Our Stories

di Eleanor_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** The eternal fight: teenagers against adults ***
Capitolo 3: *** Sometimes it's hard to accept the truth ***
Capitolo 4: *** Unexpectedly ***
Capitolo 5: *** It is better not to know ***
Capitolo 6: *** Lies ***
Capitolo 7: *** One More Attack ***
Capitolo 8: *** It's party time (or maybe it isn't) ***
Capitolo 9: *** Changes ***
Capitolo 10: *** Confusion and Tears - Dominique's POV ***
Capitolo 11: *** Feelings ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


Titolo: Our Stories (come già detto, molto probabilmente cambierà).
Genere: FanFiction su Harry Potter.
Contesto: Fine della guerra magica, esattamente 23 anni dopo.
Personaggi: Rose e Hugo Weasley, Dominique, Louis, Fred, Roxanne Weasley, Albus, Lily e James Potter, Scorpius Malfoy, Lorcan e Lysander Scamandro, Axel Paciock (figlio di Neville), un sacco di nuovi personaggi, sporadicamente i genitori, Teddy, Victoire, Lucy e Molly (che hanno già finito la scuola).
Coppie: Rose/Scorpius, James/Dominique, Teddy/Victoire, Albus/Nuovo personaggio.

 


Prologue
 

Un libro che lascia il lettore uguale a com’era prima di leggerlo è un libro fallito.
(E.M. Cioran)
 


Voglio specificare fin da subito che questo non è un vero e proprio prologo. Sarebbe più una “nota dell’autrice”, ma andiamo, la parola prologo fa più effetto.
Ora, lasciando da parte le mie instabilità mentali, volevo raccontare brevemente l’idea che ho per questa Fan Fiction.
Sarà scritta al presente, perché penso che raccontare i fatti mentre accadono faccia sentire il lettore molto più coinvolto nella storia; inoltre sarà raccontata in prima persona da Rose Weasley, il personaggio che più mi intriga della nuova generazione. Comunque, saranno presenti anche diversi Point Of View.
Questa FF contiene molti riferimenti a canzoni, libri, luoghi e articoli odierni.
La storia si svolge tra il 2021 e il 2022, anche se ho cercato di immaginarmi un futuro non troppo diverso dal nostro presente.
All’inizio di ogni capitolo si troverà un pezzetto di una canzone che per me è molto significativa.
Scusate eventuali errori ortografici e lessicali. Sono la prima a trovarli orripilanti, però ammetto che qualche volta possono capitare.
Come ultimo avvertimento volevo aggiungere che io sono una persona tremendamente disordinata e ritardataria. L’ispirazione arriva nei momenti più impensabili e alquanto sgradevoli, quindi non so ogni quanto pubblicherò un capitolo e soprattutto se sarà una bella storia, o perlomeno una storia che segue un filo logico.
Ringrazio infinitamente chiunque avrà l’ardore e la forza di spirito di leggere questo mio piccolo sgorbio.
Infine la dedica, che come quella scritta su “I Doni della Morte”, è divisa in sette parti:
Dedico questa Fan Fiction a chi ha sempre creduto in me e a chi continua farlo, ogni giorno di più: a mia mamma, mio papà e mio fratello. La dedico a mia prozia e ai nonni (che sono una cosa sola).
E ultimi, ma non per importanza, la dedico a mio zio e mio prozio, che ci hanno lasciati troppo presto, ma dei quali ricorderò sempre i contagiosi sorrisi, indelebili nella mia mente.

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Capitolo 2
*** The eternal fight: teenagers against adults ***


The eternal fight: teenagers against adults
 

‘Cause I’m taking back what’s mine,
I am taking back the time
You may call it suicide
But I’m being born again
I’m waiting
-Days Are Forgotten, Kasabian
 
 


«Mamma, solo un messaggio. Uno» imploro, per la centesima volta solo quel pomeriggio.
«Rose, la scuola inizia tra due settimane. I tuoi amici li rivedrai là» risponde esasperata mia madre.
«Penseranno che sia morta» ribatto io, sempre più convinta che non la persuaderò mai.
«Saranno molto felici di rivederti viva, suppongo» ride, tutta divertita, continuando ad impastare gli ingredienti della torta che sta per infornare.
Sono seduta al tavolo della nostra cucina da diverse ore, ormai, aiutandola con quel maledetto dolce. Mi ha tenuta segregata in casa praticamente tutta l’estate, in punizione, e mi costringe ad aiutarla in tutte le faccende domestiche. E per tutte, intendo proprio tutte : pulire il bagno, andare nell’orto a raccogliere la verdura, dividere la spazzatura, ripulire la grondaia dalla merda di uccello, e così via.
Cosa ho fatto di tanto grave per meritarmelo? Be’, ho semplicemente “provocato disturbi e disordini”, come li definisce lei, e non ho avuto dei voti molto alti, durante l’anno precedente.
“Se t’impegnassi, Rose, saresti la strega più brava della tua annata, come me!” mi ripete con molta modestia ogni volta che le faccio capire che io, di studiare, non ne ho la minima voglia.
La guardo di sottecchi per un momento, per capire ciò che la gente ci trova nella brillante e dotata Hermione Granger. Grandi occhi castani, quasi ambrati, contornati da ciglia lunghe e scure, capelli ricci e bruni che le arrivano appena sopra le spalle, una bocca sottile, così come il naso, e gli zigomi alti. Una donna come tante, alla fine, ma con un che di particolare. Non è alta ed è abbastanza esile ma c’è qualcosa nel suo modo di camminare, di parlare, di fare tutto ciò che fa, che le conferisce un’aria autorevole.
Devo ammettere comunque, che nonostante abbia quarantadue anni, sia una bella donna. Sì, okay, è mia madre, ma io dico le cose come stanno.
«A quanti gradi?» mi chiede.
«Trecentoventi1, per quaranta minuti» leggo distrattamente il foglietto su cui è stata velocemente scribacchiata la ricetta.
«Benissimo. Oh, tesoro, mentre aspettiamo che la torta si cuocia, va’ fuori a buttare la spazzatura e pulisci la cucina: è un disastro» ordina, mentre inforna il dolce.
«Ma… mamma! Non posso sempre fare tutto io!» protesto, alzandomi di scatto dalla sedia. Detesto quando con una finta noncuranza calcolata mi impone di eseguire le faccende più repellenti, trattandomi al pari di una domestica.
«A scuola per causare disturbi e disordini – ecco, appunto – ce l’hai fatta benissimo, e veniva tutto dalla tua testolina, inoltre» dice, falsamente delusa, incrociando le braccia al petto.
«Quando la smetterai di rinfacciarmi quello che ho fatto?» sibilo, strizzando gli occhi.
«Quando tu non mi darai più motivi per farlo, cara.»
Quanto odio quando fa così! Con i suoi “cara, amore, tesoro, piccola, Rosie, cucciola” del cavolo. Che ipocrita.
Sbuffo rumorosamente ed esco dalla cucina sbattendo la porta. Prendo il sacco nero che mi attende malamente disteso sul pavimento del portico e mi incammino, attraverso il vialetto del giardino, per arrivare al marciapiede.
Alla fine, lo devo ammettere, andare fuori a buttare la spazzatura non è così male. Sono i pochi e rari momenti che posso trascorrere all’aria aperta in solitudine, fuori dalle mura di casa mia, cosa che non mi è praticamente mai concesso di fare. Escludendo le volte in cui la strega mi costringe ad andare a fare la spesa al supermercato vicino.
I “disturbi e disordini” che ho combinato a scuola, parlando francamente, non erano tanto gravi da rinchiudermi per l’intera estate. Erano scherzi, e io sono ancora una ragazza. Entrare nelle cucine per rubare un po’ di cibo, nuotare nel Lago Nero, dare una festa che dura fino alle tre di notte sono divertimenti che solo quando si è ragazzi ci si può permettere.
Oh, ma c’è di peggio: lei pensa che io fossi sola. Non le ho detto però che ad organizzare tutto questo c’erano anche i miei cugini Albus, James, Dominique, mio fratello Hugo e i miei migliori amici. Infatti sono stati puniti come me solamente Fred e Roxanne, i cugini su cui è più facile far ricadere la colpa per via della loro sfrenata passione per i guai e l’indole ribelle. Lo trovo non solo ingiusto, ma anche umiliante, dal momento che le mie amiche e i miei cugini hanno passato tutte le vacanze a divertirsi e a cazzeggiare, mentre io mi sono dovuta studiare l’intero programma scolastico dell’anno scorso per recuperare i debiti e parargli il fondoschiena.
«Che vita di merda» sbuffo, lanciando il sacco al di là della strada, il quale, naturalmente, si rompe e si rovescia sul marciapiede, facendo uscire lattine vuote di tonno, plastica unta e barattoli puzzolenti. Arricciando il naso rimetto tutto dentro e approfitto dei pochi minuti di libertà concessi per farmi una passeggiata.
Brentford d’estate è una città bellissima: il Tamigi, che scorre accanto al Gallows Bridge, riflette il sole luminoso e la sua acqua è limpida e pulita quasi solo in questa parte di Londra. Gli alberi fungono da ombrelloni alle panchine rosse di vernice smorta appoggiate al loro tronco e le strade grigio scuro sono pulite. Le case, la maggior parte rosse, rendono il paesaggio più fantastico: con i loro fiorellini bianchi e blu che abbelliscono le facciate di ogni abitazione, sembrano essere la cornice di una qualche fiaba babbana.
Svolto all’angolo tra Harrow Dene e St. Paul e percorro la lunga Westwood Road, costeggiata da negozietti di varie dimensioni per poi entrare nella libreria costantemente affollata della signora Morgan dove, da piccola, passavo la maggior parte delle mie giornate estive.
«Buon pomeriggio, signora Morgan» saluto, chiudendomi la porta alle spalle.
Il grande spazio completamente occupato da scaffali, tavolini e mensole ospita le più varie razze e specie di libri. A una mezza decina di metri da dove mi trovo c’è la cassa, ricoperta da cianfrusaglie e souvenir. Dietro al bancone c’è la padrona del posto, una donna florida e vivace, con gli occhi neri e vispi. La signora Morgan si toglie gli occhiali da lettura e solleva la testa, squadrandomi con aria perplessa. Quando capisce finalmente chi sono, inizia ad urlare: «Rose! Zuccherina!» e corre ad abbracciarmi, neanche fossi sua nipote.
«Anche per me è un piacere rivederla» dico a mezza voce, sgusciando fuori da quell’abbraccio spaccaossa. Voglio bene alla libraia, ma quanto a dimostrare il proprio affetto, non abbiamo lo stesso punto di vista.
«Non ti vedo da tutta l’estate! Che fine hai fatto?»
«Ho combinato un po’ di casini a scuola e mia madre mi ha messa in punizione» le confesso grattandomi la nuca imbarazzata, reprimendo a fatica gli istinti omicidi.
Lei scoppia in una fragorosa risata, contenuta non appena si accorge dell’ingresso di alcuni ragazzi diretti all’area fumetti.
Mi avvio verso il bancone e vi appoggio di gomiti, mentre lei fa il giro del tavolo e torna a sedersi sulla sua immensa sedia girevole, che scricchiola sotto il suo modesto peso.
«Solo per questo? Tua madre è stressata dal lavoro?» chiede, continuando a ridere. La signora Morgan è una persona che ride un sacco.
«Perché?»
«Insomma, ne hai combinate di peggiori, ma allora non ti ha tenuta chiusa in casa per mesi! Ora, mettiamo anche che fossi una bambina, però non è mai stata così severa.»
Ci rifletto un attimo e realizzo che ha ragione. Mia madre è molto presa dal lavoro in questo periodo ed è nervosa: si arrabbia per le cazzate più stupide, ultimamente anche con Hugo è rigida e non è proprio un mistero che lui sia il preferito di mamma. Perfino con mio padre litiga. Perlomeno, più spesso del solito.
«Ha ragione… proverò a parlarle» mento. Voglio liquidare il discorso in fretta, comprare un libro e arrivare a casa prima che mia madre si domandi dove sono finita. D’altronde devo ripulire la cucina, non posso assolutamente fare tardi.
La donna sorride e mi fa l’occhiolino.
Mi dirigo a grandi passi verso la zona che vende romanzi stranieri e inizio la mia ricerca: so esattamente cosa voglio. Seguo l’indice alfabetico e trovo immediatamente il libro che cerco, lo prendo e lo sfoglio, poi lo porto alla cassa.
La signora Morgan si guarda attorno: nella stanza ci sono solo tre ragazzi babbani che parlano dell’ultimo videogioco uscito, Assasin’s Creed, e un paio di ragazze che sussurrano e ridacchiano a bassa voce. Nessuno dei due gruppi sembra prestarci molta attenzione.
La donna sussurra velocemente: «Venti Falci.»
Frugo nelle tasche ed estraggo i soldi magici. Mia madre ovviamente non sa che possiedo ancora delle monete, per cui cerco di tenergliele nascoste.
La libraia ritira i soldi e li fa scivolare dentro una tasca della gonna.
«Mm… Anna Karenina… autori russi, eh? » commenta.
«Voglio provare un genere nuovo» ribatto, scrollando le spalle. «Ora vado, signora Morgan» la avverto, senza dare ulteriori spiegazioni.
«Vieni a trovarmi presto, che tra poco inizia la scuola e non ti vedrò per molto tempo!» trilla, infilando nuovamente gli occhiali da lettura.
«Cercherò un modo per venirla a trovare, promesso» la saluto, e poi esco dal negozio, iniziando a correre, col libro infilato sotto la t-shirt XL sgualcita che indosso.
Alla fine, al contrario di ciò che pensavo, mantenni la promessa: chiesi spesso a mia madre di permettermi di andare a salutare la signora Morgan, ma lei, sempre impassibile, non me lo permise.
 
* * *
 
«Mamma! Ho quindici anni, cavolo!» urlo, mentre mia madre cerca per l’ennesima volta di stritolarmi in uno dei suoi abbracci troppo formali.
Mi piego a raccogliere il baule proprio mentre lei, con un’ espressione sconvolta, sta per rifilarmi una predica della serie “Rose, per Merlino, ti ho insegnato l’educazione o no?!”.
Giro gli occhi sbuffando, con la certezza che questo mi costerà non meno di una settimana di incazzatura.
«Ciao, mamma, ci vediamo a Natale» le dico, seccata.
Lei sembra quasi non notare il mio tono e si limita a sospirare: «Se non ti mando in collegio prima.»
Sto per darle una risposta da non dover mai dare alla propria madre, ma per fortuna, puntuale come un orologio svizzero, arriva mio fratello, che mi afferra per un braccio e mi porta via, lontana da mia madre, verso la mia vera casa.
«Rosie, senti, falla finita.»
Ancora più esasperata sbuffo di nuovo e raggiungo il muro della colonna fra binario nove e dieci, a cui mi appoggio, seduta sul mio baule. Accarezzo il mio gatto, Tennessee, che mi concede addirittura un po’ di fusa.
Resto immobile per qualche minuto, con la mano infilata nella cuccetta del gatto, annoiata, senza la possibilità di fare alcunché. Mia madre non mi ha ancora restituito il cellulare, e le do perfino ragione dal momento che sarebbe inutile, poiché a Hogwarts le apparecchiature elettroniche non funzionano.
Mi accascio ancora di più sul mio baule in attesa che accada qualsiasi cosa di più interessante che guardare i babbani e mi strappi dalla noia, ripensando alla sensazione meravigliosa che proverò appena rivedrò i miei cugini e tutti i miei amici. Persino la prospettiva di incontrare Thalia Nott e Destiny Rookwood, le due puttane Serpeverde per eccellenza, ora non mi sembra granché male. Potrei persino ammettere che Connie Marigold, la Corvonero so-tutto-io che l’anno scorso mi ha fatta dannare durante le lezioni che condividevamo a Divinazione, mi manca. Un istante dopo ripenso a quanto detto e un moto di repulsione mi fa cambiare idea.
Sono immersa in questi pensieri, quando un profumo di rose molto intenso mi pizzica il naso e mi risveglia dal mio stato di trance. Prima ancora di sollevare la testa e realizzare ciò che sta succedendo, so che è arrivata mia cugina.
«Rosie!» urla lei, strattonandomi per un braccio per farmi alzare.
«Dom!» urlo io per risposta.
Ci stringiamo in un abbraccio infinito e solo ora mi rendo conto di quanto mi sia mancata mia cugina.
« Sei diventata più alta? » dice, squadrandomi, una volta sciolto l’abbraccio.
«O tu più bassa?» la stuzzico. So che parlare della sua altezza, anche se non esageratamente… bassa, le dà fastidio.
Lei si esibisce in uno sei suoi sorrisi del tipo che potrebbe fare la pubblicità di un dentifricio, e io riesco ad osservarla meglio. Ovviamente è bellissima, e lo è proprio perché tenta di mascherare questa sua bellezza innata: porta i capelli lisci e biondo platino raccolti in uno chignon malamente appuntato sulla testa. Gli occhi azzurri, del colore del ghiaccio, mostrano sempre la parte più debole e fragile di una ragazza che da fuori sembra sprezzante e tosta. Non sono freddi, bensì distanti e con una sorta di velo malinconico-nostalgico che ormai riesco ad associare solamente a lei, la persona che mi è sempre stata accanto, dalla culla a questa parte. La sua bocca è ancora schiusa in un sorriso che ora si è fatto timido, ma si riesce ancora ad intravedere il canino decorato da un brillante. Ha le guance tinte di un naturale rossore, tipico del gene Weasley, anche se lei, di Weasley, ha veramente poco.
Essendosi sempre sentita, come Roxanne, d’altronde, più simili alle madri e quindi non propriamente parte dell’omologata banda Weasley, Dominique, da quando la conosco, non solo vuole evitare a tutti i costi di ottenere le attenzioni che tutti sembrano rivolgerle, ma inoltre ha sempre tentato di emanciparsi dall’ideale di bellezza eterea che le viene attribuito. È per questo che non indossa mai nulla di vistoso, appariscente o lontanamente seducente, si passa appena un velo di trucco sul viso e preferisce lasciare i suoi capelli allo stato brado piuttosto che lisciarli con la piastra o pettinarli.
«Saliamo sul treno, di corsa!» dice, notando l’ammasso di persone che si sta lanciando sulle porte dell’Espresso scarlatto.
Io annuisco, non riuscendo però a togliermi un sorriso ebete dalla faccia.
Con una mano stretta nella sua e l’altra che trasporta la gigantesca valigia munita di cuccia per gatto, non è facile destreggiarsi con dignità fra la gente. Più di una volta, infatti, inciampo sui miei stessi piedi.
Tentiamo di farci spazio tra la folla di persone che occupa la traversina per raggiungere l’ingresso al Mondo Magico e che, facendoci anche da scudo, non nota le due ragazze che stanno attraversando la barriera tra due binari.
Una volta dall’altra parte, lascio la mano di Dominique e sento la familiare sensazione di vuoto allo stomaco che mi coglie ogni volta in cui mi trovo qui, pronta a raggiungere la mia seconda casa.
Mi guardo attorno, non riuscendo ad evitare di sorridere: sono finalmente il binario nove e ¾, il primo segno della mia libertà.
Mio fratello raggiunge poco dopo la mia postazione, ma prima di potergli parlare, lui sguscia via, raggiungendo il suo gruppo di amici. Mi sembra quasi impossibile che il mio fratellino minore a cui sono tanto legata stia veramente per cominciare il suo terzo anno ad Hogwarts. Come, d’altra parte, mi sembra impossibile che io stia veramente per cominciare l’anno in cui dovrò sostenere i G.U.F.O. Il panico mi travolge come un’onda, ma tento di ricacciarlo indietro.
Cercando di spingere meno persone possibili, mi faccio spazio tra i corpi, seguendo i passi di Dominique. Quando trovo un piccolo spiazzo libero, appoggio il mio bagaglio e guardo torva tutta la gente che sta ammucchiata davanti agli ingressi del treno.
«E noi come cavolo facciamo a passare?» grugnisco.
Tra le varie persone, le quali indossano vestiti coloratissimi, noto le inconfondibili capigliature rosse tipiche della mia famiglia: Lily, ad una debita distanza dai suoi fratelli maggiori, mio padre, che non so come abbia fatto a raggiungere il Binario prima di me, zia Ginny, nonno Arthur, meravigliato e con gli occhi lucidi, e persino Molly.
C’è qualcun altro di familiare però: una ragazza che indossa un leggero vestito viola a fiori con i capelli castani ed estremamente ricci raccolti in una traccia.
Spalanco la bocca in un’espressione che deve sembrare molto idiota ma non ci bado.
«Jadie?» dico in tono indeciso, e la ragazza, come se l’avessi urlato, si volta.
Non passa nemmeno un secondo che ci corriamo incontro e ci stringiamo in un abbraccio ancora più infinito di quello precedente con Dominique.
Un’intera estate senza vederci, senza sentirci, senza contatti è troppo per lei, che inizia a singhiozzare debolmente.
«Eddai, Jadie, non vedi che sono viva?» la rassicuro, accarezzandole la schiena e affondando il viso nella sua spalla.
«Ma io pensavo fossi morta! Ti giuro, se sapessi come Smaterializzarmi, sarei venuta immediatamente da te!» urla.
Io rido, perché sono certa che l’avrebbe fatto davvero.
Sciogliamo l’abbraccio e ci guardiamo in faccia per un attimo. Prima di poter dire qualcosa lei mi sussurra: «Mamma mia, quanto non sei cambiata. Ti aspettavo smunta, dimagrita, fiacca. E invece sei tu.»
Le tiro uno schiaffo in testa stizzita, lei mi fa la linguaccia e si sistema la borsa sul fianco, quasi nevroticamente. Saluta affettuosamente Dominique e poi ci fa segno di seguirla. Trascinandomi dietro la valigia, montiamo sul treno tutte e tre e occupiamo un posto fra le prime cabine dell’Espresso, vicino alla carrozza del conducente. Mentre aspettiamo che qualcuno dei nostri amici e i miei cugini si uniscano a noi, iniziamo a parlare di ciò che abbiamo fatto durante l’estate. Dominique si è defilata velocemente alla ricerca del suo ragazzo e ci ha lasciate sole. Non appena Jade comincia a raccontarmi delle sue avventure estive, mi accorgo, come temevo, di non avere praticamente nessun argomento di conversazione. Cosa dovrei dirle? Che per tutta l’estate ho pulito tetti e scrostato forni? Che le uniche “feste” a cui sono andata sono state le riunioni del vicinato, una volta al mese?
«Hermione mi ha tenuta chiusa in casa. Tutta. La maledetta. Estate. Se ti dico che non ho fatto nulla, letteralmente non ho fatto nulla» ribadisco, irritata.
«Scusa. Posso dirti solo un’ultima cosa? Piccola piccola » implora Jade, con gli occhi grandi che esprimono un vero desiderio di parlare.
«Dimmi.»
«Quest’estate, e non so come abbiano fatto ad avere il mio numero, mi hanno scritto Liam Simons, Joel Weetmore e due ragazzi di Tassorosso. In più, cosa più importante, indovina un po’ con chi sono uscita…!» scoppia, con gli occhi che brillano. Senza attendere la mia risposta riprende: «Albus! Ma ci credi?! E mi ha anche baciata!»
« Cosa?! Veramente?! » le domando, strabuzzando gli occhi. Sono sorpresa, seriamente: a Jade piace mio cugino dall’anno scorso. Sono pure amici, solo che lui, più di tanto, non ha mai parlato dei suoi sentimenti, nonostante siano usciti più di una volta.
Jade ha un sorriso enorme stampato in faccia. Magari ci fosse un ragazzo che fa questo effetto anche a me. Be’, in realtà c’è, però…
«Ho anche degli scoop sulla Nott, ma ti racconterò più avanti» aggiunge.
«Usciamo un momento?» chiedo.
«Per fare cosa?» risponde, masticando una Bolla Bollente.
«Voglio vedere se c’è David da qualche parte, per salutarlo» butto lì, con indifferenza.
«Scommetto che è quello che ti è mancato di più quest’estate, eh?» sorride con malizia.
«Jade! È un mio amico e basta, chiaro?» sospiro.
«Sì, sì, amico…»
Sbuffo ed esco dalla cabina, incrociando gli occhi tanto per farle capire che sono piuttosto seccata.
Camminando lungo il corridoio, percorrendolo fino alla fine, mi rendo conto ancora di più di quanto mi sia mancato tutto questo: il rumore che fanno i miei compagni di scuola, le facce familiari dei ragazzi che frequentano la mia stessa classe, le risate dei primini, le parolacce e le battute sporche di quelli più grandi, le mie compagne di dormitorio…
«Celeste!» urlo alla mia coinquilina, e amica più cara.
Lei si volta di colpo e sembra un po’ sconcertata nel trovarmi, come tutte le persone che ho incontrato finora, viva e vegeta.
«Rose!» mi fa eco, stringendomi in un abbraccio. «Oh Merlino, stai bene! Non mi hai mandato nemmeno un messaggio quest’estate. Dove diamine eri finita?»
«Scusa, ti racconto per bene stasera, promesso» mi difendo.
«Ci conto! Ehi, ciao Jade» saluta lei, appena nota la ragazza accanto a me.
«Ciao» risponde freddamente l’altra.
Celeste sembra rimanerci davvero male per la risposta gelida ma fa finta di niente e chiede: «Vi va di stare con noi? Ci sono anche Belle e Maggie»
«Grazie, ma Jade ed io stiamo nella cabina là infondo ad aspettare i miei cugini» le spiego mortificata. «Mi dispiace.»
«Nessun problema. Ci vediamo a cena» mi sorride, per poi chiudersi la porta scorrevole alle spalle.
Prendo Jade per un braccio e la trascino lungo il corridoio
«Adesso tu mi spieghi che cosa cavolo hai contro Celeste» ordino, non contando sul fatto che me lo dirà subito.
«Credo sia una persona falsa» risponde schiettamente.
Più facile del previsto.
«Cosa? Celeste falsa?» rido.
«Sì, e pure molto approfittatrice» dice, come a sfidarmi.
«Ma come ti viene in mente? Non la conosci neppure!» sbotto, al limite dell’esasperazione.
«Non so spiegartelo, sono cose che si sentono a pelle. Non mi è mai andata a genio quella ragazza.»
Incrocia le braccia al petto, come a sfidarmi a ribattere.
«Jade, finiscila. La conosco da sette anni, forse di più, e non ho mai dubitato della sua sincerità.»
«Ne sono convinta, ma ti sto solo avvertendo di stare attenta. Il modo in cui si comporta, tutti quei sorrisi rivolti a chiunque… Sono frutto di un’ipocrisia ben calcolata.»
Non riesco a trattenere una risata scettica e seccamente chiudo il discorso.
«Non è che sei solo gelosa?» le domando, alzando un sopracciglio e dirigendomi verso il nostro scompartimento.
«Di chi? Di te?» Scoppia a ridere e poi aggiunge, sinceramente sorpresa: «Perché mai dovrei, so di essere la tua migliore amica!»
«Non mi azzarderei mai a distruggere questa tua convinzione, allora» ghigno divertita, anche se in realtà quello che ha detto è del tutto vero.
Entrambe facciamo cadere il discorso.
«E David?» domanda, raggiunta la nostra cabina.
«Lo vedrò a scuola, in ogni caso» assicuro.
Appena entriamo nel nostro scompartimento, vedo che Dominique è tornata, e assieme a lei c’è qualcun’altro: Albus e Lily si sono uniti a noi, occupando l’intero spazio all’interno.
«Albus!» sorrido con enfasi al mio migliore amico, nonché cugino preferito, che prima non avevo visto, al binario.
«Rosie!» mi risponde lui con un sorriso e mi abbraccia, poi guarda alle mie spalle e arrossisce. Saluta impacciato Jade e si siede.
«Che smancerie» soffia Dominique, che è sempre stata gelosa del rapporto che c’è tra me e Albus.
Saluto Lily, che si è truccata gli occhi con un ombretto azzurro cielo, a quanto pare, e poi ci sediamo tutti sui pulciosi e consunti sedili blu, in attesa del familiare suono che ci indica che il treno è in corsa.
 
Le prime ore del viaggio trascorrono tranquille: io e Jade parliamo del più e del meno. A volte si inserisce nella conversazione anche Dominique, con i suoi gossip e i pettegolezzi.
Lily, se ne sta come al solito in disparte, per conto proprio. Albus ha raggiunto i suoi amici poco dopo la partenza da Londra.
«Quel David Lodge, il tuo amico, non capisco cosa ci trovi in lui. Non è nemmeno carino» cinguetta mia cugina quando cominciamo a parlare di Dave.
«Rose è innamorata di lui e sai che l’amore è cieco» mi prende in giro Jade.
«Apriamo l’argomento “infatuazioni”? Sai, qua dentro c’è una persona che sarebbe molto felice di sapere che tu sei cotta di…» non riesco a terminare la frase perché lei mi tappa la bocca e mi trucida con lo sguardo.
«Va bene, va bene, starò zitta! Ma anche tu! Se scopro che Albus lo sa, io ti uccido!» mi minaccia a voce bassissima.
«Ehi! Anche io voglio sapere!» si impiccia Dominique.
«Giura che terrai la bocca chiusa, perché ti conosco, e so che non riesci a mantenere i segreti» la ammonisco.
«Promesso.»
«Bè… non c’è nulla da sapere… tra me e Albus…» confessa sempre a voce bassissima Jade, lanciando un’occhiata a Lily, che a quanto pare trova veramente interessante la sua rivista sul Quidditch.
«Tutto qua? E che male c’è se Albus lo scopre?»
«Shhht! Non voglio che lo scopra, punto e basta!» la zittisce.
«Ok, ok. Ma scusa, non hai intenzione di dirglielo?»
«Non subito. Non so cosa lui provi per me e potrei rovinare la nostra amicizia.»
«Tentar non nuoce, non sai mai ciò che può accadere. Ti ricordo che ti ha anche baciata» dico io, mettendo una certa enfasi sull’ultima parola.
«Sì ma sicuramente ci avrà ripensato.»
«No, credimi che non ci si pente mai di un bacio» assicura Dominique scuotendo la testa.
Qualche minuto dopo, per uno strano scherzo del destino, entra in cabina Albus.
 
Verso le due del pomeriggio, i nostri discorsi vengono interrotti dalla Signora-Del-Carrello, così ne approfittiamo per comprare qualcosa.
«Una scatola di Gelatine Tuttigusti+1» chiedo per prima.
«Una Liquirizia Lingualunga» aggiunge Dominique.
«Mmmh… due Fildimenta Interdentali, per favore» conclude Jade.
La signora ci porge con un sorriso il pacchetto beige, due nastri azzurri e un sacchetto rosa e noi la paghiamo.
Apro il mio pacco, mangio una caramella e arriccio il naso.
«Melone» dico. Poi prendo un’altra caramella, la metto in bocca e inizio a masticare. Non riesco a capirne il gusto, non assomiglia a niente che abbia mai mangiato in vita mia.
“Sei diventata bianchissima” sono le ultime parole che sento pronunciare da Dominique, prima di sprofondare in un lungo sonno.
 
* * *
 
«Rose, mi senti?»
Appena mi risveglio noto che c’è qualcosa che non va: i visi delle persone che mi stanno attorno sono tesi e il modo in cui mi guardano conferma i miei presentimenti.
«F-Fred? » balbetto, alzandomi. Mi sento la bocca impastata e ho un terribile mal di testa.
«Ross. Sei sveglia grazie al cielo. Scusa. Ti giuro, io non sapevo che quel Pasticcetto Svenevole sarebbe toccato a te. Volevo… volevo solo fare uno scherzo ad Avery. Mi dispiace, mi dispiace» si scusa lui mortificato.
«Cosa? Tu hai messo un Pasticcetto Svenevole dentro le mie caramelle?!»
«Non dentro le tue caramelle… in realtà pensavo che le avrebbe mangiate Avery! Era giusto nello scompartimento dopo questo e ho sentito che le voleva. Mi sono anche raccomandato con quella vecchia megera di NON DARE A NESSUNO QUEL PACCHETTO, ma a quanto pare non mi ha dato retta» sputa tutto d’un fiato il fratello di Roxanne.
«Tu… Tu… Potevano capitare a chiunque!» Mi accorgo che il mio tono di voce si sta alzando. Non so da dove provenga tutto questo risentimento, sento solo che sta parlando da solo, non sta seguendo ciò che il mio cervello detta alla mia bocca.
«Lo so, ma al momento mi era sembrata un’idea geniale» dice avvilito.
«Tutte le tue “idee geniali” alla fine risultano dei piani da schifo che ci fanno solo finire nei casini!»
Adesso sto veramente alzando la voce, il che non giova al mio mal di testa. Non sono mai stata così dura con Fred, anzi, al contrario, l’ho sempre appoggiato in tutto ciò che faceva. Vedo dallo sguardo nei suoi occhi scuri che quelle parole l’hanno ferito, ma è solo un attimo, perché poi cambia totalmente espressione, diventando una maschera di freddezza.
«Ricordati solo che tu stavi con me, Rose» conclude con un tono duro, che non gli ho mai sentito usare con nessuno, ed esce dalla cabina. A poco a poco il risentimento si affievolisce, lasciando spazio ad un’immensa stanchezza.
Lo guardo mentre si allontana e non riesco a fare a meno di sentirmi in colpa.
No, Rose, tu non hai fatto nulla.
«Stai bene?» mi chiede Celeste, accarezzandomi il braccio.
«Sì» rispondo, portandomi una mano alla testa. «Da quanto sei qui?»
«Un paio d’ore penso. Questo pomeriggio sono passata qua davanti e ho visto che tu eri stesa sul sedile e i tuoi cugini ti stavano attorno e mi hanno detto che eri svenuta.»
Annuisco, guardandomi attorno. Ci sono tutti: Dominique, Jade, Lily, Hugo e Roxanne. E tutti, ovviamente, mi stanno guardando con occhi strabuzzati ed espressioni imbarazzate per aver assistito al litigio con Fred. Mi sento totalmente nuda ed esposta a trovarmi al centro dell’attenzione di così tante persone, nonostante siano i miei familiari.
«Dove siamo?» domando tirandomi a sedere con un grugnito.
«Quasi a Hogsmeade» stabilisce mio fratello, guardando fuori dal finestrino.
«Oh merda, non ho messo la divisa» dico. «Scusate, siete stati gentilissimi a stare con me ma ora gradirei… cambiarmi… e ho bisogno di privacy…» scandisco.
Uno a uno escono dalla cabina ed io mi cambio così in fretta che sono colta da una fitta tremenda alla testa e sono costretta a sedermi. Dominique e Celeste, le uniche rimaste dentro con me, mi offrono della cioccolata ma io rifiuto, sentendo arrivare dei conati di vomito.
«Per Merlino, sicuramente chi vuole saltare le lezioni mangiando dei Pasticcetti Svenevoli, dopo starà male veramente» osservo, appoggiandomi una mano sulla pancia.
Le ragazze ridono piano ed io percepisco chiaramente che la tensione si è spezzata.
In pochi minuti arriviamo a Hogsmeade e l’Espresso si ferma. Scendiamo cautamente, trascinando i bauli e le gabbie degli animali.
Hogwarts. Casa. Famiglia. Eccola finalmente: la vedo solo da lontano, oltre gli altissimi alberi della foresta, un enorme castello sopra una collina, una rocca, una rassicurante seconda casa dove non sarò continuamente sottoposta alle pressioni di mia madre, ai suoi castighi, ai suoi ordini. Dopo due lunghi mesi finalmente sono di nuovo qua e sono felice, davvero felice, come se quel posto fosse il ricordo di un’infanzia bellissima ed io ci ritornassi dopo anni che non lo vedo.
«Rose!» Una voce maschile mi riporta alla realtà. Mi volto seguendone il suono e vedo che mio fratello mi fa segno di salire sulla carrozza, trainata dagli invisibili Thestral.
Annuisco e salgo con gli altri. Tranne, ovviamente, Fred e Dominique, che raggiunge il suo ragazzo, Jonathan.
«Brett Hunter ha lasciato la scuola» li informo dopo qualche minuto, rompendo quel silenzio non proprio da noi.
«Brett? Brett chi?» chiede Lily, sistemandosi meglio sul sedile.
«Brett Hunter, quel ragazzo che abbiamo conosciuto l’anno scorso, proprio su una di queste carrozze. È un Tassorosso» ricorda Hugo. «Come fai a saperlo?»
«Me l’ha detto lui, poco dopo la fine della scuola e poco prima che la mamma troncasse tutti i contatti fra me e il mondo esterno. Mi ha scritto che gli dispiaceva moltissimo» spiego.
«Ma ti ha detto il perché?» domanda a bassa voce Hugo.
Mi volto in modo da poter guardare l’animale che sta trasportando la nostra carrozza, quello che solo chi ha assistito alla morte riesce a vedere.
«Perché i suoi genitori sono stati uccisi una settimana dopo il suo ritorno a casa.»
 
A cena mangiucchio qualcosa e approfitto della confusione generale nella Sala Grande, per sgattaiolare in dormitorio con Celeste prima delle mie compagne. Io e Cel parliamo per una buona mezz’ora finché nella stanza non irrompono anche Maggie e Belle.
Dopo i saluti e gli abbracci da manuale, ognuna di noi riprende la propria attività.
Mentre Margaret canticchia una canzone terribilmente malinconica, io e Cel continuiamo a chiacchierare a bassa voce.
Dopo averle raccontato dettaglio per dettaglio la mia estate, anche se non ci metto molto, lei mi rivolge un sorriso e mi dice: «Mi sei mancata, lo devo ammettere Rosie.»
«Anche tu. Io ci ho provato, ho provato mille volte a scriverti un messaggio o a mandarti un gufo… Ma Hermione è irremovibile, per me è fatta di pietra» mi scuso.
Sento una fitta al cuore, al pensiero di mia madre e di tutte le volte in cui mi ha detto di no quest’estate, di tutti i lavori domestici che ho dovuto sbrigare, di tutte le persone che non ho potuto vedere, incontrare e con cui non ho potuto parlare.
«Io, comunque, devo parlarti di una cosa importante» comincia lei, con una nota di nervosismo nella voce.
Siamo sedute sul suo letto, così incrocio le gambe sul copriletto scarlatto e mi sposto per farle spazio.
«Dimmi tutto» la invito io, con un tono che, almeno secondo me, dovrebbe suonare persuasivo.
«Ecco, io… ecco» comincia, ma poi sembra cambiare idea. «Jade, no… io penso che… insomma, che lei mi odi. Ma non voglio questo. Cioè, io non la odio, e non voglio che lei odi me» decide alla fine.
«Cel, intanto finiscila di dire “odio” perché in questa frase l’hai detto abbastanza volte. Non so cosa le prenda, proverò a parlarle » mento, con una diffidenza strana nei suoi confronti.
«Grazie» dice lei dolcemente, anche se dalla sua posizione sembra irrigidirsi.
«Rose! C’è un certo David di sotto che ha chiesto di te.»
Mia cugina Lily, in camicia da notte e con i capelli rosso fuoco acconciati in due piccole trecce, è appena entrata nella stanza e svogliatamente mi fa un cenno di saluto, poi prosegue verso la sua camera.
«Oh, grazie Lily.»
Mi alzo dal letto, chiedo a Celeste se vuole seguirmi e lei accetta.
All’inizio credevo che David fosse un ragazzo esagerato, troppo incasinato, pieno di sé e anche leggermente arrogante, forse proprio per questo fino all’anno scorso non ci eravamo mai rivolti la parola. Conoscendolo meglio, però, ho capito che in realtà è una persona meravigliosa, che sa sempre come farmi ridere. E ho capito che mi piaceva. Anzi, che mi piace. Celeste questo lo sa, e per fortuna ha sempre custodito questo segreto come fosse proprio.
Scendo le scale piuttosto di corsa, e, quando arrivo in Sala Comune, lo vedo. Lui è lì, seduto su una poltrona. Non molto diverso da come lo ricordo: i capelli castani gli sono cresciuti e ora ci sono delle ciocche che gli coprono il viso. Porta degli occhiali nuovi, neri con la montatura grossa che gli nascondono un po’ il naso a patata. Ha le sopracciglia scure e ben definite, folte. Le labbra sono carnose e, quando sorride, mostrano una dentatura quasi perfetta: un canino, infatti, è scheggiato. Ha una cicatrice sul collo, argentea e irregolare, che si è procurato giocando a Quidditch con suo fratello maggiore e una meno visibile sulla tempia. Non lo definirei bello, anzi. Ha qualcosa di affascinante, non so se lo sguardo intenso o le imperfezioni del viso. Il fisico, magro e asciutto, è quello di un agile e veloce Cacciatore.
Noto solo più tardi che sta parlando con qualcuno, qualcuno che sta seduto di fronte a lui, una ragazza che sta ridendo, una risata che conosco molto bene: quella di mia cugina Dominique.
I due stanno ridendo, e troppo, per i miei gusti. Devo avere un’espressione piuttosto idiota sul viso, a metà tra lo stupore e la sorpresa, con un briciolo di odio, forse. Mi affretto ad assumerne un’altra, che si addice di più a me: fredda ironia.
Osservo i due ragazzi giusto il tempo necessario, perché poco dopo lei si accorge di me e Celeste: io sono appoggiata al muro di fronte a loro, proprio in fondo alle scale, con le braccia conserte come a dire “Tranquilli, non ho fretta”. Celeste, invece, è in piedi sull’ultimo gradino e sembra sul punto di picchiare qualcuno.
«Ehi, David. Come va?» domando, fingendo di non vedere mia cugina.
«Ehi, Rose. Bene… tu?» risponde, con la sua solita voce arrogante. Non ha notato il mio tono ostile.
Dominique, intanto, si è alzata in piedi, e sta fissando il fuoco affascinata, come se stesse osservando una specie di animale che non ha mai visto prima in vita sua.
«Non c’è male. Dov’eri stasera, a cena? Ti stavo cercando.»
«Oh, io non… non stavo molto bene. Ma parliamo di te: che fine hai fatto quest’estate? Non mi hai scritto, mai, né un gufo né un messaggio» replica.
«Mamma mi ha chiusa in casa, ero piena di lavori da fare e non mi ha lasciato avere contatti con nessuno» liquido il discorso con una scossa del capo.
Dominique distoglie lo sguardo dalle fiamme e mi fissa, come per chiedermi scusa. Ma non è lei con cui sono arrabbiata. È David.
Noto che le ombre che getta il fuoco mettono in evidenza delle occhiaie profonde che stonano col bel viso pallido, segno della sua stanchezza.
«Non avevo intenzione di disturbare, scusate.» concludo. «Buonanotte.»
Senza attendere risposta mi volto e afferro il braccio della mia amica, poi salgo con lei le scale. Quando arriviamo nella nostra stanza, vedo con piacere che Margaret e Belle si sono già messe a letto.
Mi siedo sul materasso, a gambe incrociate, e invito Celeste a fare lo stesso. Lei si siede, con calma, e appoggia le mani sulle ginocchia, il tutto con gesti automatici. Poi incolla i suoi occhi azzurri ai miei.
«Sai, Rose, tua cugina è una puttana» sputa.
«Co-cosa?!» chiedo, incredula. Celeste dice raramente parolacce, e quando lo fa, be’… quando lo fa c’è da preoccuparsi.
«Sì, una puttana» ripete.
Oh Godric, due parolacce in due frasi. È seria la questione.
«Vedi, lei può avere tutti i ragazzi che vuole. È bella. Ha un fisico da paura e la pelle perfetta. Chiedi a chiunque se sa chi è Dominique Weasley, e vedrai che inizierà a sbavare. Ma no, lei non è contenta se non ottiene l’impossibile. L’unico ragazzo di Hogwarts che… t-ti piace, adesso è suo» spiega, tentennante.
«Celeste, lei non lo sa. Non sa che mi piace David. E poi è fidanzata con Jonathan da due anni!» sussurro, sentendo la rabbia montarmi dentro. Nessuno può permettersi di parlare in questo modo di mia cugina.
Non ho idea del perché Celeste la aggredisca così, ma mi sembra davvero cattivo nei suoi confronti. Stavano solo parlando. Che poi è una tecnica di autoconvincimento molto scarsa. David è un tipo che non si accorgerebbe dei sentimenti altrui nemmeno se glieli sputassi in faccia e parla con tutte le ragazze che gli capitano a tiro.
«Fa tanto la dolce con chi le pare e dopo si comporta… in questo modo… con tutti quelli su cui posa l’occhio. Ne conosco di ragazze del genere, ma pensavo che lei fosse diversa, che non usasse la sua bellezza per…» sibila senza terminare la frase, con un’espressione di disgusto dipinta sul volto.
«Stai traendo conclusioni affrettate, parlavano e basta» dico gelida, scaldandomi e a arrabbiandomi.
«L’hai visto anche tu, Rose! Era seduta di fronte a lui e ridevano di gusto.»
«Be’, ora stai esagerando! Dominique è una ragazza fedele!»
«Infatti si dicono cose molto piacevoli sul suo conto, come…»
Non termina la frase perché percepisce il movimento di una figura esile alla porta. Mi volto, sperando con tutto il cuore che non sia mia cugina. I miei sospetti si rivelano corretti, e con lo stomaco annodato, balbetto: «Dominique?»
«Già» mormora Dominique, freddissima, anche se so che non ce l’ha con me. Non ce l’ha nemmeno con Celeste. Per anni le voci su tradimenti e legami con vari ragazzi di altre Case non hanno fatto che gettare una pessima ombra sulla sua reputazione, scatenate da ragazze gelose e false, che non hanno fatto altro che farle male.
Non riuscendo a trattenermi mi alzo dal letto per andare verso di lei. Dom però si allontana con uno sguardo triste, e guardandomi un’ultima volta, scende le scale.
Provo una fitta di disprezzo verso Celeste e non riesco a fare altro che pensare che deve imparare a tenere la bocca chiusa.
«Rosie, scusa. È stata tutta colpa mia, perché ho detto ciò che pensavo, non avrei dovuto. Scusami, non so cosa mi sia preso, io… Rose? Che cosa succede?» dice velocemente Celeste.
Si avvicina a me cautamente e mi tocca la spalla.
«Nulla. Esco per un attimo» dico in tono neutro. Getto un’occhiata alla sveglia sul comodino di Belle: indica le dieci e mezzo. «Sola.»
Celeste annuisce dispiaciuta e io inizio a scendere le scale di marmo della torre, per poi arrivare nella Sala Comune. Ci ho passato così tanto tempo, in quattro anni, che ormai la conosco a memoria: ci sono venti poltrone rosse di velluto sgualcito, disposte in coppie davanti a dieci tavoli di mogano pesante ricamati con lo stemma di Grifondoro. Accanto all’ingresso e al camino si trovano cinque divanetti e tre poltrone. Su una parete della stanza è collocato il caminetto costituito di mattoncini rossi e arancioni, al cui interno scoppietta costantemente un fuoco dai colori vivaci, mentre dalla parte opposta della Sala c’è una vetrina di cristallo dove vengono custoditi gelosamente tutti i trofei e le medaglie, i premi e i riconoscimenti che sono stati dati alla Casa. Sopra di essa ci sono le foto dei Grifondoro più famosi, tra cui ovviamente il nostro Godric, alcuni giocatori di Quidditch del Quattordicesimo e Quindicesimo secolo (come William Lo Svitato e Magara Dentistorti), il Professor Silente, molti Auror tra cui Remus Lupin, Sirius Black, i Potter e i Paciock e infine, ovviamente, i miei genitori, gli zii, i nonni e parenti tutti. Cosa alquanto imbarazzante, devo ammetterlo.
Conosco ogni piccolo difetto della stanza: un’asse del pavimento al centro della Sala non è fissa perché, quando era al suo secondo anno, Melanie Stoner aveva deciso di cercare i suoi galeoni, che le erano stati rubati almeno cinque mesi prima. E avrebbe letteralmente smontato tutta la stanza se un benefattore anonimo non l’avesse ripagata giusto in tempo. Una delle cornici ha un graffio sul vetro che sfigura la povera donna della foto, uno degli scalini che conducono fuori dalla torre ha una macchia nera di cui non si è ancora compresa l’origine… Ma in questo momento, la parte che noto di più della Sala Comune è il ragazzo che, disteso sulla poltrona più vicina al camino, russa rumorosamente. I capelli lisci che si arricciano appena vicino alle tempie gli si impigliano nelle ciglia lunghe e scure nascoste dietro gli occhiali. Sembra quasi un bambino mentre sta dormendo.
Mi avvicino a lui cautamente quasi come fosse una bestia feroce e osservo ipnotizzata il suo petto che si alza e si abbassa regolarmente, con respiri lunghi e gravi.
Allungo la mano e gli accarezzo la guancia, percependo il calore che emana ancora prima di toccargli la pelle. Tra noi i gesti di affetto, a parte forse un abbraccio al compleanno, sono pressoché inesistenti. Meglio così, comunque.
Gli scosto i capelli dal viso e prego Merlino che non mi senta. Esitando appena, mi volto per assicurarmi che Celeste non mi stia seguendo. Proseguo e salgo le scale che portano al dormitorio maschile. Sicura di cosa voglio fare.
Alla terza curva mi blocco, osservo la porta alla mia destra e con grande coraggio alzo la mano per bussare ma mi fermo, udendo delle voci concitate. Appoggio l’orecchio alla porta.
«Fred!» lo richiama una voce maschile molto profonda e roca. «Mi puoi ascoltare per un secondo?»
Sento un grugnito e riconosco che si tratta di mio cugino.
«Cosa cazzo hai combinato con la McGranitt?» Dal tono comprendo che il suo compagno di stanza è spaventato.
«Ti ho raccontato tutto. La McGranitt sa, e Rose adesso mi odia.»
Dopo una pausa, il compagno di stanza di mio cugino riprende: «Ti prego, Fred. È tua cugina, non ti darà mai contro.»
«Alan, non hai sentito cosa mi ha detto. Era arrabbiata, e non poco» risponde Fred, con la familiare voce allegra, ma anche con una nota di… preoccupazione?
Sussulto appena.
«Certo che non è da lei, però. Rose è sempre stata una che li combina, i guai. Una brava, se proprio vogliamo.» La voglia di aprire la porta e spaccargli la faccia è immensa in questo momento.
«Fatto sta che ha ragione. Dovrei iniziare a mettere la testa a posto…» mormora Fred esitante.
«La McGranitt ora sa che hai portato a scuola roba vietata, giusto? Sa che hai fatto svenire Rose. Tu invece sai che lei era arrabbiata, tanto arrabbiata. Quindi, seguendo un ragionamento logico che evidentemente il tuo cervellino non riesce a fare, chi altri può essere stato, se non lei, a raccontare tutto alla Preside? Prova a ingraziartela un po’, domani. Fai il tenero, il cuginetto perfetto, e magari lei ritirerà ciò che ha detto, in modo che non ti metta in punizione. Che ne dici?» ride Alan. Non con cattiveria. Le persone come lui non sono cattive, solo molto stupide.
«Rose non lo farebbe, è come una sorella…»
Sì Fred, diglielo tu a quel coglione che non ti tradirei mai!
«Ma non può essere stato nessun’altro» si arrende poi, rassegnato.

Mi volto con la schiena contro la parete quando i ragazzi cambiano discorso e cominciano a parlare della merce che vogliono vendere.
«Che casino» sussurro tra me e me, mentre inizio a rendermi conto di quanto sia affamata e stanca.
Resto fuori dalla porta qualche altro minuto, poi mi rialzo in piedi, per dirigermi verso la mia stanza.
Quando arrivo in Sala Comune, David è nuovamente sveglio, e mi nota subito.
«Rose Weasley» ripete assonnato, come se non mi avesse visto appena una ventina di minuti prima.
Me ne vado prima di cominciare una conversazione dal tono troppo aspro, sbuffando.
 
 
 
Note:
1) gradi Fahrenheit. Sono un po’ precisina in questi particolari, quindi ho preferito rendere la cosa il più inglese possibile.
 
