The Summer of a Thousand Dreams di Assiage (/viewuser.php?uid=909256)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici ***
Capitolo 12: *** AVVISO ***
Capitolo 1 *** Capitolo uno ***
Alice
Munro venne scaraventata in avanti mentre la canoa continuava a
sobbalzare pericolosamente sempre più vicino alle rapide, le
stesse
rapide che sfociavano nell'aspro precipizio delle cascate. Cascate
mortali.
Sto
per morire.
Il
suo stomaco si chiuse così all'improvviso che, per alcuni
terrificanti secondi, Alice pensò che dopotutto forse erano
già
precipitati oltre le cascate. Ebbe un'improvvisa visione di
sé e sua
sorella, occhi vitrei, corpi gonfi, fracassati contro le umide rocce
sottostanti.
Alice
urlò di terrore.
Avvertì
la presa d'acciaio di sua sorella Cora sulla propria mano; la
sentì
ma non la strinse in risposta in segno di solidarietà.
Morirò
in questa terra selvaggia e dimenticata da Dio.
Diversi
minuti – o forse si trattava di pochi momenti –
dopo, la canoa si
spiaggiò sulle rive sabbiose.
Affrettandosi
ad uscire insieme agli altri, Alice venne spinta e trascinata,
inciampando mentre camminava. Sentì le voci degli uomini e i
loro
mormorii, cercando invano di focalizzarsi su qualcosa per mantenere
vive le sue tenui speranze.
Sporgendo
la testa all'indietro, guardò Nathaniel spingere le canoe in
acqua,
la bocca atteggiata in una smorfia cupa. Insieme all'altra appena
spinta via da Duncan, la canoa si scontrò con la forte
corrente e
cadde giù dalla cascata.
Alice
rabbrividì. Le canoe giacevano fracassate da qualche parte
sotto di
loro- in tombe d'acqua.
Le
ore si trascinavano lente come quelle di una veglia funebre, lente
come se morissero ogni minuto che passava.
Erano
tutti bagnati fradici. Tra gli uomini si erano scaldati gli animi,
confinati com'erano in quel posto umido e scuro. Nathaniel e Duncan,
due degli uomini più testardi che Alice avesse mai
conosciuto. Era
uno scontro di acciaio e ferro. Un continuo cozzare di antipatia e
gelosia. E ora... ora erano tutti costretti dentro quel buco
montuoso, a litigare sulla polvere da sparo e sulla legge militare
inglese.
Cora
piangeva seduta a terra, le ginocchia strette al petto, i capelli
scuri arruffati che le volteggiavano intorno all'unisono con la
nebbia delle cascate. Alice avrebbe voluto trascinarsi verso sua
sorella, ma qualcosa la bloccò. Non aveva voglia di ricevere
i suoi
abbracci, di ascoltare le sue parole di conforto. Si sarebbe sforzata
di apparire coraggiosa solo per Alice. Non c'era motivo di negarle la
verità. Meglio lasciare Cora al suo dolore.
Ora,
c'era solo terrore.
Incombeva
su tutti loro, come una nebbia oscura.
Lui
stava arrivando. Il suo incubo aveva un volto. L'hurone.
Alice
lo sapeva; ne era sicura come era sicura del proprio volto, del
proprio nome. La morte stava per giungere.
Il
freddo stava diventando insopportabile. Alice tremava e
cominciò a
camminare verso uno dei bui corridoi ventosi di quella labirintica
caverna. Camminava, e tremava, e camminava, strusciando le dita
contro il muro mentre andava avanti.
Molto
presto vide qualcosa che le procurò un groppo in gola.
Stelle.
Le
stelle del cielo notturno brillavano come un faro, invitandola a
raggiungerla. Una cosa bella in quell'orrendo paese.
Alice
si sentiva intontita mentre si trascinava più vicina alla
luccicante
luce stellare. Alzò una mano, il palmo proteso, sentendo gli
spruzzi
della cascata inzupparla di nuovo.
Voleva
avvicinarsi il più possibile.... stava traballando sull'orlo
del
precipizio.... voleva toccarle. Voleva-
“Sta'
indietro!”
Si
ritrovò senza respiro, mentre cadeva all'indietro. Lo
stomaco le si
contrasse a quella sensazione improvvisa.
Gridò
e lottò contro l'abbraccio che la avviluppava, contro le
braccia che
così prepotentemente circondavano la sua esile figura.
Uncas.
Se
ne rese conto tardivamente quando la voce profonda di lui
mormorò il
suo nome. Uncas premette le sue labbra calde contro la sua fronte con
una tenerezza che Alice non si aspettava. Scostandole i capelli
bagnati dal viso, la strinse più forte contro di
sé, guardandosi
intorno per assicurarsi che non avesse rivelato la loro posizione.
Uncas.
Il
suo corpo forte aveva quel calore che lei così tanto
cercava. Lo
aveva percepito quella notte in cui si erano nascosti nel terreno di
sepoltura. Notando la sua lotta per contenere la paura, Uncas aveva
lasciato in fretta il suo fucile e l'aveva fatta scivolare sotto di
sé, coprendole la bocca con la mano. Profumava di erba e e
pino.
“Signorina
Alice,” sussurrò Uncas, il respiro calmo,
“tornate da vostra
sorella.” E cominciò ad allentare la presa su di
lei.
In
quel momento Alice aprì gli occhi e voltò il capo
per fissare lo
sguardo nei suoi scuri occhi ombrosi. Non voleva lasciare il suo
abbraccio. Si sentiva al sicuro. Lui la faceva sempre sentire al
sicuro.
“Uncas...”
fu la sua debole risposta. Si aggrappò persino
più forte alla sua
camicia bagnata, scuotendo la testa. Non voleva andare via. Non
voleva essere costretta ad affrontare ciò che c'era
lì fuori.
Voleva rimanere nel suo abbraccio più a lungo possibile.
Lui
cominciò delicatamente a districare le sue mani dalla
camicia. Lei
gli si aggrappava anche mentre lui continuava a ripetere che doveva
tornare dagli altri. Doveva.
Senza
pensare Alice gli scostò le mani e salì sopra di
lui, le cosce
intorno ai suoi fianchi.
Lui
spalancò gli occhi. In quei pochi giorni in cui si erano
conosciuti,
e nonostante tutti i pericoli che avevano affrontato, quella era la
prima volta in cui lui appariva spaventato.
Non
era abbastanza. Qualche impulso misterioso stava guidando le sue
azioni, e tutto ciò che poteva fare era arrendersi ad esso.
Alice
si sollevò più in alto sul suo bacino. Si fece
leva poggiando le
mani sulle sue spalle- le sue labbra incontrarono quelle di lui.
Calde, invitanti, imploranti.
Uncas
si tirò indietro, gli occhi che sondavano quelli di lei. La
sua
determinazione nel rimandarla dagli altri c'era ancora, ma erano le
sue mani a tradirlo. Come sempre. Guidandola, aiutandola, calmando le
sue paure; le sue mani tradivano i suoi sentimenti per la ragazza
inglese. Le sue mani ora si muovevano di volontà propria
intorno
alla sua vita sottile, i suoi pollici erravano-
Si
ritrasse, lo sguardo contrito. Non poteva toccare ciò che
non era
suo.
Alice
rabbrividì. L'orribile paura che stava crescendo in lei
esplose.
Improvvisamente la sua mente vacillava. Lasciò che la paura
la
invadesse. Cancellò tutti i suoi ricordi, tutta la sua vita.
Solo
lui esisteva.
Quello
che accadde dopo fu così rapido, e quasi senza ragione. Era
tutto.
Era la sua paura, il panico, la sua angoscia. Erano le mani di lui, e
i suoi occhi, e la sua gentilezza.
Si
premette contro di lui in un movimento frenetico, le sue ginocchia si
contrassero contro i suoi fianchi. Voleva di più. Voleva
provare
tutto ciò che poteva. Ormai non ragionava più.
Alice
sentì il respiro di lui accelerare. Uncas abbassò
lo sguardo sul
proprio grembo, le mani che si muovevano lentamente dalla vita alle
costole di lei.
Non
era abbastanza. Lei sollevò la gonna.
I
minuti successivi furono caotici, un contrasto di emozioni- la
cautela di lui contrapposta ai movimenti sfrenati di lei. Lei voleva
sentire, e così fu.
Sentì
il dolore acuto che sbocciò nel suo corpo, ma che
ignorò. Sentì la
sua solidità e il suo calore riempirla. Quando Alice
sussurrò il
suo nome, sentì ognuno tendersi verso l'altro, il suo bacino
sfregare il proprio, perché entrambi dovevano aver percepito
che il
tempo stava per finire.
Dopo
lui la tenne stretta a sé, il respiro che rallentava fino a
diventare un leggero ansito. Alice riusciva a sentire il battito di
entrambi i loro cuori. Sentì allontanarsi quegli ultimi
frenetici
minuti. Si sentiva stordita, e non solo dall'affaticamento.
Alice
si irrigidì.
Che
cosa ho fatto?
Le
mani di Uncas le diedero forza, e lui cominciò a intrecciare
una
ciocca dei suoi capelli umidi e lisci. Erano ancora nella stessa
posizione. Non si era mossa da quando avevano... avevano...
Strappandosi
alla sua stretta, Alice si alzò in fretta e, ignorando
l'uomo con
cui aveva appena giaciuto, tornò dagli altri.
Ma
poteva sentire il suo sguardo su di sé.
Alice
fu determinata a non guardarlo di nuovo.
Il
sole accecante illuminava senza pietà il mondo sottostante.
Una
beffa. Non c'era più bellezza nel mondo, solo morte.
Alice
veniva trascinata come un bagaglio dai guerrieri huroni, che
seguivano il loro capo in una silenziosa processione lungo i sentieri
della montagna. Quando inciampò e cadde, nessuno
l'aiutò. Fu
trascinata sul terreno, procurandosi delle abrasioni, finché
non fu
in grado di rimettersi in piedi.
Suo
padre era morto. Sua sorella era morta. L'ultima volta che aveva
visto i loro salvatori, era quando si erano lanciati nelle cascate
del loro nascondiglio, a centinaia di piedi d'altezza. Dubitava che
fossero sopravvissuti. Sperava che l'aspettasse una morte rapida,
perché era stanca del mondo. Aveva diciassette anni, e
sperava
nell'eterno riposo.
Un
rumore secco lacerò l'aria. Era un rumore a cui Alice era
diventata
fin troppo abituata.
Quello
che non si era aspettata era di vedere Uncas avanzare verso di loro,
il suo viso atteggiato in un'espressione di determinazione.
Uncas.
Ad
occhi spalancati Alice scandagliò la sua figura. Sembrava
relativamente illeso, anche se con qualche piccola ferita e la
camicia verde strappata.
I
suoi occhi incrociarono quelli di Alice. In loro vi si leggeva
fierezza: Ti salverò.
Uncas
si sbarazzò facilmente degli huroni, uno dopo l'altro,
finché il
combattimento giunse ad uno stallo quando si trovò ad
affrontare
Magua; la brutalità e l'abilità dell'uomo
più anziano erano
davvero impressionanti.
Alice,
nel suo sbalordimento, si accorse che Uncas si stava stancando, e
stava per essere sopraffatto. Il coltello di Magua brillò
minacciosamente nella luce del sole, abbagliandola, quando
lacerò la
pelle del suo giovane avversario.
Immediatamente,
Uncas barcollò all'indietro e guardò
giù verso la macchia di
sangue che si allargava sul suo addome, gli occhi accesi di sorpresa
a quella vista. Nella sua determinazione e imprudenza, non aveva
pensato di poter essere ferito. Alzò gli occhi e
incontrò quelli di
Alice. C'era una sorta di scusa in essi.
Con
un balzo improvviso, Uncas si avventò sul capitano hurone,
usando le
sue ultime forze per far perdere l'equilibrio all'altro uomo, ed
entrambi si schiantarono e rotolarono sulle rocce del promontorio.
C'era
un'incauta disperazione in ogni mossa che Uncas faceva, e Alice,
cresciuta in mezzo ai soldati, sapeva che stava per essere sconfitto.
Il cuore le batteva forte nelle orecchie, la speranza che svaniva,
L'hurone
si mise in piedi, il portamento eretto, il coltello puntato
minacciosamente verso la sua preda. Non fece cenno di attaccare
l'uomo ferito, gli permise invece di mettersi in piedi per tentare un
ultimo assalto.
Stava
perdendo. Stava per morire, e con lui la sua speranza di salvezza.
Dopo
essersi messo in piedi, Uncas fece un ultimo affondo, che l'hurone
schivò facilmente, e altrettanto velocemente, lo
fronteggiò. Magua
affondò il coltello nel fianco di Uncas, facendolo gridare
di dolore
mentre cercava di voltarlo.
Alice
non riuscì più a sopportarlo. Chiudendo gli
occhi, si girò.
Codarda fino alla fine.
Il
guerriero che le teneva il braccio la strinse improvvisamente
così
forte che le sfuggì un gemito di dolore. La
lasciò e prese il suo
tomahawk. Alice venne brevemente spinta in mezzo agli agli guerrieri,
mentre anche loro impugnavano le loro armi. Si appiattì
contro la
parete rocciosa della montagna.
Cosa?-
Il
mondo esplose in una raffica di spari. Alla giovane ragazza inglese
il mondo sembrò ribaltarsi, e lei si aggrappò
alla rocce sotto di
lei in panico irrazionale.
Chingachgook.
Corse superando tutti loro in una visione a colori sfocati,
sollevando la sua mazza da guerra, e lanciò uno spaventoso
grido di
guerra che salì fino al Cielo. Si scontrò con
Magua, che si voltò
per fronteggiare il nuovo avversario, lasciando cadere il corpo di
Uncas a terra.
Nathaniel
non impiegò molto ad arrivare a sua volta, una questione di
secondi,
e brandiva un fucile in ogni mano, abbattendo i suoi bersagli con
facilità. Due huroni si contorsero in aria e caddero come
bambole di
stoffa.
Magua
sapeva che le circostanze erano cambiate a suo svantaggio. Le sue
labbra si incurvarono in una smorfia quando attaccò
Chingachgook, e
venne bloccato ad ogni affondo.
Il
combattimento si concluse con precisione incredibile. Chingachgook
roteò, e piantò lo spuntone della sua mazza nella
schiena
dell'altro uomo. Il rumore che il suo corpo spezzato fece fu
penetrante come come un colpo di fucile.
Alice,
intontita dallo shock e dal dolore, osservò l'improvviso
silenzio
intorno a lei. Uomini morti affollavano la sua visione.
Nathaniel
e suo padre si inginocchiarono di corsa accanto a un incosciente
Uncas, valutando le sue ferite, sentendo con cautela il suo battito.
Doveva trattarsi di una cosa grave, perché lo sguardo di
Nathaniel
era preoccupato.
Alice
fece un unico, esitante passo verso Uncas, quando venne quasi
travolta dalla forza dell'abbraccio di sua sorella. Fu stupita dalla
sua improvvisa apparizione.
“Alice!”
Sua
sorella era viva. La sua cara sorella. Questo era tutto ciò
che
contava.
Alice
si allontanò da Uncas, incerta su tutto adesso. Il cuore le
batteva
forte alla vista delle ferite del suo salvatore. Forse doveva....
Cora
la strinse più forte.
“E'
tutto finito,” sussurrò alla sorella minore.
Nota
della traduttrice:
Questa
è una storia che sto traducendo per conto dell'autrice
originale
Assiage, ovviamente con il suo esplicito permesso.
In
molti mi chiedevate una storia che partisse dal promontorio, per poi
seguire il “dopo”, ciò che sarebbe
potuto accadere se Alice e
Uncas fossero sopravvissuti. Siccome ora sto lavorando su una storia
originale fantasy che mi sta impegnando davvero molto, e dato che mi
sono innamorata di questa storia, ho pensato nel frattempo di
tradurla, perché secondo me vale davvero la pena leggerla.
Se vi va
di lasciar(ci) una recensione mi farebbe davvero piacere!
Se
volete leggere la storia originale qui di seguito trovate il link:
The
Summer of a Thousand Dreams
Importante:
essendo
l'autrice straniera, a gestire questo account è la persona
che
traduce le sue storie. Se qualcuno volesse pubblicare su questo sito
una traduzione di questo autore, e ha il suo permesso, deve inviarmi
almeno il primo capitolo della traduzione completa (nel caso di
fanfic one-shot, tutta la one-shot tradotta). Allora fornirò
la
password per accedere a questo account.
Eilan21
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Capitolo 2 *** Capitolo due ***
Ci
vollero alcune settimane prima che il mondo sottosopra di Alice
lentamente si raddrizzasse. Per quanto si fosse sforzata, non era
stata in grado di ricordare i giorni cupi che erano seguiti alla fine
della sua ordalia. Era tutto molto sfocato. Non ricordava nemmeno
come aveva lasciato quella montagna. Quando chiese a Cora se era
stata portata in braccio, sua sorella rispose di no, che aveva
camminato da sola, seguendo gli altri che trasportavano Uncas in una
lettiga fatta con una sottoveste.
Attualmente
la loro situazione era molto migliorata. Erano ritornati nella
colonia di New York senza ulteriori incidenti, oltre ad Uncas
gravemente ferito.
Stava
cominciando a ricordare molto di più su come Uncas fosse
sopravvissuto. Chingachgook aveva presentato alla sua coraggiosa
sorella degli aghi fatti di ossa che portava sempre con sé,
e lei si
era immediatamente occupata di Uncas, assistita dagli uomini. Per le
suture non era stato usato del filo. Era qualcosa di diverso, di
molto più robusto. Avevano ricavato delle stecche dal cedro,
dalla
betulla e dalle foglie. Ancor più impressionante era come
fossero
riusciti a fermare le emorragie. Pietre. Pietre riscaldate
finché
erano divenute roventi vennero messe sulle ferite di Uncas.
Per
giorni era stato preda della febbre, e per questo gli uomini avevano
pregato con tutte le forze nella loro lingua, mentre lo immergevano
in acqua e facevano misture di erbe e corteccia d'albero per
liberargli la gola.
Alice
era stata inutile. Odiava la vista del sangue, e tremava quando non
era vicina a sua sorella. Cora, da parte sua, non aveva fatto altro
che affaccendarsi intorno alla sorella quando non si occupava di
Uncas. Nathaniel era sembrato esasperato da questa cosa, anche se si
era sforzato di mascherarlo.
Ma
ormai era tutto finito. Una volta che Uncas era stato fuori pericolo,
avevano potuto lasciare il loro accampamento nei boschi.
Per
giorni avevano viaggiato, e riposato durante la notte. Le notti
estive erano afose, dolciastre, calde in America. Il loro sollievo
nel ritornare agli insediamenti della frontiera si era rivelato
dolceamaro, perché molte delle case erano state bruciate o
abbandonate. Una di esse catturò la loro attenzione
perché appariva
disabitata, anche se era stata saccheggiata da qualche gruppo
guerriero. Ad Alice era parso di capire che i proprietari dela
fattoria fossero scomparsi. Se fossero morti o fuggiti rimaneva un
mistero. Gli uomini decisero che, per il momento, sarebbero rimasti
lì.
La
fattoria Driessen non era molto ampia, né ben fornita. Non
più,
almeno, ora che era stata derubata così spaventosamente.
Alice si
sentì decisamente a disagio a violare la casa di altre
persone. Poi
le tornò alla mente la carneficina alla fattoria dei Cameron
e
decise che era infinitamente meglio che essere accolta da cadaveri.
Quel
giorno era una calda giornata estiva, e Alice aveva finito le sue
mansioni quotidiane. Aveva lavato gli abiti di tutti fino a che le
mani le erano diventate rosse e doloranti, e li aveva appesi ad
asciugare accanto alla biancheria. Avrebbe voluto lavare il proprio
abito sporco e strappato perché sapeva di sembrare un
maschiaccio,
ma quella scomodità avrebbe dovuto aspettare.
Alice
sedeva sull'ombreggiato fienile della stalla, dondolando lentamente
le gambe. Non era stata oziosa, questo lo sapeva, ma da quando erano
arrivata alla fattoria dei Driessen, si era sentita sempre
più
isolata dagli altri. Non era stata capace di guardare Uncas, che
dormiva vicino al fuoco, curato notte e giorno dagli altri.
Supponeva
che fosse per l'imbarazzo. Si era comportata nel modo più
oltraggioso e spudorato. Era saltata addosso a un uomo e giaciuto con
lui per terra, come una comune sgualdrina. Era così
umiliante. E se
l'avesse raccontato a suo fratello? E Nathaniel lo avesse detto a
Cora?
Morirò
di vergogna!
Per
questo motivo, Alice si trovava ad evitare gli altri. Si svegliava
presto e sbrigava le sue faccende come sua sorella le spiegava, ma
senza una reale gioia o soddisfazione. Lavava e spazzava e faceva del
suo meglio a cucinare, ma doveva essere incitata.
Il
fastidio di Nathaniel era mutato, divenendo più divertita
perplessità e brusca gentilezza. Alice stava cominciando ad
accorgersi che, dopotutto, a Nathaniel non stava antipatica.
Piuttosto si preoccupava che Cora non facesse ogni cosa al posto suo.
Cora
era sempre stata sollecita nei confronti dei sentimenti e del
benessere della sorella minore. In quelle settimane passate
però,
aveva adottato un approccio estremo. Era diventata l'ombra di Alice,
e passava davvero troppo tempo a dirle di riposare, e controllandole
il polso, raccomandandole di mangiare...
Come
se fosse lei quella che era quasi morta.
Uncas
si stava lentamente riprendendo da settimane. Lei non se l'era
sentita di sedergli vicino. Era troppo imbarazzata.
Alice
si portò le ginocchia al petto mentre ricordava l'incidente
avvenuto
il giorno prima.
Nathaniel
l'aveva chiamata a tavola, dove avevano consumato i loro pasti da
quando erano arrivati. Le aveva fatto cenno di sedersi con la mano in
cui stringeva un pezzo di pane. Annuendo in segno di saluto, si era
messo il pane in bocca e, masticando con comodo, le aveva indirizzato
un sorrisetto divertito.
“Hai
fame, Alice?”
Lei
aveva annuito in fretta, sedendosi accanto a Cora che stava riempendo
la sua ciotola di stufato.
Mentre
gli altri incominciavano a mangiare, Alice si guardò
brevemente
intorno. Uncas non stava ancora abbastanza bene per camminare, e lei
non lo aveva visto molto, sotto stretta sorveglianza (del padre)
com'era, che non voleva che si muovesse dal suo posto accanto al
fuoco.
“Uncas!”
esclamò una stupita Cora “come ti senti? Siediti,
ti servo io.
Stasera abbiamo una cena abbondante.”
Alice
sussultò visibilmente, facendosi cadere dell'acqua sul mento
dal
boccale da cui stava bevendo.
“Grazie,”
fu la debole risposta di Uncas. Zoppicò verso di loro
facendo un
cenno di saluto col capo, prima di sedersi accanto al fratello e di
fronte ad Alice.
Alice
sentì le guance bollenti dall'imbarazzo. Sotto di esso,
tuttavia,
c'era una punta di vergogna per non aver fatto visita ad Uncas
nemmeno una volta mentre era a letto ammalato. Avrebbe dovuto
ringraziarlo per averle salvato la vita.
Alice
bevve piccoli sorsi d'acqua mentre osservava gli uomini che parlavano
tra di loro nella loro lingua. Alzando lo sguardo, osservò
l'ampia
mano di Uncas chiudersi intorno a una ciotola di terracotta, le sue
lunghe dita che si contraevano. Tutto a un tratto prese un sorso
troppo grande e venne colta da un attacco di tosse. Cora le
strofinò
la schiena con movimenti circolari.
“Tutto
a posto?” chiese Uncas con la sua voce profonda, i suoi occhi
scuri
fissi su di lei.
“S-sì,”
ansimò lei, gli occhi spalancati.
“Perdonatemi.”
I
loro sguardi si incontrarono, e lei poté vedere la
preoccupazione
danzare nelle profondità dei suoi occhi.
Alice
fu improvvisamente sopraffatta da un'acuta consapevolezza. La stavano
tutti osservando in silenzio.
Il
suo sguardo si spostò su Chingachgook, che stava intagliando
una
scultura. La sua espressione era solenne, seria.
Perché
la stavano osservando? Che sapessero?
Alzandosi
in fretta, Alice fece un inchino e, ignorando il grugnito divertito
di Nathaniel, si precipitò fuori.
“Dove
sta andando?” il vento portò il sussurro
preoccupato di Cora.
“Probabilmente
alla stalla” mormorò Nathaniel, “passami
il pane.”
Alice
riusciva ancora a vedere il sorrisetto sul suo volto, i suoi cinici
occhi blu.
Bé,
quello era ieri, pensò Alice confortandosi. Era meglio
mantenere un
profilo basso finché non fosse riuscita a capire cosa fare.
Odiava
pensare di lasciare la sua amata sorella, ma l'idea occupò
la sua
mentre sempre di più-
Ritornare
in Inghilterra, a cui lei apparteneva.
Il
fienile in cui si trovava odorava lievemente di letame di animale e
di un nauseante fetore di bagnato che permeava ogni cantuccio. Il
fieno era secco e ruvido. Ma, in ogni caso, Alice era grata di quella
privacy. Si arrampicò sulla scala traballante e si
accoccolò sulla
pila di fieno. Le fece venire sonno, e ultimamente si era sentita
stranamente letargica.
Sollevando
le mani, Alice prese delicatamente una ciocca di capelli sul lato
destro del viso, e cominciò pigramente ad arrotolarla in una
treccia.
Era
così presa nel suo sogno ad occhi aperti che notò
a malapena
l'ombrà che improvvisamente schermò il sole.
Si
interruppe con un sussulto al suono della voce familiare.
“Miss
Alice.”
Alice
fece un respiro profondo e pregò di mantenere il sangue
freddo.
“Uncas! Come stai?”
Lui
annuì col capo, il sole che si rifletteva sulla sua chioma
scura.
Entrò nella stalla, guardandosi intorno.
“Immaginavo di trovarti
qui.”
Alice
cercò di lisciarsi i capelli senza farsi notare, sussultando
quando
trovò diversi grossi gambi di paglia.
Si
schiarì la gola. “Posso esserti di
aiuto?”
Uncas
salì
silenziosamente la scala e piantò le mani intorno ai perni.
Sentì
le travi di legno e chinò il capo. “Fai
attenzione. La scala
necessita di riparazione.”
“Grazie,”
sussurrò lei, rilassando le gambe quel tanto che bastava per
nasconderle sotto il vestito.
“Prego.”
“No,
grazie, davvero... per... tutto. Per avermi salvato la vita. Sul
promontorio.”
Alice
riusciva a malapena a scorgere i suoi occhi nella polverosa
oscurità,
eppure ne percepiva l'intensità.
Guardandolo
di nuovo, Alice realizzò che stava studiando la sua treccia
fatta a
metà. Quei momenti si trascinarono interminabilmente,
finché lui
annuì e guardò fuori della stalla.
“Tua
sorella mi ha chiesto di trovarti.”
“Perché?”
“Non
vuole che ti allontani.”
Alice
tirò silenziosamente su col naso. “Non mi
allontano mai. Mi piace
qui.”
Le
labbra di Uncas si incurvarono nell'accenno di un sorriso.
“So che
ti piace. Ma hai bisogno di sole. Non sembri stare bene.”
“Sono
solo stanca,” sussurrò Alice, “Io... non
dormo bene.”
“Vieni
con me.”
Sentì
una scossa di nervosismo. “Dove?”
