Sephiroth

di NeroNoctis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Wendigo ***
Capitolo 2: *** Debole ***
Capitolo 3: *** Simon ***
Capitolo 4: *** Foodhallen ***
Capitolo 5: *** Almost Easy ***
Capitolo 6: *** Way to Survive ***
Capitolo 7: *** Brompton Cocktail ***
Capitolo 8: *** Wonderwall ***
Capitolo 9: *** Elegia ***
Capitolo 10: *** Thank You ***
Capitolo 11: *** Coming Home ***
Capitolo 12: *** A Phantom Pain ***
Capitolo 13: *** Decode ***
Capitolo 14: *** The Man Who Sold The World ***
Capitolo 15: *** Unholy Confession ***
Capitolo 16: *** God is dead. ***
Capitolo 17: *** Here's To You ***
Capitolo 18: *** Epilogo: Never Too Late ***



Capitolo 1
*** Wendigo ***


L'atmosfera del locale era sempre la stessa: luci soffuse, rumori di fondo che andavano da bottiglie a bicchieri, fino al classico vociare della gente. Fortunatamente era un locale in cui non si poteva fumare, non sarebbe stato carino vedere quell'atmosfera così "modernamente vintage" rovinata dall'odore sgradevole del fumo. I tavolini neri si mescolavano perfettamente al resto dell'ambiente, scuro anch'esso, che dava al tutto un atmosfera calda e rilassante. 
L'orologio segnava le 23, e nonostante fosse un giorno infrasettimanale di dicembre, il locale era stranamente pieno. 
Uno dei camerieri portò al tavolo 13 il cocktail ordinato, rigorosamente accompagnato da stuzzichini vari, cosa che rassenerò di non poco il ragazzo seduto a quel tavolo. 
Bevve un sorso... decisamente buono, proprio come si aspettava, forse meno alcolico di quel che pensava, ma il gusto compensava. Afferrò un'oliva con le mani, guardandosi intorno, e la portò alla bocca con fare tranquillo, assaporando quel gusto che accompagnava benissimo quel bicchiere.
Allo stereo risuonò I Won't See You Tonight degli Avenged Sevenfold, cosa che a Daniel non dispiacque affatto, come poteva non godersi quella canzone? Era la sua band preferita dopotutto.
Bevve un altro sorso e iniziò a canticchiare sottovoce.
Una ragazza dai capelli castani  gettò sul tavolino un fascicolo, e si sedette di fronte al ragazzo, mentre i loro occhi si incrociavano, castano che si specchiava sul castano.
– Ecco qua, Dan. Tutto pronto. – disse lei, togliendosi gli occhiali per pulirli sulla maglietta rossa.
– Andiamo Alexis, stavo cantando.
Lei si rimise gli occhiali e afferrò il cocktail di lui, sorseggiandolo a fondo. Era solita fare così, dopotutto lei e Daniel condividevano praticamente ogni cosa, davvero ottimi amici.
Lei lo chiamava sempre Dan, mentre lui rispondeva in svariati modi: Alexis, Al, Lexi, Alex.
– E stavi bevendo, e mangiando, e osservando. Lo so cosa stavi facendo, ma andiamo, è uno di Rango C!
Dan sbuffò, prendendo un'altra oliva. Si pulì la mano sui jeans e sputò il nocciolo centrando il bicchiere, mentre schizzi di cocktail colpirono il suo viso.
– Di certo io non ho intenzione di berlo adesso. – disse Lexi, mentre nel suo volto si disegnava un sorriso. Si tolse la sciarpa bianca e la mise sulla sedia vuota accanto a lei, e tornò ad osservare la scena. Non sapeva se era maldestro o semplicemente stupido a volte, ma la cosa la divertiva, dopotutto un partner era meglio divertente, che silenzioso. Di silenzi inquietanti ne ascoltavano fin troppi.
– Sai che la Classe C è noiosa. Valgo più di questo, posso gestirmi un Rango B senza problemi.
– Frena Rambo. Dimentichi chi ti ha salvato il culo quattro volte dai Rango B.
Daniel alzò lo sguardo verso l'amica, spostandosi una ciocca di capelli neri che gli finì sugli occhi. – Tre volte, prego. Quell'incidente a New York non conta...
– Ah-ha! Va bene, adesso vedi di che si tratta.
Dan annuì, aprendo il fascicolo sul quale era riportato il simbolo dell'albero della vita ebraico.
Sfogliò qualche pagina, soffermandosi su alcuni punti, poi lesse a voce sufficiente da farsi sentire da Alexis.

 
Soggetto di Rango C, avvistato nella notte tra il 14 e il 15 dicembre nelle vie di Roma. 
Si è addentrato in un totale di tre abitazioni -stimate ad oggi- e ha divorato tutti i membri della famiglia. Resti dei cadaveri sono stati trovati dalle autorità, ma dell'assassino nessuna traccia, quindi caso momentaneamente in stallo. Dalle ferite possiamo identificare una predilizione alle zanne, anzichè l'uso solito degli artigli. 
Il Soggetto sembra nutrire preferenza verso le famiglie composte da quattro membri, di cui due gemelli, un ragazzo e una ragazza.
Non dovrebbe essere complicato individuarlo, seguendo questa routine. 
-V


 
Daniel chiuse il fascicolo, e finì il cocktail in un sorso, mentre Lexi lo osservava... chissà se si era ricordato del nocciolo d'oliva...
Tossì, e lo sputò nuovamente, quasi strozzandosi.
No, non si era affatto ricordato!
– Potevi avvertirmi! 
– Pensavo che la tua memoria a breve termine fosse più sviluppata, dai, ti aspetto fuori.
Daniel si diede una sistemata e lasciò una banconota da cinque al barman, afferrò il cappotto nero e uscì, coprendosi bene per resistere al freddo pungente di quella sera. Lexi non sembrava sentire troppo freddo, nonostante avesse solo una maglietta e una sciarpa a proteggerla dalla bassa temperatura.
I due si avvicinarono ad una macchina, e ne aprirono il portabagagli.
Dan afferrò un fodero nero, contenente la sua fidata arma bianca, una spada finemente decorata dall'elsa nera, simile ad una katana, ma leggermente più robusta e senza la classica curvatura della lama giapponese. Successivamente afferrò una pistola e controllò i colpì, mentre Lexi prendeva un caricatore pieno di speciali munizioni.
– Direi che possiamo andare! – esclamò lei, soddisfatta.
– Il pugnale, tonta.
– Ah... già. – Lexi afferrò il pugnale e lo nascose sulla cintola, mentre si premurava a coprire tutto con un cappotto che recuperò dall'autovettura.
Finalmente! pensò il ragazzo. Stava semplicemente congelando ad osservarla in quel modo, e pensare che lei non mostrava il minimo brivido di freddo. Ah, le donne! E pensare che in genere son loro quelle che sentono sempre freddo, si disse.
I due si incamminarono nelle strade di Roma, seguendo un percorso segnato da una mappa, riportante tutte le famiglie che rientravano nella target list del Rango C. Le vie della città erano sgombre, dopotutto era periodo festivo e faceva freddo, quindi era molto più semplice agire indisturbati. 
Camminarono per qualche isolato, si fermarono ad un semaforo e aspettarono che scattasse il verde.
– Qualcuno ci segue, Dan.
– Si... me ne sono accorto. – rispose il ragazzo, portando istintivamente la mano verso la pistola. Quel gesto lo faceva sentire più al sicuro nei momenti di tensione, ed era sempre meglio tenersi pronti al peggio. Quello che facevano loro era davvero pericoloso, ma il pericolo si annidava in ogni angolo. Dan ripensò alla storia di Adam Black, cacciatore esperto che fu ucciso dalla pazzia del padre durante una ricognizione a Dublino.
Quindi il pericolo non era rappresentato solo da quelle creature assetate di sangue, che Dan si rifiutava di chiamare con il loro vero nome, ovvero Wendigo. Lui li chiamava semplicemente "Loro". Si rifiutava di pronunciare il nome dei demoni che avevano sterminato la sua famiglia... e catturato la sua sorellina Karen.
– Dan...?
Daniel si svegliò improvvisamente da quei pensieri riguardanti il suo passato, non doveva pensarci ora, ne valeva la sua sicurezza e quella di Lexi, nonostante lei fosse abbastanza brava da cavarsela in ogni situazione.
Il semaforo era ormai verde da un paio di secondi, e i due proseguirono verso le loro mete, lasciandosi alle spalle il misterioso figuro che li stava pedinando, nonostante era come se fosse svanito nel nulla, dato che i due ragazzi non lo notarono più.
Arrivarono di fronte una palazzina e controllarono meglio, dopotutto era uno dei luoghi segnati nella mappa. 
Dan si arrampicò e scavalcò il cancello, aprendolo successivamente per facilitare l'ingresso all'amica. I due camminarono nel giardino di quell'abitazione, e il silenzio improvvisamente divenne quasi assordante. L'unico rumore percepibile erano il suono dei loro passi e il rumore della piscina, alla quale si avvicinarono.
L'espressione di Lexi mutò, trasformandosi in una smorfia di tristezza. L'acqua era sporca di sangue, e sulla superficie galleggiavano resti umani, come una mano e parte di una testa femminile, mentre sul bordo, una creatura pelle ed ossa, con grosse zanne ed artigli non troppo sviluppati. Teneva a se un corpo maschile, mentre ne divorava le interiora.
La puzza che emanava era terribile, e il rumore della carne che si staccava era qualcosa di orrendo, qualcosa a cui nessuno doveva mai assistere. La creatura alzò lo sguardo verso i due, osservandoli con i suoi occhi completamente bianchi e privi di pupille, ma nonostante ciò perfettamente abili a vedere le proprie prede.
– Odio arrivare in ritardo... – disse lei, afferrando la sua pistola.
Lo penso anche io, se solo i Sephiroth fossero arrivati in anticipo la mia famiglia sarebbe ancora in vita.
Ma non disse questo, non poteva.
– Anche io. – rispose, ed estrasse la spada.

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Capitolo 2
*** Debole ***


Daniel roteò l'arma bianca con la mano destra, soppesandola leggermente per colpire con la giusta forza quando la creatura avrebbe attaccato. Dietro di lui, Lexi era immobile.
Teneva salde le mani sulla sua pistola, puntando all'essere a bordo piscina. 
Aveva imparato a maneggiare le armi sin da piccolina, le sessioni di addestramento erano abbastanza dure e stressanti, sia a livello fisico che psicologico, e le cicatrici in entrambi i contesti a volte erano ancor visibili, come tagli ancora aperti da cui sgorgava, zampillando, del sangue rosso fuoco.
Non ricordava molto del suo primo addestramento, ricordava soltanto il dolore lancinante ai muscoli e l'impossibilità di montare a cavallo per almeno una settimana, e il montare a cavallo era una delle passioni di Lexi, che coltivava sin da quando aveva ricordi. 
Aveva una puledra bianca, con una macchia sul muso di color caffè, sua inseparabile compagna di cavalcate quando si sentiva giù di morale, o aveva bisogno di staccare la spina da quelle spedizioni o combattimenti contro i Wendigo. E a volte sentiva proprio il bisogno di star lontana da tutto e tutti, anche da Daniel.
Stava bene con Daniel, erano stati inseparabili fin da quando lui aveva messo piede al centro addestramento Sephiroth, mostrandosi insicuro ma al tempo stesso sfacciato e spavaldo, ma a volte era anche fastidioso, non volontariamente forse, ma c'erano alcune cose, in alcuni momenti, che a Lexi non andavano proprio a genio. 
Era strano, e antipatico... e a dire il vero lo era sempre stato. Non mostrava mai il minimo segno di interesse a nulla, soprattutto alle persone, ma quando il suo mentore Victor gli spiegava le nozioni base del combattimento, lui diventava tutt'altro che disinteressato. 
Victor era l'unica persona che sapeva rapportarsi a Dan, e tutti si chiedevano come facesse, soprattutto lei. Ma alla fine della storia, dopotutto, era stato Dan, una notte, a insegnarle come impugnare una pistola, e ora lei era là, con l'insegnamento di quello che era il suo fidato partner, e amico.
– Pronta, L? – chiese lui, osservando la creatura ancora intenta a squadrare i due. Quelli erano i momenti peggiori, i momenti di attesa, in cui si aspettava la mossa dell'essere. Non era saggio attaccare per primi, e Dan e Lexi lo sapevano bene. Ogni Wendigo era diverso dagli altri, diverso in aspetto quanto in comportamenti, ed era meglio capire il modus operandi prima d passare all'azione vera e propria.
Un sibilo, e il Wendigo sfrecciò sull'acqua, saltando sopra Daniel e facendogli perdere l'equilibrio. Lexi sparò un colpo a vuoto, alzando un getto d'acqua rossastra. Il ragazzò roteò su se stesso e tentò di colpire con un fendente laterale, ma fu inutile. La creatura era veloce, schivò e si scagliò sul ragazzo, facendolo finire in acqua.
Gli artigli del Wendigo costringevano Daniel sotto la superficie, che si dimenava tentando di trattenere il fiato, ma la morsa dell'essere fu talmente poderosa che fece urlare il ragazzo, che ingogliò quel liquido sporco del sangue delle vittime.
Il sapore acre del sangue e del cloro lo riempì, facendogli girare la testa. Non che ne fu pienamente sicuro, dopotutto era sott'acqua, con uno di Loro a che lo stringeva all'altezza del collo, strangolandolo.
Ma fortunatamente durò poco, dato che la creatura improvvisamente urlò, uscendo dall'acqua e voltandosi verso la ragazza che gli aveva sparato dritto alla schiena. Un altro urlo e stavolta saltò su di lei, ma Lexi schivò, quasi danzando, e colpì letalmente il Wendigo con il pugnale, che gli finì dritto sulla nuca. 
L'essere rovinò a terra, e non si mosse, mentre Daniel riemergeva da quel bagno di acqua e sangue.
– Avevo la situazione sotto controllo. – disse lui, passandosi la mano sugli occhi e tossendo.
– Io direi che avevi la situazione sott'acqua. – rispose lei, seriamente. Ripose le armi alla cintola, e osservò il cadavere del Wendigo, successivamente osservò l'amico con aria interrogativa.
– Oh no. – fece lui, camminando verso l'abitazione ormai vuota. – L'onore è tuo. L'hai finito tu, procedi tu all'estrazione. Io vado a darmi una ripulita.
Lexi sbuffò, odiava quella pratica, e sapeva che Dan ne era a conoscenza, ma quando si metteva qualcosa in testa, era impossibile fargli cambiare idea. Doveva ripulirsi... certo. 
Ma ormai era andato, e lei riprese il pugnale e lo avvicinò al Wendigo privo di vita... almeno per il momento.
Una particolarità di queste creature era la loro apparente immortalità: fin quando non si estraeva quello che sembrava essere un cuore, non morivano mai del tutto.
Incise con precisione chirurgica il torace, e, una volta indossati dei guanti, estrasse quell'organo ancora pulsante, pulsante e tremendamente freddo. Aveva un aspetto normalissimo, ma in alcuni punti erano presenti delle scaglie simili a ghiaccio, altra particolarità di quelle creature. Si diceva che i classe S avevano il cuore interamente ghiacciato, ma fondamentalmente, i classe S non esistevano, era solo un'esagerazione dell'organizzazione. Ripose il cuore in un contenitore, così da poterlo portare ai laboratori, e si sedette in una sdraio, aspettando Dan. 
Si chiese come potesse essere così tranquillo ad entrare in case dove si consumavano efferati omicidi, ma dopotutto era Dan, e non era facilmente impressionabile. Lei invece, si guardava circospetta intorno, conscia che, nonostante fosse abile, quell'atmosfera la inquietava tantissimo.

Daniel era ancora bagnato, e le gocce d'acqua colavano dai suoi capelli e dai suoi vestiti, finendo su quel tappeto che a prima vista, sembrava davvero costoso. Era rosso, con rifiniture oro, non sapeva bene da dove venisse, non che la cosa gli importasse molto, ma il suo aspetto così costoso lo infastidiva, e il colare dei suoi vestiti su quel tappeto, beh, quello lo trovava gradevole, almeno era una piccola rivincita personale contro quello sfarzo a suo dire inutile.
Odiava i tappeti, li definiva "oggetti inadeguati e senza senso."
Ogni qualvolta che andava a casa di qualcuno, e ne trovava uno, lo fissava esattamente come si fissa il proprio vomito dopo una sbronza, e sei l'unico che deve pulirlo.
Andò in cerca della camera da letto, sicuro che avrebbe trovato dei vestiti asciutti. La casa era a due piani, quasi tutta al buio, eccetto la cucina, in cui era presente un giornale sul pavimento, posate e provviste nei posti più improbabili. 
Era quasi sicuro di aver visto una bottiglia di cola sopra il ventilatore sul tetto, ma non era abbastanza convinto di voler immaginare il come fosse arrivata fin lì. Certo, uno di Loro affamato era abbastanza forte e casinaro, ma quella era davvero complicata da mettere in atto.
Scrollò le spalle, e dopo qualche tentativo a vuoto, trovò la camera da letto. Accese la luce.
Il letto era disfatto, segno che ci stavano dormendo poco prima del disatro, ma oltre quello, la camera era in ordine. Si diresse verso l'armadio, ma fu attratto da alcune foto su una credenza. Ne prese una, che mostrava l'intera famiglia sorridente, sullo sfondo quello che sembrava un lago... Garda forse. Non sapeva dirlo con certezza, la geografia non era il suo forte.
Sospirò, e ne prese un'altra.
Stavolta venivano raffigurati solo i due gemelli, maschio e femmina, intenti ad arrampicarsi su un albero. Sorridevano, e gli occhi azzurri illuminavano quella foto così bella e spensierata.
La foto si bagnò, colpa di una lacrima del ragazzo che si infranse sulla sottile lastra tra la cornice e la raffigurazione vera e propria. Gettò la foto, e si asciugò la lacrima, ma si ritrovò a singhiozzare. Ripensò a sua sorella, alla sua famiglia trucidata da un Wendigo mai trovato... e si odiò. 
Si odiò perchè era piccolo e debole, incapace di reagire e proteggere i suoi cari.
Si odiò perchè rimase immobile.
E si odiò perchè non era morto. Non ricordava il morso che ricevette al fianco, ne portava solo una cicatrice e ricordi confusi... ma non era morto, e portava il fardello di quella notte. 
Si tolse i vestiti, osservandosi allo specchio. Sul fianco sinistro aveva una grossa cicatrice rossa, e se si guardava attentamente, potevano vedersi dei piccoli fori, dove si diceva che i denti avevano lacerato la carne del piccolo.
Quello era il lascito di quella sera... quella sfigurazione al fianco era la colpa di Daniel.
La colpa di essere stato debole, e la colpa di essere ancora in vita.
Ma sapeva che la sua missione era solo una, ovvero trovare sua sorella, che era scampata a quella tragica fine. Il Wendigo fuggì, e non si sa perchè, portò con sè Karen. Era questo il motivo del suo essere un Sephiroth. Era questo il motivo per cui combatteva Loro
Era questo il motivo per cui era in vita.
Si rivestì con i vestiti trovati nell'armadio, ma iniziò a sentire tremendamente freddo. Si sentì toccare una spalla, e vide una mano completamente pallida, gelata.
– Sei debole. – si sentì dire.
Si voltò, ma dietro non c'era nessuno. Ma la maglia nuova, all'altezza di quel tocco, presentava alcuni fiocchi di neve, che poco dopo, si sciolsero.




- Angolo dell'autore - 

Lo so, lo so. Sono passati un paio di settimane dall'ultimo aggiornamento, ma è stata vacanza anche per me! Spero che questo secondo capitolo comunque sia abbastanza da perdonare la mia assenza, e volete, lasciate anche un pensierino qua sotto!
Adesso che le feste son finite, credo che aggiornerò a cadenza regolare. Ogni domenica o lunedì per essere precisi.
So... stay tuned!
Marco / NeroNoctis

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Capitolo 3
*** Simon ***


I due partner erano rientrati alla base romana dei Sephiroth, denominata base Tiferet. Più che una base, a dire il vero, si trattava di un vero e proprio maestoso palazzo segreto, celato sotto le vie urbane della città eterna. Era ormai notte fonda, e i passi dei due richeggiavano nel salone d'ingresso. Era illuminato da un mastodontico lampadario interamente d'oro, con rifiniture rosso cremisi. La luce che emanava illuminava la sala, dando nuova linfa ai ritratti di diversi artisti che decoravano i muri di marmo. Il pavimento, anch'esso di marmo, scuro, era decorato con una raffigurazione dell'albero della vita, dogma principale dell'organizzazione.
La base Tiferet di Roma era infatti quella che ricalcava la bellezza, la dimora per chi voleva concedersi un riposo e assistere al contempo alla magnificenza che l'uomo aveva creato. Ritratti di Leonardo da Vinci, Giotto, Van Gogh e chi più ne ha più ne metta. Una biblioteca con i migliori romanzi contemporanei e non, e persino una sala cinema e un teatro. Un misto di vecchio e nuovo, da sculture greche ad arte neorealista. Da spettacoli romani a film appena usciti. 
La base del divertimento e della bellezza.
Dan aveva affidato a Lexi il compito di portare il cuore del Wendigo al laboratorio, mentre lui salì le scale della struttura dirigendosi agli alloggi. La ragazza non capiva cosa gli avesse preso, dopotutto l'aveva lasciato in buone condizioni, ma quando uscì dall'abitazione era diverso. Troppo taciturno, con uno sguardo perso tra i suoi pensieri. Lei lo sapeva, Dan odiava parlare di se, ma in genere non cambiava umore così repentinamente... e lei non poteva non preoccuparsi di questo. Forse aveva visto qualcosa dentro? Chissà, non voleva chiederlo ne saperlo. Rispettava semplicemente gli spazi dell'amico, l'aveva sempre fatto... quasi sempre.
Lexi attraversò l'ampio corridoio arredato con diverse armature e armi medievali, passando le stanze dei ragazzi che studiavano per diventare ricercatori. Quandò si unì ai Sephiroth credeva che fossero tutti addestrati al combattimento, credeva che era una super organizzazione di persone speciali, quasi supereroi che combattevano il male, ma si sbagliava. Era un organizzazione che abbracciava tutti i campi del mondo, dalla ricerca, alla religione, alla cultura. Certo, era specializzata nella questione Wendigo, ma non disdegnava di mettere mani un pò ovunque. Il centro dove venivano formati gli agenti sul campo era solo uno, e non tutti riuscivano a superare gli addestramenti. A conti fatti, i combattenti erano meno di 100.
Scrollò le spalle, e sbuffò. Non voleva farsi venire un mal di testa con tutti quei pensieri, e di certo non voleva dare l'impressione di essere distratta al momento del rapporto. Arrivò di fronte alla doppia porta del laboratorio, armeggiò con il tastierino alfanumerico e finalmente entrò.

Daniel si trovava al secondo piano, quella adibita a dormitorio. Quella struttura ospitava il triplo delle stanze rispetto al personale vero e proprio, e il ragazzo si era sempre chiesto il perchè di quella scelta. Sapeva che non sarebbero mai state occupate tutte insieme, ma a quanto pare il "grande misterioso capo" (lo chiamava sempre così, ma era leggermente pericoloso dare nomignoli al Reale, ecco perchè lo faceva solo in compagnia di Lexi) aveva molto a cuore l'esagerazione.
Mentre attraversava le varie stanze, alcuni ragazzi gli passarono accanto, salutandolo, ma lui non ricambiò affatto il saluto. Ne aveva avuto abbastanza quella giornata di persone, e voleva solo richiudersi in se stesso. Odiava ripensare a quella sera... ma quando uno di Loro prendeva di mira gemelli o fratelli, era troppo anche per lui. E poi... l'aveva rivisto.
Non gli succedeva spesso, ma non era la prima volta che quella figura glaciale gli si manifestava dopo una lotta con Loro. Non ne aveva mai parlato con nessuno, non sarebbe stato creduto.
Aprì la sua stanza, accese la luce e si guardò intorno. 
– Il vantaggio di essere un Nezakh... stanze private.
Si tolse la maglietta e la gettò sul letto. Andò vicino alla scrivania e bevve un sorso d'acqua. Non aveva idea da quanto tempo fosse là, ma sentiva la bocca tremendamente secca.
Controllò l'orario, quasi mattino, ma c'era sempre una penna sul comodino, e lui sentiva il bisogno di scrivere.

Il rosso del tramonto illuminava le strade di Chicago. Simon stava camminando chitarra in spalla, come sempre. Sapeva di essere in ritardo, ma l'ennesimo litigio con suo madre non gli dava minimamente la forza e la voglia di correre da Tessa. La situazione a casa stava diventando insostenibile. Ripeteva sempre a sua madre che doveva lasciar andare via quella sottospecie di uomo, che passava le giornate ad ubriacarsi e a drogarsi, per poi sparire per giorni se non mesi, ma lei continuava a dire "è tuo padre, perdonalo"
Perdonarlo, certo... sistemò la chitarrà, e continuò a camminare, arrivando finalmente al luogo di incontro prefissato poco prima.
–  Ehy... –  sospirò lui a bassa voce, mentre lei gli stampò un bacio sulle labbra con fare dolce. Non era minimamente arrabbiata, sapeva che la famiglia di Simon era incasinata, ma questo non le creava il minimo problema.
–  Litigato ancora? –  chiese lei, sistemandogli il berretto che gli nascondeva i capelli castani, che misto a quegli occhioni verde acqua che aveva, beh, lo rendevano bello.
–  Come sempre. Ero chiuso in stanza, e sento quello là che rientra. Era in condizioni pessime, magro, pieno di lividi. E lei che fa? Lo riaccoglie dentro! –  tirò un calcio ad una pietra, esasperato. Come poteva sua madre volerlo ancora? Come...? 
–  Ho preso la mia chitarra, e le ho detto che non mi importava niente di lei e che avrei preferito fosse morta se era questo quello che ci aspettava. E sono andato via.
Tessa abbassò lo sguardo, specchiandosi in una pozzanghera lì vicino. I suoi capelli biondo cenere venivano spostati leggermente dal vento. Notò di avere le labbra screpolate dal freddo, nonostante il tramonto era piacevole. Si voltò verso il ragazzo, prendendogli le mani.
–  E' tua madre, Simon. 
–  Lo so... –  rispose lui, distogliendo lo sguardo dagli occhi di lei. Verde su verde, ma stavolta il verde di lei sembrava inghiottirlo. Sapeva di aver sbagliato, sapeva di essere l'unico appiglio per quella donna, sapeva che era l'unico su cui poteva contare. E Tessa era l'unica ragazza che sapeva farlo ragionare, e farlo sentire più in colpa di quanto non si sentisse già.
–  Va da lei, ok?
Simon annuì. –  Sta attenta.
Tessa sorrise. –  Il mio fidanzato adesso però deve correre a casa! Vai!
Il ragazzo fece quanto detto, e si incamminò verso casa, conscio del fatto che era la cosa giusta da fare, e ringraziava il cielo di aver trovato qualcuno come Tessa. Lei non era la ragazza più fortunata del mondo, in quanto fu abbandonata dalla famiglia da bambina, ma aveva la forza di un leone. E forse, era proprio quella mancanza di una figura materna che la faceva agire così, spingendolo a chiarire con la madre.
E pensare che suo padre non era sempre stato così violento e inutile. Ricordava che da piccolo era amorevole, portava la famiglia fuori, aveva un lavoro. Ma quando fu licenziato per sospette molestie sessuali su minori cambiò improvvisamente. Nessuno lo voleva più assumere, e la sua reputazione crollò per strada. Continuava a ripetere che erano calunnie infondate, e Simon gli credeva, ma la società no. Dopotutto se qualcuno viene accusato di pedofilia è normale che viene trattato come feccia, ed è così che deve essere. E' qualcosa di inconcepibile. Ma se qualcuno è innocente, è giusto rovinargli la vita così? Era solo un bimbo ai tempi, e per un bimbo non è semplice vedere il proprio eroe cadere in rovina per una bugia.
Passarono un paio di anni, e quell'uomo che tanto era un eroe amato, rivelò la sua vera natura. Iniziò ad assumere droghe, a tornare a casa ubriaco. Picchiava sua moglie, mentre lei diceva al figlio di non uscire mai di camera durante queste "discussioni familiari". Lui ubbidiva, ma sapeva cosa accadeva. E quell'amore per l'uomo che lo portava a pesca la domenica, iniziò a tramutarsi in odio viscerale, odio che ti cresce dentro e ti divora.
Durante uno dei suoi rientri, sempre ubriaco, ammise che quella accusa di molestia era vera, e questo distrusse del tutto il pensiero di Simon. 
Non era un eroe, era un mostro.
Uno di quei mostri che non avrebbe nemmeno immaginato Lovecraft, e Simon avrebbe preferito esser figlio di Cthulhu piuttosto che di quello là. Violento, alcolizzato, drogato e anche mentalmente deviato. 
Immerso nei suoi pensieri, non si rese conto di essere già di fronte il luogo dove si svolgevano tutti quegli eventi. Sospirò, per lui non era facile chiedere scusa, ma sapeva di doverlo fare, sapeva di aver esagerato e di aver detto cose che non pensava. Aveva sempre avuto un bel rapporto con sua madre, tranne quando lui tornava e lei non aveva la forza di cacciarlo, lì tutto cambiava. Lei subiva, Simon si arrabbiava, sapendo che sua madre meritava di meglio.
Arrivò a casa, aprì la porta, e la chitarra gli cadde dalla spalla.
La casa era distrutta, mobili sottosopra, specchi rotti. Andò in cucina, dove trovò la stessa confusione. Il suo respiro si fece pesante, il cuore batteva all'impazzata. Urlò "mamma" troppe volte, ma nessuna risposta. L'unica cosa che trovò in camera da letto era lo specchio sporco di sangue.
Cadde a terra, piangendo. Non sapeva cos'era successo, ma sua madre non c'era più...
Sapeva che prima o poi le minacce di suo padre si sarebbero avverate, quelle minacce di morte verso la famiglia. E adesso aveva esagerato, tutto distrutto, lo specchio insanguinato... e la cosa peggiore era quello che Simon aveva detto prima di uscire di casa.
"Non importa niente di te, vorrei che fossi morta invece di vederti insieme a quello lì."
In quel caso chi era il mostro? Suo padre, o un figlio che aveva spezzato il cuore della madre? Forse quelle erano le ultime parole che sua madre avrebbe mai sentito... e si, Simon si sentì un mostro per averlo fatto.

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Capitolo 4
*** Foodhallen ***


Daniel era disteso sul letto a fissare il soffitto. Accanto a lui c'era ancora il foglio e la penna su cui aveva buttato giù qualche frase sconnessa e senza senso, almeno era la prima impressione che aveva ripensando ai suoi scritti. Non che gli importasse molto del senso, bastava solo impugnare una penna e scrivere, e questo lo rilassava molto. E di relax ne aveva proprio bisogno, nonostante appena avesse un minutino libero lo impegnava con altro, e non era quasi mai sempre una cosa allegra, o rilassante. Oltre la scrittura amava la musica, ascoltava diversi generi, ma amava gli Avenged Sevenfold, tanto che non riusciva a non canticchiare qualcosa non appena li sentiva, un pò come successe nel bar di Roma, prima della caccia  a Loro.
Si rigirò, assumendo una posizione fetale. Ripensò alla giornata, ma decise che doveva smetterla là, non aveva senso tornarci su più e più volte, o almeno era quello che cercava di fare, e con cui cercava di autoconvincersi. Chiuse gli occhi, costringendosi a riposare, ma un tonfo sul letto lo riportò alla realtà, e gli portò anche il cuore in gola, giusto per mangiar qualcosa prima della colazione.
– DIO SANTO LEXI! – urlò il ragazzo voltandosi e osservando l'amica che si era spaparanzata sul letto accanto a lui. Lei rideva, sapeva che quando si immergeva nei suoi pensieri Dan era praticamente altrove, e ripensò ad un paio di avvenimenti importanti in occasioni simili, ma questa è un altra storia.
– Che c'è? – rispose lei, con tranquillità, tentando di mandar via quel sorrisino che aveva preso vita sul suo volto, ma che in fondo, sotto sotto non dispiaceva nemmeno a Dan, o almeno sperava.
– Potevi avvertire! 
– Ho bussato. – rispose lei.
– Non abbastanza. – disse lui, visibilmente sbiancato in viso. Era buffo pensare che un cacciatore di Wendigo si spaventasse per così poco, soprattutto uno come Dan, eppure... ah, quel ragazzo era proprio pieno di sorprese, ed era anche l'opposto di quel bimbo conosciuto tempo fa. Decisamente meglio si, ma Lexi sapeva che quel bimbo era ancora là, e che tentava di nascondere qualcosa, ma cosa, non riusciva nemmeno a pensarlo, e non osava chiederlo.
– Tre volte. E tu non hai sentito nulla.
– Tre volte. – Dan sorrise – e magari urlavi Penny tra uno e l'altro? 
Lexi ci pensò su, fortunatamente era abbastanza istruita su quel lato, e sapeva che lui stava citando The Big Bang Theory, ma volle far finta di nulla e pensarci su. Anche per questo era divertente passare le giornate libere con Dan, avevano gli stessi interessi, non tutti certo, ma la maggior parte erano quelli, e a volte capitava di parlare del finale di un libro durante una perlustrazione, o come quella volta a Tokyo, dove il ragazzo chiese "ma secondo te, perchè Piton ha Avada Kedavrizzato Silente?", tutto questo, durante il combattimento contro un Wendigo di Rango B. Già, aveva la brutta abitudine di fare queste domande anche in quei momenti tra la vita e la morte, ma ormai ci aveva fatto l'abitudine.
– Ascoltami Penny! – fece lei, sistemandosi sul letto e avvicinandosi al ragazzo com'era solita fare. Lui per tutta risposta l'abbracciò, ma niente di più. Il rapporto era quello, di migliori amici, o fratello e sorella, ma niente di amoroso, almeno dalla parte di Dan, dato che Lexi sperava in altro, e da sempre anche, ma il ragazzo sembrava proprio non capirlo, e questa cosa la mandava su tutte le furie. A volte pensava che era semplicemente stupido a non accorgersene, ma poi arrivò alla conclusione: "è un ragazzo, e i ragazzi sono stupidi."
– Dimmi tutto, ragazza che si butta nel mio letto.
– Siamo ufficialmente in ferie! Mancano dieci giorni a Natale e siamo liberi fino al 31, quindi avevo pensato di andare a casa, ho la mia piccola ad aspettarmi, e almeno il Natale vorrei passarlo con i miei. Tu sei dei nostri?
Dan non rispose subito, e riprese a guardare il soffitto. Era un bell'invito, ed era anche rilassante, dopotutto la ragazza viveva in una casa fuori città, nelle campagne americane, e l'aria pura e la natura avrebbero giovato... ma...
Non poteva accettare, non era la sua famiglia, e sinceramente non si sentiva molto a suo agio a passare le feste in quel modo, avrebbe ripensato alla sua famiglia, famiglia che non c'era più e non avrebbe mai più vissuto un Natale.
– Mi dispiace deludere la tua piccola e i tuoi genitori, ma non posso accettare. Certo, so di non piacere troppo al tuo cavallo, ma son sicuro che le mancherò. 
– Perchè no? – chiese lei, visibilmente seccata.
– Ho alcune cose da fare, parto domattina.
Lexi abbassò lo sguardo, ma non fece notare la sua delusione. 
– Cerca di non strozzarti piuttosto, so che mangi troppo in queste occasioni.
E dopo quella frase di Dan, la serata si concluse a cuscinate.