Ed eccomi qua, finalmente, come avevo promesso (a chi, poi?), con la FF sul quinto anno di Rose Weasley! Premetto subito che sto scrivendo questa storia da tantissimo tempo, dal 2014 per la precisione, quando non avevo ancora 15 anni. Ora ne ho 17, sono cresciuta e cambiata (come ho già detto nelle note a fondo pagina della mia nuova storia "Come un fiocco di neve" ). Il che significa che penso noterete anche voi un’evoluzione dai primi capitoli in poi… Questa storia segue un po’ la mia crescita, segue i miei stati d’animo, cambia continuamente trama, è stata revisionata tantissime volte… insomma, va un po’ per la sua strada. Spero ugualmente che possa piacervi. Oggi pubblicherò i primi tre capitoli, perché mi sono stancata di tenere chiusa la mia fantasia nel mio computer, dopo ormai più di due anni.
Scusate l’infinita lunghezza (sulle 14-15 pagine di Word), ma penso che, aggiornando più o meno una volta al mese, non sarà poi così pesante. Se lo è, non fatevi problemi a dirmelo ;)
Un grande saluto a tutti, fatemi sapere che ne pensate!
Ellie Grey

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Capitolo 3
*** Sometimes it's hard to accept the truth ***




Sometimes it’s hard to accept the truth
 


I wanna leave my footprints on the sands of time
Know there was something that, something that
I left behind
When I’ll leave this world, I'll leave no regrets
Leave something to remember
So they won't forget
-I Was Here, Beyoncé
 


A lezione, tre mattine dopo, non ho ancora incrociato lo sguardo di David, nonostante sia seduto ad appena qualche metro da me. Non sono arrabbiata perché l’ho visto con Dominique. Ce l’ho con lui perché non si accorge di cosa provo per lui. Io sono profondamente timida quando si tratta di gente che mi conosce bene, perciò non avrò mai il coraggio di dichiararmi.
È mio amico da un anno ormai, ma scommetto che non ha mai pensato a me in modo diverso da una delle persone a cui chiedere aiuto per i compiti o per qualche dritta sulla conquista delle ragazze. Si ostina a provarci con tutte le studentesse di Hogwarts, nonostante ce ne sia una che ricambierebbe i suoi sentimenti senza bisogno di chiederlo.
Ma perché faccio questi pensieri, quando non riuscirò mai a confessargli che mi piace? Non succederà mai nulla, io lo so. Certe cose te le senti. E allora sorge spontanea una domanda: perché non riesco semplicemente a lasciarlo andare?
 
L’anno scorso mi è stato concesso di cambiare corso, abbandonando Divinazione per Rune Antiche, con un piccolo contributo da parte di una furiosa Hermione Granger. Dopo aver capito che non sono portata nemmeno per lo studio di questa materia, e aver passato tutt’e due le ore di lezione a imparare a scrivere i numeri con Connie Marigold - la Corvonero piuttosto irritante con un problema di alitosi che decisamente non mi mancava -, sono uscita nel giardino del castello, per prendere un po’ d’aria.
Gli inizi di settembre sono freddi ma piacevoli come lo è stata tutta quest’estate. Pochi giorni di pioggia e, naturalmente, un sole che tiepidamente riscalda la pelle.
Osservo quasi in trance i ragazzi davanti a me: li conosco quasi tutti.
C’è un gruppetto misto di Corvonero e Tassorosso, composto da circa dieci ragazze che si sono distese sull’erba, immergendo i piedi stanchi nel Lago Nero per qualche secondo, rischiando l’ibernazione.
Adhar Avery di Serpeverde si avvicina alle ragazzine (del secondo anno?) le quali si voltano in fretta e vedono un boccino fluttuare. Non l’avevo notato fino a quel momento, ma mi sorprendo molto della velocità di Avery nell’afferrarlo.
Il Serpeverde, con la preda in mano e sorridendo, torna dal suo gruppetto. L’anno scorso, durante l’ultima partita di campionato tra Tassorosso e Serpeverde, Avery si era rivelato un Cercatore nella media, che non era riuscito ad acchiappare il boccino d’oro prima che gli avversari raggiungessero i 250 punti e perdendo la Coppa. La sua agilità e grazia, rispetto a come si muoveva solo tre mesi prima, sono migliorati in modo impressionante e rimango alquanto sconcertata.
Mi risveglio dai miei pensieri e prendo l’mp3 nella mia borsa, sedendomi su una panchina accanto all’entrata al castello. È vero, le apparecchiature elettroniche non funzionano a Hogwarts, ma quelle che vanno a batteria sì, quindi, sperando che questo l’aggeggio non mandi in tilt le barriere di protezione attorno ad Hogwarts o che so io, infilo le cuffiette nelle orecchie e mi immergo nella musica.
Dopo un paio di minuti, qualcuno mi prende per un braccio e inizia a strattonarmi. Io alzo lo sguardo e mi ritrovo davanti una faccia familiare. Sono quasi pietrificata e mi ci vuole qualche secondo per riprendere a respirare.
Mi tolgo una cuffietta e urlo: «Cosa cavolo ti passa per il cervello?! Mi hai fatto prendere un colpo!»
«Ascolti musica a volume troppo alto!» mi grida in risposta il disturbatore.
«Meglio che stare a sentire te, comunque» ribatto.
«Senti, mi dispiace, ok? Te l’ho già detto ieri. Non serve che mi tieni il broncio. E fammi spazio» sbuffa Fred, spingendomi a sinistra, così da potersi sedere accanto a me, sulla panchina di ferro.
« Cosa vuoi? Fare “il cuginetto perfetto” non funzionerà, chiaro?» grugnisco.
Lui mi guarda per un attimo, in un apparente stato di confusione. Poi sembra non reggere più e inizia a travolgermi con un fiume di parole.
«Ross, tu sei in assoluto uguale a me.» Qui lo interrompo ribadendo la mia intelligenza nettamente superiore. Prima di riprendere strizza gli occhi e mi fissa seccato.
«Sei come una sorella. E pensavo che quando ti saresti risvegliata, ti saresti fatta una risata sapendo ciò che è successo. Ma non è stato così, anzi, mi hai accusato, e ne avevi tutto il diritto. Sono stato anche io chiuso in casa tutta l’estate e tu lo sai, ma questo mi ha cambiato? No, al contrario, mi ha infuso ancora più voglia di combinare guai e fare il culo a strisce a quelli là» dice, indicando i ragazzi di Serpeverde.
«Lo sai che non sono arrabbiata» replico.
Fra di noi si crea un lungo momento di pausa in cui ognuno medita su molte cose contemporaneamente. Mi sembra quasi di vedere gli ingranaggi al lavoro nel cervello di mio cugino, solo che non saprei proprio dire a cosa sta pensando.
«Quando ho scoperto che hai detto alla McGranitt che ho portato roba vietata a scuola, io mi sono sentito tradito…» comincia.
«Ti ho sentito parlare con Alan ieri sera. Ma non sono stata io, Fred» lo interrompo, sentendo che è il momento buono per risolvere. «Nemmeno se mi avessi costretta a mangiare carne di Chimera. Nemmeno se avessi distrutto la mia chitarra. Nemmeno se…»
«…avessi bruciato i tuoi libri?» mi interrompe a sua volta, ridendo.
«No, in quel caso sarei corsa dalla McGranitt. Ma devi credermi che non ti farei mai un torto del genere» assicuro.
«Immagino che dovremo scoprire chi è il colpevole, no?» sussurra lui, strizzando l’occhio.
Io annuisco sorridendo e torno a spostare lo sguardo su Avery e la sua compagnia: Thalia Nott, Augustus Goyle, Destiny Rookwood, Hector Yaxley e poi gli altri ragazzi, del quinto e sesto anno, come Travers, Selwyn e Warren Rosier.
Rosier è uno dei ragazzi più popolari, se non in assoluto il più popolare, dell’intera Hogwarts. È un ragazzo alto, muscoloso e sportivo, che vive di Quidditch, del sesto anno.
È il nipote del Mangiamorte più temuto ai tempi della Prima Guerra Magica, Evan Rosier. Non solo è un patito di sport, ma è anche un ragazzo estremamente venerato da tutte le studentesse della scuola. Eccetto me. Insomma, come si può trovare attraente un ragazzo così muscoloso, fissato ai limiti dell’esagerazione con uno sport, che ha delle sopracciglia più curate delle mie (e credetemi, le mie sono esageratamente curate) e, soprattutto, che si depila posti innominabili?! (Non chiedetemi come faccio a saperlo. Non ne voglio parlare). No, assolutamente non lo guardo in quel modo.
Ah, inoltre dubito sappia leggere qualcosa a parte le statistiche di gioco o i risultati in campionato. A lui basta agitare la bacchetta e tutti cadono ai suoi piedi, letteralmente. Infondo è così che funziona nella sua famiglia, da generazioni.
«Come fa Albus a uscire con gente del genere?» sbotta schifato Fred, di cui mi ero momentaneamente dimenticata. «Come fai tu a uscire con gente del genere?!» aggiunge.
Io gli tiro uno schiaffo sulla testa e dico stizzita: «Come puoi vedere non ci sono né Jade né Albus là. Ormai dovresti esserti arreso al fatto che tuo cugino è un Serpeverde.»
Lui liquida la mia osservazione con un gesto della mano. Piuttosto che frequentare i Serpeverde, tutti i miei cugini si farebbero appendere ad un albero per poi farsi mangiare da un’Acromantula gigante, anche se tra di loro c’è Albus.
Proprio mentre mi sto alzando in piedi per avviarmi verso la biblioteca (devo scrivere un saggio sulle epiche imprese dei maghi più famosi tra diciassettesimo e diciottesimo secolo), noto che Rosier mi sta guardando, per poi sussurrare qualcosa a Travers. Il ragazzo sorride e posa lo sguardo su di me, imitando l’amico. Io fisso Rosier inarcando le sopracciglia ma lui, dopo pochi istanti, torna a concentrarsi sul lavoro che sta facendo: lucidare la sua nuovissima Firebolt Pro II.
«Freddie io torno dentro. Devo iniziare a scrivere un saggio. E non vedo l’ora» lo informo in tono sarcastico.
«Perché Rosier ti stava fissando?» chiede indispettito, ignorando completamente il mio saluto.
«Non lo so. Probabilmente non è qualcosa di piacevole» rispondo.
Lui alza le spalle.
 
Sto salendo le scale quando l’occhio mi cade su una ragazza magra, seduta su un davanzale della finestra, che mi sta dando le spalle. Ha i capelli biondo platino raccolti in una mezza coda, indossa delle Converse rosa e da quello che riesco a vedere, sta tenendo in mano un libro.
«Dominique» chiamo, raggiungendo mia cugina. Quando le tocco la spalla e lei si volta, però, è palese che quella ragazza non è Dominique. Non ha gli occhi azzurri ma verdi e sulla divisa vedo lo stemma di Serpeverde. Noto comunque una bizzarra somiglianza con mia cugina: pelle chiara e liscia, corporatura magra, sopracciglia chiare delineate perfettamente, bocca piccola e sottile e naso stretto e lungo.
«Io… Mi dispiace, ti ho scambiata per un’altra» mi scuso, sorridendole. Poi faccio per proseguire, ma prima che riesca a salire un gradino, una mano mi afferra debolmente.
«Non, aspetta!» mormora la ragazza, con il viso serio. «Sono nuova della scuolà, e non so ritrovare la mia stansa!» Ha un pesante accento francese, il che spiega come mai sia nuova a scuola.
«Come ti chiami?» le domando dolcemente. Lei molla la presa sul mio braccio e chiude il libro.
«Noémie Gillet. Sto scercando i miei cusgini, Dominique e Louis  Weasley, li conosci?»
«Oh, be’… dal momento che sono anche miei cugini, sì» rispondo divertita.
«Anche i tuoi cusgini?» chiede confusa.
«Sì. Loro padre, Bill, è fratello di mio padre, Ronald» spiego. «E tu come giustifichi la tua parentela?»
«Loro madre è sorella di mia madre, Gabrielle.»
« Ommioddio, Dominique mi aveva accennato che ti saresti trasferita a scuola qua, ma me n’ero completamente dimenticata! Comunque è un vero piacere, io sono Rose Weasley» mi presento, sorridendole nuovamente. «Da dove vieni?»
«Provengo dalla scuolà di Beauxbatons. Io, mia sorella e mia madre siamo venute a vivere qui per alcuni problemi. » Evito di chiederle quali, perché sembra molto infelice.
« Senti, se vuoi posso aiutarti a cercarli… Non conosco una buona metà del castello, ma in teoria quella che conosco è la più frequentata» sorrido.
«Rose» sbotta una voce alle mie spalle. Mi volto velocemente, la bocca leggermente aperta in un’espressione sorpresa. La bocca di Dominique, invece, è una smorfia triste. Evita di guardarmi negli occhi e si sta torturando le mani.
«Hai conosciuto mia cugina, vedo» sussurra piano.
«Dom, io vorrei parlarti…» comincio scendendo i pochi gradini che ci separano, ma lei, come la sera precedente, si allontana.
«Non ora. Io… io devo portare Mie a fare un giro della scuola.»
«Ma veramante anche Rose si era offerta per portarmi a far un sgiro!» squittisce Noémie.
«Non voglio disturbarti Rose, sto io con lei» dice Dominique scuotendo la testa e i capelli biondi, ma ancora una volta so di per certo che non è arrabbiata con me.
«Non importa, in effetti ho un tema da fare» mormoro, tentando di sembrare dolce. Sfioro una spalla a mia cugina e poi mi volto senza guardarmi indietro, per salire in biblioteca.
 
* * *
 
Le storie sui maghi che, tra il Diciassettesimo e il Diciottesimo secolo,
 
I racconti narrati sui maghi che compirono le più epiche imprese conosciute dalla storia
 
Non si possono contare, nemmeno impiegandoci settimane intere, le imprese che i maghi tra il Diciassettesimo e il Diciottesimo secolo realizzarono. Ora, i nomi di questi
 
Esasperata, poso sul tavolo la piuma d’oca blu e oro e stropiccio la pergamena, finché non si riduce a una sfera delle dimensioni di una pallina da golf.
Mi metto le mani tra i capelli e chiudo gli occhi, cercando di concentrarmi.
«Hai bisogno di una mano?» Una voce profonda e maschile mi fa alzare la testa di scatto, mentre metto a fuoco un ragazzo alto e muscoloso.
«Oggi mi fate tutti prendere un colpo» sibilo, più a me stessa che a David. «Cosa ci fai qui?» Sono certa di non averlo mai visto in biblioteca.
«Ero venuto a cercarti. Non mi parli da tre giorni, Rossa, che succede?»
«Potevi anche dirmi che ti piace Dominique, non mi arrabbiavo mica» mi giustifico, mentendo.
«Non mi piace Dominique, non la conoscevo neppure fino a lunedì. Oh, avanti, non puoi essere arrabbiata per questo!» esplode Dave.
«No, no. Scusa. Sono solo… nervosa, credo. Sai, a casa va tutto male, mia madre non mi ha fatta uscire tutta l’estate, mio padre vive praticamente al Ministero. Per non parlare del fatto che non faccio un allenamento di Quidditch da due mesi, che Avery è improvvisamente diventato un Cercatore fantastico, non riesco a cominciare questo maledetto tema, le mie amiche più care si odiano e, cavolo, avrei proprio bisogno di un tè» racconto velocemente, senza riuscire a trattenere il fiume di parole che mi sto tenendo dentro.
«Be’, io il tè non ce l’ho, ma potremmo andare a prenderlo, magari mentre parliamo dei tuoi problemi da adolescente, che dici?» mi chiede, con un sorriso sghembo.
«Sì, ci sto» acconsento, prima di riuscire a trattenermi.
Lui allarga il sorriso a tutta la bocca e agli occhi.
 
A cena, quella sera, mi ingozzo di cibo fino a sentirmi quasi scoppiare lo stomaco. Pasticcio di melanzane, insalata calda di verdure e crema di formaggio sono tra i miei piatti preferiti e, pur avendo chiesto migliaia di volte a mia madre di cucinarli, lei si rifiuta di mettersi ai fornelli, così a casa mangiamo praticamente ogni giorno cibo da asporto, in scatola o surgelato. Non molto salutare, ammettiamolo.
Mentre gioco con un peperone ormai freddo, alzo la testa e proprio davanti a me, a due tavolate di distanza, scorgo la chioma bruna di Jade accanto a quella scurissima di Albus. Sorrido e continuo a passare lo sguardo sui Serpeverde finché un paio di chiarissimi occhi verdi su di me non attirano la mia attenzione. Warren Rosier mi sta fissando, di nuovo. È una frazione di secondo, poi lui volta la testa e torna a parlare con una ragazza piuttosto bruttina, con la faccia schiacciata.
«Perché Dominique è così lontana da noi, stasera?» domanda piano James, seduto alla mia sinistra.
Gli spiego in breve ciò che è successo, raccontando anche dell’incontro con Noémie ma tralasciando il nome di David e nel frattempo lui annuisce, come assorto nei suoi pensieri. Una vena sembra ingrossarsi sul suo collo ogni volta in cui nomino il ragazzo misterioso.
«…e allora io non so nemmeno se lei abbia capito che mi piace quel ragazzo» concludo, abbassando la voce per non farmi sentire. «E perché non voglia parlarmi. »
«Che palle voi donne, sempre a farvi sti problemi, parlate e basta» è la risposta più intelligente che riesce a produrre.
Apro la bocca per rispondere, ma poi vedo che Dom si sta alzando da tavola, così faccio lo stesso.
Inizio a seguirla, liquidando le domande di Jamie con un “ci vediamo dopo”, ma prima di poter varcare il portone della Sala Grande, una mano sulla spalla mi blocca. Mi volto piano e mi trovo davanti ad una persona che non mi sarei mai aspettata di vedere: la professoressa McGranitt.
«Rose Weasley. Posso parlarti un attimo?» chiede in tono pacato.
Merda, mi ha chiamata per nome e cognome.
Ha i capelli tirati indietro in uno chignon grigio fissato sulla cima della testa, che scoprono un viso spigoloso e tirato, costellato da rughe più o meno profonde.
«Ce-certo professoressa» balbetto, incerta dell’argomento di cui vorrà parlarmi. Finora non ho combinato niente, ho passato i pomeriggi in biblioteca o in giardino, ho seguito tutte le lezioni e fatto tutti i compiti.
Seguo la Preside oltre il portone della Sala, poi svoltiamo a sinistra e ci appostiamo davanti alla porta di uno sgabuzzino.
Lei sembra soppesarmi per qualche secondo con gli occhi socchiusi e dopo inizia a parlare, la voce chiara e forte.
«Dunque, tua madre, quest’estate, mi ha chiesto un favore. Non è contenta dei risultati da te conseguiti l’anno scorso e, se devo essere sincera, non lo sono nemmeno io. Senza tanti giri di parole, mi ha chiesto di darti ripetizioni. Io trovo scorretto nei confronti degli altri studenti che hanno molti più problemi di te darti ripetizioni private. Alla fine ho accettato, solo che a darti ripetizioni non sarò io. Sarà un altro studente o studentessa, con cui, magari, frequenti la maggior parte delle lezioni. Io stessa mi prendo l’incarico di trovarti questo tutor, a patto che studierai con lui, o lei, per tutto l’anno» dichiara. Sembra irremovibile sul fatto che mi serva qualcuno con cui studiare, così mi limito ad annuire.
«Inoltre ti ricordo che quest’anno dovrai affrontare i G.U.F.O, che sono esami molto importanti» aggiunge, con una sfumatura che mi fa pensare che sia scettica al pensiero che, ora come ora, io possa farcela.
«Okay, grazie» farfuglio. Sono troppo confusa, delusa e sconfortata, per aggiungere altro.
La Preside fa un brusco cenno con la testa, per poi congedarsi e tornare in Sala Grande. Io la osservo mentre se ne va, un veloce fruscio di stoffa scura.
Non è contenta dei risultati da te conseguiti l’anno scorso.
Quelle parole mi rimbombano nella testa come se un fastidioso picchio mi stesse forando il cranio, galleggiano nella mia mente senza accennare a scomparire. Come se fosse mia madre a dover essere contenta dei miei risultati. Lei ha già ricevuto il diploma, lei ha già frequentato la scuola, lei ha già avuto i suoi risultati, di cui è rimasta più che soddisfatta. Non deve condizionare anche la mia vita. È inutile che si aspetti esiti come i suoi, da una come me.
Studenti che hanno molti più problemi di te.
Oh, certo, sono io la problematica. Io sono la ragazza che non è abbastanza intelligente, quella addirittura troppo stupida da riuscire a superare i G.U.F.O da sola. Vorrei dimostrare loro quanto si sbagliano, ma ormai quel che è fatto è fatto, e sicuramente mi obbligheranno a studiare con qualcuno per tutto l’anno. Neppure volendo, potrei rifiutare. Spero tanto che mia madre capisca una cosa: io non sono come lei. Non sarò mai, nemmeno volendo, come lei.
 
«Dom! Dominique!»
Sto bussando alla porta della stanza di mia cugina da cinque minuti buoni, senza aver ottenuto nessun risultato.
«Dominique Danielle Weasley, apri subito questa porta! So che sei lì dentro!» urlo, per la settima volta.
Finalmente, qualcuno viene ad aprirmi, ma non è certo Dominique. È una delle sue compagne di stanza, penso si chiami Lizzie o Livvie o qualcosa del genere.
«Che vuoi?» sbotta lei, tutt’altro che gentile.
«Vedere mia cugina!» sbraito.
«Be’, lei non vuole vedere nessuno» dice con un ghigno, mentre chiude la porta. Io però, grazie ai miei riflessi da Cercatrice, sono più veloce e infilo prima il piede e poi la mano tra la porta e il muro.
«Se non mi apri, giuro che butto giù la porta» la minaccio. Lei dapprima mi guarda in cagnesco, poi però si fa da parte e torna sul suo letto, sbuffando.
Entro nella stanza e mi guardo attorno. La camera è esattamente uguale alla mia, ma a questa sono state fatte delle modifiche che non potrebbero essere più azzeccate: le tende di pesante velluto rosso sono decorate da perline colorate, attorno alle colonne dei letti ci sono catenine e nastri che si inerpicano fino in cima. Sulle pareti e perfino sulle testiere sono incollati poster e foto di cantanti, attori e atleti tra cui la maggior parte sono babbani.
Mia cugina occupa il primo letto a destra, seminascosto dentro al muro.
Mi avvicino a lei e, senza aspettare un momento di più, le dico: «Dominique, ti prego, dobbiamo parlare!»
«Va bene» concede, mettendosi a sedere. Io la imito mentre lei appoggia il libro che stava leggendo.
«Lo sai benissimo che evitarmi e guardarmi con gli occhi tristi servirà solo a tartassarti di più» inizio. Spero di sembrarle sincera, perché lo sono, davvero. Prima che possa aggiungere altro lei alza la mano e mi zittisce.
«Lo so, Rosie. Ma…» farfuglia. «Ma quello che ha detto la tua amica…»
«Non sono d’accordo nemmeno su una parte di quello che ha detto, fidati. Ti ho difesa perché non meriti tutto quello che dicono su di te.»
«Ma non è questo il punto. Io ti credo, non sono arrabbiata. Sono solo molto stanca di tutto, e quando lo sono, preferisco starmene da sola…»
«È per quello che ha detto Celeste sulla tua reputazione, ho indovinato. Non pensarci, Dom, non è vera una singola parola. Non so perché abbia detto quelle cose, ma tu devi fidarti di me se ti dico che sei una persona meravigliosa, sei un’amica e una fidanzata fedele e anche Jonathan lo sa.»
Jonathan Pearse è uno dei prefetti di Grifondoro del settimo anno. Se supera i M.A.G.O, e non saprei dire quante sono le sue probabilità, i Sweetwater Allstars – squadra di Quidditch del Texas – gli hanno già offerto di unirsi a loro. Non che siano una squadra particolarmente conosciuta, ma la paga è buona e a un vero giocatore di Quidditch non interessano tanto i soldi quanto piuttosto giocare per vincere il campionato.
Lei sembra quasi sciogliersi a quelle parole e mi stringe in un abbraccio.
Io e Dominique passiamo il resto della serata a parlare, dimenticando le parole di Celeste. Non ne abbiamo avuto l’occasione da quando siamo qui ad Hogwarts, così ci intratteniamo fino a mezzanotte, chiacchierando di Jonah, Dave, Noémie (che, a proposito, ho scoperto avere una sorella, Nathalie, che frequenta il terzo anno ed è stata smistata a Corvonero), Quidditch e tutto ciò che ci viene in mente. Poi si scusa per la situazione in cui l’ho trovata con David mi assicura che si era fermata a chiacchierare solo perché aveva notato che anche lui è un fan degli Appleby Arrows (squadra di Quidditch che nessuno tifa in famiglia, a parte lei).
Mi addormento verso mezzanotte e mezzo, troppo stanca per andare in camera mia, con la testa sulla spalla ossuta di mia cugina.
 
 
«SVEGLIATEVI!» Una delle compagne di stanza di Dominique, che non riesco ad individuare, ci sta scuotendo entrambe.
Apro gli occhi di colpo, improvvisamente conscia che devo andare a lezione. Mi alzo rapidamente dal letto, apro la porta della camera e schizzo fuori.
Salgo a prendere la mia borsa, mi vesto, mi pettino, mi lavo e assieme a Meg, anche lei sempre in ritardo, scendo nell’aula di Trasfigurazione.
Il professor Wessex non è ancora entrato in classe, così posso sedermi nel posto che Celeste ha tenuto occupato per me. Liquido le sue domande con uno stanco gesto della mano, poi appoggio le braccia sul tavolo, in attesa dell’inizio della lezione, sbadigliando.
Dico velocemente a Cel dove ho passato la notte, rassicurandola sul fatto che Dominique non sia arrabbiata con lei.
Wessex entra un buon quarto d’ora dopo il teorico inizio delle lezioni, giustificando il ritardo con parole borbottate su caffè, tè e borse zuppe.
«Abbiamo già perso tempo, Goyle, taci o ti butto fuori» tuona il professore, dopo aver richiamato il Serpeverde. Questi arrossisce e abbassa la testa, borbottando: «Come se fosse colpa mia.»
Durante entrambe le ore non riesco quasi a tenere gli occhi aperti, ed esercitarmi con gli incantesimi di camuffamento non è affatto facile. 
«Forza, Rose. Muovi bene il braccio» mi incoraggia Wessex verso la fine della lezione.
«Disillo» pronuncio stancamente.
La rana che sta sonnecchiando nella gabbia sul mio banco non sembra presentare cambiamenti così mi abbandono sulla sedia, sbuffando.
Il professore mi tocca la spalla e con un sorriso che dovrebbe essere lontanamente incoraggiante e forse troppo compassionevole, prosegue oltre. Mi sembra che tutti provino pena per me, a volte. Come se io fossi un cucciolo ferito a una gamba che non riesce neppure a camminare.
Quando ero più piccola, e non avevo ancora una bacchetta, mi esercitavo con mia madre a pronunciare formule di incantesimi e fatture. A volte addirittura mi riusciva qualche piccola magia, ma spesso e volentieri mi scoraggiavo perché non succedeva niente.
Mia madre provava a consolarmi dicendo che ero ancora piccola, che alla mia età la maggior parte dei maghi e delle streghe non avevano ancora i poteri e mi guardava con gli occhi carichi di tenerezza, sguardi che si riservano solo ai bambini. Alcune volte però, mamma mi guarda ancora così, e mi dà un sacco di fastidio. Non sono piccola e soprattutto non ho bisogno di essere compatita.
 
Quella sera la professoressa McGranitt dice di avere due annunci per noi.
«Attenzione!» prorompe la Preside con la sua voce forte e chiara. «Gli allenamenti di Quidditch di quest’anno scolastico avranno inizio con il primo giorno di ottobre, mentre la prima partita di campionato si svolgerà agli inizi novembre, seguendo la programmazione, che verrà esposta a breve in ogni Sala Comune delle Case. Come ogni anno, auguriamo buona fortuna ad ogni squadra, ma soprattutto pretendiamo di vedere un gioco onesto e partecipativo. Ogni Capitano dovrà indire i provini quando gli è più comodo, chiedendo il permesso di utilizzare il campo da gioco a Madama Bumb.
«Per quanto riguarda le gite a Hogsmeade, sarà possibile uscire dal castello dalla metà di novembre e ricordo che solo gli studenti dal terzo anno in poi hanno il permesso di visitarla, in possesso dell’autorizzazione firmata» conclude. Passa lo sguardo severo su ogni tavolo e poi si siede sulla sua enorme sedia di legno.
Io ritorno a concentrarmi sulla mia zuppa di funghi e ascolto le conversazioni tra James e Roxanne.
«Fred e io l’anno scorso siamo stati squalificati a metà campionato» sta dicendo mia cugina. «Dici che quest’anno possiamo tornare in squadra?»
«Credo proprio di sì. Senza voi due abbiamo fatto pena, siamo stati battuti dai Tassorosso e ci siamo dovuti accontentare del terzo posto» fa notare James, come se quel ricordo gli provocasse dolore.
«Abbiamo dovuto sostituire due grandi Battitori con due mediocri Battitori, Jamie» intervengo io, beccandomi un’occhiataccia da parte sua.
«Quest’anno, comunque, sono io il Capitano. Propongo di organizzare i provini per la prossima settimana» annuncia, tutto pomposo.
«Evvivaaa» lo prendiamo in giro io e Roxanne in tono sarcastico. James ci guarda in cagnesco ancora una volta e poi torna a gustarsi il suo arrosto, assaporandolo come se non ci fosse cosa migliore al mondo.
 
Ci vuole una settimana e mezza perché la professoressa McGranitt trovi uno studente disposto a darmi ripetizioni. È stato il mio pensiero fisso durante tutti quei giorni. Non riuscivo a togliermi dalla testa le sue parole.
Non ho scritto a mia madre nemmeno una volta da quando sono a Hogwarts, e non ho nemmeno intenzione di farlo, visto che sono ancora arrabbiata con lei. Avrebbe dovuto parlarmi della questione ripetizioni visto che riguarda me in prima persona. Probabilmente mi sarei arrabbiata comunque, ma almeno avrei evitato l’imbarazzante situazione che si è creata. Insomma, la McGranitt mi è venuta a dire che non è stata contenta dei miei risultati! E, per inciso, se non sapessi che mia madre e mio padre e i miei zii e i miei nonni e tutti quanti i miei parenti la conoscono da moltissimo tempo, mi sarei davvero sorpresa che avesse acconsentito a trovarmi qualcuno che mi aiuta con i ripassi.
È sabato, durante una mattinata interamente dedicata al dolce-far-nulla in Sala Grande, che la McGranitt si avvicina a me e cautamente mi porta in disparte per informarmi di aver trovato uno studente che ha acconsentito ad aiutarmi.
Lascio Margaret e Belle a fare i compiti mentre seguo la Preside lontano da orecchie indiscrete.
«Scorpius Malfoy» annuncia, senza tanti giri di parole. «Il vostro primo incontro è fissato a martedì sera, in biblioteca, e da quel giorno in poi sceglierete voi quando incontrarvi.»
«Grazie professoressa, è stato gentile da parte sua» dico, senza tanto entusiasmo.
Lei mi mette una mano sulla spalla in quello che interpreto come il miglior gesto affettuoso di cui sia capace e fa per andarsene, ma prima di girarsi mi sussurra: «Ah… Scorpius è stato molto gentile ad accettare di darti ripetizioni, spero che tu lo capisca. Vedi… vedi di non mandare tutto all’aria e abbi pazienza» e stavolta se ne va davvero.
Resto in piedi per un po’, a rimuginare su ciò che ha appena detto. Un’altra volta, senza pensarci, mi ha fatta sentire una nullità.
La rabbia per le parole della McGranitt svanisce presto e lascia il posto alla sorpresa, poi comprendo a pieno le parole che prima mi erano sfuggite.
Scorpius Malfoy.
Il migliore amico di mio cugino, persona a cui non ho mai rivolto più di una domanda di circostanza, sarà la persona che mi aiuterà per tutto l’anno a studiare le materie in cui sono più debole. Me ne rendo conto piano piano e un sorrisetto mi passa veloce sul viso. Nonostante non mi piaccia il carattere immensamente Purosangue di Malfoy, so che se mio cugino lo reputa una persona importante, un motivo valido ci dev’essere. Tento di non partire prevenuta sul rapporto che avremo. Poteva andarmi molto, molto peggio.
 
Lunedì pomeriggio, come a voler sottolineare il mio bisogno di aiuto nello studio, il professor Rüf decide di consegnarci il saggio corretto sulle Epiche Imprese dei Maghi e Bla Bla Bla.
Dopo una decina di “Oltre Ogni Previsione” e “ Accettabile” assegnati ai Corvonero, il professore e la sua aura da fantasma si fermano davanti al mio banco.
«Weasley, il suo compito è insufficiente» dice a bassa voce, mentre le mie budella cominciano a contorcersi e il mio cuore ad accelerare. Sento Celeste trasalire accanto a me. Appoggia il blocco di pergamena sul mio banco, dove una grande S rossa sembra si stia prendendo gioco di me da un angolo del foglio.
«Tre giorni» sputo.
«Come?» chiede Rüf.
«Ci ho messo tre giorni a scriverlo» spiego. «Ed è un compito Scadente?»
So benissimo che non dovrei arrabbiarmi con lui, con un professore. In questo momento, come un lampo a ciel sereno, comprendo che è proprio di questo che parlava la McGranitt: devo controllare la mia impulsività e tenere a freno la lingua.
Lei mi conosce meglio di quanto io creda e sa che non mi faccio dare ordini da nessuno, proprio per questo mi ha detto che non devo mandare tutto all’aria con Malfoy.
Solo un’altra volta. Solo una solo una solo una…
«Non potevo darle un voto sufficiente, le informazioni sono completamente messe alla rinfusa. Alcune date non corrispondono all’impresa di cui ha scritto e alcuni nomi di maghi non esistono nemmeno!» borbotta.
«Ho scritto tutto ciò che ho trovato in biblioteca, vada a controllare! Ho cercato su un sacco di libri e ho scritto un tema di cinque pagine, rielaborandolo personalmente» ringhio, alzando la voce. Celeste mi stinge la gamba e alcune ragazze di Corvonero si girano nella nostra direzione, e si uniscono agli sguardi curiosi che ci stanno già lanciando i Grifondoro nei banchi accanto al mio, ma io non ci bado. Vorrei stare zitta perché ciò che sto per dire mi costerà molto, molto caro. Ma non ce la faccio, quindi, così piano che solo il professore mi possa sentire, sussurro: «Lei non sa dare un giudizio a un buon compito.»
Scommetto che se fosse ancora vivo potrei vederlo visibilmente sbiancare, ma visto che è un fantasma si limita ad indurire lo sguardo.
«Venti punti in meno a Grifondoro» sussurra, con la stessa voce che ho usato io poco prima, laconicamente. «Penso che troverà l’esterno dell’aula molto più confortevole della mia classe, giusto? E si ritenga fortunata che non le abbasso ancora il voto. Non osi mai più contraddire la mia capacità di giudizio. Fuori!»
Io lo guardo negli occhi opachi per qualche secondo, poi prendo la mia borsa e il tema e a grandi passi mi avvio fuori dall’aula tra i sussurri dei miei compagni, assicurandomi di sbattere bene la porta.
 
Una volta a letto, quella sera dopo cena, io e Celeste iniziamo a parlare dell’accaduto. Mi racconta che dopo essere uscita dalla classe di Storia della Magia, Connie Marigold e Liam Simons hanno chiesto a Rüf perché me ne fossi andata e lui ha risposto semplicemente che non so tenere a freno la lingua, che sono una delle persone più maleducate che abbia mai conosciuto e che mi sono stati tolti venti punti.
«Che bastardo! Doveva stare zitto!» grido, in preda alla rabbia.
È già stato abbastanza umiliante per me ricevere l’unica insufficienza della classe. Se in più aggiungiamo la sfuriata davanti al professore composto di ectoplasma, decrepito e noioso, la mia dignità può benissimo essere considerata morta e sepolta.
Ma che cavolo, almeno i particolari su quello che lui pensa di me poteva risparmiarseli al posto che spifferarli ai quattro venti a gente come Connie Marigold !
Non ho idea di come si comporterà con me il professore, d’ora in avanti, né come mi comporterò io con lui. Ammetto di aver esagerato, e che non avrei dovuto rivolgermi a lui così, però, d’altra parte, poteva anche chiudere un occhio e mettermi Accettabile. Mi sono impegnata, davvero! Tento di rassicurarmi dicendomi che quell’ultra centenario di uno spirito non ricorda nemmeno il nome di Harry Potter, tanto vecchio e incurante dei propri alunni, figuriamoci il mio!
La mia stessa giustificazione non sta in piedi e con un singhiozzo, tento di ingoiare i sensi di colpa e l’imbarazzo.
Celeste improvvisamente si mette a sedere e io faccio lo stesso, guardandola perplessa.
«In effetti, però, tu sei dalla parte del torto. So che ti sei impegnata e che ci hai lavorato tanto, ma il compito non era sufficiente, e per quanto tu possa protestare, primo, il voto non cambierà, e secondo, il professore è lui quindi… è lui che decide» dice cautamente Cel, tormentando il lenzuolo bianco, come impaurita da me.
Io resto spiazzata da quelle parole, perché ovviamente sono vere, e non credevo le avrebbe mai dette. Però ha ragione. Ha pienamente ragione e io lo so. Mi sono comportata come una bambina capricciosa e ho fatto una sfuriata a un professore. Mi sono meritata di uscire dalla classe, mi sono meritata di perdere venti punti.
«Lo so» bisbiglio stancamente. «Sai benissimo anche tu come sono fatta. Non sto mai zitta » dico, più a me stessa che a lei. Ripenso alle parole della McGranitt e mi volto dall’altra parte.
Vedi di non mandare tutto all’aria e abbi pazienza.
Già, facile a dirsi, quando si possiede un’innata tranquillità. La mia pazienza è tragicamente e decisamente inesistente.
 
* * *
 
La sera successiva, dopo aver cenato abbondantemente, mi dirigo in biblioteca salutando i miei cugini e i miei amici, per adempiere al compito affidatomi dalla McGranitt.
Stamattina, durante la lezione di Cura delle Creature Magiche, ho raccontato tutto a Jade, sia di Scorpius sia della lezione di Storia della Magia. È felicissima che Scorpius mi dia ripetizioni perché lo ritiene davvero intelligente e simpatico.
Per quanto riguarda Rüf, non ha smesso di ridere un attimo. Ha commentato “Oh mio Dio, era ora che qualcuno glielo dicesse” e io mi sono sentita veramente lusingata, anche se ciò che ho detto non è una cosa di cui andare fieri.
Entro in biblioteca facendo silenzio, perché non voglio finire nei casini anche con Madama Pince, la decrepita bibliotecaria che non vuole sentire altro che il rumore delle pagine che si muovono, altrimenti ti scaccia.
Passo davanti a tutti i corridoi, cercando Malfoy, ma non trovandolo mi siedo a un tavolo con sei posti e prendo un libro a caso dallo scaffale più vicino.
Pozioni: Manuale all’Uso Quotidiano dice il titolo. Pozioni sicuramente non è la mia materia preferita, ma non mi fa male sapere qualcosa in più.
Dopo venti minuti di lettura e attesa, sto già perdendo la pazienza e la speranza che
Malfoy arriverà.
 
Per quanto riguarda l’utilizzo delle Pozioni per la crescita rapida di peli e capelli, raccomandiamo vivamente di seguire il dosaggio consigliato. Somministrare solo qualche goccia in più del siero potrebbe causare effetti collaterali irreversibili quali peluria smisurata o al contrario calvizie totale, nonché difetti estetici molto difficili da ignorare. Qui di seguito c’è la ricetta per creare un’efficacissima…
 
Mi interrompo a metà del paragrafo perché un ragazzo alto e biondo si è appena messo a farmi ombra sul libro.
«Sono cinque minuti che ti cerco» mi saluta.
«Primo, ciao anche a te. E secondo, sto leggendo, e tu stai coprendo la luce» replico.
«Chiedo scusa» dice sarcasticamente, e si siede sulla sedia di fronte a me, le braccia incrociate sul petto.
Lo guardo per qualche secondo e mi accorgo che indossa una maglia di cotone a maniche lunghe e una felpa grigio chiaro con la cerniera abbassata al posto della divisa. I capelli chiarissimi e ondulati riflettono la luce arancione della lampada sopra di noi e gli occhi, che all’ombra sembrano neri, sono fissi su di me.
«Porti gli occhiali?!» chiede sogghignando, e solo allora mi accorgo che indosso ancora i miei occhiali da vista. Mi affretto a toglierli, imbarazzata, e li rimetto nella borsa.
«Ognuno ha i suoi segreti» mormoro con voce ferma.
Malfoy si limita ad alzare le spalle quasi stizzito di essere qui.
«Quindi, dovrò darti ripetizioni tutto l’anno» comincia.
Perspicace, penso io, ma mi trattengo dal dirlo solo per fare un favore alla McGranitt.
Vedi di non mandare tutto all’aria e abbi pazienza.
«Già» commento, tentando di nascondere l’irritazione. Non avevo pensato che, in questa situazione, sarei stata io quella in posizione inferiore. Adesso sono svantaggiata, ho bisogno di lui e ci sono legata.  Per un intero anno dovremo continuare a incontrarci e studiare assieme. Lui, il più bravo della classe, e io, che non trovo la voglia di studiare nemmeno se mi pagano.
Ora, mi chiedo per quale misterioso motivo la McGranitt abbia scelto proprio lui.
Annuisce piano, pensieroso.
«Qual è la tua materia preferita?» chiede.
Nessuno mi ha mai fatto quella domanda, perché tutti danno per scontato che, dal momento che non sono una cima in alcune materie, io detesti la scuola e lo studio. Ed è così, ma fino ad un certo punto.
«Difesa contro le Arti Oscure. E Incantesimi» rispondo. Sono le uniche due materie in cui non ho mai preso un’insufficienza ed è perché mi piacciono, davvero. Esclusa Erbologia. Ma dai, nemmeno se mi mettessi a ballare il tiptap sulle Mandragole di Neville, lui mi metterebbe un brutto voto.
«Bene. Ah, complimenti per quello che hai detto a Rüf» mi prende in giro, sorprendendomi.
Sto per domandargli come cappero faccia a saperlo, imbarazzata, ma poi evito di farlo. Che sia stato qualche Corvonero di sua conoscenza, Jade, o chiunque altro, non voglio far altro che dimenticarmi al più presto questa storia.
Scrollo le spalle e guardo il manuale che ho tra le mani.
«Ci sono delle condizioni che dovrai rispettare» mi informa, con aria di superiorità, sottolineando in questo modo che è lui a fare le regole. «E, visto che dovremo collaborare, cerchiamo di farlo civilmente.»
«Okay» sospiro. «Sono tutt’orecchi.» Mi rigiro il manuale fra le mani e poi lo rimetto al suo posto, mentre lui probabilmente si sta mentalmente facendo la lista di Condizioni-Da-Rispettare-Ad-Ogni-Costo.
«Uno: ci incontreremo sempre qua, martedì, giovedì e sabato, dalle otto alle nove. Due: devi essere puntuale e non ci sono scuse per i ritardi. Tre: nessuno deve sapere che ci incontriamo» dice.
«Aspetta, aspetta. A ottobre iniziano gli allenamenti di Quidditch, se nessuno deve sapere che mi dai ripetizioni, come faccio a spiegare a James il perché non posso allenarmi?» gli chiedo, leggermente in imbarazzo a causa dell’ultima regola.
«Quando inizieranno gli allenamenti ci accorderemo diversamente, ma per ora queste sono le condizioni» risponde con un sorrisetto freddo, che non dovrebbe sembrare nemmeno per sbaglio cordiale.
Io alzo gli occhi al cielo.
«Vuoi dirmi che Albus non deve saperlo? Jade lo sa già» ribatto acidamente.
«Che Albus lo sappia non è un problema, e anche Jade mi sta bene. Ma nessun’altro deve saperlo, chiaro?» ordina.
«Che problema c’è se qualcuno lo viene a sapere? Ti vergogni? Non vuoi che tutti sappiano che sei un secchione e dai ripetizioni?» lo stuzzico.
Ovviamente, non avrei dovuto farlo, perché lui si avvicina a me, sporgendosi sul tavolo, tanto che riesco ad inalare tutto il suo odore: sa di sapone, di limone, di vestiti puliti e di ragazzo.
«Non voglio che sappiano che do ripetizioni a te, Weasley» mormora con una malignità non celata negli occhi. Poi si alza in piedi e noto che è molto più alto di quello che si direbbe: gli arrivo al mento, forse.
«Ci vediamo giovedì» si congeda e poi esce velocemente dalla biblioteca, lasciandomi seduta a torturare i miei occhiali.
Nonostante non sia partita prevenuta, credo che il carattere di Malfoy sia quello di un inguaribile stronzo, cinico, narcisista e crudele Purosangue-Sono-Meglio-Di-Te.
E non capisco cosa mai potrò avere a che fare io con un personaggio del genere.
 
 
Note:
Spero davvero che questo capitolo non sembri banale. Io ci metto del mio meglio, sul serio. E sono anche parzialmente soddisfatta! Però c’è qualcosa che ancora non mi convince al 100%. Comunque, fatemi sapere che ne pensate! :)
Ellie

 

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Capitolo 4
*** Unexpectedly ***


Unexpectedly
 

Don’t tell me that I’m wrong
I’ve walked that road before
I left you on your own
And please believe them when they say
That it’s left for yesterday

-I Bet My Life, Imagine Dragons
 



Il secondo incontro con Malfoy giunge molto prima di quanto vorrei. Oggi è stato il primo giorno dei provini di Quidditch e arrivo in ritardo di cinque minuti in biblioteca, coi capelli bagnati e la borsa dei libri pesantissima che mi impedisce di correre senza farmi un male cane alla coscia. Lo trovo seduto nello stesso posto allo stesso tavolo in cui ci eravamo visti martedì.
«Sei in ritardo, Weasley» sbotta. «Ti avevo esplicitamente detto che dovevi essere puntuale!»
Perdo la pazienza ancora prima di fingere di averne un briciolo.
«Ci sono stati i provini per la nuova squadra, sono riuscita solo a fare la doccia e non ho cenato» grido arrabbiata. È dall’una che non mangio, e dopo aver passato due ore a rincorrere il boccino, sono sfinita ed esausta.
«Ti ho detto che non valevano nemmeno le scuse» risponde beffardo.
Mi siedo di fronte a lui, buttando la borsa sul banco e sbuffando. Sembra stanco, o annoiato. O tutti e due, più probabilmente.
Passiamo quasi un’ora e mezza a studiare Rune Antiche. Man mano che andiamo avanti mi rendo conto che è davvero bravo a spiegare e a farmi ricordare i simboli, anche se è comunque molto noioso ascoltarlo parlare, soprattutto perché si tratta di una materia che non mi va molto a genio.
Mi aiuta a fare i compiti per domani e mi promette che, prima della verifica, studieremo il doppio perché possa prendere un voto sufficiente.
Quando arriva l’ora di andarcene, mi alzo dalla sedia con le gambe e il sedere doloranti. Sento il mio stomaco brontolare e mi metto una mano sulla pancia, nel tentativo di alleviare il dolore. È evidente che anche lui ha sentito il rumore perché apre una tasca esterna della borsa e ne estrae una manciata di caramelle rosse, verdi e blu: Api Frizzole.
«Non saranno granché ma almeno è qualcosa» dice atono.
«Grazie, ma non voglio» rispondo freddamente. Anche se quel gesto si avvicina davvero molto a qualcosa di simile alla gentilezza, non dimentico che Malfoy si vergogna di me a tal punto da non voler far sapere a nessuno che mi dà ripetizioni.
Lui stringe gli occhi e mi fissa, per poi rimettere le caramelle nella borsa nera di pelle di drago.
«Non pensavo fossi così male, Weasley» dichiara, poi si volta e se ne va dalla biblioteca.
«Rose. Chiamami Rose» dico, ormai all’aria che mi circonda.
 
Appena fuori inspiro l’odore di pietra e pittura, così contrastante con quello di legno e libri che c’è all’interno della biblioteca. Mi dirigo dritta al settimo piano e una volta in Sala Comune, mi lascio cadere sulla poltrona più lontana dal camino. Celeste scende in Sala qualche minuto dopo, con un paio di pagnotte di zucca.
Deve avermi aspettata alzata per tutto questo tempo e le sono veramente grata.
«Oh Merlino e Morgana, grazie!» dico strabuzzando gli occhi quasi il cibo che ho davanti fosse un miraggio e addentando il pane. È come se non mangiassi da anni e vorrei ingurgitarlo in fretta, ma mi costringo a mandarlo giù piano piano per riempire un po’ il vuoto.
«Rose, ma dove sei stata? Il coprifuoco è alle dieci e sei appena appena puntuale. Vuoi di nuovo finire nei guai?» mi chiede lei, con il tono di una madre che sta cercando di spiegare al figlio perché non deve combinare disastri.
Ingoio un pezzetto di pane dolce e la guardo. Ha i capelli castano chiaro acconciati in due trecce che le arrivano appena sotto il mento e indossa un pigiama rosso e oro di almeno una taglia più grande di lei. Ha le mani intrecciate sul tavolo e si sta mordendo il labbro inferiore, un tic nervoso di cui penso non si renda conto.
«Prendo ripetizioni. Non posso dirti da chi, mi ha chiesto di non dirlo a nessuno. Oggi è stata la seconda volta in cui ci incontravamo» confesso, sperando che lei percepisca il mio tono alla “non mi fare altre domande”.
Celeste annuisce e si passa la lingua sulle labbra.
«Mi dispiace non poter essere del tutto sincera» aggiungo dopo una lunga pausa, ingollando l’ultimo pezzo della prima pagnotta.
Una volta in bagno, sollevo la testa per pettinarmi e mi guardo un attimo allo specchio. Ho un aspetto terribile: sono pallida e sotto gli occhi ho cerchi viola, ho le guance spruzzate di lentiggini e scavate e i capelli sono un groviglio di ricci rossi. Commento con un ‘ehw’, mi faccio una treccia per domare i capelli e poi mi butto sul letto.
 
Oggi abbiamo lezione di Storia della Magia e sono davvero agitata al pensiero di rivedere Rüf, ma cerco di sembrare più calma possibile. Sì, cerco, perché non funziona molto bene.
Esco dalla Sala Grande in compagnia di Dominique che mi saluta e segue le sue amiche in giardino.
Dietro di me, Scorpius raggiunge Al, e insieme a due ragazzi che dovrebbero essere i loro compagni di stanza, si avviano verso qualche aula ai piani superiori.
Malfoy non mi degna di uno sguardo, non accenna a conoscermi né mi saluta. Non che me lo aspettassi.
Una volta davanti alla porta dell’aula di Storia, prego perché quel malefico uomo trasparente non si ricordi di me.
Come a voler esaudire il mio desiderio, appena Rüf entra in classe posa gli occhi proprio sulla sottoscritta.
«Oggi vuole seguire la mia lezione o preferisce starsene di nuovo fuori, Weasley?» chiede, con la bocca che accenna a curvarsi in un sorriso.
«Sto bene qui» mi limito a dire. Lui fa un cenno con il capo e tutti ci sediamo ai nostri posti. Oggi siamo un gruppo misto di Tassorosso e Grifondoro e spero con tutto il cuore che i compagni non capiscano di cosa stesse parlando il professore.
Le mie speranze vengono sciolte come neve al sole non appena una ragazza di Tassorosso, con il naso all’insù e una brutta acne, mi passa accanto e si complimenta per la risposta data a Rüf. È mai possibile che in questo Castello le parole privacy e affari altrui non abbiano il benché minimo significato?!
Passiamo entrambe le ore di lezione a parlare di Troll, folletti, Goblin e altre schifose creature, i cui soli nomi mi fanno venire i brividi. Rüf ci assegna il compito di cercare informazioni su tre famose rivolte dei folletti e scriverne un tema di una pagina, che dovremo consegnare il venerdì successivo.
Quando si congeda, mi lancia un’occhiata che per me vale come un “buona fortuna” sarcastico e io mi volto accettando la sfida e seguendo Celeste fuori dall’aula.
 
