Come acqua cristallina

di Francine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Non sono impazzita, tranquilli. O forse sì, lo sono, vista la marea di roba che ho per le mani e che se continua così non finirò mai – ma i miei lettori abituali lo sanno come sono fatta e chiuderanno un occhio, vero? Vero?!
Comunque sia. Avevo voglia di riprendere il fiato e, complice la visione del secondo OAV dei Samurai, mi sono lasciata trascinare dal Ponentino ed ho sfornato questo raccontino senza pretese, dando la parola a qualcuno che qualcosa da dire sul nostro pesciolino ce l'avrebbe eccome. Nella speranza che le fan di Shin non mi lincino, sia chiaro.

E ora, i disclaimer:
Yoroiden Samurai Troopers © Sunrise, Nagoya TV,Tokyu Agency, 1988

Tutto il resto è farina del mio sacco e no, non è possibile ispirarsi né citare questa storia se non previo permesso scritto (parodie comprese), visto che la telepatia ancora non l’ho sviluppata.
Questa è un’opera di finzione, e, come tale, mi sono presa alcune libertà. Spero non me ne vorrete!
Buona lettura!




 


1.

 
 
Destino.
Libero arbitrio.
Il ragazzino ha un cuore puro e limpido. Sincero, come acqua cristallina; ma ha il brutto vizio di riempirsi la bocca di parole di cui nemmeno percepisce la vastità. Il loro significato. La loro reale portata.
Cosa sarebbe questo libero arbitrio, ad esempio? Qualcosa di reale, seppur astratto, o una scappatoia da tirare in ballo quando il proprio dovere diventa un giogo troppo pesante da trascinare per le strade del mondo?

Non lo sa neppure lui, è questo il bello. Non lo sa, eppure è
sicuro che giocare quella carta possa allontanargli una boccata abbondante di fiele da ingollare senza battere ciglio. Lo spera. Nella sua testa, Shin sa che dichiarando quella mossa salverà la partita. Ma qui non stiamo giocando a go. E se davvero così fosse, se bastasse appellarsi al libero arbitrio per farla finita, perché tanto nervosismo? Perché tanta paura? Ha pronunciato quella manciata di sillabe, no? Allora, cos’è che non va?
Il fatto è che, in fondo al cuore, Shin sa qual è la verità. Il libero arbitrio non esiste. O meglio, esiste, ma è poco più che una favoletta per giustificare le scelte che il destino ci porta a compiere. Sono due facce della stessa medaglia, non c’è l’uno senza l’altro.
Solo, Shin non vuole accettare questa verità. Perché la verità fa male. Ti sorprende, come la marea che si alza all’improvviso e gioca con la tua barca come se fosse un
origami leggero leggero. La verità uccide. Può farlo lentamente, con dolcezza, instillandoti nell’anima la convinzione che, seppur sgradevole, è giusto che i tuoi passi seguano quel percorso, quella strada fino in fondo, ovunque sia la meta da raggiungere.
Oppure, può esplodere davanti ai tuoi occhi, ed accecarti, come fa la luce del sole quando filtra dalle nuvole.

Cosa fai, quando la vita chiama il tuo nome?
Pesti i piedi, impuntandoti come un moccioso petulante che non vuol finire la cena, oppure ricacci indietro i brutti pensieri, stringi i denti e prosegui per la tua strada?
Un guerriero sceglierebbe la seconda via. Chiuderebbe il proprio io dentro alla corazza impenetrabile del dovere e andrebbe avanti, ché la via del guerriero è la battaglia. Quando lei chiama, lui risponde, il cuore calmo e sereno e imperturbabile, come l’acqua dello stagno.
Il problema è che Shin si trova nel mezzo della corrente; non è più un moccioso, ma non è ancora un guerriero. O meglio, lo è stato. Ma l’ozio e la pace sono veleno per il cuore di un guerriero. Lo ammorbidiscono, come fa l’acqua con il riso o le macchie di fango. E cosa resta, poi? Una poltiglia ingestibile, qualcosa che non sai da che parte iniziare a risolvere.
Un pasticcio. Un’inutile complicazione. E allora è forte la tentazione di tornare indietro, quando tutto era più facile e non c’erano parole come dovere, onore e lealtà ad appesantirci l’anima.