“Al
fiume. Vado a catturare la cena per stasera. Puoi aiutarmi.”
Catturare
la cena, come no! Le signore non cacciavano né pescavano.
Ma... lei
era determinata a fare la sua parte lì come tutti gli altri.
Sperò
che lui le concedesse un po' di spazio, perché non poteva
essere
sicura che non le si vedessero le caviglie.
Dopo
aver saltato con leggiadria sul pavimento, notò con
soddisfazione
che lui aveva compreso il suo desiderio inespresso e la stava
aspettando fuori, la postura rilassata. C'erano una lancia e una rete
ai suoi piedi.
“Pronta?”
chiese. Lei occhieggiò i suoi tatuaggi tribali che facevano
capolino
dalla sua camicia blu. I loro occhi si incontrarono.
“Sono
pronta.”
|
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Capitolo 3 *** Capitolo tre ***
Alice
sedeva sulla riva del fiume, occhieggiando con desiderio l'acqua
spumeggiante. Desiderava moltissimo un bagno. Una cosa assai rara
ormai. Alla peggio desiderava almeno immergere i piedi nella
corrente. Sarebbe stato paradisiaco sentire la freschezza dell'acqua
sulla sua pelle accaldata.
Uncas
stava in piedi nel mezzo del torrente, immobile, tenendo sollevata
una lancia di legno rozzamente assemblata che terminava con tre
minacciose punte acuminate. Era così immobile che ad Alice
ricordava
le statue antiche e i busti classici. Era rimasto così per
diversi
minuti.
“Puoi
immergere le gambe.”
Lo
disse così all'improvviso che Alice alzò la testa
di scatto,
perplessa. Le aveva dato la schiena fin da quando aveva messo piede
nell'acqua, e lei non aveva parlato... non era così? Allora
come
poteva sapere cosa stava pensando?
Alice
si schiarì la gola delicatamente. “Ti ringrazio
per il
suggerimento, ma temo di non poter fare una cosa simile.”
Uncas
abbassò la lancia di una frazione e si voltò a
fronteggiarla,
perplesso.
“Perché?”
chiese semplicemente.
Alice
parlò senza pensare. “E' inappropriato per un uomo
vedere le
caviglie di una signora e- e-”
Le
scure sopracciglia arcuate di Uncas si sollevarono con una punta di
incredulità.
Seguì
un silenzio imbarazzato.
Alice
sentì lacrime di umiliazione riempirle gli occhi, e
cercò
coraggiosamente di tenerle a bada. Per un po' aveva cercato di non
pensare al suo avventato incontro con il giovane guerriero, e ora il
ricordo delle sue azioni ribelli le riempirono la mente affaticata.
Vergogna.
Disgrazia.
Uncas
piegò il capo di lato, e i suoi occhi scuri vennero soffusi
da
cautela e compassione. E qualcosa di più ardente- la
guardò con
desiderio.
Lo
sguardo che si scambiarono provocò una sensazione acuta nel
ventre
di Alice. Era una sensazione traditrice per lei, perché
sapeva che
era la punta di desiderio nascosto che lei stessa aveva provato per
Uncas fin da quella notte nel terreno di sepoltura, quando lui
l'aveva avvolta tra le sue braccia forti.
La
voce di Uncas era dolce quando le parlò, “Tu- noi-
non abbiamo
fatto niente di male, Miss Alice.”
Alice
si coprì il viso con le mani, sentendolo bruciare.
“Ti
prego!”
Percepì,
piuttosto che vedere, Uncas che lentamente le si avvicinava e nascose
il viso ancora di più tra le dita, scuotendo piano la testa.
Lui
si fermò.
Alice
alzò lo sguardo e incontrò il suo timidamente.
L'espressione di lui
era ancora forte e fiera, e lei incontrò il suo scrutinio
senza
battere ciglio. Come al solito la sua preoccupazione per lei spiccava
più forte di qualunque altra cosa.
“Per
favore... non dirlo a nessuno.”
“Cosa?”
chiese Uncas, genuinamente confuso.
“Non
dire a mia sorella quello che ho fatto. Né a tuo fratello.
Ti
prego!”
Uncas
scosse la testa. “E' stata una cosa tra noi due.”
Alice
fece un sorriso tremulo, quasi venendo meno dal sollievo. Sapeva che
era un uomo onorevole e onesto. Non avrebbe mai rivelato il suo
comportamento scandaloso.
Lui
ricambiò con un accenno di sorriso, voltandosi per ritornare
al
centro del ruscello, la presa sicura sulla lancia. Riprese il
silenzio, e la posizione.
Alice
si portò le lunghe gambe e le ginocchia al petto. Si sentiva
un
pochino meglio. Ciò che era successo sarebbe rimasto un
segreto, e
nessuno di importante lo avrebbe mai scoperto.
“Perché
rimani così immobile?” chiese, pensando ai
pescatori che aveva
sempre visto nella sua vita, con grandi reti, e resistenti fili da
pesca.
Lui
non si voltò. “Faccio credere ai pesci di essere
uno di loro.”
Alice
ridacchiò. Di nuovo, era riuscito a percepirlo senza
vederlo. Aveva
percepito il suo sorriso.
Passarono
alcuni altri minuti, e Alice cominciò a perdere interesse.
La pesca
era veramente un lavoro monotono. Avrebbe voluto avere le sue matite
da disegno, o un libro di poesia. Perfino il suo ricamo.
A
Londra aveva avuto tutto ciò che voleva, l'altolocata figlia
di un
aristocratico colonnello dell'esercito. Lì, a parte le sue
faccende,
non aveva molto da fare. Almeno il paesaggio era bellissimo. Alice si
schermò gli occhi con un sospiro e si guardò
intorno, osservando i
vividi verdi e blu della natura intorno a lei. Guardò la
schiena e
le solide spalle di Uncas, e riuscì a intravedere la linea
dei suoi
muscoli attraverso la camicia di cotone.
Il
paesaggio era, davvero, molto attraente.
“Vuoi
entrare?” chiese Uncas arditamente.
Alice
venne strappata ai suoi pensieri a queste parole.
“Nel...
dentro il fiume?”
“Sì”
disse lui semplicemente.
Che
idea assurda! Alice aprì la bocca per declinare l'invito
quando
Uncas improvvisamente fece scattare il braccio, così
velocemente che
si trattò di un attimo. Tirando su la lancia e tenendola in
aria,
esaminò il pesce argentato che si dimenava inutilmente.
Delicatamente, liberò la creatura e guardò verso
la riva dove
sedeva Alice.
“Abbiamo
finito?” chiese lei speranzosa.
Uncas
scosse il capo. “Un solo pesce non nutrirà cinque
persone.”
“Oh,”
mormorò Alice, guardando l'erba inaridita. Ma certo.
Avvicinandosi,
Uncas mise delicatamente il pesce sull'erba accanto a lei. Alice fece
una smorfia nel vedere gli occhi vitrei e la piccola bocca
spalancata.
Trascorso
un altro po' di tempo, Uncas aveva catturato e infilato sullo spiedo
diversi altri pesci. Alice, seguendo le istruzioni di Uncas, aveva
preso un canestro dalla capanna ed era impegnata a lavarli. Uncas si
accovacciò accanto a lei. “Sai
tagliarli?”
Alice
esitò. “Non l'ho mai fatto, no.”Lui
borbottò. “Puoi aiutare.”
Tirò
fuori dalla cintura un piccolo ma affilatissimo pugnale e svelto
tagliò la testa del pesce, poi la coda, e poi lo
tagliò a metà,
rimuovendo le delicate lische. Uncas le passò il coltello e
Alice
rifiutò, tirandosi su i capelli e giocherellandovi.
Normalmente,
se fossero stati presenti, Nathaniel avrebbe sospirato con
esasperazione, e Cora l'avrebbe mandata dentro con la sua materna
preoccupazione.
Uncas
la sorprendeva continuamente con la sua pazienza. Anche ora,
annuì e
procedette in fretta a tagliare il resto dei pesci lui stesso,
mettendoli dentro il canestro di intrecciato.
Per
qualche motivo Alice sentì il bisogno di difendersi.
“Li...
li cucinerò. Ne farò uno stufato.”
“Va
bene,” replicò Uncas, lo sguardo fisso sul proprio
lavoro. “C'è
un modo più semplice. Potrei mostrartelo se vuoi.
Più tardi.”
“Che
modo è?” chiese Alice curiosa.
“Il
forno di terra.”
Questo
fu tutto quello che disse e Alice rimuginò su quella frase.
Non
aveva mai sentito niente del genere.
Lui
alzò la testa improvvisamente, lo sguardo intenso.
“Nella grotta.
Non sentirti in colpa. Non hai fatto niente di male.”
Alice
maledisse la sua debolezza mentre le lacrime le riempivano di nuovo
gli occhi. “Mi sono comportata peggio di una...
una...”
“No.
Mai,” lui sollevò il pollice e le
asciugò una lacrima dalla
guancia, “E' stata colpa mia.”
Alice
lo guardò, confusa. “Perché dovrebbe
essere colpa tua?”
Lui
sembrava turbato. “Tu sei quella giovane. Quella
innocente.”
Alice
fu presa alla sprovvista. Quello che lui aveva detto non
corrispondeva a ciò che le era sempre stato insegnato sugli
appetiti
carnali degli uomini e sul comportamento audace delle donne. Se una
donna si comportava come aveva fatto lei, la colpa era solo sua.
Uncas
le avvicinò la mano al viso, e carezzò la sua
treccina parzialmente
sciolta. Il suo tocco la mandò in confusione di nuovo, quasi
come se
fosse una catarsi al suo dolore.
Alice
si tirò indietro, asciugandosi goffamente gli occhi umidi.
“Perdonami,” mormorò, “temo di
essere stata insopportabile
questi ultimi giorni.” Rise debolmente alla sua battuta.
“E'
tutto a posto,” rispose lui. Si alzò in piedi.
“Vieni?”
Alice
scosse il capo. “Arriverò fra poco.”
Uncas
annuì, sollevò il cestino, soppesandolo, la
lancia e la rete, e si
incamminò in direzione della capanna.
Alice
attese finché la sua figura scomparve, poi si
guardò esitante
intorno per diversi momenti, ascoltando attentamente. Soddisfatta, si
sollevò furtivamente la gonna, centimetro per centimetro, e
si tolse
le lunghe calze sporche. Si avvicinò al fiume goffamente
spostando
il fondoschiena, interiormente atterrita ma determinata,
finché la
dita, le caviglie e i polpacci non furono a contatto con l'acqua.
Alice
rabbrividì per il freddo. Ma era comunque paradisiaco.
Con
un sospiro soddisfatto, Alice immerse le calze nell'acqua per
lavarle, e si spruzzò l'acqua fresca sul viso e sui capelli.
Era
contenta, realizzò. Non felice. Non gioiosa. Ma soddisfatta
della
sua vita come era ora, senza nemici a dare la caccia a lei e a sua
sorella, e con il dolore per la perdita del padre e di un amico che
stava cominciando a guarire. Uncas aveva promesso di mantenere il loro
segreto, e presto lei avrebbe cominciato a fare piani per tornare in
Europa.
—————————————————————————————————————————
Il
mese di settembre stava per concludersi.
Alice
leggeva attentamente il giornale alla luce di una tremolante candela.
Il Courant era uno straccio di giornale che in qualche modo era
arrivato fin dal New England; era rinomato più per
calunniare i
governatori locali che per diffondere effettivamente notizie
importate, ma Alice non era interessata ai pettegolezzi. Cercava le
date di partenza delle navi dal porto della colonia di New York. Il
giornale era vecchio di circa un mese, e l'ultima nave, una di nome
Agamemnon, era salpata la settimana precedente.
Accidenti.
Il
suo piano era trovare una nave che salpasse per Londra, chiedere a uno
degli uomini di scortarla a qualunque porto fosse, e poi averla vinta
sul capitano della nave per ottenere un passaggio. Lo avrebbe pagato
una volta che avesse rimesso piede sul suolo inglese. Una volta che
avessero saputo che era una signora, l'avrebbero certamente aiutata.
Così Alice chiedeva ansiosamente un giornale avanzato a
chiunque
incontrasse in città. Anche quelli di dubbia reputazione
come il
Tattler
– erano
più diffusi e i tipografi non riuscivano a stamparli
abbastanza in
fretta.
Mettendo
da parte il Courant, Alice sospirò
pesantemente e prese a
sfogliare la Gazette. Niente. Diede poi
un'occhiata al Poor
Richard's Almanack con silenziosa frustrazione. L'autore era
un
tipo piuttosto intelligente, ma il giornale era pieno di consigli
sull'agricoltura e sciocchezze riguardanti calcoli astrologici, il tutto
condito con le previsioni del tempo.
“Vieni
a letto, sorella,” si levò l'assonnato ordine di
Cora dalla
cuccetta che dividevano. Cora non era del tutto certa di quello che
Alice aveva pianificato, ma Alice sapeva che sospettava qualcosa.
Quando Cora glielo chiedeva, lei mormorava qualcosa di prosaico, o
cambiava argomento. Cora si sarebbe preoccupata e l'avrebbe pregata
di restare.
Alice
si mise a sedere più dritta nella luce tremolante, e fece
una
smorfia quando lo stomaco le si agitò. Eccolo di nuovo, il
malessere
che la tormentava ormai da settimane. Non riusciva a mangiare,
né a
dormire, e finiva per correre fuori a vomitare vicino al gabinetto
esterno. Per questo motivo preferiva dormire nel fienile della
stalla, una cosa che scandalizzava Cora.
Alzandosi
con cautela, Alice si diresse a passettini verso la porta, la
aprì,
e uscì agilmente fuori nella pallida luce lunare. L'attimo
successivo però, stava correndo lontano dalla capanna e
verso gli
alberi. Si accasciò inelegantemente, sbucciando le ginocchia
su una
roccia o una radice appuntita. Alice si tirò i capelli
indietro
tremando e vomitò.
Per
alcuni attimi dopo di ciò, Alice pensò, con
un'amarezza nuova per
lei, che se i suoi parenti in Inghilterra e in Scozia avessero potuto
vederla ora, non avrebbero creduto si trattasse si lei. Forse
avrebbero pensato che la povera giovane Miss Alice Munro fosse stata
rapita dalle fate, che avevano poi lasciato una sostituta al suo
posto. Cosa avrebbero detto, vedendola ora, così malmessa,
sporca,
le dita irruvidite dai lavaggi e da altri lavori ingrati, seduta nel
suo vomito?
Una
solida mano le afferrò la spalla fermamente ma gentilmente.
Uncas,
pensò
lei con sgomento. Faceva sempre in modo di sbrigare quella faccenda
del malessere da sola. Lui era fuori a caccia con suo fratello, che
fosse ritornato?...
Voltandosi,
Alice fu sorpresa. “Chingachgook!”
bisbigliò.
I
suoi profondi occhi scuri erano fissi su di lei mentre la tirava su,
poi le mise una mano sul gomito. Alice non sapeva che l'anziano
Mohicano potesse essere così amabile. Non parlava molto con
lei, e
sorrideva raramente.
“Sei
stata male per giorni,” commentò. “Ti
preparerò un tè.”
“Tè?”
chiese lei debolmente, ricordando gli infusi dall'odore sgradevole
che i tre uomini ricavavano da erbe e radici. Cora aveva bevuto
quello alla corteccia di salici per i suoi mal di testa, e aveva
detto che l'avevano aiutata moltissimo. Solo per questo, Alice si
addolcì.
“Suppongo
sia di qualche tipo di corteccia d'albero?” indagò
stancamente.
Chingachgook
annuì in fretta mentre la conduceva verso la capanna.
“
Di
faggio.”
“Certamente.
Grazie sir.”
Lui
non rispose.
Entrambi
rimasero in silenzio mentre entravano nella capanna, e lui mise a
bollire dell'acqua sul fuoco. Cora dormiva, e con i figli fuori a
caccia, rimanevano svegli solo loro due.
Pochi
minuti dopo lui le avvicinò una ciotola di legno.
“Bevi.”
Alice
lo accontentò immediatamente, trattenendo il respiro mentre
ingurgitava in fretta il contenuto. Rabbrividì; era un
peccato non
avere zucchero da aggiungere.
“Troppo
in fretta,” la rimproverò lui. Alice gli
lanciò un'occhiata
attraverso il rozzo tavolo. I loro occhi si incontrarono alla luce
del fuoco. “Sorseggia.”
Ciotola
dopo ciotola Alice bevve come le era stato ordinato, e si accorse di
sentirsi un po' meglio. Il suo stomaco non protestava a quel gusto.
Il
giorno seguente, appena sorta l'alba, Nathaniel e Uncas tornarono
dalla caccia, ed entrarono silenziosamente nella capanna. Furono
sorpresi da uno strano spettacolo- Alice Munro, addormentata a
tavola, una pelliccia d'orso sulla sua piccola figura; e il loro
padre sveglio e in allerta di fronte a lei.
Quel
giorno di primo autunno cominciava a sorgere fuori della capanna, e
c'era molto lavoro da fare.
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Capitolo 4 *** Capitolo quattro ***
“Scusate...
come, miss?” chiese incredulo il corpulento capitano di mare;
le
sue mani si erano bloccate nell'atto di raggiungere un boccale di
birra.
Lo
spirito di Alice cominciò a crollare.
Era
un frizzante primo pomeriggio, e Alice aveva accompagnato un
riluttante Nathaniel (che non voleva portarla con sé) in una
camminata di alcune ore per scambiare pellicce con argento. Veramente
Alice si riferiva ad essa come “andare in
città” quando, in
realtà, era più un eterogeneo assembramento di
coloni che vendevano
le loro merci vicino al molo. C'erano anche commercianti, indiani e
altri. Era un miscuglio incongruo, pensava Alice, momentaneamente
distratta da un'alta, formosa donna con guance colorate di rosso e
un'indole vivace. Il suo seno era davvero troppo esposto.
Una...
signora della notte?
Alice
si costrinse a focalizzarsi sul compito presente- anche se doveva
ammettere che non stava andando bene.
Fece
un brillante sorriso, perché le era sempre stato detto che
il suo
sorriso era bellissimo.
“Non
posso pagare per il passaggio sulla vostra nave al momento, ma vi
supplico di comprendere la mia situazione. Sul mio onore, una volta
che saremo arrivati a Londra pagherò per il mio passaggio e
anche di
più.”
L'anziano
uomo sorrise in modo sghembo. “Figliola, non si
può fare.”
“Non
ho denaro con me.”
“E
questo è un problema. Per voi, almeno. Niente denaro, niente
passaggio.”
Alice
raddrizzò la schiena sulla sedia. “Ho del denaro
cartaceo che ho
avuto per la vendita del mio braccialetto...”
“Ah!”
l'uomo scosse l'ispida, irsuta testa. I suoi occhi blu erano cinici.
“Il denaro di carte non vale il denaro che c'è
scritto sopra, a
meno di non restare nella colonia di New York. Non è utile a
un
capitano di mare. Solo sterline inglesi e scellini, Miss.”
“Voglio
solo andare a casa. Voglio dimenticare quello che è accaduto
qui
alla mia famiglia. A me.”
Alice
batté le palpebre e abbassò lo sguardo sulle sue
mani intrecciate,
imbarazzata del proprio candore. Era la verità, in ogni
caso.
Nathaniel e Cora si sarebbero sposati presto, e questo in cosa
l'avrebbe trasformata? Nell'indesiderata parente zitella. Nel
fardello. Sua sorella sarebbe stata una moglie. La sua vita stava per
ricominciare. E Alice era rimasta con un mondo infranto da
ricostruire. L'Inghilterra e la Scozia erano la sua casa, la sua
salvezza, il suo faro nella notte. Avrebbe dovuto trovarsi
lì, non a
strisciare davanti ad un umile capitano di mare in quel lurido molo.
Alzando
lo sguardo, si accorse che il capitano Eccles era concentrato sui
segni sui suoi polsi. I profondi tagli dove le corde le avevano
scorticato la pelle. La sua pelle era guarita ma le cicatrici erano
rimaste.
L'uomo
sospirò e scosse il capo, prendendo un lungo sorso di birra.
Il
boccale di Alice giaceva dimenticato, perché il suo stomaco
ancora
si ribellava all'odore della bevanda annacquata.
“Suppongo di
potervi offrire un passaggio,” disse dopo un momento,
sbattendo giù
il suo boccale e asciugandosi la bocca. Alice spalancò gli
occhi.
“Vi offrirò un passaggio sulla Speedwell
se
mi pagate almeno metà prima di imbarcarvi, e il resto quando
arriveremo a Londra.”
Alice
si morse il labbro inferiore, una rinnovata abitudine nervosa che
aveva perso – o così aveva creduto –
grazie alle lezioni di
etichetta e ad una caparbia istitutrice. Dove avrebbe trovato delle
sterline inglesi? Ma l'uomo aveva già ridotto il prezzo per
lei, e
lei voleva fare qualsiasi cosa per raggiungere la civiltà.
“Quando
lascia Albany la Speedwell?”
chiese, scrutandogli velocemente il viso.
“L'8
novembre. Dopo il Sabbath.”
Alice
annuì tra sé e sé. Facendo un respiro
tremulo, si scostò una
ciocca di capelli schiariti dal sole dal viso e sorrise.
“Acconsentite
a queste condizioni, Miss?”
“Sì.”
“Capite
che la mia nave non offre lussi? E' una nave merci su cui a volte
accolgo passeggeri, servi a contratto e simili.”
“Sì.”
Continuò
a incalzarla. “Davvero? Senza dubbio siete arrivata qui su
una nave
molto più, ah, spaziosa?” Fece una pausa,
aspettando una risposta.
“La
Mary
Costant,” replicò
Alice debolmente, strofinando con il pollice il bordo consumato del
suo abito color crema.
L'uomo
sbuffò con divertito sdegno. La Mary
Costant era
una rinomata nave di quella rotta, conosciuta per trasportare
passeggeri della buona società e aristocratici.
“Bé,
figliola, questa non è la Susan
Costant.”
“Mary
Costant, sir.”
“Giusto.”
Ruttò rumorosamente, E Alice rabbrividì ai suoi
modi rozzi.
“Se
salperete con me, i miei passeggeri e il mio equipaggio,
sarà meglio
se capirete come sarà. Dividerete una cabina con altri.
Molti altri.
Niente cibo fresco. Acqua salmastra. La gente che dividerà
la cabina
con voi... bé, forse proverranno dai bordelli. Prostitute
del porto
e simili.”
“Ne
sono perfettamente consapevole, capitano Eccles.”
Sbuffò Alice con
tutta la dignità che riuscì a raccogliere.
“Non
intendo insinuare che non sappiate distinguere una B dalla zampa di
un toro,” replicò lui con quella che sicuramente
ritenne una
trovata geniale. “Voglio solo assicurarmi che comprendiate la
realtà, tutto qui. Sulle navi le malattie non hanno dove
andare se
non sulle persone. Pestilenze e pidocchi. Sangue e ferite, Miss.
Può
essere davvero pericoloso, e scegliete un periodo dell'anno
sfavorevole per viaggiare. Uragani e tempeste, figliola.”
Alice
stava avendo difficoltà a decifrare il suo dialetto
marinaresco, e
stava anche cominciando a innervosirsi. Si rifiutava di piegarsi alle
sue paure.
“Abbiamo
un accordo, sir?” chiese in modo diretto, allungando una
pallida
mano verso l'uomo seduto di fronte a lei. Si strinsero la mano, e lo
sguardo del capitano scivolò da qualche parte oltre Alice.
“Quel
tipo tutto gambe è il tuo uomo, per caso?” chiese
in modo burbero,
bevendo altra birra. Alice voltò il capo e vide Nathaniel
che se ne
stava immobile, lo sguardo penetrante, valutando la scena di fronte a
sé.
“Un
mio... ehm... parente,” sussurrò lei, alzandosi in
fretta. “Vi
incontrerò al porto l'8 novembre, sir.”
“Al
tramonto,” grugnì lui, asciugandosi la fronte con
il suo tricorno.
“Sì, sir. E...
discrezione se non vi dispiace, sir.”
Il
capitano Eccles scrollò le spalle. “E non
dimenticate i termini,
figliola! Metà allora, metà all'arrivo.”
Alice
annuì e si avviò verso Nathaniel.
Sorridendo
amabilmente, Alice si mise lo scialle intorno al collo.
“Andiamo,
Nathaniel?”
Nathaniel
la osservò attentamente. “Hai finito di fare la
furtiva, Alice?”
Lei
batté le palpebre e finse di cadere dalle nuvole.
“Sono venuta a
comprare nastri per capelli-”
“Che
non hai comprato,” Nathaniel le fissò le mani
vuote con aria
dubbiosa, “ Ti ho detto che eravamo qui per scambiare
pellicce, non
per perdere tempo.”
Le
sue parole le fecero male. Alice deglutì visibilmente e
inarcò un
sopracciglio. “Ti assicuro, ho avuto una mattinata molto
produttiva,” ribatté, poi lo scansò e
si avviò lungo il
sentiero. Lui la osservò allontanarsi, preoccupato.
——————————————————————————————————————————
Giorni
dopo Alice si sentiva malinconica mentre appendeva la biancheria ad
asciugare sul filo. Cosa sarebbe successo quando fosse arrivato il
freddo, si chiese. Avrebbero dovuto lavare e asciugare gli abiti
dentro la capanna? Cosa sarebbe successo se i proprietari originali
della capanna o i loro parenti fossero arrivati, e buttato fuori Cora
e la sua famiglia da quel posto? Alice non voleva pensarci. Stava
cominciando a sentirsi triste al pensiero di lasciare la sua unica
sorella. Cora l'aveva lasciata molte volte nel corso degli anni. Solo
che ora era lei che stava partendo. Era lei
che stava
per fare un salto nel vuoto.
Perché
si sentiva così male al pensiero?
Alice
sospirò e raddrizzò il collo. Secondo
Chingachgook, quelli erano
gli ultimi giorni di sole cocente prima dell'arrivo dell'autunno. Lei
amava i colori delle colonie. C'erano così tante sfumature
di verde!
Non aveva visto tanta bellezza da quando aveva lasciato Inverness
anni prima. Le foglie stavano cominciando a diventare gialle.
Strofinandosi
le mani doloranti, Alice di andare a sedersi al fiume ora che le sue
faccende erano terminate.
La
camminata fin lì fu breve, e lei si sedette ad ammirare
l'acqua. Le
piaceva sedere immobile e far finta di essere un'increspatura
nell'acqua luccicante. Era ancora lì minuti dopo,
perfettamente
immobile, quando Uncas le si avvicinò silenziosamente.
“Miss
Alice.”
La
sua voce profonda fu uno shock per lei. Fece un balzo di paura.
“Scusami,
miss.”
Alice
rise nervosamente.
“E'
tutto a posto, Uncas.” Realizzò all'improvviso che
lui si era
sempre rivolto a lei in modo più formale della sua famiglia.
Perfino
suo padre si riferiva a lei come “capelli di luna”
e “ragazza”.
“Non
devi chiamarmi Miss Alice. Solo Alice. Abbiamo superato queste
formalità ormai.”
Uncas
sedette con cautela accanto a lei, anche se non troppo vicino. Non
disse nulla per diversi minuti, concentrandosi invece sui propri
pensieri e sull'acqua che scorreva.
“Stai
per partire.”
Non
era un'affermazione, ma nemmeno una domanda. Alice lo fissò
ad occhi
spalancati.
“Come
hai detto, Uncas?”
I
suoi occhi erano penetranti. “Stai pianificando di partire.
