Chiaro di Luna

di Pandora_2_Vertigo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7 ***



Capitolo 1
*** 1. ***


1.

La mia arma è il pugnale. La luna riflette su di esso i suoi raggi argentei, che fanno risplendere il metallo nel buio della notte.
Denver è la mia città, la mia casa. Ogni sera sfido la sorte per proteggerla, la morte mi è in parte compagna.
La lama tintinnante scalfisce la pelle marmorea, ma da quelle ferite non sgorga sangue. Polvere eri, polvere sei e polvere ritornerai. Un colpo ben assestato all’altezza del cuore e un pulviscolo si libera nell’aria.
Muovo la testa a destra e a sinistra, rapida, per far scrocchiare il collo. Mi sistemo il corto giubbotto di pelle, ritiro la mia arma e mi volto verso la strada. La prossima traversa, la prossima via. Il destino mi aspetta per giocare con la vita.

Un altro immortale, o così lui crede. Gli spunto alle spalle, prima che aggredisca qualcuno.
Niente vittime innocenti per stanotte. Niente cibo per te.
Un calcio allo stomaco, un pugno al volto. Tu sei duro, quasi di roccia, ma io non sono da meno.
La lama brilla nella notte e si conficca nel petto.
Chi è cacciatore e chi preda, ora?

Il cuore batte, ma lento.
Sono sempre meno umana, la mia duplice natura si sta rivelando per quello che è.
La mia pelle riluce rischiarata dalla luna, colgo i suoi raggi sul tetto di un palazzo.
Ho ancora l’adrenalina che scorre nelle vene, la mia droga!
Con lei mi sento viva! Ne ho bisogno.
Ripenso a chi ero fino a qualche tempo fa. Un sorriso storto mi compare sul volto, un ghigno.
In parte rimpiango quell’innocenza che mi caratterizzava in ogni situazione. Vedevo il bene nel cuore di ognuno, anche dove il cuore ormai non c’era più.
La croce pende sempre dal polso, la pietra azzurra emette riflessi color cielo sul mio volto candido, sulle labbra colorate di rosso. La guardo ciondolare avanti e indietro, segue i movimenti del braccio, mi ipnotizza, come facevano i suoi occhi.
Mi rialzo.
Scendo le scale antincendio, accendo la moto e parto a tutta velocità. Casco nero in testa. L’aria primaverile mi scompiglia i lunghi capelli che ne fuoriescono.
Entro in casa, sbatto giubbotto e casco sul tavolo, mi stendo sul divano in pelle nera.
Quello è rimasto, non l’ho cambiato.
È sparito l’angolo bar, lì ora c’è un letto a due piazze, adoro dormire comoda. Le bottiglie di alcolici sono in una teca, vicino al tavolo, dall’altra parte della stanza
Mya dal sofà di fronte mi raggiunge e si accuccia sulla pancia fusando.
- Ciao micia, sono tornata.
Mi addormento così, fissando l’ampia vetrata che dà verso l’esterno, da cui filtrano i raggi delicati della luna.

 
Vede le luci della città. Si sta avvicinando, sta ritornando.
Crede che nessuno si ricordi più di lui, pensa di poter tornare tranquillo.
Cinque anni sono una quantità di tempo sufficiente per dimenticare.
Si domanda se il suo appartamento sia ancora libero.
Sorride a se stesso, scuote la testa. La sua risata rimbomba nell’abitacolo dell’auto nera sportiva. Troppo silenzio, accende la radio, cambia varie stazioni. Alla fine infila un cd e si rilassa, continuando a guidare tranquillo.
Ha degli affari da concludere. Un lavoro da portare a termine.
Il suo scopo è fare pulizia, lo pagano per questo. Eliminare le creature inutili, quelle che danno fastidio, la spazzatura. Uomini, vampiri, mostri. Non fa differenza.
È diventato un mercenario.
È forte, molto più forte.
Il suo aspetto è pressoché invariato, ma più maturo, diverso seppur la sua pelle non si rinnovi.
La sua pelle è morta.
Il suo cuore non batte.
Non respira, non ne ha bisogno.
Arriva in fretta alla sua vecchia dimora, riconosce la finestra, vede dell’ampia vetrata libera da tapparelle.
Sorride. Scuote la testa. Di nuovo.
Capisce che deve trovarsi un nuovo rifugio.
Lo sapeva.
Ritrovandosi in quella strada ripensa alle ultimi avvenimenti in quella città, alla lotta, a come silenziosamente si era defilato.
Ripensa a lei, che non aveva saputo difendere. Storce la bocca in una smorfia.
Parte sgommando e si allontana.
Il motore romba, le gomme stridono sull’asfalto.
Rabbia. Verso se stesso. Stringe più forte in volante dell’auto, spinge di più sul pedale dell’acceleratore.



Il sonno sta per avvolgermi totalmente, come il dolce anestetico del mio dolore.
Sento dei rumori da fuori. Una macchina parte sgommando a tutta velocità.
Mi sveglia.
Mannaggia a te, pirata della strada.
La pelle del divano aderisce ai vestiti, non mi permette di muovermi come mi pare e piace.
- Maledizione – urlo.
Mi alzo di colpo, spaventando Mya che dormiva ai miei piedi.
Mi sbatto sul letto, mi giro e mi rigiro.
Sbuffo.
Il sonno se n’è andato, la stanchezza no.
Riprendo casco e giubbotto. Chiudo a chiave la porta. Scendo le scale. Tiro fuori la moto.
L’accendo e parto.
Girovago tranquilla. Arrivo ad un semaforo. Rosso, accosto.
Una macchina nera spunta dà in fondo alla strada, rapida percorre la distanza e inchioda anch’essa al semaforo, di fianco a me.
Ma và sto deficiente, penso.
Provo a sbirciare dentro, ma l’auto ha i vetri oscurati.
Sgasa. Sgasa di nuovo.
Amico mi stai sfidando?
Dò un quarto di giro alla manopola del gas, il mio motore ruggisce basso.
Mi risponde.
Mezzo giro.
Sgasa ancora. Allora vuoi la guerra!
Un giro intero, la lancetta del contagiri sale, quasi fino al rosso.
Pronta.
Il verde arriva presto. Alzo il piede col quale mi sostenevo e parto. Riesco a non far impennare la moto, che docile ruggisce e sale di giri. Alzo la punta del piede, mentre schiaccio la manopola della frizione, metto la seconda.
La macchina è affianco a me, mi tiene testa, buona ripresa, bel gioiellino.
 

Accelera, il motore sale di giri, frizione, cambia, accelera ancora.
Il rumore copre la musica che esce dalle casse dello stereo.
Tiene testa alla moto.
Quella sfida lo eccita. Gli ci voleva un diversivo.
C’è poca gente in giro, è notte, le strade sono semi deserte. Possono correre quanto vogliono.
Cambia ancora. La strada è dritta, lunga, ma la fine si sta avvicinando. Destra o sinistra.
Passano una traversa.
Lampeggianti blu, sirene della polizia.
Impreca, non vuole smettere di divertirsi, ma nemmeno farsi prendere.
I poliziotti non riescono a tenergli testa. Arriva al bivio. Lui gira a sinistra, la moto a destra.
Si defila.
Farsi arrestare è l’ultima delle cose che desidera.



La sfida è finita pari, ma ora è sfuggire alle autorità la mia preoccupazione.
Mantengo alta la velocità, passo per i vicoli, lì le volanti non mi possono seguire. Faccio qualche scorciatoia. Giungo a casa.
Parcheggio.
Il tempo di ributtarmi sul letto e bussano alla porta.
Bussare è un eufemismo, a momenti me la sfondano.
- Arrivo, arrivo!
- Apri Kris.
- Eccomi, eccomi!
Spalanco veloce la porta, tanto ho riconosciuto la voce, so chi è.
Mi stampo un sorriso malizioso sul volto e faccio due occhini da cerbiatta.
La divisa blu, gli dona terribilmente.
- Ciao Will, tutto bene?
Mi passa di fianco, entra in casa.
- Certo, accomodati pure – dico sarcastica e richiudo la porta.
- Kristina smettila, eri di nuovo tu vero? Non posso sempre pararti le chiappe!
È arrabbiato. Corruga la fronte, così è ancora più adorabile.
Mi avvicino lentamente, mi appoggio a lui e gli tolgo il berretto.
- Sto parlando seriamente!
Infilo la mano tra i suoi capelli, lo spingo verso l’altra estremità della stanza, verso il letto.
- Kris ascoltami! Stai tirando troppo la corda. Non posso più…
- Oh sì che puoi – lo interrompo posandogli il dito indice sulle labbra.
Rapido mi sposta il dito.
- Smettila per favore! – mi dice serio.
Sbuffo e lo faccio cadere sul letto. Lo seguo subito e comincio a baciarlo.
Ho ancora in corpo l’eccitazione della sfida di poco prima.
- Kristina…Monica…
- La tua cara mogliettina non dirà nulla nemmeno stasera se ritardi…– dico tra un bacio e l’altro.
Lo convinco, si arrende a me. Ci spogliamo a vicenda frenetici.
Consumiamo del sano sesso. Perché questo è, senza amore.
Solo un puro atto fisico, ogni tanto. Una scappatella per lui, uno sfogo per me.
Nessun sentimento oltre l’amicizia ci lega.
C’è stato qualcosa qualche anno fa, un breve storia, ma non eravamo felici. Lui invece con Monica lo è…o forse lo era.



Ritorna Kristina, ma questa volta abbiamo anche un altro punto di vista. La storia è già completamente scritta quindi spero di essere abbastanza costante con gli aggiornamenti. Buon anno! Pandora

 

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Capitolo 2
*** 2. ***


2.

Ci accasciamo esausti sul materasso, l’uno di fianco all’altra.
- Basta, è sbagliato– comincia a dire trafelato, ha ancora il fiatone – non deve succedere più.
Si alza dal letto, si riinfila i boxer, prende le sue cose e se ne và.
Rimango sdraiata a pancia in giù, in parte coperta dal lenzuolo. Fisso la parete di fronte a me.
Non mi preoccupo delle parole di William: non è la prima volta che gliele sento pronunciare e nonostante tutto, ogni volta che qualcosa con Monica non va, viene a bussare alla mia porta. Comunque è libero di fare ciò che vuole: se vuole essere felice con sua moglie, meglio per loro.
Monica non è mai stata mia amica, ma non ho nulla contro di lei.
Che poi lei mi odi è un altro discorso. Semplicemente non le sono mai andata a genio.

La sveglia suona alle 8 come ogni mattina. Mi allungo sul letto, verso il comodino e la spengo. Svogliata mi convinco ad alzarmi.
Infilo una vestaglia di seta corta, color glicine con disegnate delle orchidee bianche, i miei fiori preferiti. Un brivido mi percorre la schiena, la seta a contatto con la pelle nuda mi provoca sempre quest’effetto. Apro la grande vetrata per cambiare l’aria.

Esco di casa a piedi e mi reco al bar.
Ho lasciato il mio lavoro all’ospedale, anche se ogni tanto faccio la volontaria. Sono cameriera al Moon Bean, locale gestito da Fred ed Erika. I due piccioncini hanno investito i loro soldi e le loro capacità in questa nuova attività…e non solo.
Entro.
- Buongiorno ragazzi – saluto cordiale.
- Buongiorno a te Kris – mi saluta Erika.
Le sorrido e mi avvicino posandole una mano sulla pancia gonfia, ormai al sesto mese di gravidanza.
- E il mio nipotino come sta?
- Meglio di me, te l’assicuro!
Ridiamo assieme.
Ecco il loro più grande progetto, un figlio.
Vado dietro il bancone, mi lego i capelli in una coda, metto il grembiule e mi preparo cappuccio e brioche.
Mentre mangio continuo a chiacchierare, l’afflusso di clienti non è ancora consistente.
- Dov’è Fred?
- Arriva subito, sta parlando coi fornitori.
Entra dal retro del locale, dall’espressione è infuriato. Sbatte il giornale sul bancone, di fianco alla mia tazza. Lo sbircio con la coda dell’occhio.
“Gara di velocità in centro. Le autorità seminate. Una macchina e una moto sfrecciano per le vie principali.”
Accidenti.
Si siede di fianco a me, continua fissarmi. Anche se non mi giro so che la vena sulla tempia destra gli sta pulsando. È arrabbiato. Mando giù l’ultimo boccone dolce e bevo il cappuccino. Mi volto per affrontarlo. Indossa una polo nera, ma nonostante il colletto alzato, si scorge benissimo la cicatrice rossastra dietro l’orecchio. Parte da lì, scende lungo il collo e arriva all’altezza del fianco. Se l’è procurata in pattuglia circa tre anni fa, ha rischiato grosso.

Pensavamo che ci fosse un solo vampiro in quel vicolo, non era molto forte, me n’ero occupata personalmente, mentre mio fratello mi guardava le spalle.
Il vigliacco lo colpì da dietro, dall’ombra in cui era nascosto, con un coltello. Affondò in mezzo alle scapole atterrandolo, lo bloccò a terra e gli inflisse una lunga e profonda incisione laterale per metà del corpo.
Mi liberai in fretta del compare e mi buttai sul farabutto colpendolo direttamente al cuore.
Chiamai immediatamente il 911. Il sangue scorreva lento dalla ferita sull’asfalto, scuro quasi nero.
Ricordo ancora il frastuono delle sirene di ambulanza e polizia nelle orecchie, che riempiva la testa.
Di pattuglia c’era Will. Mi accompagnò all’ospedale e poi a casa. Fu quella la prima notte che passammo assieme.
Da allora Fred non è più uscito di pattuglia, la guarigione si è protratta a lungo e pure la riabilitazione. La caccia me la gestisco da sola ormai. Lui deve pensare alla sua famiglia.
Lui ed Erika vivono nel il mio vecchio appartamento. Gliel’ho lasciato un mese dopo la sua partenza.


- Si può sapere cosa pensavi di fare!?!? – il suo bisbigliare irritato mi riporta al presente.
Sbuffo.
- Non ti basta la vita che fai?
- Ha cominciato lui. Io ero in giro tranquilla a farmi i fatti miei.
- Parli come una ragazzina.
- Si, va bene ho capito la ramanzina. Stai attenta, non fare sciocchezze…
Mi afferra il braccio, sto alzando la voce. Prima osservo la sua mano, poi mi volto ad incrociare i suoi occhi.
- Perché fai così sorellina? Dov’è finita la mia Kris?
Sospiro.
- La tua Kris è davanti a te. Ha la scorza dura ora, ma sotto sotto è lì, nascosta da qualche parte.
Lo rassicuro.
Sorride e mi lascia cominciare a lavorare.
Si porta dietro il bancone, bacia Erika, si sorridono complici.
Sono tanto innamorati.
 
Ha occupato la stanza più costosa dell’albergo. Ora i soldi non sono un problema per lui e può permettersi questo e altro.
Come l’auto parcheggiata fuori, o i vestiti costosi.
Questo certo non gli riempie la vita, ma è un bel modo per occupare il tempo.
Non gli hanno ancora detto esattamente per cosa è stato ingaggiato.
Sa solo che deve eliminare qualcuno, attende istruzioni.
Nel frattempo si rilassa.
La sua scorta di sangue sta finendo, pensa. Presto dovrà uscire a caccia, la sete sta aumentando.
È ancora mattina, troppo presto per uscire a sfamarsi, troppe persone in giro.
Ma il tempo passa lento, odia annoiarsi.
Prende le chiavi della macchina e richiude la porta della stanza alle spalle.
Mette in moto, il motore ruggisce dolce.
I vetri oscurati lo proteggono da sguardi indiscreti.
Si ripara gli occhi dal riverbero con dei grossi occhiali da sole all’ultima moda.
Guida tranquillo per le vie della città.
La osserva, la studia.
Pensa a quanto è cambiata, nuovi locali, nuovi negozi; sono spuntati nuovi palazzi, altri sono stati abbattuti. Lì dove prima c’era una lavanderia a gettoni ora c’è un bar. Moon bean.
Pensa che il nome sia carino, anche se non molto originale.
Svolta alla prima traversa.
Continua il suo giro osservano i passanti.
Si deve distrarre per non pensare alla sete.


È appena entrato un ragazzo carino nel bar.
Erika mi lancia un sorriso me lo indica con un movimento della testa, capisco al volo.
Arrivo al suo tavolo con un sorriso stampato in faccia e il blocco per le ordinazioni già in mano.
- Ciao! Che posso portarti?
- Ciao…mmm cappuccio e cornetto al cioccolato. – dice senza distogliere gli occhi dal giornale che sta leggendo.
Manco mi ha filata di striscio.
Sospiro e mi avvicino alla macchina del caffè per preparagli la sua bevanda.
Metto tutto su un vassoio e gliela porto.
Lo servo mentre do un occhiata fuori per strada, tanto il ragazzo nemmeno mi vede.
Passa una macchina nera, sportiva.
Si muove lenta come a curiosare.
La riconosco, è quella della sera prima, della gara.
Esco di corsa, gli voglio prendere la targa, così lo denuncio quello stronzo.
Il tempo di ritrovarmi all’aria aperta che non c’è più.
Ha svoltato. Dannazione.
 
Arriva la sera e come ad ogni imbrunire l’altra parte di me prende il sopravvento. Quella dura e coraggiosa, quella spietata e famelica.
Il lato di me più oscuro, più selvaggio e avventuroso, meno umano e più mostruoso.
Lascio a casa la dolcezza a fare compagnia a sorrisi e ricordi.
Tiro su la zip del giubbotto, che mi lascia scoperta la pelle della pancia. Infilo il casco, sistemo i capelli che ne fuoriescono legandoli a treccia, tiro giù la visiera. Accendo la moto.
Romba.
Accelero per scaldare il motore.
Salgo, ritiro il cavalletto e parto.
 
