L-Iconoclast, Atto I

di RaidenCold
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ruggito ***
Capitolo 2: *** Cavalieri ***
Capitolo 3: *** Cosmo ***
Capitolo 4: *** Tenebre ***
Capitolo 5: *** Battaglia ***
Capitolo 6: *** Furia ***
Capitolo 7: *** Ombra ***
Capitolo 8: *** Lapide ***
Capitolo 9: *** Santuario ***
Capitolo 10: *** Coraggio ***
Capitolo 11: *** Atena ***
Capitolo 12: *** Identità ***
Capitolo 13: *** Luce ***



Capitolo 1
*** Ruggito ***


Luglio 2007, Leonidas:

Oggi io, Minerva e Lun siamo stati adottati

e andremo a vivere in Italia con un signore enorme,

lui però mi sembra molto buono.

Finalmente avremo anche noi una mamma e un papà!

 

L'aria era elettrizzante: il silenzio non confortava Leonidas, che sapeva dell'imminente attacco del suo avversario.

Si scrutò attorno, ma non vide nessuno. Sembrava esserci solo lui nel giardino, ma sapeva che non era così. Poi finalmente il segnale che stava spettando: alcune foglie si spostarono, e Leonidas riuscì a capire da dove stesse arrivando il colpo! Afferrò il diretto destro che Bull gli aveva sferrato, ma non riuscì ad evitare il gancio sinistro, che lo colpì facendolo schiantare sul muretto di casa; ci fu un enorme tonfo e sul muro comparvero delle crepe. Leonidas rimase un attimo intontito, poi una mattonella gli cadde sulla testa e lui imprecò urlando, mentre Bull si godeva la scena ridendo a crepapelle:

“Non c'è niente da ridere, mi sono fatto male!”

“Alzati e non fare tante storie, non ti ho colpito poi così forte!”- disse Bull, con le lacrime agli occhi dal ridere;

“Ehi che cosa sta succedendo là?!”

“Sei nei guai vecchio” si rialzò Leonidas tastandosi la testa dolorante;

“Cosa?! Sei tu che hai rotto il muro!
“Io non ho rotto il muro.”

“Tu hai fatto cosa?!”- una giovane donna dai capelli corvini aprì di scatto la porta che dava sul cortile

“N-non sono stato io Claire, te lo giuro!”- balbettò Bull;

“Ah, non mi importa, ma mi chiedo...perché dovete fare queste cose in casa!?”

“Veramente siamo in giardino cara...”

“Sai che m'importa, ora vedi di mettere tutto a posto, toro scatenato!”

“S-scusami cara...”

Leonidas vedeva praticamente ogni giorno scene di quel genere, eppure non si abituava mai alla vista di un enorme energumeno alto più di due metri che obbediva come un agnellino a quella minuta donna dai lunghi capelli neri.

Approfittando della lite in corso tra i due sgattaiolò in casa, dove vi era il piccolo Keith davanti alla televisione intento a giocare ai videogiochi:

”Stanno bisticciando di nuovo?”

“Già...tuo padre e tua madre non cambieranno mai.”- disse il ragazzo ridacchiando;

“Come procedono gli allenamenti fratellone?”

“Come al solito; sono distante anni luce dal livello di tuo padre. Se solo riuscissi a sviluppare quella forza che lui tiene dentro come fa lui...”

“Il Cosmo?”

“Sì esatto. Ad ogni modo adesso vado a farmi una doccia e poi vado.”

“Dove vai di bello?”

“Una festa... non è che abbia molta voglia in realtà, però Lun mi ha chiesto di andarci assolutamente.”
“Immagino dovrà vedere una delle sue «amiche».”

Leonidas sbuffò:

“Già...”

“E' sempre il solito.”-ridacchiò Keith;

“Comunque è arrivato un pacco, potresti avvertire papà?”

“E perché non lo fai tu nanerottolo?”

“Perché devo passare il livello!”

Il ragazzo tirò a Keith un colpetto sulla testa:

“Mi hai fatto male!”

Leonidas ridacchiò ed entrò in cucina per prendere un bicchiere d'acqua, e vide che sul tavolo vi era un'enorme scatola dorata simile ad un forziere. Si avvicinò per vedere cosa fosse, ma ad un certo punto si sentì attraversare il corpo da una strana sensazione, e rimase immobile diversi istanti davanti a quella grossa e misteriosa scatola.

 

“Sei sicuro che verrà?”

“Ah, non ti preoccupare Marco!”

“Lo credo bene, sei tu quello che è sempre in ritardo Lun!”

“Ehi!”

“E' la verità. Vero Lorenzo?”

Lorenzo, intento a sorseggiare un bicchiere di spumante si limitò ad annuire sorridendo, facendo ridere Marco con disappunto di Lun. La festa si svolgeva nell'enorme giardino di una villa in campagna. C'erano decine di tavolini con sopra vivande di ogni genere, e persino una piscina. Sopraggiunse Sebastiano con in mano due bicchieri di Whisky:

“Ehi gente, che si dice?”

“Leo non si vede ancora. Comunque sei stato gentile ad avermi portato un drink”- Lun si avvicinò per prendere uno dei bicchieri, ma l'amico si scansò prontamente facendo cadere il ragazzo dai capelli bianchi: “Ehi, attento, così mi sporco il vestito!”
“Guarda che non è per te questa roba! Vedi là?”- Sebastiano indicò due ragazze dai capelli castani a bordo vasca;

“Ma quella è Marina...non ci provare, lei è il mio obiettivo,e poi è lei che mi ha invitato a questa festa!”

“Ah, tientela pure la tua Marina. A me interessa l'altra!”

“Sua sorella maggiore?”-chiese Lun un po' stupito, fingendo però di non esserlo;

“Esattamente.”

“Sei forse impazzito? Siamo ad una festa di compleanno e ti metti a flirtare con la festeggiata, ci saranno minimo altre cento persone che staranno pensando di fare lo stesso!”

“Guarda che io e Cristina ci frequentiamo già da qualche settimana”

Gli occhi di Lun si illuminarono : “Oh grande maestro, ovviamente metterai qualche bella parola sul mio conto? Che ne so, davanti a sua sorella...”

“Tranquillo fiocco di neve”

“Non chiamarmi così bastardo!”

“Ehilà ragazzi!”-esordì Cristina in mezzo al gruppo di amici, seguita a sua volta da sua sorella e da un'amica.

“Perdonami, mi ero messo a chiacchierare con questi qua e mi sono distratto. Ecco il tuo drink!”- Sebastiano porse il bicchiere delicatamente alla ragazza e dopo un breve brindisi ne bevvero un goccetto.

“Ah, beato lui”-sussurrò Marco -”Vero Lun? Lun? Ehi...”

Lun era scomparso, e anche Marina non si vedeva più: “A quanto pare c'è riuscito di nuovo!”- disse Lorenzo ridendo;

“Non c'è nulla da ridere ! Ora siamo rimasti solo noi due...!”-Marco si appoggiò sconsolato sulla spalla dell'amico “Eh già”, disse Lorenzo dandogli una pacca sulla spalla.

 

I due ragazzi si erano appartati in un terrazzino che dava sul laghetto della villa:

“Che cielo incantevole!”

“Già lo trovo anch'io”

“In città le stelle non si vedono così. E' un vero peccato!”

“Ora ti rivelerò un segreto Marina. Le vedi quelle stelle?”

Lun indicò il cielo con l'indice destro

“Quali?”-Lun le si avvicinò e disse:

“Quella è la costellazione del Cancro. Non si vede molto,ma là in mezzo noterai una specie di macchia...”

“E' vero! Ma che cos'è?”

“Quello è un ammasso di stelle, si chiama Presepe. In Cina lo chiamano «Tsei She Ke»,e dicono che sia l'ingresso delle anime verso l'aldilà...

“Interessante...”- i loro volti si erano lentamente avvicinati, quasi fino a toccarsi. Si fissarono negli occhi per qualche istante poi li chiusero, si avvicinarono ancora di più e...

“Guarda guarda! Che cosa abbiamo qua?”

Dietro di loro c'era un ragazzo alto con i capelli corti e pieni di gel. Portava una t-shirt con le maniche rimboccate e aveva una sigaretta in bocca, che però sputò per terra schiacciandola:

”Ehi Marina, perché perdi tempo con questo cotton fioc? Coraggio andiamo, mi sto rompendo le palle qui!”

“Ti avevo detto di non venire Achille!”- la ragazza si girò verso Lun - “E' il mio ex fidanzato, scusami, adesso se ne va...”

“No che non me ne vado, e poi io non ti ho mai lasciato!”

Marina abbassò lo sguardo

“Guardami quando ti parlo idiota!”

“Qui l'idiota sei tu.”- Lun si mise davanti al ragazzo con aria minacciosa, non spaventandolo molto in realtà a causa del divario di altezza tra i due: ”E tu che vuoi nano? Levati dai coglioni!”

“Perché non ti levi tu?”

“Dillo a loro!”-dietro a lui comparvero altri cinque ragazzi, tutti dall'aria piuttosto minacciosa.

“Vi prego smettetela!”

“Ti ho detto di stare zitta cretina che non sei altro!”

“Non osare ripeterlo...”- Lun si fece davvero truce in volto, e per un istante il suo avversario si intimorì per quegli occhi gialli carichi di rabbia pronta a esplodere, ma mantenne comunque la sua aria spavalda e scrocchiò i pugni in segno di sfida.

“C'è qualche problema?”- domandò un ragazzo con indosso dei Jeans e una felpa bianca con il cappuccio, da sotto il terrazzino; aveva capelli arruffati color castano, e grandi occhi color ambra accentuati da sottili occhiaie.

“Leonidas! finalmente sei arrivato, dammi una mano a sistemare questi cretini.”

“Sempre la solita storia con te... mai che si possa passare una serata tranquilla.”

Con un balzo scavalcò la ringhiera, atterrando perfettamente in piedi, sebbene fosse un salto di quasi tre metri di altezza.

Il gruppo di attaccabrighe mormorò chiedendosi come avesse fatto ad eseguire un salto simile.

Leonidas alzò il braccio e con l'indice della mano indicò i cinque ragazzi:

“Ehi voi, vedete di andarvene subito.”
“Ci pensi tu ai leccapiedi Leo?”-

Leonidas annuì ed i due si batterono il pugno.

“Che cosa volete fare deficienti?!”- urlò Achille attaccando Leonidas con un pugno; ma il ragazzo evitò facilmente il colpo e all'improvviso Achille se lo ritrovò alle proprie spalle:

“Te lo lascio, fratellino.”

“Molto bene!”- Lun si avvicinò al suo avversario così velocemente che egli non si rese conto di averlo davanti quando un ceffone lo colpì sulla guancia sinistra con una forza tale da farlo cadere a terra sanguinante. Intanto Leonidas aveva messo fuori gioco il resto della banda: evitati i primi due afferrandoli e facendo tirare loro una testata l'un l'altro, aveva poi colpito con un calcio basso allo stomaco un altro che era caduto a terra svenuto, e quando un quarto cercò di colpirlo da dietro con in mano una sedia, gli bastò tirare una gomitata sugli addominali per stenderlo. Il tutto avvenne in circa cinque secondi. Visto ciò, il quinto cercò di scappare via silenziosamente, ma Lun lo intercettò prontamente tirandogli una calcio sul sedere, che lo fece ruzzolare a terra. Marina osservò la scena incredula:

“Ragazzi...g-grazie, ma come ci siete riusciti?”

“E' un segreto!”- ridacchiò Lun strizzandole l'occhio.

Leonidas afferrò Achille per i capelli, sollevandogli la faccia ancora sanguinante da terra: “Non farti più vedere da queste parti, chiaro?” Achille grugnì un «Fi fignore», dopodiché Marina chiamo due grossi buttafuori ordinando loro di portare via quei ragazzi che avevano «bevuto troppo».

“Bene, e ora che dite se andiamo a goderci la festa?”- disse Leonidas;

“Per me va bene...”- rispose Marina un po' perplessa.

“Ma i-io...ecco...uffa...”

“Che c'è Lun?”

Il ragazzo si avvicinò all'orecchio di Leonidas:
“Stavo quasi per «portare a termine l'affare»!”

“Accidenti... mi spiace... pazienza ti rifarai un'altra volta!”

Leonidas e Marina scoppiarono a ridere, e nonostante stesse tenendo il broncio Lun si sentì sollevato vedendo la ragazza felice.

“Secondo te le piaccio?”

“Si, penso di sì Lun...”

Tutta la città era silenziosa e il cielo privo di nubi appariva come un immenso manto stellato. Firenze era una città immensa, ma per fortuna le zone ai margini erano piuttosto tranquille e poco inquinate.

Leonidas e Lun stavano rincasando, quest'ultimo particolarmente vispo dopo aver ottenuto un appuntamento con Marina:

“Come dovrei vestirmi, mi metto elegante oppure qualcosa di semplice?”

“Lun, è la settimana prossima.”

“Lo so ma comincio a prepararmi già ora, non voglio che niente vada storto! Comunque mi vestirò in modo semplice.”

“Se lo sapevi già perché diamine me lo hai chiesto?!”

Leonidas aveva solamente due anni in più di Lun, ma a volte per via dell’infantilità di quest’ultimo, il divario di età tra i due sembrava espandersi.

Lun ridacchiò:

“Che c'è sei nervoso?”

“No, solamente un po' stanco.”

“Hai di nuovo avuto quel problema?”

“Già.”

“Pensavo che stesse migliorando.”

“Rispetto a qualche anno fa va decisamente meglio.”

Leonidas si fermò di colpo: cominciò a sentirsi osservato.

Si guardò attorno tra gli alberi, i vicoletti e le cime dei palazzi poté scorgere delle ombre muoversi attorno a lui:

“Lun...”

Leonidas appoggiò la mano sulla spalla del ragazzo

“Che c'è?”

“Abbiamo compagnia.”

Il ragazzo canuto si fece d'improvviso serio in volto e constatò che effettivamente qualcuno li stava seguendo:
“Chi sono questi?”

“Non ne ho idea...tu non abbassare la guardia.”

“D'accordo Leo”

Continuarono a camminare facendo finta di niente fino a quando giunsero ad una piazzetta. A quel punto i loro sospetti si concretizzarono: erano circondati.

“Ma cosa vogliono da noi fratello?”

“Non ne ho idea, ma ho una brutta sensazione...”

Erano circondati da una ventina di persone - anche se in realtà potevano essercene molti di più nascosti nell'ombra- tutti vestiti allo stesso modo:

indossavano un armatura nera che copriva buona parte del busto, gli stinchi e gli avambracci; inoltre portavano un cinturino ed una specie di elmo che assomigliava alla bocca aperta di un serpente, al cui interno si celavano i volti di quegli energumeni che apparivano tutt'altro che amichevoli.

“Che diavolo volete voi? Sparite prima che vi prenda a calci nel culo!”

Gli uomini con l'armatura nera rimasero impassibili di fronte alle minacce del ragazzo albino. All'improvviso una decina di loro scattarono contro i due ragazzi e cominciarono ad attaccarli furiosamente;

dal canto loro però Lun e Leonidas non erano degli sprovveduti e grazie alla loro forza sovrumana atterrarono, seppur con qualche difficoltà il gruppo di aggressori. Ma non era finita: quegli omoni continuarono ad attaccare più e più volte: dopo diversi attacchi Leonidas si ritrovò con il fiato corto e sebbene Lun non lo desse a vedere era anche lui sul punto di cedere, avendo quasi del tutto esaurito le forze.
“Lun!”

Leonidas riuscì ad avvertirlo appena in tempo dell'avversario che aveva dietro e Lun riuscì ad evitare il colpo e a staccarsi dalla mischia per qualche istante e riprendere fiato, ma per lui ormai non c'era più nulla da fare:

“Scappa!”

“Non ti lascio qui!”

Leonidas era ormai totalmente alla mercé di quegli energumeni, e non riuscendo a difendersi venne immobilizzato da un gruppo di uomini mentre un altro gruppo si avventò su di lui con calci e pugni, con una ferocia tale che la sua saliva cominciò a mescolarsi al sangue e la sua testa cominciò a girare:

«Merda...»

Leonidas era sul punto di svenire:

«..se non faccio nulla attaccheranno Lun...»

Il corpo di Leonidas cominciò a diventare bollente, e il ragazzo sentì una sensazione nuova dentro di sé, come se qualcosa stesse bruciando dentro di lui:

«Non posso permettere che gli facciano del male... !»

Leonidas si rialzò con un potente grido mentre dal suo corpo uscì un bagliore di luce che causò una potente esplosione, scaraventando via i suoi avversari.

Adesso in mezzo alla piazza s'innalzava solamente Leonidas, pieno di ferite e sporco di sangue, ma coperto da un'aura dorata che esaltava i suoi occhi ambrati dandogli le parvenze di un qualcosa che non apparteneva al mondo umano, bensì a quello divino.

“Non esaltarti troppo!”

Leonidas si girò e vide in cima a un tetto una figura incappucciata, probabilmente una giovane donna a giudicare dal timbro della voce, profondo ma delicato:

“Puoi anche avere il Cosmo di un Dio, ma il tuo corpo è debole, e presto i miei Drakontoi avranno la meglio su di te.”

“Chi sei tu?”

“Non sono affari che ti riguardano. Prendetelo!”

Gli uomini con le armature nere si scagliarono nuovamente su Leonidas, ma all'improvviso una saetta squarciò il cielo schiantandosi sul suolo e accecando tutti i presenti;

quando riuscì a vederci qualcosa, Leonidas notò davanti a lui, dove era caduto il fulmine, una scatola dorata sulla quale era raffigurato un Leone, che si aprì con un bagliore altrettanto accecante al precedente. Il ragazzo sentì una sensazione di torpore e gli parve che il suo corpo venisse avvolto da un abbraccio caldo e confortevole che gli restituì le forze.

Aperti gli occhi, Leonidas si accorse che qualcosa in lui era cambiato, anche lui indossava un'armatura, ma diversa da quella dei suoi nemici: le sue vestigia coprivano la maggior parte del corpo e nonostante l'aspetto imponente non gli parve pesante da indossare, quasi come se avesse addosso dei semplici vestiti.

L'armatura d'oro che indossava emetteva un bagliore continuo come quello di una stella; mentre tutti osservavano stupiti la scena, Leonidas alzò il suo braccio destro per guardarlo e notò delle piccole scosse elettriche attraversarlo.

Intanto i Drakontoi ripartirono alla carica, ma Leonidas accorgendosene chiuse il pugno, lo ritirò verso il fianco e poi lo sferrò nuovamente: dal suo pugno fuoriuscirono una moltitudine di saette velocissime che avvolsero i nemici in una sorta di griglia nella quale tutti vennero inevitabilmente fulminati come insetti.

Con un colpo solo, Leonidas aveva sconfitto tutti i suoi avversari; tutti tranne l'incappucciata sul tetto che non si era mossa di un millimetro: “Molto bene, a quanto pare dovrò pensarci io stessa.”

Ma, come se quella notte non potesse sembrare ancora più folle di quanto già non fosse, un fiocco di neve le cadde delicatamente davanti. Ne seguirono molti altri e l'aria parve congelarsi. Da un vicoletto spuntò camminando pacatamente un ragazzo biondo con gli occhi azzurri; indossava anch'egli un’armatura, ma la sua era argentata e lucente, quasi bianca come la neve.

“Coraggio, perché non combatti con me?”

“Tu? Non farmi ridere, sei solo un Cavaliere di bronzo!”

“Sarà, ma tu non indossi un'armatura e qui con me c'è un Cavaliere d'oro. Inoltre chi ti dice che essendo di bronzo, non sia in grado di sconfiggerti?”

L'incappucciata avvertì nel cavaliere dinnanzi a lui un'energia immensa e straordinaria, e capì che non avrebbe mai potuto vincere lo scontro in quelle condizioni.

“Non finisce qui...”- detto ciò la ragazza tornò tra le ombre dove parve scomparire.

Il cavaliere sospirò : “Ve la siete vista brutta...scusate il mio ritardo, ma sono venuto appena ho percepito un cosmo risvegliarsi.”

Lun si avvicinò al ragazzo: “Ehm..e tu saresti?”

“Che sbadato! Il mio nome è Deneb, Cavaliere di bronzo appartenente alla costellazione del Cigno. Piacere di conoscervi!”

“Il piacere è tutto mio, io sono Leonidas…”

“...Cavaliere d'oro del Leone”- nessuno si accorse dell'arrivo di Bull:

“Ma che significa tutto ciò?”- domandò Leonidas perplesso

“Andiamo a casa Leo, qui non è sicuro parlare...”- Bull si guardò attorno perplesso-”...la situazione potrebbe essere più grave di quanto immaginassi.”

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Capitolo 2
*** Cavalieri ***


Dicembre 2010, Leonidas:

Oggi Minerva è partita per l'Inghilterra,

Lun ha pianto tanto ma io non l’ho fatto,

anche se ero molto triste.

