All'ombra del Corvo

di Strekon
(/viewuser.php?uid=67)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Rendez-vous ***
Capitolo 3: *** Lupus in Fabula ***
Capitolo 4: *** Mannequin ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO
 
La strada era battuta da un vento sferzante, come se la notte stessa volesse divorare quella foresta. Nubi minacciose annunciavano la pioggia imminente. La donna camminava svelta, sostenuta dall’uomo in armatura che con la spada si apriva la via fra i rami bassi. L’altra mano non lasciava il braccio della donna e lo stringeva fino a farsi venire le nocche bianche.
“Klaud, ti prego, piano…” supplicava la donna, ma Klaud sembrava non ascoltarla. Sbuffava e spingeva i rami incurante dei graffi.
Finalmente trovò un sentiero. Ormai dovevano essere al sicuro, lontani dai loro inseguitori.
La donna si fermò appena Klaud lasciò la presa su di lei. Strinse a sè il fagotto che aveva tenuto stretto solo con un braccio, fino ad ora. Dal fagotto scaturì un pianto molto silenzioso.
“Shhh, no, buono piccolo Elija, c’è la mamma qui con te…” la donna lo cullò dolcemente, sperando si calmasse e smettesse di piangere.
“Sonja fallo tacere” Klaud si guardava intorno. Le creste degli alberi danzavano a ritmo del vento. Il sentiero era vuoto. Si caricò meglio lo zaino sulla spalla coperta dal cuoio e rinfoderò la spada.
“Andiamo, dobbiamo trovare un riparo per la notte” decise Klaud. Sonja lo seguì cullando il neonato fra le braccia. Lo coprì meglio, rincalzando la sua sciarpa di lana attorno al volto del bebè.
“Elija è spaventato, Klaud” ma il guerriero non rispose. Si accarezzò i capelli castani fino a farli scomparire dietro l’orecchio.
“Ho visto delle luci su quella collina. Raggiungiamo la cima e speriamo ci possano accogliere”
La pioggia era arrivata. Pochi spruzzi, premessa per la tempesta.
Si ripararono sotto un albero dalle fronde fitte. Klaud cercò le luci della collina. Ancora pochi minuti e sarebbero arrivati.
“Meglio aspettare che si fermi un po’. Elija potrebbe ammalarsi” disse il guerriero. Poi si tolse il mantello di lana e vi avvolse madre e figlio. Sonja gli sorrise e lui non poté fare a meno di carezzargli una guancia.
“Tranquilla amore mio, non ci seguiranno a Mordent”
Lei annuì, rassicurata dalla parole del marito. Sapeva dargli molto coraggio quando lei ormai non ne aveva più. Anche Elija sembrò calmarsi, e chiuse gli occhi.
Fu Klaud ad alzare la testa quando sentì lo scalpicio nel fango. Passi vicini. Forse troppo.
Alzò con uno strattone la moglie e la trascinò per il sentiero.
“Vi seguiremo fino alle nebbie, Klaud” un uomo si parò loro davanti “E anche oltre, se necessario”
Klaud si mise fra l’uomo e la moglie. Appoggiò la mano sull’elsa e incrociò lo sguardo di sfida.
“Fammi passare, Zahn” sillabò seccato. Zahn non si mosse, o almeno non parve volerlo fare, ma con un movimento fluido del braccio estrasse prima una piccola spada, poi un pugnale.
“Non ne ho intenzione. A meno che non consegnate l’erede”
Nessuno parlò e Sonja sentì le lacrime pungerle gli occhi.
“Zahn ti prego…” la donna tentò di parlare, prima di mettersi a piangere.
“Sonja, lascia quest’uomo e vieni con me assieme ad Elija”
“Verme, come osi pronunciare il suo nome!” Klaud sfoderò la spada e affondò su Youri, che con un agile saltello scivolò sul fango ed arretrò senza essere colpito.
“L’erede deve morire, Sonjia, lo sai! Avresti dovuto pensarci!” Zahn urlò, coperto dalla pioggia che ormai incalzava. Alzò la spada vicino al volto di Klaud che riuscì a deviare il pugnale solo all’ultimo secondo. Alzò la spada e scostò il pugnale per tentare un altro affondo, ma Zahn fu più veloce ed incastrò la sua lama fra l’elsa del pugnale e quella della spada corta.
“Stai solo perdendo tempo. Arriveranno presto, e con te e il tuo bastardo io avrò già finito” sibilò Zahn in faccia al suo nemico. Klaud digrignò i denti e sollevò con forza la spada, librandola dalla trappola del suo avversario. Colpì, una, due, tre volte, schiantandosi sempre contro la lama di Zahn.
“Sonja, vattene! Porta Elija via da qui!”
La donna tremò alle parole del marito. Si stava sacrificando. La lasciava scappare mentre lui sarebbe andato contro morte certa. Se non contro Zahn, non avrebbe certamente resistito all’arrivo degli altri due.
“Vattene!” urlò ancora Klaud colpendo come un pazzo la difesa di Zahn e creando un varco dove la donna potesse scappare.
Sonja strinse gli occhi colmi di lacrime e prese a correre fra il fango e la pioggia scrosciante. Dopo pochi metri la foresta sarebbe finita e sarebbe stata allo scoperto. Elija si era svegliato e la pioggia gli bagnava il volto pallido. Lei lo coprì completamente con la sua sciarpa di lana e corse all’impazzata verso l’unica cosa che vedeva. La luce in cima alla collina poteva essere la sua salvezza.
Non sentì le spade cozzare, e nemmeno il viscoso rumore della lama più corta che affondava nel ventre di Klaud. Il colpo di grazia fu il coltello piantato nella gola.
Vedeva solo quella luce. La luce di un edificio più alto circondato da basse mura di legno.
Era un monastero, non un villaggio. Non le importò, si attaccò al portone  e prese a battere i pugni più forte che poté
“Pietà! Vi prego dateci asilo! Pietà!” Elija piangeva, ma Sonja neanche lo sentiva da quanto urlava. La pioggia l’aveva ormai inzuppata completamente e sentiva le braccia sempre più pesanti. I sensi annebbiarsi e quasi perdere ogni speranza.
“Pietà…” sussurrò un’ultima volta prima di accasciarsi in ginocchio e svenire davanti al portone che si apriva.
 
V
 
“Si sta riprendendo…” Sonja sentì queste parole mentre ancora teneva gli occhi chiusi. Li aprì piano e credette di essere morta. Vedeva una gran luce e il bianco era il colore dominante. Era avvolta i panni bianchi e l’uomo che le stava di fronte aveva la carnagione pallida. Fece un sorriso sereno che gli fece increspare le rughe attorno al volto.
“Ben svegliata, sorella” la salutò il sacerdote dalle vesti grige. Sonja cercò di alzarsi, ma ottenne soltanto un gran dolore alla schiena.
“Non sforzatevi avete la febbre alta…”
“Chi…”
“Io sono François, sacerdote di Ezra. Siete al monastero della Roccia, Sonja, e avete dormito quasi per dieci ore”
Sonja prese l’energia rimastagli e cercò di parlare.
“Elija…sta…bene?”
“Il vostro bambino sta bene” François le sorrise sereno, nuovamente. Le carezzò la fronte con la mano ruvida e poté sentire il calore della sua pelle.
“Morirò, padre…” Sonja chiuse gli occhi e li sentì pizzicare. François non riuscì a negare quello che anche Sonja, seppur moribonda, aveva ormai capito.
“Io…”
“Padre, nel nome della sua Dea, deve farmi un giuramento solenne” allungò la sua mano pallida per afferrare quella di François.
“Deve proteggere il mio Elija…vogliono portarlo via…” prese fiato mentre la mano di François le teneva stretta le dita.
“Nascondetelo e non ditegli nulla di me e di lui.…”
“Va bene, lo proteggerò, ve lo prometto in nome di Ezra”
Sonja sospirò e si lasciò andare fra le lenzuola morbide. François teneva la mano stretta attorno alla sua.
“Qual’era il nome…il nome di vostro padre, François?”
“Christophe”
Sonja chiuse gli occhi e sentì un alito fresco carezzargli il collo. Sorrise prima di morire.
“Chiamatelo così, e non ditegli…”
 
