The law of roses

di sabdoesntcare
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo/Introduzione ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Prologo/Introduzione ***


Questa storia è nata come one-shot per la raccolta Storytime with Richard Brook, tuttavia nello scriverla mi sono resa conto che era davvero troppo lunga per rimanere tale, così ho deciso di scriverla fino alla fine e poi dividerla in parti, in modo da pubblicarla su Efp e Wattpad senza tediare l’umanità con una storia di un solo capitolo con oltre 5000 parole. Spero sia di vostro gradimento e come sempre, se avete da dire qualcosa commentate. Vi informo inoltre che è parzialmente una teen!lock, sono presenti scene angst ed è una soulmates!AU. Buon proseguimento.

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“Mamma, cosa sono quei segni che avete tu e papà?”
“Sono le Linee, tesoro.”
Il bambino scosse il capo indispettito, arruffando così i leggeri capelli biondi.
“Questo lo so, intendevo dire a cosa servono!”
“Sono un simbolo. Le Linee indicano cosa c’è nel tuo cuore: se è rossa, ti sei innamorato. Se è nera, la persona che ami ti ama.”
“Che bello! E perché tu hai tante Linee, se ami solo papà?”

La madre gli accarezzò i capelli, intenerita dall’ingenuità del piccolo.
“Perché prima di papà mi sono innamorata tante volte. Vedi la prima sul polso? È il mio primo amore. E poi un altro, un altro ancora… fino a quello più vicino al gomito, una linea nera: papà.”
La Linea nera terminava in una piccola rosa stilizzata, come quella sul polso del padre.
Il bambino sorrise. Suo padre doveva essere proprio speciale per simboleggiare l’unica linea nera in quella lista scarlatta.
“Mamma, perché proprio la linea che non è del colore delle rose ha una rosa? Non ha senso.”

La madre sorrise, poi ci pensò un attimo e disse:
“E’ un tatuaggio, io e papà l’abbiamo fatto uguale quando ci siamo sposati, così che la nostra linea sia diversa dalle altre.”
Il bambino sorrise per quella risposta, per poi chiedere un po’ preoccupato:
“Mamma, ma fanno tanto male le Linee?”
“No, non fanno male. Appaiono e basta, senza essere sentite. Hai paura che te ne appaia una? C’è qualche bella bambina a scuola per caso?” rise lei.

Il bambino sbuffò.
“Cosa dici! Penso facciano male perché nonna me l’ha detto.”
“Cosa ti ha detto?”
“Un giorno mi ha disse che le faceva male la Linea e sbirciando ho visto che era diventata come un taglietto e le sanguinava un po’. Me lo ricordo perché quel giorno nonno è andato in cielo.”
Il viso della donna si rabbuiò leggermente.

“Capisco… comunque no John, ti prometto che la tua Linea non farà mai male.”

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Gli anni passarono e il polso di John si riempì di Linee, tutte rigorosamente rosse.
Nessuna di esse era diventata una ferita, eppure per lui era come se l’avessero fatto. Ogni Linea era un amore bruciato in silenzio o consumato e trasformato in una linea nera che inevitabilmente tornava rossa ogni volta in cui chiudeva i rapporti.
Quei segni sembravano simboleggiare i tagli che il suo cuore portava addosso, lo guardavano con l’arroganza tipica di tutte le cose incancellabili, sempre pronte a ricordarti che non si può tornare indietro e che ogni batticuore è destinato a segnarti a vita. Anche se avesse tatuato l’area le Linee sarebbero ricomparse sopra, inarrestabili.
Quell’anno, in una delle ultime sere di vacanze estive si ritrovò in discoteca con un due amici. Il loro unico scopo era quello di passare una serata tra ragazzi a suon di alcol, musica e scherzi stupidi, ma dopo nemmeno un’ora uno dei due si era addormentato per la sbronza e l’altro era corso dietro a una ragazza, lasciando John col bell’addormentato.

“Che idiota” disse sbuffando con la stessa faccia infastidita di quand’era piccolo, nonostante i suoi 18 anni ed il cocktail in mano.
“Qualcuno ti ha lasciato a terra?” disse una voce con accento irlandese dal retro del divanetto, in parte sovrastata dalla musica.
“In pratica sì!” John rise nervosamente, girando il busto verso il ragazzo dietro di lui.
“Oh. Vuoi compagnia?” era un ragazzo di bell’aspetto dall’espressione indifferente, con una camicia bianca parzialmente aperta e le maniche tirate su fino ai gomiti. Evidentemente aveva caldo per via di qualche cicchetto di troppo.