 

Leonidas, Bull, Lun e Deneb - quest'ultimo, spoglio della sua armatura, sfoggiava un'elegante giacca marrone e dei blue-jeans attillati che accentuavano il suo fisico longilineo - stavano seduti attorno al tavolo della cucina, quando Claire entrò con un vassoio sul quale vi erano una teiera, una zuccheriera, una scatola di ferro e delle eleganti tazze bianche in porcellana decorate con fiori blu scuro.

Versò del tè nelle tazze e poi si sedette, mentre Lun afferrò la scatola di ferro nella quale vi erano dei biscotti che lui adorava particolarmente. Deneb ringraziò la donna e iniziò a sorseggiare il tè da lei preparato. “Allora Deneb, qual buon vento ti porta qui?” - domandò cortesemente Bull al ragazzo dai capelli biondi:

“Sono venuto per conto del Grande tempio di Atene”

“Quando stamattina mi è stato recapitata l'armatura del Leone non pensavo che il Sacerdote facesse sul serio… puoi spiegarmi la situazione?”

“Certamente. A seguito di numerosi attacchi di quegli individui che si fanno chiamare «Drakontoi», il gran sacerdote ha deciso qualche mese fa di distribuire una dozzina di Sacre armature a giovani guerrieri in tutto il mondo. I presagi che egli ha avuto non sono per niente incoraggianti e teme il risveglio di antiche forze malefiche, sul quale attualmente alcuni Cavalieri stanno indagando. Ad ogni modo, venuto a conoscenza dei tuoi promettenti allievi il Gran sacerdote ha preso la decisione di inviare a te l'armatura d'oro del Leone affinché tu le trovassi un degno indossatore… ma a quanto ho potuto vedere l'armatura ha già scelto.”- disse Deneb ammiccando a Leonidas - “Eppure non capisco perché fare una mossa così azzardata come spostare un'Armatura d'oro dalla Grecia fin qui, se come sostiene il gran sacerdote ovunque è pieno di nemici nell'ombra pronti ad attaccare...” - aggiunse perplesso.

“La risposta è semplice: Minerva.”- disse Bull;

Tutti i presenti sgranarono gli occhi:

“Minerva...nostra sorella?” - domandò Lun con stupore;

Leonidas rimase un secondo attonito: in che modo la sua amata sorella era coinvolta con quel «Grande tempio» e le vestigia dorate che aveva avuto modo di indossare quella sera?

“Lady Minerva è la sorella dei due ragazzi?”

“Non esattamente, erano nello stesso orfanotrofio quando li ho trovati, così ho deciso di adottarli tutti e tre.”

“Già, non siamo fratelli di sangue!” - aggiunse Lun mordicchiando un biscotto.

“Adesso capisco...ma certo, non solo per te, ma anche per la sua presenza è ovvio il perché il Gran sacerdote abbia scelto di mandare qui l'armatura di Leo!”

“Bull, che cosa significa tutto questo, ci hai forse addestrato per tutti questi anni col fine di farci diventare «cavalieri» di questo «Grande tempio»?”

domandò Leonidas perplesso e un po' impaurito dalla situazione;

“Leo, Lun, perdonatemi se non vi ho mai detto nulla a riguardo.

Ho sempre voluto evitare che voi entraste nel mondo dei cavalieri di Atena, ma in cuor mio sapevo che non potevo farlo. Pertanto vi ho allenato ugualmente, con la speranza che non ci fosse mai bisogno per voi di combattere. Perché è questo che fanno i cavalieri di Atena.”

“Chi sono costoro?”- domandò Leonidas.

“Guerrieri invincibili, valenti condottieri, votati anima e corpo alla dea Atena, che come immagino sappiate, nell'antica mitologia greca è una delle figlie di Zeus, il re degli dei. Indossa un'armatura scintillante ed è la dea della guerra. Ma ad Atena non piaceva combattere in prima persona e le sue battaglie erano sempre difensive. Combatté contro l'atroce e crudele Ares, si scontrò con i Titani e si giocò la conquista dell'Attica nella battaglia contro Poseidone. Le guerre scatenate dagli dei durarono a lungo, molto più tempo di quanto un umano possa immaginare. Nel campo di battaglia attorno alla dea si trovavano i ragazzi che la proteggevano: questi erano i Cavalieri! Erano ragazzi forti, che avevano coraggio da vendere, e arrivavano da tutto il mondo. La dea odiava le armi e per proteggerla combattevano solo con i loro corpi, senza l'ausilio di nessuna arma. I loro pugni fendevano l'aria e i loro calci erano in grado di spaccare la terra. Anche oggi dicono che facciano la loro comparsa quando il mondo è saturo della forza del male...sono i guerrieri della speranza. La mitologia non riporta nessuna cosa che li riguarda, sono ragazzi misteriosi, sono i Sacri guerrieri della dea Atena.”

“Quindi... io ora sarei un cavaliere di Atena?”

“E anche Bull naturalmente.” - intervenne il cavaliere del Cigno

“Come?!” - esclamò Lun sputacchiando pezzi di biscotto addosso al povero Leonidas.

“Non dirmi che non lo sapevate... oh, non glielo avete mai detto?”

Deneb si voltò stupito verso Bull e Claire che però non risposero.

Infine Bull spezzò il silenzio:

“Ebbene ragazzi, io sono il cavaliere d'oro della costellazione del Toro.”

Leonidas era incredulo: pur non sapendo nulla riguardo al mondo dei cavalieri aveva potuto facilmente intuire che essere un cavaliere d'oro significasse qualcosa di molto importante. Inizialmente anche Lun rimase stupito, per poi mettersi a ridacchiare per il gioco di parole di Bull e della sua costellazione.

“I Cavalieri di Atena sono ottantotto in totale e di dividono in base all'armatura che indossano: quattro ne posseggono una di rango sconosciuto, quarantotto sono i cavalieri di bronzo, la casta più bassa di qui io faccio parte, ventiquattro sono i cavalieri d'argento e in fine ci sono i dodici cavalieri d'oro, i Cavalieri con le armature più potenti.” - spiegò Deneb;

“Quindi Leo è uno dei più forti!”

“Formalmente sì Lun, ma credimi, non è neanche minimamente vicino al livello di potenza di un vero cavaliere d'Oro.”- precisò Bull- “Ora però possiedi un'armatura che ti ha scelto e devi dimostrare di essere degno di indossarla. Sono sicuro che non sia una coincidenza, ma che sia stato scritto nelle stelle che tu diventassi il cavaliere d'oro del Leone; Leonidas, te la sentiresti di accettare questo ruolo?”

Tutti gli sguardi vennero puntati sul giovane ragazzo dai capelli castani, che però non diede alcuna risposta.

Dopo un lungo silenzio Leonidas prese la parola:

“Io… non so nemmeno cosa devo fare, per chi devo combattere...”

“Per Atena”- disse Bull appoggiando una mano sulla spalla del ragazzo.

“Non so neanche se esista o meno questa dea Atena di cui parlate, ho letto di lei solo nei libri. E' vero, ho visto personalmente il potere che può sprigionare un Cavaliere, è quella forza che si chiama Cosmo vero? Mi piacerebbe approfondire meglio la mia conoscenza riguardo a tale misteriosa energia che io stesso ho sentito scorrere nel mio corpo, ma non so davvero per quale motivo dovrei combattere…”

“Per portare speranza nel mondo, Leo.”- il ragazzo osservò i grandi occhi corvini di Claire, che emanavano un insieme di emozioni molto forti, come se avesse appena rivissuto un ricordo carico di sentimenti: “Se non fosse stato per i Cavalieri, a quest'ora non so neanche dove sarei; sono delle brave persone, almeno quelli che ho avuto modo di incontrare”- lanciò una breve occhiata al marito;

“Aiutano i più deboli e li proteggono con la propria forza dai soprusi dei malvagi. Non è quello che hai sempre voluto?”

Leonidas esitò qualche istante e prima che potesse rispondere sentì un'altra voce rivolgersi a lui:

“Fratello, non sprecare il dono che ti è stato fatto... non ho capito un accidente di Atena e tutto il resto, però so che diventerai qualcuno di davvero importante, una vera leggenda!”- il candore e la sincerità di Lun fecero sorridere Leonidas, che tuttavia si sentiva ancora molto titubante.

“E' giusto anche metterti di fronte alla realtà”- commentò Deneb: “La vita di un Cavaliere non è semplice, gli addestramenti sono estenuanti e le battaglie da combattere lo sono ancora di più: se vuoi davvero essere un cavaliere d'oro ti dovrai impegnare con tutte le tue forze.”

Leonidas chiuse gli occhi. Nella sua testa si materializzarono tutti gli eventi della sua vita, dai primi ricordi nell'orfanotrofio con Minerva e Lun, fino a quella sera che aveva cambiato per sempre la sua esistenza. Si guardò dentro, e notò che il suo animo era cambiato, come se qualcosa di nuovo avesse riempito un buco che non sapeva di avere, ed in quel momento le sue incertezze si fecero meno cupe. Fece un sospiro, si alzò dalla sedia e aprì gli occhi sgranando le sue intense iridi ambrate; in quel momento Leonidas sembrava davvero un Leone che si ergeva imponente.

 

“Diventerò un Cavaliere d'oro.”

 

Tutti i presenti sorrisero rasserenati dalla fredda determinazione del ragazzo, meno che Bull, ancora incerto su quella scelta.

Leonidas si rivolse a lui sorridendo: “Bull, io ho sempre desiderato fare qualcosa di importante nella vita, e credo che questa sia la mia occasione per farlo; non credo me ne capiteranno altre e non voglio sprecarla, fai di me un cavaliere.”

Bull ricambiò il sorriso del ragazzo che per lui era a metà tra un figlio e un fratello minore:

”E sia, diventerai un cavaliere! Ma non sarò io ad addestrarti.”

“Come?”- disse Leonidas deluso;

“C'è un'isola, nel mar Mediterraneo, tra la Sicilia e la Grecia, dove vive un uomo molto ricco e potente. Il suo nome è John Diralz.”

“John Diralz...il miliardario?!”- domandò Lun incredulo

“Già, e si dà il caso che John sia anche un rispettato Cavaliere,che passa il suo tempo sull'isola di Metellene ad addestrare quei giovani che ho nominato poc'anzi” - aggiunse Deneb.

“Ma perché non posso restare con te Bull? Sei un cavaliere d'oro, avresti così tanto da insegnarmi...”

“E' vero, ma anche John è un ottimo maestro, e lì troverai qualcosa che qui non puoi avere: dei compagni. Essere Cavalieri significa anche lavorare in squadra ed avere dei validi alleati sul quale poter contare, è importante che anche tu li abbia.”

Leonidas si voltò perplesso verso Lun, che gli fece un cenno con la testa sorridendo che sembrava voler dire «Vai».

“E sia, andrò sull'isola a completare il mio addestramento. Ho ancora molti dubbi, ma c'è una domanda che mi preme più di tutte: che cosa ha a che fare con tutto ciò Minerva?”

“Questo purtroppo non possiamo dirtelo Leo, per la tua sicurezza, di quella dei presenti e di Minerva in primis, sappi solo che al momento non corre rischi di alcun genere e che sta continuando i suoi studi in Inghilterra.”. Leonidas fece un mezzo sorriso, dopodiché uscì in cortile e sospirò: quella era stata con tutta probabilità la serata più incredibile di tutta la sua vita fino a quel momento.

 

 

“Allora ci siamo, Leone!”- Deneb e Leonidas osservavano l'isola di Metellene sempre più vicina: “Grazie per avermi accompagnato in aereo e anche qui sul battello.”

“Figurati, tanto sono di passaggio in Grecia.”

Leonidas osservava pensieroso il mare; nonostante la ventata di novità che soffiava nella sua vita in quel momento lo rendesse ansioso di cominciare quella nuova avventura, era intimorito da un cambiamento così radicale e sentiva già la lontananza da casa.

“Ti garantisco che troverai dei nuovi amici, e che saranno cavalieri incredibili. Ti auguro davvero buona fortuna Leonidas.”

“Grazie mille”- il battello attraccò al pontile di quello che sembrava un porto costruito in maniera abbastanza precaria.

“Ti saluto amico mio. Quando sarai diventato un vero Cavaliere, vieni al Santuario di Atene a trovarmi!”

“Lo farò di certo!”

Leonidas prese la valigia e con il contenitore dell'armatura del Leone sulle spalle e il cuore in gola, nel suo quindicesimo anno di vita si incamminò verso il suo futuro.

 

Nell'antro buio un uomo incappucciato sedeva nell'ombra.

“Entra pure Sfinge”

La ragazza entrò con un cenno di lieve esitazione:
“Perdonami, ho fallito nella mia missione di recuperare l'armatura d'oro.”

L'uomo non rispose subito e quel silenzio innervosì la ragazza:

“C'era da aspettarselo da te, ma non è un problema poi così grave. In fondo così facendo Atena ci ha mostrato un'altra delle sue carte. Adesso sono ancora troppo debole, ma nel giro di qualche anno...tornerò a camminare sulla terra che mi spetta di diritto, e distruggerò tutto ciò che si opporrà a me. E' solo questione di tempo vedrai: in un modo o nell'altro, avrò la testa di Atena e di tutti gli altri dei.”

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Capitolo 3
*** Cosmo ***


 

Settembre 2011, Leonidas:

Oggi ho iniziato le scuole medie. Senza Minerva mi sento solo, Lun è ancora alle elementari, però ho conosciuto un ragazzino di nome Alvin, è molto simpatico.

 

Leonidas attraversò per una decina di minuti una brulla radura sotto il sole cocente; sebbene fosse da poco giunto su quell'isola, già non riusciva più a sopportare il caldo e le tasche dei suoi pantaloni sbordavano di fazzoletti imbevuti del sudore della sua fronte.

Si fermò un momento per riprendere fiato e dopo qualche istante cominciò a sentire dei rumori provenire da lontano; si asciugò nuovamente il sudore e si incamminò verso la direzione dal quale gli parve di udire quei suoni.

Fattosi strada tra degli arbusti secchi e qualche piccolo ulivo Leonidas si ritrovò difronte ad un'immensa casa a più piani, che a occhio e croce occupava qualche centinaio di metri quadrati.

Entrò da quella che gli parve la porta d'ingresso e si ritrovo dinnanzi ad una sala piuttosto grande, con al centro diverse sedie e qualche tavolo. Rimase per alcuni istanti immobile a guardarsi attorno per studiare l'ambiente che lo circondava, fino a quando i suoi pensieri non vennero interrotti dal rumore di una porta che si apriva: davanti a lui uscì da una porta (quella del bagno a giudicare dal cartello “WC” su di essa) un ragazzo dai capelli castano chiaro abbastanza alto e robusto che, accortosi di lui, lo osservò per alcuni istanti con aria sorpresa:

“Leonidas?”

“Alvin?”

Entrambi, decisamente stupiti di vedersi corsero ad abbracciarsi l'un l'altro con grande affetto:

“Che cosa ci fai qui Leo?”

“Che cosa ci fai tu qui Al, non eri tornato in Austria con la tua famiglia?”
“Lo ero, ma qualche mese fa è successa una cosa che a giudicare dalla scatola che porti sulle spalle è successa anche a te!”

“Ti è stata consegnata un'armatura?”

“Mi stavo allenando per conto mio tra le montagne - sai, come quando il vecchio Bull ci portava a fare scampagnate - quando mi si è presentato un uomo che affermava di venire dalla Grecia per consegnarmi una cosa...”

“E quindi?”

“E quindi da quel giorno sono il Cavaliere di bronzo della costellazione dell'Unicorno.”

“E' davvero fantastico per me vederti qui!”

“Coraggio vieni, così ti presento a John, appoggia pure la valigia qui intanto.”

Alvin fece cenno a Leonidas di seguirlo e i due si ritrovarono davanti a una porta, che una volta aperta dava su un ampio cortile simile a un anfiteatro: là in mezzo vi erano una dozzina di ragazzi che malgrado il sole cocente erano intenti a svolgere esercizi di ogni genere, come flessioni, addominali, lotta corpo a corpo:

“Sembra una palestra dell'antica Grecia...” - commentò Leonidas;

“Già ma per fortuna qui la gente non va in giro nuda”- Leonidas si girò e accanto a lui vi era un uomo che sedeva su uno dei gradoni di quello strano anfiteatro; aveva fluenti capelli biondi e la pelle abbronzata e soprattutto, indossava una scintillante armatura argentea.

“Tu devi essere Leonidas, benvenuto.”- l'uomo si alzò e strinse con vigore la mano al ragazzo- “Io sono John, cavaliere d'argento della Lucertola, piacere di conoscerti!”

“Piacere; io, ecco, sono qui per...”

“Lo so già tranquillo, Bull mi ha detto tutto. A proposito, è parecchio che non lo vedo, come sta il Toro?”
“Direi... bene.”

“Ottimo! Immagino che tu abbia già una certa formazione.”

“Sì, Bull mi ha insegnato le basi per diventare cavaliere. A volte riesco anche a usare quella forza chiamata «cosmo», ma non ho capito bene di cosa si tratti. Puoi aiutarmi?”

“Se posso aiutarti?” John scoppiò a ridere: “Guarda un po' qui ragazzo... MILES!”

Dal centro dell'anfiteatro si voltò un ragazzo con i capelli neri e arruffati che con andatura pacata e un po' ciondolante si diresse verso di loro:

“Sì che c'è?”-il ragazzo aveva un'aria calma e il sole cocente sembrava non dargli alcun fastidio:

“Fai vedere al nostro nuovo arrivato cosa sai fare”

John sradicò a mani nude un macigno grande il doppio di lui dai gradoni e indietreggiò di qualche passo:

“Ecco prendi!”- John scagliò il macigno verso il ragazzo ma questo non si mosse: chiuse gli occhi e il suo corpo cominciò a brillare di una strana e fioca luce verde, dopodiché aprì con uno scatto gli occhi, luminosi smeraldi, e in pochi millesimi di secondo il macigno si ridusse a polvere fluttuante nell'aria. Leonidas ammirava stupefatto quel ragazzo che malgrado l'enorme potenza appena sprigionata continuava comunque a emanare calma e serenità:

“Miles è stato il primo che ho allenato e già quando è arrivato qui cinque mesi fa mostrava uno spiccato talento, quindi è un passo avanti a tutti, ma anche gli altri sono validi combattenti e sto insegnando loro, tra le altre cose, a utilizzare il cosmo, che è la principale e più importante arma di un Cavaliere: come immagino tu sappia, noi cavalieri non combattiamo usando armi ma il nostro corpo, che emette un'energia chiamata «Cosmo».

Devi sapere che l'origine delle battaglie dei Cavalieri risale all'origine dell'universo: quindici miliardi di anni fa tutto era una cosa sola che in seguito esplose a causa del Big-bang, creando lo spazio. Tutto, anche il tuo corpo è un piccolo cosmo che nacque con il Big-bang, e noi Cavalieri non facciamo altro che far esplodere il Cosmo dentro di noi: io ti insegnerò a far bruciare il cosmo a tuo piacimento.”

“E allora sarò un vero Cavaliere?”

“Normalmente sì, ma ahimè su di te pesa un arduo fardello: l'armatura d'oro. Essere uno dei dodici non è cosa semplice, poiché si è su un altro livello rispetto ai cavalieri di bronzo e di argento...ma per tua fortuna, modesti a parte, posso affermare di essere stato più volte paragonato a un cavaliere d'oro e sebbene loro rimangano su un altro piano rispetto a me, posso insegnarti tutto il necessario per diventare uno di essi. Ora...immagino che tu abbia già avuto modo di rifletterci, ma io te lo domando lo stesso: te la senti di andare fino in fondo?”

“Se non me la sentissi non sarei di certo qui.”

“Perfetto allora, Leonidas della costellazione del Leone, benvenuto alla Casa delle stelle!”

Leonidas si voltò a osservare quelli che sarebbero stati i suoi nuovi compagni e si domandò, vedendoli allenarsi con tanta audacia, se sarebbe mai riuscito ad essere all'altezza delle aspettative:

sarebbe riuscito a diventare un vero Cavaliere, e poi

sarebbe stato in grado di essere un degno indossatore per l'armatura d'oro del Leone?

Guardò gli sguardi fiduciosi di Alvin e John, e anche quello sempre fiducioso ma decisamente più incuriosito di Miles:

poteva e doveva riuscirci, non gli importava quanto ci sarebbe voluto, in quel momento il suo più vivido e sfolgorante desiderio, quello di diventare un cavaliere della speranza, splendeva nel suo animo come una stella e sentì dentro un calore che proveniva non solo dal suo animo, ma da qualcosa esterno a lui, e quel qualcosa era proprio sulle sue spalle: all'interno della scatola, Leonidas riusciva a percepire tutta la vitalità della sua armatura che in quel momento brillava con lui senza che nessuno la vedesse. Entrambi in quel momento stavano ruggendo, stipulando una sorta di patto reciproco che li avrebbe legati per sempre indissolubilmente in quanto cavaliere ed Armatura; quella notte la costellazione del Leone splendette nel cielo in tutta la sua fulgida brillantezza come non accadeva da molto tempo.