V
 
Louis fece radunare i suoi ragazzi e si assicurò che fosse tutto in ordine. La tempesta della sera precedente aveva scoperchiato il tetto della mangiatoia dei maiali e una mucca era scappata dal recinto. Altri danni minori erano stati riparati dalla gente della comunità.
Era stata una bufera in piena regola, e l’arrivo di quella donna al capezzale del monastero aveva reso la nottata ancora più strana del previsto. Per non parlare di quello  individuo appena entrato dal portone e ancora avvolto nel mantello zuppo di acqua.
“Posso aiutarla?” salutò Louis avvicinandosi al nuovo arrivato. L’uomo si scrollò di dosso il mantello bagnato e allungò la mano verso Louis. Il capitano della milizia notò la ferita fresca nell’avambraccio e il coltello nel fodero, lungo il fianco.
“Forse sì. Mi chiamo Zahn e sto cercando una donna” lo spiccato accento Borcano confermò le ipotesi di Louis. La donna arrivata quella notte era senz’altro di quelle parti. Borca, ma più probabilmente, Barovia.
“Se ne cercate una in particolare temo di non potervi essere d’aiuto, messere”
“Non molto alta, mora, e con un bambino al seguito”
Louis sorrise e scosse la testa.
“Temo di no. Non nascono fanciulli dalla scorsa primavera. Ma può chiedere al villaggio più ad ovest, forse lì l’hanno vista”
Zahn si fece silenzioso e squadrò il capitano con occhi sottili.
“Capisco, chiederò altrove. Buona giornata”
“E a lei, messere. Arrivederci” Louis cercò di sorridere finché l’uomo non lasciò il monastero. Poi fece dietro front e raggiunse le stanze del monaco capo. François era in corridoio e pareva attenderlo.
“Dobbiamo parlare, credo”
 
V
 
“Lo cresceremo noi”
“E’ una follia François! Quel tizio avrebbe fatto la pelle all’intero villaggio se avesse sospettato che quella donna fosse qui!”
“Louis, capisco le tue preoccupazioni, ma l’ho promesso a quella donna su letto di morte”
Louis scosse la testa e guardò fuori dalla finestra.
“E alla gente come lo spiegherai?”
“Non diremo niente. Quello che sapranno, lo scopriranno per conto loro. E non saranno nemmeno sicuri che sia la verità”
“E’ un azzardo”
“Louis, quella donna ha sacrificato la sua vita per la salvezza di quel bambino”
“Non solo lei. I ragazzi stamattina hanno trovato un cadavere. Un uomo giovane, ucciso ai margini della foresta. Immagino sia collegato dato il tipo di ferite e le armi in cintura a quel uomo a cui ho parlato…”
“Forse era il padre…”
“Forse”
Calò silenzio e Louis si mosse soltanto dopo parecchio.
“Va bene, ma dovremmo essere cauti, almeno all’inizio. Sperando che quel Zahn non si faccia più vedere”
“E lo saremo” lo rassicurò François con una pacca sulla spalla.
“Ora dobbiamo organizzarci per il bambino e per dare sepoltura ai suoi genitori. Che Ezra ci accompagni”
Louis accennò con il capo un saluto e si diresse verso l’uscita.
“Speriamo lo faccia davvero” sbuffò prima di tornare nel cortile del monastero.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Rendez-vous ***


“Dopo un rapido viaggio in carrozza (di cui ho molto apprezzato la comodità dopo il mio soggiorno a Falkovnia). Sono giunta al cuore di Dementlieu. Port-a-Lucine nel complesso sembra essere molto antica, ma molti dei singoli edifici trasudano uno spirito di modernità. Costruita sul lato di una collina che discende fino all’orlo della Baia Parnault. […] Al centro della città in cima alla collina, vi è la Cattedrale Ste. Mere des Larmes, attorno alla quale si sviluppano un numero distinto di distretti. […] A Nord-Est vi è il Quartier Marchand, dove risiedono parecchi centri di affari. […] Di giorno, i moli del quartiere sono affollati…[…]…alla notte l’area diventa quasi deserta, eccezion fatta per furfanti e marinai ubriachi…”
 
da Gazetteer Volume III, Report One: Dementlieu

 
Capitolo 1
Rendez-Vous


 
Alexander Schneider attraversò la porta di legno, rovinata dalla pioggia, e uscì nel vicolo. Aveva messo da parte abbastanza denaro per acquistare strumenti e materiali da artigiano. Alexander avrebbe dato prova delle sue conoscenze di armaiolo.
Infilò il pacchetto annodato in uno straccio lacero dentro la sacca appesa alla spalla.
Il vicolo era umido per l’acquazzone della sera precedente. La pioggia di quell’inizio estate non lasciava tregua alla città.
I tombini dei vicoli come quelli spesso rigettavano il liquame delle fogne in strada, se le piogge erano troppo abbondanti. I topi scorrazzavano liberi per la città in quelle occasioni.
Alexander calò il mantello dietro la schiena e si incamminò lungo il lato opposto della strada. Avrebbe dovuto trovare un nuovo lavoretto per mantenersi. Il denaro gli sarebbe bastato soltanto per pochi giorni, ancora.
Stava per raggiungere la via principale, quando una carrozza color pece vi si fermò d’avanti. Alexander rallentò il passo senza toglierle gli occhi di dosso.
Era una carrozza di altri tempi, scura e intarsiata, ma rovinata dalla scarsa manutenzione. Sicuramente era appartenuta a qualche nobile.
Un vecchio raggrinzito dal portamento aristocratico, scese dal sedile del cocchiere. Le code della sua giacca strisciarono nel rivolo al centro del vicolo. Fece un gesto aulico e aprì la porticina della carrozza. Con uno scatto una scaletta di metallo sferragliò verso il basso sospinta dalla forza di gravità.
“La mia padrona vorrebbe parlarvi, monsieur” disse l’uomo, inchinandosi malamente e mostrando il capo addobbato da pochi capelli lunghi e grigi.
Alexander si diede un’occhiata attorno e aprì bocca.
“Perché? Chi è la vostra padrona?” disse, preoccupato. Aveva avuto guai con qualche nobile in passato, ma quella carrozza senza stemmi e quel cocchiere non gli facevano venire in mente nulla. Non avere grane con i ricchi era uno dei motivi per cui era emigrato a sud, lontano da Lamordia.
“Madame Araby Touvache, monsieur” disse l’uomo con devozione.
Il nome non disse nulla ad Alexander, ma il suo buon senso lo portò a ragionare in maniera razionale. Assentì con il capo e con un gesto morbido fece scivolare la pistola dalla fondina alla sua mano destra, nascosta dietro la schiena. Si avvicinò alla carrozza ed entrò.
V
Nathan calò il cappuccio sulle spalle appena mise piede nella locanda. L’odore era pungente e la luce scarsa. Nonostante fosse mattina i tavoli erano pieni e l’alcool bagnava le gole degli avventori.
Raggiunse il bancone e richiamò l’oste facendo rullare una moneta d’argento sul legno impregnato di sudore e cognac.
“Buongiorno…viaggiatore?” disse l’oste sbattendo uno straccio unto sulla mensola dietro di se.
Nathan non rispose. Allungo una sacca di pelle rossastra e una fiasca con il tappo in ottone.
“Riempile” disse semplicemente. Poi sfilò il sacchetto di monete dalla cintura e lo sbatté sul bancone.
“E’ tutto quello che ho. Fattele bastare” disse, poi si appoggiò al bancone, rivolto verso la sala.
Nathan sentì l’oste afferrare i suoi ultimi risparmi e sparire nel retro, in cucina. Viaggiare era diventato più costoso e in quella zona era difficile cacciare liberamente. L’unica cosa che poteva fare era trovarsi un lavoretto per racimolare qualche moneta.
“Ehi monsieur!” un uomo ubriaco ciondolò verso Nathan. Lo schivò con un movimento rapido.
“Avete un arpa enorme sulle spalle, monsieur!” disse l’ubriaco, tentando di mantenersi in piedi.
“E’ un arco” disse Nathan, senza degnarlo di uno sguardo.
“Un arco? Per Ezra, è l’arco più grande e inutile che abbia mai visto!” replicò l’uomo alticcio. Nathan lo ignorò e l’oste tornò con la sua sacca di cibo e la fiasca piena d’alcool.
“Grazie” disse semplicemente. Afferrò le sue provviste e le infilò nello zaino sotto il mantello. Abbassò il cappuccio sulla nuca e uscì dalla locanda maleodorante.
Dovette fermarsi subito. Il passo era bloccato da un carrozza nera. La porticina laterale era aperta e un vecchio rugoso e quasi calvo faceva un mezzo inchino nella sua direzione.
“Monsieur, la mia padrona vorrebbe chiederle un immenso favore…”

