Sonny di tartaruga_dt (/viewuser.php?uid=341023)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** uno ***
Capitolo 2: *** due ***
Capitolo 3: *** tre ***
Capitolo 4: *** quattro ***
Capitolo 1 *** uno ***
H50-Sonny1
Quando Joe White gli tende la mano, Steve la stringe. Joe avrà cura di te,
gli aveva detto il suo vecchio prima di spedirlo in Accademia. Sono
passati anni da allora ma sa che, nonostante le cose che Joe promette
di dirgli e non gli dice, può fare sempre affidamento su quelle
parole.
«Non
fraintendermi» comincia Danny quando Joe gli ha dato la schiena e
si è allontanato abbastanza da non poterli più sentire
«Lui mi piace. Voglio dire, mi ha dato una mano a tenerti fuori
di galera e appena gli fai un fischio si precipita qui. Ci tiene
davvero a te. Ma sinceramente mi mette i brividi.»
«I brividi addirittura?» ghigna Steve «Sicuro che non sia la tua allergia ai militari a parlare?»
«Non ho
nessuna allergia ai militari» precisa Danny mentre sale in
macchina «Sono allergico a te ma questo è un altro
discorso. Il punto è che del tuo mentore non sappiamo un bel
niente, è una specie di uomo ombra.»
«Ehi, io conosco Joe, si è preso cura di me da quando ero un ragazzo.»
«E per
questo lo rispetti, lo capisco. Ma dove va quando non è qui? E
cosa fa quando non ti aiuta a evadere di prigione o ti salva la pelle o
si butta in mare con un furgoncino? Sai perlomeno se ha una famiglia o
una fidanzata o un cane o… qualcuno?» Steve fa un sospiro
rassegnato.
«Joe
è stato in Marina per tutta la vita, ha imparato a essere
riservato e a tenersi stretto i suoi segreti.»
«Questo
significa che ho ragione io» fa Danny allacciandosi la cintura
«Del tuo amico Joe White non sai un bel niente.»
Sonny
Oh Sonny don’t go away, I’m here all alone
And your daddy’s a sailor who never comes home
Nights are so long silence goes on
I’m feeling so tired and not all that strong…
Ron Hynes, Sonny’s dream
Uno.
Joe sale sul suo
furgone mentre la sera scende sulle spiagge hawaiane. Viaggia con il
finestrino aperto, per godersi la brezza fresca che viene dal mare, fa
una sosta in un ristorante italiano dove compra due porzioni di
cannelloni da asporto e un’intera torta al cioccolato. Poi torna
in fretta al furgone e si lascia alle spalle le luci dei locali che si
accendono una a una, come brillanti richiami per turisti.
Mezz’ora più tardi è davanti alla porta del suo
appartamento, un buco di due stanze al sesto piano di un palazzo senza
ascensore, ma si ferma giusto il tempo di mettere sotto chiave la
pistola. Poi raccoglie la busta con i cannelloni, la scatola della
torta ed esce di nuovo. Non fa molta strada, raggiunge la porta che
segue la sua sul pianerottolo e bussa. Crown, recita la targhetta
accanto al campanello.
«Chi è?» domanda una voce sospettosa dall’interno.
«Alyssa,
sono Joe» risponde lui. Quando la porta si apre a fare capolino
c’è un viso bianco e rotondo come la luna piena.
«Ciao» fa la ragazza sulla porta, con i grandi occhi scuri spalancati per la sorpresa.
«Ciao»
fa lui di rimando «Mi stavo chiedendo se avessi cenato.
Perché vedi, aspettavo un amico che avrebbe dovuto mangiare con
me stasera, ma purtroppo all’ultimo ha dovuto disdire. A te
piacciono i cannelloni, vero?»
*
La
ragazza – Alyssa – ha trent’anni ma è talmente
esile e minuta che sembra infinitamente più giovane. Vertiginosamente più giovane, pensa Joe mentre la guarda fare spazio sul tavolo ingombro di libri.
«Temo di
essere molto disordinata» si scusa lei imbarazzata, raccogliendo
tra le braccia tutti i libri e i fogli che può. Joe si limita ad
alzare le sopracciglia ma il SEAL dentro di lui grida che
“disordinata” è un eufemismo. «Dammi un
secondo e faccio un po’ di posto» dice lei con libri,
quaderni e blocchi da disegno incastrati sotto al mento, ma
l’istante dopo inciampa sull’orlo del tappeto, perde
l’equilibrio e tutto quello che teneva tra le braccia finisce per
terra. Se lei non fa la stessa fine e non finisce a faccia avanti,
è solo perché Joe riesce ad afferrarla prima.
«Oh» sospira affranta «Mi dispiace, mi dispiace
tanto.» A lui invece non dispiace per niente, almeno per un
attimo ha avuto una buona scusa per tenerla stretta.
«Facciamo
che lasci tutto così com’è» le dice quando ce
l’ha ancora così vicina che può sentire il profumo
di fiori del suo shampoo «Ora io ti aiuto a raccogliere questa
roba, e tu metti i cannelloni nei piatti, cosa ne dici? Mangeremo
seduti per terra, il tuo tappeto sembra comodo.»
«Cosa? No, non…»
«Ehi»
la zittisce «Sono venuto perché mi serviva un complice per
far sparire tutte queste calorie senza rimorsi, non m’importa
dove le mangiamo.»
«Ma per terra… che padrona di casa sarei se ti lasciassi mangiare per terra?» Joe le sorride.
«Ti
dirò, ho mangiato in posti peggiori.» Nelle prigioni
nordvietnamite, tanto per fare un esempio, e lì sala da pranzo e
latrina erano un’unica stanza. Alyssa però non lo sa,
è fermamente convinta che ne vada del suo onore di padrona di
casa e pretende un compromesso. Così si ritrovano a magiare
seduti sul tappeto, intorno a un tavolino di fortuna realizzato
impilando in ordine i libri che le erano caduti: lei ci ha steso sopra
una tovaglia a quadretti bianchi e blu, ha sistemato piatti e
bicchieri, e Joe ha dovuto ammettere di essere piuttosto comodo.
«Ci sono più libri dall’ultima volta che sono stato qui o mi sbaglio?»
«Qualcuno» ridacchia la ragazza portandosi la forchetta alla bocca.
«E molti,
molti più fogli. Questo significa che il tuo libro prosegue
bene?» Lei arrossisce fino alla radice dei capelli.
«Prosegue»
risponde evasiva dopo aver mandato giù il boccone
«È solo la prima stesura. Scrivo di getto, non ci vuole
poi molto.»
«Ci vuole fantasia, suppongo. E la pazienza di dare un nome a tutte le cose che hai in testa.»
«La fai sembrare una cosa seria così.»
«E tu
invece la fai sembrare una cosa da tutti» la rimprovera lui con
un sorriso sottile. La ragazza ha la replica già pronta sulle
labbra, una giustificazione balbettante per la sua ostinata abitudine
di sminuire tutto quello che fa, ma Joe non ha nessuna intenzione di
stare ad ascoltarla: «Finisci i cannelloni, coraggio» la
incalza «C’è ancora la torta da far sparire.»
Poi parlano del
più e del meno, del tempo, dei buoni libri, di musica.
Soprattutto di musica. Alyssa gli racconta che sua madre sapeva suonare
la chitarra molto bene e che quando era bambina, le dedicava una
canzone ogni sera. Joe ascolta fingendosi sorpreso, ma quando lei
inizia a dire di una canzone in particolare, una un po’ triste,
che le è rimasta nel cuore perché sembrava parlare
proprio di loro, di lei e di sua madre, allora non ce la fa più:
«Sonny’s dream non parla di te» la interrompe. Lo fa
più bruscamente di quanto avrebbe voluto e molto, molto di
più quanto la sua copertura avrebbe richiesto, ma fortunatamente
Alyssa non sembra farci caso.
«Come sai che mi riferivo a Sonny’s dream?» chiede invece, con la bocca che disegna una O sorpresa.