Le due ore prima di pranzo sono dedicate a Trasfigurazione. Il professore ci accoglie come al solito con un grande sorriso e un sacco di entusiasmo.
Wessex è il professore che da ormai vent’anni ha sostituito la McGranitt come insegnante di Trasfigurazione. È un uomo oltre la quarantina, con i capelli brizzolati e ispidi e scuri occhi castani. È davvero un bravo professore, anche se spesso si infuria fino a diventare color pomodoro maturo se non riusciamo in qualche incantesimo basilare, poiché lui vuole sempre che diamo il massimo. È alto e muscoloso e deve aver giocato a Quidditch per molti anni, viste le varie ed evidenti fratture che si è procurato al naso, ai polsi e alle caviglie.
Quando cammina zoppica un po’ ma fa tutto parte del suo fascino da uomo di mezza età grazie al quale, nonostante porti la fede al dito, metà delle ragazze di Hogwarts gli sbavano dietro.
Nemmeno un secondo dopo essersi seduto alla sua scrivania di mogano, scatta in piedi come una molla, e ci annuncia di volerci insegnare un nuovo incantesimo, che tratteremo per una settimana circa, e che sarà quasi sicuramente materia d’esame ai G.U.F.O come I.N.V1.
Ognuno di noi prende una piccola tazzina da tè in una scatola in fondo all’aula e poi torna al suo posto, mentre Wessex continua a spiegare in cosa consista l’incantesimo che praticheremo oggi.
«Come sapete, la Trasfigurazione di un oggetto inanimato è un procedimento molto complesso. Entrano in gioco, oltre alla magia, le particelle di materia di cui è composto un determinato corpo. Esse mutano, si spostano, creano nuovi agglomerati di particelle che danno vita a un essere vivente. Sembra una cosa da niente, ma vi assicuro che ci vuole pratica e una buona dose di capacità. Vi avverto che Trasfigurare un essere vivente in un oggetto inanimato è molto diverso dal suo opposto ed è relativamente più semplice, quindi non aspettatevi di riuscire a trasformare quelle tazzine in uccelli al primo tentativo» espone.
Ci mostra come muovere la bacchetta per lanciare l’incantesimo e ci dice di pronunciare la formula ”Avifors”.
Ci alleniamo per entrambe le ore sui movimenti del braccio, sullo studio teorico delle particelle di energia e sulla magia che viene applicata, e dieci minuti prima della fine della seconda lezione, Wessex ci consiglia di provare a Trasfigurare le tazzine.
«Avifors » sussurro, muovendo seccamente il polso verso sinistra. Per circa due secondi non accade nulla ma dopo, improvvisamente, la tazzina inizia a vibrare e muta per diventare un canarino giallo con il becco arancione. Osservo l’uccellino inclinare la testa e guardarsi attorno con gli occhi spalancati, proprio mentre Wessex mi si avvicina.
«Complimenti Rose!» esulta battendomi una mano sulla schiena. «Prova a prenderlo in mano, non dovrebbe avere paura.»
Io faccio come mi ha detto e accarezzo la testa piumata della creatura, sorridendo.
Lancio un’occhiata a Celeste, qualche banco dietro di me e vedo che mi sta fissando con gli occhi azzurri interrogativi e un sopracciglio sollevato.
È mio! scandisco con le labbra. Lei scuote la testa e ride, tornando a guardare la sua tazza da tè, ancora immutata.
 
«Oh mio Dio, questo pasticcio è una delle cose più buone che esistano al mondo» borbotto con la bocca piena di verdure.
James scoppia in una sonora risata provocatoria e addenta un pezzo di pasticcio di rognone.
«Se sul campo da gioco perdi le forze perché non mangi carne, ti giuro su Merlino che non vengo a vedere di te» mi minaccia brandendo la forchetta.
Alzo gli occhi al cielo, sbuffando.
«Come stanno andando i provini?» chiede Roxanne a James.
Roxanne, che ha la stessa età di James, è la persona in assoluto più legata a lui. Mentre un tempo lui e Dominique condividevano tutto e ho i miei dubbi che fosse un rapporto solo familiare, l’amicizia che unisce Roxy e Jamie è profonda e indissolubile. Non li ho mai e poi mai sentiti litigare, e forse è proprio questo che li rende così legati.
Hanno due caratteri completamente diversi e credo che nessuno mai crederebbe che quei due hanno dei geni in comune. Roxanne è una ragazza tosta, forte, emancipata e indipendente, la persona più impulsiva che io conosca. Nonostante questo, però, è una pacifista di prima categoria, e non alzerebbe mai e poi mai le mani contro nessuno.
Amo il suo carattere spontaneo e allegro e la sua perseveranza.
James, al contrario, è più aggressivo e meno tollerante, ma allo stesso tempo è un ragazzo profondamente sensibile e pensieroso, anche se non lo dà mai a vedere. Devi conoscerlo molto bene e ottenere la sua fiducia se vuoi comprenderlo. Non sorride spesso e se lo fa sembra quasi un sorriso spento e lontano.
Gli unici aspetti che hanno in comune sono la totale dedizione a sport e famiglia, e la passione nel combinare guai.
«Be’, la squadra è completa per metà. Rose è la Cercatrice, tu e Fred i Battitori, io il Portiere. David Lodge è una delle riserve dei Battitori, quindi ci mancano tre Cacciatori» spiega.
James, per l’appunto, è un fanatico di Quidditch. Non dico che supera Rosier ma quei due sono praticamente testa a testa. Anche Rosier è un portiere e tra i due c’è sempre stata moltissima competizione a partire dal primo anno. Sono gelosi l’uno dell’altro e spesso nelle partite che disputiamo contro i Serpeverde, uno dei due viene espulso per scorrettezze verso l’altro, appena termina il match.
«La prossima estate c’è la Coppa del Mondo di Quidditch! Mio padre mi ha promesso che ci porta alla finale, sta già cercando i biglietti» dice James, un guizzo di allegria.
Roxanne si passa una mano tra i capelli talmente ricci che non credo le sue dita scorrano facilmente e si sporge in avanti sul tavolo, masticando qualcosa.
«Ti assicuro che se mia madre non mi lascia partire con voi, scappo di casa» sentenzia, rivolta a James.
Lui sorride e anche io lo faccio, aggiungendomi al discorso.
«Io devo andarci. E se per ottenere il permesso mi toccherà stare zitta e buona tutto l’anno allora lo farò» assicuro.
James mi guarda disgustato e io gli faccio una smorfia.
 
«Non mi sento più il culo, James!» strillo verso le sette e mezzo di sera. Sto cavalcando la mia scopa da due ore e sono stremata: oggi ho dovuto dimostrare che non ci sono Cercatori più bravi di me a Grifondoro, così sono potuta rimanere in squadra. Mi rifiuto di vedere anche un solo altro boccino d’oro e atterro al suolo con poca eleganza. Dopo qualche secondo mi si affianca Dave, senza dire una parola. Anche lui ha passato entrambe le ore a giocare, poiché Roxanne non è potuta venire ai provini a causa dei compiti. Sembra che stia prendendo la storia della finale della Coppa del Mondo molto seriamente, come me.
Ho deciso che domani mattina scriverò a mia madre, per farle sapere che sono viva. Eviterò in tutti i modi possibili di parlarle del viaggio con i cugini, perché riguardo a questioni di Quidditch è a papà che devo rivolgermi, visto che detiene lui il potere almeno su queste decisioni. Cammino velocemente verso gli spogliatoi, separandomi da David. Mi svesto, mi faccio la doccia in tempo record e, senza aspettare nessuno, torno dentro al castello.
Mancano pochi minuti alle otto e la Sala Grande è mezza piena, ma gli studenti per lo più stanno chiacchierando. Raggiungo Celeste, Belle e Margaret al tavolo di Grifondoro, cercando di nascondere le mie condizioni, anche se non è molto facile: capelli bagnati e divisa sudicia, scopa alla mano e sacca da Quidditch nell’altra.
Appena mi siedo accanto a Celeste, lei apre la bocca per chiedermi qualcosa, ma io le lancio un’occhiata e alzo stancamente la mano per fermarla, scuotendo la testa.
Sono certa di avere uno sguardo a metà fra il sto-per-compiere-un-omicidio e lo stremato.
 
Quando entro in Sala Comune non mi sento più le gambe e abbandono le braccia doloranti e piene di lividi lungo i fianchi. Appoggio la Firebolt in un angolo della stanza e lancio la sacca da Quidditch su un tavolo. Celeste mi avverte che mi aspetta in camera nostra e io annuisco con un piccolo sorriso forzato.
Da quando sono arrivata in Sala Grande a questo momento, non ho ancora proferito parola.
Quando anche James, in compagnia di Philip Thomas, entra dal cubicolo del ritratto, lo fulmino con un’occhiataccia, a cui lui non sembra badare, e prosegue oltre, salendo le scale a destra. Appoggio la schiena alla poltrona su cui sono seduta e giro la testa dalla parte del fuoco spento, poi chiudo gli occhi.
Vengo risvegliata da una voce familiare e da una mano che mi cinge dolcemente la spalla destra.
«Rose, svegliati, c’è la lezione di Astronomia» mi avverte Celeste.
Io annuisco e mi stiracchio, sbattendo gli occhi più volte per assicurarmi di vederci bene, nonostante abbia la vista appannata.
Io e tutti i ragazzi del quinto anno ci ritroviamo fuori dalla Sala Comune, dove la professoressa Sinistra ci sta aspettando con espressione corrucciata.
«Ci siamo tutti? Andiamo, andiamo, andiamo» ordina la donna, senza attendere risposta.
Saliamo fino in cima alla Torre di Astronomia e poi usciamo nello spiazzo dove sono stati piazzati una decina di telescopi. L’aria è fredda ma non fastidiosa e il cielo, oltre a qualche nuvola grigia sparsa qua e là, è una tela blu costellata da puntini luminosi. Mi avvicino al muretto della Torre e guardo giù, verso il giardino del castello, rimanendo quasi senza fiato per la vista meravigliosa.
Vedo la capanna di Hagrid, una doppia costruzione di pietra e legno, rimodernata dopo essere stata bruciata, poco più avanti rispetto al margine della Foresta Proibita, la quale si estende a perdita d’occhio.
A destra si intravede uno sprazzo del Lago Nero, la cui superficie è una lastra d’acciaio calmissima, circondata da cespugli e bassi alberi. Di fronte al Lago c’è l’entrata della scuola che da questo punto non è visibile. L’elemento più bello del panorama però, si trova di fronte a me, oltre la foresta e dietro al Lago: ci sono montagne, tantissime montagne che sembrano nascere e svanire nel nulla, circondate da una nebbia fittissima. Assomigliano al dipinto di un paesaggio malinconico, una fotografia fatta durante una notte stellata.
È davvero difficile per me riuscire a tenere gli occhi aperti durante l’ora di lezione, ma quando finalmente la professoressa Sinistra ci avvisa che possiamo tornare a dormire, non me lo faccio ripetere due volte e schizzo verso la mia camera.
Mi sveglio che è il giorno dopo e leggo l’orario sull’orologio di Belle: 12.36.
«Oh cazzo» sussurro, massaggiandomi gli occhi. Ho un martellante mal di testa e mi sento il naso tappato. Dopo aver indossato vestiti puliti ed essermi sistemata, scendo in Sala Comune, dove trovo solo Lizzie o Livvie o Qualcosadelgenere.
«Ehi, scusa, ciao» la saluto cordialmente. Lei non risponde e si limita a scrivere qualcosa su un foglio, non dando segno di avermi vista.
«S-sai dirmi dov’è Dominique?» le domando più dolcemente possibile.
Lei alza la testa dal libro che ora sta leggendo e mi guarda con circospezione.
«Penso sia in giardino» risponde, strascicando le parole. Annuisco e la ringrazio, ma lei è già tornata a leggere.
Prima di scendere le scale mi siedo al tavolo più vicino alla finestra, prendo carta e penna e scrivo una lettera ai miei genitori:
 
Per Ronald e Hermione Weasley
12, Phoenix Road
Brentford, Londra, Greater London
 
Scusate se non vi ho scritto prima ma sono stata molto occupata con la scuola e i provini. Vero fino ad un certo punto visto che non volevo scrivere a mia madre per principio – Come state? Qua tutto bene, naturalmente. Sto prendendo ripetizioni da un ragazzo di Serpeverde e, mamma, a Natale dobbiamo parlarne. – Tanto so che liquiderà tutto, come suo solito –
Tra un po’ inizia il campionato di Quidditch quindi, papà, ti prego di raccontarmi la situazione dei Falcons, grazie. Come stanno Victorie e Teddy? Lucy, Molly – Come se mi interessasse della sua salute – e gli zii? I nonni? Salutate tutti.
Rose
 
Quando mi ritengo soddisfatta del falsissimo risultato ottenuto, imbusto la lettera ed esco dalla Sala. Non trovo i miei cugini da nessuna parte ma visto che è quasi ora di pranzo, entro in Sala Grande e prendo posto di fronte a Ginger Bates, una ragazza del sesto anno con le orecchie a sventola e i capelli biondi. Ho conosciuto Ginger durante una festa in Sala Comune, due anni fa, per festeggiare la vittoria della Coppa delle Case. Quando mi avvicino noto che indossa un ciondolo che rappresenta la metà di un cuore argentato, con la lettera “B” incisa sopra. Ginger si accorge che sto guardando la sua collana e comincia a ridere.
«B sta per Bates?» domando curiosa.
Lei continua a ridere e poi posa i grandi occhi castani su di me.
«No, B sta per Benjamin, il mio ragazzo» trilla, con la sua voce sottile.
«Oh… cavolo, non lo sapevo!» balbetto, sbalordita.
«Sì be’, usciamo da tipo luglio». Guarda oltre me, verso il tavolo dei Tassorosso e poi con il mento mi fa segno di girarmi. Un ragazzo alto e magrissimo si sta sedendo accanto a dei suoi amici, salutandoli con una stretta di mano. Non è brutto ma nemmeno una grande bellezza, e quando si gira verso il nostro tavolo noto che ha il naso e i denti storti.
Torno a voltarmi verso Ginger, ma lei è sparita e si sta già avviando verso il tavolo di Benjamin.
Alza la mano nella mia direzione e io le sorrido.
Ho frequentato un solo ragazzo da quando sono a Hogwarts: si chiama Tristan ed è un Corvonero con cui sono uscita sì e no un mese, al terzo anno. Il mio primo ragazzo, grandi aspettative, no? E invece è stato un disastro. Il lato positivo è che in quel periodo ero molto brava a scuola, chissà perché… Ci siamo lasciati perché diceva che ero ancora una bambina e io dicevo lo stesso di lui. Nessuna storia vera quindi, e la cosa mi fa pensare che non sono adatta a delle relazioni.
Vicino a me si accomodano Celeste, Belle e Meg, seguite involontariamente da Dominique e Jonah.
Mi accorgo che James è seduto molto più indietro rispetto a noi e ci sta lanciando delle occhiatacce. Dom si siede vicino al suo ragazzo che le sussurra delle parole all’orecchio mentre lei ride. Poi lui le prende il mento tra le mani e inizia a baciarla al che io distolgo lo sguardo, solo per notare che almeno una decina di ragazzi di ogni casata li sta fissando, ridacchiando e sussurrandosi qualcosa all’orecchio.
 
Al pomeriggio esco in giardino e cammino un po’ nel parco del castello, da sola. A volte mi ci vogliono questi momenti di tranquillità, lontana dal casino. Non che non mi piaccia, anzi, ma a volte ci vuole una pausa, ecco. È da quando sono piccola che passo praticamente ogni istante circondata da un sacco di persone: la nonna Molly che non approva la mia scelta di essere vegetariana ma mi riempie comunque il piatto di esperimenti e verdure; il nonno Arthur, che è così affascinato dai Babbani che a volte si mescola con loro nell’intento di capirne modi e abitudini; i nonni materni li vedo molto di rado, ma quando riusciamo a incontrarci non fanno che riempire me e mio fratello di regali. Poi ci sono naturalmente tutti gli zii: Bill e Fleur mi hanno fatto passare tantissime notti a casa loro con Victoire e Dominique, sorbendosi le lamentele di Louis secondo cui non lo facevamo giocare assieme a noi, Harry e Ginny che non hanno mai tempo per i figli, figuriamoci per una delle tante nipoti, Percy e Audrey, le due persone più tranquille della famiglia, George e Angelina, che devono essere due genitori davvero fantastici, perché oltre a non stare mai fermi, hanno anche la mentalità di due ragazzi di sedici anni. Zio Charlie invece è un single con una casa tutta sua e una calvizie incipiente non da poco.
Arrivo alla Guferia e salgo le scale della Torre, infreddolita per la gelida aria autunnale che si insinua fra gli spazi vuoti dei miei abiti.
Quando arrivo in cima mi irrigidisco appena vedo un ragazzo magro e alto, con i capelli biondi, che sta dando da mangiare ad alcune civette. Appoggio un piede sull’ultimo scalino e provoco uno scricchiolio dell’asse di legno, leggero, ma non abbastanza perché il ragazzo non si volti, spaventato.
«Malfoy?!» dico sorpresa quando lo riconosco, ancora sulla porta. Lui non risponde, si limita a respirare pesantemente e a nascondere dietro alla schiena il cibo per gufi. Una civetta nera come il carbone vola dentro alla stanza e gli si appoggia sulla spalla, mentre lui inizia ad arrossire leggermente e la scaccia via in malo modo.
L’animale, offeso, si appoggia alla finestra.
«Ti piacciono gli animali?» chiedo, prima di riuscire a trattenermi, con una sfumatura canzonatoria.
«E quindi?» borbotta con la sua solita voce fredda e pragmatica.
«Era solo una domanda…» sbuffo.
Mi avvicino alla civetta che sta ancora appollaiata sul muretto dietro a lui e, piano piano, porto la mano verso la sua testa e poi l’accarezzo, mentre lei socchiude gli occhi gialli.
Fuori, osservo le cime degli alberi, che a quanto pare sono un ottimo luogo in cui riposare: decine e decine di gufi vi stanno appollaiati. Scelgo la civetta carbone, le affido la lettera accarezzandola e la guardo volare via. Quando mi volto, Malfoy non c’è più.
Io e le ragazze siamo sedute in Sala Comune. Le uniche altre persone presenti sono Lily e la sua migliore amica. Io e Margaret giochiamo agli scacchi dei maghi e siamo concentratissime. O almeno lei lo è.
«Pedone in F5» sussurra. Il suo pedone si sposta in avanti di una casella, distruggendo il mio e lasciando scoperto il re.
Alzo la testa per guardarla e vedo che sta ridendo di gusto, perché sa anche lei che sono totalmente incompetente per quanto riguarda giochi del genere.
«Ti toccherà scrivere il mio compito di Storia» cinguetta, alludendo alla scommessa che avevamo fatto a inizio partita.
«Non riuscirò a scrivere nemmeno il mio, figurati!» rido, ma un pensiero mi attraversa la mente e mi fa chiudere lo stomaco.
Compito. Storia della Magia. Brutto voto. Ripetizioni. Malfoy. Sabato.
Con il cuore in gola lancio un’occhiata al vecchio orologio fissato sopra al camino e trattengo il fiato: sono le otto e diciassette. Ci vogliono dieci minuti per raggiungere la biblioteca, così mi precipito in camera senza dare alcuna spiegazione a Maggie. Nella foga del momento rovescio la scacchiera e annullo la nostra mezz’ora buona di gioco. Lancio dentro alla borsa il libro di Storia della Magia e quello di Pozioni, poi esco dalla Sala Comune sotto gli sguardi perplessi delle mie amiche.
Corro fino a non avere più fiato e arrivo proprio mentre Malfoy sta uscendo dalla stanza.
Appena mi vede, serra le labbra e fa per girare, ma io lo prendo per un polso, costringendolo a voltarsi.
«Scusa, io… io mi sono dimenticata» farfuglio col fiatone. Lui mi guarda con superiorità per qualche secondo.
«È questo il tuo problema, non riesci a capire la differenza tra ciò che è importante e ciò che non lo è. Non lo so… non so nemmeno perché ho accettato questa cosa, io dovevo solo stare nel mio, e lasciare che ti arrangiassi da sola» sibila.
«Ti prego, non succederà più. Ho bisogno del tuo aiuto» ribatto, in tono supplichevole.
«Non è vero. A te basta qualcuno che ti faccia i compiti. Tu non hai bisogno delle persone, tu le usi » sputa.
Mollo la presa dal suo polso, lui si gira e io non provo più a fermarlo.
 
* * *
 
Albus è davvero bravo a giocare a scacchi. A metà della terza partita io ho solamente mosso tutte le pedine, a caso, sulla scacchiera. I nuvoloni che coprono il soffitto della Sala Grande creano un’ombra triste sui tavoli e rendono tutto più inquietante: le figure dei ragazzi che camminano su e giù per i corridoi, i quadri appesi ai muri, le candele e perfino i fantasmi che svolazzano in cerca di qualcuno da importunare con i loro discorsi paradossali.
«Albus» lo chiamo, abbassandomi per tentare di guardarlo negli occhi. Lui non risponde e dalla ruga di concentrazione che appare sulla sua fronte, so che non mi ha sentita.
«Albus?» ritento, più incerta, tamburellando le dita sul tavolo.
«Al, ho combinato un casino con Malfoy?» mormoro piano, alla fine.
Lui pare ancora estremamente concentrato sul gioco e rimane zitto per molto tempo. Stavolta però sono sicura che mi abbia ascoltata. Quando si decide a fare la sua mossa, dà scacco matto al mio re. Dopo avergli raccontato cos’è successo ieri sera, lui non ha ancora detto una parola.
«No, ma ha ragione» sospira lui, con un sorriso trionfante sul volto. Alza la testa e io incollo i miei occhi ai suoi, per quella che pare un’infinità di tempo.
«Lo so. Vorrei parlargli ma dubito che lui me lo concederà. È Malfoy, per la miseria, non so nemmeno perché abbia accettato di darmi una mano» sbuffo esasperata.
«Non lo so nemmeno io, sinceramente. So che è una persona molto generosa e altruista.»
«Ma io me ne sono dimenticata, non l’ho fatto apposta. Ora mi odia ancora più di prima!» piagnucolo.
«No, non ti odia.»
«Okay, però si vergogna di me, non vuole che nessuno sappia che mi dà ripetizioni» chiarisco il concetto, sbuffando.
Albus emette un suono a metà fra un gemito e una risata, poi cambia argomento.
 
Lunedì mattina, poco dopo aver iniziato a fare colazione, entra in Sala Grande uno stormo di gufi, civette, barbagianni e uccelli tra le più varie specie. Stanno portando pacchi, scatole, regali, giornali e riviste.
La civetta che avevo scelto per inviare la lettera ai miei, plana sul tavolo, lasciando cadere la missiva a due centimetri dal porridge.
Rompo la busta e leggo velocemente:
 
Rose, abbiamo saputo da Hugo che sei viva ma fatti sentire più spesso. – Certo mamma. Contaci. – Qua stanno tutti bene. Spero che le ripetizioni ti siano d’aiuto. – Estremamente utili – Papà ha assicurato che ti avvertirà dei risultati dei Falcons e mi ha costretta ad aggiungere un caloroso “FORZA CANNONI!”. Comportati bene e studia, studia tanto. – Bla bla bla –
Un bacio, mamma
 
Con una smorfia appoggio la lettera sul tavolo e continuo a mangiare la mia colazione. Quando sto per alzarmi, mio fratello si avvicina piano, con gli occhi castani ancora assonnati e i capelli ricci come i miei scompigliati. Ora è più alto di me e quasi mi viene un groppo alla gola nel constatare quanto sia cresciuto negli ultimi mesi.
«Buongiorno Rosie» borbotta.
«Ciao Hugo» lo saluto. «Mi hanno scritto mamma e papà». Gli leggo la lettera e poi me la infilo in tasca.
«Forza Cannoni!» esulta, riprendendo un po’ del solito entusiasmo. Gli poggio un veloce bacio sulla testa castana.
 
 
Verso le sette e mezzo del mattino successivo sono già in Sala Grande, in compagnia di una esuberante neo-quindicenne. Ogni volta che qualcuno le fa gli auguri lei si apre in un sorriso a sessantaquattro denti e ringrazia.
Uno dei barbagianni che occupano la posizione di Postino-Per-La-Gazzetta-Del-Profeta, mi lancia la copia del giornale e io lo prendo con molta agilità, facendolo quasi finire nella brocca del tè.
Sulla prima pagina troneggia un titolo scritto a caratteri cubitali: TENTATA RAPINA ALL’UFFICIO MISTERI, MORTI DUE INDICIBILI e poi il sottotitolo, più piccolo “Ieri notte dei misteriosi malfattori hanno tentato di penetrare nella Sala Proibita, situata nell’Ufficio Misteri, uccidendo due Indicibili e seminando il panico tra i lavoratori del Ministero. (Ewald e Lindberg alle pagine 7, 9, 10, 11)”.
 
Apro in fretta il giornale, chiedendo col labiale a James, seduto a qualche metro da me, se sa di cosa parla. Lui si avvicina e strabuzza gli occhi stupito, poi leggiamo:
 
   Sembra che non si siano fermati i tentativi di ignoti maghi o streghe di rapinare il Ministero della Magia. Stavolta è toccato alla Sala Proibita, situata all’interno dell’Ufficio Misteri, al nono piano dell’edificio. Non si sa chi siano né cosa vogliano questi maghi, tantomeno se ne conosce il numero. Si pensa che agiscano in gruppi formati da circa tre o quattro persone, e siano davvero dei geni del crimine, visto che non hanno lasciato nessuna traccia che possa condurre alla loro incolpazione.
  Questo è già il secondo, spiacevole episodio verificatosi in meno di due mesi. Il primo, ricordiamo, avvenne il 3 luglio scorso, e colpì la Divisione Animali, antica ma sempre funzionante sezione dell’Ufficio Regolamentazione e Controllo delle Creature Magiche. Durante l’attacco, anch’esso avvenuto durante la notte, rimasero feriti Cliodna Acker e Boggart Bladvak e vennero uccisi i due coniugi Bernardette e Cyril Hunter. I due feriti non ricordano assolutamente nulla dell’episodio, poiché sostennero di essere stati Obliviati appena fallita la missione dei misteriosi malfattori. Questa versione dei fatti venne confermata dai Medimaghi accorsi sul luogo, che dissero di aver trovato i due impiegati in stato confusionario e in preda al panico accanto ai corpi senza vita degli Hunter.
   La scorsa notte erano in servizio Alberic Bletchey ed Elmaros Moran e durante la solita routine di veglia notturna, probabilmente allarmati da un rumore sospetto, i due si sono avvicinati alla Sala Proibita (che non si sa cosa contenga, poiché è un segreto custodito gelosamente dagli Indicibili). Si presume che, una volta visti i volti degli attentatori, Bletchey si sia mosso velocemente verso le scale, per scendere ad avvisare gli altri guardiani notturni. Inutile dire che non ce l’ha fatta. Il suo corpo è stato ritrovato senza vita in fondo alla prima rampa di scale, irrigidito dall’effetto dell’Anatema Che Uccide. Il cadavere di Moran, invece, riporta diverse lesioni, il che fa presagire che abbiano prima torturato l’uomo, sperando di estorcergli qualche informazione, e poi ucciso, giacché ritenuto inutile.
   Il Ministro della Magia Kingsley Shacklebolt si definisce “scosso e addolorato” dopo gli avvenimenti della scorsa notte, e si unisce al dolore per le perdite delle famiglie dei due Indicibili. Inoltre assicura che lavorerà senza posa con tutti gli Auror di cui dispone per scoprire chi sia l’artefice di un così spietato attacco.
   Chi sono dunque i misteriosi malfattori? E cosa stanno cercando di fare? Dopo un lungo periodo di tranquillità post-guerra, si pensava di essere al sicuro ma a quanto pare non è così. Sorge quindi spontanea un’ultima domanda: che questi maghi o streghe stiano cercando di seguire le orme del Signore Oscuro?
 
L’articolo continua con le interviste alle famiglie degli Indicibili e lunghe condoglianze da parte di amici e colleghi.
Guardo James senza sapere esattamente cosa dire. Lui scuote la testa.
«Non ci posso credere. Sappiamo tutti cosa sia successo vent’anni fa, durante la Guerra. Perché dovrebbero esserci persone ancora disposte a commettere crimini simili? È paradossale» sbotta infervorato.
«C’è scritto Signore Oscuro» osservo. «Non Voldemort, ma Signore Oscuro. La gente ha ancora paura di lui, anche se si sa per certo che sia morto. Ormai è un incubo comune, Jamie, nelle menti della gente è inculcato un ricordo indelebile, mi pare più che sensato che il primo pensiero vada a lui.»
James volta la testa dall’altra parte, sentendo un fruscio di vesti, e accanto a noi si siede Albus.
«Avete letto dell’attacco al Ministero?» chiede serio. Annuiamo entrambi, mostrandogli il giornale.
«Dobbiamo chiedere a papà cos’è successo. Lui è tra gli Auror che sicuramente indagheranno, e io voglio tenermi aggiornato» dichiara James. Io annuisco di nuovo, poi nascondo il giornale e mi volto verso Celeste, che a quanto pare non si è accorta di nulla.
 
Dopo aver bevuto il tè del pomeriggio in compagnia della mia amica, trovo la scusa di un incontro con Dominique e riesco a sgattaiolare fuori dalla Sala Grande senza tante domande.
In realtà non è Dominique che sto cercando, ma Malfoy, per parlargli e cercare di sistemare la situazione. Okay, lo ammetto, è colpa mia che sono arrivata in ritardo all’incontro, ma può succedere. E poi era sabato, e a quell’ora io mi stavo già immaginando la lunga dormita che mi sarei fatta la sera.
Al posto di salire le scale di pietra, svolto a destra e percorro il lungo corridoio di pietra che conduce alla Sala Comune dei Serpeverde. È quasi totalmente coperto da quadri e candelabri, i quali danno un’aria piuttosto spettrale al passaggio, che non a caso viene chiamato “il Buio”. Scendo le rampe fino ad arrivare nei sotterranei della scuola, quindi cammino finché non mi trovo davanti al grande mascherone che funge da porta d’ingresso per la Sala Comune. Ho costretto Albus a rivelarmi la parola d’ordine stamattina, ma non gli ho detto il perché.
«Tu non fai parte della nobile casata dei Serpeverde. Vattene, prima…» borbotta il mascherone, con la sua voce ruvida come carta vetrata.
Non lo lascio terminare la frase e gli dico: «Barone Sanguinario.»
«Entra, Mezzosangue» sputa riluttante. Poi si trasforma di nuovo in un muro e io appoggio i palmi delle mani sulla parete, per farla scorrere. Prima di chiudermi la porta alle spalle, dico: «Suvvia, ancora così razzisti?»
La Sala Comune dei Serpeverde, messa a confronto con quella di Grifondoro, è un bello schifo. È tetra, tutta verde e argento e buia.
Non è la prima volta che ci entro, ma sembra che ci siano stati dei cambiamenti dall’anno scorso: le pareti sono ricoperte da stemmi che rappresentano un serpente grigio su sfondo verde smeraldo; sopra al camino, anch’esso di una vaga sfumatura verdognola, troneggia il ritratto di Piton, con i lunghi e unti capelli neri pettinati da una parte. Una targhetta sotto il quadro riporta “Severus Piton (9 gennaio 1960-2 maggio 1998) astuto, leale, saggio e coraggioso Preside di Hogwarts”. Sono sicura che questi particolari l’anno scorso non ci fossero.
Percorro la Sala, sotto gli sguardi curiosi, giudici e arroganti dei ragazzi di Serpeverde, fino a raggiungere l’entrata ai dormitori maschili. Apro la porta e mi fiondo lungo il corridoio. Prima rampa e subito a sinistra, ripeto a mente. Mi trovo davanti la porta di legno massiccio, a cui è stato appiccicato un foglio scritto in piccolo che dice: Camera di Scorpius Malfoy, Albus Potter, Christopher Skyes, Caleb Unwin, Gabriel Rush. BUSSARE PRIMA DI ENTRARE.
Ignoro apertamente l’indicazione, pentendomene mezza frazione di secondo dopo: nella stanza c’è Scorpius, ma non è solo. Una ragazza magra, con i capelli color grano raccolti in una lunga treccia è avvinghiata a lui e ha la bocca sulla sua.
 
 
Note:
1) Incantesimo Non Verbale
 
che ne pensate di questo capitolo? Okay, i luoghi dove si svolgono le azioni, se così possono essere chiamate, sono sempre quelli, ma sono i fondamentali. Più avanti amplierò i miei orizzonti. È troppo se vi chiedo un commentino su come mi è venuto fuori l’articolo della Gazzetta del Profeta?
Questo è l’ultimo capitolo che pubblicherò oggi, aggiornerò verso la fine del mese, penso.
Grazie ai già tanti lettori silenziosi
Ellie

 

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Capitolo 5
*** It is better not to know ***


It is better not to know
 

Every rose has its thorn
Just like every night has its dawn
Just like every cowboy sings his sad, sad song
-Every Rose Has Its Thorn, Miley Cyrus
 


 
Scendo velocemente le scale che portano alla capanna di Hagrid, in compagnia di Jade. Sono tardi, come al solito.
È giovedì pomeriggio e il cielo è coperto, ma non minaccia pioggia. Per tutta la strada che porta dalla Sala D’ingresso alla casa del professore di Cura delle Creature Magiche, provo a convincere Jade a trattare meglio Celeste. Non passiamo così tanto tempo assieme da un sacco di mesi e capisco sempre di più quanto lei sia importante per me. Dopo aver passato l’estate senza sentirci, non facciamo altro che parlare, spettegolare e ridere. Lei riesce a capirmi meglio di chiunque altro, anche di Celeste. Non mi giudica mai, e mi sento un po’ in colpa a non averle detto che mi piace Dave.
Per quanto riguarda la situazione Celeste, ho fatto un grande passo avanti, facendo promettere a Jade che non solo cercherà di comportarsi meglio, ma che proverà addirittura a conoscerla meglio.
« Rose, ho una notizia fan-tas-ti-ca! » esulta poco prima di aggiungerci al già numeroso gruppo di Grifondoro e Serpeverde. Hagrid per fortuna non è ancora uscito dalla sua casa di paglia.
Inconsciamente e sorprendendomi di me stessa, cerco i capelli biondi di Malfoy.
« Spara » la invito, con un sorrisetto, riscossa dai miei pensieri.
« I miei genitori mi hanno promesso che mi porteranno in Spagna per la finale della Coppa del Mondo di Quidditch! A patto, ovviamente, che ottenga buoni voti durante tutto l’anno e che superi i G.U.F.O con almeno due Oltre Ogni Previsione » dice, esultando. Sto per rispondere che miseriaccia, anche io voglio andarci, quando la voce cavernosa del professore ci richiama all’ordine. Dopo averci spiegato in cosa consisterà la lezione di oggi, tralasciando ovviamente il nome dell’animale che sta per ucciderci, ci accompagna verso la Foresta Proibita, che a quest’ora del giorno non è poi così proibita. Girano molte voci su delle coppie che per cercare un po’ di privacy si nascondano nella Foresta. Ciò che fanno lasciamolo all’immaginazione.
Ci spargiamo davanti ad un recinto di ferro di forma circolare, al cui interno si vedono solo tre alberi e un sacco di erbacce. Guardiamo tutti Hagrid con un’espressione confusa, mentre lui ha un enorme sorriso nascosto nella barba grigia e ispida.
« Tranquilli, è solo un po’ spaventato » ci assicura. Noi sembriamo ancora più scettici ma lui non aggiunge niente, ed entra nel recinto. Ne approfitto per continuare la discussione con Jade.
« Stai bene? Sembri pallida e malata » mi fa notare con un filo di preoccupazione nella voce.
« Sì, benissimo » borbotto, individuando la sagoma di Malfoy e abbassando lo sguardo.
Jade ovviamente nota il mio imbarazzo e si preoccupa ancora di più.
« Cos’è successo? » domanda, parlando a bassa voce.
Le racconto velocemente l’accaduto, imporporandomi con l’andare della vicenda.
« Oh » commenta lei, trattenendo il respiro. Qualche istante dopo scoppia in una risata divertita.
« E be’? » sbotto io, incrociando le braccia al petto.
« Non devi sentirti tu in imbarazzo, Rosie! » ride. « Sono loro due che si stavano baciando in un luogo pubblico. »
« In realtà è privato, era camera sua. E poi, sulla porta, c’era un cartello che io ho volutamente ignorato che diceva di bussare! Hai capito adesso, perché è così grave?! » piagnucolo, allontanandomi ancora un po’ dal Serpeverde.
Lei alza una spalla e liquida il tutto come un piccolo incidente.
Io, però, non riesco a fare a meno di ripensare alla scorsa sera.
 
 « Scusatemi… Oddio, mi dispiace, non volevo… » balbetto, tutta rossa in viso, senza guardare in faccia nessuno dei due. Mi chiudo la porta alle spalle e corro il più velocemente possibile lontano da quella stanza, con una spiacevole sensazione diffusa in tutto il corpo.
Sto per uscire dal buco del mascherone quando Malfoy mi raggiunge di corsa e mi si para davanti.
« Ma cosa cazzo ti passa per il cervello? » chiede, ansando, con un tono crudele.
« Ti ho chiesto scusa, mi dispiace, io ero venuta per parlarti, non avevo idea che avessi compagnia… » farfuglio senza riuscire a sostenere il suo sguardo.
« Sai leggere, Weasley? C’è scritto BUSSARE sulla porta! Ti sembra un’istruzione difficile da seguire? » rincara, come se non mi avesse sentita.
Allora riacquisto i miei modi e il mio coraggio.
« E tu non potevi trovare un altro posto in cui limonare la tua ragazza, piuttosto che la camera che dividi con altre quattro persone? » Mi allontano ancora e salgo i gradini che mi separano dall’uscita, udendo solo lontanamente il vociare dei ragazzi che probabilmente ci hanno sentiti discutere.
 
Mi dimentico quasi di essere nel bel mezzo di una lezione, ma poi Hagrid inizia a parlare con il suo vocione ed è quasi impossibile fingere di non ascoltarlo.
« Bene bene. Ragazzi, questo è Ixion » ci dice il professore con la voce di chi sta sorridendo.
Un animale sbuca da dietro il più alto dei tre alberi, tirato per delle redini di cuoio scuro che gli stanno cingendo il muso. È un cavallo dal manto bianco screziato da macchie argentee, mentre la coda e la criniera sono fili sottilissimi e candidi, che sembra potrebbero spezzarsi solo sfiorandoli. Gli zoccoli sono grossi e molto sporchi, tanto che non si vede se porti o no dei ferri. In mezzo alla fronte si trova un corno affusolato bianco perlaceo, che sembra molto appuntito.
Si sentono dei mormorii tra le ragazze: riesco a captare “unicorno”, “meraviglioso”, “toccalo” e “classificazione XXXX”.
« Aprite il vostro libro a pagina centocinquantasei e leggete un po’ che c’è scritto sugli unicorni » ordina il professore.
Dopo circa cinque minuti, Hagrid ci riporta al silenzio.
« Gli unicorni sono creature timide ed è molto difficile che si lascino avvicinare da un ragazzo » prorompe.
Risatine da parte dei maschi.
« Ma direi di provarci, eh? Chi si offre? »
Risatine da parte delle oche di Serpeverde.
Mi guardo attorno e vedo che nessuna ragazza ha intenzione di offrirsi. Sospiro piano e per non farci rimanere male Hagrid alzo timidamente la mano.
« Rose! » sbotta il Mezzogigante. « Vieni pure! »
Appoggio la borsa a terra e tolgo il mantello fastidioso, rimanendo con le scarpe, le calze, la gonna nera, la camicia bianca e la cravatta rosso-oro.
Da una dozzina di anni la Preside ha apportato una modifica al regolamento che ha reso felici, in parte, molte ragazze: dall’uniforme scolastica sono state tolte le scarpe nere, non solo anti-estetiche ma anche tremendamente scomode, per sostituirle con le scarpe che vogliamo, colorate e non, a patto che siano chiuse e non abbiano tacco. Quindi me ne sto in piedi, a guardarmi le All Star rosse, in attesa che il professore chiami un ragazzo.
« Christopher, vieni avanti » intima questi.
Lancio un’occhiata veloce da sopra la mia spalla: Christopher Skyes, il compagno di stanza di mio cugino, si sta avvicinando con un sorriso stampato sul volto. Uno di quei sorrisi che hanno di solito i ragazzi, per cui sono costretti ad inarcare le sopracciglia con fare vagamente sexy. Non ho mai scambiato una parola con Christopher prima d’ora, né l’ho mai guardato, ma ora mi accorgo di aver fatto proprio male.
È alto, penso che superi il metro e ottanta, ed è anche abbastanza muscoloso, da quello che mi sembra: un tipico fisico da portiere di Quidditch. Ha i capelli castano scuro, quasi neri, se non fosse per la luce che gioca sulle sue ciocche catturando bagliori dorati e marroni, gli occhi azzurro chiaro e le ciglia lunghe. Ha gli zigomi alti e spigolosi, le guance scavate e la bocca carnosa, piccola, così come il naso, che è sottile e leggermente lungo. Pur sforzandomi parecchio, non riesco a ricordare nessun ragazzo con questo nome. Durante gli anni passati ad Hogwarts, non l’ho mai visto e questo mi sembra alquanto strano. Cercherò di ricordarmi di chiedere ad Albus delle informazioni su di lui.
Comunque, Christopher Skyes è veramente affascinante e assomiglia in maniera impressionante a qualcuno che ho già visto da qualche parte, ma che non riesco ad associare a un nome. Mi si avvicina e mormora un “ciao” a cui rispondo con un sorrisetto mesto.
Hagrid ci dà indicazioni su come avvicinarci, facendo un inchino come si farebbe con un Ippogrifo. Nel mentre ci spiega che gli unicorni quando nascono hanno il manto dorato, che prima di raggiungere la maturità (come questo) hanno il pelo argentato, e quando la raggiungono esso assume un colore bianco immacolato. Ixion sta per diventare un adulto, per questo ha solo alcune chiazze argentee sul manto. Dice che il pelo, il corno e soprattutto il sangue hanno proprietà magiche e vengono vendute solo al mercato nero, poiché sono classificate come Beni Non Commerciabili di Classe A. Chiunque faccia del male ad un unicorno verrà punito severamente dall’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche.
Quando è il mio turno di toccare l’unicorno, gli faccio un inchino profondo, finché non sento i capelli scivolarmi via dalle spalle, quindi torno a raddrizzarmi. Allungo la mano verso il manto di Ixion e appena la appoggio sulla sua schiena, accarezzandolo, tiro un sospiro di sollievo. Quel corno è appuntito e io ci tengo alla mia faccia.
Christopher fa lo stesso, anche se Ixion sembra un po’ riluttante e diffidente all’inizio. Si lascia accarezzare per un po’, poi Hagrid ci assegna dieci punti a testa per il coraggio che abbiamo dimostrato.
Quando torno al mio posto accanto a Jade, mi guarda con un sorriso sghembo.
« Che c’è? » chiedo, sentendo il calore salirmi alle guance.
« Niente… » bisbiglia, continuando a mantenere quel sorrisetto malizioso sul volto.
Il resto della lezione lo passo accanto a Celeste, dicendole ciò che ha promesso Jade. Quando torno al castello, prima di entrare in Sala Grande, lancio un’ultima occhiata a Christopher e, con mia grande sorpresa, vedo che anche lui mi sta guardando. Il contatto dura solo un momento perché poi lui si volta e si incammina verso il Buio.
« Sai, Rose, se tu non avessi un’amica come me proprio non saprei dove andresti a finire » comincia Jade.
« Perché? » le chiedo, guardandola perplessa.
« Perché ho parlato con Scorpius, poco fa, e ha acconsentito a continuare con le ripetizioni. Ha detto che ricominciate con martedì perché domani avrà da fare » annuncia, con non poca modestia.
« Oh, grazie, Jadie, mi hai salvato il culo! » urlo, battendo le mani come una bambina.
« Te l’ho appena detto che non saprei dove andresti a finire senza di me. »
 
* * *
 
Venerdì, puntualmente, arriva la posta. Sulla Gazzetta del Profeta c’è un altro breve articolo sui due Indicibili morti, avvertendo che i funerali si svolgeranno domenica pomeriggio alle diciassette, in forma privata. L’attenzione va più che altro alle decine di pagine riempite da articoli sul Campionato di Gran Bretagna, dai nomi delle squadre inglesi, scozzesi, gallesi e irlandesi, ai profili di ogni singolo giocatore, per non parlare di statistiche, inviti a scommesse e foto o interi paragrafi dedicati a eventi spettacolari che l’anno scorso animarono le competizioni. Assieme alla Gazzetta, il gufo mi consegna anche una busta sigillata, dall’aria formale, che apro con molta curiosità.
È una lettera della mamma, la quale mi avverte che andrà al funerale di Bletchey e Moran, poiché li conosceva. Mi chiede anche di non farle domande riguardanti l’episodio e le indagini degli Auror, perché non risponderà. Butto via la lettera prima di iniziare a incazzarmi.
A pranzo, parlo un po’ con Dominique, prima di avviarmi assieme a Celeste in classe di Storia. Non mi sento granché bene, a dire la verità, e la prospettiva di una lezione con il decrepito Rüf non fa che far peggiorare le mie condizioni di salute.
Non appena termina l’ora di Storia, la stanchezza e il mal di testa sono aumentati, così verso le sette chiedo a Celeste di giustificare la mia assenza a cena per avviarmi verso l’infermeria.
Per quanto paia strano e forse morboso, quel posto mi è sempre “piaciuto”. Non starci fisicamente, ma solo entrarci. C’è solo silenzio e calma, e a parer mio la vista che si intravede dalle finestre è la migliore dell’intera Hogwarts. Il panorama è la distesa piatta del Lago Nero, alla cui riva nascono delle colline che stanno cominciando ad ingiallirsi, a causa dell’arrivo dell’autunno.
E poi, ci ho passato talmente tanto tempo in cinque anni, fra visite ai cugini e infortuni dovuti al Quidditch, che non è nemmeno più un problema stare qui.
« Madama Chips? » chiedo piano, a bassa voce, quasi avendo paura di svegliare qualcuno, nonostante l’infermeria sia deserta.
Nessuna risposta. Mi avvicino all’ufficio della donna, trovandola a scarabocchiare su una pila di carte.
« Madama Chips? » ripeto, a voce più alta. La donna alza la testa spaventata, portandosi una mano al cuore.
« Sono troppo vecchia per gli spaventi » dice brusca.
La realtà è che Madama Chips è una donna dal cuore d’oro, ma non lo dà spesso a vedere. Avendo avuto bisogno veramente tante volte delle sue cure, però, ormai ho capito com’è fatta: è premurosa quanto una madre, anche se sembra una dottoressa stronza e senza sentimenti.
« Ho… sono raffreddata, credo » annuncio, accennando un sorriso. Lei sembra che stia per imitarmi, ma poi addolcisce solo un po’ lo sguardo.
Apre uno dei numerosi cassetti della sua scrivania e ne estrae un oggetto stretto e lungo di vetro con una punta simile ad un pungiglione. Mi infila il termometro in bocca e mentre aspettiamo mi fa le domande da manuale, tipo come me lo sono procurata e da quanto tempo va avanti.
Quando sfila l’aggeggio dalla mia bocca, scuote la testa.
« Non va bene, hai la febbre molto alta » mi sgrida. Alzo le spalle con fare innocente e poi distolgo lo sguardo
« Cosa devo fare? »
« Visto e considerato che la maggior parte delle persone che hanno una simile temperatura corporea sono già su uno di quei lettini a pensare di morire, direi che hai un organismo robusto. Prendi della Pozione Rigenerante due volte al giorno finché non ti passa tutto » ordina, poi entra nel suo ufficio e apre la dispensa che si trova davanti alla scrivania. Ne estrae una boccetta arancione da uno degli scaffali e me la porge.
« Riposa tutto il week end, guai a te se esci » aggiunge.
Lo prendo come uno spassionato consiglio medico e la ringrazio, poi esco, mentre l’odore dell’aria sostituisce quello di candeggina e pulizia che c’è dentro all’infermeria.
Al posto di scendere le scale interne che mi porteranno poi al dormitorio, prendo quelle esterne, che dal corridoio del primo piano portano nel giardino più grande della scuola.
Appena mi trovo sul prato mi siedo e annuso tutto il profumo di erba tagliata, di alberi, di acqua e del vento che c’è là fuori. È una strana sensazione, stare lì, da sola, a pensare a niente. Appoggio la schiena su una panchina scrostata e porto le ginocchia al petto. Inizio a pensare, non so a cosa esattamente, un po’ a tutto ciò che mi è capitato in quei giorni.
Ripenso all’ultima volta in cui ho visto i miei, alle ultime parole scambiate con la signora Morgan, a Vic, Teddy, ai nonni. Mi sorprendo di pensare a David, ai suoi occhi verdi come le colline che si stendono davanti a me.
È fine settembre e il tempo sta cominciando a farsi più capriccioso: fa ancora più freddo di una settimana fa, piove quasi ogni giorno e spesso tira un forte vento. Resto seduta da sola ancora un po’, poi torno in Sala Comune, senza fame, con tanta voglia di buttarmi a letto.
 
Lunedì arriva prestissimo, nonostante abbia passato sia sabato sia domenica nella mia stanza, a leggere e a studiare.
Anche se l’influenza non mi è passata del tutto e preferirei rimanere ancora a letto, oggi devo tornare al lavoro.
La Gazzetta riporta diversi articoli e foto allegate riguardanti i funerali. Intravedo alcuni membri della mia famiglia e gente che conosco, seduti quasi in prima fila. Me ne sorprendo: i funerali erano privati, quindi è strano che fossero presenti la stampa e i miei famigliari, dal momento che non sapevo conoscessero così bene i due defunti.
Quel pomeriggio scopro che i lunedì sono proprio delle giornate di merda.
Le ultime due ore sono dedicate a Storia della Magia. Alla fine della seconda, Rüf ci consegna i temi e dato che rimango tra le ultime a cui ritorna il compito mi mette un sacco di ansia. Quando si avvicina al mio banco mi sembra che un sorrisetto maligno gli stia aleggiando sul viso spettrale.
Appoggia sul mio banco il foglio e se ne va, senza dire niente. Abbasso lo sguardo proprio mentre il professore ci dice che possiamo uscire dall’aula. Come l’altra volta una S ripassata più volte spicca all’angolo destro del tema. Raccolgo il foglio ed esco dalla classe seguendo i miei compagni, avviandomi in biblioteca.
Lancio la borsa su un tavolo e mi siedo, fregandomene del casino che sto facendo. Inizio a leggere il tema, con segni e scritte qua e la che prima non c’erano. Ci sono poche correzioni sul lessico e sull’ortografia, ma ogni due righe dei simboli come ??? o NO stanno a indicare che quell’uomo non ha capito nulla di quello che ho scritto. Perché è un deficiente, e per la seconda volta non si fida. Sono tutte informazioni che ho trovato sui libri e non so come facciano ad essere sbagliate. Rimango lì, seduta con il foglio in mano per non so quanto tempo, a leggere e rileggere ciò che ho scritto io e ciò che ha corretto Rüf.
Sono delusa soprattutto da me stessa, questa volta. Mi viene da pensare che gli sforzi non premiano ma in realtà non mi credo. Se mi impegnassi davvero, se studiassi tutti i giorni, e non solo il giorno prima di una verifica, penso che potrei migliorare. Ma non sono una persona costante e tantomeno responsabile. Insomma, l’anno scorso me la sono cavata con un paio di Scadente, in Storia della Magia e Divinazione, un Oltre Ogni Previsione e la maggior parte A.
Quest’anno che ho i G.U.F.O non posso permettermi di prendere delle insufficienze, non posso per il mio futuro, non per mia madre.
Ho bisogno di qualcuno che mi aiuti anche se quel qualcuno mi ha già abbandonata dopo una settimana.
« Weasley, stai piangendo?! » ride una voce. Resto spiazzata per qualche secondo rendendomi conto di cosa sta succedendo. Non mi sono nemmeno accorta che fosse arrivato qualcuno né che stessi piangendo. Con le guance rosse sollevo la testa e trovo il sorriso bianco di Malfoy – che sembra un lampo nella semi oscurità – che mi sta sbeffeggiando.
Merda.
Mi asciugo gli occhi in fretta tirando su col naso, prendo la borsa e il compito e mi alzo, avviandomi velocemente verso l’uscita. Malfoy mi segue e, prima che io riesca ad uscire dalla biblioteca, mi richiama.
« Che c’è? » chiede serio, anche se la sua bocca non accenna a smettere di sorridere.
In questo momento, più che in qualunque altro, mi verrebbe voglia di tirargli un pugno.
« Niente » rispondo con voce più ferma di quello che pensavo. Lo guardo negli occhi per un momento, osservo quel grigio tempesta e me ne vado senza voltarmi.
 