 
V
 
Kaspar Sdarestky era affannato. Fuggiva da quasi una settimana con il terrore di poter essere raggiunto. La sua fuga da Borca era stata improvvisa e pericolosa.
Sudato, sporco, lacero e distrutto. Kaspar era solo un’idea di quello che una volta poteva essere un uomo di quasi trent’anni. Scansò una donna in mezzo alla strada e si infilò in una stradina buia che odorava di palude.
Con il fiato rotto si accasciò a terra, strisciando la schiena contro la parete. Strinse gli occhi, li sbatté un paio di volte e si guardò attorno. Infilò le mani nella pozzanghera al centro della strada e si sciacquò la faccia con l’acqua macera delle fogne.
Pettinò i capelli all’indietro prima di estrarre dalla sacca sulle spalle un astuccio di cuoio scuro. Liberò la fibbia e ne svolse il contenuto. Le mani gli tremarono mentre la siringa di vetro succhiava il liquido trasparente dalla boccetta.
Kaspar lo osservò con occhi sottili, lo miscelò con una polvere bianca dentro un piccolo flacone e poi lo risucchiò nella siringa.
Strinse il braccio con un laccio di cuoio e lo tirò più che poté. Non contento afferrò coi denti l’estremità del laccio e tirò ancora, verso l’esterno.
E finalmente la siringa gli penetrò le carni. Il liquido scese lungo la vena. Scivolò col sangue fino ad arrivargli al cervello. Il fiatone sparì e i muscoli gli si rilassarono. Sentì un tonfo sordo e la vista lo abbandonò.
A Kaspar sembrò un secondo, ma probabilmente ne passò di più. Riaprendo gli occhi vide un ometto non troppo alto, vecchio, col naso uncinato e una ragnatela di rughe sul volto. Vestiva bene, nonostante tutto, ma puzzava peggio della fogna.
“Monsieur, la mia padrona vorrebbe parlarle” disse l’uomo, indicando alla sua sinistra.
Kaspar seguì la mano del vecchio e vide una carrozza stagliarsi sulla strada principale, a neanche un passo da se.
“Chi siete…?” chiese Kaspar, stordito dalla droga. L’uomo non rispose. Si avvicinò e lo aiuto a mettersi in piedi. Poi lo accompagnò fin dentro la carrozza.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Lupus in Fabula ***


“Per quelli che desiderano integrarsi alla gente ricca e che conti qualcosa a Port-a-Lucine, la moda e lo stile sono importanti quanto la competenza politica, l’istruzione o l’astuzia. Posso soltanto descrivere la moda per le donne a Dementlieu come spiacevole, pesante, scomoda e una vera perdita di tempo. Mi ci sono volute non meno di due ore per prepararmi per il mio primo ballo. Per le importanti funzioni sociali, è considerato appropriato per entrambi i sessi indossare parrucche bianche e arricciate (o perruques). Questi costosi oggetti sono una specie di status symbol e cambiano frequentemente a seconda della moda corrente. Dubito che sarete sorpresi di apprendere che gli abiti per la gente comune sono significatamene differenti. Gli uomini vestono semplici pantaloni di lana con maglie di cotone, mentre le donne indossano spesso camice dai toni scuri con semplici ricami. Gli uomini calzano cappelli in stoffa, e le donne cuffie bianche, quando sono fuori casa.”
 