I due si erano addormentati nello stesso letto, ma fu il ragazzo a svegliarsi per primo. Osservò la ragazza che dormiva tranquillamente, le diede un bacio sulla guancia ed uscì dalla stanza, zaino in spalla. Aveva diversi zaini pronti nell'armadio, che comprendevano vestiti e armi. Ognuno di loro era diviso per la zona del pianeta, quindi i paesi più caldi avevano zaini con colori più chiari e vestiti più leggeri, con conseguenti armi di piccola taglia, quasi sempre coltelli o cose del genere. Mentre nei paesi più freddi il ragazzo prediligeva i colori più caldi, con vestiti pesanti e armi un pò più vistose, ma che comunque erano più semplici da nascondere. Aveva anche gli zaini per il divertimento, ma ultimamente non aveva avuto modo di usarli, tranne per quella volta in cui si era diretto in un luna park e aveva vomitato dalla ruota panoramica, investendo pienamente un bambino sotto di lui. Che quel bambino l'avesse appellato precedentemente come "brutto e senza stile" era semplicemente un caso. E poi, chi era lui per parlare di stile? Camminava con un vestito interamente giallo! Stupidi dodicenni, pensò. Il vomitargli addosso era la giusta punizione. Anche se Lexi non la pensava propriamente così, tanto che tenne un viso schifato per tutto il post luna park. E anche il giorno dopo, e quello dopo ancora. Sarà anche perchè voleva fargli un'imboscata armato di estintore, e la ragazza lo fece rinsavire, ma di certo il danno era fatto. 
Era ormai fuori dal complesso Tiferet, e si stava dirigendo in aeroporto. Un altro dei vantaggi di essere un Nezakh, ovvero uno dei pochi combattenti sul campo della schiera Sephiroth, era proprio quello di avere particolari biglietti aerei o di qualsiasi altro mezzo praticamente sempre. Una sorta di viaggio gratis per tutte le evenienze.
Passo un paio d'ore all'aeroporto, fino a quando non si imbarcò verso Amsterdam. Avrebbe scritto un messaggio a Lexi solo dopo, probabilmente. O forse no, doveva ancora decidere a dire il vero. Quel viaggio non poteva definirsi di piacere, e doveva dare una spiegazione plausibile del suo essere ad Amsterdam, dopotutto lei sapeva che il ragazzo non aveva conoscenze in quel luogo. Si sistemò sul sedile vicino al finestrino, osservando il mondo che diveniva via via sempre più piccolo, fino a svanire sotto le nuvole. Tutto divenne uniforme, e l'aereo ormai sembrava volare in un limbo infinito. Chissà cosa accadeva in ogni singola casa sotto, quali problemi quelle famiglie stavano affrontando, di cosa stavano parlando, se stavano preparando l'albero... se stavano vivendo da vere famiglie. 
Daniel guardò davanti a lui, scrutando il sedile con le diverse istruzioni riguardanti ossigeno e tecniche di fuga varie, ma prima che potesse immaginare una possibile tragedia, cadde nel tocco dolce di morfeo, venendo catapultato in un mondo diverso, rilassante e caldo.


Nel sogno, Daniel era in una casa che non conosceva. Iniziò a vagare intorno, cercando una via d'uscita, o un elemento familiare. Ma tutto ciò che vedeva erano mura bianche, come se fossero fatte interamente di ghiaccio. Lui indossava il suo solito cappotto nero, ma era completamente disarmato, cosa che lo metteva in piena allarme. Se avesse attaccato uno di Loro? Come avrebbe reagito? Tentò di non pensarci, sapeva che in un modo o nell'altro se la sarebbe cavata. Continuò il giro turistico in quella casa spoglia e bianca, fino a quando, da una finestra, non vide del movimento. Si affacciò, osservando le figure che ridevano e scherzavano di fuori. Una bambina, che non poteva avere più di sei anni, stava inseguendo una donna dai lunghi capelli castani, mentre un uomo biondo stava seduto a sorseggiare del buon vino tra una risata e l'altra.
– Mamma... – si trovò a dire il ragazzo, poggiando le mani al freddo vetro, sperando di riuscire ad aprire quella finestra. Sua madre continuava ad inseguire la bambina, che continuava a ridere, sempre più forte e sempre con più gusto, mentre il padre si era appisolato.
– Su Karen, fammi vedere come fai la capriola! – rise la donna, mentre la bimba eseguiva quel movimento. Daniel ricordò che la sorellina era sempre stata così stravagante, si arrampicava, correva, saltava, non stava mai ferma. E questo lo faceva divertire, soprattutto quando facevano le gare di arrampicata e poi si trovavano entrambi ad essere sgridati, col fratello che si prendeva tutta la colpa, dicendo che era stato lui a convincerla a farlo. Improvvisamente, fuori il clima cambiò, e il sole lasciò spazio ad una tempesta di neve. Karen cadde a terra, tremante, mentre la mamma continuava a correre e ridere, fino a quando, un Wendigo non colpì in pieno viso, buttandola a terra con la neve che si macchiava inesorabilmente di rosso.
Dan urlò, iniziando a tirare pugni al vetro, che sembrava divenire sempre più duro. Non poteva far nulla, era solo uno spettatore di quella strage. Il Wendigo si avvicinò al padre, con un graffiò gli tagliò la gola e successivamente prese Karen, svanendo nella tempesta con lei.
Quando Dan riaprì gli occhi, si ritrovò nuovamente nell'aereo, che aveva appena concluso la manovra di atterraggio.


Passarono delle ore da quel sogno, e continuava a chiedersi che aspetto potesse avere ormai sua sorella. Com'era cresciuta, cosa faceva, chi frequentava, se avesse un ragazzo. Le pensava tutte, tranne la soluzione più logica, ma quella soluzione logica non poteva prenderla in considerazione. Il corpo non era stato mai trovato, e sebbene i Wendigo avevano comportamenti diversi l'un dall'altro, non era poi così impossibile che l'avevano semplicemente rapita, no? Ma si, doveva per forza essere così... Karen era viva, lui lo sapeva. E quel Wendigo andava trovato, ucciso per poi riabbracciare lei. Una classica fiaba: uccidi il mostro e salva la principessa. Ma del mostro non c'erano segni, nessuna traccia, niente. Ed erano ormai passati dieci anni. Lui aveva vent'anni, Karen ne avrebbe avuti... sedici. In 10 anni si può scappare da Loro, no? 
Infilò le mani in tasca, osservando l'insegna del Foodhallen: era arrivato.
Entrò in quello che era un vecchio stabilimento per tram, adesso adibito a luogo per mangiare, bere, ascoltare ottima musica e chiacchierare con le altre persone. Non appena entrato, l'odore del cibo si impossessò di lui. Dan doveva ammetterlo, era molto, forse troppo goloso, e di certo aveva una fame esagerata in quel momento, ma non era ancora il momento adatto. Schivò qualche tavolo e sedia, dirigendosi verso un bancone, dove una ragazza stava pulendo dalle gocce di birra. I due si guardarono e lei gli sorrise, chiedendosi cosa volesse, con Dan che rispose: – La specialità del mondo sanguinario.
La ragazza, sentendo quelle parole, annuì, scortando Daniel in una scalinata abbastanza nascosta. Lui ringraziò e scese le scale, lasciandosi pian piano il brusio dietro. Arrivò ad un piano interrato, dove bussò ad intervalli regolari per tre volte. La porta venne aperte da un uomo sulla quarantina, che subito abbracciò il ragazzo, chiamandolo per nome ed invitandolo dentro.


Dan era seduto ad un tavolino di legno, mentre sorseggiava birra e mangiava cibo di diverse culture. Amava quel posto! Aveva alternato del sushi a dell'ottimo hamburger... certo, non era il top degli abbinamenti, ma se ne fregava. Insomma, erano ottimi entrambi! L'uomo, che si chiamava Brandon, stava raccontando al ragazzo alcune delle sue ultime imprese, che a suo dire erano incredibili. 
Dan rise di gusto. – Sei sempre lo stesso, vecchio orso.
Brandon sorrise, grattandosi la barba bionda e sorseggiando della birra, per poi chiedere al ragazzo cosa lo portava da quelle parti.
– Vacanze natalizie, se posso definirle così.
– Anche ai Sephiroth è concesso riposo! – scherzò lui. Brandon era un ex Nezakh, rifugiato in una piccola base sotto al Foodhallen. Non era prevista la buona uscita per i Nezakh, e quelli che decidevano di abbandonare la causa prima del tempo, divenivano "ricercati per potenziale fuga di informazioni", ma Brandon e suo figlio John avevano scelto quella vita, continuando sporadicamente la caccia a qualche Wendigo sfuggito al controllo o non ancora trovato, o semplicemente non ancora etichettato come pericoloso. Certo, se solo i Sephiroth avessero saputo di questa faccenda, il Foodhallen sarebbe stato raso al suolo, con qualche scusa banale per insabbiare tutto, ma padre e figlio erano abili a guardarsi le spalle.
– Peccato che sappiamo entrambi il perchè sono qui. John ha trovato qualcosa?
– Ha trovato qualcosa. Ma dimmi, tu come farai a riconoscere il tuo? E'sparito dalla circolazione, lo sai, vero?
– Ho un piccolo profilo fisico, descritto da V. 
– Ah, Victor. Se solo sapesse che sei qui metterebbe una taglia sulla tua testa, lo sai questo vero?
Dan annuì, nonostante lui e il suo istruttore Victor avessero un bellissimo rapporto, quell'uomo era troppo ligio al dovere, e poi sarebbe stato un disonore sapere che il suo allievo prediletto trattava con i traditori. Ma meglio non pensarci troppo, Victor non l'avrebbe mai saputo.
Brandon si alzò, pulendosi la bocca con un fazzoletto. Fece cenno al ragazzo di seguirlo, cosa che Dan fece senza troppi problemi. I due si conoscevano da tempo, e avevano un rapporto che trascendeva le leggi Sephiroth. In via ufficiale, Daniel avrebbe dovuto uccidere sedutastante Brandon, e portare la prova dell'esecuzione al tribunale dei Sephiroth, ma quella non era una via ufficiale, era un incontro segreto pericoloso per lo stesso ragazzo, incontro che metteva a rischio la sua vita, che poteva renderlo un ricercato mondiale.
I due arrivarono in uno stanzino, illuminato da luce bianchissima. All'interno erano presenti delle gabbie pulitissime, tranne l'ultima che era coperta ed emanava un puzzo terribile, cosa che fece chiedere a Dan come nessuno al piano di sopra non sospettasse di nulla, ma era meglio così, non voleva che Brandon e John rischiassero qualcosa, anche se la sola presenza del ragazzo era un pericolo per tutti... se qualcuno l'avesse seguito... e lì Daniel ci ripensò, alla figura che lo seguiva a Roma. Chi diavolo era? E se fosse andato anche lì? Diavolo, era troppo stavolta, e aveva agito senza riflettere. Si stava quasi maledicendo per essere andato al Foodhallen dopo esser stato seguito a Roma, ma ormai il danno era fatto.
Si sarebbe limitato a pregare che andasse bene.
Brandon si avvicinò alla gabbia coperta, togliendo il velo nero che oscurava l'interno. Dentro la gabbia, un Wendigo accasciato al suolo. Aveva lunghe zampe con lunghissime dita che terminavano con artigli. La pelle rossastra sudava sangue e gli occhi erano pallidi e gialli. Sulla testa erano presenti lunghi capelli neri, probabilmente era un Wendigo donna. Si diceva che quelle creature di dividevano per sesso, ma Dan non ci dava molta importanza, per lui erano solo bersagli, portatori di morte che andavano eliminati.
Non appena il Wendigo vide Daniel, scattò in piedi, agitandosi sulla gabbia, come se volesse uscire improvvisamente. Dan si avvicinò, incuriosito da quel comportamento, e non appena fu a pochi centimetri dalla gabbia, l'essere si fermò, come se fosse in attesa di qualcosa.
– Che strano... è la prima volta che ne vedo uno che fa così.
Daniel parve non sentire, e continuò a scrutare quell'essere da vicino. Era la prima volta che era così vicino ad uno di Loro che non reagiva, e prima era come se avesse provato qualcosa, una sorta di... emozione? No, era fuori discussione. I Wendigo avevano si comportamenti diversi, ma non provavano emozioni.
– Perchè è immobile? – chiese Dan, insospettito.
– Non lo so. Dai test non risulta niente di diverso. E' come se... ti stesse guardando con ammirazione.
– Che schiocchezza... – ma era la verità. Lo sguardo del Wendigo era qualcosa di vicino all'ammirazione umana. Le pupille erano leggermente dilatate, ed era come se brillassero. Cosa significava?
– Probabilmente sei abbastanza appetitoso per i suoi gusti. – scherzò Brandon, cosa che fece sorridere Daniel, e cosa peggiore, sembrò quasi che il Wendigo avesse seguito quel sorriso. Brandon non lo notò, ma Daniel era abbastanza vicino da averlo visto. Quel Wendigo aveva riso nello stesso momento in cui l'aveva fatto lui. Incredibile.
– Non è lui. – disse infine Daniel, voltandosi. – E' terminale?
Brandon fece cenno di si con la testa. – Si, aspettavo John per finirlo.
– Me ne occupo io.
– Ok, le armi sono al solito posto. Io vado a pisciare.
– Fine come sempre. – rise Daniel, mentre Bran chiudeva la stanza per sicurezza. Tecnicamente quei Wendigo venivano eliminati direttamente dalla gabbia, ma Dan, senza sapere bene il perchè, decise di aprire quell'ammasso di ferro che divideva lui e la creatura. Aspettò, ma il Wendigo non attaccava. Era uscito dalla gabbia, ma si era semplicemente avvicinato al ragazzo, annusandolo. I nervi erano tesi nel ragazzo, sapeva che stava facendo la cosa sbagliata, il minimo errore e sarebbe morto... ma era come se un cane stesse salutando il padrone, non altro.
– Che cosa sei...? – sussurrò Daniel, ma non appena il Wendigo emise un verso simile ad una parola, la lama di Daniel scattò, recidendo di netto la testa, come se fosse stato impaurito da quello che stava per sentire, ma lì aveva capito, i Wendigo non erano soltanto creature assassine... loro nascondevano qualcosa.
Il problema è: cosa?

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Capitolo 5
*** Almost Easy ***


Tessa era ormai ritornata a casa, e le luci del tramonto stavano lasciando spazio all'oscurità della notte, con qualche stelle ad illuminare l'enorme coperta nera che avvolgeva tutto. La ragazza era seduto sul letto, fissava uno dei tanti poster che aveva davanti, dopotutto era la stanza di una sedicenne, e come tutti, era immersa nel casino, e poster. Davanti a lei facevano capolino Green Day, Bullet For My Valentine e molti altri, tra cui alcuni poster di film. In una mensola sulla destra erano riposti molti libri di diverso genere: fantasy, romanzi distopici, e qualcosa di Dan Brown, come Angeli e Demoni ed il Codice da Vinci. Tessa voleva da sempre finire le avventure del Professor Langdon, acquistando il Simbolo Perduto ed Inferno, ma non aveva mai trovato il tempo e la voglia per farlo. Notò che uno dei libri era finito sul pavimento, così sbuffando si alzò per recuperarlo. Lo prese, leggendo il titolo:  Les enfants terribles. Sfogliò qualche pagina, per poi riporlo sulla mensola accanto al 1984 di George Orwell, per poi allontanarsi, schivando qualche vestito sul pavimento. Era leggermente disordinata, forse un po' più di "leggermente", ma non le importava molto, nel suo caos riusciva a trovare n determinato ordine. Fissò nuovamente la parete piena di poster e libri, e si sentì soddisfatta di avere quei gusti. Poteva nascere snob, oppure fissata con la moda, ma no, era semplicemente una ragazza che apprezzava i bei libri e i bei film, così come la buona musica, nonostante in famiglia nessuno avesse quei gusti, lei li definiva più commerciali, fortunatamente aveva trovato Simon, con cui condivideva gli interessi. 
La chitarra, aveva semore voluto imparare a suonarla, fortunatamente SImon aveva il dono di saperci davvero fare, così quando avevano tempo, la studiavano insieme. Tessa aveva imparato a fare qualche accordo, ma non era per niente brava, anzi, il più delle volte stava per distruggere le corde di quella povera creatura inanimata a cui il ragazzo teneva troppo, ma in fondo, teneva più a lei. Chissà se aveva risolto con la madre... ma si, ne era certa, dopotutto non era la prima volta che i due litigavano, era normale tra madre e figlio, ma alla fine riuscivano semre a far pace e ad amarsi più di prima.
Tessa si lanciò nel letto, fissando il soffitto. Doveva esser bello essere amati dalla propria madre, e anche dal padre, ma lei non ricordava bene cosa si provasse. Ricordi frammentati, piccoli scorci della sua vita precedente, fino a quando i genitori non la abbandonarono di notte. Lei fu ritrovata sul ciglio della strada  dalla sua attuale famiglia adottiva, che la portò con sè. In verità non ricordava molto bene quella vicenda, sapeva solo di esser stata presa da questa famiglia, la quale si era trasferita poi a Chicago. L'avevan sempre trattata come una loro figlia naturale, al pari di Matt, il fratello maggiore, ma lei si sentiva comunque "diversa". "La vera famiglia è quella che ti cresce e ti ama, non servono legami di sangue per essere una famiglia" pensò, ma non era facile accettarlo, dopotutto era solo una bambina quando fu abbandonata, e ormai ricordava a stento il volto dei suoi veri genitori e del suo vero fratello. Pensò più volte a cosa avrebbe fatto se avesse avuto il trio felice davanti, ma non lo sapeva... non sapeva nemmeno cosa provare. Rabbia? Quella era normale. Odio? Forse. Ma la cosa che più la tormentava... era il perchè. Perchè decisero di darla via? Perchè decisero di abbandonare lei? Cosa aveva di meno rispetto al fratello? Domande alla quale non sarebbe mai arrivata una risposta.
Sbuffò ancora, odiava avere quei pensieri, ma l'aver aiutato per l'ennesima volta Simon a non rovinare quello che lei non aveva mai avuto, la induceva a vagare tra questo fiume di ricordi. I ricordi erano belli, fors un pò troppo confusi, ma erano solo ricordi. E la bellezza di quei ricordi finiva inesorabilmente a divenire altro, un vortice nero dalla quale era difficile uscire, che ti trascina in fondo e ti toglie il respiro, fino a farti dubitare di te stesso. Ma una luce in quel tunnel la teneva ben salda alla realtà: era amata, sia dalla famiglia che da Simon, infondo a lei, bastava questo.
Fu destata da quei pensieri dal bussare alla sua porta.
– Ehy T, ci sei? – disse una voce maschile, mentre canticchiava qualcosa tra un'attesa e l'altra.
– Si, scusa Matt, arrivo. – rispose, scattando in piedi e schivando l'ammasso di vestiti sul pavimento. Arrivò alla porta e aprì, osservando il ragazzo che si parava di fronte a lei. Indossava una canottiera nera e dei jeans blu, mentre ai piedi non aveva nulla. Aveva i capelli neri, cortissimi, e un piercing al labbro, e anche se all'apparenza sembrava un ragazzaccio, le voleva molto bene.
– Dovresti dare una sistemata, neanche io sono così disordinato, e io sono tremendamente disordinato. 
Tessa sorrise, in effetti quella camera era un vero e proprio casino.
– Sai che se lanci una pallina da baseball qua dentro, finisce in un vortice spazio temporale di caos e disordine, venendo sputata fuori dalla stanza distrutta?
– Si, lo so. E' quello che è successo alla mia ex, è uscita in disordine e confusa.
– Scemo! – sorrise lei. Se Simon era ciò che la faceva ridere, di certo Matt non era da meno, il classico fratellone scemo, ma premuroso.
– Sul serio! Ha visto la tua stanza , ha continuato a ripetere che un calzino si è mosso da solo. Inutile dire che è rimasta talmente impaurita da fuggire via. Credo che abbia persino cambiato città... comunque, ti ho portato la cena.
Le porse un piatto, su cui era servito del sushi, riso alla cantonese con contorno di pollo al curry e una vaschetta di anatra all'arancia. Matt era evidentemente passato dal ristorante cinese di fiducia e lei adorava il cibo cinese. Voleva abbracciarlo, ma avrebbe rischiato di rovesciare tutto sul pavimento, con conseguente apertura del vortice spaziotemporale di disordine, perdendo quel ben di Dio per sempre. 
– Bon appetit, regina del caos.
– Grazie Matt – rispose con un sorriso che sarebbe riuscito ad illuminare quella Chicago per tre notti intere. Se c'era qualcosa di davvero bello in Tessa, era il sorriso, non che fosse brutta, ma quel sorriso era la firma di un maestro d'arte sulla sua ultima scultura che sarebbe successivamente passata alla storia.
La ragazza si sistemò sulla scrivania, accendendo anche il computer portatile. Cercò una serie tv da guardare in streaming, optando poi per Sherlock, gustando quell'ottima cenetta. Una serata a dir poco perfetta, rilassante e in compagnia di se stessa, seppur con qualche pensiero spiacevole prima, aggiunto al pensiero per Simon.
– Chissà come sta – disse, mentre infilava un futomaki in bocca. Lo mandò giù di gusto, e controllò l'orario nel cellulare: le 11. Strano, pensò, in genere si fa sentire, ma probabilmente sarà crollato come sempre. Non ci dette molto peso, non sapeva quello che stava per accadere, ma nel frattempo finì la cena, la puntata e anche la sua voglia di restare sveglia.
Fu svegliata la mattina seguente proprio da Simon, che era davanti casa sua, gli occhi rossi di lacrime ininterrotte, e le mani chiuse a pugno, tremanti. Poi, la terribile notizia.



Ah, i voli riservati ai Nezakh, la migliore cosa di essere una cacciatrice di Wendigo. O almeno era uno dei vantaggi, pensò Lexi. Era ormai arrivata nella casa di famiglia, circondata dal verde. Avrebbe passato le vacanze natalizie là, immersa nel verde, relax e persone che la amavano. Poi c'era anche Cream, la sua amata puledra che non vedeva da decisamente troppo tempo. Inspirò a pieni polmoni, gustando il profumo di quel posto, che la inebriò.
Si diresse verso la casa, sicura che avrebbe visto i genitori, entrambi Nezakh ormai non più un servizio operativo sul campo, ma comunque ancora facenti parte di Sephiroth, per cui non riconducibili come traditori. Nei Sephiroth funzionava così: non potevi decidere di farla finita dal tuo incarico, potevi solo aspettare di essere prelevato dal campo ed essere a disposizione qualora il Re avesse bisogno di qualcosa. Una sorta di pensione con diritto di presenza.
La ragazza alzò lo sguardo al cielo, azzurro e con un bellissimo sole, sentendosi libera. Le mancava Daniel, voleva che fosse lì con lei, ma non poteva farci niente dopotutto. Era fatto così, lei lo sapeva bene. Non era tipo da passare le feste circondato da troppe persone. Si diceva sempre "la prossima volta riesco a portarlo qui con me", ma ogni volta non era mai quella giusta.
Arrivò di fronte la casa, superando una staccionata in legno, osservò le pareti bianchissime e curate, segno che il padre si dedicava sempre con ligio dovere alla cura della casa e delle piante. Amava questo lato di lui, non riusciva a sopportare le cose sporche, o in disordine, diceva sempre che la casa rappresentava la personalità di un individuo e un individuo pulito e ordinato, doveva avere una casa tale al suo spirito.
Aveva senso, dopotutto. Entrò in casa, osservando la cucina imbandita . 
– Ti sei già data da fare, eh mamma? – rise Lexi, osservando le varie pietanze: arrosto, patate, pane ben cotto e altra roba che bolleva in pentola.
– LEXI! 
La ragazza si voltò, trovandosi di fronte qualcuno che non si immaginava minimamente. Un ragazzo alto, capelli castani, sorriso magnetico, ogni azzurri, muscoloso, e un tatuaggio tribale che finiva in uno stormo di aquile in volo. era di fronte la porta d'entrata, con un asciugamano infilato nei pantaloni rossi. La maglia bianca era leggermente sporca, i capelli un pò in disordine ma comunque sempre decenti. Era palesemente lui, quella persona che Lexi non vedeva da davvero tanto tempo, il ragazzo con cui era cresciuta, l'altra metà della sua medaglia. Qualcuno che c'era sempre stato per lei, anche quando Dan non c'era. Il ragazzo più premuroso sulla faccia della terra, ma con quel lato misterioso. Era semplicemente Jake.
– Il pulcino è tornato alla tana! Come stai bellezza? – disse, andando ad abbracciare la ragazza che ricambiò quell'abbraccio. Da sempre sapeva che lui aveva un debole per lei, ma Lexi aveva messo le cose in chiaro sin da quando erano ragazzini. A dire il vero, Jake non aveva mostrato più interesse negli ultimi anni, quindi era la classica cotta da ragazzini, molto probabilmente. Era comunque un amico di famiglia, sempre il benvenuto. 
– Jake! Sto benissimo grazie! Ma non dirmi che... – indicò i suoi vestiti sporchi, l'asciugamano e l'odore di cibo che emanava.
– Esatto. Oggi lo chef sono io.
– Dove sono i miei genitori? Li hai avvelenati col tuo gran cibo vero? Confessa!
Jake parve pensarci su, nominando almeno sette sostanze velenose e altri modi per far fuori qualcuno, poi si limito ad indicare il fienile, con un sorriso abbastanza malizioso.
– Io non mi avvicinerei là, festeggiamenti natalizi anticipati.
L'espressione di Lexi mutò, poi Jake scoppiò a ridere. – Avanti, stanno lavorando. Va a salutarli!
Lexi si incamminò, sorriso in viso, ma venne fermata da Jake.
– Ehy! – urlò lui. – Quanto rimani?
– Fino al 31!
– Che bella notizia! – rispose il ragazzo, tornando in cucina, ma il suo sorrise si spense, afferrando il suo cellulare e aprendo un video allegato in una mail. – Proprio una bella notizia...
Il video partì, mostrando una stanza oscura, illuminata a malapena da luci bluastre artificiali. Sul muro un logo di un albero in fiamme, completamente nero. Ai lati erano presenti delle celle, con dentro alcuni membri di Sephiroth, chi in catene, chi senza sensi, mentre dal lato opposto, in un'unica, enorme, cella, due Wendigo che si agitavano, tentando di abbattere le barre di ferro. Ad un'occhiata più attenta, Jake capì che quello non era ferro, ma metallo Nezakh, quello usato per forgiare le armi anti Wendigo. Il video si spostò su un uomo vestito elegantemente, viso in ombra, che con voce modificata lesse un messaggio contenuto in una busta.
– Consegnaci Alexis, o trova e portaci Daniel Walker. Se non mantieni uno dei compiti entro il primo gennaio 2016, la ragazza morirà. A te la scelta, Jake Kennedy.


-Note dell'autore -
Scusate per il ritardo! Ma sono stato due settimane in Scozia e non ho trovato davvero modo di scrivere, spero che questo capitolo sia abbastanza per farmi perdonare! Cercherò di riportare la pubblicazione settimanale, salvo imprevisti, per qualunque cosa, basta mandare un pm! 
Enjoy! Marco/Neronoctis

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Capitolo 6
*** Way to Survive ***


Tessa si ritrovò fuori casa con un Simon totalmente diverso da quel che si aspettava. Se il ragazzo si era presentato in lacrime alla porta, adesso era totalmente l'opposto: il suo sguardo era serio, deciso e carico di rabbia, risentimento, senso di colpa e anche odio. Un mix letale che nessuno vorrebbe mai incrociare. La ragazza cercava ancora di metabolizzare quanto accaduto: Simon che arriva, l'abbraccia, entra in casa e le racconta ogni singola cosa. Lei non riusciva a crederci e senza sapere bene il perché, si sentiva un po' in colpa, non che fosse lei la responsabile certo, ma una parte di lei sentiva che avrebbe potuto far di più per quella coppia madre-figlio così problematica ma contemporaneamente amorevole. Ricordava alcuni episodi davvero dolci tra i due: la madre a letto malata e Simon che si premurava a prepararle colazione, pranzo e cena, mentre sbrigava le faccende di casa. Una volta si addormentò anche accanto a lei, mentre leggevano un libro assieme, cosa che fece nascere un sorriso sul volto di Tessa, sorriso che tuttavia morì poco dopo, realizzando che probabilmente quei momenti non sarebbero più tornati. Il suo ragazzo era fermamente convinto di una cosa: il colpevole. Continuava a ripetere che era stato suo padre a portarla via, ad ucciderla, perchè si, era convinto che sua madre era ormai morta. Tessa provava a rincuorarlo, dopotutto se c'è una cosa che non deve mai morire è la speranza, non c'erano indizi che lei fosse morta, nonostante quella scia di sangue che trovò a casa.
"L'ha uccisa lui... l'ha uccisa lui..." diceva tra un singhiozzo e l'altro tra le braccia di lei, che non sapeva bene come reagire. Gli carezzava i capelli, come una mamma con un figlio dopo un brutto incubo. Un incubo, forse era proprio quello che stava vivendo Simon, non poteva essere vero. Non doveva essere vero, almeno Simon doveva star bene. 
– A cosa pensi? – chiese lui, così diverso dal ragazzo singhiozzante che era fino a qualche tempo prima, nella camera di lei. Fissava dritto l'orizzonte, noncurante di nulla se non di camminare. Il suo sguardo sempre serio era attento ad ogni singolo movimento mentre nella sua mente lui sapeva cosa fare. Non voleva coinvolgere Tessa in quello che stava per fare ma lei era l'unica cosa che le rimaneva, attualmente Tessa era la sua ultima stella, stella che doveva continuare a brillare alta nel cielo.
– A tutto... Simon, devi solo reagire, non essere così pessimista, non è detto che...
– Lo so. Ma è nelle sue mani, l'ha sempre minacciata. Devo fermarlo.
Tessa non rispose, si limitò a camminare insieme al suo ragazzo, stringendosi al suo braccio, mentre le nuvole iniziavano a coprire il sole, così come le nuvole di una tragedia coprirono il volto solare di quel ragazzo.


– Eccoci qua. – esordì Simon guardandosi intorno. Il quartiere non era il top di Chicago, anzi, era forse uno dei quartieri più poveri dove la gente non osava mai stare. Il tanto discusso South Side di Chicago era così, bande qua e là, quartieri più malfamati di altri, ma alla fine, dopotutto, la vita non era malaccio se sapevi adeguarti, così come la gente che nonostante le apparenze era unita e collaborava (non sempre, ma Simon e Tessa si ritenevano abbastanza fortunati sotto questo punto di vista, piccole eccezioni a parte.)
La ragazza non amava troppo quel quartiere, continuando a scrutare attentamente i dintorni: immondizia qua e là, bottiglie di birra vuote, una macchina parcheggiata con i vetri distrutti e un atmosfera pungente, come se fosse degradata anche quella. Il cielo nuvoloso offriva una cornice grigia e ancor più triste a quel posto, ma Simon non pareva curarsene, lui sapeva chi stava cercando e perchè lo stava cercando.
– Non amo questo posto. – rispose lei, dopo aver ispezionato ogni singolo dettaglio, compreso un topo che stava rosicchiando qualcosa dalla dubbia provenienza. Certo, la sua camera era comunque più disordinata di quel marciume là, ma era una cosa differente, non aveva i topi, o almeno sperava. Simon parve leggerle nel pensiero, così a dispetto dalla situazione, fece una battuta sulla sua stanza. 
Entrambi risero, ma era una risata nervosa, per stemperare la tensione e i cattivi pensieri, esorcizzando i demoni che divoravano lentamente ma inesorabilmente l'anima e il cuore di Simon, stringendolo in una morsa soffocante dalla quale non trovava via d'uscita.
– Devo incontrare Steve. – disse infine lui, non guardando negli occhi Tessa, che cambiò subito espressione. Steve non era quello che si poteva definire un bravo ragazzo, anzi, era uno spacciatore di qualunque cosa, mentre nel tempo libero andava in giro a rubare qualcosa, quando non era impegnato con qualche ragazza... aveva la fama di essere un vero playboy. Tessa si chiese cosa ci vedessero le ragazze in lui, ma non fece neanche in tempo a rispondersi che lo vide arrivare.
Indossava una canottiera bianca e dei jeans malandati, così come le scarpe. I capelli erano all'indietro, mentre i suoi occhi verdi scrutarono i due quasi con sospetto, ma alla fine si avvicinò accennando un sorriso beffardo, mentre si infilava una sigaretta (non proprio una sigaretta a dire il vero) in bocca.
– Ehy Davis. – disse, rivolgendosi a Simon. Lui odiava essere chiamato per cognome, era un retaggio lasciato dal padre, non voleva sentirlo... ma non disse nulla, non poteva adesso e poi Steve non era un tipo con cui si poteva conversare apertamente, rischiavi sempre di prenderti una coltellata nell'addome se lo infastidivi. In effetti qualche diceria di accoltellamento girava su di lui, ma era meglio non indagare.
– Steve. – rispose lui, tentando di essere il più naturale possibile. Anche lui come Tessa odiava quel luogo, non volendo aver a che fare con gente del genere. Ricordava che a scuola Steve era un vero e proprio pericolo ambulante, il classico bullo della situazione se lo provocavi. Non andava in giro ad estorcere soldi per il pranzo, ma era meglio non infastidirlo nemmeno in quel luogo apparentemente più sicuro della città. Il ragazzo stava quasi per picchiare un tizio occhialuto soltanto per essergli finito addosso, l'esito fu una fuga quasi disumana, con conseguente volo degli occhiali e rovinosa caduta. Steve sorrise e andò via.
– Hai i soldi? – chiese, aspirando dalla canna e fregandosene di sputare il fumo altrove, facendo tutto ciò sul viso dei due, senza troppi problemi. Tessa si allontanò di qualche passo, ma non staccò gli occhi dai due. Simon annuì e uscì qualche banconota che l'altro contò distrattamente, successivamente annuì e gli diede una pistola con sei munizioni. Un revolver, per l'esattezza: una pistola di piccola taglia con un caricatore a tamburo da sei colpi, facile da nascondere ma lenta nella ricarica. Steve salutò i due e tornò verso casa o chissà dove, lasciando i ragazzi da soli con quel ferro letale tra le mani. Tessa rimase impietrita. Simon non era per niente un ragazzo violento, figuriamoci impugnare un'arma. Certo, sapeva benissimo difendersi, ma da qui ad impugnare un'arma ne passava. Il ragazzo sembrava capire le preocuppazione della sua fidanzata, e messa la pistola dentro un borsello che aveva al collo, si avvicinò a Tessa.
– Cosa significa, Simon? 
– Non è come credi. Non ho intenzione di uccidere nessuno con questa. E' solo per protezione. Lui mi ha già portato via mia madre, se lo troviamo non so come reagirà. Non ho intenzione di perdere anche te, voglio solo proteggerti. 
– E pensi che una pistola nelle tue mani sia una valida scusa? – Tessa era a dir poco infuriata, non voleva che Simon facesse qualcosa di cui potesse pentirsi. Lo capiva, sapeva cosa stava passando, o tentava di immaginarlo... ma aveva una paura tremenda che le spaccava le ossa e le si irradiava in tutto il corpo. Si rese conto di aver alzato troppo la voce, si rese conto anche che Simon diceva il vero, voleva solo proteggerla da quel mostro che un tempo chiamava papà. Sospirò, per poi scusarsi col ragazzo, che di tutta risposta le stampò un bacio sulle labbra. Sapeva di sale, sudore e lacrime, ma a Tessa quel sapore andava bene, era il sapore di Simon dopo una nottata difficile e ne voleva ancora, così ricambiò quel bacio facendolo diventare più appassionato di quel che immaginava, dimenticandosi per un istante di sua mamma, della pistola e del quartiere in cui si trovavano. Esistevavano solo lei e Simon, il resto del mondo poteva aspettare. Era il loro piccolo momento fuori da ogni preoccupazione, problema o altro e quando stavano assieme, sembrava che anche il mondo si fermasse a guardare quanto fossero belli insieme, erano due pezzi di puzzle che si completavano l'un altro e non avevano voglia di staccarsi.
– Andiamo a mangiare qualcosa. Okay? – propose lui, stringendole le mani. Lei annuì, specchiandosi negli occhi castani di lui e insieme, camminarono verso la loro prossima meta.


Steve era arrivato a casa. Fissò l'abitazione che sembrava sul punto di crollare da un momento all'altro ed entrò. Si guardò intorno, notando sul divano suo fratello che dormiva, tremava. Si avvicinò a lui e gli mise una coperta addosso, carezzandogli i capelli. Il bambino aveva circa otto anni, era l'eredità lasciato dalla madre dei due, morta durante il parto per un mix di droghe, probabilmente. Non erano il classico quadretto familiare felice, soprattutto per via di quel padre sempre assente e conservatore che avevano. Violento, soprattutto, Anche drogato. Steve aveva sentito voci sul padre di Simon, sentendo che condividevano quasi lo stesso destino, un genitore che definirlo tale era una presa in giro, per questo si decise a dargli quell'arma, certo che potesse servirgli a fare la cosa giusta. Ma qual'era la cosa giusta per Steve e suo fratello Josh? Quando il padre sperperava tutto in droga e alcool, a loro non rimaneva niente, costringendo Steve a furtarelli e azioni più o meno legali per assicurare un pasto a quella piccola creatura innocente, nata nel posto sbagliato e al momento sbagliato. L'unico svago di Steve era Jeremy, il suo ragazzo. Lui era tutto l'opposto di Steve: famiglia felice, normale e con un lavoro. Andava bene a scuola ed era un ragazzo pieno di sogni e questo faceva sentire Steve non all'altezza. Jeremy, d'altro canto, lo amava con ogni cellula del suo corpo e questo bastava a Steve per avere un minimo di felicità, felicità che tuttavia non poteva esternare, complice il padre che odiava a morte gli omosessuali, nonostante il 2015 fosse un anno avanzato mentalmente... seh, certo. I bigotti erano all'ordine del giorno e se il padre odiava i gay definendoli "abomini di un Dio che non li vuole", figuriamoci quanti in quel quartiere pensavano lo stesso. Steve sarebbe finito picchiato a morte dal padre se avesse saputo una cosa del genere... meglio non rischiare. Andò in cucina, stappò una birra e pensò a cosa comprare per Robert e lui, dato che le cose da mangiare erano ormai finite. Finì velocemente di bere ed uscì, dirigendosi al supermercato vicino casa per soddisfare il fratellino, pagando con i soldi della vendita di quel revolver dato a Simon.