Stavolta ceno, perché mi sento un buco nello stomaco.
Celeste cerca di rassicurarmi che riuscirò a superare gli esami, che sono in gamba e sì, come no, riuscirò a recuperare le due S. Per tutto il tempo la ascolto, più per non farla stare male che perché le credo. Quella sera gran parte dei ragazzi e delle ragazze di Grifondoro decidono di giocare a “obbligo o verità”, per ammazzare il tempo.
Ci sediamo tutti sul tappeto, disposti in cerchio.
Qualcuno mette la sua bacchetta magica in mezzo a noi e Mahonei Douglas, una ragazza dolce e gentile ma che non tiene mai a freno la lingua, la gira. La punta si ferma su Aaron Hadley. Lui la gira un’altra volta e questa si ferma indicando Danny Shanks. Aaron ride e si mette una mano sotto al mento con fare teatrale, pensando.
« Obbligo o verità? » chiede senza smettere di ridere.
L’altro diventa paonazzo e risponde: « Verità. »
« Daniel, Daniel, Daniel… » comincia Aaron in tono crudele. È famoso per essere uno dei più spietati quando si tratta di formulare obblighi o domande. « Dicci i nomi delle ragazze che hai baciato in questa stanza » ordina, e ho l’impressione che conosca già la risposta.
Danny abbassa la testa e la scuote.
« Nessuna » risponde. « No… non ho mai baciato una ragazza. »
Non penso sia una cosa di cui vergognarsi, visto che, ad esempio, nemmeno Celeste ha mai baciato un ragazzo.
Scopriamo poi che Ashley Vickers ha “un’infatuazione” (come la definisce lei) per mio cugino Louis e sentiamo Margaret che, imbarazzatissima, apre una finestra della Sala Comune e canta un pezzetto di una canzone a squarciagola.
« Rose! » esclama Meg, quando tocca a lei fare la domanda e la bacchetta punta su di me. Deglutisco in silenzio e accenno un sorriso.
« Obbligo o verità? »
« Obbligo. »
Non voglio che tutta la Casa conosca i miei segreti, ci sono cose che nessuno dovrebbe sapere. Tra cui la cotta per Dave, che sta seduto su una sedia all’angolo della stanza, con un sorriso ammiccante.
Margaret ci pensa un po’ su e si apre in un enorme sorriso, poi alza un sopracciglio.
« Ti obbligo a baciare la persona più bella di questa stanza » dice lei.
Lancio uno sguardo di sfuggita a David, che mi sta guardando.
Mi giro verso destra e allungo la testa verso Celeste, poi le poso un bacio sulla guancia.
« Lusingata » commenta con un sorriso.
Sospiro ma le sorrido, cercando di evitare di farle capire che non avrei voluto darlo a lei quel bacio.
È solo durante uno degli ultimi turni che tocca a David, il che mi porta ad uno stato di massima allerta. Lo guardo mentre Max Scott gli pone una domanda.
« Allora, David… » rimugina quello. « C’è qualcuno che ha rapito il tuo cuore? »
« Se ti riferisci a te stesso mi dispiace ma dovrò deluderti: sono etero » risponde lui, sarcastico.
Risatine.
Max lo guarda male e lo invita a rispondere alla domanda.
« Be’, naturalmente qualcuno c’è » si limita a dire, impassibile. Max sbuffa e alza gli occhi al cielo.
« Oh, avanti, e chi?! »
« Ho già risposto alla domanda. Sai, dovresti imparare a farle meglio, sei troppo vago » lo prende in giro, scatenando altre risatine e soprattutto le imprecazioni di Max.
« Hai già detto che c’è qualcuno, rendi il gioco più divertente dicendo chi è » lo invita l’altro.
David sembra pensarci su per un po’ poi fissa gli occhi del ragazzo. Quel verde sembra quasi nero da quest’angolazione. Così scuro perché la luce getta ombra su gran parte del viso. David ha una di quelle bellezze che solo qualcuno riesce a cogliere.
« C’è una ragazza, saranno un paio di mesi che mi piace. Ci siamo conosciuti quest’estate. Non ti dirò il nome, ma posso dirti che è una di quelle che quando ti fissano, be’, non riesci a toglierle gli occhi di dosso. »
Io sussulto leggermente, colta dalla delusione, e Celeste sembra accorgersene, perché mi stringe un braccio.
Non sono io quella ragazza.
Come ho potuto pensare di avere una possibilità con lui?
Alla fine io sono solo Rose.
Solo la sua amica Rose.
Cerco di non dare a vedere quanto ciò che ha detto mi faccia male, ma poi davvero non ne posso più e avverto che non mi sento bene. Saluto tutti (evitando accuratamente David) e torno in camera con Celeste.
Quando ci stendiamo a letto, lei mi viene accanto, si siede sul mio materasso e io mi puntello sui gomiti per tirarmi su.
« Credi… voglio dire, pensi che David si riferisse a Dominique? » chiede.
Nei suoi occhi chiari c’è pura curiosità. Niente giudizi, niente cattiveria. L’idea che si riferisse a lei però non mi era passata per la mente. O, se l’aveva fatto, l’avevo accantonata prima che diventasse troppo reale. In fondo Dom ha detto che fino a un paio di settimane fa non lo conosceva. Decido di fidarmi e scuoto la testa.
« Non lo so » mi limito a rispondere. Lei annuisce e torna nel suo letto, capendo che non ho voglia di parlare senza che io glielo debba dire.
Mi addormento senza sognare, con una voglia infinita di andare da David a dirgli quello che provo, ma con troppa paura per farlo.
 
L’arte dell’”evitare accuratamente” non è una cosa che chiunque può imparare. Ed io, modestamente, sono una specie di regina in questo. Non lo dico per vantarmi, ma insomma, chi mai riuscirebbe ad evitare una persona e farlo sembrare una casuale distrazione come me? Poche persone. E dunque è così che non parlo a David da tutto il giorno. Lui ha cercato di tirare fuori più argomenti (la maggior parte inerenti al Quidditch: Morgana salvaci tu), ma io ho sempre liquidato i discorsi, senza mai guardarlo e soprattutto senza mai fargli capire che ce l’ho a morte con lui.
Okay, non è colpa sua se gli piace un’altra, direbbero tutti. Ma che ci posso fare io? Penso che sia innamorato di una puttana, ecco. E, tanto per la cronaca, non so ancora chi sia, quindi mi do il permesso di darle della puttana.
La sera successiva, dopo cena, ho appena il tempo di cambiarmi e prendere i libri che devo già avviarmi verso la biblioteca. Ricomincio le lezioni con Malfoy e non ne ho molta voglia. Da una parte, in realtà, sono felice che ci sia qualcuno a darmi una mano, per avere una minima probabilità di passare i G.U.F.O. Dall’altra, però, penso che Malfoy sia un egocentrico strafottente. Scommetto che non sarebbe così male se non passasse buona parte della sua vita a fare il saccente. Che poi, va bene, è intelligente, ma personalmente penso che Tristan lo fosse di più. O forse era meglio stare con lui perché metà del tempo a nostra disposizione lo usavamo per fare gli idioti, ridere e a pomiciare, e l’altra metà a studiare più o meno seriamente.
Entro in biblioteca alle otto meno un quarto, elegante anticipo alquanto strano da parte mia. Mi siedo ad un tavolo diverso da quello dove studiamo di solito io e Malfoy. Appoggio la borsa e il libro che tengo in mano sulla sedia e poi inizio a girare tra gli scaffali alti decine di metri. Mi arrampico per una scala appena leggo l’intestazione “Avventura” scritta su una libreria.
Arrivo fino al decimo piolo e inizio a scorrere i titoli. In biblioteca non posso sperare di trovare autori e libri babbani, quindi, dopo qualche minuto di indecisione, sfilo attentamente due romanzi di Evelina Novel, intitolati Quel viaggio a Nairobi e Grossa sorpresa in alta montagna.
« È incredibile come io e te ci incontriamo sempre qua » dice una voce, sempre la stessa, sempre gelida. Sussulto leggermente e lancio un’occhiata in basso, fulminando Malfoy.
« Dobbiamo fare ripetizioni, sai com’è » sottolineo io, strascicando la voce.
Lui mi fa segno di abbassare la voce ma io non ci bado troppo.
Scendo dalla scala con i due libri in mano e mi avvio verso il bancone di Madama Pince, che occupa una gran parte della parete nord. La donna sposta gli occhialini sottili sulla punta del naso e mi scruta con sguardo severo. Ha gli occhi blu, ma solo da vicino ce ne si può accorgere, perché apparentemente sembrano neri. Le porgo i due libri, lei li prende in silenzio, annota qualcosa sul suo enorme quadernone con le pagine ingiallite e poi me li restituisce, lanciandomi uno sguardo eloquente.
« Trattali bene » mi avverte a voce così bassa che fatico a sentire ciò che mi ha detto.
Annuisco, sospirando, e mi volto, andando quasi a sbattere contro il petto di Malfoy.
Mi sposto, seguita in silenzio da lui. Dev’essere alto una quindicina di centimetri più di me, quindi non supera il metro e ottanta.
Mi faccio strada tra le pile di libri e scaffali altissimi per poi sedermi al tavolo dove ho abbandonato la mia borsa e il grosso tomo di Rune Antiche. Prima che io possa chiedergli con quale materia ha intenzione di iniziare, lui mi fa una domanda che mi lascia spiazzata.
« Perché piangevi ieri? »
Stavolta è serio. Non sta sorridendo e dal tono di voce non sembra divertito. Anzi, pare che sia davvero curioso di conoscere la risposta. Io scrollo le spalle e giro la testa per non dover guardare quegli occhi grigioverdi che sembra sappiano guardarmi dentro.
« Avanti, se dovremo continuare a studiare fino alla fine dell’anno assieme tentiamo di aprirci un po’ l’uno con l’altra. Non voglio sapere niente di personale da te, sia chiaro che non m’interessa. Se piangevi per il tuo ragazzo sono fatti tuoi e me lo dici subito perché in quel caso non ti ascolterei » insiste.
Penso un po’ a cosa dire, se usare la scusa che mi ha praticamente suggerito lui di liquidare il discorso dicendo che ho litigato con il mio fidanzato immaginario, oppure se dirgli la verità cercando di “aprirmi con lui”. Opto per la seconda scelta e gli mostro il tema che tengo ancora dentro la borsa.
Mentre lui legge, io mi guardo le unghie dipinte e lo osservo, senza riuscire a farne a meno: i capelli biondo platino sono sottili, sembrano quasi i crini di Ixion; le sopracciglia sono bionde, me leggermente più scure dei capelli e gli danno un’aria altezzosa e un’espressione severa anche se spesso nascosta da quei sorrisi fatti d’occhi più che di denti. Ha il naso lungo e sottile, gli zigomi alti.
« È da S » commenta una volta terminata la lettura.
Avrei dovuto optare per il fidanzato immaginario.
« Grazie » sbuffo, riprendendo il foglio con uno strattone.
Malfoy mi guarda in modo ostile e poi aggiunge: « Dove cavolo hai trovato quelle informazioni? »
« Nei libri che ci sono qui in biblioteca » esclamo e gli lancio uno sguardo di superiorità, come a sfidarlo a contraddirmi.
« Quanti esattamente? » chiede sospettoso. Io sbatto le palpebre più volte, poi mi limito a dire: « Saranno stati sei o sette. »
Lui si apre in un sogghigno, e mi fa presumere che abbia capito qualcosa che io non potrei nemmeno pensandoci per una giornata intera.
« I libri di Storia della Magia » comincia con il tono di un professore che sta tenendo una lezione molto complicata sulle leggi della scomposizione della materia a un gregge di pecore. « Sono stati scritti da maghi e streghe che hanno vissuto epoche diverse, che hanno visto con i propri occhi imprese, sfide, battaglie e guerre diverse. Ogni informazione contenuta in libri scritti da diversi autori può essere completamente discorde da un’altra informazione contenuta in un altro libro, scritto da un altro autore. Quindi se vuoi fare un buon lavoro, cerca su libri di storia scritti dalla stessa identica persona. »
Lo guardo ancora per qualche secondo dopo che ha terminato di parlare, poi torno a fissare lo smalto sulle mie unghie che ora si sta scrostando a furia di toglierlo per il nervosismo.
Annuisco e infilo il tema nella cartella, poi estraggo il libro di Pozioni e iniziamo a studiare, stando due ore intere seduti su quelle sedie così scomode che ho paura mi trasformeranno il sedere in un quadrato dolorante, non accennando più al tema. Prima di andarcene parliamo degli allenamenti di Quidditch e rimaniamo d’accordo di incontrarci lunedì, mercoledì e venerdì, così da avere il sabato libero e meno casini con gli orari della preparazione. Stavolta ci salutiamo come due persone normali, quasi come due amici. Ci congediamo dicendo che ci rivedremo il giorno dopo e usciamo dalla biblioteca in silenzio, prendendo le strade opposte per tornare alle nostre camere.
 
Giovedì è il primo giorno di allenamento. A parte durante i provini, che più che altro avevano il solo e ambizioso obiettivo di ucciderci tutti, non prendo in mano una scopa dallo scorso giugno. Ovviamente a causa della megera.
Alle sei e un quarto noi membri della squadra ci troviamo sul campo da gioco, con gli occhi luccicanti e carichi di energia. Sugli spalti c’è qualcuno che è venuto ad osservarci durante l’allenamento: Celeste, due ragazzi di Tassorosso che non conosco, altri tre ragazzi di Corvonero di cui so solo i nomi, Beatrix Richards (per quel che so “fidanzata” di Jamie) e Dominique, appiccicata alla bocca di Jonah.
James lancia un bacio alla sua ragazza, facendola arrossire, ma vedo che poco dopo indirizza un’occhiataccia a Jonathan.
Jonathan fa parte delle riserve e oggi non si allena quindi ha avuto il permesso di non presentarsi. Eppure, a quanto pare, si è presentato comunque. Per fare tutt’altro che guardare il nostro allenamento. Penso comunque che la sua mancata partecipazione all’interno della squadra sia colpa del capitano, che probabilmente nutre un odio profondo nei suoi confronti. Anche se l’appena citato carciofo si è scusato con un “abbiamo già un portiere di riserva”. Il cosiddetto in realtà è un quindicenne intrappolato nel corpo di un dodicenne, con gravi problemi di asma e occhiali dotati di lenti spesse almeno un paio di centimetri.
James ci espone brevemente il programma di quest’anno: « Bene, come tutti sapete abbiamo solamente due ore per allenarci, come sempre. Ho parlato con la McGranitt e mi ha detto che, chiedendo il permesso alla Bumb, possiamo utilizzare il campo anche di sabato. »
« Ma da metà ottobre il sabato usciamo a Hogsmeade » protesta Beves Wolfe, uno dei tre Cacciatori del quarto anno.
James gli si avvicina e lo guarda fisso negli occhi, sibilando ogni parola a due centimetri dalla sua faccia.
« Ti sembro uno a cui interessa? » lo aggredisce.
« James… » provo ad avvertirlo, ma lui mi zittisce con un gesto della mano.
« Non me ne frega niente se devi andare da Madama Piediburro a slinguazzare con la tua ragazza, io ho una Coppa da vincere, e anche tu, se fai veramente parte della squadra » lo minaccia. Beves deglutisce rumorosamente e annuisce, al che James torna alla sua postazione al centro del cerchio che abbiamo formato noi giocatori.
Oh Godric, ha detto seriamente “slinguazzare”. Sembra zio Percy quando cerca di imitare il modo di parlare degli adolescenti. È davvero raccapricciante.
« Ci alleneremo duramente. Chiunque arrivi tardi all’allenamento verrà punito. Chiunque venga scoperto a parlare dovrà farsi dei giri di campo in corsa. Chiunque sarà distratto e svogliato farà dieci serie da dieci flessioni l’una. Direi di cominciare » conclude Jamie, lasciandoci tutti, compresa me, sconcertati.
Guardo Roxy e Freddie corrugando la fronte e loro mi fanno segno che gli manca qualche rotella. Scuoto la testa e mi avvicino a Beves. Anche se ha un anno meno di me, mi supera di una buona decina di centimetri.
« Ehi senti, James è leggermente nervoso per questo campionato, e non voleva essere scortese. È un po’ fissato, vuole vincere a tutti – e intendo proprio tutti – i costi. Quindi scusalo » dico tutto d’uno fiato.
Beves mi guarda per qualche secondo, poi fa un cenno del capo e si allontana per raggiungere Cordelia Hicks, l’altra promettente Cacciatrice del sesto anno.
Mi piazzo accanto a Freddie e ci solleviamo assieme, volando per dieci volte attorno al campo da Quidditch. Cerchiamo di parlare più a bassa voce possibile, perché pur essendo parenti del Capitano, scommetto che non ci penserebbe due volte a farci fare dieci serie di flessioni a testa.
Una volta terminato il riscaldamento ci disponiamo nella classica formazione per l’allenamento, e iniziamo a passarci la palla cercando di fare gol: le squadre sono abbastanza equilibrate, comprendendo me, David e due Cacciatrici nella prima, Roxy, Freddie, il Cercatore di riserva e Beves nella seconda. I portieri sono James per la squadra di Roxanne e Fred e Riserva per la nostra, così soprannominato da quelli di noi che crucerebbero Jamie perché l’ha ammesso nella squadra come secondo portiere al posto di Jonah.
Beves, Roxanne e Sam Ripley (il mio sostituto) segnano una cosa come cinquanta punti nei primi dieci minuti mentre Fred bestemmia Merlino e James che lo ha costretto a fare dieci giri di campo in corsa perché stava parlando con me. Io cerco di coprire la porta meglio che posso, prendendo il posto di Riserva, che sembra stia avendo un attacco di tosse con buona dose di catarro. Dopo aver parato facilmente un tentativo di Sam di arrivare alla porta, mi lancio in picchiata verso Beves, che sta tenendo la Pluffa sotto l’ascella. Lasciando la porta scoperta mi avvicino al ragazzo e silenziosamente do un pugno alla palla, che, con suo grande stupore prende il volo.
Non aspetto oltre: mi fiondo più velocemente possibile in avanti, cercando di evitare le correnti d’aria gelida. Non riesco a raggiungere la Pluffa perché lo fa qualcun altro. David, con gli occhi verdi lacrimanti e il fiato corto, la prende al volo e segna il primo gol della partita portando il punteggio a sessanta a dieci.
James lancia la palla a Fred, appena tornato sul campo, che con un mezzo giro a libellula mi schiva e si avvia verso la porta scoperta. Riserva rientra in campo e riesce a parare il tiro piazzato male di Fred. Mi passa la palla e volo verso la porta avversaria, distraendo Fred. Appena davanti alla porta David mi urla di passargli la palla ma io non gli do ascolto e cerco di centrare la porta alla mia sinistra, ma il colpo viene bloccato dal portiere. Impreco e ricomincio a volare, lasciandomi alle spalle David.
David e Cordelia segnano venti punti a testa, io dieci, ma alla fine della partita il risultato è comunque di ottanta a cinquanta e James ci annuncia tutto pomposo di aver “vinto con molto vantaggio, direi”. Io lo liquido con un vaffanculo e poi torniamo in spogliatoio per farci una doccia bollente.
Aspetto che anche Roxanne e Fred abbiano terminato di lavarsi e poi li accompagno al castello, seguita da Celeste.
Durante la cena a base di sformato di peperoni (che ingurgito a palate), mi ricordo che stasera Jade mi ha chiesto di fare assieme una ricerca su Usi e Costumi dei Maghi della Gran Bretagna, per Storia.
Prima di uscire dalla Sala Grande lancio uno sguardo al tavolo dei Serpeverde e non trovando Jade mi alzo. Poi però, noto che Christopher Skyes mi sta guardando. Arrossisco e distolgo lo sguardo, per dire a Celeste che ci vedremo quella sera in Sala Comune.
Da quando le ho detto che Jade è solo gelosa, che proverà ad andare d’accordo con lei e che tenterà di conoscerla, a Cel non pesa più la mia assenza durante alcune sere. Prima si lamentava spesso del fatto che passavo tanto tempo tra i Serpeverde e non mi parlava anche per diversi giorni per questo motivo. Ora però sembra quasi contenta che io stia con Jade.
Giro a destra e mi incammino verso il Buio, che durante quest’ora del giorno è ancora più inquietante del solito, essendo quasi completamente… buio. Vedo subito due figure alte e slanciate alla fine del corridoio, e cerco di avvicinarmi con nonchalance. Prima che possa percorrere metà del Buio, sento che stanno urlando. Sono due ragazzi, uno che mi dà le spalle e l’altro di fronte a lui. Il ragazzo di spalle si avvicina all’altro e gli urla delle parole che non capto dandogli uno spintone. Il ragazzo colpito, mi accorgo con espressione scioccata, è Christopher.
Resto ferma immobile, pietrificata, cercando di nascondermi dietro un’armatura. I due iniziano a discutere animatamente e il ragazzo che non conosco prima urla, poi tira un pugno in faccia a Christopher, il quale si volta di scatto tenendosi il naso. Il tutto nel giro di dieci secondi. Si appoggia pesantemente alla parete coperta di arazzi, mentre l’uomo rappresentato all’interno si scosta con fare schifato. A quel punto non riesco più a trattenermi e corro verso lo sconosciuto, ma lui, senza voltarsi, se la dà a gambe verso la Sala Comune dei Serpeverde prima che riesca a raggiungerlo. Mi avvicino a Christopher, ancora appoggiato alla parete, che stringe il naso coperto di sangue.
« Sta-stai bene? » chiedo timidamente.
Lui annuisce, accennando un sorriso. Sta sputando sangue e mentre si pulisce la faccia con un fazzoletto che gli porgo, sento dei passi dietro di noi. Mi volto per vedere chi è, anche se avrei fatto meglio a concentrarmi sul naso di Christopher: la Preside sta venendo verso di noi a passo spedito, con espressione sconvolta, almeno da quello che mi sembra di vedere alla debole luce delle candele appese ai muri.
« Cos’è questo baccano?! » urla, poi si accorge che Chris sta pressoché morendo dissanguato e si allarma. Ma solo un pochino, naturale.
« Cosa diamine è successo?! » sbraita, rivolgendosi più a me che al ferito.
Apro la bocca per spiegarle l’accaduto, ma il ragazzo è più veloce e dice, con voce nasale a causa del naso tamponato dalla mia mano: « Mi scusi professoressa, erano le urla dei miei amici. Vede, qualcuno mi ha spintonato, e ho sbattuto la faccia contro il muro. Non ho visto chi è stato. Dei miei compagni si sono spaventati, iniziando a chiamare soccorso, anche se stavo bene. Niente di che, glielo assicuro. »
Fa un sorriso sporco di sangue, il che convince in parte la donna che vada tutto bene.
Gli chiede se vuole andare in infermeria ma lui rifiuta dicendo che ha ancora un sacco di cose da fare per il giorno dopo. La McGranitt pone a me delle domande sul perché fossi lì e se ne va qualche minuto dopo essersi assicurata che uno dei suoi studenti non sia in pericolo di morte causa violenta emorragia nasale.
E io ho ancora la mano sul naso sanguinante di Christopher Skyes.   


Note sul capitolo:
non ne sono convintissima, vi dirò. Come avevo già detto questi capitoli li ho scritti parecchio tempo fa, quindi alla fine li revisiono e basta, non posso cambiare molto.
Comunque, ringrazio moltissimo le persone che hanno messo questa storia tra le preferite, seguite o ricordate, e i tanti lettori silenziosi.
Spero che mi lasciate una recensione, un giorno o l'altro, perché vorrei veramente sapere cosa ne pensate, del lavoro che sto facendo.
A presto con il capitolo 5,
Ellie.

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Capitolo 6
*** Lies ***




Lies
 


Hardly anything left for you to see
For you to see
Because I'm only a crack in this castle of glass
Hardly anything else I need to be
-Castle of Glass, Linkin Park
 



«L’ho preso!» urlo trionfante, asciugandomi il sudore dalla fronte. Tengo stretto in mano il boccino talmente forte che mi si stanno conficcando le unghie nei palmi, non portando i guanti. Sono troppo scomodi, e non mi lasciano avere un contatto diretto con la mia Firebolt.
Dopo quasi un’ora intera a ricercare quella pallina, sono riuscita ad acciuffarla, e provo le stesse sensazioni di vittoria e orgoglio che mi attraversano durante una partita.
Mi assicuro che il mio battito e il respiro si siano calmati e poi tocco terra, affiancata da Roxanne, Fred, Jonathan e James. I due si guardano in cagnesco, e prima di essere scesa dalla mia scopa giurerei di aver visto Beatrix lanciare uno sguardo truce a mia cugina.
«Brava Rosie» si complimenta Jamie. «Però dobbiamo migliorare la velocità se vogliamo vincere il Campionato: Avery, come hai detto tu, è molto più bravo di te.»
Gli sorrido sorniona e sibilo a denti stretti: «Non l’ho mai detto, lurido bugiardo.»
Lui mi tira uno schiaffo sulla testa e io gli ritorno un pugno sulla spalla, che più che male gli dà fastidio. James ha due braccia muscolosissime, frutto di anni e anni di palestra e Quidditch. Continuiamo a picchiarci anche dopo essere usciti dalla doccia e addirittura in Sala Comune, prima di andare a dormire. L’allenamento è stato stancante, ma meno del solito. Quando faccio ciò che mi piace, quando interpreto il mio ruolo, per me non c’è nient’altro sul campo a parte il boccino. Verso le undici, dopo aver litigato e fatto pace, picchiato e preso in giro Jamie, vado a letto. Mi addormento appena mi metto sotto le coperte, e inizio a sognare me stessa con la Coppa del Mondo in una mano.
Mi sveglio di soprassalto spaventata da un rumore. Apro piano gli occhi e leggo l’ora sull’orologio di Belle: 00.30. Il letto accanto al mio è vuoto e Celeste si sta allontanando piano, tenendosi una spalla.
Probabilmente, a causa del buio, deve aver sbattuto contro una delle colonne di legno del letto.
Si assicura che stiamo dormendo tutte e tre e poi sgattaiola fuori dalla stanza, con i piedi nudi che fanno appena rumore quando si poggiano sugli scalini.
Che ci sia un’emergenza? Dove starà andando?
Esco anche io dal letto, con gli occhi appannati per la stanchezza. Mi infilo gli occhiali e seguo la mia amica nella Sala Comune. Qualche minuto dopo aver aspettato in fondo alle scale senza aver udito nulla, sto per andarmene, ma due voci, che per quanto basse sono udibili, attirano la mia attenzione. Mi sporgo un po’ di più e osservo la scena: Celeste è accanto al camino, che osserva il viso del ragazzo che le sta davanti.
David.
Trattengo un verso di sorpresa e ascolto.
«…non ti piace che ci incontriamo di nascosto» sta dicendo Celeste. «Ma per ora non farmi domande.»
Lui passa una mano sul suo viso e le sorride. La gola mi si chiude e il naso inizia a pizzicare, il tutto mentre il mio respiro inizia ad accelerare.
«A me basta che…» comincia David. Non sento il resto di ciò che le dice perché glielo sussurra all’orecchio. Lei fa una risatina e sposta il viso dall’altra parte. David inizia a camminare per la stanza, seguito a poca distanza da Cel. Si fermano davanti all’esposizione dei trofei. Lui è molto più alto di lei, così David deve piegarsi per guardarla e lei deve rovesciare la testa all’indietro.
Parlano per un po’ di cose banali, poi lui sussurra qualcosa di dolce, a quanto mi sembra di vedere dall’espressione di Celeste e le prende il viso tra le mani.
Si china su di lei e la bacia prima dolcemente, mentre Celeste gli passa le braccia dietro al collo, e poi con più trasporto. Non guardo oltre, e torno a letto, sperando che il cuscino riesca a soffocare i miei singhiozzi.
 
Per tutta la notte penso, addormentandomi solo per brevi periodi. Poco prima dell’una e mezzo torna Celeste, che si addormenta immediatamente.
Alle sei non riesco più a rimanere a letto, così mi alzo, mi vesto, mi lavo, e scendo fino all’ultimo piano. Mi asciugo gli occhi più volte e quando mi trovo di fronte alla parete della Sala Comune dei Serpeverde, mormoro «Barone Sanguinario» stancamente.
Il mascherone mi schermisce seccamente: «La parola d’ordine è cambiata ieri, vattene.»
Provo a convincerlo che ho davvero bisogno di entrare ma lui è irremovibile e qualche secondo dopo è già tornato una lastra di pietra. Mi siedo accanto a un’armatura di ferro, portandomi le ginocchia al petto e aspetto senza riuscire a capire se passano minuti o ore. Quando escono i primi Serpeverde mattutini, non mi notano. Uno però, lo fa.
«Rose!» esclama Christopher. «Cosa ci fai lì?»
Alzo lo sguardo su di lui, che mi porge una mano per alzarmi. L’afferro e gli faccio un sorriso forzato.
«Stai bene?» chiede preoccupato.
«Sì, ho solo dormito poco» mento. «Come sta il tuo naso?» chiedo, notando che è ancora fasciato.
«Diciamo che potrebbe stare meglio» sorride, un sorriso che mi trasmette una sensazione stranissima.
«Senti… sto cercando Jade Thorne. È in stanza con Vale…»
«So chi è» mi interrompe lui, facendomi l’occhiolino.
«Puoi, per favore, dirle che esca subito? Questo coso non mi lascia entrare.»
Christopher annuisce con un sorrisetto, poi rientra dentro la Sala. Ne esce qualche minuto dopo, seguito dalla mia amica… in vestaglia e ciabatte.
Ha i capelli spettinati e sembra appena scesa dal letto. Probabilmente è  appena scesa dal letto. Ringrazio il Serpeverde, che si avvia assieme ai suoi amici a fare colazione.
Quando sono sicura che siamo sole, prima che lei possa farmi domande, le getto le braccia al collo e la stringo forte, singhiozzando. Jade mi porta in un posto più isolato, dietro all’armatura accanto cui mi ero seduta, e aspetta che mi calmi in silenzio. Mi ci vuole più tempo di quanto mi piaccia ammettere, e quando finalmente mi asciugo le lacrime, inizio a spiegarle cos’è successo.
«Jadie, ti prego, non commentare nulla» dico, gli occhi socchiusi. «Io… A me… Ecco, avrei… dovuto dirti… che…»
Lei mi accarezza un braccio e mi incita a continuare, senza fretta. Prendo un lungo respiro e butto fuori un fiume di parole, prima di riuscire a pensarci su, e a rimangiarmi tutto.
«A me piace David, non so perché non te l’abbia mai detto, forse perché ero sicura che mi avresti presa per il culo, e mi dispiace, te lo assicuro » le spiego, decidendomi a vuotare il sacco e raccontandole gli avvenimenti di stanotte.
Alla fine del mio discorso, lei sorride, mi fa un sorriso triste che mi fa abbassare lo sguardo.
Liquida le imprecazioni del mascherone dicendo la parola d’ordine e poi entra nella sua Sala Comune, seguita a pochi passi da me.
«Rosie, non ce l’ho con te perché non mi hai detto di David: tanto lo sapevo» ghigna Jade mentre indossa la divisa scolastica e un paio di sneakers rosa.
«Immagino» commento laconica. «Anche Celeste lo sapeva.»
«Oh mio Dio, ti prego. Rose Weasley, non osare deprimerti. Tu sei una persona stre-pi-to-sa, troverai un altro ragazzo nell’arco di pochissimo tempo, okay? David non è questa gran cosa, credimi. Ma poi, chi se ne frega di avere un ragazzo! Divertiti!»
Grugnisco, trovandomi però molto d’accordo con lei.
«Mi preoccupo più che altro per il tuo rapporto con Celeste. Insomma, cosa succederà adesso? Non puoi fingere di non aver visto niente» aggiunge, guardandosi le punte dei capelli.
Sembra molto sicura di sé, e mi torna alla mente ciò che mi ha detto Jade di Celeste, che la crede una persona falsa e approfittatrice.
«Lo so. Penso che…» mi interrompo, perché non so cosa penso realmente.
Se avessi scoperto che David si frequenta con un’altra ragazza, una qualunque altra ragazza, non l’avrei degnata più di uno sguardo. Ma in quel caso la ragazza in questione non avrebbe mai costretto David a vedersi di nascosto, quindi a quest’ora sarebbero in Sala Grande a pomiciare abbracciati. E, sempre nel caso in cui la ragazza fosse stata un’altra, sicuramente non starei male come adesso. Già quando David ha detto che gli piaceva una ragazza da qualche mese, mi sono resa conto che avevo perso la mia occasione. E stavo davvero male. Ma ora mi accorgo che quel “male” non è minimamente paragonabile a questo. Celeste mi ha mentito, non mi ha detto che si vede con David né che le piace. Una delle mie più care amiche, consapevole dei miei sentimenti, mi ha tenuto nascosto tutto ciò, con un comportamento egoista che non avrei mai creduto possibile da parte sua.
«So cosa farò» dichiaro.
Usciamo insieme dalla camera, a braccetto, come se anche Jade sapesse che ho bisogno di tenerla stretta.
 
«Ehi, Rosie, dove sei stata?» chiede Celeste, con la sua voce sottile. La guardo da sopra la scodella di cereali. Porta una sciarpa attorno al collo e ha le guance rosse. I capelli sono raccolti in una coda bassa appoggiata su una spalla.
Sorridi. Sorridi.
Non ce la faccio, meglio optare per un tono vago.
«Oh, da nessuna parte, non riuscivo a dormire» rispondo, stringendo il cucchiaio.
Lei si convince che stia dicendo la verità e comincia a parlare. Non la ascolto neanche, pensando a come mettere in atto le mie battute.
«Guarda, c’è Warren» le indico, quando il Serpeverde si siede al suo tavolo. «Carino, eh?»
Le faccio un sorriso malizioso e alzo un sopracciglio.
Abbocca, ti prego, abbocca.
Celeste si volta ma non sorride.
«Sì» sussurra, facendo scorrere lo sguardo sulla nostra tavolata. Mi si chiude lo stomaco e appoggio il cucchiaio nella ciotola del latte. Deglutisco e scelgo un’altra strategia.
«Io direi che quest’anno ti dobbiamo trovare un ragazzo.»
«Oh, buona fortuna» ridacchia, toccandosi i capelli.
«Non c’è nessuno che ti piace?»
Lei aspetta qualche secondo prima di rispondere e poi scrolla le spalle.
«Direi di no.»
È come se mi avesse tirato un pugno dritto nello stomaco. Allora non ha davvero intenzione di dirmi cosa sta succedendo. Devo cacciare indietro le lacrime per non darle la soddisfazione di vedermi in quelle condizioni. Boccheggio per qualche secondo in cerca delle parole giuste.
«Allora stanotte stavi baciando David per sottolineare la vostra amicizia, no?» sibilo, con voce ferma. Prendo la mia borsa e mollo il bicchiere di succo che stavo per bere. Celeste mi sta ancora fissando con gli occhi spalancati quando mi alzo e me ne vado dalla Sala Grande.
 
Esco in giardino diretta alla capanna di Hagrid, seguita da Meg, inspirando l’aria fredda e profumata degli alberi e del muschio. È una giornata uggiosa e umidiccia, tipico clima autunnale scozzese. Il vento si intrufola in tutte le fessure dei vestiti che riesce a trovare, e mi sento perfino le ossa intirizzite e doloranti. Sto pensando che dovrò iniziare ad indossare i guanti e la sciarpa tra poco, quando una voce affannata giunge alle mie orecchie e prima che mi possa girare e tirare un ceffone al ragazzo, David si affianca a me.
«Rossa, devi venire con me!» ordina ansimando.
«Perché?» chiedo impassibile, continuando a camminare.
«C’è Celeste che sta per scoppiare a piangere in Sala, sembra stia male!» grida.
Mi coglie una fitta di preoccupazione ma la soffoco subito. Mi fermo e lo guardo negli occhi. Sta ancora ansimando e ha i capelli in disordine: deve avermi cercata in Sala Comune e poi essere arrivato al giardino di corsa. Inclino la testa da un lato e con un sorriso gli dico sarcastica: «Penso che gradirà di più la tua presenza.»
Con una pacca sulla spalla lo lascio attonito sul pendio della collina e proseguo seguita da Meg.
«Rose, cosa sta succedendo?» mi chiede. Le racconto tutto appena raggiunti gli altri, parlando a bassa voce, e omettendo il nome del ragazzo, anche se sono sicura che abbia già intuito tutto.
«Maggie, tu devi stragiurarmi che non dirai niente di niente a nessuno, okay? Ti prego.»
«Lo giuro» assicura lei, stringendomi il mignolo.
 
Celeste non si presenta a nessuna lezione del giorno, e io non chiedo nulla di lei in giro. David invece passa il tempo con i suoi compagni di stanza, con Max e Aaron.
L’ultima lezione per me è dedicata a Rune Antiche, e al posto di Connie Marigold, mi siedo accanto a Jasmine Fox, una ragazza di Corvonero con il viso a cuore, le labbra carnose e lunghi capelli neri. Meg, Belle e Celeste frequentano il corso di Divinazione, quindi mi sono ritrovata da sola a studiare Rune.
La ragazza sembra non notare la mia presenza, non mi saluta né mi rivolge la parola. Durante l’intera ora pare molto concentrata sullo studio della simbologia e non mi dà una mano nemmeno quando si vede che sono in palese difficoltà. Sto pensando che sarebbe meglio stare accanto a Connie quando la voce cristallina di Jasmine mi avverte che sto sbagliando a scrivere.
«Quello che sembra un rombo è una C, non una Q. La Q è rappresentata dalla sbarra con le due lineette. In effetti, stai scrivendo “cualqosa”» mi rimprovera, con un tono che mi sembra canzonatorio.
«Ah, grazie» mormoro, sentendomi avvampare. Torno a piegare la testa sul libro, ripetendomi stupida in mente.
«Io sono Jasmine» si presenta qualche minuto dopo. Alzo gli occhi dal manuale e trovo la sua espressione dura un po’ addolcita, e gli occhi castani più curiosi che diffidenti.
«Lo so. Frequentiamo lo stesso corso dall’anno scorso» riferisco.
«Non si sa mai. Insomma, sei Rose Weasley…»
«E questo cosa vorrebbe dire?!» sbotto indignata.
Lei ride forte e viene richiamata dalla professoressa, quindi abbassa il tono.
«Non essere così suscettibile. Intendo dire che tu conosci tanta gente, non immaginavo che sapessi anche il mio nome, visto che non ci siamo mai parlate prima» obietta.
Nessuna delle due apre più bocca per il resto della lezione.
La professoressa ci avverte che uno dei primi giorni di novembre ci sarà un compito di scrittura e traduzione e ci raccomanda di studiare bene.

 
Dopo una breve passeggiata in giardino con Jade, raggiungo il campo da Quidditch. Lei si siede sugli spalti e resta a guardarci durante tutta la durata del gioco. Dopo l’ora di allenamento, mi raggiunge in spogliatoio e mi avverte che “per quanto si sia annoiata, trova che io sia un’ottima Cercatrice”. Verso le otto, entriamo assieme in Sala Grande, pronte per una cena ristoratrice. Mi siedo al mio tavolo, accanto a James e Roxanne.
«Tu sei così fissato col Quidditch…» mormoro, laconica quando capisco che anche stasera sarà quello l’argomento di conversazione.
«Si chiama hobby» si limita a rispondere Jamie.
«No, ti assicuro che si chiama fissazione.»
Lui ricomincia a mangiare l’agnello arrosto e finge di non avermi sentito.
«Sul serio, Jamie, uno degli arcani della nostra vita è come tu sia riuscito a superare i G.U.F.O l’anno scorso con addirittura due Oltre Ogni Previsione, senza materie che comprendono sport, statistiche sportive o… cavalcare una scopa» rincara Roxy.
Sputo la minestra nel piatto a causa delle risate. James ci lancia uno sguardo assassino e poi addenta delle patate, spostandosi da noi.
Io e Roxy continuiamo a ridere per un po’ prendendolo in giro, ma lui per ripicca ci ricorda che noi, pur avendo altri hobby, facendo attività e studiando, non abbiamo un ragazzo. Il che, purtroppo, ci zittisce entrambe.
Poco prima delle nove, quando tutti i piatti sono stati spazzolati da affamati adolescenti ormonati, David mi si avvicina a testa bassa, e con uno sguardo stravolto negli occhi, mi chiede di parlare in privato. Io acconsento solo perché sembra davvero sconvolto.
Lo seguo verso la Sala D’ingresso e quando si volta vedo che i suoi lineamenti di solito tesi a causa dei tanti sorrisi, sono rilassati, inizio a preoccuparmi, ma non lo do a vedere.
«Che c’è?» esordisco in tono neutro.
Lui non mi risponde e mi scruta per qualche secondo. Poi boccheggia alla ricerca delle parole da dirmi.
«D’accordo, mi spieghi cosa succede? Sai a cosa mi riferisco» insiste, quando tento di fingere di non aver capito. «Primo, mi eviti. Secondo, mi parli come se ti avessi fatto qualcosa.»
Ed è così, solo che sei troppo stupido per capirlo.
«E terzo, la tua amica era in Sala Grande che stava per scoppiare a piangere stamattina, e ti sei comportata come se non te ne importasse nulla» conclude, con uno sguardo stanco che gli riempie gli occhi verdi.
Non sapevo cosa rispondere. Davvero, insomma, non potevo dirgli la verità. Non potevo, non posso, non potrei. E invece, da brava testa di cazzo, lo volevo fare.
«Non capisci un cazzo» ringhio.
«Capire cosa, Rose?» dice, con uno sbuffo, ed un tono stanco.
«Okay, non importa. Guarda, fai finta di nulla, ricominciamo da capo.»
Mi avvio verso le scale che portano di sopra ma lui mi afferra il braccio e mi riporta dov’ero. Mi massaggio il punto in cui mi ha stretta con le sue mani enormi da Battitore. «Rose, non puoi mentire a me» mi minaccia, assumendo un atteggiamento aggressivo. Mi sembra un enorme grizzly pronto ad azzannare la sua preda da un momento all’altro.
«Tu sei così…» comincio. Non riesco a trovare le parole che vorrei dirgli. Stupido? Cieco? Egocentrico?
«Così… David, io… io non posso, io non ci riesco» concludo alla fine, pentendomi subito delle parole idiote che ho detto.
«Ma di cosa. Stai. Parlando?» scandisce, portando il suo sguardo all’altezza del mio.
«Sono arrabbiata» mi lascio scappare.
«Hm?» bofonchia lui, aggrottando le sopracciglia.
Riprendo un po’ del mio coraggio e alzo il tono della voce, che cerco di far sembrare il più fermo possibile.
«Vi ho visti. Stanotte, tu e Celeste, in Sala Comune. L’ho seguita. So bene cosa stavate facendo» dichiaro, fissando il mio sguardo al suo.
Lui scuote la testa con la faccia cretina alla ho-capito-di-cosa-stai-parlando-ma-fingo-di-non-capire-perché-è-troppo-imbarazzante.
«Non fare quella faccia da imbecille!» sbraito, facendogli fare un salto di sorpresa. «Ho visto che vi baciavate!»
Lui volta la testa da una parte e vedo chiaramente che sta trattenendo la rabbia, tutta concentrata nella vena che ora gli pulsa sul collo in maniera preoccupante.
«E questo cosa c’entra con te? Devi starne fuori Rose, è la nostra vita, non la tua.»
«Oh be’, scusami tanto se mi sento offesa dal fatto che due dei miei più cari amici escono insieme e non me l’hanno detto!» urlo furiosa, inventandomi la scusa al momento.
«Noi non usciamo insieme, stiamo solo cercando di conoscerci!»
«Conoscenza intima, a quant’ho visto» ribatto, incrociando le braccia al petto.
«Sei… sei proprio… AAAH» scoppia lui, portandosi le mani alla testa.
«Sono proprio?»
«Sei impossibile, Rose Weasley! Pensavo fossi felice che i tuoi amici si piacciono!» grida, e il suo vocione rimbomba sulle pareti, facendo l’effetto di trovarsi in una cassa chiusa.
«Ovvio, se solo la mia cosiddetta amica non avesse saputo che sono innamorata del ragazzo con cui esce!»
Queste parole, purtroppo, non riescono a uscire dalla mia bocca.
«Sono felice» mento. Lo guardo negli occhi e mi dirigo alla mia camera da letto.
 
«C’è Celeste di sopra, volevo solo avvertirti» dice Meg, seduta accanto a Belle in Sala Comune.
«Oh, okay, tranquilla, passo un po’ di tempo con mia cugina e poi vengo a dormire, più tardi.»
«Non la puoi perdonare?» chiede, con una punta di apprensione.
Scuoto la testa.
«Scusami» le dico, prima di scappare in camera di mia cugina ed esplodere in un urlo di rabbia. Sono sorretta solo dalle braccia sottili e fredde di Dominique. Dopo pochi minuti di tremore, cerco di sistemarmi le idee in testa e spiego a Dom cos’è successo.
«Rose…» dice. «È assurdo che stia succedendo tutto così in fretta.»
«Sì, è vero...» ammetto io.
«So che non è molto su cui contare, ma io ci sarò sempre per te. Non solo perché sei mia cugina, ma… sì, insomma, la mia migliore amica» dice, un po’ imbarazzata.
«Dominique» la rimprovero. «Ora come ora, sentirmi dire che ho una persona su cui contare è importantissimo. Okay?»
«Sì, va bene» sorride, stringendomi la mano.
Qualche minuto più tardi entrano in uno sciame di voci e starnazzi le compagne di stanza di Dom, e quando mi notano vengono tutte a salutarmi, ma solo Kay mi stringe forte e mi da due baci sulle guance.
Dominique mi accompagna fuori dalla camera e la saluto in corridoio.
Quando entro nella mia stanza, in silenzio, controllo che Celeste stia già dormendo. Dal rumore del suo russare, unito a quello di Belle, direi che è così.
 
La mattina dopo faccio tantissima fatica a svegliarmi. Mi trascino in bagno e mi guardo per un po’ allo specchio. Mi lavo la faccia e mi metto la divisa della scuola e le mie adorate All Stars rosse.
Quando torno a sedermi sul letto per preparare la cartella, noto che tutte le mie compagne di stanza se ne sono già andate. Osservando la stanza mi cade l’occhio sulla cornice con la nostra foto all’interno che ho regalato a Celeste solo un paio di settimane fa.
È così strano come il tempo cambi le cose. Per una cretinata (perché lo è, insomma, tutte le amiche litigano almeno una volta a causa di un ragazzo), ci siamo improvvisamente divise. Ormai da parte mia non so come potremmo aggiustare le cose: io l’ho vista, lei lo sa, non posso cancellarmi la memoria. Anzi, in effetti potrei ma non voglio. E comunque Celeste non può dire niente che mi faccia cambiare idea. Forse era destino, era un qualche strano segno per farmi capire che David non fa per me, o che in realtà Celeste è una doppiogiochista, un’approfittatrice. Scaccio quei pensieri meglio che posso e scendo fino al pian terreno, per fare colazione con mia cugina.
«Rose!» mi chiama Dom. Sta giochicchiando con uova e pancetta, ma non le mangia per davvero.
«Se continui così, penseranno che tu sia ancora bulimica o anoressica» la saluto, con una punta di preoccupazione.
«Ma no, non è vero. Semplicemente ho mangiato tanto a cena ieri sera» si giustifica.
Lascio cadere l’argomento, ma ricordo bene che la sera precedente a cena ha solo sbocconcellato un pezzo di pane e un po’ di pasticcio, che so essere il suo piatto preferito.
Trangugio volentieri cereali al cioccolato con latte freddo e un bicchiere di succo d’arancia. Direi che per non penseranno mai che io sia anoressica. Dopo aver chiacchierato un po’ di “come sto”, Dom mi spiazza con una notizia.
«Ho quasi mollato Jonah.»
«Hai… hai mollato Jonathan?!» esclamo, sputando cereali intrisi di latte.
Lei pulisce con un tovagliolo il tavolo e poi riprende.
«Sì. Quasi. Abbiamo litigato pesantemente. Se la fa con quella ragazza. Oddio, come si chiama…» tenta di ricordare. Quando parli del diavolo… Ecco spuntare Jonathan dal portone di ingresso, che saluta una ragazza molto carina, bassa e magra, con un grande sorriso e gli occhi allungati con qualcosa di vagamente orientale.
«Beatrix» concludo per lei.
«Già ehm, la “ragazza” di James» mima con le virgolette. Noi tutti quando parliamo di Beatrix Richards, “fidanzata” più volte traditrice di James, usiamo le virgolette. Non solo perché fa un po’ l’oca con chi le capita sotto mano, ma anche perché la compagna di uno scimmione maschio adulto come James non dovrebbe venire chiamata ragazza, fidanzata, cotta o infatuazione. Lui è il capogruppo, il maschio alfa e dominante, che dovrebbe essere costantemente circondato da gallinelle pronte a mangiare le sue briciole. E un po’ è così, solo che il deficiente sopraccitato non se ne accorge. Come non si accorge che Dominique gli va dietro da anni, ma sto divagando.
Il punto è qui: triangolo (anzi, direi quadrato) amoroso tra Dom, Jamie, Jonah e Beatrix.
«Mmmh» mugugno, fintamente interessata. Insomma, lei ha ascoltato per ore i miei sfoghi, e adesso tocca a me almeno fingere di curarmene. «Ne hai almeno le prove?» mi informo, tenendo conto delle vecchie rotture durante i due anni di fidanzamento con Jonathan (quasi tutte a causa della sua enorme diffidenza e gelosia. In questo ci assomigliamo parecchio).
«Be’, no» ammette. «Ma la saluta sempre. E li ho visti abbracciati. Abbracciati, capisci?!»
No, non capisco. Ma come al solito fingo di farlo.
«Sì, certo che capisco. Anche se, ammettiamolo, prima di quasi-lasciarlo avresti dovuto almeno chiedergli spiegazioni.»
Conoscendola avrà argomentato il litigio con uno di questi motivi:
1) siamo troppo diversi, tu sei un Prefetto e io una studentessa.
2) non può funzionare perché non c’è più interesse, visto che mi tradisci.
3) mi stanco troppo facilmente.
Lei sembra pensarci un po’ su, passandosi la mano sulla fronte perfetta che pare fatta di porcellana. La mia, riguardo a brufoli, è una miniera d’oro.
«Effettivamente hai ragione...» fa alla fine, dandomi un pizzicotto sul braccio.
«So di avere ragione!» le rispondo, spingendola perché si avvicini a Jonathan. Le intimo di chiedergli scusa e di farsi spiegare come stanno le cose con Beatrix.
Mia cugina non è assolutamente stupida, la ritengo molto intelligente, solo che deve ancora capire quali sono i casi in cui pensarci due volte, prima di agire.
La osservo mentre si avvicina piano a Jonah e provo un moto di affetto che non mi era mai capitato di provare prima.
Dopo qualche minuto di sussurri e gesti, lui le afferra le guance e le stampa un bacio sulla bocca, seguito da un attorcigliamento di lingue.
«Ciao» mormora una voce rotta, di fronte a me.
Resto zitta.
«Rose» continua Celeste. È la prima volta che la vedo da ieri mattina. Ha un aspetto molto più normale di quello che credessi. Penso che me l’aspettassi con gli occhi rossi e le borse, nessun sorriso. Invece è solo Celeste. Solo la mia amica Celeste, triste ma normale.
Resto zitta ancora.
«Ho pensato a cosa avrei voluto dirti per tutta la sera, ieri. E la verità è che non lo so. Non so cosa potrei dirti per scusarmi, per discolparmi, perché non posso. Non ci sono scuse o parole che giustifichino quello che ho fatto. Sono presa da lui. Ma non ci posso far niente e sinceramente di questo verso non me ne pento. Ma ho perso te, e per quanto possa sentirmi felice, questa felicità non è paragonabile alla tristezza per il male che ti ho fatto» dice semplicemente, con parole dirette. Le guardo gli occhi, di quell’azzurro cielo che mi è sempre piaciuto e scuoto la testa.
«Non dire nient’altro, allora. Non voglio più ascoltarti. »
 
– Lei dimentica che noi siamo completamente all’oscuro di tutta questa storia! – lo interruppe finalmente Holmes con la sua voce tranquilla. – Non conosciamo i fatti e pertanto non possiamo giudicare fino a che punto lei ha ragione. –
– Senta, signore, devo dire che lei è il solo che mi sa parlare con gentilezza, per quanto credo che è proprio lei che debbo ringraziare se mi trovo questi braccialetti addosso! Però non ce l’ho con lei: lei a suo modo ha agito bene. Se volete sentire la mia storia non ho nessuna intenzione di fare il misterioso…1
 
«Ehm ehm» tossisce qualcuno.
Alzo spaventata la testa e mi ritrovo davanti la faccia di Malfoy, che mi sta scrutando incuriosito.
«Cosa leggi?»
«Sto rileggendo Il segno dei quattro.»
«Non credevo che i Weasley fossero così acculturati da leggere Conan Doyle» afferma.
Chiudo di scatto il libro e mi alzo in piedi.
«Come ti permetti di insultare la mia famiglia, quando…»
«Ehi ehi, calma. È un dato di fatto. Avanti, dimmi il nome di uno dei tuoi cugini che ha interesse nella lettura» mi sfida.
«Albus e Lily» dico in fretta.
«Va bene, ma loro sono Potter» constata.
«Anche io sono per metà Granger» lo correggo.
«Giusto.»
«Lucy e Molly» dichiaro, dopo qualche attimo di riflessione. «Va bene, non saremo una famiglia di lettori, ma siamo tutti intelligenti. Più o meno…» concludo, pensando alle dimostrazioni di stupidità presentate qualche volta da James e Freddie. «E “acculturati” non è la parola giusta!»
Lui annuisce e si siede e io lo imito.
«Grazie di aver accettato a vederci oggi al posto di ieri» sussurro arrossendo.
«Non c’è di che.»
«La Esteban ha fissato la verifica per il primo di novembre» lo avverto, estraendo dalla borsa il manuale di Rune e infilandoci il libro.
«Posso?» chiede lui indicando la mano che regge il manuale.
«Se ci tieni, ma è uguale al tuo libro, solo più distrutto.»
«No, intendo il romanzo» replica.
Lo tiro nuovamente fuori dalla tasca della borsa e glielo porgo, curiosa di vedere cosa vuole farsene.
«A Rose Clarity Weasley» dice in tono dubbioso, sfogliandolo.
«Co-cosa?!» sbotto, avvampando.
«È la dedica scritta su una retro pagina» ride. «Clarity.»
«Malfoy, ridammelo!» sibilo a denti stretti, cercando di afferrarlo. Lui però è più veloce di me e lo sposta dalla mia portata.
«Sei una ragazza che ama i libri fin da quando eri bambina. Per cui, quale regalo migliore di un bel classico? Non smettere mai di vivere nel tuo mondo.
Con tanto affetto, nonna Josephine
«Oh mio Dio» commento, nascondendomi la testa tra le mani.
«Cosa c’è?» sorride lui, girando una pagina.
«È imbarazzante.»
«Rose Clarity» ripete.
«Già» dico.
«Rose Clarity Weasley.»
«Già.»
«Rose Clarity Weasley.»
«Già. Okay, ora la smetti? Non serve prendere per il culo.»
«Mi piace.»
«Ecco, appunto, devi rigirare il dito nella piaga. È abbastanza imbara…»
«Mi piace» mi interrompe. «Sul serio, trovo che Clarity sia un bel nome.»
Lo guardo inarcando le sopracciglia ed effettivamente non sembra che stia scherzando.
«Già che ti piaccia il mio nome è strano visto che mi chiami per cognome. Poi, farmi addirittura un complimento…»
«Penso che il fatto che io conosca il tuo secondo nome mi faccia automaticamente entrare a far parte del tuo ristretto gruppo di persone speciali» ironizza.
«Oh, avanti, smettila.»
«Va bene, Rose Clarity Weasley» sogghigna restituendomi il libro.
«Iniziamo a studiare, Scorpius Hyperion Malfoy» lo zittisco, lasciandolo a bocca aperta.
 