Di
andare ad Albany e attraversare il mare.”
Alice
si fissò le mani. “Come lo hai scoperto?”
“Nathaniel.”
Fu
tutto quello che disse, e Alice si sentì come se avesse una
pietra
sullo stomaco. Le veniva da piangere. Si sentiva colpevole.
“Alice,”
disse lui dopo un momento, allungando una mano e intrecciando le dita
alle sue. Il viso di lei divenne rosso. “Alice. Sei stata
male.
Rimani finché non starai meglio.”
“Io...
non posso,” sussurrò lei, giocherellando con i
capelli.
“Perché?”
Come
poteva spiegare che lei stessa riusciva a malapena a capirlo? Non
apparteneva a quel posto. Nessuno credeva veramente che potesse
sopravvivervi, era un miracolo che fosse arrivata fino a lì,
e...
“Se
non parto presto, ho paura che non partirò mai
più.”
“Potresti
rimanere.”
Lei
trasse un profondo sospiro. “Con mia sorella e
Nathaniel?”
“No.
Con me.”
Alice
alzò in
fretta lo sguardo. Non c'era stata esitazione nella sua voce, o nei
suoi occhi scuri. I suoi bellissimi occhi scuri che erano sempre
pieni di calore quando guardavano lei. Come se non ci fosse
nessun'altra che lui desiderasse guardare. La sua sicurezza l'aveva
sempre affascinata, ma ora si sentiva schiacciata. Si sentiva come se
il cuore le si fosse ingrossato. Alice era senza fiato.
Guardò
le cicatrici
che lui aveva sulle braccia, ricordi del suo combattimento con Magua.
Fu una visione calmante.
“Per
quanto tempo?”
Con
il pollice lui le carezzò la mano. “Fino a quando
vorrai.”
“Intendevo...
per quanto tempo prima che tu ti stanchi di me?”
“Io-”
“Non
so fare niente di utile, non sono fatta per il lavoro duro. Non so
scuoiare un animale, mi disgusta. So a malapena cucinare- Uncas,
sarei un fardello. Per te, e per gli altri. Tuo fratello mi tollera
appena e solo per mantenersi nelle grazie di mia sorella, ne sono
certa.”
Uncas
apparve davvero confuso. “Mio fratello ti vuole bene. Forse i
suoi
modi non sono ciò a cui sei abituata. Siamo cacciatori e
commercianti. Gente rude.”
“Tu
non sei rude,” replicò lei. No, lui non era
affatto come
Nathaniel, come il loro padre di poche praole.
Il
suo sguardo si addolcì. Sembrava stesse lottando con
ciò che stava
per dire, prima di sospirare e riportare l'attenzione sull'acqua
gorgogliante.
“Sei
sicura? Partirai?”
“Sì.”
“Quando?”
“L'8
novembre.” Gli raccontò in breve quello che lei e
il capitano
Eccles avevano discusso in termini di pagamento, e Uncas disse che
l'avrebbe aiutata a pagarsi il passaggio, liquidando i suoi balbettii
imbarazzati.
“Uncas,
perché lo faresti?”
“Lo
farò se ti rende felice. Ritornare.”
“E
voi? Dove andrete?” chiese preoccupata, i timori di prima che
riemergevano.
“Ad
ovest dell'Hudson. Passeremo l'inverno nella valle dell'Ohio. Mio
fratello e tua sorella si sposeranno. Costruiranno una casa.”
“E
tu? E tuo padre?”
“Trascorreremo
l'inverno con i miei fratelli Delaware.”
“Perché?”
La
sua presa sulla mano delicata di lei si acuì. Il cuore di
Alice
prese a battere più veloce mentre diversi pensieri le
attraversavano
la mente. Uncas sarebbe stato perduto per lei, questo lo sapeva.
“Ti
sposerai?”
Invece
di rispondere, lui ritirò gentilmente la mano e,
avvicinandosi,
cominciò a farle una piccola treccia.
——————————————————————————————————————————
La
notte Alice non riusciva a dormire. Le mancava la solitudine del
fienile, la luna argentea e le stelle che brillavano attraverso le
piccole fessure del tetto e del muro. A volte quando riusciva a
svignarsela, ascoltava l'ululato dei lupi in lontananza, ma solo
alcune notti. In un modo particolare, Alice sentiva di potersi
identificare con i lupi. Il loro ululato era malinconico. Come se
volessero qualcosa con tutto il cuore.
Un
altro motivo per cui Alice non riusciva a dormire era perché
cercava
di ricordare il nome di una giovane domestica che aveva lavorato in
casa sua a Londra anni prima. Non riusciva a smettere di pensare a
lei. Martha, anche se era conosciuta come Mattie. Era stata una
cameriera, una sorridente, amabile ragazza che teneva ad Alice, le
dava il bacio della buonanotte, e le raccontava le storie. Aveva
chiamata la sua piccola protetta “Elsie.” Almeno,
questo era ciò
che Alice sceglieva di ricordare su di lei. Si era trastullata con
l'uomo sbagliato e si era ritrovata con una certa urgenza ad aver
bisogno di un marito, come dicevano. Era stata licenziata dalla
governante quando aveva cominciato a ingrossarsi. Alice aveva pianto
quando Mattie era andata via.
Mettendosi
sul fianco con circospezione, Alice sussultò. Il suo corpo
era stato
dolorante per settimane. Alice normalmente dormiva su un fianco, ma
ora le era quasi impossibile. Riusciva a dormire solo sulla schiena,
posizione che non le piaceva affatto. Il suo seno e il suo ventre
erano morbidi. Era più spesso malata che sana.
Nauseata,
e stanca, e dolorante.
Come
Mattie.
——————————————————————————————————————————
Alice
si precipitò in città la mattina dopo,
boccheggiando per un acuto
dolore al fianco. Era partita prima dell'alba, facendo una tale corsa
che aveva a malapena guardato dove metteva i piedi. Nathaniel era
sveglio e le aveva chiesto dove stesse andando, ma lei aveva solo
borbottato “stalla,” distrattamente.
Fuori.
Lontano. Scapperò via da tutti voi.
Il
suo correre batteva veloce e irregolare- ogni qualche minuto balzava
fastidiosamente, come se volesse scapparle dal petto.
Quella
giornata era nuvolosa e molto fresca, preannunciando pioggia per i
giorni a venire. Non perse tempo. Guardandosi intorno,
individuò una
donna anziana che aveva notato una o due volte. Donne andavano e
venivano dalla sua tenda di pelle incerata, o compravano medicine e
erbe da lei. Era forse... una levatrice?
Alice
l'avvicinò e le parlò direttamente e senza
preamboli.
“Devo
sapere perché sto così male.”
La
donna mostrò i denti in un sorriso, i suoi capelli rossi che
brillavano nella luce del primo mattino. “Oh, certo? Il mio
nome è
Nell. Puoi pagare?”
Alice
annuì, e mostrò il denaro cartaceo che aveva, al
quale la donna
fece un cenno conducendola verso la tenda. Ordinò ad Alice
di
sdraiarsi sulla schiena. Era molto buio. Alice fece come le era stato
detto, anche se si sentiva veramente a disagio. Per il quarto d'ora
successiva, venne toccata e tastata e le vennero fatte domande di
natura molto personale.
“Quando
hai avuto il tuo ciclo l'ultima volta?”
“Non
ricordo. Ero ad Albany, quindi credo fosse in luglio.”
Dopo
alcune altre domande, le venne detto di mettersi a sedere.
“Aspettate
un bambino, miss.”
Alice
strizzò le palpebre. Sentiva che stava per svenire. Voleva
morire.
La sua vita era finita. Era rovinata.
La
donna continuò, mentre metteva insieme erbe e piante e
faceva un
piccolo pacchettino per Alice.
“Più
o meno due mesi? Parlatene con vostra madre, se potete. È
più che
naturale essere spaventate la prima volta.”
“Non
ho madre,” Alice sussurrò con amarezza, la testa
bassa, la prima
lacrima che le scivolava tra le ciglia.
L'altra
donna si fermò.
“E
un uomo?”
Alice
non sapeva come rispondere a questa domanda. “N-no. Nessun
uomo.”
La
donna sospirò e scosse il capo. “Bene, alzatevi,
miss. Ho un
pacchetto per voi.”
Alice
si asciugò gli occhi e prese svogliatamente quello che
l'altra donna
offriva. Era soprattutto una medicina per la sua nausea, ma le ultime
erbe la lasciarono perplessa.
“Cosa?”
sussurrò, asciugandosi gli occhi.
“Preparate
la corteccia di salice e cimbalaria come un tè. Bevetelo tre
volte
al giorno. Se non succede nulla dopo tre giorni, dovete smettere di
prenderlo immediatamente. Avete capito?”
Alice
non capiva, non del tutto. “Cosa dovrebbe succedere in tre
giorni?”
“Farà
riapparire il vostro ciclo, ovviamente.”
“Il
mio ciclo? Pensavo...”
“Metterà
fine alla gravidanza. Ma troppo può essere pericoloso. Solo
tre
volte al giorno per tre giorni. Sanguinerete e poi sarete di nuovo
pulita. Non è ciò che volete?”
Lei
non rispose.
Alice
uscì dalla squallida tenda, fredda e insensibile, il
pacchetto al
sicuro nel suo vestito. Si sentiva le mani come ghiaccio, e stavano
tremando. La strana donna, Nell, aveva rifiutato di essere pagata,
invece aveva augurato ad Alice ogni bene.
Questa
volta si prese tutto il suo tempo per tornare alla capanna, arrivando
intorno a mezzogiorno. Non aveva quasi mai pianto, nemmeno quando era
morto suo padre. Eppure ogni pochi minuti il corpo le tremava mentre
lacrime le sgorgavano dagli occhi. Era arrivata al punto di rottura.
Girando
l'angolo della capanna, i sensi di Alice furono assaliti.
“Alice!”
gridò Cora, stringendola in un abbraccio, ma Alice la
scansò. Notò
vagamente l'espressione di Cora segnata dalla paura e dal sollievo,
la sua gonna e la sua blusa di colore chiaro che ondeggiavano nella
brezza.
“Dove
eri?” piangeva Cora, “gli uomini stavano per uscire
a cercarti!
Credevo fossi in quel maledetto fienile, e-”
La
confusione attirò fuori il resto degli inquilini della
capanna, e
Alice si irrigidì cominciano immediatamente ad avviarsi
verso la
stalla. Non poteva affrontare gli uomini, specialmente lui.
“Alice,
dove sei stata?” chiese Nathaniel ad alta voce, il tono
preoccupato, quando lei gli passò davanti.
“Sono
tornata ora,” mormorò lei.
Cora
non intendeva farsi scoraggiare. “Alice, insisto che tu mi
spieghi
cos'è tutto questo-”
Il
fragile controllo di Alice sul proprio umore si ruppe.
“Cora,
per una volta nella mia vita, vuoi lasciarmi in pace?!”
urlò,
sbattendo la porta della stalla dietro di sé e scomparendo
nell'oscurità.
Rannicchiandosi
nel fienile, inspirò profondamente, e si impose di chiudere
gli
occhi.
Sono
al sicuro. Sono ad Inverness. Sono al caldo. Sono con mia madre.
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Capitolo 5 *** Capitolo cinque ***
Uncas
era una figura solitaria seduta in riva al fiume, in meditazione.
Anche se avrebbe dovuto liberare la mente dai suoi problemi, gli
unici pensieri che la attraversavano riguardavano dei capelli biondi,
un sorriso timido, e occhi graziosi.
Uncas
era turbato dal comportamento di Alice in quegli ultimi giorni, a
cominciare da quando era scomparsa per diverse ore, e poi la sua
rabbia nei confronti della sorella. Delle due donne, Alice era quella
che si era aggrappata di più alle loro vecchie vite. Era
tutta buone
maniere e conversazione pomposa, sedeva con la schiena drittissima,
mangiava a piccoli morsi (quando non stava male) e prendeva sorsetti
di qualunque bevanda. Vedere la sua facciata artificiosa cominciare a
incrinarsi era preoccupante a dir poco.
Lei
non è mia. Non sarà mai mia.
Questo
era il mantra
che Uncas si ripeteva quando si confrontava con i suoi sentimenti
nascosti per la ragazza inglese. Aveva creduto che lei provasse lo
stesso. Nel suo desiderio per lei, aveva frainteso molte cose. Come
quando lei gli si era data nella caverna sotto la cascata. In quei
febbrili momenti aveva pensato che lei provasse lo stesso per lui.
Che la stava reclamando come sua. I suoi capelli e il suo profumo, il
suo corpo caldo avvinghiato alla sua volontà indebolita.
Avrebbe
dovuto resistere. La sua pelle calda gli aveva ottenebrato il
giudizio. Ma no, non era stato abbastanza forte per entrambi. Ora non
poteva più raggiungerla, in alcun modo. Invece, ora lei era
ferita e
confusa, e cercava rifugio solo nella sua terra natale.
Non
tra le braccia
di un pellerossa.
——————————————————————————————————————————
Qualche
giorno più tardi, gli inquilini della capanna stavano per
tenere una
riunione di famiglia.
“Dobbiamo
partire presto,” annunciò Nathaniel gravemente, il
suo viso
allungato illuminato dal bagliore del fuoco.
Il
loro padre annuì, prendendo una boccata della sua pipa, lo
sguardo
allerta.
Il
viso di Cora era acceso di preoccupazione, e Uncas sapeva
perché.
Sarebbe stato un lungo viaggio nei mesi freddi, e avevano
già
rimandato la logistica della cosa.
Una
giubba rossa a cavallo gli aveva fatto visita quella mattina, per
annunciare che tutte le fattorie disabitate ora appartenevano alla
corona. Per disabitate intendeva che i legittimi proprietari erano
morti, e la terra andava liberata dai poveri coloni e dagli indiani
abusivi. L'irritante uomo riusciva a malapena a nascondere il proprio
disgusto verso Uncas e la sua famiglia quando annuì
seccamente e
cavalcò via.
Quella
mattina avevano tutti una casa, non importava quanto temporanea, un
fuoco, e letti per le donne. Ora non avevano niente. Era stato facile
sradicarli tutti, così naturale, come il volgere delle
stagioni.
Li
avrebbe aiutati a spronarli, pensò Uncas filosoficamente.
Doveva
cominciare a prepararsi mentalmente per ciò che stava per
accadere,
incluso l'addio più difficile di tutti.
La
guardò, Alice Munro, che in qualche modo negli ultimi giorni
aveva
perso la sua posa compassata, il colore delle guance, e la luce nei
suoi occhi. I suoi dolci occhi castani ora erano vuoti; o
così
sarebbero apparsi, se lo avesse effettivamente guardato. Alice non
faceva nemmeno lo sforzo di nascondere il suo disinteresse per la
conversazione, il viso poggiato sulle nocche mentre studiava il
fuoco.
“Ci
dici di nuovo il piano, Nathaniel?” mormorò Cora.
I tratti
spigolosi di suo fratello si addolcirono notevolmente quando
guardò
la sua fidanzata attraverso il tavolo. Le sue parole successive
furono molto più gentili.
“Bé,
non abbiamo una vera scelta. Stiamo per essere cacciati da questa
terra. È stato confermato che i Driessen sono stati uccisi
mentre
cercavano di scappare dagli Ottawa. Così ora la corona si
riprenderà
la terra, la terra che hanno venduto o affittato a tutta questa
povera gente.”
Uncas
annuì brevemente. Questi erano i modi degli europei, per sua
esperienza.
“Ci
dirigeremo ad ovest nei prossimi giorni. Non possiamo rimandare
ancora. Per raggiungere l'Ohio a piedi prima dell'inverno saremmo
dovuti partire settimane fa.”
“Quanto
ci metteremo se partiamo subito?” chiese Cora.
Nathaniel
espirò lentamente.
“Il
problema sarà portare Alice ad Albany in tempo per la
partenza della
nave. Per raggiungere il fiume Ohio almeno prima di gennaio, dopo
averla lasciata in un posto sicuro, dovremo partire il giorno
successivo.”
Ci
fu un silenzio teso. Tutti sapevano che Cora non era stata felice
alla rivelazione che Alice li avrebbe lasciati. Specialmente
perché
aveva dovuto saperlo da Nathaniel.
“Non
possiamo fare entrambe le cose, Cora.” Nathaniel sembrava
circospetto mente lo disse.
“Capisco,”
replicò lei, le delicate sopracciglia sollevate.
“Mi sembra che
gli unici ostacoli siano l'inverno e la neve. E se... passassimo
l'inverno a Albany?”
Chingachgook
si irrigidì visibilmente, e mise giù la sua pipa
di terracotta con
cautela. Uncas guardò suo padre. Non sembrava contento.
Cora
disse le parole seguenti di corsa, come se cercasse di tirarle fuori
prima di perdere la risolutezza.
“Se
trascorreremo l'inverno ad Albany, noi, o piuttosto io, potrei
mettere Alice sulla nave. Nathaniel, potremmo anche registrare il
nostro matrimonio. Come figlia maggiore di mio padre, devo sistemare
alcune faccende, come contattare il suo reggimento e spedire lettere
in Inghilterra e Scozia. Una volta arrivata la primavera, possiamo
dirigerci ad ovest.”
“No,”
il tono di Chingachgook era deciso. “Uncas ed io dobbiamo
raggiungere l'accampamento per il mechakhokque.”
“Per-
cosa, sir?” chiese Cora con voce rigida.
“Significa
'freddo
che crepa gli alberi', spiegò
Nathaniel, “dicembre.”
Uncas
guardò in basso, e poi la ragazza bionda. Alice non li aveva
guardati nemmeno una volta. Non le importava che stessero discutendo
il suo immediato futuro? Mentre gli altri erano abituati alla sua
reticenza, non era qualcosa con cui Uncas si era mai trovato a suo
agio. Lei aveva una voce, come chiunque altro.
“Bene,”
replicò Cora. “Nathaniel, lascio la decisione a
te, ma devo
mettere la sicurezza di mia sorella al primo posto. Non so quando...
quando la rivedrò di nuovo.”
Nathaniel
allungò un braccio, e la sua grande, abbronzata mano
afferrò quella
di lei.
“Ne
discuteremo, allora. Mi pare sensato.”
Anche
ad Uncas pareva sensato. Sapeva che suo padre non avrebbe mai
rimandato ancora il loro viaggio, per nessuna ragione. Il suo cuore
avrebbe trovato pace solo quando il suo figlio di sangue fosse stato
sposato con una ragazza Delaware, e in attesa di un figlio.
“Discutetene
allora. Uncas ed io partiremo domani o dopodomani, capelli
scuri.”
Ad
un estraneo, le parole di Chingachgook potevano apparire fredde. I
suoi figli sapevano che non era sua intenzione, a dispetto dei suoi
modi. Le sue parole non erano mai incerte, o trattenute, o avventate.
Nessuna insicurezza o esitazione.
Cora
poteva o meno averlo compreso ormai, anche se il suo sguardo brillava
del suo solito coraggio.
“Grazie
mille,” mormorò, mentre beveva il suo
tè. Uncas sorrise alla sua
presenza di spirito.
Nathaniel
borbottò. “Bene. Quindi abbiamo deciso.
Ora-”
Alice
sospirò e si voltò a fronteggiare gli altri.
“Non
partirò per Londra, sorella.”
Uncas
rimase a bocca aperta come gli altri. Non si sarebbe mai aspettato di
sentire queste parole da Alice Munro.
Cora
si raddrizzò, gli occhi accesi da una cauta speranza.
“Verrai con
noi, quindi? Nella valle dell'Ohio?”
Ad
Uncas sembrò una domanda retorica, ma evidentemente la
sorella
minore non la pensava così.
“No.”
“No.”
Ripeté Nathaniel. “Molto bene.” La sua
irritazione stava
crescendo, mentre socchiudeva gli occhi azzurri e serrava la
mascella. “Quindi non andrai a casa, e non verrai con noi.
Cosa
pensi di fare esattamente, ragazza? Raggiungere la fine della terra e
superarla?”
“Nathaniel,”
Cora si premette le dita sulla fronte e sospirò.
“Cora,
non tutto può girare intorno a tua sorella. Noi-”
“Lasciatela
parlare,” ordinò
Uncas, in tono basso, ma di avvertimento.
Lo
sguardo dei due fratelli si incontrò, quello di Nathaniel
lievemente
derisorio. Aveva notato Uncas che la guardava durante tutti quei mesi
passati.
Per
alcuni lunghi secondi ci fu silenzio.
“Alice?”
chiese Cora dolcemente.
Alice
alzò la testa, lo sguardo distante.
“Non
tornerò in Inghilterra, e non andrò ad ovest.
Andrò ad Albany e
rimarrò lì.”
“Da
sola?” chiese Nathaniel perplesso. La rabbia gli era
sbollita, come
al solito. Il temperamento di Nathaniel era sempre imprevedibile.
“Sì.”
Cora
scosse la testa sconcertata, alcuni riccioli scuri caddero dal suo
chignon.
“Non
capisco, sorella. Perché non vuoi tornare in
Inghilterra?”
“Io...”
Alice sembrava schiacciata da qualunque cosa stesse provando.
“Non
posso essere sicura che- no, so che non sarei la benvenuta. Non
più.”
“Alice,
tutto questo non ha senso. Perché mai non dovresti essere la
benvenuta?”
Nathaniel
emise un borbottio sardonico, senza dubbio pensando a quanto fosse
strana la sorella minore di sua moglie.
Alice
rimase in silenzio, e sua sorella sembrava divisa tra consolarla e
incalzarla di domande.
“Ma
cosa farai? Come diavolo farai a mantenerti?”
esalò Cora, gli
occhi spalancati.
Alice
scosse le spalle. “Troverò un modo. Non sono
più una bambina.
Avrò diciotto anni a gennaio. Sono sopravvissuta fin qui,
non è
così?”
Nathaniel
abbozzò un sorriso. Questo lo rispettava. “E'
vero, Alice.”
Lei
annuì. “Quando partiamo?”
Fu
Chingachgook a rispondere, i suoi occhi acuti fissi su Alice.
“Due
giorni,” bofonchiò.
Alice
annuì di nuovo, apparendo stanca, e si alzò.
“Mi ritiro.
Buonanotte a tutti.”
Uncas
la osservò andarsene, ed era consapevole che suo fratello e
suo
padre stavano furtivamente osservando lui che osservava lei.
Cosa
le è successo?
—————————————————————————————————————————
Uncas
ebbe la sua risposta il giorno seguente.
Alice
aveva finito la maggior parte delle sue faccende. Aveva piegato tutta
la biancheria lavata e l'aveva separata a seconda del suo
proprietario, ed ora stava rammendando la borsa da viaggio strappata
di Uncas, vicino alla porta.
Uncas
osservava le sue dita agili mentre lavoravano in fretta, l'ago
uncinato che brillava briosamente nella luce morente del cielo
autunnale. Lei aveva lasciato la porta aperta dopo aver spazzato.
Uncas non era sicuro del perché volesse spazzare una capanna
che
stavano per abbandonare, ma pensò perché fosse
contenta di poter
fare qualcosa.
“Sarà
difficile lasciare questo posto,” commentò Alice
timidamente,
alzando gli occhi su di lui per la prima volta in giorni. Si
scostò
la lunga treccia dalle spalle.
Uncas
annuì.
“Pensavo
fossi contenta di andare ad Albany,” rispose Uncas in quello
che
ritenne un tono neutrale. Le fece cenno di sedersi a tavola con lui.
Lei
lo fece, mettendo la sacca da viaggio sul tavolo, e lo
valutò per
alcuni lunghi attimi. I suoi occhi brillavano.
“Sono
certa che sarai altrettanto felice di raggiungere l'accampamento
Delaware.”
Era
un commento strano per lei. Lui sapeva che stava alludendo al suo
imminente matrimonio con una ragazza Delaware. Gli occhi di lei si
intristirono, e Uncas desiderò di poterla tenere tra le
braccia
un'ultima volta.
“Tu
provi dei sentimenti per me.”
Uncas
la fissò, preso alla sprovvista. Dopo alcuni attimi
annuì. Doveva
saperlo, ma gli Yengeese avevano la peculiare
abitudine di
dire ogni cosa ad alta voce, anche quando questa era ormai evidente.
“Allora
perché ti sei comportato come se qualcosa fosse davvero
possibile
fra di noi? Quando sapevi che stavi per sposare una della tua
razza?”
“Non
posso scegliere chi sposare,” disse Uncas a bassa voce.
Alice
annuì, “Capisco. Se mio padre fosse ancora vivo,
avrei sposato un
uomo di sua scelta. È la prerogativa dei nostri
anziani.”
Uncas
non disse nulla. Alice era di umore strano, non era quasi mai
così
chiacchierona. Anche se forse essere soli nella capanna era una
spinta irresistibile a sufficienza per lei- Cora e Nathaniel erano
andati al molo, e Chingachgook aveva detto qualcosa di vago sul
controllare le trappole nella foresta.
Era
anche una strana osservazione da parte sua, dato che era stata
così
spaventata da ciò che avevano condiviso.
“Uncas,”
sussurrò Alice, chinando il capo. “Ho sempre
paura. Ho paura di
andare ad Albany, ed essere sola. Ho paura del futuro. Ho paura di...
di non vederti mai più.”
I
suoi occhi quando guardò su erano così
vulnerabili, così
angustiati, così persi,
che
Uncas sentì il cuore stringersi dolorosamente. Fin dal
momento in
cui l'aveva incontrata, quella fragile ragazza Yengeese,
aveva voluto proteggerla. Non era mai stato bravo a parole, lasciando
sempre che fosse Nathaniel a parlare per la loro famiglia; e un vero
guerriero e un uomo non aveva bisogno di affidarsi a frasi o gesti.
C'erano
così tante cose che avrebbe voluto dire. Se glielo avesse
chiesto,
lui non l'avrebbe rifiutata. Suo padre avrebbe dovuto comprendere. Ma
cosa poteva fare quando una cosa del genere sembrava inconcepibile,
perfino per loro due? Quando lei era tormentata da così
tanti dubbi?
Prima
che potesse dire qualcosa, le sue orecchie catturarono il suono di
qualcuno, o piuttosto due persone, che camminavano in fretta lungo il
sentiero.
Uncas
era quasi certo che fossero suo fratello e Cora, ma si alzò
in piedi
immediatamente, afferrò il fucile, e andò alla
porta.
Incontrò
suo fratello e Cora a metà strada.
Uncas
abbassò il fucile, gli occhi che andavano dall'interno
all'esterno
della capanna.
“Tutto
a posto?” chiese, notando la tensione che c'era tra di loro.
Cora
lo ignorò, l'espressione più dura di quanto lui
l'avesse mai vista.
I suoi lineamenti sembravano incupiti, anche se doveva essere per la
luce del tramonto autunnale.
“Problemi?”
chiese con cautela a suo fratello nella loro lingua mentre la donna
li superava, chiamando Alice ad alta voce.
“A
quanto pare,” mormorò Nathaniel, digrignando i
denti. Gli uomini
la seguirono, entrando nella capanna e chiudendo la porta.
Uncas
andò a mettere un altro ciocco di legno nel fuoco. La sua
perplessità aumentò quando notò
l'espressione confusa di Alice, e
l'agitazione di Cora.
“Penso
che sia ora che tu ci dica la verità, sorella,”
sussurrò Cora, il
viso pallido come la neve appena caduta. In effetti, sembrava davvero
stare male.
“La
verità?” Alice batté le palpebre,
guardando gli altri.
