Eclissi di luna

di Tsuki82
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 Ritorno al passato ***
Capitolo 3: *** 2 Preoccupazioni ***
Capitolo 4: *** 3 Demone e Angelo ***
Capitolo 5: *** 4 Faccia a faccia ***
Capitolo 6: *** 5 Soli ***
Capitolo 7: *** 6 Io non ti lascio! ***
Capitolo 8: *** 7 Ti racconterò tutto ***
Capitolo 9: *** 8 Una sfida mai conclusa ***
Capitolo 10: *** 9 Un nuovo inizio... ***
Capitolo 11: *** 10...O, come iniziò tutto. ***
Capitolo 12: *** 11 Lo stesso destino (prima parte) ***
Capitolo 13: *** 12 Lo stesso destino (seconda parte) ***
Capitolo 14: *** 13 Una conoscenza dal passato ***
Capitolo 15: *** 14 Trappola ***
Capitolo 16: *** 15 Un gioco pericoloso ***
Capitolo 17: *** 16 Giochi pericolosi ***
Capitolo 18: *** 17. Fino all’ultimo istante ***
Capitolo 19: *** 18. Faccia a faccia con la morte ***
Capitolo 20: *** 19. Ombre ***
Capitolo 21: *** 20. Ti aspetterò per l’eternità. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il vento ululava forte in mezzo alle fronde, c'era panico misto a sudore sul suo viso e, nonostante fosse pronto e sicuro di sé, non poteva impedire al cuore di battere all'impazzata.

Il calcio della magnum gli scivolava dalla mano, l'indice non riusciva più a piegarsi, ogni muscolo, ogni parte del corpo doleva e bruciava.

La lucidità stava sparendo dai suoi occhi e prima che fosse davvero consapevole di ciò che avveniva, sarebbe tornato ad essere una macchina assassina, incapace di contenersi, di fermarsi, capire o risparmiare il nemico, chiunque esso fosse.

Conosceva bene questi sintomi, li aveva già provati.

Guardò il rossore intorno alla piccola iniezione subita e stinse forte la mascella, poi la sentì chiamarlo.

Il suo nome era un grido disperato, pieno d'angoscia e paura, intriso di quel profondo affetto che solo lei sapeva dare e che dava solo a lui.

In un attimo tutta la loro vita insieme gli passò davanti agli occhi, ogni momento insieme, ogni lite, ogni sorriso, ogni sguardo...

Le avrebbe fatto del male, dì lì a poco l'avrebbe anche potuta uccidere.

Prendere tempo non serviva a nulla eppure non sapeva che altro fare. Attese un momento che sembrò infinito, poi udì il clic del cane che si abbassava, il suo nemico era pronto ad ucciderlo, ma avrebbe trovato pane per i suoi denti. Non si era guadagnato il nome di Giustiziere per nulla, e, proprio quando si stava concentrando per localizzarlo, l'effetto della PCP ebbe il sopravvento sul cervello ed ogni altra possibilità di ragionamento si spense in una frazione di secondo.

Il resto furono ricordi confusi.

Le mani strette attorno alla gola dell'uomo, i suoi occhi fuori dalle orbite, erano solo una piccola parte di ciò che aveva fatto, poi aveva attaccato anche lei. Sapeva che non era un nemico, ma non era sufficiente, non in quello stato.

L'aveva afferrata, lanciata e le si era scagliato contro come un lupo affamato, poi...

Poi qualcosa scattò, si ribellò a se stesso e, con un dolore enorme alle tempie, riuscì a scostarsi, a lasciarla, ma il prezzo fu duro da pagare.

Un rivolo di sangue gli colò dal naso, un urlo innaturale squarciò la fredda notte invernale e finalmente seguì l'incoscienza, l'oblio.

Forse non l'aveva uccisa, forse si era fermato in tempo, eppure quell'incertezza lo dilaniava anche da svenuto. Non sentiva nulla, non provava nulla, vedeva solo quei ricordi passargli davanti come diapositive, fermi immagini di una vita che non avrebbe mai più avuto.

Infine anche quei ricordi svanirono e rimase solo il nero ignoto del nulla.

 

 

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Capitolo 2
*** 1 Ritorno al passato ***


Quando finalmente aprì gli occhi, si ritrovò sdraiato su un morbido letto. Nella stanza buia c'era un forte odore di colonia da uomo misto a sudore. Tentò di mettere a fuoco ma sembrava come se avesse perso la vista, tutto era una macchia informe di colore scuro indistinguibile.

Avrebbe voluto chiamare qualcuno ma la voce non usciva e, come se non bastasse, non c'era nessuno da chiamare, perché era solo.

Respirò a pieni polmoni, conscio del dolore fisico che gli procurava ed era un sollievo. Sentire dolore significava che l'effetto della polvere degli angeli era terminato, forse avrebbe sofferto ancora qualche giorno ma poi avrebbe ripreso il fucile e sarebbe tornato in prima linea.

Una lacrima amara scese sulla sua guancia.

Come aveva potuto fargli questo? Perché proprio a lui?

Diceva di amarlo come un figlio, lo difendeva, gli insegnava a sopravvivere, a corteggiare le donne, a divertirsi e poi, quando era quasi finita quella maledetta guerra, ecco che gli propinava la PCP.

Era davvero questo l'uomo che lui chiamava padre? Era questa la persona più importante della sua vita?

Qualcuno a cui non importava se viveva o moriva, che aveva occhi solo per il “soldato perfetto”.

Sospirò e mise un braccio sul volto, come a voler nascondere ogni emozione in quel futile e doloroso gesto.

Per un attimo strinse la mascella, poi i suoi sensi si allertarono.

Sentì una porta lontana aprirsi cigolando, avvertì due profumi diversi, uno simile al suo e l'altro sconosciuto, poi riuscì a distinguere un leggero bisbiglio. Si concentrò sulle voci.

“Secondo te starà bene?” chiese una voce femminile.

Un sospiro, “Non lo so, cara. Dobbiamo dargli il tempo necessario.”

“Ma quelle convulsioni...”

“Non ne avrà più, stai tranquilla. Adesso dobbiamo solo aspettare che si riprenda.”

“Ma i suoi muscoli, il suo stato fisico...”

Un rumore sordo lo fece sobbalzare, come se un bastone avesse colpito forte il pavimento, “Basta!” sentì dire con rabbia dalla voce maschile, “Basta. Lui è forte e tutto tornerà come prima, ma se continui a preoccuparti così lo farai solo stare peggio.”

Ci fu silenzio per qualche istante, rotto solo da piccoli singhiozzi discontinui, poi i due si mossero nuovamente, avvicinandosi alla sua stanza.

“Dobbiamo controllare anche la tua ferita dopo, va bene?” chiese l'uomo. Sentì la donna mugugnare un assenso con una voce roca e fioca, probabilmente piangente.

Tsè, le donne. Sempre pronte a fare di tutto un dramma, eppure non ricordava che ce ne fossero nel loro accampamento. Forse era un'amica di qualcuno che si aggirava tra loro per aiutarli nei momenti di solitudine. Non era una cosa rara e se così fosse stato, magari poteva sfogarsi un pochino anche lui.

Con una leggera espressione da maniaco, per un breve istante, dimenticò le sue pene, ma il ricordo non era lontano e ben presto avrebbe dovuto affrontare suo padre ancora una volta.

Si attardò così nei suoi pensieri, conscio che i due lo stavano guardando.

“Accendi la luce.” disse l'uomo alla donna, che obbedì senza attendere, “Ben svegliato, Ryo.”

“Doc!” esclamò con perplessità, “Non ti ricordavo così vecchio e curvo.”

Il dottore sorrise, “Bello vedere che sei sempre il solito idiota.”

“Ciao, Ryo.” fece la donna con tenerezza.

Lui la osservò bene. Capelli rossicci e corti, occhi nocciola, viso gentile e un bel corpo. Ammiccò con lussuria.

“Non adesso dolcezza, dammi tempo per riprendermi, poi ti farò vedere com'è bello un vero guerrigliero.”

Lo disse con una lascivia nella voce che persino Doc ne fu sconcertato.

Guardò bene Ryo, poi si voltò verso di lei, “Kaori, esci. Io e Ryo dobbiamo parlare.”

Per un attimo non si mosse, finché non vide uno strano sguardo sul volto del suo socio e comprese. Lasciò la stanza con un peso sul cuore, certa che nulla sarebbe mai più stato come prima.

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Capitolo 3
*** 2 Preoccupazioni ***


Doc si mise seduto al tavolo con una faccia pensierosa. Non capiva come fosse possibile una cosa del genere. L'ultima volta non era accaduto, perché stavolta sì.

“Dottore, come sta Ryo?” chiese una voce femminile, richiamandolo dai suoi pensieri e porgendogli una tazza di tè bollente.

“Oh, Kazue. Diciamo che sta bene, almeno fisicamente.” rispose il vecchio, sorseggiando.

“E Kaori? Come l'ha presa?” chiese Mick, intromettendosi nella conversazione.

Kazue lo guardò stranita un solo istante, poi sorrise. Ormai ne avevano parlato a sufficienza e si era convinta che il rapporto tra i due era solamente fraterno.

Kaori aveva perso molto negli ultimi anni e se non fosse stato per Ryo sarebbe sicuramente crollata, ma con l'arrivo di Mick anche quel rapporto di protezione si era evoluto e adesso una profonda amicizia e un sano rispetto legava Kaori e Mick, quindi non c'era nulla da temere. Non per lei.

Il diamante brillava al suo dito, la data era stata già fissata e la sua pancia in aumento dava nuove speranze al loro futuro.

Sorrise e attese la risposta come il suo compagno.

“È sotto choc. Tutta questa situazione... Non riesce a capire perché si sia dimenticato di lei. E a dirla tutta neppure io.”

“Possiamo fare qualcosa?” domandò l'ex sweeper con voce triste.

“Non lo so. Il difficile sarà aggiornare Ryo sulla sua vita.”

“Crede ancora di essere nella giungla?” chiese Kazue preoccupata.

“Sì. È come se la sua vita fosse tornata indietro a quel giorno e questo è un problema!”

“Perché?” fece la dottoressa perplessa, “Che c'è di così problematico?”

“Kazue,” rispose Mick, mentre Doc sorseggiava il suo tè bollente con una calma snervante, “tu non hai conosciuto Ryo in quel periodo...”

“Ma io sì.” tuonò la voce di Umibozu alle loro spalle, facendoli sobbalzare, “Era una furia, anche dopo la PCP, non ha mai trovato la calma fino a che Kenny non l'ha portato con sé. Ha iniziato a vivere una vita umana con lui e adesso è come prima di Kenny: una macchina assassina.”

“Era come l'angelo della morte.” disse Miki, avviandosi verso la camera di Kaori, “Io ne sentii solo parlare, non lo vidi mai in azione ma, credetemi, i racconti erano agghiaccianti.”

Doc sospirò riducendo tutti al silenzio.

Era inutile parlarne e c'era ben poco da fare. Non potevano lasciarlo da solo e raccontargli la sua vita sarebbe stato inutile.

Ryo era un uomo metodico, razionale e molto organizzato nel suo lavoro, era facile diventare suo amico, ma ancora più facile diventare la sua preda e se puntava gli occhi su qualcuno non mollava la preda.

Adesso il vero problema era Kaori.

Il suo comportamento con Ryo, il vecchio Ryo, non avrebbe avuto presa sul nuovo, anzi sarebbe stato peggio. Qui non si trattava di amnesia temporanea ma di qualcosa di peggio. Probabilmente la PCP aveva lesionato il cervello o magari erano state le botte alle testa che si era inferto quella notte.

Doveva fare altre analisi ma non prima di aver preparato Kaori.

Doveva lasciarlo, almeno per adesso, andare via fino a quando le cose non si fossero sistemate.

Sapeva però che non l'avrebbe mai fatto, non lo avrebbe lasciato e questo era un problema. Ryo poteva fare qualcosa di stupido o peggio poteva ucciderla solo per un rifiuto...

Che cosa doveva fare?

“Resteremo tutti qui, controlleremo la situazione e faremo in modo che non succeda nulla tra loro o a loro.” disse Kazue, come se avesse letto i suoi pensieri.

“Così invece di uccidere lei, ucciderà noi.” rispose Umibozu sarcastico.

Miki poggiò una mano sulla spalla di Kazue, “Non c'è modo di prevenire, a meno che Kaori non venga via con noi. Vediamo se posso convincerla.” e si allontanò, lasciando la stanza nel silenzio.

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Capitolo 4
*** 3 Demone e Angelo ***


Ryo se ne stava seduto in silenzio sul letto, cercando di mettere a fuoco i ricordi, nel chiarore di una stanza che diceva molto del suo occupante: solo, affaticato e indeciso.

Che diavolo ci faceva lui in un appartamento del genere? E soprattutto perché Doc non aveva voluto dirgli nulla?

Quel ne riparliamo dopo, con cui lo aveva liquidato meno di quindici minuti prima, non era rassicurante. Il tono usato, l'espressione del volto, gli dicevano che c'era qualcosa sotto, ma cosa?

Uscì in silenzio dalla stanza e percorse pochi passi fino ad arrivare alla porta con su scritto Kaori. Si fermò, sentendo delle voci, e origliò.

“Devi andare via da qui, almeno per adesso.” diceva una voce femminile.

“Lo sai che non posso. Proprio non posso.” rispose la donna dai capelli rossicci, il suono della sua voce lo fece sobbalzare...

“Kaori,” disse Miki, afferrandole una mano, “restare qui non servirà a nulla. Non puoi fare niente, lo capisci vero?”

La sweeper tolse la mano dalla stretta della sua amica, “Tu abbandoneresti Umibozu?” chiese con espressione arrabbiata. Possibile che nessuno di loro capisse?

“Ma non è la stessa cosa...” tentò di dire Miki.

“Invece sì. È esattamente la stessa cosa. Non posso fare finta che gli anni passati non siano mai esistiti, non riesco a lasciarlo andare.” fece con il pianto negli occhi, “Non posso.”

Le donne si guardarono per un istante, poi la mercenaria sospirò...

Ryo rimase immobile appoggiato con le spalle alla porta, sul suo viso c'era uno strano sorriso che non sapeva di avere. Per un attimo, un istante durato un battito di ciglia, il suo stomaco si era rivoltato.

Si allontanò e tornò indietro, aspettando di avvertire solo la presenza di Doc, prima di uscire di nuovo, ma, appena si chiuse la porta alle spalle, cadde a terra svenuto e senza forze.

Kaori fu la prima ad accorrere e nessuno osò dire niente quando la videro.

Con il suo corpo gracile e fino, lo aveva sollevato, afferrandogli il braccio, e lo stava sdraiando sul letto.

Era quella la loro intimità, il loro essere quotidiano e niente avrebbe potuto cambiarlo, neanche la paura dell'ignoto. Kaori era la sola che poteva stargli accanto e, così stanco, fragile e debilitato, Ryo non sarebbe stato un problema.

Comunque Doc doveva mettere in guardia l'uno dall'altra e non poteva aspettare. Accennò un congedo con il capo, rivolto ai quattro che li osservavano, e rimase a guardare.

Non proferì parola mentre la donna massaggiava delicatamente le braccia di Ryo con un unguento per dare sollievo ai muscoli infiammati, si limitò a seguirne il delicato movimento delle mani, ad osservarne lo sguardo triste e malinconico.

Lei era la sola persona che aveva dato a Ryo una ragione per lottare, l'unica in grado di aprire una breccia nella sua corazza. Vita, morte, desolazione, ostacoli, tutto ciò che aveva vissuto, era divenuto nulla se messo a suo confronto.

Lo sweeper si mosse, come se fuggisse dal suo incubo, le labbra urlavano mute un richiamo poi...

Scattò a sedere d'un tratto, afferrando il suo assalitore al collo e stringendo forte.

Appena mise a fuoco, incontrò gli occhi sbarrati e spaventati della donna, ma non riusciva a controllarsi, a fermarsi.

Kaori cambiò espressione, il suo sguardo si addolcì, tenero e gentile, e anche se non riusciva a parlare, a causa della morsa ferrea che aveva sul collo, sillabò tre parole: va tutto bene.

Fu come ricevere un caloroso abbraccio, come sentirsi protetti e allo stesso tempo amati, fu qualcosa che non ricordava di aver mai provato.

Allentò la presa, lasciandola respirare. Ancora un momento e Doc lo avrebbe sedato, sentiva la sua aurea preoccupata e pronta all'azione. Il suo istinto di sopravvivenza era infallibile e, in quel momento, gli aveva gridato di lasciarla per non cadere addormentato e perdersi quegli occhi che, senza accusarlo, sembravano chiedergli scusa per averlo spinto a tanto.

Sorrise un istante e di nuovo si addormentò, più sereno di quanto fosse mai stato.

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Capitolo 5
*** 4 Faccia a faccia ***


Era andato via. Restare lì sarebbe stato inutile, Ryo dormiva profondamente e Kaori..., pensò, lei è semplicemente lei.

C'era un dolce sorriso sul suo volto, anche se non poteva nascondere quella leggera preoccupazione che, come la sabbia nelle clessidre, si stava depositando, granello su granello, nel suo stomaco. Ad ogni passo rimpiangeva di essere andato via, poi capiva che il suo ruolo si riassumeva solo nella sua qualifica di medico.

Sospirò e si diresse nella palazzina di fronte, da Mick e Kazue; per quanto assurdo voleva restare nei paraggi.

Kaori se ne stava seduta sul letto, non voleva pensare ma non riusciva a togliersi la mano dal collo. Per la prima volta aveva avuto paura di Ryo, si era ritrovata davanti quei due occhi neri senza espressione e aveva capito...

Capito perché i suoi nemici tremassero davanti a lui, perché anche Umibozu era stato sopraffatto e perché Mick avesse cercato di portarla via.

“Non puoi restare.” le aveva detto con una voce anche troppo pavida. Lei non aveva ceduto, ma dopo quell'esperienza non era certa di voler restare.

Mise la testa tra le mani e nel silenzio udì uno scricchiolio, poi qualcuno bussò alla sua porta.

Sobbalzò, a parte lei e Ryo, non c'era nessun altro in casa.

Quella paura tornò quando la maniglia si abbassò, ma la porta rimase leggermente aperta.

“Sei sveglia?”

La voce calda e profonda dell'uomo che amava da sempre le arrivò alle orecchie con una dolcezza così intensa che le scaldò il cuore e dissipò la tensione.

“Sì.” rispose semplicemente.

“Posso entrare?” chiese ma non attese risposta.

Era già dentro la stanza con indosso una maglia e dei pantaloni comodi.

Strano vedere Ryo vestito a quell'ora di notte. Rimase perplessa per un istante, poi si riscosse quando lui si sedette sul letto accanto a lei.

“Ti fa male?” le chiese indicando il segno attorno al collo.

“No, affatto.”

Il silenzio li colse per qualche minuto poi Ryo sospirò, “Davvero io abito qui?” domandò scettico, Kaori accennò un assenso, “Non è il mio stile.”

“Quale sarebbe il tuo stile?” chiese incuriosita.

“Prima di tutto sceglierei un appartamento nel semi interrato, sarebbe molto più facile scappare una volta collegati alle fognature, poi di sicuro non vivrei con una donna.” la domanda negli occhi della sweeper lo fece sorridere, “Le donne sono un peso.” disse, sdraiandosi e guardando il soffitto, “Sono cresciuto in un posto dove le donne avevano un solo utilizzo, non puoi biasimarmi se le reputo dei giocattoli.”

C'era un cinismo così poco nel suo stile che Kaori non riuscì a rispondere.

“Così tu ed io viviamo qui insieme.” continuò lui, non permettendole di impelagarsi nei suoi pensieri.

“Sì.”

“E che cosa facciamo per vivere?”

Questa era la domanda da un milione di Yen. Come spiegare quel tipo di lavoro a qualcuno che ha perso la memoria?

“Doc mi ha detto che era meglio non fare troppe domande, ma non sono mai stato un tipo paziente.”

“Questo lo so.” lo sguardo perplesso di lui fu un incitazione a continuare, “Non sai aspettare calmo e tranquillo e di solito fai il diavolo a quattro, specie quando hai la febbre alta e non ti reggi in piedi.”

“Tsè, sembri mio padre...” si bloccò. Non riusciva a pensare a lui senza una punta di rammarico e odio nel cuore, poi cambiò argomento, “Raccontami la verità. Dimmi quello che è successo.”

Kaori si voltò di scatto. Il tono usato, la freddezza della voce, gli occhi indagatori e glaciali.

Era sola con un killer e la notte era appena iniziata.

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Capitolo 6
*** 5 Soli ***


Cos'è che fa più paura? L'ignoto? No.

Kaori aveva paura, ma non di farsi male. Un brivido le correva lungo la schiena, facendole drizzare i peli, un rivolo di sudore freddo le scese al lato della tempia.

All'improvviso, l'unica persona di cui si fidava, divenne uno sconosciuto, tanto temibile da renderla indifesa.

Si alzò di scatto dal letto, cercando di nascondere la sgradevole sensazione, “Non credo sia il caso di parlarne adesso. È tardi e sono un po' stanca.” tentò di dire con voce titubante, osservando Ryo dallo specchio dell'armadio.

L'uomo socchiuse leggermente gli occhi e un sorriso pericoloso si affacciò sul suo viso, “Non dirmi che anche tu sei una di quelle.”

Kaori non rispose, non era il caso di cedere al suo gioco, di diventare una sua preda.