«Sonny’s
dream è la canzone a cui ti sei ispirata per scrivere il tuo
primo libro, giusto? C’è scritto sulla quarta di
copertina.»
«Accidenti»
soffia lei ammirata «Sei un tipo attento! Sei sprecato per un
lavoro nell’import export, saresti dovuto entrare in polizia o
chissà, magari nei servizi segreti.» Oppure in Marina,
pensa lui, ma non dice niente, le sorride e manda giù un altro
boccone di torta. «Sei stato via a lungo» continua Alyssa
quando il silenzio si è prolungato più del dovuto
«Dove ti ha portato il tuo lavoro stavolta?» Joe alza le
spalle.
«Un
po’ qui, un po’ lì» risponde evasivo
«Non è importante in fondo. L’importante è
tornare, non credi?» Lei ci mette un po’ a rispondere.
«Credo di sì» mugugna alla fine, ma non ne sembra poi così convinta.
*
Il
mattino dopo la sveglia suona alle quattro in punto. Joe apre gli occhi
in una stanza buia e per qualche minuto rimane disteso nel letto, con
un braccio sotto la testa e l’altro sullo stomaco, ad ascoltare i
rumori ovattati che vengono dall’appartamento accanto al suo.
Alyssa si sta
preparando: alle quattro e mezza circa uscirà di casa,
chiuderà a doppia mandata e poi filerà al lavoro dove
servirà caffè ai serfisti mattinieri, pulirà il
bancone e passerà la giornata portando le ordinazioni ai tavoli.
Alle quattro del pomeriggio la sua amica Arona verrà a darle il
cambio e lei correrà in ospedale a fare compagnia a quei
pazienti che non hanno nessuno, rimarrà finché non la
cacceranno via a pedate e allora tornerà a casa, lavorerà
al suo libro, e alla fine crollerà addormentata con la faccia
premuta sopra la tastiera del computer.
Joe rimane al
buio e aspetta. Un rumore più forte degli altri lo avvisa che la
ragazza deve di nuovo essere inciampata sul tappeto e che questa volta
nessuno le ha impedito di prendere il pavimento di faccia. Non fa in
tempo a preoccuparsi che la sente chiudere la porta di casa e correre
giù per le scale.
Joe rimane ancora
a letto, in attesa, e neanche un minuto dopo la sente risalire le scale
ansimando, rovistare nella borsa alla disperata ricerca delle chiavi e
rientrare dentro casa. Prova a immaginare cosa possa essersi scordata:
forse il telefonino, forse un elastico per i lunghi capelli scuri,
forse il portafoglio. Qualunque cosa sia la trova abbastanza in fretta
ed esce di nuovo di casa. Ma fa appena in tempo a richiudere la porta
che deve realizzare di aver scordato qualcos’altro, perché
la sente infilare di nuovo la chiave nella toppa e riaprire.
Joe sospira nel
buio. Ogni mattina la stessa storia: Alyssa esce di casa, scorda
qualcosa e rientra, esce di nuovo, poi rientra ancora, e intanto
inciampa o sbatte da qualche parte oppure fa tutte e due le cose
insieme. È come una bambina che si arrangia a vivere sola senza
esserne capace e una parte di lui – la parte pratica che la
Marina ha reso affilata ed efficiente – rimane sgomenta davanti a
tanta goffaggine. Un’ altra parte invece – quella che la
Marina aveva sepolto sotto anni di addestramenti durissimi
finché non aveva dimenticato di averla – trema di paura:
paura che prima o poi si faccia male sul serio o che qualcuno possa
approfittare di quella sua graziosa testolina sempre tra le nuvole.
Certe mattine, quando il numero di volte in cui la sente chiudere e
aprire la porta è particolarmente alto, deve davvero sforzarsi
per resistere all’impulso di uscire di casa per aiutarla a
prepararsi la borsa e accompagnarla a lavoro.
Quella mattina
comunque le cose si risolvono piuttosto in fretta: Alyssa entra ed esce
solo un paio di volte poi Joe la sente precipitarsi giù per le
scale. Aspetta cinque, dieci, venti minuti. Quando è sicuro che
non tornerà più indietro, allora si alza, si veste in
fretta ed esce, raggiungendo la porta di casa della ragazza. Tira fuori
dalla tasca dei pantaloni la copia delle sue chiavi ed entra.
*
Per
prima cosa controlla la posta: qualche pubblicità, la bolletta
della luce, e una cartolina da parte di David e Carol che sono in
viaggio di nozze nella vecchia Europa e che le mandano “baci e
abbracci in quantità industriale”. Poi il computer, un
vecchio portatile che tutto sembra fuorché portatile. Joe
conosce già la password, l’ha indovinata al terzo
tentativo la prima volta che si era intrufolato in casa; digita il nome
“Holly” e il computer gli dà automaticamente accesso
ai file e alla posta elettronica: c’è una mail da parte
della signora Ahulani, la padrona del locale dove la ragazza fa la
cameriera, che le chiede di coprire il turno di una collega;
un’altra da parte della biblioteca, per avvisarla della prossima
scadenza di un prestito; un’altra ancora da parte della
dottoressa Susan Cox che le invia in allegato la tabella dei turni di
volontariato in ospedale; sei da parte del forum “Dickens’s
friends of Hawaii” e infine una decina di mail da parte di George
Spencer, il suo editor, un giovanotto altissimo e allampanato che, tra
la correzione di un capitolo e l’altro, trova il tempo di farle
una corte timida e disperata. Niente di rilevante, Joe ha già
indagato su tutti questi nomi, così passa a ispezionare la
spazzatura e finalmente trova qualcosa di interessante: nel cestino
della carta, sotto cumoli di fogli scritti fitti e poi sbarrati, ci
sono i resti di una raccomandata. Joe ci mette un po’ a rimettere
insieme tutti i pezzi in cui è stata strappata, Alyssa deve
essere stata davvero molto arrabbiata – o spaventata – per
ridurla in quello stato senza neanche aprirla, ma alla fine riesce a
leggere l’indirizzo del mittente: Associazione Hawaiana
Còrea di Huntigton. Alla cortese attenzione di Ms. Crown,
recitava l’intestazione, Gentile Ms. Crown, nell’ambito
della nostra campagna di prevenzione, ci rivolgiamo ai consanguinei dei
malati di… Ma Joe non ha il coraggio di leggere oltre.
S’infila i pezzi della lettera in tasca e prosegue la sua
ispezione.
In bagno
l’armadietto dei medicinali è rimasto come l’aveva
trovato durante la sua ultima visita: tante garze e tanti, tanti
cerotti, un flacone di acqua ossigenata vuoto per metà, una
confezione di aspirine e una di analgesici per i dolori mestruali. Per
sicurezza controlla anche in camera della ragazza, soprattutto nei
cassetti del comodino accanto al letto, fruga anche tra la biancheria
ma non trova altri medicinali e nemmeno prescrizioni mediche di sorta.
A questo punto tutto quello che gli rimane da fare è recuperare
la bozza del libro che Alyssa sta scrivendo e togliere il disturbo il
più in fretta possibile.
Non
voglio mentirvi: questa è una storia su Joe
White, Steve&co. compariranno - e anche in maniera vistosa nei
capitoli dal IV in poi - ma non sono i protagonisti. Detto
questo, per favore, dateci comunque una possibilità!
Gli aggiornamenti ci saranno ogni settimana, salvo complicazioni.
Che altro? Niente, credo di aver finito.
Vi lascio ricordandovi che ho un debole per le recensioni =P
Un abbraccio,
tartaruga
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Capitolo 2 *** due ***
H50-Sonny2
Due
«Che faccia che hai! Dì un po’ tesoro, hai fatto le
ore piccole ieri notte?» Ahulani fa scivolare sul bancone una
tazza di caffè che Alyssa riesce ad afferrare per un pelo.
«È venuto a trovarmi il mio vicino» spiega
«Aveva comprato troppo cibo da asporto e non voleva
buttarlo.»
