Hogwarts

di Stella cadente
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16. ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17. ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18. ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19. ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20. ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21. ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22. ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23. ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24. ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25. ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26. ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27. ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28. ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29. ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30. ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31. ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32. ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33. ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34. ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35. ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36. ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37. ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38. ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39. ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40. ***
Capitolo 41: *** Capitolo 41. ***
Capitolo 42: *** Capitolo 42. ***
Capitolo 43: *** Capitolo 43. ***
Capitolo 44: *** Capitolo 44. ***
Capitolo 45: *** Capitolo 45. ***
Capitolo 46: *** Capitolo 46. ***
Capitolo 47: *** Capitolo 47. ***
Capitolo 48: *** Capitolo 48. ***
Capitolo 49: *** Capitolo 49. ***
Capitolo 50: *** Capitolo 50. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***















Prima parte


Exordium





















1.

 
2047

Settembre
 
L’aula di Divinazione era semivuota, quel giorno. C’erano solo poche persone che fossero di sua conoscenza – gran parte dei suoi amici erano a Cura delle Creature Magiche. Non si sarebbe annoiata, certo, ma stare in una classe in cui vi erano soltanto pochi visi familiari era un po’ … desolante, ecco.
Pazienza, pensò, scrollando le spalle.
Esmeralda rovistò nella sua borsa e ne tirò fuori il libro, mentre la professoressa Cooman iniziava la sua spiegazione. Trovava che Divinazione fosse una materia affascinate. Per non dire stupenda: le piaceva da morire e otteneva il massimo dei risultati in ogni test.
«Professoressa!» si sentì dal di fuori dell’aula. Quentin entrò tutto trafelato in classe. Esmeralda scosse la testa, ridacchiando sotto i baffi: il suo migliore amico era sempre in ritardo.
«Signor Cloche, le sembra questa l’ora di arrivare?» fece la Cooman, leggermente indispettita.
«Mi scusi» disse il ragazzo, abbassando lo sguardo.
La professoressa borbottò qualcosa, poi gli fece un cenno verso i tavolini con le sfere di cristallo sparsi in tutta la stanza.
«Prego, prego. Vada.»
«Grazie» sussurrò lui, prima di andare a sedersi nel posto libero accanto ad Esmeralda.
La ragazza ridacchiò. «Non ridere, ti prego» disse Quentin seccato. «È umiliante arrivare in ritardo ogni volta» aggiunse, mentre si aggiustava la cravatta gialla e nera di Tassorosso dentro il maglione.
Esmeralda sorrise intenerita. «Come mai sei arrivato in ritardo stavolta? Febo ti ha intrattenuto nei corridoi con uno dei suoi lunghissimi monologhi sul Quidditch?»
«Silenzio!» urlò la Cooman. «Trouillefou, Cloche, ma insomma!»
I due si zittirono.
«Mi scusi, professoressa» disse la ragazza con un filo di voce.
La Cooman riprese quindi la sua spiegazione, continuando a parlare della cleromanzia; poco più in là, abbastanza vicino ai due amici, un ragazzo di Serpeverde si voltò verso di loro, fulminandoli con lo sguardo. Quentin fu scosso da un brivido, che non sfuggì ad Esmeralda. «Che ti prende?» gli chiese.
«Quel tizio mi fa veramente paura» ammise il ragazzo. «È davvero inquietante. Solo a condividere una classe con lui ho l’ansia.»
Esmeralda si imbronciò: non poteva sul serio avere paura di quello. Eppure qualcosa le diceva che era così, dal momento che non osava nemmeno nominarlo. «Ma chi, Claude Frollo?» ribatté. «Non dirmi che hai paura di lui, Quentin, o ti sbrano» fece con leggerezza, buttandola sullo scherzo – giusto per far rilassare un po’ l’amico.
«E perché?»
La ragazza si accigliò di nuovo. «Lo odio» si limitò a dire.
«Beh, ma non ti ha mai fatto niente» fece Quentin.
Esmeralda lo guardò male.
«Cioè, non che io lo stia difendendo, ma, insomma...»
«È pieno di sé, crede di poter impartire ordini a tutti e si crede chissà chi solo perché è un Purosangue» lo interruppe l’amica. Aveva detto la parola “Purosangue” come se avesse un cattivo sapore, impregnandola di sarcasmo.
«Dico, ma hai visto come si comporta con gli altri? È come se lo disgustassero. E vogliamo parlare del suo atteggiamento con i professori? Sembra che li tratti come suoi pari anziché come suoi superiori» proseguì, alterata.
Forse non avrei dovuto chiederglielo, pensò Quentin.
«E poi è un Serpeverde» concluse. «E già questo basta a farmelo odiare.»
Esmeralda, infatti, cinque anni prima era stata smistata in Grifondoro: nonostante i conflitti si fossero un po’ appianati dopo la Seconda Guerra Magica, la rivalità tra le due Case non era ancora tramontata. E probabilmente non lo avrebbe mai fatto.
«Capisco» si limitò a dire Quentin. «Scusami se te ne ho fatto parlare.»
«Oh, ma figurati» lo rassicurò Esmeralda. «Non è successo niente» aggiunse, sorridendo.
E, conclusa quella conversazione, i due ragazzi presero a seguire la lezione, lasciando che l’ora di Divinazione scorresse.


 
                                           
*
 
Alla fine della mattinata di lezione, altri due amici si trovavano nel cortile del castello e stavano discutendo animatamente.
«Senti Meg, voglio essere sincero, non mi piacciono quelle ragazze con cui stai» affermò il ragazzo, alto, con i capelli chiari e dei bellissimi occhi color cielo.
Ercole sembrava quasi indignato; Megara non poteva credere che proprio il suo migliore amico la stesse rimproverando come se fosse suo padre. «Senti, Erc» lo imitò, calcando però ironicamente sulla parola “Erc”. «Melicent ed Eris non hanno nulla di male. E poi chi sei tu, mio padre?» diede voce ai suoi pensieri.
Il ragazzo fece per replicare, ma lei lo bloccò.
«E c’è anche un’altra cosa. Se sono in difficoltà, me la cavo da sola. Non ho bisogno di te.»
Ercole ci restò male. Lui e Megara, in fondo, si erano sempre trovati in disaccordo, ma aveva come la sensazione che il fatto che lui fosse stato smistato in Grifondoro e lei in Serpeverde avesse inasprito il loro rapporto. Non voleva perdere Meg, per nessuna ragione al mondo, e sapeva che lei non gli avrebbe voltato le spalle facilmente. Eppure, ogni volta che la vedeva con quelle ragazze – Melicent ed Eris, sue compagne di Casa, che lui non aveva mai sopportato – sentiva l’impulso di spaccare qualcosa. 
«Dico solo che mi sembra che tu mi stia accantonando. Ecco tutto.»
«Assolutamente no. Ma potrò stare anche con altre persone, no?» fece la ragazza, incrociando le braccia sul petto.
Già, perché stava diventando così possessivo con lei?
La guardò. Sul suo viso a cuore gli occhi viola mandavano lampi, e i suoi capelli castani, raccolti nella solita coda di cavallo lunghissima e vaporosa, sembravano più brillanti del solito. Non si era mai accorto di quanto la sua amica fosse carina.
«Ercole» lo riscosse la voce di Meg. «Cos’è, il gatto ti ha mangiato la lingua?»
Accidenti.
Si era incantato a fissarla ed era rimasto con lo sguardo sul suo viso troppo a lungo.
«No» disse subito, come per difendersi. «Stavo pensando.»
Megara lo guardò un attimo, con un sopracciglio arcuato. «Okay» si limitò a dire, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. «Ehm... ripassiamo Artimanzia? Abbiamo compito tra un’ora» aggiunse, giusto per stemperare un po’ la tensione.
«Va bene» disse Ercole, con quel sorriso spontaneo.
Meg restò un attimo a fissarlo, poi si riscosse e prese il libro dalla borsa.
«Okay» fece. «Cominciamo.»
 
 
*
 
 
Quando Ercole terminò il compito di Artimanzia – ovviamente facendosi suggerire da Meg – si sentiva esausto ed era uscito dall’aula completamente distrutto.
«Mi sento una pezza» fece Febo de Chateaupers al suo fianco. «Quel compito mi ha distrutto.»
«A chi lo dici» replicò il ragazzo. «Fortuna che mi ha aiutato Meg.»
«Ma chi, la tua amica di Serpeverde?» chiese Febo, ammiccando.
«Sì, esatto» annuì vagamente Ercole.
«Amico, non è che ti piace?» disse sfrontatamente Febo, alzando un sopracciglio.
«Cosa? No, insomma, siamo amici e lei è molto carina, ma... no.»
Il suo compagno di Casa gli rifilò uno sguardo con l’aria di chi la sapeva lunga. «Bah, sarà...» si limitò comunque a dire.
Ma ogni altro possibile discorso venne troncato da un gran clamore proveniente dai corridoi del castello, poco più in là, davanti all’aula di Trasfigurazione.
«Brutta stronza che non sei altro!» si sentì urlare da una voce femminile ben conosciuta ai Grifondoro.
«Oh, per la barba di Merlino, ci risiamo» disse Febo, roteando gli occhi.
«Febo!» si sentì chiamare il ragazzo. Il tempo di voltarsi e la sua amica Esmeralda gli era piombata addosso, seguita a ruota da un Quentin con il fiatone.
«Esmeralda» esordì. «Cosa sta succedendo?»
Il ragazzo guardò Quentin come per chiedere una risposta, ma il Tassorosso alzò le mani. “Non chiedermelo, perché non lo so” sembrava dire.
«Ti spiego dopo» fece l’amica, sbrigativa. «Andiamo.»
E lo trascinò via.
 
 
 
Davanti all’aula di Trasfigurazione, infatti, la voce squillante di Merida Dunbroch – una giovane Grifondoro con due grandi occhi azzurri e una criniera di folti ricci rossi –  risuonava per tutti i corridoi, e un gruppetto di ragazzi assisteva alla scena. Di fronte a lei, Eris Goddess – una bellissima ragazza di Serpeverde con dei lisci capelli neri – se la rideva di gusto sotto i baffi, mantenendo la sua solita aria gentilmente ironica.
«Tu... tu... lo hai fatto davvero? Insomma, non posso crederci!» strepitava la rossa, gesticolando furiosamente.
«Credici, Merida» fece l’altra, con il suo solito tono di voce suadente. «Come si dice? Ah, sì: “occhio per occhio”» concluse tranquillamente, lisciandosi la lunghissima chioma corvina.
Nessuno capiva nulla di quello che le due ragazze stavano dicendo, tranne Esmeralda. La giovane Grifondoro sapeva che Merida non aveva mai sopportato Eris, e quelle due spesso si tormentavano l’una l’altra già dal primo anno. Ogni volta scoppiava il putiferio.
«Beh, se ci pensi» continuò Eris, sempre più calma. «Tu hai rifilato un filtro d’amore al mio ragazzo e io adesso l’ho rifilato a mia volta al tuo. Non ti sembra uno scambio equo?» chiese, ridacchiando.
Esmeralda temette il peggio. Merida non le aveva ancora raccontato niente – impegnata com’era con il Quidditch non si era fermata un attimo e non avevano avuto mai tempo per parlare come si deve – ma a quanto pareva la cosa era più grave di quanto pensasse.
Un filtro d’amore. Quelle due avevano propinato ai rispettivi fidanzati un filtro d’amore.
La ragazza spalancò gli occhi: sapeva che Merida era estremamente irascibile e vendicativa, ma non credeva che potesse arrivare fino a questo punto.
«Te lo faccio vedere io lo scambio equo» sibilò la Grifondoro, stringendo i pugni. Sembrava che la situazione si fosse un po’ calmata; adesso varie persone stavano cominciando ad andarsene.
Eris rise della sua risata dolcemente sarcastica, guardando Merida divertita. «Uhm» rifletté, assottigliando gli occhi marrone bruciato. «Che ne dici di un duello? Magari... stasera, subito dopo cena? »
«Dove?»
«Vediamo... vicino al Lago Nero può andare?»
«Ci sto» disse la rossa, determinata.
Eris guardò quella Grifondoro che perdeva la pazienza. Non si capacitava del come facesse; in fondo, era solo un duello. Avrebbe vinto la migliore, dopotutto. Non c’era bisogno di scaldarsi tanto. Anche se amava vedere Merida arrabbiata.
«Benissimo!» trillò con entusiasmo. «A stasera allora.»
E se ne andò, con i lunghi capelli neri che svolazzavano tutt’intorno.
«Merlino, quanto la odio» bofonchiò Merida. «Non la sopporto. Il mio era solo uno scherzo! E lei cosa fa? Dà un filtro d’amore al mio ragazzo, ancora più potente di quello che ho dato io al suo. È dovuto andare in infermeria!»
«Beh», disse  Febo, «non è che tu abbia fatto uno scherzo proprio innocuo, però.»
Merida ringhiò.
«D’accordo, sentite,» intervenne Quentin «stiamo tutti calmi. Io adesso devo andare a ripassare Pozioni con Aurora, noi Tassorosso dopo abbiamo compito. Mi raccomando» disse, rivolgendosi soprattutto ad Esmeralda e Febo, dal momento che non conosceva bene Merida e gli altri. «Non fate niente di sconsiderato.»
Quentin sapeva che, dato che si trattava di una ragazza di Serpeverde, i suoi amici avrebbero potuto anche accompagnare Merida al duello e peggiorare ulteriormente le cose. Da parte di Esmeralda, del resto, veniva quasi naturale aiutare gli amici in difficoltà, anche se questo voleva dire intromettersi in questioni che non la riguardavano.
Detto questo, se ne andò.
«Mi spieghi che cosa accidenti è successo, di preciso?» chiese Ercole, rivolgendosi a Merida.
La ragazza sospirò. «Allora» disse «una settimana fa avevamo Pozioni con Serpeverde, ricordi?»
Ercole annuì.
«Bene. E ricordi che mi è letteralmente scoppiato il calderone in faccia?»
«Oh, beh» fece il ragazzo. «Senza offesa, ma tu sei una schiappa in Pozioni. La professoressa Cecaelia è disperata.»
Merida lo guardò male.
«Scusa» disse lui. «Dicevi?»
«Quella serpe lo ha fatto apposta! Ha approfittato del fatto che io sia impedita in Pozioni per far sì che non sembrasse tutto troppo strano e mi ha lanciato un incanto Bombarda al calderone, facendomelo esplodere in faccia. Quindi io, per vendetta diciamo, ho dato un filtro d’amore al suo ragazzo nascondendolo in un dolcetto, ma così, per scherzo. E lei, invece di prenderla sul ridere, ne ha preparato uno a sua volta e lo ha dato a Jehan il giorno delle selezioni per il Quidditch, dicendogli che era Felix Felicis! Te ne rendi conto?»
«Ciao ragazzi!» trillò una voce in lontananza, interrompendo lo sfogo di Merida.
Esmeralda sorrise. «Ciao Anna!» disse con entusiasmo.
«Scusatemi se non vi ho raggiunto prima ma ero con Kristoff, sapete ora ha il compito di Pozioni ed è disperato, così io l’aiutavo e in più facevo da sostegno morale, ma ho sentito che è successo un casino assurdo in corridoio tra Eris e Merida e quindi sono venuta qui... che mi sono persa?»
Aveva detto tutto il suo discorso quasi senza riprendere fiato e per un attimo nessuno seppe rispondere; erano tutti confusi dal fiume di parole che era appena uscito dalla bocca di Anna.
Fu Merida a rompere il silenzio. «Eris ha rifilato a Jehan un filtro d’amore» disse tra i denti.
Anna si portò una mano alla bocca. «Jehan Frollo, il tuo fidanzato? Davvero?»
«Sì. Ma stasera sfiderò a duello quella serpe vicino al Lago Nero e gliela farò pagare. Non ho paura di lei.»
Anna sorrise e le diede una pacca sulla spalla.
«Sono convinta che la farai pentire di  averlo fatto» la rassicurò, come solo lei sapeva fare.
E finalmente, sul volto tondo e roseo di Merida apparve un sorriso.
 
 
*
 
 
«Alla fine com’è andata con la Dunbroch?» chiese Meg, alzando finalmente gli occhi dal libro e incontrando quelli di Eris. Sapeva da sempre quanto le due si detestassero ed ogni volta era curiosa di sapere cosa aveva architettato la sua amica. Si divertiva da matti, a sentirla. Era una cosa incredibile, Eris ne sapeva una più del diavolo.
«Oh, il solito» fece l'amica, noncurante. «Ma ho una novità. Ci sfideremo stasera vicino al Lago Nero.»
Meg aggrottò le sopracciglia. «Non sei tesa? Insomma, è pur sempre un duello.»
«Io? Naah. E poi stiamo parlando di Merida Dunbroch, Meg. Sono anni che mi scontro con lei in ogni modo possibile. Non ci ho mai duellato prima, ma non sembra una grande minaccia.»
«Sicura?» disse la ragazza. «A me sembra parecchio agguerrita.»
Eris ridacchiò. «Be', lo è parecchio. Ma io sono indubbiamente più capace e astuta di lei, e solo questo basta a mettermi in netto vantaggio» sorrise, soddisfatta, incurvando la sua bellissima bocca, rosea come petali di fiore.
«Sei sempre la solita» rise Meg.
«Per Salazar!» sentirono esclamare accanto a loro.
Le ragazze si voltarono. L’esclamazione in questione proveniva da Melicent, che da ore se ne stava sprofondata nella lettura di un libro; era chiaro che fino a quel momento non aveva ascoltato niente di niente di quello che si erano dette.
«Cosa c’è, Mel?» chiese Eris.
«È straordinario...» continuò lei.
Meg sospirò. «Mel!» la richiamò a voce più alta. «Cos’è che è straordinario?»
La ragazza sollevò gli occhi dal grande tomo nero che stava leggendo. «Sapete che esiste un tipo di magia chiamato Horcrux?» se ne uscì poi, con occhi estasiati.
Melicent era una ragazza alta e magra, raffinata ed elegante; aveva un viso pallido, sempre seminascosto da lunghi capelli neri con riflessi verdi, delle labbra rosse e ipnotici occhi di uno sfavillante color topazio, che in quel momento mandavano scintille.
Eris fece un’espressione interrogativa. «E cosa sarebbe?»
«Tu fai a brandelli la tua anima e ne nascondi un pezzo in un oggetto, cosicché essa possa sopravvivere in quell’oggetto. In altre parole, non puoi morire» spiegò, chiara e concisa.
«Wow» si limitò a dire Eris.
«E com’è che si fa a brandelli l’anima?» chiese Meg.
«Uccidendo» disse semplicemente Melicent.
Le amiche la guardarono inorridite.
«Ovviamente non intendo realmente farlo, ragazze» Meg ed Eris sospirarono. «Dico solo che è interessante,  ecco. Insomma, sapete quanto mi piacciano le Arti Oscure. Dovrebbero fare un corso a scuola sull’argomento, io lo seguirei volentieri.»
Già, Melicent aveva una vera e propria passione, constatò Megara. Ne era semplicemente ossessionata.
«Comunque, buona fortuna per il duello, Eris» concluse, con la sua voce seria.
Le due amiche si scambiarono uno sguardo perplesso e stupito insieme: come aveva fatto Mel a seguire il discorso mentre leggeva?
Assurdo, pensò Megara.
«Grazie» replicò la ragazza, senza scomporsi.
Ma anche lei si stava interrogando sul come diavolo avesse fatto Melicent a fare due cose contemporaneamente.

 
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Ed ecco che la mia fissa per la Disney si esprime in una storia!
Non so minimamente come mi sia venuta quest’idea, ma penso che più semplicemente io abbia mescolato due mie grandi passioni: Harry Potter, e i film Disney.
In sostanza, ho preso tutti i miei personaggi preferiti (cattivi compresi, come avete visto) e li ho spediti ad Hogwarts, trasformandoli in comuni studenti. I
n questo primo capitolo ci concentriamo perlopiù sulle Case di Grifondoro e Serpeverde… spero che gli smistamenti vi sembrino appropriati.
Questo (e quello dopo) sarà un capitolo… introduttivo, diciamo. Ovviamente non entreremo subito nel vivo della storia, sarà una cosa molto graduale. Per il momento ci soffermiamo sulle avventure dei nostri ragazzi e sulla loro vita alla Scuola di Magia.
Voglio far sì che in questa storia non ci sia un personaggio principale. Voglio dare la stessa rilevanza ad ognuno, perché come vedrete, prossimamente saranno tutti essenziali. Spero che vi piaccia, comunque.
Alla prossima,
Stella cadente
 
PS Merida ce la vedo un sacco a scontrarsi con una Serpeverde ogni giorno… a proposito, avete capito chi è questa astuta ragazza? Ebbene sì, è Eris, la Dea della Discordia di “Sinbad – La leggenda dei Sette Mari”. So che non è Disney, ma è un personaggio che mi piace molto, e ho pensato di inserirla :)

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


2.
 
 
«Com’è andato il compito, Quentin?» chiese Aurora al giovane Tassorosso, una volta fuori dall’aula.
«Oh, beh» si strinse nelle spalle lui «non male. Credo, magari una A, di avercela strappata. Almeno spero» aggiunse, sottovoce.
Aurora sorrise gentilmente.
«Dai, vedrai che il tuo impegno sarà riconosciuto. Sono certa che la professoressa Cecaelia non vede l’ora di darti una bella O.»
La sua compagna di Casa era una ragazza dal viso roseo come una pesca, dolci occhi azzurri, boccoli di uno splendente biondo grano – talmente splendente da sembrare perfino che illuminasse l’ambiente circostante –  e un sorriso sempre stampato in faccia. Amava la natura e gli animali. E Pozioni. Infatti era bravissima e Quentin si faceva aiutare sempre da lei, dal momento che lui invece era imbranatissimo – davvero, un fiasco totale.
«Speriamo» disse, un po’ preoccupato.
«Io starei tranquilla. In fin dei conti, non avrebbe motivo per avercela con te. Ti sei sempre impegnato e comportato bene. Ma poi, quale Tassorosso non lo fa?» fece con un gran sorriso.
«"O forse è a Tassorosso la vostra vita, dove chi alberga è giusto e leale: qui la pazienza regna infinita e il duro lavoro non è innaturale”» citò il ragazzo con tono pomposo, essendosi rianimato un pochino.
«Esattamente» fece Aurora, con una risatina.
«Ragazzi!»
Un ragazzone biondo si precipitò fuori dall’aula con una faccia terrorizzata.
«Non so voi, ma quel compito era... terrificante» disse, con gli occhi nocciola spalancati in un’espressione di orrore.
«Oh, suvvia, Kristoff» disse Aurora, con i suoi soliti modi di fare principeschi. «Non era poi così terribile.»
«Cosa?» strepitò il ragazzo. «Forse per te non lo era. Ma oggettivamente era... beh, terrificante» ripeté, con lo sguardo vuoto, come se fosse in uno stato di trance.
Aurora incurvò le labbra in un sorriso – uno dei suoi, dolce e delicato.
«Hai ripassato con Anna, prima?» chiese, cercando di mascherare il tono allusivo dietro alla gentilezza.
«Chi?»
«Anna Arendelle. Sai, Grifondoro, capelli fulvi, occhi azzurri, lentiggini, una gran parlantina...» si mise ad elencare con il suo tono morbido.
«Ho capito, ho capito. Beh, sì. Perché me lo chiedi?» fece Kristoff, burbero.
«Niente» disse la ragazza, guardandolo. «Solo che, probabilmente...»
«No, zitta, non voglio sentirti» la interruppe bruscamente lui. Sapeva già che cosa stava per dirgli.
Era dall’anno precedente che i suoi amici erano entrati in fissa con il fatto che gli piaceva Anna. Ma non era così. Erano solo... buoni amici. E basta. Senza se e senza ma.
«Ma Kristoff», provò a convincerlo, «se ne sono accorti tutti tranne te.»
«Oppure lo pensano tutti tranne me. Io so quello che provo. Non mi piace Anna, punto e basta.»
Silenzio.
«Cambiando discorso» disse Quentin, giusto per evitare situazioni spiacevoli. «Avete saputo del duello che ci sarà stasera tra Merida ed Eris?»
«Oh, sì» disse Aurora, non prima di aver lanciato un’occhiataccia (ignorata spudoratamente) a Kristoff. «Sapete, è una cosa incredibile, tra quelle due è un continuo vendicarsi di questo e quello. Ma non hanno proprio niente da fare?»
«Evidentemente...» replicò Quentin. «Pare che abbiano dato un filtro d’amore l’una al fidanzato dell’altra ed è scoppiato il putiferio.»
«Davvero?» chiese Kristoff. Poi scoppiò a ridere. «Oh, Merlino, non ci posso credere!»
«Ma tu com’è che sai tutto così nei particolari?» fece Aurora, curiosa.
«Esmeralda» rispose lui, telegrafico.
«E adesso che cosa farà Merida?» chiese Kristoff.
«Duellerà, ovviamente» disse Quentin. «Ha la fama di essere una bella testa calda, d’altronde. E, per quel poco che l’ho conosciuta, devo dire che è vero. Tra l’altro, ho come l’impressione che gli altri duelleranno con lei contro la ragazza di Serpeverde, anche se mi sono raccomandato mille volte di non farlo. O perlomeno assisteranno allo scontro.»
«Beh, amico, per un Grifondoro mi sembrerebbe strano se facesse il contrario» replicò il ragazzo, divertito.
«Che cosa barbara, però» commentò Aurora, arricciando il nasino. «Io non fare mai niente del genere. Non ne sarei proprio in grado.»
Quentin sorrise all’amica.
«Allora sappiamo che non sei stata smistata nella Casa sbagliata.»
E lei lo ricambiò, facendo comparire quel sorriso delicato e luminoso al tempo stesso che da sempre la caratterizzava.
 
 
 
*
 
 
Elsa era chiusa nel bagno delle ragazze, rannicchiata in un angolo, e piangeva silenziosamente.
Tutti i suoi piani erano falliti. Non era riuscita a controllare il suo potere; anzi, era aumentato di pericolosità con il tempo.
I primi anni, dopo aver parlato al preside Merman dei suoi poteri, aveva rivelato, entusiasta, il suo segreto alla sorella – spesso giocando con lei e creando stupefacenti statuette e arabeschi sul soffitto con il suo ghiaccio magico.
Il potere di Elsa era magnifico, lo era davvero. Il preside Merman glielo aveva sempre detto. Tra l’altro, si era rivelato proprio la persona giusta a cui dirlo, dal momento che anche lui, quando andava a scuola, aveva un potere che gli altri non avrebbero capito, un potere che non dipendeva dalla sua bacchetta magica: era in grado di produrre e controllare l’acqua. Un potere singolare, ma anche pericoloso. Come il suo.
Il Preside era appartenuto anche alla sua stessa Casa, Corvonero. Perciò, Elsa aveva subito capito che per lei sarebbe stata una figura importante, nello sviluppo di questa sua anomalia rispetto agli altri maghi e streghe.
E, come aveva intuito, lo era stato. Merman le aveva insegnato a controllare il suo potere, a vedere solo la bellezza in esso, a provarlo, non a reprimerlo. E così Elsa lo scopriva pian piano, affiancata dalla sorella Anna, che la incoraggiava sempre. Anche nei momenti di sconforto.
Ed era felice. Talmente felice che si sentiva quasi di mostrarlo a tutti – anche se alla fine aveva deciso di tenerlo solo per lei e per Anna.
Peccato che, due anni prima, avesse accidentalmente colpito la sua sorellina alla testa, e che per rimediare avesse dovuto farle un Incantesimo di Memoria, cancellando così il ghiaccio dalla sua mente, e con lui tutti i ricordi ad esso legati.
Cancellando parte della sua speciale preadolescenza.
Aveva iniziato a vivere nell’isolamento. Aveva iniziato a respingere Anna, come mai avrebbe voluto fare. La sua gemella, nata il suo stesso giorno alla sua stessa ora, non era più parte di lei come un tempo.
Elsa respingeva tutti, per dir la verità.
Ora, a sedici anni – ne avrebbe compiuti diciassette a Gennaio – era una ragazza completamente sola.
Non le importava, perché gli altri sarebbero stati meglio, senza di lei.
Lei era un mostro. E i mostri non possono avere amici.
Lei stava male, certo – no non stava male, stava uno schifo – ma che cosa importava, se gli altri invece avrebbero continuato la loro vita tranquilli?
Forse era quello il suo destino. Restare sola.
Sì, doveva essere così.
Eppure, quando era sola – e ultimamente lo era molto spesso – il fantasma di sua sorella, i fantasmi della felicità, tornavano a tormentarla con visioni che non sarebbero mai diventati realtà – e lei, questo, lo sapeva.
E i fantasmi non li puoi uccidere. O congelarli, come avrebbe fatto volentieri la ragazza.
Elsa si alzò, si asciugò in fretta le lacrime con un gesto brusco e raddrizzò le spalle, inspirando profondamente.
Su, dai. Almeno mentre corri fino al tuo Dormitorio, o in biblioteca, fingi di essere normale, si disse.
Se resti concentrata, se sei brava, non lo verrà a sapere nessuno.
Continua a fingere, Elsa.
Dimostra solo eleganza, da perfetta Corvonero quale sei.
Almeno in pubblico.
Ti prego.
Ma mentre usciva dal bagno, un’altra lacrima ghiacciata rotolò sul suo viso dolce e pallido.
 
 
*
 
«Anna, per favore! Devo assolutamente andare, Aurora mi aspetta sulle rive del Lago!»
A parlare era un ragazzotto alto di Grifondoro, dal fisico asciutto, i capelli castani e gli occhi color cielo.
Philip Knight stava cercando di metter fine a quella discussione al più presto – anche perché tanto non sarebbe servita a niente. Accanto a lui, Jehan Frollo guardava la scena in silenzio, ridacchiando sotto i baffi.
«No, voglio capire! Nel senso, perché siete tutti così... così ossessionati dall’idea di me e Kristoff insieme? Siamo solo amici, basta! Voi vi fate i film, te lo dico io. Non mi piace, se non come amico, insomma non mi ci vedo, ecco. Lo sai che a me piace Hans. E sono sicura che quello tra noi sarà vero amore
Anna aveva sottolineato le parole “Vero Amore” con aria saccente, come se fosse strasicura di quello che diceva.
E in effetti, ostentava proprio una gran sicurezza. A giudicare dalle gote arrossate, era anche piuttosto arrabbiata.
Philip alzò un sopracciglio.
«Ma chi, Westergård?» fece, con un tono del tipo “quell’idiota?”
«Ebbene, sì» affermò la ragazza. «Qualcosa in contrario?»
Philip trattenne a stento una risata.
«No comment» disse solo.
«In effetti...» aggiunse Jehan. «Non è il massimo.»
«Tuo fratello è in buoni rapporti con lui, però» disse Philip, rivolto al suo compagno. «Almeno mi pare.»
«Già che me lo ricordi: devo chiedere gli appunti di Artimanzia a Claude. Io non ci capisco un’acca» saltò su il ragazzo.
«Ma studiare, no?» fece Philip.
«Naah» ribatté Jehan. «Ho cose più importanti da fare» rise.
«Comunque» si intromise Anna. «Io credo che Hans non sia così male come sembra. Non sapete niente di lui... è sempre stato molto gentile con me. E poi è molto, come posso dire... elegante» disse, con un gran sorriso. «L’ho incrociato per caso a Diagon Alley, sapete, mentre prendevo i libri nuovi» si lanciò, con gli occhi persi nel suo racconto. «Beh, sì insomma... per dire la verità gli sono inciampata addosso » ammise, «ma lui l’ha presa sullo scherzo, e mentre mi scusavo mi ha detto che sono simpatica e che ci teneva a rivedermi, così poco dopo l’inizio della scuola ci siamo dati appuntamento nella Stanza delle Necessità e ci siamo baciati!» esclamò tutto d’un fiato, entusiasta, allargando ancora di più il sorriso. « Così adesso stiamo insieme... credo » concluse.
Jehan rise.
«Credi? Sei sicura che non ti stia invece usando per, tipo... strani esperimenti di magia oscura?» disse solo. «Io non lo conosco bene, ma Claude sì; e credimi, le cose che fa Westergård e la sua famiglia non sono né simpatiche, né eleganti. La mia famiglia e la sua sono rivali da sempre» si incupì. «E per dei buoni motivi.»
«Concordo in pieno con quello che dice Jehan; dovresti stare attenta» rincarò Philip.
«Oh, ma dai! Ma perché ce l’avete tutti con lui? Solo perché è un Serpeverde? È assurdo pensare che una persona sia cattiva solo perché appartiene alla Casa di Serpever...»
«Non è solo questo» la interruppe Philip. «È che pensa di essere superiore a tutti, e di avere più diritto degli altri ad essere istruito solo perché proviene da una potentissima stirpe di maghi. Questo è un pensiero molto pericoloso, oggi come oggi, che dovrebbe essere estinto ormai.»
«Oltretutto, è da una vita che la sua famiglia fa il doppiogioco; sono anni che mettono su la faccia dei maghi tolleranti; ma tutti sanno che sono molto... conservatori, ecco.» si inserì Jehan.
«Infatti» riprese Philip. «E lui non potrà essere molto diverso. Sei ingenua a fidarti di lui» concluse, diretto.
Anna si zittì.
«Scusami» disse Philip. «È che sono preoccupato per te. Perdonami.»
Sul volto lentigginoso di Anna apparve l’ombra di un sorriso – vago, spento, ma pur sempre un sorriso. Sembrava che ci fosse rimasta male, ma che non volesse darlo a vedere. Forse perché, in fondo, sapeva che i suoi amici avevano ragione.
«Oh, non fa’ niente. Ora vai da Aurora, che altrimenti fai tardi» cambiò bruscamente argomento, e il Grifondoro capì che, come aveva immaginato, aveva ferito i suoi sentimenti. «E tu» la ragazza si rivolse a Jehan. «Prendi quegli appunti e studia.»
Il biondo roteò gli occhi.
«Sì, mamma» disse ironicamente.
«Sei sicura che sia tutto a posto? Senti, io, insomma mi dispiace...» aggiunse Philip, un po’ apprensivo.
«Sto bene, tranquillo» lo rassicurò lei. «Ci vediamo dopo, ragazzi!» trillò poi, facendo un cenno con la mano anche a Jehan.
E si avviò in biblioteca, dove la stavano aspettando Esmeralda e Merida.
Philip la guardò correre trafelata nei corridoi, per poi sparire in breve tempo.
Sorrise.
Anche se era un po’ maldestra e parlava decisamente troppo, Anna era davvero un’ottima amica.
Hans Westergård non se la meritava.
 
 
*
 
«Penso che convenga che ti accompagniamo, Eris; credo che la bestiolina voglia portarsi dietro anche i suoi amici» disse Melicent quella sera al tavolo dei Serpeverde, durante la cena in Sala Grande. «Almeno la ragazza Arendelle sicuramente. E forse anche Esmeralda Trouillefou.»
«Un classico» sospirò Eris con la sua voce dolce e annoiata. «Non avevo dubbi.»
«E quindi?» fece Megara. «Dai, ragazze, stiamo facendo di un topolino una montagna.  Batti la Grifondoro e basta, Eris. Non ho nessuna voglia di duellare anche io per una cosa vostra.»
«È solo per divertirsi, Meg» replicò la ragazza. «Dai, che ti costa? Vieni... ti prego» disse, sporgendo un po’ il labbro inferiore.
Megara roteò gli occhi.
«Oh, va bene.»
«Sì!» esultò Eris, entusiasta.
«E sentiamo, cosa dovrei fare esattamente?» fece Meg, con aria saccente.
«Coprirmi, e, nel caso, intervenire. Giochiamo al suo stesso gioco» disse l’amica, strizzandole l’occhio.
«Andiamo solo noi tre? Mi sembra di aver capito che la Dunbroch porterà tutto il suo gruppo...» si inserì Melicent.
Megara fece spallucce.
«Direi che non ci serve fare gruppo, no? Penso che io e te non dovremmo neanche intervenire.»
«Chiedevo e basta» disse l’amica, con il suo solito tono serio e vago, mentre manteneva quegli inusuali occhi color topazio sul gruppetto dei Grifondoro che parlava fitto fitto dall’altra parte della Sala.
Eris ridacchiò.
«Oh, ragazze, sarà fantastico. Non vedo l’ora.»
 
 
*
 
Quella sera era splendida. Il posto che aveva scelto Eris era bellissimo; in lontananza si vedevano scintillare le acque del Lago Nero. Ma di certo lei non era venuta lì per godersi il panorama.
Merida sospirò dall’agitazione; non vedeva l’ora di dare finalmente una bella batosta a quella smorfiosa di Eris.
Dietro di lei, la attendeva anche Anna – che si attorcigliava su un dito le trecce rosse con fare nervoso.
Avrebbe voluto partecipare anche Esmeralda, ma era andata di corsa da Quentin, dopo che aveva saputo che era finito in infermeria.
«Buonasera, Dunbroch.»
Merlino, le avrebbe rovesciato volentieri addosso un secchio pieno di Puzzalinfa. Giusto per vedere la sua reazione, nel sentire i suoi bellissimi capelli neri tutti impiastricciati e puzzolenti.
«Ciao, Goddess» ricambiò lei, senza preoccuparsi di sembrare gentile.
Eris avanzava con la sua solita andatura calma e paziente. Alle sue spalle – come si aspettava, del resto – c’erano Megara Greek e Melicent Somber, quelle che sapeva essere le sue migliori amiche.
«Vedo che, come credevo,  hai portato i tuoi amici» disse la Serpeverde, con un sorrisetto canzonatorio sul volto.
Senti chi parla!
«Anche tu se è per questo» la sfidò Merida «La guerra è guerra.»
Eris aggrottò le sopracciglia, ma subito dopo le si dipinse sul volto il suo solito sorriso astuto.
«Beh, in questo caso», fece, tirando fuori la sua bacchetta magica, «cominciamo.»
«Certo» ricambiò Merida. «Ti straccerò, Goddess. Preparati.»

 
 
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Finalmente il duello tra Merida ed Eris sta per cominciare!
Claude Frollo e Hans Westergård ancora non si vedono bene, ma arriveranno.
Dunque, abbiamo come sempre un’inquadratura globale di un po’ tutti i personaggi, e per la prima volta vediamo i ragazzi di Tassorosso e Corvonero – anche perché questo capitolo era partito come capitolo introduttivo per le Case Tassorosso e Corvonero. Spero, in particolare, che io abbia rappresentato bene Elsa, e che il personaggio vi piaccia. Ci tengo moltissimo.
Detto ciò, che cosa vi aspettate dal duello tra Merida ed Eris? Sono curiosissima :)
Alla prossima,
Stella cadente




 
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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


3.
 


 
«L’avrà fatto apposta, mi ci gioco tutti i capelli che ho in testa.»
«Dai, Merida, non pensarci.»
«Tu non capisci. È stato... umiliante.»
Merida adesso era in infermeria, con un braccio a cui mancavano completamente le ossa. Aveva sfidato Eris ad un duello sulla scopa, e lei l’aveva disarcionata, facendola cadere. Dopo che si era palesemente fratturata un braccio, la Serpeverde aveva improvvisato un atto di gentilezza e le aveva detto che l’avrebbe sistemata in un batter d’occhio. E lei stupida che si era fidata. Eris aveva pronunciato unBrachium Emendo ... e le sue ossa rotte erano proprio sparite, lasciando il suo braccio molle e viscido.
«Io mi sono anche fidata di quell’arpia! Pensavo che...»
Anna sospirò e assottigliò le labbra.
«Alcuni Serpeverde non sono come noi, purtroppo.»
«Io direi che tutti i Serpeverde non sono come noi.» fece l’amica, evidenziando con la voce la parola “tutti”. «Ora non potrò più giocare a Quidditch per chissà quanto tempo... come farò?» piagnucolò.
Merida era Cercatrice nella squadra di Grifondoro – ed era bravissima, tra l’altro. Con lei vincevano sempre; non che fosse una novità che i Grifondoro si distinguessero nel Quidditch, ma con Merida si andava sempre sul sicuro. Riuscivano a dare parecchio filo da torcere perfino ai Serpeverde.
Eh già, come faranno a trovare un altro Cercatore?si chiese Anna.
Ma questo era meglio non dirlo.
«Ti riprenderai presto» la rassicurò. «Avremmo potuto aiutarti, comunque... ma non ce l’hai permesso.»
«Lascia perdere» disse Merida, con tono dolente.
«Come vuoi» Anna alzò le spalle. «Senti, adesso devo andare. La professoressa Cecaelia vuole due rotoli di pergamena sull’Amortentia per domani, e devo assolutamente andare in biblioteca, scusami ma è veramente urgente e...»
Merida sorrise.
«Tranquilla» disse. «Ci sentiamo presto.»
Anna ricambiò il sorriso, poi corse via.
 
 
In biblioteca c’era un silenzio sepolcrale. Ad Anna mettevano sempre soggezione tutti quei libri. Li amava, ma in quella stanza era come se avessero una vita propria e la guardassero con occhi austeri.
Cercò fra i numerosi scaffali di Pozioni qualche volume sull’Amortentia, poi con enorme fatica li lasciò tutti su un tavolo lì vicino e si mise pazientemente a leggere, appuntandosi le informazioni più importanti su un taccuino.
Dopo poco sentì dei passi lievi, calmi, silenziosi, e qualcuno trafficare tra i volumi della biblioteca.
Anna si irrigidì. Aveva paura di vedere chi fosse, anche se lo sapeva già.
Ma sarebbe stato troppo doloroso.
D’un tratto, la ricerca sull’Amortentia non ebbe più alcuna importanza per lei. Non quando vide una chioma bionda e ordinata spuntare da dietro gli scaffali.
«Elsa» la chiamò.
Sua sorella sobbalzò leggermente, ma si ricompose in fretta. In troppa fretta, pensò Anna.
I suoi occhi sembravano freddi e vuoti, come ormai – da un po’ di tempo a quella parte – erano sempre stati.
Ci fu un attimo in cui sembrò che fosse sul punto di dirle qualcosa.
Poi se ne andò.
E Anna non riuscì a sopportarlo.
Le corse dietro, come una stupida, come del resto faceva ogni volta.
«Elsa!» la chiamò di nuovo, mentre la gemella – l’altra metà di lei – la lasciava di nuovo sola, fuggendo con i suoi passi veloci e ritmati, i passi di una che è abituata a scappare silenziosamente.
Si voltò, e Anna vide che aveva gli occhi blu – così simili ai suoi – ricolmi di lacrime.
La guardò con un’espressione sofferente, e sparì.
Anna sentì delle lacrime di rabbia e frustrazione pungerle gli occhi.

 
*
 

Elsa non aveva potuto fare niente per fermare le lacrime che continuavano a scorrerle sul viso.
Se le asciugava in fretta, ma quelle ricomparivano subito.
Non si sarebbe mai perdonata quello che stava facendo ad Anna.
Ignorare sua sorella era l’unico modo per tenerla al sicuro dal mostro che era, ma era anche una tortura troppo atroce, ed ogni volta si sentiva morire.
Lasciò andare un sospiro tremante: per quanto ancora ce l’avrebbe fatta? Per quanto ancora sarebbe andata avanti così?
Camminava velocemente, avvertendo dentro di sé un forte desiderio di fuggire. Non si rendeva conto nemmeno di quello che le accadeva intorno.
Fino a che non andò a sbattere contro qualcuno.
Lei fece un verso di sorpresa, lui si schiarì la voce.
«Ma ti sembra questa la maniera?» chiese il ragazzo, con un tono distaccato. Aveva una bella voce, che sicuramente se fosse stata modulata in maniera diversa sarebbe risultata calda e rassicurante.
Alzò lo sguardo per vederlo bene in faccia: Elsa non era bassa, ma in confronto a lui sembrava una nana.
Ah. Sì. Lui.
Era quello che piaceva ad Anna.
Quel pallone gonfiato.
Il ragazzo le tese una mano cordialmente. La scrutava con occhi freddi, ma curiosi e intelligenti.
«Sono Hans» disse. «Hans Westergård» aggiunse, trattenendola per non farla cadere – Elsa si era sbilanciata un po’, dopo l’impatto con il suo petto forte e solido.
La ragazza si sottrasse alla presa.
«Lo so chi sei» borbottò per tutta risposta.
Lui inarcò un sopracciglio.
«Oh, davvero? E potrei sapere il perché?»
Elsa lo guardò male, quando capì cosa volesse dire quel tono allusivo. Credeva di avere davanti un’altra delle sue tante ammiratrici, era chiaro.
«Perché mia sorella ha una cotta per te» fece, inespressiva. «E poi perché a scuola dicono tutti che sei un borioso arrogante.»
Hans rise di gusto.
«Un borioso arrogante» ripeté, senza smettere di ridere. «Davvero?»
«Sì, esatto» replicò lei, seria. «Ora, se non ti dispiace, devo andare nella Sala Comune della mia Casa» lo liquidò. Sentiva il ghiaccio formarsi sulla punta delle dita, e nonostante quel tipo non le andasse a genio non voleva fargli del male.
Il ragazzo la lasciò andare, senza dire niente.
Ma mentre si allontanava, Elsa poté giurare di sentire i suoi occhi su di lei.
 
 
*
 
 
Esmeralda non riusciva a seguire la lezione. Era da quando era entrata in aula che sentiva lo sguardo di Claude Frollo scivolarle addosso sprezzante.
Non riusciva a concentrarsi. E poi perché la guardava così?
Ma si può sapere cosa vuole quel tipo?
«Ehi, che hai?» le sussurrò Febo, avvicinandosi un po’ di più a lei.
Esmeralda scosse la testa; le sembrava una cosa troppo stupida da dire ad alta voce:“Sai, Febo, c’è Claude Frollo che è dall’inizio della lezione che mi fissa e la cosa mi inquieta abbastanza”.
Direi di no.
«Oh, niente» disse. «Non ti preoccupare.»
«Quella agitata mi sembri tu, però.»
La ragazza fece spallucce.
«No» lo rassicurò, cercando di mantenere un tono tranquillo. «Va tutto bene.»
Febo sembrò per un attimo interdetto, poi si riprese.
«Okay» disse solo.
Esmeralda accennò un sorriso, e si voltò verso la cattedra, dove la professoressa Hoolness continuava la sua lezione sulla Legilimanzia.
Dall’altra parte dell’aula, Claude Frollo continuava a guardarla.
 
 
 
 
«Vorrei tanto avere un Ippogrifo, sapete?»
«Da quando hai questa fissa sugli Ippogrifi?»
Esmeralda rise. Era da un po’ ormai che Quentin aveva ricevuto per posta un libro sugli Ippogrifi, e si era appassionato. Come ci si doveva aspettare, Febo non capiva il motivo di questa sua ossessione.
«Lascialo stare, Febo» disse, ridacchiando.
«Ma scusa, non capisco» si giustificò lui. «Non era così, prima.»
«Sono bellissimi» cominciò il ragazzo. «Dovresti vederli. E poi come sono maestosi, è una cosa che...»
«Ciao, Quentin.»
La voce che si intromise nel discorso fece accapponare la pelle ad Esmeralda, senza che ne sapesse il perché.
Frollo era arrivato di fronte a loro, affiancato dal suo amico Westergård – e come non conoscerlo? Aveva la fama di essere il ragazzo più arrogante di tutta la scuola  – e altri ragazzi di Serpeverde.
Brutto segno, pensò Esmeralda.
Quentin era sbiancato di colpo e le sue labbra avevano preso a tremare. Aveva un’aria terrorizzata.
«C..Ciao» balbettò a malapena.
Poi Claude spostò lo sguardo su di lei. Esmeralda si sentì di nuovo pervadere da quel senso di inquietudine che aveva provato prima, durante la lezione di Difesa contro le Arti Oscure.
«Tu devi essere Esmeralda Trouillefou, vero?»
Aveva una strana luce negli occhi; sembrava quasi... curioso.
Non capiva dove volesse andare a parare, ma una cosa era certa: quel ragazzo non le piaceva.
«Cosa vuoi?»
«Niente, a parte dare una lezione al tuo amico. Tranquilla: non ti importuneremo» disse, con tono sostenuto e glaciale.
«Non pensateci neanche.»
Frollo sogghignò.
«Non so se il qui presente Quentin Cloche ti ha mai detto che», iniziò, con il tono di chi sa già di avere la vittoria in tasca, «mi ha fatto uno scherzetto non molto divertente... probabilmente no.»
«È stato un incidente!» si difese Quentin. «Non l’ho fatto apposta. Io...»
«Inflatus» fece Frollo, impassibile, puntandogli la bacchetta contro.
Quentin cadde a terra sotto gli occhi stupiti di Febo ed Esmeralda.
Poi ogni parte del suo corpo iniziò a gonfiarsi, mentre un gruppo di studenti si era radunato lì vicino.
Esmeralda riuscì a scorgere anche Aurora – una compagna di Casa di Quentin – farsi largo con un’espressione inorridita e circondare l’amico. Kristoff, un altro ragazzo di Tassorosso, lo portò via.
I Serpeverde intanto ridevano, mentre Frollo aveva stampato in faccia un sorrisetto cattivo.
Esmeralda lo guardava furiosa.
«Come hai potuto?»
«Mi sa che il tuo amico aveva una lezione da imparare, Esmeralda» le disse, sempre con quel sorriso strano. «Come l’altra volta, del resto. E poi non si è mai comportato in maniera carina, sai? Pensa che non mi saluta neanche. Scortese, non ti pare?»
Come l’altra volta, del resto.
Come l’altra volta...
Ecco chi era stato a spedirlo in infermeria!
«Lui non ti saluta perché è terrorizzato da te!» gli urlò addosso lei. «Ed è facile, poi, prendersela con i più deboli, no?»
Claude le si avvicinò con aria di sfida.
«Non osare parlarmi così, Mezzosangue.»
Ed Esmeralda non ci vide più.
Fu un attimo.
La ragazza sentì la rabbia divamparle nelle vene come fuoco, e prima che se ne rendesse conto aveva assestato uno schiaffo sulla faccia di Frollo, che la guardò con un risentimento immenso.
Febo non riusciva a credere ai propri occhi.
«Che sta succedendo qui?»
La professoressa Cecaelia si fece largo coi suoi tentacoli tra gli studenti e raggiunse i ragazzi.
«Professoressa» cominciò Esmeralda. «Ha lanciato un incanto Inflatus a Quentin Cloche.»
«E lei» disse Claude, indicandola come fosse l’essere più disgustoso che avesse mai visto «mi ha dato uno schiaffo.»
«Basta così» li interruppe la professoressa «Non voglio sentire altro. Ho visto cos’è successo al signor Cloche, Trouillefou, non c’è bisogno che tu mi informi. Ah, e, lo schiaffo, sebbene fosse lecito, non è tollerabile».
«Lecito?» fece Claude, indignato.
«Verrete messi entrambi in castigo» decretò la Cecaelia con la sua voce lugubre. «Vi voglio nel mio ufficio, alle cinque di questo pomeriggio.»
E se ne andò, facendo ondeggiare i grassi fianchi di pelle violacea.
Claude Frollo fulminò Esmeralda con lo sguardo, poi disse solo, prima di sparire:
«Ci vediamo oggi.»
Esmeralda rimase scioccata. Come aveva potuto la Cecaelia metterla in punizione? Quello se lo era meritato, lo schiaffo. Anzi, si sarebbe meritato ancora di più una fattura Mangialumache.
Era stata anche fin troppo buona.
«Lo odio. È ufficiale» borbottò, rivolta a Febo. «Preferirei essere colpita da un Brachium Emendo come è successo a Merida, piuttosto che condividere i miei stessi spazi con lui» brontolò.
«Comprensibile» replicò l’amico, con il suo solito tono ironico. «Comunque, posso dirtela una cosa?» chiese, sorridendo.
«Certo.»
Gli occhi di Febo si illuminarono.
«Sei stata grande.»
Ed Esmeralda rise.

  


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HEY  
Eccoci qui, con un altro capitolo. La scena di Elsa e Anna è stata lancinante, il mio povero cuore è andato in pezzi (non so voi).
Poi, che ne pensate di Hans ed Elsa? Il loro incontro secondo me è stato molto … Hans ed Elsa. Lui arrogante e sicuro di sé, lei un po’ scostante e – da brava Corvonero – molto misteriosa. Una bella scena, secondo me. Spero che anche a voi sia piaciuta.
E vogliamo parlare di Claude ed Esmeralda? Come li vedete in punizione insieme? Io prevedo il linciaggio … E Merida, poverina. Ce la vedo, a lamentarsi perché non può più giocare a Quidditch.
Vi dirò la verità, scrivere questa FF mi sta piacendo sempre di più, e spero tanto che sia anche di vostro gradimento. Scrivetemi tutto quello che volete, ogni commento è una gioia per me :)
Vi mando un abbraccio e ci vediamo al prossimo capitolo.
Alla prossima,
Stella cadente


 
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"Anna si irrigidì. Aveva paura di vedere chi fosse, anche se lo sapeva già."

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


4.
 
 
«Forza, Ercole. Adesso ripetiamo tutto da capo» disse Megara, facendo avanti e indietro davanti al loro tavolo in biblioteca.
«Uffa, Meg, basta. Credo di aver già capito tutto, non sono stupido» protestò il ragazzo dai capelli fulvi.
«Oh, davvero?» ribatté lei sarcasticamente, giocherellando con la sua piuma.
Ercole fece una faccia imbronciata.
«Sto scherzando, Erc. Merlino, ma non ti si può dire proprio niente» disse, ridendo.
Il ragazzo incrociò le sue braccia muscolose. «Non sto ridendo.»
«Io sì» disse Megara, per tutta risposta. «E dai, non fare l’imbronciato. Ripetiamo questa roba e andiamocene. Sono stanca anche io, cosa credi?»
«Ma l’abbiamo fatto finora! Non sono nemmeno andato a vedere il duello tra Eris e Merida ieri, per stare un po’ con te! Non pensavo che fosse per studiare, pensavo fosse per fare altro.»
«Tipo?» fece Meg, alzando scettica un sopracciglio.
Per la barba di Merlino, pensò Ercole. E adesso che cosa le avrebbe detto?
Volevo semplicemente passare un po' di tempo da solo con te. E magari avrei potuto baciart...
«Niente» si difese. «Esattamente quello che volevo dire. “Altro” può essere molte cose...»
Silenzio.
«Scusa» disse improvvisamente la ragazza, rilassando i lineamenti.
Ercole sospirò. «Per cosa?»
«Probabilmente mi sono fatta suggestionare da Mel ed Eris» rifletté la Serpeverde ad alta voce. Sembrava che non avesse nemmeno ascoltato la sua domanda.
«Perché? Che ti hanno detto?» insistette lui.
Megara fece spallucce. «Niente, è solo che pensano che io ti piaccia e che tu mi sia amico solo per quello, mentre di me come persona non ti interessi nulla. Suppongono che ti attragga solo l'aspetto... fisico» disse, sfacciata.
Ercole si morse la lingua; la prima cosa che aveva detto la sua amica era vera, non poteva negarlo. Megara gli piaceva. Ma non solo a livello fisico. Gli piaceva il suo modo di essere, il suo modo di fare, le cose che diceva. Non sarebbe mai stato suo amico solo per quello.
Anche se non mi dispiacerebbe, in effetti...
Il ragazzo scosse la testa in un gesto brusco. Ma cosa andava a pensare?
«Ah.»
Tutto qui, Ercole? Seriamente? “Ah”?
Ora ne aveva la conferma: le ragazze con cui stava Meg non erano affatto delle brave persone.
«Tutto qui? Ah?» fece infatti lei.
«Beh, che devo dirti? No, non lo penso. Non mi verrebbe mai in mente di avvicinarmi a te solo per quel motivo, e poi voglio dire siamo amici non è che penso che... cioè poi io non so se...»
Meg lo guardò, sempre con il solito sopracciglio alzato e uno di quei suoi sorrisetti che avevano un che di malizioso.
«Tutto bene?» chiese, allusiva.
«Io... s..sì» disse Ercole, suo malgrado.
Perché si sentiva così imbarazzato?
«Mh» continuò. «E quindi se ti dicessi che a me potresti interessare non te ne verrebbe nulla...» disse con tono suadente – il tono di chi sa già come stanno le cose.
Ercole ebbe bisogno di qualche momento per metabolizzare la cosa.
«Stai scherzando.»
«No, megafusto» fece lei, usando quel soprannome che – chissà perché – da sempre gli aveva affibbiato. «Ho una bella testa, la so usare. E credo che di te io possa fidarmi.»
«Uhm» Ercole si passò distrattamente una mano tra i capelli. «E da quanto sei arrivata a queste conclusioni?» chiese, interessato.
«Non lo so» disse semplicemente Meg. «Ma ultimamente volevo passare del tempo con te un po’ di più».
«Per studiare.»
Ad Ercole sfuggiva ancora quel punto.
«Anche» assentì l’amica. «Ma il fine…» gli si parò davanti, con un luccichio negli occhi «…era questo.»
E lo baciò, prima che lui potesse aggiungere altro.
 
 
 
«Wow, Meg!» esclamò Eris poco dopo. «E lui ci è stato?»
«A quanto pare sì» rispose lei. «Contenta adesso?»
«Sì. Insomma …» fece, maliziosa «… ora sappiamo che gli piaci.»
Silenzio.
«Perciò ho vinto la scommessa!» cinguettò. «Ora dammi il galeone che mi spetta.» sorrise.
Megara sbuffò.
«Tieni» disse, mettendo controvoglia la moneta nella mano dell’amica. «Comunque, adesso che sai che gli piaccio, cosa hai intenzione di fare?»
«Oh» rispose Eris. «Niente. Era tanto per.»
Meg si sentì mancare.
«Cosa c’è, Meg?» chiese l’amica. «Ti senti bene? Sei molto pallida.»
La Serpeverde scosse la testa.
«Sì, sto bene. Tranquilla. In fin dei conti, sapevamo che quel megafusto ci sarebbe cascato. Insomma …» aggiunse «… tanto  lo fa con tutte.»
«Infatti» rincarò l’amica.
Megara in realtà non aveva capito che Eris avrebbe scommesso sul serio. Credeva che fosse una specie di gioco, o qualcosa del genere. E qualcosa, nel sapere che in realtà non era così, la faceva stare male.
Senza saperlo, aveva preso in giro Ercole.
E ora che se ne era resa conto ormai il danno era fatto.
«Non mi dirai che ti piace davvero e che hai i rimorsi perché lo hai preso in giro?» chiese Eris, maliziosa.
Per tutti i folletti, ma legge nel pensiero?
Meg si riscosse.
«Chi? Lui? A me? Neanche per sogno» fece, mantenendo il suo solito tono scontroso. «Siamo amici e basta, come potrei …? Stiamo parlando diErcole. Non sarebbe nemmeno il mio tipo. E poi a me non importa il fatto di avere il fidanzato o meno. Sto benissimo da sola» replicò, asciutta.
Ma Eris, come al solito, sembrava aver già capito tutto.
«Scommettiamo che...» disse, con il suo solito sorrisetto astuto «… entro la fine del trimestre ammetterai che sei innamorata di lui?»
«Andata» fece lei, in tono deciso. «Tanto sai già che non succederà.»
«Vedremo» disse l’amica. «Intanto proporrei di non scommettere un galeone, bensì due. Ci stai?»
Meg deglutì impercettibilmente. Non era più tanto sicura, adesso.
Ma non intendeva demordere. Era una Serpeverde, e i Serpeverde non si arrendono mai. Andava contro ogni sano principio lasciar perdere così.
«Certo. Ci sto» disse, sicura.   
 
 
*
 
 
«Ci sei andato poi al duello?»
«No. Diciamo che mi interessava fino a un certo punto, ecco. Che equivale a dire che non mi interessava per niente.»
Aurora rise, lasciando quel suono dolce e limpido a volteggiare nell’aria.
«Quentin mi ha detto che adesso Merida è in infermeria... non mi dirai che è vero.»
Philip sollevò le sopracciglia in un gesto di assenso.
«Mi piacerebbe tanto dirti di no, ma... è vero. Eris l’ha ridotta abbastanza male.»
Aurora non ci poteva credere.
«Povera Merida... che le è successo?»
Silenzio.
«Scusami, non voglio farmi i fatti tuoi, ma mi interessa, davvero.»
«Tranquilla» la rassicurò Philip. «Non è niente di che, comunque. A parte che …» fece spallucce «… devono ricrescerle le ossa del braccio destro e per un po’ non potrà più giocare a Quiddicth. Ci serve un altro Cercatore, adesso. E con una certa urgenza, aggiungerei.»
Aurora si portò una mano alla bocca.
«Ma è terribile. E come ha fatto?»
«Un Brachium Emendo pronunciato di proposito» riassunse Philip.
«Non ci credo.»
«Merida è a pezzi.»
«Vorrei vedere se non lo fosse. Ma ora sta meglio?»
Philip sorrise. Aurora si preoccupava sempre per tutti. Il suo altruismo era una cosa incredibile; era certo che, se fosse servito a far star bene Merida, si sarebbe anche amputata un braccio.
«Sì. Tranquilla» la rassicurò.
«Questo posto è fantastico, comunque» disse poi. Le rive del Lago Nero erano bellissime, e gli ultimi bagliori del tramonto illuminavano il loro viso.
Era perfetto.
«Sì... davvero magnifico» assentì Aurora. «Lo sai che ci porto sempre la mia Puffola Pigmea, qui? È troppo tenera, vedessi come gioca» disse, con un sorriso.
Un altro sorriso si disegnò sul volto di Philip. Aurora era contagiosa; con lei il mondo sembrava sempre più bello, era così solare, dolce... era come se illuminasse tutto ciò che la circondava.
E poi amava gli animali – e a Philip questa sembrava una cosa tenerissima.
«Sei davvero bella quando sorridi.»
Aurora arrossì.
«Grazie.»
Philip la guardò.
«Posso fare una cosa?»
Aurora lo fissò, sgranando i suoi occhi azzurri come il cielo d’estate.
«Cosa?»
Philip si avvicinò, senza distogliere lo sguardo da quelle pietre preziose a cui, ormai, era rimasto inchiodato.
E, piano, le posò un piccolo bacio sulla bocca.
Aurora arrossì. «Dovremmo andare adesso...» disse, alzandosi bruscamente.
Poi iniziò a correre via.
«Aurora!» Philip le corse dietro e la fermò, prendendola per un braccio.
«Ho fatto qualcosa di male?» chiese.
Lei lo guardò per un pochino, poi balbettò:
«No. È solo che... io non ti conosco.»
Merlino, è dolcissima.
Quanto vorrei baciarla di nuovo... 
Ma non era il momento di lasciarsi sopraffare da quei pensieri decisamente poco appropriati.
«Certo che mi conosci. Perlomeno, io ti conosco.»
Il visetto roseo della ragazza assunse un’espressione interrogativa.
«Perché?»
«Perché ci siamo già incontrati.»
«Quando? E dove?»
Philip la guardò.
Dirlo o non dirlo?
Oh, pazienza. Ormai ci sono.
«Nei miei sogni.»
Aurora sembrò smarrita, poi nei suoi occhi si accese uno strano bagliore, che Philip trovò bellissimo.
«Devo andare» disse; ma sembrava colpita, in qualche modo, da ciò che aveva appena sentito.
«D’accordo» fece Philip. «Ci vediamo.»
«Sì» disse lei, sottovoce. «Ci vediamo.»
E la lasciò andare.
La guardò fino all’ultimo, mentre i suoi capelli color dell’oro venivano accarezzati dal sole, poi riportò lo sguardo sul Lago.
Ci vediamo.
Lo spero, Aurora.
Lo spero proprio.
 
 
*
 
«Dunque, come punizione avrete il seguente incarico: dovrete pulire tutti i calderoni nell’aula di Pozioni.»
Claude ed Esmeralda aggrottarono le sopracciglia: era troppo facile.
«Senza magia» aggiunse poi la professoressa Cecaelia, impassibile.
«Cosa?» sbottò il ragazzo.
Esmeralda lo guardò male.
Claude si schiarì la voce e riprese subito la sua aria composta e professionale.
«Mi consenta, professoressa: non ritengo che sia una punizione appropriata. E poi io e la mezzos … io ed Esmeralda» si corresse subito, pronunciando il nome “Esmeralda” come se fosse un boccone amaro che non riusciva a mandar giù «abbiamo risolto tutti i nostri conflitti. Era solo una questione tra ragazzi, un banale litigio tra... amici» si forzò a dire.
La Grifondoro fece un’espressione disgustata.
Io e lui amici? Ma neanche se avessi un Ungaro Spinato alle calcagna e fosse l’unica possibilità di salvezza.
Si forzò comunque a non replicare.
«Oh, non ho dubbi signor Frollo» disse la professoressa, con uno strano sorrisetto in viso. «Tuttavia è necessario comunque prendere provvedimenti. Voglio tutti i calderoni pronti entro stasera» aggiunse poi, rivolgendosi anche ad Esmeralda. «Cominciate pure. L’aula, come sapete, è proprio qui accanto.»
E li congedò.
 
 
 
Il breve tragitto verso l’aula di Pozioni era stato silenzioso. E come poteva essere altrimenti? Non intendeva rivolgere parola a quella lì.
Claude trattenne a stento un sospiro di rabbia. Ma perché doveva succedere proprio a lui?
Per di più aveva anche dovuto saltare gli allenamenti di Quidditch, ed avrebbero avuto una partita da lì a poco proprio contro Grifondoro. Lui era Cercatore: aveva una certa importanza nella squadra, e non intendeva deludere i suoi compagni. In alcun modo.
Ma fosse solo questo il problema...
Aveva finito con il pensare a lei tutto il giorno, senza che ne capisse minimamente il perché. Negli ultimi giorni – anche se gli costava ammetterlo anche a se stesso – Esmeralda era il suo chiodo fisso, non riusciva proprio a togliersela dalla testa.
Perché a me? Perché? Cos’ho fatto di male?
La ragazza intanto si era messa di buona lena a pulire i calderoni, sbuffando per lo sforzo.
Claude prese un calderone su cui erano visibili dei residui di Veritaserum, e cominciò a ripulirlo. La monotonia di quei movimenti ripetitivi sorprendentemente lo rilassarono.
Da quando ho cominciato con questa storia?si chiese.
Da quando è cominciato tutto questo?
Forse da quello stesso pomeriggio.
O forse da ben prima di questo pomeriggio.
Scosse la testa: quei pensieri lo confondevano e basta. Si sarebbe ingarbugliato da solo, se avesse continuato così. E la prospettiva – confondersi con lei, con una mezzosangue – non lo allettava molto. Anzi.
«Perché hai lanciato quell’incantesimo a Quentin? Cosa ti ha fatto di male?» sbottò d'un tratto la Grifondoro. «Lui è la persona più buona che esista! E non gli verrebbe mai in mente di...»
Così vuoi provocarmi però. 
«Se sei qui per fare polemica, la porta è lì» disse con un sorrisetto tagliente.
Esmeralda alzò un sopracciglio.
«Vorrei farti notare che non posso. Lo farei molto volentieri, ma la Cecaelia ha messo in punizione anche me» ribatté prontamente. «Oltretutto per una cosa di cui tu saresti colpevole.»
Per la barba di Merlino. La mezzosangue ha ragione.
«Senti, mezzosangue, meno parliamo e meglio è» disse categoricamente.
«E non chiamarmi così» fece lei. «Ho un nome, se tu non lo avessi ancora capito» fece, dura.
«Per me sei solo una mezzosangue» insistette il Serpeverde. «Il caso è chiuso. E ora fa’ silenzio. Mi deconcentri.»
Per un attimo non si sentì volare una mosca, poi Esmeralda riprese ad occuparsi del suo calderone borbottando parole che Claude non riuscì a capire.
Il ragazzo si voltò per un attimo e senza rendersene conto si bloccò a guardarla, tutta presa a sfogare la sua rabbia sul lavoro che stava facendo.
Gli venne spontaneo soffermarsi sui suoi lunghi capelli scuri e indomabili, tutti arricciati in delle onde lucide e perfette.
E la sua pelle, la sua pelle olivastra...
Doveva essere profumatissima.
Si rigirò subito, sentendo una vampata di calore che come fuoco gli incendiava le vene.
Non devo mai più trovarmi in una stanza da solo con lei.
Mai più.

 

 
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Quarto capitolo di “Hogwarts” ;)
Vediamo Megara con Ercole, Aurora con Philip ed Esmeralda con Claude. Megara ha fatto una scommessa con l’amica Eris che vale ben due galeoni (riuscirà a vincerla?), Philip comincia a scoprire i suoi sentimenti per Aurora (che dolci che sono *-*) ed Esmeralda si trova in punizione con Claude Frollo, il ragazzo di Serpeverde che odia con tutta se stessa.
Quando questa storia è nata ho pensato che Frollo potesse essere un insegnante, ma l’ho preferito come ragazzo. Penso che se lo avessi messo nei panni di un professore sarebbe apparso scontato… perciò eccolo qui, come un comune studente sedicenne alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, cinico, arrogante e con un forte odio per i mezzosangue (dovevo pur riflettere, in un qualche modo, l’originale ribrezzo che mostra verso gli zingari nel film originale). Un po’ insolita come idea, ma mi andava di provare, ed è uscito questo :)
Dunque, che ve ne sembra? So che essendoci tanti personaggi è una storia un po’ “pesante”, ma spero comunque che sia di vostro gradimento.
Alla prossima,
Stella cadente


 



"Eris, come al solito, sembrava aver già capito tutto.
«Scommettiamo che...» disse, con il suo solito sorrisetto astuto «… entro la fine del trimestre ammetterai che sei innamorata di lui?»"
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


5.
 
 
«Come vi dicevo, la Semprevivum Tectorum è una pianta da allevare con estrema cura, altrimenti il suo effetto sarà nullo, o comunque vi lascerà sotto l’effetto semipermanente della maledizione che avete ricevuto.»
La classe di erbologia era sempre troppo affollata, ed Elsa si sentiva sempre a disagio – anche se fondamentalmente non prendeva in considerazione nessuno, china sul suo quaderno, troppo impegnata a prendere appunti.
«È molto fragile» la professoressa Sprite prese un vasetto con una pianta secca, palesemente morta da chissà quanto tempo. «Questo» fece poi «è quello che succederà alla vostra Semprevivum se le darete una goccia d’acqua in meno... o in più, l’effetto è lo stesso.»
I ragazzi fecero delle facce sorprese, e la professoressa lo notò.
«Eh già» disse infatti. «Ve l’ho detto» ribadì. «È molto complicata da gestire.» 
Fece una piccola pausa per consentire alla classe di prendere qualche appunto, poi continuò.
«Ora, per fortuna i danni non sono così irreversibili, a volte» disse. «C’è una pozione, in particolare, molto potente, ma anche molto difficile, in grado di avere doti curative per tutte le piante. Chi sa dirmi qual è?»
La mano di Elsa si alzò come sempre, in un gesto timido ed elegante.
«Sì, signorina Arendelle?» fece la Sprite.
La Corvonero si schiarì la voce, poi disse:
«La Pozione Sempreverde. È una Pozione Guaritrice che viene utilizzata per curare le piante. Se ben preparata, la pianta riprende il suo aspetto naturale dopo solo un giorno e una notte di concimazione.»
La sua voce seria aveva aleggiato nel silenzio per tutta la durata della frase, fino a quel momento.
Quando la vaga risata di Hans Westergård risuonò qualche banco più indietro, Elsa arrossì violentemente dalla rabbia.
«Benissimo» la salvò fortunatamente la Sprite, prima che potesse sentire anche qualche commento. «Dieci punti a Corvonero.»
La ragazza sorrise gentilmente come per ringraziarla, poi tornò a scrivere sul suo quaderno.
 