da Gazetteer Volume III, Report One: Dementlieu
 
Capitolo  2
Lupus in Fabula
 
Christophe era spaesato in quella grande città. Teneva il suo unico compagno di viaggio, un cavallo dal pelo bruno, per le redini. Stretto col timore che qualcuno potesse portarglielo via.
Gli edifici, seppur umili case, lo sovrastavano lasciandolo a bocca spalancata. Era un orfano a Port-a-Lucine come lo era nella vita.
Cominciò a guardarsi attorno e si ricordò dei consigli di Louis.
I ladruncoli sono all’ordine del giorno nelle grandi città, Christophe. Non è come al monastero. Loro capiscono se sei un forestiero. Devi sembrare calmo e dare meno confidenza possibile.
Christophe deglutì e cercò di adeguarsi. Camminava ritto per il viale lastricato. Christophe aveva visto poche volte in vita sua strade che non fossero strisce di polvere e ghiaia.
Un uomo che a Christophe sembrò fin troppo vecchio cercò di attirare la sua attenzione. Lo ignorò senza perderlo di vista. Cominciava ad avere il timore di aver fatto una sciocchezza. Lasciare il monastero, Louis e gli altri. François lo aveva avvertito.
E’ una tuo decisione, Christophe. Non posso certo obbligarti a non partire, ma sappi che potrai tornare quando preferisci.
Christophe sarebbe voluto tornare a Richemulot ed al monastero della Roccia in quel preciso istante.
“Scusami ragazzo” disse una voce dietro di lui. Christophe non si voltò. Gli ordini di Louis erano stati più che chiari.
“Monsieur col cavallo…la prego” parlò ancora quella voce che ora sembrava chiedere quasi un favore al ragazzo. Christophe continuò a camminare guardando di fronte a se. Avrebbe dovuto trovare una locanda dove riposare e qualcuno a cui chiedere informazioni.
La carrozza nera gli tagliò la strada e fermò i cavalli proprio davanti al giovane. Christophe si fermò di scatto e infilò la mano destra sotto il mantello, a sfiorare il regalo di Louis.
Un vecchio sporco e sudato scese dal sedile del cocchiere e fece un cenno a Christophe.
“Ragazzo, la mia padrona vorrebbe parlarti” disse, accennando alla porticina laterale.
Christophe vide la porta aprirsi e la scaletta di metallo scendere pesante verso il basso. Le tende erano nere e tese sulle finestre della carrozza, e dall’interno sentiva provenire un odore disgustoso di sudore e rancido.
Scostò lo sguardo da quell’antro nauseabondo e incrociò gli occhi del cocchiere.
“Chiedo scusa monsieur, ma temo che mi abbia confuso con qualcun altro” disse Christophe a capo chino. Il vecchio unto e quasi pelato si avvicinò al ragazzo e Christophe alzò la testa.
“No, Madame Araby Touvache ha bisogno di parlarle, monsieur” disse il cocchiere, fece un altro inchino e non si mosse più.
Christophe lasciò le redini del cavallo. Gli fece una carezza sul collo per tranquillizzarlo e con passo incerto salì i gradini di ferro. Cercò di ignorare il tanfo e sbatté le palpebre più volte per abituarsi all’oscurità.
Il cocchiere gli chiuse la porticina alle spalle e Christophe poté finalmente vedere Madame Touvache.
Una anziana signora dall’aspetto abbondante sorrideva a Christophe oltre il ventaglio decorato di pizzo nero. Anche il suo prezioso abito aristocratico era agghindato da pizzi e merletti dai toni scuri e sporchi. La pelle del volto, quel poco che se ne vedeva, era lucida, sudata e piena di rughe troppo profonde per l’età che dimostrava. Sul capo una vecchia parrucca piena di talco coronava la spiacevole immagine della donna.
“Ah, siete un bel giovane” sorrise madame Touvache agitando il ventaglio davanti al volto. Christophe era ancora in piedi, nonostante lo scarso spazio a disposizione. Si sedette di fronte alla donna, soltanto per aumentare la distanza fra di loro.
“Sono lieta che abbiate accettato l’invito di Graves” disse la donna “Mi sembrate pieno di vita e capace, e per questo avrei un favore da chiedervi”
Christophe cercò con la mano destra di carezzare l’elsa del suo fioretto, ma da seduto era difficile raggiungere l’arma nel fodero. Respirava con la bocca per non dover odorare il lezzo nauseante della carrozza.
“Io non credo…” tentò di dire Christophe, ma il risolino di madame Touvache lo interruppe immediatamente.
“Caro ragazzo, non vi preoccupate. Voglio solo offrirvi un compenso per un servizio che, lo ammetto, ho difficoltà a chiedere pubblicamente” madame Touvache prese fiato e agitò il ventaglio davanti al petto.
“Dovete sapere che Jerretiere, la mia villa, è molto antica e, per questo, piena di crepe e spifferi…bè, temo che un lupo sia entrato nella mia cantina” sorrise l’anziana nobildonna, alzando gli occhi al cielo.
“Un lupo?” ripeté Christophe. Aveva visto un branco di lupi qualche anno fa assieme a Louis. Da quello che ricordava i lupi erano abbastanza schivi e temevano l’uomo.
“Temo di sì. Ringhia, gratta…ho i brividi soltanto a pensarci!”
“Madame, comprendo il vostro timore, ma perché non…”
“Chiedere alla gendarmerie? Mi vergognerei troppo. Le voci che circolerebbero sul mio conto…preferisco una via più discreta, più…diretta, diciamo” disse madame Touvache cercando di incrociare gli occhi di Christophe.
“Naturalmente sarete ricompensato…e non sarete solo”
Christophe cercò di guardare fuori dal finestrino, ma il pertugio era stretto e protetto da un drappo nero. La luce passava a malapena.
“Madame, mi spiace, ma non credo di essere la persona più adatta. Immagino che il vostro compenso sia generoso, ma non è dei soldi che ho bisogno…” disse Christophe cercando di sembrare dispiaciuto. Quella vecchia puzzolente gli dava un brivido fra le spalle.
“Niente soldi, capisco… e posso sapere come mai siete a Port-à-Lucine?” chiese la madame. Più che una domanda sembrava una curiosità a cui Christophe avrebbe dovuto rispondere per forza.
“Sono…io, cerco una persona” disse Christophe, mentre un pensiero gli insinuò la mente. Alzò lo sguardo intimidito e la guardò negli occhi, come non bisognerebbe mai fare nei confronti di un nobile.
“Voi conoscete per caso mademoiselle Guignol? Michelle Guignol?” domandò Christophe, temendo la risposta.
Il volto di madame Touvache si rilassò in un ampio sorriso.
“Ma certamente. E’ una delle più giovani mademoiselle della famiglia regnante”
“La famiglia…è una famiglia importante?” disse Christophe, concentrato sulle parole della madame. Lei annuì col capo e riprese a parlare.
“Sì, Marcel Guignol è il Governatore di Port-à-Lucine e di tutto Dementlieu. Mademoiselle Michelle è una delle sue tanti nipoti”
Christophe era basito. La sua ricerca era stata rapida, ma aveva dato risultati scoraggianti. Michelle sembrava irraggiungibile.
“Potrei organizzare un incontro informale…sarebbe la vostra ricompensa per il favore che vi ho chiesto. Dato che non avete bisogno di denaro…” disse madame Touvache, sorridendo ad occhi socchiusi. Agitò ancora il ventaglio mentre un rivolo di sudore gli disfaceva la maschera di talco dalla fronte fino al mento.
Christophe prese l’unica decisione possibile.
 
V
 
Alexander si incamminò verso Maison Jerretiere subito dopo pranzo. Fece bene perché trovarla non fu semplice. Sembrava che nessuno conoscesse la villa di madame Touvache, finché un vecchio ciabattino gli indicò la strada giusta. Gli spiegò che la villa era poco conosciuta dai giovani perché la nobildonna che la abitava era caduta in disgrazia alla morte del marito, quasi vent’anni prima. Gli disse anche che un tempo era conosciuta come L’école de dance Jerretiere.
Una scuola di ballo. Alexander non se lo sarebbe aspettato data la stazza della vecchia aristocratica.
Percorse un tratto di strada sterrata a piedi. Il sole era inclemente quel pomeriggio e Alexander aveva ancora addosso il mantello di lana nero di quando era partito. Si ripromise di sostituirlo al più presto, casomai con una parte del gruzzolo che la vecchia gli aveva promesso.
Dopo una salita dolce vide spuntare di passo in passo una torre con un grande orologio. Il muro un tempo bianco circondava sia la Maison che il curioso campanile facendola somigliare a una vecchia chiesa di periferia in rovina.
Davanti al cancello scardinato e poggiato contro il muro, Alexander vide tre figure e due cavalli. Si avvicinò, perplesso e fu il più alto fra tutti a rivolgersi a lui.
“Salve. Siete qui per ordine di madame Touvache immagino” disse l’uomo con la coda di cavallo. Alexander intravide la sagoma di un arco sotto il mantello dell’uomo.
“Scusatemi, posso sapere chi siete…tutti?” disse Alexander ignorando il saluto.
“Giusto, io sono Nathan e sono qui per conto della madame” indicò la villa alle sue spalle. Il più giovane dei tre si fece avanti senza lasciare le redini del cavallo.
“Il mio nome è Christophe, piacere” disse il ragazzo, fece un mezzo inchino e non alzò gli occhi da terra. Alexander guardò l’uomo in disparte. Osservandolo meglio, Alexander si rese conto che era più giovane di quel che sembrava.
“Mi chiamo Kaspar e vengo da Borca” disse l’ultimo uomo. I suoi occhi fissavano febbrilmente gli altri tre, senza soluzione di continuità.
“Siete qui per il lupo?” chiese Alexander incrociando le braccia. La faccenda lo stava già stancando. Tre compagni significava un quarto del compenso. Sputò a terra e non solo per l’arsura.
“Sì” disse Nathan “Tutti quanti”
Christophe annuì con un cenno del capo. Kaspar non rispose in alcun modo.
“E che fate qui davanti?” continuò Alexander gettando uno sguardo nel cortile della villa. La carrozza era posteggiata sul lato della maison. Le piante in giardino sembrava avessero avuto il sopravvento su qualsiasi giardiniere.
“Siamo appena arrivati” gli rispose ancora Nathan. Il tono secco di Alexander cominciava ad urtargli i nervi. “Si può sapere chi sei tu, invece?”
“Alexander Schneider. Andiamo, prima che arrivi qualcun altro” disse, poi scavalcò il cancello divelto e si incamminò verso la villa.
Nathan superò le mura basse e legò il cavallo ad un tronco spezzato prima di proseguire a piedi. Christophe lo imitò, mentre Kaspar seguì immediatamente Alexander.
“Bell’arma” disse Kaspar accennando alla pistola che Alexander teneva in cintura.
“Grazie”
“Non sembra di qui…Lamordia? Darkon?” insistette Kaspar. Alexander lo ignorò e affrettò il passo.
La doppia porta della villa era l’unico ingresso visibile su quel lato dell’edificio. Era rinforzata da alcune barre di ferro e sembrava essere il solo elemento architettonico ad aver subito un qualche tipo di manutenzione.
L’anta più piccola si aprì e scivolò all’interno, nell’ombra. Il cocchiere che già avevano visto, gli diede il benvenuto.
“Bonnesoir monseurs, madame Touvache vi sta attendendo” disse Graves, che si rivelò essere anche un perfetto maggiordomo. Indossava una livrea diversa dalla precedente. Pulita, ma piena di polvere e mangiata dalle tarme.
Entrarono tutti e quattro in fila indiana e si sparsero per il salone d’ingresso. Le decorazioni alle pareti ricordavano ad Alexander alcune vecchie ville aristocratiche che aveva frequentato. Erano evidenti, però, i segni del tempo e della trascuratezza anche all’interno della magione.
“Benvenuti” li salutò la voce familiare di madame Touvache. L’anziana nobildonna sopraggiunse da un corridoio sulla sinistra, nascosto nelle tenebre. Solo in quel momento Christophe notò come l’intera casa fosse immersa in una penombra permanente. Le finestre erano serrate da scuri o tende lacere e polverose.
“Sono lieta che abbiate mantenuto la vostra parola. Graves, fai strada” disse la madame, sorridente.
Il maggiordomo chiuse il portone di ingresso con una grossa chiave appesa assieme a molte altre. Il mazzo di chiavi era allacciato al collo di Graves che sembrava custodirlo gelosamente.
Senza dire una parola Graves fece un gesto agli ospiti. Alexander fu il primo a seguirlo, subito imitato dagli altri. Madame Touvache avanzava lentamente, chiudendo la fila.
Attraversarono una prima sala in cui trionfavano decine di trofei di caccia imbalsamati. Le ragnatele giocavano fra le corna dei cervi e i denti dei cinghiali. I loro sguardi sembravano spiritati e Nathan sentì il ribrezzo per una simile barbarie. Non era caccia, ma puro divertimento.
La parete a nord era occupata completamente da un’enorme pelle di serpente. Una pelle di quasi quattro metri che lasciava intendere l’esagerata taglia del suo precedente proprietario. Christophe sbarrò gli occhi davanti a quella mostruosità della natura.
“Voci in giro raccontano anche di serpi più grandi” sussurrò Nathan all’orecchio di Christophe. Il ragazzo non disse nulla. Seguì gli altri verso la stanza successiva.
Graves aprì una porta di legno scura e si fermò davanti ad un’altra nota stonata all’interno di quell’edificio decadete. La porta davanti a loro era nuova, di legno robusto e rinforzata con barre di metallo. Assomigliava molto alla porta di ingresso, ma su scala ridotta.
“Questa è la via per la cantina. Fate attenzione, i gradini sono scivolosi” disse Graves con espressione ebete. Afferrò di nuovo il mazzo di chiavi e le girò una ad una fino a trovare quella giusta. La fece ruotare nella serratura e con uno sforzo delle braccia spalancò l’accesso per la cantina.
Il portone rinforzato cigolò sui cardini poco oliati. Alexander diede un’occhiata alla serratura, pensieroso.
“Per evitare che il lupo esca dalla cantina saremo costretti a chiudere la porta” disse madame Touvache. Kaspar alzò la testa per la prima volta da quando erano entrati.
“Non credo sia una buona idea…” disse sillabando le parole. Alexander gettò uno sguardo a Nathan e Christophe. Parlò prima che qualcuno potesse anticiparlo.
“Non c’è problema. La sicurezza di madame innanzitutto” disse con un sorriso. Fece un gesto della mano per fare intendere che erano tutti d’accordo con lui, e si diresse verso i primi gradini della scala di legno.
Madame Touvache sorrise agli altri tre e fece segno di proseguire. Graves attendeva, immobile, a lato della porta.
Christophe si mosse per primo. Mise un passo nel buio della scala e sentì subito il gelo tipico delle cantine fargli rizzare i peli. Nathan e Kaspar lo seguirono e Graves chiuse immediatamente la porta alle loro spalle.
“Buona fortuna, miei cari” la voce di madame Touvache li salutò un’ultima volta prima che fossero completamente soli.
 
