Se chiudi gli occhi

di Apricot93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bolla di sapone ***
Capitolo 2: *** Il Viaggio - Finn's POV ***
Capitolo 3: *** Dieci passi ***
Capitolo 4: *** Vita da Mostro ***
Capitolo 5: *** Elle - Finn's POV ***
Capitolo 6: *** Fotografie ***
Capitolo 7: *** Finn - Parte I ***
Capitolo 8: *** Finn - Parte II ***
Capitolo 9: *** Il rifugio del Bianconiglio ***
Capitolo 10: *** Ogni volta che te ne vai - Finn's POV ***
Capitolo 11: *** Sogni ***
Capitolo 12: *** Numeri ***



Capitolo 1
*** Bolla di sapone ***



Capitolo 1: Bolla di Sapone

Sleaford - 12 Novembre


Fuori dalla finestra questo scorcio di vita sembra immobile oggi, è il 12 Novembre ed è insolito da queste parti poter abbinare all'autunno sole e cielo azzurro, ma le nuvole hanno deciso di disertare e il vento si è spostato sulla costa. Ironico, penso, è esattamente quello che succede dentro di me: un bel niente.
Sulle pareti azzurre tinteggiate di fresco sfilano le immagini di un test ripetuto già due volte da quando sono qui, la prima a destra ha tutta l'aria di essere una farfalla, sulla seconda ho qualche dubbio invece, un drago magari, o forse un passerotto, in ogni caso non un pipistrello come ho risposto quando me l'hanno chiesto. Che non fossi lucida in quel momento?
Mah, tanto non sarebbe la prima volta.
Sprofondato sulla poltroncina di pelle davanti a me il Dottor Milton, una spina nel fianco sulla quarantina carico di buone intenzioni e scarse capacità comunicative, sta portando avanti un monologo noiosissimo sulla responsabilità. Forse dovrei rendermene partecipe, o almeno fingere di sembrarlo, ma la mia attenzione non lo sfiora nemmeno per sbaglio e colgo solo piccoli frammenti di ramanzina, «Rae sei qui da tre settimane ormai ma non mi sembra tu abbia nessuna intenzione di fare un passo, non dico nella direzione giusta, ma in qualunque direzione. Sembra che........ e non credo sia quello che vuoi. Dovresti almeno provare a...... ti piace questa situazione?».
Poi silenzio...
Ahi, era una domanda quella di prima? Una domanda seguita da silenzio equivale a una risposta mancata, tradotto in parole povere: una futura scocciatura.
Magari sarebbe il momento di mettere in pratica qualche suggerimento elargitomi negli ultimi anni... «"Ci proverò", rispondi sempre così quando non sai cosa dire, non importa se non ha niente a che vedere con quello che ti stanno chiedendo, perlomeno sembrerai propositiva e, si sa, gli strizzacervelli adorano le persone propositive» la saggezza di una mia ex compagna di stanza. Non era particolarmente sveglia in realtà, se non ricordo male collezionava mele marce sotto al letto nella convinzione che presto o tardi sarebbero rinate. Beh, comunque in qualità di "ex" compagna di stanza, quindi "ex" paziente, forse certi trucchetti hanno sul serio una qualche validità...
Ma non ho nessuna voglia di sfidare la sorte oggi, non ne vale la pena, non sono abbastanza motivata. Non lo sono affatto, per dirla tutta.
Preferisco ignorare il mio interlocutore e rivolgere l'attenzione alle foglie rosse che fanno capolino dalla finestra, sono sicuramente più loquaci di lui.
Potrei essere davvero felice qui, sola, in quest'eremo sperso nel nulla. Se solo i ricordi mi dessero tregua...

Un mese fa a quest'ora mi godevo la compagnia di Finn ignara di quello che sarebbe successo di lì a una manciata di giorni, ce ne stavamo seduti al parco per ore, uno accanto all'altra, sulla nostra panchina preferita vicino al campetto di calcio, l'altra passione di Finn. I nostri pomeriggi erano risate e coccole, e foglie rosse dell'esatta tonalità di quelle che sto osservando adesso.
Ma questo è l'unico piccolo, infinitesimale particolare che accomuna la persona che sono ora e quella che sono stata in passato, non c'è altro.
Tanto che a volte mi domando se non fosse tutto frutto della mia immaginazione, se sia successo davvero, sembrano i ricordi della vita di un'altra persona, qualcosa che ormai posso solo toccare nei sogni, forse, se sono fortunata a farne in quei rari momenti in cui la coscienza mi concede un po' di tregua consegnandomi al sonno.
Il Dottor Milton, spazientito e visibilmente frustrato dalla mia noncuranza, si schiarisce la voce nel vano tentativo di recuperare la mia attenzione «vai pure Rae, ho capito che non è la giornata ideale per le conversazioni. Comunque ti informo che ho contattato il Dottor Kester, tua madre mi ha detto che avete sempre avuto un rapporto privilegiato. Non so per quale motivo tu abbia deciso di non affidarti più a lui, in ogni caso dopodomani sarà qui, è stato molto sollevato dalla mia telefonata».
Ok, questo è un colpo basso, un atto di rivolta in grande stile.
C'era un patto tra me e l'inutile Dottor Milton, niente interferenze esterne, niente visite, niente Kester, sono tentata di alzarmi e dimostrargli di essere dotata di potenti corde vocali, ma all'ultimo momento desisto, non ne sono più in grado.
La mia vita adesso ruota intorna a costanti linee rette, non sono contemplati i crolli, gli eccessi, e in generale ogni tipo di variazione. Ho assoluto bisogno di una costanza di vuoto per tenere gli occhi aperti. Per non avere paura.
Sono prigioniera volontaria di una bolla di sapone e... mi va bene così.
Non voglio farla esplodere, non voglio che succeda, Kester c'è andato molto vicino già una volta ma ha fallito miseramente. Ha fatto sì che mi dotassi di desideri e aspettative per poi lasciarmele distruggere in mille pezzi con le mie stesse mani. Sono errori che non si ripetono due volte.
«Non voglio vedere Kester» rispondo, decisa, con un tono che non ammette repliche.
Il Dottore mi fissa con un sorrisetto trattenuto a fatica, lo stesso che ostenta chi sa di tenere il coltello dalla parte del manico «Rae mi dispiace ma non sei tu a decidere. Hai avuto molte possibilità di risolvere questa situazione ma ti ostini a mantenere il silenzio, sono certo che ricevere stimoli da una persona che ti conosce non potrà farti che bene».
Tutte stronzate... «Kester non mi conosce affatto» ribatto.
Risolvere la situazione poi... ma quale situazione? Io sto bene qui, papà silenzio e mamma indifferenza non mi fanno mancare nulla né mi illudono di qualcosa.
«Perché questo astio nei suoi confronti?» domanda sinceramente incuriosito.
«Perché mi ha mentito».

* * * * * * *



Qualche minuto dopo nonostante le proteste vengo congedata con un "premio", la prossima seduta che farò sarà davanti a una persona che conosco, a quanto pare. Il mio entusiasmo per la notizia è pari solo alla mia gioia di vivere attuale, ma almeno finalmente posso tornarmene in camera a fare quello che mi riesce meglio: aspettare che il tempo passi senza muovere un dito.
Ripercorro i corridoi gemelli che vedo ormai da tre settimane a questa parte ma faccio fatica ad orientarmi, non li distinguo, li conosco ma non mi sono familiari. È come se fossi arrivata solo ieri, quindi giro a vuoto un paio di volte, prima a destra e poi a sinistra, e alla fine mi fermo davanti all'immensa porta a vetri che affaccia sul parco in attesa di un'illuminazione.
Fuori il tempo sta cambiando, il grigio delle nuvole ha rubato tutto il posto all'azzurro, il sole è sparito e il vento dev'essersi stancato del mare.
Da quando sono qui ho sviluppato uno strano tipo di relazione con le condizioni metereologiche, di diffidenza mista a un leggero fastidio, perché si prendono continuamente gioco di me. Anche adesso.
Perché il tempo è cambiato? Perché deve cambiare? Dentro di me è rimasto tutto esattamente com'era prima quindi perché dovrei subire passivamente le variazioni esterne? Non le cerco, non le voglio, non hanno senso.
Anche quando sono arrivata in questa specie di bolla, la Clinica per i Disturbi Comportamentali di Sleaford, a 300km da casa, ricordo di aver avuto pensieri simili. Ero distrutta quel giorni, annientata, persa, impaurita, avrebbe dovuto piovere, tirare vento, avrei dovuto godere del sacrosanto diritto di alzare gli occhi al cielo e specchiarmi nel nero, nel grigio, sarebbe stato giusto. Appropriato.
Invece no. Arrivata qui ho trovato il sole, il verde rigoglioso dei giardini, cielo azzurro e una leggera brezza a scuotere appena le prime foglie secche. Mi sono sentita immediatamente fuoriluogo, un piccolo carboncino al centro di una tavolozza di colori. Era tutto sbagliato, tutto, e per assurdo questo era l'unico pensiero tranquillizzante perché, diamine, ero tutta sbagliata anch'io... come ora.

Non dovrei ripensare al passato, è una di quelle cose che ho capito appena sono scesa dalla macchina, perché pensarci equivale automaticamente a rivedere Finn nella mia testa. Ancora, ancora e ancora, in un circolo vizioso di un ricordo senza fine che mi scava nel cervello lasciandomi sfinita.
L'avevo pregato di non venire a salutarmi, di risparmiarmi almeno lo strazio di un addio ma non ha voluto sentire ragioni. Si è presentato davanti casa mia bello come sempre, con quei meravigliosi occhi nocciola in grado di leggermi dentro e il suo profumo... Dio, come mi manca il suo profumo, quella perfetta combinazione di fresco, di casa, di cose belle. Non sono più riuscita a indossare il maglione che avevo quella mattina, è sciocco lo so, ma sembra ancora impregnato di lui, dell'abbraccio che mi ha dato prima di diventare nient'altro che un minuscolo puntino all'orizzonte.
Mi manca, mi manca da morire, mi manca sempre...

Fortunatamente un tuono mi riporta alla realtà.
Mi guardo intorno scossa dai ricordi e improvvisamente ritrovo la strada di "casa", non sono mai stata tanto felice di rivedere quattro mura bianche in vita mia. Mi butto sul letto sprofondando il viso nelle lenzuola pulite e inspiro a fondo, rilassata, questo è l'unico posto in cui non devo preoccuparmi del tempo perché con le tende tirate e le tapparelle abbassate c'è sempre la stessa tonalità di grigio chiaro. Dentro, fuori, e tutto intorno.

* * * * * * *



«Rae, c'è una visita per te» trilla una voce materializzatasi sulla porta.
È Agnes, l'infermiera che finora si è sempre presa cura di me, l'unica persona cui di tanto in tanto dedico un briciolo di attenzione. Ha 34 anni, lunghi capelli castani sempre accuratamente legati in una treccia studiata, occhi verdi limpidi e un sorriso dolcissimo, la prima settimana che ho trascorso qui ha passato moltissimo tempo con me. Me ne stavo sempre chiusa in camera, in silenzio, rannicchiata sul mio letto ad occhi chiusi come un animaletto spaventato, lei veniva a sedersi accanto a me senza pretendere di intavolare una conversazione e mi raccontava aneddoti divertenti sugli altri pazienti. A un certo punto ha cominciato anche con stralci della sua vita privata sperando, forse, che le avrei aperto una finestrella sulla mia. Non l'ho mai ascoltata con grande attenzione a dire la verità, ma è l'unico essere veramente umano qui. E mi piace, mi piace la sua compagnia.
Realizzo quello che mi ha appena detto e il cuore comincia a battermi forte... una visita? Non aspettavo nessuno oggi.
«Chi è?» le domando in un misto di insofferenza e agitazione.
«Un tuo amico, un ragazzo molto carino. Lo stesso che ti ha chiamato la settimana scorsa, credo».
Comincio a rilassarmi un po' «Archie?».
«Proprio lui» conferma sfoderando uno dei suoi sorrisi rassicuranti.
Archie è qui... perché è qui? Non sono pronta per un contatto con l'esterno adesso.
«Non so se ho voglia di vederlo, Agnes» nella mia voce un timore che decisamente non si addice alla possibilità di quattro chiacchiere scambiate con il mio migliore amico .
Lei si avvicina con cautela posandomi una mano sulla spalla «oh, non essere sciocca, ha fatto un bel po' di strada per venire qui, significa che ti vuole molto bene».
«Lo so» mormoro, scoraggiata, «dammi qualche minuto però».
Ne avrò bisogno. Sono tesa, nervosa, ma come posso dire di no a del tempo con Archie? Come se mi fosse possibile dire di no a qualcunque cosa lo coinvolga poi. Gli voglio troppo bene e, cielo, mi è mancato da morire anche lui.
«Ok, allora lo porto nella sala gialla così intanto può mangiare qualcosa, la cuoca ha appena sfornato i muffin ai mirtilli, senti che profumino» inspira una boccata di celestiale aroma zuccheroso «però non farlo aspettare troppo» mi ammonisce mentre esce dalla stanza richiudendosi la porta alle spalle.
Va bene, posso farcela, respira Rae, respira... mi ripeto come un mantra pregando di convincermene davvero.
Le visite di cortesia stonano terribilmente con la mia vita qui, esattamente come il sole e il cielo azzurro. Finora le ho sempre evitate come la peste, le uniche eccezioni alla regola sono state un paio di telefonate di Archie e Chloe, ma anche in quelle occasioni ho sempre mantenuto il ruolo passivo di interlocutore limitandomi a grugniti e sussurri occasionali.
Adesso invece si tratta di ritrovarmelo davanti in carne ed ossa, di guardarlo e farmi guardare, sentire il calore del suo abbraccio e la sua risatina contagiosa. Sbagliato, è tutto sbagliato e inevitabilmente spaventoso.
Metto un golfino pulito che l'umidità appena trascinata dalla pioggia impone, lego i capelli come posso e infilo le scarpe che non indosso da tre settimane. Del resto le pantofole sono più adatte qui, più appropriate. In fine mi affaccio allo specchio, il quale non può che confermare il mio pallido colorito funereo e l'espressione preoccupata.
Esco dalla stanza e percorro lentamente i pochi metri che mi separano dalla mia vecchia vita... sulla pelle un brivido
Il primo di molti.

Eccomi di nuovo qui :)
Ho pensato molto se scrivere o meno una nuova storia su Rae & Company, e alla fine la nostalgia ha preso il sopravvento.
Lo scenario stavolta è cambiato completamente, l'avevamo lasciata alla fine di "To be continued.... ?" finalmente allegra e spendierata, circondata dall'amore di Finn e dall'affetto dei suoi amici, ma evidentemente qualcosa è andato storto.
Come è finita Rae ancora una volta in una clinica psichiatrica? La ragazza come ricorderete è un'adolescente, ma un'adolescente alle prese con problemi piuttosto seri. Quindi mi sono chiesta: come potrebbero mai convivere questi problemi con il desiderio di essere semplicemente un'adolescente, ora che Rae ha una vita piena di affetti? Una vita che vuole vivere intensamente, bruciando le tappe e rispettando le aspettative delle persone che la circondano.
Ciò che leggerete è il risultato di questa domanda, e presto seguirà un nuovo capitolo in cui verrà spiegato come Rae sia finita così lontana da casa e perché sia così abbattuta.
La storia ha già un capo e una coda, ma non ho ancora idea di quanti capitoli si comporrà, ho in programma di dargli una cadenza settimanale se ci riesco.
E niente, questo è tutto, al solito ogni commento sarà ampiamente gradito!

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Capitolo 2
*** Il Viaggio - Finn's POV ***


Capitolo 2: Il Viaggio

Stamford, 12 Novembre


Finn's POV

«Allora, ti alzi o devo buttarti giù dal letto? Ti ricordo che sei stato tu a chiedermi di chiamarti a quest'ora, se vengo lì non sarà piacevole Finn...» rimbrotta mio padre dalla cucina mentre si prepara la colazione.
Valuto l'ipotesi di rispondergli e fargli notare che sono già sveglio, ma al momento il dovere mi chiama, sto finendo una cassetta per il viaggio e sono troppo concentrato.
Non ho chiuso occhio stanotte, ho continuato a sbattere la testa contro un maledettissimo foglio di carta con l'intenzione di scrivere una lettera a Rae ma i risultati sono stati pessimi, nulli. Il foglio è rimasto pulito, privo del minimo abbozzo di pensiero, mentre il cestino straborda carta straccia.
«Ci penserò durante il viaggio» mi dico, dopotutto 4 ore e mezza di viaggio non sono poche, mi verrà in mente qualcosa.
Afferro l'ultimo disco degli Smiths e aggiungo l'immancabile "There is a light that never goes out", ora dovremmo esserci, non si tratta di stare via molto a lungo, è vero, ma stavolta avrò un disperato bisogno di ispirazione per mettere nero su bianco parole incastonate nel cervello che non vogliono saperne di uscire. La musica farà da tramite tra mente e penna.
Sfilo la cassetta dal mangianastri e la impilo sulle altre due preparate durante la notte, le metto al volo nella borsa e comincio a vestirmi. Quando mio padre fa il suo ingresso in camera sbattendo due padelle sono quasi pronto.
«Finn ti sto chiamando da mezz'ora, cosa...» si interrompe, sbalordito, vedendomi già in piedi «potevi anche dirmelo che eri sveglio, ho consumato la padella nuova a furia di battere».
«Già, credo che ti abbia sentito tutto il vicinato».
«Beh, buon per loro, saranno mattinieri oggi. Senti, io sto uscendo, mi raccomando chiudi tutto, salutami Archie e invitalo a cena una di queste sere che è un po' che non lo vedo» dice un attimo prima di uscire dalla mia stanza senza darmi il tempo di rispondere «e chiedigli di portare i miei saluti anche a Rae quando la vede».
Sorrido, quindi non sono l'unico nostalgico in famiglia «sarà fatto».

Grazie alla notte insonne sono sveglio come un cadavere appena tumulato, la prima caffetteria all'angolo mi invita come un'oasi nel deserto e le gambe le vanno incontro autonomamente. Ne esco dieci minuti dopo con due tazze di caffè fumanti in direzione Archie.
Ieri sera quando gli ho detto che sarei partito anch'io devo averlo lasciato parecchio perplesso perché mi ha dato l'ok dopo qualche minuto di riflessione accompagnata da grugniti e rumori molesti.

«Ma sei sicuro? Vuoi farti tutta quella strada per passare due ore in macchina?» mi ha domandato, scettico.
«Arch ci ho pensato, fermo ad aspettare sto impazzendo, almeno così mi sentirò più vicino a lei. Magari posso darti due righe da consegnarle, vuole evitarmi ma almeno questo sarà concesso, no?».
«Come vuoi, lo dicevo per te, figurati io sono contento di fare il viaggio insieme. Porti un po' di musica?».
«Al solito».

Mi ha colto di sorpresa la notizia della sua imminente visita a Rae, e in realtà mi sono sentito anche un po'geloso. Ormai non ho sue notizie da 3 settimane, 21 lunghissimi giorni, e la sua ostinazione nel rifiutare le mie telefonate comincia a pesarmi anche se so bene dove sia e cosa stia facendo.
Il giorno della sua partenza per Sleaford c'ero anch'io, mi aveva chiesto di non andare ma alla fine non ho resistito e sono corso a salutarla. Dopo averla abbracciata per un tempo indefinito e averle sussurrato all'orecchio quanto l'amassi e che l'avrei aspettata, l'ho vista salire in macchina e allontanarsi fino a diventare un puntino microscopico all'orizzonte. Non la vedo da allora e sento il peso della sua mancanza ogni giorno più forte.

Sono le 7.50 quando arrivo a casa di Archie, busso piano alla porta per evitare di svegliare tutti, ma lui è puntuale come un orologio svizzero e un minuto dopo siamo già in macchina con i nostri caffè fumanti e un pezzo dei Blur.
«Allora, sei sicuro di voler venire?» domanda prima di partire.
«Te l'ho già detto Arch, su, non perdiamo tempo, altrimenti è inutile essersi alzati all'alba».
«Hai la faccia da notte insonne» dice dopo avermi ispezionato il viso, «fai abbastanza schifo, Finn, devo dirtelo».
«Piantala e parti» gli rispondo, piccato.
Tutte queste resistenze cominciano a darmi sui nervi, in fin dei conti anche la sua è un'imboscata, lui e Rae non si sono mica messi d'accordo per vedersi, hanno semplicemente parlato pochi minuti qualche giorno fa, nient'altro. Archie ha deciso su due piedi di andare a trovarla, pensa che il fatto di aver avuto quella breve conversazione possa essere considerato un fatto positivo e vuole convincerla a tornare. Come tutti del resto, sua madre compresa. Ma so bene che sarà un'impresa titanica. Per quanto mi riguarda voglio solo sentirmi più vicino a lei, anche se non potrò incontrarla di persona, mi accontenterò per ora.
«Hai pensato che potrebbe anche decidere di non vederti?» domando dopo un paio di minuti di viaggio.
«Naaa, senti, lo so, Rae è una testona, ma ci vogliamo bene, non ci credo che avrebbe il coraggio di mandarmi via dopo 4 ore e mezzo di viaggio, non sarebbe così stronza... no?» risponde, perplesso.
«Vuoi convincere me o te stesso?».
«Che stronzo, vuoi scendere qui?» risponde dopo avermi mollato una gomitata.
«Dai Arch, sto scherzando. Oddio, credo davvero che sia una possibilità, ma penso anche che dopo 3 settimane in quel posto isolato dal mondo forse l'idea di vederti le sembrerà un miraggio di felicità. Certo, considerare un miraggio proprio te è piuttosto strano...».
«Vuoi un'altra gomitata? Sul serio?».
Sogghigno, volevo solo provocarlo un po'. La verità è che avrei anch'io una gran voglia di vederla, lei potrà non avere bisogno di me adesso ma io ho sicuramente bisogno di lei, i nostri momenti insieme mi mancano terribilmente. Persino i suoi bronci. Che mi allontani proprio adesso mi sembra ridicolo, soprattutto considerando che sono l'unico a sapere come siano andate davvero le cose. Pensavo che l'avermi parlato con tanta franchezza sarebbe valso a qualcosa, e invece ha creato una distanza tra noi che non c'era mai stata prima. Il giorno in cui è andata via mi è sembrato di guardare negli occhi un'altra persona, un'estranea, spero tanto di rivederla in sé... prima o poi.
Prendo il blocco di fogli che mi sono portato dietro, la penna, e mi metto a pensare a qualcosa di decente da scriverle, ma è dura, tamburello con la penna sul foglio e non mi viene in mente un fico secco.
«Blocco dello scrittore?» mi domanda Archie.
Asserisco, strappo il foglio dal blocco e lo tiro appallottolato sul sedile posteriore «non è decisamente il momento adatto».

In viaggio il paesaggio cambia in continuazione, così come il tempo, ci lasciamo dietro una cittadina dopo l'altra intervallata da prati ancora verdi e corsi d'acqua. Il tempo stamattina prometteva bene, siamo partiti con cielo azzurro e sole, ma ben presto hanno fatto la loro comparsa gruppi di nuvoloni scuri, e di tanto in tanto il parabrezza si riempie di una lieve pioggerellina.
Mi annoio da morire, Archie si rifiuta di farmi guidare, non c'è verso, dice che per lui è rilassante e lo aiuta a preparare mentalmente il discorso da fare a Rae. Beato lui, anch'io avrei voluto preparare il mio ma ho fallito miseramente e il foglio bianco continua a restarsene indispettito nel suo blocco.
Oltretutto è già mezzogiorno, i cartelli che indicano Sleaford si fanno sempre più grandi e frequenti, è questione di una ventina di minuti ormai quindi con ogni probabilità non ci sarà nessuna lettera da consegnare.
Eppure...
«Archie, fermati» esclamo all'improvviso.
«Come dici?».
«Ferma la macchina a uno spiazzo devo parlarti, è importantissimo».
Archi mi osserva interdetto e corruga la fronte, ma alla fine cede e accosta «Come vuoi».

Fermi ai confini di un grosso campo io e Archie scendiamo dalla macchina.
Fuori la temperatura si è decisamente abbassata, prendo la giacca e mi accendo una sigaretta. Archie mi si para davanti e mi imita facendo lo stesso.
«Allora, cosa c'è?» domanda.
Sospiro rumorosamente prendendomi tutto il tempo necessario per trovare le parole giuste «non ti piacerà...».
«Su questo non avevo dubbi» ribatte incrociando le braccia al petto.
«Devo parlare con Rae» ammetto senza tanti preamboli «ho assolutamente bisogno di vederla».
Archie butta la sigaretta a terra scalciandola senza pietà «lo sapevo che farti venire era una cazzo di idea. E sentiamo, come vorresti fare?».
«Vado al posto tuo» butto lì come se fosse un'ovvietà «pensaci, nessuno ci conosce, ti hanno sentito solo qualche secondo per telefono, chi potrebbe accorgersi dello scambio?».
«Io, Finn!» risponde spazientito mettendomi una mano sulla spalla «ti capisco, sul serio, ma è un'imboscata in piena regola, cosa credi che penserà Rae quando ti vedrà lì? Non ha nemmeno voluto parlarti al telefono, hai idea di quanto s'incazzerà con me?».
«No, tu non capisci Arch, guardami» avvicino il mio viso al suo «guardami in faccia, sono 3 settimane che sto di merda. Non so se sta bene, non so cosa fa, cosa pensa, niente. Sto impazzendo amico mio. Farò questa cosa in ogni caso, ma dammi una mano... per favore».
Archie mi fissa dritto negli occhi, posso vedere chiaramente gli ingranaggi del suo cervellino lavorare a pieno regime, così insisto.
«Tanto era un'imboscata anche la tua, si sarebbe arrabbiata in ogni caso. Starò pochissimo te lo prometto, e poi potrai parlarci tu e dirle tutto quello che avevi in mente».
«E va bene» dice allargando le braccia, esasperato. Si allontana da me e dalla macchina borbottando qualcosa che non riesco a capire, poi si sistema di nuovo al volante «questa storia non mi piace per niente Finn, è sbagliato metterla davanti al fatto compiuto e costringerla a vederti quando non ha neanche voluto risponderti al telefono. Però...» si prende una pausa fissando la pioggia che ha ripreso a cadere sottile sul vetro «chissà che non ne venga fuori qualcosa di buono. Magari puoi riuscire a spronarla, chi lo sa».
Sono al settimo cielo «Grazie amico».
«Mi devi un favore grosso quanto una casa».
«Quando vuoi».

La Clinica di Sleaford è un incantevole villa immersa nel verde, silenziosa, discreta, con una quantità impressionante di aiuole e alberi disseminati in un giardino grandissimo. Archie spegne il motore nel parcheggio adiacente, afferra un libro dallo zaino e si mette a scorrere le pagine con le dita mentre io scendo dalla macchina e mi dirigo verso l'entrata.
Con il viso rivolto alle le nuvole scure a scongiurare un temporale sono così distratto da scontrarmi in pieno con una ragazza appena uscita dalla porta cui sono diretto.
«Ehi, fa' un po' d'attenzione, guarda che casino» impreca indicando la risma di fogli sparsa a terra che comincia a svolazzare qua e là preda di una folata di vento. Avrà più o meno la mia età, e ha un un grosso fodero attaccato al collo con una macchina fotografica.
L'aiuto a raccogliere tutto «scusami tanto, ero sovrappensiero».
«Dai, non fa niente, grazie per l'aiuto, stai andando a trovare qualcuno nella clinica?» mi domanda.
«E cos'altro sennò?».
«Beh, io per esempio ho una sorella che lavora qui... pausa caffè» ribatte portandosi una tazzina immaginaria alle labbra «comunque non volevo essere indiscreta, scusami» aggiunge notando la mia aria perplessa «anzi, meglio che vada perché sono in ritardissimo. Ciao!».
L'accompagno con lo sguardo mentre si allontana di corsa, di tanto in tanto borbotta tra sé e sé rincorrendo l'ennesimo foglio svolazzante sfuggito alla sua presa, che strano tipo...
Appena varcata la soglia della Clinica vengo assalito dal classico odore di disinfettante tipico di tutti gli ospedali, il silenzio è quasi assordante, in giro ci sono solo un paio di infermiere intente ad impilare lenzuola bianchissime su un carrellino, nessun altro. Mi dirigo verso l'accettazione presentandomi alla segretaria come Archie, e sostengo di aver parlato qualche giorno prima con un'infermiera di nome Agnes. Mi invita ad attendere un momento...
Un paio di minuti dopo vengo raggiunto da una giovane donna sorridente, ha una divisa azzurrina e i capelli perfettamente ordinati, un cartellino sul petto la presenta come Agnes, per l'appunto.
«Tu devi essere Archie, allora. Sai, in teoria dovrei farti la paternale e rispedirti a casa, in genere qui ci sono orari abbastanza rigidi e le visite devono essere concordate. Ma sono molto contenta che Rae riveda finalmente un amico e il Dottore che la segue dice che non c'è nessun problema, anzi. Quindi Benvenuto» mi accoglie sorridendo.
«Grazie».
«Vieni con me» dice invitandomi a seguirla.
Cammino a pochi passi da lei attraversando un paio di corridoi azzurri, l'atmosfera è veramente molto tranquilla come sembrava, avanziamo in silenzio per qualche minuto fino ad arrivare in una grossa stanza dalle pareti gialle, sedie di plastica verdi e un paio di tavolini di legno apparecchiati. Un profumino delizioso di dolce passa dalle narici piantandosi dritto nello stomaco, che comincia ad agitarsi in una danza di capriole, un po' per l'agitazione ma anche per l'appetito.
Credo che Agnes se ne sia accorta, perchè mi fissa trattenendo a stento un risolino e poi indica il tavolo al centro della stanza «la nostra cuoca ha appena sfornato i muffin ai mirtilli, serviti pure, non fare complimenti» mi incita alla merenda «vado a chiamare Rae, di sicuro rimarrà sorpresa quindi mettiti comodo».
Sorpresa... non immagini neanche quanto...
«Grazie mille, in effetti sto morendo di fame» rispondo fiondandomi senza tanti complimenti sul tavolo.
Agnes si allontana imboccando il corridoio da cui siamo arrivati. Mi sento un po' in colpa per averle mentito. Prendo un muffin e lo addento di gusto, è davvero buonissimo. Ma la pace dura poco, il pensiero di Rae mi rende di nuovo nervoso, ho una gran voglia di abbracciarla e di parlare con lei ma sono preoccupato dalla sua reazione. Nel frattempo fuori ha iniziato a piovere e il ticchettio delle gocce rimbomba nella stanza, d'un tratto in quella strana atmosfera ovattata vengo attirato da un timido fruscio di passi alle mie spalle.
«Finn?» pronuncia con un filo di voce Rae... due passi da me.

Avevo dimenticato di specificare che stavolta ci saranno capitoli raccontati dal punto di vista di Finn, non saranno alternati a quelli di Rae, ce ne sarà solo qualcuno. E non escludo di fare la stessa cosa anche con qualche altro personaggio, ma non ho ancora deciso.
Ciao ciao :)

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Capitolo 3
*** Dieci passi ***


Capitolo 3: Dieci passi

Sleaford, 12 Novembre


Cammino piano per il corridoio contando i passi che mi separano dal primo abbraccio dopo settimane con il mio migliore amico, ero tesa e molto nervosa solo un attimo fa, ma passo dopo passo la velocità della mia andatura aumenta finché comincio a marciare decisa. Evidentemente Archie mi è mancato più di quanto avessi voluto ammettere.
Quando arrivo sulla soglia della stanza gialla vengo investita in pieno da un dolcissimo profumo di muffin, il mio stomaco comincia a miagolare e mi sorprendo a pensare che il gesto successivo allo stritolamento di Archie sarà afferrare uno di quei dolcetti.
Poi mi blocco di colpo.
Intravedo una sagoma in fondo alla stanza, e a meno che non mi sia bevuta il cervello all'improvviso, e potrebbe anche darsi, quello decisamente non è Archie. Ci metto qualche secondo per mettere a fuoco, è come se la mia testa automaticamente rifiutasse l'idea, a 10 metri da me Finn sta bevendo un bicchiare d'acqua, e non c'è nessun lavaggio del cervello al mondo che potrebbe portarmi a ignorare la cosa.
Il primo impulso è correre da lui e baciarlo per il resto della mia vita, ubriacarmi del suo profumo e perdermi in quegli occhi nocciola che ancora non posso vedere ma che conosco e amo più dei miei. Subito dopo però subentra il nervosismo, perché non c'è molto da interpretare è un'imboscata in piena regola. Sto per fare marcia indietro, tanto lui non mi ha ancora vista, è girato di spalle e completamente assorto nei suoi pensieri, ma una forza soprannaturale quasi magnetica mi spinge ad andare avanti.
«Finn? pronuncio con un filo di voce e il cuore a mille.
A quella specie di sibilo lo vedo poggiare delicatamente il bicchiere sul tavolo, «era ora» mi dice sorridendo.

Ehi un momento, l'apatia che fine ha fatto? La mia rassicurante noncuranza verso il mondo intero, il grigiore, dove si sono cacciati? All'improvviso mi sento assalire da tutti i colori e le sensazioni del mondo.
Chissà quante pulsazioni al minuto può sopportare un cuore umano prima di andare in arresto cardiaco... o esplodere. Comincio a pensare che lo scoprirò presto. Altri due passi e siamo uno di fronte all'altra, sono passate solo tre settimane eppure mi sembra un decennio, è sempre bellissimo e mi guarda con una dolcezza che mi scioglie il cuore e che mi è mancata ogni secondo da quando sono qui.
«Come stai Rae?» domanda a bruciapelo.
Non vorrei essere felice di vederlo, a rigor di logica dovrei indignarmi, cominciare a sbraitare, offendere sia lui che Archie e poi girare i tacchi che non ho e andarmene. Ma le mie labbra sono di tutt'altro avviso e decidono autonomamente di resuscitare un vecchio sorriso e l'ironia «Archie, sai che queste tre settimane ti hanno completamente trasformato?» domando sibillina.
«In meglio o in peggio?» chiede trattenendo a stento una risata.
«In meglio... decisamente in meglio».
Sono completamente spiazzata dalla naturalezza e spontaneità che si è ricreata tra noi in 10 secondi, come se in queste tre settimane non fosse successo niente, come se ci fossimo visti solo ieri. Si avvicina e mi abbraccia forte, respiro il suo profumo a pieni polmoni e chiudo gli occhi stringendolo a mia volta. Mi sento di nuovo viva.
«Mi sei mancata tantissimo» mi sussurra sul collo scatenandomi un brivido.
«Mi sei mancato tanto anche tu».
Rimaniamo l'uno nelle braccia dell'altra per una manciata di secondi che vorrei durassero in eterno, e quando si stacca da me ha l'aria decisamente più rilassata.
«Ti va di fare 4 passi in giardino? Questo posto mi inquieta un po' ma è circondato da una distesa di prati incredibile» domanda mentre mi prende per mano come se fosse la cosa più naturale di questo mondo, «abbiamo tante cose di cui parlare».
Non riesco ancora a credere che sia qui, nonostante il grigiore della giornata dentro di me è appena esplosa l'estate, per un momento mi sembra quasi di poter sentire i raggi del sole sulla pelle.
«Va bene» rispondo con un tono di voce che per gli standard degli ultimi tempi equivale a un giro sulle montagne russe.

Fuori dall'edificio l'aria gelida del pomeriggio mi arriva sul viso a tradimento, non esco seriamente fuori dalla Clinica praticamente da quando sono arrivata, non mi ero resa conto che nel frattempo fuori l'autunno stesse davvero scalzando via l'estate, eppure le foglie rosse le avevo viste.
Finn cammina accanto a me tenendomi saldamente la mano come se avesse paura di una fuga improvvisa e non smette di aggiornarmi su tutti gli avvenimenti importanti che mi sto perdendo.
«... e non si è accorta che Chop era proprio dietro di lei e ha sentito tutto. Credo non si sia mai vergognata così tanto, Chloe continuava a tossire per farla smettere di parlare ma niente, Izzy sembrava un treno lanciato a tutta velocità. Hanno litigato come matti e non si sono rivolti la parola per 3 giorni. Se Archie non li avesse chiusi a tradimento nel magazzino del locale non so se sarebbero mai riusciti a chiarirsi. Ahahaha avresti dovuto esserci...».
Già, avrei dovuto esserci... ma ero qui.
«Ho promesso di non dirtelo, ma Archie si vede con un tizio nuovo. Oddio ha cercato in tutti i modi di non farsi scoprire e crede di esserci riuscito, ma la settimana scorsa Chloe e Izzy li hanno visti camminare mentre parlavano fitto fitto al parco. Secondo me è stracotto. Promettimi che quando te lo dirà farai la faccia sorpresa, giura o rischio la vita!».
«Va bene, va bene, lo giuro! Ma magari non me lo dirà nemmeno».
«Eccome se lo farà, manchi molto anche a lui... in realtà manchi a tutti» ammette regalandomi un sorriso timido.
Ogni tanto ci sono lunghe pause di silenzio tra noi, Finn non mi ha ancora lasciato la mano neanche per un momento, so che tutte queste chiacchiere in realtà sono la manifestazione del suo imbarazzo. Sono sicura che non mi ha ancora detto quello che vorrebbe davvero. Continuiamo a camminare uno accanto all'altro in quello che sembra uno scenario sospeso nello spazio e nel tempo. Che sia una nuova bolla di sapone che abbiamo costruito insieme per proteggerci dalla realtà?
Ma ancora una volta è lui a spezzare l'incantesimo.
«Rae perché non torni a casa con me?» domanda a bruciapelo.
Mi fermo e lascio la sua mano in palese imbarazzo. Non riesco a guardarlo in faccia, improvvisamente mi ricordo perché sono qui e comincio ad avvertire di nuovo l'apatia, il grigiore, e l'immobilità che mi porto dietro ormai da un mese.
«Non posso farlo».
«Perché no? A che ti serve stare qui? Tua madre dice che ti rifiuti di fare qualunque cosa, che non vuoi vedere nessuno, non vuoi parlare con nessuno. Non mi hai nemmeno mai risposto al telefono. Perché ti fai questo?» e perché lo fai a me? sembrano dirmi i suoi occhi.
«Non... non lo so. Adesso mi sembra meglio così» rispondo a fatica con lo sguardo fisso sulle mie scarpe.
«Ti assicuro che non è meglio così».
«Ah no? Finn tu sai perché sono qui, sai come ci sono arrivata, eri con me Dio Santo!» grido alzando di scatto lo sguardo su di lui. Lo osservo in viso soffermandomi sullo zigomo sinistro, lo accarezzo con una mano. «Non si vede più niente almeno. Ho avuto paura che ti sarebbe rimasto il segno».
«Rae non sono fatto di porcellana» mi tranquillizza sorridendo poggiando la sua mano sulla mia, «non è successo niente di grave».
«Ma come fai a dire una cosa del genere? Sai benissimo che è così».
Stringo i pugni, mi allontano da lui e comincio a camminare da sola mentre il cielo continua a sembrarmi sempre più cupo. Mi sento così persa, così mortificata e imbarazzata per quanto è successo.
«Rae fermati!» grida Finn afferrandomi per un braccio e costringendomi a bloccarmi, «tutto questo è una follia. Tu che resti qua dentro è una follia. Non ha senso! Torna a casa, torna da me, dalla tua famiglia, dai nostri amici, queste sono le uniche cose che possono aiutarti a stare bene. Hai avuto un problema, d'accordo, ma chi non ne ha? Pensi che la mia vita sia perfetta? Che quella di Chloe sia perfetta? Di Archie... o di tua madre?».
«Lo sai che è una cosa diversa!» lo interrompo cominciando ad irrigidirmi.
La sua voce e la sua vicinanza mi creano una stretta continua allo stomaco, eppure lui sa bene come mi sono sentita, il terrore che ho avuto me l'ha letto negli occhi.
«Sei un'egoista» sentenzia lasciandomi di stucco.
«Egoista? Finn è tutto il contrario, io sono qui perché non riesco a vivere fuori, nel mondo reale con le persone che conosco, che si aspettano da me qualcosa che non esiste. Non voglio deludere nessuno, non voglio creare una situazione di perenne preoccupazione».
«Palle!» esplode. «Tutte palle che ti racconti per giustificare la tua vacanza qui».
A quelle parole così ingiuste mi sento ferita nel profondo e alzo i toni anch'io, «tu non dovresti nemmeno essere qui! Perché diavolo sei venuto? Non era abbastanza chiaro che non volevo parlarti? Non voglio vederti, non voglio sentirti, non ti voglio qui! Tu mi ricordi tutto quello che c'è di sbagliato in me!».
Finn mi guarda come se mi conoscesse solo ora per la prima volta, nei suoi occhi posso leggere chiaramente tutta la frustrazione e la rabbia che prova.
«Sai che c'è Rae? Tu non sei sbagliata, tu sei solo una cazzo di egoista. Perché non ti rendi conto per una volta che le tue azioni ricadono su tutte le persone che ti amano? Ti sei arresa senza colpo ferire, hai fatto un percorso e alla prima difficoltà hai alzato bandiera bianca. Continui a metterti al primo posto, a pensare di cosa hai bisogno, cosa vuoi, cosa non vuoi, e noi? Hai mai pensato per un secondo di cosa hanno bisogno le persone che ti stanno intorno? Tua madre non sa più dove sbattere la testa, Chloe continua a raccontarti le nostre giornate con una specie di telecronaca sul diario, e tu non ti sei ancora degnata di farle una telefonata! Una Rae! E io...» dice guardandomi così intensamente che per un momento ho come l'impressione che possa passarmi attraverso, «...Io ho bisogno di te, mi manchi. Ho provato a chiamarti mille volte, sai cosa si prova a fare la guardia a un telefono che non squilla mai? Alzarsi ogni volta che lo fa e restare delusi perché non sei mai tu? Come pensi che mi senta dopo quella sera? Ti fidi di me, condividi con me un tuo problema e poi sparisci senza lasciare traccia. Sono 3 settimane che non dormo la notte perché non so più un cazzo di niente di te».
Mi sento malissimo. Vorrei buttarmi tra le sue braccia, tornare a casa e riprendere la mia vita, la nostra storia. Vorrei spettegolare con Chloe, sorbirmi i drammi sentimentali di Archie, le sfuriate di Izzy e Chop, le ramanzine di mia madre. Mi mancano. Mi manca tutto. Ma come posso tornare alla mia vita se non sono più nemmeno sicura che fosse davvero mia? Mi sono persa, e la verità è che ho paura di ritrovarmi e scoprire una persona che non sono io. Mi guardo con apprensione perfino allo specchio la mattina, è come se continuassi ad aspettare di vedere il riflesso di qualcun altro e non riconoscermi più. Come faccio a tornare a casa? Come posso fare finta che non sia successo niente?
«Mi dispiace» dico abbassando ancora una volta lo sguardo, «ma non posso, non posso proprio. E tu non dovresti aspettarmi».
«Come? E questo cosa dovrebbe significare?» mi chiede cercando di guadagnarsi i miei occhi avvicinando il suo viso al mio.
«Quello che ho detto. Dovresti cominciare a farti una vita tua, voltare pagina, andare avanti. Qualsiasi cosa ci sia stata tra noi ormai non potrà tornare indietro, è l'ultimo dei miei pensieri al momento».
Alzo gli occhi trattenendo a stento le lacrime e mi ritrovo immersa nei suoi. Mi guarda come se non mi riconoscesse, e penso che tutto sommato è un bene perché significa che le cose stanno davvero come le immaginavo, e la percezione che ha di me è identica a quella che ho di me stessa.
Mi rivolge un sorriso tirato carico di rabbia, scuote la testa e un paio di volte prova a comunicarmi un pensiero che però rimane ancorato nella sua testa. Per la prima volta stacca gli occhi da me e rivolge il suo sguardo al cielo, alle stesse foglie rosse che avevano attirato la mia attenzione solo qualche ora fa.
«Va bene. Come desidera» dice voltandosi all'improvviso facendomi un inchino, «ogni suo desiderio è un ordine. Però stavolta seguirò le istruzioni alla lettera Rae. Non ci saranno più contatti da parte mia stai tranquilla, esco di scena definitivamente. Vuoi rimanere qui a piangerti addosso? Come vuoi. Ma non chiedermi di fare altrettanto. Non ho nessuna intenzione di guardarti mentre ti annienti da sola. Tu sei forte Rae, lo sei sempre stata e penso di avertelo ripetuto mille volte, solo che adesso non te ne rendi conto, ti auguro davvero che qualcuno più bravo di me riesca a farti aprire gli occhi. Io sono esausto, ho raggiunto il mio limite».
Il suo sguardo è fermo, carico di amarezza e rimpianto. Lo vedo rivolgermi un'ultima occhiata prima di prendere la strada dell'uscita. Vorrei urlargli di rimanere. Sento il mio cuore esplodere in mille pezzi ed ero sicura che ormai non sarebbe stato possibile sentirsi più ferita di così.
Faccio un passo nella sua direzione, poi le mie gambe si bloccano, ordino loro di muoversi ma non lo fanno.
Eppure a un certo punto Finn si ferma lo stesso. Resta qualche secondo immobile, poi si gira verso di me e torna indietro.
«Tieni» dice tirandomi un foglio di carta appallottolato «non so quanto abbia senso adesso ma ero venuto per questo. Fanne ciò che vuoi».
Raccolgo il foglio stropicciato dall'erba umida e mi accorgo che è una busta, probabilmente una lettera. Non ho la forza per aprirla ora, continuo a seguire Finn con lo sguardo che intanto ha ricominciato a camminare verso l'uscita. Un passo, due, dieci passi, finché non esce dalla Clinica e lentamente scompare sempre più lontano da me.

L'avevo detto che stavolta ci serebbe stato da penare? Sì?
Beh, ci sarà da penare :)
Nel prossimo capitolo ritroveremo Archie e Kester, e scopriremo cos'è successo a Rae, perché sembra così decisa a rimanere dov'è.

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Capitolo 4
*** Vita da Mostro ***



Capitolo 4: Vita da Mostro

Sleaford - 12/13 Novembre


Non so che ore sono e quanto tempo è passato, sono seduta sull'erba umida e una pioggerellina sottile accarezza ogni parte del mio corpo impregnandomi di umidità. Tutto ciò che riesco a vedere e sentire sono gli occhi nocciola di Finn, e il suo sguardo misto a rabbia, frustrazione e delusione quando se ne è andato via. L'ultima cosa che ritenevo possibile è accaduta, per la prima volta da quando sono qui mi sento fuoriluogo, mi rendo conto che tutto ciò che mi circonda non è quello che dovrei vedere, sono impantanata in una bolla d'errore che mi sono costruita da sola e non so più come uscirne.
A riportarmi alla realtà è la cessazione della pioggia, le gocce non mi rigano più il viso e istintivamente alzo gli occhi al cielo. Quello che vedo è uno spicchio di mondo rosso ciliegia... un ombrello.
«Rae...» sospira appena alle mie spalle una voce che conosco bene, «entra dentro con me, ti ammalerai se resti qui».
Archie mi tende una mano per aiutarmi ad alzarmi da terra, sto morendo di freddo, non credo di aver mai avuto mani e cuore così ghiacciati. Vorrei avercela con Archie almeno un po', la mia situazione non dipende certo da lui però mi ha messo in una situazione a dir poco imbarazzante permettendo a Finn di venire al posto suo. Ma la realtà è che mi basta il suo sorriso per sentirmi di nuovo a casa, mi è mancato da morire. Afferro la sua mano poi senza dire una parola mi butto tra le sue braccia in una stretta che probabilmente lo stritolerà.
«Archie dovrei ucciderti lo sai, vero? Ma sono tanto tanto felice di vederti... Ho fatto veramente un casino stavolta» ammetto affondando il viso nel suo maglione blu.
«Non ti preoccupare metteremo le cose a posto. Adesso entriamo dentro però perché sei zuppa e hai fatto fare la doccia anche a me, se non verrà la polmonite a entrambi sarà un miracolo».
Riesce a farmi sorridere persino adesso, malvolentieri lo libero dal mio abbraccio e ci dirigiamo verso l'entrata della Clinica mano nella mano. Prima di varcare la soglia alzo lo sguardo verso l'indicazione sulla facciata... «non dovrei essere qui, non sarei mai dovuta venirci» .

Insieme ad Archie arrivo nella mia stanza, il tepore che troviamo all'interno mi scongela i pensieri e mi sento più idiota ogni minuto che passa, è come se la consapevolezza fosse arrivata tutta insieme. Mi rendo conto delle assurdità che ho detto a Finn poco fa, al suo posto adesso mi odierei, e questo pensiero non mi da tregua. Ripercorro tutto il delirante discorso che gli ho fatto... farsi una vita sua? Guardare avanti? Ma come diavolo hanno potuto uscirmi certe parole di bocca? Per un attimo prendo in considerazione persino l'ipotesi di sdoppiamento della personalità, si dev'essere andata così, dentro di me alberga una Rae idiota, sadica e masochista insieme, che spara cazzate e rovina la vita alla parte che resta.
Mi chiudo in bagno qualche minuto per togliere i vestiti bagnati dopo aver dato un maglione pulito ad Archie affinchè faccia altrettanto. Mi guardo allo specchio e rimango inorridita, «ma come ho fatto a ridurmi così?» dico alla bipolare nello specchio. Ecco spiegato l'arcano, sono una strega... beh... almeno all'apparenza ne ho tutto l'aspetto. I capelli vivono ormai di vita propria, le occhiaie toccano le guance, gli occhi sono arrossati dal vento e dal freddo, ed ho un colorito cadaverico inquietante. Mi pizzico le guance sperando di vedere un lampo di vita solcarle di nuovo, ma la situazione decisamente non migliora quindi mi convinco ad uscire così dopo aver semplicemente dato una parvenza di umanità ai miei capelli.
Archie è seduto comodamente sulla poltrona che ho accanto al letto, appena mi vede sorride, e addenta un muffin ai mirtilli con estremo entusiasmo mentre con l'altra mano tiene stretta una tazza di tè caldo. Mi siedo sul letto e decido di imitarlo, anche perché non c'è verso che riesca a scaldarmi.
«Allora cosa diavolo ci fai qui?» mi chiede un secondo dopo l'ultimo boccone di dolce.
Bella domanda, penso, un paio d'ore fa la risposta sarebbe stata semplice, ma ora... «che diavolo ci faccio qui?... Aspetta ma se tu sei qui dov'è Finn? Cosa starà facendo? Dovremmo preoccuparci?».
«Aspetta un attimo tu» mi frena Archie, «prima di tutto non hai risposto alla mia domanda. Per Finn non devi preoccuparti, voleva stare un po' da solo così l'ho accompagnato alla stazione degli autobus qui vicino e poi sono tornato a vedere come stavi. Aveva un diavolo per capello, quando l'ho visto non potevo crederci non hai idea quanto fosse felice all'idea di vederti dopo settimane, hai davvero esagerato con lui Rae. Non so cosa tu gli abbia detto ma non lo meritava, avresti dovuto lasciare tutta questa faccenda... di qualunque cosa si tratti, per un attimo, e permettergli di starti accanto e basta. Capisco che tu non sia nel momento migliore ma ti garantisco che non è facile nemmeno per lui. Quindi, adesso dimmi perchè sei qui, e poi spiegami perchè ho appena visto a pezzi il mio migliore amico».
«Non ti ha detto niente?».
«Macchè» risponde scuotendo la testa, «se non avessi preteso di accompagnarlo alla stazione ci sarebbe andato da solo a piedi sotto la pioggia. Lo conosci è un testone, era così risoluto che non mi è sembrato proprio il caso di fargli delle domande».
«Sono un'idiota Arch».
«Su questo, oggi, potrei anche essere d'accordo».
«Dai non scherzare sono seria. Ero così presa da me e dai miei problemi che il suo arrivo qui mi è sembrata un'invasione bella e buona. Gli ho detto, in sintesi, di dimenticarsi di me, di andare avanti ecco... oltre» ammetto. Sentire quelle parole ad alta voce fa risaltare ancora di più l'assurdità della situazione. Finn viene da me per assicurarsi che stia bene e io gli dico di guardare oltre. Ben fatto Rae. Gli occhi sgranati di Archie alla mia ammissione di colpevolezza sono un anticipo molto esplicativo della lavata di testa che mi aspetta.
«Rae ma cosa... come hai... adesso capisco la sua reazione», dice continuando a scuotere la testa in segno di dissenso... totale oserei dire. «Tu non sei stata con lui nell'ultimo mese, era un'anima in pena, l'idea di saperti qui senza poter far niente faceva impazzire noi, figurati lui. Ti sei negata persino al telefono, insomma che pretendevi, cosa avrebbe dovuto fare? Tu cosa avresti fatto al posto suo ci hai pensato?».
«Evidentemente no» rispondo abbassando gli occhi a terra.
«Non discuto la tua scelta di venire qui, anche se... vabè... però non sei sola al mondo. Ci sono persone che ti amano e ti vogliono bene lo sai no? Tu hai una responsabilità nei confronti di queste persone, compreso me, soprattutto perché, e penso di poterlo dire con certezza, ti abbiamo dimostrato mille volte che puoi contare sempre su di noi, che non sei sotto giudizio da nessuno. Che semplicemente ti vogliamo bene. Se volevi restartene per un po' lontano da tutto c'erano altri modi per farlo, ma hai scelto quello più sbagliato. Sparire senza dare il minimo segno di vita è una stronzata. E Finn ha avuto anche troppa pazienza, col senno di poi mi rendo conto che saremmo dovuti venire qui molto prima, quantomeno per cercare di scuoterti. Tua madre non sta meglio di noi ne sei consapevole si?».
Le parole oneste e sincere di Archie mi arrivano una dopo l'altra come punte di spillo. Ho una vita fuori da qui e l'avevo dimenticato, ho mandato a quel paese l'unica cosa che avrebbe potuto aiutarmi in questa situazione: l'affetto.
«Archie non so cosa dire. Credimi non volevo far soffrire nessuno, tanto meno Finn, se penso a come è andato via mi sento malissimo. Pensavo davvero che allontanarmi da tutto fosse la cosa giusta da fare. Non riesco a spiegarti cosa mi ha portato qui adesso, vorrei davvero, so di poterlo fare ma non me la sento. Quello che posso dirti è che per tutto il tempo che sono stata qui mi sono sentita persa... non mi sono sentita niente in un certo senso. Era come se non vedendo nessuno di voi potessi fare finta che non esisteste. È folle lo so ma un giorno ho deciso che non volevo essere più niente... che se non potevo essere quello che avrei voluto allora tanto valeva azzerare tutto. Ora come ora sono solo preoccupata per Finn, e per quanto possa sembrare assurdo vederlo e dirgli quelle cose mi ha come svegliata dal torpore».
Archie mi guarda serio serio negli occhi, poi mi prende il viso tra le mani, mi schiocca un bacio sulla guancia e sorride «questa è la mia Rae, allora in fondo in fondo non sei sparita alla fine».
«Sembra di no» rispondo sorridendo a mia volta. Non so quanto possa essere affidabile, ma giurerei che il peso sullo stomaco cominci ad allentare la presa.
«Non preoccuparti troppo per Finn. Adesso deve sbollire un po', magari tra un paio di giorni proverò a parlarci, in questo siete uguali, due testoni di prim'ordine, lui è solo meno loquace di te. Però davvero Rae, che ci fai qui? Perchè non torni a casa con me?».
Casa. Adesso che ho tolto la maschera dell'imperturbabilità devo dire che mi manca da togliermi il fiato, vorrei vedere la mia famiglia, Finn, tutti i miei amici, mi mancano tutti così tanto. Ma ho troppa paura, vedere cosa posso diventare mi ha terrorizzato, sapere di non poter avere il controllo delle mie emozioni mi spedisce in un buco nero senza uscita ancora adesso. Ho bisogno di Kester, ho un tremendo, immediato bisogno di Kester.
«Mi piacerebbe Archie ma così su due piedi non me la sento. Domani vedo una persona che sicuramente potrà aiutarmi, non dico a risolvere la situazione ma almeno a capire cosa posso fare. Però ti prometto che d'ora in poi farò tutto quello che posso per stare di nuovo bene e tornare a casa».
«Va bene Rae, ti voglio veramente tanto bene... sai che avevo paura che ti saresti incazzata da morire per oggi?» dice scoppiando a ridere contagiando anche me.
«Hai fatto bene ad avere paura, ma alla fine sono contenta che siate venuti... entrambi. Ma devi andare via adesso? Non mi hai raccontato niente di te... della tua nuova fiamma...».
«E tu cosa... Finn! Si anch'io ho tante cose da raccontarti, ma lo faremo quando sarai tornata a casa, lontano da questo posto e da questo atteggiamento. Adesso mi aspetta un viaggio bello lungo, domani ho anche lezione quindi devo proprio andare».
Ci abbracciamo ancora e respiro a pieni polmoni il profumo di casa, mi sento un po' più tranquilla adesso che ho uno scopo. Prego tutto il possibile affinchè Finn non metta in pratica quanto gli ho detto, perchè ho una voglia immensa di essere ancora e ancora la destinataria dei suoi sorrisi e dei suoi abbracci.
Nel prendere la giacca che aveva poggiato sulla scrivania Archie fa cadere la lettera di Finn, guarda il foglio per un momento e sorride, «Finn?» chiede.
Faccio cenno di si con la testa «me l'ha data prima di andare via».
«Pensavo che alla fine non l'avesse più scritta, ha provato a mettere pensieri su carta durante tutto il viaggio, non hai idea di come mi ha ridotto la macchina, ho i sedili posteriori pieni di coriandoli... Non preoccuparti per lui» aggiunge come se potesse leggermi nel pensiero, «tu pensa a tornare, il resto verrà da sé... con l'aggiunta di qualche aiutino magari» dice strizzandomi l'occhio.
Un attimo dopo indossa la giacca ed esce dalla stanza, è come se si portasse via un raggio di sole. Lo seguo con lo sguardo dalla finestra poi mi decido a raccogliere la lettera dal pavimento. La apro con mani tremolanti e fisso ancora incredula una riga scritta. Siamo stati insieme, abbiamo fatto l'amore, eppure ogni volta che tocco con mano quello che Finn prova per me ancora non ci credo, mi pare impossibile. Sul foglio bianco c'è l'intento che aveva messo nel viaggio di oggi:

Ti amo Rae, torna presto, ti aspetto. Finn.

Sorrido istintivamente per poi rabbuiarmi un attimo dopo al ricordo di ciò che gli ho detto, vorrei prendermi a schiaffi. Giuro che se riuscirò a tornare a casa sistemerò tutto, non posso e non voglio rinunciare a questo.

* * * * * * *



Il giorno dopo sono un fascio di nervi. Quando Agnes entra nella mia stanza alle 7.30 sono già sveglia da un pezzo... ammesso che abbia mai chiuso occhio.
I fatti di ieri continuano a ronzarmi nella mente, e l'idea di incontrare Kester non facilita le cose. Non ho la più pallida idea di cosa gli dirò, o se sarà ben disposto nei miei confronti. Non so nemmeno se c'è un modo per risolvere il problema in effetti. Ecco quest'ultimo pensiero non ci voleva, se possibile mi sento ancora più tesa di qualche attimo fa.
Per fortuna la presenza di Agnes mi tranquillizza un po', è incredibile come questa ragazza sia apparentemente sempre così serena, immagino che viva anche lei i suoi piccoli e grandi drammi ogni tanto, ma se è così è molto brava a non darlo a vedere. Si avvicina al letto vedendomi già seduta e sveglissima. Stamattina ha i capelli acconciati in una treccia strepitosa degna del miglior salone di bellezza, eppure l'ho vista io stessa una volta farsela da sola, è incredibilmente brava anche in questo. Non è una bellezza classica Agnes, i tratti del viso sono spigolosi e il naso aquilino stonerebbe sul viso di chiunque, ma nel complesso ha un'eleganza e una semplicità innate che la rendono bellissima ai miei occhi. Se penso allo stato vegetativo della mia testa mi vergogno da morire.
«Allora sei pronta per la seduta con il Dottor Kester? Mi era sembrato di capire che la temessi un po'».
«Infatti è così, non ho dormito stanotte... per vari motivi, ma Kester è uno di quelli. È una persona speciale e un medico in gamba, ma ultimamente non gli ho dato molti motivi per simpatizzare per me» accenno pensierosa.
«Oh ma senti senti, sciocchina, stai tranquilla andrà benissimo, e poi le persone come lui sono abituate ad avere a che fare con persone lunatiche» dice mollandomi un buffetto sulla guancia, «tu devi solo metterci la voglia di uscire fuori dalla situazione in cui sei ora. Sai che ti trovo meglio stamattina? Sei nervosa e agitatissima, è un buon segno».
«Davvero?».
«Eccome! Ogni reazione è meglio di nessuna reazione. Ti confesso che vederti sempre con lo sguardo vuoto persa a fissare il muro mi ha stretto il cuore per tutte queste settimane. Una ragazza così giovane, non capivo perchè non ne volessi sapere di stare bene. Spero che ti sia arrivata finalmente quella scossetta di cui avevi bisogno per avere di nuovo voglia di sorridere alla vita».
«Chiamala scossetta...» pronuncio sibillina.
«Come?» domanda Agnes che adesso ha preso a torturarmi sadicamente i capelli.
«Niente, ero sovrappensiero».
«Senti un po' tu ma da quanto tempo è che non ti pettini come Dio comanda?».
«Pettin... come dici? Che vuol dire?» le rispondo scoppiando in una sonora risata.
«Oh finalmente, mi sembra un miracolo sentirti ridere Rae. Lo vedi che volendo si può sempre trovare un motivo per farlo?».
«Lo so. L'ho sempre saputo in effetti... Diciamo che l'avevo dimenticato».
Smette finalmente di "pettinarmi" i capelli e si dirige verso la porta per fare il solito giro delle stanze, «fatti una bella doccia, sistemati, è assultamente necessario, ripeto, NECESSARIO, quei capelli, e vestiti. La tua visita arriva alle 9.30. Quindi fai tutto con calma ma non tergiversare troppo».
«Agli ordini! E Agnes... grazie di tutto, proprio di tutto, non sono stata molto partecipe nelle nostre conversazioni, però so che sei sempre stata qui per me e... beh è stato importante».
«Oh tesoro» risponde commossa, torna verso di me e mi abbraccia forte, «non starai qui ancora per molto vero? Non sai quanto sono felice per te, amo il mio lavoro ma a volte è difficile stare accanto a persone che si sono perse senza poter fare niente di concreto per aiutarle. È stato sempre un piacere averti intorno. E adesso fammi andare o il giro delle stanze lo finirò l'anno prossimo».
Ok la mia vita è ufficialmente diventata un continuo déjà vu. Le parole di Agnes mi suonano così familiari, quando lo imparerò che ogni volta che vado fuori di testa in questo modo non sono l'unica a patirne le conseguenze? Non mi reputo una persona egoista, ma è vero che in questa situazione ho sempre e solo pensato a me stessa. E anche quando ho tirato in ballo mia madre, Finn e tutti gli altri dicendo che sarebbero stati meglio senza di me, beh anche allora ero sempre io a sentirmi fuoriluogo in ogni dove.

Un'ora e mezzo di doccia, capelli, e pensieri erotici su Finn dopo, sono pronta. Dio Santo ma perchè certe idee proprio adesso? «Rae contieniti! Te lo ordino!» mi ammonisco allo specchio. Ma è inutile, perchè aver rivisto Finn ha scatenato in me una voglia insaziabili di baci, carezze e... mi devo calmare, inspira, espira, inspira, espira, quelle spalle... inspira, espira.
Alle 9 sono pronta seduta sul letto, controllo le lancette ipnotizzandomi nei secondi che scorrono quando Agnes irrompe nella stanza.
«Rae, oh sei già pronta, bene bene, Kester è già qui. Perciò se vuoi scendere subito... coraggio».
«Ora? Cioè proprio adesso? Beh ok, non mi sento prontissima ma va bene. Nello studio del Dottor Milton?».
«Sì».
«Arrivo» dico in preda a un attacco di cuore.
Agnes esce dalla stanza per darmi qualche minuto di privacy, poi mi decido a staccarmi dal letto e mi avvio per il corridoio.