 
 
 
 
«Ehi, Arendelle!»
Sperava di non sentire di nuovo quella voce; le era bastata la risata in classe. Di nuovo, la pelle diafana di Elsa arrossì, scaldandole le guance morbide.
Affrettò il passo, sperando che lui lasciasse perdere, ma non fu così.
«Arendelle! Fermati!»
Elsa si pietrificò, trattenendo il fiato. Perché l’ho fatto?, pensò, maledicendosi mentalmente.
Si costrinse a voltarsi e a guardare Hans Westergård che si dirigeva verso di lei con lunghe falcate.
«Che cosa c’è?» gli chiese, la voce dura e neutra come un pezzo di ghiaccio.
Il ragazzo ghignò, malizioso.
«Visto che sei così brava in erbologia, mi chiedevo se tu potessi darmi una mano. Sai, temo di non aver capito molto bene quell’argomento» disse, guardandola negli occhi.
Certo, perché non ascolti mai niente. Infatti non ho la minima idea di come tu possa avere tutte O.
Elsa voleva dirglielo, ma quegli occhi intelligenti che la fissavano l’avevano messa in soggezione. Sentì il freddo pungerle le dita e il ghiaccio premere per uscire; iniziò a torcersi le mani, nervosa.
Non posso dargliela vinta così. Non a lui.
È una questione di principio.
Strinse i pugni, fissandolo con astio. Ma le parole rimanevano bloccate nella sua gola.
Coraggio Elsa. Non essere codarda. Mostrati superiore.
«Perché dovrei farlo?» chiese, mantenendo lo stesso tono di prima.
Westergård sembrò stupito della risposta che gli aveva dato, ma poi si ricompose. Era quasi affascinante, poteva quasi apparire sinceramente interessato a lei, ma si vedeva che era tutta una montatura, un modo per far cadere le ragazzine ai suoi piedi.
E lei di certo non sarebbe stata una di loro.
«Oh» disse il ragazzo, con un sorriso serafico. «Perché te l’ho chiesto io
Ad Elsa venne quasi da ridere; ma chi si credeva di essere?
Inarcò le sopracciglia, in quell’espressione che la caratterizzava quando qualcosa non le piaceva.
«E quindi?» replicò, squadrandolo dall’alto in basso.
Il Serpeverde ghignò, furbo.
«E quindi sarebbe un peccato se Anna Arendelle venisse a sapere che sua sorella si è rifiutata di dare una mano in erbologia al suo ragazzo
Elsa rimase di sasso.
Che cosa ha detto?
«Cosa?» sbottò, alterata.
Hans aveva un’espressione vittoriosa; era evidente che sapesse già in anticipo che la ragazza non avrebbe avuto altra scelta che quella di aiutarlo – che sapesse di aver fatto centro. E lei non lo sopportava.
«Sì, Elsa; Anna è la mia fidanzata. E credo proprio che se non accetterai di aiutarmi in erbologia, le andrò a riferire tutto. Quindi» proseguì. «Che cosa farai? Ci troviamo oggi pomeriggio o no? Ah, una cosa: preferirei che nessuno ci disturbasse, perciò sei pregata di farti trovare nella Stanza delle Necessità.»
La Corvonero sentì il suo potere ringhiare dentro di lei, ed in quel momento, guardando il volto arrogante di Westergård le venne una mezza, malsana idea di come avrebbe potuto usarlo.
Cancellò subito quell’immagine dalla mente e si sforzò di ricomporsi.
«Va bene» disse, austera. «Oggi pomeriggio alle tre e mezzo. Puntuale.»
E prima che il ragazzo potesse dire altro, si allontanò svelta, con i libri stretti al petto.
 
 
*
 
 
«Ma insomma Kristoff, non dici niente?» fece Anna, con un sorrisone enorme a gonfiarle le guance in due teneri palloncini lentigginosi.
Kristoff arricciò le labbra in un gesto svogliato e indifferente.
«Cosa dovrei dire? Bene, sono contento» disse solo, neutro. «Finalmente ti sei fidanzata con il tuo vero amore
La ragazza gli aveva raccontato tutto. Non appena l’ora di Cura delle Creature Magiche era finita, gli era piombata addosso e mentre tornavano al castello gli aveva spiegato per filo e per segno come era andata con Hans Westergård – il suo fidanzato. Kristoff doveva ancora abituarsi alla cosa, lo sentiva.
«Sì!» Anna sembrò non cogliere l’ironia con cui era stata detta la frase. «E mi ha dato appuntamento stasera, alla festa organizzata dai suoi amici nella Sala Comune dei Serpeverde. Verrà un sacco di gente. Tu... verrai?»
«No. Ho di meglio da fare» replicò lui, burbero.
Sul volto della Grifondoro prese forma un’espressione che lo fece subito pentire di quello che aveva appena detto.
«Scusami» disse subito. «Non volevo essere brusco. È che sono nervoso... » già, perché era nervoso?
«Ah» la voce della sua amica si era un po’ abbassata, ora. «E perché?»
Perché non mi va giù di sapere che per tutta la sera sarai in mezzo a delle vipere scadute, voleva dire. La consapevolezza che Anna sarebbe andata a quella festa lo infastidiva; era così ingenua, così fiduciosa nei confronti degli altri... Kristoff amava questo lato dell’amica, ma doveva riconoscere che era anche pericoloso.
Molto pericoloso. Soprattutto se si tratta di Westergård.
«Per il compito di Pozioni che ci sarà adesso. L’ultimo che ho fatto è stato un disastro» mentì.
Grande, Kristoff. Sei proprio un idiota.
Anna si sciolse in un sorriso dolce – uno dei suoi, caldi e rassicuranti.
«Sono certa che lo saprai fare. Hai studiato, non potrà andare male.»
Il Tassorosso alzò le spalle.
«Vedremo. Senti... a che ore è questa festa?»
Il sorriso di Anna si allargò e i suoi occhi celesti si illuminarono.
«Subito dopo cena. Ci troviamo nei sotterranei, e da lì raggiungiamo la Sala Comune di Serpeverde. Hans ha detto che ci divertiremo fino a tardi» disse, felice. «Allora ci vediamo lì?»
Kristoff le sorrise.
«Certo.»
Non ti lascio da sola nella fossa dei serpenti.
 
 
*
 
 
«E così lei ti ha baciato
Jehan Frollo era incredulo, mentre Febo stava ancora tossendo a causa del boccone che gli era andato di traverso.
Il lungo tavolo dei Grifondoro era ben imbandito all’ora di pranzo, e tra un boccone e l’altro Ercole non aveva potuto fare a meno di raccontare ai suoi amici ciò che era accaduto quella mattina – in maniera parecchio spiccia, perché alla fine neanche lui credeva a tutto quello.
«Fate più piano, per la barba di Merlino!» intimò, facendo loro cenno di abbassare la voce. «Comunque sì. Vi stupisce così tanto?»
«Amico, è da una vita che quella Serpeverde ti piace, ed è da una vita che aspetti questo momento. Ammettilo» disse Jehan, con un sorrisetto.
«Sì, ma sei sicuro di poterti fidare di lei?» chiese poi Febo, che ora sorseggiava del succo di zucca.
«Non ci si può fidare dei Serpeverde» irruppe Esmeralda nella conversazione, infilzando con rabbia le sue patate arrosto.
Jehan lanciò un’occhiata interrogativa a Febo, che scosse la testa come per dire “lascia stare”.
«È per quella storia di mio fratello?» chiese il ragazzo, ignorando l’occhiataccia dell’amico.
Esmeralda lo fulminò.
«Sì» si limitò a dire, gli occhi verdi che scintillavano dalla rabbia.
Febo prese a fare gesti furiosi all’amico, mimando un “chiudi” con le labbra.
«Com’è andata la punizione?» infierì invece l’altro, senza notarlo.
Il Grifondoro roteò gli occhi. Jehan Frollo a volte era così: ingenuo alla massima potenza, inguaribilmente curioso e completamente ignaro del fatto che le sue domande potessero infastidire una persona.
Adesso lo schianterà tra tre, due, uno...
«Come dovrebbe essere andata?» fece Esmeralda, stizzita. «Come sempre. Sai che tipo di rapporto c’è, tra tuo fratello e me. A proposito,» disse poi, «ma lui ti dice mai nulla di questo?»
Jehan scoppiò in una fragorosa risata.
«Io e Claude a stento ci salutiamo, figuriamoci se so cosa pensa di te. Parlo con lui soltanto se mi serve qualcosa, tipo soldi o appunti. Studia sempre, e quando non lo fa si diverte a fare scherzi non proprio carini con il suo amico Westergård.»
Fece una pausa – in cui notò che Esmeralda aveva fatto una smorfia di disappunto – poi concluse il discorso.
«Non approvo molte delle cose che fa, lo sapete tutti. Il nostro rapporto è praticamente inesistente.»
 La ragazza non disse più nulla – anche se Febo poté percepire che borbottava qualcosa tra sé e sé.
«Ehi» aggiunse Jehan, dando di gomito ad Ercole. «Megara ti sta guardando.»
«Lo so» disse lui, tra i denti. «Ma se lo dici lei lo capisce, deficiente.»
Il Grifondoro rise, e l’atmosfera si fece di nuovo piacevole.
 
 
 
 
 
«Meg, hai visto? Quel megafusto ti sta guardando» le cinguettò Eris all’ orecchio, al tavolo di Serpeverde.
Megara si rivoltò verso di lei, sentendo il sangue ribollirle nelle vene.
«Lo so, l’ho notato» fece, brusca.
L’amica fece un sorrisetto vittorioso.
«Avrò quei due galeoni, Meg; è inutile, sai già che ho la vittoria in tasca. Merlino, sei ancora più facile della Dunbroch. Non me lo aspettavo da te» la stuzzicò, ridendo.
«Smettila» rise un pochino lei. «Te l’ho detto, io ed Ercole siamo solo amici
«Oh, certo» Eris si guardò le unghie laccate di lilla. «E dimmi: due amici si baciano
Adesso basta.
«Eris, l’ho fatto per scommessa. Perché devi sempre ricamare sopra alle cose?»
«Io non ricamo sopra a niente, sei tu che sei innamorata di Ercole» disse l’amica, neutra. «Ed il fatto che ti sia arrabbiata appena l’ho detto ne è la prova» aggiunse, alzando un sopracciglio.
«Non è vero. Io non ho bisogno dell’amore. Non ho bisogno di queste cose» ribatté Meg, innervosita. «Anzi, adesso se lui pensa male di me mi sono anche messa nei pasticci, e tutto per colpa tua
«Ragazze, per favore» sospirò Melicent. «Era solo una scommessa. Comunque vadano le cose» si rivolse a Meg «tu non potrai farci niente. E nemmeno tu» disse ad Eris, che subito fece sparire il suo sorrisetto.
«Ormai quel che è fatto è fatto» ribadì, riportando l’ordine come sempre. Poi sorrise.
«Possiamo solo vedere come andranno le cose da qui in avanti. Per esempio» cominciò, guardando Megara, «sai mica se Ercole viene, stasera?»
La Serpeverde alzò le spalle.
«Credo di sì. Insomma, io ci sono, ed in genere è sempre venuto alle feste. Non penso proprio che mancherà.»
«Benissimo allora! Le feste risolvono sempre tutto» concluse Melicent, entusiasta. «Ed ho come la sensazione che ne vedremo delle belle» disse, con un sorrisetto.

 
  

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 Buondì, amici di Hogwarts!
Allora: nella prima parte del capitolo Elsa e Hans si incontrano di nuovo, o per meglio dire si scontrano. Perché sì, Elsa è molto dura con lui, e decide poi di dargli una mano solo perché sa che c'è di mezzo Anna. In fin dei conti, da brava Corva, adotta la filosofia "Lo faccio solo se mi interessa", e finché il Serpeverde non la ricatta non ha motivo di aiutare una persona che le sta antipatica. Cosa credete che ne uscirà?
Poi abbiamo Anna con Kristoff. Oh, la dolce ed esuberante Anna, quanto la adoro. E' così felice al pensiero della festa che quel Tasso scorbutico di Kristoff non può fare a meno di dirle di sì. Che carini *_*
E poi Ercole e Meg... staremo a vedere cosa accadrà alla festa dei Serpeverde. Voi che ne pensate?
Spero che questa storia continui a piacervi :)
Un abbraccio e alla prossima,
Stella cadente

 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. ***


6.
 
 
Elsa fu colta da un moto di nervosismo quando la porta a ghirigori della Stanza delle Necessità si materializzò piano di fronte ai suoi occhi. Si sentiva le mani gelide, le dita ben serrate nei guanti blu prudere e il ghiaccio che premeva per essere liberato, come le succedeva sempre quando si trovava nel panico più totale. Avvertì dei crampi d’ansia allo stomaco, sentendosi svuotata: il pranzo sembrava tutto d’un tratto essere stato risucchiato nel nulla.
Deglutì e attese che la porta si aprisse lentamente, prima di prendere un sospiro ed entrare.
Andrà tutto bene.
«Eccoti, Elsa. Sei in un leggero ritardo, ma non importa.»
La Corvonero trasalì nell’udire quella voce.
Hans Westergård era al centro della stanza. Solo allora Elsa si rese conto che l’arredamento – ciò che Hans aveva desiderato entrando – erasublime.
Al centro, dove era seduto il Serpeverde, troneggiava un divano di quelli che le piacevano tanto, imbottiti e scuri, e tutt’intorno vi erano luci soffuse simili a quelle della biblioteca, che stimolavano la concentrazione ma al tempo stesso davano un senso di intimità. L’atmosfera era piacevole, adatta allo studio. Ma più di tutto il resto, spiccava un tavolo in fondo alla Stanza, enorme, di legno massiccio. Nell’aria c’era uno strano odore di libri antichi, che fece rilassare la ragazza.
Si perse un attimo nell’assaporare quel meraviglioso insieme, poi si riscosse; non poteva temporeggiare. Guardò l’orologio bianco allacciato al suo polso fine, che segnava le tre e trentadue.
«Ho ritardato di due minuti» fece notare al ragazzo.
«Appunto. Infatti ho detto che sei in un leggero ritardo» ribatté Hans, con fare ovvio.
È una causa persa.
Non disse nulla e si limitò a sedersi sul divano accanto a lui, tirando fuori subito dopo i libri.
«Dunque» fece poi, voltandosi e incrociando i suoi occhi. «Dov’è che trovi più difficoltà?» chiese, andando dritta al punto. Aprì il libro andando al capitolo sulle piante carnivore, prima di accorgersi che stava sfogliando il tomo totalmente a caso, e si sentì di nuovo arrossire.
Ma perché mi sento così in soggezione?
Alzò lo sguardo su Hans, che la guardava curioso, come quando si erano scontrati in corridoio. La guardava come se fosse stata la creatura più strana che avesse mai visto, e al tempo stesso la più intrigante.
«Oh» fece, con la sua voce insopportabilmente subdola e calda. «Non mi è ben chiaro com’è che posso far sì che la Semprevivum Tectorum non prenda i parassiti. La Sprite ha dato una nozione importante, ma attualmente non me la ricordo proprio...»
O più semplicemente non hai ascoltato, pensò acidamente Elsa.
Si schiarì poi la voce, e disse:
«Beh, c’è un incantesimo che impedisce ai parassiti di avvicinarsi. È una sorta di Pozione: vanno mischiati due frammenti di quarzo rosa, due code di lucertola e due foglie della pianta. Ma è una Pozione complicata: la Sprite ha detto che la spiegherà meglio la prossima volta. Comunque gli ingredienti vanno prima polverizzati, e non con la magia. È fondamentale per la riuscita, ma spesso molti si dimenticano di questo dettaglio. Può sembrare banale, ma non lo è» spiegò.
«Interessante» disse Hans. La guardò negli occhi, poi spostò il suo sguardo attento sulle labbra rosee della ragazza, sui capelli chiari, sul collo bianco. Elsa si sentì un oggetto osservato e studiato, e le venne voglia di prenderlo a pugni.
«Credo che dovresti prendere appunti» puntualizzò, ma la sua voce uscì più debole di quel che avrebbe voluto.
«Certo» ma perché non la smetteva di fissarla?
La Corvonero rimase in silenzio, indecisa se intimargli direttamente di prendere appunti oppure chiedergli perché la stesse fissando in quel modo. Si morse il labbro, intrappolata in quella situazione che la stava facendo andare fuori di testa.
Calmati. 
Ma più se lo ripeteva, meno riusciva a farlo.
«Vedi Elsa» disse il ragazzo. «Credo di aver già capito come sei» continuò, fissandola intensamente.
La ragazza si sentì sottovalutata, come se il Serpeverde le stesse dando della ragazzina ingenua e prevedibile; chiuse il libro, che produsse un tonfo improvviso.
«Tu non sai niente di me» ribatté, indurendo il tono della voce.
«No, lo riconosco» la stupì con quella frase, «ma riesco a capirti, credo. Riesco a vedere la tua fragilità, la tua bellezza innocente e oscura al tempo stesso...»
Elsa deglutì di nuovo; ci sapeva fare con le parole, doveva ammetterlo.
«E riesco a capire che nascondi qualcosa... qualcosa che non puoi, né vuoi dire.»
Si sentì morire e strinse i pugni, cercando di ingabbiare il gelo che si stava per sprigionare come una furia. Intanto Hans le si era avvicinato e le aveva sollevato il mento con le dita per costringerla a guardarlo – perché inconsapevolmente aveva abbassato lo sguardo, così debole di fronte a lui. Le sue dita scottavano sulla sua pelle diafana, provocandole brividi in tutto il corpo.
Che diamine sto facendo?
La sua mente sembrava intrappolata, incatenata agli occhi verde-nocciola del ragazzo. E lei non lo sopportava.
Si allontanò bruscamente e rimise il libro nella borsa, in gesti forzatamente controllati che in realtà volevano essere frenetici e frettolosi.
«Devo andare» disse solo. «È tardi e ho ancora da scrivere un tema di Pozioni lungo sessanta centimetri per domani.»
Hans sorrise, come se avesse già capito che in realtà voleva dire ben altro e la trovasse adorabile; Elsa si sentì piccola e trasparente sotto quello sguardo.
«Spero solo che tu abbia cura di mia sorella» aggiunse. «Ed ora... con permesso» lo gelò, prima di andarsene.
Quando uscì dalla Stanza delle Necessità, un milione di domande iniziarono a schizzarle nel cervello come proiettili. Hans si era avvicinato tanto, troppo; sembrava che l’avrebbe baciata, se lei non lo avesse fermato. Ma era fidanzato con Anna, con sua sorella, accidenti!
Perché mi sono fidata di lui?
E poi la faceva arrabbiare; l’effetto che sembrava avere su di lei la faceva arrabbiare. Era diventata così insopportabilmente curiosa nei suoi confronti, e quando era stata con lui si sentiva così... così...
vulnerabile.
«Oh, Arendelle» la voce della professoressa Fairy – quella di Trasfigurazione – interruppe i suoi pensieri. «Cercavo proprio te.»
Elsa alzò i suoi occhi blu, ed incontrò quelli castani e preoccupati dell’insegnante. La fissava come a volerle comunicare qualcosa, senza però dire niente.
«Professoressa» la salutò. «È successo qualcosa?» chiese poi.
«Il Preside vuole parlare con te. Una comunicazione... beh, importante» disse con tono grave.
La ragazza non fece domande, percependo l’apprensione della signora Fairy; si limitò ad annuire e la seguì, verso l’ufficio del Preside.
 
 
*
 
«Ciao, Elsa.»
La voce del Preside Merman la accolse pacata e bonaria. «Vieni» le fece cenno di entrare.
«Buonasera professore» lo salutò lei, formale. «Perché mi ha convocata?»
«Siediti» le disse gentilmente, senza rispondere alla domanda. La ragazza obbedì, guardandolo con curiosità.
«Ho scelto te perché ti conosco e so che sei una ragazza affidabile» esordì Merman, gli occhi persi chissà dove. «Ma quello che sto per affidarti è un incarico molto importante – anzi, di importanza vitale direi. Tuttavia» sorrise gentilmente «non credo proprio che non ne sarai all’altezza.»
«La ringrazio, professore.»
Silenzio.
«Dovrai formare alleanze tra molti tra i compagni che conosci, Elsa.»
La ragazza aggrottò le sopracciglia.
«Per quale ragione?»
L’uomo sospirò.
«Vedi... presto ce ne sarà bisogno» disse poi. «Un mago oscuro sta tornando al potere, e noi tutti dobbiamo essere preparati. Cercherà me e cercherà di attaccarmi dove sono più debole. E cercherà voi semplici studenti, per rendervi suoi seguaci.»
Cosa?
«Che cosa significa? Perché cerca proprio lei?» chiese la ragazza. Rimaneva composta, ma la paura e la curiosità si fondevano in un mix micidiale, che il suo cuore – lo sentiva – non riusciva più a sopportare.
«Per... ragioni personali, ecco» disse solo il Preside, misterioso. I suoi occhi rivelavano molto di più;  la ragazza sentì che c’era molto altro da dire, ma che Merman glielo stava tenendo nascosto. «Dobbiamo essere tutti uniti, Elsa, tutti preparati. La scuola deve essere cosciente di quanto sta avvenendo là fuori» aggiunse, gettando un’occhiata distratta alla finestra.
«Come... come si chiama questo mago?»
Merman la guardò, serio.
«Il suo nome è Pitch Black. E forse un giorno ti racconterò meglio la sua storia... ma adesso non è il momento. Devi pensare a quello che ti ho detto ed agire di conseguenza. Metto in mano a te tutta la scuola, Elsa» disse, solenne.
«Ne sono onorata, signore» sussurrò la ragazza.
«Puoi andare, adesso» la congedò, senza smettere di guardarla coi suoi occhi gentili e preoccupati.
Elsa ci mise un po’ per metabolizzare quello che le era appena stato detto; sperava che Merman le dicesse di più, che le desse qualche indicazione, delle informazioni in più, qualunque cosa. Ma si sforzò di tenere i proprio dubbi e le proprie domande per sé.
«Arrivederci, signore» disse solo.

 


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Ciao a tutti! :)
Eccoci con un altro capitolo: il primo visto esclusivamente dal punto di vista di Elsa. Approfondiamo di più la psicologia della nostra Corva e il modo in cui interagisce con gli altri: il rapporto che c'è tra lei e Hans è sin da adesso molto ambiguo, non trovate?
La seconda parte invece è più impegnativa: una minaccia incombe su Hogwarts, ed Elsa ha sulle spalle un'enorme responsabilità.
L'evolversi di questa storia sarà molto graduale, ma cominceremo a vedere qualcosa già dall'inizio della parte 2. Spero che continui a piacervi :)
Vi ringrazio tantissimo per le recensioni, siete davvero fantastici.
Alla prossima,
Stella cadente




 



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«Per... ragioni personali, ecco» disse solo il Preside, misterioso. I suoi occhi rivelavano molto di più;  la ragazza sentì che c’era molto altro da dire, ma che Merman glielo stava tenendo nascosto.


 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. ***


7.
 
 

 
«Kristoff! Sei arrivato finalmente!»
Anna gli si gettò addosso con entusiasmo, con le guance rosse per la felicità. Il ragazzo sorrise; era incredibile quanto fosse carina con quel sorriso che le illuminava il volto e gli occhi che brillavano.
«Hans è laggiù» fece, indicando un angolo della stanza. «Vieni, te lo faccio conoscere!» esclamò, trascinandolo per tutta la stanza, scansando persone e mormorando degli “scusatemi” e degli “ops, scusa” mentre sgomitava per farsi spazio.
Kristoff era arrivato un po’ in ritardo, ma non tantissimo – per fortuna. I compiti di Tasfigurazione potevano anche aspettare; non sarebbe neanche riuscito a svolgerli in maniera decente, sapendo che Anna si trovava in mezzo a quelle maledette serpi.
Scrutando la sala, vide che qualcun altro aveva avuto la sua stessa idea: Esmeralda Trouillefou e Febo de Chateaupers parlavano animatamente in un angolo. Quando lo videro, lo salutarono con un cenno della mano, che lui ricambiò.
«Kristoff» lo riscosse Anna. «Lui è Hans... Hans, lui è Kristoff, il mio migliore amico» disse, con un che di solenne che stonava nella sua voce squillante.
«Ciao» fece lui, un po’ in imbarazzo.
«Ah, ciao» ricambiò Hans Westergård, con un drink in mano. «Molto piacere» disse, con un tono impostato che al Tassorosso non piacque per niente. Anche perché con lo sguardo sembrava voler dire tutto tranne che “molto piacere”, anche se sul volto era stampato un sorriso – falso, Kristoff ci avrebbe scommesso.
«Il piacere è tutto tuo» borbottò tra sé e sé, senza farsi sentire.
Dall’altra parte della Sala Comune, tre amiche stavano chiacchierando animatamente, nei loro vestiti eleganti.
«Vi ringrazio del consiglio, ragazze, avevate ragione: questo vestito è assolutamente meraviglioso. E senz’altro adatto per la serata.»
Melicent era come sempre incantevole; alla fine aveva optato per un vestito nero – quando mai non indossava quel colore? Eppure stava divinamente – più stretto in vita con lo strascico, che le dava un che di regale. Al collo aveva un ciondolo di un brillante verde acido, che sulla sua pelle pallida sembrava luccicare.
«Concordo: sei veramente fantastica» disse Megara, con un sorriso di approvazione.
«Visto che avevo ragione? Lo dicevo che quel vestito ti rendeva affascinante come una dea» fece Eris, con un sorriso furbo. Agitò un po’ i capelli, che sembrarono quasi fluttuare sul suo lungo vestito viola, poi il suo volto bellissimo si illuminò.
«Oh; guardate chi è venuto stasera» disse, lanciando un’occhiata a Megara. «Meg» la chiamò. «Credo proprio che ti divertirai» aggiunse, con tono suadente.
Oh no, pensò la ragazza. Quel tono non le piaceva; sapeva cosa significasse.
Sentì un tuffo al cuore quando in fondo alla Sala vide Ercole guardarsi intorno spaesato – che palesemente la cercava con lo sguardo – e le sembrò che le mancasse di un battito quando la trovò e sul suo volto spuntò un sorriso.
Oh no no no.
«Ciao» fece lui con la sua voce dolce, una volta che la ebbe raggiunta. Degnò le sue amiche a malapena di un’occhiata; Megara lo rimproverò mentalmente per aver dimostrato senza troppi problemi che non le sopportava.
«Credo» disse Melicent, con il suo solito tono sostenuto e indifferente, «che andrò a prendere da bere. Ho la gola un po’ secca» disse, diretta a lei. «Mi accompagni?» si rivolse poi ad Eris.
«Certo» replicò l’altra. «Torniamo subito» aggiunse, facendo un occhiolino a Megara, che sentì le guance prendere fuoco.
«Va bene» si limitò a dire, neutra.
Ercole sembrò sollevato, ma al tempo stesso a disagio; si spettinò i capelli in un gesto imbarazzato, poi, una volta che le amiche di Meg furono lontane, piantò i suoi occhi azzurri in quelli di lei.
«Ti ho disturbata?» chiese.
La Serpeverde non poté che sentirsi intenerita da quella domanda, e si sciolse in un sorriso.
«No, Erc. Per niente» disse dolcemente.
«Meno male» sorrise di nuovo lui. «Senti... possiamo parlare di quello che è successo?»
Fu allora che Meg si riscosse dal guardare il suo migliore amico e pensò seriamente a quello che le aveva appena detto.
Merlino, il bacio!
«Ehm... okay» tentennò. «Dimmi tutto.»
«Preferirei che uscissimo» disse Ercole, incespicando un po’ tra le parole. «Se non ti dispiace.»
Meg assottigliò le labbra e, in un gesto che le venne automatico, si sistemò la lunga chioma castana.
«Certo» fece, sforzandosi di apparire sicura di sé. «Nessun problema.»
 
 
 
 
Le vetrate del sotterraneo riflettevano in qualche modo la luce lunare, che illuminava il volto di Ercole in maniera adorabile. Meg si sorprese nel pensare tutte quelle cose: da quando il ragazzo le appariva così dolce e così amabile in tutto quello che faceva?
«Dimmi» fece, cercando di mettere a tacere tutti quei pensieri. L’immagine di quel ragazzo, quello stesso ragazzo che adesso non avrebbe più visto comunque – aveva dato i M.A.G.O l’anno prima – le balenò in testa come una condanna.
Non caderci di nuovo, Megara. È già bastata una volta.
«Come sarebbe a dire ‘dimmi’?» Ercole sembrò spazientito. «Quel bacio, da dove è saltato fuori? Che cosa è successo? Vorrei saperlo» gesticolando, fece un ampio movimento con il braccio e urtò un portacandele, che ondeggiò pericolosamente. Megara lo trattenne dal farlo cadere, poi guardò l’amico negli occhi.
Il cuore le batteva a mille. Era da una vita che non si sentiva in quel modo.
Non devo sentirmi così.
Io voglio restare sola. Così nessuno potrà mai più farmi del male.
Era costretta a dirgli la verità; non se la sentiva di mentirgli, non avrebbe mai potuto farlo.
«Ercole, io...»
Il Grifondoro la guardò con i suoi occhi sinceri e trasparenti, simili a quelli di un bambino, come se avesse voluto scavarle dentro. Megara si accorse troppo tardi che lo stava facendo già da un bel pezzo.
«Non era un bacio sincero.»
Cinque parole.
Cinque parole che cambiarono tutto quanto.
Negli occhi di Ercole, la curiosità iniziale venne sostituita da una profonda delusione che colpì la ragazza come un paletto nel cuore.
«Io...» abbassò gli occhi, vergognandosi di se stessa. «L’ho fatto per una scommessa che avevo fatto con Eris» si strinse nelle braccia magre, mentre una sensazione sgradevole si propagava in tutto il suo corpo.
È questo che si prova quando ci si prende gioco degli amici?
Quello che provò dopo, comunque, fu peggio.
Vide Ercole indietreggiare lentamente, come se l’avesse vista diventare un mostro di fronte ai suoi occhi. Subito dopo, sul suo viso roseo e dai lineamenti decisi si formò un’espressione di puro disprezzo, che Meg non aveva mai visto e che le fece un male cane.
«Per tutti questi anni mi sono chiesto come mai non ti avessero smistata nella mia Casa; adesso lo so.»
«Che cosa c’entra questo, adesso?» sbottò la ragazza con tono duro, mentre la rabbia le si agitava nelle vene.
«C’entra eccome!» esplose lui. «Lo sanno tutti che i Serpeverde sono falsi e bugiardi, c’è un motivo se questa Casa ha una certa reputazione. Credevo che tu fossi diversa, diversa da quelle tue amiche; evidentemente mi sbagliavo» sputò, velenoso.
«Ercole,» si arrabbiò lei, «non permetterti di buttare fango sulla mia Casa in questo modo! Questo non c’entra niente con te!»
«Oh sì invece. Mi hai mentito.»
Quelle parole ferirono Megara più del dovuto; istintivamente, si circondò la vita con le mani, perché aveva sentito come se un bolide l’avesse colpita in pieno stomaco.
«Vedi Meg, tu mi piaci. E molto, anche. Ma non credo che te ne importerà qualcosa, a questo punto, perché se hai giocato con me in questo modo vuol dire che...» si interruppe, senza sapere più cosa dire. «Lascia perdere» concluse, senza farla intervenire. «Non importa. Con me hai chiuso.»
«Benissimo» fece lei, per tutta risposta. «Tanto me la cavo anche da sola. Lo sai» ribatté, piccata.
Ercole le rivolse un’ultima occhiata carica di rabbia, poi le voltò le spalle e se ne andò.
Fu allora che la Serpeverde scoppiò a piangere come una bambina, lasciando scivolare lacrime silenziose sul suo viso a cuore.
 
 
 
«E così vuoi entrare al Ministero della Magia?» chiese Febo sorseggiando un drink, affiancato da Kristoff, che se ne stava in silenzio.
«Sì; perlomeno, io avevo quest’idea. Credo che mi ritroverò ad essere collega di Claude; lui però vuole entrare nel Wizengamot come Giudice» disse Hans, con un certo orgoglio. «È molto determinato, e sta cominciando a studiare già da ora; in effetti mi sembra già di vederla, quella targhetta sull’ufficio: “Giudice Claude Frollo”» concluse, con una vaga risata.
Febo notò subito che Esmeralda, al suo fianco, aveva indurito i lineamenti del viso.
«A proposito» fece Anna, intervenendo nella conversazione. «Non l’ho ancora visto...»
Esmeralda scoccò un’occhiataccia alla’amica, ma Anna non ci fece caso.
«Beh, Claude non ama molto le feste» si limitò a dire Hans. «Anzi, per dir la verità le odia proprio. Quando ha saputo che volevo organizzarne una qui – e che era aperta a tutti – mi ha fatto una predica di un’ora.»
Si rivolse poi anche a Febo ed Esmeralda.
«In realtà il motivo ufficiale per cui ho voluto fare questa festa era per festeggiare il fidanzamento con Anna», la Grifondoro arrossì visibilmente, sorridendo imbarazzata, «e anche per far vedere che noi Serpeverde siamo i migliori nel festeggiare...» ironizzò, con un occhiolino. «Ma Claude non ne ha voluto sapere. Dal momento che – come ho già detto – l’invito era per tutti, si è rifiutato di partecipare. Ha parlato di una certa mezzosangue, che ci sarebbe stata di sicuro, e che lui non voleva vederla... sapete chi è, per caso?»
Febo assottigliò le labbra, a disagio, mentre sentiva Esmeralda al suo fianco che si irrigidiva. Intanto, gli occhi di Anna andavano da una direzione all’altra, da lui a lei, chiedendo tacitamente che cosa stesse succedendo.
«Sono io» disse la ragazza dai capelli neri, a denti stretti.
Hans sembrò stupito.
«Davvero?»
Kristoff alzò gli occhi al cielo senza nemmeno provare a nasconderlo, e Anna lo ammonì con lo sguardo. Come se già non lo sapesse, sembrava dire.
«Sì» sibilò Esmeralda. «Siamo stati messi in punizione insieme.»
«Ah, quando...»
«Quando Quentin è stato spedito in infermeria, sì.»
«Claude ha esagerato, gliel’ho detto anche io.»
«Bene, è tutto risolto allora, no?» disse Anna, prima che Esmeralda potesse infierire sull’argomento come suo solito. Ma i suoi amici – specialmente Kristoff – guardavano il suo ragazzo scettici, come se non si fidassero. La Grifondoro, per un attimo, desiderò schiantarli per quell’atteggiamento. Si sentiva in imbarazzo, anche se non sapeva perché.
Imbarazzo che, un attimo dopo, si tramutò in vero e proprio disagio, quando la porta della Sala Comune dei Serpeverde si aprì ed entrò l’ultima persona che si sarebbe aspettata di vedere.
Elsa.
Non riusciva neanche a chiedersi che diamine ci facesse sua sorella lì, a quella festa, guardandosi intorno col suo solito atteggiamento distaccato e aristocratico. E soprattutto, perché si stesse dirigendo verso di lei a passo deciso, come se avesse qualcosa di importante da dirle.
Non l’aveva mai vista così; per dir la verità, Anna non si ricordava di averla mai neanche vista, se non nei suoi ricordi di quando erano bambine.
Restò pietrificata, e quando Elsa si avvicinò si sentì raggelare, incapace di reagire.
«Anna» disse, con la sua voce flebile, eppure così decisa. «Devo dirti una cosa. È urgente.»
La ragazza si sentì ferita. L’aveva ignorata per tutto quel tempo – l’aveva ignorata per anni – ed ora voleva anche parlarle?
Ma chi si crede di essere?
Hans intanto guardava sua sorella in un modo che non sapeva decifrare, e con lui Kristoff, Febo ed Esmeralda. Anna sentiva che tutta l’attenzione era improvvisamente puntata su di lei – su lei e su Elsa – e non riusciva a sopportarlo; tutti loro sapevano quanto soffrisse per la sua mancanza, e non voleva sentire i loro sguardi apprensivi che le premevano addosso.
L’aria si era caricata di tensione in maniera esponenziale; il clima era cambiato d’un botto, con l’arrivo di Elsa.
«Okay, ti ascolto» si forzò a dire, cercando di apparire forte.
Lei sembrò preoccupata; le sopracciglia chiare, che incorniciavano i suoi splendidi occhi blu, si aggrottarono in un’espressione ansiosa.
«Posso parlarti in privato, per favore?» sembrava quasi una supplica, detta in quel modo.
«No» si ostinò la ragazza. «Quello che mi vuoi dire, puoi dirlo davanti a lui» fece, avvicinandosi ad Hans. «E a loro» aggiunse, riferendosi ai suoi amici.
Sua sorella cambiò espressione; il suo viso dolce si indurì d’un tratto e diventò freddo, austero.
«Va bene. Avrei preferito non arrivare a questo, ma evidentemente mi costringi» si limitò a dire, seria, mentre sfoderava la bacchetta magica.
«Arresto momentum!» disse ad alta voce, con decisione.
In un attimo, ogni persona presente nella Sala si fermò, immobile, imprigionata in quello che stava facendo. Anna restò di stucco: la sua gemella aveva fermato il tempo.
Lei, maldestra com’era, non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere. Ma Elsa, del resto, era bravissima in Incantesimi. Per dir la verità, Elsa era brava in tutto.
Ora erano solo loro due, faccia a faccia.
«Perché mi hai ignorata per tutto questo tempo? Perché mi hai esclusa dalla tua vita e adesso vieni qui e mi parli come se nulla fosse?» ormai gli occhi di Anna traboccavano lacrime e la sua voce si era incrinata; era sull’orlo del pianto.
«Anna...» sussurrò a malapena Elsa. «C’è una cosa importante che devo dirti. Il Preside Merman mi ha convocata ieri nel suo ufficio; mi ha detto che un mago oscuro sta riprendendo il potere e... lui ha bisogno di aiuto. La scuola ha bisogno di aiuto. Devo radunare una sorta di esercito... e ho pensato che potessi rivolgermi a te per prima.»
Aveva detto tutto questo con voce ansiosa e concitata; Anna non poté fare a meno di sentirsi in empatia con sua sorella e di riconoscere che si trattasse di una cosa seria – altrimenti Elsa non sarebbe mai venuta a parlarle. Ma l’altro lato di lei, quello che da due anni si portava dietro la rabbia e il dolore di essere letteralmente evitata dalla gemella, ribolliva.
«Mi hai tenuta lontana da te, e adesso te ne vieni fuori con questo? Ma tu mi vuoi bene o no? Ci tieni davvero a me, o vuoi solo usarmi per cosa ti fa comodo?»
«Anna, per amor del cielo! È una cosa seria, non è un gioco!» esplose Elsa. «Tutta la scuola è coinvolta, siamo tutti in pericolo! Vuoi smetterla di fare la ragazzina o no?»
La Grifondoro rimase a guardarla con astio, in silenzio.
«Lo immaginavo» disse solo freddamente Elsa.
E fece come per andarsene, facendo quasi rimbombare i suoi passi leggeri sul pavimento del sotterraneo, gli altri studenti ancora immobili intorno a loro come statue. Anna provò a trattenerla prendendola per un braccio, ma in mano le rimase soltanto uno dei guanti blu che portava sempre.
La Corvonero si ritrasse bruscamente, soffocando un grido.
«Ridammi il guanto» disse, tremando.
«No, Elsa, aspetta...» provò lei, sperando che rimanesse, sperando che l’ascoltasse.
Ma la ragazza si allontanò ancora più velocemente, correndo quasi.
E Anna non ci vide più.
«Tanto lo sapevo che non ti interessava di me!» le urlò dietro.
Sua sorella continuò a camminare, dandole le spalle, ignorandola. Come sempre.
«Ma che cosa ti ho mai fatto?» insisté, con la voce ormai rotta dal pianto.
«Basta Anna...» sussurrò debolmente Elsa.
«No, perché? Perché mi respingi? Perché respingi tutti? Di che cosa hai tanta paura?»
Fu quella frase che cambiò completamente le cose.
Accadde tutto in un momento che ad Anna sembrò avvenire al rallentatore.
Elsa si voltò, un’espressione arrabbiata, impaurita e sofferente insieme sul suo viso dolce e pallido.
«Ho detto basta!» urlò, furiosa.
In quell’attimo, un fiotto azzurro scaturì dal palmo della sua mano, che andò a formare una barriera di stalattiti ghiacciate tra loro due – una barriera che le separava inesorabilmente.
La Grifondoro rimase stordita, gli occhi spalancati, le labbra dischiuse in un’espressione sconvolta, mentre la gemella la guardava terrorizzata, il petto che si abbassava e si alzava convulsamente in respiri ansanti.
«Elsa...» riuscì a dire a malapena, prima che corresse via, di nuovo.
 
 

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SCUSATEMI TANTO
Lo so, sono imperdonabile per i ritardi che faccio, tra l'altro stavolta non ho neanche scusanti, se non la pigrizia :/
Comunque. 
Penso che tutti coloro che hanno visto – e amato, come la sottoscritta – Frozen si ricordino di questa scena. In ogni caso, che ve ne sembra del capitolo? La rivelazione di Merman ha cambiato molto le cose, nello scorso capitolo, e ora Elsa ha un gran bel da fare, dal momento che la responsabilità è sua. L’atmosfera, inizialmente, è leggera, anche abbastanza spensierata, ma poi si rivela tutt’altro. Mi si è stretto il cuore quando ho scritto di Megara ed Ercole e di Anna ed Elsa; adesso è un momento in cui i ragazzi dovrebbero essere più uniti, ma in realtà succedono disastri. La storia sta cambiando, ora i problemi non sono più duelli con ragazze odiose e compiti andati male, e ben presto i nostri studenti se ne renderanno conto.
Ah, ho notato che alcuni personaggi – come Febo, e per ora anche Quentin e Merida – stanno rimanendo un po’ nell’ombra; ma non preoccupatevi, presto torneranno in scena e verranno anche approfonditi. Ci saranno anche delle new entry, prima o poi; Hogwarts si prospetta una storia discretamente lunga ;)
 
Insomma, spero che questo esperimento vi sia piacendo :)
Alla prossima,

Stella cadente


 
i'm possible — Elizabeth Lail gif hunt

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Capitolo 8
*** Capitolo 8. ***


8.
 
 
«Elsa! Torna qui!»
Anna corse dietro alla sorella, ma lei sembrava essere sempre più veloce. Dietro alla sua sagoma diafana, ad ogni passo, delle lastre di ghiaccio si formavano sul pavimento.
«Ehi!»
Sentì una voce, ma non riuscì a riconoscerla; riuscì solo a capire che qualcun altro stava correndo dietro di lei. Anna non si curò di chi potesse essere: Elsa era troppo importante per potersi fermare.
«Elsa!» urlò più forte, ma l’unica reazione che suscitò nella gemella fu quella di correre ancora più forte. Sentì delle lacrime di tristezza e frustrazione affiorarle agli occhi e scivolarle silenziose lungo il viso tondo. Si rendeva conto a malapena di dove stesse andando, intorno a sé vedeva solo forme indistinte.
Aveva corso per tutto il sotterraneo e adesso si stava dirigendo verso la Foresta Proibita con dietro la sconosciuta – ed Elsa, che correva ancora, spargendo ghiaccio tutt’intorno.
«Elsa!»
Anna non ricordava neanche più per quante volte l’avesse chiamata, le sue corde vocali bruciavano come tizzoni accesi. Trasalì quando vide che sua sorella si stava addentrando nella foresta, come per rifugiarsi da qualcosa da cui neanche lei poteva scappare. Era spaventata, disperata. Lei lo vedeva bene.
E le sarebbe anche corsa dietro se non fosse stato per la sconosciuta, che la trattenne bruscamente.
«Lasciami!» urlò la Grifondoro. «Devo andare a cercare mia sorella!»
«Ehi, tigre, calmati un attimo» ribatté la voce. Una voce calda, eppure stranamente dura.
La ragazza guardò finalmente in faccia la sua interlocutrice: capelli castani, viso a cuore dai lineamenti stranieri, occhi viola.
«Tu non sei...»
«Megara Greek, sì» la interruppe la ragazza con il suo tono duro. «Ti sorprende così tanto che io sia qui?»
«Beh, ecco, io, insomma voglio dire, tu sei...» Anna si ritrovò a balbettare, in preda alla rabbia.
«Serpeverde, amica di Melicent Somber ed Eris Goddess. E quindi?»
«Non dovresti essere con le tue amiche alla festa?» fece la Grifondoro, per tutta risposta.
«Già, ma per motivi che non ti riguardano non sono più lì.» Megara – sebbene avesse detto una frase non esattamente simpatica – aveva assunto un tono improvvisamente malinconico, che lasciò Anna sorpresa.
«Perché hai corso insieme a me  dietro a...» quanta fatica le sarebbe costata pronunciare quel nome senza piangere?
«Ad Elsa Arendelle?»
La ragazza annuì, cercando di ingoiare quel groppo che le si era formato in gola.
Megara tirò un breve sospiro e la guardò.
«Perché vedevo che aveva bisogno di aiuto.»
Sulle due calò il silenzio, poi la Serpeverde lo interruppe di nuovo.
«Che cosa le è successo? E da dove veniva tutto quel ghiaccio?»
Anna, per un momento, non ebbe il coraggio di rispondere, poi disse:
«Da lei. Io... non so cosa sia successo» rivelò, con un filo di voce. «È stata tutta colpa mia» concluse poi, coprendosi il viso con le mani in un gesto disperato.
«Beh, ma a tutto c’è rimedio, no?» 
Tolse le mani dagli occhi e guardò la ragazza, che la ricambiava comprensiva. Anna si sentì stranamente riconoscente; non che avesse mai avuto pregiudizi sui Serpeverde – del resto, non sarebbe stata la fidanzata di Hans altrimenti – ma quella Megara non le piaceva. Era l’amica di Eris, quella che aveva mandato Merida in infermeria. Ne aveva sempre dedotto che non potesse essere più affidabile di lei, eppure non sembrava di certo come le altre due ragazze che frequentava. Sembrava più... sincera, ecco.
«Non dirò niente a nessuno di tutto questo, se è quello che stai pensando» le promise la ragazza.  Finalmente, le labbra di Anna si incurvarono leggermente all’insù.
«Grazie.»
Megara sorrise.
«Non c’è di che, ragazzina
Era strana, quella situazione, ma la cosa più strana era che non si sentiva affatto a disagio. Sapeva che Megara l’avrebbe aiutata, glielo leggeva negli occhi.
E lei avrebbe fatto di tutto per trovare sua sorella, ne era certa.
 
 
*
 
 
 
Elsa sapeva di avere ormai il viso mezzo sfregiato dai rami che aveva incontrato correndo, ma non le importava. Voleva fuggire dal ghiaccio che però sembrava rincorrerla, attaccarsi addosso a lei come una malattia da cui non sarebbe più potuta guarire.
E poi c’era Anna.
Anna...
Anna che aveva lasciato indietro sempre, Anna che c’era – che ci sarebbe stata – e che lei invece aveva evitato crudelmente per due anni.
Le lacrime le rotolavano sul viso una dietro l’altra, andando a bruciare nei graffi che aveva sulle guance. Al suo passaggio, vedeva che la terra si ricopriva di un sottile strato di brina.
Non si sarebbe mai perdonata per tutto il male che aveva fatto a sua sorella, nemmeno con la consapevolezza di averlo fatto perché stesse bene.
Elsa, aspetta!
La sua voce che la chiamava la tormentava.
Elsa!
«Basta!» urlò all’improvviso, fermandosi.
Solo il silenzio le rispose. Aveva sorpassato il platano picchiatore, addentrandosi nella foresta: adesso c’era solo il buio attorno a lei, interrotto dalla flebile luce lunare che passava tra i rami degli alberi. Il panico la invase; era sperduta nel nulla, completamente sola, prigioniera delle sue stesse paure.
Si voltò di scatto con un grido soffocato quando del ghiaccio freddo cominciò a camminare veloce sulla corteccia degli alberi della foresta, circondandola.
Elsa sentì la rabbia affiorarle fino alla punta delle dita; come in un film, nel suo cervello saettarono veloci le immagini di quello che era stata fino a quel momento: la paura iniziale di Hogwarts, il segreto che da sempre si portava dietro, le parole misteriose del Cappello Parlante che aveva sentito nella testa...
E poi c’era stata la rivelazione ad Anna, i giochi con sua sorella, e quel maledetto incidente che aveva rovinato tutto e che, da ragazza che voleva semplicemente aggiungere colore al mondo, l’aveva fatta diventare un’ombra.
Non voglio più essere un’ombra.
Di quello che successe dopo non se ne rese neanche conto.
Un fiotto di ghiaccio partì rabbioso dalla sua mano e andò a colpire un albero, che crollò a terra; un altro colpì una roccia, un altro ancora una pianta.
In breve tempo, Elsa si ritrovò in una tempesta di neve che lei stessa aveva creato. Il potere le affluiva alle mani, sentiva la sua energia propagarsi in tutto il corpo e si sentiva viva. Si sentiva bene, anche se sapeva che sarebbe sempre stata sola, anche se sapeva di essere un problema.
Stava bene, in quel tripudio azzurro di freddo, che le vorticava intorno come una moltitudine di pezzi di cristallo.
Non sapeva che qualcuno, da lontano, la stava guardando.
 

 
*
 
 
 «Ehi. Ehi, Quentin!»
In infermeria, Merida Dunbroch scuoteva Quentin Cloche in maniera poco carina con il braccio buono, come per svegliarlo.
In risposta ricevette un mugolio sommesso, seguito da un: «Che c’è?» detto con voce impastata.
La ragazza si passò una mano tra i ribelli ricci rossi, poi disse:
«Non riesco a dormire.»
«Provaci» fece lui, addolcendo la voce.
«Ma sono ore che mi giro continuamente nel letto. È l’alba!» esclamò lei.
«Shh, piano!» sussurrò il Tassorosso, stizzito. «Ti ricordo che io, invece, stavo dormendo.»
«Giusto, scusa.»
Silenzio.
«Come mai non riesci a dormire?» chiese, girandosi verso di lei. «Sei emozionata perché da domani possiamo riprendere le lezioni normalmente?» scherzò, con una risatina.
Sul volto roseo di Merida apparve un sorriso contento, ma poi tornò subito seria.
«Non lo so» disse. «Sento che è successo qualcosa. Fidati, me lo sento.»
«Bah» si limitò a dire il ragazzo.
«No, davvero. C’è qualcosa che non va, stasera.»
Quentin stava cominciando a pensare che quella ragazza fosse sul serio una pazza da legare quando, come per confermare le sue parole, si sentirono passi lungo il corridoio.
«È solo che...»
«Arriva qualcuno» saltò su, interrompendola. Non potevano sentirli: avrebbero dovuto dormire, in quel momento, e Merida aveva sempre un tono di voce così alto che si sarebbe sentita da chilometri.
La Grifondoro si lasciò cadere di colpo sul lettino facendo comunque un gran chiasso e Quentin si ritrovò a sperare che nessuno l’avesse notata.
Fu così, evidentemente, perché sentì la voce della professoressa Fairy che diceva, preoccupata:
«Professor Merman, che cosa ne pensa di quello che è successo?»
Silenzio.
«Qualcuno ha fato un incantesimo, un arresto momentum. Tutti i ragazzi sono intrappolati in quello che stavano facendo, nella Sala Comune di Serpeverde. Un lampo azzurro ha squarciato il cielo, stanotte, e nessuno sa che cosa sia.»
«Io sì.» La voce di Merman rispose con un tono stranamente pacato, e a seguire vi fu solo il silenzio.
«Elsa Arendelle. È stata lei a fare tutto questo» aggiunse poi, grave.
Merida lo guardò con gli occhi celesti spalancati, facendo un verso sorpreso.
«Ho parlato, poco fa, con la sorella Anna e una ragazza di Serpeverde, Megara Greek. Mi hanno detto di quello che è successo.»
«E la ragazza, Elsa?»
«È fuggita nella foresta.»
«Che dobbiamo fare al riguardo?»
«Andare a prenderla» fece Merman, deciso. «C’è rischio che qualcuno l’abbia vista. Qualcuno che non dovrebbe mai e poi mai avvicinarsi a lei.»
Per un momento la Fairy non disse nulla. Quentin riusciva quasi ad immaginarsi la sua espressione preoccupata, smarrita; poi si sentirono dei passi che si allontanavano – probabilmente il Preside e la Professoressa erano andati via, perché non si sentiva più alcun rumore.
Di tutta quella storia non aveva afferrato niente; sperava che le parole dei due insegnanti gli dessero chiarimenti, invece gli avevano confuso ulteriormente le idee.
Si riscosse quando sentì la voce decisa e acuta di Merida.
«Dobbiamo andare anche noi, Quentin.»
«Cosa?» fece lui. «E perché?»
«Io lo avevo detto che sarebbe successo qualcosa» continuò, come se non lo avesse neanche sentito.
«Merida» la chiamò. «Perché dovremmo immischiarci in affari che non sono nostri?»
«Elsa è la sorella di Anna, e Anna è mia amica. Quindi i suoi problemi sono anche i miei» ribatté la Grifondoro. «E poi voglio saperne di più. Ho come la sensazione che questa cosa finirà col riguardare tutta la scuola.»
«Quindi noi dovremmo cercare Elsa di nascosto solo perché tu vuoi saperne di più? Ma hai idea della situazione in cui potremmo metterci?» Quentin non poteva credere alle sue orecchie. In che guaio lo stava facendo cacciare Merida?
«Sì» replicò la ragazza, spavalda. «Ma non ho paura. E poi te l’ho detto: sento che sarà una questione che coinvolgerà tutti quanti.»
«No» disse il Tassorosso, sforzandosi di sembrare inflessibile. «Mi rifiuto.»
«Quentin, ti prego!»
«No, Merida. Siamo diventati amici ultimamente, ma questo non significa che io debba buttarmi a capofitto con te in tutto quello che vorresti fare. E poi non sarebbe male se ogni tanto tu fossi un po’ più... prudente, ecco.»
«Proprio perché sei un mio amico dovresti mostrarmi solidarietà, sai?» fece lei. «E io, invece, penso che ogni tanto non ti farebbe male un po’ di avventura.»
Quella frase fece zittire Quentin, che si limitò a guardarla.
E dopo ci fu il colpo di grazia.
«Esmeralda sarebbe fiera di te, se tu accettassi di fare una cosa simile. Si unirebbe anche lei... se solo potesse.»
Qualcuno ha fato un incantesimo, un arresto momentum. Tutti i ragazzi sono intrappolati in quello che stavano facendo, nella Sala Comune di Serpeverde.
Il Tassorosso sospirò.
«D’accordo. Come pensi di fare?»
Le labbra di Merida si incurvarono in un sorriso furbo.
«Questa mattina noi abbiamo lezione con Serpeverde. Parlerò con Anna e Megara e mi farò dire qualcosa. Poi ti farò sapere.»
«Sei sicura che funzionerà?»
Negli occhi celesti della Grifondoro luccicò un lampo di determinazione.
«Certo. E se non funziona, vorrà dire che la faremo funzionare noi.»
 
 
 
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Ciao a tutti
...e scusatemi per il ritardo con cui mi presento, ma l'inizio della scuola mi ha distrutta :(
 Parlando di cose serie, penso che questo capitolo rappresenti decisamente una svolta per Anna e soprattutto Elsa. Ritroviamo riferimenti al film originale, diciamo. Spero che vi sia piaciuto; vedrete inoltre che Megara avrà un ruolo molto importante, in questo.
Come sempre – come avevo detto anche all’inizio di Paris – non so dove andrà a finire questa storia. Anche stavolta sono alle prese con un esperimento, con una nuova avventura che non so proprio dove mi porterà.  È un po’ un salto nel vuoto, ma mi piace. Il mondo in cui mi sono immersa è magico, proprio quello di Hogwarts, con i suoi incantesimi e le sue magie. Mi sembra di essere lì, ed è fantastico. Secondo voi adesso cosa succederà?
 
Grazie per le vostre recensioni, siete fantastici.
Alla prossima,
Stella cadente


 



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Capitolo 9
*** Capitolo 9. ***


9.
 
 

La mattina dopo, Anna non c’era alle lezioni. La notizia della sparizione di Elsa si era già diffusa a macchia d’olio; l’incantesimo era stato sciolto, le lezioni erano riprese, ma tra le persone che la conoscevano meglio serpeggiava la preoccupazione.
Ci sarà qualcuno che la conosce meglio rispetto agli altri, però?
Non credo, pensò Merida quella mattina; nessuno poteva dire di conoscere bene Elsa, in fin dei conti. Eppure qualcuno doveva pur esserci...
La Grifondoro sbadigliò: stava morendo di sonno, ma non avrebbe potuto addormentarsi in quel momento. Si mise con la testa sul banco, guardando annoiata la lavagna, sulla quale la professoressa Fairy aveva scritto una strana formula di Trasfigurazione che sapeva che non avrebbe mai e poi mai capito.
«Signorina Dunbroch» iniziò la professoressa, con la sua solita voce bonaria. «Vogliamo stare composte, almeno durante le ore di lezione?»
Merida si raddrizzò sulla sedia borbottando un «Mi scusi», e la lezione proseguì.
Ma la ragazza la trascorse interamente guardando l’orologio, attendendo che finisse per parlare con Megara Greek.
 
 
«Dov’è Anna?»
La voce che Meg sentì dietro di sé, subito dopo la fine della lezione, aveva posto la domanda con decisione – con fin troppa decisione, constatò la Serpeverde.
Era una voce familiare, in qualche strano modo... E quando si voltò ne capì il perché.
Davanti a lei, Merida Dunbroch – quella Merida Dunbroch, la ragazza di Grifondoro con cui Eris battibeccava ogni volta – la fissava ostentando sicurezza, con gli occhi celesti assottigliati in un’espressione minacciosa. Sembrava accusarla, per qualche strano motivo; in ogni caso, il suo atteggiamento la infastidiva.
«Eh?» si limitò a rispondere acidamente.
«So che eri con lei, ieri, quando Elsa è sparita. Dov’è adesso?» insisté, alzando la voce.
Megara la prese per un braccio e la trascinò in un angolo, mentre gli studenti sciamavano intorno a loro.
Ma si può sapere perché ha sempre questo tono di voce così alto?
«Parla più piano!» le intimò infatti. «Non so come accidenti tu abbia fatto a sapere di tutta questa storia, ma...»
«Ho sentito Merman che parlava con la Fairy, davanti all’infermeria» la interruppe la ragazza dai capelli rossi.
Megara alzò un sopracciglio con aria eloquente.
«Certo» si limitò a dire, con la sua voce strascicata. «Ma non per questo puoi andare a urlarlo in giro.»
«Me lo dici dov’è Anna o no?» insisté la Grifondoro, ostinata.
Meg si spazientì. «Se ti calmi potrei almeno pensare di farlo, testa rossa» la provocò.
Merlino, è esattamente come mi diceva Eris.
I lineamenti di Merida si rilassarono – ma non troppo. «Allora?» le chiese poi, sforzandosi di ammorbidire anche il tono della voce.
La Serpeverde si guardò intorno per verificare che nessuno ascoltasse, poi disse: «Anna non è venuta a Trasfigurazione; era nell’ufficio di Merman.»
«Scusa, ma da quando in qua siete amiche?» fece Merida improvvisamente, guardandola come per studiarla.
La ragazza ridacchiò. «Amiche? Non direi proprio.»
«E allora?»
Adesso gli occhi della Grifondoro erano più sinceri, puliti da ogni traccia di rabbia; sembravano solo curiosi verso la risposta che lei avrebbe potuto dare.
Megara distolse lo sguardo, pensierosa.
«Ho semplicemente deciso di darle una mano, tutto qua. Ero là quando... quando Elsa è scappata.»
Sul viso tondo di Merida si disegnò un’espressione stupita. «È andata davvero nella foresta oscura?»
Meg annuì, senza rispondere, gli occhi viola che guardavano altrove. Il silenzio calò sulle due ragazze – un silenzio angosciante, intriso di preoccupazione.
«Dobbiamo andare da Anna» proruppe poi la rossa, decisa.
«Dobbiamo?» fece la Serpeverde, con una vaga risatina tagliente.
«Sì. Io e Quentin abbiamo sentito tutto, tanto.»
«Tu e chi?» chiese, sollevando un sopracciglio. Ci stava capendo sempre meno; com’era che lei aveva saputo di tutto quello che era successo?
Se un mese prima le avessero detto che Merida Dunbroch avrebbe voluto aiutarla, si sarebbe messa a ridere; invece, paradossalmente, era proprio quello che stava accadendo in quel momento.
«Quentin. Il ragazzo di Tassorosso che è stato mandato in infermeria da Claude Frollo.»
Megara, per tutta risposta, incrociò le braccia. «Non contarci, testa rossa» tagliò corto. «E comunque mi stai facendo perdere tempo; devo andare da Merman adesso.»
Se ne andò prima che lei potesse dire qualcos’altro, dirigendosi a passo svelto verso l’ufficio del Preside.
Proprio in quel momento, Merida vide Quentin dirigersi verso di lei. «Allora? Cos’hai concluso?», le chiese, leggermente ansioso.
«Quentin, vieni» disse solo la Grifondoro, prendendolo per un braccio e trascinandolo per il corridoio.
«Perché? Dove stiamo andando?»
«Fa’ piano!» intimò Merida.
«Non se prima non mi dici cosa stiamo facendo» si impuntò il Tassorosso.
Lei sospirò, poi disse: «Andiamo nell’ufficio di Merman. Stiamo seguendo Megara; per questo dobbiamo essere silenziosi.»
«Seguendo Megara?» ripeté il ragazzo, incredulo.
«E come facciamo a sapere che cosa è successo, se no?» replicò l’amica, con fare ovvio.
«Magari chiedendolo» fece lui, con una punta di sarcasmo. «Pensavo che tu avessi parlato con quella ragazza.»
«Infatti l’ho fatto. Ma andiamo: è Serpeverde – e per di più amica di Eris Goddess. Secondo te ha voluto dire qualcosa a me
«Beh, avrebbe dovuto, vista la situazione.»
«Già, peccato che invece non l’abbia fatto.»
«E quindi la soluzione che hai trovato è stata seguirla e origliare quello che le dice Merman» concluse Quentin, sempre con lo stesso tono di prima. Era incredibile: anche se conosceva Merida da pochi giorni aveva già capito com’era fatta, eppure continuava inspiegabilmente a stupirsi.
Questa ragazza è matta.
Non avrebbe mai smesso di pensarlo, probabilmente.
«Beh, sai come si dice» fece lei, annaspando per la corsa. «A mali estremi, estremi rimedi, no?»
Quentin stava per replicare, quando vide poco lontano la sagoma snella e sinuosa di Megara Greek avviarsi lentamente verso l’Ufficio del Preside. Si zittì, mentre la Serpeverde si guardava intorno con aria circospetta; nei suoi occhi era però ben evidente un che di malinconico, che il Tassorosso non aveva mai visto nelle poche volte in cui aveva avuto a che fare con lei.
«Okay» bisbigliò Merida, distogliendolo. «Adesso noi corriamo e ci infiliamo con lei nella scala che porta all’Ufficio del Preside.»
«Merida, io...»
«Ricordati, Quentin» si addolcì lei. «Un po’ di avventura non fa mai male.»
Il ragazzo stava per aggiungere qualcosa, quando la voce acuta della sua amica esplose in un «Adesso!» che lo fece scattare. In un attimo si ritrovarono accanto a Megara, sulla scala a chiocciola che roteava lentamente su se stessa per condurre all’Ufficio di Merman.
«Ehi!» esclamò subito scontrosa la Serpeverde, mentre gli occhi viola assumevano un’espressione infastidita. «Che cosa ci fate voi qui?» squadrò Quentin con fare distaccato, e Merida con quella che sembrava rabbia.
«Te l’ho detto che ormai siamo coinvolti anche noi; abbiamo sentito, ricordi?» ribatté la Grifondoro, ostile. Quentin ebbe quasi timore di cercare di fare da pacificatore tra le ragazze, tanta era la tensione.
«In ogni caso, ormai siamo qui» disse prendendo coraggio, prima che le due si scannassero. «E non ha senso litigare.»
Il silenzio calò sui ragazzi, fino a quando la scala non si fermò.
«Ascoltami bene, Dunbroch» sibilò Megara quando si ritrovarono di fronte alla porta dell’Ufficio, con tono quasi sprezzante. «Questo non è un gioco, né un’avventura entusiasmante. La faccenda è molto più grande di quello che sembra, perciò sei pregata di non parlare a sproposito come tuo solito» concluse, acida.
Il viso di Merida si accartocciò in un’espressione corrucciata.
«Lurida serpe schifos...»
«Merida» la ammonì Quentin.
La Grifondoro digrignò i denti, ma fu costretta a tacere quando Megara batté qualche colpo sulla grande porta e la voce tonante di Merman disse un: “Avanti!” incoraggiante.
Quando i tre ragazzi entrarono, in mezzo alla lunga barba bianca del Preside si allargò un sorriso soddisfatto.
«Oh, bene! Altri due volontari» disse, mentre Anna, seduta sulla sedia di fronte a lui e con gli occhi ancora lucidi, guardava la scena confusa.
«A quanto pare...» sussurrò Megara, poco convinta.
Ci fu un attimo di silenzio, poi il Preside prese parola:
«Accomodatevi» fece, con uno strano entusiasmo. «Ci sono molte cose che dovete sapere.»
I ragazzi si misero seduti sulle tre sedie imbottite, di un bel color turchese, che fluttuarono lungo l’area della stanza al loro ingresso.
«Dunque» iniziò il mago, «Come sapete, questa situazione è molto delicata. Vorrei essere chiaro: Elsa non è andata nella foresta per caso. Qualcuno l’ha spinta a farlo.»
«E chi può essere stato?» chiese Merida.
Merman tirò un breve sospiro, poi disse: «Anni fa, prima che subentrassi io come Preside, un mago di nome Pitch Black sedeva qui, dove sono io ora. Ben presto, però, capii che non aveva buone intenzioni: non voleva fortificare Hogwarts, bensì distruggerla, portarla nel caos.»
«Per quale motivo? » fece Megara, che ora aveva tolto dal volto la sua solita espressione sarcastica.
«Beh»  il Preside indugiò un poco, poi proseguì. «A volte semplicemente non esiste un perché, dietro a queste cose» strinse una delle sue grandi mani in un pugno, e tutti i presenti ebbero la netta sensazione che avesse detto loro una mezza verità. «È come il mondo magico ha sempre funzionato; ordine e caos, che si alternano ciclicamente. Anche dopo la prima, apparente caduta di Lord Voldemort, ci fu un tempo di pace. Sospetto che Black stia seguendo le sue orme.»
«Ma, signore, che cosa dovremmo fare? Noi siamo solo studenti, come possiamo fermare un mago di questo genere?» si allarmò Quentin, sforzandosi però di parlare con quanta più tranquillità possibile.
«Il fatto è che Elsa Arendelle ha tutti i segnali che destano la mia preoccupazione. Quella ragazza ha dei poteri davvero singolari. Ho cercato di aiutarla a tenerli a bada, in questi anni, proprio perché temevo di arrivare a questo. Ho paura che sia stata presa di mira da Black. »
«Aspetti» disse Merida. «Quali poteri?»
«La signorina Arendelle è in grado di creare il ghiaccio» fece una pausa, «Senza usare la bacchetta.»
Silenzio.
«Avere poteri come quello non è un buon segno, nemmeno nel mondo dei maghi» rifletté Quentin, cercando una conferma nel Preside.
«Esatto»  disse infatti il mago. «Il vostro compito, dunque, sarebbe proteggerla, in modo che non ceda alla magia oscura. È fin troppo vulnerabile»  continuò. «Se non dovesse migliorare, ho paura che sarebbe molto più complicato fermare il caos.»
Scese il silenzio, nella stanza; i ragazzi avevano assorbito crudelmente l’impatto di quelle parole.
«Che cosa succederebbe ad Elsa se... insomma...» prese parola Anna. «Se non ci riuscissimo?»
Il Preside la guardò per una manciata di secondi, prima di risponderle. «Non lo so. Ma sicuramente – e questo non voglio nasconderlo, a nessuno di voi – niente di buono. Cambierebbe, diventando qualcosa che non è.»
Quella frase fece scuotere il corpo di Anna in un brivido.
«D’accordo» ingiunse Merida, determinata. «Lo faremo.»
«Bene» disse Merman. «Allora avete il mio permesso per andarla a cercare, nella foresta. Ricordatevi di non attardarvi; escono fuori creature molto pericolose, di notte.»
Sembrò che avesse altro da aggiungere, ma tacque, guardandoli tutti uno per uno. Si soffermò su Anna, che lo ricambiò come se sapesse di cosa stesse parlando.
«Per sicurezza» fece poi, interrompendo il silenzio, «non vi lascerò andare privi di difese, ovviamente. Lascerò che i fuochi fatui accompagnino il vostro cammino, proteggendovi in caso di pericolo.»
Il Preside pronunciò velocemente qualche formula magica a bassa voce, rendendo l’atmosfera che si era venuta a creare ancora più solenne, e un leggero velo di luce blu calò su ognuno dei ragazzi.
«Potete andare» disse poi dopo qualche istante, serio. «E ricordatevi che non dovete essere mai soli, in questa guerra.»
Detto questo, li congedò.

 
 
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E così, ecco che sono coinvolti anche Quentin e Merida. La nostra Grifondoro è proprio una matta, eh? Eppure io me la immagino proprio così: una piccola peste dalla testa rossa che si caccia sempre nei guai – e che trascina con sé le povere, malcapitate persone timide e gentili come Quentin :’)
E Megara? Ci sta dimostrando un lato di lei che finora non abbiamo mai visto... e che dire di quella che dovrà essere la sua “collaborazione” con Merida nell’aiutare Anna a cercare Elsa? 
Spero che il capitolo di questa nuova avventura vi sia piaciuto :)
Alla prossima,
Stella cadente


PS Scusatemi di nuovo per il ritardo, ma sono mezza febbricitante e mi dimentico le cose. Perdonatemi :C



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"Nei suoi occhi era però ben evidente un che di malinconico, che il Tassorosso non aveva mai visto nelle poche volte in cui aveva avuto a che fare con lei. Era ovvio che anche quella ragazza avesse i suoi problemi, eppure lui stentava a crederlo davvero e vederla così fragile lo lasciò in qualche modo sorpreso."
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10. ***


10.
 