“Siamo
appena stati al molo, Alice,” la voce di Nathaniel era
più calma e
misurata, “e abbiamo chiesto in giro per scoprire se qualcuno
ti
avesse visto lì. Dal momento che ultimamente sei stata
davvero
sfuggente.”
Alice
impallidì visibilmente. Le mani le tremavano e le parole
sembrarono
morirle in gola.
“Q-quindi?”
“Quando,
Alice?” chiese Cora, le lacrime che le scorrevano lungo il
viso.
“Non è stata- violenza-
vero?”
Uncas
stava iniziando ad allarmarsi. “Cosa è
successo?” insistette, il
pensiero che qualcuno potesse aver fatto male ad Alice gli provocava
un moto di adrenalina. “Fratello, di cosa si
tratta?”
Ora
Alice sembrava davvero star male. Cominciò a tremare
così
violentemente che le battevano i denti.
“Mi
dispiace... Cora, mi dispiace tanto. Ti prego, ti prego
perdonami.”
“E'
per questo che hai detto che la tua famiglia non ti avrebbe dato il
benvenuto in Inghilterra?” Il tono di Nathaniel era
sorprendentemente gentile, anche per lui.
Uncas
sbatté il fucile a terra in un raro impeto di rabbia.
“Alice.
Cosa è successo? Qualcuno ti ha fatto del male?”
la incalzò
Uncas, gli occhi che scrutavano la sua pelle di luna, che anche ora
stava diventando sempre più pallida un secondo dopo l'altro.
“E'
stata una violenza?” Ripeté Nathaniel, poggiandole
una mano sulla
spalla tremante.
Uncas
spostò in fretta lo sguardo su suo fratello,
perché Alice sembrava
non volerlo guardare. Cosa?-
“No.
No, non lo è stata.”
“Alice-
allora è vero, sorella?”
La
bionda annuì.
“Sono
incinta,” bisbigliò.
A
Uncas sembrò di aver ricevuto un calcio nello stomaco.
Rimase
completamente senza fiato.
“Sai
chi è il padre?” Continuò Nathaniel.
Lo
sguardo di Cora lampeggiò pericolosamente, perfino
attraverso le
lacrime.
“Nathaniel
Poe!” gridò, “Non insinuerai che mia
sorella sia una-”
“Sono
stata con un solo uomo,” urlò Alice, “So
chi è, ma- lui-”
Alice
si alzò improvvisamente in piedi, sul viso la stessa
espressione
intontita che aveva indossato durante tutta la sua terribile ordalia.
Era uno sguardo soffuso di totale vacuità. Scostò
le mani di tutti
e camminò inciampando verso la porta. Sembrava la camminata
di una
cieca.
“Stanotte
dormirò nel fienile,” mugugnò, lo
sguardo perso. “Parleremo...
domani.”
“Alice!
Alice!” chiamò Cora in tono lamentoso,
singhiozzando sempre più
forte.
“Aspetta,”
ordinò Uncas, mettendo tutto il peso dei suoi sentimenti in
quella
parola. “Parlerò io con lei.”
“No,
Uncas,” disse Cora piangendo, il viso tra le mani, Nathaniel
che le
carezzava la schiena cercando di confortarla. “Devo essere io
a
parlarle. Deve dirmi chi è il responsabile! Quando
scoprirò il nome
di quel mascalzone io-”
“Sono
io il padre del bambino.”
Per
alcuni lunghi secondi, tutto sembrò sospeso
nell'immobilità. Come
se il tempo stesso si fosse congelato.
Nathaniel
spalancò gli occhi dallo stupore. Per una volta nella vita,
suo
fratello sembrava a corto di parole.
Cora,
nel frattempo, lo guardava con totale incomprensione. “Tu...
cosa
intendi?”
Uncas
spostò lo sguardo oltre loro due, desiderando parlare ad
Alice. Ora
comprendeva il suo comportamento bizzarro in quelle ultime settimane.
Doveva essere stata così spaventata. Gli avevano detto che
le donne
Yengeese
erano
tenute sotto codici di condotta molto stretti, che qualsiasi strappo
ad essi era soggetto alla pubblica vergogna.
“Ho detto che sono
io il padre del bambino.”
Cora
rimase a bocca aperta, la mascella che pendeva come se fosse priva di
sostegni. “Tu hai fatto questo? Tu hai
disonorato mia sorella in modo così vile?”
Il
pallore del suo
volto si stava rapidamente colorando mentre la rabbia prendeva il
sopravvento.
"Tu-tu...”
Cora era fuori di sé. Apparentemente incapace perfino di
pensare a
un termine che potesse descriverlo.
Si
rivolse a Nathaniel. “Questa è la famiglia in cui
sto per entrare
a far parte? Seduttori di giovani innocenti?”
Nathaniel
atteggiò le mani in un gesto di difesa, scuotendo la testa.
“Cora,
non ne avevo idea. Quello che mio fratello fa-”
“Non
ti riguarda? Perché questo riguarda mia sorella. Tuo
fratello le ha
messo in grembo un bastardo.”
Si
diresse verso la porta. “Non voglio parlare con nessuno dei
due.
Accompagnerò Alice ad Albany e staremo entrambe
lì finché non avrò
pensato a cosa fare-”
Uncas
alzò la voce, “No. Le parlerò e io
mi
prenderò cura di lei.”
“Chiudi
la bocca, Uncas! Stai peggiorando le cose!” abbaiò
Nathaniel al
fratello minore nella loro lingua natia, il volto contorto dalla
rabbia; rabbia al pensiero del suo amore che lo abbandonava, al
pensiero di Alice sedotta.
Si
gettò verso il fratello e fece un gesto come se volesse
spingerlo. I
loro litigio li fece finire fuori e tutti e tre si ritrovarono
immersi nella luce del tramonto.
Cora
si voltò, sibilando di esasperazione, e si diresse verso la
stalla.
Uncas
serrò la mascella, togliendosi la mano di Nathaniel dal
braccio.
“Cosa
è successo?”
Una
nuova voce li interruppe tutti. Chingachgook. Gli uomini si zittirono
immediatamente, ma per ragioni molto diverse. Gli occhi del padre
erano in allerta mentre li guardava tutti – difficilmente
poteva
non aver notato la rabbia di Cora e la sua corsa verso la stalla,
sbattendo la porta con forza.
Uncas
sapeva che le cose erano cambiate drasticamente, irrevocabilmente.
C'era una possibilità molto reale che suo padre lo avrebbe
disconosciuto. Nell'arco di pochi mesi, aveva disobbedito quasi ad
ogni insegnamento che lui gli aveva inculcato.
Devi
sposare solo una di noi. Stai lontano dagli Yengeese. Il nostro
sangue non deve essere corrotto. Non dimenticare la tua
responsabilità verso la nostra tribù. Comportati
onorevolmente
verso le donne-
“O
glielo dici tu o lo faccio io, Uncas,” scattò
Nathaniel.
“Dirmi
cosa?” Il tono di Chingachgook era uno di quelli che non
tolleravano bugie. Il suo sguardo era fisso sul figlio minore.
Sì,
Uncas sapeva di non aver agito come avrebbe dovuto fare un guerriero,
ma una cosa che non avrebbe fatto era andare contro la sua coscienza
in una situazione come quella. Non l'avrebbe abbandonata, né
le
avrebbe permesso di scappare via.
Affrontò
il padre direttamente, scrutandolo per alcuni secondi prima di
parlare.
“Alice.
È incinta di mio figlio.”
|
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Capitolo 6 *** Capitolo sei ***
Chingachgook
fissò Uncas per alcuni lunghi momenti. Non disse nulla, non
batté
nemmeno le palpebre.
Uncas
inghiottì nervosamente.
“Padre,
hai sentito quello che ho detto? Alice è-”
“Ho
sentito.”
Chingachgook
fece un passo verso il figlio, e poi si fermò. Scosse il
capo, poi
guardò Nathaniel come a cercare una conferma. Nathaniel
annuì
cupamente, rifiutandosi di guardare il fratello.
Uncas
scrutò i lineamenti familiari di suo padre che ora erano
trasfigurati dalla tensione.
“Eri
tu il responsabile di questo? Tu hai sparso il tuo seme dentro quella
ragazza Yengeese dal viso pallido?”
Uncas
sentì un formicolio di paura sotto la pelle. Sentirlo nella
loro
lingua lo faceva sembrare molto peggio. E poi non era nel carattere
del padre persistere nel fare domande una volta che la
verità era
stata stabilita, il che di per sé era snervante.
“Padre,
io-”
“Sapevi
che era incinta?” Nathaniel interruppe il fratello, alzando
le
sopracciglia dalla sorpresa.
Chingachgook
annuì seccamente. “Quello che non mi aspettavo era
che fosse il
mio figlio di sangue ad essersi comportato così
ignobilmente.”
Uncas
indietreggiò.
“Padre,
so che devi pensare il peggio di me. Che le mie azioni siano state
sconsiderate.”
“Sconsiderate,”
gli occhi di Chingachgook si ridussero a una fessura, la sua voce
vibrante di disprezzo, “è una definizione troppo
tenera. Quello
che hai fatto è vergognoso e inscusabile.”
Uncas
e Nathaniel rimasero paralizzati, nella presa della rabbia crescente
del padre.
I
suoi occhi si posarono su Nathaniel. “Tu. Cosa ha da dire
capelli
scuri?”
La
porta della stalla sbatté aprendosi come una battuta
d'entrata in
teatro e Cora ne piombò fuori, la mascella che tremava di
furia e di
frustrazione. Si diresse verso la porta della capanna, a testa alta.
“Alice
non vuole parlarmi. Radunerò le nostre cose, e lei ed io
partiremo
domattina. Non provare a parlarmi, Nathaniel Poe. Sono assolutamente
seccata con te.”
Spalancò
la porta e marciò dentro, con Nathaniel alle sue calcagna.
Uncas
riusciva a sentirli litigare mentre la porta si richiudeva lentamente
su se stessa, lasciandolo solo con suo padre.
Chingachgook
scosse la testa sdegnato. “Figli miei,”
mormorò, gli occhi che
gli brillavano con lo stesso miscuglio di disprezzo e rabbia.
“Cosa
farai ora?” chiese dopo una pausa.
Uncas
alzò lo sguardo, “Padre...”
Quella
parola rimase sospesa tra di loro, e l'aria era densa di dolore e
delusione. Uncas voleva che suo padre capisse che non avrebbe mai
voluto deluderlo, che sarebbe stato fiero di imboccare il sentiero
che suo padre aveva scelto per lui, che onorava il loro popolo. Ora,
questi piani così accuratamente programmati erano stati
ridotti in
pezzi da una perennemente fragile ragazza inglese dagli occhi tristi,
e da questa inaspettata rivelazione.
“Padre,
non posso venire con te all'accampamento Delaware. Non posso sposare
una delle loro donne.”
Osservò
tristemente la postura rigida di suo padre curvarsi. Dalle spalle
alla linea fiera della schiena, fino alla sua bocca, il suo corpo
rivelava che duro colpo fosse quello per l'anziano uomo. Per
venticinque anni, aveva riposto tutta la sua fiducia e la sua
speranza per il futuro sulle spalle del suo unico figlio naturale.
Dallo sradicamento della sua tribù, alla perdita della
moglie a
causa delle malattie dell'uomo bianco, si era sempre aggrappato alla
certezza che Uncas sarebbe stato colui che avrebbe mantenuto la
discendenza salda.
Chingachgook
non volle più incontrare il suo sguardo. “Uncas.
Hai fatto la tua
scelta. Percorrerai una strada che non avrà la mia
benedizione. La
strada che stai prendendo condurrà alla corruzione del
nostro
sangue.”
Chingachgook
superò il figlio minore, la sua espressione priva di
qualsiasi
emozione. “Radunerò i miei averi e
andrò ad ovest. Tu prendi la
tua donna Yengeese
e
vai dove ti pare.”
E
a quelle parole Uncas sentì il legame che aveva con suo
padre
spezzarsi. Ha
fatto in fretta a fare di me un estraneo.
“Porta
in grembo tuo nipote,” gli gridò mentre l'uomo
entrava in casa.
La
sua voce aveva raggiunto la capanna, e Cora e Nathaniel smisero di
litigare per fissarlo. Non si era reso conto di aver parlato in
inglese. Chingachgook a queste parole si bloccò, ma Uncas
non poteva
più rimandare. Doveva parlare con Alice.
Mentre
si voltava, i suoi occhi incontrarono quelli di arrabbiati di Cora, e
lui ricambiò lo sguardo senza vacillare. Comunicò
i suoi pensieri
con quello sguardo. Lei pensava di potergli portare via Alice. Dovrai
ripensarci.
Una
volta entrato nell'ombroso, scuro fienile, gli ci vollero diversi
minuti prima che riuscisse a persuadere Alice a scendere. Il suo
istinto gli diceva di non toccarla o abbracciarla mentre se ne stava
lì in piedi, il capo chino, torcendosi nervosamente le mani.
Un filo
di paglia rimaneva testardamente aggrappato ai suoi capelli e Uncas
glielo tolse gentilmente. Alice si tese al mero contatto della sua
mano.
“Entra
in casa. Mangia qualcosa,” le chiese. Le sue mani fremevano
letteralmente per toccarla, ma doveva essere prima sicuro che si
nutrisse e stesse al caldo. Era davvero troppo magra, gli zigomi
più
sporgenti di quando l'aveva conosciuta, quando il suo viso era
più
pieno e in salute.
“Vieni,”
ripeté lui, con un accenno di sorriso, anche se la sua mente
era
sconvolta dalla preoccupazione.
Lei
alzò lo sguardo, il viso provato. “Sei arrabbiato
con me?”
sussurrò con difficoltà.
Uncas
sentì lo stomaco attorcigliarglisi dolorosamente al
rimprovero che
Alice rivolgeva a se stessa. Prima di potersi fermare, coprì
la
distanza che li separava e la strinse tra le braccia.
Assorbì il suo
tremito, la sua paura, la sua disperazione.
“No,”
rispose con sicurezza, “Mai.”
—————————————————————————————————————————
Era
scesa la notte, e Alice sedeva all'aperto accanto ad un tremolante
falò, le cui fiamme illuminavano i visi di tutti di una
sfumatura
arancione.
Gli
uomini stavano arrostendo della carne su uno spiedo, Cora sedeva
accanto a Nathaniel (perché Alice l'aveva ignorata), ma
manteneva un
occhio vigile e preoccupato sulla sorella minore.
“Dov'è
vostro padre?” chiese Alice esitante.
Gli
uomini si fermarono.
“Ha
deciso di dirigersi ad ovest per trascorrere l'inverno con i
Delaware. Albany non è di suo gradimento.”
Nathaniel ammiccò ad
Alice, girando la carne con attenzione. Come al solito, Alice non
riusciva a capire se la stesse prendendo in giro.
“Io
non sono di suo gradimento.”
“Andrai
con lui, Uncas?” diresse la sua domanda al fratello minore.
Uncas
alzò lo sguardo, perplesso alla domanda.
“Mangiamo,”
disse Nathaniel in fretta.
Per
i successivi minuti, il quartetto fu occupato in
quell'attività.
Alice lanciò uno sguardo a Cora, che era stranamente
silenziosa.
Ogni volta che faceva un gesto come a voler parlare direttamente con
Alice, Nathaniel le dava una gomitata e borbottava qualcosa. Alice
sapeva che avevano litigato, ma sembravano essere giunti ad uno
stallo – e riguardava lei, Alice lo sapeva. E la sua... condizione.
Sembrava che fossero d'accordo nel non farle domande.
Comunque
c'era tensione nell'aria. Nathaniel manteneva una cortesia forzata
con Uncas, e Cora non si rivolgeva mai a lui.
Alice
prese la carne senza interesse. Era fisicamente e mentalmente davvero
troppo provata per fare altro.
“Mangia,
Alice,” ordinò Uncas che era di fronte a lei.
“Sono
piena.”
“Hai
dato quattro morsi.”
Alice
sospirò. Le stava contando i morsi? Lui non capiva che anche
mangiare quattro piccoli morsi di quell'insipida carne era un vero
miglioramento per lei. Difficilmente era riuscita a trattenere
qualsiasi tipo di cibo per settimane. E non si sarebbe umiliata
rimettendo il contenuto del suo stomaco. Aveva addirittura vomitato
un sorso d'acqua il giorno prima.
“Questo
è tutto ciò che riesco a mangiare al momento. Se
mi sforzo, starò
male.”
L'espressione
di Cora si accese di compassione e preoccupazione.
“Sì, mi hanno
detto che i primi mesi sono molto difficili.”
Alice
mise da parte il suo pasto. Non aveva voglia di discuterne
apertamente.
“Perché
non bevi il tuo tè?”
“Quale
tè?” mormorò Alice.
“L'ho
trovato nella stalla. Un pacchettino.”
Alice
sussultò. “Oh, quello... bé, non
è precisamente adatto al -ehm-
consumo.”
Cora
era confusa. “Sono foglie di tè, no?”
“No.
sì. Non lo so.” Alice sospirò,
“suppongo che siano foglie di
tè. Me le ha date Nell.”
Nathaniel
sembrava confuso. “Chi è Nell?”
“Sono
andata in città quando ho cominciato a sospettare della mia
-mia-
condizione. È una specie di levatrice. Nella mi ha esaminata
e lo ha
confermato. Io... non ho preso molto bene la notizia.”
Alice
non voleva guardare Uncas, che stava ascoltando attentamente.
Lanciò
invece un'occhiata a Nathaniel e la sua espressione era gentile.
“Così
ti ha dato il tè per farti sentire meglio?”
“In
un certo senso.”
Alice
voleva dimenticare l'intera faccenda, ma Cora e Nathaniel
continuarono ad insistere.
Emise
un debole sospiro e scosse la testa.
“Alcune
delle foglie servivano per alleviare la nausea. Le altre... ha detto
lei... me le ha date per far tornare le cose come erano prima. Ha
detto che il tè avrebbe messo fine alla causa dei miei
problemi.”
Il
silenzio cadde sul gruppo. Uncas fece per avvicinarsi, ma Cora lo
precedette.
“Alice,”
esalò, “non avrai-”
“No,
non l'ho fatto. Bere il tè mi avrebbe fatto sanguinare. Ma
troppo è
pericoloso, mi ha detto. Ci ho pensato. Ho deciso di non
farlo.”
Alice scosse le spalle con noncuranza.
Non
disse loro della paura e del panico selvaggio. Non disse loro che
aveva effettivamente fatto quell'infuso, da sola, in un accesso di
disperazione. Che aveva portato il prodotto finito alle labbra, preso
un sorso, e poi lo aveva risputato subito, terrorizzata. Aveva
vuotato la tazza nell'erba.
Il
suo stomaco si contrasse improvvisamente. Reprimendo un lamento,
Alice si alzò in fretta.
“Che
succede?” chiese Uncas immediatamente.
“Sto
male,” fu tutto quello che disse prima di correre il
più lontano
possibile. Aveva superato la linea degli alberi in un attimo prima di
cadere sulle ginocchia. Vomitò tutto quello che aveva appena
mangiato, anche se in effetti non era molto.
Sentì
la mano forte di Uncas sui suoi capelli, sulla schiena. Il suo tocco
era insopportabilmente dolce.
Continuò
ad avere conati per diversi secondi, dopo che il suo stomaco si fu
svuotato. Si fece piccola dall'imbarazzo mentre Uncas l'aiutava ad
alzarsi. Catturò il suo sguardo, e notò che
l'espressione di Uncas
era solcata dalla preoccupazione. Il suo viso era ancora più
scuro
nel buio della notte.
“Meglio?”
chiese, attirandola a sé. Alice annuì
languidamente, appoggiandosi
alla sua figura. Profumava sempre di fumo e pino.
Tornati
alla radura, Alice batté le palpebre confusa. Cora e
Nathaniel se ne
erano andati, presumibilmente nella capanna. E l'erba era stata
ripulita dallo spiedo e dalla carne.
“Parliamo,
Alice. Di quello che succederà.”
Alice
sedette rigidamente accanto a lui sull'erba, aspettando che parlasse.
I suoi lineamenti cesellati erano molto seri.
“Vieni
con me. Avrò cura di te e di nostro figlio.”
Alice
rimase a bocca aperta. Le cose non le mandava certamente a dire.
“Io...
volevo andare ad Albany.”
“Per
fare cosa?” ribatté lui, i suoi occhi scuri
così intensi.
“Bé,
non ci ho pensato molto.” La voce di Alice
vacillò, e guardò
Uncas in fretta, aspettandosi una risposta derisoria. Ma lui non lo
fece. Annuì e la invitò con gli occhi a
continuare. Com'era diverso
da suo fratello, da Cora, e da suo padre.
“Cosa
pensavi di fare?”
Alice
si leccò le labbra secche. Sentì il sapore del
sangue.
“Sono
beneducata. Potrei fare la maestra. O anche solo la cucitrice. Farei
qualunque mestiere onesto per mantenere me stessa e... e il
bambino.”
Aveva
davvero detto quello parole ad alta voce? Non aveva mai pensato a lui
come a un bambino fino a quel momento.
L'espressione
austera di Uncas si addolcì, e lui allungò il
braccio, la mano
aperta, poggiandole il palmo sul ventre con delicatezza.
Ad
Alice si bloccò il respiro. Il suo tocco era un balsamo per
lei. In
quel momento poteva sentire quello che lui provava; per lei e per il
bambino. Voleva proteggerla. Voleva tenerli al sicuro.
“Vieni
con me.”
Alice
alzò lo sguardo, i suoi sentimenti e le sue paure chiari nei
suoi
occhi.
“Dove
andremo? Intendo, se decido di accompagnarti. Tu sei un cacciatore.
Io vorrei una casa. Un tetto. Per il bambino.”
Uncas
annuì, i capelli irradiati dalla luce del fuoco.
“Ti
darò tutte queste cose. Tutto ciò che
vorrai.”
Alice
si scoprì ad avvicinarsi a lui. Aveva pensato solo a se
stessa e al
bambino negli ultimi giorni. Si era detta che sarebbe stata sola. Che
avrebbe sopportato la sua vergogna in silenzio e penitenza.
Tuttavia,
Alice resisteva ancora. Erano così diversi. Come potevano?...
Uncas
studiò il suo viso intensamente.
“Possiamo
provare nella valle dell'Hudson. O ad Albany finché il
bambino non
sarà nato.”
“Non
hai una casa tua? Una terra? Dove vivremo?”
Uncas
scosse il capo. “Ho dell'argento. Sarà sufficiente
per comprare
della terra. Posso cominciare a costruire una casa questa primavera
–
una volta che avremo deciso il luogo.”
Alice
cominciò a scaldarsi all'idea, specialmente
perché lui usava
costantemente il termine “noi”. Le avrebbe dato
ascolto, avrebbe
preso in considerazione i suoi pensieri e le sue opinioni. Ma cosa
sarebbero stati? Marito e moglie?
“Se...”
Alice fece un respiro profondo. “Se vivremo insieme, lontano
da
qui, cosa accadrà una volta che il bambino sarà
arrivato?”
Uncas
le mise una ciocca di capelli dorati dietro l'orecchio. “Cosa
intendi?”
“Ci
comporteremo come se fossimo sposati?”
Uncas
la fissò. “Io sarò tuo marito. Tua
sarai mia moglie.”
Alice
era confusa. “Saremo sposati? Come? Da chi?”
Era
troppo, ad Alice stava girando la testa. Non ci aveva nemmeno
pensato, non aveva pensato all'implicazione che dividere la casa
avrebbe significato che sarebbero stati legati.
Le
vecchie paure riemersero da un angolo remoto della sua mente.
“Ma
Uncas, noi siamo così diversi. E lo saremo sempre. E se non
riuscissi...” la voce le morì in gola.
Uncas
la attirò a sé, l'intensità del suo
sguardo le provocò un'ondata
di desiderio. Abbassò lo sguardo, rimproverandosi per la
propria
licenziosità.
“Ti
insegnerò ogni cosa. Non ti mancherà nulla.
Credimi.”
Alice
si avvicinò, senza volerlo, attratta da lui come lo era
stata fin
dalla prima volta che lo aveva incontrato. Mentre le loro labbra si
avvicinavano, Alice sussurrò che gli credeva.
——————————————————————————————————————————
Il
giorno seguente sorse nuvoloso mentre i quattro si dirigevano al
molo; era sia un ultimo gesto di solidarietà per passare
insieme
qualche ora spensierata tutti insieme in quel posto prima della loro
inevitabile separazione, sia una faccenda pratica dal momento che
entrambi i gruppo dovevano acquistare delle provviste.
Da
parte sua, Uncas avvisò Alice che avrebbe dovuto indossare
dei
pantaloni, degli stivali, e un cappello durante il loro viaggio.
Sembrava un suggerimento perfettamente razionale, perché un
indiano
che viaggiava con una donna bianca avrebbe causato troppe chiacchiere
e potenziali guai. Alice era rimasta scioccata al pensiero e Uncas
aveva dovuto convincerla.
“Le
signore no-” aveva cominciato ad esclamare, scandalizzata.
“Lo
so,” aveva detto lui con fermezza. “Ma devi
confonderti meglio.”
Signora
o non signora.
“Dove
siete diretti, Uncas?”chiese Nathaniel, rivolgendogli un
sorriso
mentre cercavano della pelle scamosciata. “Qualche
idea?”
Uncas
assentì. “Alcune. Devo portarla in un posto sicuro
in poco tempo.”
Sicuro
era
un termine soggettivo. Erano nel mezzo di una guerra, e il loro
diverso colore di pelle attirava troppo l'attenzione. Senza
menzionare il momento in cui la sua gravidanza avrebbe cominciato ad
essere visibile.
“Congratulazioni
per la tua imminente paternità, fratellino.”
Nathaniel gli diede
una pacca sulla schiena, “credo che con tutto questo
trambusto io
abbia dimenticato di dirtelo.”
Uncas
regalò al fratello maggiore un raro, caloroso sorriso.
“Come
la sta prendendo Cora?”
Nathaniel
ammiccò. “Un giorno alla volta. Le ho
parlato.”
“Uncas,”
continuò Nathaniel, l'espressione di nuovo seria,
“Lascia che la
porti ad Albany con Cora. Almeno finché il bambino
sarà nato. È
più sicuro.”
Uncas
non disse nulla, lasciando vagare lo sguardo intorno a sé in
cerca
di Alice. Finalmente la trovò che guardava entusiasticamente
alcuni
abiti che un'anziana donna tarchiata vendeva. Alice sembrava
così
felice all'idea di avere degli abiti puliti. Uncas le aveva detto di
comprare un vestito e diversi indumenti intimi. Sarebbe stata un
sacco di roba da trasportare.
“Fratello,”
replicò Uncas, “comprale dei pantaloni della sua
taglia. La più
piccola, credo. Dobbiamo partire presto. Anche un cappello, uno di
quei cappelli buffi indossati dai bianchi, con le tre punte. E degli
stivali.”
“Gli
stivali sono costosi.”
Uncas
alzò le spalle. “Ti ho dato
dell'argento.”
Nathaniel
gli diresse un'occhiata divertita, ma fece come gli era stato detto.
C'era
un'altra cosa che Uncas doveva fare, e cominciò dirigendosi
verso un
allampanato uomo bianco. Un'ultima cosa, e potevano partire.
In
effetti c'era un'idea che si stava formando nella sua mente, ma non
comprendeva Albany, e non comprendeva l'andare ad ovest.
Uncas
sorrise, rivolgendo una veloce preghiera a Mannitto.