Lexi era seduta sul tavolo che mangiucchiava del pane con qualcosa recuperato dal forno. Erano circa le dieci del mattino, tutti si chiedevano come faceva a mangiare così già dalla mattina, ma si risposero semplicemente con un "è Lexi." Lei era molto golosa, forse fin troppo, ma aveva la fortuna di avere un metabolismo che le permetteva di mangiare tanto e non mettere su un chilo. 
– Dovremmo mangiare te. – scherzò Jake, facendo ridere la ragazza che continuò comunque a mangiare. 
– Ha preso tutto dal padre. – esordì la mamma di Lexi, una donna sulla cinquantina con una lunga chioma bionda, mentre il padre, sentendo quella battuta, recuperò un pezzo di pane e si mise a mangiare accanto alla figlia. Avevano entrambi il fisico atletico, segno di una vita passato al servizio dei Sephiroth. Molti Nezakh venivano messi fuori dalle operazione già a partire dalla cinquantina, con i genitori di Lexi che avevano rispettivamente 54 e 60 anni, nonostante fossero ancora membri dell'organizzazione, così come Jake, anch'esso Nezakh. Lexi aveva avuto la fortuna di avere un partner, complice anche l'influenza del padre, ma molti di loro andavano in azione in solitaria, o in coppia genitore-figlio durante i primi mesi di servizio. I Nezakh, ossia i cacciatori di Wendigo non erano moltissimi, è vero, ma fortunatamente le minacce Wendigo nel mondo non erano troppe. Ne venivano avvistati una decina al mese, quando andava male, tutti debellati tempestivamente dai Nezakh. Alcuni cadevano in battaglia, ma i casi erano rari: uno dei più famosi casi avvenne a Madrid, dove un Wendigo di Classe A, il più alto grado di Wendigo avvistato fino ad quel giorno, uccise il Nezakh Ricardo. Poche settimane dopo intervennero un gruppo di mentori Nezakh, debellando la minaccia che mietè più di trenta vittime. Tutto insabbiato, ovviamente.
Le ore nella tenuta di campagna passarono, il pranzò fu consumato in allegria, con Lexi che ripulì circa cinque piatti e bevve avidamente almeno un paio di bicchieri di vino rosso, sotto lo sguardo di Jake che si divertiva... e pensava. Ripensava al messaggio che aveva ricevuto, al cercare Daniel, il partner di Lexi e consegnarlo a quelle persone che lo minacciavano. E minacciavano soprattutto Lexi.
– Tutto bene? – chiese Lexi, che nel frattempo era uscita fuori seguendo il ragazzo.
– Si, sono solo pieno! – sorrise lui.
– Io no... sento che ho mangiato poco.
– Avresti sfamato mezzo terzo mondo con quel cibo che hai mangiato. 
– Ma smettila! – rispose lei calciandolo scherzosamente.
Jake si poggiò alla staccionata, successivamente afferrò Lexi e la portò sotto un albero, dove parlarono del più e del meno, com'erano soliti fare sin da bambini.
– Così non ha accettato l'invito eh? – chiese Jake, giocando con i capelli di lei, cosa che la rilassava terribilmente.
– No, aveva altro da fare... come ogni anno, d'altronde. 
– Con Victor?
Lexi ci pensò su. Non era la prima volta che Daniel passava quei momenti ad addestrarsi col suo mentore, ma quando i due si salutarono, Lexi sapeva che stavolta Victor non c'entrava nulla.
– Non saprei. – si limitò a dire, mentre Jake analizzava la situazione. Era amico di Lexi, anche di Daniel, anche se il suo carattere non era quello che si poteva definire amichevole, ma comunque non lo odiava o gli dava fastidio. Non voleva dargli la caccia, ma c'era in ballo la vita di Lexi, vero punto debole di Jake, oltre ad una questione che non aveva mai detto a nessuno... ovvero le scorte di una medicina sperimentale che quegli uomini gli somministravano, tutto lontano dagli occhi indiscreti dei Sephiroth.
Droga? No, ma la dipendenza era tanta, così come l'utilità maggiore.
Lexi si addormentò, così Jake estrasse una fiala dalla tasca e la mandò giù tutta d'un fiato.
Doveva trovare Daniel... ne valeva la sua vita e quella della ragazza.

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Capitolo 7
*** Brompton Cocktail ***


Il brusio della gente era assordante come sempre, ma a Daniel non pareva importare un granché. Stava seduto in un tavolino, sorseggiando una buona birra mentre sul tavolino facevano capolino un paio di shots ormai vuoti. Era ora di pranzo e il ragazzo stava aspettando una bistecca ordinata precedentemente, il tutto mentre ordinava dei biglietti speciali per la Scozia, con partenza lo stesso giorno. Aveva un tremendo mal di testa e di certo bere non avrebbe aiutato quella situazione, ma alla fine era semplicemente la classica testardaggine che lo caratterrizzava. Tentò di non ripensare al Wendigo della sera precedente, non voleva impazzire riguardo quello strano comportamento e quel mezzo verso che stava per emettere, voleva semplicemente madarlo giù, proprio come quella birra ghiacciata che tanto stava amando.
– Mi ricordo quando eri un ragazzino astemio. – disse qualcuno alle sue spalle, facendo sorridere Daniel, che non si voltò. Sapeva bene chi fosse, sapeva ancor meglio cosa stava per fare, dopotutto non aveva scelto a caso un tavolino con due posti. 
Un ragazzo biondo e con una leggera barba si sedette di fronte a lui, sorriso a trentadue denti e occhi verdi brillanti. Il classico ragazzo che attirava l'attenzione del gentil sesso, cosa che puntualmente accadde, tanto che Daniel tentò di ignorare alcuni commenti di un paio di ragazzine che lo fecero ridere. John era la fotocopia del padre, stesso viso, stesso temperamento, semplicemente Bran da ragazzo. Erano una bella coppia quei due, Dan lo sapeva bene e avrebbe fatto di tutto per assicurare la loro copertura.
– Non ho iniziato a bere di certo da solo. – sorrise, mentre John annuiva, ripensando ai vecchi tempi. Erano un trio segreto, al centro d'addestramento. SI ritrovavano di notte, tutti e tre insieme e si addestravano, scherzavano, spettegolavano. Daniel, John e Vincent, il trio delle meraviglie. Di notte amici, di giorno completi estranei. Dicevano che era meglio tenere nascosta la loro amicizia, perchè un giorno, in futuro, quando uno si sarebbe messo nei guai ci sarebbe stato un altro di loro ad accorrere senza spargere la voce. Dopotutto non c'erano andati così lontani: John ormai era ricercato dai Sephiroth, Vincent viveva da solo in Scozia, seppur ancora in servizio attivo e Daniel aveva una missione solitaria di caccia al mostro, cooperando con gente più o meno simpatica alla sua organizzazione. 
– Tutto iniziò dall'operazione RR. – rispose John, con un sorriso malinconico disegnato sulle labbra. Mentre pronunciava quelle parole, giocherellava con uno dei bicchierini, attirando lo sguardo dell'amico, che ripensò a quel momento, a quell'operazione in particolare.
– RR... Rescue Rum. – dicendolo, una piccola nota di malinconia pervase anche lui... i vecchi tempi mancavano ad entrambi, ma le cose cambiavano, sempre. 
– Comunque, ho saputo che vai anche da lui. Portagli i miei saluti... e smettila di inseguire un fantasma.
Dan abbassò lo sguardo, fissando ormai il bicchiere quasi vuoto. A volte anche lui era certo di star inseguendo qualcosa che non esisteva, qualcosa che non c'era più, ma non poteva mollare fin quando non lo vedeva con i suoi occhi. Erano passati dieci anni, dieci anni senza avere una traccia di Karen o di quel Wendigo. Non si sarebbe arreso, anche se probabilmente doveva farlo per il suo bene e per quello degli altri.
– Se è un fantasma che inseguo, un fantasma troverò. Ma lo troverò, non importa in che forma o come o cosa, troverò qualcosa che mi dirà "basta".
– Lo so, ti conosco fin troppo bene. 
Daniel gli sorrise, fino a quando non arrivò la bistecca che aveva ordinato, seguita da un'altra. 
Daniel e John pranzarono insieme, aggiornandosi su tutto quello che c'era da sapere, parlando anche del perchè Daniel non si fosse ancora soffermato sull'idea di farsi Lexi. Il ragazzo spiegò che le era troppo legato, non voleva metterla in pericolo con una storia d'amore, perchè a detta sua, chiunque lo amava finiva per morire.


I due si erano salutati ormai da tempo, il ragazzo non poteva restare molto al Foodhallen per non far saltare la copertura dei due amici, tuttavia sapevano che era soltanto un arrivederci: "Non è mai un addio" si ripetevano i tre sin da piccolini, motto che Dan aveva assunto come propria filosofia di vita, dedicando quella stessa alla ricerca di Karen. Era ormai sul volo verso Edimburgo, seduto accanto ad un'anziana signora che si era appisolata. Alla sua sinistra invece non c'era nessuno, così decise di passare sul sedile vicino al corridoio. Odiava avere la postazione centrale, preferiva di gran lunga il finestrino e osservare fuori: il momento della partenza, il salire di quota, vedere la città illuminata dall'alto, con le strade che sembrano tante piccole arterie che danno linfa all'intero sistema, per poi svanire nel nulla, quasi come se quella stessa linfa fosse svanita nel nulla, lasciando posto solo all'oscurità dell'eternità. In quel momento si ritrovò a pensare a Lexi, chiedendosi cose stesse combinando. Probabilmente stava pranzando con i suoi, o chissà che altro. La famiglia della ragazza era molto affezionata a lui, tanto che lo trattavano come un figlio, cucinavano per lui, lavavano i vestiti, si interessavano alla sua vita e ai suoi problemi... quasi come dei genitori. A Dan non dispiaceva affatto, ma non voleva approfittarne troppo e a dire il vero, a volte non si sentiva troppo a suo agio a ricevere tutte quelle attenzioni. Le uniche attenzioni che voleva ricevere il ragazzo, erano quelle dovute a qualche suo gesto eroico, ma attenzioni che dovevano comunque arrivare da persone precise. Era strano, si. Amava l'elogio, ma lo disprezzava al tempo stesso. Una continua lotta di emozioni e carattere, che l'avevano trasformato in quel che era: amico di pochi, distaccato con il resto del mondo. Deciso nelle sue azioni, freddo e calcolatore ma contemporaneamente scherzoso e solare. Non si accorse di essere talmento rilassato da iniziare a sentire tutto distorto, fino ad appisolarsi, destato soltanto dal pilota che annunciava l'atterraggio.


Daniel si ritrovò fuori dall'aeroporto di Edimburgo, con il gelo che gli investiva il viso. Amava quella sensazione, l'aria scozzese era fresca, pungente ma davvero piacevole. Intorno a lui la gente si ammassava vicino alle fermate del bus, con l'aria che formava la classica nuvola di condensa a pochi centimentri del loro volti. Sorrise, tutto quello lo faceva sentire in una seconda casa. Svoltò a sinistra, dirigendosi verso la fermata del tram. Si fermò di fronte la macchinetta dei ticket, digitò la destinazione, cliccando su Princes Street e pagò £1.50, salendo sul tram arrivato pochi minuti dopo. La puntualità era un tocco di classe in quel di Edimburgo, i servizi pubblici erano fin troppo efficienti, molto differente dalla realtà italiana. L'Italia era un bellissimo paese e Daniel lo aveva visitato diverse volte, vuoi perchè la sede Tiferet era situata a Roma, vuoi perchè stando con Lexi, si divertiva molto a vagare, assaggiando di tutto.
Si adagiò sul sedile del tram, esibendo il biglietto al controllore, che lo salutò con un enorme sorriso. Quei ragazzi erano davvero felici di lavorare, dopotutto in quella città tutti ti regalavano dei grandi sorrisi ed era una cosa bellissima. L'altoparlante annunciò che la prossima fermata sarebbe stata Princes Street, l'arteria principale della città nonchè meta del ragazzo. Le porte del tram si aprirono e Daniel si ritrovò nel marciapiede che divideva le due corsie. Si guardò intorno, sorridendo: di fronte a lui si stagliava in lontananza ma impetuoso il Castello, monumento principale della città e una delle attrazioni principali. Ricordò quando lo esplorò in una ricognizione, passando attraverso i meravigliosi passaggi di quel luogo, successivamente trovò un Wendigo che si aggirava vicino al Mons Meg, il cannone situato all'esterno della St. Margaret's Chapel. La creatura non appena vide il ragazzo, gli scattò addosso ma un colpo di pistola si piantò nel cranio dell'essere, che si accasciò al suolo. Dan pensò che fu un colpo da maestro, peccato che non fu lui a sparare, bensì Lexi che si stupì di aver centrato il bersaglio così bene. Sorrise, esultando, ma il Wendigo si rialzò e saltò addosso alla ragazza, ma un fendente della spada di Daniel gli staccò di netto un braccio, costringendo il Wendigo ad indietreggiare e a cacciare un urlo enorme. Prima che l'essere potesse nuovamente reagire, Lexi gli piantò il pugnale alle spalle, per poi estrarre il cuore da portare alla base. 
Quella sua visita Scozzese però era ben diversa da quella che stava affrontando adesso, poi a dire il vero era un puro caso che Lexi e Dan furono inviati lì, non erano gli agenti più vicini in genere, ma quella volta furono fortunati ad essere gli unici non in operazione, così ne approfittarono per farsi un giro e innamorarsi di quel luogo. Adesso Dan era in visita di piacere, prima però doveva far altro. iniziò a camminare, schivando le tante persone che camminavano in fretta e parlavano fra di loro. Molti tenevano in mano bicchieri di Costa o Starbucks, per riscaldarsi da quel freddo che lui trovava così piacevole, mentre altri erano semplicemente coperti, anche se non era complicato trovare ragazzi a maniche corte o pantaloncini che correvano, con la pelle divenuta rossa per il freddo. Passò accanto ad un gruppo di ragazzi che suonava in strada, lanciando una moneta nel cappello che avevano poggiato a terra, con i quattro che gli fecero un sorriso cordiale. Apprezzava quelle piccole cose, che per i cittadini dovevano essere abbastanza normali. SI fermò davanti Primark, riflettendo. Avrebbe trovato quello che cercava? Ne dubitò fortemente e riprese a camminare, attraversando la strada e dirigendosi verso il Princes Mall, il centro commerciale situato vicino alla stazione ferroviaria di Waverly. Entrò e si diresse nell'unico negozio che amava a tal punto che ci avrebbe anche vissuto dentro: Pulp!
Salutò il commesso e osservò diverse magliette: A Day To Remember, Bullet For My Valentine, Fall Out Boy, Linkin Park, My Chemical Romance e chi più ne ha più ne metta. Continuò ad osservare interessato tutto quello che il negozio offriva: t-shirts, jeans, felpe e accessori. Lexi si lamentava sempre che la sua cintura era ormai logora, quindi Dan aveva deciso che quello doveva essere il regalo di Natale perfetto. Optò per una cintura decorata con qualche teschio, dopotutto la ragazza aveva i suoi stessi gusti. "Non potevo avere partner migliore" pensò, sorridendo. Trascorse là dentro una buona mezz'ora, per poi uscirne vincitore con qualche sacchetto. Pranzò velocemente al Mc Donald's poco distante e riprese il tram, direzione Gyle Centre.
Il viaggio, tranquillo come sempre, non durò molto, giusto una decina di minuti o poco più. Sceso dal tram attraversò l'esterno del Gyle Shopping Centre, deviò su una stradina secondaria alberata (per così dire, alberi spogli per essere precisi) e arrivò nel centro abitato. La fortuna volle che una volta arrivato a destinazione, la porta fosse socchiusa. Entrò, salì le scale, si tolse le scarpe e bussò alla porta.
Pochi attimi dopo un ragazzo si trovava davanti a lui: occhi azzurri, capelli biondo tendenti al castano e un fisico scolpito, degno di un Nezakh. Indossava un paio di pantaloncini e una maglietta azzurra e non appena vide Dan lo insultò, per poi abbracciarlo.
– Vincent – disse lui, in tono serioso.
– Daniel – rispose lui, imitandolo.
I due non si parlarono nemmeno dopo aver detto i nomi, entrarono in casa senza fiatare, come se fosse la cosa più naturale del mondo.


Daniel e Vincent avevano finito di bere un the, ci voleva davvero. Si erano aggiornati sulle ultime vicende, con Vincent che finalmente chiese se aveva svaligiato Pulp.
– Si, cioè, no. Dovevo comprare una cintura a Lexi, per Natale. Ne sono uscito con cinque magliette a testa, più qualcosina per te. 
– Mi auguro di non accompagnarti mai a comprare solo un auto. – rispose Vincent, con un sorrisino ironico sul viso, per poi alzarsi e dirigersi verso la camera. Dan aspettò, ritrovandosi successivamente l'amico in tenuta da combattimento, con una spada dei Nezakh interamente bianca. – Ho un incarico. Vieni?
– Vorrei riposare.
Vincent fece una smorfia. – Sei troppo pigro. Dovresti sfogarti un po' con Lexi, mi chiedo perchè non hai ancora notato che ha una cotta per te.
– Com'è che tutti dite la stessa cosa, nonostante non abbiate avuto nessun tipo di contatto con lei? E poi è la mia migliore amica, andiamo.
Vincent corse da Daniel, scuotendolo.
– NON PUOI FRIENDZONARLA! 
– Veramente...
– No. – rispose Vincent voltandosi con fare offeso. – Tra noi è finita. – e dicendolo, uscì dalla casa, lasciando l'amico a scuotere la testa con un sorriso.
Andò anche lui in camera, mettendosi comodo, ma qualcosa attirò la sua attenzione. Non erano il mucchio di vestiti nell'armadio che sembravano star per prendere il controllo della stanza da un momento all'altro, ma si diresse verso i fascicoli dei Sephiroth sul comodino. Ne erano presenti tre: due conclusi e uno no, probabilmente quello appena accettato. Due rango B e uno A, Daniel stentava a credere che Vincent fosse così tranquillo ad affrontare i più forti di Loro, ma alla fine, lui era fatto così: semplicemente il migliore, in tutto. Stava per allontanarsi ma trovò una foglio con su scritto qualcosa, sembravano degli appunti, solo dopo si rese conto che era una richiesta d'aiuto da parte di un parroco.


 
VINCENT, TI PREGO, DEVI DARMI UNA MANO.
QUEL BIMBO È POSSEDUTO DAL DEMONIO, NE SONO CERTO.
TUTTI GLI ESORCISMI SONO STATI INUTILI, ADESSO È PAZZO, SEMPLICEMENTE PAZZO.
DEVI INDAGARE... TI PREGO. NON POSSO DARE QUESTA NOTIZIA ALLA FAMIGLIA.
SUA MADRE È UNA DONNA COSÌ DEVOTA... SEI L'UNICO CHE PUÒ SALVARLO. 
DOPOTUTTO TU COMBATTI QUELLE COSE... QUEGLI ESSERI FIGLI DEL MALE.
LIBERA IL POVERO BIMBO DALL'UOMO GLACIALE. CONTINUA A NOMINARLO...
COLUI CON LE MANI DI GHIACCIO, COLUI CHE ARRIVA CON LA NEVE.
WESTERN GENERAL HOSPITAL, VINCENT... REPARTO PSICHIATRIA.

 

Daniel stava per posare tutto a metà lettura, ma quel particolare... le mani di ghiaccio... non poteva essere. Quel bambino forse conosceva quell'entità che tormentava anche lui? Quello stesso tocco glaciale che gli sussurrò "Debole" a Roma? Non poteva essere una coincidenza, no, doveva saperne di più.


Un paio di ore dopo Dan era arrivato. Nascondeva un pugnale nella cintura, giusto per precauzione, recuperato a casa dell'amico dato che lui aveva dimenticato le sue armi al Foodhallen. Non gli ci volle molto per trovare la stanza del piccolo che veniva dominato pazzo, entrò, mostrando un distintivo generico dei Sephiroth, ovviamente senza logo, ma che comunque era abbastanza per lasciarlo passare nei luoghi pubblici spacciandolo per uno che lavorava lì. Intorno a lui l'atmosfera era cupa. Una donna osservava con viso spento il figlio di otto anni disteso sul letto. Pallido, magrissimo, tanto che si poteva contare ogni singolo osso e, cosa peggiore, pieno di tagli, lividi ed escoriazioni. Fissava il soffitto, con un sorriso inquietante, sorriso che diventava una vera e propria risata alle volte, rendendo il tutto peggiore. I medici l'avevano avvertito che era ormai terminale per qualche ragione che non capivano. Tutte le cure avevano avuto esito disastroso e il bimbo non accennava a riprendersi, nominava soltanto un uomo di ghiaccio. Gli avevano somministrato qualcosa per renderlo più attivo, ma il risultato era quello che Daniel stava osservando. 
– Come va, signora? – chiese, con tono solenne. Non riusciva a immaginare come potesse sentirsi quella donna, a dire il vero, non voleva neanche capirlo. Non lo avrebbe augurato nemmeno al suo peggior nemico di vivere quella situazione così triste, surreale.
– Tu sei Daniel – esclamò il bimbo, fissando il ragazzo. Una strana sensazione si fece strade tra le viscere di Dan, che non si aspettava quell'esclamazione. Come poteva conoscere il suo nome? Beh, doveva continuare quella farsa per scoprirlo.
– Si, sono io. Come ti chiami piccolo? – disse, mentre si sedeva sul bordo del letto, guardandolo con uno sguardo dolce, ma che nascondeva un velo di tristezza, così come quello della madre, che incredula, non si rese conto di star piangendo.
Il bimbo non parve sentire la domanda, così continuò: – Lui mi parla spesso di te. Dice che potremmo essere due bei figli. Ma io ho così paura...
– Lui chi? – chiese Daniel, ancora più confuso di prima.
– L'uomo di ghiaccio! Non è qui per ora... non voglio che arrivi... è così freddo e fa male.
– Carl... – sussurrò la donna, prendendolo per mano, ma il bimbo si voltò sorridendo nuovamente verso Daniel, chiamandolo adesso "Doc"
– Sto morendo doc? 
– Ma no – si apprestò a dire il ragazzo, rassicurando il piccolo malconcio. – Starai benissimo, davvero.
– No... lui è venuto a prendermi... non sono forte abbastanza... – iniziò a singhiozzare, gli occhi divvennero il color del sangue e la pelle iniziò a scottare. – E' qui... mi sta trascinando nei monti di neve...
Carl iniziò ad urlare, tese la mano contro la madre e le strinse il polso così forte che la donna iniziò a fare una smorfia di dolore. Pochi attimi dopo tutto era così confuso: Carl si scagliò contro la madre, mordendola al collo e staccando quello che incontrava. Dan indietreggiò, finendo per battere la schiena alla parete dietro di lui. Un gruppo di dottori entrò nella camera, ma Carl si scagliò contro di loro, con le mani che divennero artigli, uccidendo sul corpo i due e nutrendosi della loro carne, successivamente si voltò verso Daniel, osservandolo con occhi privi di pupille e la pelle cadente.
Un Wendigo.
– Non può essere... 
Ma prima che Daniel finiva la frase, quello che un tempo era Carl gli si scagliò addosso, ma Daniel lo finì con l'arma recuperata a casa di Vincent. Il Wendigo si accasciò sul pavimento e Daniel, tremante per lo shock, estrasse il cuore del bimbo. Una parte era congelata, come succedeva a diversi rango A, la prova che si era davvero trasformato in quella creatura. Ma come poteva essere? I Sephiroth, lo stesso Re dei Sephiroth, erano convinti che i Wendigo fossero creature diverse... non umani divenuti Wendigo... ma come poteva succedere? Perchè?
Sentì la testa scoppiare e, ancora scosso, abbandonò la struttura isolata del reparto psichiatrico. Era ormai notte inoltrata quando si ritrovò in strada, ma i problemi erano appena iniziati. 
Un ragazzo, che sembrava sbucato dal nulla, gli puntò una pistola alla nuca. – Complimenti signor Walker, ha appena scoperto la vera natura dei Wendigo.

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Capitolo 8
*** Wonderwall ***


Daniel era immobile. Sentiva la punta freddissima della pistola sulla sua nuca e la cosa gli provocava un brivido lungo tutto la schiena, complice anche il fresco vento scozzese. Cercò di mantenere la calma, analizzando ogni singola via d'uscita. Guardò con lo sguardo intorno a lui, facendo attenzione comunque a non muoversi. Non vide nessuno, le strade erano deserte per sua sfortuna. Deglutì, non si era mai trovato con una pistola puntata addosso, non seriamente almeno, dato che aveva svolto diversi addestramenti con Victor usando armi cariche. Era il prezzo dell'addestramento di ogni Nezakh, l'addestramento era rischioso quasi quanto un'uscita ufficiale. Sentì che la mano del suo aggressore era ferma, non tremava, questo faceva di lui un professionista, quindi una fuga era fuori questione, sarebbe finito sul pavimento a leccare il proprio sangue. Una testata? No, l'impatto avrebbe probabilmente fatto scattare il colpo, uccidendolo sul colpo, così come qualche altro tipo di contrattacco, non aveva manovre di azione. Poteva fare soltanto una cosa: temporeggiare.
«Chi sei?» chiese il ragazzo. Dopotutto quel tipo conosceva il suo nome, conosceva la vera natura dei Wendigo e a quel pensiero Daniel rabbrividì, ma non poteva distrarsi, non adesso, ne valeva la sua vita, doveva fare troppe cose. Vendicarsi, trovare sua sorella, giocare a Final Fantasy XV e scoprire chi avrebbe conquistato il Trono di Spade.  
«Un nome non ha importanza.» rispose l'altro, con tono serio ma con una sfumatura di divertimento. Beh, era comunque divertente non avere una pistola puntata, dopotutto.
«Un nome ha importanza» rispose Daniel «pensa se ti chiamavi Paul Po. In Italia ti avrebbero visto come una cena deliziosa. A proposito, mai assaggiato del polpo in Sicilia?»   
L'altro non sembrò gradire quell'umorismo, così spinse la pistola ancora più in profondità, lasciando sicuramente dei segni sulla nuca di Daniel. «Come sei serio. E sei anche in vantaggio.»
«Si diceva che fossi abbastanza serio e malinconico.»
Daniel fece una smorfia. «Si diceva anche che il 21 dicembre 2012 sarebbe finito il mondo, ma nella vita sono ammessi errori.»
«Esatto, errori proprio come te.»
Daniel non riuscì a capire il significato di quella frase. Okay, non era l'ostaggio più convincente e probabilmente non avrebbe mai sofferto di Sindrome di Stoccolma, ma definirlo errore era un po' eccessivo. 
«Cosa vuoi?» rispose infine Daniel, ormai stufo di quella situazione, ma prima che il suo aggressore potesse rispondere, un'altra voce cambiò le carte in tavola. 
«Fermo.» Brandon puntò la pistola dietro l'aggressore di Daniel, che fu contento di sentire quella voce familiare. Certo, non capiva come mai fosse là, ma la cosa non gli importava. Guardò in avanti, notando John e Vincent arrivare, entrambi armati, cosa che fece sorridere il ragazzo.
«A quanto pare è arrivata la cavalleria.» esclamò Dan, con aria soddisfatta. Sentì l'aggressore imprecare, fin quando Brandon non lo colpì alla testa, facendogli perdere i sensi.


«Continuo a pensare che sia una pessima idea.» disse Daniel, sedendosi sul tavolo di Vincent, pieno di cartacce e un piatto probabilmente usato poco prima che arrivasse. Era risaputo che Vince era troppo ordinato, ma prendendosi il giusto tempo. Brandon si grattò la barba incolta, fissando il prigioniero ancora privo di sensi sul pavimento.
«Andiamo Dan, ho notato che quel tizio ti seguiva, non potevamo rischiare.» rispose John, aprendo un pacchetto di patatine, mentre Vincent fissava tutti con aria infastidita. Brandon lo guardò, fece per dire qualcosa ma si diresse dal figlio, rubando un po' del bottino, per poi pulirsi le mani sui vestiti dell'ostaggio.
«Siamo rimasti al Foodhallen per troppo tempo, dovevamo spostarci. Poi andiamo, non potevamo lasciarti in pericolo.» rispose Bran, osservando la stanza. I muri erano bianchi, qualche vestito appeso qua e là, una scrivania con un 32" bianco e una Playstation 4 nera sulla destra, mentre il case di un computer faceva capolino sul pavimento. Era molto semplice, moquette bordeaux e un tavolo di legno su cui era seduto Daniel. 
«Siete comunque troppo esposti.» disse Dan, voltandosi verso Vincent che aveva ancora l'espressione infastidita, cosa che notarono anche John e il padre.
«Che c'è Vincent?»
«Dobbiamo proprio tenerlo sulla moquette?» disse, indicando il tizio legato. «Se si sporca la pulite voi.»
«Eh va bene.» rispose Brandon, prendendo una sedia e depositandolo non troppo delicatemente su di essa. Lo osservò attentamente, aveva dei vestiti grigi, un giubbotto antiproiettile sotto la maglia e una placca rivestita sulla spalla con un logo di un albero in fiamme. «L'albero in fiamme» sussurrò, osservando il figlio che smise di mangiare le patatine al bacon.
Vincent e Dan si fissarono, con aria interrogativa, ma tutti i loro dubbi furono ben presto chiariti dai due ex Sephiroth. «L'albero in fiamme è il logo di un organizzazione anti Sephiroth, la nostra... vostra nemesi per eccellenza.»
Daniel scese dal tavolo, avvicinandosi al suo aggressore. Lo guardò in faccia, non era molto grande di età, aveva circa venticinque anni. I capelli castani erano ricoperti di gel, e il viso era spigoloso, zigomi sporgenti e ben definiti. Osservò quel logo, accorgendosi si non averlo mai visto prima. «Com'è che non ne ho mai sentito parlare?»
«Questione di massima riservatezza. Il Re Sephiroth ha un bel po' di scheletri nell'armadio. Questi qua, si fanno chiamare "Flamboyant". Cacciano i Sephiroth, li rapiscono, poi quello che succede resta un mistero. Non si sa molto su di loro, ma si dice che siano stati fondati da uno dei nostri tempo fa. Sono addestrati come noi e dicono di conoscere la vera natura del male.»
"La vera natura del male" Dan ripensò a quanto accaduto all'ospedale, al piccolo bambino che si trasformò davanti ai suoi occhi per poi finirlo con le sue stesse mani. Aveva ucciso un bambino, anche se di umano non aveva più nulla. Improvvisamente gli venne voglia di vomitare, ripensando anche a tutti i Wendigo uccisi nel tempo, Wendigo che non erano altro che persone un tempo.
«Siete patetici.» sussurrò il prigioniero, a denti stretti. Alzò la testa, osservando il quartetto. Sorrise in modo beffardo e con uno slancio, si liberò dalla corda e afferrò la pistola che John aveva lasciato sul pavimento, ma prima che tutti potessero muovere un muscolo, il Flamboyant sorrise e si sparò in bocca, finendo sul pavimento immerso nel suo stesso sangue.
«La moquette...» disse Vincent a bassa voce, osservando il sangue che sporcava tutto, mentre padre e figlio rimasero fermi, immobili, non aspettandosi quella reazione.
«Devo andare da Victor.» esclamò infine Daniel, recuperando armi e cappotto.
«Ma Dan, e questo?» disse John, tentando di fermare l'amico.
«Occupatevene voi, fatemi sapere se scoprite qualcosa. Ci terremo aggiornati, io indago in maniera più ufficiale.» detto ciò, il ragazzo scomparve dietro la porta, componendo il numero del suo mentore.


Dall'altra parte del mondo, un cellulare vibrò. Un uomo di quasi cinquant'anni afferrò il dispositivo, osservando il nome che comparve sul display. I suoi capelli brizzollati incorniciavano quegli occhi azzurri, rendendolo un uomo ancora affascinante. Indossava un costume elegante gessato, mentre sulla cintola aveva una fondina contenente una pistola.
«Daniel.» rispose, con voca calda.
«Victor, dobbiamo parlare. E' urgente. Sei in America, giusto? Alla base Gevurah?»
«Proprio così.»
«Perfetto, sono quasi in volo.»
«Deve essere proprio urgente. Ma prima che arrivi alla base, c'è un'emergenza a Chicago. Stavo per occuparmene io, ma sei capitato giusto in tempo. Sistema il Wendigo, poi portami il suo cuore come da procedura. Parleremo dopo.»
Victor attaccò il cellulare, avvicinandosi ad un piano bar dove si versò del vino rosso.


Passarono diverse ore e a Chicago, Simon e Tessa erano arrivati di fronte una fabbrica abbandonata. Era in rovina, tetto quasi del tutto assente e fondamenta ben visibili. Un tempo era una fabbrica di prodotti per la casa, poi per colpa di un'incendio era stata evacuata, mentre un'esplosione danneggiò in via permanente la struttura. Adesso era rifugio per senzatetto e drogati, infatti la puzza che emanava l'interno era nauseabonda. La coppia camminava all'interno, Tessa stretta alle braccia di Simon, che istintivamente toccò la pistola. Si guardarono intorno, osservando il degrado di quel luogo. Al piano terra vi erano residui dell'attività industriale, con flaconi vuoti e scatoloni ammassati l'uno sull'altro. Alcune scritte con della vernice spray decoravano quei muri di mattoni, inneggiando a qualsiasi cosa: proposte d'amore, disegni di dubbia qualità artistica e insulti vari.
«Sei sicuro che sia qui?» chiese la ragazza, osservandosi intorno e stando attenta a non respirare col naso, anche se in quella situazione era meglio non respirare affatto.
«Veniva sempre qui quando beveva. Era il suo rifugio. Solita stanza, al piano di sopra.»
Tessa deglutì, certa di non voler fare altre domande. Sapeva che Simon odiava parlare di quelle cose, anche se la situazione era particolare. Il padre dopotutto mancava sempre di casa, quello era il suo rifugio dove bere, drogarsi e farsi diverse prostitute, o peggio. Tessa cacciò via quei pensieri, non accorgendosi di trovarsi di fronte a delle scale. Se la struttura era malridotta, le scale erano peggio. I graffiti erano praticamente triplicati e sostanze dalla dubbia provenienza facevano capolino su ogni gradino. L'unica cosa più pulita probabilmente era un preservativo visibilmente usato e questo la diceva lunga sul grado di igiene di quel posto. Si fece forza e salì lentamente, accanto a Simon che non proferiva parola. Si ritrovarono in un lungo corridoio con diverse stanze, un tempo quello doveva essere il reparto dedicato agli uffici probabilmente. Fortunatamente la stanza indicata da Simon era la prima sulla destra, almeno non avrebbero dovuto percorrere quel corridoio pieno di coperte e vestiti sporchi. La ragazza fu certa di aver visto un topo dentro un carrello, ma non voleva indagare.
«Ci siamo.» sussurrò Simon, estraendo la pistola. Portò la mano sulla maniglia, ma prima che potesse aprire, sentì degli strani versi provenire dall'interno. Era inconfondibile... quella era la voce del padre. Un pò più rauca, quasi stridula, come se avesse un problema alla gola, ma era pur sempre la sua voce. Spalancò la porta e puntò la pistola davanti a sè, ma quello che vide non era quello che si aspettava. Un essere curvo, con diversi vestiti sporchi addosso stava divorando qualcosa, come dei resti di carne. Aveva la pelle cadaverica e cadente, e alcuni capelli in testa. Si voltò piano verso i due, la bocca era uno squarcio colmo di lunghe zanne, da cui si poteva notare una collana, probabilmente appartenuta a quella carne che solo dopo Simon riconobbe essere appartenuta ad un essere umano. I vestiti erano familiari, così come la collana. Sapeva che suo padre era un mostro... ma non letteralmente. Tessa urlò e il Wendigo si scagliò contro di loro, Simon immobile fece cadere la pistola a terra, mentre spinse via Tessa, che cadde rovinosamente vicino ad un mucchio di giornali.
«Papà...» ma non appena finì la parola, si ritrovò a vomitare. Il Wendigo non perse tempo e attaccò il ragazzo, ma uno sparo riecheggiò nell'intera struttura, mentre il Wendigo giaceva immobile sul pavimento. Daniel entrò in stanza, estraendo il cuore di quello che un tempo era il padre di Simon e lo ripose nel cofanetto in dotazione ad ogni Nezakh, successivamente si accertò delle condizioni del ragazzo. «Stai bene?»
Simon non rispose. Stava fissando quell'ammasso di carne e sanfue vicino la finestra, sapeva cosa stava osservando ma non voleva ammetterlo. Dan sospirò, avvicinandosi a Tessa. Le porse la mano ma non appena la guardò in viso si bloccò, come se avesse visto un fantasma. Si accorse di star tremando, e con voce dubbiosa esclamò un nome.
«Karen.»
Tessa osservò quel ragazzo, e non appena sentito il nome Karen anche la sua espressione mutò di colpo. Simon si voltò, incerto. «Cosa succede, T?»
Tessa deglutì e scuotendo la testa rispose al suo ragazzo.
«Lui è mio fratello maggiore.» 