Il primo colpo di nocche sulla porta dello studio è talmente debole da essere impercettibile. Continuo a respirare ritmicamente sperando di calmarmi ma non serve a niente, il problema non è Kester, il problema sono io che parlo con Kester. Mi faccio coraggio e stavolta busso con più convinzione «avanti», sento provenire da dentro con la sua inconfondibile voce.
Entro lentamente, e quando siamo faccia a faccia ammutolisco.
«Ciao Rae, sono molto felice di vederti» dice tentando di rompere il ghiaccio. Ma invano, volendo proseguire la metafora ho assunto momentaneamente le sembianze di un iceberg, ma mi sento anche un po' il Titanic. Colerò a picco? Cancello questa seconda metafora infelice dalla testa.
«Buongiorno, anch'io sono felice di vederla», mi decido a dire senza troppa convinzione.
«Non si direbbe».
Maledetto "so tutto io", «no, in effetti fino a ieri non ero entusiasta, ma oggi lo sono. Davvero sono sincerissima. Sono successe delle cose e... si insomma adesso vederla mi mette...».
«Serenità?».
«Diciamo così, sì».
Ci sediamo uno di fronte all'altra come al solito, Kester è sempre la stessa persona che mi ricordavo, non sono nemmeno arrabbiata con lui, ma che mi è preso? Ormai non riesco ad arrabbiarmi con nessuno? Proprio con nessuno no purtroppo, con Finn ci riesco ancora alla grande.
«Allora Rae. Domanda da un milione di sterline, cosa ti ha portato qui?» mi chiede a bruciapelo.
Fatica nera. Se si potesse quantificare in peso direi che pronunciare una sillaba mi costa una tonnellata, mi sento praticamente una schiava, ma opto per la sincerità «senta io non so se riesco a fare questa cosa».
«Perchè? Rae devi darmi un punto di partenza, un appiglio. Eravamo in una situazione totalmente diversa un mese fa. Avevamo ridotto le sedute singole a una volta ogni due settimane. Andavi bene al College, a casa con la sorellina appena arrivata era tutto a posto, eri innamorata. Cos'è successo che ti ha portata a credere che stare qui fosse la scelta giusta da prendere?».
Abbasso la testa e inizio a controllare la moquette. Non posso farlo. Pensavo di potere ma non posso, mi ostino con la strategia del silenzio aspettando di avere qualcosa di sensato da dire, qualcosa che non mi pesi una tonnellata.
«Rae perchè sei così ostile nei miei confronti?».
Finalmente una domanda a cui so rispondere, smetto di fissare la moquette «perchè lei mi ha mentito».
«Davvero?» domanda Kester sorpreso.
«Davvero».
«E quando?».
«Sempre, in pratica».
«Fammi capire».
«Non c'è molto da capire. Il fatto che io sia qui non le basta? Ha detto che stavo meglio, che un giorno sarei perfettamente guarita, che avrei fatto una vita assolutamente normale, che sarei stata me stessa... tutte balle».
«Non trovo niente di sbagliato in queste dichiarazioni. Stavi meglio Rae, molto meglio. Non userei il termine guarita più per una questione di prudenza che altro, perchè la mente umana è un universo ancora inesplorato. Ma non c'era niente che non andasse in te o nei tuoi comportamenti, nei confronti degli altri e in quelli di te stessa. E avresti potuto continuare ad avere la vita che una ragazza della tua età ha normalmente. Non sarebbe stato tutto perfetto ovviamente, ma questa è una regola che vale per tutti».
«Per me no» rispondo secca.
«Perchè ne sei così sicura?».
«Perchè ho visto l'effetto che le medicine che prendo da mesi, che LEI mi ha dato, hanno su di me. O meglio, l'effetto che ha su di me non prenderle».
Kester mi osserva per qualche istante intensamente, probabilmente comincia a capire qualcosa. Dal canto mio adesso mi sento meno rigida, credo di potergli raccontare cos'è successo, e così senza aspettare altre domande riprendo la parola.
«Un mese fa ero al college, con Finn, da qualche settimana le cose andavano alla grande, mi sentivo felice per la prima volta in vita mia. Non c'era niente di speciale, o magari lo era tutto, a questo punto forse posso pensare che fosse così, ma mi sentivo serana, in pace col mondo e con me stessa. Tra i corridoi ormai la gente aveva smesso di parlarmi alle spalle, o di fare le solite battutine quando passavo mano nella mano con lui. E anch'io avevo cominciato ad accettarmi, ad accettare e farmi una ragione del fatto che uno come Finn potesse davvero volere una come me. Una ragazza sicuramente meno bella di lui, meno popolare, meno tante cose». Mi fermo un attimo e ripensando a quei giorni una prima lacrima senza volerlo scivola sulla guancia, darei qualsiasi cosa per poter tornare indietro.
Ma mi asciugo gli occhi e proseguo, «e insomma per una volta mi sentivo accettata, capita, amata. Poi quel giorno a fine lezione sono andata in bagno, non sa quante volte ho rimpianto quell'azione così inutile e stupida, volevo sciacquarmi le mani perchè avevo usato a lezione una schifosissima penna difettosa che mi aveva riempita d'inchiostro. Ero lì con le mani sotto il getto dell'acqua fredda e d'un tratto entra Stacey. Le ho già parlato di lei, è quella ragazza stile Barbie che mi ha reso la vita un inferno e ha provato a portarmi via Finn in tutti i modi».
«Certo me la ricordo bene. Ma ricordo anche che quella storia sembrava superata».
«Lo era. Lo era davvero, Finn aveva scelto me ed io ero sicurissima di questo. Comunque eravamo lì, si stava lavando le mani anche lei e continuava a osservarmi ogni tanto. Poi all'improvviso ho sentito un rumore metallico, Stacey si è chinata a raccogliere qualcosa per terra, l'ha studiato per bene e poi me l'ha ridato. Era il flacone delle pillole che prendo di solito la mattina. In genere non me le porto dietro, ma vanno prese a stomaco pieno, mi ero alzata tardi e non avevo fatto colazione maledetta me. Così sono uscita, ho portato la confezione con me e le ho prese dopo aver fatto colazione con Finn a una macchinetta del College». Ripensando a quei momenti istintivamente serro i pugni, tutto questo disastro è frutto di una marea di inutili coincidenze, della mia distrazione, perchè da persona felice in quel periodo avevo sempre la testa fra le nuvole.
«Vai avanti, cosa ti ha detto Stacey?».
«Che erano le pillole per i malati di mente. Che sua zia le aveva prese per un periodo e aveva dato di matto per averle saltate una volta. Disse che se Finn mi avesse vista per quella che sono realmente non mi avrebbe più voluta con sé. Che sono un bluff, e che lo era anche tutta la mia vita con lui».
«E tu cosa le hai risposto?».
«Che non era vero! Ho mentito. Le ho detto che mi servivano solo ogni tanto, o quasi per niente, che le tenevo con me per sicurezza nei momenti di stress. Ma lei non ha mollato la presa. Ha detto che sarei stata uno scherzo della natura per sempre, che gli altri avrebbero visto il prodotto di un farmaco e nient'altro. Io ero arrabbiata, arrabbiatissima, avrei voluto ficcarle la testa nel lavandino e lavarle con l'inchiostro quei maledettissimi capelli biondi. Però sono rimasta tranquilla. Mi sono limitata a dirle che avrebbe potuto pensare di me qualunque cosa avesse voluto. E poi mi sono congedata dicendole di proposito l'unica cosa che sapevo l'avrebbe ferita, e cioè che Finn mi stava aspettando. Quindi sono uscita e me ne sono andata via con lui. La partita l'avevo vinta io nonostante tutto considerando la sua espressione».
«Ma non è finita lì, giusto?».
«No. Non è finita lì. Ero in macchina con Finn e le parole di quella strega continuavano a ronzarmi nelle orecchie. Mi chiedevo se potesse avere ragione. Se senza le medicine sarei davvero potuta impazzire. Io so, lo so bene, che questo tipo di terapie non si interrompono da un giorno all'altro, che bisogna avere pazienza e aspettare il momento giusto. Ma dovevo capire, volevo vedere con i miei occhi cosa sarebbe successo se non le avessi più prese. Mi sentivo forte e sicura di me perchè LEI mi aveva detto che stavo bene. E così ho fatto quanto di più idiota potessi fare».
«Hai smesso di prenderle».
«Ho smesso di prenderle. La mattina dopo ho fatto colazione e chiuso il flacone di pillole nel cassetto. Poi sono uscita. Mi sentivo bene, stavo benissimo, senza nessun senso di spossatezza o sonnolenza che invece ho sempre avuto prendendole. Ho seguito le mie lezioni al massimo della concentrazione, sono stata con Finn, e andava tutto alla grande, mi sentivo libera. Mi dicevo che quella strega non aveva capito niente di me, che sarei stata me stessa con o senza farmaci». A questo punto non riesco a proseguire, gli occhi mi si riempiono di lacrime.
Kester si avvicina a me, mi porge un fazzolettino e mi accarezza la testa, «dopo qualche ora hai smesso di sentirti bene non è così? Hai avuto delle allucinazioni?».
«Terribili» rispondo singhiozzando, «io lo so che è anche una questione fisiologica, che dipende dall'interruzione improvvisa dei farmaci, ma non potevo aspettarmi una cosa del genere! All'improvviso non ero più io. Vedevo cose che non esistevano e avevo un'immagine distorta di me. Prima magrissima, poi vecchia, poi senza capelli. E poi ho cominciato a vedere lei».
«Rae calmati, respira lentamente e calmati. Adesso stai bene, sei qui con me e non può succederti niente di male. Dimmi cos'altro hai visto che ti ha spaventata così tanto».
«Tix! Ho visto Tix! Ero in macchina con Finn, stavamo tornando a casa, io ero già preoccupatissima, volevo solo rientrare a casa e mettermi a letto, mi sono girata un momento per guardare Finn e invece c'era lei! Era così vera, Kester sembrava davvero lei! Mi parlava, diceva che presto ci saremmo ritrovate, che non avrei più dovuto lottare contro la vera me stessa. Ho avuto paura, ero terrorizzata, ho cercato di scacciarla ma ho colpito lui. Siamo andati fuori strada, per fortuna la macchina si è fermata in uno spiazzo dove non c'era nessuno, ma abbiamo urtato un albero e Finn ha battuto violentemente la testa. Per un momento ho perso i sensi e quando ho aperto gli occhi lui era lì, con il viso sul volante e la guancia coperta di sangue».
«Rae...».
«Non sapevo cosa fare, e continuavo ad avere queste voci nella testa che mi dicevano è colpa tua, è colpa tua, guarda cos'hai combinato, guarda che cosa si nasconde dentro di te. Poi grazie a Dio Finn si è svegliato, era dolorante ma pulite le guance aveva solo un taglio sullo zigomo. Ovviamente mi ha rassicurata, ci ha scherzato su, ma ormai io ero entrata nel buco nero del panico in cui mi sono trovata tutte queste settimane. Ho paura Kester, ho tanta paura, ho cercato di essere razionale, di dirmi che è stata solo una reazione fisica, ma se non potessi mai essere me stessa? Se avessi bisogno per sempre di una pillolina per non impazzire? Come faccio a vivere così? Come? E se facessi inavvertitamente del male a qualcuno che amo?» ormai le lacrime scorrono come un fiume in piena.
Kester mi abbraccia forte e mi ripete all'orecchio come un mantra «ne usciremo Rae, ti aiuterò a trovare il modo per uscirne te lo prometto. Calmati adesso, dammi il tempo di organizzarmi e la prossima settimana ti riporto a casa».
Vorrei tanto poterci credere, ma la paura ormai fa parte di me e non mi da tregua da quel giorno, il giorno zero della mia nuova vita da mostro. Non dico più una parola, piango tutte le mie lacrime sulla giacca di Kester, l'unico in grado, forse, di riportarmi da me.

State gioendo per il rinnovo della serie??? Io ormai non ci speravo più, quando hanno dato la conferma ho festeggiato senza ritegno, avremo una terza stagione di Rae, Finn & Compagny, sono felicissima *_*
In quanto al capitolo, ecco svelato l'arcano, mi scuso per il ritardo della pubblicazione ma ho avuto l'influenza, che unita alle solite cose da fare mi ha portato via un sacco di tempo. Per il prossimo prometto un'attesa più contenuta. Fatemi sapere che ne pensate, al solito i commenti sono cosa stra-gradita.
Ah dimenticavo, il prossimo capitolo sarà un POV di Finn.
Alla prossima :)

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Capitolo 5
*** Elle - Finn's POV ***



Capitolo 5: Elle

Stamford - 12/19 Novembre


Finn's POV

«Finn! Ehi Finn!».
Mi volto di scatto quando sento pronunciare il mio nome a gran voce. Ho lasciato Rae e la Clinica alle mie spalle da un paio di minuti, e sto praticamente correndo senza meta in mezzo alla strada deserta in pieno diluvio universale. Vedo Archie che si sbraccia nella macchina e trattengo a stento un sospiro, ma le mie gambe agiscono del tutto indipendentemente e non rallentano il passo. Le assecondo, rivolgendo di nuovo lo sguardo davanti a me al... un momento ma dove cazzo sto andando??? Inchiodo i piedi a terra totalmente spaesato e chiudo gli occhi per fare mente locale, poi finalmente realizzo... il capolinea dei bus! Un lampo di lucidità mi sorprende e ritrovo l'idea che mi ha portato a correre come un forsennato, continuo la mia avanzata quando una presa decisa mi raggiunge a una spalla.
«Ehi, ma che fai?... Ti stai allenando per la maratona? Non vedi che diluvia?» domanda Archie ansimando a un passo da me. Dev'essere sceso dalla macchina per corrermi dietro e adesso mi fissa come se fossi pazzo... "come se"...
Leggo nei suoi occhi l'assurdità del mio comportamento e mi decido a rallentare. Adesso che il suo ombrello rosso copre entrambi mi rendo conto di essere fradicio, quando diavolo ha iniziato a piovere così?
«Era ora che ti fermassi, mi spieghi cos'è successo?... Avete litigato?».
Con uno strattone mi libero dalla sua presa e di nuovo gli volto le spalle «Arch torno a casa in autobus. Vedi la fermata? È proprio lì» indico con un cenno di mano un puntino rosso all'orizzonte, «vado adesso».
«Come? Ma che dici?» farfuglia, «dammi mezz'ora, vado a salutare Rae anch'io e poi torniamo insieme».
Pronuncia il suo nome come se niente fosse ma dentro di me esplode una rabbia incontrollabile e istintivamente serro i pugni, «tu fai come vuoi, io me ne vado ADESSO».
«Ma che diamine è successo Finn? Calmati un attimo prima di sparire come una furia» mi intima alzando la voce dopo aver notato i miei pugni chiusi.
So bene quali sono le sue intenzioni, cerca di farmi ragionare come al solito dannatissimo grillo parlante, ma non ha speranze stavolta. Se avesse anche solo una vaga idea della confusione che ho in testa non mi avrebbe nemmeno fermato.
Vorrei essere in grado di fare la cosa giusta, voltarmi, salire in macchina, ragionare, parlarne, ma sono troppe cose, troppe cose che richiedono una forza che al momento non ho. Non voglio pensare e non voglio parlare o rischio di impazzire qui e ora, voglio solo starmene in santa pace per i fatti miei.
Senza volerlo continuo a ripetermi ossessivamente che stavolta è finita. L'ho lasciata io o mi ha lasciato lei? Perchè cazzo non smetto di pensarci??? Tanto il risultato non cambia, mi sono voltato e lei non ha emesso un suono, non una sillaba per farmi restare, non mi ha dato il minimo appiglio, perciò non resterò in questo posto dimenticato dal mondo un secondo di più.
Sono allo stremo delle forze come mai prima d'ora, l'unica cosa che desidero è sprofondare in un sedile, chiudere gli occhi e risvegliarmi a destinazione.
L'unico ostacolo che mi separa dalla pace adesso è il mio migliore amico, quindi tento di calmarmi e facilitargli le cose.
«Arch sto bene... davvero» dico dopo una lunga pausa. Raccolgo tutta la mia forza di volontà per apparire credibile, e voltandomi gli rivolgo lo sguardo convincente più costruito della storia dell'Umanità... «ci metterò la metà del tempo considerando che guidi come un pensionato», aggiungo anche una risata per alleggerire il momento sperando che se la beva.
Vana speranza, mi osserva per qualche istante con un sopracciglio alzato, dubbioso sul da farsi «e va bene», alla fine cede sconsolato, «però ti accompagno alla fermata, piove e non voglio avere una polmonite sulla coscienza». Coglie dai miei occhi l'urgenza ma non si lascia abbindolare «o così o niente».
«Come vuoi», mi arrendo o sarebbe capace di restare qui in eterno, «ma non ce n'è assolutamente bisogno».
Sentendomi le gambe di marmo mi costringo a salire in macchina, la vista delle carte appallottolate sui sedili posteriori mi fa lo stesso effetto di un pugno nello stomaco mentre ripenso alla lettera che ho buttato ai piedi di Rae pochi minuti fa... e al suo contenuto. Che idiota sono stato. Distolgo lo sguardo da quei promemoria e mi concentro sulla strada mentre sento montare di nuovo la rabbia.
Archie si sistema sul sedile del guidatore sbuffando, «roba da matti» mugugna tra sé e sé.
Grazie al cielo in un paio di minuti arriviamo a destinazione nel silenzio più assoluto. Mi alzo dal sedile come se fosse tappezzato da frammenti di vetro, con due occhi che seguono insistentemente ogni mio movimento, ma finalmente sono di nuovo all'aria aperta. Archie si sporge dal finestrino e prima che possa allontanarmi mi rivolge un ultimo ammonimento, «ti assecondo perchè sei fuori di testa, ma vedi di non fare cazzate va bene?».
«Ok» mi limito a dire con un'alzata di spalle. Mi avvio alla biglietteria bloccandomi dopo pochi passi, «vai da lei?» gli chiedo con un filo di voce.
«Sì» risponde senza esitazione, «ho appena capito che avrei dovuto già farlo da un pezzo».
«Ti saluto allora... buona fortuna» dico alzando un braccio senza voltarmi.
Grazie di tutto amico mio, ma adesso non c'è niente che tu possa fare per me.

Qualche minuto dopo biglietto alla mano sono intento a studiare la tabella con gli orari dei bus, ho mancato di un soffio quello delle 16.00 e adesso mi toccherà aspettare mezz'ora qui, sbuffo e mi siedo su una panchina al coperto con gli occhi chiusi e la testa appoggiata alla parete di plexiglas alle mie spalle.
Cerco con tutte le mie forze di ricacciare indietro i pensieri ma la mia mente non vuole collaborare e rivivo le ultime due ore come un film. Le parole di Rae mi rimbombano ancora nelle orecchie scatenando la stessa rabbia e frustrazione che mi hanno portato ad avere le nocche indolenzite finora, eppure mi rendo conto che sono stati i suoi silenzi, forse, la parte peggiore. Come ha potuto chiedermi di andare avanti con la mia vita? Come ha potuto anche solo pensare che l'avrei lasciata lì senza provare a fare qualcosa per aiutarla? Dannazione Rae perchè devi incasinarmi così???
«Oh no non di nuovo!».
Un'imprecazione alle mie spalle mi scrolla dal torpore di quelle riflessioni, apro gli occhi e ho un déjà vu, a qualche metro da me una ragazza borbotta tra sé e sé mentre rincorre una risma di fogli sparpagliati sull'asfalto, alcuni appiccicati a terra a causa della pioggia di poco fa, altri intenti in mirabolanti capriole causate dal vento. È la stessa persona con cui mi sono scontrato neanche un paio d'ore fa, riconosco l'ingombrante custodia della macchina fotografica appesa al collo e il trench rosso. Possibile che non abbia ancora trovato una soluzione? Chiudo gli occhi infastidito tornando ad appoggiare la testa alla parete sentendo già la mancanza della quiete di pochi istanti fa.
«Ehi scusami» un sussurro mi arriva a distanza ravvicinata. Apro gli occhi e la trovo intenta a fissarmi, rossa in viso, con il fiatone e lo sguardo improvvisamente più rilassato nel momento in cui mi riconosce, «ah ma sei tu!» sgrana gli occhi e sorride, «senti so che abbiamo già vissuto questo momento e non te lo chiederei mai se non ne avessi davvero bisogno, ma non è che mi daresti una mano?» mi domanda porgendomi la macchina fotografica e la borsa. «Dovresti solo reggermi queste, a recuperare tutti i fogli posso pensarci da sola ma non mi fido a lasciarle incustodite». Allungo una mano prendendole ciò che mi porge senza proferire parola, più per togliermela di torno che altro «grazie mille torno subito!».
La seguo con lo sguardo mentre saltella da una parte all'altra della strada alla ricerca dei fogli. A vederla così credo abbia più o meno la mia età, capelli castani e occhi verdissimi su un viso da furbetta. La scena si rivela più buffa di quanto potessi immaginare perchè continua a imprecare contro la pioggia mentre asciuga con un fazzoletto ormai zuppo i fogli bagnati.
Ci mette un po' per raccogliere tutto e quando si avvicina di nuovo a me ha un'aria così stravolta che riesce a strapparmi un sorriso, «spero tu abbia una copia di tutto» le dico trattenendo a stento una risata.
«Lo spero anch'io» sorride a sua volta imitando il mio tono divertito. «Scusami se continuo a chiederti aiuto ma oggi non me ne va bene una, sono passata un momento al bar dietro l'angolo per scaldarmi con un thè e ho perso l'autobus per una manciata di secondi. Grazie mille comunque», dice riprendendo dalle mie mani le sue cose.
«Non c'è di che» rispondo, preparandomi a sprofondare un'altra volta nei miei pensieri, ma devo aver capito male...
«Potrei mettere su un'esperimento sociologico quasi quasi» continua a chiacchierare ignorando il mio sguardo ora palesemente infastidito, «ma si, un test sulla gentilezza e disponibilità tra perfetti estranei».
Dalla sua espressione divertita capisco che si aspetta una risposa, magari l'inizio di una conversazione, ma mi limito ad un cenno del capo voltandomi subito dopo.
«Comunque io sono Elsie» insiste allungando una mano verso di me.
La osservo un attimo colpito da tanta loquacità, che abbia fatto qualcosa per incoraggiarla al dialogo? Le stringo la mano più per educazione che altro, ma chiarisco la mia voglia di silenzio rispondendo con un laconico «Finn».
«Un chiacchierone» constata un attimo dopo.
Ci mancava giusto questa oggi, rimanere in santa pace è chiedere troppo? Non rispondo limitandomi a un'alzata di spalle.
«Ok, ti lascio agli affari tuoi... Almeno sei stato gentile» conclude finalmente... ma è delusione quella che leggo nei suoi occhi? Poco male, l'ultima cosa di cui ho bisogno adesso è una pazza logorroica che si diverte a rincorrere fogli volanti.
Si siede lasciando due sedili vuoti tra di noi, e accolgo a braccia aperte il silenzio che si crea tutto intorno. Qualche minuto dopo arrivano altre persone alla fermata, e senza che me ne accorga il bus fa capolino dalla strada e si ferma per farci salire.
Casa dolce casa, penso tra me e me.

Sistemo lo zaino nello scomparto che sovrasta i sedili, poi mi siedo e comincio a godere del tepore interno del bus, con i vestiti umidi fuori iniziavo ad avere un freddo cane. Pochi minuti dopo avverto le vibrazioni del motore che si rimette in moto e annuncia la partenza. Poggio la testa contro il finestrino appannato e mi godo le immagini del paesaggio che scorrono davanti a me, se non avessi già la testa pieni di ricordi negativi da associargli questo posto mi piacerebbe davvero tantissimo.
Stremato dall'incontro con Rae e con la testa pesante a causa dell'umidità accumulata chiudo gli occhi e lascio che la strada mi culli dolcemente. Riesco a sentire i muscoli rilassarsi e la tensione svanire, ma non dev'essere decisamente il mio giorno fortunato perchè il tutto dura poco... troppo poco. Una voce fastidiosa come il ronzio di una zanzara distrugge per l'ennesima volta la mia quiete.
«Finn...».
Mormora ma non rispondo, ho gli occhi chiusi e nessuna intenzione di perdermi in conversazioni, prima o poi si stancherà e mi lascerà in pace.
«Finn...» purtroppo non demorde.
«Cosa c'è?... Elsie?» domando esasperato.
Aspetta qualche secondo prima di riprendere la parola, e quando lo fa è per farmi una richiesta «senti non voglio disturbarti», ah si??? Penso, «ma odio viaggiare da sola, ho paura che si sieda vicino a me qualcuno di poco raccomandabile, sai una ragazza in giro da sola... non è che posso sedermi vicino a te?». A quelle parole mi volto ad osservarla, è tesa e nervosa e continua a torturarsi le mani prima di aggiungere «sarò muta come un pesce, lo giuro».
Che ho fatto di male? Cosa? Il mio istinto mi dice di voltarmi di nuovo verso il finestrino e ignorarla completamente, ma non sono un selvaggio e tutto sommato sembra innocua «e chi ti dice che io lo sia? Raccomandabile intendo...» la provoco un po'.
«Non hai la faccia da squilibrato» sentenzia dopo avermi scrutato un momento, «oltretutto sei venuto già in mio aiuto due volte... mi fido» risponde con un sorriso.
«E va bene», dico sbuffando «ma ti avverto che ho intenzione di dormire come un sasso».
«Perfetto!» mi risponde squillante, «non ti accorgerai nemmeno della mia presenza».
«Chissà perchè ne dubito...» bofonchio sconsolato appannando il finestrino su cui sono tornato ad appoggiare il viso.

Brividi, brividi ovunque, dannata pioggia! Butto un'occhiata all'orologio infastidito e con gli occhi che si aprono a fatica, mi accorgo con sorpresa che sono già passate due ore da quando siamo partiti, sono completamente crollato, alla fine ho dormito davvero come un sasso.
Mi guardo intorno accorgendomi che l'Autobus nel frattempo si è riempito e sento un vociare di sottofondo che prima non c'era.
Elsie è riuscita a tenere davvero la bocca chiusa dopotutto, mi sono accorto appena della sua presenza, giro la testa e la vedo intenta a studiare delle foto da una cartellina che tiene poggiata sulle gambe. Incuriosito do un'occhiata anch'io di sottecchi e scorgo volti di persone mai viste prima che parlano con una certa confidenza sulla riva di un lago. Poi ancora un'enorme distesa d'erba con tavolini apparecchiati e gente tutto intorno. Sembra un posto familiare ma non riesco a ricordare esattamente dove... la Clinica dove si trova Rae, si, è il giardino che la circonda. Elsie mi aveva detto che sua sorella lavora lì, probabilmente in qualche occasione deve aver scattato delle foto.
Resto a fissarla ancora un po' mentre la mia mente corre ancora una volta a Rae, chissà se Archie è ancora con lei... cosa si staranno dicendo... chissà se sta bene dopo quello che ci siamo detti. Oh merda!!! Smettila di pensarci! Mi intimo mentre infilo le mani nei capelli esasperato.
«Ehi Finn, tutto bene?» chiede Elsie che adesso mi osserva con apprensione. Devo avere un'aria distrutta.
«Sì, dormire non è stata una grande idea, ho la testa che mi scoppia».
Scruta i miei occhi e sorride «ho avuto paura che fossi entrato direttamente in coma, che razza di giornata hai passato per crollare così?».
Distolgo lo sguardo e lo rivolgo al finestrino «quelle foto le hai fatte tu?» le domando per cambiare discorso.
«Sì. Sai in realtà io studio per diventare un'infermiera come mia sorella, ma vivere di questo sarebbe la cosa più bella del mondo, adoro la fotografia» ammette con aria sognante.
«Sono molto belle... voglio dire... io non me ne intendo per niente però...».
«Ti ringrazio» mi toglie dall'imbarazzo e sorride.
D'un tratto mi sento un po' in colpa per averla trattata con freddezza poco fa, in fin dei conti finora è stata molto carina con me, è una ragazza buffa e un po' distratta, molto distratta, però mette allegria, ha una luce negli occhi che non vedo nei miei da un secolo. Forse posso provare a fare conversazione in fondo «sei diretta a Stamford?» le chiedo cercando di rompere il ghiaccio.
«Sì» risponde con un'aria sorpresa, devo averla proprio traumatizzata col mio caratteraccio, ma l'imbarazzo dura al massimo un paio di secondi, poi ritrova la parlantina dell'inizio. «Sai i miei sono divorziati, mia madre vive qui con me e mia sorella, mio padre invece lavora a Stamford. Purtroppo a causa del college non posso spostarmi spesso e lo vedo pochissimo. Ma adesso ho una pausa di due settimane prima delle prossime lezioni, così ho deciso di passarle con lui... Vivi lì anche tu?».
«Sì» rispondo conciso come sempre.
«Posso farti una domanda?» mi chiede quasi in un sussurro, pensando probabilmente che tentare la fortuna con una nuova conversazione sarebbe troppo.
E invece la sorprendo con un laconico ma divertito «spara».
«Quest'aria così... triste che hai... dipende dalla visita alla Clinica di Oggi?» mi vede perplesso e accigliato, così aggiunge «non voglio farmi gli affari tuoi, è che conosco quell'ambiente, lo conosco molto bene, a volte le persone che trascorrono del tempo lì non capiscono quanto sia difficile per chi li aspetta fuori, possono avere reazioni che normalmente non avrebbero... reazioni che feriscono».
Scruta i miei occhi come se volesse leggervi dentro chissà quale verità, ma parlarle di quello che ho passato oggi è fuori discussione. Non voglio sembrare brusco, non ne ho l'intenzione, ma la mia risposta risulta stizzita, più stizzita di quanto avrei voluto «non sono affari tuoi».
Mi accorgo solo dopo del tono della mia voce, vorrei dirle qualcosa ma mi interrompe prima che possa farlo «hai ragione scusami tanto, credimi non volevo ficcanasare, scusami ancora, maledetta boccaccia», dice mordendosi il labbro inferiore.
Ha un'aria così buffa e contrita che non posso fare a meno di sorriderle «non fa niente».

Il resto del viaggio trascorre piacevolmente alternando momenti di silenzio a chiacchiere innocue, Elsie, che ormai ho preso a chiamare Elle, ha un'adorabile parlantina sciolta e un'attitudine alla conversazione che sfiora il patologico.
Dal canto mio sono così taciturno che a tratti sembra quasi un monologo, ma non mi disturba, la sua allegria ha contagiato anche me e mi sento più sollevato ad ogni minuto che passa. Talmente sollevato che sono quasi dispiaciuto quando il bus si ferma a destinazione e lentamente si svuota.
«Finn ti va se ci vediamo qualche volta? Qui non conosco nessuno, mi farebbe piacere fare un giro con te, magari puoi mostrarmi qualcosa che valga la pena fotografare... ti va?» mi chiede un attimo prima che riprenda lo zaino per scendere.
«Perchè no» rispondo di getto, «in questo periodo ci sono tanti scorci che potrei farti vedere, ma ricordati che è pur sempre una piccola città».
«Perfetto! Aspetta che ti scrivo il mio numero» trilla mentre segna il numero di suo padre su un foglio spiegazzato e illegibile a causa dell'acqua. Me lo porge e poi si fa dettare il mio.
Un attimo dopo siamo per strada, la saluto con un cenno ma ricevo in risposta un bacio sulla guancia che mi prende completamente alla sprovvista «è stato interessante fare il viaggio con te, davvero», dice mentre si allontana con le guance leggermente più rosse di prima.
Mi volto colpito da quel gesto spontaneo e comincio a camminare per la mia strada quando sento di nuovo il mio nome, «ehi Finn!» grida Elle dall'altra parte del marciapiede, mi volto di scatto e quello che vedo è un flash accecacante a distanza, «mi piace farle cogliendo i soggetti di sorpresa! Ciao!» si sbraccia cominciando a correre nella direzione opposta alla mia con la macchina fotografica ancora in mano, mentre una scia di fogli copre per l'ennesima volta la strada.
«Non imparerà mai» mormoro senza trattenere un sorriso.

* * * * * * *



7 giorni dopo mi ritrovo come immerso in una specie di universo parallelo.
Ho deciso di prendermi qualche giorno di pausa dalle lezioni per dedicarmi a girovagare con Elle alla ricerca di luoghi interessanti da fotografare, cartoline del futuro, come continua a definirle lei.
Da quando siamo tornati a Stamford ci siamo visti praticamente ogni giorno, è diventata la mia fonte quotidiana di buonumore, e io la sua guida all'occorrenza.
Passiamo giornate intere a passeggiare, chiacchierare di tutto e niente, o semplicemente ad ammirare panorami, credo abbia fatto tante di quelle foto da bastarle per un paio di vite ma sembra instancabile, continuerebbe all'infinito se le dessi spago. Mi piace guardarla mentre fotografa, ha un viso così sereno e trasognato che mi riporta indietro nel tempo, perché in passato ho avuto anch'io quell'esatta espressione, ma sembrano ricordi di un'altra vita, o di un'altra persona.
Non abbiamo più parlato della mia visita alla Clinica, non ne ha più fatto menzione e di questa delicatezza le sono grato perché tuttora è qualcosa di cui non ho nessuna voglia di parlare, tantomeno pensare. La sua compagnia mi distrae da tutto il resto e al momento mi va bene così.
Per lo stesso motivo da una settimana mi rifiuto di uscire con gli altri, o di parlare con Archie, che purtroppo non demorde e continua a chiamarmi quasi quotidianamente. Adesso ho bisogno di prendermi una boccata d'aria, respirare a pieni polmoni qualcosa di diverso e la serenità di Elle è quanto di meglio potessi desiderare.
«Senti non dico che non sia vero, ma sono un po' stufa della natura, ho voglia di catturare espressioni, sorrisi... le persone Finn, ho voglia di fermarmi ai lati di una strada e fotografare la vita della gente» sentenzia Elle scendendo dalla mia macchina.
Siamo appena stati poco fuori città passando il pomeriggio tra alberi spogli e foglie gialle. Io sostengo siano i soggetti migliori da fotografare ma lei non la pensa così.
Persone, espressioni, ora come ora la gente non mi attira affatto, tantomeno trascorrerci una giornata «va bene ma allora vai da sola» le dico tenendo il punto.
«Sei noioso Finn, e sei pure musone» sospira accigliata mentre mi guarda di sottecchi e poi scoppia a ridere contagiando anche me.
«Interrompo qualcosa?».
La voce di Archie mi arriva alle spalle facendomi sussultare. Realizzo la scena che sta osservando e mi sento a disagio. Non sto facendo niente di male ma dopo essermi negato anche al telefono per tutti questi giorni potrebbe farsi un'idea sbagliata «ciao Arch», lo saluto nella maniera più spontanea possibile.
«Non ci presenti?» irrompe Elle che ha notato il mio improvviso cambio d'umore e la mia espressione.
«Certo, Elle, lui è Archie un mio caro amico. Archie, lei è Elle» mi sta tenendo a galla in questi giorni... ma questo evito accuratamente di dirlo.
Si stringono la mano e poi lui torna a guardare me «che state facendo?».
Sto per parlare, ma Elle si accorge della mia titubanza e mi anticipa «Finn mi sta facendo da guida nella vostra adorabile cittadina. Sai mi piace fotografare e allora mi sta portando un po' in giro», dice tutto d'un fiato. Poi come se all'improvviso realizzasse la situazione si affretta ad aggiungere «ma che sciocca! Ti starai chiedendo da dove sbuco! Ci siamo conosciuti sul bus da Sleaford. Finn mi ha aiutata in due momenti imbarazzantissimi a causa della mia sbadataggine, e una chiacchiera tira l'altra... beh in realtà le chiacchiere sono quasi tutte mie... comunque eccoci qua».
Archie la osserva divertito, poi si gira a guardare me «appurato che hai avuto da fare, avresti anche potuto alzare la cornetta no?» dice senza tanti giri di parole.
«Già» ammetto distogliendo lo sguardo.
«OKKK, Finn io adesso devo proprio andare, ci sentiamo stasera così ci organizziamo per domani va bene?» mi chiede Elle palesemente imbarazzata da quella nuova situazione a tre.
So benissimo che sta semplicemente cercando di lasciarci soli, quindi mi limito a sorriderle e salutarla con un cenno «certo».
«È stato un piacere conoscerti Archie!» dice congedandosi da noi.
«Anche per me» gli fa eco lui con un sorriso.
Seguo la sua uscita di scena finchè non scompare dalla visuale, non voglio voltarmi, so bene cosa mi aspetta e non ho nessuna fretta. Uscire da questa specie di universo parallelo per tuffarmi nella realtà non mi invoglia neanche un po', ma guardo l'espressione seria di Archie che non ammette repliche, e alla fine cedo invitandolo a casa mia «Vieni ti offro una birra, ci facciamo due chiacchiere».

Mi sento uno stronzo mentre siedo al tavolo di casa mia con una birra in mano in compagnia del mio migliore amico e realizzo che vorrei essere altrove.
Ci osserviamo in silenzio e mi domando quali pensieri stiano attraversando la sua mente in quel momento, ma non faccio in tempo a fare ipotesi perchè Archie posa la bottiglia sul tavolo e interrompe il silenzio.
«Simpatica la tua amica, Elle giusto?» prima stoccata?
«Sì... beh in realtà si chiama Elsie, ma ormai sono abituato a chiamarla Elle» preciso.
«Ormai sei abituato... Finn ma che cazzo stai facendo?» domanda a bruciapelo, «sparisci per giorni, non ti fai vedere da nessuno, esci con una nuova... con Elle, che ti succede?».
Non sono pronto al terzo grado, stringo la bottiglia di birra fino quasi a farmi male, non riesco a guardare Archie in faccia semplicemente perchè non so cosa dirgli. Non so cosa sto facendo e non so cosa farò, vivo alla giornata sperando di arrivare sano di mente a fine serata «sto bene Arch, sto cercando di andare avanti con la mia vita» dico, e mi blocco all'improvviso realizzando di aver appena pronunciato le stesse parole di Rae...
Rae. Non mi sono dimenticato di lei, come potrei, ma a un certo punto ho capito che se non fossi uscito fuori dai soliti schemi sarei veramente impazzito. Quello che è successo alla Clinica stride ancora troppo con quelle che erano le mie intenzioni quando sono andato da lei, e rivangare tutto mi uccide.
Abbandono la bottiglia di birra e serro i pugni sotto il tavolo «senti non fraintendermi, mi fa piacere vederti e mi fa piacere fare due chiacchiere, ma non voglio tornare sui soliti discorsi... te lo chiedo per favore Arch» imploro quasi con gli occhi fissi sul pavimento.
Nessuno dei due dice più una parola, questo tipo di silenzio e di distanza tra noi è una novità, siamo cresciuti insieme e gli voglio bene come a un fratello, ed è per questo che dopo qualche istante mi convinco a guardarlo in faccia, mi accorgo che mi fissa come a cercare le parole giuste da dire... Inutilmente a quanto pare... almeno per un po'.
«Va bene» si decide a dire, «senti è inutile girarci tanto intorno, ero venuto qui per parlarti della nostra visita a Rae ma ho capito che...».
«Ci hai parlato alla fine?» lo interrompo ponendogli l'unica domanda di cui ancora mi interessa la risposta.
«Sì, ci ho parlato e mi ha raccontato quello che vi siete detti. Da quel giorni ci siamo sentiti parecchie volte per telefono in realtà, non so ancora bene quando ma... tornerà a casa tra qualche giorno... probabilmente una settimana».
Me lo dice con prudenza, quasi sussurrando, come se abbassando la voce quella notizia potesse avere un impatto più delicato su di me. Ma non è così che funziona, e la sensazione di stordimento è tale che rimango interdetto senza proferire parola.
Lui si alza dalla sedia e si avvicina alla porta, io faccio altrettanto e ci ritroviamo sulla soglia, in difficoltà come mai prima d'ora.
«Senti non voglio farti la morale o altro, volevo dirti altre cose ma mi rendo conto che non è proprio il momento. Fai quello che ti sembra più giusto, con Rae, con... Elle e con tutto il resto, però fammi un favore, non sparire. So che è difficile ma Rae adesso ha bisogno di tutti noi, che stiate insieme oppure no tu sei una persona estremamente importante per lei».
Importante per lei, così importante da essere il primo di cui può fare a meno in caso si presenti l'occasione «sei sicuro che sia così?» domando sarcastico.
«Ne sono certo» risponde atono, «cerca di trovare un momento, ok?».
Evito di rispondere limitandomi ad un cenno di assenso con il capo, anche se sono ben consapevole di non essere in grado di promettere nulla ora come ora.
«Perchè non chiedi a Elle di venire con te al Pub una di queste sere? Mi sembra una ragazza simpatica... oltretutto manchi a tutti» ammette con un mezzo sorriso.
«Glielo chiederò» rispondo un attimo prima di vedere Archie allontanarsi da casa mia.

Quando mi richiudo la porta alle spalle mi sento così spossato che mi butto a peso morto sul letto, mi guardo intorno e quando inquadro la porta della mia stanza mi sembra ancora di sentire le parole di mio padre quando sono uscito con Elle la prima volta, sei sicuro di quello che stai facendo? Da certe cose poi non si torna indietro nemmeno volendo...
«Non sono sicuro più di niente papà» rispondo al vuoto davanti a me un attimo prima di afferrare il telefono... «Pronto Elle?»...

Mi cospargo il capo di cenere per il ritardo prolungato, ma salto le scuse a piè pari e arrivo subito al dunque: Elle è il nuovo personaggio della storia.
Ho cercato di renderla il meno fastidiosa possibile, per quanto sia fattibile non considerare fastidiosa un'altra ragazza che minaccia di attirare l'interesse di Finn a discapito di Rae. Anche se alla fine la vera nemica di Rae non sarà assolutamente lei, ma se stessa.
Elle è una ragazza carina e solare, è una chiacchierona e non è assolutamente cattiva, presuntuosa e via dicendo, non è un personaggio negativo insomma.
Avevo bisogno di affiancare a Finn una persona che non fosse percepita subito come l'uomo nero della situazione, ma come un'alternativa, una valida alternativa.
Nel prossimo capitolo Rae tornerà a casa, di POV di Finn ce ne sarà ancora qualcuno, ma almeno per un po' la storia tornerà ad essere raccontata seguendo il punto di vista di Rae.
Che altro dire... ah sì, in questi giorni ho già scritto anche i capitoli 6 e 7, che arriveranno a distanza di una settimana l'uno dall'altro, non so ancora esattamente di quanti capitoli si comporrà questa storia, ma credo di non andare troppo lontana dalla realtà se parlo di 12/14 capitoli al massimo.
Ciao ciao :)

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Capitolo 6
*** Fotografie ***



Capitolo 6: Fotografie

Sleaford - 12/26 Novembre


Ok Rae, non fare la femminuccia, stringi i denti e respira lentamente, ancora 20 secondi e potrai tirare il fiato... certo, se il cuore collabora.
Inspira, espira, inspira, espira, non svenire e punta gli occhi dritti all'abbiettivo.
Oh.... mio... Dio...
No non ce la posso fare, sento il cuore pompare come un forsennato, i polmoni accartocciarsi su se stessi e le gambe come statue di marmo.
Erano 20 secondi o 20 minuti? Captain Agnes sta barando ne sono quasi certa, medito la resa incondizionata quando comincio a rantolare vistosamente.
Mi blocco di colpo in debito d'aria, la testa reclinata all'indietro e una mano sul fianco sinistro «la milza» sussurro appena tra un respiro affannato e l'altro alla mia aguzzina.
«È sempre al suo posto immagino» mi risponde Agnes in tenuta da combattimento, una tuta blu a righe bianche e nere, mentre mi viene incontro a braccia conserte e sguardo ligio al dovere, «siamo arrivati quasi alla fine per oggi, coraggio pelandrona».
«Si beh è la stessa cosa che... che mi stanno ripetendo polmoni e cuore... che siamo alla fine» replico asciugandomi con un palmo della mano il sudore sulla fronte.
Si avvicina a me affatto impressionata dalle mie supplice e rimanda ogni preghiera al mittente, Captain Agnes, «come sei melodrammatica Rae, si tratta di un minuto di corsa e due di camminata a passo svelto ripetute per 40 minuti, quindi chiudi la bocca e non sprecare ossigeno. Arriva alla fine del parco e per oggi puoi andare a farti una doccia calda... dopo lo stretching ovviamente».
Pure... pure lo stretching... mugugno raccimolando le ultime energie rimaste in uno sforzo sovrumano, così un minuto e 50 metri dopo sono spiaggiata sull'erba completamente esausta. E dire che mi era sembrata una buona idea quella dello sport quando Kester me l'ha proposta.

"La corsa è un ottimo coadiuvante nella terapia Rae. Prima di tutto potrà farti un gran bene fisicamente, secondo ti aiuterà e divagare la mente evitandoti di fossilizzarti all'infinito sui cattivi pensieri, terzo ricordati sempre che la noia e la staticità sono i nemici numero uno di qualsiasi terapia, quarto correre mette di buonumore. È l'effetto delle endorfine, sostanze simili alla morfina che vengono prodotte dall'organismo durante la corsa e che agiscono soprattutto a livello del sistema nervoso centrale. Il piacere è tale che molti corridori ammettono di essere "corsa dipendenti".

Dannato mistificatore, altro che piacere e dipendenza, mi domando se questa nuova terapia non sia più che altro volta a farmi tirare le cuoia, via il cuore, e i polmoni, via il dolore. E dire che l'idea di mettere in pratica questi consigli illuminati con l'aiuto di Agnes mi era sembrato quasi divertente.
Era, appunto.
Prima di scoprire con orrore che avrei affidato l'allenamento ad un marines. Se avesse tirato fuori anche un fischietto e una mimentica non mi sarei sorpresa affatto.
«Vedi che ti sei lamentata tanto per niente? Dovrai continuare anche a casa naturalmente, mi assicurerò che tu lo faccia, ho dato precise disposizioni sia a tua madre che ad Archie. E adesso fila a fare la doccia» mi ordina accucciandosi perchè l'ascolti meglio. E pensare che sembrava così docile e dolce.
«Sadica» boccheggio un attimo prima di riprendere, più o meno, il controllo del mio corpo indirizzandolo dentro l'edificio.
L'aria calda che mi assale appena apro la porta è balsamo per la mia pelle e le mie ossa provate dal duro allenamento... ok dall'allenamentino, come mi ha più volte detto e ripetuto la mia aguzzina negli ultimi 40 minuti. Arrivo alla mia stanza quasi carponi, apro e chiudo la porta alle mie spalle, sfilo la tuta e mi fiondo in bagno sotto al getto dell'acqua calda. I nervi commossi ringraziano.
Il piacere della corsa... come no... come il piacere del fumo negli occhi o una mazza da baseboll sulle gengive.

Il passo dall'accappatoio al letto è più breve di quanto pensassi. Esausta poggio la testa sul cuscino con i capelli ancora umidi e chiudo gli occhi completamente rilassata. Il riferimento ad Archie che Agnes ha fatto poco fa torna a stuzzicarmi i neuroni sopravvissuti alla corsa e automaticamente sorrido. Da quando ci siamo rivisti per la prima volta due settimane fa è tutto cambiato... In meglio, ovvio.
Prima di tutto ho smesso di essere uno zombie in balia degli eventi, ho ripreso in mano, o almeno sto cercando di farlo, le redini della mia vita, mi sono affidata ancora una volta all'esperienza di Kester, all'affetto di Agnes e al sostegno dei miei amici.
Seconda cosa, non meno importante, ho finalmente realizzato che non voglio passare il resto della mia vita a preoccuparmi delle ombre della mia mente e ho ripreso a dormire la notte come una persona, quasi, normale.
Terzo, ho capito senza dubbio di aver fatto una grande, immensa, strabordante cazzata mandando via Finn in quel modo. Ragion per cui, non appena tornerò a casa, esattamente tra tre giorni a partire da oggi, sarà la prima persona che contatterò.
E alla quale chiederò scusa in tutte le lingue del mondo pregando che non sia troppo tardi.
Ma questo evito di ripetermelo, o il sonno delle persone normali diventerà di nuovo un lontano ricordo in 3... 2... 1...
«Ottimismo, sciocca donna!» mi ripeto come un mantra dandomi un buffetto sulla testa.
In fin dei conti due settimane fa era qui no? E amava me giusto? Proprio me. Me l'ha scritto a chiare lettere, e me l'ha dimostrato.
Quindi andrà bene... almeno spero.
Ottimismo, sciocca donna!

Le ultime due settimane sono state molto dure per me, ho dovuto praticamente reimparare a respirare, a ridere, a pettinarmi i capelli, allacciarmi le scarpe, dormire, insomma a fare tutte quelle cose che avevo volontariamente mandato in standby dopo aver deciso che la mia vita sarebbe rimasta sospesa nel vuoto cosmico per sempre.
Avere accanto le persone giuste è stato fondamentale per risalire la china però, Archie su tutti, se non fosse gay probabilmente non riuscirei a dormire la notte ideando strategie volte alla conquista del suo cuore. Ho sempre saputo quanto fosse adorabile, ma che fosse anche un Santo no, questa mi mancava. Mi è stato vicino con la tenacia, la delicatezza, e l'appoggio di un papà che segue un bambino durante i primi passi. Che cade e si rialza di continuo. Ha annegato in valanghe di risate e dolcezze ogni momento di debolezza, e adesso ne sono completamente dipendente.
È tornato a trovarmi un mucchio di volte dopo quel piovigginoso 12 Novembre, e l'ha fatto nonostante i mille impegni, le lezioni, e soprattutto i chilometri che ci separano, e ogni volta ha portato con sé un raggio di sole che mi ha scaldato il cuore. Non riuscirò mai, mai a ringraziarlo abbastanza per tutto quello che ha saputo fare per me, anche se ogni volta che glielo faccio notare la sua reazione è quasi di stizza, come se fosse stata la cosa più naturale e scontata di questo mondo. Comincia a ridere imbarazzato fino alle lacrime, si porta una mano tra i capelli arrossendo, e poi esclama «smettila, l'avresti fatto anche tu per me!».
Certo, ma intanto sei tu qui... per me.
L'unica nota dolente con lui è stata la simpatia a pelle e l'alchimia creatasi con Agnes, quei due insieme mi hanno fatto e mi faranno dannare, due marines schiavisti travestiti da marmotte.
E Kester, stacanovista del viaggio quanto Archie, ha fatto avanti e indietro da Stamford solo per me 3 volte a settimana, facendomi parlare e sfogarmi fin quasi a rinsavire. Inizialmente avevamo deciso insieme che sarei tornata a casa e che mi avrebbe seguita come al solito lì, poi ha cambiato idea, dicendomi che la tranquillità di questo posto almeno inizialmente avrebbe potuto essere un punto a favore, e che la strategia migliore da adottare potesse essere quella di farmi prendere di nuovo confidenza con la mia realtà piano piano.
E così è stato.
Ho riabbracciato uno dopo l'altro tutte le persone più importanti della mia vita. Mia madre, con Karim al seguito, che grida tuttora al miracolo per questa svolta positiva, Chloe, con la quale ho spettegolato di tutto e che mi ha aggiornata su qualunque avvenimento più o meno importante della nostra città, Izzy, sempre incantevole ma con la luna di traverso a causa di Chop. Persino Danny, che finalmente riesce a rapportarsi con il mondo senza i soliti cappelli.
Ognuno di loro ha rappresentato una boccata d'aria fresca, uno scossone a quella bolla protettiva nella quale mi ero rinchiusa e che mi stava lentamente portando all'asfissia.
Solo Finn è sparito dai radar.
Probabilmente dovrei essere amareggiata e preoccupata dalla sua assenza, ma sono consapevole di averla ampiamente meritata, quindi sento solo un costante peso di rimorso sullo stomaco, che ogni tanto mi riporta alla mente le parole che gli ho rivolto quando ci siamo visti. Non ho chiesto sue notizie a nessuno dei miei amici, e loro comprendendo appieno le mie difficoltà in proposito non l'hanno mai menzionato nei nostri discorsi. I primi giorni avrei voluto almeno chiamarlo per scusarmi, ma alla fine sono giunta alla conclusione che la cosa migliore che possa fare sia aspettare di tornare a casa e parlarci di persona. Ho bisogno che legga nei miei occhi e nei miei gesti le intenzioni delle parole.
Ho disperatamente bisogno che mi creda.
E a chiudere la cornice Agnes, naturalmente, senza la cui presenza non sarei sicuramente sopravvissuta a questo posto e alla nebbia che lo circonda.
E che circonda me.
Tre giorni, solo tre giorni alla partenza, dirlo ad alta voce adesso fa quasi più paura che viverlo.

«Non si entra nella camera della gente all'improvviso Agnes!».
«Elsie Elizabeth Murray smettila di fare tante storie e vieni qui!».
«Sei veramente una dittatrice, magari si sta riposando...».
Un vociare insistente nel corridoio mi distoglie dalla beatitudine del mio letto e dai pensieri, riconosco in una delle due donne coinvolte nella disputa la voce di Agnes, la solita dolce prevaricatrice, e un minuto dopo la vedo affacciarsi furtivamente sull'uscio della mia porta socchiusa «è sveglia, dai su vieni voglio presentartela», dice rivolgendosi alla persona dietro di lei.
Dopo essersi assicurata della vittoria entra definitivamente in camera a passo di carica, e mi rivolge uno dei suoi soliti sorrisi, che ho imparato a mie spese avere una certa diabolica accezione di tanto in tanto, è in attesa della persona borbottante con cui stava parlando, che compare dopo un attimo.
Una ragazza accigliata con una cascata di capelli castani, gli occhi verdissimi e vispi e carica di borse e cartelle.
Guardo Agnes con aria interrogativa.
«Rae, ti presento Elsie, la mia sorellina» esordisce questa pizzicandole una guancia.
La ragazza con aria impacciata molla a terra un paio di borse per liberarsi le mani, poi imbarazzata mi saluta con un cenno «piacere di conoscerti Rae, scusa per l'intrusione, ma mia sorella mi ha parlato di te fino allo sfinimento e voleva assolutamente che ti conoscessi».
«Piacere mio» rispondo a mia volta mentre Agnes le pizzica un fianco indispettita.
«Sai Rae, Elsie è appena tornata dalla tua stessa città, è andata a trovare nostro padre, ma ci tornerà tra qualche giorno e resterà, credo, fino a Natale... giusto Els?» domanda alla sorella, che accenna appena di si con la testa. «Secondo me andreste molto d'accordo, anzi, Elsie, resta un po' qui con questa ragazzaccia mentre faccio il solito giro dei pazienti. Ci vediamo tra una mezz'oretta», insiste Agnes sparendo quasi immediatamente nel corridoio senza dare a nessuno modo di replicare.
Io ed Elsie ci lanciamo uno sguardo carico di comprensione e scoppiamo a ridere in sincrono «è veramente una dittatrice, mi spiace di essere piombata qui così», si giustifica lei.
«Figurati. Togliti la giacca, qua dentro si soffoca» la invito dopo averla osservata intenta ad allargare il collo del suo maglione di lana.
Lascia cadere a terra tutti i suoi bagagli occupando praticamente metà della stanza, si destreggia nella ricerca di fogli volanti che le sono appena sfuggiti di mano, e poi finalmente si accomoda esausta su una poltroncina con il cappotto sulle ginocchia e le guance arrossate. È così buffa che mi provoca una risatina trattenuta a stento.
«Scusami, sono la persona più distratta che conosca... Rae insomma, mia sorella ti adora, ogni volta che le ho telefonato nelle ultime settimane non ha fatto che parlarmi di te. Le mancherai molto quando tornerai a casa... a breve vero?» domanda con cautela.
«Sì, tra tre giorni finalmente torno a casa, anche lei mi mancherà molto, è una persona speciale tua sorella».
«Vero».
«Tu piuttosto» mi convinco a chiederle ostentando una confidenza insolita per una persona appena conosciuta, «come sei finita a Stamford?».
«Nostro padre vive lì. Sono stata da lui nelle ultime due settimane sfruttando la pausa tra un semestre e l'altro. Io studio per diventare infermiera come Agnes, dev'essere nel nostro DNA» precisa, sorridendomi palesemente orgogliosa della sorella, «ma visto che non ho niente di particolarmente importante da fare fino a Natale, e poi, beh... si insomma c'è anche una persona che mi sta particolarmente a cuore, ho deciso di prolungare la visita. Sono qui per qualche giorno giusto per stare un po' con quella dittatrice che hai avuto modo di conoscere, visto che tra una cosa e l'altra non riusciamo mai a vederci».
L'ascolto e non posso fare a meno di ritrovare in lei la stessa loquacità di Agnes, e in effetti si assomigliano molto anche fisicamente e negli atteggiamenti, hanno la medesima semplice eleganza non ostentata, il vizio di toccarsi i capelli di continuo, e infondono quella sensazione di familiarità che di solito ritrovo solo nelle persone che conosco da una vita. Tanto che non mi sento fuoriluogo nel farle qualche domanda curiosa.
«"Una persona che mi sta particolarmente a cuore" eh, un fidanzato?».
Arrosisce più di quanto non avesse già fatto per il caldo, e sorride fissandosi le scarpe mentre tortura il fazzoletto che tiene tra le mani «non proprio... sì insomma ci conosciamo da poco, siamo buoni amici e abbiamo passato tanto tempo insieme, però... beh mi piace molto ecco» ammette piegando appena la testa di lato mentre si arrotola una ciocca di capelli con le dita.
Ah l'amour.
Passiamo il pomeriggio chiacchierando tranquillamente del più e del meno mentre Agnes si affaccia di tanto in tanto per assicurarsi che vada tutto bene, scopro in lei una parlantina, se possibile, persino più accentuata di quella della sorella, e una passione smodata per la fotografia, che poi è il motivo della presenza di tutte le buste e borse che si porta sempre dietro, nonchè il nobile pretesto che le ha permesso di passare tanto tempo a contatto con il ragazzo che le fa battere il cuore.
«Sai all'inizio era burbero e scontroso, taciturno, pensa come poteva prendere la vicinanza con una logorroica come me. Eppure... non so, gli ho sempre visto come una patina di tristezza negli occhi e... mi fa venire voglia di rimanergli accanto» ammette alla seconda tazza di thè e torta, con aria trasognata e forchetta a mezz'aria.
«Mister Ombroso insomma» le dico enfatizzando l'aura di mistero che lo circonda «dobbiamo per forza uscire insieme quando saremo entrambe a Stamford, sono proprio curiosa di conoscerlo».
«Conoscere chi?» ci interrompe Agnes facendo capolino nella stanza, «Els ti conviene tornare a casa, ho appena sentito mamma che si chiedeva che fine avessi fatto».
«Le hai spiegato che è colpa tua?» le fa eco Elsie, alzandosi dalla poltrona mentre raccoglie le mille e una borse che ha sparso per la camera, «è stato veramente un piacere conoscerti Rae, ci vediamo domani per le foto e la seconda parte di chiacchiere... a dopo sorella», si congeda dalla stanza dopo un'ultima occhiata divertita.
«Ha sempre la testa tra le nuvole» sbuffa Agnes, «ma è un tornado di energia. Ti ha proposto un pomeriggio all'insegna degli scatti?».
«Esatto, non ho proprio potuto dirle di no, vuol dire che avremo qualche bella foto anche noi due».

* * * * * * *



L'indomani la preparazione della valigia viene accompagnata dal temporale più violento da quando sono qui, raffiche di vento, scrosci di pioggia e la musica dei The Smiths compongono il sottofondo di ogni mio gesto, lento e studiato, per i quali mi prendo tutto il tempo di cui ho bisogno.
La verità è che per quanto sia felice di tornare a casa non mi sento ancora pronta per riaffacciarmi alla realtà. Qui in qualche modo mi sono sentita protetta, accudita, coccolata da tutti, soprattutto negli ultimi giorni. Vorrei evitare di rimuginarci troppo sopra, e rimpiango quasi l'addestramento, o allenamentino, che oggi non potrò fare a causa del maltempo, perchè mi avrebbe perlomeno concesso di svagarmi un po'.
Piego le ultime cose sbuffando di tanto in tanto, e quando ritrovo nel marasma del disordine la lettera di Finn, quelle due parole vicine mi causano un groppo in gola che mi fa sentire sempre più un'idiota:
"Ti amo".
Ho combinato veramente un casino stavolta.
Mi porto il foglio di carta vicino al viso sperando di avvertire ancora le fresce note del suo profumo, ma nell'esatto momento in cui comincio a riconoscerne qualcuna mi sento ridicola a livelli estremi.
«Che cazzo di sadica» mi dico ad alta voce.
Ripiego la busta prima di riporla nella valigia in mezzo ai vestiti, quando vengo distratta da uno strano rumorino alle mie spalle... è come... come un clic.
«Parli da sola?». Elsie mi guarda con aria interrogativa e un'espressione divertita sul viso, ha la macchina fotografica in mano «ti ho fatto qualche foto, spero che non ti dispiaccia, eri così assorta e avevi una luce meravigliosa alle spalle».
«No figurati» le rispondo finendo di piegare la mia roba.
Lei si avvicina a me, mi mette una mano sulla spalla e mi costringe a guardarla in faccia «tutto bene?».
No non va bene per niente, sono terrorizzata all'idea di tornare a casa.
«Certo, tutto ok».
Mi fissa con quegli occhi verdi che temo abbiano la capacità di leggermi dentro, ma ancora una volta dimostra una delicatezza impagabile e non indaga oltre, «mia sorella ha detto di aspettarla per fare qualche scatto, ti dispiace se ti faccio compagnia per un po'? O vuoi rimanere da sola?».
«Resta» rispondo sorridendole, spero che le arrivi tutta la mia gratitudine per la sua presenza discreta.
Di nuovo si libera delle mille borse e cartelle che porta con sè e mette sul tavolo una cartellina di plastica rossa «ti va di vedere qualche vecchio scatto? Tanto visto il tempaccio il parco è off limits».
«Perchè no?» acconsento sedendomi accanto a lei sul letto.
Sfogliando i suoi scatti in bianco e nero mi rendo conto di quanto fosse giusta la prima impressione, solo una persona estremamente sensibile riuscirebbe a cogliere l'attimo in modo così immediato, visi, paesaggi, momenti di vita quotidiana, tutto rispecchia la sua delicatezza, l'intelligenza, l'arguzia dell'osservazione. Riesco a riconoscere alcuni scorci del parco della Clinica, persino alcune persone, e poi la mia città.
Nell'osservare quei luoghi che conosco da una vita mi accorgo di quanto mi manchino, di quanto li consideri casa.
Un'immagine di Agnes in tuta mimetica per una festa di Halloween mi fa ridere fino alle lacrime, Captain Agnes, l'indole è proprio quella allora, Elsie sembra leggermi nel pensiero perchè scoppia a ridere a sua volta «costume azzeccatissimo vero?».
«Perfetto».
Dopo ancora visi, occhi, Elsie deve avere una predilezione per gli sguardi cupi, ce ne sono parecchi, come Mister Ombroso del resto. Comincio a chiedermi come sembrerei io in una di quelle foto, Dio non sono mai stata fotogenica, nemmeno da bambina, sono quasi tentata di chiederle di cancellare tutto. O di occultarlo, almeno.
E poi è un attimo.
Due foto, una dopo l'altra, mi mozzano il respiro. Le mani di ghiaccio e il cuore che batte come un orologio impazzito dopo aver perso un battito.
Due occhi che conosco quasi meglio dei miei.
Finn.
Due sguardi, complici, che sorridono nello stesso attimo di vita.
Finn e Elsie.
Con la mano libera stringo la coperta del letto con tutte le mie forze fino a far sbiancare le nocche. Ho bisogno di un momento. Non riesco a capire quando il mio cervello abbia deciso di attuare il black out totale ma ho bisogno di un momento.
È la voce di Elsie a scrollarmi dall'irrealtà «Rae tutto ok?» si azzarda a chiedermi con un pizzico di apprensione.
«Sì, devo andare un attimo in bagno, scusami». Rispondo a fatica.
Riesco a malapena ad alzarmi dal letto e far procedere una gamba avanti all'altra per i tre passi che mi separano dalla salvezza, e quando finalmente mi chiudo la porta alle spalle, semplicemente crollo a terra.
Non è possibile.
Finn.
Finn e Elsie.
Finn e Elsie??
Mister Ombroso.

Ogni pensiero è una fitta allo stomaco che mi toglie il fiato, improvvisamente rivedo quelle immagini, e le informazioni mi arrivano al cervello come tanti puntini che si legano tra loro a formare un pensiero di senso compiuto.
Ma non ha un cazzo di senso.
Mi alzo dal pavimento sorreggendomi al lavandino, apro il rubinetto facendo scorrere l'acqua fredda e un attimo dopo il mio viso incontra il gelo. Nello specchio l'ombra della persona che stava preparando la valigia con il sottofondo dei The Smiths mi guarda shockata.
Adesso però ti devi calmare, devi capire cosa diavolo succede.
Esci, inventati una palla e chiedi a Elsie chi è quel tipo.
Finn.
E cosa cazzo c'entra con lei.

Cerco di ritrovare in qualche angolo remoto della mia coscienza un briciolo di lucidità, e di fermare il tremore alle mani che non ne vuole sapere di abbandonarmi. Respiro profondamente, poggio la mano sulla maniglia e mi costringo a tornare su quel letto.
«Rae hai una pessima cera, stai bene?».
Sii convincente.
«Sì. Io... io ho... devo aver mangiato qualcosa che mi ha fatto male... ho... ho un mal di stomaco atroce».
Elsie mi osserva attentamente, un sopracciglio alzato quasi a voler svelare l'inganno «forse è il caso che ti lasci un po' tranquilla».
«No!» la interrompo, usando qualche decibel di troppo. «Resta qui... le tue foto sono molto... sono molto belle. Senti...» le chiedo dopo essermi schiarita la voce, che probabilmente deve apparirle più come un sibilo che altro, «allora... non... non hai qualche foto da mostrarmi del bell'Ombroso di cui mi hai tanto parlato ieri?».
Non la guardo in faccia, ma sento distintamente un sospiro provenire a pochi centimetri da me, e un sorriso nascere sulle sue labbra.
Ti prego smettila di sorridere.
Togliti dalla faccia quell'espressione trasognata.

«L'hai appena visto. Stavo per dirtelo quando ti sei alzata per andare in bagno», riprende le due foto sparse sul letto vicino a noi e me le porge, «vedi, eccolo qua. Mister Ombroso», annuncia trattenendo a stento un altro sospiro. «Guarda le sue labbra e poi i suoi occhi... vedi? Le labbra sono distese in un sorriso, ma gli occhi non mentono, hanno tutta un'altra intenzione» dice indicando la prima foto, quella che ritrae Finn da solo, in primo piano, nel parco vicino casa sua, vicino all'abero con le foglie rosse che ha visto i nostri ultimi momenti come coppia.
«Qui va un po' meglio invece», stavolta mi mostra l'altra foto, quella dove c'è anche lei.
La foto in cui sono insieme.
Seguo le sue mani che indicano espressioni, cenni, occhi e labbra che potrei riconoscere tra mille, mentre mi impongo di avallare le sue teorie, «vedi, anche qui occhi e labbra non sono totalmente d'accordo, ma viaggiano su binari un po' meno lontani rispetto alla prima foto. Chissà magari... magari la mia vicinanza gli fa bene... non credi?».
No.
È un inquietante, crudele scherzo del destino, un incubo ad occhi aperti da cui mi sveglierò immediatamente.
Mi impongo una calma che non mi appartiene perchè c'è un'ultima cosa che devo assolutamente chiederle «già, in effetti sembra più sereno... con te... ma... insomma... state insieme?».
«No. Te l'ho detto per ora siamo solo amici».
Per ora.
«Però mi ha già affibbiato un soprannome, per lui sono Elle... è una cosa intima no?»
Elle.
«Pensa che ci siamo conosciuti sull'autobus per Stamford, era venuto qui in Clinica per far visita a un amico, abbiamo fatto amicizia durante il viaggio. Non è una fortuna sfacciata??».
Non capisco se è una domanda o una constatazione, ma c'è sul serio dell'ironia in quel racconto surreale «già», le rispondo appena, per sicurezza, accennando un sorriso tiratissimo.
«Comunque non ci siamo ancora neanche baciati... ci stiamo conoscendo ecco. Non ti nascondo che non vedo l'ora di tornare indietro, mi sa che mi sto prendendo una cotta stratosferica. Non ho idea di come la veda lui, anche se il fatto di esserci visti tutti i santi giorni nelle due settimane che ho passato nella tua città mi fa ben sperare».
Sì, c'è proprio da ben sperare.
A quelle parole realizzo che non posso rimanere su quel letto, vicino a quelle foto, con quella ragazza, quella dolce, gentile, delicata ragazza, un secondo di più «senti Elsie, perdonami ma al mal di stomaco si è aggiunto un mal di testa davvero tremendo. So che... so che eravamo d'accordo con Agnes per le foto ma adesso voglio solo mettermi sotto le coperte».
E piangere tutte le mie lacrime.
«Magari... magari ci rivediamo a Stamford quando arrivi anche tu... Ok?».
Quando guardo di nuovo nella sua direzione Elsie sta rimettendo a posto le sue foto, prende la giacca, si rimette a tracolla la borsa e la macchina fotografica, poi mi abbraccia forte posandomi un caloroso bacio sulla guancia «non preoccuparti Rae, lo vedo che non ti senti bene, secondo me hai anche un po' di febbre, tremi come una foglia. I numeri ce li siamo scambiati e per le foto c'è sempre tempo, ne faremo un mondo la prossima volta. In bocca al lupo per il ritorno a casa, sono davvero felice di averti conosciuta», dice allontanandosi lentamente da me, mentre imbocca il corridoio e svanisce.
Come l'incubo peggiore da cui essere risvegliati.