“Se non hai di meglio da fare, perché no”
“Potrei fare altro, ma mi spiace lasciare un ragazzo così carino da solo sul divano.” Il ragazzo sorrise maliziosamente, sedendosi accanto a lui ed offrendogli un bicchierino.
John rimase leggermente spiazzato dalla situazione nonostante non ci fosse nulla di strano, almeno in teoria.
Jim notò la sua espressione e cominciò a ridere, per poi mettergli una mano sulla spalla.
“Non ti mangio mica eh! Era solo un complimento, tutto qui.”
“Ti ringrazio, è solo che… non sono abituato a queste cose.”
“Beh, ti abituerai. Ti va di bere un sorso del mio drink?”
John accettò e mentre offriva il suo al ragazzo notò una cosa strana: non aveva Linee.
Conosceva un mucchio di persone anche molto più grandi di loro che ne avevano solo due o tre, ma nessuna… proprio strano.
In quel momento si sentì felice di indossare la felpa, una differenza così drastica tra le loro braccia l’avrebbe fatto sembrare un debole. Continuarono a bere e parlare, almeno finché l’alcool non rese impossibile fare discorsi sensati. Parlarono dei loro hobby, la musica che ascoltavano, dove amavano andare in vacanza, dimenticando
totalmente di presentarsi.

“Posso sapere come ti chiami?”
“James, ma gli amici mi chiamano Jim”
“Okay Jim, io sono John.”
“Ho detto amici” sorrise sarcastico l’altro.
“Ma che bastardo!” rise John, buttando giù un altro cicchetto.
“Quindi com’è che devo chiamarti?”
“Tu puoi chiamarmi Dio” Jim non riuscì a trattenersi, scoppiando a ridere per la sua stessa idiozia. Il viso era arrossato, aveva decisamente iniziato a bere parecchio prima di vedere John.
“Ma che vuol dire?” anche John scoppiò a ridere, quel tizio era strano ma senza dubbio divertente.
Continuarono a parlare per un’ora e mezza e James - ormai quasi del tutto andato per la sbronza - cominciò a vantarsi delle proprie doti a letto.
“Perché continui a raccontarmi roba simile? Come se ti credessi” John gli rise in faccia, cominciava a trovare divertente provocarlo, finiva sempre per dire cose ancora più assurde.

“Vuoi scoprire la verità di persona?” Jim si avvicinò goffamente a lui, decisamente intontito dai drink. Gli prese con una mano il viso per portarlo più vicino al suo, indugiando con lo sguardo sulle labbra di John per poi sollevarlo ed incontrare i suoi occhi.
“Non lo so… forse.” John non lo respinse, per qualche motivo si sentiva incerto ma attratto dal ragazzo.
Del resto era cosciente da anni della propria bisessualità, sebbene non avesse avuto nessuna esperienza pratica con il sesso maschile.
“Che ne dici di provare allora?” altro sorriso malizioso, John si morse istintivamente le labbra. Era carino, simpatico - per quanto strano - e ci stava provando spudoratamente, perché non farlo?
 
Finirono in macchina di Jim, in pochi minuti i vestiti erano ovunque tranne che sui loro giovani corpi.
Per John fu un’esperienza più che gradevole, se non fosse che non appena finirono Jim si addormentò.
“Poteva anche aspettare due minuti, diamine.” John era mezzo nudo, confuso e con una vaga sensazione di abbandono. Non era abituato ad avere rapporti occasionali ed il fatto che Jim si fosse addormentato non appena finito con lui l’aveva offeso, sebbene il motivo della sua stanchezza fosse ovvio.
Ormai era giunto il momento di andarsene, si rivestì in fretta per poi andare a svegliare l’amico all’interno della discoteca. L’altro si sarebbe svegliato nel letto di qualche ragazza ma almeno quello ubriaco doveva portarlo a casa, prima di tornare alla propria.
 
Si risvegliò la mattina seguente con gli stessi vestiti, un’emicrania lancinante e la voglia disperata di farsi una doccia.
Si alzò per andare in bagno ma come ogni domenica mattina era chiuso dall’interno a causa di sua sorella Harriet che si stava facendo uno dei suoi soliti, interminabili bagni caldi.
“Finirà per invecchiarci lì dentro” grugnì mezz’addormentato dopo aver bussato inutilmente, per poi decidere che se doveva scendere a fare colazione doveva almeno cambiarsi.
Tornò in camera, si tolse la maglietta e… cos’era quello?
Una piccola rosa rossa era comparsa sotto tutte le sue Linee.
A differenza di quella dei suoi genitori, la sua rosa oltre a non essere nera non giungeva a terminare nessuna Linea.
C’era solo quell’unica, piccola, inspiegabile rosa.
John sentì la rabbia annebbiargli il cervello e scese le scale di fretta, senza maglia.