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Capitolo 9
*** Elegia ***


«Lui è mio fratello maggiore.» 
Quella frase parve gelare l'intera stanza: i presenti, il cadavere del Wendigo, i resti sul pavimento, tutto come se fosse stato investito da una tempesta di ghiaccio. Simon battè le palpebre, confuso, scosso. Non era stato facile per lui assistere a quello che aveva visto, affrontato. I resti di quelli che una volta erano i suoi genitori erano ancora lì, ad un palmo da lui e il ragazzo, semplicemente, non riusciva ad avere una reazione umana. Tutti avrebbero urlato, avrebbero pregato Dio di svegliarsi, ma lui no, era semplicemente immobile a fissare i ricordi di una vita passata. Si sentì così inumano, o forse si sentì di dover resistere ancora un altro po'... 
Osservò Daniel, successivamente guardò la sua ragazza, Tessa, come se fosse la prima volta che la vedesse. Suo fratello non era quel tipo eroico là, e lui si sentì così confuso.
«Cosa stai dicendo, T?» chiese, finalmente. Daniel fece per dire qualcosa, ma Tessa si fece avanti, carezzando una guancia di Simon. «Lui era la mia famiglia, prima che mi abbandonassero.»
Daniel sembrò aver ricevuto un pugno in pieno viso. Abbandonata? E quando sarebbe accaduto? Scosse la testa, avvicinandosi alla sorella, che gli intimò comunque di non avvicinarsi. Era visibilmente agitata, vuoi per lo shock di quanto accaduto in precedenza, vuoi per quell'incontro così paradossale.
«Karen, nessuno ti ha...» ma non fece in tempo a finire la frase che si avvicinò alla sorella, per abbracciarla. La cercava da troppo tempo, da una vita. Le aveva dedicato una vita. Lei era tutto ciò che restava della sua vita, della sua famiglia. Anni andati in frantumi, una vita distrutta, un bambino lasciato solo al suo destino, al suo odio, al suo senso di colpa per essere il presunto unico sopravvissuto... adesso tutto cambiava. Lei era là, la sua ragione di essere, il suo punto di svolta. Era ormai vicino alla sorella, ma prima che potesse cingerla sè, uno schiaffo gli arrivò in pieno viso, che lo svegliò improvvisamente dai suoi pensieri, dalla sua felicità, da tutto quello che provava e non riusciva a spiegare.
«STA LONTANO DA ME!» 
Daniel balbettò qualcosa, ma si accorse che gli uscirono solo versi indistinti. Quando la notte sognava quel momento, era tutto fantastico, tutto perfetto. Un abbraccio amorevole, frasi dolci, lui che si scusava e lei che gli ripeteva quanto avesse sentito la sua mancanza. Ne avrebbe voluto parlare con Lexi, ma non voleva annoiarla con i suoi drammi, nonostante i due si dicessero praticamente tutto, beh, quasi tutto. Lexi non sapeva dell'amicizia del ragazzo con Bran, John e Vincent, ma quella era un'altra storia e poi Lexi lo sapeva bene, Dan non amava parlare del suo passato. Lei era sicuro che lui fuggisse dal suo passato, o forse satava cercando un modo per affrontarlo, ma semplicemente, non era qualcosa che lei poteva capire probabilmente. 
«Io... forse è meglio che vi lasci da soli.» Simon uscì velocemente da quella stanza, chiudendo la porta dietro di sè. Sentì l'aria che gli accarezzò il viso, sentendosi finalmente libero da quell'oppressione. 
Ma era solo un'illusione. 
Le sue mani iniziarono a tremare, il respiro iniziò a farsi più corto e affannato. Si rese conto che il voler lasciar da soli Tessa e il suo scomparso fratello non era una scelta che aveva fatto per loro, ma per sè stesso. Voleva stare egoisticamente da solo, affogando nel suo dolore. Non riusciva a sopportare la vista di quel mostro, dei resti di cadavere... doveva allontanarsi, stare da solo per qualche minuto. Pensò che non era per niente un gesto nobile lasciare Tessa da sola, ma si fidava di Daniel, anche se non sapeva bene il perchè. Si chiese se fosse per il fatto di aver ucciso quel mostro, ma semplicemente non era per quello. Il motivo? Ignoto anche a lui, semplicemente una sensazione che sentiva dentro.
Iniziò a camminare per la fabbrica abbandonata, con i passi che gli rimbombavano in testa. Scese le scale facendo attenzione a non calpestare niente di schifoso, ma finì quasi per scivolare su un giornale. Non riusciva più a connettere, la testa gli iniziò a girare e i suoi pensieri si accavallavano uno sull'altro formando una massa indistinta e rumorosa. I ricordi del suo passato riaffiarono prepotentemente, facendogli rivivere scene con sua madre e, purtroppo, anche con suo padre. Ma si rese conto che una volta perso, qualcosa di lui gli mancava. Era una persona schifosa, ma quando fingeva di essere un buon padre... quei momenti gli mancavano. Quell'illusione gli mancava. 
La pesca, le risate... tutto bruciato. E sua madre, il cucinare insieme, la sua pazienza ad ascoltare i suoi primi accordi di chitarra, il confidarsi, le litigate... le mancava. Amava sua madre e aveva paura che lei non l'avesse mai capito del tutto. Si sentì in colpa per non essere stato un bravo figlio, si odiò a morte per quello che le aveva detto prima che morisse.
"Perdonami" pensò. E lo ripetè ancora, ancora ed ancora. Ma sarebbe bastato? Sarebbe bastato chiedere perdono per averlo? Ormai era tutto finito, l'aveva persa per sempre. E forse era anche colpa sua. 
"Se solo fossi rimasto a casa..." 
Cadde a terra, poggiando la schiena al muro. Si rese conto di avere ancora la pistola in mano. La osservò, passò le dita ormai sporche sulla canna, analizzò i dettagli, sfiorò il cane, il grilletto... e la puntò alla propria tempia.



Erano passate delle ore, ormai il sole era alto in cielo e il gruppo composto da Vincent, John e il padre Brandon avevano ormai ripulito la moquette della casa del ragazzo, sorbendosi anche qualche imprecazione varia, ma tuttavia i tre ne approfittarono per riallacciare i rapporti persi da un po' di tempo. Certo, farlo con un cadavere in casa non era il massimo delle situazioni, infatti si premurarono di sbarazzarsene quanto prima. John optò per il classico "sacco nero da cadavere", ma era una scelta fin troppo ovvia, poi il sangue avrebbe imbrattato tutto rendendo la cosa molto ovvia. I tre analizzarono diverse situazioni, ma alla fine cauterizzarono la ferita e richiusero il malcapitato dentro una scatolone, che piazzarono poi direttamente in discarica, stando attenti a non essere scoperti. Finirono il giretto facendo colazione nel più vicino fast food e poi tornarono a casa, stanchi, sazi ma comunque tranquilli. 
«Che faticaccia!» esclamò John, gettandosi sul divano. Fortunatamente quello era rimasto pulito, e il ragazzo apprezzò molto quella comodità. Ricordava che dopo essersi allenato con  Dan e Vincent amava sempre rilassarsi a letto o sul più comodo divano del centro addestramento. Brandon lo fissava con un lieve sorriso, seppur il figlio fosse leggermente sbadato e a volte così divertente, sotto nascondeva un lato forte, un animo nobile e spirito di sacrificio. Era tutto ciò che gli rimaneva, un figlio da crescere e da proteggere, ma sapeva bene che era un ragazzo in gamba capace di saper cavarsela da solo. Istintivamente la sua mente tornò ai primi passi di John, con un Brandon goffo e impacciato, completamente inesperto nel maneggiare un bambino. Sua moglie successivamente gli diceva che i bambini non si maneggiano come delle armi. Poi lei morì, lasciando i due uomini di casa da soli, in balia di loro stessi. Brandon era sempre stato un uomo solare, occhi verdi magnetici e un sorriso che sa rallegrare il mondo, lo spirito della compagnia. Al funerale di Jocelyn -sua moglie- tutti erano praticamente certi che Bran si sarebbe trasformato in un uomo assente e afflitto dal dolore, ma non mostrò mai il minimo cambiamento, dimostrò al proprio figlio che la vita doveva continuare, andava vissuta e combattuta, anche se alle volte giocava scorrettamente. John crebbe con quel pensiero, riuscendo a prendere con leggerezza tutte le situazioni che gli si paravano davanti, almeno in apparenza: dentro di lui ponderava la scelta migliore, analizzava la situazione e mandava giù i bocconi amari, accettando le cose spiacevoli e rendendole parte di lui. 
«Bran?» L'uomo si voltò verso Vincent, che lo fissava. «A che pensavi?» chiese infine il ragazzo.
«Al passato.» rispose lui, con un sorriso malinconico e, improvvisamente, tutti e tre si ritrovarono a discutere sui vecchi tempi. John e Vincent ripercorsero le singole avventure affrontate da quando erano Nezakh, anche se quelle del figlio di Bran si interrompevano un po' prima, avendo abbandonato l'organizzazione e divenendo ricercato. John non si era mai espresso in merito, aveva semplicemente metabolizzato la cosa, non soffrendo troppo della sua libertà molto ristretta.
«Non mi avete mai detto il perchè.» esordì Vincent, parlando tranquillamente ma conscio di aver toccato un argomento un po' scottante. Dopotutto pochissimi Nezakh disertavano, anche perchè erano a conoscenza delle conseguenze: morte certa. Brandon si grattò la bionda barba, annuendo, come se stesse decidendo il discorso più adatto da esporre. Non aveva mai raccontato quella storia, essendo qualcosa che avrebbe scosso le fondamenta stessa di ogni guerriero, avrebbe cambiato il mondo. Voleva urlarlo al mondo quello che sapeva, ma non sapeva come fare per limitare i danni... era qualcosa che avrebbe cambiato per sempre l'organizzazione.
«E' qualcosa di altamente confidenziale.» rispose, voltandosi verso il figlio, come se stesse cercando il suo appoggio. John annuì, così Brandon iniziò a raccontare tutto quello che sapeva.
«Tutto riguarda l'organizzazione, soprattutto lui. Il Re.»
Vincent alzò un sopracciglio. I Sephiroth erano divisi in gerarchie: sopra tutto c'era il Re Sephiroth, che risiedeva in una base a nord del mondo, mai vista da molti. L'ubicazione della base Keter era molto discussa, ma la più accreditata la dava come base segreta al polo nord, dove il Re e altri pochi membri fidati vegliavano sull'organizzazione. Subito sotto al Re e alla base Keter, si estendevano altre basi, che funzionavano in diverso modo. 

Hokmah: il luogo dove venivano iniziati i diversi membri dell'organizzazione, per venir poi smistati nelle varie basi in base alle loro abilità. Era anche luogo della maggior biblioteca e archivio dei Sephiroth.

Binah: parte spirituale dell'organizzazione, vi si celebravano matrimoni, battesimi e tutto quello che concerne la vita dopo la morte, per tutti i membri nati o sposati in Sephiroth.

Hesed: base dove si riunivano i membri che avevano trasgredito qualche regola e cercavano il perdono, attendendo la clemenza del Re. In genere si espiavano le proprie colpe svolgendo svariati compiti.

Gevurah: qui prendeva luogo il tribunale Sephiroth, formato dal concilio dei mentori e dai rappresentanti delle varie basi, più sette giudici capeggiati dal giudice magister. Come i classici tribunali si occupavano di giudicare i trasgressori.

Tiferet: base romana centro della bellezza e dello svago, il luogo di relax totale per ogni Sephiroth in viaggio. 

Nezakh: il centro addestramento dei guerrieri, che prendevano appunto il nome della base. Ogni cacciatore veniva forgiato proprio dentro quelle mura, con addestramenti al limite della sopportazione.

Hod e Yessod, due delle basi dedite alla ricerca e sviluppo e ai rapporti con i vari governi ed organizzazioni mondiali, passando sia dalla scienza che dalla fede, in una rete che inglobava l'intero pianeta.

Shekinah: ultima base, situata a sud. Più che una vera e propria base era più un santuario, dove venivano sepolti i membri e commemorati.

«Il Re? Alcuni pensano che non esista.» 
Bran accennò un sorriso, lui sapeva bene che esisteva, e quanto fosse determinato a portare avanti la sua opera. «Il Re esiste. E purtroppo anche i suoi ideali.»
John deglutì, sapeva bene a cosa si riferiva il padre, e finalmente era arrivato il momento di far sapere quella terribile verità. Probabilmente Vincent non gli avrebbe mai creduto, ma dovevano rischiare, provare.
«Abbiamo lasciato i Sephiroth per lo stesso motivo per cui i Flamboyant vi combattono.» ci fu una pausa, poi Bran riprese il discorso. «I Wendigo, gli ideali Sephiroth, i vostri nemici... tutto riguarda il Re, il cui vero nome è Igor Dj-»
Il volto di Brandon si tinse di rosso. Un foro di proiettile l'aveva attraversato da parte a parte, colpo che era esploso fuori dall'abitazione di Vincent e aveva attraversato la larga finestra. Il sangue colpì i due ragazzi, e tutto improvvisamente divenne confuso. Le urla di John, Bran che cadeva senza vita sul pavimento, diverse esplosioni. Urla e schiamazzi fuori, la porta d'entrata che veniva spalancata, soldati vestiti di nero con maschera antigas, un colpo sordo alla testa di Vincent... e tutto divenne nero.    



Lexi cavalcava spensierata la sua Cream, attraversando le vaste praterie di casa sua. Era davvero rilassata, felice, tranquilla. Stare in compagnia dei suoi genitori era un toccasana per il suo stato d'animo, così come stare in compagnia della sua puledra, che tanto amava. Anche l'aver rivisto Jake non le dispiacque, dopotutto erano ottimi amici i due. Parlarono praticamente di tutto, aggiornandosi su ogni novità. Il discorso finì inevitabilmente su Daniel, con Jake che chiedeva come mai il ragazzo non si fosse mai accorto delle attenzioni di Lexi.
«E' stupido!» rispose lei, scherzosamente. Ma in fondo, non le importava molto di averlo come qualcosa di più di un amico. Erano praticamente una cosa sola, cresciuti insieme... a volte non era neanche sicura se provasse amore romantico o amore fraterno, l'unica cosa che sapeva era che quando lui non c'era... beh, sentiva la sua mancanza. Daniel era una parte di Lexi, una parte a cui lei teneva molto. Diverse volte l'aveva visto giù di morale, o perso nei suoi pensieri, l'aveva visto anche ridere, scherzare, o semplicemente essere menefreghista. Conosceva ogni sua sfumatura, apprezzandole tutte. Si rese conto di star sorridendo, e continuò a cavalcare, insieme a quel pensiero che la faceva stare così bene. Voleva che fosse lì con lei, ma dentro sapeva che presto l'avrebbe rivisto. E questo, la riempì di gioia.
Poco distante da lei, Jake era disteso sotto un albero, fissando le nuvole che disegnavano le più svariate figure. Era abbastanza certo di aver visto una nuvola a forma di peperella mannara, non che sapesse bene che forma aveva una paperella mannara. Stava quasi per appisolarsi, quell'aria così fresca e limpida lo rilassava al punto che gli veniva sonno. Chiuse gli occhi, masticando una fogliolina d'erba, ma venne distratto dalla vibrazione del cellulare, che prese poco dopo. Era arrivata una mail.

 
Signor Jake, il nostro agente ha eseguito il Codice 66.
Daniel Walker è sfuggito.
Adesso è inevitabile, tocca a lei.
Ci porti Daniel Walker, o ci consegni Alexis.
A lei la scelta.

 
L'email finiva con il logo di un albero in fiamme. Jake sospirò, si voltò verso Lexi e deglutì. Tornò a fissare il cielo, ma stavolta le nuvole non avevano più la forma di figure bizzarre, le nuvole sembravano suggerirgli una sola cosa: trovalo.



Simon sentiva il freddo della canna sulla sua tempia. La sua mano tremava e lui singhiozzava, ma non riuscì a premere il grilletto. Non riusciva a sopportare quel dolore che tanto combatteva, ma era troppo vigliacco per farla finita... o forse troppo coraggioso. Non voleva arrendersi, non poteva arrendersi, per lui e soprattutto per Tessa. Fece passare qualche minuto, tentando di calmarsi, ma la sua attenzione si spostò a degli strani rumori provenienti dal piano interrato. Strinse la pistola e scese le scale lì vicino, facendo attenzione a non fare rumore. Di fronte a lui si stagliava imponente una porta di metallo, socchiusa. La aprì lentamente, trovando una stanza piena di scatoloni e flaconi vuoti, per il resto abbastanza pulita. La cosa che però attirò la sua attenzione fu una botola aperta, con una scaletta di metallo. Non seppe bene il perchè, ma scese nelle profondità di quel luogo, trovandosi in un ampia sala illuminata da luce artificiale, quasi come un laboratorio. Muri di metallo, ripiani dello stesso materiale. Vari computer rotti erano sul pavimento, insieme ad attrezzi vari e in lontananza, un corridoio completamente buio portava chissà dove. Su un tavolo erano presenti diversi documenti, che ritraevano persone mutilate, con strane cicatrici e ustioni sul corpo. Gente in camice iniettava loro qualcosa in corpo, mentre alcuni dati incomprensibili erano scritti sul retro di quelle foto e documenti. Simon si sentì raggelare il sangue, ma non capiva bene cosa stesse osservando. Controllò le altre foto, soffermandosi su una foto che raffigurava il padre, sottoposto agli stessi esperimenti.
Sul retro vi era scritto: Soggetto 16, non idoneo. Previsione: Wendigo Rango E.
Osservò ancora quella foto, notando che il padre aveva il fianco lacerato, con i dottori che armeggiavano dentro di lui. Indietreggiò, ma inciampò su un computer, facendo cadere diverse fiale sul pavimento. Quando si rialzò, dal corridoio buio si avvicinarono lentamente un numero indefinito di Wendigo.



«Karen, nessuno ti ha mai abbandonato!» esclamò Daniel, visibilmente nervoso. Non riusciva a credere che sua sorella pensasse quelle cose.
«Chiamami Tessa. Karen è un nome che mi sono lasciata alle spalle.» Mentre lo diceva, una lacrima rigò il suo viso, che fu prontamente asciugata dalla sua manica. Daniel avrebbe tanto voluto stringerla, ma si rese conto che non era ancora il momento, almeno per lei non lo era ancora.
«Okay, Tessa.»
«Voi mi avete lasciato... la mia attuale famiglia mi ha accudito. Ho detto loro di non voler essere più Karen Theresa Walker. Solo Tessa. Avevo sei anni Daniel... perchè avete lasciato una bambina di sei anni?» adesso quella lacrima divenne un vero e proprio pianto, anche se la ragazza cercava di trattenere le lacrime, doveva essere forte.
«Non è andata così. La notte che... la notte che andasti via, fummo attaccati da uno di Loro» indicò il Wendigo che un tempo era il padre di Simon. «Sterminò la nostra famiglia, attaccò anche me, lasciandomi questa.» Daniel si alzò la maglia, indicandosi la cicatrice a forma di morso sul fianco. Quando passò le dita su diessa, riuscì a sentire le urla dei suoi genitori nella sua testa. Tessa trasalì, come se avesse sentito le stesse voci.
«Io persi conoscenza e a dire il vero... non ricordo molto. So solo che al mio risveglio tu non c'eri. Ho sempre pensato che quel Wendigo ti avesse portata via, ma a quanto pare ti hanno salvato da quel mostro, raccontandoti una menzogna meno dolorosa.» Daniel si rese conto che quella fu la prima volta che pronunciava la parola Wendigo.
«Io...» Tessa non sapeva bene cosa rispondere. Tutto quello in cui aveva sempre creduto era falso. La sua famiglia non l'aveva mai odiata, non l'aveva mai abbandonata. Tutta quella rabbia che fino al giorno prima provava si era trasformata.
«Daniel?»
«Tessa.»
Ma prima che la ragazza potesse dire altro, le urla di Simon arrivarono fino a loro, che si trovarono a correre per la fabbrica alla ricerca del ragazzo.


Simon era riuscito ad allontanarsi, ma era caduto su del liquido non meglio definito. Si era slogato una caviglia. Iniziò ad urlare, implorando aiuto. Strinse la pistola a se, pronto a difendersi, ma prima che potesse rendersi conto di quello che stava accadendo, Daniel e Tessa l'avevano raggiunto nel sotteraneo, ma la situazione era peggio del previsto.
In pochi secondi il trio venne circondato da otto Wendigo, togliendo ogni possiilità di fuga.          

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Capitolo 10
*** Thank You ***


I Wendigo erano immobili, come se fossero in attesa della prima mossa del trio. Simon era a terra, dolorante. La caviglia slogata in quell'occasione non era per niente d'aiuto e voleva urlare a Tessa di andare via e lasciarlo lì, ma non poteva. Tutte le uscite erano bloccate da quegli esseri, con loro tre al centro. Il ragazzo aveva la schiena poggiata al tavolo metallico su cui erano poggiate le diverse ricerche, con la sua ragazza china accanto a lui. Sentiva le sue mani stringersi a lui, i nervi di lei erano tesi come una corda di violino. Tremava, ma il suo sguardo non mostrava il minimo accenno di paura. Era lì, a proteggerlo. Tessa era fatta così, quando Simon aveva qualche problema, lo metteva davanti a tutto e tutti, era una priorità. Certo, quella situazione era un pericolo per tutti, ma Tessa sembrava non curarsene. Per la prima volta Simon riflettè sul fatto che quello accanto a loro era il fratello di lei, un fratello del quale non aveva mai sentito parlare. Lo guardò: era in piedi, con il lungo cappotto nero che copriva interamente il suo corpo. Se prima aveva la pistola in mano, adesso le mani erano libere, mentre il suo sguardo studiava la situazione. Sguardo serio che era uguale a quello di Tessa, e quello fu abbastanza per confermare quella parentela segreta. Iniziò a chiedersi per quale motivo lei non gliene avesse mai parlato, facendo milioni di teorie, ma tutte finivano nel baratro non appena il piede faceva male o il suo sguardo incrociava quello dei mostri. 
Scosse la testa, certo che presto sarebbe tutto finito.

Daniel analizzava le diverse possibilità, stando comunque attento a non fare passi falsi. Guardò in basso a sinistra, per controllare sua sorella e Simon. Realizzò adesso che quello era il ragazzo di lei, con milioni di pensieri che gli invasero la mente, facendosi assalire dalla classica gelosia da fratello maggiore, ma era meglio non parlarne adesso, doveva risolvere prima quel piccolo inconveniente. Davanti a lui stavano inattesa quattro Wendigo, tutti molto simili tra loro, ad eccezioni per lunghezza di zanne e artigli. La loro pelle emaciata puzzava come di consueto, anche se questo odore era diverso dal solito, come di composto chimico bruciato misto a morte. Si disse che era per via del luogo in cui si trovavano, dando per logica quella spiegazione. Osservò alla sua destra, verso la porta dalla quale erano entrati e, adesso, rappresentava l'unica via di fuga. 
Due Wendigo. Uno di loro era in piedi, con le mani cadenti lungo i fianchi. Era pieno di escoriazioni e tagli. Le gambe erano ricoperte di una leggera peluria rossa, dovuto al sangue. Il volto aveva la pelle cadente, con due tagli che espandevano la bocca, bocca che era piena di affilati denti. Il ragazzo fu sicuro di averne contate almeno due arcate, ma potevano benissimo esserne di più. I loro sguardi si incrociarono, castano contro bianco, ma nessuno dei due fece nulla. L'altro Wendigo era invece chino su quattro zampe, era magro, colonna vertebrale visibile. Le mani avevano lasciato posto alle ossa, che presentavano artigli anch'essi ossei all'estremità. 
Osservò alla sua sinistra, esattamente oltre Simon e Tessa, stessa cosa. Due Wendigo che bloccavano una stanza buia. 
Pensò di attaccare quelli che aveva di fronte, ma quelli ai lati avrebbero chiuso il gruppo, finendoli abbastanza velocemente. Idea scartata. 
Sparare a qualche flacone? No, idea stupida. Daniel sapeva che i Wendigo puzzavano di morte, ma di certo un bagno di detersivo non avrebbe fatto la differenza. 
«Tessa.» sussurrò, come per non farsi sentire dagli esseri che erano ancora in attesa. Non aveva mai chiamato la sua sorellina con il secondo nome, ma questo era il suo volere, cosa che lui rispettava. La ragazza si voltò verso di lui, con una ciocca biondo cenere che le finì di fronte al viso. Mosse la testa, per chiedere cosa avesse in mente. In quell'istante la ragazza si rese conto di avere la bocca talmente secca da non riuscire a parlare.
«Io posso affrontarne un paio, ma voi dovete correre velocemente.»
Simon si voltò con aria sofferente, osservando Daniel, che ricambiò il suo sguardo con decisione, sguardo che comunque mostrava una certa apprensione. «Lo so» si limitò a dire il ragazzo, indicando il piede di Simon, ma non c'era altro modo, non poteva rischiare che venissero presi. «Non posso lasciare che vi succeda qualcosa.»
«No.» fu Tessa a parlare, risposta che stupì Daniel, ma non Simon, che si limitò a sorridere. Sorriso che tuttavia venne smorzato da una smorfia di dolore. Daniel poteva essere anche suo fratello, ma era Simon che conosceva tutto di Tessa. Sapeva che non scappava, sapeva che non abbandonava le persone a cui teneva... «Non metteremo in pericolo la tua vita. Poi Simon non può muoversi, sarebbe comunque inutile.»
Dan roteò gli occhi, osservando nuovamente il gruppo di esseri di fronte a sè. Otto Wendigo che temporeggiavano... in quel momento poteva solo fare una cosa, sperare che i Wendigo non agissero. Non seppe bene perchè, ma si ritrovò a pensare al Wendigo del Foodhallen, ma ricacciò indietro quel pensiero, concentrandosi sul da farsi. Avvicinò la mano destra alla tasca, afferrando lentamente il cellulare. Compose un messaggio e lo inviò, stando sempre attento a non attirare l'attenzione dei mostri.
«Hai twittato la nostra situazione?» chiese Tessa, perplessa.
«Ho chiamato rinforzi. Tra un hashtag e l'altro, ovviamente.»
"Spero che Victor sia vicino come penso..." disse tra sè il ragazzo. Portò una mano sotto il cappotto, altezza spalla, ed estrasse la sua spada, recuperata da casa di Vincent prima di partire. In effetti non fu l'unica cosa a prendere prima di andar via, dato che recuperò al volo i regali anche per Lexi. 
Soppesò l'arma, tenendosi pronto ad un eventuale attacco. Una cosa era certa: lui non avrebbe mai fatto la prima mossa.


Passarono circa dieci minuti, minuti che parevano anni. La situazione era la stessa, con Daniel che stava iniziando a sentire lo stress di quella situazione. Durante quel lasso di tempo aveva provato a spostare il tavolo metallico, ma notò la reazione dei Wendigo, piccoli movimenti dei muscoli scoperti che suggerivano un attacco imminente. Scartata l'idea di allontanare quell'ostacolo, si avvicinò di qualche centimetro alla sorella. I tre adesso non parlavano, con Daniel che pensava a quanto potesse essere davvero sfortunato. 
«Perchè fa così freddo?» disse Tessa, tremante. Daniel non parve farci caso fino a quel momento, ma la ragazza aveva ragione. La temperatura era scesa di almeno dieci gradi, e si stupì anche lui quando si ritrovò a tremare leggermente per il freddo. Tentò di elaborare una risposta a quella domanda, ma non fece in tempo. La soluzione si era palesata di fronte a loro.
«Il Freddo purifica, mia dolce fanciulla.» Tessa alzò lo sguardo di colpo, osservando la figura che aveva pronunciato quelle parole. Era imponente, ferma tra i Wendigo che parvero inchinarsi a lui. Indossava una veste azzurra sporca di neve, e il suo viso era pallido e spigoloso. Era calvo, la testa presentava piccole deformazioni che sembravano schegge di ghiaccio. Ma la cosa più glaciale di quell'uomo erano gli occhi. Occhi di un azzurro così accesso che sembravano ardere, come fuochi fatui congelati. Fuoco ghiacciato, ecco cosa sembrava.
Daniel indieteggiò, dimenticandosi del tavolo e sbattendogli contro. Scuoteva la testa, sussurrando "no", parole che si condensavano davanti a lui.
«Umani... così piccoli e indifesi. E soprattutto... deboli!» l'uomo fulminò con lo sguardo Daniel, che deglutì, come se avesse ingoiato quella parola. Stavolta sarebbe stato diverso, avrebbe smesso di essere debole, aveva trovato sua sorella e doveva essere forte, forte per proteggerla. Strinse l'elsa della spada e avanzò di due passi.
«Oh...» l'uomo sorrise, mostrando una fila di denti acuminati. Carezzò un Wendigo, che emise un verso soffocato di sottomissione. Osservò Tessa e Simon, osservandoli come un senzatetto guarda un hamburger appena preparato, poi si voltò nuovamente verso Daniel.
«L'hai trovata. Questo ti renderà più forte?»
Daniel non rispose, così l'uomo di ghiaccio rise ad alta voce, sorriso che somigliava allo stridere di unghia su una lavagna. «Scopriamolo subito.»
L'uomo ordinò al Wendigo di attaccare, così l'essere si scagliò contro Daniel, emettendo un verso disumano. Il ragazzo volteggiò la spada, ma colpì il nemico con un calcio, facendo attenzione a spostarsi dalla coppia. Il resto dei Wendigo non attaccava, così come l'uomo di ghiaccio che fissava il duello compiaciuto. Daniel sentì montare l'adrenalina dentro di lui, sentendosi improvvisamente bruciare, nonostante le basse temperature. Il Wendigo si rialzò, saltando addosso al ragazzo che schivò, contrattaccando con un fendente che amputò un braccio artigliato dell'essere, che urlò di dolore. L'essere si voltò, occhi bianchi che sembravano comunicare vero e proprio odio. Saettò verso il ragazzo, che parò un attacco con la spada. Non si aspettava quella potenza, tanto che perse la presa e la spada volò vicino Tessa, che fece per prenderla, ma non appena ci provò, l'uomo di ghiaccio gli fece cenno negativo, mentre i Wendigo si avvicinavano. Tessa ritrasse la mano e i Wendigo si allontanarono.
Daniel armeggiò sulla cintura ed estrasse la pistola, sparando in piena volto del Wendigo, che si accasciò a terra senza muoversi.
«Niente male.» disse l'uomo, applaudendo. Si avvicinò a Tessa e Simon, carezzando la caviglia di quest'ultimo, successivamente afferrò la spada e la lanciò a Daniel, che la prese al volo.
«Proviamo ad aumentare la difficoltà.» schioccò le dita, e i Wendigo dietro Daniel partirono all'attacco. Il Wendigo eretto sembrava avere molta più forza del suo compagno a quattro zampe, così Daniel decise di sparare tre colpi al più debole, che li incassò tutti, morendo. 
«Che soggetti penosi.» commentò l'uomo.
Daniel adesso era in piedi di fronte al Wendigo, i due si studiavano, camminando in cerchio. Quel Wendigo aveva qualcosa di diverso dagli altri, sembrava più intelligente, ma forse era solo una sensazione. Smise di pensarci e partì all'attacco. Sparò un colpo per distrarre l'essere, concatenando subito dopo due fendenti ben piazzati, che staccarono la testa dell'essere.
L'uomo di ghiaccio sorrise. «Basta così.» 
Schioccò le dita e tutti i Wendigo si accasciarono sul pavimento, successivamente si avvicinò a Daniel. «Vediamo se sei in grado.»
«A far cosa?» rispose lui, con tono di sfida, ma l'uomo di ghiaccio non rispose, si limitò ad aprire il palmo della mano in direzione del ragazzo.
Daniel sentì un dolore tremendo crescergli dentro, dolore che partiva dalla ferita apertasi dieci anni prima, ferita inferta dal Wendigo che sterminò la sua famiglia. Cadde a terra, portandosi le mani sul fianco, mentre un dolore sordo gli riempiva la testa. Sentiva Tessa urlare qualcosa, così anche Simon, ma lui non riusciva più a capirli. Quelle urla si tramutarono nelle urla dei suoi genitori la notte che persero la vita, urla che lo laceravano. Ripercorse il ricordo di quella notte in un loop infinito, sentì un calore allargarsi sul fianco, divenendo poi sangue. Sentì il Wendigo che lo lacerava, sentiva la vita di sua madre e suo padre svanire nel nulla, come una candela che lentamente si spegneva. Sentiva il sapore del sangue in bocca, sentiva il cuore che gli doleva, come se mille lame ghiacciate lo stavano trapassando. Sentì una terza voce, successivamente l'uomo di ghiaccio che farfugliava qualcosa e subito dopo, il silenzio.


Daniel si ritrovò disteso sul tavolo metallico, con una ragazza accanto a lui. «Lexi...» sussurrò. Aveva le labbra screpolate, il viso pallido, i capelli arruffati. Lei invece era bellissima: capelli castani che incorniciavano il suo viso, gli occhiali neri che risaltavano il castano degli occhi e un sorriso che lasciava senza fiato. Il tocco della sua mano era caldo, piacevole, morbido. Le mancava sentire quel tocco su di lui, stava bene. Battè le palpebre e Lexi di colpo scomparve, lasciando spazio a Tessa, che lo osservava visibilmente preoccupata. 
«Tessa?»
«Chi è Lexi?» chiese, come se fosse la domanda più naturale del mondo nel contesto più naturale del mondo. Dan si mise a sedere, toccandosi il fianco. Notò che aveva la maglia sporca di sangue, esattamente nel punto dov'era stato morso anni prima, ma tentò di dimenticare quel dolore, almeno per il momento. Si guardò intorno, notando i Wendigo senza vita e Simon che veniva medicato da qualcuno in abito elegante. Cercò l'uomo di ghiaccio, ma era svanito, come neve sciolta al sole.
«Cosa...» gli doleva la testa, dolore che si espandeva fin dietro gli occhi. A volte gli capitava quando era tremendamente stanco, ma stavolta era diverso. Improvvisamente si accorse che la domanda su Lexi lo fece arrossire, così preferì chiedere altro. «Cos'è successo?»
Tessa scosse la testa. «Non lo so. Mister Ghiacciolo ti ha fatto del male, poi è entrato Victor e tutto è finito. Hai perso conoscenza per un paio d'ore.»
«Un paio... Victor?»
«Cosa?» rispose l'uomo, che stava armeggiando con la caviglia di Simon.
«Sei in ritardo, brutto idiota.»
Victor finì il bendaggio, chiudendo un medikit con il simbolo dei Sephiroth sopra. Si avvicinò velocemente al ragazzo, tirandolo per un orecchio. «Ti ho detto miliardi di volte di non chiamarmi idiota di fronte alla gente. Ho una reputazione da mantenere.»
«Si, certo, certo. Dobbiamo fare il punto della situazione.»
«Non ora, non qui. Serve un posto sicuro.»
«Nessun posto è sicuro...» Daniel si voltò verso la sorella «Tessa, forse è meglio che resti dalla tua famiglia per un po'. Non voglio rischiare di metterti ancora in pericolo... Non lo acceterei...»
Victor sorrise, allontanandosi dalla porta, seguito da Simon e la ragazza.
«Ho già chiamato Matt, ha urlato per circa mezz'ora ma poi ha capito, sapeva che questo giorno sarebbe arrivato. Ho bisogno di sapere Dan, ho bisogno di venire con te. Simon non ha nessuno se non me, così si unisce a noi. Devo spiegargli un paio di cose. Victor ha detto di avere un auto qua fuori, ci sta aspettando.»
Tessa si allontanò, ma prima di uscire dalla stanza si voltò verso il fratello.
«Ehy... Grazie.»