È in agguato.
È uscito a piedi. Passando silenzioso nella hall dell’albergo attira lo sguardo di tutti.
Gli uomini lo invidiano.
Le donne lo desiderano.
Non consegna le chiavi. Chissà a che ora ritornerà e in che stato. Non è detto passi dall’entrata principale. Ha lasciato la finestra socchiusa per ogni evenienza.
Lo guida la sete.
Cerca una vittima, qualcuno a cui togliere la vita che gli scorre nelle vene.
Un giovane, una fanciulla, un vecchio ubriaco, non ha importanza.
Si aggira per le strade, una coltre di nubi oscura la luna.
È la mia notte, pensa.
Un ghigno gli compare sul volto.
Cammina leggiadro per cercare una preda, le mani infilate nelle tasche del giubbotto di pelle, portato aperto. Le scarpe da ginnastica rendono i suoi movimenti silenziosi, i jeans non tropo stretti rendono i movimenti fluidi, la polo blu col colletto alzato gli conferisce quell’aspetto giovane che attira donne come api al miele.
Ormai è abituato al meglio, belle donne, sangue buono, soldi, macchine veloci.
Si fa presto a prendere vizi.
Con l’occhio scorge un movimento dall’altra parte della strada.
Una ragazza cammina veloce sul marciapiede. Ne percepisce la paura e la fretta, non le piace andare in giro da sola la sera.
Ha ragione, pensa. Non dovrebbe, non è sicuro.
Solleva un lato delle labbra, in un sorriso storto.
In un baleno è sulla sponda opposta della strada, appoggiato con la schiena al muro.
La ragazza se lo ritrova a pochi passi, è spaventata, poco prima lì non c’era nessuno. Si fa coraggio e continua a camminare, gli passa davanti.
Lui sorride e gli prende una mano bloccandola.
Lei fa per urlare, un grido le scappa, ma non riesce a continuare, una mano le copre la bocca.
Rapido la zittisce, la solleva e la porta nel vicolo affianco.
La appoggia al muro e gli è sopra.
La fanciulla trema, ha gli occhi sbarrati dalla paura, il respiro è veloce.
Lui è preda della sua sete, si passa la lingua sulle labbra e si insinua nell’incavo del collo.


Giro piano tra i palazzi, guardandomi attorno, sembra una situazione calma, ma scruto lo stesso con attenzione i vicoli.
Sento un urlo. Capisco da dove proviene, ormai i miei sensi si sono sviluppati molto grazie a anni di allenamento.
Accelero, la moto impenna. La domo e arrivo alla mia meta.
Metto in cavalletto veloce parcheggiando di fronte ad un vicolo buio. Nemmeno mi tolgo il casco, non c’è tempo.
Accendo la torcia che porto sempre con me.
Sono arrivata tardi.
Una ragazza sui 30 anni è accasciata a terra. Non respira, le metto una mano sulla gola per sentire i battiti, ma niente. Sposto le dita lungo il collo e sento due forellini.
Vampiro.
Maledizione.
Mi guardo in giro, magari quel maledetto è ancora nelle vicinanze. Niente. Guardo in alto verso i tetti dei palazzi circostanti, nulla.
Tiro fuori il cellulare, faccio una chiamata anonima al 911.
Risalgo in sella, accendo e rombando mi allontano, cerco una preda.
 
Sta ancora succhiando quel nettare delizioso, quando sente il rumore di una moto avvicinarsi.
Non vuole staccarsi, ma sente il rombo sempre più vicino e sta rallentando.
Abbandona la sua vittima a terra, ormai svuotata, il cuore ha smesso di battere da poco. Rapido sale sul tetto del palazzo dietro a se.
Il motore della moto si spegne. Vede il guidatore scendere e accendere una torcia senza togliersi il casco. Si accascia sulla vittima e impreca.
Capisce che si tratta di un cacciatore, ha fatto bene a nascondersi, pensa.
Si ricorda di un cacciatore con la moto. Le viene in mente lei, come se già non assillasse abbastanza i suoi pensieri.
Fa una smorfia, cancella quei ricordi e si allontana.
Corre, per sfogarsi corre rapido, più del suono.
Ora è pieno di vita ed energia.
Sente un rombo, questa volta è un tuono, si sta avvicinando un temporale. Nemmeno il tempo di pensarci e comincia a gocciolare.
Sorride, gli piace correre sotto la pioggia, è come un atto di purificazione, come se gli venisse lavato via il male che sente in lui. Ma sa che non basterà un po’ d’acqua per eliminarlo.
I suoi sensi sono attivi più che mai, allertati dalla caccia. Odori, profumi, sente tutto.
Vede tutto, dai lampi nel cielo a qualsiasi cosa si muova nella strada.
Riconosce la moto, e ricorda la sfida della sera prima.
Sa che potrebbe essere la stessa.
Perché non continuare a giocare, pensa.
Sa che può permetterselo, al massimo sarà un umano in meno e un pò più di sangue per lui.
La moto corre, scarta le automobili troppo lente, cambia rapida e accelera, brucia i semafori.
Lui le sta dietro, attento.
Dove lo condurrà? Si chiede.
Si infila in un vicolo, quasi la perde, ma salta rapido da un palazzo all’altro e la ritrova che serpeggia ancora tra auto e passanti.
Ora rallenta, forse per la pioggia. La moto sta accostando.
Si guarda in giro, riconosce la zona. Guarda il palazzo dove si è fermato il mezzo, vede l’ampia vetrata.
Casa sua.
Non capisce, ma è comunque molto curioso.
Decide di non avvicinarsi oltre, riesce a vedere tutto ciò che vuole, nonostante il tempo avverso.
Parcheggia, scende.
Osserva il guidatore mentre con un gesto fluido smonta dalla sua cavalcatura. Le curve sono affusolate, le cosce ben tornite e sode.
Sa giudicare anche dalla distanza una bella donna.
Si complimenta da solo per gli ottimi gusti.
È voltata di schiena, dal casco fuoriesce una lunga treccia castana fino a metà schiena. I jeans stretti e bagnati sottolineano ancor di più le linee ben definite del corpo. Si toglie la protezione rimanendo voltata, ma nel farlo un lampo azzurrognolo si sprigiona dal suo polso.
Probabilmente qualcosa ha riflesso la luce di un lampione.
Stringe gli occhi per mettere a fuoco meglio.
La ragazza abbandona il braccio sinistro lungo il fianco, mentre tiene il casco sotto all’altro. Dal giubbotto fuoriesce una croce d’argento con al centro una pietra azzurra.
Rapida apre la porta del palazzo e sparisce all’interno.


Sono completamente fradicia, maledizione, proprio ora doveva cominciare a piovere?
Sono costretta a tornare a casa, girare in moto col diluvio è un suicidio.
Però potrei cambiarmi e uscire di nuovo, ho tanta di quella rabbia da sfogare.
Ho ancora la mia vendetta da compiere.
Corro rapida per le scale di casa, accendo la luce, metto il casco sul tavolo. In men che non si dica mi sono già tolta i vestiti e sono davanti all’armadio a sceglierne degli altri.
Qualcosa di comodo e pratico, ma anche femminile.
Ma che sciocchezze vado pensare? Il vampiro mica mi deve apprezzare!
Mi tiro un buffetto sulla testa e rabbrividendo leggermente mi sbrigo a scegliere jeans e felpa da indossare.
Chiudo tutto, prendo un ombrellino e sono di nuovo a caccia.
 
È rimasto lì a guardarla per tutto il tempo, dalla finestra illuminata non si è perso nemmeno un particolare.
Lei che entra in casa.
Lei che si spoglia.
Lei che si tira un pugno sulla testa, davanti all’armadio.
Lei che chiude tutto e dopo poco è di nuovo in strada, a piedi sotto un ombrellino rosso.
Lei.
Per tutto quel tempo non ha respirato.
Corruga la fronte. Che gli prende? Dove è finito tutto il suo auto controllo? Il suo sangue freddo?
Silenzioso e attento scende con un balzo dal tetto del palazzo.
A debita distanza comincia a seguirla.

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Capitolo 3
*** 3. ***


3.

La pioggia cade rumorosa e picchietta sulla stoffa impermeabile dell’ombrellino.
Tac-tac-tac-tac.
Questo suono accompagna i miei passi per le strade, ma purtroppo copre qualsiasi altro rumore, mi impedisce di percepire i suoni della città.
Ho bisogno di ascoltare, voglio sentire, voglio cacciare.
Faccio spallucce a me stessa, se voglio divertirmi un po’ so dove andare.
Presa questa decisione cammino spedita verso la mia meta.
Vedo l’insegna luminosa al neon appesa al muro, mi avvicino all’ingresso. C’è un po’ di coda, ma saluto il butta – fuori, mi riconosce e subito mi fa passare.
Lo ringrazio con un sorriso e sparisco dietro l’ingresso.
Deposito giubbotto e ombrellino al guardaroba e mi lascio avvolgere dalla musica assordante e sfrenata. Mi dirigo subito al bar, ordino uno shot drink e lo mando giù al volo. Pago per un altro, stavolta me lo rigiro tra le mani un po’, intanto mi guardo intorno. So benissimo che qualcuno di loro c’è. È uno dei loro posti di caccia preferiti, adorano mischiarsi con gli umani, attirarli a se e gustarseli illuminati dalle luci basse e soffuse, in qualche angolino nascosto del locale o su uno dei divanetti. Ormai la polizia fa tappa qui regolarmente per indagare su qualche sparizione sospetta. Ultimamente un po’ meno spesso visto che ogni tanto riesco a evitare delle morti inutili.
Ecco, alla mia destra se ne sta avvicinando uno. Lo sento.
Sorrido, più a me che a lui. Mi ronza intorno, ma non lo guardo in faccia.
Inghiotto il mio drink, l’alcol mi brucia la gola. Mi dirigo in mezzo alla gente che sta ballando.
So che mi seguirà. Comincio a muovermi al ritmo della canzone.
 
L’ha seguita all’interno del locale, anche se non si aspettava di certo questo da lei.
Ne è un po’ sorpreso.
Subito viene colpito da odori diversi, di pelle, di profumi costosi, di umani e non solo.
Cammina lento ai bordi della pista da ballo cercando di individuarla. Scruta quei corpi che si muovono seguendo le note che rimbombano nel locale, inala le loro essenze. Si è saziato da poco, altrimenti tutte quelle facili prede lo farebbero impazzire di sete.
Osservando in giro la individua seduta al bancone del bar, riconosce i lunghi capelli raccolti a treccia che scendono lungo la schiena, le linee del corpo. La maglia che indossa è troppo corta e coi pantaloni a vita bassa si intravedere metà della schiena. Aspira l’aria per inalare il suo odore, lo ricorda ancora, sapeva di mirra, ma è troppo lontano riesce solo ad annusare altre essenze.
Sta bevendo qualcosa, è in attesa, chissà di chi o cosa.
Continua a camminare.
La vede alzarsi e dirigersi sulla pista da ballo. La studia mentre cammina e riconosce le curve del corpo anche se nascoste sotto gli abiti, nella sua mente compare il ricordo di una notte. Lo scaccia via, ma lei lo attrae sempre, il suo corpo lo richiama.
Non può fare altro che avvicinarsi.
Passa tra la gente, sfiora corpi caldi, può sentire il rumore dei battiti dei loro cuori, ma tutto il suo essere è incentrato solo su di lei. Ne vede la schiena ondeggiare sinuosamente, sempre più a portata di mano, la loro distanza si riduce così rapidamente.
Ora si che può sentire quel dolce profumo penetrargli nelle narici e giù a riempire i polmoni ormai morti. Lo respira a fondo assaporandolo. Chiude gli occhi per gustarlo.
Risulta così immobile in quel marasma di figure in fibrillazione.
Il corpo lo guida al contatto, il cuore gli urla di sfiorarla, la testa è sopraffatta dagli istinti.


Il cuore mi martella nel petto tenendo il tempo delle note che assordanti mi rimbombano nelle orecchie. Tutto segue quel ritmo, persino il mio respiro, anche il pavimento sembra tenga il tempo.
Sento una presenza dietro di me e subito un corpo aderisce al mio, la mia schiena contro il suo petto, è freddo.
Sorrido beffarda, ma senza farmi vedere, la mia preda ha abboccato.
Continuo a muovermi, a ballare e segue i miei movimenti, sento le sua mani appoggiarsi sui fianchi, le guardo, mani bianche.
Non c’è dubbio che sia un vampiro.
Balla con me e nel frattempo appoggia la testa sulla mia spalla, mi lecca il collo.
Lo controllo con la coda dell’occhio, vedo che hai i capelli neri, spettinati.
Alzo un braccio e glielo appoggio sul capo, come a farli capire che non voglio si sposti, lui appezza e mi stringe i fianchi in un abbraccio.
Comincia a spingermi verso il bordo della pista.
Lo assecondo muovendomi verso un angolo buio, un po’ isolato.
Mi appoggio al muro girandomi verso di lui, non riesco a vederne i lineamenti perché è di spalle alla luce, ma gli sorrido complice e lo attiro a me facendo aderire i nostri corpi.
Lui mi lascia fare, ricomincia a leccarmi il collo, mi accarezza la schiena su e giù provocandomi brividi di eccitazione. Si, sono eccitata, l’adrenalina è in circolo, lui vuole mordermi.
Io sono pronta a reagire.
Gli tengo una mano fra i capelli giocandoci, mentre con l’altra senza farmi notare mi avvicino alla tasca dei jeans; porto sempre con me un coltello d’argento a scatto quando il pugnale è un po’ troppo appariscente.
Il suo fiato freddo mi lambisce la pelle del collo.
Infilo la mano in tasca, ne estraggo l’arma e faccio uscire la lama.
Mi stringe le braccia attorno alla schiena per non farmi muovere. Crede di avermi in pugno, di avermi immobilizzata.
Trattengo il respiro.
Lui apre la bocca con un ringhio sordo e mi azzanna il collo.
Fa male, ma il dolore non mi distrae, devo agire prima che le forze diminuiscano.
Mi guardo rapida intorno, nessuno sguardo indiscreto.
Bene.
Sollevo il braccio lesta e gli conficco il metallo in mezzo alle scapole; la lama è piccola quindi affinché il mio attacco funzioni devo rigirargliela nella pelle.
Al momento dell’affondo lo sento irrigidirsi e smettere di succhiare il mio sangue.
Ma non fa in tempo a reagire.
In pochi secondi è un mucchietto di polvere argentata ai miei piedi.
Mi passo una mano sul collo, sfioro i forellini.
Sento un rumore.
Alzo lo sguardo e vedo un ombra scomparire.
Un semplice passo e i loro corpi sarebbero tornati uno solo.
Una distanza così breve ed insignificante, eppure così ardua da colmare.
Se si fosse visto da fuori avrebbe riso di se stesso.
Lui forte, potente, determinato, spietato, messo in crisi dalla vista di una semplice umana.
A quel pensiero si riscuote.
Decide di agire, di farla sua.
Il suo piede sta per muoversi. Il suo cuore morto sta per sussultargli nel petto dalla gioia.
Arriva tardi.
Qualcuno è stato più rapido.
Un altro corpo è adeso al suo, un ragazzo sta ballando con lei.
Lo vede strusciarsi e lei lo accetta.
Rabbia.
Si maledice.
Maledice lei, perché lo ha accettato così facilmente. Eppure non se ne capacita, lei non è così superficiale, pensa.
Ma sono passati cinque anni. Lui stesso è cambiato. Perché lei non avrebbe dovuto?
È furioso. Stringe i pugni fino a ferirsi, ma non esce sangue.
Si volta per non vederli muovere assieme, ma non riesce a levarsi dagli occhi quell’immagine.
Lo tormenta.
Ogni dettaglio gli è scolpito davanti agli occhi, ogni centimetro delle loro figure adese.
Si allontana, sta per uscire dal locale.
Ma basta un secondo in più, per capire che quel ragazzo, non è ciò che sembra.
Lo riconosce come suo simile.
Si domanda come ha fatto a non capirlo subito.
Comprende che le emozioni hanno sopraffatto la ragione.
Non se lo può permettere, lui non ha sentimenti. Ma forse lei ha risvegliato qualcosa.
Riconnette il cervello prima di perderlo nuovamente.
Realizza quanto lei possa essere in pericolo. Si rivolge verso la pista, ma non ci sono più, sono scomparsi.
Li cerca con lo sguardo, ma non li trova.
Comincia a fiutare l’aria e a cercarli, rapido.
Trova una scia, la riconosce, è inconfondibile per le sue narici.
La segue fino ad un angolo buio del locale.
Si muove silenzioso, sa benissimo cosa può essere successo. Lui stesso si è ritrovato in quella situazione mille volte.
Oscurità, confusione, niente curiosi, una preda, sangue fresco.
Li trova addossati alla parete.
Si nasconde parzialmente dietro ad una colonna.
Vuole intervenire. Sta per farlo, la sta mordendo.
Sa che lei non può morire, ma è agitato lo stesso. Vorrebbe difenderla.
Fa per muovere un passo, ma lei avvicina un braccio alla tasca dei pantaloni. Ne estrae un coltello, fa scattare la lama e la conficca nella schiena del vampiro.
Lo vede sgretolarsi in miliardi di granelli e ricadere al suolo in maniera evanescente.
Sorride.
Si è preoccupato per nulla. Realizza che sa cavarsela egregiamente, non ha bisogno di lui.
Ma questo non è sufficiente.
Mette insieme tutti i pezzi del puzzle. La moto, il coltello, la freddezza omicida, la sua vittima di poco prima, l’intromissione di un cacciatore.
È lei quel giustiziere.
Si incupisce.
Sa di non sbagliare.
Si allontana, ma non è così silenzioso come vorrebbe e lei non è poi così indifesa.
Sa che si accorge di lui.
Ma non si volta indietro.
 