Sarebbe bello, sì. Ma quello è il passato. Non c’è più. Quell’acqua è già andata a valle, verso la foce. E noi siamo nel mezzo, la vita che ci scorre accanto e ci chiama, a domandarci per quanto tempo ancora continuerà a ripetere il nostro nome. E che cosa accadrebbe se decidessimo di affidarci al libero arbitrio e restare sordi al suo appello. Ci lascerebbe in pace? Funzionerebbe? Ma è davvero questo, quello che la nostra anima desidera? Perché se è così, basta scendere da cavallo ed è fatta.
Ma la verità è che no, non funziona così, ché nel cuore dal guerriero, seppur sopito, resta l’anelito alla battaglia. È un richiamo cui non si può resistere. E quando il cuore non risponde – per paura, per codardia o per imbecillità – è la corazza a farsi avanti e a spingere il proprio guerriero, come farebbe una madre premurosa con un figlio complicato che ha deciso di giocare con forze che non riesce ancora a governare.
E l’Acqua è così. Ha bisogno di argini entro cui scorrere, di confini da non valicare. Mai. Per nessun motivo al mondo. Non ha la leggerezza dell’Etere o l’impalpabilità della Luce. L’Acqua esiste, pur se scorre via in mille rigagnoli appena ne ha l’occasione. Ma se non le dai una forma, se non ne plasmi l’immagine – se lei non si lascia plasmare – l’Acqua può diventare una seccatura non indifferente. Un pericolo. Qualcosa che una persona sana di mente eviterebbe, a patto di non voler scaricare quell’energia devastante contro il nemico – e anche in quel caso, si saprebbe, poi, ricondurre l’Acqua a più miti consigli?
Qualcosa che un guerriero dovrebbe saper gestire, ché i punti deboli sono un’arma micidiale nelle mani del nemico. Soffia sulle braci, poi vediamo se non scateni un incendio devastante. Rompi un argine, e poi vediamo se il mite torrente non straripa e si porta appresso tutto, la tua casa, il tuo orto, il tuo pollaio. Te.

Shin lo sa?, questa è la domanda. E la risposta è no. Non lo sa perché il suo cuore ha rotto argini troppo serrati. È arrivata la piena. Doveva succedere, prima o poi, ché troppa pioggia ingrossa il torrente. Ma anche questo è crescere. Affrontare i propri punti deboli e saperli disinnescare. Accettarli. Riconoscerli. Batterli. Ché chissà quante volte ancora la piena ingrosserà l’anima dell’Acqua. E allora dovrà essere pronto. E agire, prima che sia troppo tardi.
Si dice che per sconfiggere certe malattie, si debba lasciar loro campo libero per un po’. Farle peggiorare, cosicché le medicine sconfiggano loro e non fiacchino il corpo inutilmente. Toccare il fondo, per poi risalire. E allora sia. Anzi, sarò sincera: questa situazione mi mette curiosità. Curiosità di vedere cosa farà questo ragazzino testardo quando lo toccherà davvero, il fondo della sua anima, quel pozzo oscuro in cui si è tuffato di testa blaterando di sciocchezze come il destino e il libero arbitrio.
Faccia pure, io non ho fretta. Anzi. Ho tutto il tempo del mondo.


 



Yoroiden Samurai Troopers © Sunrise, Nagoya TV,Tokyu Agency, 1988. Grafica ® Francine.




Note:
 Due spiegazioni due. Questa storia non avrebbe mai visto la luce se non mi fossi decisa a seguire il suggerimento di SoltantoUnaFenice e non avessi dato una chance a questi cinque ragazzotti.
Questa storia nasce dalla visione del secondo OAV, Kikoutei Densetsu, e dalla mia volontà di fare pace con Shin, da me ritenuto, in passato, un clone castano di Shun di Andromeda.
Così mi sono chiesta cosa ne pensasse la povera Suiko, di tutto quel baillamme che si agita nella testa di Shin. Questa è la mia risposta. In punta di piedi, s'intende.

Il go è un gioco di origine cinese simile alla nostra dama, molto popolare in Giappone e nell'Asia Orientale.