 

 

Il Gran sacerdote osservava le stelle immerso nei suoi pensieri:

“Il Leone brilla stanotte, e pensare che sono passati quasi tre anni dall'ultima volta...”- sorrise e si ritirò nelle sue stanze dove una lacrima gli rigò il volto.

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Capitolo 4
*** Tenebre ***


Giugno 2008, Leonidas:

Stanotte ho fatto un incubo dove degli uomini vestiti di nero mi portavano via e mi sono svegliato. Non sono più riuscito a dormire.

 

La brezza marina soffiava tra le onde, mentre il sole batteva caldo nel sereno cielo primaverile. Era una giornata tranquilla, come se ne vedevano poche da quelle parti; tutto taceva eccetto la marea che s'infrangeva sulla spiaggia, e i gabbiani il cui canto veniva elegantemente trasportato dal vento.

Per ripararsi dai raggi del sole del mattino Leonidas si mise una mano in fronte a mo' di visiera e abbassò lo sguardo verso l'acqua, dove si vide riflesso: in quegli ultimi tre anni era cambiato davvero molto, era più possente e muscoloso ma al contempo più slanciato. Non era tuttavia riuscito a liberarsi delle occhiaie, risultato di anni di notti insonni, problema che era riuscito a tenere sotto controllo negli ultimi tempi, ma che occasionalmente si ripresentava.

D'un tratto qualcosa gli afferrò la caviglia e si sentì trascinare verso il fondo e, poco dopo, Leonidas riemerse dall'acqua saltando in modo piuttosto goffo:

“Deficiente questa me la paghi!”

Alvin rideva sboccatamente per lo scherzo appena fatto all'amico:

“Beh principessina, se hai finito di ammirare il tuo bellissimo volto sono pronto a sfidarti!”

Miles osservava la scena ridacchiando dalla riva

“Quanto casino che fanno, uno non può neanche prendere il sole in santa pace!”- intervenne un ragazzo dai fluenti capelli verdi sdraiato su un telo

“Lasciali divertire un po' André”- disse Miles con la solita aria rilassata-

“Oggi siamo in pausa, non capita spesso, che facciano quello che vogliono.”

“Ma che lo facciano da un'altra parte…” grugnì André girandosi per far abbronzare la schiena; mentre si voltava però il ragazzo notò un livido piuttosto vistoso sul polpaccio destro di Miles:

“E quello cos'è?”

“Me lo sono fatto durante l'ultimo allenamento”

“Fin qui ci arrivavo anche io. Volevo sapere come ti sei fatto un livido così grosso...ah guarda che roba, ti rimarrà per settimane!”

“Ecco...è successo mentre combattevo”

“Chi era il tuo sfidante?”

“Jude.”

“C'era da immaginarselo...quell'idiota non sa contenersi”

“John si è molto arrabbiato a riguardo.”

“Davvero?”

“Sì, più che altro era per il cosmo...”

“E che c'entra il cosmo adesso?”
“Stavo combattendo con Jude in un corpo a corpo, e stavo avendo la meglio; ad un tratto si è liberato dalla mia presa e ha tentato di colpirmi, ed io istintivamente ho usato parte del mio cosmo per deviare il suo pugno. Allora lui mi ha guardato ridacchiando e ha cominciato a incanalare parecchio cosmo nel braccio, poi lo ha alzato e ha lanciato un attacco molto potente; John si è messo davanti a me per pararlo, ma evidentemente parte del colpo non è stata deviata e mi ha colpito di striscio”

“Doveva essere un colpo davvero potente se colpendoti di striscio ti ha fatto questo...”
“Già, ad ogni modo John ha rimproverato Jude, e vuoi sapere perché?”

“Non dirmi che era il suo...”
“Già, mi ha lanciato la sua tecnica segreta.”

“Lo ha fatto nonostante sapesse benissimo che ci è proibito usare tra di noi i nostri colpi speciali, è davvero un idiota.”

“Io lo trovo inquietante...”- sopraggiunse un ragazzo dagli occhi scuri.

“Come mai Pablo?”- domandò Miles

Pablo incrociò le braccia con aria rimuginante; era un ragazzo abbastanza alto e possente, e portava i capelli rasati per accentuare la sua aria truce.

“Se ne sta sempre per le sue, insieme a quegli altri due...”

“Ti riferisci ad Eden e Brutus?”- chiese André

“Precisamente. Quei tre stanno solo tra di loro; si credono migliori

di chiunque altro, non li sopporto.”

“Per me nascondono qualcosa.”

“Può essere André, ma io mi preoccuperei di altro…”

“Cosa intendi Miles?”- domandò Pablo.

“Non so se lo avete notato, ma di notte accadono cose strane...”

Gli altri due si guardarono basiti non capendo a cosa si riferisse il loro compagno:
“E' stato Connor ad accorgersene per primo, due sere fa, mentre faceva una passeggiata in riva al mare, ha visto delle ombre muoversi in lontananza. Ma non è tutto! Il giorno dopo io, Connor e Viktor abbiamo esplorato la zona e siamo arrivati fino alla baia, dove abbiamo trovato delle corde sparse per il molo.”

“Degli ormeggi...”

“Già André, qualcuno è sbarcato sull'isola.”

“E non ha di certo intenzioni amichevoli, altrimenti si sarebbe già fatto vedere.” - disse Pablo.

“E' presto per dirlo, ma una cosa è certa, c'è qualcosa di losco sotto...”

“Sapete”- aggiunse André- “E' da un po' che Syd si comporta in modo strano...”

“E' sempre stato un po' particolare...”

“André ha ragione, ultimamente è più bizzarro del solito, a volte sparisce per delle ore e nessuno sa dove va e cosa combina; io lo terrei d'occhio.” sentenziò Pablo.

“Quanti misteri per un'isola dove ci sono solo tredici persone... o almeno così sembra” sospirò Miles preoccupato; sapeva che presto sarebbe successo qualcosa che avrebbe turbato la calma di quell'isola in mezzo al mar Mediterraneo.

 

Scivolavano nella notte, indisturbati se non dalla flebile luce della falce di luna crescente; ad un certo punto si fermarono ed uno di loro si staccò dal gruppo per andare un po' più avanti: osservò da lontano il dormitorio, le cui luci erano spente, salvo alcune finestre, e constatato che non c'era nessuno nei dintorni si voltò verso i suoi compagni facendo loro cenno di proseguire.

Si avvicinavano all'edificio sempre di più, correndo ma senza fare il minimo rumore, quasi come fossero delle ombre e non degli esseri umani. La loro corsa si arrestò bruscamente quando, sfrecciando nel buio, qualcosa venne loro scagliato contro, colpendo di striscio uno di loro facendogli volare via il copri spalla.

“Accidenti”- si tastò il braccio sanguinante.

Videro uscire due robusti ragazzi da un cespuglio, entrambi con indosso due armature scintillanti, di cui una dotata di un pittoresco copricapo da nativo nord-americano:

“Bene bene, cosa abbiamo qui...”- esclamò uno dei due.

“Dunque eravate voi le presenze ostili che ho percepito in questi giorni...”- aggiunse l'altro, che visto da più vicino non solo indossava un copricapo pellerossa, ma possedeva anche i tratti di quelle genti - “Chi siete?”.

Le quattro figure nell'ombra ridacchiarono, dopodiché una di loro si fece avanti:

“Dovete perdonarci, il nostro intento era di uccidervi nel sonno, ma a quanto pare, ora lo scontro è inevitabile.”

I due cavalieri osservarono attentamente la sua armatura e non ebbero dubbi: era quasi del tutto identica a quella di Miles... con una differenza: quell'armatura era completamente nera.

“Ma certo, ho capito chi siete...”- disse il ragazzo pellerossa;

“Noi siamo i cavalieri neri, rinnegati persino dalla dea Atena: ciascuno di noi indossa un'armatura che è la controparte di una delle vostre sacre vestigia e che stanotte si tingeranno di rosso sangue!”

“Viktor, avverti gli altri, qua ci penso io.”

Il ragazzo fece un cenno di assenso e prese a correre verso il dormitorio.

“Schwarz, inseguilo.”- ed uno dei quattro con un'armatura identica a quella di Alvin si lanciò dietro di lui.

“E ora a noi...”- sogghignò il cavaliere nero; fece un cenno con la mano e gli altri due si lanciarono contro il cavaliere rimasto:

“Poveri sciocchi, non avete alcuna speranza contro di me, Connor della costellazione dell'Indiano!”- sollevò la mano e la sua lancia magicamente gli venne incontro dal punto in cui si era conficcata. Uno dei due cavalieri neri attaccò Connor con una serie di attacchi rapidissimi, mentre l'altro combatteva mediante l'uso di due catene; ma l'Indiano parò con la sua lancia tutti i loro attacchi, dopodiché, utilizzandola come asta, si lanciò addosso a uno dei due colpendolo all'altezza dello stomaco con un doppio calcio.

“Prima la spallina e ora questo, non è proprio la tua serata Black!”- commentò il cavaliere nero che era rimasto in disparte.

Black grugnì e si rialzo, seppure con qualche difficoltà a causa del colpo appena subito. Intanto il cavaliere nero con le catene attaccò nuovamente Connor: le catene lo avvolsero stringendolo in una morsa, e di colpo si tramutarono in serpenti sotto i suoi occhi increduli;

“E’ inutile che ti dimeni, non ti libererai tanto facilmente dalle mie «spire nere nebulose»!”- e mentre il cavaliere nero diceva ciò, gli altri due si scagliarono all’attacco contro Connor, uno con il suo «Nero ululato mortale», l’altro con il «Colpo nero del drago nascente». A quel punto persino un cavaliere d’argento esperto come lui si trovò in difficoltà: era riuscito a liberarsi dai serpenti, ma non sarebbe riuscito ad evitare entrambi i colpi nemici.

All’improvviso una saetta squarciante si parò tra Connor e i suoi avversari difendendolo dai loro attacchi: da quel lampo bianco ne uscì un giovane dai capelli neri con un’armatura verde smeraldo:

“Che sta succedendo qui?”

Connor lo guardò e sorrise: “Finalmente sei arrivato, Miles del Dragone.”

“Miles della costellazione del dragone…era da tempo che volevo incontrarti!”

“Cavalieri neri, ho sentito parlare di voi, che ve ne andate in giro scimmiottando noi cavalieri di Atena.”

“Scimmiottare dici? Allora affrontami, e vedremo chi è il drago più forte: io sono Melas del dragone nero!”

Miles inarcò perplesso un sopracciglio: “Mi stai prendendo in giro?”

Nel frattempo gli altri due cavalieri neri ricominciarono ad attaccare Connor, ma i loro attacchi non riuscivano ad andare a segno in alcun modo:
“E’ inutile, ho già visto la vostra tecnica segreta, e so come la lanciate; la stessa mossa non può funzionare due volte contro un cavaliere!”- ma non appena ebbe terminato la frase, una grande massa di energia lo colpì alle spalle. Connor cadde a terra sconfitto, ma prima di perdere i sensi riuscì a vedere il volto di colui che lo aveva colpito di sorpresa:

“S-Syd del triangolo australe…traditore…”

 

“Perdonate il mio ritardo, ma dovevo arrivare senza essere visto. Forza andiamo, questo posto non si distruggerà da solo.”

Syd prese a correre verso la casa delle stelle; i due cavalieri neri fecero un cenno d’assenso e lo seguirono.

“Hai visto? Uno dei vostri è già caduto, presto verrete tutti sconfitti!”

Dragone nero nonostante avesse un fisico minuto era il più abile dei cavalieri neri; a giudicare dalla voce doveva essere molto giovane, anche se per Miles non era facile osservare nel dettaglio l’aspetto del suo avversario a causa del buio. Ma una cosa non passava di certo inosservata: i suoi occhi erano completamente neri, fatta eccezione per le iridi, tinte di un blu profondo e luminoso.

“Parli troppo dragone nero, pensa a combattere.”

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Capitolo 5
*** Battaglia ***


Vivere, mi Lucilli,militare est.”

Vivere, caro Lucilio, significa combattere.

(Seneca, Epistolae ad Lucilium, 96, 5)

 

Viktor correva più forte che le sue gambe gli consentissero di fare, ma il cavaliere nero continuava a stargli dietro;

“Corri pure quanto vuoi, non sfuggirai a Schwarz, l’unicorno nero!”. Di colpo di fronte a lui apparve un ragazzo dall’armatura violacea:

“Ed io sono Alvin, l’unicorno… e basta.”

Schwarz capì che lo scontro con la sua controparte era a quel punto inevitabile.

Intanto Viktor continuò a correre, finché non giunse davanti all’ingresso principale del dormitorio, davanti al quale, appoggiato sul portone, vi era un cavaliere con le braccia conserte; era un ragazzo minuto e poco muscoloso, con un viso leggermente allungato in cui brillavano due occhietti grigi e malevoli, e teneva i capelli biondo scuro sempre ben pettinati con la riga di lato.

“Eden… cosa ci fai qui? Ci stanno attaccando, presto va da Connor a dargli una mano!”

Il ragazzo si avvicinò a lui con andatura dinoccolata:

“Sta tranquillo, cane maggiore, ho tutto sotto controllo.”- disse Eden con il solito ghigno che era solito avere stampato sul suo volto sottile e allungato.

Viktor capì che Eden celava qualcosa, ma non ebbe il tempo di dire nulla: qualcosa lo colpi al collo e lui cadde a terra svenuto.

Brutus si rimise sul braccio lo scudo che aveva in dotazione con la sua armatura di bronzo, ed Eden si complimentò con lui per il colpo, dopodiché lo esortò a cercare gli altri cavalieri assieme, ma la loro ricerca non durò molto: due cavalieri li osservavano con aria truce ed uno di loro indossava un’armatura dorata;

“Brutus dello Scudo ed Eden del Serpente, dovevo immaginarlo che c’eravate voi sotto tutto questo!”

“Che paura, il leone sta ruggendo!”- disse Eden sarcasticamente.

“Dmitri, io mi occupo di scudo, tu pensa al serpente.”

“Ricevuto Leo!”- e detto ciò il ragazzo si avvicinò ad Eden, mentre Leonidas andò incontro a Brutus.

Syd ed i due cavalieri neri videro da lontano la scena e decisero di svoltare in favore di un’altra direzione, dove sfortunatamente vi trovarono ad attenderli André e Pablo, con le rispettive armature di Andromeda e del Lupo, la prima purpurea e dotata di catene, l’altra grigia e meno elaborata.

I due cavalieri neri si guardarono ridacchiando

“Li vedi Noir?”

“Già, che curioso scherzo del destino... triangolo australe, qua ci pensiamo noi, tu va avanti.”

Syd annuì e continuò a correre, mentre gli altri due si fermarono di fronte ai rispettivi avversari;

“Lupo nero e Andromeda nero contro Lupo e Andromeda, che ne dici Black?”- domandò Andromeda nero al compagno che si limitò a sghignazzare compiaciuto.

“Sei pronto André?”- domandò Pablo;

“Certo, anche se questi qui non mi sembrano granché…”

 

Syd arrivò al centro dell'arena dove lui e i suoi compagni erano soliti addestrarsi; sugli spalti sedeva a braccia conserte John, con indosso la sua armatura d'argento.

John si alzò e il ragazzo si mise in guardia:

“Allora Syd, sei determinato ad andare fino in fondo?”

“Non sono arrivato fin qui per tornare sui miei passi.”

“Se le cose stanno così, non posso fare altro che assecondare la tua ambizione: in guardia!”.

 

Gli attacchi di Brutus erano poderosi ma lenti, per Leonidas non era difficile schivarli, tuttavia non riusciva neanche a contrattaccare, dato che l'armatura di bronzo del suo avversario offriva una difesa eccellente, mescolata a un buon uso delle arti marziali difensive.

Brutus ghignò: “Leone... la tua armatura d'oro non scalfisce la mia di bronzo, che succede? Ti vedo in difficoltà!”

Leonidas, innervosito dalle sue parole caricò il suo pugno pieno di cosmo ma prima che potesse toccarlo Brutus pose davanti a sé il suo scudo che brillò di un bagliore rossastro. A quel punto Leonidas poté constatare come, sebbene l'armatura fosse integra, dalle sue dita scendeva del sangue.

“Il mio Perfekt Abschirmen non teme rivali, questo scudo è l'essenza stessa del mio cosmo, un muro che non oltrepasserai mai!”

Leonidas aggrottò gli occhi mentre Brutus sorrise soddisfatto, credendo che il suo avversario non avrebbe mai oltrepassato le sue difese, ma avrebbe avuto presto modo di ricredersi.

 

Nel frattempo Dmitri era immobile al centro del cortile, ormai pieno di enormi buchi sia nel terriccio che nelle parti cementate.

Eden uscì dal suolo frantumando una mattonella e subito dopo tornò sottoterra strisciando, esattamente come un serpente.

Dmitri riuscì ad incassare bene il colpo, ma non avrebbe resistito ancora a lungo ad attacchi così veloci e precisi.

“Perseo mi deludi, un cavaliere d'argento che le prende da uno di bronzo come me, che vergogna!”- disse strisciando nel sottosuolo il cavaliere del Serpente- “Non riesci a fare niente vero? I miei attacchi sono troppo intensi, vero?” - aggiunse scoppiando in una macabra risata che rimbombava sotto il terreno:

“Per caso l'armatura l'hai comprata al mercato? Mi sembra impossibile che uno come te che non resiste nemmeno a questi attacchi così deboli sia un cavaliere d'argento!”

Eden, sicuro ormai di avere la vittoria in pugno spuntò nuovamente dal suolo, questa volta pronto a scagliare un terribile gancio con la mano aperta che lui aveva denominato «Morso del serpente»; ma prima ancora che potesse rendersi conto di cosa stesse succedendo, Eden si vide ridotto ad una fredda statua di pietra.

Dmitri abbassò il suo scudo e sorrise beffardamente:

“Povero stolto, non avevi alcuna speranza contro il mio scudo della Gorgone, che è in grado di pietrificare chiunque io voglia.

Ma non temere, fra qualche ora ti farò tornare com'eri prima, giusto il tempo di sistemare i tuoi compagni a dovere!”

Si girò dandogli le spalle e cominciò a correre verso la foresta per dare man forte a Viktor e Connor, ignorando che i due erano già stati sconfitti e giacevano a terra privi di sensi. Correndo si voltò un istante a guardare la statua del suo avversario:

«Che ironia», pensò:«Una serpe che soccombe dinnanzi alla donna dalla chioma di serpenti!».

 

Dragone nero si alzò ansimando da terra, incredulo della piega che le cose avevano assunto.

Lui, il Dragone, stava sempre lì, immobile, non si era mosso di un passo e non aveva neanche un graffio; i suoi occhi severi erano come coltelli affilati e trafiggevano la mente di Melas, che non si capacitava di come il suo avversario potesse essere così potente:

“E' assurdo... io sono il capo dei cavalieri neri, sono più forte di un cavaliere di bronzo, eppure tu, tu sei...”

-Miles cominciò ad avvicinarsi al suo avversario;

“...un mostro.” - concluse Melas.

Ma il Dragone nero era tutt'altro che sconfitto, e sebbene coperto di sangue e ferite, decise di scagliare la sua tecnica segreta, il «colpo nero del drago nascente».

Miles prontamente contrattaccò, scagliando a sua volta il suo attacco, il «colpo del drago nascente»: i loro pugni si infransero, uno sprigionante uno scintillante cosmo verde, l'altro un cosmo nero e carico di rancore. Melas espanse il proprio cosmo al limite, ma quando vide comparire alle spalle del suo avversario la sagoma di un imponente dragone verde, capì che il cosmo del Dragone era indiscutibilmente più potente del suo, quindi il colpo del drago nascente investì completamente il suo corpo, e Dragone nero si ritrovò ruzzolante nel cielo, per poi atterrare al suolo esanime;

La sua armatura era stata completamente disintegrata dal cinturino in su.

Melas giaceva a terra respirando a fatica per via delle ferite che aveva su tutto il corpo, ma il dolore più grande era quello che provava internamente: l'umiliazione che aveva appena subito era troppo grande, e riusciva stento a trattenersi dallo scoppiare a piangere. Ma i suoi pensieri di rabbia e disperazione vennero interrotti da un flebile e dolce suono:

“Stai bene?” - chiese il Dragone porgendo la mano.

 

 

Pablo cercò di muovere la gamba, ma ne segui un gemito di dolore: “Niente da fare, credo che sia rotta...”

“Sciocchezze, è solo una brutta botta, vedrai che starai meglio fra un po!”, Andrè, che invece aveva riportato solo qualche graffio stava tastando la gamba del compagno in cerca di eventuali rotture di qualche osso. I loro avversari giacevano a terra privi di sensi; non erano stati in grado di contrastare Andromeda e Lupo, sebbene quest'ultimo si fosse trovato in difficoltà contro il “Nero ululato mortale” di Black, ma il suo “Ululado mortal” si era dimostrato più efficace e bastò lanciarlo una volta sola per sconfiggere il Lupo nero. André invece aveva sistemato il suo avversario prima ancora che questo potesse scagliare il suo colpo contro di lui, prima avvolgendolo con le sue catene, per poi finirlo con il “Vogue de tonerre”, una micidiale scarica elettrica generata dal cosmo infuso dal cavaliere alle sue catene.