Quando
finirono le loro compere, entrambe le coppie si diressero verso la
foresta. Sarebbero rimasti insieme per un giorno circa, accampandosi
di notte, e poi si sarebbero separati.
Almeno
Cora aveva smesso di piangere.
“Pronta?”
sussurrò Uncas alla ragazza bionda al suo fianco, i suoi
capelli
sciolti che ondeggiavano nella brezza autunnale.
Lei
annuì.
“Sono
pronta.”
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Capitolo 7 *** Capitolo sette ***
“Uncas,
fa talmente tanto caldo. Mi sembra di essere sul punto di
sciogliermi.”
Uncas
la guardò, l'espressione placida. Stavano assaporando la
loro prima
sosta pomeridiana nel loro cammino verso nord. Quell'inizio di
autunno si era rivelato stranamente afoso. ”Estate
indiana,” così
era chiamata.
Era
il loro terzo giorno insieme da quando si erano separati da Cora e
Nathaniel. Cora aveva preso male la separazione, abbracciando la
sorella minore e dando voce al suo nervosismo. Alice aveva dovuto
ripeterle, parecchie volte, che Uncas si sarebbe preso cura di lei,
che quella era la sua decisione. Alice aveva i suoi dubbi, ma si era
detta che quella era l'opzione migliore, piuttosto che affrontare il
giudizio e i visi familiari ad Albany e a Londra.
“Domani
raggiungeremo il Lago Grande Alce. Potrai farti il bagno
lì.”
Alice
ridacchiò involontariamente. Grande Alce?
Lui
le sorrise in risposta, poi tornò al suo compito. Stava
intagliando
una punta di lancia da una roccia a falde, perché stava
cercando di
conservare la polvere da sparo. Stavano facendo una pausa, ed
entrambi sedevano per terra. Uncas aveva detto che ormai si trovavano
a nord di Albany. Il sole scaldava impietosamente.
Alice
trattenne un verso di disappunto. Era assolutamente sporca, ed
era oltre una settimana che non faceva un bagno. Il suo vestito, che
le era stato male fin dall'inizio e appartenuto una cameriera al
forte, era in condizioni pessime. L'orlo era strappato ed era
diventato definitivamente marrone. Non ce la faceva più a
sopportarlo – doveva fare un bagno,
lavare quello straccio
di vestito, e indossare il nuovo abito. Aveva acquistato un semplice
ma adorabile abito di cotone blu, una nuova camiciola, e una
sottoveste.
Uncas
era ancora impegnato nel suo compito, a capo chino, quando la sua
voce paziente interruppe le riflessioni di Alice.
“Se
fai il bagno ora, Alice, dovrai mettere i calzoni e la camicia, non
l'abito.”
Alice
si impuntò. La sua sensibilità era inorridita
all'idea di indossare
abiti maschili. Ci rifletté per alcuni minuti. Da una parte,
era
scandalosamente inappropriato e irregolare. Non doveva dimenticare
chi fosse e da dove venisse. D'altra parte però...
Alice
si guardò le dita sporche e scurite dal sole. Si
studiò le unghie
sudice. La sua istitutrice l'avrebbe schiaffeggiata se l'avesse vista
nello stato in cui era ora. Aveva ormai un aspetto spaventoso. Aveva
anche smesso di indossare il corsetto, perché la pressione
sul seno
era troppo dolorosa. E... Alice sospirò tra sé e
sé... il ventre e
il seno avevano cominciato a crescere. Non molto, ma erano
un'anticipazione dei mesi a venire.
Considerato
tutto questo, perché non indossare dei pantaloni?
“Va
bene,” annuì Alice decisa. “Lo
farò. Ora, conducici al
torrente, sir.”
Uncas
sollevò un sopracciglio all'uso della parola
“sir”, ma in ogni
caso annuì vigorosamente. Cominciò a raccogliere
le loro cose.
Poco
dopo, Alice osservava estasiata lo spumeggiante ruscello che scorreva
veloce accanto a loro. C'era un punto più appartato che
Uncas le
indicò, che le avrebbe garantito un po' più di
privacy. La lasciò
lì con l'ordine assoluto di non andarsene in giro, di
chiamare se
fosse successo qualcosa, e di non metterci troppo. Con un breve,
intenso, e completamente inaspettato bacio sulle labbra, Uncas
andò
a pattugliare il perimetro del torrente, lasciando una sbalordita
Alice a sentirsi un po' scossa da quella manifestazione emotiva.
Alice
sentì un tremito afferrarla a quell'inaspettato contatto. Si
erano
già baciati prima, ma questa volta era stato diverso. Si
sfiorò le
labbra con la punta delle dita.
Alcuni
minuti dopo, Alice era immersa nell'acqua, strofinandosi via lo
sporco e il sudiciume del viaggio. Tirò fuori un pezzo di
sapone
ruvido dal suo involto di cera e procedette a sciacquare e insaponare
i capelli. Era più che paradisiaco. L'acqua era fredda, ma
sopportabile. Alice avrebbe voluto trascorrere il resto della
giornata a giocherellare con l'acqua, ma sapeva che andavano di
fretta.
Dopo
alcuni minuti, Alice fu pronta a uscire dall'acqua. Gettò
un'occhiata al prato, e si rese conto che, dopo aver preso il sapone,
aveva lasciato la sacca a terra dove non riusciva a raggiungerla.
Avrebbe dovuto uscire dall'acqua nuda se voleva prenderla, una cosa
che si rifiutava di fare.
Alice
maledisse la sua sbadataggine. Forse doveva chiamarlo? Sarebbe stato
così imbarazzante. Si disse che allora doveva aspettare, e
infatti
aspettò, per diversi minuti, finché l'ansia non
cominciò ad
afferrarla. E se fosse successo qualcosa? E se lui fosse andato via?
“Uncas,”
chiamò debolmente, sentendosi iperventilare. Nel giro di
pochi
secondi, il suo compagno di viaggio emerse dalla macchia, lo sguardo
sempre allerta. Alice quasi pianse dal sollievo.
Uncas
le si avvicinò, tenendo volutamente gli occhi fissi sul suo
viso.
Alice tenne le braccia incrociate sul petto, anche se solo le sue
spalle erano visibili.
“Hai
bisogno di qualcosa?” chiese Uncas con disinvoltura, le
sopracciglia sollevate. Alice si immerse ancor più
nell'acqua, le
ginocchia che le strusciavano contro le pietre sul fondo del
ruscello.
“Ho
bisogno di qualcosa per coprirmi,” bofonchiò lei.
“Puoi portarmi
la pelle di cervo e... la mia sacca?”
Uncas
annuì. Subito dopo tornò con una coperta fatta di
morbida pelle di
cervo. La tenne aperta di fronte a lei, in attesa.
Alice
era assolutamente scioccata. Di sicuro lui non intendeva che dovesse
uscire dall'acqua di fronte a lui, nuda e bagnata com'era?
“La
pelle si bagnerebbe, e non abbiamo tempo per farla asciugare.”
Alice
riusciva a vedere la logica in questo, ma era comunque
così...
così... osceno. Facendo un respiro profondo, e assicurandosi
che
Uncas avesse distolto lo sguardo, Alice saltò fuori
dall'acqua, e
Uncas l'avvolse nella pelle altrettanto velocemente.
Alice
rabbrividì mentre vi si avvolgeva più
strettamente. Uncas le
strofinò le braccia lentamente, teneramente, cercando di
riscaldarla.
Calore.
Le
tornarono in mente le caverne, e il modo in cui il suo corpo solido
l'aveva scaldata. Si avvicinò a lui, il cuore che le batteva
forte
per la propria audacia, e gli poggiò la testa sul petto. Lui
l'avvolse tra le braccia, attirandola più vicina a
sé. A quella
sensazione Alice chiuse gli occhi – riusciva a sentire ogni
fibra
del suo corpo, e così era per lui, lo sapeva. Alzando
lentamente il
capo, i loro occhi si incontrarono. Vide il calore che permeava le
nere profondità dei suoi occhi scuri. Alice sapeva che in
quel
momento non sarebbe stata capace di opporre resistenza a niente,
né
lo voleva.
Come
svegliandosi da un sogno, lui batté le palpebre e fece un
passo
indietro. “Vai a vestirti?” chiese dolcemente,
raccogliendo la
sua sacca e porgendogliela. Alice assentì, il viso ancora in
fiamme.
Cosa
c'è che non va in me?
——————————————————————————————————————————
Anche
se Uncas faceva tutto il possibile per metterla a suo agio, Alice era
stanca e infelice. La schiena le doleva costantemente, e anche se non
soffriva più di forti nausee – grazie anche in
parte al té di
mente che Uncas le faceva ogni giorno – Alice era distrutta
dalla
sua continua stanchezza, e dagli acuti mal di testa.
Aveva
cominciato ad esternare molta della propria frustrazione con Uncas,
spronata dalla sua apparentemente inesauribile pazienza. Durante i
primi giorni, Alice aveva apprezzato l'esercizio fisico e il
paesaggio, insieme al fatto che riusciva a fare il bagno più
o meno
una volta ogni due giorni. Indossare dei pantaloni era effettivamente
abbastanza liberatorio... dal momento che non c'era nessuno a vederla
tranne Uncas.
Ora
era stanca, e dolorante, e di cattivo umore; Uncas le aveva fornito
una spiegazione vaga sul cercare un amico che li avrebbe aiutati a
sistemarsi per l'inverno, ma questo non era servito a calmare le sue
paure. Alice sapeva che lui non le stava nascondendo nessuna
informazione, ma si tratta piuttosto del suo naturale riserbo.
“Sai
dov'è lui?” aveva chiesto Alice in un tono che le
sembrava tirato
come una crocchia per capelli.
“No,”
aveva risposto Uncas con esasperante serenità, “ma
so dove
potrebbe essere.”
Fantastico.
Potrebbe.
Potrebbe.
Potrebbe.
Alice
trascorse ore e poi il giorno seguente rigirando intorno a quella
parola, sentendo l'amarezza crescere. Non c'erano stati dei potrebbe
nella sua vita
prima di
attraversare l'Atlantico. Ogni cosa nella sua vita era stata
pianificata e sicura.
Era
tarda sera al loro accampamento, quando una nervosa Alice finalmente
ruppe il suo silenzio.
“Cerca
di dormire,” disse Uncas col suo tono basso e profondo. Nella
poca
luce il suo viso sembrava del colore del caramello caldo.
“Non
ci riesco,” fu la sua replica, che le venne fuori tagliente
come
una lama. Quando lui si era seduto accanto al fuoco prima, lei aveva
afferrato le sue pelli e ci si era avvolta, lasciando il
falò a
dividerli.
Si
fissarono l'un l'altra, il cuore di Alice che batteva di
risentimento, di nervosismo, e di preoccupazione.
“Che
succede?” Le giunse la voce di lui.
Alice
non riuscì a trattenere un fiume di parole rabbiose.
“Sono
vestita come un uomo, come un contadino.
Sono
incinta senza essere sposata. Sto galoppando per la foresta senza una
destinazione comprensibile. Voglio trovarmi in un posto sicuro!
Voglio
dormire su lenzuola pulite e non preoccuparmi di... del fatto se
partorirò o no per terra nella foresta.”
Uncas,
che aveva ascoltato attentamente, si alzò all'improvviso e
coprì il
breve spazio che lo separava da dove Alice era avvolta nelle pelli.
Lei alzò lo sguardo – la sua mascella decisa e il
suo naso dritto
brillavano alla luce del fuoco. I suoi occhi erano più seri
di come
li avesse mai visti. Si sentì leggermente intimidita. È
arrabbiato? Ha cambiato idea su di me? Alice
lottò contro la
terribile paura che le si stava annidando nel ventre. Vide se stessa,
incinta e sola.
Uncas
sedette accanto a lei, e contemplò le scintille delle fiamme
per
alcuni minuti. Non parlò né la guardò,
e assunse di nuovo quella
posa di naturale immobilità che lui e la sua famiglia
condividevano.
“So
che è difficile per te.”
Alice
deglutì il nodo che aveva in gola. Lui non ne aveva idea.
Come
poteva? La vita che aveva conosciuto era sparita per sempre. Tuttavia
sentì l'amarezza recedere mentre la stanchezza prendeva il
suo
posto.
Uncas
si mosse agilmente e si sdraiò sul terreno accanto a lei,
inducendo
Alice a nascondersi ancora di più nella coperta
finché solo i suoi
occhi furono visibili. Senza farsi scoraggiare, Uncas si protese e le
afferrò la piccola mano. Alice rabbrividì al
contatto. La sua pelle
era così ruvida e robusta. Le provocava sempre una
sensazione
ardente ma dolce, che era il motivo per cui Alice cercava di evitare
il contatto con la sua pelle.
Tirandole
la mano, le fece poggiare il palmo e le dita lievi sul suo petto. Lei
sentì il battito forte del suo cuore, e Uncas
continuò a guardarla
fermamente negli occhi.
“Ci
vorrà solo un altro po'. Saremo presto in un posto sicuro.
Non
partorirai nella foresta. Ci vogliono ancora mesi per quello.”
Alice
percepì le lunghe dita dell'altra sua mano, quella che non
stava
tenendo la sua, farsi delicatamente strada sul suo ventre ancora (per
lo più) piatto. Lei ebbe un tremito.
Stava
forse cercando di accertarsi che lei fosse reale, che tutto questo
fosse reale? A volte Alice aveva avuto quella sensazione nei mesi
passati. Era occupata a fare qualcosa, qualche lavoro o faccenda, e
poi improvvisamente la realtà tornava ad opprimerla,
lasciandola a
battere le palpebre dalla confusione, guardandosi intorno e guardando
gli altri. A volte si dava perfino un pizzico più forte che
poteva.
Tutto
questo è reale? si
chiedeva, e si sentiva disorientata per ore, incapace di connettersi
con il mondo in cui ora si trovava.
Nonostante
tutto, voleva più di facili parole. Voleva risposte.
“Dove
stiamo andando?”
“A
cercare un amico.”
“Che
amico?”
“Jack
Winthrop.”
Alice
piegò la testa di lato, frugando nella sua memoria. Il nome
le
sembrava familiare-
Le
giunse in un improvvisa esplosione di chiarezza.
“Il
capitano della milizia?” chiese incredula. Il
disertore,
sussurrò mentalmente.
Uncas
annuì vigorosamente. Alice era sconcertata; dove lo
avrebbero
trovato, perché avrebbe dovuto aiutarli? Come?
Uncas
la invitò a cercare di dormire. Lei resistette ai suoi
tentativi,
rimanendo rigida accanto a lui, rilassandosi e lasciandosi andare al
sonno solo quando lui iniziò a carezzarle la treccia.
L'ultima cosa
che sentì furono le sue ruvide, calde labbra premute contro
la sua
fronte.
—————————————————————————————————————————
Alice
si svegliò con la sensazione di essere sott'acqua. Non
letteralmente, ma si sentì così indolente ed
esausta che le ci
vollero diversi secondi per aprire gli occhi.
Percepì
Uncas accovacciato accanto a lei, ma affondò di
più nelle coperte
con un brontolio assonnato.
“Dobbiamo
sgomberare l'accampamento, Alice.”
“Stanca,”
bofonchiò lei.
Lui
le controllò il polso e la temperatura. “Ti senti
di nuovo male?”
“No.”
Alice sbadigliò e nascose la testa e nell'incavo della sua
coperta
di pelle.
“E'
mezzogiorno. Non volevo svegliarti, ma ora che sei sveglia dobbiamo
partire presto.” Le strinse brevemente la spalla e si
alzò in
fretta. “Hai fame?”
Alice
si girò e iniziò a districarsi dal suo bozzolo di
coperte. Non le
piaceva protestare tanto, ma aveva davvero sperato di riposare di
più. Dato che non era possibile, Alice si costrinse a tenere
gli
occhi aperti mentre lo aiutava a fare i bagagli.
Uncas
le porse una
sacca piena di diversi tipi di noci e frutta secca. Alice
mangiò
silenziosamente, assaporando il gusto intenso e legnoso. Sapeva che
quei piccoli gherigli li avrebbero saziati entrambi per diverse ore.
“Pronta?”
ponendo la sua solita domanda.
Alice,
sentendosi
molto più rinvigorita ora, annuì e gli
offrì un piccolo, esitante
sorriso. Rimpiangeva il suo ridicolo sfogo della sera prima, ma lui
non ne sembrava minimamente infastidito.
Durante
le ore successive camminarono, per la maggior parte del tempo in
silenzio, e Alice trovò conforto in questo come
precedentemente
l'aveva resa nervosa.
Accolse
con gioia i lunghi momenti di calma tra una conversazione e l'altra,
perché aveva modo di riflettere sui propri inquieti
pensieri. Perché
la presenza di Uncas la mandava tanto in confusione? Bastava la sua
vicinanza a farle sparire ogni pensiero coerente. Si sentiva come
quella volta – e quell'unica volta – in cui aveva
bevuto troppo
sherry, ed ogni cosa aveva improvvisamente cominciato a girare,
girare, girare...
Non
era crollata allora, ma adesso sarebbe successo? Alice
increspò
lievemente le sopracciglia, asciugandosi con il pollice un rivoletto
di sudore che cercava di scivolarle sulla tempia. Quel maledetto
cappello a tricorno teneva così caldo. Alice
scuoté tentativamente
le gambe, cercando di distogliere i pensieri da quei pensieri
problematici.
Ore
dopo, dopo due pause e una rinfrescata al ruscello, Uncas si
fermò.
Il sole si infiltrava tra le foglie, proiettando pozze di luce
brillante sopra di loro.
“Siamo
vicini a una città che si chiama Rensselaerville. Jack e Ian
dovrebbero essere qui, almeno questo doveva essere il piano prima che
lasciassero Fort William Henry.”
Disertato.
Disertato le leggi della corona e lasciato noi a cavarcela da soli.
Alice
non riusciva a non pensare che suo padre sarebbe inorridito dalla sua
vita presente, e dalle persone con cui si accompagnava.
“Bene,”
sospirò Alice, “cosa facciamo ora?”
La
bocca di Uncas si incurvò in un sorriso alle sue parole
stanche, e
le premette la mano intorno sulla nuca, massaggiandola per alleviare
la tensione. Alice chiuse gli occhi con un altro sospiro.
La
voce di Uncas era dolce. “Andiamo. Alla capanna di
Ian.”
La
camminata attraverso la macchia fu molto breve. Alice alzò
la testa
e fissò il cielo luminoso mentre camminava, notando il
cambio di
colore delle foglie. Dai toni di verde all'arancione. Che strana e
bellissima terra.
Arrivarono
ad una piccola fattoria, rustica e povera perfino per i parametri di
quella frontiera selvaggia. Alice sentì l'ansia assalirla di
nuovo.
Uncas
lo vide per primo, come era prevedibile. Jack Winthrop indossava
ancora gli abiti logori da capitano della milizia. Stava spaccando
legna, completamente assorto nel suo compito. Alice
individuò il suo
capello a terra.
“Jack!”
chiamò Uncas, facendosi avanti. Superò un gruppo
di giunchiglie
appassite.
Jack
si raddrizzò immediatamente, la postura tesa, e si
rilassò quando
riconobbe il visitatore.
“Uncas!”
rispose Jack calorosamente, il viso che si apriva in un sorriso.
Abbracciò l'alto Mohicano con una familiarità
così spontanea che
diceva molto sulla loro amicizia. Jack guardò Alice con un
sorriso
pronto.
“Salve,
ragazzo.”
Alice
batté le palpebre, poi si guardò i calzoni di
lino, il panciotto, e
la camicia. Non riuscì a fare altro che alzare lo sguardo,
muta e
imbarazzata.
Jack
alzò un sopracciglio, poi scambiò un'occhiata con
Uncas, che scosse
le spalle.
“Ho
bisogno di un posto dove trascorrere l'inverno con mia moglie. Poi
credo che dovrò comprare un po' di terra. Costruire una
capanna.”
Jack
annuì, asciugandosi la fronte e appoggiandosi alla pesante
ascia.
“Proprio come me. Starò con Ian e Beth qui
finché non sarà
sicuro, poi mi dirigerò ad Albany. Credo che possiate
passare
l'inverno da me. Dov'è la tua donna?”
Uncas
spostò lo sguardo e guardò Alice dritto negli
occhi, e Alice
trattenne il respiro.
Jack
Winthrop rimase a bocca aperta, inebetito. Si girò a
guardare Uncas.
“Questa
è
tua moglie?”
Alice
arrossì profondamente, sia per le sue parole che per la sua
inscusabile incredulità. Poteva solo immaginare cosa stesse
pensando. Alice decise di ignorare le implicazioni della parole
moglie, preferendo l'imbarazzo per il proprio abbigliamento, e per il
fatto di essere una donna bianca che viaggiava con un indiano.
“Sì,”
replicò Uncas, impassibile.
Ci
fu un silenzio imbarazzato.
“Ma
non sei la figlia minore del colonnello?” chiese Jack con
cautela,
occhieggiandola.
Alice
annuì in silenzio, il viso rosso.
Jack
borbottò, disorientato. “Bé, credo che
tu sia fatta di una scorza
dura per essere sopravvissuta fin qui. Mi dispiace per tuo
papà.
Entrate, riposatevi e mangiate qualcosa di caldo.”
Alice
fece un sorriso esitante, abbassando la guardia. La piccola rustica
capanna stava iniziando a sembrare in qualche modo più
accogliente
ora.
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Capitolo 8 *** Capitolo otto ***
Ian
McFayden e sua moglie Beth si dimostrarono padroni di casa ospitali.
La loro piccola, rustica capanna in riva al fiume era pittoresca
–
e aveva catini per lavarsi. Era qualcosa, se non altro. Alice
osservava attentamente le attività domestiche, per quando
avrebbe
raggiunto la propria destinazione insieme a Uncas. Lui avrebbe
sicuramente avuto bisogno di aiuto, e Alice era determinata a fare la
sua parte. Imparò abbastanza presto come cucinare piatti
diversi
dallo stufato, anche se combatteva con altri compiti e si stancava
facilmente. Sapeva ricamare bene ed era una brava sarta.
Impressionò
la padrona di casa per la sua abilità nel rammendare
qualsiasi cosa
e nel fare camice per gli uomini.
Beth
sembrava trovare l'idea di Uncas e Alice insieme abbastanza strana.
Alice la scopriva spesso a guardarli con perplessità a
malapena
nascosta – non che Alice la biasimasse, sia chiaro. Pensava
solo
che la donna più anziana avrebbe dovuto essere
più discreta
piuttosto che spiare qualcuno. Anche se supponeva che il problema
fosse proprio la mancanza di buone maniere di Beth, e che fosse una
sua prerogativa quella di comportarsi come credeva in casa propria.
Ian
era burbero, ma non scortese. Alice faceva fatica a trovare le parole
per descriverlo. Guardava a malapena lei o perfino la propria moglie.
Mentre Beth chiacchierava molto la sera, Ian si limitava a
bofonchiare qualcosa in risposta. Ma Alice riusciva a percepire
l'affetto che aveva per lei. Era strano.
Jack
era il più amichevole del trio. Aveva il sorriso sempre
pronto, e si
toccava il cappello con un sorriso ogni volta che la vedeva. A volte
Alice doveva fare uno sforzo per ricordarsi che aveva commesso
tradimento contro suo padre e la corona britannica. Era una cosa
difficile con cui riconciliarsi.
Una
sera l'argomento era venuto fuori, anche se non certo con
disinvoltura.
“Quando pensate
di andare ad Albany, Mr. Winthrop?” aveva chiesto Alice,
seduta
comodamente vicino al fuoco.
Jack
scosse le
spalle e replicò con cautela, “Non so. Dovrei
mantenere un profilo
basso per il momento, forse mi dirigerò ad Albany quando
farà più
caldo. Per vedere come vanno le cose, se sarò al sicuro.
Pensavo di
andare a Fort George e vedere il colonnello Phipps. Lo conosco da
anni.”
“Non
credo sia consigliabile, sir.” Disse Alice con una punta di
acidità.
“Perché
no?” Jack era divertito.
“Bé,
perché ho visto mio padre firmare la vostra condanna a
morte, sir.”
Il tono di Alice era gioviale. “Insieme a quello di
Nathaniel. Non
mi permetterei di darvi ordini, sir, ma entrare in un forte inglese
non sarebbe saggio. Il colonnello Phipps conosceva mio padre da
quando erano entrambi soldati semplici oltre vent'anni fa.”
Il
silenzio dopo questo scambio di battute era stato palpabile, Alice
aveva parlato in maniera molto educata ma era chiaro che disapprovava
le sue azioni. Dall'altra parte del tavolo, Uncas si
accigliò, le
sopracciglia increspate. A quanto sembrava, non aveva gradito la
malizia di Alice.
Alice
si era messa a fissare il tavolo. Era così difficile per
lei, il
ricordo dell'orribile morte di suo padre e le circostanze che
l'avevano accompagnata. Era rimasta in silenzio per il resto della
serata.
E
quindi Alice si sentiva contenta, ma con una lieve, fastidiosa punta
di disagio, o piuttosto un senso di non appartenenza. La coppia era
gentile a modo suo, ma Ian era distante, e Beth si rivelò
decisamente ficcanaso. Sapevano a malapena leggere e Beth sembrava
non pensare ad altro che alle sciocchezze di tutti i giorni.
Pettegolezzi e chiacchiere.
Alice
avrebbe voluto andarsene. Una sfortuna che fosse costretta a
sottomettersi all'autorità del regno degli uomini. Non ci si
poteva
fare niente, pensava Alice, mentre i giorni si trascinavano uno dopo
l'altro.
————————————————————————————————————————
Un
giorno, più o meno un giorno dopo il loro arrivo, Alice
stava
prendendo alcune mele per il raccolto, osservando gli uomini seminare
il grano invernale. Sembravano così diverse nella luce
autunnale.
Ora che finalmente era arrivato il fresco, Alice indossava spesso un
ruvido scialle. Gli uomini, invece, lavoravano senza camicia. Ian era
un po' basso, e il suo sguardo era imbronciato e serio. Jack
fischiettava mentre lavorava, e il sole gli accendeva i capelli
biondo-rossicci. Uncas sorrideva ai suoi amici, dicendo qualcosa che
fece ridacchiare Jack. Lo sguardo di Alice fu attratto da Uncas, il
quale, non poté fare a meno di notare, era una figura
davvero
impressionante alla luce del sole – forte e bello. Era ben
fatto,
magro ma con una costituzione davvero ammirabile.
“Che
bel ragazzo.”
Alice
si voltò in fretta. La padrona di casa dai capelli rossi era
lì, e
la guardava divertita. Guardò Uncas e poi di nuovo lei,
ammiccando
ad Alice, l'espressione divertita. Alice fece un sorriso tirato.
“Non
stavo... stavo soltanto ammirando l'efficienza degli uomini, e come
lavorano bene insieme.”
“Sì,
certo. Perdonami.”
C'era
qualcosa nel suo tono che Alice aveva già sentito. Era una
cosa che
riconosceva. A volte certe persone, persone al di sotto del suo stato
sociale, assumevano quel tono con lei quando stavano prendendo in
giro la sua affettazione.
Alice
sentì il viso diventarle rosso. Sembrava davvero
così pomposa?
Tenendo
a freno la lingua, non diede risposta.
Beth
sorrise zuccherina, e cominciò a parlare dei pregi di Uncas
e di
quanto tempo lei e Ian conoscevano lui e la sua famiglia.
“Forse
con la nascita del bambino, Chingachgook tornerà.”
Alice,
la mente lontana, tornò al presente quando il nome del
patriarca
della famiglia fece capolino nella conversazione.