Con origami si intendono quelle ocmposizioni create piegando la carta, in modo da farle assumere le forme più diverse e disparate. Anche in Italia abbiamo una forma di origami, quella delle barchette create piegando i fogli di giornale, i quali fogli, se cosparsi successivamente di colla vinilica, potevano galleggiare sul pelo dell'acqua delle fontane dei parchi.

Mi sono permessa due correzioni ai nomim delle armature. Preferisco Acqua a Torrente (che pure riprende correttamente il senso dell'acqua che scorre) e decisamente Luce al posto di Ninbo (che tra l'altro è anche scorretto grammaticalmente. Siamo sicuri che sia proprio Ninbo?).

Coffee anyone?  

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Capitolo 2
*** 2. ***


 


2.

 
 
Quando una relazione arriva al capolinea, c’è sempre chi se ne va e chi resta a guardare i cocci. E a nulla valgono le lacrime, le promesse, le suppliche. Chi chiude una relazione – quale che sia la sua natura – mette il punto e volta pagina, pronto a vivere un’altra vita, sotto un altro cielo, assieme a facce diverse; nel suo cuore quell'esperienza è già conclusa. Finita. Una cosa che appartiene al passato, mentre la vita ti impone di pensare all’adesso. La vita è adesso. E Shin ha tutta l’intenzione di scrivere un nuovo capitolo della sua esistenza assecondando il proprio estro e la propria inclinazione. La pace. La calma. La serenità. Questo vuole. E questo otterrà, anche a costo di bruciarsi entrambe le mani. Quant'è vero che il sole sorge ad est.

Quando raggiunge il pontile, ha il fiato corto e scie d’argento lungo le guance. Il sole si specchia sulle acque placide dello stagno, un’arancia rossa carica di succo, pronta da spremere.
Di solito gli piace l’ora del tramonto, quando il mondo si ammanta di una livrea dorata e calda, quasi a voler tranquillizzare gli uomini che va tutto bene, che il sole sta andando a farsi una passeggiata, ma che domani mattina sarà di nuovo lì, al suo posto, a splendere nel cielo azzurro per un’altra, fantastica giornata. Promesso. Croce sul cuore.
Ma stasera, la luce soffusa che precede il crepuscolo ha un retrogusto amaro, per Shin. Come se il ragazzo sapesse che no, il sole non sorgerà domani. E anche se il sole volesse fargli un dispetto e sorgere lo stesso, niente sarà mai più come prima. Si è rotto qualcosa, in lui. Un argine che non pensava avrebbe mai potuto cedere. E invece, l’ha tradito. Il suo cuore, l’ha tradito. E i suoi pugni hanno fatto il resto.
 
«Io sono un uomo!»
Touma gli ha regalato uno sguardo perplesso, nemmeno gli fosse spuntata una seconda testa o gli avesse rivelato chissà quale segreto sconvolgente. Touma non ha capito il senso del suo discorso. O forse sì? Touma non capisce sempre tutto, arrivando alla soluzione prima degli altri?
Sì. Oh, sì.
Ogni. Santa. Volta.
Ma oggi è diverso. Oggi Touma non sta aspettando che lui ci arrivi da solo a dare un nome a quello che gli piomba il cuore, nossignore. Touma non può capire, tutto qui, perché i sentimenti umani sono un ventaglio dai bordi affilati. E se non lo si maneggia con la dovuta attenzione, ci si ritrova con l’anima in due.
Nessuno può capire, fino in fondo, cosa si agiti nel cuore di Shin – una tempesta di marosi ululanti e ondate che schiaffeggiano gli scogli con la violenza di un’amante ferita ed abbandonata – perché Touma e Shu e Nasty e Jun – perché i suoi compagni – non sono lui.
Non hanno le sue esigenze, i suoi desideri, le sue angosce.
E anche se così fosse, il cuore è un caleidoscopio che varia da persona a persona. E quello di Shin è stanco. Di abbozzare, di smussare, di comprendere. Shin vuole ribellarsi, vuole poter decidere da sé quando e perché scendere in battaglia, e non obbedire alla cieca quando la sua anima – la sua armatura – vibra, chiamandolo per nome. E vuole farlo adesso. Adesso o mai più. Prima che chini di nuovo la testa e faccia quello che si deve fare – quello che tutti si aspettano da lui.
Questo significa incarnare la Fiducia. Sapere che la persona accanto a te sarà pronta ad aiutarti, a tenderti una mano e a coprirti le spalle. Sempre e comunque. Ma anche la Fiducia ha dei limiti. E può stancarsi. E magari perdersi per qualche sentiero poco battuto, inseguendo un banco di pesci o la scia luminosa di una medusa. E spegnersi, come una fiammella che traballa, indecisa se arrendersi al prossimo alito di vento, o se intestardirsi a consumare uno stoppino arrivato al capolinea.
Suiko gli è scivolata via, sgusciando tra le dita, chissà dove e chissà quando. Lasciandolo a scoprirsi le tasche bucate, stracciate, vuote. Senza niente in mano. Nemmeno le briciole.