Vide la madre era di spalle, intenta a cucinare la colazione.
“Mamma, mi hai mentito” sibilò.
Sentendo il tono del figlio spense il fuoco e si girò preoccupata.
“Di che parli John? Perché sei senza ma… oh.”
“Non era un tatuaggio. Perché ce l’ho anche io, che vuol dire adesso?” John come la maggior parte dei ragazzi non mostrava spesso il braccio, la madre non credeva si fosse innamorato così tante volte e che tristemente, nessuna di quelle Linee fosse diventata – o rimasta – nera.
Alla fine di quella lunga serie di delusioni, c’era la rosa che anche lei portava.
Un simbolo dolce e che potrebbe cambiare la vita di chi lo indossa, ma che nel caso di John si trovava incompleto: perché tanti amori, per poi avere quella rosa senza la propria Linea?
“Caro, è una bella cosa. Non te ne ho mai parlato perché a pochissime persone appare e non volevo che tu ed Harriet passaste la vostra vita a tentare di farlo apparire sulla vostra pelle. Sei molto fortunato tesoro.”
“Quindi, mamma?”
“Quindi l’unica cosa che mi preoccupa è che quella rosa sia senza Linea. Molto strano.”
“Per favore, dimmi che è successo e basta.”
“Una rosa rossa significa che hai incontrato il tuo unico, vero amore. Una rosa rossa con linea rossa vuol dire che te ne sei innamorato, una rosa nera con linea nera che ricambia. Se la rosa è nera, ma senza linea vuol dire che ti ama, anche se tu non lo ami ancora e che quindi il tuo amore porta una rosa rossa con linea rossa.”
John si sentì svenire.
“Ti prego no…”
“Perché sei così preoccupato?”

 Doveva davvero dire a sua madre che l’unico nuovo incontro del giorno prima era stato un ragazzo col quale aveva avuto un rapporto occasionale in uno squallido parcheggio e di cui non aveva nessuna informazione rilevante se non il suo nome?

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Jim si risvegliò sui sedili posteriori della propria macchina, in parte ancora svestito. Aveva provato a rivestirsi la notte prima ma era così stanco da essersi addormentato con la camicia in mano, ancora in attesa di essere infilata.
Si sedette, fortemente nauseato. La testa non smetteva di pulsare, sapeva cosa aveva fatto il giorno prima ma non riusciva a ricordare il nome o gli esatti lineamenti del suo compagno di avventure. Non che gli importasse, certo: al contrario di John era abituato a comportarsi così con i ragazzi, era un modo per compensare ciò che non otteneva tramite relazioni amorose – mai avuta una, evitava l’amore come la peste – la sua famiglia non l’avrebbe mai accettato, non poteva fare altrimenti.
Fin da piccolo aveva capito che per lui i bambini avevano qualcosa di speciale e che le bambine per quanto belle e dolci, erano soltanto bambine. Gli era stato insegnato che era sbagliato, che per nessun motivo doveva lasciarsi andare a quei pensieri, eppure più passavano gli anni più non poteva che essere sicuro della propria natura.

La figura di suo padre - Chris Moriarty, gigante della criminalità organizzata internazionale, geniale e allo stesso tempo duro, retrogrado ed autoritario - era stata determinante nella sua educazione e crescita: lui era l’unico erede dell’impero criminale Moriarty e doveva comportarsi come tale, ottenere rispetto era fondamentale e nell’immaginario del genitore nulla poteva mettere in discussione il suo essere il futuro leader più di avere atteggiamenti o tendenze “effemminate”.
Ogni volta che mostrava troppa delicatezza nei modi veniva fatto picchiare da qualcuno e questa continua minaccia da parte della famiglia metteva a dura prova la sua mente, che ormai era stata educata a non mostrare debolezza, dolcezza o pietà per niente e nessuno, nemmeno per il proprio cuore. Era stato manipolato in modo da crescere come un ragazzo assertivo, egocentrico, insensibile e calcolatore e almeno in apparenza aveva funzionato.
Il padre testava la sua mente spesso e volentieri obbligandolo a progettare lui stesso i crimini da far effettuare, e con sua grande soddisfazione spesso i piani del figlio avevano poche o nessuna pecca strategica, il che rendeva inutile abituarlo ad uccidere qualcuno con le sue stesse mani.

Giunto alla tarda adolescenza aveva stipulato un solo accordo con sé stesso: l’essere senza cuore non doveva rimanere legato al “lavoro” ma far parte completamente di lui, tutto ciò che poteva concedersi in amore era sfogare fisicamente la propria natura repressa quando era in vacanza lontano dalla famiglia ed un giorno, sperava il più tardi possibile, avrebbe “messo la testa a posto” – almeno per non venire diseredato ed odiato – e si sarebbe deciso a sposare una ragazza qualsiasi, non mancava di ammiratrici ma ciò che sperava ardentemente era di trovare una ragazza con un destino simile al suo, disposta ad un matrimonio fittizio e a mantenere il segreto.
Del resto gli era stato insegnato che le persone erano stupide, piccole pedine e lui già da tempo aveva assimilato questa opinione, tutte meritevoli di morte nel migliore dei casi e nessuna così interessante da essere amata, dato che – almeno nel suo caso – l’amore costava caro.