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Capitolo 11
*** Coming Home ***


Il gruppo era salito in auto, posto di guida già occupato da Victor. Daniel gli si sedette accanto, ammirando per qualche secondo gli interni di quella BMW X5: sedili in pelle bianchi, modenature in pregiato legno di quercia americana, materiale del cruscotto nero lucido... un vero spettacolo per gli occhi, un gioco di colori semplici e contrastanti che regalava un atmosfera lussuosa ma fine allo stesso tempo. Il ragazzo notò di essersi innamorato di quell'auto, anche se gli interni bianchi lo preoccupavano, insomma, avrebbe picchiato chiunque li avesse sporcati... picchiato fuori dall'auto, ovviamente. Victor sembrava compiaciuto dallo sguardo del ragazzo, tanto che accennò un sorriso. Daniel conosceva bene l'uomo, sapeva quanto gli facesse piacere che le sue cose venissero apprezzate, soprattutto se erano apprezzate da Dan. Si conoscevano fin da quando lui era arrivato ai Sephiroth, con Victor che notò subito del potenziale in quel ragazzo così sulle sue. I primi rapporti erano solamente professionali, ma quando Victor sentiva il bambino urlare nel cuore della notte, iniziò a preoccuparsi davvero per lui. Aveva solo dieci anni dopotutto, gli serviva qualcuno che si prendesse cura di lui. Iniziarono a passare più tempo insieme, Victor lo rassicurava durante la notte, facendosi raccontare gli incubi e ricordandogli che gli incubi andavano accettati e poi sconfitti. Iniziarono a pranzare insieme, conoscersi meglio. Divennero una vera coppia mentore-allievo, coppia che a volte veniva invidiata da altri, tanto che pensavano che Dan fosse raccomandato. Tranne per Lexi, lei guardava quel bambino con curiosità, e poco tempo dopo i due strinsero un'amicizia che perdurava fino al presente, e quell'amicizia, si, quella andava invidiata. Non si vedeva qualcosa del genere tutti i giorni. Victor non aveva figli, aveva solo avuto una moglie tempo prima, dalla quale aveva divorziato per motivi non proprio rosei: era innamorato di un'altra donna, da sempre. Donna che comunque vedeva all'oscuro della moglie. Non specificò mai se ci fosse stato qualcosa, ma quando Dan lo sentiva parlare, riusciva a captare ogni singola sfumatura d'amore nella voce del suo mentore. Lì Daniel si chiese come potesse essere innamorati, chissà cosa voleva dire amare qualcuno... certo, amava la sua famiglia, la sua sorellina, tanto che quell'amore divenne il suo unico obiettivo sin dalla tenera età, ma l'amore inteso come eros... chissà. Non sapeva se l'avrebbe mai provato, non sapeva se si meritasse qualcosa del genere, e forse non l'avrebbe mai provato, come punizione per aver lasciato i suoi genitori morire. 
«Come procede dietro?» esclamò Victor, portando Dan di nuovo con la testa dentro l'auto. Si voltò verso la sorella, ancora non gli pareva vero. Tutti quegli anni a cercarla e adesso era lì, con lui... e il fidanzato!
«Fin troppo bene.» rispose Simon, a bocca aperta. Non era abituato a quel lusso, si sentiva come un bimbo di fronte al suo gioco preferito. Poi incrociò lo sguardo di Dan, che era qualcosa di animalesco. Simon deglutì. Nella fabbrica aveva pensato che potesse fidarsi di lui, ma adesso quello sguardo suggeriva una sola cosa: omicidio.
«Cosa?» continuò il ragazzo, ancora sotto gli occhi fissi del Nezakh, che non distoglieva lo sguardo. Sembrava che gli stesse analizzando ogni singola cellula del suo corpo, cosa abbastanza inquietante.
«Dan, non sarai mica uno di quei fratelli gelosi, vero?» fu Tessa a parlare, con un mezzo sorriso sulle labbra. Odiava tutto ciò che concerneva la gelosia eccessiva, ma trovava davvero buffa quella scena. Aveva ritrovato il fratello, aveva salvato il suo fidanzato e stava per iniziare una nuova vita, riscoprendo quella che si era lasciata alle spalle dieci anni prima, una vita che pensava non la riguardasse più, relegandola a passato da dimenticare, passato doloroso fatto di pianti, abbandoni ed incubi la notte. Ma non era così, la sua famiglia l'amava e lei, adesso lo sapeva. Adesso doveva solo riscoprire quel lato di se stessa. Ricordava così poco della sua vita passata, di suo fratello, i suoi genitori... ma i volti, anche se provava a dimenticarli e a volte si autoconvinceva di averlo fatto, quei volti erano come macchie indelebili nella sua mente, schizzi di vernice che contornavano le sue memorie, disegnando un puzzle di colori che fino al giorno precedente erano tutti scuri, spenti.
Dan si voltò di scatto, verso la strada. Se Simon sembrava il bimbo davanti al suo gioco preferito, lui era quello al quale avevano appena rubato il suo, di gioco. «No, affatto» si limitò a dire, con un tono che non era lontanamente convinto. 
«Sei meno credibile di me quando provo a fare la crostata di mele.» sentenziò Victor, ingranando la terza e sfrecciando sulla strada. Daniel sapeva che la crostata alle mele di Victor era la cosa peggiore che avesse mai mangiato, passarono diversi anni prima di capire che quelle fossero davvero mele... diversi anni e tante telecamere nascoste in cucina. Era convinto che ci mettesse altro, invece no, erano proprio mele. Eppure sembravano così squisite prima che lui ci mettesse le mani sopra.
«Quindi sai cucinare?» chiese Tessa sporgendosi in avanti. Daniel roteò gli occhi, sapeva cosa stava per succedere. E sapeva bene che non doveva mai parlare di Victor di cucina, ma ormai era troppo tardi. Si chiese il perchè chiamò Victor, dopotutto otto Wendigo non erano troppi.
«Se so cucinare? Sono un cuoco nato, eccetto per la crostata. Un giorno dovrò farti assaggiare la mia bistecca di angus, che a Daniel piace tanto.»
Daniel inarcò le sopracciglia. «Quale bistecca, scusa?»
«Scherzi, vero? Quella che servo sempre con salsa barbecue e un'insalatina mista che è la fine del mondo.»
Daniel sembrava davvero scioccato. «Quindi quella cosa era bistecca di angus? E io che credevo fosse una corteccia trovata durante una passeggiata nei boschi!»
Simon e Tessa scoppiarono a ridere, mentre Victor non rispose, sembrava quasi offeso. Sapeva che la sua cucina Daniel non la capiva, ma quello era decisamente troppo. Si sarebbe vendicato con una sessione di addestramento ai limiti dell'umano, con Dan che avrebbe ripetuto "amo la tua cucina" ad ogni flessione.
Intanto dietro, Simon abbassò il finestrino, godendosi il vento che entrava e gli scompigliava i capelli. Anche per lui quello era un nuovo inizio, e seppur il dolore della perdita atroce gli consumava l'anima, sapeva che doveva superare tutto. Dentro sè aveva già accettato la cosa quando era tornato a casa, con la consapevolezza che aumentava ad ogni passo fino al culmine finale, ma vedere tutto quello... fu tremendo. Si era preparato psicologicamente a qualunque cosa lo aspettasse, aveva persino una pistola, ma nulla. Decise di mandare tutto giù e ricominciare da lui, da Tessa... e da quei cosi. Si rese conto di sapere così poco del suo mondo...
«Quindi voi... siete una sorta di Man in Black?» chiese il ragazzo.
«Tolta la questione di sparaflashare ogni cosa, si, siamo qualcosa di simile.» rispose Dan, osservando Victor. Una delle regole dei Sephiroth, era proprio il non poter parlare della loro esistenza alla gente comune, se non con dovute eccezioni. I Sephiroth erano una delle organizzazioni più segrete al mondo, ma che agivano sotto gli occhi di tutti. Uccidevano esseri demoniaci insabbiando tutto qualora qualcosa trapelasse. Forse quel trucchetto da Man in Black non sarebbe stata una pessima idea. 
«Procedi pure.» disse Victor, spingendo sull'acceleratore e immetendosi ina una strada poco trafficata. Attraversò un ponte e continuò verso la sua destinazione, ascoltando il discorso dei ragazzi, riflettendo se stava facendo la cosa giusta, ma dopotutto quei due ormai c'erano fin troppo dentro. 
«Son sicuro che avrete già sentito parlare della leggenda dei Wendigo» iniziò Daniel, voltato verso i due che annuivano. Tessa e Simon erano una coppia che amava praticamente ogni cosa: letteratura, musica, serie tv, leggende metrolpolitane, creepypasta. I Wendigo li avevan conosciuti spulciando in internet e guardando alcuni programmi, così come giocando ad alcuni videogiochi. Tutti li presentavano con caratteristiche simili ma al tempo diversi, una delle più accreditate era quella che li identificava come essere per metà animali, che si nutrivano di cadaveri e avevano una folta peluria. Simon citò le diverse voci che correvano riguardo quelle creature, con Dan che smentiva e ne confermava altre. Le leggende, si sa, hanno sempre un fondo di verità, anche se era preferibile non avere a che fare con quelle creature. Il ragazzo spiegò anche l'origine dell'organizzazione Sephiroth, descrivendo i Nezakh e qualcosa in via generale, per non dir troppo. 
«Quindi tu sei sopravvissuto quella notte...» fece Tessa, abbassando gli occhi sulle proprie mani. Si rese conto che erano simili a quelle del fratello, così le venne naturale pensare se fossero come quelle di sua madre o suo padre, di cui non ricordava tutti i dettagli. Aveva solo sei anni dopotutto, ricordava i giochi in giardino, il solletico che le faceva Dan prima che lei si addormentasse, ricordava i loro volti durante la colazione... e basta. Pochi ricordi di una vita dimenticata per preservare se stessa. Pochi ricordi che adesso, era tutto ciò che le restava.
Dan sorrise a Tessa, se prima quel ricordo lo uccideva, adesso doveva aiutare sua sorella a conviverci. Lei gli chiese se il morso gli avesse fatto male, ma Dan disse che non lo ricordava, nonostante non fosse del tutto vero. A volte aveva ancora incubi su quella notte così confusa, svegliandosi con un dolore lancinante al fianco, dolore che si ripresentò poco prima, insieme a quel misterioso uomo di ghiaccio. Dan raccontò le vicende nel sotterraneo della fabbrica, raccontando anche il Flamboyant che l'aveva attaccato ad Edimburgo, stando attento a non nominare Bran, John e Vince.  Simon, invece, citò le foto che aveva trovato in fabbrica, quegli esperimenti che riportavano la dicitura Wendigo Rango E più altre cose simili, così Dan ripensò anche a Carl, il bambino trasformato. Quindi qualcuno trasformava le persone? Chi mai avrebbe fatto esperimenti per renderli Wendigo? L'unica cosa da fare era aspettare la risposta di Victor.
«Che ne pensi, Vic?» chiese Daniel, spostando lo sguardo dalla sorella al suo mentore.
«Esperimenti, Flamboyant che agiscono, un Uomo di Ghiaccio...» pensò ad alta voce. Sapeva della minaccia di quell'organizzazione, e nei Sephiroth correvano voci sul fatto che facessero esperimenti sulle persone per trasformarle, ma pensavano fossero menzogne, ma evidentemente si sbagliava.
«Posso dirti che le voci sui Flamboyant e gli esperimenti erano riservate perchè ritenute non vere, ma voi avete dato la conferma.» disse, grattandosi il collo. «Riguardo quell'uomo di ghiaccio, capace di controllare i Wendigo, non saprei. L'unica cosa da fare per il momento è andare in un posto sicuro e capire come rispondere a questi attacchi.»
Daniel annuì, mentre osservava la destinazione che lampeggiava sul navigatore, inserita poco prima di partire.    


Simon e Tessa si erano addormentati l'uno sulla spalla dell'altra, mentre Victor e Daniel iniziarono a parlare di quel ritrovamento. Dan non ci credeva ancora, ma adesso, era preoccupato per l'incolumità di lei, facendo qualche battuta anche su Simon, che tuttavia sapeva essere un ragazzo in gamba e sapeva che aveva passato le pene dell'inferno, un po' come lui. Si accorse di essere contento che fosse lui il ragazzo di sua sorella, augurando loro il meglio. Dopo aver parlato delle possibili minacce, i tre ragazzi si raccontarono a vicenda i momenti salienti della loro vita, con Tessa che chiese nuovamente al fratello chi fosse Lexi. «La mia migliore amica.» rispose lui, con un sorriso, ma Tessa non sembrava convinta. «Certo. Io e Simon invece siamo fratelli.»
«Ti stan spuntando troppi fratelli, ultimamente.» scherzò Simon, stringendo la sua mano in quella di lei. Tutto finì in risate e chiacchiere puerili, cosa che a Dan piacque molto. Ridere e scherzare con la sua famiglia... un sogno dalla quale non voleva più svegliarsi. I suoi pensieri finirono di correre quando Victor spense l'auto, notando l'enorme villa di campagna che si stagliava di fronte a loro. «Siamo arrivati.» annunciò l'uomo.
Il quartetto scese dall'auto, attirando l'attenzione della gente poco più avanti. Dan guardò dritto di fronte a sè, notando qualcuno che non appena lo vide gli corse incontro: Lexi.
La ragazza salto letteralmente addosso a lui, avvolgendogli le braccia intorno al collo e aggrappandosi alla sua vita con le gambe. I capelli di lei finirono su di lui, mentre gli occhiali freddi lo fecero trasalire. Le mani di Daniel strinsero la ragazza, ed inspirò, respirando a fondo quel profumo di vaniglia che tanto amava. Profumo di vaniglia, di casa. L'odore di Lexi era qualcosa che avrebbe riconosciuto ovunque. Le carezzò la schiena nuda, dovuta alla maglia che le si era alzata durante quell'abbraccio. Entrambi riuscivano a sentire i propri respiri, i propri cuori battere all'unisono, e restarono così, immobili, lei in braccio a lui, senza dire nulla. Un silenzio che li riempì per interi minuti.
Tessa si avvicinò a Simon, sussurandogli qualcosa all'orecchio, con il ragazzo che si ritrovò a sorridere ed annuire, mentre Victor sospirò, scuotendo la testa. Si voltò verso Tessa, con un'espressione che era tutto un programma, facendo ancor di più ridere la ragazza. Nel frattempo i due si staccarono con Lexi che si sistemò con un sorriso che le illuminava il viso. Si voltò verso Victor, salutandolo, successivamente osservò i due, fece per dire qualcosa ma non trovò le parole, rendendosi conto di non sapere chi fossero.
«Mia sorella e il suo ragazzo.» annunciò Daniel, grattandosi la nuca, conscio dell'effetto che quelle parole facevano. Era strano dire una cosa del genere, soprattuto ascoltare qualcosa del genere. Lexi battè le palpebre più volte e poi strinse la mano ai due. «Alexis, ovvero quella che ha salvato Daniel cinque volte.» esclamò, non perdendo quel sorriso magnifico. Si voltò successivamente verso Daniel «Non posso lasciarti solo un paio di giorni, vedo. Se tornavo direttamente alla fine del ferie cosa mi avresti presentato?» scherzò.
«Avevo ingaggiato Leonardo DiCaprio, promettendogli un Oscar in cambio, ma non ha abboccato alla trappola.»
«Posso confermare.» rispose Simon, con un'espressione così seria che risultò irrimediabilmente buffa. 
«E comunque...» riprese Dan, puntando un dito verso l'amica «Contando Roma, sono quattro volte. Ti ho già detto che l'incidente a New York non vale.»
Lexi sbuffò con fare teatrale, per poi scortare il gruppo dentro casa, con tutti che salutarono e si presentarono. Daniel parve sorpreso di trovare Jake, mentre Jake sembrava aver appena visto un fantasma.
«Daniel? Cosa ci fai qui?» chiese il ragazzo, pallido in viso. Non si aspettava di certo che il suo obbiettivo gli si parasse davanti con un sorriso. 
«Beh, ho sempre rifiutato gli inviti di Lexi, e dato che siamo quasi a Natale e non ho voglia di spendere soldi per questa scema, ho pensato di autoregalarmi a lei. Ho perso il fiocco per strada, purtroppo.»
Jake accennò un sorriso sghembo e si allontanò, lasciando il gruppo nel bel mezzo dei convenevoli. Il tempo passò in fretta, a turno tutti si fecero una doccia e successivamente pranzarono, con Tessa e Simon che chiesero un posto dove poter riposare, visibilmente esausti. Lexi mostrò loro una camera, con Daniel che riprese quell'espressione sospettosa da fratello maggiore, ma la coppia fu salvata proprio dalla partner di Daniel, che lo trascinò fuori di peso.
«Non mi fido a lasciarli soli! E se fanno...» Daniel rabbrividì a quel pensiero.
«Sto scoprendo sul serio questo tuo lato?» rise lei, trascinando ancora l'amico lontano dalla casa, che diveniva via via più piccola. Daniel scrollò le spalle con un sorriso, rendendosi conto di quanto potesse apparire buffo, ma in fondo, si stava calando nella parte di fratello maggiore, doveva recuperare pur sempre dieci anni di occhiatacce!
Arrivarono lontano da tutti ormai, la casa ormai era lontana, così come il fienile, le stalle e tutte le strutture che appartenavano a quella tenuta. Dopotutto i Sephiroth qualche privileggio "pensionistico" l'avevano, bastava vedere quel posto immerso nel verde. La tranquillità regnava sovrana, nessuno che disturbava, aria limpida, sole che riscaldava tutto (e in quel periodo natalizio erano davvero fortunati ad avere belle giornate)
I due si buttarono sul manto erboso, Dan inspirò e sorrise, fissando il cielo azzurro. La ragazza poggiò la testa sulla sua spalla, distendendosi al suo fianco. Non era la prima volta che si trovavano in quella posizione, lo facevano fin troppe volte, come il dormire insieme la notte quando uno dei due non riusciva a prender sonno o aveva gli incubi, ma stavolta era diverso. Una scarica attraversò il corpo di Daniel, come se fosse la prima volta che sentiva Lexi su di lui, ma lei non parve accorgersene. La osservò senza spostarsi, notò i suoi occhi chiusi, le ciglia, gli occhiali. Osservò la forma del naso, delle guance, notò i pochi nei sul viso e sul suo collo, soffermandosi per qualche secondo su questo. Si rese conto che se fosse stato un vampiro non avrebbe saputo resisterle. Scese ancora, guardandole il corpo. Aveva una maglietta aderente bianca, maniche lunghe. Non aveva moltissimo seno la ragazza, ma era come se fosse la prima volta che riflettesse su questo... distolse lo sguardo, arrossendo. 
"Basta con questi pensieri, che mi prende?" disse fra sè, ricordandosi che quella era Lexi, la sua migliore amica. Sapeva che era una bellissima ragazza, ma era come se l'avesse sempre guardata da uno specchio sporco, e adesso la vedesse per quello che era davvero. Ripensò alle battute di John e Vincent, ricacciandole indietro. Lexi era la sua migliore amica, punto.
La ragazza si voltò, facendo sussultare lui. «Tutto okay?» gli chiese, con quel suo sguardo che sapeva tranquillizzare chiunque. Era uno sguardo che lei gli faceva spesso, quando erano in momenti come quelli. Lo guardava come se esistesse solo lui nell'intero universo, ma era uno sguardo a cui Daniel non aveva mai dato troppo peso, essendo con la testa altrove, a pianificare, pensare, inseguire. Ma adesso che la sua missione era conclusa, si rese conto che aveva perso un sacco di cose negli ultimi dieci anni, cose che aveva sempre avuto accanto. Ripensò a quando vide per la prima volta Lexi, una bambina un po' impacciata che non sapeva maneggiare neanche un pugnale. Si ritrovarono di notte al centro addestramento, lei col viso rosso per la fatica che tentava di sparare con una pistola a pallini verso dei bersagli. Avevano circa dodici anni quando accadde. Dan non riusciva a dormire per via degli incubi sulla sua famiglia, così decise di fare un giro. «Devi rilassare i muscoli delle braccia» le disse. La bimba trasalì, non si era accorta della presenza di lui. Lo guardò, riconoscendo quel bambino che stava sempre in disparte e partecipava con anima e corpo agli allenamenti, per poi scappare via. Quel bambino che dietro il suo sguardo così assente che nascondeva chissà quale oscuro segreto, quel bambino che l'aveva sempre incuriosita. Lei annuì nervosamente, ma Dan disse qualcosa andandole alle spalle. L'aiutò ad impugnare l'arma, le allargò le gambe e le fece cambiare leggermente postura. «Prova adesso.» Lei sparò, centrando il bersaglio, esclamando come se avesse segnato il gol decisivo in una finale di calcio.
«Sei stata brava.» disse Daniel, sorridendole. Era la prima volta che sorrideva a qualcuno che non fosse Victor, ma quella bambina riuscì a fargli muovere le labbra. Dopo quella sera i due passarono più tempo insieme, fino a fare ogni cosa in due. Dan iniziò a sperimentare la cucina, sporcando tutto o impastandosi i capelli, ma serviva sempre il pranzo alla ragazzina che rispondeva sempre con un sorriso. L'essere cresciuti insieme li rese quasi fratelli, un rapporto che raramente si creava in quelle circostanze. Si ritrovarono ad uscire per le vie cittadine insieme, mangiando in scadenti fast-food e parlando di quanto fosse avventata la scelta di far morire un determinato personaggio in una serie tv o un libro. Si ritrovarono ad uscire in missione insieme, con Lexi che finiva spesso per salvare la vita al ragazzo, o viceversa.
«Terra chiama Daniel!» fece Lexi, risvegliando il ragazzo dai suoi pensieri. «A che pensavi?»
«Niente.» si affrettò a dire lui, non potendo di certo ammettere che stava fantasticando su quanto fosse bella e stava ripensando a lei durante tutti i loro momenti passati insieme. Lexi parve pensarci su, per poi rispondere: «Se un ragazzo risponde niente, significa che ha sul serio il vuoto siderale nella testolina.»
«Divertente.» disse lui, mentre un sorriso gli si disegnava sul volto. Fece scivolare la sua mano intorno a lei, carezzandole il fianco, cosa che lei parve apprezzare molto, dopotutto era risaputo che apprezzava quel genere di cose.
«Hai mai pensato come sarebbe stato il mondo se non fossimo stati Nezakh?» chiese lei.
«Si. Son sicuro che avrei affittato un camper produrre meth blu.»
Lexi sorrise, divertita. Immaginò Daniel senza capelli, ma ricacciò indietro quel pensiero. «Daniel Walker il nuovo Heisenberg!»
«Non Daniel Walker» fece lui «bensì Walker White.»
«Non so quanto sia pessima. Ti servirebbe comunque un Jesse Pinkman, non trovi?»
«Certo che no. Ho la mia Lexi Pinkgirl, qui.»
Lexi non riuscì a trattenere una sonora risata, chissà comunque come sarebbe stato... forse non avrebbe mai conosciuto Dan, non riuscendo ad immaginare comunque una vita senza di lui. 
«Lexi?»
La ragazza si voltò nuovamente verso Dan, che stavolta sembrava preoccupato per qualcosa, non seppe decifrare  a pieno quella sua espressione. Forse aveva avuto il suo stesso pensiero, ma ne dubitava, Dan non avrebbe mai pensato qualcosa del genere, proprio perchè non la vedeva nello stesso modo. Come biasimarlo? Erano cresciuti insieme, non poteva prendersi una cotta per lei, o peggio, innamorarsi. Ma lei lo amava? Non seppe rispondere, di certo quando lui non c'era, lei sentiva un peso enorme sul cuore, mentre quando lui era con lei, beh, quel peso si scioglieva divenendo uno sciame di farfalle che la riempiva in tutta la sua interezza.
«Da dove pensi che nascano i Wendigo?» chiese il ragazzo, mentre lei si aspettava ogni cosa, tranne quella sorta di domanda. Ci pensò su, rendendosi conto di non averci mai riflettuto. All'accademia Nezakh spiegavano che i Wendigo erano esseri demoniaci nati dai sentimenti negativi dell'uomo, esseri che si nutrivano di carne umana come punizione divina per i peccati degli uomini. Ma Lexi non era troppo credente di quella teoria, così come non credeva in qualche religione, dopotutto, quale Dio avrebbe permesso quei mostri?
«Non lo so.» si limitò a dire lei, sincera. Dan si aspettava quella risposta, ma non sapeva se dire alla ragazza quello che aveva visto. Non sapeva se raccontare di aver ucciso un bambino, con quel ricordo che lo tormentava diverse volte durante l'arco della giornata. Si disse che ormai non era più un bambino, era ormai un Wendigo, ma le cose erano poi così diverse? Ripensò a tutti i Wendigo morti per mano sua, per mano di Lexi, e gli fu naturale pensare che quei Wendigo erano in passato persone... questo li rendeva assassini o salvatori? Non seppe bene cosa rispondere. In quel momento un preciso pensiero gli balenò in testa: "Chi era la persona che ha sterminato la mia famiglia?" Probabilmente non avrebbe mai saputo dare una risposta a quella domanda. Quando pensava di trovare la sorella, la morte del Wendigo era sempre presente, ma non c'era nessun Wendigo che aveva rapito Karen... che aveva rapito Tessa, quindi il Wendigo chissà che fine avesse fatto.
«Ho visto una persona trasformarsi in Wendigo. Il padre di Simon ha subito la stessa sorte.»
Lexi sembrò cadere dalle nuvole, non riuscendo a credere a quelle parole. Tentò di controbattere qualcosa, ma Dan raccontò i file trovati da Simon, l'attacco del Flamboyant, l'incontro dell'ospedale. Lexi annuiva ad ogni frase, rendendosi conto solo dopo di aver ucciso delle persone, anche se erano ormai tutt'altro.
«Abbiamo solo ucciso il corpo, Dan. Le loro anime erano ormai morte. Sai come si dice, no? Gli occhi sono lo specchio dell'anima, sai che tipo di occhi hanno quei mostri.»
«Si. Si, hai ragione.»
La ragazza si voltò, mettendosi a cavalcioni su Daniel, che deglutì, non aspettandosi quella mossa. La vide lì, sopra di lui, e improvvisamente gli venne voglia di...
«Potrei trasformarmi anche io, proprio qui, proprio ora.»
Daniel si convinse che se fosse successo, gli sarebbe andato bene. Se Lexi lo uccideva, gli stava bene, solo se fosse stato lei a farlo, però. Il vento scombinò i capelli castani di lei, così Dan gli passo una mano sulla guancia, spostando quelle ciocche ribelli. Sentiva il cuore martellargli nel petto, così come lei, che sentì in quel tocco qualcosa di diverso, di caldo, qualcosa che non era da Dan, del suo Dan. Aveva voglia di chinarsi su di lui, di baciarlo, baciargli le guance, la fronte, quelle labbra che teneva dischiuse come se stesse aspettando che accadesse qualcosa, voleva semplicemente sparire dentro di lui. Dan tremò leggermente, con lo stesso pensiero in testa, un pensiero che lo tormentava. Si soffermò nuovamente sul collo di lei, per poi osservare le sue labbra rosa, labbra che voleva solo per lui. Lexi premette la guancia sulla mano di lui, come a voler sentire fin dentro le sue molecole quel tocco così delicato, chiuse gli occhi. Daniel riusciva a vedere le ciglia che si posarono sulla parte alta della guance, come piccole piume che accarezzavano quel volto così idilliaco. Sentiva il respiro caldo di lei sulla mano, respiro affannato, irregolare. 
"L'ha sempre fatto Lexi, stavolta non è diverso. Vi siete sempre coccolati, sei solo un'amica" le diceva la vocina dentro la sua testa. Odiava essere sua amica, odiava tutto quello che erano, voleva di più, di più. Se solo avesse saputo quello che il ragazzo pensava, provava. Quello che Dan aveva sempre tenuto a bada perchè preso da altre cose, quello che Dan non sapeva, o forse più semplicemente non accettava. Per non metterla in pericolo, per non ferirla... ma adesso tutti quei muri erano caduti, e Dan adesso voleva prenderla a sè, sentire il corpo di lei contro il suo. 
Lexi si chinò, mettendo il viso contro il collo di lui. Odorava di erba, sale e balsamo alla lavanda, odorava di buono, odorava di Dan. Spinse ancor più il suo viso contro lui, come a volersi nutrire di tutto quello. Il ragazzo spostò le sue mani intorno a lei, cingendola in un delicato abbraccio, diverso da quello che si erano scambiati quando si videro, o forse, soltanto una naturale evoluzione che entrambi volevano. O lo voleva solo lui?
Lexi si staccò, aveva gli occhiali appannati, cosa che fece sorridere il ragazzo. La ragazza sorrise a sua volta, poggiando la fronte contro quella di lui. Entrambi adesso respiravano il respiro dell'altro, non chiedendo nient'altro. Lexi non riusciva più a formulare pensieri logici, mentre Dan, beh, Dan aveva il cuore che batteva così forte che stava per sfondargli il petto. 
Improvvisamente Lexi fu attirata dal nitrito di Cream, la sua puledra, mentre il suo telefono squillò: sua madre. Lexi si mise a sedere, rispondendo con voce roca, come se avesse appena finito una maratona. «Penso che Cream stia male, non smette di lamentarsi.» disse la sua genitrice, dall'altro capo del dispositivo. «Si, ho sentito. Corro da lei.»
Lexi si alzò, seguita da Dan. Iniziarono a correre nella direzione delle stalle, guardandosi come se poco prima, non fosse mai successo nulla.


Qualche attimo prima, nelle stalle, Jake stava camminando attraversato da dolori in tutto il corpo. Prese la fiala medicinale dalla tasca, notando che era l'ultima. Si sedette dentro un box vuoto, ansimando. La stalla comprendeva quattro box, ma solo uno era occupato da Cream. La famiglia in passato aveva avuto altri cavalli, ma la puledra di Lexi era l'unica rimasta. Nonostante tutto era un luogo molto pulito, fatto di legno grigio che sembrava abbastanza pregiato. Cream muoveva i zoccoli, irrequieta, mentre fissava Jake con la schiena poggiata al muro. Si rialzò, aiutandosi con la parete. Osservò la fiala decorata con il logo dell'albero in fiamme, successivamente spostò lo sguardò sulla mano libera, che era piena di vesciche che iniziarono a sanguinare. Le vene erano diventate nere, così come le unghia, mentre la pelle iniziava a consumarsi, come una mano che veniva bruciata sul fuoco vivo. Jake tremava, cadendo a terra. La mano fu attraversata da diversi spasmi, e i suoi occhi cambiarono colore per nanosecondo. Imprecò qualcosa, mentre il cavallo iniziò ad agitarsi a quella vista così strana. Jake trangugiò avidamente la medicina, con la mano che smise di sanguinare. Aveva la fronte sudata, il respiro pesante. 
«Mi resta poco tempo.» sentenziò alla fine, chiudendo gli occhi, esausto e disperato.

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Capitolo 12
*** A Phantom Pain ***


L'unico sapore che John riusciva a sentire al momento era quello del sangue e del ferro, misto a paura, adrenalina e preoccupazione. Sentiva il vociare dei soldati, che stavano controllando la situazione. Lui era finito sul corpo di Brandon, che aveva un foro che gli trapassava la testa. In quel momento l'odore del sangue e di morte lo riempì fino alle ossa, rischiando di farlo urlare. Non pensava certo che sarebbe finita così, non pensava che avrebbe visto suo padre morire in un modo così orribile. Un dolore sordo gli attraversava tutta la spalla destra, spalla che sentiva umida e calda, pulsante. Il sinistro era intrappolato sotto le macerie di un muro crollato. La sua mente vagava in cerca di soluzione, ma la meta finale di quello sciame di pensieri era sempre il dolore e la consapevolezza di star morendo, la consapevolezza di rivedere suo padre, sua madre. Forse non doveva essere così male lasciarsi andare al tocco gelido della morte. Ma non poteva arrendersi così, Vincent era ancora lì, era vivo... non poteva arrendersi mettendo a rischio la vita del suo amico. 
«Sono morti?» chiese uno dei soldati, con voce disturbata dalla maschera antigas. Erano in tre, vestiti di nero e armati fino ai denti. Fucili d'assalto M4 con lanciagranate, diverse granate dagli svariati effetti e giubbotti antiproiettile. Uno di loro ripose il fucile sul fianco, e afferrò una pistola d'ordinanza. «Ce ne accerteremo a modo nostro.»
John era ancora immobile, ma sapeva cosa intendesse quel soldato. Volevano sparare ancora, giusto per essere sicuri di non lasciare superstiti. L'adrenalina lo teneva sveglio, reattivo. Iniziò a tastare il terreno sotto di lui con il braccio libero e finalmente trovò la pistola hìche stava cercando, con un rapido movimento si posizionò e sparò in successione tre colpi. Due finirono sulla testa dei soldati, che caddero senza vita sul pavimento, mentre uno finì sulla spalla, fortunatamente non sul giubbotto. Il soldato indietreggiò imprecando, sparando un paio di colpi che finirono sul fianco e sulla gamba di John, che tuttavia rispose con un quarto sparo, che stavolta andò a segno. Si lasciò cadere nuovamente all'indietro, battendo la testa contro il corpo senza vita di Bran. Iniziò a ridere in modo isterico, i denti erano rossi per via del sangue, mentre il dolore si estendeva in tutta la zona inferiore del corpo. Un braccio sotto le macerie, una spalla perforata e un fianco e una gamba in pessime condizioni. 
Era finita.
Fissò il soffitto, adesso la risata era scemata. Si concentrò su diverse cose, ma l'attenzione svaniva poco dopo. Il dolore al braccio sinistro ormai era solo un lontano ricordo, probabilmente se sarebbe sopravvissuto quel braccio era ormai da buttare. Non avrebbe mai immaginato di vivere senza un braccio, non voleva immaginarlo, ma quel pensiero iniziò a farsi strada dentro di lui, sostituito nuovamente dalla consapevolezza della morte.
Passarono interminabili minuti, aveva gli occhi chiusi. Dentro di lui ascoltava conversazioni che aveva avuto in passato, i momenti con Vincent e Daniel, le sue prime cotte, i discorsi col padre, la verità sui Sephiroth, sul Re, sui Wendigo. Il non potersi esporre, il non poter rivelare la verità a nessuno per non metterli in pericolo... chissà come sarebbe stata la sua vita se fosse rimasto fedele all'organizzazione. Avrebbe avuto una ragazza, una moglie? Dei figli, forse? Improvvisamente sentì la voglia di provare tutto quello che aveva perso, di restare con suo padre e vivere insieme a lui la loro vita, la gioia di dargli dei nipoti, una ragazza, o anche solo la gioia di farlo arrabbiare. Tutto era così lontano, indistinto. Sentì dei rumori, voci confuse che chiamavano il suo nome. Non riusciva a capire chi fosse... forse era già morto.
«John! Maledizione!» era la voce di Vincent, che si era ripreso da quella botta in testa. Gli fischiavano le orecchie, mentre un dolore dietro gli occhi lo faceva quasi svenire, ma era vivo, quella era l'unica cosa che contava.
John sorrise, un sorriso rosso sangue. «Non pensavo saresti stato tu...»
Vincent scosse la testa, incerto. «Io cosa, John?»
«A darmi l'ultimo saluto... Volevo una vita lunga, lo ammetto. Piena di soddisfazioni, magari morendo nel mio letto insieme alle persone che avrei amato. Però ci sei tu... non che tu non vada bene, ma avrei preferito... una bella ragazza.»
«Non stai morendo.» Vincent era allarmato, alla ricerca di qualcosa da fare. Stava per spostare l'amico, ma notò i detriti sopra il suo braccio. Tentò di sollevarli, ma non aveva la forza per farlo. Era sfinito, troppo debole per quello sforzo. 
«Credo che dovresti... amputarlo. Ma ti prego, non farlo. Ormai è finita.»
Vincent sapeva che aveva ragione, aveva notato il colore e le ferite di quel braccio, aveva notato la brutta infezione che stava prendendo vita mentre il suo amico la vita, la stava perdendo. Non seppe dire quanto restò senza sensi, ma fu abbastanza per aggravare le condizioni di John. Corre nella stanza vicina, afferrando la sua spada bianca dall'armadio e la adagiò sul braccio dell'amico, che riprese a ridere, stavolta in modo più sereno.
«Non perder tempo. Poi non voglio essere vittima di un dolore fantasma... sai che se perdi un arto poi senti dolore in un punto che non è più lì con te? Sai che sentiresti le dita della mano muoversi? Quanto è buffo... il dolore fantasma. Non deve essere bello...»
«Non lo è. E non intendo provare un dolore fantasma che equivale alla perdita di un amico.»
John tossì, sputando sangue, ma questo non gli fece perdere il sorriso dal volto. Scosse la testa, ormai rassegnato. «Quel dolore mi permetterà di vivere in eterno... Vince, ascoltami ti prego. Loro sono il vero corpo Sephiroth...» disse, indicando con un cenno del capo i soldati morti. Vincent sembrò notarli per la prima volta, e con suo estremo orrore notò il simbolo dei Sephiroth sul braccio di ognuno di loro, simbolo che tuttavia, presentava un dettaglio in più.
«Loro sono i Daat... l'undicesima Sefira al servizio del Re. Devi sapere la verità, Vin. Devi... sapere.»
Vincent chinò la testa, fissando la moquette. Era ormai zuppa di sangue, e avrebbe voluta colpirla violentemente per non assistere a quella scena.
«Il Re... Igor Alekseevič Djatlov...»
«Cosa? Igor Djatlov è morto nel 1959... lo sanno tutti. La sua morte è passata alla storia come "L'incidente del passo Djatlov."»
John sorrise. «Igor è sopravvissuto. Lui... ha fatto un patto con la creatura che ha sterminato la sua spedizione... sai no? Tutti sono stati trovati morti in condizioni paranormali...»
«Wendigo...» sussurrò Vincent, non rendendosi conto di quanto fosse ovvia quella storia. I Wendigo era una leggenda ben radicata nella cultura popolare di massa, seppur sconosciuta ai molti o conosciuta in diverse forme, come le leggende del Big Foot o del Chupacabra. L'incidente del passo Djatlov narrava di un gruppo di escursionisti morti in circostanze misteriose presso il monte Cholatčachl'. Furono trovati con lingue mozzate, con bruciature o che fuggivano senza vestiti, nonostante la temperatura fosse di diversi gradi sotto lo zero e la neve riempisse tutto. Ma era abbastanza sicuro che il corpo di Djatlov fosse stato trovato.
«So a cosa pensi... il suo corpo è stato trovato... ma ti sbagli. Tutto insabbiato, come da tradizione. Il punto è... sono i Sephiroth a creare i Wendigo. Oltre Nezakh, Hokmah, Tiferet e il resto... esiste una delegazione segreta chiamata Daat. Loro... loro sperimentano su cavie umane, fino a creare quelli che poi, noi ignari Nezakh... cacciamo. Vogliono creare un esercito di Rango S, i Puri, od Originali. Vogliono far rinascere la razza Originale dei Wendigo, quella capace... di mutare forma, di mimetizzarsi a noi. Quella capace di pensare, di agire... i cosiddetti... Uomini di Ghiaccio.»
Vincent sembrava aver ricevuto diversi colpi in pieno viso, scuoteva la testa, convinto che l'amico stesse delirando. Ma in cuor suo sapeva che aveva ragione, dopotutto perchè cacciare i Sephiroth che andavano via? Perchè inviare una squadra ad uccidere Bran, John... e anche lui? Perchè parlare del Re era così proibito? Tutto aveva senso... tutto aveva perso senso. I Wendigo da lui cacciati erano stati creati dalla stessa organizzazione che credeva fare del bene, quei Wendigo in passato erano persone.
«Devi... Vincent, ricordati. In Keter Daat risiede. Devi...» tossì ancora, sputando ancor più il sangue. Vincent si chinò, con l'amico che finì la sua storia in mezzo ai sussurri, passando una mano insanguinata sul volto di lui. Vincent deglutì quando sentì il respiro di John scomparire, la mano allentare la sua presa e il bagliore nei suoi occhi spegnersi. Gli passò la mano in viso, chiudendogli le palpebre, mentre lui restò in ginocchio per un intero minuto, fissando i suoi due amici che ormai non erano più lì. Si rialzò, convinto a seguire il consiglio di John, convinto a continuare la sua battaglia. Afferrò armi e armatura dei Daat e si specchiò, notando il suo corpo viso imbrattato di sangue. Espirò, cacciando un pugno che frantumò lo specchio, così come le sue stesse convizioni e il suo stesso passato.