V
 
“Alexander? Ehi, sei lì?” la voce di Nathan stentava a perforare la gelida oscurità della cantina. Faceva un passo alla volta, lentamente, per non scivolare lungo i gradini. Avvertiva la presenza di Kaspar, dietro si sé, e Christophe, davanti a lui.
Un bagliore invase il buio della cantina. Dalla base delle scale Alexander accese lo stoppino di una lanterna arrugginita.
Christophe sbatté le palpebre per abituarsi alla luce, e finalmente riuscì a intravedere il sotterraneo di mattoni umidi e muffa. Scese gli ultimi gradini con un balzo e affiancò a Alexander.
“Mastro Alexander avete visto nulla?” chiese il giovane guardandosi attorno. Alexander gli lanciò un’occhiata perplessa. Con un mezzo sorriso rispose di no.
“Se la cantina non è grande dovrebbe essere facile trovare un lupo” disse Kaspar accarezzandosi la barba ispida. La stanza principale era bassa e con soltanto due vie possibili: una porta nel sottoscala e una a destra della rampa. L’ambiente era umido e stantio. In un angolo c’era un vecchio stipo che sembrava essere stato gettato in cantina a finire i suoi giorni.
“Mi chiedo come un lupo sia sopravvissuto qui sotto” disse Christophe grattandosi la nuca.
“Topi” gli rispose Nathan “Immagino ce ne siano molti fra queste crepe. Io piuttosto mi chiedo come sia entrato un lupo, qui sotto”
“Me lo sono chiesto anche io, ma non…” Kaspar non poté finire il suo discorso. Alexander lo zittì con un sibilo.
“Zitti. Lo sentite?” disse, facendo scendere un silenzio raggelante. Kaspar deglutì, mentre la schiena di Christophe riprese a tremare. Non per il freddo.
“Sembra un picchiettare metallico…” disse Nathan ad occhi chiusi. Lo aiutava a concentrarsi. Alexander annuì.
“Esatto. Scommetto che è un orologio” disse e fece qualche passo in avanti. Più si avvicinava alla parete a sud e più sentiva aumentare il ticchettio. Era nello stipo.
“Tu…Nathan, giusto? Tieni la lanterna” disse Alexander indicandolo. Nathan non disse nulla e si avvicinò per reggere la lanterna.
Alexander fece crocchiare le dita e si passò indice e pollice sugli occhi. Aveva una brutta sensazione.
Sollevò la cerniera dello stipo e la luce illumino un marchingegno ricavato da un orologio a pendolo. Alexander ne era convinto.
Un nanetto di ottone impugnava un martello e avanzava su di un percorso, trascinato da una sottile catenina di metallo.
“Accidenti…” disse Nathan, sospirando. Kaspar si avvicinò incuriosito. Alexander lo fermò con un gesto della mano.
“Stai indietro!” urlò. Infilò le mani nella bisaccia a lato ed estrasse un sottile ferro ricurvo e un pezzo di spago metallico.
“Ma che…” Nathan sobbalzò, ma non si mosse. Alexander infilò il grimaldello sotto il meccanismo e cercò di frapporre la punta con l’ingranaggio principale. Il meccanismo era troppo articolato per poter essere fermato normalmente.
Gli occhi di Alexander sembravano essere spiritati. Faceva muovere il grimaldello ad una velocità fuori dal comune. Intanto fece un cappio con il filo metallico e rallentò l’avanzata del nanetto.
“Cosa stai facendo, si può sapere?” disse Nathan, seccato di non capire cosa stava succedendo.
“E’ una dannata trappola ad orologeria. Non chiedermi che cosa fa perché non lo so!” urlò Alexander, senza staccare gli occhi dal meccanismo.
“Una trappola?” Kaspar quasi urlò. Christophe non riuscì a capire il discorso.
Il nanetto scivolò oltre. Scese lungo uno scivolo che Alexander non aveva visto. Batté su un perno di metallo e fece scendere il martello su un’ampolla colorata di nero e ben mimetizzata.
Il vetro si incrinò, poi su frantumò. Un sibilo fece evaporare una densa nube di gas giallognolo dallo stipo per tutto la stanza.
“Ah…!” Alexander riuscì solo ad emettere un verso prima di  tossire e accasciarsi al suolo. Nathan cercò di allontanarsi, invano. Kaspar fece solo un passo prima di crollare al suolo avvolto dalla nebbia gialla e velenosa.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Mannequin ***


