Sonny

di tartaruga_dt
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** uno ***
Capitolo 2: *** due ***
Capitolo 3: *** tre ***
Capitolo 4: *** quattro ***



Capitolo 1
*** uno ***


H50-Sonny1

Quando Joe White gli tende la mano, Steve la stringe. Joe avrà cura di te, gli aveva detto il suo vecchio prima di spedirlo in Accademia. Sono passati anni da allora ma sa che, nonostante le cose che Joe promette di dirgli e non gli dice, può fare sempre affidamento su quelle parole.

«Non fraintendermi» comincia Danny quando Joe gli ha dato la schiena e si è allontanato abbastanza da non poterli più sentire «Lui mi piace. Voglio dire, mi ha dato una mano a tenerti fuori di galera e appena gli fai un fischio si precipita qui. Ci tiene davvero a te. Ma sinceramente mi mette i brividi.»
«I brividi addirittura?» ghigna Steve «Sicuro che non sia la tua allergia ai militari a parlare?»
«Non ho nessuna allergia ai militari» precisa Danny mentre sale in macchina «Sono allergico a te ma questo è un altro discorso. Il punto è che del tuo mentore non sappiamo un bel niente, è una specie di uomo ombra.»
«Ehi, io conosco Joe, si è preso cura di me da quando ero un ragazzo.»
«E per questo lo rispetti, lo capisco. Ma dove va quando non è qui? E cosa fa quando non ti aiuta a evadere di prigione o ti salva la pelle o si butta in mare con un furgoncino? Sai perlomeno se ha una famiglia o una fidanzata o un cane o… qualcuno?» Steve fa un sospiro rassegnato.
«Joe è stato in Marina per tutta la vita, ha imparato a essere riservato e a tenersi stretto i suoi segreti.»
«Questo significa che ho ragione io» fa Danny allacciandosi la cintura «Del tuo amico Joe White non sai un bel niente.»




Sonny




Oh Sonny don’t go away, I’m here all alone
And your daddy’s a sailor who never comes home
Nights are so long silence goes on
I’m feeling so tired and not all that strong…
Ron Hynes, Sonny’s dream




Uno.


Joe sale sul suo furgone mentre la sera scende sulle spiagge hawaiane. Viaggia con il finestrino aperto, per godersi la brezza fresca che viene dal mare, fa una sosta in un ristorante italiano dove compra due porzioni di cannelloni da asporto e un’intera torta al cioccolato. Poi torna in fretta al furgone e si lascia alle spalle le luci dei locali che si accendono una a una, come brillanti richiami per turisti. Mezz’ora più tardi è davanti alla porta del suo appartamento, un buco di due stanze al sesto piano di un palazzo senza ascensore, ma si ferma giusto il tempo di mettere sotto chiave la pistola. Poi raccoglie la busta con i cannelloni, la scatola della torta ed esce di nuovo. Non fa molta strada, raggiunge la porta che segue la sua sul pianerottolo e bussa. Crown, recita la targhetta accanto al campanello.
«Chi è?» domanda una voce sospettosa dall’interno.
«Alyssa, sono Joe» risponde lui. Quando la porta si apre a fare capolino c’è un viso bianco e rotondo come la luna piena.
«Ciao» fa la ragazza sulla porta, con i grandi occhi scuri spalancati per la sorpresa.
«Ciao» fa lui di rimando «Mi stavo chiedendo se avessi cenato. Perché vedi, aspettavo un amico che avrebbe dovuto mangiare con me stasera, ma purtroppo all’ultimo ha dovuto disdire. A te piacciono i cannelloni, vero?»

*

La ragazza – Alyssa – ha trent’anni ma è talmente esile e minuta che sembra infinitamente più giovane. Vertiginosamente più giovane, pensa Joe mentre la guarda fare spazio sul tavolo ingombro di libri.
«Temo di essere molto disordinata» si scusa lei imbarazzata, raccogliendo tra le braccia tutti i libri e i fogli che può. Joe si limita ad alzare le sopracciglia ma il SEAL dentro di lui grida che “disordinata” è un eufemismo. «Dammi un secondo e faccio un po’ di posto» dice lei con libri, quaderni e blocchi da disegno incastrati sotto al mento, ma l’istante dopo inciampa sull’orlo del tappeto, perde l’equilibrio e tutto quello che teneva tra le braccia finisce per terra. Se lei non fa la stessa fine e non finisce a faccia avanti, è solo perché Joe riesce ad afferrarla prima. «Oh» sospira affranta «Mi dispiace, mi dispiace tanto.» A lui invece non dispiace per niente, almeno per un attimo ha avuto una buona scusa per tenerla stretta.
«Facciamo che lasci tutto così com’è» le dice quando ce l’ha ancora così vicina che può sentire il profumo di fiori del suo shampoo «Ora io ti aiuto a raccogliere questa roba, e tu metti i cannelloni nei piatti, cosa ne dici? Mangeremo seduti per terra, il tuo tappeto sembra comodo.»
«Cosa? No, non…»
«Ehi» la zittisce «Sono venuto perché mi serviva un complice per far sparire tutte queste calorie senza rimorsi, non m’importa dove le mangiamo.»
«Ma per terra… che padrona di casa sarei se ti lasciassi mangiare per terra?» Joe le sorride.
«Ti dirò, ho mangiato in posti peggiori.» Nelle prigioni nordvietnamite, tanto per fare un esempio, e lì sala da pranzo e latrina erano un’unica stanza. Alyssa però non lo sa, è fermamente convinta che ne vada del suo onore di padrona di casa e pretende un compromesso. Così si ritrovano a magiare seduti sul tappeto, intorno a un tavolino di fortuna realizzato impilando in ordine i libri che le erano caduti: lei ci ha steso sopra una tovaglia a quadretti bianchi e blu, ha sistemato piatti e bicchieri, e Joe ha dovuto ammettere di essere piuttosto comodo.
«Ci sono più libri dall’ultima volta che sono stato qui o mi sbaglio?»
«Qualcuno» ridacchia la ragazza portandosi la forchetta alla bocca.
«E molti, molti più fogli. Questo significa che il tuo libro prosegue bene?» Lei arrossisce fino alla radice dei capelli.
«Prosegue» risponde evasiva dopo aver mandato giù il boccone «È solo la prima stesura. Scrivo di getto, non ci vuole poi molto.»
«Ci vuole fantasia, suppongo. E la pazienza di dare un nome a tutte le cose che hai in testa.»
«La fai sembrare una cosa seria così.»
«E tu invece la fai sembrare una cosa da tutti» la rimprovera lui con un sorriso sottile. La ragazza ha la replica già pronta sulle labbra, una giustificazione balbettante per la sua ostinata abitudine di sminuire tutto quello che fa, ma Joe non ha nessuna intenzione di stare ad ascoltarla: «Finisci i cannelloni, coraggio» la incalza «C’è ancora la torta da far sparire.»
Poi parlano del più e del meno, del tempo, dei buoni libri, di musica. Soprattutto di musica. Alyssa gli racconta che sua madre sapeva suonare la chitarra molto bene e che quando era bambina, le dedicava una canzone ogni sera. Joe ascolta fingendosi sorpreso, ma quando lei inizia a dire di una canzone in particolare, una un po’ triste, che le è rimasta nel cuore perché sembrava parlare proprio di loro, di lei e di sua madre, allora non ce la fa più: «Sonny’s dream non parla di te» la interrompe. Lo fa più bruscamente di quanto avrebbe voluto e molto, molto di più quanto la sua copertura avrebbe richiesto, ma fortunatamente Alyssa non sembra farci caso.
«Come sai che mi riferivo a Sonny’s dream?» chiede invece, con la bocca che disegna una O sorpresa.
«Sonny’s dream è la canzone a cui ti sei ispirata per scrivere il tuo primo libro, giusto? C’è scritto sulla quarta di copertina.»
«Accidenti» soffia lei ammirata «Sei un tipo attento! Sei sprecato per un lavoro nell’import export, saresti dovuto entrare in polizia o chissà, magari nei servizi segreti.» Oppure in Marina, pensa lui, ma non dice niente, le sorride e manda giù un altro boccone di torta. «Sei stato via a lungo» continua Alyssa quando il silenzio si è prolungato più del dovuto «Dove ti ha portato il tuo lavoro stavolta?» Joe alza le spalle.
«Un po’ qui, un po’ lì» risponde evasivo «Non è importante in fondo. L’importante è tornare, non credi?» Lei ci mette un po’ a rispondere.
«Credo di sì» mugugna alla fine, ma non ne sembra poi così convinta.