“Ben fatto ragazzi.”- disse Alvin dando una pacca sulle spalle ad André. Alvin aveva qualche graffio e il labbro parzialmente spaccato, ma non aveva avuto grosse difficoltà contro il suo nemico, contro il quale era bastato il suo “Unicorn galoppieren”, un salto seguito da un calcio ascendente carico di cosmo, per vincere il duello. Il cavaliere di bronzo dell'unicorno sentenziò:

“Questi cavalieri neri non erano assolutamente alla nostra altezza... non avrebbero mai attaccato da soli, siamo stati traditi.”

“Syd era con loro, e sono pronto a scommettere che anche Jude e i suoi due leccapiedi sono coinvolti!”- ringhiò Pablo.

A quel punto i tre udirono un fischio, ma non fecero in tempo a voltarsi che un'imponente massa di cosmo li investì spazzandoli via. Alvin, l'unico rimasto cosciente, riuscì a vedere il volto del loro aggressore: era Jude, cavaliere d'argento del delfino.

Jude si presentava come un ragazzo abbastanza robusto, alto sul metro ottanta, con corti capelli purpurei e lisci e taglienti occhi azzurro perla.

Fece per dire qualcosa, ma il traditore si avventò su di lui con un calcio in faccia e Alvin perse i sensi: Jude contemplò soddisfatto il lavoro da lui appena svolto, e si incamminò verso l'arena.

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Capitolo 6
*** Furia ***


Crudelitas mater avaritia est, pater furor.”

L'avidità e madre della crudeltà, l'ira ne è il padre.

(Quintiliano, Institutiones oratoriae, 9, 39)

 

Arrivarono le prime luci dell'alba; l'arena era devastata dai colpi di una feroce battaglia. Sull'ultima parte integra degli spalti sedeva Syd, la cui armatura aveva subito pesanti danni, ma aveva svolto fino alla fine il suo dovere proteggendolo dagli attacchi dell'avversario.

“Ottimo lavoro, Triangolo australe!”- disse Jude contemplando lo spettacolo di desolazione attorno a lui.

“Grazie.”

“E John....di lui che ne hai fatto?”

“Morto.”

“Che cosa?!”

Syd si avvicinò a Jude e gli consegnò un oggetto in mano:

era parte del diadema dell'armatura della Lucertola.

“Non è stato facile, me la sono vista davvero brutta.”

“Bene bene... alla fine il grande John è stato messo a tacere per sempre.”- ridacchiò sarcasticamente il delfino;

“Io me ne vado, il mio lavoro qui è finito.”

“Sei sicuro? Sei stato un alleato prezioso, potresti esserci utile in futuro.”

“Non mi interessa, grazie.”

“D'accordo Triangolo...certo che hai proprio un cuore di pietra!”

Jude scoppiò a ridere platealmente; quando ebbe smesso, Syd era sparito.

 

Brutus giaceva a terra tremolante, e incapace di muoversi constatò con amarezza che il suo scudo era ridotto in frantumi. Era bastato un solo colpo per distruggerlo: il«Lightning bolt» di Leonidas non aveva lasciato scampo a Brutus, la cui armatura di bronzo non era riuscito a proteggerlo da quel concentrato di puro cosmo.

“Maledetto Leone...non avrei dovuto sottovalutare un cavaliere d'oro...” - sospirò il ragazzo.

 

Leonidas giunse dinnanzi a quella che un tempo era l'arena di addestramento; si guardò attorno e rabbrividì nel vedere che il dormitorio era ridotto a un cumulo di macerie.

“Guarda guarda, il terribile Leonidas del Leone!”

Non si voltò, gli bastò ruotare gli occhi per vedere che su quello che era il portone della casa delle stelle sedeva un ragazzo dai capelli lisci color porpora, con indosso un'armatura azzurra.

“Jude, maledetto...”- tuonò Leonidas con tono minaccioso.

“Credi di farmi paura? Fatti sotto, ne ho già stesi tre di falliti, con un colpo, uno soltanto! Quanto potrà essere difficile sconfiggere un unico avversario? Inoltre anche il caro John è caduto!”- esclamò mostrando orgoglioso il pezzo del diadema dell'armatura che gli aveva dato Syd.

“T-tu hai...”

“Magari! È stato Syd ad uccidere quel perdente...ma non sai quanto avrei voluto dargliele di persona prima che schiattasse a quel bastardo! Se solo ripenso a tutte le umiliazioni che ho subito per causa sua...”

“Ma che stai dicendo? Ti ha sempre trattato come tutti noi altri, se non per rimetterti sulla giusta strada qualora tu ne prendessi una che in futuro avrebbe potuto nuocerti...ma non ti ha mai odiato, ha sempre cercato di aiutarti e consigliarti, e se a volte è stato duro lo ha fatto per proteggere sia coloro che ti stavano attorno sia te stesso!”

“Cazzate, lui aveva paura di me, tentava sempre di tenere a freno la mia insuperabile potenza, come quando ha bloccato l'attacco che ho lanciato a Dragone qualche giorno fa. Avrei di sicuro vinto lo scontro, se quello stronzo non si fosse intromesso; lui sapeva che ero fortissimo e temeva che un giorno gli soffiassi il posto, ecco come stanno le cose!”

Leonidas chinò il capo incredulo:

“Come hai potuto fare tutto questo?”

“Come? Semplice! Mi sono messo d'accordo con i cavalieri neri per distrarvi, cosicché mentre voi combattevate quegli incapaci io, Eden, Brutus e Syd abbiamo potuto sistemarvi uno ad uno con calma. Ora rimanete solo tu, Dragone e Perseo...ma di loro mi occuperò dopo. Adesso, mio caro Leone, assaggerai l'onda travolgente del delfino!”

“Non è quello che ti ho chiesto.”

“Che cosa?”
“Ti ho chiesto come hai potuto fare tutto questo...come hai potuto distruggere la nostra casa e tradire i tuoi compagni?!”

“Oh, credimi, quella è stata la parte migliore… mentre ti aspettavo ho demolito questo sudicio posto con le mie mani, mattone per mattone! Compagni dici? Non vi ho mai considerato tali... siete solo degli idioti, non avete fatto altro che ascoltare quei discorsi sul sacrificio e l'addestramento da quel deficiente di John per tutti questi anni! Noi siamo potentissimi, se lo volesse un cavaliere da solo potrebbe conquistare un'intera nazione, e invece stiamo qui ad allenarci per chissà cosa. Atena? Credi davvero in una tale stronzata? Come puoi essere così stupido da credere a una storiella dell'antica Grecia?!”

“Molto bene, ho sentito abbastanza. Jude, cavaliere d'argento del delfino, in guardia.”

“Fra poco la smetterai di fare tanto il gradasso!”

Jude concentrò tutte le sue energie nelle braccia e le alzò al cielo:

“Ammira il mio colpo segreto, il Dolphin impact!”

Abbassò le braccia e generò un'immensa onda di cosmo puro che stava per travolgere Leonidas.

Ma il Leone rimase impassibile, portò il braccio sinistro vicino al cuore e sussurrò:

“Questo è il mio commiato per te maestro: Lightning Plasma.

Spiegò il braccio, bruciò il suo cosmo e lanciò il suo attacco:

una serie di fasci luminosi di cosmo perforarono l'aria, dispersero l'attacco nemico ed infine colpirono Jude, che non riuscì neanche a vedere i migliaia di attacchi che lo colpivano al secondo, poiché erano colpi scagliati alla velocità della luce.

L'armatura di Jude venne ridotta in cenere ed il ragazzo si trovò coperto di ustioni su tutti il corpo; ciò nonostante si reggeva ancora in piedi. Leonidas si avvicinò a lui e lo guardò. Rimase a lungo in silenzio, finchè dalla bocca gli uscì un'unica gravosa parola:

 

“Patetico.”

 

Jude cadde a terra, come se quella sentenza fosse stata il colpo di grazia. Leonidas si voltò per andare in cerca dei suoi compagni ed aiutarli;

“D-dannato gattaccio...è tutta colpa tua...ma non credere di aver vinto...”-Jude tossì e sputò del sangue- “Fai attenzione, fai molta attenzione alle persone che ti stanno vicino, potrebbe succedere qualcosa a qualcuno che ti sta a cuore...”- Jude ridacchiò raucamente, poi tossì di nuovo e svenne.

Per un attimo Leonidas venne turbato da quelle parole, ma decise che ci avrebbe pensato in seguito.

Ora doveva aiutare i suoi amici.


 

Miles camminava taciturno lungo la spiaggia.

Le onde si infrangevano fragorose sulla riva, ma quel suono scrosciante non giungeva alle orecchie del Dragone, la cui mente era troppo intenta nel decifrare il fatto a cui aveva da poco assistito.

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Capitolo 7
*** Ombra ***


 

Agosto 2008, Miles:

Oggi vicino a casa è venuta a vivere una ragazza che proviene dalla Cina, è molto bella.
Mi ha detto di essere la figlia di un drago...

 

 

“Stai bene?”

Melas non rispose; il Dragone stava lì davanti porgendo la mano.

Per un istante sul suo volto si dipinse un'espressione di stupore, ma subito dopo si fece truce è respinse la mano colpendola con un violento schiaffo. Si alzò in piedi di scatto e si mise in guardia:

“Ma che cosa stai facendo?”- chiese Melas ringhiando a denti stretti;

Sul viso di Miles comparve un sincero rammarico per quella reazione così violenta, tanto che persino Melas per un attimo si dispiacque per lui, ma subito tornò a rivolgergli uno sguardo carico di rabbia.

“Mi dispiace, il mio colpo ti ha colpito in pieno, volevo solo sincerarmi che tu stessi bene...”

“Cosa diavolo stai dicendo?!”- Melas osservava il volto del suo avversario che fino a poco prima era severo ed inflessibile, ed ora invece pareva lo sguardo ingenuo di un bambino.

Esaminò a lungo lo sguardo del Dragone, ma non vi era traccia di cattive intenzioni, anzi, i suoi occhi brillanti emanavano una dolcezza rassicurante. Osservò a lungo i suoi occhi.

Miles si accorse di ciò e ricambiò lo sguardo nei profondi occhi blu del suo avversario. Dragone nero rinvenne da quella sorta di ipnosi, mostrò i denti e arricciò il naso, assumendo un'espressione simile a quella di un animale selvatico pronto ad attaccare, lanciò un'ultima funesta occhiata a Miles e si diede alla fuga nella boscaglia.

Miles aprì la bocca come per dire qualcosa, ma non uscì alcun suono dalle sue labbra, e non poté far altro che osservare quell'elegante figura tornare nuovamente nelle tenebre;

avrebbe tanto voluto sapere di più su di lei.

 

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Capitolo 8
*** Lapide ***


 

Nec morti esse locum, sed vita volare sideris

in numerum atque alto succedore caelo.”

Per la morte non c'è spazio, ma le vite volano

e si aggiungono alle stelle nell'alto cielo.

(Virgilio, Eneide , 4, 226-7)

 

Alvin si stava tastando la mandibola dolente, quando scorrendo con le dita si accorse che gli mancava un dente:

“Dannato Jude, se lo trovo gliela faccio pagare cara questa...”

André cercava di essere più delicato che poteva, ma ogni volta che sfiorava la gamba di Pablo, quest'ultimo la ritraeva gemendo; adesso la sua gamba era davvero rotta e il ragazzo aveva bisogno di cure.

Miles osservava l'orizzonte in cerca dei suoi amici o di eventuali nemici, ma non vide nulla, se non sabbia, arbusti e le macerie della casa delle stelle.

D'un tratto vide una figura dorata in lontananza:

“Ragazzi, Leonidas viene dall'arena, a quanto pare ha sconfitto il suo avversario.”

Leonidas si sentì sollevato nel vedere che i suoi amici, seppure un po' malconci erano salvi, ma il suo pensiero successive lo rivolse agli assenti:

“Miles, dove sono gli altri?”

“Dmitri è andato a soccorrere Viktor e Connor, mentre i cavalieri neri si sono dileguati, e a quanto pare anche Syd...”

“Syd...”-Leonidas si fece scuro in volto.

“Che cosa è successo Leo?”- domandò André preoccupato dalla reazione del compagno all'udire quel nome.

“Syd...quel traditore ha...”- Leonidas esitò, ma prese un respiro e trovò la forza per continuare la frase: “John è caduto.”

Tra i presenti cadde un pesante silenzio.

Ad interromperlo fu Miles, incredulo: “Non è possibile, ne sei certo?”

Leonidas annuì tristemente e mostrò loro il diadema frantumato del loro maestro.

Piombò nuovamente il silenzio.

André scoppiò a piangere, e gli altri tentarono di trattenersi ma non riuscirono a frenare le lacrime, eccetto Leonidas che fissava con gli occhi sgranati il diadema. Gli sembrava impossibile quel che era successo: il loro maestro non c'era più.

 

 

Leonidas appoggiò il diadema dinnanzi alla croce di legno.

Su di essa vi era incisa la scritta «Lacerta John, cavaliere d'argento», ad imperitura memoria dell'uomo che aveva addestrato con così tanto impegno quei dodici ragazzi per tre lunghi anni, non solo insegnando loro a combattere, ma anche educandoli ai valori che un cavaliere di Atena doveva avere, come la lealtà verso i compagni ed il coraggio ad affrontare anche la più ardua delle sfide. C'erano stati momenti difficili, avevano condiviso gioie e dolori, mangiato assieme, lottato assieme, e John era sempre lì pronto ad aiutarli ed insegnarli, impegnandosi ogni giorno con tutte le sue forze per i suoi amati allievi; era stato un insegnante eccezionale.

Miles appoggiò la mano sulla spalla di Leonidas:

“Questo è solo un mero ornamento privo di spoglie, la sua essenza la porteremo sempre dentro di noi; ora lui risplende nel cielo come una stella della costellazione della Lucertola, e vedrai, sarà di certo la più splendente.”

Leonidas annuì si volto, ed i due si incamminarono verso il molo, dove ad attenderli vi era un traghetto che aveva già imbarcato gli altri cavalieri, fatta eccezione per Brutus, Jude e Syd, che si erano dileguati, mentre Eden, ancora pietrificato per effetto dello scudo della gorgone, era stato fatto prigioniero.

 

“E ora che faremo?”- domandò André sconsolato, osservando il mare dal pontile.

“Prima di tutto dobbiamo portare i feriti in ospedale.”

“E poi che facciamo Alvin?”

“Non lo so Miles, adesso non riesco a pensarci.”

Dietro di loro stava, appoggiato al muro a braccia conserte Leonidas, che d'un tratto si ricordò del cavaliere che aveva incontrato tre anni prima:

“Il Santuario.”

I tre cavalieri di bronzo si voltarono incuriositi:

“Tre anni fa incontrai un cavaliere, Deneb della costellazione del Cigno. Mi disse che una volta completato il mio addestramento mi avrebbe aspettato al Santuario di Atene.”

“E dici che quell'invito è ancora valido?”

“Non essere sciocco André...” - disse Alvin sedendosi su una sdraio - “... il Santuario è la patria di tutti i Cavalieri, certo che possiamo andarci. Lì vi è il Gran sacerdote, il vicario diretto della dea Atena, nonché nostro capo indiscusso; Leonidas ha ragione, la mossa più astuta ora sarebbe recarsi lì e fare rapporto di quanto accaduto stanotte.”

André indispettito dalla risposta saccente del compagno non se stette zitto: “Resta il fatto che alcuni di noi sono feriti, e non possiamo lasciarli da soli mentre non possono difendersi.”

“Resterò io a fare la guardia agli altri; voi andate pure, una volta che si saranno ripresi del tutto vi raggiungeremo ad Atene.”

“Io resterò con te Dmitri.”- disse il cavaliere di Andromeda.

“Io mi riposerò ancora un po', poi andrò a vedere come sta la mia famiglia; sono tre anni che non li vedo.”- aggiunse l'Unicorno.

André chinò il capo ricordandosi che anche lui non vedeva i suoi cari da tempo: “Credo che farò anche io così...perdonatemi ragazzi.”

“Per me è indifferente, posso ancora aspettare prima di andare a trovare la mia famiglia, andrò direttamente ad Atene.”

“Dunque saremo io e te, Miles ad andare al Santuario!”

“Già Leonidas.”

“Così potrò conoscere gli altri cavalieri d'oro,e rivedere Bull...”

Leonidas e Miles si guardarono negli occhi, entrambi pieni di determinazione, sorrisero e si strinsero la mano come per siglare un patto:

“Andiamo al Santuario Dragone.”

“Andiamo al Santuario Leone.”

 

Contemplava la spiaggia ed il suono delle onde.

Camminò fino all'arena, ormai ridotta in macerie, e si guardò intorno:

«Quello che c'era da fare lo hanno fatto, bisogna dirlo... però è stata una totale sconfitta.»

Quella figura incappucciata si voltò udendo dei passi alle proprie spalle:

“Ah, sei tu Melas...”

“Loki! Sei venuta qui... perché?”

La ragazza sbuffò:

“Non devi chiamarmi così, io sono Sfinge.”

“Perdonami...”

“Sapevo che non avrei potuto fare affidamento su voi incapaci.”

Melas avrebbe voluto controbattere, ma la sua sconfitta contro il cavaliere del Drago aveva leso il suo orgoglio:

“Che ne facciamo dei due cavalieri che ho nascosto?”

“Deludenti anche loro ti dirò... ma possiamo farci qualcosa. Portiamoli con noi all'isola di Death Queen... mio padre saprà cosa farne.”

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Capitolo 9
*** Santuario ***


 

Luglio 2007,Leonidas:

Oggi siamo arrivati nella nostra nuova casa,

I luoghi nuovi mi fanno un po' paura;

credo che non dormirò neanche qui.

 

Miles e Leonidas si ritrovarono dinnanzi ad una strettoia nel mezzo di due aspre e brulle montagne:

“Sei sicuro che attraversato questo corridoio giungeremo al Santuario?”- domandò il Leone.

“Stando a quanto ci ha detto quel prete ad Atene, sì.”

“Speriamo che non sia una qualche specie di trappola…”

I due stavano per entrare nella strettoia, quando una voce intimò loro di fermarsi, domandando chi fossero. Alzarono gli occhi in alto e videro un uomo vestito come un soldato dell'antica Grecia che li osservava da una sporgenza nelle rocce:

“Siamo cavalieri di Atena”- rispose Miles.

“Dimostratelo!”

I due cavalieri si guardarono negli occhi, posarono i Pandora box che portavano sulla schiena, li aprirono ed indossarono le loro sacre armature; l'uomo li fissò per qualche secondo, si consultò con altri due compagni appostati là con lui, dopodiché acconsentì al passaggio.

Attraversato il corridoio, vennero accecati dalla gelida luce del sole del mattino, e quando i loro occhi si adattarono, davanti a loro comparve una valle immensa, piena di capanne di pietra e templi antichi sorretti da splendide colonne di marmo; al centro della vallata vi era un'arena, simile a quella in cui si addestravano su Metellene ma decisamente più grande.

 

Quello era il Santuario del Grande tempio.

 

Scesi da una lunga scalinata di pietra, fermarono un soldato di pattuglia, dicendogli che dovevano parlare con il Gran sacerdote; l'uomo non rispose e si limitò ad indicare un'immensa scalinata in fondo alla valle, sulla quale vi erano disposti una dozzina di tempietti, la quale giungeva fino ad un ulteriore tempio, più grande di tutti gli altri, che si ergeva imponente su tutto il Santuario.

Attraversarono il Santuario, dove videro diverse persone intente a svolgere mansioni d'ogni tipo, dal fabbricare armi allo spaccare la legna; il Santuario era una piccola comunità indipendente nella quale sembrava che il tempo si fosse fermato, e che la modernità non fosse arrivata in quel luogo vetusto.

“Dici che troveremo del Wi-fi qui?”- commentò scherzosamente Miles. Ma Leonidas non rise, anzi era persino più serio del solito: quel luogo gli incuteva una sorta di timore che non si sapeva spiegare, gli era in qualche modo familiare, eppure non aveva ricordo di esserci mai stato.

Ma soprattutto, rimase turbato da come sembrava tutto fermo a più di cent'anni fa, forse mille, non riusciva a condividere quel modo di preservare il passato, che lui trovava forzato oltre che ossessivo.

Arrivarono dinnanzi a quella bianca scalinata e cominciarono a salirla, finché non giunsero dinnanzi al primo dei tempietti; si fermarono un attimo ad osservare quel singolare edificio privo di porte, sulla cui entrata vi era un segno a loro familiare:

“Quello è uno dei dodici segni zodiacali...”

“Ma allora Leo, vuol dire che queste...”

Udirono dei passi provenire dalla casa e poco dopo intravidero una figura con indosso un'armatura dorata con due grosse ed appuntite corna sulle spalle venire loro incontro.