Rapida decido di seguire l’ombra.
È veloce. In poco più di un minuto è già all’uscita del locale. Dalla forma è un maschio.
Passo dal guardaroba a ritirare le mie cose, tenendo un occhio alla porta per vedere che direzione prende.
È andato a destra.
Corro, a malapena metto il giubbotto ed infilo l’ombrellino in tasca. Ha quasi smesso di piovere, ma non ho tempo.
Non posso perderlo.
Non so chi sia, ma mi ha vista, ha visto cosa ho fatto. Ha visto sgretolarsi un uomo tra le mie braccia, non sa che ho fatto solo del bene.
Se va alla polizia sono fregata. Devo fermarlo prima. Will mi ha già protetta troppe volte, si è esposto per me. Non posso fargli passare altri guai.
Corro, ma anche lui, è veloce.
Aumento la velocità, qualche goccia d’acqua ancora mi batte sul viso, sbatto i piedi nelle pozzanghere. Vedo già le nuvole diradarsi, la luna farsi spazio tra di esse.
- Aspetta – urlo.
Lo vedo rallentare, ha girato in un vicolo.
Sorrido tra me e lo raggiungo. È buio, ma questo non mi spaventa.
Cerco la torcia nell’altra tasca. La afferro e la accendo.
La punto davanti a me, ma non inquadro nulla di rilevante.
Faccio per girarmi attorno, ma mi coglie una folata d’aria fredda e gelida. Un brivido.
Un colpo alla mano, la torcia mi cade e rotola lontana.
Subito mi guardo attorno, ma nulla. Non c’è nessuno. Fortunatamente la mano è quasi illesa.
Respiro a fondo e mi faccio coraggio.
Qualcosa non quadra. Troppo veloce, troppo misterioso. Mi sa che ho trovato un amico con cui giocare.
Cammino lentamente alla cieca nella quasi oscurità. Chiudo gli occhi e mi concentro: se non posso basarmi sulla vista sfrutterò gli altri sensi.
Sono pronta a percepire il più basso dei suoni, ogni minimo movimento causa spostamento d’aria e il mio tatto è reattivo, pronto per individuarlo.
Rimango ferma immobile ad ascoltare il silenzio.
 
L’ha seguito nel vicolo. Lui non si allontana, vuole vederla ancora, ma non vuole farsi prendere.
Rimane nell’oscurità, nell’angolo più nero della strada dove nemmeno la luce della luna, libera finalmente dalle nuvole cariche d’acqua, lo può raggiungere.
La vede accendere la torcia.
Silenzioso, in un secondo le è affianco.
Sarebbe così facile pararsi davanti, sorriderle, salutarla, stringerla a se.
Forse troppo facile.
Non è da lui. Non è fatto per queste cose.
Decide il da farsi e ne gode. Sorride tra se.
La colpisce alla mano, lievemente, non vuole farle male, ma nemmeno farsi scoprire così presto, vuole giocare con lei.
Subito si allontana, troppo difficile starle così vicino, il suo profumo esaltato per la pioggia potrebbe inebriarlo e vuole rimanere lucido.
La vede guardarsi attorno, chiudere gli occhi e rimanere immobile.
Non riesce a capire cosa stia facendo.
Rimane fermo anche lui nell’ombra, la studia con la poca luminosità offerta dall’astro in cielo.
I lineamenti del volto sono rimasti invariati, solo un po’ più maturi, meno fanciulleschi.
Quelli del corpo più definiti, meno dolci ma si capisce che gli arti sono ben allenati e tutto il suo essere è pronto ad agire in qualsiasi istante.
Una nuvola dispettosa copre nuovamente la luna, l’oscurità nel vicolo ora è totale. Lui si sente sicuro. È nel suo ambiente, la sua natura è compagna della notte e dell’ombra.
Spavaldo, silenziosamente muove un passo verso di lei, ne segue un altro.
Si muove lento, ma sinuosamente, come un felino a caccia.
Non fa il percorso più breve, le gira attorno.
Le è di fianco nuovamente. Allunga il collo per annusare il suo profumo.
Percepisce istantaneamente il suo movimento, e questo lo salva dall’essere colpito in pancia da un pugno. Con un balzo indietro è riuscito ad evitarlo, ma non è finita.
Lei non si ferma. Avanza nella sua direzione, sempre ad occhi chiusi, ma decisa.
Due passi, sferra un calcio. Lo manca, lui è avvantaggiato con la sua vista notturna. Si sposta verso destra, lei in qualche modo lo intuisce, si volta e ci prova di nuovo con un pugno.
È facile evitarla, è decisamente in vantaggio.
All’ennesimo pugno non si ritrae, alza la mano e le blocca il polso.


Lo sento muoversi attorno a me, provo a colpirlo, ma lui è decisamente più veloce e soprattutto ci vede benissimo. Non riesco nemmeno a sfiorarlo.
Sto perdendo la calma, la rabbia e l’adrenalina mi appannano i sensi, devo fare qualcosa.
Provo ancora a colpirlo, sono convinta di andare a vuoto.
No, mi ha bloccato il polso, dannazione. Apro gli occhi, ma è tutto buio, non vedo che l’oscurità.
Faccio forza per liberarmi, ma niente, ha una presa ferrea.
Vedendo la mia resistenza stringe ancora di più, ora sento dolore.
Stringo i denti e non lo mostro. Mi faccio forza e provo ad attaccarlo con l’atro pugno. Lo colpisco al petto, non gli ho fatto male, ma non se l’aspettava e fa un passo indietro per lo sbilanciamento.
Non faccio in tempo a ritrarre il braccio che fulmineo, il mio avversario me lo imprigiona.
Accidenti.
E ora che mi invento?
Rifletto, rifletto veloce, ma la testa è vuota, troppo agitata per pensare.
Mi sento tirare, quella creatura mi sta attirando a se. Mi oppongo. Sicuramente vorrà pasteggiare, ma io non sono la cena di nessuno.
Punto i piedi.
È molto più forte, è una lotta impari.
Guardo il cielo disperata, come se da lassù mi possa giungere un qualche aiuto. Una nuvola si sposta lentamente e libera la luna.
Ora guardo a terra l’ombra che lentamente si ritrae, facendo spazio al chiaro di luna che irraggia la strada. Il chiarore si espande, già ci sta illuminando i piedi, tra poco almeno vedrò il volto del mio nemico.
Mi deconcentro e mi tira a se. Presa alla sprovvista mi ritrovo addossata a quel corpo freddo, ora rischiarato dalla luce argentata.
Traggo un respiro profondo e ne inalo il profumo, dolce, avvolgente.
Subito i ricordi mi affollano la mente.
Quel profumo ha risvegliato in me una catasta di emozioni.
Gioia, so a chi appartiene, lo riconosco ancora nonostante sia passato un secolo dall’ultima volta che l’ho sentito;
Rabbia, per come quella persona è svanita dalla mia vita, all’improvviso;
Preoccupazione, non so come si sia salvato, se stava bene, se era ferito…se è ancora come lo ricordo;
Curiosità, è davvero lui? O mi sto sognando tutto?
Paura, se mi sto sbagliando? Se non è lui, ma un volgare vampiro affamato? E se anche è lui, se è cambiato?
Non respiro e rimango a bocca aperta ancora così vicina a quel corpo. Non oso pensare oltre, non oso alzare lo sguardo.
Non sento più la stretta attorno ai polsi, ma resto immobile.
La luce tenue argentata ormai ci ha avvolti nel suo debole candore.
Vedo una mano bianca scendere verso la mia spalla. Ne guardo le linee sottili, osservo le dita lunghe e affusolate, quasi risplendere, abbacinandomi.
Ne seguo i movimenti e la vedo posarsi sul mio mento, sento il freddo contatto. Rabbrividisco.
Non provavo quella sensazione da anni, di totale abbandono e impotenza.
Come allora mi sento completamente sua.
Delicatamente mi solleva la testa, chiudo gli occhi, temo ancora di essermi sbagliata.
Non è possibile, continuo a ripetermi.


 
Il tocco di quella pelle calda gli provoca un piacere immenso.
Non è come sfiorare un umano qualsiasi.
Le gira il volto per incontrare il suo, ma tiene gli occhi serrati.
Sorride anche se lei non può vederlo, perché sa che ormai l’ha riconosciuto, altrimenti non resterebbe li tra le sue braccia.
Abbassa la testa e soffia delicato sulle sue labbra.
 


La mia bocca è ghiacciata da quel tenue vento.
Mi sta torturano forse?
Quanto vorrei aprire gli occhi. Vederlo di nuovo.
Basta esitare, così mi faccio del male ed è solo peggio.
Lascio che la luce mi colpisca le iridi, smetto di nuovo di respirare.
Subito i nostri occhi si incontrano. Neri e profondi striati d’azzurro. Mi ci perderei per ore.
Allargo la visuale e mi accorgo che siamo molto vicini, più del suo volto non riesco ad inquadrare, ma in questo momento non chiedo di meglio. I capelli sono gli stessi, straordinariamente neri e spettinati. I lineamenti sono immutati.
Le labbra sempre rosse e carnose, curvate in un sorriso. Le vedo dischiudersi e farsi più vicine, quasi a sfiorare le mie.
Il cuore aumenta il battito.
- Kris, dovresti respirare…
La voce bassa e soave che mi giunge mi risveglia dall’incanto.
Sbatto due volte le palpebre, gli occhi sono sempre sbarrati. Finalmente inspiro ed espiro, ossigeno il cervello, di nuovo pronto a funzionare.
Santo cielo come sono debole e patetica, non riesco a non sorridergli di rimando.
Ho aspettato per cinque anni dopo che mi ha letteralmente abbandonata, e ora che me lo ritrovo davanti non so fare altro che sorridere inerme, come un oca.
Ricordo di non essere più costretta a quella vicinanza estrema, chiudo per un secondo gli occhi per levarmelo da davanti e riprendere il controllo del mio corpo, respiro profondo e faccio un passo indietro.
Riapro gli occhi, mi guarda curioso.
Sorrido amaramente.
- Ciao Julian.

Rieccoci, buona lettura. Pandora

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Capitolo 4
*** 4. ***


4.

Separati da pochi passi, mai così vicini negli ultimi cinque anni.
Sento qualcosa che mi blocca, come un muro dentro di me, che mi impedisce di correre tra le sue braccia, di sentire quella gelida morsa che per tutti questi anni ho solo potuto sognare.
Quanto mi costa ammettere tutto questo.
Quel muro me lo sono costruita giorno per giorno, per non soffrire troppo per lui, per andare avanti. Mi sono allenata e ho combattuto.
Forse in fondo non volevo uccidere tutti i vampiri che ho distrutto, forse la mia rabbia voleva essere sfogata su di lui.
Ora è qui, a mia disposizione.
Riuscirei a colpirlo? Non baso queste riflessioni tanto sulle capacità fisiche, quanto sul mio cuore. Avrà mai la forza di disintegrare l’oggetto del suo amore?
Quanto ho mentito a me stessa per tutto questo tempo. Tutte le storie, le scappatelle, solo dei passatempi, delle illusioni per annebbiarmi la mente, ma il cuore già sapeva, ha sempre saputo, è rimasto rintanato nel suo angolino, a battere tranquillo. Per poi tradirmi così, per scoppiare di gioia per un semplice suo sorriso, per una vicinanza evanescente.
Tum- tum –tum.
Batte forte e non accenna a rallentare. Malvagio traditore.
Solo tu sai, solo tu conosci i miei veri sentimenti quelli che ho cercato di mascherare. Eppure conosci bene anche i motivi di questo mio comportamento, allora perché non rallenti?
L‘amore.
E poi la rabbia, per l’abbandono. Per essersene andato così, senza un saluto, un arrivederci, senza neppure sapere se esisteva ancora oppure no. Sparito nel nulla.
Per riempire quel vuoto scavato dentro di me, gli ho occupato l’appartamento. Ho vissuto ogni istante tra quelle quattro mura nella segreta speranza di vederlo riapparire, ma senza mai ammetterlo apertamente. Fred non ha detto nulla, mi ha lasciato fare. Chissà se ha mai capito la verità.
Lo immaginavo sul divano, sul tavolo come la prima volta che mi portò in quella casa. Etereo e bellissimo come sempre, ma ancor più evanescente in quanto inesistente
Ogni volta che facevo sesso con Will nella mia mente vedevo lui, ogni volta che rimanevo sola dopo l’amplesso, piangevo silenziosa tra le lenzuola stropicciate e per questo un mattone si aggiungeva alla barricata del mio cuore. Il legante di tutto questo era la lotta notturna. Ogni granello di polvere che si riversava nelle strade era un ricordo che cercavo di cancellare, immaginavo che fosse lui il bastardo che succhiava il sangue a quelle povere persone indifese, tanto so benissimo che non è mai stato un santo. Allora perché crederlo? Meglio rovinare quel dipinto angelico tanto fasullo e disegnarci sopra una caricatura maligna e diabolica. Addossare a lui le colpe di tutto.
Sì, questo ho fatto nel tempo trascorso: cercare in tutti i modi di dimenticarlo, di rimuovere la sua immagine scolpita dentro di me. Ma non si può. Io gli appartengo, la mia anima è sua.
Nonostante tutto un filo invisibile ci tiene ancora uniti, se non il presente, il passato.
Lo odio, eppur lo amo.
Tanto intensamente in entrambi i casi.
 
Nell’abbracciarla se pur per un breve istante la mente torna al passato.
A quando ha visto allontanarsi sempre di più le luci della città, diventare sempre più piccole, venir divorate dal buio di quella notte tanto funesta.
Ricorda ancora la sensazione del sangue bevuto quella notte, aveva un retrogusto amaro, ma perfino l’aria che respirava sapeva di marcio. Forse quello che puzzava in realtà era lui, per la vergogna che provava in quel momento, per essersene andato, per essere stato sconfitto.
Rabbia. Un sentimento così umano, ma tanto avvolgente da esserne contagiato. Rabbia per se stesso. Sarebbe stata l’ultima volta, si ripromise.
Si allontanò, cambiò città, andò a New York. Un posto caotico l’avrebbe sicuramente distratto.
Quante luci, quanto movimento, quante facili prede, mai viste così disinibite e disponibili. Ragazze, donne e uomini, ma tutti venivano paragonati a lei, per cercare una somiglianza o per sottolineare una palese differenza, un difetto. Non riusciva a levarsela dalla testa, era una persecuzione.
Vagava nella notte senza scopo se non quello di passare il tempo, di distrarsi.
Fino ad imbattersi in Lucio. Lo incontrò in un bar. Era seduto al bancone a far finta di bere un drink e gli si era avvicinato. Subito l’aveva riconosciuto quale essere della notte, per la sua pelle bianca e liscia. Aveva caratteristici capelli rossi che gli smorzavano ancora di più la carnagione diafana.
- Come mai così abbattuto amico? – gli disse.
- Non sono tuo amico.
- Non esserlo allora, ma ho un affare da proporti. Diventeremo soci.
Fu così che cominciò a fare il mercenario. Lucio praticamente rimediava il lavoro e lui lo portava a termine, era una specie di manager. Non sono mai stati amici, solo colleghi.
Ma questo non gli è mai importato, non cercava nuovi compagni solo distrazioni e Lucio gliene forniva in gran quantità.
Guadagnava abbastanza da fare la bella vita, soldi, macchine sportive, alberghi di lusso, vestiti firmati…in pochi anni aveva tirato su una piccola fortuna. Inoltre aveva sempre più sviluppato la sua forza, potenza, agilità e rapidità.
Aveva a disposizione sangue fresco e per divertirsi umane o vampire, a sua scelta. Una vita dissoluta, ma in grande stile, sempre se fare l’assassino, per lavoro o per sete, può chiamarsi vita.
Senza un vero scopo andava avanti giorno dopo giorno. Lavorava, uccideva, riposava, beveva, ma tutto questo sempre solo. Era sempre bastato a se stesso, ma c’era sempre un immagine che aleggiava nella sua testa, gli dava un senso di incompletezza.
Ogni volta che provava questa sensazione usciva per le strade e si avventava su quante persone gli era possibile, per sfogare la sua rabbia, la sua umiliazione.
Perché per gli altri era forte e potente. Per se stesso, poteva mentire quanto voleva, ma in fondo a se conosceva la verità.
Era debole, lei lo rendeva debole.
Era il suo punto debole, il suo tallone d’Achille.
Per questo quando Lucio gli aveva proposto un incarico a Denver l’aveva accettato: per vederla e togliersi lo sfizio, così l’avrebbe rimossa.

DRIIN!
Lo squillo di un telefono interruppe lo scorrere dei loro pensieri. Lo sente vibrare nella tasca dei jeans, fa una smorfia, ne è infastidito.
Legge il nome sul display. Lucio.
Decide di liquidarlo in fretta.
- Che c’è? Ho da fare – dice brusco.
- Ho le informazioni che volevi.
- Mmm d’accordo, ti richiamo io più tardi.
Chiude la comunicazione e rivolge nuovamente lo sguardo a lei che lo fissa un po’ spazientita. Pensa che è buffa e sorride. Lei sbuffa e incrocia le braccia al petto, facendo così la croce scivola di nuovo fuori dal giubbotto, a penzoloni del polso. Non può che notarla.
- La porti ancora? Non no fatto in tempo a chiederti se ti piace l’ultima volta che ci siamo visti.
- Si, è carina. – risponde fredda, ma anche con la lieve luce vede le guance di lei arrossarsi.
- Sei arrossita.
- Non credo proprio.
- Sei arrossita – ripete nuovamente.
- Smettila! Anche se fosse? Che ti importa? Cosa ci fai qui?
- Non deve interessarti.
Sbuffa di nuovo. Scopre che adora farla arrabbiare. Sente la curiosità crescere in lui, quante cose vorrebbe sapere. No, cerca di darsi un contegno, un’aria superiore. Non può permettersi nulla, deve rimanere sempre concentrato.
- Per lavoro – continua.
- Lavoro?
- Si.
- Ah. D’accordo. Beh vedi di non farti beccare in giro a uccidere qualcuno, non sarebbe bello rincontrarsi in quel modo.
Lei fa per voltarsi ed andarsene. Vuole sfidarla e provocarla. Adora anche giocarci.
- E perché mai?
- Non sarebbe piacevole.
- Per me o per te? Cosa c’è? Vorresti uccidermi?
- Tu sei già morto.