* * * * * * *



La mattina della partenza mi sento completamente estraniata dal mondo, esattamente come quando sono arrivata.
Quando ieri sera Elsie mi ha lasciata sola in camera mi sono messa sotto le coperte, il viso sprofondato nel cuscino, al buio, e ho pianto fino a sfinirmi.
Mi sono addormentata con i visi di Finn e Elsie negli occhi, e allo stesso modo mi sono svegliata.
Quello che provo adesso è qualcosa che non so descrivere, ho avuto modo di riflettere, connettere le parole e i racconti di quella ragazza stramba incontrata per caso solo due giorni fa. Sono delusa da me stessa, perchè forse sono riuscita a perdere una persona che, per quanto potesse essere ridicolo, mi amava davvero. Sono arrabbiata con me stessa, per non aver avuto quel pizzico di coraggio che mi permettesse di fare un passo verso di lui quando ancora potevo farlo. E sono arrabbiata con Finn, perchè per quanto io mi reputi una merda non riesco veramente a capire come sia possibile stringere quel tipo di legame con una persona appena conosciuta avendone un'altra nel cuore.
Forse la delusione nei suoi occhi quando è andato via da qui era stata più grande di quanto avessi immaginato. Forse il sentimento che ci legava, che legava lui a me, non era poi così forte come credevo. Forse è semplicemente il caso.
Un dannatissimo caso fortuito.
Mi preparo per tornare a casa e indosso una maschera di fragilità mista a una speranza che al momento non mi appartiene minimamente, per fortuna Kester oggi non c'è e lo rivedrò solo arrivata a destinazione, e Agnes è troppo impegnata a piangere e abbracciarmi per rendersi conto che le mie labbra e i miei occhi non hanno la stessa intenzione.
Mi congedo con baci e abbracci per tutti, sorrisi a profusione e cenni di assenso per ogni raccomandazione.
Poi finalmente vedo Archie, lo abbraccio, lascio che prenda la mia valigia e mi porti alla macchina. Si è offerto lui di venirmi a prendere, voleva stare un po' con me, infondermi coraggio, serenità.
Magari anche qualche balla, o qualche omissione a fin di bene.
«Allora sei pronta per tornare a casa?» mi domanda in macchina, pochi istanti dopo esserci accomodati sui sedili.
Mi volto verso di lui, osservo il suo sorriso, il suo sorriso sincero di intenzioni non contrastanti, e nonostante pensi che sia una delle persone migliori al mondo mi riscopro arrabbiata anche con lui. Perchè lui è stato la mia roccia, perchè lui sicuramente lo sapeva, perchè finora è stato con me più di chiunque altro e avrebbe dovuto dirmelo. Avrebbe dovuto prepararmi al ritorno a casa, avrebbe dovuto dirmi la verità.
E non importa se mi sono sempre rifiutata di chiedergli di lui, non importa se c'era un tacito accordo di non parlarne, doveva aprire la bocca e raccontarmi cosa stava succedendo.
Tutto sarebbe stato meglio di venirlo a scoprire così, per caso.
Perchè stavolta voglio davvero ricostruirmi una vita, ma per farlo ho bisogno di conoscere il momento esatto in cui il terreno ha iniziato a franarmi sotto i piedi.
Quando ha cominciato a cambiare tutto senza che me ne rendessi conto.
«No» rispondo alla sua domanda dopo anni luce di ritardo.
Archie mi studia attentamente, allunga una mano e la posa sul mio mento per obbligarmi a guardarlo in faccia «Rae cosa c'è?».
«Aspetta a partire» rispondo, atona.
«Perchè?»
«Devi parlarmi di Elle».

Giuro che non mi permetterò mai più di dare scadenze che so di non poter mantenere. Ho rimaneggiato il capitolo mille volte e il risultato è l'ennesimo ritardo.
Comunque eccoci qua, adesso Rae sa che se vuole riprendersi Finn, ammesso che ci proverà, dovrà darsi da fare.
La scoperta è stata dura, la reazione destabilizzante, incolpa soprattutta sé stessa, ma non risparmia nemmeno Finn, perchè non si capacita di come un sentimento forte come il loro abbia potuto permettergli di avvicinarsi così ad un'altra persona.
Nel prossimo capitolo vedremo cosa troverà Rae al suo ritorno a casa, e abbracceremo di nuovo tutti i membri della gang.
Sì, ci sarà un faccia a faccia con Finn, ho fatto tornare Elle a casa per qualche giorno solo per questo. E naturalmente molto altro.
Ringrazio chiunque sia passato da queste parti anche solo per dare una sbirciatina.
Al prossimo capitolo.

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Capitolo 7
*** Finn - Parte I ***



Capitolo 7: Finn - Parte I

Stamford - 27 Novembre


La fregatura di conoscere la verità è che devi, necessariamente, smetterla di raccontarti palle.
La porzione di cervello ancora funzionante aveva già inquadrato perfettamente la situazione, eppure, fino a quel momento, una piccolissima parte di me aveva continuato a ripetersi come un mantra che, forse, le cose potessero essere state fraintese. Che Elle avesse elaborato i segnali provenienti da Finn nel modo sbagliato, che si fosse costruita dei castelli in aria da sola. In fondo non è quello che facciamo tutti quando ci piace qualcuno? Fantastichiamo, è la prassi... giuso?
Certo avevo visto le foto, l'espressione serena di Finn con lei avrebbe dovuto già svegliarmi da quelle favolette, però mi sembrava ridicolo, una beffa troppo grande da poter sopportare.
Beffa, esatto, perché ero stata proprio io a spingerlo nelle sue braccia, e lo sapevo benissimo. Era tutto "merito" mio insomma.
La verità nuda e cruda è che cacciando Finn, spronandolo ad andare avanti senza di me, avevo creato in lui un vuoto di delusione e aspettative disattese che aveva deciso di colmare con lei.
D'altronde come potevo aspettarmi una reazione del genere? Le mie parole erano state dure sì, le mie convinzioni granitiche, all'apparenza almeno, ma non avevo mai realmente pensato che mi avrebbe presa in parola. Che si sarebbe allontanato davvero da me... che mi avrebbe lasciata.
Non era il primo litigio tra noi, soprattutto non era la prima volta che cercavo di allontanarlo dai miei casini, e allora perchè stavolta mi aveva presa alla lettera? Cos'era cambiato? Possibile che dipendesse tutto da lei?
Lei, lei, lei, sempre lei.
Ormai ero un disco rotto. Il punto è che concentrare le mie attenzioni su Elle era stato terribilmente facile. Pensare a lei come l'artefice dell'allontanamento di Finn era più rassicurante che ammettere le mie colpe.
Perché lo sapevo, l'avevo sempre saputo, qualunque cosa fosse accaduta stavolta sarebbe stata tutta, inesorabilmente, colpa mia.
Il paradosso? Se da una parte stavo morendo di gelosia, dall'altra cominciavo a sentirmi sollevata.
Sollevata sì, nella mia assurda e completa follia avevo la sensazione di essermi tolta un peso dal petto.
Perché l'amore di Finn non era mai stato facile da gestire.
Perché era stato fin dall'inizio una responsabilità enorme per me.
Perché sapevo che avrei dovuto rendergli conto delle mie azioni.
Perché se fossi impazzita o avessi fatto qualcosa di totalmente incosciente, possibilità più che mai concreta per me, gli effetti sarebbero caduti come una valanga anche su di lui.
Avrei dovuto lasciarlo libero davvero, se fossi stata un po' meno egoista avrei dovuto semplicemente essere felice per lui e chiudere quella storia una volta per tutte.
Ma non l'avrei fatto neanche morta.
Non stavolta.

* * * * * * *



Com'è che ultimamente vivo le automobili come se fossero macchine del tempo?
Seduta accanto ad Archie in silenzio, la mente assorta e gli occhi fissi sul finestrino, mi godo il paesaggio che man mano cambia diventando sempre più familiare.
Ma non siamo appena partiti? Come ho fatto ad estraniarmi così? Mi domando nel momento in cui entriamo in città, finalmente presente a me stessa.
Non c'è stata una parola tra noi praticamente da quando siamo partiti. Alla mia domanda su Elle, ormai quasi 4 ore fa, ha strabuzzato gli occhi sentendosi subito in colpa, come un bambino sorpreso con le mani nella marmellata, l'ho capito subito, e senza fare domande ha cominciato a raccontarmi delle ultime due settimane che mi sono persa.

«Da quando siamo tornati da Sleaford la prima volta Finn è praticamente sparito. Pensa che per una settimana intera non ci siamo visti, sembrava avesse deciso di ignorare tutti. Mi sono anche preoccupato. L'ho chiamato mille volte ma niente, alla fine sono andato da lui. E quella è stata la prima volta in cui ho visto Elle» aveva cominciato, interrompendosi guardandomi fisso negli occhi con un' aria terribilmente preoccupata.
Sapevo cosa gli frullasse per quella testolina. Ero stata un po' arrabbiata con lui quando avevo capito che sapeva e non mi aveva detto niente, ma quell'espressione da cucciolo spaurito mi aveva sciolto il cuore nel giro di pochi secondi. Così gli avevo sorriso, stringendogli una mano per incoraggiarlo a proseguire.
«Quella volta non abbiamo scambiato più di due parole, lei sembrava parecchio a disagio e lui più di lei. Se n'è andata quasi subito, mentre io sono rimasto con Finn giusto il tempo di una birra, non aveva nessuna voglia di perdersi in chiacchiere. Per i giorni seguenti non si è fatto vedere, poi è ricomparso una sera al Pub... sempre con Elle, c'eravamo tutti».
Bene, non ha perso tempo insomma.
L'idea di lei insieme a lui e tutti i nostri amici mi dava incredibilmente fastidio, come se mi avesse sostituita in toto.
«Rae?» mi aveva chiamato Archie, rendendosi conto di quanto mi fossi già lasciata andare a lungometraggi di ogni tipo, «non voglio nasconderti niente, ma ho paura che tu abbia cambiato idea sul fatto di tornare a casa».
Me l'aspettavo, mi chiedevo solo quanto ci avrebbe messo a chiederlo, «no Arch», vero solo in parte, perchè ci avevo pensato eccome di restarmene al sicuro nella mia cameretta a Sleaford. «Voglio tornare alla mia vita... a prescindere da tutto».
L'avevo visto tirare un profondo respiro di sollievo prima di proseguire nel racconto, «comunque abbiamo passato una serata piacevole. Elle è una ragazza normalissima, alla mano, niente puzza sotto al naso, logorroica, di lei so solo che studia per diventare un'infermiera, che le piace la fotografia e che è sbadata a livelli inauditi».
No fatemi capire, anche il MIO migliore amico colpito in positivo dalla new entry?
Cos'è una congiura?
Calma Rae. Respira.
... Che cazzo però.
Ma non era questo che volevo sapere, o almeno, non era questo che mi interessava.
Io volevo capire come fosse Finn con lei, cosa mi sarei dovuta aspettare, cosa avrei rischiato di vedere una volta tornata a casa. «Ma...» avevo appena sussurrato con l'intento di riguadagnarmi la sua attenzione, «come ti sembrano? Voglio dire... so che non stanno insieme ma... come si comportano l'uno con l'altra?».
Con quella domanda l'avevo messo in difficoltà, sentivo la sua esitazione frapporsi ad ogni respiro, voleva addolcirmi la pillola, ma forse rendendosi conto che a quel punto sarei stata separata dalla verità da un soffio di 4 ore aveva optato per la sincerità. «Ho capito cosa intendi, ma prima di risponderti c'è una cosa che voglio dirti... Finn non è una banderuola, non ti ha dimenticata e non ha dimenticato quello che prova per te. Si vede, lo capisco ogni volta che lo guardo in faccia. Dopo aver parlato con te era sconvolto, arrabbiato, Elle è solo arrivata nel momento giusto, si è appoggiato a lei per evitare di arrovellarsi la testa per te. Quello che c'è stato, e che c'è, tra di voi non ha niente a che vedere con lei».
Lo stava forse giustificando?
Non avevo mai considerato Finn una banderuola, e non avevo mai messo in dubbio i suoi sentimenti per me, semmai potevo capire che lui avesse avuto delle remore sui miei, che ogni volta sembravo godere nell'allontanarlo. Ma appunto, sembravo, perchè in realtà avrei voluto sentirlo vicino a me in ogni attimo, ma a volte era stato più facile sprofondare da sola che trascinare giù anche lui con me.
«Non voglio dirti palle, mi sono sembrati molto complici... ma niente di trascendentale».
Prima stilettata.
«Ultimamente sono stati spesso insieme, vanno molto d'accordo e si divertono a punzecchiersi di continuo. In effetti... visti da fuori potrebbe sembrare che ci sia qualcosa tra loro. Ovviamente per chi non conosce Finn e non conosce la vostra situazione».
Seconda stilettata.
Ma grazie per le accortezze Archie, quando avrò finito di scavarmi la fossa ti regalerò la mia pala nuova.
«Lui sembra molto sereno con lei accanto. Probabilmente perchè lo distrae da tutto il resto».
Terza stilettata.
Con "resto" leggasi Rae Earl, la scema del villaggio.
«So che lui è stato anche a cena un paio di volte a casa sua, credo abbia conosciuto suo padre».
Eh no però, questo è troppo!
Contro ogni logica cominciavo a sentirmi veramente arrabbiata e delusa.
Era colpa mia sì, ma lui quanto ci aveva messo a ficcarmi in un cassettino della memoria e darmi un bel calcio nel sedere? Come si fa a legarsi così tanto a una ragazza conosciuta su un insulso autobus, un maledettissimo giorno di due inutilissime settimane fa?
Ero allibita. Incazzata e allibita.
Dopo quelle confessioni avevo raccontato ad Archie come invece l'avevo conosciuta io, l'ironia della situazione, le foto, il bel tenebroso... IL BEL TENEBROSO... Dio Santo! Ero così furiosa da non accorgermi dei continui «assurdo», «che coincidenza!», che continuava a pronunciare intervallate al mio racconto, mentre la mia guancia destra si riduceva a un colabrodo preda di morsi furenti.
Praticamente sapevo di lei più cose di tutti gli altri, soprattutto sapevo cosa pensasse di Finn, era cotta, cotta a puntino, e come darle torto del resto? Non potevo certo sperare di essere l'unica dotata di occhi e orecchie, o di cervello, semplicemente, chiunque si sarebbe innamorata del suo sorriso, dei suoi meravigliosi occhi nocciola dalle striature dorate, dell'insicurezza mascherata da spocchia, della dolcezza di ogni gesto rivolto alle persone cui tenesse.
Dio ero nei guai, stavolta ero proprio nella merda fino al collo.
«Rae questa storia è incredibile, ti rendi conto di che razza di coincidenza stiamo parlando?».
Che culo eh.
«Ma quindi Elle si è...» non sapeva come dirlo, pensava forse di poter tirare fuori qualche concetto che non avessi già sbandierato ampiamente ai miei neuroni kamikaze.
«Innamorata, Arch» avevo detto togliendolo dall'impaccio sottolineando la prima parola.
Mi aveva guardata con un rammarico tale negli occhi, che per non farlo preoccupare più del necessario gli avevo schioccato un bacio a sopresa abbracciandolo fino a stritolarlo. Mai e poi mai avrei permesso che avesse pena per me. Mai.
Quando avevo collegato i pezzi scoprendo di Elle ero rimasta di sasso, mi ero sentita per un attimo di nuovo isolata dal mondo, nella mia fedele bolla a quanto pare non esplosa del tutto, ma dopo quella conversazione qualcosa dentro di me si era smosso. Non avrei saputo bene dire cosa, ma una scintilla di qualcosa era arrivata dritta al mio cuore. Incoscienza? Speranza? Recriminazione? Rabbia? Non ne ero sicura, ma sarei tornata a casa per riprendermi la mia vita, di questo ero assolutamente certa.
«Arch accendi questo catorcio... torniamo a casa».
Mi aveva studiata ancora per qualche momento come a scongiurare un eventuale crollo, per poi passare a borbottare difese a spada tratta sull'integrità del suo "bolide". La radio accesa aveva fatto il resto impedendoci ulteriori conversazioni, avrei avuto un gran bisogno di riflettere.


* * * * * * *



Ed è in quella atmosfera attutita che è trascorso il viaggio, tra un susseguirsi di paesaggi, una discussione mai iniziata e un sottofondo musicale di cui non mi sono resa conto nemmeno per un momento, troppo occupata a ripercorrere gli ultimi giorni ed elaborare le informazioni appena ricevute.
Sono le due del pomeriggio quando finalmente arriviamo a casa.
«Allora ci vediamo stasera al pub, ho già avvertito gli altri» annuncia Archie spegnendo il motore della macchina.
Stasera... al Pub... Finn...
Ce la posso fare? Posso ritrovarmi già davanti a lui?
Il cervello registra informazioni e dubbi bloccando in parte le sinapsi che si stanno accavallando nella riflessione, tanto che la mia bocca non può che emettere un sussurro incerto «veramente non so se...».
«Non ci provare» mi blocca Arch sporgendosi verso di me per inchiodare i suoi occhi ai miei, «so che è difficile per te, ma so anche in che direzione sta andando la tua testolina. Siamo noi Rae, i tuoi amici, forse ci sarà Finn forse no, ha gli allenamenti stasera, in ogni caso non sarebbe un male se parlaste un po' tra voi. Quindi piantala di correre via come una lepre ogni volta che succede qualcosa che non ti convince del tutto, smettila di essere egoista e pensa per una volta a noi che ti siamo stati vicino finora... promettimelo» conclude tendendomi un mignolo mentre trattiene a stendo una risata.
Vuole farmi fare un giuramento come i bambini? «Devo darti il mignolo?».
Quando scoppia in una fragorosa risata ha un'espressione così tenera che non posso esimermi dal fare altrettanto. Sì, per lui, per loro, posso fare uno sforzo, comincio già adesso a pregare in tutte le lingue del mondo, affinchè l'Universo mi conceda un po' di tregua per riconnettere i pensieri in un ragionamento razionale e mi tenga Finn lontano ancora un po', poi gli acciuffo il mignolo con il mio.
Un bambino adorabile «Ok, allora è deciso, ripasso da te stasera e fatti trovare perché non ho nessuna intenzione di giocare a nascondino Rae Earl» mi dice fintamente minaccioso.
A quel punto mi prendo tutto il tempo del mondo per un abbraccio infinito, e qualche secondo dopo esserci staccati attraverso l'uscio di casa mia.

Sono tutti a casa, la mia famiglia.
Mia madre mi viene incontro con la piccola di casa e mi abbraccia come se fossi appena tornata da un campo di battaglia, uno stritolamento e varie costole incrinate più tardi Karim fa esattamente la stessa cosa. Sguscio dagli abbracci senza tante cerimonie e mi precipito in camera con la scusa dei bagagli da disfare.
«Tesoro ho appoggiato in camera tua qualche gioco della piccola, tranquilla poi li sistemiamo meglio» avverte mia madre mentre salgo le scale.
L'ho sentita a malapena, ma nel momento esatto in cui apro la porta della mia stanza mi rendo conto della portata del "qualche gioco". Peluches ovunque, ninnoli da lettino sul MIO letto, tutine accumulate sulla sedia della MIA scrivania, tappetino magico sul MIO pavimento. Ossigeno sottratto alla MIA aria.
Voglio ucciderla.
Ora, subito.
Conta Rae, conta fino a... 100... ok facciamo 1000.
«Io dove dormo?» le urlo indignata a porta chiusa nel tentativo, vano, di evitare una scenata.
La sua risposta mi arriva attutita un secondo dopo «te l'ho detto, domani, te lo prometto, sistemeremo tutto, per stasera arrangiati».
Arrangiati??
Ma non ero la figlia tornata dal campo di battaglia? Una reduce di guerre interiori senza scopo?
Alla fine ci rinuncio, respiro a fondo lentamente, sposto la mole di giocattoli dal letto alla sedia e mi butto a peso morto tra la giraffa e la ranocchia, esattamente in direzione orsetto del cuore. Poi chiudo gli occhi e Morfeo, che fortunatamente non si è trasformato in un unicorno, mi accoglie tra le sue braccia.

Diverse ore dopo apro gli occhi nel buio assoluto della mia stanza, a quanto pare ero più esausta di quanto pensassi, la sveglia indica le sette, o forse le cinque, quella maledetta farfalla di pezza mi copre un occhio. Allungo il braccio per afferrare la sveglia e scopro con orrore che sono le sette e mezza, e che sentirò la voce di Archie che mi intima di scendere da un secondo all'altro.
A velocità supersonica mi alzo e corro in bagno, oddio, correre è un po' esagerato, diciamo che mi faccio strada a fatica procedendo a tentoni tra gli animali dello zoo, mi lavo il viso sperando di svegliarmi del tutto e mi metto un maglione pulito. Provo a raccontarmi che andrà tutto bene, che tanto Finn non ci sarà e che i miei amici saranno felicissimi di vedermi, che non morirò investita da un camion attraversando la strada, e che nessuno mi brucerà i capelli con un cerino nel Pub.
Ok forse sono un tantino agitata e sto straparlando.
Dieci minuti dopo sono davanti alla porta, con un Archie decisamente esasperato che mi aspetta «no ma, prenditela pure comoda Rae».

* * * * * * *



Il Pub. Parliamone. Perchè è così vicino a casa mia? Chi l'ha spostato?
Un secondo fa ero a casa, una passeggiata e 10 minuti dopo sto per entrare.
No, no, e no, non sono pronta. NO.
Sto per fare dietrofront ma mi accorgo troppo tardi che Archie mi ha tenuta sotto braccio tutto il tempo, aveva forse paura che mi sarei smaterializzata?
Malefico saputello previdente.
Lo guardo con aria furente, ma lui mi sorride, spalanca la porta e mi spinge dentro.
Nel giro di due minuti vengo completamente sommersa «Rae! Ce l'hai fatta finalmente!» urlano in coro Izzy e Chloe abbracciandomi con foga, «Raemundo! Sempre in ritardo eh!» fa eco Chop.
Ci sediamo ad un tavolino al lato opposto dell'entrata, tra un abbraccio e l'altro riesco a farmi largo verso la panca dove mi accascio finalmente più serena ma esausta per l'ansia accumulata. C'è anche Danny, che mi abbraccia a sua volta pizzicandomi una guancia con le dita «sono felice di vederti di nuovo qui Rae», mi dice con un sorriso che lascia intendere una comprensione che gli altri non potranno mai avere.
Sono seduta tra Izzy e Chloe e mi perdo un momento nella contemplazione di questo luogo affollato, così familiare ma allo stesso tempo ancora straniero. Non vedo tutta questa gente insieme da un mese e mezzo e sono un po' in soggezione.
«Rae mi sei mancata tantissimo» Chloe mi scuote dal torpore abbracciandomi di nuovo, «ho un sacco di cose da raccontarti, non ora ovviamente, ti dico solo una parola, anzi 3: Figo.Da.Paura» scandisce bene le parole mentre una luce negli occhi le illumina lo sguardo.
Nuovo fidanzato all'orizzonte? Conoscendola probabilmente mi farà un resoconto dettagliato alla prima occasione, quindi mi limito ad annuire stringendola a mia volta, prima che quel cavernicolo di Chop ci interrompa con i suoi bisogni primari, «dopo le chiacchiere, signore, adesso ordiniamo da bere!» ulula chiamando a gran voce il barista.
«Sei veramente un animale» gli dice Izzy sconsolata, provocando una risata generale e l'ira funesta del fidanzato.
Finn non c'è, Archie mi aveva avvertita che probabilmente non sarebbe venuto, un po' per via degli allenamenti, un po' perchè ormai si fa vedere raramente «Finn non viene nemmeno stasera?» domanda Izzy ad Archie interpretando i miei pensieri, «allenamenti», risponde lui con una scrollata di spalle.
«Tanto allenamenti o no ormai è l'uomo invisibile», rincara la dose Chloe.
«Sarà con Elle?» chiede Chop guadagnandosi uno scappellotto di Izzy e un'occhiataccia dagli altri «ahi, che ho detto?».
Sorrido a Chloe che mi osserva piuttosto tesa, poi le sussurro all'orecchio «Elle sarà a casa sua per qualche giorno, non preoccuparti per me, so già tutto» ammetto strizzando un occhio complice. La vedo rilassarsi e annuire a sua volta, ma si rabbuia un attimo dopo «allenamenti eh?» sussurra in tono accusatorio rivolto ad Archie.
La guardo un momento confusa, poi i miei occhi seguono la direzione dei suoi, e tutti vediamo l'oggetto della discussione fare il suo ingresso nel locale.
«Miracolo! Il Figliol Prodigo è tornato!» urla Chop sbracciandosi e guadagnando l'ennesima occhiataccia sconsolata della fidanzata.
No.
Non può succedere, non sono pronta.
Lo fisso inebetita da lontano mentre cerca di farsi largo tra la folla verso il nostro tavolo, ha inchiodato i suoi occhi ai miei appena entrato in uno sguardo sorpreso e... sollevato? Dio, può essere ogni volta più bello? Mi sembra di avvertire da qui il profumo intenso del suo maglione bianco. La tentazione di lanciarmi tra le sue braccia è forte, ma quando sta per arrivare da noi scatto in piedi, chiedo a Chloe di spostarsi e mi rifuggo in bagno.
Non sono pronta. Non lo sono affatto.
Mi sciacquo le mani con acqua ghiacciata osservando sullo specchio la mia espressione stralunata. Non riesco nemmeno ad immaginare di guardarlo, come faccio adesso? La serenità di prima era un bluff, me ne accorgo mentre fisso le mani tremolanti. Perchè mi fa questo effetto? Come dovrei comportarmi? Dovrei abbracciarlo? Baciarlo sulla guancia? Salutarlo e basta? Ed Elle? Devo chiedergli qualcosa? Devo dirgli che so tutto? Devo essere distaccata?
Il mio cervello è in cortocircuito.
«Respira Rae», mi impongo distendendo le braccia fino a toccare il muro con i palmi delle mani.
Il mio cuore impazzito pian piano rallenta, ma questo non cambia la realtà dei fatti.
Non ero preparata a vederlo stasera, ero sicura che non sarebbe venuto, gli altri hanno detto che era sparito, perchè stasera? Possibile sia... per... me?
Faccio cadere le braccia lungo i fianchi e mi guardo di nuovo allo specchio «non posso ora. Non posso proprio, non ci riesco» ammetto afflitta al mio riflesso.
«Rae?» Chloe entra in bagno all'improvviso facendomi sobbalzare il cuore di nuovo «tutto bene?» mi chiede notando la mia espressione a dir poco terrorizzata.
Non so che fare, uscire e tornare al tavolo equivale ad affrontare Finn, significa ammettere davanti a tutti che ci siamo lasciati, significa cominciare a dissimulare il fatto che so dell'esistenza di Elle. E significa anche mostrarmi a quegli stessi occhi che mi hanno guardata così delusi quando è venuto a trovarmi. Non mi chiedo nemmeno se me la sento di farlo, perchè la risposta è un chiaro, macroscopico NO.
Mi volto verso Chloe che continua ad osservarmi in silenzio «me ne vado. Puoi dire agli altri che dovevo assolutamente tornare a casa? Inventati una scusa qualunque».
«Che... per Finn». Non è una domanda, ma una consapevole affermazione. «Rae dai, non fare così, ci siamo tutti noi, vieni con me, vi salutate e poi torniamo a spettegolare tra noi...» mi incoraggia prendendomi per mano.
Vorrei davvero essere in grado di farlo, ma ormai ho deciso, la guardo negli occhi e sfilo la sua mano dalla mia «grazie Chlo», le dico un attimo prima di chiudermi la porta del bagno alle spalle e smaterializzarmi tra la folla.
Non mi volto nemmeno un secondo verso il tavolo, se sono fortunata non si accorgeranno nemmeno che sono uscita, supero un gruppo di ragazzi intenti in un brindisi chiassoso, i tavoli da biliardo, e finalmente con un gesto deciso spalanco la porta sentendo di nuovo l'aria gelida graffiarmi la gola e riempirmi i polmoni. Sono tentata di spiare l'interno dai vetri della porta, per vedere ancora una volta quel sorriso che conosco più del mio e che mi manca da morire, ma alla fine rinuncio.
«Coerenza!» Mi impongo.
Avvilita come non mai cammino a passo spedito mentre una lacrima trattenuta a stento mi riga una guancia, non sarei dovuta venire, mi ripeto mentre infilo un passo avanti all'altro nel gelo della sera.
Ma nel giro di pochi secondi cambia tutto.
Mi fermo improvvisamente, e non per mia volontà.
Una mano si lega saldamente al mio braccio bloccando il mio incedere con decisione.
Probabilmente in un'altra situazione mi sarei impietrita, terrorizzata sul posto, ma riconosco il suo profumo, e il brivido che mi passa in rassegna tutta la schiena non è causato dal freddo, né dalla paura.
Mi volto lentamente e appena i miei occhi si posano sui suoi sento una decina di nuvole di farfalle nello stomaco... Forse di più.
Mi guarda con un misto di preoccupazione, sollievo, rabbia e... tenerezza? Possibile?
«Non mi merito neanche un saluto?» mi chiede Finn lasciando la presa sul mio braccio.

Dovrei andare in giro con un cuore di ricambio per ogni evenienza, batte talmente forte mentre siamo uno davanti all'altra a due passi dal Pub, che ho quasi paura che possa sentirlo anche lui. Le mie All Star rosse hanno una macchiolina viola a destra, chissà cos'è, mirtilli? Sono talmente agitata che le fisso attentamente da almeno un paio di minuti come se fossero due mine inesplose.
Ma lui non è da meno, perchè anche se posso sentire distintamente i suoi occhi puntati addosso non ha detto una parola. Sono sicura che in questo momento sta guardando nervosamente a destra e a sinistra abbassando il mento, mentre sprofonda le mani nelle tasche dei jeans.
Mi è mancato così tanto che mi bastano anche i suoi silenzi.
«È a causa mia che stavi andando via come una ladra?» mi chiede all'improvviso spezzando il silenzio.
Per la prima volta mi decido a guardarlo in faccia.
Pessima, pessima idea.
Arrossisco fino alla punta dei capelli, che razza di situazione, forza Rae, evita di fare una figura ancora più penosa di quanto non sia già, mi ripeto fino allo sfinimento «no, figurati, è che mia madre mi ha chiesto di non fare tardi, quindi...».
Molto matura.
Tutto inutile. Pessimo recupero.
Lo vedo distendere le labbra in un sorriso rilassato «sei sempre stata una pessima bugiarda».
Accidenti, credo di aver mutato di nuovo colore, dal rosso al porpora per la precisione, ma il suo sorriso mi scalda il cuore e lo imito in automatico scrollando le spalle. Tanto sappiamo entrambi che ha ragione.
«Dai rientra con me, Chloe mi ha lanciato un'occhiataccia assassina mentre stavi uscendo», mi incoraggia indicandomi l'entrata del Pub con un gesto della mano.
La coerenza non sarà mai il mio mestiere.
Convinta in 10 secondi netti. Ero veramente decisa. Granitica.
«Ok» rispondo guardando oltre le sue spalle.
Lo supero camminando a passo di carica verso il locale quando lo sento affiancarmi «sono felice che tu sia tornata Rae».
E il cuore, senza scomporsi ulteriormente, esplode.

Niente, i brividi non vogliono saperne di abbandonarmi.
Siamo arrivati insieme al tavolo dagli altri che ci osservano incuriositi, ma la mia attenzione è completamente rivolta alle mie spalle, mi ha appena sfiorata delicatamente con un braccio, e ho raggiunto un livello di imbarazzo tale che potrei cuocere un paio di uova sulle guance.
Archie è il più malefico di tutti e ride sotto i baffi, Chloe ha ancora lo sguardo killer rivolto a Finn, mentre Chop... beh, è Chop, non credo abbia capito quanto successo, «Finn volevi fare il babysitter con Raemundo?» domanda infatti dopo un attimo di riflessione.
Chloe deve aver messo in mezzo la solita scusa della baby sitter per giustificare la mia fuga.
Pessima bugiarda anche lei.
«Scimmione» borbotta Izzy regalandogli l'ennesimo sbuffo sulla testa della serata.
«Ahi! E tre, ma che ho detto?» replica il malcapitato offeso provocando una nuova ondata di risate.
Ci sediamo, e Chloe invece di farmi passare per sistemarmi come prima, si schiaccia contro Izzy sorridendo sibillina ad Archie, che guarda me e Finn con gli occhi più furbi di sempre.
Dopo un attimo di imbarazzo mi accomodo sulla panca... lui accanto a me.
Vorrei riacquisire un minimo di sanità mentale, soprattutto vorrei che il mio cuore la piantasse di minacciare l'infarto, ma lo sento accanto a me, e il suo profumo mi solletica le narici e mi sta mandando in fumo il cervello.
Ride a una battuta di Chop e mi sento improvvisamente sulle nuvole.
Pazza, devo essere stata una pazza sconsiderata a chiedergli di andare avanti per la sua strada. Cosa diavolo avevo in mente, idiota che non sono altro!
Continuo ad offendermi allegramente quando mi arriva la domanda odiosa per eccellenza «allora Rae, quando ritorni al College?». Chloe, la solita perfettina saputella.
Non ho idea idea di cosa risponderle, nelle condizioni pietose in cui sono al momento è un miracolo che abbia sentito la domanda, c'è il rischio che mi esca un grugnito. Mi schiarisco la voce e provo a connettere il cervello «non saprei, ma al momento non credo di tornare» ammetto.
«Beh dovresti però, hai già perso parecchie lezioni, rischi di giocarti il semestre» rincara la dose il saputello numero 2, Archie, adorabile canaglia.
Sbuffo vistosamente gonfiando le guance come una bambina capricciosa «lo so, ma l'idea di mettere piede in quei corridoi non mi alletta molto. Sai come vanno queste cose, sarei il pettegolezzo numero uno sulla bocca di tutti. Ho già affrontato questa esperienza, quindi, no grazie. Stavolta passo».
«Ma non dire assurdità, e noi cosa ci stiamo a fare?» ribatte Archie, già calato nell'armatura scintillante di una moderna Giovanna D'Arco, «non pensare a quelle quattro arpie e ai loro tirapiedi, muovi il culo e torna presto».
«Ben detto» gli fanno eco Chloe e Izzy.
«Non lo so ragazzi, non sono ancora pronta, ma prometto che ci penserò».
La verità è che l'idea di ritrovarmi faccia a faccia con Stacey-stronza-barbie-Stringfellow e la sua gang di trogloditi e troglodite non mi ispira neanche un pò. Sono vigliacca? Certo che sì, ma dopo tutto quello che mi è successo sfido chiunque a comportarsi diversamente.
I discorsi sul College per fortuna svaniscono in fretta un giro di birre dopo, e gli argomenti si fanno più innocui, dal prossimo giro di shopping con le ragazze alla partita di calcio di Finn.
Finn.
Ha saltato l'allenamento stasera... per vedere me?
Cavoli non devo fantasticarci troppo sopra, smettila con i film mentali Rae! Mi impongo mentalmente.
Non riesco a concentrarmi su nessuna discussione, di tanto in tanto sento il suo sguardo posarsi su di me e sussulto, facendo altrettanto l'attimo dopo procurandogli un sorrisino appena accennato.
Archie continua a lanciare a entrambi occhiate maliziose, e a sussurrare a Chloe frasi sconnesse che riesco a cogliere solo in parte, finora ho afferrato solo «che ti avevo detto», «allenamenti un corno», «a volte bisogna spingere un po' la morte...» o forse era "sorte". Ma non ne sono certa.
Quel che è certo è che la tensione di poco fa sembra svanita del tutto, mi sto godendo i miei amici e questa serata, e ormai ho sorriso così tanto da sentire la mascella indolenzita.

Ma naturalmente quando si tratta di me, un nuovo colpo in canna pronto ad esplodere è sempre dietro l'angolo, ed è così che mi accorgo di una chioma bionda e fluente che attende pazientemente il suo turno al bancone del bar.
Mi irrigidisco istantaneamente quando riconosco la stronza sotto a quella specie di parrucca lucida e setosa.
Le mie orecchie non hanno dimenticato l'eco delle sue parole velenose. So che è stata solo la goccia di un vaso già stracolmo, ma quella stronza mi ha causato così tanta sofferenza che vorrei immergerla in una tanica di benzina e darle fuoco. O strozzarla a mani nude. Non mi formalizzo.
Probabilmente penso a lei così intensamente da riuscire ad attirare la sua attenzione, perché si gira di scatto, e appena i suoi occhi si posano su di me sorride strafottente. Per poi incupirsi un attimo dopo, appena si rende conto di essere ancora una volta più lontana da Finn di quanto non sia io.
Fissa il nostro tavolo ancora un po' prima di agguantare due bicchieri e dirigersi verso di noi.
Tutto il mio corpo è ridotto a un fascio di nervi, sono talmente ipnotizzata da quel ghigno malefico che non riesco a staccarle gli occhi di dosso.
«Ciao ragazzi, vedo che c'è il gregge al completo stasera. Hai ritrovato la strada di casa pecorella?» domanda rivolgendosi direttamente a me.
Sto per esplodere, lo sento.
Le mie mani, abbandonate sulle ginocchia sotto il tavolo, si stringono a pugno indipendentemente dalla mia volontà, le stringo così forte da sbiancare le nocche.
La osservo sprezzante a metà strada tra un'esplosione incontrollata di rabbia e un pianto disperato, ma appena decido di optare per la prima scelta sento una mano intrecciarsi saldamente alla mia.
Oh...
Un incastro perfetto.
Un'ondata di calore parte da quel gesto diffondendendosi rapidamente in ogni angolino del mio corpo, correndo senza ostacolo fino al cuore.
Mi volto di lato e scorgo Finn, intento a sua volta a fissare Stacey con un lieve sorriso sulle labbra, che è solo un'illusione però, l'imitazione di una risata, perchè in realtà la mascella contratta trasforma il suo sforzo in una specie di ghigno.
È nervoso anche lui.
Perchè è nervoso anche lui?
Stringe ancora di più la presa sulla mia mano, le nostre dita sono intrecciate in un incastro perfetto che fa quasi male al cuore.
Torno a guardare Stacey ancora in cerca di una risposta, quando sento la presa allentarsi lentamente, e il pollice di Finn disegnare delicatamente dei cerchi sul palmo della mia mano, nell'intento, forse, di farmi rilassare.
Nuvole, tante nuvole rosa delicate e un tiepido raggio di sole che mi solletica la pelle.
Concentrati Rae! Devi essere furiosa! Mi dico tentando, inutilmente, di ritornare sul Pianeta Terra.
«Cosa vuoi Stacey?» le risponde Chloe, «non c'è nessun altro a cui puoi rovinare la serata?».
Una risatina parte in automatico dalla stronza, ma non me ne importa niente, tutta la mia attenzione ormai è occupata da quella mano morbida nella mia.
Mi maledico ancora una volta chiedendomi come abbia fatto a pensare, anche solo per un momento, di poter vivere senza questo calore.
In ogni caso sono rinsavita.
«No tesoro, sono con degli amici, non perdo il mio tempo inutilmente. Sono passata solo per fare i miei auguri a Finn», risponde lei ricambiando il tono scocciato di Chloe.
Com'è che il suo nome nella bocca di quella sciacquetta diventa quasi fastidioso?
Auguri poi, per cosa? Non è mica il suo compleanno.
... Non è il suo compleanno... vero?
La perplessità che aleggia negli occhi di tutte le persone sedute al tavolo dev'essere palese, e stavolta è Finn a rivolgerle un'occhiata di sdegno.
Un'occhiata vista e recepita bene a quanto pare «ma come, non hai detto di tua madre ai tuoi amici?» domanda come se fosse la cosa più ovvia di questo mondo.
«La mamma di Finn si risposa domani, i miei sono stati invitati visto che conoscono i suoi genitori da una vita, io purtroppo non potrò andarci, però mi farebbe molto piacere se le portassi i miei migliori auguri» insiste senza scomporsi minimamente.
Il messaggio io conosco Finn meglio di voi poveri idioti è arrivato solo a me?
Questa ragazza è una vipera fatta e finita, non ho idea di cosa stia parlando, ma almeno questo è certo.
Dall'espressione stizzita di Finn è evidente che toccare l'argomento per lui dev'essere un supplizio, rivolge il suo sguardo prima verso Archie, che ricambia con affetto e comprensione, per poi sorridere a me, il tutto senza lasciare la mia mano, ormai plasmata nella sua.
Ma ho talmente la testa sulle nuvole che ci faccio caso appena.
Fortunatamente il teatrino si esaurisce in poco tempo, perchè qualche secondo dopo Stacey lo saluta con un sorriso ostentato e si allontana verso la parte opposta del locale, trascinando con sé litri di benzina purtroppo inutilizzata e molti punti di domanda... nonchè, malauguratamente per me, il calore della stretta di Finn.

L'aria rarefatta lasciata dalla stronza non influenza la nostra allegria però, il resto della serata trascorre con un nuovo giro di birra e le solite chiacchiere.
Nessuno intraprende la strada delle domande imbarazzanti, è come se ci fosse un tacito accordo di discrezione tra di noi, momentaneamente le parole madre, matrimonio, college, pazzoide... su quest'ultima ogni riferimento è puramente casuale, sembrano bandite dalla conversazione. E quando arriva la trafila dei saluti vorrei poter organizzare un pigiama party in sacco a pelo direttamente nel Pub.
Fuori dal locale per gli ultimi saluti saltelliamo sul posto come piccoli canguri imprigionati in una morsa di gelo, «Rae ti accompagno a casa» mi dice Archie premuroso come al solito. Anche se il sottotesto stavolta è voglio sapere esattamente cos'è successo con Finn quando siete usciti.
Gli sorrido e sto per rispondergli quando vengo interrotta da una nuova, inaspettata, premura «ci penso io... se per te non è un problema» domanda Finn.
Problema?
Problema??
Io sto per sciogliermi dalla felicità, altro che problema, non sento neanche più freddo.
«Nessun problema» mi limito a rispondergli, senza nascondere il sorriso a trentadue denti che nasce spontaneo sulle mie labbra. Del calore sulle guance ormai non mi curo neanche, ce l'ho tatuato da quando me lo sono ritrovata davanti a inizio serata, morirò per autocombustione, me ne sono fatta una ragione.
Ci incamminiamo verso casa sotto gli sguardi complici e maliziosi di Archie e Chloe, non ne sono sicura, ma sospetto che il gatto e la volpe avessero avuto dei chiari progetti per noi per la serata. Progetti andati a buon fine, a giudicare dalle risate che sento.

* * * * * * *



Camminare fianco a fianco con Finn, essere semplicemente a un passo da lui, rinnova una specie di magia.
Non vorrei andare troppo oltre con la fantasia, so che prima o poi arriverà il chiarimento che ci stiamo impegnando con tanta solerzia a rimandare, ma averlo accanto adesso è qualcosa in cui non avrei davvero osato sperare dopo gli ultimi avvenimenti. So che non devo ricamarci troppo sopra, restare con i piedi per terra è l'unico modo che può salvarmi dall'ennesima caduta rovinosa, ma è più forte di me.
Mentalmente sto girando il secondo tempo del film più romantico di tutti i tempi.
Nessuno dei due ha avuto ancora il coraggio di rompere il silenzio da quando abbiamo lasciato il Pub, ma non mi importa, nonostante tutto quello che ci è successo siamo ancora qui, insieme, e quasi non ci credo.
Mi rendo conto che qualcosa non va in lui per puro caso, quando mi volto imbarazzata per cercare il suo sguardo e bearmi del suo sorriso. I suoi occhi sono rivolti su un punto indefinito davanti a noi che non sta guardando davvero, è incassato nelle spalle, le mani nelle tasche... sembra pensieroso.
Che stia ancora rimuginando sulle parole della barbie malefica?
Il matrimonio di sua madre.
D'un tratto mi incupisco anch'io.
Di questa storia del matrimonio non ne sapevo niente. E nemmeno di sua madre, se è per questo.
Finn è sempre stato un ragazzo molto schivo, riservato, si è infiltrato in ogni angolino della mia vita, eppure della sua mi ha sempre lasciato pochi spiragli.
Conosco suo padre, ma della madre non ha mai accennato niente, neanche per sbaglio.
«A che pensi?» domando all'improvviso.
Era talmente assorto in chissà quale ragionamento che si volta di scatto sbattendo le palpebre più volte, come se l'avessi risvegliato da un sogno ad occhi aperti.
Vorrei essere discreta, ma vederlo così abbattuto mi infonde il coraggio di fargli un'altra domanda senza aspettare la sua risposta «Tua madre?».
Pessimo, pessimo tempismo.
Si blocca guardandomi dritto negli occhi con i piedi incollati all'asfalto. Non ne vuole parlare, questo l'avevo capito anche prima, ma se pensa che demorda è davvero fuori strada, ha sempre tenuto in alto la bandiera della sincerità ad ogni costo, dell'abolizione dei segreti, ma non può esserci sempre un flusso a senso unico.
«Già» si limita a dire.
Già, beh grazie per l'attestato di fiducia Finn «e...?» lo sprono a proseguire.
«E niente. Non c'è proprio niente da dire» borbotta con l'intento di mettere un punto alla discussione.
Ricomincia a camminare ed io lo seguo silenziosa. Vorrei essere almeno un po' arrabbiata con lui, ma invece mi sento terribilmente in colpa. Sì in colpa, perchè lui c'è sempre stato per me, se mi sono confidata anche su fatti imbarazzanti al limite della malattia mentale è anche perché ho avuto davanti una persona predisposta all'ascolto. Forse ha ragione Archie quando mi accusa di essere un'egoista, se il flusso di ammissioni finora è stato a senso unico è anche in gran parte responsabilità mia.
«Aspetta» esordisco trattenendolo per un braccio mentre lo obbligo a fermarsi, «qual'è il problema con lei? Al matrimonio ci andrai?».
Mi osserva accigliato scuotendo il braccio per terminare quel contatto indesiderato «te l'ho già detto, non c'è niente da dire... In ogni caso no, non ci andrò».
Non andrà al matrimonio di sua madre?
Tutto quello che so sull'argomento è che i suoi genitori sono separati da almeno tre anni, e che lei vive a Leeds dove, a quanto pare, si è rifatta una famiglia.
Chissà che non si tratti semplicemente di rancore dovuto alla situazione.
E se non lo avesse proprio invitato? A questo non avevo pensato. Vorrei chiederglielo, ma se così fosse non farei altro che peggiorare la situazione, così ingoio la curiosità insieme a un sospiro sommesso.
«Dai forza» dice sorridendomi appena, sembra... intenerito? «Dimmi quello che stavi per chiedermi».
Arrosisco violentemente fino alla punta dei capelli, probabilmente anche nel cervello e nei restanti organi vitali «beh ecco... mi chiedevo... sei stato... sì insomma... invitato?».
Sono così imbarazzata che vorrei si aprisse una voragine nell'asfalto qui e ora facendomi sparire per sempre nelle oscurità del sottosuolo.
Al di là di ogni aspettativa però Finn esplode in una fragorosa risata... almeno lo faccio ridere.
«Certo che sono stato invitato, sono suo figlio no? Che domande» dice come a sottolineare un'ovvietà.
Punta nell'orgoglio gonfio le guance e mi giro dall'altra parte bofonchiando «cosa posso saperne io, e poi mi sembra stranissimo mancare al matrimonio della propria madre. Perfino io alla fine mi sono convinta ad andarci».
«Per me è diverso Rae. Tua madre vive con te ogni giorno, siete come cane e gatto però vi volete bene. Io...» si interrompe sospirando mentre raccoglie i pensieri alla ricerca della versione ufficiale da fornirmi, «dalla separazione, tre anni e mezzo fa, avrò visto mia madre si e no 4 o 5 volte. Abbiamo discusso molto quando se n'è andata, non ti sto a spiegare i motivi, sono volate parole grosse... Beh io ne ho rivolte a lei quantomeno, e da allora mi sono sempre rifiutato di parlarci. Ho ridotto i contatti tra noi al minimo indispensabile. Della sua nuova vita non so niente, non conosco nemmeno il futuro marito».
Oh Finn... ha un'aria così abbattuta e indifesa, e un'amarezza negli occhi che non gli avevo mai visto prima, vorrei essergli d'aiuto ma senza sapere nulla è complicato «ma allora... magari proprio per questo dovresti andarci» mi azzardo a suggerire, «potresti provare almeno a parlarle, e poi sicuramente sarebbe contenta di condividere con te un momento così importante. Anche se non vi parlate spesso non significa che non ti voglia bene».
Un fatto ovvio, perchè non voler bene a Finn sarebbe umanamente impossibile.
Devo aver detto una parola di troppo però, perchè un secondo dopo aver pronunciato quelle parole lo vedo stringere i pugni e contrarre la mascella in un impeto di rabbia «quello che vuole non mi interessa né mi riguarda, e a quel dannatissimo matrimonio non ci vado. Non voglio andarci e sto benissimo così».
«Palle» mormoro sottovoce.
«Come?».
«Palle, Finn... dovresti cambiarti i connotati per essere credibile perchè la tua faccia dice esattamente il contrario. Invece di continuare ad ignorare tua madre affrontala una buona volta, si vede lontano un miglio che ti dispiace».
Il suo sguardo su di me è così intenso da percepirlo con ogni fibra del mio corpo, è arrabbiato, ma anche combattuto, perchè nonostante sia l'ultima persona al mondo in grado di dare consigli del genere, miss giochiamo a nascondino come stile di vita, sa benissimo che ho ragione.
«Tu mi dici di non ignorare il problema? Proprio tu? E dimmi... devo affrontare mia madre come tu stai affrontando il ritorno al College?» mi domanda con il sorrisetto ironico di chi sa di averti appena colta in fallo.
Questo è un colpo basso.
«Non è la stessa cosa» rispondo stizzita.
«Ah no?».
«No. Il College è il College, per te si tratta della tua famiglia. Senti io non so perchè tua madre è sempre stata un argomento top secret anche con me, magari è anche colpa mia che non sono stata capace di metterti nelle condizioni di raccontarmi di lei... certo non sono stata l'amica o la fidanzata migliore del mondo, e certe volte mi sono comportata davvero come l'ultima delle psicopatiche...» ok sto divagando, rimani concentrata dannazione, «però tu sai tutto di me e...».
«Vuoi davvero rinfacciarmi questo adesso?» grugnisce interrompendo il fiume delle mie parole, che però ha uno scopo ben preciso, quindi non mi lascio intimorire.
«Zitto» gli intimo bloccando sul nascere ogni forma di protesta, «fammi finire. Dicevo... che nonostante le stranezze tu conosci tutto di me, e io invece so a malapena che tua madre esiste. Ma non è questo il punto. Il punto è che se non ne hai mai parlato significa che ti fa star male farlo, ma evitare di nominarla non la cancella dalla faccia della Terra per magia. Si tratta sempre di tua madre, esiste, è viva e vegeta, e tu devi assolutammente risolvere la questione, o almeno devi provarci, o avrai un milione di rimpianti sulla coscienza a vita, Finn. E come andrà andrà, se sarà lei a non voler far parte della tua vita, ipotesi da scartare a priori, potrai almeno dire di averci provato», concludo la mia arringa inchiodando i suoi occhi ai miei.
Ho palesemente vinto dai, una saggia fatta e finita.
Una manciata di interminabili secondi dopo, abbassa il viso scuotendo la testa in un sorriso divertito e rilassato «sei cocciuta» dice sogghignando «e va bene. Magari hai ragione... forse... andrò al matrimonio, ma a due condizioni» dice incrociando le braccia al petto in segno di sfida.
Tipico esempio di orgoglio maschile.
Aspetta... condizioni? Cosa c'entrano le condizioni?
La scintilla che vedo chiaramente illuminargli gli occhi non fa presagire niente di buono per la sottoscritta.
Probabilmente dovrei preoccuparmi, ma sono così felice della vittoria appena ottenuta che ingenuamente lo assecondo «quali condizioni?».
Si schiarisce la voce mentre mi preparo al peggio, «io andrò a quel matrimonio, in fondo è vero, è ora che sotterri almeno in parte l'ascia di guerra, ma... Punto Primo: tu tornerai al College. Non esiste che ti faccia condizionare da una manica di idioti».
Al solo pensiero un macigno di un quintale si posa esattamente sull'imboccatura dello stomaco, ma se serve a perorare la causa... «e va bene, promesso» asserisco adagiando entrambe le braccia sui fianchi in una resa incondizionata, «e la seconda condizione?» domando con cautela.
In fin dei conti al momento cosa può esserci peggio del College?
«Verrai al matrimonio con me».
Appunto.

Ciao a tutte!
Massima stima per chiunque abbia avuto il coraggio e la perseveranza di arrivare alla fine di questo interminabile capitolo.
Avrei voluto accorciarlo in qualche modo, ma per farlo avrei dovuto rimetterci le mani per la milionesima volta rimandando ulteriormente la pubblicazione, e non mi è sembrato il caso. Così come non mi è sembrato il caso di divederlo in due interrompendo la linea narrativa.
Ho cambiato la storia in corsa decidendo di raccontare qualcosa di Finn. Nella serie la sua vita al di là degli amici è abbastanza un punto interrogativo, così mi sono potuta sbizzarrire.
Il matrimonio arriverà come diretta conseguenza di questo capitolo e ne vedremo delle belle, posso dire fin da ora, anche se mi sembra scontato, che Rae accetterà con gioia, più o meno, l'invito. E scopriremo altre cose di Finn. Al momento i due sembrano tornati ad essere piuttosto vicini, ma il vero chiarimento sulle questioni che li hanno portati a lasciarsi non c'è ancora stato...
Direi che a questo punto posso congedarmi, anche perchè fare note lunghe dopo un capitolo infinito mi suona un po' come un accanimento, quindi alla prossima! :)

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Capitolo 8
*** Finn - Parte II ***



Capitolo 8: Finn - Parte II

Leeds - 28 Novembre


Calma Rae, calma.
Da 20 minuti mi trascino da una parte all'altra della mia stanza come un automa, mentre l'ombra in movimento si distorce seguendo il ritmo dei passi.
Sono nel panico.
E sono un'idiota.
La sveglia segna le 3.30 e tra una manciata di secondi comincerò a farneticare da sola.
Personalità multipla, è questo il mio problema, sono la versione 2.0 rivisitata e corretta di Dr. Jekyll e Mr. Hyde.
Una parte di me, sensata, collaborativa e tenace, ambisce alla stabilità emotiva, al benessere, e si impegna duramente per costruire e mantenere una parvenza di identità in questo folle mondo. L'altra, quella che prende spesso il sopravvento... beh... gestisce una ditta di demolizioni e pratica il suicidio assistito.
Quand'è che il mio cervello ha rinunciato definitivamente al concetto di sanità mentale?
Ma soprattutto, dov'ero quando Kester, nemmeno tre giorni fa, mi faceva promettere che non avrei fatto niente di stupido? Che avrei aspettato almeno qualche giorno di assestamento prima di buttarmi in situazioni emotivamente impegnative? Perché qui sono sull'orlo di un disastro annunciato su cui campeggiano cartelli extra-large con le scritte ansia e panico.
«Ok» ho risposto a Finn con nonchalance, e oserie dire anche con un certo grado di soddisfazione, quando mi ha proposto di accompagnarlo al matrimonio della madre. Una madre che detesta e con la quale si rifiuta di comunicare da anni, tra l'altro.
«Ok» mi ripeto inutilmente come un mantra, inspirando ed espirando vorticosamente.
"Ok" va bene se ti chiedono di andare a fare un giro al parco o a prendere un caffè, può funzionare per un invito al cinema o al Pub. Ma è già troppo semplicistico se ti invitano a un concerto, per esempio, andrebbe abbinato a qualcosa di più concreto come quanto costa il biglietto? Chi guida la macchina? Come torniamo a casa?
Ubriaca di idiozia ero così elettrizzata quando me l'ha chiesto, mi sono sentita importante per lui, considerata, apprezzata, stimata, perché non fai una richiesta del genere a un'amica qualunque, giusto? Se decidi di sotterrare l'ascia di guerra con una delle persone più importanti della tua vita vuoi avere vicino qualcuno a cui tieni, no? Una persona che può comunicarti un minimo di serenità e stabilità... e a fronte di questa considerazione avrei già dovuto capire che nemmeno tra un milione di anni avrei potuto essere io, ora, quella persona... qualcuno che ti sta particolarmente a cuore e con cui abbia senso condividere una parte così intima della tua vita... no?
Peccato mi sia temporaneamente sfuggita quella fase fondamentale nota come ragionamento. Avrei dovuto attivare a forza le mie sinapsi e approfondire la cosa. Mica teorie filosofiche eh, roba spiccia, tipo:
Sei sicuro che vuoi che venga con te?
A tua madre andrà bene? Nemmeno mi conosce...
Non si farà un'idea sbagliata di noi?
E noi? Non ci faremo un'idea sbagliata del nostro rapporto?
Siamo pronti per passare una giornata intera insieme dopo quello che è successo?
... mia madre mi darà il permesso?

E invece no. Sono rimasta completamente impantanata in una palude di sentimentimentalismi isterici con il cervello spento e un sorriso ebete stampato sulle labbra... Per poi crollare nella disperazione appena varcata la soglia di casa.
Un matrimonio.
Un'occasione elegante, oltretutto, e non ho nemmeno un accidenti di niente da indossare. Non ci avevo pensato all'inizio, del resto Miss sono la persona più importante dell'Universo per Finn era troppo impegnata a gongolare per occuparsi di simili quisquiglie.
C'è sempre il vestito del matrimonio di mia madre...
Certo Rae, ottimo ragionamento, applausi a scena aperta... peccato tu l'abbia indossato ad Agosto e che ci siano almeno una ventina di gradi in meno adesso.
Potrei sempre metterci un maglione sopra...
O magari una vestaglia... Potresti anche corredare il tutto con una stola di neuroni nuovi? Che dici?

Personalità multipla, come dicevo.
Ma tanto ormai il danno è fatto, subito dopo pranzo Finn passerà a prendermi e presenzieremo al matrimonio della Regina Madre, spero solo che i soliti noti, altresì conosciuti come ansia, panico e crollo del sistema nervoso non si imbuchino all'ultimo. In fin dei conti sono pur sempre uscita da una Clinica psichiatrica da un giorno.
Dio, Kester, ma che razza di gente reimmettete nella società?

* * * * * * *



Strade argentate dalla pioggia mattutina, odore di caffè nell'aria misto a una nota dolce di ciambelle, passeggio in mezzo a Chloe e Archie in tenuta da combattimento verso il negozio di abiti da cerimonia nel centro cittadino. Sono già le dieci, ma li ho buttati giù dal letto all'alba stamattina con due telefonate disperate in piena crisi da look e notte insonne. Un mix letale, probabilmente sono stati tentati entrambi di portarmi in dono una confezione di tranquillanti.
Non abbiamo proferito parola da quando sono passati a prendermi a casa, ma le occhiaie da guinness, unite all'irritabilità e al racconto della sera precedente, devono aver dato un'idea precisa ai due malcapitati del mio precario stato emotivo attuale.
L'arrivo nel tepore del negozio risveglia tutti e tre dalla breve passeggiata polare, e come da copione ci dividiamo i vari reparti alla disperata ricerca di qualcosa che mi faccia sembrare vagamente presentabile.
Chloe è già stata inghiottita da una valanga di bozzoli di cellophane, le custodie protettive dei vestiti, mentre Archie con sguardo vigile mi cammina accanto pensieroso «tua madre ti ha creato problemi per oggi?».
«Magari» sospiro abbattuta, «era felice come una pasqua, dice che si fida di Finn e che una giornata di svago mi farà bene. Pensa che mi ha lasciato i soldi per il vestito senza colpo ferire, anzi, mi ha suggerito di comprare anche un paio di scarpe».
Sono ancora piuttosto incredula della conversazione mattutina avuta con mia madre, pensavo che mi avrebbe diassuasa dal partire una giornata intera dopo essere appena tornata a casa, ma è bastata una parola, un nome per la precisione, Finn, per farla immediatamente capitolare rilassata, e saltellare da una parte all'altra della cucina mentre preparava la colazione «vai pure Rae, mi piace quel ragazzo, è in gamba» è stato il suo unico commento tra una raccomandazione e l'altra.
Vatti a fidare di una madre.
Archie mi osserva divertito prendendomi sottobraccio «lo immaginavo, quello che non capisco è perchè sei così nervosa. Abito a parte è una bella cosa, no? Guarda che per Finn è un passo gigantesco partecipare a questo matrimonio, e lo è altrettanto averti invitata. Dovresti sentirti al settimo cielo invece di avere questo muso lungo».
Piccolo, tenero Archie, eppure dovresti saperlo che la via per la mia agitazione è una superstrada sempre sgombra da traffico «ma infatti lì per lì quando me l'ha chiesto ero felicissima...».
«Ma...?».
Non è evidente? Com'è possibile che a tutti sfugga il quadro generale?
«Ma è proprio perché mi sono resa conto di quanto sia importante questa cosa per lui che sono agitata. E se combino qualche disastro? Se non sono pronta per stare di nuovo in mezzo alla gente? Se sua madre mi odia? Se non trovo un vestito e devo andare in jeans? E se i suoi parenti dovessero prendermi in antipatia? Lo sai che ci saranno anche i genitori di Barbie Stronza?» al solo pensiero rabbrividisco, se tanto mi dà tanto Serpe Senior Madre e Serpe Senior Padre non saranno meno sgradevoli di lei.
Archie mi blocca malizioso poggiandomi una mano sulla spalla «e se durante il matrimonio uno sbarco alieno vi tramutasse in statue?».
Che fai, sfotti? Ti sembra il momento?
Il mio sguardo simil minaccioso non sortisce alcun effetto sul mio ex migliore amico ex simpatico «Rae è solo una cerimonia, Finn ti ha invitata perché aveva bisogno di una presenza amica accanto. La tua per la precisione. Hai idea di quante volte sia io che suo padre l'abbiamo spronato a parlare con Eleonor? A non precludersi questa giornata per orgoglio? Quando mi hai telefonato stamattina per un attimo ho pensato che scherzassi, mi sembrava troppo strano che si fosse finalmente deciso. Lascia a casa le paranoie e stai vicina TU a LUI per una volta... ok?».
Eleonor. Quindi è questo il suo nome...
Ecco, maledetto Grillo Parlante che ha sempre ragione. Sono un'egoista di proporzioni epiche, è proprio vero, per una volta che è lui ad aver bisogno di me e non viceversa mi faccio sommergere dai deliri, ma quanto posso essere idiota? Certo che però avrebbero anche potuto parlarmene prima di tutta questa situazione, è vero che sono stata fuorimano per un po', ma mesi fa? Perché devo essere trattata come l'ultima degli estranei? Dov'ero mentre Finn si macerava nel rancore per sua madre?
«Hai ragione Arch» ammetto mestamente, «ma com'è che la detesta così tanto? Insomma... per negarsi con lei da anni dev'essere successo qualcosa di grosso» un tradimento magari, ma è un'idea che tengo per me, non voglio ficcare il naso in maniera così indelicata.
Lui sbuffa stropicciandosi gli occhi, come se gli avessi domandato la soluzione di un grattacapo «la verità? Non lo so bene nemmeno io. Conosci Finn, sai com'è fatto, è un testone orgoglioso e riservato. Quando i suoi si sono separati l'ha vissuta molto male. So che sua madre se n'è andata di casa e neanche un paio di mesi dopo aveva già un altro compagno, ma non credo sia solo questo, l'unica cosa che mi ha ripetuto spesso è che non ha più nessuna stima di lei».
Una sensazione, la delusione, che grazie a mio padre conosco fin troppo bene.
Eppure Finn mi è sempre sembrato un ragazzo forte e sereno, quante cose di lui mi sono persa concentrata com'ero sui miei dilemmi esistenziali da quattro soldi?

«Allora, si batte la fiacca?» sopraggiunge Chloe... o meglio, Chloe versione Material Girl sepolta da strati di seta, tulle e taffetà, «ho trovato qualche abito che potrebbe fare al caso nostro» nostro, perchè ormai siamo una squadra.
Occupiamo per intero tutto lo spazio vitale del camerino e un vestito dopo l'altro comincia la sfilata... sfilata poi, diciamo che incedo molto poco elegantemente per il negozio suscitando opinioni riluttanti. Perché ha scelto dei colori così vivaci? Alcuni vengono scartati a priori a giudizio insindacabile della sottoscritta, ma l'ennesimo rosso mi viene calzato praticamente a forza dalla mia democratica amica «oh Rae, questo secondo me ti sta d'incanto, immaginati con questo addosso, un lento nella sala decorata armoniosamente da rose bianche e calle, tu e Finn che ballate vicini...».
Una boa di segnalazione.
Con Finn vicino sembraremmo un naufrago attaccato a una boa di segnalazione.
È raccapricciante il solo pensiero.
Piuttosto vado nuda.
Ma dov'è il mio secondo giudice, quello sano di mente?
Scelgo la linea soft, in fin dei conti so che le sue intenzioni sono lodevoli, peccato mi abbia proposto vestiti perfetti per lei... ma io non sono lei. «Ca... carino sì» mento spudoratamente, «ma forse non è proprio il mio genere. Magarai prima di decidere mi faccio un giro da sola così posso dare un'altra sbirciatina» sussurro dal camerino liberandomi della boa e lanciando un SOS silenzioso ad Archie, che però non coglie visto che è praticamente spiaggiato esausto nel camerino vicino al mio.
Perché devo avere la stazza di Moby Dick? Ma soprattutto... perchè mi è venuta la fissazione con i paragoni marittimi oggi?
Ciondolo da una parte all'altra del negozio lanciando occhiatine furtive ai vestiti accuratamente incellophanati, sono allo stremo e sta scadendo anche il tempo disponibile visto che è quasi mezzogiorno, ma vedo solo modelli inadeguati per il mio fisico inadeguato.
«Rae guarda questo!» mi raggiunge Chloe, con gli occhi lucidi e la risatina del killer porgendomi un vestito... Chiudo gli occhi terrorizzata: arancione, rosso o fucsia stavolta?
Verde scuro.
Un angolino di stoffa lucida, probabilmente taffetà, fa capolino dal suo nascondiglio rivelandosi tremendamente passabile. Forse stavolta la Santa Protettrice dei naugraghi ci ha preso davvero.
Mi rifuggo nel camerino richiudendomi la tenda impalpabile color panna alle spalle.
Fa che mi entri, fa che mi entri, fa che mi entri mi ripeto provando ad indossarlo. È un modello molto semplice ma elegante, con le maniche a tre quarti, una scollatura discreta e la gonna ampia longuette che si posa poco sotto alle ginocchia. Il tutto completato da una cintura sottile nera da chiudere appena sotto al seno. Quando la lampo arriva finalmente a destinazione mi volto di scatto e mi osservo allo specchio. Perfetto. È davvero perfetto e mi trasforma quasi in una ragazza. Sembro quasi... femminile.
«Rae ti sta d'incanto!».
«Rae stai benissimo!» commentano in sincrono i ragazzi rabbonendomi un po'. Archie ha il colorito di un cadavere appena tumulato, il risultato di due ore tra i vestiti con i ritmi di Chloe.
Osservo ancora la mia immagine nello specchio centrale del salottino prova e mi trovo quasi... quasi è la parola chiave della mia vita ormai... carina. Beh almeno non dovrò fare il mio ingresso trionfale in jeans, la pessima figura stilistica è scongiurata.
Usciamo dal negozio con i trofei nei sacchetti, ho aggiunto all'abito anche una stola dello stesso colore nel caso in cui facesse particolarmente freddo, e un paio di decolleté nere dal tacco appena accennato, giusto per evitare le solite scarpe comode.
«Trucco e parrucco!» grida Chloe in mezzo alla strada.
Perchè mi sa tanto di minaccia?
Sento che Archie si volatilizzerà nel giro di cinque secondi... ti prego portami con te!