*

Il mattino dopo la sveglia suona alle quattro in punto. Joe apre gli occhi in una stanza buia e per qualche minuto rimane disteso nel letto, con un braccio sotto la testa e l’altro sullo stomaco, ad ascoltare i rumori ovattati che vengono dall’appartamento accanto al suo.
Alyssa si sta preparando: alle quattro e mezza circa uscirà di casa, chiuderà a doppia mandata e poi filerà al lavoro dove servirà caffè ai serfisti mattinieri, pulirà il bancone e passerà la giornata portando le ordinazioni ai tavoli. Alle quattro del pomeriggio la sua amica Arona verrà a darle il cambio e lei correrà in ospedale a fare compagnia a quei pazienti che non hanno nessuno, rimarrà finché non la cacceranno via a pedate e allora tornerà a casa, lavorerà al suo libro, e alla fine crollerà addormentata con la faccia premuta sopra la tastiera del computer.
Joe rimane al buio e aspetta. Un rumore più forte degli altri lo avvisa che la ragazza deve di nuovo essere inciampata sul tappeto e che questa volta nessuno le ha impedito di prendere il pavimento di faccia. Non fa in tempo a preoccuparsi che la sente chiudere la porta di casa e correre giù per le scale.
Joe rimane ancora a letto, in attesa, e neanche un minuto dopo la sente risalire le scale ansimando, rovistare nella borsa alla disperata ricerca delle chiavi e rientrare dentro casa. Prova a immaginare cosa possa essersi scordata: forse il telefonino, forse un elastico per i lunghi capelli scuri, forse il portafoglio. Qualunque cosa sia la trova abbastanza in fretta ed esce di nuovo di casa. Ma fa appena in tempo a richiudere la porta che deve realizzare di aver scordato qualcos’altro, perché la sente infilare di nuovo la chiave nella toppa e riaprire.  
Joe sospira nel buio. Ogni mattina la stessa storia: Alyssa esce di casa, scorda qualcosa e rientra, esce di nuovo, poi rientra ancora, e intanto inciampa o sbatte da qualche parte oppure fa tutte e due le cose insieme. È come una bambina che si arrangia a vivere sola senza esserne capace e una parte di lui – la parte pratica che la Marina ha reso affilata ed efficiente – rimane sgomenta davanti a tanta goffaggine. Un’ altra parte invece – quella che la Marina aveva sepolto sotto anni di addestramenti durissimi finché non aveva dimenticato di averla – trema di paura: paura che prima o poi si faccia male sul serio o che qualcuno possa approfittare di quella sua graziosa testolina sempre tra le nuvole. Certe mattine, quando il numero di volte in cui la sente chiudere e aprire la porta è particolarmente alto, deve davvero sforzarsi per resistere all’impulso di uscire di casa per aiutarla a prepararsi la borsa e accompagnarla a lavoro.
Quella mattina comunque le cose si risolvono piuttosto in fretta: Alyssa entra ed esce solo un paio di volte poi Joe la sente precipitarsi giù per le scale. Aspetta cinque, dieci, venti minuti. Quando è sicuro che non tornerà più indietro, allora si alza, si veste in fretta ed esce, raggiungendo la porta di casa della ragazza. Tira fuori dalla tasca dei pantaloni la copia delle sue chiavi ed entra.  

*

Per prima cosa controlla la posta: qualche pubblicità, la bolletta della luce, e una cartolina da parte di David e Carol che sono in viaggio di nozze nella vecchia Europa e che le mandano “baci e abbracci in quantità industriale”. Poi il computer, un vecchio portatile che tutto sembra fuorché portatile. Joe conosce già la password, l’ha indovinata al terzo tentativo la prima volta che si era intrufolato in casa; digita il nome “Holly” e il computer gli dà automaticamente accesso ai file e alla posta elettronica: c’è una mail da parte della signora Ahulani, la padrona del locale dove la ragazza fa la cameriera, che le chiede di coprire il turno di una collega; un’altra da parte della biblioteca, per avvisarla della prossima scadenza di un prestito; un’altra ancora da parte della dottoressa Susan Cox che le invia in allegato la tabella dei turni di volontariato in ospedale; sei da parte del forum “Dickens’s friends of Hawaii” e infine una decina di mail da parte di George Spencer, il suo editor, un giovanotto altissimo e allampanato che, tra la correzione di un capitolo e l’altro, trova il tempo di farle una corte timida e disperata. Niente di rilevante, Joe ha già indagato su tutti questi nomi, così passa a ispezionare la spazzatura e finalmente trova qualcosa di interessante: nel cestino della carta, sotto cumoli di fogli scritti fitti e poi sbarrati, ci sono i resti di una raccomandata. Joe ci mette un po’ a rimettere insieme tutti i pezzi in cui è stata strappata, Alyssa deve essere stata davvero molto arrabbiata – o spaventata – per ridurla in quello stato senza neanche aprirla, ma alla fine riesce a leggere l’indirizzo del mittente: Associazione Hawaiana Còrea di Huntigton. Alla cortese attenzione di Ms. Crown, recitava l’intestazione, Gentile Ms. Crown, nell’ambito della nostra campagna di prevenzione, ci rivolgiamo ai consanguinei dei malati di… Ma Joe non ha il coraggio di leggere oltre. S’infila i pezzi della lettera in tasca e prosegue la sua ispezione.
In bagno l’armadietto dei medicinali è rimasto come l’aveva trovato durante la sua ultima visita: tante garze e tanti, tanti cerotti, un flacone di acqua ossigenata vuoto per metà, una confezione di aspirine e una di analgesici per i dolori mestruali. Per sicurezza controlla anche in camera della ragazza, soprattutto nei cassetti del comodino accanto al letto, fruga anche tra la biancheria ma non trova altri medicinali e nemmeno prescrizioni mediche di sorta. A questo punto tutto quello che gli rimane da fare è recuperare la bozza del libro che Alyssa sta scrivendo e togliere il disturbo il più in fretta possibile.