 
Quel pomeriggio, nella tenda di Quidditch della squadra di Grifondoro, Esmeralda si guardò allo specchio e sospirò, come per farsi coraggio. I capelli neri, raccolti in una coda di cavallo, sembravano non voler stare al loro posto, e il suo riflesso la guardava preoccupato. L’unica cosa che sembrava starle bene era la sua nuova tenuta da Quidditch, rossa fiammante, con lo stemma della sua Casa sul petto. La ragazza storse la bocca: c’era qualcosa che non andava...
Squadrò lo specchio per una manciata di secondi, poi, come colta da un’idea particolarmente brillante, si sciolse i capelli in un gesto liberatorio e li ammirò starsene tutti ondulati, ribelli e indomabili intorno alle sue spalle.
Ora va decisamente meglio.
Sorrise, scosse un po’ la testa ed entrò in campo, decisa a prendersi il ruolo di nuovo Cercatore.
Almeno, finché Merida non torna.
Non appena si trovò nel campo da Quidditch per l’allenamento, vide subito Febo accoglierla con un sorriso incoraggiante; la ragazza lo ricambiò, poi spostò lo sguardo sulla squadra, seguita dall’amico. Febo era il Capitano, Ercole il portiere;  riconobbe anche Jehan e  Philip Knight, ma per il resto la squadra era formata da ragazzi che non aveva mai visto – esclusivamente ragazzi – che chiacchieravano tra loro allegramente.
«Ho da fare un annuncio» esordì Febo, con voce decisa. Tutti i membri della squadra si zittirono. «Oggi, come sapete, avremo un altro Cercatore» fece un cenno verso Esmeralda, che si sentì arrossire vagamente. «Eccola qua! Esmeralda Trouillefou, che prenderà il posto – almeno per il momento – di Merida Dunbroch» fece, con entusiasmo. «Sapete tutti che – sebbene si sia rimessa – la nostra Cercatrice non è ancora in ottima forma. Perciò sarà una cosa momentanea, come ho già detto, ma non dobbiamo dimenticarci che tra poco abbiamo la partita più importante del trimestre contro Serpeverde, e ci serve una persona in gamba.»
Gli occhi di tutti erano puntati su Esmeralda, che non poté fare a meno di provare un moto d’orgoglio per il modo in cui l’aveva presentata il suo amico.
«Inoltre» concluse. «Come tutti voi sapete ho ottenuto il permesso da Merman di fare una prova un po’...» sul suo viso sbarazzino comparve un sorriso, «speciale, ecco.»
«E cioè?» sussurrò Esmeralda.
«Signori e... signora» disse Febo ignorandola, con il suo solito atteggiamento ironico, «vi informo che a breve la squadra di Serpeverde ci raggiungerà sul campo, per provare a giocare insieme.»
Tra i ragazzi si diffuse un mormorio sommesso, ed Esmeralda si sentì morire.
«Cosa?» sbottò, rivolta all’amico. «Febo, perché non mi hai detto che...»
Il ragazzo fece spallucce.
«Avrei dovuto? Sarà una prova come le altre. Solo che dovrai vedertela direttamente con l’altro Cercatore» il suo volto si rabbuiò.
«Chi sarebbe l’altro...»
«Buon pomeriggio!» La domanda della ragazza fu interrotta da una voce familiare.
«Hans, ciao!» fece il Grifondoro, facendo un cenno con la mano. Esmeralda trattenne una smorfia di disgusto: come mai Febo si comportava in quel modo con Hans Westergård, come se fossero amici? E dire che la sera prima, alla festa, neanche si erano parlati più di tanto...
Dedusse che il suo amico stesse facendo buon viso a cattivo gioco – quello che lei non sarebbe mai stata capace di fare.
«Febo» replicò l’altro a mo’ di saluto, mentre gli batteva una pacca sulla spalla. «Oh, la nuova Cercatrice, vedo» fece un cenno in segno d’apprezzamento nei confronti di Esmeralda, che però lo guardava ostile. «Credo che darà parecchio filo da torcere al nostro Cercatore, anche se non so quante possibilità abbia contro di lui» sogghignò. Un dubbio orrendo si fece strada nella mente della Grifondoro, mentre Hans diceva: «Ma voglio essere sportivo e dire: che vinca il migliore!»
Il Serpeverde lanciò uno sguardo di intesa, che a Esmeralda non piacque per niente, ai compagni che stavano dietro di lui. In quel momento Westergård le apparve ancora più falso di quello che non le sembrasse già, e la cosa le fece istintivamente arricciare il naso.
Intanto, alle spalle del ragazzo, i suoi compagni di squadra cominciarono ad avanzare; fu solo allora che la Grifondoro si accorse con chi avrebbe avuto a che fare.
«Oh, molto bene» avrebbe riconosciuto quella voce grave tra mille. «E così la nuova Cercatrice... saresti tu
Aveva detto quel tu con tutto il disprezzo che lo caratterizzava, che suscitò una vampata di collera nella ragazza.
«Sì. La cosa ti crea problemi?» ribatté spavalda.
Claude Frollo appariva un insopportabile sputasentenze anche nella sua divisa da Quiddicth verde e argento, con quegli occhi scuri e seri e quell’espressione di altera superiorità sulla faccia pallida. Lo stemma di Serpeverde sembrava brillare alla lieve luce del sole che filtrava attraverso le nuvole, come a ribadire la rivalità che c’era tra la sua Casa e quella di lei.
«A me? Non direi proprio» disse, con il suo solito tono freddo e sostenuto. «Ma ho come l’impressione che questa prova sarà altamente istruttiva; se non altro per te, mezzosangue.»
Esmeralda fremette dalla collera; aveva voglia di saltargli addosso e riempirlo di pugni.
«Che vinca il migliore» concluse, con tono quasi solenne, rifilandole un sorrisino tetro.
E lei, da quel momento, capì che a quel punto non si trattava più solo di entrare nella squadra: c’era in ballo il suo orgoglio.
Imbracciò la scopa in un gesto brusco, e ci salì sopra, furiosa. Frollo, al contrario, ci balzò su con un movimento elegante, quasi felino. Esmeralda doveva riconoscerlo: era magro, agile. Aveva la corporatura perfetta per essere un Cercatore.
Perché sto pensando alla sua corporatura?
Si diede della stupida per essercisi soffermata, e scacciò subito quel pensiero.
«Febo»  disse poi. «Cosa intendevi con “prova particolare”? Simuleremo la partita?»
«Esattamente» le disse lui, librandosi in aria con lei e gli altri componenti della squadra. «Non preoccuparti: solo, cerca di prendere il boccino, okay? »
La ragazza si limitò ad annuire.
I Serpeverde intanto erano saliti sulle loro scope, posizionandosi sul lato opposto al loro. Il silenzio era sceso sul campo; si poteva tagliare, tanto era intenso. Ogni singolo giocatore era un fascio di nervi, ma più di tutto il resto, per Esmeralda c’erano gli occhi color onice di Claude Frollo, che la guardavano con odio.
La pluffa venne liberata, e da subito i ragazzi presero a schizzare lungo l’area del campo, le scope che sibilavano contro il vento di quel pomeriggio: Ercole riusciva a parare tutti i colpi, mentre Philip gettò la pluffa negli anelli per ben cinque volte.
Finché Westergård non lo disarcionò, facendolo cadere dalla scopa.
«Ehi!»  gli urlò dietro Esmeralda, «Hai violato il regolamento!» esclamò.
Hans le andò vicino, sogghignando. «Non hai mai giocato, vero?»  le fece, con tono beffardo.
«Lasciala stare, Hans» la raggiunse la voce di Frollo, lugubre e profonda. «Direi che è palese che non abbia mai giocato; soprattutto, contro di noi
Lo disse con un tono così superbo, così disgustosamente arrogante, che ad Esmeralda venne istintivo stringere il manico della scopa tra le dita fino a farsi male.
Westergård fece una breve risata di scherno, poi si allontanò dicendole: «Buona fortuna, novellina
La Grifondoro ribolliva di rabbia; stava per andargli addosso e buttarlo giù con la scopa per vendicare Philip... quando vide il boccino ronzare vicino a Frollo.
Si tuffò addosso al ragazzo; si accorse troppo tardi che gli sarebbe finita contro, se solo lui non si fosse scostato in tempo. «Cosa c’è, mezzosangue?»  disse, prendendo a girarle intorno. «Vedi il boccino da qualche parte?»  fece, con tono derisorio.
«Smettila di chiamarmi così» ringhiò lei. Il boccino intanto volteggiava, prima intorno al Serpeverde, poi intorno a lei, prendendosi gioco di entrambi. Frollo le diede una spinta, poi un’altra, finché la ragazza non si trovò lontana dal boccino. Esmeralda accelerò furiosamente, fino a che il vento non iniziò a percuoterle il viso facendole lacrimare gli occhi; intanto, Frollo si avvicinava pericolosamente a quella pallina dorata, che continuava ad emettere sibili acuti. Sembrava che stesse ridacchiando.
Il ragazzo ondeggiò con la scopa, dopodiché si rannicchiò per attutire l’attrito con l’aria e aumentare la velocità. L’eleganza con cui seguiva il boccino non tradiva il fatto che fosse Cercatore da anni; eppure sembrava deconcentrato, anche se non capiva per quale motivo dovesse esserlo. Seguiva con lo sguardo il boccino quasi distratto, con occhi vacui; inoltre, non la teneva minimamente d’occhio. La Grifondoro si era aspettata che lo facesse ogni secondo – tutti, probabilmente se lo erano aspettato – ma invece... era come se non volesse guardarla.
Fu allora che le venne un’idea.
La distanza tra lei e il boccino non era tantissima... aveva bisogno di una grossa spinta, ma poteva farcela.
Saltò dalla scopa e tese la mano... che prese in pieno la pallina, mentre con tutto il corpo cadeva a terra.
Vide, a un metro da lei, la faccia incredula di Claude Frollo, e la soddisfazione che la invase la fece quasi sentire una brutta persona.
Quasi.
 
 
*
 
«Oh, andiamo Esme, cosa ti costa?» il suo amico sembrava quasi spazientito.
«Cosa mi costa?» chiese lei, sarcastica. «Ma hai idea di chi sia la persona che mi stai chiedendo di andare a salutare?» sbottò, furiosa. «Io a salutare Claude Frollo! Ma neanche se tu...»Ercole, poco più in là, si girò a guardarli, e Febo gli fece un gesto come per dire di non preoccuparsi. «Sì, lo so» replicò poi interrompendola, abbassando la voce come per dirle tacitamente di fare lo stesso. «Ma sai come si dice: tieniti stretti gli amici, e ancora più stretti i nemici» disse, con un bagliore negli occhi. «E poi un minimo di sportività ci vuole sempre, non credi?» concluse, facendole un occhiolino.
Dopo la prova, Esmeralda era tornata trafelata nella tenda di Grifondoro, facendo del suo meglio per stare il meno possibile vicino a Claude; non aveva paura di lui, ma... le faceva uno strano effetto, e ciò la turbava non poco. Anche se a Febo non l’avrebbe mai detto.
Guardò il suo migliore amico, scettica, con le sopracciglia arcuate in un’espressione vagamente disgustata.
«Non ci penso nemmeno» brontolò poi, mentre si legava i capelli arruffati in una crocchia fatta alla bell’e meglio. «Non andrò a salutare quel... quel... quello sputasentenze» dichiarò, incrociando le braccia ambrate.
Febo lasciò andare un sospiro che sembrava dire “a mali estremi, estremi rimedi”. «Vuoi o no che vinciamo la partita?» snocciolò infatti. «Se vuoi vincere davvero, devi studiare il nemico. È una tattica» le rivelò poi, con fare esperto. «Quindi...» le poggiò una mano sulla spalla, consapevole del fatto che l’amica stesse per cedere. «Che cosa farai?»
La Grifondoro indugiò un pochino. Si sentiva quasi in soggezione, all’idea. Di certo non avrebbe fatto la parte della codarda, ma presentarsi nella tenda dei Serpeverde le sembrava un po’, ecco... eccessivo.
Per non parlare del fatto che le sarebbe venuta l’orticaria solo a vedere le divise verde e argento di quei tizi odiosi.
«Sinceramente non ho nessuna voglia di farlo»  insistette, «Ma, se proprio insisti...»
«Trouillefou.» Una voce interruppe quella conversazione, mentre la sagoma di Frollo compariva nella tenda dei Grifondoro. Subito, la squadra si zittì, e ogni componente fece finta di essere impegnato in qualcosa – qualunque cosa, pur di non parlare con lui. Sul volto di Esmeralda comparve una smorfia: per quale assurdo motivo sembrava avere il potere di intimorire tutti?
«Frollo» gli rispose con lo stesso tono di sfida, avvicinandosi. «Che cosa vuoi?»  fece, incrociando le braccia.
Sul volto allungato del ragazzo aleggiava un sorriso che non prometteva nulla di buono.
«Solo salutarti sportivamente, in vista della partita» alzò gli occhi su Febo, che lo guardava come a volergli dire che sarebbe stato meglio per lui non fare passi falsi. «Se posso» aggiunse, mantenendo lo sguardo.
«Ma certo» disse lei, rilassandosi un po’. «Preferirei che andassimo fuori» perché lo aveva detto?
Si chiese come mai quel ragazzo avesse un così strano effetto su di lei. Non le capitava spesso di comportarsi in modo incoerente con quello che pensava.
In ogni caso ormai era andata.
Uscì dalla tenda, prendendo a passeggiare lungo il campo. «Carino da parte tua, non me lo aspettavo» disse, ironica. «Fammi indovinare: c’è altro.»
Il Serpeverde sogghignò: «Allora non sei stupida come immaginavo.»
La ragazza digrignò i denti.
Come ti permetti, brutto figlio di...
«Cosa vuoi?» disse invece, come aveva fatto poco prima.
Lui sembrò ignorarla, perché la squadrò in silenzio, guardandola di sbieco con i suoi occhi neri come la notte.
«Il Capitano della mia squadra aveva ragione; ti ho dato del filo da torcere, mezzosangue» disse solo, dopo una pausa che non fece che alimentare la rabbia della Grifondoro. Un fremito le attraversò il corpo, nel sentire quelle parole; gli occhi verdi mandarono lampi, e gli lanciò uno sguardo inceneritore.
«Non troppo, in realtà» lo schernì. «Ho preso il Boccino prima che lo prendessi tu: il posto di Cercatrice della squadra di Grifondoro è mio» sibilò. «Ci vediamo alla partita» si congedò poi, a denti stretti.
Fece come per allontanarsi, ma la voce del ragazzo la fermò, seria e provocatoria.
«Mia cara», si voltò, gli occhi che non perdevano quell’espressione ostile, «ma certo che il posto di Cercatrice è tuo» infierì, sollevando un angolo della sua bocca sottile in un sorriso tagliente. «Resterà solo da vedere se la fortuna ti assisterà anche tra due settimane.»
Era una cosa incredibile: Claude Frollo non si scomponeva di un millimetro, anche se aveva appena, di fatto, subito una sconfitta. Che poi, tanto sconfitta non era; Esmeralda si era trovata in vantaggio per quella volta, ma qualcosa le diceva che la sua era stata in gran parte fortuna, come aveva appena detto il ragazzo. Anche se, fino a poco prima, non lo avrebbe mai detto.
Giunse alla conclusione che fosse lui a farla sentire così insicura, e finì per odiarlo ancora di più.
Il Serpeverde, intanto, la guardava con la sua solita espressione a metà tra il trionfo e il disprezzo, come chi guarda un insetto fastidioso poco dopo averlo schiacciato. Esmeralda sentiva di non riuscire a sopportare più di essere vista in quel modo, come se fosse un essere rivoltante.
«Fortuna, dici? Intendi la stessa fortuna che hai tu con i professori, che non si accorgono che sei una delle persone più meschine che esistano?» lo provocò, mentre la rabbia le si agitava ormai violenta in tutto il corpo.
La faccia pallida di Claude Frollo si incupì di botto, e i suoi occhi neri sembrarono scintillare di un risentimento gelido e profondo, come se dietro alla sconfitta durante le prove di Quidditch ci fosse qualcos’altro. In un lampo le fu addosso e l’afferrò per la divisa, artigliandola con le sue dita lunghe e magre.
«Tu non hai alcun diritto di dirmi così. E per la cronaca – lo ribadisco – puoi considerarti fortunata dal momento che oggi stavo poco bene. Non avrò problemi a buttarti giù dalla scopa, quando saremmo lì alla partita, lurida mezzosangue che non sei altro.» I suoi occhi la guardavano furiosi, come due pietre scure arroventate; per un attimo la Grifondoro ebbe paura sotto quello sguardo.
Quando la lasciò andare, Frollo aveva acquistato di nuovo la sua innaturale calma.
«Ci vediamo alla partita» ripeté le sue stesse parole, senza smettere di fissarla.
Esmeralda si allontanò subito, senza dire niente.
 
 
 
 
 

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Questo capitolo mi è piaciuto particolarmente. Sarà perché i protagonisti sono i personaggi di Il Gobbo di Notre-Dame – a parte Quentin – ed è stato come ritrovare Paris, sarà perché abbiamo un altro incontro (o per meglio dire scontro) tra Esmeralda e Claude, o perché è un capitolo di passaggio che comunque serve a stemperare la tensione... so solo che mi è piaciuto scriverlo. È breve, lo riconosco, ma mi è piaciuto. Spero che sia lo stesso per voi. <3

Alla prossima,
Stella cadente

 
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«Trouillefou.» Una voce interruppe quella conversazione, mentre la sagoma di Frollo compariva nella tenda dei Grifondoro. Subito, la squadra si zittì, e ogni componente fece finta di essere impegnato in qualcosa – qualunque cosa, pur di non parlare con lui. Sul volto di Esmeralda comparve una smorfia: per quale assurdo motivo sembrava avere il potere di intimorire tutti?

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Capitolo 11
*** Capitolo 11. ***


11.
 
 

«Claude, ehi, ti disturbo?»
Quando sentì quella voce – così insopportabilmente allegra e scanzonata, così diversa dalla sua – mentre stava per entrare nella Sala Comune, represse duramente un sospiro. «No, Jehan» si limitò a dire poi, atono.
«Okay» fece l’altro. «Non è che avresti gli appunti di Trasfigurazione da prestarmi?»
«Certo che ce li ho» ribatté lui duramente. «Ma dovresti cominciare a stare attento in classe, anziché chiedere sempre gli appunti a me. Anche perché tanto so già che non li guarderai neanche. E poi Trasfigurazione è una materia semplicissima: è scritto tutto sul libro, non ti servono gli appunti.»
Suo fratello lo guardò corrucciato.
«Se te li chiedo, vuol dire che in qualche modo mi servono, no?» fece, un po’ stizzito.
Claude odiava suo fratello, quando faceva così; praticamente parlavano solo quando lui aveva da chiedergli soldi o appunti. Alla fine lo faceva, gli dava quello di cui aveva bisogno, perché sebbene non ci fosse comunicazione tra di loro Jehan era pur sempre il suo gemello, e non riusciva mai a dirgli di no – non davvero almeno.
«E va bene.» Frugò un po’ nella sua borsa di pelle nera, poi ne tirò fuori un plico di fogli. «Tieni. Ma non osare sciuparli, Jehan, o giuro che ti faccio gonfiare come ho fatto con Quentin Cloche» lo minacciò, sempre con quel tono di voce piatto e grave.
«Ricevuto, grazie!»
Jehan era già scappato via con tutti gli appunti tra le mani, e l’aveva di nuovo lasciato solo con se stesso.
Solo, con un unico pensiero martellante a rimbombargli nella testa.
Si diresse verso la Sala Comune di Serpeverde come un automa; quando entrò, non c’era nessuno. Si piazzò, quindi, di fronte al camino, guardando distrattamente le fiamme.
Si sentiva spossato.
Aveva cercato di non sembrarlo, ma la verità era che era un po’ nervoso al pensiero della partita contro Grifondoro. Non tanto perché la mezzosangue – Esmeralda – fosse più brava; in fin dei conti, era solo una novellina e non poteva competere con lui, che era Cercatore della squadra di Serpeverde da quando era al primo anno. Eppure, la sua presenza lo turbava; non faceva che pensare al momento in cui si erano visti, a quando qualcosa lo aveva spinto ad entrare nella sua tenda per congedarsi...
Forse è stato per il solo fatto di vederla, e nulla più.
In ogni caso, quando l’aveva vista, non aveva potuto fare a meno di sentire una fitta al cuore che non gli era piaciuta per niente. Si era ritrovato a constatare che era davvero bellissima, con i capelli neri che le circondavano il viso come una criniera e quegli occhi verdi che scintillavano di astio.
La odiava: ne era certo, quello che si agitava nel suo cuore quando la vedeva era odio, eppure sembrava che ad accompagnare quell’odio così radicato ci fosse qualcos’altro.
Qualcos’altro che non sapeva decifrare. Qualcos’altro che faceva sì che non volesse vederla – ma che al tempo stesso dipendesse da lei, dalla sua presenza; che quando gli capitava di farlo sentisse uno strano rimescolio dentro, e una voglia irrefrenabile di toccarla, di infilare le mani nei suoi capelli ricci, di guardarla in quei suoi occhi di smeraldo e...
Basta.
Claude sospirò, cercando di scacciare quei pensieri poco appropriati dalla sua testa. Era normale che vedesse in quel modo Esmeralda Trouillefou, la ragazza di Grifondoro che più odiava?
In realtà, non aveva mai sopportato i Grifondoro, e tollerava ancor meno il fatto che i nati babbani studiassero nella stessa scuola insieme a chi – come lui, ad esempio – viveva da sempre in una famiglia di maghi. Ma lei aveva qualcosa che lo faceva andare fuori di testa.
Fissò gli occhi scuri sulle fiamme che danzavano nel camino, e posò il manuale di Trasfigurazione sul divano nero imbottito, accanto a sé: non riusciva a concentrarsi. La sua mente non faceva che riportargli sulla pelle le stesse sensazioni di quando l’aveva afferrata, del senso di potere che l’aveva pervaso non appena aveva stretto le dita intorno al suo braccio magro, della soddisfazione che aveva provato vedendo un lampo di paura in quei suoi smeraldi. Si nutriva di quel ricordo per non star male, perché lei era sempre così sfuggente e lui invece voleva che fosse sua.
Lo realizzò con una vampata di rabbia, mentre continuava a guardare il camino e le fiamme sembravano prendere le forme di lei.
 



 
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Salve, lettori :)
Inutile dire che abbia amato scrivere questo capitolo, sebbene sia mostruosamente corto: la famosa scena del camino con Claude *_*
Il nostro Serpeverde è molto turbato da Esmeralda, vi pare? Ma del resto, anche lei fa cosa abbastanza sconclusionate in sua presenza...
Spero che, per quanto breve, vi sia piaciuto.
Alla prossima,
Stella cadente


 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12. ***


12.
 

Jehan Frollo, ogni volta che interagiva col suo gemello Claude, si sentiva morire. Era scappato subito, dopo che lui gli aveva dato gli appunti, perché non riusciva a stargli vicino per più di tre secondi. Era semplicemente una cosa fisiologica: Claude metteva soggezione alle persone. O, se non lo faceva con gli altri, di sicuro lo faceva con lui.
Aveva preso velocemente le distanze, e non solo fisicamente. Era da un po’ di tempo, ormai, che lui e il gemello non si parlavano neanche. Jehan si ricordava com’era, prima: erano così uniti, così... inseparabili.
 E ora, per qualche strano motivo, non lo erano più. Così, all’improvviso. Jehan si ripeteva sempre che era tutta colpa di Claude se ora erano in quelle condizioni, ma sapeva benissimo che in realtà non era così, che anche lui ci aveva messo del suo, e che era successo e basta – forse perché non avevano più bisogno di essere uniti come prima.
Erano nati entrambi in una potente stirpe di maghi, cresciuti in una di quelle ville in stile vittoriano che solo i maghi di un certo rango potevano permettersi; se li ricordava, Jehan, i giochi tra le colonne in marmo in stile classicheggiante e gli incantesimi nel giardino circondato da piante d’ogni tipo, mentre la loro madre li guardava orgogliosa.
Il loro padre era sempre stato un uomo allegro, e la madre era sempre stata una donna chiusa, ma gentile; ed era subito apparso ovvio a tutti che Claude fosse semplicemente diverso, ma a loro andava bene lo stesso. Non si univa mai agli scherzi, era sempre serio, sempre chino sui suoi libri, sempre silenzioso, come se vivesse in un mondo completamente diverso da quello degli altri. 
Ma andava bene, perché faceva parte di loro, della loro vita. Jehan lo ammirava molto: quando erano piccoli era solito prenderlo come esempio e cercare di imitarlo, mentre lui rideva e lo prendeva bonariamente in giro.
Ogni membro della famiglia di Jehan era stato smistato in Grifondoro, a scuola, ed aveva sempre dimostrato una grande solidarietà verso tutti: i Frollo erano una di quelle famiglie prestigiose e di buoni principi, i cui membri venivano smistati in quella Casa da secoli.
Claude, invece, era stato smistato in Serpeverde. E quella era stata una prova ulteriore della sua diversità.
I genitori avevano comunque accolto bene la notizia; Jehan era giunto alla conclusione che forse se lo aspettavano, vista la situazione che ogni volta si presentava tra le mura di casa, ma in ogni caso non avevano battuto ciglio e si erano congratulati con lui, che per la prima volta aveva dimostrato una parvenza di felicità.
Per i primi anni aveva funzionato. Erano ancora loro, ancora i fratelli Frollo, quelli che nonostante la diversità sono uniti, invincibili, forti, finché sono insieme; poi, dal quarto anno, la vivacità di Jehan aveva cominciato ad infastidire Claude. O almeno, al Grifondoro ogni volta sembrava così.
Aveva cominciato a non sopportare più il suo sguardo penetrante e altezzoso, o il modo in cui lo sminuiva ogni volta che otteneva un buon risultato a scuola. Claude aveva cominciato a sembrare lontano, irraggiungibile, perché lui era un Serpeverde ed era superiore a lui, a sua madre, a suo padre, a tutti. Era questo che trapelava da ogni suo gesto, da ogni suo sguardo, persino dal modo in cui parlava: il senso di superiorità.
E Jehan aveva provato a ricucire quello strappo nel loro rapporto, ma ogni tentativo era sembrato troppo vano persino per lui, che era un Grifondoro ed era suo fratello.
 
 
«Claude, guarda! Ho imparato un nuovo incantesimo!»
«Ho da fare Jehan, non posso guardarti.»
Suo fratello era chino su un grande libro, preso sicuramente dalla Sezione Proibita, che aveva l’aria di essere antico di secoli.
«Ma volevo fartelo vedere. È stupendo; piacerebbe anche a te» disse il ragazzino, senza perdere il sorriso.
«Jehan, sto studiando. Dopo» sentenziò il gemello, senza neanche alzare gli occhi dal libro.
E quel dopo non arrivò mai.
 
 
Aveva provato ad avvicinarsi a lui più volte, e sempre era stato respinto con freddezza e brutalità. Perché sì, anche un “dopo”, detto da Claude, suonava come la frase più cattiva che ci potesse essere: era l’espressione che aveva mentre lo diceva a ferirlo. Erano quegli occhi vacui, come se non gli importasse, ad essere più dolorosi di una coltellata, o una Maledizione Cruciatus, o qualunque altra cosa che facesse un male cane.
La verità era questa: a Claude non importava di lui, lo riteneva insignificante e indegno della sua considerazione.
E Jehan non avrebbe mai smesso di stare male per questo.
 
 
«In ogni caso presumo che non ti interessi più, oramai, quello che sto dicendo» dichiarò, facendo guizzare gli occhi neri verso le vetrate in un gesto arrogante, come se lo ritenesse troppo idiota per capire quello che diceva.
«No, Claude, ti stavo ascoltando.»
«Non è vero» fece lui, atono. Quella frase così semplice zittì del tutto Jehan, che si arrese alla verità delle sue parole e al fatto che, ancora una volta, suo fratello avesse ragione: era vero, non lo stava ascoltando. In realtà non gli importava di quello che stava dicendo sull’Artimanzia; voleva solo avere una scusa per passare un po’ di tempo con lui.
Avevano ormai quindici anni; era passato un anno da quando Claude sembrava snobbarlo, eppure Jehan non voleva arrendersi.
«Jehan!» Febo piombò tra di loro, ignorando il Serpeverde che lo guardava altero. «Devi sapere l’ultima su Merida ed Eris. Per le mutande di Merlino» e qui Claude lo guardò dall’alto in basso, disgustato. «Merida è stata fantastica. Ti aspetto in cortile!»
E schizzò via in un attimo, così come si era presentato.
«Vai dai tuoi... amici» e ancora quel tono schifato, impregnato di veleno. «Stai perdendo tempo, qui.»
Jehan gli voleva dire che non poteva decidere per lui, che se voleva restare sarebbe restato, e che lui non poteva farci niente. Il corridoio era ormai vuoto: avrebbero potuto parlare in pace, e niente e nessuno glielo avrebbe impedito.
«No, Claude» disse invece. «Ci andrò dopo.»
«Joannes» insistette, chiamandolo con il suo nome per intero come per dargli un ordine. «Vai dai tuoi amici e divertiti.»
«Non puoi darmi ordini!» sbottò lui. «Da adesso in poi le cose cambieranno, non voglio più che la situazione sia così tra noi» si mise a nudo. «Io... vorrei che tornassimo uniti, come quando eravamo più piccoli» rivelò, quasi con timidezza.
Era orgoglioso, e questa era forse l’unica cosa che aveva in comune col fratello: non gli era mai piaciuto mostrare le sue debolezze, ma per Claude l’avrebbe fatto mille volte.
Il ragazzo sembrò colpito da quella frase, ma durò solo un momento.
«Non è più possibile» disse poi, riacquistando la sua aria fredda e altezzosa. «Siamo diversi, Joannes.» Lo pronunciò come se fosse una condanna, e il Grifondoro si sentì crollare il mondo addosso. Claude l’aveva sempre chiamato con il suo nome per intero solo quando si arrabbiava con lui, e il fatto che l’avesse fatto – di nuovo –  in un contesto normale, come per sottolineare la distanza che c’era tra loro, lo destabilizzò.
«E poi lo avevi già detto una volta» gli sembrò di vedere risentimento e delusione dietro a quelle parole, ma in ogni caso erano ben celati sotto una maschera di pietra. «E le cose non sono cambiate per niente.»
«Se solo tu me lo permettessi...»
«Non ha più importanza ormai. Le cose stanno così.»
«Le cose cambieranno!»
«Smettila di ripeterlo!» urlò Claude, e Jehan sobbalzò leggermente, tanta era la rabbia con cui lo aveva detto. «Smettila di essere ipocrita!» aggiunse poi, trafiggendolo con i suoi occhi freddi.
Il ragazzo non sapeva come sentirsi; sapeva solo che quegli occhi avevano, come sempre, il potere di immobilizzarlo e di farlo sentire costantemente sotto Inquisizione.
«Vado» riuscì a dire solo, prima di allontanarsi.
Il Serpeverde non lo richiamò, né tentò di raggiungerlo, e sul viso pallido di Jehan rotolò la lacrima più dolorosa che avesse mai versato.
“Smettila di essere ipocrita!”
Quelle parole lo avrebbero perseguitato per sempre, probabilmente.
 
 
 
Poi – oltre a Febo e Merida, che ora era la sua ragazza – aveva conosciuto anche Esmeralda, Philip, Anna ed Ercole, e il dolore, per un po’, se ne andava.
Se ne andava perché faceva finta che se ne andasse. Fingeva di provare solo disappunto verso Claude e verso il modo in cui era, quello che faceva o come si comportava, ma la verità era che avrebbe dato chissà cosa per essere come lui, che se ne infischiava di tutto e di tutti e andava avanti da solo, senza curarsi di chi lasciava per strada. Fingeva di stare bene da solo – come Claude – ma la verità era che avrebbe fatto l’impossibile per avere la sua approvazione. Fingeva che i suoi amici gli bastassero e che non gli importasse d’altro, ma in realtà senza Claude si sentiva vuoto.
Fingeva.
E forse era proprio questo a fargli male più di ogni altra cosa.


 
  
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Sinceramente non ho idea di come mi sia venuto in mente di scrivere questo capitolo: mi andava semplicemente di dare profondità al personaggio di Jehan, ed ecco che cosa ne è uscito. Mi sono trovata completamente presa da questo brano: non ho neanche fatto attenzione al capitolo nel suo insieme, ho scritto completamente di getto fino alla fine. Qui vediamo un lato inedito del nostro Jehan, un lato incredibilmente tragico e sensibile, che si discosta tantissimo dalla caratterizzazione dell’inizio – e soprattutto della sua controparte originale. Vediamo un ragazzo segnato dal vuoto del mancato affetto da parte del fratello, e l’altro – Claude – che è ai suoi occhi completamente freddo e indecifrabile. Claude e Jehan mi hanno ricordato Anna ed Elsa in versione più “cruda”, ecco. Spero che sia piaciuto anche a voi, perché ci tengo tantissimo a sapere che ne pensate in particolare di questo capitolo.
Grazie per seguirmi, siete fantastici.
Alla prossima,
Stella cadente


 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13. ***


13.


«Tu ami molto gli animali, vero?»
Aurora sobbalzò appena quando sentì la voce familiare di Philip giungerle alle spalle.
«Oh, ciao» si limitò a dire, distogliendosi dalla sua Puffola Pigmea, che rotolò vicino a lei rivolgendo i grandi occhi al ragazzo. «Beh... sì» si strinse nelle spalle, mentre un sorriso leggero si dipingeva sul suo viso roseo. «Stavo facendo giocare Tosca in mezzo ai Frullobulbi» disse timidamente, guardando con amore il suo animaletto e portandosi una ciocca bionda dietro l’orecchio.
Philip aveva aspettato che la lezione di erbologia finisse, e mentre i suoi compagni – che parlavano ancora delle prove per la partita di Quidditch – sciamavano nei corridoi insieme ai Tassorosso, era rimasto per cercare Aurora.
Da quella volta vicino al Lago Nero non si erano più visti, né parlati; il Grifondoro avrebbe tanto voluto farlo, ma lei era sempre inafferrabile. Ultimamente la vedeva molto spesso insieme ad un altro ragazzo della sua Casa, e si chiedeva se non fosse che avesse deciso di allontanarsi definitivamente da lui.
Per fortuna, per il momento non gli stava dando quell’impressione.
«Tosca? Intendi come...»
«Come Tosca Tassorosso, la Fondatrice della mia Casa» finì lei, guardandolo raggiante. Philip sorrise; ogni suo gesto, ogni sorriso, ogni parola accarezzata dalla sua voce delicata sembrava così naturale e dolce da dargli alla testa.
«Ti fa molto onore questa cosa» le disse, sincero.
La ragazza si strinse nelle spalle, poi gli chiese, con quei suoi occhi azzurri e trasparenti che lo guardavano: «Volevi dirmi qualcosa?»
«Io...» balbettò. «Io, sì, insomma... volevo sapere se ti andava di continuare a vederci come l’altra volta.»
Lei sembrò volersi tirare indietro; esitò, infatti, poi però disse gentilmente: «Per me va bene. Con te passo il tempo molto volentieri, Philip.»
Anche la Puffola – Tosca – sembrò felice, perché fece un versetto di apprezzamento. «Visto?» la indicò Aurora. «Piaci anche a lei» disse, facendo rotolare la creaturina sulla sua spalla.
Restarono a guardarsi per qualche attimo; poi la Tassorosso disse, timidamente: «A proposito: mi dispiace per non essermi fatta più sentire» fece una pausa. «Ma stasera, per farmi perdonare, vorrei mostrarti una cosa. Incontriamoci dopo cena, davanti alla mia Sala Comune. Ci stai?»
Il Grifondoro sorrise, felice.
«D’accordo» disse. «A dopo.»
 
 
Come stabilito, quella sera si fece trovare alla Sala Comune dei Tassorosso, curioso di vedere cosa avesse in mente Aurora. Si era sforzato in tutti i modi di immaginare che cosa avesse in serbo per lui, ma si era arreso quando era arrivato alla conclusione che quella ragazza fosse imprevedibile.
Chissà che cosa vorrà farmi vedere di così importante.
Rimase piacevolmente sorpreso quando vide che, nello stesso momento in cui si fermava di fronte alla porta, questa si apriva e l’immagine esile della ragazza compariva sulla soglia. Sorrise, dicendole un “ciao” educato e gentile.
Lei se la richiuse spalle, ricambiandolo con un grande sorriso cordiale. Il suo entusiasmo malcelato era contagioso: sembrava una bambina che sta per mostrare al fratello maggiore il giocattolo nuovo. «Allora, sei pronto?» gli chiese, raggiante.
Philip aggrottò le sopracciglia, chiedendosi per l’ennesima volta che cosa avesse in mente. «Beh» disse, alzando le spalle. «Non sto nella pelle» ammise.
Quella frase la fece sorridere di più.
«Guarda» disse, emozionata. Si frugò nella tasca dell’uniforme e ne tirò fuori una bottiglietta, straordinariamente grande per entrare nella minuscola tasca del maglione.
«Come hai fatto a farcela entrare?» gli scappò infatti.
«Incantesimo di estensione invisibile» si limitò a dire, come per sminuire la cosa. «Philip, questo è un oggetto magico straordinario» aggiunse poi, mostrandogli la bottiglietta.
Il Grifondoro si avvicinò e fissò l’oggetto; la bottiglietta era piena di una strana polvere magica rosa e celeste, che fluttuava nel vetro trasparente come dotata di una vita propria.
«Questa è Polvere Trasportante» continuò Aurora, anticipando la domanda che stava per farle. «È rarissima: me l’ha mandata mia zia Serena poco tempo fa. Da quando, durante il mio terzo anno, sono incappata nel termine leggendo, ne sono sempre stata molto incuriosita. E adesso che mi è stata regalata... Oh, Philip, è un sogno» sorrise, mettendo in mostra i denti bianchissimi.
«Ah» fece lui. «E... che cosa fa?» aggiunse, sempre più perplesso.
Sul viso dolce di Aurora si disegnò un’espressione enigmatica: «Lo vedrai.»
Stappò la bottiglietta in un colpo solo, e la polvere li avvolse.
 
 
La sensazione era molto simile a quella provocata da una Passaporta: le cellule del suo corpo parevano spaccarsi e riassemblarsi continuamente. Durò pochi secondi, poi Philip batté la testa su un terreno duro, tra dei sottili fili d’erba che gli punsero subito il viso. Avvertì subito una brezza fredda, che gli scompigliò i capelli e gli strinse le guance tra le sue dita gelide.
Strizzò gli occhi per il dolore e il fastidio, ma quando sollevò la testa, il panorama lo lasciò a bocca aperta.
Di fronte a lui, il cielo notturno incorniciava un enorme castello, che svettava maestoso. Sembrava che le sue guglie potessero toccare la luna: dovette stare con il naso in aria per una manciata di secondi, per rendersi conto di quanto fosse alto.
Alle sue spalle, invece, si stagliava in lontananza una fitta brughiera; un ammasso intricato di rami e piante che intessevano una verde e labirintica tela naturale, arricciandosi in un paesaggio che sembrava uscito da un quadro.
Non sapeva come avessero fatto a passare da Hogwarts a quel posto sconosciuto; aveva già imparato a smaterializzarsi l’anno prima, ma quello era diverso. Sembrava più che si fossero ritrovati in un antico regno... forse medievale, forse no. Ma di sicuro era fuori dal loro tempo.
«Sai che qui sono una principessa?» lo riscosse la voce di Aurora.
«Stai scherzando?»
«No, per niente. Mi chiamano Principessa Aurora. Vieni, ti faccio vedere.»
Spalancò i portoni del castello in un gesto che parve terribilmente automatico – come se lo facesse tutti i giorni – e subito si ritrovarono in un grande salone.
Philip restò per la seconda volta senza parole: la luce dei candelabri in bronzo appesi al soffitto regalava all’immensa stanza una luce soffusa; in fondo, calde fiamme danzavano dentro un gigantesco camino, mentre arazzi raffiguranti scene di battaglia erano appesi alle mura in pietra. Vicino al camino, vi era un lungo tavolo in legno con un candelabro poggiato sopra, mentre poco più avanti, un tappeto color vinaccia che sembrava molto pregiato ricopriva il pavimento, anch’esso di pietra. Anche Hogwarts risaliva al medioevo, e l’arredamento delle Sale Comuni delle varie Case era ispirato a quello stile; ma quella volta sembrò tutto talmente vivido da essere...
«È un incantesimo di illusione?»  chiese il ragazzo.
«No» rispose Aurora, fiera.
«Quindi mi stai dicendo che tutto questo è reale?» proseguì, sbigottito.
«Esattamente. È come una giratempo; devo ancora capire bene come funziona, ma a quanto pare la polvere vuole che io arrivi qui, per qualche ragione.»
«Wow» fece, sottovoce. «In che anno siamo?»
«Nell’anno in cui ha avuto origine la mia famiglia: il 1340. È per questo che ho usato la polvere, finora: a quanto pare, le mie zie volevano che lo vedessi con i miei occhi.»
«E scusa, per quale motivo non ti hanno raccontato tutto loro stesse?» Philip aggrottò le sopracciglia: c’era qualcosa che non lo convinceva. Soprattutto visto e considerato che Aurora era talmente presa dalla novità da non essere in grado di vedere le cose negative.
«Principessa Aurora! Principessa Aurora!» li interruppe una voce gentile. Un’anziana e bassa signora, con indosso un abito verde, trotterellò loro incontro velocemente; il ragazzo notò subito che sembrava preoccupata.
«È successo qualcosa?» chiese subito la sua amica. «Sembrate preoccupata, zia» fece, dando voce ai suoi pensieri.
È sua zia?
«In effetti qualcosa c’è» ingiunse un’altra signora, che si fece avanti con voce grave. Indossava un abito di broccato rosso che le stava benissimo, ma la faccia era tutt’altro che splendente.
«Vedete Principessa» prese parola un’altra ancora – stavolta vestita di blu – esordendo senza mezzi termini. «C’è qualcuno che vi dà la caccia. Anche se non sappiamo chi sia.»
«Come è possibile?» intervenne Philip, che fino a quel momento era rimasto solo a pensare a quanto fosse surreale quella situazione.
«Non lo sappiamo, purtroppo» continuò la donna che aveva parlato per prima, mortificata. «Qualcuno di malvagio vuole la Principessa Aurora. Noi... ecco, lo percepiamo, nell’aria. Lo sentiamo.»
«Che vuol dire?» fece il Grifondoro.
«Che noi fate sentiamo le cose prima di voi» fece brutalmente la donna vestita di blu. «E se c’è qualcosa che non va, puoi giurarci che saremmo le prime a saperlo.»
«È meglio che tu ti nasconda, Aurora» consigliò saggiamente la signora con l’abito rosso, poggiandole una mano sulla spalla. «E ora va’, subito!» la esortò. «Non restare qui un secondo di più. E non tornare fino a che non avremmo capito meglio com’è la situazione. Ti daremo notizie, non preoccuparti.»
«Dobbiamo andare, Philip» disse la ragazza, «Dobbiamo tornare ad Hogwarts e parlarne a Merman.»
«Direi di sì» disse il Grifondoro, stringendole istintivamente la mano.
Aurora afferrò la bottiglietta, agitando la bacchetta sopra la sua apertura.
Di nuovo, vennero risucchiati al suo interno.
 
 
«Non mi avevi detto che le tue zie erano fate» disse Philip, non appena riapparvero di fronte alla Sala Comune di Tassorosso.
«Io non ci trovo niente di strano» rispose Aurora, mettendo la bottiglietta nella tasca del maglione. «Piuttosto, sono molto turbata da quello che mi hanno detto. Chi mai vorrebbe darmi la caccia?»
Philip non seppe cosa dire di fronte alla sua domanda.
«Io non conosco nessuno...» continuò lei, con gli occhi persi nei suoi pensieri. «E non vedo perché qualcuno possa volermi fare del male; sono sempre stata gentile con tutti...»
Ed era vero, Aurora era gentile con chiunque, anche con chi non se lo meritava. Quindi chi poteva avercela con lei?
«Se questo è uno scherzo, è davvero di pessimo gusto» sentenziò il ragazzo, un po’ alterato. «Chi altro sa di questa polvere?»
La Tassorosso fece spallucce. «Nessuno: solo tu, a parte me.»
Silenzio.
«La cosa non mi piace» disse lui. «Hai ragione. Dovremmo parlarne con Merman. Non è un oggetto magico qualunque, quello che possiedi. Qualcuno potrebbe sfruttarlo per scopi non proprio nobili.»
Quello che successe poco dopo aver detto quella frase lo lasciò di stucco.
«Non voglio che la veda.»
La voce di Aurora era cambiata.
Si era fatta più seria, più cupa. E adesso lo guardava con occhi vitrei, come se lo stesse fissando senza però vederlo davvero. Un’ombra era calata sul suo sguardo; un’ombra improvvisa, che fece provare al Grifondoro un fortissimo impulso di allontanarsi da lei.
«Aurora» insistette Philip, «lo hai detto tu stessa. Dobbiamo farla vedere al Preside. Qualcuno ti sta osservando.»
La ragazza sorrise, ma fu un sorriso che gli sembrò in qualche modo falso. «Non preoccuparti per me. Vedrò di venirne a capo.»
Silenzio.
«Buonanotte, Philip. Grazie per essere venuto con me, stasera.»
Parve essere di nuovo tornata in sé, ma in lui ormai era svanita tutta la spensieratezza iniziale.
«Buonanotte, Aurora» le disse solo, prima che sparisse dietro alla porta rotonda della sua Sala Comune.
Mentre saliva le scale per arrivare al suo dormitorio, pensò tutto il tempo a cosa diavolo stesse succedendo.
Perché sei cambiata così di colpo? Che cos’era quell’ombra?
Una risposta inquietante gli balenò in mente come una coltellata.
Magia oscura.
Ma chi c'è dietro?
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Salve, lettori. Mi sembra incredibile: sono tornata, dopo mesi, su EFP. Mi dispiace moltissimo per non esserci stata ma... c'è un motivo. Ebbene, quest'anno ho avuto la temutissima maturità.
E ora sono ancora sotto gli effetti dello studio matto e disperatissimo.
Ciononostante, ho deciso di riprendere questa storia; essendo ormai agli sgoccioli e avendo già altri cinque o sei capitoli pronti, ho pensato che fino alla fine degli orali potrei farcela a pubblicare un paio di capitoli, e infine - una volta che sarà tutto terminato -  dedicarmi interamente a questa fic.
Capirò se avrete difficoltà a seguirmi di nuovo, ma spero davvero di trovarvi tutti.
Scusatemi ancora, spero che mi farete sapere che ne pensate.
Un bacione,
Stella cadente

 



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«Buonanotte, Philip. Grazie per essere venuto con me, stasera.»
Parve essere di nuovo tornata in sé, ma in lui ormai era svanita tutta la spensieratezza iniziale.
«Buonanotte, Aurora» le disse solo, prima che sparisse dietro alla porta rotonda della sua Sala Comune.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14. ***


 
 14.

 

Il Corvo le si posò sulla spalla, e lei sentì i suoi artigli che le punzecchiavano la pelle, attraverso il mantello nero che aveva indossato. Non fu una sensazione sgradevole, quanto piuttosto un familiare incontro, quello tra lei e l'animale. Sorrise vagamente, accarezzandone il piumaggio nero come la notte, lucido e liscio.
«L'esperimento si sta compiendo» La sua voce la raggiunse al suo fianco, cavernosa, gracchiante, ma che lei trovò piacevole, come le sue ruvide zampe che le racchiudevano la spalla spigolosa.
«Mi devi delle risposte» disse, atona, tirandosi indietro il cappuccio. «Era il nostro patto. Mi avresti detto perché hai scelto me.»
«Ecco» la guardava con i suoi occhi piccoli e lucidi, e lei fremeva al solo immaginare cosa stesse per dirle. «Ti ho designata perché hai una particolare familiarità con le tenebre.» Calcò sulla parola "familiarità", e a lei non sembrò affatto casuale.
La casa sorgeva nello stesso punto in cui avevano effettuato il processo di collegamento, nell'esatto centro della Foresta Proibita, ed era isolata rispetto alle altre presenti. Gli alberi e le felci frusciavano al vento che sibilava nell'aria fredda della sera, mentre una pallida luna rotonda si stagliava sempre più alta nel cielo nero.
«Lei dovrà essere chiamata nell’Ombra?» fece la ragazza.
«Ovviamente» ribatté il Corvo. «Altrimenti non servirà a nulla. Ma ne servono quattro, prima che il processo abbia efficacia. Quattro che finiscono... e quattro che inziano. Solo allora si potrà dare il via al rituale, e mettere in pratica quello che non ha funzionato molti anni fa. Serve dolore, serve perdita... serve l’energia che fa muovere tutto. Senza, siamo perduti, e niente sarà come deve essere.» Il Corvo le beccò la spalla, facendola sanguinare. Lei sibilò appena, ignorando il dolore.
Lentamente, due corna presero forma sulla sua testa, in mezzo ad una distesa di capelli neri.

 
 
 
 
  
 

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Salve, lettori :)
Questo capitolo aveva lo scopo di essere vagamente inquietante, e spero di essere riuscita nell'intento. Vediamo che c'è una ragazza che parla con un Corvo - che immagino abbiate già capito chi sia - e che macchina qualcosa con lui. Chi sarà, secondo voi, questa lei?
Alla prossima, e grazie a tutti,
Stella cadente





 
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Capitolo 15
*** Capitolo 15. ***


 15.
 
Il ghiaccio è acqua che è rimasta fuori al freddo e si è addormentata.
(John Garland Pollard)
 
 
 
Elsa si sentiva così potente, così elegante, così se stessa, che non riusciva a smettere di guardare che cos’aveva fatto. Un Palazzo interamente fatto di ghiaccio, talmente alto che riusciva a vedere Hogwarts molto chiaramente. Era maestoso, fine, perfetto. Come voleva che fosse.
E nonostante tutto, si sentiva come volteggiare in un’altra dimensione; sentiva delle voci, in lontananza, delle voci che la chiamavano. Provò a vedere dove fossero, ma senza riuscirci; era come se stesse in un sogno, come se le voci venissero dal di fuori. Era intrappolata in un ciclone di neve, che le chiudeva la vista.
Ma stava bene. Andava tutto bene.
Elsa si racchiuse nel suo mondo perfetto e aspettò.

 
  
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Salve, lettori!
Anche su questo capitolo non c'è da dire molto, perché è mostruosamente corto :/
L'ho voluto isolare, però, ho sentito che era meglio così. Diciamo che l'intero scenario si sta preparando a cosa dovrà avvenire dopo.
Spero vi sia piaciuto. Alla prossima,
Stella cadente


 
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Capitolo 16
*** Capitolo 16. ***


 16.


 
2047

Novembre


 
 
«Elsa, sei sicura di non ricordare proprio niente?» chiese Merida, quella mattina, affacciata al ponte che collegava le aule di Hogwarts al campo di Quidditch. L’inverno era alle porte: Novembre era quasi finito, ma faceva già freddo come se fosse Gennaio e tirava sempre un venticello gelido. Si chiese se non fosse colpa della ragazza che l’affiancava, ma evitò di dirglielo. «Insomma, non ricordi cosa ti è successo?»
La Corvonero si strinse nella sua sciarpa blu e bronzo, e serrò le labbra. «No... mi dispiace», sussurrò, «ma non posso aiutarti.»
A Merida sembrò profondamente triste, e d’un tratto si trovò ad essere in pena per lei. Voleva farla stare meglio, in qualche modo, ma Elsa sembrava talmente distante, talmente chiusa che le metteva soggezione e non sapeva come fare. Non era mai stato il suo forte consolare le persone a parole, e quella ragazza, con i suoi silenzi, le rendeva il compito ancora più difficile.
Era da ormai più di un mese che erano riusciti a riportarla ad Hogwarts. In realtà, non avevano dovuto addentrarsi molto, per trovarla; si era fermata poco più in là rispetto al Platano Picchiatore.
Ciò che era stato preoccupante, era come l’avessero trovata.
 
Elsa Arendelle non era che un corpo esanime, raccolto in mezzo alla terra in posizione fetale, quando la videro. Alla luce bluastra gettata dai Fuochi Fatui, sembrava ancora più priva di vita. Alle sue spalle, un albero era crollato: il tronco era totalmente ricoperto da ghiaccio; la sua vita era stata smorzata dal potere distruttivo di quella ragazza.
«Elsa»  ansimò Anna, la voce invasa da un terrore profondo. «Elsa!» urlò, gettandosi addosso alla gemella.
«Ferma!»  disse Meg, appena in tempo, poco prima che la toccasse. «So che non ti piacerà quello che sto per chiederti, ma non toccarla. Ricordi cosa ha detto Merman? È esposta alle forze oscure.»
«Stiamo parlando di mia sorella!» La Grifondoro, ormai, stava piangendo. «Io devo...»
«Noi dobbiamo aiutarla» la interruppe Megara. «E per farlo, dobbiamo avvisare Merman che si trova qui.»
Nel silenzio, vicino a loro, Quentin sollevò la bacchetta. «Periculum» pronunciò, gettando una scintilla rossa nel cielo.
Merida osservò lo scenario che le si parava davanti. Il corpo esile di una ragazza steso nel buio della foresta, e dietro un ammasso gelido di ghiaccio e freddo. La natura sembrava essersi accartocciata in una morte istantanea, formando un quadro cupo e disturbante.
 
«Che cosa succederebbe ad Elsa se... insomma...» prese parola Anna. «Se non ci riuscissimo?»
Il Preside la guardò per una manciata di secondi, prima di risponderle. «Non lo so. Ma sicuramente – e questo non voglio nasconderlo, a nessuno di voi – niente di buono. Cambierebbe, diventando qualcosa che non è.»
 
Quella frase le venne in mente quando notò che, sulla pelle diafana di Elsa, spiccavano come delle venature di ghiaccio.
Solo che erano nere.
 
«Cambierebbe, diventando qualcosa che non è.»
 
La Grifondoro si ritrovò a rabbrividire.
 
 
Si era ripresa, dopo che Merman li aveva raggiunti e l’aveva portata in Infermeria; ma il Preside non era sembrato convinto, quando l’aveva vista. Merida si chiedeva sempre perché avesse quell’aria così turbata, ma non aveva detto loro più niente. Sembrava tutto un gigantesco enigma, a cui nessuno per ora sapeva dare una risposta. A lei, però, non bastava che la situazione si risolvesse così; ne avrebbe saputo di più, costasse quel che costasse.
Anche se non voleva ferire Elsa, o farla stare male.
La guardò un po’ di sfuggita, facendo guizzare velocemente le sue iridi celesti sul viso della Corvonero. Aveva gli occhi di Anna; il colore era quasi lo stesso – forse i suoi tendevano un po’ di più al blu, mentre quelli dell’altra all’azzurro – ma quello che essi esprimevano non poteva essere più diverso. Lo sguardo di Elsa era serio, pensieroso, quasi spento; Merida si chiese se fosse mai stata felice, e d’improvviso le sembrò che quella ragazza portasse un peso molto più grande di quelle strane abilità col ghiaccio.
Avrebbe tanto voluto chiederle che cosa avesse; chiederle se avesse bisogno di parlare; dirle che, per quanto potesse valere, lei c’era.
Ma quegli occhi delicati e tristi azzerarono ogni domanda, lasciandola solo spiazzata.
 
 
 
*
 
 
«Elsa!» Anna si sbracciò per farsi vedere non appena raggiunse Merida e sua sorella sul ponte, reduce da una pesantissima ora di lezione su come curare le punture di Schiopodo Sparacoda. La gemella si voltò immediatamente, sobbalzando un pochino ma ricomponendosi subito.
«Anna» disse, a mo’ di saluto. «Ciao.»
«Ciao» ricambiò lei, fissandola con un sorriso che non se ne voleva andare. Sua sorella era lì; era lì, in piedi, che la guardava, con la bocca incurvata leggermente in un sorriso appena accennato e gli occhi pieni d’affetto.
«Io vado nell’aula di Pozioni» disse Merida, allontanandosi. «Magari vedo di non farmi cacciare anche da lì» ridacchiò un pochino. «Ti aspetto, non fare tardi!» aggiunse, rivolta a lei. Poi fece un cenno di saluto ad Elsa e se ne andò.
Anna si voltò verso sua sorella e sorrise di nuovo; sentiva gli occhi che le brillavano di gioia.
«Come stai?» le chiese, ancora con i libri ben stretti al petto che stavano pericolosamente in bilico. «Sai, ho pensato a te mentre ero a lezione e sono stata tentata di chiedere riguardo a quel tipo di magia che fai, solo che poi mi sono trattenuta perché... Oh, per le mutande di Merlino!» imprecò, mentre i libri cadevano rovinosamente ai suoi piedi.
Elsa ridacchiò un pochino, portandosi una mano alla bocca, poi disse, chinandosi:
«Aspetta, ti aiuto.»
Ad Anna quasi si inumidirono gli occhi per la felicità: sua sorella la aiutava. E parlava con lei.
Non ci era più abituata; le sembrava un sogno.
«Ehm... grazie» balbettò, impacciata. «D-davvero, non c’è bisogno che tu mi raccolga le cose, insomma non importa, io...» ma perché stava tergiversando come un’idiota? Improvvisamente si sentì male all’idea che stesse facendo la figura della stupida di fronte a sua sorella.
Elsa, intanto, aveva già impilato ordinatamente tutto quanto e adesso le porgeva i suoi libri. «Lo faccio volentieri» disse solo, con la sua voce gentile; Anna rispose con un sorriso raggiante, felice.
Poi, tutto d’un tratto, si riscosse.
«Ehi, non mi hai ancora risposto» fece, con un finto tono di rimprovero. La sua gemella si voltò a guardarla, aggrottando le sopracciglia in un’espressione interrogativa.
«A cosa?» chiese.
«Alla mia domanda: come stai?» rispose la Grifondoro, con la naturalezza e la spontaneità che l’avevano da sempre caratterizzata.
Elsa si incupì e distolse lo sguardo. «Come sempre» disse solo, senza poi aggiungere altro.
Il sorriso sparì all’istante dalla faccia paffuta di Anna. «Come sarebbe a dire?»
Sua sorella inspirò profondamente, chiudendo gli occhi, e restò in silenzio.
 
 
Anna la guardava spesso, in quei giorni, e guardava quanto fosse bella in confronto a lei. Solo a stare lì, con gli occhi puntati sul suo viso bianco e perfetto, le sembrava di disturbarla, come le era sempre sembrato da due anni a quella parte in realtà – e ora ne capiva il perché.
Si asciugò una lacrima che aveva già cominciato a rotolare sulla sua guancia; Elsa aveva sempre voluto proteggerla. L’aveva evitata perché aveva paura di ferirla con i suoi poteri. Mentre lei covava rabbia e delusione pensando che non volesse semplicemente averla tra i piedi, sua sorella invece si forzava a starle lontana, convinta di fare solo il suo bene.
Improvvisamente Anna pensò che fosse molto coraggiosa e si ritrovò ad ammirarla: perché non poteva essere come lei? Perché, invece, doveva essere sempre così maldestra e così infantile? Perché, almeno per un momento, non poteva essere la sorella che Elsa avrebbe voluto avere?
La guardò più attentamente; sembrava che soffrisse anche nel sonno. Le sopracciglia chiare erano appoggiate sopra le palpebre chiuse disegnando un’espressione morbida, simile a quella delle bambole di porcellana; eppure quei lineamenti esprimevano comunque un turbamento forse troppo profondo. Un turbamento appena percettibile, e proprio per questo inquietante.
Anna non l’avrebbe mai dimenticata, quell’espressione.
 
 
 
Quando chiuse gli occhi, quando le palpebre di Elsa si abbassarono per un attimo, il suo viso riacquistò di nuovo quell’espressione che aveva in Infermeria, mentre dormiva in quel sonno senza sogni che l’aveva catturata per qualche giorno, prima che le somministrassero una Pozione Rivitalizzante.
«Sarebbe a dire» disse, voltandosi, «che non sto meglio rispetto a prima. Io non starò mai bene, Anna. Lo capisci?» aggiunse, con una rabbia gelida che la fece indietreggiare leggermente.
Non aveva paura che Elsa fosse arrabbiata con lei; aveva paura perché vedeva che la rabbia della Corvonero era rivolta verso se stessa. Ed era quello a spaventarla di più.
«Sì che starai bene» accennò ad un sorriso, imponendosi di restare forte per lei. «È solo che finora sei stata sempre sola ad affrontare questi... questi poteri» usò un termine che facesse sembrare le sue abilità qualcosa di bellissimo, nella speranza di risollevarla un po’. «Ma adesso tutto sarà diverso; hai un’amica, qui» concluse, ponendosi una mano sul cuore.
«Senti, io apprezzo la tua buona volontà, ma...»
«No; ti prego» lacrime amare avevano riempito veloci i suoi occhi azzurri, facendole salire un nodo in gola. «Non escludermi di nuovo dalla tua vita.»
«Come posso farlo, senza aver paura ogni secondo di farti del male?»
La sofferenza che si agitava nella voce di Elsa era terribile; vedendo come realmente stava, la ragazza sentì il nodo che aveva in gola stringersi dolorosamente, come se qualcuno la stesse soffocando.
«Puoi» si forzò a dire, ricacciandolo indietro. «Non devi più proteggermi, io non ho paura. Risolveremo tutto solo restando unite» continuò, aggrappandosi al suo braccio come per trattenerla.
«Non dire idiozie, Anna, per favore!» esplose la gemella. «Che cosa puoi fare, tu, contro tutto questo? Che potere hai tu per fermare questa cosa – per fermare me?»
La Grifondoro notò che si era portata le mani al petto, come per nascondersi. Restò impalata a guardarla, odiandosi per non riuscire a fare di meglio, la mano che era caduta lungo il corpo.
Passò un momento che sembrò eterno ad entrambe, poi la rabbia si spense negli occhi di Elsa.
«Io... Mi dispiace» tentennò. «Scusami» disse poi, circondandosi il corpo con le braccia.
Anna la abbracciò, e lei si lasciò stringere, senza dire niente.

 
 
 


 
Salve, lettori, come state? :)
Dunque, qui abbiamo un breve salto avanti nel tempo. So che per il momento molti personaggi stanno rimanendo nell’ombra, ma è voluta la cosa e questo è molto importante ai fini della trama.
Merida cerca di cavare qualche parola di bocca ad Elsa – invano – e finalmente Anna riesce ad avere un dialogo degno di questo nome con sua sorella. Spero di aver reso i personaggi IC: io, personalmente, le ho sempre viste in questo modo, anche perché – soprattutto in questa storia – i poteri di Elsa non sono cosa da poco: Elsa che ha ancora un atteggiamento protettivo nei confronti della gemella, ed Anna che cerca di fare di tutto per aiutarla. Loro sono senza dubbio fra i personaggi che preferisco <3
E voi? Che impressione avete avuto del capitolo?
Alla prossima,
Stella cadente


 
(10) elizabeth lail | Tumblr on We Heart It

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Capitolo 17
*** Capitolo 17. ***


17.

 
«Cosa dovrei fare, secondo te, Mel?»
Nella Sala Comune di Serpeverde, Megara guardava l’amica seduta su una poltrona, con gli occhi puntati distrattamente sulla finestra del sotterraneo. Un avvincino passò lungo il vetro, fluttuando nelle acque del Lago Nero al di là della finestra; Meg lo osservò, mantenendo lo sguardo corrucciato sulla strana creatura.
«Intanto potresti guardarmi mentre ti parlo, ad esempio» la ricambiò la voce seria e altera dell’altra.
Quando la ragazza portò gli occhi sull’amica, però, vide che le sue labbra rosse erano dischiuse in un sorriso bonariamente ironico. «Allora», disse poi Melicent, incrociando le braccia in un gesto aggraziato, «tu avresti detto ad Ercole della scommessa, giusto?»
La Serpeverde annuì.
«Pessima mossa» sentenziò l’altra, con lo sguardo perso; stava riflettendo ad alta voce, si vedeva.
«Grazie tante, fino a qui c’ero anche io» replicò Meg, infastidita.
«Se tu mi facessi finire» iniziò Melicent, con un tono imperioso che la fece sentire piccola piccola. «Forse potrei farcela ad esporti la mia opinione» disse, guardandola con quei suoi occhi color miele.
Non c’era niente da fare: era sempre stata Mel la leader, perché aveva quella combinazione di carisma ed eleganza che le permetteva automaticamente di esserlo. E a volte Meg non sopportava questo lato della sua amica; lei e il modo in cui sembrava avere sempre il dominio assoluto su tutto.
«Comunque» riprese poi, «penso che dovresti mettere in chiaro che...» sembrò cercare le parole adatte per proseguire, ma riprese subito il discorso, «che non avevi alcuna intenzione di ferirlo. Che a lui ci tieni, ecco.»
«Sì, ma...»
«Non dire ma», la fermò l’amica. «So che forse sono la persona meno indicata per dirti una cosa del genere, però devi mettere da parte l’orgoglio, Meg. Solo così riuscirai a riconciliarti con lui.»
Megara la guardò stupita: possibile che avesse sempre ragione?
«Hai ragione» ammise, dando voce ai propri pensieri. «Lo cercherò, allora.»
«Certo che ho ragione» si vantò scherzosamente Melicent, ridacchiando un pochino.
«Sì, infatti» replicò. «Come se tu avessi bisogno di sentirtelo dire per saperlo.»
«Sei ancora qui?» fece lei, per tutta risposta. «Va’, e fagli capire chi è Megara Greek» la incitò, sorridendole.
Finalmente, la ragazza si sciolse in un sorriso.
«Certo. Grazie, Mel.»
«Figurati.»
Si alzò e uscì dalla Sala Comune, grata alla sua amica per i consigli e determinata a riappacificarsi con Ercole.
 
 
*
 
Quando lo vide, il primo impulso fu quello di arretrare bruscamente o fare finta di niente, ma cercò con tutte le sue forze di tenere bene a mente le parole di Melicent.
Va’, e fagli capire chi è Megara Greek.
Si impose calma e sangue freddo; non poteva evitare Ercole per sempre, in fin dei conti. Le cose andavano affrontate e poi risolte, e quella era l’occasione perfetta per farlo.
Il ragazzo era in cortile a ripassare; ad aiutarlo c’era Esmeralda Trouillefou, un’amica di Anna e Merida, e la Serpeverde si ritrovò a provare una fitta di gelosia che le fece stringere i pugni fino a farsi male. Davvero aveva fatto così presto a sostituirla?
In quel momento, una parte di lei, quella più fragile e sensibile, voleva andare a rifugiarsi nel suo dormitorio per piangere in pace; l’altra, quella forte e sicura di sé, le intimava di presentarsi davanti al Grifondoro a muso duro e affrontare la sua rabbia.
Decise di assecondare quest’ultima e, dirigendosi a passo di marcia verso di loro, irruppe in un «Ciao» che suonò più tagliente di quello che avrebbe voluto. I due ebbero reazioni completamente differenti: Esmeralda la guardò perplessa, con un sopracciglio inarcato in un’espressione che faceva trapelare tutto l’odio che provava verso i Serpeverde; Ercole invece sembrò stupito, perché spalancò i suoi occhi chiari e per un po’ restò in silenzio, senza sapere cosa dire.
«Ehm» irruppe poi la voce della ragazza, rivolgendosi ad Ercole. «Senti, io devo andare adesso. Tra poco ho l’ultimo allenamento di Quidditch, prima della partita di oggi pomeriggio. Febo mi vuole lì prima di voi, perché vuole farmi allenare un po’ di più e... non posso mancare.»
«Ma l’allenamento è tra due ore Esme, e Febo non ti ha mai detto che...» La gomitata che la Grifondoro gli assestò, cercando invano di non farsi notare, non sfuggì a Megara, che trattenne una risata sotto i baffi. «Oh, sì, giusto» farfugliò poi il ragazzo, imbarazzato.
«Devo proprio andare, ciao!» concluse Esmeralda, allontanandosi in tutta fretta. «Ci vediamo alla partita: quelle serpi mangeranno la nostra polvere» aggiunse, ignorando il sospiro infastidito che Meg aveva tirato.
La Serpeverde si schiarì la voce, quando vide che lo sguardo di Ercole si era perso lontano.
«Ciao, Megara» disse subito lui, spostando gli occhi su di lei, con un tono stanco. «Che sei venuta a fare qui?»
La ragazza restò basita: perché riusciva a spiazzarla sempre? E perché non l’aveva chiamata semplicemente Meg?
Adesso non sapeva cosa dire, e tutto il discorso che si era preparato nella sua testa sembrava essersi smaterializzato chissà dove.
«Beh» tentennò. Serrò le labbra dal fastidio: da quando lei tentennava?
Prese un respiro profondo, spostò i suoi occhi viola su un punto imprecisato del cortile, poi li riportò su Ercole. «Sono venuta a chiederti scusa per il mio comportamento.»
Il Grifondoro sollevò le sopracciglia. «Tutto qui?»
Le sopracciglia di Megara si aggrottarono in un’espressione furiosa.
«Come sarebbe a dire “tutto qui”?» esplose. «Ercole, ti ho chiesto scusa. Sai quanto sono orgogliosa; è difficile per me farlo. Non ti basta?»
«No» il tono con cui lo disse le riportò alla mente l’immagine della sua faccia mentre gli diceva che con lei aveva chiuso, e quell’immagine fu così dolorosa che incrociò le braccia come per difendersi. «Non mi basta. Scusarsi è una cosa che sanno fare tutti. Ma chi mi garantisce che dopo non ti prenderai più gioco di me?»
Meg rabbrividì; aveva ragione a pensarla così. Anzi, se la situazione fosse stata a ruoli inversi, lei non avrebbe neanche accettato di parlare con lui. E lo vedeva che Ercole sarebbe stato più incline al perdono – più di lei sicuramente – che sarebbe bastata una parola giusta per farlo cedere, ma vedeva anche tanta rabbia e paura di soffrire in quei sinceri occhi azzurri.
E capì.
«Mi dispiace» disse solo, toccandogli leggermente il grande braccio muscoloso con la sua mano pallida e affusolata. «Davvero.»
Si allontanò, consapevole che avrebbe avuto un altro motivo per cui star male. L’anno prima aveva perso un ragazzo che diceva di amarla, e adesso aveva perso il suo migliore amico.
Aveva perso tanto, e tutto per colpa sua.
 
 
*
 
«Esmeralda» Una voce familiare arrivò alle orecchie della Grifondoro, nella tenda della sua squadra a ripassare lo schema della partita. La ragazza, seguita a ruota da Febo, si voltò di scatto e sorrise dolcemente.
«Quentin!» esclamò, felice. «Dovresti essere in tribuna... come mai qui?»
«Volevo salutarti» disse timidamente lui.
Esmeralda lo abbracciò: il suo migliore amico la stupiva sempre. Non vedeva l’ora di cominciare; l’atmosfera, nella tenda di Grifondoro, era tesa, impaziente, desiderosa di festeggiare la vittoria dopo averla conseguita, insieme.
Improvvisamente la ragazza si sentì unita alla sua squadra, anche se ne faceva parte da poco.
«Pronti per la partita?» chiese Quentin, con un grande sorriso incoraggiante.
«Prontissimi!» esclamò Febo. «Abbiamo organizzato una prova con i Serpeverde, tempo fa. È stata una mia idea: ho pensato che ci avrebbe aiutati a capire quale fosse il loro modo di agire.»
«E come fosse farmi provare a giocare con Frollo» sbuffò Esmeralda. «Ma almeno una cosa l’ho imparata» i suoi occhi verdi si illuminarono. «Basta fare leva sul suo orgoglio» fece, con un sorrisetto furbo.
Fuori dalla tenda, la voce di Madama Bumb chiamò a raccolta le squadre, e si sentirono i primi incitamenti che provenivano dalle tribune.
«Ragazzi!» Ercole irruppe in quella conversazione. «Dobbiamo andare. Iniziamo.»
«Oh, giusto» disse Quentin, imbarazzato. «In bocca al lupo» disse teneramente. Esmeralda rispose con un coraggioso «Crepi!», e seguì Febo, preparandosi insieme agli altri Grifondoro.
Cominciava ad avere un po’ di fifa, ma non lo avrebbe mai ammesso.
Sentì il cuore pompare adrenalina, mentre si recava in campo e udiva i suoi compagni di Casa sugli spalti che acclamavano la squadra; imbracciò la scopa e si librò in aria lentamente, come le aveva detto Febo agli allenamenti.
«Nervosa?» le chiese il suo amico.
«Solo un pochino» ammise lei.
«Non ti farai mica impaurire da Frollo?» la stuzzicò il ragazzo.
Sul volto di Esmeralda si disegnò un’espressione determinata. «Neanche per sogno» disse, decisa.
«Così ti voglio» la incoraggiò Febo.
La Grifondoro cominciò a studiare con attenzione ogni singolo giocatore della squadra avversaria: avevano tutti delle facce da presuntuosi insopportabili, rigorosamente Purosangue, che pensavano di dettar legge solo perché tali. Tra di loro c’era anche Hans Westergård, che con le spalle ben dritte manteneva una sguardo fiero. Appariva, come sempre, molto sicuro di sé: il volto allungato era plasmato in un’espressione beffarda e gli occhi brillavano di determinazione.
Pallone gonfiato.
«Bene ragazzi, siamo alla prima partita dell’anno. Tra poco la pluffa scenderà in campo...» avvertì Madama Bumb, sollevata con la sua scopa al centro del cerchio formato dalle due squadre. «E vorrei un gioco pulito» si raccomandò, puntando i suoi occhi ambrati su Westergård, «da parte di tutti.»
«Sarà fatto» si sentì borbottare Claude Frollo, con tono cupo. Esmeralda avvertì una scarica di rabbia percorrerle tutto il corpo e sentì il suo viso corrucciarsi: ben preso quel tizio avrebbe capito che non avrebbe potuto continuare a fare i suoi giochetti ancora per molto.
Ci fu qualche altro secondo di tensione, poi il fischio acuto dell’insegnante di volo segnò l’inizio della partita, e i giocatori si librarono nel cielo con i mantelli della divisa al vento, metà rosso e oro e l’altra metà verde e argento. Esmeralda provò un’ondata di eccitazione incredibile nel sentire i suoi capelli neri che svolazzavano liberi. Fu tentata di urlare per la felicità: quella era la sua prima partita di Quidditch. La prima partita in cui giocava come Cercatrice.
Fluttuò un po’ nell’aria gelida di quel primo pomeriggio, poi quando la pluffa venne liberata realizzò che doveva avvistare il boccino – che doveva far vincere la sua squadra – e si sentì determinata come non mai. Avrebbe solo dovuto replicare quello che aveva fatto la volta precedente: non poteva essere troppo difficile, giusto?
«Allora, mezzosangue» la distolse una voce alle sue spalle, «pensi di essere ancora così forte come l’altra volta?»
Claude Frollo non le dette neanche il tempo di rispondere, perché le andò addosso tentando di disarcionarla.
«Non provare a farmi perdere l’equilibrio, Frollo» sibilò lei, infuriata per il modo in cui il ragazzo aveva dimostrato di non aver problemi a barare.
Il Serpeverde inarcò le sopracciglia scure in un’espressione a metà tra l’arrogante e il sarcastico.
«L’avevo detto, l’altra volta, che lo avrei fatto: mi sembrava di essere stato sufficientemente chiaro.»
Esmeralda continuò a guardarlo con rabbia, gli occhi che mandavano lampi.
«Hans Westergård segna dieci punti per i Serpeverde!» la voce squillante di Anna che annunciava il vantaggio dei suoi avversari fece tornare la Grifondoro alla realtà, e partì a tutta velocità sulla scopa, inseguita da Frollo. I due Cercatori volarono affiancati per un breve tratto, poi acquistarono quota alla ricerca del boccino. Per un attimo, nel vedere che non riusciva  a notare assolutamente niente,  Esmeralda si disperò: Frollo giocava da molto più tempo di lei, e forse aveva un occhio più allenato nello scorgere l’obiettivo.
Forse ho davvero avuto solo fortuna, alle prove... come diceva lui.
Nel frattempo, i Serpeverde avevano segnato altri dieci punti, e la partita non era che appena iniziata.
«Voglio proprio vedere come te la caverai, stavolta» la derise il ragazzo passandole accanto.
Fu quello a farle cambiare idea: lo scherno. Il fatto che lui la stesse prendendo in giro.
Non posso darmi per vinta proprio ora.
Devo vincere. Fosse l’ultima cosa che faccio.
Frollo si abbassò in picchiata, e la Grifondoro capì che aveva visto il boccino; gli si affiancò subito, cercando di buttarlo giù dalla scopa come lui aveva fatto con lei poco prima. Tutto era lecito, per lei, ormai: non pensava neanche ad una vera e propria strategia, solo alla vittoria.
Si rincorsero lungo la grande arena di Quidditch per un tempo che parve interminabile: intanto la sua squadra aveva fatto solo trenta punti, contro i cinquanta di quella avversaria.
Esmeralda sentiva i boati di rabbia dei Grifondoro in tribuna, e quelli di trionfo dei Serpeverde, come se fossero stati amplificati e le formicolassero sottopelle.
Claude Frollo le si avvicinò e rise di una risata pungente, facendola arrabbiare ancora di più.
«Credi di avere anche solo lontane possibilità di sconfiggermi? Ti avevo avvertito, sciocca.»
Potrei stupirti, pensò la ragazza tra sé e sé.
Intanto il boccino era diventato ad un tratto ben visibile, mentre il campo, i giocatori, l’aria stessa sembrava aver perso consistenza. C’era solo quella pallina dorata, che svolazzava dispettosa di fronte agli occhi dei due Cercatori, esattamente come aveva fatto alle prove. Esmeralda si sentiva come in una sorta di dèjà vu: riusciva a percepire la forza furiosa del vento che le fischiava nelle orecchie, la rabbia di Frollo e il cuore che pompava nel corpo il desiderio di vittoria.
Ora c’erano solo loro due: il suo avversario aveva il viso trasfigurato in un’espressione furiosa, mentre volava accanto a lei, le loro spalle di nuovo in uno stretto contatto dettato dalla competizione. Il braccio pallido del ragazzo era già teso per afferrare il boccino; Esmeralda capì che, se non avesse osato, la squadra di Serpeverde avrebbe vinto la partita – e lei non poteva permetterlo. Sorrise quando si ricordò che lei aveva una caratteristica che Frollo, sicuramente, non possedeva: il coraggio.
Basta fare come alle prove, Esme.
Come alle prove.
Fu quel pensiero a darle la spinta finale.
In un attimo, aveva spiccato un balzo dalla scopa e la sua mano si era avvolta attorno al boccino. Lo realizzò trattenendo un’esclamazione di trionfo, mentre sentiva la voce di Anna che, dal megafono, diceva: «Ed ecco che Esmeralda Trouillefou, la nuova Cercatrice, afferra il boccino!»
La ragazza si prese il tempo per riprendere fiato, mentre osservava la sferetta dorata che ora stava placidamente immobile sul palmo della sua mano; i capelli erano ricoperti di polvere e l’attrito con il terreno non era stato piacevole, ma niente poteva essere paragonato alla soddisfazione che provava.
«Grifondoro vince la partita!» esclamò Anna, felice.
Esmeralda sorrise: aveva preso il boccino e battuto Claude Frollo alla sua prima partita.
Grifondoro aveva vinto.
 