* * * * * * *



Alle due del pomeriggio sono tesa come una corda di violino.
Le orecchie all'attenzione della porta, il borsone straripante chiuso a terra per miracolo, un rimasuglio di rossetto sulle labbra. Chloe ha voluto a tutti i costi sottopormi a una sessione estenuante di prova-trucco nonostante le avessi più volte manifestato l'inutilità della cosa. La cerimonia avrà luogo alle cinque del pomeriggio, ed io e Finn ci prepareremo una volta arrivati a destinazione a casa di sua madre, visto che lei passerà l'intera giornata in una stanza riservatale nella villa in cui si sposerà.
«Ma il trucco non si improvvisa!» è stata la sua replica stizzita, ed io non ho avuto scampo. Mi ha dipinto il viso con attenzione un paio di volte, per poi lasciarmi un astuccetto con i prodotti finali approvati.
Ma non è finita qui, perché a quanto pare nemmeno i capelli vanno lasciati in balia dell'improvvisazione «e quelli puoi tranquillamente acconciarli anche adesso, vedrai, quando avrò finito sembrerai una diva degli anni '50!».
E mai promessa è stata più verosimilmente mantenuta. Non so in cos'abbia trafficato esattamente nella mezz'ora di libertà che le ho concesso tra i miei capelli, ma la pettinatura che ne è venuta fuori è effettivamente notevole. Elegante e raffinata, ma niente di eccessivo, legati sul davanti da un vecchio fermaglio di mia madre con una farfallina dalle pietre verdognole, e vaporosi e ondulati dietro. Adatta al vestito, peccato mi abbia impiantato le forcine fin dentro al cervello, stasera più che sciogliere i capelli poggerò lo scalpo su un manichino.
Sobbalzo al rumore del campanello.
Ci siamo.
Apro la porta con cautela e Finn fa capolino nella stanza. Non l'ho nemmeno visto ancora e mi sento già le guance in fiamme, ma com'è possibile?
Indossa un paio di jeans chiarissimi e un maglione color panna con la giacca di pelle sopra, è semplicemente... stupendo, sì. Si avvicina e sorridendo mi stampa un bacio sulla guancia, vengo investita dal suo profumo e da un desiderio impellente di un tranquillante via endovenosa. Come diavolo ci arrivo a stasera se cominciamo così?
Osserva la mia reazione divertito per poi raccogliere da terra il mio bagaglio «devo preoccuparmi?» domanda indicando il carico di mattoni che tiene tra le mani.
Ah ah ah. Lo so, parliamo di nemmeno un giorno fuori, ma vuoi mettere gli imprevisti? Si tratta di me, il mio secondo nome è Imprevisto, mi sono portata giusto lo stretto necessario corredato da un paio di cosette «simpatico, solo generi di prima necessità, quando avrai bisogno di lucido da scarpe e mi implorerai di prestartelo ne riparleremo» borbotto stizzita.
Esco di casa seguita dalla sua risata cristallina e una volta sistemati i borsoni ci accomodiamo sui sedili, non siamo ancora partiti eppure mi sento già stravolta, tra l'ansia da matrimonio, la ricerca del vestito perfetto e Chloe rischio di cadere in fase REM alla prima vibrazione della macchina «spero che i tuoi gusti musicali siano rimasti lontani da certa robaccia perché avrò bisogno di qualcosa di forte per tenere gli occhi aperti fino a stasera».
L'occhiataccia saccente e maliziosa che ricevo di rimando non mi rassicura affatto «vedremo», mi ammonisce premendo play.
No. Siamo decisamente ancora spiriti affini, mi sistemo sul sedile e comincio a canticchiare gesticolando furentemente mentre le note di "Whole Lotta Love" dei Led Zeppelin saturano l'abitacolo della macchina.

A mezz'ora dalla partenza mi sento decisamente rinvigorita, Finn ed io ci siamo dedicati a una sessione straordinaria di canto come due anime rock consumate, e adesso riposando le corde vocali posso finalmente cominciare a godere dei pasaggi che attraversiamo.
In sottofondo passano spesso canzoni che hanno fatto da colonna sonora ai nostri momenti più belli come coppia, nelle note di "To The End" dei Blur, "Champagne Superneva" degli Oasis e "There is a light that never goes out" degli Smiths, rivedo i nostri primi approcci, la sua prima dichiarazione importante, i nostri momenti di serenità e intimità.
Arrossisco violentemente pregando di passare inosservata, ma ora che ha smesso di cantare anche lui e tamburella nervosamente con le dita sul volante mi viene il dubbio che, forse... forse non sia stata una scelta così casuale.
Vuoi dirmi qualcosa, Finn?
È così semplice stargli accanto. Non ho mai capito come riesca a tranquillizzarmi e rasserenarmi anche soltanto la sua presenza silenziosa come ora. Mi basta guardarlo, sapere di averlo vicino per sentirmi felice. Tra noi non ci sono mai stati grandi discorsi importanti o dichiarazioni gonfie di parole, ma il suo affetto per me circonda ogni gesto e ogni sguardo che mi rivolge da sempre.
Ho commesso un errore madornale scappando, avrei dovuto fidarmi di lui, avrei dovuto permettergli di aiutarmi, di starmi accanto, a parti inverse io sarei impazzita. Ma solo adesso vedo con chiarezza il reale impatto dei miei gesti avventati su di lui, perchè Finn è sempre stato la mia roccia ma non è una roccia, mai come in questi ultimi due giorni ho visto davvero quanta fragilità si nasconda nei suoi occhi, anche se è sotterrata da strati e strati di orgoglio e determinazione.
Starmi accanto faceva sentire meglio anche te, non è vero?
«Allora...» provo a spezzare il silenzio intimidita «raccontami qualcosa di tua madre, non l'ho mai vista e non so cosa aspettarmi, che tipo è?».
Elude la domanda per qualche istante rimamendo concentrato sulla strada, non ho bisogno di vederlo per intuire quanto la presa sul volante si sia fatta improvvisamente più decisa. D'altronde sto per conoscerla, che senso ha ignorare ancora l'argomento?
«Eleonor. Mia madre si chiama Eleonor, e... probabilmente ti chiederà di darle del tu prima ancora di salutarla».
Una persona diretta e cortese, quantomeno, o una di quelle donne ossessionate dall'età che si sentono vecchie davanti a un giovane che le dà del lei?
«Non... non saprei cosa dirti, non c'è molto da raccontare su di lei, la sua vita è il suo lavoro, è sempre stato così. È un avvocato, nel suo campo bisogna avere una gran faccia tosta e l'arte del bluff nel sangue. Credo... credo che abbia portato entrambe le cose anche a casa per anni».
È inusuale e difficile da credere che questo tono di voce provenga dalle labbra di Finn, è duro, teso, nervoso, sarcastico, e sapere che è a sua madre che si riferisce rende tutto ancora più surreale. Deve averla combinata grossa per meritarsi tanto astio, e se seguissi il mio istinto lo pregherei di raccontarmi tutto, ma mai nella vita lo metterei consapevolmente in difficoltà. Quindi torno alla mia attuale occupazione, lo spettatore passivo di paesaggi da automobile.
Per fortuna però è proprio nel silenzio discreto del viaggio che mi arrivano nuove parole pochi minuti dopo, stranamente addolcite stavolta «non fare quella faccia dispiaciuta, non sono cresciuto con un mostro in casa. Volevo... volevo davvero molto bene a mia madre» ammette candidamente, ma non mi sfugge l'uso del tempo al passato, «è sempre stata presissima dal lavoro, è vero, ma era... è... anche una persona estremamente affettuosa, simpatica, spiritosa, una gran chiacchierona. Per certi versi mi ricorda te».
È terribilmente serio, e l'intensità del suo sguardo viene recepita dal mio cuore ancora prima che me ne accorga cominciando a battere furiosamente.
Dio, perché devo sempre reagire in questo modo, un po' di contegno Rae!
Contrariata dalle reazioni fisiologiche del mio stupido corpo sfrutto un motto più unico che raro di orgoglio femminile ferito, e sfodero la mia migliore linguaccia stizzita incrociando le braccia al petto. In teoria avrei voluto irritarlo, nella realtà credo stia per lacrimare dalle risate «sei una permalosona Rae! Stavo scherzando... e poi lo sai che mi sono sempre piaciute queste cose di te... lingua lunga compresa».
Ok.
Sono l'unica ad averci letto un doppio senso?
Questo è un colpo basso però.
Mi rigiro verso il finestrino fintamente oltraggiata in modalità peperone maturo, e gonfio le guance come una bambina capricciosa, ma non potrei reprimere un sorrisetto compiaciuto neanche volendo mentre lo sento sghignazzare accanto a me.
No, decisamente non sono l'unica ad aver bisogno di questi momenti di spensieratezza tra noi, anche lui è più sereno con me, più rilassato, se fosse possibile sarebbe perfino più bello.
«Dicevo sul serio comunque» prosegue teneramente, e sembra così indifeso da stringermi il cuore «io e mia madre siamo stati molto, molto legati finché abbiamo vissuto sotto lo stesso tetto. Lei era esattamente tutto quello che avrei voluto diventare, eravamo inseparabili, sempre complici, quasi una persona sola. Ma le cose cambiano... suppongo. E io adesso sono... io e basta».
E io ti amo, e basta.

* * * * * * *



Arrivare a Leeds per chi vive in una piccola città come la mia è un po' come sbarcare sulla luna. Il traffico discreto lascia spazio a infiniti lombrichi in movimento, a cui si aggiungono il cicaleccio impazzito dei clacson, gente ammassata sui marciapiedi del centro e una percezione degli spazi completamente alterata. Qui bisogna alzare lo sguardo per vedere timidi spicchi di cielo sepolti tra i palazzi. Eppure c'è una nota di bellezza lo stesso, nella luce ambrata delle cinque del pomeriggio che posandosi su ogni superficie riflettente rende l'atmosfera più calda e delicata.
La Regina Madre, a discapito del nome altisonante, vive in un piccolo appartamento alla periferia ovest della città, un quartiere residenziale delizioso circondato da piccoli giardini ben curati e a pochi passi dal fiume Aire. In effetti mi ricorda un po' casa mia, sembra che nel trasferimento abbia cercato tanti piccoli riferimenti che le ricordassero sempre l'aria di casa, dev'essere un'anima più romantica di quanto avessi immaginato.
Finn ed io ci catapultiamo nell'appartamente in clamoroso ritardo dividendoci gli spazi esattamente a metà. Grazie alla pettinatura già perfettamente sistemata me la cavo con un quarto d'ora scarso di preparativi, saltando a piè pari tutta la routine cosmetica di Chloe, solo un po' di ombretto argentato sulle palpebre, un velo di lucidalabbra, e sono pronta.
E sono la prima.
Finn dopo tre ore di viaggio ha optato per una doccia veloce, e adesso lo sento canticchiare nervosamente mentre finisce di prepararsi.
Ne approfitto per curiosare in giro, l'appartamento è un delizioso attico di una palazzina a tre piani, si affaccia sull' Aire e ha una vista splendida, tutto qui parla il linguaggio dell'ordine e della sobrietà, non c'è un capello fuori posto e ogni cosa ha la sua precisa collocazione. Però ci sono anche tante foto in giro, attaccate alle pareti o incorniciate sui mobili, quindi sull'animo romantico non mi sono sbagliata a quanto pare.
Mentre prima salivamo le scale Finn mi ha raccontato di non essere stato in questa casa più di un paio di volte, eppure sembra essere ovunque, sorride in mille attimi di vita catturati dagli scatti, e ha sempre il solito meraviglioso sguardo limpido. È un ragazzino però, non ci sono foto recenti... come ha avuto la forza di tagliare fuori dalla sua vita una persona così importante per lui? Mi spaventa questa capacità di tenere le distanze dall'affetto, se un giorno mettesse in pratica lo stesso trattamento anche con me ne morirei.
«Sei... stai...» Finn dietro di me, appena uscito dal bagno, borbotta imbarazzato «... dai andiamo» taglia corto scompigliandosi i capelli ancora umidi con una mano. Era il tentativo di un complimento quello? Per rimanere nella parte arrossisco in ogni caso, tanto ci ho fatto l'abitudine, e poi in effetti è la prima volta in cui mi sento vagamente carina sul serio, ho persino una piccola borsetta nera già presa d'assalto dalle chiave della macchina e dall'accendino di Finn, e se non fosse per queste scomodissime scarpe semi eleganti sarebbe tutto perfetto. Forse stavolta riuscirò a non farlo sfigurare.
Finn invece è... lui è...
Oh ti prego Rae, smettila di sbavare e riprenditi! Mi intimo ripetutamente.
Perché deve essere sempre così... così... una visione, ecco. Se oggi non avessi avuto mille prove delle sua agitazione giurerei di avere davanti una persona assolutamente a suo agio, di sicuro l'arte del bluff l'ha ereditata dalla madre. In ogni caso nella sua semplicità è elegantissimo. La camicia bianca con le maniche sapientemente arrotolate fin sui gomiti mette in evidenza le spalle larghe, e i pantaloni scuri gli calzano come un guanto, ma è nello sguardo adorabilmente imbarazzato che mi sta rivolgendo proprio in questo momento che sta tutta la sua bellezza.
Ritrovarsi in zona nuvole è un attimo. Come sempre.

«Va tutto bene, Finn?».
Siamo in macchina davanti alla villa, appena fuori Leeds, in cui si tiene la cerimonia, già iniziata da almeno un quarto d'ora oltretutto, ma lui non si decide a schiodarsi dal sedile. Sono le sei e ormai siamo completamente avvolti dall'oscurità, ci siamo scapicollati per arrivare in tempo ma abbiamo preso residenza in macchina da mezz'ora.
Non fa che guardarsi intorno e tamburellare nervosamente sul volante «sì... sì... dammi un minuto».
Un minuto, come no, come dieci minuti fa.
«Senti Finn... io capisco che non sia facile per te ma...».
«No che non capisci» mi interrompe voltandosi bruscamente «ho bisogno di qualche altro momento».
Credo di non averlo mai visto così agitato da quando lo conosco «ehi» mi rivolgo dolcemente alla sua nuca accarezzandogli un braccio «guarda che non devi fare niente di niente se non te la senti, possiamo rimanere qui anche tutta la sera, se vuoi. Però... ormai ci siamo, no? Non vuoi provare a fare gli ultimi metri? Entriamo, salutiamo e ce ne andiamo se non vuoi restare».
«Forse» risponde, secco.
Qui non va affatto bene, è troppo teso, vorrei fare qualcosa per aiutarlo ma non ho la più pallida idea di come muovermi. Tra l'altro siamo praticamente in mezzo al nulla escludendo l'isola luminosa decorata a festa davanti a noi. Abbiamo fatto la radiografia a tutti gli invitati da mezz'ora a questa parte, mi sono dedicata alla sottile arte del pettegolezzo interpretando look e stili delle signore infagottate nei loro cappotti eleganti, il tutto per cercare di distrarlo. Ma è chiaro che ho fallito miseramente, e ormai sono quasi convinta che sarebbe davvero capace di restare qui fino a stanotte.
Pensa Rae, pensa.
Alla fine opto per la cosa che so fare meglio. Provare a convincerlo non è servito a niente, a malapena mi ascolta, però magari virando il discorso su tutt'altro potrei sfinirlo di chiacchiere e scioglierlo un po'. Casualmente ho anche uno spunto interessante.
«Sai che prima, in città, ho visto in giro le locandine del tour dei Blur? Suoneranno proprio a Leeds tra una decina di giorni, non sarebbe incredibilmente divertente andarci? Potremmo dirlo agli altri e organizzarci tutti insieme, che dici?».
«Mh» è tutta la sua risposta.
Ma non demordo «certo, per arrivare qui c'è parecchia strada da fare, ma potremmo portarci le tende e campeggiare per una notte da qualche parte». Oddio, in effetti sarebbe bellissimo davvero, appunto mentalmente questo sfolgorante momento di genialità e la mia idea.
«I biglietti saranno esauriti ormai».
Positività a palate «non fare il disfattista, magari no. E poi sarebbe l'occasione per rifarmi del concerto degli Oasis che mi sono persa».
La parola Oasis sembra scuoterlo appena dal torpore «mi hai dato buca quella volta» mi lancia una stoccatina maliziosa.
«Beh avevo... i miei ottimi motivi».
«Certo, come sempre, motivi che non sono tenuto a conoscere naturalmente. Parte del gigantesco Rae-Mondo nascosco».
Ok. Quand'è che la mia inoffensiva tecnica di distrazione è diventata un tiro al bersaglio?
Questa è la dimostrazione palese del fatto che avremo molto di cui discutere quando sarà il momento. Intanto però la china presa dalla conversazione non mi piace nemmeno un po' «fammi capire, vuoi metterti a litigare con me... adesso? Ti pare il momento?».
Mi osserva incuriosito qualche istante con un sopracciglio alzato, come se stesse valutando seriamente l'idea, ma alla fine scoppia in una sonora risata «no, Rae, anche perché non potrei vederti arrossire con questo buio, non c'è gusto» mi stuzzica pizzicandomi un fianco «dai muoviamoci, altrimenti non faremo in tempo nemmeno per la torta... poi parleremo anche del concerto... ammesso che non fosse tutta una finta» dice sorridendo teneramente.
Beccata subito!
Entro nella modalità pomodoro maturo un secondo prima di scendere dalla macchina, sperando che i pochi metri che ci separano dalle luci della festa bastino a smorzare il rossore intenso delle guance. Speranza che, però, crolla miseramente nel momento in cui registro il timido tentativo di Finn di prendermi per mano. Mi volto a guardarlo imbambolata mentre camminiamo fianco a fianco: le spalle incassate e una mano che passa freneticamente dalla tasca dei pantaloni ai capelli esprimono tutto l'imbarazzo e il disagio che sta provando. E allora 'fanculo la timidezza, afferro io la sua mano intrecciando le mie dita con le sue, sorprendendo sia me che lui e pregando che non mi allontani. Ma non lo fa e, anzi, stringe ulteriormente la presa senza proferire parola.
Però sorride, e il mio cuore ricomincia a correre.

* * * * * * *



Eleganza.
Non c'è un altro aggettivo che definisca più adeguatamente Eleonor Stevens.
Figura sottile, capelli biondo scuro sapientemente acconciati, postura da ballerina classica e sguardo fiero, nel suo meraviglioso vestito impalpabile color crema è semplicemente splendida, delicata, e sorride al suo futuro marito con la stessa aria tenera di Finn. In effetti si somigliano moltissimo, ma soprattutto hanno gli stessi luminosissimi occhi nocciola e non fatico per niente a immaginarmeli insieme, complici.
Alla fine siamo riusciti a non perderci almeno le promesse nuziali, ci siamo intrufolati cautamente nella sala della cerimonia e sistemati in una delle ultime panche libere. Finn è ancora piuttosto nervoso anche se ha perso almeno gli occhi spauriti di poco fa, e al momento giochicchia distrattamente con le dita della mia mano ancora intrecciata alla sua, dedicandole carezze leggere.
Per quanto mi riguarda potremmo restare qui tutto il resto della serata.
Lo sposo è ancora un'incognita, l'unica cosa che so di lui è che si chiama Thomas Leech e che ha una cascata di riccioli scuri su una faccia simpatica. Finn si è limitato a spiegarmi che è un architetto, che sta insieme a sua madre da un paio d'anni e che è una persona perbene, anche se lui stesso l'avrà visto al massimo due o tre volte.
Non me ne sono resa conto da fuori, ma ci sono parecchi invitati seduti ordinatamente tra le panche, saranno almeno un centinaio di persone, tutti vestiti in maniera impeccabile, perfettamente intonati al lusso dell'ambiente e alle delicate composizioni di rose bianche e peonie che decorano la stanza. L'atmosfera però è un po' troppo impettita per i miei gusti. Se penso alla Macarena ballata al Pub da mia madre e Karim mi viene da sorridere, è proprio vero che le persone giuste intorno fanno la differenza, non scambierei quell'allegria e quel calore con tutta la pomposità di questo mondo.


È impagabile osservare la felicità che si dipinge negli occhi della Regina Madre non appena individua suo figlio tra gli invitati, a ceremonia conclusa. Si perde appena in un paio di minuti di convenevoli con amici e parenti, poi svicola e si dirige a passo svelto verso di noi.
Quando se ne accorge Finn diventa una gigantesta, unica, lastra di marmo.
Lascio la sua mano accarezzandogli appena la schiena per spronarlo ad andarle incontro, e quando si ritrovano uno davanti all'altra hanno lo stesso sollievo elettrizzato negli occhi. Se fosse per Finn probabilmente starebbero lì a fissarsi da qui all'eternità, ma Eleonor lo circonda in un abbraccio dolcissimo sussurrandogli qualcosa all'orecchio che fa sorridere anche lui. Hanno gli occhi lucidi entrambi, sono bellissimi.
Io mi tengo discretamente in disparte, osservo la scena emozionata ben sapendo cosa significhi per lui, ma non ho nessuna intenzione di intromettermi in un momento così intimo, è Finn ad indicarmi a sua madre sciogliendosi dall'abbraccio, e in pochi passi sono davanti a me.
«Rae... giusto? Io sono Eleonor» mi porge la mano con nonchalance e un sorriso sibillino «mi fa molto piacere conoscerti, sono felice che Finn abbia deciso di non fare questo viaggio da solo. Che te ne pare del posto?».
Sono imbarazzatissima, dev'essere il corredo genetico di Finn che mi fa questo effetto «io... piacere mio. Congratulazioni, è tutto... splendido. Davvero splendido, ha scelto un posto bellissimo per la cerimonia».
«Grazie Rae, ma dammi del tu, cara, non mi piacciono le formalità».
Come volevasi dimostrare, almeno a questo ero preparata.
«Ci proverò» borbotto avvampando.
Ci lascia al flusso degli ospiti diretti alla sala del buffet congendandosi con la promessa di presentarci Tom, il novello sposo, quanto prima, e mi sussurra un inaspettato «grazie» affiancandomi appena mentre riguadagna il centro della scena.
Cerco il viso di Finn per capire l'impatto che questo incontro ha avuto su di lui, e quando finalmente lo trovo non posso che leggerci serenità mista a un pizzico di apprensione, ma soprattutto sollievo e... sorpresa. Come se non si aspettasse lui stesso una reazione così positiva davanti alla madre, come se fosse abituato, quasi, a non aspettarsi più nulla da lei.
«Ne è valsa la pena, allora?» gli domando.
«Saprò dirtelo sulla strada di casa» mi risponde cingendomi le spalle con un braccio, verso la seconda parte della serata.

Mi serve un dizionario. Ora.
NouvelleCuisine-CiboVero e CiboVero-NouvelleCuisine.
Ora, io sicuramente non sono una creatura al massimo dell'estrosità, mi manca il "palato" per i vini e vari gradi di raffinatezza, ma quando sono corsa affamata al tavolo delle tartine mi aspettavo di trovarci qualcosa di commestibile o umanamente comprensibile. E invece no.
Nell'ordine: 1)Insalata di granchio su Lemon Blini (?), 2)Uova di quaglia con sale aromatizzato al sedano (?), 3)Involtino di formaggio di capra con noci caramellate (?).
Mi sarei diretta al tavolo dei secondi se non avessi osservato che poche cibarie appartenenti a questo Pianeta anche lì. Non capirò mai, MAI, la ragione che spinge persone teoricamente dotate di buonsenso a scegliere volontariamente di privarsi dei piaceri della cucina normale. E nessuno riuscirà mai a convincermi dell'esistenza di estimatori di questa robaccia informe, piuttosto scelgo di credere agli unicorni.
Perlomeno tutto il resto non mi dispiace, lieve musica di sottofondo in attesa del primo ballo degli sposi, peonie delicate a decorazione dei tavoli, candele bianche a argentate ovunque. E Finn, ovviamente, che finora non ha fatto altro che intervallare sorrisi a presentazioni restandomi sempre vicino.
Abbiamo scambiato due parole con Tom, lo sposo, e soprattutto con il fratello della sposa, lo zio che ha ospitato Finn nel periodo in cui è stato qui, William Stevens, un uomo estremamente simpatico e alla mano che gestisce un'impresa edile e che ci ha spiegato dettagliatamente l'antica arte dei ponteggi.
Alla seconda personalità della mia ormai conclamata patologia, quella della ditta di demolizioni per capirci, potrà tornare sicuramente molto utile in futuro.
Dopo un'ora di noiosissime pubbliche relazioni l'allestimento del tavolo con i dolci è l'equivalente di un'oasi nel deserto nella mia serata di stenti, mi avvio in solitaria con la speranza nel cuore e una voragine nello stomaco pregando di trovare qualcosa di commestibile, e finalmente vengo accontentata.
Arraffo con poca cortesia qualche bignè costringendomi a limitarmi, voglio evitare di essere scambiata per una sorta di Moby Dick versione cacciatrice, e mi sistemo in un angolino defilato della sala per mangiare in santa pace.
Finn non c'è, da qualche minuto è sparito alla mia attenzione insieme ad Eleonor che gli ha chiesto insistentemente di parlare un po' con lei. Non avrebbe voluto piantarmi in asso, ma ho insistito sfoderando la mia migliore faccia "te lo ordino e non si discute", e alla fine ha ceduto. Spero solo che vada tutto bene, quella donna mi lascia una strana sensazione addosso, come una calma fittizia.
«Abbiamo avuto la stessa idea, Signorina» sobbalzo accorgendomi della presenza silenziosa alle mie spalle, un uomo alto e distinto con il mio stesso identico piatto tra le mani, un altro reduce incompreso come me «queste cene sono esteticamente meravigliose ma hanno ben poca sostanza».
«Non potrei essere più d'accordo» sorrido solidale.
«John, eccoti finalmente!» una vocina petulante e fastidiosa interrompe l'inedito idillio appena creato «ti ho cercato dappertutto ed eri qui a ingozzarti, che razza di figura mi fai fare?» ulula oltraggiata lanciando anche a me un'occhiataccia.
Va bene, a volte forse soffro un po' di manie di persecuzione, ma questa donnetta dai capelli fluenti biondo platino, il fisico che gronda palestra da ogni poro e l'aria inutilmente scazzosa somiglia tanto, ma proprio tanto a...
«Stavo solo scambiando due chiacchiere, Emma, l'ho vista parlare col ragazzo di Eleonor prima, magari conosce anche la nostra St...».
Stronza? Strega? Stupida oca?
Avrebbe voluto finire la frase il malcapitato, non che non avessi già intuito, ma viene interrotto dall'ennesimo trillo nefasto della mogliettina «ma ti pare che devi metterti ad attaccare bottone con chiunque? La ragazza stava mangiando, non disturbarla, ma... se posso darle un suggerimento... non esagerare cara» dice indicando il mio piatto.
Carina.
Decisamente tale madre tale figlia.
Stessa reazione allergica, tra l'altro.
Respira Rae, respira...
«Ehi» una mano a circondarmi i fianchi «salve Signor Stringfellow, Emma» Finn saluta cordialmente la serpe rubandomi un dolcetto dal piatto.
Chissà se a questa donna e a sua figlia hanno inserito nel DNA il gene della stronzite, in ogni caso la vicinanza di Finn è una buona medicina per tutto, continua a stringere la presa accarezzandomi un fianco con la mano trasformandomi in un unico lunghissimo brivido.
Ci allontaniamo dalla genitrice di Barbie Demonio con un saluto, devo dire che le attenzioni di Finn per la sottoscritta l'hanno lasciata di stucco, non prima però di aver regalato uno sguardo di compassione e condoglianze all'unico Ken di casa.
«Allora, non tenermi sulle spine!» prego Finn avvicinandomi appena, «com'è andata con tua madre?».
Sembra tranquillo, ma ho imparato che Finn è fin troppo bravo a dissimulare delusione e frustrazione «abbiamo scambiato quattro chiacchiere...».
«E...?» lo afferro mentalmente per le spalle scuotendolo con forza, e quindi? E quindi?.
«È andata. Io e lei abbiamo parecchie cose da recuperare, ho anche un patrigno nuovo di zecca da conoscere però... non so, forse stavolta possiamo avere una seconda possibilità» ammette timidamente, sorridendomi.
Sono così felice che vorrei stritolarlo in un mego abbraccio, ma considerata la situazione mi limito ad una versione più soft del mio progetto e gli poggio semplicemente il mento su una spalla, sussurrandogli all'orecchio «sono felice per te».
Eppure quando Eleonor ci passa accanto ha un'aria terribilmente stanca, preoccupata... ho un brutto presentimento.

* * * * * * *



Le note di "At Last" di Etta James volano nell'aria e incantano la sala con il primo ballo degli sposi.
Sono felice, la serata si è rivelata estremamente piacevole e malgrado la sfortunata parentesi demoniaca al tavolo dei dolci tutto procede nel migliore dei modi. Eleonor ha proposto a Finn di trascorrere la notte a casa sua per evitare il viaggio notturno con i postumi della serata, e mia madre contro ogni infausta previsione ha accettato senza battere ciglia, ma, ehi, è Finn, di lui si fida... di lui.
Sulla pista da ballo lentamente molte coppie si uniscono alla danza degli sposi e a me tornano in mente le parole di Chloe della mattina:
Immaginati con questo addosso, un lento nella sala decorata armoniosamente da rose bianche e calle, tu e Finn che ballate vicini...
La scena che mi prefiguro è idilliaca, ma viene bruscamente interrotta dal ricordo della boa di segnalazione, Dio, un giorno o l'altro dovrò chiederle come le sia potuto venire in mente di propormi quella specie di semaforo come vestito.
«Mi concede questo ballo?» una mano tesa invade il mio campo visivo e alzando gli occhi incontro quelli limpidi di Finn che mi sorride compiaciuto.
Come se potessi mai negargli qualcosa «certo» rispondo posando la mia mano sulla sua.
Guadagniamo il centro della sala e ci avviciniamo l'un l'altro imbarazzati, lui mi circonda la vita con le braccia posando le sue mani sui miei fianchi, mentre le mie cercano il suo collo e sfiorano la sua pelle calda.
È la scena idilliaca di poco fa che si trasforma in realtà, e non c'è nessun altro posto al mondo in cui vorrei essere.
Finn si avvicina delicatamente al mio viso sussurrando qualcosa all'orecchio che sono troppo agitata per comprendere davvero, ma che suona più o meno come «ti stai divertendo?».
«Mh... sì» mugugno a fatica.
La verità è che tutta la mia attenzione è puntata alle sue mani che mi stringono e alle sue labbra pericolosamente vicine alle mie, da fuori potremmo essere scambiati per una coppia? Fino a pochissimo tempo fa lo eravamo davvero, e forse lo saremmo ancora se una pazza psicopatica non avesse rovinato tutto, non so se farmi sorprendere dall'ennesima scossa di calore o urlare dalla frustrazione.
Nel dubbio mi stringo al mio cavaliere ancora un po', finchè la sua voce mi riporta alla realtà «come ti sembra mia madre?».
«Diversa» rispondo di getto.
«Diversa?».
«Sì. Sai... conosco tuo padre e lui è una persona alla mano, gentile, discreto, pensavo che tua madre gli somigliasse e invece è completamente diversa».
Parlo quasi sovrappensiero, ma appeno nomino suo padre Finn si irrigidisce «già» risponde, secco.
«Scusami, non volevo tirare in ballo tuo padre».
Quanto posso essere idiota? Eppure lo so che è un argomento da trattare con le molle.
«Non preoccuparti» mi rassicura, lo sento distintamente sorridere rilassato sui miei capelli «non mi hai spiegato cosa intendi per "diversa" però... costruita?».
«Ma no! Che c'entra?» replico con una punta di acidità, «no... È una donna estremamente elegante e raffinata, gentile, molto cortese, ma... in certi momenti sembra quasi appartenere a un'altra epoca».
Sarebbe perfetta per l'epoca vittoriana, tutta pizzi, merletti, malizia e cortesie, ma evito accuratamente di dirlo.
«Beh, ti assicuro che è un'impressione molto meno fantasiosa di quanto pensi, mia madre vive in un mondo tutto suo, per lei l'apparenza è fondamentale. Potrebbe rinunciare a qualunque cosa, qualunque...» ammette amaramente, come se si sentisse parte integrante di quell'ultima parola, «... ma non all'immagine che si è creata con tanta fatica, alla sua posizione, è ciò che più le interessa da sempre... Solo che prima lo nascondeva meglio».
Sto per ribattere a quell'ultima affermazione ma veniamo interrotti da una delle zie di Finn che reclama un ballo con il nipote. Mi congedo borbottando tra me e me guastafeste, e dopo averli osservati ballare vicini, intenti in una fitta conversazione, guadagno una delle porte-finestre per una sana boccata d'aria fresca.

La porzione di villa in cui ci troviamo al momento è circondata su un lato da una lunghissima veranda. È buio pesto fuori ma non gelido quanto immaginassi, anzi, l'aria frizzantina è un vero toccasana per le mie guance accaldate. Riesco a distinguere una fila ben allineata di vasi di ceramica decorata, violette forse, ma non c'è abbastanza luce per esserne certa, e più in là qualche poltroncina di vimini e un dondolo. Pensavo non ci fosse nessuno, ma ora che gli occhi si sono abituati all'oscurità vedo la sagoma di una donna lievemente poggiata sulla ringhiera.
Eleonor.
Non si è accorta di me, dev'essere assorta in qualche piacevole pensiero, perché sorride teneramente e si accarezza il ventre con movimenti circolari. In un'altra occasione non ci avrei nemmeno fatto caso, ma ho ancora bene in mente mia madre intenta negli stessi gesti lenti e trasognati appena pochi mesi fa.
«Tutto bene?» le chiedo, discreta.
Si volta di scatto nella mia direzione, colta di sorpresa «Rae?... sei qui da molto? Sei terribilmente silenziosa».
«Solo un paio di minuti» ammetto imbarazzata, «dentro adesso c'è un gran caldo».
«Già».
Fatti gli affari tuoi Rae, fatti i dannatissimi affaracci tuoi.
Sei ancora in tempo per evitare figure di merda.

Ma non sono mai stata brava a seguire i buoni consigli, nemmeno quando sono io stessa a darmeli, quindi mi avvicino di qualche passo a lei e prendo il coraggio a quattro mani «posso chiederle una cosa?».
Eleonor mi osserva incuriosita poi scoppia in una fragorosa risata «non avevamo detto di darci del tu? Comunque... dimmi pure».
Se non fosse così buio probabilmente mi scambierebbe per una prugna matura. Questa donna continua a darmi sentimenti contrastanti, mi piace e mi incuriosisce, ma ho come la strana sensazione che mi sfugga sempre qualcosa, che si comporti in un certo modo spinta più dalle circostanze che da reale volontà. Forse era semplicemente a disagio perché...
«È incinta?».
Bene, devo essere veramente impazzita, come diavolo mi è uscita? L'indiscrezione fatta persona, una gaffe in piena regola che, forse, posso ancora arginare un minimo dandole una minuscola giustificazione «sa... sai... mia madre ha avuto un'altra figlia pochissimi mesi fa e... tu me la ricordi molto in quel periodo».
Vorrei sprofondare esattamente in questo punto, il più velocemente possibile e senza testimoni.
Eppure lei, al di là di ogni tragica aspettativa, mi risponde con un orgoglioso ma timido «sì» secco, «di quattro mesi oggi... Ho scelto questo abito sperando di dissimulare la cosa... pensavo di esserci riuscita finora».
«Oh sì, non te l'ho chiesto perché me ne sono accorta, stai... benissimo con questo vestito» e in effetti è vero, solo adesso noto la linea morbida dell'abito in contrapposizione al suo fisico longilineo, ma potrebbe tranquillamente passare come una scelta di stile.
«Congratulazioni comunque, Finn non me l'aveva det...».
Le ultime sillabe muoino nell'aria «perché non lo sa ancora. Volevo dirglielo prima, ma poi non mi sembrava vero di averlo qui e non ho voluto rovinare tutto».
Rovinare tutto? Che sciocchezza, se conosco bene Finn sarebbe felicissimo di saperlo, oltretutto è stato proprio lui a convincermi che sarei stata un'ottima sorella maggiore. Gongolo al pensiero di quei ricordi e sto per renderne partecipe anche Eleonor, ma vengo interrota da un ghigno.
«Ma che bel quadretto, com'è che si dice? Congratulazioni?».
Io ed Eleonor ci voltiamo in sincrono verso Finn, che discreto quasi quanto me poco fa guarda sua madre dalla porta a vetri. Ha le mani strette a pugno, la mascella tesa e gli occhi liquidi di rabbia. Non ho idea di cosa stia succedendo, ma questa non è la reazione alla notizia che ho appena appreso.
«Non ce la fai proprio eh? A essere sincera una volta, UNA. Devo sempre fare la figura del povero idiota».
Eleonor è gelata, si stacca a fatica dalla ringhiera e avanza un primo passo, ma un gesto stizzito di Finn la blocca sul posto «aspetta, fammi spiegare».
Parole al vento, lui non la sta nemmeno a sentire e a quel tentativo disperato ride di gusto. Non sembra nemmeno la stessa persona che ho conosciuto finora, vuole deliberatamente ferirla, ma la scintilla di sofferenza che gli corre negli occhi racconta tutta un'altra storia.
«Ma spiegare cosa? Che mi devi spiegare? Eravamo insieme tre quarti d'ora fa oppure no? Quando me l'avresti detto? Ai suoi primi passi? Avresti mandato qualcuno del tuo studio come messaggero? Tom? Una bella letterina sentita delle tue? Lo sai... mamma... pensavo di essere arrivato a un limite massimo di delusione con te, e invece no, stasera mi hai insegnato un'altra cosa, hai visto?... Ti auguro di non commettere lo stesso errore anche con lei, o lui, perché per me basta così».
Ha sputato la parola mamma come un insulto, con una rabbia mista a rassegnazione che mi ha gelato il sangue. Non concede nemmeno una possibilità di replica prima di fuggire via. Sia io che sua madre siamo basite, due statue di sale, ma quando realizzo cos'è successo e mi appresto a seguirlo lei mi trattiene per un braccio «aspetta» dice scuotendo la testa, «lascialo sbollire, parlarci ora sarebbe inutile».
Non mi volto nemmeno a guardarla, l'unica cosa che mi interessa è raggiungere Finn e assicurarmi che stia bene. Tutta questa situazione di cui non so praticamente nulla è sfociata in disastro proprio perché invece di affrontarsi hanno preferito aspettare e sperare.
«Ha già aspettato abbastanza» le rispondo lasciandola sola.

* * * * * * *



Sono così preoccupata che non capisco più cosa sto facendo, trotterello senza meta tra le sale della villa messe a disposizione per il matrimonio, ma Finn sembra essersi volatilizzato. Dove diavolo è sparito?
Se voleva sbollire la rabbia forse è uscito fuori, in giardino, ma è buio pesto e fa un freddo cane, possibile?
Ritiro le giacche dal guardaroba diretta alla porta, se è lì fuori in camicia rischia come minimo una polmonite. Maledetta me e la mia curiosità, se non avessi fatto quella domanda a Eleonor non sarebbe successo niente. Anche lei però, perché nascondere la gravidanza? Quanto diavolo sono strani in quella famiglia?
Trovarlo si rivela più difficile di quanto pensassi, anche volendo ignorare il gelo che mi ha riempito il cappotto è comunque buio pesto e non si vede a un palmo dal naso.
Ma dove sei?
Dopo mezz'ora di passeggiata nel nulla mi sono allontanata così tanto che i rumori della festa non sono che sussurri trasportati dal vento. Di Finn non c'è traccia, d'altronde suppongo che se ce l'avessi anche a un metro non me ne accorgerei. Ripercorro la strada al contrario verso il parcheggio, magari è tornato alla macchina... O magari è ancora dentro da qualche parte e non l'ho visto.
Contrariata continuo a borbottare tra me e me frasi sconnesse, finchè non sbatto dritta contro qualcosa di duro.
«E adesso che c'è?» impreco alla sagoma che mi impedisce il passaggio.
Disteso davanti a me si allunga un massiccio tronco d'albero intagliato, ce ne sono parecchi sparsi nella tenuta della villa, li ho visti quando siamo arrivati, di sicuro si intonano al paesaggio molto più di quanto non farebbero delle classiche panchine.
Ma è un altro il dettaglio che attira finalmente la mia attenzione.
Seduto sul tronco, con i gomiti puntati sulle gambe e la testa tra le mani, Finn si trova esattamente a due passi da me.
Non voglio disturbarlo e non voglio nemmeno essere invadente, l'unica cosa che mi interessa è evitargli un malanno e fargli capire che ci sono a prescindere. Mi avvicino lentamente posandogli la giacca sulle spalle, è letteralmente congelato, eppure non si muove di un millimetro e continua a fissare le sue scarpe in silenzio. Gli siedo accanto ignorando i battiti impazziti del mio cuore per il sollievo e l'emozione, vorrei abbracciarlo e sussurrargli che andarà tutto bene, e invece rimango in silenzio, ma è proprio in qual momento che si accorge di me.
La sua mano raggiunge rapidamente la mia arpionandola come se fosse un appiglio irrinunciabile, e per un quarto d'ora rimaniamo semplicemente così, seduti in silenzio l'uno accanto all'altra.

«Mi dispiace Rae, non è così che sarebbe dovuta andare la serata» sussurra all'improvviso, gli occhi sempre rivolti a terra.
«Non dirlo nemmeno per scherzo».
Sembra spaesato e sospira rumorosamente, come se volesse prendere la rincorsa per dirmi qualcosa che non vuol saperne di uscire, ma alla fine solleva la testa, allenta appena la presa sulla mia mano e riempie il silenzio con la sua voce.
«Certe persone non dovrebbero mai sposarsi. Non dovrebbero... semplicemente stare insieme, in realtà. Mia madre e mio padre hanno sempre avuto uno stile di vita e delle priorità molto diverse, lei voleva farsi una posizione, una carriera degna di questo nome, a lui invece bastava viverle accanto, avere una vita serena, un lavoro sicuro, cose così. Due anni fa...» si interrompe con uno strano sorrisetto sulle labbra, come se trovasse anche dell'ironia in quello che sta raccontando, «... ha avuto una relazione con un collega del suo studio. Il classico pescecane, ambizioso quanto lei. Il divorzio è stato la diretta conseguenza di questo fatto».
Questo l'avevo già più o meno intuito, ma... due anni fa? «Ma i tuoi genitori non si sono separati da molto più tempo?».
«Certo, quasi quattro anni fa ormai, inconsciamente però per me è quella la tempistica, perché è due anni fa che io l'ho scoperto» ammette di nuovo, serio, «io avevo un rapporto splendido con mia madre, lei è sempre stata molto presa dal lavoro, questo sì, ma con me, a casa, si trasformava completamente, eravamo complici, affiatati, lei era il mio punto di riferimento più grande. Pensa come posso essermi sentito quando all'improvviso se n'è andata via di casa trasferendosi qui, lasciandomi solo con mio padre, per giunta... Lui a quel tempo viaggiava spessissimo per lavoro, a casa non c'era mai, lo conoscevo appena e... per me era tutta colpa sua».
Mi si accartoccia il cuore a vederlo così indifeso, addirittura sembra quasi terribilmente... mortificato? Ma perché?
«Prima che mia madre andasse via c'è stato un periodo in cui le liti erano all'ordine del giorno, mio padre all'epoca sapeva già tutto, sicuramente litigavano per questo ma io non potevo saperlo. E mi accanivo contro di lui, sempre, perché la lasciasse in pace. Gli ho vomitato in faccia talmente tanto disprezzo in quei mesi Rae... se ci penso ancora adesso mi faccio schifo» ammette con voce tremolante.
Continuo a restare in silenzio, ma mi avvicino più che posso e lo abbraccio con tutte le mie forze.
«Ho vissuto l'essere lasciato solo con lui come una punizione, all'inizio, per me non aveva il minimo senso perché per quel che potevo saperne mia madre non si sarebbe mai separata da me. Non di sua iniziativa, almeno. Ho pensato addirittura di aver fatto qualcosa di male io, chissà quale terribile sbaglio, e allora mi incazzavo ancora di più. Era una lite continua, un monologo, in realtà, visto che da parte di mio padre non c'era una reazione vera e propria. Del resto a me non avevano spiegato niente, quindi per me il colpevole era lui che l'aveva cacciata di casa... Capisci? Io facevo il diavolo a quattro con lui, offendendolo anche pesantemente, e poi mi rifuggiavo da lei pregandola di riprendermi con sé... Lei... che mi diceva di essere paziente, di perdonare mio padre... una vittima, ti rendi conto di che faccia tosta? LEI mi chiedeva di perdonare LUI! Quanto devo esserle sembrato ridicolo?» domanda più a sé stesso che a me.
Non eri ridicolo Finn, purtroppo sei capitato in una situazione più grande di te.
«Questa storia è andata avanti quasi un anno e mezzo, poi un pomeriggio a casa di un compagno di classe ho scoperto tutto, per puro caso, ne parlavano tra loro i suoi genitori credendoci fuori. Mia madre conviveva già con un altro, sempre qui a Leeds, e non mi aveva detto un cazzo di niente. Io avevo distrutto mio padre, preso le colpe di fatti inesistenti, e lei era passata sopra a tutto come se niente fosse. Capito, la mammina? Palle su balle, bugie su bugie, una cazzata dietro l'altra. Per lei non eravamo abbastanza».
Non avrei mai, mai potuto immaginare che le cose fossero complicate a questi livelli. Il mio Finn, perché non mi ha mai detto niente? Come ha fatto a starmi sempre accanto senza lasciar trasparire nulla? Senza parlarne con nessuno? Non so come aiutarlo, mi sento inutile.
«Forse... forse non te l'hanno detto perché...».
«Forse un cazzo, Rae. Ero un ragazzino, forse sì, ma non uno stupido, avrei capito. Mi sarei incazzato ma sarebbe sempre stata mia madre, prima o poi mi sarebbe passata. Ma non così. Si è parata il culo non per il mio bene, ma per il suo, perché lo sapeva che sarebbe stata detestata da me, e odiava l'idea che smettessi di guardarla come un esempio, che smettessi di portarla su un palmo di mano. Avevamo un rapporto completamente falsato che sarebbe sparito se avessi scoperto la verità. E mio padre poi... Le ha tenuto il gioco per tutelare me, lui sì, perché sapeva che se avesse distrutto mia madre ai miei occhi non mi sarebbe rimasto nient'altro. E io sono stato così coglione da prendermela con lui».
A queste parole si libera dal mio abbraccio e si alza di scatto camminando avanti e indietro su un paio di metri quadri di prato, come un leone in gabbia. Non sono mai stata tanto grata al buio come adesso, se avessi la possibilità di guardarlo in faccia probabilmente non riuscirei a sopportarlo.
«Comunque dopo quel giorno non le ho più rivolto la parola per mesi, ero troppo deluso, troppo incazzato, confuso. L'ho rivista solo in occasione di qualche festa comandata prima di oggi. Poi ho cercato di farmi perdonare da mio padre, per quanto fosse possibile, di creare un rapporto con lui».
«E ci siete riusciti, Finn. Vi ho visti insieme, lui ti vuole un bene dell'anima e anche tu» e ne sono realmente convinta.
«Forse, ma certe cose non si possono dimenticare Rae, io lo so bene, e mio padre è una brava persona ma non è un Santo. Spero almeno che sappia quanto lo rispetto adesso».
Mi alzo in piedi di fianco a lui, infreddoliti e tremanti cominciamo a camminare silenziosi verso la macchina finché non esplode in una risata storta, come se avesse appena ricordato qualcosa di amaro ed esilarante.
«E adesso quest'altra notizia! L'ennesima ipocrisia di mia madre. Sai che hanno litigato per anni perché mio padre voleva un altro figlio e lei no? Si stava facendo strada nello studio legale e non poteva permettersi un'altra gravidanza... così diceva, ma lo sapevo che era solo un'altra stronzata» dice continuando a scuotere la testa, esausto, «ma non è questo il problema. Il fatto è che avevamo parlato mezz'ora prima e avrebbe potuto dirmelo, ma ha scelto di nascondermi una cosa importante ancora una volta. Evidentemente il passato non le ha insegnato niente».
Adesso si spiega la reazione stizzita che ha avuto prima, come dargli torto, quella donna si è praticamente messa in scacco da sola «magari te l'avrebbe detto in un'altra occasione, voleva stare un po' con te in santa pace stavolta».
«Ma che cazzo pretende da me?» grida bloccandosi sul posto, affondando le mani tra i capelli, «io mi sono stancato Rae di provare a capirla, tutti mi dicono sempre "prova a capirla Finn, mettiti nei suoi panni", ma lei si è mai messa nei miei? Io non ho fatto un passo verso di lei, è vero, ma lei è mai venuta da me? Pensi che l'avrei cacciata se si fosse presentata alla porta di casa nostra chidendomi di trovare insieme una soluzione?... No. No Rae. Si è limitata a quattro letterine piene di stronzate. Ha preferito sguazzare nella sua nuova vita perfetta, con un marito affermato, la carriera avviata e la casa grande. Quindi per me adesso è così che può rimanere» e non c'è un pizzico di esitazione nella sua voce che possa farmi credere il contrario.

Arriviamo in macchina esausti e infreddoliti, di passare a casa di Eleonor non se ne parla neanche, quindi raggiungiamo una piazzola sulla strada del ritorno e ci fermiamo lì a riposare. Tutti e due seduti sui sedili posteriori, vicini, con le giacche addosso e una coperta di lana sulle spalle a coprire entrambi. Affonda il viso nella mia giacca provando a calmarsi, e io lo abbraccio con tutto l'affetto di cui sono capace, ignorando le lacrime che sento rigarmi le guance e... che rigano anche le sue.
Dopo il litigio con Eleonor e la sua confessione dev'essere distrutto, non fa che tremare come una foglia e nascondersi il viso con le mani.
Voglio stargli accanto con tutte le mie forze, soprattutto adesso che mi ha aperto una finestrella sulle sue debolezze per la prima volta. Non so cosa succederà tra noi quando torneremo a casa, non so cosa vorrà fare lui, non so nemmeno come reagirò a mente fredda a tutte queste novità, ma una cosa la so, ed è che mai come adesso sono sicura che farò qualunque cosa per tenerlo con me.
Non permetterò a nessuno di portarmelo via, nemmeno a Elle.

E siccome non mi sono dilungata già abbastanza... le NOTE!
(Sa un po' di minaccia, vero?)
Eccoci di nuovo qui, stavolta non sono poi troppo in ritardo dai :)
Questo capitolo è stato un vero e proprio parto plurigemellare da scrivere, l'ho rimaneggiato tante volte, fatto alcuni tagli (col senno di poi forse sarebbe stato meglio farne tre parti invece di due), e questo è il risultato finale.
Avrei potuto evitare di dilungarmi in alcuni punti, me ne rendo perfettamente conto, ma My Mad Fat Diary per me è anche momenti sciocchi di allegria, considerazione di Rae su ciò che la circonda, e insomma alla fine ho chiuso gli occhi e deciso di pubblicare così. Mi auguro che vi siate approcciate alla lettura con generi di prima necessità al seguito, a qualcuna l'ho anche consigliato, e che non vi abbia fatte annoiare.
Rendere decentemente il personaggio di Finn per me è estremamente complicato, ogni volta che scrivo di lui o dal suo punto di vista mi incarto da morire, riesco più o meno bene a destreggiarmi nei meandri della testolina di Rae, ma con lui è più dura. Un po' perché anche nella serie è stato approfondito pochissimo, un po' perché comunicare principalmente con il linguaggio del corpo piuttosto che con le parole non è facile, io l'ho fatto diventare un pochino più loquace, probabilmente leggermente out of character, ma avevo il disperato bisogno di fargli dire alcune cose.
Tornerà anche un suo Pov, forse due, devo ancora capire bene a che punto sono, in questi ultimi due capitoli ho aggiunto parecchia carne al fuoco e inserito varie cosine che ritroveremo anche dopo (Eleonor compresa), quindi il mio progetto iniziale è andato bellamente alle ortiche e devo rifare il punto della situazione.

Nel prossimo capitolo ci sarà un bel casino. Ve lo dico già da ora, avevo premesso nelle note del primissimo capitolo che ci sarebbe stato parecchio da patire, ebbene così sarà, e tornerà anche Elle. Lo so, è odiata all'unanimità, ma a me serve per creare un'alternativa "normale" per Finn, che non sia il classico clichè della rivale bambolina o stronzetta, quindi ce la terremo ancora un po'.
Finn NON si comporterà benissimo con la nostra Rae, e non mi riferisco solo a Elle, anzi...

E niente, stavolta sono riuscita a dilungarmi anche nelle note finali, sono un caso disperato di logorrea, voglio ringraziare chiunque abbia dedicato anche solo cinque minuti a questa storia, e chi ha avuto la gentilezza di lasciarmi le sue opinioni in proposito, francamente quando ho cominciato a scriverla ero sicura che me la sarei suonata e cantata da sola (non sono una megalomane, giuro, ma MMFD non è esattamente una serie seguitissima purtroppo) e invece sono rimasta piacevolmente sorpresa, quindi grazie.
Ogni segnalazione di errori varie ed eventuali nel testo è ampiamente gradita.
Al prossimo capitolo, che arriverà tra una decina di giorni più o meno :)

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Capitolo 9
*** Il rifugio del Bianconiglio ***



Capitolo 9: Il rifugio del Bianconiglio

Stamford - 1/4 Dicembre


Assurdità... Se io avessi un mondo come piace a me là tutto sarebbe assurdo. Niente sarebbe com'è, perché tutto sarebbe come non è, e viceversa.
Ciò che è non sarebbe, e ciò che non è sarebbe.


Così Alice descrive il suo mondo ideale poco prima di precipitare nelle profondità della terra per inseguire il Bianconiglio.
Piccola principiante, benvenuta nella mia vita, c'era bisogno di fare tanto chiasso per ritrovarsi in situazioni paradossali?
Sogni. Tanto dettagliati da sembrare reali, colori vividi, profumi intensi, imprese epiche e decisioni importanti. Quanto tempo si può trascorrere agognando una vita fittizia? E se poi quelle fantasticherie diventassero vita vera? Potrebbe mai essere la realtà all'altezza delle aspettative?
Solo un paio di giorni fa non facevo che perdermi in fantasiose dimensioni romantiche, scene da film e dichiarazioni in carta da zucchero. Saremmo stati di nuovo vicini, io e Finn, di nuovo uniti, innamorati, felici, ma quello che nessun sognatore professionista ti insegna e che si impara sul campo è che il passaggio dalla vita onirica a quella reale non è facile come sembra. Perché non sai più dove mettere le mani, ad esempio, ci si dimentica di respirare, non si sa dove guardare, come evitare di balbettare. E la morte per autocombustione non è poi una possibilità così remota.
Addio disinvoltura da film, benvenuto imbarazzo.

Un lato del fungo ti farà diventare più grande, l'altro lato ti farà diventare più piccola.

Oh, il pezzo del Brucaliffo, quando le dà il funghetto che la fa diventare prima gigante e poi lillipuziana. E se tutta la storia non fosse un sogno ma un effetto allucinogeno?
D'altronde tra maratonde con le stelle marine, fiori parlanti, Brucaliffo e Stregatto potrebbe anche darsi.
O peggio, se fosse stata anche lei sotto effetto di psicofarmaci? Dio, rischio di cominciare a parlare con le pan-farfalle e vedere dondo-libellule?
Ok, calma Rae, conta fino a 10 e smettila di straparlare mentalmente, è solo Finn.
Solo Finn...
Da quando siamo tornati da Leeds, due giorni fa, stiamo trascorrendo moltissimo tempo insieme. Nessuno dei due ha più nominato Eleonor né quello che è successo, ma è come se tutta l'esperienza vissuta insieme avesse creato un nuovo legame tra noi e abbattuto le incomprensioni delle settimane precedenti.
Dopo il viaggio di ritorno più silenzioso che la storia ricordi ero convinta che ci sarebbe stata una gigantesca nuvola di imbarazzo tra noi, e invece a neanche due ore dal rientro l'avevo ritrovato fuori dalla mia porta di casa, deciso a trascinarmi al College fuori dall'orario delle lezioni per fare il punto sulla mia situazione.
Un disastro annunciato, in pratica, niente che non sapessi già prima di sorbirmi l'ennesima ramanzina della Preside su quanto fossi rimasta indietro.
La panacea di tutti i mali? Crediti extra, le due paroline magiche che ci hanno condotti qui. A casa mia, sul mio divano, le sei del pomeriggio.
All'inizio mi era sembrata un'ottima idea guardare Alice nel Paese delle meraviglie insieme, un modo come un altro per sentirlo più vicino, ma non avevo fatto i conti con la mia emotività, e, come dicevo prima, con certe situazioni rappresentate nei sogni che si concretizzano nella vita reale a tradimento.
Avrei gradito una prova generale almeno, una simulazione in piena regola con tanto di posizionamenti studiati, e invece un minuto prima ero a Rae-Landia, un minuto dopo sui carboni ardenti.
Ora, il mio divano è un comodissimo rifugio a tre cuscini abbastanza grande da ospitarci entrambi, e se fossimo rimasti comodamente seduti uno accanto all'altra tutto sarebbe filato liscio, ma a pochi minuti dall'inizio del film non so come, né quando, né perché, la testa di Finn si è magicamente materializzata sulle mie gambe. L'aria annoiata e senza il minimo imbarazzo ha deciso come se fosse la cosa più naturale del mondo di straiarsi e mettersi comodo.
Il problema è che io ho smesso di respirare.
E di parlare.
E di muovermi.
... e anche di vedere il film, se è per questo.
Quindici minuti, una tortura cinese.
Ed eccoci qua, il ritratto perfetto di una coppietta di fidanzati. O almeno... la metà di una coppia, perché io sono più che altro in modalità statua di marmo. Finn guarda il film e io guardo lui, intento a giocherellare rilassato con una ciocca dei miei capelli, la testa poggiata sulle mie gambe, così vicino da percepire il ritmo regolare del suo respiro. Una scena idilliaca, se non fosse per l'imminente attacco di panico.
La verità è che sono una gelatina di imbarazzo e non ho la più pallida idea di come comportarmi, cosa siamo adesso? Amici? Fidanzati? Posso prendermi certe confidenze oppure no? Posso essere spontanea e abbracciarlo, se mi va, o devo controllarmi?
Ma al di là di certe paranoie il problema vero adesso sono le mani. Sì, le mani. La destra è poggiata sul bracciolo del divano, arpionato come un salvagente, ma la sinistra vive di vita propria e si muove convulsamente come sopra a un vulcano in eruzione pronto a ustionarla. Se la lasciassi andare planerebbe dritta sul torace di Finn, e a quel punto brucerei sul serio per autocombustione, però non posso nemmeno tenerla a mezz'aria a vita, sembrerei la prima della classe intenta in una sessione straordinaria di domande a raffica. Così ho trovato rifugio nel telecomando, il mio Sacro Graal.
Abbassa il volume, alza il volume, migliora la luminosità, accentua il colore, premi tasti a caso. Una psicopatica maniaca del controllo fatta e finita.
Speravo di non aver dato troppo nell'occhio, e questa forse è la parte più allarmante dell'intera faccenda, ma naturalmente mi sbagliavo.
«Rae vuoi smetterla di muoverti come un'anguilla? Molla il telecomando che mi stai facendo venire il mal di mare, non serve alzare e abbassare il volume ogni dieci secondi» mi intima Finn strappandomi la salvezza dalla mano.
E adesso?
Boccheggio vistosamente con il braccio teso come la sbarra di un passaggio a livello, ho raggiunto uno stato di agitazione tale da accorgermi appena dei mille gradi di calore sulle guance, ma è Finn a decidere per entrambi ancora una volta. Con un movimento del tutto spontaneo raggiunge la mia mano intrecciando le sue dita con le mie e poggiandola delicatamente sul suo petto. Così, come se fosse il gesto più naturale di questo mondo. Una posizione e un atteggiamento così intimi e romantici da lasciarmi senza fiato, perché nemmeno nei miei voli pindarici migliori avrei potuto immaginarli.
Potrebbe mai essere la realtà all'altezza delle aspettative? No, è decisamente migliore.

Mi risveglio da una sorta di dolce torpore durante la canzone dei fiori, l'iris sta suonando una calla come fosse un'arpa, le margherite tramutate in percussioni si distruggono a vicenda, mentre la rosa rossa direttore d'orchestra tiene il ritmo per tutti. La povera Alice tra risate di scherno viene declassata a erbaccia e cacciata via. Curioso, penso, mi ricorda qualcosa, se ci fosse una peonia giallo canarino lucida di gocce di rugiada avremmo il gruppetto di Barbie Stronzo-fiore-di-primavera al gran completo.
Finn, sempre immobile nella sua posizione, segue la storia ridacchiando di tanto in tanto mentre con le sue dita accarezza lievemente le mie, mi provoca brividi continui lungo la schiena e un sorrisetto ebete che proprio non vuol saperne di abbandonarmi «ti hanno già detto che parte farai?».
Chi? Come? Ah... la parte.
Già, sono così impegnata a godermi il momento da aver dimenticato il vero motivo per cui siamo qui «macché» borbotto in risposta «la Signora Patmore me lo comunicherà domani durante le prove. Ma si tratta sicuramente di un piccolo ruolo secondario, forse due se gli manca qualcuno. Probabilmente un fiore e una carta della Regina di Cuori, credo che tutte le parti principali siano già state assegnate. Meglio così, poche battute e poco tempo sulla scena» anche perché il panico da palcoscenico fa parte del mio DNA dalla nascita.
Il palcoscenico... Dio, Kester mi ucciderà, in tre giorni ho fatto esattamente tutto quello che lui mi aveva chiesto di evitare come la peste: invischiarmi in situazioni di stress, essere al centro dell'attenzione e impelagarmi in relazioni non definite. Tutte fonti inestinguibili di agitazione, ansia e panico.
Ma quando la Preside mi ha prefigurato quest'anno di studi come la disfatta di Caporetto proponendomi di sostenere la media con crediti extra, il corso di teatro mi è sembrato il più innocuo, il male minore. Di solito in questi casi, quando si entra a corso già iniziato, il massimo che può capitarti è occuparti della scenografia, dei costumi, fare studi aggiuntivi sugli autori, come avrei mai potuto ricordarmi dello spettacolo annuale di beneficenza?
Alice nel Paese delle meraviglie, per l'appunto, quest'anno, peccato che nonostante conoscessi a grandi linee la storia non avessi mai letto il libro, né tantomeno visto il film, che a quanto pare sarà la linea guida della nostra messa in scena.
«Ma secondo te non è una storia troppo da ragazzini? Insomma, fiori e farfalle che cantano, conigli con la fissazione per i ritardi, gatti che compaiono e scompaiono a comando...».
«Certo che lo è, i nostri spettatori saranno i bambini delle Case Famiglia della città... spettacolo di beneficenza, ricordi?».
Finn si volta verso di me come colto da un'illuminazione, mi scruta con attenzione e sorride «ah già, giusto. Ma dimmi una cosa... tu che parte vorresti fare? Se dipendesse da te, intendo».
Bella domanda. Io sono già Alice nella vita di tutti i giorni, non ho bisogno di precipitare nel vuoto per perdermi e ritrovarmi in un mondo dove la gente cammina a testa in giù, o dove sono l'unica a non essere mai nel posto giusto al momento giusto, e forse proprio per questo l'avrei esclusa a priori «non so... forse il Cappellaio Matto, mi si addice, è scombinato quasi quanto me. Oppure la Regina di Cuori, Tagliaaaaaatele la testa!» la cito provando a imitare il suo tono burbero scuotendo violentemente la testa. In effetti se provassi a recitare la sua parte con il pensiero di Stacey nella mente potrei anche risultare parecchio convincente.
Finn si solleva sulle braccia fino ad arrivare alla mia altezza, mi guarda negli occhi e scoppia in una fragorosa risata «naa, tu sei il Brucaliffo fatto e finito».
Sono perplessa, un po' per la risposta e un po' perché questo dimostra che sta seguendo la storia sul serio «perché?».
«Quando Alice gli domanda cosa sia... lui le risponde di essere un'incognita. E alla fine si trasforma in farfalla e svanisce... Ti somiglia molto più di quanto pensi» dichiara, serio, tornando a sdraiarsi sulle mie gambe con la testa rivolta allo schermo.
È questo che sono per lui? Un'incognita?
È così frustrante avere proprio sotto agli occhi il fallimento di un'intenzione. Quello che provo per lui è così chiaro e definito che mi sembra impossibile anche solo dubitarne. Vorrei riuscire a comunicargli quello che provo quando siamo insieme, a fatti e a parole, eppure l'unico atteggiamento che mi viene spontaneo è balbettare frasi sconnesse e avvicinarlo quasi con timore. La ragione è più determinata del mio cuore a quanto pare, ed è un disastro se voglio Finn nella mia vita.
«Tu invece sei sicuramente il Bianconiglio» dico pizzicandogli un fianco «anche se non lo dici mai apertamente non fai che ricordarmi che sono in ritardo e... beh, che ho un pessimo tempismo» ammetto mestamente.
«Mi manca un orologio da taschino» aggiunge, ironico «però... in fondo non penso davvero che sia troppo tardi».
E stavolta sono io a cercare la sua mano e stringerla forte.

Stregatto che strada devo prendere?
Tutto dipende da dove devi andare.
Beh in realtà importa poco.
Allora importa poco che strada prendi, Alice.