Non voglio mentirvi: questa è una storia su Joe White, Steve&co. compariranno - e anche in maniera vistosa nei capitoli  dal IV in poi - ma non sono i protagonisti. Detto questo, per favore, dateci comunque una possibilità!
Gli aggiornamenti ci saranno ogni settimana, salvo complicazioni.
Che altro? Niente, credo di aver finito.
Vi lascio ricordandovi che ho un debole per le recensioni =P

Un abbraccio,
tartaruga

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Capitolo 2
*** due ***


H50-Sonny2

Due



«Che faccia che hai! Dì un po’ tesoro, hai fatto le ore piccole ieri notte?» Ahulani fa scivolare sul bancone una tazza di caffè che Alyssa riesce ad afferrare per un pelo.
«È venuto a trovarmi il mio vicino» spiega «Aveva comprato troppo cibo da asporto e non voleva buttarlo.»
«Quel vicino? Quello carino ma anziano?» L’occhiata che Ahulani le lancia le fa andare a fuoco le guance «Non credi che sia un po’ troppo in là con gli anni per te?»
«Oh ma non… è solo gentile.»
«Ieri sera cena a domicilio» comincia Ahulani con l’aria di chi la sa lunga «Un mese fa ti ha aiutato con il rubinetto della cucina e prima ancora è venuto a prenderti all’ospedale quando ti sei rotta la gamba, te lo ricordi? Senza contare tutte le volte in cui rimani chiusa fuori casa perché ti dimentichi le chiavi dentro e lui è sempre lì a risolvere la situazione.»
«È premuroso» si affretta a giustificarlo lei mentre si lega i capelli in una coda «E non solo con me. Mi ha raccontato che c’è un ragazzo, il figlio di un suo vecchio amico, che gli dà molti pensieri. Il padre è morto da alcuni anni e lui cerca di aiutarlo come può. Prova di fargli riallacciare i rapporti con la madre che se n’è andata di casa molto tempo fa.»
«Se è tanto premuroso perché non ti presenta questo ragazzo? Così tu avresti un po’ di compagnia e lui smetterebbe di pensare alla madre, sarebbe perfetto, no?»
«Oh no» fa lei scuotendo la testa «Non è proprio il caso.» Ahulani aggira il bancone e l’aiuta a legarsi il grembiule bianco in vita.
«E perché no?» chiede con un sospiro «Sei sola da… beh, tesoro io ti conosco da sempre e non ti ho mai visto con nessuno. Che fine ha fatto quel tipo allampanato e con quei grandi occhiali?»
«George?»
«George, sì, il ragazzo della casa editrice. Beh, che fine ha fatto? Ti guardava con certi occhi…» Alyssa stringe i pugni nelle tasche profonde del grembiule e forza un sorriso.
«Non avrebbe mai potuto funzionare.»
 
*

Joe si versa una tazza di caffè. Il tavolo della sua cucina è molto simile alla scrivania che aveva quando era ancora operativo: fascicoli, documenti che non avrebbero mai e poi mai dovuto essere accessibili, fotografie, una cartina della città con alcuni percorsi segnati in rosso… c’è tutta la vita di Alyssa su quel tavolo, il passato e il presente, le abitudini, le amicizie, le conoscenze, tutto. Eppure non basta mai, davanti a lei si sente sempre a mani vuote, come se gli sfuggisse qualcosa, come se ci fosse altro, molto altro da sapere. Per questo aveva preso una casa accanto alla sua, per provare a riempire quel vuoto. O almeno credeva di averlo fatto per questo. Con il senno di poi si chiede se non stesse semplicemente cercando una scusa per poterla avvicinare, per poterle parlare senza rischiare che lei lo cacciasse.
Fa un respiro profondo e si stringe la fronte tra le mani. È stanco, tanto stanco e certe volte vorrebbe solo farla finita, andare da Alyssa e parlare chiaro, costringerla a fare quello che va fatto! Ma no, non è possibile, non può costringerla, deve riuscire a convincerla, e per convincerla è necessario che Alyssa si fidi di lui.
Joe manda giù un sorso di caffè. Più di metà della vita sotto le armi, a rischiare la pelle, e alla fine è capace solo di nascondersi dietro la finzione del bravo vicino di casa. E intanto, quella che doveva essere una semplice acquisizione di informazioni si è trasformata in una sorveglianza serrata.

*

«Vi porto qualcosa?» chiede Alyssa avvicinandosi ai tre ragazzi seduti in disparte.
«Solo un caffè, grazie.» Lei annuisce e fila via a prendere la caraffa del caffè.
Sono solo le sei di mattina e già ha la testa piena di pensieri. Ahulani non avrebbe dovuto menzionare George, Alyssa vuole solo potersi dimenticare di lui – dei suoi modi severi e dei suoi occhi così tristi dietro alle lenti spesse degli occhiali – ma proprio non ci riesce. Non può parlarne con Arona e nemmeno con Ahulani o con David e Carol: loro le chiederebbero perché – perché respingere un ragazzo che ti piace? – e allora lei non saprebbe cosa rispondere. Afferra la caraffa piena di caffè bollente dal bancone e, mentre torna sui suoi passi, improvvisamente le viene in mente Joe.
«Ecco qui» dice ai ragazzi mentre gli versa il caffè, ma è distratta e a mala pena li vede. Pensa a Joe, alla sua gentilezza, al modo insistente che ha di guardarla, come se potesse scrutare nel profondo della sua anima. In un certo senso Joe la mette in difficoltà: sembra sempre avere un vantaggio su di lei, saper qualcosa che lei non sa. Eppure sente che con lui potrebbe parlare, che a lui potrebbe provare a spiegare che è per il bene di George che…
«Ah!» Uno dei tre ragazzi salta in piedi urlando e Alyssa improvvisamente si rende conto di avergli rovesciato il caffè bollente sulla gamba.
«Perdonami!» si affretta a dire «Sono mortificata! Ero… ero soprappensiero e… e…» ma non riesce a finire la frase. Ora che lo vede in piedi si accorge che ha qualcosa di metallico incastrato nella cintura: una pistola, realizza inorridita. La caraffa con il caffè le scivola dalle mani e s’infrange sul pavimento. L’attimo dopo qualcuno la afferra da dietro e le tappa la bocca.

*
 

Alyssa Crown nata a Honolulu il 27 novembre del millenovecento ottantatré.
Joe posa la mano sul certificato di nascita, accarezzando con la punta delle dita lo spazio vuoto dove dovrebbe essere riportato il nome del padre; sotto il nome della madre invece c’è scritto il nome Francis Holly Crown.
Joe non ce l’ha con Holly per come ha gestito le cose: era giovane, erano entrambi giovani e nessuno dei due aveva saputo fare la cosa giusta. Gli piace pensare che, se avessero avuto più tempo, alla fine le cose si sarebbero appianate, che un giorno Holly lo avrebbe cercato, l’avrebbe fissato con quei suoi grandi occhi scuri, e gli avrebbe detto: “C’è una persona che voglio farti conoscere marinaio.”
Invece ci si era messa di mezzo la malattia e le cose erano andate tutte nel modo sbagliato.

*

«Fate quello che vi dico e tutto andrà bene.» Il ragazzo è furioso, Alyssa lo sente dalla voce, non lo vede in faccia: lui è a viso scoperto ma lei riesce a guardare solo la pistola e il buco nero infinito della canna. Tutto il resto è sfumato, confuso; la pistola invece è lì, evidente, metallica, paurosa.
«Questo non era previsto» continua a lamentarsi un altro «Non era previsto, non doveva succedere, cazzo, cazzo, cazzo!»
«Stai calmo!» grida il ragazzo con la pistola «Non è cambiato niente. Dobbiamo solo…»
«È tutta colpa di questa troia!» Improvvisamente Alyssa si sente tirata per i capelli e trascinata per terra. D’istinto prova a rialzarsi, ma viene colpita e spinta giù, per terra, sui cocci della caraffa di vetro. Da qualche parte qualcuno grida.
«Troia» ripete uno dei ragazzi. È chino su di lei e preme la canna della pistola contro la sua testa. «Allora» le dice sottovoce «Ultime parole?»