Quando è finalmente ora di andare a dormire, al posto di separarci, gli chiedo di aspettarmi davanti alla porta della biblioteca.
«Perché?» chiede atono.
«Jade mi ha chiesto di rimanere a dormire con lei stanotte» spiego semplicemente.
«Non è contro le regole?»
«Malfoy, dimmi, sinceramente, quanto pensi che me ne freghi delle regole.»
«Muoviti però, non voglio congelare qua» mi rimprovera invece di rispondere.
Salgo di corsa le scale dal terzo al settimo piano, entro in Sala Comune, poco affollata stasera, e poi in camera mia, dove c’è solo Belle. Mi infilo dei larghi pantaloni della tuta e la vecchissima maglietta extra large che ho preso ad un concerto dei Linkin Park a dodici anni, afferro occhiali, spazzolino, il mio libro, l’mp3, la divisa pulita e li ficco in una borsa, poi torno giù di corsa.
Malfoy si accorge di me e sta per iniziare a ridere quando lo blocco.
«Ah ah ah» rido sarcasticamente. «Se dici una sola parola racconterò ai megafoni della tua passione per gli uccelli.»
«Posso minacciarti anche io, Clarity.»
«Provaci» sibilo, poi lo seguo giù dalle scale, standogli a distanza di tre passi.
Dopo qualche minuto di imbarazzante e teso silenzio, mi chiede: «Da quanto tempo siete amiche tu e Jade?»
«Da cinque anni. È stata la prima persona a parlarmi, al binario. E da quel momento non abbiamo mai smesso di essere amiche» lo informo.
«E la biondina a cui piaceva Al?» domanda, riferendosi a Celeste.
Mi affiora alla mente un ricordo molto vivido di due anni fa: Cel che viene a dirmi che le piace Albus, io che organizzo un’uscita a quattro per me e Tristan e Albus e Celeste a cui alla fine si sono aggiunti Jade, Fred, Lucy, Lily, Louis, Aaron, Max, e altri ragazzi di cui non so nemmeno i nomi e che non saprei riconoscere se li vedessi. È stato lo stesso giorno in cui anche Jade, per qualche strano caso, mi ha confessato che le piaceva Albus.
«Oh, lei» sussurro con una nota di tristezza. «Non parliamone» mi limito a dire. 
«Lo dici solo perché vuoi che ti chieda ancora di lei» ride, mentre passiamo davanti alla Sala D’ingresso.
«No.»
«E invece sì. Che cos’è successo?»
«Diciamo solo che sembra impossibile ma certe persone, anche se le consideri migliori amiche, ti mentono» mi limito a dire.
Sento il suo sorriso anche se è girato e non dice nulla e mi chiedo cosa nasconda ancora quel ragazzo che sembra essere davvero pieno di sfaccettature, sotto quella corazza di ferro.
Entriamo nella Sala Comune sempre seguiti dalle imprecazioni e maledizioni del mascherone che ora, oltre a rivolgersi a me, sono direttamente lanciate contro Malfoy, che a quanto pare è diventato un “traditore della sua Casa”.
«Ciao fiorellino» mi saluta Jade, una volta in camera sua.
«Fiorellino?» rido.
Sta sistemando i suoi vestiti dentro i cassetti. Si volta e mi fa un sorriso cordiale, che mostra tutti i suoi bei denti.
«Fiorellino» ribatte. Mi lancia un bacio, poi si siede sul tappeto persiano del pavimento e mi incita a fare lo stesso.
Parliamo per tutta la sera, anche dopo l’ingresso delle gemelle Valerie e Virginia, le quali iniziano a farsi le unghie.
«Rosie, mi dispiace per la storia di Celeste» commenta ad un certo punto.
Io abbasso la testa, gioco con le frange del tappeto e sussurro, in modo che le due V non mi sentano: «Non è colpa mia, ciò che è successo dico. So che non è colpa mia e non vedo come potrei risolvere la situazione.»
 
Quando sono sicura che lei e le gemelle siano sprofondate nel sonno, mi alzo piano dal letto cigolante e infilo le pantofole di Jade. Pesco il libro e l’mp3 dalla borsa e mi avvio in silenzio verso la Sala Comune.
So benissimo che è contro le regole passare la notte fuori dalla propria Sala, ma ora come ora voglio solo trascorrere più tempo possibile lontano dai Grifondoro, e la scelta migliore è ovviamente la mia migliore amica. La Sala è vuota. Controllo l’orologio: segna le 11 e 10. So anche che, essendo già una vagabonda in Casa altrui, dovrei almeno rimanere nella stanza di Jade, ma quello di cui ho bisogno in questo momento è solo stare un po’ da sola con il mio romanzo e con la mia musica. Mi siedo sul divanetto più vicino al fuoco per stare al caldo e comincio a leggere, con il sottofondo di alcune delle musiche classiche più belle di tutti i tempi.
Dopo un po’ di tempo mi pare di sentire un rumore e sfilo la cuffietta dall’orecchia. Controllo nuovamente il grande orologio appoggiato sulla mensola e rimango stupita nel constatare quanto tempo sia passato: è mezzanotte. Dopo essermi assicurata che non ci sia nessuno nella stanza, indosso l’auricolare e continuo a leggere, non sentendomi per nulla stanca.
Quello che succede poi, potrei descriverlo come il momento più terrificante di cui ho memoria.
Sto leggendo tranquillamente quando una persona si materializza improvvisamente accanto a me, toccandomi il braccio e facendomi venire la pelle d’oca, nonché facendomi cacciare un urlo.
«Malfoy, che cazzo!» sussurro arrabbiata, portandomi una mano al petto.
«Devo averti fatto prendere un bello spavento» sogghigna perspicacemente, non accertandosi se abbia o no appena avuto un infarto.
«Cosa ci fai qui, Clarity?»
«Oh, avanti, la vuoi piantare?»
«No, questo mai.»
«Mmmh.»
«Cosa ascolti?» domanda. Lui e la sua curiosità del cazzo.
Lancio uno sguardo in basso, verso il mio mp3, imbarazzata.
«Ehm, io, ehm, niente» cerco di deviare il discorso.
Mi alzo dal divanetto e lo sorpasso, dirigendomi verso la stanza di Jade.
«Cosa ci fai alzato, comunque?»
«Non ce la facevo a dormire, così sono venuto a fare quattro passi, e poi ho visto te» spiega.
«E hai pensato: “Oh, accidenti, che occasione! Perché non farle fermare il cuore una volta per tutte?!”»
 
Note:
1)Da Il segno dei quattro di Arthur Conan Doyle, romanzo del 1890
 
Non sono per nulla soddisfatta di questo capitolo. Mi sembra scritto malissimo, e che non dica nulla, alla fin fine. Spero solo che i prossimi possano piacervi di più!
Un grazie a cissy1303 per la recensione dello scorso capitolo, a chi a messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate e a tutti i lettori silenziosi!

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Capitolo 7
*** One More Attack ***





One more attack
 

Do you ever feel like a plastic bag,
Drifting through the wind
Wanting to start again?
Do you ever feel, feel so paper thin
Like a house of cards,
One blow from caving in?

-Fireworks, Katy Perry
 
 

Stavo cominciando ad abituarmi alla situazione. Passavo ancora molto tempo con Jade ma semplicemente non andavo a rifugiarmi da lei ogni volta in cui vedevo Celeste o David. Se incontravo Celeste in corridoio, tiravo dritto a testa alta.
Ormai lei e David non tenevano più segreta la loro relazione, così li vedevo limonarsi e stritolarsi ogni secondo in cui mi giravo, in Sala Comune. In Sala Grande, almeno, erano un po’ più contenuti. Stavano vicini e si tenevano per mano, non andavano oltre.
Mi stavo abituando anche a questo.
Poi, una bella mattina, Vitious ha deciso di mettere me e Celeste in coppia assieme per provare un Incantesimo Non Verbale, pensando di farci finalmente felici. In cinque anni non abbiamo mai potuto lavorare insieme e proprio quando litighiamo, fa il gentile?! Un'altra prova di quanto io sia una persona fortunata.
Sono le due ore prima di pranzo di un noiosissimo lunedì di metà ottobre, e non chiedo niente di meglio di passare il tempo che ci resta prima di riempire il mio stomaco gorgogliante, assieme alla mia… come posso definirla? Assieme a Celeste.
Il professore ci spiega che l’Incantesimo che dobbiamo provare non è per nulla semplice, se non viene pronunciato. È uno Schiantesimo, Stupeficium, e per ora non possiamo assolutamente Schiantare il nostro compagno perché è assolutamente contro le regole e in più è assolutamente pericoloso per l’incolumità dell’altro.
Ci spiega che questo Incantesimo solitamente viene insegnato dall’insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure, ma che ormai, essendo quasi inesistenti le minacce contro il mondo magico, a Difesa vengono insegnate solitamente solo la funzione e l’utilizzo degli Incantesimi.
« Stupeficium! » esclamo, riuscendo a Schiantare al primo colpo un cuscino che Vitious ci ha fornito per allenarci. Raccolgo da terra il guanciale candido che ora ha uno strappo lungo la cucitura e lo appoggio di nuovo sul mio banco.
Mi concentro, tentando di trovare un contatto con la mia bacchetta di legno di ontano.
Ti prego, bacchetta, aiutami.
Accarezzo il legno e cerco di instaurare un legame con lui.
Stupeficium.
Il cuscino si sposta come se l’avessi colpito con un pugno.
Vitious lo nota e mi si avvicina.
« Ottimo, Weasley! » mi concede.
Gli sorrido mestamente, molto fiera di me stessa. Continuo a provare per un’altra decina di minuti e riesco a mandare il guanciale sempre più lontano e sempre con un po’ di potenza in più.
« Bene, ragazzi. Ora avvicinatevi al vostro partner e provate con lui. Ricordate, è vietato Schiantarlo. »
Duecento… ventesima volta che lo dice?
Celeste mi si accosta. La guardo per la prima volta da una settimana. È pallida, come sempre, felice, ha il viso disteso. La odio.
Falsa, non è vero che la odi. In realtà ti manca.
« Ciao » dice cordialmente, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
« Ciao » rispondo, con freddezza.
« Inizia tu » incita.
Non aggiungo altro.
Mi allontano di qualche passo e poi punto la bacchetta davanti a me.
Stupeficium.
Celeste viene sbalzata indietro, ma attera in piedi, perfettamente controllata. Aspetto che lei faccia lo stesso, ma per parecchi minuti non fa altro che guardare la sua bacchetta, prima con tranquillità, poi torva. Sta iniziando ad arrabbiarsi, così pronuncia Stupeficium ad alta voce. Tento di scansare il lampo di luce rossa, ma non sono abbastanza veloce: quello mi colpisce in piena pancia e si fa tutto nero.
Mi riprendo dopo quelli che mi sembrano secoli ma in realtà sono solo pochi minuti.
Ho un mal di testa tremendo, perché ho sbattuto la testa contro il muro. Mi fa male da morire la pancia, come se mi avessero tirato una serie di pugni a raffica. Be’, in effetti Celeste l’ha appena fatto.
« Weasley, tutto bene? » chiede preoccupato il professore.
« Sì, sì » soffio, imbarazzata a causa degli spettatori che si sono radunati per godersi la scena.
Vitious mi aiuta comunque ad alzarmi, e mi spedisce in infermeria, nonostante i miei molteplici rifiuti. Naturalmente, accompagnata da Celeste.
Raccolgo le mie cose ed esco dalla classe.
Una volta fuori, Celeste mi guarda con sincero dispiacere ma io liquido le sue imminenti domande con un gesto della mano.
« Non serve che mi accompagni. Va bene così » bofonchio.
La lascio delusa davanti alla porta della stanza e mi avvio verso l’infermeria. Anzi, la mia intenzione è quella, solo che imbocco le scale per la Sala Grande.
Fra poco sarà ora di pranzo, e quindi mi affretto a raggiungerla, trovandola però deserta.
Esco quindi dalla scuola, tentando di non fare troppo rumore quando chiudo il pesante portone di legno levigato. Svolto a destra e scendo un paio di scale di pietra, per raggiungere il giardino dietro alle serre, fino a quando non sbatto contro delle spalle ossute.
« Weasley » balbetta Scorpius. « Cosa ci fai qui? »
« Oh, ciao, Malfoy. Io, non, io… un giro » dico, prima di notare altri due ragazzi dietro a Scorpius: Christopher Skyes e quella che riconosco come Miss. Castità, Thalia Nott.
Lui si volta e dice qualcosa a Chris che non riesco ad udire, mentre io arrossisco e mi do mentalmente della stupida per aver parlato come una ritardata davanti a Scorpius.
« Ciao Rose! » saluta Chris, come se fossimo amici di vecchia data.
« Ehi, Chris » rispondo, ma evidentemente non con altrettanto entusiasmo, perché il suo sorriso si spegne.
Ignoro totalmente Thalia, che ricambia.
« Stavamo andando alla serra due per prendere delle Mandragole, comunque » mi informa Scorpius. « Quindi dovremmo… »
« Oh, sì. Ci si vede » sussurro, imbarazzata, mentre loro mi superano.
All’improvviso mi coglie un fortissimo mal di testa, al che devo sedermi sulle fredde scale di pietra. Andare in infermeria non è una cattiva idea, dopotutto.
 
« Stupida ragazzina! » mi sgrida Madama Chips.
« La ringrazio » sbuffo, mentre mi fascia il capo con una benda bianca.
« Se ti avessero dato un solo spintone, avresti avuto un bel trauma cranico! » continua a gridare.
« Mi scusi! »
« Non devi scusarti, ma ne va della tua salute. »
« Ma allora le interessa qualcosa di me! »
« Mai detto questo. »
« Mmmh. »
Infilo il berretto per nascondere il bendaggio e poi le faccio un piccolo sorriso.
« La ringrazio di avermi curata ancora una volta » sussurro, sincera.
Lei ricambia il sorriso e si scioglie in un ‘oooh’, per poi cacciarmi dalla stanza per andare a pranzo.
Una volta arrivata in Sala Grande e aver raccontato cosa mi è successo, immancabilmente, James decide di fare una di quelle sue battute di merda grazie alle quali mi rendo conto che zia Ginny e zio Harry mi hanno dato un calamaro senza cervello al posto di un cugino.
« Io l’ho sempre detto che sei troppo intelligente. Vedi, hai tenuto la tua saggezza chiusa lì dentro per troppo tempo ed ora è esplosa. »
Non mi prendo nemmeno la briga di rispondergli perché sarebbe come cercare di insultare un sasso.
A James puoi dire quello che vuoi, ma lui primo, non ti ascolta, e secondo NON CAMBIERÀ MAI.
Celeste è seduta sulla fila di panche di fronte alla mia, all’estremità estrema dell’estremo tavolo, e mi guarda torva. Sto quasi per dirle una cosa veramente poco carina, quando Belle, seduta al suo fianco, le dice qualcosa. Celeste si gira e Belle lancia di sfuggita uno sguardo triste a Meg, sprofondata nella sua immensa camicia, accanto a me.
Odio vederla stare così male. Da quando io e Celeste ci siamo separate, lo hanno fatto anche Margaret e Belle.
Meg da pienamente ragione a me, dicendo che, vista la nostra vera amicizia, è inaccettabile il fatto che lei si sia comportata così per amore, quindi non ha solo preso le mie difese, ma anche avviato una silenziosa campagna di sabotaggio del rapporto tra i due.
Belle, d’altra parte, è una profonda cultrice dell’amore, perseguita ideali di pace e felicità. Vede dovunque cuoricini e, sempre con il sorriso sulle labbra, dice: « Oh, ma Cel è innamorata, devi capirla. »
No, non la capisco proprio per niente.
Comunque, le due migliori amiche, per non lasciare sole me o Celeste, si sono schierate.
E io non riesco a fare a meno di sentirmi la causa di tutto ciò.
« Maggie, va’ da Belle » le intimo.
Lei prova con la finta tattica del “ma no, sul serio, non mi interessa andare da lei” ma dieci secondi dopo è già vicina alla sua migliore amica.
Dominique arriva in quel momento, elegante nonostante indossi la divisa come tutti noi.
Si siede di fronte a me, sbuffando e appoggiando le guance sulle mani. Ha le occhiaie ed è spaventosamente pallida.
« Dom, stai bene? » mi allarmo.
« Sì, certo. Ma mi manca Jonathan. Tornerà solo per la festa di Halloween, dall’America. Cosa dici, mi lascerà qua in Inghilterra, da sola, senza obiettivi, soldi, casa, amici, per inseguire il suo sogno? »
« Sei spaventosamente simile ad una presentatrice di telenovela. »
« Allora? »
« Hai ancora un anno per pensare a cosa fare dopo il termine della scuola. Hai tutti i soldi che vuoi visto che vivi ancora con i tuoi, almeno finché non sarai diventata maggiorenne quindi anche sul fronte “casa” sei sistemata. E Dom, hai più amici di quanti credi. Abigail, Lottie, Kay, Fae, Ginger, me, i nostri cugini… » elenco, prima che lei mi fermi.
« Non James » si lascia sfuggire Dominique, in un sussurro che fatico a sentire.
Mi guarda senza vedermi veramente e io aggiungo, incerta: « È quasi un anno che non vi parlate, forse dovresti… »
Lei abbassa la testa e mi fa segno con la mano di non continuare, così sto zitta, rimangiandomi ancora una volta tutte le parole che vorrei dirle.
 
« Novembre si avvicina » dico terrorizzata a Malfoy, quella sera, mentre bevo di nascosto una cioccolata calda in biblioteca.
« Ce la farai. Ti do una mano io. Devi fidarti un po’ di più. »
« Cazzo. »
« Oh, senti. Non fare la sarcastica con me, va bene? Io sto solo cercando di… »
« No, non tu, santo Godric, loro » ringhio, indicando la porta.
Mi nascondo sotto al tavolo troppo velocemente e sbatto il ginocchio contro una delle assi che lo sostiene. Imprecando, tocco la gamba di Scorpius per avvertirlo di far finta di nulla.
Sento delle risate sommesse e trattengo il respiro mentre Celeste e David mi sfilano davanti mano nella mano. Spero tanto che non notino la mia borsa, i miei libri, il mio astuccio, il mio mantello, la mia tazza di cioccolata e tutto ciò che c’è di mio sopra al banco e sulla sedia.
Dopo cinque minuti sento la porta della biblioteca chiudersi e le risate spegnersi e Scorpius mi fa segno con la mano di alzarmi.
Mi sistemo i vestiti e cerco di assumere una posa che esprima nonchalance. Come se non mi fossi appena gettata sotto ad un tavolo, insomma.
I suoi occhi grigi mi squadrano il viso e io mi sento avvampare. Odio quando mi fissano. Non riesco a sostenere lo sguardo delle persone per troppo tempo, soprattutto se la suddetta persona mi sta facendo una radiografia.
Gli racconto brevemente cos’è successo anche se non lo chiede e lui mi ascolta interessato. Parliamo forse per una ventina di minuti. Anzi, io parlo per una ventina di minuti, impegnata a gesticolare e a mimare Celeste e David. Gli racconto quasi tutto quello che è successo e per un po’ è come se fossimo amici da tutta la vita, come se ci conoscessimo da sempre e questo fosse solo uno degli usuali sfoghi che ho quando sono con lui. Quando termino il mio racconto lui mi guarda fisso per un po’ e poi comincia a parlare, anche lui senza sosta. È un po’ difficile stargli dietro perché quando parte con un concetto va veloce come un treno e prima che tu riesca ad immagazzinare la prima informazione, lui ne ha già dette altre cinque. Ma non ti stanchi di ascoltarlo. Questo è sicuro.
Alla fine abbiamo ricominciato a studiare Rune, ma era come se il cervello di entrambi fosse costantemente concentrato sulle parole che ci eravamo detti poco prima.
 
Compleanno di Roxanne. Questo è il primo pensiero che mi galleggia in testa la mattina seguente.
Roxanne. Compleanno. Regalo. Dominique. Dormire.
Quando mi risveglio penso che siano passati dieci minuti, ma con orrore scopro che in realtà ne mancano dieci all’inizio della prima lezione. Mi vesto il più rapidamente possibile e scendo di corsa fino al giardino, arrivandoci in ritardo.
Hagrid finge di non avermi vista ma, una volta dataci la consegna, mi fissa con un sorriso di rimprovero e mi fa l’occhiolino.
« Se finisco nei casini perché non mi svegli, Margaret, sono guai » sibilo alla mia amica mentre ci avviamo verso il recinto degli unicorni.
« Scusa, ma eri così bella mentre dormivi. E sbavavi » ride.
« Oh, molto divertente. Sempre meglio di stare a sentire i tuoi grugniti suini » replico, zittendola.
Ci sono quattro unicorni all’interno del recinto e sono uno più bello dell’altro.
Ixion bruca l’erba più lontano rispetto agli altri.
Il colore dorato è quasi completamente sparito dal suo manto argentato e liscio. La criniera è arruffata e ricoperta da rami spezzati e aghi di pino, come se avesse lottato e fosse caduto. Celeste e Belle sono le prime ad avvicinarsi con del grano ad un unicorno che mi sembra il più giovane, poiché coperto di manto candido.
« Lui è Chalith, ha due anni ed è il più piccolo del branco » ci spiega Hagrid.
« Branco? » interviene una ragazza di Tassorosso, con tono sorpreso.
Il professore la guarda come se non avesse capito cosa c’è che non va nel suo cervello, ma poi interviene Joel Weetmore.
« Gli unicorni sono estremamente rari, una specie in via di estinzione. Prediligono la vita solitaria. Sono animali schivi e paurosi, quindi, se vivono in gruppo, questo deve essere formato solamente da membri della famiglia » snocciola, con il tono di una guida turistica.
« Difatti Caston e Ninimel » dice Hagrid, indicando uno stallone argentato alto quanto lui al garrese e una giumenta nervosa che si aggira per il cortile. « Sono i suoi genitori. »
« E Ixion? » chiede qualcuno.
« Ixion non ha legami con loro » dice semplicemente. « Dieci punti a Tassorosso, bravo Joel » aggiunge.
Raccolgo un po’ di fieno dal cumulo messoci a disposizione da Hagrid, e così fanno anche altre ragazze, avvicino le spighe alla bocca dell’animale e improvvisamente un brivido freddo inspiegabile mi attraversa la schiena.
 
« Buon compleannoooooo! » grida Dominique, correndo ad abbracciare Roxanne. Io rido sia perché adoro vederla così felice, sia perché la faccia disgustata di Rox è impagabile. Dom poggia un pacchetto rosso sul tavolo davanti al suo naso.
« Da parte nostra » specifico, alzando le sopracciglia. Dom sorride e incita Rox ad aprirlo.
Lei lo scarta velocemente e quando apre la scatola rimane meravigliata. Fa un gridolino tipo ‘wooow’ che stranamente non è sarcastico e ci sorride.
Poi, decide di inaugurare il regalo, così indossa il paio di guanti in pelle di drago che le abbiamo regalato.
Il chiasso che si sta diffondendo in Sala Comune viene smorzato immediatamente da una notizia che ci porta Albus, non appena ci raggiunge.
Appoggia la Gazzetta del Profeta sul tavolo davanti a Roxanne.
Il titolo, scritto in caratteri enormi, anche più grandi di quelli dell’ultimo che ho letto, dice: NON SI FERMANO I LADRI ASSASSINI, TERRORE ALLA GRINGOTT.
Più in basso il sottotitolo: Appena due settimane dopo l’attacco al Ministero, i misteriosi assassini hanno colpito la banca dei maghi Gringott, seminando il panico e uccidendo tre impiegati (Ewald e Lindberg alle pagine 2, 3, 4, 6, 7, 9, 10)
 
Leggiamo in silenzio uno squarcio di articolo che, per quanto piccolo, basta a farci capire di cosa parla.
 
   Tutti siamo a conoscenza di ciò che è stato raccontato il 23 settembre scorso, ossia che una sconosciuta banda di malviventi ha ucciso i due Indicibili Moran e Bletchey.
  Oppure prima ancora, quando hanno brutalmente assassinato i coniugi Hunter.
  Ebbene, siamo purtroppo costretti a raccontarvi che non è finita qua. A distanza di appena tre settimane, gli sconosciuti, che voci di corridoio ci hanno riferito autoproclamarsi Purificatori 2, hanno colpito ancora.
  Questa volta è toccata alla banca dei maghi, la nota ed estremamente sicura Gringott.
  Abbiamo un particolare in più, però, in seguito a questa rapina: hanno operato in tre, due uomini e probabilmente una donna, riconoscibili grazie alle voci, anche se modificate con marchingegni babbani. Erano tutti e tre abbigliati con dei mantelli neri e sul volto avevano calato delle maschere scure. Uno squallido tentativo di copiare gli originali seguaci del Signore Oscuro, a quanto pare.
  Ma passiamo ai fatti: verso le cinque del pomeriggio di ieri, 14 ottobre, grazie alle Maledizioni Cruciatus e Imperius, i Purificatori sono entrati con la forza nella banca. Nel giro di un’ora avevano già messo sotto incantesimo gli impiegati della banca. Si sono poi fatti accompagnare fino al trecentonovantaduesimo piano sotto terra, quasi alla fine della banca sotterranea. I tre si sono diretti assieme ad alcuni Goblin (i quali, per motivi di incolumità fisica, preferiscono mantenere l’anonimato) verso la camera blindata 1025. A quanto pare essa è attestata ad un anonima famiglia di maghi francesi, che potrebbe essere una semplice copertura per qualcosa di molto più grave. I nostri Indagamaghi 3 stanno verificando proprio in questo momento cosa vi sia effettivamente contenuto dentro. In ogni caso, prima di riuscire ad entrare nella camera blindata, i Purificatori sono stati fermati da altri tre folletti, i quali stavano accompagnando un cliente qualche piano più in alto. Inquietati dalla visita sospetta, si erano avvicinati e avevano fatto scattare l’allarme, per poi tentare di salvare i colleghi. Purtroppo però, nessuno di loro ce l’ha fatta. Il loro cuore è stato fermato, come in precedenza, dall’Anatema Che Uccide…
 
Alzo gli occhi dal giornale e fisso Albus. Lui mi guarda con gli occhi socchiusi, come tentando di leggermi dentro.
A quel punto tutti iniziano a parlottare fra loro: Dominique arrabbiata mormora qualcosa sulla sicurezza di Hogwarts a suo fratello; James e Roxanne urlano come matti frasi sconnesse tipo “dobbiamo prepararci” e “esistono ancora minacce”; Hugo e Lysander si scambiano pareri e timori, mentre Lily e Fred continuano a leggere l’articolo.
« Ehi, ragazzi » richiamo l’attenzione dei miei cugini, improvvisamente. « Ho un’idea… »
Nessuno mi sente perché stanno ancora parlando ad alta voce fra loro, ma dopo un paio di tentativi riesco a farli stare zitti. « Ascoltatemi! » grido.
« Sputa il rospo Rosie » sbotta James, infervorato.
« Avete presente… Hermione vi ha mai raccontato quello che ha fatto al suo quinto anno, quando lo zio Harry affermava che Voldemort fosse tornato, ma nessuno gli credeva, men che meno il Ministero? »
Tutti scuotono la testa.
Quella era una delle storie preferite di quando io e mio fratello eravamo piccoli.
La mamma ce le raccontava spesso da bambini, solo che ometteva il suo nome e lo sostituiva con quello dello zio Harry o di papà. Mia madre è sempre stata una donna umile. Solo da grande, poi, ascoltando la versione degli zii, ho capito che quell’eroina era lei. E penso di non essermi mai sentita tanto fiera di essere sua figlia.
Gli racconto in breve di come Hermione avesse creato un metodo di comunicazione tramite galeoni magici, i quali scottavano ogni volta in cui la persona che possedeva l’originale decideva la data dell’incontro, di come si incontrassero nella Stanza delle Necessità per allenarsi in segreto. “Esercito di Silente” l’avevano chiamato.
Quando termino di raccontare la storia tutti si guardano tra di loro, stupiti. Iniziano a parlottare e man mano che il volume si alza vedo dei sorrisi comparirgli sul volto.
« Io ci sto! » esclamano Roxanne e James. 
« Sono con te, Rose » dice Albus.
Man mano che espongo l’idea, tutti accettano la proposta: Hugo, Louis, Dominique e Fred. Perfino Lorcan e Lysander Scamandro, Philip Thomas e Axel Paciock si uniscono al nostro gruppo.
« Tra un mese ci sarà la prima uscita a Hogsmeade. Io propongo di incontrarci quel giorno ai Tre Manici » urlo, cercando di farli calmare.
Ovviamente, non funziona. Sono tutti troppo eccitati per riuscire a calmarsi.
« Propongo che sia Rose ad insegnarci. Voglio dire, l’idea è stata sua » suggerisce nient’altri che James, la persona da cui non mi sarei mai aspettata di ricevere delle lodi.
Io sorrido, avvampando, e chiedo ad Albus se può essere lui a darmi una mano, essendo eccezionale in Difesa.
Mio cugino, ovviamente, accetta di buon grado.
 
Una settimana e mezza dopo, durante un giovedì di fine ottobre, con un cielo azzurro difficile da trovare persino in estate qui in Scozia, mi sono decisa a scrivere una lettera a mia cugina Lucy per farmi dire cosa sta succedendo a casa.
Lucy ed io abbiamo un rapporto di amore e odio che dura da quindici anni. Lei è più grande di me di solo tre anni, ma da quando, quest’estate, ha trovato un ragazzo ed ha compiuto diciotto anni, è diventata tremendamente presuntuosa, saccente e snob.
Quel topo di biblioteca che era, si è trasformato in una ragazza peggiore di Georgia quando attacca con i suoi discorsi su trucco, capelli e vestiti.
Io e lei siamo sempre state in competizione sul piano intellettuale. Da piccole “giocavamo” a chi leggeva più libri in una settimana, a rispondere a dei quiz che organizzavano i nostri parenti e ogni qualvolta ricevevamo la pagella, facevamo a gara a chi aveva i voti più alti. Inutile dire che era sempre lei a vincere questa sfida. Con Lucy, quindi, ho un rapporto molto altalenante. Ma la adoro come adoro tutti i miei cugini. Cioè, a parte Molly, che è la sorella ventenne di Lucy. Sono quasi uguali a parte i capelli mossi e gli occhi castani di Molly. Lei non è antipatica o vanitosa o irritabile, sul serio, solo che se Lucy è saccente… be’, Molly è la saccenteria in persona.
Va all’università di medicina a Londra e si crede una dea scesa in terra perché tutti quanti la lodano per il suo successo scolastico. È uscita da Hogwarts con la media di voti più alta dai tempi di mia madre, riuscendo quasi ad eguagliarla ma non a superarla. E, ovviamente, se ne vanta ogni volta in cui ci sono cene di famiglia. Oppure, cerca sempre di farmi passare dalla parte del torto. C’è da dire però, che l’essere una secchiona, non è sempre un bene. Lei è intelligentissima, astuta, logica e ha un cervello che può servire a molto, ma non ha praticamente una vita sociale. Non l’ho mai vista uscire assieme a un ragazzo, ma nemmeno assieme a delle sue amiche. L’appartamento che condivide con due compagne di corso sembra il covo di una colonia di ratti. Se io sono disordinata, santo Godric, lei è incasinata forte.
Comunque, la risposta di Lucy, arriva quello stesso sabato con la posta mattutina.
 
Rose, sei una cocciutissima testa calda. Sono orgogliosa di te, sappi che sei davvero un piccolo genio. La tua idea mi piace e prometto di tenere la bocca chiusa.
Credo che i nostri parenti non vogliano che te lo dica, comunque, ma penso che tu voglia sapere la verità: qui a casa le cose non vanno molto bene. Tutti sono preoccupati per gli articoli usciti sulla Gazzetta del Profeta. Nemmeno zio Harry sa bene cosa fare. Zia Ginny mi ha detto che sono giorni che non riesce a riposare bene. E, Rosie, francamente preferirei essere ancora ad Hogwarts che qua a Londra.
Buona fortuna,
tua Lucy.
 
Rileggo la lettera tre o quattro volte, per assicurarmi di aver capito bene ciò che dice. Poi, per paura di cominciare ad andare nel panico anche io, torno in camera e la nascondo sotto al cuscino. Quando scendo in Sala Comune, trovo Celeste e David avvinghiati in un angolo. Lei mi nota appena si stacca dalle sue labbra e avvampa immediatamente.
Io tiro dritto stringendo i denti e attraverso il buco del ritratto seguita a due passi… proprio da Celeste.
Meraviglioso.
Mi prende un braccio e mi costringe a voltarmi e guardarla in faccia. È ancora paonazza e ha anche le labbra rosse.
« Rose, ti prego. Io… io voglio risolvere con te. Ti scongiuro. Sono settimane che non mi parli. Ed hai ragione perché ti senti tradita. Ma non posso dimenticare tutti gli anni che abbiamo passato insieme… Non posso, e so che nemmeno tu puoi. Sento che la nostra è un’amicizia vera, e capisco benissimo che non ti fidi… »
« No! » la interrompo bruscamente. Do uno strattone al mio braccio che lei tiene ancora serrato e mi allontano. « Tu non capisci. Tu non mi puoi capire! Io non ti ho mai tradita, Celeste, mai! Tu sapevi che mi piaceva David, eppure sei uscita con lui di nascosto. È una cosa disgustosa. Io non mi fiderò mai più di te. Non posso essere amica di una persona così falsa. E hai avuto anche il coraggio di dare a Dominique della puttana! Lasciami in pace. »
Mi volto e scendo le scale, e solo quando sono completamente sola mi concedo di sprigionare le lacrime fredde che chiedevano disperatamente di uscire da tanto tempo.
 
Trascorro tutto il sabato con Dominique, che sembra davvero triste da quando Jonathan se n’è andato. Come ha detto lei, tornerà il 30 e si sta già preparando per la festa di Halloween. Noi studenti, infatti, abbiamo una specie di tradizione: ogni 30 ottobre, nella Sala Comune dei Tassorosso (quella più spaziosa) viene organizzata una festa, a cui partecipano molti ragazzi e ragazze in maschera di tutte le casate.
La sera, dopo essermi alzata da tavola, mi avvio assieme a Margaret e Belle fuori dalla Sala Grande, quando mi accade una cosa assolutamente inaspettata.
Mi fermo davanti al portone d’ingresso e una voce grave mi chiama. « Rose, scusa se ti disturbo, posso parlarti un momento? »
« Oh, ciao » sussurro a Chris. Poi mi schiarisco la voce. « Certo. Meg, Belle, vi raggiungo » sorrido alle mie amiche.
Loro mi lanciano una frecciatina e maliziosamente dicono “mmh-mmh”.
Seguo il Serpeverde sotto la scalinata dove mi perseguita il brutto ricordo del litigio con David.
« Allora... » comincia lui, un po’ imbarazzato.
Perché fa così?
« Stai bene? » chiedo preoccupata.
Lui sorride e butta fuori l’aria. Osservandolo da vicino, noto le imperfezioni del suo viso, ma lo trovo ugualmente affascinante.
« Sì… allora… tvdivnrcnmealfestdihalwn? » rantola.
« Cosa?! » rido, pentendomene un istante dopo.
È stranissimo vedere un ragazzo come lui, di solito sfacciato ed estroverso, imbarazzato da una cosa banale come parlarmi.
Arrossisco e mi schiarisco la voce. « Scusa, solo che non ho capito. »
« Ecco, ti chiedevo se volevi venire con me alla festa di Halloween » ripete.
Oh, porca paletta.
« Chris, ti ringrazio tanto, immagino tu sia un bravo ragazzo… » esordisco, senza pensare.
Ma che sto dicendo?! Sto seriamente per rifiutare l’invito di Christopher Skyes?!
« Ma non posso. Cioè, non ho proprio voglia di andarci alla festa. Mi dispiace. Sarà per un’altra volta. »
Lui mi sorride sconsolato e borbotta parole di scuse e dice che non fa nulla.
Mi volto prima di rendermi conto di quello che ho fatto e salgo in Sala Comune, dimenticando le mie amiche, con gli occhi sbarrati, ripetendomi zuccona finché la parola si stacca dal significato.
 
« Sei una zuccona. Non è possibile che tu abbia detto di no ad un appuntamento con Chris Skyes. Vuoi la verità? Io avrei acconsentito volentieri! » sbraita Jadie, quando le racconto l’accaduto.
Siamo sedute sulle scale che portano direttamente dal giardino al terzo piano, e non c’è un’anima in giro.
« La festa è fra due giorni, puoi benissimo andare da lui, chiedergli scusa, e dirgli che ci andrete assieme. A meno che tu non sia una pazzoide totale » continua.
« Jade » la rimbrotto. « Non puoi dirmi cosa devo o non devo fare. »
Lei mi lancia un lungo sguardo indagatore. « Cos’è, ti piace qualcun altro? »
« No » rispondo meccanicamente, scacciando il pensiero di David. 
Mi lancia un’altra occhiata eloquente: non mi crede.
Ma come fa questa ragazza a capire sempre quello che penso?!
Io sorrido al pensiero di un paio di occhi grigioverdi che mi guardano e dei capelli biondi così chiari che starebbero male a chiunque altro a parte lui.
« Forse. »
« Come scusa?! E non me lo sei venuta a dire? » sbotta improvvisamente, offesa.
« Perché non ne sono sicura, Jadie! Nemmeno io so veramente cosa provo. »
« Ma di chi stai parlando, si può sapere? »
Sto zitta per un po’ di tempo. Non perché non mi fidi a dirlo a Jade. Il fatto è che la persona a cui sto pensando è uno smorfioso ragazzino viziato, che pensa più a vestirsi bene che ad essere gentile e sorridente.
Almeno all’inizio… pensavo che fosse così. Col tempo invece ho capito che sotto sotto è disponibile e sincero. È così intelligente che mi perdo spesso ad ascoltarlo parlare, e a guardare tutti i suoi tic: si tocca sempre i capelli, quando è nervoso balbetta, si torce le mani continuamente e quando sorride abbassa gli occhi. Non penso di essermi mai resa conto, fino a quando Chris mi ha chiesto di uscire, di provare qualcosa per lui. E l’ho capito perché avrei voluto che fosse stato lui a chiedermi di andare alla festa.
« Scorpius Malfoy » sospiro alla fine, sconsolata.
Lei dapprima mi guarda con gli occhi spalancati, poi caccia un urletto.
« È meraviglioso! Penso che sia un ottimo partito: ricco, bello, intelligente! Anche atletico! E nonostante la sua famiglia facesse parte della setta di Voldemort, è un ragazzo davvero magnifico! »
« Parli come mia nonna, ed è inquietante. Comunque, non mi interessa nulla di queste cose. Non voglio nemmeno provare a pensare a me e a lui insieme. Meglio che me lo tolga subito dalla testa. »
« Rosie, come hai detto tu non posso dirti cosa fare, ma ti assicuro che il tuo cuore non sbaglierà mai. Poi, fai quel che credi più giusto. In più, hai possibilità con chiunque tu voglia, ricorda di non sottovalutarti mai. »
Lei sorride e io faccio lo stesso, poi le appoggio la testa sulla spalla e rimaniamo così finché la voce della professoressa McGranitt magicamente trasmessa attraverso i muri non ci avverte che dobbiamo rientrare nel castello per le lezioni pomeridiane.
Cerco di ascoltare il consiglio di Jade, ma non riesco a seguire quello che mi dice il cuore: quando incontro Scorpius nei corridoi, lui non mi saluta e io abbasso gli occhi. Non riesco a pensare a noi due: cosa direbbero i miei genitori? E i suoi, poi?
Di solito mi accorgo quando interesso ad un ragazzo. So quando qualcuno ci sta provando, e Scorpius non mi ha mai dato segnali interpretabili in quel modo… Troppo in imbarazzo per fare il primo passo, nonostante di solito non mi faccia problemi, scaccio quei pensieri.
 
« Ehi, Chris! » chiamo, quando riesco ad individuare il Serpeverde nel gruppetto dei suoi amici. Alzo la mano per farmi notare e lui con espressione interrogativa si avvicina a me.
« Ciao. Dimmi. »
« Senti, mi dispiace per ciò che ti ho detto sabato. Non so cosa mi sia preso. Se l’invito è ancora valido, mi piacerebbe molto andare alla festa con te. »
Sento il sangue affluirmi alle guance e distolgo lo sguardo da quegli occhi color cielo.
« Certo, ovviamente. Grazie per aver accettato, pensavo ti fossi spaventata » ride.
« No, è solo che non mi era mai capitato di ricevere un invito ad un appuntamento e non sapevo cosa fare. »
« Ah, quindi sarebbe un appuntamento? » ribatte senza perdere il sorriso.
« Be’, no, è solo una festa » dico con aria di sfida.
Lui mi fa l’occhiolino e mi dà appuntamento fuori dalle cucine alle dieci di mercoledì.
Poi si allontana e, raggiunto il suo gruppo, si volta a guardarmi.
 
 
Note:
1) figlio di Garrick Olivander (il tizio che conosciamo noi).
2) non mi venivano in mente altri nomi che spiegassero il loro intento: purificare la razza. Da chi? Vedrete in futuro ;)
3) è pessimo? Sì, lo è.

Ho definitivamente deciso di non far avere a Jasmine nessun ruolo, più avanti mi avrebbe dato problemi ad inserirla, e mi sono resa conto che non serviva fondamentalmente a nulla. Quindi, l'ho presentata lo stesso perché probabilmente riapparirà, però non sarà più un'amica di Rose.
 
Spero tanto che non sia trita e ritrita l’idea del gruppo di allenamento per gli incantesimi stile Esercito di Silente. Serve, secondo me, perché dopo la Seconda Guerra Magica, le minacce sono praticamente scomparse, e i giovani maghi non imparano più a difendersi, studiano solamente gli incantesimi.
Insomma, spero in generale che non faccia schifo questo capitolo, perché come al solito non mi fa impazzire…
Un grazie immenso a tutti quelli che inseriscono ancora la storia fra preferite/seguite/ricordate e soprattutto grazie a cissy1303 e eleso_ per le recensioni.
Al prossimo capitolo!
Ellie

 

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Capitolo 8
*** It's party time (or maybe it isn't) ***


It’s party time (or maybe it isn’t)  

He doesn’t sleep, so in truth he never wakes up
Another day rushing to his death
Out of breath on the treadmill of the famous
He makes mistakes
 Tells stories to his paintbrush
And when the world finally sees his art,
He wishes that he never would have made it
-Arrows, Fences feat. Macklemore
 
 
 
« Non troverò mai un vestito che mi stia bene, Annabelle! » mi lamento, guardando la mia immagine nel piccolo specchio del nostro bagno.
Non riesco a piacermi in questo lunghissimo abito in stile egiziano.
Jade è in camera nostra, già vestita e truccata, e mi sta acconciando i capelli.
Ho sempre amato andare alle feste con lei, perché non ci facciamo problemi a ballare davanti a tutti, nonostante non mi piaccia, conosciamo sempre nuova gente e nel caso ci stiamo annoiando, ce ne andiamo in giardino con i nostri amici e la scusa di voler prendere un po’ d’aria.
« Qualcosa di sobrio. Non esagerato, non pacchiano e non eccentrico » le ribadisco, me ne rendo conto, per la millesima volta.
Lei mi tira i capelli mentre sta cercando di farmi una treccia, per farmi capire di essere stanca di sentirmi blaterare.
« Tranquilla, ti ho detto che ho ancora un vestito. Se non ti va bene dovrai scegliere uno dei precedenti » aggiunge Belle.
Mi svesto e indosso l’ultimo abito che Belle possiede.
Rimango senza parole, perché è bellissimo: un vestito con le maniche lunghe di pizzo e lo scollo a barchetta totalmente nero, che termina con una gonna a campana. Mi sento un po’ nuda soprattutto nella zona del décolleté, ma visto che devo uscire con un ragazzo, penso che vada bene. A volte anche a Rose Weasley serve vestirsi bene!
Belle annuisce soddisfatta. « Lo sapevo che questo ti sarebbe piaciuto! Sei bellissima. »
Anche Jade è sbigottita e annuisce contenta.
Penso che si sia stancata di lottare con i miei ricci quindi ha raccolto i boccoli in uno chignon bloccato sulla cima della testa.
Scelgo un paio di ballerine che odio ma che sono costretta dalle mie amiche a mettere (soprattutto perché non riuscirei mai a passare ore sui tacchi).
« Manca meno di un’ora » annuncio, meno emozionata di quello che pensavo.
« Ehi, ehi, devi ancora truccarmi. Poi, sarai libera » mi ammonisce Belle.
Alle dieci e venti, finalmente posso lasciare la Sala Comune dei Serpeverde.
Scendo le scale rabbrividendo a causa del freddo e raggiungo il luogo dell’incontro con Chris in anticipo di dieci minuti.
Mi appoggio ad un muro e di tanto in tanto osservo i ragazzi ben vestiti che escono dalla Sala. Le ragazze che indossano i pantaloni, noto, sono molte di più rispetto a quelle con un vestito, e la cosa mi fa andare sempre più nel panico.
Non mi piace attirare l’attenzione: preferisco restare in disparte e indossare del pizzo non è il modo migliore per farlo.
Comincio a torcermi le mani, a battere col piede per terra per il nervosismo, finché non esce Chris, con una camicia bianca e un paio di pantaloni neri molto semplici.
Lo guardo con un sorriso e lui mi bacia sulla guancia. Cavolo, non sono abituata a queste cose, ai ragazzi così diretti e sicuri di sé.
Profuma di sapone e dopobarba, mi piace molto.
Chris si volta e mi precede lungo il Buio verso la Sala Comune dei Tassorosso.
Quando raggiungiamo le cucine, dove c’è più luce, mi guarda bene e sorride.
« Stai molto bene » esordisce.
« Sì, be’, non sei male nemmeno tu » dico, scherzando.
Si fa subito serio e mi guarda profondamente negli occhi. « Rose, voglio che tu sappia che… mi piaci –il mio cuore perde un battito– nonostante io possa dire che quasi non ti conosco. Ma ci tengo a farlo meglio, ecco. »
Io sto zitta per un po’ di tempo, guardandolo negli occhi, senza sapere cosa dire.
Forse col tempo mi piacerà di più. È un ragazzo molto carino e anche intelligente, credo, solo che non so come sia il suo carattere.
Altruista o egoista? Estroverso o timido? Ingenuo o sagace? Umile o esibizionista?
Ma perché non sei Scorpius?
« Va bene, non sai cosa rispondere, è comprensibile, devo averti spaventata parecchio… » riprende in imbarazzo quando capisce che non ho intenzione di rispondere.
« No, tranquillo, solo che, non lo so, non ti conosco bene. Ma posso provarci, sì. »
Lui sembra sollevato da questa risposta.
« Fantastico, mi spiace se ti sono sembrato sfacciato, volevo solo mettere le cose in chiaro. »
Mi invita sempre con il sorriso sulle labbra ad entrare nella Sala Comune, oggi aperta a tutti.
Appena varco l’ingresso, vengo investita da una vampata di calore.
All’inizio passo una bella serata, bevo un punch alla frutta e parlo un po’ con alcuni ragazzi e ragazze di varie Case.
Verso le undici entra teatralmente nella Sala Comune dei Tassorosso Dominique, mano nella mano con Jonathan.
Mi avvicino ai due e saluto Jonah che mi racconta cos’ha vissuto e fatto in America, le esperienze vissute al college, le feste a cui ha partecipato, le materie che ha studiato, le attrazioni che ha visto…
Dom non lo lascia un momento e lo guarda con occhi sognanti, come se, al posto di essere partito per due settimane, se ne fosse andato per anni.
Lui invece è più concentrato sul raccontarmi che il presidente della squadra gli darà un alloggio di cui dovrà pagare solo metà affitto e, appena uscirà da Hogwarts, dopo l’estate, otterrà un contratto di tre anni con i Sweetwater Allstars.
Ad un certo punto scansa malamente Dominique, che va a prendersi un bicchiere di punch, mentre lui raggiunge un prefetto di Corvonero.
Mi guardo un po’ in giro e cerco Chris. Sta parlando con Caleb Unwin, il quale ha appesa al braccio una ragazza davvero bruttina che avrà come minimo tre anni meno di lui; di Jade e Albus non c’è traccia e Mahonei Douglas, l’unica altra ragazza che conosco, sta litigando a bassa voce con Aaron Hadley.
Cammino verso il mio accompagnatore e, mentre sta descrivendo al suo compagno di stanza la sua teoria sul pelapatate più innovativo del mondo o che cavolo ne so io, gli chiedo: « Prendi qualcosa? »
Lui rimane un momento a bocca aperta per elaborare la domanda, poi nota che sono molto seria e accetta, prendendomi per mano.
Nell’aria è diffusa una canzone degli Aerosmith, una di quelle classiche lagne per fidanzatini, così mi allontano dalla pista da ballo e gli verso del succo di zucca, inizio a parlare con lui, a scherzare e ridere, finché non noto una ragazza al tavolo del punch, poco più in là.
« Dom » mi annuncio, quando raggiungo il tavolo.
Mia cugina si asciuga le guance e mi saluta con voce rotta.
« Cosa succede? » mi allarmo, toccandole la schiena.
Faccio segno a Chris di lasciarmi un minuto e lui si allontana.
Lei mi guarda con gli occhi azzurri tristi e lucidi.
« Jonathan non mi ama più. »
Rimango spiazzata.
« Come puoi dire una cosa del genere?! »
« Me l’ha detto lui, Rose! Quando è tornato io ovviamente ero felicissima, così gli sono stata appiccicata tutta la giornata. Troppo appiccicata. Mi ha presa da parte, poco fa, e come se fosse la cosa più naturale e semplice del mondo mi ha detto che ha bisogno di un po’ di tempo da solo, che non sa cosa prova ora come ora. Ti rendi conto?! Sono due anni che stiamo assieme! »
Oh, Godric.
Ci sono solo due possibilità per cui Jonathan abbia potuto dire così a Dom:
1) ha il cervello marinato come un’acciuga sotto sale.
2) ha trovato un’altra ragazza.
Dominique ci tiene veramente tanto a lui: insieme hanno vissuto tutte le prime volte possibili, hanno conosciuto le rispettive famiglie, sono stati rispettivamente il primo amore dell’altro.
« Oh, Dominique, mi dispiace tanto » dico affranta abbracciandola, quando lei ricomincia a piangere.
Mi chiede di accompagnarla fuori e io lo faccio, lanciando uno sguardo disperato a Chris, che mi ricambia interrogativo.
Una volta nell’atrio, Dom si accascia sui gradini e viene scossa da violenti singhiozzi.
Due ragazzi passano di lì in quel momento e per l’ennesima volta, noto che si scambiano sguardi a metà fra il divertito e il critico. Li ignoro e accarezzo il braccio di Dominique, parlandole dolcemente.
« Non fare così, Domi. So quanto Jonathan sia importante per te ma anche tu lo sei per lui! Credimi. Si vede da come ti guarda, da come si comporta quando state assieme. I miei genitori litigano di un continuo e quando erano giovani si sono lasciati per circa tre anni prima di tornare assieme e sposarsi. Non si può mai sapere cosa può accadere in futuro: quindi ti prego, non disperarti. »
« Ma cosa ne sai tu! » esclama, sull’orlo di una crisi di nervi. « Non sei mai stata innamorata, non puoi davvero capire! »
So che lo dice perché è ferita e arrabbiata e sta male, ma quelle parole mi colpiscono in pieno per la loro verità e per la cattiveria con cui le ha dette.
Penso si renda veramente conto di ciò che ha detto solo poco dopo, perché poi alza il viso verso di me e mi dice: « No, io non volevo dirlo davvero, mi-mi dispiace. »
La guardo pronta a dirle le cose più cattive che ho in mente ma poi i suoi occhi supplicanti mi fermano.
« No, hai ragione » dico semplicemente.
E rimango lì, perché non ce la faccio ad abbandonarla. Rimango finché non sta meglio, troppo debole anche io per andarmene o arrabbiarmi con lei.
 