Lo detesto, quanto lo detesto. Ma chi si crede? L’onnipotente sceso sulla terra? Spaccone. Megalomane, strafottente.
Quanto mi innervosisce.
Quanto è bello accidenti a lui, da togliere il fiato.
No Kris, respira e ricomponiti. Datti un tono e tienigli testa, non dargliela vinta, fagli vedere che non sei più una ragazzina, ma una donna.
Alla mia ultima risposta ha alzato gli occhi al cielo e si è messo a ridere.
Approfitto della sua distrazione e gli tiro un cazzotto nello stomaco con tutta la forza che ho.
Non se l’aspettava e si piega leggermente in due. Direi che è già una bella soddisfazione.
Con un balzo torno indietro sorridente.
- E’ un colpo sleale, ero distratto.
- Tutte scuse. Lo dici perché ti vergogni di essere stato colpito.
Lo vedo incupirsi. Allora ho ragione. Sorrido soddisfatta.
Si avvicina senza cambiare espressione, fa un passo e un altro, si muove lento nella mia direzione. Non mi fido e retrocedo.
Rapido mi è di fianco, ma i riflessi sono allenati e riesco a non farmi vedere spaventata anche se in realtà dentro di me il cuore batte a mille, già agitato di suo. Retrocedo ancora, ma per allontanarmi devo cambiare un po’ la direzione, inoltre vado a tastoni coi piedi perché resto fissa a guardarlo. Non si sa mai cosa aspettarsi da un vampiro.
Continua ad avanzare e io a ritrarmi, ma presto mi trovo addossata contro un muro.
Dannazione si è avvicinato apposta in quel modo, per farmi girare quel tanto che bastasse per cadere in trappola. Mi appoggio con le spalle alla parete e mi guardo rapida intorno in cerca di una via di scampo o di un’idea. Niente lampo di genio.
La distanza si riduce fino ad annullarsi, i corpi si sfiorano, si appoggia con le mani sul muro, all’altezza della mia testa.
- Dov’è finita ora la grande cacciatrice? Ha forse paura? – mi sussurra all’orecchio.
Vengo accarezzata da una dolce aria gelata, resto immobile a fissare davanti a me. Col naso mi sfiora la guancia su e giù, e poi scende sul collo su e giù, a sfiorare i segni ancora un po’ brucianti del morso precedente, ma che si stanno già cicatrizzando.
Cerco di non farmi vedere mentre allungo la mano alla tasca dei jeans dove c’è il mio fidato coltellino.
Nel frattempo inspira il mio profumo a fondo, lo vedo con la coda dell’occhio degustarlo a pieno, goderselo. Ecco si è distratto ancora. Estraggo la mia arma, faccio scattare la lama e gliela punto al collo. Apre gli occhi e mi guarda serio.
Stacca le mani dal muro e ritrae la testa, io seguo i suoi movimenti con la mano armata per non perdere il mio vantaggio. Premo leggermente, lui capisce e retrocede di un passo.
 
Assapora rapito quel dolce profumo, ma non si lascia distrarre. La sente allungare la mano verso il basso, crede lui sia così stupido e superficiale?
Percepisce benissimo quando fa scattare la lama, potrebbe fermarla tranquillamente ma la lascia fare. Gli piace troppo quel gioco, così eccitante e pericoloso.
Lei crede di averlo in pugno, indietreggia e la asseconda.
Pensa che non avrà il coraggio di fargli del male. La vede esitare e ne approfitta prendendole la mano e attirandola di nuovo a se, posando le sue labbra su quelle di lei. All’inizio fa resistenza, non molla la presa sul collo, non risponde al bacio. Poi lentamente dischiude la bocca, lui soddisfatto si insinua e lei non glielo impedisce, anzi partecipa, la mano perde forza.
Mentre la bacia una parte di lui è persa in quelle sensazioni. È abituato ai baci, al sesso, all’eccitazione, ma questo è diverso, è una cosa pura, bella, pulita. Lui la vede così per lo meno, perché nessuno dei due è illibato, entrambi possiedono un lato oscuro.
L’altra parte, quella che lentamente prende piede dentro di lui, adombrando quella buona. La bestia, il cacciatore si fa strada nella sua testa, la vede come una preda, immagina il proprio cuore come seccarsi e ricoprirsi di una patina nerastra. Questo succede ogni volta che quel lato di lui assume il controllo. Ora brama il suo sangue, il suo corpo e la sua vita. Null’altro è così importante.
Aumenta la foga del bacio, non riesce più e tener ferme le mani che corrono lungo le linee del corpo femminile, toccando il più possibile. Vuole, desidera, esige tutto.
Lei sembra percepirlo, cerca di reagire, di ritrarsi e riprende salda la presa sull’arma all’altezza del collo. Ma i suoi movimenti sono limitati. Decide di agire per la sua sicurezza, fa forza con la lama e inizia ad incidere la pelle del collo, dapprima leggermente, ancora non riesce a fargli del male.
Lui subito sente bruciare la ferita, a causa dell’argento riesce a provale un dolore acuto, si stacca allontanandola rapida da se ed emette un ruggito di dolore. Si passa la mano sul collo, sa che non perde sangue, ma vuole capire la profondità dell’incisione. Nulla di grave.
Nel frattempo si è calmato, la bestia è ritornata nell’ombra.
Lei è lì, davanti a lui che lo guarda con un’espressione di odio e disgusto per l’essere che è.
Un pò anche lui se ne vergogna.
Non è più abituato a trattenersi, ma a lasciare andare gli istinti.
Decide di getto.
Si avvicina e l'afferra a se, nonostante lei opponga resistenza, si dimeni e cerchi di urlare. Le mette le mani sulla bocca a zittirla.
La solleva di peso e la porta con se. La porta a casa.
 

Tenendomi stretta a se sale le scale di casa, apre la porta e mi deposita sul divano di pelle.
Dopodiché si avvicina alla grande vetrata e guarda fuori.
Lo osservo da dietro, in silenzio.
Dopo aver urlato un bel po’ mentre mi portava qui la gola ha iniziato a bruciare, così mi sono zittita e mi sono lasciata trasferire. Non sapevo dove, non pensavo qui.
Non pensavo sapesse dove abito.
Se è per questo nemmeno avrei immaginato di rivederlo, eppure mi sbagliavo.
Come sempre con lui.
Quanti ricordi questa scena, noi due in questa casa. In silenzio. Sento la rabbia svanire per lasciar spazio ad una sorta di malinconia, per il tempo passato, per le cose perdute e per il futuro perché non sarà mai felice e sereno. Questo concetto mi è chiaro, ne sono consapevole.
Finché darò la caccia ai vampiri, non ho un futuro.
Sospiro, con lo sguardo rivolto a lui.
Lui vampiro, lui uomo.
Si volta e mi guarda, sempre rimanendo distante. Sorride appena.
- Perché mi hai portata qui? – esordisco.
- Ci vivi.
- Come fai a saperlo?
- L’ho immaginato, sei così prevedibile.
Dice le ultime parole con un ghigno in volto. Mi ferisce e sento il dolore nel profondo. Che bisogno c‘è di mortificarmi?
 
Le mente sfacciatamente. Per gioco o per cattiveria?
Lui sa che può essere cattivo, crudele, ma con lei…è più un gioco, non una cosa seria.
Gioca sporco.
Vede che la fa soffrire con le sue parole e si chiede se sia questo il suo scopo.
O meglio ancora ha uno scopo tutto questo?

Driin.
Sta per odiare quello stramaledetto telefono. Sbuffa voltandosi verso la vetrata e risponde.
- Cosa vuoi?
- Non posso aspettare i tuoi comodi, hanno fretta, chiedono come mai non è ancora stato svolto il lavoro.
- Almeno il tempo di respirare ce l’ho?
- …
- Scusa, mi è uscita spontanea come battuta. Spara.
- Cercano un certo Frederic Murphy.
Il nome gli ronza in testa, non gli è nuovo.
- Chi sarebbe? Cos’ha fatto?
- Lo sai che noi non ci impicciamo.
- Avanti Lucio, sbottonati un attimo.
- Ha messo i bastoni tra le ruote ad uno che ora è polvere. È un cacciatore.
Ecco perché il nome l’aveva già sentito.
Si volta, la guarda intensamente. Dentro di lui scatta qualcosa.
- Ok mi faccio vivo io, tu non contattarmi più.
Chiude la comunicazione, spegne il cellulare e lo ritira nella tasca. La guarda ancora, è diviso dal dubbio. Dirglielo, oppure no. Le si avvicina, anche lei lo sta guardando. Le prende la mano e la fa alzare. Lo guarda strano, non capisce cosa sta succedendo.
Non parla, non ancora, sta zitto fin che può, perché sa che la prossima cosa che dirà li separerà per sempre.
Restano con gli sguardi legati, continua a tenerle la mano, anzi stringe le sue dita alle sue per sentirne meglio il calore. Lo assapora intensamente, chiude gli occhi e aspira il profumo della sua pelle.
 


Non capisco cosa voglia fare, ma cosa importa in fondo?
È di nuovo qui. È tornato, quale gioia riempie il mio cuore. Quale sforzo per non rivelare chiaramente questo sentimento che tengo rinchiuso dentro da tanto tempo.
Non posso mostrarmi debole di fronte a lui.
Eppure non mi oppongo quando mi prende la mano e mi fa alzare. Stringo le sue dita insieme alle mie, la differenza di calore mi provoca un brivido lungo la schiena. Quanto mi è mancata questa sensazione, questo piacere.
La mente mi parla a vuoto, mi dà degli ordini, allontanati, staccati da lui! Ma non li ascolto, il cuore sovrasta tutto il resto e mi comanda.
Julian chiude gli occhi e lo sento inspirare a fondo, riempiendosi del mio aroma. Arrossisco di questa consapevolezza, tanto non può vedermi ora.
Mi alzo in punta di piedi e appoggio lentamente le labbra sulle sue.
Quanto sono fredde, ecco le scaldo io.
Ti prego, rispondi al mio bacio. Saprò che anche io ti sono mancata. Saprò che il bacio nel vicolo non è stato solo un vile tranello per vincere lo scontro. Rispondi e mi renderai una donna che si dona al suo uomo.
 
La stringe a se, dischiude le labbra.
Gusta ogni sapore, ogni tocco, ogni carezza. Tutto nel silenzio di una stanza vuota.
Soli, loro due, come in passato. Se lo concede, perché poi dovrà farsi odiare.
Solo una notte. Vuole viverla totalmente, niente interruzioni, niente distrazioni.
Solo lei e lui.
E poi sarà guerra e odio.


Le toglie la giacca, la maglia, i pantaloni.
Continuano a baciarsi, non vi è motivo di separarsi. Lei lo sveste, veloce, brama il contatto con la sua pelle.
Appena avviene, sospira e lui con lei.
I loro corpi finalmente insieme, di nuovo a completarsi in maniera perfetta.
La solleva e lei si avvinghia alla sua vita incrociando le gambe attorno a lui, che si dirige verso il letto.
In un pensiero fugace trova che gli piace questa novità nell’arredamento. È decisamente più comodo del divano.
La stende sulle coperte e si rialza per osservarla. Nota che arrossisce. Gli viene spontaneo sorridere.
Scruta di nuovo ogni centimetro della sua pelle per imprimerselo nella mente, per non dimenticarlo più.
Infine si avvicina, baciandola di nuovo e stendendosi sopra di lei.
Scivola una spallina, un'altra ancora, gli slip posati sul pavimento insieme all’intimo di lui.
Affanni, sospiri, baci, carezze.
Riempiono la stanza, riempiono il mondo.
Quelle quattro mura isolano il loro amore, ciò che c’è fuori non conta più, è il loro universo.
Nell’amplesso lei urla, di gioia e piacere, lui sospira forte, si guardano e sorridono.
Un attimo di piena libertà.
Le si accascia a fianco. Gli si avvicina, gli solleva la testa e gliela appoggia vicino al suo collo.
- Ti prego, fammi di nuovo tua.
Lui si solleva un po’ appoggiandosi col gomito, la guarda negli occhi.
Vi trova serenità, gioia, tranquillità e amore. Le sorride, lo vuole davvero.
Le accarezza il volto, ma non risponde, non vuole parlare, non ancora.
Le si avvicina al collo, lo lecca.
Lei gli posa la mano sulla testa, spingendolo leggermente più vicino.
Gli dà il permesso, a quel punto desidera solo farla felice. Morde.
 


Quando facevo sesso con Will, mi ritrovavo sempre sola.
Piangevo fino ad addormentarmi. Il mattino dopo, mi alzavo, facevo finta di niente e andavo a lavoro.
Ho aperto gli occhi. Sono di nuovo sola, vedo la stanza davanti a me, poco illuminata, non è ancora giorno. Mi raggomitolo su me stessa, il cuore ferito. Di nuovo.
Cosa ho sbagliato stavolta?
Ho già le lacrime agli occhi, stanno per sfuggirmi.
Sento un movimento dietro di me, non faccio in tempo a girarmi che un braccio mi tira verso di se e un corpo aderisce al mio.
Spalanco gli occhi. Non sono sola.
Il braccio è bianco, troppo. Il corpo è freddo e duro.
È rimasto.
Il cuore mi scoppia di gioia.
Mi rigiro nel suo abbraccio, e incrocio subito i suoi occhi neri ,svegli, mi ci tuffo e mi perdo.
Lui mi sorride.
Mi basta.

Ecco il quarto capitolo. Grazie a tutti coloro che leggono e inseriscono la storia in preferiti, seguite, ricordate. Grazie! A presto, Pandora

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Capitolo 5
*** 5. ***


5.
It's you that I adore
You'll always be my whore
You'll be the mother to my child
And a child to my heart
We must never be apart


Sorride felice. Tutta quella gioia nel suo sguardo quasi lo fa sentire in colpa.
Sa che ora dovrà parlare, rivelarle tutto.
Ma non ha voglia. Perché rovinare questo momento così perfetto?
Per odiarsi e farsi odiare c’è tutta l’eternità. Assapora il momento, si dice, perché finirà presto.

Lovely girl you're the beauty in my world
Without you there aren't reasons left to find


Presto, troppo presto, lo odierà.
Ora sono una cosa sola, una cosa perfetta.
Ma si ameranno e si odieranno. Lui le causerà dolore, lei cercherà vendetta?
Uniti anche in questo.

And I'll pull your crooked teeth
You'll be perfect just like me
You'll be a lover in my bed
And a gun to my head
We must never be apart


Guarda al suo passato, mentre delicato le accarezza i capelli e i lineamenti del volto, con la sua mano fredda.
Sa già cosa avverrà, tirerà fuori il mostro che è in se, non placherà ciò che è racchiuso nel profondo del suo essere. Porterà morte, ancora.
La rabbia lo pervade. Perché? Perché ora e perché a noi?
Un velo di tristezza gli copre gli occhi, lei se ne accorge, qualcosa non va.
Sospira, a sua volta lo accarezza e una lacrima ribelle le riga il volto.
La croce legata al suo polso, non manda i soliti riflessi azzurrognoli.
Capisce, troppo velocemente che per loro non c’è gioia. Gli sorride, mentre la vista le viene appannata dalle lacrime salate.

In you I see dirty
In you I count stars
In you I feel so pretty
In you I taste god
In you I feel so hungry
In you I crash cars
We must never be apart


Lui si alza da letto. Non si volta a guardarla. Lentamente raccoglie le sue cose.
Lei non si muove, piange silenziosa.
Pensa sia un addio.
Lui si volta e comincia a parlarle.
- Mi odierai. Quindi è meglio se me ne vado ora, dopo averti raccontato alcune cose. Il mio lavoro è uccidere persone, sono un mercenario, uno spazzino di persone inutili. In questi anni ho ucciso continuamente e mi sono macchiato di spregevoli delitti, ma ho anche eliminato persone o esseri che se lo meritavano.
Lei non si muove, non lo guarda. Continua il suo discorso.
- Non so chi comanda stavolta, ma vogliono che uccida tuo fratello.
A quelle parole la vede riprendersi. Spalanca gli occhi e si solleva di colpo a sedere sul letto. Il lenzuolo le scivola di dosso, mostra la sua pelle nuda. Non le importa. Ha il volto sconvolto e segnato dal pianto. Quanto dolore le sta provocando.
Le si avvicina, le sfiora le labbra dolcemente. La separazione ha un sapore amaro.

Drinking mercury
To the mystery of all that you should ever seek to find
Lovely girl you're the murder in my world
Dressing coffins for the souls I've left behind
In time
We must never be apart


- Mi dispiace, ma devo farlo.
- No!
- Addio Kris.
Si volta per l’ultima volta. Lentamente si avvicina alla porta.
La rabbia lo pervade. L’amore lo strazia. I ricordi di ogni istante con lei gli martellano il cervello.
Rabbia, Amore, rabbia.
Sente la forza crescergli dentro.
È all’aperto, è fuori, è ancora buio.
Si volta a guardare la vetrata.
Se fosse umano potrebbe piangere per quello che ha visto nei suoi occhi. Troppo dolore.
Si allontana, consapevole, che la sua anima, se esiste, l’ha lasciata con lei.
Ora è pronto per la sua dannazione.

And you'll always be my whore
Cause you're the one that i adore
And I'll pull your crooked teeth
You'll be perfect just like me
In you I feel so dirty in you I crash cars
In you I feel so pretty in you I taste god
We must never be apart

 

È di nuovo notte. Aspetto sul tetto del palazzo il suo arrivo.
La luna illumina ogni cosa, con la sua luce candida, anche la mia croce che porto legata al collo.
Fred e Erika dormono tranquilli nel loro letto, qualche stanza sotto di me. Sono all’oscuro di tutto, lei sarebbe morta di crepacuore, lui non sarebbe riuscito a star fermo, non mi sembra il caso di fargli rischiare di più la vita lottando.
Attendo decisa il momento in cui si farà vivo. Combatterò per la mia famiglia. Questa è la mia decisione. Farò tutto quel che posso per proteggerli.
Mi sistemo il coltello appeso alla cintura e la pistola, l’arma di Fred, infilata nel retro dei jeans.
Cammino avanti e indietro sono nervosa.
Poi lo vedo. Sul terrazzo del palazzo di fronte.
Porta un lungo cappotto nero, vestiti dello stesso colore. Non riesco a vedere la sua espressione, ma da lontano incute timore.
Mi irrigidisco un po’ per la tensione, quindi faccio ruotare la testa per scrocchiare il collo. In un secondo me lo ritrovo a pochi metri da me.
È di schiena alla luce, che lo colpisce coi suoi raggi, ma non riesce ad illuminare il suo volto, rabbuiato. Gli occhi più neri che mai.
- Non intrometterti. – mi dice serio.
Ora vedo la sua espressione, è dura, cattiva. Sembra un'altra persona.
- Mi spiace Julian, ma non posso lasciarti fare. – nel pronunciare queste parole tiro fuori il coltello e mi metto in posizione pronta a lottare.
- Come vuoi.
Rapido, fulmineo mi è addosso. Mi tira un pugno allo stomaco. Non del tutto sorpresa, ma sofferente, indietreggio di un passo e stringo i denti per il dolore.
Lo guardo e sorride malevolo. Avanzo e provo a colpirlo con la lama argentea. Schiva l’affondo, si sposta alle mie spalle. Mi prende le braccia e me le blocca dietro la schiena. Mi toglie il coltello di mano e lo scaraventa lontano. Immobilizzata.
- Ora hai finito di giocare? – mi chiede avvicinando la sua testa alla mia.
- No, non ancora.
Carico una testata e lo colpisco in mezzo alla fronte. Indebolisce la presa e riesco a liberarmi.
Mi volto, più rapida che posso, sfilo la pistola dalla stretta dei jeans, tolgo la sicura e lo punto.
È dritto davanti a me, con un ghigno sul volto.
Lentamente alza le braccia, e con fare beffardo apre la bocca.
- Fallo.
- Vattene Julian.
Per rendere maggiore l’intimidazione carico un proiettile nella canna della pistola.
Avanzo, lui non si muove, continua a sogghignare.
Gli punto la pistola alla tempia.