 
*
 
 
Aveva iniziato a nevicare, subito dopo la partita. Leggeri, delicati, piccoli fiocchi avevano cominciato a scendere sui vincitori. Esmeralda non poteva che sentirsi soddisfatta di se stessa; aveva fatto vincere la sua squadra.
«Sei stata grande!» la abbracciò Ercole, una volta dentro la tenda, stringendola con le sue braccia muscolose in una presa che quasi la stritolò.
«Grazie» fece lei, sentendosi gli occhi che le si illuminavano.
«Lo immaginavo che ce l’avresti fatta» disse Febo, dandole una pacca sulla spalla forse troppo forte. Esmeralda rise, massaggiandosi un pochino il punto in cui il suo amico l’aveva colpita, e Febo divenne tutto rosso. «Ti ho fatto male?» farfugliò, imbarazzato.
«No, tranquillo» lo rassicurò lei.
Il ragazzo indugiò un attimo, poi chiese: «Verresti a festeggiare con me, nella Stanza delle Necessità? Passiamo un po’ di tempo insieme. Vuoi?»
Le rivolse un sorriso dolce, che lei ricambiò con un sopracciglio alzato.
«Se non ti conoscessi direi che ci stai provando con me, sai?» lo stuzzicò, maliziosa.
«Chi? Io? Naah» fece Febo. «Comunque non sviare il discorso. Ci saresti, non so... dopo cena?»
Esmeralda sorrise, decisa. «D’accordo» disse, infine.
Dentro di sé, mentre guardava il suo amico sembrare in qualche modo felice, sentì che quella sera sarebbe stata diversa dalle altre; ma la cosa, sinceramente, non la spaventava affatto.

 


 
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Ciao a tutti!
Siamo arrivati alla tanto sospirata partita tra Grifondoro e Serpeverde, con un’ inaspettata vittoria della squadra rossa e oro. Esmeralda, novella Cercatrice, è riuscita a sottrarre il Boccino a Frollo, che gioca invece da anni... secondo voi riuscirà a passarla liscia? Ovviamente no, eheh.
Spero di aver descritto bene la partita, perché ho cercato davvero di fare del mio meglio per sentire io stessa tutte le emozioni del momento :) Infine, abbiamo Febo che invita la nostra Grifa a passare un po’ di tempo da sola con lui... sarà l’inizio di una nuova coppia? ;)
Vorrei, prima di lasciarvi finalmente in pace  concludere le note d’autrice, spendere due parole su Meg; esattamente come nel film originale, l’ho voluta rendere una ragazza apparentemente dura e acida, ma in realtà molto sensibile e piena di rimpianti. Sicuramente ci sarà un approfondimento sulla sua storia personale; in fin dei conti, questa fic è ambientata durante l’ultimo anno di Hogwarts, e negli anni precedenti possono essere successe svariate cose ai singoli personaggi.
Detto questo, vi saluto, e spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento <3
Alla prossima,
Stella cadente


 
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Capitolo 18
*** Capitolo 18. ***


18.
 
 
 

«Come sta andando con Elsa?»
La voce di Quentin riscosse Merida, che camminava accanto a lui sgranocchiando una Cioccorana, tutta avvolta nella sua enorme sciarpa di Grifondoro. Piccoli fiocchi di neve si erano adagiati sulla chioma rossa e riccia della ragazza, mentre si recavano ai Tre Manici di Scopa per riscaldarsi con una Burrobirra. In realtà Merida non pensava a niente, se non a godersi quei momenti ad Hogsmeade con quello che era diventato uno dei suoi migliori amici: Esmeralda era abbracciata con Febo più avanti, e sembrava che per lei non ci fosse nient’altro. Per quanto riguardava Anna, era con Hans, ed Elsa e Meg non erano venute. Anche Jehan era rimasto al castello: aveva detto che aveva dei compiti da fare, e lei aveva finto di crederci. La loro relazione non stava andando a gonfie vele, in effetti.
«Vuoi la verità?» chiese al Tassorosso, una volta che ebbe finito di mangiare la sua Cioccorana.
«Sono tutto orecchie.»
«È un disastro» ammise la ragazza, con un sospiro di rassegnazione. «Non si riuscirebbe a cavarle una parola di bocca neanche a pagarla con la spada di Grifondoro.»
Quentin attese, guardandola.
«Voglio dire» aggiunse lei. «È così... riservata. Insomma, non riesco proprio a parlarci; eppure sembra così misteriosa, e a quanto ho sentito quella volta in infermeria, per Merman ha un ruolo chiave. Anche se ancora non sappiamo per cosa... O meglio: sappiamo che è presa di mira da Pitch Black; ma perché?» rifletté ad alta voce.
«Se solo lo scoprissimo avremmo tutte le risposte che ci servono» continuò Quentin. «Ma l’unico modo è chiederlo direttamente a lei.»
«Per ora sembra di sì. Oltretutto, sembra che tutti abbiano dimenticato quello che è successo. Ed è come se Merman volesse che il segreto restasse nel silenzio, esattamente come fa Elsa. Non ci ha detto proprio tutto nemmeno nel suo ufficio, è evidente.»
«Sembra che per ora però sia meglio non forzare le cose» ribatté il Tassorosso, con tono pacato.
«Già» disse solo Merida. Sospirò, creando una nuvoletta di condensa di fronte alla sua bocca. «Potremmo riprovarci dopo le vacanze, forse. A chiedere ad Elsa, intendo. In fin dei conti, ce lo deve. Le abbiamo salvato la vita.»
«Sì, ma non sappiamo come potrebbe reagire. Meglio essere prudenti» fece Quentin, con la calma e la saggezza che lo contraddistinguevano.
Merida rise. «Come mai hai sempre ragione?»
«Non lo so. Tu lo sai?» la ricambiò lui.
La Grifondoro ridacchiò sommessamente, con un sorrisetto sul viso paffuto.
Era felice di averlo incontrato.


 
 
*
 
Merida diede un ultimo sguardo al suo letto del dormitorio. Osservò il copriletto rosso e oro, l’arredamento dai colori caldi, e tutte le sue cose sparse per la stanza.
«L’ho sempre detto che sei una gran disordinata» disse Anna, buttandosi sul suo. «Ma del resto» aprì le braccia sul materasso, «io non sono da meno» concluse, sospirando leggermente.
Calò il silenzio, e Merida capì che era evidente che avesse bisogno di parlare; quando attaccava discorso e poi si zittiva subito dopo, in genere era così.
Stava per chiederle se stesse riuscendo nel ricostruire il rapporto con Elsa, visto che durante l’uscita non si erano scambiate una parola, ma qualcosa le disse che sarebbe stato indelicato. «Come va con Hans?» chiese invece, dopo aver indugiato un poco. Diede un colpo di bacchetta e, lentamente, tutti i suoi effetti personali si mossero verso il suo baule, sistemandosi all’interno di esso.
«Oh» sembrò che Anna non si aspettasse quella domanda, «va alla grande» fece, un po’ imbarazzata. «È solo che...» i suoi occhi assunsero un’espressione preoccupata. Merida sorrise, intenerita: la sua amica era sempre stata così emotiva, e così genuina nel dimostrarlo.
Quella frase restò ad aleggiare tra loro per un po’.
«Solo che?» la incoraggiò lei.
Anna sospirò, poi disse: «solo che mi piacerebbe poter parlare di Elsa con lui. Ma...» indugiò di nuovo, e a Merida parve che la sua voce si fosse incrinata. «Non ci riesco. Mi sento come se ci fosse un muro tra di noi. Lo stesso muro che c’è tra me e...»
Elsa.
Sapeva che stava per dire quel nome. Si era fatta piccola piccola e si circondava le spalle con le braccia, curva su se stessa; a Merida sembrò di sentire tutta la sofferenza dell’amica e il suo corpo fu percorso da un brivido.
Le si avvicinò, posandole gentilmente una mano sulla spalla.
«Dovresti parlarci. Insomma, se con lui stai bene, non vedo perché non dovreste ascoltarvi» le sorrise. «Ma se vuoi, posso accennargli qualcosa io» disse poi, vedendo che Anna non le rispondeva, «anche adesso.»
La ragazza spalancò gli occhi. «Lo faresti? Dovrei farlo io in realtà, del resto so che Hans resterà qui con me durante le vacanze e...» si interruppe, poi la guardò, curiosa. «Tu... insomma, come fai a parlare agli altri senza pensarci? Non provi imbarazzo, nel farlo? Perché io lo provo; sono già imbarazzata ogni secondo con Hans, che poi in realtà non è lui che mi fa sentire a disagio, sono io il problema, lui è bellissimo... aspetta, che?» si interruppe di nuovo. Merida rise, poi fece spallucce. «Non è un problema, davvero. Sei mia amica: ed io per gli amici farei di tutto, lo sai. Anche le cose imbarazzanti» affermò coraggiosamente, inarcando un sopracciglio.
Anna le prese la mano e gliela strinse, lasciandola per un momento interdetta.
«Lo so» le disse, con la sua voce dolce. «Grazie.»
«Ed ora che il mio baule è pronto» sorrise la ragazza con i ricci, mentre il suo bagaglio si rimpiccioliva assumendo la forma di una semplice zainetto verde bosco. «Sono pronta a sconfinare nel territorio nemico: la Sala Comune di Serpeverde» disse con tono solenne, sentendosi un grande condottiero che sta per cominciare una spedizione.
Quel tono fece ridere Anna di cuore, spazzandole via dal viso l’espressione addolorata di qualche secondo prima, e Merida si sentì in qualche modo felice e soddisfatta.
«Ti scriverò per Natale» le disse poi, mettendosi in spalla lo zaino e avviandosi verso la porta del dormitorio. «Tu sei sicura che preferisci restare qui?»
Anna si incupì di nuovo. «Non credo che Elsa voglia tornare a casa e... non me la sento di lasciarla sola.»
«Capisco» rispose lei. «Beh, se ci sono novità fammelo sapere.»
«Certo. Ciao» disse l’amica, facendo un cenno con la mano.
Quando uscì dalla Sala Comune di Grifondoro, Merida si rese conto che quell’ombra di tristezza era comparsa di nuovo negli occhi di Anna, come un fantasma che non le avrebbe mai dato tregua.
«Pronta per partire?»
La voce di Quentin l’accolse subito, non appena si richiuse alle spalle la porta della Sala Comune. Il ragazzo l’aspettava proprio lì davanti,  con il suo solito sorriso gentile sulle labbra: aveva una borsa di pelle a tracolla, dalla quale spuntavano dei ciuffi di paglia.
«Perché hai della paglia nella borsa?» chiese Merida, perplessa.
«Oh» Quentin si avvicinò, raggiante. «Ho trovato un uovo, quella volta, nella Foresta Proibita, e in questo modo lo tengo al caldo. Non te lo avevo ancora detto...»
«No, infatti» rifletté lei a voce alta, interrompendolo.
«Il punto è che non so a quale creatura magica appartenga» concluse il Tassorosso. «Ma sono curioso di scoprirlo» fece poi, allegro.
«C’è una cosa che devo fare, prima di salire sul treno» disse Merida, tenendo bene a mente quello che le aveva detto Anna.  Si guadagnò subito un’occhiata apprensiva da parte dell’amico. «Che cosa?»
«Andare nella Sala Comune di Serpeverde per parlare con Hans.»
«Perché?»
«Beh... perché Anna vorrebbe che si sentissero un po’ più vicini, ma per via di ciò che è successo con Elsa non riesce a parlare con lui come vorrebbe. Ho solo intenzione di aiutarla» snocciolò la Grifondoro, sovrappensiero. «Mi accompagni?»
«Vuoi che io parli con Hans Westergård?» la prospettiva sembrava terrorizzarlo.
«Oh, no» la ragazza rise nervosamente. «Tranquillo, non dovrai parlare ad Hans con me, se non vuoi. Però mi piacerebbe che tu mi aspettassi fuori dalla Sala Comune; farò presto, lo prometto.»
Per un momento Quentin la squadrò come se non fosse sicuro di potersi fidare – e come dargli torto: lo aveva cacciato in situazioni che di sicuro non si sarebbe mai andato a cercare – poi le concesse un: «va bene, andiamo», e si avviò lungo le scale, fino ai sotterranei.
Faceva freddo, man mano che scendevano. Si gelava.
«Come fanno a sopravvivere, qui?» si lamentò Merida, strofinandosi le spalle con le braccia.
«Non ne ho idea» disse il Tassorosso, per tutta risposta.
Non appena sentì una voce che ben conosceva, però, Merida si fermò – seguita a ruota da Quentin – dietro alla parete di pietra che la teneva ancora nascosta agli occhi dei Serpeverde che uscivano dalla Sala Comune: qualcosa le diceva che era meglio stare in ascolto. Ed in genere il suo istinto non sbagliava mai.
«Che cos’è quello?»
Eris Goddess.
La voce della sua rivale sembrava inorridita, come se si trovasse di fronte alla cosa più spaventosa che avesse mai visto.
«Fa’ piano, Eris.»
Un’altra voce, più calma e decisamente più intimidatoria, aveva solcato il silenzio. Merida la riconobbe subito: era Melicent Somber, l’amica di Meg – e di Eris.
Quella ragazza le aveva sempre fatto paura; l’aveva sempre trovata inquietante, in qualche modo minacciosa. Non era il tipico soggetto arrogante e pieno di sé; andava oltre ogni livello di conoscenza, eleganza e oscurità: una combinazione agghiacciante.
A pensarci adesso, era l’unica appartenente alla Casa Serpeverde che non si era mai sentita di sfidare.
«Ti ho chiesto di uscire dalla Sala Comune proprio perché questo restasse un segreto tra di noi.»
Pausa.
«Dopo vari studi e ricerche sono finalmente giunta alla soluzione che cercavo. In questo modo eviterò che la ragazza capisca qualcosa di quello che sta accadendo. È importante che questo avvenga, Eris, se non vogliamo fallire.»
«Non voglio più fare questa cosa, Mel» Eris Goddess stava... piangendo? «Smettila subito, spezza l’incantesimo. Tu sei brava con gli incantesimi. E io non sono abbastanza forte per contrastarlo, anche se credevo di esserlo.»
La dea della discordia sta piangendo?, pensò Merida. Che stava succedendo ad Hogwarts?
«Relinquo» sussurrò Melicent, con tono sommesso.
Pochi secondi dopo, la Grifondoro sentì la sua acerrima nemica ridacchiare in modo maligno.
Okay, lei aveva sempre ridacchiato in modo maligno, ma non così tanto. Quella risata le aveva fatto venire la pelle d’oca.
«Andiamo Melicent. Abbiamo qualcosa da portare a compimento.»
«Merida» la riscosse la voce di Quentin. «Vengono da questa parte.»
La ragazza non ci pensò due volte.
Sgattaiolò via velocemente, correndo lungo le scale, mentre sentiva i passi dell’amico che le scalpitavano frettolosamente dietro; in pochi minuti i due raggiunsero gli altri studenti che tornavano dalle loro famiglie, giusto poco prima che il treno partisse. Era già sceso il buio ed era appena cominciata una leggera nevicata.
«Che accidenti sta succedendo, secondo te?» chiese il Tassorosso, mentre prendevano posto nel primo scomparto del treno che trovarono.
«Non lo so» rispose lei, passandosi sconvolta una mano nei ribelli ricci rossi. «Ma qualunque cosa sia, di sicuro non è niente di buono.»
 
 
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Bentornati, amici di Hogwarts ;)
Questo è un capitolo decisivo per i futuri sviluppi della storia, e credo che dal finale si capisca benissimo: piano piano la storia sta assumendo sempre più un tono dark. È chiaro, inoltre, che Melicent stia combinando qualcosa di losco, e che gli elementi negativi stiano aumentando pericolosamente alla scuola di magia. Mi dispiace se ci sono voluti 18 capitoli per arrivare a questo punto, ma i personaggi sono tanti e non è semplice gestirli; spero che questa cosa non pesi troppo e che la storia non appaia noiosa o pesante.
Grazie per leggermi, alla prossima,
Stella cadente




 
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"Quando uscì dalla Sala Comune di Grifondoro, Merida si rese conto che quell’ombra di tristezza era comparsa di nuovo negli occhi di Anna, come un fantasma che non le avrebbe mai dato tregua."

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Capitolo 19
*** Capitolo 19. ***


19.
 

Stava andando tutto come previsto. Gli studenti designati non si rendevano conto di essere osservati, e quelli tenuti all’oscuro non erano coscienti di esserlo. Era sorprendente quanto fossero delle perfette pedine, che lui muoveva nel modo che più lo aggradava... Il modo in cui tutti si stavano disperdendo lentamente, allontanandosi anche se fino a poco prima erano stati vicini. Erano così malleabili... in fondo, nessuno poteva davvero rendersi conto del suo progetto.
Nessuno, tranne uno.
Ma l’avrebbe incastrato; stavolta, avrebbe avuto luogo la sua disfatta.
Qualcuno di importante però, tra le sue meravigliose pedine, c’era – un ragazzo, in particolare. Comunque, l’avrebbe eliminato non appena sarebbe stato il momento; nel suo disegno, anche le cavie contavano. Servivano a tenere vicino a lui gli iniziati, senza che questi se ne rendessero conto.
Prima o poi la loro potenza sarebbe esplosa, e sarebbero stati inarrestabili.


 
 

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Un altro capitolo corto e che ha la funzione di tenere col fiato sospeso, simile a quello che ho pubblicato un po’ di tempo fa su Elsa. E niente, non c'è niente da dire, se non da vedere quali sono le vostre opinioni al riguardo :)
Secondo voi come si evolverà la storia?
Alla prossima,
Stella cadente 


 
 
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Capitolo 20
*** Capitolo 20. ***


20.
 
 
«Signore, perché mi ha chiesto di venire qui?» Elsa aggrottò un pochino le sopracciglia, quando arrivò nell’ufficio di Merman.
Il vecchio Preside si alzò dalla sedia e prese a camminare lungo la stanza, le sopracciglia grigie che plasmavano un’espressione pensierosa e il bastone a forma di tridente che sbatteva sul pavimento ad ogni passo.
«Perché ho bisogno che tu mi racconti che cosa è successo nella Foresta» disse l’uomo, con la sua voce profonda. Aveva perso ogni traccia della severità che aveva di solito: adesso sembrava solo curioso.
La Corvonero si trovò in difficoltà e d’istinto incrociò le braccia. «Io...» balbettò. «Non mi ricordo niente. Mi scusi davvero, signore, ma non posso aiutarla.»
Aveva detto quella frase a tutti coloro che le avevano fatto domande su cosa era accaduto nella Foresta ormai; ma parlare così al Preside, l’uomo che tanto l’aveva aiutata nella gestione delle sue pericolose abilità, la faceva sentire una persona orribile. Anche se non voleva affrontare quello che era accaduto.
«Elsa» la bloccò Merman, indurendo un po’ la voce. «Voglio che tu sappia che questo può influire su Pitch Black» fece, deciso.
«Non sono neanche riuscita a portare a termine quel compito che mi aveva assegnato» disse la ragazza, mentre sentiva le lacrime pungerle gli occhi.
Non sono abbastanza brava.
Il pensiero di non essere stata all’altezza delle aspettative di Merman la uccideva.
«Potresti essere connessa con lui» sbottò il Preside.
Gli occhi blu della ragazza si allargarono. «Come?»
«Quando i tuoi compagni ti hanno portata qui, mi hanno detto che il tuo corpo era ricoperto da venature di ghiaccio scuro» disse. «Adesso devi dirmi se ti ricordi qualcosa, di quei momenti. È importantissimo» non aveva mai sentito la voce di Merman così grave. «Fondamentale per la nostra scuola. Black potrebbe essersi già insediato ad Hogwarts sotto altre forme, e se non facciamo qualcosa, presto riprenderà ciò che è suo.»
«Che cosa gli è successo?» chiese la Corvonero.
Il Preside sospirò.
«Anni fa, Black era Preside, ma... ben presto fu chiaro a tutti quale fosse la sua reale intenzione. Non voleva fortificare Hogwarts, bensì renderla più intollerante. Tutti noi insegnanti abbiamo temuto, finora, che tornasse. Io l’ho sconfitto ed esiliato, ed io l’ho privato di quello che era il suo posto. Un posto ambito, e soprattutto influente.» Calò il silenzio: l’atmosfera che si era creata era tesa, come se ognuno dei due fosse perso nei suoi più segreti pensieri.
Il Preside sembrava sinceramente angosciato. «Ascoltami, Elsa» riprese, con tono cupo. «Fa’ attenzione, soprattutto al tuo potere. C’è bellezza in esso, ma anche un grande pericolo.»
Pausa.
«Ricorda», aggiunse, «la paura sarà tua nemica
 
 
*
 
 
Anna era sola ad Hogwarts; adesso che lo aveva realizzato, sentiva quella solitudine appiccicarsi addosso al suo corpo più di ogni altra cosa, come una fitta ragnatela di silenzio. Era tardi, circa le undici e mezza, e fuori dalle finestre del castello la luna si rifletteva sui vetri in pennellate di luce bianca.
I ricordi dell’assenza di Elsa sembravano ora più pungenti che mai, mentre l’aspettava in trepidazione fuori dall’ufficio di Merman. Ricordava come avesse iniziato ad evitare ogni contatto con lei, senza degnarla di una spiegazione. Si era ritrovata a desiderare tante volte di renderla partecipe della sua vita; ma era sempre arrivata alla conclusione che semplicemente non le interessasse, e che la sorella dolce e comprensiva che tanto le mancava scaturisse solo dalla sua fantasia.
Avrebbe desiderato raccontarle anche di Hans, ultimamente; di come si erano conosciuti, e come avessero deciso di uscire insieme. Di come si fossero ritrovati a parlare per ore, dopo quell’incontro a Diagon Alley, e di come fosse gentile nonostante quello che dicevano tutti. Una cosa banale, apparentemente, ma di cui di solito le sorelle parlavano.
Giusto?
Eppure con Elsa non era mai successo, e ben presto, per Anna, era diventata il muro di silenzio che aveva eretto contro di lei.
La Grifondoro, in realtà, si era sempre sentita molto sola da quando Elsa non le parlava più – anche se non lo dava a vedere.
Si ritrovava a rabbrividire dall’ansia, adesso, ogni volta che sua sorella si allontanava da lei. Sapeva che mai avrebbero potuto recuperare un vero rapporto, che sarebbero state costantemente in bilico, e la prospettiva che Elsa scegliesse di respingerla di nuovo – stavolta definitivamente – la terrorizzava. Era così bello avercela davanti, parlare con lei, anche se era una persona completamente diversa da quella che ricordava da piccola e che aveva immaginato dopo. Non era né la bambina gentile e posata di sei anni prima, né la gelida e schiva ragazza del quinto e sesto anno di Hogwarts.
Elsa era come i suoi poteri, come il ghiaccio che sembrava poter governare a suo piacimento: bellissima e fragile.
Anna non avrebbe mai detto che avesse così tante insicurezze; non avrebbe mai pensato di ritrovarsi a guardarla mentre si stringeva nelle braccia, o mentre abbassava gli occhi come una bambina triste e sola.
Le piangeva il cuore ogni volta, e anche ora – senza accorgersene – si stava mordendo nervosamente il labbro, in attesa di vederla uscire dalla porta dell’ufficio del Preside.
Quando finalmente vide la sua gemella, si trattenne dal lasciare che un sorriso di gioia si facesse largo sul suo volto paffuto.
«Che cosa ti ha detto Merman?» esordì, non appena le fu vicina. Evitò di saltarle addosso, anche se avrebbe voluto: non voleva stressarla.
«Sono molto preoccupata, Anna» mormorò Elsa, senza guardarla negli occhi, mentre si avviava per imboccare le scale. Qualcosa, nel vedere la sua espressione, si incrinò per l’ennesima volta nel cuore della Grifondoro. Sua sorella sembrava così piccola, così... innocente. Così inerme di fronte alla situazione che si ritrovava a vivere. Un groppo doloroso si formò nella gola della ragazza: Elsa non si meritava tutto questo. Non si meritava di stare così male.
«Perché?» le chiese con delicatezza.
«Non mi ha detto niente, solo di fare attenzione» disse solo la Corvonero. Sembrava che dire anche qualche parola in più le costasse una fatica immensa. «Mi ha chiesto di Pitch Black, di cosa è successo quella notte... ma io non mi ricordo niente, come sempre»  sembrava in preda al panico. «Vorrei rendermi utile, ma non posso, non... non so come fare!» esplose.
«Ehi, rilassati» la calmò Anna. «Fai un respiro» inspirò profondamente, come per convincerla a fare lo stesso. Poco dopo, Elsa la imitò. «E ora comincia a raccontarmi tutto con ordine» concluse, con un sorriso incoraggiante.
Sua sorella indugiò un attimo, poi rivelò: «Merman ha voluto che io radunassi più studenti possibile perché un mago oscuro sta tornando al potere. Si chiama Pitch Black, e sembra che sia stato esiliato proprio da lui» fece una pausa, prima di aggiungere. «Ma penso che tu questo lo sappia già. Giusto?»
«Esatto» fece Anna, come per invogliarla a proseguire.
Quella frase sembrò mettere Elsa in difficoltà: la Grifondoro lo percepì molto chiaramente, ma evitò di farle domande.
«In questo caso, allora, non c’è molto altro. A parte che pensa che io sia connessa con lui. Credo che Merman sappia per quale motivo quel mago abbia scelto proprio me, ma... sembra che non voglia farmelo sapere.»
Era meravigliata che Elsa le avesse detto tutto. Forse, se lo aveva fatto, era perché non sapeva davvero dove andare a sbattere la testa, ma non le importava.
«Beh, non ci resta che scoprirlo» affermò, decisa. «Dovremmo parlarne con Merman per sapere la verità. Io e gli altri siamo stati informati su Black, quando ci ha dato l’incarico di trovarti, ma anche con noi è stato molto vago. È come se nascondesse qualcosa, e questo non è giusto.»
«Anna... è complicato» Elsa scosse un po’ la testa, rafforzando il suo dissenso. «Ho la sensazione che dirà tutto a tempo debito, a tutti noi. Forse la situazione è ancora più grande di quel che crediamo.»
La Grifondoro si ritrovò a constatare che aveva ragione e si maledisse per essere stata così avventata. «Hai ragione» diede voce ai suoi pensieri. «Ma sappi che ti sosterrò, qualunque cosa accada.»
Elsa le sorrise come per ringraziarla, e sulle due calò il silenzio.
«Tu...» azzardò poi Anna, per romperlo, «ne hai parlato con i tuoi compagni? Insomma... io non so niente di te, ma avrai degli amici nella tua Casa, giusto? Loro sanno di questo?»
«Nella mia Casa mi sento più sola che mai» confessò la ragazza. «Sembrano tutti così diversi da me. Mi ripeto che Corvonero è quella giusta, che il Cappello Parlante ha fatto bene a smistarmi là, ma non sono più sicura di questo ormai. Forse non lo sono mai stata. Forse...»
Anna non aveva mai sentito sua sorella parlare così tanto. Quel “forse” che aveva lasciato in sospeso le mise curiosità addosso, e disse, quasi senza volerlo: «Forse...?»
Elsa sembrò riscuotersi dai suoi pensieri, poi disse: «Niente. Non importa.»
Silenzio. Erano ormai arrivate alla Torre di Corvonero; a breve avrebbero dovuto salutarsi e Anna avrebbe dovuto tornare nel suo dormitorio, dalla parte opposta.
Una fitta al petto le fece capire che avrebbe tanto voluto prolungare ancora quel momento – così terribilmente irreale – di vicinanza con sua sorella.
«Ti ringrazio per il tuo aiuto, comunque. Significa molto per me... più di quanto tu creda» disse Elsa, guardandola dolcemente.
«Oh» seppe dire. «Grazie. Cioè... mi fa piacere. Lo faccio volentieri. Ehm... buonanotte» farfugliò, prima di correre via.
Non si sarebbe mai aspettata di sentirsi dire quelle parole.
Quella frase la fece quasi piangere di gioia.

 

 
 

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Ho voluto dedicare un capitolo interamente alle sorelle Arendelle, visto che per Elsa la situazione sta diventando sempre più cupa; scopriamo che la nostra Corva potrebbe essere connessa con Pitch Black, che – sebbene non sia ancora comparso nella storia – semina paura e inquietudine. Anna però non manca di sostenerla, come sempre; adoro questa ragazza, davvero <3 Il rapporto tra loro due, inoltre, sta migliorando sempre più, sebbene la Grifondoro lo senta ancora in bilico, e questo dà loro una forza ancora maggiore, anche se entrambe non sanno di averla.
So che sono ripetitiva, ma vi ringrazio per seguirmi. EFP è praticamente morto come sito, e ricevere le vostre opinioni è una spinta ad andare avanti con questa fic.
Alla prossima, e grazie ancora,
Stella cadente




 

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Elsa sembrò riscuotersi dai suoi pensieri, poi disse: «Niente. Non importa.»


 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21. ***


21.
 
 
Eris si aggirava lungo i corridoi del castello, certa che fosse completamente deserto, camminando silenziosa con la consapevolezza di quello che avrebbe dovuto fare.
All’inizio il fatto che la sua amica avesse delle visioni riguardo ad un mago oscuro le era sembrato straordinario; la sua attenzione era rimasta colpita  da quell’insolita abilità che sembrava avere.
Ipnotizzata, come se Melicent la tenesse sotto Maledizione Imperio, si era avvicinata, esaltata da quel qualcosa che sembrava annullare la routine scolastica, come se avesse ancora bisogno di qualcosa in più.
Come se la popolarità non le bastasse.
 
 
«Non riesco a capire che nesso ci sia tra questo mago che compare nelle mie visioni e me...» Melicent tamburellò le unghie laccate di rosso sul tavolo di legno lucido della Sala Comune, soprappensiero. «Dovrei approfondire la questione. E l’unico modo è andare in biblioteca» concluse, decisa.
«Cosa ci guadagniamo a saperne di più?» fece Eris, prendendo una gelatina tuttigusti + 1 dalla scatola posata sul tavolo.
L’amica sospirò. «Non lo so, Eris. So solo che vorrei andare in fondo a questa storia. Sento un legame con quel mago... anche se non capisco perché. Ma mi ha detto che potrebbe fare in modo di farci ottenere dei poteri particolari.»
Eris sollevò un sopracciglio, indagando le parole dell’amica, mentre la squadrava con i suoi occhi marrone bruciato. Li sentiva ardere dalla curiosità. «Ovvero?»
Un sorriso ambizioso comparve sul volto di Melicent. «Controllare con la mente chi vogliamo. Essere in grado di usare incantesimi senza usare la bacchetta. Incantesimi importanti; controllare terra, aria, acqua, fuoco. Riesci ad immaginarlo? Oppure conoscere tutti gli Incantesimi Oscuri esistenti» e qui gli occhi le si illuminarono. «Questo è quello che bramo di più: la conoscenza. La conoscenza è tutto.»
«Mh... interessante» disse Eris, con il suo tono suadente. La magia l’attirava, in ogni suo aspetto. Non che fosse una grande appassionata di Arte Oscura, eppure… c’era qualcosa che sussurrava, dentro di lei. Qualcosa che la rendeva irresistibilmente attratta dalle cose che Mel stava elencando. La sua amica, intanto, si era persa nelle proprie riflessioni. La Serpeverde riusciva ad intuirlo molto chiaramente: aveva lo sguardo perso nel vuoto, e gli occhi color topazio sembravano risplendere delle idee che le frullavano in testa. «Che dobbiamo fare?» aggiunse, un po’ infastidita, per richiamare la sua attenzione.
Melicent si riscosse dalle sue elucubrazioni, poi disse: «Farlo entrare nella scuola senza farci scoprire da Merman. E so già in che modo.»
 
A lungo andare, però, aveva capito che quella faccenda era ancora più seria di quel che sembrava. Eris adorava il proibito, l’adrenalina che la percorreva quando faceva qualcosa che andava contro le regole – qualcosa che in qualche modo avrebbe portato scompiglio.
Quella storia però, man mano che passava il tempo, acquisiva sempre più le sembianze di una strada intricata, oscura, pericolosa.
Melicent aveva radunato degli oggetti che la mettevano in comunicazione con quel mago, e non faceva altro che studiarli armata di un grosso libro, perennemente rintanata nel bagno delle ragazze. Non parlava più con nessuno, a parte che con lei. In realtà Mel non era mai stata socievole, ma adesso persino Megara sembrava non interessarle. D’altro canto, lei era occupata con la missione per Merman: non poteva essere coinvolta. Eppure qualcosa faceva pensare ad Eris che Meg si fosse accorta di quello che stavano tramando; non era di certo una stupida, e probabilmente non le era passato indifferente il fatto che le sue due più care amiche non le stessero praticamente più parlando, se non per futili chiacchiere dopo le lezioni.
 
 
«Eris, dov’è Mel?»
Megara era entrata nella Sala Comune piuttosto indispettita, ed ora aveva incrociato le braccia, come era solita fare quando qualcosa non le tornava.
«Doveva discutere del compito di Difesa con il Professor Geenie. Le è andato male e voleva capire che cosa avesse sbagliato» si inventò la Serpeverde, simulando disinvoltura.
«Melicent non sbaglia mai un compito di Difesa» asserì Megara, decisa. «Sono stanca dei vostri giochetti, perciò ora ditemi che cosa sta succedendo» intimò, mettendosi di fronte a lei.
«Beh, Meg» fece Eris con noncuranza, calcando ironicamente sul nome dell’amica. «Anche tu sei molto occupata a stare con la Dunbroch e gli altri, a quanto pare. È, direi... logico che non ti vediamo più come prima.»
«Ah è così allora?» Megara alzò la voce. «Beh, sapete cosa vi dico? Voi non conoscete minimamente la situazione di cui mi sto occupando nell'ultimo periodo. Perciò evitate di parlare senza prima informarvi, grazie.»
«Oh» Eris alzò gli occhi al cielo con aria annoiata. «Per favore Meg. Non ricominciare. Noi sappiamo perfettamente cosa stai facendo: la paladina della giustizia. Forse perché sai che Merman potrebbe vederti finalmente di buon occhio.» Rise, come se la situazione la divertisse.
«Non è così» ribatté la Serpeverde. «Non mi interessa il giudizio degli altri. E voi mi state evitando per una cosa assurda.» La superò con aria risentita, incenerendola con lo sguardo.
Dopo che si fu allontanata, Eris si rosicchiò un’unghia, tesa.
Se solo sapesse, pensò.
 
 
Quell’ossessione di Melicent l'aveva portata in un vicolo cieco. Aveva cominciato a sentire delle voci, nella sua testa. Perdeva il senso della realtà, ritrovandosi poi quando era troppo tardi. Non era in grado di governare il caos che le si agitava nella testa… c’erano sicuramente degli incantesimi per governarlo – dovevano esserci – ma era come se non li ricordasse.
Ed era stato allora che aveva capito: Mel l'aveva solo usata. Spinta dalla curiosità e dal desiderio di conoscere quel mago così oscuro e così potente, si era dimenticata della sua migliore amica.
 
«Smettila, Mel!» si infuriò Eris, presa dal panico. «Non accetto che tu mi usi come cavia! Perché so che è questo che stai facendo… ma la storia deve finire qui. Devi disfarti di quegli oggetti, subito.»
Melicent continuava a farsi roteare quelle cose pietre, erano pietre in cui si muoveva uno strano fumo nero venato di luce, come se dentro ci fosse l'oscurità fusa all'oro impassibile.
«Sai che questa discussione è inutile, Eris. Ne abbiamo già parlato: come devo dirti che non sei affatto una cavia?»
«È una bugia!» tuonò la ragazza, minacciosa, mentre i lunghi capelli neri le fluttuavano agitati intorno alla testa. Il potere aveva preso possesso di lei, ma non era lei a governarlo.
«E comunque è troppo tardi» fece l'altra, lanciando una pietra in aria per poi riafferrarla subito dopo. «Siamo vincolate a lui, ormai.»
 
 
La paura si era impossessata del suo cervello quando aveva capito di essere davvero solo un corpo, in tutta quella storia. Un corpo di cui Pitch Black – questo era il nome del mago – aveva bisogno per introdursi ad Hogwarts.
 
 
«Il punto è» Melicent la guardò con occhi freddi, distanti. «Che Pitch mi ha detto che serve il sacrificio di una persona a me vicina per portare il passaggio a compimento.»
 
 
Quando Mel le aveva detto quella frase, Eris non aveva potuto fare a meno di allontanarsi da lei.
L'avrebbe uccisa se non lo avesse fatto, lo sapeva.
I sotterranei erano deserti a quell'ora. L'orologio della Sala Comune segnava la mezzanotte quando era uscita, indietreggiando.
Doveva trovare una soluzione. E in fretta. Avrebbe potuto prendere quel maledetto libro; forse era quella la chiave per fermare tutto ciò. Doveva recarsi alla Stanza delle Necessità, tra la Torre di Grifondoro e quella di Corvonero; sapeva che era lì che Mel lo teneva, e che era rintracciabile solo da loro due. Rise, nervosa: davvero credeva che lei non ci avrebbe provato – che se ne sarebbe stata lì, a farsi infliggere incantesimi di magia nera?
Iniziò a correre, come se qualcosa la stesse inseguendo. I corridoi erano silenziosi: nemmeno i fantasmi si aggiravano per il castello.
Meglio così.
Non aveva mai tenuto a null'altro come a prendere quel libro; lo realizzò quando salì sulle scale, poco prima che cambiassero, e arrivò al quarto piano. La porta della Stanza delle Necessità si materializzò immediatamente, come per rispondere al suo desiderio: era la sua occasione.
Entrò precipitandosi, senza neanche guardarsi intorno prima di varcarne la soglia.
Il libro era lì. Lo stesso che la sua amica aveva usato a lungo, lo stesso che forse avrebbe fermato i suoi incubi una volta per tutte. Era appoggiato su un leggio scuro, ed irradiava una strana luce.
Serve il sacrificio di una persona a me vicina per portare il passaggio a compimento. Siamo vincolate a lui, ormai.
Lo toccò con le dita e le pagine sussurrarono parole gutturali; una lingua lugubre, antica, che però giunse alle sue orecchie chiara e semplice dopo una manciata di secondi.
 
Sei destinata. È il momento.
 
Una fitta di terrore si impossessò di lei, e afferrò il volume, ringhiando di rabbia e paura. Avvertì l’impulso di gettarlo via – di bruciarlo, di strapparlo.
Fu quando uscì dalla Stanza con il libro in mano, che distinse una figura in fondo al corridoio. La stava guardando con occhi di pietra, di un blu intenso ma vuoto, come quello di un lago ghiacciato.
Poi ci fu un lampo di luce azzurra, e avvertì un freddo lancinante entrarle nel petto e gelarle le ossa.
L'ultima cosa che vide fu quella figura esile e immobile che la fissava, prima di cadere completamente nel buio.
 

 
 
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Scusate, scusate, scusate per il ritardo di qualche giorno che ho fatto. Faccio un po' schifo allo schifo, lo riconosco, ma in ogni modo il capitolo è qui :3 ed è parecchio denso di avvenimenti. Ed infatti, ecco perché, per tutti questi capitoli, ho messo in ombra i personaggi di Mel ed Eris. Finalmente veniamo a conoscenza di cosa stessero tramando: devo essere sincera, sin dall’inizio avevo progettato per Melicent un ruolo oscuro da ricoprire. Vediamo che, però, al contrario, Eris si dimostra quasi subito molto insicura: che cosa le sarà successo secondo voi?
Alla prossima,
Stella cadente



 
 
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"Quell’ossessione di Melicent l'aveva portata in un vicolo cieco. Aveva cominciato a sentire delle voci, nella sua testa. Perdeva il senso della realtà, ritrovandosi poi quando era troppo tardi."

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Capitolo 22
*** Capitolo 22. ***


22.


 
 
Megara non reagì quando, quella stessa mattina, fu convocata da Merman per sapere che una delle sue migliori amiche era morta.
Restò in silenzio, senza dire niente, gli occhi completamente persi nel vuoto; spiazzata di fronte alla preoccupazione del Preside che era palpabile, e che non faceva altro che renderla ancora più scossa di quanto già non lo fosse.
Uscì dall’ufficio camminando come un automa. Non aveva permesso ad Anna di accompagnarla; anche agendo in buona fede, la Grifondoro avrebbe solo aumentato la sua agitazione. Megara aveva imparato che Anna era molto emotiva: assorbiva le emozioni di chi aveva davanti, e di certo una persona che faceva mille domande era l’ultima cosa di cui lei aveva bisogno.
Ancora stentava a crederci.
Avrò quei due galeoni, Meg; è inutile, sai già che ho la vittoria in tasca. Merlino, sei ancora più facile della Dunbroch. Non me lo aspettavo da te.
Com’era possibile che la sua amica più scaltra – la stessa che conosceva come le sue tasche, la stessa che adorava i bei vestiti, i duelli e le scommesse idiote – fosse stata uccisa?
Si appoggiò al muro adiacente all’ufficio, sentendosi mancare. Merman le aveva spiegato tutto: dove Eris era stata trovata, cosa c’era tra le sue mani... e anche quale incantesimo le era stato inflitto.
Non di certo un Anatema che Uccide. Era qualcosa di ancora peggiore, qualcosa di più misterioso e indecifrabile.
Meg si lasciò scivolare a terra. Tentò di ragionare: Eris stava cercando un libro di Incantesimi, che Merman aveva detto essere una Passaporta. Quindi doveva essere collegato a sua volta ad altri oggetti magici, altrettanto oscuri e altrettanto potenti.
Come si era procurata quelle cose? Chi gliele aveva date?
Com’era possibile che artefatti magici così complessi fossero giunti ad Hogwarts?
«Sono stanca dei vostri giochetti, perciò ora ditemi che cosa sta succedendo.»
«Anche tu sei molto occupata a stare con la Dunbroch e gli altri, a quanto pare. È, direi... logico che non ti vediamo più come prima.»
Si diede della stupida, mentre lacrime roventi scivolavano sul suo viso a cuore. Perché non ci aveva pensato?
Perché non aveva immaginato sin da subito che ci fosse qualcosa di storto e di sbagliato dietro a quell’atteggiamento? Era così palese.
La verità, in ogni caso, era morta con Eris. Almeno per il momento.
Quell’evento, però, l’aveva turbata nel profondo.
Soprattutto perché Merman le aveva detto che il corpo della sua amica era stato trovato come pietrificato, e che aveva del ghiaccio nel cuore.
 
*
 
«Aspetta, che?» sbottò Anna, quando Meg ebbe finito di raccontare che cosa le aveva detto Merman. Aggrottò le sopracciglia, guardandola con quello che sembrava dispiacere; la Serpeverde sapeva già cosa stava per dire, e non voleva sentirlo. Odiava la compassione della gente.
«Non c’è bisogno che tu mi dica le solite frasi scontate che si dicono in queste circostanze» andò dritta al punto, brutalmente sincera come era sempre stata. «Ci sono delle cose che devi sapere.»
Adesso aveva ricacciato indietro le lacrime: non serviva piangere. E poi odiava parlare di Eris; se qualcuno lo avesse fatto, sarebbe venuto fuori il suo lato più sensibile, e non era il caso che accadesse.
Aveva detto ad Anna di farsi trovare in biblioteca. Fortunatamente a scuola non c'era nessuno: tutti erano andati via per le vacanze, a parte loro e pochi altri. Che le risultasse, per quanto riguardava la sua Casa, solo Melicent ed Hans erano a scuola.
Ed Eris, prima che...
«Tipo quali?» fece l’amica, sgranando gli occhi celesti, riscuotendola dai suoi pensieri. Megara la guardò: si era sporta un po’ verso di lei, come a volersi avvicinare alla verità che stava per ascoltare.
È davvero giusto dirglielo?
Alla fine, decise che se c’era una persona che doveva sapere, quella era proprio Anna.
«Eris aveva del ghiaccio nel cuore» sputò infatti, atona, costringendosi a non pensare al senso di vuoto che la stava divorando. «Ho pensato che tu dovessi saperlo.»
L’espressione sul volto dell’amica fu come una stilettata al cuore; si tirò all’indietro, come a volersi riparare da quelle parole, e la guardò sconvolta. «Cosa?» fece, con un filo di voce.
Meg restò in silenzio per un momento, poi disse:
«Anna, dobbiamo saperne di più. Probabilmente Elsa è entrata in contatto con quel libro.»
«Elsa non farebbe mai una cosa del genere» disse la ragazza, prendendo le difese di sua sorella.
«Non di sua spontanea volontà» la fece riflettere lei, guardandola dritta negli occhi.
«Dove... dove si trova adesso il libro?» balbettò la Grifondoro, con la voce incrinata.
«Nell’ufficio di Merman. Dobbiamo scoprire come lo abbia ottenuto. La situazione sta cambiando ed è ancora più grave di quel che pensassi. Rischiamo davvero che Pitch Black torni ad Hogwarts, se non facciamo qualcosa.»
«Ma Merman aveva assegnato questo compito ad Elsa» fece Anna.
«Lo so, ma» la Serpeverde sollevò un sopracciglio, «non mi pare che tutto stia andando a gonfie vele, o sbaglio?»
Anna non rispose subito. Era una domanda retorica, era evidente: Megara le faceva spesso. Ogni tanto le metteva un po’ soggezione, con quella perenne espressione corrucciata – forse dovuta ai suoi stessi lineamenti o al modo in cui era atteggiata la bocca, non sapeva dirlo – ma in fondo nell’ultimo periodo era stata gentile con lei. Era la prima volta che la sentiva parlare così, e la seconda che la aiutava di sua spontanea volontà: forse poteva davvero contare su quella ragazza.
Decise di fidarsi definitivamente.
«No, infatti» convenne. «Dovremmo scrivere a Quentin e Merida» aggiunse, concitata.
«No!» Megara aveva alzato così tanto la voce che la fece sobbalzare.
«Perché?»
«Non devono saperlo, almeno per il momento. Merman mi ha detto di non dire niente a nessuno.»
«Va bene» disse Anna, incerta. «Quindi ora... che facciamo?»
La ragazza assunse un'espressione determinata.
«La magia oscura lascia tracce, lo sanno tutti. Cercheremo di capire i piani della persona che ha ottenuto quell'affare prima di Eris» disse. «E io ho già un'idea di chi potrebbe essere.»
 
*
 
 
Il libro era stato preso, e per di più Eris era morta. Chiuse gli occhi per un istante: solo la convinzione di aver agito per fini superiori la tratteneva dal versare lacrime per la sua amica.
Il dormitorio era deserto: Meg si era alzata presto, e lei aveva lasciato perdere lo studio per meditare sul da farsi. Lasciò scivolare lo sguardo sui suoi libri, i suoi punti di riferimento; non sapeva a che altro appellarsi, se non alle sue vastissime conoscenze in merito di Incantesimi e formule magiche.
Melicent aveva sempre saputo che il suo intelletto era superiore a quello dei suoi compagni di Casa, ma adesso perfino la sua mente così piena di risorse si ritrovava spaesata.
Melicent...
Scosse la testa. Si sentiva così... confusa.
Guardò gli arazzi medievali che coprivano le pareti del dormitorio come mosaici, le lanterne argentate che pendevano dal soffitto, le finestre ad ogiva da cui si potevano vedere tutte le creature acquatiche del Lago Nero; improvvisamente, sentiva che quello non era il suo posto.
Tu sai come fare, Melicent...
Guardò la bottiglietta di polvere stellata che teneva tra le mani, osservandone i granelli che fluttuavano in quella bolla rigida di vetro. Sapeva che cos’era: lei stessa aveva stabilito una connessione, all’inizio dell’anno, con la persona designata.
«Evoco» mormorò la ragazza, dando un colpo di bacchetta davanti a lei.
Dalla bacchetta della Serpeverde scaturì un fiotto di polvere nera, che fluttuò lentamente di fronte a lei, prima di vorticare su se stessa e prendere le forme di una figura alta e magra.
La figura si chinò su di lei e le accarezzò il volto con dita affilate, poi disse, facendo aleggiare nel silenzio una voce subdola:
«Sei stata brava, Melicent.»
Un Thestral apparve dietro al corpo del mago, muovendo passi aggraziati nella stanza.
«Senza di te non ce l’avrei mai fatta» aggiunse, sfiorandole il mento in un gesto affettuoso.
«Adesso non resta che finire quello che avevo già iniziato.»
Rise, e quella risata sinistra sembrò riscuoterla fin dentro le ossa.


 

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Salve, lettori. 
Probabilmente dovrei ritirarmi dal sito per mancare così spesso, pertanto vi ringrazio per la pazienza che avete con me e vi comprendo se non vorrete seguirmi più. Scusatemi per la lunga assenza che ho fatto, ma ho cominciato da poco l'università, sono stata malata e devo ancora organizzarmi bene con gli orari. Premetto però che mi impegno al massimo per proseguire questa storia. La prima parte è già terminata, e sto scrivendo la seconda, perciò mi ci sto dedicando al meglio che posso; scusate ancora, comunque.
Parlando del capitolo, abbiamo la prima apparizione – seppur fugace – di Pitch nella storia! Ve lo aspettavate? ;)
Ho pensato di svelare alcune cose, ma al tempo stesso di lasciarne in ombra altre, almeno fino al sequel. 
Eris è morta e questo rende l’atmosfera ancora più cupa, Megara capisce l’urgenza e fa ragionare Anna per mettersi alla ricerca dell’artefice di tutto ciò. Che si rivela essere Melicent, ma vi assicuro che non si riduce tutto solo a lei. Inoltre ho sparso in alcuni capitoli – tra cui questo – vari indizi di una cosa che succederà nel sequel...
Spero vi sia piaciuto, come sempre <3
Alla prossima,
Stella cadente.


 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23. ***


23.

 

L’aveva vista.
Aveva visto quel getto gelido che era scaturito dalle sue candide mani con una potenza terribile; aveva visto il lampo di luce azzurra che aveva attraversato l’aria e colpito Eris in pieno petto, lasciando inquietanti rami di gelo sparsi su tutto il suo corpo.
Aveva visto il volto innocente di Elsa Arendelle trasfigurato in una maschera di rabbia.
Tu non sai niente di me.
Quell’unica volta in cui si erano visti – in cui si erano trovati nella Stanza delle Necessità – aveva detto quella frase come a farne un’arma, come se le parole in essa contenute potessero difenderla. Hans aveva immaginato che fosse un tentativo di difesa; non avrebbe mai detto che avrebbe pensato, con un po’ di preoccupazione, a quanto fosse vero. Non sapeva niente di Elsa, del potere oscuro che si portava dentro, e con lui probabilmente tutta la scuola. Ed era evidente che lei fosse in qualche modo pericolosa.
Il Serpeverde lasciò che il suo sguardo si perdesse tra le fiamme scoppiettanti del camino nella Sala Comune, assaporando la solitudine che sembrava accompagnare tutti i suoi pensieri.
Non aveva intenzione di nascondere a se stesso che quella volta, quando le aveva chiesto lezioni di erbologia, lo avesse fatto per capire cosa avesse da nascondere quella misteriosa e chiusa ragazza. L’aveva trovata incredibilmente, inconsapevolmente affascinante. Quel viso adulto, dolce e puro al tempo stesso, lo aveva attratto a lei come una falena alla lanterna.
Ma adesso, se prima aveva una semplice curiosità, i piani erano decisamente cambiati. Da sempre i suoi familiari aspettavano che lui facesse qualcosa che fosse all’altezza; e quello era il momento di dimostrarlo.
Elsa era il suo strumento, e lui non avrebbe esitato ad usarla come gli sarebbe stato indicato. Sorrise, sollevando un angolo della bocca; lo aveva già fatto, praticamente. E adesso che aveva capito tutto, neanche la sua gemella gli serviva più.
Anna non gli era mai interessata, per dire la verità. Si era, anzi, meravigliato di come fosse stato così facile fare in modo che lei si innamorasse di lui. Ma comunque, lo aveva previsto; quella ragazza era così disgustosamente bisognosa di amore da essere un bersaglio troppo semplice. Dopo solo pochi secondi, stava pendendo dalle sue labbra come niente. Si era veramente annoiato a stare con lei, che dispensava baci affettuosi continuamente, abbracci e gesti che aveva giudicato seriamente imbarazzanti.
Ma la Grifondoro in fin dei conti era solo una pedina, e ben presto lo avrebbe capito brutalmente.
Anche Elsa lo è, in realtà.
Non avrebbe mai dimenticato la sua espressione quando aveva ucciso Eris Goddess. Le labbra serrate dalla rabbia, gli occhi incorniciati dalle sopracciglia scure aggrottate, e quell’espressione piena di rancore che lo perseguitava come una maledizione.
Stava andando tutto per il meglio.
Hans sollevò una mano mantenendo il palmo verso l’alto, e quando frammenti di ghiaccio si sollevarono dalla sua pelle prendendo la forma di un fiocco di neve, si ritrovò a pensare che quello stesso ghiaccio così elegante e temibile fosse proprio come lei.

 
 

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Ciao a tutti!
Ennesimo dei miei capitoli brevi, scusate :’) Avevo in mente di fare un capitolo interamente introspettivo, che mettesse in luce – finalmente – i pensieri di Hans. È un personaggio che finora abbiamo visto poco, e adesso si ritrova ad essere decisamente coinvolto nelle oscure vicende di Hogwarts. Ha visto Elsa uccidere Eris, e come se non bastasse parte dei poteri della Corvonero si sono trasmessi a lui. Inoltre, c'è un motivo se finora ho voluto "oscurarlo": in perfetta coerenza con la sua controparte originale, è cinico, doppiogiochista, e voglioso di mettersi in mostra di fronte alla sua famiglia. Non ha mai amato Anna, l'ha sempre considerata come uno strumento. 
Detto ciò, questi sono i presupposti di questa prima storia: come sempre, sono curiosa di leggere le vostre opinioni. Ci vediamo all’ultimo capitolo della prima parte ;)
Con la speranza che vi sia piaciuto,
Stella cadente






 
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Il Serpeverde lasciò che il suo sguardo si perdesse tra le fiamme scoppiettanti del camino nella Sala Comune, assaporando la solitudine che sembrava accompagnare tutti i suoi pensieri.
 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24. ***


24.

 
  
Marcus Merman passeggiava nervoso lungo l’area del suo ufficio, osservando il quadro del grande Albus Silente appeso al muro. Che cosa avrebbe fatto lui, al suo posto?
Si augurò di aver compiuto una giusta azione nel mettere in mano la scuola ai suoi studenti: del resto, era così che era stata combattuta la grande battaglia di Hogwarts del 1998. Eppure, c’era qualcosa che lo turbava.
Si mise sulla sedia dello scrittoio e appoggiò entrambi i gomiti sulla superficie del tavolo, unendo le grandi mani in un gesto meditabondo. Era molto preoccupato per ciò che era successo durante quelle vacanze: Elsa Arendelle aveva ucciso una sua compagna di scuola, e adesso non ricordava niente.
Appariva evidente che quello che temeva si era avverato.
 
La ragazza era rimasta con lo sguardo fisso nel vuoto quando aveva appreso la notizia. Non aveva versato nemmeno una lacrima; era immobile, rigida, come se non fosse più in grado di provare emozioni. Come si era aspettato, non ricordava minimamente cosa fosse successo. Nel saperlo, i suoi sospetti erano aumentati sempre di più.
«Pitch Black si sta muovendo, ormai è impossibile negarlo» ammise il Preside, rude. «È giunto il momento di correre ai ripari.»
Scuotendo appena il bastone a forma di tridente, fece apparire una specie di grande lavabo in pietra, su cui erano incisi antichi simboli e rune. Era pieno d’acqua cristallina, forse troppo lucente per essere semplice acqua: Elsa capì subito che si trattava di un oggetto magico molto potente.
«Inoltre, a quanto pare, per una ragione che ancora non conosciamo, Black è in grado di controllare la tua mente» disse il Preside.
Pausa. La Corvonero si stringeva nelle braccia, ansiosa.
«Quello che vedi è un pensatoio» continuò, con la sua voce grave. «E vorrei che tu depositassi qui ricordi e pensieri relativi al tuo potere, Elsa. Forse potrebbe rappresentare una pista affidabile per capire come si è formata la connessione tra voi. Infine», concluse, «non appena le lezioni riprenderanno, farai delle sessioni straordinarie di Legilimanzia nel mio ufficio. Dobbiamo scoprire come eliminare il problema alla radice.»
La ragazza annuì, in silenzio.
 
Stava guardando le acque argentate del pensatoio, quando notò una lettera poggiata sulla sua scrivania.
Il vecchio Preside si alzò, prendendo la missiva in mano ed aprendola senza alcun indugio.
Sul foglio di pergamena, spiccava un’elegante grafia spigolosa che conosceva bene.
 
 
Non riuscirai a fermarmi di nuovo.
 
 
La gettò nel camino in un gesto furioso, mentre il bastone a forma di tridente irradiava calore tra le sue mani.
Il mago sospirò, teso.
Era già cominciata.
 

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Con questo epilogo alla prima parte ho voluto dire tutto e niente allo stesso tempo. Sappiamo che Black si è insediato a scuola, sappiamo che controlla la mente di Elsa, sappiamo che Merman lo aveva esiliato, ma non conosciamo il motivo di tutto questo – e soprattutto, non si sa perché sia tornato.
In ogni caso, tutti questi interrogativi avranno risposta nella seconda parte. È incredibile, già ho finito la prima parte di questa fic. L’ho cominciata due estati fa, lottando contro i mille impegni, le interrogazioni e la maturità per scriverla. Scrivevo lentamente, non molto spesso, ma scrivevo. Ho scritto ovunque, sul pc, sul telefono, su fogli di carta volanti durante le ore buche, perché per me era importante portarla a termine e perché detesto le cose lasciate a metà. E ora che l’ho conclusa, devo assolutamente ringraziare voi che mi seguite: grazie, grazie, grazie. Grazie per aver condiviso la prima parte di questa storia con me, per esservi immersi nel magico mondo di Hogwarts e aver partecipato alle vicende dei suoi studenti.
Ci vediamo tra quindici giorni con il seguito: alla prossima!
Stella cadente




 
Pensine | Harry potter, Coupe de feu et Reliques de la mort
 

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Capitolo 25
*** Capitolo 25. ***


 Parte Seconda


Invexi
 
 
 












 
25.
 
 
Lo sciamare entusiasta di studenti fuori dal treno per Hogwarts sancì la fine delle vacanze di Natale. La neve cadeva ancora copiosa, e la foresta proibita intorno al castello pareva fare da cornice rassicurante all'antica scuola di magia e stregoneria; i ragazzi ridevano, si raccontavano che cosa avevano fatto durante le vacanze... l'atmosfera era leggera e spensierata. C'era chi sbuffava per l'inizio della scuola, chi si trascinava dietro le valigie indifferente e chi sorrideva, riposato e pieno di energie per ricominciare l'anno.
Tra questi c'era Aurora, che come sempre appariva serena e positiva; il sorriso solare che portava sul volto sembrava illuminare perfino quel tardo pomeriggio, cupo e nuvoloso, di gennaio. Indossava un cappotto rosa lungo fino ai piedi, che portava sulle spalle come una mantella, e i capelli biondi venivano accarezzati dalla neve. Si ritrovò a non stare nella pelle, nel pensare che avrebbe rivisto Philip; si era avvicinata molto a lui nel corso del trimestre, e lo aveva trovato davvero dolce e romantico. Quando poi aveva preso parte all’incantesimo di sua zia Serena, Aurora aveva sentito come se fosse entrato inesorabilmente a far parte del suo mondo.
Le guance della Tassorosso assunsero una tonalità purpurea quando le venne in mente quel sorriso caldo che il ragazzo aveva, e i suoi occhi azzurri come il cielo in primavera.
«Buongiorno Kristoff» disse, allegra, al suo compagno di Casa che l'aveva appena affiancata.
«Aurora, lasciatelo dire: odio il tuo buonumore quando si rientra a scuola» rise il ragazzo. «Accidenti, che freddo» si lamentò poi, calcandosi di più il cappello di lana sulla testa. «I M.A.G.O si avvicinano: non voglio crederci» sospirò poi, preoccupato.
«Ehi» Aurora poggiò una mano sul braccio dell'amico. «Andrà tutto bene. Sono solo esami; e se proprio hai paura di non farcela, posso aiutarti io» sorrise.
Finalmente i lineamenti di Kristoff si distesero un pochino. «Grazie» disse con gratitudine. «Senti» aggiunse, cambiando argomento, «che ne pensi del fatto che Quentin stia passando più tempo con Merida Dunbroch che con noi?» fece, con un sorrisetto.
La Tassorosso assunse un'espressione pensierosa. «Ci ho fatto caso anche io. Ma ammetto che tutto ciò non ha affatto l'aria di quel che credi tu» fece una pausa, poi concluse. «Credo che sia successo qualcosa con Merman.»
Il ragazzo si incupì. «Già, forse hai ragione. A pensarci, anche Anna è sembrata parecchio schiva ultimamente» rifletté poi ad alta voce. «Speriamo che questa storia di Elsa si risolva. Anche se non so perché tutto questo sia tenuto al sicuro da Merman. Forse perché potrebbe arrivare all’orecchio di qualcuno che non dovrebbe saperlo.»
Silenzio.
«Aurora? Ci sei?»
Anche se non so perché tutto questo sia tenuto al sicuro da Merman. Forse perché potrebbe arrivare all’orecchio di qualcuno che non dovrebbe saperlo.
 
Fu allora che qualcosa scattò nel cervello della ragazza.
 
«Vedete Principessa» prese parola Serena, esordendo senza mezzi termini. «C’è qualcuno che vi dà la caccia. Anche se non sappiamo chi sia.»
«Cosa?» intervenne Philip.
«Sì» continuò Fauna, mortificata. «Qualcuno vuole la Principessa Aurora. Noi... ecco, lo percepiamo, nell’aria. Lo sentiamo.»
 
«Mi è appena venuta in mente una cosa» saltò su improvvisamente, voltandosi verso l'amico. «Scusami Kristoff, devo cercare assolutamente Philip!» gli urlò, mentre iniziava a farsi largo tra le altre persone che erano scese dal treno. Lo vide dopo aver passato una manciata di minuti a spostare studenti, scusandosi continuamente. Non si premurò neanche di salutarlo; quello che doveva dirgli era troppo importante.
«Aurora» le disse il Grifondoro, quando la vide tutta trafelata. «Ma che succede?»
«E se la Polvere Trasportante fosse collegata ad Elsa Arendelle? O comunque a quello che sta succedendo a scuola?» snocciolò lei.
Philip divenne improvvisamente serio. «Ci ho pensato anche io, durante le vacanze. Non riesco a capire chi ci sia dietro, ma dato quello che sta succedendo, riconosco che è bene non sottovalutare la cosa.» Fece una pausa, poi le disse: «Troviamoci in biblioteca, dopo cena: non possiamo parlarne qui.»
La ragazza annuì, ringraziandolo mentalmente per aver capito subito. Era vero: quello non era decisamente il momento adatto per parlare della Polvere.
«D'accordo» disse quindi. «A dopo.»
 
 
 
«Com'è possibile che qualcuno si sia intromesso nella realtà della Polvere Trasportante?» sbottò Philip, cercando di trovare un senso in quello che Aurora gli stava dicendo. «Voglio dire, a quale scopo? Cospirare contro di te?»
La ragazza si mise, in un gesto istintivo, una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «A quanto pare sì. Non ho mai percepito un’intromissione, prima, al castello. E adesso, invece, so che qualcuno mi sta dando la caccia; casualmente, proprio quando sappiamo tutti cosa è successo ad Elsa Arendelle.» Sospirò, apprensiva, poi disse, senza cattiveria: «mi stupisce che a te non sembri strano, Philip.»
La biblioteca, fortunatamente, era deserta. Solo Sebastian, il bibliotecario, poteva sentire i loro discorsi, ma i due ragazzi si erano appartati in un angolo vicino alla finestra, tra gli scaffali dei manuali di trasfigurazione: le loro parole erano al sicuro. Avevano detto che dovevano reperire dei volumi per una ricerca, e quello – per fortuna – ci aveva creduto. O aveva fatto finta.
In ogni caso, non c’era nessuno che potesse sentirli. E questo è un bene, pensò Aurora.
 
«Anna, dobbiamo scoprire di cosa si tratta. Dobbiamo andare nella Sezione Proibita: è l'unico modo per saperne di più.»
 
Quella frase, accompagnata da dei nuovi passi sul pavimento in pietra della biblioteca, fece drizzare le orecchie al Grifondoro. «Sbaglio o è Megara Greek quella che sento?» chiese sottovoce ad Aurora. La ragazza annuì, facendogli cenno di ascoltare.
 
«Ciao Sebastian» disse quella che sembrava Anna Arendelle. «Merman ci ha dato l'autorizzazione di entrare nella Sezione Proibita per risolvere... beh, lo sai. Si tratta di... Elsa Arendelle» concluse, pronunciando il nome della sua gemella come se le costasse fatica.
La Tassorosso guardò Philip, come a dirgli “visto che avevo ragione?”.
«Certamente ragazze, certamente» ricambiò il giovane, concitato. «Andate pure.»
Aurora aggrottò le sopracciglia: quindi anche il bibliotecario sapeva i dettagli di quello che era successo?
Ma perché il Preside si ostina a tenere i suoi studenti all'oscuro?
Quando le due passarono vicino al loro scaffale, i ragazzi trattennero il respiro.
«Penso che questa storia debba finire» sentirono di nuovo la voce di Megara. «Melicent gioca troppo spesso con la magia oscura, e credo che stavolta si sia resa conto che tutto questo va al di là delle sue capacità. Dobbiamo solo scoprire quale sia stata la sua pista» ragionò, con determinazione.
«Tu sei sua amica» azzardò Anna. «Potresti andare a parlarle.»
«Mel non mi ascolterebbe» tagliò corto la Serpeverde. «E poi è da una vita che non ci parliamo. Dovremmo portare tutto ciò che ha a Merman. Io sono l'unica che può farlo: posso svuotare i suoi cassetti e prendere ogni cosa che sia sospetta.»
Silenzio. Aurora e Philip erano immobili. Il Grifondoro, improvvisamente, le sfiorò una mano come per farle sentire la sua presenza, e lei sorrise, grata per quel gesto così gentile. La loro attenzione però fu di nuovo catturata dalle parole di Meg, ignara del fatto che fosse ascoltata.
«Tra le altre cose» disse, «ho trovato una boccetta con della strana polvere stellata dentro, nel mio dormitorio.»
«Sai di cosa potrebbe trattarsi?» Anna sembrava preoccupata.
«No. Ma stanotte prenderò tutto quanto. Non è il caso che muoia qualcun altro.»
Aurora si sentì raggelare.
 


 
 
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Salve, lettori, e buon 2019!
Dopo aver riscritto/modificato/combattuto questa storia per trentordici volte, eccomi di nuovo qui a postarla, rispettando l’idea originale di farne una fic unica anziché ripartita in più episodi. A poco più di un anno dal termine della prima parte, adesso finalmente ho le idee più chiare, vedo la fine della trama e posso procedere serenamente.
Dunque, vediamo che questo capitolo – abbastanza familiare per i vecchi lettori – si concentra su Aurora e Philip, che cominciano a capire che qualcosa non va nella Polvere Trasportante. Il capitolo è breve, perché il mio obiettivo era renderlo ben incisivo, soprattutto con la frase finale.
Spero solo di esserci riuscita 😊
A presto, fatemi sapere che ne pensate!
Stella cadente



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Capitolo 26
*** Capitolo 26. ***


26.
 