Lui si alzò dal letto e le andò vicino. Restandole dietro la schiena, l'abbracciò senza tenerezza e avvicinò la bocca al suo orecchio, “Non dirmi che sei una di quelle che per dare informazioni vuole qualcosa in cambio!” c'era una strana esclamazione nella voce, “Non che mi dispiaccia, non fraintendere. Hai un bel corpo, anche se lo nascondi, ma a dirla tutta non so se riuscirei a darti piacere, non nelle condizioni in cui sono. Però si può sempre tentare.” e, così dicendo, infilò una mano sotto la sua maglia e le afferrò un seno con tanta brutalità che quella scattò, dandogli un ceffone.

“Io non sono quel genere di donna!” disse con rabbia, ma si bloccò.

Ryo teneva la mano sulla guancia, sorrideva e digrignava i denti, “Sarebbe un rifiuto il tuo?” domandò con un filo di voce.

Fece un passo verso la finestra proprio mentre lui si muoveva verso di lei.

La mente era vuota, ignara di tutto fuorché del pericolo, ma lenta e incapace di trovare una soluzione. Cosa doveva fare? Possibile che ormai lui fosse perduto?

Non c'era modo di farlo tornare da lei?

Si umettò le labbra, pronto a saltarle alla gola.

“Non sono uno a cui piace essere rifiutato e visto che non sai cosa ti perdi, te lo dimostrerò subito. Dopo mi supplicherai di rifarlo, vedrai.”

Le afferrò il polso, stringendo fortissimo, e, con un movimento fulmineo, la scaraventò a terra, proprio sotto di sé, poi premette il corpo contro il suo, “Senti? Pensavo di non riuscire a fare molto ma a quanto pare tu sei il suo tipo. Ottimo. Ho giusto bisogno di sfogarmi un po'.”

Kaori tentò di liberarsi di lui, ma la presa era salda e ferma, il suo corpo pesante e i suoi occhi due pezzi di ghiaccio, “Lasciami, lasciami!” supplicò.

“Non ci penso proprio. Ti divertirai. Finora nessuna si è mai lamentata dei miei modi.”

Non c'era verso, ma l'istinto di sopravvivenza è più forte di ogni altra cosa e, spinta da quello, lo morse alla mano, cercando di fargli allentare la presa.

Per un attimo lui chiuse gli occhi, poi sorrise sadico, afferrò entrambi i polsi con una mano, li fermò sulla testa della donna e con la mano libera le diede uno schiaffo in pieno viso, “Giusto per restituirti il favore. Per il morso.. Bè quello vedremo come rendertelo, scoiattolina.”

Non c'era dolcezza o scherno nella sua voce, non era una presa in giro. Quel Ryo era uno spietato essere fatto di depravazione e morte e lei non era la sua socia, amica e confidente, ma solo la sua preda, pura e semplice tanto quanto indifesa.

Tremò, sfuggendo il suo sguardo, poi qualcosa le disse di non opporsi.

“Va bene. Fai come vuoi. Divertiti pure, non farò resistenza, ma questo non cambia il fatto che è tardi e voglio dormire quindi, quando hai finito, ti prego di tornare nella tua stanza.”

Non era stata crudele, solo distaccata, come se la cosa non la riguardasse neppure.

Lui sorrise, pronto a fare come voleva, poi si bloccò.

Una lacrima, solo una, scese lungo la guancia di Kaori e bastò questo a destabilizzarlo. Lasciò la presa, concentrandosi sui polsi già lividi, e si scansò da lei.

Fu un lampo, come se qualcosa avesse attraversato i suoi occhi, e per la donna fu sufficiente a dissipare ogni paura, gli poggiò una mano sulla guancia che aveva schiaffeggiato e lui le cadde addosso addormentato. Fuori dalla finestra qualcosa brillava.

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Capitolo 7
*** 6 Io non ti lascio! ***


Ehi, Kaori. Tutto bene?” una voce metallica, maschile risuonò nella stanza.

La donna si guardò attorno cercandone la fonte, finché non vide una piccola trasmittente sotto il comodino, la afferrò e si diresse verso la finestra.

“Chi parla?” domandò.

Ehi, non riconosci la tua vecchia fiamma?” disse la voce.

Si sporse fuori dalla finestra e vide il volto sorridente di Mick e subito dopo un vassoio lo spiattellò contro il pavimento.

“Che cosa gli è successo?” chiese Kaori con un sorriso di sbieco.

Oh, tranquilla. È solo una vassoiata!” disse Kazue, ridendo.

“Parlavo di Ryo. È svenuto di colpo.”

Non è svenuto, è addormentato. Kaori è pericoloso restare lì con lui. Vieni da noi, almeno per stanotte. Ti prometto che legherò questo maniaco nella cuccia del cane.

La sweeper sorrise. Sì, forse sarebbe stato meglio andare via, ma le bastò voltarsi verso di lui, immobile e riverso sul pavimento, per capire che non avrebbe chiuso occhio.

“Kazue, devo parlare con Doc, è lì da te, vero? Fallo venire qui.”

Per quanto fosse strano e poco piacevole, quell'uomo così fuori dal comune, diverso e pericoloso, era sempre il suo Ryo e, se non l'aveva lasciato per tanti anni, non era il caso di farlo adesso che più aveva bisogno di lei.

Quando Doc entrò in casa, trovò Kaori seduta al tavolo, le gambe incrociate e un bicchiere di thé fumante tra le mani.

“Niente caffè?” domandò scherzoso.

Si voltò con aria seria, “Che cosa potrebbe succedere se gli rivelassi tutta la verità?” chiese a bruciapelo.

Il vecchio dottore sospirò, sapeva che in poco tempo sarebbe stato necessario intessere nuovamente la trama della vita dell'uomo ed era consapevole che solo lei poteva raccontargli tutto senza passare per bugiarda.

Si accomodò sulla sedia di fronte alla donna e, con fare furtivo, allungò un piede verso le cosce appetibili e immacolate, poi diede un piccolo urlo. La tazzina si era rovesciata proprio sulle sue dita, bagnando interamente il calzino.

Si riprese in fretta e la guardò truce, “Kaori,” esordì, “devi capire una cosa fondamentale, questo Ryo non ti conosce, non ha nulla in comune con il vecchio Ryo, se non l'aspetto. Non ti crederà, qualsiasi cosa dirai, non si fiderà e prenderà le distanze.”

“Ma non posso rischiare che...”

“Che ti aggredisca?” l'espressione del volto del dottore era indecifrabile, “So che temi per te stessa ma...”

“Non per me, per lui!” disse infervorata, “Che cosa accadrà quando saprà la verità sul suo passato? Quando saprà che cosa ha fatto? Che fine hanno fatto le persone che gli erano più care?”

La domanda era reale e se la faceva spesso anche lui, ma la risposta non la conosceva.

Tacque per non dire qualcosa di troppo.

“Non ha importanza cosa farà, ma non posso permettere che creda siano tutti ancora vivi. Almeno gli devo la verità. Tutto questo è successo solo per colpa...”

“Non dire per colpa tua!” fece il dottore, “Sai bene che avrebbe preferito morire piuttosto che lasciarti lì.”

Kaori si morse il labbro, poi, senza dire una parola, si alzò per andarsene in camera sua. Ormai aveva preso una decisione e, qualsiasi cosa avessero voluto dirle, non li avrebbe ascoltati.

Conosceva Ryo, si fidava di lui, delle sue scelte e di tutto ciò che veniva dal suo cuore, un cuore grande, solo e bisognoso.

Si chiuse la porta della camera da letto alle spalle e fece la sua scelta.

Sollevò le lenzuola e si stese accanto a lui, gli accarezzò un sopracciglio e di scatto la mano dell'uomo afferrò la sua.

“Tranquillo Ryo, sono qui, non vado da nessuna parte. Io non ti lascio!”

 

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Capitolo 8
*** 7 Ti racconterò tutto ***


Aprì gli occhi mentre un raggio di sole gli solleticava le palpebre, avvertiva qualcosa di pesante sul torace e uno strano solletico al naso.

Ci mise tempo per capire e ricordare dove fosse.

Un sorriso sadico gli si disegnò sul viso. Era stato colpito da un proiettile e, anche se non aveva cicatrici ne era certo, chiunque fosse stato era bravo quanto lui, tanto da essere riuscito a non farsi “sentire”.

Bene questa sì che era una sfida.

“Ryo...” disse una voce addormentata accanto a lui.

Si voltò a guardarla. I capelli scompigliati, gli occhi ancora chiusi, le labbra lievemente aperte. Non ci mise molto a far scattare l'animale che era aveva dentro.

In una decina di giorni si era finalmente ripreso e stavolta per lei non ci sarebbe stato scampo.

Sollevò il lenzuolo che li copriva e si mise su di lei, bloccandole le mani e il corpo.

Il suo sorriso era nulla a confronto dei suoi occhi, privi del ben che minimo sentimento.

“Adesso mi dirai tutto quello che voglio!” sibilò lui come un serpente.

Lei sorrise di rimando, come se avesse previsto quella mossa, “Sì, ti dirò tutto a patto che tu mi lasci libera.”

L'espressione perplessa sul viso dell'uomo la intristì.

“Sappi,” disse con voce tetra, “che non ti piaceranno le mie parole e che non mi crederai, ma ho tutte le prove che ti servono, comprese le foto, devi solo farmi alzare dal letto.”

Per un attimo la guardò scettico, poi decise di fidarsi, come se fosse una cosa normale, che faceva sempre. Si scansò e la vide scendere dal letto.

Davanti alla porta si fermò e lo guardò con sarcasmo, “Che fai, non vieni?”

L'invito fu colto al volo e, silenzioso ma circospetto, la seguì.

“Cos'è ti piace farlo nella tua stanza?” domandò, quando entrarono nella camera della donna.

“Non fare l'idiota e poi..” divenne rossa e si zittì.

La mano sul braccio teso lungo il corpo, il rossore delle guance, il pigiama largo e quel modo di parlare così poco sofisticato accesero una lampadina nella testa dello sweeper.

“Non ci credo!” esclamò sarcastico, “Sei vergine?”

La risposta fu un silenzio tombale.

“Non dirmi che lo sei perché aspetti l'uomo giusto!” fece, ridendole in faccia, “Ti do una dritta, bellezza, l'uomo giusto non esiste. Esiste solo quello meno bastardo degli altri.”

Era serio mentre lo diceva, ma qualcosa gli fece male nello stomaco, come se avesse osato troppo.

“Non è per l'uomo giusto, ma per quello che voglio.” rispose la donna, evitando il suo sguardo.

“E lui ancora non ti ha... bè hai capito!”

Il diniego fu totale. Ryo sbuffò.

“Senti, mi spiace dirtelo così brutalmente, ma... se ancora non ti ha infilata nel suo letto allora non lo farà mai. Ma se vuoi lo faccio io!”

Per un attimo fu come se un miliardo di coltelli le avesse trafitto il cuore, poi scoppiò a ridere. Se solo Ryo avesse saputo che si riferiva a lui...

“Grazie, ma aspetterò che lui torni da me!”

Ryo si strinse nelle spalle, poi sorrise come un gatto. Aveva una certa idea su cosa fare, ma doveva aspettare ancora. Quella non era certo il tipo di donna che si concede senza difficoltà.

“Allora? Queste prove?” domandò in attesa.

Kaori trattenne il fiato per un solo istante che sembrò infinito. Era combattuta. E se avesse reagito male?

Ryo le si avvicinò con passo felpato e la fissò come non aveva mai fatto. Il suo sguardo era infuocato, non avrebbe mai accettato un rifiuto a questo punto, non sarebbe tornato tranquillo nella sua stanza. Aveva capito fin troppo bene che qualcosa non andava e adesso voleva sapere tutto. La domanda era solo una: Kaori avrebbe parlato senza essere torturata?

Sì.

Rilasciò il fiato e gli restituì uno sguardo deciso, “Siedi.” gli disse atona, “Dobbiamo parlare di molte cose.”

Dall'altra parte della strada, Doc e Mick ascoltavano grazie alle cimici che avevano messo nella stanza di Kaori. Anche Mick ignorava tante cose e mentre Kaori raccontava di come Ryo aveva vendicato suo fratello, il cuore gli si strinse nel sentire la voce rotta della donna.

I suoi sentimenti erano davvero solo un ricordo del passato?

Forse sì, ma come avessero potuto diventare passato ancora non lo sapeva.

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Capitolo 9
*** 8 Una sfida mai conclusa ***


Ryo se ne stava seduto in camera di Kaori, solo e pensieroso. Le foto, prove del suo passato perduto, erano sparse su tutto il letto, ma come poteva crederci?

In una foto c'era lui che stringeva il collo del suo ex partner, Hideyuki, eppure non aveva senso. Quel tipo così normale, che non risaltava neppure se avesse avuto i capelli fosforescenti, era stato il suo migliore amico, quello che lo aiutava a salvare la gente che si trovava nei guai....

Per un attimo una risata scettica gli solleticò le labbra.

Non aveva alcun senso.

Tutta la sua guarnigione era sparita; Kenny era morto; suo padre era morto... L'aveva lasciato morire in quella nave affondata nella baia di Tokyo... No!

Scostò lo sguardo dall'articolo di giornale e si concentrò su una foto molto vecchia, una di quelle che Mick aveva portato con sé da Los Angeles.

Lui e il biondino, il suo vecchio socio, stavano fumando e bevendo whisky in mutande, davanti ad un tavolino da poker, mentre ridevano in un modo che non ricordava fosse suo. Quello strano affiatamento era percepibile anche da una solo fotografia, eppure non era il tipo da affezionarsi a qualcuno, tanto meno ad uno che poteva tenergli testa sia in fatto di donne che nel mestiere di assassino.

Si vedevano bene i calli sulle mani, indice di qualcuno che aveva imparato a sparare prima di saper contare fino a cinque, quella strana aurea carica di tensione...

Era una foto scattata poco prima del suo ritorno in Giappone, l'ultima che avevano fatto insieme, quella che aveva segnato la loro rottura.

C'era un velo di mistero che la stessa Kaori non sapeva sollevare. Perché, se ci stava così bene come appariva da quella foto, Ryo aveva lasciato Los Angeles?

Forse a causa di suo padre?

Di nuovo i pensieri andarono al racconto di quella nave.

Tu lo sapevi, gli aveva detto la donna, sapevi che solo tu potevi salvarlo da se stesso, dalla sua pazzia. Quando lo vidi in quella stanza, il suo sguardo, parlando di te, era così tenero che per un attimo mi fece male. Ma nonostante tutto, per salvarci e salvare ciò che di buono restava di Kaibara, lo hai affrontato. Un duello uno contro uno. Quando lo scafo è esploso, per un attimo ho temuto per le nostre vite, non volevo lasciarti lì da solo, ma tu mi hai detto che saresti sopravvissuto...

Quel racconto si fermò così, in sospeso e tutto fu avvolto dal silenzio, perché Kaori era scesa al piano di sotto a preparare il pranzo.

Era tutto troppo... Strano, incredibile, assurdo e senza senso per essere vero.

Magari il tipo delle foto era solo uno che gli somigliava e cercavano di convincerlo di essere chi che non era, però Doc non lo avrebbe mai fatto, quindi forse era vero.

Il dubbio lo dilaniava.

Se fosse stato reale significava che aveva ucciso il suo stesso padre, l'uomo che aveva chiamato così da quando ricordava.

Mise le mani tra i capelli e digrignò i denti.

Quell'essere lo meritava, anche se non credeva a tutta quella storia, non poteva dimenticare ciò che gli aveva fatto, iniettandogli la PCP, il dolore che aveva provato, la paura, il rimorso, il sapore e il colore del sangue, la frenesia, il bisogno di uccidere...

Una sensazione di nausea gli salì lungo l'esofago e d'istinto si portò la mano alla bocca.

Kaori, che aveva osservato attenta quei cambiamenti di espressioni, lasciò il vassoio con il ramen sul comodino e gli andò vicino.

“Vieni con me.” disse con dolcezza e, afferrandolo per un braccio, lo fece alzare per accompagnarlo al bagno.

Non c'era nulla di vergognoso o di indecente mentre gli teneva la testa e con un panno umido gli massaggiava la fronte. Ryo era a carponi, mentre rigettava gli ultimi rimasugli di quella droga potente e la mente si svuotava.

 

Non avrebbe saputo dire quanto rimase lì, la schiena contro le piastrelle fredde del muro, con lei che lo assisteva come una provetta infermiera. Adesso stava ripulendo, facendo entrare aria nuova non solo nel bagno ma anche in lui.

Possibile che avesse provato qualcosa per quella fragile donna in quel passato a cui non credeva?

Non lo sapeva ma, per la prima volta da quando riusciva a ricordare, c'era qualcuno disinteressato al suo fianco e aveva una gran voglia di abbracciarla, anche se non riusciva a muovere un solo muscolo e sentiva solo il sudore freddo scendere lungo il collo e il sapore dell'acido bruciargli l'esofago.

Si alzò a stento, senza proferir parola, e si chiuse nel silenzio della sua stanza, affacciato alla finestra per refrigerarsi con il vento autunnale della sera.

Vide una luce brillare dal terrazzo del palazzo di fronte, qualcuno lo stava controllando. Assunse un'espressione che era impossibile non comprendere.

Il bagliore si ripeté due volte e pochi minuti dopo, da un passaggio sotto il pavimento, entrò Mick. I capelli biondi in ordine, giacca e cravatta di un celeste pastello, gli occhi azzurri brillanti sorridevano, ma non di scherno.

Afferrò la sedia, dopo aver buttato a terra dei vestiti, e si sedette accavallando le gambe. Quei gesti così meccanici, sapevano di nostalgico. Forse non era una bugia.

“Sai che ho sentito tutto, vero?” domandò Mick con una tranquillità disarmante.

“E tu sai che potrei ucciderti per questo, vero?” rispose con lo stesso tono.

Mick sorrise, “Non è la prima volta che ci provi. Una volta mi hai anche sparato addosso.”

“Dovevi avermela fatta davvero grossa.” disse Ryo con sarcasmo.

“Mica vero! Avevo solo tentato di entrare in camera di Kaori per mangiarmela!”

Un lampo di rabbia gli attraversò gli occhi. Quel bell'imbusto ossigenato aveva provato a fare cosa?

“Datti un contegno, amico! Non l'ho mai fatto! So distinguere un'area off limits.” e sorrise con lussuria, “Ma tu tenta di nuovo un giochino come quello della scorsa notte e non avrai un posto sulla terra dove nasconderti!”

Non c'era bisogno di spiegazioni, quella rabbia la conosceva bene per non capirla al volo, “Pensavo che tu stessi con la moretta.”

Quei due sguardi, così forti e diversi, ma spinti dallo stesso sentimento, si scontrarono per una frazione di secondo che durò un'eternità.

Mick non rispose, d'altra parte non aveva nessuna risposta valida. Quel sentimento non era mai scomparso, l'aveva soltanto occultato e fatto finta che non esistesse, ma dopo quella 'quasi violenza' era tornato in tutta la sua forza, anche se sapeva che, nell'altra palazzina, lei lo aspettava.

Un velo di tristezza scese sull'azzurro immenso e profondo. C'era troppo da dire ma non c'erano parole per farlo.

 

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Capitolo 10
*** 9 Un nuovo inizio... ***


Sei rimasto con me il giorno del mio compleanno ogni anno, anche se dicevi che era una cosa stupida non ti sei mai tirato indietro. Quel giorno per me è stato l'inizio di una nuova vita...

Quelle parole gli risuonavano in testa e, nonostante Mick lo guardasse consapevole dei suoi sentimenti, lui si sentiva ancora in preda ad una tempesta d'emozioni. Avrebbe voluto schiarirsi le idee in qualche modo, ma non sapeva come.

“Non sforzarti a ricordare tutto subito!” disse Mick, con voce calda, “Sarebbe uno spreco di tempo.”

“Che vuoi dire?”

Mick sollevò le spalle con un sorriso ironico, “Hai sempre avuto una memoria formidabile, ma se ha vacillato un motivo c'è e ricordarlo potrebbe farti solo più male.”

Ryo lo guardò con una tacita domanda sul volto.

“Senti amico, se ti sei innamorato di lei una volta, sicuramente succederà di nuovo, devi solo provare a conoscerla di nuovo, senza pensare al passato. È il modo più facile.”

“Che accadrebbe se non mi innamorassi di lei?” domandò con una punta d'ansia nella voce.

Il biondo sospirò e per la prima volta abbassò lo sguardo, “Forse nulla...forse lei si spezzerebbe definitivamente...o forse...”

Tu avresti una seconda opportunità!

Quella frase non pronunciata era chiara a entrambi, soprattutto a Ryo che l'aveva pensata.

“Adesso riposati e pensa a rimetterti in forma, i tuoi nemici non se ne staranno in silenzio a lungo.”

Le parole di Mick erano una lama nel suo petto.

I nemici...suo padre...le persone che aveva dovuto lasciarsi alle spalle...quelle che aveva dovuto uccidere per sopravvivere....quelle che aveva amato...

Era troppo per una sola sera.

Si stese sul letto, pronto a dormire, ma i suoi sensi, così sviluppati, si misero in allerta, captando ogni rumore della casa.

L'aveva lasciata nel bagno a riordinare, eppure adesso la sentiva, seduta sul freddo pavimento, con la schiena contro la sua porta, pronta a correre da lui se fosse arrivata un'altra crisi o un altro incubo.

E stavolta si sarebbe fermato in tempo?

Incrociò le mani dietro la testa, poggiata sul cuscino, sospirando scocciato.