You'll be a lover in my bed
And a gun to my head
We must never be apart


Gli angoli della sua dolce bocca si abbassano, le labbra rosse si appiattiscono.
Sorride di nuovo e sparisce, mi volto, lo vedo spostarsi rapido tra i palazzi e sparire.
Ma non è l’unica cosa che noto, un’ombra sparisce affianco a me.
Mi guardo attorno, nulla.


 
Corre e si allontana.
Deve sfogare la sua rabbia, ha sete. Deve tornare a ragionare.
Si guarda intorno. Un ragazzo che ascolta l’i-pod passeggia per strada.
Perfetto.
Gli si avventa, lo porta in una zona d’ombra e lo svuota della vita.
Una volta morto, lo lascia cadere a terra.
Sente qualcosa sulla spalla, si volta, non se l’aspetta.
- Vedo che hai fallito.
- Cosa ci fai tu qui? – dice rabbioso, mentre si pulisce le labbra con la mano.
- Sono venuto a controllarti. Perché non hai ucciso quella ragazza prima? Perché non hai assolto al tuo compito?
Lo guarda fisso. Gli occhi smeraldo brillano nella notte, anche nel buio in cui si trovano ora.
- Non era lei che dovevo uccidere.
- Allora cosa stavi facendo? – urla.
Gli si avventa contro e lo solleva per il collo della giacca.
- Calmati amico, mettimi giù.
Lo lascia e si mette a camminare avanti e indietro, nervoso.
- Tu non capisci – urla di nuovo, passandosi una mano tra i capelli – Questi sono pezzi grossi! È un affare grandioso!
- Rinuncio Lucio.
- Cosa?!
- Rinuncio alla ricompensa, al lavoro. Mollo tutto.
- Tu non molli un accidenti hai capito? Siamo una squadra.
- No Lucio. Siamo due soci in affari sporchi. E io mi sono stufato.
- Ehi! Non mi puoi mollare così! Io ti ho trovato, io ti ho scoperto. Prima eri una nullità, ora sei potente!
- Tu non mi hai scoperto.
Si allontana, lasciando il suo collega. Questo veloce gli si para davanti.
- Tu mi stai nascondendo qualcosa. E va bene, farò da solo. Non ho bisogno di te.
Sparisce nella notte. Sa che agirà domani, ormai per oggi il tempo è scaduto.
Giusto il tempo per organizzarsi.
 

Dopo aver fatto la ronda per il resto della notte alzarsi alle 8 è massacrante.
Con poca decisione scosto le coperte e mi alzo.
- Miaoooo!
Mya ha fame, la riempio di cibo e coccole. Mi fa sempre sorridere la mia miciona.
Mi guardo allo specchio. Gli occhi sono contornati da borse, testimoni di una notte d’insonnia.
Sollevo la maglia, il livido allo stomaco è già in via di guarigione, per sera sarà scomparso. Giro la testa, i segni sul collo, ricordino dell’ultimo morso subito, sono andati via.
L’ultimo morso, è stato il suo.
Mi sfioro la pelle rigenerata, è liscia.
Mi imbambolo davanti allo secchio, persa nei ricordi. Quasi posso immaginarmi il suo odore, il colore dei suoi occhi. Sto sprofondando nella malinconia.
Sospiro.
Un corpo caldo e peloso mi accarezza le gambe. Mi riporta alla realtà, mi inginocchio e coccolo ancora la gatta.
Mi faccio una doccia veloce e mi vesto pronta per andare a lavorare.

- E' pronto il cappuccino per il tavolo 4.
- …
- Kris mi senti? Pronto? Terra chiama Kris!
Mi sento qualcosa colpire in testa.
- Ahi! Fred ma che ti è preso? – gli urlo.
- Io? Sei tu che stai nel tuo mondo. Hai una faccia!
- È che ho sonno – sbadiglio. – Tavolo 4 hai detto, vero?
- Sì. Non dovresti stancarti così tanto.
Già non lo sto più ascoltando. Mi avvio al tavolo e consegno l’ordinazione con un sorriso. È il ragazzo dell’altra volta. Come al solito nemmeno mi vede, concentrato nella lettura del giornale.
Sbuffo silenziosamente, mi volto verso il balcone.
Vedo Erika tramare qualcosa con mio fratello, indicandomi. Stano parlando di me. Copro la distanza che ci separa in un batter d’occhio.
- Visto che sono la diretta interessata, potrei sapere pure io di cosa stare parlando?
- Tesoro, siamo preoccupati, sembri uno straccio. Non c’è nulla che vuoi raccontarmi? – mi dice dolce la mia amica.
Mi guarda con occhi languidi, come fare a mentirle? Sto già per cedere.
Poi mi volto, Fred ha la fronte corrucciata. Immagino che già è in fibrillazione, agitato.
No, mi dico, sta per diventare padre, non è il caso di dirgli la verità; conoscendolo vorrebbe agire lui stesso, si immischierebbe in un mare di guai.
No. Lo proteggerò io.
- No tutto bene, ma grazie Erika, sei un tesoro. – le sorrido dolce.
Ruffiana che non sono altro.
- Perché hai preso la mia pistola ieri?
Accidenti, se n’è accorto. Mi scruta pensieroso, non rilassa la fronte.
- Così per cambiare un po’ – dico senza dar troppo peso alle mie parole.
Non mi risponde, ma continua a guardarmi storto.
Sento il campanello della porta. Mi volto, il ragazzo se n’è uscito, anche oggi senza degnarmi di uno sguardo.
Mi dirigo verso il suo tavolo, intanto osservo la strada.
Decido di non dar importanza alle occhiatacce di mio fratello che mi bucano la schiena.
Osservo le macchine che passano, in fila, una dietro l’altra.
Un suv, una utilitaria, una berlina nera brillante, sportiva, coi vetri oscurati. La guardo passare, rimango a bocca aperta. Macchina inconfondibile. È il pirata della strada!
Corro fuori, spero, questa volta, di essere in tempo. Un dejà-vù. Svolta. Mi è sfuggito ancora.
 
 
Girovaga in macchina per le vie della città senza uno scopo, deve pensare, ragionare, riflettere, trovare un modo.
Lucio agirà quella notte, deve trovare un modo per fermarlo.
Potrebbe affrontarlo, ma per pigrizia non ne ha voglia.
Finalmente è in vacanza, basta lavoro chi glielo fa fare di impegnarsi?
Grugnisce a se stesso. Si vergogna di se.
Ma che uomo sei, pensa.
È suo fratello. L’avrebbe ammazzato lui, ma non se l’è sentita di passare oltre lei. Non si è impegnato al massimo nella loro breve lotta. L’avrebbe stesa, lo sa. Ora è molto più potente. Ma non le andava di farle male, di rovinarle il bel faccino. Dentro di lui qualcosa lo bloccava.
Sentimenti.
Pensava di esserne immune. Aveva ragione lei a non credergli molto tempo fa, prova delle sensazioni. Non sa definirle bene, ma sente.
Nella sua vita ha provato sofferenze, dolori. Raramente gioie, poche, ma esplosive. Come la recente notte. Al solo pensiero si sente infiammare di nuovo tutto dentro, preso dalla passione.
Debole. Femminuccia.
Sgasa e accelera per sfogare la rabbia.
Ma è mattina, la città è popolata da migliaia di macchine in fila. È costretto ad inchiodare e a seguire il pedante flusso di automobili.
Le vie che percorre sono le solite. Soliti posti, soliti bar. Moon Bean.
Di nuovo, ricorda di esserci già passato.
Sta per svoltare, guarda nello specchietto retrovisore. Una figura esce dal bar. Inconfondibile.
Finisce la curva, ripercorre il quadrilatero di strade il più velocemente possibile, ma il traffico lo rallenta notevolmente.
Rivede spuntare l’insegna del bar, in lontananza. Picchietta nervoso le dita sul volante. L’utilitaria davanti a lui va lentissima e non riesce a superarla. È agitato, ha fretta ora, come non mai.
Finalmente si leva di torno, sgasa e veloce arriva alla sua meta. Accosta poco dopo l’ingresso del bar, facendo stridere le gomme e lasciando un segno nero sull’asfalto.
Poi si ferma. Rimane immobile in macchina. Vuole scendere, ma per fare cosa?
Per dirle che ora il suo nemico non è più lui?
Si, per metterla in guardia. Annuisce a se stesso.
Apre la portiera, scende, e la richiude sbattendola.
Stringe un paio di volte il pugno. Sente i muscoli di tutto il corpo tesi.
Dannazione, rilassati, si dice.
Fa un respiro profondo, si infila i grossi occhiali da sole, apre la porta del locale.
Un campanello suona, non ci sono clienti, ma tre persone al bancone.
Uno lo riconosce, in piedi vicino alla macchina del caffè che asciuga una tazza. Lo vede bloccarsi e corrugare la fronte. Affianco a lui una donna, giovane e piena di vita, in attesa di un figlio, gli sorride e lo accoglie.
- Buongiorno, si accomodi. La cameriera arriva subito.
Poi si volta verso l’uomo e rimane a bocca aperta ad osservare la sua espressione contrita.
Si sente sbuffare. Voltata di schiena una ragazza appoggiata con le braccia al bancone e la testa su di queste, seduta su un alto sgabello.
La vede sollevarsi drizzando la schiena, chiedendo.
- Fred che succede? È entrato un fantasma?
Si volta e rimane a bocca aperta per qualche secondo. Poi si riprende.
- Tu cosa diavolo ci fai qui?!?!?
Lui rimane in silenzio, in piedi, con le mani nelle tasche del giubbotto, e un ghigno storto sul volto. Studia rapido la situazione, muovendo svelto gli occhi in ogni direzione, coperto dagli occhiali.
La sua attenzione è però attratta da lei, che si alza veloce ma un po’ goffa dallo sgabello, che cade a terra, mentre gli si dirige addosso.
- Vattene- gli urla – non sei il benvenuto qui.
Mentre gli grida addosso carica un pugno e cerca di sferrarglielo sul bel viso.
Lui para il colpo, bloccandogli la mano all’altezza del viso, mentre sposta la testa leggermente di lato per non essere toccato.
- Calmati. Ti devo parlare. – le dice piano.
- Mollala hai capito? – una voce maschile da dietro di lei.
- Fred non ti intromettere!- dice lei, rilassando il braccio teso verso il volto di lui.
La libera dalla sua presa e annuisce.
- Kris! Parla avanti cosa nascondi.
- Niente Fred- disse voltandosi verso suo fratello – non lo vedi? Julian è tornato. Vuoi abbracciarlo?


Ok, lo ammetto, fare del sarcasmo in questo momento forse non era la cosa più azzeccata.
Ma sono agitata e si vede. Mio fratello mi conosce troppo bene e sa meglio di me che questa situazione è abbastanza strana. Un vampiro di giorno in un bar? Roba da matti.
Mi volto verso julian.
- Sputa l’osso e sparisci, non dovresti nemmeno essere qui. È per caso una tregua?
- Sono venuto a dirti di stare attenta.
- A chi? A te? Lo so già, grazie. Se non sbaglio non ho di che preoccuparmi.
- Sciocca. Aspetta a parlare.
- Non sono io che mi sono data alla ritirata.
- L’incarico è passato a qualcun altro, io non ti darò più fastidio.
- A chi?
- Il mio collega.
- Perché hai rinunciato?
- Tzè – ghigna – avevo voglia di una vacanza, di godermi un pò i miei guadagni. Parto tra poco.
- Vai al mare ad abbronzarti?
Sento Erika alle mie spalle che si tappa la bocca per non ridere, ma io nemmeno sorrido. Faccio sarcasmo. Si è tolto quel sorriso beffardo dal volto. Ancora un po’ e gli tiravo uno schiaffo per il nervoso.
Silenzio imbarazzante, nessuno parla. Che odio queste situazioni.
Eddai, penso, vattene. Che ci stai a fare ancora qua?
Rimane fermo, non sorride. Il volto è rivolto verso di me, ma gli occhiali mi impediscono di capire cosa stia guardando. Non smetto di fissarlo, voglio farlo sentire in colpa, per come si è comportato con me, con Fred.
Dal nulla sorride, lo sguardo strano, non capisco.
Mi prende di nuovo il braccio, ma ora dolcemente.
- Vieni – mi dice.
Mi trascina fuori, ma senza troppa forza. Non oppongo resistenza.
Sento mio fratello chiamarmi. Mi volto sorridente per tranquillizzarlo.
Mi apre la portiera della macchina e mi lascia spazio per salirci.
- Che significa?
- Andiamo a farci un giro, ti va?
Lo guardo storta, non capisco. Un attimo prima era serissimo, ora sembra un ragazzino. Mi spinge dentro e chiude la portiera. Provo ad aprire per scendere, ma ha fatto scattare la sicura con il telecomando. Lo vedo ridere fuori dal finestrino.
In pochissimo me lo ritrovo seduto affianco, accende il motore rombante e parte.
Solo in quel momento collego che è lui il proprietario della berlina nera, il mio pirata della strada.