“Tornare?”
ripeté, perplessa. Il cesto di mele, per quanto leggero, le
stava
facendo dolere i polsi. Alice si chinò e lo
poggiò con cautela
sull'erba vicino alla staccionata.
Beth
annuì, osservando attentamente la donna più
giovane. I suoi occhi
blu erano penetranti.
“Bé,
sì. Considerato che suo figlio si è sposato
contro la sua volontà.”
Alice
si impuntò. “Lui sa della mia... la
mia...”
Beth
la guardò con solidarietà. “Oh,
sì. Non che volesse saperne
qualcosa. Si è diretto immediatamente ad ovest.”
Alice
si era posta delle domande sull'anziano Mohicano in quelle settimane
passate, e sulla sua partenza poco cerimoniosa dalla fattoria dei
Driessen. Si era chiesta se fosse scontento. Alice non aveva idea che
la sua gravidanza avesse causato una rottura e l'estraniamento tra
padre e figlio. Sembrava che lui non volesse avere niente a che fare
con Alice, o con suo figlio.
Improvvisamente
si sentì più sola che mai.
Alice
si morse le labbra. Schermandosi gli occhi con la mano,
guardò
Uncas. Si stava chiaramente divertendo con i suoi amici, ridendo
nella luce del sole. A che cosa aveva rinunciato? Alla sua
unità
familiare. Avevano entrambi perso la loro vita precedente,
pensò
Alice tristemente.
Riportando
lo sguardo su Beth, scoprì la donna ad osservarla con
aspettativa.
Si aspettava forse che Alice mettesse su un melodramma? Non era certo
cosa che la riguardasse.
“Porterò
queste in cantina,” replicò Alice freddamente,
sollevando il cesto
mentre si incamminava evitando Beth MacFayden. Dannata
ficcanaso.
—————————————————————————————————————————
Alice
ebbe risposta alla sua precedente domanda interiore riguardo il suo
possibile atteggiamento pomposo quello stesso pomeriggio.
La
notte era scesa presto su quella terra, mandando il calore del sole
ad ovest oltre le montagne, e lontano da loro tutti. Sedeva
silenziosamente osservando i tre uomini e Beth ridere bevendo birra e
parlando dei tempi passati. Alice sentì come se una gabbia
impenetrabile la circondasse, separandola dagli altri. Non aveva
niente in comune con nessuno di loro, meno che mai con il suo
compagno indiano, colui a cui gli altri si riferivano come suo marito
– il padre del bambino che le cresceva nel grembo.
Uncas
guardò nella sua direzione, il sorriso che gli si spense un
poco
quando notò la sua espressione. Alice era stata istruita per
stare
in società, così offrì un vago sorriso
educato.
“Tutto
a posto?” chiese Uncas, e la sua voce profonda le
causò quel
familiare turbamento nel ventre.
“Sì,
grazie.”
Alice
prese un sorso d'acqua, non avendo lo stomaco per quella birra amara.
Vide
lo sguardo lampeggiante che gli altri tre si scambiarono. Era
impossibile da non notare. Fu allora che comprese – erano
d'accordo. Con il padre di Uncas. Nella sua vanità Alice era
stata
così presa dalla propria immagine. Era sicura che gli altri
fossero
critici del fatto che una ragazza bianca di classe elevata fosse
finita con un nativo. Era lei quella di cui erano critici.
Conoscevano Uncas, gli volevano bene come un caro amico. Era lei che
non ritenevano degna di Uncas.
La
sua intuizione si avviluppò intorno al pensiero silente che
galleggiava provocante in mezzo a loro-
Cosa
ci faceva lui con lei?
La
voce di Alice tremò mentre si alzava, zittendo gli altri con
il suo
movimento.
“Vorrei
fare una passeggiata prima di andare a letto. Non ci metterò
molto.”
Le
lacrime le facevano pizzicare gli occhi come tante punture, ma lei
tenne la testa dritta, anche se il suo orgoglio e la sua
dignità
avevano ricevuto un duro colpo. Alice uscì dalla capanna.
Sei
stata maleducata. Maleducata! Torna dentro e scusati.
Non
poteva. Alice sentiva i piedi muoversi per conto loro. Era una
codardia, lo sapeva. Fuggire era sempre stato nella sua natura. Cora
avrebbe fatto qualcosa di audace. Cora avrebbe raddrizzato la testa e
scostato i riccioli scuri. Li avrebbe conquistati con la sua arguzia
e il suo spirito.
Il
risentimento la riempì come bile. Avevano ragione. Era
patetica, e
inutile per Uncas.
Sapeva
che lui l'avrebbe seguita. Sapeva perfino quando. Seduta su una
radice d'albero, Alice riusciva a vedere Uncas nella sua mente,
nitido come se fosse in quel momento davanti a lei. Riuscì a
vederlo
finire la sua birra con gli amici, lanciando occhiate alla porta,
lottando tra la preoccupazione e le buone maniere prima di alzarsi
per vedere se lei stava bene.
Alice
sorrise amaramente quando la porta della capanna si aprì.
L'atteggiamento
di lui era, come al solito, calmo. Fu Alice a parlare per prima.
Riusciva appena a vedere Uncas quando si voltò verso di lui.
“Mi
dispiace.”
Uncas
si accucciò accanto a lei e le prese la mano. “E'
tutto a posto-”
“No.”
Alice voleva che comprendesse il significato delle sue parole.
“Mi
dispiace che tutto questo sia accaduto. Che tu sia finito con
me.”
“Finito?”
Uncas ripeté quella parola nel modo in cui la parlata
indiana si
legava con la strana inflessione dei coloni. Ad Alice passò
per la
mente che non aveva mai udito quella parola usata in quel modo.
La
prima lacrima cadde mentre Alice ancora fissava Uncas, poi un'altra.
L'espressione di Uncas crollò, il suo sguardo incapace di
nascondere
la preoccupazione che provava. Era così pietosa ai suoi
occhi?
Uncas
la tenne stretta, mentre il suo corpo tremava con la forza delle sue
lacrime, del suo dolore.
“Hanno
ragione,” bisbigliò Alice, il viso premuto contro
la sua camicia
di cotone. Sentiva le sue mani che le carezzavano la schiena.
“Ragione
su cosa?” replicò Uncas piano, il viso fra i suoi
capelli.
“C'è
ancora tempo,” disse invece Alice, alzando lo sguardo serio.
“Potresti ancora andare ad ovest e trovare tuo
padre-”
“Cosa?”
la interruppe Uncas, scioccato. Le spinse delicatamente le spalle
indietro per studiarle il viso.
Alice
si asciugò il viso ma non mollò.
“Potresti andare. Prima che sia
troppo tardi. Io potrei andare ad Albany. Uncas, tu hai bisogno di
una donna che sia forte e – non ti causerò
imbarazzo.”
Uncas
scosse il capo, sconcertato. “Perché pensi una
cosa simile?”
Alice
guardò in basso, continuando ad asciugarsi il viso. Se
proprio
doveva chiederlo, non aveva senso dare spiegazioni.
“Cosa
posso fare?” chiese invece lui, accarezzandole i capelli.
Sembrava
a disagio, come se fosse incapace di accertarsi su quale potesse
essere la risposta adatta. Era stato cresciuto da un uomo, si
ricordò
Alice.
“Lasciamo
questo posto. Andiamo alla capanna di Mr. Winthrop. I tuoi amici non
mi vogliono qui.”
“Hanno
detto qualcosa per farti sentire così?” rispose
Uncas calmo. Il
suo sguardo era serio.
Alice
cercò di ricordare. Bé, no, dovette ammettere con
riluttanza. Non
avevano detto niente contro di lei, non precisamente. Alice ancora
faticava a trovare le parole adatte, quando Uncas parlò.
“Avete
tutti educazioni diverse, a volte possono esserci dei
fraintendimenti.” Il suo tono era neutrale, ma ciò
che intendeva
era chiaro.
Alice
si sentì ancora peggio. Non era stata sua intenzione
comportarsi
così altezzosamente. Uncas le fece un mezzo sorriso,
apparendo
impassibile come sempre.
“Quando
possiamo andarcene?” insistette lei.
“Presto.”
“Uncas-”
“Alice,
devo occuparmi di alcune cose qui. Il lavoro in fattoria è
niente in
confronto a ciò che ci daranno per l'inverno. Devi
capirlo.”
Alice
sospirò. “Allora mi dispiace. Per tutto. Per la
caverna... per tuo
padre... e ora sei costretto a prendermi con te.”
“Io
voglio prenderti. L'ho sempre voluto.”
La
confessione di Uncas sembrò sorprendere entrambi. Alice
arrossì
fino alla radice dei capelli, si morse le labbra e non rispose. Di
sicuro non c'era un doppio senso nelle sue parole.
Lui
si limitò a tenerla stretta mentre la luna saliva nel cielo.
—————————————————————————————————————————
I
giorni scorrevano lenti, e tutti erano occupati con le
attività del
tempo del raccolto. In cambio del loro aiuto, la coppia stava
provvedendo ad Uncas e Alice con provviste per i loro inverno alla
capanna di Jack, che si trovava diverse ore più a sud. Alice
trovò
un vecchio abito strappato che Beth intendeva usare per pulire e
–
dopo aver chiesto il permesso alla donna – impiegò
diverse ore di
diligente lavoro per trasformarlo in un particolare ma utile abito da
giorno. Perfino gli uomini ne furono colpiti. L'abito aveva i lacci
sul davanti, presi dal suo vecchio abito color crema, e aveva
ulteriori lacci nascosti che potevano essere allentati man mano che
la sua figura fosse cresciuta.
Alice
si sentì piena di orgoglio quando lei e Uncas si guardarono
negli
occhi. Le abilità che le mancavano poteva impararle
facilmente, e
quelle che possedeva erano uniche e erano comunque di valore.
Uncas
sorrise, lo sguardo pieno di calore. In quel momento Alice
desiderò
coprire la distanza che c'era tra loro e baciarlo. Voleva
più di
quello che avevano in quella fattoria affollata.
Lui
era diventato ancora più sollecito. Sollecito era una parola
strana
da usare, decise Alice, specialmente per descrivere il giovane
indiano. Non le stava sempre addosso né la soffocava, e si
ripeteva
solo quando pensava che lei non stesse mangiando abbastanza. Il suo
ventre in crescita era più visibile ora agli abitanti della
capanna,
e la peculiarità di avere tra loro una giovane donna (ora
evidentemente) incinta fece diventare gli uomini più
attenti, e Beth
più animata. Alice credeva di notare della malinconia in
Beth a
volte, come quando lei si accarezzava la pancia, o quando Uncas vi
poggiava sopra la mano con delicatezza.
“Ecco,”
sussurrò Beth un giorno frizzante di fine ottobre. Gli
uomini erano
fuori e le donne stavano lavorando dentro casa, pulendo e cucinando.
Alice
interruppe il suo spazzare. Beth aveva un fagotto fra le braccia.
Alice poggiò in fretta la scopa contro il muro e prese il
fagotto,
curiosa.
Dentro
c'era un assortimento di coperte e vestitini.
“Dubito
che mi serviranno,” Beth alzò le spalle,
“le levatrici mi hanno
detto che non posso avere figli, non dopo il mio ultimo
aborto.”
Alice
ne fu scossa, sia dalla differenza di carattere tra loro due, sia ora
dal triste racconto di Beth. Ripensò alla volte in cui Beth
aveva
cercato di parlare con lei della sua gravidanza, e di nomi per il
bambino; Alice sollevava sempre delle obiezioni, ritenendo
l'argomento non appropriato.
Perché
mi sono comportata così?
“Ho
paura di averti offesa,” Alice si scoprì a dire,
gli occhi bassi.
“Sono stata maleducata e poco gentile. Ti prego di
perdonarmi.
Sono... molto nervosa per il prossimo inverno e per il parto.”
Beth
le strinse la spalla in un gesto di comprensione. “Il parto
avverrà
in tarda primavera, direi. A maggio o giugno. In ogni caso, io ci
sarò per assisterti.”
Alice
alzò lo sguardo, stupita e sollevata. “E' molto
gentile da parte
tua.”
Beth
annuì, e il suo sguardo divenne serio. “Uncas
è un brav'uomo.
Avrà cura di te. Ti darò del tessuto avanzato.
Non sprecarlo in
ricami o fazzolettini, ragazza. Fa' dei pannolini per il bambino.
Metti da parte degli stracci per il parto. Usa la lana per le
imbottiture.”
Alice
diresse a Beth un sorriso genuino che lei ricambiò. Uncas
aveva
accennato che sarebbero rimasti per qualche altra settimana, e se era
così ora Alice ne era felice.
—————————————————————————————————————————
Era
un giorno ventoso di novembre quando finalmente si misero in cammino
per conto loro.
Camminare
fino alla capanna di Jack non era molto faticoso. Avevano preso in
prestito uno dei ronzini di Ian, e caricato l'animale con i loro
averi. Uncas aveva detto ad Alice che non era convinto di farla
salire a cavallo perché non importava quanto potessero
essere cauti,
un cavallo spaventato poteva facilmente disarcionarla.
Dire
addio quella mattina era stato davvero difficile. Jack l'aveva
abbracciata e le aveva augurato ogni bene, ricordandole che erano
solo a poche ore di cammino se avessero avuto bisogno di qualcosa. Le
aveva dato un buffetto sul mento e si era toccato il cappello.
Ian
le aveva stretto la spalla in una strizzatina sorprendentemente
affettuosa, ripetendo in un borbottio più o meno gli stessi
auguri.
Aveva perfino sorriso. Più o meno.
Beth
era in lacrime, mentre diceva ad Alice che tutto sarebbe andato bene,
e che le avrebbe fatto visita la primavera successiva.
“Impara
a conoscere tuo marito,” le aveva sussurrato nell'orecchio
quando
si era avvicinata per abbracciarla, “in tutti i sensi,
cara.”
Le
aveva ammiccato sfacciatamente e Alice era arrossita, ma non si era
sentita scioccata come lo sarebbe stata in precedenza.
“Mentre
sono... incinta?” aveva sussurrato di rimando, lanciando
occhiate
gli uomini per essere sicura che non potessero sentire.
Bet
ridacchiò, scuotendo la testa in risposta come se fosse
divertita
dalla sua ingenuità.
La
fattoria di Jack era più grande di quella di Ian, anche se
aveva la
stessa aria di trascuratezza. La terra era stata ovviamente
abbandonata, coperta com'era dalle erbacce. Era troppo freddo ora per
piantare qualcosa, Alice lo sapeva, e avevano portato con loro cibo
sufficiente per l'inverno. In ogni caso, Uncas sarebbe dovuto andare
a caccia entro un paio di giorni per procurare la carne per l'inverno
Posando
la sua sacca accanto al focolare, Alice esplorò l'interno
della
capanna mentre Uncas esplorava l'esterno – entrambi prendendo
possesso della terra, in un certo senso. Alice vide le parti che
richiedevano riparazioni e si preparò mentalmente a
trasformare quel
luogo nella sua casa temporanea. Jack era vedovo, Alice lo sapeva, e
non era sembrato incline al matrimonio da quando sua moglie era morta
circa cinque anni prima, e quindi la capanna aveva davvero bisogno di
un tocco femminile e di una bella pulita.
Poi
la vide e fece un sospiro di gioia. Una tinozza per il bagno!
Quando
Uncas rientrò in casa, fece un borbottio divertito alla
vista di
Alice che puliva il focolare con entusiasmo, un fuoco già
acceso.
“Tutto
a posto?” chiese lui con la sua familiare espressione.
Alice
annuì. “Mi serve un po' d'acqua.”
“Stai
facendo la zuppa?”
“Per
il mio bagno.”
Uncas
rise di cuore. Alice scosse il capo, imbronciata. Lui era abituato a
fare il bagno tutti i giorni nel fiume, non aveva idea di com'era
difficile per lei non avere quella comodità. Poteva vivere
con poco,
aveva imparato a farlo, ma immergersi in un bagno caldo faceva
miracoli per il suo umore.
“Vado
a prendere l'acqua,” disse Uncas, lanciandole un altro
sguardo
divertito mentre le passava accanto con le pentole.
————————————————————————————————————————
Quella
sera la coppia sedeva davanti al fuoco. Erano rilassati e a loro
agio, Alice stava leggendo un vecchio giornale di Philadelphia alla
luce tenue. Era mentalmente stimolante, anche se le mancavano i suoi
romanzi e i suoi libri di poesia. Sorrise, ricordandosi della sua
copia nascosta di Pamela che lei e le sue amiche
si erano
segretamente passate.
Alice
finì il suo té alla menta posò la
tazza con uno sbadiglio. Uncas,
che era intento a smontare e pulire il suo fucile accanto a lei,
alzò
lo sguardo.
“Stanca?”
chiese distrattamente.
Alice
scosse la testa, pettinandosi i lunghi capelli con le dita. Si erano
asciugati ore prima ma senza una spazzola le si erano aggrovigliati.
Invece
di condividere con lui i suoi gusti in fatto di lettura (specialmente
romanzi licenziosi) lo sbirciò da dietro le ciglia.
“Stavo
pensando alla tua caccia di domani.”
Uncas
assentì con un borbottio ma non rispose. Alice era ormai
abituata a
quella strana usanza linguistica indiana, così
continuò a fissare
le fiamme che danzavano nel focolare.
“E
se rimani ferito?” Alice permise alla preoccupazione di farsi
strada nella sua voce. “E se non riesci a ritrovare la strada
di
casa?”
Uncas
mise giù il fucile. “Non è
possibile.”
Alice
incontrò il suo sguardo con testardaggine.
“Impossibile che tu
possa venire ferito? O che possa accadere qualche imprevisto?
Potresti stare via per giorni, Uncas.”
Uncas
annuì in conferma dell'ultima frase.
“Sì. Probabilmente per un
giorno o due. Ma non mi perderò né mi
ferirò. Vado a caccia da
solo da quando avevo quattordici estati.”
Alice
scosse il capo accigliata. Voleva della carne fresca, ma non se c'era
la possibilità che accadesse qualcosa a Uncas.
Rimasero
in silenzio per diversi minuti finché Uncas le diede un
colpetto col
gomito.
“Ho
qualcosa per te.”
Alice
alzò lo sguardo. “Cos'è?”
Uncas
si limitò a sorridere e a recuperare qualcosa da una delle
sue
numerose tasche. Era incartato stretto in un panno di cotone.
Perplessa, Alice svolse il piccolo involto con cautela. Emise un
debole sussulto, sbalordita.
“Uncas!
Ma come...” Alice era senza parole.
Nell'involto
stava il braccialetto che aveva venduto due mesi prima. Era stato il
suo gioiello più caro, un elegante cerchio d'oro e perle.
Alice
ricordava il sorriso di suo padre quando glielo aveva donato, fiero
nella sua uniforme militare rossa, durante il ballo che aveva dato
per il suo sedicesimo compleanno. Alice sentì il petto
gonfiarsi.
“Non
potrò mai ringraziarti abbastanza.”
Uncas
alzò le spalle. “Appartiene a te.”
Alice
si avvicinò a lui, desiderando sentirlo vicino.
“Hai pagato molto
per riaverlo? L'ho venduto per così poco, ed è di
valore...”
Uncas
alzò di nuovo le spalle, non propenso a discutere il sordido
argomento dei soldi.
Alice
continuò a sorridergli radiosamente, la sensazione nel petto
si
intensificò fino a lasciarla senza fiato. Era esterrefatta,
stordita, incapace di fare altro che guardarlo in viso. Si sentiva
ancorata a terra.
“Tutto
a posto?” Uncas fece la sua solita domanda, perplesso.
“Sì,”
replicò Alice. Deglutì sonoramente, meravigliata
di non riuscire
all'improvviso più a pensare o respirare.
Alice
posò delicatamente il braccialetto per terra nel suo involto
e si
fece più vicina a lui. Uncas interruppe il suo lavoro per
fissarla.
Il suo sguardo era intenso, tutto calore liquido. Ora sembrava lui
quello nervoso.
Quello
era il primo bacio che Alice avesse mai iniziato – almeno
quando
era in sé – e esitò quando
avvicinò le labbra a quelle di Uncas.
Uncas era completamente immobile, ma una volta che le loro labbra si
furono incontrate, diverse cose accaddero tutte insieme. Uncas rese
il bacio più profondo, circondandole la vita con le mani,
stringendo
nel pugno il tessuto del suo abito. Allo stesso momento, Alice
sprofondò nel suo abbraccio, certa che quel calore li
avrebbe
consumati entrambi. Era la sensazione più erotica che avesse
mai
provato, per niente paragonabile a ciò che aveva letto nei
romanzi
licenziosi.
Alice
sentì le labbra di lui muoversi, scivolarle lungo il collo.
Chiuse
gli occhi, ansimando. Uncas si irrigidì improvvisamente. Lei
lo
sentì tendersi. Il legame emotivo tra di loro
così forte, talmente
forte che Alice poteva percepire quali fossero i suoi sentimenti e i
suoi pensieri. Si preoccupava della sua condizione, di non ferirla
con il suo comportamento. Che l'ultima volta che questo era accaduto,
Alice si era ritrovata rovinata e devastata.
Lei
abbassò il capo, poggiando la guancia sui suoi capelli neri.
Riusciva a percepire il sudore che gli imperlava la fronte.
“Siamo
qui ora,” sussurrò. Le cose erano diverse. Lei non
aveva più
paura – non di lui, in ogni caso.
Lui
la guardò, gli occhi socchiusi.
Quando
Alice cominciò a slacciarsi i lacci dell'abito, Uncas la
baciò di
nuovo, profondamente, fieramente. Le sembrò di essere persa
in lui,
ancor di più quando lui la fece sdraiare nella morbidezza
delle
pelli. Quando i suoi gesti divennero di nuovo esitanti, Alice lo
attirò a sé, lo sguardo attratto dalle rozze
travi che costituivano
il tetto della capanna. Il respiro le si mozzò alle
inaspettate
sensazioni che lui le stava provocando. Era così consumata
da lui,
interamente, che a a malapena registrò le parole della sua
lingua
che lui le sussurrò.
Il
giorno seguente, prima dell'alba, Alice si svegliò ancora
assonnata
con la sensazione di essere trasportata. Uncas la posò sulla
brandina che Jack usava come letto, tenendola avvolta nelle pellicce.
Alice sonnecchiò per i minuti successivi, mentre sentiva
Uncas che
si preparava per la battuta di caccia, impacchettando le sue cose e
caricando il fucile.
Sentì
un tocco sul polso, ma era troppo stanca perfino per aprire gli
occhi. Quando lo fece, il solo era alto nel cielo, visibile perfino
dalle più piccole crepe dei muri di legno. Abbassando lo
sguardo,
Alice vide il suo braccialetto brillarle intorno al polso.
Con
un sorriso, Alice si alzò e si preparò per la
giornata che aveva
davanti.
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Capitolo 9 *** Capitolo nove ***
“Yakwawiak
vagava per queste terre molte, molte generazioni fa. Lo chiamavamo
l'orso dalle zampe rigide.”
“Quanto
era grande?”
“Più
alto di un albero. Aveva un lungo naso che arrivava fin quasi a
terra, e lunghi denti ricurvi che gli sporgevano dalla bocca. Aveva
una pelliccia molto folta. Mangiava chiunque gli capitasse a
tiro.”
“Che
cosa terribile. Assomiglia ad un elefante.”
“Che
cos'è?”
“Ne
ho visto solo dei disegni. Vivono in varie parti del mondo. Dimmi di
più sull'orso dalle zampe rigide, Uncas.”
“Mmm.
Alcune tribù ancora ne hanno i teschi e le ossa. Sono
più grandi di
quelle di qualsiasi animali che esiste oggi.”
“Tu
le hai mai viste le ossa?”
“Mai.”
“Sono
contenta che non ci siano più, ma vorrei vederne uno. Mi
chiedo se
esistano delle ossa di drago. Va bene, ora tocca a me. Stasera ti
racconterò... della principessa Rashiecoats di
Scozia.”
—————————————————————————————————————————
Era
ormai Lowan-
inverno.
Faceva freddo, ma non eccessivamente. Non ancora. Per questo Uncas
ringraziava Mannitto.
Le
sue giornate erano ancora piene, perché si alzava quasi
sempre
presto per occuparsi della fattoria e per continuare i preparativi
per l'arrivo del freddo intenso. Manteneva la sua mente attiva e le
sue preoccupazioni a bada; inoltre voleva che Jack trovasse la sua
terra e la sua fattoria in condizioni migliori di come le aveva
lasciate.
I
suoi pensieri erano spesso diretti a suo padre. Una volta lo aveva
sognato all'inizio dell'Anixi
Gischuch, il
periodo dell'anno in cui gli scoiattoli tornavano alle loro tane.
Aveva visto suo padre come era di solito, il portamento eretto e
fiero, gli occhi stanchi. Nel suo sogno, suo padre aveva provato a
parlargli, ma il suo viso era stato oscurato da un improvviso turbine
di neve.
Si
era svegliato con il cuore che gli batteva forte e la mente affollata
da molti pensieri. Più di tutto il dolore per la loro
separazione.
Non avrebbe mai pensato che suo padre gli avrebbe voltato le spalle
come aveva fatto.
Anche
Alice faceva brutti sogni, e spesso piangeva e si agitava nel sonno.
A volte parlava addirittura un'altra lingue. Una volta sveglia, Alice
non condivideva con lui quei sogni. Accennava solo al fatto di essere
cresciuta in Scozia parlando un'altra lingua. Gae-lic. Lontana
dalla società inglese, la sua voce dolce cominciava a virare
più
verso l'accento scozzese della sua infanzia.
Uncas
cominciò a bruciare del cedro rosso per scacciare via gli
spiriti
maligni che potessero causare quel loro turbamento.
Che
il Grande Spirito fosse in collera con lui? Le sue offese erano state
così gravi?
Mentre
il bambino cresceva nel ventre di Alice, cominciò a
chiedersi se
avesse fatto la cosa giusta nel portare via quella ragazza da Albany,
da Londra e da tutto ciò che conosceva. Era meglio questo,
pensava,
piuttosto che vederla sprofondare nell'oscurità e nella
vergogna da
sola. Piuttosto che non conoscere mai il sangue del suo sangue che
Alice portava in grembo.
Le
loro giornate erano semplici. Lui riusciva ancora ad andare a caccia,
anche se la carne era scarsa. La carne di cervo che avevano messo da
parte era stata salata e seccata per poterla consumare durante il
freddo dell'inverno. Stava arrivando, di questo non aveva dubbi. Il
pensiero di essere bloccato dalla neve con Alice incinta lo
innervosiva, perché se fosse successo qualcosa?
Si
rifiutò di indulgere in pensieri tanto negativi. Le sue
uniche
preoccupazioni ora erano mantenere Alice ben nutrita e felice, e
insegnarle come cucinare e pulire e svolgere i doveri di una donna.
Doveva costantemente ricordarle di mantenere il fuoco acceso quando
usciva per andare a caccia o per controllare le trappole. Era
così
poco preparata che a volte lui ancora se ne sorprendeva, anche se se
ne guardava bene dal dirglielo.
Si
raccontavano storie, e lei gli leggeva i sonetti ad alta voce. Fu
davvero un inverno tranquillo.
Alice
aveva cucito dei pannolini di stoffa, e Uncas aveva cominciato a
pensare a come costruire una culla.
Quando
fosse arrivata la primavera, sarebbe stato pronto ad accogliere suo
figlio.