Che cosa doveva fare? Qual'era la cosa più giusta?

Un singulto lo richiamò dai suoi pensieri, persi nel ricordo dei racconti di Kaori.

“Non andare, Ryo!” farfugliava fuori dalla porta, “Non andare.”

Quella voce così ansiosa e spaventata fu come una pugnalata nel petto e per un attimo dimenticò tutto, ritrovandosi in un posto che non conosceva.

 

Era mattina e il sole brillava, attraversando i vetri del locale e specchiandosi nelle nere bevande che si stavano freddando.

Ti prego, Ryo, non andare” aveva sussurrato senza preavviso Kaori.

Il volto basso, le spalle strette e le mani incrociate.

Ryo sorrise, era impossibile non accorgersi di quello che provava, era un libro aperto.

Afferrò il piccolo schienale dello sgabello su cui sedeva la donna al suo fianco e, con un movimento deciso, la fece voltare, trovandosi davanti al viso una massa scompigliata i capelli rossicci.

Kaori, guardami.” le sussurrò, ma lei si limitò a scuotere la testa, “Guardami, Kaori!” ripeté, “Per favore.”

Quella supplica non poteva essere ignorata.

La donna sollevò il viso e gli occhi erano pieni di pianto. Per un attimo non le disse nulla, si limitò a sorriderle dolcemente e, quando la prima lacrima scese lungo la guancia, la raccolse con un dito. “Ho una promessa, fatta qualche tempo fa, da mantenere, lo ricordi?” le domandò poi con voce gentile.

Ho paura Ryo, stavolta ho davvero paura.” rispose lei con voce rotta dal pianto, “Non andare, Ryo. Non andare!” lo supplicò.

La voce di un uomo lo chiamò dal retro del locale.

Devo andare, invece, ma tranquilla, torno presto!” rispose e fece per andarsene quando la mano di lei lo afferrò per la giacca e affondò il volto pieno di lacrime nella sua schiena.

Non poteva più ignorare la situazione. Strinse mascelle e pungi, cercando di non pensarci, ma stavolta era diverso, stavolta era davvero consapevole di ciò che provava.

Si voltò di scatto e le prese il viso tra le mani, poi si chinò per prendersi quel bacio che aveva atteso a lungo.

Il resto quando torno.” le aveva detto, ammiccando lascivo.

L'aveva salutata uscendo, convinto di vederla ancora... la sua Sugar Boy...

 

“Sugar Boy...” sussurrò in preda ad una morsa di panico.

 

Tutto si fece scuro in un istante. Una serie di immagini si alternarono davanti ai suoi occhi...

Un bosco...

L'odore del sangue e della polvere da sparo...

Il dolore al braccio...

Le urla di qualcuno che invocava il suo nome...

Il panico di una lama che sfiorava quel collo...

Le lacrime...

La scelta infame...

E infine il vomito, seguito da un buio sordo e soffocante.

 

Che diavolo aveva fatto?

 

Il sudore scendeva copioso su tutto il suo corpo, un sudore freddo, fatto di ansia e terrore. Non poteva continuare così, ogni notte, tutte le notti, quella serie di ricordi che non prendevano mai forma, quella paura che gli gelava il sangue nelle vene. Era tutta colpa di quella donna che si ostinava a non capire.

Lui non doveva ricordare, non poteva piegarsi ancora, non poteva spezzarla ancora una volta.

 

Lei era stata fatale nella sua vita, in ogni nuovo inizio, anche in quello.

Mise gli occhiali neri sul naso, si strinse nel pastrano marrone e, borsone alla mano, guardò Tokyo allontanarsi all'orizzonte, mentre la nave solcava l'oceano diretta in Korea.

Da lì avrebbe ricominciato.

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Capitolo 11
*** 10...O, come iniziò tutto. ***


“Dobbiamo darle tempo, non c'è altro da fare.” disse Doc, osservando la donna sdraiata sul letto, il volto esausto nascosto nel cuscino.

 

Dormiva profondamente, dopo giorni passati a piangere, aveva ceduto alla stanchezza.

“Come farà a riprendersi?” domandò Miki, chiudendo la porta della camera di Kaori e seguendo il dottore al piano di sotto.

“Non lo so, cara!” esclamò stanco il vecchio, “Forse troverà il modo più adatto a lei per andare avanti, o forse non lo troverà e continuerà a piangere e deprimersi. Per questo devi starle vicina!” lo disse in un modo strano, guardandola dritta negli occhi e senza alcuna traccia di scherno.

Miki ebbe un brivido freddo lungo la schiena, “Che...che intende?” domandò quasi impaurita.

“Portala via da qui! Questa casa, i vostri amici, tutto ciò che le farà venire in mente il ricordo di Ryo, deve essere allontanato.” prese fiato sistemandosi gli occhiali sul naso, “Tu e Umibozu avete abbastanza conoscenze per farle girare il mondo senza problemi. Distraetela. Provateci almeno, ma non lasciatela qui.”

C'era qualcosa di strano in quelle parole e la mercenaria, ormai barista a tempo pieno, non riusciva a capire cosa fosse, ma il vecchio dottore era saggio e consapevole della psiche umana e, intuendo il dubbio della donna, si decise a dire quello che avrebbe volentieri evitato.

“Miki, sono due settimane che lui è andato via e in questo periodo Kaori avrà dormito sì e no due ore per notte. Sai che avevamo messo delle cimici in casa, giusto? Ebbene ogni notte Kaori sogna Maki che viene ucciso e Ryo che l'abbandona. Se continua così si esaurirà prima ella fine del mese. È già malata abbastanza nell'anima senza contare il fisico, non possiamo lasciare che ci sfugga dalle mani senza fare nulla!”

 

Miki non era stupida, si era accorta che qualcosa non andava, che la sua amica mangiava poco e sembrava sempre stanca, ma si era convinta fosse un periodo che doveva passare, non credeva stesse così male.

 

Calò il silenzio per un secondo. Mille domande inespresse fecero capolino sul volto della mercenaria, voleva chiedere spiegazioni più dettagliate, ma quando cercò di aprire bocca per dare fiato ai suoi pensieri, un urlo li fece sobbalzare.

 

Disperazione, paura, terrore erano racchiusi in quell'urlo che proveniva dal piano di sopra.

Con scatto agile, Miki si lanciò nella stanza della sweeper e la trovò ferma sul davanzale della finestra, in piedi, pronta a gettarsi di sotto, gli occhi ancora chiusi.

Fece per chiamarla, ma Doc, appena giunto la fermò. Si avvicinò lui a Kaori e le prese la mano.

 

“Tranquilla, Kaori, va tutto bene! Tornerà presto.” disse con voce gentile, ma quella sembrò non notarlo.

Ripeté la frase diverse volte, come se volesse entrarle nel sogno, senza sortire nessun effetto.

Più lui cercava di convincerla, più lei si sporgeva.

“Non è vero!” urlò ad un certo punto Kaori, liberandosi con uno strattone dalla presa del vecchio.

Aprì gli occhi un attimo prima di avvertire il vuoto sotto i piedi, inconsapevole di cosa stesse succedendo.

Miki allungò un braccio per prenderla ma era tardi. Kaori cadde nel vuoto.

“Nooooooooo!” urlò la mercenaria e si affacciò alla finestra, immaginando cosa avrebbe visto.

 

“Appena in tempo!” disse una voce maschile, stringendola.

Miki vide i capelli biondi dell'americano e la sua amica tra le braccia dell'uomo, “Meno male!” sospirò afflosciandosi a terra, poi si voltò verso il dottore e sorrise triste, “D'accordo. Ci penso io!” sospirò con il fiato rotto.

 

 

Dall'altra parte dell'oceano, Ryo camminava per le strade di Los Angeles con sguardo perso e incerto. Le cose erano cambiate da quello che ricordava, ma aveva la certezza che lì ci fossero tutti i ricordi che sapeva di aver perso.

Nonostante il racconto di Kaori lo accompagnasse in ogni passo, non poteva credere di aver fatto tutto quello; il padre, il suo migliore amico, la pcp...

Era tutto troppo confuso per sapere di reale e poi il suo lavoro in Giappone. Aiutare persone in pericolo per pochi spiccioli, non riuscire a coprire tutte le spese, i gaybar e ogni altra stranezza che pareva essere sua abitudine, qualcosa stonava con l'uomo che sapeva essere, o meglio mancava qualcosa: il motivo.

Perché da guerrigliero si era trasformato in guardiano della città? Perché aveva lasciato ogni cosa indietro e si era dimenticato il resto?

Doveva trovare da solo le risposte e l'unico modo era ripercorrere i suoi passi.

Ricordava quella notte di follia omicida sotto il giogo della pcp; ricordava di aver lasciato il campo alla fine della guerra e di essersi trasferito da Kenny e da lì doveva ripartire.

Il viaggio in treno non era lungo ma neppure abbastanza corto e più tempo passava con se stesso, più sentiva che mancava qualcosa.

 

Miki nel frattempo aveva fatto le valigie e convinto Kaori a un viaggio di relax con lei e Kazue.

Meglio se partite insieme, per qualsiasi cosa almeno sarete in due. Noi vi raggiungeremo presto!” aveva detto Mick, baciando la mano a Kazue e affidandola a Miki.

La dottoressa era diventata tutta rossa, era quasi tenera, ma la mercenaria diede un'occhiataccia all'americano. Qualcosa che sapevano solo loro due, aveva creato tensione nel gruppo.

Così, erano partite, con la voglia di tornare il prima possibile.

Kaori guardava fuori dal finestrino della macchina e pensava con nostalgia a casa. Una lacrima solitaria le scese lungo la guancia. Era troppo assurdo e non poteva dare la colpa a nessuno se non a lei stessa.

Se quel giorno fosse rimasta lì dove lui le aveva detto, se avesse atteso fiduciosa...Ma no! Lei doveva sempre fare di testa sua!

Soffocò un singulto.

“Tieni!” disse Miki, passandole un fazzoletto, “Non serve tenerti tutto dentro. Piangi quanto vuoi.” e così dicendo alzò al massimo il volume dello stereo.

Un accenno di sorriso fece capolino sulle labbra della rossa e poi ogni lacrima sgorgò come uno tsunami, travolgendola completamente finché non si addormentò sul sedile della macchina.

“La lasciamo dormire?” domandò Kazue, preoccupata.

“Credo sia la cosa migliore, almeno ritroverà un po' di forze!” rispose Miki.

 

 

Ryo era fermo di fronte a quella che una volta era stata anche casa sua. La porta era malridotta dalle intemperie e l'abitazione abbandonata da tempo. Il giardino, una volta curato e pieno di fiori, era adesso pieno di erbacce e piante selvatiche.

Lasciò cadere a terra il borsone e si guardò intorno, non c'era nessuno.

 

 

Kaori si svegliò quando la macchina fu parcheggiata nei sotterranei di un albergo.

“Dove siamo?” chiese la rossa.

Miki si voltò e le sorrise, “Siamo alle terme. Passeremo qui qualche giorno.”

“E poi?” domandò la donna sconsolata, Miki sgranò gli occhi.

“Poi cosa?” chiese Kazue.

Kaori sospirò, “Poi dove mi porterete?”

Le due donne si guardarono confuse.

“Dove dovrò andare per dimenticare? Dove mi nasconderete per non farmi stare male?”

Miki si morse un labbro. Anche se ingenua aveva capito tutto fin troppo bene.

La rossa si guardò intorno, “Non esiste un luogo dove io possa fuggire o nascondermi da me stessa. Capisco il vostro affanno, ma credete davvero serva a qualcosa? Io non penso! Tutto questo non cambia il fatto che sia andato via.” mandò giù una lacrima.

Kaori afferrò la sua valigia e tacitamente si avviò all'ingresso dell'albergo.

Miki sospirò, “Non è stata una buona idea.”

“Non credo. Almeno questo viaggio le ha fatto capire che c'è qualcosa che non va. Diamole il tempo di metabolizzare, ok? E nel frattempo, facciamola divertire, o almeno proviamoci.” e si diresse anche lei all'interno.

Miki rimase indietro un secondo di più e, alzando gli occhi al cielo, lanciò una maledizione.

Che non ti si rizzi più, stupido di un Ryo Saeba!

 

 

Lo Sweeper si era fermato di fronte ad una tomba che riportava il nome del suo amico: Kenny Field.

“Non è possibile!” disse, cadendo in ginocchio, “Kenny! Chi...?”

“Tu.” disse una voce alle sue spalle.

Ryo si voltò e incrociò gli occhi di quella bambina che per molto tempo aveva considerato come una sorellina minore, “Sonia...?”

Ma quella sollevò una mano, zittendolo, “Ormai è passato tanto tempo!” abbassò lo sguardo, con un velo di vergogna negli occhi, “Se ci ripenso vorrei nascondermi da te. Mi dispiace Ryo. Sono stata una stupida. Assoldare Umibozu per ucciderti, rapire Kaori, farvi fare quello stupido duello...come va la testa?” chiese poi preoccupata, ma lo sguardo vuoto di Ryo la raggelò, “Ryo, che succede?”

Lo sweeper sbatté le palpebre un paio di volte, “Di che cosa parli, Sonia?”

 

 

Mick aveva preso il primo volo per l'America. Sapeva benissimo dove sarebbe andato Ryo e seguirlo era d'obbligo.

Quella notte, stringendo il corpo di Kaori, si era reso conto che il suo sentimento non era cambiato, anche se voleva convincersi del contrario. Non avrebbe mai lasciato Kazue, ciò che lo legava a lei era qualcosa di più intimo del semplice affetto, ma non poteva abbandonare Kaori.

Doveva riportare indietro quel testone, o almeno doveva tentare.

 

 

 

Erano passate diverse ore, Ryo se ne stava ancora seduto sulla sedia del soggiorno in casa di Sonia.

La donna gli aveva raccontato tutto, coprendosi il viso con le mani per l'imbarazzo, ma lui non aveva battuto ciglio.

Stava calando la notte quando due fari fecero luce nella stanza buia, richiamandolo alla realtà.

Si avventò verso la porta, pronto a fare altre mille domande a Sonia, ma si ritrovò di fronte il suo vicino di casa in Giappone.

“Hello, my friend!” disse quello e, prima che l'altro potesse rispondergli, gli diede un pugno in faccia, “Erano giorni che volevo farlo!” esclamò soddisfatto di sé, “Fai le valigie, si torna a casa!” ordinò poi con rabbia.

Ryo gli lanciò uno sguardo omicida, “Ho ucciso per molto meno.” disse.

“Lo so già! Conosco quasi tutto del tuo passato, visto che ne ho condiviso una buona fetta. Quando abbiamo fondato City Hunter insieme a Los Angeles non eri solo il mio socio, eri il mio migliore amico e il mio peggior nemico insieme.” si mise seduto e lo guardò con sfida, “Credi davvero di essere stato tu il primo City Hunter? Bè mio caro, ti sbagli di grosso, quello è un ruolo che spetta solo a me! Mi hai rubato nome e lavoro e, come se non bastasse, hai rubato anche il cuore della prima donna di cui mi sia davvero innamorato, eppure sono qui, come amico, non come nemico o rivale, quindi non pensi di dovermi qualcosa?”

Ryo lo guardò stupito e Mick sorrise, “Immagino tu non ricordi quella parte di vita, giusto? Bene! Non te la racconterò!” fece stizzito, “Anche se fa parte di te, in qualche meandro sconosciuto della tua testa bacata, non ho intenzione di darti quel genere di aiuto. Se hai deciso di fare questo lavoro nella tua città, c'è un motivo e devi trovarlo da solo, ma sappi che non è qui che devi cercare. Quindi fai le valigie e torna a casa con me.”

“Ma chi sei? Mia madre?” domandò Ryo con voce nervosa, “Credi davvero che basti ordinarlo perché io lo faccia? Sei un illuso!”

Mick sospirò, stanco e leggermente alterato, “Non vuoi seguirmi?”

“Non cercare di minacciarmi, con quelle mani non faresti male neppure a una mosca! Sei....”

“Dillo pure, tranquillo! Sono impotente contro di te, vero, ma solo fisicamente e solo in quel senso. Per il resto me la cavo meglio di te, puoi giurarci. Almeno io soddisfo la donna che amo, non la tengo sulle spine per otto lunghi anni, limitandomi a guardarla e idolatrarla nella notte, mentre lei dorme. Le faccio toccare il cielo con un dito in ogni momento del giorno e non mi riferisco al sesso, perché quello è ovvio che sia un tabù per te. Io per lei ci sono, non l'abbandono come nulla fosse per cercare qualcosa che non c'è più da tempo!”

I loro sguardi lampeggiavano.

La rabbia di Mick era palpabile e quella di Ryo, se possibile, lo era di più.

“Tu non sai nulla di me, biondino!” fece lo sweeper, sperando di farlo tacere.

“E come no! Hai ragione, infatti non so che la sera prima di partire ti sei scusato con lei, mentre dormiva; non so che ogni notte ti sedevi sul pavimento della sua stanza e la guardavi dormire; non so che la sognavi ogni notte e neppure che fingevi qualche crisi per averla accanto come badante. Per quanto tu non voglia ammetterlo, provi le stesse cose che provavi prima di...” e si interruppe di botto.

“Prima di cosa?”

Mick sospirò, “Prima del tuo tentativo di ucciderla.” disse a bassa voce.

 

Fu come ricevere un colpo in testa.

Una scossa gli percorse in cervello e gli salì la nausea.

 

“Ogni volta che cerchi di ricordare quel giorno, hai le crisi. Sai che tutto si nasconde in quel fatidico momento...”

“Sta zitto...” fece, tenendosi le tempie.

“Non riesci a sopportare la colpa...”

“Zitto...”

“Hai paura di quello che hai provato in quel momento...”

“Taci...”

“Il piacere che ti ha dato vederla agonizzare tra le tue mani...”

“Finiscila...”

“Avevi voglia di farle del male...”

“Basta...”

“Lei ti aveva costretto...”

“No...”

“Lei ti ha rigettato nel giogo della pcp...”

“ZITTO!” urlò di colpo, avventandosi contro di lui e stringendogli le mani al collo.

“Vuoi farlo anche con me?” chiese Mick.

D'improvviso al volto dell'americano si sovrappose quello di Kaori, un rivolo di bava che faceva capolino all'angolo della bocca, gli occhi iniettati di sangue, ad un passo dalla morte.

 

Va bene, Ryo. Fallo pure, hai ragione. È tutta colpa mia. Perdonami. Ti prego, perdonami.

 

La voce della donna gli arrivò direttamente al cervello e, prima che potesse anche solo rendersene conto, aveva allentato la presa sull'uomo e si era accasciato a terra svenuto.

 

“Va bene, amico mio.” disse Mick, riprendendo fiato. “So quello che provi, lo proverei anch'io al tuo posto.” si alzò da terra, prese una coperta dall'armadio di Sonia e gliela gettò addosso, “Dovremo affrontare tutta questa storia, prima o poi, e forse è meglio qui che a casa.”

 

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Capitolo 12
*** 11 Lo stesso destino (prima parte) ***


Era tornato a Tokyo da solo. Nonostante i tentativi, Ryo non ne voleva sapere di tornare e forse era meglio così, sotto molti aspetti.

Uscire dalla vita di Kaori era l'unico modo per troncare definitivamente i rapporti.

Era stato stupido, Mick, a credere che quella relazione potesse sopravvivere a un cambiamento del genere, ma ci aveva sperato, con tutto il cuore.

S'incontreranno di nuovo, lei entrerà nel suo mondo e torneranno come prima, timidi, indecisi e spesso divertenti...

C'aveva creduto e non era stato l'unico, anche lei, Kaori, aveva sperato.

Adesso doveva solo convincerla a vivere come ogni altra donna, come avevano fatto Miki e Kazue.

Appoggiò una mano sotto il mento mentre guardava il traffico di Shinjuku e prese una decisione: se anche Kazue ne avesse sofferto, non avrebbe comunque abbandonato il suo primo amore. Sospirò, mise la prima, e girò per una stradina laterale, mosso dal desiderio di rivederla ancora.

 

 

 

Erano passati due mesi da quel giorno e tutto aveva preso una strana piega.

Appena arrivato sotto casa, deciso a raggiungere le tre donne in vacanza anche senza Umi, si era ritrovato assediato da una folta capigliatura nera e da esili braccia che lo strinsero.

“Kazue!” esclamò stupefatto.

“Contento? Siamo tornate prima del previsto. Tu dove sei stato?” domandò con occhio sospettoso.

Mick fece una risatina sarcastica poi si incupì.

Non c'era bisogno di dire molto, tutti avevano ben immaginato cosa avesse fatto e l'essere tornato solo aveva un gran significato.

Incrociò per un attimo lo sguardo di Kaori, seduta sul divano del salotto, e notò una lacrima pronta a sgorgare.

Si divincolò dalla stretta della dottoressa, senza neanche guardarla in volto, e si avvicinò all'amica.

“Mi dispiace, Kaori!” pronunciò quel nome con un tono così dolce che fece perdere un battito al cuore di Kazue, poi le afferrò le mani, “Ti giuro che farò qualcosa, qualsiasi cosa, dovessi seguirlo fino in capo al mondo.”

Kaori si divincolò e fece un inchino di scusa verso Kazue, che in preda al panico, distolse lo sguardo, “Non devi fare nulla.” disse con tono triste, “Sarebbe comunque inutile, ormai ha già deciso e non tornerà indietro.”

Per un attimo ci fu un silenzio pesante che schiacciò ogni cuore in quella stanza, ma non quello di Kaori.