«Quel vicino? Quello carino ma anziano?» L’occhiata
che Ahulani le lancia le fa andare a fuoco le guance «Non credi
che sia un po’ troppo in là con gli anni per te?»
«Oh ma non… è solo gentile.»
«Ieri sera cena a domicilio» comincia Ahulani con
l’aria di chi la sa lunga «Un mese fa ti ha aiutato con il
rubinetto della cucina e prima ancora è venuto a prenderti
all’ospedale quando ti sei rotta la gamba, te lo ricordi? Senza
contare tutte le volte in cui rimani chiusa fuori casa perché ti
dimentichi le chiavi dentro e lui è sempre lì a risolvere
la situazione.»
«È premuroso» si affretta a giustificarlo lei mentre
si lega i capelli in una coda «E non solo con me. Mi ha
raccontato che c’è un ragazzo, il figlio di un suo vecchio
amico, che gli dà molti pensieri. Il padre è morto da
alcuni anni e lui cerca di aiutarlo come può. Prova di fargli
riallacciare i rapporti con la madre che se n’è andata di
casa molto tempo fa.»
«Se è tanto premuroso perché non ti presenta questo
ragazzo? Così tu avresti un po’ di compagnia e lui
smetterebbe di pensare alla madre, sarebbe perfetto, no?»
«Oh no» fa lei scuotendo la testa «Non è
proprio il caso.» Ahulani aggira il bancone e l’aiuta a
legarsi il grembiule bianco in vita.
«E perché no?» chiede con un sospiro «Sei sola
da… beh, tesoro io ti conosco da sempre e non ti ho mai visto
con nessuno. Che fine ha fatto quel tipo allampanato e con quei grandi
occhiali?»
«George?»
«George, sì, il ragazzo della casa editrice. Beh, che fine
ha fatto? Ti guardava con certi occhi…» Alyssa stringe i
pugni nelle tasche profonde del grembiule e forza un sorriso.
«Non avrebbe mai potuto funzionare.»
*
Joe si versa una tazza di caffè. Il tavolo della sua
cucina è molto simile alla scrivania che aveva quando era ancora
operativo: fascicoli, documenti che non avrebbero mai e poi mai dovuto
essere accessibili, fotografie, una cartina della città con
alcuni percorsi segnati in rosso… c’è tutta la vita
di Alyssa su quel tavolo, il passato e il presente, le abitudini, le
amicizie, le conoscenze, tutto. Eppure non basta mai, davanti a lei si
sente sempre a mani vuote, come se gli sfuggisse qualcosa, come se ci
fosse altro, molto altro da sapere. Per questo aveva preso una casa
accanto alla sua, per provare a riempire quel vuoto. O almeno credeva
di averlo fatto per questo. Con il senno di poi si chiede se non stesse
semplicemente cercando una scusa per poterla avvicinare, per poterle
parlare senza rischiare che lei lo cacciasse.
Fa un respiro profondo e si stringe la fronte tra le mani. È
stanco, tanto stanco e certe volte vorrebbe solo farla finita, andare
da Alyssa e parlare chiaro, costringerla a fare quello che va
fatto! Ma no, non è possibile, non può costringerla, deve riuscire a convincerla,
e per convincerla è necessario che Alyssa si fidi di lui.
Joe manda giù un sorso di caffè. Più di
metà della vita sotto le armi, a rischiare la pelle, e alla fine
è capace solo di nascondersi dietro la finzione del bravo vicino
di casa. E intanto, quella che doveva essere una semplice acquisizione di
informazioni si è trasformata in una sorveglianza serrata.
*
«Vi porto qualcosa?» chiede Alyssa avvicinandosi ai tre ragazzi seduti in disparte.
«Solo un caffè, grazie.» Lei annuisce e fila via a prendere la caraffa del caffè.
Sono solo le sei di mattina e già ha la testa piena di pensieri.
Ahulani non avrebbe dovuto menzionare George, Alyssa vuole solo potersi
dimenticare di lui – dei suoi modi severi e dei suoi occhi
così tristi dietro alle lenti spesse degli occhiali – ma
proprio non ci riesce. Non può parlarne con Arona e nemmeno con
Ahulani o con David e Carol: loro le chiederebbero perché
– perché respingere un ragazzo che ti piace? – e
allora lei non saprebbe cosa rispondere. Afferra la caraffa piena di
caffè bollente dal bancone e, mentre torna sui suoi passi,
improvvisamente le viene in mente Joe.
«Ecco qui» dice ai ragazzi mentre gli versa il
caffè, ma è distratta e a mala pena li vede. Pensa a Joe,
alla sua gentilezza, al modo insistente che ha di guardarla, come se
potesse scrutare nel profondo della sua anima. In un certo senso Joe la
mette in difficoltà: sembra sempre avere un vantaggio su di lei,
saper qualcosa che lei non sa. Eppure sente che con lui potrebbe
parlare, che a lui potrebbe provare a spiegare che è per il bene
di George che…
«Ah!» Uno dei tre ragazzi salta in piedi urlando e Alyssa
improvvisamente si rende conto di avergli rovesciato il caffè
bollente sulla gamba.
«Perdonami!» si affretta a dire «Sono mortificata!
Ero… ero soprappensiero e… e…» ma non riesce
a finire la frase. Ora che lo vede in piedi si accorge che ha qualcosa
di metallico incastrato nella cintura: una pistola,
realizza inorridita. La caraffa con il caffè le scivola dalle
mani e s’infrange sul pavimento. L’attimo dopo qualcuno la
afferra da dietro e le tappa la bocca.
*
Alyssa Crown nata a Honolulu il 27 novembre del millenovecento ottantatré.
Joe posa la mano sul certificato di nascita, accarezzando con la punta
delle dita lo spazio vuoto dove dovrebbe essere riportato il nome del
padre; sotto il nome della madre invece c’è scritto il
nome Francis Holly Crown.
Joe non ce l’ha con Holly per come ha gestito le cose: era
giovane, erano entrambi giovani e nessuno dei due aveva saputo fare la
cosa giusta. Gli piace pensare che, se avessero avuto più tempo,
alla fine le cose si sarebbero appianate, che un giorno Holly lo
avrebbe cercato, l’avrebbe fissato con quei suoi grandi occhi
scuri, e gli avrebbe detto: “C’è una persona che
voglio farti conoscere marinaio.”
Invece ci si era messa di mezzo la malattia e le cose erano andate tutte nel modo sbagliato.
*
«Fate quello che vi dico e tutto andrà
bene.» Il ragazzo è furioso, Alyssa lo sente dalla voce,
non lo vede in faccia: lui è a viso scoperto ma lei riesce a
guardare solo la pistola e il buco nero infinito della canna. Tutto il
resto è sfumato, confuso; la pistola invece è lì,
evidente, metallica, paurosa.
«Questo non era previsto» continua a lamentarsi un altro
«Non era previsto, non doveva succedere, cazzo, cazzo,
cazzo!»
«Stai calmo!» grida il ragazzo con la pistola «Non è cambiato niente. Dobbiamo solo…»
«È tutta colpa di questa troia!» Improvvisamente
Alyssa si sente tirata per i capelli e trascinata per terra.
D’istinto prova a rialzarsi, ma viene colpita e spinta
giù, per terra, sui cocci della caraffa di vetro. Da qualche
parte qualcuno grida.
«Troia» ripete uno dei ragazzi. È chino su di lei e
preme la canna della pistola contro la sua testa. «Allora»
le dice sottovoce «Ultime parole?»
*
Il cellulare squilla ma Joe lo ignora. Si porta la tazza di
caffè alle labbra e lo manda giù fino all’ultima
goccia.
Aperti davanti a lui ci sono i verbali della polizia datati ventidue
marzo millenovecento novantadue. Il rapporto dell’agente Sanders
è asciutto: alle ore diciotto e zero sette lui e il suo collega
fanno irruzione nell’appartamento di Francis Holly Crown e
trovano la donna in ginocchio, accanto alla vasca da bagno, che
trattiene con la forza la figlia sott’acqua. Intervengono
immediatamente e riescono a salvare la bambina – Alyssa Crown,
otto anni – che viene subito affidata ai servizi sociali. Ms.