« Stai bene? » mi chiede Chris quando lo raggiungo. « Hai una faccia sconvolta. »
« Sto bene » rispondo con freddezza, lasciandomi cadere su una sedia. « Scusa, sono solo stanca, credo. »
Si siede accanto a me e mi guarda con una mano poggiata sotto il mento.
« Che c’è? » domando.
« Sto aspettando che mi racconti che cos’hai » risponde con semplicità.
Rido e ribatto che non ho nulla.
Lui alza un sopracciglio in senso di scetticismo ed è allora che penso che un po’ mi assomiglia, è decisamente testardo e cocciuto.
Prima di poter dire qualcosa, entrano nella Sala Comune i miei cugini Fred e James con Axel Paciock, Philip Thomas, Lorcan Scamandro, Jeremiah Taft, Joel Weetmore e un sacco di altri ragazzi di Serpeverde, Tassorosso e Corvonero con altrettante casse contenenti, conoscendoli, alcolici.
Guardo l’orologio e mi sorprendo che sia già quasi l’una.
Bevo un goccio di punch, solo il settimo bicchiere, e faccio una linguaccia a James quando mi passa avanti.
« Ehi, Ross! » urla Fred, che ha già alzato abbastanza il gomito a quanto vedo. « Chi è il tizio con cui stai parlando? »
« I fattacci tuoi, Freddie?! » urlo sarcasticamente di rimando.
Lui alza una bottiglia di quello che liquido come Whisky Incendiario e mi urla un brindisi del tipo ‘alla tua storia d’amore’.
Arrossisco fino alle punte dei piedi e mi scuso per quello spettacolino disgustoso.
Chris comincia a ridere e mi assicura di aver visto gente in condizioni peggiori. Continuiamo a parlare, mentre la musica migliora sempre di più e dalla porta entra sempre più gente.
Ad un certo punto, mentre sto discutendo del fatto che le lumache siano sicuramente gli esseri più schifosi al mondo, un paio di braccia super muscolose mi alzano in piedi.
« James, cosa stai facendo?! » strillo, colpendolo alla testa con il bicchiere.
Neanche a dirlo, non mostra alcun segno di fastidio.
« Giochiamo a “non ho mai”, vieni anche tu » sorride, un po’ brillo.
Il suo fiato puzza di birra e Whisky.
« Oh, no no no no, neanche per sogno, l’ultima volta sono stata male per due giorni, Jamie, DUE GIORNI.  »
« Ehi, tu » dice a Chris. « Vieni con noi? »
« Odio quel gioco » ribatte esplicitamente l’altro.
« Freeeeeed! » strilla James.
L’altro cugino deficiente arriva due nano secondi dopo e mi solleva sistemandomi sulla sua spalla, lasciando James a convincere Chris.
Anche se urlo e mi divincolo, lui mi porta comunque verso i dormitori.
Tre minuti e sono seduta in cerchio con un bicchiere di Whisky Incendiario davanti e un’espressione omicida riservata esclusivamente ai due scimmioni.
Con noi ci sono almeno una ventina di ragazzi dal quinto anno in su e di tutte le casate: riconosco Jade, lontanissima da Albus; ci sono poi Roxanne, Jonathan, Louis, Liam Simons, Mahonei, Aaron, Danny Shanks, la Nott, Selwyn, Tristan, Yaxley e Travers…
« Ragazzi, conoscete tutti le regole. Cominciamo da me e poi andremo in senso orario » prorompe Rosier, ridicolo con indosso una polo rosa.
Mi sento estremamente imbarazzata man mano che ci avviciniamo a me, anche se manca ancora decisamente molto tempo.
« Non ho mai ricevuto un rifiuto da una ragazza » mugugna Yaxley quando arriva il suo turno.
Il gioco, sostanzialmente, consiste nel bere ogni volta in cui ti è successa la cosa che il giocatore non ha mai fatto/detto.
Chris, un paio di ragazze alla mia sinistra, beve e lo guardo divertita.
« Senti, ero alle scuole elementari e ovviamente le babbane non capiscono nulla di bei ragazzi » sussurra.
« Invece secondo me sono molto perspicaci » lo prendo in giro.
Continuo a non bere nulla perché parlano solo ragazzi, fino a che non arriva il turno di Scorpius, che non avevo notato fino a quel momento.
È seduto tra la Rookwood e Goyle e non sembra a suo agio in questo momento.
« Ragazzi, non so che dire » dice con arroganza.
Rosier e Travers lanciano un’occhiata a tutte le ragazze della stanza, poi si decidono a parlare.
« Niente scottanti dettagli sulla tua vita sentimentale? » ridacchia il primo.
« Nulla da rivelarci, Scorp? » chiede il secondo.
Scorpius, non dire niente. Non voglio che finisca come a Obbligo o Verità…
La prima e ultima volta in cui ho giocato a “non ho mai” è stato esattamente un anno fa, durante la festa di Halloween del mio quarto anno. Ero ingenua ed essere invitata dai ragazzi di un anno più grandi mi sembrava la cosa più bella del mondo in quel momento. Povera stupida. Se ci ripenso non solo mi sale un istinto omicida verso i miei due cugini che mi hanno invitata a partecipare, ma mi rendo conto di quando devo essere sembrata stupida e piccola ai ragazzi più grandi. È stato davvero imbarazzante quando, l’unica volta che è toccata me, non avendo argomenti interessanti, la cretinata che ho detto è stata " Non ho mai avuto un cane. "
Avrei potuto raccontare qualcosa di decisamente più intelligente.
« Passiamo oltre, sennò perdiamo tutta la sera con lui! » sbotta la Nott.
Rosier si volta con gli occhi appannati verso di lei e sorride, annuendo. La Serpeverde si guadagna anche gli occhi di tutti gli altri studenti addosso.
Oh, qualcuno che guarda Miss Castità, che novità.
« La Nott ha ragione, vai Destiny » grugnisce Warren.
Lancio uno sguardo a Scorpius ma lui sta già guardando da un’altra parte.
Continuiamo a giocare (o meglio, continuano) per cinque minuti, ed è a quel punto che il livello di alcol che hanno in corpo quelle scimmie dal quoziente intellettivo di una noce raggiunge livelli troppo alti e Travers, ubriaco, se la prende improvvisamente con Goyle, la Rookwood e la Nott, perché alla sua confessione di non aver mai preso una sufficienza in Trasfigurazione, i Serpeverde si sono messi a ridere.
Travers si avvicina a loro e prova a tirare un pugno a Goyle che, sconvolto per quel cambio di umore del compagno di Casa, lo blocca con facilità.
Mi alzo in piedi nel caos generale fatto da chi cerca di sedare la lite ed esco dalla Sala Comune, facendo segno a una Jade piuttosto abbattuta di raggiungermi.
Non riesco a fare a meno di notare, però, che appena raggiungo la porta, Scorpius si volta verso di me e mi fissa per qualche secondo.
 
Sono le quattro di mattina e ancora non riesco a prendere sonno.
Sarà per la rabbia (è stato un appuntamento mediocre, rovinato poi da quei microcefali di James e Fred e da quello stupido gioco), la frustrazione (che Chris non mi abbia chiesto di andarcene via quando eravamo ancora in tempo), gli occhi grigioverdi di Scorpius su di me o non so nemmeno io per cosa, ma sono distesa sul letto a fissare il soffitto da ore, ancora con il vestito e le scarpe addosso.
Faccio un profondo respiro proprio quando entra Celeste, senza preoccuparsi di fare silenzio.
Nel momento in cui mi nota assume un’espressione imbarazzata, e mormorando qualcosa che non capisco, si fionda in bagno.
Io la guardo e basta, senza sapere ovviamente cosa dire.
Decido di scendere in Sala Comune quando il quadro della Signora Grassa si sposta ed entrano Belle e Meg, a qualche passo da Mahonei, Aaron, Danny e, separato da loro, Jonathan.
Dominique non c’è, penso abbia raggiunto la sua camera come mi aveva detto, ma Jonathan non sembra particolarmente felice. A detta di Dom, era stato un sollievo per lui lasciarla, anche se a me non pare.
Lily non ha partecipato alla festa, così come Lysander e Hugo.
Percepisco come della malinconia nell’aria, quando i ragazzi mi salutano e se ne vanno nelle loro camere da letto e questo non mi aiuta sicuramente a tirarmi su di morale.
Meg si siede accanto a me, anche lei per nulla stanca, e quando ci stanchiamo di parlare, verso le cinque e mezza, prendiamo le sue carte babbane e giochiamo per un tempo infinito. Mi sembra di tornare bambina, a quando io, Hugo, la mamma e il papà, durante le vacanze estive, giocavamo tutte le sere a carte, divertendoci un sacco.
Hugo si arrabbiava perché perdeva quasi sempre e allora iniziavamo a litigare: io lo accusavo di essere un bambino, e lui di barare. Quando i nostri genitori non ce la facevano più ci chiudevano in camera ma noi continuavamo fino allo stremo delle nostre forze a dirci di tutto. Ho passato la mia infanzia tra coccole e litigi, in sostanza.
Quando non riusciamo più a tenere gli occhi aperti, ci appoggiamo sulle poltrone, troppo stanche per andare fino in camera, e ci addormentiamo, respirando profondamente all’unisono.
Quando mi sveglio è mezzogiorno, il sole è alto nel cielo e la Sala Comune è silenziosa.
Mi alzo dalla scomoda poltrona, su cui avevo giurato non avrei dormito mai più e osservo la mia amica, che sta ancora russando, come James e Fred, rientrati verso le sette, credo, e sprofondati sul divano.
Ho un sacco di fame, così, una volta cambiata e lavata, lascio che Maggie dorma ancora un po’ ed esco silenziosamente, scendendo in Sala Grande.
Quando raggiungo il cancello, mi fermo e osservo quello spettacolo penoso: ci sono solo ragazzini, quelli che non hanno partecipato alla festa, non vola una mosca, e i pochi studenti più grandi presenti, mangiucchiano qualche boccone di cibo senza proferire parola.
Il soffitto è decorato da scheletri appesi e danzanti, zucche con espressioni di terrore intagliate sui bordi e delle candele monche illuminano le tavolate. Mi siedo al mio tavolo, afferrando subito del pane e ingollando della torta salata.
Annabelle è seduta poco distante da me, ma non mi avvicino. Non ho voglia di parlare con nessuno.
Nonostante abbia riposato abbastanza, anche se scomodamente, sono ancora stanchissima.
Per la prima volta da tanto, tantissimo tempo, mi sento bene a stare da sola. Nessuno che mi fa pressioni, nessuno che inizia con le battutine su qualsiasi cosa dica (leggi James e Fred), nessuno che mi urla nelle orecchie ogni secondo, nessuno che mi chiede pareri o giudizi. Il silenzio, penso, è una benedizione.
A rompere quei minuti di tranquillità arriva la persona che meno vorrei vedere in questo momento.
« Ciao Rose » mi saluta Chris.
« Ciao » rispondo monotonamente.
Lui si accomoda accanto a me e io gli lancio uno sguardo altezzoso. Nota subito che ho qualcosa che non va e infatti me lo chiede.
« Nulla » liquido.
Mi prende la mano tra le sue. Sono calde e ruvide.
« Ti prego. »
Gli dico semplicemente che sono stanca.
Tenta di darmi un bacio sulla guancia ma mi scanso con un “no”.
Si alza in piedi e a bassa voce mi dice:  « Ci terrei a uscire con te un’altra volta. »
« Mmmh. »
« Diciamo sabato? »
Ci penso un attimo. « Purtroppo gioco la prima partita di campionato. »
Sì, purtroppo.
« Oh, ma non c’è problema. Dopo che avrai giocato possiamo fare un giro. »
Prima che possa dire qualcosa, si volta e si avvia fuori dalla Sala.
Quando, dopo un pranzo consumato in solitudine, torno alla mia torre, Maggie non c’è più. James e Fred invece sì. E stanno ancora dormendo sul divano.
Senza pensarci due volte, corro in bagno, riempio due bicchieri di acqua fredda e torno giù, avvicinandomi piano.
James è seduto e ha il collo ribaltato all’indietro. Fred è disteso sull’intera zona con la bocca e le braccia spalancate.
Mi piazzo dietro al divano, in modo da riuscire a colpire tutti e due e rovescio il contenuto dei bicchieri sulle loro facce.
L’effetto è immediato. Si svegliano come strappati dai loro sogni, con gli occhi ancora chiusi e in stato confusionale.
Borbottano parole sconnesse come “freddo”, “bagnato” e “dormire”.
Quando finalmente riescono a mettere a fuoco ciò che c’è attorno a loro, compresa me spezzata in due dalle risate, e capiscono la situazione, mi lanciano un po’ di insulti e chiedono spiegazioni.
« Questa era una vendetta per ieri sera. E, tra parentesi, fa passare la sbornia » squittisco, poi torno in camera mia, lasciandoli a invocare Merlino perché mi fulmini.
 
Scorpius mi aspetta al nostro solito tavolo, con un libro in mano e… un paio di occhiali metallizzati e dall’aria costosa sul naso.
« Malfoy?! » esclamo sbigottita.
Non so perché mi sorprendo così tanto di questo fatto, in fondo, ad un secchione del genere non possono mancare gli occhiali da lettura.
Lui alza la testa e in un primo momento mi fa un sorriso freddo, ulteriore segno dei suoi sentimenti per di me. Poi però si accorge di quello che sto cercando di dirgli e si affretta ad infilare gli occhiali nella tasca della sua borsa.
« E poi prendi in giro me perché ho gli occhiali?! » dico seccata.
« Be’, quello è naturale » mugugna lui.
Sembra di cattivo umore, così decido di lasciar perdere quell’argomento, ma mi appunto mentalmente di sfruttare la prima buona occasione per rinfacciarglielo.
« Cos’è successo ieri sera? » gli domando curiosa, prendendo posto.
« Weasley, siamo qui per studiare, giusto? Non per parlare dei fatti nostri » annuncia con una cattiveria inspiegabile.
« Senti, tu… » comincio, non sapendo in realtà come continuare.
« Io cosa? » sputa, con un tono diverso dal suo.
Sembra quasi un’altra persona e per un solo secondo mi ritrovo ad essere preoccupata per lui. Poi però il fastidio per quelle parole, mi fa passare la preoccupazione e quando parlo non provo nemmeno a trattenermi.
« Cos’è, hai gli sbalzi d’umore? Qualunque sia il tuo problema, non permetterti di trattarmi in questo modo. »
Lui mi guarda con aria di sfida per un attimo, poi qualcosa crolla, nei suoi occhi.
« Ti chiedo scusa » mormora inaspettatamente. « Non volevo, sul serio. »
Mi guarda sinceramente dispiaciuto e io dico: « Non importa. »
Poi mi correggo, più ad alta voce: « Va bene, farò finta di niente. »
Lui ride mestamente e lo faccio anche io.
Studiamo fino alle cinque e poi, una volta chiusi i libri, lui si alza in piedi.
Prima che giri i tacchi e si volti per andarsene, non so per quale motivo, lo ringrazio.
« Per cosa, le ripetizioni? Sai che lo faccio perché me l’ha chiesto la McGranitt… » ribatte, scocciato.
Perché mi ascolti, cosa che non tutti fanno ultimamente. Perché mi fai ridere anche se non vuoi e perché sei una persona fantastica e meriti di saperlo.
« Sì. Ma lo stesso, grazie. »
Lui mi saluta, poi va verso la porta e, benché non si giri mai, io continuo a fissarlo.  
 
Esco dalla biblioteca che sono ormai le sei e mezza.
Ho  molta fame (ovviamente), così imbocco subito la strada che porta alla Sala Grande, totalmente diversa da com’era oggi all’ora di pranzo: ora c’è un gran brusio.
Parole, risate, discorsi, sussurri, grida si mescolano al clangore delle forchette, dei bicchieri e dei piatti che vengono mossi o spostati dai ragazzi affamati.
Finalmente riesco ad individuare Dominique e le siedo accanto.
Non ho assolutamente dimenticato ciò che mi ha detto ieri sera, però preferisco fingere che non si accaduto nulla e passarci sopra.
Le chiedo il motivo di tanto chiasso e perché non c’è ancora nulla in tavola. Lei risponde, con qualcosa di simile ad un grugnito, che Wessex deve fare un discorso di estrema importanza e io mi domando cosa ci sia di così importante da dire per cui non abbiano ancora servito il cibo.
Passano pochi ma interminabili minuti, nei quali mi sale al cervello la consapevolezza del fatto che c’è un solo plausibile motivo a causa del quale i professori ci vogliano parlare o, nella peggiore delle ipotesi, fare una ramanzina.
Le mie teorie vengono confermate nel momento in cui il professor Wessex si alza dalla sua sedia. Perché Wessex non si alza mai dalla sedia senza un degno motivo.
« Sonorus » grida, la bacchetta puntata alla giugulare, e la sua voce viene amplificata come se stesse parlando in un microfono con un milione di casse acustiche sparse per la sala.
« Buonasera ragazzi. Vi chiedo di attendere ancora qualche minuto prima di poter cominciare a mangiare » annuncia, con un tono di voce odiosamente neutro. « Vi assicuro che vale la pena di ascoltare quello che devo dirvi, a nome di tutti gli insegnanti. »
« Sì, vale la pena ascoltare un mucchio di letame di drago » scimmiotta Dominique.
« Cosa ti sta succedendo? » chiedo, sorpresa dai suoi modi sgarbati.
« Ciclo, credo. E poi non mi sento troppo bene, ho la nausea e penso di avere anche la febbre. »
Alzo le spalle e riprendo ad ascoltare il professore, che sta dicendo: « …ci dispiace riferirvi che qualsiasi tipo di festa all’interno di una Sala Comune o di un ambiente all’interno e all’esterno dello spazio scolastico è vietata da adesso in poi. »
Tempo due nanosecondi e si alzano grida di protesta, di sconforto, di odio e rabbia verso Wessex e gli altri professori. Con lo sguardo accigliato noto per la prima volta che la McGranitt non siede al suo posto. Anzi, non c’è proprio. Quell’assenza mi mette un senso di inquietudine e mi chiude la bocca dello stomaco.
Tra le urla di disprezzo e le lamentele, Wessex procede, impassibile: « Chiunque verrà implicato in organizzazione di feste private, verrà punito severamente! Queste sono le nostre decisioni, non spetta a voi contestare. Vi abbiamo dato della libertà e voi avete decisamente deluso la nostra fiducia, quindi ottenete solo ciò che vi spetta »
Non è arrabbiato o furioso, sembra solo molto, molto stanco: le rughe attorno agli occhi sono già più marcate di appena una settimana fa.
Quando dice Silencio e torna a sedersi sulla sua sedia alla destra del trono della Preside, non solo pare ancora molto sospetto che non ci sia, ma è anche tristemente vuoto.
Alcuni ragazzi della tavolata dei Tassorosso, gli ultimi che mi sarei mai aspettata, si alzano in piedi e se ne vanno senza mai voltarsi. Li imitano un paio di noi e qualche Serpeverde.
I Corvonero, probabilmente troppo altezzosi o maturi per fare la stessa cosa, se ne stanno seduti impettiti a fissare il cibo appena comparso sui tavoli. Prendo una cucchiaiata di fagioli neri e un po’ di pane, ma sinceramente anche a me è passata la voglia di mangiare. Come possono proibirci di organizzare delle feste?! Non abbiamo fatto, o perlomeno, la maggior parte di noi non ha fatto nulla di male ieri sera!
Va bene, i ragazzi hanno portato delle bevande alcoliche all’interno del castello, ma dubito fortemente che qualche professore se ne sia accorto.
Inoltre, le possibilità che abbiano sentito la musica dalla nostra posizione fino alle loro camere sono esigue, se non addirittura nulle.
Ma io dico, loro sono mai stati giovani, anche se in un epoca molto passata?!
Sono la prima ad ammettere che James, Fred e i loro amici non avrebbero dovuto portare gli alcolici alla festa, soprattutto perché gran parte di loro minorenni, ma per il resto, è stata una serata come tante altre!
Soprattutto, non è giusto che a causa di qualcuno con poco sale nella cosiddetta zucca, tutti dobbiamo pagare le conseguenze delle loro azioni.
Noto solo ora che James e Fred non ci sono, altrimenti, immagino che sarebbero già stati uccisi.
 
Frugo nella tasca del mantello e, notando che ovviamente manca l’mp3, annoto mentalmente di ricordarmene. Una volta in camera, ne approfitto anche per cambiarmi, mettendomi un paio di leggings comodi e un maglione largo. Ripesco le cuffiette e l’aggeggio dal fondo della cartella e agguanto il libro che è posato sul mio comodino. Tentando di non far capire le mie intenzioni né ai Prefetti che si aggirano per i corridoi, né alle mie compagne di stanza, silenziosamente mi avvio verso la biblioteca, una volta fuori dal ritratto.
Ci sono molti ragazzi stasera, e li riconosco quasi tutti come miei compagni di corso di Rune Antiche.
Io però sono davvero stanca di studiare, sono stata solo poche ore fa qui dentro a tradurre testi scritti da autori i cui nomi sono impronunciabili e ora voglio solamente svagarmi un po’.
Come al solito mi sfugge la cognizione del tempo e, mentre penso di essere rimasta seduta ad ascoltare musica e leggere per un’oretta circa, scopro che in realtà sono già le nove e mezzo, e tra poco madama Pince mi scaccerà a calci nel didietro.
« Sapevo che ti avrei trovata qui » sussurra un’appena percettibile voce melliflua.
« Infarto numero due » sospiro, lanciando un’occhiata truce a Scorpius.
Non tolgo la cuffietta dall’orecchia per fargli capire che non ho intenzione né voglia di parlare con lui.
« Anna Karenina… Tolstoj » commenta quasi disgustato leggendo il titolo del mio libro.
Volto teatralmente pagina e continuo a leggere noncurante, anche se i suoi occhi su di me mi impediscono di concentrarmi tanto che devo ritornare sulle parole appena passate circa cinque volte, prima di alzare gli occhi e ordinargli di smetterla.
« Cosa ascolti? » mi chiede, curioso, con le braccia conserte sul tavolo.
Sbuffo e chiudo il libro. « Cosa vuoi da me? » sbotto.
« Sapere cosa ascolti? » ribatte, sarcastico.
« Dico sul serio. »
« Anche io. »
Sento le guance tingersi di rosso e prego chiunque che la poca illuminazione della sala giochi a io favore.
« Senti, io sto davvero bene qua, leggendo e ascoltando musica in silenzio, quindi ti prego, se proprio vuoi stare qui ad ammirarti i mignoli, taci. »
« Non è possibile » dice semplicemente.
« Cosa?! » chiedo, stufa di quel suo essere vago e sfilando le cuffiette dalle orecchie.
« Non puoi “ascoltare musica in silenzio”. O ascolti musica o stai in silenzio. »
« Wow, brillante » commento, riprendendo in mano il libro.
Scorpius non aggiunge altro e si allontana.
Spero vivamente che non riesca a sentire il mio sguardo su di sé.
 
 
 
Note sul capitolo:

Come ho scritto nel precedente capitolo, Jasmine non sarà più un personaggio comune, ho deciso di cancellare i progetti che avevo in mente perché diventava complicato inserirla.
Lei c'è ancora, ma assume un ruolo estremamente marginale e comparirà solo fra molto tempo.


Aaallora, ciao a tutti, come state?
Non ho molto da dire su questo capitolo, quindi lascio a chi vuole i commenti.
Lunedì parto in vacanza e sto via per due settimane, quindi ho pensato che postare questa settimana avrebbe evitato un ritardo immenso.
Grazie mille a cissy1303 che come sempre mi segue e mi fa sapere la sua, a chi ha messo la mia storia fra le seguite/preferite/ricordate e anche ai lettori silenziosi.
Mi raccomando, commentate!
A presto :)

 

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Capitolo 9
*** Changes ***


Changes


He said, "One day you'll leave this world behind
So live a life you will remember"
My father told me when I was just a child
These are the nights that never die

-The Nights, Avicii
 
 
 
La mattina del primo novembre mi sveglio accompagnata da un’ondata di panico che mi preme lo stomaco come un macigno anche se la sveglia non ha ancora iniziato a gracchiare, essendo solo le sei
Le lezioni non cominciano che alle nove, perciò estraggo il libro di Rune da sotto il mio cuscino e riprendo a ripassare da dove mi ero fermata ieri sera. I simboli e i disegni ormai mi sono familiari come fosse la mia seconda lingua e non posso che ringraziare una sola persona, per avermi aiutata così tanto. E mi costa un sacco ammetterlo.
Ripenso all’altra sera, alla festa di Halloween, allo sguardo di Scorpius su di me.
Rileggo la frase che ho già tradotto assieme a lui una decina di volte, prima di rendermi conto che, inconsciamente, sto sorridendo. Di nuovo. Non riesco a fare altro quando ci penso. E mi rendo conto che sta davvero iniziando a piacermi. Dovrei togliermi questi pensieri dalla testa prima che sia troppo tardi, ossia prima che arrivi al punto di non ritorno in cui diventerò una stalker seriale oppure inizierò a fantasticare assai poco castamente sulla nostra futura vita insieme. Cerco di scacciare i penetranti occhi grigioverdi dalla mia mente e concentrarmi sullo studio.
Quando noto che Margaret smette di russare, controllo l’ora ed inizio ad andare in iperventilazione. Scorpius mi fa sempre notare che sono una persona troppo ansiosa e che dovrei rilassarmi di più, ma detto da uno che ha da Oltre Ogni Previsione a Eccellente in ogni santa materia, è ancora più avvilente.
Mi alzo dal letto e indosso calze, calzini e gonna, poi camicia, maglione e cravatta, con una lentezza calcolata che mi faccia rilassare. Sveglio dolcemente Margaret e Belle, ma loro si rigirano nel letto mandandomi a quel paese e allora scendo a colazione, non incontrando nessuno lungo la strada.
Comunque, ultimamente ho notato che se Celeste sembra felice come una pasqua di aver iniziato una relazione con David, lui, dal canto suo, sembra quasi fingere di stare bene, sorridendo nel momento in cui lei lo guarda e ritornando distaccato quando si volta.
Forse, sono solo io che lo spero. È davvero meschino da parte mia volere che si lascino, me ne rendo conto da sola. Ma a dire la verità non mi sento nemmeno un po’ in colpa.
 
Una volta uscita dall’aula di Rune, dopo aver terminato il compito, tiro un profondo sospiro di sollievo e assieme a Jade, prima di dirigerci verso quella di Difesa, mi concedo un po’ di torta di melassa, portatami dalla mia amica.
Nella classe del professor Silente, finalmente riesco a liberarmi dei pensieri e a seguire la lezione.
Il programma per i G.U.F.O prevede più che altro lo studio teorico degli incantesimi, perciò abbiamo due ore settimanali che impiegano la pratica.
Oggi ci annuncia che impareremo le informazioni basilari riguardo ad un Incantesimo Esplodente. Durante l’ora, ci spiega che con la formula Confringo viene generata dalla bacchetta una sostanza esplosiva che permette di liberarsi da ostacoli o comunque far esplodere oggetti. Ci alleniamo per il tempo restante e quando Silente ci annuncia il termine delle lezioni, mettendo via la mia roba, mi rendo appena conto che domani dovrò affrontare la prima partita del campionato contro i Serpeverde.
Stasera, inoltre, sarebbe una giornata di ripetizioni, ma James ha indetto un allenamento extra pre-partita. Maledetto.
 
« Jade! » chiamo la mia amica, qualche ora più tardi, quando questa sta uscendo dalla Sala Grande, dopo cena. Lei si volta dalla mia parte ma mi nota solamente perché mi sto sbracciando per attirarne l’attenzione.
Ho appena ripulito tutto il cibo che mi ero servita nel piatto e con lo stomaco pieno e i muscoli doloranti, la seguo fuori dalla Sala, andando a sederci sulle scalinate esterne al Castello.
« È una bellissima serata » esordisce, fissando le stelle.
Fa già abbastanza freddo, ma è piacevole l’odore di aria fresca che entra nelle narici una volta all’esterno.
La luna mostra tre quarti del suo viso e illumina ampiamente la superficie increspata del Lago Nero, il quale dorme tranquillo cullando le creature che si trovano al suo interno.
« Sì, lo è » rispondo. « Domani ho la partita, e sono terrorizzata. »
« Come sempre, giusto? » ridacchia. « Sarai un fenomeno, te lo assicuro. »
« Seh. »
Le appoggio la testa sulla spalla e inizio a parlarle mestamente.
« Jadie, mi sono accorta che Scorpius inizia a piacermi davvero » le confesso, non riuscendo più a tenermi dentro le emozioni che da giorni continuano a tormentarmi.
Lei fa un sorrisetto e mi risponde, sentendosi, ne sono sicura, la saggia del villaggio: « L’ho notato. »
Rialzo la testa dalla sua spalla e la fisso negli occhi.
« Oh, andiamo, nemmeno io me ne sono accorta, e tu dici addirittura di averlo notato senza che ti dicessi nulla? »
« Posso affermare che ti conosco bene, Rose, e fidati di me se ti dico che te lo si legge negli occhi. »
« Miseriaccia, e se lui lo sapesse? Non mi parlerà più, ecco cosa. Smetterà di darmi ripetizioni. No, no, no, non dovrà mai scoprirlo. »  
Lei scoppia in una sonora risata e cogliendo il mio sguardo ferito, si affretta a spiegarsi.
« Tu parti già col piede sbagliato. Sei convinta di non piacergli ma non hai mai nemmeno provato a farti apprezzare. Se lui conoscesse la vera te, quella che tu sei con me o con la tua famiglia, la vera Rose profonda e sensibile, avresti un sacco di possibilità. Io non posso dire di conoscerlo come conosco te, però siamo amici da molti anni, e le poche ragazze che ha avuto erano delle oche senza cervello. Finte, stupide e superficiali. Tu sei esattamente il contrario, ed esattamente ciò che lui cerca. »
« Ma se non funzionasse? Se si rendesse conto di come sono realmente fatta e non volesse più avere nulla a che fare con me? »
« Tu e questi “se” del cavolo. Non devi vivere di “se”, perché non è realmente vivere! O ti butti e segui il tuo istinto, oppure avrai sempre un peso sulla coscienza chiamato rimorso. E il rimorso ti consuma. Ascoltami bene: se Scorpius capisse chi sei realmente scoprirebbe che questa fantastica ragazza che ho davanti è una delle persone migliori al mondo. Altrimenti sembrerai per sempre solo una stronza dal cuore di ghiaccio » ridacchia, facendo spuntare anche a me un sorrisetto. « Io non posso dirti cosa fare perché sei abbastanza matura e intelligente da decidere da sola. Però posso spronarti a non darti per vinta in partenza, perché alla fine, non ci perdi nulla. Anzi, tutto ciò che potresti ottenere è la felicità. »
Le sorrido abbassando gli occhi, perché non ho il coraggio di dirle che sono una fifona. Che ho già deciso che terrò la bocca chiusa. Che mi lascerò scappare l’occasione, come faccio sempre. Non sono coraggiosa. So di non esserlo ma mai come in questo momento lo vorrei.
 
« Se non avete altre domande, credo di poter annunciare la formazione di oggi » annuncia James, impugnando convulsamente la sua scopa.
È nervosissimo come sempre prima di una partita. Soprattutto oggi, che è la prima giornata di campionato.
« Seguendo lo schema classico, io starò in porta, come Cacciatori oggi giocano Hicks, Wolfe e Scott, come Battitori abbiamo i Weasley e infine Ripley sarà il Cercatore. »
Tra quelli che stamattina giocheranno iniziano i sussurri compiaciuti; quelli che invece guarderanno la partita dalla panchina si lanciano sguardi delusi e sconcertati. Me compresa.
Sam Ripley si volta dalla mia parte e cerca di scusarsi con lo sguardo.
Essendo membro di una squadra c’è la possibilità di non partire come titolari durante una partita, ma solitamente James preferisce iniziare il campionato dando a me il ruolo di Cercatrice. Ed è così che continua tutto l’anno, in realtà. Quindi, non essere stata scelta mi fa montare dentro un’egoistica delusione.
« James ma che fai? » sibilo a mio cugino mentre stiamo uscendo dagli spogliatoi.
« Scusa Rose, non credo tu sia ancora pronta per una partita, ti voglio al meglio » risponde, continuando a passarsi la scopa da una mano all’altra.
« Cosa? » mi fermo di botto guardandolo a bocca aperta.
« Non ti sei allenata per tutta l’estate e secondo me non sei in forma. Sam ha giocato pochissimo l’anno scorso e credo che fargli iniziare il campionato sia un buon modo per ripagarlo dell’attesa. In più, è il suo ultimo anno. »
« È questo che pensi?! Non mi sono fatta il culo per i tuoi gusti? Non mi hai fatta sudare abbastanza durante i tuoi allenamenti e vuoi rischiare con un giocatore che vale metà di me? » grido infervorata e, me ne rendo conto qualche secondo dopo, estremamente presuntuosa.
« Non urlare o sarò costretto a non farti entrare in campo » mi minaccia, con la voce grossa.
« Tanto in campo già non ci entro » ringhio, prima di riuscire a frenare la lingua.
Lui non risponde, ma si limita a voltarsi e seguire la squadra lungo il tunnel di entrata per lo stadio. Io invece prendo la seconda galleria, che porta verso gli spalti. Mi appoggio al parapetto accanto a Denise Jameson, Jonathan, Riserva e David. Anche Denise, solitamente un ottima Cacciatrice, oggi starà a riposo.
La partita inizia tra l’esultanza degli studenti rosso-oro e verde-argento, accompagnata dalla cronaca sportiva di Aaron Hadley.
Tempo la presentazione dei giocatori e madama Bumb lancia in aria la Pluffa, libera Bolidi e Boccino e dà inizio alla prima partita di quest’anno. La partita a cui avevo tanto agognato di partecipare e che invece sono costretta a guardare dagli spalti.
Selwyn raccoglie la Pluffa e la lancia alla Nott, la quale tenta immediatamente un assalto alla porta. Nella fretta però non si accorge di Roxanne, che la marca stretta e tenta di lanciarle addosso un bolide. Non riesce a colpirla ma le sfila la Pluffa dalle mani, venendo intercettata da Goyle. L’armadione le dà una spinta che la fa quasi cadere dalla scopa e le fa perdere la presa sulla palla.
Goyle la raccoglie goffamente durante la caduta e la passa nuovamente a Selwyn. Prima di raggiungere i tre anelli controllati a vista da James, viene bloccato da Fred, alto quanto lui ma parecchio più agile.
Prima che possa fare alcunché, un Bolide lanciato dalla Rookwood, colpisce di striscio la gamba di mio cugino, il quale, con una smorfia di dolore, tenta di acciuffare l’avversaria. Chiama in suo aiuto la sorella, che però è impegnata non solo a schivare un Bolide, ma anche a direzionare lo stesso verso Travers, il Cacciatore che sta tentando di captare la Pluffa.
I miei occhi seguono estasiati ogni movimento dei giocatori della mia squadra, ma con altrettanta partecipazione osservano i Serpeverde. Quando Avery scende in picchiata, vedo un lampo di luce dorata e capisco che il Cercatore avversario ha localizzato il Boccino d’oro.
Cordelia Hicks, Beves Wolfe e Max Scott stanno accerchiando Travers e la Nott, che ora si passano la palla in un miglioramento del classico schema a zig zag. I nostri Cacciatori sono lenti e spaesati, il che non è da loro. Poso nuovamente lo sguardo su Avery che vola velocissimo sulla sua Firebolt Pro II attorno alla torretta in cui sono seduti gli insegnanti e gli osservatori.
« Ripley, segui Avery! » urlo con tutta la voce che possiedo. « Seguilo! »
Ripley sembra risvegliarsi da un sonno profondo e si accorge di essere nel bel mezzo di una partita. Inizia la rincorsa verso l’avversario, anche se la sua accelerazione è molto minore rispetto a quella di Avery. Il lampo di luce continua a sfavillare e i miei occhi allenati riescono a malapena a seguirlo.
« I primi dieci punti sono dei Serpeverde, con un goal di Thalia Nott » annuncia con scarso entusiasmo Aaron, incitando poi la nostra Casa.
Un’ora e parecchie botte dopo, con un’espulsione di Goyle e una di Wolfe, la nostra squadra sta perdendo per cento a quaranta.
Fred e Roxanne sono a pochi metri da terra, uno a destra e l’altra a sinistra di Avery, che sta ancora tentando di recuperare il Boccino d’oro, sfuggitogli di vista per una buona mezz’ora. Questi svolta bruscamente a sinistra, tagliando la strada a mia cugina, che perde l’equilibrio e rotola un po’ di volte per terra. Torna in sella alla sua scopa e riprende l’inseguimento del Cercatore.
Selwyn segna ancora un goal e dieci punti si aggiungono anche al nostro punteggio grazie a Cordelia. Ripley sta tentando inutilmente di inseguire Avery e afferrare il Boccino prima di lui. Prova con un tornado, girando sull’avversario, ma nulla riesce a deconcentrare il Serpeverde. Quando mancano pochi metri perché Avery riesca ad allungare la mano e acciuffare la pallina dorata, un urlo di rabbia e dolore, fa voltare alcuni spettatori verso un punto al centro del campo, più o meno sotto gli anelli del campo dei Serpeverde.
I giocatori continuano ad interpretare il loro ruolo e pochi minuti dopo, il fischio decisivo dell’arbitro annuncia che Avery ha preso il boccino e Serpeverde ha vinto la partita.
Io non attendo oltre, e corro attraverso il tunnel che porta al campo di gioco, dove Roxanne sta seduta piegata su se stessa con il braccio destro in grembo.
« Cos’è successo Weasley? » domanda premurosamente la Bumb, quando vede che il suo braccio è piegato in una posizione innaturale.
« Travers… ha lanciato un Bolide che ha colpito la mia scopa… ahi… e ho perso l’equilibrio… ahi… » geme.
Quando alza il viso, è evidente che sta trattenendo a fatica le lacrime.
Tenta di alzarsi in piedi, ma quando vede la condizione del suo braccio, spalanca gli occhi e diventa più pallida.
« Che cavolo ti passa per la testa?! » grida Fred, a qualche passo da noi. Mi avvicino a mia cugina e dopo essermi assicurata che la portino in infermeria, assieme a James, Ripley e Cordelia, mi dirigo verso Freddie: i suoi insulti sono rivolti ad un indifferente e ghignante Duke Travers.
« Weasley, non ho fatto nulla. Se tua sorella è andata contro gli spalti, non è di certo colpa mia » tenta di discolparsi.
« Ce l’hai mandata tu, contro gli spalti » ringhia Fred, ormai al limite della sopportazione.
« Io ho solamente lanciato un Bolide. Direi che deve svegliarsi un po’. »
« Non osare insultarla, bastardo. »
« Non permetterti di chiamarmi così, Mezzosangue! » urla, puntandogli contro il dito e perdendo il ghigno sprezzante.
Improvvisamente tutti i presenti abbassano la voce e si guardano spaventati fra di loro. Nessuno usa più quei termini spregiativi, anche perché il numero di Purosangue dopo la caduta di Voldemort è talmente esiguo da non esistere più definizioni del genere.
Le guance bronzee di Fred si imporporano, e prima di riuscire a controllarsi o di volere controllarsi, tira un pugno dritto sul naso di Travers. Questi si porta una mano alla faccia, mentre tra gemiti di dolore e rabbia, un fiotto rosso scuro comincia a colare sulla sabbia. Il Serpeverde sta per rispondere all’invito quando James, Jonathan e Riserva afferrano Fred e lo allontanano dal posto. Io rimango a guardare attonita, sperando che sia solo un incubo. Durante gli anni passato non ci sono mai stati episodi violenti, anzi, abbiamo praticato solo sport onesto e pulito.
La Rookwood e la Nott scortano il ferito in infermeria, preoccupate come non mai per la salute del compagno di squadra. Io guardo Fred, che ha il fiato grosso e lo sguardo improvvisamente rapito dall’erba. Mi riprendo la scopa lanciata da parte e seguo la folla di persone che si stanno dirigendo verso il Castello.
 
« Rox, tutto bene? » chiedo, una volta in infermeria, mentre sto scomodamente seduta accanto al letto candido di mia cugina.
« No » risponde lei, afflitta. Sono sicura che questa sua risposta sia dovuta al fatto che abbiamo perso la partita più che a quello che le è successo.
« Quindi è rotto? » domanda Fred all’anziana Madama Chips.
« Figliolo, a te cosa sembra? » chiede lei sarcasticamente, ma senza alcuna cattiveria.
Nessuno di noi dice più una parola per molto tempo, per cui capisco che non solo sono estremamente delusi per l’esito della partita, ma anche arrabbiatissimi per ciò che è successo a Roxy e per il comportamento di tutti i Serpeverde. Come me, d’altronde.
All’ora di pranzo si assentano a turno Albus, Lily, Dominique, Louis e Hugo. Io, Fred e James rimaniamo con Roxanne anche se pare quasi non voler avere gente attorno.
La comprendo e so per certo che nemmeno io in un tale momento di sconforto vorrei avere qualcuno accanto a me.
Verso le due e mezzo di pomeriggio, Madama Chips si avvicina al lettino di Rox con un’ampolla di liquido azzurrino. Reca un’etichetta con su scritto Ossofast, perciò intuisco sia una pozione per aggiustare le ossa rotte in tempo record.
Roxanne viene svegliata energicamente dall’infermiera, la quale le porge un bicchiere riempito per metà con il liquido colorato. Lei lo ingoia riluttante e diventa di una tonalità di verde acido alquanto preoccupante, poi inizia a gemere di dolore.
« Ti farà male per un paio d’ore, dopodiché l’osso si sarà completamente sistemato. Ti raccomando di prestare attenzione al braccio per almeno una settimana, visto che sarà debole. »
Con un brusco cenno della testa, Madama Chips si congeda e si dirige verso Travers, accomodato qualche lettino più in là. Tra le sue lagne, la donna pronuncia Epismendo e con un debole rumore di noci rotte, so che il naso di quel lurido maiale è tornato a posto.
Purtroppo.
« Non è colpa tua » dico a Rox, senza aggiungere altro. So che capirà a cosa alludo e voglio che si metta bene in testa che non è stata causa sua se abbiamo perso la partita. Ora deve solo concentrarsi sulla sua guarigione. Mi alzo dalla sedia, e la saluto con un abbraccio leggero.
Mi sto dirigendo fuori quando una mano mi afferra il braccio.
« Rose. » James si trova davanti a me, l’espressione imbarazzata.
« È stato un errore enorme non farti giocare oggi. Sam non è capace quanto te. Volevo solo vedere come avrebbe reagito durante una vera partita e… non ha funzionato. »
« Jamie, non importa. Anzi, scusa me per come mi sono comportata. Sono stata egoista, presuntuosa, e tu hai fatto bene a far giocare lui » gli sorrido, e gli poso una mano sulla spalla.
Dominique ci passa accanto e, appena prima di sedersi sulla sedia lasciata libera da me, corre verso il bagno tenendosi una mano sullo stomaco.
« Avevi pienamente ragione riguardo ad Avery » aggiunge.
« Vorrei non fosse vero… »
« Secondo me usa qualche pozione, un incantesimo… qualcosa per aumentare la prestazione in gara » pensa ad alta voce.
« Io l’ho visto afferrare un Boccino velocissimo in un nano secondo, ed è stato durante un pomeriggio normalissimo fuori dal castello. Non credo usi “trucchi” o roba simile per una partitella con gli amici » ribatto.
« Mmmh » medita lui. « Ehi, aspetta, ero brillo, ma mi ricordo di averti visto con un ragazzo la sera di Halloween! » grida improvvisamente, come se si fosse appena accorto di un particolare inchiodante per risolvere un caso di omicidio.
« Non gridare, idiota! » ringhio. « Non eri brillo, eri completamente ubriaco. »
« Sarà, ma non cambiare argomento, Weasley » mi rimbrotta.
Con un suono sordo, la porta del bagno si chiude, e una Dominique pallida e con le borse sotto gli occhi, esce dalla stanza.
« Dom, hai un aspetto orribile » noto, avvicinandomi allarmata.
« Sono stanchissima e ho appena vomitato » commenta, con un tono spossato.
« Vieni con me al dormitorio, ci sono James e Freddie che possono rimanere con Roxanne » le propongo, afferrandole un braccio scheletrico.
Mi rendo conto solo ora, di cosa stia succedendo a Dominique: mangia pochissimo, e se lo fa, vomita poco dopo. È magra come uno stecco tanto che le si intravedono le ossa del torace ed è sempre stanca. Le avevo già chiesto qualche tempo fa se fosse anoressica, ma lei mi ha liquidata più volte. Ora che è praticamente un’allarmante certezza e mi appunto mentalmente di parlargliene quando saremo sole.
« No, preferisco stare con lei. Ti ringrazio. »
Lancia un’occhiata imbarazzata a James senza che lui se ne accorga e poi si volta, camminando verso la branda di Roxanne, che continua a gemere.
« Non preoccuparti, ci siamo anche io e Fred » mi rassicura James, come leggendomi nel pensiero. « Comunque, non credere che sia finita qui, ne riparleremo. »
Mi fa l’occhiolino e segue Dominique.
Prima di aprire il portone dell’Infermeria, vedo che James le appoggia una mano sulla sua spalla coperta dal maglione nero. Lei però si scosta velocemente e va a sedersi dal lato opposto, abbassando la testa.
 
Lunedì mi arriva una lettera da casa, nella quale mia madre mi chiede esplicitamente di non badare agli articoli usciti sulla Gazzetta del Profeta, che i giornalisti stanno ingrossando la cosa e che loro hanno tutto sotto controllo, e sono ad un passo dall’acciuffare i Purificatori. Mi conosce talmente bene da sapere che, scrivendomi una lettera del genere, la mia curiosità non farà altro che aumentare in maniera esponenziale.
Come a smentire la bugia che mi ha detto, mercoledì, sulla prima pagina del Profeta, spunta un servizio circa l’avvistamento da parte di alcuni Babbani nel villaggio di Great Hangleton di un gruppo formato da quattro persone.
”Quegli individui erano vestiti in modo particolarmente strano, ma è stato quando li abbiamo visti estrarre dalla tasca un sottile manico da cui spuntavano scintille, che abbiamo capito: non erano persone normali” .
I Babbani hanno un modo tutto loro di spiegare avvenimenti scioccanti e fatti sconvolgenti.
Ripiegato il Profeta, mi dirigo verso la classe di Rune, ultima doppia ora della giornata.
La professoressa Esteban, una hippie costantemente allegra, colorata e svampita, ci consegna i compiti corretti, dopo aver passato entrambe le ore a parlarci di un grande studioso di Antiche Rune, un pazzo che è andato fuori di testa dopo aver studiato per tutta la vita quei simboli indecifrabili.
I battiti del mio cuore iniziano ad accelerare. Ecco ciò di cui parla Scorpius: sono una persona ansiosa. Però posso assicurare che dal risultato di questo compito, capirò sia quanto sono migliorata (o peggiorata), sia quanto ho realmente bisogno delle ripetizioni da parte di Scorpius.
La Esteban posa le verifiche sul banco di ognuno di noi. Quando arriva il mio turno, mi guarda con un sopracciglio alzato e un sorrisetto sghembo e mormora, con fare quasi compiaciuto: « Era ora. »
Volto il mio compito e con un verso di sorpresa, mi metto le mani davanti alla bocca.
Una bellissima, meravigliosa e soddisfacente O troneggia accanto al mio nome. Oltre Ogni Previsione. Non si potrebbe descrivere meglio questo voto. Oltre ogni previsione, sono riuscita a superare la prima di una serie di prove che mi aiuteranno a far capire chi sono veramente a tutti quelli che mi hanno sottovalutata, ma soprattutto a me stessa, a dimostrarmi che con un piccolo sforzo ce la faccio anche io.
Corro fuori dalla classe e raggiungo Scorpius che ha appena svoltato l’angolo in compagnia di Albus.
Mi paro davanti a lui e brandisco il compito, ringraziando che ci sia solo mio cugino con lui.
Lui inizialmente fa un cenno freddo, ma poi, osservando meglio la mia espressione, si scioglie in un sorriso impacciato.
 
Scendo dalle scale dirigendomi verso la Sala Grande, parlottando con Jade che mi ha aspettata all’uscita, sento dei singhiozzi dietro di me, e quando mi volto, vedo Celeste in lacrime, appoggiata ad un muro. Davanti a lei si trova David, che sembra infuriato e si sta mettendo le mani tra i capelli esaurito. Non riesco a sentire cosa si stanno dicendo, e nemmeno mi interessa. Be’, in realtà mi interessa, ma prima me ne vado, prima riuscirò a sopprimere le mie curiosità.
« Sono parecchi giorni che sei strana, Rose. Mi dici cosa ti sta succedendo? » mi coglie di sorpresa la mia amica, una volta svoltato l’angolo.
« Non so a cosa ti riferisci, io sto bene. »
« Sei distante, assente qualche volta, sembri nel tuo mondo e spesso non ascolti ciò che la gente ti dice » rincara. « So che non si tratta solo di Celeste. Sono la tua migliore amica, ti conosco bene. »
« Ah » commento laconica.
Lei alza le sopracciglia, chiedendomi silenziosamente di spiegarle.
« Ho semplicemente tante preoccupazioni. Anzi, la maggior parte credo solamente di avercele » spiego semplicemente, abbassando la testa.
« Oh andiamo, quando mai non le hai avute? Non ti costringo a dirmi nulla, ma puoi sfogarti con me, lo sai. »
Quelle sono le parole che mi fanno scoppiare.
Le racconto praticamente tutto, sentendomi sempre meglio ad ogni parola che dico:
la partita a cui non ho partecipato, il comportamento di Travers e degli altri Serpeverde, il braccio rotto di Roxanne, il problema di Dominique, la lettera di mia madre, i sentimenti per Scorpius, gli attacchi al Ministero, i problemi che si profilano all’orizzonte nel mondo magico.
Mi libero di tutto ciò che per settimane è stato un peso.
« Sei un po’ melodrammatica, eh? » dice lei, facendomi spuntare un sorriso amaro.
« Vaffanculo » le dico, scherzando.
« Rosie, devi avere un po’ di pazienza. Prima di tutto, non aggiungere alle tue preoccupazioni anche quelle degli altri. Dominique sa cavarsela, tu stalle vicino come hai sempre fatto, ma non fare dei suoi problemi i tuoi. E per il resto, abbiamo degli Auror a proteggerci, ricordalo. »
« Non sono una persona paziente » le ricordo.
« Per questa volta ti toccherà esserlo » ordina lei, serissima.
 