Il paesaggio cittadino sta abbandonando la nostra visuale, per lasciar sempre più spazio ai boschi e appaiono già in lontananza le cime delle Montagne Rocciose.
La curiosità mi divora, mentre lo osservo guidare tranquillo il suo gioiellino sportivo. La musica allieta l’atmosfera nell’abitacolo della macchina. Rock.
E’ travolgente, non riesco a stare ferma e buona sul sedile, canticchio ogni brano e tengo il tempo con piedi e mani, battendoli i primi sul tappetino, le seconde sulla stoffa dei miei jeans.
La melodia spazza via ogni pensiero e preoccupazione, mi concedo di non pensare a niente, nemmeno a me stessa, distratta dalla natura che mi circonda, illuminata dai raggi del sole, che però non riescono a infastidire la vista grazie ai vetri oscurati della berlina.
È trascorsa già un ora da quando siamo partiti, e non ci siamo più detti una parola. Non mi fido completamente, e nonostante l’allegria che mi pervade grazie alla musica, non mi perdo un solo movimento delle dita sul volante o della mano sul cambio. Porta sempre gli occhiali da sole, il giubbotto slacciato da cui si intravede una maglia blu.
Mi accorgo di non averlo mai visto se non di notte. Mi volto a studiarlo con più attenzione, seguendo i contorni di ogni ciocca sistemata col gel in modo perfettamente disordinato, gli osservo poi le orecchie, chiare e delineate. Abbasso lo sguardo lungo il collo dritto e liscio, quasi appetitoso, da mordere. Alzo gli occhi al cielo come a cercare di controllare i miei pensieri, quando lo vedo voltarsi verso di me, probabilmente infastidito dal mio studio approfondito della sua persona.
Rivolgo nuovamente lo sguardo alla strada, lui rimane fisso su di me.
Guardo veloce, prima lui, poi la strada, un paio di volte almeno, preoccupata, finiremo fuori carreggiata! Invece la macchina continua dritta senza sbavature nella guida.
Rimango a bocca aperta. Lui sorride soddisfatto e riporta il volto dritto davanti a se. Sbruffone.
Mi irrita a morte, non riesco più a stare zitta.
- Si può sapere dove mi stai portando?
- Pazienza.
Sbuffo.
- Siamo quasi arrivati – continua.
Incrocio le braccia al petto e stendo le gambe, macchina davvero comoda. Appoggio la testa al sedile e mi lascio coccolare dal calore dell’abitacolo, chiudendo gli occhi.
Non mi addormento del tutto, riesco a percepire quando la macchina accosta e si ferma. Ma Morfeo mi trattiene a se, riattivo i sensi ma fatico ad aprire gli occhi, si sta così bene.
Sento aprire la mia portiera, attorniarmi di aria fredda ed essere sollevata.
Dalla sorpresa sollevo rapida le palpebre. Mi ritrovo fuori dall’abitacolo e rimango estasiata ad osservare il paesaggio primaverile, con le cime non troppo lontane coperte dalla neve residua dell’inverno, gli scarsi alberi che danno qua e là un tocco di verde ai pendii, la distesa di erba davanti ai miei occhi che appare infinita. Il vento soffia forte e freddo da nord. Tremo. Mi sento abbassare, allora mi volto e mi rendo conto di essere aggrappata al suo collo, di nuovo mi viene voglia di morderlo. Ci guardiamo, o meglio lui mi guarda negli occhi, io fisso le lenti dei suoi occhiali. Sposto una mano e glieli sollevo sulla testa.
Mi sorride e gli rispondo in egual modo.
Mi posa a terra, mi libera dalla stretta e si riabbassa le lenti scure.
- Qui non saremo disturbati – esordisce.
Si stiracchia allungando le braccia sopra la testa e piegando la schiena all’indietro. Lo guardo stranita. Ma che intenzioni ha?
- Fammi vedere di cosa sei capace. Non risparmiarti, mi raccomando.
Così dicendo si allontana di qualche passo. Si fruga tra le tasche, tira fuori un pacchetto di sigarette, ne estrae una e l’accende.
- Avanti che aspetti, puniscimi per il male che ho commesso cacciatrice!
- Mi stai provocando?
Sorride sarcastico, da un ultimo tiro alla sigaretta, poi la butta a terra. Solleva un braccio e con l’indice mi fa segno di avvicinarmi. Sono disarmata, ma non disdegno mai un po’ di allenamento.
- Non ti è bastata la lezione di ieri sera?
- Mmm direi di no, diciamo che non mi sono espresso al meglio.
Ghigna. Sbruffone. Odioso. Prepotente. Ora ti …
Gli sono addosso, ma la rabbia non mi permette di essere efficace, schiva il pugno facilmente.
Lo sento ridere. Questo non aiuta la mia calma e concentrazione.
Chiudo gli occhi e respiro a fondo. Stringo la croce che mi pende dal polso. Rilasso i nervi e i muscoli. Pace interna.
Lo sento che mi gira attorno, crede che siccome non lo vedo non posso percepirlo, beh si sbaglia. Lui sarà super veloce, ma io ho i sensi più affinati di un normale umano.
Mi do lo slancio, salto e sferro un calcio, ruotando di un quarto il busto. Colpisco qualcosa. Apro gli occhi, ma è già lontano. Sorrido, godendomi il momento. Lo vedo serio, non se l’aspettava.
- Ok, basta scherzare. Facciamo sul serio ti va? – mi dice.
Annuisco. Il furore di poco prima sparito, l’attenzione rivolta a percepire il più piccolo movimento.
Ancor prima che si muova percepisco un soffio di vento freddo. Il mio corpo reagisce e si prepara a parare un colpo. Julian sferra un pugno allo stomaco, ma riesco a schivarlo ritraendomi, gli scanso il braccio e gli restituisco il colpo al mento. Arretra di mezzo passo per lo sbilanciamento, appoggia il piede e riprende l’equilibrio. Arretro anche io. A due passi di distanza ci sorridiamo, coinvolti nella nostra lotta privata. Lo vedo scattare, così riesco di nuovo a parare un suo colpo, ma questa volta schiva la mia risposta, si abbassa rapido e ruotando con la gamba tesa mi colpisce il ginocchio facendomi perdere l’equilibrio. Poggio una mano a terra per non cadere del tutto, mi do una spinta all’indietro e mi rimetto in piedi.
Subito mi è addosso, un pugno allo stomaco, non riesco a evitarlo, ma il successivo si.
Senza armi lui è notevolmente superiore . Più rapido e forte.
Arretro. Il petto si muove su e giù, il respiro affannato. Lui è fresco come una rosa.
- E’ un lotta impari, lo sai meglio di me – gli urlo.
- Hai delle potenzialità, bisogna solo svilupparle.
- Guarda che sono già sviluppate. Credi che qualche anno fa sarei riuscita anche solo a sfiorarti?
- In effetti non sei male, non sei più imbranata come ricordavo.
- Imbranata? – ripeto arrabbiata.
- E sei anche più svelta, hai dei buoni riflessi, anzi quelli sono ottimi.
- Già, beh quelli sono un dono.
- In che senso?
- Riesco in parte a prevedere le mosse del mio avversario. Non del tutto, ma riesco a percepire un attacco un secondo prima che accada. È come se ne sentissi la tensione nei muscoli.
- Interessante, dovuto alla tua doppia natura, immagino. Ma forse non dovresti dirlo ad un vampiro.
- Non cambia nulla. Saperlo o no intendo.
- Forse hai ragione.
Sorrido, mi sdraio nell’erba alta quasi a esserne coperta. Chiudo gli occhi e mi godo il sole, ma per poco, mi ritrovo presto all’ombra. Socchiudo un occhio.
- Mi stai coprendo il sole.
- Tanto più scura di così non diventerai.
- Guarda che mi abbronzo. Forse non come tutti, ma assumo un certo colorito vivo – gli rispondo sarcastica. – di sicuro più colorata di te divento.
Mi tende la mano, la afferro e mi solleva.
Ci stacchiamo subito.
- L’allenamento è già concluso? – chiedo.
- Si devi essere fresca per stasera.
- Già…stasera. Che palle! – sbuffo. – mai una serata tranquilla. Un appuntamento, anche solo una serata al cinema con un amica…già ma quale amica – sbuffo ancora.
- La ragazza al bar…
- Si…ma non è il caso di portarla per locali ti pare?
- Da quel che ho visto, anche da sola nei locali ti sai divertire…
Arrossisco. Colpevole. Colpita e affondata.
- Quindi sei in partenza? – chiedo per cambiare discorso.
- …ah già… beh teoricamente, posso trattenermi ancora un po’…
- Ma non ce n’è bisogno – lo interrompo – non hai nessun motivo per rattenerti….
- ….già….
- Allora buon viaggio – gli dico sorridendo falsa. – prima però riportami a casa ok?
- Certo. – ritorna impassibile dietro gli occhiali scuri.
Mi rattristo un po’.
- Facciamo che la prossima volta che ci vediamo – comincia a dire – se ti va ancora di andare al cinema, ti ci porto io?
- …
- È un si?
Rimango ancora a bocca aperta, poi lentamente annuisco.
Ho un appuntamento.
Con un vampiro.
- Ora sali in macchina, ti riporto indietro.
Lo seguo, mi apre la portiera e mi accomodo.
Guardo l’orizzonte, nuvole nere in lontananza. Il sole sarebbe durato ancora per poco.
 
Lei dorme, si è appisolata sul sedile, cullata dalle fusa del motore.
Tiene sotto controllo facilmente la strada. Con un mano sfila il cellulare dalla tasca del giubbotto e compone un numero in memoria.
Un paio di squilli poi qualcuno all’altro capo risponde.
- Ho bisogno di te, ti devo parlare, dove ti trovo.
Ascolta con attenzione la risposta, la memorizza.
- Bene a dopo.
Attacca e ritira il telefono.

Un paio d’ore più tardi, dopo averla lasciata al bar, sfila veloce tra le strade della città. Il tempo scarseggia, è già pomeriggio quasi.
Entra nella hall dell’albergo di cui ha memorizzato il nome poco prima, chiama l’ascensore, preme il tasto per il sesto piano. Le porte si aprono scorrendo lateralmente, lui esce calmo, con le mani infilate nelle tasche del giubbotto. Cammina lento sul tappeto rosso, che attutisce il suono dei suoi passi, leggendo su ogni porta il numero della stanza. 666.
Ironia della sorte. I numeri dorati sembrano bruciare sul legno della porta color panna.
Di nuovo solleva il lato della bocca in un ghigno.
Sente dei passi da dentro la stanza, si avvicinano svelti. Il suono di una serratura. La porta si apre, lui solleva lo sguardo e sorride.
Una bellezza eterea ha gli appena aperto la porta, lunghi capelli neri e lisci, occhi blu, profondi. Linee dolci e sinuose del corpo fasciato un semplice tubino nero.
Le labbra incurvate in un dolce sorriso.
- Entra, ti aspettavo – dice con voce sensuale.
Lui non parla, semplicemente la segue all’interno della stanza, richiudendo la porta bianca dietro di se.

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Capitolo 6
*** 6. ***


6.
Il cielo si è oscurato, le nuvole hanno raggiunto la città velocemente.
La vede da lontano che attende il suo nemico sul tetto del palazzo.
Non le si avvicina, rimane distante, nell’ombra. L’osserva camminare avanti e indietro, nervosa. Ogni tanto tira fuori il coltello, ci gioca un po’ per passare il tempo e poi lo ritira nuovamente. Si sistema la pistola dietro la schiena.
Lui sa che non verrà nessuno ad infastidirla.
Tira fuori il cellulare dalla tasca e rilegge per l’ennesima volta il messaggio ricevuto poco prima.
“Eliminato. Ti aspetto coi soldi per il pagamento.”
La guarda camminare un ultima volta. Sorride tra se e con un balzo atterra in strada, di fianco alla sua auto nera. Con il bottone sulla chiave, la apre, sale a bordo e accende rombando il motore. Parte in direzione dell’albergo, guidando tranquillo, non ha nessuna fretta, è rilassato e pacifico ora. Sa che lei è al sicuro, che non corre particolari rischi. È riuscito a risolvere la situazione senza sporcarsi le mani, o almeno non direttamente.
Parcheggia davanti all’hotel, scende dall’auto portando con se una valigetta nera, di quelle che si vedono nei film. Ancora canticchia la canzone che ha sentito alla radio, mentre si aprono le porte dell’ascensore e si immette nel corridoio color panna col tappeto rosso. Non guarda più i numeri sulle porte, ricorda dove si trova la stanza.
Nessuno però gli viene ad aprire questa volta. Strano, pensa.
Prova a forzare la porta, ma la trova aperta. Ancora più strano.
La spinge, in modo che si apra e si sposta sul lato. Silenzio. Si affaccia lentamente, nessuno in vista.
Entra furtivo nella stanza, chiudendo la porta e guarda in giro. Il pavimento è cosparso di ogni genere di oggetto: vestiti, scarpe, fogli, accessori per il make-up.
Tutto ciò non gli piace.
Tutti i cassetti sono stati svuotati, come l’armadio. Perfino l’armadietto dello specchio in bagno.
La finestra della camera è spalancata, il vento penetra gelido. Gli si avvicina e la chiude.
Nel farlo si accosta al mobile col telefono, che proprio in quel momento squilla.
Lo guarda per qualche secondo, poi afferra la cornetta e risponde.
- Pronto?
- Hai trovato un po’ di confusione, immagino, ma la tua amichetta non c’è. Ora è un mucchietto di polvere che svolazza, sospinta dal vento.
Non risponde, ma stringe un pugno per la rabbia.
- Hai voluto intrometterti coi nostri affari. Potevi assolvere il compito che ti era stato assegnato, invece hai preferito far eliminare il tuo complice. Beh questo non ci fermerà. D’ora in poi i panni sporchi ce li laveremo da soli.
- Chi siete? – urla nella cornetta.
- Ti conviene sbrigarti, la tua umana non è più tutta sola su quel tetto.
Attaccano all’altro capo. Posa il ricevitore. Esce a passo deciso dalla stanza, raggiunge la sua auto, vi deposita la valigetta e la chiude.
È pervaso dalla rabbia e dalla preoccupazione.
Chi c’è dietro a tutto questo?
Corre, tra i palazzi nell’ombra, più veloce che può, ogni attimo è prezioso.
Lei è in pericolo. Un pericolo molto più serio di quello da cui aveva cercato di proteggerla togliendo di mezzo Lucio.



Dannazione. È forte e veloce, molto più della media dei vampiri che ho affrontato. Forse anche più di Julian, ma di questo non posso esserne certa. Ma che importa, ormai è partito, me la devo cavare in qualche modo, con le mie sole forze. Non posso permettere che arrivino a Fred.
Eppure sono di nuovo a terra, mi fa male un pò dappertutto, mi ha colpita un pò dappertutto. Si avvicina e mi guarda dall’alto.
Vestito completamente di nero, con capelli scuri, occhi rosso cupo, spaventosi. Non so perché, ma non me lo immaginavo così, il collega di Julian.
Mi tira un calcio nel fianco, mi piego a terra e rotolo di lato. Apro appena gli occhi, stretti per il dolore e vedo la mia pistola non troppo lontana. Mi ha disarmato, anche il pugnale è finito chissà dove. Faccio per allungare il braccio, ma con un piede me lo schiaccia a terra. Lancio un urlo soffocato.
Lui ride, diabolico.
Si abbassa e mi solleva prendendomi per la maglia. Cerco di essere il più rapida possibile per approfittare di questa vicinanza, estraggo il piccolo coltello dalla tasca, faccio scattare la lama e lo ferisco al braccio. Ringhia e poi mi lancia a terra poco distante, come se fossi leggera come una piuma.
Vedo che si lecca la ferita superficiale che gli ho provocato, sorride e me la mostra, mentre si rimargina molto rapidamente. In pochi secondi non rimane nemmeno un piccolo segno.
- Cosa credi di fare? – mi sibila addosso. – Tu non puoi nulla.
Con la coda dell’occhio cerco la pistola a terra. Eccola la vedo, a poco più di tre metri da me. Con un salto posso raggiungerla. Ci provo.
A malapena mi stacco da terra che mi si para davanti e mi impedisce ogni movimento.
- No no no. – mi dice sempre con un sorriso sarcastico in volto.
Mi solleva nuovamente, questa volta sono disarmata. Cerco di divincolarmi ma sua presa è ferrea.
Mi lancia nuovamente a terra, come se fossi un moscerino che lo infastidisce.
Sollevo la schiena lenta e dolorante facendo leva sui gomiti. Sento dei passi e me lo ritrovo davanti, gli fisso i piedi, posti davanti al mio volto. Si inginocchia, mi solleva il volto con un dito.
- E’ davvero un peccato doverti eliminare, ma ti sei messa in mezzo. Tranquilla, non ti farò soffrire, e non rovinerò neppure il tuo bel faccino. Solo ti prosciugherò di ogni goccia di sangue, lentamente cadrai nell’oblio, sarà come dormire, credimi.
Mi dice tutto questo con molta tranquillità.
Lo fisso seriamente, annuisco. Poi chiudo gli occhi e gli sputo in faccia.
Mi afferra.
- Stupida, credi che il tuo amico verrà a salvarti? Beh che venga pure, sono pronto anche per lui. Peccato che per quel momento tu sarai già morta, non potrai assistere alla sua fine e nemmeno quella del cacciatore.
Lo guardo con disprezzo. Il viso contratto per l’ira, il collo teso dalla rabbia.
Rimango fissa su quel particolare, il collo bianco e liscio.
Uno squarcio tra le nuvole, permette alla luna di fare capolino in cielo e illuminare i nostri corpi.
La mente si azzera. Vedo solo la sua gola, nemmeno mi rendo conto che lui si sta avvicinando alla mia, nulla mi importa se non quella superficie pallida che risplende, man mano meno distante.
Ho un nodo in gola, una stretta allo stomaco. Ho sete.
Appena mi è possibile mi aggrappo a lui e insinuo la testa nell’incavo del suo collo. Apro la bocca e mordo. Lui non riesce a fare altrettanto con me, è sorpreso.
Intanto, non so come ho fatto, sono riuscita a ferirlo anche coi miei denti da umana, sento il sapore salato del sangue sulla lingua e comincio a succhiare.
Assaporo quel liquido caldo scorrermi in gola e poi giù, lasciando una scia salata e metallica. Sono sempre più assetata e affamata. Odo delle urla, ma non ci faccio caso.
Ad un certo punto mi sento strappare con forza e di nuovo vengo lanciata a terra.
Assorbo il colpo, mi rigiro, mi lecco le labbra e sento di nuovo quel sapore. Rinsavisco, capisco quello che ho fatto.
Orribile.
Che mi è preso?
Guardo il mio nemico, in piedi di fronte a me, si tiene la ferita sul collo, mi guarda stranito.
Quando sposta la mano, la sua pelle è come rigenerata, nessun segno del mio passaggio.
Mi studia. Non capisce, ma nemmeno io.
La luna è dietro di lui, la sua luce pallida mi illumina, mentre il suo volto rimane in ombra. Lentamente l’astro viene rinchiuso dalla stretta delle nubi e tutto ritorna buio.
 
La vede a terra, sovrastata da un ombra corpulenta.
Non ragiona, agisce e basta. Gli arriva dietro silenzioso. Si stanno studiando e non si accorgono di lui, troppo presi dai loro pensieri. Quel corpo è grosso, molto più di lui, gli sarebbe piaciuto sfidarlo, ma non è il momento.
Si concentra un secondo e poi affonda il braccio in quella carne morta. Sa che il colpo deve essere preciso, trapassare il cuore ormai morto, strapparglielo dal petto.
Lo trafigge da una parte all’altra, prima a mano aperta, poi stretta a pugno. Sente il vampiro cercare di respirare, ma non vi riesce. Si accascia a terra, e si sgretola in mille frammenti di polvere.
Si raddrizza, soddisfatto. Si sbatte la giacca, in parte ricoperta di pulviscolo.
Si rivolge a lei, ha lo sguardo sconvolto, il volto macchiato.
Le tende la mano. Lei la fissa per qualche secondo poi lentamente l’afferra. La aiuta a sollevarsi e l’avvicina a se. È strana.
La annusa, odora di sangue. Innaturalmente silenziosa.
Con un dito le pulisce il volto dalla macchia scura, e se lo lecca.
Anche il sapore è quello. Corruga la fronte, non capisce.
Lei lo vede turbarsi, svelta si pulisce il volto con le mani.
- Tutto bene? – lui chiede.
- Si certo. – risponde distogliendo lo sguardo.
- Sei ferita?
- No.
Riflette. Eppure quel sangue, da qualche parte deve pur essere arrivato.
Le sposta la testa a destra e a sinistra, per esaminarle il collo, ma la pelle è intatta, non è stata morsa. Non capisce.
- Julian, mollami. Ti ho detto che sto bene.
Si distoglie dalla sua presa e dalle sue attenzioni.
- Piuttosto tu che ci fai ancora qui? Non eri partito? – riprende lei.
- Un contrattempo.
Si studiano in silenzio. Lei semi-voltata, come a proteggersi dai suoi sguardi, lui sempre corrucciato, qualcosa non torna. Le afferra il polso.
- Andiamo, ti riporto a casa.
Lei si libera dalla presa.
- No grazie, ho la moto, non ho bisogno di un passaggio.
- Insisto.
Sbuffa.
- Ho detto no. Non posso lasciare qua la moto, Fred si insospettirebbe.
- Forse è il caso che lo informi che la sua vita è in serio pericolo.
- E perché? Il tuo collega è morto, il pericolo è passato.
- Non era il mio collega. Lui è morto, sì. Ma questo era qualcun altro, mandato dai miei stessi emissari.
- Ah…. Allora le cose si complicano.
- Già. Non credo che sia finita qui. Resterò, alla fine in questa storia ci sono in mezzo anche io.
- Allora domani parlerò a mio fratello.
- Mi sembra giusto.
Silenzio.
- Ora mi dici come hai fatto a sporcarti di sangue? – riprende lui.
- Non lo so, no me n’ero nemmeno accorta.
Risposta troppo rapida e vaga. Nasconde qualcosa.
La vede cercare qualcosa a terra, raccogliere le sue armi. Questo significa che si era trovata in difficoltà, disarmata. Eppure non è ferita e non ha perso sangue. Quindi quelle macchie scure sono del vampiro. Ma come? Se un vampiro è ferito dall’argento non perde sangue.
La raggiunge e la afferra, questa volta più deciso. La guarda duro, lei gli rimanda uno sguardo sconvolto.
- Spiegami cosa è successo qui! Cosa mi nascondi.
Le vede riempirsi gli occhi di lacrime, lasciar cadere gli oggetti raccolti e fiondarsi tra le sue braccia. Piange silenziosa stretta a lui, che rimane immobile. La stringe di rimando.
Lei si scioglie, tra i singhiozzi pronuncia delle parole, farfugliandole.
Lui la allontana un pochino, gli pone le mani sulle spalle, si abbassa un poco per appoggiare la fronte alla sua.
- Dimmi tutto – le sussurra.
- Sono un mostro.
Riprende a piangere più forte, disperata quasi, la stringe di nuovo a se
 
 

-Lui cosa ci fa ancora qui con te? Non è il benvenuto.- esordisce Fred, da dietro il bancone del bar.
Per fortuna il locale è deserto. A metà mattina sono tutti al lavoro ed è un momento di tranquillità.
Vedo Erika al suo fianco che gli mette una mano sulla spalla per tranquillizzarlo, mentre mi sorride benevola e con l’altra mano accarezza lenta la sua pancia tonda e gonfia.
Julian al mio fianco rimane impassibile, lo sguardo serio a penetrare quello di mio fratello.
- Calmati Fred, se mi lasci parlare ti spiego tutto.
Avanzo verso di lui, e gli indico la porta sul retro. Lui annuisce, poi guarda di nuovo storto il vampiro, poi la sua compagna.
Lei gli fa un piccolo cenno per tranquillizzarlo, sempre sorridente, Fred si lascia convincere e mi segue lasciando soli Erika e Julian.
 