Francis Holly Crown invece viene arrestata ma è in evidente
stato confusionale e il medico della prigione procede con le analisi
del caso. “Còrea di Huntington in fase terminale”
c’è scritto sulla sua relazione, in allegato al verbale
della polizia. Lo Stato rinuncia a procedere e Ms. Francis Holly Crown
viene ricoverata in ospedale. Il suo certificato di morte è
datato al ventotto novembre di quello stesso anno: aveva trenta quattro
anni. Solo quattro in più di Alyssa.
*
«Ultime parole?» La pressione della pistola si fa
più dolorosa. Alyssa chiude gli occhi, stringendoli
finché non è tutto buio.
C’è sua madre in quell’oscurità, bella come
quella volta che avevano costruito castelli di sabbia sul bagnasciuga.
“Ti voglio bene” le aveva detto posandole un bacio sulla
punta del naso. Aveva i capelli sciolti quel giorno, e un pareo
turchese annodato in vita che la faceva sembrare una sirena. “Sei
la mia stella marina”
le aveva detto, ed era stata l’ultima volta in cui l’aveva
vista sorridere. Poi era arrivata la malattia, i dolori, la
disperazione: “Ti voglio bene” le aveva ripetuto tra le
lacrime prima di spingerla giù, sul fondo della vasca “Lo
faccio per te stella marina.”
«Allora?» insiste il ragazzo premendole la canna della pistola sulla tempia.
“Davvero, la mamma lo fa perché ti vuole bene.”
Alyssa le aveva creduto ma non aveva capito. Aveva otto anni, voleva
vivere, voleva che sua madre smettesse di piangere e non sapeva nulla
della Còrea di Huntington. Non sapeva di avere il cinquanta
percento di possibilità di ereditarla, non sapeva che questo
avrebbe significato una vita breve e logorata, non sapeva niente. Se
l’avesse saputo allora, forse…
«Stupida impedita» sputa fuori il ragazzo mentre la bocca
metallica della pistola le scava la tempia. «Ti ammazzo, hai
capito? Ti ammazzo!»
“È la cosa migliore da fare” sorride sua madre “La cosa migliore per te, stella marina.”
Alyssa si morde le labbra e singhiozza.
«Ti prego» balbetta «Ti prego…» fallo. Non sa nemmeno lei se parla a sua madre o al ragazzo con la pistola.
*
«Che problema c’è?» A Steve quasi
prende un accidente. È un SEAL addestrato ma Danny, nonostante
l’appariscenza del ciuffo biondo che lo fa somigliare a un gallo
cedrone, ha i modi subdoli e silenziosi delle faine e certe volte
riesce a prenderlo di sorpresa.
«Niente.»
«Niente, certo. Guardavi fuori dalla finestra con la faccia
truce. Che c’è? Che ti ha fatto di male il cielo?»
«Niente. Stavo solo… solo pensando.»
«I SEAL pensano?» insiste Danny inarcando le sopracciglia
bionde. Steve lo odia, di tutto cuore, e se non lo colpisce dritto in
faccia è solo per amore di Grace.
«Pensavo a Joe» ammette a denti stretti «Pensavo a
quello che mi hai detto, al fatto che non so niente di lui. Ho provato
a chiamarlo in effetti ma non mi risponde.»
«Forse dorme. Sono le otto di mattina, sai? La gente normale
dorme. Ma ehi, hai ragione: Joe ti ha addestrato, lui non è
normale, è un pazzo come te! Anzi, forse più di te ora
che ci penso.»
«Stamattina sei proprio divertente Danno. Che c’è, ti sei alzato con il piede sbagliato?»
«No, è solo che mi secca dover mettere il giubbotto antiproiettile prima delle dieci.»
«Che cosa?»
«È arrivata una chiamata: dei tizi armati si sono chiusi
con degli ostaggi in un locale sulla spiaggia. Dobbiamo andare.»
*
«Non fare l’idiota!» interviene un altro
ragazzo «Se le spari, qui si riempie di polizia e a noi serve
tempo!»
«Non ci serve tempo!» sbraita quello che ancora le punta la
pistola alla testa «Il piano è andato a puttane quando
questa deficiente…»
«Ormai siamo qui!» grida il terzo ragazzo «E non me ne vado senza quei soldi!»
«Ma la polizia…»
«La polizia starà buona.» Uno di loro afferra Alyssa
per i capelli e la tira su con tanta violenza da strapparle un urlo.
«Finché abbiamo gli ostaggi andrà tutto bene.»
*
Joe si versa un’altra tazza di caffè. Lo prende
nero, bollente, gli piace il sapore forte e amaro che gli lascia sulla
lingua. Holly gli piaceva per gli stessi motivi, per la sua forza, per
il modo che aveva di puntare i piedi e pretendere che si facesse come
voleva lei, e per quel retrogusto amaro che c’era nei suoi baci.
Lo baciava sempre come se fosse per l'ultima volta, come se quello
fosse l'ultimo bacio prima di una separazione lunga una vita intera, e
lui era troppo giovane, troppo sciocco e troppo, troppo distratto dallo
zio Sam e dalle sue missioni per rendersi conto che forse erano davvero
baci d’addio.
Sapeva di essere malata?
Sapeva di avere una bomba a orologeria dentro di sé quando gli
aveva chiesto di lasciare la Marina? Joe se l'è chiesto fino
allo sfinimento.
“È un lavoro troppo pericoloso il tuo” gli aveva
detto “Se avessimo figli rischieresti ogni giorno di lasciarli
orfani.” Se ripensa a quel giorno Joe la vede nel suo vestito a
fiori, con i capelli bruni sciolti sulle spalle e le mani bianche
intrecciate in grembo. Sapeva già di aspettare Alyssa quel
giorno? “Io ho bisogno di sapere che tuo figlio verrà
prima della Marina.” Voleva essere rassicurata. Ma lui era
giovane, giovane e stupido, giovane e troppo orgoglioso e la deluse:
“Servire il mio paese significa avere cura di mio figlio”
le disse “Significa difendere la sua libertà, i suoi
valori, la sua vita. Se non riesci a capire questo allora non abbiamo
altro da dirci.” Le disse così, queste precise parole.
Forse se le avesse dato il tempo di spiegarsi, se avesse aspettato un
solo secondo di più prima di darle le spalle e andarsene, allora
forse, chissà, le cose sarebbero andate diversamente. Forse
avrebbe visto Alyssa bambina, le avrebbe insegnato a nuotare e ad
andare in bicicletta; l’avrebbe protetta quando Holly avesse
manifestato i primi sintomi della Còrea, l’avrebbe
consolata e custodita perché di sua madre serbasse solo il
ricordo più bello e non l’immagine tremula di un viso
visto attraverso l’acqua di una vasca da bagno. Invece se
n’era andato, e senza neanche voltarsi indietro un’ultima
volta. Se l’avesse fatto, se solo l’avesse fatto allora
forse...
Il telefono squilla per l’ennesima volta, sul display lampeggia il nome di Steve.
Joe sospira. Davanti a lui, in una cartella di plastica trasparente
c’è la bozza dell’ultimo libro di Alyssa, quella che
ha “presa in prestito” da casa sua. Incompiuta
c’è scritto in penna blu al centro del primo foglio, e
basta da solo a dargli la pelle d’oca.
Joe si passa una mano sulla faccia. Vorrebbe davvero riuscire a leggere
quelle pagine, vorrebbe riuscire a togliere il velo di parole e a
sbirciare oltre la storia per arrivare al cuore di Alyssa, per
avvicinarla, per capirla come i padri capiscono i figli. Ma la
verità è che ha paura – paura del suo dolore, paura
della sua solitudine, paura della sua stessa paura – e rispondere
a Steve per farsi coinvolgere in qualcosa di pericoloso e
potenzialmente mortale è molto più sicuro.