——————————————————————————————————————————
Uncas
controllava le trappole ogni giorno. Ormai ci avrebbe trovato solo un
topo muschiato, o al massimo un coniglio.
Sulla
strada del ritorno quel giorno realizzò che il ghiaccio e la
neve
erano ormai imminenti. Lo sapeva perché, nonostante fosse
avvolto in
una pesante pelliccia di lupo, il freddo gli penetrò fin
nelle ossa.
Entrando
nella capanna, Uncas mise allegramente il coniglio sul piccolo rozzo
tavolo che aveva adibito allo scuoiamento degli animali, ora che
erano costretti a stare in casa. Stiracchiandosi, Uncas si tolse la
pelliccia.
Alice
si alzò dal proprio posto accanto al focolare e lo
salutò con un
sorriso. Il suo sguardo lo scrutò ansiosamente, il sorriso
ancora al
suo posto. Lui sapeva che era preoccupata. Come molti degli europei
che aveva conosciuto, aveva quella particolare abitudine di sorridere
rigidamente ogniqualvolta si sentiva insicura di qualcosa.
“Bentornato,
Uncas.”
Uncas
nascose un sorriso. Così formale.
Più
tardi quella sera stavano finendo la loro cena a base di stufato di
coniglio. Usavano di rado il tavolo, preferendo consumare i pasti di
fronte al focolare. Sedevano vicini, crogiolandosi al calore del
fuoco che crepitava allegramente.
Alice
amava leggere accanto al fuoco. Aveva trovato un baule di libri che
erano appartenuti alla moglie di Jack, Katerina, che era morta anni
prima. Uncas imparò che ad Alice piacevano le opere di
Shakespeare e
Francis Bacon.
Alice
gli sorrise, il fuoco che danzava nei suoi occhi. Posò il
volume che
stava leggendo. Sporgendosi in avanti, sfiorò il petto di
Uncas con
le dita, carezzando il suo tatuaggio. Sapeva cosa gli provocava ogni
suo singolo tocco.
Uncas
si tirò un po' indietro, dandole invece un bacio sulla
fronte.
“Sei
stanca. Vai a dormire.”
Alice
si ritrasse, sentendosi respinta e ferita. Uncas sentì il
senso di
colpa impadronirsi di lui. Non aveva voluto ferire i suoi sentimenti.
Era solo che stava iniziando a pensare che si fosse davvero
comportato indegnamente, come suo padre lo aveva accusato.
Era
una cosa difficile da dire a parole, figurarsi spiegarla a lei. Nella
sua cultura, gli uomini non dividevano il letto con le mogli quando
erano in attesa o allattavano i figli. Non si era mai sentita una
cosa simile. Suo padre una volta ne aveva fatto una questione nel
spiegarlo ai figli – che a differenza dei bianchi, che non
davano
mai pace alle loro mogli e molestavano le giovani vergini, gli
indiani rispettavano le donne.
Le
loro notti insieme erano state a dir poco piacevoli –
più che
piacevoli. Alice aveva perso la sua timidezza e si gettava volentieri
tra le sue braccia notte dopo notte. Si esploravano a vicenda alla
luce del fuoco, ogni luogo segreto, e ad ogni carezza ed ogni volta
che facevano l'amore, sentiva i suoi sentimenti per lei diventare
sempre più profondi. Tutto ciò che lei diceva o
faceva, ogni suo
gemito, era ardente come se lo avesse marchiato a fuoco.
Era
così per ogni uomo?
Non
poteva fare a meno di pensare che forse era troppo. Suo padre era un
uomo saggio – di sicuro sapeva la verità su un
problema come
questo. I bianchi a volte avevano anche dieci figli, uno dopo
l'altro, mentre gli indiani si controllavano, e i loro bambini
nascevano molto più distanziati.
Alice
ancora lo guardava, anche se improvvisamente sembrò colpita
da un
pensiero.
“Non
mi trovi più attraente perché mi sto
ingrossando?”
Uncas
la guardò in fretta. Perché pensava una cosa del
genere? Allungò
la mano verso la sua ma lei si sottrasse. Era un modo per ritrarsi,
alzarsi in piedi e scappare, lui lo sapeva, ma la trattenne
gentilmente.
“No,
Alice.” Il suo tono era fermo. “Parliamo.”
Sapeva
che lei poteva essere petulante, e che era orgogliosa. Perfino adesso
la sua mascella era serrata e il suo sguardo duro. Che mogliettina
testarda che aveva.
“Dovresti
riposare il più possibile.”
“Ma
riposo,” gli ricordò lei, mettendo il broncio.
“Non faccio altro
che riposare.”
“Lo
so,” disse Uncas pazientemente, “ma non voglio
stancarti ancora
di più. O farti male.”
Alice
gli tenne lo sguardo addosso, con espressione neutra. Poi il suo viso
si addolcì.
“Non
mi hai mai fatto male,” mormorò, sporgendosi a
baciargli la
guancia. Lui la tenne stretta a sé, le sue curve morbide.
Forse
suo padre si era sbagliato. Forse avrebbe dovuto imparare le
complessità del matrimonio da solo. Il pensiero lo fece
sorridere.
——————————————————————————————————————————
Come
Uncas aveva predetto, il periodo più freddo dell'inverno
giunse in
fretta.
Trascorse
il tempo facendo riparazioni alla capanna per mantenere le correnti
d'aria al minimo, e intagliando e assemblando una culla. La sua gente
non usava culle, nel senso stretto del termine, ma sapeva che Alice
ne avrebbe voluta una. Cominciò anche a costruire una culla
portatile. Aveva solo una vaga idea di che aspetto avesse, e
così fu
stimolato ad essere creativo durante la costruzione. Sapeva che
doveva esserci qualcosa per poggiare i piedini, un'imbottitura, e
coperte e corde.
Quando
fu abbastanza soddisfatto del risultato finale, Uncas
attaccò un
amuleto di protezione con perline che suo padre aveva messo a lui da
bambino nella culla.
Alice
sembrò più entusiasta della culla che della culla
portatile.
Vi mise dentro delle coperte, e le risistemava un poco ogni giorno.
Disse che avrebbe voluto fare una bambola ,
ma non voleva sprecare altro lino.
Le
settimane si susseguirono fino a Dicembre, a la neve
cominciò a
cadere. All'inizio era leggera, una morbida coltre che copriva ogni
cosa. Poi il mondo divenne bianco.
Aveva
costruito delle scarpe da neve, e Alice prese a passeggiare fuori
intorno alla capanna nei giorni in cui smetteva di nevicare. La luce
invernale era fioca, il sole scappava via dal nonno vento del nord,
lo spirito dell'inverno. Fortunatamente avevano abbastanza legna per
mantenere calda la capanna, e cibo sufficiente. Avevano pummikan
e
carne secca, e anche frutta secca. Avevano pannocchie, fagioli, e
riso.
Si
scaldavano anche l'un l'altra durante le lunghe, fredde notti
invernali.
—————————————————————————————————————————
“No,
no, no, no! Vieni, andiamo in prigione:
Là
canteremo insieme, noi due soli,
come
uccellini in gabbia; e quando tu
mi
chiederai la mia benedizione
io
mi inginocchierò davanti a te
per
implorare invece il tuo perdono:
così
vivremo, cantando e pregando,
e
raccontandoci antiche favole,
e
sorridendo al volo di farfalle,
e
alla voce di poveri furfanti
imprigionati
per vagabondaggio;
e
anche noi parleremo con loro...
di
chi perde e chi vince;
di
chi è rimasto e di chi se n'è andato;
assumeremo
su di noi il mestiere
di
sondare i misteri delle cose,
come
se fossimo spie degli dei;
e
noi, così, tra le mura di un carcere,
cancelleremo
via dalla memoria
il
ricordo di intrighi e di fazioni
dei
potenti, fluenti e rifluenti
come
onde di marea sotto la luna.”
“Alice.”
“Sì?”
“Perché
sei triste?”
“Questo
passaggio mi ricordava mia madre. È morta così
improvvisamente.
Come mio padre.”
——————————————————————————————————————————
Uncas
evitò di poggiare il proprio peso sul corpo caldo sotto il
suo,
tenendosi sugli avambracci, il capo nell'incavo del collo di lei.
Attese finché il suo respiro fu tornato normale. Baciandola
dolcemente sulle labbra, Uncas rotolò di lato e giacque al
suo
fianco, osservando languidamente il soffitto. Provava quella
sonnolenza tipica dell'amore, ogni suo arto era rilassato.
Alice
avvicinò il proprio corpo a lui, accoccolandosi contro il
suo petto,
gli occhi che incontrava quelli di lui – grandi e luminosi.
Sorrise
e attese.
“Ancora?”
chiese lui, divertito e incantato dalla sua bellezza alla luce del
fuoco. I suoi lunghi capelli dorati accarezzavano la sua pelle.
Alice
fece correre la mano sulla pelle del suo ventre, accarezzandone le
cicatrici quasi scomparse. Uncas trattenne il respiro. Alice premette
le labbra sulla pelle tesa del suo petto.
Uncas
l'aiutò a salire sopra di lui, e fece scorrere le mani lunga
la sua
schiena dalla pelle liscia. Questo era quello di cui tempeste e tuoni
erano fatti, pensò.
Più
tardi, Uncas fece per sollevare la moglie addormentata e portarla
verso il letto. Era troppo piccolo per tutti e due, e con le sue
lunghe gambe lui ci stava scomodo.
Fu
sorpreso di sentire un mormorio di dissenso da parte di Alice.
“Restiamo così.”
“Il
letto è più comodo,” replicò
lui in un sussurro, togliendole una
ciocca di capelli dal viso.
“Sono
al caldo qui. Con te.”
Allora
lui rimase immobile mentre lei si rintanava ancor di più
nelle
coperte e contro di lui. Il sonno lo portò presto nella
terra dei
sogni.
——————————————————————————————————————————
A
molte, molte miglia di distanza, dall'altra parte del fiume Ohio,
Chingachgook invece non riusciva a dormire; non riusciva a trovare
pace nel sonno o nella meditazione. Il suo cuore era pesante, come se
fosse fatto di ghiaccio.
I
suoi pensieri correvano continuamente verso i suoi figli ad est. Il
maggiore aveva deciso di andare ad Albany con sua moglie, invece che
in Can-tuck-ee, al minimo suggerimento della
ragazza dai
capelli scuri.
E
Uncas.
Uncas.
Suo
figlio di sangue lo aveva disonorato. Il tradimento di cui si era
macchiato era stato indicibile.
Chingachgook
fissò pensosamente il fuoco della sua wigwam. Non aveva
sentito
calore fin da quando era arrivato lì con i suoi parenti.
Uncas
aveva sempre osservato le donne Yengeese
bionde,
affascinato da loro. Aveva perfino osservato la moglie di John
Cameron per più tempo del necessario, durante gli anni in
cui stava
divenendo uomo. Non era sicuro se Uncas avesse mai giaciuto con una
donna, ma pensava che fosse probabile che lo avesse fatto al campo
Delaware. Aveva sentito qualche voce qui e là, anche se
Chingachgook
si era sempre rifiutato di indagare. Comunque nessuna di quelle donne
aveva catturato l'attenzione di Uncas. La sua mente era sempre
altrove, sulla caccia, sulla loro vita quotidiana. Mai davvero sul
futuro. Chingachgook aveva sempre tollerato questo fatto con
pazienza, sapendo che i giovani erano sciocchi a questo proposito.
Quando aveva finalmente parlato ad Uncas la primavera precedente, il
suo cuore era stato felice quando suo figlio aveva acconsentito a
spostarsi ad ovest e a sistemarsi con una ragazza Delaware.
Invece,
Uncas aveva perso la testa per quella sciocca ragazza bianca. Aveva
gettato via il futuro di entrambi scappando insieme a lei. Con una
strana, fragile, ragazza Yengeese che era
così debole,
perfino tra il suo popolo. Aveva scelto di diluire e quindi
contaminare il loro sangue per un attacco di lussuria e infatuazione.
Chingachgook
fece una smorfia, scuotendo la testa tristemente. Comunque aveva
scoperto che non poteva più essere in collera. Se lo avesse
fatto,
sapeva che la rabbia lo avrebbe consumato.
Aprì
con cautela la lettera che aveva ricevuto quel giorno. Dal suo figlio
bianco. Un esploratore da Albany era venuto ad ovest, e la lettera
era passata di mano in mano, prima di raggiungere il campo invernale
dei Lenape. Fissò la calligrafia sottile di Nathaniel.
Padre,
non
sono sicuro se e quando questa lettera ti raggiungerà. Spero
tu stia
bene. Cora ti manda i suoi saluti.
Chingachgook
sbuffò di sdegno. Dubitava che lo avesse davvero fatto.
Ci
siamo sposati con una piccola cerimonia tenuta dal reverendo
Wheelock. Il tempo è freddo ma a Cora piace molto la neve.
Padre,
ti prego come figlio e fratello di perdonare Uncas. Non ha mai avuto
intenzione di tradirti. Si è preso le sue
responsabilità per ciò
che ha fatto con Alice. Uncas e Alice non sono con noi ad Albany. Ci
siamo separati vicino Schuylerville. Credo che fossero diretti a
nordovest. Non so dove siano andati. In primavera, Cora e io li
troveremo, speriamo.
Ti
mando i miei saluti, spero che questa lettera ti trovi, padre.
NP
Chingachgook
rimise a posto la missiva. Perché Uncas si era separato da
suo
fratello? Con la ragazza dai capelli chiari incinta?
Era
preoccupata per i più giovani della famiglia. Dopo che si
era saputo
della condizione della ragazza, Uncas aveva agito con un'avventatezza
che non era nel suo carattere. Come se avesse avuto paura che
qualunque ritardo avrebbe fatto sparire la ragazza in un soffio di
fumo. Aveva esiliato se stesso e lei. Forse la vergogna era stata
troppa.
Porta
in grembo tuo nipote.
Chingachgook
rimuginava sue quelle parole da diversi mesi ormai. La sua rabbia era
stata così forte che aveva chiuso il suo cuore a qualunque
altra
cosa. Ora si chiedeva... avrebbe mai conosciuto suo nipote?
Nota
della traduttrice: Ciao
a tutti! Il passaggio che trovate in questo capitolo, quello che ad
Alice ricorda sua madre, è un brano di “Re
Lear” di Shakespeare;
nello specifico l'atto 5, scena III, il momento in cui Lear e sua
figlia Cordelia vengono portati in prigione. Dovendolo tradurre
dall'originale inglese proposto dall'autrice ho preferito affidarmi
ad un professionista. Per cui la traduzione che leggete qui non
è la
mia, ma è quella di Goffredo Raponi.
Ne
approfitto anche per ringraziare tutti voi che leggete e recensite!
Un
abbraccio,
Eilan21
|
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Capitolo 10 *** Capitolo dieci ***
Se
ne stava in un campo luminoso, assaporando il calore del sole che
splendeva accecante sopra di lui. Riusciva a sentire la freschezza
dell'aria primaverile con profondi respiri, riusciva a vedere le
piccole venature delle foglie quando la luce del sole le
attraversava.
Dove
si trovava?
Socchiudendo
gli occhi, si guardò intorno e individuò qualcosa
fuori
dell'ordinario. Sembrava un bambino. Un bambino molto piccole che
correva dentro e fuori il fogliame, girando intorno agli alberi sui
piedini malfermi. Non riusciva a capire se fosse maschio o femmina
perché era vestito con una tunica e si muoveva veloce.
Troppo veloce
per un bambino di due o tre anni. Il bambino improvvisamente si
fermò
e gli lanciò un'occhiata attraverso il campo assolato.
Il
cuore gli fece un improvviso balzo nel petto. Riconosceva quegli
occhi, con dolorosa chiarezza. Era... doveva essere-
Il
bambino girò sui tacchi e corse via, incespicando ma veloce.
Come
hinutet, uno scricciolo.
Gli
corse dietro, le verdi foglie della madre terra che si facevano
sfocate. Corse come non correva più da molti anni.
Eppure
non riusciva a raggiungere il bambino. Come era possibile? Il vuoto
del suo cuore si riempì di nostalgia.
Naughees,
pensò, smetti di fuggire. Sono vecchio ormai.
Sono
machum. Tuo nonno.
—————————————————————————————————————————
Tsquali
Gischuch
La
luna in cui le rane gracidano nelle paludi.
Tardo
inverno che si stava trasformando in primavera.
Chingachgook
viaggiava da mesi, spostandosi di luogo in luogo, lo sguardo fisso
sul sole e sulla luna, la mente sull'ambiente che lo circondava, e il
suo cuore con suo figlio.
Era
stato ad Albany e aveva fatto una sorpresa a suo figlio bianco e a
sua moglie dai capelli scuri. Non si erano aspettati di vederlo
apparire durante l'inverno, ma gli avevano dato un caloroso
benvenuto. Perfino capelli scuri. Aveva cucinato per lui, rammendato
i suoi abiti, letto per lui alla sera. Avevano solo una stanzetta sul
retro della casa del loro vecchio amico il reverendo Wheelock. Aveva
dato un po' di privacy alla coppia di sposini nei giorni che gli ci
erano voluti per riprendersi dal viaggio. Aveva dormito accanto al
fuoco. Non era riuscito a rimanere. Aveva un lungo viaggio davanti a
sé.
Nathaniel
aveva protestato la propria disapprovazione a questo piano.
Resta.
Andremo insieme quando il clima sarà favorevole. Non sei
esattamente
un giovanotto, noosh. Considera di restare e aiutare il reverendo
Wheelock con la sua carpenteria. Si occupa anche dell'orto in
primavera.
Insolente.
Una
volta era stato giovane, molte lune prima. Era stato più
forte del
suo linguacciuto figlio maggiore, perfino più veloce di suo
figlio
di sangue Uncas, che chiamavano Le
Cerf Agile
– il cervo agile.
Ma
Chingachgook sapeva che suo figlio maggiore aveva ragione, era
davvero vecchio ora. Aveva dormito per due giorni dopo essere giunto
ad Albany. Le ossa spesso gli dolevano, soprattutto le giunture.
Capelli scuri – Cora – gli aveva preparato un
tè di rosa
invernale per contrastare il fastidio.
Nathaniel
non poteva capire. Non ancora. Non era ancora padre, dopotutto. In
ogni caso non aveva brontolato troppo, si era limitato a dirgli dove
pensava che Uncas e la ragazza potessero essere.
Dopo
una settimana di riposo e di recupero delle forze aveva lasciato la
giovane coppia preoccupata e il suo vecchio amico John Wheelock, e si
era messo in viaggio verso la natura selvaggia, visitando
città dei
bianchi e villaggi Umami lungo il cammino.
Aveva
incontrato tempeste di neve e ghiaccio, attraversato laghi
ghiacciati, valli e colline. A volte aveva vacillato, le gambe non
più in grado di sorreggerlo come avevano fatto in passato.
La
vecchiaia recava saggezza e il rispetto degli altri guerrieri,
pensava. Ma anche dolori e affanni.
Viaggiò
verso sud mentre l'inverno cominciava a mescolarsi con l'Achpateuny,
il leggero vento dell'est di inizio primavera. Colorando il
mondo
con un pizzico di calore, prima di scagliare altra neve e ghiaccio
lungo il cammino.
Non
importava. Avrebbe completato quel viaggio. Dopotutto lui era Le
Gros Serpent. Conosceva tutte le strade dell'uomo e della
natura.
Successivamente
cambiò di poco direzione e si diresse verso la capanna di
Ian e
Beth. Sperava che fossero lì e che non si fossero trasferiti
ad
Albany, o peggio, fossero morti nel massacro precedente.
Con
suo sollievo, la fattoria era incolume, e i suoi dintorni tranquilli.
Osservandosi intorno con cautela, vide qualcuno che non si aspettava
per niente, così inaspettato che lo fece fermare.
Jack
Winthrop, quasi identico a come lo ricordava, con tanto dei suoi
soliti cappello a tricorno e uniforme logora.
Jack
lo guardò stupito per diversi momenti e, gettando a terra la
pila di
legna che stava trasportando in casa, gli si avvicinò in
fretta. La
sua bocca si incurvò in un ampio sorriso.
“Chingachgook!”
lo chiamò, sorridendo felice. Si strinsero la mano, e Jack
rise di
contentezza, nel suo solito modo scherzoso che ben si adattava al suo
spirito ribelle.
“Felice
di vederti vivo, Jack,” disse Chingachgook schiettamente.
“Allora,
cosa fai qui?”
“Sono
di passaggio.”
Jack
annuì, ancora sorridente.
“Entra,
entra! Sono sicuro di parlare a nome di Ian e Beth quando dico che
sei sempre il benvenuto. Spero che tu sia affamato. Beth ha fatto del
riso con i fagioli e stufato di manzo.”
Chingachgook
non si aspettava di trovare il giovane capitano lì insieme a
Ian e
sua moglie. Conosceva Jack da quando aveva circa tredici anni. Aveva
la stessa età di Nathaniel, e i due erano diventati amici
stretti,
anche con Uncas quando suo figlio minore era cresciuto. Quindi era
davvero felice che Jack fosse scampato alla morte. Che tutti loro
fossero scampati. Era un buon presagio.
Il
Creatore della Vita è buono.
——————————————————————————————————————————
Più
tardi quella sera bevvero tutti della birra mentre si preparavano ad
andare a letto. Le giornate erano ancora corte e l'inverno li aveva
logorati tutti.
Beth
parlava e parlava come faceva sempre, e gli uomini più
giovani
conversavano tra loro, ignorandola. Dunque la ruota era girata,
eppure alcune cose erano rimaste uguali.
Chingachgook
fumava la pipa, pensieroso. Non importava quanto si sentisse a
proprio agio, o al caldo e nutrito, doveva andarsene dopo l'alba.
Stava pensando se spostare o meno la propria attenzione su Cumberland
County quando qualcosa che Beth disse penetrò nei suoi
pensieri.
Chingachgook
mise lentamente giù la pipa.
“Come
sapevi che mi sono diretto da solo in Can-tuck-ee?”
chiese.
Il fuoco si rifletteva nei suoi occhi in maniera inquietante.
Beth
minacciò di soffocarsi con la birra. Gli altri si fecero
improvvisamente tesi.
“Come?”
si impantanò lei, lisciandosi il vestito. Aveva il viso
rosso.
Chingachgook
invece guardò gli uomini. Il suo istinto stava cominciando a
capire.
Ian
cominciò a parlare ma Jack lo interruppe. Sfoggiava
un'espressione
cauta ma determinata. Chingachgook percepiva che lo considerava un
suo dovere filiale rispondergli dal momento che conosceva lui e la
sua famiglia da tanto tempo.
“Chingachgook,
Uncas e Alice hanno trascorso parte dell'autunno qui con noi.”
Chingachgook
fletté convulsamente le dita. Solo anni e anni di
autocontrollo e
meditazione lo avevano fermato dallo sfogare la sua rabbia sulle
persone che aveva davanti. Uno praticamente un figlio, gli altri cari
amici che avevano sempre dato rifugio e nutrito e aiutato la sua
famiglia, anche quando avevano poco e niente.
Perché
non glielo avevano rivelato prima?
“Perché?”mormorò.
La
sua domanda era carica di significato. In ogni caso, loro compresero.
Beth
si schiarì la gola, ancora imbarazzata.
“Sappiamo
che hai avuto un diverbio con Uncas a causa... a causa di sua
moglie.”
Moglie.
La
donna aveva scelto con cura questa parola, Chingachgook lo
intuì.
Significava che, anche se rispettavano il patriarca e capo Mohicano,
si sentivano anche legati alla ragazza bianca. L'implicazione era
chiara.
Lei
è una di noi. Noi la accettiamo.
A
parte quella consapevole sfida, fu quella parola a spingere
Chingachgook a fissare il fuoco meditabondo. Mesi prima, se suo
figlio si fosse riferito a quella cosina pallida come sua moglie,
pensava che sarebbe stato capace di colpirlo. Ora però, le
maree del
cambiamento avevano creato delle crepe sulle rive della sua
età
avanzata, mettendo da parte i suoi desideri per il figlio, la sua
speranza di ricostruire una linea di sangue pura.
“Dove
sono?”
Silenzio.
Chingachgook
sollevò il capo e li guardò cupamente, i suoi
occhi scuri che
scandagliavano gli altri senza batter ciglio.
I
più giovani Yengeese sembravano intimiditi. Lui non era
assolutamente dell'umore per fingere o per perdere tempo.
“Se
ne sono andati a novembre,” disse Beth dolcemente, lo sguardo
acceso di compassione e tenacia, sue dei suoi tratti più
prominenti.
Chingachgook
la fissò duramente, e anche se si agitava nervosamente, lei
non
vacillò.
Ian
si sporse in avanti, pensando evidentemente che era tempo di
riafferare le redini della sua cocciuta moglie chiacchierona.
“Come
mia moglie ha detto, sono stati qui per un breve periodo.”
L'accento dialettale dello scozzese era ostico alle orecchie di
Chingachgook. “Non avevano nessun'altro posto dove andare, o
almeno, niente di pianificato. Uncas ha lavorato alla fattoria con me
e Jack, e Beth si è assunta il compito di insegnare ad Alice
a
cucinare e pulire.”
Ora
Chingachgook sentiva i primi segni della vecchia rabbia e
indignazione. Sì, insegnarle perché
la bionda era stata
viziata tutta la vita al punto che riusciva a malapena a bollire un
po' d'acqua. Non sapeva scuoiare gli animali, non sapeva niente di
faccende domestiche, e ora suo figlio, un guerriero nobile e forte
che un giorno sarebbe stato un capo, era soggiogato da lei.
Si
ricordò perché si era messo in viaggio,
ricordò il suo sogno sul
suo misterioso nipote, e pregò il Creatore della Vita
perché gli
concedesse un po' di pazienza.
“Una
volta che hanno messo da parte abbastanza provviste hanno deciso di
andarsene per conto loro, finché in primavera non avessero
potuto
comprare della terra e cominciare a costruire.”
“E
finché non sarà nato il loro bambino,”
aggiunse Beth,
sorseggiando il suo sidro. Chingachgook vide Jack irrigidirsi.
“Dove
sono?” ripeté Chingachgook pacatamente. Si sarebbe
diretto là –
dovunque fossero – appena il sole fosse sorto.
“Perché?”
chiese bruscamente Beth. Il suo sguardo era duro, tra il preoccupato
e il falso smargiasso.
“Tieni
a freno la lingua,” sibilò Ian, zittendola con lo
sguardo. “Stai
parlando a un anziano, moglie.”
“E
io non intendevo offendere, marito,” ribatté Beth.
“Chingachgook
e la sua famiglia mi sono cari quanto te. Lui e i suoi figli parlano
chiaro. Perché non posso fare lo stesso?”
“Sei
troppo sfrontata, Elizabeth.”
Ian
guardò sua moglie in cagnesco ma non aggiunse altro. Non era
il tipo
da offrirsi a una discussione. Jack guardò impotente i suoi
amici.
“Chingachgook,
amico,” Beth sottolineò l'ultima parola,
“vorrei solo sapere
quali sono i tuoi piani.”
Gli
uomini la fissarono, stupiti dall'audacia di Beth. Chingachgook aveva
sempre saputo che era audace, sfacciata, e imperturbabile, ma la sua
impertinenza era sorprendente.
Beth
fece un respiro profondo e esalò lentamente, a quanto
sembrava
cercando di ricomporsi.
“Quello
che intendevo, Chingachgook, è... Uncas è
arrivato da noi con una
giovane donna incinta, senza nessuna destinazione precisa in mente.