Daniel e Lexi erano finalmente arrivati alla stalla, osservando tutto quello che potesse apparire strano, ovvero nulla. Tutto era a posto, così come Cream che sembrava più tranquilla. La puledra fissò Daniel, per poi sbuffare. «Vorrei tanto sapere cosa le ho fatto di male.» disse lui, alzando un sopracciglio. Lexi accennò un sorriso, osservando prima Cream e poi lui. «Non saprei, le hai mica rubato del cibo?» Il ragazzo parve pensarci su per qualche momento, poi rispose con naturalezza «cosa mangiano di preciso i cavalli?»
«Ignorante.» rise lei, continuando a guardarsi intorno. Da fuori entrava un venticello fresco che le scompigliava di poco i capelli, mentre Daniel dietro di lei si perdeva nelle linee del suo corpo. Si costrinse a guardare altro, spostando lo sguardo verso il cavallo che lo fissava, con il ragazzo che rispose a quello sguardo. I due continuarono così fin quando Lexi non si voltò, restando di sasso. «Dan, cosa stai...?»
«Le dici di smetterla di fissarmi? Mi mette in imbarazzo. Non vorrei che sia anche lei ignorante da non sapere cosa mangiare, vedendo me di fatto come la sua cena. Avendo te come padrona potrei aspettarmi di tutto.»
«Infatti. Sei fortunato che non le ho mostrato come uccidere una persone in trentadue modi diversi usando un bicchiere di plastica.»
«Non erano trentacinque?» chiese lui, poggiandosi alla struttura di un box.
«No» rispose Lexi «trentacinque se uso un bicchiere di vetro, sai com'è.»
«Mh-mh.» fece lui. Si voltò, fino a quando delle gocce di sangue attirarono la sua attenzione. Mostrò la scoperta alla sua amica, che non capiva da dove provenissero. Cercarono per così tanto tempo da essere sudati e stanchi, così il ragazzo annunciò di voler andare a fare una doccia, anche perchè quella vicinanza con Lexi lo stava facendo impazzire, non che avesse voglia di far molto con quella puledra scatenata di Cream che li fissava. Sarebbe stato... inquietante. Il ragazzo abbandonò la stalla, mentre Lexi sbuffava. «Probabilmente resteremo solo amici, eh Cream?»


Daniel arrivò alla tenuta, entrando velocemente e salendo le scale. Arrivò al primo piano, osservandosi intorno. Il corridoio che lo attendeva era interamente bianco, con il legno che odorava di nuovo. Qualche mobile arredava quello spazio, che nonostante tutto restava libero. Dan si soffermò per qualche secondo sulle foto che erano appese sul muro: Lexi da piccola, Lexi con Jake, Lexi e la sua prima cavalcata su Cream-la-pazza. I genitori di lei, la tenuta in costruzione, una foto a Parigi. Tutto molto bello. Sorrise e si diresse verso la sua camera, passando da una porta aperta.
«Dan?» si sentì chiamare, così entrò nella stanza appena superata. Tessa era seduta sul letto che leggeva un libro. Indossava una canottiera e dei pantaloni del pigiama, i capelli biondo cenere arruffati. Dan pensò di aver capito cosa era successo e il rumore dell'acqua che proveniva dal bagno adiacente era un'ulteriore prova, ma non disse nulla.
«Che leggi?» chiese lui, scompigliando ancor di più i capelli di lei.
«Lady Midnight.»
Daniel sorrise, pensando che la sorella fosse praticamente la sua copia in fatto di gusti letterari. «Shadowhunters, eh?»
Tessa strubuzzò gli occhi. «Tu leggi Shadowhunters?»
Daniel rise. «Andiamo vado a caccia di mostri, dimmi se non sono un Jace più figo!»
«Sei più Julian, ma dubito che tu sia figo quanto lui!»
Il ragazzo fece il finto offeso, facendo ridere la sorella che posò il libro sul letto. Ancora non ci credeva che l'avesse così vicina, era tutto fin troppo bello, ma lei era lì, a pochi centimetri da lui. «Ti ho cercata per così tanto tempo...» disse lui, con voce solenne. Lei gli sorrise, afferrandogli la mano. «E io pensavo cose orribili. Per 10 anni. Adesso eccomi qui, con mio fratello. Mio fratello che caccia mostri e fa l'eroe, ma pur sempre mio fratello.»
Lui rise, abbracciando la sorella. I due rimasero così per un periodo di tempo indefinito, ma ad entrambi quell'abbraccio serviva. Un abbraccio che li consolava, un abbraccio che li legava come non mai e sanciva un nuovo inizio. Un abbraccio che nascondeva dieci anni di dolore, ricerca, amore. Un abbraccio capace di distruggere le fondamenta di un intero palazzo. 
«Somigli alla mamma.» disse lui.
«Quanto vorrei avere una sua foto...» disse lei, con tono malinconico. Daniel ne conservava un paio nella base Tiferet, almeno l'ultima volta le aveva lasciate là, così disse alla sorella che gliene avrebbe procurata qualcuna. Successivamente Tessa parlò di Simon, spiegando che stava facendo una doccia dopo aver riposato, ma la messinscena cadde quando Daniel si mise a fissare dei preservativi che erano finiti sul pavimento. La scena si concluse con Tessa che farfugliava qualcosa rossa in viso e Daniel che tentava di spiegarle che era una cosa normale, non che servisse la storiella sul sesso ovviamente! Il siparietto venne interrotto da Simon che uscì dal bagno, con vestiti puliti addosso. Vide il ragazzo e lo saluto con un cenno della mano. «Ehy.» Simon si avvicinò, notando l'espressione dei due ragazzi. «Uhm... se volete torno in bagno a lavarmi un'altra cinquantina di volte, giusto per farvi finire.»
«Ma no.» sorrise Daniel. «Abbiamo finito.» 
Baciò la sorella sulla fronte, per poi carezzarle la guancia. Lei parve apprezzare quel gesto intriso di dolcezza. Dan si avvicinò infine a Simon, poggiandogli una mano sulla spalla, gesto semplice, ma che racchiudeva in sè miliardi di parole non dette, concetti e anche velate minacce. «Grazie Simon.»
«Per cosa?» rispose lui.
«Per esserti preso cura di lei.»
Simon osservò Daniel, poi il suo sguardo finì su Tessa. «Ti sbagli, è lei che si è presa cura di me.»


Daniel sentiva l'acqua bollente scivolargli su tutto il corpo. Era una sensazione piacevole, soprattutto dopo una giornata strana come quella. Ripensò alla fabbrica, a Tessa, infine Lexi... quei momenti sul prato, quelle sensazioni... improvvisamente si sentì più bollente di quell'acqua che lo bagnava. Chiuse la manopola che regolava il gettito e si asciugò velocemente, premurandosi di avvolgersi quella tovaglia intorno alla vita. Si specchiò come meglio poteva, passando la mano sulla cicatrice, ripensando a chi potesse essere il Wendigo che l'aveva attaccato, ma era troppo rilassato per concentrarsi su quei pensieri, quei ricordi.
Uscì dal bagno, dirigendosi verso l'armadio. Aveva messo la musica, che suonava Smells Like a Teen Spirit dei Nirvana, una canzone che amava. Mentre canticchiava il ritornello sentì un rumore alle sue spalle, così istintivamente si voltò.
Lexi.
La ragazza balbettò qualcosa, ma Dan gli disse di restare, dopotutto non era la prima volta che lo vedeva in quelle condizioni, certo, mai nudo, ma in accappatoio si. Lexi osservò la sua figura snella, scivolando sul suo corpo con lo sguardo, ma l'unica cosa che sentiva era lo sguardo di lui che le scrutava l'anima.
«Tutto bene?» disse lui avvicinandosi a lei, che richiuse la porta alle sue spalle. «Si... solo che pensavo a quel sangue sulla stalla e...» non finì mai la frase. Dan aveva poggiato le sue labbra in quelle di lei, che si dischiusero poco dopo. I due si baciarono dolcemente, ma l'attesa di quel bacio fu così tanta che la dolcezza lasciò spazio alla passione, trasformandolo in un bacio famelico, come se volessero nutrirsi l'un dell'altro. Lui la spinse contro il muro, mentre le sue mani le carezzavano il corpo. Le mani di lei scesero sulla sua schiena, toccando la pelle nuda. Sentiva le cicatrici sulle spalle, sulle braccia, la cicatrice a forma di morso sul fianco... era come se lo toccasse per la prima volta. Dan le tolse la maglietta, portando le mani sul gancio del reggiseno, ma si bloccò di colpo. «Vuoi...?» le sussurrò, in un tono così dolce che avrebbe sciolto chiunque. Dolcezza mista a desiderio. Lexi sentì quel sussurrò sfiorarle la guancia, sentiva l'odore di balsamo di lui, sentiva di essere al settimo cielo, o forse ancor più su.
«Si.» rispose lei, incollando nuovamente le labbra a quelle di lui. I due finirono sul letto, togliendosi in poco tempo i vestiti. Non che per Daniel ci volesse molto, dato che aveva solo una tovaglia a coprirlo. Lui le baciò il collo, scese sulle spalle, girò verso i seni per poi tornare su. Si sorrisero, poi ripresero a baciarsi con trasporto. Dan passò una mano sulle gambe di Lexi, togliendole in un paio di secondi l'intimo che li separava, fin quando non divennero una cosa sola. Lui gli morse le labbra, cosa che la faceva impazzire, mentre lei le avvolse le gambe intorno alla vita. SI sussurrarono qualcosa, ma era come se non riuscissero a sentirsi. L'unica cosa che entrambi sapevano è che volevano quel momento, si volevano e adesso erano lì, appartenendo l'uno all'altra. Stettero così per almeno un buona ora, fin quando Daniel non la guardò negli occhi, sussurrandole: «Ti amo, credo di averlo sempre fatto. Ma era troppo stupido per accorgermene.»
Lexi sorrise, specchiandosi negli occhi di lui. «Dillo ancora.»
«Ti amo.»
Lexi lo baciò. «Anche io.»

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Capitolo 13
*** Decode ***


La mano di Daniel carezzava dolcemente la spalla di Lexi, che di tutta risposta teneva gli occhi chiusi e sorrideva. I due erano ancora a letto, coperti solo da un leggero lenzuolo bianco, fresco al tatto e piacevole da sentire sulla pelle. I ragazzi erano rimasti avvinghiati per davvero tanto tempo, fortunatamente nessuno aveva avuto la piacevole idea di irrompere nella stanza rovinando quell'atmosfera che si respirava. 
«Ci vorrebbe una sigaretta.» esclamò Daniel, con aria pensierosa ma al tempo stesso estremamente seria. Lexi lo osservò dubbiosa. «Ma tu non fumi.»
«Lo so.» sorrise. «Ma fa atmosfera. Cioè, in tutti i film dopo aver fatto le cosacce si fuma una sigaretta, chissà per quale arcano motivo.»
«Le cosacce? Hai detto seriamente "le cosacce?"» chiese lei, mentre cercava di trattenere una risata che, alla fine, ebbe la meglio. Daniel rise insieme alla ragazza, rendendosi conto di essere in una situazione così bella e surreale da non riuscire a prenderla sul serio.
«Ciò non toglie che la sigaretta fa atmosfera.»
«Si, anche nel poker fa atmosfera. Hai mai visto una partita di poker senza un banco di fumo sopra il tavolo?»
«Saranno diversi tipi di atmosfera. Anche se in entrambi i casi ci sono le coppie.»
Lexi si sollevò leggermente, adagiandosi con la testa su di lui, che ricambiò poggiandole una mano sulla sua chioma castana. Era un gesto che si ripeteva miliardi di volte tra loro due, sin da quando erano piccolini e avevano dormito la prima volta assieme, per scappare entrambi da qualche incubo, anche se, era sempre Daniel quello ad alzarsi di notte in preda a qualcosa di oscuro, qualcosa che Lexi adesso sapeva. Col passare del tempo Daniel riuscì a mantenere la calma, ma le dormite assieme restavano, con lui che si rilassava a carezzare i capelli di lei.
«Non solo le coppie...» disse lei.
«Fortunatamente noi non avremo mai dei terzi incomodi. Finirebbero per essere brutalmente uccisi.» disse lui, serio. Lexi sorrise.
«Allora è vero che sei geloso.»
«Solo delle cose di cui mi importa. Sarò geloso anche di Ice, il nostro futuro Siberian Husky. E di Christopher, nostro figlio.»
Lexi scattò in piedi sul letto. Letteralmente in piedi. Daniel la osservò. Era bellissima, certo, il fatto che non indossasse nulla aiutava molto a renderla più bella di quanto non fosse già, ma era davvero bella. A quella vista Dan arrossì leggermente, nonostante i due avessero praticamente fatto tutto poco prima. Si concetrò sui suoi occhi, osservò la sua bocca che si piegava in un sorriso, le sue guance... ah, quanto era fortunato.
«Frena, Rambo! Non abbiamo mai parlato di avere un cane! Per quanto ne sai potrei essere allergica al loro pelo.»
Daniel si sedette, afferrando la ragazza e buttandola violentemente sul letto, bloccandola in una presa leggera. «E' inquietante il fatto che tu non abbia contestato sul nostro futuro figlio. Poi sei allergica solo alle noci.»
«E' inquietante il fatto che tu ti ricordi a cosa sono allergica.»
«Beh, se un giorno mi lasci posso sempre lanciarti le noci contro per pura vendetta.»
Lexi si fermò un attimo, anche se tecnicamente non aveva molta libertà di movimento dato che era ancora bloccata nella lenta presa di Daniel. «Ti lascio? Quindi io e te stiamo...»
Dan lasciò la presa, indicando con fare teatrale il letto e alludendo al fatto che entrambi fossero nudi. «Non vado mica a letto con qualunque cosa si muova.»
«Ah tu no? Perchè io...»
Lexi non finì la frase che si ritrovò un cuscino sul volto, iniziando l'ennesima battaglia di cuscini. La cosa durò per un paio di minuti, fino a quando in stanza non entrò Jake, che notando i due in quelle condizioni, uscì senza dir nulla. Lexi imprecò, mentre Dan la incitava ad andare, cosa che lei fece dopo essersi rivestita. Successivamente fu Daniel ad imprecare, seppur con un lieve sorrisino soddisfatto in viso.


Lexi incontrò Jake che camminava sul prato poco lontano dalla tenuta. Era serio in viso, indossava una canottiera nonostante la temperatura si fosse abbassata di un bel po' di gradi e aveva una mano fasciata, con le bende sporche di sangue. Era pallido in viso, sudato, con espressione sofferente.
«Jake?» disse lei, raggiungendolo.
«Potevi finire benissimo di farti scopare dal tuo amorino invece di correre da me.»
Lexi sembrò aver ricevuto uno schiaffo in pieno volto, non tanto per la frase in sè, ma per il fatto che Jake non si era mai rivolta a lei così, anche quando era visibilmente cotto. Gelosia? Possibile? No, non avrebbe senso, o almeno credeva.
«Potresti evitare di parlare a sproposito.»
Jake rise. «Ma sì. Meglio evitare. Cosa ti porta da me, dolce fanciulla?»
«Volevo solo parlare, sei praticamente entrato e scappato via.»
«Forse non volevo vederti, non trovi? Ogni qualvolta che mi sei attorno non ti sopporto. Non ti ho mai sopportata. Soprattutto adesso, con mister Daniel qui tra noi. Con la sua sorellina ritrovata. Ah, che bel quadretto familiare! Lo preferivo da depresso con una vita schifosa, forse è meglio toglierla di mezzo quella Tessa, non prima di averle dato due colpi, tanto quel Simon non ha l'aria di uno che reagisce se gli rubano la ragazza.»
Lexi non rispose, fissò semplicemente Jake con disprezzo, fino a dargli uno schiaffo in viso, lasciandogli l'impronta della mano. Non riusciva a credere alle sue orecchie, proprio no. Il ragazzo che aveva davanti non poteva essere la stessa persona con cui era cresciuta, la stessa persona con cui aveva riso, con cui si era confidata. Quella persona che si era preso una cotta per lei per poi diventare praticamente un migliore amico, un fratello. Un ragazzo che nonostante non si vedessero da anni, dopo qualche secondo sembravano recuperare ogni mancanza. Quel ragazzo che fino a pochi giorni prima dell'arrivo di Daniel era lo stesso, dolce, premuroso Jake. Pensò che probabilmente il ragazzo avesse litigato con Dan, ma i due non si erano praticamente parlati. Era semplicemente impazzito? O era davvero geloso? Si ripetè ancora che non poteva esserlo, conosceva il Jake geloso, non era così strano, scontroso... non lo sapeva, non voleva nemmeno saperlo, si limitò a girarsi ed andare via, mentre Jake le urlava qualcosa di poco carino contro. Si rintanò in cucina, dove i suoi genitori stavano conversando con Victor, che annunciò di dover tornare alla base per sistemare le ultime faccende. 


Daniel intanto si era rivestito. Uscì dalla stanza, incrociando Tessa e Simon che si apprestavano a fare una passeggiata nella natura. «Poi dobbiam parlare!» disse ridendo Dan a sua sorella, che gli sorrise di rimando, mentre Simon fece l'occhiolino al ragazzo.
«Stavo per dirti la stessa cosa, sappiamo abbastanza.»
Daniel rise. «Allora mi risparmio i dettagli!»
«Affatto, vogliam sapere tutto.»
Daniel annuì, accompagnando i due fuori, per poi dividersi. Dan camminò verso una figura in lontananza, che riconobbe essere Jake, mentre Tessa e Simon andarono nella direzione opposta. Man mano che si avvicinava era abbastanza sicuro di vedere anche Lexi, ma notò che il ragazzo era da solo con il pugno poggiato ad un albero, il solito albero dov'era solito riposare. Che strano, pensò. Avevano già finito di parlare? Beh, c'era un solo modo per scoprirlo.
«Dov'è Lexi?» gli chiese, appena arrivato.
«L'ho mandata via.» rispose lui, secco. Non lo guardò nemmeno in viso, anche se sembrava stranamente teso.
«Ascolta, riguardo-»
«Fermo.» rispose Jake, staccandosi dall'albero e puntando un dito verso Dan. «Se vuoi parlare facciamolo lontano da qui.» detto ciò, Jake si allontanò, con Daniel che si vide costretto a seguirlo.


Camminarono per almeno dieci minuti, entrando in una rete di alberi più fitta di quella che c'era vicino casa di Lexi. Proseguirono per altri cinque minuti, finendo in uno spiazzale con alle spalle un piccolo ruscello, mentre alle loro spalle un muro di alberi bloccava la visuale. La natura faceva da padrona in quel luogo, con Dan che si accorse che dopotutto, Jake aveva bei gusti per scegliere i posti dove discutere, o fare a pugni, su quello doveva ancora essere sicuro, dato che Jake non aveva proferito parola per tutto il tragitto. 
«Eccoci qua.» esclamò Daniel, fissando Jake.
«Già...» Jake estrasse una pistola, puntandola verso il ragazzo, che rimase immobile. «Eccoci qua.»
Dan deglutì, conscio di non avere vie di fuga. Era già la seconda volta in meno di quarantotto ore che aveva una pistola puntata contro, e ne aveva già abbastanza. Chiunque probabilmente avrebbe alzato le mani, o avrebbe cercato di fare qualcosa, lui invece non si mosse, si limitò a fissare impassibile Jake, nonostante la tensione si fece viva dentro di lui.
«Non ti sembra di esagerare? Capisco che Lexi ti piaccia, ma così è troppo.»
Jake rise, mantenendo la presa salda sulla pistola. Dalla postura era evidente il suo allenamento, il suo essere Nezakh. Era fermo, deciso, senza il minimo segno di esitazione, ma c'era qualcosa nel suo sguardo... qualcosa che tradiva la sua calma. Sembrava allarmato, spaventato, ma non voleva farlo notare.
«Non c'entra Lexi. O meglio, c'entra ma non come pensi tu, o lei. Se non lo faccio... ci saranno conseguenze. O almeno questo era quello che sarebbe successo prima, ma adesso è troppo tardi per me. Le medicine non hanno effetto, è finita.»
Dan non capiva. Medicine? Conseguenze? Di che stava parlando?
«A che ti riferisci?»
«Mi riferisco al mio compito. I Flamboyant mi hanno ordinato di catturarti, se non lo faccio prendono Lexi. L'ho trattata male, le ho detto cose orribili... dovevo tenerla al sicuro.»
Dan cercò di mantenere la calma, ma non era affatto facile. I Flamboyant era abbastanza palese che puntassero a lui, ma se avrebbero coinvolto la sua ragazza... no, era decisamente troppo. 
«Perchè lavori per loro?»
«Per la cura, ovvio no? La cura contro la trasformazione in Wendigo.»
Daniel trasalì, Jake se ne accorse. Quindi anche lui era stato infettato? Sempre se esisteva una sorta di infezione... secondo Victor i Flamboyant facevano esperimenti sugli umani, quindi Jake era forse vittima di questo esperimento? Era plausibile, dopotutto potevano minacciarlo direttamente così, ma a che pro? Jake abbassò l'arma, togliendosi la benda dalla mano. Dan notò la mano completamente emaciata, distrutta e sanguinante. La mano di un Wendigo. 
«Peccato che mi abbiano praticamente condannato. Ormai la trasformazione non si ferma... continua, continua.»
«Perchè vogliono me? Perchè sperimentano sulla gente?»
«Cosa? Oh, ti riferisci alla favoletta Sephiroth? I Flamboyant stanno cercando una cura. Sono i Sephiroth a creare i Wendigo.»
Dan scosse la testa. «Si, come no.»
«Vogliono te per creare l'antidoto. Noi siamo uguali Dan, ma tu sei quello puro.»
Il ragazzo non rispose.
«Proprio non capisci? I Sephiroth sono riusciti a creare un Wendigo di Rango S, quel Wendigo si chiama Daniel Walker.»
Dei brividi percorsero la schiena del ragazzo. Lui un Wendigo... non poteva essere vero. Jake stava mentendo, voleva semplicemente che credesse a quella farsa per portare a termine la sua missione. I Sephiroth che creavano i Wendigo poi, era la miglior falsità che il ragazzo aveva sentito in vent'anni. Che senso avrebbe cacciare coloro che crei?
«L'Uomo di Ghiaccio. Scommetto che lo conosci. E' un Wendigo Originale, colui che appare a noi poveri esperimenti... ma vedo che non sei convinto...»
Jake si alzò la maglia, mostrando una cicatrice sul fianco. La stessa cicatrice a forma di morso che Daniel possedeva. 
«Non è un morso. E' il taglio dell'esperimento. Le foto che Simon ha trovato non erano Flamboyant. Era una delegazione di Sephiroth che apriva la gente e li trasformava. Questa cicatrice... un memento dei Wendigo sperimentali... e tu, tu sei un Rango S. Daniel, i Flamboyant ti cercano per creare una cura, non vogliono ucciderti! Nel mio cellulare si trovano tutte le informazioni, ti prego di credermi... ma adesso per me è troppo tardi. Non posso stare con Lexi, con la sua famiglia... con voi. Mi sto trasformando e tu... tu dovrai uccidermi. Ti prego, uccidimi. Uccidimi e va da loro, scappa via prima di far del male a coloro che ami...»
Dan scuoteva la testa. Aveva gli occhi incollati alla cicatrice di Jake, non poteva essere un caso. Lui era... uno di Loro? No, no, no! Però, dentro sè sapeva che era vero, lo sentiva. Jake lo richiamò, lanciandogli la pistola. Dan afferrò l'arma, puntandola verso quel ragazzo che condivideva il suo stesso destino. «Non posso.»
«Ti prego...» Jake iniziò a piangere, lacrime che ben presto divennero insanguinate. I suoi occhi si tinsero di bianco e la ferita alla mano iniziava ad estendersi. «Ti prego...» sussurrò ancora, ma prima che la trasformazione continuasse, Dan premette il grilletto, perforando la fronte del ragazzo. Si avvicinò a lui, estraendo il cellulare dalla sua tasca. Cercò per qualche minuto, fino ad imbattersi in un fascicolo riservato. Quello che trovò era la conferma di tutto: Daniel da bambino, era disteso su un lettino di una sala operatoria. Intorno a lui un equipe medica armeggiava dentro il suo fianco, mentre un uomo di spalle fissava una lavagna luminosa con la dicitura "Previsione: Wendigo Rango S"



Note dell'autore:
Mi scuso per il ritardo, ma son stato mega impegnato e ho avuto anche la febbre... febbre che ancora mi accompagna! Purtroppo non ho i capitoli pronti, quindi li scrivo lo stesso giorno della pubblicazione, ma dovrei tornare puntuale alla pubblicazione nel weekend salvo imprevisti. Ne approfitto per ringraziare tutti coloro che seguono e recensiscono la storia, spero che sia all'altezza delle vostre aspettative. Quando avrò maggior tempo libero correggo anche gli errori di battitura dei capitoli precedenti, che ne hanno qualcuno sparso qua e là. (Ho la pessima abitudine di non rileggere, linciatemi, vi capisco.)
Passiamo alle curiosità time! Eccetto i primi quattro capitoli, il resto dei capitoli portano il nome di diverse canzoni, quindi andate a farvi una cultura musicale a suon di Sephiroth! 
With love, Marco/NeroNoctis



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Capitolo 14
*** The Man Who Sold The World ***



Daniel era immobile di fronte Jake, che giaceva sul manto erboso con un foro sul cranio. Sangue caldo e denso sgorgava copioso, tingendo di rosso il tappeto verde. Era incredibie come potesse essere così umano, anche da semi trasformato. In effetti tutti i Wendigo avevano il sangue rosso come da umani, forse era l'unica cosa che restava loro, un lascito della loro precedente vita. Dan non si sentiva in colpa per aver ucciso Jake, non si sentiva più in colpa per nessuna vittima... in verità non sentiva più nulla. Era tutto ovattato, così come le sue emozioni. Si sentiva svuotato, come se qualcuno avesse asportato via violentemente ogni suo organo interno, lasciando solo una gelida sensazione. Era un Wendigo, lui era come gli altri... si sarebbe trasformato? Avrebbe fatto del male alle persone che amava? Non poteva neanche immaginarlo, ma quella consapevolezza stava divorando tutto ciò in cui il ragazzo credeva, quel Wendigo latente stava già divorando le sensazioni, le emozioni di Daniel. L'immagine di lui da piccolo sdraiato mentre degli sconosciuti armeggiavano dentro di lui lo torturava, chiedendosi perché, perché proprio lui... perché ricreare un Wendigo? Troppi perché, nessuna risposta.
Continuo ad armeggiare col cellulare di Jake, cercando di tornare in sé, aggrappandosi alla sua umanità, uccidendo quel Wendigo che era assopito dentro di lui. Trovò vari messaggi, in cui i Flamboyant lo cercavano, con Jake che rispondeva che l'avrebbe trovato per salvare Lexi. I messaggi avevano tutti tono minaccioso, tranne l'ultimo, inviato in data odierna. Nel messaggio inviato Jake implorava aiuto, specificando che la trasformazione era già iniziata, quindi la morte di Daniel sarebbe stata vana, mentre i Flamboyant risposero che Dan non andava ucciso, ma serviva per creare una cura essendo lui un Wendigo di Rango S.
Rango S... i Wendigo delle leggende. I Sephiroth ne parlavano spesso, descrivevano il Wendigo perfetto dal cuore di ghiaccio, il Wendigo senziente in grado di cambiare forma, il Wendigo capace di cacciare come nessun abominio avrebbe mai fatto. Era lo stesso essere di cui parlavano i Nativi Americani nelle loro leggende, quelle creature nate dalla fame, dal cannibalismo e dagli incubi, creature nate dalla magia nera. Forse un tempo era possibile far nascere qualcuno dalla magia, ma adesso Daniel lo sapeva bene, quegli esseri che aveva sempre cacciato, quegli esseri che i Nativi Americani temevano, così come altri popoli conoscevano, erano frutto di sperimentazioni nel nuovo millennio.
Cercando nel cellulare trovò anche un filmato, girato quello stesso giorno. Non sapeva cosa contenesse, ma dall'anteprima si vedeva Jake. Lo aprì.
Jake era visibilmente affaticato, si guardava intorno, quasi impaurito. Iniziò a parlare:
«Lexi, se guardi questo filmato probabilmente sarò morto, o peggio... Sai, è strano filmare qualcosa sapendo che verrà guardata solo quando non ci sarai più, ammetto di aver rubato l'idea alla tv, con tutti quei programmi idioti che amo guardare. Ricordi quando da piccoli passavamo ore e ore a guardare i Simpson? Tanto che tu mi chiamavi Bart e io ti facevo i dispetti come lui li faceva a Lisa. Era tutto più semplice allora... adesso è tutto una merda. Siamo cacciatori di mostri, ci pensi? Forse non gli stessi mostri che ad otto anni combattevano insieme, aprendo gli armadi armati con ombrelli... ma è stato comunque un inizio. Pensare che i mostri in verità siamo proprio noi. Io sono il vero mostro, così anche Daniel. Probabilmente questa sarà una punizione maggiore per te, so quanto lui significhi per te, ne sono felice. No, non sono felice che anche lui sia come me, sono felice che provi questo per lui. Almeno ora, prima l'avrei fatto fuori. Ricordi vero? Sei stata la mia prima cotta, ma adesso so che tu per me sei più che una cotta, sei la persona a cui voglio più bene in assoluto. Sei una sorella, un'amica, sei quella che mi capisce. Probabilmente quando ascolterai questo in te ci sarà solo odio, sai, sicuramente ti dirò delle brutte cose, ma devo proteggerti da me. Tu sei forte abbastanza per proteggerti dagli altri. Il punto è che... non sono pronto per andarmene, non sono pronto per essere ciò che sono. Vorrei avere più tempo, vorrei andare a mangiare thailandese e vorrei percorrere la Route 66 in moto. Vorrei avere una vita normale da condividere con la ragazza che amo, che si, non ti ho mai detto nulla perchè sapevo che probabilmente non l'avrei mai avuta. Vorrei vedere te e Daniel coltivare il vostro amore, anche se quello lì è un po' stupido a non accorgersi di te. Ma lo farà, fidati, lo farà. Vorrei, vorrei, vorrei... non importa più ormai. Promettimi solo di esser forte Lexi, fallo per me, ma soprattutto, per te stessa. So che lo sei, ma adesso ne hai davvero bisogno.» Il ragazzo si passò una mano in viso, la stessa mano che era ormai trasformata. Subito dopo abbassò lo sguardo, sussurrò un "ti voglio bene" e il video si interruppe. Dan rimase impietrito da quelle immagini, ma non sapeva davvero come poterle consegnare alla ragazza. Non voleva tornare indietro, non voleva incrociare nessuno, per il loro bene. Capì che le parole di Jake ormai erano anche le sue parole, sapeva che era l'unico che poteva capirlo. E adesso si che si sentì in colpa per la sua morte, ma capì che era anche l'unico modo. Il cellulare squillò, facendolo sussultare. Numero Sconosciuto, rispose.
«Jake.»
«Sono Daniel.» rispose, cercando di decifrare quella voce metallica, anche se sapeva benissimo a chi potesse appartenere, ovvero quell'organizzazione che aveva conosciuto in modi non troppo rosei. Ripensò a Bran, John e Vincent, rendendosi conto di non averli più richiamati... probabilmente non avevano scoperto nulla e forse era meglio lasciarli fuori da quella storia. Ma se i Sephiroth creavano davvero Wendigo doveva avvertirli, no? Ci avrebbe pensato dopo, per adesso doveva andare fino in fondo a quella faccenda.
«Signor Walker. Deduco che Jake ormai sia passato a miglior vita. Spero che le abbia spiegato un paio di cose. Ci dispiace aver mandato gente che le puntava armi contro, ma vede, doveva essere nostro. E no, non ci serve una cura. Lei ci serve solo per mettere fine a tutto questo. Vorremmo analizzarla, sapere come muoverci. E usarla contro la sua Organizzazione. Lei è un prezzo troppo elevato per loro. Comunque una cura sperimentale è già in corso, potremmo trovare qualcosa nel suo DNA da usare, ma adesso, non è la priorità. Noi i Wendigo li vogliamo morti, non curare. Una volta divenuti mostri non si torna indietro, ma dopotutto questo vale solo per i non Originali.»
«Quindi mi userete e poi mi farete fuori?»
«Solo se si trasforma. Ma lei è speciale, signor Walker. Venga al luogo di incontro, le invieremo presto le coordinate. Li la attenderà un elicottero. Venga da noi se vuoi proteggere coloro che ami.»
La conversazione si interruppe, con Daniel che non aveva ben capito se sarebbe stato ucciso o meno, ma ormai il gioco era fatto, e allontanarsi dalle persone che amava era la miglior cosa. Non poteva fidarsi dei Flamboyant, ma se sapevano come curarlo o per lo meno fermare la trasformazione erano utili. Ripensò a Victor, Tessa, Simon, Lexi... ripensò che non li avrebbe più rivisti, pensare che aveva ritrovato sua sorella dopo dieci anni. Ma era in gamba, se la sarebbe cavata, sia lui, sia Simon che Lexi. Il cellulare vibrò e Dan lesse il messaggio, fortunatamente conosceva quel luogo, poco distante da lui. Posizionò il telefono sul corpo senza vita di Jake e proseguì per la sua strada.