Rimase per un po’ appoggiato col mento al sedile di fronte, guardandosi attorno.
Il parcheggio della discoteca ormai era vuoto e l’area sembrava deserta, famosa solo per quel locale e quindi dotata di una popolazione notturna la quale non appena incontrava le prime luci dell’alba batteva in ritirata come l’esercito alcolisti falliti qual era. Doveva uscire a prendere una boccata d’aria, volse un’occhiata pensierosa alla camicia riprendendola tra le mani. Era davvero necessario che la mettesse per uscire di lì?
Mentre cercava di liberarla almeno parzialmente dalle pieghe si accorse di un segno rosso sul polso che si fermò ad analizzare.
Rimase per un attimo col fiato sospeso provando un’inaspettata e lieve fitta al cuore, erano anni che non si emozionava per qualcosa e gli sembrò quasi di sentirsi male.

“Fantastico” disse sarcasticamente. Come la maggior parte delle persone conosceva la storia delle rose, ma non aveva mai visto qualcuno portarla e il fatto che proprio lui tra tanti avesse incontrato la propria anima gemella - per di più in quel contesto - sembrava uno scherzo di cattivo gusto. In ogni caso trovava la propria imminente partenza di fine vacanze una fortuna, la sua vita era già difficile così com’era e il fatto di non ricordare nome e viso del ragazzo lo facevano sentire al sicuro, anche se la curiosità l’avesse portato a cercarlo di nuovo non sarebbe stata un’impresa semplice.

D’ora in poi però avrebbe dovuto stare attento: se il padre avesse visto il segno avrebbe dato per scontato che chi aveva causato l’apparizione della rosa fosse una ragazza, aumentando così la pressione su James.
Nonostante tutte le imposizioni che continuava a fare al proprio cuore accarezzò delicatamente il polso con un gesto quasi inconscio: quella rosa era la prova che anche lui aveva diritto ad essere amato, nonostante il mondo gliel’avesse proibito da tempo.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


John decise di confessare alla madre la verità quel giorno, e nonostante tutte le rassicurazioni materne su come fosse il destino l’avrebbe riportato da lui, ciò non accadde mai e dopo un’iniziale momento di gioia la donna vide avverarsi il proprio incubo: il suo bambino era rimasto intrappolato nella ricerca disperata dell’amore, nonostante avesse cercato di proteggerlo da sempre.

Passarono anni in cui John scrisse innumerevoli lettere a James, senza mai avere un indirizzo a cui inviarle. Esse affollavano ogni cassetto, armadio o mobile della casa, erano probabilmente centinaia. In quelle lettere chiedeva quale fosse il suo cognome, come fosse la sua famiglia, come si sentiva a guardare la pioggia scendere dai vetri quando fuori pioveva, come aveva passato la giornata, se dopo la comparsa della rosa avesse continuato la sua vita o lo stesse cercando anche lui, se mai si sarebbe innamorato e soprattutto se pensava di potersi innamorare di lui, un perfetto sconosciuto perso nel mondo.
Pensò a James così spesso e intensamente a causa della rosa, che la Linea comparve. Era probabilmente il modo più triste per innamorarsi, rimuginare ed idealizzare qualcuno da cui sei separato da sempre.
A nulla servirono le prediche degli altri su come non si potesse vivere aspettando in eterno: si sentiva falso a continuare a cercare nel calderone del mondo qualcuno da amare pur sapendo di averlo trovato, inoltre ben pochi accettavano di stare con qualcuno con la rosa: si sentivano una ruota di scorta fin dall’inizio.

Quegli anni passarono senza che James cedesse alla tentazione di cercare il ragazzo misterioso, né pensò di tornare in Inghilterra, nonostante la curiosità e la solitudine che lo accompagnava da sempre lo facessero impazzire e si fossero intensificate terribilmente da quando portava il marchio, rendendolo incapace di avere rapporti anche soltanto fisici.
In realtà la sua vita stava andando facendosi sempre più deprimente anche a causa delle richieste di suo padre e del suo continuo fingere, sapeva che avrebbe rischiato la vita se avesse confessato la verità e decise perfino di cedere ai corteggiamenti di una ragazza di nome Sarah Collins, volendola sposare il prima possibile per non avere più tempo per ripensamenti e rischiare di finire a cercare il proprio amore e rovinare così, a parer suo, tutto.

Dopo due anni di relazione, Jim e Sarah si unirono finalmente in matrimonio. Per tutto quel tempo Sarah non aveva scoperto nulla né della rosa né del lavoro del fidanzato, James teneva il polso costantemente coperto e si assicurava che l’ultima linea di Sarah rimanesse nera somministrandole di nascosto un farmaco illegale una volta al mese. Jim diceva sempre che se davvero si fidava di lui doveva sapere di essere amata anche senza aver visto le Linee e per quanto potesse essere sospetta la cosa, la ragazza era troppo innamorata per imporsi. Del resto perché dubitare di lui? Era un ragazzo educato e da sempre gentile con lei, che la accontentava in qualsiasi richiesta, come per esempio quella di andare in luna di miele a Londra.