“La danza è una delle attività sociali maggiormente seguite a
Port-à-Lucine. La nobiltà organizza sontuosi quanto pacchiani gala dove mademoiselle conciate come bomboniere in vetrina incontrano damerini impettiti con stravaganti e polverose parrucche in testa. Insieme danzano particolari coreografie che ben poco hanno dei balli popolari che ho visto nei quartieri più poveri della città. Sembra di vedere dei manichini da sartoria girare in un carillon”
 
da Gazetteer Volume III, Report One: Dementlieu
 
 
CAPITOLO 3
Mannequin
 
Non pensava che potesse esistere un odore come quello. Era dolce, come il latte di mandorla, ma anche amaro come la carne essiccata con le castagne che sua madre metteva in cantina d’inverno.
“E' per i periodi di magra, Kaspar” diceva sua mamma.
“Ma è così amara...” gli rispondeva lamentandosi. La mamma di Kaspar sorrideva sempre. Aveva un bellissimo sorriso e a Kaspar sembrava di vederlo davanti a se in quel momento.
“E' vero, ma così se ne mangia meno, e dura un po' di più. Ma non dirlo a nessuno, acqua in bocca”
Acqua. Come quella che sentiva sul suo volto. Non erano piccole gocce, erano dei rivoli che risalivano dal mento fin verso la fronte. Volavano sulla testa di Kaspar cadendo verso il cielo, all'infinito.
Impossibile, pensò Kaspar, mentre il sorriso di sua madre scompariva in una nube gialla. Le linee si persero in quel fumo fino a diventare un volto diverso. Il volto di un ragazzino con i capelli sudati schiacciati sulla fronte. Aveva gli occhi ribaltati all'indietro e la schiuma alla bocca.
Kaspar sputò un grumo denso di saliva a terra e si alzò di scatto. Il gas, il veleno, la trappola a orologeria. Ora ricordava tutto.
Strappò una manica della camicia e la inzuppò nella pozza d'acqua che si era formata sotto la sua testa. Quella perdita dal soffitto lo aveva tenuto in vita abbastanza a lungo da riprendersi. Mise la manica bagnata davanti alla bocca e prese il ragazzino per le spalle.
“Sveglia! Christophe! Sei Christophe, giusto?”
Kaspar gli ficcò due dita in gola e premette lo stomaco appena sentì il conato risalire. Christophe vomitò per due volte e cominciò a tossire
“Stai bene? Ehi, stai bene, ti ricordi dove siamo?” chiese Kaspar.
“...cantina...” biascicò il ragazzino, e a Kaspar bastò.
“Prendi gli altri due, falli vomitare se sono vivi, se no lasciali lì. E copriti la bocca e il naso, come me”
Non era abituato a dare ordini, ma l'istinto di sopravvivenza aveva preso il sopravvento sul suo carattere. Risalì le scale della cantina fino alla porta rinforzata.
“La sicurezza di madame, eh?” disse fra se Kaspar e intanto sentì qualcuno vomitare al piano di sotto. Bene, almeno erano in tre.
Rovistò fra i suoi arnesi e prese una sottile barra di metallo. Normalmente non sarebbe servita a nulla davanti a una porta di quel genere, ma Kaspar non era uno stupido.
Prima di scendere con gli altri in cantina aveva incastrato una placchetta sulla serratura della porta. Non aveva trovato altro di più adatto sul momento e ora sperava che quella sottile intercapedine che aveva lasciato fosse abbastanza per farla scattare.
Kaspar infilò la barra metallica e sentì toccare qualcosa in fondo.
“Dai, avanti. Dai...” sussurrò per darsi coraggio, finché non sentì un suono sordo e metallico. La porta si aprì fra le sue mani.
“E' aperta! Usciamo da qui, presto!” urlò Kaspar, senza paura che qualcuno lo sentisse. Christophe e Alexander spuntarono dalla scala tenendo per le braccia Nathan ancora privo di sensi.
Si buttarono in mezzo alla sala dove pochi minuti prima si erano fermati con madame Touvache e Graves
“Fatelo vomitare” ordinò Kaspar.
“Non vomita. Non fa nulla” disse Christophe, senza fiato.
“Mi sa che è morto” disse Alexander guardandosi attorno per sicurezza. Quella sala ora sembrava più cupa di poco fa. Era forse calato il sole? Eppure doveva essere ancora primo pomeriggio.
“Fatti da parte. Scoprigli il petto” disse Kaspar prendendo una siringa di vetro dal borsello che aveva in cintura.
“Cosa fai?” chiese Christophe mentre apriva la camicia. Kaspar succhiò tutto il liquido di una fiala verde e cercò con la mano libera il punto preciso sul petto di Nathan.
“Gli salvo la vita” e gli piantò la siringa nello sterno, come un pugnale. Nathan espirò rumorosamente e si trascinò in piedi, o almeno ci provò. Scivolò per due volte e si appoggiò contro il muro, a terra, col fiatone. La siringa era ancora nel suo petto e quando la vide la strappò e la ruppe sul pavimento.
“Ma che cazzo...era...?” disse Nathan.
“Era la mia siringa. Mi devi una siringa” gli disse Kaspar asciugandosi il sudore dalla fronte.
“Ne parleremo se riusciremo a uscire di qui, che ne dite?” disse Alexander che ancora stava controllando la stanza.
Spoglia, senza uscite se non la sola porta da cui erano entrati loro. Inferiate alle finestre chiuse da vetri sporchi e talmente macchiati da non far passare quasi la luce.
Alexander sfonderò la pistola a colpo singolo e controllò che la polvere da sparo non si fosse inumidita in cantina. Sembrava tutto in ordine. Christophe spalanco la bocca come un pesce e emise un lamento.
“Sono certo ci sia una spiegazione se…”
“Io credo, invece, che sia soltanto una pazza e fuori di testa” lo zittì subito Kaspar. Christophe si ammutolì e cercò nella sua cintura il coltello che gli aveva affidato Luis. Lo estrasse e raggiunse Alexander che stava armeggiando vicino alla porta.
“Mastro Alexander, credete davvero che volessero…”
“Ucciderci?” Alexander terminò per lui la domanda mentre il grimaldello faceva scattare la serratura con un lieve click sordo.
“Forse sì. I nobili sono strani. Non preoccuparti Christophe, non sei solo”
Christophe annuì senza sorridere. Nathan si era ripreso e ancora si tastava il petto.
“Che roba era?” chiese a Kaspar.
“Roba forte. Risvegli i morti” sorrise a Nathan e impugnò un coltello dalla lama larga e seghettata. Nathan lo fissò stupito. Non era certo un arma comune, non da quelle parti. Era simile a un coltello da caccia o uno di quelli che si usano per scuoiare le bestie. Kaspar se ne accorse e fece spallucce.
“Cimelio di famiglia. Mio padre era un cacciatore”
“Anche io lo sono” disse Nathan sfilandosi l’arco da tracolla “E’ un coltello notevole per un tipo come te”
“Da dove vengo io ci sono pericoli ovunque”
“Bè anche a Port-à-Lucine, a quanto pare” rise Nathan facendo sorridere anche Kaspar.
“Se avete finito di farvi le trecce vediamo di cercare una via di fuga” disse Alexander. Imboccò la porta spianando la pistola davanti a se. Nessuno.
Nathan tese l’arco e controllò la parte destra della stanza. Niente nemmeno lì. La pelle di serpente era appesa alla parete come un lugubre cencio di una battaglia persa. Nathan la osservò meglio e gli sembrò diversa, come se fosse putrefatta, e non conservata.
“Tutto bene?” chiese Christophe interrompendo i suoi pensieri.
“Sì, tutto bene. Usciamo da questa stanza. Mi dà la nausea”
Alexander si avvicinò alla porta da cui erano passati prima e che portava alla sala d’ingresso della villa. Ancora due porte e sarebbero stati liberi.