*

Il cellulare squilla ma Joe lo ignora. Si porta la tazza di caffè alle labbra e lo manda giù fino all’ultima goccia.
Aperti davanti a lui ci sono i verbali della polizia datati ventidue marzo millenovecento novantadue. Il rapporto dell’agente Sanders è asciutto: alle ore diciotto e zero sette lui e il suo collega fanno irruzione nell’appartamento di Francis Holly Crown e trovano la donna in ginocchio, accanto alla vasca da bagno, che trattiene con la forza la figlia sott’acqua. Intervengono immediatamente e riescono a salvare la bambina – Alyssa Crown, otto anni – che viene subito affidata ai servizi sociali. Ms. Francis Holly Crown invece viene arrestata ma è in evidente stato confusionale e il medico della prigione procede con le analisi del caso. “Còrea di Huntington in fase terminale” c’è scritto sulla sua relazione, in allegato al verbale della polizia. Lo Stato rinuncia a procedere e Ms. Francis Holly Crown viene ricoverata in ospedale. Il suo certificato di morte è datato al ventotto novembre di quello stesso anno: aveva trenta quattro anni. Solo quattro in più di Alyssa.

*

«Ultime parole?» La pressione della pistola si fa più dolorosa. Alyssa chiude gli occhi, stringendoli finché non è tutto buio.
C’è sua madre in quell’oscurità, bella come quella volta che avevano costruito castelli di sabbia sul bagnasciuga. “Ti voglio bene” le aveva detto posandole un bacio sulla punta del naso. Aveva i capelli sciolti quel giorno, e un pareo turchese annodato in vita che la faceva sembrare una sirena. “Sei la mia stella marina” le aveva detto, ed era stata l’ultima volta in cui l’aveva vista sorridere. Poi era arrivata la malattia, i dolori, la disperazione: “Ti voglio bene” le aveva ripetuto tra le lacrime prima di spingerla giù, sul fondo della vasca “Lo faccio per te stella marina.”
«Allora?» insiste il ragazzo premendole la canna della pistola sulla tempia.
“Davvero, la mamma lo fa perché ti vuole bene.”
Alyssa le aveva creduto ma non aveva capito. Aveva otto anni, voleva vivere, voleva che sua madre smettesse di piangere e non sapeva nulla della Còrea di Huntington. Non sapeva di avere il cinquanta percento di possibilità di ereditarla, non sapeva che questo avrebbe significato una vita breve e logorata, non sapeva niente. Se l’avesse saputo allora, forse…
«Stupida impedita» sputa fuori il ragazzo mentre la bocca metallica della pistola le scava la tempia. «Ti ammazzo, hai capito? Ti ammazzo!»
“È la cosa migliore da fare” sorride sua madre “La cosa migliore per te, stella marina.”
Alyssa si morde le labbra e singhiozza.
«Ti prego» balbetta «Ti prego…» fallo. Non sa nemmeno lei se parla a sua madre o al ragazzo con la pistola.

*

«Che problema c’è?» A Steve quasi prende un accidente. È un SEAL addestrato ma Danny, nonostante l’appariscenza del ciuffo biondo che lo fa somigliare a un gallo cedrone, ha i modi subdoli e silenziosi delle faine e certe volte riesce a prenderlo di sorpresa.
«Niente.»
«Niente, certo. Guardavi fuori dalla finestra con la faccia truce. Che c’è? Che ti ha fatto di male il cielo?»
«Niente. Stavo solo… solo pensando.»
«I SEAL pensano?» insiste Danny inarcando le sopracciglia bionde. Steve lo odia, di tutto cuore, e se non lo colpisce dritto in faccia è solo per amore di Grace.
«Pensavo a Joe» ammette a denti stretti «Pensavo a quello che mi hai detto, al fatto che non so niente di lui. Ho provato a chiamarlo in effetti ma non mi risponde.»
«Forse dorme. Sono le otto di mattina, sai? La gente normale dorme. Ma ehi, hai ragione: Joe ti ha addestrato, lui non è normale, è un pazzo come te! Anzi, forse più di te ora che ci penso.»
«Stamattina sei proprio divertente Danno. Che c’è, ti sei alzato con il piede sbagliato?»
«No, è solo che mi secca dover mettere il giubbotto antiproiettile prima delle dieci.»
«Che cosa?»
«È arrivata una chiamata: dei tizi armati si sono chiusi con degli ostaggi in un locale sulla spiaggia. Dobbiamo andare.»

*

«Non fare l’idiota!» interviene un altro ragazzo «Se le spari, qui si riempie di polizia e a noi serve tempo!»
«Non ci serve tempo!» sbraita quello che ancora le punta la pistola alla testa «Il piano è andato a puttane quando questa deficiente…»
«Ormai siamo qui!» grida il terzo ragazzo «E non me ne vado senza quei soldi!»
«Ma la polizia…»
«La polizia starà buona.» Uno di loro afferra Alyssa per i capelli e la tira su con tanta violenza da strapparle un urlo. «Finché abbiamo gli ostaggi andrà tutto bene.»

*

Joe si versa un’altra tazza di caffè. Lo prende nero, bollente, gli piace il sapore forte e amaro che gli lascia sulla lingua. Holly gli piaceva per gli stessi motivi, per la sua forza, per il modo che aveva di puntare i piedi e pretendere che si facesse come voleva lei, e per quel retrogusto amaro che c’era nei suoi baci. Lo baciava sempre come se fosse per l'ultima volta, come se quello fosse l'ultimo bacio prima di una separazione lunga una vita intera, e lui era troppo giovane, troppo sciocco e troppo, troppo distratto dallo zio Sam e dalle sue missioni per rendersi conto che forse erano davvero baci d’addio.
Sapeva di essere malata?
Sapeva di avere una bomba a orologeria dentro di sé quando gli aveva chiesto di lasciare la Marina? Joe se l'è chiesto fino allo sfinimento.
“È un lavoro troppo pericoloso il tuo” gli aveva detto “Se avessimo figli rischieresti ogni giorno di lasciarli orfani.” Se ripensa a quel giorno Joe la vede nel suo vestito a fiori, con i capelli bruni sciolti sulle spalle e le mani bianche intrecciate in grembo. Sapeva già di aspettare Alyssa quel giorno? “Io ho bisogno di sapere che tuo figlio verrà prima della Marina.” Voleva essere rassicurata. Ma lui era giovane, giovane e stupido, giovane e troppo orgoglioso e la deluse: “Servire il mio paese significa avere cura di mio figlio” le disse “Significa difendere la sua libertà, i suoi valori, la sua vita. Se non riesci a capire questo allora non abbiamo altro da dirci.” Le disse così, queste precise parole. Forse se le avesse dato il tempo di spiegarsi, se avesse aspettato un solo secondo di più prima di darle le spalle e andarsene, allora forse, chissà, le cose sarebbero andate diversamente. Forse avrebbe visto Alyssa bambina, le avrebbe insegnato a nuotare e ad andare in bicicletta; l’avrebbe protetta quando Holly avesse manifestato i primi sintomi della Còrea, l’avrebbe consolata e custodita perché di sua madre serbasse solo il ricordo più bello e non l’immagine tremula di un viso visto attraverso l’acqua di una vasca da bagno. Invece se n’era andato, e senza neanche voltarsi indietro un’ultima volta. Se l’avesse fatto, se solo l’avesse fatto allora forse...
Il telefono squilla per l’ennesima volta, sul display lampeggia il nome di Steve.
Joe sospira. Davanti a lui, in una cartella di plastica trasparente c’è la bozza dell’ultimo libro di Alyssa, quella che ha “presa in prestito” da casa sua. Incompiuta c’è scritto in penna blu al centro del primo foglio, e basta da solo a dargli la pelle d’oca.
Joe si passa una mano sulla faccia. Vorrebbe davvero riuscire a leggere quelle pagine, vorrebbe riuscire a togliere il velo di parole e a sbirciare oltre la storia per arrivare al cuore di Alyssa, per avvicinarla, per capirla come i padri capiscono i figli. Ma la verità è che ha paura – paura del suo dolore, paura della sua solitudine, paura della sua stessa paura – e rispondere a Steve per farsi coinvolgere in qualcosa di pericoloso e potenzialmente mortale è molto più sicuro.
«Steve» dice nel telefono «Dimmi tutto.»