Era chiaro quanto fosse triste per la rottura con te. Lui e Alice
sono così giovani. Devo chiederti – cercherai di
separarli?”
Non
fu una facile prodezza per Chingachgook frenare il suo disgusto alle
cattive maniere di Beth. Una donna non avrebbe mai dovuto
rimproverare o fare domande a un uomo, specialmente un ospite in casa
sua. Forse gli Yengeese avevano usanze diverse?
Non
era nella natura di Chingachgook pensare male dei propri amici e
conoscenti, comunque. Ed era abbastanza saggio da sapere che le
parole scortesi di Beth le venivano dalla preoccupazione. Le sue
orecchie sarebbero dovute essere aperte all'ascolto.
Proprio
quello che non aveva fatto con il proprio figlio.
“Puoi
rimediare a quello che è successo in qualsiasi momento,
amico mio,”
disse Beth con un piccolo sorriso. Il suo viso brillava allegramente
nella luce del fuoco, “siamo affezionati ad Alice, come ad
Uncas.
Lei si sente così sola. Eppure ha scelto tuo
figlio.”
“Mio
figlio l'ha disonorata,” mormorò Chingachgook in
tono basso. La
sua voce era quasi una carezza, anche se le parole erano taglienti e
intrise di dolore. “E allo stesso tempo ha disonorato me.
È stato
costretto a...” Chingachgook cercò una descrizione
appropriata,
“questo accordo con la ragazza.”
“Molto
bene,” s'intromise Jack ad alata voce chinandosi in avanti,
lo
sguardo duro come l'acciaio, “Uncas le ha sollevato le
gonne-”
“Jack!”
tuonò Ian, allibito. Beth emise una risatina scioccata
dietro la
mano.
“-
ma ha agito come deve fare un uomo e si è preso le sue
responsabilità. Ora, capisco che tu sia ancora amareggiato
perché è
bianca, e non ti biasimiamo per questo. Non sono esattamente ben
accoppiati. Lei è una cosina così strana. Ed ha
anche una certa
arroganza alle spalle.”
“Jack,
stiamo cercando di spiegare a Chingachgook-” Ian
cercò di nuovo di
interromperlo ma il suo tentativo fu vano. Jack aveva negli occhi
quella scintilla fervente che significava che era ispirato.
A
quel punto Jack gesticolava freneticamente, scostandosi le ciocche
biondo-rossicce dalle spalle.
“Beth
ha ragione. Alice avrebbe potuto andarsene in qualsiasi momento,
avrebbe potuto scappare da lui, avrebbe potuto fare un mucchio di
cose. Ma non le ha fatte. Ha scelto di rimanere con Uncas.
C'è più
di un semplice legame di convenienza per via del bambino tra loro.
Voglio stare insieme. Anche un cieco se ne accorgerebbe.”
Chingachgook
fece un'espressione derisoria. Jack Winthrop era sempre così
esplicito sulle cose più triviali. Era sorpreso che il
giovane non
fosse balzato in piedi su una sedia mentre farneticava. I bianchi
erano una razza a parte, ricordò a se stesso. Non avrebbero
mai
capito che Uncas si era fatto beffe di un espresso ordine di suo
padre, e che aveva voltato le spalle alla sua gente, alle loro
usanze, al loro modo di vivere.
E
si sbagliavano se pensavano che covasse del rancore nei confronti
della ragazza bianca. Era incinta di suo nipote, ed era stato Uncas a
comportarsi in modo vergognoso.
Scuotendo
il capo, fissò Jack dritto negli occhi blu.
“Dove
sono?” fu la sua unica domanda, ripetuta ormai per la terza
volta.
“Tenterai
di separarli?” disse di nuovo Beth freneticamente. La sua
bocca era
dura in mezzo al volto pallido, eppure i suoi occhi erano angustiati.
“Non
intendiamo mancarti di rispetto in alcun modo, Chingachgook,”
intervenne Ian, lo sguardo deciso. “Siamo preoccupati. Uncas
ha
fatto così tanto per stare con quella figliola che sarebbe
imperdonabile se favorissimo – in qualsiasi modo –
un tentativo
di separarli.”
Prese
un lungo sorso dal suo boccale e si asciugò la bocca,
solenne e
tetro come sempre.
“Uncas,
il mio unico figlio di sangue, ha delle responsabilità fin
dalla
nascita,” ribatté Chingachgook cupo. “ha
scelto una ragazza
inglese. Mi ha sfidato.”
“Scozzese,”
disse Ian con un certo spirito. “Non inglese. Sarebbe potuta
andare
peggio.”
Chingachgook
aveva sentito abbastanza. Con un veloce borbottio di ringraziamento
per il cibo e l'ospitalità, si alzò con ogni
intenzione di lasciare
la casa immediatamente. Meglio accamparsi nella foresta che essere
costretto a tollerare quel disprezzo. Avrebbe dovuto trovarli da
solo.
“Per
favore, ti
scongiuro,”
Beth ora era vicina alle lacrime, “non vogliamo che la nostra
amicizia finisca. Teniamo molto a te. Perdere la tua stima ci
spezzerebbe il cuore.”
Chingachgook
si irrigidì e rimase impietrito a quelle parole. Rabbia,
impotenza,
disperazione... sentimenti troppo oscuri per un uomo della sua
età.
Follia e orgoglio. Sapeva solo che non voleva percorrere questo
sentiero, che le emozioni negative facevano marcire il cuore e
causavano angoscia. Sapeva anche che voleva conoscere suo nipote, il
piccolo hinutet
che
lo aveva tormentato in un sogno, alludendo ad una separazione eterna.
Anche
se il suo cuore era pesante, le ferite ancora fresche, voleva
sincerarsi che i due giovani stessero bene, che la gravidanza stesse
procedendo nel modo migliore. Che fossero al caldo. E felici.
Chiudendo
la porta sul proprio orgoglio, si voltò lentamente per
incontrare
l'espressione turbata di quegli amici che conosceva così
bene.
“Mai.
Non li separerò mai. Uncas ha scelto la propria donna, e la
propria
strada. Voglio conoscere mio nipote prima dell'alalechen.
Prima
della mia morte.”
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Capitolo 11 *** Capitolo undici ***
“Dimmi
della tua casa.”
“Londra?
Bé-”
“No.
La Scozia.”
Alice
smise il suo ricamo. Spostando lo sguardo su Uncas tremò
impercettibilmente e non rispose.
“Mi
chiedi sempre della mia gente,” le fece notare Uncas,
portando ad
Alice una fumante tazza di tè dal focolare. Lei la
accettò con un
ringraziamento sussurrato.
Alice
prese un piccolo sorso, assaporando il sapore di menta e il gusto del
tè che Uncas le preparava tutti i giorni. Il profumo le
faceva
sempre pensare alla foresta nel pieno dell'inverno, alle fate di
ghiaccio dei racconti popolari.
Ora
al settimo mese della sua gravidanza (basato sul suo calcolo
approssimativo) la nausea si era quasi del tutto calmata. Stava
sperimentando maggior letargia man mano che affrontava le giornate
con il suo ventre ingrossato, e si sentiva sempre più senza
fiato
anche svolgendo i compiti più semplici. Come camminare o
sollevare
qualcosa di leggero.
Uncas
si comportava con attenzione e preoccupazione; Alice aveva deciso
mesi prima, durante l'inverno, di non lamentarsi molto. In
verità,
con la sua nuova reticenza era riuscita a realizzare quanto in
realtà
di fosse lamentata e aveva preoccupato il giovane guerriero.
Aveva
ragione, comunque. Voleva sempre ascoltare su di lui e sulle sue
usanze più di quanto volesse parlare delle proprie.
Alice
fece un respiro fortificante e posò la tazza accanto a lei.
“Cosa
vorresti sapere?” chiese, un po' confusa. Non credeva fosse
così
interessante affrontare una simile ispezione dei suoi primi anni. Non
aveva il migliore dei ricordi dopo...
“Dove
sei nata?” Uncas si accomodò accanto a lei,
allungando le lunghe
gambe e fissando il fuoco.
“Te
l'ho detto. Inverness.”
“Parlamene.”
Alice
lo fissò, poi scosse il capo. Uncas sollevò uno
scuro sopracciglio
in scherzosa sfida.
“Bé,”
Alice cominciò il suo racconto con imbarazzo, quindi si
bloccò.
Odiava che le chiedessero di parlare di un argomento a comando. Lui
avrebbe dovuto capirlo, visto come era riservata di natura.
“Era
tutto molto verde. Ma anche... asciutto. Paragonato a Londra.”
Fu
tutto quello che disse, e pensava che la faccenda finisse
lì. Uncas
sorrise enigmatico.
“Dimmi
della tua gente. Della tua famiglia.”
Alice
esalò un respiro. Un antico dolore le afferrò il
cuore.
“La
famiglia di mia madre è il clan Macleod dell'isola di Skye.
La
famiglia di mio padre viene da Inverness. Io e mia sorella siamo nate
e siamo cresciute lì.”
“Clan?”
“Ehm...
sì. Un gruppo di famiglie che viveva insieme. Avevamo un
laird,
suppongo simile al vostro capo, e la nostra lingua e i nostri usi
diversi dagli inglesi.”
“Perché
avevate? Non esistono più?”
Lei
sapeva che quello era uno dei suoi rari scherzi. Odiava pensarci.
“Non
nel senso stretto della parole, no.”
Il
sorriso di lui scomparve, e Alice si voltò a fissare il
fuoco
pensierosa.
“Alcune
persone, inclusa la mia famiglia, si ribellarono alla corona.
È
tutto... scomparso.”
“Scomparso?
La tua gente?”
“Il
nostro modo di vivere. Quando la rivolta venne soppressa, gli inglesi
bandirono la nostra lingua, le nostre usanze, i nostri tartan. La
maggior parte degli uomini furono arrestati per alto tradimento. Le
terre vennero saccheggiate. Mio padre, l'unico della famiglia a
rimanere sempre fedele agli inglesi, mi portò via da
Inverness e mi
mise in un collegio inglese. Finché non sarei stata pronta
ad
acclimatarmi, disse.”
“E
lo hai fatto? Ti sei acc-li-matata?”
Alice
faticò a spiegarsi.
Non
all'inizio. Mi... mi mancava la mia lingua, e la mia gente. Ero
sempre stata timida, ma le altre ragazze mi escludevano per il modo
in cui parlavo e perché dicevano che i miei familiari erano
sporchi
traditori. Animali.”
Lo
sguardo di Uncas mostrava compassione, anche se non aprì
bocca.
“Decisi
che dovessi effettivamente acclimatarmi. Questo fece smettere le
ragazze di tormentarmi, e rese mio padre felice. Era quello che aveva
sempre voluto per me. Che fossi una dama inglese.”
“Sei
inglese?” chiese Uncas dolcemente. Le sue sopracciglia del
colore
della mezzanotte sembravano ali di corvo, pensò Alice.
Lo
fissò, a corto di parole. Ricordò le storie e le
canzoni di sua
madre. La cadenza e l'accento della sua lingua natia. L'esplosione di
stelle nelle chiare notti estive... Ricordò le danze e i
racconti, e
la libertà che aveva avuto per così poco tempo.
Correre libera nei
campi, arrampicarsi sugli alberi, cavalcare il suo pony con una sella
da uomo. Gli odori e i suoni di Inverness.
“No,”
sussurrò, stringendo tra le nocche il tessuto del suo abito,
“non
veramente. Mai.”
“Hai
detto che ti manca la tua lingua. Perché non la
parli?”
“Con
chi?” chiese lei, la petulanza che cominciava a farsi strada
nel
suo tono. “Mio padre aveva rinunciato alla nostra vecchia
vita, e
Cora era sempre via.”
“Dimmi
qualcosa in gae-lico.”
Alice
allungò le mani e prese la sua fra le proprie. Con il
pollice lui le
carezzò la pelle tra il pollice e la falange. Gli piaceva
quella
carezza.
Il
bambino fece una capriola nel ventre di Alice e le diede una gomitata
nelle costole.
“Tha
gradh agam ort.”
Alice
sussurrò queste parole, il cuore che le batteva forte, il
viso
acceso.
“Che
significa?”
Alice
sorrise ma non rispose.
——————————————
Cara
mamma,
Guardo
le stelle nel cielo notturno, e ti penso spesso. A volte faccio finta
di udire la canzone che mi cantavi quando ero bambina. Non riesco a
ricordare tutte le parole. Canterò la stessa canzone al mio
bambino.
Canterò delle montagne nebbiose dell'isola di Skye.
Chì
mi gun dàil an t-àite san d'rugadh mi Cuirear orm
fàilte sa
chànain a thuigeas mi.
Com'era
il resto?
Gheibh
mi ann aoidh agus gràdh nuair a ruigeam Nach reicinn air
tunnachan
òir.
Ti
ricordi questa canzone? Ti ricordi com'è la vita da dove ti
trovi
adesso?
Mamma,
vorrei che fossi qui. Vorrei poterti chiedere cosa fare. Come essere
sempre nel favore di mio marito. Cosa fare quando un bambino piange.
Come nascondere la mia tristezza al mondo.
Ho
paura che non mi riconoscerai quando arriverò ad affrontare
Dio e il
mio giudizio. Spero che ti ricorderai di me. Spero che quel giorno mi
sorriderai. Non riesco nemmeno a ricordarmi la tua faccia, ma sento
ancora-
“Finito
con le tue preghiere?” mormorò Uncas, voltandosi a
strizzarle
l'occhio dalle pelli di fronte al focolare. Aveva tagliato la legna
tutta la mattina, e controllato le trappole durante la sera. Aveva
fatto alcuni cambiamenti per migliorare la fattoria. Era stanco, e si
era appisolato abbastanza presto quella sera.
Alice
annuì, alzandosi in piedi. Chiuse la bibbia di Jack e
Katarina e si
accoccolò al suo fianco.
———————————————————————
Uncas
aveva espresso il desiderio di andare a caccia una sera fredda. Alice
era scivolata fuori per respirare l'aria fresca e rinvigorente.
Sentì
le braccia di lui circondarla e poggiarsi sul suo ventre. Sentirono
entrambi il bambino muoversi.
“Farò
venire Beth,” mormorò lui fra i suoi capelli.
Alice si appoggiò a
lui.
“Non
sarà necessario,” commentò con
leggerezza. Lo intendeva veramente
– Alice si era ormai abituata alle ore solitarie in cui Uncas
lasciava la capanna. Non che a lui piacesse lasciarla sola.
“Penso
sia meglio,” replicò in tono dolce,
“è quasi Mechoammawi
Gischuc-”
Alice
sospirò. “Quando il pesce alosa ritorna, lo
so.”
C'era
silenzio in quella notte lattiginosa in cui il cielo sopra di loro
ricordava una macchia di inchiostro rovesciato, puntellata di stelle.
“Sarà
in maggio?” chiese piano.
Uncas
annuì. “Più o meno.”
“Lascia
stare Beth e Ian. È ancora presto. Chiederemo la loro
ospitalità
quando il bambino starà per arrivare.”
“Io-”
“Non
ancora,” implorò Alice, voltandosi a guardarlo.
“Solo un altro
po' di giorni da soli. Prima che arrivino i tuoi amici. Prima del
bambino.”
La
bocca di Uncas si addolcì mentre il suo sguardo la scrutava
solennemente. I suoi occhi erano luminosi.
“Non
saremo mai più così tranquilli.” La
voce di Alice era un
sussurro, pulsante di potenti emozioni. Lo avrebbe persuaso. Doveva.
“Sarà
meglio,” la rassicurò Uncas. “Avremo il
nostro bambino con noi.”
Alice
lottò per trovare le parole. “Io... voglio il
nostro bambino.
Davvero. Confesso che forse all'inizio, io... non importa, ora.
Vorrei solo aver avuto più tempo per conoscerti. Per
adattarmi. Per
prepararmi alla maternità.”
Uncas
annuì; come sempre era silenzioso e comprensivo. Rispettava
i suoi
sentimenti sulla questione.
“E'
successo tutto molto in fretta.”
Mesi
prima, rifletté Alice, la sua imperturbabilità e
il suo modo di
parlare chiaro l'avevano profondamente irritata. Ricordava momenti in
cui aveva risposto garbatamente, anche se con velate punte di
acerbità. La sua infelicità era stata difficile
da gestire. Per
anni la sua vita era stata una gabbia dorata di discorsi raffinati e
maniere educate. C'era una certa sicurezza nelle abitudini.
Lentamente,
sempre lentamente, con il volgere delle stagioni, i suoi sentimenti
verso di lui e verso la loro vita insieme erano cambiati.
Alice
sorrise. “Sì, in fretta.”
———————————————————————
Uncas
era uscito prima che sorgesse il sole.
Alice
era fuori nella luminosa luce solare, stendendo sul filo ad asciugare
i loro abiti lavati. Era una giornata pungente, ma lei sperava lo
stesso che i vestiti si asciugassero prima che lui tornasse. Molto
probabilmente sarebbe stato coperto di sudore e sangue di qualche
grosso animale, e avrebbe avuto bisogno di camice pulite.
Lei
stessa aveva scuoiato diversi piccoli animali ultimamente –
un
compito che aveva precedentemente respinto – e pensava di
poter
essere pronta a occuparsi di un cervo.
Era
al lavoro dal primo mattino. Dopo aver dato una spolverata alla
capanna, e aver spazzato il focolare, aveva lavato e strofinato i
loro indumenti in acqua calda con sapone fatto di cenere e grasso di
animale. Le sue mani erano rosse e screpolate.
“Wenichana.”
Alice
gridò, lasciando cadere una camicia di cotone blu e
girandosi in
fretta per fronteggiare il suo probabile assalitore. Affondando le
mani nel grembiule, afferrò il piccolo coltello che Uncas le
aveva
donato e insegnato goffamente a brandire.
“Pace,”
il visitatore l'apostrofò in tono di comando, “Non
intendo farti
del male.”
Alice
fece un passo indietro con diffidenza, lasciando cadere il coltello
dallo shock. Riconosceva quel volto. Quell'atteggiamento. Quegli
austeri occhi neri.
Chingachgook
sembrava uguale a prima eppure in qualche modo invecchiato. Le rughe
sul suo volto si erano acuite – oppure no? Era ancora una
versione
più bassa di suo figlio, tarchiato, con lineamenti duri.
La
diffidenza di Alice cresceva man mano che i secondi si trascinavano.
Dì
qualcosa, stupida ragazza!
Aprì
la bocca per offrire un saluto educato-
“Uncas
non è qui.”
Chingachgook
grugnì, posando la sua grossa sacca per terra. La luce del
sole era
bianca ed accecante, facendo battere le palpebre ad Alice mentre lo
osservava.
Alice
s'irrigidì, imbarazzata dalla sua mancanza di buone maniere.
Quell'uomo era, di fatto, suo suocero. Meritava rispetto.
Mi
ha mai riservato una singola oncia di rispetto?
Scosse
il capo a quel pensiero. Non aveva importanza. Non si sarebbe
svergognata di fronte a quell'uomo, che era dello stesso sangue di
suo marito, il padre di cui Uncas parlava con reverenza.
“E'...
è andato a caccia. Non lontano, credo. Prego che ritorni
stasera.”
Alice
si chinò per prendere le sue cose e Chingachgook si mosse in
fretta,
scuotendo il capo.
“No.
Li porterò io.”
Alice
non poté impedirglielo. Il risentimento cominciò
a condensarsi nel
suo ventre e le salì fino in gola. Si era scordata che lui
la
trovava inutile. Si rimangiò una replica e scosse le spalle.
“Come
volete. Prego entrate, signore. Mangiate qualcosa.”
——————————————————————
La
strana coppia sedeva a tavola dopo aver finito un piatto di stufato
di coniglio con patate.
Chingachgook
la fissava stoicamente. Prima mentre cucinava e si muoveva per la
capanna Alice poteva sentire il suo sguardo su di sé, che la
valutava, e che si posava sul suo ventre prominente.
Non
si sforzò di fare conversazione e questo ad Alice Munro
andava più
che bene.
Sbrigati,
Uncas.
“Quando
arriverà mio nipote?”
Alice
lo guardò, di nuovo presa dall'imbarazzo.
“All'inizio
dell'estate. In un mese e qualche settimana, pensiamo.”
“Hai
la pancia bassa,” commentò, piegando il capo di
lato.
Alice
divenne rossa. Che razza di cosa da dire.
“Uncas
ha cominciato a costruire la sua capanna?”
L'irritazione
di Alice stava aumentando. Perché il suo bambino doveva
essere suo e
la capanna di suo figlio? Perché la stava interrogando in
quel modo?
Era
troppo. Le parole le vennero fuori prima che riuscisse a bloccarle.
“Il
bambino è mio. La capanna sarà mia quanto di
vostro figlio. E io
sono sua moglie.”
Gli
occhi di Chingachgook non lo tradirono, anche se Alice non
mancò di
notare la debole scintilla di sorpresa alle sue parole audaci.
“Lo
so,” fu la sua unica risposta. Prese un lungo sorso di birra,
e
finalmente il suo sguardo si spostò su qualcos'altro.
Ispezionò lo
stato della capanna, i piccoli tocchi femminili; un abito su un
gancio, tovaglioli, mazzi di lavanda secca legati con nastri blu.
Alice
abbassò lo sguardo, lottando contro la crescente ondata di
nervosismo e preoccupazione. Qual'era il suo scopo? Aveva
già
disconosciuto suo figlio per aver generato un figlio con una donna
bianca. Perché improvvisamente si ripresentava, solo poche
settimane
prima che lei partorisse, quando la disapprovava così
apertamente?
Voleva forse cercare di allontanare Uncas da lei?
Improvvisamente
si alzò in piedi. Nello spazio ristretto della capanna
sembrava
torreggiare intimidatoriamente.
“Uncas
ti prepara il té?”
Alice
annuì. “Menta.”
Chingachgook
bofonchiò (così simile a suo figlio) e
frugò tra le sue cose,
recuperando dei pacchetti che avevano un buon profumo di erbe.
“Bollirò
dell'acqua. Ti farò del tè migliore. Buono per le
madri.”
Alice
batté le palpebre. “Grazie...”
mormorò incerta. Avrebbe voluto
che avesse portato dello zucchero insieme alle altre provviste. O
almeno del miele.
Lui
annuì secco. “Lo facevo per la madre di
Uncas.”
Alice
sentì un calore nello stomaco, come dei piccoli raggi di
sole. Si
alzò con alacrità.
“Metterò
l'acqua a bollire per noi. Mi farete compagnia?”
Lui
sembrava vagamente divertito. “Se lo desideri. Ho bisogno
delle
foglie di menta.”
“Queste
sono foglie di lampone?” ne prese una e la annusò
con cautela.
“Sì.
E... gli Yengeese le chiamano falsi frutti della rosa.”
Fu
solo più tardi, dopo il tè, mentre era occupata a
piegare i panni e
i suoi pensieri si spostarono su Uncas che Alice ricordò la
parola
wenichana,
la parola che
Chingachgook aveva usato come saluto. Aveva già sentito
quella
parola da Uncas prima, quando scherzava sul loro bambino.
Wenichana.
Figlia.
——————————————————
Il
secco ma familiare fischio giunse proprio mentre Alice stava
cominciando a preoccuparsi della cena.
Con
un sospiro di sollievo si diresse alla porta, mettendosi il suo
grembiule liso.
“Finalmente!”
mormorò, lanciando uno sguardo timido all'uomo
più anziano. “So
che vostro figlio sarà più che impaziente di
rivedervi, signore.”
Chingachgook
non disse nulla, anche se Alice percepì in lui un po' di
tensione.
Che fosse nervoso?
Fuori
nella luce morente, uno stanco Uncas stava scaricando la carcassa di
un cerbiatto sulle assi di legno che delimitavano il perimetro della
capanna.
Alice
dedicò un momento a strofinare gentilmente il naso della
creatura;
gli occhi del cerbiatto la fissavano, senza vedere, senza sentire.
Uncas
si sporse a baciarla.
“Tutto
bene?” chiese con leggerezza, scrutandole in fretta il viso.
“Come
è stata la tua giornata? Come ti senti?”
Alice
sorrise, avvicinando il viso finché i loro nasi si
toccarono. Le
labbra di Uncas si incurvarono in un sorriso.
“Memorabile,”
replicò lei dolcemente.
“Perché?”
lui si tirò indietro, le sopracciglia sollevate.
Evitò di toccarla
con le mani insanguinate. Il suo sguardo era acuto.
“Perché
il tuo coltello è nell'erba?”
“Prima
lavati in fretta nel ruscello,” lo rimproverò
gentilmente Alice,
“poi sbrigati. Abbiamo un ospite.”
“Cosa?”
chiese lui seccamente, aguzzando lo sguardo mentre lo spostava sulla
capanna. “Perché non me lo hai detto prima? Di chi
si tratta?”
“Di
tuo padre.”
Uncas
spalancò gli occhi. Per diversi secondi la coppia si
fissò l'un
l'altra. Lui cercò di scrutare i suoi lineamenti impassibili.
“Lui...
quando è arrivato?”
“Questa
mattina.”
“Ti
ha detto niente?”
Alice
comprese la domanda implicita. “Oh, non molto. Non indulge
esattamente in chiacchiere. Comunque ha portato delle provviste.
Sbrigati a entrare, Uncas. Meglio non far aspettare tuo padre. Ha
viaggiato molto per vederti.”
————————————
Nota
dell'autrice:
“Le
Montagne Nebbiose” è un'antica canzone popolare
scozzese. La frase
che Alice ricorda è così tradotta:
“Vedo,
di fronte a me, il posto in cui sono nata
Mi
daranno il benvenuto in una lingua che comprendo
Quando
arriverò riceverò ospitalità e amore
Che
non scambierei per una manciata d'oro.”
Ho
scelto Inverness
come patria delle sorelle Munro in “Lost”*
d'impulso, e quando ho
cominciato a fare ricerche su di essa mi sono resa contro che
è una
città moto significativa per la storia scozzese. La
ribellione di
cui Alice parla accadde veramente, e coincide più o meno con
l'epoca
in cui volevo fosse Alice quando lascia la Scozia per l'ultima volta.
Se siete interessati potete leggere di più sulla battaglia
di
Culloden – si concluse con la brutale sconfitta della rivolta
giacobita scozzese, e le pesanti sanzioni imposte dagli inglesi
indebolirono il modo di vivere gaelico e il sistema dei clan che era
esistito per secoli.
Nota
della traduttrice:
Assiage
mi ha chiesto
di tradurre, insieme al capitolo, anche questa sua nota, molto
significativa ai fini della storia... e io ovviamente eseguo!^__^ V
*LOST
è un'altra
fanfiction della stessa autrice sempre scritta per il fandom de
L'ultimo dei Mohicani che, se avete tempo, vi consiglio di leggere.
Besos!
Eilan21
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Capitolo 12 *** AVVISO ***
Ciao
a tutti!
Volevo
innanzitutto scusarmi con tutti coloro che seguono e recensiscono per
la prolungata assenza, ma purtroppo non ho aggiornamenti da parte di
assiage e, anche sul sito originale, per il momento la storia
è
ferma. Qualcuno di voi mi ha contattato in privato per chiedermi
notizie e mi sono sentita dunque in dovere di pubblicare questo
avviso.
Non
dipendendo da me questa assenza non so neanche precisamente quando
potrò tornare con il nuovo capitolo. Sappiate che, non
appena
assiage aggiornerà, io farò immediatamente
altrettanto :)
grazie
infinite per la pazienza e per l'interesse con il quale avete seguito
fin'ora, e continuate ad attendere, la storia.
A
presto,
eilan
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