“Io sarò sempre con te!” esclamò Mick, spinto da un sentimento che non aveva mai provato prima.

Kazue spalancò gli occhi e rimase di pietra, ma prima che potesse anche solo pensare di piangere un forte schiocco risuonò nella stanza.

La guancia dell'americano si stava facendo rossa e Kaori aveva il respiro affannato. Gli aveva appena dato uno schiaffo, di quelli che non si potevano dimenticare.

Kaori prese fiato e rilasciò con molto autocontrollo, “Mick, ti ringrazio, davvero, ma no!” esclamò decisa, “Dovete smetterla di pensare cose del genere. Ognuno di voi ha la sua vita e io ho la mia. Il fatto che lui non sia più qui con noi, non significa che smetterò di vivere o chissà che! Capito?” lo guardò in cagnesco, “E poi tu devi pensare alla tua vita con Kazue. Io sarò sempre vostra amica, ma solo questo!” e prima che qualcuno potesse fermarla, uscì dalla casa della dottoressa e tornò al suo appartamento.

 

 

A ripensarci, dopo tanti mesi di distanza, si sentiva parecchio stupido.

Si affacciò alla finestra con in mano una tazza di caffè bollente e abbassò lo sguardo verso la strada, quando sentì il rombo di un motore, suono assai familiare.

Una spider rossa fiammante si fermò davanti casa e una bella donna, che non vedeva da tempo, senza neanche voltarsi, entrò nello stabile.

Che diavolo ci fa qui Saeko?

Passò qualche minuto e d'un tratto la vide uscire con una persona al seguito, mentre Kaori li salutava con la mano dalla porta.

“Smettila di intrometterti!” gli sussurrò una voce alle spalle, ma non sobbalzò.

L'aveva sentita arrivare, “Kazue, non voglio intromettermi, voglio solo che sia al sicuro, qualsiasi cosa accada!”.

La donna sospirò e poggiò la testa sulla sua spalla, “Lo so che ti preoccupi per lei, ma...”

Non finì la frase. D'un tratto l'aria si era fatta pesante e pericolosa. Mick aveva avvertito qualcosa di strano, qualcosa come la presenza di Ryo, ma non era lui, era qualcosa di meno pericoloso e altrettanto letale.

Vide brillare un punto preciso sulla pelle candida della fronte di Kazue e, prima che potesse ragionare, il suo istinto ebbe il sopravvento. L'afferrò per un lembo della camicia e la tirò verso il basso, cercando di farle scudo con il suo stesso corpo.

“Kazue!” urlò un secondo dopo, “Stai bene?” e d'impulso afferrò la sua fidata arma.

“Che credi di fare con quella?” domandò una voce atona, “Non puoi fare assolutamente nulla!”

La tensione si allentò quando vide il viso del responsabile. Persino Kazue si sorprese.

“Ka...Kaori!?”

La rossa sorrise, sedendosi sul davanzale ed entrando nell'appartamento, “Eh, già! Come vedi sono migliorata, non mi avevi neppure riconosciuta! Sono stata brava, Miki?”

“Eccezionale!” rispose lei, aprendo la porta d'ingresso.

“Ma che cosa...?”

“Per ingannare i nemici devo prima ingannare gli amici....” fece lei, interrompendosi e pensandoci sopra un momento, “Bè, sì... insomma...avete capito!” disse, toccandosi il naso imbarazzata.

Miki le sorrise, ma Mick l'afferrò per un polso, stringendo fortemente, “Ti rendi conto di quello che dici? Se ci fosse stato un vero nemico, saresti morta!”

Il volto dell'americano era livido e gli occhi sembravano iniettati di sangue.

Kaori sorrise, “Stai riacquistando forza, Mick!” esclamò stupita e tanto bastò a far allentare la presa, “Ascolta.” fece poi, afferrandogli le mani, “Lo so che sei preoccupato per me e so anche perché ma, sinceramente, non ne vedo il motivo.” si spostò verso la porta, “Non sono una bambina e voglio mantenere vivo il sogno di mio fratello Hideyuki. Ripulire la città era il suo unico scopo e diventerà anche il mio.”

C'era così tanta forza nel suo sguardo che nessuno osò fiatare. Sorrise, uscendo, e per Mick fu quasi come sentirsi dire addio. Sorrise anche lui, ma con occhi tristi. Kaori stava cambiando.

“Qualcosa ti turba?” gli chiese Kazue preoccupata.

“In effetti, sì. Mi domando se ci sarà ancora un posto per Ryo, quando tornerà!”

“Pensi che Kaori possa dimenticarlo? Tu davvero non le capisci le donne!” esclamò, sospirando e tirando indietro una ciocca di capelli, “Lo sta facendo anche per lui, così che possa ricominciare da dove aveva lasciato. Forse il suo unico desiderio è vederlo tornare con un sorriso e sentirsi dire: Hai fatto un buon lavoro, socia!

Per un attimo Mick strabuzzò gli occhi poi sospirò. La cosa non gli piaceva. Prese il telefono e mandò un messaggio. Aveva sul volto un ghigno strano.

 

 

 

I mesi trascorsi nella campagna americana avevano trasformato il volto di Ryo. La pelle era leggermente abbronzata e una barba incolta gli nascondeva i tratti, solo gli occhi erano sempre gli stessi, leggermente più socchiusi, come se guardasse lontano.

Aveva iniziato sistemando il terreno che una volta era stato di Kenny, poi si era dato al taglio degli alberi. Qualsiasi cosa pur di non dover pensare a cosa fare dopo, ma i pensieri erano incontrollabili e la sua fidata arma sempre pronta nella fondina vicino al petto.

Stare lì non aveva aiutato la sua memoria. I ricordi erano fermi a quella notte di massacro e nelle sue narici stagnava l'odore acre del sangue.

“Per quanto hai intenzione di stare ancora qui?” chiese una voce di donna alle sue spalle.

Ryo sogghignò, “Hai intenzione di cacciarmi?” domandò ironico.

Sonia si sedette su un tronco vicino e alzò lo sguardo verso il sole, “Sai che non potrei mai farlo. Non per te, ma per mio padre. Lui ti voleva davvero bene.” un sospiro le spezzò il fiato, poi lo guardò con occhi gentili, “Ryo, so che non te lo ricordi, ma noi ci siamo visti un po' di tempo fa.”

“Sì, Mick me ne ha parlato.” fece, prendendo il termos e mandando giù un po' di caffè nero, prima di riprendere l'ascia.

“E ti ha detto la verità!” esclamò lei con veemenza, “Ma c'è qualcosa che neppure lui sa.”

Ryo la fissò per un secondo.

Sonia prese fiato, “Dopo quell'incidente nel cimitero, Kaori mi propose di diventare la tua partner, ma non me la sono sentita. Le mentii, dicendo che non ti saresti mai potuto fidare di me. La verità è che per te lei non è sostituibile.” prese fiato, “Quando ti rividi, notai una cosa che mai mi sarei aspettata. Eri cambiato. Non c'erano più demoni nel tuo sguardo e lo devi a lei. Non credo che tu l'abbia dimenticata perché sai quanto amore ti ha donato fino ad oggi Kao...”

Un colpa d'ascia la fece trasalire prima di finire.

“Non pronunciare quel nome.” sibilò minaccioso.

Sonia sorrise sadica, “Cos'è, ti senti in colpa? Non riesci a sopportare la verità? Tu la amavi!” esclamò con forza, “E se non sbaglio l'ami ancora, nonostante non riesca a ricordarti di lei.”

“Tu non sai un bel niente.” rispose freddo.

“Forse non so molto ma questo lo so fin troppo bene!” guardò di nuovo verso il cielo, socchiudendo un poco gli occhi, “Se ci fosse stato chiunque altro in quel cimitero quella notte, avresti lasciato che Umibozu lo uccidesse. Gli errori si pagano, anche con la vita. Era la filosofia di vita dei guerriglieri. Non c'era scampo per nessuno. Eppure, per proteggere lei, hai rischiato la tua stessa vita e quella cicatrice sulla testa ne è la prova. Lo sai anche tu.”

Per un attimo calò il silenzio e, come riportato lì da un'altra dimensione, davanti agli occhi di Ryo apparve Kenny. Un sorriso gentile, un pollice sollevato in alto e quell'aria gentile che lo distingueva sempre.

“Quando te ne andasti, dopo il duello, ho passato anni a progettare la mia vendetta, ma inutilmente. Alla fine mi sono resa conto di una cosa che spesso diceva mio padre.” si schiarì la voce, come per imitare quella di suo padre, “Quando capirà che vale la pena morire per qualcuno, allora finalmente sarà un uomo libero!” lo guardò con malinconia, “Lo eri davvero, lo sai? Felice, libero e innamorato.”

Si alzò dalla sua seduta e si sgranchì le braccia, “Sai Ryo, io penso che dovresti andare via adesso, tornare a casa. Non troverai più nessuno di quelli che un tempo facevano parte dei guerriglieri. Sono tutti morti, solo tu esisti ancora, solo tu e Doc, ma degli altri l'unica traccia che resta sono le loro tombe, compresa quella di tuo padre, una nave colata a picco nella Baia di Tokyo. Se vuoi trovare ciò che hai perso, allora sappi che lo stai cercando nel luogo sbagliato. E se ciò che ti frena è la paura, allora rilassati! Kaori è così sciocca da amarti anche se dovessi ucciderla.” e se ne andò senza voltarsi. Sperava di averlo convinto, ma le sue parole avevano risvegliato qualcosa nella mente di Ryo.

Un brivido freddo gli percorse la schiena, arrivando fino al cervello.

Ti amo! Io ti amo davvero, Ryo, non dimenticarti di me.

Avvertì il calore della pelle morbida della donna sotto la sua mano. Traditrice, le aveva detto e l'aveva lanciata via, poi si era avventato su di lei.

Io ti amo! Va bene così, hai ragione! Non scapperò, non ti lascerò qui a combattere da solo. Lotterò con te, al tuo fianco, ma non potrò mai farti del male.

Aveva stretto così forte che sentiva l'arteria pulsare sotto il suo palmo. Una lacrima scivolò sulla guancia della donna.

Va bene, Ryo. Fallo pure, hai ragione. È tutta colpa mia. Perdonami. Ti prego, perdonami.

Perdonarla? Per cosa?

Si afferrò il braccio sinistro con il destro, all'altezza del gomito e d'improvviso ricordò.

Un attacco alle spalle, Kaori era il bersaglio.

 

 

Aveva urlato il suo nome, poi si era gettato su di lei per toglierla dalla linea di fuoco ed era stato colpito lui, non da un proiettile qualsiasi, bensì da un proiettile narcotizzante pieno di PCP.

Allontanati da me!” le aveva urlato e aveva iniziato ad avvertire una strana sensazione, come un bisogno impellenti, un desiderio, “Kaori...” aveva sussurrato senza fiato, “devi...uccidermi...prima che... ti uccida...io!”

Ma lei non l'aveva fatto. Era rimasta lì, accanto a lui, rischiando la sua vita, cercando di fare qualcosa, senza poter far nulla.

Non me ne andrò. Non ti lascerò. Se muori tu muoio anche io. Ricordi quel giorno sul tetto dell'edificio che avevo fatto esplodere?” aveva detto, trattenendo le lacrime, “Io sono la tua partner. Voglio stare con te, sia nella vita che nella morte.” e per la prima volta lo aveva baciato.

Il calore di quelle labbra tremanti, il sapore della sua carne, l'odore della pelle...

Ma non era bastato a fargli vincere una guerra impossibile. La PCP era troppo forte, anche per lui, allora l'aveva aggredita, pronto a ucciderla.

 

Va bene, Ryo. Fallo pure, hai ragione. È tutta colpa mia. Perdonami. Ti prego, perdonami.”

 

 

Voleva sentire i suoi gemiti di dolore, prolungare quel momento all'infinito, ma qualcosa scattò nella sua testa e un dolore lancinante gli trapassò le tempie, facendolo svenire.

 

“Io l'ho uccisa....” tremò di colpo, “L'ho uccisa così tante volte durante gli incubi...” e di nuovo svenne, cadendo schiena a terra e dimenticando tutto ancora una volta.

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Capitolo 13
*** 12 Lo stesso destino (seconda parte) ***


Erano trascorsi alcuni giorni da quello strano incidente e al suo risveglio ogni ricordo era svanito. L'oblio in cui viveva era benefico, gli permetteva di ricominciare daccapo, di riprendere in mano la sua vita e rielaborarla ancora una volta. Eppure sentiva una strana pressione all'altezza del cuore, come se il sangue affluisse al contrario. Non gli importava.

Aveva lasciato la casa di Sonia da due giorni, non perché lei glielo avesse chiesto, bensì perché una sera l'aveva trovata a piangere stringendo la foto del padre.

Nel racconto della sua vita che Kaori gli aveva narrato, era stato proprio lui a uccidere Kenny e, nonostante non credeva ancora possibile una cosa del genere, aveva deciso di andarsene. Non aveva nessuna certezza di essere colpevole, ma neppure innocente e non dubitava che la sua vicinanza provocasse in Sonia emozioni così forti, richiamandole alla mente il ricordo del padre.

Aveva fatto delle ricerche per conto suo e aveva scoperto dove viveva la figlia dell'uomo che aveva considerato un padre, tanto quanto lo era stato Kaibara, così adesso si stava dirigendo a New York in cerca di Rosemary Moon.

Si ricordava una foto, di quando era solo una giovane donna, che quell'uomo gli aveva mostrato, ricordava che spesso gli prometteva di farli conoscere, eppure non era certo di averla mai vista prima.

Quando la quarta corriera si fermò, Ryo afferrò il suo borsone e scese. Dieci ore di autobus gli avevano indolenzito la schiena, ma meglio quello che dover esibire ancora un passaporto falso. Non bisognava tirare troppo la corda con i controlli della polizia di frontiera, in America si finiva dentro anche per molto meno e non voleva dover scappare ancora una volta, perché non aveva altri posti a cui far ritorno.

Borsone in spalla, quindi, si diresse là dove le sue ricerche lo avevano portato: all'agenzia di moda Moonlight.*

Rosemary Moon, dopo alcuni anni da modella, si era sparsa la voce fosse morta insieme al suo fidanzato in Giappone, ma dalle sue ricerche qualcosa stonava e, mentre cercava dettagli, si imbatté in una strana coincidenza. La proprietaria dell'agenzia di moda Moonlight era rientrata in America dal Giappone pochi giorni dopo la morte di Rosemary Moon, ma prima del suo arrivo, a parte data e luogo di nascita, non c'erano informazioni utili a identificarla. Era una strana coincidenza e voleva sapere se questa donna avesse qualche legame con Rosemary Moon o con la sua morte. Ecco perché si era messo sulle sue traccie.

Trovò facilmente il luogo e per qualche giorno, dopo aver pagato in contanti una stanza in un motel, iniziò a studiare le mosse della donna.

La pedinò, si interessò ai suoi gusti in fatto di cibo e ai suoi interessi, ma nulla era familiare, neppure il suo viso. Il terzo giorno decise di farsi avanti e cominciare a testare il terreno.

Si preparò per fingersi un manager di una modella che poteva interessarle, procurandosi foto di una donna giovane e bella, e s'incamminò verso la sua preda. Nessuna donna poteva resistere al suo fascino ma, mentre stava controllando la zona, avvertì la presenza di un pericolo. Gli ci volle meno di un secondo per capire che era proprio alle sue spalle, sorrise beffardo e, in un attimo, si avventò contro il suo nemico.

Ci fu una breve colluttazione, un paio di calci parati e qualche colpo andato a fondo, poi, come sempre accadeva, ebbe la meglio sul suo avversario, bloccandolo contro la parete di un vicolo buio e sfilando la sua fidata 357 Magnum.

“Ryo?!” domandò quello con una voce leggermente acuta, “Ma sì, sei tu! Riconoscerei la colt anche tra mille!” e, così dicendo, si tolse la parrucca dai capelli corti, lasciando scivolare morbidamente i suoi capelli per farsi vedere.

“Tu sei...!” esclamò lui, spostandosi.

La donna sorrise, facendogli l'occhiolino, “Bingo!” esclamò estasiata, “Che diavolo ci fai tu qui?”

 

 

Tokyo era in preda alla solita frenesia serale che la contraddistingueva ma, nell'ufficio all'ultimo piano della centrale di polizia, c'era qualcuno che non riusciva a liberarsi dal lavoro.

Saeko Nogami, seduta alla sua sedia, continuava a scartabellare i fogli di un file con le sopracciglia corrugate.

“Se continui così ti verranno le rughe!” fece Kaori, entrando con un vassoio di caffè bollente.

La detective sospirò, “Hai ragione, ma...”

“Dammi qua!” fece la rossa, sfilandole i fogli da sotto il naso, “Prenditi una pausa, bevi il tuo caffè e poi cerchiamo di capirci qualcosa insieme.” e, così dicendo, le sorrise in quel modo tipicamente suo, sciogliendo un po' di tensione che le irrigidiva le spalle.

Saeko si alzò dalla sua seduta, tolse le scarpe con il tacco e sorseggiò il caffè, nel mentre Kaori leggeva per l'ennesima volta i fatti di quel file.

La prima pagina riportava una data anteriore di poco più di due mesi, qualche giorno prima dell'incidente che aveva tolto la memoria a Ryo. C'erano foto di cadaveri e pagine di testimonianze che non conducevano da nessuna parte e, se le vittime all'inizio erano poche, in due mesi sembravano essere aumentate in maniera esponenziale.

“Da quando City Hunter è stato dato per morto,” disse Saeko con voce stanca, “ci sono sempre più crimini. Il protettore della città è scomparso e con lui la paura che incuteva.”

Kaori abbassò lo sguardo. Per quanto si fosse allenata con l'aiuto di Miki, Umibozu e Kasumi, ancora non era in grado di prendere le redini della società, ma non voleva rassegnarsi, “Sono proprio una frana, vero?” domandò triste.

La detective le poggiò una mano sulla spalla, “Non dire così.”

 

 

Rosemary Moon aveva appena aperto la porta di casa sua che una testolina bionda le si fiondò contro lo stomaco, “Mamma!” urlò il bimbetto con una vocina acutissima.

“Ciao!” gli rispose lei, sorridendogli teneramente, “Amore, sono tornata!” esclamò poi a voce alta, “Vieni Ryo, accomodati!”

L'uomo si guardò attorno scettico, ma non c'era nulla di strano o pericoloso in giro. Quella era una normalissima casa, con le tipiche cose necessarie e anche qualche cosa di troppo.

Senza attendere altri inviti si sedette sul divano, comodo e largo e, prima che potesse rendersene conto, si trovò il figlio di Rosemary seduto sulle sue ginocchia.

La donna sorrise dolcemente a quella vista e d'un tratto si immaginò un Ryo con un figlio molto simile a lui dai capelli rossicci come quelli di Kaori.

“Benvenuto, signor Saeba!” disse una profonda voce maschile.

Ryo si voltò a guardare l'uomo. Alto quasi quanto lui, con capelli biondo cenere e lineamenti gentili, gli sorrideva benevolmente.

“Ci conosciamo?” domandò sospettoso.

“Lui è Eric, mio marito!” esclamò Rosemary e proseguì spiegando al marito la situazione di Ryo, anche se sapeva solo quel poco che lo stesso sweeper le aveva raccontato.

Eric capì subito che non poteva fare molto e, senza che gli fosse richiesto, prese il bambino, invitandolo ad andare al parco giochi.

“Devo dire che tuo marito è un tipo strano!” sbottò Ryo, stravaccandosi sul divano.

“Perché?” chiese Rosemary, sollevando un sopracciglio.

Lui si passò la lingua sulle labbra in maniera sensuale, “Bè, come dire? Io non lascerei mia moglie da sola con un altro!”

La ex modella scoppiò a ridere, “Sì, lo immagino! Per questo le stavi sempre alle calcagna! Avevi paura che potesse scegliere qualcuno meglio di te!”

La sua espressione si fece seria. Quella donna conosceva Kaori.

Si studiarono per un istante, poi Rosemary decise che era ora di spiegarsi.

“Non so bene cosa ti abbia portato fino a me, ma se è per via di mio padre, non ti posso aiutare. Non è più in vita e il suo passato non lo voglio ricordare.”**

Ryo sospirò, “Anche lui è morto a causa mia?” chiese con una voce che sembrava quasi spaventata.

Rosmary scosse il capo.

Per un attimo si sentì sollevato, ma poi ricadde vittima dei suoi pensieri. Aveva intrapreso quel viaggio per avere delle risposte, ma sembrava che non ci fosse più nessuno in grado di spiegare il perché di tante scelte, prima fra tutte il trasferirsi in Giappone e diventare un cacciatore di criminali.

La bionda modella parve leggergli nel pensiero, perché d'un tratto avvicinò una mano alla sua, “Io e te siamo stati partner, sia nel lavoro che nella vita privata. Ma ad un certo punto le nostre strade si sono divise. Mi avevi detto di trovare un'alternativa a quella vita e l'ho fatto e tu sei sparito. Non mi sono preoccupata per te. Da quel che so sei tornato a Los Angeles e lì hai incontrato Mick, ma cosa sia successo in quel periodo non posso saperlo. Avevo chiuso con quei problemi, con il sangue e le pistole, volevo vivere una vita normale, come tu avevi suggerito, quindi non mi sono fatta troppe domande e ti ho lasciato andare, forse dovresti smettere anche tu di chiederti il perché delle scelte che hai fatto e provare a vivere nel mondo a cui appartieni. E quel mondo non è qui!”