Quella stessa sera, corro in biblioteca, mi siedo al solito tavolo e appoggio i gomiti sul legno, con la stessa espressione di un cagnolino che attende di essere portato a fare una passeggiata.
« Qualcuno è felice » nota laconico Malfoy.
« E qualcuno non lo è » ribatto io, con l’entusiasmo improvvisamente smorzato.
Alza il viso perché deve aver sentito qualcosa di diverso nel mio tono e poi appoggia la fronte ai palmi delle mani.
« Sta andando tutto di merda » dice. E lo dice così, con naturalezza. Con spontaneità. Con qualcosa che non è da lui.
« Di cosa stai parlando? » domando.
« Non sono affari tuoi » risponde secco.
« Senti, mi sono rotta le palle di essere trattata così, hai capito?! Devi finirla. Io non sono un oggetto e, magari ti sembrerà strano, ma ho dei sentimenti. Non puoi continuare a parlarmi in questo modo e aspettarti che starò per sempre zitta. »
« Tu non stai mai zitta » ride, ma senza cattiveria.
« Credevo avessi bisogno di qualcuno con cui sfogarti e, anche se non è che siamo migliori amici per la pelle, forse volevi parlarmene. Se non è così, benissimo, ma non serve trattarmi come se fossi… » non termino la frase.
Lo guardo fisso negli occhi e vedo che il suo sorrisetto si allarga. Poi, sembra ricordarsi il perché fosse così giù prima, e il sorriso sparisce.
« Mio padre e mio nonno sono sotto sorveglianza » sputa, come se avesse appena assaggiato una bevanda amara.
« Co-cosa?! » mi scappa un urlo sbigottito.
Lui alza di poco il capo per assicurarsi che Madama Pince non si stia avvicinando.
« Con tutte le aggressioni di questo periodo nel Mondo Magico, i primi su cui il Ministero ha puntato il dito sono stati i Mangiamorte. Secondo quello che dice mio padre, i Sottosegretari sono furiosi e spaventati e tentano in ogni modo di venire a capo di questa faccenda. Pensano che i Mangiamorte vogliano vendicare Voldemort. Ovviamente, questo non è vero. Sono vent’anni che la mia famiglia sta bene, non abbiamo la necessità di rompere questo equilibrio. E io sono certo che non abbia nulla a che fare con questi omicidi. »
« C’è dell’altro vero? » chiedo, notando la sua espressione concentrata, le sue sopracciglia aggrottate e i continui gesti di nervosismo.
Fa qualche respiro profondo e poi inizia a balbettare: « Oggi mia madre mi ha mandato una lettera. Mio padre e mio nonno domani avranno un’udienza, così come i genitori di Thalia, Destiny, Warren e gli altri. Mamma mi ha informato anche… »
Esita, probabilmente valutando se continuare il racconto oppure finirla qui.
« Del fatto che papà ha un’idea chiarissima in mente. Non mi ha riferito di cosa si tratta, ma sa che i Purificatori, così si fanno chiamare, no? Be’, loro hanno un disperato bisogno di qualcosa. E questo qualcosa probabilmente si trova all’interno del Ministero stesso. »
Rimango in silenzio per molto tempo, ripensando alle parole di Scorpius. Effettivamente, tutto quadra. Le incursioni al Ministero combaciano con la motivazione data dal signor Malfoy.
« Mia madre non vuole raccontarmi quello che sta succedendo, ma evidentemente ciò che mi hai appena detto è solo l’ennesimo segno che non sanno cosa sta succedendo. Il Ministero e gli Auror, intendo. Io però voglio saperlo, perché se arriverà il momento di combattere, voglio che siamo pronti. »
Lui annuisce, poi estrae il libro di Rune dalla borsa e ricominciamo a studiare, tornando ai nostri ruoli.
 
Novembre passa in fretta, la mia vita continua con il solito ritmo e, prima che me ne accorga, arriva già la metà del mese. La prima uscita a Hogsmeade dell’anno è fissata a questo sabato.
Oggi c’è una doppia ora di Pozioni con la professoressa Ronan. Jehnna Ronan è una donna alta e smilza, con una crocchia di capelli neri attorcigliati stretti su se stessi e puntati sulla nuca. Ha gli occhi dello stesso colore scuro e la pelle come carta spiegazzata. Ha circa una sessantina d’anni e viene dalla Russia. Il suo accento è quasi totalmente sparito anche se alle volte le scappano alcune imprecazioni in russo. Nonostante quell’aria altera, è una donna estremamente intelligente, capace e disponibile. Peccato per il fatto che ce l’abbia a morte con tutti i Weasley capitateli sotto mano.
È mentre sto preparando un Distillato Soporifero che Chris mi si avvicina cauto, sorridendo. Non ci siamo parlati molto, da Halloween a questa parte. Anzi, è stato quasi come se si fosse dimenticato di me. Quindi, avevo dato per certo il fatto di non piacergli. Non che mi dispiaccia, sia chiaro.
« Ehi » mi saluta, con un enorme sorriso. Profuma di qualcosa di strano, tipo cannella mista a limone o qualcosa del genere. « Sì, mi sono ricordato che esisti, e tu ti ricordi che avevi un appuntamento con me dopo la prima partita? » mi ferma, prima che possa sgridarlo.
« Mia cugina si è rotta un braccio, credevo fosse ovvio che non sarei potuta venire. Cosa vuoi? » ribatto.
« Ok, sei arrabbiata, comprensibile. Ti chiedo scusa. »
« Senti Chris, fare il leccapiedi non ti porterà da nessuna parte. Devi dirmi qualcosa di importante? Sennò ho altro da fare » dico insofferente.
« Vuoi uscire di nuovo con me? »
« Cosa? » rimango con il cucchiaio con cui stavo mescolando a metà del giro.
« Vuoi uscire di nuovo con me? »
« Sì, ho capito, ma… dove? …Quando? …Perché?! »
« Sabato, ci troviamo in Sala Grande alle due del pomeriggio e andiamo a Hogsmeade, che ne dici? »
« Oh, no. Cioè, non so… Cioè, cosa? »
« Ci vediamo sabato allora, ciao Rose » sorride ammiccante, prima che io possa aggiungere altro.
Si allontana per ritornare alla sua postazione e Jade, al tavolo dei Serpeverde, alza i pollici facendomi l’occhiolino. La fulmino prima che si avvicini a me.
 
Sabato dopo pranzo sono pronta e un po’ agitata per l’uscita con Chris. Indosso dei jeans sgualciti, degli stivaletti neri e un maglione morbido color crema. I capelli oggi mi stanno stranamente a posto, quindi sono abbastanza presentabile.
Fuori il cielo è coperto, preannuncia pioggia e non tira neanche un alito di vento. Continuo a battere col piede per terra a causa del nervosismo, e James se ne accorge. Faccio finta di non avere nulla e lo liquido con una linguaccia ma quando Chris arriva al nostro tavolo, lui, immediatamente conscio e ricordandosi della promessa di spiegazioni fatta quando Roxanne era in infermeria, mi lancia uno sguardo eloquente.
Sbuffo per fargli capire la mia irritazione e poi gli presento Chris, che, con due complimenti sulla tattica di James, ha già conquistato il cuore di mio cugino.
Usciamo dalla Sala parlottando e scendiamo le scale dal castello all’ingresso al complesso, per poi uscire per la prima volta da mesi, dalla scuola.
« Credo che James si sia già innamorato di te » rido, meno tesa di quando abbiamo iniziato a camminare.
« Diciamo che, per quanto ne sia felice, non vorrei che fosse quel membro della tua famiglia ad essere innamorato di me » sussurra, improvvisamente serio.
« Chris, ci conosciamo a malapena » avvampo e inizio a torcermi le mani.
« Ma cosa hai capito, io mi riferivo a Dominique » ghigna.
Io ridacchio e poi restiamo zitti, guardandoci.
Ci dirigiamo verso I Tre Manici e, poco prima di varcare la porta, scorgo accanto ad una colonna Jonathan, che parla concitatamente ad una persona nascosta dietro di lui. Non riesco a sentire quello che si stanno dicendo i due, ma spero tanto per Dominique che l’altra persona non sia una nuova “lei”.
Entro nel pub seguita da Chris e veniamo accolti da una ragazza che avrà un paio d’anni più di noi al massimo. Ci fa accomodare su un tavolino piuttosto appartato e prende le ordinazioni.
« Ho sempre amato questo posto » inizia lui, per evitare che si crei un orribile silenzio imbarazzante.
« Anche io. In confronto a quel mieloso e vomitevole locale da Madama Piediburro, che mi fa venire il latte alle ginocchia, preferisco un po’ di odore di ubriacone e qualche rutto » ribatto.
Ci guardiamo qualche secondo e poi scoppiamo entrambi a ridere.
« Non avrei mai immaginato che fossi una ragazza così delicata! »
« Fidati, sono la finezza in persona » rispondo.
La cameriera, bassa e tarchiata, con un viso tondo e gioviale, ci porta due Burrobirre calde e fumanti, accompagnate da un piattino di biscotti al cioccolato.
« Quanto mi mancava questa roba! » esclamo, prima di ingurgitare la mia meravigliosa, gustosa e dissetante Burrobirra.
Sgranocchio un delizioso biscotto ricoperto di cioccolato al latte e continuo a chiacchierare con Chris.
Una volta terminate le nostre due bevande, faccio per alzarmi e andare verso il bancone a pagare quando Chris, con un’espressione scocciatissima dipinta sul viso mi dice laconicamente di aspettare seduta al tavolo. Sto per domandargli il perché di quel cambio d’umore improvviso, ma lui se n’è già andato.
Mi volto per notare, con orrore, che si è avvicinato a Thalia Nott.
La ragazza indossa un’orribile maglione fucsia con i rombi, una camicia rosa che sporge dal colletto e una gonna altrettanto roseggiante che mi fa venire il voltastomaco.
Chris inizia subito con quelle che credo siano minacce mentre il Confetto, impassibile, sfodera un ghigno perfido. Passano appena un paio di minuti e finalmente Chris torna a sedersi. Quando mi volto, la Serpeverde non c’è più.
Inarco entrambe le sopracciglia e incrocio le braccia per chiedere spiegazioni. Lui si passa una mano sul viso e confessa: « Thalia non sa tenere la bocca chiusa allora, quando ci ha visti insieme, immaginavo avesse subito fatto delle insinuazioni su noi due. Diciamo che, tra noi Serpeverde, uscire o comunque farsi vedere in giro con un Grifondoro, non è visto di buon occhio. Saprai sicuramente degli attentati al Ministero. »
« Sì, ma non capisco che cosa c’entri io. »
« Tu non c’entri nulla. Sono loro che credono che gli Auror, e quindi i loro figli, vogliano screditare tutti i figli dei Mangiamorte. »
« Continuo a non capire » balbetto, inghiottendo a forza la saliva.
Lui sospira e fa cadere la testa fra le mani.
« Rose » dice, guardandomi. « I Mangiamorte sono accusati di aver favorito l’ingresso dei Purificatori al Ministero, in poche parole. Ovviamente questi sono i primi su cui puntare il dito, visti i trascorsi. E, se la Gazzetta non fa parola di queste allusioni, allora, chi sono coloro che hanno messo in giro le voci? In questo caso, i primi su cui puntare il dito sono gli Auror, i nemici dei Mangiamorte, la casata più avversa ai Serpeverde. »
Tutto mi è più chiaro ora, ma penso ancora che sia un ragionamento contorto.
Temo che i Purificatori non avessero pensato alle conseguenze dettate dalle loro azioni; non avrebbero mai immaginato che una così piccola spaccatura all’interno dell’istituzione del Ministero avrebbe tirato fuori delle liti e delle divisioni così profonde e radicate da non essere mai state dimenticate.
 
Rientrando in Sala Comune, quella sera, ripenso molto alle parole di Chris, che mi hanno lasciata con l’amaro in bocca. Appena varco il buco del ritratto, mi trovo davanti Fae e Kayleah, le compagne di stanza e migliori amiche di Dominique. Hanno un’espressione di tristezza e preoccupazione che mi fa decisamente allarmare.
« Va tutto bene? » chiedo a mezza voce.
« No. Dominique non ci fa entrare in camera, dice che vuole rimanere da sola. Siamo preoccupatissime » comincia Fae, con la voce rotta.
« Si è chiusa dentro da più di due ore » aggiunge Kay.
« Va-va bene. Ora vado a ve-vedere » balbetto, iniziando a sudare freddo.
Salgo le scale che portano alle camere femminili e quando mi trovo davanti alla porta della stanza di mia cugina busso energicamente.
« Dom, sono Rosie, sono da sola, vorrei parlare con te » esordisco, con un tono di voce forzatamente calmo.
« Vattene Rose! » ringhia lei, con la voce roca di pianto.
« Ti prego, Domi. Sono tua cugina, ma sono soprattutto amica tua e non ti lascerò in un momento come questo. »
Passano cinque secondi e sento la serratura della porta che scatta per aprirsi. Scivolo dentro e me la richiudo alle spalle.
Dominique indossa una camicia da notte blu scura, è gobba e, quando torna a sedersi sul letto, noto grazie alla luce fioca della lampada che si sta rigirando fra le mani un piccolo oggetto bianco. All’inizio penso che sia una banalissima penna a sfera o un bastone, ma, osservandolo meglio, resto ferma, immobile e attonita.
All’improvviso ogni cosa è chiara: il motivo per cui Dominique vomitava molto, chi era la persona con cui parlava Jonathan questa mattina, perché è spesso così stanca e non avesse molta voglia di mangiare.
Dominique non è anoressica, è…
« Sono incinta » sussurra, prima di scoppiare a piangere.
 
 
 
Note sul capitolo:
Non ho molto da dire, se non che spero che non si fosse capito che Dominique era incinta, volevo che fosse un colpo di scena e insomma spero di esserci riuscita!
Sempre grazie a cissy1303 per la recensione, al prossimo capitolo!

 

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Capitolo 10
*** Confusion and Tears - Dominique's POV ***


Dominique's POV -
Confusion and tears

 
 
Now I'm done believing you
You don't know what I'm feeling
I'm more than what, you made of me
I followed the voice
You gave to me
But now I gotta find my own
You should have listened
-Beyoncè, Listen
 


Ho sempre vissuto una vita agiata. Sono sempre stata viziata da mamma e papà, dai nonni e dagli zii. Non sarò una cima a scuola, ma ho sufficiente in tutte le materie, sempre mantenuto la media dell’A. Non amo leggere, né sono appassionata di teatro o sport.
Non ho particolari aspirazioni nella vita, se non quella di mettere su famiglia.
Sono molto bella, ho un fisico che fa invidia a tutti e dei capelli meravigliosi, ma nulla in zucca.
Questo è il riassunto di ciò che pensano le persone di me. E la cosa, fidatevi, fa molto male.
Se dovessi scrivere una presentazione di me stessa, senza vanità, falsa modestia o egocentrismo, racconterei di com’è la mia vita, non di come sono fatta io. Perché, col passare del tempo e l’aumentare delle voci, mi sono resa conto di credere di essere una persona totalmente diversa da quella che gli altri pensano che io sia.
In poche parole, non sei quello che sembri ma sei quello che non sembri.
Mi chiamo Dominique Danielle Weasley e ho sedici anni.
Sono nata durante una freddissima notte di gennaio, con le gambe attorno al collo di mio fratello Louis. Sono di soli sette minuti e mezzo più grande di lui, eppure tutti mi scambiano per la sua sorella maggiore.
Ho un ottavo di sangue di Veela che scorre dentro le mie vene, il che, a sentire maman, mi conferisce questo “aspetto aggraziato e delicato”. Stronzate.
Le Veela sono quegli… esseri? Chiamiamoli esseri magici, che sembrano donne bellissime, ma in realtà sono sufficienti due parole sbagliate per farle infuriare e trasformarle in orrendi uccelli squamosi. Da brividi. Mia bisnonna era una Veela che incontrò mio bisnonno, un Purosangue francese, nei lontani anni Trenta, quando per fare innamorare una donna bastava cantarle una canzone d’amore e portarla a fare un giro in battello sulla Senna. Doveva essere molto paziente come persona, comunque. Immaginate di non aver pulito il lavello dai peli della barba, quando la vostra moglie Veela ve l’aveva ordinato. Agghiacciante.
Detto ciò, ho parlato abbastanza di me, per ora. Voglio raccontare la mia storia, e come sono arrivata ai sedici anni indenne.
Cinque mesi dopo la mia nascita, anche la sorella del papà, la zia Ginny, ha sfornato il primo piccolo Potter. Tra coccole e grida, giochi e pianti, io e James siamo cresciuti assieme.
Meno di un anno dopo, ecco arrivare la prima della famiglia Weasley-Granger: zia Hermione aveva messo al mondo la piccola Rosie, con i capelli rossi ed enormi occhioni blu.
Tempo sei mesi e nacque il secondogenito della famiglia Potter, Albus Severus, uno spirito libero, intelligente e decisamente bello. E così, fra i due fratelli nacque la classica rivalità per le attenzioni di mamma e papà, per quelle dei nonni e per motivi che io non potrò mai pienamente capire.
Quelli erano anni produttivi, per la famiglia. Avevo già dei cugini maggiori, una sorella di ben cinque anni più grande e un gemello, ma sono tutt’ora convinta che non mi bastassero. Avevo bisogno di amici, che ho trovato in James, Roxanne e Rosie.
Io, Roxanne e Rosie, come d’altronde quest’ultima e Albus, abbiamo sempre avuto quel fantastico rapporto di sorellanza che è possibile creare solo fra persone vicine con l’età.
Con James, invece, le cose sono diventate sempre più intime.
Essendo vicini di casa, ogni pomeriggio, dopo scuola, uscivamo in giardino per giocare a Quidditch, a nascondino o ad acchiapparella. Ogni pomeriggio. E non mancavamo mai un appuntamento, a meno che non fossimo estremamente malati o facesse troppo freddo. Questa routine è andata avanti per anni, con l’aggiungersi di cugini e fratelli sempre più numerosi. Quando Lily e Hugo, i più piccoli, avevano cinque anni e riuscivano a correre senza inciampare sui propri piedi, noi ne avevamo ormai otto ed era arrivato il momento in cui ti senti troppo grande per stare con i “bambini”.
Sta di fatto che abbiamo smesso di uscire in giardino e abbiamo cominciato a rintanarci nella sua soffitta, abbastanza spaziosa e luminosa da poterci ospitare. Ed è andata avanti così, finché non mi sono trasferita a Villa Conchiglia.
Abbiamo passato ore e ore lassù, nascosti da tutto, a leggere libri e riviste, a raccontarci storie, a scherzare e a prendere in giro i compagni di classe babbani.
A undici anni siamo partiti per Hogwarts e le cose hanno cominciato, inevitabilmente, a cambiare.
Evitavamo di dare confidenza a persone che non fossero Roxanne, Fred, Molly, Lucy, Victorie o Teddy. Eravamo spaventati dal mondo esterno, avendo vissuto per anni come in una bolla. Mi ricordo come se fosse ieri che, una volta entrati in Sala Grande prima dello Smistamento, osservando tutti i visi di quelle persone sconosciute, gli presi la mano, la tenni stretta nella mia e gli chiesi: « Raccontami una storia » come facevo sempre quando eravamo distesi in soffitta, all’esterno ruggiva il temporale e io, spaventata a morte, volevo solo addormentarmi.
Lui mi raccontò di un giovane gigante, che era sproporzionato rispetto agli altri della sua specie: aveva la metà dei loro anni ma era alto il doppio, aveva i piedi cinque volte più lunghi e il naso grande quanto le loro facce. Tutti ovviamente lo schernivano perché era diverso e il giovane gigante si intristì a tal punto da volersi buttare in un pozzo per togliersi la vita. Il suo tentativo però fu vano: aveva i piedi troppo grandi per entrarci.
Lo spirito che viveva dentro al pozzo, gli disse: « Ascoltami, giovane gigante: di solito non parlo con le persone, ma vedo che c’è del buono nel tuo cuore. Va’ da coloro che ti hanno preso in giro e fagliela pagare. Non permettere mai a nessuno di metterti i piedi in testa! »
Il giovane gigante, colpito da quelle parole e improvvisamente illuminato da un’idea, tornò nel suo villaggio, dal quale era stato cacciato. Grazie ai suoi piedi giganteschi riuscì a farsi spazio fra la folla, letteralmente camminandogli sopra, e ad arrivare dal capo dei giganti. Colto da un improvviso pizzicore al naso, il giovane gigante gli starnutì dritto in faccia, inondandolo di muco. Il capo dei giganti, schifato e spaventato, lasciò che egli tornasse fra di loro e impedì a chiunque di prenderlo in giro da quel momento in poi.
Il giovane gigante visse una vita lunga e felice, facendosi valere e calpestando chiunque lo prendesse in giro.
Terminata la storia, mi misi a ridere così forte che metà dei ragazzi seduti ai tavoli vicini si voltarono e sussurrarono fra loro. Ma devo dire la verità: non me ne importava nulla, finché stringevo la mano di mio cugino, che con quella storia stupida mi aveva calmata e divertita.
Venimmo smistati entrambi a Grifondoro, così potemmo continuare la nostra vita assieme.
Ogni pomeriggio, verso le cinque, ci incontravamo in Sala Grande per bere il tè e ci raccontavamo le nuove esperienze vissute. Condividevamo ogni lezione, ma non sembrava che stessimo insieme abbastanza tempo. Conoscemmo entrambi dei nuovi amici: lui strinse amicizia con il figlio del professor Paciock, Axel e con Philip Thomas. Io, d’altra parte, conobbi Kayleah, Fae e Ginger.
Uno dei primi giorni di primavera durante il mio terzo anno, successe un fatto che mi fa venire i brividi ogni volta che ci penso.
Mi aggiravo per i corridoi del quarto piano, avendo appena terminato una lezione. Ero da sola e mi stavo dirigendo alla torre dei Grifondoro per prendere un libro dimenticato alla mattina. Stavo salendo le scale che portavano al piano successivo quando un ragazzo, non ricordo quale fosse il suo nome, attirò la mia attenzione con un colpetto di tosse. Mi voltai e lo scrutai. Avrà avuto due anni più di me al massimo, era scuro di capelli, aveva gli occhi tra il verde e il marrone, un sorriso sbilenco e più brufoli che peli di barba. Indossava la divisa dei Corvonero ma ero certa di non averlo mai visto prima. Iniziai ad agitarmi: non vedevo nessuno nei paraggi e dallo sguardo che mi lanciava non sembrava volesse intrattenere una conversazione civile con me. A dirla tutta, non sembrava avere intenzione di parlare.
« Tu sei Dominique Weasley, giusto? » esordì.
« S-sì » balbettai in risposta.
Era davvero brutto. Poteva essere intelligente quanto volete, ma sinceramente sono scettica anche riguardo a questo.
« Sei molto carina » continuò, avvicinandosi.
Mi irrigidii e tentai di valutare tutte le possibilità di fuga che c’erano. Le scale erano ferme e, dietro di me, vi era una porta. Tempo due minuti e avrebbero iniziato a muoversi, non lasciandomi spiragli. Cominciai a indietreggiare.
« Ti ringrazio. Ora devo sbrigarmi, o farò tardi a lezione » mi voltai di scatto e cominciai a salire i gradini. Lui però era più alto di me e, di conseguenza, aveva le gambe più lunghe. Mi raggiunse in due secondi.
« No, dai, non andartene subito » mi prese il braccio e mi costrinse a voltarmi.
Fu in quel momento che intravidi un dipinto, rappresentante un piccolo cavaliere senza il suo grasso pony che, per grazia divina, si trovava fuori dal suo quadro. Gli lanciai uno sguardo supplicante e, tempo dieci secondi, sparì. Distolsi gli occhi da quelli del Corvonero, fissandoli per terra. Cominciò a toccarmi i capelli e io iniziai a spaventarmi seriamente.
Mi allontanai, minacciandolo: « Se non mi lasci in pace, inizierò ad urlare così forte che tutti nel castello verranno a vedere cosa sta succedendo. »
Lato positivo: per un secondo, un lampo di paura balenò nei suoi occhi. Lato negativo: l’avevo detto con una vocina da usignolo ferito, e nemmeno io sarei stata spaventata da me stessa. Fece un ghigno divertito e mi prese il viso tra le mani.
« Me lo dai un bacio? Uno solo » chiese, mellifluo.
Iniziai a respirare forte e tentai di divincolarmi ma lui era troppo grande perché ci riuscissi.
Provai a tirargli un calcio nelle parti bassi ma lui lo scansò. Tentai infine graffiandogli il viso e le mani, ma lui, a parte un segno di fastidio, non parve intenzionato a mollare la presa.
« DOMINIQUE! » sentii un urlo familiare, sollevante e infuriato.
James, nonostante fosse più piccolo e più basso del Corvonero, era altrettanto robusto e muscoloso. Gli assestò un pugno alla mascella così lui mollò la presa sul mio braccio per qualche secondo, ritornandogli il colpo sul naso. Grazie ad un orribile suono di noci spaccate, compresi che il naso di James si era rotto.
Mio cugino lanciò uno sguardo assassino al ragazzo, mentre si preparava a tornargli il pugno dritto sul labbro. “Adesso lo ammazza” pensai. Ma non successe.
Il Corvonero perdeva sangue dal labbro e giurai di aver visto un dente saltargli fuori dalla bocca e semplicemente corse via, urtando James, prima di poter fare altro.
Mi avvicinai a Jamie, spaventata e preoccupata. Fu in quel preciso momento, mentre era dolorante e aveva il naso rotto, quando se l’era rotto per me, che capii di esserne innamorata. Avevo quattordici anni ed ero certa di amarlo. Lo so benissimo che è mio cugino, che condividiamo del sangue e che può essere reputata una cosa profondamente sbagliata e incestuosa, per questo me ne vergognai moltissimo. Più tardi lo accompagnai in infermeria e rimasi con lui tutto il giorno, stringendogli la mano e continuando a ringraziarlo.
Lui mi disse che l’aveva fatto perché nessuno può toccare una donna, e soprattutto nessuno può toccare sua cugina nonché la sua migliore amica.
Non so con quale coraggio ma, quello stesso giorno, gli dissi confessai di provare qualcosa.
La sua risposta, a metà fra il divertito e l’imbarazzato, non potrò mai dimenticarla: « Ma Dominique, noi siamo cugini. »
Scappai dall’infermeria e mi rifiutai di guardarlo negli occhi fino all’arrivo dell’estate.
Durante le vacanze estive, lui conobbe la sua prima ragazza, Angela, una babbana. Fu una storiella estiva effimera ma per me fu devastante. Non mi davo pace e volevo che lui ricambiasse il mio amore. Quell’estate non lo vidi praticamente mai.
Fu durante quel periodo che iniziarono i miei problemi: non mangiavo praticamente mai, e se lo facevo, era controvoglia e andavo in bagno a vomitare; mi vedevo grassa, brutta e inadeguata. Pensavo di aver capito perché non piacessi a James. Riguardando le foto di quell’estate, mi accorgo di quanto scheletrica e sciupata fossi.
Quando ritornammo ad Hogwarts incominciammo a passare nuovamente del tempo assieme, ma i nostri incontri erano diventati sempre più rari e i rapporti freddi.
Fu allora che conobbi Jonathan. Frequentava il quinto anno ed era un Prefetto. Ammetto che prima che mi chiedesse di uscire, non l’avevo mai notato, presa com’ero da James, ma quando capii che gli interessavo, ritrovai un po’ di fiducia in me stessa.
Jonathan è stato il mio primo vero bacio ed ero contenta quando stavo con lui, non pensavo mai a James.
Per un anno le cose andarono a gonfie vele con Jonathan. Cominciai a mangiare di più e più volentieri, e nonostante sia magra anche adesso, non sembravo più uno scheletro vivente.
Un giorno, senza averlo programmato, ci trovammo nella sua stanza e facemmo l’amore per la prima volta.
Capii che lo amavo, un amore diverso da quello provato per mio cugino, certo, ma lo amavo comunque così glielo dissi e lui, guardandomi fisso negli occhi, mi sussurrò con tanta dolcezza da farmi venire i brividi che ricambiava.
Il giorno del mio sedicesimo compleanno, lo scorso gennaio, successe un’altra cosa che sconvolse per sempre il mio rapporto con James.
Io e lui, durante la mia relazione con Jonathan, andavamo molto d’accordo, ridevamo e scherzavamo come avevamo sempre fatto, non menzionando mai più ciò che era successo tempo prima. Non passavamo più tanto tempo insieme come una volta, ma ormai ero convinta che fosse un normale processo di crescita.
Comunque, tornando al mio compleanno, mi trovavo da sola in Sala Comune quando James, apparso dal nulla, mi raggiunse accanto al camino.
Era sera tarda ed ero stanca morta, avendo passato l’intera giornata sommersa da amici e parenti, scartando regali e mangiando. Mio cugino mi abbracciò forte e mi porse un pacco incartato. Lo sgridai dicendogli che non volevo che mi regalasse nulla, ma lui mi assicurò che l’aveva fatto con le sue mani e con piacere.
Tolsi la carta e scoprii un album color cielo. Lo aprii e vi trovai all’interno un sacco di fotografie, che raccontavano la nostra vita da quando eravamo ancora in fasce e arrivando a qualche mese prima, durante la vacanza estiva in Irlanda.
Lo ringraziai con le lacrime agli occhi e prima che potessi dirgli qualcos’altro, mi baciò. Fu diverso dai baci di Jonathan. Conoscevo la sua bocca a memoria, l’avevo baciata così tante volte da riconoscerne sapore e movimenti. Ma la bocca di James era diversa. Era dolce e prometteva altri milioni di baci, era calma e morbida. Mi staccai subito e lo allontanai con una spinta.
Nonostante tutto il tempo in cui avessi atteso quel momento, nonostante volessi che continuasse a baciarmi, mi costrinsi ad ingoiare tutto. D’altronde gli avevo confessato due anni prima quello che provavo e lui mi aveva detto chiaro e tondo che eravamo cugini. Eravamo imparentati. Era impossibile e innaturale.
« Ma che cazzo fai?! » sbraitai, sentendo montare una rabbia incontrollabile.
Lui rimase a bocca aperta per parecchio tempo, senza emettere suoni.
« Non osare mai più toccarmi. Io sto con Jonathan! Sono e sarò sempre solo tua cugina. »
« Dominique… Mi avevi detto che… » tentò di discolparsi.
« È troppo tardi. Hai perso la tua occasione.  Io sono andata avanti. E tu non hai il diritto di baciarmi » cominciai a piangere e tornai nella mia stanza, gettando l’album sotto al mio letto.
Non piansi mai più così tanto, fino ad oggi, quando ho detto a Rose di essere incinta.
Le ultime parole rotte dal pianto che gli dissi, prima di scappare, furono: « Voglio solo che tu la smetta di far parte dalla mia vita. »
Tre mesi dopo, scoprii che si era fidanzato con Beatrix Richards.
Non ci parliamo da allora e ogni volta in cui lo vedo è uno strazio. Vorrei chiedergli scusa, dirgli che ho esagerato e chiedergli se possiamo ritornare tali e quali a quei due ragazzini che in soffitta si scambiavano i segreti. Vorrei dirgli che lo amo come quando avevo quattordici anni, e anche di più. Vorrei dirgli che non ho mai amato Jonathan tanto quanto ho amato lui. Vorrei dirgli di lasciare Beatrix, perché lei non lo merita.
Con gli anni ho imparato ad amarlo e apprezzarlo. Ho imparato a riconoscere che è pieno di difetti, così come è pieno di pregi.
Ho sintetizzato tutta la mia vita fino ad ora e la persona di cui ho parlato di più è stata James. Pensando alla mia vita, parlo di James. Non è incredibile, quanto una persona riesca a condizionare la tua intera esistenza? Quanto si possa pensare ed amare qualcuno?
 
Questo pomeriggio, poco dopo pranzo, ho deciso di chiedere a Jonathan di vederci perché  avevo la necessità di parlargli. Continuavo a vomitare e volevo capire il perché, così, temendo il peggio, ho chiesto a mia sorella, una delle poche persone al mondo di cui mi fido, di inviarmi un test di gravidanza nel modo più discreto possibile. Lei non ha fatto domande, quindi ieri un pacchettino mi è stato recapitato con la posta mattutina.
Avevo troppa paura di ciò che sarebbe potuto succedere perciò, nonostante io e Jonathan ci siamo lasciati da due settimane, volevo che mi stesse vicino dal momento che, fino a prova contraria, lui sarebbe il padre.
Ci siamo incontrati fuori dai Tre Manici. O sarebbe meglio dire che io sono riuscita a bloccarlo fuori dal pub. Gli ho spiegato la situazione nel modo più innocuo e chiaro possibile ma lui ha iniziato a urlare che non ne vuole sapere, che mi ha lasciato per un valido motivo, che non è solo perché sono diventata troppo appiccicosa.
« Non so come dirtelo in modo che non ti arrabbi… » ha meditato, parlandomi freddamente come se mi avesse appena conosciuta e non come fossimo stati insieme per due anni.
« Hai trovato un’altra » ho azzardato, comprendendo che la mia supposizione fosse esatta. Ho barcollato per qualche istante ma poi ho ripreso il pieno controllo di me.
« Non dare la colpa a me. La colpa è solo del tuo comportamento. Sono stato bene, davvero. Ma ultimamente non ne potevo più. »
« Allora sai cosa ti dico, brutta testa di cazzo che non sei altro? Divertiti con chiunque ti sia trovato ma sappi che, se fossi incinta, saresti tu il padre. E tuo figlio crescerebbe senza di te. Pensa a questo mentre starai facendo la bella vita con la tua nuova ragazza » gli ho urlato, senza alcuna voglia di abbassare il tono di voce.
Sono ritornata al castello e, una volta in bagno, con tutto il coraggio che avevo, ho fatto il test. Il risultato rappresentava due lineette. Positivo. Sono incinta. Jonathan è il padre.
I primi pensieri sono stati terribili: non finirò l’ultimo anno ad Hogwarts, non seguirò le mie amiche durante la vacanza dell’ultimo anno, tutti capiranno che sto aspettando un bambino e le voci sul mio conto non faranno altro che aggravarsi ulteriormente.
 
Continuo a piangere accanto a Rosie per una mezz’ora buona, raccontandole meglio che posso della mia discussione di stamattina con Jonathan e lei resta ad ascoltarmi come sempre. Aggiunge anche un paio di belle paroline sul suo conto, il che mi fa sorridere.
Ho deciso che glielo dirò, in qualsiasi caso. Lui è il padre e ha il diritto di sapere di essere tale, ma tento di non pensare a lui.
Mio figlio sarà viziato e diventerà bellissimo, intelligente, prenderà tutti i pregi che abbiamo noi Weasley. E tutto ciò succederà senza che abbia bisogno di un padre, un uomo che per lui non ci sarebbe mai stato lo stesso, un padre che non lo amerà nemmeno la metà di quanto si merita. Crescerà senza una figura paterna, ma probabilmente è meglio che crescere con una persona come Jonathan accanto.
Piango tutte le mie lacrime, sono scossa da singhiozzi fortissimi e anche quando mi assopisco, gli occhi non smettono di bruciare.
Mi appoggio al cuscino, lo stringo con tutta la forza che possiedo e mi sfogo. Urlo, caccio fuori tutto il rancore, tutta la rabbia che accumulo da anni.
Jonathan James i miei genitori le persone che mi parlano alle spalle le critiche le insinuazioni i “non ce la farai” gli insulti le false amicizie le persone che mi hanno usata le apparenze l’anoressia i “no” e i rifiuti le insoddisfazioni escono come un fiume, un fiume fatto di lacrime che si raffreddano sulle mie guance, salate, copiose e trasparenti.
Rose non se ne va mai, anzi viene raggiunta da Kay e Fae, che entrano in stanza e, senza alcun tipo di pressione, rimangono insieme a me. Non dico nulla, non le metto al corrente della situazione perché non ho più voce.
Non mi guardano su mia richiesta, perché sarebbe uno spettacolo troppo penoso. Semplicemente sanno che la loro presenza lì è la cosa a cui tengo di più.
La mattina dopo mi risveglio in posizione fetale, mentre le mie mani sono custodite una fra quelle di Kay, l’altra fra quelle di Fae. Mi alzo a sedere e noto in che posizione scomoda si siano addormentate le mie amiche pur di rimanere con me. Devo essere entrata in un sonno senza sogni verso le due di notte, di conseguenza loro con me, quindi decido di lasciarle dormire fino all’ultimo secondo possibile e intanto vado in bagno. Quando mi scorgo nello specchio, non riesco nemmeno a riconoscermi: ho le guance scavate e gli occhi, infossati, sono gonfi e rossi. Ho una smorfia triste al posto della bocca e i capelli sembrano un nido increspato.
Decido di concedermi una doccia e saltare la colazione. Quando esco dal box con i capelli raccolti in un turbante, mi sento già molto meglio. Prendo in mano il pennello del fondotinta di una delle mie amiche ed eccezionalmente decido di truccarmi per rendermi un po’ più presentabile. Quando termino sembro solo un po’ stanca, non più un mostro biondo.
Le mie amiche stanno ancora dormendo, per cui tento dolcemente di svegliarle. Loro si rizzano a sedere e, capendo che le lezioni cominceranno fra mezz’ora, si attivano subito, anche loro partendo con un pennello e un’abbondante dose di mascara.
Mentre loro si truccano, io mi asciugo i capelli con la bacchetta, nel piccolo bagno che condividiamo. Una volta finito, li pettino fino a renderli lisci come spaghetti, mi siedo sul water e le osservo.
Dopo qualche minuto di silenzio teso, Fae, la più schietta delle due, si sistema la frangetta e mi fissa.
« C’è qualcosa che vuoi dirci? » trilla.
Rimango con la bocca chiusa e il mento inizia a tremare, segno che a momenti ricomincerò a piangere. Cerco di ingoiare il boccone amaro e balbetto, con la voce impastata e roca: « S-s-son-n-no… As-aspetto un bambino da J-j-jonathan. »
Rimangono per qualche secondo disorientate e tentano di metabolizzare la notizia.
Poi, entrambe smettono di fare qualunque cosa stessero facendo e si avvicinano a me. Anzi, non si avvicinano a me, ma alla mia pancia, anche se ancora piatta.
« Ehm ehm » si schiarisce la gola Kay. « Ciao piccolino. »
« O piccolina » la corregge Fae.
« So che probabilmente non mi puoi sentire, » continua l’altra. « Sei ancora inesistente, praticamente. Ma io sono Kay, la migliore amica della tua mamma. E voglio farti sapere che mi prenderò cura di lei per sempre, cosicché tu possa conoscere la Dominique più in forma che c’è. Okay? E prometto che ti comprerò il più bel paio di scarpette che troverò. Perché dovrai essere il bimbo più bello del mondo. »
Quando alza la testa, si scioglie in un tenero sorriso vedendo che sto piangendo di nuovo. Ma stavolta piango di felicità e commozione.
« Gli ormoni » mi giustifico. « Guarda cosa combino. »
Le ragazze mi abbracciano forte e per la prima volta da ventiquattro ore, sento che c’è qualcosa che potrà andare bene, in tutto questo casino.
 
È la fine di novembre e io e Jonathan ancora non ci siamo rivolti la parola. Ho spesso pensato a come avrei detto al mio futuro marito: “sono incinta!”. Sono una persona che ama la teatralità per cui non mi sarei ridotta ad un banale “amore, aspettiamo un bambino!”. Probabilmente gli avrei fatto trovare un paio di scarpette accanto al posto in cui lui, alla sera, posava le sue, appena tornato dal lavoro. Oppure, una volta finita la giornata, avrei appeso un cartellone in camera nostra con frasi tipo Presto saremo in tre o Ciao, futuro papà.
È vero però che nulla funziona mai come si crede, come si prevede o come si organizza. La vita è inaspettata e procede come preferisce lei, non seguendo le nostre richieste.
Purtroppo c’è un problema più grave rispetto ai miei film mentali: fra otto mesi sarò madre e non so come dirlo ai miei parenti. E non ho idea se, con che coraggio e in che modo riuscirò a confessarlo a James.
Tra un mese esatto sarà Natale, il che significa che sarò a casa mia, a festeggiare con i miei parenti e non potrò più nascondere il mio segreto. Devo pensare molto bene a cosa fare, non devo tenermi tutto per me, altrimenti rischio di scoppiare. Inoltre, se i miei dovessero scoprirlo da qualcun altro, sarebbe la fine della mia vita.
A mia sorella dovevo dare una risposta così, pur tremando, le ho scritto un bigliettino il giorno dopo aver scoperto di essere incinta.
Positivo. Ti prego, non dirlo a mamma e papà.
Così, se per sbaglio dovesse finire in altre mani, nessuno saprà di cosa sto parlando.
Victoire non mi ha ancora risposto, ma non me ne preoccupo. Si dovrà ancora riprendere dallo shock di diventare zia prima di poter essere madre. Ma, d’altronde, anche io diventerò prima madre che zia.
 
Il primo di dicembre è stata fissata, alle tre e mezzo, la prima sessione di allenamento fra i cugini e gli amici stretti, così, l’ultimo giorno del mese di novembre, ci incontriamo tutti ai Tre Manici.
Albus e Rosie, i “creatori” del gruppo, ci aspettano con una pergamena e una penna per firmare la lealtà al gruppo. In realtà, quando facciamo il nostro ingresso io e le mie compagne di stanza, accompagnate da Lily, troviamo solo Albus con Jade, l’amica di Rose. I due sembrano nel bel mezzo di un momento piuttosto intimo, immersi in una conversazione a bassa voce, così mi sento un incomodo sgradito a dover annunciare che siamo anche noi .
Chiedo ad Al come mai Rose non c’è e lui alza le spalle.
« Non lo so, ma credo arriverà a momenti »  dice, anche se vedo che non riesce a nascondere il tono irritato.
Jade abbozza un tenero sorriso, ma è visibilmente imbarazzata. Non capisco il perché, dal momento che sono stata io quella a interrompere una discussione privata.
Secondo il passaparola cominciato da Albus, il luogo del nostro incontro è stato cambiato poiché la Testa di Porco ha almeno una decina di orecchie in più rispetto ai Tre Manici. In conclusione, meglio trovarsi in un locale più affollato, in modo che a noi non badino molto.
Quando anche la restante mandria di Weasley & Friends ci raggiunge e Rose ancora non si è fatta viva, Albus, scocciato a morte, ma senza darlo a vedere, comincia a spiegarci in cosa consisteranno i nostri incontri.
Noto solo ora che nemmeno James c’è.
« Seguendo la falsa riga dell’Esercito di Silente, ci incontreremo regolarmente da qui alla fine dell’anno. Il luogo delle sedute sarà la Stanza delle Necessità, al settimo piano. Non so quanti di voi ci siano già stati, ma, per entrarci, basta camminare di fronte al muro per tre volte visualizzando chiaramente ciò che si vuole. Per comunicare la data e l’orario dell’incontro, Rose ha pensato di creare delle spille con lo stemma delle nostre Case: ogni volta in cui verrà programmato un nuovo incontro, lo stemma si trasformerà nel simbolo di Hogwarts, e cercando me o Rose, vi diremo tutto il necessario. Non è uno dei metodi più sicuri che ci siano, ma siamo certi che funzionerà. »
Fa una piccola pausa in cui scruta i volti degli ascoltatori. Albus ha sempre avuto grandi doti oratorie, nel senso che tutti lo ascoltano estasiati e interessati.
Inoltre è un ottimo mediatore: più di una volta, durante un litigio, ha fatto in modo che le due parti risolvessero.
Per quanto riguarda Rosie invece… be’, diciamo solo che lei è molto schietta e non usa giri di parole. Non ha problemi a dire se qualcosa di quello che abbiamo deciso non le va bene e non c’è mai una volta in cui non dica la sua.
Albus continua a parlare per qualche minuto, assicurando che se ci fosse qualcuno che non volesse più iscriversi, non ci sarebbe alcun problema, visto che si ha libera scelta. Dopodiché, ci invita a firmare. Mi accodo per ultima, dietro a Kay e Fae.
Ad Abigail e Lottie non abbiamo proposto di venire agli incontri, semplicemente perché, pur conoscendoci da ormai sei anni, non abbiamo un rapporto di fiducia tale da offrirgli un posto fra noi.
Quando arriva il mio turno di firmare, leggo sulla pergamena il nome che avrà il nostro gruppo: i Guardiani di Hogwarts. Be’, suona bene, direi.
La maggior parte dei ragazzi li conosco: tutti i miei cugini, mio fratello, Jade e altre due amiche di Rose, un’amica di Lily, i fratelli Scamandro, Axel Paciock, le mie due cugine francesi, che non avevo notato prima ma che saluto con un caldo sorriso, una colonna composta da nomi di ragazzi che non conosco, infine, Scorpius Malfoy. La sua è la firma che si trova sopra a quella delle mie amiche, e rimango molto sorpresa di questo fatto. Non mi vanno a genio i figli dei Mangiamorte, anzi, cerco di tenere un atteggiamento molto distaccato e diffidente nei loro confronti.
Se lui è qui, però, un buon motivo ci deve sicuramente essere.
In totale, circa una ventina di ragazzi e ragazze si sono uniti al gruppo.
Pian piano, il pub inizia a svuotarsi dei ragazzi che hanno già firmato.
Quando la Douglas e un ragazzo di colore con un ghigno da piantagrane si stanno dirigendo verso l’uscita, la porta si spalanca e una Rose col fiatone entra di corsa rischiando di andare a sbattere contro un tavolo occupato da due anziani.
Chiede scusa con un sorriso imbarazzato e si fionda da Albus, nello stesso momento in cui Jade si allontana da lui.
Io sono giusto a due metri da loro, così riesco a sentire qualche parola della loro discussione.
« …lo so, lo so, e non è un valido motivo per cui… » sta dicendo Rose, mentre firma la pergamena. Ha i lunghi capelli rossi raccolti in una coda alta che è appoggiata su una spalla, le guance ricoperte di lentiggini sono accaldate.
Mio cugino, al contrario, ha un cipiglio tra lo scocciato e l’arrabbiato. Ha le braccia incrociate al petto e la fissa in silenzio.
« Rosie! » sbotta lui, quando si è stancato di sentirla parlare fino all’apnea. « Ho capito! Hai anche tu la tua vita. Solo che dovevi avvertirmi » la ammonisce.
Lei si tocca uno dei tanti orecchini che porta con la mano sinistra, essendo mancina, gesto che fa sempre quando è nervosa o eccitata.
Albus le fa un mesto sorriso, poi lei lo abbraccia e si volta. Fa un cenno di saluto a tutti i gruppetti di ragazzi che si trovano ancora nel pub e quando mi nota, viene verso di me.
« Ciao Dom! » mi saluta, accarezzandomi un braccio. « Come stai? »
« Non male, Rosie. Sei diversa oggi. Sbaglio? » le sorrido.
« Sono sempre la stessa... Sono felice, penso » dice, come se le facesse uno strano effetto usare quella parola.
« Oggi Chris ha preparato un pic-nic per noi due e mi ha portata a fare una lunga passeggiata » mi racconta, con le sopracciglia aggrottate.
Io la guardo sorridente e penso a quanto ero felice quando Jonathan per la prima volta mi chiese un appuntamento. Prima che me ne renda conto, il mio sorriso si spegne e vengo come riportata indietro da un flashback involontario.
 
Era un freddissimo giorno di metà novembre, un sabato scuro e piovoso, uno di quei giorni in cui faresti di tutto per rimanere a dormire piuttosto che uscire. Ma era anche uno di quei giorni che aspetti con ansia, che vuoi siano perfetti, e poi in realtà si rivelano dei completi disastri. Almeno all’inizio.
Jonathan mi disse che quel giorno avremmo potuto pranzare insieme, per poi scendere a Hogsmeade e passare il pomeriggio là. Accettai volentieri e cominciai già a pensare a come mi sarei potuta vestire e truccare. A causa del mio corpo molto più magro rispetto a sei mesi prima, non mi entrava più la maggior parte dei vestiti. Scelsi di indossare comunque un vestito di lana col collo alto grigio chiaro, un paio di calze e delle ballerine nere.
Scesi in Sala Grande e mi avvicinai al tavolo dei Grifondoro, ma non trovai subito Jonathan.
Mentre parlavo con Ginger Bates, qualcuno mi toccò una spalla e si sedette vicino a me. Era così bello, con quella felpa scura in contrasto con gli occhi chiari, che non capivo come potessi piacergli, ma più tardi, parlandone con le mie amiche, capii che loro la pensavano esattamente all’incontrario.
Finito di pranzare scendemmo in paese e trascorremmo tutto il pomeriggio tra Mielandia, Zonko, l’altra sede dei Tiri Vispi Weasley e Madama Piediburro.
In quest’ultimo locale, lui mi offrì una cioccolata calda con dei buonissimi biscotti al doppio cioccolato. Ero così felice che ne mangiai addirittura due, il che equivaleva a più del mio apporto calorico giornaliero degli ultimi mesi. Tutti odiano quel posto perché lo trovano troppo romantico, appartato e mieloso, ma a me ricorderà per sempre uno dei momenti più belli della mia storia con Jonathan: il mio primo vero bacio.
Con una mossa un po’ scontata e molto da film, dopo aver bevuto un sorso di quell’ottima bevanda, lui mi avvertì che me n’era rimasta un po’ sulla bocca e, prima che potessi ribattere, mi baciò. Fu uno dei più bei baci che mi diede.
Qualche giorno dopo, passò a prendermi dopo l’ultima lezione della giornata e, passeggiando nel giardino, mi chiese di diventare la sua ragazza.
 
Rose sta continuando il suo racconto, nemmeno accorgendosi che io non la sto ascoltando.
« …e poi mi ha baciata » termina.
È tornata molto più ombrosa, come se il ricordo le desse fastidio.
« Sono contenta per te » le dico, con un sorrisetto.
Lei deve notare qualcosa di strano, perché improvvisamente si spegne e mormora angosciata: « Ma che cavolo, io ti parlo di un’uscita con un ragazzo mentre tu hai scoperto di aspettare un bambino e Jonathan Il Gran Coglione Reale se ne frega. Perdonami. »
La guardo immersa nei miei pensieri e la rassicuro che sto davvero bene, e sono davvero felice che lei abbia trovato questo ragazzo.
« Ma… sei sicura che vada tutto bene? » azzardo io, questa volta.
Lei risponde con un vago gesto della mano. « Certamente. »
Mi dice dispiaciuta che se ne deve andare, per un incontro con qualcuno, mi fa promettere che una di quelle sere parliamo per bene e poi scappa via, lanciandomi un bacio.
Non appena Rose esce, per un fantastico, orribile, meraviglioso, ingiusto scherzo del destino, James entra.
Non me ne accorgo subito perché sto raccogliendo la mia borsa e afferrando un biscotto, ma quando mi volto, con la bocca piena, il favoloso frollino al burro tipico dei Tre Manici cade rovinosamente a terra.
Tento di nascondermi meglio che posso sotto il tavolo, fingendo di raccoglierlo, ma peggioro solo la situazione. Lui mi nota immediatamente e si avvicina.
Ora mi alzo. Ora mi alzo. Ora mi alzo e respiro.
Con un’espressione neutra, rimetto il biscotto sul tavolo e faccio per andarmene, ma lui mi blocca la strada nel modo peggiore di tutti: « Ciao Didi. »
Oh Mio Dio.
Resto immobile, ferma, trattengo il respiro. Mi bruciano gli occhi di sguardi che vorrei dedicargli. Mi si asciuga la bocca, piena di parole che vorrei dirgli.
Didi.
Il soprannome che non sento da tre anni, o forse di più.
Quello che lui mi ha dato. Solo lui ha il diritto di chiamarmi così.
Didi. Dominique Danielle. DD.
« Come…? » Non termino la frase perché le parole mi sono rimaste incastrate nelle corde vocali.
Una cosa piccola, stupida e ignorabile come un soprannome mi fa tornare alla mente tanti di quei ricordi da farmi male. All’improvviso un sorriso nostalgico, per fortuna nascosto dai miei capelli, si forma sul mio viso.
Dentro al secondo cassetto dei vestiti, nella mia stanza a Hogwarts, sotto ai maglioni, c’è l’album che James mi ha regalato appena dieci mesi fa. E dentro, a pagina sette, una foto di noi due, scattata con una vecchia Polaroid, distesi nella sua soffitta, con una coperta di lana di quelle fastidiose che ti pizzicano la pelle tirata fin sotto il mento. In basso, una scritta sbilenca, dalla calligrafia piacevole, fatta con un pennarello rosso.
Jemjem e Didi.
Jemjem è il modo in cui lo chiamavo da piccola, quando ti sembra troppo difficile aggiungere una S al nome, ma non è troppo difficile dire Jem due volte.
Il sorriso sparisce dal mio viso.
Non riesco a sostenere lo sguardo penetrante di James che sento sulla mia nuca.
Cammino piano verso l’ingresso e, prima di pentirmene, per l’ennesima volta nei miei sedici anni, esco dal locale affollato.
Le lacrime si raffreddano immediatamente e vengono portate via dal vento di inizio dicembre.
Quando sei incinta piangi un sacco. Be’, in realtà, quando sei incinta e il tuo ragazzo ti ha lasciata, hai quasi diciassette anni e sei al sesto anno di scuola.
Se sei anoressica piangi un sacco. Quando ti costringono a mangiare ma tu non ne vuoi sapere, quando senti che non stai digiunando abbastanza per dimagrire, quando vomiti e quando ti guardi allo specchio.
Quando sei sottovalutata ti viene da piangere. Quando senti le cazzate che dicono sul tuo conto, quando incontri gli sguardi critici delle persone ad ogni angolo.
Quando sei innamorata di una persona, ma hai perso la tua occasione da tempo, quando hai così tanta rabbia dentro da infuriarti con qualcuno che non ha fatto nulla e quando ami, piangi un sacco.
Insomma, facciamola breve: se sei Dominique piangi un sacco.
 