Simon e Tessa stavano passeggiando in quella tenuta. Avevano passato le stalle, dove Tessa aveva ammirato Cream, la puledra di Lexi. Simon osservava la sua fidanzata con un sorriso stampato in volto, successivamente le scompigliò i capelli e i due continuarono la loro passeggiata. Si inoltrarono tra gli alberi, ritagliandosi un posticino solo per loro due, sedendosi di fronte in mezzo al verde. Simon respirò a pieni polmoni, gustandosi quell'aria così fresca e pulita. Si sentiva finalmente libero, anche se il ricordo dei suoi genitori lo pungeva ad intervalli regolari. 
«Credo di amare questo posto.» disse Tessa, strappando un ciuffo d'erba ed annusandolo. Poi provò ad assaggiarlo, cosa che fece ridere Simon. Tessa era così, a volte faceva cosa talmente senza senso che la rendevano unica, soprattutto perché l'espressione con cui lo faceva era la cosa più buffa che il ragazzo avesse mai visto. Era semplicemente stupida. E lui la amava anche nella sua stupidità.
«So che stai pensando che io sia stupida.» disse lei, guardandolo negli occhi, quel verde che tanto amava e la faceva sentire protetta. 
«Io non penso che tu sia stupida.» iniziò lui «tu sei stupida. Ma ti amo anche per questo.»
«Nah, tu non mi ami. Stai con me solo perchè sono bella e ricca.»
Simon rise «Quale ragazza ricca ha un'intera collezione di calzini bucati?»
Tessa si imbronciò, mentre una ciocca biondo cenere le ricadeva sul viso. «Sono calzini artistici.»
La ragazza scattò in piedi, buttandosi su Simon che la afferrò al volo. Lei si sistemò in braccio a lui, con le gambe che avvolgevano il ragazzo. Le venne spontaneo pensare alla prima volta che si posizionò in quel modo su di lui, che divenne rosso come un peperone... era proprio un cucciolo impacciato.
Il suo cucciolo impacciato.
Adesso erano talmente una cosa sola che sapevano bene tutto l'un dell'altra anche solo scambiandosi uno sguardo o un gesto. Lei lo baciò dolcemente, lui ricambiò. Il volto di Tessa si illuminò, come se avesse scoperto qualcosa di sensazionale.
«Ma ci pensi!?»
«Dipende. Se ti riferisci all'usanza di lanciare le noccioline sul pavimento dell'Old Wild West, ci penso ogni notte prima di dormire. Già, il mio ultimo pensiero sono le noccioline, non la mia sexy fidanzata.»
«Scemo! Mi riferisco a mio fratello e Lexi! Quei due han fatto le cosacce!»
Simon alzò un sopracciglio, mentre un sorriso sghembo gli si disegnava in viso. «Non credo che al mondo esista una sola persona che dica "cosacce". E se esistesse, non sta bene quasi quanto te.»
«Si ma pensaci! Quei due sono così carini insieme.»
«Carini quasi quanto noi.»
«Quasi.» Tessa sorrise e baciò nuovamente Simon, restando in quella posizione per una buona manciata di minuti, fino a quando non furono attirati da dei rumori provenienti da casa. Allarmati, corsero a vedere cosa fosse successo. 

Una volta arrivati, trovarono le finestre dell'abitazione completamente distrutte, così rallentarono il passo e si avvicinarono furtivamente, era meglio essere cauti, soprattutto dopo quello che i due avevano saputo e passato. Simon andò per primo, avvicinandosi di soppiato alla finestra e sbirciando dentro. Sembrava non esserci nessuno, anche se il caos regnava sovrano: il tavolo era rovesciato, alcuni piatti rotti giacevano sul pavimento e un paio di fori di proiettile si intravedevano sul muro. Il ragazzo cercò tracce di Lexi, o almeno i suoi genitori e Victor, ma di loro nessuna traccia. In quel momento maledisse di aver lasciato la pistola in camera, dopotutto quel luogo era sicuro. Era, appunto.
«Cosa facciamo?» chiese Simon, indeciso. Entrare era pericoloso, ma fuori erano troppo scoperti. Non sapevano cosa fosse successo, se dentro ci fosse qualcuno? Dovevano entrare, dovevano avvertire qualcuno. Mentre lottava con quei pensieri, Tessa lo tirò per mano, entrando di fatto nell'abitazione. Era tutto troppo calmo, fin quando non arrivarono in cucina, dove trovarono i genitori di Lexi dietro al tavolo: entrambi erano feriti, lei immobile con gli occhi chiusi, probabilmente svenuta, mentre il padre era ancora cosciente, con due fori di proiettile sulla schiena. «EHY!» urlò Simon, avvicinandosi ai due. Il ragazzo si accertò che la donna respirasse, tirando un sospiro di sollievo quando vide che era viva, successivamente si dedicò all'uomo, che farfugliò qualcosa di incomprensibile e cadde sul terreno.
«Daniel dove sei?» sussurrò Tessa, portandosi la mano all'altezza del collo. Era preoccupata, non spaventata, la paura l'aveva ormai abbandonata. Avrebbe voluto chiamare il fratello, ma si accorse di non avere il numero di cellulare, stessa cosa Lexi, o Victor, entrambi scomparsi. Ne era certa, se fossero stati presenti sarebbero stati per forza in quella stanza, ma di loro non c'era traccia. Fu destata dai suoi pensieri da Simon, che compose il 911 chiedendo un'ambulanza.


Passarono diverse ore, Daniel era su un elicottero pilotato da un ragazzo con una tuta quasi militare. Quasi, era semplicemente un uniforme tattica a basso prezzo. Il pilota non era molto di compagnia, dato che non rispose a nessuna domanda che il ragazzo gli fece, così rinunciò e si adagiò sugli scomodi sedili. Osservò il panorama, dimenticandosi per un attimo cosa stava succedendo. Erano in volo ormai da un bel po', e lui iniziò a vagare con la mente: cercò di non pensare alla faccenda Wendigo, concentrandosi invece sulle cose a lui care. 
Lexi. Tessa. Simon. Victor. Brandon. John. Vincent. Ormai li pensava praticamente sempre, anche quando non se ne rendeva conto. Ripensò anche ai suoi genitori, alla notte in cui morirono, all'amore che gli diedero per dieci anni. Ripensò all'addestramento Sephiroth, gli anni a diventare Nezakh. Tutto, ripensò a tutto.
Finalmente l'elicottero scese di quota, atterrando in un complesso che sembrava abbandonato. Il pilota tentò di contattare la postazione di controllo ma il silenzio radio regnava. Provò diverse volte, fin quando non si decise ad atterrare comunque. Daniel scese per primo, seguito dal pilota che fece strada. La struttura somigliava ad un palazzo industriale ormai dismesso, uno di quelli abbastanza larghi da ospitare una decina di camion, con parcheggio sotterraneo incluso. Non si sbagliava, in effetti un parcheggio sotterraneo c'era ed il pilota si diresse proprio là. Digitò un codice su un tastierino numerico ed entrò, facendo cenno a Dan di seguirlo. Il parcheggio non era spazioso come se l'aspettava, dato che era diviso in macro corridoi e stanze, proababilmente avevano costruito quella struttura solo dopo che il luogo fu abbandonato. Un silenzio inquietante regnava in quel posto, già abbastanza inquietante di suo: pareti bianchissime, luci al neon e pavimenti interamente grigi. Nessun mobile o altro arredamento, solo corridoi, porte e stanze monocromatiche. Il pilota arrivò ad una porta più grande, situata alla fine del corridoio, Dan notò due telecamere che controllavano la zona... probabilmente quella era la sala principale. Il pilota bussò diverse volte, ma nessuna risposta. Digitò nuovamente qualcosa nel tastierino e la porta si aprì con uno scatto metallico.
Il pilota entrò ed uno sparo riecheggiò in tutto l'edificio. Dan si precipitò dentro, notando diversi soldati in uniforme nera e un mucchio di cadaveri ammassati in un angolo. La stanza era piena di computer, mentre sul muro campeggiava fiero un albero in fiamme. 
«Daniel.» il ragazzo si voltò, osservando colui che aveva pronunciato il suo nome. Lo riconobbe dalla voce, ma una volta incrociato il suo sguardo non c'erano dubbi, era proprio lui.
«Vincent?» rispose il ragazzo, ma prima che il suo migliore amico potesse rispondere, successe l'impensabile. Vincent afferrò la pistola e sparò a Daniel, che cadde sul pavimento.


Intubare, ora. Pressione sanguigna? E' ancora vivo? Tutto secondo la missione. No, nessun Flamboyant sopravvissuto. Soggetto non ancora cosciente. Negativo, non ha avuto il tempo di reagire. Le voci su di te erano vere, sei davvero il migliore. Vi conoscevate? Addestramento insieme. Nezakh comune. In Keter Daat risiede. In Keter Daat risiede. 
Ah, incredibile. Rango S. Il creatore. Operazione Waterfall compiuta. Di ritorno. Somministrare... quanto sangue ha perso? 
D-A-N-I-E-L.


Daniel aprì lentamente gli occhi, sbattendo le palpebre lentamente. Sentiva un dolore lancinante sul petto, ricordandosi di aver preso un proiettile. Aveva la bocca secca, voleva chiedere dell'acqua, chissà se Lexi... no, Lexi non c'era. Chi gli aveva sparato? Vincent, adesso ricordava... ma perchè? Cosa ci faceva alla base Flamboyant? I Flamboyant... tutti morti. Mise a fuoco la stanza, osservando il soffitto. Bianco, luce artificiale che gli faceva malissimo agli occhi, quasi come se avesse due spilli piantati dietro le pupille. Tentò di alzarsi, ma notò di avere le mani legate, così come si rese conti di avere una cintura sul collo. Era completamente immobilizzato. Sentiva delle voci distanti, ovattate, non riusciva a distinguere le parole. Pian piano si rese conto di avere i polsi che dolevano, probabilmente un sedativo stava cessando il suo effetto. La gola gli bruciava, la ferita pulsava... Vincent gli aveva sparato.
«E' sveglio.» disse una voce sconosciuta poco distante di lui. 
«Ottimo.» rispose un ragazzo, che Dan riconobbe essere Vincent, il suo amico, il suo aggressore. «Lo riferisco al capo.» disse infine, abbandonando la stanza. Daniel tentò di divincolarsi da quelle cinte, ma fu tutto inutile. 
«Signor Walker, stia calmo.» disse il tizio misterioso con voce divertita.
«Se mi libero ti stacco la testa a morsi.»
«Non ne dubito.» rispose quest'ultimo, avvicinandosi ad un piano da lavoro e recuperando una siringa con un liquido azzurro. Si avvicinò a Daniel, che non indossava nulla eccetto le mutande. L'uomo, che aveva addosso un camice bianco, studiò il ragazzo per un paio di secondi, successivamente avvicinò la siringa a lui e iniettò il liquido nella ferita a forma di morso, ferita che era il lascito dell'esperimento.
«Cosa mi hai...»
«Oh, lo saprai presto.» detto questo, l'uomo abbandonò la stanza, lasciando Dan da solo. Il ragazzo iniziò ad agitarsi, ma non riusciva davvero a liberarsi. Sentì il respiro divenire via via più corto, iniziò a sentir freddo, tremava. Sudore ghiacciato imperlava il suo posto che diveniva via via più bollente. La sua mente iniziò a vagare, vide cose senza senso, pensò cose che non sapeva. Restò in quello stato circa quindici minuti, poi perse conoscenza.


Vincent osservava quello che succedeva nella stanza tramite un monitor, accanto ad un uomo vestito elegantemente. «Cosa gli avete fatto?» chiese il ragazzo, serio.
«Oh, stiamo risvegliando il Wendigo. E finalmente ricorderà tutto. E grazie alla nostra tecnologia riusciremo a vedere i suoi ricordi sopiti.»
«Non sapevo fossero questi i piani.» ribattè Vincent, scocciato.
«Sei sempre stato uno dei migliori Nezakh. Quando ho scoperto che sapevi di Daat è stata una rivelazione. Non ti lascerai intimidire da un povero esperimento?»
«Affatto.» rispose Vincent, osservando l'amico sullo schermo.


Daniel rivide casa sua, era ancora un bambino, si osservava quella cicatrice che tanto gli faceva male. Aveva dieci anni, lui lo sapeva bene. Era davanti lo specchio, il taglio iniziò a sanguinare. Gridò mamma, papà, ma nessuno parve sentirlo. SI accasciò a terra, in preda a diversi spasmi. Una volta che il dolore finì, lo specchio riflesse l'immagine di un mostro: un Wendigo. Il piccolo Daniel aveva il viso completamente rinsecchito, le piccole manine avevano lasciato spazio a lunghi artigli. Il pigiamino azzurro era completamente distrutto, mostrando costole in evidenza e fisico scarno. Sentì dei rumori al piano di sotto, con una voce che si chiudeva violentemente. Daniel si precipitò al piano di sotto, fino ad imbattersi di fronte ai suoi genitori. Li fissò con sguardo vuoto, il classico sguardo dei Wendigo, eccetto per un occhio che era azzurro. Rantolò qualcosa, mentre sua madre iniziò a piangere. Nella stanza iniziò a fare molto freddo, e Daniel si scagliò prima sul padre, recitendogli di netto le vene del collo. Si nutrì di quella carne, successivamente balzò sulla madre, dilaniando il suo corpo con i suoi lunghi artigli. Annusò qualcosa, dirigendosi verso la stanza accanto alla sua. La scritta Karen decorava quella stanza. Il bambino Wendigo sfondò la porta, ma il lettino della sorella era vuoto.
Tutto tornò a qualche settimana prima, Daniel era disteso su un lettino metallico e degli uomini in camice armeggiavano dentro di lui. Gli avevano tagliato il fianco, mentre un uomo proseguì iniettandogli una strana sostanza cellulare proprio in quel punto. Quell'uomo era Victor.
   

Vincent trasalì, voltandosi verso l'uomo accanto a lui che sorrideva compiaciuto. 
«Sei stato tu, tu l'hai trasformato.»
Victor continuò a sorridere, carezzandosi il mento. «E' il mio migliore esperimento. Chi l'avrebbe detto che sarebbe diventato un Nezakh e Wendigo di Rango S?»
«Lui si fidava di te...»
«Lo so, ma è il frutto di qualcosa di errato.» ci fu una pausa. «Adesso va, assicurati che si riprenda, io vado nel mio ufficio. Voglio un rapporto completo fra un'ora.»
Vincent deglutì, uscendo dalla stanza e dirigendosi nella sala dell'esperimento.


Daniel riprese conoscenza, ma la sua pelle era cambiata. La metà inferiore del corpo era di un colore simile al blu, mentre la parte superiore era la classica corporatura emaciata dei Wendigo. Le mani erano artigli, i denti più lunghi e un occhio era azzurro, caratteristica solo di Daniel quella. Vincent irruppe nella stanza seguito da due Daat, i soldati scelti del Re. Daniel si dimenava, così i Daat sigillarono la stanza. Passarono diversi minuti e il Wendigo riuscì finalmente a liberarsi. Balzò sul primo Daat, decapitandolo, mentre il secondo fu morso in pieno volto. Successivamente si voltò verso Vincent, avvicinandosi a lui con sguardo vuoto.
«Daniel...»
Vincent chiuse gli occhi, sentendo su di se il respiro di quello che un tempo era Dan. Restò così per diversi secondi, fino a quando non riaprì gli occhi. Daniel era davanti a lui, lo fissava e lo annusava. Apriva la bocca, ma uscivano solo suoni gutturali, come unghie su lavagna. Quei suoni divennero via via più definiti, fino a che non formarono la parola Vincent. Dan cadde, e la trasformazione lentamente svanì, lasciando spazio al suo corpo nudo e freddo.
«Sono stato io...» singhiozzò, ricordando tutto. «Io ho ucciso i miei genitori.»
«No, non sei stato tu. E' stato quel Wendigo.»
Daniel scattò in piedi, con movenze quasi assenti, meccaniche. Fissò Vincent, che ricambiò il suo sguardo con qualcosa di complice. Si avvicinò a lui, sussurrandogli qualcosa all'orecchio.
«Sono riuscito ad infiltrarmi qui grazie a John. Ti ho dovuto sparare per far si che entrassi grazie a me, ti serviva una mano dall'interno. Ricordi il nostro vecchio segreto? Nessuno deve sapere della nostra amicizia, così possiamo agire nell'ombra. Spero di non aver preso organi vitali. Ti ho sistemato una tenuta da combattimento e diverse armi sotto il materasso. Non sospettano nulla. Posso portarti da Victor tramite un sacco per morti, dirò che l'esperimento è fallito.»
«Victor... è stato lui a trasformarmi... mi fidavo di lui, era mio amico... quasi un padre.»
«Cosa farai, adesso?»
Dan fissò il suo amico negli occhi. «Ucciderò l'uomo che ha venduto il mio mondo.»   
Vincent annuì, mentre Daniel si dirigeva al materasso e recuperava le cose preparate dall'amico, ma quando finì di indossare armi e tenuta, le luci si spensero, mentre sul monitor apparve il logo dei Sephiroth. La voce di Victor riecheggiò in tutta la stanza tramite altoparlanti.
«Daniel! Mi ritieni davvero l'uomo che ha venduto il tuo mondo?»
A quelle parole nella stanza partì una traccia audio: The Man Who Sold The World di David Bowie. Una beffa di Victor, che si stava prendendo gioco del ragazzo.
«TI DIVERTI, VICTOR?» urlò Daniel, osservando il volto di Victor apparire sullo schermo, mentre la canzone suonava la strofa: you're face to face with the man who sold the world.  
«Non ho ancora finito di prenderti in giro. La canzone è solo la colonna sonora del mio capolavoro.»
Victor sorrise e il filmato si allargò, mostrando Victor nel suo ufficio accanto al corpo martoriato e sanguinante di Lexi.

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Capitolo 15
*** Unholy Confession ***


Il filmato che mostrava Victor ghignante e Lexi priva di sensi e ricoperta di sangue e ferite si spense poco dopo, lasciando senza parole sia Dan che Vincent. Il ragazzo che era appena riuscito a regredire dallo stato di Wendigo ad umano sentì dentro lui un misto di sentimenti contrastanti: terrore, rabbia, odio. Come poteva il suo mentore, la persona che l'aveva cresciuto sin da quando aveva dieci anni esser giunto a tanto? Perchè aveva sperimentato su di lui rendendolo un mostro? E soprattutto perché fare questo a Lexi? Lei era innocente, doveva restare fuori da questo. Tutte quelle sensazioni lasciarono spazio ai sensi di colpa. E se fosse tornato alla tenuta avrebbe l'avrebbe salvata? Avrebbe fermato Victor prima che le facesse questo? E Tessa stava bene? Tutti gli altri... 
La testa iniziò a dolergli e lui faticava a concentrarsi, aveva davanti agli occhi solo l'immagine di Lexi. 
«Dov'è?» chiese Daniel all'amico, che non tardò a rispondere.
«Al piano superiore. Abbiamo praticamente due vie da seguire: ascensore e scale. Entrambi sappiamo qual'è la più adatta.»
Dan annuì, sguardo di ghiaccio negli occhi. Il suo volto era impassibile e, se prima tradiva qualche emozione, adesso era simile ad una maschera inespressiva. Vincent sapeva che dentro lui c'era una tempesta di pensieri e sensazioni, ma ammirò il modo in cui le stava gestendo. Non sapeva bene se lui ci sarebbe riuscito, dopotutto aveva appena scoperto di essere un Wendigo di Rango S, di aver sterminato la propria famiglia, di essere stato creato da quello che credeva un amico, un padre, e di aver la propria partner in fin di vita per mano di quella stessa persona che aveva fatto tutto questo. Si chiese anche come non fece ad accorgersi di tutto questo, se solo avesse visto Lexi in quello stato l'avrebbe aiutata non appena Victor si fosse allontanato, ma nulla. Di lei nessuna traccia.
«Si, prendiamo le scale.» rispose, inserendo il caricatore nella pistola e riponendola nella cintola. Soppesò anche il pugnale, per capirne già da subito il modo migliore per utilizzarlo. «Quanti armati?» chiese infine.
Vincent ci pensò su un attimo. «Siamo in un complesso secondario. La maggior parte sono scienziati o dottori. Uomini armati direi... una ventina sparsi in tutta la struttura.»
Dan annuì. «Sarà meglio per loro che non ci incontrino per strada.»
Detto ciò, spalancò la porta on un calcio, puntando subito la pistola a destra mentre Vincent faceva la stessa cosa dalla parte opposta.
«Libero.» comunicarono in contemporanea, per poi spostarsi lungo il corridoio. L'ambiente era praticamente ospedaliero: mura bianche con leggere sfumature verdi, puzza di componenti chimici e medicine e fastidiosissime luci al neon. Il pavimento era blu e probabilmente in pvc, mentre un distributore automatico era l'unica cosa che decorava quel corridoio. 
I due arrivarono ad un angolo, Vincent si sporse mentre Dan controllava la parte opposta, assicurandosi che non stesse arrivando nessuno.
«Due ostili, quattro no.»
«Linea di tiro?»
«Non pulitissima.»
Dan annuì. «Arrivati a questo punto... mi dispiace per loro.»
Il ragazzo uscì dal riparo, sparando diversi colpi. Uccise un soldato Daat, mentre l'altro riuscì ad entrare in una stanza adiacente e non farsi colpire. Rispose al fuoco con un fucile automatico, uccidendo due medici che si trovavano sulla linea di tiro. I due amici tornarono dietro l'angolo, aspettando il momento opportuno per agire.
«Dove sono John e Bran?» chiese Daniel, aspettando il cessare degli spari del nemico.
«Non ce l'hanno fatta.» rispose l'altro, con voce atona.
Dan imprecò, uscendo nuovamente dal riparo seguito dall'amico. Il ragazzo afferrò il corpo senza vita del Daat e lo usò come scudo umano, avvicinandosi alla stanza dove l'altro soldato attendeva. Entrò di scatto, mentre l'altro aprì il fuoco, che finì inevitabilmente sul cadavere. Daniel gli lanciò il corpo senza vita, per poi sparare l'ennesimo corpo che pose fine al Daat. Non fece in tempo a voltarsi che sentì altri spari, seguiti da rumori sordi di caduta. Si precipitò fuori, osservando Vincent ancora in piedi e tre cadaveri alla fine del corridoio. 
I due proseguirono, mentre Vincent emise un leggero gemito sofferente.
«Sei ferito.» disse Dan allarmato, facendo sorridere l'amico. In effetti era stato colpito al fianco, di striscio. Una leggere macchia di sangue si era allargata sulla sua tenuta, ma non era niente di grave per fortuna, nonostante il dolore fosse leggermente fastidioso.
«Non è niente.» rispose lui, accennando l'ennesimo sorriso. «Dobbiamo andare. Lexi è in pericolo, e sai che un graffio non mi uccide. Non ci sei riuscito tu da Wendigo, figuriamoci un proiettile vagante.»
«Va bene, idiota.»
I due arrivarono alla fine del corridoio e salirono la rampa di scala, trovandosi finalmente al piano superiore. Alcune voci provenivano dalle diverse stanze, in cui si erano rifugiati i medici, mentre una pattuglia formata da tre soldati limitava di molto l'avanzamento dei due.
«Pronto?» chiese Vincent.
«Lo sai.»
I due si sporsero dal riparo e spararono, uccidendo i tre prima che si accorgessero del pericolo.
«L'ufficio è alla fine del corridoio. Io ti copro le spalle. Non opporti.» disse Vincent spingendo via l'amico, che lo guardò per qualche secondo. Successivamente corse in direzione di Victor, non prima di aver ringraziato quello che per lui, più che un amico, era un fratello.


Daniel entrò rumorosamente nell'ufficio di Victor, richiudendo la porta dietro di lui. Quello che trovò era diverso dall'ospedale che aveva lasciato dietro: ufficio a due piani, pavimento in legno con pregiati tappeti sopra, diverse file di librerie stracolme e un enorme scrivania in legno robusto e pregiato, con diversi intarsi in oro sopra. Il piano superiore era decorato in egual modo, ma non si riusciva a distinguere molto dal basso. Il tetto era decorato da affreschi raffiguranti angeli e demoni, mentre un enorme lampadario in oro illuminava l'intera struttura. Dan riuscì a leggere un incisione su quell'affresco: "Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo". 
«E' arrivato il figliol prodigo.» commentò Victor, poggiato alla balaustra del piano superiore. Era vestito elegante come sempre, mentre sorseggiava del vino rosso da un calice di cristallo. Il ragazzo si chiese perchè dovesse essere così teatrale, tanto alla fine l'avrebbe accolto solo la morte.
«Dov'è lei?» sibilò Daniel, quasi sputando quelle parole. Victor bevve un sorso di quel liquido rosso e sorrise, indicando qualcosa dietro di lui, successivamente afferrò una pistola e la puntò al ragazzo, che non fece in tempo a fare lo stesso. Il pensiero che Lexi fosse lì gli annebbiò i sensi per un attimo, rendendolo meno reattivo in quel momento così cruciale. Tentò di alzare l'arma, ma Victor gli fece cenno di non proseguire.
«Gettala. Ora.» disse l'uomo, costringendo Dan ad ubbidire. Non poteva rischiare, non con lui così vicino a lei.
«Bene.» Victor posò il calice sulla balaustra di legno e scese con fare teatrale le scale, assicurandosi di avere la pistola ben salda in mano e diretta verso quello che un tempo era suo allievo. «Devo dire che come Rango S sei stato capace di controllarti, di nuovo. E' bello decidere quando trasformarsi e quando no, vero?»
«Perchè?» si limitò a dire Daniel. Arrivati a tanto si rese conto di voler sapere. Trovandosi di fronte a lui ripensò a tutti i bei momenti passati insieme, e quella domanda era l'unica cosa che gli veniva da chiedergli. Cosa aveva fatto di male? Erano sempre stati così affiatati. Lui gli voleva bene, un bene così profondo che non riusciva a spiegare. Per lui non era un mentore, non era solo quello. Era colui che l'aveva cresciuto, amato come un figlio... tradito.
«Perché questo è quello che facciamo. Noi ubbidiamo al Re, il suo volere è il nostro. Riporteremo in vita gli Originali, così da avere un posto d'onore nel nuovo mondo.»
«PERCHE' IO?» urlò Daniel, quasi in lacrime. Sentiva le ginocchia tremare, ogni muscolo che doleva, la testa che riprese a far male. Non riusciva a sopportare tutto questo.
«Oh. Perchè tu eri il frutto del loro amore. Loro figlio... qualcosa che li univa ancor di più del matrimonio. Sono stato anni ad amare invano tua madre, ed odiare quella feccia di tuo padre. Pensavo di farcela, ma poi arrivasti tu a rovinare tutto, così io decisi di rovinare la cosa più importante per loro: te.»
Dan sembrò ricevere diversi pugni in pieno viso. «Cosa stai...»
«Conoscevo tua madre da anni, stavamo bene insieme, poi arrivò tuo padre. Nascesti tu. Noi restammo in buoni rapporti, fin quando tu non avesti problemi di salute. Tua madre ha sempre saputo che ero un chirurgo, così si rivolse a me. Le dissi che ti avrei curato, ma in verità ti ho iniettato le cellule Wendigo in corpo, sicuro che saresti diventato uno di basso lignaggio. Invece no, diventasti un S. La notte che sterminasti la tua famiglia e tornasti umano, il Re mi ordinò di addestrarti, mi ordinò di amarti. Ma io ti odiavo prima, e lo feci ancor di più dopo, perchè avevi ucciso lei. Ti ho odiato ogni singolo giorno della mia vita.»
«SEI STATO TU AD UCCIDERE MIA MADRE!»
«No, ti sbagli. Tu li hai divorati. Dimmi... non senti ancora il loro sapore?»
«Tu sei pazzo, Victor. Pazzo.»
Victor si avvicinò ancora verso il ragazzo, ma prima che l'uomo potesse poggiare la pistola sulla fronte di Dan, quest'ultimo colpì l'arma di lui, facendo partire un colpo per poi farla cadere sul pavimento. Il colpo sfiorò il ragazzo, che passò all'offensiva. Diede un pugno all'uomo, che rispose con un calcio sullo stomaco, facendo tossire il ragazzo.
«Non opporti al tuo destino!» sputò Victor, ricevendo altri colpi in pieno volto. La colluttazione durò per diversi minuti, fin quando Daniel afferrò il pugnale e colpì la gamba dell'ex mentore, che cadde rumorosamente sul pavimento. Il sangue tinse di rosso il verde tappeto, mentre il ragazzo immobilizzava l'uomo, posizionandosi sopra di lui.
«No, ti prego no. Non farmi del male.» iniziò a dire l'uomo, con voce smorzata dal terrore.
«Perché non dovrei?»
«Ti ho visto crescere. Io... io ho visto del buono in te! Hai sempre cercato tua sorella, hai amato tutti, sei stato un ragazzo modello... nonostante il Wendigo... tu non sei un mostro.»
Daniel afferrò la gola di Victor, avvolgendola con tutta la mano, mentre lui continuava a contorcersi. «No ti prego Daniel... ti prego. Tu non sei così! Non sporcarti le mani di sangue... non sei un mostro, non sei un mostro...»
«Ti sbagli, io sono un mostro. E tu mi hai creato.» 
Strinse la presa intorno al collo dell'uomo, fin quando questo non esalò l'ultimo respiro. Deglutì, successivamente si alzò, correndo al piano di sopra. Trovò Lexi su un tavolo, vestiti strappati e piena di sangue. Il corpo era ricoperto da diversi tagli, alcuni profondi altri no. Aveva perso molto sangue... «Lexi... sono qui adesso.»
Il ragazzo afferrò il corpo di Lexi, dirigendosi verso l'uscita dello studio. Gettò un'ultima occhiata al cadavere di Victor e successivamente osservò l'uscita, dove notò l'Uomo di Ghiaccio poggiato al muro, che osservava la scena con un ghigno. Daniel lo scrutò, i loro sguardi si incrociarono. Il sorriso del Wendigo Originale contro lo sguardo serio di Daniel.
«Ben fatto, figlio mio.» disse l'Uomo di Ghiaccio, ma Daniel non rispose, scomparendo poco dopo dietro la porta. L'Uomo sorrise ancora una volta e scomparve in una nube di neve.                      



Note dell'autore:

Arrivati a questo punto della storia, posso dire con certezza che mancano tre capitoli alla fine delle vicende di Daniel, Lexi e compagnia bella. Contavo di arrivare almeno a venti capitoli, ma non ho voglia di allungare il brodo in modo inutile, rischiando di abbassare la qualità del racconto con momenti morti. In questi ultimi tre capitoli prometto di regalarvi qualcosa all'altezza di tutti i capitoli precedenti, o almeno ci provo. Quello che ho in mente comunque son sicuro che vi soddisferà. 
Quindi, siamo ufficialmente a -3!
Già mi sento male ad aver annunciato la fine di Sephiroth, non vorrei che finisse... ma è davvero una storia fin troppo autoconclusiva. Un seguito rovinerebbe tutto e non avrebbe senso d'esistere.
So... stay tuned. Godetevi il capitolo e fatemi sapere, se vi va. :D
      

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Capitolo 16
*** God is dead. ***


Chicago, qualche giorno dopo la morte di Victor.


«Io ho fame!» esclamò un bambino che si aggirava compulsivamente a casa di Simon, sistemata dopo l'incidente con i suoi genitori. Dopo che la tenuta della famiglia di Lexi fu attaccata, Simon e Tessa rimasero lì ad aspettare i soccorsi, successivamente aspettarono il ritorno di Daniel, Lexi o chiunque altro. Quando videro Dan portare con sè una Lexi ferita, scattò il panico, placato tuttavia poco dopo. Vincent suggerì di spostarsi da quel luogo, già vittima di un attacco, così Simon propose di usare casa sua, tanto non ci viveva più nessuno. Il gruppo accettò e si diressero a Chicago, con varie vicende che si susseguirono in quei giorni. 
Steve, il ragazzo che aveva venduto la pistola a Simon, aveva visto il ragazzo in compagnia degli altri, chiedendogli di potersi accampare a casa sua con il fratellino. Spiegò che erano successi casini col padre e Simon provò un impeto di affetto verso quel ragazzo che gli ricordava tanto lui.
«Ehy Simon.» chiamò Steve, mentre si medicava le ferite che aveva sul viso, dovute ad una collutazione col genitore pochi giorni prima. Simon, che stava osservando fuori dalla finestra, rispose in modo distratto. 
«Preparo delle uova, tu e la tua ragazza ne volete?» chiese, allontanandosi dallo specchio e rivolgendo ancora lo sguardo a quello che era la cosa più vicina ad un amico.
«Tessa è andata dai suoi, siamo solo io, te, il tuo fratellino e i due dentro la camera da letto.» rispose, riferendosi a Daniel e Lexi. La ragazza non aveva ancora preso conoscenza, così Daniel si rintanò in camera con lei, uscendo solo per andare in bagno, fare una doccia e mangiare svogliatamente un boccone. Da quando era tornano qualcosa era cambiato in lui, ma Simon non seppe decifrare bene cosa... ma il suo sguardo era come spezzato, come se la sua anima si fosse improvvisamente divisa in più parti.
«Non hai comunque risposto alla mia domanda.»
«Mh?» si voltò, quasi confuso. 
«Insomma, hai fame o no?» chiese ormai stufo Steve. Simon fece cenno di no e tornò a guardare fuori dalla finestra. La temperatura era scesa di colpo, e le vie di Chicago erano fredde e grigie. Stare a casa sua senza il classico rumore dei passi di sua madre era una sensazione fin troppo strana, ma doveva abituarcisi. Doveva abituarsi ad un mondo senza genitori e popolato da mostri mangia persone. Simon si voltò di scattò quando sentì Steve imprecare.
«Devi proprio lasciare i libri sul pavimento!? Ho quasi rischiato di cadere, dannazione.» esclamò il ragazzo, tenendo un libro in mano. «Era meglio se andavo a cercare cibo in quel posto nuovo, ne hai sentito parlare?»
Simon fece cenno di no con la testa.
«Ha aperto un nuovo locale di recente, credo si chiami Red Hot Paradise.»
Steve scrollò le spalle. «Vieni Josh, andiamo a cucinare.» disse infine, rivolgendosi al fratellino che corse verso la cucina. Simon scosse la testa, sistemando il libro su una scaffale e lanciandosi sul divano. Lanciò un'occhiata all'albero di Natale non ancora completo, successivamente osservò la porta della camera da letto, dove Lexi riposava.
Chiuse gli occhi, aspettando il ritorno di Tessa e il risveglio di Lexi. Fu destato da Steve, tornato dalla cucina. L'atmosfera era calma, lui sembrava nervoso.
«Va tutto bene?» chiese Simon, strofinandosi gli occhi.
«Sono gay.» rispose l'altro, con gli occhi lucidi. Lo teneva dentro da troppo tempo, doveva dirlo a qualcuno. Simon l'aveva ospitato senza troppi problemi, sia a lui che Josh. Sentiva di potersi fidare di lui, sentiva che avrebbe capito... se non l'avesse fatto, beh, sarebbe andato via.
«Okay, quindi?» disse Simon, che non riusciva a capire il punto della situazione. Per lui l'orientamento sessuale di una persona non era rilevante, ognuno era libero di amare chiunque lo facesse star bene, uomo o donna che sia.
«Non è un problema per te? Sai, mio padre...»
«Ehy» lo interruppe «non devi spiegarmi un bel niente. Lui ti fa stare bene? Sei felice? Il resto non conta. Tuo padre non capisce? Ti picchia per questo? Mandalo a quel paese e fatti una tua vita. Ne so troppo di padri non presenti e deviati, non farti influenzare da questo. Occupati di tuo fratello, lui stravede per te, che tu sia gay o non. Riparti da lui, da te, e affronta tutto a testa alta, chi non ti merita semplicemente non farà parte della tua vita.»
Steve abbassò lo sguardo, limitandosi a dire un "grazie" a bassa voce.      