Infilò la pistola nella fondina e prese il grimaldello per scassinare la serratura, ma si fermò subito: la porta era soltanto accostata.
“Tutto bene?” chiese Kaspar. Alexander mise un dito sulle sue labbra e fece cenno a tutti di smettere di parlare. Era strano, molto strano. Forse stava esagerando, ma dopo una trappola a orologeria così elaborata non si sarebbe aspettato di trovare un porta aperta.
Kaspar affiancò la porta e fece un cenno con la testa ad Alexander. Contò fino a tre a bassa voce e poi la aprì di scatto.
Nathan e Alexander attraversarono subito la soglia e puntarono la pistola e l’arco in giro per la stanza.
Il polveroso lampadario brillò debolmente per la scarsa luce e la rampa che portava al piano di sopra era vuota e sbeccata.
“Che cosa significa…?” sussurrò Alexander fra se, mentre Nathan mollava la corda tesa dell’arco.
“Più facile del previsto, insomma” disse Nathan. Con la manica pulì un pezzetto della finestra che dava sul cortile, fra una sbarra e l’altra dell’inferriata, e sorrise.
“C’è ancora la carrozza nera. Quindi è in casa”
“Andiamocene” disse Kaspar prendendo la maniglia della porta di ingresso. Chiusa, ovviamente.
“Puoi aprirla questa? O la sfondiamo a calci?”
Alexander si avvicinò e gli diede un’occhiata.
“La serratura non è facile, ma è anche molto vecchia. Dovrei farcela in qualche minuto”
“E male che vada la buttiamo giù a calci” ridacchiò Nathan, ma nessuno apprezzò la sua battuta.
Christophe era ancora al centro della stanza. Guardava gli altri tre indaffarati vicino alla porta e poi la scala coperta da un tappeto di feltro scuro.
“Ce ne andiamo?” chiese tutto d’un fiato. Gli altri tre alzarono lo sguardo. Alexander lo squadrò dall’alto in basso.
“Certo che ce ne andiamo. Non ho intenzione di farmi uccidere da nessuna pachidermica psicopatica dementliese”
“Potrebbe essere ancora in casa” insistette Christophe. Alexander fece spallucce e tornò a lavorare alla serratura.
“Per questo noi ce ne andiamo da questa casa, chiaro ragazzino?” Kaspar sillabò le parole come se le volesse piantare nella testa di Christophe.
Eppure Christophe non era convinto. Quando piazzava le trappole per lepri assieme a Luis non lo facevano mai senza cognizione.
Una trappola ben fatta non è un trappola che cattura la preda. Una trappola ben fatta la cattura, e poi la lascia andare, dandogli quel tanto di libertà per farla sentire in salvo. E poi…
“E poi, quando si sente al sicuro gli si dà il colpo di grazia” sussurrò Nathan che, come Christophe, prese a guardarsi attorno.
“Cosa hai visto ragazzo?” chiese Nathan. Christophe si guardò attorno e poi vide un riflesso alla parete. Era come una spirale di luce che si muoveva dal soffitto alla parete, dondolando.
“Quello! Cos’è quello?” gridò puntando il dito per aria. Nathan tese l’arco e scoccò una freccia. La punta sbriciolò un pezzo di intonaco dal vecchio muro.
Si sentì un ronzio e dall’alto piombarono cinque uomini coperti da mantelli cerati. Avevano le spade in pugno e cominciarono subito ad attaccare.
Kaspar si buttò di lato mentre uno di quelli affondò la sciabola su di lui. Alexander lasciò cadere gli attrezzi di scasso e schivò il colpo appena in tempo. Colpì col gomito la faccia del suo aggressore e lo scaraventò di lato, Quello ciondolò poggiando il piede in maniera innaturale e con uno scatto repentino lo attaccò di nuovo. La lama tagliò la spalla di Alexander che cadde a terra con un tonfo.
Con un balzo veloce in avanti l’uomo fu su Alexander pronto a trafiggerlo.
Una freccia colpì il braccio dell’uomo, trapassandola. Poi un’altra gli spuntò dal petto. L’uomo non disse nulla, il braccio divenne molle e si accasciò accanto a Alexander. Nathan arrivò di corsa e lo aiutò ad alzarsi.
“Stai bene? Ehi, stai bene?”
Alexander annuì e si strinse la spalla. Estrasse la pistola e vide Kaspar impegnato con due di loro. Attaccava una volta su due e poi scappava rotolando da un lato all’altro della stanza.
Un altro uomo era a terra, trafitto da tre frecce e Christophe, invece, cercava di difendersi da l’ultimo uomo che lo assaltava rapidamente, chiudendolo in un angolo.
“Non riesce a attaccare, aiutalo. Io vado da Kaspar” ordinò Nathan che incoccò un’altra freccia e puntò il nemico più distante. 
Alexander camminò rapido, alzò l’arma e prese un respiro. Cercò di rilassarsi, non pensando al dolore.
“Ehi, prenditela con me!” gridò.
L’uomo voltò il cappuccio nella sua direzione e un secondo dopo Alexander esplose il colpo, diretto in pieno volto. L’uomo si ribaltò all’indietro con una capriola sgraziata e sbatté contro la parete come un straccio.
“Grazie…” annaspò Christophe. Aveva un paio di graffi, ma nulla di grave.
Il grido di Kaspar fece voltare entrambi. Uno degli uomini gli aveva trapassato la gamba con la spada e stava alzando di nuovo l’arma per finirlo.
Nathan arrivò fulmineo e gli afferrò il braccio, bloccando l’affondo su Kaspar. Con rapidità gli passò la lama del coltello sulla gola. L’uomo tremò e poi cadde a terra di faccia.
Nathan si chinò su Kaspar. Prese un laccio fra quelli che aveva avvolti al braccio e lo strinse attorno alla gamba di Kaspar.
Sranje…fai piano!” si lamentò Kaspar. Nathan non lo ascoltò e strinse di più. Kaspar gridò e batté i pugni a terra.
“Se vuoi sopravvivere dovrà farti un po’ male. Ragazzino, stringi qui e non mollare per nessun motivo”
Christophe corse a aiutare Nathan e anche se aveva paura non disse nulla. Alexander stava ricaricando l’arma e cercava di capire come avessero fatto a scendere dal soffitto senza che se ne accorgessero.
Il lampadario ancora si muoveva da un lato, e poi dall’altro, impazzito, e ad ogni movimento i cristalli tintinnavano e spargevano giochi di luce per tutto il salone.
Poi il lampadario si fermò di colpo, immobile, proprio sotto gli occhi di Alexander.
“Ma cosa…”
Cominciò a girare su se stesso, come una trottola e più girava più Alexander sentiva di nuovo quel ronzio. I cinque uomini a terra si sollevarono come risucchiati dal lampadario, volteggiarono per aria e si schierarono di nuovo di fronte a Alexander. Avevano ancora le ferite e le frecce che li trapassavano, eppure erano in piedi, barcollanti.  
“Ragazzi, abbiamo un problema”
Gli uomini alzarono le spade e in maniera confusa avanzarono verso Alexander che alzò la pistola e sparò. Il colpo fece saltare la spalla dell’uomo più vicino e il braccio si staccò dal corpo. Senza sangue, senza grida. Il braccio prese a volare e a dondolare come un pendolo e Alexander finalmente la vide. Una sottile corda, un filo, invisibile in quella penombra, che dal lampadario raggiungeva il braccio dell’uomo.
Non uno, decine di fili che si allacciavano agli arti e si perdevano fra i cristalli del lampadario.
Nathan balzò in avanti e diede un calcio a quello più vicino. L’uomo volteggiò per aria all’indietro, per poi tornare in avanti, all’attacco con la spada dritta davanti a se.
Nathan schivò buttandosi a terra e Christophe vide l'uomo ciondolare di nuovo all'indietro.
“Sono appesi, tagliate i fili!” gridò Alexander. Christophe lanciò il coltello, d'istinto e tranciò i fili di quello davanti a se. L'uomo cadde a terra in posizione innaturale mentre i fili legati alle gambe continuavano a tirarlo vero l'alto per rimetterlo in piedi.