Questa stupida favoletta per bambini comincia a mettermi alla prova più di quanto avessi immaginato, in certi punti è quasi come se mi leggesse dentro, meno male che il passatempo preferito del momento è trovare correlazioni tra realtà e finzione sui nostri amici.
«Lo Stregatto è Archie!» dichiara Finn con una risata, indicando lo schermo «guardalo, ti propone quel sorrisetto compiaciuto e ti infarcisce di suggerimenti a interpretazione libera. Dai, è lui».
Mi unisco alla sua risata e rilancio «è vero, invece Izzy e Chop sono la regina di Cuori e le povere cartine, lei comanda, lui obbedisce. E Chloe è il Leprotto Bisestile sempre impegnato a festeggiare i NonCompleanni!» rincaro la dose prossima alle lacrime.
In effetti siamo un piccolo microcosmo di meraviglie, e quando Alice ritorna alla realtà e compaiono i titoli di coda sono quasi dispiaciuta che sia già finita.
Ci alziamo dal divano entrambi per sgranchirci un po' le gambe e il suo calore già mi manca. Lo osservo di sottecchi per assicurarmi che vada tutto bene, ma come succede ormai da quando siamo ripartiti da Leeds lo sorprendo pensieroso e malinconico.
Vederlo tanto scosso a causa di Eleonor è stata una prova difficile da superare perfino per me, e ho scelto di non addentrarmi più nell'argomento rispettando il suo silenzio, ma so benissimo che i pensieri continuano ad arrovellarglisi nella testa, li vedo anche da fuori provare a venire a galla. L'immagine che Finn mostra normalmente di sé stesso è così diversa dalla realtà, ma nonostante questo ci sono caduta perfino io che gli sono stata vicino quotidianamente per mesi. Ho creduto a quello che mi faceva più comodo vedere. Avevo bisogno di una roccia, una persona solida e risolta che potesse aiutarmi a rimanere a galla, e ho chiuso tutti e due gli occhi davanti alle sue debolezze. Eppure era così chiaro, il suo modo di fare del momento non differisce di una virgola da quello che ha sempre adottato da quando lo conosco, ma adesso nei suoi occhi distinguo anche le falle, le fragilità, i rancori e le mancanze.
Riconosco il momento esatto in cui gli passa per la testa un pensiero storto, i suoi occhi diventano liquidi come il miele e le spalle si irrigidiscono immediatamente. Non sono stata attenta con lui, non ho voluto esserlo, ed è un errore che non voglio più commettere, non adesso che so quanto abbia bisogno di me, forse, ora, addirittura più di quanto io stessa ne abbia di lui.
«Ehi» sussurro posandogli una mano sulla spalla «va tutto bene? Non voglio tirare in ballo di nuovo tua madre, però...».
«Allora non farlo» mi interrompe, «va tutto bene. Piuttosto toglimi una curiosità» eh, l'antica arte della distrazione dall'argomento scomodo «ieri quando siamo andati dalla Signora Patmor mi è sembrato di vedere in teatro Liam, quel tuo amico, è iscritto al corso anche lui?» domanda sibillino e, se non la reputassi una reazione assolutamente fantascientifica... un tantino infastidito?
Chissà se è geloso di me...
Ahhh Rae, smettila! È come se Liam Gallagher fosse geloso di... boh... di un Puffo che suona il mandolino, ecco.
Impossibile, quindi torna sulla Terra.

«Sì, credo sia nella mia stessa situazione. Ma da quanto ho capito si occuperà delle scenografie, questioni di sega e martello insomma, dubito accetterebbe mai di mettersi in gioco in uno spettacolo, non è il tipo».
Sopracciglio alzato e sguardo vispo, Finn mi osserva curioso «non è il tipo eh? E tu lo conosci bene, naturalmente, ma...» prosegue fingendo inutilmente noncuranza «è... è mai venuto a trovarti a Sleaford? Non che mi interessi eh, così, semplice curiosità».
Come no, semplice curiosità, per risultare ancora meno convincente di così dovrebbe mettersi a fischiettare saltellando su una gamba sola. Forse un pizzichino di gelosia è materia davvero di tutti i comuni mortali, nessuno escluso «mah... no, non è mai venuto a trovarmi, però ci siamo sentiti, sai per lui è più facile immedesimarsi nella mia situazione, abbiamo molte cose in comune» lo provoco trattenendo a stento una risatina.
«Mh» borbotta accigliato.
Ma il mio momento da femme fatale termina nel giro di un paio di secondi, è così tenero con il broncio, come faccio a mantenere un minimo il punto? Come?
Sventolo bandiera bianca ancora prima di riaprire bocca «però non è stato lui a convincermi a tornare» ammetto arrossendo fino alla punta dei capelli.
Finn torna a guardarmi negli occhi regalandomi il suo migliore sorriso imbarazzato voltando appena il viso, poi afferra la sua giacca e si avvicina alla porta «comunque domani ti accompagno, sai... per assicurarmi che tu ci vada davvero» dice un attimo prima di schioccarmi a tradimento un bacio sulla guancia.
Mi limito ad annuire ancora in modalità rapa matura quando indietreggia di nuovo «senti Rae, c'è una cosa che voglio dirti da quando siamo tornati da Leeds» ammette imbarazzato «ho capito che, forse, potremmo...».
Si blocca di nuovo, perché è così sulle spine? Vederlo in difficoltà sta agitando anche me, ho quasi paura perfino a pensarlo ma... sono felice. Sono felice senza motivo e ancora non ha detto una parola.
«Magari ne parliamo domani però, voglio prima darti una cosa, ok?» sussurra sorridendomi dolcemente.
«Va bene, co... come vuoi».
Mi saluta con un cenno di mano e lo seguo mentre si allontana... sono emozionata, forse un passo alla volta potrò ricominciare a sentirlo mio.
Mio...

* * * * * * *



Esilarante, buffo e grottesco.
Sono prossima alle lacrime, ma non devo cedere.
«Rae Earl, non-dire-niente» mi intima Archie scandendo ogni parola con fare omicida.
Pensa a qualcosa di terribilmente triste, forza Rae, sforzati, triste e orribile.
La fame nel mondo, le guerre, tu in costume da bagno, tu in costume da bagno nei corridoi del college.
Ok, questo è troppo.

Provo a calmare la risata isterica che reprimo ormai da dieci minuti, ma quando alzo gli occhi e lo vedo non c'è condizionamento che tenga. Gli scoppio a ridere in faccia senza troppe cerimonie e mi gioco il tutto per tutto cercando di scovare il lato positivo della faccenda «Arch, sei veramente...» aria, datemi aria «sei veramente...».
«Non-dirlo, non-ci-provare» borbotta ancora il malcapitato scostandosi appena un petalo dagli occhi.
Tentativo fallito, è buffo a livelli imbarazzanti «sei veramente un fiorellino, Arch».
A quelle parole seguite da risate e lacrime, il mio, a questo punto ex, migliore amico mi rivolge lo sguardo killer migliore del suo repertorio sbuffando copiosamente, e con un gesto teatrale perfettamente nella parte, c'è da dire che secondo me è davvero portato, si sistema la corolla intorno al viso e poi si accascia su una poltroncina delle prime file.
È esausto, il ritratto della frustrazione, e siede tra il narciso e la rosa rossa, a due passi dall'iris con l'arpa.
Lo spettacolo che mi si para davanti agli occhi è qualcosa di unico, un prato fiorito in piena regola per la scena della canzone dei fiori nella recita di Alice. Siamo arrivati da mezz'ora in teatro e la Signora Patmore ha distribuito le parti. Finn e Archie sono stati coinvolti all'ultimo minuto, e catapultati nel Paese delle meraviglie da un'agitatissima insegnante sull'orlo di una crisi di nervi per carenza di personale. In realtà i due malcapitati erano semplicemente venuti per accompagnarmi, ma, di fatto, Archie adesso è ufficialmente una margherita azzurra, mentre Finn se l'è cavata con i lavori per la scenografia.
Mi sbraccio verso quest'ultimo, intento a montare una collinetta sotto al cielo azzurro, per invitarlo ad avvicinarsi sperando riesca a sdrammatizzare la situazione e risollevare Archie, ma quando arriva a pochi passi da noi la situazione peggiora drasticamente.
Non appena scorge nella vegetazione i petali azzurri di Archie si sblocca impietrito ed esplode in una fragorosa risata senza proferire parola. Se continua così rischia la morte per soffocamento, temo.
«Ecco! Perché lui è ancora un essere umano e io sono l'ultimo anello della catena alimentare?» impreca Archie pugnalandolo mortalmente con gli occhi, «Rae, questa me la paghi, non so ancora quando né come, ma verrà il giorno in cui tu la pagherai e non resteranno che piccoli pezzettini microscopici di te, nemmeno tua madre con una squadra di restauratori di mosaici al seguito riuscirà a ricostruirti».
Gli occhi ridotti a due fessure e lo sguardo iniettato di sangue... forse è un po' arrabbiato.
Va bene, è vestito da fiore ed è decisamente furioso, ma non è mica colpa mia!
Finn, appena ripresosi dallo shock iniziale, gli si avvicina con cautela circondandogli lo stelo con un braccio, «oh dai Arch, non farla tanto lunga, avresti potuto rifiutarti, in ogni caso non sei poi così male».
Credibilità zero contornata da ottime intenzioni, ma se non la smette di sghignazzare come pretende di essere preso sul serio?
«Beh certo, non sei mica tu quello vestito da margheritina di campo! E poi rifiutarmi, dici? Quel diavolo fatto donna» impreca indicando con un dito la nostra insegnante «mi ha infilato questo costume ridicolo ancora prima che potessi rispondergli! Hai idea della figura di merda che farò e che mi rincorrerà per i secoli a venire? Lo scemo del villaggio, Finn, ecco cosa sarò d'ora in poi!».
Chi glielo dice che dovrà anche far finta di suonare il violino? È talmente rosso in viso che mi fa quasi paura, sembra un vulcano in piena eruzione, magari i particolari li tirerò fuori dopo, quando si sarà calmato... SE si calmerà.
Lasciando da parte ogni speranza di conciliazione, Finn si avvicina a me sorridente circondandomi la vita con un braccio «a te che parte hanno dato?».
«Parti, so... sono due» provo a spiegarmi mentre realizzo quel contatto inaspettato sulla pelle «una carta della Regina di Cuori e il Brucaliffo... a quanto pare avevi ragione tu sulle somiglianze» ammetto imbarazzata.
In effetti quando la Signora Patmore mi ha assegnato la parte sono stata a un passo dal cielo nonostante il pessimo sentore sul costume di scena. Ma non importa, prima di tutto perché ormai rendermi ridicola per me è una specie di sport, sono una professionista, e poi perché sono pur sempre una futura farfalla. Sarò anche esageratamente romantica e ottimista, ma tutta questa storia della trasformazione mi sembra di buon auspicio.
«Te l'avevo detto io, sono un talento negli accostamenti realtà-finzione» gongola lui a pochi centimetri dal mio viso.
Non partire subito per la tangente, Rae, rilassati e non avvampare, che il Brucaliffo è azzurro, non rosso amaranto!
Niente, una causa persa in partenza.
«Senti, Rae, io sto andando al magazzino per recuperare un paio di pannelli per le scenografie, ti serve qualcosa?» il tono di Finn è così premuroso da sembrare surreale. Per sicurezza mi regalo un paio di pizzicotti senza farmi notare assicurandomi di essere ben sveglia «no... no, sto bene così, grazie» gli rispondo imbambolata.
Lui scioglie la presa e si volta alla versione disperata e furiosa di Archie «a te serve qualcosa? Una tazza di caffè... un rastrello... un po' di concime...?» sogghigna allontanandosi rapidamente da noi prima che l'ira funesta di Archie lo colpisca in pieno.
«Sei davvero divertente, Giuda!» gli urla infatti dietro quest'ultimo come la migliore Regina dei Drammi «ricordati che chi la fa l'aspetti!».
E ho come la sensazione che quell'ultimo ammonimento sia diretto anche alla sottoscritta...

Nell'ora successiva al dramma di Archie l'atmosfera si è fatta decisamente più rilassata.
Ognuno di noi si sta dando da fare nel suo compito come brave formichine operaie e tutto procede a ritmo sostenuto.
La mia prova costume si è rivelata meno traumatica di quanto pensassi, certo sono pur sempre un lombricone azzurro, ma se mi ripeto allo sfinimento farfalla, farfalla, farfalla, riesco a non imbarazzarmi più del necessario. Oltretutto non si tratta che di poche battute, e l'idea di esordire con un Coooosa esssser tuuuu? mi diverte molto.
Oltre ai doveri artistici però, la nostra carceriera, come Archie ha soprannominato la Signora Patmore quando il suo livello di rabbia è passato da lava incandescente ad acqua bollente, ci ha pregati di dare una mano con le scenografie, ed ecco che ci siamo tramutati come per magia in esperti del bricolage.
Mi sono sempre piaciuti i piccoli lavoretti manuali, mi rilassano, per una abituata a distruggere tutto come me provare a costruire qualcosa è una vera sfida, e mentre osservo i miei amici darsi da fare tra martelli, chiodi, pennelli e vernici colorate, pitturo allegramente il mio angolino di cielo blu.
Come cambiano le cose, un mese fa non avrei dato a me stessa nemmeno una piccolissima speranza di essere qui, oggi. Eppure nonostante mi senta sicuramente meglio non so fino a che punto considerarla una buona cosa o l'ennesima beffa.
Sono tornata a casa da Sleaford già da qualche giorno, ma ancora non ho avuto un attimo di tregua per riflettere seriamente sul da farsi. Vedrò Kester dopodomani e la cosa mi preoccupa molto. In momenti di quiete come questo dimentico che per le persone come me l'ennesima nuvola non è solo una possibilità remota ma una certezza concreta, ed è un guaio, perché crogiolarsi nella felicità non fa che moltiplicare l'impatto della caduta successiva.
In questi ultimi giorni la mia vita ha ruotato intorno a tutti i miei affetti, la mia famiglia, Finn, i ragazzi, e ha riacquisito una parvenza di normalità che vorrei tenermi stretta per sempre. Ma non ho dimenticato il motivo che mi ha spinta a fuggire da qui, come non ho dimenticato il terrore, la solitudine e l'estraneamento provati.
Sono davvero io, Rae, è questa la vera me? O dovrei fare affidamento su qualche altro riflesso immaginario? Come faccio a riconoscere senza possibilità di errore il confine tra reale e fantasia? Come posso riprendermi la mia vita senza che l'affetto dimostratomi si trasformi in delusione?
Ogni tanto osservo Finn e sento un nodo alla gola fatto di sensi di colpa che non mi dà pace, adesso che ho capito quanto possa sentirsi fragile anche lui dovrei volerlo sapere accanto a qualcuno in grado di stargli vicino davvero, di sostenerlo come lui ha sempre fatto con me. Ci ho provato anch'io goffamente a stargli accanto, certo, ma sono veramente troppo incasinata per caricarmi addosso anche il peso delle sue, di questioni irrisolte. Eppure non riesco a staccarmi, ogni volta che la mia coscienza fa capolino tra i pensieri e mi chiede di lasciarlo andare la caccio via senza colpo ferire, perché senza di lui io non riesco più nemmeno ad immaginarmi. Ma so di non meritarlo, e so quanto meriti di meglio lui.
Il problema è che se è vero che non sono capace da sola di definire me stessa, è altrettanto vero che senza Finn, o Archie, o Chloe, la mia identità sarebbe perduta per sempre in ogni caso, perché sono proprio loro a definire me. Come amica, come fidanzata, come confidente. Ritrovo il mio spazio nel mondo grazie a loro, che hanno un peso specifico nella mia vita a cui non potrei rinunciare nemmeno volendo o finirei col perdermi sul serio.
E io so bene quanto sia stata vicina a vederlo accadere.
«Ehi, Terra chiama Rae, rispondete».
Una voce divertita interrompe le mie riflessioni, Liam seduto a un metro da me mi osserva incuriosito con un pennello grondante verde ancora in mano, teso a invadere il mio campo visivo e richiamarmi alla realtà.
«Scusa, ero un po' distratta».
«Me ne sono accorto» risponde sorridendo «tutto bene?».
Tutto bene... Se avessi una moneta per tutte le volte che me lo sono sentita ripetere, a quest'ora potrei pagare una compagnia di attori professionisti e una squadra di operai specializzati per allestire uno spettacolo degno di Broadway «benissimo» rispondo, secca.
Come se potessi mai risultare credibile agli occhi di un mio simile «farò finta di crederci, ma toglimi un dubbio, tu e Nelson state di nuovo insieme?».
«Finn, dici?» sentirlo chiamare per cognome è quasi destabilizzante, in ogni caso la domanda mi imbarazza lo stesso, tanto che evito di staccare gli occhi dalla mia straordinaria opera d'arte monocolore «mh... direi di no... perché me lo chiedi?».
Ricevo in risposta una risatina sibillina «perché ti osserva in continuazione, e questo di per sé non sarebbe un problema, però... osserva anche me, e questo non mi piace. C'è qualcosa che dovrei sapere?».
Momento, momento, momento.
Finn mi osserva?
LUI osserva... ME?
Sento il cuore cominciare a lanciarsi in danze sfrenate e il mio ego respirare a pieni polmoni. Quindi è geloso sul serio, di Liam, cioè, di ME per Liam, oddio questa però è fantascienza sul serio. Va bene, tutte le prove fomentano questa teoria, che resta però quasi fuori dal mondo. Se lui è geloso, io cosa dovrei fare?
Tra Barbie Patinata sempre col fiato sul collo e tutte le altre ochette che ci provano, io cosa dovrei fare? Imbottirmi di tranquillanti? Andare in giro con una motosega?
Ed Elle? Oddio, lei forse è la più pericolosa di tutte. In effetti stamattina Finn ha fatto diverse pause per andare a telefonare, e se si trattasse di lei? Se stesse tornando? Se ieri sera quando stava per andarsene da casa mia avesse voluto semplicemente prepararmi al suo ritorno? O, peggio, a un ipotetico fidanzamento?
Ossigeno, mi serve un po' di ossigeno. Ma perché diavolo devo sempre finire a straparlare?
«Mh...».
Oh, no. Mi volto alla mia destra richiamata da un borbottio, e un Liam ancora più incuriosito e vagamente in apprensione mi scruta con l'attenzione di uno scienziato per un esperimento di vitale importanza. Devo sembrargli parecchio strana in questo momento. Beh... più del solito, intendo.
«No. Per rispondere alla tua domanda, non c'è niente da sapere. Io e Finn siamo solo amici, per ora» e calco in maniera decisamente innaturale su quelle due ultime paroline «non distrarti, su, continua a pitturare che non abbiamo tutta la vita per farlo» taglio corto imbarazzatissima sperando di metterlo a tacere.
Ma adesso sono nervosa, le paranoie di poco prima mi hanno completamente destabilizzata. Mi volto scannerizzando il teatro alla ricerca di Finn e lo trovo solo un paio di minuti dopo di ritorno da dietro le quinte... e dal telefono. Ancora il dannatissimo telefono.
Stavolta un paio di nuvolette su questa tavola azzurra non me le toglie nessuno.

* * * * * * *



A fine giornata sono un gigantesco fascio di nervi e le unghie già mangiucchiate non bastano a placare la mia frustrazione.
La presa di coscienza sulla mia attuale situazione con Finn mi è arrivata addosso tutta insieme e non faccio che pensarci. Siamo in un fottutissimo vicolo cieco.
Ha ripreso ad essere tenero e affettuoso con me, è vero, ma all'atto pratico questo cosa significa? Non ci sono state dichiarazioni d'amore, non mi ha mai detto niente che potesse farmi intendere il nostro rapporto come un qualcosa di romantico. Mi è stato vicino, molto vicino, in parecchie circostanze oltretutto, e io so che lui non è solito a questo genere di atteggiamenti a meno che non si tratti di persone a cui tiene in modo particolare. Ma noi siamo stati insieme, abbiamo condiviso un sentimento importante, quindi forse è normale avere un senso di intimità più pronunciato.
E poi c'è Elle, ed è un altro dato di fatto.
Sono rimasta decisamente indietro su di lei, quando ci siamo parlate mi ha confidato di essersi presa una bella cotta per Mister Ombroso, ma lui? I suoi pensieri in proposito sono ancora un'incognita per me dato che non me ne ha mai accennato. E non li ho nemmeno mai visti insieme, non che mi dispiaccia per carità, ma non ho il minimo indizio sull'intensità della loro complicità, ammesso che ci sia, o sulle intenzioni di Finn per questa nuova conoscenza. E se le dedicasse le stesse attenzioni che riservava a me quando stavamo insieme? Se riconoscessi l'amore che una volta indirizzava a me nei gesti rivolti ad un'altra?
Un'altra, Elle, che potrebbe godere dei suoi abbracci, dei suoi baci, dei suoi sorrisi, delle sue attenzioni e delicatezze.
No. Decisamente no. Devo smetterla di pensarci.
Prima di tutto perché rischio seriamente di finire in manicomio, di nuovo, e poi perché fare previsioni funeste non serve a niente se non a vedersele avverate prima nella fantasia e poi sotto agli occhi. Una doppia tortura. Ma ammetto che è estremamente facile farne adesso che Finn non c'è, assente giustificato per via degli allenamenti. Come se rincorrere avanti e indietro una stupidissima palla fosse più importante di imbrattare pannelli di compensato con disegni astratti.
Sono talmente impantanata nelle paranoie da accorgermi di Archie la margherita solo nel momento in cui mi passa una strisciata di vernice azzurra su una guancia «ma dai! Guarda qua» farnetico nel tentativo di pulirmi «sei perfido».
«Perfido? Vuoi sapere cosa sia la perfidia? Guardami vestito da fiore di campo e saprai dirmi...» risponde seccato terminando il suo capolavoro impressionista sulla mia faccia «dai, adesso datti una pulita che ti accompagno a casa, ti aspetto fuori».
Arraffo qualche fazzoletto di carta e mi sistemo la faccia tra un'imprecazione e l'altra dopo aver mugugnato un «ok» di risposta a Monet, poi raccolgo borsa e giacca e lo raggiungo fuori nell'aria gelida della sera.
Finalmente l'espressione accigliata post-eruzione sembra aver abbandonato il viso di Archie che è tornando a essere il tenerone di sempre, mi accoglie con un sorrisone davanti al teatro, prendendomi sottobraccio mentre cominciamo a camminare «allora Signorina, siete tornati da Leeds da due, dico ben due giorni, e ancora non mi hai raccontato niente» si lamenta saltando i convenevoli «ma vi ho visti, sai, tu e Finn, carini, complici... che mi sono perso?».
Eccone un altro, qui sono in piena crisi esistenziale e lui attacca con le domande pettegole «proprio niente, Arch. Siamo andati e tornati e basta, amici come prima, ci vogliamo bene. Stop».
«E questa acidità a cos'è dovuta, di Grazia?» domanda squadrandomi con un sopracciglio alzato.
«Non è acidità, Arch, sono solo io che prendo coscienza della situazione».
«Che situazione?» mi scruta perplesso, quasi si aspettasse un'assurdità da un momento all'altro.
Mi fermo gonfiando le guance ferita nell'orgoglio e lascio il suo braccio ripartendo a passo di carica «Elle. Mi sono ricordata dell'esistenza di Elle, che se non è già tornata sicuramente tornerà presto. Ha una cotta per lui, te lo ricordi, no? È una bella ragazza, non è una psicopatica e scommetto che non parla nemmeno da sola» concludo sbuffando.
«No, fammi capire» mi afferra un braccio interrompendo la mia marcia solitaria di indignazione «dopo quello che avete passato insieme in questi giorni, tu pensi a Elle? Sul serio?».
Ci manca solo che scoppi a ridermi in faccia, perché dovrebbe essere un'idea così strana poi, non ho nessuna voglia di sorbirmi una ramanzina, né riflessioni sagge a sottolineare la mia idiozia, quindi mi libero dalla sua presa e ricomincio a camminare in silenzio a testa bassa.
«Aspetta un momento» mi supera ostruendomi il passaggio per conversare occhi negli occhi, detesto quando fa così, significa che sta per dirmi qualcosa di intelligente e sensato «continui a perdere di vista le cose essenziali, è evidente. Lui ha voluto te, non Elle, non suo padre, non me, per affrontare un casino gigantesco che si trascina dietro da anni. Anni, Rae. E che riguarda sua madre, la sua famiglia, la parte in assoluto più intima e privata della sua vita. Perché secondo te?».
«Beh, ma...».
«No, non mi serve una risposta» mi interrompe immediatamente «io la conosco già, e stasera mi sento così magnanimo da voler condividere il mio immenso sapere con te» dichiara teatralmente. «Finn è uno zuccone. Ha un milione di qualità e gli affiderei la mia vita, ma è uno zuccone, e lo è soprattutto con te. Ma non lo fa per ferirti, lo fa per tutelarsi».
«Tutelarsi? Ma...».
«Zitta» mi interrompe di nuovo, «fammi finire. Tutelarsi, sì, perché tu, Rae, hai un milione di qualità come lui, ma l'hai già ferito tante volte, e lo sai anche tu. Ciò che tiene Finn lontano da te è la paura di ritrovarsi ancora una volta con un pungo di mosche in mano, mentre quello che tiene te lontana da lui non è Elle, non sarà mai Elle, e non è nemmeno un'altra ragazza. Sei tu, Rae. Se tu volessi potresti stare insieme a lui anche adesso, Finn è innamorato di te da quando vi siete messi insieme, forse anche da prima, e non ha smesso nemmeno quando vi siete lasciati... nemmeno quando ha provato a stare con Olivia» aggiunge un attimo prima che potessi chiederglielo io.
«Ed è per questo che ha voluto te quando è tornato da Eleonor. Capisco che fantasticare sui problemi sia più facile che affrontare la paura di un eventuale rifiuto, ma credimi testona, quel rifiuto è solo ed esclusivamente nella tua testa. Quindi smettila di arrovellare gli ingranaggi del tuo cervellino e dai a Finn la fiducia che merita, direi che con te se l'è guadagnata sul campo. Non credi?».
Tipico.
La solita storia, Archie apre bocca e improvvisamente passo dalla modalità farneticante a quella gioco-del-silenzio.
Ha ragione su tutta la linea porca miseria, e anche se non lo ammetterò mai davanti a lui so bene anch'io che la colpa di tutti i casini che ci sono stati tra me e Finn trova nella sottoscritta la quota maggiore di responsabilità.
Ma non voglio più parlarne per ora, mi limito a un rapido cenno di assenso più per togliermi di dosso i suoi occhi che altro, e lo prendo di nuovo sottobraccio in silenzio.
Tanto lo sa anche senza che glielo dica, che mi ha fregato ancora una volta.

In giro per la città cominciano a comparire le prime lucine natalizie, siamo già a Dicembre, quest'anno ho perso così tanto tempo dietro alle mie paturnie da aver vissuto praticamente a mesi alterni. E il risultato è che il tempo è volato e non me ne sono resa conto.
Natale... mi piacerebbe regalare un po' di serenità a Finn, l'idea che tra lui e la Regina Madre ci sia di nuovo il gelo continua a scavarmi nel cervello come un martello pneumatico. Vederlo a terra è stata un'esperienza terribile per me, e non oso immaginare come possa viverla lui adesso.
Di sicuro se glielo chiedessi apertamente minimizzerebbe tutto dicendo che non gli interessa, che ci ha fatto l'abitudine, condendo quelle sciocchezze con una scrollata di spalle. Ovviamente in una remotissima ipotesi di apertura al dialogo, perché sono quasi certa che non mi risponderebbe proprio.
La testardaggine è un tratto che ci accomuna purtroppo, proprio il peggiore dovevamo ritrovarci, perché tanto le cose tra noi sono già così facili...
E chissà come l'ha presa Eleonor, quella donna per me resta un mistero, ritrova il dialogo con suo figlio dopo anni, le cose vanno male e lei che fa? Sparisce di nuovo. La codarda che c'è in me solidarizza con lei, ma è pur sempre una madre dopotutto, io non vorrei arrivare con questo caratteraccio alla sua età, come può accettare l'idea di perdere Finn? Di essere addirittura detestata da lui? Io rifinirei in analisi per molto meno... e se...
«Archie, come la giudicheresti un'ipotetica chiacchieratina amichevole tra me ed Eleonor?».
Silenzio.
Brusca frenata.
Congelamento immobilizzante.
Forse non gli sembra una buona idea?
«Eleonor. Quella Eleonor? La Eleonor di Finn?» domanda balbettando... e che avrò mai detto di tanto assurdo?
«Certo, lei, è l'unica Eleonor che conosco».
Mi guarda attentamente, forse per cercare di capire se la mia sia stata una battuta, ma sono seria, serissima, e poi l'ho anche conosciuta, non è mica un mostro a due teste. Prende un paio di respiri profondi «ok, ti rispondo. Come la giudicherei... dunque, vediamo... una stronzata? Una cazzata? Un errore? Una follia? Rae non sono affari nostri, sarebbe un'invasione bella e buona nella sfera personale di una persona già di per sé molto riservata. L'ho già detto cazzata?».
Esagerato.
Ha praticamente preso la rincorsa per rispondermi, il solito disfattista, a me sembra un'ottima idea invece, secondo me quella donna ha solo bisogno di una piccolissima spinta, l'ho vista la sua espressione quando ha scorto Finn tra gli invitati al matrimonio, era raggiante, il ritratto della felicità.
«Dici che Finn ci rimarrebbe male?» domando, cauta.
«Male? No, Rae, ci rimarrebbe male se organizzassi una festa senza invitarlo, o se gli dicessi che fa schifo a calcio, o se gli nascondessi un CD degli Smiths. Se parlassi con Eleonor si incazzerebbe come... come... non lo so, probabilmente non si è mai incazzato così tanto da poterci fare un paragone».
Mi piace il suo atteggiamento costruttivo, è il tipo che ti dà sempre speranza, ma c'è un'enorme differenza tra noi due «tu non l'hai visto Arch, non hai idea di cosa sia stato il viaggio di ritorno, e non hai idea di come l'abbia ritrovato dopo lo scontro con lei. Credimi se ti dico che al posto mio ti faresti venire certe idee anche tu».
E sono sincera, se avesse visto Finn come l'ho visto io sarebbe andato a fare due chiacchiere con la Regina Madre subito, invece di aspettare dei giorni. Capisco le sue titubanze, le capisco sul serio, ma l'idea di restarmene con le mani in mano non è una possibilità, non più, soprattutto se penso di avere la possibilità nel mio piccolo di muovere anche solo un dito per aiutarlo.
Archie mi guarda dritta negli occhi preoccupato e stanco «è andata così male?».
«Peggio» ammetto.
Respira lentamente torturando un laccio della sua giacca, è preoccupato quanto me, glielo si legge in faccia. Per discrezione sicuramente ha evitato di fare domande a Finn, ma la mia ammissione dev'essere stata la conferma di qualcosa che già immaginava. Soprattutto conoscendo la storia familiare del suo migliore amico.
«Non lo so, Rae, non so cosa dirti, rischieresti di fare più male che bene. E l'intromissione forzata in una questione così delicata non mi convince proprio. Però... se, per ipotesi, riuscissi davvero a smuovere le acque sarebbe... beh sarebbe una gran cosa. Ma non mi sento di consigliarti né una cosa né l'altra».
La parola "cautela" non renderebbe minimamente giustizia al discorso di Archie, sembra più un soldato in marcia su un terreno minato mentre aspetta che una bomba atomica gli scoppi di fianco. Eppure quest'idea, folle a suo dire, non mi è mai sembrata tanto giusta come ora.
«Promettimi che ci penserai molto bene prima di fare qualunque cosa» ma è più un'affermazione, un invito, che una reale richiesta.
«Te lo prometto, Arch» e sono sincera mentre lo rassicuro, ma mentirei se negassi di non essere già con la mente insieme a lei.

* * * * * * *



Una grande, gigantesca, enorme fregatura. In altre parole: il corso di teatro.
Va bene, lo ammetto, forse sono stata un tantino precipitosa a fiondarmi qui. Non ho mai avuto spiccate velleità artistiche, mi piace la musica e adoro cantare non essendo particolarmente stonata, ma come attrice? No, grazie, decisamente non è nelle mie corde, ci penso già abbastanza nella realtà a condurre personalissime messinscene e non sento il bisogno di farlo anche come hobby. Eppure in qualche modo la presenza di Archie e Finn mi aveva tranquillizzata, e così anche l'assegnazione delle parti. Poche battute, poco spazio, irriconoscibilità data dal costume di scena. Tutto perfetto, o almeno... così credevo.
Ma non avevo considerato un dettaglio: i lavori del dietro le quinte... o intorno alle quinte, o come cavolo si chiama.
Vernice, vernice ovunque, mi sento colorata in punti in cui un essere umano non dovrebbere mai essere colorato.
Nuovo giorno e nuove incombenze. Avevo capito che con lo sfondo di ieri la sessione di bricolage fosse giunta al termine, e invece no. L'unica cosa ad essere giunta al termine è la mia pazienza, e lo spazio sulla pelle immune da colore, quindi nulla, uno zero cosmico. La mia iniziale curiosità per questo genere d'arte? Morta, sepolta, sparita per sempre.
Ho fatto avanti e indietro dal magazzino con martelli, chiodi, pennelli e vernici talmente tante volte da aver accumulato una nuovissima personalità multipla: il pittore-martellatore-incapace. Due cerotti sulla mano destra, uno sulla sinistra, escoriazioni varie, un buco sulla maglietta, vernice ovunque.
Un bollettino di guerra, e gli altri non sono messi meglio di me.
Se non avessi Finn a un metro di distanza intento a fissare un pannello appena pitturato avrei già fatto i bagagli da un pezzo, ma siamo immersi nella casa del Bianconiglio adesso, e ammetto che, disavventure a parte, c'è anche un non so ché di romantico.
«Non lo trovi ironico?» gli chiedo facendo un passo indietro per ammirare meglio lo sfondo, una deliziosa casetta con i tetti spioventi, le finestrelle di legno e innumerevoli orologi distorti appesi alle pareti.
Finn si volta perplesso sogghignando «che intendi?».
«Questo» rispondo divertita indicando prima la scena e poi lui «è il rifugio del Bianconiglio... casa tua!».
«Ah, ah, ah, ancora questa storia delle associazioni? Comunque...» mi avvicina da dietro posando il mento sulla mia spalla «mi sa che il Brucaliffo a casa mia non c'è mai stato però, quindi forse è ora di tirare fuori le ali e sloggiare» sussurra all'orecchio.
Bene, forse l'intenzione è prendermi un po' in giro, ma a questa distanza ravvicinata chi diamine dovrebbe capirlo? Io a malapena respiro «Giu... giusto» balbetto imbarazzata.
Lo sento sorridere sui miei capelli e allontanarsi appena per frugare nella borsa.
Oh, un pacchettino incartato, un regalo?
No, un attimo... Un regalo... PER ME?
Si avvicina con quella che ha tutto l'aspetto di essere una scatolina rettangolare, sottile e perfettamente incartata, con un bel fiocco viola al centro. E me la porge «è per te» ammette imbarazzato «è una sciocchezza, ma, beh ecco... mi ha fatto pensare a te. Ma non aprirlo ora, c'è vernice ovunque e non vorrei che si sporcasse».
......................
......................
Niente.
Il cuore è partito, il cervello defunto, le mie guance vivono di vita propria e si sono trasferite sull'Etna.
Qualcosa, di qualunque genere si tratti, l'ha fatto pensare a me.
Ha pensato a me.
Uccidetemi ora, prima che faccia o dica qualcosa di terribilmente stupido.
Completamente frastornata afferro la scatolina dalle sue mani come se fosse una fialetta di nitroglicerina pronta a esplodere, gli sorrido, perché le corde vocali non si sono ancora riprese dallo shock ma in qualche modo voglio fargli intendere che ne sono felice e lo ringrazio, e la ripongo con cautela nella mia borsa. Se dessi retta alla curiosità strapperei la carta a morsi e aprirei il pacchetto in due secondi netti, forse meno, ma non voglio fare figuracce e non voglio sembrare un'innamorata in crisi d'astinenza, quindi mi trattengo, ritrovo la parola e mi limito a un «grazie».
«Figurati, te l'ho detto è una sciocchezza» minimizza voltandosi di nuovo ai pannelli che stava sistemando, con un cacciavite in mano al posto del martello... forse non è solo questo stupido Brucaliffo a sentirsi imbarazzato dopotutto.
«Ah, Rae, ci sono un paio di cose che volevo dirti» dice avvicinandosi di nuovo.
Cos'è, ha deciso di uccidermi oggi? Il mio imbarazzo sta raggiungendo livelli da torcia umana e non riesco a smettere di fissargli le labbra.
Lui invece non mi guarda, siamo uno davanti all'altra ma trova particolarmente interessanti le macchie di vernice per terra. Respira profondamente un paio di volte prima di riprendere la parola «innanzitutto voglio presentarti una persona. In effetti dovrebbe già essere qui» borbotta dando un'occhiata all'orologio, «comunque, te la presenterò quando arriverà. E poi... c'è una cosa di cui volevo parlarti anche l'altra sera, ma dovevo esserne sicuro prima...».
Oddio, non svenire, non svenire.
Persona, quale persona? Chissene frega della persona!
Io devo sapere assolutamente cosa voleva dirmi, perché ha tutta l'aria di essere qualcosa di importante o non sarebbe così nervoso.
Dai, Finn, coraggio, magari è la stessa cosa che morirei dalla voglia di dirti anch'io.
«Beh... sì, ti ricordi a Leeds, quando...».
Sì...?
«Finn!!!».
La morte.
Una vocetta squillante e fastidiosa interrompe il momento potenzialmente più importante della mia intera esistenza, chi caspita si permette di...
Sto per voltarmi mugugnando qualcosa quando due braccia sottili arrivano a circondare il collo di Finn, il mio Finn, per poi abbracciarlo con trasporto sprofondando il viso nel suo maglione. O forse sarebbe più corretto dire che gli si è gettata letteralmente addosso. Lui indietreggia per quello slancio improvviso e sorride divertito, circondandole la vita a sua volta in una stretta altrettanto calorosa.
«Ho fatto tardissimo, scusami, mi sono persa due volte per arrivare qui» gli dice mollando appena la presa.
«Non ti preoccupare, tanto qui ne avremo ancora per molto, sei il solito impiastro» ribatte Finn lasciandole un buffetto sul naso.
Elle.
L'ho riconosciuta dal primo istante ma sono troppo imbambolata a fissarli per dire o fare qualunque cosa. Se il mio cervello funzionasse correttamente mi imporrebbe di allontanarmi subito, cercare un riparo ed elaborare una buona scusa da vendere a Finn per giustificare la conoscenza della sua amica.
Ma non me ne importa un fico secco di questo adesso, l'unica cosa a cui riesco a pensare è l'affiatamento che mi si palesa davanti agli occhi.
Perché smaniavo tanto all'idea di vederli insieme? Perché? Fa male porca miseria, malissimo.
Sembra una di quelle scene da film in cui lei si isola nella sua bolla di pensieri e la vita intorno smette di esistere sostituita dal vuoto assoluto.
Ma il vuoto assoluto nel mio caso ha gli occhi verdi e lucidi di una ragazza della mia età ancora abbracciata al ragazzo che amo. Mi fissa attentamente come a cercare nella mia espressione la risposta a un collegamento che ha già fatto, e prima che Finn possa dire qualcosa si avvicina abbracciando anche me.
«Rae! Ma che bella sorpresa! Sono felicissima di rivederti! Ma... vi conoscete?» domanda a un Finn decisamente confuso.
Proprio una bella sorpresa, sì.

Bisogna sempre fare molta attenzione alle parole, soprattutto agli incastri di frasi in cui vengono utilizzate.
Finn aveva due cose importanti da dirmi e se con la prima voleva introdurmi alla conoscenza di Elle, forse la seconda era... non riesco neanche a pensarlo.
Stanno insieme? Era questo il mistero da svelare?
Con la scusa della pittura mi sono immediatamente congedata da loro, prima ancora delle presentazioni ufficiali, rifugiandomi nei disegni, o sgorbi, per dirla tutta. Siamo ai due lati opposti dal palco e loro sono... beh sono... merda, sono veramente carini insieme.
Insieme, continuo a ripetermelo nella speranza che il significato della parola cambi, ma non succede niente.
Discutono fitto fitto di qualcosa che non riesco ad afferrare, ma il linguaggio del corpo è esplicito e parla più di qualunque conversazione, sono vicini, si sfiorano delicatamente in punta di dita, ridono insieme. Lei è palesemente sulle spine e non smette di giocherellare con una ciocca di capelli, lui invece è completamente rilassato, a suo agio, anche se si volta di tanto in tanto nella mia direzione. Ciò che mi fa più male però è la tenerezza che leggo nello sguardo di Finn, i suoi occhi dorati brillano mentre le parla e seguono attentamente la risposta senza lasciarla un momento.
Non voglio vederli, per la verità non voglio proprio saperne niente.
Respiro a pieni polmoni e mi concentro sulla sagoma dell'albero che sto tracciando a matita, quando l'ombra di una persona alle mie spalle si disegna sulla tela «puoi uscire un momento?».
Per qualche secondo non rispondo, continuo a disegnare, ma i miei nervi sono tesi e mi tremano le mani «non... non mi sembra il caso» mormoro senza voltarmi, «la tua amica resterebbe sola».
«Ho lasciato Elle insieme ad Archie, per favore» insiste Finn, sembra tranquillo.
Poggio la matita a terra e mi volto con una lentezza esasperante. Guardarlo negli occhi si rivela un'impresa titanica, sono imbarazzata, nervosa e...sì, anche arrabbiata, perché adesso che ho davanti agli occhi la proiezione a grandezza naturale del mio incubo peggiore mi sento quasi tradita. Sono terribilmente gelosa.
Lascio che mi conduca fuori camminando tra le poltroncine rosse del teatro, prendiamo la giacca entrambi, e arrivati nell'aria frizzante di metà mattina non aspetta neanche un momento per aprire bocca «sto pensando a un motivo che possa averti spinta a non dirmi che conoscevi già Elle, ma non me ne viene in mente nessuno».
Non riesco a capire se sia arrabbiato oppure no, di sicuro è perplesso, mentre io invece sono nervosa. Ed è quel nervosismo astioso che finisce sempre col farti dire qualcosa che vorresti evitare «curioso, in questi giorni mi sono fatta la stessa domanda anch'io» ribatto con un sorrisino sarcastico.
Appunto.
L'intenzione dimostrata è venuta a galla più pungente di quanto avessi voluto e anche lui se ne è accorto, mi fissa con aria frustrata e spalanca le braccia «e non potevi dirmelo e basta?».
«E tu? Non potevi dirmelo e basta?» replico stizzita.
«Stavo aspettando di potertela presentare, Rae, non era un segreto».
Devo dirti un paio di cose, devo dirti un paio di cose, Dio, questa frase prima o poi mi ucciderà, non fa che martellarmi il cervello per farsi strada sulle mie labbra e ricevere la soddisfazione che merita «era questa la seconda cosa che dovevi dirmi?».
«Che... non ti seguo».
Provo a calmarmi respirando lentamente, ma gelosia e rabbia sono un cocktail esplosivo per qualsiasi sistema nervoso che non sia già stato irrimediabilmente compromesso, quindi figuriamoci per il mio. Serro le mani a pugno lungo i fianchi sperando di dirottare lì almeno una piccola parte di acidità «eravamo nella casa del Bianconiglio, e tu mi hai detto che dovevi dirmi due cose. La prima era Elle, volevi che la conoscessi, e la seconda qual era? È legata a lei, no? State insieme?».
È incredulo, o quantomeno mi osserva come se lo fosse «che cosa te lo fa pensare?».
Me lo sta chiedendo davvero? Che cosa dovrei rispondergli? Che sono carini insieme? Che si nota?
«Non lo so Finn, vi vedo. Io... Archie mi ha detto che avete passato un sacco di tempo insieme, e Chloe che le è sembrato ci tenessi parecchio» gesticolo in confusione alla ricerca di un appiglio che non arriva, «e poi ho conosciuto lei, a Sleaford, è la sorella di Agnes e mi ha fatto vedere delle foto dove c'eri anche tu, e... non lo so, sembravate molto... molto... non lo so» sussurro abbassando la testa. Ai suoi occhi mi sento completamente esposta e a disagio, non riesco a guardarlo.
«Archie, Chloe, le fotografie... ma ti ascolti quando parli? Perché non sei venuta subito da me? Oltretutto...» si prende una pausa, forse, nel tentativo di non perdere la calma, ma sospira rumorosamente a spalle tese e pugni serrati, e alla fine esplode «cazzo, sono stato da solo negli ultimi giorni? Da mia madre non c'eri? Dov'eri? Come hai fatto a credere che volessi... non lo so Rae, giuro che non riesco a capirti... che volessi parlarti della mia nuova ragazza? È questo?».
Sì, lo so anch'io che suona come una forzatura, me ne sono resa conto subito, ma perché non rende le cose più semplici a entrambi rispondendo e basta? Mi limito a un timido cenno di assenso senza perdere la visuale sulle mie scarpe, pregando di non irritarlo ancora.
«Perché? Perché pensi che ti avrei presa da parte per dirti "ehi indovina un po', sto con un'altra", un minuto dopo averti fatto un regalo. Non ha nessun senso te ne rendi conto?».
«Perché l'hai già fatto!» gli grido dritto in faccia. È attonito, incredulo, e non stacca gli occhi dai miei, come se si aspettasse di trovarci dentro una crepa che giustifichi quello che gli sto dicendo, «con Olivia. Tu... quando le cose sono andate male tra di noi hai sempre cercato... qualcos'altro, ecco. C'è stata Olivia e adesso c'è Elle, solo che lei è più... più... più giusta per te, forse».
Devo essere completamente impazzita, ascolto le parole che mi escono di bocca e non le riconosco nemmeno come mie. La morsa di rabbia si sta allentando lentamente lasciando spazio alla paura, vorrei solo essere rassicurata e sentirmi dire che andrà tutto bene per una volta. Chiedo troppo?
I suoi occhi però sono lava incandescente e mi attraversano senza soffermarsi sui miei, è veramente furioso.
«Non ci credo che me lo stai rinfacciando sul serio» dice dopo una lunga pausa di silenzio scuotendo la testa, «tu dici "quando le cose sono andate male tra noi", ma io direi "quando HAI DECISO che le cose dovessero andare male tra noi", Rae. Mi hai lasciato sempre tu, entrambe le volte, e prima che tu me lo dica sì, l'ultima volta la parola fine ce l'ho messa io, ma solo perché sono stato più veloce di te a tirartela fuori dalla testa. E cos'avrei dovuto fare dopo? Sentiamo... aspettare cosa? Che TU, sempre TU, decidessi che... ok, mah sì, forse tutto sommato potevamo stare insieme di nuovo? Tanto nel frattempo io stavo benissimo secondo te, non è così?».
«No. Io, veramente» balbetto, inutilmente.
«Tu niente. Tu prendi e sparisci, il resto non conta. Io sono quello che deve restare nella merda e deve capire, come con mia madre, la stessa cosa. Te l'ho detto anche a Leeds che le somigli molto e non mi sono sbagliato. Però voglio dirti una cosa» si blocca facendosi più vicino invitandomi a sollevare il viso, ho paura, una paura di perderlo che mi sta scavando nel cuore. Lasciare l'asfalto è una sofferenza ma alla fine mi convinco, perché lui non si è mai nascosto con me e gli devo almeno i miei occhi.
«Io voglio stare con una persona che ci sia, per me. Voglio potermi sentire libero di non vederla per un giorno sapendo che la ritroverò comunque l'indomani senza cacce al tesoro, e non rincorrendola in un'altra città o chissà dove. Voglio una persona che mi parli dei suoi problemi invece di essere sempre costretto a indovinarli, e voglio poterla tenere per mano o abbracciarla mentre siamo tra la gente, perché non c'è niente di male in questo Rae, e non c'è niente di cui vergognarsi. E voglio una persona che non si aspetti sempre il peggio da me, perché so di non meritarmelo».
Non voglio stare con te. Avrebbe potuto dirmi questo e non avrebbe fatto differenza.
Le sue parole sono ferme, decise, e descrivono esattamente tutto ciò che non sono mai riuscita ad essere per lui, non posso nemmeno controbattere. Con cosa poi? Ha ragione su tutta la linea, io lo so che lui merita tutto questo «e pensi che Elle sia questa persona?».
Sorride, un sorriso amaro che gli deforma le labbra in una risatina canzonatoria «è l'unica parte del discorso che ti interessa? Mi hai già dato la tua benedizione prima, hai detto che è più giusta per me, no?» scuote ancora la testa «non lo so, forse. O forse no. In ogni caso lei non c'entrava niente con quello che volevo dirti prima».
«E cos'era allora?».
«Niente. Pensavo una cosa, però... beh, era una cosa sbagliata a quanto pare. Comunque quello che c'è o non c'è tra me ed Elle non è affar tuo, non ti riguarda più, quindi stanne fuori e non ti intromettere» dice oltrepassandomi per rientrare in teatro, non mi degna di uno sguardo, non aspetta nemmeno che gli risponda.
Rimasta sola mi accascio al suolo e mi sfogo in un pianto senza lacrime, non riescono a uscire, sono bloccate da qualche parte nel mio cuore come tutte le altre sensazioni. Mi sento un guscio vuoto di rimpianti e frasi non dette, ti amo, solo questo avrei dovuto dire. Ma non l'ho fatto.
E il Bianconiglio dice che adesso è troppo tardi.

Rimango rannicchiata a terra con le spalle al muro e il viso tra le mani per una ventina di minuti. Non ho il coraggio di rientrare in teatro ma non ce l'ho nemmeno per andarmene, sono spaesata e non ho la più pallida idea di cosa fare, sento solo un vuoto insopportabile all'altezza del petto.
Un rumore di passi si avvicina lentamente e ho quasi paura ad alzare la testa, non potrei sostenere un'altra discussione con Finn, tantomeno un interrogatorio da parte di Archie, sono praticamente raggomitolata su me stessa e se così non è chiaro che non voglio avere intorno anima viva non so proprio cos'altro potrei fare.
«Ehi, eccoti qui» socchiudo appena le palpebre e la mia borsa comincia a ondeggiarmi davanti agli occhi, è Liam, «Archie mi ha chiesto di portarti questa, pensava potesse servirti ma era troppo indaffarato a discutere con Nelson per farlo di persona».
Fantastico, ma perché deve sempre mettersi in mezzo quel Grillo Parlante «grazie» rispondo afferrando la borsa.
Adesso che non ho più neanche una scusa per rientrare posso finalmente tornarmene a casa. Mi sento osservata, ma l'ultima cosa di cui ho bisogno è mettermi a raccontare, parlare o ascoltare consigli. Voglio solo starmene un po' in santa pace, magari al buio e con un cuscino morbido tra le braccia.
«Vado a casa, ringrazia Archie per la borsa e digli che va tutto bene, per favore» gli dico mentre ho già cominciato a camminare.
«Come vuoi» risponde con una scrollata di spalle.
Caspita, devo avere un'aria veramente abbattuta se non si azzarda nemmeno a chiedermi qualcosa, meglio così, tanto non l'avrei comunque ascoltato.
Le due ore successive al mio rientro a casa trascorrono in camera mia esattamente come avevo deciso, ma quando sto finalmente per addormentarmi mi alzo di scatto e comincio a prepararmi un borsone.
«Magari tra noi è finita sul serio, ma non ho cambiato idea su Eleonor, in fondo lo facevo per lui mica per noi» mi dico provando ad ignorare la stretta al cuore che quel noi morto e sepolto mi provoca. Chissà se lo faccio davvero per lui o perché mi illudo di contare ancora qualcosa nella sua vita... egoista e stronza, ecco che cosa sono diventata.
Scrivo un biglietto a mia madre inventandomi un pigiama party tra ragazze a casa di Chloe e apro la porta... immobilizzandomi all'istante.
Lui è lì, davanti a me, e non capisco se sia la mia fantasia a farmelo vedere o la realtà. Lo fisso ancora incredula qualche istante prima di sentirlo parlare.
«Ciao» esordisce imbarazzato con un filo di voce, sembra quasi un'altra persona senza quell'alone di rabbia negli occhi «sono passato solo per... beh...»
Imbarazzato, perché è inbarazzato? E soprattutto perché non è più arrabbiato? Non è che c'è lo zampino di...
Ti prego, te ne prego, tutto, ma non la pietà, se stai per dirmi che ti dispiace solo perché Archie ti ha convinto ripensaci.
Finn respira profondamente torturandosi le mani, sembra sulle spine e vorrei tanto che non sembrasse così adorabile «... volevo solo dirti che non intendevo... ma... stai partendo?».
Tutta la sua attenzione viene catalizzata dal borsone che stringo tra le mani e i suoi occhi volano frenetici da me a lui andata e ritorno più volte.
Merda, e adesso? Cosa gli dico "eh sì, sai sto andando a fare una bella gita a Leeds da tua madre, mi è piaciuta la vista del suo appartamento", come minimo mi salterebbe al collo, e questa è l'ipotesi migliore, perché nella peggiore non mi rivolgerebbe più la parola.
«No... cioè, sì» non posso mica negare l'evidenza «ma solo per un giorno... cosa... cos'è che stavi dicendo?» balbetto pregando che mi assecondi.
Ma è già troppo tardi, la sua espressione si è indurita immediatamente e ogni buona intenzione è svanita dietro alle mie bugie. Non è più neanche arrabbiato, sembra solo... una persona arresa all'evidenza «non ci posso credere che sei un'altra volta in partenza» dice allargando le braccia.
«No, no te l'ho detto io non...».
«Lascia stare» mi interrompe, atono «sono affari tuoi e non voglio saperne niente, ormai ho rinunciato a capirti».
Perché è qui? Perché ho l'impressione di aver perso anche l'ultima possibilità che voleva regalarmi? Vorrei trovare le parole giuste per spiegarmi e sistemare tutto ma come sempre la mia parlantina nei momenti importanti svanisce nel nulla.
Perciò resto zitta, ancora una volta, come se questo silenzio potesse riavvolgere il tempo e cancellare tutto quello che ci siamo detti finora.
Ma non si può cambiare ciò che è stato, e lo capisco ancora prima che si avvicini a me inchiodando i suoi occhi ai miei «devi sapere una cosa, perché non voglio che sia qualcun altro a dirtelo, adesso... io ed Elle stiamo insieme» è un attimo, ma a quelle parole distoglie appena lo sguardo prima di tornare a guardarmi «non che debba giustificarmi con te, ma mi sembrava corretto parlartene subito... Buon viaggio Rae... ovunque tu stia andando» dice scuotendo la testa, indietreggiando, un attimo prima di voltarmi le spalle.
Sono sotto shock, stanno insieme? Ma come... quando...
Era in difficoltà, a disagio, sembrava gli costasse uno sforzo immenso dirmi quelle cose, non capisco, non era questo che voleva dirmi all'inizio ne sono quasi certa. Eppure...
Lo seguo finché non sparisce dalla mia visuale mentre qualcosa dentro di me si crepa per sempre, poi deglutisco un boccone d'aria e mi costringo a uscire. Non ora, non è il momento di crollare, ci sarà tempo per quello, voglio che da tutto questo disastro esca anche qualcosa di buono e così sarà. Lo devo a me stessa e a lui, non accetto di avere come finale un fallimento completo.
A un certo punto della storia Alice dice "So chi ero quando mi sono svegliata stamattina, ma da allora devo essere cambiata diverse volte", se è vero che la nostra identità viene definita anche dalle persone che ci circondano, senza Finn io che cosa sono adesso?

Rieccoci di nuovo qui!
Prima di tutto vorrei scusarmi, al solito, per il ritardo, non riesco mai ad essere puntuale e questo fatto mi disturba da morire, ma un po' gli impegni, un po' la lunghezza dilatata dei capitoli, questo è il meglio che sono riuscita a fare.
In questo capitolo ho voluto giocare con la storia di Alice, in realtà era già da un po' che progettavo di farlo ma volevo aspettare il momento giusto e il discorso sull'identità mi è sembrato perfetto per lo scopo.
Probabilmente in questo momento mi odierete, lo so, sono stata un po' stronza nel darvi prima una versione tenerella di Rae e Finn per poi finire con lui che le sbatte in faccia la sua nuova storia. Ma a tutto c'è una ragione, e quelle di Finn sono, direi, piuttosto valide. Che poi le abbia detto tutta la verità è ancora da vedere, e se qualcosa vi è sfuggita o avete l'impressione che abbia tralasciato qualche fatto importante sappiate che è vero, e che è voluto.

Il prossimo capitolo sarà un POV di Finn e chiariremo ogni cosa.
Vi anticipo che non vi racconterò del viaggetto di Rae fino al capitolo 11. Ma non temete perché ci sarà molto altro da raccontare. Elle sarà presente, ebbene sì, ma vi assicuro che la adorerete anche se adesso vorreste vederla spiaccicata sotto un tir col rimorchio. Ricordatevi che la ragazza non è stupida, e una volta capito che era Rae il motivo per cui Finn si trovava a Sleaford... insomma sono certa che per una volta accantonerete nei suoi confronti ogni pulsione omicida.

Ringrazio come sempre chi ha seguito finora questa storia e ci vediamo al prossimo capitolo :)

Ah dimenticavo, ormai sono una professionista nell'arte del dilungarsi, mi dite se la cosa è eccessiva o ancora ci può stare?

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Capitolo 10
*** Ogni volta che te ne vai - Finn's POV ***



Capitolo 10: Ogni volta che te ne vai

Stamford - 5/6 Dicembre


Finn's POV

Se il buongiorno si vede dal mattino come minimo sto per tirare le cuoia.
Cosa diamine ho combinato ieri sera?
Mi rigiro nel letto sfatto con i jeans ancora addosso, l'odore di distilleria sulla maglia e un mal di testa da martello pneumatico. Sul comodino due pastiglie e un succo d'arancia, «bevimi, idiota» recita il foglietto appoggiato al bicchiere.
Divertente.
Seguo le "simpatiche" istruzioni poi mi rituffo sulle coperte, non ho la più pallida idea di come abbia fatto ad arrivare a casa, l'ultimo ricordo che ho è il tavolino del Pub con Archie, Elle, e una squadra di bicchieri vuoti, tutto il resto è un orrendo, gigantesco buco nero.
In compenso però ricordo benissimo l'origine dei miei guai, detesto quella stupida viaggiatrice incallita sempre con un cazzo di borsone pronto all'uso con tutto me stesso. Devo avere sulla fronta un'indicazione che incita alla fuga, altrimenti non me la spiego questa necessità di partire che tutte le persone che amo di più riscoprono appena mi avvicino.
I ricordi poi sono la parte migliore, mi scaverei nel cervello da solo se potessi estirparli tutti sostituendoli con un muro di cemento armato. Adesso c'è la neve, ad esempio, mi è bastato sbirciare i nuvoloni bianchi dalla finestra per sentire di nuovo le sue teorie deliranti nelle orecchie.
Una zanzara fastidiosa, ecco cos'è Rae. Una zanzara fastidiosa che si meraviglia per la neve come una bambina appena atterrata da Marte.
E io sono un cretino invece, perché mi manca già ogni momenti trascorso con lei.

«Brrr certo che fa proprio freddo stamattina, dici che ci siamo?».
L'avevo osservata distrattamente con la coda dell'occhio mentre stavo parcheggiando la macchina «per cosa?».
Eravamo appena tornati da Leeds e il mio umore era nero esattamente come l'asfalto sul quale stava saltellando eccitata. Ma eccitata per cosa poi? Io avevo ancora un diavolo per capello a causa di mia madre, bell'affare avevo fatto lasciandomi convincere ad andare a quel fottutissimo matrimonio. Avrei avuto due paroline "gentili" da riportare a mio padre e ad Archie appena fossi rientrato a casa.
«La neve!» aveva esclamato come se fosse la cosa più ovvia di questo mondo «adoro la neve, ma la prima nevicata per un motivo o per l'altro me la perdo sempre».
Beh certo, chi non si esalterebbe per gelo polare e strade ghiacciate «perché ti interessa tanto?».
«Mh... non c'è un motivo particolare in realtà, è semplicemente... bella, ecco, e poi mi piace l'odore».
Il famosissimo odore dell'acqua nel suo stato solido...
«Della neve?» questa era particolarmente bizarra anche per i suoi standard «lo sai che è sempre acqua, vero?».
Gli occhi ridotti a due fessure e l'aria di chi sta per compatirti per la tua ignoranza, mi aveva fissato per un istante gonfiando le guance impettita credendo che mi stessi prendendo gioco di lei. Non che fosse un pensiero così distante dalla realtà, in effetti...
«Ah ah ah, non ti facevo così cinico Finn, dì un po' il prossimo passo sarà rivelare ai bambini del vicinato che Babbo Natale non esiste?» aveva ironizzato portandosi le mani sui fianchi «comunque no, non mi riferivo alla neve, ma all'aria. Sarà il terriccio inumidito, le foglie secche, l'erba coperta di brina, non lo so, ma c'è questo odore meraviglioso di muschio che solletica il naso e arriva dritto ai polmoni. Io lo adoro, mi mette allegria, però mi perdo sempre la magia della prima».
Era arrossita dopo aver gesticolato come un'ossessa per farmi arrivare un concetto che non avevo comunque afferrato. Per me la neve significava fastidi continui e un ostacolo in più nella quotidianeità di cui avrei potuto fare tranquillamente a meno. Ma Rae era terribilmente tenera e dolce nel suo entusiasmo, così tanto che sarei stato quasi tentato di assecondarla se non mi fossi divertito tanto nel farla innervosire.
«Magia dici...» avevo fatto finta di rifletterci un po' su, sfiorandomi il mento con le dita e alzando gli occhi al cielo nel tipico atteggiamento del pensatore, ma la voglia di indispettirla aveva preso il sopravvento «mani e naso congelati, labbra screpolate, strade ghiacciate, cadute all'ordine del giorno... con il tuo senso dell'equilibrio poi io avrei paura anche ad uscire di casa. Proprio una gran magia, non c'è che dire».
Era allibita e contrariata, e non aveva ancora smesso di sbuffare incenerendomi con lo sguardo. Dal canto mio stavo faticando da matti a mantenere un contegno senza scoppiare a riderle in faccia, era buffissima.
Com'è che era sempre così spontaneo tra noi? Stare con lei si rivelava di una facilità disarmante, non c'erano malizie, imbarazzi, beh da parte sua forse ce n'erano ed era impagabile vederla avvampare, e nessuno come lei era capace di mettermi di buonumore. Esattamente come ora, il fatto che stessi sorridendo nonostante la discussione con mia madre era una specie di miracolo.
«Sei davvero un... un mostro!» aveva borbottato, indignata «lo so che ti sembra una cosa ridicola ma... oh insomma, per una volta mi piacerebbe vedere la prima neve, punto e basta. Sai che da piccola ero convinta che fosse il riflesso delle nuvole? Prima o poi dovrò smentirla questa teoria, no?».
«Sei peggio di una bambina dell'asilo, Rae» e mi sei mancata da morire per tutto il tempo in cui sei stata via «ma sei adorabile...» le avevo sussurrato all'orecchio avvicinandomi di un passo.
Il rubino sulle sue guance era arrivato all'istante, immediato come l'allegria che aveva spazzato via il mio nervosismo.

Che mi fossi imbarazzato anch'io non l'avrei ammesso nemmeno sotto tortura però.