«Steve» dice nel telefono «Dimmi tutto.»
(*) La Còrea di Huntigton
è una malattia neurodegenerativa che interessa il sistema
nervoso; attualmente non esiste cura. Ora questa è una sciocca
fanfiction dove i sintomi di questa malattia vengono descritti in modo
vago e impreciso, se desiderate saperne di più qui
potete trovare tutte le informazioni che cercate. Vi invito a farci un
giro.
Secondo capitolo, ormai la relazione tra Joe e Alyssa dovrebbe
risultarvi abbastanza chiara... o no? Non dico niente, visto mai
qualcuno non ci fosse ancora arrivato ^^
Ringrazio tutti i lettori silenziosi del primo capitolo, e SweetSmile
in particolare per aver inserito Sonny tra le storie seguite. Mi
raccomando, aspetto le vostre recensioni, ci tengo davvero molto!
Voglio sapere tutto: la storia vi intriga? Joe è coerente con il
personaggio originale? Le azioni dei personaggi sono chiare oppure sono
un papocchio confuso in cui non si capisce chi fa cosa? Le vostre
critiche sono oro per me, quindi per piacere non risparmiatevi!
Un abbraccio e buona settimana a tutti,
tartaruga =)
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Capitolo 3 *** tre ***
H50-Sonny3
«Volevo solo invitarti a bere qualcosa, è tanto che non
facciamo due chiacchiere io e te. Senza parlare di Wo Fat o di
Shelburn o… insomma, lo sai. Solo due chiacchiere e una
birra.» Quando vuoi, gli ha detto lui, e Steve: «Ti direi
di farlo stasera ma ho un brutto caso: tre tizi armati si sono
barricati dentro un locale sulla spiaggia. Non so come finirà,
potrei dover compilare un sacco di scartoffie.» Joe ha sentito un
campanello d’allarme tintinnare da qualche parte nella sua testa.
«Quale locale?» ha chiesto sforzandosi di non farsi
prendere dal panico. Siamo alle Hawaii, si è detto, ci sono
decine – centinaia – di locali sulla spiaggia. Ma poi
Steve ha pronunciato il nome del locale dove lavora Alyssa e gli è mancato il respiro. «Sto arrivando.»
«Che cosa?» gli fa eco la voce di Steve dal cellulare
«Perché? Non serve Joe, ho la situazione sotto
control—»
*
«Alyssa» la chiama Ahulani sottovoce «Alyssa, tesoro,
stai bene?» Alyssa apre la bocca per dirle che sì, sta
bene, ma la voce non le esce. «Andrà tutto bene»
mormora Ahulani dolcemente «Non aver paura, andrà tutto
bene, presto arriverà la polizia.»
Come quella volta, pensa Alyssa, come quando sua madre le aveva
accarezzato i capelli e l’aveva spinta giù,
nell’acqua tiepida della vasca da bagno.
“Lo faccio per te stella marina.”
Mamma.
“La mamma lo fa perché ti vuole bene.”
Perché?
“Non voglio che tu soffra stella marina, non voglio!”
Quella volta la polizia era arrivata quando non ce l’aveva fatta
più: aveva smesso di lottare, aveva lasciato andare il bordo della vasca, si era arresa. Poi due mani grandi si
erano immerse nell’acqua, l’avevano afferrata e
l’avevano tirata fuori. “Lo faccio per te stella
marina” continuava a gridare sua madre, mentre la spingevano
fuori dalla porta, lontano da lei. “Davvero, la mamma lo fa per
il tuo bene!”
Alyssa le aveva creduto ma non aveva capito. Aveva otto anni, non
sapeva che la sua vita senza sua madre sarebbe stato un continuo
vagabondare tra case famiglie e famiglie affidatarie, un rimpallo
frustrante tra assistenti sociali e genitori che le sorridevano ma che
la rimandavano sempre indietro, perché nessuno se la sentiva di
prendere con sé una bambina che avrebbe potuto avere la
Còrea: sarebbe troppo doloroso – dicevano – e se poi
fa la fine di sua madre e diventa violenta? Aveva otto anni Alyssa e
non poteva sapere che avrebbe avuto paura tutta la vita – paura
che la malattia la paralizzasse, paura di non ricordarsi più il
viso di sua madre, paura di impazzire, paura di far del male ai pochi
amici che si era fatta, paura di fare del male a George! Se
l’avesse saputo allora forse non avrebbe lottato tanto, sarebbe stata
docile, avrebbe lasciato che…
Si stringe la testa tra le braccia, cercando di allontanare quel pensiero terribile.
«Alyssa» la chiama ancora Ahulani «Vedrai bambina,
andrà tutto bene.» Non è vero, pensa Alyssa
mordendosi le labbra, non può andar bene, non è mai
andato bene niente: mia madre è morta sola e io, ho vissuto e
morirò sola anch’io, come lei. Ma questo non lo dice a
Ahulani, non le dice niente, non osa neanche guardarla: ha il terrore
che le legga in faccia che non ha paura e che non vuole la polizia
– non stavolta! Stavolta vuole solo che finisca tutto.
*
Lou comincia a lamentarsi non appena scende dalla macchina: «Che
cosa accidenti ci fanno tre rapinatori in una caffetteria? E alle prime
luci dell’alba per giunta!»
«Veramente sono le otto e zero sette, l’alba è
passata da un pezzo» fa notare Steve dando un’occhiata veloce
all’orologio.
«Saranno venuti a prendere un caffè prima di fare il vero
colpo» prova a buttare lì Danny «Altrimenti che
senso ha rapinare un locale come questo all’alba? Ha appena
aperto, non avrà incassato che pochi dollari…»
«Non è l’alba» ripete Steve esasperato
«Ma per il resto hai ragione: perché rapinare una
caffetteria?»
«Forse io lo so.» Kono si fa largo tra di loro con un
portatile tra le mani. «Il negozio di musica accanto alla
caffetteria è di un certo Dylan Reed» dice posando il
computer sul cofano della Camaro.
«Dylan Reed» le fa eco Danny «Perché questo nome non mi è nuovo?»
«Perché è saltato fuori in relazione alle indagini
su Gabriel Waincroft» spiega Kono battendo sui tasti del
computer: sul monitor compare la faccia quadrata di Dylan Reed e il
lungo elenco delle attività in cui è risultato coinvolto.
«È uno spacciatore, recentemente è stato arrestato
ed è attualmente gradito ospite di Halawa. La polizia
però non è stata in grado di trovare il denaro guadagnato
con la droga.»
«Quindi secondo te i rapinatori sono qui per i soldi di
Reed» riassume Steve sistemandosi il giubbotto antiproiettile
sulle spalle «Ok ma cosa c’entra la caffetteria?»
«Il negozio di Reed è ancora sotto sequestro, la polizia
controlla chi entra e chi esce.» Danny alza diligentemente la
mano: «Continuo a non capire che cosa c’entra la
caffetteria.» Kono batte sui tasti del computer e sullo
schermo appare una planimetria.
«Il negozio di Reed e la caffetteria condividevano uno
scantinato» spiega indicando un punto preciso sullo schermo del
computer «Probabilmente i rapinatori credono di poter accedere al
negozio da lì.»
«Sento che sta per arrivare un ma» sospira Danny.
«Ma» continua infatti Kono «Tra il nostro amico Reed
e la proprietaria della caffetteria non correva buon sangue: due anni
fa la signora ha rinunciato allo scantinato pur di non avere più
niente a che fare con Reed e ha fatto murare l’ingresso che dal
suo locale porta allo scantinato.» Steve incrocia le braccia sul
petto.
«Quindi i rapinatori stanno per scoprire che il loro piano
è inutile» dice guardando verso la caffetteria. In altre
circostanze, pensa osservando il patio ricoperto di rampicanti, deve
essere un bel posticino dove venire a sorseggiare una bibita e a
guardare l’oceano.