Il cavaliere si fermò davanti all'entrata e si presentò:

“Benvenuti, io sono il custode della prima casa dello zodiaco, il cavaliere d'oro dell'ariete, come posso aiutarvi?”.

Era troppo lontano affinché Leonidas e Miles potessero vederne con chiarezza il volto - in parte coperto dal casco dell'armatura - ma a giudicare dal timbro delicato della voce doveva trattarsi di un giovane uomo, forse anche più giovane di loro.

“Il mio nome è Miles, cavaliere di bronzo della costellazione del Drago.”

“Ed io sono Leonidas, cavaliere d'oro del Leone.”

“Un cavaliere d'oro?”- domandò sorpreso il custode del palazzo -“E da dove spunti fuori?”

“Ho ricevuto quest'armatura tre anni fa, mi è stata mandata dal Santuario...”

“Frena, frena...mi stai dicendo che ti hanno consegnato l'armatura per posta?”

“Ecco, le cose non stanno proprio così...”

Il cavaliere dell'ariete ridacchiò portandosi la mano dinnanzi alla bocca; Miles e Leonidas si guardarono turbati.

“E ditemi «cavalieri», che cosa desiderate?”- domandò loro con tono lievemente sarcastico il cavaliere dell'ariete.

Dopo qualche attimo di esitazione, Leonidas parlò:

“Noi desideriamo parlare con il Grande sacerdote per fare rapporto di alcuni recenti eventi avvenuti sull'isola di Metellene.”

“Allora quello che dovete fare è semplice: per arrivare alle stanze del sommo sacerdote dovete attraversare delle case, dodici in totale. La prima è quella del montone bianco ed è custodita da me. Tuttavia non ho la certezza di potermi fidare di voi, quindi…”

“Quindi?”- domandò Miles perplesso;

“...non ho intenzione di lasciarvi passare, tornate da dove siete venuti.” Detto ciò il cavaliere dell'ariete si voltò ridacchiando e se ne tornò dentro la casa facendo cenno loro con la mano di andarsene.

“Aspetta, io sono il cavaliere d'oro del Leone, se non sbaglio una delle dodici case mi appartiene di diritto, la quinta se non sbaglio, lasciami almeno arrivare al mio palazzo!”

Ariete si fermò per qualche istante, dopodiché si voltò nuovamente verso i due cavalieri:

“Va bene, passate pure.”- disse con tono allegro.

Miles e Leonidas si guardarono nuovamente perplessi, dopodiché si incamminarono verso l'ingresso della casa; ma come tentarono di entrarvi, vennero bloccati da una qualche forza invisibile che impediva loro il passaggio. Miles, che cominciava ad essere stufo della situazione si rivolse al custode della casa:

“Che scherzo è questo? Avevi detto che potevamo passare!”

Il cavaliere dell'ariete ridacchiò di nuovo, questa volta più sonoramente, come se cercasse di trattenere una risata più grossa:

“Ho detto che vi avrei lasciati passare, non ho detto che sarebbe stato semplice. Dovete abbattere il mio «Crystal wall» per poter passare! Se siete dei veri cavalieri, ci riuscirete senz'altro.”

“Molto bene, ti faremo vedere di cosa siamo capaci, Leo, colpiamolo insieme!”

Leonidas annuì e i due caricarono verso la barriera invisibile che li separava dal palazzo del montone bianco, uno lanciando il «Lightning bolt», l'altro il «Colpo del drago nascente», ma i loro sforzi risultarono vani, poiché entrambi gli attacchi si infransero sul muro senza neanche scalfirlo.

Ariete a quel punto, non riuscendo più a trattenersi scoppiò a ridere platealmente, innervosendo ulteriormente Miles e Leonidas.

“Che c'è di tanto divertente? Facci fare un altro tentativo e non riderai più!”- esclamò Miles.

Di tutta risposta, il cavaliere dell'ariete si avvicinò al muro, sollevò la mano, ed appoggiando semplicemente un dito ridusse in pezzi la barriera che aveva creato: “Vedete? Il «Crystal wall» è una barriera apparentemente invalicabile, tuttavia vi è sempre un punto debole che se colpito adeguatamente permette di distruggerne completamente l'intera struttura.”

I due cavalieri si guardarono nuovamente, questa volta presi ambedue dallo sconforto.

“Adesso smettila.”

Dal fondo della casa giunse una voce chiara e potente, seguita poco dopo da un elegante figura con indosso un'armatura d'oro.

“Benvenuto, Kalos dei gemelli.” lo salutò Ariete con tono irriverente fingendo un inchino.

Kalos era un ragazzo dal viso delicato che sembrava quello di un angelo, e la sua armatura dorata metteva in risalto gli occhi azzurro cielo ed i capelli biondi; inoltre il cavaliere dei gemelli aveva un portamento fiero e nobile, ma al contempo uno sguardo rasserenante e che ispirava fiducia.

Kalos si avvicinò ai due, e sorridendo si rivolse a loro:

“Perdonate questa brusca accoglienza, il cavaliere della prima casa ha un carattere pittoresco...”

“Dai stavo scherzando, avevo intenzione di farli passare dall'inizio, volevo solo divertirmi un po'!”- rispose ariete mostrando la lingua per dispetto.

“Ed è anche molto infantile.” aggiunse Kalos facendo nascere una specie di broncio sul viso dell'altro cavaliere d'oro.

“Ad ogni modo benvenuti al Santuario, io sono Kalos, custode della terza casa; il Gran sacerdote ha saputo del vostro arrivo e mi ha mandato per guidarvi fino alle sue stanze.”

“Allora è giusto che anche io mi presenti come si deve, io sono Lambda, cavaliere dell'ariete, lieta di conoscervi!” Il suo tono di voce si era fatto meno grave, come se fino a quel momento stesse imitando qualcun altro.

Il cavaliere d'oro si sfilò l'elmo, dal quale scesero come una cascata dorata lunghi capelli biondi. Ora che si era tolto il casco, il volto del custode della prima casa era perfettamente visibile: era un viso dolce, con un naso a punta ma delicato, che visto di fronte quasi scompariva in mezzo alla sua pelle nivea, nella quale vi erano due grandi occhi coloro ametista, dal taglio leggermente a mandorla.

Lambda afferrò la mano del cavaliere del Leone e la strinse delicatamente:

“Benvenuto Leone, spero tu possa trovarti bene qui con noi.”- sorrise la ragazza guardandolo negli ambrati, facendo così arrossire Leonidas, colpito da quel viso stupendo.

Dopodiché si voltò e si presentò a Miles, ancora un po' imbronciato per lo scherzo fatto poco prima.

“Lambda, toglimi una curiosità: voi sacerdotesse guerriere non dovreste indossare una maschera per celare il vostro volto?”- domandò il cavaliere del drago ricordandosi di una storia che gli aveva raccontato John una volta riguardo ai cavalieri donna.

“Fino a qualche anno fa sì, dovevamo sottostare a quella regola, ma da quando il grande Chiron è diventato Sommo sacerdote ha abolito quella stupida regola, insieme ad altre leggi bigotte che opprimevano il Santuario.”

Leonidas rimase sorpreso, ed in lui crebbe la voglia di conoscere quel gran sacerdote di cui si parlava tanto.

“Più tardi potremo fare tutti i discorsi che volete, ma ora, se volete seguirmi, vi devo condurre fino al palazzo sacerdotale.”

I due fecero un cenno alla loro guida e la seguirono.

Dietro di loro, Lambda li salutava sorridendo: “A presto.”

Leonidas ripensò tutto il giorno a quel «A presto»:

effettivamente, avrebbe voluto rivedere il prima possibile quello splendido cavaliere.

I tre cavalieri giunsero dinnanzi alla seconda casa.

«Ci siamo» -penso tra sé e sé Leonidas- «Finalmente la casa del toro. Sono tre anni che aspetto questo momento...»

 

 

 

Leonidas e Miles entrarono nella seconda casa guidati da Kalos.

 

La casa del toro era elegantemente arredata, piena di tavoli di legno e sedie imbottite con morbidi cuscini purpurei; sulle pareti vi erano varie tende rosse, probabilmente in velluto, con pregevoli merletti dorati sui bordi e lungo tutto il palazzo vi erano dei candelabri pieni di ceri che emanavano un delicato aroma simile a quello dell'anice.

Nel mezzo del salone della casa, vi era a braccia consente un uomo imponente con indosso un'armatura d'oro altrettanto colossale, sul cui elmo spiccavano due grosse ed appuntite corna simili a quelle di un toro. Il cavaliere li scrutò con occhi severi per alcuni istanti, dopodiché si rivolse a Leonidas con voce possente:

“Cavaliere d'oro del Leone, o dovrei dire...”

All'improvviso il gigantesco cavaliere caricò contro di lui con uno scatto inimmaginabile per un uomo di quella stanza e per un attimo Leonidas ebbe davvero molta paura:

“...Leo!”

Bull lo strinse affettuosamente come se avesse un bambino tra le braccia, e per qualche secondo il povero Leonidas fece fatica a respirare, avendo fatto l'errore di scordare i poderosi abbracci del suo tutore, per lo più con indosso un'armatura d'oro.

“Bull, come sono contento di vederti!”- disse Leonidas tentando di ricambiare l'abbraccio ma accorgendosi che le sue braccia avvolgendolo non riuscivano a toccarsi dietro la schiena.

“Sei cresciuto parecchio ragazzo mio!”

“E tu sei sempre gigantesco vecchio mio!”

A parte l'imbarazzo che provava davanti a Miles e soprattutto davanti al collega appena conosciuto Kalos, Leonidas era sinceramente contento di rivedere Bull, l'uomo che lo aveva cresciuto come un figlio, dopo tre lunghi anni:

“Tu devi essere Miles, piacere di conoscerti. Leo mi ha parlato molto di te nelle sue mail, dice che sei un guerriero eccezionale.”

“Sono solo un semplice cavaliere di bronzo che si impegna con tutto se stesso in quello che fa.”- rispose Miles con un sorriso un po' ebete in faccia mentre si grattava la testa con la mano.

“Ho così tante cose da dirti Bull, non immagini neanche quello che mi è successo!”

“Dopo avrai tutto il tempo per raccontarmi, ma adesso è meglio che andiate, il Grande sacerdote vuole vedervi al più presto ed è meglio non farlo aspettare.”

“Ma..”

Bull fece cenno a Kalos che potevano andare dopodiché lanciò un occhiolino a Leonidas sorridendo, il quale a malincuore ricambiò il sorriso, poiché avrebbe voluto rimanere ancora un po' con lui.

“Ah, mi raccomando, non emozionarti troppo alla quarta casa!”- disse il cavaliere del toro mentre Leonidas varcava l'uscita del secondo palazzo dello zodiaco.

 

Dopo una breve visita alla terza casa, quella dei Gemelli che era presidiata dallo stesso Kalos - casa senza troppi dettagli e dall'arredamento piuttosto spoglio ma comunque un posto gradevole sebbene poco illuminato - il gruppo si diresse verso la quarta casa, quella del granchio gigante.

Si avvicinò al palazzo un po' impensierito dalle parole che Bull gli aveva detto poco prima di uscire dalla casa del Toro, e per un istante esitò ad entrare. Miles si voltò chiedendogli se c'era qualcosa che non andasse, ma Leonidas si limitò a fargli cenno col collo che era tutto a posto, dopodiché entrambi entrarono nella quarta casa al cui interno vi era già Kalos, che li aveva preceduti.

Entrarono nel palazzo, simile a quello di Kalos ma meglio illuminato e con qualche arredamento in più, come una scrivania ed un comodino, entrambi in legno, e un triclinio, un divanetto simile a quelli che utilizzavano i nobili nell'antica Roma

Al centro dell'ampio salone della casa, vi era Kalos che parlava con quello che era con tutta probabilità il cavaliere d'oro del Cancro, il quale indossava un'armatura dai tratti affilati e dal diadema spuntavano diverse corna simili alle zampette di un granchio. Come Leonidas si avvicinò a presentarsi, udì una voce a lui familiare, ed il cavaliere del Cancro si accorosi degli altri due ospiti presenti nella sua casa piegò la testa per vedere chi fossero, lasciando intravedere una chioma di corti capelli canuti; Kalos si spostò per permettergli di vedere meglio i suoi ospiti, e nel vedere il cavaliere del Leone, il suo voltò si riempì di stupore.

“Leonidas!”

“Lun?”

I due si avvicinarono e prima si strinsero con vigore la mano, per poi abbandonarsi ad un caloroso abbraccio che durò diversi istanti, mentre i due si salutavano affettuosamente dopo tre anni:

“Ma che ci fai qui Lun?”

“Potrei farti la stessa domanda!”

“Mi avevano detto che eri partito per la Grecia e che per questo non potevi più ricevere messaggi, ma non mi avevi detto che eri diventato un cavaliere d'oro!”

“Sì, e lo sono diventato un anno e mezzo fa!”- disse Lun con un sorriso enorme stampato in faccia- “Vuoi sapere com'è successo per caso?”

“Ti ascolto, fratello.”

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Capitolo 10
*** Coraggio ***


Calamitas virtutis occasio est.”

La calamità è occasione di virtù.

(Seneca, De providentia, 2, 4)

 

La neve scendeva candida e silenziosa sul suolo, che poco a poco stava diventando completamente bianco. Lun osservava dalla finestra della sua camera la delicata danza che i fiocchi di neve facevano prima di toccare terra come ipnotizzato, quando udì un suono dal suo computer che lo riportò alla realtà: era una mail di Leonidas, che ogni settimana gli scriveva come trascorreva le giornate su Metellene, dicendogli che anche in quei giorni gelidi lui e i suoi compagni si stavano allenando incessantemente, e di come dopo mesi di estenuante pratica stava finalmente cominciando a manovrare a suo piacimento il cosmo e che era sua intenzione portare alla velocità della luce i suoi colpi, prerogativa che un cavaliere d'oro doveva assolutamente avere per essere considerato davvero tale.

Lun spense il computer, uscì dalla sua stanza e scese giù dalle scale per andare in cucina alla ricerca di qualcosa di sfizioso da mettere sotto i denti.

D'un tratto mentre stava ancora scendendo udì dei rumori dalla serratura della porta, che era proprio davanti alle scale (essendo l'atrio della casa direttamente collegato sia al piano terra che con il piano di sopra); la maniglia si abbassò e dall'uscio entrò un enorme figura con indosso un pesante cappotto, completamente imbacuccata tra sciarpe, guanti e cappello:

“Bull, quando sei uscito? Non me ne sono neanche accorto!”- disse Lun ridendo mentre scendeva gli ultimi scalini. Arrivato al piano terra però, si accorse che dietro a Bull vi era un'altra figura, decisamente più minuta, con un viso candido e delicato , fatta eccezione per le gote arrossate per via della differenza di temperatura tra l'esterno e la casa; in mezzo a quel viso aggraziato spiccavano grandi occhi verdi come il mare e lunghi e setosi capelli lilla:

“Minerva!”- esclamò il ragazzo estremamente sorpreso.

“Ciao Lun.”- lo salutò la ragazza sorridendo; Lun le venne incontro ed entrambi si abbracciarono caldamente:

“Sorellina, che ci fai qui?”

“Sono venuta per le vacanze invernali sciocchino!”- rispose Minerva dandogli un colpetto sulla testa con la mano aperta.

“Ma l'anno scorso non c'eri...” disse Lun un po' imbronciato;

“Ho avuto molto da fare, ma quest'anno il collegio mi ha concesso qualche giorno di vacanza.”

“Davvero? E quanto resterai?

“In realtà”- abbassò lo sguardo- “Fra qualche giorno dovrò ripartire...”

Lun rimase un po' amareggiato, però vedendo la sorella tanto dispiaciuta non ci pensò:

“Non importa, adesso sei qui, e fin quando saremo insieme sarà tutto a posto!”

Minerva osservò il volto felice del fratello il quale la riempì di gioia e la fece sorridere dolcemente.

I due si incamminarono verso la cucina:

“Dove sono gli altri?”

“Claire è a fare spesa per il cenone di capodanno, e Keith con lei; vedrai quanto è cresciuto, non lo riconoscerai!”

“E Leo non c'è, vero?”

“Già, è ancora su quell'isola in Grecia ad allenarsi per diventare cavaliere a tutti gli effetti...”

“Capisco.”- Minerva alzò lo sguardo al cielo pensando a suo fratello maggiore Leonidas, che ormai non vedeva da quasi tre anni. Lun invece ripensò a quella notte d'estate di più di anno fa nella quale Leonidas aveva acquisito le sacre vesti d'oro del Leone, e si ricordò di una frase detta da Bull quella sera:

“Minerva...”

“Che c'è Lun?”

“Tu c'entri qualcosa con questa faccenda dei cavalieri?”

Minerva si fermò e rimase qualche secondo in silenzio:

“Lun perché me lo chiedi?”

“Un anno e mezzo fa quando Leonidas divenne cavaliere, Bull disse che tu c'entravi qualcosa con l'arrivo dell'armatura del Leone in casa nostra, disse anche che non dovevamo preoccuparci per te ma che non poteva dirci altro per la tua sicurezza. Non è che sai cosa significa?”

Minerva osservò a lungo gli occhi cristallini del fratello cercando di trovare le parole giuste:

“Perdonami, ma non posso dirti nulla... è anche per la tua sicurezza.”

“Non sono più un bambino!”
“Lo so, non è per quello, è solo che...”- Minerva chinò il capo senza completare la frase.

“Scusami, non volevo essere aggressivo...”

“Tranquillo, è giusto che tu sia curioso, però adesso proprio non posso, l'ho promesso a Bull...”

“Non ci pensare, piuttosto: domani è capodanno, festeggeremo alla grande!”

“Già”- disse mentre le tornava il sorriso vedendo ancora una volta il volto ridente di Lun.

“Dopo io e i miei amici ci troviamo per andare a Firenze, ti va di venire con noi?”

“Devo chiedere a Bull, ma se mi è concesso verrò volentieri.”

Detto ciò Minerva tornò indietro ed andò verso le scale per andare al piano di sopra:

“Adesso vado un attimo in camera a riposare, il viaggio è stato lungo e sono un po' stanca; ci vediamo più tardi!”

“A dopo, sorellina.”

Salendo trovò Bull nel corridoio:

“Pensi che sia una buona idea Bull?”

L’uomo non rispose.

“Io non lo so, però Lun è così felice di vedermi, non voglio deluderlo almeno per stasera ti prego lasciami uscire.”
“Minerva...”- si avvicinò Bull appoggiandole una mano sulla spalla:

“Io sono al tuo servizio e tu puoi fare quello che vuoi, però da genitore sono anche preoccupato, lo capisci?”

“Sì...”

“Non voglio metterti in pericolo, e Firenze non è un posto del tutto sicuro per te...”

“Ma è passato un anno e mezzo dall'agguato che hanno teso a Leonidas e Lun!”

“Loro cercavano te.”

“Ne sei certo?”

“A dire il vero non del tutto ho delle perplessità riguardo ai fatti avvenuti quella notte... ma questo è un altro discorso.”

“Quindi posso uscire?”

Bull si inginocchiò davanti a lei:

“Tutto ciò che vuoi. Io veglierò su di te.”

Minerva lo abbracciò:

“Ti prego alzati, non fare questo genere di cose, non le sopporto!”

“Ma tu sei...”

“La ragazza che hai cresciuto e che ti vuole bene.”

Bull sospirò, poi delicatamente ricambiò l'abbraccio della ragazza:

“Anche io ti voglio bene bambina mia.”

 

 

Lun e Minerva scesero dal treno giunto a Santa Maria Novella, e dopo essere usciti dalla stazione videro Lorenzo e Marco che li aspettavano accanto a un'edicola.

Entrambi non vedevano Minerva da diverso tempo e non poterono fare a meno di salutarla calorosamente affermando che era cambiata molto rispetto agli anni passati, ma quando le loro attenzioni si fecero troppo eccessive verso la ragazza, almeno secondo Lun, quest'ultimo si mise tra la sorella e i due amici, esortando il gruppo ad incamminarsi verso il centro della città.

Firenze era bellissima e scintillante, più del solito per via delle decorazioni natalizie; giunsero presso piazza della Signoria e si sedettero su una panca della loggia, nella quale vi erano numerose e magnifiche statue di alcuni dei più grandi scultori mai vissuti, dal bronzeo Perseo di Cellini impugnante la testa della gorgone Medusa dal cui capo mozzato fuoriuscivano getti di sangue metallico, alle dinamiche opere di Giambologna che sembrava aver pietrificato con un sortilegio i racconti del mito nel vivo del loro svolgimento. Minerva aveva sempre amato l'arte, ed in particolare quella rinascimentale, e Lun vedendola sospirare pensierosa mentre osservava quelle statue, capì subito che cosa avrebbe voluto fare la sorella quella sera.

“Ragazzi, mai voi lo sapete che stanotte le gallerie degli Uffizi rimarranno aperte fino a mezzanotte?”