(*) La Còrea di Huntigton è una malattia neurodegenerativa che interessa il sistema nervoso; attualmente non esiste cura. Ora questa è una sciocca fanfiction dove i sintomi di questa malattia vengono descritti in modo vago e impreciso, se desiderate saperne di più qui potete trovare tutte le informazioni che cercate. Vi invito a farci un giro.

Secondo capitolo, ormai la relazione tra Joe e Alyssa dovrebbe risultarvi abbastanza chiara... o no? Non dico niente, visto mai qualcuno non ci fosse ancora arrivato ^^
Ringrazio tutti i lettori silenziosi del primo capitolo, e SweetSmile in particolare per aver inserito Sonny tra le storie seguite. Mi raccomando, aspetto le vostre recensioni, ci tengo davvero molto! Voglio sapere tutto: la storia vi intriga? Joe è coerente con il personaggio originale? Le azioni dei personaggi sono chiare oppure sono un papocchio confuso in cui non si capisce chi fa cosa? Le vostre critiche sono oro per me, quindi per piacere non risparmiatevi!
Un abbraccio e buona settimana a tutti,
tartaruga =)







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Capitolo 3
*** tre ***


H50-Sonny3

Tre


«Volevo solo invitarti a bere qualcosa, è tanto che non facciamo due chiacchiere io e te. Senza parlare di Wo Fat o di Shelburn o… insomma, lo sai. Solo due chiacchiere e una birra.» Quando vuoi, gli ha detto lui, e Steve: «Ti direi di farlo stasera ma ho un brutto caso: tre tizi armati si sono barricati dentro un locale sulla spiaggia. Non so come finirà, potrei dover compilare un sacco di scartoffie.» Joe ha sentito un campanello d’allarme tintinnare da qualche parte nella sua testa.
«Quale locale?» ha chiesto sforzandosi di non farsi prendere dal panico. Siamo alle Hawaii, si è detto, ci sono decine – centinaia – di locali sulla spiaggia. Ma poi Steve ha pronunciato il nome del locale dove lavora Alyssa e gli è mancato il respiro. «Sto arrivando.»
«Che cosa?» gli fa eco la voce di Steve dal cellulare «Perché? Non serve Joe, ho la situazione sotto control—»

*

«Alyssa» la chiama Ahulani sottovoce «Alyssa, tesoro, stai bene?» Alyssa apre la bocca per dirle che sì, sta bene, ma la voce non le esce. «Andrà tutto bene» mormora Ahulani dolcemente «Non aver paura, andrà tutto bene, presto arriverà la polizia.»
Come quella volta, pensa Alyssa, come quando sua madre le aveva accarezzato i capelli e l’aveva spinta giù, nell’acqua tiepida della vasca da bagno.
“Lo faccio per te stella marina.”
Mamma.
“La mamma lo fa perché ti vuole bene.”
Perché?
“Non voglio che tu soffra stella marina, non voglio!”
Quella volta la polizia era arrivata quando non ce l’aveva fatta più: aveva smesso di lottare, aveva lasciato andare il bordo della vasca, si era arresa. Poi due mani grandi si erano immerse nell’acqua, l’avevano afferrata e l’avevano tirata fuori. “Lo faccio per te stella marina” continuava a gridare sua madre, mentre la spingevano fuori dalla porta, lontano da lei. “Davvero, la mamma lo fa per il tuo bene!”
Alyssa le aveva creduto ma non aveva capito. Aveva otto anni, non sapeva che la sua vita senza sua madre sarebbe stato un continuo vagabondare tra case famiglie e famiglie affidatarie, un rimpallo frustrante tra assistenti sociali e genitori che le sorridevano ma che la rimandavano sempre indietro, perché nessuno se la sentiva di prendere con sé una bambina che avrebbe potuto avere la Còrea: sarebbe troppo doloroso – dicevano – e se poi fa la fine di sua madre e diventa violenta? Aveva otto anni Alyssa e non poteva sapere che avrebbe avuto paura tutta la vita – paura che la malattia la paralizzasse, paura di non ricordarsi più il viso di sua madre, paura di impazzire, paura di far del male ai pochi amici che si era fatta, paura di fare del male a George! Se l’avesse saputo allora forse non avrebbe lottato tanto, sarebbe stata docile, avrebbe lasciato che…
Si stringe la testa tra le braccia, cercando di allontanare quel pensiero terribile.
«Alyssa» la chiama ancora Ahulani «Vedrai bambina, andrà tutto bene.» Non è vero, pensa Alyssa mordendosi le labbra, non può andar bene, non è mai andato bene niente: mia madre è morta sola e io, ho vissuto e morirò sola anch’io, come lei. Ma questo non lo dice a Ahulani, non le dice niente, non osa neanche guardarla: ha il terrore che le legga in faccia che non ha paura e che non vuole la polizia – non stavolta! Stavolta vuole solo che finisca tutto.

*

Lou comincia a lamentarsi non appena scende dalla macchina: «Che cosa accidenti ci fanno tre rapinatori in una caffetteria? E alle prime luci dell’alba per giunta!»
«Veramente sono le otto e zero sette, l’alba è passata da un pezzo» fa notare Steve dando un’occhiata veloce all’orologio.
«Saranno venuti a prendere un caffè prima di fare il vero colpo» prova a buttare lì Danny «Altrimenti che senso ha rapinare un locale come questo all’alba? Ha appena aperto, non avrà incassato che pochi dollari…»
«Non è l’alba» ripete Steve esasperato «Ma per il resto hai ragione: perché rapinare una caffetteria?»
«Forse io lo so.» Kono si fa largo tra di loro con un portatile tra le mani. «Il negozio di musica accanto alla caffetteria è di un certo Dylan Reed» dice posando il computer sul cofano della Camaro.
«Dylan Reed» le fa eco Danny «Perché questo nome non mi è nuovo?»
«Perché è saltato fuori in relazione alle indagini su Gabriel Waincroft» spiega Kono battendo sui tasti del computer: sul monitor compare la faccia quadrata di Dylan Reed e il lungo elenco delle attività in cui è risultato coinvolto. «È uno spacciatore, recentemente è stato arrestato ed è attualmente gradito ospite di Halawa. La polizia però non è stata in grado di trovare il denaro guadagnato con la droga.»
«Quindi secondo te i rapinatori sono qui per i soldi di Reed» riassume Steve sistemandosi il giubbotto antiproiettile sulle spalle «Ok ma cosa c’entra la caffetteria?»
«Il negozio di Reed è ancora sotto sequestro, la polizia controlla chi entra e chi esce.» Danny alza diligentemente la mano: «Continuo a non capire che cosa c’entra la caffetteria.» Kono batte sui tasti del computer e sullo schermo appare una planimetria.
«Il negozio di Reed e la caffetteria condividevano uno scantinato» spiega indicando un punto preciso sullo schermo del computer «Probabilmente i rapinatori credono di poter accedere al negozio da lì.»
«Sento che sta per arrivare un ma» sospira Danny.
«Ma» continua infatti Kono «Tra il nostro amico Reed e la proprietaria della caffetteria non correva buon sangue: due anni fa la signora ha rinunciato allo scantinato pur di non avere più niente a che fare con Reed e ha fatto murare l’ingresso che dal suo locale porta allo scantinato.» Steve incrocia le braccia sul petto.
«Quindi i rapinatori stanno per scoprire che il loro piano è inutile» dice guardando verso la caffetteria. In altre circostanze, pensa osservando il patio ricoperto di rampicanti, deve essere un bel posticino dove venire a sorseggiare una bibita e a guardare l’oceano.
«Steve, i rapinatori non hanno vie di fuga» aggiunge Lou sottovoce «Sono completamente circondati dalla polizia, è solo questone di tempo prima che vadano fuori di testa. Gli ostaggi saranno in pericolo.» Ha ragione naturalmente, e Steve lo sa.
«Dobbiamo entrare.»