 
 
«Signorina Arendelle, non la riconosco in questo compito» disse la professoressa Cooman, mentre consegnava il tema di Divinazione che i ragazzi avevano svolto prima delle vacanze. Esmeralda, senza guardare il suo risultato, cercò gli occhi di Anna con lo sguardo, in attesa che l'amica le facesse capire qualcosa sull’esito della verifica; erano rientrati a scuola solo il giorno prima, e già la Cooman aveva fissato il compito. La ragazza vide la sua compagna di banco sbiancare non appena guardò meglio la sua pergamena, poi, davanti a tutta la classe, si alzò e se ne andò correndo a perdifiato, come se avesse al suo inseguimento chissà quale orribile creatura.
Nella classe calò un silenzio quasi imbarazzante; Esmeralda notò, con una vampata di rabbia, che Claude Frollo aveva iniziato a parlare con un compagno, ridendo beffardo. Fu tentata di dirgliene quattro, poi però penso ad Anna e si rivolse alla Cooman. «Posso andare a vedere come sta?» chiese, gentilmente.
«Sì cara, ma prima vorrei farle vedere il suo compito» disse l’insegnante.
«Tanto so già quanto ho preso» rise lei.
«No, signorina Trouillefou, temo di doverle dire che il compito è andato male anche a lei.»
Esmeralda si sentì sprofondare, soprattutto quando sentì che, più avanti, Frollo aveva di nuovo ridacchiato sinistramente. «Come?» chiese, incredula.
«Ragazzi, sappiate che» iniziò la Cooman con il suo tono nebuloso. «Il programma di quest’anno non è così facile come credete. Inoltre avrete i M.A.G.O, e dovete imparare a mantenere i nervi saldi. Imparerete a fare questo solo se acquistate un po’ di fiducia in voi stessi. Usate la Vista Interiore per rafforzarvi. Non si può più piangere e buttarsi giù solo per un compito andato male. E con questo vi lascio.»
Le ultime parole dell’insegnante segnarono il termine della lezione, e gli studenti si alzarono dai banchi, raccogliendo le proprie cose. Esmeralda ficcò la piuma, la boccetta di inchiostro e il blocco degli appunti nella sua borsa patchwork, e si precipitò fuori dall’aula, recandosi a passo deciso verso Frollo.
Quando la vide, il ragazzo sembrò interdetto, ma poi tornò impassibile con una velocità impressionante; quell’atteggiamento la innervosì sin da subito.
«Tu» esordì, minacciosa, il viso a pochi centimetri dal suo. «Devi smetterla di comportarti così.»
Il Serpeverde alzò un sopracciglio. «Come, prego?» fece, fingendo sorpresa.
«Ho sentito benissimo che ridevi, mentre Anna scappava dalla classe in lacrime. Come hai potuto?»
Sul volto pallido e spigoloso del ragazzo si disegnò un sorriso sardonico che le fece salire il nervoso. «Ah, è così? Quindi origli anche le conversazioni che ho con i miei amici?»
«È talmente ingiusto!» esplose la Grifondoro.
«Nella vita tante cose sono ingiuste» sentenziò lui. «Non è un mio problema se la tua amica non regge un commento maligno sul suo conto. È così ovvio che non possiamo sempre piacere a tutti; e in ogni caso, non abbiamo più dodici anni. Piuttosto che fare la predica a me, dovresti dire a quella ragazza di cercare di mantenere almeno un minimo di dignità. Che cresca un po’, invece di fare queste sceneggiate ogni volta che non prende una O a Divinazione.»
Aveva pronunciato quella frase in modo così cattivo che ad Esmeralda venne voglia di schiantarlo all’istante. Ma per qualche strano motivo restò in silenzio, spiazzata dalle sue parole.
«Sei crudele» disse solo, abbassando il tono della voce. «Tu... non riesco nemmeno a capire come sia possibile distribuire cattiveria gratuita alle persone più indifese. Che gusto ci trovi?» chiese, piatta. «Io non so quale sia il tuo problema» aggiunse. «Ma...»
«Tu sei il mio problema!» esplose d’un tratto il Serpeverde, alzando bruscamente la voce. Solo in quel momento Esmeralda si rese conto di quanto potesse sembrare minaccioso, ma restò immobile, sfacciata e coraggiosa come era sempre stata.
«Da quando ci hanno messi in punizione insieme è cambiato tutto. Sembra che tu trovi ogni scusa possibile per perseguitarmi. Prima la punizione, poi il Quidditch. Perché hai voluto che stessimo da soli, fuori dalla tua tenda, quella volta?» fece il ragazzo, esasperato; si bloccò poi per un momento, mentre nella sua voce si faceva strada una sfumatura di umanità che la Grifondoro non aveva mai sentito. «Che razza di incantesimo mi hai fatto? Ho controllato sui libri, anche quelli di Arte Oscura, ma non ho trovato assolutamente niente. Qualunque cosa sia, smettila!» ingiunse poi.
Esmeralda notò che le mani gli tremavano, e che improvvisamente sembrava privo di ogni armatura, esattamente come le persone che amava torturare con i suoi incantesimi e le sue parole taglienti. D’un tratto l’atmosfera tra loro era cambiata; si era fatta elettrica, intensa. Ormai non c’era più nessuno nel corridoio, le lezioni erano riprese da un pezzo, ma a nessuno dei due sembrava importare davvero.
«Che cosa hai detto?» la Grifondoro sentì che i suoi occhi verdi si erano allargati dallo stupore.
Non ricevette risposta.
Claude Frollo la prese per il maglioncino della divisa e l’attirò a sé con prepotenza – con la stessa forza insospettabile che aveva usato dopo la prova di Quidditch – catturandola in un bacio. Un bacio arrabbiato, senza amore, che durò pochi secondi in cui i loro respiri si infransero con violenza.
Subito dopo si guardarono, lui che sembrava sperduto, lei furiosa.
«No» disse solo, indietreggiando sempre di più. Il cuore minacciava di scoppiarle nel petto, le sembrava di sentire la mano di Claude artigliarlo e strapparglielo dal petto.
Riuscì solo ad allontanarsi, senza neanche guardare dove andava.
 
 
 
Anna si sentiva scombussolata. Gli ultimi giorni erano stati come un pugno nello stomaco; da quando Eris Goddess era morta – per quanto si rifiutasse di concepirlo – il pensiero che fosse stata davvero Elsa a stroncare la vita di una sua compagna di scuola non l'aveva abbandonata nemmeno per un attimo. Sua sorella non poteva davvero aver fatto una cosa del genere.
Non di sua spontanea volontà.
La voce di Meg le riecheggiò nella testa, come a volerle ricordare che, se lei non voleva crederci, era solo perché preferiva nascondersi dalla verità. Ma come poteva una come Elsa essere stata capace di uccidere?
Si era rifugiata nella Stanza delle Necessità, dopo essere scappata dall’aula di Divinazione; ne aveva bisogno, aveva bisogno di fuggire e non pensare a nulla – o almeno, sforzarsi di farlo. Aveva desiderato qualcosa che la facesse sentire al sicuro; le era apparso, quindi, un ambiente che ricordava il suo dormitorio, con le finestre alte e la carta da parati di un caldo color mattone, in cui si era lasciata andare, al riparo da sguardi indiscreti, ad un lungo pianto lieratorio.
Non sapeva perché, ma non se la sentiva di parlare con nessuno – nemmeno con Megara, che ne sapeva più di tutti riguardo a quella storia. La realtà circostante aveva ormai perso consistenza: non riusciva a quantificare da quanto tempo fosse lì. La Grifondoro si rese conto che doveva essere da molto quando si accorse di un incantesimo che aveva preso la forma di una farfalla blu cobalto, che si era posata ai suoi piedi ed aveva sbattuto le delicate ali, prima di dissolversi in granelli di polvere azzurra.
Si voltò: Kristoff era entrato nella Stanza. «Ehi» esordì, senza aggiungere altro, sedendosi accanto a lei; per un momento, ad Anna sembrò che l'amico stesse ascoltando le sue lacrime e il suo dolore. «È da tanto che non... sì, insomma, che non parliamo.»
Quel suo dolce modo di fare imbranato strappò un sorriso alla ragazza, che si asciugò le guance tonde. «Sì, lo so» ammise, abbassando lo sguardo. «Mi dispiace.»
«Non fa’ niente» la rassicurò il Tassorosso. «Riesco ad immaginare che sia un brutto periodo per te. Ma, ecco, sì insomma...»
Anna ridacchiò: Kristoff era sempre impacciato quando si trattava dei suoi sentimenti. Non gli piaceva parlare di se stesso; aveva sempre preferito di gran lunga ascoltare gli altri.
«Il punto è che sono preoccupato per te» rettificò, guardandola apprensivo.
«Ti ringrazio» la sua voce uscì scheggiata dal pianto, ma Anna cercò di non badarci troppo. Stirò un sorriso di gratitudine, distogliendo di nuovo lo sguardo subito dopo. «Sono... sono solo sconvolta» sussurrò, concedendosi di essere fragile e triste per la prima volta.
«Non è necessario che tu mi racconti cosa sia successo. Voglio solo accertarmi che tu stia bene e...»
«Ma io voglio raccontarti che cosa è successo» lo interruppe la Grifondoro. «È una storia lunga però. Hai da fare, in questo momento?»
Kristoff sorrise con affetto. «Qualunque impegno io abbia, può aspettare.»
Anna lo prese sottobraccio e si strinse di più al suo corpo. «Grazie» disse, felice.
Non si chiese nemmeno perché avesse scelto lui piuttosto che Hans, per confidarsi.
Appoggiò la testa sulla sua spalla e basta, e per la prima volta si sentì un po' meno sola.
 
 
 
*
 
 
 
«Esme» una voce familiare la chiamò nel frastuono generale delle chiacchiere che affollavano la Sala Grande durante la cena.
«Sì?» fece, smettendo di concentrarsi sulle leccornie di cui era stato imbandito il tavolo dei Grifondoro. La ragazza aveva sollevato gli occhi su Febo, che, accanto a lei, la guardava. «Ti senti bene? Hai un’aria strana...»
Esmeralda stirò un sorriso, sentendosi immediatamente in colpa. Che cosa le era preso, quel pomeriggio? Claude Frollo l’aveva baciata e a lei era... piaciuto.
E questo la spaventava. Soprattutto, guardando gli occhi di Febo che la squadravano preoccupati, si sentiva una pessima persona. Non era corretto nei suoi confronti, non dopo ciò che si erano detti nella Stanza delle Necessità, dopo la partita di Quidditch che aveva chiuso il trimestre.
 
«Ti piace?» esordì Febo, quando oltrepassarono la grande porta a ghirigori che aveva preso forma dal muro. Ad Esmeralda brillarono gli occhi: ciò che era apparso era una specie di bizzarro misto tra la Sala Comune di Grifondoro e la tenda di Quidditch. In fondo alla Stanza troneggiava un grande camino in cui il fuoco scoppiettava allegro, e intorno ad esso erano disposte a semicerchio un paio di poltrone rosse. Su una parete, vi era appeso uno striscione con scritto “Congratulazioni, Cercatrice!” a caratteri cubitali, mentre il boccino d’oro disegnava sagome circolari svolazzando al centro della Stanza. Tutt’intorno erano sparsi candelabri rossi e oro e decorazioni che ricordavano il Quidditch, dalle bandiere con lo stemma di Grifondoro alle scope appoggiate contro un muro.
«È bellissimo, Febo!» esclamò, meravigliata. «Davvero hai desiderato questo per me?»
«E per chi altrimenti, per me stesso?» ironizzò il ragazzo, facendole un occhiolino.
«Grazie» disse lei, sincera, con un sorriso che era spuntato prepotente sul suo volto ambrato.
Con un colpo di bacchetta, Febo fece sollevare da un tavolino in marmo della Stanza una scatola di cioccolatini, che fluttuò fino a fermarsi di fronte ad Esmeralda. «Wow» sussurrò lei, scegliendone uno con la glassa alla vaniglia e una ciliegia di amarena in cima. Era cioccolato fondente, il suo preferito.
«È davvero buono» disse, felice come una bambina.
Il suo migliore amico le sorrise con dolcezza, come se la trovasse tenera. Da lì ad un paio d’ore parlarono del più e del meno, cominciando dal crogiolarsi nella loro schiacciante vittoria contro Serpeverde. Il tempo volava, e guardandolo con più attenzione, le era sembrato che Febo fosse anche piuttosto attraente: non si era mai accorta di quanto i suoi capelli biondi, sempre scompigliati, gli dessero un’aria simpatica e sbarazzina, o di come i suoi occhi azzurri risultassero gentili e limpidi.
«Mi fa molto piacere essere qui con te, stasera» gli disse, arrossendo un pochino.
«Anche a me» la ricambiò lui. «Davvero tanto.»
Si avvicinò e le diede un bacio sulla guancia, che in quel momento la Grifondoro trovò dolcissimo.
Non successe nient’altro tra quelle quattro mura; ma mentre tornavano nei loro dormitori, Esmeralda sentì che, probabilmente, stava prendendo forma un legame che andava al di là dell’amicizia.
 
Ripensava a quel momento, mentre sovrappensiero si faceva scivolare in bocca un’altra frittella – il momento in cui si era sentita serena e perfettamente a suo agio con Febo. Ma subito subentrava quello in cui era stata completamente assorbita e trascinata in un vortice da Claude Frollo, e quel pensiero la disturbava. Come avrebbe potuto lasciarsi andare a quei sentimenti per il ragazzo di Serpeverde che le rendeva difficile la vita ogni santo giorno? Probabilmente quel tizio non era neanche in grado di provare sentimenti; e lasciarsi andare non sarebbe stata neanche la cosa giusta da fare. Ci avrebbe rimesso tutte le sue amicizie – giustamente, si disse. E non voleva perdere Anna, o Febo, o Quentin.
Improvvisamente, non aveva voglia di parlare con nessuno; per fortuna la cena sarebbe terminata a breve, visto che quasi tutti i suoi compagni avevano finito di mangiare i dolci.
«Ho da fare un annuncio molto importante» la voce del Preside Merman la distolse dai suoi pensieri. Immediatamente, su tutta la Sala Grande scese il silenzio; l’ultima cosa che si sentì fu Ercole, che aveva poggiato il suo bicchiere di succo di zucca sul tavolo troppo rumorosamente.
Esmeralda guardò il Preside: aveva un’espressione cupa e grave, e d’un tratto la Grifondoro sentì una fitta allo stomaco, come le capitava sempre quando era nervosa.
«Sarò breve» esordì Merman, facendo in modo che la sua voce rimbombasse in tutti gli angoli della Sala Grande. «Durante le vacanze, una vostra compagna, Eris Goddess, è morta.»
Subito tra tutti i tavoli – e specialmente in quello dei Serpeverde – si diffuse un brusio fitto.
Il Preside alzò una mano, come per far capire che il discorso non era finito. «È mio dovere perciò informarvi, in quanto Preside di Hogwarts, come questo sia potuto accadere.»
Tacque per un attimo, come per permettere ai suoi studenti di metabolizzare la notizia.
«Un potente mago oscuro, Pitch Black, è tornato per saldare un conto in sospeso con me e ripetere ciò che ha già fatto una volta. E non cercherò di indorare la pillola: farà di tutto per riuscirci.»
La tensione si poteva ora tagliare con un coltello: sulle facce dei ragazzi era visibile stupore, perplessità, inquietudine.
«Esorto tutti quanti a fare attenzione, e a non cedere all’oscurità. Io e gli insegnanti prenderemo provvedimenti. Ma suggerisco a voi di restare quanto più possibile uniti e combattere le forze oscure che si potrebbero rivelare da ora in poi. Solo così Hogwarts riuscirà a sconfiggere il nemico» fece una pausa, poi concluse. «Siate forti: adesso è il momento di esserlo.»
Merman si mise di nuovo a sedere sul suo scranno, e con quel gesto gli studenti capirono che era giunto il momento di tornare nelle proprie Sale Comuni.
Al tavolo dei Corvonero, una ragazza fissava ancora il vecchio mago, in qualche modo sollevata che il suo segreto non fosse venuto fuori.



 
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Questo capitolo è un po’ un insieme di cose: vediamo lo svolgersi della mattinata del rientro sia dal punto di vista di Esmeralda – che si trova ad essere molto in conflitto con se stessa a causa di Claude Frollo – e dal punto di vista di Anna, molto abbattuta per quello che sta succedendo con la sorella. Mi ha desolata, in qualche modo, scrivere di lei; è così sola, triste, persa senza Elsa, che tutte le volte mi sale un po’ di tristezza. Fortunatamente trova il suo appoggio in Kristoff - che penso sia l'amico che tutti/e vorremmo.
Esmeralda si trova a sentirsi attratta dal ragazzo che vessa contuamente lei ed i suoi amici; ovviamente ciò non farà che complicare le cose. A questo si aggiunge, inoltre, il terribile messaggio che Merman porta agli studenti; Hogwarts sa ufficialmente che cosa è successo, ed i primi segni di allarme compaiono a livello collettivo.
Il capitolo è un po’ di passaggio, e capisco che possa essere un po’ noioso, ma spero sia stato comunque di vostro gradimento <3
Alla prossima!
Stella cadente



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«Non è necessario che tu mi racconti cosa sia successo. Voglio solo accertarmi che tu stia bene e...»
«Ma io voglio raccontarti che cosa è successo» lo interruppe la Grifondoro. «È una storia lunga però. Hai da fare, in questo momento?»
Kristoff sorrise con affetto. «Qualunque impegno io abbia, può aspettare.»

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Capitolo 27
*** Capitolo 27. ***


27.
 
 
«Che cosa può volere quel mago da Merman?»
«Non lo so, ma ci scommetto quello che vuoi che l’uccisione della Goddess ha un significato in tutto questo; come un avvertimento, o qualcosa del genere.»
«E se dipendesse da Elsa?»
«No, di sicuro c’entra qualcuno di Serpeverde.»
Come era prevedibile, nella Sala Comune di Grifondoro nessuno aveva intenzione di dormire: tutti erano radunati vicino al camino – chi seduto per terra, chi comodamente messo sul divano o sulle poltrone – a fare supposizioni. Merida e Anna si lanciarono uno sguardo di sfuggita; sguardo che non passò inosservato ai  compagni. «Anna» fece Ercole, «potrebbe entrarci qualcosa tua sorella?»
«Sì, Anna» rincarò Jehan. «A questo punto devi dircelo.»
La ragazza sentì che il cuore le batteva a mille. «Io...» balbettò. «Sì, Elsa è coinvolta. Ma non è come pensate. Lei è buona...»
«Davvero?» Chiese Febo, senza cattiveria. «Ed è stata lei ad uccidere Eris?»
È stata lei ad uccidere Eris?
Quella frase rimbombò dolorosa nelle orecchie di Anna, che ammutolì di botto.
«D'accordo ragazzi» intervenne Merida, facendo da scudo all'amica col suo corpo. «È evidente che ad Anna non fa piacere parlare di questa cosa» disse, risoluta. «Quindi vi sarei grata se non la assillaste con le vostre domande. Noi per prime siamo coinvolte, quindi vi diremo tutto quello che sappiamo. È una promessa.»
Come sempre, le sue parole avevano zittito tutti. «Dal momento che Merman ha avvisato tutta la scuola, è chiaro che siamo tenuti a combattere, nessuno escluso» proseguì. «Ed è quello che faremo. O sbaglio?»
«Non sbagli» fu Febo il primo a parlare. «Ma converrai con me che solo sapendo cosa è successo capiremmo come fare» ragionò. «Altrimenti non avremmo mai neanche un punto di partenza.»
«Febo ha ragione» prese parola Philip. «Non potremmo mai farcela a contrastare Pitch Black, se non sappiamo tutta la storia. Merman non ci ha detto per cosa esattamente si stia avvicinando ad Hogwarts, e la cosa è molto sospetta.»
«Dovremmo parlare con Elsa» intervenne Esmeralda, decisa. «È l'unico modo.»
«Ci abbiamo provato per tutto il trimestre» sospirò però Merida. «Ma non c’è modo di cavarne qualcosa. Elsa non» sospirò, poi riprese, «Non riesce a ricordare niente. Tutto quello che sappiamo è che deve essere tenuta al sicuro.»  Tacque per un attimo, poi concluse: «Perché Black ha lei come obiettivo.»
Quella frase rese il silenzio teso e pesante. I Grifondoro si guardarono gli uni gli altri, senza sapere cosa dire. Fu allora che Anna fece un passo avanti e disse: «Mia sorella ha ucciso Eris Goddess.»
Tutti presero a fissarla allibiti, compresa Merida; ma la ragazza non si perse d'animo e proseguì. «Eris è stata trovata con del ghiaccio nel cuore, vicino alla Stanza delle Necessità. E, lo confermo: Elsa non riesce a ricordare niente, come ha detto Merida. È da quando è tornata ad Hogwarts, dopo la sua fuga, che sembra che alcune informazioni siano oscurate dalla sua stessa memoria.»
«Che vuoi dire?» chiese Esmeralda, ansiosa.
«Quando l'abbiamo ritrovata nella foresta, era vicino ad un palazzo di ghiaccio. Era stata proprio lei a crearlo. Aveva della brina scura su tutto il corpo, che è sparita solo con la Pozione Rivitalizzante. Dopo, però, non si ricordava niente di quello che era successo. Quella brina» fece una pausa, «Non era normale. Vedevo che anche Merman era preoccupato. Penso che...» e qui indugiò di nuovo, ma poi riprese. «Penso – anche Merman pensa – che Elsa sia sotto incantesimo» concluse, sotto lo sguardo stupito di tutti.
«Credo che ci sia anche un'altra persona ad essere osservata» disse ancora Philip. «Aurora Gold, una ragazza di Tassorosso. Mi ha mostrato un oggetto magico molto raro, da cui però abbiamo appreso che qualcuno la vuole per un altro scopo, evidentemente. Una minaccia incombe anche su di lei.»
«Gli elementi ci sono tutti» fece Merida. «È arrivato il momento di fare qualcosa.»
Fuori imperversava una tempesta, e i ragazzi sentirono come se quella tempesta si abbattesse su tutti loro.
 
 
*
 
Nella Sala Comune di Tassorosso il clima non era affatto diverso. C'era chi era andato subito a dormire, riflettendo sulle parole di Merman; ma c'era anche chi si era radunato vicino al caminetto, seduto sul tappeto giallo canarino che accoglieva i riverberi delle fiamme. Tra questi, Kristoff, Aurora e Quentin sembravano i più angosciati. Perfino le piante che adornavano la Sala Comune sembravano avvizzite, come se fossero preda della stessa inquietudine che serpeggiava tra gli studenti.
«È davvero tutto troppo strano» diceva Kristoff, percorrendo l'area della stanza con lunghe falcate. «Insomma, prima Elsa scappa da scuola, Merman la prende sotto protezione per un motivo inspiegabile e poi salta fuori che un mago oscuro vuole tornare ad Hogwarts?»
«Si chiama Pitch Black, Kristoff» lo corresse Aurora.
«È uguale!» sbottò il ragazzo. Era fuori di sé; Anna gli aveva raccontato che Elsa aveva poteri sul ghiaccio, e gli era sembrato giusto ometterlo, perché in fin dei conti non sapeva quanti dei suoi compagni ne fossero a conoscenza... eppure sentiva che ormai tutto quello doveva venire a galla. E che forse per alcuni lo aveva già fatto. «Fra l'altro, non c'è scritto da nessuna parte di questo mago, e neanche i professori ci hanno mai detto niente. Io non ne so niente. Come facciamo a combattere contro qualcosa che neanche conosciamo?»
«Kristoff» lo riprese di nuovo Aurora, con gentilezza. «Non lo conosci perché sei nato in una famiglia babbana. Ma tra i maghi è abbastanza noto. Nessuno ha mai capito molto a riguardo, neanche gli Auror, per dire la verità. Così siamo giunti alla conclusione che Pitch Black sia più uno pseudonimo: per questo motivo non viene menzionato, nei libri di Storia della Magia. L’originario è stato Preside di Hogwarts, un tempo… ma parliamo di secoli fa; forse il mago di cui parla Merman ne ha preso solo il nome» disse. Si fermò per un istante, riflettendo ad alta voce. «Ogni tanto compare qualcuno con quel nome, ma non credo si tratti della stessa persona in tutti i casi. Comunque adesso, chiunque egli sia, sta osservando anche me.»
«Che cosa?» si intromise Quentin, agitato.
Aurora serrò le labbra, poi disse: «mi è stato rubato un oggetto magico a cui tenevo moltissimo, e precedentemente è stato usato perché qualcuno guardasse quello che facevo. Ora che ci penso, credo che non fosse un caso che mi sia stato inviato per posta. E forse il mittente non è quello che credevo...»
Kristoff era impietrito; il rimbombare di un tuono lo fece sobbalzare leggermente, riscuotendosi dai suoi pensieri. «Avete sentito cosa ha detto Merman, comunque» fece, con decisione. «Vuole che siamo tutti preparati. Penso che sia arrivato il momento di unire la scuola, e combattere.»
Aurora si morse un labbro, perplessa e ansiosa: sembrava orripilata dall'idea di usare la forza per ottenere qualcosa. «Combattere?» ripeté infatti.
«Sì, Aurora» aggiunse Quentin, la voce gentile che tremolava leggermente. «Ormai temo non ci resti altro da fare.»
«Domani parlerò con Anna, mettendomi d'accordo con i Grifondoro» affermò Kristoff. «E per quanto riguarda i Serpeverde...»
«Ci penserò io» terminò Quentin. «Parlerò con Megara e vedrò che posso fare.»
«Ed Elsa?» ricordò Aurora, apprensiva.
«Merman si sta occupando di lei» disse Kristoff. «Anna mi ha raccontato tutto, stamattina. Pare che Pitch Black l’abbia presa di mira, ma è in buone mani. Almeno spero.»
Quelle parole restarono ad aleggiare nel silenzio, accompagnate solo dal crepitare del fuoco nel caminetto. Tra i Tassorosso regnava un mutismo quasi inquietante.
«Nonostante questo, un piccolo aiuto non sarebbe male» proseguì poi. «Perciò... Non c'è proprio nessuno che la conosca meglio?» diede voce ai suoi pensieri, con tono urgente. «O qualcuno che se la sente di scoprire di più?»
«Ci proverò io» si sentì una voce. Una ragazza con dei lunghissimi capelli biondi si fece avanti, un lampo determinato a guizzare negli occhi verdi.
«Chi è?» mormorò il ragazzo, diretto ad Aurora.
«Kristoff» lo ammonì l’amica, con una gomitata. «È Lily Corona» disse, prendendolo da parte. «Ti ricordi? Quella ragazza che è arrivata l'anno scorso da Beauxbaton; doveva essere smistata in Corvonero, ma all'ultimo momento ha scelto Tassorosso.»
«Quella strana?» chiese, senza troppi complimenti, spalancando un po' gli occhi. Aurora sospirò, ma sapeva che il suo amico non era l'unico ad aver mostrato perplessità: tutti quanti, in realtà, erano rimasti ammutoliti nel sentire che proprio lei aveva detto una cosa simile. E neanche lei stessa si fidava totalmente di quella ragazza: era troppo... beh, sì, strana.
Non sapeva neanche chi fosse esattamente; si faceva chiamare Lily, ma tutti i membri della Casa Tassorosso sapevano che non era il suo vero nome.
«Sì» annuì lei, di malavoglia – non le piaceva dire cose brutte di altre persone. «Ma hai sentito Merman, dobbiamo essere tutti uniti.» Fece una pausa. «D'accordo» disse poi, rivolgendosi a Lily, «cosa sai di Elsa?»
«Oh, grazie!» esclamò però la ragazza; probabilmente non l'aveva neanche ascoltata, perché l'aveva subito abbracciata di slancio. «Non ve ne pentirete! Sapete, conosco qualcuno di Corvonero che potrebbe sapere di più. Ho molti amici in quella Casa e potrei aiutarvi con la faccenda di Elsa. In fin dei conti ci sarà una pista da seguire, no?» fece, con un gran sorriso. Sembrava così entusiasta di essere stata coinvolta dai suoi compagni… Aurora si chiese come facesse ad essere così solare; perfino lei faticava a restare positiva in quel momento così buio.
Probabilmente era proprio di persone come Lily che c'era bisogno, ma nessuno lo avrebbe mai ammesso.
 
 
*
 
 
Megara si sentiva sola come non mai, in mezzo alle ipotesi dei suoi compagni, nella Sala Comune di Serpeverde. Lei, che per prima era coinvolta, si asteneva da ogni dialogo: non aveva voglia di parlare di quello che era successo, quando sapeva che proprio tra i suoi compagni di Casa si celava il colpevole di tutto ciò – o almeno il complice. Mentre i ragazzi parlavano agitati per la morte di Eris, aveva notato che c’erano altre persone che, come lei, stavano in silenzio in un angolo: Claude Frollo e Hans Westergård.
Melicent non c’era. Era andata subito al dormitorio, e nessuno, ovviamente, ci aveva trovato niente di strano; a Meg ribolliva il sangue all’idea che i suoi sospetti potessero essere veri e che quella ragazza – non riconosceva più un’amica in lei, ormai – non avesse il minimo senso di colpa.
E se uccidesse qualcun altro?
Era evidente che l’oscurità camminava tra di loro. E lei aveva bisogno di far sì che questo non accadesse, anche se non sapeva come: negli anni, aveva imparato che i Serpeverde erano un gruppo variegato e che la sua Casa radunava sotto uno stesso stemma persone molto diverse. Era pressoché impossibile conciliare le idee di tutti. E poi Merman aveva detto, poco prima, che avrebbe voluto che tutta la scuola combattesse contro il nemico: come allearsi con i Grifondoro senza che si creassero discussioni?
Sospirò: doveva pur tentare qualcosa. Era l’unica che poteva unire i Serpeverde sotto un obiettivo comune.
Decise di cominciare da Hans; così, sicura che nessuno l’avrebbe notata, si alzò e raggiunse il ragazzo. Guardava le acque del Lago Nero agitate dalla tempesta che si andava alzando, sovrappensiero; quasi non si accorse della sua presenza, finché lei non esordì con un  neutro «ciao».
«Ciao» le rispose poi, con lo stesso tono piatto. Per un attimo Meg si sentì in imbarazzo: sembrava che Hans non avesse nessuna voglia di parlare con lei. Era come se avesse altri pensieri per la testa; per un attimo, la sensazione che anche lui avesse contribuito a far avvicinare Pitch Black ad Hogwarts la sfiorò con le sue dita sinistre.
«Senti, non mi piace girare intorno alle cose, per cui...» cominciò. «Eri qui quando è successo, vero?»
Il ragazzo annuì: appariva in qualche modo spento, preoccupato. Ed era maledettamente teso. Non alzava gli occhi su di lei; Megara lo conosceva poco di persona, ma dalla fama che aveva a scuola non avrebbe mai detto potesse comportarsi in quel modo, come un bambino spaventato.
A quel punto capì.
«Tu» disse, dopo un profondo sospiro, «conosci di più su questa storia.» Sembrava più un’affermazione che una domanda, ma ebbe comunque l’effetto sperato: Hans sollevò i suoi occhi verde-nocciola su di lei, guardandola in modo indecifrabile.
Poi le disse qualcosa di inaspettato.
«Domani mattina, dopo Pozioni, nella Foresta Proibita. Se sei riuscita a capire qualcosa in tutto questo tempo che corri dietro ad Elsa Arendelle, quello che ti dirò non ti stupirà» fece, serissimo.
«D’accordo» rispose lei.
Si allontanò e, al riparo da sguardi indiscreti, si sollevò la manica del maglione; sotto la sua pelle, dei segni scuri, come fatti d’inchiostro, stavano prendendo forma. Era da quella volta che avevano cominciato a comparire, e adesso diventavano sempre più fitti. Tutto ciò la preoccupava e la rendeva ansiosa.
Sospirò. Non si fidava di Hans, ma aveva capito che scoprire quale fosse la verità era più importante di ogni altra cosa.
Inconsapevolmente, tutta la scuola si preparava a contrastare la magia oscura, mentre tra i Corvonero regnava il silenzio.
 




 
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Ciao a tutti!
Ho visto un aumento di recensioni, in questi giorni, e ve ne sono davvero grata; state contribuendo a far crescere questa lunga, difficile storia, e mi ci voleva, visto che non ho – come già detto – un rapporto facile con questa fic. Sono sempre stata piena di intoppi, idee che si accavallavano l’una sull’altra e non riuscivano a prendere una forma, e io mi sentivo smarrita. È anche grazie al vostro supporto se ora sono “tornata nei binari”. GRAZIE.
Venendo a noi, siamo ad un punto di svolta, ma le alleanze che si stanno formando sembrano buone. I Grifondoro e i Tassorosso cominciano a mobilitarsi, mentre i misteriosi Serpeverde si trovano divisi. È un capitolo transitorio, questo, ma fondamentale. Spero tanto vi sia piaciuto 😊
Alla prossima,
Stella cadente

PS: avete riconosciuto Lily, vero?



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«In fin dei conti ci sarà una pista da seguire, no?» fece, con un gran sorriso.

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Capitolo 28
*** Capitolo 28. ***


28.
 
Nessuno era riuscito a seguire la lezione di Storia della Magia, quella mattina: gli sproloqui del professor Geenie sembravano per tutti gli studenti entrare da un orecchio e uscire dall’altro. Febo, accanto al suo amico Jehan, notava quel clima in ogni angolo dell’aula; gettò un’occhiata ad Esmeralda, che si trovava nel banco accanto, vicino a Quentin, e che sfogliava il tomo di Storia cercando tra le ultime pagine. Sapeva che cosa stesse facendo: ci avrebbe scommesso una vittoria a Quidditch che stava cercando informazioni su Pitch Black.
Da quando Quentin aveva preso parte alla missione per Merman, lui non aveva fatto altro che serbare rancore verso il suo amico per l’assenza che aveva mostrato, nei suoi confronti e verso quelli di Esmeralda; solo ora si rendeva davvero conto di quanto, probabilmente, fosse stato importante per tutta la scuola.
Un potente mago oscuro, Pitch Black, è tornato per saldare un conto in sospeso con me e ripetere ciò che ha già fatto una volta. E non cercherò di indorare la pillola: farà di tutto per riuscirci.
Allora, significava che era entrato nella scuola – che si muoveva tra di loro?
Un quadro agghiacciante prese forma nella mente di Febo: finché il Preside di Hogwarts fosse rimasto al suo posto, Black non si sarebbe dato pace.
Questo significa che...
«Mi scusi, professore» la voce di una ragazza di Tassorosso interruppe le sue riflessioni. «Vorrei che ci parlasse meglio di Pitch Black» disse ad alta voce, ignorando il brusio che si sollevò subito non appena pronunciò quel nome.
Il professor Geenie era ora impallidito, e i suoi grandi occhi sembravano quelli di un gufo. Si schiarì la voce, poi disse: «Beh, signorina White, la sua domanda è più che lecita.» La sua voce non era più quella di sempre, quella che sembrava un cartone animato. Era cambiata, era più... cupa.
All'improvviso, nella classe era sceso il silenzio.
«Vedete» fece poi, rivolgendosi agli studenti. «Pitch Black era Preside di Hogwarts, prima di Merman. Lo è diventato in concomitanza di... di determinati eventi, ecco.»
Silenzio.
 «E... come mai non se ne fa cenno, nel libro?» chiese Esmeralda.
«Perché la verità, purtroppo, è che questo è tuttora un caso molto attuale e molto misterioso, per le Forze dell’Ordine» rispose subito Geenie, serio. «Merman suppone che si tratti di un suo rivale, ma nei secoli, in realtà, ci sono stati molti maghi che si chiamavano Pitch Black, e che hanno compiuto omicidi ogni volta. I servizi segreti hanno fatto in modo di occultare tutto, in questi anni, per non dare falsi allarmi e turbare la quiete del Mondo Magico, ma... a  quanto pare qualcuno si cela di nuovo dietro a questo nome. Comunque io» aggiunse, «ritengo anche che, finché Merman sarà Preside di Hogwarts, non vi potrà succedere nulla. Black – o per meglio dire, chiunque si sia nuovamente armato di questo pseudonimo – deve essere agevolato per prendere possesso della scuola» fece una pausa, «e nessuno studente con conoscenze pari alle vostre potrebbe mai aiutarlo in una missione del genere, nemmeno con tutti gli ausili possibili. Io e gli altri insegnanti abbiamo già fatto incantesimi di protezione; vi suggerisco di stare attenti, ma non voglio gettarvi nel panico inutilmente. Sono state prese misure di sicurezza perché episodi come quello di Eris non accadano più» concluse, incrociando le grandi braccia blu.
«Ora, la lezione è finita» sentenziò poi. «Me ne torno nella mia lampada. Alla prossima!» esclamò, con la sua eccentrica voce.
Si infilò nel suo antico contenitore di ceramica, e tra i ragazzi non rimase che l'eco delle sue parole.
 
*
 
 
 «È proprio come mi immaginavo» ragionò Febo ad alta voce, durante l'intervallo. «Black ha qualcosa contro Merman. Ed è chiaro che i professori non vogliano dirci come siano andate esattamente le cose.»
«Hai sentito quello che ha detto, durante la lezione» fece presente Esmeralda, «nessuno studente con conoscenze pari alle nostre sarebbe stato in grado di farlo entrare.»
Il ragazzo cominciò a capire dove volesse andare a parare la sua amica.
«Quindi è stato un insegnante a farlo.»
«È quello che penso io, infatti» gli diede manforte lei. «Un insegnante vuole che lui ritorni, per qualche motivo. A meno che...» si bloccò poi la Grifondoro. Il suo sguardo si posò su Claude Frollo, che usciva dalla classe a passo veloce, tenendosi un grosso libro stretto al petto.
Seguendo i suoi occhi, una risata nervosa risalì la gola di Febo. «Non crederai che lui c'entri qualcosa?»
«Ricordi cosa ha detto Geenie?» fece Esmeralda, intestardita.
«Certo» ribatté, piccato. «Che nessuno studente avrebbe potuto avere le capacità per far entrare Black.»
«Sì, è vero» proseguì la ragazza. «Uno studente, da solo, no. Ma se fossero stati più studenti
Lasciò cadere quella frase, mentre continuava a seguire la sagoma esile di Frollo che spariva nel corridoio.
Febo sbuffò. «Tra cui lui, giusto?» chiese, ironico. «È assurdo» disse poi. «E poi non sappiamo neanche se Black sia effettivamente tra di noi. Merman ha detto che si sta solo avvicinando.»
«Già, quindi stiamocene con le mani in mano finché non prenderà possesso della scuola, no?» lo rimbeccò Esmeralda, leggermente alterata. Aveva il tono che faceva sempre quando voleva agire e mettersi in moto per qualcosa. «E comunque, non è affatto assurdo» alzò leggermente la voce. «Frollo ha sempre avuto interesse per la magia oscura. Jehan me lo ha detto un sacco di volte che passa molto tempo in biblioteca, nella Sezione Proibita. Potrebbe aver contribuito in qualche modo.»
«Esme, per Merlino, non sappiamo nemmeno se quetso Black sia quello di cui parla Merman! Magari è un terrorista, o qualcosa del genere, come ha detto Geenie.»
«Beh, chiunque sia non possiamo starcene inermi mentre cerca indisturbato di attaccare Hogwarts» ripeté lei, passandosi una mano tra i lunghi capelli scuri – lo faceva sempre quando era nervosa. «È giusto fare ipotesi. Merman vorrebbe che lo facessimo, o sbaglio?»
Il Grifondoro si arrese di fronte alla determinazione dell’amica. «Già, hai ragione. Lo ammetto.  Ma continuo a pensare che ti sia fissata un po’ troppo con Frollo. E comunque, fammi capire: vorresti andare a parlargli?» chiese, incredulo.
«Sì» dichiarò Esmeralda, incrociando le braccia.
Febo alzò le sopracciglia. «E pensi che confesserà senza fare resistenza?»
«Ovviamente no» fece lei, come se si trattasse di una cosa scontata. «Ma so bene come metterlo alle strette. E a quel punto, chissà...»
L’amico si incantò, quasi, nel guardarla negli occhi. Appariva fortissima, come se si sentisse in grado di salvare la scuola tutta da sola.
Era solo da ammirare, Esmeralda.
«Wow, Trouillefou» disse infatti, «sei una tigre.»
La ragazza accennò ad un sorriso. Sembrava dirgli che apprezzava il suo continuo tenerla spensierata, ridendo anche in quelli che sembravano i momenti più bui. Febo si ricordò improvvisamente della sua contentezza quando l'aveva portata nella Stanza delle Necessità, e non poté fare a meno di ricambiarla. «Hai tutto il mio appoggio» le disse poi. «Lo sai.»
Esmeralda lo abbracciò con trasporto, poi gli sussurrò all'orecchio: «grazie.»
Lo guardò con affetto, e nel vedere il suo volto olivastro illuminarsi in quel modo, Febo si rese conto di amare ogni cosa della sua amica.
 
 
*
 
 
Megara si sentiva nervosa quando, dopo la lezione di Pozioni – l'ultima di quella giornata – si recò verso la Foresta Proibita, dove Hans l'aspettava. Il ragazzo era uscito subito dall'aula, e lei non aveva potuto fare altro che seguirlo e cercare di stare al suo passo.
Il suo atteggiamento era cambiato in modo insolito; diversi studenti, in realtà, cominciavano a comportarsi in modo strano, e questo non aiutava nel mantenere la calma generale. Segreti e sospetti si snodavano come serpi velenose, attanagliando i ragazzi in una morsa di inquietudine. A guardare Hans, Meg si rese conto che era come se scappasse da qualcosa – qualcosa che lei doveva assolutamente scoprire. C'era la possibilità che avesse a che fare con gli oggetti che aveva trovato nel dormitorio maschile qualche notte prima, e non poteva farsi sfuggire una simile occasione.
 
 
Si era inserita nel Dormitorio dopo aver fatto un incantesimo di disillusione, in modo da non correre il rischio di essere vista. Sapeva di essere l’unica che avrebbe potuto fare una cosa del genere. Si era offerta anche Anna, ma non poteva introdursi nella Sala Comune di Serpeverde; l’avrebbero scoperta.
Le lanterne argentate sembrarono tintinnare tra loro in modo sinistro, quando entrò nella stanza in mezzo ai suoi compagni che dormivano. Rifletté per un attimo: l’unico che era rimasto della sua Casa, quando Eris era morta – da quel che sapeva da Anna – era Hans.
Si avvicinò al suo letto; il ragazzo sembrava affogare in un sonno disturbato. Si poteva dedurre dalle sopracciglia aggrottate e dal lieve sudore che gli imperlava la fronte.
Istintivamente, aprì uno dei cassetti del comodino accanto al letto di Hans.
Quello che trovò la lasciò basita.
Un pezzo di ghiaccio.
Solo un pezzo di ghiaccio giaceva in fondo al cassetto. Un pezzo di ghiaccio intatto, come se si trovasse nei più remoti ghiacciai dell’Artico anziché in Scozia, per di più in una stanza riscaldata. Megara tese la mano, poi si bloccò: non sapeva con certezza se quel frammento fosse stregato o meno.
Decise di sollevarlo con un colpo di bacchetta per osservarlo meglio. «Wingardium Leviosa» sussurrò, facendo levitare il pezzo di ghiaccio in aria.
Inizialmente non notò nessuna reazione; la ragazza restò comunque con il fiato sospeso, come se fosse in apnea.
Poi, il pezzo di ghiaccio si mise a sussurrare una lingua sconosciuta. Parole frenetiche, che si sovrapponevano le une sulle altre in un disordinato mantra indecifrabile.
Nel buio, prima di fuggire per non farsi trovare dai suoi compagni, riuscì solo ad intravedere alcune parole che vi erano incise.
 
Sei stato scelto.
 
 
 
Da quella sera in poi, dei segni scuri – segni inconfutabili di una maledizione in corso – avevano cominciato a prendere forma sulle sue braccia, sotto la sua pelle. Si era sentita arrabbiata con se stessa; non era riuscita a recuperare nessuno degli oggetti che si nascondevano nella sua Sala Comune.
Doveva venirne a capo, il prima possibile; sapeva già tutto riguardo alle maledizioni e sapeva che non c’era scampo. Doveva parlarne con Merman, ma qualcosa la faceva desistere, almeno per il momento.
Megara sapeva di essersi invischiata in una questione più grande anche di lei. Sapeva che stava cercando di combattere praticamente da sola un mago oscuro ben più forte e con più esperienza – sapeva che era una battaglia persa in partenza – ma la sua mente era troppo focalizzata su quell’obiettivo impossibile per riposarsi anche solo un secondo. Perciò seguì Hans a passo deciso, senza badare al fatto che si stessero inoltrando sempre più tra le oscure fronde della foresta.
Inspirò l’odore di freddo, di terra e di pino che percepiva nell’aria, come per rilassarsi; non appena il ragazzo si fermò, cercò di fingere che il cuore non le stesse battendo furiosamente in gola.
«Allora» esordì, con cautela. «Che cosa volevi dirmi?»
La tensione del suo compagno di Casa era diventata così palpabile da essere insopportabile. Hans si umettò le labbra in un gesto nervoso, poi la guardò fissa negli occhi; quello sguardo in qualche modo folle e terrorizzato fece comparire sul viso a cuore di Megara un’espressione angosciata.
«Quel mago» fece il ragazzo, con voce tremante. «È dentro la scuola. Ha preso il corpo di Elsa Arendelle» continuò, incolore. «Io l’ho vista. Ero lì, quando quella ragazza ha ucciso Eris.»
«Cosa?» soffiò la Serpeverde, sconvolta. La conferma delle sue teorie l’aveva scossa ancor più di quel che credeva.
«Tu non capisci» mormorò, come se fosse ferito – come se qualcosa lo stesse mangiando dall’interno. «Non c’è scampo per me. E presto non ci sarà scampo per nessuno di voi.»
Pausa.
Un sorriso gelido gli attraversò poi il viso, e d’un tratto cambiò espressione. Megara deglutì quando comprese che, di fronte a lei, c’era il proprietario del pezzo di ghiaccio con su scritto “Sei stato scelto”.
«Ti ho sentita, l’altra notte» riprese. «Non è un caso che tu sia riuscita a vedere quel pezzo di ghiaccio»  e qui la sua voce si fece subdola, come se la stesse minacciando. «Ma comunque, voglio dirti che io adesso sono vincolato. Sono vincolato a lei
Si tolse i guanti di lana grigi, e dalla sua mano scaturì un ghirigoro di ghiaccio, che si dissolse nell’aria lentamente. Meg sgranò gli occhi dalla sorpresa, osservando tutti quei frammenti gelidi che cadevano nell’erba.
«Dirò a tutti gli studenti della nostra Casa di questo» disse, seria.
«E pensi che ti crederebbero?» Hans rise, lugubre. «So di non essere ben visto da tutta la scuola, ma chi credi che mi riterrebbe davvero capace di tanto?»
La Serpeverde stette in silenzio.
«Esatto, Meg» fece, con tono dolce. «Nessuno.»
In un attimo, Megara aveva capito che non era possibile che fosse stata solo Melicent a creare quella situazione. Ogni evento di quell’ultimo periodo andava a costituire un pezzo di un pericoloso puzzle, che stava portando Hogwarts alla rovina.
Quella era magia troppo avanzata, incomprensibile per un comune studente. E forse Mel si era alleata, facendo quegli incantesimi, con quel mago per distruggere la scuola... insieme, a quanto pareva, ad Hans.
La sola idea le faceva venire il voltastomaco.
«Sei un verme» sputò, velenosa. «E quando Merman saprà di tutto questo, verrai espulso. È solo questione di tempo.»
Il ragazzo sollevò le sopracciglia. «Non credo proprio» disse poi, noncurante. «Piuttosto» aggiunse, «dovresti pensare al tuo, di tempo.»
Quelle parole, messe insieme in quel modo, le diedero la sensazione di essere trapassata dal terrore.
«Buona giornata, Meg
Disse il suo nome in modo talmente ironico, prima di allontanarsi, da farla restare dov’era per qualche secondo, immobile.

 

 
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Ciao a tutti!
Vi scrivo due giorni dopo il mio compleanno, tutta contenta perché – sebbene io abbia un esame imminente – sono comunque riuscita a revisionare e pubblicare il capitolo 😊
Vi ringrazio tantissimo, inoltre, per le ultime recensioni lasciate, le parole che avete speso per me e per questa storia con cui ho tanto combattuto, per dare comunque un senso a quello che scrivevo e creare una trama tutto sommato avvincente. GRAZIE MILLE, soprattutto perché ho visto che molti di voi hanno individuato un “personaggio preferito”, e sono curiosa di leggere le vostre osservazioni su di lui/lei nel corso della storia.
Questo capitolo, comunque, è abbastanza cruciale, il professor Geenie fa un intervento illuminante in classe che scatena una discussione tra Febo e la sua amica Esmeralda, e Megara ha una conversazione molto sospetta con Hans. Che ne pensate?
Alla prossima,
Stella cadente



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«Wow, Trouillefou» disse infatti, «sei una tigre.»
La ragazza accennò ad un sorriso. Sembrava dirgli che apprezzava il suo continuo tenerla spensierata, ridendo anche in quelli che sembravano i momenti più bui. 

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Capitolo 29
*** Capitolo 29. ***


29.
 
 
Megara si sentì ribollire di rabbia, mentre camminava nel bosco a passo deciso, facendo un gran baccano con le foglie cadute, marroni e maleodoranti.
In putrefazione.
Come probabilmente sarò io da qui a poco.
Mentre questo pensiero le attraversava la mente, represse un brivido, stringendosi in un gesto involontario nel suo mantello con lo stemma di Serpeverde ricamato sopra. Che cosa voleva dire Hans? Era mai possibile che avesse deciso di stare dalla parte del nemico?
In preda alla rabbia, si voltò e urlò a pieni polmoni, nel silenzio della foresta: «Westergard!»
L’eco le rimbombò a lungo nelle orecchie, seguito dal cupo ululare del vento e dall’ondeggiare secco di rami senza foglie, spogli e rinsecchiti come dita magre.
Attese, qualche secondo, ma in cambio ricevette solo il silenzio. Un sordo, frustrante silenzio che le fece venire la pelle d’oca e le provocò una fitta di terrore che le incendiò il cervello.
Fu allora che si concesse, per la prima volta in tutti quei mesi, di essere vulnerabile; si lasciò cadere sulla terra, accasciandosi piano e tuffando la testa in mezzo alle braccia, in posizione ostinatamente raccolta, come se fosse un bozzolo destinato a non diventare mai farfalla. Pianse ancora di più quando vide che della brina scura si sollevava dal suo corpo, quando sentì il dolore pulsante di quelle venature che aveva sulle braccia; si tirò su le maniche velocemente, sperando che il gelo di quel pomeriggio scacciasse il dolore... ma restava lì, a marchiarle il corpo. La brina ora spuntava formando come degli aculei, mentre lei sentiva la pelle bruciare.
 
 
 
«Per favore, Adam, non farlo» supplicò, mentre il ragazzo la guardava divertito, perfido, compiaciuto con i suoi occhi color miele.
«Oh sì che lo farò. Hai dimenticato a cosa mi servi?»
«No» mi servi perché sei dolce e perché mi capisci, mi servi perché sei tu, mi servi perché...
Le mille frasi che le aveva detto, una più distorta, insensata, malsana dell’altra, le rimbombarono in testa ripetutamente, sembrando ogni volta sempre più brutali e sempre più... giuste.
Lei si meritava tutto quello. D’altronde, lo aveva scelto. Aveva scelto lei di vivere così, aveva scelto lei di fidarsi di lui sebbene non avesse una buona fama – sebbene tutti lo temessero, con quel viso affilato e i denti da squalo. Ma a lei, il suo sorriso simile ad una tagliola, piaceva; il modo in cui le faceva del male le piaceva; il modo in cui lui sembrava compiaciuto, quando soffriva e le restavano le cicatrici, le piaceva. Non per piacere masochistico... sapeva che lui era così, e che non poteva essere altrimenti. Adam aveva un grande carisma, e a lei questo era bastato per trovarlo sinceramente intrigante.
Fino a quando la cosa non le era sfuggita di mano, e adesso si ritrovava così, vittima innamorata di un probabile futuro Mago Oscuro.
Non le importava.
 
 
Il dolore era familiare; era lo stesso delle fatture che le lanciava, troppo preso dalla sete di quel sadico piacere per comprendere che non era così che doveva funzionare una relazione. Troppo preso dai suoi esperimenti, inebriato dal fatto che lei avesse scelto spontaneamente di essere la sua cavia.
Si odiava così tanto per non essere riuscita a scrollarselo di dosso, per non essere mai riuscita a dimenticarlo nonostante le avesse sempre e solo fatto del male. C’erano state altre persone, dopo, c’era stato Ercole – l’unico che sapeva di Adam – e c’erano stati amici che poi erano spariti, perché lei ormai non era più in grado di relazionarsi con nessuno.
Lui aveva lasciato una traccia troppo forte dentro di lei. E lei ormai era cambiata, per sempre.
Ingenuamente, da perfetta, stupida innamorata qual era, si ritrovò a pensare a lui.
 
«Piuttosto, dovresti pensare al tuo, di tempo.»
 
Se quello di Hans era un avvertimento – se Hans voleva ucciderla – non le importava. Non diede peso a quella consapevolezza in sé... riusciva solo a pensare ad Adam.
«Meg! Che ti è successo?»
Una voce familiare – quella voce, quella che l’aveva sempre sollevata, quella che era come un abbraccio caldo e rassicurante ogni santissima volta – la riscosse.
Lo riconobbe all’istante, quando lo sentì avvicinarsi con i suoi passi pesanti, e sollevò di scatto la testa. Lui era lì, guardandola apprensivo, i capelli fulvi scompigliati e le sopracciglia chiare aggrottate.
«Ercole» riuscì a sussurrare. «Che ci fai qui?»
Il suo amico si era già fiondato su di lei, stringendola nelle sue possenti braccia. La ragazza si sentì subito come se fosse guarita da tutto il male che quelle ferite e quei pensieri avevano risvegliato, rilassandosi immediatamente. Il dolore si era placato.
Per un po’.
«Tu che cosa ci fai qui. Che hai? Sei ferita?» chiese lui.
«Ti ho ferito io, in realtà. Sono stata orribile. Sempre.»
Il Grifondoro rimase zitto per qualche istante. «Per la storia del bacio?» fece, con la sua voce morbida. «Lascia perdere. Anzi, scusami tu. Io...» la voce gli si incrinò appena. Si ammutolì di botto, e Meg sorrise, intenerita; Ercole era sensibile, anche se non voleva farlo vedere. «Ecco, non avrei dovuto rifiutarmi di parlarti per tutto questo tempo. Sono stato un vero idiota.»
Come sempre si colpevolizzava solo per farla sentire più leggera, per non dirle che aveva ragione, per non ammettere che era lei la peggiore.
«Mi dispiace solo di non essere la ragazza che vorresti avere come amica – o qualunque altra cosa. Mi dispiace. Mi dispiace» ripeté la Serpeverde, appoggiando la testa sulla sua spalla e stringendolo forte.
«Non ti scusare. Vieni, torniamo a scuola. Non è sicuro stare qui» e la prese per mano, conducendola dolcemente, come aveva fatto quando gli aveva raccontato di Adam e si era irrigidita, diventando all’improvviso la fragile ragazza che era davvero.
Poi tacque, e Meg si sentì morire.
«Meg...» sollevò il suo braccio pallido e magro, fissandolo in un primo momento, per poi posare gli occhi azzurri su di lei. «Che cosa sono questi?» chiese, poi, preoccupato, guardando le macchie sulla sua pelle.
Tacque, mantenendo gli occhi viola in quelli dell’amico e sentendo già il cuore spaccarsi in due per quello che aveva da rivelargli.
Avrebbe voluto solo scherzare con lui, andare nella Stanza delle Necessità per fare due chiacchiere come facevano sempre, fare finta per un momento che Hogwarts non fosse sull’orlo di una catastrofe – perché sapeva che solo con Ercole avrebbe potuto.
Non voglio dirtelo.
Non voglio rovinare tutto.
Sospirò; lo aveva già ferito abbastanza.
Doveva sapere.
 
 
 
*
 
 
Kristoff uscì dal suo dormitorio prima del necessario, la mattina dopo; il freddo umido dei corridoi di Hogwarts gli si insinuò nelle ossa, mentre saliva le scale che portavano alla Sala Comune di Grifondoro, e il ragazzo si strinse di più nel maglione blu che indossava sopra la divisa.
Sentiva che nell’aria era cambiato qualcosa; probabilmente tutta la scuola aveva compreso la gravità della situazione.
Sperava solo che anche i Serpeverde fossero collaborativi; non erano molto famosi per essere dei buoni giocatori di squadra, in effetti.
Si distolse dai suoi pensieri quando sentì dei passi ticchettare sui gradini, veloci e rumorosi, al contrario dei suoi. Aveva la sensazione di sapere di chi fossero, ma alzò gli occhi solo quando sentì pronunciare il suo nome da Anna, che gli stava venendo incontro ancora in pigiama.
«Ciao» ricambiò lui. «Stavo venendo a parlarti per rivolgermi anche ai tuoi compagni. Tu stai bene?»
«Devo dirti una cosa» fece l’amica senza rispondere alla domanda, trascinandolo accanto a lei su un gradino. Il Tassorosso cominciò a preoccuparsi; che cosa era successo per spingere Anna a parlargli con così tanta urgenza?
Restò in silenzio, in attesa che proseguisse. La ragazza serrò le labbra, poi rivelò: «è stata Elsa ad uccidere Eris.»
Gli occhi nocciola di Kristoff si spalancarono. «Cosa?» mormorò. «E perché Merman non lo ha detto? Non è certo una cosa di poca importanza» obiettò, guardandola.
«Lo so» disse la Grifondoro. «Ma evidentemente c’è un motivo per cui non lo ha fatto. Ho pensato che tu dovessi saperlo.» Gli occhi le si gonfiarono d’un tratto di lacrime e il ragazzo capì quanto la situazione gravasse sulle spalle di Anna.
In quel momento, gli sembrò così indifesa, nonostante avesse una schiera di amici pronti ad aiutarla, che non poté fare a meno di circondarla con un braccio, permettendole di poggiare la testa sulla sua spalla e sentire il calore del suo corpo e del suo affetto.
«Con Hans come va?» le chiese, giusto per distrarla un pochino.
Anna si mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «È sempre più distante. Non mi parla neanche più, a dire il vero. Io non... non ce la faccio a portare avanti una relazione in cui devo elemosinare affetto. Eppure ne ho così bisogno
Pausa.
«Forse non era vero amore» concluse, con tono incolore.
Kristoff si trovò ad essere in empatia con lei. Era impossibile restare indifferenti al dolore di Anna, così intensa e trasparente da non sembrare nemmeno reale certe volte. Per un momento, il ragazzo provò un’enorme rabbia nei confronti di Westergård, perché ignorava quanto fosse perfetta nel suo essere maldestra e chiacchierona.
«Forse no» si limitò a dirle. «Tu... beh, hai bisogno di una persona che sappia quanto sei unica e speciale a modo tuo» fece, spontaneamente.
Gli occhi della Grifondoro si allargarono in un’espressione sinceramente sorpresa, eppure al tempo stesso così consapevole in uno strano modo. Quel mix di emozioni fece zittire Kristoff di colpo.
Aspetta, che cosa ho appena detto?
Non era mai stato tipo da complimenti, e adesso gliene aveva appena fatto uno. Aveva appena detto ad alta voce quello che realmente pensava di lei.
Il silenzio che li avvolgeva diventò d’un tratto più pesante. C’erano solo loro, a guardarsi con occhi diversi, come se qualcosa di nascosto da sempre stesse tornando in superficie tutto insieme.
«Lo pensi davvero?» la voce della ragazza interruppe quello strano attimo – quell’attimo in cui tutto pareva essersi fermato in quella grigia alba di gennaio, in cui si poteva sentire il freddo che pungeva la pelle e l’odore della pietra che raggiungeva le narici.
Il Tassorosso abbassò lo sguardo, sentendo le guance bruciare violentemente.
«Io, sì, beh... sì. Lo penso davvero. Vorrei il meglio per te e... andiamo» sdrammatizzò, per togliersi dall’imbarazzo. «Quel tizio è un idiota.»
Sul volto da bambina di Anna si disegnò un sorriso dolce; il ragazzo la guardò come se la vedesse per la prima volta e la trovò adorabile, bella. Bella e pura come il cielo d’estate, caldo e soleggiato. Bella come l’arcobaleno dopo la pioggia.
Bella e basta. Era attratto da lei come non gli era mai successo prima. «Insomma, è solo che...» tentennò timidamente.
La Grifondoro sorrise. «Non è necessario che tu dica nulla» sussurrò solo.
Gli si avvicinò lentamente e gli posò un lieve bacio sulle labbra; quel gesto mandò Kristoff fuori di testa, e d’istinto la circondò, racchiudendo il corpo minuto della ragazza in un abbraccio. Anna reagì stringendosi di più a lui, e in quel momento il Tassorosso dimenticò completamente la situazione che la scuola si trovava ad affrontare. Improvvisamente Pitch Black, l’omicidio di Eris, Elsa, i dubbi su che gioco avrebbero fatto i Serpeverde, non ebbero più importanza. In quell’attimo in cui tutto era svanito, riusciva a pensare solo ad Anna e alla sua bocca morbida che si muoveva piano sulla sua.
Non sapeva con quale fine Hans si fosse messo con lei, visto che non le dava la considerazione che meritava. Se lo chiese in un lampo di lucidità, mentre le accarezzava dolcemente una spalla.
La ragazza si staccò da lui e lo guardò come se non sapesse neanche cosa fosse successo. Nei suoi occhi azzurri c’era sorpresa, c’erano tutte le emozioni che aveva provato in quell’ ultimo periodo che si attorcigliavano l’una sull’altra.
«Wow» riuscì solo a dire, e Kristoff non poté fare a meno di ridacchiare.
«Di’ ai tuoi compagni di Casa di trovarci in cortile dopo le lezioni. Dovremmo organizzarci per trovare un modo di combattere, come ha detto Merman» fece lui, per salvarsi dall’imbarazzo. «Una nostra compagna cercherà altri appoggi tra i Corvonero. Tu stai bene?» le chiese, come per rassicurarla.
«Ehm...» tentennò lei. «Sì, credo di sì. Cioè, sì. Sto benissimo.»
Aveva corso con le parole come al solito, e sul volto del ragazzo comparve un sorriso appena accennato.
«Sarà meglio andare allora. Tra un’ora abbiamo lezione.»
Anna, a quelle parole, sembrò riscuotersi. «Oh, sì, giusto! Le lezioni. Allora vado, insomma so già che arriverò in ritardo come sempre, ma non voglio entrare mentre sono tutti seduti e...» si zittì di colpo, poi lo guardò negli occhi, sospirò e disse. «Cioè, devo andare. Allora...» fece, balbettando un pochino. «A dopo.»
«A dopo» ricambiò lui.
Quando la vide correre verso la torre di Grifondoro e si avviò alla sua Sala Comune, Kristoff non poté fare a meno di sentirsi stranamente, stupidamente felice per quel bacio che sarebbe stato sempre imprigionato lì, tra le mura di pietra e le nuvole di quell’alba grigia di gennaio.
Non sapeva fino in fondo che cosa stava succedendo ad Hogwarts, e forse era meglio così.
 
 
*
 
 
Elsa si trovava nella Sezione Proibita della biblioteca, in quello stesso momento. Era mattina presto, non c’era nessuno in giro, ed aveva forzato la maniglia della porta in breve tempo semplicemente congelandola. Era stato facile, e anche se non era giusto, sapeva di non trovarsi nelle condizioni di pensare alle regole. Aveva bisogno di un libro che le dicesse qualcosa sul periodo in cui Pitch Black era stato Preside, come era arrivato ad avere la cattedra di Hogwarts, che incantesimo c’era dietro.
Perché doveva esserci un incantesimo di qualche tipo. Qualcosa che i professori preferivano tenere nascosto.
Qualcosa che adesso si sta ripercuotendo qui.
Chiuse per un attimo gli occhi e inspirò. Aveva il respiro ansante, e fino a quel momento il suo fiato aveva formato piccole nuvolette di condensa mentre passava velocemente da uno scaffale all’altro.
Pitch Black era Preside di Hogwarts, prima di Merman. Lo è diventato in concomitanza di... di determinati eventi, ecco.
Afferrò qualche giornale della sezione di storia più recente, sfogliando febbrilmente le pagine, le mani pallide che tremavano. Che senso aveva tutta quella paura? Quel malessere, il peso di aver ucciso una sua compagna senza nemmeno averlo voluto – che senso aveva, se non poteva avere le risposte che cercava?
Quella consapevolezza sembrava schiacciarla giorno dopo giorno. Che cosa vuoi da me?, avrebbe voluto urlare. Ma sapeva che non avrebbe ricevuto risposta; e in un certo senso, temeva di riceverla.
Si sentiva spaesata, sperduta. Ed era stanca di sentirsi così, stanca di galleggiare in quella marea di punti interrogativi.
Attendeva la prima sessione di Legilimanzia con Merman con ansia; le mani le si fecero d’un tratto gelide. Avrebbe voluto tanto arrabbiarsi e dirgli quello che pensava; avrebbe voluto così tanto che quel ghiaccio si scatenasse in tutta la sua potenza. E avrebbe voluto... avrebbe voluto...
Scosse la testa.
No.
Non è così, Elsa.
Non vuoi usare il tuo potere per...
 
Uccidere.
 
La parola le balenò in testa per poi essere scacciata subito. Elsa pianse; gli occhi traboccanti lacrime, una mano a coprire la bocca. Tutte quelle emozioni contrastanti si rigonfiavano dentro di lei come un’onda anomala, una risacca di paura e angoscia.
Si era precipitata in biblioteca per trovare qualcosa, qualunque cosa; ma cosa credeva? Di trovare qualcosa nel Reparto Proibito su Black? Era impossibile.
Se neanche il Preside di Hogwarts era intenzionato a parlarne, non c’era motivo che ci fosse del materiale in biblioteca.
Avrebbe dato qualunque cosa per avere tra le mani un articolo di giornale che parlasse di lui.
Si mise a cercare febbrilmente nell’archivio storico, le mani che tremavano, il viso ancora umido. Aveva voglia di mettere a soqquadro tutta la biblioteca; la rabbia sembrava divorarla.
Non c’è niente. Rassegnati.
Sfogliò gli articoli in fretta, con ansia, tenendoli a malapena tra le mani bianche. I titoli si mescolavano nella sua testa come dei ritornelli odiosi, mentre l’unico nome che avrebbe voluto vedere si ostinava a non comparire.
Appoggiò la fronte allo scaffale e lasciò andare singhiozzi di frustrazione.
Non c’è niente.
«Non piangere, mia cara» una voce melliflua interruppe le sue riflessioni. La Corvonero sobbalzò, emettendo un singhiozzo di sorpresa.
Vicino alla sezione di storia, improvvisamente, c’era un uomo alto e spigoloso che la guardava divertito, con un braccio posato distrattamente su uno scaffale vuoto.
Elsa si guardò intorno, presa dal panico. Anche se non lo aveva mai visto prima, un nome corse veloce alla sua mente.
Pitch Black.
«Anche se non fossimo soli non mi vedrebbe nessuno; è inutile che cerchi aiuto» fece il mago, riscuotendola. La guardò beffardo con i suoi occhi gialli: sembrava vagamente un gatto, possedeva un fascino elegante e minaccioso insieme. «Siamo solo tu ed io, adesso» ghignò. Con un gesto della mano, fece in modo che una cappa di fumo nero li avvolgesse. In un attimo, era vicino a lei; la ragazza poteva quasi sentire il suo respiro addosso.
I suoi occhi felini erano come fuoco sul suo corpo. Si sentiva in dovere di guardarli, anche se non capiva perché.
«Che cosa vuoi da me?» riuscì ad articolare, stringendo istintivamente il giornale che aveva tra le mani.
«Hai dei poteri straordinari, Elsa» disse solo l’altro, senza risponderle. «C’è così tanto potenziale in te...» la guardò quasi con affetto, con ammirazione. «Se tu fossi appartenuta alla sua stessa Casa, probabilmente avresti saputo già da sola come sfruttarli. Invece hai preferito reprimerli, completamente dominata dalla paura di poter fare del male a qualcuno...» Erano così amorevoli quegli occhi. Come se la stesse accarezzando, come se stessero guardando una bambina che non sa ancora niente del mondo. Come se lui la trovasse tenera, indifesa.
«Serpeverde è una Casa davvero nobile» continuò. «Ma tu questo lo sai. Giusto, Elsa?»
Si sentiva paralizzata. Quegli occhi la inchiodavano.
«Ricordati solo una cosa» le sussurrò. «Tu sei mia. Presto te ne renderai conto. E non farò l’errore di sbagliare anche stavolta.»
Per cosa?, voleva chiedere disperatamente la ragazza.
Ma poi il buio la avvolse.
 
Quando il Cappello Parlante le fu posato sulla piccola testa bionda, Elsa ebbe un sussulto.
«Oh!» sentì la voce del Cappello nella sua mente molto nitida. Sembrava sorpresa. «Ma che gran bella testa abbiamo qui!» esordì, entusiasta. La ragazzina sorrise timida, felice della constatazione che aveva appena sentito. «Vedo molta riflessività in te, Elsa Arendelle. Di certo non ti troveresti bene tra i Grifondoro; coraggiosi e puri di cuore, certo, ma troppo impulsivi. Una caratteristica che non ti appartiene.»
Elsa respirò, in attesa che proseguisse.
«Ti porti dietro, già da adesso, un dolore molto profondo. Ti senti diversa, emarginata, per via di un dono che vedo molto chiaramente. Giusto?»
Lei annuì.
«Sei abituata a reprimere le emozioni, sei educata ed elegante. Vedo anche grande intelligenza. Potresti fare grandi cose, Elsa. Hai un carisma enorme, sebbene tu non te ne accorga.»
D’un tratto, si sentiva un fascio di nervi.
«Secondo il mio giudizio, finiresti sicuramente tra i Serpeverde, Casa di prestigio e nobiltà estrema. È la Casa di quelli come te, che impediscono alle emozioni di intralciarli – almeno apparentemente – ma che hanno un grande fuoco dentro. Eppure... per la tua tutela dovrò metterti tra i Corvonero, augurandomi che questo serva.»
Per la tua tutela... che cosa voleva dire?
«Lo capirai tra qualche anno» le disse il Cappello. «Le mie decisioni sono irrevocabili per qualunque mago o strega vivente. Perciò, come ho detto, sperando che ciò sia utile a tenerti al sicuro... Corvonero!»
Elsa scese dallo scranno e si recò al tavolo dei suoi nuovi compagni che l’applaudivano, sapendo già che quelle parole l’avrebbero tormentata per tutta la sera.
 
Quando la visione svanì, Pitch Black non c’era più e lei si trovava sulla soglia dell’ingresso di Hogwarts.
Ai suoi piedi, i corpi di Megara Greek ed Ercole Thunder giacevano esanimi, freddi e immobili.




 
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Ciao a tutti, e bentornati ad Hogwarts!
Allora, io questo capitolo lo definirei molto oscuro e deprimente, anche; nessuno dei protagonisti del capitolo se la passa bene, e fatta eccezione per la scena di Kristoff e Anna – con la quale ho voluto aprire una parentesi romantica che alleggerisse un po’ il tutto – i contenuti sono impegnativi e cupi. Elsa è in preda al panico, le appare Pitch Black e... non si rende conto di quello che fa; Meg, invece, si trova a fare i conti con il suo passato e si trova alle strette con Ercole. In partcolare vorrei spendere due parole in più su di lei, anche perché tra questo capitolo e il prossimo capiremo più cose su questo personaggio. Meg mi ha colpita molto, è una ragazza che ha sofferto e che pian piano mi è entrata sempre più nel cuore prendendosene un pezzetto. Non sembra ma è vulnerabile, emotiva, e volevo che si capisse sia descrivendo il suo malsano e tormentato passato con Adam, sia descrivendo la scena con Ercole. Mi commuove vedere come ha cercato di dare forza a tutti finora, il modo in cui si è sempre mostrata ironica e dura, quando invece era la prima a crollare dentro tutti i giorni.
Insomma, spero vi sia piaciuto, ecco.
Alla prossima!
Stella cadente




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Lo riconobbe all’istante, quando lo sentì avvicinarsi con i suoi passi pesanti, e sollevò di scatto la testa. Lui era lì, guardandola apprensivo, i capelli fulvi scompigliati e le sopracciglia chiare aggrottate.
 

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Capitolo 30
*** Capitolo 30. ***


30.
 