Le sue parole, quasi sussurrate come un segreto, non alleggerirono affatto i suoi dubbi, né rischiararono i suoi pensieri, ma una frase era fondamentale: lui aveva lasciato quella donna per andare a Los Angeles e lì aveva incontrato Mick.

 

Credi davvero di essere stato tu il primo City Hunter? Bè mio caro, ti sbagli di grosso, quello è un ruolo che spetta solo a me! Gli aveva detto il biondo, quando lo aveva affrontato a casa di Sonia, Immagino tu non ricordi quella parte di vita, giusto? Bene! Non te la racconterò!

 

Mick sapeva qualcosa di fondamentale, forse era lui la risposta che cercava.

Si alzò di scatto dal divano e, con un cenno di ringraziamento, se ne andò.

Era stato via per quasi tre mesi per scoprire solo che tutto ciò di cui aveva bisogno era in Giappone? Se il destino voleva giocare al gatto e al topo, doveva prepararsi, perché il ruolo di 'gatto' spettava solo a lui.

 

 

 

 

A Tokyo, Kaori se ne stava ancora nell'ufficio di Saeko, mentre quella schiacciava un pisolino sul sofà. Più girava tra le pagine di quelle informazioni inutili, più le sembrava di riconoscere qualcosa, come uno schema che si ripeteva ancora e ancora.

D'un tratto si soffermò su una foto. Una donna, bella e giovane, era stesa in terra, l'incavo dei gomiti arrossato dalle tante punture. Drogata fino alla morte. Possibile che ci fosse qualcosa che mancava?

Prese un bicchiere di cristallo e si versò dell'acqua. Doveva restare lucida per arrivare a una conclusione.

Bevve tutto d'un fiato e posò il bicchiere sulla foto, senza prestare troppa attenzione.

Rilesse ancora il rapporto del medico legale, le cause della morte, la descrizione della scena del crimine. Era tutto troppo familiare, ma non capiva perché.

Si mise le mani tra i capelli, abbassò la testa e d'un tratto lo vide.

“Saeko!” urlò, facendo prendere un colpo alla detective che per poco non cadde dal sofà, “Ho capito! Ho capito!” disse con voce piena di emozione.

“Kaori...ma cosa?” fece quella ancora mezza addormentata.

“La Union Teope!” disse, mostrando la foto con mani tremanti.***

Tra i piccoli pendenti della cavigliera ce n'era uno con il simbolo dell'organizzazione mafiosa debellata alla morte di Hideyuki Makimura.

“Eccoli!” esclamò in preda ad una miriade di emozioni contrastanti, “Sono tornati!”

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice:

* Moonlight è ovviamente di mia fantasia. Mi sembrava appropriato!

** Non mi pare che si parli molto del padre di Rosemary nel manga, a parte una citazione di Umibozu che lo definisce il primo partner di Ryo.

*** La Union Teope, responsabile della morte del fratello di Kaori, era un'associazione mafiosa che voleva controllare il traffico della droga. Se ricordate era capeggiata dallo stesso Kaibara, come ci rivela Ryo quando ascoltano l'annuncio che l'aereo su cui sta viaggiando Mick, di ritorno in America, si è schiantato.

 

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Capitolo 14
*** 13 Una conoscenza dal passato ***


Una lacrima furtiva scese lungo la guancia di Saeko. Quel nome le rievocò tutto il dolore della perdita che aveva subito e, per la prima volta in vita sua, Kaori provò compassione. Non riusciva ad immaginare cosa avrebbe provato lei, se ci fosse stato Ryo al posto di Hideyuki. Per un secondo si sentì in colpa nei confronti del fratello. Lui era morto, lasciando un vuoto che sembrava incolmabile nel suo cuore, ma l'aveva ben presto riempito con un grande affetto per Ryo, forse perché si sentiva in dovere di farlo per il fratello. Però, adesso, se si ostinava a restargli accanto era solo per se stessa, per trasformare in realtà quel sogno d'amore che ancora non aveva appagato del tutto.

“Maki...” sussurrò la detective, richiamandola dai suoi pensieri.

Adesso capiva perché non avesse mai accettato di sposarsi o di essere corteggiata. Si era chiusa in quello stesso sogno d'amore ormai definitivamente irrealizzabile.

“Saeko...cosa dobbiamo fare?” chiese, sperando di non sembrare troppo infantile, ma davvero non sapeva come muoversi.

Fino a quel momento era sempre stato Ryo a prendere le decisioni, lei si era limitata a seguirlo, ma adesso lui non c'era e ogni sicurezza era svanita.

Saeko si asciugò una lacrima, ritrovando la sua solita espressione, “Devo mettere un'agente in quell'agenzia.” esclamò con furore.

La prima ondata di dolore aveva lasciato il posto a rabbia e vendetta.

Kaori non rispose, per un attimo vide chiaramente cosa sarebbe successo, come se avesse avuto la sfera di cristallo.

La detective non era il da lasciare qualcosa di così delicato al primo venuto. Ci sarebbe andata lei stessa, fingendosi una loro alleata, avrebbe affrontato il capo dell'organizzazione e …

L'immaginò come la donna di quella foto ed ebbe i brividi, “Aspetta!” le disse con tono preoccupato, “Non dobbiamo agire in maniera troppo avventata. Lascia che faccia qualche ricerca in più.”

“No, Kaori è troppo pericoloso!” sbottò la donna.

“Non mi succederà nulla, non voglio certo morire, ma non sappiamo come agiscono né dove trovano le donne e se facciamo una mossa sbagliata...” le mise di nuovo la foto sotto gli occhi, “Non voglio perdere nessuno, non di nuovo, non per colpa loro. E poi tu hai le mani legate dalla legge che difendi, mentre io...bè, diciamo che io no!” lo sguardo scettico della detective sembrava rispondere negativamente, ma lei non si diede per vinta, “Non sono Ryo, lo so bene, ma Umi e Kasumi sicuramente mi daranno una mano, quindi lasciami provare. Se non ottengo nulla in un paio di giorni, allora faremo come vuoi tu.”

Per un attimo Saeko sembrò titubante, poi però acconsentì, suo malgrado, trovandosi d'accordo con ciò che le aveva detto Kaori. Accennò un assenso e dentro di sé pregò Maki affinché la proteggesse come aveva fatto fino a quel momento.

 

 

Stava spuntando l'alba all'orizzonte e presto l'aereo sarebbe atterrato a Seul, da lì una nave lo attendeva per portarlo in Giappone. Ripercorrere la strada a ritroso lo aveva fatto sentire leggero, come se il suo stesso corpo lo stesse spingendo a tornare con ogni cellula.

La gate di sbarco era affollata, le persone si muovevano come formiche tutte verso lo stesso punto, se avesse avuto tempo avrebbe anche trovato divertente lo scrutare le facce di chi aspettava e di chi era aspettato, ma non gliene fregava proprio nulla, voleva solo rimettere piede in Giappone. Ancora quattro giorni e sarebbe stato a casa.

Era un pensiero strano, ma così profondo che non poteva ignorarlo.

 

 

Kaori, appena sveglia, cominciò a fare il giro, per l'ennesima volta di tutti gli informatori e, alla fine della mattinata, stanca e demoralizzata, incontrò Tetsu che, mentre puliva le scarpe dei clienti per mettere da parte qualche moneta, sembrava essere tornato da un lungo viaggio.

“Ehilà, Tetsu!” disse lei, avvicinandosi alle sue spalle, “Dove sei stato in tutto questo tempo?” ma quello la ignorò.

Kaori era leggermente spaesata, non aveva mai fatto una cosa del genere prima, ma forse era dovuto al fatto che Ryo non ci fosse.

Tetsu sollevò la testa e la guardò dritta negli occhi, “Se ha bisogno di pulirsi le scarpe, potrebbe aspettare due minuti? Ho quasi finito.”

D'istinto la donna acconsentì, attese e, quando fu il suo turno, si sedette sullo sgabello.

“Kaori, non hai imparato proprio nulla, eh?” domandò Tetsu a testa bassa mentre le puliva le scarpe, “Davanti a questa folla parlarmi in quel modo!”

La rossa si morse un labbro. Essere un informatore era più pericoloso che essere un giustiziere. Stava per chiedergli scusa ma quello la tacitò con una mano, “Dimmi cosa vuoi e velocemente.”

“L'Union Teope è tornata e ho bisogno di sapere come fanno a trovare le donne per il trasporto della droga e la vendita delle schiavi sessuali.” sussurrò con una punta di stress nervoso nella voce.

“Vediamoci domani al vicolo dietro la stazione dove di solito dormo. Nel mentre vedrò cosa posso scoprire.” diede una leggera pacca al piede, “Ecco, signorina cliente, sono belle pulite adesso!” e allungò la mano per la mancia.

Kaori sorrise ringraziò e pagò profumatamente il suo aiuto.

 

Saeko se ne stava seduta alla sua scrivania con lo sguardo perso nel vuoto, la mente affollata da mille pensieri, le mani sudate e tremanti. Aveva paura, per Kaori e per se stessa.

“Anche stavolta entrerai da quella porta per aggredirmi, come l'altra volta? Non ho scelta, lo sai, Ryo?” sussurrò da sola, coprendosi la faccia con le mani, stanca e preoccupata.

 

Il giorno dopo, Kaori era sul luogo dell'appuntamento, in attesa, ma di Tetsu non c'era traccia. Le ore passavano e un misto di insoddisfazione e inquietudine la pervase. Si lasciò andare ai suoi pensieri, concentrati su Ryo, quando qualcuno le batté piano sulla spalla.

“Dormivi in piedi?” le chiese l'informatore, trafelato e scocciato, Kaori fece un cenno di scuse e quello sbuffò, “Questo vale più di ciò che pensi. Rivolgiti a lui e vedrai con i tuoi occhi. Di più non posso fare, se mi addentro lì dentro sono carne morta!” esclamò con un po' di terrore.

Kaori abbassò lo sguardo e si trovò tra le mani un biglietto da visita, alzò la testa per chiedere spiegazioni, ma Tetsu era già sparito.

Guardò meglio il biglietto e rimase stupefatta dal nome che vi lesse: Uragami Entertainment.

Una serie di ricordi le si affollò nella mente: Mayuko, la bambina cieca, la sua appendicite, l'equivoco sull'innamorata del signor Uragami, il comportamento di Ryo...

Era come essere scaraventata indietro nel tempo, solo che stavolta non c'era il suo partner al suo fianco. Una calda lacrima scivolò lungo la guancia ma la asciugò in fretta, non c'era tempo per rivangare il passato.

 

Ryo stava per imbarcarsi sulla nave da carico, ci sarebbero voluti quattro giorni per giungere alla Baia di Tokyo, ma quello era il solo mezzo sicuro con cui viaggiare per evitare i controlli all'arrivo.

Si nascose nella stiva, trovò un luogo tranquillo in cui sdraiarsi e si addormentò quasi subito.

Che diavolo ti è saltato in mente? Lo sai che cosa rischia?” stava urlando.

Certo che lo so, per questo ti ho avvisato! Cosa credi? Non voglio che si faccia del male!” aveva risposto la voce di una donna, “Fermala tu! Accetta il caso, Umi ti darà una mano!”

È sempre così con te, vero? Manderai lei avanti per costringermi ad aiutarti! Questa sarà l'ultima volta, mi hai capito bene? Non ti aiuterò più e non provare ad avvicinarti a lei di nuovo! Le nostre strade si dividono qui, chiaro?”

L'urlo aveva accompagnato lo sbattere della porta e tutto era diventato nero, impalpabile, poi...

Kaori era legata ad un lettino, come quelli degli ospedali, svenuta.

Puoi scegliere, caro il nostro City Hunter. O lei o te! Che ne pensi? Dici che resisterà alla droga? Secondo me morirà prima ancora di riprendere i sensi. Non sembra una dal fisico forte, ma tu... oh, tu sei già sopravvissuto una volta, vero? Secondo te ce la farai ancora?” un uomo sconosciuto stava avvicinando la siringa al braccio di Kaori, “Allora che vuoi fare?”

Ryo cadde in ginocchio e mostrò il braccio. Non poteva rischiare. C'erano quattro persone in quella stanza e tre avevano una siringa in mano pronti a iniettare la droga al braccio di Kaori.

Si svegliò di soprassalto, sudato e tremante. Quello era forse uno strascico dei ricordi che aveva perduto?

 

Kaori, usando Eriko come supporto, era riuscita ad ottenere un colloquio nella Uragami Entertainment come modella per una pubblicità. Se avesse incontrato Uragami di sicuro avrebbe scoperto qualcosa.

Era vestita bene, sensuale e accattivante, si presentò in perfetto orario e fu portata nella stanza dei colloqui, lì trovò proprio Uragami, solo e pensieroso.

“Ka..Kaori...” balbettò appena la vide, poi scrisse qualcosa frettolosamente su un foglio e di nuovo su un altro che passò a lei, “Mi dispiace ma la parte è già stata assegnata, abbiamo contattato la sua agenzia mezz'ora fa ma a quanto pare il messaggio non le è stato recapitato in tempo. Grazie per la sua disponibilità.” e attese che leggesse il biglietto.

 

Tienimi il gioco, esci e vai alla mia abitazione. Ci vedremo lì. Non dire nulla a nessuno. Distruggi il biglietto.

 

Kaori avvertì una leggera ansia, si inchinò ringraziando di essere stata ricevuta e se ne andò. Il comportamento di Uragami era strano ed era strano il fatto che avvertisse una forte tensione nell'aria. Tutto doveva avere un senso. Uscì dalla struttura e si rifuggiò in un vicolo, salì in macchina e si diresse alla casa di Uragami.

 

Ryo non riuscì più a dormire, aveva una strana ansia addosso. Per la prima volta si ritrovò a pensare a quella donna, Kaori. Cosa stava facendo, dove si trovava... era pervaso da una sensazione di preoccupazione, come se un campanello d'allarme gli stesse suonando in testa.

 

Uragami entrò in casa, facendo strada alla sua ospite.

“Signor Uragami, che significa quella sceneggiata di prima?” domandò la rossa senza riuscire a trattenersi.

L'uomo sospirò e si lasciò cadere in ginocchio, “Aiutala, ti prego! Aiuta la mia bambina!” e scoppiò a piangere.

 

Saeko aspettava la chiamata di Kaori, ma invece di quella ricevette un messaggio.

Ho scoperto come trovano le donne. Ho una microspia addosso, vai a casa e attivala. Lascia fare a me e tieniti pronta.

La detective deglutì spaventata, sapeva che la donna si stava mettendo in un grosso guaio e non sapeva come aiutarla.

“Dove diavolo sei Ryo!” sbottò in preda al panico.

 

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Capitolo 15
*** 14 Trappola ***


Ryo scese dalla nave da carico con una sensazione di angoscia, come se qualcosa stesse per succedere.

L'aria nella Baia di Tokyo era tersa e umida, l'odore dell'acqua, del pesce e del sudore umano gli stava facendo venire la nausea. Afferrò il borsone e si incamminò verso la città, avvolta nella notte e nella bella vita della zona dei piaceri.

Voleva bere, rifocillarsi, trovare in posto in cui passare la notte e poi tornare in quella casa e cominciare di nuovo da lì, anche se non ci credeva poi davvero.

Guardò l'orologio a muro del bar. Pochi minuti ancora e sarebbero state le tre di notte, doveva aspettare il mattino.

La porta si aprì di scatto e un tizio ubriaco, sorretto da altri due entrò nel bar.

“Capo, non crede sia ora di smetterla di bere?” domandò uno degli uomini.

“Non ci penso neppure!” rispose quello trai i singhiozzi, “Oggi bisogna festeggiare la fine di un incubo! Finalmente Shinjuku torna ad essere libera!” e alzò un calice di birra che l'altro uomo aveva ordinato per lui.

Quel discorso gli suonò così strano che non poté fare a meno di seguirli per tutta la zona dei piaceri. Era curioso ed anche stranamente preoccupato.

Camminava dietro di loro per le vie della città, osservando qualche auto che di tanto in tanto passava per la via.

Avvertì una nuova sensazione, una specie di calore che non ricordava di aver mai provato. Seguendo l'istinto, mise il borsone in spalla, si accese una sigaretta e, stringendola con i denti, nascose le mani nelle tasche.

Fu tutto così repentino da non lasciargli neanche il tempo di respirare correttamente.

La sua aura minacciosa si risvegliò, gelando sul posto quei tre poveretti.

“Co...cos'è questa sensazione sgra...sgradevole?” domandò il capo, in un lampo di lucidità.

Gli altri due non risposero, si limitarono a stare fermi sul posto.

Ryo avvertì la loro paura e gli si avvicinò lentamente.

“Signori.” disse alle loro spalle, facendoli tremare, “Che intendevate con Shinuku libera?”

I tre avvertirono i brividi di paura salire lungo la schiena, si voltarono e, sbiancando, si misero in ginocchio, pregando per aver salva la vita.

Lui fece un ghigno e spense la sigaretta proprio di fronte la faccia del capo, “Ho fatto una domanda!” esclamò con la voce di un bambino curioso.

Il capo deglutì spaventato, “No...noi...e...ecco...” ma non fece in tempo a finire la frase.

Una macchina, con una frenata brusca, si era fermata proprio vicino a loro.

Approfittarono della confusione e scapparono a gambe levate.

“Tsè, sciocchi. Non volevo fargli nulla di male.” bisbigliò, sorridendo sadico, poi si voltò verso l'auto.

Tutto fu molto veloce. La portiera si aprì e pochi secondi dopo uno schiocco riempì il silenzio.

“Che diavolo fai?” domandò Ryo, arrabbiato e innervosito.

“Tu!” esclamò la donna, guardandolo con risentimento, “Tu sei il responsabile! Se le succede qualcosa sarà solo colpa tua!” urlò.

Ryo la osservò bene.

Il corpo tremava, il viso era spaventato e la voce sembrava non voler uscire. Sembrava come vittima di qualche trauma.

Sospirò, stanco e infastidito, “Non so per chi tu mi abbia scambiato, ma hai sbagliato persona.” replicò con stizza e riprese il suo cammino.

Aveva fatto solo due passi quando quella gli afferrò il polso per trattenerlo, “Tu sei Ryo Saeba, meglio conosciuto come City Hunter, vivi a Shinjuku da più di quindici anni, prima eri in una zona di guerra, sei cresciuto con pane e proietti. Proteggi la città dai malviventi, aiuti i poveri e non ti tiri mai indietro anche se a volte il nemico sembra migliore.”

“Nessuno è migliore di me!” esclamò con superiorità.

“No, nessuno è migliore di te, o almeno questo era prima che perdessi la memoria, ma adesso in troppi ti superano!”

Si guardarono in cagnesco per qualche secondo, poi l'uomo sospirò, “Chi diavolo sei tu?”

Lei tirò fuori uno dei suoi coltelli da lancio, “Saeko Nogami, ispettore di polizia, tua amica, amica di Kaori e prima ancora di Hideyuki Makimura, fratello di Kaori. Abbiamo lavorato spesso insieme e siamo sempre stati amici. Almeno fino ad ora, perché se dovesse succedere qualcosa a Kaori, giuro che ti uccido con le mie mani!” e gli tirò il coltello contro.

Ryo lo afferrò con due dita senza troppa fatica, sogghignò come a voler accettare la sfida, poi sbiancò, “Che hai detto?”

Era come se solo in quel momento avesse elaborato a pieno le frasi della detective.

 

 

Kaori era sdraiata per terra, il gelido pavimento le pizzicava la pelle.

Ci mise qualche minuto per mettere a fuoco la stanza. Non c''era mobilia, solo un grande spazio vuoto. Per un secondo sorrise tristemente. Vuoto come il suo cuore.

Non aveva tempo per la malinconia però. Si mise a sedere ed avvertì un dolore alla testa. Che diavolo era successo?

Cercò di mettere in ordine i pensieri, partendo dall'ultimo ricordo.

Dopo aver parlato con Uragami era corsa a casa a prendere la microspia, bè una delle tante. Dopo la partenza di Ryo le aveva tolte tutte, in parte perché gli ricordavano lui ed in parte per non doversi ricordare ogni volta che non c'era più nessuno ad aspettarla.

Quindi, presa la microspia, aveva mandato quel messaggio a Saeko, forse facendola anche preoccupare e si era diretta alla sala prove accompagnata da Uragami stesso. Aveva fatto l'intervista e poi... Poi...

Un forte dolore alla testa, voci confuse che parlavano tutte insieme, il nero dell'incoscienza.

Quindi doveva per forza essere stata rapita. Si portò una mano sotto il seno sinistro e rimase come gelata.

Era nuda, completamente nuda. Per un attimo un brivido freddo le salì lungo la schiena, poi si alzò in piedi. A parte la testa, non le faceva male altro. Riusciva a camminare senza problemi e non sentiva nessun dolore fisico. Anche se avesse dormito per più di ventiquattro ore i dolori non sarebbero certo scomparsi.

Sospirò sollevata.

“La dea della luce finalmente si è svegliata!” esclamò una voce proveniente da un altoparlante.

Kaori si raggelò. La mente le tornò a Kaibara e al loro primo incontro, però quell'uomo era morto e quella non era la sua voce.

Le luci si accesero nella stanza e lei si trovò di fronte ad un grande specchio. In preda alla vergogna e all'imbarazzo cercò di coprirsi con le mani.