Tutti i presenti rimasero sorpresi ed in particolare Minerva sul cui viso si dipinse un'espressione incredula:

“M-ma com'è possibile?”- domandò Lorenzo con sgomento;

“Hanno finito il restauro di un'importante opera di non ricordo quale autore, un certo Bramat, Bravan...”

“Bramante?”- domandò enfaticamente Minerva;

“Quello là, sì! Per festeggiarne la riapertura al pubblico hanno posticipato l'orario di chiusura del museo, ma solo per qualche giorno...ad ogni modo oggi è l'ultimo, che dite andiamo a vederlo?”

“Ma ci saranno ore di coda da fare...”- commentò Marco;

“E allora? Ne abbiamo di tempo! Voi che dite?”

Lorenzo e Minerva acconsentirono e così anche Marco si convinse che in fondo quella non era una cattiva idea.

 

Dopo solo un'ora e quaranta minuti di coda, i quattro amici entrarono finalmente agli Uffizi. Minerva sprizzava gioia da ogni poro e ringraziò il fratello almeno cento volte, prima di rimanere senza fiato dinnanzi alle sue opere preferite: il Tondo Doni di Michelangelo, la Venere di Tiziano, l'Annunciazione di Leonardo erano solo alcune delle tante opere che Minerva amava e riveriva in silenzio per diversi minuti, entrando in uno stato di trance nel quale sembrava la sua mente vagasse per chissà quale mondo di pura bellezza. Riuscì a pronunciare un'unica frase, dinnanzi alla Primavera di Sandro Botticelli,:

“Riescono a cogliere perfettamente l'essenza del divino...”

Ma la sua attenzione cadde su un'altra opera del Botticelli che non aveva mai notato: un'enorme tela alta più di due metri sulla quale vi erano raffigurati un centauro tenuto per i capelli da una donna che impugnava una grossa alabarda ed aveva una corona di rami d'ulivo sul capo, il cui aspetto era in qualche modo familiare a Minerva. Si avvicinò e lesse il titolo del dipinto: “Pallade e il centauro...”; la ragazza sentì uno strano senso di disagio, e le vennero in mente altre effigi che aveva visto dedicate a quella dea, e tutte le avevano sempre dato la medesima sensazione.

«Chi sono?»

Subito si rispose «Ma certo, io lo so chi sono...»

Eppure sentiva di non conoscersi davvero, pensando a tutte quelle statue e quei dipinti.

Vedendola così crucciata Lun le afferrò delicatamente una mano, ma lei non si accorse del fratello fino a che non le chiese se stesse bene:

“Tranquillo, ho solo avuto un giramento di testa per la stanchezza, va tutto bene.”

“Vuoi che ce ne andiamo?”
“Scherzi? Adesso che siamo qui non voglio certo andarmene così presto!”

“Ma siamo qui da tre ore!”

Minerva scoppiò a ridere cercando di mascherare l'angoscia che provava, e che ormai la seguiva da tempo: diventava sempre più difficile nasconderla.

 

Dopo cinque ore – che Minerva riteneva assolutamente misere per poter vedere tutte quelle opere d'arte- i quattro amici si sedettero su una panchina davanti alla cattedrale di Santa Maria del Fiore: nonostante l'avessero vista innumerevoli volte, la sua visione destava sempre forti emozioni in loro, soprattutto in Minerva, che da tempo desiderava poter rivedere la bellezza di quei marmi bianchi rossi e verdi, di quella cupola che Filippo Brunelleschi aveva progettato in modo così perfetto e del campanile di Giotto che pareva squarciare imperioso il cielo.

“È stata una magnifica serata” commentò Minerva sorridendo;

“Già ma ora comincio ad avere fame, andiamo a mangiare qualcosa ragazzi. Ragazzi?”

Lun e Marco si erano addormentati sulla panchina e Lorenzo li svegliò bruscamente:

“Ragazzi!!!”- urlò nelle loro povere orecchie, e mentre Lun scattò in piedi urlando frasi senza senso, Marco fece per alzarsi mugugnò qualcosa di incomprensibile e poi cadde a terra addormentato, svegliandosi solo dopo aver ben impresso il suo volto sul terreno, e a quel punto tutti scoppiarono a ridere.

Non avrebbero mai immaginato che le loro risate di gioia ed innocenza sarebbero state interrotte da quell'esplosione.

Lun rantolando cercò di rialzarsi, ma riuscì solo ad aprire gli occhi e vedere l'orrore che divampava dinnanzi a lui: centinaia di persone coperte di sangue e ustioni, talune prive di vita, altre in procinto di lasciarla; ma i sopravvissuti gridavano di dolore e di terrore e le loro urla risuonavano tra la case coperte dalle fiamme, chi cercava i propri cari, chi invocava Dio chiedendogli pietà, chi invece desiderava semplicemente la morte. L'inferno era appena sceso in terra.

Il primo pensiero di Lun fu rivolto alla sorella, di cui tentò invano di invocare il nome, ma la voce non gli uscì, soffocata dal dolore che gli causò l'idea di averla persa; tentò di chiamarla una seconda volta, questa volta riuscendoci, ma la sua voce si mescolò tra le altre grida di sofferenza; chiamò ancora la sorella, poi i due amici, ripetendo quei tre nomi fino allo sfinimento. Anche dopo che la sua voce argentina si consumò diventando roca e soffocata, non smise di chiamarli:”Minerva! Lorenzo! Marco!”, ripeteva disperato, mentre con le mani scavava tra le macerie cercando di salvare più persone che poteva e sperando che fra queste vi fossero la sorella e i due amici. Le unghie gli caddero, le mani rimasero senza più un brandello di pelle, il volto gli si coprì di sangue e lacrime e la voce divenne sempre più flebile.

Si inginocchiò difronte alla Cattedrale, che non aveva subito alcun danno - contrariamente al battistero antistante il quale era crollato dal lato della porta sud - e tra le fiamme vide ergersi diverse figure nere.

“Drakontoi” fu l'unica parola che Lun, ormai privo di voce riuscì a pronunciare. Una dozzina di loro si radunò attorno a lui e prese a schernirlo:

“Ci conosce, bene bene!”

“Guardate com'è ridotto, avrà cercato di salvare più persone possibile!” Tutti risero fragorosamente, poi uno si avvicinò a Lun, e prendendolo per i capelli gli sollevò il capo e lo guardò dritto negli occhi: “Che cosa speravi di fare? Questi sono spacciati!”

“Anche voi”

Lun sferrò un pugno in faccia al Drakontos con una tale intensità che il suo elmo si spaccò andando in frantumi; nessuno di loro si aspettava una reazione del genere. Lun cominciò a malmenarli uno ad uno, ormai sopraffatto dalla rabbia; ma più colpi sferrava, più sentiva in lui scorrere una strana energia, diversa dal cosmo che aveva percepito in Leonidas e in Bull.

Senza accorgersene si ritrovò in una vallata oscura e accanto a lui gli uomini con le armature nere. Vide una grande moltitudine di persone, tutte in coda per una voragine nella quale si gettavano senza emettere alcun suono, se non quello dei propri passi.

«Lo Tsei She ke...»

Lun capì di essere giunto in qualche modo nella voragine che separava il regno dei vivi da quello dei morti.

Prese i Drakontoi, ancora storditi, e a due a due li gettò nella gola che conduceva agli inferi, e mentre lo faceva il suo volto rimase impassibile, imperturbabile: non meritavano alcuna pietà.

Si guardò nuovamente attorno, sentiva di avere un profondo legame con quel luogo tetro e desolato, e la sua attenzione venne attirata da un ammasso di stelle, le uniche visibili in quella specie di cielo, le osservò a lungo e nuovamente si ritrovò tra le fiamme dinnanzi alla cattedrale.

Ma l'atmosfera era diversa: l'aria era pregna di una forza incredibile, un cosmo potentissimo che avvolgeva ogni cosa: le persone non gridavano più giacché i sopravvissuti parevano guariti dalle ferite più gravi, come se una specie di sortilegio avesse avvolto la zona, e anche Lun si sentì tornare le forze. Si alzò in piedi e dinnanzi a lui, davanti alla porta principale della cattedrale vi era un'enorme figura ammantata di nero, che però non stava guardando Lun, bensì ciò che gli stava dietro. Il ragazzo si voltò e vide altri Drakontoi che giacevano al suolo: i loro corpi erano squarciati da innumerevoli tagli e vi erano braccia gambe e teste un po' ovunque, come se una lama indemoniata avesse azzannato le loro carni.

Dietro a quell'ecatombe, si innalzava con fierezza un uomo con indosso un'armatura dorata e scintillante, sul cui diadema vi erano due grossa corna affilate che, complici due feroci occhi di un colore vermiglio i quali accesi dalle fiamme brillavano di un rosso intenso, lo facevano assomigliare più ad un diavolo che ad un cavaliere d'oro; era un uomo imponente e muscoloso, ma non massiccio, con capelli castano scuro arruffati non tenuti troppo lunghi.

Il cavaliere e l'uomo vestito di nero si osservavano, scrutandosi l'un l'altro, fino a ché il primo ruppe il silenzio:
“Bestia infernale, pagherai per il male che hai fatto; io sono Diez del Capricorno, e giuro sul mio onore che pagherai dieci volte le sofferenze che hai causato a ognuna di queste persone.”

L'uomo non rispose; il cavaliere d'oro alzò il braccio distendendolo al cielo:

“Questa è Excalibur, la lama sacra che recide ogni ingiustizia, preparati a morire!”- e detto ciò calò rapidamente il braccio come se fosse una scure dorata. Prima ancora che Lun potesse capire che cosa stesse succedendo, vide sotto di lui un lungo solco sul terreno che partiva dal cavaliere d'oro e arrivava fino all'uomo in nero, il quale nonostante fosse riuscito a schivare all'ultimo il fendente, era rimasto ferito al braccio su cui vi era un vistoso taglio dal quale zampillava un'ingente quantità di sangue. L'energumeno ringhiò emettendo un verso disumano, più simile a quello di una bestia inferocita che di un uomo:

“Bastardo, me la pagherai, dilanierò le tue carni fino a che non rimarrà nulla, nulla!” tuonò l'uomo con voce baritona; si accorse però che davanti a lui era giunto Lun:

“Capricorno avrà il suo momento, ma prima sarò io che ti prenderò a calci nel culo: questo è per mia sorella, stronzo!” disse sferrandogli un pugno diretto al volto, che però l'uomo riuscì ad afferrare facilmente.

“Patetico.” disse ridacchiando con la sua voce cavernosa, dopodiché sferrò una ginocchiata al ventre di Lun che si piegò dal dolore. L'uomo gli afferrò la testa e si accinse a spezzargli il collo, mentre sul suo viso si dipingeva un'espressione di matta bestialità: gli occhi si iniettarono di sangue e dalle fauci ghignanti sgorgava saliva schiumante, come ad un cane idrofobo - era evidente che quell'essere mostruoso desiderava anzi pregustava la morte del ragazzo. Ma mentre si accingeva a torcergli il capo, una mano titanica gli afferrò la faccia e la schiantò a terra. Lun si rialzò e vide Bull che indossava anch'egli un'armatura d'oro.

“B-bull!”

“Non preoccuparti, ora ci pensiamo io e Diez a questo qua.”

“Ma Minerva...”

“Lei sta bene, e anche i tuoi amici.”

Lun si sentì sollevato da quella notizia;

“Però diverse persone hanno perso la vita a causa di questo mostro, devo eliminarlo.” disse il cavaliere d'oro mentre si girava constatando che il suo nemico si era già rialzato:

“E' resistente.” aggiunse il cavaliere del Capricorno che si era avvicinato alla scena.

“Due cavalieri d'oro, ed io senza alcuna protezione... per questa volta mi ritiro, ma non temete, avremo altre occasioni per divertirci!” e detto questo l'uomo si divise in tre ombre, ognuna diretta in direzioni diverse. Diez e Bull ne intercettarono due, ma la terza fu troppo veloce e sparì nel buio della notte sotto gli occhi impotenti di Lun.

Diez gli appoggiò una mano sulla spalla:

“Sei stato coraggioso ragazzo”- poi gli afferrò il colletto con l'altra mano: “Ma non osare mai più metterti tra me ed il mio avversario.”- e sentenziato ciò lasciò il ragazzo. Diez si avvicinò al collega:

“Bull, l'hai visto anche tu vero?”

“Già, il ragazzo ha il potere di Presepe,”

“C'era un solo cavaliere che possedeva tale abilità.”

“E non si manifestava da tempo. Credi che...?”

“Sì, dobbiamo portarlo al Santuario.”

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Capitolo 11
*** Atena ***


 

Giugno 2011,Leonidas:

Minerva è tornata dall'Inghilterra, e resterà qui per un mese,

sono così felice che la mia sorellina sia qui,

quando c'è lei riesco a dormire più serenamente.

 

“Ed è così che sono diventato il cavaliere d'oro del Cancro!”

“Pazzesco.”- esclamò Leonidas esterrefatto dal racconto del fratello racconto.

“Però non capisco, perché Bull ti ha portato al Santuario per addestrarti e non ti ha mandato su Metellene con me?”

“Probabilmente sarei rimasto indietro rispetto a voi altri cavalieri dell'isola... Diez mi ha sottoposto a un allenamento molto duro e ha cercato di accelerare i tempi della mia investitura- che è avvenuta appena un mese fa infatti.”

“Capisco...”

Si avvicinò all'orecchio di Lun e silenziosamente gli bisbigliò qualcosa che ne Miles né Kalos compresero.

“Sì esatto, vedo che ci sei arrivato Leo.” - rispose il ragazzo sorridendo soddisfatto.

Kalos si fece avanti : “Signori perdonatemi ma abbiamo perso già tempo a sufficienza, come ho già detto il signor Chiron vorrebbe vedervi...”

“Hai ragione, perdonaci; Lun dopo mi racconterai tutto il resto, d'accordo?”

Lun annuì sorridendo e il cavaliere dei gemelli ricominciò la marcia verso le sale del gran Sacerdote seguito da Miles e Leonidas; quest'ultimo sentì una grande emozione mentre lasciava la casa del cancro, sia perché aveva appena rivisto il suo amato fratellino sia perché sapeva che la casa successiva sarebbe stata quella del Leone, la sua.

 

Entrarono in un palazzo dall'aspetto imponente: l'interno era sontuoso e decorato con tende azzurre dall'aspetto setoso, la luce entrava perfettamente nella casa facendo risplendere i bianchi marmi della casa che ben si intonavano con l'arredamento dai colori cristallini. Lo spazio interno era ampio ma nelle navate laterali alle colonne vi erano vari oggetti come un grazioso letto sul quale erano posti dei fiori gialli e azzurri, e dei comodini in legno di mogano.

Leonidas si fermò ad osservare a lungo quella che sarebbe stata la sua casa:

“Posso capire la tua emozione, ma dovremmo andare...” esortò il cavaliere dei Gemelli;

“Kalos, perché ci sono tutti questi fiori?”

“Vieni, mentre avanziamo te lo racconterò, tanto ci saranno alcune case vuote davanti a noi.” - disse incamminandosi: “Vedi, fino a sei anni fa questa casa, e la tua armatura, appartenevano a un altro cavaliere di nome Heracles; egli era un guerriero eccezionale, tutti lo ammiravano per le sue virtù, per il suo coraggio e per la sua forza, lui era l'epiteto della cavalleria. Ma un cavaliere...” Kalos esitò: “… un traditore attaccò il Santuario dall'interno causando diverse vittime, tra cui Heracles.”

“Deve essere stato davvero un uomo eccezionale...” commentò Miles;

“Lo era. Inoltre Heracles, era il fratello minore del nobile Chiron.”

Leonidas provò una sensazione spiacevole: stava per presentarsi davanti ad un uomo indossando le vesti di suo fratello, con che faccia avrebbe potuto guardarlo negli occhi?

“Sta tranquillo...”-gli disse Kalos- “… Chiron è un uomo saggio e intelligente, non avere paura di lui, ha seguito il tuo addestramento in questi anni, lui sa chi sei e sa che non sei Heracles, sii te stesso.”

“Sapeva di me?”

“Certo, lui e il cavaliere d'argento della lucertola si tenevano in contatto via mail.” Leonidas sorrise, ma poi si rattristò nuovamente al pensiero che John non c'era più.

 

“Ma dove siamo?” chiese Miles un po' spaesato;

“Questa è la casa del Sagittario, come vi ho detto ce ne sono alcune vuote fino alle sale del grande sacerdote, ed anche la prossima sarà vuota.”

“Come mai così tanti assenti?” chiese nuovamente il dragone;
“La casa della Vergine è abbandonata, non c'è ancora un cavaliere a custodirla; i cavalieri della Bilancia e del Capricorno non sono al Santuario al momento, mentre quella del Sagittario appartiene a Chiron.”

“Chiron è un cavaliere d'oro?” domandò Leonidas;

“Certamente, il gran Sacerdote viene scelto tra i dodici cavalieri d'oro, ma il nobile Chiron ha deciso di mantenere il proprio status anche dopo la nomina, non avendo ancora trovato un successore e ritenendo di poter mantenere il doppio ruolo di gran Sacerdote e cavaliere d'oro, e ci riesce perfettamente direi.”

In Leonidas e Miles crebbe ulteriormente la curiosità di conoscere quel cavaliere straordinario;

“Non hai detto nulla riguardo all'ottava casa però, quella dello scorpione...” chiese il Dragone;

“La situazione di Scorpio è piuttosto complessa e adesso non c'è tempo per parlarne, inoltre rischierei di dire qualcosa di sbagliato nei suoi confronti, quindi vi invito a porgere a qualcun altro e in un altro momento questa domanda”

“Capisco...” rispose Miles un po' contrito.

 

I tre erano appena entrati nell'undicesima casa: vi erano scaffali pieni di libri ovunque, e una scrivania con diversi fogli sparpagliati sui quali vi erano appunti pieni di numeri, calcoli e scritte incomprensibili; al centro del salone della casa vi era, seduto su una poltrona azzurra, molto soffice a vedersi, un ragazzo dai capelli bruni che indossava un'armatura d'oro dall'aspetto squadrato e geometrico, intento a leggere un piccolo libro. Il cavaliere alzò gli occhi, posò il libro- «Discorso sul metodo» , di Cartesio- e si alzò dalla poltrona con aria leggermente seccata:

“Benvenuti nel mio palazzo, io sono Alexander, cavaliere d'oro dell'Aquario, se avete qualcosa da chiedermi fate pure, ma in fretta, altrimenti vi devo chiedere di togliere il disturbo.”

“Non essere scortese Alexander, in fondo sono nostri compagni, e uno di loro è un cavaliere d'oro!”

“Fortunatamente Kalos, la mia vista ancora non vacilla e posso rendermene conto da me; tale informazione non mi interessa, che si limiti ad adempiere il suo ruolo di guardiano.” e detto ciò si sedette nuovamente e riprese a leggere il suo libro.

“E se ti dicessi che è il figlio adottivo di Bull?”

Alexander alzò lo sguardo e scrutò Leonidas, poi ricominciò a leggere: “Fantastico, un altro nipote...”

“Come scusa?” domandò Leonidas;
“Claire è mia sorella maggiore, tutto qua.”

Leonidas rimase incredulo: “In effetti ora che ti guardo meglio...”

Alexander aveva gli stessi capelli bruni di Claire, ma più chiari, mentre gli occhi erano dello stesso blu scuro della donna, ed anche alcuni tratti del viso erano simili.

“Claire mi aveva detto di avere un fratello, ma mai avrei immaginato fosse un cavaliere d'oro.”

“Aha...” esclamò Alexander senza neanche cercare di mascherare

il suo completo disinteresse nei confronti di Leonidas.

I tre si apprestarono ad uscire dalla casa:

“Mi ha fatto piacere conoscerti Alexander.”

“Ancora non puoi esserne certo Leo; chissà invece se io potrò dirlo di te.”

«Potrebbe essere interessante ciò che accadrà intorno a lui» pensò Alexander mentre girava una pagina del libro.

 

La casa dei pesci era un posto assai gradevole, pieno di splendide rose di diversi colori che emanavano un fragrante ed intenso profumo. Il cavaliere dei pesci, intento ad annaffiare alcune dei suoi splendidi fiori, si accorse dell'arrivo dei tre cavalieri alla casa e si avvicinò a loro per accoglierli:

“Benvenuti, io sono Kypros dei Pesci, è un piacere conoscervi.”

salutò elegantemente il cavaliere d'oro.

Kypros era un ragazzo dall'aspetto delicato, di una bellezza incredibile, superiore a quella di Kalos, più vicina a quella di Lamda; aveva lunghi e fluenti capelli cerulei che mettevano in risalto i suoi occhi verde marino, e sulla guancia sinistra aveva un piccolo neo che aggiungeva un ché di misterioso fascino alla sua straordinaria bellezza. Era di certo il più bell'uomo che Miles e Leonidas avessero mai visto.

Dopo che i due giovani cavalieri si furono presentati, Kypros li invitò a riposarsi un attimo:

“Dovete essere molto stanchi, sedetevi pure, io intanto potrei portarvi qualcosa da bere.”