Si accomoda al bancone, si guarda in giro, ma non osserva nulla in particolare. Pensa pensa e ripensa. Da chi è stato mandato quel vampiro? Chi sono i suoi nemici? Cosa fare?
- Ciao, io sono Erika.
Un voce lo distrae dai suoi pensieri. La ragazza bionda, dietro al bancone gli sta parlando. Gli concede la sua attenzione, ma senza rispondergli.
- tu sei Julian, gusto? Ho sentito parlare di te, ma non ho mai avuto il piacere di incontrarti.
Gli sorride, per educazione.
- Beh capisco molte cose ora – continua lei.
La guarda perplesso.
- Cosa capisci?
- I comportamenti di Kristina, il fatto che non abbia mai abbandonato le speranze, che non si sia trovata uno straccio di ragazzo che possa esser chiamato tale, in questi anni.
- Ora sono io che non capisco.
- È naturale, in fondo sei un maschio.
Si gira e si mette a lavare qualche tazzina, lasciandolo perplesso.
Sentendo suonare il campanello della porta rialza lo sguardo e sorride.
- Buongiorno. – dice sempre gentile
 

- Qualcuno vuole eliminarti – esordisco.
- Qualcuno chi?
- Non lo sappiamo esattamente.
- Sappiamo?
- All’inizio doveva essere Julian… - inizio con voce tremante, lo vedo incupirsi, quindi continuo rapida – ma ti ho difeso e ha cambiato idea. Hanno mandato qualcun altro però. Stanotte è stato eliminato. Ma non è finita, temo.
- Per quello avevi la mia pistola? Per difendermi?
- Si.
Si avvicina e mi abbraccia.
- Avresti dovuto dirmelo subito. Ti avrei aiutato.
- No. Non devi metterti in mezzo. Tra poco sarai padre, non devi correre rischi inutili.
- Perché invece stando con le mani in mano non rischio niente? – dice sarcastico.
- Ma almeno non sei esposto direttamente! – rispondo secca.
- Ok. Ma voglio aiutarti.
- Non puoi.
- Ma ti farai aiutare da lui…
Non rispondo.
- Lo immaginavo – continua sospirando.- le persone non cambiano Kris, i vampiri ancora meno.
- Lo so, cosa credi. Solo che una mano fa sempre piacere, soprattutto se è una mano forte. – gli rispondo staccandomi da lui, indispettita da quelle parole.
- Come preferisci, ma non dire che non ti ho avvisata. Qual è il piano?
- Tu devi solo pensare a non far preoccupare Erika e a non fare sciocchezze avventate.
- Mi tratti come se non fossi capace di difendermi.
- Lo sai che non è vero, voglio solo che non ti accada nulla.
- Va bene. Ora torniamo di la, non mi piace lasciare Erika da sola con …quello.
- Aspetta Fred… non ho finito…
- Beh in effetti era una situazione troppo facile. Spara.
 
- Oh ciao Will, accomodati.
- Ciao Erika, ti va di farmi un caffè?
- Subito.
Un ragazzo in divisa da poliziotto si accomoda di fianco a lui. Si scrutano e si studiano.
- Ci conosciamo? – gli chiede il nuovo arrivato.
- Non credo proprio.
Torna a guardare avanti a se.
- Lui è Julian, un amico di Kris – dice Erika, sempre gentile.
- Piacere, io sono William. Un amico di famiglia.
Si volta verso il poliziotto, osserva la mano tesa verso di lui. Senza dire nulla distoglie lo sguardo.


 
Posso farcela, basta dirlo. Veloce, senza pause. Chiudo gli occhi, prendo un bel respiro.
- Ho morso un vampiro e ne ho bevuto il sangue.
Respiro ancora. Studio la sua reazione.
Silenzio.
Fred mi guarda, è rimasto impassibile. Non si muove.
Sempre con sguardo duro, gli occhi semichiusi.
Che fa? Non parla? Non risponde? Che gli prende? Aiuto.
- Fred…
- Perchè?
- Perché l’ho fatto? Non lo so, l’ho fatto e basta, non me ne rendevo conto. – dico abbassando lo sguardo sui miei piedi.
- Perché me lo stai dicendo?
- Sento che devo dirtelo.
- Sbagli, io non voglio saperlo. Non voglio conoscere questo lato di te.
Rimango spiazzata. Come?
È la prima volta che mi fa sentire così, come estranea a lui. Non sua sorella.
Un mostro.
La mia mente ritorna subito alla sera prima, quando Julian dopo avermi riportato a casa mi è stato accanto, vegliando il mio sonno agitato sul divano.
Un comportamento opposto da quello di mio fratello. Lui avrebbe dovuto starmi vicino, consolarmi, invece mi tratta come se mi stesse rifiutando, escludendo dalla sua famiglia.
Mi sento spezzare il cuore, una lacrima mi riga il viso.
Ancora non si muove
Rinnegata dal proprio fratello, dall’unico punto di riferimento, colui che mi ha reso ciò che sono. Una cacciatrice.
- Torniamo da Erika… - dice allontanandosi da me.
Lo seguo a testa bassa, verso il locale.
Mi asciugo il viso con la manica del giubbotto e mi stampo un finto sorriso di circostanza addosso.
Non sono pronta alla scena che mi si presenta davanti.
Julian seduto al bancone che rigira tra le mani una tazza di caffè, con affianco William, anche lui concentrato sulla sua bevanda; davanti a loro un Erika imbarazzatissima che cerca di imbastire uno straccio di conversazione.
Quando entro nel locale gli sguardi dei due uomini si illumino ed entrambi alzano la testa nel vedermi.
Io arrossisco al volo.
Loro due assieme, uno affianco all’altro, che mi scrutano dai loro sgabelli. Come non paragonarli.
Cerco di non pensarci, mi dirigo verso di loro afferrando il grembiule e indossandolo.
Silenziosa ritiro le loro tazzine, quella di julian ancora piena, ma il caffè ormai si è freddato.
- Ciao Kris.
- Ciao will – rispondo senza guardarlo – tutto bene?
- Si e tu? È un po’ che non ci vediamo…
E’ un allusione?
- Qualche giorno.
- Già… - risponde circospetto.
Che stupida che sono. Ufficialmente è da più di qualche giorno! Mi mordo il labbro per il nervosismo.
- Torno al lavoro. Una saluto a tutti.
Paga, si alza e fa per andarsene. Gli altri lo salutano, tranne Julian. Proprio a lui William rivolge un ultimo sguardo prima di aprire la porta e uscire.
Tiro un sospiro di sollievo.
Julian si volta a guardarmi. Arrossisco ancora.
- Che caro ragazzo, vero Kris? – dice Erika – Pensare che ha sempre avuto un debole per te. Peccato che tra di voi non abbia funzionato.
Paonazza.
- Ma che dici! – cerco di zittirla.
- È la verità. Ma ormai è tardi, off limits ragazza.
Ho le scalmane e mi sento avvampare.
Chino la testa dopo aver annuito e passo uno straccio sul bancone.
Julian non ha smesso di osservarmi un secondo, lo vedo sorridere sarcastico sollevando solo un angolo della bocca. Tira fuori una banconota dal giubbotto.
- Questo è per il caffè, tieni il resto.- fa per alzarsi. – Devo andare a controllare una cosa, ci vediamo dopo.
Non rispondo, ritiro i soldi in cassa e lo vedo oltrepassare la porta.
 
Si reca all’albergo. Ormai conosce bene i muri color bianco-panna e il tappeto rosso.
Arriva davanti alla stanza 666. se è fortunato la cameriera non è ancora passata a rifare la stanza e nessuno si è accorto di nulla.
Bussa, ovviamente silenzio.
Fa ruotare la maniglia, la serratura scatta, compare un ghigno sul suo volto ed entra.
Tutto è ancora in disordine, nulla è stato toccato.
Controlla ogni cosa, ogni foglio, se la buona sorte continua ad assisterlo troverà qualcosa di utile.
L’agendina di Lucio, dove lui segnava ogni particolare dei suoi incarichi, sarebbe anche troppo.
Eppure si era raccomandato con la sua amica, prendigliela e nascondila accuratamente, le aveva detto. Poi quando ti pagherò me la consegnerai.
Dove può averla nascosta?
Fruga ovunque, ma tra le cose sparse ovviamente non c’è. Come la sera prima i cassetti sono ribaltati per terra e l’armadio è aperto.
Si guarda in torno. Non nota nulla di particolare o qualcosa che sia stato tralasciato. Poi scorge un mazzo di chiavi sulla scrivania. Sono di una macchina. Una Porsche.
Esce dalla stanza e si precipita nel garage dell’hotel.
Clicca sul telecomando delle chiavi, per far scattare le frecce dell’auto. Vede una luce nel piano buio e individua la macchina. Una 911 rossa fiammante. Non male.
Apre la portiera e si accomoda al posto di guida. Confortevole. Apre il cassetto porta oggetti. Niente di particolare. Sotto i tappetini, nulla.
Posa lo sguardo sul sedile del passeggero, è di un colore leggermente diverso da quello su ci si trova lui.
Solo un occhio attento può notare questa particolarità.
Incuriosito comincia a tastarlo, schiacciando dove dovrebbero trovarsi le molle per renderlo confortevole…stranamente non si comprime.
Di nuovo solleva un labbro, ghignando.
Senza troppa gentilezza infila le dita tra le cuciture del sedile e le strappa, scoperchiandolo.
Ha fatto centro.
All’interno trova uno scomparto contenente un piccolo libricino nero, lo apre.
Riconosce la calligrafia minuta e precisa di Lucio.
Se lo intasca, scende dalla macchina e la chiude.

La sera è calata, di nuovo. Un altro giorno è passato.
Parcheggia proprio sotto la grande vetrata, fa scattare la serratura dell’auto e si appresta a salire le scale che conducono all’appartamento. Nota una volante della polizia parcheggiata poco distante.
Bussa alla porta, che lentamente viene aperta. Lei si affaccia, vestita solo di un paio di pantaloni blu di stoffa e un reggiseno blu, ricamato ai bordi. Si sposta per farlo entrare e lui silenzioso si infila tra le quattro mura.
Scorge una figura alzarsi dal divano, riconosce il poliziotto incontrato al bar quella mattina, si sta infilando la giacca.
- Forse sono arrivato nel momento sbagliato – le dice.
- No tranquillo, Will se ne stava giusto andando, vero? – gli risponde, voltandosi verso il suo amico.
Lui cupo annuisce e si defila.
La vede allontanarsi, raccogliere una maglia e infilarsela. Ha un’espressione preoccupata.
Senza dire niente chiude la porta dietro di se, si avvicina al tavolo e vi appoggi velocemente l’agendina.
- Chissà cosa starai pensando di me, ora – inizia lei, torturandosi le mani nervosa.
- Ma non è come credi – si affretta a dire - Si è venuto qua con uno scopo, ma…
- Kris non mi devi spiegazioni. – distoglie lo sguardo.
- Sì ho sbagliato, ma ora se ne stava andando, non è successo niente prima del tuo arrivo.
- Sei libera di gestirti come preferisci. – la vede rattristarsi - Piuttosto, ho trovato qualcosa.
- In quel libro? – una scintilla di vitalità si riaccende sul suo volto.
- È l’agenda del mio socio. Vi appuntava su di tutto. So chi sono gli emissari.

Ecco un altro capitolo per voi. Grazie a chi segue, legge e recensisce. Buona notte! Pandora

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Capitolo 7
*** 7 ***


7.