Daniel era seduto su una sedia vicino al letto dove giaceva Lexi, ricoperta di bende. Lui aveva la fronte poggiata al materasso, occhi chiusi. Stringeva la mano di lei, carezzandola quel tanto che bastava. Sentiva il respiro regolare di lei, cosa che lo tranquillizzava non poco. Quandò recuperò il suo corpo, per un attimo pensò al peggio, ma subito dopo si fece forza, doveva essere forte per lei e salvarla. Si riunì con Vincent e insieme costrinsero i medici della struttura ad aiutarla, portandola fuori pericolo. Dissero che avrebbe riportato diverse cicatrici sul corpo, ma a Dan non importava, a lui importava che Lexi vivesse. Apprese anche delle condizioni dei genitori di lei, ormai stabili in ospedale. Un offensiva contro una famiglia, famiglia forte che non si arrendeva comunque.
«Svegliati, ti prego...» sussurrò, così piano che fu quasi convinto di averlo pensato. Non aveva mai pensato di poter perdere Lexi, rendendosi conto che quando stava per succedere aveva avuto una paura tremenda. La paura aveva lasciato spazio alla speranza ormai, speranza di un suo sorriso, un suo bacio, una sua frase stupida.
«Svegliati...»
Si ripoggiò sul letto, ripensando al momento in cui confessò a Tessa di essere lui l'assassino della loro famiglia. In un primo momento Tessa fu attraversato da un impeto di rabbia, si scagliò contro il fratello e... lo strinse a sè. Lo sentiva fragile sotto il suo tocco, come se si potesse rompere da un momento all'altro. Sapeva che non era colpa sua, sapeva che la trasformazione controllava lui e non viceversa. Rimasero in silenzio fin quando la ragazza non gli disse «ti perdono.»
Passarono altre interminabili ore, la porta della stanza si aprì mostrando Vincent.
«L'abbiamo trovato.» disse con tono serio. «Possiamo andare da soli, se vuoi restare qua capisco.»
«Riguarda me. Devo proteggerla. Se aspetto che si sveglia la coinvolgo. La situazione Sephiroth?»
Vincent si poggiò al muro, incrociando le braccia. «Ho mostrato file, video e altro a tutti i Sephiroth all'oscuro della verità. Hanno rovesciato l'organizzazione. I mentori, i Daat e gli affiliati al Re sono morti. Rimane solo lui. Il nostro ultimo incarico, dopodiché l'organizzazione Sephiroth svanirà dal mondo senza lasciare traccia.»
Daniel si alzò, baciò Lexi sulla fronte e si diresse verso l'amico.
«Andiamo.»


L'alba era ormai visibile dall'elicottero che procedeva a bassa quota verso la base Keter, situata in mezzo ai boschi. L'ubicazione di Igor Djatlov, il Re Sephiroth. Ucciso lui, la guerra sarebbe finita per sempre. Daniel indossava per un'ultima volta la tenuta da combattimento, così come Vincent e i Sephiroth che avevano accettato il loro ultimo incarico. L'organizzazione era ormai distrutta, gli affiliati al Re morti.
L'elicottero perse quota, facendo scendere Daniel, Vincent e un altro paio di Nezakh, mentre dietro di loro altri elicotteri facevano lo stesso, formando un gruppo di venti persone, mentre una task force supportava il team via radio dalla base Hokmah, anch'essa conquistata dai Sephiroth che decisero di opporsi al Re.
Il team procedette ad armi spianate, arrivando ad una paratia metallica immersa nella neve.
«Qui team Alpha, apri la porta.» disse Vincent alla radio.
Passarono pochi secondi e l'enorme porta metallica si aprì, mostrando un tunnel illuminato che scendeva sotto la superficie terrestre. Dan fissò Vincent, dopodiché proseguirono. 
«Immaginavo la Keter molto diversa.» disse un Nezakh dietro di loro, aprendo un dibattito sull'aspetto di quella base che altro non era un tunnel sotterraneo che portava ad una stanza circolare.
Il gruppo si fermò di fronte ad un'altra porta metallica, con un tastierino alfanumerico sul lato. Vincent lo fissò un attimo, subito dopo digitò il nome del Re, con relativa apertura della porta. «Andiamo io e Daniel, voi controllate il perimetro.»
Il gruppo ubbidì e loro entrarono.
La stanza era un agglomerato di schermi che mostrava ogni parte del mondo, con focus sulle basi Sephiroth, ormai conquistate. Daniel si avvicinò a quello che sembrava un trono, notando successivamente che si trattava di una sedia a rotelle. Su di essa un uomo dalla lunga barba bianca e lo sguardo stanco stava fissando i monitor davanti a sé. Dan si sentì stranamente deluso, immaginava il Re come qualcuno di autoritario, mentre davanti avanti un vecchio stanco e puzzolente.
«Daniel Walker, l'Originale.» disse il vecchio con voce strozzata.
«Re Djatlov.» rispose Dan, serio.
«Conosci il mio nome... la leggenda è stata tramandata.»
«Si diceva che fossi morto.» fece Dan, incrociando le braccia e fissando il Re, notando che era collegato a dei tubi. Non era messo molto bene evidentemente. Che cosa ridicola, una delle organizzazioni più potenti al mondo governate da un vecchio malato.
«Dovevo morire, si. Ma incontrai lui, l'Uomo di Ghiaccio. Sterminò i miei compagni, risparmiando me. Mi ordinò di creare un esercito... di far rinascere la sua razza ormai estinta. In cambio avrei avuto un posto d'onore al suo fianco, regnando il nuovo mondo e sopravvivendo per sempre. Creai i Sephiroth... creai i Wendigo sfruttando le sue cellule... e quelli che cacciavate voi, beh, li riutilizzavamo. Vi siete mai chiesti il perchè del recuperare i loro cuori? Per ucciderli? No, affatto. Da quei cuori noi li ricreavamo più forti, cercando di ricreare gli Originali. Ma evidentemente abbiamo fallito.»
«Puoi ben dirlo.» esclamò Vincent, osservando incuriosito l'ambiente intorno a sè, soffermandosi sull'immagine di un uomo di ghiaccio tenuto in ibernazione da un macchinario ad alta tecnologia. «Questo è l'Originale?» chiese. Dan lo riconobbe subito, ma non rispose, mentre il Re sorrise.
«Proprio così. Il Wendigo Originale tenuto in uno stato di sonno eterno nella base dimenticata, il cimitero Sephiroth. Il complesso Shekinah è dove lui riposa, fornendo il suo corpo come fonte inesauribile di cellule Wendigo.»
«Shekinah?» fece Daniel. «Bene, lo uccideremo.»
Il Re scoppiò in una risata, sputando poi del sangue. «Stolto Wendigo. Se uccidi l'Originale, con lui moriranno tutti i Wendigo creati, compreso te.»
Dan fu assalitò da un brivido, afferrando poi la pistola e puntandola alla testa del Re. Se l'Uomo di Ghiaccio moriva, lui sarebbe morto. Il mondo avrebbe avuto sempre qualche Wendigo in giro... la minaccia non poteva essere eliminata. O forse si, bastava uccidere l'Originale. Cosa doveva scegliere? La ragione o la vita? Il mondo o se stesso? Aveva ormai deciso, accettando tutte le conseguenze del caso.
«Le tue ultime parole?»
«Io sono diventato un Dio, non puoi distruggere la mia opera.»
«Sai, Nietzsche affermava una cosa. Adesso te la ripeto mio caro Dio...» 
Ci fu un attimo di silenzio, Dan poggiò la pistola alla testa del vecchio. «Dio è morto.»
Sparò.


Daniel e Vincent tornarono ai velivoli, scambiandosi un ultimo sguardo prima di salire in mezzi diversi. «La guerra è finita. Il Wendigo Originale è al sicuro a Shekinah e i Sephiroth non esistono più, cosa faremo adesso?»
Daniel sorrise, poggiando la mano sulla spalla dell'amico. «Andiamo a casa.»
I due si salutarono, promettendosi di rincontrarsi a casa di Simon. Il mezzo di Vincent partì, seguito dal resto degli ormai ex Nezakh. Lo stesso si apprestò a fare il pilota con il quale viaggiava Dan, ma invece di andare a casa, ricevette un preciso ordine. 
«Ho un ultimo incarico» esclamò Daniel con voce atona. «Portami alla base Shekinah.»       
Così, mentre Daniel si dirigeva a distruggere l'Originale ponendo fine ai Wendigo, a casa di Simon, Lexi apriva gli occhi.              

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Capitolo 17
*** Here's To You ***


Tessa era sdraiata sul divano, testa poggiata sulle gambe di Simon che ascoltava diverse storie di Jeremy, il fidanzato di Steve arrivato a casa con la colazione per tutti. Simon non aveva mai visto quel ragazzo, ma considerato il suo modo di parlare, di vestire, era di certo qualcuno della Chicago che contava. Aveva i capelli biondi, occhi azzurri. Profumava di colonia, molto piacevole dopotutto. I suoi vestiti erano firmati, ma lui li trattava praticamente come stracci. I suoi occhi non tradivano nessuna superiorità, anzi, erano l'opposto. Erano buoni, sinceri e quando si posavano su Steve, beh, brillavano. Nè Simon nè Tessa potevano immaginare che sotto l'aria così dura di Steve si nascondesse una storia così particolare, una famiglia disastrata e un ragazzo che era l'opposto di lui esternamente, ma dentro lo amava in una maniera così genuina che era qualcosa di complicato da capire.
«E' questo è il motivo per cui vi suggerisco di non servire alcool alle inaugurazioni degli zoo.» disse Jeremy, dopo l'eterno racconto sugli zoo distrutti da animali ubriachi, racconto che era intervallato dalle risate generali. SImon doveva ammettere a se stesso di aver davvero gradito quella storiella, ma era certo che molte parti non fossero vere, ma servivano a creare la giusta atmosferà e ilarità.
I ragazzi continuarono a ridere e scherzare, godendosi quella strana atmosfera tranquilla che si era creata, lasciandosi per un momento alle spalle ogni ricordo spiacevole o situazione difficile da mandare avanti. In quel preciso istante non c'erano storie difficili, c'erano solo quattro ragazzi che si divertivano raccontando scemenze e fantasticando su improbabili futuri governati da ragni giganti.
Furono comunque interrotti dalla porta della camera da letto che si apriva. Tutti si voltarono, ancora con i sorrisi stampati in volto, osservando quella figura che venne fuori: Lexi.
La ragazza fissò l'ambiente intorno a sè, soffermandosi successivamente sul gruppo di ragazzi che la fissava. Riconobbe Tessa e Simon, ma gli altri due non li aveva mai visti. Osservò il tavolino tra i due divani, sul quale erano poggiati diversi piatti vuoti. Una tv spenta troneggiava di fianco a loro, mentre qualche mobile d'appoggio era presente alle pareti. La casa aveva uno stile molto semplice, ma quelle pareti sembravano nascondere qualcosa di non narrato.
«Lexi!» esclamò Tessa, scattando in piedi e correndo dalla ragazza, abbracciandola con fare così delicato che sembrava quasi non toccarla. Lexi sentì il tocco leggero di Tessa sulla pelle, ripensando che quello era il primo vero contatto tra loro due, ma nonostante si conoscessero da poco, quel tocco la fece sentire a casa, la fece stare bene. 
«Come stai?» aggiunse infine, staccandosi dall'amica che si sistemava gli occhiali e accennava un sorriso. Sembrava stanca, il corpo era ancora attraversato da diversi tagli, la maggior parte rimarginati, mentre qualche benda copriva quelli ancora più profondi, ma nonostante tutto la ragazza non sembrava accusare troppo dolore.
«Mi sento... confusa. Ricordo solo che Victor ha aggredito me, poi sono entrati due uomini armati e...» la ragazza si bloccò di colpo, sotto lo sguardo di tutti che nel frattempo sembravano trattenere il fiato. 
«Dove sono i miei genitori?» chiese allarmata. 
«Stanno bene.» si intromise Simon, alzandosi e dirigendosi accanto alle due ragazze. «Li abbiamo trovati, erano feriti, ma abbiamo chiamato i soccorsi. Sono in ospedale adesso, fuori pericolo.»
Lexi si morse un labbro, per poi tirare un sospiro di sollievo. Continuò a guardarsi intorno, passando velocemente da un viso all'altro. Anche se non diceva nulla, era chiaro che stesse cercando qualcuno. E quel qualcuno era ovviamente Daniel.
«Dov'è Dan?»
«E' uscito con Vincent ieri, sulla tarda serata. Credo avesse bisogno di una pausa, è stato chiuso tutto il giorno, tutti i giorni in camera con te. Non si alzava mai, stava sempre con le mani sulla tua. Non ha neanche quasi toccato cibo.»
Lexi sorrise in modo malinconico. Non seppe perchè, ma si sentì in colpa di aver tenuto "prigioniero" Daniel lì con lei, si sentì in colpa di averlo fatto preoccupare, sperare, aspettare; mentre un'altra parte di lei suggeriva il contrario, era felice che fosse stato al suo fianco in quel momento, dopotutto non avrebbe voluto essere protetta da nessun altro, solo Dan.
«Non ci resta che aspettare allora... adesso ho fame.» esclamò, facendo sorridere i presenti.


Passarono diverse, interminabili ore, fin quando qualcuno non bussò alla porta. Simon andò ad aprire, facendo spazio a Vincent che salutava i presenti. Notò Lexi seduta sul divano, ma prima che potesse dirle qualcosa, lei gli chi chiese dove fosse Daniel, dato che erano usciti insieme. Il volto di Vincent parve confuso un attimo, confusione che lasciò spazio a qualcosa di più cupo e preoccupato.
«No...» sussurrò a denti stretti, afferrando un dispositivo che Lexi riconobbe subito: un trasmettitore che usavano i Nezakh nelle operazioni più complicate. Digitò qualcosa, avvicinando successivamente l'apparecchio all'orecchio. Chiese informazioni, successivamente imprecò e lanciò il dispositivo sul muro.
«Che succede?» chiese Lexi, scattando in piedi come se non avesse nessuna ferita sul corpo.
«Il suo velivolo è diretto alla base Shekinah.»
Nessuno capì, eccetto Lexi. «Cosa? Perchè?»
Vincent spiegò cosa avevano affrontato i due, la morte del Re con relativa confessione. Daniel stava andando alla base Shekinah per uccidere l'Originale, ponendo fine alla vita di tutti i Wendigo, compresa la sua.
Lo sguardo di tutti si fece serio, Tessa che pregò Vincent di raggiungerlo, Lexi immobile che non riusciva a proferire parola, Simon che prese il giubbotto al volo e Steve e Jeremy che non capivano, così come il piccolo Josh che si era appena svegliato.


Il viaggio durò molto più del previsto, dopotutto la base Shekinah era la più a sud tra tutte. Daniel non proferì parola per tutto il viaggio, giocando nervosamente con il pugnale che passava da una mano all'altra. Sentiva uno strano peso incastrato tra le costole, con un gancio all'estremità che uncinava il suo cuore, facendolo sanguinare. Sospirava tra un pensiero e l'altro, ripercorrendo tutta la sua vita. Iniziò dalla sua infanzia, dai volti che lo misero al mondo e lo resero felice, le prime persone che abbia mai amato: i genitori. Ripensò alla sorellina, arrivata in un momento non molto chiaro della sua infanzia, ma fu qualcosa di tanto potente che si sconvolse la vita in meglio. Si ricordò i giochi, il suo prendersi la colpa per i capricci di lei, gli abbracci puri e sinceri che potevano scambiarsi due bambini. Ripensò alla morte dei suoi genitori, arrivata per mano di un Wendigo Rango S, Wendigo che inseguì per tutta la vita per poi scoprire di stare inseguendo l'ombra di se stesso. Ripensò ai ricordi rivissuti dei dettagli di quella sera, ricacciandoli subito indietro. Ripensò al suo unirsi ai Sephiroth, a Victor che lo trattò come un figlio, alle risate tra i due che dieci anni dopo sarebbero finiti in tragedia. Ripensò a quella bambina che come lui si allenava per divenire una Nezakh, bambina che sarebbe diventata successivamente la sua partner, con cui avrebbe condiviso tutto: interessi, modi di fare, di dire, il letto quando si sentivano troppo soli o avevano gli incubi, i dispetti scherzosi tra i due, le lotte, il solletico, le coccole che dopo tempo divennero baci in quella tenuta, la loro prima volta che arrivò fin troppo tardi, prima volta che probabilmente sarebbe stata l'ultima. Ripensò alla sua amicizia con John e Vincent, il loro stare insieme di notte di nascosto, con nessuno che sospettava della loro amicizia, il loro essere in competizione a volte, i furti alcolici, i sogni mai realizzati. Ripensò al ritrovamento della sorella, a quanto fossero simili dopo dieci anni, ripensò a Simon, sapendo che quel ragazzo si sarebbe preso cura della sorella quando lui sarebbe morto.
Morte, stava andando ad affrontare proprio lei, l'entità che l'aveva da sempre accompagnato ma che adesso incombeva su di lui come una spada di Damocle.
Daniel fu destato solo dall'elicottero che scendeva di quota. SI preparò, riponendo quel pugnale nel fodero. Ordinò al pilota di tornare a casa, mentre lui poggiava i piedi sulla soffice neve. Fu attraversato da un brivido di freddo, mentre dietro di lui il mezzo si alzava e svaniva poco dopo in lontananza. Daniel si guardò intorno, osservando gli alberi spogli colmi di neve, un enorme distesa bianca che avrebbe rilassato chiunque. L'ambiente era simile all'entrata della base Keter, con la sola eccezione che non c'era nessun tastierino numerico all'entrata della base, bensì un portellone con entrata manuale. Daniel lo sbloccò, aprendo quell'enorme ammasso di metallo, mentre una folata di vento gli scombinò i capelli, facendoli ricadere sugli occhi. Entrò, mentre il cuore iniziava a martellargli nel petto. In lontananza sentì dei versi gutturali, riconoscendoli subito: Wendigo. Estrasse la spada, mentre con la mano sinistra impugnava una pistola. Si rese conto di essere fortunato ad indossare i guanti, dato che man mano proseguiva la temperatura diveniva più bassa. Il corridoio metallico era illuminato da luce artificiale azzurra, per il resto era vuoto. Proseguì per circa cinque minuti, finendo in un area con diverse rientranze nel muro, dalla quale uscirono un numero indefinito di Wendigo. Daniel puntò l'arma verso gli esseri, che tuttavia si limitarono ad annusare Daniel, per poi chinare il capo. In quel preciso momento ricordò una delle varie leggende sui rango S, in cui si narrava che questi Wendigo Superiori fossero in grado di comandare gli altri. Automaticamente la sua mente passò all'Uomo di Ghiaccio che comandava i Rango E alla fabbrica abbandonata, per poi ripensare al Wendigo che l'annusava al Foodhallen. Capì che alcuni riuscivano a cogliere la sua natura, e adesso che si era trasformato di recente, tutti i Wendigo lo riconoscevano come Originale. 
Quella situazione lo inquietava non poco, ma continuò il suo camminare verso la seconda porta metallica, mentre i Wendigo lo osservavano con devozione e lo lasciavano passare.
Arrivo sino alla meta, aprendo la porta per richiuderla alla sue spalle. La stanza si illuminò con la stessa luce azzurra, mostrando una moltitudine di lapidi che riportavano il nome dei Sephiroth caduti, mentre in lontananza si intravedeva una capsula con dentro l'Uomo di Ghiaccio. Daniel camminò verso il Wendigo Originale, attraversando quel cimitero Sephiroth.
Si fermò di fronte all'Uomo, che era intubato e teneva gli occhi chiusi. La fonte di ogni Wendigo creato, l'oscuro segreto dei Sephiroth.
«Se distruggi il mio corpo fisico, morirai anche tu!» 
Daniel si voltò, osservando l'Uomo di Ghiaccio che era in piedi dietro di lui, allora capì. Quello che vedeva lui, quello che aveva sempre conosciuto non era nient'altro che la volontà dell'Originale, il cui vero corpo era sempre stato in stasi al Santuario Shekinah. Per questo riusciva ad apparire in diversi posti, per questo scompariva non lasciando nessuna traccia. Erano davvero così potenti gli Originali? Erano in grado di trascendere le leggi umane?
«Ho preso la mia decisione. Moriremo proprio qui, proprio ora. Mi dispiace solo andarmene così, senza lasciare traccia. Ma se questo serve a proteggere i miei cari, ben venga.»
Il Wendigo Originale si avvicinò, senza fare minaccioso. «No, li faresti soffrire. Piangerebbero la tua morte.» 
L'essere poggiò la mano ghiacciata sulla fronte di Daniel, che ebbe una visione. Vedeva una lapide, con inciso sopra il suo nome. Accanto alla sua un'altra lapide riportava il nome di Karen Theresa Walker, morta all'età di novantaquattro anni. Di fronte a quelle lapidi, una vecchia poneva dei fiori. Daniel riconobbe Lexi in quella vecchia, che aveva un sorriso stanco in viso. Di colpo tutto divenne nero e Daniel si ritrovò a fissare il Wendigo Originale.
«E' questo che vuoi? Un mondo in cui i tuoi cari ti piangono per sempre?»
Daniel sospirò, abbassando lo sguardo e fissandosi le scarpe. Fece cadere la pistola, per poi sorridere. «Un mondo in cui i miei cari si ricordano di me. Un mondo in cui coloro che amo sono arrivati alla vecchiaia. Si, è questo che voglio.»
Daniel strinse la spada in mano e colpì la capsula, trafiggendo il cuore dell'Originale. La raffigurazione urlò di dolore e scomparve, mentre il corpo fisico cadde sul pavimento, non più eretto da quei cavi e tubi. L'Originale aprì lentamente gli occhi, sputando sangue, mentre Daniel fu pervaso da un dolore lancinante, finendo sul pavimento accanto all'Uomo di Ghiaccio.
«Volevo solo preservare la mia razza... tutti quelli che... la mia gente che...» chiuse gli occhi, tentando di farfugliare altro.
«Lo so.» sussurrò Daniel. «Lo so.»


Passò del tempo, Daniel non seppe dire quanto. Sentiva le urla strazianti dei Wendigo fuori dal cimitero Sephiroth, ascoltando anche il loro cadere sordo sul pavimento. Prima di ripartire dalla base Keter, subito dopo aver ucciso il Re, aveva recuperato alcuni fogli vuoti, accompagnati da una penna. Adesso era lì, poggiato al muro, di fianco al corpo senza vita dell'Uomo di Ghiaccio e accompagnato dal lamento dei Wendigo che man mano perdevano la vita. Afferrò la penna, e iniziò a scrivere:
Cara Lexi...


Il gruppo capeggiato da Vincent arrivò alla base Shekinah, ripercorrendo di corsa quel corridoio costellato da Wendigo morti. Nessuno osava dire nulla, si limitavano semplicemente a correre. Arrivarono di fronte la porta che portava al Santuario. Lexi ansimava, esausta, ma trovò comunque la forza di aprire la porta. 
Entrò, fissando quello che si parava di fronte i suoi occhi. 

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Capitolo 18
*** Epilogo: Never Too Late ***


L'atmosfera gelida, il fetore della carne marcescente dei Wendigo accasciati al suolo, le lapidi del cimitero dei Sephiroth, il Santuario Shekinah. Il vento freddo arrivava dalle lande innevate dietro, avvolgendo i presenti in un gelido abbraccio. Lexi aveva aperto la porta e aveva osservato davanti a sè: un'enorme sala piena di lapidi recanti il nome dei Sephiroth caduti, fino ad arrivare ad una capsula distrutta con alla base due persone.
Un Uomo di Ghiaccio, seduto con la schiena poggiata alla capsula dietro, accanto a lui Daniel, stessa posizione e con la testa poggiata alla spalla del Wendigo Originale.
Entrambi giacevano immobili.
«No...» Lexi corse in avanti, lasciando il resto del gruppo alle spalle, che non mosse un muscolo. Tessa aveva le mani davanti alla bocca, sperando che quello che stava osservando si rivelasse falso. Doveva essere così, lui era diverso, ce l'avrebbe fatta. Simon era accanto alla sua ragazza, scosso in viso, mentre un turbinio di emozioni si facevano strada prepotentemente dentro di lui, mentre Vincent teneva la testa china, fissando il gelido pavimento.
Lexi arrivò di fronte a Daniel e l'Originale. Lui testa china sulla spalla di ghiaccio dell'essere, un leggero sorriso in volto e le guance rigate da lacrime ormai asciutte. Iniziò a scuotere il suo amico, il suo partner, il suo ragazzo. «Daniel! Svegliati, svegliati!» ma lui non si muoveva. Il suo corpo era freddo e rigido.
«TI PREGO SVEGLIATI.»
Ma niente, tutto sembrava inutile. Tutto era inutile. 
Durante quel continuare scuotere il corpo del Wendigo Originale cadde di lato, battendo la testa sul pavimento e finendo in mille pezzi cristallizzati, inondando la ragazzo di aria gelida e schegge di ghiaccio. «Svegliati... fallo per me... per noi...»
La ragazza si voltò verso gli altri, in lacrime, con aria sconfitta in viso. I presenti, già distrutti di loro, sembrò che ricevettero l'ennesima pugnalata ad osservare lo sguardo di Lexi.
«Fate qualcosa... vi prego... aiutatelo.» dettò ciò, cadde in ginocchio, iniziando a piangere così forte che i suoi singhiozzi di dolore si estendevano per tutto il Santuario. Gli altri si avvicinarono, Tessa carezzò la guancia del fratello, anche lei finendo in lacrime. Simon rimase leggermente in disparte, assicurandosi di star comunque vicino a Tessa. Aveva conosciuto Daniel, aveva imparato a rispettarlo e considerarlo lui stesso un fratello, nonostante avessero passato pochissimo insieme, ma non riusciva a piangerlo, aveva ormai finito le lacrime e stavolta doveva essere lui quello forte, doveva prendersi cura di Tessa e della sua perdita, la perdita totale della sua vera famiglia. 
Vincent si avvicinò all'amico, superando Lexi che singhiozzava e Tessa che piangeva tra le braccia di Simon. Il ragazzo si chinò di fronte Daniel, abbassò lo sguardo e tornò a guardare l'amico. «E' solo colpa mia. Avrei dovuto saperlo. Dovevo fermarti anche se era quello che non volevi. Io... ti prometto che mi prenderò cura di loro. Buonanotte, Dan.»
Fece per alzarsi, ma notò che Daniel aveva in mano qualcosa, un foglio di carta con su scritto qualcosa. Lo prese delicatamente, leggendo la prima riga e capendo che fosse una lettera indirizzata a Lexi. Gliela porse, abbandonando il Santuario lentamente, seguito da una Tessa ancora in lacrime e da Simon con un'espressione seria in viso.
Lexi si sedette accanto al corpo privo di vita di Daniel ed iniziò a leggere quelle righe.

Cara Lexi,
se stai leggendo questo vuol dire che hai trovato questo posto e quello che ho combinato. Che casino... sapevo cosa avrei affrontato ma ho deciso di farlo ugualmente. Ho perso troppo per i Wendigo, non posso pensare di poter perdere anche te a causa loro, o a causa mia. Se solo mi trasformassi mentre sono con te... no, non posso.
Lexi, perdonami ti prego. So che questo farà più male a te che a me... già mi odio per questo, non vorrei mai farti del male, mai. Preferirei prendermi mille ferite per evitarne una sola a te, preferirei vivere una vita vuota per darne una piena a te... ho scelto di morire per salvare te da un mondo infestato da migliaia di mostri... infestato da un mostro come me che non avrà sempre il controllo. Ho scelto te... forse la strada più semplice? Non lo so, arrivati a questo punto non so qual'era la scelta giusta. Una vita con te era il mio sogno, lo è tutt'ora. Ma una vita in cui potevo ferirti, no, non potevo sopportarla. Ho liberato il mondo dai mostri. Tu, Tessa, Simon, Vincent, i tuoi genitori... potete avere una vita normale. Niente guerre, niente mostri, niente di niente. 
Promettimi una cosa Alexis, promettimi che vivrai ogni giorno al massimo, promettimi che non ti farai sconfiggere da niente e nessuno. Promettimi che non ti farai fermare da questo.
So che ce la farai, sei forte, intelligente, carismatica... e sei dannatamente bella. Dio solo sa quanto mi manca il tuo sorriso, i tuoi occhi sui miei... perchè sai, adesso che ci penso... quando mi specchiavo nei tuoi occhi si che mi sentivo davvero invincibile. 
So che la ragazza di cui mi sono innamorato riuscirà a superare anche questo, insomma amore mio, dimostrami che sarai sempre la mia piccola spaccaculi.
Ehy, assicurati che mia sorella abbia una bella vita, anche se sono certo che Simon le darà tutto il bene che merita. Quel ragazzo è in gamba, non potevo chiedere di meglio per lei. Dille che ritrovarla è stato bellissimo, e che la amo come quando giocavamo insieme, se non di più. Sono fiero di lei, di com'è diventata, di quanto bella e matura sia adesso. 
Scusati anche con Vincent da parte mia, non dovevo ingannarlo. So che capirà la mia scelta e mi odierà al tempo stesso. E' una delle cose più simili ad un fratello che io abbia mai avuto, non serve che gli dia delle raccomandazioni, lui sa benissimo cosa voglio. Mi fido abbastanza di lui per lasciargli carta bianca. Ricordagli solo che gli voglio un gran bene e... insomma ringrazialo per me.
Sai, mi chiedo se rivedrò i miei genitori...
Lexi, un'ultima cosa... ricordati di noi.
Scusa se non faremo tante cose insieme, scusami se non ho mantenuto molte promesse che ti ho fatto, scusami... ma voglio farti un'ultima promessa, questa so che la manterrò. Io sarò sempre al tuo fianco, sempre. Te lo prometto. 
Ehy. Ti amo.


Lexi fece cadere la lettera, buttandosi sul corpo di Daniel e abbracciandolo, senza mai smettere di piangere.


Passarono tre mesi, Lexi visitava regolarmente la tomba di Daniel, sepolto vicino ai suoi genitori. Stessa cosa facevano Simon e Tessa, mentre Vincent lo faceva un po' di meno, impegnato a mettere su la sua attività commerciale. Aprì un bar, il St. Daniel, che divenne presto punto di incontro di quel gruppo, che si riuniva lì per chiacchierare e bere in compagnia, anche dopo la scuola nel caso di Simon e Tessa, dopotutto le vacanze di Natale erano finite da un pezzo. La coppia stava sorseggiando un buon tè caldo, Vincent stava servendo ad un tavolo poco distante, fin quando il telefono di Tessa vibrò, era Lexi.
Un sms breve, conciso, chiaro: sono incinta.
Tessa strabuzzò gli occhi, lanciando il telefono a Simon che lesse ed ebbe la stessa reazione.
«Incinta?»
«Chi è incinta?» fece eco Vincent, arrivato accanto a loro.
«Lexi.» rispose Simon, osservando ancora il telefono. «Vorrai mica vedere che quella volta alla tenuta... quindi...»
«Oddio...» Gli occhi di Tessa divennero lucidi, mentre Simon e Vincent si guardarono con un sorriso. Dopotutto Daniel aveva lasciato una parte di sè al mondo. 


Arrivò il gran giorno, Tessa camminava ripetutamente avanti e indietro, mentre Simon sorseggiava un caffè. «Zia Walker, si rilassi.» la prese in giro il ragazzo, mentre la ragazza non faceva altro che continuare. «Oddio zia. E se sarò una pessima zia? E se al mio nipotino non piaccio? E se...» non fece in tempo a finire, che si ritrovò le labbra di Simon sulle sue. 
Di colpo, tutte le preoccupazioni cessarono.
Nella sala parto, Lexi stava attraversando un momento difficile. Sentiva i medici che le ripetenevano di spingere, di sforzarsi e che ce l'avrebbe fatta. Quando mesi prima aveva scoperto di essere incinta fu attraversata da mille emozioni contrastanti, poi ripensò all'unico rapporto avuto con Daniel, rendendosi conto di portare in grembo suo figlio. In quel preciso istante, si rese conto che era la cosa più bella che le fosse capitata. Scoprì di aspettare un maschietto, non avendo dubbi sul nome: Christopher. Christopher Walker. Dopotutto quando Dan fantasticava su un eventuale figlio aveva pronunciato quel nome, non poteva essere un caso. Lexi non pensava nemmeno di restare incinta, ma evidentemente averlo fatto per tre volte in un solo giorno aveva cambiato le carte in tavola. Ma quel bambino non voleva proprio nascere, lei non riusciva a farlo nascere. Iniziò ad aver paura, se non sarebbe riuscita? Si sentì toccare la mano, notando il volto di Daniel accanto al suo. «Stai andando bene. Ci sei quasi.»
«Dan...» sussurrò lei, ma l'immagine del suo ragazzo svanì quando dei vagiti catturarono la sua attenzione. Christopher era nato e Lexi, ritoccandosi la mano, afferrò un fiocco di neve che si sciolse poco dopo.


Chicago, 25 settembre 2025

Era il compleanno del piccolo Christopher, che spegneva dieci candeline. Lexi era intenta ad apparecchiare la tavola, mentre suo figlio giocava con il suo Siberian Husky di nome Ice. L'attenzione del bimbo fu attirata dal campanello che suonò. «Mamma! Sono arrivati gli zii.»
«Va ad aprire Chris.» rispose con tono gentile Lexi dalla cucina.
Il bambino ubbidì, aprendo e trovandosi di fronte gli zii Simon e Tessa. Saltò in braccio a Simon, che lo afferrò al volo. «Che ometto agile!» disse ridendo.
«Più agile di te, vedo!» rispose Tessa, scombinando i capelli castani del piccolo. Era la copia di Daniel, più piccola ma era davvero lui. Somigliante in tutto. Simon adagiò il nipote a terra e si avventurò verso la cucina, mentre Tessa perse qualche secondo ad osservare le foto attaccate sul muro: diverse di Lexi e Daniel, alcune di lei e Lexi, altre in cui figurava Vincent. Ne afferrò una, quella del matrimonio. Tessa era in abito bianco, Simon con un elegnate vestito nero. A fianco a loro figuravano i testimoni: Vincent e Lexi per Tessa, Steve e Jeremy per Simon. La posò, con un leggero sorriso e andò anche lei in cucina. 
Lexi viveva da sola con il figlio e con il suo cane. Erano soliti mangiare insieme, a volte erano presenti anche Steve con Jeremy, Vincent con la sua ragazza e altri amici conosciuti nel tempo. Alcuni suggerivano a Lexi di trovarsi qualcuno, ma Tessa sapeva bene che per il momento, per lei, esisteva solo Christopher. Forse un giorno avrebbe ricominciato una relazione, nonostante il suo unico amore fosse stato solo uno. 
La serata passò in tutta tranquillità come sempre, cena, chiacchiere, risate e poi saluti. Christopher ormai dormiva di sasso nel suo letto, con Ice accanto come se lo proteggesse da incubi. Lexi gli diede un bacio sulla fronte e carezzò il cane che dormiva sul pavimento. Andò poco dopo in camera sua, addormentadosi diversi minuti dopo.
Ice si svegliò di colpo, fissando qualcosa davanti a sè. Fece un ringhio d'allarme, ma scodinzolò poco dopo. Daniel carezzò il cane, avvicinandosi al letto del figlio, carezzandogli il viso. «Prenditi cura di mamma. Ti voglio bene.» 
Uscì dalla stanza del figlio e si diresse verso quella di Lexi. Stette ad osservarla per qualche secondo, poi le sussurrò qualcosa. La baciò delicatamente sulle labbra ed uscì di casa, avvicinandosi ad una coppia di mezza età.
«Sei pronto ad andare?» chiese la donna.
«Si, mamma.» rispose lui, svanendo poco dopo insieme ai suoi genitori.


 

Note dell'autore
 


Eccoci qua. La fine di Sephiroth. Wendigo estinti, Sephiroth estinti e vite normali per tutti i presenti. La fine di Daniel che ho pensato da mesi, indeciso sul finale, ma questa è davvero la scelta più logica per me. Una fine adatta per un gran personaggio, che ha vissuto attraverso questi diciotto capitoli e che ha scelto le persone che amava a se stesso, per perdonare i suoi peccati e assicurare una vita felice ai suoi cari.
Spero che la storia vi sia piaciuta, spero di avervi trasmesso qualcosa.
Colgo l'occasione per ringraziare Blankit e Melz, miei carissimi fan stalker e che reputo amici ormai. 
Ringrazio anche Freya_Melyor, Always_394 e Lilith_Luna per aver recensito gli altri capitoli e ringrazio le altre persone che hanno messo la storia tra le preferite, ricordate e seguite.
Senza di voi, tutto questo non sarebbe stato possibile.
Grazie di cuore, davvero.
Marco / NeroNoctis 

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