Non è passata neanche una settimana da allora ma sembra già un secolo fa, praticamente è cambiato tutto.
È l'ultima cosa che dovrei pensare ma... mi manca, mi manca davvero.
Vorrei proprio sapere in che guaio si è cacciata stavolta, quando entra nella modalità Ragazza-con-la-valigia c'è sempre da aspettarsi qualche catastrofe, come minimo sarà volata a Timbuctu. Starle dietro è la cosa più frustrante che mi sia mai capitata di fare ma non riesco a smettere, quando si tratta di lei ho la forza di volontà di un... un niente, ecco. Non ho un briciolo di forza di volontà e mi detesto per questo.
Da brava egoista se ne frega di tutto e tutti e io mi preoccupo pure, quando caspita sono caduto così in basso? Nemmeno Archie nelle sue giornate peggiori si fa tutte queste paranoie...
«Buongiorno! Sei uscito dal coma finalmente!».
Sobbalzo sul letto e mi stropiccio gli occhi, stordito. La sveglia segna le nove e mezza quindi a rigor di logica dovrei essere solo in casa, a meno che... no.
Non può proprio essere, va bene l'amnesia ma certe cazzate NO.
Non è che sto ancora dormendo? Ditemi che sto ancora dormendo.
«Elle...?» bisbiglio pregando di vederla svanire.
In realtà la mia domanda voleva suonare più come "cosa ci fai tu qui?" ma non ricordando un fico secco della notte precedente ammetto di aver temuto per la risposta.
Lei mi osserva divertita e scoppia in una fragorosa risata «sei messo peggio di quanto pensassi se hai bisogno di una conferma» si avvicina sedendosi sul bordo del letto «devo dirtelo Finn, stai veramente uno schifo. Vedo che hai preso l'aspirina che ti avevo lasciato, bravo, hai letto anche il biglietto?» indica divertita il foglietto appiccicato al bicchiere «mi scoccia ammetterlo ma non posso vantarne il merito, è stata un'idea di Archie».
Carina lei e molto simpatico lui. Gran bella coppia.
«Ma tu... Archie... mio padre è in casa?» gesticolo indicando prima lei e poi il letto in evidente stato confusionale.
«Tu non ricordi niente di niente di quello che è successo ieri sera, vero?» avvicina il suo viso al mio fino a trovarsi a pochi centimetri dal mio naso, poi sorride «aveva ragione Archie, sei proprio un impiastro».
Un impiastro? Io? Beh, se lo dice il Genio della lampada poi...
Perlomeno Elle sembra serena e rilassata, non è incazzata con me e a meno che non mi sia bevuto il cervello del tutto non abbiamo dormito insieme. Potrei assicurarmene chiedendoglielo nel modo più soft possibile ma considerato l'andazzo della mattina rischio una figura davvero patetica, devo avere un enorme punto di domanda in faccia però, perché risponde sorniona senza che abbia ancora aperto la bocca.
«Non ti preoccupare Bella Addormentata, non è successo niente di eclatante ieri sera. Essendo ridotto a un colabrodo hai lasciato a piedi sia Archie che la sottoscritta, così ti abbiamo accompagnato a casa e tuo padre ci ha invitato a rimanere. A proposito...» trilla alzando il tono di voce, ho idea che mi esploderà il cervello a breve «era parecchio arrabbiato ieri sera, quindi preparati alla ramanzina quando tornerà, avrebbe voluto buttarti giù dal letto all'alba stamattina ma ha ricevuto una telefonata da tua madre ed è uscito presto».
Annuisco distrattamente quando registro le parole madre e padre nella stessa frase.
Un momento, la sbronza è contagiosa?
Mio padre è uscito con mia madre? Di mattina presto? Volontariamente? E l'ha detto a Elle?
Sto decisamente dormendo ancora.
Elle non si rende conto dell'assurdità di quell'ultima affermazione e continua a blaterare «Archie è andato via una mezz'oretta fa invece perché aveva lezione presto, è veramente simpatico quel ragazzo, oltretutto si vede che ti vuole molto bene... ma mi stai ascoltando? Ehi...» dice pizzicandomi un fianco quando si accorge che sono preso da tutt'altro.
Sono così in trance che la sento appena, perché quello che mi ha detto non ha il minimo senso. Soprattutto dopo l'ultima conversazione che ho avuto con mia madre. Quella donna deve essersi messa d'accordo con Rae per farmi impazzire, non c'è altra spiegazione. Cosa vuole ancora da noi? Da mio padre, soprattutto.
Non l'ha già umiliato abbastanza? Avrà voluto dargli la lieta novella? Ci manca solo questo.
«Sei sicura che si trattasse di mia madre?».
Elle mi osserva in un misto di curiosità e apprensione «l'ha detto tuo padre quando è uscito, Eleonor è tua madre, giusto? Almeno... così ha detto Archie».
Tralasciando l'evidente irrealtà della situazione prima o poi dovrò fare un bel discorsetto al mio migliore amico, deve piantarla una buona volta di spiattellare gli affari miei come se niente fosse. Questa storia non mi piace per niente.
«Va tutto bene?» mi domanda, confusa.
«Sì, certo...» rispondo di getto, ma sono credibile quasi quanto Rae quando dice che va tutto bene. Devo assolutamente dirottare l'attenzione su un terreno meno scivoloso... o almeno spero «dicevi di ieri sera? Cos'abbiamo fatto?».
«Niente di che, ci siamo visti al Pub e abbiamo bevuto qualche birra, tu più di qualche, naturalmente. A un certo punto hai cominciato a blaterare frasi a caso su Rae e poi ho scoperto di essere la tua nuova fidanzata... amore» scandisce l'ultima parola per ribadire il concetto e io sprofondo nel letto con tutte e due le mani sul viso.
Che figura di merda.
«Dai non è grave» poggia una mano sulle mie per invitarmi a toglierle dagli occhi «Archie mi ha spiegato qualcosa, avresti dovuto farlo tu per dirla tutta, e sono giunta alla sua stessa conclusione: sei un idiota, Finn».
Giuro che lo troverò, e quando questo succederà lo ridurrò in poltiglia, una poltiglia così informe che anche sua madre stenterà a riconoscerlo.
Ho perso le parole, sono così in imbarazzo che per un attimo dimentico perfino mia madre e mio padre fuori insieme. Beh no, in effetti questa notizia non mi è ancora andata giù, ma adesso c'è anche questa bella figura che ho fatto con Elle.
Che poi mi sono ubriacato come un ragazzino! Cos'ho, 13 anni? Ma nemmeno a 13 anni mi sono mai ridotto così.
«Ok, ti lascio a metabolizzare il tutto perché devo proprio andare. Oggi devo chiudermi in biblioteca e finire una tesina importantissima ma, Finn...» richiama la mia attenzione alzandosi dal letto «sono un po' arrabbiata con te, ne parliamo con calma domani pomeriggio però, va bene? Tanto devo passare in teatro per darvi una mano con i costumi, maledetta me e la mia boccaccia quando mi sono fatta uscire davanti alla vostra insegnante che me la cavo bene con ago e filo. Ma non mi scappi, voglio che mi spieghi un po' di cose visto che in tutto il tempo che abbiamo passato insieme ultimamente sei stato vittima di amnesia selettiva... a quanto pare».
Raccoglie le sue cose e mi stampa un bacio sulla guancia prima di uscire, non le rispondo, mi limito a un cenno di assenso perché per essere metà mattina ho accumulato già abbastanza grattacapi senza doverne aggiungere altri. Chiudo la tapparella e tiro anche la tenda per guadagnare il massimo dell'oscurità, e lascio al cuscino pensieri e mal di testa. Voglio staccare la spina solo un po' e dimenticare questo fastidioso sfarfallio nello stomaco che mi perseguita da giorni.
E che non è l'ennesimo ricordino di ieri sera, purtroppo.

* * * * * * *



È il rumore della porta che sbatte a svegliarmi qualche ora dopo, sono ancora intontito ma almento il rave party che avevo nel cervello ha deciso di darmi un po' di tregua. Sento l'inconfondibile passo da ex percussionista di mio padre guadagnare i gradini delle scale e mi alzo di scatto per evitare che mi becchi ancora nel letto, se c'è una cosa che detesta è la pigrizia. Forse solo un tantino meno di un figlio che rientra a casa a notte fonda completamente andato.
Agguanto al volo una maglietta pulita e mi pizzico le guance pregando di sloggiare il verdognolo cadaverico post sbronza.
«Ah sei qui, ben svegliato» esordisce comparendo sulla soglia.
A giudicare dal tono di voce non dev'essere nemmeno esageratamente incazzato, il che dovrebbe essere un bene ma in questo caso può significare solo una cosa: brutte notizie per il sottoscritto. La classica tecnica "Questa te la faccio passare, tanto tra un po' avrai preferito che ti prendessi a calci".
«Mi dispiace per ieri sera, non succederà più» giuro e spergiuro, a onor del vero non sono nemmeno il tipo.
«Lo so, mi fido di te, e poi mi sono già raccomandato con Archie».
Eh beh, se si è raccomandato con Archie... mi chiedo quale sia il massimo livello di pulsione omicida accumulabile nei confronti di una sola persona.
«Comunque mettiti seduto» si accomoda sulla sedia della scrivania e mi indica il punto del letto immediatamente davanti a lui «ti devo parlare di una cosa».
Lo assecondo e mi siedo, ma per la prima volta vorrei essere all'oscuro di tutto, se tanto mi dà tanto sta per intavolare un discorso che non mi piacerà per niente.
«Ho incontrato tua madre stamattina» dritto al punto senza usare mezzi termini «Tom sta seguendo un lavoro in città, la ristrutturazione di una palazzina credo, e lei ha deciso di restare qui fino alla fine dell'anno. Si sono sistemati nella vecchia casa di tua nonna e... vorrebbe passare un po' di tempo con te».
Ah... questa è bella. Questa è proprio bella.
Che gran faccia tosta.
Non solo si eclissa per anni, infila una bugia dietro l'altra e mi riserva il gran finale per il suo matrimonio, adesso passa pure da mio padre per arrivare a me. Troppo comodo.
Poi se c'è una cosa che odio è proprio questa, dopo tutti i casini che gli ha combinato in passato dovrebbe come minimo tenerlo fuori, invece si ostina a chiedere il suo benestare, e lui è sempre troppo un signore per mandarla al diavolo come meriterebbe.
«Non ti dà fastidio? Va tutto bene per te? Il fatto che ricompaia così, di punto in bianco» domando, cauto.
«Che sciocchezza, Finn non sono un ragazzino e tua madre non è un demonio, non ho nessun problema né a vederla né a parlarci. E ormai non dovresti nemmeno tu».
«Su questo avrei qualcosa da ridire visto che...».
«E sbagli» mi interrompe con fermezza «quello che è stato è stato, ormai non si può cambiare, ma piantala con questa cocciutaggine e comportati da adulto quale sei. Sono stufo di sorbirmi lamentele e malumori, capisco le tue ragioni e quando eri un ragazzino ti ho appoggiato, ma adesso basta, se vuoi essere trattato da persona matura dimostra di esserlo e recupera un rapporto con tua madre. Anche i genitori possono sbagliare, quando lo sarai anche tu ne riparleremo».
Mia madre gli ha fatto il lavaggio del cervello.
Maturità? Ma di chi parla? Di me o di lei?
«Quindi fammi capire» stringo le mani a pugno sul bordo del letto per reprimere le tonnellate di rabbia accumulate dopo ogni singola parola del suo discorso «lei non si fa viva e devo farmelo andare bene, però se le gira e torna devo tenermi pronto. È questo? Perché non è così che funziona, papà. Tu la chiami maturità, io buonsenso, ho provato a fare un passo verso di lei e hai visto anche tu com'è andata, non è cambiata di una virgola e io non mi fido».
Mi osserva scuotendo la testa, da quando non siamo più una squadra?
Quand'è che è passato al nemico?
«Non è un gioco a chi tiene di più il punto, Finn, qui non vince il più forte ma ci perdete tutti e due. Una possibilità» dice allargando le braccia «non ti chiede altro, poi vada come vada. Ora che è qui provaci, no? Ha voluto parlare prima con me per sapere cosa ne pensassi, e come ho detto a te per me non c'è il minimo problema».
Cerca di apparire sereno ma io so quanto gli costa patteggiare per mia madre, Dio, la detesto anche per questo, sarei tentato di accettare solo per toglierlo d'impiccio ma con questo stato d'animo come faccio? Solo pensare a me e lei nella stessa stanza mi mette di pessimo umore, l'ultima cosa che voglio è buttarmi nell'ennesimo litigio, che altro abbiamo da dirci che non ci siamo già detti? Abbiamo posizioni incompatibili e due caratteri completamente diversi, forse arriva il momento in cui bisogna semplicemente accettare la realtà e mollare il colpo.
«Vado a fare una corsa» dico alzandomi di scatto.
«Sei cocciuto come lei» borbotta «almeno promettimi che ci penserai».
«Ok» rispondo, secco.
«E... Finn...» si alza anche lui e mi poggia una mano sulla spalla «la prossima volta che torni a casa conciato come ieri sera ti taglio le gambe, intesi?».
Ops, quindi prima era tutta una finta... non mi lascia nemmeno rispondere, stringe la presa sulla mia spalla poi sparisce giù per le scale.
Intesi, papà, e... scusami per il resto.

Esco di casa pochi minuti dopo allungando il passo in direzione del parco.
L'aria di Dicembre è gelida e il cielo completamente invaso da nuvole bianchissime, «la prima neve» mormoro aspettandomi di vederla cadere da un momento all'altro.
Mi è sempre piaciuta la corsa scarica i nervi, con me funziona sempre, una falcata dopo l'altra, il battito del cuore accelerato ma regolare, il vento sul viso, e il silenzio del parco interrotto solo da qualche uccellaccio dispettoso o le partitelle al campetto di calcio. Mi svuota completamente il cervello dalla confusione e allenta la tensione trasformandola in pura energia.
È un atto di liberazione perfetto e... beh, mi ha aiutato a gestire il periodo più complicato della mia vita.
I primi tempi in cui mia madre se n'era andata avevo accumulato così tanto astio da farmi scattare come una molla di continuo, mi comportavo da vigliacco inferocito prendendomela con chiunque pur di non guardare in faccia il vero problema.
Ero arrabbiato per principio, ce l'avevo con i miei per avermi incasinato la vita, con me stesso perché combinavo una stronzata dietro l'altra facendoli litigare ancora di più, e con il resto del mondo perché, ne ero certo, se la passava sicuramente meglio di me.
Mio padre non sapeva più come prendermi, a scuola lo conoscevano tutti ormai, insegnanti e genitori, chiedeva consigli anche ai passanti sulla gestione di un figlio problematico in casa.
Poi un giorno qualcosa è cambiato... Archie, o Santo Protettore delle teste calde come lo chiamava mio padre, aveva deciso che era ora di finirla, era stufo di sopportare i miei sbalzi d'umore e giustificarmi con tutti, dopo l'ennesimo scontro a scuola era passato da casa pregando mio padre di lasciarmi uscire, «ci penso io a raddrizzare il suo caratteraccio» aveva detto. Il povero Cristo si era fidato, d'altronde le aveva provate tutte, così avevo finito con l'essere trascinato al parco dal mio migliore amico sul piede di guerra.
E mi aveva letteralmente sfiancato.
Voleva farmi correre, il genio, tutta qui la sua cura miracolosa «l'ho letto in un interessantissimo libro sul disagio psicologico, quella gente sa quello che dice fidati» mi aveva spiegato.
Io l'avevo assecondato, più per farlo tacere che altro, e perché tutto sarebbe stato meglio di restarmene a casa in punizione, invece passo dopo passo avevo cominciato a sentirmi meglio sul serio.
Cavolo, ora che ci penso Archie era fastidiosamente saggio anche da ragazzino, sicuramente mio padre ha iniziato a vederlo come una Manna dal cielo proprio allora.
Comunque alla fine della giornata ero tornato a casa distrutto ma di buonumore, e un giorno dopo l'altro avevo ripetuto quella specie di rituale come se ne andasse della mia sanità mentale. L'assurdo è che funzionava, funzionava davvero, ed è così che era arrivata poco tempo dopo anche la passione per il calcio.
Gli allenamenti, l'attività fisica, lo spirito di squadra mi avevano dato una valvola di sfoga alternativa e fatto capire che potevo impiegare tutta quell'energia distruttiva in qualcosa di buono.
Nonostante siano passati degli anni è la cosa che mi fa sentire meglio ancora adesso, soprattutto quando ho un gran casino nella testa come ora.
Una possibilità, ha detto mio padre, dovrei dare a mia madre una possibilità...
Se avesse avuto idea di cosa abbia significato per me il viaggio a Leeds non me l'avrebbe mai chiesto, ne sono certo, senza Rae al mio fianco non so proprio come sarei potuto uscirne, se, ne fossi uscito. L'ennesima delusione, sai che novità, eppure mi ha distrutto esattamente come la prima.
Ma stavolta avevo Rae, la sua semplice presenza silenziosa, la tenerezza degli abbracci, mi ha fatto sentire meno solo, averla accanto in quei momenti è stato il regalo più grande che potesse farmi.
E adesso non so nemmeno dove diavolo sia...
Serro i pugni e aumento il passo sperando di lasciare sulla strada anche i pensieri, ma è del tutto inutile, rimangono attaccati a mente e stomaco senza darmi tregua rimbombandomi perfino nelle orecchie.
L'ho combinata grossa stavolta, inventarmi la storia con Elle è stata una delle trovate più ridicole che potessi avere, ma che altro potevo fare?
Mi è venuto di getto, sono andato da lei per chiarire, per spiegarle che non me ne sarebbe mai fregato niente della persona a prova di difetto che le avevo descritto nel pomeriggio, poi però l'ho vista in partenza con la borsa già pronta e non ci ho capito più niente.
Non ho nemmeno tentato di ragionare stavolta, ero letteralmente furioso volevo solo ferirla, avevo già dovuto mandare giù le assurdità di qualche ora prima, il discorso su Olivia ed Elle, beccarla anche in fuga è stata l'ultima goccia.
Dio, quella ragazza mi ucciderà è peggio di un rompicapo, ormai sono giunto alla conclusione che non la capirò mai, le avevo appena messo un regalo tra le mani e pensava volessi annunciarle la mia nuova ragazza, dico, è o non è un ragionamento fuori dal mondo? Se non mi avesse riguardato direttamente sarei scoppiato a riderle in faccia, che razza di meccanismo contorto partorisce un'idea simile?
Dovrei lasciarla perdere, altroché, ma vallo a spiegare al muscolo disgraziato che pompa sangue anche adesso nel petto.
Ha appena mandato all'aria anche il concetto di corsa senza pensieri, proprio tipico di lei.

Chloe Harris a ore 12.
In linea d'aria sto per sbatterle contro, in pratica.
Stavo tornando dal parco quando ho intravisto la sua "discreta" giacca blu elettrico ancheggiare lentamente sul mio stesso marciapiede, l'ho tenuta d'occhio qualche minuto senza avvicinarmi troppo, preda, forse, di uno strano istinto suicida visto che ultimamente non mi sopporta, ma adesso si è fermata.
Sembra completamente assorta, è intenta a studiare fin nei minimi dettagli una vetrinetta che trabocca decorazioni natalizie e lucine, e il suo riflesso, naturalmente... Regali in vista?
Non sono molto sicuro sul da farsi, per la storia di Rae ormai mi odia a prescindere perché teme possa andarsene di nuovo a causa mia, quindi forse sarebbe saggio girarle a largo e prendere un'altra direzione, però... del resto... è anche vero che potrebbe avere qualche informazione su Rae e sarebbe stupido da parte mia farsi sfuggire l'occasione.
Il tutto sta proprio qui, in una semplicissima domanda: vuoi tu avere notizie di... oh, al diavolo, certo che ne voglio.
«Ciao Chloe» non indugio oltre sbucandole a fianco.
Si volta di scatto presa in contropiede, scruta prima il mio riflesso sulla vetrina e poi me «ciao straniero» mi sorride notando l'abbigliamento sportivo «torni dal parco?».
«Già».
«Con questo freddo proprio non ti invidio» ridacchia stringendosi nelle spalle.
Chissà se è tutto un bluff o non ha davvero intenti bellicosi nei miei confronti, è rilassata e quasi felice di vedermi, può essere?
«Vieni» esclama prendendomi sottobraccio «ti accompagno per un tratto di strada, è una vita che non facciamo quattro chiacchiere. Però...» sorride indicando la pelle d'oca sulle mie braccia «non voglio essere responsabile di un malanno certo, quindi muoviamoci così non prendi freddo».
Questa sì che è una sorpresa, non solo mi ha salutato civilmente ma si preoccupa anche della mia salute... dov'è la fregatura?
Passeggiamo lentamente uno di fianco all'altra, di tanto in tanto mi lancia occhiatine maliziose trattenendo a stento un risolino «che c'è?» mi decido a chiederle.
«Scusa, è che hai una pessima cera» ammette in una sonora risata «immagino che la seratina di ieri abbia dato i suoi frutti. Ben ti sta Rodolfo Valentino, così impari a fare il cascamorto con un'altra davanti alla tua ex».
Cascamorto con un'altra davanti alla mia ex...? Ma cosa...?
Mi congelo sul posto a un passo da lei, allibito e con un presagio di sventura, non è tanto la questione del cascamorto il punto, ma il resto.
Cosa c'entra Rae con ieri sera?
Non era neanche in città... o no?
«Dai, non fare quella faccia, non sono arrabbiata se è questo che pensi» mi studia il viso cercando la conferma ai suoi sospetti «certo, avresti anche potuto avere un briciolo di delicatezza in più visto che sai benissimo che lei tiene ancora a te. Oltretutto ero sicura che il viaggio che avete fatto insieme vi avesse riavvicinati, ma Rae mi ha spiegato che l'avevi avvisata su Elle quindi se va bene a lei...» lascia in sospeso la frase cogliendo la mia perplessità.
«Finn, ti senti bene? Sei pallido».
Pallido? È un miracolo che sia rimasto in piedi, di che cazzo sta parlando?
Mi frullano per la testa le parole del Brucaliffo: Cooosaaa esser tuuu? Ecco, devo avere a grandi linee la stessa, identica espressione adesso.
«Chloe non... non ti seguo» balbetto dopo essermi ripreso appena «Rae cosa c'entra con ieri sera? E a cosa ti riferisci quando tiri in ballo Elle?».
Mi fissa negli occhi come se le avessi appena chiesto di dare alle fiamme il suo intero guardaroba «stai scherzando?».
Magari...
«No, è che potrei avere i ricordi un po' annebbiati» ammetto fintamente imbarazzato «non mi sembrava ci foste anche voi due».
Se così fosse me lo ricorderei eccome, non c'è possibilità che mi sia sfuggito un dettaglio simile.
«Ora capisco» incrocia le braccia al petto, divertita «beh, in effetti è così. Quando Archie mi ha invitata a uscire ieri sera non ne avevo nessuna voglia, poi però mi ha chiamata Rae e ho pensato subito di raggiungervi al Pub. Durante il tragitto mi ha raccontato della vostra discussione, del fatto che le avessi parlato della tua nuova storia con Elle e...».
La interrompo, basito, e allungo un braccio sulla sua spalla scuotendo la testa, qui il problema è all'origine «ma Rae non era partita? Ieri pomeriggio quando sono andato da lei l'ho trovata sulla porta di casa pronta a un viaggio da qualche parte...» non l'ho mica sognato.
Chloe sposta gli occhi dalla mia mano a me e viceversa «sì, cioè... no» borbotta «non è partita, ma so che aveva intenzione di farlo. Però non mi ha spiegato niente in proposito e io ho evitato di farle domande, sai com'è fatta».
Incomprensibile, irragionevole e folle? Sì, ne ho una vaga idea..
«Comunque siamo arrivate al Pub e abbiamo visto te, Archie ed Elle seduti al tavolo, ci siamo fermate un paio di minuti al bancone per le ordinazioni ma... ecco...» si blocca, in difficoltà, ma con un cenno della testa la sprono ad andare avanti «insomma, quando ti abbiamo visto baciare Elle abbiamo pensato che non sarebbe stato il caso di raggiungervi. Rae era tranquilla, almeno all'apparenza, ma ha voluto evitare una situazione che sarebbe stata imbarazzante per entrambi, così siamo uscite e mi ha invitata a dormire da lei».
Il discorso non fa una piega, ma la mia attenzione è svanita del tutto dopo le parole "baciato" e "Elle".
Com'è che ha detto stamattina? Non è successo niente di eclatante, Finn, sù con la vita... come no, forse però ha omesso giusto un paio di cosette.
E quel Giuda Iscariota del mio migliore amico non è da meno.
Ho baciato Elle davanti a Rae? Ma perché diamine non mi ha fermato? E perché non me l'ha detto?
Posso solo immaginare cos'abbia provato Rae... fantastico, davvero perfetto, la stronzata finale di una serata senza senso. Come minimo avrà messo una bella croce sopra al mio nome, in pratica ho messo in scena il copione scritto e sceneggiato da lei.
D'altronde me l'ha detto, è quello che faccio sempre, no? Fuori una avanti l'altra come pezzi interscambiabili, ora come ora è come se le avessi dato pienamente ragione, che idiota.
«Perché ho come l'impressione di averti appena detto qualcosa che non ti aspettavi?» Chloe si intromette nelle mie considerazioni, in effetti da fuori con le mani tra i capelli e lo sguardo perso devo essere proprio un bello spettacolo.
Mi sforzo di fabbricarle il sorriso migliore che posso e la distanzio di pochi passi «no, figurati, è che devo proprio andarmi a cambiare perché sto morendo di freddo. Ci vediamo, Chloe» la saluto senza preoccuparmi della sua risposta.
Ma lei non è del mio stesso avviso purtroppo e mi riacciuffa per un braccio «aspetta... domani vieni a lezione?».
Lezione, come se me ne fregasse qualcosa adesso «non lo so, credo di no, forse» borbotto impaziente di andarmene.
«Beh... nonostante le cose tra voi siano cambiate ci tieni ancora a lei, giusto? Rae domani avrà bisogno di tutto il sostegno possibile, lo sai».
Lo so? Veramente no.
A quelle parole comunque guadagna di nuovo tutta la mia attenzione... domani? Cosa deve succedere domani? «sostegno per cosa?».
«Per... sul serio non lo sai?» è incredula, e davanti alla mia confusione scuote la testa sospirando «Rae ha deciso di tornare al College a tutti gli effetti, domani sarà il suo primo giorno e anche se non l'ha chiesto apertamente a nessuno sono sicura che le farebbe molto piacere averci intorno».
Ok, siamo già al punto in cui vengo a sapere dalle amiche le cose importanti che la riguardano, sono shockato, deluso e... triste. Perché io voglio esserci per lei, sempre, non esiste che mi tenga fuori.
Annuisco appena incapace di proseguire la conversazione e mi allontano una volta per tutte da una Chloe visibilmente perplessa.
La situazione è ancora più complicata di quanto avessi immaginato, ma di fondo è tutto un enorme, gigantesco malinteso di cui sono l'unico artefice.
Come ho fatto a cacciarmi in questo casino? E a buttarci dentro Rae, tra l'altro... è vero che ha detto delle cose fuori dal mondo ieri ma sono niente paragonate a questo.
Adesso come ne esco? Vado da lei e le spiego tutto? Ha senso? Chloe ha detto che era serena quando mi ha visto con Elle ma potrebbe aver mascherare tutto... Se invece stesse davvero meglio senza di me? Forse sarebbe giusto per entrambi prendere le distanze, però... io di sicuro non sto meglio senza di lei, anzi. E non voglio questo, non lo voglio per niente.
Rientro a casa più teso di quando ne sono uscito, l'unico programma che ho è spogliarmi e annegare sotto la doccia. Domattina quando, spero, la situazione sarà più chiara prima ucciderò a mani nude Archie e poi penserò al resto.
E di sicuro andrò al College.

* * * * * * *



Non sono bastate una serata a casa e la notte insonne a chiarirmi le idee... su nessun fronte.
Parlare di nuovo con mia madre è escluso, continua a sembrarmi una fatica inutile, un atto di masochismo puro e semplice visto che le nostre posizioni sono e resteranno inconciliabili, Rae invece... beh, rimane la destinazione finale di un labirinto.
Con lei imbocco una strada sbagliata dopo l'altra e continuo a perdermi dietro scelte che non hanno il minimo senso, mi manca la visione d'insieme, e anche quando per un raro colpo di fortuna la raggiungo non riusciamo comunque ad uscirne insieme.
Mi sono svegliato all'alba oggi, anche se "svegliato" non è il termine adatto per uno che non ha chiuso occhio tutta la notte, e al momento l'aria ghiacciata del mattino è l'unico alleato che mi permette di non ciondolare per strada. La voglia di andare a lezione è sotto i minimi storici, ma dare una mano a Rae in un momento così delicato è un motivo più che valido per imboccare un passo dopo l'altro fino al College. Certo, se le cose tra noi non fossero così complicate ora come ora sarebbe meglio, prima o poi dovremo parlare di quello che è successo e non so proprio come spiegarle la situazione. In ogni caso, una cosa per volta...
Naturalmente sono il primo ad arrivare, o almeno così credo dopo essermi guardato rapidamente intorno, mi appoggio al lato destro del cancello con una gamba piegata sul muro e mi godo i primi raggi del sole della giornata. C'è già un discreto via vai di studenti mattinieri, ma quando i miei occhi toccano l'entrata dell'edificio si bloccano di colpo, increduli.
Rae è già lì, a metà strada tra me e la nostra destinazione, che osserva la porta a vetri riluttante e con i piedi inchiodati a terra.
Adesso che faccio?
L'istinto mi imporrebbe di raggiungerla subito, ma se a quest'ora è già qui significa che vuole farcela da sola. D'altronde la forza non le manca, se vuole.
La seguo con lo sguardo appiattendomi sul muro e sporgendomi appena dal cancello dove anche volendo non potrebbe vedermi... sono più agitato di lei.
«Puoi farcela Rae, coraggio, mancano solo pochi metri, un passo dopo l'altro...» la incito a distanza senza staccarle gli occhi di dosso. Vorrei che potesse sentirmi...
«Finn? Perché sei appostato qua fuori come un maniaco?» spunta Archie alle mie spalle intercettando la mia attenzione «quella non è Rae?».
Il solito maledettissimo guastafeste «shhhhh» gli intimo «certo che è lei, ma sta' zitto non voglio che si accorga di noi, è giusto che ce la faccia da sola».
«Buona idea» ribatte, sornione.
«E togliti quel sorrisetto dalla faccia che con te facciamo i conti più tardi» aggiungo.
Non avrà mica creduto che avessi dimenticato la serata al Pub? Illuso.
Annuisce divertito, e imita la mia posizione affiancandomi dietro al cancello come un geco. Seguiamo entrambi i progressi di Rae con attenzione... effettivamente a un occhio esterno non facciamo una gran figura però...
Nel frattempo lei continua a guardare la porta come ipnotizzata dal suo riflesso, ma dopo una manciata di minuti si riscuote e comincia a gesticolare parlottando tra sé e sé. Non posso fare a meno di sorridere vedendola così impacciata e indifesa, quell'atteggiamento è proprio tipico di lei, ma finalmente prende a camminare lentamente... mooolto lentamente.
«Ragazzi... ma che fate?».
Cos'è, una congiura? Un'assemblea studentesca all'aperto di cui non mi avevano avvisato?
Chloe compare alle nostre spalle facendo sobbalzare entrambi e ci fissa perplessa.
«Stiamo spiando Rae che cerca di entrare» sibila Archie da buon complottatore indicandogliela con un dito.
«Non faremmo prima ad andare direttamente da...?».
«No» la interrompo con una nota di acidità più marcata di quanto avessi voluto «deve fare questa cosa da sola, fidati, andrà bene» ne sono più che sicuro.
Mi guarda ancora piuttosto confusa, ma sono quasi certo che la colpa sia tutta di Archie che incollato al muro con i palmi spalancati ha tutto l'aspetto di un pazzo psicopatico in libera uscita, o di un pazzo psicopatico in libera uscita che si è appena spiaccicato sul muro.
«E va bene» capitola Chloe «ma siete inquietanti. Anche se... Finn, è molto carino da parte tua».
Evito di guardarla e anche di rispondere, perché se è che vero che da una parte sono concentrato ad osservare Rae dall'altra sono anche imbarazzato da morire.
L'oggetto delle nostre attenzioni intanto si avvicina sempre di più al traguardo, ma quando mancano solo pochi metri un «oh-oh» di Chloe non lascia presagire niente di buono.
«C'è Stacey la Barbie» allerta stritolandomi una manica della giacca, è completamente nel panico «sta andando proprio da lei!».
Merda...

Seguo la testa bionda di Stacey che si fa largo verso la porta d'ingresso con ampie falcate, di sicuro non posso sperare nella sua buona fede, non sono così ingenuo, so benissimo che non c'è una sola possibilità al mondo che arrivi da Rae senza aggredirla.
In qualche modo ora bisogna intervenire, e dobbiamo anche farlo nel modo meno invasivo possibile, non voglio che Rae se ne accorga e non voglio che si faccia condizionare da una persona che non vale un briciolo dei suoi sforzi.
«Chloe, Archie, voi andate da Rae e accompagnatela dentro, io penso a Stacey» mi rivolgo al Gatto e la Volpe un attimo prima di lasciarli.
Senza perdere tempo corro verso Stacey e l'afferro per un braccio, non ho la più pallida idea di cosa inventarmi ma tanto l'unica cosa che conta è rallentarla un po'. Improvviserò.
«Ma cosa...» si volta verso di me, confusa «Finn... cosa vuoi?».
Buio totale.
«Co... come va?» cerco negli angoli della memoria un argomento che possa ancora condividere con lei, e incredibilmente lo trovo «non sei venuta con i tuoi al matrimonio di mia madre... come mai? Va tutto bene?» provo a fingere un minimo di interesse.
«Io... sì, tutto ok» mormora colta di sorpresa, mi studia incuriosita mentre io seguo Rae alle sue spalle appena raggiunta dagli altri.
Parlottano tra loro pochi secondi e finalmente colmano la distanza che li separa dalla salvezza, almeno per il momento.
Rae sorride e io non posso fare a meno di sciogliermi in un enorme sospiro di sollievo. Sarebbe una vittoria perfetta se Stacey non se ne fosse accorta, ma è con una persona abituata ai complotti che sto parlando e il mio gesto non le è sfuggito. Una volta intuite le mie intenzioni segue a sua volta l'allegro terzetto e torna a guardarmi infastidita.
«Sei banale Finn, io non ti capirò mai, giuro» ironizza «perché perdi ancora tempo con quel caso disperato?».
Devo ricordarmi di restare calmo e ignorarla il più possibile «e tu perché non la pianti una buona volta di metterti in mezzo e complicarle la vita?».
Ride, la sua classica risatina stridula «credimi, l'effetto che ho su di lei non mi interessa affatto, mi piace solo l'idea di rimetterla al suo posto. Comunque adesso non state più insieme, no? Quindi perché ti dai tanta pena per lei?».
«Quello che c'è o non c'è tra di noi non è affar tuo, rimane in ogni caso una persona di cui mi importa» ribatto sorpassandola, ho perso anche troppo tempo.
«Peccato...» trilla nella mia direzione «sprecare tante energie per una ragazza senza un briciolo di personalità».
Evito di risponderle, di girarmi e di darle più attenzioni di quanto abbia già fatto. Personalià... una parola che in bocca a lei perde completamente di valore.
Rae ha un'enorme personalità, una personalità che cammina a testa alta anche quando lei abbassa gli occhi.

Arrivo nella mia aula pochi minuti dopo e trovo un posto libero proprio accanto ad Archie che si sbraccia per farsi notare.
«Sei stato grande con Stacey» si complimenta mollandomi una pacca sulla spalla «sei l'unico a cui dà retta almeno un pochino, se ci fossi andato io avrebbe fatto finta di non sentirmi, probabilmente perché le interessa quello che pensi di lei».
Capirai, che grande onore «se è così deve sperare che non glielo dica mai».
Non mi interessa più un fico secco di lei, anzi, per dirla tutta certe volte mi domando come diamine abbia fatto a starci insieme in passato. O ero idiota io o meno stronza lei, e quest'ultima cosa è molto poco probabile, in ogni caso il capitolo è chiuso e archiviato. Se Rae non avesse avuto bisogno di una mano non mi sarebbe mai passato per la testa l'idea di scambiarci due parole.
Ma al momento il mio interesse va a tutt'altro soggetto.
Approfitto del ritardo del professore per fare quattro chiacchiere con il mio malefico, subdolo migliore amico.
«Quindi l'altra sera ho baciato Elle» parto dall'ovvio.
Archie mi squadra un tantino in pensiero, e fa bene, benissimo «già» ribatte, sulle spine.
«E tu ovviamente mi hai lasciato fare» rilancio.
«Ovviamente...».
«Lo sai che ci hanno visto anche Rae e Chloe?» domando. Spalanca gli occhi senza articolare una risposta, questa non se l'aspettava «proprio così» lo incalzo «sono passate al Pub anche loro beccandoci proprio in quel momento. Ora, tu avevi capito benissimo che quando ho detto che stavamo insieme non era vero, quindi te lo richiedo: perché mi hai lasciato fare?».
Incrocio le braccia al petto in attesa di una risposta che non si fa aspettare «non avevo idea che sarebbero passate, giuro» tentenna «non ti ho fermato perché... perché l'altra parte in causa sembrava molto a suo agio con te, ecco» ammette arrossendo.
Questa è proprio l'ultima delle assurdità che volevo sentire, comincio seriamente a passare in esame tutti gli oggetti contundenti a portata di mano con cui potrei torturare, bucare o comunque ferire questa serpe in seno che mi sono scelto.
«Ma che diavolo dici? Io ed Elle siamo solo amici... A-MI-CI» scandisco bene l'ultima parola.
«Tu forse sei suo amico» insinua «lei no di certo. Se ne sono accorti anche i muri, Finn. I-MU-RI» mi imita.
Impossibile, assolutamente impossibile, se Elle si fosse invaghita del sottoscritto me ne sarei accorto... credo.
«Piuttosto...» prende di nuovo la parola la iena con le sembianze da cucciolo di foca «spiegami perché hai raccontato a Rae quella scemenza su voi due. Perché le hai fatto credere che stai con Elle? È una reazione un tantino esagerata anche per un post litigio».
Bella domanda, me lo sono chiesto anch'io un mucchio di volte da quando è successo, ma non c'è stata una logica, è questo il problema, pensavo sarebbe scappata chissà dove un'altra volta e ho straparlato, tutto qui. Ho colpito là dove sapevo che sarei andato a segno.
«Le ho dato il peggio di me, Arch» ammetto con una scrollata di spalle «Rae si aspetta sempre questo da me e sembra quasi che ci rimanga male quando non arriva. L'ho accontentata, tutto qui. Non a caso come vedi ci ha creduto subito, non ha avuto il minimo dubbio. Sono le notizie positive quelle di cui si fida poco... soprattutto se ci sono di mezzo io».
Ed è la verità, è un aspetto di lei che mi manda in bestia, accoglie a braccia aperte ogni genere di terremoto come se non aspettasse altro, ma quando si tratta di essere felice per qualcosa di bello si chiude a riccio e parte con le paranoie.
«Mi dispiace» Archie mi osserva pensoso e dispiaciuto «è fatta così, ha un caratteraccio, ma, del resto... è in buona compagnia» aggiunge indicandomi mentre sfodera un sorrisetto urticante.
«Non sfidare la sorte Arch...».
Interrotto dall'arrivo del professore rimando le mie intenzioni bellicose a un altro momento, ti sei salvato... per ora.

* * * * * * *



In un'altra vita sono stato un falegname, non ho più dubbi.
Se c'è una cosa che il corso di teatro mi ha insegnato è che è sempre possibile avere un piano B, sul serio, mi sento veramente portato. E dirò di più, se fosse andato in scena Pinocchio il ruolo di Geppetto non me l'avrebbe tolto nessuno.
Una vita per le scenografie, sono io.

«Ahi!».
«Archie smettila di lamentarti! Era uno spillino microscopico, guarda».
«Uno spillino microscopico che mi ha perforato un gomito!».
«Ma non te l'ho nemmeno toccato, il gomito!».
«Perché non ce l'ho neanche più grazie a te!».


Una vocetta fastidiosa invade le quinte e mi trapana il cervello, seguita da un mormorio prossimo alla disperazione che tenta di placarla, sto per voltarmi per capire cosa stia succedendo stavolta ma alla fine ci rinuncio. Ormai questa sceneggiata va avanti da un'ora e non fa neanche più ridere.
«È la giustizia divina caro mio» gongolo fischiettando senza farmi sentire da nessuno, malcapitato a parte.
«Vieni tu a farti infilzare da questa pazza se ti diverte tanto!» replica Archie, stizzito.
La "pazza" in questione è Elle, e purtroppo per lei si è offerta con la Signora Patmore di dare un'occhiata ai costumi vantando doti da Regina del ricamo. Ma scommetto che se ne sta già pentendo, non aveva fatto i conti con quel lamentoso da combattimento con cui ha a che fare ora.
«Finn, per favore, non mettertici anche tu o stavolta lo strozzo!» impreca, prossima alla santità.
Strozzarlo, capirai che novità, io ci sto pensando da giorni «fai pure, senza complimenti».
Scoppio in una fragorosa risata sperando con tutto il cuore di irritarlo più del consentito, ma il fiorellino di campo non si scompone e mi risponde indirettamente per le rime «sai, Elle, il mestiere dell'attore certe volte è un lavoraccio, per memorizzare poche battute può volerci anche molto tempo, l'importante è avere tanta pazienza e dedizione, e una persona che ti ascolti e ti corregga. Non sai quante storie d'amore nascono in questo modo...».
Immaginavo che avrebbe giocato sporco tirando fuori questa storia, maledetto, è da quando siamo arrivati in teatro che non fa che asfissiarmi.
E la colpa è tutta di quel...
Di Liam...
Una spina nel fianco da quando è comparso la prima volta.
La Signora Patmore ha chiesto a Rae di imparare a memoria le sue battute per la prova generale di sabato, e quel bamboccio approfittatore naturalmente si è subito proposto di aiutarla. Sono spariti da tre quarti d'ora ormai senza lasciare traccia, considerato che le battute di Rae saranno al massimo una decina mi domando cosa caspita stiano facendo.
Archie neanche a dirlo se la ride sotto i baffi, il suo passatempo del pomeriggio è diventato sfottermi con una cantilena che ha definito Inno alla Gelosia, ha avuto addirittura la faccia tosta di musicarla. Ma non ho idea di cosa dica perché mi sono messo a martellare la scenografia prima che cominciasse a cantarla o lo avrei inseguito con la sparachiodi.
Ho negato, ovvio, con tutta la credibilità che sono riuscito a recuperare sotto l'indignazione di superficie, ma in fondo lo so che non ha completamente torto. Quei due passano fin troppo tempo insieme e lui si appiccica come la colla ogni volta che può. La cosa mi dà molto fastidio...
Oltretutto adesso lei pensa che stia con Elle quindi non voglio nemmeno provare a immaginare cosa potrebbe succedere tra loro.
All'ennesima provocazione mi volto verso Archie martello alla mano, e lo sguardo di Elle saetta esasperato dall'uno all'altro un paio di volte, finché non posa forbici e spille a terra e si dà per vinta «ok, time out, non vi sopporto più» allarga le braccia, sfinita «Archie finiamo dopo il tuo costume, devo mettere solo qualche punto a un paio di petali e sistemare la corolla. E tu Finn...» incrocia le braccia al petto con aria scocciata «veramente molto maturo da parte tua».
Vorrei risponderle «è tutta colpa di Liam!» ma finirei sul serio col fare la figura del ragazzino, quindi mi astengo da ogni commento tornando ai miei trucioli e pannelli. Peccato che i buoni propositi vengano integralmente fatti a pezzi dall'arrivo sul palco di Rae e... Liam, per l'appunto.
«Guarda come si divertono quei due, vanno proprio molto d'accordo, non ti pare?».
La seconda spina nel fianco, al secolo Archie, ricomincia a darmi il tormento.
«Piantala, ti ho già detto che non sono geloso».
«E io ci credo...» ridacchia scuotendo la testa.
«Davvero, non mi danno nessun fastidio, sono tranquillissimo» ribatto, e mi piacerebbe risultare credibile ma la mia voce è ridotta a un suono gutturale, sembra più il rantolo di un leone in agonia.
Inoltre ad osservarli qualche momento la situazione non migliora, si sorridono, scherzano, si toccano, lui la sfiora di continuo e lei non si sottrae.
Va bene, sono geloso, sono geloso marcio e il fatto che lei di tanto in tanto si volti nella mia direzione non mi consola. Anche perché in tutta la mattinata non ci siamo rivolti la parola nemmeno una volta, e appena è arrivata Elle lei è sparita. Non so se sia l'imbarazzo a farla da padrone o la delusione, la tensione, pensarmi con un'altra l'avrà di sicuro colpita in qualche modo, ma mi piacerebbe sapere come.
Mi vergogno come un ladro ad ammetterlo, ma ho anche abbracciato Elle un paio di volte per suscitare in Rae una reazione, meschino e stronzo, lo so, ma ogni volta che la vedo avvicinarsi al bamboccio mi viene spontaneo renderle pan per focaccia.
Sono un idiota, ha ragione Archie.

Nel giro di mezz'ora il teatro è caduto in un silenzio surreale.
Saremo almeno una ventina di persone qui dentro ma ognuno di noi è assorto nel suo lavoro e non si sente volare una mosca, persino Archie ha messo via lamentele e filastrocche, e adesso è rannicchiato su una delle poltroncine rosse della prima fila intento a scribacchiare qualcosa su un quaderno.
La mia opera sulle scenografie può dirsi conclusa per oggi, la tavola del Cappellaio Matto è pronta e il prossimo pannello conoscerà la sua destinazione ufficiale solo domani. Sono davvero soddisfatto del risultato, mi sembra giusto concedersi il lusso di una sigaretta.
Recupero il pacchetto dalla borsa e lancio un'ultima occhiata a Rea, è seduta a terra, sola, immersa nelle pagine del copione che sta leggendo mentre come al solito mangiucchia il tappino della penna con cui tiene il segno. Liam è andato via qualche minuto fa con buona pace del sottoscritto ed effettivamente si respira meglio, molto meglio, senza di lui. Raccolgo la giacca da terra e attraverso tutto il teatro fino all'uscita principale.
Fuori si gela, sono ancora le tre e mezza del pomeriggio ma fa già un feddo cane e il cielo promette una nevicata con i fiocchi da un momento all'altro, la prima boccata di fumo è un'ondata di calore che si propaga fin nelle ossa, un sollievo senza eguali.
«Ti dispiace se resto qui con te per un po'?»
Una Elle saltellante si materializza alle mie spalle, è coperta fin quasi sugli occhi da un'enorme sciarpa di lana rossa, dev'essere un colore che le piace particolarmente perché gliel'ho visto addosso spesso «certo che no».
Le faccio strada verso una delle panchine di pietra sistemate davanti al teatro e ci sediamo vicini, il silenzio che abbiamo lasciato all'interno ci ha seguiti anche fuori, è lei a romperlo per prima.
«Rae ti ha mai raccontato come ci siamo conosciute?»
Ahi.
Discorso spinoso, lei non può saperlo ma è stata proprio questa la miccia che ha dato il via al nostro ultimo litigio «non proprio... so che vi siete incontrate a Sleaford grazie a tua sorella ma non mi ha detto altro. In effetti...» tergiverso, amareggiato «ho saputo che ti conosceva solo la prima volta che sei venuta qui».
«Credo sia stata colpa mia se non te l'ha detto».
A quelle parole mi volto perplesso nella sua direzione. È sulle spine, in imbarazzo, tortura i bordi della sciarpa con le mani e guarda fisso un punto nel vuoto davanti a noi.
«Sì... oddio forse "colpa" non è la parola giusta, ma è sicuramente per qualcosa che le ho detto» gesticola massaggiandosi le tempie «io sono una gran chiacchierona, tu lo sai, e con lei mi sono trovata subito a mio agio. Ci sono stati i classici pettegolezzi tra donne e a un certo punto le ho confidato di essermi presa una bella cotta per qualcuno e...» prende fiato, e si morde un labbro come se volesse mettersi a tacere da sola «beh... quel qualcuno eri tu».
Quel qualcuno ero... io?
Sgancia la bomba guardandomi dritto negli occhi e arrossisce violentemente, Archie aveva ragione quindi e io non avevo capito un accidenti di niente.
Se avessi la parlantina sciolta di Rae adesso la riempirei di chiacchiere fino a stordirla, invece ammutolisco, sono sbalordito, mi ha preso del tutto in contropiede e ho il terrore di ferirla dicendo la cosa sbagliata.
Eppure... so che sarebbe davvero facile per me se condividessi i suoi stessi pensieri, solo che non è così, purtroppo. Elle è una ragazza speciale, ci tengo a lei, ma non è Rae.
«Io non so cosa...» balbetto, in difficoltà.
«No, non dire niente» allunga una mano sul mio ginocchio bloccando sul nascere il mio ridicolo tentativo di replica «tu mi piaci» ribadisce «mi sei piaciuto subito, in pratica da quando ci siamo conosciuti e facevi il finto antipatico. Avrei voluto dirtelo in un altro momento e in un altro contesto ma tanto non sarebbe cambiato niente. Però...» alza la testa e nei suoi occhi lucidi e imbarazzati compare una scintilla di malizia «... so riconoscere un caso perso quando la vedo. E tu, mio caro, lo sei».
E ti pareva che potevo cavarmela senza una stoccatina «un caso perso? Addirittura?».
«Eccome!» sussulta senza trattenere un risolino «ho visto come guardi Rae, i classici occhi da baccalà innamorato».
Mi assesta un paio di gomitate sui fianchi e ride di gusto storcendo le labbra nel tentativo di imitazione di un pesce. Beh, poco male, almeno la faccio ridere. Certo che non mi sarei mai aspettato di trovarmi in questa situazione, sì, io e lei abbiamo passato parecchio tempo insieme e ci siamo trovati subito in sintonia, ma io ho sempre avuto altro per la testa e credevo che lo stesso valesse per lei. Sono stato uno sciocco.
«Mi dispiace» e aggiungo mentalmente uno "scusami per non essermene reso conto prima".
«Non fa niente» sorride «non è colpa tua, sto bene, sul serio, non sono il tipo che si strugge inutilmente. Ci tengo a te ma sono felice anche di averti come amico e basta».
La fisso negli occhi alla ricerca di un'emozione che mi confermi quanto sta dicendo, spero davvero di non averla ferita, è un pensiero che mi fa imbestialire, Elle non se lo merita, non ha idea di quanto abbia significato per me la sua presenza finora.
Per fortuna sembra sincera, anche se interrompe il contatto visivo per prima portando la discussione su un altro terreno «Archie mi ha detto che Rae ha visto il nostro bacio...».
«Già» annuisco, dispiaciuto «perché non me l'hai detto la mattina dopo? Avresti dovuto.»
«Mi vergognavo da matti!» eplode arrossendo di nuovo «tu non eri in te... ma io sì... Comunque siamo pari» incrocia le braccia al petto con un sopracciglio alzato «io non ti ho detto del bacio, tu non mi hai detto che eri alla Clinica per vedere Rae».
Tipico, mai una volta che ne esca illeso «ecco...» borbotto.
«Lascia stare, non ce l'ho mai avuta con te per questo, posso capire perché non me l'hai detto e poi erano fatti tuoi. Oddio...» ci riflette su un momento «se me ne avessi parlato dopo, quando abbiamo cominciato a vederci tutti i giorni, forse le cose sarebbero andate diversamente, ma sono una Santa e ti perdono».
«Oh beh, grazie, Santa, ti perdono anch'io se prometti di bucare "casualmente" Archie con qualche spilla quando finirai il suo costume».
Al pensiero di lavorare ancora con Archie il suo buonumore vacilla per un momento, sono quasi convinto che stia prendendo in seria considerazione l'idea di ignorare la sua natura di Santa per una volta.
«Mh... se ne può parlare, mi sembra un buon compromesso» decreta pregustando il momento.
«Allora, andata».
Ci stringiamo la mano per sugellare il diabolico patto e l'intesa ritrovata, e sogghignamo entrambi con la mente al povero malcapitato.
Ed è proprio in quel momento che lo vedo... sulle nostre mani ancora intrecciate si posa delicatamente per poi sparire un attimo dopo il primo fiocco di neve.

* * * * * * *



Come si descrive la meraviglia?
Osservo sbalordito il batuffolino bianco che si è appena posato sulla mia mano, non è più una semplice gocciolina d'acqua ghiacciata per me, ma qualcosa di più simile al Sacro Graal, all'Arca dell'Alleanza o... il ricordo di un desidero.
Io e Rae abbiamo perso tanti momenti insieme da quando ci siamo conosciuti, e ci siamo impegnati a costruire mura altissime di malintesi su un mucchio di cose, ma ho sempre pensato che se ne avessi avuto la possibilità avrei voluto regalarle un momento di felicità da ricordare. Qualcosa che fosse speciale solo per noi.
Questo minuscolo riflesso di luce seguito a ruota da molti altri più grandi di lui per me è quella possibilità.
Alzo gli occhi al cielo per assicurarmi di non aver sognato niente, e appena avverto quei ticchettii gelidi e leggerissimi accarezzarmi la pelle mi allontano da Elle correndo verso il teatro.
La sua mano è ancora sospesa nell'aria quando mi vede scattare in piedi «ma cosa...?».
«Poi ti spiego!» le grido in risposta quando sono già lontano.
All'interno del teatro localizzo subito Archie, è ancora seduto esattamente dove l'ho lasciato e ciondola la testa da una parte all'altra seguendo un immaginario ritmo regolare, credo che si tratti di un'altra filastrocca appena inventata e che la stia canticchiando a mente proprio adesso. Mi fiondo su di lui in ogni caso, cercando di non farmi notare dagli altri «chiama Rae, dille di accompagnarti fuori per... non lo so, inventa un motivo qualsiasi».
Mi fissa come se fossi un invasato «come? Perché?».
Lo so, potrei farlo anche da solo, forse dovrei, ma non voglio imporle la mia presenza in un momento che ha desiderato per così tanto tempo, e poi non so nemmeno se è incazzata con me dopo quello che le ho detto l'ultima volta. No, va bene così, non condividerà questo momento con me ma lo farò io per tutti e due. L'importante è che non lo perda ancora una volta.
Archie può essere un buon compromesso dopotutto «fa' come ti dico, Arch! Una scusa qualunque, ma devi farlo adesso, subito!».
«E va bene, ok» sbraita lasciando la sua adorata postazione «però devo dirtelo, sei inquietante sul serio».
«Sì, beh, è la seconda volta che me lo dicono oggi, muoviti però».
Succede tutto in una manciata di secondi, Rae lo segue fuori dall'edificio, parlottano giusto il tempo di arrivare all'aria aperta ma appena si accorge dei fiocchi di neve si blocca all'istante, comincia a saltellare sul posto a mani giunte, lo abbraccia fortissimo e scappa via di corsa da qualche parte.
Ecco, la fuga non l'avevo prevista...
Mi lancio all'inseguimento distanziandola sempre di qualche metro in modo che non si accorga della mia presenza, ma quando attraversa la strada ed entra trafelata nell'edifico principale del College capisco subito dove vuole arrivare.
Il terrazzo... come ho fatto a non pensarci subito... l'esplosione delle nuvole...

«Mi dici perché ti piace tanto venire qua sopra? Lo sai che potremmo essere espulsi per questo?».
«Eddai Finn, non fare il guastafeste, mi piace qui perché siamo in alto e tutto arriva amplificato. Quando c'è il sole i raggi sembrano bollenti, la pioggia potrebbe aprirti il cervello e la neve... oddio, la neve dev'essere uno spettacolo vista da qui, l'esplosione delle nuvole!».

Rimango fermo a ridosso della porticina blu appena socchiusa che si affaccia all'esterno, per una volta spero tanto che le aspettative e la realtà coincidano perfettamente.
Rae allarga subito le braccia, spalanca gli occhi poi offre il viso al cielo per sentire i fiocchi di neve posarsi sulla pelle.
Ha le guance arrossate, le ciglia bagnate e l'espressione più incantata e felice che le abbia mai visto addosso, piroetta su se stessa e sorride. Sorride di continuo, come un bambino che scarta i regali sotto l'albero la mattina di Natale, come solo il potere della meraviglia sa fare.
Vorrei andare da lei, abbracciarla forte e dirle quanto mi manca stare insieme. Quando la guardo negli occhi non vedo più i malintesi, le nostre diversità, le sue follie, vedo solo il tempo che stiamo perdendo.

Lo vedi Rae, alla fine ti ho regalato la prima neve.
Pensa, mi fai diventare pure sentimentale, peggio di Archie. Troverò un modo per stare insieme, te lo prometto, tu pensi di avere bisogno di me ma sono io, tra i due, ad avere più bisogno di te.
Ho sbagliato, ora lo so, ho provato a dimenticarti e invece avrei dovuto solo ricordarti cosa stavamo lasciando per strada. Tu vedi di non lasciarmi di nuovo solo però, perché ogni volta che te ne vai ti porti dietro la parte migliore di me.

Con un passo indietro la lascio alla sua esplosione del cielo, le mie goccioline d'acqua ghiacciata... forse in fin dei conti aveva ragione lei.



Siccome sono sadica... NOTE!
Dunque, POV di Finn... mi viene abbastanza da ridere se penso di averlo finito sul serio, un paio di giorni fa non ci avrei mai scommesso, è stata veramente una sfida.
Non so quanto sia riuscita a renderlo credibile ma di sicuro ci ho provato, mentre scrivevo mi sono ripetuta più volte che dopotutto non sarei mai potuta incappare in un vero e proprio out of character, semplicemente perché quello di Finn è un personaggio molto poco approfondito. Non ho avuto un vero termine di paragone, non hanno mai realizzato nella serie una puntata raccontata dal suo punto di vista come invece è successo con Chloe nella seconda stagione (un vero peccato, tra l'altro). Perciò mi sono arrangiata, mi auguro vi sia piaciuto... o almeno che non vi abbia fatto schifo, ecco.
E niente, di POV come questo ce ne sarà un altro prima della fine della storia, avrei voluto condensare tutto in questo ma non ce l'ho fatta, sarebbe venuto lungo in modo imbarazzante. Spero di aver chiarito un pochino il suo modo di pensare, come avete potuto leggere Rae non è mai comparsa in prima persona con lui, ma alla fine è presente quasi in ogni discorso affrontato quindi dubito abbiate sentito troppo la sua mancanza.

Non vi illudete però, la riconciliazione non è ancora così vicina e nel prossimo capitolo ci sarà ancora qualche disguido tra i due. Ma abbiate fede.
Elle continuerà ad esserci, ma come potete immaginare il suo ruolo sarà un tantino diverso d'ora in poi... ditemi, la odiate ancora?

Prima di congedarmi due cosine importanti:
1) I capitoli saranno 14. Quindi ne mancano solo 4, non ho ancora deciso se saranno 3+ l epilogo, magari a distanza di qualche anno, oppure proprio 4 continuando a seguire il filo narrativo della storia fin dove arriverò, lasciando ai posteri il destino di questi ragazzi (al momento sono molto più per questa seconda ipotesi. Ciò non significa che dovete prepararvi a un finale aperto, assolutamente no, ma spesso c'è questa tendenza di guardare oltre e accasare/ammogliare/moltiplicare i protagonisti delle storie, ecco, l'idea non mi fa impazzire francamente. Sono più per portare i personaggi fino a una determinata svolta e lasciar perdere matrimoni e roba del genere. Non è ancora detta l'ultima parola ma al momento la penso così.).
2) Mi sono capitati diverse volte commenti o messaggi di persone che mi chiedono di finire la storia, di non lasciarla incompleta e quant'altro. Bene, volevo rassicurare che con me questa cosa non succederà. Prima ancora di dedicarmi alla scrittura sono un'accanita lettrice, e quando mi affeziono a una storia che viene abbandonata ci resto malissimo. Quindi non farò, mai, quel tipo di scelta.

Penso di avervi ammorbato abbastanza quindi vi saluto e ci rivediamo al prossimo capitolo :)

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Capitolo 11
*** Sogni ***



Capitolo 11: Sogni

Stamford - 6/7 Dicembre



Come può un gesto caldo e spontaneo come un bacio, un fottutissimo singolo bacio vissuto da spettatrice, avere effetti così devastanti sull'equilibrio emotivo di una persona tale da congelarne l'anima?
Dieci minuti, soltanto dieci maledettissimi minuti di euforia mi ha concesso la carezza silenziosa della neve sulla pelle prima di sprofondare di nuovo nel baratro. Nemmeno il tempo di lanciarmi goffamente in un paio di piroette, alzare gli occhi al cielo provando a confodermi tra le nuvole, e il suo viso è ancora lì, dentro di me. Con lui il familiare nodo allo stomaco e il fiato corto a confermarmi che non è cambiato niente, che l'ho perso davvero stavolta, che quel bacio dato ad una persona che non sono io, Elle, non è più solo il frutto di un'orrenda fantasia distruttiva. Ma è reale, come me, come lui, come il legame che abbiamo perso.
Finn... ormai non penso ad altro da ieri, a volte il suo nome mi rimbomba così forte nella mente che ho quasi paura che qualcuno all'esterno possa sentirlo. Sono stata un'ingenua a pensare che la rabbia del momento, da sola, avrebbe fatto tutto il lavoro sporco facendomelo dimenticare, e ancora più ingenua a pensare che sarebbe bastato oltrepassare la soglia del Pub, togliermi quell'immagine dagli occhi, per ricominciare a respirare. E invece trattengo ancora il fiato, e la neve che incurante di tutto continua a posarsi invadente sui miei capelli non mi coinvolge più in nessun tipo di emozione.
Me l'aveva detto «Sto con Elle adesso», lo sapevo, avrei dovuto essere preparata a questo, pensavo di esserlo, ma ho scoperto a mie spese che quella tra teoria e pratica è una strada tutta in salita lastricata di trappole, soprattutto quando c'è di mezzo una persona giusta, qualcuno che senza sforzo potrebbe renderlo davvero felice. E tu lo sai.
Se almeno riuscissi a mettere a tacere la coscienza, seppellire quei pensieri subdoli che le labbra si sono rifiutate finora di lasciare andare mascherandoli d'indifferenza. Ma la farsa non ha retto neanche un giorno, e se penso al mio patetico tentativo di farlo ingelosire usando la vicinanza di Liam mi sento ancora più vigliacca...

'È la sua felicità che hai sempre voluto, vero, Rae?
Ti sei impegnata con tutta te stessa per dimostrargli di non poter essere tu quella felicità, anche quando sapevi che al di là di ogni logica lui voleva te e soltanto te. Ce l'hai messa tutta per diventare la persona sbagliata, per chiudere in un cassetto quei baci così giusti tra voi che avevano il potere di far girare le cose anche quando non volevano saperne. Quando hai letto per la prima volta nei suoi occhi le stesse fragilità che hai sempre visto nei tuoi e che non avresti mai pensato potessero appartenergli hai cominciato a viverlo come una responsabilità, come una voce nuova all'ordine del giorno in quel disastro della tua vita. All'incredulità di averlo accanto si è aggiunta l'inadeguatezza.
Improvvisamente non eri più tu ad avere bisogno di lui, ma lui di te, e come avresti mai potuto farlo se a malapena percepisci i contorni sfocati della tua vita? Hai avuto paura di portarlo giù con te, non è così? Temevi che prima o poi avrebbe scoperto da solo che sul serio non potrai mai essere abbastanza per lui, e te ne se convinta così a fondo da trasformare quel pensiero tossico in realtà.
Ma non illuderti troppo, non è altruismo, in fondo in fondo sai che ancora una volta l'hai fatto solo per te, per evitare una fantomatica delusione futura, un rifiuto così inevitabile nella tua mente che incredibilmente non era ancora arrivato. E allora perché non distruggerti da sola? Perché non ferire lui per ferire te stessa? Così adesso hai anche un capro espiatorio, puoi dire di non essere stata tu a decidere, alla fine. È la cosa che sai fare meglio, no? Trovare scuse per giustificare i tuoi fallimenti.
Troppo facile amare e lasciarsi amare da una persona fantastica che chiedeva solo di starti accanto, adesso si che puoi compatirti in santa pace scavandoti un tunnel di commiserazione.
Povera Rae, che aveva il cuore di Finn Nelson tra le mani e ha dovuto buttaro via...'


«Ho fatto un casino» mormoro rendendomi conto della portata del disastro mentre mi accascio a terra con la testa tra le mani. Ho sabotato la mia storia con Finn e la mia felicità in tutti i modi possibili e adesso non riesco nemmeno a pensare di vivere una vita senza di lui, mi manca il respiro all'idea delle sue labbra su quelle di Elle, se non mi reputassi già ampiamente fuori di testa avrei paura di impazzire. È vero che dopo la storia di Eleonor ho messo da parte l'immagine perfetta e granitica che avevo di lui, ed è altrettanto vero che forse ho avuto paura di quelle fragilità, di non saperle gestire, di non poterle aggiungere al caos della mia vita senza che ne scaturisse fuori un completo disastro. Ma adesso farei qualunque cosa per poterle dividere ancora con lui, per sentire all'infinito il calore del suo abbraccio, le sue mani sulla pelle, le sue labbra sulle mie.
«Amo Finn Nelson più di qualunque altra cosa al mondo e ho mandato tutto a puttane!» grido al silenzio spettrale di quella prima neve agognata da sempre, che adesso assomiglia più a uno schiaffo in pieno viso che una carezza. Uno schiaffo ampiamente meritato.

* * * * * * *



Chissà quanti gradi sotto lo zero deve raggiungere un corpo umano prima di congelare completamente e arrivare a sfaldarsi come il ghiaccio, dall'assenza di sensibilità alle gambe ho idea di non essere poi così lontana dalla scoperta e mi piacerebbe poter dire di essere dispiaciuta, ma non è così. Se questo significasse mettere a tacere per sempre le voci nella mia testa e ritrovare un po' di pace correrei volentieri il rischio.
Dopo un'ora e mezza passata all'addiaccio a singhiozzare finalmente ritrovo un briciolo di lucidità e dignità che mi costringono a piantarla con le lacrime, il sole sta per sparire all'orizzonte e sono a un passo dall'ibernazione e da un principio di broncopolmonite, grande idea rimanere a compiangersi immobili durante una nevicata, veramente una grande idea.
Se avessi dentro di me un po' di grinta adesso e riuscissi a darmi un'occhiata da fuori di sicuro mi prenderei a schiaffi.
Mi sento piuttosto strana a dire il vero, più del solito intendo, probabilmente le ultime sinapsi integre rimaste stanno tirando a sorte per un giro di roulette russa, ma c'è un pensiero che mi tormenta e che mi ha acceso dentro una scintilla di speranza, diciamo più un mezzo fiammifero che altro, ma insomma è il concetto che conta. Possibile che i miei occhi abbiano catturato un'immagine che la mente ha deciso di ignorare? Se chiudo gli occhi continuo a vedere una specie di ombra, una presenza gentile e silenziosa che mi segue nell'edificio e sulle scale e che prima quando sono arrivata in terrazzo non avevo notato.
Ero troppo stupita e felice per farlo, ma ora... Non so, non capisco se è un frammento di ricordo o il frutto di un desiderio, in ogni caso brucia così tanto da divorarmi il cuore e devo assolutamente parlarne con Archie anche se, me ne rendo conto, è un'ipotesi così azzardata e priva di fondamento che ho quasi il terrore di dargli una voce.
Devo fare attenzione, il seme della speranza è quanto di più pericoloso possa esistere se non supportato dalla realtà perché genera illusioni e le alimenta di aspettative, ma sono a un livello di disperazione tale che un'eventuale delusione in più dubito mi ucciderebbe. È solo in virtù di una risposta che potrebbe cambiarmi decisamente la giornata che mi convinco a muovere le gambe permettendo al sangue di tornare a circolare, e ripercorro a ritroso il percorso fino al teatro specchiandomi distrattamente nella porta a vetri che, forse, ha visto più di quanto non avessi immaginato poco fa...

Rintracciare Archie in teatro si rivela più complicato del previsto, devo dire che se non fossi a terra per la faccenda di Finn troverei tutta questa situazione a dir poco esilarante, alle porte delle prove generali l'intera sala assomiglia più a un enorme mercato dei fiori che a un teatro. Rose rosse e bianche intonano solennemente il coro del tema di Alice seguite a ruota da un concentratissimo Giglio Tigrato, star indiscussa del pezzo nonché acerrima nemica delle margherite, a loro volta perennemente bistrattate in ultima fila a incorniciare il tutto.
Tra loro, pur con un certo sforzo, riconosco la corolla bionda di Archie e non posso fare a meno di esplodere in un risolino divertito captato al volo dal diretto interessato, che prontamente mi lancia di rimando un'invisibile quanto eloquentissima corona di spine. Non posso ancora sentirlo da questa distanza, ma sono più che certa che se ce l'avessi vicino mi direbbe che gli devo un grosso favore, il più grande della mia vita. E non ha tutti i torti visto che non solo l'ho coinvolto nel progetto, ma per seguire tutti i drammi della mia vita l'ho anche lasciato solo.
Per evitare di essere ripresa dall'integerrima Signora Patmore aspetto diligentemente la fine del pezzo, poi mi avvicino al mio Grillo Parlante preferito e inviperitissimo con l'aria più contrita che riesco a partorire e occhi negli occhi lo prego a mani giunte di seguirmi fuori «è veramente importante Arch, ti prometto che poi avrai modo di offendermi come vorrai, potrai usare anche gli epiteti più volgari che conosci» aggiungo con un sorrisino malizioso.
Le mani poggiate sui fianchi e gli occhietti minacciosi ridotti a due fessure, il malcapitato mi osserva di sottecchi come se stesse seriamente prendendo in considerazione l'idea di saltare a piè pari il mio discorso serio e passare direttamente agli insulti, guardarlo con il costume di scena senza scoppiare a ridergli in faccia è un'impresa quasi impossibile.
«Sai cosa Rae, lasciando da parte l'umiliazione pubblica e la sete di vendetta, ho anch'io la mia etica del lavoro e sto affrontando una fase del progetto tutt'altro che semplice» gesticola convulsamente come la migliore regina dei drammi «non trovo affatto corretto che l'Iris e il Giglio Tigrato abbiano fatto comunella per escluderci dal coro e mantenere la posizione privilegiata di solisti. "Diavolo Patmore" si è lasciata intimidire dai loro schiamazzi meschini, ma secondo me finiranno col mandare tutto a puttane, guardali là» mi indica con un braccio la fonte primaria del suo disappunto «tronfi come due galli da combattimento, ma vestiti come l'ultimo anello della catena alimentare... Non credo di essere mai caduto così in basso» sospira rassegnato.
Se non avessi il terrore di urtare la sua sensibilitià, o di farlo innervosire ancora di più, lo abbraccerei, ma sono qui per un motivo ben preciso che è il momento di tirare in mezzo.
«Finn non c'è?» dritta al cuore del problema senza tanti premboli. Il giorno in cui pronunciare il suo nome non mi procurerà più una fitta allo stomaco sarò morta.
«Allenamento» risponde, laconico «vita tranquilla per i manovali, siamo noi artisti a beccarci tutto lo stress».
«A proposito di lui...».
Coraggio Rae, chiedigli se sei davvero una pazza visionaria oppure no, non avere paura, tanto peggio di così che può succedere?
«Lui ed Elle non stanno insieme e non sono mai stati insieme» mi interrompe con nonchalance, «il bacio che hai visto ieri sera era un effetto collaterale dell'alcol senza nessun significato. Sì insomma, Finn non se lo ricordava nemmeno stamattina, quando Chloe gli ha detto che li avete visti c'è rimasto secco. Immagino sia il karma» sentenzia indicandosi i petali azzurri del costume.
«No... no io veramente volevo sapere se...» biascico un attimo prima di collegare le sue parole nella mia mente come una miriade di puntini priva di senso.
Aspetta un attimo, Finn ed Elle non stanno insieme??? Ma cosa???
....................
....................
Finn ed Elle non stanno insieme???
NON. STANNO. INSIEME.
Ma se lui stesso... Se lui...