«Steve, i rapinatori non hanno vie di fuga» aggiunge Lou
sottovoce «Sono completamente circondati dalla polizia, è solo questone di tempo prima che vadano
fuori di testa. Gli ostaggi saranno in pericolo.» Ha ragione
naturalmente, e Steve lo sa.
«Dobbiamo entrare.»
*
«Avevi detto che da qui si poteva passare!» grida uno
«Avevi detto che sarebbe stata una passeggiata!» Ora che lo
guarda meglio – ora che non ha un arma puntata addosso –
Alyssa si accorge che è giovane, giovanissimo: lunghi capelli
neri pettinati all’indietro e un pizzetto talmente curato che
sembra disegnato con il pennarello. Vent’anni, pensa Alyssa
guardando le guance lisce, forse uno o due in più.
«Come facevo a sapere che avevano murato la porta, eh?» gli
urla addosso un altro. Nonostante la muscolatura massiccia deve essere
piuttosto giovane anche lui, giovane e sconvolto, pericolosamente
sull’orlo delle lacrime. «Possiamo sempre provare a
sfondare il muro… ci saranno degli attrezzi
qui intorno, no? Possiamo provare a…»
«Ah sì, vuoi sfondare il muro? E poi? Qui fuori è pieno di polizia!»
«Ora basta, finitela!» Il terzo uomo grida più forte
di tutti. «Voglio quei soldi» dice «Hai capito,
David? Me li devi!» Alyssa vede il ragazzo muscoloso –
David, che quasi si accartoccia su se stesso. Ha paura, e forse non sa
decidere se ne ha più per la polizia o per il suo amico.
«Io ho… ho dei soldi nella cassa» prova a dire Ahulani «Non sono molti ma…»
«Sta’ zitta!» grida il ragazzo con il pizzetto
disegnato. Alyssa lo vede scattare come un pupazzetto a molla e
scagliarsi su Ahulani, con la mano che regge la pistola sollevata.
«Perché hai murato la porta?» lo sente urlare
«Perché cazzo hai murato la porta?» Ahulani grida e
Alyssa, d’istinto, si butta sopra di lei, chiudendola tra le sue
braccia. L’istante dopo parte lo sparo.
*
Steve se lo ritrova davanti con il giubbotto antiproiettile già allacciato e la SIG in mano.
«Joe» lo saluta con un cenno del capo.
«Steve» gli fa lui di rimando. Steve continua a
guardarlo. C'è qualcosa che non va ovviamente, qualcosa di cui
come al solito non gli parlerà.
«Non puoi venire dentro con me.»
«L’abbiamo fatto altre volte.»
«Stavolta è diverso. È a tutti gli effetti
un’operazione di polizia, e tu non sei un poliziotto.» Joe
non si prende neanche il disturbo di provare a convincerlo, controlla
il caricatore della pistola e si sistema l’auricolare
nell’orecchio. «Che sta
succedendo?» prova a chiedere Steve «Perché ti sei
precipitato qui?»
«Ho i miei motivi.»
«Tu hai sempre i tuoi motivi. Come con la faccenda di mia madre…»
«Questo non c’entra con tua madre!»
«Voglio solo sapere che accidenti…» Il rumore di uno
sparo copre le sue parole. I rapinatori hanno perso la calma, realizza
Steve. L’attimo dopo Joe gli afferra il braccio con tanta forza
che quasi glielo stritola.
«C’è qualcuno a cui tengo lì dentro» gli dice «Vengo dentro con te.»
*
Brucia. La sua spalla brucia.
«Alyssa» la
chiama Ahulani «Alyssa guardami! Guardami!» Ma la sua voce
è lontana, sempre più lontana e debole, e tenere gli
occhi aperti è troppo faticoso. “Stella marina” la
chiama sua madre, e la sua voce invece è vicina, come se le
parlasse nell’orecchio. “Ascolta stella marina”
Mamma.
“Ti ricordi la canzone? Quella che ti cantavo sempre”
Sonny.
“Oh Sonny don’t go away, I’m here all alone…”
«Alyssa!»
insiste Ahulani «Alyssa ti prego, ti prego!» Ma la voce di
sua madre è vicina, così vicina che può quasi
sperare che quando aprirà gli occhi sarà lì,
accanto a lei. “And your daddy’s a sailor who never comes
home…”
Nights are so long, silence goes on and…
“And i’m feeling so tired and not all that strong.”
«Alyssa!»
Questa non è la voce di Ahulani e nemmeno quella di sua
madre. Questa è una voce abituata a essere obbedita, una voce
che Alyssa conosce. Joe?
“Stella marina” la chiama ancora una volta sua madre.
Mi dispiace mamma, mi
dispiace tanto. Alyssa apre gli occhi. Lo fa con fatica perché
ha le palpebre pesanti e tenere gli occhi aperti sembra quasi
impossibile. C’è Joe davanti a lei, a pochi passi di
distanza, ha tra le mani una pistola puntata nella sua direzione, e i suoi
occhi chiari la sfiorano e passano oltre, fissandosi da qualche
parte oltre la sua testa.
«Fate un altro passo
e le sparo!» Ringhia una voce vicina – troppo vicina
– al suo orecchio. Un braccio forte le circonda il collo
spezzandole il respiro, e sente di nuovo il metallo freddo della
pistola premuto contro la tempia.
«Lasciala
andare» dice uno dei poliziotti, un uomo alto, dritto al fianco
di Joe «Sei circondato, non hai vie di fuga, ma se ora la lasci
andare e abbassi l’arma il giudice ne terrà conto, te lo
prometto.»
«Sta’ zitto!»
«È
ferita» insiste il poliziotto «Sta perdendo molto sangue.
Lasciala andare e vedrai che…»
«Non voglio parlare con te, voglio solo una macchina qui fuori e…»
«Prima lascia andare
la ragazza» ordina Joe. Ma è davvero Joe o è solo
uno che gli somiglia? Alyssa non è sicura, non ha mai visto uno
sguardo tanto feroce negli occhi azzurri del suo vicino di casa, e come
se non bastasse il mondo intorno a lei ha i contorni sempre più
sfocati e bui e…
«Lei rimane con
me!» grida il ragazzo nel suo orecchio. Il braccio che la
trattiene impedisce di respirare e la pressione della pistola sulla sua
testa si fa sempre più dolorosa. «Se provate ad avvicinarvi le sparo! Giuro
che le sparo, avete capito? Avete ca—»
Poi c’è uno sparo: la presa sul collo di Alyssa si scioglie improvvisamente e lei sente un rumore
che è come quello di un sacco che si affloscia.
«Bersaglio a
terra!» grida il poliziotto «Ripeto: bersaglio a
terra!» Si muove verso di lei, ancora con la pistola dritta
davanti a sé, e la supera.
«Sta bene
signorina?» le chiede un altro poliziotto. È più
basso dell’altro e ha un ciuffo di capelli biondissimi. Alyssa
non sa cosa rispondergli, guarda verso Joe e lo vede che consegna
l’arma a una donna: è la procedura, gli sta dicendo lei,
mi dispiace. A Joe invece non sembra dispiacere per niente, la guarda e
le sorride come le aveva sorriso la sera prima quando aveva suonato
alla sua porta, come le ha sempre sorriso dal primo momento in cui
l’ha conosciuto. “La canzone, stella
marina” bisbiglia sua madre, da qualche parte della sua testa
“Ricordati la canzone!”
Joe le tende la mano e Alyssa ci
posa sopra la sua senza neanche pensarci. L’istante dopo ha il
viso premuto sul suo petto, contro il ruvido del giubbotto
antiproiettile, e Joe le accarezza la testa e le dice di stare
tranquilla, che è al sicuro ora e che si occuperà lui di
tutto. “Oh Sonny don’t
go away, I’m here all alone” canta sua madre mentre il
mondo intorno a lei sbiadisce e diventa informe.