“Ti ringrazio Kypros ma il sommo Chiron ci attende.”

“Ancora quegli epiteti, Kalos rilassati siamo soltanto uomini in fondo; ma se ciò ti fa stare più a tuo agio...”

Nonostante l'aspetto angelico, Kypros aveva un carattere energico e la sua voce era al contempo dolce e vigorosa; era un uomo di grande carisma, i suoi modi erano semplici ma mai rozzi e nei suoi occhi c'era qualcosa di magnetico che spingeva chiunque li guardasse a fidarsi ciecamente di lui.

Declinata l'offerta del cavaliere, Miles e Leonidas fecero per stringergli la mano ma questi sorprendentemente si mostrò refrattario ad un contatto fisico, e si scusò coi due:

“Perdonatemi, non desidero essere toccato da nessuno.”- si limitò a salutarli con un gesto della mano, invitandoli a tornare da lui in qualunque momento se ne avessero avuto voglia, dopodiché porse loro tre maschere, facendo debitamente attenzione a non sfiorarli:

“Tra la casa dei Pesci e quella del gran Sacerdote, vi è un roseto, ma il suo aroma è mortale poiché sono tutti fiori estremamente velenosi: sono le Royal demon rose, un solo taglio con le sue spine per quanto piccolo può essere fatale e un singolo petalo ha veleno a sufficienza per uccidere un uomo; le vostre armature vi proteggeranno dalle spine delle mie rose mentre le maschere vi permetteranno di respirare: fate attenzione.”

i tre si misero le maschere fornite loro dal custode della dodicesima casa e salutatolo nuovamente si diressero infine verso le stanze del grande Sacerdote.

 

Attraversando il roseto velenoso a Leonidas tornò in mente la reazione del cavaliere dei pesci quando aveva provato a stringergli la mano:

“Kalos, c'è un motivo preciso per cui il cavaliere dei pesci non vuole essere toccato?”

“Purtroppo su Kypros grava una maledizione: sin da bambino è stato esposto al veleno delle Royal demon rose per diventare il cavaliere della costellazione dei pesci, e come prova finale per la sua investitura ha ricevuto una trasfusione di sangue dal precedente cavaliere dei pesci per dimostrare di essere sufficientemente forte a sopportare il veleno di tali rose. In ogni cavaliere della dodicesima casa scorre il medesimo sangue, senza interruzione, dal primo a Kypros; se qualcuno venisse a contatto con il suo sangue venefico potrebbe anche morire, Kypros ha molta paura che accada e per questo si tiene a debita distanza da chiunque.”

“Deve essere una persona molto sola...”- commentò Miles;

“Già, però non si è mai arreso davanti a nulla, lo ammiro molto...”- Kalos si fermò:

“Eccoci, queste, sono le sale del grande Sacerdote.”

 

 

Due guardie salutarono Kalos con riverenza ed aprirono delle enormi porte dorate che davano su un immenso salone lungo il quale scorreva un tappeto rosso che arrivava fino ad un trono sul quale sedeva un uomo con un elegante abito marrone. L'uomo si alzò e venne in contro ai suoi ospiti:

era slanciato e aveva i capelli corti e castani, più scuri di quelli di Leonidas, e due sottili occhi nocciola.

Si avvicinò e salutò Kalos stringendogli la mano e dandogli delle pacche sulla spalla, poi si rivolse sorridendo ai due giovani cavalieri appena giunti:

“Miles del Drago e Leonidas del Leone, è un vero piacere conoscervi! Io sono Chiron, cavaliere d'oro del Sagittario nonché grande Sacerdote del Santuario di Atena.”

“Il piacere è tutto nostro... disse Miles un po' imbarazzato;

“Già...”- aggiunse Leonidas;

“Vedervi mi riempie di gioia. Ora abbiamo quasi tutti i cavalieri d'oro al completo, manca soltanto Virgo.

Quanto a voi, sapevo che eravate in dodici, più il vostro maestro, che fine hanno fatto gli altri cavalieri che erano con voi su Metellene?”

Leonidas e Miles si guardarono e tacitamente decisero che sarebbe stato il dragone a riferire tutto:

“Purtroppo siamo stati attaccati, e nello scontro John ha perso la vita.”

Chiron rimase sbigottito:

“Me ne rincresce... ma come è potuto succedere? John era uno dei cavalieri d'argento più forti, mi chiedo contro quale nemico possa aver combattuto...”

“Parte di loro erano cavalieri neri, quattro per la precisione, mentre gli altri erano dei nostri compagni che hanno deciso di tradirci per motivi a noi ancora ignoti; ad ogni modo è stato un cavaliere di bronzo, Syd del triangolo australe, a togliere la vita al nostro maestro, purtroppo non siamo riusciti a prenderlo e adesso non sappiamo dove sia, mentre per quanto riguarda gli altri cavalieri che ci hanno tradito, due sono riusciti a svignarsela mentre siamo riusciti a prendere un loro complice, Eden del Serpente. Per quanto riguarda i nostri compagni, ci siamo separati giorni fa da loro e non abbiamo ancora avuto modo di contattarli, spero stiano bene.”

“Lo spero anche io, manderò qualcuno in ricognizione per fare il resoconto della situazione.”

“Mi scusi, gran Sacerdote...”

“Chiamami pure Chiron, Leonidas.”

“Chiron... adesso potrei vedere Minerva?”

“Minerva?”

“Certamente, è mia sorella e sono anni che non la vedo, dato che si trova in questo palazzo vorrei almeno salutarla, pur essendo in una situazione molto particolare.”

Chiron sorrise: “Chi è stato a dirtelo, Taurus o Cancer?”

“Nessuno dei due, benché Lun me lo abbia fatto intuire.”

“Va bene, dunque... su Minerva vieni, tuo fratello vuole vederti!”

Da una scalinata alla sinistra del trono del gran Sacerdote scese una fanciulla con un elegante chitone bianco;

“Minerva...”

La ragazza sorrise e poi corse da Leonidas abbracciandolo:

“Leo, come sono contento di vedere che stai bene, erano giorni che non avevamo più tue notizie, sapessi com'ero preoccupata!”

Leonidas la scrutò attentamente:

“Sei cambiata... ora sei una donna bellissima!”

Minerva arrossì:

“Anche tu sei diventato grande Leo...”

“Quindi tu sei...”

“Già...”

Chiron si rivolse a Miles, il quale non stava ben comprendendo la situazione:

“Quando il mondo cade nell'oscurità, la nostra dea, si reincarna su questa terra. Quella giovane donna è l'attuale incarnazione di Atena.”

“Quando lo hai capito Leo?”

“In realtà dentro di me ho sempre saputo che in te c'era qualcosa di speciale, sin dal momento in cui ci siamo incontrati quattordici anni fa. Eppure ancora non riesco a rendermene conto...”

“Neanche io.”

“Miles, lei è mia sorella, Minerva.”

“Piacere di conoscervi, Atena.”

“Ti prego dammi del tu!”- sorrise imbarazzata.

Kalos si inginocchiò davanti a Minerva:

“Atena, ora con il vostro permesso, torno alla mia casa.”
“Grazie di aver guidato il mio fratellino fin qui Kalos.”

Il cavaliere dei gemelli sorrise :

“E' stato un piacere”- dopodiché si alzò e se ne andò.

“Bene...”- disse Chiron- “...ora, voi due siete appena arrivati, ma vedrò di potervi aiutare ad ambientarvi al Santuario il più in fretta possibile: Miles, a te verrà assegnata una casa nella cittadella nella quale potrai soggiornare ogni volta che verrai da queste parti. Leonidas, tu invece puoi alloggiare nella casa che ti spetta di diritto; immagino siate molto stanchi, quindi per oggi vi lascio la giornata libera, domani invece vi convocherò per stabilire il da farsi. Andate pure, e... benvenuti al grande Tempio!”- concluse Chiron sorridendo.

 

 

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Capitolo 12
*** Identità ***


Ottobre 2007, Leonidas:

Claire ci ha dato una notizia bellissima: presto avremo un fratellino.

Poi però ho pensato che forse non era giusto che io fossi lì e che il mio posto fosse un altro; lei ci ha abbracciato tutti e tre facendoci promettere che tutti insieme saremmo stati una famiglia piena di affetto.

 

 

“Tieni ancora gli occhi chiusi!”

“Insomma Lun, quanto ci vuole ancora?”

“Ok ci siamo!”

Leonidas aprì gli occhi e davanti a lui vi era un tavola imbandita con un'incredibile quantità di pietanze, alla quale sedevano Bull, Minerva, Miles, Deneb e Lambda;

“Dovevamo festeggiare il tuo arrivo qui alla quinta casa!”- lo salutò Bull con una delle sue solite poderose pacche sulla spalla.

“Ho invitato anche Deneb e Lambda, così, per far numero, spero non ti dispiaccia.” gli sussurrò Lun;

“Affatto... ma siete sicuri che si possa fare?”

“Chi vuoi che rompa... Chiron? Sarà a Rodorio con qualche ragazza!” - commentò Lambda ridacchiando;

“Con una ragazza?”

“Già, quando ha del tempo libero si diverte con qualche amica.”

“M-ma non è tipo un Sacerdote o roba simile?”

“Un cavaliere non dovrebbe avere relazioni, perché Atena dovrebbe essere sempre al centro del suo cuore… Bull ebbe una particolare intercessione per potersi sposare ed avere figli. Chiron invece è diverso: fa quel che gli pare e basta...” disse con aria indifferente Deneb sorseggiando un bicchiere di vino rosso.

Leonidas sorrise e tutti si sedettero a mangiare allegramente, poi Bull innalzò un calice di vino:

“Al nuovo cavaliere di Leo!” - e tutti brindarono.

A Leonidas non pareva vero di essere a festeggiare con Lun, Bull e Minerva dopo tanti anni, era come se non si fossero mai separati, e l'affetto che provava per loro, che non si era mai affievolito nel tempo, era più caldo che mai. E poi c'era Miles, l'amico più fedele che non lo aveva mai abbandonato, c'era Deneb con cui finalmente poteva parlare e dirgli tutte le cose che avrebbe voluto dirgli in quei tre anni riguardo ai suoi progressi, e poi c'era Lambda, che osservava silenziosamente ma sempre con un sorriso stampato in faccia; parlava poco ma non sembrava annoiarsi e come tutti i presenti scoppiava a ridere dopo un qualche aneddoto di Lun e delle sue tragicomiche avventure che Leonidas aveva sentito decine e decine di volte, ma che quella sera voleva riascoltare tutte dalla prima all'ultima. Leonidas osservò a lungo Minerva, sembrava sempre la stessa, chi avrebbe mai pensato che dietro a quella ragazza dall'aspetto così mite si celasse una divinità… «la dea della guerra».

 

Minerva contemplava il Santuario seduta sulla soglia della quinta casa, quando sentì due braccia avvolgerla:

“Che fai qui tutta sola sorellina?”

“Fratellone...”

Leonidas si sedette accanto a Minerva che si accoccolò tra le braccia del fratello:

“Sei diventato così grande Leo...”

“Anche tu. Se ripenso a quanto eri piccola; quando ti stringevo tra le mie mani,sembravi un angioletto... e ora hai sedici anni...”

“Leo...”

“Sì Minerva?”

“Ti prego, non cambiare l'affetto che provi per me...”

Minerva si alzò in piedi a fissare il cielo in silenzio;

“Non ti capisco...”

Minerva ruotò il viso sul quale vi era un'espressione malinconica:

“Leo, io chi sono per te?”

Leonidas si alzò in piedi, appoggiò le sue mani sulle spalle di Minerva e la guardò nei suoi immensi occhi verdi:

“Tu sei mia sorella, morirei per te per questo motivo se necessario, non ho bisogno di altre ragioni.”

Minerva scoppiò a piangere e Leonidas la strinse al suo petto:

“Leo...”- singhiozzò la giovane: “...non so più chi sono...”

“Te l'ho detto, sei mia sorella.”
“Io sono...io sono Atena, tutti qui al Santuario si aspettano molto da me, ma io non so che cosa farò quando sarà necessario il mio intervento, ho paura!”

“Ci siamo io, Lun e Bull, e poi tutti gli altri cavalieri; siamo noi al tuo servizio, non viceversa, non scordarlo mai.”- le disse asciugandole con il pollice le lacrime sul volto.

“Hai ragione.”- rispose la ragazza cercando di abbozzare un sorriso nonostante avesse ancora gli occhi carichi di lacrime.

 

Bull aveva riportato Minerva nelle sue stanze, sebbene lei avrebbe voluto dormire nella quinta casa, cosa impossibilitata dalle ferree regole di sorveglianza imposte alla ragazza; Miles e Deneb se ne erano andati al villaggio e Lun si era addormentato sul divano e probabilmente non si sarebbe svegliato fino al mattino seguente.

Leonidas si era offerto di accompagnare Lambda alla prima casa ed ora si stavano salutando davanti all'uscita del palazzo del montone bianco.

Lei gli sembrò così diversa da come l'aveva vista quella mattina con indosso l'armatura: ora invece aveva un semplice vestito celeste che le arrivava fin sopra le ginocchia, ed una felpa rossa visibilmente troppo grande per lei, infatti non solo quando distendeva le braccia le maniche le penzolavano lungo i fianchi, ma la scollatura mostrava una buona parte del suo prosperoso seno - che Leonidas non si capacitava potesse entrare nell'armatura...

“Devi volerle davvero molto bene.”

“Già.”

“Quindi siete fratelli?”

“Sì, ma non di sangue. Ho vissuto in un orfanotrofio a Firenze fin dai primi giorni in cui sono nato, e quando avevo due anni trovarono Minerva... era così piccola, nessuno si capacitava di come qualcuno avesse potuto abbandonarla. Avevamo solo due anni di differenza, eppure mi comportavo come un genitore per lei: le davo la pappa, la cambiavo, le facevo il bagnetto...e lei voleva sempre stare con me; per quattro anni eravamo solo io e lei, l'uno la famiglia dell'altro, poi arrivò Lun: lui era già grande- aveva quattro anni- e a differenza nostra non era nato orfano ne era stato abbandonato, semplicemente, sua madre era morta per un male incurabile, lasciandolo solo al mondo. Suo padre invece non lo ha mai conosciuto.”

“E poi Bull vi ha adottati?”

“Già, tutti e tre. Probabilmente aveva avvertito in noi qualcosa di insolito, forse il nostro cosmo, ma di fatto sarebbe comunque stato impossibile separarci.”

Lambda sorrise:

“E' bello avere qualcuno a cui rivolgere il proprio affetto; è una cosa che mi piacerebbe riprovare un giorno. Buonanotte.”,

detto ciò la ragazza dalla lunga chioma bionda si voltò ed entrò nella sua casa, mentre Leonidas cercava di capire che cosa si celasse dietro alle sue parole.

 

 

Leonidas si era svegliato di buona lena, e stava passeggiando tra le strade di Rodorio - il paese adiacente al Santuario- con Lun, e cercavano un posto in cui fare colazione:

“Vediamo, quel fornaio dovrebbe essere...eccolo!”

Lun trascinò il fratello in un forno dal quale usciva un delizioso profumo di pane caldo; si sedettero ad un tavolo e con calma mangiarono dei cornetti alla crema, sorseggiando un cappuccino:

“Non è buono come in Italia, ma va bene lo stesso, no?” commentò Lun;

Leonidas non rispose, era intento a leggere un messaggio che gli era arrivato sul cellulare;

“Che succede Leo?”

“Il gran Sacerdote vuole vedermi... è meglio andare.”

“Fa con calma, tanto non è mai puntuale.”

“Sarà, ma non mi piace essere in ritardo”; Leonidas pose una banconota sul tavolo e si alzò:

“Ci vediamo dopo Lun.”

“A dopo!”

 

“Permesso?”

Chiron, con indosso una lunga toga indaco, si alzò dal suo trono e andò incontro al ragazzo:

“Vieni pure Leonidas! Perdona l'attesa; allora come va, ti stai ambientando?”

“Sono qui da soli sei giorni, non saprei... però è un bel posto. Ad ogni modo, come posso aiutarla gran Sacerdote?”

“Ti ho già detto che puoi chiamarmi Chiron; comunque, ho un compito abbastanza facile da affidarti, te la senti?”

“Mi dica pure.”

“Vedi, in Italia, a Roma, c'è un certo orfanotrofio, dove vi è un ragazzino prodigioso che si dice sia in grado di fare miracoli. Inoltre, l'armatura d'oro della Vergine, attualmente priva di un proprietario, ha proprio in questi giorni cominciato a risplendere come se qualcosa la stesse chiamando; ho fatto alcune ricerche, e ritengo che ci sia una buona probabilità che il ragazzino di cui stiamo parlando sia il legittimo proprietario dell'armatura.”

“Vuole che porti a costui l'armatura?”

“Sì, anche questo; ma in particolare vorrei che tu lo conducessi qui al santuario affinché prenda il posto che gli spetta, così finalmente tutti e dodici i cavalieri d'oro saranno riuniti.”

Leonidas chinò il capo e rimase in silenzio per qualche istante.

“E se non volesse seguirmi? Nessuno lo ha mai istruito riguardo al cosmo, sarà probabilmente spaventato da ciò che è in grado di fare, in più portargli un fardello tanto grande...”

“Non è un fardello, e non lo costringerai a venire. Conto su di te per convincerlo a seguirti, perché credo tu possa parlare a cuore aperto con lui: Bull mi ha riferito in questi anni di ciò che ti è successo, da quando ti ha adottato all'esplosione del tuo cosmo tre anni fa.”

Chiron guardò Leonidas negli occhi con un’espressione solidale:

“Ho fiducia in te, non è una missione difficile, non richiede forza ma animo.”

Leonidas abbassò lo sguardo:

“Va bene, eseguirò il mio dovere.”

“Non sarai solo: Deneb verrà con te, e nei giorni in cui sarete assieme ti aiuterà ad affinare il settimo senso, lui ha imparato a padroneggiarlo da poco, quindi ti insegnerà le basi.

Quando tornerai ti affiancherò un cavaliere più esperto per completare il tuo addestramento.”

“Ho capito, vado subito a prepararmi.”

“Leonidas.”

“Sì gran sa...Chiron?”

Chiron lo osservò sorridendo:

“Non essere sempre così serio, sorridi ogni tanto.”

Leonidas ricambiò il sorriso:

“Certamente.” - detto questo uscì dalla stanza.

 

 

Leonidas e Deneb aspettavano fuori, appoggiati al muro; dalla porta uscì un gruppetto di uomini in giacca e cravatta, tutti dall’aspetto molto simile, ben rasati, curati, seri, inflessibili. Uno di loro guardò i pandora box, poi si voltò verso i due ragazzi e fece uno strano sorriso, nel quale vi era una sorta di disgusto.

I due entrarono in uno studio al cui centro vi era una scrivania: lì vi era un uomo intento a leggere alcuni fogli:

"Benvenuti, accomodatemi pure."

L'uomo si alzò e strinse la mano ai due ragazzi:

"E' un piacere conoscervi don Carlo."

"Il piacere è tutto mio."

"Io sono Deneb, cavaliere di bronzo del Santuario e lui è Leonidas, cavaliere d'oro."

Leonidas si presentò al prete, dopodiché tutti e tre si sedettero:

“Scusate se vi ho fatto attendere, quei signori si sono fermati più a lungo di quanto pensassi.”

“Chi erano?”- domandò Leonidas, il quale era stato particolarmente infastidito dalla vista di quelle persone.

“Uomini avidi, ed irrequieti.”

“Cloud?”

“Molto probabilmente.”

Leonidas si voltò verso Deneb in cerca di spiegazioni.

“E’ l’organizzazione mondiale che si occupa della mediazione tra il Santuario e le altre nazioni; quando sono in giro c’è sempre da preoccuparsi. Ad ogni modo, sono stato informato della situazione e in questo momento sono qui in rappresentanza della santa sede."

"Dunque?"- domandò Deneb;

"Stando agli accordi che abbiamo con il Santuario di Atene, se una delle vostre armature riconosce il proprio cavaliere, noi non possiamo assolutamente interferire. Tuttavia devo avvertirvi, Ian è un ragazzo molto sensibile: ha solo quattordici anni, appena compiuti per giunta, e di colpo ha cominciato a sviluppare queste abilità incontrollabili, è molto spaventato."

Deneb incrociò le braccia:

"Ad esempio?"

"I primi poteri che ha dimostrato di possedere erano di natura taumaturgica: curava graffi e ferite di piccola entità solo toccandole, pensavamo tutti che fosse un miracolo di Dio. Poi però sono successe altre cose: a volte mentre dormiva il suo letto prendeva improvvisamente fuoco- lui comunque ne usciva illeso, quasi le fiamme non lo avessero sfiorato; un'altra volta scomparve improvvisamente davanti a tutti e lo ritrovammo rannicchiato nel giardino del dormitorio che tremava come una foglia; e poi ci fu quella volta che... si fece un taglio, una goccia del suo sangue cadde a terra e di colpo tutto il pavimento della stanza in cui eravamo era completamente coperto di sangue."