«Arch, è stato lui stesso a dirmi che hanno una storia, perché avrebbe dovuto...».
«Mentirti?» mi interrompe di nuovo come se stessimo parlando del più e del meno, del genere sì, ti ha spezzato il cuore ma era tutta una stronzata, e allora?
Avrei voglia di ucciderlo lentamente, però mi limito ad un cenno di assenso dal mio stato di trance.
«Era incazzato Rae, mettiti nei suoi panni, viene per chiarire con te e ti trova in partenza per l'ennesima volta» allarga le braccia sconsolato per sottolineare l'evidenza, «ha reagito male... da Finn. Ma si è pentito praticamente subito. A proposito, alla fine hai mantenuto fede al tuo progetto suicida di parlare con Eleonor?».
Era venuto... per... per chiarire con me?
Io ero convinta volesse parlarmi di Elle, ma quanto posso essergli sembrata fuori di testa???

Ok, sono veramente scioccata, questa è una svolta della storia che non mi aspettavo. Non so nemmeno se mi sento più infuriata o sollevata, una parte di me vorrebbe andare immediatamente ad urlargli in faccia quasi due giorni di frustrazione e cuore infranto, l'altra... l'altra ha appena ricominciato a respirare.
«Rae?» mi arriva una gomitata su un fianco, «hai sentito cosa ti ho chiesto?».
Mi riscuoto a fatica dal torpore «ma tu ne sei certo?» lo incalzo, «sei certo che tra quei due non ci siano coinvolgimenti sentimentali in corso?».
«Beh, posso dirti che non ce ne sono da parte di Finn. Elle ha una bella cotta per lui, e per dirla tutta il bacio ne è la diretta conseguenza, ma questa non dovrebbe essere una sorpresa, lei mi ha detto di averne parlato anche con te».
Annuisco distrattamente tornando con la mente alle confidenze imbarazzate di Elle. Ha dovuto baciarlo per forza alla fine...
«Ecco» sottolinea Archie, «ma questo è tutto, alla fine l'ha capito anche lei che non avrebbe avuto possibilità con lui. Soprattutto adesso che è completamente assorbito dall'ennesimo dramma con te. Comunque non mi hai risposto su Eleonor».
Sono decisamente sorpresa, confusa, felice, preoccupata. Cosa dovrei fare adesso? Arrabbiarmi? Rinfacciargli il bacio? Francamente l'unica cosa che vorrei con tutta me stessa è buttarmi tra le sue braccia e restarci per sempre.
Poi una vocina insistente mi riporta alla mente Eleonor.
Già... Eleonor.
Quando Finn ha bussato alla mia porta cogliendomi in flagrante sono entrata completamente nel pallone, come potevo spiegargli che nelle mie intenzioni c'era un intervento a gamba tesa nelle vicende più delicate e complesse della sua vita? Come avrei potuto dirgli che volevo parlare con sua madre? La donna dalla quale era fuggito scalciando giorni prima dopo l'ennesima delusione? Mi avrebbe fermata, si sarebbe incazzato... e avrebbe avuto ragione. L'ho capito perfino io quando sono arrivata da lei, e se il destino non ci avesse messo lo zampino probabilmente non l'avrei nemmeno incontrata, invece...
«No, non ho parlato con Eleonor» mi spiace Arch, è una mezza verità ma su questo argomento ho sbagliato già troppo «alla fine ho capito che avevi ragione tu, andare a parlare con lei sarebbe stato un errore madornale, quindi non l'ho fatto. Se avranno voglia di risolvere le cose lo faranno rispettando i loro tempi e modi. Però...» riporto la discussione su terreni meno scivolosi e più urgenti «adesso voglio sapere perché non sei venuto subito da me a spiegarmi che quello che mi ha detto Finn non era vero, sono stata uno schifo finora, per quanto lo meritassi questa mi sembra una punizione esagerata».
Archie mi fissa intensamente negli occhi, le braccia abbandonate sui fianchi in segno di resa, tutta la verve e lo spirito di rivalsa di poco fa spariti del tutto «è il mio migliore amico Rae, stava soffrendo anche lui, che altro avrei potuto fare? Ho pensato subito di parlartene, ma per un momento ho davvero creduto che fosse arrivato al limite, che volesse chiudere con te, poi oggi pomeriggio è venuto da me come se da quattro fiocchi di neve dipendesse il destino dell'umanità e allora ho capito che...».
La neve...
«No un attimo, che cosa hai detto???».
Quindi non mi sono sbagliata, l'ombra che mi seguiva a distanza non era una fantasia, era lui, è stato Finn l'artefice di quel momento di pura felicità.
Il mio Finn.
Sento che potrebbe esplodermi il cuore dalla gioia, allora non l'ho perso, forse sono ancora in tempo per aggiustare le cose dopotutto.
Travolgo Archie in un abbraccio da togliere il fiato «mi hai appena dato la notizia più bella di sempre Arch!!! Ti rendi conto??? Lui ci tiene ancora a me, sono stata un'idiota e ho rovinato tutto ma lui c'è ancora, com'è possibile?» grido a qualche decibel di troppo.
«Ok sono sordo» mi canzona il saputello «sei una testa di rapa Rae, morirò di vecchiaia prima che tu capisca l'esatta portata dei suoi sentimenti per te. Eppure te l'ha dimostrato in tutti i modi possibili e immaginabili, che altro ti manca? Almeno vedo che non te la sei presa per la storia del bacio...».
Il bacio. Quel bacio mi ha mandata dritta dritta all'inferno, ma come posso avercela con lui per una situazione che ho creato io? Sarei un'ipocrita, ed io ho tanti difetti, sono egoista, codarda, una vera vigliacca, ma non sono un'ipocrita.
«Non potrei Arch, tutto questo casino è stato colpa mia» ammetto senza tentennamenti «adesso voglio solo parlare con lui al più presto, non ce la faccio più ad aspettare».
«Ti accompagno» afferma prendendomi sottobraccio, «ne avrà ancora per un'oretta al campo di calcio, passiamo al Pub ti offro una birra».
Una birra, un po' di coraggio liquido è esattamente quello che mi ci vuole in questo momento... perché no?


Il Pub è terribilmente affollato e opprimente stasera, ritrovarsi seduti al solito tavolo con due birre scure davanti e una buona conversazione è stato facile. Però questo strano cicaleccio nell'orecchio che mi sale nella testa e aumenta d'intensità a ogni sorsata non me lo spiego proprio. Sono lucida, mi sento bene, eppure non riesco a smettere di ridere, il calore dell'alcol si diffonde rapidamente in tutto il corpo e annulla la tensione iniziale che l'idea di parlare con Finn mi aveva instillato fin dentro le ossa.
Le parole di Archie mi arrivano alle orecchie leggermente attutite, trasformandole in una specie di cantilena di cui afferro si e no qualche parola sconnessa. Quando ci siamo seduti ha iniziato a lamentarsi di "Diavolo Patmore", o "Malefica Patmore" o "Vecchia Megera", ma ad essere sincera non ho la più pallida idea di cosa stia blaterando adesso perché sono troppo presa a fissare l'Unicorno rosa sulla maglia sbiadita di una ragazza al bancone del bar.
Aspetta... un Unicorno rosa?
Ma cosa... qui c'è qualcosa che mi sfugge, ma cosa?

Sorseggio allegramente la schiuma della seconda birra che mi capita tra le mani e improvvisamente ho una grande intuizione.
«Ops!» borbotto ridacchiando «Arch, mi sa che sono un po' sbronza».
Il folletto lamentoso mi guarda sorpreso e poggia tutte e due le mani sulle mie guance in fiamme «in effetti lo sembri, ma hai bevuto una birra sola».
«E due sorsi!» preciso passandomi la lingua sulle labbra ancora sporche di schiuma «ti dico un segreto però...» mi avvicino al suo viso sfiorandogli un lobo «due parole: TRANQUIL-LANTI... ah no, aspetta, è solo una, la parola intendo».
«Non capisco, che c'entrano i tra... no» oh-ho, forse ha capito, «non dirmelo, stai mischiando quella roba all'alcol? Dico, ma sei impazzita??? Potresti anche sentirti male Rae!».
Ha decisamente alzato il tono di voce, forse è un tantino nervoso, ma che ci posso fare? Crede che non lo sappia? L'avevo dimenticato, può succedere, Kester mi sta togliendo tutte le pillole che prendo e all'occorrenza mi ha prescritto un blando sedativo per controllare l'ansia.
Beh, certo che l'ho preso oggi, ovvio, Finn mi aveva mollato, aveva baciato un'altra, non potevo mica vivere senza un minimo di conforto in gocce.
Scrollo le spalle con noncuranza «sto bene, giuro, mi viene solo un po' da vomitare... Te l'ho mai detto che hai una pelle morbidissima? Come fai ad avere una pelle così morbida, Arch?» domando accarezzandogli il viso.
«Sei andata» sentenzia sbuffando, «e Finn sarà qui a momenti. Come minimo mi ucciderà, dobbiamo chiamare tua madre e dirle che farai tardi stasera, non può certo vederti così».
A quelle parole alzo un braccio di scatto e lo tengo sollevato, aspetto che mi dia il permesso di parlare come a scuola per rispondere a una domanda che non mi ha posto.
Vorrebbe tenermi il muso, lo so, e invece scoppia a ridere lo stesso «adesso che c'è?».
«Questa la so!» esclamo «niente mamma e Karim per Rae. Vacanza, agriturismo, casa vuota, niente problemi. CASA VUO-TA» scandisco bene l'ultima parola.
Archie riprende in mano il suo bicchiere di birra rilassando le spalle sulla sedia «un problema in meno... oh, come non detto, ecco Finn».
Un qualche strano rimasuglio di lucidità mi dice che forse dovrei essere preoccupata da quest'ultima affermazione, ma è più forte di me, al momento trovo tutta la mia vita incredibilmente esilarante, e l'Unicorno rosa continua ad osservarmi dalla sua maglietta. È troppo carino.
Il mio noioso compagno di sbronze si alza andandogli incontro, confabulano qualche minuto poi Finn inizia a gesticolare e imprecargli addosso qualcosa che non riesco a sentire. Dio com'è sexy anche dopo gli allenamenti, la tuta mette in risalto il suo fondoschiena e ha due occhi color miele fuso stasera che metterebbero in imbarazzo chiunque. Voglio baciarlo, muoio dalla voglia di baciarlo. Cos'è che dovevo dirgli stasera?
Dopo qualche minuto sono entrambi seduti al nostro tavolo, Finn raccoglie il mio zaino da terra e mi afferra saldamente per un polso «andiamo» mi intima con voce ferma «ti porto a casa».
Io sono completamente ipnotizzata dall'immagine della sua mano su di me, il calore dell'alcol scompare immediatamente sostituito da quello della sua pelle e come un bravo soldatino mi alzo dalla sedia e lo assecondo.
Ma forse ho fatto il passo più lungo della gamba «mi sa che devo vomitare» annuncio con una risatina. Finn mi trascina fuori senza lasciare un momento la presa, l'aria gelida della sera si annulla a contatto con le mie guance incandescenti per la sbronza e l'imbarazzo, e dopo qualche attimo di sollievo il mio stomaco decide di riversarsi interamente sull'asfalto del retro del Pub.
Mi accascio a terra con la testa sulle ginocchia e le mani tra i capelli, ho lo stomaco in fiamme «non credo di farcela Finn».
Mi sento uno schifo, ho la testa nel pallone e continuo a pensare a quello stupidissimo Unicorno rosa, cosa diamine c'è di sbagliato in me? Dovevo parlare con il mio futuro NON ex ragazzo stasera, doveva esserci la nostra grande riconciliazione invece sono seduta per terra, sbronza, e con la nausea.
Sono un completo disastro, e sono talmente in imbarazzo da non accorgermi della fronte di Finn lievemente poggiata sulla mia, le mani sulle mie ginocchia, quel sorriso dolce incorniciato dalle fossette dipinto sulle sue labbra «non preoccuparti, ci sono io, adesso ti accompagno a casa».
Il mio Finn... portami dove vuoi.

* * * * * * *



Tornare a casa mezza sbronza, con lo stomaco sottosopra e la testa martellante è un'impresa titanica.
Farlo camminando ad una manciata di centimetri da Finn la rende quasi impossibile.
Archie si è strategicamente dileguato all'uscita del Pub, con la promessa, o forse la minaccia, di raggiungerci a casa mia più tardi, ed io non oso avvicinarmi a Finn più del consentito, ciondolo a destra e a sinistra come uno zombie impegnandomi a non cadere con tutte le mie forze, ma ogni tanto fallisco miseramente. Quando succede mi affido alla stabilità fisica di Finn, mi aggrappo al suo braccio come a un'ancora di salvezza pregando che le gambe non mi tradiscano impedendomi di cadere rovinosamente a terra, e sto zitta. Muta come un pesce per evitarmi figure peggiori di quella che sto già facendo, e per impedire alle mie labbra di far uscire pensieri imbarazzanti su Unicorni, fossettte e pantaloni della tuta.
Una tipica serata alla Rae insomma, se riuscissi a sollevare le braccia senza provocarmi l'ennesimo conato di vomito comincerei a scavarmi una fossa da sola.
«Come ti senti? Va un po' meglio?».
La voce di Finn è quasi un sussurro, una carezza leggera, sento i suoi occhi addosso ma non trovo il coraggio di alzare la testa dalle mie scarpe, stavolta il contatto delle mie mani con la manica della sua felpa è durato più di quanto non volessi, e non per problemi di stabilità. La nebbia che mi improgionava il cervello comincia a diradarsi appena un pochino, e senza la sua presenza i motivi che mi avevano spinta a voler parlare con lui si fanno sempre più pressanti e rumorosi, pronti ad uscire fuori. Il problema è che non trovo il coraggio di aprire la bocca.
«Mh, un po'» mugugno distrattamente, più che altro per confermargli che sono ancora viva.
«Non avresti dovuto bere stasera, sei stata una sciocca» borbotta contrariato.
La ramanzina mi mancava proprio per completare il quadretto di degrado della serata...
Riuscirei quasi a trovarlo tenero questo suo interessamento nei miei confronti, ma quando ripenso alla sua espressione seria e decisa mentre mi parlava della fantomatica storia con Elle la testa comincia a pulsarmi come non mai, non c'era traccia di questa tenerezza o preoccupazione allora. Lo sapeva, sapeva benessimo che mi avrebbe ferita sul serio dicendomi quelle cose ma l'ha fatto lo stesso, è stato più forte di lui.
Quanto devo averlo deluso per provocare una reazione simile? Finn non è così, non è il tipo di persona che ti ferisce deliberatamente, se è successo è perché l'ho portato all'esasperazione, e qui non c'è sbronza che tenga, la verità di certi pensieri brucia lo stomaco più dell'alcol.
«Mi dispiace» è tutto ciò che riesco a dire senza sentirmi pizzicare gli occhi di lacrime.
Lascio di nuovo il suo braccio facendo appello alle ultime forze rimaste e mi stringo nelle spalle alla ricerca di un briciolo di calore, ma stavolta invece di ritrovarmi a ciondolare sento improvvisamente la stretta forte e solida della sua mano, il calore così familiare delle sue dita che si intrecciano con le mie. Il mio corpo reagisce al suo tocco in un attimo, le guance in fiamme, il battito accelerato, il fiato corto, come diavolo riesce a farmi ancora questo effetto devastante solo tenendomi per mano? Com'è possibile?
«È a me che dispiace, Rae, hai rischiato di sentirti male sul serio stasera. E anche Archie non avrebbe dovuto...».
«Non è colpa sua» lo interrompo con un filo di voce, «avrei dovuto pensarci io e invece come una stupida non l'ho fatto. Volevo...» coraggio Rae, adesso è qui, prova a dare un senso a tutto questo disastro «avrei voluto parlare con te stasera, ero un po' nervosa per questo e così... beh ho pensato che una birra e quattro chiacchiere con un amico mi avrebbero aiutata».
Patetica, sono davvero patetica. Un giorno se ne renderà conto anche lui e mi manderà al diavolo, è l'unica conclusione sensata di tutta questa farsa che mi ostino a voler chiamare "storia".
«Lo so, Archie me l'ha detto» ammette, mentre io immagino tutti i modi in cui potrei lentamente soffocare quel chiacchierone nel sonno, «se non l'avessi fatto tu ci avrei comunque provato io. In effetti... è a me che dovrebbe dispiacere, Rae».
"Dispiacersi"... questa parola suona così sbagliata nella sua bocca che non posso fare a meno di replicare «no invece, è solo colpa mia Finn, la fuga a Sleaford, non averti detto che conoscevo Elle, tutte le paranoie che mi sono fatta su di voi molto prima di...» di vedervi insieme «beh, dall'inizio. Sono stata un'egoista, come sempre. Ti chiedo scusa».
Scusa per non essere stata capace di starti semplicemente accanto quando ancora avrei potuto farlo senza tanti drammi.
Per la prima volta da quando abbiamo iniziato a camminare sollevo lo sguardo e mi ritrovo faccia a faccia con i suoi occhi, mi osservano incuriositi e sollevati come se potessero leggermi fin dentro l'anima... e probabilmente è proprio così. Se è possibile sono ancora più belli di quanto ricordassi, e sorrido, gli sorrido senza un vero motivo, anzi in realtà ne avrei circa un migliaio per piangere, ma siamo insieme, mano nella mano, vicini, ed è tutto quello che potrei desiderare.
Nel frattempo Finn riprende a camminare guardando dritto davanti a sé, fruga nervosamente nella tasca della felpa e ne tira fuori un accendino, poi comincia a giochicchiarci con le dita della mano libera come se lo aiutasse a raccogliere un pensiero «non sono stato un granché nemmeno io. Sai ultimamente ho ripensato spesso al giorno in cui sei partita per Sleaford, a quelli precedenti, io ho sempre assecondato le tue scelte, ma adesso mi rendo conto che forse avrei potuto comportarmi diversamente. Darti dei motivi concreti per restare, o comunque convincerti a farlo. Forse non sarebbe servito a niente, o magari invece si, sta di fatto che non lo saprò mai e di questo mi dispiace molto».
Ecco, questo è tipico di lui invece, prendersi colpe che non ha e sentirsi a disagio perché non riesce a non farmi sentire a disagio, vorrei trovare le parole per spiegargli che sono io la psicopatica, io quella sbagliata, non lui, lui è quello che mi accende di positività le giornate semplicemente esistendo da qualche parte. Anche solo pensare a lui mi fa sentire viva.
Ma come faccio a dirgli una cosa del genere senza addossargli la responsabilità del mio buonumore? Gira che ti rigira finisco sempre per essere una specie di mina inesplosa per lui e questo pensiero mi fa impazzire.
Quindi scelgo la linea soft, l'unica che mi eviti di passare ai suoi occhi come un caso umano «non sarebbe cambiato niente, avevo già deciso. Io ho sempre saputo di poter contare su di te ma dovevo cavarmela da sola, provare a me stessa che potevo farcela. Non credo di esserci riuscita granché bene, ma in ogni caso tu...» sei sempre la nota positiva a piè di pagina «tu mi sei sempre stato accanto. Anche quando non l'hai fatto di proposito c'eri lo stesso... ci sei».
A questo punto datemi un estintore e spegnetemi la faccia perché l'autocombustione è una brutta bestia, caspita che vergogna, riprenditi Rae, un po' di dignità, coraggio!
Certo che sarebbe più facile se riuscissi a pensare a qualcosa di diverso dalla sua mano ancora stretta alla mia, ci avrò buttato lo sguardo almeno un miliardo di volte da quando è cominciato, quasi quasi preferivo la sbornia, almeno avevo un valido pretesto per arrossire e straparlare.
«Certe cose non cambiano mai» mi punzecchia sorridendo quando un lampione dispettoso illumina le mie guance color lampone.
Ormai ho raggiunto il punto di ebollizione, capriola nel petto, respiro irregolare e risatina a singhiozzo «eh già» ammetto imbarazzata.
Sei spacciata, Rachel Earl.

La mia porta di casa ci viene incontro decisamente troppo veloce per i miei gusti, Finn ed io abbiamo fatto gli ultimi cinque minuti di cammino in religioso silenzio, l'uno accanto all'altra, e per dirla tutta non sono affatto pronta a lasciarlo andare, soprattutto a separarmi dal calore della sua mano.
Contrariata e borbottante mollo la mia ancora di salvezza personale e afferro di malavoglia le chiavi per aprire la porta... ma vorrei non averlo mai fatto.
Veniamo investiti in pieno viso da una folata malefica di cipolla e spezie, eredità, probabilmente, dell'ultima peripezia culinaria di mia madre prima di partire per il romantico week-end bucolico con Karim. Non mi rendo neanche conto dell'intensità di quell'odore nauseabondo, in circostanze normali avrei semplicemente arricciato il naso senza farci troppo caso, ma nelle mie condizioni attuali equivale a una sentenza di morte firmata e irrevocabile.
Il mio fragilissimo equilibrio gastrico raggiunto a fatica grazie al freddo della sera improvvisamente collassa di nuovo. Non è un conato stavolta, è un'eruzione vulcanica esplosa direttamente in mezzo al petto, cenere e lapilli compresi. Indietreggio di un paio di passi sentendomi letteralmente crollare il terreno sotto i piedi.
«Rae ti senti male? Che cos'hai?» Finn, allarmato, mi sostiene per un braccio.
Sento il mio stomaco tentare un'esperienza extracorporea, respiro a fondo quattro o cinque volte prima di ritrovare un pizzico di vitalità «non posso entrare, quell'odore di cucina...» indico con un dito tremante il salotto di casa «mi ucciderà».
«Ok, aspettami qui, non muoverti» Finn entra in casa dopo avermi aiutata a sedere sugli scalini della veranda, accende la luce e comincia a trafficare in cucina con il bollitore elettrico e un paio di sportelli, sono quasi certa ci sia un tè nelle sue intenzioni, e agogno l'idea come un condannato a morte la sua richiesta di grazia. Torna da me qualche minuto dopo, mi avvolge una coperta pesante sulle spalle con un abbraccio e lascia tra le mie mani una tazza fumante di salvezza scura.
«Grazie» sussurro appena, anche se non potrei giurare di averlo detto davvero, e continuo a respirare profondamente per calmare gli spasmi.
Lui mi sorride, si siede accanto a me e mi scosta una ciocca di capelli dal viso «per ora sarà meglio rimanere qui, ho aperto tutte le finestre al piano di sotto, vedrai che tra poco andrà meglio».
Ammutolisco, non sono più abituata a questi gesti premurosi da parte sua e il magma incandescente dello stomaco decide di stazionare almeno per un po' sulle guance. Dopotutto chi sono io per interrompere certe tradizioni di imbarazzo autoinflitto? Ormai non mi nascondo nemmeno più il viso tra le mani, subisco passivamente il mio destino di lampone maturo.
Per fortuna mi bastano solo un paio di minuti all'aperto e qualche sorso di tè per tornare a una parvenza di umanità, Finn accanto a me si stringe ripetutamente nella sua felpa nera e ticchetta per terra con la punta delle scarpe per muovere le gambe e far circolare il sangue «fammi un po' di spazio, si gela» esclama un attimo prima di sollevare la coperta che mi ha poggiato sulle spalle e mettersi sotto con me.
Respira Rae, respira, non andare in iperventilazione proprio adesso... uno, due, uno due, regolare, puoi farcela, è solo Finn... ignora il suo profumo di muschio bianco, le fossette sulle guance e i capelli spettinati.
Solo... Finn...
Ok, non ce la posso fare...

Per un attimo sono tentata di lasciargli la coperta e immolarmi per la causa, ma nel momento stesso in cui accosta la sua testa alla mia e sento il calore del suo respiro tra i miei capelli mi rimangio quell'intento e mi godo un senso di completo benessere. Se potessi scegliere tra una qualunque cosa e rimanere cristallizzata su questi gradini per l'eternità sceglierei a vita quest'ultima opzione.
È la sua voce traballante a riportarmi con i piedi per terra «so che Archie te l'ha già detto ma ci tenevo a spiegarti... ecco... io ed Elle...».
Elle... ecco, adesso ha di nuovo tutta la mia attenzione e piena lucidità, pensare alle sue labbra incollate a quelle di Finn mi spezza ancora il respiro, sono gelosa, sì, gelosa da morire, lei è carina, dolce, in gamba quanto vuoi ma Finn è mio. Solo mio. Prima non lo sapevo, o meglio, non volevo guardare in faccia la realtà perché mi faceva troppa paura, ma ora non me ne importa più niente delle cautele, preferisco stare con lui e perderlo piuttosto che farmelo portare via sotto al naso.
«... non siamo mai stati insieme, ti ho mentito» ammette tutto d'un fiato, teso «mi dispiace Rae, vederti pronta per partire chissà dove mi ha fatto tornare in mente Sleaford e non ci ho capito più niente. Volevo togliermi da quella situazione una volta per tutte ma ho agito d'istinto e detto una cazzata. E il bacio che hai visto al Pub...» si volta fissandomi intensamente negli occhi e mi afferra il mento con le dita per invitarmi a fare lo stesso «non ha significato niente, niente... per me. Ero così fuori quella sera che avrei potuto baciare Archie e non sarebbe cambiato niente».
Lo guardo, e il senso di oppressione al petto lascia il posto a una tenerezza infinita. Una delle cose che ho sempre amato di più in Finn è la sua completa incapacità di mentire, non perché non sia in grado di formulare una palla sensata, ma perché i suoi occhi la smaschererebbero per lui, e adesso, uno di fronte all'altra sotto una coperta di lana, nei suoi occhi c'è spazio solo per rammarico e dispiacere. E speranza. La speranza che non sia troppo tardi per sistemare le cose.
Con me saresti in tempo da qui all'eternità, Finn, sempre. La mia non è una scelta, è che non posso fare altrimenti.
«Non fa niente» sussurro a un paio di centimetri dalle sue labbra «ultimamente entrambi abbiamo detto e fatto tante stupidaggini. Soprattutto io, sono andata veramente nel pallone e mi dispiace tanto di essermene andata, di non averti reso partecipe della situazione che stavo vivendo e di aver creato tutto questo casino. Mi dispiace tantissimo Finn, non sai quanto».
Lui poggia la fronte sulla mia e inizia a ridere di gusto «era il mio momento delle scuse, Rae, non il tuo. Possibile che non riesci a smettere di dire che ti dispiace? L'ho capito, ti assicuro che l'ho capito, adesso fallo dire a me».
Chiudo gli occhi beandomi delle sue carezze leggere come un cucciolo «scusami, hai ragione... ops, scusa, giuro che la smetto... forse» borbotto colpevole coprendomi la bocca con una mano.
Finn mi accarezza il palmo delicatamente costringendomi a spostarla e intreccia le nostre dita in un incastro perfetto «abbiamo tempo, tutto il tempo che vuoi Rae...» mormora un secondo prima di posare le sue labbra sulle mie.

Se qualcuno fino a stamattina mi avesse chiesto cos'è la felicità gli avrei raccontato esattamente di questo momento, fin nei minimi particolari.
Sarei riuscita a descrivergli il miele liquido degli occhi di Finn mentre sta per baciarmi, il suo modo fermo eppure così delicato di stringere le mie mani tra le sue quando si spinge ad approfondire il contatto, il suo sapore, il profumo fresco e leggero della sua pelle, il battito regolare del suo cuore. Ma non avrei potuto avvicinarmi alla realtà neppure lontanamente, perché baciare Finn Nelson è come prendere una boccata di ossigeno per me, è come tirare la testa fuori dall'acqua e respirare a pieni polmoni dopo un'apnea continua.
E dà dipendenza. Incontrollabile, totale dipendenza.
Ne è testimone anche il divano su cui siamo seduti adesso, dopo un'oretta passata davanti casa tra abbracci, baci e coccole infinite, ci siamo decisi a sfidare la sorte rientrando in casa con la speranza di non trovare di nuovo l'odore pestilenziale che ci aveva respinti prima. Per nostra fortuna l'aria gelida della sera ha fatto il suo dovere spazzando via ogni rimasuglio di qualunque cibo fosse stato "torturato" in quella cucina. E ora siamo qui, io sdraiata sul divano con la testa poggiata sulle gambe di Finn, lui che guarda distrattamente un film alla tv mentre mi accarezza i capelli e disegna cerchi concentrici sul palmo della mia mano.
Un sogno ad occhi aperti.
Finalmente mi sento meglio, la testa ha smesso di pulsare, l'incendio dello stomaco è stato domato, e se non fosse per il rubino sempre dipinto sul mio viso, che però non dipende assolutamente dall'alcol, potrei sembrare quasi una persona normale. Sana. E io so che è tutto merito suo.
Non bisognerebbe dare a nessuna persona un potere così grande sulla propria esistenza, ma siamo davvero liberi di scegliere? Quando guardo Finn negli occhi o sento il calore delle sue carezze sulla mia pelle credo proprio di no, io so che avendo potuto avrei preferito darmela a gambe senza rischiare di essere distrutta da lui, ma la realtà è, e ormai ne sono certa, che una scelta vera e propria non mi sia mai stata concessa. Il risultato è che adesso non posso più fare a meno di lui, ora che so cosa significa essere felice stretta tra le sue braccia non voglio privarmene più nemmeno per un secondo.
Ma non è ancora tutto.
«Non è vero che mi aspetto sempre il peggio da te, Finn» esordisco così, di punto in bianco, mentre lui si attorciglia distrattamente una ciocca dei miei capelli tra le dita.
Mi osserva con un enorme punto di domanda negli occhi «che vuoi dire?».
«L'ultima volta che abbiamo discusso hai detto che non puoi stare con una persona che si aspetta sempre il peggio da te... Ma io non mi aspetto il peggio da te».
Sorride, e a disagio si passa una mano tra i capelli già scompigliati «ho detto un mucchio di sciocchezze ultimamente».
È strano, ma di tutte le cose che sono capitate in questi giorni quella frase mi è rimasta impressa, persino più del bacio con Elle. Fondamentalmente perché lui ha ragione, ma non nel modo in cui crede.
«Non è una sciocchezza» ammetto aumentando l'intensità della stretta sulla sua mano «solo che io non mi aspetto il peggio "DA" te, ma da tutta questa storia "CON" te» mi impegno a sottolineare le proposizioni mimando due virgolette nell'aria, «il fatto è che io so di non essere una persona facile con la quale avere a che fare, sono lunatica, insicura, piena di paranoie, e a volte mi viene l'istinto masochistico di mandare a puttane anche le cose belle. Anzi, soprattutto le cose belle, perché sono quelle che mi fanno più paura, quelle che potrebbero... ferirmi davvero, ecco. Per me è più facile prepararmi al peggio che sperare in meglio, prima di tutto perché alla fine è sempre andata così, di merda insomma, e poi perché un conto è vedere una tua paura che prende vita, può ferirti ovviamente, ma non peggiora una situazione già schifosa. Tutt'altro conto è veder distruggersi davanti agli occhi un'illusione meravigliosa, un pensiero felice, una speranza. Ecco, questo mi fa davvero paura, ho sul serio il terrore di credere con tutta me stessa in qualcosa di eccezionalmente bello e... così, vederlo svanire nel nulla... Non so se per te può avere un senso, ma non dipende da te in nessun modo. Non è colpa tua» ammetto coprendomi gli occhi con una mano in preda a un attacco di vergogna epocale.
Come minimo crederà che sono pazza, ammesso che non lo sapesse già, però è la verità, e non credo di aver mai raggiunto questo livello di onestà in tutta la mia vita con nessuno, escluso Kester.
Mi aspetto un attacco di risate da un momento all'altro, oppure un silenzio arrovellato, e invece tutto quello che ricevo è un bacio caldo e umido sulla fronte, poi sul naso mentre alza la mia mano dagli occhi, e infine sulle labbra «certo che ha un senso» sussurra tra un bacio e l'altro «e sono felice che tu me ne abbia parlato, questa cosa possiamo affrontarla con il tempo, insieme... se ti fidi di me».
«Certo che mi fido di te» ribatto, ipnotizzata dalle fossette che gli incorniciano il sorriso «è di me che non mi fido, ma... voglio provare a cambiare, magari è la volta buona, chi lo sa» e per la prima volta stranamente ci credo sul serio.
«Magari sì» ripete Finn mentre traccia i contorni del mio viso con le dita.
Certo che se non ci fosse quella stronza dell'insicurezza a metterci sempre lo zampino sarebbe più semplice, l'entrata in scena di Elle non è stata per niente facile da digerire per la ma autostima. È per questo che contravvenendo a tutti i buoni propositi della serata la tiro in mezzo ancora una volta, ma se sincerità assoluta dev'esserci, che sia... no?
«Elle ha una cotta per te, me l'ha confessato» borbotto evitando i giri di parole e ricevendo in cambio un'occhiataccia, «non ti avevo mai parlato di lei perché me l'ha confidato quando ancora non sapeva chi fossi. Tu... tu sei sicuro che non ci sia niente tra voi? Cioè... a parte l'amicizia, ovviamente».
La risposta a questa domanda potrebbe seriamente uccidermi, quando li ho visti insieme per la prima volta ho subito pensato che avrebbe potuto esserci una grossa sintonia tra loro, e non mi sono sbagliata, perché difficilmente ho mai visto Finn entrare così in confidenza con qualcuno. Per questo evito accuratamente di guardarlo in faccia e comincio a studiare tutti i soprammobili della stanza.
«Ti amo» risponde lui di getto, così, semplicemente, facendomi esplodere il cuore.
Torno incantata a guardarlo negli occhi ancora incredula di quanto ho ascoltato.
Mi ama, ama ME, proprio me.
Vorrei rispondergli con uno scontatissimo "anch'io", certo che lo amo anch'io, ma il momento è talmente perfetto che ho paura di rovinarlo con del rumore inutile, così sto zitta, e per la prima volta stasera prendo l'iniziativa baciandolo a mia volta.
Quando le nostre labbra si separano di nuovo Finn inizia ad accarezzarmi il viso «è l'unica cosa che conta, Rae. Elle è un'amica, come Chloe, come Archie, indipendentemente da quello che prova lei, so per certo cosa provo io» mi sussurra all'orecchio prima di mordicchiarmi un lobo.
Non potrei essere più serena e felice di così nemmeno volendo, tanto che avvicino il viso al suo petto e cullata dal ritmo regolare del suo cuore sento gli occhi farsi sempre più pesanti «Finn?» sussurro ad occhi chiusi, già quasi nel sogno insieme a un Unicorno rosa.
«Mh? Che c'è?».
«Grazie per la neve».

* * * * * * *



«Quando è troppo, è troppo, Rae, ho già dato».
«Ma dai, Arch, non fare il guastafeste!... per favore?» lo imploro, sbattendo le ciglia da cerbiatta in agonia mentre apre uno sportello dietro l'altro in cucina alla ricerca dello zucchero.
«No!» ribatte, irremovibile «ho già dato fondo a tutto il mio repertorio teatrale, ti ho proposto almeno diaci livelli diversi di sorpresa e romanticismo spiccio. Mi hai sfiancato, sul serio, da sveglia sei praticamente una piaga, quasi quasi ti preferivo moribonda come ieri notte».
Carino «uffa, sei diabolico» sbuffo incrociando le braccia al petto mentre mi inabisso su uno dei cuscini del divano.
Questa scenetta ormai va avanti da almeno mezz'ora, ma agogno la centesima versione della stessa storia come se ne andasse della mia sopravvivenza... oddio, non che non sia così eh, ma Archie non collabora, e io sono già in astinenza «comunque... il secondo cassetto in basso... lo zucchero è nel secondo cassetto in basso, nel barattolo con il maialino stilizzato» cedo contrariata al mio aguzzino.
«Alla buonora!».
Arriva in salotto con il sorriso del vincitore stampato in viso e una tazza di caffè per mano, si siede al lato opposto del divano porgendomene una «l'ultima volta...?» lo imploro afferrandola.
Il malcapitato mi fissa di sottecchi per qualche istante, ma sono un caso disperato di non ritorno alla sanità mentale, è evidente, così alla fine mi accontenta «e va bene!».
Felice come una bambina dell'asilo il giorno della recita di natale mi sistemo sul divano incrociando le gambe e pongo al mio fantasmagorico migliore amico, che sta probabilmente pensando alla milionesima scusa per darsela a gambe, tutta l'attenzione di cui sono capace.
«Allora» sospira, esausto «stamattina sono arrivato qui alle otto e mezza, minuto più minuto meno, la porta era socchiusa e il silenzio assoluto, così sono entrato con passo felpato come un ladruncolo di quartiere...» comincia il racconto mimando anche il gesto furtivo.
Ora, tralasciando per un momento il resoconto della storia, sono più che certa che malgrado le proteste a prescindere la sua predisposizione alla messa in scena mi stia ringraziando. Archie si lamenta sempre, ma questa storia del teatro in realtà l'ha coinvolto tantissimo, è il suo ambiente. Oddio, interpretare un insignificante fiorellino di campo per il suo ego non dev'essere il massimo, ma una rappresentazione tira l'altra, stai a vedere che ha scoperto la sua vera vocazione? Prendo mentalmente nota della scoperta per servirmene ignobilmente all'occorrenza quando sarà un attore consumato e avrò bisogno di un favore. In quanto artefice di una carriera di successo me lo merito, giusto?
Concentrazione, Rae!
«... non mi sono posto nessuno scrupolo ad entrare perché sapevo che non avrei trovato né tua madre, né Karim, altrimenti non mi sarei mai permesso eh, ci tengo a precisarlo» specifica, come se si trattasse di una questione di principio.
«Va' avanti, Arch... alla parte interessante!» lo incalzo.
«Ok... In casa non si sentiva volare una mosca, così mi sono fiondato in salotto, e ho visto te e Finn, addormentati...».
Io e Finn! Rachel Earl e Finn Nelson. Noi. Siamo un "noi"! Addormentati insieme! In assoluto la parte migliore della storia.
«... tu sdraiata sul divano, lui seduto con la tua testa sulle gambe. Ho cercato di non fare rumore per non svegliarvi ma Finn mi ha sentito lo stesso, ha alzato appena un braccio per salutarmi e poi ha borbottato qualcosa sul sonno e di come si sarebbe incazzato suo padre per non averlo avvisato della notte fuori...» continua gesticolando, annoiato. Non si rende conto che la sua aria scocciata non mi indispettisce affatto, perché le immagini che la mia mente rievoca a queste parole sono aria pura, luce, felicità, serenità, rassicurazione, eccitazione... e lo ascolterei per ore senza stancarmi mai. Questa volta per scoraggiarmi ha optato per la recitazione in stile litania, trasporto zero e cantilena, anche se mi scoccia ammetterlo devo dire che i risolini e gli urletti eccitati della prima versione, la migliore in assoluto, un po' mi mancano.
«... dopodiché si è alzato, ti ha scritto un bigliettino, e mi ha detto di restare qui con te finché non ti fossi svegliata. Poi è uscito. Fine della storia» chiosa senza un briciolo di pathos bevendo avidamente un sorso del suo caffè come fosse whisky.
Io sono ancora sottosopra, aprire gli occhi stamattina è stato come essere catapultata in un sogno da un altro sogno, i ricordi stranamente non sono affatto annebbiati dal pasticcio di ieri sera, bensì lucidi, nitidi, meravigliosi... avrei solo desiderato trovare Finn accanto a me, ma al risveglio lui non c'era più, al posto delle sue gambe muscolose la mia testa poggiava su un tristissimo cuscino rosso... però mi ha lasciato un bigliettino:

"Rae mi dispiace andare via senza salutarti, ma dormi così profondamente che non ho il coraggio di svegliarti. Devo uscire al volo, mio padre sarà furioso. Ti chiamo più tardi, tu riposati e lasciati coccolare da Archie.
Ps Cosa c'entra con me l'Unicorno? Nel sonno non fai che ripeterlo...
Bacio, Finn"
.


Avrò riletto queste poche righe mille volte da quando mi sono svegliata, e ancora non ho smesso di sorridere come un' idiota. Porto il foglietto stropicciato alle labbra pregando di sentire qualche traccia del suo profumo, sono veramente patetica, lo so, ma che ci posso fare?! Non faccio che pensare a lui, alle cose che ci siamo detti, ai baci, tanti, che mi sembra di sentire ancora sulle labbra... se non fossi un'habitué delle guance in fiamme giurerei di avere la febbre.
«Non ti capisco proprio» sbuffa Archie riportandomi sul Pianeta Terra «non fraintendermi, avete fatto pace ed è una bella cosa, sei felice e va bene. Ma in te c'è dell'altro, tu sembri totalmente incredula e non ne vedo la ragione, avete fatto pace, non siete mica partiti per un viaggio su Marte! Prima o poi sarebbe successo, è ovvio».
"Ovvio", come no «io non "sembro" incredula, Arch, lo sono proprio!» ammetto acquisendo un'ulteriore sfumatura porpora sulle guance.
Archie mi fissa sconsolato allargando le braccia «è questo che non capisco! Finn è innamorato di te, lo so io, lo sai tu... beh almeno spero, lo sanno tutti, ed è così da un bel po' ormai, io e Chloe stavamo facendo proprio ieri il conto alla rovescia, abbiamo scommesso sul tempo che avreste impiegato a mettere fine a questo drammone senza senso. Tra parentesi, ho vinto io. A te invece sembra... non lo so, un evento paranormale, quasi inspiegabile... perché?».
Perché? Sul serio? Non è ovvio?
Vorrei spiegarglielo decentemente, ma le mie labbra decidono di oltrepassare i filtri del cervello e ne esce fuori un'assurdità «Finn per me è una specie di unicorno».
Complimenti Rae, ora si che capirà. Dio, ma perché non mi sigillo la bocca??
«Ovvio, chissà perché non ci ho pensato io» Archie si copre il viso con entrambe le mani prendendo a massaggiarsi le tempie con i polpastrelli «ci casco sempre, eppure ormai dovrei saperlo che sei una scatola cinese, con te non se ne esce, ricordami di non farti più domande».
Mi sento offesa nel profondo, indignata, va bene, magari la risposta è stata un po' bizarra, ma è un discorso con un filo logico, eccome se ce l'ha!
«Senti me l'hai chiesto tu! E adesso ti sorbisci la risposta» incrocio le braccia sempre più contrariata, con il miglior broncio del mio repertorio «intendevo dire che Finn per me è una specie di animale mitologico, un ideale. Bellissimo, intelligente, protettivo...» e qui mi scappa un sussurro di troppo che abbatte definitivamente ogni parvenza di credibilità, ma non demordo «... siamo onesti, sulla carte quante possibilità c'erano che uno come lui si mettesse con me?». Fisso Archie in attesa di una risposta che non arriva, capisco il suo punto di vista, capisco anche che possa appararirgli esagerata e un filino paranoica, ma lui non è me, e soprattutto non ha il mio passato. Dal mio punto di vista tutta questa faccenda è quasi un miracolo, perché diamine nessuno sembra volerlo capire???
«Nessuna!» rispondo io per lui «e invece non solo lui si è interessato a me, non solo ci siamo messi insieme una prima volta, ma è tornato da me una seconda dopo essersi scontrato con tutte le mie paranoie! Ti rendi conto? Non è scappato, non mi ha compatita, non se l'è data a gambe, non mi ha lasciata andare, è... è rimasto, ha cercato di capirmi. Cioè io... non lo so... sinceramente tuttora mi sembra più credibile l'esistenza dell'Unicorno» ammetto alzando gli occhi al cielo come se mi aspettassi sul serio di vederne volare uno da un momento all'altro.
«Finn non è un Unicorno, Rae» Archie dall'alto della sua saggezza interrompe i miei voli pindarici tra arcobaleni di zucchero filato «voglio raccontarti una cosa, così forse riuscirai a fare un minimo di spazio di senso compiuto in quella zucca vuota che ti ritrovi» incrocia le braccia al petto avvicinandosi di più a me. «Stamattina quando sono arrivato qui e Finn se n'è andato... non emozionarti troppo perché non sto per ricominciare da capo con la storiella... aveva la tua testa poggiata sulle gambe e sai cos'ha fatto? Mi ha chiesto di passargli un bel cuscino pomposo, e con una lentezza quasi esasperante te l'ha sistemato sotto la testa mentre si spostava. Poi ti ha fissato per qualche secondo, ha sistemato una ciocca di capelli che ti era finita sugli occhi e ti ha scritto il bigliettino. Beh...» si prende una pausa a effetto prima di proseguire. Pensa che abbia avuto una folgorazione? Al momento l'unica reazione della sottoscritta è l'aria completamente trasognata all'idea di tutte quelle premure.
«... io l'ho osservato attentamente, così come si osserva un documentario scientifico, perché non avevo mai visto, mai in tutta la mia vita, una tenerezza del genere venir fuori da Finn Nelson. Mai, Rae. Questo non si spiega con la magia, né con gli unicorni, né tantomeno con un miracolo. È "solo" amore Rae» dice mimando le virgolette per quel "solo", nel tentativo non di sminuirne l'importanza, ma semplicemente spogliarlo di misticismo, «Finn è innamorato di te, e questo è quanto, nessun incantesimo. Quindi smettila di recitare la parte della Bella Addormentata nel bosco e placati. Te lo chiedo come favore personale Rae, concedi a quel povero Cristo la possibilità di stare con te come una coppia qualunque, togli di mezzo drammi e assurdità e lasciati andare, non devi fare nient'altro. E... piantala con gli Unicorni, che Finn soffre di vertigini e il rosa non gli dona» conclude con una risatina consolatoria mentre mi abbraccia fortissimo «me lo prometti?».
Dannato Archie, ha sempre la parolina giusto al momento giusto, mi sento così sciocca.
«Prometto» sussurro poggiando la fronte sulla sua «ti voglio bene Arch, mi dispiace di essere sempre così pesante. So che la tua posizione non è facile perché Finn è il tuo migliore amico, ma...».
«Non fa niente» mi interrompe allontanandomi appena «ma adesso vatti a fare una doccia e cambiati, perché se conosco bene Finn Nelson quel "ti chiamo più tardi" scritto sul biglietto si tramuterà presto in una bella scampanellata alla tua porta di casa.
Magari, non chiedo di meglio...
Mi alzo di scatto come un soldatino obbediente e mi fiondo sulle scale in direzione doccia «vado!» squittisco alzando tutte e due le braccia «grazie Arch!» grido un attimo prima di sigillarmi nel bagno ed essere inghiottita da una nuvola di sapone.


Non sono abituata alla normalità, in effetti finora ogni avvenimento esterno giudicato apparentemente normale, tipico, che si è abbattuto su di me ha ricevuto in cambio una reazione a dir poco particolare, bizzarra. Diciamola pure tutta: folle. Assurdità su assurdità, il classico esempio dell'arte di "fabbricazione del dramma a tutti i costi".
Forse ci sono persone che hanno semplicemente bisogno di complicarsi la vita per sentirsi vive, è questo il loro concetto di normalità, e mai come ora prego con tutta me stessa di non essere anch'io una di queste persone, che arrivata a un certo punto riuscirò a fare l'abitudine a certi comportamente sani, giusti, così come ho fatto finora con quelli autolesionistici.
Come fare pace col proprio fidanzato senza farsi rinchiudere in una clinica psichiatrica, per esempio.
Non so se Archie avesse ragione quando ha detto che si trattava solo di aspettare, che la nostra riconciliazione era nell'aria, quel che è certo senza ombra di dubbio è che conosce bene Finn, perché ho ancora i capelli umidi della doccia quando suona il campanello di casa.
Mi ci vogliono un paio di minuti e qualche imprecazione in pantofole per arrivare alla porta.
Jeans sbiaditi, felpa nera con il cappucci tirato fin sopra la testa e pagliuzze dorate negli occhi, Finn si materializza davanti a me bello e sensuale più che mai, non sono poi più tanto convinta che non ci sia dietro qualche stregoneria...
«Scusami se ti ho fatto aspettare» gli sorrido spalancando la porta «ma Archie è appena andato via e mi stavo facendo una doccia».
Finn si avvicina a me in pochi passi e il mio cuore già provato dai ricordi della notte precedente comincia a battere all'impazzata, il suo profumo mi manda letteralmente in tilt il cervello e prima che possa anche solo pensarci chiudo automaticamente gli occhi estasiata, in attesa che le sue labbra si posino sulle mi... sulla guancia.
La guancia??
Un castissimo, inatteso bacio a stampo sulla guancia.
Apro gli occhi di scatto a quel contatto che non mi aspettavo, e lo osservo mentre passa oltre e si siede tranquillamente sul divano dove solo qualche ora prima stavamo dormendo insieme.
Smettila subito di fare quello che stai facendo, Rae, non sta scritto da nessuna parte che il primo contatto tra due che stanno insieme dev'essere per forza un bacio in bocca con un metro di lingua. Magari vuole semplicemente andarci piano, quindi non partire per la tangente.
E va bene, ammetto di aver avuto degli intenti leggermente più... come dire... "approfonditi", ecco, quando me lo sono trovato davanti, ma è pur sempre qui, no? E "qui" significa che è venuto per me.
«Ti senti bene?» domanda posando i suoi occhioni nocciola su di me.
«Benissimo!» grido con un tantino di enfasi di troppo.
Brava, fatti anche sgamare, anzi già che ci sei chiedigli se ti accompagna direttamente da Kester. Normalità, ma quale normalità, chi vuoi prendere in giro??
Ok, inspira, espira, inspira, espira... così non va affatto bene, sembro un'invasata, devo calmarmi e chiacchierare come faccio sempre, è solo Finn «tuo... tuo padre era molto arrabbiato?».
«No, non più del solito, me la sono cavata con una strigliata» risponde studiandomi accigliato, «ma... tu sei sicura di sentirti bene? Sei pallida, siediti qui» indica il posto accanto a sé sul divano.
Deglutisco rumorosamente e mi avvicino a lui, lentamente, come se non mi ricordassi la strada su un sentiero di mine inesplose. Raggiungo il divano e mi siedo composta, sul bordo del cuscino. Non so cosa diavolo mi stia succedendo però mi sento tremendamente a disagio, sesto senso? Paranoia? Di sicuro la seconda opzione è più probabile della prima, eppure...
«Posso chiederti una cosa?» Finn interrompe i miei pensieri e mi fissa in attesa di una risposta.
«Certo, dimmi».
Sembra rifletterci un po' su mentre struscia le mani avanti e indietro sul tessuto consumato dei jeans «dove stavi andando?» domanda poi, a bruciapelo, «quando quella sera sono venuto qui e ti ho trovata in partenza, dove eri diretta?».
Merda. Merda. Merda. Lo sapevo, me lo sentivo...
Dovrei mantenere la calma e tenere a freno l'agitazione, ma dentro di me la tespesta è già esplosa e infuria un vento forza nove. Adesso cosa gli racconto? Una vocina maliziosa mi invita a trovare una scusa qualunque, una gita fuori porta, la zia malata, un pigiama party da Chloe... e poi c'è quel grilletto parlante malefico con le sembianze di Archie il guastafeste che mi incoraggia a dirgli la verità, confessargli il mio intento suicida di parlare con sua madre per chiederle di non arrendersi con lui. Chissà, magari capirà, forse non si arrabbierà, accetterà la natura completamente altruistica dei miei intenti e mi perdonerà con uno dei suoi soliti sorrisoni.
Ma a chi vuoi darla a bere, idiota? Si incazzerà, ti mollerà e farà una bella croce sopra al tuo nome da qui all'eternità.
No, no e no, non può succedere, non posso mandare tutto a puttante un'altra volta, forse avrei qualche speranza ma non posso rischiare, non ora che ci siamo appena ritrovati «beh... niente, avevo in mente di andare a trovare Agnes, sai... quell'infermiera con cui ho stretto amicizia a Sleaford, la... la sorella di Elle...».
Dai, Rae, arrampicati sugli specchi un po' meglio, sei brava in questo.
«Sì, so chi è» annuisce distrattamente.
«... mi mancava, volevo vederla e raccontarle del mio ritorno a casa. Poi però ho intuito che piombarle tra i piedi all'improvviso non sarebbe stata una grande idea, così alla fine ho disfatto la borsa e sono rimasta qui. Magari... magari andrò a trovarla più in là...» gesticolo annaspando nella mia stupidità.
Il brutto di essere una persona incline al dramma è che cominci a diventare davvero brava anche con le bugie, devi sopravvivere tra i problemi che alimenti tu stessa e tutelare le stronzate che ti racconti per fomentarli, quindi hai una certa familiarità con le palle. Ma essere convincente con la persona che ami di più al mondo mentre menti guardandolo dritto negli occhi è un altro paio di maniche.
Finn mi osserva in religioso silenzio, senza distogliere un momento lo sguardo e poi... qualcosa improvvisamente... cambia. Gli occhi si incupiscono e perdono ogni traccia delle pagliuzze dorate che amo tanto e che gli addolciscono i lineamenti del viso, un sorrisetto ironico e malevolo si fa strada sulle sue labbra pronto a dare battaglia alla tenerezza delle fossette. Si fruga nelle tasche della felpa e ne estrae qualcosa che resta nascosta nella presa ferrea del suo pugno chiuso.
Non so bene perché o come sia possibile, ma in quella frazione di secondo io so, so per certo, di avergli dato la risposta sbagliata, qualcosa che non si aspettava e che l'ha terribilmente deluso.
«Tieni» avvicina la sua mano fino a pochi centimetri dal mio viso e la schiude appena, lasciando ciondolare una catetina luccicante con un ciondolino d'argento attaccato... una farfalla.
"No, ti prego no..." continuo a ripetermi mentalmente mentre qualcosa dentro di me si sgretola e prende a raschiarmi il cuore.
Automaticamente mi porto una mano al collo a stringere nient'altro che i ricordi. Io e lui in teatro, una scatolina impacchettata, il suo imbarazzo nel porgermela e la mia incredulità... una farfalla, la libertà di diventare qualcosa di più che un bozzolo... l'avevo indossata quella sera, e adesso eccola lì...
«Stamattina quando sono tornato a casa c'era mia madre, che sorpresa, eh? Beh, per me almeno, immagino che tu lo sapessi già» sussurra amaramente, «pensa al mio stupore quando mi ha chiesto di riconsegnarti questa» stringe ancora la collana che non vuole saperne di star ferma «ha detto di averla trovata a casa sua a Leeds... che probabilmente l'hai persa quando ci siamo cambiati lì per andare al suo matrimonio. Era sicura che fosse tua perché si ricordava il fermaglio simile che avevi quel giorno tra i capelli...».
"Dì qualcosa, Rae, qualunque cosa prima che sia troppo tardi" mi ripete una vocina insistente e terrorizzata nella mia testa, ma Finn non me ne dà il tempo.
«Ma tu ed io sappiamo bene che questo non è possibile, giusto? Visto che... ti ho regalato questo ciondolo solo pochi giorni fa» la sua voce è dura, tesa, delusa e amareggiata... terribilmente amareggiata «e c'è solo una spiegazione, Rae, solo una...» conclude stringendo entrambi i pugni lungo i fianchi «mi sembra incredibile anche solo da pensare ma... a questo punto non è che abbia molta scelta. Tu... tu stavi andando da lei, non è così?».
I suoi occhi sono inchiodati ai miei alla ricerca di una conferma che la mente ha già avuto ma il cuore rifiuta, che cosa si fa quando la realtà ti sbatte in faccia tutti i tuoi errori senza preavviso?
Una persona normale cosa farebbe?
«Finn, io...» biascico, incredula per quanto sto per dire e non posso più negare «sì, è così, ma... ma non è come pensi, se mi lasci spiegare io... io...» provo a raccogliere tutto il coraggio e la lucidità rimastemi per un ultimo sforzo di onestà, ma gli occhi spenti e delusi di Finn riflettono un fallimento che non tollera tentativi, non più. Volevo il suo bene, volevo fare qualcosa di buono per lui, e invece ho conficcato la punta delle dita in una situazione troppo delicata, troppo grande, e troppo personale da potermi riguardare davvero.
E allora smetto di tremare, di tentare, cercare scuse che non servirebbero, e lascio cadere le braccia lungo i fianchi, in attesa di una reazione che non tarda ad arrivare.
Finn sbatte con forza la collana sul tavolino davanti a noi, poi si alza di scatto «cosa? Cosa mi devi spiegare? Non erano affari tuoi!» esplode guadagnando in pochi passi l'uscita «cosa cazzo ti è passato per la testa??».
Sono pietrificata, non ho nemmeno il coraggio di guardarlo in faccia, è la paura di perderlo per sempre a parlere per me «ascolta...» lo prego avvicinandomi di un passo «non andartene, lasciami spiegare, è vero che volevo andare da Eleonor ma... ma non è andata come pensi tu. Permettimi solo di... di dirti come sono andate le cose» gli afferro una mano e la stringo forte come se fosse un palloncino pronto a volare via.
Non me ne rendo conto, o forse non voglio guardare in faccia la realtà, ma anche se Finn è ancora a pochi passi da me, in realtà è già andato via.
«Credimi...» sussurra liberandosi della mia presa con uno strattone «non ho nessuna voglia di sentire quello che hai da dire, e ti posso assicurare che tu non vuoi sentire quello che vorrei dirti io».
Sono queste le ultime parole che mi rivolge prima di andare via, parole di cui non potrei dubitare neanche volendo, nemmeno impegnandomi a fondo a raccontarmi tutte quelle frottole che mi piacciono tanto.
Quello che succede dopo sono le sue spalle che velocemente scompaiono alla mia vista, senza ripensamenti, sono le lacrime che a tradimento arrivano a rigarmi il viso dopo essere state trattenute a stento da un pizzico di dignità rimastami, è il frastuono di una speranza caduta in mille pezzi sotto il peso delle mie bugie... è quel sogno di normalità che ho potuto accarezzare solo per un istante e che è già volato via.

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Cucù! Ebbene sì, non sono morta :)
Scrivo qualche riga di note solo per scusarmi tantissimo dell'attesa incredibilmente lunga, mi vergogno da morire a tornare dopo così tanto tempo, ma spero ci sia ancora qualcuno da queste parti con il desiderio di leggere il seguito della storia, altrimenti ho idea che me la suonerò e canterò da sola (LOL).
Avevo voglia di un capitolo teneroso stavolta, ma come avrete capito le nuvole non sono ancora sparite all'orizzonte e nel prossimo capitolo ci sarà una litigata epocale tra i nostri due cupcake. Ho in mente di dividere il capitolo 12 in Finn's POV e Rae's POV, ho ancora delle faccende in sospeso con Finn ma vorrei evitare di allungare il brodo allo sfinimento quindi dubito che gli dedicherò un intero capitolo. In ogni caso ne mancano solo due più un mini epilogo.

Parlando di cose serie, l'avete vista la terza stagione? Vi è piaciuta? Per me è un "ni" poco convinto, l'evoluzione di Rae ci può stare, ma che abbiano voluto a tutti i costi separarla da Finn non mi è piaciuto, non ce n'era alcun bisogno. Sarà che sono una fan del lieto fine e a questa coppia sono affezionata, ma ho preferito di gran lunga il finale della seconda stagione.
Detto questo mi congedo, mi scuso ancora per la latitanza e ci si vede al prossimo capitolo :))

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Capitolo 12
*** Numeri ***



Capitolo 12: Numeri

Stamford - 15/21 Dicembre



Non sono mai stata un asso con i numeri, mai piaciuti loro, troppo asettici, puntuali, definiti, univoci, per una mente contorta e votata al ragionamento dalle scappatoie infinite come la mia. Gabbie per liberi pensieri.
Mi hanno sempre dato un senso di claustrofobia, indicatori di inevitabilità: anni passati, grammi di cibo, divisioni, sottrazioni, soprattutto sottrazioni, le lancette dell'orologio... tic tac, il tempo passa Rae datti una mossa... la bilancia, il conto alla rovescia per l'anno nuovo come se sul serio ci fosse qualcosa da festeggiare nel tempo che ti scivola dalle dita. Spaventosa la responsabilità che ricoprono nell'acuire paure e fobie, come contribuiscano quotidianamente ad esasperare il mio senso di inadeguatezza.

Vuoi sapere in che misura dovresti odiarti anche oggi?
Fatti un giro sulla bilancia e fattelo spiegare dai numerini in sequenza crescente.
Sei curiosa di vedere quanto tempo stai sprecando?
Butta un occhio all'orologio e permetti al tempo che passa di raccontarti la tua quotidiana storia di inutilità.
Hai bisogno di conoscere l'entità del danno che hai causato a Finn?
Alza gli occhi al calendario e comincia a contare, guarda quanti giorni sono passati dall'ultima volta in cui ti ha rivolto la parola e lo scoprirai da sola. Conta, i numeri non si lasciano fraintendere, non devi interpretare nulla solo... guardare, fare lo sforzo fisico di aprire gli occhi e incontrare la realtà.

Un approccio alla vita decisamente troppo reale e concreto per una persona abituata alle fantasie, per questo io sono un tipo da parole, lo sono sempre stata.
Le parole possono essere plasmate come creta, portate all'esasperazione e ridotte a un'inezia cambiandone solo l'ordine o la punteggiatura all'interno di una frase. Un numero di interpretazioni infinite e infiniti ragionamenti, l'arte dell'inganno in tutte le sue sfaccettature.
Se tirassi fuori l'argomento in una delle mie sedute di psicoterapia con Kester, come d'altronde è successo almeno un migliaio di volte, lui sosterrebbe l'inutilità di crearsi una realtà fittizia infarcita di verità rimaneggiate ad arte e la necessità di confrontarsi con i fatti, con se stessi per ciò che si è e non per ciò che si vorrebbe essere, «perché solo partendo dalla realtà ti costruisci lo spazio necessario ad agire e migliorarti, non sulle fantasie, non su visioni catastrofiche di ciò che potrebbe essere» ripete spesso quando sono un tantino disfattista.
Se me lo dicesse oggi scoppierei a ridergli in faccia e prenderei la strada della porta in due secondi netti. Quando vedi solo ammaccature, sbagli, schifo e scelte sbagliate dentro di te e tutto intorno qual'è la scelta? Qual'è l'alternativa? Se l'onestà verso se stessi non è che l'ennesimo espediente rivolto al fallimento allora no, grazie. Passo. Preferisco inventarmi una serie di storielle, convincermene e vivere di quelle.
Insensato? Magari si. La soluzione più semplice? Senz'altro. Istinto di conservazione? Senza ombra di dubbio.
Non riesco a "fare"? Vuol dire che farò finta.
E Dio, Dio!!!, vorrei non aver mai conosciuto Kester, vorrei che non mi fosse mai entrato nella testa, vorrei che le sue parole non avessero scavato così in profondità dentro di me perché magari potrei credere davvero in tutte queste stronzate ed essere un'alienata felice.
E invece no, c'è il Grillo Parlante e non ci sono più quelle dolci, tenere, adorabilissime pastigliette anche dette psicofarmaci a farmi da filtro con le emozioni e la realtà, e quindi eccomi qui, una novellina dei numeri in balia dei fatti, l'incubo che si compie. Il capolavoro analitico di Kester, posso vedere il sorrisetto sornione degno dello Stregatto materializzarsi sulle sue labbra, giuro che se chiudessi gli occhi potrei figurarmelo proprio qui, ora, davanti a me. Lo odio con tutta me stessa per avermi contagiata con il suo buonsenso, con i suoi maledettissimi ragionamenti sensati e trucchetti da ciarlatano laureato.
L'insensatezza mi piaceva, l'insensatezza mi rendeva felice, fuori di testa ma felice, avrei potuto trasferirmi sulla stramaledettissima Isola che non c'è per l'eternità e vivere su un arcobaleno, ma no, facciamoci resettare il cervello dallo spicologo "so tutto io". Diventa una persona sana e infelice.

Quindi numeri, dicevo «per la cronaca sono 8, Rae Earl, 8 i giorni che hai passato senza Finn... per ora» scandisco a voce alta rabbrividendo vistosamente, pessima scelta quella di aggiungere il "per ora" alla fine della frase, la prospettiva di un rifiuto futuro reiterato nel tempo non è affatto incoraggiante «192 ore, una somma imbarazzante di minuti e 2kg in più di ansia e nostalgia sulla bilancia. Sono questi i tuoi fatti adesso, non te lo dimenticare» me lo ripeto come un mantra allo specchio guardando dritto negli occhi cerchiati di nero, perché ho bisogno di esserne consapevole fino in fondo, perché finalmente la mia idiozia può essere misurata e tutti possono vederla.
Perché ho capito che il mondo non si ferma nemmeno se lo chiudo fuori dalla mia stanza a doppia mandata, ma scorre, veloce.
E anche se non so ancora cosa fare non voglio che si accumulino altri giorni, non voglio essere il passato di Finn, non voglio che la rabbia che prova in questo momento nei miei confronti sparisca insieme al mio ricordo, non posso nemmeno pensarci.
Gli ho lasciato una settimana per sbollire la rabbia, una settimana che ho passato a studiare una grossa crepa che tra rettilinei e piccole biforcazioni tremolanti si snoda sulla parete bianca opposta al mio letto, dovrò dire a Karim di darle un'occhiata perché adesso non posso più controllarla, le lancette non si fermano e il tempo non aspetta me, non l'ha mai fatto e anche se ho fatto finta di dimenticarlo adesso lo so.