“C'è un abito lì per terra, se vuoi indossalo, ma a tuo rischio e pericolo perché è ricoperto di un particolare veleno alla nicotina che uccide lentamente, diciamo in un paio d'ore. Oppure puoi restare così, nuda, e magari accettare di farci qualche piccolo favore personale.”

Quelle parole erano così cariche di lascivia che ne fu disgustata, girò lo sguardo per osservare il vestito. Era simile a un baby doll di organza. In pratica era inutile.

Sorrise allo specchio e si portò una mano ai capelli, “Se volete potete anche guardare, ma non credo riuscirete a toccare.” e fece un cenno di sfida.

Era migliorata così tanto nel corpo a corpo che persino Umibozu ne aveva riconosciuto il talento.

L'uomo dietro al vetro sghignazzò, “Sei degna di lode, dea della luce. Per questa volta stiamo al tuo gioco e vediamo che succede!”

Kaori non comprese ma un secondo dopo, da un passaggio per animali nella porta, venne recapitato un abito. Non era meglio del baby doll, ma almeno non c'erano veleni sopra e sembrava coprire un po' di più.

“Non credi di dovermi almeno dire chi sei?” domandò lei, fronteggiando il vetro dello specchio.

La voce rise macabra, “Non ancora, dea della luce. Aspetta che arrivino tutti gli invitati.”

“Invitati?” chiese stupita.

“Oh sì, quelli che ti stanno cercando per salvarti, cara la mia City Hunter! O dovrei dire, socia di City Hunter?”

Kaori sbiancò.

Era caduta in una trappola inaspettata. Invece di essere il predatore ,come aveva sperato, era diventata la preda.

Cercò di mascherare la sua paura, ma quella voce e la risata che ne seguì le impedì di trovare il sangue freddo necessario per far fonte alla situazione.

“Dimmi, dea della luce.” fece poi quello dietro allo specchio con una calma improvvisa, “Pensi che il tuo caro Ryo Saeba si farà vedere da queste parti?”

La donna non rispose subito, ma d'improvviso comprese cosa volesse ottenere.

Scoppiò a ridere, “Vuoi batterti con lui?” domandò quasi divertita.

La voce sospirò, “Facile a capirsi, non trovi?” chiese in tono sardonico, “L'altra volta è riuscito a prendermi solo grazie all'aiuto di qualcuno, ma stavolta ci affronteremo faccia a faccia e vedremo chi di noi due sopravviverà!” e scoppiò di nuovo a ridere.

Poi ci fu il silenzio e la stanza ricadde nel buio.

Kaori si sedette in un angolo, silenziosa e tranquilla. Iniziò a contare i secondi che passavano, ma la sua mente era fissa al chiedersi come uscire da quella situazione.

 

 

“Che diavolo significa?” sbottò Ryo infuriato alla spiegazione di Saeko.

La detective non replicò, tutto quello che aveva scoperto con l'aiuto della sweeper, adesso lo sapeva anche lui.

Si guardarono per un lungo istante e da dietro un bidone della spazzatura fece capolino Tetsu, l'informatore.

“Sera, Ryo. Mi pareva la tua voce.” disse, sbadigliando.

Saeko lo prese per le spalle prima ancora che Ryo potesse ribattere, “Tetsu, dov'è Kaori?” domandò in preda al panico.

“E io che ne so? L'ultima volta che l'ho vista è stato...” rifletté un attimo, “...Sì, quattro giorni fa!”

“L'hai vista?” incalzò la donna, “Dove, perché?”

Testu la guardò con l'aria di chi si aspettava qualcosa in cambio delle informazioni, poi si voltò verso l'uomo e sbiancò. In meno di un secondo gli si sciolse la lingue e disse tutto ciò che sapeva.

Il volto di Ryo era contrito e negli occhi aveva uno sguardo assassino, “Saeko.” fece con voce gelida, “Hai mandato Kaoi in una missione contro il traffico delle schiave?”

La detective non rispose.

No, non era questo che voleva. Voleva andarci lei, le serviva solo una via per entrare in contatto con l'interfaccia di copertura, non voleva che Kaori rischiasse in prima persona.

Si mise una mano sulla bocca, “L'union Teope!” sussurrò.

Un brivido freddo di terrore salì lungo la schiena di Ryo e il campanellino d'allarme si fece ancora più insistente.

“Che hai detto?” domandò atono.

 

 

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Capitolo 16
*** 15 Un gioco pericoloso ***


Uragami se ne stava seduto in silenzio nel suo ufficio, le mani incrociate davanti la bocca, gli occhi sbarrati e, davanti a lui, una foto di sua figlia, legata ad un letto, imbavagliata e con una benda sugli occhi.

Perdonami, Kaori! pensò contrito, Non volevo metterti nei guai.

Una lacrima gli scese lungo la guancia.

Intorno c'era un silenzio funesto.

 

Nell'appartamento di Kaori, Saeko aveva messo tutto a soqquadro per trovare il ricevitore della microspia ma non c'era traccia di nulla che fosse anche solo simile a quello.

“Pensa, Ryo!” esclamò con speranza, guardandolo negli occhi, “Cerca di ricordare com'era la tua vita prima di...” s'interruppe.

Solo una persona sapeva bene cos'era accaduto quel giorno che segnò l'oblio di Ryo e non lo aveva ancora rivelato a nessuno.

In quel momento la porta di casa si aprì ed entrò Mick con aria furente.

“Kaori, dove diavolo er....” ma si bloccò vedendo il suo amico e la detective, “E voi che ci fate qui?” chiese con un nervoso traboccante, “Dov'è Kaori?”

Nessuno dei due rispose.

“Che diavolo è successo in questa casa? Mica ci saranno stati i ladri?” chiese ancora, guardandosi intorno, poi, ricevendo ancora una risposta silenziosa, si allarmò, “Saeko, cosa nascondi?”

Il suo sguardo era gelido, tanto che Ryo poté leggere nei suoi occhi la prossima mossa.

Fece un passo avanti ma lo sweeper si interpose tra i due, “Non è il momento di recriminare. Prima pensiamo ad uscire da questa situazione.”

Mick domandò con lo sguardo di cosa stesse parlando, ma invano. Sospirò e si lasciò cadere sul divano, “Non mi resta altro da fare!” esclamò con rabbia e con il piede colpì il pavimento, sollevando una mattonella, “Cos'è?”

Saeko e Ryo guardarono stupiti quello stretto buco che sembrava un passaggio segreto.

Lo sweeper afferrò un lembo di un saccone nero e tirò con tutta la sua forza, tanto che il sacco si strappò rigettando a terra il suo contenuto nascosto.

Riviste, vestiti da uomo e una serie di strani aggeggi elettronici che la detective riconobbe come ricevitori, “Eccolo!” esclamò afferrandone uno, “Come diavolo si accende!” sbottò rabbiosa.

Ryo glielo tolse dalle mani e in due semplici mosse lo mise in funzione.

Una spia rossa iniziò a lampeggiare insistentemente.

“Ma che...?” domandarono all'unisono osservando il puntino rosso.

 

 

“Mia cara dea della luce.” fece la voce, risvegliandola dai suoi pensieri, “A quanto pare il gioco sta iniziando!” esclamò con sadico divertimento.

C'era ancora buio nella stanza, ma ci si era abituata, “Che vuoi dire?” chiese, mettendo le mani contro il vetro dello specchio.

“Guarda tu stessa!” esclamò lo sconosciuto.

Da un punto in alto si accese una luce e, sulla parete vuota di fronte a lei, vide delle immagini come un film.

“RYOOO!” urlò con quanto fiato aveva in gola.

 

Nel salone dell'appartamento arrivò chiaro e forte l'urlo di Kaori e poi il silenzio.

“Non ci credo.” fece Saeko allibita, “È sempre stata qui, ma dove?” prese fiato, “Kaori, dove sei?” domandò ansiosa.

La risposta arrivò dal nulla.

“Inutile sgolarsi, cara la mia Detective Nogami. La bella prigioniera non può sentirvi, può solo vedervi, così come voi potete vedere lei, se volete.”

A quelle parole le luci si spensero e, come una proiezione cinematografica, videro la loro amica.

L'abito che indossava era leggermente più coprente del baby doll che le era stato offerto, ma ovviamente non copriva abbastanza.

Le gambe erano nude completamente, i capelli arruffati e la pelle pallida e squamosa.

“Chi diavolo sei? Cosa le hai fatto?” domandò Mick in un impeto di rabbia.

“Oh, gentile ospite non previsto, non ti preoccupare, ancora non le ho fatto nulla, ma siete sicuri che non le farò qualcosa? O meglio, che non si farà fare qualsiasi cosa pur di salvarvi la vita?” e scoppiò a ridere.

I peli si rizzarono sulle braccia di Ryo. Era in preda alla furia più nera.

“Mister Saeba, da quanto mi dicono i miei informatori, lei non ricorda nulla degli ultimi dieci anni, vero? Che peccato! Vorrà dire che ci divertiremo molto di più.”

La voce era fredda e pervasa da qualcosa simile al risentimento.

Ryo lo avvertì subito, “Devi essere qualcuno che si è messo sul mio cammino una volta di troppo, per parlare così!”

“Oh! I tuoi sensi sono gli stessi, noto. Bè diciamo di sì, anche se sarebbe più giusto dire il contrario. Sei tu che ti sei messo sulla mia e non è stato affatto divertente. Ma ci sarà tempo per le spiegazioni. Vi consiglio di accomodarvi e godervi lo spettacolo. La bella dea della luce è nelle mie mani e, stavolta, non ti servirà essere il migliore di Shinjuku per salvarla! La ucciderò, lentamente davanti ai tuoi occhi.” e con quelle parole interruppe la comunicazione.

 

Kaori aveva seguito tutta la scena, aveva letto i comportamenti dei loro copri e compreso che 'gli ospiti' erano finalmente arrivati.

“Che vuoi fare, codardo?” domandò con rabbia, battendo le mani contro il vetro.

La voce rise divertita, “Prendermi la mia rivincita, mi pare ovvio!” esclamò con gioia cinica nella voce, “Ryo mi ha tolto tutto e voglio restituirgli il favore.”

La donna si bloccò sul posto, “Che vuoi dire?”

Ci fu come un colpo di tosse che per un attimo distolse la sua attenzione, poi arrivò la risposta, “Sarai tu a decidere! Dovrai scegliere se è più preziosa la tua vita o la loro!”

“Spiegati.” fece spaventata.

“Non ti darò più acqua!” rivelò contento, “Di solito, una persona in salute e in un ambiente non troppo umido, ci mette circa tre giorni a morire di sete. Se mi chiederai acqua, io ucciderò uno di loro!”

La sweeper sorrise, “E come speri di riuscirci? Sono troppo forti per un coniglio come te che si nasconde dietro un vetro. Non riuscirai a vincere!”

Stava cercando di innervosirlo e sfidarlo allo stesso tempo, ma invano, “Tu dici? Io non penso. Si lasceranno uccidere per salvarti, perché potranno concedere la loro vita in cambio di acqua per te, ma ovviamente, se dovessero morire tutti, moriresti anche tu!” rise ancora, “Sarà un bel gioco in cui, in un modo o in un altro, vincerò io!”

Kaori deglutì.

Possibile che non c'era modo di scappare da quella prigione? E dove diavolo si trovava.

 

“È nel palazzo!” fece Saeko, “Dobbiamo trovarla prima dello scadere dei tre giorni.”

Mick sospirò, “Credi sia facile?” chiese depresso, “Questo idiota ha costruito una serie di infiniti passaggi che conducono ovunque nella città e cosa peggiore è che la microspia è qui ma Kaori non ce l'ha addosso. Come facciamo a sapere dove si trovi?”

Anche la detective sospirò. Mick aveva ragione.

Ryo sfilò la pistola dalla fondina e mirò verso la donna riflessa sul muro, “Fate silenzio.” disse e sparò.

 

Kaori avvertì un rumore sordo provenire dalla parete dove erano riflessi i tre.

 

Ryo aveva gli occhi chiusi concentrati su un rumore solo, il rimbombo del proiettile nel muro.

Sentì un cupo botto e sorrise, “Questo è il luogo giusto e ci vorrà meno di un giorno per girarlo tutto!”

“Io dico di no!” fece la voce sconosciuta, “Sarebbe troppo facile. Se vi muovete riempirò la stanza della dea della luce con un veleno alla nicotina che, una volta inalato, la ucciderà in meno di un'ora. Sei sicuro di voler provare a sfidarmi?”

Ryo sorrise, “Ti piace vincere facile, vero? Ma così che gusto c''è? Facciamo una vera sfida tra uomini. Mi darai trenta minuti per trovarla e se non ci riuscirò potrai avere la mia vita!”

La voce rise, “Troppo facile, non credi? Rendiamo il gioco più pericoloso. La casa è seminata di trappole che si sono attivate nel momento in cui ho acceso la prima volta gli altoparlanti. Trovale tutte e trentasette in un'ora e disinnescale senza farle esplodere. Se ci riuscirai aprirò la porta della stanza della donna e la lascerò libera, altrimenti, se dovesse esplodere anche solo una di quelle trappole, resterete in silenzio a guardarla morire di sete per tre lunghi giorni. Che te ne pare?” chiese ironico, “Ovviamente la sfida vale solo per te. Se ti farai aiutare o se i tuoi amici dovessero prendere iniziativa, le trappole scoppieranno tutte, a partire da quella che sta nella stanza della donna e la vedrete morire comunque, chiaro?”

Ryo sospirò. Un'ora era troppo poco per girare tutta la casa e trovare trentasette trappole, ma alternative non ce n'erano.

O guardare morire Kaori dopo tre giorni di agonia e pazzia da sete, o guardarla morire in meno di due ore per un veleno. Tra le due, era meglio la morte più veloce.

“Accetto!” disse e si liberò della pistola per non avere pesi inutili nella sua corsa contro il tempo.

 

Nel suo ufficio, Uragami prese la pistola che aveva comprato al mercato nero, per uccidersi se non fosse riuscito a salvare sua figlia, e prese una decisione.

“Non posso abbandonarla al suo destino. Mayuko non me lo perdonerebbe mai! Vuole bene a Kaori, tanto che sperava diventasse mia moglie.”

Si alzò in piedi e si diresse alla porta, “Spero solo di fare la cosa giusta!” esclamò e corse fuori come un pazzo, pronto a prendere il suo ruolo nel gioco.

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Capitolo 17
*** 16 Giochi pericolosi ***


Il sole stava sorgendo all'orizzonte e Uragami continuava a camminare avanti e indietro, osservando l'atrio della palazzina di Kaori.

Sapeva tutto, fin nei minimi dettagli. Dal giorno del rapimento della figlia, aveva fatto parte di quel gruppo solo per salvarle la vita.

Il suo futuro matrimonio con l'infermiera era sfumato proprio a causa di quel gioco pericoloso. L'aveva vista andar via, sbattendosi la porta alle spalle e urlandogli il suo rancore, ma non gli importava. L'unica persona che assillava i suoi pensieri era sua figlia e, fino a quando non l'avesse ritrovata, le altre potevano anche andare tutte al diavolo.

Allora perché con Kaori era diverso?

Perché si era spinto fin là, pronto a tutto pur di salvarla?

Si fermò un momento, fronteggiando il suo riflesso sul vetro della macchina.

Lo sapeva, anche troppo bene.

Quando la incontrò la prima volta, aveva notato che il suo cuore non era libero. Era una donna timida, ma forte e sicura dei suoi valori. Innamorata com'era non avrebbe mai ceduto al suo corteggiamento, così non ci aveva neppure provato, eppure non gli era mancata la tentazione e adesso, forse, poteva avere qualche speranza.

Se ciò che gli era stato raccontato era vero, cioè che Ryo aveva perso ogni ricordo di lei, si sarebbe dovuta rassegnare e allora, lui, avrebbe potuto prendere quel posto che era rimasto vuoto. O quantomeno avrebbe potuto tentare.

Mayuko ne sarebbe stata felicissima.

Inspirò profondamente, cercando di raccogliere il suo coraggio, poi voltò le spalle all'edificio e si diresse verso una piccola palazzina a due piani, recentemente costruita proprio lì di fronte.

Attraversò l'atrio e scese le scale che portavano al seminterrato, varcò la prima porta alla sua sinistra e scese ancora delle scale, stavolta molte di più, arrivando a circa tre metri sotto terra.

Si fermò di colpo davanti un lungo corridoio, pieno di porte e passaggi segreti. Inspirò di nuovo e riprese a camminare, percorrendolo tutto. Sapeva bene dove portava.

 

Ryo stava perlustrando la casa. Erano passati appena venti minuti da quando aveva accettato la sfida e ancora non aveva trovato neppure una bomba.

Saeko era seduta sul divano accanto a Mick e, silenziosa, guardava lo sweeper, intento a cercare.

Mick, dal canto suo, sorrideva divertito. In quella stanza, l'unico ad aver capito cosa stesse facendo Ryo, era lui.

La detective non sapeva a che gioco stesse giocando, ma si fidava ciecamente delle sue scelte. Se fino a quel momento non aveva sbagliato, quella non sarebbe stata la prima volta, non solo perché c'era di mezzo la vita di Kaori, ma perché quello non era il solito Ryo, assuefatto alla vita cittadina. Quell'uomo era una macchina da guerra tornato all'origine, resettato, in un certo modo.

 

Kaori se ne stava seduta a fissare il muro dove le immagini dei tre venivano proiettate. Sorrideva anche lei, sicura del suo partner, ma inquieta. Non voleva lasciargli fare tutto il lavoro, voleva aiutarlo.

“Allora, bella dea della luce, che ne pensi di questa situazione?” domandò la voce all'improvviso.

Non sussultò neppure, Kaori, si limitò a stringersi nelle spalle.

“Se continua così, il tempo scadrà prima ancora che ne abbia trovata una sola e tu dovrai morire. Non pensi che lo stia facendo apposta?”

La donna sorrise di nuovo e rispose alzando la voce, quasi strillando, “Questo è ciò che sembra e se anche fosse mi andrebbe bene. Meglio morire così che di sete!”

“Andiamo, non crederai che ti possa salvare, vero?” la canzonò la voce.

Di nuovo alzò la voce, “Non mi interessa! Io mi salverò da sola! Non sono più una sprovveduta e prima che scada il tempo uscirò da qui!”

Dagli altoparlanti arrivò una risata divertita, stridula e volgare, poi un suono come d'allarme si insinuò nel sottofondo, “Che succede?” chiese la voce a qualcuno.

“Non so, capo. Sembra che ci sia un intruso nel perimetro.”

“Cercatelo e portatelo da me!” urlò prima di interrompere la comunicazione.

Kaori prese coraggio, convinta che per qualche minuto non sarebbe stata spiata e, nascondendosi nelle zone d'ombra, iniziò a percorrere il perimetro battendo con le nocche sul muro. Un passaggio doveva esserci, un punto debole in quella costruzione grezza in cemento e mattoni. E se non c'era, doveva trovare almeno le bocchette che facevano uscire il veleno.

 

Uragami continuava a camminare a passo deciso. Aveva il corpo pervaso di paura, per sua figlia, per Kaori e per se stesso.

Fece altri dieci passi e poi si trovò investito da una luce artificiale bianca e accecante. Girò il volto di lato, chiudendo gli occhi e mettendo una mano a difesa della vista, “Sono Uragami, sono qui per vedere il capo. Non sono armato!” e, così dicendo, sollevò le mani in segno di resa.

“Che diavolo ci fai tu qui?” sbottò con rabbia il capo che aveva raggiunto il gruppo, “Sai bene che venire qui non rientra nei patti.”

Uragami si mise in ginocchio davanti a lui e abbassò il capo, “Ti prego, sono due giorni che non mi fate parlare con mia figlia. Sto impazzendo di paura. Fatemela vedere, fatela tornare a casa, è solo una bambina!” esclamò con le lacrime agli occhi e la voce pietosa, “Continuerò a lavorare con voi, vi aiuterò sempre, ma ridatemi la mia bambina, vi prego!” e si prostrò ai suoi piedi.

Il capo rise cupamente e gli pose un piede sulla testa, “Potrei anche farlo, volendo, ma il problema è proprio questo, che non voglio.” si grattò un attimo la barba, leggermente incolta, e si tolse gli occhiali da sole, “Però, sai bene che amo i giochi, così ti propongo una sfida. Violenta Kaori e ti ridarò tua figlia!” e di nuovo scoppiò a ridere, stavolta in modo sadico.

Amava mettere in difficoltà le persone e fargli fare qualcosa che andava contro la loro indole.

Uragami accennò un assenso con il capo, continuando a piangere disperato.

Ad un cenno del capo due uomini lo sollevarono e lo portarono via.

 

Ryo stava perlustrando la casa, adagiando l'orecchio contro tutte le pareti di ogni stanza. Il tempo scorreva velocemente e non mancava molto allo scadere della sfida. Intanto Mick e Saeko guardavano la proiezione e non vedendo più la donna, la detective si allarmò.

“Che le sarà successo?” bisbigliò all'orecchio dell'americano.

Lui sorrise, “Se la conosco bene sta facendo la stessa cosa che fa lui!” e, con la testa, fece cenno verso Ryo.

Saeko sospirò. Per la prima volta aveva paura a chiedersi come sarebbe finita.

 

Di punto in bianco Kaori si fermò e si rimise seduta nel suo angolino. Aveva percepito uno strano rumore e non voleva farsi scoprire.

Qualche secondo dopo la porta della stanza si aprì ed entrò un uomo. Lo riconobbe subito, ne percepì quel forte odore di dopobarba maschile, così diverso da quello a cui era abituata.