«Questo è un addio.»
La voce è dura, come una pietra tombale. Grave, attraversa la sua gola sgorgando dal cuore. Stringe la mascella, mentre osserva la bellezza delle piastre della sua armatura. Una volta trovava serenità in quell’azzurro carico, tale e quale al colore del mare d’estate, quando la spiaggia si riempie di turisti e lui può starsene in ammollo a godere del vento, del calore del sole sulla pelle, dell’abbraccio dell’acqua, sotto di sé. Quando esce con la sua tavola ed affronta le onde, cavalcandole come si fa coi cavalli selvaggi. Non per domarle, no, ché il mare non lo argini, nossignore; ma per sentirsi parte di quella massa liquida che batte e leva contro la sabbia, chiamando il suo nome.
Ma adesso, quell’elmo, quel corpetto, quei gambali sono pesanti come piombo. La sola vista di quella corazza gli appesantisce l’anima e gli riempie i polmoni di tristezza. Soffocherà a breve, ma la smetterà solo quando l’aria inizierà a bruciare. Quando farà male.
Ma può far più male di così?, si chiede. Scoprendo, l’istante successivo che sì, può far ancora più male. La mano destra di Shin si chiude, come a voler richiamare la propria sfera a sé, quasi a volerle dire «Abbiamo scherzato.» e concludere lì la questione. Un litigio tra amanti, quando volano parole grosse e si resta senza fiato e si comprende che, per quanto la situazione si complichi, nessuno potrà fare a meno dell’altra. Ma per sapere certe cose, devi averle toccate con mano, altrimenti non ci credi. Ed è questo ciò che fa Shin.

Tira e sé il suo pugno e poi lo rilascia.
E l’armatura si scompone. Davanti ai suoi occhi. Con una lentezza abbacinante.
Shin ha la precisa sensazione che tutto, attorno a lui – lo stagno, la foresta, il cielo, il sole, il vento – stia trattenendo il fiato mentre i pezzi della sua corazza si separano e cadono in acqua, uno dopo l’altro, increspando la superficie dello stagno ed il riflesso del sole con una serie di cerchi concentrici.

Ploff.
Ploff.
Ploff.


L’acqua si richiude sopra la sua corazza, come a volerla abbracciare e proteggere – come a volerla consolare – mentre Shin osserva immobile la scena dall’alto del pontile. Quando anche l’ultima bolla d’ossigeno esplode in superficie – uno scoppio silenzioso, che le orecchie di Shin non percepiscono, tanto forte batte il suo cuore – sullo stagno cala un silenzio di piombo. 

 



Yoroiden Samurai Troopers © Sunrise, Nagoya TV,Tokyu Agency, 1988. Grafica ® Francine.




Note:
In realtà, stavolta non ve ne sarebbero di note vere e proprie, ma la faccetta di Shin è così pucciosa che non me la sono sentita di saltare questa parte.

A pensarci bene, una nota ci sarebbe. Il ventaglio, (鉄扇 Tessen) era un'arma dei samurai. Avete presente Daitarn III? Ecco.
Ne esistevano vari tipi e di tutte le dimensioni. Si utilizzavano per impartire gli ordini alle truppe o per proteggersi dalla pioggia delle frecce degli arcieri. E poi era il massimo della sciccheria per un samurai portarne uno infilato nell'obi...

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