*

«Avevi detto che da qui si poteva passare!» grida uno «Avevi detto che sarebbe stata una passeggiata!» Ora che lo guarda meglio – ora che non ha un arma puntata addosso – Alyssa si accorge che è giovane, giovanissimo: lunghi capelli neri pettinati all’indietro e un pizzetto talmente curato che sembra disegnato con il pennarello. Vent’anni, pensa Alyssa guardando le guance lisce, forse uno o due in più.
«Come facevo a sapere che avevano murato la porta, eh?» gli urla addosso un altro. Nonostante la muscolatura massiccia deve essere piuttosto giovane anche lui, giovane e sconvolto, pericolosamente sull’orlo delle lacrime. «Possiamo sempre provare a sfondare il muro… ci saranno degli attrezzi qui intorno, no? Possiamo provare a…»
«Ah sì, vuoi sfondare il muro? E poi? Qui fuori è pieno di polizia!»
«Ora basta, finitela!» Il terzo uomo grida più forte di tutti. «Voglio quei soldi» dice «Hai capito, David? Me li devi!» Alyssa vede il ragazzo muscoloso – David, che quasi si accartoccia su se stesso. Ha paura, e forse non sa decidere se ne ha più per la polizia o per il suo amico.
«Io ho… ho dei soldi nella cassa» prova a dire Ahulani «Non sono molti ma…»
«Sta’ zitta!» grida il ragazzo con il pizzetto disegnato. Alyssa lo vede scattare come un pupazzetto a molla e scagliarsi su Ahulani, con la mano che regge la pistola sollevata. «Perché hai murato la porta?» lo sente urlare «Perché cazzo hai murato la porta?» Ahulani grida e Alyssa, d’istinto, si butta sopra di lei, chiudendola tra le sue braccia. L’istante dopo parte lo sparo.

*

Steve se lo ritrova davanti con il giubbotto antiproiettile già allacciato e la SIG in mano.
«Joe» lo saluta con un cenno del capo.
«Steve» gli fa lui di rimando.  Steve continua a guardarlo. C'è qualcosa che non va ovviamente, qualcosa di cui come al solito non gli parlerà.
«Non puoi venire dentro con me.»
«L’abbiamo fatto altre volte.»
«Stavolta è diverso. È a tutti gli effetti un’operazione di polizia, e tu non sei un poliziotto.» Joe non si prende neanche il disturbo di provare a convincerlo, controlla il caricatore della pistola e si sistema l’auricolare nell’orecchio. «Che sta succedendo?» prova a chiedere Steve «Perché ti sei precipitato qui?»
«Ho i miei motivi.»
«Tu hai sempre i tuoi motivi. Come con la faccenda di mia madre…»
«Questo non c’entra con tua madre!»
«Voglio solo sapere che accidenti…» Il rumore di uno sparo copre le sue parole. I rapinatori hanno perso la calma, realizza Steve. L’attimo dopo Joe gli afferra il braccio con tanta forza che quasi glielo stritola.
«C’è qualcuno a cui tengo lì dentro» gli dice «Vengo dentro con te.»

*

Brucia. La sua spalla brucia.
«Alyssa» la chiama Ahulani «Alyssa guardami! Guardami!» Ma la sua voce è lontana, sempre più lontana e debole, e tenere gli occhi aperti è troppo faticoso. “Stella marina” la chiama sua madre, e la sua voce invece è vicina, come se le parlasse nell’orecchio. “Ascolta stella marina”
Mamma.
“Ti ricordi la canzone? Quella che ti cantavo sempre”
Sonny.
“Oh Sonny don’t go away, I’m here all alone…”
«Alyssa!» insiste Ahulani «Alyssa ti prego, ti prego!» Ma la voce di sua madre è vicina, così vicina che può quasi sperare che quando aprirà gli occhi sarà lì, accanto a lei. “And your daddy’s a sailor who never comes home…”
Nights are so long, silence goes on and…
“And i’m feeling so tired and not all that strong.”
«Alyssa!» Questa non è la voce di Ahulani e nemmeno quella di sua madre. Questa è una voce abituata a essere obbedita, una voce che Alyssa conosce. Joe?
“Stella marina” la chiama ancora una volta sua madre.
Mi dispiace mamma, mi dispiace tanto. Alyssa apre gli occhi. Lo fa con fatica perché ha le palpebre pesanti e tenere gli occhi aperti sembra quasi impossibile. C’è Joe davanti a lei, a pochi passi di distanza, ha tra le mani una pistola puntata nella sua direzione, e i suoi occhi chiari la sfiorano e passano oltre, fissandosi da qualche parte oltre la sua testa.
«Fate un altro passo e le sparo!» Ringhia una voce vicina – troppo vicina – al suo orecchio. Un braccio forte le circonda il collo spezzandole il respiro, e sente di nuovo il metallo freddo della pistola premuto contro la tempia.
«Lasciala andare» dice uno dei poliziotti, un uomo alto, dritto al fianco di Joe «Sei circondato, non hai vie di fuga, ma se ora la lasci andare e abbassi l’arma il giudice ne terrà conto, te lo prometto.»
«Sta’ zitto!»
«È ferita» insiste il poliziotto «Sta perdendo molto sangue. Lasciala andare e vedrai che…»
«Non voglio parlare con te, voglio solo una macchina qui fuori e…»
«Prima lascia andare la ragazza» ordina Joe. Ma è davvero Joe o è solo uno che gli somiglia? Alyssa non è sicura, non ha mai visto uno sguardo tanto feroce negli occhi azzurri del suo vicino di casa, e come se non bastasse il mondo intorno a lei ha i contorni sempre più sfocati e bui e…
«Lei rimane con me!» grida il ragazzo nel suo orecchio. Il braccio che la trattiene impedisce di respirare e la pressione della pistola sulla sua testa si fa sempre più dolorosa. «Se provate ad avvicinarvi le sparo! Giuro che le sparo, avete capito? Avete ca—»
Poi c’è uno sparo: la presa sul collo di Alyssa si scioglie improvvisamente e lei sente un rumore che è come quello di un sacco che si affloscia.
«Bersaglio a terra!» grida il poliziotto «Ripeto: bersaglio a terra!» Si muove verso di lei, ancora con la pistola dritta davanti a sé, e la supera.
«Sta bene signorina?» le chiede un altro poliziotto. È più basso dell’altro e ha un ciuffo di capelli biondissimi. Alyssa non sa cosa rispondergli, guarda verso Joe e lo vede che consegna l’arma a una donna: è la procedura, gli sta dicendo lei, mi dispiace. A Joe invece non sembra dispiacere per niente, la guarda e le sorride come le aveva sorriso la sera prima quando aveva suonato alla sua porta, come le ha sempre sorriso dal primo momento in cui l’ha conosciuto. “La canzone, stella marina” bisbiglia sua madre, da qualche parte della sua testa “Ricordati la canzone!”
Joe le tende la mano e Alyssa ci posa sopra la sua senza neanche pensarci. L’istante dopo ha il viso premuto sul suo petto, contro il ruvido del giubbotto antiproiettile, e Joe le accarezza la testa e le dice di stare tranquilla, che è al sicuro ora e che si occuperà lui di tutto.
“Oh Sonny don’t go away, I’m here all alone” canta sua madre mentre il mondo intorno a lei sbiadisce e diventa informe.
«Un medico! Presto, qui serve un medico!» grida la voce di Joe «Alyssa! Alyssa per favore…»
And your daddy’s a sailor who never comes home…





SIG-Sauer P226: stando a quel che si dice qui è l'arma d'ordinanza dei Navy SEAL. Ora, tecnicamente Joe è in pensione, lo so, ma ho immaginato che potesse aver conservato qualche "ricordo".