Il lavoro al bar è terminato, che bello rincasare, rilassandosi.
Subito indosso qualcosa di più comodo: tuta.
Mi infilo i pantaloni blu, felpati, tolgo la camicia che indossavo al lavoro. Passano davanti allo specchio sorrido al mio riflesso, un bel corpo modellato dall’allenamento costante. Accarezzo i ricami del mio reggiseno, adoro quel capo intimo.
Suonano insistentemente alla porta. Corro subito ad aprire, non ricordandomi di essere mezza nuda.
Per fortuna è Will, indossa la divisa da poliziotto che tanto gli dona.
- Ciao, dimmi tutto – dico facendolo accomodare.
Lui entra, richiude la porta dietro di se. Mi prende per un braccio e mi trascina a se, cercando di baciarmi.
Mi scanso evitando le sue labbra.
Lo vedo indispettirsi.
- che ti prende Kris? Non ti vado più?
- Forse è il caso di smetterla, non ti pare? In fondo sei sposato!
- Non è da oggi che lo sono.
- Lo so, appunto per questo. Diamoci un taglio.
Allenta la presa, mi allontano di un paio di passi.
- è per il ragazzo che c’era stamattina al bar? – riprende dopo qualche secondo.
- Si…no… anche. Dovresti cercare di essere felice con Monica. – dico un po’ titubante.
Si lascia andare sul divano, mettendosi le mani tra i capelli. Sbuffa.
- con Monica ormai è finita da un bel po’…
- ma non è mai troppo tardi William! Riconquistala. – lo incito inginocchiandomi affianco a lui.
Lo vedo sorridere amaro, sarcastico. Mi prende il viso tra le mani, accarezzandolo.
Conosco quell’atteggiamento in lui, è quello arrendevole di quando si lascia convincere, ed è facile, basta fare gli occhioni dolci.
Suona di nuovo al campanello.
Distolgo lo sguardo dal mio amico, mi rialzo agile e vado ad aprire.
Quando inquadro Julian, rimango a bocca aperta.
A pare la sua solita bellezza abbagliante e l’impeccabile abbigliamento che lo contraddistingue, lo vedo squadrarmi dalla testa ai piedi, così mi ricordo di essere ancora senza maglia, con un ospite in casa. Lo faccio entrare e subito vado a recuperare qualche indumento.
- forse sono arrivato nel momento sbagliato – comincia con la sua voce calda e bassa.
Mi volto verso di lui. È girato in direzione di Will, lo sta osservando mettersi la giacca.
- No tranquillo, Will se ne stava giusto andando, vero? – dico indicando al mio amico la porta, con un gesto impercettibile della testa.
Lui cupo annuisce e si defila.
Una volta chiusa la porta mi rivesto, sono imbarazzatissima. Mi ha trovata mezza nuda con un uomo che Erika gli ha rivelato essere stato un mio compagno.
- chissà cosa starai pensando di me, ora – esordisco.
Sono nervosa, non riesco a stare ferma, mi torturo le mani in continuazione.
Cerco di spiegarmi, ma non mi lascia parlare, cambia poi discorso, mentre si avvicina al tavolo e vi getta qualcosa sopra, ma non vi presto molta attenzione.
- So chi sono gli emissari. – lo sento concludere.
Mi concentro su quelle ultime parole. Ecco la parte buia della mia vita che torna a ripresentarsi.
Subito mi dirigo verso di lui, guardo sul tavolo e scorgo un piccolo libricino nero, in pelle. Lo raccolgo, lo apro. Ogni pagina è ricoperta da una scrittura minuta, fine, un po’ obliqua, ma non riesco a decifrarla.
- ma che lingua è?
- Italiano – risponde prendendomi il libricino dalle mani – Lucio aveva origini mediterranee.
- e cosa dice?
- Ci sono molte informazioni utili.
Parlando si avvicina al sofà e vi si accomoda, accavallando leggermente le gambe. Rimango appoggiata al tavolo in attesa di una spiegazione che non arriva. Sfoglia le pagine, vedo i suoi occhi muoversi rapidi a destra e sinistra, leggendo fulmineo.
L’impazienza e la curiosità mi divorano, non riesco a stare zitta.
- Quindi? Spiegami!
- Si certo. Ti ricordi di Samuel?
A sentire quel nome, mi passa un brivido lungo la schiena, scuotendomi tutta. Come dimenticare quell’essere spregevole. Annuisco.
- Faceva parte di un clun.
Lo guardo senza capire.
- Kris sai cos’è un clun?
Faccio segno di no con la testa.
- non sei molto esperta allora. Si tratta di una….congregazione. Un’associazione, una famiglia. Chiamala come preferisci. In sostanza un insieme di vampiri che collaborano per sopravvivere al meglio.
- Ma lui era solo…
- In quel periodo si….ma a quando sono riuscito a tradurre, era uno dei fondatori di questo clun.
- Ah. Questo cosa significa?
- Che i suoi amici reclamano un capo. Il capo è morto, così reclamano vendetta.
Mi rivolgo subito al passato, a quella sera, lo scontro, il dolore, la perdita.
Ma soprattutto lo sparo, partito dalla pistola di mio fratello, quello che mi aveva salvato la vita.
Quello che ha condannato la sua.
- cosa possiamo fare?
- Ben poco, se non ucciderli tutti, ma questo lo vedo difficile.
Mi incupisco.
- quanti sono? Ce la potrei fare?
- Dubito.
- E se tu mi aiutassi?
- Sono troppi.
- Quanti?
- Nessuno lo sa con certezza.
- E se ci ragionassimo? Troveremmo un compromesso?
- Tu vuoi ragionare con un clun? – scoppia in una fragorosa risata.
- È così assurdo?
- Abbastanza – dice ritornando serio.
Rimango pensierosa. Ci sarà pur una via d’uscita. Lo vedo alzarsi, prendermi la giacca e porgermela. Lo guardo sbattendo le palpebre un paio di volte.
- dobbiamo andare, è buio, è tardi.
Guardo l’orologio. Sono le 11 passate, si è tardi.
- aspetta, che mi cambio.
Prendo dei vestiti dall’armadio. Aspetto si giri, invece si accomoda nuovamente sul divano.
- ti dispiacerebbe uscire?
- In effetti si.
- Fuori!
- Perché? Non vedrei niente di nuovo!
Afferro una scarpa dal pavimento e gliela lancio. La blocca con la mano e ride. Si alza, mi si avvicina. Arretro, fino a scontrarmi col muro. Storta la bocca in un sorriso, si appoggia a me, lo sento vicino, adeso, il suo profumo che intorpidisce la mente. Mi appoggia delicatamente la scarpa sui vestiti che tengo in mano.
Allunga il collo e posa le labbra sotto il mio orecchio. Respira freddo sulla mia pelle calda, bollente. Il battito aumenta, il respiro pure.
Tengo gli occhi fissi sulla pelle chiara del suo collo. Una fitta allo stomaco, la gola secca.
No, non di nuovo.
Con una mano cerco di allontanarlo da me.
È sorridente, ma quando incrocia il mio sguardo capisce che qualcosa non va, la sua espressione muta, ritorna serio.
Corro in bagno, mi cambio. Quando ne esco la stanza è deserta, solo Titty che dorme nella sua cesta. Chiudo la porta e scendo le scale.
Lo trovo che mi aspetta davanti alla moto. Infilo il casco, accendo il motore e parto, senza nemmeno guardarlo negli occhi: troppa vergogna.
Accelero schivando le poche macchine in giro a quest’ora.
Poi un ombra, rapida, mi taglia la strada. Per evitarla sterzo, troppo. Non riesco a controllare il mio mezzo, che si imbarca, cerco di non cadere, ma l’asfalto si avvicina inevitabile.
Vedo le scintille della carena della moto sulla superficie dura della strada.
Riesco a frenare abbastanza prima di cadere, in modo da non farmi troppo male.
Striscio per un paio di metri, riparata dal giubbotto in pelle con le protezioni. La moto ferma la sua corsa addosso ad un palazzo, io poco distante.
Un po’ stordita mi metto seduta, tolgo il casco, lo appoggio per terra e scuoto la testa.
Che fortuna esser così resistente. Muovo gli arti, niente di rotto. Solo i jeans stracciati e qualche graffio, guariranno in fretta.
Mi guardo attorno.
Vedo la moto, qualche graffio pure lei, ma tutta intera. Poco distante una figura nell’ombra, scorgo solo i jeans e le scarpe, di marca.
- sei tutta intera? Non volevo farti cadere, davvero.– dice una voce allegra, maschile.
Non rispondo, ma vedo quelle gambe muoversi, un corpo uscire dall’oscurità.
Un ragazzo, no un uomo. Non riesco a dargli un età. Folti capelli castani, una cicatrice rossastra gli solca il volto, dalla fronte, passando per il sopracciglio destro, fino a metà guancia. L’occhio sembra non risentirne, iridi verdi e luminose.
Mi si inginocchia affianco, mi sorride e mi porge una mano. La afferro e mi aiuta a sollevarmi. Lo fa con estrema facilità, come fossi una piuma.
- Perdonami, non sei ferita, vero?
Ancora un po’ frastornata dalla botta ricevuta, faccio segno di no con la testa, ma non riesco a parlare. Lo osservo, ha qualcosa di strano.
I tratti delicati del suo volto sembrano attorniati da un alone di …normalità. Sembra la persona più pacifica del mondo eppure mi ha tagliato la strada mentre andavo in moto e non sono riuscita a vederlo.
- Bene. Davvero, non volevo che cadessi. Le mie intenzioni erano altre.
- C-come?
Mi si avvicina, mi annusa e storce il viso. Forse puzzo? Lo imito, strano eppure profumo.
- Sai di vampiro.
Faccio un passo indietro, sbalordita.
- Cosa!?!?!
- Hai capito bene. Eppure – mi afferra il volto e me lo sposta a destra e a sinistra – tu non lo sei, e non hai morsi sul collo.
Mi libero dalla presa delicata e retrocedo di un passo.
- Ma chi sei?
- Non temere. Sono un collega.- mi dice rassicurandomi con un sorriso.
- Collega?
- Un cacciatore?
- Ah. Che ne sai che io sono…
- So riconoscere chi è come me. Non mi credi?
- No...cioè, non ne ho mai conosciuti altri, oltre a mio fratello.
- Mai conosciuti? Com’è possibile? Siamo centinaia, forse migliaia.
- Davvero?
Veniamo interrotti da un rumore di passi.
Lui veloce, estrae una pistola dalla giacca e la carica.
Io mi volto in direzione del suono. Riconosco Julian che si avvicina.
Mi metto davanti allo sconosciuto e gli blocco la visuale.
- Fermo – gli urlo.
- Scansati, è un vampiro.
- Lo so benissimo, non sparare.
- E perché?
- È un amico.
- Non esistono vampiri amici.
- Kris. – entrambi ci voltiamo verso Julian. – tutto ok? Non arrivavi e sono tornato indietro a vedere che combinavi.
- Si tutto bene. Arrivo.
Guardo negli occhi il cacciatore, e muovo lentamente la testa facendo segno di no. Un lampo passa nei suoi occhi verdi, rabbia.
- lui è il nemico. – urla.
- No!
- Non puoi essergli amica. Ti ucciderà, berrà il tuo sangue!
- Lui non mi ucciderà. Ora metti giù la pistola. Posso fidarmi?
I suoi occhi si muovono veloci da me a Julian alle mie spalle. Alla fine sospira e ritira l’arma.
- grazie – gli sussurro. Riprendo il casco e lo infilo.
Vedo Julian partire, lo seguo.
Arriviamo in poco tempo da mio fratello. Con le chiavi apro il portone, salgo le scale e busso alla porta. Julian mi è dietro.
È Fred ad aprire. Quando vede me si incupisce, ma quando il suo sguardo si posa oltre le mie spalle vedo la sua fronte aggrottarsi.
- ciao Fred, facci entrare, abbiamo delle novità
- Lui non entra a casa mia.
- Perfetto, allora esci tu, o stiamo a parlare sul pianerottolo.
- Arrivo.
Rientra, lo sento parlare un attimo con Erika e poi esce con indosso una giacca.
Saliamo le scale fino al tetto del palazzo.
Ci disponiamo a cerchio e ci guardiamo in faccia, tutti e tre.
- cosa c’è di così urgente da disturbare la gente a quest’ora – brontola.
Da quando Erika aspetta un bambino è diventato insopportabile, manco fosse lui incinto.
- julian ha scoperto qualcosa.
- Non mi fido di quello che dice lui. – grugnisce.
Testardo!
- dovresti invece! Stanno cercando di vendicare Samuel, per quello cercano te!
- Non gli credo.
- Per favore, non fare il bambino! Tu più di tutti dovresti capire la gravità della situazione.
- La ragazza ha ragione Fred.
Una voce dalla porta delle scale. Ci voltiamo. Una nuvola di fumo aleggia nell’aria. Una figura maschile appoggiata allo stipite della porta.
Si risolleva, fa n ultimo tiro alla sigaretta e la butta via. Camminando entra nel cono di luce che la luna dal cielo proietta sul tetto del palazzo. Capelli castani, occhi verdi, cicatrice.
- tu che ci fai qui!?!? – gli urlo contro.- mi hai seguita!
- Kris, ma che dici – mi rimprovera mio fratello. – Josh è una vita che non ci vediamo!
Josh? Vita? Vediamo?
Mi sono persa qualcosa?
Si stringono la mano e si danno pacche sulla schiena, come vecchi amici. Sbalordita mi volto verso Julian, che è rimasto impassibile alla scena. Su di lui ora non posso contare.
- scusate, vorreste spiegare anche a noi? Chi sarebbe?
- Lui è Josh.
- Grazie ne so quanto prima – sbuffo.
- È un vecchio amico e collega, ci siamo salvati la vita a vicenda un paio di volte.
- Ah, ecco.
Mi porge la mano, come per stringerla. Allungo la mia, ma con grande eleganza, la afferra, si inginocchia e me la bacia.
- scusa, non ho avuto il tempo di presentarmi prima. Incantato da tanta bellezza.
A sentire queste parole avvampo di rossore, mentre si rialza leggiadro per accostarsi un po’ di più al mio volto.
- posso sapere il tuo nome? – aggiunge lieve.
Continuo a fissarlo negli occhi, ammaliatori, come i suoi modi gentili.
- lei è mia sorella Kristina.
- molto lieto.
Sorride. Un sorriso candido e puro. Luminoso, come i suoi occhi.
- e il simpaticone chi sarebbe?- dice Josh in direzione del vampiro.
Mi volto verso di li, sguardo serio, impenetrabile. Impossibile sapere cosa pensi. Di sicuro non è a suo agio con tre cacciatori.
- lui è Julian! – urlo isterica.
Perché sono così nervosa?
I due si salutano con un cenno della testa, segno che non vi saranno ulteriori manifestazioni di affetto.
 
 
L’odore che emana non è certo dei migliori.
Sa di fumo, dovuto alla sigaretta appena gettata, e di…benzina.
Com’è possibile?
Certo non è un buon odore.
Si solleva dalla porta a cui è appoggiato e si avvicina al gruppo. I suoi compagni lo riconoscono solo quando illuminato dal chiaro di luna. La cicatrice rossastra spicca sul suo volto ovale, quasi quando gli occhi smeraldo, luminosi e svegli.
Non gli piace.
A parte essere un cacciatore, il che basta a causargli una normale repulsione, ha qualcosa che lo infastidisce.
A pelle, non lo sopporta.
Kristina urla a vederlo, la scena è quasi comica, gli viene da ridere, ma si trattiene e rimane impassibile.
Lo sorprende però che i due cacciatori si conoscano. Questo non se l’aspettava. Cerca comunque di non mutare la sua maschera di estraneità. Eppure l’odore ora è ancora più forte.
Dà fastidio alle narici, quasi brucia.
Smette di respirare.
Forse è un bene che sia così concentrato, altrimenti si sarebbe scomposto alla scena successiva.
Un baciamano.
Cosa gli tocca vedere. Ma da dove arriva? Dall’ottocento?
E lei? Arrossisce, diventa paonazza.
Si sente subito indispettito, ma non vuole darlo a vedere.
La maschera che porta sul volto, quell’espressione così anonima ed estranea, si indurisce ancora di più, mentre dentro di lui il fuoco arde.
Un braciere che si consuma piano piano, lentamente. Che sia gelosia? No, non vuole ammetterlo a se stesso.
È quell’odore. È quello che gli provoca fastidio, che non sopporta.
È tentato di fare un passo indietro, per diminuire il fastidio. Ma poi lei si volta a guardarlo, a studiarlo. Ogni muscolo si blocca, la copertura ora riguarda tutto il corpo, deve resistere e sopportare.
Vengono presentati, si salutano con un gesto della testa. Già si odiano.
Come dal primo momento che si sono visti: lui l’ha minacciato con una pistola. Avrebbe reagito, ma Kris si è subito messa in mezzo.
Se non ci fosse stata lei, sarebbe stato un bello scontro, non c’è che dire. Se fosse stato umano l’adrenalina avrebbe pervaso il suo corpo. Invece, in qualità di non morto, ha percepito la sete del suo sangue, quella bramosia di ucciderlo, le mani gli prudevano, sentiva quasi i denti affinati dolergli.
Poi l’istinto ha avuto la peggio e la ragione ha vinto.
Josh, così si chiama il nuovo venuto, ora è al centro dell’attenzione. Gli altri due pendono dalle sua labbra, lui si gode il momento, gli piace comandare il gioco, si vede.
Sbruffone, pensa.
In fondo si assomigliano.
Lo ascolta parlare. La voce è allegra, vivace, troppo alta.
Nemmeno questo gli piace.
- Sono venuto qui da Los Angeles, perché ho sentito strane voci. Si parlava di una cacciatore nei guai qua a Denver. Sapevo che tu, amico mio, bazzicavi nei dintorni, e siccome ti sono ancora debitore di un favore, ho deciso di venire a controllare.
- In effetti la situazione non è rosea. Lo cercano.- commenta lei.
- Ora vediamo di non esagerare - il fratello si intromette.
- Non sto esagerando! Sei in sei guai.
- Calma calma. – sorride mellifluo l’altro.
Vede lei lasciarsi abbindolare.
Di nuovo quel fuoco dentro. Stringe il pugno, per sfogare un po’ di energia, poi si rilassa. Meglio.
Nota lei studiarlo, con la coda dell’occhio puntata proprio verso la sua mano.
Si maledice, si è fatto vedere arrabbiato, nervoso.
I loro occhi si incrociano, si legano, quelli di lei sembrano chiedergli qualcosa. Distoglie lo sguardo. Prende la parola.
- Si tratta di un clan molto potente. – dice cupo.
Ora anche gli altri due lo stanno guardando, scorge diffidenza nei loro occhi. Come non biasimarli. Rappresenta il loro principale nemico, la fonte dei loro guai.
Invece se lo ritrovano come alleato. Bizzarro se non altro.
- Sentiamo, quale? – lo sfida il nuovo venuto.
Quanto vorrebbe ringhiargli contro, saltargli addosso e stenderlo. Il suo sangue non lo vuole, anzi. Ma un pugno in faccia glielo darebbe volentieri.
Invece si trattiene, ancora.
Più tardi dovrà sfogarsi in qualche modo.
- I Takeda.
Lo vede accigliarsi, sorpreso.
Anche Fred mostra segni di nervosismo.
Un sorrisino sarcastico gli compare sul volto, un punto a suo favore.
- Scusate, navigo nell’ignoranza, spiegate anche a me? – dice timidamente Kris
- Si tratta di un clan di New York – cominciasuo fratello – che spazia tra Chinatown e Little Italy. Ormai le due comunità sono molto cresciute, e così il clan di vampiri a loro connesso. Anche se ai vertici trovi personalità che non centrano molto.
- Infatti – interviene l’altro – I Takeda fondatori ormai si sono estinti, ne rimangono solo poche tracce in alcuni vampiri di sangue misto, comandanti indegni di questa organizzazione. L’altro capo…
- L’ho ucciso io.
- Vampiri di sangue misto? – chiede lei.
- Generati da vampiri di sangue puro.
Conosce già tutte queste cose, il discorso lo annoia. Si concentra su altro mente i suoi compagni continuano a parlare.
Studia il volto di lei, le espressioni buffe che cambiano in continuazione. La vede focalizzata su suo fratello che le spiega cose a lei ignote. È concentrata, gli occhi brillano di voglia di conoscere, di sapere. Li vede muoversi in direzione delle voci che le illustrano la situazione. Da uno all’altro dei suoi oratori.
- Quindi secondo voi cosa dovremmo fare?
- Siamo 3 - comincia Josh poi si volta nella sua direzione – o quattro. Non possiamo attaccarli noi.
- Siamo tre – risponde lei – Fred non parteciperà.
- Non decidi tu per me!
- Invece sì, visto che tu non pensi alla tua famiglia lo farò te. Tu non fai proprio nulla.
Una risata riempie l’aria, vitale, energica.
Proviene da Josh.
Nemmeno questo riesce a sopportare, l’ha distratto dai suoi pensieri.
Infastidito si volta, comincia a camminare attratto da un rumore impercettibile. Gli altri non lo considerano al momento, meglio così. Si affaccia di sotto e guarda in strada.
Nessuno.
Guarda il palazzo di fronte. Un ombra proprio davanti a se. Si irrigidisce.
Si espone alla luce della luna. Si tratta di un vampiro. Sta sorridendo.
Male, molto male.
Lo vede rigirarsi qualcosa tra le mani, riflette la poca luce che proviene dal cielo. Poi alza la testa come a indicare qualcosa, segue il suo sguardo. È diretto agli altri tre.
Si sente come se il sangue gli si ghiacciasse nelle vene.
I suoi compagni stanno parlando tra di loro, non si sono accorti di nulla.
Si rivolge nuovamente al vampiro. Ora riconosce cosa tiene in mano: un pugnale.
Vede il suo ghigno deformarsi, portare il braccio con cui tiene l’arma dietro la testa.
Sta per lanciare.
- A terra !– grida.
Ma sa che non sarà sufficiente.
L’arma è stata scagliata nello stesso istante in cui a urlato. Cerca di essere altrettanto rapido. Si getta sugl’altri per levarli dalla traiettoria del lancio.
Josh si è allontanato in tempo, riesce a proteggere Fred e a dare uno spintone a Kris, facendola cadere poco distante.
Il pugnale si conficca nella porta delle scale, con un rumore sordo.
Si rialzano, aiuta Fred e poi Kris che si massaggia la testa, l’avrà battuta nella caduta.
- Che peccato vi ho mancato! Non importa, sono qui solo a portare un invito.
L’ombra si avvicina sempre più a loro, ha saltato il vuoto tra i palazzi come niente e ora cammina indisturbato sul terrazzo. Gli stilavi che porta causano un forte rimbombo sul cemento.
- Di che si tratta? – dice josh.
- Siamo affascinati dalle vostre capacità umane, per questo, a nome del clan Takeda, vi invito a farvi trovare domani a mezzanotte esattamente qui. Vi condurrò ad un incontro molto speciale. Tutti e quattro ovviamente. Si tratta solo di un colloquio, nessuno si farà del male.
Si guardano tra di loro.
- D’accordo. – sentenzia Fred.
L’ombra si allontana con una risata sommessa.
Kris subito si lancia verso la porta. Con una certa fatica estrae il coltello conficcato e lo osserva.
Rimane ammirata dall’intarsiatura, ne segue i contorni con un dito. Li fa suoi.
Estrae dalla borsa che porta a tracolla la sua arma.
La confronta con questa.
L’elaborazione dell’elsa è identica.
Guarda suo fratello, poi di nuovo le armi che stringe tra le mani.
Lui si incupisce, lei lo guarda, gli occhi persi, non capisce.
- Vieni in casa Kris, dobbiamo parlare.
Chiedo perdono per il ritardo, buona lettura. Pandora

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