La luna di miele per Sarah significava il coronamento del loro amore, la prima volta in cui avrebbe donato sé stessa a James, ormai “benedetta” dal sacramento del matrimonio. Per James significava la camminata verso il patibolo, il dover accettare qualcosa che non faceva parte di lui fantasticando su come sarebbe stato se Sarah si fosse tenuta la sua dannata purezza e l’avesse lasciato libero di vivere in segreto la propria disperata vita sentimentale.
Quella notte Sarah fece di tutto per sedurre Jim, senza successo. Lui le diede corda finché poté, per poi fingere – non senza un pizzico di verità – di essere preso da un forte attacco di nausea, usando la scusa di una probabile influenza e scappando in bagno.
Lei cercò di seguirlo anche lì, chiedendo dall’altro lato della porta se avesse bisogno di qualcosa.

“Non preoccuparti, vai a dormire, mi sento solo poco bene” disse lui da dentro e appena i passi di lei non furono più udibili, scoppiò in lacrime. Non poteva vivere in quel modo, non poteva continuare a fingere eppure sentiva che ormai era troppo tardi.
Tornò in camera solo dopo ore di pianto disperato, non gli succedeva da secoli e sapeva che era tutto causato dal marchio.
Il vero amore l’avrebbe ucciso, pensò.

La mattina dopo Sarah si svegliò prima di lui, trovandolo rannicchiato all’altro capo del letto che dormiva profondamente. Il polsino nero che portava di solito era ancora lì, non lo aveva tolto nemmeno per dormire e la curiosità cresceva.
“Non ci rimarrà male se non lo saprà” disse lei a bassa voce ridendo mentre gli sfilava delicatamente il polsino.
Quando fu rimosso completamente però, Sarah smise di ridere.
Non c’era nessuna linea su quel polso: soltanto una rosa nera, che a lei non era mai apparsa.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Nota dell'autrice: il seguente capitolo l'ho scritto ascoltando Different, degli Acceptance. Se vi fa piacere penso sia più bello leggere il capitolo utilizzando quel sottofondo, sia perché è una bella canzone sia perché a mio parere ha senso per ciò che accade a questo punto della storia. Chissà, magari allargate anche i vostri orizzonti musicali!
Ad ogni modo come sempre spero che il continuo sia di vostro gradimento, see you next time.
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Jim stava guidando velocemente per le strade di Londra diretto all’aeroporto per raggiungere Sarah, la quale era scappata lasciando un biglietto in cui lo descriveva con ben pochi complimenti.

Onestamente non gli importava cosa lei pensasse di lui, ma doveva trovare un modo per convincerla a non chiedere il divorzio: il suo incubo familiare sarebbe ricominciato, ed era tranquillamente disposto a ricattarla per evitarlo.

Aveva già tagliato la strada a 4 o 5 macchine nel tentativo di guadagnare tempo, quando vide un tizio passare sulle strisce pedonali e frenò, sfortunatamente troppo tardi per non colpirlo.
Si sentì un tonfo, la macchina sobbalzò e il tizio di prima finì a terra.
“Non adesso cazzo! Non ho tempo per i funerali di questo qui” provò a fare retromarcia ed andarsene, ma la macchina si era bloccata.
In quello stesso momento cominciò ad avere un bruciore terribile al polso: la rosa sembrava essersi irritata e gonfiata leggermente.
In quel momento James capì, urlando istintivamente e precipitandosi fuori dalla vettura mentre chiamava l’ambulanza.

Di fronte alla sua macchina era disteso un uomo i cui capelli biondi erano sporchi di sangue, privo di coscienza e probabilmente sui ventisette anni, come lui.

Per la prima volta nella sua vita si sentì sinceramente, disperatamente preoccupato per qualcuno. Si dimenticò completamente di Sarah e obbligò gli infermieri a farlo salire con il ragazzo sull’ambulanza.
Rimase ore ed ore in sala d’attesa, aveva informato l’ospedale di chi fosse suo padre e pertanto non appena ci fu una sistemazione per il paziente gli indicarono la camera in cui poteva trovarlo.

“Si riprenderà?”
“Sicuramente, la ferita alla testa fortunatamente era superficiale e presumiamo sia svenuto più per paura che per altro. Non ci sono ossa rotte, anche se riporta molte contusioni. In ogni caso rimarrà sotto osservazione per qualche giorno.”

Jim si diresse sollevato verso la camera, aprendo lentamente la porta.
La prima cosa che vide fu una testolina abbassata, ancora priva di sensi.
Provò una grande pena e allo stesso tempo sentì il battito cardiaco accelerare, senza capirne il senso.
Possibile che portare la rosa fosse la causa di sentimenti tanto improvvisi? Non ne era sicuro, eppure sentiva di non poter sottrarsi a quello che provava, non in quel momento.