 
2046
 
«Ciao.» Riconobbe subito quella voce e si voltò di scatto. Dietro di lei, un curioso ragazzo con il viso affilato e degli strani capelli blu, la stava guardando. Lo aveva riconosciuto: era Adam Hades, un ragazzo della sua stessa Casa di un anno più grande.
Lo incrociava sempre per i corridoi, e ogni volta si fermava a guardarlo: sospettava che lui se ne fosse accorto, ma inizialmente non ci aveva dato troppo peso.
Fino ad ora, pensò.
Lo guardò intimidita, sentendosi una completa idiota, senza avere la più pallida idea di che cosa dire. «Ehm... ciao» rispose, accennando un lieve sorriso, sperando che risultasse convincente. Anche lui sorrise, mostrando dei denti piccoli e appuntiti che gli conferirono un particolare aspetto, delicato e letale allo stesso tempo.
«Sono Adam, Adam Hades» si presentò, sorridendo smagliante. Lo so chi sei, avrebbe voluto rispondere, ma sarebbe stato patetico farlo. «Tu non sei del mio stesso anno, o sì? Ti ho vista, qualche volta, in Sala Comune, ma non ti ho mai trovata a lezione.»
«Io... no, io sono del sesto anno» rispose, terrorizzata all’idea di balbettare, o comunque di sembrare vulnerabile. Era il suo chiodo fisso da quando era nata, più o meno. Si trattenne dal sollevare gli occhi al cielo: sapeva già che Eris l’avrebbe presa in giro a vita, quando le avrebbe raccontato di quell’incontro. «Dimmi: tu che cosa vuoi fare dopo i M.A.G.O?» gli chiese poi, cercando di rompere il ghiaccio.
«Ancora non lo so» rispose lui, passandosi una mano in quegli stranissimi capelli, lisci, fluenti e azzurrini. «Figo, eh?» rise, sarcastico.
«Già. Dev’essere entusiasmante trovarsi a pochi mesi dagli esami e non sapere cosa fare dopo» gli resse il gioco lei, ora un po’ più tranquilla. «Sono Megara, comunque. Anche se gli amici mi chiamano Meg» aggiunse poi, sorridendo cordiale.
«Hai un nome fantastico» si complimentò Adam. «E, dimmi: tu che cosa vuoi fare, dopo la scuola?» le chiese, sollevando leggermente le sopracciglia.
Sul volto a cuore della Serpeverde si dipinse un sorrisetto. Aveva capito. «Ancora non lo so» rispose quindi, sincera.
«Wow, fantastico» la punzecchiò lui.
«Già, ma si dà il caso che io possa permettermelo più di te, tesoro» lo apostrofò, ora perfettamente a suo agio.
Adam rise, divertito e spontaneo. «Mi piaci, Meg» disse poi. «Sei forte. Ti andrebbe di vederci più spesso, al di là degli incontri casuali in Sala Comune?» le domandò, a bruciapelo.
 
 
 
*
 
Erano passati mesi. Mesi da quando avevano avuto il loro primo appuntamento, da quando aveva detto a tutti i suoi amici che usciva con lui, sorbendosi ogni volta le battute provocatorie di Eris. Mesi da quando aveva cominciato a capire che tipo di persona fosse Adam. Era complesso, irascibile, sarcastico ma permaloso, emotivo ma scaltro, chiacchierone ma non frivolo; conosceva a memoria le sfaccettature della sua personalità, ma lui riusciva comunque a non essere mai prevedibile. Forse era proprio questo insieme di caratteristiche che le piaceva, anche se non sapeva dire perché.
Cercava di ripeterselo, cercava di ripetersi che lo amava, anche mentre lui chiudeva con un colpo di bacchetta la Stanza delle Necessità. Erano solo loro due, ora. E lei cominciava ad avere paura per com’era mortalmente serio.
«Sai, Meg... ti ho convocata a quest’ora della notte perché so che sei una ragazza molto intelligente, e so che capirai per quale motivo ti ho portata qui.»
Silenzio.
«Continua, Adam» rispose, freddamente.
«Vorrei fare un esperimento con un incantesimo che ho letto l’altro giorno, su un libro di Arte Oscura. Vorrei provarlo su di te.»
«Cosa?» sbottò lei. «Non se ne parla. Sei serio?»
Adam la fulminò con lo sguardo. «Sì.»
«Mi dispiace, ma non posso. Ho paura» rivelò, sincera.
«Meg, piccola Meg» si avvicinò e le accarezzò la guancia piano, con una lentezza estenuante, che non fece altro che farla irrigidire ancora di più. «Mi hai preso per stupido? Ho letto tutti gli effetti e ti assicuro che non ti farà del male – non del male serio, perlomeno. Mi ritieni talmente idiota da mettere a rischio la tua vita per una cosa del genere?» alzò la voce, e la ragazza notò con un brivido che i suoi occhi erano diventati improvvisamente gialli.
Restò immobile, impressionata: che cosa aveva fatto il suo ragazzo?
«Adam, cosa...» iniziò. «Gli occhi...»
«Non chiedermelo, okay?» urlò lui. «Non. Chiedermelo.»
Silenzio.
«Allora: sei disposta a fare questa cosa per me?»
La Serpeverde prese un bel sospiro: non poteva fare la figura della debole. Aveva già dimostrato ampiamente di essere la ragazza ideale per Adam, aveva già visto come stavano bene insieme, come riuscivano ad avere una sintonia che era tutta particolare, che era solo loro, in cui nessuno avrebbe mai potuto entrare – che nessuno avrebbe mai potuto provare.
Lo decise nella frazione di un secondo: sarebbe stato il loro segreto.
«D’accordo» disse poi. «Ma solo per stavolta. E sarai tu stesso a farmi un incantesimo per guarire le ferite.»
«Come desideri» le rispose lui. «Solo per stavolta.»
Meg non sapeva che lui mentiva, e che l’avrebbe sempre nutrita di bugie e di amore simulato ed evanescente.
 
 
Lacrime, urla, sangue...
La sua pelle che si apriva, che si sgretolava sotto la potenza di quegli incantesimi. E lui che la curava, ogni volta.
 
«Sectumsempra!»
E il suo corpo esile ricoperto di tagli grondanti sangue, mentre gli occhi gialli sfavillavano su di lei.
Un attimo prima che morisse – solo un attimo prima, facendola agonizzare all’estremo – Adam aveva fatto rimarginare tutto.
Lui la curava sempre. La feriva e poi la ricomponeva, come una bambola nelle mani di un bambino bipolare.
Strappata con rabbia e poi ricomposta con amore.
 
 
*
 
 
Le bruciature facevano un male insopportabile.
«Tranquilla, Meg: andrà tutto bene.» E l’abbraccio di Ercole che la riscaldava, che la cullava, che la faceva sentire protetta – quello che con Adam non aveva mai avvertito.
Adesso lui era lontano; era stato espulso dalla scuola. Lei aveva supplicato il Preside Merman di non dire a nessuno chi fosse la persona che adesso si portava addosso cicatrici accavallate le une sulle altre, chi fosse la vittima di un mostro nascosto dietro alla facciata da studente modello.
«Perché, Ercole? Perché ho rovinato tutto? Perché sono stata così... così...»
Stupida.
Perché glielo hai lasciato fare, Meg? Perché hai lasciato che lo scoprissero?
Lui era lontano, e anche questo faceva un male insopportabile.
 
 
 
 
 
2048
«Quello che ti dirò adesso non ti piacerà. Siediti» le disse il Preside, accogliendola nel suo ufficio quella mattina di gennaio. Megara obbedì, sprofondando nella poltrona di velluto turchese posta di fronte allo scrittoio di Merman.
«È stato trovato un libro nel corridoio stamattina presto, da Olaf, il custode. Su di lui la sua magia non ha effetto visto che è un Magonò, ma...» il Preside tirò fuori la sua bacchetta e la puntò verso un libro aperto appoggiato dietro di lui, a cui Meg in un primo momento non aveva fatto caso. «Ma su di noi sì. Quindi non toccarlo, e fa’ attenzione.»
La ragazza si avvicinò al libro, e sentì le sue cicatrici bruciare tutte insieme. Sembrava che il suo stesso corpo avvertisse l’oscurità che emanava, come se tutta la magia nera del mondo fosse racchiusa al suo interno.
 
Sectumsempra!
 
Percepì appena la sua faccia accartocciata in un’espressione sofferente, quando puntò i suoi occhi viola in quelli del professore. «Tu hai visto l’oscurità in faccia, Megara» le mormorò il Preside. «E riesci a capire che cosa possa fare questo ad un mago o una strega della tua età.»
Era come se un animale le scavasse nello stomaco, arrivando alle interiora e lasciandola senza più niente dentro. Quel libro sibilava; ascoltando meglio, capì che era serpentese.
Quando ascoltò le parole che diceva, si raggelò.
 
“Tornerò. E lei morirà per permettermelo.”
 
«Signore» si alzò dalla sedia indietreggiando, e il libro smise di sussurrare le sue minacce. «Il libro... stava parlando.»
Il vecchio mago aggrottò le folte sopracciglia grigie.
«Io...» indugiò. «Capivo quello che stava dicendo. Diceva che tornerà, e che una ragazza morirà per permetterglielo.»
 
*
 
 
«Sono stata nei dormitori, e ... mi sono avvicinata a degli oggetti. Oggetti oscuri... che misteriosamente non hanno effetto su chi li possiede, ma su di me sì.» Si sollevò una manica del maglione scoprendo di nuovo i suoi segni gelidi, ed Ercole socchiuse la bocca dalla sorpresa, sollevando le sopracciglia.
Si trovavano nel sotterraneo, vicino alla porta della sua Sala Comune; lui l’aveva tenuta abbracciata per tutto il tragitto, come avrebbe fatto con una fidanzata, circondandola con le sue braccia calde e muscolose. Lei si era beata di quel contatto, trovandoci il solito porto sicuro che la riportava alla luce ogni volta che i pensieri bui si impossessavano della sua mente.
Ma adesso doveva pensare a cosa sarebbe successo, e a come dirglielo. Gli avrebbe spezzato il cuore, ne era sicura.
Decise di farlo come aveva sempre fatto: decisa, fredda, senza emozioni. Lo era sempre stata, soprattutto dopo di...
«È probabile che io sia stata colpita da una maledizione potente» disse di fretta con voce atona, come per mettere a tacere i pensieri che si stavano affacciando. «Non so quanto mi resti ancora, ma so che il libro che ho trovato appartiene a Pitch e che ha bisogno di un sacrificio, affinché torni ufficialmente. Ha parlato di una ragazza, e io...»
Il Grifondoro scosse la testa ed esplose subito in un «Non può essere» detto forse a voce troppo alta. «Insomma, deve esserci un altro modo» disse, con quella che sembrava disperazione.
«Non c’è mai un altro modo quando si tratta di maledizioni, Ercole!» ingiunse Megara, alzando nuovamente la voce. «Guarda» si tolse il maglione in un gesto rabbioso, restando solo con la canottiera che aveva sotto e rendendo ben visibili le cicatrici sulle spalle pallide. «Le vedi queste? Sono le tracce della Magia Oscura che conosco molto bene, perché l’anno scorso come sai Adam Hades è stato espulso. Ed è stato espulso perché mi faceva questo!» ringhiò, indicandosi il corpo martoriato. «O l’hai dimenticato, mh?»
Adesso il suo amico sembrava solo avvilito e frustrato. Le sue parole evidentemente erano state così brusche che sospirò debolmente, come se non avesse più forze. Ma a Meg non importava; non era lì per raccontare favole. «Per questo motivo sono qui a parlare con te. Adesso che sai che la situazione è più grave di quello che tutti avevamo immaginato, devi sapere chi possiede gli oggetti di cui ti parlavo. Sei il mio migliore amico...» la voce le si incrinò, ma proseguì. «Vorrei che tu sapessi, così potrai combattere per la scuola con gli altri.»
«Perché parli così?» chiese lui, preoccupato.
«Si tratta di un libro e un pezzo di ghiaccio incantato. Non so che connessione abbia con il suo proprietario, ma in ogni caso è quello che mi ha trasmesso la maledizione» continuò Meg, senza rispondergli. «Chi possiede il libro è Melicent Somber.»
«E il pezzo di ghiaccio?»
La ragazza sospirò, poi disse: «Hans Westergård, il fidanzato di Anna. Che a quanto pare, adesso ha anche i poteri di Elsa.»
 
*
 
«Ercole? Che diavolo fai?» sbottò, quando quella mattina presto si era recata verso la biblioteca. L’oscurità la stava chiamando... lo sentiva. Era la maledizione che la stava richiamando a sé; mai aveva sentito incantesimo più forte e più vincolante, prima di allora.
E lei sapeva molto bene cosa fosse la magia nera, ma non aveva mai visto niente che fosse anche solo lontanamente simile a quella cosa – qualunque cosa fosse.
«Potrei farti la stessa domanda» ribatté il ragazzo, con la cocciutaggine che da sempre lo aveva caratterizzato. I capelli biondicci erano tutti sparsi sulla testa: si vedeva chiaramente che si era appena svegliato. E che era uscito dal dormitorio di nascosto.
«Non sono affari tuoi» lo zittì Meg, sperando che non vedesse le lacrime che le si affacciavano ai lati degli occhi.
«Perché mi eviti ancora? Mi hai detto tutto: adesso dobbiamo combattere questa guerra insieme» la inchiodò lui.
«Avevo capito che non volevi più vedermi» sbottò la Serpeverde, ignorando la fitta di gelo che le risaliva lungo il braccio.
«Smettila!» urlò il ragazzo, facendola sobbalzare. «Questo te l’ho detto tempo fa! Adesso che mi hai detto quello che è successo non puoi fare comunque finta che non siamo più amici.»
«Lo faccio per il tuo bene, okay? Non voglio coinvolgerti in questa storia più del dovuto. Ercole, tu sei praticamente l’unica persona a cui tengo davvero» la voce le si smorzò in gola, ma era troppo tardi. E poi non aveva niente da perdere, ormai. «L’unico che mi abbia mai sopportata e supportata in tutto questo tempo. Sei... sei il ragazzo che vorrei, davvero.»
Quelle parole vennero fuori come una sferzata per poi restare nell’aria, dipingendo sul volto del suo migliore amico un’espressione sbigottita. «E vorrei tanto aver avuto la forza di staccarmi emozionalmente da Adam, o anche solo di dirtelo prima. Adesso sto per morire – sì, hai capito bene – per colpa di una maledizione che degli oggetti magici mi hanno procurato» quella frase, detta ad alta voce, ferì anche lei, ma si sforzò di continuare. «Ma adesso tu e gli altri dovrete combattere contro Pitch Black. È qui. E non avete la minima idea di che cosa vi stia venendo incontro. Temo di aver capito ancora poco della complessità di questo incantesimo, ma quel poco che ho visto non somiglia a nulla di risolvibile o anche solo arginabile.»
Pausa.
«Conosci bene la mia storia con Adam, quello che mi faceva e i segni che mi sono rimasti. Quindi, puoi credermi se ti dico che questo è veramente pericoloso, e che dovrete unirvi tutti, pensare ad un piano velocemente per sconfiggerlo, contattare le Forze dell’Ordine o altro. Io, forse, ho semplicemente capito troppo; per questo lui ha scelto di eliminarmi, adesso. Hans sapeva che mi sarei introdotta nel dormitorio maschile, ed ha sfruttato un oggetto magico datogli da Black per incastrarmi... esattamente come ha fatto Melicent con Eris. I colpevoli sono nella scuola e...» la voce le si incrinò. E sapeva perfettamente perché: la faccia di Ercole le aveva procurato un dolore lancinante. Gli occhi azzurri erano spalancati, la bocca sottile socchiusa; tutto in lui faceva pensare che non si sentisse neanche più parte della realtà. «No...» mormorò il Grifondoro, con un filo di voce. «Non è possibile.»
«Adesso lui mi aspetta, in biblioteca. Sta uccidendo diverse persone per via indiretta, e sento che questa sarà una pista da seguire. Tienilo a mente, per favore» disse, con tono tremante. «È importante che tu lo sappia per aiutare gli altri.»
Senza dire nulla, Ercole la afferrò per un braccio e la strinse fino a farle male.
«Tu non vai da nessuna parte» le disse, deciso e disperato. «Non puoi...» lasciò la frase in sospeso, mentre lacrime calde rigavano il suo volto bellissimo.
«Non posso farci niente. Mi dispiace tanto» disse semplicemente lei, piangendo a dirotto forse per la prima volta in vita sua. Si voltò verso l’ingresso della biblioteca e accolse la cappa di ghiaccio e tenebra chiudendo gli occhi. Tremò al pensiero di cosa avrebbe visto, ma si sforzò di pensare ad Anna, a Merida e a Quentin. E ad Ercole, che l’amava e che lei forse aveva sempre amato.
Il freddo la attanagliò come il morso di un enorme animale che le dilaniava la carne. Si strinse nelle braccia, ma persino a contatto con l’uniforme bruciarono, facendo sì che le ritirasse di scatto.
 
Meg...
 
«Forse dovresti tener conto del tuo, di tempo.»
 
Si vide scappare, si vide avere paura, come se stesse osservando la scena dall’alto. Un colpo al petto, il crollo di tutti i sogni e di tutte le speranze, il buio che insopportabile inglobava tutto e il gelo che continuava a morderla, a spaccarla, a divorarla.
Fluttuava come in una dimensione sconosciuta, in cui lei non esisteva; esisteva solo il suo corpo, che cercava di andarsene invano. Le gambe che, ormai scheletriche e intirizzite, fuggivano da due occhi blu che la inchiodavano, sussurrandole parole maledette.
Arrivò fino all’ingresso di Hogwarts, battendo sul portone per liberarsi di quella voce che le faceva venire voglia di urlare disperatamente.
 
Meg...
«Allora: sei disposta a fare questa cosa per me?»
 
 
Quando si voltò, crollò come una bambola di pezza, vittima del ghiaccio come il mostro che l’aveva uccisa.
Ercole le aveva fatto scudo con il suo corpo, e come previsto era crollato anche lui.
 
Quelle furono le immagini che il Preside di Hogwarts vide nel Pensatoio, quando estrasse l’ultimo istante di Megara Greek. Il corpo della ragazza giaceva sull’ingresso di Hogwarts, quando lui era stato avvertito; la brina nera che aveva già visto nel suo ufficio ormai le aveva mangiato le braccia e il volto, impossessandosi di ogni centimetro di pelle scoperta. La ragazza era rimasta intrappolata in un bozzolo di freddo e di oscurità; il ragazzo, invece, era stato trovato steso a terra vicino a lei, con del ghiaccio incrostato al livello del cuore.
Non era stato difficile arrivare alla conclusione che fossero stati colpiti da Elsa, esattamente come era successo anche ad Eris Goddess. Aveva cercato di scappare, impaurita, ma quell’incantesimo l’aveva arrestata in un colpo, congelandola per sempre... ed Ercole aveva provato a proteggerla, invano.
Un capannello di studenti si era riunito intorno ai corpi, mentre lui, insieme alla Fairy, li portava via, nascondendoli a più volti possibile.
Era stato inutile, comunque; aveva sentito le urla disperate di Merida Dunbroch ed Anna Arendelle unirsi a quelle della maggior parte degli studenti di Grifondoro. Le lacrime e le voci degli studenti che si era lasciato dietro adesso lo tormentavano, infestando tutta la scuola di paura e dolore.
Elsa Arendelle era rimasta immobile, come sempre.
Tutti cominciavano già a starle lontani.


 
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Ciao, carissimi lettori! Come state?
Mi dispiace di essermi assentata per qualche giorno in più, ma sono in mezzo ad un trasloco in corso e in più ho avuto un po’ di cose da sistemare con l’università. Non ho però lasciato perdere la storia, e nel frattempo ho anche riscritto il capitolo 😊
Gettiamo uno sguardo su Meg, molto più approfondito di quanto non sia mai successo: spero di avervi fatto sentire la drammaticità di questo personaggio, le sue ferite e la sua freddezza causata proprio da queste ultime, il suo legame con Ercole e la sua connessione con l’oscurità, nel corpo e nella mente. Perdonatemi se alcuni spezzoni vi sembreranno sconnessi, ho semplicemente pensato che – dato che queste sono immagini che Merman vede nel pensatoio – rendesse meglio l’idea.
E niente, come sempre spero vi sia piaciuto!
Alla prossima,
Stella cadente






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Lui la curava sempre. La feriva e poi la ricomponeva, come una bambola nelle mani di un bambino bipolare. 
Strappata con rabbia e poi ricomposta con amore.

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Capitolo 31
*** Capitolo 31. ***


31.
 
 
 
«Sappiamo tutti quanto Hogwarts sia diventata poco sicura, ultimamente. Questa» Merman fece una pausa, «ne è un’altra dimostrazione.»
Nella Sala Grande regnava il silenzio più totale. Molti studenti erano in preda allo shock, il terrore riempiva i loro occhi. Alcuni – quelli che il Preside riconosceva – avevano lo sguardo spento, vacuo. Anna Arendelle non riusciva a smettere di piangere; non si asciugava nemmeno le lacrime, le braccia erano inerti lungo il corpo e il volto di bambina era terreo, di un pallore malato che sapeva di perdita e paura.
«Perché non ci permette di andarcene? Questo posto è pericoloso!» esclamò la voce di un ragazzo di Serpeverde, dai capelli fulvi come il pelo di una volpe e gli occhi furbi. Una ragazza minuta con gli occhi viola, seduta accanto a lui, lo tirò leggermente per la manica della divisa come ad attirarne l’attenzione e frenarlo in quella sua protesta.
«Vorrei, signor Wilde, davvero» rispose cupo il Preside, «ma c’è un altro motivo se vi ho convocati qui. Ed è molto importante che voi lo sappiate, ma vorrei che foste abbastanza forti da sopportarlo.»
Qualcuno singhiozzò di terrore nel silenzio della Sala Grande. Merman cercò di non badarci: doveva preparare i suoi studenti. Erano solo ragazzi; avevano bisogno di una figura di riferimento che in qualche modo garantisse loro che sarebbe andato tutto bene.
«La scuola è stregata. Sono stati fatti degli incantesimi che tengono alcuni di voi incatenati qui. Tutti gli studenti del settimo anno sono legati al castello di Hogwarts. E Megara Greek ne è stata la prova, visto che» prese fiato, prima di riprendere, cercando di essere il più possibile delicato, «è rimasta uccisa nel tentativo di uscire da qui.»
Le parole del Preside sembrarono pesare nella Sala come una condanna. Il silenzio si fece ancora più denso, pregno di tutto l’orrore che Hogwarts era diventata. Merman sapeva che doveva esser fatto un ultimo tentativo. Sapeva a cosa mirava Pitch, e sapeva che non poteva permettere che lo ottenesse, se voleva che la scuola di magia avesse qualche possibilità. Con tanta fatica Minerva McGranitt l’aveva tirata di nuovo su dopo la Seconda Guerra Magica, e non intendeva rendere i suoi sforzi vani.
«Quindi lei ci sta condannando a morte» disse uno studente di Corvonero, con un filo di voce. «Vuole tenerci qui mentre quel mago oscuro continua il suo percorso. Ci ucciderà uno per uno!» esclamò poi.
«È proprio questo il punto» lo fermò Merman, levando una delle sue grandi mani a mezz’aria. «Black è un mago oscuro: se avvertirà energia positiva – se avvertirà la presenza di Magia Bianca, come la vostra – sarà come una resistenza al suo tentativo di conquistare la scuola.»
Fece una pausa per permettere agli studenti di metabolizzare quello che aveva appena detto.
«Black è un phobos» riprese poi, alzando leggermente il volume della voce. «Uno spirito della paura. I phoboi si nutrono del terrore altrui. È per questo motivo che dovrete mantenere i nervi saldi e restare il più possibile calmi. Dovrete essere forti, perché come ho già detto egli dovrà incontrare resistenza. Ed è fondamentale.»
«Signore.»
Avrebbe riconosciuto quella voce dolce tra mille. Adesso era flebile, ma in un certo senso anche decisa, determinata.
Anna Arendelle si era alzata dalla panca, svettando in mezzo agli studenti seduti come un pedone su una scacchiera vuota. Le trecce disordinate e scomposte, gli occhi rossi e spenti per il troppo piangere, le mani scosse da un impercettibile tremore involontario. «Che cosa vuole quel mago da noi?»
Gli sembrò di sentir cosa avrebbe voluto realmente chiedere semplicemente guardandola negli occhi.
Perché ha fatto in modo che mia sorella uccidesse Eris?
Perché ha ucciso Meg?
Capì che era necessario dirlo, arrivati a quel punto.
«Quello che vuole è essere Preside; e lo era, molto prima che arrivaste voi. Ero un insegnante di Pozioni allora» iniziò, rivolgendosi a tutti. «Ma la morte di una ragazza scosse la scuola, da lì a poco, e fu in quel momento che io compresi quale fosse il suo vero obiettivo: portare a termine un esperimento magico.»
Silenzio.
«Ha bisogno di quattro studenti. Lo schema è lo stesso che ha seguito anni fa. Sicuramente molti di voi sono osservati tramite diversi mezzi. Quando la ragazza è morta, anche gli altri sono rimasti uccisi, in una reazione a catena. Non so bene – e qui mi dispiace deludervi – che cosa riguardi questo esperimento, ma una cosa è certa: non dovrete mai perdere la calma, o lui vi attirerà a sé. Finché non viene alla luce quale sia il suo vero obiettivo, dovrete opporre resistenza in tutti i modi. Sono stato chiaro?»
Piano piano, uno ad uno, tutti gli studenti diedero dei cenni di assenso, anche se visibilmente atterriti.
«Da questo momento in poi le lezioni sono sospese e tutti gli esami verranno rimandati. Tutti gli studenti degli anni inferiori al settimo verranno mandati a casa. Voialtri migliorerete le vostre abilità con l’aiuto della professoressa Azure, nell’aula di Difesa contro le Arti Oscure. Potrete anche allenarvi fuori sessione nella Stanza delle Necessità. La cosa più importante» concluse, «è che siate pronti ad affrontare Black. Solo se restiamo uniti può esserci qualche possibilità di salvare Hogwarts.»
Silenzio.
«Purtroppo c’è ancora chi cerca di far prevalere la magia nera su quella bianca. Il nostro mondo è a rischio; i tempi di pace, purtroppo, non sono ancora concreti. C’è solo da prendere atto di questo, e comportarsi di conseguenza.»
Il discorso di Merman venne interrotto: la professoressa Azure si era alzata dal suo posto, alle spalle del Preside. Era una giovane donna bionda, esile come un giunco e dall’aspetto angelico, ma i suoi occhi celesti in quel momento avevano un’aria tutt’altro che serena. Si vociferava che avvertisse i poteri degli artefatti magici più importanti; difatti, sembrava che fosse deperita come se avesse passato anni in una cella di Azkaban. Probabilmente avvertiva le forze oscure che stavano tentando di emergere.
«Preside» irruppe, con la sua voce dolce e fine, «mi scusi se la interrompo, ma avverto che è il momento che qualcosa cambi. Si tratta del Cappello Parlante.»
Merman si voltò verso di lei, aggrottando le sopracciglia per poi guardarla con aria consapevole. Con la coda dell’occhio, vide che Anna Arendelle aveva allungato il collo, e all’improvviso tra gli studenti si scatenò un brusio fitto.
In mezzo a loro, anche Merida serrò le labbra sottili, tesa come una corda di violino; aveva uno strano presentimento.  «Che cosa significa?» chiese ad Esmeralda, che giocherellava nervosamente con la sua cravatta rossa e oro seduta accanto a lei.
«Non lo so» disse solo la sua compagna di Casa, gli occhi verdi ricolmi di preoccupazione. Alla sua destra, la ragazza riccia notò che Jehan teneva gli occhi fissi sulla professoressa; le lanciava solo uno sguardo apprensivo di tanto in tanto. Nessuno sembrava intenzionato a domandare né a capire alcunché, perciò tese le orecchie e cercò di comprendere quello che gli insegnanti si dicevano. Afferrò solo una frase sbocconcellata: “il momento è giunto”.
Che cosa era giunto? Cosa covavano i professori?
All’improvviso sentì un moto di rabbia bruciarle dentro e spintonò i suoi compagni di Casa fino ad arrivare in prima fila. «Che cos’è che deve succedere, professore?» urlò poi, facendo voltare Merman.
Nella Sala Grande calò di nuovo il silenzio. Intanto la professoressa Azure aveva fatto comparire il Cappello con un colpo di bacchetta; solo la voce della Grifondoro era udibile, adesso. Tutti la guardavano atterriti, soprattutto gli studenti di Serpeverde.
«Perché non ci ha messi al corrente di tutto? Ci ha nascosto troppe cose, per troppo tempo. Nemmeno lei ci sta dicendo la verità. E se dovremmo combattere, abbiamo il diritto di saperla.» La sua voce squillante fendeva l’aria, mentre i capelli rossi che andavano da tutte le parti sembravano rappresentare il suo umore agitato.
Il Preside di Hogwarts non fece una piega, limitandosi solo a guardarla negli occhi con sguardo grave. «Il mio dovere è proteggere la scuola, signorina Dunbroch» disse solo. «Ed è quello che ho fatto. Speravo di non giungere mai a questo momento, ma ormai abbiamo la prova che Pitch Black è tra queste mura» fece una pausa, poi aggiunse: «tempo fa, onde evitare di arrivare a questo e proteggere i miei studenti, il Cappello Parlante ha cercato di cambiare i destini di due di voi, indirizzandoli ad una Casa che non si addiceva pienamente a loro. Ma a quanto pare è impossibile aggirare il fato.»
Ad un tratto a Merida sembrò che il Cappello la guardasse severo, e temette di essere una dei due studenti che Merman aveva citato. Il cuore le iniziò a battere così forte nel petto da fracassarle la gabbia toracica. Nel frattempo, il silenzio che era sceso tra i ragazzi era ancora più atroce rispetto al precedente.
Com’era possibile una cosa del genere? Il Cappello Parlante era il cimelio di Hogwarts dai tempi della fondazione, e nessuna delle sue decisioni era mai stata revocata da alcun mago o strega vivente.
Ma certo, pensò Merida.
Black è un phobos, uno spirito della paura.
Significava che Pitch Black era morto.
Ecco perché è riuscito a far revocare la decisione del Cappello.
Non è un mago vivente.
Ma che razza di incantesimo poteva aver compromesso un artefatto magico come il cimelio più prezioso di Hogwarts?
«Melicent Somber!» tuonò il Cappello, distogliendola.
Tutti si girarono verso la figura alta e affusolata di Melicent che si alzava e si avviava verso il Cappello in silenzio, a passo lento, con gli occhi fissi davanti a lei in un’espressione a metà tra lo sconvolto e il perplesso. I suoi passi risuonarono lungo tutta la Sala Grande, mentre i suoi compagni di Casa la guardavano con sospetto.
La ragazza si sedette sullo scranno e il Cappello Parlante le fu posato sulla testa.
«Ho sempre pensato che la tua mente fosse molto grande Melicent, più della tua ambizione. Quindi rinnovo quanto ti ho detto sei anni fa» esitò un attimo, poi irruppe in «Corvonero!»
Gli studenti di Corvonero si impietrirono; Melicent era la ragazza più temuta della scuola, e nessuno di loro riusciva a credere a quello che era appena successo. La guardarono tornare al suo posto senza dire nulla, mentre lei si sentiva gli occhi di tutti puntati addosso e avvertiva la cravatta verde e argento improvvisamente scomoda, fuori posto sulla sua divisa. Nessuno si rese conto che si stava mordendo il labbro non per la tensione del momento, bensì per ciò che quell’evento significava.
«Elsa Arendelle!» aggiunse poi il Cappello.
Ormai un alone cupo era sceso tra i presenti. Come se una fioca luce illuminasse lentamente un sentiero buio, i segreti di Hogwarts stavano venendo a galla uno dopo l’altro. Tra i Grifondoro, Anna si irrigidì; senza accorgersene, iniziò a torturarsi una treccia rigirandosela ripetutamente tra le mani. Cosa avrebbe dovuto sopportare ancora la sua gemella?
Elsa intanto si era alzata, rigida come un tronco, e sebbene tenesse le spalle ben dritte mentre camminava verso il centro della Sala, si poteva vedere chiaramente che aveva lo sguardo basso e le mani che tremavano. Una era portata al collo, a sfiorare la cravatta blu e bronzo come a volerla tenere a tutti i costi. Era come se sentisse che, insieme a quella cravatta, le veniva strappato di dosso anche un pezzo di se stessa.
Quando il Cappello le venne calato sulla testa, le labbra appena colorite di Elsa si serrarono in un’espressione ansiosa. Come se fossero collegate con la mente, anche ad Anna venne spontaneo fare lo stesso.
«Tu lo sai cosa c’è dentro di te, Elsa. Hai sempre avuto una grandissima ambizione per essere una Corvonero – nascosta, ma ben presente. So che questo non ti proteggerà, ma adesso non si può più aspettare» fece una pausa, una pausa in cui la ragazza credette di morire.
Serpeverde è una Casa davvero nobile, ma tu questo lo sai. Giusto, Elsa?
Secondo il mio giudizio, finiresti sicuramente tra i Serpeverde, Casa di prestigio e nobiltà estrema.
Lo sapeva che quel momento sarebbe arrivato.
Lo aveva sempre saputo, in realtà.
«Serpeverde!»
Qualcosa si spaccò dentro di lei, nel momento in cui la voce del Cappello squarciò l’aria.
Vide Anna portarsi una mano alla bocca, gli studenti di quella che per sei anni era stata la sua Casa sussurrare come se con lei avessero sempre saputo che quello doveva accadere, e i Serpeverde guardarla scioccati, distanti, forse anche un po’ intimoriti. Ormai era considerata un’assassina, rifletté la ragazza; persino i suoi nuovi compagni non l’avrebbero voluta intorno. Sentì Merman dire che gli studenti potevano tornare alle loro attività, ma ormai non lo ascoltava più.
Si alzò come un automa, seguendo i suoi nuovi compagni in una Sala Comune che per sei anni le era stata estranea.
Prima di andare, però, guardò indietro fissando Merman.
Da quell’unico sguardo che si scambiarono, capì che il Preside aveva sempre saputo tutto, e che Hogwarts custodiva un mistero troppo grande anche per lui.
 
 
 
 
La Sala Comune di Serpeverde accolse Elsa con uno strano calore che la ragazza avvertì alla bocca dello stomaco. Si sfregò piano le mani sulle braccia, guardandosi intorno e mettendosi poi una ciocca bionda dietro l’orecchio; delle arcate in pietra circondavano un arredamento ottocentesco e dai colori freddi. Al centro della stanza vi era un divano nero di pelle, affiancato da un tavolino di legno scuro con una sfera di cristallo sopra; dentro alla palla di vetro fluttuava, simile alle onde dell’oceano, un leggero fumo azzurro pastello. Il camino sulla sinistra, all’interno del quale le fiamme scoppiettavano vivaci, faceva contrasto con le immense finestre a sesto acuto che davano sul Lago Nero. Da queste ultime si vedeva solo l’acqua verdastra che produceva uno sciacquio sordo, popolata dalle sue creature che ogni tanto apparivano agli occhi degli studenti. La ragazza guardò in alto; la luce all’interno della Sala Comune era distribuita in pennellate discontinue, come se si trovasse sott’acqua. Le sembrò di essere in un relitto in fondo al mare, protetta negli abissi di una dimensione sconosciuta, e d’un tratto si sentì come se quella Casa fosse fatta per lei. Forse avrebbe potuto ricominciare, ripartire da una realtà diversa. Anche se ormai si sentiva un guscio vuoto che non riusciva più ad andare avanti.
«Ciao» quando sentì una voce accanto a lei sobbalzò leggermente, girandosi di scatto.
Una ragazza con la pelle scura la guardava con un leggero sorriso affabile sulle labbra, come per rassicurarla. Accanto a lei, uno studente corpulento la guardava con le braccia tatuate incrociate sul petto. «Sono Vaiana Waialiki, e lui è Maui Johnson» disse la Serpeverde, indicandolo. «Beh, so che sarai un po’ spaesata ma comunque... benvenuta.»
Sembrava gentile, disponibile. Tutto quello che Elsa non si aspettava di trovare in quella Casa. Non lo avrebbe mai ammesso, ma aveva paura dei Serpeverde; anche se inevitabilmente ne aveva subito il fascino, il dialogo con Pitch avuto in biblioteca a proposito dei suoi poteri l’aveva spaventata.
Se tu fossi appartenuta alla mia stessa Casa, probabilmente avresti saputo già da sola come sfruttarli. Invece hai preferito reprimerli, completamente dominata dalla paura di poter fare del male a qualcuno.
Era davvero così? Serpeverde l’avrebbe davvero condotta sulla via del male?
Eppure Vaiana non sembrava affatto cattiva – e nemmeno Maui, anche se non aveva detto ancora nulla.
«Ho sentito parlare di te» esordì il ragazzo, scoccandole un sorriso che Elsa trovò arrogante. «Beh, ma sicuramente anche tu avrai sentito parlare di me.»
«Maui» lo ammonì Vaiana tra i denti, lanciandogli un’occhiata assassina.
«No, mi dispiace» disse solo Elsa. «Io...» si sentiva sull’orlo delle lacrime, anche se non sapeva perché. La sensazione divorante di frustrazione e impotenza che la pervadeva da sempre tornò ad infestarle la testa, e d’un tratto quella stanza, quelle persone, la scuola stessa, era diventato insopportabile. «Credo... credo che dovrei andare nel dormitorio per mettermi la divisa» riuscì a dire a malapena, stringendo furiosamente le mani per trattenere il ghiaccio – già pronto a seminare distruzione come aveva sempre fatto.
Si rendeva conto che da ogni suo movimento, ogni sua parola – ogni suo sguardo perfino – traspariva solo paura, e prenderne consapevolezza era lancinante. Voleva davvero fare amicizia con quella ragazza, voleva davvero sentirsi finalmente a casa.
Ma poi aveva visto lui.
L’aveva guardata con i suoi occhi nocciola, che adesso sembravano più profondi di quella volta nella Stanza delle Necessità, in cui erano solo maliziosi, vuoti, superficiali. Avrebbe voluto scagliargli addosso delle stalattiti di ghiaccio, quando si erano incrociati... ma era solo scappata, come sempre. Corse, praticamente, lungo le scale che l’avrebbero portata al dormitorio femminile, temendo ogni istante di inciampare e dare nell’occhio, fino ad entrare nella stanza.
Quando si trovò a fissare le acque verdastre del Lago Nero, mentre si infilava distrattamente la cravatta verde e argento, si calmò per un istante; si tolse poi le scarpe, e si sedette su un letto a caso del dormitorio, la treccia di capelli biondo platino che le ricadeva sulle spalle ormai scomposta.
Lasciò che lo sguardo si perdesse nella distesa d’acqua che premeva dolcemente lungo i vetri; sapeva che era giunta al capolinea. Ne aveva avuto la conferma da quando aveva visto lui.
Hans Westergård.
E aveva sentito qualcosa.
Qualcosa che le si agitava dentro come una maledizione, come se avesse altre capacità magiche che ignorava e che ora però scalpitavano. La sua testa era stata invasa da immagini che si susseguivano in un tempo che sembrava velocissimo ma anche molto lento, quasi dilatato, come se passassero veloci lasciando però su di lei il sapore e le sensazioni del loro significato.
Aveva visto gli occhi del ragazzo, immergendosi in un verde chiaro screziato di pagliuzze nocciola; aveva visto suo padre che lo guardava con occhi austeri in una villa somigliante ad una residenza vittoriana; aveva visto il ghiaccio scaturire dalle sue mani con una potenza incredibile, e la paura prendere il sopravvento su di lui esattamente come aveva fatto con lei.
Aveva sentito il calore lungo le braccia e avrebbe giurato di aver notato delle linee dorate e argentate, che scivolavano sulla sua pelle come rami tiepidi.
E poi c’era lui che entrava nella sua mente, ci guardava dentro così come lei aveva fatto con la sua, e quello che aveva visto non lo spaventava.
Si erano guardati per quella che era parsa un’eternità, poi lei era scappata nel suo dormitorio, nascondendosi a lui e a se stessa.
Lo hai sempre fatto, Elsa. Ti sei sempre nascosta.
Distrattamente, roteando il polso fece comparire lievi e gelidi frammenti di ghiaccio appena sopra il palmo della sua mano, che lasciò a fluttuare placidamente.
Era il suo talento e il suo difetto più grande allo stesso tempo – la sua maledizione, la cosa che l’aveva trascinata in quella spirale di oscurità. Adesso era ufficiale; era un mostro, e tutta la scuola ne era al corrente.
I frammenti di ghiaccio restarono sospesi ancora per qualche secondo; poi Elsa chiuse la mano in un pugno, spazzandoli via bruscamente, e di essi non rimase altro che liquido freddo.
 
 

 
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Eccomi qua! Come state?
So che sono mancata tantissimo (ben 18 giorni, un'eternità rispetto a quanto mi ero promessa di fare), ma come vedete non mollo ;)
Passando alla storia, come potete vedere siamo in un momento molto strano: il mondo di Elsa viene completamente stravolto, viene messa in un'altra Casa e stabilsce una sorta di connessione con Hans. Ovviamente avrete già capito che tutto questo non è casuale: la storia, come avrete modo di vedere successivamente, sta prendendo una piega ben precisa già da adesso, e ogni personaggio, seppur destinato a fare un percorso differente dagli altri, ha una sua precisa funzione nello stesso identico
disegno (no okay così sembro malvagia ahah)
Scherzi a parte, Hogwarts è ormai diventato un luogo pieno di desolazione e paura: soprattutto si vede questa cosa in Elsa, che appare così inerme…
L'ho detto tante volte che mi fa tanta tristezza e tenerezza allo stesso tempo, ma non smetterò mai, probabilmente.
A questo punto, sono curiosa di vedere che cosa ne pensate voi!
Alla prossima,
Stella cadente

 


 
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Capitolo 32
*** Capitolo 32. ***


32.
 
 
Vaiana Waialiki era rimasta mortificata nel vedere quella ragazza allontanarsi così, di fretta e furia: era evidente che avesse un grosso vuoto dentro. Tutti ormai, ad Hogwarts, sapevano dei recenti avvenimenti, ma mai aveva avuto l’occasione di parlare con Elsa Arendelle. La conosceva così vagamente – per sentito dire – che le sembrava persino inesistente, come se la sua presenza si concretizzasse solo all’interno delle parole che venivano sussurrate su di lei a colazione, o in Sala Comune, o nei corridoi.
Solo adesso aveva capito quanta sofferenza doveva portarsi dentro quella ragazza. Ed ora che era stata smistata in un’altra Casa...
Tutta Hogwarts era in fermento; la Serpeverde immaginò che Elsa sentisse anche la colpa su di sé per tutto ciò che era successo, e improvvisamente lo trovò tremendo.
«Oh, beh: simpatica, no?» ridacchiò Maui, tagliente, distogliendola dai suoi pensieri.
Si voltò di scatto verso l’amico, furiosa. «Hai rovinato tutto come sempre» ringhiò. «Perché devi essere così antipatico con tutti?»
«Che ho fatto?» chiese lui, alterandosi.
Vaiana si indispettì. «Sicuramente anche tu avrai sentito parlare di me» lo imitò. «Non avresti dovuto dirlo. Cercavo solo di farla sentire a suo agio, e tu...»
«Che sta succedendo?» esordì improvvisamente la voce di Nick Wilde, che si avvicinava agli amici togliendosi il mantello della divisa, seguito da Judy Hopps.
Nick era un ragazzo alto e magro, con una chioma di capelli fulvi sempre spettinata e due occhi di un verde brillante come un prato in estate. Aveva da sempre infranto la maggior parte delle regole di Hogwarts senza mai finire in punizione, per poi venire puntualmente rimproverato da Judy, che al contrario era una ragazza molto coscienziosa. Vaiana si era trovata immediatamente in sintonia con loro e Maui, subito dopo il suo smistamento; poteva dire di conoscerli ormai come le sue tasche, adesso.
«Succede» iniziò, alzando un po’ la voce. «Che avrei voluto far sentire Elsa a suo agio nella nostra Casa, ma Maui si è intromesso come al solito.»
Nick aggrottò le sopracciglia per un istante, poi poggiò il mantello sulla spalliera del divano e si sedette, sistemandosi la cravatta verde e argento. «Sarò sincero, ragazzi, quella non mi piace per niente. Come ho già tentato di far capire a Merman in Sala Grande, è praticamente il motivo per cui adesso siamo tutti intrappolati qui. Lo avete sentito: nella scuola sono stati fatti incantesimi potenti, che non ci permettono di lasciarla. Siamo costretti a combattere contro una cosa che è più grande anche di noi; per non parlare del fatto che è molto probabile che sia lei ad aver ucciso Megara, Eris e il ragazzo di Grifondoro. Non so voi, ma io ne starei alla larga.»
«Non credo sia Elsa il problema» intervenne Judy, con voce ferma. «Non avete fatto caso a cosa ha detto Merman? Qualcuno si cela dietro a tutto questo, tra gli studenti. Lei è solo una vittima» per un attimo i suoi grandi occhi viola assunsero un’espressione compassionevole ed empatica, poi si riprese e divenne decisa e forte com’era sempre stata. Sul volto di Vaiana comparve un sorriso incoraggiante: sapeva cosa significava quello sguardo. Quando Judy Hopps si metteva in testa una cosa, non la fermava nessuno. Teneva alto l’onore della sua Casa con la sua determinazione, e questo rendeva tutti orgogliosi.
«Dobbiamo scoprire chi sia questo studente» disse infatti, con un tono che non ammetteva repliche.
«No» sbottò subito Nick. «Ti fermo subito, coniglietta: niente missioni della giustizia, non ci sto. E poi, come fai ad essere sicura che quella ragazza sia manovrata e che non sia semplicemente...» si fermò per un attimo, poi terminò, «una pazza omicida?»
Judy si irrigidì, soprattutto per come il suo amico l’aveva chiamata.
Coniglietta.
Nick le aveva dato quel soprannome per scherzo fin dal primo anno, alludendo al suo aspetto; in effetti, sembrava vagamente un coniglio, con quelle guance tonde e il nasino piccolo e roseo, ma a volte lui ci calcava un po’ troppo. E poi, adesso non aveva per niente voglia di scherzare.
«Nessuno» disse infatti. «Ma a prescindere da chi sia il responsabile, tutta la scuola deve fare qualcosa per fermarlo, e noi non facciamo eccezione. Non possiamo sottrarci a quello che dovremmo fare comunque, e tanto vale farlo al meglio. In fin dei conti è nella nostra Casa che si sono riscontrate le prime vittime; questa potrebbe essere una pista da seguire. Ho intenzione di scoprire cosa si nasconde dietro a questa storia, fosse l’ultima cosa che faccio» decretò, ammutolendo del tutto il ragazzo.
«Io sono con te» disse Vaiana, mettendo una mano sulla spalla dell’amica, che sorrise con gratitudine.
«Sì, ma» si inserì Maui, «come faremo ad affrontare magie così avanzate? Non sappiamo i contro incantesimi che potrebbero aiutarci» si rivolse soprattutto a Vaiana. «Tu non sai affrontare queste cose.»
«Beh, nessun mago o strega della nostra età sa farlo; quindi neanche tu, se è per questo» lo rimbeccò la ragazza. «Ma dovremmo cominciare da qualcosa per forza.»
«Ne riparleremo stasera, comunque» tagliò corto Judy. «Temo che adesso potrebbe sentirci qualcuno» disse poi, abbassando la voce. «È piuttosto evidente che non possiamo fidarci di nessuno, ed è rischioso parlarne così in mezzo a tutti. Troviamoci a mezzanotte nella Stanza delle Necessità» concluse, dando come sempre mostra della sua capacità di pensare in fretta e mantenere il sangue freddo. «Ci vediamo stasera» li congedò poi, prima di uscire dalla Sala Comune, seguita da Nick.
«Judy» non appena furono usciti, l’amico la bloccò, tenendola per un braccio – non fu difficile, data la sua corporatura minuta. «Sei completamente impazzita?»
«Perché?» chiese lei, dura. «Perché voglio fare del mio meglio per impedire che la scuola crolli, intendi?» fece, sgusciando via dalla presa e iniziando a camminare, costringendo così Nick a fare lo stesso.
«Quello che non capisci è che non possiamo fidarci di Elsa, e nemmeno di Merman! Davvero non ti è sembrato palese che sia stata lei ad uccidere quei ragazzi? E davvero non ti è sembrato sospetto che il Preside non ne abbia ancora parlato?»
Judy sospirò, arrendendosi di fronte alle sue parole. «Certo che mi è sembrato sospetto. Proprio per questo motivo vorrei arrivare a capirne di più» spiegò. «Non voglio indagare per fare un favore a Merman... è proprio perché sospetto di lui che voglio farlo. Ma non potevo certo dirlo in Sala Comune, con il rischio che qualcuno mi sentisse.»
Imboccò le scale per uscire dai sotterranei a passo deciso, mentre Nick rimaneva, ancora una volta, sorpreso dall’intelligenza che puntualmente dimostrava. Non che la sottovalutasse; sapeva bene quanto, dietro il suo visetto dolce, si nascondesse una persona calcolatrice, in grado di notare dettagli che di solito passavano inosservati.
È solo che la vedo sempre così piccola, così tenera...
Si riscosse: ma a che stava pensando?
«Beh, astuta la coniglietta» la prese in giro, riscuotendosi.
«Di cosa ti stupisci?» si vantò lei. «Abbiamo bisogno di un piano» riprese poi, legandosi i capelli argentati in una coda alta e tornando seria, sempre costringendolo a stare al suo passo. «Per cominciare, dobbiamo capire di più su Pitch Black. Merman ha detto che è un phobos, ma attualmente sappiamo solo questo. E direi che la biblioteca è il posto ideale per fare approfondimenti» affermò, attraversando poi il corridoio che conduceva ad essa. «Ma a quest’ora, ovviamente» aggiunse, facendosi seguire vicino all’ingresso, in modo tale che entrambi potessero vedere quello che c’era dentro, «sarà piena di persone che cercano informazioni sui phoboi.» Fece un cenno sollevando il braccio, come per sottolineare che aveva ragione: in effetti, constatò il Serpeverde, la biblioteca era piena di studenti – tutti diretti alla sezione proibita.
«Quindi» lo riscosse la voce acuta della sua amica. «Direi di andarci domattina presto, sperando di trovare i libri che ho in mente. E scommetto che a nessuno» rimarcò con la voce la parola “nessuno” «verrebbe mai l’idea di fare incantesimi di un certo tipo, là dentro. O meglio... a nessuno che non abbia delle intenzioni precise» aggiunse, con un sorrisetto furbo. «Conto di scoprire qualcosa in questo modo: fare incantesimi di rivelazione e scoprire se qualcuno ha fatto qualcosa di sospetto» concluse, lucida e lineare.
«Perché proprio in biblioteca, scusa?»
«Perché è il posto ideale dove applicare alcuni incantesimi dopo averli letti. Almeno, io mi sono sempre esercitata in biblioteca. Quindi, se qualcuno avesse fatto lo stesso dopo oggi pomeriggio – ed è molto probabile, visto che stiamo parlando di studenti – domani lo sapremmo sicuramente.» Fece una pausa, lasciando quelle parole ad aleggiare tra loro, poi chiese: «che ne pensi?»
Nick si passò una mano sulla faccia pallida, andando a scompigliare un po’ anche i suoi capelli rossi. «Penso che tu sia un maledetto genio» ammise, quasi di malavoglia. «Anche se, ovviamente, non lo sarai mai quanto me.»
«Certo» ironizzò la Serpeverde, sorridendo beffarda.
Risero, assaporando per un attimo la leggerezza di quel momento fuggente, ma entrambi sapevano che non c’era nessun motivo per farlo.
 
 
 
 
Judy arrivò di fronte alla porta della Stanza delle Necessità quasi correndo, quella notte, facendo scalpitare i suoi piedi piccoli sul pavimento in pietra. Il corridoio era buio e silenzioso; solamente le fiaccole appese ai muri facevano una lieve luce.
Avrebbe scommesso persino la vita sul fatto che nella scuola ci fosse ancora attività, in quel momento; gli studenti degli anni inferiori al settimo avevano fatto i bagagli quel pomeriggio, ed erano partiti subito dopo cena. Adesso restavano solo quelli che Black aveva scelto; gli stessi che, dall’avere i M.A.G.O come unica fonte di preoccupazione, erano passati a dover aiutare Merman a salvare Hogwarts.
La Serpeverde arricciò il nasino; si chiese come mai, per assurdo, a nessuno sembrasse sospetto tutto ciò. Come giustamente le aveva fatto notare Nick, non era normale che – nonostante fosse palese che Elsa Arendelle fosse responsabile della morte di Megara Greek, volontariamente o meno – Merman non avesse ancora detto nulla di più chiaro... e lei non pensava ingenuamente che fosse per proteggere gli studenti.
Al tempo stesso, però, le veniva difficile credere che proprio Merman fosse in combutta con un mago oscuro per distruggere la scuola; sarebbe stato completamente illogico, dopo tutti gli sforzi che lui stesso aveva fatto per completare la ricostruzione operata da Minerva McGranitt.
Si riscosse solo quando vide comparire i ghirigori sulla porta della Stanza, che, arricciandosi e ripiegandosi, stavano sporgendo in bassorilievi scuri. Spinse la porta e basta, entrando; Maui, Vaiana e Nick erano già lì, seduti su alcune poltrone che ricordavano i divanetti in pelle della loro Sala Comune.
«Ciao» salutò, «allora» iniziò, andando dritta al punto, «onestamente, che cosa pensate di questa vicenda?» chiese, sedendosi sulla poltrona rimasta libera.
Vaiana sospirò. «Non so cosa pensare; sembra tutto un enorme mistero. Vorrei rendermi utile, fare qualcosa, ma non so come e questo mi manda in bestia. La situazione sembra scivolare di mano a tutti e ...»
«Ehi» Maui le posò una mano sul braccio; Vaiana aveva iniziato a gesticolare e parlare velocemente, come faceva sempre quando era nervosa. «Restiamo tutti calmi. Agitandosi non si risolve nulla. Piuttosto, dobbiamo arrivare ad ottenere qualcosa di concreto. Serve la conoscenza degli incantesimi giusti, per farlo.»
«Esattamente» si intromise Nick. «Judy, infatti, pensava che dovremmo andare in biblioteca, domani mattina; nel pomeriggio, molti studenti sono andati là, e lei pensa che – se c’è un colpevole tra gli studenti – sicuramente ci sarà traccia di qualche incantesimo sospetto.»
«Non è male, come idea; anzi» disse Maui, posando gli occhi scuri su Judy. «Direi che sarebbe una mossa molto intelligente. Servirebbe esaminare la bacchetta, prima di stabilire un colpevole, ma meglio che niente.»
«Tu sapresti esaminare una bacchetta per fare questo?» chiese Nick, un po’ spiazzato.
«Ci sono molte cose che non sai di me, amico» ghignò lui, stemperando per un attimo la tensione che si era creata. «Potrei esaminare la bacchetta di ogni studente rimasto, ma ci vorrebbe troppo tempo per recuperarle tutte indisturbato. L’unico modo è uccidere le persone su cui devo indagare» disse, serissimo.
Nick, Judy e soprattutto Vaiana lo guardarono inorriditi.
«Scherzavo!» esclamò lui, ridacchiando. «O almeno, sull’ultima frase sì. Quanto siete seri» li sbeffeggiò poi.
«Quale sarebbe il tuo piano?» lo incalzò Vaiana, un po’ contrariata dal modo in cui li aveva presi in giro in un momento così cupo.
«Rubare tutte le bacchette degli appartenenti alla nostra Casa, sotto forma di aquila.»
«Allora non era uno scherzo» fece lei, con un sorriso sulle labbra. «Sei veramente un metmorphomagus» sorrise, illuminandosi.
«Sì, beh, non ci riesco sempre, ma me la cavo. E dalla mia parte, ho il fatto che nessuno, a parte voi, è a conoscenza di questa mia capacità.»
Quella frase fece scattare qualcosa nella mente di Judy. «Parlando di questo» fece, «mi è venuto in mente che, a quanto pare, tutti stanno nascondendo qualcosa, qui ad Hogwarts. Tra gli studenti dell’ultimo anno, intendo.»
«Ti riferisci a Melicent Somber?» chiese Nick.
«Non solo» rispose lei, aggrottando le sopracciglia scure per un attimo, formando un’espressione meditabonda. «Di recente, ho sentito che qualcuno, di notte, si è alzato e si è avvicinato proprio al letto di Melicent. Sicuramente, tra i nostri compagni, c’è chi sta macchinando qualcosa.»
«Hai visto chi era?» disse Vaiana.
«No, non sono riuscita a capire di chi si trattasse. Ma una cosa è certa: in molti abbiamo segreti, e non solo nella nostra Casa, credo.»
«Beh, è piuttosto ipocrita, allora, da parte delle altre Case, credere che proprio nella nostra si nasconda un colpevole» commentò Nick. 
Maui sbuffò. «È sempre stato così, Nick. La nostra è la “Casa dei cattivi”, lo hai dimenticato?» fece, sarcastico. «Il fatto che maghi come Tom Riddle ne abbiano fatto parte si è ripercosso sulla nostra reputazione. E adesso che Miss regina di ghiaccio è stata spostata qui, scommetto quello che ti pare che gli altri ci temono più di prima. Vaglielo a spiegare, ai paladini della giustizia, che non tutto è marcio, nella nostra Casa.»
«Non prendere in giro i Grifondoro, Maui» si alterò Vaiana. Sul volto di Judy comparve un sorriso appena accennato; Vaiana le aveva spiegato – anni prima, quando si erano conosciute – che, se non fosse stato per la sua scelta, il Cappello Parlante l’avrebbe smistata in Grifondoro.
«Ha ragione, comunque» disse poi. «Questo ci rende deboli, emarginati nel salvaguardare la scuola» rifletté poi. «Gli altri ci temono; non vogliono avere a che fare con noi, dunque siamo esclusi da ogni forma di collaborazione. Non mi stupirei se qualcuno stesse già pensando di indagare su di noi.»
«Quindi cosa vorresti fare?» la incalzò Nick, sollevando un sopracciglio; la Serpeverde capì immediatamente che il suo amico cominciava già ad avere un’idea di quello che stava passando nella sua testa.
«Parlare con loro» snocciolò, senza nessuna esitazione. «E convincerli a collaborare.»
«Cosa?» sbottò Maui.
«Funzionerà. Credetemi. Pensateci: Megara era amica di alcuni Grifondoro. È andata nella Foresta oscura con Merida Dunbroch e Anna Arendelle, la sorella di Elsa. Non saranno così terribili.»
Maui mugugnò qualcosa contrariato, ma Judy fece finta di nulla. «Domani mattina dovremmo andare presto, in biblioteca» proseguì. «Verso le sei, più o meno. D’accordo?»
«D’accordo» disse Vaiana.
«Dopodiché parleremo con i Grifondoro, dopo lezione. Se non sbaglio abbiamo Pozioni con loro, domani.»
«Continuo a pensare che tu abbia troppa fiducia negli altri» disse Nick. «Ma effettivamente non abbiamo alternative. Dobbiamo scoprire quale segreto nasconde Merman, e per farlo è necessario capire di più su Black.»
«Esattamente» aggiunse Vaiana. «È l’unico modo. Possiamo farcela, se usiamo le nostre migliori risorse. Se volete, posso parlare io con i Grifondoro. Insomma... se voi siete così disgustati, posso provarci» scherzò, giusto per interrompere un po’ quel momento di tensione.
«Beh, io sicuramente non parlo con quei cosi» fece Maui, sprezzante.
Vaiana alzò gli occhi al cielo.
«Allora, domani alle sei?» riprese Judy, riportando tutti all’ordine.
«Domani alle sei» le diede manforte Nick. La Serpeverde accennò un sorriso; il suo migliore amico la stava guardando negli occhi, determinato e rassicurante... e lei adorava quando la guardava così, come se quegli occhi verdi la avvolgessero in un abbraccio caldo pieno di solidarietà e affetto.
Nick era antipatico a volte, ma era il miglior amico che si potesse desiderare.


 
*
 
 
L’alba era arrivata con una velocità impressionante, e nessuno di loro quattro aveva realmente dormito, quella notte. Quando Judy, Nick, Vaiana e Maui si erano trovati in Sala Comune, era ancora buio e la stanza aveva un’aria lugubre; il camino con l’intarsio a forma di serpente vuoto, la sfera di cristallo che non emetteva più i suoi sbuffi azzurri, le acque del Lago Nero che erano tutto un fluttuare di piante a malapena visibili... Vaiana si era ritrovata a rabbrividire istintivamente.
«Secondo te uno studente che complotta con un mago oscuro potentissimo lascerà che gli altri vedano le sue tracce?» la distrasse la voce di Nick, che si rivolgeva a Judy bisbigliando. «Insomma… chiunque sia il prediletto di Black, non credete che abbia come delle protezioni che rendono la sua aura oscura invisibile?»
«Può darsi» si spazientì Judy, alzando leggermente il volume della voce una volta che uscirono dalla Sala. «Ma la magia lascia sempredelle scie. E non per vantarmi ma» si impettì poi, «sono la migliore della nostra Casa in Incantesimi» concluse, con un gran sorriso orgoglioso.
Nick inarcò un sopracciglio, poi sospirò; non era la prima volta che Judy voleva prendere in mano la situazione quando succedeva qualcosa. Sin dall’inizio di quella storia aveva palesato una grande frustrazione nell’essere tenuta all’oscuro come tutti gli altri, e adesso che la sua intraprendenza scalpitava, probabilmente – Nick detestava ammetterlo anche a se stesso – aveva ragione nel volersi mobilitare. Aveva sempre voluto proteggerla, lui, ma la verità era che Judy aveva bisogno di tutto tranne che di qualcuno che la proteggesse.
«State bene?» chiese poi la Serpeverde, guardando tutti i suoi amici, apprensiva. «Qualcuno ha avvertito qualcosa, nel corso di questa notte?»
Maui fece spallucce, mentre Vaiana rispose con un «No» piatto.
«Bene» disse la ragazza. «Non so cosa potremmo trovare, in biblioteca, ma sappiate che potrebbe essere molto pericoloso» aggiunse. Il tragitto verso la biblioteca trascorse in religioso silenzio, fino a quando si trovarono di fronte alla porta; era socchiusa. «Strano...» sussurrò Judy. «Di solito a quest’ora la porta della biblioteca non è mai aperta. Qualcuno è entrato prima di noi.»
I quattro si zittirono per un secondo, poi mossero lentamente qualche passo all’interno della stanza; tutto era immobile. Sembrava che non ci fosse anima viva lì dentro.
«Aparecium» pronunciò improvvisamente Maui, a voce bassa ma sufficientemente decisa. Uno sbuffo di piccoli granelli neri apparve a poca distanza da loro, roteò su stesso per qualche secondo e poi ricadde a terra con un rumore leggero, come quello frusciante della sabbia che scorre in una clessidra.
Nick, adesso, aveva un’espressione sbigottita, così come Vaiana. «Aparecium?» disse poi, dopo qualche secondo. «Che accidenti è?»
«Un incantesimo per rivelare la posizione dei Demoni elementali» rispose Maui, come se nulla fosse. «Perché?»
«Come fai a conoscere questa roba? Non è su nessun libro di testo che conosciamo» fece lei, con tono perplesso.
Il suo amico le sorrise, ammiccando. «Ve l’ho detto: sono pieno di risorse. E comunque» riprese, pungente, «forse non te lo ricordi, ma è un incantesimo che viene insegnato al quinto anno.»
«E chi se lo ricorda il programma del quinto anno» scherzò lei, ridacchiando.
«Così adesso abbiamo scoperto che Pitch Black è una creatura simile ai Demoni» disse Judy, sconvolta.
Vaiana assunse un’espressione consapevole; cominciava a capire dove volesse andare a parare la sua amica. «Secondo te Black è un Demone elementale?» chiese infatti, attirando su di sé l’attenzione della ragazza.
«Merman ha detto che è uno spirito, mi pare. Un phobos» prese parola Maui. «Non è esattamente un Demone, ma ci si avvicina, dal momento che si nutre della paura altrui. L’esito di questo incantesimo, però, ha appena rivelato che, a quanto pare, Merman non ci ha detto tutta la verità su di lui... Ci sono forze molto oscure in ballo.»
Sui quattro ragazzi calò un silenzio denso di tensione, poi Vaiana prese parola. «Okay. Se dobbiamo capirci di più, è meglio se ci muoviamo.»






Era da più di un quarto d’ora che cercavano del materiale che anche solo si avvicinasse a Pitch Black, ma ormai stavano afferrando volumi totalmente a caso.
«Judy, io ci rinuncio» sbottò Nick, rivolgendosi alla sua amica. «Non troveremo mai niente. Guarda qua» le mostrò l’ennesimo libro sui fantasmi iniziando a sfogliarlo con rabbia. «Fantasmi animali; no. Mutaforma; no. Ologrammi... no di nuovo.»
Voltò di nuovo pagina, facendo un gran baccano. «Non c’è assolutamente niente. Facciamocene una ragione.»
«Nick, aspetta!» esclamò lei, facendolo sobbalzare quasi. «Ragazzi» chiamò poi, «abbiamo trovato qualcosa.»
In pochi secondi, Maui e Vaiana li raggiunsero, accerchiandolo con le loro teste; Judy approfittò della sua corporatura minuta per infiltrarsi e afferrare il libro, scrutandolo con attenzione.
In mezzo alla pagina vi era l’illustrazione di una sagoma più simile ad un’ombra, nel mezzo della quale erano riconoscibili solo due enormi occhi gialli con la pupilla verticale. «Phobos» lesse ad alta voce.  «I phoboi sono creature della notte molto antiche, che si nutrono della paura. Si può quasi dire che la paura sia da essi generata, e che come in un circolo la provochino per poi nutrirsene, per poi ricominciare da capo quello che potremmo definire il “ciclo della paura”.»
In fondo al paragrafo, uno schema riassumeva il processo secondo cui un phobos prosegue il “ciclo della paura”, come diceva l’intestazione.
«Guarda qui, coniglietta» disse Nick, indicando un paragrafo che diceva “Si può diventare un phobos?”
Gli occhi viola di Judy corsero veloci al paragrafo che le aveva indicato il suo amico. «È pressoché impossibile diventare un phobos, in quanto, in maniera dissimile rispetto ai lupi mannari, non è sufficiente un attacco di queste creature per entrare nei loro ranghi. Esse hanno però la capacità di attirare maghi e streghe in una sorta di limbo, che per convenzione chiameremo “Regno d’Ombra”.»
Pausa.
«Diventare un phobos in maniera involontaria è ad ogni modo impossibile; nondimeno, qualora si volesse avvicinarsi al Regno d’Ombra spontaneamente, deve essere praticato un rito di negazione della propria ombra (vedi Rituali Oscuri, cap. 7 par. 3), in modo da poter far passare il proprio stesso corpo a questo stato d’essere. È necessaria comunque la volontà pulita da ogni dubbio; qualora la propria coscienza vacillasse, l’esito potrebbe essere fatale.»
Un’altra pausa.
«Si stima comunque che vi siano pochi phoboi, chiamati gli Antichi; nessuno di questi lo è diventato di sua spontanea volontà. Possono essere però abili mutaforma e assumere qualunque tipo di aspetto essi vogliano. Lo studio di queste ombre è difatti ancora aperto e in continua mutazione, proprio per il fatto che sono pressoché introvabili.»
Dopo che Judy ebbe finito di leggere il paragrafo con voce concitata, per una manciata di secondi i quattro ragazzi stettero in silenzio.
«Non capisco perché Merman non sia stato più preciso al riguardo» rifletté Nick ad alta voce. «È come se avesse qualcosa da nasconderci. E questo non fa che rinforzare la mia teoria.»
«Pensi che Merman sia d’accordo con Black?» chiese Vaiana, preoccupata.
«Esattamente» rispose lui, cupo.
«E non dimentichiamoci che l’incantesimo di Maui ha fatto venir fuori che potrebbe avere anche la natura di un Demone» osservò Judy. «In quel caso potrebbe essere davvero complicato agire contro di lui.»
«Guardate» Vaiana sfiorò con le dita la costola del libro, su cui erano visibili dei pezzetti di carta, «qui mancano delle pagine. Sono state strappate.»
Fu quando terminò quella frase che lo vide. O meglio, lo percepì.
C’era qualcosa vicino allo scaffale di storia, sul pavimento. Sembrava brillare solo al suo sguardo. Un cerchio, come se fosse inciso nel pavimento.
«Ragazzi» disse. «C’è qualcosa qui.»
I suoi amici la raggiunsero. «Non vedo niente, Vaiana» disse Maui, dubbioso.
«Non capisco» fece la ragazza, sorpresa. «Io lo vedo chiaramente. È ... sembra un cerchio. Un cerchio che si muove.»
Judy puntò la bacchetta a terra.
«Coniglietta» Nick le poggiò una mano sulla spalla. «Sei sicura?»
Cominciava ad avere seriamente paura per la sua amica. Ma la risposta fu esattamente quella che aveva immaginato. «Sì» decretò la Serpeverde, prima di pronunciare «Speciàlis Revèlio.»
Un tripudio di sabbia nera si sollevò da quello che sembrava un cerchio, sollevandosi e turbinando per qualche secondo. Decine di urla, come di persone che stavano morendo in mezzo a profonde sofferenze, riempirono l’aria in un insopportabile stridio. Quando tutto cessò, sul pavimento era inciso chiaramente un simbolo che li fece rabbrividire; era un occhio con la pupilla verticale.
L’immagine si componeva di piccole scintille, che brillavano nella penombra della biblioteca. Osservando meglio, Vaiana distinse chiaramente che in realtà le scintille si componevano di una parte nera e una parte dorata. «Lo vedete anche voi?» chiese, facendo rimbombare la sua voce in quell’insopportabile silenzio.
«Sì» disse a malapena Maui. «Lo vediamo tutti, credo.»
Anche Nick e Judy si erano immobilizzati, osservando quel simbolo senza dire una parola.
Vaiana si avvicinò come per toccarlo; avvertì, poco prima che la sua mano entrasse in contatto con quelle scintille formate di luce e oscurità, la voce di Maui che diceva: «Vaiana, no», ma sembrò non avere importanza.
Sentì un gelo insopportabile invaderle il braccio.
 
 
 
La Magnum Opus prende come riferimento diversi simboli alchemici, che rappresentano ciascuno uno stato di passaggio della materia. Essa è l'itinerario alchemico di lavorazione della materia prima, al fine di ottenere la pietra filosofale.
Sin dall'antico Egitto, questo rito era molto utilizzato dai più famosi alchimisti. Più avanti, nel Medioevo, ne prenderà parte anche Nicholas Flamel; egli, difatti, è morto nel 1991 dopo aver vissuto per oltre seicento anni.

Questo dimostra come, nel corso dei secoli, questo rituale complesso e dalle molteplici sfaccettature fosse praticato solamente da maghi e streghe esperti; pertanto, si consiglia all’apprendista molta cautela nel compierlo, dato che molti sono i rischi nell'avventurarsi in una simile magia.
Convenzionalmente, le fasi della Magnum Opus sono quattro:
  • Nigredo, annerimento o melanosi (associato alla notte, putrefazione o decomposizione degli elementi, il caos primordiale, il simbolo del corvo);
  • Albedo, sbiancamento o leucosi (associato all'argento o il mercurio, l'alba, l'uroboro);
  • Citrinitas, ingiallimento o xanthosis (associato all'oro, il giorno, il sole, il cigno);
  • Rubedo, arrossamento, o iosis, (associato al fuoco, la pietra filosofale, il tramonto, il simbolo della fenice); 
 
Al termine di questo processo, si otterrà la pietra filosofale. È importante che tutti gli elementi interagiscano l'uno con l'altro nel modo corretto.
 
Qualora gli elementi dell'esperimento fossero maghi o streghe, è auspicabile che essi mischino il proprio sangue, per fornire una maggiore riuscita dell'esperimento, in maniera simile ad il rituale di evocazione di un'entità oscura. Al fine di scegliere i membri opportuni, è sufficiente osservare l'aura alchemica posseduta dai maghi presi in esame. Se essa è presente – e se ben si presta a questa tipologia di incantesimo – allora essa si paleserà tramite doni, come poteri indipendenti dalla magia tradizionale oppure caratteristiche fuori dal comune.
Tale procedimento può essere anche interpretato come una metamorfosi spirituale dell’alchimista, che tramite questo Rituale può produrre delle estensioni del Sé.