Ringrazio ancora una volta chi ha inserito la storia nelle seguite, spero che la storia possa interessarvi.
Buona settimana,

tartaruga =)

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Capitolo 4
*** quattro ***


H50-Sonny4


Quattro




Ci vogliono due ore e quarantatré minuti prima che i medici gli permettano di vedere Alyssa.
«L’intervento è andato bene» gli spiega Max sottovoce «Avrà qualche difficoltà a muovere la spalla all’inizio, ma con un po’ di fisioterapia tornerà come nuova.» Joe annuisce osservando le ombre blu intorno agli occhi chiusi di Alyssa, il biancore esangue del viso e i mille minuscoli tagli rossi che dalle mani le risalgono le braccia e il collo. Ha visto di peggio nei suoi trent’anni di servizio, ha visto uomini e donne spezzati, dilaniati, sfigurati… eppure niente gli sembra più spaventoso degli occhi chiusi di Alyssa.
«Starà bene?»
«La signorina Crown starà benissimo. Certo, per il futuro le consiglierei di mettere su qualche chilo, è un po’ sottopeso. Segue delle diete estreme per caso?» A Joe quasi viene da ridere.
«No. No, lei è solo molto distratta. Si dimentica sempre di fare la spesa» mormora posandole una mano sulla fronte liscia «Ma ora me ne occuperò io.» Max si tira su gli occhiali sul naso e annuisce pensieroso.
«L’effetto dell’anestesia la farà dormire ancora per un po’» dice «E lei mi sembra molto provato. Perché non ne approfitta per riposare, maggiore? Rimarrò io con la signorina.» Joe sorride e scuote la testa. Gli piace il giovane dottor Bergman, dietro le lenti appannate dei suoi occhialini da scienziato c’è la calma vigile di un uomo che non si lascia prendere dal panico.
«Grazie Max, ma è il mio posto questo.» E non lo lascerò, non stavolta. Si siede sulla poltroncina accanto al letto di Alyssa e le prende la mano: è talmente piccola che scompare nella sua. Ora basta giocare ai vicini di casa, basta fare finta. È il momento di parlare chiaro, di dirle chi è e che di lui può fidarsi – che deve fidarsi! Non importa se lo odierà, se lo insulterà, se gli dirà di non poterlo perdonare, non importa. Avrebbe potuto perderla oggi. Non può lasciare che accada di nuovo. «E Max, più tardi vorrei parlare con te, se non ti dispiace. Devo chiederti un favore.»


*


Danny sfoglia il suo taccuino sottolineando qualcosa con rapidi tratti di penna.
«Lo sai che hanno inventato i tablet, vero?» lo punzecchia Steve, ma Danny non gli concede che uno sbuffo infastidito.
«Ho interrogato la proprietaria della caffetteria, la deliziosa signora Ahulani Keaulana, cinquantasette anni.» Gli indica con un cenno del capo una donna con lunghi e vaporosi capelli neri che se ne sta seduta immobile, seduta su un lettino con le mani intrecciate in grembo. Accanto a lei c’è una ragazza, una giovane donna che le somiglia come una goccia d’acqua e che le stringe le mani. «Quella è la figlia, Arona» spiega Danny «Oggi avrebbe cominciato il suo turno in caffetteria alle quattro del pomeriggio.»
«Hanno saputo dirti niente? Quei tipi si erano già fatti vedere in giro?»
«No, e neanche i clienti abituali li hanno riconosciuti.»
«Clienti abituali» grugnisce Lou raggiungendoli nel corridoio dell’ospedale «Clienti abituali che abitualmente si svegliano all’alba. Che razza di mondo…»
«Le prime ore del mattino sono l’ideale per cavalcare le onde» fa notare Steve stringendosi nelle spalle «E il sole che sorge sul mare è uno spettacolo grandioso. Dico davvero. Forse tu e Danny una di queste mattine potreste…»
«Che c’entro io? Perché cavolo mi tiri sempre in ballo?»
«Che c’è? Lo dico per te. Pigro come sei non l’avrai mai visto il sole che sorge.»
«Ma cosa c’entra?» sbotta Danny agitando le mani «Stiamo provando a risolvere un caso qui, e tu mi combini appuntamenti all’alba! E poi chi accompagna a scuola mia figlia? Che cavolo ti passa per il cervello?»
«Mi preoccupo per te! Vedere il sole che sorge è un’esperienza che va fatta nella vita. Ti lamenti sempre che sono un partner disattento, per una volta che…»
«Finitela, tutti e due» interviene Lou alzando gli occhi al cielo «Queste scenette da coppia sposata sono imbarazzanti. Vogliamo tornare al nostro caso?» Steve deve fare appello a tutta la sua forza di volontà per non replicare. Serra la mascella nello sforzo di tenere la bocca chiusa e fa cenno a Danny di proseguire.
«Sì, allora» comincia il collega schiarendosi la voce «La signora Ahulani dice che era la prima volta che quei ragazzi si facevano vedere. Avevano le tavole da surf e due borse da palestra, sembravano tranquilli. Poi la cameriera gli ha portato il caffè e…»
«Come si chiama la cameriera?» chiede Steve, che ha ancora sul braccio i segni delle unghie di Joe. C’è qualcuno a cui tengo lì dentro, gli aveva detto, vengo con te.
«Alyssa» legge ad alta voce Danny «Alyssa Crown, trent’anni. Lavora con la signora da quando ne aveva sedici.» Alyssa. Steve ricorda di aver sentito Joe gridare quel nome una volta dentro al locale.
«Quando il ragazzo ha puntato la pistola contro di lei, Alyssa si è messa in mezzo» continua Danny «Ahulani vorrebbe sapere come sta. Sappiamo se è uscita dalla sala operatoria?» Lou annuisce.
«È andato tutto bene. L’hanno portata nella sua stanza dieci minuti fa.» Poi guarda Steve e aggiunge: «Il tuo amico Joe è con lei.» C’è qualcuno a cui tengo lì dentro. Steve serra la mascella. Non avrebbe dovuto permettergli di entrare con loro: era coinvolto, era pericoloso, era…
«Ecco, a proposito di Joe» comincia Danny grattandosi la testa bionda «La signora Ahulani è stata piuttosto sorpresa di scoprire che il vicino di casa di Alyssa, il signor Joe Ford, lavora per la polizia. Stando a quello che le ha detto Alyssa dovrebbe lavorare nel campo dell’import export.»