Nathan scivolò fra le gambe di altri due e tranciò i fili invisibili. I corpi si accasciarono al suolo e Alexander schivò l'attacco scomposto dei due rimasti. Con alcuni colpi precisi Christophe e Nathan tagliarono gli ultimi fili facendo piombare crollare anche gli ultimi due aggressori.
“Ma come diavolo è possibile?” disse Nathan guardando i fili appesi fra i cristalli del lampadario. Alexander puntò la pistola verso l'alto.
“La vecchia deve avere qualche passione per i meccanismi. La trappola in cantina, queste... marionette, o cosa diavolo sono”
Christophe spostò uno dei corpi a terra. Erano dei fantocci ben fatti, con il cappuccio calato sul volto e fissato da pesanti cuciture sulla testa, ora le notava. Il braccio tranciato dal colpo di pistola pendeva molle da uno dei fili che si perdeva nel soffitto. Christophe lo guardò da più vicino. L'imbottitura era morbida, forse lana, e al centro passava una sottile barra metallica.
“Sono meccanismi complessi, questi” disse Alexander aprendo le vesti di uno dei fantocci. Christophe tirò uno dei cappucci per scoprire la testa, e lanciò un grido.
“Che c'è?” Nathan corse verso di lui e si fermo di scatto, coltello in pugno.
“Ha la faccia. Questo ha la faccia!” urlo Christophe. Nathan scoprì il volto del manichino e riconobbe la pelle conciata. Aveva imbalsamato parecchie bestie in vita sua e riconosceva un mano abile. Cuciture pesanti su occhi e bocca. Il filo metallico sulle labbra formava un ghigno malefico.
“Questa è… pelle umana” disse Nathan non credendo alle sue parole. Christophe ebbe un rigurgito, ma il suo stomaco si era già svuotato prima.
“Sono uomini impagliati” sillabo Nathan “Tutti...tutti quanti!”
“Che razza di psicopatica perversa farebbe una cosa del genere?” finalmente Kaspar si era ripreso e con fatica si stava mettendo in piedi.
“Una psicopatica con molto tempo libero e poco da perdere” disse Alexander. E con molte risorse, pensò.
“Come ha fatto a uccidere questa gente?” chiese Christophe cercando di reagire.
“Non siamo gli unici a essere stati attirati in quella cantina, dopotutto” disse Nathan. Kaspar si avvicinò alla porta zoppicando.
“Chi se ne frega, usciamo da qui e scordiamoci di questo posto”
“Ci potrebbe essere qualcun altro in pericolo!” disse Christophe.
“Fatti loro, io ho già rischiato il mio”
“Dovremmo almeno controllare”
“Dovremmo? Si può sapere che vuoi ragazzino?”
“Mi chiamo Christophe”
“Io mi chiamo Kaspar, e nessuno ha mai deciso per me oltre che Kaspar”
“Sentite” Nathan alzò la voce “E' vero, dovremmo andarcene, ma questa madame Touvache ha cercato di ucciderci, anzi, ci ha cacciato, e questo non lo tollero. Teniamoci la strada aperta per andarcene, ma cerchiamo di capire dove si trova questa gran bastarda”
Alexander annuì. Una casa di una vecchia nobile da svuotare. Era questo, quello che pensava Alexander.
“Restiamo e diamo un’occhiata”
“Senti…coso, Alexander, non volevi uscire di qui fino a un attimo fa?”
“Sì, ma credo che Christophe abbia ragione. Potrebbe esserci qualcuno da aiutare” mentì Alexander e sorrise a Christophe. Il ragazzo sorrise lusingato e sfilò il fioretto dal fodero.
“Ho la gamba a pezzi e ora devo mettermi a fare l’eroe. Dovevo restare a Borca, lo sapevo!” Kaspar prese la sua spada e si massaggiò la gamba. Il sangue non usciva più ma gli faceva molto male.
“Bata che ci sbrighiamo, vorrei evitare di morire dissanguato”
Nathan raccolse il coltello di Christophe e glielo restituì.
“Grazie” disse il ragazzino, e lo rimise in cintura. Non voleva lasciare la casa senza avere notizie di Michelle. Madame Touvache gli aveva promesso un incontro e non poteva perdere un’occasione simile.
“Bene Alexander, fai strada” disse Kaspar. Alexander guardò la porta alla loro destra e la scala.
“Saliamo, così nulla ci piomberà addosso” disse, sperando in cuor suo che non ci fossero altri manichini meccanici da affrontare.
Salirono le scale in silenzio e con attenzione. La scarsa luce faceva vedere ombre sinistre ovunque e al primo piano un corridoio tagliava a metà tutta la casa.
“A sinistra?” chiese Nathan.
“Sempre” disse Alexander. Finì di caricare la pistola e avanzò in silenzio. La finestra in fondo al corridoio era sbarrata e sporca come tutte le altre. Le porte erano pesanti e verniciate di fresco. Rosse, come la tappezzeria consunta lungo le pareti.
“Un po’ un pugno nell’occhio eh?” ridacchiò Kaspar, ma Alexander lo zittì immediatamente.
“Lo sentite?”
“Sentite cosa?” chiese Kaspar.
“E’…musica?” chiese Christophe. Nathan annuì.
“Sì, sembra musica, ma è strana…è come se fosse…”
“E’ un orchestra meccanica” disse Alexander. Un altro ingranaggio meccanico. Il terzo, da quando erano lì. Quella casa era piena di sorprese.
“Cos’è un orchestra meccanica?” chiese Nathan.
“Una serie di strumenti suonati tramite ingranaggi. Come un carillon, ma più elaborato”
“Viene da quella porta” disse Kaspar, avvinandosi allo stipite con l’orecchio “Sembra proprio un carillon”
Alexander puntò la pistola sulla porta e fece un cenno a Kaspar che la aprì di scatto. Alexander entrò e Nathan gli coprì le spalle subito dietro.
Il salone da ballo era gigantesco. La volta, un tempo affrescata, ora era piena di crepe e di macchie di umidità. In alcuni punti mancava l’intonaco e i candelabri erano senza candele, tetri.
Erano su un terrazzo rialzato, senza scale per scendere ma con un ottima vista sul resto della sala. Al pian terreno nell’angolo più lontano da loro c’era, in effetti, una orchestrina di strumenti meccanici. Una viola, due violini un clavicembalo e uno xilofono, tutti suonati da bracci meccanici sostenuti da leve e pulegge che si perdevano un altrettante intercapedini del muro.
Al centro della pista da ballo c’erano dieci copie di ballerini vestiti da gran gala. Danzavano vorticosamente sfiorandosi appena. I corpi erano tutti impagliati, alcuni vestiti con abiti polverosi, altri con gli abiti a brandelli e con la pelle conciata. Tutti cadaveri impagliati. Tutti con lo stesso sorriso cucito con il filo di ferro in faccia.
“Per Ezra…” biascicò senza fiato Christophe.
“Non c’è Ezra qui, ragazzo” disse Kaspar, anche lui senza parole davanti al un tale macabro spettacolo.
“Ehi, ma quello…quello non è impagliato!” Nathan puntò fra le gonne delle dame vestite a festa e anche gli altri videro la livrea nera di Graves scappare fra i pupazzi di quel gigantesco carillon.
Nathan alzò l’arco e scagliò due frecce verso il maggiordomo che fuggiva affannosamente fra i manichini danzanti.
La prima fece esplodere la testa a uno dei pupazzi, mentre la seconda si piantò sulla porta che Graves stava per aprire. Li guardò, terrorizzato e rise isterico
“Morti! Dovreste essere morti!” gridò mentre apriva la porta per fuggire.
“Prendiamolo vivo!” grido Alexander, correndo verso le scale. Nathan non se lo fece ripetere due volte, Mise l’arco a tracola e si buttò giù dal terrazzo.
Lo avrebbero preso, era circondato.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=115151