 
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Carissimi lettori,
vi scrivo dal mio letto, ammantata non solo dalle coperte ma anche da un forte raffreddore che mi fa sentire uno schifo. Menomale che ho la mia gatta che mi consola vicino (ops, ma a voi questo non interessa. E vabbè.).
Comunque, in questo capitolo (che ho revisionato fino alla noia in questi giorni) ci spostiamo sui Serpeverde. Quando l’ho riletto non mi piaceva, mi sembrava, non so... superficiale – così come gli sviluppi successivi della storia in generale – per cui mi sono messa a riscriverlo, approfondendo le dinamiche di interazione tra questi personaggi che, per com’era la storia prima, sembravano molto buttati lì a caso. Spero vi sia piaciuto: so che vi sareste aspettati che sia Judy sia Vaiana fossero in Grifondoro, ma io ho sempre pensato che stessero benissimo in Serpeverde - Judy per la determinazione e il sangue freddo che certo non le manca, Vaiana per la sua furbizia e lo spirito di intraprendenza. Ho voluto, inoltre, smantellare lo stereotipo Serpeverde = cattivi, poiché ci tengo molto (sì, Pottermore mi ha smistata in Serpeverde) a far notare che non tutti i verde-argento sono come Malfoy. Sarà banale, ma dietro questi personaggi sto condividendo con voi una parte importante di me stessa.
Poi poi poi... dopo questa intro ci sarebbero tante cose da dire, perché questo è quello che io chiamo capitolone, non solo per la lunghezza, ma anche per quello che si scopre. Ciononostante, lascerò ai vostri commenti il fatto del simbolo, la visione di Vaiana, e quel che più conta, la Magnum Opus. Non vedo l'ora di rispondere alle vostre recensioni :D

Spero che il tutto sia stato di vostro gradimento.
Alla prossima!
Stella cadente


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Anche Nick e Judy si erano immobilizzati, osservando quel simbolo senza dire una parola.
Vaiana si avvicinò come per toccarlo; avvertì, poco prima che la sua mano entrasse in contatto con quelle scintille formate di luce e oscurità, la voce di Maui che diceva: «Vaiana, no», ma sembrò non avere importanza.

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Capitolo 33
*** Capitolo 33. ***


33.
 
 
«Devi essere forte adesso» disse il Preside Merman, nel suo ufficio, incrociando gli occhi pieni di odio, confusione e oscurità di Elsa Arendelle. «Devi essere forte, o lui lo diventerà al posto tuo.»
Il volto della ragazza era quasi spaventoso, tanto era così... fuori luogo. Quella tristezza, quel dolore, quel senso di vuoto e smarrimento non avrebbero dovuto esser disegnati nei lineamenti di una giovane come lei. I suoi occhi blu erano persi nel vuoto, immersi nell’oblio; la sua pelle lattea era incupita da occhiaie violacee, che spiccavano come fossero lividi. Le labbra rosee, leggermente screpolate dal freddo, erano come sempre serrate in un’espressione malinconica.
«Da adesso in poi» proseguì il mago, «dovrai permettermi di vedere i tuoi ricordi. Devi lasciare che io possa appropriarmi delle tue sensazioni riguardo a quelli più remoti e più importanti. Devo capire che cosa potrebbe aver visto Pitch Black nella tua mente.»
Pausa.
«Egli è abile in questa arte – lo è sempre stato, in realtà. È così che ha preso possesso della scuola anni fa: sfruttando una ragazza, appropriandosi delle sue debolezze facendone un’arma. Di solito colpisce le persone in cui sente un più alto livello di paura. Per questo penso che ti abbia scelta
Merman si immerse di nuovo in un silenzio fitto, poi riprese: «La ragazza non era abbastanza addestrata; non aveva autocontrollo. Lo ha lasciato entrare, alla fine. Ma tu» la guardò dritta negli occhi, «devi impedirgli di farti questo. Io potrei non essere in grado di contrastarlo una seconda volta.»
«Va bene» la voce della Serpeverde suonò stranamente determinata.
Merman posizionò la bacchetta di fronte alla ragazza, con decisione. «Legilimens» pronunciò poi, con voce tonante.
 
Una ragazzina dai capelli fulvi che le fa sentire il calore delle sue braccia rosee intorno al corpo gracile.
Il manifestarsi dei poteri sul ghiaccio insieme alla magia. 
Tutto era contornato da freddo e da paura.
 
«Elsa, sei fantastica!» Anna Arendelle – che sembrava appena quattordicenne – rideva, facendo volteggiare le sue trecce fulve. Le due gemelle si trovavano fuori dal castello; era uno degli ultimi giorni di scuola, ed Anna aveva convinto Elsa a fare “qualcosa di ribelle” come aveva detto. E al solito, lei si era lasciata trascinare dall’entusiasmo della Grifondoro.
«Anna, fa’ piano» si raccomandò, «è notte, gli altri staranno dormendo.»
«Questo lo dici tu» la stuzzicò l’altra, «nella mia Sala Comune non dorme nessuno. Ma da una Corvonero dovevo aspettarmelo: come minimo nella tua Casa staranno tutti già studiando per i G.U.F.O» rise, prendendola in giro.
Normalmente Elsa avrebbe trovato quella battuta stupida e fuori luogo; invece, in quel momento, sorprendentemente la trovò divertente. 
Ma avrebbe fatto qualunque cosa per non farlo notare alla sorella.
«Stai ridacchiando, ti vedo» disse la Grifondoro, «è inutile che tu ti nasconda.»
«Non è vero» disse lei, coprendosi la bocca con una mano.
«Ormai ti ho beccata, è inutile» fece Anna, fiera. 
«E va bene. Hai ragione, era divertente» le concesse, lasciando cadere le braccia lungo il corpo.
«Ti prego» Elsa conosceva bene quel luccichio negli occhi celesti della sua gemella, «fai una pista di ghiaccio. Adoro pattinare, lo sai» le strinse le mani, che erano sempre fredde – anche a giugno. «Per favore; ci divertiremo.»
«Sai che questo non rientra nel regolamento scolastico, vero?»
«Certo che lo so, ma ora siamo qui per fare qualcosa di trasgressivo, giusto? Perciò non c’è nulla di male se lo facciamo, insomma è solo una pista di ghiaccio, non crederai che sia una cosa grave spero, e in fin dei conti non ne soffrirà nessuno, e poi...»
Elsa sospirò, sorridendo. «Va bene, va bene. Ti accontento.»
«Sì!» esultò la gemella, sfoderando un sorriso entusiasta. Non poté fare a meno di ricambiarlo; era assolutamente contagioso e irresistibile.
La Corvonero protese le mani verso l’erba verde, e la ricoprì di una spessa lastra di ghiaccio; creò anche delle lame sotto le scarpe di Anna, per poi fare lo stesso con le sue. «Prova a prendermi se ci riesci» la sfidò poi, partendo a tutta velocità. «Elsa aspetta!» le gridò dietro Anna, «vai troppo veloce!»
La sua gemella non sapeva assolutamente andare sui pattini. Diceva che lo adorava, ma lei aveva sempre avuto il sospetto che lo dicesse solo per vederla mentre creava delle vere e proprie piste da pattinaggio sul ghiaccio; ogni volta era un continuo cadere.
Dopo essere atterrata sulla pista con un sonoro tonfo, Anna si rialzò e le sfrecciò dietro alla bell’e meglio, prendendo d’un tratto sempre più velocità. «Arrivo!»
Solo allora Elsa si rese conto che stava andando davvero troppo veloce. «Anna, fermati!» gridò disperata, non appena vide che la sua paura aveva fatto formare delle stalattiti appuntite proprio sulla sua traiettoria.
Adesso anche Anna aveva paura. «Non ci riesco!» gridò disperata. «Ti prego, fa’ qualcosa!»
Elsa non pensò, in quel momento.
Un fiotto gelido partì dal palmo della sua mano, andando a finire proprio alla testa di Anna e sbalzandola indietro, appena prima che una stalattite la colpisse all’altezza del petto. La sua gemella cadde sul ghiaccio con un rumore che ad Elsa sembrò aver spazzato via tutta la felicità, un rumore che le fece dimenticare cosa fosse la spensieratezza. Fece sparire subito le lame da sotto le sue scarpe e corse verso Anna, che sembrava priva di vita. Istintivamente l’abbracciò; il suo cuore batteva ancora, lo sentiva. Ma era gelida.
«Anna...»
 
 
«Elsa, non preoccuparti; sto bene, davvero» la rassicurò la gemella, dopo la lezione di Trasfigurazione.
«Tu...» balbettò la Corvonero, «tu non capisci. Avresti potuto morire a causa mia.» Solo l’idea la faceva sentire un mostro.
«Sì. Ma non è successo, quindi...» Sua sorella tendeva sempre a sottovalutare le cose importanti, soprattutto se riguardavano la pericolosità del suo potere.
«Piantala di fare così» sbottò infatti, «hai perso i sensi perché io ti ho colpita. Devo fare qualcosa per controllarlo. Non posso andare avanti in questo modo.»
«Elsa...» Anna le posò una mano sopra al braccio, in quel gesto delicato che ogni volta aveva il potere di infonderle sicurezza. Quando capì cosa era meglio fare, sentì salire le lacrime agli occhi al pensiero che non avrebbe più sentito la mano di sua sorella che la consolava. «Non è successo niente. Tu sei perfettamente in grado di controllare il tuo potere, ed io sto bene. Quello è stato solo un incidente... niente di più.»
Per un attimo, Elsa si perse negli occhi di Anna, che la guardavano incoraggianti, fiduciosi... come la loro dolce e ingenua proprietaria. Serrò le labbra, come di solito faceva quando qualcosa le recava sofferenza; la sua gemella era bravissima a rassicurare le persone – e specialmente lei – ma quell’episodio l’aveva scombussolata. E se qualcosa fosse andato storto anche le volte successive? E se avesse colpito Anna di nuovo? E se l’avesse uccisa?
«Tu forse starai bene» snocciolò quindi. «Ma non posso dire lo stesso di me.»
«Devi solo calmarti» disse la Grifondoro, «andrà tutto bene.»
Un nodo alla gola fece suonare la voce di Elsa tremante e terrorizzata. «Come fai a dirlo?» fece guizzare gli occhi di lato, poi li riportò di nuovo su Anna. «Come fai a sapere che...» non finì la frase. «Io non posso accettare che tu possa rischiare così tanto, capisci?»
Sua sorella si era ammutolita; il viso tondo aveva assunto un’espressione turbata, apprensiva.
«Che cosa vuoi fare allora?»
Elsa non rispose.
Costringendosi a non piangere, sollevò appena la bacchetta e pronunciò l’incantesimo che le avrebbe spezzato il cuore per sempre.
«Oblivion.»
 
 
«Che cosa vuoi da me?» riuscì ad articolare, stringendo istintivamente il giornale che aveva tra le mani.
«Hai dei poteri straordinari, Elsa» disse solo l’altro, senza risponderle. «C’è così tanto potenziale in te...» la guardò quasi con affetto, con ammirazione. «Se tu fossi appartenuta alla mia stessa Casa, probabilmente avresti saputo già da sola come sfruttarli. Invece hai preferito reprimerli, completamente dominata dalla paura di poter fare del male a qualcuno...» Erano così amorevoli quegli occhi. Come se la stesse accarezzando, come se stessero guardando una bambina che non sa ancora niente del mondo. Come se lui la trovasse tenera, indifesa.
 
Era immersa nel buio, quella volta, al castello di ghiaccio che lei stessa aveva creato.
Rami scuri le risalivano lungo le braccia, ghiaccio e oscurità, freddo e tenebra. 
Tenebra calda, rassicurante.
Due occhi gialli che la guardavano e una voce sibilante che le diceva cosa fare.
E poi...
 
La connessione con i ricordi di Elsa si interruppe bruscamente.
Com’è possibile?
La risposta – quella che non avrebbe mai voluto fronteggiare – gli arrivò osservandola.  Gli occhi della ragazza erano spalancati, persi nel vuoto; le labbra socchiuse emettevano un sibilo terrificante; i palmi delle sue mani crepitavano, come se qualcosa le stesse mangiando la pelle per poi venire fuori.
Man mano che il sibilo si faceva sempre più forte, qualcosa di freddo, enorme e sinuoso prendeva forma alle sue spalle.
 
 
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Vi posto questo capitolo al volo, prima di fuggire a prendere il treno, poiché essendomi appena trasferita non ho internet per il momento e sono con quello dell’università, da tru poraccia. So perfettamente che questo mio commento stupido non è coerente con l’atmosfera del capitolo, ma OKAY.
In ogni caso, il capitolo è – volutamente – misterioso e malinconico. Iniziamo a scavare nella psicologia di Elsa, approfondendo i suoi episodi dell’infanzia, che si riveleranno fondamentali prossimamente. Che ne pensate?
Alla prossima,
Stella cadente

 


i don't run from monsters. they run from me. — Natalie Dormer for ...

Il volto della ragazza era quasi spaventoso, tanto era così... fuori luogo. Quella tristezza, quel dolore, quel senso di vuoto e smarrimento non avrebbero dovuto esser disegnati nei lineamenti di una giovane come lei.
 

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Capitolo 34
*** Capitolo 34. ***


34.

 
 
L’aula di Difesa contro le Arti Oscure, quella mattina, sembrava più inquietante del solito. Le pergamene raffiguranti le più orribili creature del mondo magico parevano opprimenti, come se potessero in qualche modo prender vita e aggredire gli studenti; la giornata era buia e cupa, e un gelo terrificante strisciava tra gli alunni.
«Salve» la voce dolce e delicata di Faith Azure solcò il silenzio; l’insegnante iniziò poi a passare in mezzo agli studenti, in modo da guardarli tutti uno per uno. Aurora si mordicchiò una pellicina: era ansiosa per quella lezione.
«In questa aula – o meglio: durante queste sessioni – vi insegnerò incantesimi di difesa molto avanzati; perciò, vi raccomando di concentrarvi al massimo, e soprattutto di non buttarvi giù nel caso non ce la faceste al primo tentativo. Nessun mago o strega della vostra età si è avventurato così in là: quello che sto per insegnarvi è dovuto unicamente alla situazione che, purtroppo, ci ritroviamo ad affrontare.»
Non si sentiva volare una mosca; la ragazza si sentiva come se fosse in apnea, e immaginò che per gli altri fosse lo stesso. Si voltò leggermente indietro, guardando nella direzione di Philip; il Grifondoro le restituì un’occhiata preoccupata, poi pose di nuovo gli occhi sulla professoressa.
«È essenziale» proseguì la signorina Azure, «che impariate anzitutto degli incantesimi di protezione. Ad esempio l’Incanto Patronus, che forse alcuni di voi conosceranno già. Chi ha già imparato ad evocare il proprio patronus?»
Qualche mano si alzò, e Aurora notò che quelle mani appartenevano a Melicent Somber, Elsa Arendelle, Hans Westergård e Claude Frollo.
Quattro studenti su – a occhio e croce – una quarantina. La Tassorosso venne scossa da un brivido.
Quella sessione aveva previsto la riunione di tutti gli studenti del settimo anno, e l’attrito tra le Case era già palpabile nell’aria; soprattutto i Serpeverde sembravano straniti, come se non sapessero come comportarsi. La cosa le sembrò in qualche modo allarmante; era come se gli studenti di quella Casa avessero qualcosa da nascondere, anche se non avrebbe saputo dire bene il perché.
Aurora non era mai stata tipo da pregiudizi, e i Serpeverde non le avevano mai suscitato una sorta di repulsione – come accadeva a molti studenti che non fossero di quella Casa. Eppure, nell’ultimo periodo, non aveva potuto fare a meno di notare quanto la maggior parte di loro sembrassero lugubri. Compresa Elsa.
Soprattutto Elsa.
«Bene» la voce dell’insegnante, pur sforzandosi di mantenere un tono neutrale, si affievolì, quando notò che tra gli studenti più dotati c’era anche la Serpeverde, «vedo che qualcuno ha già imparato ad evocare il suo patronus. Ottimo, ragazzi: voi mi farete da assistenti» decretò, invitandoli poi ad affiancarla.
«La difficoltà di questo incantesimo risiede proprio nella soggettività che lo caratterizza» spiegò Azure. «Il passaggio più importante per realizzarlo, infatti» proseguì, «è la concentrazione sul ricordo più felice che avete. Lavorerete molto a livello mentale, dal momento che – prima di pronunciare la formula – dovreste focalizzarvi su quel ricordo. Tenete presente che quasi mai si ha successo, al primo tentativo: è una magia molto potente, molto avanzata. Sarà faticoso evocare un patronus corporeo.»
Fece una pausa, per permettere a tutti di metabolizzare al massimo le informazioni appena fornite.
«La formula da pronunciare, comunque, è expecto patronum» concluse poi. «Ci sono domande?»
Silenzio.
«Bene. Allora cominciate ad esercitarvi.»
Aurora diede qualche colpo di bacchetta concentrandosi su ricordi sempre diversi, ma dopo cinque tentativi ancora tutto quello che usciva dalla sua bacchetta era qualche scintilla azzurra.
«Vuoi una mano?»
Quando si sentì risuonare quella voce alle spalle, trasalì involontariamente.
Elsa Arendelle la stava guardando in modo gentile – sforzandosi di essere gentile, Aurora lo vedeva. Vedeva che tutto ciò che voleva fare quella ragazza, era scappare. I suoi occhi azzurri, freddi, neutri, la destabilizzarono.
«Oh» riuscì solo a dire. «Ehm... sì, grazie. Non riesco a capire perché ancora non sia successo niente.»
«Forse il ricordo su cui ti concentri non è intenso abbastanza.»
Alla Tassorosso venne un’irrefrenabile voglia di chiederle che cosa riguardasse il suo. Elsa Arendelle aveva mai avuto ricordi felici?
Restò interdetta, guardando l’altra come a volerla studiare. «Sì. Immagino di sì.»
Pensò a tutto ciò che la faceva stare bene. Pensò a Philip, ai suoi amici, ai loro occhi, ai loro sorrisi. Non era un vero e proprio ricordo... ma pensare a quelle cose la faceva sentire leggera e felice.
«Expecto patronum
Un usignolo di luce si librò dalla bacchetta della ragazza, che restò a guardarlo meravigliata mentre volteggiava cantando, per poi tornare da lei.
«Ce l’hai fatta» le disse Elsa, accennando un sorriso.
«Grazie per avermi aiutata» rispose. Allungò un braccio esitante, ma desiderosa di stabilire un contatto; Elsa però si scostò, irrigidendosi.
«Ehi» disse la Tassorosso, dolcemente. «Rilassati. Sei al sicuro; nessuno vuole farti del male, qui.»
Ma l’altra adesso aveva un’espressione granitica; sembrava che stesse per incenerirla con lo sguardo. Per un attimo Aurora ebbe paura, ma si sforzò di ricacciarla indietro. Eppure il sapore amaro dell’ansia le strofinava il palato, come a volerle dire che in realtà qualcosa che non andava c’era.
Ed era nella ragazza che le stava davanti.
«Non sarò mai al sicuro» la gelò solo Elsa, impassibile. «Così come nessuno di voi» aggiunse, con una voce che le fece correre un brivido freddo lungo la schiena.
L’istante che seguì sembrò ad ogni singola persona in quell’aula, insegnante compresa, come se fosse dilatato, rallentato nel tempo e nello spazio, tanto era surreale e terribile quello che stava accadendo.
Centinaia di frammenti di ghiaccio comparvero dal nulla alle spalle della Serpeverde, vorticando su loro stessi formando poi come un gelido bozzolo, che prese la forma di un grosso serpente. La creatura spalancò le fauci, sibilando furiosamente alle spalle della ragazza.
L’aula si riempì di urla. Ma Elsa era immobile, e teneva lo sguardo fisso su Aurora.
La Tassorosso sentì d’un tratto una fitta di freddo in tutto il corpo, come se fosse caduta dentro un lago ghiacciato e stesse sprofondando nelle sue viscere più oscure. Riuscì a percepire il suo corpo cadere a terra, poi sprofondò nel buio.
Un buio freddo.
In fondo all’aula, Anna Arendelle osservava la scena, pietrificata.
 
 
Anna corse via mentre tutti si chinavano su Aurora, con il cuore che palpitava insopportabilmente; le sembrava di sentirselo in gola, come quando, tempo prima, aveva tentato di seguire sua sorella nella foresta proibita. Sentiva le voci impaurite dei compagni e quella ansiosa di Azure – che diceva di portare la ragazza in infermeria – come suoni ovattati. Nella sua mente c’era solo sua sorella; solo questo importava.
Elsa era cambiata molto, da quando tutta quella storia aveva avuto inizio. L’aveva vista riavvicinarsi a lei, anche se con cautela; l’aveva vista aprirsi ed essere dolce con lei, come non ricordava che fosse mai stata; l’aveva vista tornare di nuovo, in qualche modo, ad essere una persona. Ad essere viva.
A non essere più quella pallida ombra che le era sembrata per quasi tre lunghi anni.
Ma adesso era cambiata di nuovo. Era più vicina, più legata a lei, ma era anche qualcosa di temibile e incomprensibile. Tutti parlavano di lei a scuola sussurrando, e Anna si sentiva morire ogni volta, perché le tornavano in mente le conversazioni avute con Meg.
 
«Eris aveva del ghiaccio nel cuore» sputò, atona. «Ho pensato che tu dovessi saperlo.»
Si sentì affondare a quella frase. «Cosa?» fece, con un filo di voce.
Meg restò in silenzio per un momento, poi disse: «Anna, dobbiamo saperne di più. Probabilmente Elsa è entrata in contatto con quel libro.»
«Elsa non farebbe mai una cosa del genere» disse, prendendo le difese di sua sorella.
«Non di sua spontanea volontà» la fece riflettere l’amica, guardandola dritta negli occhi.
 
Era stato prima che morisse. Prima che le venisse portata via da qualcosa.
Elsa aveva fatto anche questo? Le aveva portato via la sua amica?
La sua mente lavorava alla velocità della luce, scandendo la sua corsa a perdifiato e i suoi ansiti per lo sforzo. La Serpeverde era sparita, dileguandosi in fretta senza essere notata da nessuno, ma lei aveva subito deciso che non avrebbe permesso che fuggisse. Non di nuovo.
«Elsa.»
Quando sentì la voce di Hans Westergård pronunciare il nome della sua gemella, Anna ebbe un sobbalzo e si arrestò improvvisamente. Era finita nei sotterranei, correndo completamente a casaccio, pensando a quale sarebbe stato il posto più logico in cui andare se si fosse trovata nei panni di Elsa; aveva subito pensato alla Sala Comune di Serpeverde, ed infatti non aveva sbagliato.
Si appiattì dietro al muro, cercando di regolarizzare il respiro.
«Che cosa vuoi?» replicò la voce di sua sorella. Anna non poté fare a meno di permettere che un’espressione sofferente prendesse forma sul suo volto; c’era così tanto dolore, in quella domanda...
«Ascoltami» sibilò il suo ragazzo, in un modo che lei non gli aveva mai sentito fare. «Devi ascoltarmi, o siamo finiti.»
Silenzio.
«Siamo legati, anche se non so come. Te ne sei accorta, vero? Hai avvertito qualcosa che ci ha uniti, quando ci siamo incrociati, dopo il cambiamento del Cappello Parlante. Qualcosa che ci ha vincolati
Silenzio.
«Rispondi!»
Si sentì un tonfo; la Grifondoro immaginò che Hans avesse strattonato Elsa, fino a farla sbattere contro il muro. «Sì, l’ho sentito anche io» la voce della Serpeverde solcò il silenzio, flebile eppure decisa. «E con ciò? Cosa vuoi dire? Che sta succedendo?»
«Non capisci? Qualcuno ha pianificato questo legame per noi. Pitch Black si sta impadronendo di tutta la scuola. E noi gli serviamo a qualcosa.»
Anna sentì un crepitio, poi sentì la sua gemella soffocare un respiro e indietreggiare. «Hai i miei stessi poteri» disse poi, sgomenta.
La Grifondoro si portò una mano alla bocca.
Un fragore delicato e assordante al tempo stesso si infranse sul pavimento, e si riversò nelle orecchie di Anna; Hans doveva aver scagliato dei frammenti di ghiaccio a terra.
«Esatto, Elsa» la sua voce sembrava accarezzare il suo nome, come se stesse toccando qualcosa di delicato, di fragile.
«Che cosa intendi fare con Anna?» chiese la ragazza.
«Oh» il Serpeverde sembrò essersi ricordato una cosa poco importante, che aveva rimosso dalla sua mente. «Anna non dovrà sapere niente di tutto questo. Non sono affari suoi, dopotutto.»
«Lei tiene molto a te. Come puoi comportarti così?»
«Cosa posso dire, Elsa?, non mi affeziono alle persone» fu la sua semplice risposta. La pronunciò con una voce così insopportabilmente piatta – con una tale indifferenza – che alla Grifondoro sfuggì una lacrima, che rotolò amara lungo la sua guancia. «E poi, in realtà miravo a te sin dall’inizio. Siamo stati scelti.»
Siamo stati scelti.
Non riusciva a capire più nulla. Cosa voleva dire? Cosa stava covando Hans?
Quella storia doveva andare avanti da parecchio tempo ormai. E lui non le aveva mai detto niente.
Si diede della stupida per non aver mai sospettato di nulla, troppo accecata dall'amore e dal fatto di avere una relazione con il ragazzo più popolare di tutta la scuola. Hans le era sempre sembrato così... carismatico. Affascinante. Sicuro di sé.
Tutto quello che lei, alla fine, non era.
Forse era per quel motivo che era rimasta attratta da lui: perché le trasmetteva la sicurezza che lei, in realtà, non aveva e non avrebbe mai avuto.
E adesso? E adesso sembrava essere uguale ad Elsa – se non più oscuro. Anche sua sorella le era sembrata diversa dal solito, quando l'aveva sentita parlare. E le aveva fatto paura.
La rabbia e quella connessione con Black stava divorando tutto quello che Elsa era – o meglio, tutto quello che Anna si ricordava che fosse. Perché non le aveva detto niente di quel vincolo che aveva sentito? Forse lei non era abbastanza? O la voleva proteggere come sempre?
Che differenza fa?, si chiese. Tanto comunque non glielo aveva detto, aveva preferito escluderla di nuovo.
Si sentiva come un guscio vuoto, adesso, un essere vivente privato di ogni emozione. Sentiva tutto quello che amava lontano; ormai c'erano solo lei e il fantasma di Elsa, che non avrebbe mai smesso di tormentarla.
La ragazza inspirò quando sentì un nodo stringersi alla sua gola, come per scacciare le lacrime che minacciavano di uscire; doveva parlare con Elsa. Doveva aiutarla, perché qualcosa le diceva che farle stare separate di nuovo era esattamente quello che Pitch Black voleva.
E lei non avrebbe permesso più a nessuno di portarle via la sua gemella.
«Io non so se voglio farlo.» La voce di Elsa risuonò fragile, spezzata, poco più che un pigolio, che fece venire ad Anna un groppo in gola.
«Non dipende dalla nostra volontà» sibilò Hans con rabbia. «Prima lo capisci e meglio è.»
La Grifondoro sentì che si allontanava, e le sembrò di vederlo, nella sua camminata elegante; la postura dritta, i passi né troppo leggeri né troppo pesanti, la testa alta...
Non doveva pensare più a lui in quel modo.
Quando uscì allo scoperto, Elsa era rimasta sola, e si trovava in posizione raccolta, seduta a terra, con le ginocchia al petto. Guardava il vuoto con quei suoi occhi aridi, le labbra serrate in quel gesto abituale che ormai la Grifondoro aveva imparato a riconoscere.
«Elsa.»
La ragazza sobbalzò nell'udire la voce della gemella, poi sul suo volto d'alabastro si dipinse un'espressione a metà tra lo stupore e lo sgomento. «Allontanati» disse solo febbrilmente, la voce che tremava.
Anna non le diede ascolto – come del resto aveva sempre fatto. Si sedette accanto a lei, avvicinandosi con cautela, come si fa con un animale ferito. «Perché non me lo hai detto?» le chiese poi, con il tono più delicato che riuscisse a fare.
Il volto della gemella si indurì di colpo. «Detto cosa?» disse solo freddamente.
La Grifondoro sospirò. «Ho sentito tutto» rivelò.
«Tutta la scuola ha paura di me» disse la Serpeverde con voce piatta, circondandosi il corpo sottile con le braccia pallide; e lo sguardo lontano, perso nella paura che le stava mangiando il cervello. «Ma tu no. Perché?»
Anna sorrise. «Sei mia sorella. Non mi faresti mai del male.»
«Non ne sarei così sicura, fossi in te» sembrava frustrata; Anna constatò, con una sensazione sgradevole, che la sua testa non era ormai che un groviglio di pensieri negativi, che la stavano pian piano consumando. Le era insopportabile che la sua gemella stesse così.
C'era solo una cosa da fare.
Doveva far capire ad Elsa che non era sola come credeva, che l'avrebbe sostenuta, che sarebbero tornate come prima – come quando erano più piccole, allegre e spensierate.
Più o meno.
Doveva farle capire che aveva un punto di riferimento.
Così annullò le distanze che c'erano tra loro, e l'abbracciò. Capì di aver fatto la cosa giusta quando la Serpeverde la strinse ancora di più, e si sciolse in lacrime.






 
 
Il grosso serpente di ghiaccio sibilava sotto lo sguardo terrorizzato di tutti, mentre Elsa Arendelle restava immobile come una statua. Era come se il tempo non esistesse neanche più; l'oscurità era calata sull'aula, e Merida notò che un bagliore bluastro danzava sul volto pallido della Serpeverde. La ragazza era al centro esatto della stanza, gli occhi vacui, i capelli chiari che fluttuavano leggermente. Guardando con più attenzione, notò che una lieve scia di cristalli di ghiaccio si sollevava dalle ciocche bionde, andando a rifluire nel rettile alle sue spalle.
La Grifondoro sguainò la bacchetta istintivamente, poi cercò Jehan con lo sguardo, sperando di trovarlo; voleva verificare che fosse abbastanza lontano dal serpente, per evitarlo nel caso attaccasse.
Quello che vide, quando lo adocchiò, le fece accapponare la pelle.
Jehan Frollo era in fondo all'aula, e sorrideva.
 
«Jehan, mi devi delle spiegazioni.»
Merida aveva preso da parte il suo ragazzo fuori dall'aula, dopo quello che era successo; sentiva la paura formicolarle sulla pelle, ma non voleva darlo a vedere. Avvertiva, in qualche modo, che quello che le avrebbe detto – qualunque cosa fosse – sarebbe stato utile alla causa di Merman.
In un lampo si accorse che c'era stato un profondo cambiamento dentro di sé: ormai non era più la ragazza vivace e competitiva di tre mesi prima. Adesso si era abituata a vedere che, anche coloro che considerava amici, avrebbero potuto essere potenziali avversari. La scuola si stava inevitabilmente dividendo in due: quelli che volevano salvarla, e quelli che volevano distruggerla.
Magia bianca e magia nera.
«Quali spiegazioni?» il tono del suo ragazzo era fin troppo indifferente.
 
 
«Alchimia. Non ti sembra strano? L’alchimia non viene più insegnata qui da un sacco di tempo. Black deve esistere da molto» disse la Grifondoro, mentre andava a lezione di Pozioni camminando accanto al suo ragazzo.
«Non saprei; in realtà, c’è ancora qualche nostalgico appassionato. Come Claude, ad esempio.»
«Allora avrà qualcosa da nascondere» proseguì Merida, imperterrita. «Non glielo hai mai chiesto?»
«Sarebbe inutile» disse Jehan. «Non riuscirei a scoprire niente.»
Silenzio.
«Senti, tu per caso hai capito la formula che hanno spiegato l’altra volta? Io stavo praticamente dormendo...» cambiò poi argomento, tirando fuori il manuale dalla borsa in pelle.
In quel momento, Merida non badò al modo in cui il suo ragazzo aveva prontamente liquidato la questione.
Come aveva sempre fatto, da un po’ di tempo a quella parte.
 
 
All'improvviso le sembrò che la noncuranza e la scarsa considerazione – la stessa che le aveva mostrato dall'inizio dell'anno – non fosse più casuale. Le gambe le tremarono quando quel pensiero la sfiorò: era stata cieca per troppo tempo.
Che stupida!
Ma non poteva permettersi di essere debole. Non lei, non in un momento come quello.
«Ti ho visto, prima. Stavi sorridendo. Stai aiutando Pitch Black?» adesso non c'era più nessun legame tra lei e il ragazzo che le stava davanti. Tutte le risate, gli scherzi, i baci, gli abbracci, i momenti condivisi, semplicemente erano svaniti nel nulla; le interessava solo sapere se Jehan stava dalla sua parte o no.
Merida Dunbroch aveva capito che c'erano cose ben più importanti di una persona.
«Wow, quanto sei diretta» scherzò Jehan, sempre con lo stesso tono.
«Voglio una risposta» ingiunse lei, puntandogli istintivamente la bacchetta alla gola. Adesso tremava di rabbia; un calore furioso le tinse le guance di rosso, mentre il cuore le palpitava nel petto, dandole l'impressione che il sangue le ribollisse nelle vene per la collera.
«Aiutare è una parola grossa. Diciamo che mi ha promesso delle cose... e io ho accettato. Non sono l'unico, comunque.» La leggerezza con cui lo disse fu per la Grifondoro come un pugno nello stomaco. Era stata tradita, pugnalata alle spalle. Jehan era una persona di cui si fidava... e adesso stava dalla parte del nemico.
Ecco perché quel distacco... si stava avvicinando sempre di più a lui.
Il bello era che Jehan aveva l’aria di non sentirsi minimamente in colpa – quell’atteggiamento le fece venire il voltastomaco.
«Chi sono gli altri?» cercava disperatamente di trattenere le lacrime, ripetendosi che, se Jehan aveva tradito così la sua fiducia, allora non era mai stato così importante.
Non è importante.
Non è importante.
Il Grifondoro fece un sorriso sghembo, cinico e freddo. «Ci sono altri studenti che hanno preso parte a questa causa» disse, ostinandosi a non rispondere. «Elsa Arendelle è molto ambita da Black. È la seconda volta che trova una pedina che corrisponde alle sue esigenze come lei, e non ha intenzione di farla scappare. Tu non hai idea di che cosa potrebbe succedere, se lui ce la facesse.»
Merida si accorse che aveva le labbra socchiuse dallo stupore e che le era caduta la bacchetta di mano solo quando fu passata una manciata di secondi. I pensieri e le parole di Jehan si ripetevano e ingarbugliavano ossessivamente nella sua testa, al punto da sembrare insopportabili.
Poi lui le diede il colpo di grazia.
«Ci sta riuscendo, Merida. È troppo tardi» disse, facendo comparire sul suo volto – un tempo dall'aria sbarazzina, ora d'un tratto inquietante – un sorriso feroce. «Stanotte morirà chi è stato colpito dall’uroboro. E penso che tu abbia capito chi sia.»
La ragazza si sentì sprofondare.

 
 
 
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Ed eccoci qua!
Naturalmente non ho ancora Internet (OVVIAMENTE), così ne approfitto adesso, visto che ho acchiappato una connessione alla mitica Unifi. Comunque: spero che il capitolo vi sia piaciuto. Elsa sembra sprigionare sempre più oscurità, la sua vera natura sta venendo allo scoperto, ma Anna non vuole allontanarsi da lei…
In un certo senso, riesco a percepire il dramma di queste due sorelle: so che Anna viene presentata come un personaggio spensierato, ma io credo fermamente che non lo sia – che sia molto più triste e persa di quello che sembra. Si aggrappa alla sorella, ma soprattutto in questo capitolo, credo sappia benissimo anche lei che cosa le stia succedendo. Intanto, Merida inizia a sospettare giustamente di Jehan; sta maturando molto, si butta a capofitto nel compito che Merman le ha assegnato, riuscendo così a scoprire delle agghiaccianti verità sul suo fidanzato.
Hogwarts è cambiata, ormai gli schieramenti si sono fatti sempre più netti, e un altro omicidio si avvicina. Chi sarà il prossimo, secondo voi?
Spero vi sia piaciuto, a presto!
Stella cadente



 
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In un lampo si accorse che c'era stato un profondo cambiamento dentro di sé: ormai non era più la ragazza vivace e competitiva di tre mesi prima. Adesso si era abituata a vedere che, anche coloro che considerava amici, avrebbero potuto essere potenziali avversari.

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Capitolo 35
*** Capitolo 35. ***


35.
 
 
Nel sogno c’era una fiamma verde che fluttuava davanti a lei, riflettendosi nei suoi occhi azzurri. Una sfera di magia infuocata e iridescente, che la attirava come una falena alla lanterna.
Erano le quattro del mattino quando Aurora si era svegliata, avvertendo una sensazione di oppressione al petto che non aveva mai provato in vita sua – come se fosse in cerca di qualcosa, come se mancasse un pezzo di se stessa. Le era sembrato quasi di soffocare.
E poi l’aveva vista.
Una luce verde fluttuava di fronte al suo lettino in infermeria.
Era stato come un richiamo; il richiamo di una voce oscura che la voleva con sé e che sussurrava parole strane che non aveva mai sentito – e che però capiva, senza sforzo. Si era messa a sedere seguendo la voce, e adesso stava guardando la luce verde. Inginocchiata sul letto, ascoltava le voci che, nel buio, sussurravano la lingua sconosciuta.
Tese una mano pallida per toccare le fiamme di un verde acido, ma queste si spostarono, guizzando al centro della stanza circolare, tentatrici e invitanti. Socchiuse le labbra, tenendo lo sguardo fisso, mentre il riverbero che l’incantesimo produceva dava vita ad un’inquietante danza di luci sul suo viso bianco come il latte. Non poteva resistere: le fiamme la chiamavano.
Dietro di lei, una sagoma scura e incorporea come l’ombra la guardava ghignante.
 
 
Quella era una notte insonne per Philip; quanto aveva detto Merman in Sala Grande dopo il secondo omicidio lo aveva sconvolto. Non avrebbe esitato a combattere, lo sapeva; eppure, non poteva fare a meno di farsi prendere dal panico. Che cosa avrebbe scritto alla sua famiglia?
Quello che lo teneva sveglio, comunque, era ben altro. Nell’aula di Difesa, Aurora era stata colpita da qualcosa di oscuro, poteva scommetterci. Cominciava ad essere profondamente impaurito da Elsa, dall’effetto che aveva sulla scuola e sugli studenti; forse era proprio lei ad aver monitorato Aurora tramite la Polvere Trasportante. Ma per cosa, esattamente?
Se solo ci fosse un modo per capirlo...
Philip sapeva solo che quello che era successo era stato terrificante. Aveva ancora impresso nella mente quel gigantesco serpente di ghiaccio che sibilava e si contorceva alle spalle di Elsa, i bagliori bluastri che aveva mandato in tutta l’aula, il buio, il freddo che era calato improvvisamente, come se si trovassero tutti in una landa desolata e gelida. Il Grifondoro avrebbe giurato che nessuno dei presenti stesse riuscendo a dormire, in quel momento: era stato terrificante.
La notte sembrava accogliere tutte quelle riflessioni, che gli si accavallavano nel cervello l’una sull’altra. Quello che gli aveva detto Aurora lo aveva colpito, e anche con i suoi compagni sembrava che ogni episodio o dettaglio – che era sembrato insignificante a chiunque – andasse a costituire qualcosa di più profondo. E la Tassorosso, adesso come stava? Era al sicuro in Infermeria?
D’improvviso, si sentì come un’insulsa pedina di un macabro disegno, e avvertì una bollente rabbia pulsargli dentro. Aveva voglia di combattere, di contrastare le forze che avevano ormai avviluppato tutta la scuola... ma lui era solo, e inoltre non servivano mosse avventate.
I suoi pensieri andarono di nuovo ad Aurora. Non avrebbe mai voluto che le accadesse qualcos’altro; il pensiero che Pitch Black potesse prenderla come ostaggio – o peggio, ucciderla – lo faceva rabbrividire. Si rese conto, mentre faceva qualche incantesimo soprappensiero, che avrebbe fatto di tutto pur di proteggerla; degli usignoli scaturirono dalla sua bacchetta e si misero a svolazzargli piano davanti. Uno di loro cinguettò perplesso, e quel suono dolce e consolatorio gli ricordò la voce di Aurora.
Sospirò; avrebbe dato qualunque cosa per parlare con lei in quel preciso momento.
 
 
Stava camminando lungo i corridoi della scuola, in camicia da notte, ignorando il freddo che sembrava tirarle la pelle, per seguire quella sfera di magia verde che sembrava emanare un’elettricità propria, incantevole e melliflua. All’interno di essa vedeva se stessa, la propria faccia e la propria divorante curiosità. Passò la mano in mezzo a quella luce abbagliante; la sensazione che provò sulla sua pelle fu la stessa di quando si tocca un ferro arroventato. Gemette: quella magia l’aveva ustionata – le aveva fatto del male. Era magia malvagia... eppure, non poteva fare a meno di seguirla.
Quando arrivò vicino alla torre di Grifondoro, la palla di luce si fermò all’improvviso, fluttuandole davanti dispettosa.
Poi accelerò, diventando tutto d’un tratto veloce.
«Aspetta!»
 
 
L’aveva sentita.
Aveva sentito la sua voce, lungo il corridoio, al di là della porta della Sala Comune, e non aveva esitato neanche per un secondo.
Philip pose fine all’incantesimo che aveva evocato, poi si fiondò fuori, avvertendo una brutta sensazione di oppressione al petto; che cosa ci faceva Aurora, a quell’ora, per i corridoi di Hogwarts?
La vide a poca distanza da lui, immobile sulle scale, che anch’esse restavano immobili. Pareva che tutto si fosse congelato, come se qualcuno avesse fermato il tempo. Il cuore aumentò i suoi battiti nel petto del ragazzo, che si sentì improvvisamente la gola secca; c’era qualcosa che non andava nella Tassorosso, che ora stava dritta come un fuso su un gradino, senza muoversi di un centimetro.
Aurora non era mai stata imbranata e maldestra – come Anna, ad esempio – ma neanche eccessivamente misurata; la sua postura, così come le sue movenze, era dolce e spontaneamente elegante. Ora, invece, era così rigida...
Il suo sguardo, comunque, fu subito catturato da qualcos’altro.
La ragazza guardava in modo fisso una sfera luminosa, che lampeggiava di un soffuso ma splendente bagliore verde. La palla doveva essere un incantesimo oscuro, perché sussurrava parole in serpentese, Philip lo distinse chiaramente. Non capiva cosa dicesse, ma conosceva le sonorità di quella lingua, e sapeva che nel mondo dei maghi non prometteva niente di buono.
La seguì fino a che non arrivarono alla torre di astronomia; Aurora, intanto, sembrava non essersi nemmeno accorta della sua presenza. I capelli biondo grano fluttuavano leggermente, carezzati dal vento lieve ma gelido di quella notte. Il Grifondoro rabbrividì di freddo, che si mescolò alla paura quando la palla si sbilanciò nel vuoto e la ragazza fece come per seguirla.
«Aurora, non guardarla!» provò a dire, ma dalla sua bocca non uscì nulla.
D’un tratto, mentre una fitta di terrore si impadroniva di lui fino a strozzarlo, gli sembrò di capire.
 
«Vedete Principessa» prese parola un’altra ancora – stavolta vestita di blu – esordendo senza mezzi termini. «C’è qualcuno che vi dà la caccia. Anche se non sappiamo chi sia.»
«Come è possibile?» intervenne Philip, che fino a quel momento era rimasto solo a pensare a quanto fosse surreale quella situazione.
«Non lo sappiamo, purtroppo» continuò la donna che aveva parlato per prima, mortificata.

«Qualcuno di malvagio vuole la Principessa Aurora. Noi... ecco, lo percepiamo, nell’aria. Lo sentiamo.»


Ma certo... Pitch Black!
Come aveva potuto non pensarci prima? Era talmente ovvio.
Istintivamente sfoderò la bacchetta, pronto a lanciare incantesimi. Non gli importava se non sarebbe servito – in fondo sapeva che quella doveva essere magia avanzata, forse troppo per un comune studente – ma avrebbe fatto di tutto per difendere la ragazza che amava.
Lanciò uno schiantesimo alla palla di luce, che a tratti passava dal verde al giallo in un alternarsi accecante. Quando l’incantesimo colpì la palla, ci rimbalzò sopra con un sibilo, come la biglia impazzita di un flipper. La sfera divenne poi di un giallo ocra, e improvvisamente nel mezzo di essa comparve una sagoma verticale, simile alla pupilla di un gatto, facendola sembrare un occhio che lo osservava attentamente; da essa scaturì un vapore nero, che vorticò intorno a lui come una cappa di fumo, oscurando tutto ciò che c’era intorno.
Una sagoma gli apparve davanti – una sagoma che conosceva bene – e lui si trovò a guardare il mago, impotente. Pitch Black gli restituì l’occhiata con un sorrisetto divertito, sospeso nell’aria e quasi mimetico nel buio che avvolgeva la torre; la sua figura alta svettava su di lui, le gambe erano quasi assenti, sostituite dallo stesso vapore scuro che lo aveva avvolto. A guardarlo bene era polvere, una moltitudine di granelli neri che andava ad alimentare la sua essenza.
«Non mi sono mai piaciuti quelli che vogliono ostacolarmi» disse, la voce leggera e torva allo stesso tempo. Tese una mano verso Aurora, poi la chiuse a pugno, come a volerla attrarre verso di sé.
L’istante in cui la Tassorosso si voltò fece gelare il sangue nelle vene a Philip.
La sua faccia era pallida, spettrale, inespressiva; la bocca era atteggiata in una linea seria e senza vita; le braccia inerti lungo i fianchi.
Ma furono gli occhi a farlo arretrare bruscamente.
Erano neri.
Totalmente neri.
Riempiti da una tenebra opprimente, senza lasciar traspirare nemmeno un filo di luce.
Dei suoi occhi azzurri e dolci, simili a due specchi purissimi, non era rimasto più nulla. E così illuminati dalla sola luce della luna, sembravano quelli di un demone.
«Lasciala stare» disse coraggiosamente lui, lottando contro la paura che gli stava serpeggiando nello stomaco.
Il mago rise, poi, con voce sibilante, pronunciò: «te umbrâ circumligo.»
La torre di astronomia si dissolse diventando un puntino sempre più lontano, e l’ultima cosa che Philip vide furono gli occhi neri e morti di Aurora, che lo fissavano senza guardarlo davvero.
 
*
 
 
«Hans» la voce le uscì più patetica di quel che avrebbe voluto, quando scese in Sala Comune e lo vide di fronte al camino, nella sua postura perfettamente misurata: si odiò per il tono che le era venuto fuori, come di un’incredula esaltazione nel vedere quello che, in realtà, era poco più che un estraneo.
Lei non era il tipo che si fidava subito di qualcuno... ma probabilmente, gli ultimi eventi l’avevano resa talmente instabile da diventarlo. Avrebbe voluto prendersi a pugni per la fragilità che l’aveva condotta fino a quel punto. Una fragilità che, alla fin fine, l’aveva sempre accompagnata, per tutta la sua vita.
«Ciao, Elsa» la salutò lui; il tono di voce distaccato, freddo, eppure con una lieve nota appena più calda, come se in un certo senso si fosse affezionato a lei. «Non riesci a dormire?»
La ragazza prese un sospiro, come per farsi coraggio, e si avvicinò. «Dimmi come devo fare. Voglio fermare tutto questo. Io non ce la faccio più...» cominciò penosamente a piangere, ma ormai le sue emozioni erano un fiume in piena. «Non voglio essere un mostro.»
Hans stette in silenzio, guardandola, poi disse: «Non lo sei. Sono i tuoi poteri ad essere preziosi, per dire la verità – troppo preziosi per essere sprecati. Sei il suo anello mancante; e credo che ti accorgerai da sola che Black non è l’individuo malvagio che Merman ha dipinto di fronte agli occhi di tutti.»
«Finora non c’è stata dimostrazione del contrario» si irrigidì lei.
«Senti» il ragazzo appariva insopportabilmente tranquillo, ed Elsa ebbe la netta sensazione che lui avesse sempre saputo di più riguardo a quella storia – molto più rispetto a quanto avesse rivelato, come se aspettasse quel momento da chissà quanto tempo. «Io so tutto; ho sempre saputo tutto sin dall’inizio.»
La Serpeverde sentì una morsa stringerle lo stomaco, ma dall’altro lato qualcosa che le diceva di stare tranquilla; era come se due lati di sé stessero facendo a botte, senza farle mai capire chiaramente quale dei due fosse destinato a prevalere. «Che significa?» ebbe il coraggio di chiedere, la voce fredda come il ghiaccio dei suoi poteri.
«Ho saputo tutto questo da molto prima che tu scappassi nel bosco. Altrimenti» sollevò un sopracciglio, come per sottolineare l’ovvietà di quello che stava per dire, «per quale motivo avrei dovuto prima avvicinarmi ad Anna e poi chiederti di aiutarmi con erbologia nella Stanza delle Necessità?»
«Sei sempre stato tu, dunque» fece Elsa, con una punta di rabbia nella voce seria. «Fin dall’inizio.»
«Sì» Hans le rispose con voce di pietra, fredda, come se non gli importasse. «Sai meglio di me che c’è luce e oscurità nel mondo dei maghi. È sempre stato così. E la mia famiglia lo sa bene.»
«Hai architettato tutto quanto per risalire a me» sussurrò la ragazza, devastata.
«Esattamente. La relazione con Anna, l’aiuto ad erbologia» ripeté, «tutto quanto. Anna è sempre stata solo uno strumento, per me. La verità è che volevo arrivare a te.»
La Serpeverde lo guardò con rabbia. «Sei uno psicopatico» sibilò tra i denti.
«Forse» disse solo Hans. «Ma adesso devi sapere una cosa.»
Silenzio. Agli occhi di Elsa erano affiorate delle lacrime di rabbia.
«Non devi piangere» la sua voce era calda come velluto, come una coperta avvolgente che la cullava nel suo tepore, ma le parole erano lame. «Il passaggio successivo si sta compiendo proprio stanotte. È da molto che è cominciata; non potevi farci niente, piccolo fiocco di neve» le disse, dolce come il miele. «Era già tutto prestabilito.»
«Allora perché Merman mi ha detto di ostacolarlo?» le sue certezze che cominciavano a vacillare, il peso della distruzione che si abbatteva su di lei, e le parole di Hans che l’avevano spiazzata, che le avevano fatto cambiare idea su di lui – tanto era sembrato gentile, mentre le pronunciava – in un modo rapido che non sopportava. Forse era la sua morbosa curiosità, o il modo in cui il ragazzo, con le sue parole, aveva bruscamente cambiato le carte in tavola – non sapeva dirlo. Ma era diventata... più calma.
E non dovrei esserlo, non dovrei, accidenti.
«Perché per lui raccontare tutta la verità era scomodo, per ragioni che non dovrò essere io a dirti.»
La ragazza gli si sedette vicino; malgrado le sue parole fossero piatte, inespressive, la sua voce sembrava carezzarla. Qualcosa le diceva improvvisamente che stavano condividendo il medesimo destino, che entrambi erano vittime degli eventi e basta. Hans non le sembrava più perfido, arrogante e borioso; le stava parlando come avrebbe fatto un amico, una persona che conosceva da una vita. Eppure, lui non le doveva niente; non si erano mai neanche parlati, prima, salvo che per quella volta ad erbologia. Che avesse aspettato per tutto quel tempo?
Adesso c’era una domanda che si agitava imperterrita sulla sua lingua, che il silenzio non faceva altro che fomentare; sapeva, dentro di sé, che avrebbe dovuto solo cogliere quell’occasione, perché forse lui le avrebbe detto qualcosa di importante – e lei aveva un viscerale, insopportabile bisogno di sapere, di avere di più.
«Come hai ottenuto i miei stessi poteri?»
Hans la guardò negli occhi, come fino a quel momento non aveva fatto, tenendo le sue iridi verde-nocciola sulle fiamme che crepitavano nel camino.
«Quando hai ucciso Eris Goddess» disse solo. «Si è creato... un collegamento. Anche tempo fa Black seguì questo schema. Ognuno di noi fa parte di un rituale, ed è necessario creare un doppione – per garantirne la riuscita. Quattro che finiscono, quattro che iniziano. Melicent ha iniziato tutto questo... la sua fase, e la tua, ormai, sono compiute. Adesso restano solo gli altri. Ma siamo vicini. E lo saremo molto di più, dopo la morte di stanotte.»
Elsa deglutì quando sentì la frase “dopo la morte di stanotte”, sforzandosi di non darlo a vedere. «Perché Pitch Black mi vuole?»
«Non ha solo bisogno di te. Ha bisogno di tutte voi – di quattro iniziate. Senza quattro elementi l’Elisir di lunga vita non viene prodotto.»
«A cosa gli serve, se è già morto?» Quella domanda venne pronunciata con un filo di voce, con un sussurro, con una crescente paura che serpeggia nello stomaco e non dà pace finché non ha infettato tutto quello che trova.
Hans la guardò serio. «A risvegliare gli altri. Così il mondo magico può tornare all’oscurità, e ristabilire l’equilibrio.»
 
 
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Avrei dovuto aggiornare il 25 aprile, ma internet non è ancora arrivato in casa mia, i corsi all’uni sono ricominciati praticamente adesso e non ho avuto modo di farlo. La cosa mi sta facendo arrabbiare parecchio, perché sono un tipo che odia l’inefficienza, ancor più se questa si ripercuote sugli altri – in questo caso voi. Comunque, eccomi qui.
Questo è un capitolo che è stato semplicemente doloroso da scrivere; un po’ perché muoiono due dei personaggi che mi piacevano, un po’ perché vedo Elsa ormai al capolinea. Se immagino di essere al suo posto, mi sento male: la sua vita è stata un continuo nascondersi, reprimersi, autoflagellarsi mentalmente. E adesso... adesso tutto questo ha un senso per lei, un senso che la sta portando sempre più verso l’oscurità. Hans sarà molto importante in tal senso, e spero di aver reso questa cosa al meglio. E, se ve lo state chiedendo, sì, ci saranno flashback e altre belle cose su di lui :)
Dunque dunque, gli ultimi capitoli in generale – a rileggerli – sono stati importanti: che idea vi siete fatti della storia? Secondo voi che piega prenderà? Sono curiosa! (anche perché nemmeno io lo so che piega prenderà la storia, YAY!)
Detto ciò, vado a prendere il treno ;)
Alla prossima, e grazie per sopportarmi <3
Stella cadente





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La torre di astronomia si dissolse diventando un puntino sempre più lontano, e l’ultima cosa che Philip vide furono gli occhi neri e morti di Aurora, che lo fissavano senza guardarlo davvero.

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Capitolo 36
*** Capitolo 36. ***


36.


 
La notizia aveva fatto ormai il suo corso, nel mondo magico, e dopo una missiva di Merman al Ministero della Magia, anche al governo non si parlava d’altro. Dopo il terzo omicidio avvenuto ad Hogwarts – ed il secondo in cui ci avevano rimesso la vita due persone – la scuola di Magia e Stregoneria non era più un luogo sicuro, come tanto tempo prima. Gli Auror, una volta saputo che dietro agli attacchi si celava l’ennesimo mago nascosto dietro lo pseudonimo di Pitch Black, si erano già attivati, ed avevano subito stabilito delle giornate di ispezione dell’edificio, di interrogatori agli studenti, di prove che stabilissero l’innocenza di questi ultimi. La quasi totalità degli alunni era intenta a scrivere alle proprie famiglie, tentando di appellarsi a qualcosa per rassicurare genitori e parenti, immersi nella disperata volontà di riuscirci e nell’atroce consapevolezza che sarebbe stato ipocrita e falso farlo.
Esmeralda, in particolare, aveva scritto una lettera a Clopin – il suo padre adottivo – dicendogli che avrebbe fatto di tutto per impedire che Hogwarts crollasse, che tutto sommato stava andando tutto bene, e che sarebbe stata attenta. Si trovava vicino all’ufficio di Merman, nascosta da una colonna, le pesanti porte a battente in legno socchiuse. All’interno della stanza c’era Claude Frollo; era per quello che la Grifondoro era andata lì. Febo aveva tentato a tutti i costi di dissuaderla, la sera precedente, ma quando lei aveva saputo che Frollo sarebbe stato sottoposto ad ispezione il giorno dopo, nella sua mente aveva preso forma il programma per quella giornata.
Sapeva che, da sola, non avrebbe mai potuto combattere un mago come Pitch Black – ammesso che fosse davvero un mago, dal momento che Merman aveva detto che non era neanche un essere vivente. Ma unire la sua Casa, insieme a quella di Tassorosso e Corvonero, avrebbe potuto farlo, ed era pronta a scommettere che anche in quelle Case qualcuno stesse sospettando dei Serpeverde. Dobbiamo essere tutti uniti, tutti, le aveva detto Febo, come per sottolineare che era necessaria anche la loro collaborazione; ma Esmeralda era sicura che non sarebbe stata una buona idea. Sebbene, per via della presenza di Melicent, non si fidasse del tutto nemmeno dei Corvonero, allearsi con i Serpeverde le sembrava una pessima mossa.
Serrò le labbra, cercando di non lasciarsi andare a pensieri di sconforto. Resta concentrata, Esme, si disse, mentre ascoltava la voce grave di Frollo oltrepassare ovattata le porte a battente dell’ufficio di Merman. Non che si aspettasse chissà quale confessione da parte sua. Perlomeno, non spontaneamente; quello che sperava, era che gli Auror utilizzassero metodi poco ortodossi per estrarre informazioni, tipo il Veritaserum.
A quel punto parli per forza, pensò, con un sorrisetto. Il bacio che si erano scambiati quella volta, nel corridoio, aveva risvegliato in lei una rabbia che oltrepassava ogni limite, verso quel ragazzo. Si sarebbe sentita parecchio meglio se solo lo avesse detto a qualcuno; a Quentin, magari, visto che, tra lui e Febo, era sempre stato il più comprensivo. Ma, se possibile, a lui si sarebbe sentita di fare una confessione del genere ancora meno rispetto a Febo. Frollo era sempre stato quello che gli aveva reso la vita difficile, e quello che l’aveva sempre infastidita di più era il fatto che, nonostante questo, il suo amico non riuscisse ad avercela con lui. Più volte aveva pensato che Quentin fosse troppo buono, troppo comprensivo verso chi, spesso, non lo meritava – esattamente come Claude Frollo. Quel ragazzo era lo stesso che si comportava da bullo verso il suo migliore amico; come avrebbe potuto confessargli che si erano baciati e sperare in uno dei suoi soliti consigli?
Per di più, dopo che lui aveva preso parte all’incarico di Merman – molto prima che la questione di Black venisse fuori – si erano allontanati, e adesso Quentin passava un sacco di tempo con Merida. Esmeralda si sentiva una pessima persona, nel pensarlo, ma avvertiva una pungente, fastidiosa gelosia, ogni volta che li vedeva insieme.
«Certo; mi interesso di Magia Oscura, non è un segreto» la distrasse la voce di Frollo.
«Questo comprende l’accademia o altri fini?» sentì una voce femminile. Una Auror, imperterrita, gli stava facendo delle domande; Esmeralda riuscì anche a sentirla muovere dei passi lenti, prima di fermarsi. «Le conviene dirci la verità, signor Frollo; lei è maggiorenne, e se decidesse di non collaborare, niente tratterrebbe il Wizengamot dallo stabilire un’aggravante alla pena standard, nel caso si rivelasse colpevole. E, mi creda, se nasconde qualcosa, noi lo scopriremo» disse, neutra.
«Lo so perfettamente, agente» fu la gelida risposta del Serpeverde. «Ma le assicuro che io mi interesso di alchimia da sempre, e che il fatto che adesso al centro delle indagini ci sia un esperimento alchemico è puramente un caso» concluse, impassibile. Esmeralda cercò di imprimersi bene il tono della sua voce: non sembrava affatto uno che aveva qualcosa da nascondere. Ma era proprio per questo che una vocina interna le disse di non credergli: il fatto di recitare la parte del tranquillo studente modello poteva essere solo una tattica.
«Tra l’altro, se proprio devo dire tutta la verità» proseguì, sempre con quell’insopportabile voce lugubre e seria, «ho notato che alcuni appunti – che avevo preso per analizzare il caso di Black – mi sono stati rubati. Non so chi sia l’artefice, quindi non saprei aiutare in tal senso, ma suppongo che questo possa essere sufficiente ad escludermi dai sospettati.»
Esmeralda ascoltò il rumore di qualcosa che veniva estratto da una borsa, e dedusse che il Serpeverde stesse mostrando all’agente le pagine mancanti di un quaderno. Si ritrovò a provare la stessa, cocente rabbia, quando sentì la voce femminile dire: «Non proprio, in realtà. Ma per il momento può andare.»
L’ispezione era finita: era arrivata troppo tardi, ed era riuscita ad afferrare solo qualche dialogo sbocconcellato – o più semplicemente, Frollo era stato tanto abile da eludere ogni sospetto in breve tempo. Non voleva ammetterlo nemmeno a se stessa, ma lo invidiava per quella lucida calma che aveva mostrato; non era sicura che avrebbe saputo fare la stessa cosa, soprattutto se fosse stata colpevole.
Quando lo vide uscire, gli andò incontro con fare deciso, gustando immediatamente la sua espressione stupita; gli occhi scuri gli si erano spalancati un poco, e non aveva più quel ghigno che indossava sempre quando aveva a che fare con lei. «Che sei venuta a fare?» le chiese, un’impercettibile nota di rabbia che si agitava nella voce profonda. «Adesso – come se non bastasse quello che è recentemente accaduto – mi spii anche?»
«Esatto» replicò lei, senza cedere, inchiodandolo con lo sguardo. «Non mi fido di te. Ancora di più per quello che è successo.»
Claude inarcò un sopracciglio. «Beh, visto e considerato come sei fatta, non dovresti essere così ossessionata anche dagli altri membri della mia Casa?»
Silenzio.
«E dunque, perché proprio io
L’aveva ammutolita. Esmeralda era rimasta imbambolata a guardarlo, con quelle domande che le martellavano il cervello.
Già, perché proprio lui?
«Perché...» iniziò, lasciando però la frase a metà. «Questa domanda dovrei farla io a te, piuttosto» disse poi, incrociando le braccia. Si sentiva vulnerabile, e si rese conto che aveva fatto quel gesto in un inconscio tentativo di difendersi. «Perché non mi hai mai lasciata in pace, quest’anno?»
«Perché tu per prima mi hai infastidito.»
«Infastidito in cosa? Ti infastidiva il fatto che ti impedissi di rendere la vita difficile a Quentin?» In quella frase ci mise tutto il suo odio; odio per i gesti che quotidianamente il Serpeverde commetteva verso il suo amico, e odio perché – nonostante tutto – lei continuava a parlarci. Perché, più semplicemente, non poteva mandarlo al diavolo? Perché non riusciva a distaccarsi da lui?
«Sì» disse il ragazzo. «No», aggiunse poi, «insomma, non lo so» concluse, esasperato.
«Brutto capire di non essere più il leader della situazione, vero?» lo punzecchiò lei. «È questo che ti irrita: sei abituato a comandare sempre e comunque, senza che nessuno ti dica niente. E io sono l’eccezione.»
«Smettila!» alzò la voce Claude. «Con quale confidenza sputi sentenze sulla mia vita? Tu non mi conosci.»
«Non è difficile capire che tipo di persona sei.»
«Ti assicuro che non sai niente di me» adesso il Serpeverde era mortalmente serio, e la guardava come se volesse ucciderla seduta stante. «E ti conviene lasciar perdere la causa inesistente che stai seguendo, mezzosangue.»
Silenzio. Quel feroce appellativo con cui lui la descriveva sempre – ecco, quella parola – stavolta la fece sentire ferita a morte. Se ne stupì nella frazione di un secondo, quando si rese conto che, se fino a quel momento le aveva procurato solo fastidio, adesso la faceva sentire come se fosse stata investita in pieno da un drago.
Frollo, nel frattempo, la guardava con i suoi occhi di inchiostro; sembrava non smuoversi di un centimetro, come se qualunque cosa che lei potesse dire non avesse la minima influenza su di lui.
«A che cosa pensavi di arrivare?» aggiunse poi, senza distogliere lo sguardo. «Volevi farmi confessare con la forza quello che l’Auror non è riuscita ad estorcermi, dico bene?» rise leggermente, nell’ascoltare il suo silenzio spiazzato. «E poi sono io quello prevedibile. Voi Grifondoro avete tutti la stessa forma mentis: siete presuntuosi, sopravvalutate le vostre capacità e soprattutto non pensate. Esattamente, secondo te in che modo avresti scoperto la mia colpevolezza per quanto riguarda ciò che è successo, se per il momento non ci è riuscita nemmeno un’Auror? Forse rifilandomi del Veritaserum di nascosto?»
Esmeralda ormai non sapeva più cosa dire: non si conoscevano, era vero, eppure era comunque riuscito a prevedere il suo comportamento. Quella constatazione la fece sentire sconvolta, impotente e fragile in confronto a lui.
«Ho indovinato, vero?» insistette, ostinato. «Ti servirà un po’ più di astuzia per riuscire ad incastrarmi» sogghignò, tagliente. «Un’astuzia che non hai, temo.»
In quel momento alla Grifondoro sembrò talmente inquietante che represse a stento un brivido.
«Di’ la verità, mezzosangue» continuò il ragazzo, «hai paura di me.»
«Questo mai» rispose, forse troppo rapidamente. «Scordatelo.»
«È la risposta che mi aspettavo» si limitò a dire lui, avvicinandosi un po’. «Se ti può consolare, nemmeno io mi sento sereno a stare vicino a te.» La fissò come se cercasse delle risposte nel suo stesso sguardo, piantando le iridi nere nelle sue; l’inchiostro si scontrò con lo smeraldo lucente, e in quel momento Esmeralda sentì di essere pericolosamente attratta da quel ragazzo. Paradossalmente, il suo essere così cupo e inquietante era anche quello che non la faceva distaccare; in una frazione di secondo, si rese conto che l’unico motivo per cui era furiosamente accanita su Claude era che parlare con lui le faceva avvertire una scarica di adrenalina che la avviluppava, stringendola a sé, così come il Serpeverde aveva fatto quella volta nel corridoio. Si detestò per quella sensazione che non aveva alcun senso; e ancora di più quando si sorprese a chiedersi se lui provasse la stessa cosa.
«Perché mi hai baciata?» le scappò di bocca, la voce dura come pietra. Quella domanda restò poi ad aleggiare tra loro, invisibile eppure gelida, incorporea e terribile. «Non aveva alcun senso.»
Claude restò immobile, guardandola stavolta con occhi tormentati, sgranati in un’espressione quasi folle. «Lo so» si limitò a dire, serio. «Ma, come mi sembra di averti già detto, ci sono diverse cose che non sai di me.» La afferrò, di nuovo con quella forza inaudita, attirandola a sé prima che la Grifondoro potesse rendersene conto, senza smettere di guardarla negli occhi. «Davvero non ti sei mai resa conto che anche io sono letteralmente ossessionato da te?»
Avrebbe dovuto avere paura, pensò, nel sentire le sue dita che le artigliavano il braccio, in un violento gesto di possesso... invece, ancora quell’adrenalina, che le percorreva la schiena in brividi elettrici di eccitazione.
Brividi che si spensero quando sentì dei passi, dietro di sé, e una voce familiare che diceva: «Esmeralda, Jehan non c’era all’ispezione» la voce si affievolì di botto. «Per la barba di Merlino.»
Si voltò di scatto.
Era Febo.
 
 
 
 
 
 
 
Jehan Frollo camminava nella Foresta proibita, ascoltando il rumore del silenzio e delle fronde che ondeggiavano al vento, sotto i suoi passi strascicati. Il sole era coperto dolcemente dalle chiome degli alberi, ma quella giornata era nuvolosa, quasi come se stesse cercando di invitare il mago che lui stesso aveva agevolato. Sorrise di un sorriso disturbato: già da un po’ di tempo non era più il solito Jehan – quello che faceva scherzi, che rideva e a cui piaceva il Quidditch. Non era più lo stesso che ricercava la compagnia di Merida, o di Anna, o di Febo. Hogwarts, così come la conoscevano tutti, era perduta ormai; non c’era più niente da fare, il processo andava avanti ineluttabile. Black glielo aveva fatto capire sin dall’inizio dell’anno.
 
«Jehan, non è un caso se io ti ho scelto per farmi entrare al castello. Melicent è la prima a dover essere iniziata, perciò deve avere gli strumenti ideali per avviare il processo. Tu sei quello che dovrà fornirglieli; non sospetterà nessuno di te, credimi. Per qualsiasi cosa, i Westergard ti copriranno.» sorrise del suo sorriso da squalo, gli occhi gialli come topazi che brillavano di sete di potere. «Io sono l’ultima risorsa degli Antichi. Non posso fallire. Loro sono la mia famiglia» disse poi, avvicinandosi ancora di più. «Tu sai bene che cosa significhi avere una famiglia, vero? A causa di Merman, io non ho potuto più vederla per quattrocento anni.»
Il Grifondoro sentì il cuore stringersi. Sì, sapeva che cosa volesse dire avere una famiglia che ti incoraggiava, ma...
Claude.
«Signor Black» disse, fissandolo. «Che mi dice di mio fratello Claude? Lui, ecco... io e lui non andiamo più d’accordo da anni, ormai. Mi ha sempre fatto sentire escluso dalla sua vita, come se gli avessi fatto qualcosa di male.»
Black gli girò intorno, torvo e rassicurante allo stesso tempo. «Terrò sicuramente conto di questo, Jehan» promise.
 
 
Aveva visto il corpo di suo fratello segnato da orribili ferite, da tagli che potevano essere inflitti solo da un incantesimo oscuro e orrendamente doloroso. Le piaghe erano rosse, gonfie; sembravano scoppiare da un momento all’altro, lucide e con gocce di sangue nel mezzo, simili in tutto e per tutto a delle ustioni – o a dei tagli trascurati da giorni. Particolarmente evidenti sulle braccia, dovevano essere sparse anche sul torace, dal momento che la camicia della divisa era inzaccherata di rosso. La sua faccia era immobile, intrappolata in una vitrea espressione di morte; i suoi occhi sembravano ormai delle biglie inespressive, che però lo facevano sentire osservato in modo agghiacciante.
La sua voce, la voce di suo fratello, sembrò levarsi improvvisamente da quel corpo rovinato.
Jehan...
Aveva strizzato gli occhi e quell’immagine si era dissolta, lasciando il posto alla realtà del dormitorio di Grifondoro.
 