Si sedette accanto al ragazzo prendendogli le mani e parlando, rassicurato dall’idea che non l’avrebbe mai sentito.
“Non… non ricordo il tuo nome, e già questo dimostra che persona sono. Non ho mai voluto incontrarti, sei sempre stato quel pensiero nel profondo della mia mente che tentavo di sopprimere, che non c’entrava niente con la mia vita… ma adesso che sono qui, adesso che siamo mano nella mano, sento che il mondo è sparito e non ne conosco il perché. Non ho mai provato nulla del genere e ti ringrazio di essermi capitato, anche se non ti merito. Sono anni che sei innamorato di me, non è così? Se mi conoscessi bene non mi ameresti, eppure in questo momento so cosa hai provato. Non ti conosco, ma per la prima volta sono certo che quello che sto provando è amore. Vorrei solo conoscere il tuo nome e poi lasciarti andare, dato che non ho modo di tenerti con me.”
James sospirò, scosso dalle proprie stesse parole per poi vedere una nuova linea nera comparire sul polso, a completamento della rosa.
Prese una mano del ragazzo e se la mise sul viso, cercando conforto dal nuovo pianto che cominciava a nascere dai suoi occhi a causa di quell’esplosione di sensazioni contrastanti.

“John Watson” disse l’altro, aprendo gli occhi con fatica e sorridendo all’ospite.
“John, sei sveglio…” pronunciò quel nome come se fosse la cosa più naturale del mondo, sorridendo tra le lacrime.
“Sto bene, fidati. Sono un medico sai?” rise Watson, tossendo un po’.
“Tienimi con te, per favore.” Continuò supplichevole.

“Non posso.” James realizzò improvvisamente cosa stava accadendo, si vergognava come un ladro di essersi lasciato andare, doveva andarsene di lì.
“Addio, John.” Disse alzandosi di scatto e asciugandosi le lacrime.
“No, ti prego…” John cercò di alzarsi ma era troppo debole, cominciò ad urlare.
Jim si chiuse la porta alle spalle.

“James, no!” lo sentì urlare e poi piangere ma non tornò indietro, anche se una parte di lui aveva le vertigini al solo pensiero di star abbandonando l'unica persona di cui si era e si sarebbe mai potuto innamorare.
Jim Moriarty stava per affondare nell'oblio del proprio cuore e come lui stesso aveva predetto, l'amore aveva determinato la sua condanna a morte.
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Nota dell'autrice: rieccoci qui, scusate il piccolo hiatus ma tra tentativi di vita sociale e tentativi (anche più fallimentari) di studio sono stata abbastanza occupata. In ogni caso ringrazio tutti quelli che si stanno interessando alla storia e ancor di più le persone che hanno recensito, è davvero gentile da parte vostra farmi sapere le vostre impressioni. Come sempre spero che gradiate il seguente capitolo e salvo ulteriori complicazioni domani avrete il finale. Goodbye!
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Gli anni seguenti furono di veleno per entrambi.

Jim tornò con Sarah, più per la delirante ossessione di lei – a quanto pare non era mai partita, fuggire all’aeroporto era stato solo un tentativo patetico di farlo sentire in colpa – che per voglia di nascondere ancora il suo segreto al genitore. Da quando aveva incontrato John nulla aveva più importanza e il suo disgusto per il mondo non faceva che renderlo più spietato nelle operazioni criminali, uccidendo innocenti come mosche.
Intanto suo padre invecchiava e non poteva che essere più fiero di suo figlio, sposato con una donna e pronto a tutto quando si trattava di mandare in fiamme intere nazioni rubando o commissionando omicidi.
Nonostante questo l’addio a John fu solo una mezza verità, gli uomini fidati del più giovane dei Moriarty sapevano chi fosse e cosa rappresentasse per lui e lo pedinavano ovunque, informando James di qualsiasi movimento o novità. Era perfino rimasto a Londra per lui, nonostante Sarah fosse contraria alla cosa e convinta a tornare a casa tramite le futili promesse di Jim di ritornare non appena il lavoro l’avesse lasciato libero.

Dal canto suo, John non voleva rivederlo mai più.
Aveva bruciato ogni lettera, cancellato il suo nome da ogni libro d’amore che aveva comprato solo perché c’era un omonimo protagonista, strappato ogni disegno del suo volto che aveva riprodotto miliardi di volte per obbligarsi a ricordare e aveva perfino deciso di arruolarsi, a pochi mesi di distanza dalla sua esperienza in ospedale. Il caso volle però che non venisse accettato il suo arruolamento senza nemmeno che gli venissero fornite spiegazioni precise, ed ogni volta in cui cercava di fare qualcosa di potenzialmente pericoloso finiva per esserci qualche impedimento, come se qualcuno fosse costantemente lì a proteggerlo. La vita continuava ad essere una matrigna crudele, pronta a mantenerlo in vita a tutti i costi ma a fargli desiderare la morte.
Aveva studiato medicina e lavorato come medico per l’ospedale della piccola cittadina in cui era nato, per poi decidere che Londra gli avrebbe dato più possibilità di lavoro ed era partito per un colloquio al St. Bart’s proprio il giorno in cui era stato investito e ricoverato lì. Rifece domanda non appena gli rifiutarono l’arruolamento, e fortunatamente venne preso.
 