Gli corse incontro e gli afferrò le mani, “Signor Uragami, che ci fa lei qui?” domandò ansiosa.

Quello abbassò il volto, ancora rigato dalle lacrime, “Perdonami.” sussurrò.

Lei non capì a cosa si stesse riferendo fin quando lui non l'afferrò e la gettò a terra.

Ci fu qualche istante di lotta, ma alla fine Kaori si trovò intrappolata sotto l'uomo, i polsi bloccati da una mano e il corpo preda del suo assalitore.

“Se fai la brava e mi lasci fare, ci salveremo tutti, anche la mia Mayuko.” le sussurrò all'orecchio ed iniziò a baciarle il collo con lascivia.

Kaori urlò e cercò di divincolarsi, poi quello aggiunse qualcosa, sussurrandole ancor più piano all'orecchio e lei si fermò. Spalancò gli occhi e una piccola lacrima le solcò la guancia.

 

Mick saltò in piedi, come se una scarica elettrica avesse percorso il suo copro, “Ehi, bastardo!” urlò contro la parete, “Questo non fa parte della sfida! Che cavolo significa?”

La voce rise, “Su su, mio gentile ospite. Godetevi lo spettacolo invece di fare tutte queste storie. In fondo è solo un gioco no?”

“Un gioco? UN GIOCO?” urlò l'americano, preda di una cieca rabbia.

“Mick, fai silenzio!” ordinò Ryo, per nulla afflitto da quella situazione.

Il biondo stava per dirne quattro anche a lui, ma Saeko lo fermò, accennando un no con la testa. Neppure lei si era scomposta di fronte a quella visione.

L'uomo iniziò a respirare velocemente, come se stesse per andare in iperventilazione, poi fece un respiro più lungo e si sedette nuovamente, dando le spalle al muro.

Non avrebbe guardato. Non voleva vedere Kaori violata da un altro uomo.

 

“Perdonami.” ripeté Uragami, poi con una mano scese verso le cosce della donna e ancora più giù, arrivando a toccarle le caviglie, “Perdonami!” sussurrò.

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Capitolo 18
*** 17. Fino all’ultimo istante ***


Kaori urlava e si divincolava ma la stretta di Uragami era più forte. Piangeva, gridando aiuto. L’uomo ansimava. Nonostante tutto ci stava provando gusto. Il sapore della donna, il suo odore, la voce affannata e stridula. Faceva fatica ad ammetterlo ma l’aveva sognata così tante volte. La voleva tutta per sé.
La donna continuava a lottare sotto quel gioco violento. Non lo voleva, il terrore e la paura, l’avevano soggiogata, continuava a piangere, sperando che finisse presto, che Ryo non guardasse, che non pensasse mai quanto era sporca. La sua ribellione non serviva a nulla, non aveva possibilità. Se il dazio da pagare per la salvezza di tutti, era quello, allora bene! Almeno nessuno avrebbe perso la vita.

Intanto dagli altoparlanti arrivava la risata dello sconosciuto ideatore che li aveva messi in quella situazione. Si stava divertendo. Da una parte la sacra socia di Ryo che, perfetta, pulita, urlava disperata; dall’altra, lo sweeper più famoso di Shinjuku che prendeva a pugni tutti i muri dalla rabbia, mentre il suo amico americano stritolava con le mani il divano. Solo Saeko, se ne stava seduta immobile, guardando la proiezione, troppo traumatizzata per dire qualcosa. La vendetta stava venendo meglio di quanto si aspettasse, a poco a poco, tutti avrebbero pagato e lui finalmente si sarebbe ripreso quello che era sempre stato suo: Shinjuku. La rivoleva, la sua città, sotto il suo controllo.

Uragami si abbassò verso l’orecchio di Kaori, lei emise un lieve gemito misto alle lacrime. Aveva finito.
“Scusami!” le sussurrò imbarazzato, poi notò i segni che aveva lasciato sui suoi polsi e la guardò contrito. Kaori non rispose, si limitò a voltarsi dall’altra parte, il volto rigato dalle lacrime. L’uomo si alzò in piedi e tirò su la zip dei pantaloni. Era ancora ben visibile il rigonfiamento del suo membro.
“Ho fatto come hai detto, adesso, ridammi mia figlia, rispetta i patti!” urlò.
La voce rise, “Sì, certo! Un patto è un patto come una sfida è una sfida e tu hai vinto. Riavrai tua figlia!” A quelle parole la porta si aprì e Uragami uscì dalla stanza, non prima di aver fatto un cenno a Kaori, che si era di nuovo rintanata nel suo angolino, piena di mille sentimenti contrastanti e della paura che Ryo la trovasse indegna. Era sporca ai suoi occhi, anche se lo aveva fatto perché non le restava altra scelta, era comunque sporca. Se prima Ryo l’aveva amata, adesso, dopo quello a cui aveva assistito, non era possibile recuperare quell’amore. Ricacciò indietro le lacrime e cercò di farsi coraggio. L’aveva voluto lei. Dare la colpa alla salvezza di tutti era ingiusto. In fondo non le era dispiaciuto poi così tanto. Da quando Ryo l’aveva dimenticata, si era chiesta cosa si poteva provare tra le braccia di un altro uomo e, nel momento in cui aveva rivisto Uragami, una parte di lei aveva ceduto ai suoi ricordi di quei giorni in cui si era convinta di essere l’innamorata del padre di Mayuko. Se il destino li voleva separare davvero, lui sarebbe stato la sua seconda scelta.

Il cuore aveva vacillato e la mente con lui. Il solo fatto che i due uomini si somigliassero così tanto alla vista era sufficiente. Almeno avrebbe potuto avere la copia fisica di Ryo. Riprese a piangere. Trasportata ad quei pensieri.
“Mancano solo pochi minuti!” esclamò la voce divertita. Kaori si fece coraggio. “Che ne è della piccola Mayuko?” domandò con voce tremula.
L’immagine proiettata cambiò e lei poté osservare, invisibile, il ricongiungimento di padre e figlia tra le lacrime. Li vide allontanarsi sulla macchina di lui e, anche solo in piccola parte, il suo cuore si alleggerì di un problema.
“Come vedi io rispetto i patti. Sono un uomo d’onore, mia cara dea della luce.” Disse canzonatorio, “ E adesso è il momento degli addii. Mancano solo pochi minuti allo scadere del tempo e, visto che sono un uomo generoso, vi permetterò di salutarvi un’ultima volta.” In quel momento ci fu uno strano suono stridulo, e d’improvviso la stanza di Kaori fu pervasa da una voce familiare.

“Kaori!” gridò la voce di Mick, “Kaori!”
Ryo aveva smesso di cercare e si era seduto con gli altri sul divano. Alle parole della voce Mick era scattato di nuovo in piedi.
“Mick!” la sentì chiamare “Mi senti?”
“Sì, Kaori, ti sentiamo tutti.” Fece, contrita la voce della detective. Kaori ebbe un tuffo al cuore, nel sentirla, “Saeko, scusami, volevo aiutarti invece ho fatto casino come al solito.”
“Non ti preoccuapare, sistemiamo tutto anche questa volta!” esclamò dolce la detective.
“Assolutamente! E con il tempo, dimenticherai!” esplose Mick con il cuore tormentato dai senti di colpa, per non aver potuto fare nulla.

 Ryo la osservava silenzioso e Saeko gli diede una gomitata sul braccio, invitandolo a palare con un cenno del capo. Kaori sorrise, “Non fa nulla se non vuole parlare” Disse triste, “in fondo non avrebbe nulla da dire, non sa neppure chi io sia. Ma, Ryo” fece, rivolgendosi a lui con voce carica di sentimento, “io so chi sei tu. Ti conosco bene, molto più di quanto tu creda.” Sospirò e, come se ci fosse un muro invisibile davanti a lei, aprì una mano, lasciando che il palmo coprisse la vista del suo volto.

“Il passato è passato.” Fece piena d’emozione, “Non può essere cancellato né vissuto due volte. Il tuo che ricordi, il nostro che hai dimenticato, tutto continua comunque a scorrerci nelle vene.” Prese di nuovo fiato, “Qualche anno fa ti feci fare una promessa che non hai mai rotto. Volevo che stessi con me ad ogni mio compleanno e vigilia di Natale. Non lo ricordi sicuramente, ma io sì.”
“Quella è stata la promessa della mia vita. Averti con me, in quei due soli giorni, mio e solo mio, mi bastava. Però le cose cambiano.” Ryo la osservava tacito, “Ti sviolgo dalla tua promessa in cambio di una nuova.”
“Dimmi.” Fece lui atono.
“Promettimi che festeggerai sempre il Natale e che vivrai a lungo.” Disse lei con forza.
Ryo si alzò in piedi e prese la stessa posizione della donna “Lo prometto.” Si limitò a dire. Se anche Miki fosse stata lì, avrebbe avuto il cuore carico di gioia. Era come rivivere la scena madre sulla nave di Kaibara. Le mani separate da un vetro, gli occhi fissi negli occhi, la dolcezza e purezza di una promessa che non voleva essere infranta.

La voce rise di gusto, “Che addii inutili! Mi aspettavo di meglio. Vorrà dire che sulle vostre lapidi farò scrivere: Qui giace City Hunter, inutile fino all’ultimo istante. E adesso, miei cari, il conto alla rovescia!”
Una voce computerizzata iniziò il countdown partendo da quindici. Ryo e Kaori si scambiarono un’altra sola occhiata e si sorrisero, poi si diedero le spalle, lui guardando il muro dietro di sé, lei guardando lo specchio.
“Dieci… nove…. Otto…..”
Erano i loro ultimi istanti ed avevano una sola possibilità.
“Sette…..sei….cinque….quattro…..”
Dovevano fare bene o sarebbe stata la fine.
“Tre…..due….uno…..”
“Zero!” urlarono Ryo e Kaori all’unisono.






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Note dell’autrice: Ciao a tutti, sono Vianne1013 amica di Tsuki, vi volevo informare che, su richiesta di Tsuki, sto inserendo io gli ultimi capitoli della storia. Lei mi ha fornito tutti i fogli su cui ha scritto la storia e, a breve, io li posterò online, compreso l’epilogo. Tsuki vi saluta tutti e non vede l’ora di tornare, appena rientrerà in possesso del pc.
Ciau a tutti ^_^

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Capitolo 19
*** 18. Faccia a faccia con la morte ***


Tutto avvenne in una frazione di secondo. Come se si fossero messi d’accordo, Ryo e Kaori urlarono “Zero”, estraendo le pistole e mirando davanti a loro. Ryo, con la sua grande abilità, centrò quattro volte lo stesso buco, colpendo alla spalla qualcuno che urlò di dolore. Kaori mandò in frantumi lo specchio che rivelò un’altra stanza, più piccola della prima, piena di pannelli di controllo, monitor e microfoni. Sparò di nuovo e colpì un uomo alla mano, facendolo cadere all’indietro dalla sedia.

“Maledetta ragazzina!” tuonò l’uomo, avventandosi sulla pistola, ma Kaori era migliorara e in men che non si dica si era nascosta nell’ombra della seconda stanza. Nello stesso istante Mick si era fiondato alla porta, portandosi dietro Saeko. Ryo aveva dato tacite istruzioni e lui le stava eseguendo. La sweeper gli andò dietro, tirando un filo, che come aveva constato, era collegato a tutte le trentasette bombe sparse per la casa. Il muro, dove prima era proiettata l’immagine Kaori, crollò, lasciando libero il passaggio per quella che era diventata la cella di Kaori.
Nascosto nell’ombra si fece avanti. I due uomini colpiti gemevano a terra tra i lamenti. Percepì Kaori, nascosta lì vicino, e qualcun altro, una persona dall’aura piena di rabbia.

“A quanto pare il tuo gioco è finito male, vero?” lo canzonò divertito, “Come vedi sono una preda più difficile di quel che sembra!”
La sweeper a sentire la voce calda di Ryo, prese coraggio e uscì dal suo nascondiglio d’ombra.
“Hai sbagliato i tuoi calcoli, coniglio!” incalzò, “Non è così che si gioca!”
“Questo lo pensate voi! Ma sono ancora in vantaggio! C’è sempre il veleno!” Guaì quello mascherando malamente la sua paura.
“Scommetto che stai prendendo tempo.” Fece la voce di Mick da uno dei walkie talkie, “Mi spiace doverti informare che i tuoi uomini sono tutti ko!”
“Da quello che vedo fanno parte di una banda della malavita locale!” esclamò Saeko divertita, “Ingaggiarli deve esserti costato una fortuna!”
L’uomo uscì dal suo nascondiglio velocemente e afferrò Kaori, che fece cadere a terra l’arma e, presa alla sprovvista, la calciò in un luogo buio.
“Secondo voi ho speso tanto? Non troppo in effetti! Mi sono costati solo una dose!” ed estrasse una siringa dalla tasta della giacca, “È un gioco che abbiamo già fatto, questo!”

Mick e Saeko entrarono nella stanza proprio in quel momento. “Fermi dove siete o la vostra amica si farà davvero male.” Disse, ridendo e puntando l’ago alla sua gola. “De-javù!” esclamò, poi si voltò verso Saeko e fece una faccia delusa. “Non mi riconosci, detective Saeko?” le  chiese in vena di gioco.
La donna lo osservò bene. Le luci erano accese in quella stanza, e, anche se soffuse, lo poteva veder bene. Una barba leggermente incolta copriva un poco la mascella squadrata, gli occhi erano piccoli e cattivi. Ci pensò su un secondo e poi sbiancò “Iwadate!” esclamò.

“Oh, vedo che ti sei ricordata di me!” disse quello, “Non sai quanto ne sia felice!” e avvicinò di più la siringa a Kaori.

“Che diavolo vuoi fare?” domandò Mick, preda di una sensazione sgradevole.

“Nulla di male, davvero!” rispose l’ex poliziotto con voce tranquilla “solo finire il nostro gioco!”
Ryo si fece aventi, “Il tuo problema è con me, no? Allora risolviamolo!”

“Ma lo stiamo facendo.” Asserì l’uomo divertito più di prima, “Ho solo dovuto cambiare qualcosa!”

Mick si poggiò alla parete e incrociò le braccia, “Di solito a questo punto i nemici fanno un bel monologo in cui spiegano il perché delle loro azioni.” Disse scocciato, “Quindi prego, illuminaci sui tuoi così importanti motivi!”
Saeko fece una mezza risata, Kaori, in imbarazzo anche per il suo vestiario, diede un colpo di tosse e Ryo, come se fosse stanco rimise la Python nella fondina e si lasciò cadere su una sedia vuota. Iwadate si ritrovò invaso dal loro silenzio d’attesa e per una frazione di secondo si sentì preso in giro, poi scoppiò a ridere, “Con gente come voi le spiegazioni non servono, vi dirò solo una cosa invece: ho vinto io! Comunque la mettiate ho vinto!”

“Dici?” domandò Ryo interessato.

“Ovvio non credi?” rispose quello soddisfatto, “Tu non hai più proiettili, i tuoi amici non hanno neanche la pistola e la tua bella è praticamente inutile. Qualsiasi cosa voglia fare, posso farla!”
“Dimostralo!” lo sfidò lo sweeper.

Iwadate sorrise sadico, con gli occhi carichi di odio, rivolse lo sguardo a Kaori, e le girò il viso dall’altra aprte, “Non doveva finire così. Dovevi essere in punto di morte a causa del veleno e Ryo doveva supplicarmi di darti questa per farti sopravvivere al veleno!”
“Cos’è? Un antidoto?” chiese lei divertita.

L’uomo sorrise, “No, cara dea della luce, questa è PCP!” e affondò la siringa nel suo collo. Di nuoto tutto si svolse in una frazione di secondo. Mick, impallidito a quelle parole si fiondò su di lei,; Saeko smise di respirare per un secondo; Kaori, sbatte gli occhi, urlando con tutto il fiato che aveva in gola e Ryo…

Ryo, che poco prima aveva raccolto la pistola di Kaori ancora carica, lo colpì in fronte. Un solo colpo, preciso al millimetro proprio in mezzo agli occhi, stile esecuzione. Kaori cadde a terra venendo meno alla stretta del suo assalitore, e fece per toccarsi il collo dove era ancora la siringa ma Ryo le fermò la mano.
“Non toccare, faccio io.” Disse con voce calma e sfilò l’ago, “Non ha fatto in tempo ad iniettare la droga, guarda!” fece, mostrandole la siringa ancora piena. Kaori sospirò sollevata e ringraziò con quel suo solito sguardo pieno d’amore. Finalmente, dopo tanto tempo si toccavano di nuovo.

“Kaori!” fece Mick, avvicinandosi e guardandola un po’ imbarazzato vista la nudità della donna, “Dove hai preso la pistola?”
Anche lei era in imbrazzo e si voltò di lato per non incrociare lo sguardo di nessuno. Ryo comprese i suoi pensieri e, togliendosi la giacca, gliela drappeggiò sulle spalle. Si scambiarono di nuovo uno sguardo intenso. Kaori riconobbe il suo Ryo in quegli occhi ma poi l’uomo scostò il viso. Quell’attimo di magia, che le aveva riempito il cuore di false speranza, si era spezzato ed anche lei.

Ricacciò indietro una lacrima e, fingendo tranquillità, si voltò verso Mick, “La pistola me l’ha data il signor Uragami.”

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Capitolo 20
*** 19. Ombre ***


Mick se ne stava seduto sul davanzale della finestra, guardando dritto di fronte a lui. Un sorriso triste gli si affacciò sul volto, poi scomparve appena le finestre dell’appartamento davanti a lui vennero chiuse.
“Kaori è appena andata via?” domandò Kazue, avvicinandosi e mettendogli una mano sulla spalla. La bloccò in un abbraccio molto intimo e accennò un sì con la testa, “Non doveva finire così!” esclamò pieno di tristezza.
“Lo so.” Disse la dottoressa, massaggiandogli la schiena con la mano, cercando di consolarlo, “ tutti speravamo in un finale diverso.”
Anche lei era triste. Sapeva che quello non era un addio definitivo eppure era come se un muro si fosse appena alzato tra tutti loro. Mick la baciò dolcemente sulle labbra, ridestandola dai suoi pensieri, “Darling, vado a farmi un giro, non mi aspettare sveglia!”
Kazue sorrise comprensiva, “Fammi sapere dove vive, così le farò una sorpresa!” rispose dolcemente. L’uomo uscì accennando un ok con la mano e  s’incamminò ripercorrendo i passi della donna.

Kaori camminava assorta nei suoi pensieri. Quando finalmente rimase sola con Ryo cercò di spiegargli cos’era successo, ma quello non volle ascoltarla.
“Non so se ti tenessi con me per pietà o per altro, ma non sono più quell’uomo e restare qui non ti è possibile!”
Il linguaggio del corpo parlava meglio di lui. Era nervoso, infastidito e deluso. Non solo si era cacciata in un guaio che li poteva far morire tutti ma, cosa ancora più importante, aveva permesso che qualcuno violasse incontrollato quella csa e per chi faceva quel ‘tipo’ di lavoro, la casa era fondamentale.
Kaori non aveva proferito parola, si era limitata ad abbassare la testa, contrita e costernata. Non aveva neppure provato a discolparsi e aveva fatto bene. Le bombe scoppiate aveva distrutto mezza casa risparmiando giusto la cucina e la camera da letto di Ryo, ma salone, bagno e le altre stanze erano praticamente distrutte.

Andando via, gli aveva lasciato sul tavolo un libretto bancario, in cui aveva versato tutti i soldi guadagnati in quell’anno. Non erano molti ma di sicuro, servivano più a lui che a lei ed in fondo era giusto che pagasse per il suo errore.
Non le aveva permesso di spiegare nulla ed in silenzio, com’era arrivata, se n’era andata dalla sua vita, per sempre. Adesso percorreva tacita la strada verso il parco, da lì, ritornare al vecchio appartamento di suo fratello richiedeva solo pochi minuti di cammino e in quel momento camminare era un sollievo.  Poteva ripercorrere tutta la sua vita senza essere disturbata da inutili domande. Neppure lei sapeva dire se era terribilmente triste o tremendamente infelice, ad ogni modo quella fine era la sola cosa di cui era sicura.

L’aveva sempre immaginata come unica soluzione di quel rapporto. I sogni e le speranze che aveva accompagnato le sue più rosee aspettative finiva sempre in quel modo. Ma le sembrò meno doloro di quanto immaginava. Adesso non le restava che rimettere insieme i pezzi di ciò che era e andare avanti.
Entrò in quella vecchia casa, sfitta da quando era morto Hideyuki, ed iniziò a sistemarla affinché fosse di nuovo abitabile. Mick la osservò da un vicolo. Non era molto lontana dalla zona dei piaceri di Shinjuku ma almeno lì sarebbe stata al sicuro e, se lui e gli altri, non si fossero più immischiati nella sua vita, avrebbe potuto trovare la felicità di una vita normale che le aveva sempre auspicato Ryo.
Attese qualche altro minuto e, spegnendo in terra la sigaretta, le fece lo stesso cenno d’addio di quel giorno, quando il suo aereo esplose nel cielo. Anche lui, come Ryo, Umibozu, Miki e Kazue, aveva i suoi demoni, non poteva occuparsi pure di quelli di Kaori, ma era certo che non ci sarebbero stati grandi problemi per lei.