Note sul capitolo:
FINALMENTE ce l'ho fatta a pubblicare. Ebbene sì, la scuola è iniziata e si vede. Non mi dilungo sul perchè del ritardo, chiedo solo umilmente perdono!
Comunque, tornando al capitolo, probabilmente Dominique e Louis non sono gemelli ma mi piace vederli come tali. Insomma, la Rowling ha descritto alcuni personaggi della Nuova Generazione e altri li ha lasciati all’immaginazione, perciò mi prendo la libertà di cambiarli e renderli un po’ più miei. Inoltre, non so se si è ancora capito, Lysander e Lorcan NON sono gemelli. E non sono nati “molto più tardi rispetto alla maggior parte della famiglia Weasley-Potter” come ha detto lei. Lorcan ha l’età di James e Dominique, Lysander ha un anno in meno rispetto a Rose.
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 11
*** Feelings ***


Chapter Ten
Feelings
 
When I was a kid, my grandfather was a preacher
He'd talk about God
Yeah, he was something like a teacher
He said, "God only helps those who learn to help themselves"
He was a million miles from a million dollars,
But you could never spend his wealth
-Preacher, OneRepublic
 

Felicità e Fortuna. Sono ciò che in fin dei conti ognuno vuole e a Felicità e Fortuna sono legate tutte le nostre azioni, i sentimenti, i desideri… Insomma, tutto.
Ci sono tanti, infiniti tipi di felicità, ma di una cosa sono convinta: ogni singolo uomo sulla faccia della Terra è stato felice almeno per un minuto nella sua esistenza. Felice a modo suo, ovviamente.
La Felicità è tragicamente e indivisibilmente legata alla Fortuna. Dipendono l’una dall’altra.
E ora, mentre fisso gli occhi chiari di Christopher Skyes, mi chiedo quando arriverà la mia Fortuna.
Tutti hanno, hanno avuto o avranno un briciolo di fortuna nella vita. Io stessa ammetto che la mia famiglia è la mia fortuna più grande. Comunque io ne sto aspettando un’altra, non so se mi spiego. Ecco, io sono essenzialmente una persona abbastanza vagante nello stato di “nemmeno a Merlino interessa la tua noiosa vita”.
In questo caso, sto parlando del punto di vista sentimentale, chiaramente. Questo significa che la mia maledizione in amore è iniziata con Tristan e ora continua con Chris e Scorpius.
Per carità, non che Christopher Skyes non mi piaccia, ma effettivamente non mi piace. Però ci provo. Prometto che ci provo, a farmelo piacere. Prometto che ci provo, a nascondere il grigioverde in un cassetto. Prometto che non ci penso più, ai suoi capelli biondi.
Non è una vita facile, quella dell’adolescente, sapete.
 
Sto camminando con la mano legata a quella di Chris, e sono persa nei miei pensieri.
Per anni ho sperato di poter dire ai nonni e a tutti quegli impiccioni dei miei parenti, che ho il ragazzo. Uno alto, con gli occhi azzurri, bello e muscoloso. Ma io in realtà non voglio un ragazzo così. Non voglio un Chris. Voglio un ragazzo che mi sappia leggere dentro, che mi faccia sorridere con uno sguardo, a cui poter dire ogni particolare, anche se insignificante, della mia vita.
Smettiamo di camminare e mi separo da Chris. Lui mi saluta con un bacio leggero, morbido e appena accennato sulle labbra. Che sarebbe un bel bacio, se non fossimo nascosti dietro al portone d’ingresso.
Sospiro stancamente, mentre la felicità per la giornata di ieri, l’uscita con Chris, i discorsi ridicoli ma divertenti, il bacio, svaniscono velocemente.
Uno sciame di pensieri di qualsiasi tipo mi turbina in mente e tento di scacciarli stropicciandomi gli occhi.
Entro nel castello all’ora di pranzo e con passo non troppo trascinato, mi lascio cadere al tavolo dei Grifondoro, dove mi aspetta la neutra faccia di Albus.
Non mi domando nemmeno perché sia qui.
« Ehi » lo saluto, fingendo un tono allegro. Lui ovviamente lo nota subito e mi lancia un’occhiata ma credo decida di parlarne più tardi, così mi passa una borsa di plastica rossa che tintinna. Lo guardo con gli occhi sgranati e gli faccio una domanda muta.
“Le spille?”
Mi verso della zuppa e inizio a ingurgitarla, aspirando il liquido bollente. Gli lancio un’occhiata di sottecchi mentre annuisce.
Finisco la mia zuppa, poi ci alziamo in contemporanea e usciamo dalla Sala.
Una volta nella mia Sala Comune, entrambi ci stiamo rigirando la bacchetta fra le mani. Sento il legno liscio e fresco a contatto con la mia pelle e mi dà una sensazione di limitazione che non mi piace.
Sto pensando a tutti gli incantesimi che conosco, facendo mente locale e ce n’è uno che galleggia nella mia mente.
Non so come faccio a conoscerne il nome, molto probabilmente l’ho letto in un libro d’incantesimi tanto tempo fa. Ho un’ampissima memoria fotografica, il che mi rende facile ricordare non solo ciò che studio, ma soprattutto ciò che vedo.
Incantesimo di Collegamento di oggetti inanimati. Incanto Proteus. “Fattura abbastanza complicata che crea un legame indelebile fra due o più oggetti, rendendo disponibile la comunicazione mediante l’originale e le copie”. Diceva più o meno così.
Annuncio ad Albus i miei pensieri e lui, con aria enigmatica, mi sussurra: « Potrebbe funzionare. »
Prendo in mano una spilla, una a caso con lo stemma di Grifondoro, che ho appena deciso sarà la mia e le affianco quella di Al di Serpeverde, poggiandole sul tavolo.
« Proteo » pronuncio, muovendo la bacchetta in direzione delle due spille. Fisso nella mia mente il logo che voglio fare assumere alle spille una volta collegate fra loro.
Si forma un filo quasi trasparente, che trasporto sulle altre clip in modo che le leghi tutte. Non ho idea se funzionerà, ma sento che è la cosa giusta da fare, come se istintivamente la bacchetta conoscesse già l’incantesimo.
Il filo si estingue e davanti a me ci sono una trentina di spille con disegni diversi che mi fissano, tali e quali a prima.
« Non ci resta che tentare » suggerisco ad Al, con una sensazione di trionfo.
Afferro la mia spilla e la sfrego, sperando che cambi l’immagine nel logo di Hogwarts.
Il leone di Grifondoro scompare e lascia spazio a quello delle quattro Case. Sotto, il motto della scuola “Draco dormiens nunquam titillandus”.
Qualche secondo dopo, appare lo stesso logo sulla superficie di tutte le altre.
La stringo fra le mani ed esulto felice, abbracciando Albus.
 
Mentre sto camminando al fianco di Albus per raggiungere la Stanza delle Necessità al settimo piano, chiacchierando del più e del meno, viene fuori il nome di Scorpius. Con un respiro smorzato mi viene improvvisamente in mente che di lì a poco lo vedrò, insieme ad una marea di altra gente. E dovrò comportarmi in modo assolutamente normale. Naturalmente, dimenticando che sono due mesi che ci incontriamo in biblioteca, che conosce il mio secondo nome e che sono innamorata di lui. Oddio l’ho detto.
Veniamo raggiunti da James e Fred, che con aria complice e un sorriso furbo sul volto, chiedono ad Albus di lasciarmi sola con loro. Io supplico Albus di non abbandonarmi ma poco importa perché lui è già sparito oltre un corridoio sulla sinistra.
« Vi avverto che qualunque cosa vogliate fare, la mia risposta è no. »
Li fisso con aria altera a braccia incrociate.
Loro si dispongono spalla a spalla davanti a me e devo sollevare un po’ la testa per riuscire a guardarli negli occhi.
« Stiamo organizzando una festa di Natale e vogliamo che ci aiuti nei preparativi » annuncia Fred, come se mi avesse appena dato la notizia che ha vinto una fortuna al lotto.
« Ribadisco, la mia risposta è no » dico, in tono fermo.
Non ho alcuna intenzione di sgarrare, quest’anno. Non solo ci tengo agli esiti dei G.U.F.O, ma desidero partecipare alla finale della Coppa del Mondo di Quidditch più di ogni altra cosa al mondo. E finire nei casini per una stupida festa sicuramene non mi aiuterà.
« Sei cambiata, Weasley. Non mi piace la nuova te » rincara James, imitando la mia posizione.
« Senti Potter, ve lo dico da amica, oltre che da cugina. Avrete una marea di guai. Tanti. Quindi, il mio consiglio è di evitare di fare cazzate. »
Li supero velocemente, prima di sparire oltre un corridoio, con loro alle calcagna.
« Sul serio, Weasley. Torna in te » mi augura Fred, scuotendo la testa sconsolato e seguendomi verso la Stanza delle Necessità.
 
« Grazie a tutti di essere qui oggi, ragazzi. Avete aderito in molti al nostro gruppo di Guardiani di Hogwarts e vi assicuro che non ve ne pentirete » esordisce Al, pragmatico come al solito. « Direi di non perdere altro tempo e iniziare a distribuirvi le spille. Tenetele sempre agganciate al mantello o alla borsa, se potete, e fate attenzione a quando il logo muterà » termina, dritto come un palo davanti a una ventina di facce curiose, emozionate e divertite. Queste ultime sono quelle dei suoi compagni di stanza.
Io intervengo, tentando di mantenere un tono di voce cordiale e non tremante: « Se qualcuno di voi non potrà partecipare all’incontro, basterà che avverta me oppure Albus. »
Distribuisco una spilla a ognuno dei ragazzi e delle ragazze, fissando gli occhi di ciascuno, mentre loro iniziano a toccarle, testarle e morderle per verificarne la durezza. Quando arriva il turno di Scorpius, m’impongo di guardarlo negli occhi – i suoi bellissimi occhi grigi – e gli do la sua clip come ho fatto con ciascuno degli altri. Tutto fila liscio.
« Se vi disponete in due file, possiamo già cominciare con la pratica. Qualche richiesta in particolare? » chiedo.
Più di quaranta occhi di tutti i colori mi stanno fissando. Non mi sono mai trovata così a disagio in pubblico. Poi mi torna alla mente la serata di Halloween, e quindi mi sento ancora peggio. Mi gratto le unghie sui jeans che indosso, producendo un rumore soffocato.
« Scusa, Rose, ma dal momento che voi siete figli di Auror, sicuramente sapete come stanno veramente le cose. Insomma, se davvero i Purificatori hanno fatto strage al Ministero, e le vittime erano persone capaci – molto più di noi –, non servirà a nulla imparare stupidi incantesimi » interviene subito Jeremiah Taft di Tassorosso, come se si fosse preparato da tempo la battuta.
Tristan, da quel che so attualmente ancora il suo ragazzo, gli sta a qualche centimetro di distanza, appoggiato al muro, ed evita il mio sguardo.
« Non so se te ne rendi conto, ma c’è davvero una minaccia là fuori » lo interrompe Gabriel Rush, compagno di stanza di Al. « Quindi, questi “stupidi incantesimi” potrebbero anche salvarci la vita, se a insegnarceli sono persone capaci. »
Lancia un’occhiata ammiccante ad Albus. Ci rimango un po’ male, ma non lo do a vedere.
« Vi assicuro che sta accadendo qualcosa di molto grave » risponde Albus.
Lo invidio per il modo in cui tiene la sua postura dritta, per come riesce a farsi ascoltare e rispettare, mantenendo sempre la calma. « Non dobbiamo farci trovare impreparati. Siamo qui per imparare a combattere, non per parlare di cosa succede nel Mondo Magico, comunque. Cominciamo » conclude, con il tono di chi non ammette repliche.
« Partiremo dall’Incantesimo Reductor. Chi di voi lo conosce già? » chiedo.
Mentre i ragazzi si dispongono in due file parallele, vedo una mezza dozzina di mani alzarsi.
Chiamo ciascuno di loro per nome e si avvicinano a me.
« Fateci vedere. »
Indico una pila di mattoni posizionata in fondo alla Sala. I ragazzi si mettono timidamente in fila indiana, mentre fra gli altri membri iniziano i mormorii.
Mahonei Douglas è la prima. Respira forte e poi urla: « Reducto! »
Con un gran baccano, sul muro si forma un’enorme buco.
Dominique, ultima della fila, è in piedi dietro a James e si tiene a una buona distanza da nostro cugino, con una mano sulla pancia.
Mi lancia uno sguardo carico di imbarazzo ed io mi maledico per averla trascurata in questi ultimi giorni.
Ottengono lo stesso risultato anche gli altri, sebbene Danny Shanks mandi proprio in frantumi la parete.
« Non è un incantesimo semplice » annuncia Al. « Ma è di grandissima utilità. Serve a distruggere oggetti inanimati con una grande potenza. »
Si piazza davanti al muro di mattoni, fra le due file di ragazzi, riapparso quando lo ha richiesto.
« Passo a spiegare: gli Incantesimi di questo tipo, come Diffindo o Bombarda, funzionano solo se utilizzate una grandissima forza di volontà, che dovete trasmettere alla bacchetta, in modo che lei vi capisca. Se non impiegate energia, sarà inutile. »
Impugna la sua bacchetta talmente forte che le nocche gli si sbiancano, e con un mezzo giro del polso, pronuncia Reducto.
Dei mattoni rimangono solo pezzi monchi e sbriciolati.
Ho sempre ammirato Albus per la sua potenza, la sua capacità, la sua intelligenza e la sua dolcezza, ma quando si tratta di vederlo duellare, di osservarlo mentre compie degli incantesimi… be’, non lo ammiro semplicemente. Diciamo che lo invidio.
Tutti lo fissano a bocca spalancata e iniziano immediatamente le esercitazioni.
Durante la pratica qualcuno chiama me o Albus per farsi dare dei consigli o farsi spiegare meglio in che modo funzioni. E anche se alla fine della lezione la maggior parte dei ragazzi che non conoscevano l’incantesimo sono riusciti solo a provocare alcune crepe sui mattoni, sono tutti soddisfatti. Io e Albus compresi.
Dopo un’ora e mezza di allenamento, stanchi e col fiatone, siamo tutti d’accordo sull’andarcene e riposarci.
« Spero che vi sia servita questa prima lezione » dico con un sorriso.
Albus si trova d’accordo ed entrambi riceviamo un caloroso applauso. Gabriel Rush, Caleb Unwin e Scorpius si avvicinano ad Albus, mentre Danny, Mahonei e Aaron si chiudono attorno a me, ringraziandomi.
Qualche minuto dopo che Mahonei e Aaron se ne sono andati (mano nella mano!), Dominique mi salta praticamente addosso.
« Sei grande, Rosie! Tu e Albus siete due insegnanti fantastici! » sembra davvero felice. Non ho idea del perché e dubito fortemente sia solo per l’esercitazione di oggi.
« È stato Al a fare praticamente tutto il lavoro » dico, in imbarazzo. « Ma piuttosto, sei così contenta perché James si è deciso a chiederti di uscire? »
Dominique passa una gamma di espressioni facciali che vanno dalla felicità alla tristezza più profonda.
« Cosa vorrebbe dire? » balbetta con vocina stridula.
La guardo come per leggerle dentro ma lei distoglie lo sguardo. Inizia ad arricciarsi una ciocca di capelli con fare nervoso.
« Io lo so, Dom. Ti conosco abbastanza bene da sapere cosa provi e ti stai quasi certamente perdendo l’occasione della vita. »
Lei mi scruta accigliata e poi guarda in basso, per nascondere gli occhi pieni di lacrime.
« Tu non sai niente. »
Se ne va senza aggiungere altro ed io mi sento in colpa, ancora più di prima, ma cerco di ingoiare il boccone amaro, senza richiamarla.
Nello stesso momento Jadie si avvicina a me con la faccia avvilita e il passo strascicato.
« I ragazzi sono delle teste di cazzo » mormora affranta.
Non le chiedo nemmeno il perché.
Annuisco e basta, guardando il biondo platinato che sta parlando con mio cugino alle nostre spalle: « Hai pienamente ragione. »
« E Chris? » domanda qualche secondo dopo, prendendomi a braccetto e trascinandomi fuori dalla Sala, seguendo il flusso di ragazzi che, con più o meno nonchalance, escono dalla Stanza nascosta.
Mi torna alla mente l’episodio di qualche ora prima e sospiro.
« Non gli ho detto dei Guardiani. Non ho voluto perché è una cosa privata. E non mi fido di lui. »
« Ma di Scorpius ti fidi. »
« È diverso, Scorpius lo conosco » le faccio notare.
Anche se in realtà non lo è poi così tanto.
« Non è questione di fiducia. »
E invece lo è.
Sto negando a me stessa la verità, ecco ciò che sto facendo. Perché continuo a contraddirmi, dicendo che Chris è un ragazzo fantastico, simpatico e disponibile quando in realtà non mi piace? Per quale motivo non riesco a togliermi dalla testa Scorpius, un ragazzo che non solo non mi calcola, ma a malapena mi tratta come una conoscente? Cosa ci trovo nei suoi meravigliosi occhi grigioverdi, profondi e misteriosi come un buco nero, nei suoi sorrisi così veri da far sorridere anche me? E nel suo modo di parlare che mi conquista ogni santa volta, nel suo profumo di limone e vestiti puliti che invade tutto l’ambiente, nelle sue mani chiare e sottili?                                                                                                                                                                                                                               
« Non riesci a smettere di pensare a Scorpius, vero? » chiede Jade, scrutando la mia espressione, come leggendomi nel pensiero.
« È così evidente? » Mi batto il palmo della mano sulla fronte.
« Perché non ce la faccio, a farmi piacere Chris? » domando sconfortata.
« Perché l’amore è amore. E purtroppo non puoi decidere chi amare » dice, con il tono di una che la sa lunga.
« E con Albus, allora? Consigli a me di dire a Scorpius ciò che provo, ma tu non vuoi ammettere che sei innamorata di mio cugino da anni » mi metto sulla difensiva.
Lei sospira e comincia ad arrotolarsi sull’indice una ciocca di capelli bruni.
« Non è così semplice. Se lo ammettessi non succederebbe nulla. A lui piace Hope Zabini di Corvonero. Li ho visti insieme, più di una volta. Lui le teneva la mano e si baciavano. Decisamente si stavano baciando. »
« E non mi ha detto nulla? Brutto… Ehm, scusa. Jade, non è giusto per nessuna di noi due che sia così complicato innamorarsi. »
« Innamorarsi è fin troppo facile. Ammetterlo a se stessi è la vera sfida. »
 
Era così tanto tempo che non mi sedevo sul tetto del castello che mi sento mozzare il fiato quando lo raggiungo, assieme a Jade. Quasi tutti i tetti sono disegnati a forma di cono, il che è abbastanza scomodo per riuscire a starci seduti sopra senza scivolare. Nella parte sud dell’edificio, però, un tetto piuttosto lungo e stretto, pur essendo ripido, è costellato di finestre che sbucano dalle tegole in maniera orizzontale, così da potercisi appoggiare sopra comodamente e osservare il meraviglioso panorama davanti agli occhi.
Indosso due felpe e un maglione oltre al mantello e al giaccone, e Jade ha anche portato una coperta per tenerci ancora di più al caldo.
« Se ci scoprono qua ci fanno il culo a strisce » bofonchia rabbrividendo.
« Lo so. Lo ripeti ogni volta. E per ora non ci hanno mai viste quassù. »
« Succederà. »
« Certo che sei proprio una persona ottimista » la sgrido.
« Sono successe così tante cose da quando siamo qui » cambia improvvisamente discorso qualche minuto dopo.
« Concordo. Ma non facciamo le tragiche! Ci sono poche cose che m’interessano: essere qui ed essere viva. Quello che succede là fuori – indico la distesa di montagne scure davanti a noi – lo sistemeremo quando verrà il momento. »
Riprendiamo a scherzare e a parlare come al solito, urlando e zittendoci a vicenda, chiacchierando e discutendo.
Quando sento di avere le palpebre pesanti e non ce la faccio più a tenere gli occhi aperti, scendiamo dal tetto e rientriamo.
I due Prefetti di Tassorosso si trovano fuori dal proprio dormitorio e marciano su e giù davanti al quadro d’ingresso, come due sentinelle pronte a prendere a pugni chiunque osi fregarsene del coprifuoco e vagabondare per la scuola alla sera tarda.
« Ci vediamo domani, Rosie » mi saluta Jadie sussurrando e dirigendosi verso il Buio.
« Buonanotte » le rispondo con un sorriso.
Raggiunta la seconda rampa di scale, a passo lento e stanco, mi sento chiamare da una voce profonda e molto accentata.
« Ciao Chris » lo accolgo.
Ci incontriamo a metà fra le due scalinate, lui col fiatone, io con le guance bollenti, e prima di potergli domandare per quale motivo mi abbia chiamata, mi zittisce con un sorriso gigante capace di abbracciarmi. Appena poso lo sguardo sui suoi occhi color cielo, però, mi accorgo che essi sono stranamente freddi e distaccati.
« Esci con me domani? » esordisce.
Stringo i denti e faccio mente locale per ricordami se ho impegni.
« Certo, dopo Storia della Magia » lo informo.
Chris avvicina la sua bocca alla mia e preme le sue labbra sulle mie con aggressività. Non lo fa dolcemente, perciò non solo mi dà fastidio ma anche un senso di paura.
Mi stacco dissimulando il fastidio con uno sbadiglio.
« Allora ci vediamo domani » chiudo il discorso, tramite un sorriso forzato.
Mi volto e salgo le scale con più fretta di prima per raggiungere al più presto la mia torre.
Sono quasi le undici di sera ed io sto camminando su e giù consumando il parquet della Sala comune. Jade non mi ha voluta assolutamente lasciare sola, dopo aver visto la mia reazione al bacio di Chris, e così mi ha seguita.
Ora è appoggiata stancamente a una colonnina del mio letto, mentre gioca con un angolo del copriletto scarlatto.
Ovviamente il coprifuoco è scattato, ma essendo la mia amica un Prefetto, non ha alcun tipo di problema a dissimulare la rottura di una regola con una normale ronda.
« Non riesco a spiegarmelo » mi interrompe nel bel mezzo di quello che presumo sia un monologo. « Se non ti piace, perché ci esci?! »
« Intanto usciamo insieme solo da una settimana » preciso. « E poi, lo faccio perché non posso passare la vita dietro a Scorpius, che per inciso… » mi blocco.
« Che per inciso cosa? Mi dai fastidio quando ti interrompi a metà di una frase, lo sai » dice, insofferente, la mia amica più puntigliosa.
« Allora non ne parliamo più. »
« Ma cosa pensi di avere da perdere, eh? »
Si alza dalla poltrona su cui era distesa e si spazzola la gonna perfettamente stirata, pronta a tornare al suo dormitorio.
« L’imbarazzo della situazione, nel caso molto probabile in cui non ricambiasse. E poi, a malapena ci parliamo civilmente » confesso.
Mi abbandono sul divano a braccia spalancate, pronta invece a una bella dormita.
 
« Ehi, Rose » mi saluta Chris, portandomi un braccio attorno alla vita, il pomeriggio seguente. Mi posa un bacio sulla guancia e mi accompagna fuori dal castello.
Ma sì, andiamo a nasconderci ancora.
« Com’è andata oggi? » mi chiede per rompere il silenzio.
« Il solito. Noioso. Ieri c’è stata la partita dei Falcons contro i Cannoni di Chudley e… indovina chi ha vinto! » esulto entusiasta.
« I Cannoni? » domanda.
Per le braghe di Merlino.
« I Falcons, ovviamente » sospiro, ora infastidita.
Ci sediamo all’ombra di un albero, uno di quelli che segnano il confine fra il giardino del castello e il nostro potenziale letto di morte, la Foresta Proibita. Ascolto il silenzio carico di suoni che ho attorno. Scorpius sarebbe fiero di me. Ho creato un ossimoro con un senso.
Sei con Chris, sforzati di esserne felice. La maggior parte delle ragazze di Hogwarts pagherebbe per avere la possibilità di uscire con lui, dice una vocina fastidiosa dentro la mia testa.
TACI.
Chris volta la testa verso di me e mi afferra il mento con una mano. Le mie, di mani, rimangono inerti sull’erba fresca. Volta un po’ la testa di lato e sento le sue labbra morbide posate sulle mie, stavolta con più dolcezza. Quando ci stacchiamo, appoggio la testa al tronco del pino, il quale mi gratta un po’ la nuca con la sua corteccia ruvida.
« Pensi mai di andartene dall’Inghilterra? » mi domanda improvvisamente Chris, fissandomi.
« Be’, non vorrei mai andarmene perché qui ho tutta la mia famiglia e i miei amici e poi Hogwarts mi piace, ma allo stesso tempo vorrei studiare ad una università babbana all’estero. »
« E cosa faresti, dopo? »
Non gli rispondo subito, fingo di pensarci su.
Il mio sogno è troppo personale e privato perché lo racconti a una persona appena conosciuta qual è Chris.
« Voglio diventare un Auror. Sarà banale, insomma, tutta la mia famiglia lo vuole, o lo è, ma è un desiderio che ho da quando ero piccola » mento. « E tu? »
« Mi piacerebbe lavorare al Ministero. So che riuscirei a cambiare qualcosa al suo interno » spiega subito, con aria pensierosa.
Non mi piace il modo in cui lo dice. Non sembra avere buone intenzioni, anche se non si può proprio dire che sia un ragazzo crudele.
 
***
 
Due settimane dopo, alla vigilia della partita Serpeverde-Corvonero, mi ritrovo seduta sugli spalti, accanto a Scorpius e Albus, due ore prima dell’effettivo inizio del match.
« James ci avverte pochi minuti prima di entrare in campo da chi sarà composta la formazione del giorno » gli sto spiegando. « Lo trovo un po’ azzardato, ma così riesce a fare allenare tutti allo stesso modo. Non sai mai se giocherai o no. »
« Rosier invece ce lo dice settimane prima. Pianifica dettagliatamente ogni singola mossa e contromossa. Immagina quanto dev’essere noioso giocare una partita della quale sapevi già tutto » risponde con mia grande sorpresa Scorpius.
« Almeno imparate a muovervi con i compagni. Comunque devi tener sempre presente l’elemento sorpresa. Non è detto che gli avversari si comportino come avevate predetto » lo avverto.
Oggi Scorpius non giocherà, mentre Albus, nel ruolo di Cercatore, ovviamente sì. Ecco un’altra delle doti di mio cugino. È un giocatore eccezionale, probabilmente il migliore della squadra, anche se spesso, per amicizia, Rosier preferisce far giocare Avery.
L’arena è ricoperta da stemmi in stoffa blu e bronzo rappresentanti un corvo con le ali spiegate al centro; essi sono alternati agli stemmi verde-argento dei Serpeverde, che brillano alla luce del sole, ormai non più caldo.
Le torrette dalle quali gli spettatori adulti riescono a vedere meglio la partita, posizionate rispettivamente ad ogni punto cardinale, sono ricoperte di stemmi issati stamani dai maghi responsabili. Non ho ancora potuto giocare in questo campo, ma durante la prossima partita, che si svolgerà al ritorno dalle vacanze natalizie, contro i Tassorosso, James mi ha assicurato il posto in squadra.
Manca appena una settimana per la partenza da Hogwarts e il ritorno a casa e quasi non me ne rendo conto.
Le ultime verifiche del trimestre sono andate, ho ottenuto ottimi esiti, e manca solamente il test di Pozioni, fissato a domani. Le cose con Chris stanno andando, fortunatamente, abbastanza bene. Ci vediamo molto di rado, più o meno due volte alla settimana, ci incontriamo nel giardino o nelle nostre Sale Comuni e parliamo un po’ per conoscerci perché alla fine non siamo nulla di più di semplici conoscenti.
Mi sembra incredibile pensare a quanto desiderassi uscire con quel ragazzo prima di conoscerlo, e ora che il mio desiderio si è realizzato, non è per nulla quello che volevo. Karma? Merlino che si diverte a giocare con noi?
Ho scoperto che Chris è figlio unico ed è stato adottato da una famiglia babbana, quando suo padre, a causa di un incidente sul lavoro morì, e sua madre per la disperazione impazzì. Aveva più o meno quattro anni e per fortuna venne immediatamente adottato dagli Skyes.
Anche se ancora non mi fido di lui, qualcosa mi trattiene dal farlo, ed è una sensazione orribile, sto iniziando ad aprirmi di più.
L’aria fresca mi avvolge come un mantello appena lavato e per un po’ lascio che mi scompigli i capelli.
Un grido che suona molto come « Albus, porta giù il culo! » ci raggiunge e costringe mio cugino ad abbandonarci.
« In bocca al lupo! » gli auguro. Sono una grande tifosa di Al, nonostante quei luridi scarafaggi della sua Casa ci abbiano stracciati, durante la scorsa partita.
Lui mi rivolge un sorriso e fa un cenno col capo al suo migliore amico.
Quando si allontana, mi accorgo di essere rimasta da sola con Scorpius.
Siamo soli.
Come in biblioteca.
Ma non importa, perché io esco con Chris.
Anche se non stiamo insieme.
Non mi piace nemmeno.
O forse sì.
Oh, ma chi prendo in giro?
Nello stesso, preciso momento, entrambi apriamo la bocca per parlare, e formuliamo la medesima domanda: « Cosa farai durante le vacanze di Natale? »
Ci guardiamo negli occhi, azzurro e grigioverde, e scoppiamo a ridere. Qualche secondo e torna tutto normale. Gratto le unghie sui jeans sgualciti e lui mi invita a rispondere per prima.
« Come sempre, passerò la maggior parte del tempo con i parenti. A Capodanno credo che i miei cugini abbiano intenzione di organizzare una festa. Eppure pensare che partiremo già domenica prossima non mi rende felice come pensavo. »
« E perché no? » chiede, sinceramente interessato.
Non ti rivedrò per tutte le vacanze di Natale, sto pensando quando mi pone la domanda.
« Sai, con tutte le cose che ho qua, il gruppo, il Quidditch, gli amici, la tranquillità. »
Non mi azzardo a dire anche le ripetizioni con lui per evitare di espormi troppo.
« Inoltre, ho litigato con mia madre per tutta l’estate, non è che ci tenga tanto a rivederla. »
« Non hai inserito Chris nel tuo elenco » nota, tamburellando con le dita sul legno, creando un suono soffocato dai guanti che indossa.
« Come fai a saperlo? » mi allarmo.
Non credo di aver mai detto a Scorpius che esco con Chris, e non credo nemmeno di aver girato con lui per i corridoi della scuola mano nella mano. Lui non vuole farsi vedere e io purtroppo ne capisco i motivi. Al contrario di quelli di Scorpius, i suoi sono più che plausibili.
« Siamo compagni di stanza da cinque anni. Qualche volta ci parliamo, sai » ghigna, smettendo di tamburellare.
I primi spettatori si accomodano sugli spalti dalla parte opposta rispetto a noi, ma accucciati come siamo, dubito riescano a vederci.
« Be’, giusto » commento, arricciandomi una ciocca già abbastanza riccia. È una specie di tic nervoso che ho preso guardando Jade farlo tante volte. « Tu che farai? » svio il discorso, quando è palese che non ha intenzione di aggiungere altro.
« Resterò a scuola. Per la prima volta. Mamma quest’estate mi aveva promesso che mi avrebbe portato in Francia durante le vacanze, ma qualche giorno fa mi è arrivata una lettera che diceva che anche se mio padre è stato assolto da tutte le accuse, non possiamo partire » spiega, avvilito.
Si stringe nella felpa nera e io rabbrividisco a causa di una corrente di aria gelida. Inizio a battere i denti ma non lo do a vedere, perché voglio continuare a parlare con lui finché mi sarà possibile.
« Che schifo. Perché non vai… che ne so, dai nonni? » propongo.
« Mi sentirei fuori luogo. E poi sono troppo rigidi. Se osassi solo chiedergli di uscire una sera coi miei amici, a mia nonna prenderebbe un infarto. »
« Ah, ho capito » rispondo vagamente, con un’idea che mi vortica in testa, ora senza nascondere i brividi.
« Hai freddo? Sempre così voi donne. Rientriamo, dai » dice.
Speravo di più in qualcosa alla “ti do la mia felpa” ma poco importa. È sempre di Malfoy che si tratta.
« Sì, rientriamo » bofonchio amareggiata.
Cammino qualche passo dietro di lui così non sembra che stiamo andando nella stessa direzione di proposito. Una volta nel torpore del castello, ci dividiamo con un secco « Ciao » e mi avvio verso la mia torre per prendermi una felpa pesante in più e una giacca.
Aspetto che Jade mi raggiunga davanti al portone d’ingresso e una volta fuori veniamo entrambe accolte dal fresco vento del primo pomeriggio di un giorno di metà dicembre.
Raggiungiamo velocemente il campo, schierandoci dalla parte dei Corvonero.
James mi brucerebbe viva se osassi tifare per i nostri storici nemici. E io ci tengo alla pelle.
Anche se Jade è ovviamente una Serpeverde, non ama il Quidditch, e tiferà silenziosamente la sua squadra anche da qua.
Il clima così felice e carico di speranze tipico di questi periodi mi contagia e mi fa completamente dimenticare delle cose che accadono fuori dalle mura sicure di Hogwarts. A Natale, anche i cattivi diventano buoni, no?
La partita dura poco, e anche stavolta sono i Serpeverde a vincere con un distacco non insignificante.
All’uscita degli spogliatoi attendo mio cugino, che si è meritato tutti gli applausi ricevuti (escluso quel carciofo di suo fratello) per aver preso il boccino in meno di due ore.
« Sei stato grandioso » lo travolgo con un abbraccio non appena esce.
Ha i capelli bagnati e profuma di sapone e shampoo.
« Grazie » ride, soffocato.
Dietro a lui si materializzano il portiere e capitano Rosier, seguito dagli altri membri della squadra: Selwyn, la Nott, Goyle, Rookwood, Travers e una ragazza alta almeno un metro e settantacinque, magra ed esile, con le gambe lunghissime. È bionda, ha i capelli che le sfiorano la cintura dei jeans, tirati dietro alle orecchie, e gli occhi dal taglio allungato, sono di un azzurro acceso bellissimo. Ha le orecchie a sventola, allungate anche quelle, con un che di elfico. Il mento è piccolo e appuntito e si intona perfettamente al viso ancora da bambina della ragazza.
Sta sfoggiando un bellissimo sorriso, che le illumina gli occhi già abbastanza luminosi e sono certa di averla vista in giro per la scuola, ma di non averla mai guardata veramente.
Durante la partita, il nostro cronista Aaron, all’altoparlante, la chiamava “Olivia Dolohov”. Dolohov come il Mangiamorte inventore della maledizione? Mi riesce difficile credere che quella ragazza così bella e apparentemente dolce sia veramente discendente del seguace di Voldemort.
La squadra si allontana senza degnare Albus di uno sguardo.
Gli lancio un’occhiata preoccupata e lui fa segno che non è nulla. « “Fraternizzo col nemico”, secondo loro » scimmiotta.
« Se il nemico è la tua famiglia, allora lo trovo stupido » sibilo, osservando il gruppetto sculettare a testa alta. Sono le persone come loro quelle degne di tutto il repertorio di parolacce di cui sono a conoscenza, persone narcisiste e presuntuose, che credono di essere superiori alla massa.
Albus alza le spalle ma vedo chiaramente che gli dispiace molto non essere poco più avanti, vicino a loro, se si conta anche la meravigliosa partita giocata oggi che festeggeranno a lungo.
« Eddai Al, sono degli stronzi. »
Colgo l’occasione di essere sola con lui e gli lancio l’idea che mi è balenata in mente qualche ora prima.
« A proposito, devo parlarti » dico, senza attendere la sua risposta. « Scorpius deve rimanere a Hogwarts per le vacanze di Natale » esordisco, cominciando a camminare verso il castello, e tentando di assumere un tono persuasivo. « Ci stavo pensando, e mi sono detta: “Ma Al è il suo migliore amico, magari lo accoglierà per il periodo delle vacanze, soprattutto perché non credo voglia lasciarlo da solo”. »
Metto particolare enfasi sull’ultima frase.
Albus mi conosce abbastanza bene da capirmi, e sa dove voglio arrivare. Ma, al posto di accettare la proposta, mi fa un’altra domanda spiazzante.
« Ma dimmi, ti piace Scorpius? »
« Macché, a me! Pff, andiamo a malapena d’accordo, lo sai bene. »
« Peccato, perché lui mi parla spesso di te. »
Sbianco in viso. « Davvero? » dico con la voce tremante, prima di capire, dall’espressione trionfante di mio cugino, che sta solo scherzando.
« Vaffanculo, questo era un colpo basso. »
Allungo il passo verso il castello mentre una pioggerellina leggera comincia a bagnare il cielo e la terra. È pomeriggio tardo ma il sole è già calato da tempo e ora tutto ciò che vedo attorno a me è buio e acqua.
« Lumos. »
La mia bacchetta si accende, illuminando il prato per due metri buoni dal mio naso.
Una decina di minuti e raggiungo il Castello, guidata dal vociare dei ragazzi tutt’ attorno. Mi sento come se mi avessero spolverizzata da cima a fondo con dello zucchero a velo di acqua e rabbrividisco per il freddo. Alla sera, ormai, il termometro tocca le tacche sotto lo zero e non manca molto all’inizio delle prime nevicate.
Appena metto piede nella Sala Grande per la cena, vengo attraversata da un calore rassicurante e bellissimo, una sensazione che mi entra nelle ossa come farebbe un buon tè caldo durante una gelida giornata invernale.
Raggiungo le mie compagne di stanza al tavolo, che immagino siano arrivate qualche minuto prima di me, trovandosi anche loro alla partita.
« Hugo ti cercava » annuncia Meg appena prendo posto. « Dice che è molto importante. »
« Cosa è molto importante? » domando stupidamente.
« Quello che deve dirti » risponde altrettanto stupidamente lei.
La ringrazio sarcasticamente e mi servo il cibo nel piatto, gustandolo piano e osservando le persone attorno a me.
Controvoglia, poso lo sguardo su Albus, seduto, naturalmente, accanto a Scorpius.
Mi trovo a masticare con rabbia chiedendomi che cosa si stiano raccontando quei due. Prego che Albus tenga la bocca chiusa, perché sono sicura che lui sapesse da molto tempo quello che provo, e conoscendolo ho un barlume di speranza che lo farà. Di solito sa tenersi i segreti per sé e non è sicuramente una di quelle persone che raccontano i fatti degli altri in giro.
Mi domando che cosa voglia dirmi Hugo, e proprio quando decido di alzarmi dal tavolo per spostarmi in Sala Comune e chiedere a Belle e Meg di tornare in stanza a ripassare gli appunti di Pozioni, Dominique corre verso di me con il fiatone.
« Rosie, sei in un mare di casini. »
Inizialmente non riesco a metabolizzare la frase. Le sorrido come una cretina, ma quando noto il viso serissimo di Dominique, deglutisco a fatica.
« Co-cosa… co-come? »
« Non so cosa sia successo so solo che hanno chiamato Fred Roxanne James altri Grifondoro e qualche Serpeverde dalla McGranitt me l’ha detto mio fratello che era ancora sugli spalti vicino a loro quando la Preside si è avvicinata e li ha chiamati nel suo ufficio ha fatto anche il tuo nome ha detto che doveva trovarti e oh oh » sputa tutto d’un fiato, gesticolando come un’indemoniata e facendomi capire forse un decimo delle parole che ha detto.
“Oh oh” però lo capisco molto bene e mio malgrado mi costringo a voltarmi nella direzione in cui mia cugina sta guardando con gli occhi spalancati.
« Weasley, nell’ufficio della Preside. Ora. »
Tante volte mi è capitato di sentire quelle parole, nel corso di cinque anni di scuola, ma mai con così tanta calma calcolata che mi fa sudare freddo.
Io lo giuro sulle braghe di Merlino, stavolta non ho fatto niente.
 
Esco dalla Sala Grande senza Belle, Maggie o Dominique, rimaste in piedi, attonite e sconvolte quanto me, a fissarmi.  Cammino dietro all’alta figura del professor Wessex per quello che stimo come un quarto d’ora, salendo velocemente ogni rampa di scale, fino a raggiungere una statua di gargoyle attraverso la quale sono passata non meno di una ventina di volte.
Wessex pronuncia « Coda di rospo » molto stancamente e dalla posizione delle spalle, il trascinarsi dei piedi e le rughe attorno agli occhi e sulla fronte, capisco che è molto preoccupato e sta invecchiando parecchio.
Quanti anni avrà? Quarantacinque? Come fai ad essere così vecchio già a quarantacinque anni? Per quanto riguarda le preoccupazioni, non posso biasimarlo. Anche se ultimamente si respira un clima festivo, so bene che là fuori i Purificatori non si fermeranno sicuramente perché un grasso signore con la barba bianca passa a portare i regali ai bambini.
L’unico problema è che, essendo cresciuta e avendo sempre vissuto in un ambiente sicuro, è molto difficile riuscire a immaginarmi un mondo in cui si combatte per la propria vita e per quella dei cari. Finché non provi sulla pelle un’esperienza del genere, nonostante tutti i racconti che senti, non capirai.
Immersa in questi pensieri, salgo le ultime scale che mi separano dalla verità, con una lentezza calcolata ma non troppo perché Wessex se ne accorga.
Tanto ormai sono arrivata fino a qua. Potevo pensarci prima, a scappare.
Quando apro la pesante porta di legno, scorgo immediatamente una dozzina di ragazzi messi in fila davanti alla scrivania della McGranitt. Dall’anno scorso, nulla è cambiato.
I ritratti dei vecchi Presidi sonnecchiano tranquilli, beati nelle loro cornici eterne. Quella del professor Silente però è sveglia e all’erta. Sta passando lo sguardo su ogni ragazzo presente nel suo vecchio studio e infine si posa su di me. Nonostante sia solamente un dipinto, sembra che i suoi occhi chiarissimi e limpidi e puri mi riescano a guardare dentro e per la sensazione di disagio distolgo lo sguardo.
Un orrendo sospetto mi pizzica una parte del cervello ma tento di scacciarlo perché sarebbe troppo assurdo. Mi attanaglia un senso di ingiustizia insopprimibile, ma preferisco deglutire e sapere di cosa sono stata accusata prima di saltare a conclusioni affrettate.
La professoressa McGranitt, alta, nonostante la sua età, ed austera come sempre, si alza dal suo trono di legno. Non l’avevo notata prima e così, una volta in piedi, mi sento ancora peggio.
Non hai fatto nulla, non hai fatto nulla, non hai fatto nulla, non hai fatto nu…
« Sicuramente sapete perché vi ho convocati qui » attacca la Preside con voce chiara e forte.
No che non lo so, per le mutande di Merlino!
« Ho sentito delle voci alquanto affidabili che mi hanno avvisata esserci un gruppo di ragazzi che hanno organizzato una festa natalizia per la sera della prossima domenica. Come ben sapete, appena un mese e mezzo fa, io e tutti i professori abbiamo convenuto doveroso punirvi non permettendovi più di organizzare delle feste, a seguito del comportamento tenuto la sera di Halloween. » Fa una pausa che non fa altro oltre che farmi salire il panico. « Questa voce mi ha fatto i vostri nomi e io, lo ammetto, non mi sono trovata sorpresa nel constatare che siete sempre voi a finire nei guai » si interrompe, come se fosse stato molto faticoso parlare fino a quel momento.
Davvero gentile, da parte sua, farci capire quanta stima nutra nei nostri confronti. Grazie, Preside.
Osservo le schiene delle persone che si trovano di fronte a me. Ne conto dodici, me compresa. Riconosco Fred, Roxanne, James, Aaron, Mahonei, Avery, Gabriel Rush, Thalia Nott e le altre tre persone mi sembrano sconosciute.
« Brevemente, verranno tolti centocinquanta punti a Serpeverde e a Grifondoro, e ognuno di voi verrà punito personalmente. Al ritorno dalle vacanze vi verranno assegnati i castighi. Scriverò alle vostre famiglie. Non ho altro da dirvi se non che mi avete delusa parecchio » annuncia in tono categorico.
La McGranitt si volta verso la scrivania e vi appoggia i palmi. I ragazzi, invece, si dirigono verso la porta.
Individuo allora Philip Thomas e Kyler Finnigan, seguiti da un ragazzo basso e tozzo che non ho mai visto prima d’ora ma, a giudicare dalla divisa, è un Serpeverde. Solo allora i miei cugini, pur tenendo la testa bassa, mi notano.
« Rose? »
Sembrano sorpresi quanto me.
« Io… non ho fatto niente » mugugno.
Loro sembrano boccheggiare alla ricerca di parole, ma non dicono nulla. Con aria colpevole mi superano e scendono le scale.
Nell’ufficio, che mi sembra diventare improvvisamente soffocante, rimaniamo io, Wessex, Rush e la Nott, che stanno raggiungendo l’uscita con passo pesante, e la McGranitt.
« Professoressa » tento di richiamare la sua attenzione, ma dalla bocca mi esce solo un sospiro flebile. « Professoressa » riprovo, a voce più alta.
« Weasley, fuori di qui » ordina senza voltarsi. 
« La prego, lei deve ascoltarmi, io questa volta non c’entro niente, deve credermi! » le parole escono spontaneamente, con una punta supplichevole. Forse era qualcosa in più di una punta.
« Weasley, hanno fatto anche il tuo nome, perché dovrei crederti? »
Ora mi guarda negli occhi, e qualcosa si rompe, come se fosse stata personalmente ferita da ciò che crede io abbia fatto. Ha la mascella stretta e non c’è un capello che esca dalla sua crocchia puntata sulla nuca.
Mi avvicino cautamente alla sua postazione, ma mi fermo dopo qualche passo.
« Ma io non le mentirei! » sussurro molto meno sicura di quanto suonasse nella mia testa.
« Weasley, fuori di qui. »
 
« Come hai potuto?! » sbraito non appena individuo James, in fondo ad una rampa di scale. « Come hai potuto stare zitto e lasciare che venissi accusata ingiustamente?! »
Lui solleva gli occhi dal pavimento, ma sono vuoti e so che non ha voglia di parlare con nessuno, al momento. Ma a me non frega nulla. Sono furiosa con lui, con Fred e perfino con Roxanne.
« Rispondimi! » urlo, sperando, per una volta, che più persone possibili mi sentano. « Eri troppo impegnato a pensare a come pararti il culo, eh? Nonostante questo casino l’abbia combinato tu! » continuo imperterrita, avvicinandomi sempre di più.
« Senti, non è il momento. Lasciami in pace » grugnisce.
Ora sono a una decina di centimetri dal suo naso.
« E invece è il momento eccome. Vai dalla McGranitt e dille che io non sapevo nulla, che sono stata incolpata per errore. »
Punto un piede a terra, sentendo il sangue affluire alle guance.
« No » risponde. « Non ho intenzione di fare proprio nie… »
Non aspetto che termini la frase e gli tiro uno schiaffo sulla guancia, il più forte che riesco a dare.
Con uno sciaff mi libero di tutta la rabbia verso di lui, poi mi volto, senza attendere la sua reazione, e sbattendo i piedi sul marmo duro quanto il suo cuore egoista, raggiungo la mia Sala Comune.
 
Ventiquattro ore dopo, mi trovo in biblioteca, con il viso abbandonato sui palmi delle mani. Scorpius è in ritardo di cinque minuti, alquanto insolito per uno come lui.
Nell’attesa del suo arrivo, ripenso alla giornata di oggi: ripenso alla preoccupazione per il test di Pozioni, alla malinconia nel vedere Dominique passare accanto al ragazzo che per due anni è stato il suo fidanzato e non degnarlo di uno sguardo, ripenso al risentimento quando ho visto James, al senso di impotenza che ho sentito di fronte alla McGranitt ieri sera. È incredibile quante emozioni lontane dalla felicità si possano provare in una giornata. Come in ventiquattro ore si passi dalla preoccupazione, alla malinconia, al risentimento, all’impotenza, al vuoto e alla noia di questo momento.
E allora mi rendo conto che non esistono solo felicità e un po’ meno felicità. Esiste anche il vuoto, la mancanza di sentimenti.
In fondo vuoto significa “privo di”. E “privo di” presuppone certamente che prima ci fosse qualcosa.
Scorpius stavolta si siede accanto a me, non di fronte. Mi sento il suo sguardo addosso ma non mi volto dalla sua parte.
« Sai, tutto è così ingiusto » mi limito a sussurrare. Mi riferisco letteralmente a tutto.
« Io… » comincia il suo discorso, e sono certa di non volerlo ascoltare, così mi volto e apro la bocca, ma lui mi ferma. « Io credo che sia tutto dentro alla tua testa. Tu vuoi che qualcosa vada male? Allora sarà così. Tu credi che tutto vada male? È per questo che non vedi il lato positivo. Non vedi l’altra faccia della medaglia. »
« Che stronzata » sbuffo.
Che lato positivo ci può essere in tutto questo? Non ho parlato con Jade dell’accusa della McGranitt oggi, perché non ero dell’umore di comunicare con nessun essere vivente.
Ero quasi tentata di saltare anche l’appuntamento con Scorpius, ma poi mi sono detta che le conseguenze sarebbero state peggiori della perdita di centocinquanta punti e la costrizione ai lavori forzati.
Senza le ripetizioni di Scorpius, si innescherebbero una serie di reazioni che porterebbero alla mia deportazione da Londra ad un collegio di clausura da parte di Hermione Granger.
« Non sei una persona ottimista, lo so » continua Scorpius, piegandosi sul tavolo senza più guardarmi.
E come fai a saperlo se a malapena mi conosci, eh?
« E so anche che è difficile credere che le cose andranno bene quando si mettono male. Ma passerà. Basta essere pazienti. La rabbia ti consuma dentro e anche il risenti… »
« Adesso fai anche l’uomo vissuto, oltre che lo psicologo? » lo interrompo con fastidio.
« Mi tratti peggio di una sconosciuta e ora decidi che ho bisogno di lezioni di vita solo perché ti sembro giù? Be’, grazie, ma io non ne ho bisogno. »
Mi alzo in piedi e mi metto la borsa sulla spalla, spostando rumorosamente la sedia. Cammino verso la porta e non mi preoccupo di fare silenzio quando me la sbatto alle spalle.
 
La mattina seguente, mentre sto andando a fare colazione, noto che James sta camminando verso di me.
Abbasso lo sguardo, fingendo di non averlo visto. Qualcuno, però, ha deciso che oggi è la giornata giusta per farmi notare da lui.
« Rose » mi chiama, quando si trova davanti a me.
In tono monocorde gli rispondo: « James. »
« Ho detto tutto alla McGranitt » dice, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Resto spiazzata qualche secondo.
« Era ora » sussurro. Poi mi sciolgo e mi lancio addosso a lui, stringendolo in un abbraccio. « Mi dispiace. »
« Non mi hai fatto male. »
Guardandolo un’ultima volta, esco dalla Sala Grande.
Di sottecchi cerco di distinguere una testa bionda fra la moltitudine di studenti seduti al tavolo dei Serpeverde e quando finalmente la riconosco, gli lancio uno sguardo aperto e noto che mi sta osservando. Distolgo lo sguardo duramente.
 
 
Note sul capitolo:
Sono riuscita finalmente a pubblicare questo (orrendo, a mio parere e decisamente lungo, ho notato) capitolo, anche se con parecchio ritardo. Scusatemi!
Ringrazio di cuore cissy1303, come sempre puntuale nella sua fantastica recensione e anche Malandrina24 per essersi fatta sentire e avermi fatto sapere la sua opinione.
Ringrazio anche chi ha messo la storia fra le preferite/seguite/ricordate, chi legge silenziosamente la mia FF e chi ci ha anche solo fatto un salto!
Non mi resta che chiedervi di ritagliare qualche minuto per commentare la mia storia :D
Al prossimo capitolo,
Ellie.

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