Le vite di entrambi continuarono miseramente fino al giorno in cui John ricevette una lettera.


Sono qualcuno a cui hai fatto un grave torto, ti chiedo ora di incontrarci e chiarire la situazione di persona.
Incontrami sul tetto dell’ospedale alla fine del tuo turno serale di oggi.
Sì, so dove lavori.

Vieni da solo.


Non era sicuro andarci, ma era sicuro di non aver fatto gravi torti a nessuno ed il fatto che venisse accusato gratuitamente lo metteva istintivamente sulla difensiva, se c’era qualcuno che aveva lamentele da fargli di certo non si sarebbe tirato indietro.
Del resto era da quando era entrato in quell’ospedale come paziente che cercava di morire, la cosa peggiore che poteva succedere era quella.
Erano le undici quando salì sul tetto, non c’era illuminazione e riusciva a distinguere della donna di fronte a lui solo le parti del viso illuminate dalla luna.
“Non ti ho mai vista. Sei quella a cui avrei fatto un torto?”
La donna rispose immediatamente con una punta d’isteria.
“Avresti? Ho preso un aereo per venirti a cercare, evidentemente sono convinta di quel che dico. L’hai fatto, poco importa se non mi conosci: io conosco te.”
“Come?”
“Sei l’uomo di cui è innamorato mio marito, e lo ami anche tu. Confessa!
sembrava decisamente pazza, Watson sapeva di doversene andare di lì.
“Non conosco tuo marito, sono single e l’amore mi fa schifo. Buonanotte.”

John le diede le spalle e fece per avvicinarsi all’uscita, quando la sentì ridere.
“Non così in fretta.” si girò di nuovo e vide sullo sfondo stellato il braccio della donna teso verso di lui, stava impugnando una pistola. Sospirò.
“Sono anni che cerco di morire, se sei così arrabbiata facciamola finita e bas-“
“Sarah, che diavolo ci fai qui? Posa subito quell'arma” Urlò una voce alle spalle di John, una voce fin troppo familiare, più dolorosa di qualsiasi proiettile.
“Ah, adesso sei arrivato anche tu. Finalmente lo vedrai morire, non avrai altra scelta che amarmi finalmente.” Rise lei.
“Lui non c’entra nulla, adesso dimmi dove hai preso la mia pistola e calmati” ringhiò James, mettendosi di fronte a Watson.
Sarah divenne rossa di rabbia per quel gesto e cominciò ad urlare di nuovo.
“Non hai mai difeso nessuno in vita tua, perché proprio questa nullità? Deve sparire.”
John afferrò Jim per la spalla, togliendolo dalla traiettoria.
“Non ho bisogno di vivere né di essere protetto. Non ho bisogno di te.” Sibilò con rabbia, cercando di far sembrare il dolore nei propri occhi semplice disprezzo per l’uomo in cui aveva sperato da una vita.
“Ottima scelta” fece lei trionfante.
Si sentì un solo sparo, il tonfo di un corpo che cade a terra ed infine due urla disperate, unite dallo stesso nome.

“James!”
Nonostante sua moglie avesse puntato John e quest’ultimo l’avesse tolto di mezzo, Moriarty con la stessa velocità con cui era abituato ad evitare i colpi durante le sparatorie stavolta si era gettato di fronte alla pistola, solo per salvare l'altro.
Il criminale cadde all’indietro finendo riverso sulle gambe di Watson, ormai nel panico e che non riusciva a fare altro che ripetergli di non addormentarsi, troppo paralizzato per cercare aiuto.
Provò a toccargli il polso con la sua solita precisione eppure non riusciva a sentirne il battito, non capendo se fosse colpa del proprio shock e finendo per lasciarsi annebbiare ancor di più dal dolore e dalla paura.
La moglie gettò la pistola a terra, correndo da Jim e abbracciandolo in lacrime.
A quel punto John non ci vide più.

“Schifosa imbecille, sei stata tu a ridurlo così.” Senza nemmeno accorgersene, poggiò delicatamente la testa di Jim privo di coscienza a terra per poi tirare via dal corpo Sarah, violentemente.
“E’ colpa tua, dovevi ucciderti invece di rovinare il nostro amore” disse lei in lacrime.
John ormai folle di rabbia la tirò per il braccio fino al cornicione mentre lei cercava inutilmente di liberarsi, la stretta sul braccio era diventata così forte da sembrare innaturale per qualsiasi uomo e Sarah non poté che lanciare il suo ultimo grido non appena venne spinta giù dall’edificio.