Sospirò, indeciso e un po’ preoccupata, poi tornò sui suoi passi, per riferire alla dottoressa ciò che sapeva.
Kaori lo vide andare via e sorrise. Almeno aveva ancora degli amici.
Passarono alcuni giorni di silenzio. Tutti avevano ripreso le loro vite, solo Saeko continuava ad indagare spasmodicamente. Voleva delle risposte e stavolta le voleva complete.
Ryo si era rimesso a lavorare come City Hunter, aiutato da Mick e una sera, tornando da un bar a luci rosse, affrontò quella questione che prima lo aveva ricondotto a Tokyo.
“Mick….” Iniziò con voce seria ma l’altro l’interruppe con un gesto.
“Non farmi domande, Ryo. Quel passato che abbiamo condiviso a Los Angeles non esiste più e non ti dirò nulla di ciò che accadde all’epoca. Fatti bastare ciò che abbiamo adesso. Il vecchio duo è tornato. City Hunter non cesserà mai di esistere.” Gli rispose con voce stanca.
“Perché non vuoi parlare?”  incalzò lo sweeper.
L’americano sorrise, “Hai deciso di non voler ricordare lei, ma vuoi ricordare il resto? Impossibile! O tutto il pacchetto o niente!”
Ryo sembrò riflettere a quelle parole, ma il significato gli sfuggiva di mente.
“Non ti scervellare troppo!” esclamò divertito Mick, “Se vuoi ricordare quel passato un modo c’è. Ricordati di Kaori e vedrai che il resto tornerà da solo.” Lo salutò con la mano e, bava alla bocca, salì le scale per andarsi a prendere il premio dei suoi sforzi giornalieri.
Ryo sorrise e per un attimo s’immaginò fare lo stesso con Kaori. Rientrare in casa e trovarla sola, preoccupata, in sua attesa, pronta a riceverlo con….. dolore!
Le si solito a quel punto gli tirava in testa un martello pesante. Scoppiò a ridere. Ma come gli era venuto in mente che quella ragazzina così esile e delicata avesse forza abbastanza per brandire cosi del genere?

Si passò una mano tra i capelli e sentì al tatto la cicatrice, altro ricordo legato a lei, da quel che sapeva. Sospirò, deluso di non poter ricostruire quella parte di passato legata a Mick, e si diresse verso casa, ma si fermò vedendo dei fari arrivare.
L’auto inchiodò a pochi centimetri da lui e Uragami, vestito di tutto punto, scese per fronteggiarlo. Ryo si stupì. Era come guardarsi allo specchio e riscoprirsi con un’altra identità.

“Possiamo parlare?” domandò l’altro, la voce ferma.
Lo sweeper accennò un sì e gli fece cenno di seguirlo.
La casa non era ancora del tutto sistemata, lui, Mick e Umibozu lavoravano a ritmi serrati ma ci sarebbe voluto del tempo per finire. Fece accomodare il suo ospite su un divano nuovo e poggiò davanti a lui due bicchieri e una bottiglia di whisky di gran marca.
“Vedo che state ristrutturando. Anche questo tavolino è nuovo?” domandò, guardandosi intorno.
“Mercatino dell’usato, in effetti. Comunque sì. Il tuo amico mi ha distrutto l’appartamento.” Rispose duramente. Uragami tacque e abbassò il capo.
“Cosa ti porta da me? Vuoi offrirmi un lavoro per farti perdonare?” lo prese in giro.
L’umo si alzò di scatto e si mise in ginocchio abbassando la testa, “È stata solo colpa mia!” esclamò contrito, “Sono stato io a rivelare la posizione di questa casa a Iwadate. Mi minacciava da più di un anno usando mi figlia come ostaggio. Kaori non ha colpe, davvero!”
Ryo accavallò le gambe, bevve un sorso di whisky e si accese una sigaretta, “Tu credi?” chiese ironico “Ma non si è accorta che qualcuno aveva violato questa casa. Ha colpa, invece! Chi fa questo lavoro deve avere un luogo sicuro a cui tornare.” Fece un altro tiro e rilasciò il fumo verso il suo ospite, “Comunque anche tu hai le tue. Già una volta ho salvato tua figlia, mi hanno detto e mi hai tradito. Come posso essere sicuro che non lo farai di nuovo?”
Uragami sollevò il volto, “Non lo farò. Dopo quello che è successo puoi star sicuro che non accadrà ancora!”
La voce era decisa, anche se tradiva ansia. Si squadrarono un attimo e poi gli fece cenno di tornare a sedere.
“Che cosa volevi dirmi, davvero?” domandò Ryo incuriosito.
“Volevo…” tentò quello ma si bloccò. Non era facile parlare di certe cose. Sospirò e cercò dentro di sé il coraggio per continuare, “Volevo sapere se sei interessato a lei.” Non ottenne risposta, adesso che aveva iniziato non poteva fermarsi, “Lei ti ama, o almeno ama quello che eri prima dell’amnesia e lottare contro qualcuno come te è difficile se non impossibile. Ci vorrà del tempo ma potrebbe anche dimenticarti….”
“In pratica ne sei innamorato, giusto?” chiese stoico.
“Sì, la voglio per me!” rispose Uragami.
“Ma l’hai già avuta!” fece Ryo prendendolo alla sprovvista. Uragami abbassò la testa e accennò un no, “Era solo una farsa. Dovevamo fare quell’impressione per ingannare Iwadate ma non l’ho mai toccata in quel senso. Ammetto che per un secondo sono stato tentato, ma non potevo, non a lei e men che meno a te. Non per paura di una tua ritorsione, ma per rispetto. Rispetto di ciò che rappresenti per lei.”
“Ovvero?” chiese sorseggiandon il suo whisky.
Uragami sorrise tristemente, “Il più grande amore della sua vita, l’unico per cui venderebbe volentieri l’anima, il solo che le resterà nel cuore per sempre.”
Ryo lo fissò inespressivo, “E tu vorresti una donna che ama un altro?”
L’uomo abbassò il capo, “Ho già messo in conto che potrebbe tornare da te in qualsiasi momento. Non so perché ma penso che io sia il solo con cui potrebbe essere felice davvero.” Fece una pausa, con voce carica di dolore e amore misti insieme, continuò, “Perché, somiglio a te. Non ti potrà mai dimenticare.”

Cadde il silenzio dopo quel discorso. Uragami finì il suo drink e si avvicinò alla porta ma si fermò un secondo in più sulla soglia, “Forse mi chiamerà con il tuo nome mentre faremo l’amore, ma fa niente. Il fatto che siamo così uguali gioca a mio favore, perché col tempo il tuo ricordo potrebbe fondersi con il mio e allora saprò che è finalmente  e solamente mia. Volevo dirti questo.” E se ne andò, ignaro di aver gettato un’ombra scura sul suo interlocutore.

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Capitolo 21
*** 20. Ti aspetterò per l’eternità. ***


I mesi trascorsero inesorabili e ben presto arrivò il periodo Natalizio. Le strade si riempirono di addobbi e prematuri Babbi Natale che vendevano dolci o biglietti omaggio per serate e anche qualche bellissima donna in una versione fin troppo osé di Babbo Natale che richiamava gente nei vari locali.
Le vide di tutti trascorrevano come sempre. Kaori passava al Cat’s Eye ogni giorno dopo il lavoro: era diventata una segretaria, nella ditta televisiva di Uragami, e si trovava bene.
Da quello che raccontava, Miki e Kazue erano certe che fosse felice. Il lavoro le piaceva, Uragami era un vero gentiluomo, pieno di fascino e carisma, e la piccola Mayuko, sempre più peperina, ne approfittava ogni volta per farla andare a cena a casa loro.

Kazue ne era contenta e più di lei Kasumi. Ogni volta che arrivava Ryo al locale gli saltava addosso proponendogli appuntamenti galanti, fregandosene  se Kaori guardava o ci restava male.
“In guerra e in amore tutto è permesso!” aveva detto a Miki quando l’aveva ripresa per il suo comportamento sfacciato.  Solo Umibozu e la mercenaria percepivano il vero stato d’animo di Kaori.

Nel frattempo, Saeko aveva chiuso definitivamente il caso. Dopo aver messo sotto torchio la gang mafiosa e recuperata la dose di PCP venduta per comprarli, era riuscita a scoprire i legami tra Iwadate e la Union Teope.
L’uomo ne aveva fatto parte fin da quando era solo un agent, tramando con il vecchio capo anche l’uccisione di Hideyuki. Quando l’organizzazione fu debellata da Ryo, Iwadate era rimasto solo e si era fatto arrestare dopo aver attentato alla vita della ragazzina che portava in corpo il proiettile sparato da lui.
A farlo uscire dal carcere era stato proprio Kaibara, che voleva usarlo come capo della nuova Union Teope. Ma morto anche Kaibara, Iwadate aveva deciso di eliminare City Hunter prima di ricostruire l’organizzazione. Solo che aveva fatto male i suoi conti. Aveva ordinato di ucciderlo con una dose massiccia di PCP che invece gli aveva solo portato via la memoria. A quel punto, doveva far qualcosa e voleva farlo di persona, ma ci aveva rimesso la vita. Ogni suo tentativo era fallito eppure in tutti aveva lasciato una cicatrice difficile da sanare.

Adesso era Natale e le cose in qualche modo, procedevano. Un paio di giorni prima della Vigilia, Kaori aveva invitato Miki nel suo appartamento, confessandole il suo dolore. Aveva provato a guardare Uragami con occhi diversi ma, ritrovare Ryo in lui, le aveva fatto capire che non poteva sostituirlo con nessuno.
“Mi sono licenziata.” Le aveva detto, sorridendo “E finito quest’anno mi trasferirò a New York con Sayuri. Un cambiamento mi farà bene.”
La mercenaria tornò a casa con aria depressa, ma capiva fin troppo bene i pensieri di Kaori. Li aveva provati per Umibozu quando era stata abbandonata quindi, non poteva né giudicare, né consigliare. Voleva solo che quella vigilia fosse la più bella per Kaori.

Ryo, dal canto suo, sembrava fare una vita da frate. Scansava ogni donna, Kasumi compresa, e accettava solo casi complicati che spesso mettevano a rischio la sua esistenza.
“Pare che voglia farsi uccidere ai suoi stessi demoni!” aveva esclamato saggiamente Umibozu.
“Sono due stupidi!” sbottò Miki in mezzo alla strada “ Si cercano e, pure avendosi di fronte, non si trovano!” La sua frustrazione era grande e in parte si sentiva responsabile. Non aveva fatto molto per loro, ma avrebbe recuperato sicuramente.

La viglia di Natale arrivò carica di gioia e regali. Kaori si era vestita bene e con il cuore gonfio di emozioni, si accingeva ad aprire la porta del Cat’s Eye, ma la presa andò a vuoto perché qualcun altro l’aveva fatto per lei.
“Allora eri tu, l’ospite tanto atteso!” disse Ryo, senza mostrare emozioni.
Kaori sembrò non comprendere così lui le lasciò il passo e la fece entrare. Il locale era pieno di addobbi e al centro, c’era un solo tavolo con due coperti e tanti vassoi pieni di leccornie.
“Che significa? Dove sono gli altri?” domandò la donna stupita.
Ryo non rispose, si limitò a passarle un biglietto scritto in una bella grafia.
Oggi è un giorno speciale, fai il bravi e intrattieni il nostro ospite fino alla mezzanotte. E’ che un regalo che devi concedere, quindi, niente lamentele. Noi andiamo da Miki e Kazue. Miki e Umi.”
Kaori rimase senza parole, poi squadrò Ryo. Indossava uno smocking bianco. Le labbra si allargarono in un sorriso malinconico, “Scommetto che è stata Reika a scegliere questo abito.” Fece sbottando in una risata fine. L’uomo accennò un sì e il silenzio cadde tra loro. Ci volle qualche secondo prima che un leggero rumore li ridestasse da quell’attimo perso. Il ghiaccio nel secchiello si stava sciogliendo.
“Senti Ryo posso chiederti un favore?” domandò imbarazzata, l’uomo accennò un sì come risposta. “Brinderesti con me un’ultima volta?”
Si guardarono intensamente prima che lui rispondesse e sentiva che quella sarebbe stata davvero l’ultima volta.
Versò in due calici dello champagne e lo porse alla donna “Certo!” disse con voce piena d’emozione. Ci volle meno di un minuto per svuotare i bicchieri, poi Kaori afferrò un pezzetto di dessert e lo guardò divertita, “Mai bere a stomaco vuoto.”
Mangiò avida quella misera porzione, cercando di controllare le lacrime.
“Senti, immagino che vorrai raggiungere gli altri, allora facciamo un pezzetto di strada insieme ma, quando arrivi da loro, di a Miki che la ringrazio. Lei saprà a cosa mi riferisco.” Fece la donna con voce leggermente tremula.

Ryo le aprì la porta e chiusa il locale. A suo discapito poteva dire di aver provato.
Il tragitto fu silenzioso ma ad ogni passo sentiva qualcosa battere nella mente.  Camminare in quel modo era rassicurante. L’odore di Kaori gli provocava nostalgia e tenerezza. Aveva il passo leggero e gentile, qualcosa che sentiva essergli mancata.
Fu una camminata piena di ricordi pure per Kaori. L’odore del muschio bianco e delle sigarette di Ryo la inebriavano. Voleva aggrapparsi a lui, fargli sapere che lo amava anche se non era più il vecchio Ryo, anche se sembrava cambiato. Lei lo amava come il primo giorno e forse anche di più. Ma non parlò, si limitò a tenersi tutto dentro e camminare.

Solo quando arrivarono vicino al parco, lei lo afferrò per un polso fermandolo.
“Io sono arrivata.” Gli disse, sorridendo “ Ci salutiamo qui e saluta tutti gli altri per me.”
“Perché?” domandò lui, corrugando la fronte, “Che devi fare qui?”
La donna abbassò lo sguardo “Devo mantenere la promessa che mi sono fatta un po’ di tempo fa. Aspettare la fine della Viglia al parco. Aspettare che arrivi.”
Ryo non chiese altro, non era nel suo stilo la curiosità morbosa. Accettò le sue parole e la salutò con la mano.
“Addio.” Sussurrò Kaori, voltandosi e dirigendosi al parco con passo svelto.

Lo sweeper continuò  a camminare, pensando a come giustificarsi con Miki. Giustificarsi? Lui non doveva spiegazioni. Afferrò il biglietto della mercenaria che si era infiliato in tasca, più per vizio che per altro e si che accorse che era attaccato ad un altro biglietto che non aveva notato.
Ryo sii buono con lei stasera. Kaori presto partirà per New York e non la rivedremo mai più. Tu sei l’unico che lei abbia amato e continua ad amare e credimi ama anche questo te così diverso da ciò che eri. È solo per una serata. Non sprecare altri ricordi. Miki
Ryo si fermò in mezzo alla strada, mentre coppiette felici e passanti gli giravano attorno in un tumulto di risa e chiacchere. Ogni cellula del suo corpo stava elaborando la notizia.
Non l’avrebbe vista mai più. Quel muro si sarebbe trasformato in Oceano e non sarebbe stato possibile trovarla mai più. D’un tratto un conato di vomito gli salì alla gola e prese a sudare freddo. Si scostò sulla strada principale rintanandosi in un vicolo buio. Spalle al muro si lasciò scivolare a terra mentre l’oblio si prendeva la sua mente.

Erano passate diverse ore da quando lo aveva salutato. Si era seduta su quella stessa scalinata dove, appena diciassettenne, aveva scoperto che Ryo e suo fratello lavorano per una misera monetina da 50 cent. Sorrise a quel ricordo. Ne era innamorata già da allora. Aveva sprecato così tanti anni, preda delle sue paure, che ormai non poteva più dare a lui tutte le colpe.
Da ragazzina si era trasformata in donna, la sua donna eppure era stata dimenticata. Lasciò che le lacrime sgorgassero, rivivendo tutti i loro momenti più belli. Il vero nemico era il destino che li aveva separati per l’ennesima volta e stavolta per sempre. Mise una mano sulla bocca, per attutire un singhiozzo e tirò su col naso.
“Mancano pochi minuti alla mezzanotte e anche questa vigilia sarà passata con una promessa infranta.” Si disse inconsolabile. Portò le ginocchia al petto e si raggomitolò su se stessa. Il suo più grande amore sarebbe stato il suo più grande rimpianto.
Il ticchettio dell’orologio della piazza sembrava volerle dire che non c’era più tempo, che doveva rassegnarsi, ma non poteva. Non poteva cancellare tutte quelle speranze che per anni l’avevano accompagnata e non poteva cancellare Ryo.
No! Lui MAI!

Un rumore di passi la fece trasalire, non voleva che qualcuno avesse pietà di lei. Sollevò il viso e allungò le gambe, senza voltarsi a guardare chi si avvicinava. Una persona si sedette al suo fianco e lei spalancò gli occhi.
“Ho fatto in tempo. Così me ne sono persa una sola di vigilia!” sbottò l’uomo al suo fianco.
Kaori si voltò, meravigliata e stupita. “Ryo?!” fece, mandando giù lacrime e pensieri tristi.
“Scusami se ci h messo tanto a tornare. Aspettavi da molto, Sugar Boy?” domandò, accarezzandole la testa con dolcezza.
Non aveva parole per rispondere, solo paura che fosse un bel sogno dal finale triste. Ryo sembrò leggerle nella mente. Le sorrise e teneramente la baciò, “Di solito ci si risveglia dai sogni quando baci qualcuno!” disse, sussurrandole sulle labbra.
Non poté aggiungere altro perché lei lo immobilizzò in un abbraccio intenso.
“Ryo! Ryo!” sussurrò stringendolo, “Sei tornato!”
“Ci ho messo tanto vero? Nel parco mentre ti cercavo ovunque, pensavo che forse ci avevo messo troppo, che non ti avrei trovata, che non avresti aspettato!” disse con la sua bellissima voce profonda, carica di quell’amore che gli aveva dato una nuova vita.
Kaori sorrise, scuotendo la testa, “Lo sai che ti aspetterò per sempre! Ti aspetterò per l’eternità!”  Ryo non rispose, si limitò a godersi quel profondo calore che per un attimo aveva dimenticato, poi di colpo la scostò, “Bugie! Volevi andartene a New York!” disse, mettendole il broncio, incrociando le braccia in posa da offesa.
Kaori balbetto qualche parola prima di accorgersi della trappola. Sorrise e gli sussurrò di perdonarla.
“Solo se mi dici una cosa!” sbottò lui sollevando un dito.
“Cosa?”
“Chi preferisci dei due? Lo stallone di Shinjuku o il bel tenebroso del mio passato?” chiese avido. La donna lo guardò stupita. In effetti, era una domanda difficile. Per certi versi preferiva questo Ryo e per certi altri, quell’altro lui.
Ci pensò su un attimo che durò a lungo, muovendo lo sguardo a destra e sinistra indecisa.
Lo sweeper le afferrò la testa con una mano e incatenò lo sguardo nel suo, “Schiocchina. L’uno o l’altro sono sempre io!” disse canzonandola “Come puoi deciderti tra l’uno e l’altro?”
Kaori sorrise e accennò un sì, perché lei amava tutto di quell’uomo che le aveva rapito l’anima, restituendola carica d’amore. Rimasero lì, seduti, abbracciati per un po’, poi la donna si decise a chiedere un favore.
“Possiamo estendere la nostra promessa fino a tutto il Natale? Almeno per quest’anno!” domandò speranzosa. Ryo sospirò sconfitto. Sapeva che le sue armi ormai non servivano più.
“Se vuoi!” rispose lui conciso.
Il suo sì accennato bastò a dare fondamento alla promessa e un bacio dolce e intenso la sugellò.

“Ormai è fatta! Ha appeso il cappello al chiodo!” esclamò Mick a bassa voce. Miki e Kazue si abbracciarono, felici di quel lieto fine e, trascinando via Mick che voleva continuare a fare lo spettatore, se ne andarono. Solo Umibozu si attardò un secondo. Non poteva vederli ma avvertiva le loro emozioni. Sorrise sardonico.
“Auguri….” Bisbigliò e poi con voce divertita aggiunse “Tsè! Pivello!”
Ryo gli fece un cenno con la pistola, come aveva fatto sulla radura quel giorno, perché quello era un destino a cui non si poteva sottrarre.
Perché… Lui era come la luna, anche quando non si vede lei è lì e mostra sempre la stessa faccia.

Se avete bisogno d’aiuto…. Non disperate!
Andate a Shinjuku, Tokyo, Giappone.
Fermatevi alla stazione e, sulla bacheca, scrive tre semplici lettere:
XYZ.
Perché City Hunter non morirà mai, non si perderà mai e non smetterà mai di far battere il nostro cuore….
Fino Alla Fine Dei Tempi.

 
Fine.



 
Ringraziamenti dell’autrice:
Ammetto che è stato lungo finire questa sotria e non perché non sapevo come finirla, ma perché sono quasi due anni che non ho più il pc con cui scrivere. Non sto qui a raccontarvi il perché visto che sarebbe troppo lungo, quindi passo direttamente ai ringraziamenti (come  dice Vianne1013 “Non stiamo mica ad asciugare gli scogli!”)
Vi ringrazio di cuore per i commenti e per le molteplici volte in cui mi avete chiesto di terminare la storia. Vi ringrazio tutte dal profondo del cuore. Spero di non averi deluso con il finale e che, anche se solo per un secondo, vi siate innamorati dei miei Ryo e Kaori. Citarvi tutti sarebbe lungo ma sappiate che non dimenticherò nessuna di voi. Un ringraziamento va a Vianne1013 che, con pazienza e infinita gentilezza, ha messo on line il finale per me. Grazie tesoro TI VOGLIO BENE.
Arigatou
Tsuki

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