*


Due piatti, due bicchieri, due forchette e due coltelli.
«Non ci manca qualcosa?» chiede. Lo fa sottovoce perché sente che quella è una domanda che non dovrebbe fare.
La mamma le riempie il piatto di patatine fritte e dà un’occhiata veloce alla tavola.
«Il pane?» prova, e quando Alyssa la fissa senza dire né sì né no prova di nuovo: «Vuoi una bibita?» Alyssa scuote la testa.
«Allora cos’è che ti manca stella marina?»
«Non dovremmo… non dovremmo essere in tre?» dice tutto d’un fiato «A casa di Emily sono in tre. Emily, la mamma di Emily e il suo…» papà. Non lo dice, non ha il coraggio se la mamma la guarda.
«Anche tu hai un papà, stella marina» si sente rispondere con un sospiro affaticato.
«E dov’è?» Silenzio. «Mamma?»
«Lui è… è un marinaio. È su una nave, chissà dove sull’oceano, a fare qualcosa di eroico.»
«E non torna a casa?» domanda Alyssa con la voce che trema.
«Alyssa!»
«Perché non torna?»
«Alyssa, non agitarti, è solo un sogno! Alyssa!»
Ci sono delle mani intorno al suo viso, mani grandi e calde che le asciugano le lacrime.
«Mamma?» prova a chiamare, ma quello che le esce di bocca somiglia più a un rantolo rauco.
«Alyssa, sono io. Sono Joe.»
«Joe?» E la mamma? Dov’è la mamma?
«Non aver paura tesoro, va tutto bene. Sei in ospedale, ti hanno operato per toglierti il proiettile ed è andato tutto benissimo, hai capito? Non piangere, va tutto bene.» I ragazzi, ricorda all’improvviso Alyssa, la caraffa che si rompe in tanti piccoli pezzi, le pistole, Ahulani che grida…
«Ahulani? Come sta Ahulani?»
«Sta bene. Stanno tutti bene, calmati.»
…lo sparo, la spalla che brucia e Joe. Joe con la pistola in pugno, Joe che le tende la mano e le dice che è al sicuro, che si occuperà lui di tutto.
«Perché eri lì, Joe?» chiede «Perché avevi una pistola?» Joe le sorride ma non le risponde. «Sembravi un altro» mormora allora lei sforzandosi di scacciare il torpore dell’anestesia e di mettere a fuoco il suo viso. «Sembravi qualcuno che non conosco.» Lui le stringe la mano.
«Non avrei mai lasciato che ti facessero del male» le dice e Alyssa sente le lacrime pizzicarle agli angoli degli occhi.
«Mi dispiace» mormora «Mi dispiace tanto.» Joe le accarezza le guance con il dorso della mano.
«Perché?» chiede sorridendole come se avesse detto qualcosa di buffo «Non è stata colpa tua. Anzi sei stata bravissima, la tua amica è viva grazie a te.»
«No, non è come pensi, non… mi dispiace! Tu sei venuto a salvarmi e io… io invece volevo solo…»
«Cosa volevi?» Morire. Alyssa non riesce a dirlo. Ce l’ha sulle labbra ma non riesce a dirlo. È talmente orribile che non riesce a dirlo.
«È che… che mia madre è morta sola» balbetta «Io non c’ero, lei era in ospedale e io non c’ero. È morta sola, capisci? Avrà avuto tanta di quella paura…»
«Alyssa» prova a dire Joe.
«Era malata, molto malata, ma mi amava, ti giuro che mi amava anche se ha cercato di…» uccidermi.
«Alyssa» prova ancora Joe cercando di calmarla, ma Alyssa non può fermarsi: «Lo ha fatto per me. Non era cattiva ma sapeva che anch’io mi sarei ammalata e che sarei stata sola perché non c’era nessun altro, la mia famiglia era lei, capisci? Mio padre…»
«Alyssa, ti prego.»
«…so solo che era un marinaio o qualcosa del genere. È come nella canzone di Sonny, Joe, i marinai non tornano mai a ca—»
«Alyssa» Joe mette fine al suo fiume di parole posandole una mano sulla bocca. È chino su di lei, la guarda, e ad Alyssa i suoi occhi non sono mai sembrati così azzurri. «Parleremo, te lo prometto» le dice «Anch’io ho delle cose da dirti. Ma non ora. Ora devi solo pensare a riposare, d’accordo?» È un ordine, non una domanda, e la mano di Joe rimane sulla sua bocca finché lei non annuisce, poi scivola sulla sua guancia con una carezza ruvida e le scosta i capelli dal viso. Perché sei così buono con me? Vorrebbe chiedergli lei, ma Joe le ha detto – ordinato – di tacere e allora rimane in silenzio. È stanca in effetti, tanto stanca, e sente la testa girare. Chiude gli occhi e rivede i tre ragazzi seduti al tavolo: erano tre ragazzi come tanti, giovani, con l’aria un po’ spaccona dei surfisti dilettanti, e poi, con le pistole in mano, sembravano più spaventati che cattivi. Che ne era stato di loro, li avevano arrestati? Non riesce a ricordarlo. Guarda Joe, vorrebbe poterlo chiedere a lui. C’era stato uno sparo, questo lo ricorda, e poi ricorda un suono, come di un sacco che si affloscia. Il ragazzo con il pizzetto disegnato è stato colpito? Prima il suo braccio le serrava la gola e l’attimo dopo…
Bussano alla porta. Alyssa apre gli occhi: il poliziotto con il ciuffo di capelli biondi fa capolino nella stanza.
«Salve signorina Crown, come si sente?»
«Bene, grazie» risponde lei sentendosi andare a fuoco la faccia per l’imbarazzo di stare a letto davanti a qualcuno che non conosce.
«Sono il detective Williams, della Five - 0.»
«Non è il momento delle domande» interviene Joe brusco «La signorina Crown deve riposare.» Anche stavolta le sue parole suonano come un ordine ma il detective non sembra farci caso.
«Sì, beh, lo capisco. Ma non è mia intenzione affaticarla signorina Crown» dice rivolgendosi ostinatamente a lei «Ho solo poche domande, lo prometto.»
«Non sei obbligata Alyssa.»
«No, non lo è» concorda il detective inclinando su un lato la testa bionda «Ma ci sarebbe di grandissimo aiuto se...»
«Le hanno sparato!»
«Joe» Alyssa si puntella sul gomito sano e prova a sollevarsi «Non è un problema Joe, sto bene, davvero.» Sul viso del detective si apre un sorriso di trionfo.
«Sentito?» chiede a Joe «Perché non esci a fare due passi?»


*


Steve lo aspetta fuori dalla porta, con le braccia incrociate sul petto e la faccia di uno che aspetta solo di avere una buona scusa per colpire.
«C’è qualcosa che devi dirmi Joe?»
«Fai in modo che il tuo collega ci vada piano con quella ragazza.»
«Tutto qui?» Joe lo supera. Non si metterà a litigare, non nel corridoio di un ospedale e non con Alyssa così vicina. «Joe?»
«So di doverti delle spiegazioni…»
«Eccome se me le devi!»
«…ma ora non posso dartele.» Steve lo afferra per un braccio e lo costringe a voltarsi nella sua direzione.
«Hai sparato in testa a un uomo» gli dice tra i denti.
«Era fuori controllo, l’ostaggio era in pericolo. L’avresti fatto anche tu.»
«Certo che l’avrei fatto! Ma dovevo farlo io, o quanto meno a dare l’ordine.»
«Il risultato non cambia.»
«Joe!» Steve si trattiene a stento dal gridare. «Ti sei precipitato sulla scena del crimine, hai insistito per entrare con noi, hai chiamato l’ostaggio per nome e hai sparato senza pensarci due volte!»
«Tu avresti agito diversamente?» chiede Joe guardandolo dritto negli occhi.
«Non è questo il punto.»
«E allora qual è?» Steve si passa una mano sulla faccia.
«Il punto è Joe che non ti lascerò andare finché non mi dirai chi è quella ragazza e perché ti conosce come Joe Ford.»






E siamo finalmente arrivati al quarto capitolo! Quattro capitoli e neanche una recensione. Non riesco a capire se è Joe che non vi piace oppure la storia in sè : ( Forse è un po' troppo sdolcinata?
Da qui in poi Steve e Danny saranno un po' più presenti - Steve soprattutto, dato il suo legame con Joe. Purtroppo però ci sarà da aspettare un po': sto per partire e non avrò computer e connessione a internet, perciò... aspettateci!
Intanto, per ingannare l'attesa, vi lascio il link alla canzone a cui è ispirata la storia: potete ascoltare Sonny's dream cantata da Ron Hynes qui, oppure la dolcissima cover di Hayley Westenra qui. Fatelo, perchè ne vale la pena!
E niente, se durante la mia assenza vi scappa di scrivermi una recensione... : )

Un abbraccio,
tartaruga 

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