«Un medico! Presto, qui serve un medico!» grida la voce di Joe «Alyssa! Alyssa per favore…»
And your daddy’s a sailor who never comes home…
SIG-Sauer P226: stando a quel che si dice qui è l'arma d'ordinanza dei Navy SEAL. Ora, tecnicamente Joe è in pensione, lo so, ma ho immaginato che potesse aver conservato qualche "ricordo".
Ringrazio ancora una volta chi ha inserito la storia nelle seguite, spero che la storia possa interessarvi.
Buona settimana,
tartaruga =)
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Capitolo 4 *** quattro ***
H50-Sonny4
Quattro
Ci vogliono due ore e quarantatré minuti prima che i medici gli permettano di vedere Alyssa.
«L’intervento
è andato bene» gli spiega Max sottovoce «Avrà
qualche difficoltà a muovere la spalla all’inizio, ma con
un po’ di fisioterapia tornerà come nuova.» Joe
annuisce osservando le ombre blu intorno agli occhi chiusi di Alyssa,
il biancore esangue del viso e i mille minuscoli tagli rossi che dalle
mani le risalgono le braccia e il collo. Ha visto di peggio nei suoi
trent’anni di servizio, ha visto uomini e donne spezzati,
dilaniati, sfigurati… eppure niente gli sembra più
spaventoso degli occhi chiusi di Alyssa.
«Starà bene?»
«La signorina Crown
starà benissimo. Certo, per il futuro le consiglierei di mettere
su qualche chilo, è un po’ sottopeso. Segue delle diete
estreme per caso?» A Joe quasi viene da ridere.
«No. No, lei è
solo molto distratta. Si dimentica sempre di fare la spesa»
mormora posandole una mano sulla fronte liscia «Ma ora me ne
occuperò io.» Max si tira su gli occhiali sul naso e
annuisce pensieroso.
«L’effetto
dell’anestesia la farà dormire ancora per un
po’» dice «E lei mi sembra molto provato.
Perché non ne approfitta per riposare, maggiore? Rimarrò
io con la signorina.» Joe sorride e scuote la testa. Gli piace il
giovane dottor Bergman, dietro le lenti appannate dei suoi occhialini
da scienziato c’è la calma vigile di un uomo che non si
lascia prendere dal panico.
«Grazie Max, ma è il mio posto questo.» E non lo lascerò, non stavolta.
Si siede sulla poltroncina accanto al letto di Alyssa e le prende la
mano: è talmente piccola che scompare nella sua. Ora basta
giocare ai vicini di casa, basta fare finta. È il momento di
parlare chiaro, di dirle chi è e che di lui può fidarsi
– che deve fidarsi! Non importa se lo odierà, se lo
insulterà, se gli dirà di non poterlo perdonare, non
importa. Avrebbe potuto perderla oggi. Non può lasciare che
accada di nuovo. «E Max, più tardi vorrei parlare con te,
se non ti dispiace. Devo chiederti un favore.»
*
Danny sfoglia il suo taccuino sottolineando qualcosa con rapidi tratti di penna.
«Lo sai che hanno
inventato i tablet, vero?» lo punzecchia Steve, ma Danny non gli
concede che uno sbuffo infastidito.
«Ho interrogato la
proprietaria della caffetteria, la deliziosa signora Ahulani Keaulana,
cinquantasette anni.» Gli indica con un cenno del capo una donna
con lunghi e vaporosi capelli neri che se ne sta seduta immobile,
seduta su un lettino con le mani intrecciate in grembo. Accanto a lei
c’è una ragazza, una giovane donna che le somiglia come
una goccia d’acqua e che le stringe le mani. «Quella
è la figlia, Arona» spiega Danny «Oggi avrebbe
cominciato il suo turno in caffetteria alle quattro del
pomeriggio.»
«Hanno saputo dirti niente? Quei tipi si erano già fatti vedere in giro?»
«No, e neanche i clienti abituali li hanno riconosciuti.»
«Clienti abituali» grugnisce Lou raggiungendoli nel corridoio dell’ospedale «Clienti abituali che abitualmente si svegliano all’alba. Che razza di mondo…»
«Le prime ore del
mattino sono l’ideale per cavalcare le onde» fa notare
Steve stringendosi nelle spalle «E il sole che sorge sul mare
è uno spettacolo grandioso. Dico davvero. Forse tu e Danny una
di queste mattine potreste…»
«Che c’entro io? Perché cavolo mi tiri sempre in ballo?»
«Che c’è? Lo dico per te. Pigro come sei non l’avrai mai visto il sole che sorge.»
«Ma cosa
c’entra?» sbotta Danny agitando le mani «Stiamo
provando a risolvere un caso qui, e tu mi combini appuntamenti
all’alba! E poi chi accompagna a scuola mia figlia? Che cavolo ti
passa per il cervello?»
«Mi preoccupo per te!
Vedere il sole che sorge è un’esperienza che va fatta
nella vita. Ti lamenti sempre che sono un partner disattento, per una
volta che…»
«Finitela, tutti e
due» interviene Lou alzando gli occhi al cielo «Queste
scenette da coppia sposata sono imbarazzanti. Vogliamo tornare al
nostro caso?» Steve deve fare appello a tutta la sua forza di
volontà per non replicare. Serra la mascella nello sforzo di
tenere la bocca chiusa e fa cenno a Danny di proseguire.
«Sì,
allora» comincia il collega schiarendosi la voce «La
signora Ahulani dice che era la prima volta che quei ragazzi si
facevano vedere. Avevano le tavole da surf e due borse da palestra,
sembravano tranquilli. Poi la cameriera gli ha portato il caffè
e…»
«Come si chiama la cameriera?» chiede Steve, che ha ancora sul braccio i segni delle unghie di Joe. C’è qualcuno a cui tengo lì dentro, gli aveva detto, vengo con te.
«Alyssa» legge
ad alta voce Danny «Alyssa Crown, trent’anni. Lavora con la
signora da quando ne aveva sedici.» Alyssa. Steve ricorda di aver sentito Joe gridare quel nome una volta dentro al locale.
«Quando il ragazzo ha
puntato la pistola contro di lei, Alyssa si è messa in
mezzo» continua Danny «Ahulani vorrebbe sapere come sta.
Sappiamo se è uscita dalla sala operatoria?» Lou annuisce.
«È andato
tutto bene. L’hanno portata nella sua stanza dieci minuti
fa.» Poi guarda Steve e aggiunge: «Il tuo amico Joe
è con lei.» C’è qualcuno a cui tengo lì dentro. Steve serra la mascella. Non avrebbe dovuto permettergli di entrare con loro: era coinvolto, era pericoloso, era…
«Ecco, a proposito di
Joe» comincia Danny grattandosi la testa bionda «La signora
Ahulani è stata piuttosto sorpresa di scoprire che il vicino di
casa di Alyssa, il signor Joe Ford, lavora per la polizia. Stando a
quello che le ha detto Alyssa dovrebbe lavorare nel campo
dell’import export.»
*
Due piatti, due bicchieri, due forchette e due coltelli.
«Non
ci manca qualcosa?» chiede. Lo fa sottovoce perché sente
che quella è una domanda che non dovrebbe fare.
La mamma le riempie il piatto di patatine fritte e dà un’occhiata veloce alla tavola.
«Il
pane?» prova, e quando Alyssa la fissa senza dire né
sì né no prova di nuovo: «Vuoi una bibita?»
Alyssa scuote la testa.
«Allora cos’è che ti manca stella marina?»
«Non
dovremmo… non dovremmo essere in tre?» dice tutto
d’un fiato «A casa di Emily sono in tre. Emily, la mamma di
Emily e il suo…» papà. Non lo dice, non ha il coraggio se la mamma la guarda.
«Anche tu hai un papà, stella marina» si sente rispondere con un sospiro affaticato.
«E dov’è?» Silenzio. «Mamma?»
«Lui
è… è un marinaio. È su una nave,
chissà dove sull’oceano, a fare qualcosa di eroico.»
«E non torna a casa?» domanda Alyssa con la voce che trema.
«Alyssa!»
«Perché non torna?»
