciava alla sua.
Levi la stringeva a sé, non stavano stretti con la paura di perdersi, ma con l'obbiettivo di scaldarsi, per ingannare l'umidità gelida presente nel sottosuolo, per ingannare la solitudine perpetua che li avrebbe colti una volta separatesi.
Erika decise d'interrompere quel silenzio
<< Nulla e finito per sempre, lo sai? >> sussurrò ma Levi non rispose, non osò rispondere con cinismo a quella frase romantica. Si limitò a stringerla più forte a sé


Si svegliò. Aprì e chiuse più d'una volta le palpebre infastidito da un raggio di luce.
Aveva sognato Erika eppure le pareva d'aver vissuto in passato quell'episodio assieme a lei, ma non ne era certo ... era passato trascorso troppo tempo.
Alzò il busto ponendo una mano sullo sguardo per non rimanere accecato dalla luce.
Guardò in basso per accorgersi che Lysa non era sul letto.
Scese di fretta dal materasso, nella stanza non c'era. Entrò nel corridoio per capire che non era situata nel bagno dato che la porta era spalancata. Qualche passo per accertarsi che non stava neppure in cucina.
Lysa pareva essere sparita e fu colto dalla paura di non rivederla mai più.
Decise di non pensare al peggio così infilò gli stivali per uscire dalla casa. Non poteva scappare, la giovane doveva rimettersi in forma, doveva acquisire nuove capacità intellettuali per colmare l'incapacità fisica per crearsi un futuro, per poter essere un giorno autosufficiente e rispettata. Lui sarebbe stato sempre al suo fianco, seppure silente sarebbe stato lì sempre pronto a porgerle la mano nei momenti opportuni. Non poteva essere un buon padre ma poteva pur sempre porgerle aiuti di indole materiale: soldi, una casa, cure mediche … avrebbe avuto tutto!
Camminò tra i pochi passanti.
Levi li squadrava da capo a piedi alla sua ricerca, orientava lo sguardo verso i vasti campi verdi senza vederla. Accelerò il passo e finalmente poté fermarsi; stava a qualche metro dalla strada, seduta tra le spine di grano guardava il cielo tappezzato da qualche stralcio di nuvola bianca.
Piano la raggiunse per sedersi sulle spighe al suo fianco.
Lei non emanò alcuna parola così di sottecchi sbirciò il suo volto osservando il suo profilo caratterizzato da quel naso all'insù. Lei continuava a guardare verso l'alto, come se lui non ci fosse, decise di seguire la traiettoria del suo sguardo per capire cosa vedeva in quel cielo.


Nulla è finito per sempre” ripeté mentalmente Levi la frase detta da Erika. Lei non esisteva più, eppure aveva messo al mondo qualcuno che protraeva la sua esistenza cessata ingiustamente anni fa, nel silenzio della città sotterranea. Lysa era l'ereditaria del sogno di Erika, quello di vivere sotto la luce del sole, senza doversi nascondere come una carogna.
La faglia era il prolungamento dell'essenza di Erika, per tale motivo Levi si sarebbe presa cura di lei.

<< Lysa >> la chiamò e finalmente la ragazza distolse lo sguardo dall'alto per porlo su Levi.
<< Cosa ne pensi del cognome Ackerman? >>
<< Penso che non sia un brutto cognome. >> disse lei in fretta.
Sorrise, la sua schiettezza era così sincera da sembrargli inverosimile.
<< Allora dobbiamo andare entrambi all'ufficio anagrafe. Sei d'accordo? >>
Pensò qualche secondo per poi affermare << sono d'accordo >>.
Levi si alzò in piedi, prese la mano della ragazza pronto per aiutarla, per accompagnarla ovunque.


Fine


Ringrazio tutti voi che avete continuato a seguire la storia. Un ringraziamento speciale lo dedico a tutti coloro che hanno recensito <3 Mistiy

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