Il medico si girò meccanicamente verso James, prosciugato da qualsiasi emozione.
Lo prese faticosamente in braccio e con le lacrime agli occhi lo portò giù, urlando a chiunque vedesse all’interno dell’ospedale che doveva operare un uomo e aveva bisogno di immediato aiuto.
La rosa di John stava sanguinando, assieme alla sua Linea.


 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


L’operazione fu lunga e difficile, James era stato a quasi un passo dalla morte eppure grazie alla bravura dell'amato dottore ebbe la possibilità di riaprire gli occhi.
Si svegliò ventiquattro ore dopo, riusciva a parlare ma era estremamente debole. A John fu comunicato che il padre di Jim era morto di vecchiaia e pensò di informarlo di persona, nonostante tutto quello che era successo sentiva di dovergli stare vicino in un momento così delicato.
“James… Moriarty.” Si bloccò quasi nel dirlo, non era mai riuscito a conoscere il suo cognome prima di operarlo e stranamente non appena gli infermieri lo riconobbero urlarono che era il figlio di Moriarty e si affrettarono a prestargli aiuto, ben più di come si farebbe con un normale cittadino.

“Oh, sei tu.”
Jim sorrise non appena lo vide entrare, nonostante la stanchezza e il dolore che lo attanagliavano.
“Sono venuto a comunicarti che purtroppo, tuo padre è venuto a mancare stamattina.”
“Stamattina? Per quanto sono stato privo di coscienza?”
“Ventiquattro ore. Ti porgo le mie condoglianze e… ”
“E?”
“Nulla, non ha importanza.”
“Va bene… qualunque cosa tu abbia fatto, suppongo sia grazie a te se sono ancora qui.” lo fissò con gli occhi che brillavano d’ammirazione, sapeva di dovergli la vita e ciò lo faceva sentire ancora più connesso a lui.
“Immagino di sì” sospirò John, guardando a terra. Si sentiva un mostro, l’aveva reso vedovo e nemmeno lui riusciva a capacitarsi di quello che aveva fatto. Era diventato un assassino.

“Qualcosa non va?”
“Vuoi sapere dov’è Sarah?”
“No, voglio sapere se tu stai bene.”
Watson rimase a bocca aperta. Davvero non gli importava a tal punto di sua moglie?
 “James… Sarah è morta, tuo padre è morto. Cosa ti importa di me?”
“E’ ciò che fanno le persone. Tutti muoiono, ma noi siamo qui e il resto è irrilevante. Per favore, siediti.”

John si sedette sul letto, in ascolto.
“Io ti amo. So che l’ultima volta te l’ho detto in questo stesso ospedale per poi fuggire via ma prometto che stavolta non accadrà, e spero che nemmeno tu decida di andartene.”
John sentiva di non poter andare avanti senza la propria anima gemella e che la sua intera vita ne era stata la prova, indipendentemente da tutto non avrebbe potuto rifiutare il suo amore.
“Anche io ti amo, ti giuro che non permetterò a niente di separarci ancora.”

Nel momento in cui si dichiararono amore a vicenda, l’uno toccò la rosa dell’altro e quello che accadde fu del tutto inaspettato, mai se ne era sentito parlare nelle leggende della rosa e forse era la prima volta in assoluto in cui a due anime gemelle accadeva:

In quell’istante entrambi si videro scorrere tutta la vita dell’altro davanti agli occhi, provando gli stessi sentimenti che l’anima gemella aveva provato in ogni singola situazione.
Il tutto durò pochi secondi, ma la sensazione fu davvero quella di aver vissuto la vita dell’altro oltre che la propria in ogni singola sfumatura. Adesso erano un’unica cosa e non c’era più bisogno di parlare o chiedere perdono per nulla.
John si calò delicatamente su James e lo baciò, stringendogli le mani nelle sue.

“Quando mi alzerò da questo letto la prima cosa che farò sarà sposarti” rise piano Jim.
“Promettimi che nessun innocente verrà più ucciso, e accetterò volentieri. Ho visto nei tuoi ultimi pensieri che ora che tuo padre è morto sei obbligato a prendere il suo posto, ma in quanto capo puoi rendere le cose un po’ più giuste, non è così?” disse incerto l’altro.
“Qualunque cosa per te” mormorò James, prima di riaddormentarsi sfinito.



Non appena la convalescenza terminò, Jim mise in pratica ciò che aveva promesso.
Rimasto ormai vedovo si unì in matrimonio con John, fu la prima volta in cui fu felice di indossare una fede e da quel momento - seppur costretto a continuare a lavorare come consulente criminale - fece in modo che il sangue che scorreva grazie al nome Moriarty non fosse mai sangue innocente.
John continuò a lavorare al Bart’s e insistette per mantenere il suo cognome, fu così che il nome da civile di Jim divenne James Watson.
Non accadde mai più nulla che potesse sconvolgere le loro vite e come era giusto che fosse, la legge delle rose era stata rispettata:



Nessuno avrebbe potuto separarli, nemmeno il più nefasto dei destini.

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