"Immagino le vostre perplessità, ma come ci ha appena detto, se l'armatura lo riconosce vi è proibito intervenire."

"Non era mia intenzione... quello che volevo dirvi è che non sono sicuro che Ian vi accetti."

"Non vogliamo assolutamente forzarlo, il nostro compito è di informarlo, siamo qui per aiutare."

"Spero possiate aiutare quel povero ragazzo."

Deneb si alzò e gli strinse la mano:

"Lo spero anch'io."

"Ora, se volete seguirmi..."

Il prete guidò Leonidas e Deneb fino ad un porticato in mezzo al quale un gruppo di ragazzi era intento a fare una partita di calcetto; vi era però un gracile ragazzetto dai capelli dorati che stava seduto su un gradone, intento ad ascoltare della musica nelle cuffie.

Don Carlo lo toccò sulla spalla per avvisarlo della sua presenza e il ragazzo si tolse le cuffie:

"Ian, ci sono qui delle persone che vorrebbero parlarti, vengono dal Santuario di Atene."

Ian annuì col capo ed il prete si alzò e si avvicinò ai due cavalieri:

"Vi lascio soli."

Deneb e Leonidas si sedettero accanto al ragazzo biondo:

"Voi siete...cavalieri di Atena?"

"Sì, io sono Deneb e lui e Leonidas."

"Hai un'energia molto fredda, quando ti sei seduto vicino a me mi sono venuti i brividi; Leonidas invece ne ha una più calda...”

“Si chiama cosmo, è l'energia che è dentro ognuno di noi, ma che solo alcune persone riescono a utilizzare.”

“Come me?”

“Come te.”

Ian sorrise:

“E io che pensavo di essere un santo o qualcosa del genere...”

“In un certo senso i cavalieri di Atena lo sono, alcuni possono persino compiere miracoli con il loro cosmo.”

“Quindi io sarei un...cavaliere?”

“Non possiamo dirlo ancora; per questo abbiamo portato qualcosa che, stando alle parole del nostro gran sacerdote, ti appartiene.”

“Io vorrei aiutarvi...”

Ian aprì gli occhi, completamente bianchi:
“...ma anche volendo non saprei dirvi se quell'oggetto mi appartiene.”

Leonidas osservò gli occhi di Ian e provò una gran pena per quel ragazzo dall'aria così innocente, poi trovò il coraggio di parlargli:

“La vista non è necessaria, un'armatura emana un cosmo in presenza del suo legittimo proprietario, è qualcosa che trascende i cinque sensi...”

Ian rimase per qualche istante in silenzio.

“Portatemi dunque da questa armatura.”

Deneb aiutò il ragazzino ad alzarsi e si avviarono verso la stanza in cui avevano depositato l'armatura della vergine.

Leonidas rimase un attimo da solo nel porticato;

“Lascia il segno in chiunque lo conosce.”

Don Carlo si sedette su una panchina accanto a Leonidas;

“Ha un animo così...”

“Cristallino.”

“Sì.”

“E' delicato; di per sé lui è una persona molto dolce, in più è cieco dalla nascita e ha sempre... percepito il mondo in un certo modo.”

Leonidas osservò il cielo azzurro e privo di nubi: «come quel ragazzo» pensò tra sé e sé.

 

Ian sentì il cuore battergli forte, non aveva mai provato una sensazione simile, era come se ad ogni passo che faceva andasse incontro a qualcosa di immenso, un mare di energia che lo avvolgeva poco a poco; infine entrò nella stanza assieme a don Carlo e ai due cavalieri.

Nonostante non potesse vederla, percepì subito che al centro della stanza vi era l'armatura d'oro della vergine.

Si avvicinò fino ad arrivare ad un passo da lei e poi la «scrutò».

Alzò lentamente la mano sinistra, la lasciò in tensione per qualche secondo, e poi la posò sull'armatura.

Ian rimase immobile in silenzio per diversi minuti, allorché Deneb cominciò a preoccuparsi e si avvicinò al ragazzo:

“Ian è tutto ok?”

Deneb vide che diverse lacrime rigavano il volto impassibile del ragazzo. Infine Ian bisbigliò qualcosa:

“Come scusa?” chiese Deneb perplesso;

“Questo calore...”

Ian raccolse l'elmo dell'armatura e se lo portò alla fronte, quasi come se i suoi occhi e quelli della maschera si stessero guardando:
“Io l'ho già sentito questo calore. E' stato tanto tempo fa... durante i miei primi giorni di vita...”

“I tuoi primi giorni... di vita?” domandò Leonidas;

“Questa armatura...apparteneva a una donna di nome Elizabeth.

quindici anni fa scomparve senza lasciare alcuna traccia.”

“E poi... che cosa è successo?”

Deneb chinò il capo e chiuse gli occhi, poi lentamente, proferì parola:

“Sei anni fa abbiamo saputo della sua morte.”

Ian si inginocchiò a terra, e aggiunse al suo pianto ciò che era mancato finora: la disperazione.

Singhiozzando, tentò di parlare:

“L-lei...”

Ma il pianto strozzò la sua voce, dopodiché tentò nuovamente di parlare:

“L-la mia...la mia...”

Ian alzò lo sguardo al cielo, anche se non poteva vederlo:

“Mia madre ha lasciato il suo ultimo attimo di vita in questa armatura.”

Strinse a sé l’elmo della Vergine e si chiuse in un silenzio spezzato solo dal suo pianto, che faticava a far cessare.

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Capitolo 13
*** Luce ***


Tu ne cede mais, sed contra audentior ito qua tua te fortuna sinet.”

Tu non cedere ai mali, ma affrontali con più audacia,

per quanto la sorte te lo permetta.

(Virgilio, Eneide, 6, 95-96)

 

 

“Sicuro che non disturbo?”

“Sta tranquillo, sei sempre il benvenuto a casa mia.”

I due cavalieri avevano deciso di lasciare ad Ian un po' di tempo per riprendersi e sarebbero tornato l'indomani a Roma per parlare nuovamente con lui. Leonidas bussò alla porta e quando questa si aprì davanti a sé trovò un ragazzino alto quasi quanto lui:

“K-Keith?”

“Leo!”

Keith abbracciò un più ché sorpreso Leonidas:

“Santo cielo, sei cresciuto tantissimo!”

“E' un piccolo toro, come suo padre.”

Dalle scale scese Claire, che invece non era affatto cambiata in quei tre anni:

“Sei sempre bellissima Claire.”- sorrise Leonidas abbracciandola;

“E tu ti sei fatto un vero uomo...”

Claire osservò Leonidas con gli occhi leggermente lucidi- era una donna forte e raramente si lasciava andare a momenti stucchevoli:

“Fino a ieri tu, Lun e Minerva eravate tre cuccioli, e ora...”

Claire sorrise e poi salutò l'altro cavaliere:

“Deneb, anche tu sei diventato più grande!”

“Sì, ecco, io ho solo un anno in più di Leo, quindi sono cresciuto anche io!”- disse ridacchiando un po' imbarazzato.

“E' stato un viaggio molto lungo, stamattina l'aereo e adesso quattro ore di macchina, dovete essere stanchi!”

“Non si preoccupi Claire, noi cavalieri siamo addestrati a situazioni ben peggiori.”

“Ma la fame ce l'avete anche voi! Venite, vi aiuto a depositare i bagagli e poi preparo qualcosa da mangiare.”

“Tranquilla, li aiutiamo io e Keith!”

Dalla cucina uscì in ragazzo con gli occhiali.

“Alvin!”

“Ehilà Leo, è un po' che non ci si vede vero?”

I due amici si salutarono:

“Sei davvero rimasto qui da...”

“Da una settimana. La battaglia è stata sei giorni fa, ricordi?”

“Solo sei giorni?”

“Che ti succede vecchio mio, hai perso la cognizione del tempo?”

“No è che... sono successe talmente tante cose in soli sei giorni che sembra passata un'eternità. Comunque, Deneb, lui è Alvin, un mio carissimo amico nonché compagno di addestramento.”

“Piacere di conoscerti Deneb, Leo mi ha parlato diverse volte di te in questi anni.”

Deneb si girò verso Leonidas con un'espressione confusa:

“Ehm... sei l'unico cavaliere che abbia mai visto in azione, così ho narrato di quello che hai fatto quella notte tre anni fa. Un po' a tutti. Diverse volte...”

Deneb si mise a ridere ed il cavaliere del leone guardò a terra imbarazzato:

“E' meglio andare a mettere via le valigie...” sospirò.

 

Leonidas e Deneb erano andati a coricarsi e giacevano sui rispettivi letti a pancia all'aria:
“Che mangiata!”

“Quando ha ospiti Claire cucina sempre come se dovesse sfamare un esercito.”

“Quindi lei è la sorella di Alexander…”

“Già.”

“Sai, quando sono arrivato al Santuario dopo il mio addestramento, Alexander mi ha preso come suo assistente e mi ha allenato per alcuni anni. E' stato come un secondo maestro per me, è grazie a lui se ora un semplice cavaliere di bronzo come me è uno degli assistenti del Gran Sacerdote.”

“Capisco. Comunque... mi sembra una persona molto fredda...”

“Lo è: lui è il gelo assoluto, non perde mai la calma, ha una forza straordinaria e padroneggia le energie fredde come nessun altro, a parte il mio maestro ovviamente.

“Questo tuo maestro deve essere molto forte.”

“Fortissimo; Mi salvò la vita undici anni fa e mi accolse in casa sua crescendomi come un figlio insieme a sua moglie.”

“Come si chiama?”

“E' stato il precedente, nonché primo in assoluto, cavaliere del cigno: il suo nome è Hyoga.”

 

 

Ian quella mattina si svegliò come al solito, scese dal letto, andò in bagno, si lavò la faccia, prese il suo bastone per non vedenti e uscì dalla sua stanza. O almeno così avrebbe voluto fare: rimase a letto per alcuni minuti dopo essersi svegliato, poi si alzò in piedi e rimase un altro po' immobile in mezzo alla stanza; posò la mano sul bastone, ma poi la tolse. Ormai era come se vedesse, ma non con gli occhi, bensì con l'animo, o meglio, con il cosmo.

 

“Come, non è andato a lezione?”

“Don Carlo ha detto che non manca quasi mai, eppure oggi non è venuto. Probabilmente non se l'è sentita...”

“Però così si fa solo del male. Ti ha detto dove possiamo trovarlo?”

“Sì, probabilmente è in biblioteca oppure in camera sua ancora.”

“Leo, vai in biblioteca, io lo cerco nella sua stanza.”

Leonidas annuì e si diresse verso la biblioteca; dopo qualche metro girò a destra e scese dalle scale, poi si fermò in mezzo ad un corridoio con un'espressione crucciata: «Non ho idea di dove sia la biblioteca...»

All'improvviso avvertì un piccolo cosmo che proveniva non molto lontano da lui; si avvicinò a quel cosmo e si ritrovò davanti alla porta della stanza nella quale vi era l'armatura della vergine.

Aprì la porta- avrebbe certamente dovuto bussare prima, ma in quel momento non gliene importava granché- e davanti a sé vide che in mezzo alla stanza vi era seduto Ian a gambe incrociate, intento a contemplare l'armatura.

Leonidas chiuse delicatamente la porta e si sedette accanto al ragazzo:

“Sei di nuovo tu, con quel cosmo caldo... però non è caldo come il sole del mattino, anzi, con il sole del mattino ha solo una cosa in comune...”

“Che cosa?”

“Sai quando lo guardi, che ti abbagli? Non sei completamente accecato, sei leggermente stordito, un po' ti scalda ma intanto ti pervade.”

“Fa paura?”

“Un po'.”

“Non era mia intenzione spaventarti.”

“Tranquillo.”

“Come fai a sapere come sia la luce del mattino?”

“Ho imparato a vedere il mondo con altri occhi, probabilmente quello che tu chiami cosmo.”

Entrambi rimasero in silenzio per alcuni istanti;

“Sai, ho ricevuto la mia armatura d'oro tre anni fa; mi sembra ieri.

Sapevo che sarebbe stata una grande responsabilità, le armature d'oro sono solo dodici, e tutti si aspettano molto da te, perché i cavalieri d'oro sono l'epiteto della cavalleria. Però io non avevo tutte le tue abilità...”

“Non me ne importa nulla...” Ian si strinse la testa tra le ginocchia: “Non ho mai voluto tutto questo... è bello vedere con altri occhi le cose, ma non hai idea di cosa significa avere costantemente paura di quello che il tuo animo potrebbe fare, il continuo timore di ferire gli altri...”

“E' vero, tu possiedi capacità completamente diverse dalle mie, io sono solo bravo a fare a botte, però vedi, al Santuario ci sono un sacco di cavalieri formidabili e sono certo che tra di loro ce ne sono alcuni che possono insegnarti a tenere sotto controllo i tuoi poteri.”

“Dici davvero?”
“Ne sono certo, altrimenti non vedo perché il gran sacerdote mi abbia mandato fin qui,o meglio, io una ragione ce l'avrei...”
“Cioè?”

“Perché a Firenze vive la mia famiglia. In realtà non è la mia vera famiglia, quella non l'ho mai conosciuta; quando avevo sei anni venni adottato da un cavaliere e da sua moglie, ed è grazie a loro se sono quello che sono ora.”

“Stai sorridendo vero?”

“Sì, come lo sai?”

“Per capire che una persona sorride non serve necessariamente la vista.”

“Saresti un cavaliere eccezionale.”

“Ma io... io odio la violenza...”

“Lo sai perché i cavalieri non usano armi?”

“No, perché?”

“Perché Atena odia le armi. E odia la violenza, però a questo mondo c'è sempre qualcuno pronto a sopraffare i più deboli, ed è allora che un cavaliere combatte: non combattere per battaglie personali ma solo per difendere la giustizia è una ferrea regola morale di ogni cavaliere che si rispetti.”

“Atena... sono cresciuto in una scuola cristiana e ho sempre pensato che fosse un mito greco, nulla di più. Posso farti una domanda Leonidas?”

“Va bene.”

“Tu in cosa credi?”

“In cosa credo, vediamo... io credo in me e nei miei compagni.”

“No, dico, qual è la tua fede, se ne hai una?”

“Te l'ho detto, ho fede nei miei compagni.”

“Non credi in nessuno, neanche in Atena?”

Leonidas cercò di rispondere, ma si era accorto che di fatto, non si era mai posto la domanda più importante che un cavaliere di Atena dovrebbe farsi: «Io credo in Atena?».

“Non saprei dirti, magari un giorno te lo dirò.”

“Io non mi sono mai domandato se tutte quelle cose che mi hanno insegnato siano giuste o sbagliate e fino ad oggi ho vissuto felice, ma solo ora mi rendo conto che era solo un'illusione. Semplicemente avevo fatta mia una verità che di fatto avevo accettato senza esitazione, e ora sono troppo dentro di essa per uscirne; sai, fino al mese scorso dicevo a don Carlo che avrei voluto fare il prete, come lui. E ora sinceramente non me ne importa più niente, adesso voglio solo capire chi sono.”

“E tu chi sei?”

Ian non fece in tempo a rispondere che un enorme boato fece esplodere le finestre, ed i due rotolarono a terra storditi coprendosi le orecchie; dopodiché Leonidas vide un muro crollare e tutta la stanza venne irradiata dalla luce del mattino.

Lentamente, un'enorme figura nera entrò nella stanza:

era un uomo, grande quasi quanto Bull, che indossava un'armatura grigia come la cenere; l'elmo pareva la testa di un cane e anche le protezioni delle mani sembravano due fauci minacciose di una bestia nera.

L'uomo annusò l'aria e guardò Leonidas:

“Questo odore mi è familiare, anche quel moccioso a Firenze lo aveva...”

dopodiché gli tirò un calcio sullo stomaco;

“Ora devo eliminare quest’altro qua, a te penserò dopo.”

L'energumeno cercò di muoversi, ma attorno al suo corpo vide degli anelli di ghiaccio che gli bloccavano i movimenti.

Dietro di lui comparve Deneb, con indosso l'armatura del cigno:

“Ce n'era una altro... avrei dovuto fare più attenzione!”

Deneb incrociò le mani, le alzò sopra la testa, e poi di colpo le abbassò: da esse uscì un gelido getto di cosmo che investì l'uomo con l'armatura nera scaraventandolo sul muro che si sbriciolò crollandogli addosso per via dell'impatto.

Deneb si avvicinò a Leonidas:

“Stai bene?”

“Cosa?”
“Stai bene Leo?””

Leonidas non riusciva a sentire quello che l'amico gli diceva.

“M-mi ha stordito, non ci sento... presto va da Ian, è inerme!”

Deneb fece per avvicinarsi ad Ian ma si sentì afferrare la faccia e l'enorme mano dell'uomo con l'armatura nera lo scaraventò a terra;

“Stupido cavaliere, ben ti sta, ora ti distruggo la testa!”

Fece per calpestare la testa di Deneb, ma questo di scatto si girò e afferrò il piede con le mani, poi lo ribaltò e si alzò in piedi allontanandosi da lui.

L'uomo si rialzò:

“Dannato seccatore, ti distruggo!”

L'uomo allungò le braccia e le fauci che coprivano le mani si spalancarono, mentre Deneb poteva avvertire il suo cosmo crescere:

«Sta per lanciarmi contro la sua tecnica segreta, devo usare il Diamond Dust

Deneb portò il suo pugno verso il fianco, dopo di ché entrambi scagliarono i loro attacchi:

l'uno una polvere di ghiaccio carica di cosmo, l'altro un spirale di energia oscura formato da tre colonne che si intrecciavano tra di loro. Dallo scontro di quelle due forze nacque una tremenda esplosione che demolì completamente la stanza e buona parte di quell'ala del collegio (fortunatamente, essendo tutti a lezione, non ci furono vittime).

Quando il polverone alzato dall'esplosione si dissolse, Leonidas poté osservare sconcertato che l'unico rimasto in piedi era l'uomo con l'armatura nera, mentre Deneb giaceva al suolo e la sua armatura presentava diverse crepe;

“Queste nuove Daimon sono sensazionali... è come riavere la mia vecchia pelle, anzi mi sento molto più forte!” e detto ciò l'uomo scoppiò in una fragorosa quanto inquietante risata.

“Cosa c'è di così divertente mostro?”

L'uomo si girò adirato a vedere chi gli stesse rivolgendo quelle parole con tanta arroganza; Leonidas, notato ciò, si voltò a sua volta, e ciò che vide lo lasciò stupefatto:

«I-Ian... infine ha indossato l'armatura!»

L'armatura della vergine aveva protetto Ian dall'esplosione, e vedendo ciò il ragazzo aveva capito quale sarebbe stato il suo prossimo compito, così l'aveva indossata ed ora si apprestava a combattere la sua prima battaglia:

“Mostro, non so chi tu sia o cosa voglia, ma di una cosa sta pur certo, dovrai implorarmi affinché io ti conceda il mio perdono.”

L'uomo lo guardò sorpreso, dopodiché scoppiò nuovamente a ridere:

“Pensi di farmi paura moccioso? Dilanierò le tue carni!”

“Quattordici anni.”

“Cosa?”

“Sono quattordici anni che tengo i miei occhi chiusi. Ma ora...”- le palpebre di Ian cominciarono lentamente ad alzarsi-: “...penso sia arrivato il momento di far vedere loro la luce.”

Ian aprì gli occhi, e un'immensa massa di cosmo lucente, come mai Leonidas aveva avvertito, investì l'uomo con l'armatura nera spazzandolo via completamente; non era rimasta alcuna traccia di lui.

“Mi chiedo se sia morto; poco importa, adesso sono sicuro che non ci darà più fastidio.”

Leonidas si alzò in piedi e si diresse verso il ragazzo:

“Sei stato grandioso...”

Ian cominciò a parlare, ma senza usare la bocca, trasmetteva i suoi pensieri a Leonidas:

«Prima mi hai chiesto chi fossi, e stavo per dirti che non lo sapevo, ma ora mi rendo conto di chi realmente io sia: sono un cavaliere.»

 

 

“Spero che i lavori finiscano presto...”

“Ci vorrà un po' di tempo Ian, una parte del collegio è stata completamente rasa al suolo.” - rispose Deneb tastandosi un taglio sulla fronte che si era fatto durante lo scontro, e che gli avrebbe probabilmente lasciato una cicatrice.

“Già, hai ragione... Leonidas recupererà l'udito?”

“Ma certo, è stato solo stordito i suoi timpani stanno bene; vedrai che fra qualche giorno ricomincerà a sentire.”

Ian sorrise e si voltò verso il finestrino: osservava il panorama dall'aereo, i suoi occhi vedevano un mondo tutto nuovo, un mondo immenso e meraviglioso, che non vedeva l'ora di scoprire.







 

Postilla:

Termina così il primo atto! Ringrazio tutti coloro che sono arrivati fin qui con tutto il mio cuore. ;)

L'inizio di questa storia lo considero più un aperitivo del mondo che voglio mettere in scena, i prossimi atti saranno decisamente più dinamici... spero che vi piaccia ciò che ho in mente!

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