* * * * * * *



Va bene lo ammetto, il passaggio dalle rassicuranti mura della mia cameretta ai rami di un cespuglio decisamente poco ospitale è un tantino repentino anche per i miei standard di stramberia. Forse mi sono lasciata prendere un po' troppo dall'entusiasmo, ma a mali estremi, estremi rimedi, e quando capita di avere un guizzo di coraggio bisogna sfruttarlo, giusto?
Del resto mi era sembrata una buona idea, davvero, quando sono uscita di casa a passo di carica per correre da Finn ero assolutamente convinta che si trattasse della decisione più impavida e sensata che la mia mente avesse mai partorito... almeno finché non sono arrivata qui, e con "qui" intendo effettivamente davanti casa sua... solo che... beh, più o meno, diciamo che mi sto rendendo conto di avere dei livelli di coerenza piuttosto bassi per non dire inesistenti, e che tra l'avere un guizzo di coraggio ed essere coraggiosi c'è una bella differenza.
Perciò eccomi qui, al momento più in modalità "stalker inquietante" che "ex fidanzata respinta che sta cercando di rimediare a un disastro".
La verità è che arrivare a un passo dalla mèta mi ha mandata in confusione. Letteralmente in confusione. Stavo per suonare il campanello, giuro che stavo per farlo, ero a una manciata di millimetri dal bottoncino, ma poi ho iniziato a percepire tutti i sintomi tipici di un attacco di panico e non ce l'ho fatta, mi sono nascosta, letteralmente incespugliata.
E via il solito copione di respiro affannato, tremolio, cuore al limite tra tachicardia e infarto, guance bollenti, terrore da fine del mondo imminente, il classico dei classici. Per dirla tutta ora come ora sono piuttosto sicura di avere l'aspetto di un gattone con l'asma in crisi esistenziale.
Mi piacerebbe provare l'ebrezza di sorprendermi una volta tanto, avere un'idea, seguirla e portarla a compimento, e invece no, nel più tipico dei cliché una volta che tiro fuori le palle finisco a stramazzare tra la vegetazione senza aver nemmeno visto Finn.
Coraggio Rae, esci da questa specie di rifugio per gabbiani e fai quello che devi fare, inspira, espira, inspira, espira.
Ti ordino di riprenderti!
Hai parlato con Finn centinaia di volte, è incazzato ma è sempre lui, ti ascolterà, capirà.
... O magari non ti aprirà nemmeno la porta...
Positività porca miseria!

Un altro paio di boccate d'aria e «ok, posso farcela. Ce la farò, via il dente via il dolore» rantolo al primo passo alla luce del sole «adesso vado lì, mi cucio un bel sorriso tenero sulle labbra, tonnellate di rimorso e sensi di colpa da ogni singolo poro, suono alla porta e appena mi apre gli dico "Ciao!", oppure subito "perdonami!"... sì, "perdonami!"» esclamo arricciando le labbra nel sorriso più finto concepito dalla notte dei tempi «però no, troppo patetico. "Ciao" e basta, "ciao" va bene... e per la miseria smettila di parlare da sola!» blatero calciando aria a caso.
Sul serio, quante possibilità ci sono che Finn non mi scoppi a ridere in faccia?
Quante possibilità ci sono che mi apra almeno la porta??

Ad ogni modo: calma.
L'ingrediente fondamentale per la buona riuscita della missione è la calma. Unita a un pizzico di ossigeno in più, qualche passeggiata su e giù per il marciapiede, borbottii antistress e un pizzico di ritrovata determinazione. Il tutto condito da occhiatine divertite di passanti ignari.
Ed eccomi qui dieci minuti dopo, nocche sulla porta, in attesa.
In realtà all'inizio avrei voluto attaccarmi al campanello finché non avessi visto la sagoma di Finn Nelson apparire magicamente, ma un tocco delicato sul legno chiaro è più indicato, quantomeno perché se sono abbastanza leggera ho ancora la possibilità di non essere sentita e ripensarci, volendo.
Codarda, lo so, è che sono spaventata da morire, l'idea di un rifiuto mi paralizza, e se è vero che non sono una veggente è altrettanto vero che l'indifferenza e le chiamate ignorate dei giorni scorsi non sono esattamente degli indicatori positivi. Anzi. E non voglio nemmeno pensare a come mi sentirei se venissi rifiutata di persona.
Basta così, stop ai pensieri disfattisti, testa alta, pugno alla porta e un bel sorriso tenero sul viso.
'Fanculo, vada come vada!

E sono abbastanza convinta di avere un collegamento diretto tra mano e cuore, perché altrimenti non si spiega come il secondo abbia riconosciuto all'istante l'azione del primo cominciando a pompare all'impazzata, l'adrenalina mi ucciderà se non succede subito qualcosa, Finn mi è mancato così tanto che ho una voglio inumana di vederlo. E a dire la verità anche di baciarlo, farmi stringere tra le sue braccia, mordergli le labbra, accarezzargli i capelli e fare...
«Che cosa ci fai qui?».
Finn si materializza sulla porta all'improvviso nemmeno fosse una proiezione dei miei desideri, ha i capelli sconvolti, gli occhi lucidi e leggermente cerchiati di nero, e il maglione bianco morbidissimo che si posa sui fianchi e gli risalta le pagliuzze dorate negli occhi. Possibile stesse dormendo? Eppure sono le sei del pomeriggio.
In ogni caso è una visione, e non sono assolutamente preparata.
"Ti prego mantieni un contegno e non balbettare, non è proprio il momento" mi ripeto all'infinito pregando serva a qualcosa, ma il ragazzo davanti a me non ci prova nemmeno a mascherare il fastidio per mettermi a mio agio. La mascella contratta, le nocche sbiancate sulla porta socchiusa e gli occhi ridotti a due fessure raccontano esattamente quello che mi sarei aspettata di trovare: una persona incazzata. Non gli è passata.
Sono una statua di sale «C-ciao» e benvenuta balbuzie «Finn, io volevo... volevo solo...».
Sbuffa senza darmi il tempo di finire la frase «mi sembrava di averti detto che non voglio parlare con te» dritto al punto senza guardarmi nemmeno negli occhi.
Il suo corpo è completamente proteso verso la porta, pronto a chiuderla con un gesto secco, ma non può andare così, non deve, non posso sopravvivere un altro giorno sapendo che lui mi odia. Deve pensarla così anche il mio piede, perché è tra la porta e la soglia che si incastra, un attimo prima che questa possa chiudersi «p-per favore, dammi due minuti... solo due minuti poi ti lascerò in pace».
Suona come una litania, in ginocchio e mani giunte avrei ottenuto lo stesso effetto.
Finn studia la mia espressione per qualche secondo, accigliato, vorrei che leggesse nei miei occhi la stessa determinazione mista a nostalgia che sento nel cuore. Non mi rifiuterebbe mai.
«Non ho niente da dirti, Rae» borbotta spostando gli occhi sul piede che tiene ancora la porta aperta, se non fosse una persona pacifica giurerei che stia cercando un attrezzo contundente per tranciarmelo di netto.
«Ma io sì. Per favore...» gli accarezzo distrattamente le nocche con due dita rabbrividendo al contatto con la sua pelle, si ritrae come scottato un attimo dopo, non mi arrendo però, non oggi «due minuti, stammi a sentire due minuti poi ti giuro che vado via. Per favore».
Potrei esplodere in un pianto disperato nel giro di un paio di secondi se dovesse mandarmi via sul serio. Possibile che gli vada bene così?
Sospira rumorosamente, la mano libera incastrata nei capelli e le labbra arricciate in una smorfia scocciata. Si scosta leggermente dalla porta per permettermi di passare «entra» dice solo, secco, come se gli costasse uno sforzo enorme.
Non me lo faccio ripetere due volte.

Ti amo.
Ti amo così tanto che certe volte ho paura mi scoppi il cuore se non te lo dico.

Da quando ho seguito Finn in casa una manciata di secondi fa riesco a sentirle chiaramente quelle due paroline così sincere e reali nella mia gola che premono per uscire fuori. Ho così tanta voglia di dirlo che temo mi scappino sovrappensiero da un momento all'altro.
È che suonerebbero così giuste, così vere, anche se lui non mi volesse più.
Non voglio più vederti Rae.
Ti amo.
Non ti perdono stavolta.
Ti amo.
Ho mangiato una scatola di cereali per pranzo.
Ti amo.

Potrebbe seriamente diventare la mia risposta per tutto.
Il problema è che ho una gran paura di non averglielo mai detto abbastanza, paura che le mie azioni deliranti l'abbiano fatto scivolare in secondo piano, che abbia potuto perfino dimenticarlo o peggio, dubitarne. Ne morirei.
Ho buttato talmente tante occasioni con lui. Era mio, MIO, voleva esserlo, e io sono scappata alla prima difficoltà lasciandolo solo. Ha avuto tanta tenacia con me, sempre, e come l'ho ripagato? Con un disastro dietro l'altro, il silenzio, la mancanza, sono stata orribile con lui e se fossi una persona migliore gli girerei a largo perché merita decisamente più di quanto potrò mai dargli.
Ma quelle due parole non le posso ignorare, non posso proprio, e sarò egoista forse ma giuro che se dovesse perdonarmi non farò mai più certe stronzate, mai più.
Quanto tempo ho sprecato quando potevo ancora baciarlo senza chiedergli il permesso? Quanto??
Il minimo che possa fare adesso è tentare in tutti i modi di rimediare.
«Ascolta...» sussurro dopo aver aspirato una lunga boccata d'ossigeno sperando di attirare la sua attenzione, siamo seduti entrambi in cucina, uno di fronte all'altra ai due lati opposti del tavolino, ma per lui è come se non ci fossi nemmeno, non ha ancora alzato lo sguardo dalle sue mani adagiate sulle ginocchia «mi dispiace tanto per quello che è successo, ma... davvero, c'è un enorme malinteso di mezzo».
«Ah si?» alza un sopracciglio curvando le labbra in un risolino teso «quindi non hai parlato con mia madre?».
Sì e no, ma se mi lasciassi spiegare capiresti che non l'ho fatto apposta e magari non mi odieresti più in questo modo.
È come se avessi davanti agli occhi la vecchia versione di Finn, quella che non si fidava delle mie scelte musicali e mi parlava appena.
«Sì, ma...».
«Allora non c'è nessun malinteso» taglia corto eludendo le mie parole, «e onestamente non capisco perché sei ancora qui, anzi se è tutto...» indica con un cenno la porta e il mio cuore si stringe un po' di più.
Sta già tentando di cacciarmi? Sul serio?
Potrebbe essere più chiaro di così solo se mi trascinasse con tutta la sedia oltre la porta, e non escludo che ci abbia pensato.
«È successo per caso, va bene?» provo a darmi un tono ignorando il muro di Berlino che ho davanti «avevo intenzione di andare a parlare con tua madre, lo ammetto, era una stronzata gigantesca, ok, ma volevo aiutarti, ero in buona fede».
«Ma non erano affari tuoi!» esclama alzando per la prima volta gli occhi annacquati su di me.
E questo fa un po' male, perché non è del tutto vero che non erano affari miei, Finn è sempre stato affar mio e sono più che certa che nessuno si girerebbe dall'altra parte davanti alla sofferenza della persona che ama. Lui con me non l'ha mai fatto, ad esempio. Certo non è questo il momento di mettere i puntini sulle "i".
«Magari... ok, comunque c-ci avevo r-ripensato» non ora ti prego, non farti prendere dall'emotività, coraggio «quando abbiamo litigato l'ultima volta e tu mi hai trovata qui pronta a partire io... tu, tu hai pensato che stessi scappando da qualche parte, ma invece io avevo pensato che anche se non fossimo mai potuti tornare insieme avrei voluto fare lo stesso una cosa per te. Aiutarti come tu hai sempre fatto con me...».
Lo osservo di nuovo, con cautela, stacco gli occhi dai bordi mangiucchiati del mio maglione e mi concedo qualche secondo per studiarlo un po', per capire se ha senso che continui quel discorso oppure no. Sembra assorto nei suoi pensieri, la luce della finestra lo colpisce appena ai lati del viso proiettando piccole ombreggiature sulla pelle candida.
Dio, ma eri così bello anche quando stavamo insieme?
Come facevo a starti accanto senza sentirmi inadeguata? Mi sa che non lo facevo...
Concentrati dannazione! Non è proprio il momento.
«Volevo andare da Eleonor e chiederle di non arrendersi con te» ammetto con le guance in fiamme «dirle che non era troppo tardi per sistemare le cose, o almeno fare un tentativo in quella direzione, che avrebbe perso tanto, troppo, se non l'avesse fatto».
Io non riuscirei mai a rinunciare a te. Mai.
A quelle parole Finn si alza di scatto sulle sue gambe, piccato, concedendomi il privilegio degli occhi «non è qualcosa che potevi stabilire tu, Rae, è una faccenda tra me e mia madre! Siamo io e la mia famiglia, e tu non avevi nessun diritto di ficcare il naso!» sottolinea l'ultima frase alzando il tono di voce, giurerei che ci fosse anche un "non dovevi permetterti!" di sottotesto che ha dimenticato di aggiungere.
«Quando l'ho vista qui mi è sembrato un miracolo, mi sono detto "ma guarda, forse stavolta ha capito, forse ci siamo, magari posso anche crederle". E invece cos'era?» sbatte forte un pugno sul tavolino, il tonfo sordo mi arriva fin dentro le ossa, non c'è più solo nervosismo nelle sue movenze, ma delusione, tristezza, rassegnazione «una perfetta estranea per lei ha dovuto spiegarle come comportarsi con suo figlio! Come dovrei reagire? Che cazzo dovrei pensare di lei? E di te??».
«Ma è qui che ti sbagli!» urlo con il viso in fiamme e sull'orlo delle lacrime. Non posso più lasciare questa distanza fisica tra noi, ho bisogno di guardarlo dritto negli occhi per farmi capire. Quindi mi alzo trascinando la sedia e arrivo a pochi centimetri dal suo viso, siamo così vicini che il suo respiro mi solletica la pelle scatenandomi mille piccoli brividi «non sono andata da tua madre, alla fine ci ho ripensato, ho fatto marcia indietro e sono venuta da te. Perché volevo parlare con te, volevo spiegarti, volevo chiarire. Ma quando sono arrivata qui tu non c'eri, ma... ma invece c'era lei, proprio davanti alla porta».

Ricordo bene quel momento, pioveva forte, pioggia mista a neve in realtà, e avevo lo stesso identico batticuore di ora, la stessa identica voglia di buttarmi tra le braccia di Finn, dirgli quanto lo amassi e piangere come una fontana. Vorrei farlo proprio qui, anche adesso. Peccato non ne abbia mai avuto la possibilità, ora come allora... Comunque Eleonor mi ha riconosciuta immediatamente, elegante ed eterea nel suo completo blu, sembrava perfino felice di vedermi.
«Si era appena traferita in città con Tom, ti ricordi? E la prima cosa che ha fatto quando è arrivata in città è stata venire qui, per parlare con te. Io non c'entro niente, capisci?».
Non aveva bisogno di me per capire quanto sei speciale e che non poteva perderti.
Finn è completamente stupito, preso in contropiede, ma anche dubbioso, in un moto di coraggio afferro una delle sue mani tra le mie e comincio ad accarezzargliela delicatamente con i polpastrelli. Non ricambia la presa, ma nemmeno si sottrae.
«Il ciondolo, lei... lei aveva il ciondolo che ti avevo regalato» sussurra appena senza staccare i suoi occhi dai miei. Si stanno lentamente riempiedo di nuovo della dolcezza che gli appartiene da sempre, potrei restare imbambolata a guardarlo per sempre.
Il ciondolo. Non l'ho più tolto dal collo da quando me la tirato contro il pomeriggio di una vita fa, ogni tanto lo sfioro sovrappensiero per ricordarmi che per lui ero importante, mi tranquillizza.
«Pioveva» racconto beandomi del calore della sua pelle «qui non c'era nessuno e così si è offerta di riaccompagnarmi a casa, dev'essermi caduto nella sua macchina. Anzi sicuramente è andata così. Ero così imbarazzata che non ho aperto bocca durante il tragitto, e quando ci siamo salutate mi sono limitata a dirle quanto fossi felice che avesse deciso di non arrendersi con te. E basta, ti giuro che non c'è stata nessun'altra parola tra di noi. Nessuna. Lei voleva parlare con te e non ha avuto bisogno di nessuna spinta per decidersi. Non... non potevo pensare che tu fossi così arrabbiato con me proprio nel momento in cui avresti avuto più bisogno di avermi accanto, e per una cosa da niente oltretutto...»
Il mio è a malapena un sussurro quando finisco di parlare, il respiro è tornato regolare, la mano di Finn è ancora saldamente ancorata tra le mie, magari per una volta la ruota ricomincerà a girare nel verso giusto dopotutto.
Il peggio è passato... vero?
Adesso ci abbracciamo e posso dirti finalmente le uniche due parole che contano... non è così?
Illusa, la realtà è che conosco Finn molto meno di quanto credessi, e che c'è qualcosa nel mio discorso, una piccola, infinitesimale parte di ciò che ho detto che sta vanificando tutto il resto. Le parole hanno un peso, soprattutto quando non ci rendiamo conto del significato che viene loro attribuito da chi abbiamo davanti, e io fra tutti dovrei saperlo bene considerato che ne faccio un uso spropositato tutto il tempo. Lo capisco dal lampo di fastidio che colpisce gli occhi nocciola di Finn che qualcosa è andato storto, si trasformano in ghiaccio in un istante, ed è la stessa sensazione sgradevole che lo porta a lasciare bruscamente la mia mano come se bruciasse.

Con quanta facilità un problema a un passo dalla soluzione riesce a mandare di nuovo tutto a puttane?
Un attimo fa avevo davanti a me una persona confusa, quasi convinta della mia buona fede, della mia sincerità, del mio affetto persino, una persona che stava lentamente tornando a guardarmi con gli occhi che conoscevo.
Questa nuovissima versione di Finn che fa avanti e indietro nei pochi metri quadrati della cucina come un leone in gabbia è un'altra cosa.
Il silenzio calato tra di noi è interrotto solo dal rumore dei suoi passi indecisi, si volta di tanto in tanto a guardarmi e socchiude appena le labbra nel tentativo, probabilmente, di cominciare un discorso che finora è rimasto confinato solo nella sua testa.
Parlami!... vorrei urlargli... dimmi qual'è il problema, dimmi che cosa c'è che non va!
Perchè poco fa stava andando tutto bene, non l'ho sognato, e ora questo.
Che cosa mi sono persa?
«Avevo b... io non... no... una cosa da niente?» accenna, titubante, come se in realtà avesse voluto dire qualcos'altro e si fosse trovato tra le mani un pretesto qualunque. Si riprende immediatamente però, e sorride, in un'espressione di scherno che non raggiunge gli occhi, impassibili e fissi in un punto qualunque dietro la mia testa «avevi intenzione di farti 4 ore di autobus per parlare con l'ultima persona al mondo con cui avresti dovuto farlo e ti sembra una cosa da niente?».
Ok aspetta, non volevo dire questo...
«Non volevo dire questo, non è una cosa da niente, non lo è, ma non l'ho fatto, no? Intendevo dire che è assurdo litigare per... per qualcosa che non è successo! Perché... perché sei così arrabbiato?» e stavolta sono io a fare un passo indietro per osservarlo meglio.
Da qualche parte nella conversazione che abbiamo avuto dev'esserci stato per forza qualcosa che l'ha fatto scattare, ma perché non me ne parla invece di mettersi sulla difensiva? Mi rifiuto di credere che si sia agitato così solo ed esclusivamente per un'uscita infelice che non pensavo nemmeno. Da quando siamo diventati due estranei? Da quando la mia presenza è un problema?
E non lo capisco, sul serio, appurato che sono una pessima oratrice, che sbaglio le parole e ho delle pessime ideee che non metto in atto, perché è ancora così furioso con me?
«Adesso che mi hai spiegato quello che c'era da spiegare puoi andare via, scusami ma ho da fare» dice indicando la porta alle mie spalle.
Non sono completamente convinta che sia stato davvero Finn a parlare, perché lui non ha quel tono perentorio, non è uno stronzo e non mi tratterebbe mai in questo modo... Giusto?
«Aspetta, ma perché? Pensavo che adesso che sai tutto avremmo potuto chiarire, che mi avresti perdonato, che... che non saresti più stato arrabbiato».
Ma devo entrare nell'ordine di idee che la persona che ho di fronte in questo momento è solo la caricatura di Finn Nelson, e questa copia sbiadita della persona che amo ha deciso che non mi vuole più in casa sua.
È con una stretta delicata di due dita sul polso che mi accompagna verso l'uscita. Mi sta cacciando, e nonostante tutto il mio corpo idiota accelera i battiti e si incendia sotto al suo tocco. Dannati, dannatissimi ormoni traditori.
Non riesco nemmeno a reagire, mi sento completamente annichilita, assente, una statua di sale in balia degli eventi. E sono anche tanto stanca, mai una volta che possa sbagliare senza sbatterci la faccia, mai una volta che possa capire fino in fondo di cosa sono responsabile.
Perché lo giuro, stavolta proprio non lo so.
«Certe volte le cose vanno male e non puoi farci niente, non si può sempre aggiustare tutto» sento dire dall'automa che ha ancora il mio polso bloccato tra le dita davanti alla porta di casa «va' via Rae, occupati della tua vita e lascia in pace la mia».
Ed è questa la conclusione, qui il punto d'arrivo, una persona che non può essere in nessun caso il mio Finn mi ha appena dato il benservito richiudendosi la porta alle spalle, neanche si fosse trattato di cacciare un venditore ambulante fastidioso. Come se fosse un'inezia, il naturale scorrere degli eventi, l'ultima banalità dell'Universo.
Cosa diamine è appena successo??
Perché Finn mi ha appena sbattuto fuori dalla sua vita e io ho ancora quel ti amo bloccato sulla punta della lingua.

* * * * * * *



Prospettive.
È tutta una questione di prospettive.
In condizioni normali ogni singola funzione vitale compiuta quotidianamente dal nostro organismo potrebbe passare quasi inosservata, risultare spontanea, naturale, semplice. Possiamo muoverci, osservare il mondo, ascoltarlo, percepirlo sulla pelle, interpretarlo, senza interrogarci troppo su come e perché fisiologicamente parlando questo accada. In realtà ogni giorno ogni più piccolo, infinitesimale frammento di noi, del nostro corpo, mette in atto centinaia di processi biochimici complessi di cui non siamo minimamente consapevoli.
Adoro il profumo della pioggia, respiro a pieni polmoni l'aria gelida di una giornata invernale poco prima che nevichi, e non ci penso, o almeno non ci pensavo, all'ossigeno che scorre nel sangue e arriva via via in ogni cellula del nostro corpo. Non mi sono mai soffermata sull'idea che allo stesso modo una piccola, minuscola parte della nostra essenza venga di nuovo ceduta al mondo sotto forma di anidride carbonica seguendo il percorso inverso.
Succede e basta, è così che funziona.
Ma quando il tempo aumenta di consistenza e non ragioni più in termini di giorni e ore ma minuti, secondi, allora tutto cambia.
5 giorni possono sembrare niente paragonati all'intera esistenza, ma diventano un'eternità se li vivi come 7200 minuti, 432000 secondi.
Tutto si riduce sempre a questo: numeri.
E allora diventi consapevole di ogni cellula, ogni battito di cuore, improvvisamente fa quasi male quell'ossigeno che si fa strada dentro di te ogni volta che immetti aria nei polmoni e ti senti svuotata di ogni energia all'idea di doverlo ripetere centinaia di volte ogni ora.
In 5 giorni possono succedere tantissime cose, puoi passeggiare per i corridoi del campus cercando disperatamente un paio di occhi nocciola per i quali, ti rendi conto, hai assorbito la stessa incosistenza dell'aria, la stessa trasparenza. Puoi incollare l'orecchio alla cornetta del telefono per ore aspettando inutilmente che dall'altra parte una voce conosciuta ti ricordi che sì, in effetti esisti ancora. Puoi scoprire quanti minuti ci vogliono per mangiare un'intera torta ai mirtilli armata solo di un cucchiaino da tè... 7, per l'esattezza.
E puoi renderti conto che da un giorno all'altro per te la parola "nostalgia" ha acquisito nuovi significati. "Nostalgia" sono i 12 minuti che mi separano dalla porta bianca della casa di Finn, sono i 9 squilli che posso ascoltare ad ogni chiamata tutte le volte che non risponde, sono le due lettere lunghissime scritte e mai spedite perché non potrei sopportare di essere rifiutata anche così. E sono anche tutte le stelle che sto osservando adesso dal tetto del teatro, il giorno delle prove generali dello spettacolo, prove che ho indegnamente deciso di saltare per diventare una statua di ghiaccio.

«Quindi è qui che hanno spostato il Polo Nord» Archie, detto anche Folletto disturbatore della quiete altrui, esordisce osservandomi dall'alto appena entrato nel mio campo visivo.
Stavo giusto finendo di contare le stelle di uno spicchio di cielo sdraiata sul linoleum del tetto.
Le sue scarpe sono a pochi millimetri dai miei capelli mentre saltella su e giù a braccia incrociate per difendersi dal freddo «la Patmore ha dato in escandescenza perché non c'eri, voleva godersi la tua straordinaria performance da brucone viola» sghignazza sprofondando le mani nelle tasche del cappotto.
«Brucaliffo Arch, si chiama Brucaliffo, e tu sei solo invidioso perché sei un'insulsa margheritina di campo».
«Touché» sbuffa planando a gambe incrociate al mio fianco «in ogni caso il viola non mi dona, e poi sono sempre in tempo a fregarti la parte se decidi di morire assiderata. A breve ti trasformerai in una statua di ghiaccio».
Magari... Sarebbe un modo molto artistico di morire, e Finn sarebbe costretto a guardarmi.
Appunto mentale: tenere in considerazione l'idea per scopi futuri.

Archie si avvicina a me prendondo ad accarezzarmi i capelli, lui sa tutto del mio litigio con il suo migliore amico «come mai sola soletta qui? Non starai mica evitando Finn?».
Maledette scenografie, maledetta manualità da falegname e maledetto Finn.
Dopo giorni trascorsi a calpestare inutilmente la mia dignità speravo solo di potermi trovare una distrazione, e invece entro nel teatro e chi vedo a un metro dal palco intento a martellare?
Esattamente.
Neanche a dirlo non mi ha degnato di uno sguardo, però è rimasto anche dopo aver terminato il suo lavoro per guardare le prove. Come diavolo avrei potuto starmene impalata lì per un'altra ora a fissarlo come un baccalà mentre ride e scherza con tutti tranne me?
Non esiste, grazie tante, strano ma vero ho ancora un briciolo di amor proprio, quindi ho preferito un rifigio sicuro... Che sia una cella frigorifera a cielo aperto è del tutto secondario.
«Guarda che è lui che evita me» puntualizzo «e comunque sono anche stufa di farmi ignorare. Gli dò così fastidio? Accontentato».
«Smettila di fare i capricci» borbotta tirandomi una ciocca arricciata dall'umidità della sera «e poi non è vero che gli dai fastidio, è solo che, lo sai, Finn è un testone ed è anche orgoglioso... ma gli passerà... ».
Gli passerà, certo, magari tra 10-15 anni deciderà di farmi la grazia e perdonarmi per un'idea che non ho nemmeno messo in atto. Sempre ammesso che il motivo sia davvero questo, oltretutto.
Ma tanto lui è la parte lesa a prescindere, giusto? La pazza instabile sono io. Mi sfugge proprio il senso di essersi dato tanto da fare per me fino a una manciata di giorni fa se poi è bastato un malinteso per mandarmi a quel paese.
Ok, aspetta un attimo... sono arrabbiata con Finn?
Questa è nuova...
«Certo!» esplodo «Mister Perfezione non accetta certi ragionamenti. Sai che ti dico Arch?» mi sollevo sedendomi a gambe incrociate accanto a lui «sono stufa di sentirmi in colpa per qualcosa che non ho fatto. Gli piace giocare alla povera anima candida offesa? Benissimo, d'ora in poi lo farà senza di me».
Archie scoppia in una fragorosa risata «ok, ok, quindi sei arrabbiata adesso? Devo prepararmi ai fuochi d'artificio?».
«Fai poco lo spiritoso» gli intimo schioccandogli due dita su una guancia «ho i miei buoni motivi per avercela con lui».
«E quali sarebbero?».
«Beh...» mi volto completamente verso di lui sollevando lentamente una mano con l'indice alzato «prima di tutto mi ha detto, cito testuali parole, "occupati della tua vita e lascia in pace la mia"» per incrementare la drammaticità del momento imito anche la voce calda e suadente del diretto interessato facendo ridere Archie fino alle lacrime «ma ci pensi? LUI che dice a ME di farmi gli affari miei. Lui! Che è venuto a cercarmi fino a Sleaford fingendosi te per entrare in clinica! Ti rendi conto?».
Assurdo.
Semplicemente ridicolo.

«Lui è quello che ha sempre detto che voleva non lo tenessi fuori dalla mia vita e dai miei problemi, e poi cosa fa? Eh? Esattamente la stessa cosa, anzi peggio, perché lui di me sa praticamente tutto mentre io ho scoperto il nome di sua madre solo di recente!» sbuffo senza fiato, imbestialita.
E ok, prima di ammetterlo ad alta voce non ci avevo mai pensato. È un permaloso, orgoglioso ipocrita!
«Secondo» proseguo sollevando il medio della mano destra «mi ha mentito».
«Mentito?» Archie socchiude gli occhi arricciando il naso, posso vedergli mille punti di domanda brillargli negli occhi anche al buio.
«Sì! Mi ha mentito» confermo incrociando le braccia al petto e gonfiando le guance di rabbia «non me lo bevo tutto questo nervosismo nei miei confronti per la storia di Eleonor... Arch, parliamoci chiaro, io non ho fatto niente, ho avuto una pessima idea, è vero, ma non l'ho messa in pratica. Oltretutto gli ho chiesto scusa mille volte e lui per tutta risposta mi ha cacciata di casa. C A C C I A T A - D I - C A S A» scandisco esattamente ogni lettera per sottolineare il concetto.
Non mi toglierò mai dalla testa il fastidio e il disagio presenti negli occhi di Finn quando mi ha "gentilmente accompagnata" per un polso alla porta.
Il mio amico del cuore preferito si passa una mano tra i capelli, lievemente in imbarazzo e sulle spine «in effetti non hai tutti i torti...».
«Non li ho. No. E terzo» concludo la mia arringa sollevando di nuovo la mano e mostrando un terzo dito alzato «non si fida di me».
E questa è la parte che mi fa più male.
Posso accettare l'incazzatura, posso accettare che mi abbia detto che le sue cose non mi riguardano in un momento di rabbia, ma la totale mancanza di fiducia no. Quella fa malissimo.
«Lui lo sa quanto ho sofferto per mio padre. C'è stato, io gli ho permesso di esserci».
Io gli ho permesso di esserci, sempre, lui non ha mai nemmeno accennato alle sue faccende personali.
«Eleonor è un'altra storia, va bene, ma io più di chiunque altro avrei potuto capirlo. Sono un'esperta di genitori problematici. So bene cosa significa quando vieni abbandonato completamente dall'unica persona che dovrebbe starti vicino a prescindere. L'ho provato sulla mia pelle. Quindi perché non me ne ha mai parlato? Perché non si è mai cofidato con me?... Perché?».
L'ultima domanda viene fuori come un soffio, le lacrime premono ai lati degli occhi per uscire, sono atterrita dalle mie stesse parole, dalla consapevolezza di essermi persa per strada la parte più intima della persona che amo e che diceva di amarmi a sua volta.
Perché non mi ha mai detto niente? Perché ci faccio caso solo ora? Che razza di persona sono per non essermi accorta di un malessere simile? Gli occhi di Finn sono trasparenti, lo sono sempre stati.
Sei una stupida egoista Rae.
Lui non si fida di te perché tu sei una stupida egoista che pensa solo a se stessa.
La colpa di questa situazione è tua quanto sua.

«Siamo... siamo tutti diversi Rae» Archie sussurra appena, ma non ci crede troppo nemmeno lui, è abbattuto quanto me «Finn è il tipo di persona che difficilmente tira fuori i suoi fatti personali con le altre persone. Io stesso sapevo di Eleonor solo perché lo conosco da tutta la vita, altrimenti pensi che me ne avrebbe parlato? È fatto così».
«Beh è fatto male!» le prime lacrime scendono silenziose sulle mie guance bollenti «ma sono fatta male anch'io, se non fossi sempre stata così problematica magari me ne avrebbe parlato. Quindi in fondo siamo una gran bella coppia di idioti!».
Non provo nemmeno più a trattenere le lacrime, lascio che mi inondino gli occhi e il viso mentre si confondono con i fiocchi di neve che hanno iniziato a cadere dal cielo senza che me ne accorgessi neppure. Archie mi abbraccia forte accarezzandomi la testa, sussurrando qualcosa che non capisco ma che suona tremendamente dolce. Troppo dolce, non sono convinta di meritare certe gentilezze, non adesso, non dopo quello che ho appena realizzato.
«Non piangere Rae, non piangere ti prego» Archie si separa appena da me, le mani completamente ghiacciate ad asciugare le mie guance caldissime «vedrai che si sistemerà tutto,e poi che diamine, contegno! I brucaliffi non piangono! Passano la vita a maltrattare la gente e urlare "coooosa esssser tuuu?" tuuutto il tempo» grida modulando la sua voce calda in maniera stridula e ammiccante.
Aspetta un attimo, dovrei essere io quella?
Da quando è diventato così bravo a imitare le voci? Giuro che stavolta sembrava me...
«Idiota».
«Sul serio Rae, sono sicuro che si risolverà tutto. Finn ogni tanto si comporta come un'idiota ma non lo è, lo sai, si pentirà del modo in cui ti ha trattato e farete pace. Fidati di questa margheritina di campo canterina. "I fiori hanno sempre ragione!"» asserisce con l'inconfondibile vocetta squillante della professoressa Patmore durante le prove.
Quella donna è seriamente una delle persone più buffe che abbia mai conosciuto in vita mia. Oltretutto ha una fissazione quasi patologica per la botanica e il linguaggio dei fiori, di tanto in tanto ne regala uno a qualcuno dei suoi studenti e loro, da quello, devono tirare le somme della loro performance di recitazione sul palco. "I fiori hanno sempre ragione!" risponde ai malcapitati che hanno la pessima idea di ribattere, gente che non la conosce ancora bene, ovvio.
«Oddio Arch, hai veramente un futuro come attore» ammetto stropicciandomi gli occhi umidi, sono un po' meno angosciata ora grazie a lui.
«Lo so, lo so» asserisce circondandomi le spalle mentre indirizza entrambi alla porta di accesso alle scale «adesso però torniamo in teatro o mi toccherà cominciare a recitare anche nei panni della stalattite e del suo migliore amico pupazzo di neve».
«Ti voglio bene Arch, tantissimo».
Pochi secondi dopo tutto ciò che rimane di noi è un'eco continua sulla tromba delle scale «"I fiori hanno sempre ragione!"».

* * * * * * *



In teatro l'atmosfera è rilassata, silenziosa, le luci soffuse, pochissime persone.
Le prove a cui ho dato forfait sono finite da un pezzo e grazie al cielo la Patmore è già andata a casa, sorbirmi anche le sue ramanzine oggi sarebbe stato sfiancante, il coronamento perfetto di una giornata da dimenticare.
Sono rimasti solo una decina di studenti, inclusa me, per sistemare la sala e completare le porzioni di scenografia sul palco che necessitano di piccoli ritocchi o rifiniture. Imbarazzante la quantità di fiori di cartapesta che si può accumulare in pochi giorni, sono praticamente ovunque, hanno trasformato il teatro della scuola nel carnevale di Rio.
Anche Chloe e Izzy hanno deciso di unirsi a noi per l'occasione con la scusa di dare una mano, in effetti è la prima volta che passiamo più di un paio di giorni senza vederci, ma tra le prove dello spettacolo e tutte le vicissitudini con Finn non ho avuto una gran voglia di fare vita sociale. Mi sono mancate.
E Finn, per l'appunto... naturalmente c'è anche lui, croce e delizia della mia patetica esistenza. Non che per me faccia qualche differenza dato che non mi rivolge la parola, ogni tanto sarei tentata di fargli qualche gestaccio per scoprire se sono effettivamente trasparente o fa solo finta di non vedermi.
Al momento è intento a puntellare il tetto di una casupola dai muri inclinati insieme ad Archie, è ingiustamente una visione anche con una semplice t-shirt bianca di cotone e i jeans sbiaditi.
Mi piacerebbe proprio sapere cosa gli sta dicendo il folletto dei fiori per farlo sorridere così, vedo l'accenno di una fossetta anche da qui. Dio, pagherei per poterci affondare le dita, qui, adesso.
Contieniti Rae! Smettila subito di sbavare e continua a lavorare!
Finn Nelson e le sue adorabili maledettissime fossette possono andare a quel paese!

La situazione sta decisamente diventando ingestibile, sono arrivata a livelli di frustrazione inauditi, è già un miracolo che non sia esplosa nel bel mezzo del teatro come un vulcano in eruzione. Ma manca poco eh, manca veramente poco.
«Tutto bene?» bisbiglia Chloe indicando Finn con un rapidissimo cenno della testa. Izzy accanto a lei sta colorando con tempere e pennello il disegno di una rosa rosso vermiglio, ma ammicca di tanto in tanto nella nostra direzione in attesa della risposta.
«Al solito» sospiro alzando le spalle «quello che vedi è quello che è. Riassumendo: per lui non esisto».
«Testone».
Izzy si sporge verso di me pennello alla mano, ha un atteggiamento molto cospiratorio e sta imbrattando il pavimento di nuvolette rosse «Chop mi ha detto che l'altra sera al Pub sembrava giù di morale. Secondo me la situazione pesa anche a lui Rae, gli manchi...».
Magari...
«Beh, se così fosse avrebbe potuto accettare le mie scuse, probabilmente ha qualche altro problema» borbotto senza sollevare lo sguardo dalla farfallina azzurra di cartoncino che sto incollando a un pannello di compensato.
Qualche altro problema di cui ovviamente non vuole rendermi partecipe, ma questo evito accuratamente di aggiungerlo mascherando il nervosismo con una pressione un po' troppo forte sul povero disegno che ho tra le mani.
Fatti gli affari tuoi Rae, l'hai sentito, giusto? Occupati della tua vita e lascia stare la sua.
La sua è off-limits.
Come le sue fossette.
Fossette e vita off-limits.
A casa probabilmente ha una lista di fedelissimi cui concede la parola, e tu non ci sei, mi pare evidente.
Stronzo oh...

«Che stronzo però» sbuffa Chloe, e la amo, è ufficiale, siamo esattamente sulla stessa lunghezza d'onda «con gli uomini è sempre così, prima ti dicono di non fare una cosa, se poi invece, guardacaso, la fanno loro, allora va bene. Non era lui che ti diceva che voleva sapere tutto di te e bla bla bla...?».
«Già».
«Visto? Sono un'esperta!» esulta roteando il martello che sta adoperando da mezz'ora per attaccare un alberello che ha visto decisamente tempi migliori.
«Stà attenta con quell'affare Chlo!» urla Izzy abbassando la testa appena in tempo per schivare uno scontro diretto.

Archie e Finn si avvicinano a noi attirate dal fracasso improvviso «che state facendo, impiastri?» domanda Archie divertito dall'espressione terrorizzata di Izzy.
«Niente, Izzy è esagerata come al solito» chiosa Chloe continuando a maneggiare pericolosamente il martello come fosse una clavetta «che c'è, è vero!» ribatte all'occhiata omicida della rossa «sono perfettamente entrata nel personaggio e ho assoluta dimestichezza con l'attrezzo... sei tu che ti spaventi per niente... Non è che da piccola sei rimasta traumatizzata da qualcosa? Esiste la fobia per i martelli?» domanda candidamente.
Izzy avvampa come un peperone maturo mentre sia Finn che Archie ridono sguaiatamente.
«Si Izz, parlaci della tua infanzia, dicci cosa ti turba» le sussurra all'orecchio Finn con fare divertito portandola ad avvampare ancora di più.
Ed è una stupidaggine, ne sono consapevole, una battutina innocente nella cornice di uno scherzo, ma sono stanca, sono arrabbiata e anche triste, e quell'invito a confidarsi mi manda la temperatura corporea direttamente al livello Etna.
Ipocrita, ipocrita e stronzo.
Ipocrita e malfidato.
L'ho già detto ipocrita?

«Sì Izz, confidati con noi, prendi esempio da Finn... mh... ipocrita» borbotto sottovoce tossendo l'ultima parola nel tentativo di farmi udire, o forse no, dal diretto interessato.
Finn, che ha chiaramente un radar per i principi d'incendio, non si lascia sfuggire la mia frecciatina «come, scusa?» ribatte, piccato.
E questa sarebbe la mia buona occasione per tacere, ribattere con un secco "niente" e finirla lì, ma ehi, sono io...
«Dicevo a Izzy di prendere esempio da te e raccontarci tutto... ops, scusa...» sghignazzo coprendomi la bocca con una mano per la palese allusione «volevo dire...».
«So esattamente cosa volevi dire» mi interrompe fulminandomi con un'occhiataccia.
Cos'è Mister Non Chiedetemi Niente, ho toccato un nervo scoperto?
Tutto a un tratto l'atmosfera goliardica presente fino a un attimo prima si sgonfia, evapora letteralmente, Chloe, Archie e Izzy abbassano gli occhi in direzioni diverse, intenti a fissare scarpe, fiori di cartapesta e macchie di colore sul pavimento. Finn invece incatena i suoi occhi ai miei, privi di qualsiasi accenno di divertimento.
Si rivolge a Izzy senza però smettere di fissare me «in effetti Izz potresti farti consigliare direttamente da Rae, ma occhio, tieni a portata di mano una valigia e il passaporto perché di solito le sue idee migliori comprendono treni e altre nazioni».
Oh oh, l'ha detto sul serio?
Ha seriamente tirato fuori, di nuovo, la storia della valigia??

Archie allarga le labbra boccheggiando vistosamente come un pesciolino rosso lasciato senza acqua, e comincia a palleggiare gli occhi tra me e il suo migliore amico, incredulo.
Izzy invece, così come Chloe, adotta la tecnica del mimetismo cercando di confondersi con lo sfondo alle sue spalle.
«Beh, sempre meglio togliersi di torno che evitare le persone di proposito» rispondo piccata avvicinandomi al suo viso «come mai sei qui oggi? Non vedo i soliti 50 metri di sicurezza che devi mettere tra di noi».
Finn spalanca gli occhioni nocciola indignato «tipico, proprio tipico, il mondo non gira intorno a te, Rae, e io non sto cercando di evitare proprio nessuno».
Ok, questa è una bugia.
Questa è una grossa, gigantesca, colossale palla!

«Questa è buona! Cos'è, pensi sia diventata anche cieca oltre che invisibile? Non lo sono per niente, e so benissimo quello che stai...».
«Time out!» Archie si frappone tra me e il bugiardo dalla lingua lunga e osserva entrambi con un'aria contrariata che non ammette repliche «vi sembra il luogo adatto per mettersi a discutere? Andate fuori a continuare... e usate toni civili, se ci riuscite».
Il solito diplomatico Grillo Parlante.
Se si aspetta che deponga l'ascia di guerra e chieda per l'ennesima volta a Finn di concedermi il privilegio di una chiacchierata non ha capito proprio nulla, ho smesso di ficcarmi la dignità sotto le scarpe, basta così.
Incrocio le braccia al petto gonfiando le guance, e sbatterei anche i piedi a terra se non lo trovassi un tantino infantile «per me possiamo anche chiuderla qui. Non ho nient'altro da aggiungere».
Ma un attimo dopo una forza insistente arpiona saldamente il mio polso e mi trascina verso la fine del teatro «vuoi cacciarmi anche dal teatro adesso? Non è tuo, non puoi fare il padrone anche qui!» urlo sguaiatamente provando a liberarmi dalla presa ferrea di Finn.
«Smettila di parlare a vanvera e vieni fuori con me» insiste il mio aguzzino prepotente, continuando a trascinarmi sotto lo sguardo allibito degli altri studenti presenti «non voglio dare spettacolo qui».
«Beh, tanto è un teatro, sono abituati!» sbuffo sonoramente.
Finn si blocca a metà strada tra il palco e l'uscita d'emergenza «questa potevi proprio risparmiartela» sottolinea un attimo prima di proseguire per la sua strada con rinnovata determinazione.
La linguaccia che lancio alla sua nuca mostrando tutta la mia maturità rimane per fortuna un segreto tra me e i suoi capelli.
Smetto di opporre resistenza comunque e lo seguo all'aria aperta, visto che ci siamo ne approfitto anche per sfiorare delicatamente la sua mano con i polpastrelli, è così morbida e calda, avvampo in un attimo.
Dio, sono fottuta, praticamente ha già vinto.
D'altronde peggio di così non può andare...

* * * * * * *



L'aria gelida della sera ci piomba addosso con tutta la sua intensità dopo il primo passo fuori dal teatro, odora di neve, e sui nostri volti accaldati ha lo stesso effetto di uno schiaffo in pieno viso.
Finn interrompe la sua marcia a pochi metri dall'ingresso, in un angolino appartato illuminato da un lampione intermittente, i fiocchi di neve hanno ricominciato a cadere con una certa intensità ora e fa davvero molto freddo.
«Si può sapere qual'è il tuo problema??» esclama a pochi centimetri dal mio viso dopo avermi liberato il polso con uno strattone.
«Il mio probelma?» questo è veramente il colmo «TU vieni a chiedere a ME qual'è il problema?».
«Hai già dimenticato cos'è successo là dentro? Sei stata tu a cominciare!».
Sembra veramente fuori di sé, possibile non capisca perché sono arrivata a questo punto? Non vede che è stata la sua totale chiusura nei miei confronti a farmi scattare?
«Sì, è vero» ammetto comunque mestamente nel tentativo di smorzare un po' i toni, Calma Rae, calma, non puoi sprecare questa occasione, devi parlare con lui, parlare, non litigarci «è che... q-quando hai detto a Izzy di aprirsi con noi mi è sembrato ridicolo. Perché tu non l'hai mai fatto... tu... tu con me non l'hai mai fatto. E noi siamo stati anche insieme... ma...».
Le parole, dove sono le parole? Chi me le ha rubate?!
Dio, perché dev'essere così complicato, perché? Come faccio a ragionare lucidamente e formulare frasi di senso compiuto se mi guarda con quegli occhioni spalancati? Perché devo essere io a spiegargli che il suo comportamento non è normale? Io che, tra tutti, sono la persona meno normale in assoluto.
Prendo un altro grosso respiro e attingo a tutte le riserve di spirito zen di cui dispongo, il battito del mio cuore deve per forza calmarsi, subito, perché sul serio, ci sono buone probabilità che mi esca fuori dal petto da un momento all'altro.
«Tu hai detto di amarmi e io ti ho creduto. Ti ho creduto sempre. Dicevi di voler far parte della mia vita, mi hai chiesto di non tenerti fuori dai miei problemi, mai, perché avremmo potuto affrontarli insieme. E io ho cercato di farlo, mi sono fidata ma... ma è stato difficile Finn, difficile da morire, e certe volte avrei preferito cavarmi gli occhi da sola piuttosto che raccontarti le mie stramberie. Ma l'ho fatto lo stesso, per te, non mi sono più nascosta» ed è la verità, è tutto talmente vero da fare male, con lui mi sono sentita e mi sento tuttora completamente esposta. «Ma negli ultimi giorni ho realizzato di essere stata l'unica a farlo perché tu... tu a me hai sempre tenuto nascosto tutto. Avevi tutta questa situazione incasinata con Eleonor e io sapevo a malapena che avessi una madre... Dio Santo, ti rendi conto della differenza?! Ti sembra giusto?!».
Le prime lacrime traditrici accarezzano le mie guance senza che possa minimamente ostacolarle, Finn davanti a me sembra impassibile a prima vista, ma le nocche sbiancate dei suoi pugni chiusi e la mascella serrata lo tradiscono, nonostante voglia ostentare sicurezza è sulle spine anche lui.
Non è ancora pronto a mollare però «devi smetterla con questa storiella Rae, ti ho già spiegato che non sono affari tuoi, che devi starne fuori, che...».
«Bla bla bla, smettila tu di dire questa stronzata!» lo interrompo bruscamente prima che possa ribadire per l'essesima volta quella sciocchezza «sono affari miei! Lo sono eccome!... TU sei affar mio!».
Alla mia ammissione disperata Finn distoglie lo sguardo puntandolo su un lato indefinito del cortile, infila i pugni nelle tasche della giacca e inspira profondamente una boccata d'aria ghiacciata. Se non fosse un momento tanto drammatico troverei quasi poetico essere qui fuori con lui, così vicini, sotto la neve. Ed è completamente ridicolo che mi venga in mente adesso un pensiero tanto smielato, del tutto fuoriluogo, ma è il mio modo "sulle nuvole" di vivere la sua vicinanza, è sempre stato così.
La tensione tra noi è palpabile ora e così in contrasto con la delicatezza che abbiamo intorno, Finn sta cercando le parole giuste per ribattere, vedo le rotelline del suo cervello vorticare all'impazzata anche da fuori. Quando torna a guardarmi dritto negli occhi però non c'è più traccia di incertezza sul suo viso, solo determinazione e nervosismo... ho un brutto presentimento.
«E poi finora siamo stati occupati da altro, non ti pare?» sussurra con una punta di sarcasmo.
«Che... che cosa vorresti dire?».
«Beh, quando avrei dovuto tirare fuori il discorso secondo te? Mentre mi avevi lasciato? Mentre eri a Sleaford? Mentre macinavo chilometri e chilometri con la macchina per venire a cercarti? Quando, Rae? Perché siamo sempre stati piuttosto indaffarati con i tuoi, di momenti no, per poterci concentrare anche sui miei».
«Non ci provare!» grido allibita, completamente sconvolta dall'acredine nelle sue parole «non provare a dare la colpa a me! Sì, è vero, ho avuto i miei problemi, ho fatto delle scelte veramente idiote in passato, ma ti avrei ascoltato sempre e tu lo sai! Lo avrei fatto Finn, e non provare a dire il contrario perché lo sai benissimo che farei qualunque cosa per te... Non... non puoi non saperlo...» sussurro le ultime parole in stato di shock.
So cosa sta cercando di fare, l'ho capito, non sono stupida fino a questo punto, vuole spostare l'attenzione dalla sua ipocrisia al mio egoismo. E magari è anche vero che spesso e volentieri sono stata concentrata esclusivamente su me stessa, ma io so, nel mio cuore so che se lui avesse fatto anche solo un tentativo per aprirsi con me non mi sarei mai, mai tirata indietro. Mai, nemmeno durante la peggiore delle crisi.
«Questa, q-questa è solo una bugia che ti racconti per convincerti che stai facendo la scelta giusta. Una bugia che racconti a te... come... come quelle che stai raccontando a me».
Finn è immobile a mezzo metro da me, continua a fissare il mio viso ma è come se mi guardasse attraverso, come se stesse facendo uno sforzo immane ad essere lì e fa così male, fa talmente male che il peso sullo stomaco sostenuto negli ultimi giorni si sta trasformando in una voragine di nulla.
Scuote la testa in segno di negazione, indignato «ma di quali bugie parli??».
«Del motivo per cui ce l'hai con me» ammetto, titubante «l'ho capito che non si tratta più di tua madre, sai? Pensi che sia stupida? Di te non so un mucchio di cose però ti conosco come le mie tasche, e so benissimo che non puoi avercela con me per quello. C'è dell'altro, solo... solo non riesco a capire cosa».
Ed è la verità, lo sappiamo entrambi, in questi giorni ci ho sbattuto la testa milioni di volte e non ci credo più alla storiella della violazione della privacy. Finn non è quel tipo di persona, non è uno stronzo supponente, se si comporta in questo modo significa che c'è qualcos'altro e adesso voglio sapere esattamente contro cosa sto combattento. Qualunque cosa lo stia allontanando da me potrebbe avere una soluzione se solo lui lo volesse, se solo mi desse una possibilità.
Dammene una, ti prego. Solo una...
Ma è chiaro che lui non ha nessuna intenzione di concedermene, perché messo alle strette indietreggia ancora fino a intraprendere una lenta marcia al contrario verso la porta da cui siamo usciti. Se ne sta andando, ancora una volta mi sta chiudendo fuori.
«Te l'ho già spiegato Rae... non... non si può sempre sistemare tutto. Certe volte bisogna accettare la realtà» dice un secondo prima di voltarmi definitivamente le spalle.

Il cuore corre talmente forte da azzerare l'interruzione tra un battito e l'altro. Non posso perderlo, non voglio, non ora che potremmo stare insieme sul serio, non ora che ho imparato a vivere nel mondo reale e a mostrarmi per la persona che sono davvero. Non ora che non ci sono più pillole che mi inibiscono i sentimenti e la mente, non quando l'amore che provo per lui è così forte da essermi convinta di poterlo essere io stessa nella vita.
È per tutti questi motivi che non posso mollare, è per mille validissime ragioni che le mie gambe in totale autogestione cominciano a muovere il primo timidissimo passo verso di lui... e poi il secondo, il terzo e via via aumentando di velocità fino a raggiungerlo.
«Aspetta, ti prego!» gli afferro la mano sinistra appena in tempo mentre l'altra è già abbassata sul maniglione antipanico dell'uscita d'emergenza del teatro «ti... ti prego Finn, per favore...» lo imploro ancora.
Lui non mi concede nemmeno il privilegio di vederlo voltarsi, ma la sua voce è traballante quando riempie di nuovo il silenzio «Rae, io...».
No, non andrà così, se vuoi lasciarmi devi almeno permettermi di dirti tutto.
Ho chiuso con i rimpianti.

Tiro con forza il braccio precedentemente arpionato e lo costringo a voltarsi verso di me. Le mie mani incerte si posano delicatamente sulle sue guance caldissime, ti prego guardami negli occhi, è il sottinteso del mio gesto, perché so che lì troverà la verità di quanto sto per dirgli. E non ho idea di come sia possibile che i miei polmoni siano ancora in funzione perché Finn è bello da mozzare il fiato, i suoi occhi sono così intensi, caldi, quasi liquidi, e sono dotati di una dolcezza che mi fa tremare le gambe ogni volta che mi guarda a distanza ravvicinata come adesso.
Sembra così indifeso all'improvviso, avvicina una guancia e poi l'altra al mio tocco come un gattino in cerca di coccole, socchiudendo gli occhi. E lo so che si sta maledicendo internamente per questa debolezza ma è comunque una piccola vittoria, significa che da qualche parte sotto a tutta quell'indifferenza e al cinismo ostentato il mio Finn esiste ancora.
Eccoti finalmente...
«Tu non hai idea di quanto hai significato per me Finn... di quanto signichi tuttora. Prima di conoscere te la mia specialità era passare inosservata» sorrido al ricordo delle stravaganze compiute in tal senso «pregavo di diventare invisibile, sai? Ero... ero felicissima di sentirmi dire frasi tipo "non mi ricordo di te" oppure "non ti avevo vista", perché significava non essere risultata quella stramba, quella diversa. Avevo il terrore di essere notata, fraintesa. Poi... poi ho conosciuto te, e per la prima volta in vita mia ho desiderato essere guardata davvero. Ho desiderato conoscerti e che tu mi conoscessi, ho desiderato entrare a far parte della tua vita con tutta me stessa e quando questo è successo non ci potevo credere. Ero così felice che sembrava un miracolo».
Siamo vicini, così vicini che le nuvolette prodotte dai nostri respiri si rincorrono, volano leggere e si fondono nell'aria incanalando la stessa identica emozione.
Finn non dice una parola, rimane semplicemente incantato a fissarmi mentre l'accenno di un sorriso gli piega leggermente le labbra dando vita a quel prodigio meraviglioso delle fossette, riesco a sentirle appena sotto i polpastrelli ma sono lì, l'unica dimostrazione tangibile di un momento di felicità.
«Il tuo amore per me è diventato amore per me stessa. Accettando te ho accettato il modo in cui tu mi guardavi e incredibilmente ho cominciato a guardarmi allo stesso modo, tutti i miei difetti sono diventati caratteristiche, sfumature, e tutto grazie a te» gli sfioro piano le guance in punta di dita beandomi del calore della sua pelle, «è stato grazie a te Finn. Tutto grazie a te, perché mi sono detta che se una persona speciale come te voleva me forse... forse potevo essere un po' speciale anch'io. E non puoi ignorarmi Finn, non puoi camminare per i corridoi e fingere di non vedermi, non puoi trattarmi come se fossi invibile. Perché ti amo... ti amo, e se sono invisibile per te... sono invisibile e basta».
Dirgli "ti amo" è la sensazione più forte mai provata nella mia vita, l'ammissione più vera e sincera che potessi fare, è solo pronunciando quelle due parole, dandogli vita e lasciandole libere di arrivare a destinazione che sollevo il nodo in gola trattenuto per settimane. Dal ricovero a Sleaford, forse addirittura da prima.
Finn continua a fissarmi incredulo trattenendo il respiro, i suoi occhi viaggiano freneticamente dai miei occhi alle mie labbra e il suo respiro mi solletica la pelle. Sotto gli strati di vestiti sono un unico inesauribile brivido, che si propaga in tutto il corpo nel momento in cui appoggia le mani sulle mie, ancora adagiate sulle sue guance.
Chiudo gli occhi al leggero movimento della sua testa verso di me, pregando in tutte le lingue del mondo che il mio cuore sia preparato a reggere anche un bacio dopo tutto quello che è successo stasera.
... ma evidentemente è destino che non lo sappia mai...

«Ragazzi!» esordisce una vocetta fastidiosa a pochi passi da noi.
È un incubo, per favore ditemi che è un incubo.
Finn si sottrae immediatamente al contatto come ustionato, ha il respiro affannato e lo sguardo imbarazzato mentre ritrova lucidità e con un paio di passi si allontana da me ristabilendo una nuova distanza.
No! Ditemi che non sta succedendo davvero, ti prego vattene via! ripeto nella mia testa come un mantra, come se quella preghiera silenziosa avesse il potere di far dissolvere una persona nell'aria.
Elle ci viene incontro a grandi falcate, leggermente in debito d'aria come se fosse appena reduce da una corsa e stringe tra le braccia la sua inseparabile macchina fotografica. Ci sono borse, tracolle e cartelline che spuntano dappertutto intorno a lei, niente che non abbia già visto un milione di volte.
Vorrei ucciderla a sangue freddo, strozzarla a mani nude.
O ficcarle una palla di neve direttamente in gola, sarebbe più scenografico.
«Avevo paura di non trovare più nessuno a quest'ora, volevo farvi vedere le foto. Ci sono anche gli altri?» domanda entusiasta bloccandosi a pochi passi da noi, del tutto inconsapevole del momento appena interrotto.
Le foto, giusto, in questi ultimi giorni di prove ha gironzolato spesso in teatro macchina fotografica alla mano, è praticamente diventata un incubo continuo di "clic", efficiente, silenziosa e rapida come un ninja. Ho ricordi molto vaghi e confusi riguardo una spiegazione sull'esposizione della luce seguita dal suo proposito di mostrarci gli scatti quanto prima.
Pessimo, pessimo tempismo.
Davanti al nostro mutismo ostentato si schiarisce la voce leggermente a disagio, poi all'improvviso si focalizza su Finn come se fosse stata appena colta da una rivelazione «ma tu non avevi il treno alle sette? Come mai sei ancora qui?» gli domanda.
Momento, momento, momento.
Treno?
Treno alle sette?
Finn doveva prendere un treno alle sette?
Tutta la mia attenzione converge immediatamente verso il paio di occhi nocciola che rimbalzano a disagio tra me ed Elle senza sapere cosa dire.
«S-si, cioè no. Alla fine abbiamo cambiato date» borbotta in risposta.
Ok, che cosa mi sono persa?
La mia lingua si scioglie all'istante e mi rivolgo direttamente a lui «treno? Devi andare da qualche parte?».
La prima cosa che salta agli occhi alla mia domanda è il disagio di Elle. Non dice una parola ma il suo pensiero è lampante, credeva di aver detto qualcosa di cui fossi già a conoscenza.
Dal canto suo Finn diventa più taciturno di secondo in secondo, tant'è che è la nostra amica comune a rispondere per lui «oh, beh, no, scusate probabilmente devo essermi confusa» ridacchia gesticolando nervosamente «sono così distratta che ogni volta capisco una cosa per un'altra...».
Sì, ti credo sulla parola, stanne certa.
Elle è una pessima bugiarda e Finn non è migliore di lei. Sospira stancamente un paio di volte prima di prendere la parola «sarei dovuto partire con mia madre oggi, per una settimana di vacanza a Londra» ammette rivolgendosi direttamente a me «ma non mi andava di lasciare mio padre da solo per Natale, quindi abbiamo spostato la partenza al 27».
Black out totale.
Cosa divolo significa?!
Chi mi ha cancellato una parte di memoria?!
Dev'essere così per forza perché quello che ho appena ascoltato non ha il minimo senso.

«Scusa Finn» si intromette un'imbarazzatissima Elle «l'altra sera ne parlavi con Archie e Chloe, pensavo l'avessi detto a tutti».
A tutti...
La mia mente registra solo poche parole, e sono, nell'ordine: Chloe, Archie, Elle e Eleonor.
Tutti...
Sono l'unica che non può nemmeno provare a nominarla quindi? Con gli altri ne parli tranquillamente?
Sono allibita, davvero, all'idea che Elle, una persona che Finn conosce... da quanto? Un paio di mesi? Sappia di lui qualcosa che per me è totalmente off-limits.
Va bene che non siamo stati in buoni rapporti ultimamente, ma una vacanza con Eleonor significa riavvicinamento, significa parole, significa discussioni, significa avvenimenti importantissimi di cui sono stata tenuta all'oscuro.
Solo io, l'unica.
Lui la detestava fino a pochi giorni fa, no, no, la odiava proprio. E adesso parte con lei...
Il mio sguardo è fisso sull'asfalto ma percepisco distintamente due paia di occhi focalizzati su di me, Elle e Finn aspettano che dica qualcosa, che abbia una reazione, ma cosa posso dire? Mi sento un guscio vuoto in questo momento, mi viene da vomitare.
«Rae...» una persona che decisamente ho smesso di conoscere allunga una mano verso di me «Rae, io...».
NO. NO. NO.
NO.

Non mi ero nemmeno resa conto di aver cominciato a indietreggiare, ho le braccia tese davanti a me e nessuna intenzione di farmi toccare, da nessuno, tantomeno da Finn perché aria, ho bisogno di aria. Ho bisogno di ossigeno e di mettere una certa distanza tra me e lo stronzo menefreghista che ha appena deciso di spezzarmi il cuore in mille frammenti microscopici.
Come dovrei fare a tenerli insieme adesso, come?
L'idea di essere stata tagliata fuori dalla sua vita mi paralizza, è molto più di quanto possa sopportare.
Noncuranza significa mancanza di interesse, mancanza di interesse significa indifferenza, e l'indifferenza è qualcosa che non posso gestire.
Qualcosa cui non posso rimediare.
È anche peggio dell'odio.
Mi concedo di guardarlo negli occhi un secondo, un secondo solo prima che esploda in un pianto disperato «spero... spero che vada tutto bene con tua madre».
«Rae..» prova ad interrompermi Finn.
«Spero che andrà bene e che vi divertirete insieme. A... a quanto pare alla fine una lista ce l'hai davvero, no?».
«Rae, aspetta un secondo, non pensare che...».
«Solo che a quanto pare è molto più corta di quanto pensassi. Non riguarda chi può essere messo a conoscenza delle tue cose... no» scuoto la testa tra me e me impedendo qualsiasi tipo di nuova interruzione «... no... no... riguarda chi NON può conoscerle. Giustamente è più facile, molto più corta... Sc-scommetto di essere la prima voce» considero, mentre sorrido fintamente per evitare di crollare e accartocciarmi su me stessa a terra.
Quindi è così.
È questo che si prova quando finisce tutto.
"Non si può sempre sistemare tutto Rae, certe volte bisogna accettare la realtà e basta" così ha detto... già... accettare la realtà...

«Mi dispiace di non poter rimanere per guardare le tue foto Elle» la fisso sfoggiando il sorriso tremolante più finto che essere umano abbia mai concepito «ma adesso devo proprio andare, saranno sicuramente bellissime».
Pronuncio l'ultima frase mentre sto già correndo, perché non mi vedrà piangere ancora, no, non gli permetterò di ridicolizzare anche le mie lacrime.
Ho sbagliato tutto, ogni cosa, per lui non sono nessuno. Nessuno.
Non alzo la testa per guardare davanti a me, mi concentro sull'asfalto e sulle mie gambe che acquistano velocità, non alzo la testa nemmeno quando sento la voce di Finn ripetere il mio nome ad alta voce più volte. Non la alzo per voltarmi e nemmeno per rispondere, continuo la mia corsa fino alla fine della strada, lontana dai loro occhi, lontana da Finn.
Finn... che non ha nemmeno perso tempo a seguirmi.

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Entrare qui ormai è diventata fonte inesauribile di vergogna, è passata un'eternità, lo so, perdonatemi. Non voglio accampare scuse di nessun tipo perché sarebbero perfettamente inutili, mi dispiace infinitamente punto e basta.
Vi lascio due righe striminzite per dare qualche piccola informazione di servizio.
Il prossimo, e ultimo, capitolo verrà pubblicato tra due settimane circa.
Direte voi "non ci credo nemmeno se lo vedo", avete almeno in parte ragione considerando i tempi biblici di pubblicazione degli ultimi capitoli, ma, c'è un ma.
La storia nella mia mente è conclusa, ho una gran voglia di mettere la parola fiine e ho già cominciato la stesura.
Quindi riassumendo, due settimane: il 10 Giugno.
Ci sarà anche un epilogo, diciamo che me lo tengo un po' come se fosse un jolly, perché nel caso in cui dovessi dilungarmi eccessivamente spezzerò e lo utilizzerò come conclusione della storia vera e propria. Chi vivrà vedrà, le mie doti di sintesi sono pressoché nulle quindi potrebbe facilmente capitare.
Ma non temete, in tal caso si tratterà comunque di un intervallo di tempo sempre di un paio di settimane. Non di più.
E niente, tutto qui. Ringrazio quante mi hanno scritto in privato per incitarmi a continuare, per ringraziarmi (a quanto pare questa terza stagione ha deluso tante persone) o semplicemente per salutare, mi fa sempre un enorme piacere constatare che non me la canto e me la suono da sola, ecco.
Al prossimo capitolo (non vi spoilero niente, abbiate pazienza è l'ultimo capitolo, più o meno, e non mi sembrerebbe per niente carino. Vi dico solo che ci sarà anche un piccolo POV di Finn).
:)

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