«Alyssa, non agitarti, è solo un sogno! Alyssa!»
Ci sono delle mani intorno al suo viso, mani grandi e calde che le asciugano le lacrime.
«Mamma?» prova a chiamare, ma quello che le esce di bocca somiglia più a un rantolo rauco.
«Alyssa, sono io. Sono Joe.»
«Joe?» E la mamma? Dov’è la mamma?
«Non aver paura
tesoro, va tutto bene. Sei in ospedale, ti hanno operato per toglierti
il proiettile ed è andato tutto benissimo, hai capito? Non
piangere, va tutto bene.» I ragazzi, ricorda all’improvviso
Alyssa, la caraffa che si rompe in tanti piccoli pezzi, le pistole,
Ahulani che grida…
«Ahulani? Come sta Ahulani?»
«Sta bene. Stanno tutti bene, calmati.»
…lo sparo, la spalla
che brucia e Joe. Joe con la pistola in pugno, Joe che le tende la mano
e le dice che è al sicuro, che si occuperà lui di tutto.
«Perché eri
lì, Joe?» chiede «Perché avevi una
pistola?» Joe le sorride ma non le risponde. «Sembravi un
altro» mormora allora lei sforzandosi di scacciare il torpore
dell’anestesia e di mettere a fuoco il suo viso. «Sembravi
qualcuno che non conosco.» Lui le stringe la mano.
«Non avrei mai
lasciato che ti facessero del male» le dice e Alyssa sente le
lacrime pizzicarle agli angoli degli occhi.
«Mi dispiace» mormora «Mi dispiace tanto.» Joe le accarezza le guance con il dorso della mano.
«Perché?»
chiede sorridendole come se avesse detto qualcosa di buffo «Non
è stata colpa tua. Anzi sei stata bravissima, la tua amica
è viva grazie a te.»
«No, non è
come pensi, non… mi dispiace! Tu sei venuto a salvarmi e
io… io invece volevo solo…»
«Cosa volevi?» Morire.
Alyssa non riesce a dirlo. Ce l’ha sulle labbra ma non riesce a
dirlo. È talmente orribile che non riesce a dirlo.
«È che…
che mia madre è morta sola» balbetta «Io non
c’ero, lei era in ospedale e io non c’ero. È morta
sola, capisci? Avrà avuto tanta di quella paura…»
«Alyssa» prova a dire Joe.
«Era malata, molto malata, ma mi amava, ti giuro che mi amava anche se ha cercato di…» uccidermi.
«Alyssa» prova
ancora Joe cercando di calmarla, ma Alyssa non può fermarsi:
«Lo ha fatto per me. Non era cattiva ma sapeva che anch’io
mi sarei ammalata e che sarei stata sola perché non c’era
nessun altro, la mia famiglia era lei, capisci? Mio padre…»
«Alyssa, ti prego.»
«…so solo che
era un marinaio o qualcosa del genere. È come nella canzone di
Sonny, Joe, i marinai non tornano mai a ca—»
«Alyssa» Joe
mette fine al suo fiume di parole posandole una mano sulla bocca.
È chino su di lei, la guarda, e ad Alyssa i suoi occhi non sono
mai sembrati così azzurri. «Parleremo, te lo
prometto» le dice «Anch’io ho delle cose da dirti. Ma
non ora. Ora devi solo pensare a riposare, d’accordo?»
È un ordine, non una domanda, e la mano di Joe rimane sulla sua
bocca finché lei non annuisce, poi scivola sulla sua guancia con
una carezza ruvida e le scosta i capelli dal viso. Perché sei così buono con me? Vorrebbe
chiedergli lei, ma Joe le ha detto – ordinato – di tacere e
allora rimane in silenzio. È stanca in effetti, tanto stanca, e
sente la testa girare. Chiude gli occhi e rivede i tre ragazzi seduti
al tavolo: erano tre ragazzi come tanti, giovani, con l’aria un
po’ spaccona dei surfisti dilettanti, e poi, con le pistole in
mano, sembravano più spaventati che cattivi. Che ne era stato di
loro, li avevano arrestati? Non riesce a ricordarlo. Guarda Joe,
vorrebbe poterlo chiedere a lui. C’era stato uno sparo, questo lo
ricorda, e poi ricorda un suono, come di un sacco che si affloscia. Il
ragazzo con il pizzetto disegnato è stato colpito? Prima il suo
braccio le serrava la gola e l’attimo dopo…
Bussano alla porta. Alyssa apre gli occhi: il poliziotto con il ciuffo di capelli biondi fa capolino nella stanza.
«Salve signorina Crown, come si sente?»
«Bene, grazie»
risponde lei sentendosi andare a fuoco la faccia per l’imbarazzo
di stare a letto davanti a qualcuno che non conosce.
«Sono il detective Williams, della Five - 0.»
«Non è il
momento delle domande» interviene Joe brusco «La signorina
Crown deve riposare.» Anche stavolta le sue parole suonano come
un ordine ma il detective non sembra farci caso.
«Sì, beh, lo
capisco. Ma non è mia intenzione affaticarla signorina
Crown» dice rivolgendosi ostinatamente a lei «Ho solo poche
domande, lo prometto.»
«Non sei obbligata Alyssa.»
«No, non lo
è» concorda il detective inclinando su un lato la testa
bionda «Ma ci sarebbe di grandissimo aiuto se...»
«Le hanno sparato!»
«Joe» Alyssa si
puntella sul gomito sano e prova a sollevarsi «Non è un
problema Joe, sto bene, davvero.» Sul viso del detective si apre
un sorriso di trionfo.
«Sentito?» chiede a Joe «Perché non esci a fare due passi?»
*
Steve lo aspetta fuori
dalla porta, con le braccia incrociate sul petto e la faccia di uno che
aspetta solo di avere una buona scusa per colpire.
«C’è qualcosa che devi dirmi Joe?»
«Fai in modo che il tuo collega ci vada piano con quella ragazza.»
«Tutto qui?»
Joe lo supera. Non si metterà a litigare, non nel corridoio di
un ospedale e non con Alyssa così vicina. «Joe?»
«So di doverti delle spiegazioni…»
«Eccome se me le devi!»
«…ma ora non posso dartele.» Steve lo afferra per un braccio e lo costringe a voltarsi nella sua direzione.
«Hai sparato in testa a un uomo» gli dice tra i denti.
«Era fuori controllo, l’ostaggio era in pericolo. L’avresti fatto anche tu.»
«Certo che l’avrei fatto! Ma dovevo farlo io, o quanto meno a dare l’ordine.»
«Il risultato non cambia.»
«Joe!» Steve si
trattiene a stento dal gridare. «Ti sei precipitato sulla scena
del crimine, hai insistito per entrare con noi, hai chiamato
l’ostaggio per nome e hai sparato senza pensarci due volte!»
«Tu avresti agito diversamente?» chiede Joe guardandolo dritto negli occhi.
«Non è questo il punto.»
«E allora qual è?» Steve si passa una mano sulla faccia.
«Il punto è
Joe che non ti lascerò andare finché non mi dirai chi
è quella ragazza e perché ti conosce come Joe Ford.»
E
siamo finalmente arrivati al quarto capitolo! Quattro capitoli e
neanche una recensione. Non riesco a capire se è Joe che non vi
piace oppure la storia in sè : ( Forse è un po' troppo sdolcinata?
Da qui in poi Steve e Danny saranno un po' più presenti - Steve
soprattutto, dato il suo legame con Joe. Purtroppo però ci
sarà da aspettare un po': sto per partire e non avrò
computer e connessione a internet, perciò... aspettateci!
Intanto, per ingannare l'attesa, vi lascio il link alla canzone a cui è ispirata la storia: potete ascoltare Sonny's dream cantata da Ron Hynes qui, oppure la dolcissima cover di Hayley Westenra qui. Fatelo, perchè ne vale la pena!
E niente, se durante la mia assenza vi scappa di scrivermi una recensione... : )
Un abbraccio,
tartaruga
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