Che cosa sarebbe successo a Claude? Jehan si era pentito immediatamente di aver detto quella cosa a Black, facendolo di getto – come faceva sempre, senza pensare – tanto per vendicarsi dei maltrattamenti del fratello che negli anni si erano accumulati, pesando dolorosamente nella sua testa come zavorre di sofferenza.
Era stato lui sin dall’inizio; Black aveva ragione, nessuno aveva sospettato di nulla. Gli studenti erano troppo impegnati a concentrare tutte le loro energie sui Serpeverde, mentre Merman si stava focalizzando su Elsa. Lui era stato come un’ombra, che impercettibile agiva nel silenzio. Solo adesso era uscito allo scoperto, poiché ormai i tributi erano terminati e l’atto stava per essere compiuto, proprio quella notte.
E adesso... adesso stava andando da Black, nella foresta. Lo vide dopo qualche altro passo, in piedi nella radura, abbigliato con un mantello nero che scendeva fino a terra – fino a toccare le foglie.
«Hai fatto un ottimo lavoro. Ti sei allontanato dalla tua ragazza, hai fatto sì che nessuno sospettasse minimamente quello che stavi facendo» sembrava così fiero di lui, e per un attimo il Grifondoro si immaginò che fosse Claude a dirgli quelle cose. Sorrise di un sorriso trasognato, appena percettibile, che gli disegnò una quasi invisibile linea sul volto ormai pallido e segnato dalle occhiaie.
Aveva avuto incubi orribili, durante quei mesi. Aveva faticato a recitare la parte del solito Jehan, quando il suo cuore si stava riempiendo di oscurità, ma ce l’aveva fatta. Ce l’aveva fatta. Non era così incapace come lo dipingeva Claude. Non era il solito, superficiale Jehan Frollo che vedevano tutti.
«Adesso tuo fratello pagherà, in qualche modo, per quello che ti ha fatto.»
E il petto che si gonfia di eccitazione, che pompa desiderio di vendetta. Il Grifondoro sentì le mani prudere e un sorriso folle prendere forma sul suo volto, un tempo solare e sempre abitato da un sorriso tutto denti.
«Come?» chiese, gli occhi scuri – unica cosa che aveva in comune con Claude – illuminati da un luccichio di vetro.
Il mago sorrise amabilmente.
«Lo vedrai.»
Un brivido percorse il giovane Grifondoro, mentre il corpo con gli occhi morti di Claude gli rimbalzava in mente come un avviso.
Nella mano destra, i fogli con gli appunti di suo fratello sembrarono scottare, inopportuni.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
L’immagine che Febo si trovò davanti, quando svoltò nel corridoio, gli provocò la stessa sensazione di un manico di scopa ben assestato nello stomaco. Capì che non avrebbe mai dimenticato il bruciare della rabbia che gli raggiunse il cervello e gli infiammò le vene, quando vide Esmeralda così tremendamente vicina al volto di Claude Frollo.
«Oh mio Dio» disse la sua amica, a fior di labbra. Lo fissò, senza sapere cosa dire o fare, immobile, come un animale in trappola. Era congelata sul posto, gli occhi sbarrati e pieni di quella che sembrava paura.
«Ma che stai facendo?» le chiese il Grifondoro; la voce gli uscì delusa, amareggiata, perfetto specchio della sua mente che era un groviglio di pensieri impazziti. Perché la sua migliore amica si trovava da sola con Frollo? E per quale diavolo di motivo erano così vicini? Esmeralda aveva detto che sarebbe andata all’ufficio di Merman, visto e considerato che il Serpeverde sarebbe stato perquisito lì, per riuscire ad afferrare qualcosa – una confessione, magari. Ma adesso... adesso, la situazione che gli si presentava davanti agli occhi era completamente diversa. Avvertì il netto, invadente impulso di spaccare qualcosa; e più Esmeralda lo guardava con il terrore dipinto nelle iridi verdi, più quella sensazione si rafforzava.
«Febo...» tentò poi la ragazza, facendo uscire la sua voce in quel silenzio opprimente.
«Spero che tu ti renda conto del fatto che stai pugnalando Quentin alle spalle» disse solo, lanciando un’occhiata feroce a Frollo. «Quanto a me, non voglio sapere cosa sta succedendo, ma sono abbastanza sicuro che, qualunque cosa sia, puzza di bruciato.»
«Non vi tradirei mai, lo sai» fece lei, quasi disperata.
Il Grifondoro la guardò freddo, i sentimenti che ormai erano finiti da tutt’altra parte. «Non ci possiamo fidare di nessuno, di questi tempi» si limitò a dire, continuando a fissarla inespressivo. Gettò uno sguardo carico d’odio a Frollo, poi se ne andò a passo svelto.
«Aspetta!» la voce di Esmeralda che gridava dietro di lui gli arrivò in modo doloroso, mentre ascoltava i passi della sua amica che correva per raggiungerlo; ma non si voltò. Non sembravano in atteggiamento ostile, lei e il Serpeverde, quando li aveva trovati insieme; che lei stesse fraternizzando con lui? Si rifiutava di immaginare che proprio Esmeralda stesse voltando le spalle alla sua Casa, il solo pensiero gli faceva venire il vomito.
Sicuro che non ci sia altro, Febo?, chiese a se stesso. Si piantò le unghie nei palmi delle mani con forza, quando lo capì; certo che c’era altro. Quella sera con lei, nella Stanza delle Necessità... credeva che avesse significato qualcosa. Credeva che lui ed Esmeralda stessero iniziando a piacersi, ad essere un po’ più che amici. Era da tempo che aveva iniziato a non vederla più con gli stessi occhi, per dir la verità; forse dalla partita di Quidditch, o dagli allenamenti insieme, o addirittura da sempre. Non lo sapeva, eppure aveva sempre pensato che lei fosse troppo forte, troppo tosta per innamorarsi di qualcuno. Invece, si era innamorata proprio di lui.
Claude Frollo.
«Da quanto tempo sei innamorata di lui?» fece, dando voce ai suoi pensieri, una volta che furono abbastanza lontani per non farsi udire da nessuno.
«Non sono innamorata» lo aveva detto, ma aveva gli occhi lucidi e l’espressione confusa; Febo non l’aveva mai vista così. «Io... non so che mi è successo» aggiunse, con aria smarrita.
«Esme, devi allontanarti da quel tizio» Febo l’afferrò per un braccio, scuotendola leggermente. «Ti fa solo del male. Guarda come ti ha ridotta» proseguì duramente. «Sei riuscita a scoprire qualcosa, almeno?» le chiese, la voce come una frustata repentina.
La risposta della ragazza, però, venne interrotta da una voce che lo fece voltare, improvvisamente attento.
«Nel nostro dormitorio» diceva una voce maschile, sconvolta. «Il fratello di Claude, era sul suo letto. È morto.»
  
 

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Salve a tutti, lettori!
Mi sento esaltata dopo aver scritto questo capitolo, non solo perché ora ho le idee tutte chiare, ma anche per la portata del capitolo stesso. Vediamo, intanto, che la questione di Pitch Black non rimane solo nella dimensione circoscritta della Scuola di Magia, bensì si estende anche al Ministero; ho semplicemente trovato credibile un risvolto di questo tipo, ecco. Abbiamo poi una conversazione piuttosto interessante tra Esmeralda e Frollo, che viene interrotta da Febo: che reazione vi aspettate che susciti questo episodio, nella Casa di Grifondoro? Credo comunque che sia chiaro a tutti che porterà molto scompiglio e cambierà le carte in tavola...
Secondariamente, ci sono dei chiarimenti sul rapporto Jehan-Pitch Black; nel capitolo 34 abbiamo capito che Jehan c’entrava qualcosa, ma cosa?, mi sono chiesta. E dunque, ecco che nella seconda parte del capitolo 36 abbiamo tutte le delucidazioni necessarie :D Ho voluto rappresentare il modo in cui la distorsione della realtà e la follia innescata da Black abbiano preso possesso di Jehan Frollo, il personaggio che era – o meglio, appariva – come il più spensierato di tutti. Mi ha fatto impressione immaginarlo con un sorriso malato sul volto e gli occhi che sono ormai iniettati di pazzia.
Dulcis in fundo, abbiamo un’altra delle mie conclusioni secche e da infarto – o almeno, era questo l’intento.
Mi auguro che anche questo capitolo (sebbene un po’ macabro a tratti) vi sia piaciuto, alla prossima!
Stella cadente


Risultato immagini per american horror story 1 temporada

Lui era stato come un’ombra, che impercettibile agiva nel silenzio. Solo adesso era uscito allo scoperto, poiché ormai i tributi erano terminati e l’atto stava per essere compiuto, proprio quella notte.

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Capitolo 37
*** Capitolo 37. ***


37.

 
 
Vaiana guardava la polvere azzurra che si infrangeva contro le pareti della sfera di cristallo, producendo movimenti simili alle onde del mare. Distratta, seguiva il fluttuare quieto di quell’incantesimo, mentre ascoltava la voce di Judy che ragionava lucidamente – come sempre.
«Altre due morti» stava dicendo la sua amica, cupa. «Deve esserci sicuramente dietro qualcosa, anche se non sappiamo cosa. Questi omicidi non possono essere casuali.»
«Sappiamo che Megara era in stretto contatto con quei Grifondoro e il ragazzo di Tassorosso» ragionò Maui, «quindi, per quanto riguarda lei, credo che il motivo sia questo. E per gli altri... non saprei.»
«Ercole Thunder è rimasto ucciso per difendere Megara, mi pare evidente» proseguì Nick. «Sono morti nello stesso momento, eppure solo lei aveva i segni tangibili di una maledizione in corso. Lui non c’entrava niente, probabilmente: si è solo messo nel mezzo» concluse, serio.
«Secondo voi che cosa potrebbe significare quel simbolo, quello che abbiamo trovato in biblioteca?» chiese Judy. «Maui, tu sei un esperto di rune e incantesimi antichi. Hai qualche idea?»
L’espressione del Serpeverde si rabbuiò ulteriormente. «Sì. Ma spero proprio che non sia reale» si limitò a dire, fissando improvvisamente il pavimento.
«Maurice» lo chiamò Nick, usando il suo nome per intero. «Che cosa c’è?»
Gli occhi di Vaiana si posero finalmente su di lui.
Non dirlo. 
«Io... penso che ci sia un rituale oscuro in corso, proprio nella scuola. Alcuni rituali richiedono il sacrificio di un certo numero di vite, prima di essere attuati definitivamente. Di solito» si interruppe per un secondo, poi riprese, «il numero delle vittime è uguale al numero di persone necessarie per portare a termine il rituale. Qualcuno può rimanere comunque ucciso, ma i bersagli significativi sono pochi – per esempio, quattro o cinque al massimo.»
«Bene» fece Judy, prendendo un sospiro. «Anche se questo non ci porta comunque da nessuna parte. Non sappiamo quanti siano i bersagli di Black, quindi continuiamo a vagare nel nulla.»
«Merman, tempo fa, disse che aveva bisogno di quattro studenti» irruppe Nick. «Non ti ricordi? E adesso ne sono morti...»
«... Tre» terminò lei, avvertendo un brivido agitarsi nel suo stomaco.
Vaiana guardava i suoi amici, intanto, senza dire niente. Rigida, inespressiva, si limitava a fissarli, la bocca che voleva parlare, muoversi, articolare pensieri e immagini, invano.
«Vaiana, tutto bene?» le chiese poi Judy, guardandola con apprensione.
«Sì» rispose lei, troppo velocemente, alzandosi poi in piedi e recandosi verso l’uscita della Sala Comune. «Scusatemi, ragazzi, è solo che... devo fare due passi» si limitò a dire, mentre ascoltava la magia dentro di lei agitarsi, pulsare, portarla via come un’impetuosa onda nera.
«Non puoi andare da sola» l’ammonì Maui, con tono quasi protettivo.
«Sì che posso» si irrigidì lei. «Vi prego.»
Disse solo queste parole, poi corse via dalla Sala Comune, lasciandosi dietro l’inquietudine dei suoi amici e il silenzio che aleggiava tra di loro.
«La cosa non mi piace» disse Nick, lo sguardo ancora fisso sulla porta. «È da quella volta in biblioteca che si comporta in modo strano.»
«Lo so» disse Judy, preoccupata. «È rimasta immobile soltanto un momento, quella volta, e poi non ha detto più niente.»
«Ho una teoria» disse Maui. «Ma non vi piacerà. Prima di tutto, devo farvi una confessione: Vaiana non vorrebbe che ve lo dicessi, ma credo che in questo momento non ci sia più tempo per i segreti. E poi, questa è una cosa troppo importante.»
I suoi amici restarono in silenzio, come per incitarlo; Nick lo guardava fisso negli occhi, mentre Judy si era perfino protesa leggermente in avanti.
«Vaiana ha dei poteri particolari, che esistono da quando è nata» fece una pausa, per permettere agli altri due di metabolizzare quella frase, poi proseguì, «esattamente come Elsa Arendelle.»
«Perché non ce lo ha detto?» chiese Judy; appariva ferita da quel segreto che la sua amica continuava a mantenere ostinatamente.
«È sempre stata molto abile nel nasconderlo» disse il Serpeverde. «Lo avrebbe fatto anche con me, se non l’avessi scoperta io stesso. Una volta, al primo anno, l’ho vista vicino al Lago Nero, a gambe incrociate, che osservava distrattamente l’acqua. Guardando con più attenzione, mi sono reso conto che un tentacolo d’acqua le ondeggiava davanti, e che lei sembrava governare i suoi movimenti con le mani.»
«È in grado di controllare l’acqua?» fece Nick, incredulo.
«Sì. Eravamo amici da poco, quando l’ho scoperto, e lei mi ha pregato di non dirlo a nessuno. Temeva che gli altri l’avrebbero vista come un mostro. Comunque, da allora non ha più voluto parlarne, ed io non l’ho più vista usare questa sua capacità... è come se la temesse, soprattutto adesso. E ne capisco benissimo il perché.»
«Potrebbe essere usata da Black» realizzò Nick, con un brivido.
«Potrebbe essere lei il suo prossimo bersaglio» aggiunse Judy, il panico che si agitava nella sua voce dolce.
«Per quale diavolo di motivo siamo qui adesso?» s’infervorò Nick, improvvisamente. «Dobbiamo andare a cercarla.»
Maui lo fissò, poi parlò in tono sommesso, come si fa quando si sta per rivelare qualcosa che spaventa e rende deboli. «Anche se la trovassimo, non ci ascolterebbe. Questi poteri a volte ti chiamano... e nessuno si può intromettere.»
Judy tirò un sospiro breve e deciso. «Allora c’è solo una cosa da fare.»
 
 
 
 
Era uscita di nascosto, come faceva sempre, camminando sull’erba, aggirando la foresta proibita mentre rabbrividiva di freddo. Non aveva paura, anche se aveva solo undici anni; sapeva che avrebbe potuto usare le sue abilità contro qualunque creatura che avrebbe provato a ferirla. 
Vaiana sospirò; aveva conosciuto tre persone fantastiche, in quei primi giorni ad Hogwarts, ma la paura di confessare loro quel suo potere era sempre troppa. In fondo, non era una così buona cosa, avere dei poteri che sfuggissero al controllo della propria bacchetta. La ragazzina prese la sua dalla tasca dell’uniforme, una dieci pollici con il nucleo di corda di cuore di drago, di legno scuro – castagno, aveva detto Olivander. La osservò, quasi con curiosità: avrebbe potuto usarla per controllare la sua abilità? Oppure non le sarebbe servita a niente?
Non aveva neanche senso nascondersi, dopotutto. L’acqua la faceva stare bene; era un richiamo ogni volta, per lei. 
Si sedette vicino al lago e tese una mano: un tentacolo d’acqua si sollevò oscillando, come un serpente che risponde al richiamo della sua incantatrice, e le danzò di fronte agli occhi. La Serpeverde lo osservò, con un sorriso rilassato sulle labbra; si sentiva un tutt’uno con quella magia, come se fosse tornata a respirare dopo ore di apnea. 
«Che diavolo?» sentì alle sue spalle.
L’incantesimo si ruppe. Il tentacolo cadde con un sonoro splash, e il collo della ragazzina scattò all’indietro – anche se quella voce, fin troppo familiare, l’aveva già riconosciuta. «Maui», disse, pietrificata. «Ti giuro, io non...»
«Sai fare questa roba e non mi hai detto niente?» l’amico sembrava esaltato. 
Vaiana era perplessa. «Ti piace?» chiese, timidamente.
«Se mi piace? È fantastico! Potresti affrontare le creature magiche più pericolose già adesso. Se vuoi posso insegnarti io ad usarlo» sollevò un sopracciglio, disegnando sul suo volto un’espressione furbetta. Vaiana sapeva che avrebbe potuto farlo: i genitori di Maui erano esperti in rune antiche e incantesimi sconosciuti – oscuri e non. Non aveva dubbi che avrebbe potuto aiutarla, però...
«Non so se voglio usarlo» ammise. «Insomma, temo di fare del male a qualcuno. È come se stesse cercando di uscire, ma come se al tempo stesso volesse restare solo dentro di me. È strano, non trovi?»
Il ragazzino si fece serio. «Forse sì. Allora... non lo diciamo a nessuno?»
«Per ora no, forse non è il caso. Devo capirne di più. Almeno credo» disse, lo sguardo perso nella distesa d’acqua. 
Maui sembrava un po’ deluso, ma comunque le sorrise e disse: «Non c’è problema. Sarà il nostro segreto.»
 
 


 
*
 
 
Quando si risvegliò, si trovava nell’aula di Pozioni; di fronte a lei c’era Merman, la cui figura riluceva ai colori fluorescenti dei vari distillati che ribollivano nelle fiale lungo gli scaffali.
«Ciao, Vaiana.»
I suoi occhi sfarfallarono, poi si piantarono in quelli del Preside, che la guardavano profondi e seri, come se le volesse scavare dentro.
«Perché mi trovo qui?» chiese, perplessa, mentre sentiva le braccia formicolare.
L’uomo continuò a fissarla senza dire nulla, poi le disse, con pazienza: «I tuoi amici hanno capito che sei stata colpita da un incantesimo, e che hai poteri che prescindono dalla tua bacchetta magica.»
Quella frase fu per la Serpeverde come uno scoppio nel petto. Maui aveva rivelato al Preside del suo segreto? E... quale incantesimo?
La ragazza si ammutolì, sentendosi di botto in colpa per non aver mai detto niente al riguardo a Merman – soprattutto nell’ultimo periodo. La verità era che se ne vergognava; temeva che avrebbe aggravato la situazione, dal momento che già la Casa di Serpeverde non era esente da pregiudizi. Tenne gli occhi bassi, senza sapere che cosa aspettarsi dal Preside.
Merman esitò, scrutandola ancora con i suoi occhi scuri; parve pensieroso, quasi preoccupato, mentre lo faceva, come se in un certo senso sentisse che la fine di Hogwarts era vicina. Come se credesse che proprio lei rappresentasse quella fine. «Hai fatto una scelta molto saggia, quando hai deciso di tentare di nascondere i tuoi poteri. Ci sei riuscita, a quanto pare, per lungo tempo; ma adesso stanno riaffiorando, e c’è il rischio che Black li sfrutti. Se tu rappresenti il quinto elemento dell’Opera, se Black ti scoprisse, Hogwarts sarebbe perduta.»
«Signore» fece la ragazza, apprensiva. «Che cosa posso fare?»
Merman distolse lo sguardo. «Solo restare al sicuro, fino a che questa notte non sarà trascorsa. Dopodiché, sarai l’unica risorsa della nostra scuola.»
Vaiana non capì che cosa quelle parole significavano, ma la sensazione che le diedero fu opprimente.
 
 
«Sapete che facendo saltare l’ispezione di Vaiana ci gettiamo la zappa sui piedi da soli, vero? Le altre Case sospetteranno di noi ancora di più.» La voce di Judy sembrava voler scrollare tutti, decisa e animata, mentre si recavano verso l’ufficio di Merman per l’ispezione degli Auror in tarda mattinata.
«Credi che questo non sia più importante? Seriamente?» la rimbeccò Maui.
«Quando sapremo qualcosa di Vaiana, secondo voi?» chiese Nick, guardando i suoi amici uno ad uno. «Ho un brutto presentimento riguardo a questa storia. Secondo me potrebbero essere sparsi indizi nella nostra Sala Comune. Ci avete mai pensato?» proseguì poi. «Forse sono sempre stati lì – forse Black ha particolari riguardi verso la Casa di Serpeverde – e noi non lo abbiamo mai saputo.»
«Su che base lo dici?» obiettò Judy, scettica.
«Senti, Judy, non lo so» ribatté lui, esasperato, il cuore che pompava adrenalina nel petto. «So che sembra assurdo dire “me lo sento”, okay? Ma è così.»
Silenzio.
«In fin dei conti, se avessi qualcosa da nascondere, farei un incantesimo in un posto molto personale, come i dormitori. E poi, che cosa ci costa andare a vedere?» proseguì, rivolgendosi a Maui. «Potresti fare qualche incantesimo di rivelazione, o qualcosa del genere. Se le cose stanno realmente così, allora abbiamo il dovere di saperlo.»
«Potremmo comunque tornare in tempo per l’ispezione, suppongo» Judy ruppe il silenzio dopo una manciata di secondi, facendo aleggiare la sua voce nel corridoio. «Andiamo» si limitò poi a dire. Nick sorrise: Judy faceva sempre così, quando lui aveva ragione. Non voleva mai ammetterlo apertamente, perché era orgogliosa, ma lui riusciva a capire quando quelle parole premevano sulla sua gola, incapaci di uscire esplicitamente. E questo era uno di quei casi.
Sorrise di nascosto, mentre si metteva avanti ai suoi amici e loro gli si affiancavano.
«In effetti» riprese il discorso Maui, «Se tutto è partito da Eris Goddess, può darsi che Black abbia un qualche legame con la nostra Casa.»
«Esattamente» disse Nick. «E, come diceva Judy, i ragazzi di Serpeverde che sono rimasti uccisi da Black sono già due. Forse non è una coincidenza.»
«Perché non ci abbiamo pensato prima? La Casa di Serpeverde potrebbe essere stato il punto di partenza di Black» fece Judy. «Nick» disse poi, finalmente, «sei un genio.»
«Ed è una novità?» ribatté lui, con un sorrisetto, mentre sollevava un sopracciglio. Erano arrivati, ormai: Nick disse la parola d’ordine di fronte alla porta della Sala Comune, che si spalancò lentamente, e in un attimo si ritrovarono in quella stanza familiare, in cui per anni avevano visto i propri compagni oziare sulle poltrone in pelle, studiare al tavolo rotondo in legno scuro, guardare distratti le acque verdastre del Lago nero e le creature che ci nuotavano dentro. D’un tratto, quella stanza così calda e familiare sembrò solo inquietante, e il silenzio scese come una lastra di ghiaccio sui ragazzi, quando videro una vaga luce verde provenire dal dormitorio delle ragazze.
«Vado io» disse Judy, determinata. «Voi andate nel dormitorio dei ragazzi.»
Nessuno obiettò, e come soldati in avanscoperta – Judy da un lato, Maui e Nick dall’altro – presero due direzioni opposte, il cuore che martellava impazzito nei loro sterni e le bacchette sguainate come fossero armi letali.
Nel dormitorio dei ragazzi c’era il cadavere di Jehan Frollo, mentre in quello delle ragazze un’ombra si stava dissolvendo, e la luce verde con essa.
 
 

 
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Eccoci al dunque :)
Questo capitolo è fondamentale per tutta una serie di cose: si scopre che Vaiana ha una dote particolare, una cosa che ha in comune con le altre ragazze. Scopriamo anche un po’ del suo passato; quel ricordo, badate bene, non è messo lì a caso, ma ha ovviamente uno scopo ben preciso. 
Comunque, mi sto appassionando sempre più a questi quattro: sono molto amici, diversi ma allo stesso tempo uguali. Mi piacciono moltissimo – non so voi – e pagherei per essere lì con loro :( o forse no, vista la situazione. Sono curiosa di sapere che ne pensate di Vaiana: come inciderà nelle vicende a venire, secondo voi?
Questa storia mi sorprende sempre di più: è come una pergamena che si srotola lentamente, pezzo dopo pezzo, svelando i suoi misteri senza fretta. Sono arrivata ad un punto che sembra scriversi da sé, anche perché inizialmente per questo capitolo avevo piani totalmente diversi. Beh, spero comunque che vi sia piaciuto :D
Alla prossima!
Stella cadente
PS Vi avviso del fatto che il prossimo capitolo sarà importante, visto che determinerà la conclusione della seconda parte; quindi, non metterò le note d’autrice in fondo, in modo tale da farvi assorbire meglio ciò che ho scritto. Bonne lecture <3


 

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«Non puoi andare da sola» l’ammonì Maui, con tono quasi protettivo.
«Sì che posso» si irrigidì lei.

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Capitolo 38
*** Capitolo 38. ***


38.

 
 
L’ondeggiare delle candele, sospese nell’aria insolitamente fredda di quella notte quasi estiva, creava dei lievi cerchi di luce sulle foglie circostanti, che facevano da cornice alla Foresta proibita, come degli anelli verde acido. Granelli di sabbia scura reggevano i ceri, rigenerandosi e autoalimentandosi continuamente, serpeggiando tra i capelli delle ragazze che erano disposte in cerchio, ad occhi chiusi. Anche loro galleggiavano, adesso, e i loro corpi si muovevano insieme alle candele, in una lenta danza di ipnosi. La notte le avvolgeva, protettiva, come un mantello scuro che rendeva tutto ovattato e nascosto. Nessuno si era accorto della loro assenza; nessuno si rendeva conto di quello che stava accadendo. Nessuno se ne era mai realmente reso conto, per tutto quel tempo: quello di cui si era accorto Merman non era che la punta dell’iceberg... non poteva andare meglio di così. Lui era riuscito ad arrivare alle iniziate con estrema facilità, perché a nulla erano serviti i tentativi che il Preside aveva messo in atto. Elsa, soprattutto, era stata così vulnerabile... una meravigliosa rosa di freddo e tenebre che fioriva per lui. Così maledettamente perfetta.
«Vi ringrazio per avermi aiutato, signori» disse Pitch Black, rivolgendosi ai Westergard, in piedi dietro di lui, con gli occhi fissi sulle ragazze; nessuna parola rompeva il silenzio, in quel momento. Hans Westergard, vicino ai genitori, aveva gli occhi fissi sul rituale in corso, sulle ragazze che ondeggiavano inermi, sulla cappa di granelli scuri che le avvolgeva. E d’un tratto, sentiva il potere del ghiaccio – il potere che Elsa gli aveva trasmesso – che se ne andava, che lo abbandonava, che restava nell’aria e lo lasciava lì, simile ad un involucro che non aveva senso. Un fremito di paura lo attraversò: che cosa stava succedendo?
Black gli permise di guardare le immagini di coloro che si erano affiancati alle iniziate, della fine che avevano fatto. Eris, Aurora, Jehan, e adesso...
«Te umbra circumligo
Cadde a terra, un fischio sordo nelle orecchie e l’ombra che annebbiava i suoi occhi. Il gelo che lo circondava, il ghiaccio che crepitava su di lui, intrappolandolo in una bara di freddo. I suoi genitori rimasero immobili per tutto il tempo, mentre il mago lo guardava inespressivo. Poi, più niente.
Quando il corpo di Hans Westergard cadde a terra, producendo un tonfo sordo sulle foglie, Pitch Black, con un gesto della mano, riportò gentilmente le ragazze a terra, che aprirono gli occhi piano e camminarono verso la casa nel bosco, in una silenziosa processione, per poi sparirvi dentro.
Niklaus e Karen Westergard si smaterializzarono, certi che ormai il loro ruolo era terminato.

 
 
 
 
 








 
 
Fine seconda parte
 

 

 








 

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Capitolo 39
*** Capitolo 39. ***


Terza Parte
 
 
Magnum Opus
 






 
 
39.
 
 
Skià – Elsa
 
 
 
 
Il regno di Skià sorgeva al di là del passaggio, speculare ad Hogwarts, incorporeo ed informe. Quattro ragazze in fila oltrepassarono la porta della casa in legno, situata nell’esatto centro della Foresta proibita, a passi lenti, meccanici, scendendo i gradini che si presentavano loro davanti; gli occhi fissi nel vuoto. E quei gradini che scendevano sempre più in basso, fino a sconfinare sottoterra, dove l’atmosfera era più fredda e umida... dove c’era il buio, illuminato a malapena dalla sfera di luce prodotta da Black.
Scesero sotto la terra, e sparirono.
 
 
*
 
Quando Elsa si svegliò, la sensazione di confusione la fece sentire destabilizzata, come se fosse stata appena presa a botte.
«Elsa... come stai?» La voce che la raggiunse in quello stato di torpore le sembrò familiare, anche se a primo impatto non la riconobbe. Non era quella di Anna, né quella di una qualunque altra persona con cui avesse interagito ad Hogwarts.
Aprì gli occhi di scatto, trovandone un paio gialli come limoni, che la fissavano in un misto tra il distaccato e il curioso. «Pitch Black» sussurrò solo, istintivamente. Si guardò poi intorno: individuò, con una rapida occhiata, le tende di broccato che adornavano la stanza in cui si trovava – rosse, così come il lenzuolo del letto a baldacchino su cui era distesa. Un lampadario di cristallo pendeva dal soffitto, e nell’aria c’era odore di pergamena e incenso. Dalle vetrate si scorgeva un cielo buio; il paesaggio al di fuori di esse non ricordava affatto quello che, dalla Sala Comune di Corvonero, riusciva ad ammirare da Hogwarts. Non c’erano neanche le acque del Lago Nero ad abbracciare le finestre e a cullarla con il loro sciacquio sordo, come quando era stata smistata in Serpeverde. La ragazza si sentì smarrita, e pian piano una sensazione di panico iniziò a svegliarla in modo orribile. Si voltò di scatto verso Black, che la studiava attento. «Dov’è Hogwarts? Che cos’è questo posto?» chiese, allarmata.
«Shh» le posò entrambe le mani sulle spalle. Elsa si accorse che erano fredde, talmente gelide da sembrare quelle di un morto – o di uno spettro; ma le avvertì come si avverte una carezza, rilassandosi all’istante.
Perché mi fa questo effetto?
«Siamo nel Regno d’Ombra – Skià. Ho portato te e le tue compagne qui per farvi capire chi realmente siete e quale influenza potete avere sul Mondo Magico. Dovete sapere la verità, una volta per tutte.»
Elsa lo fissò. Era serio; il volto affilato aveva un certo fascino, mentre se ne stava con lo sguardo perso nel vuoto, immerso in chissà quali pensieri. La Serpeverde si ritrovò a constatare che era molto più giovane di come si ricordasse, e improvvisamente provò un forte desiderio di chiedergli qualcosa sulle sue origini, sul perché di quella diatriba con Merman che lo aveva portato fino a lei... e se realmente le volesse fare del male. Le sembrava strano che, proprio il mago da cui Merman tanto l’aveva messa in guardia, se ne stesse lì, con lei alla sua mercé, senza farle niente. Sembrava, a guardarlo, solo curioso. 
Si era improvvisamente ammutolita; non sapeva cosa dire. Avrebbe voluto fargli tante domande, ma erano troppe e non riusciva a trovar loro un ordine. «Alludi al Rituale?» gli chiese poi.
Il mago fece cenno di sì, e lacrime di rabbia corsero veloci sul suo volto di alabastro. «Il mio compito era salvare la scuola...» sussurrò, guardandosi istintivamente le mani. «Invece non ce l’ho fatta. Ho fallito» rifletté ad alta voce. «Merman mi aveva affidato questo incarico. Ma hai vinto tu». La sua voce si ruppe e le mani andarono a coprirle il volto. «Sei entrato nella mia testa» fece poi, passandosi una mano tra i capelli e rifiutandosi di guardarlo.
«Ti sei mai chiesta perché avesse affidato questa missione proprio a te?» la raggiunse la voce di Black. Quella frase restò sospesa nell’aria per un’interminabile manciata di secondi; secondi in cui Elsa si limitava a fissarlo con i suoi occhi grandi, mentre sentiva le sopracciglia aggrottarsi.
«Deduco di no» concluse lui.
«Io so solo che tu sei un phobos» replicò la ragazza, seria. «Uno spirito della paura.»
«È esatto» disse Black, senza contraddirla. «Ma non conosci l’intera versione della storia» si limitò a dire poi. «Sta a te decidere se scoprirla o no» concluse. «Non c’è niente di sbagliato in te, Elsa. Non sei un mostro da tenere a bada.»
Quell’ultima frase rimbombò dentro di lei come un eco melodioso; le diede un sollievo così improvviso che si alzò dal letto e, senza pensare, abbracciò il mago, che la ricambiò come se la stesse aspettando da molto tempo. Quel gesto sembrò così perfetto, e quell’incastro così armonioso, che quasi si mise a piangere.
È questa la felicità? Abbracciare le proprie paure?
«È la prima volta che qualcuno mi dice così» sussurrò, senza staccarsi da lui.
O no?
Qualcuno forse glielo aveva già detto, ma non riusciva a ricordarlo.
Pitch Black adesso aveva la forma di un mago in carne ed ossa; emanava un profumo intenso, acuto ma piacevole, come di menta. Quello che Elsa stava circondando con le braccia era carne, era sangue. Come poteva, allora, essere un fantasma, se era così facile avvertirlo sotto le mani?
Black si lasciò stringere, come se comprendesse il suo disperato bisogno di affetto. «Lo so» disse, con voce leggermente malinconica. «Vieni» disse poi, allontanandola con delicatezza. «Devo farti vedere una cosa.»
Elsa lo seguì, fidandosi come non si era mai fidata di nessuno, mentre lui la conduceva per i corridoi di quel castello sconosciuto. La Serpeverde notò che non somigliava affatto ad Hogwarts: era più simile ad una specie di cattedrale, con alti soffitti a volta e le finestre ad ogiva che si aprivano su un paesaggio sconosciuto, infittito di alberi che si stagliavano alti verso il cielo. Era ancora notte, evidentemente: la luna piena brillava nel cielo terso, in cui si vedevano a malapena le stelle. Le fiaccole, poste ai lati delle mura, lanciavano lingue di luce sull’ambiente circostante; la ragazza avvertì che non era il momento di fare domande, ma i suoi occhi erano vivi di curiosità. Stava finalmente per scoprire che cosa l’aveva portata fino a lì... dopo una vita passata a credere di essere “così e basta”. Il ghiaccio faceva parte di lei, era colpa sua, e l’unica cosa che poteva fare era nasconderlo. Aveva finito con il seguirlo, poi, e nascondere anche se stessa. Una fiamma di consapevolezza le divampò nel petto: era stata così stupida! Per quale motivo avrebbe dovuto nascondersi, controllarsi? Non aveva mai avuto alcun senso. Il fatto che lo facesse per proteggere Anna era sempre stata un’illusione, una sorta di maschera, una giustificazione. La verità era che si riteneva un pericolo per tutti, perfino per se stessa.
Pitch Black, intanto, l’aveva condotta lungo il corridoio che si stagliava di fronte a loro, con sicurezza, come se in quel castello lui ci avesse passato anni e anni. «Elsa» la riscosse la sua voce. «Hans è morto. Lo sai, vero?»
«Tutte le persone che mi stanno intorno muoiono» replicò lei, fredda come il ghiaccio dei suoi poteri. «Per questo ho sempre voluto stare lontana da Anna» aggiunse, gli occhi blu che diventavano lucidi.
«Ma non sei curiosa di capirne il perché?»
Quella domanda restò ad aleggiare, sospesa nel silenzio bloccato e teso della ragazza. Non sapeva che cosa dire: precedentemente avrebbe fatto l’impossibile per sapere come quella maledizione le fosse stata attaccata addosso – come arginarla, come controllarla. Ma adesso... non lo sapeva più. D’un tratto, si ritrovò ad avere timore di sapere la risposta alle sue domande. Ma era in trappola: incastrata nel gelido inverno delle sue doti, che ruggivano dentro di lei giorno dopo giorno, sempre più forte. Un potere tanto meraviglioso quanto distruttivo, ultraterreno persino nel Mondo Magico.
«Sì» disse poi. «Voglio saperlo.» La sua voce determinata che solcava l’aria, che assumeva una nuova tonalità, più dura – più... coraggiosa? – la sconvolse. Lei non era mai stata così: la paura era sempre stata ciò che la caratterizzava maggiormente, come se al di fuori di quella non avesse una personalità. Ma forse... forse, da adesso in poi, le cose sarebbero cambiate. Si accorse che stava leggermente tremando; fremeva per quello che Black stava per rivelarle.
«Guarda, allora» fece il mago; mosse le mani, in una danza di gesti che la ragazza trovò ipnotica, e come ad averli evocati, granelli di sabbia nera presero ad ondeggiargli tra le braccia. Formarono, poi, una sfera compatta di fronte ai suoi occhi, su cui comparve un’immagine.
Fu come se i suoi occhi ci si fossero tuffati dentro.
 
 
«Il figlio dei Frollo è riuscito nel suo intento?»
Una donna dai capelli rossi guardava suo figlio altera, inchiodandolo con gli occhi azzurri.
Hans Westergård era rigidamente seduto sul divano in velluto nero che troneggiava nella grande stanza, in una simulata posizione disinvolta. «Esatto, madre» rispose, formale. Per la prima volta, Elsa lo vide essere incerto, come se la figura materna gli mettesse soggezione. Com’era possibile? Non aveva mai conosciuto bene Hans, ma tutto sembrava tranne una persona timorosa. Anche quando si erano ritrovati vicini, con quel potere che avevano condiviso, non avevano mai parlato molto, perché non avevano nulla da dirsi. Elsa era troppo spaventata, troppo chiusa in se stessa per farlo; non riusciva ad interagire normalmente con le persone da anni, ormai. Hans, per contro, le era sembrato inquietante nella freddezza con cui le parlava, come se niente potesse scalfirlo.
«Adesso è importante che ogni tassello vada al suo posto; il sentiero circolare si dovrà concludere con la tua morte, Hans.» Gli occhi della donna erano crudeli, senza nessun’emozione ad abitarli; la ragazza non poté fare a meno di notare che Hans li avesse presi da lei.
«Lo so» il ragazzo rispose con la stessa impassibilità, lo stesso cipiglio da statua stampato sul volto.  «È fondamentale che succeda, per aprire il passaggio alle quattro iniziate. Non ho paura di questo.»
«Direi che non potevo sperare in meglio» irruppe un’altra voce che si inserì nella conversazione.
Pitch Black era apparso sulla soglia della stanza; Hans e sua madre si voltarono nello stesso istante.
«Ho osservato Jehan Frollo a lungo; si è allontanato lentamente dalla sua ragazza. Merida Dunbroch è piuttosto sveglia, e avrebbe potuto capire qualcosa di ciò che sto progettando. Se il programma fosse compromesso... non so cosa potrebbe accadere. Merman sì, però» fece, con un ghigno ironico. «Dunque, onde evitare cataclismi nel mondo magico, ho preferito agire in silenzio.»
«È stata la scelta più saggia, a mio parere» disse la madre di Hans, con un tono vagamente reverenziale.
«E pensi bene, Karen» le rispose Black, cordialmente. «A breve Merman dovrebbe comunicare ad una studentessa molto particolare quello che sto facendo» continuò. «E tu» si rivolse ad Hans, «dovrai aiutarla.»
«In che modo?»
«Assumerai i suoi stessi poteri. Lo scacchiere si sta preparando, un pezzo dopo l’altro. So già che succederà.» Black iniziò a passeggiare lungo la grande stanza della residenza dei Westergård, muovendo lenti passi sul tappeto persiano che ricopriva parte del salone. «Merman preparerà la scuola ad affrontarmi, perché ha già messo in conto che potrebbe perdere. Del resto, la promessa che mi ha fatto quattrocento anni fa era piuttosto rischiosa. Lo sapete bene.»
 
 
 
Hans aveva osservato Elsa che fuggiva dalla sua gemella, Anna, che letteralmente correva nella Foresta proibita, impulsiva, folle, senza una meta né un obiettivo preciso. Il cervello della ragazza correva impazzito insieme a lei, lo si poteva vedere chiaramente dalla sua espressione: gli occhi sbarrati, arrabbiati, i graffi sulle guance pallide che sanguinavano senza che se ne curasse minimamente. Ed il ghiaccio che, un momento dopo, schizzava disperato dalle sue mani, mentre perdeva il controllo.
Lui sapeva che cosa significasse.
Ci sarebbe stato un altro episodio come quello; non era che l’inizio.
 
 
 
«Hans» l’espressione di Anna era afflitta, le sopracciglia inconsciamente aggrottate, come faceva ogni volta che qualcosa la turbava; era incredibile come fosse facile leggerla. La Grifondoro era un libro aperto; era quasi sicuro che gli stesse per dire qualcosa su Elsa – e che non sospettasse minimamente che ci fosse lui dietro a tutto questo. Hans riusciva abilmente a nascondere qualunque cosa volesse dietro al suo sorriso e al suo atteggiamento affabile; lo leggeva nella faccia delle persone, che lo credevano solo un presuntuoso tutto sommato inoffensivo. Temevano di più Claude, o Melicent, perché era più facile avere paura di loro, così lugubri e vagamente minacciosi. Lui era solo un borioso arrogante, come lo aveva definito Elsa quella mattina, quando ci si era scontrato contro.
«Dimmi tutto, Anna» disse con dolcezza. Il tono che aveva usato suonò falso alle sue orecchie, ma non a quelle della ragazza, a quanto pareva, visto che lo guardò con quella che sembrava ammirazione.
«Non vorrei angosciarti con i miei problemi, ma...» dentro di sé il Serpeverde rise. Anna era così fragile da dargli la nausea. «Sono molto preoccupata per Elsa. Merman ci ha detto che potrebbe cambiare, diventando qualcosa che non è... e non capisco a che cosa si riferisca. Sembra che non voglia farcelo capire. Temo che nasconda qualcosa, e che» la voce le si ruppe, «non lo so...» disse poi, con un sospiro. «Ho seriamente paura che possa succedere qualcosa di brutto a mia sorella.»
Doveva immaginarlo che Anna glielo avrebbe detto. Si fidava di lui, ed era così buona e ingenua da non contemplare il pensiero che non fosse saggio in generale raccontare cose di questo tipo. Bastava pensare al fatto che, ad Hogwarts, tutti avevano iniziato a sospettare dei Serpeverde immediatamente... ma non lei.
Tipico di Anna, pensò Hans. Poi le disse: «Non saprei che dire» apparve insicuro, dubbioso, esattamente come sarebbe apparso un ragazzo qualunque che non ne sapeva nulla. «Se neanche Merman si è pronunciato in modo più preciso, il tutto assume le sembianze di un grande enigma, che al momento nessuno è capace di risolvere. Quanto ad Elsa...» e subito le immagini della ragazza dai capelli chiari che fuggiva nella foresta si materializzarono nella sua mente, «Credo che abbia bisogno del tuo aiuto, e di quello di tutti gli altri. Conosco quel mago: i miei genitori mi hanno parlato di mio nonno, che a suo tempo ha intrattenuto con lui loschi affari. Merman ha ragione a mettervi in guardia.»
La Grifondoro assunse un’espressione più cupa, ma del sospetto, sul suo volto infantile, neanche l’ombra. Eppure, le aveva indirettamente detto che la sua famiglia era connessa con Black.
«Perciò la tua famiglia conosce Black?» chiese, portando gli occhi celesti davanti a sé.
«Per sentito dire, diciamo» rispose lui, mentre si dirigevano verso l’aula di Difesa contro le Arti Oscure. «Dovremmo riunire tutta la scuola sotto il vostro obiettivo, Anna. Possiamo farcela» concluse, guardandola determinato. Doveva ammetterlo, era un bravissimo attore.
La ragazza, infatti, sorrise, seppur debolmente. «Grazie» disse. «Davvero.»
Gli posò un dolce bacio a fior di labbra, e lui chiuse gli occhi, gustandosi quel sapore d’innocenza che si fondeva a quello della crudeltà inespressa.
Anna, poi, si diresse verso il cortile, dove Merida Dunbroch, Megara Greek e Quentin Cloche la aspettavano. Lui entrò in aula, consapevole di quello che doveva fare.
Continuando su quella linea, presto ci sarebbe stato il primo omicidio, e lui sarebbe diventato il sacrificio dell’uroboro.
 
 
 
 
Eris Goddess gli lanciò uno sguardo consapevole, prima che il getto di ghiaccio la investisse, ponendo fine alla sua giovane vita. Senza che se ne fosse resa conto, era stata contaminata dalla Magia Oscura, quando lei pensava non fosse che un gioco. Il ghiaccio si arrampicò, diramandosi sulle sue braccia, producendo uno scoppio crepitante all’altezza del cuore e gelando anche tutti gli altri organi vitali. Gli occhi della ragazza si fecero immobili, la sua espressione rimase pietrificata in un ritratto della paura più pura.
Quel ghiaccio era venato di nero, e quando gli esplose vicino seppe che, da allora, le cose sarebbero cambiate. Il pezzo di ghiaccio che sua madre gli aveva inviato, durante le vacanze di Natale – il ghiaccio maledetto, quello che Black aveva progettato apposta – aveva funzionato, attecchendo sulla ragazza, Elsa... che, adesso, era diventata esattamente quello che Black voleva che fosse. Una Regina di ghiaccio e buio, che avrebbe portato il suo progetto a compimento senza neanche volerlo.
Da quell’istante in poi, Elsa Arendelle avrebbe trascinato inconsciamente tutta Hogwarts con sé, e nessuno avrebbe potuto farci niente.
 
Quando Elsa distolse gli occhi, si sentì stremata; per tutto quel tempo non era stata che una pedina, protagonista di giochi di potere tra Black e studenti che stavano dalla sua parte. Per tutto quel tempo – per tutto quel tempo – era stata uno strumento, un burattino tra le sue mani. La cosa che detestava di più era che non riusciva ad avere nessuna reazione; era rimasta immobile, le labbra serrate, le sopracciglia aggrottate... il suo volto diafano era accartocciato in una smorfia di silenziosa sofferenza. Aveva voglia di urlare, di gettargli addosso con rabbia quello stesso potere che lui le aveva dato, che lui aveva incrementato e plasmato a suo piacimento. E adesso... che cosa voleva?
«Che cosa vuoi da me?» chiese, la voce ridotta a poco più di un sussurro, una lacrima calda che le percorreva la guancia e lo shock che abitava il suo corpo irrigidito.
«Lo so... forse è stato troppo, per te, vedere queste cose tutte insieme» fece lui, appoggiandole una mano sopra la spalla con fare paterno. «Ma dovevi sapere. In ogni caso» fece una pausa, «il motivo per cui ti ho cercata – e ti ho trovata – è perché Merman ha cercato di compromettere l’andamento del Mondo Magico, esiliando gli Antichi e cercando di combattere me, l’unica connessione che c’era con loro.»
Silenzio.
«Vedi, Elsa, l’ordine e il caos sono due elementi indispensabili, per un corretto equilibrio. Merman, dopo la caduta di Voldemort, ha sempre visto in me una minaccia. Ma io, in quanto creatura diversa dai maghi o le streghe, sono del tutto imparziale. Il mio interesse è unicamente quello di far procedere il Mondo Magico così come è sempre andato: ordine e caos.» Si zittì di nuovo, attendendo qualche secondo, in modo tale che la ragazza di fronte a lui metabolizzasse ogni parola. «Quello di Merman è, be’... fare i suoi interessi personali» concluse, freddamente.
«Che genere di interessi?» chiese lei.
Pitch Black prese un sospiro; poi la guardò, come se fosse indeciso se continuare o meno con quelle rivelazioni.
«Merman ed io abbiamo avuto una diatriba, quattrocento anni fa, come hai potuto sentire personalmente» cominciò.
Qualcosa di troppo pesante – qualcosa di schiacciante – prese forma nella testa di Elsa.
«Merman non è chi dice di essere, vero?» snocciolò, con un coraggio che non sapeva di avere.
«Esatto» disse Black. «Come ho detto, sono qui per dirvi la verità. E ti prometto che anche le altre lo verranno a sapere presto. Ma voglio che tu sia informata del fatto che sei la prima, a parte Melicent, che sa tutto questo.» Vedendo lo sguardo impaziente della Serpeverde, Black aggiunse: «Non cercare di dirlo ad Anna, o a qualcun altro che sia fuori da qui. Non ti crederebbe.»
Silenzio.
«So che ti senti sola, adesso» concluse il mago. «Ma sei la sola che conosce la verità. Merman aveva ragione: dovevi saperla al momento opportuno. Ed io ti assicuro, Elsa, che non ti dirò mai bugie.»
«Non è tutto, quello che mi hai detto?»
«No» disse lui, dopo aver passato pochi secondi in silenzio. «Ma come ho detto, ogni cosa a suo tempo.»
Si allontanò da lei – forse per lasciarla sola a riflettere – ed Elsa si sentì letteralmente crollare.
 



 
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Ehiehi! Come state?
Questo è uno dei capitoli a cui tengo di più, perché siamo alla resa dei conti e tutti i nodi stanno venendo al pettine. Tengo molto a questa storia, a fare gli incastri giusti e a scrivere cose tutto sommato coerenti, come ben sapete, perciò sono un po’ emozionata nel postare adesso. Passando ai contenuti: Merman non è chi ha dato l’impressione di essere, e con una certa confusione Elsa nota che Black non è così malvagio come il Preside lo ha dipinto… dopotutto, le ha detto la verità su di lei, no? Attraverso gli occhi di Hans, la Serpeverde ha visto che il suo potere del ghiaccio – al livello così distruttivo, si intende – le è stato immesso da Black stesso... voi come la vedete questa cosa? E soprattutto: dopo questo capitolo che decisamente cambia le carte in tavola, come vedete Black? Forse non è totalmente IC, ma ho pensato che, poiché lui rappresenta la paura stessa, potesse avere un ruolo di creatura imparziale, in questa storia. Per quanto possa sembrare da psicopatici, quello che dice ha un senso, seppur sia privo di ogni empatia. Voi che ne pensate?
Alla prossima, e grazie per seguirmi <3
Stella cadente




need help? just ask! — ✞Natalie Dormer Gif Hunt

La cosa che detestava di più era che non riusciva ad avere nessuna reazione; era rimasta immobile, le labbra serrate, le sopracciglia aggrottate... il suo volto diafano era accartocciato in una smorfia di silenziosa sofferenza.

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Capitolo 40
*** Capitolo 40. ***


40.
 
Hogwarts – Due giorni dopo
 
Quando gli Auror vennero a prendere Claude Frollo a scuola, Esmeralda si sentì strana, mentre lo osservava allontanarsi sotto osservazione. Non avrebbe mai detto che un suo compagno sarebbe stato arrestato per aver commesso l’omicidio del suo gemello; non aveva stima per Claude, non lo riteneva una bella persona, né – era evidente – aveva mai dimostrato di essere particolarmente legato al fratello. E dopotutto, era appassionato di alchimia e Magia Oscura; in effetti, che altro serviva per assodare che fosse un potenziale mago oscuro?
Eppure qualcosa, dentro di lei, da qualche parte, si spezzò, mentre il Serpeverde, senza opporre la minima resistenza, veniva portato via sotto gli occhi di tutti. Lo guardò, come per chiedergli silenziosamente se quella fosse la verità – se lui avesse realmente ucciso suo fratello – ma lo sguardo del ragazzo era inespressivo, come se il suo stesso arresto non lo sorprendesse più di tanto.
Forse perché, in fondo, sa di meritarselo, disse una vocina dentro di lei. Eppure, qualcosa non le tornava.
«C’è qualcosa che non va» disse a Febo, che la affiancava con un’espressione sconvolta dipinta sul volto squadrato.
«In che senso?»
«È troppo calmo, come se la cosa non lo toccasse.»
«Esme, stiamo parlando di Frollo» le rispose il suo amico. «Abbiamo la riprova del fatto che non si scomporrebbe mai, neanche se gli morisse la madre di fronte agli occhi.» Sembrava irritato dal tono allusivo dell’amica, come se le stesse tacitamente dicendo di lasciar perdere, qualunque cosa stesse pensando.
«Nessuno reagirebbe così, Febo» rincarò lei. «Non prendiamoci in giro» concluse, riportando lo sguardo sul Serpeverde. Era uscito dall’ingresso principale di Hogwarts, e gli Auror lo avevano issato su una carrozza trainata da Thestral, che avevano subito spiccato il volo. Adesso le creature magiche erano già lontane, sbattendo le grandi ali scure da pipistrello nel cielo terso di quella mattina di maggio. Esmeralda riuscì quasi a percepire il suo amico che sollevava gli occhi, mentre lo sentiva sospirare accanto a lei. «Va bene» disse poi, «Che cosa vuoi dire?»
«E se lo avesse previsto?» diede quindi voce ai suoi pensieri. «Se fosse tutto orchestrato – se qualcun altro avesse deciso che doveva andare così?»
«Parli di Pitch Black?»
«Esatto.»
«Beh, direi che Frollo non ne uscirebbe comunque pulito, dato che questo significherebbe solo che era d’accordo con lui.»
La Grifondoro fece dietrofront e rientrò a scuola, passando sotto l’arco a sesto acuto che si trovava all’ingresso. «Forse la sua famiglia è coinvolta» ragionò, le sopracciglia aggrottate in un’espressione pensierosa.
«Non credo» fece Febo. «I Frollo sono smistati in Grifondoro da secoli. Sono famosi per essere dei maghi che principalmente aiutano gli altri; non hanno mai voluto avere a che fare con la magia oscura. La pecora nera della famiglia è Claude, a quanto pare» concluse, con una punta di amara ironia. 
Silenzio.
«Perché stai cercando a tutti i costi un motivo, Esme?» la voce di Febo adesso si era leggermente ammorbidita, e suonava preoccupata.
La ragazza sospirò. «Non lo so. In fin dei conti, non lo conosco. Aveva ragione, quando me lo ha detto, due giorni fa, in corridoio.»
L’amico la guardava con apprensione; forse perché aveva notato che, da quel momento, qualcosa era cambiato in lei. «Che cosa vorresti fare?»
Quando udì quella domanda, Esmeralda apparve decisa in un modo che gli fece quasi paura. «Voglio andare ad Azkaban. Devo parlare con lui.»
«Sei impazzita?» sbottò il Grifondoro, mentre si sedevano al tavolo della Sala Grande e afferravano qualcosa per la colazione. Esmeralda bevve un sorso del suo succo di zucca e prese un paio di croissant salati, impassibile. «No» disse poi, «Affatto. È ora che Hogwarts si muova; sono stanca di vagare nel nulla, Febo. E non sono l’unica. Io...» si bloccò, uno dei due croissant a mezz’aria. «È come un’ossessione. Non so spiegarti perché, ma è così. E anche lui prova la stessa cosa.»
Silenzio. Febo la guardava come se non sapesse cosa fare.  «Che cosa c’è tra voi?» le chiese poi, di punto in bianco.
La ragazza addentò il croissant e masticò, con gli occhi persi nel vuoto. Sembrava che stesse cercando, nei meandri della sua mente, le parole giuste da dire. «Non lo so» disse poi, sincera. «Qualunque cosa sia, non è normale, né sana» ammise, sovrappensiero. «In ogni caso, non dipende da questo. Sento che c’è di più e basta, sotto a tutta questa storia. Perciò... mi accompagneresti?»
Febo lo sapeva già che la sua amica lo avrebbe cacciato nei guai; lo capì solo osservando la sua espressione, determinata come l’aveva vista poche volte. Si ritrovò a sperare che non facesse l’incosciente come suo solito, e che andasse tutto bene. «Certo» disse poi. «Ti aiuterò.»
Esmeralda sorrise, ma era un sorriso intriso di pensieri.
 
 
Nello stesso momento, al tavolo dei Serpeverde, Nick rompeva il silenzio che era calato sui suoi amici. «Pensate che sia vero?» chiese, sollevando lo sguardo dal suo porridge per un istante.
«Nick» fece Maui, come se avesse già intuito dove volesse andare a parare. «Ci sono le prove. Stavolta non c’è nulla da mettere in dubbio. E questo non ci aiuta, per niente. Come diceva Judy, ci pone in una posizione di svantaggio per quanto riguarda il rapporto con gli altri studenti.»
«In effetti le prove ci sono» si inserì Judy. «Eppure c’è ancora qualcosa che non mi convince. Se con Frollo è stato messo fuori dai giochi l’ultimo studente che è dalla parte di Black, allora perché Vaiana ha ancora bisogno delle sessioni di Legilimanzia con Merman? Tutto sembra essere orchestrato di proposito. Una falsa pista per confondere noi e Merman, per così dire.»
Silenzio.
«La situazione non è più tollerabile, ora come ora» proseguì la Serpeverde, spazientita. «E non mi interessa che cosa pensate voi. Io andrò a parlare con i Grifondoro, che vi piaccia o no» concluse, risoluta, scoccando uno sguardo di sfida a Maui.
Si stava già alzando, quando un ragazzo con i capelli rossi le si avvicinò.
«Scusami, ehm... Judy, giusto?» Aveva un tono di voce così gentile che fu quasi come se avesse spazzato via tutta la rabbia. Accanto a lui, c’era un altro ragazzo – un suo compagno di Casa, evidentemente, visto che entrambi avevano l’uniforme di Tassorosso. Quello che le stava parlando sembrava titubante, quasi nervoso; l’altro, invece, alto e robusto, gli stava dietro come per coprirgli le spalle.
«Sì?» fece lei, guardandolo curiosa.
«Ciao, sono Quentin Cloche» si presentò brevemente. A Judy quel nome non era nuovo: tempo qualche secondo, e le venne subito in mente che Frollo lo prendeva sempre di mira.
«Oh, sì!» saltò su infatti. «Lo so chi sei» disse, ancora prima di fargli iniziare il discorso. «E, prima che tu dica qualunque cosa, voglio scusarmi… a nome di tutti noi. Beh, non conoscevo Frollo di persona, ma sapevo che cosa facesse, per cui» si fermò un attimo, accorgendosi improvvisamente che non aveva ancora ripreso fiato. «Mi dispiace.»
Quentin apparve imbarazzato e abbassò lo sguardo. All’occhio attento di Judy non sfuggì l’aspetto provato che aveva, e si trovò ad aver voglia di abbracciarlo forte. «Beh» disse solo il Tassorosso. «Ti ringrazio.»
«Il punto è» si intromise il ragazzo alto. «Voi sapete di più riguardo a Frollo?» Aveva un tono più burbero rispetto a Quentin, e gli occhi scuri scintillavano di astio malcelato.
Nick sollevò un sopracciglio, indispettito dal modo in cui quel tizio si era rivolto a Judy. «E tu saresti?»
«Kristoff» ribatté prontamente l’altro. «Un amico di Anna.»
«Devo parlare con lei» disse d’un tratto Judy. «Assolutamente» aggiunse, sperando di fargli capire che aveva buone intenzioni. Quel ragazzo sembrava molto sospettoso, quasi innervosito dai Serpeverde; Judy non sopportava i pregiudizi che c’erano nei loro confronti – persino da parte dei Tassorosso, famosi per la loro tolleranza – ma cercò di non darlo troppo a vedere.
«Perché?» chiese infatti lui. Tuttavia, la Serpeverde notò dei segni di cedimento, che riaccesero la speranza dentro di lei.
Decise quindi di giocare a carte scoperte. «Sospetto che Merman ci stia volutamente tenendo fuori dal vero cuore di questa faccenda» asserì, guardandolo con intensità. «Perché mai, altrimenti, non dire nulla? Ci sta nascondendo qualcosa.»
«E come puoi dirlo?» chiese Kristoff, incrociando le braccia muscolose, con tono di sfida.
«Beh» replicò, con un sorrisetto. «Seriamente, Kristoff, non dirmi che non hai trovato strano il fatto che ci abbia detto solo alcuni dei dettagli che ci sono riguardo a Black.»
«In più ha praticamente lasciato a noi studenti il compito di ostacolare un mago molto più potente» si inserì Nick. «E, non so voi, ragazzi, ma a me questo non sembra affatto un buon segno.»
«La mia teoria è che» proruppe Maui, che fino a quel momento era stato a bere il suo succo di zucca senza dire niente. «Merman sia coinvolto più di quello che pensiamo. Magari Black gli ha lanciato una maledizione, e per questo motivo non può esporsi più di tanto.»
Quel suo intervento generò un silenzio assordante, che come una cappa opaca abbracciò il gruppo. Ad interromperlo fu Vaiana, che smise di giochicchiare con le sue ciocche corvine e disse: «Devo andare da Merman, adesso. Ci vediamo dopo» prima di alzarsi, senza neanche aspettare le risposte dei suoi compagni.
Quentin la guardò allontanarsi, preoccupato; Judy pensò che quel ragazzo esprimesse dolcezza e sensibilità in un modo che non aveva mai visto. «Che cosa le succede?» chiese infatti il Tassorosso, riportando lo sguardo su di lei.
Judy tirò un breve sospiro, poi disse. «È tenuta sotto osservazione da Merman... esattamente come è successo con Elsa. Il Preside crede che possa aiutarci a recuperare coloro che sono scomparsi.»
Si fermò un istante, poi guardò Kristoff e proseguì; dovevano sapere. «Siamo stati in biblioteca, la settimana scorsa; ed abbiamo trovato, in un libro di alchimia, la descrizione dei phoboi. Non so se avete già letto queste informazioni, ma... pare che queste creature catturino le loro vittime e le trasportino in un Regno d’Ombra – una dimensione astratta da cui è impossibile tornare. Chi ci finisce è completamente soggiogato dal phobos» disse, quasi tutto d’un fiato. Poi concluse: «Vaiana ha un potere che non dipende dalla sua bacchetta magica, e...»
«Judy» la interruppe Maui, come a dirle che doveva tacere.
«No, Maui» si girò lei, l’adrenalina ormai in circolo nelle vene. «Lo devono sapere. Non metteremo dei muri verso le altre Case di nuovo» lo zittì, determinata. Si accorse, con la coda dell’occhio, che Kristoff aveva fatto un’espressione sbalordita, come se non si aspettasse quella reazione da parte sua.
«Come stavo dicendo, Vaiana può creare l’acqua con le proprie mani» riprese. «È un’abilità che ha nascosto anche a noi, per tutti questi anni. Adesso Merman si sta chiedendo come mai Black non l’abbia portata con sé. Potrebbe essere l’unica possibilità di fermarlo.» La voce le si ruppe.
Dannate emozioni.
Era sempre stata così, anche se non le piaceva ammetterlo. Sensibile, appassionata, emotiva. Nick la prendeva sempre in giro, per questa sua caratteristica, anche se lei sapeva che, segretamente, la apprezzava. Ma, ecco, in quel momento invece si detestò.
Voleva sembrare decisa e forte, invece – con tutta probabilità – stava solo dando l’impressione di essere una stupida.
«Per questo motivo chiedo – anzi, chiediamo – il vostro aiuto. Se c’è qualcosa che Merman ci nasconde; se c’è qualcosa che possiamo fare per riportare indietro Elsa e le altre...»
«Ho capito» la rassicurò Quentin, prendendole la mano con dolcezza. «Non serve che tu dica altro. Io e Kristoff ti crediamo» disse solo. Kristoff, alle sue spalle, sembrava combattuto su cosa fare, ma alla fine disse: «Già» come per esprimere solidarietà.
«Quindi» fece Maui, alzandosi dal suo posto. «Volete saperne di più su Frollo? Ne sappiamo quanto voi. Ma forse potremmo fare squadra, e cercare di capire di più su Merman» li guardò entrambi con i suoi occhi scuri come l’inchiostro, come per inchiodarli. «Ci state?»
Quentin si fece serio; gli restituì lo sguardo e rispose: «Certo. Contate su di noi.»
Judy sentì il cuore scoppiarle nel petto dall’emozione.
Hogwarts si stava unendo.
 
*
 
 
Fece capolino quasi timidamente alla porta dell’Ufficio del Preside Merman: il ritratto di Albus Silente, alla sua sinistra, sembrava ricordarle tempi lontani; al fianco di questo, la Preisde McGranitt la guardava bonaria all’interno della sua cornice.
«Vaiana» la voce profonda e tonante del Preside Merman la raggiunse vicino al Pensatoio. «Ti sei mai chiesta che cosa Elsa Arendelle potesse provare?» le chiese, a bruciapelo. La Serpeverde sobbalzò, nel ricordare quello che aveva sentito quando Elsa era scappata da lei, appena entrata nella sua Casa. Come aveva fatto il Preside a capirlo?
«Sì» si limitò a rispondere. «Quando ci siamo viste per la prima volta» aggiunse, pochi secondi dopo. «Era molto spaventata. Ci siamo presentate, ma è scappata subito; sembrava avesse visto qualcosa.»
«Tu hai mai visto qualcosa che ti fa paura, improvvisamente?»
Il cuore di Vaiana prese a battere.
 
Un’aquila, che si librava alta in un cielo nero, squarciato solo ogni tanto dai rami bianchi di un fulmine. Un oceano infinito, in movimento, come una massa inquieta. E un mostro di fuoco. Lei gli stava davanti, impassibile.
 
Erano anni che faceva quell’incubo. Ormai ci aveva fatto l’abitudine, aveva imparato a svegliarsi e a calmarsi, prima di dormire di nuovo e non farlo più. Succedeva solo una volta; soltanto una volta il mostro di fuoco compariva nei suoi sogni, facendola svegliare di soprassalto.
«Sì» disse poi al Preside, che la guardava intensamente. «Potrei essere collegata ad Elsa?»
Merman si incupì. «Non esattamente. Tuttavia, sei collegata alla catena che Black vorrebbe costruire. Sei il suo pezzo mancante; la Magnum Opus richiede convenzionalmente quattro elementi... ma potrebbe essercene un quinto.»
Pausa.
«Questo quinto elemento è chiamato Viriditas, e precede la Rubeudo, la fase del fuoco – l’ultima dell’Opera. Facendo questo, Black potrebbe risvegliare gli Antichi e gettare di nuovo il mondo magico nel caos. Non abbiamo bisogno di un’altra guerra.»
«Si riferisce alla seconda guerra magica?» chiese la Serpeverde.
«Esattamente» le diede ragione il Preside. «Gli effetti potrebbero essere egualmente devastanti. Non ho alcuna intenzione di fare in modo che dei miei studenti ci rimettano fino a questo punto. Anche se devo agire nell’ombra, per far sì che Black mi percepisca come indifeso.»
Vaiana guardò l’uomo che le stava davanti, la sua luna barba bianca che adesso sembrava fluttuare, gli ermetici occhi neri, le labbra serrate. Poteva credergli?
«Gli studenti non si fidano di lei» snocciolò d’un tratto. «Pensano che stia collaborando con Black.»
«È comprensibile» le rispose Merman, contrariamente alle sue aspettative. «Non sono stato sufficientemente chiaro su cosa dovete fare, e sull’Opera. Ma era mio dovere farlo: se avessi detto tutto, avrei gettato la scuola nel panico... e a quel punto saremmo stati deboli, nessuno escluso. Più di quanto non lo siamo già.» Aveva lo sguardo perso in tetri pensieri: le sopracciglia scure erano aggrottate, come se stesse cercando di scacciare chissà quali tormenti.
«Mostrami cosa sai fare» disse poi il mago.
Vaiana rimase basita. «Cosa?» riuscì solo a chiedere, guardandosi istintivamente le mani. «Signor Preside, io non so usare questo potere. Ce l’ho sempre avuto, ma, insomma, non ho mai...»
«Hai mai avvertito il richiamo dell’acqua?» la spiazzò Merman, guardandola negli occhi.
 
 
A Brighton, lì dov’era cresciuta, c’era il mare. Un mare freddo, gelido in realtà, per la maggior parte dell’anno. Spiagge di ruvidi e duri ciottoli bianchi erano sparse in tutta la città, a fare da contorno a quella distesa di acqua grigia. Vaiana la amava; quando litigava con suo padre – e succedeva spesso – si rifugiava sempre in quell’angolo di pace e tranquillità, dove riusciva a sentire i suoi pensieri.
Suo padre aveva i suoi stessi poteri, ma li reprimeva con tutte le sue forze; Amelie – sua madre – le aveva raccontato, in confidenza, che con quelle mani aveva ucciso il suo migliore amico, e da allora non aveva più voluto saperne di usare quella sua abilità.
Aveva quindici anni quando glielo disse, e lei rimase per tutto il tempo in ascolto, in silenzio – cosa che, per dire la verità, faceva raramente, soprattutto quando si trattava di suo padre. Aveva cercato di immaginare come vivesse quel terribile ricordo, quel fantasma che lo perseguitava. Ed aveva capito.
Solo che l’acqua mormorava dentro di lei, e questo era più forte di ogni altra cosa.
 
 
Si ricordò del modo in cui il grigio mare di Brighton le faceva spazio, quando vi entrava dentro, del modo in cui sembrava accoglierla, diventare caldo tutto d’un tratto. Di come, con un gesto della mano, riuscisse a controllare le sue correnti salate.
«Io... sì» rispose, dopo quella che le era parsa un’eternità. «Sì, ho sempre sentito che» la lingua sembrò d’un tratto impastata, il cuore andò a batterle furiosamente in gola. Capì, nel volare di un istante, che aveva sempre voluto parlare apertamente di quel lato di sé, ma che non lo aveva mai fatto davvero – nemmeno con Maui. «Che l’acqua mi chiamava. Mio padre aveva lo stesso potere; ma, mentre lo usava nella Guerra magica in Polinesia, ha colpito un suo amico. Ho sempre sentito come se lo ferissi, nell’usarlo. Perciò...» la voce le si era leggermente incrinata, ma proseguì. «Non ho mai pensato che potesse essere una cosa da mostrare ad altri. Anche se l’acqua mi ha chiamata più volte.»
«Adesso l’acqua è l’unico mezzo per poter fermare l’esperimento di Black.»
Vaiana sentì il panico attanagliarle la gola. «Ma signore,» disse «non riuscirò mai, da sola, a sconfiggere Black.»
Le labbra di Merman si incresparono in un confortante – seppur lieve – sorriso. «Non sarai sola» disse. Mosse le mani in gesti fluidi, ed una sfera d’acqua prese forma in modo del tutto naturale, come se lo facesse da molto tempo. Sembrò fluttuare da una mano all’altra del mago, che teneva i due palmi a distanza, perpendicolari l’uno rispetto all’altro.
«Io sono come te» disse poi. «E posso spiegarti perché.»
Quell’istante sembrò a Vaiana come una rivelazione: allora non era l’unica? C’era qualcun altro come lei? Quanti erano? Perché lei e Merman avevano lo stesso potere? Migliaia di domande iniziarono a bombardarle il cervello, che nel giro di poco tempo sembrò talmente affollato da farle venire il mal di testa. Attese che il Preside proseguisse, gli arti che formicolavano dalla curiosità.
«Questo momento doveva arrivare da ormai tanto tempo» riprese la voce profonda del mago, che adesso la fissava. Ogni parola era attentamente pesata e misurata, Vaiana lo sentiva; capì che gli avvenimenti recenti erano parte di un qualcosa di molto più grande rispetto a quello che sembrava.
«Black ha cercato numerose volte di creare qualcosa che avrebbe dato impulso all’Opera; in passato ha già provato a farlo... ma senza successo.»
«Chi era?» ebbe il coraggio di dire Vaiana.
Merman, adesso, sembrava malinconico. «Si chiamava Iris Hale» disse. «Ed era una studentessa di Hogwarts molto tempo fa. Io ero un professore, all’epoca.»
Pausa.
«Aveva gli stessi poteri di Elsa, che scatenarono la curiosità di Black. Ma quando si trattò di effettuare il rituale, si ribellò; i suoi poteri si scagliarono contro di lei.»
Quelle frasi si abbatterono su di lei come una martellata. «Se lo sapeva, allora perché non ha fatto niente?» chiese con rabbia.
Merman attese un po’ prima di parlare. «Aveva preso in ostaggio mia figlia» disse poi, incupendosi di botto. «Mi ha minacciato. Non potevo fare niente. Ma» fece una pausa di pochi secondi. «Nonostante questo, non si è curato comunque di risparmiarla.»
Il silenzio che aleggiava in quel momento era pesante, soffocante. Le parole che Merman aveva detto le avevano procurato delle fitte al cuore, insieme alla consapevolezza che il mondo magico era davvero in bilico tra la vita e la morte.
«Quando è successo tutto questo?» ebbe il coraggio – raccolto chissà dove – di chiedere.
Il Preside fece una pausa densa di pensieri. «Nel 1648. Sia io sia Black siamo immortali. Lui appartiene alla famiglia dei phoboi, io a quella dei maridi. Melicent Somber discende dalla famiglia di Black, tu dalla mia.»
Vaiana aveva voglia di scappare.
«Per questo tu sei l’unica a poter far tornare gli scomparsi.»
Non può essere...
Lei era solo una studentessa. Solo una studentessa.
«Tu e Melicent siete rivali. E questa è una guerra.»
 
 
 
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Ci credete che questo capitolo era pronto un mese fa?
Dopo aver finito di scrivere mi tremavano le mani dall’emozione; rileggevo e vedevo che eravamo ormai agli sgoccioli, che i nodi erano venuti (quasi) tutti al pettine, e mentre si faceva sempre più evidente per gli studenti che Merman nascondeva qualcosa, Vaiana veniva a scoprire esattamente cosa. Questo era un grande passo all’interno della storia; mi sentivo soddisfatta, carica per i capitoli seguenti. Così mi sono detta: scrivo ancora, almeno poi aggiornerò regolarmente. E invece… nulla. Sono sfigata, a me la vita è male e l’ispirazione per Hogwarts mi evita come la peste. Tanto ormai è così.
Spero solo che il capitolo almeno valga l’attesa, ecco. Vi sareste aspettati tutto questo da Vaiana? E di Frollo, che ne pensate? Io per esempio ho adorato scrivere di quando i Serpeverde e i Tassorosso si mettono d’accordo :D
Grazie per aver letto e per le recensioni. Davvero. Mi spronano a continuare; non vi ringrazierò mai abbastanza per sopportarmi e spendere comunque due parole per i miei capitoli.
Alla prossima!
Stella cadente




 
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A Brighton, lì dov’era cresciuta, c’era il mare. Un mare freddo, gelido in realtà, per la maggior parte dell’anno. Spiagge di ruvidi e duri ciottoli bianchi erano sparse in tutta la città, a fare da contorno a quella distesa di acqua grigia. Vaiana la amava; quando litigava con suo padre – e succedeva spesso – si rifugiava sempre in quell’angolo di pace e tranquillità, dove riusciva a sentire i suoi pensieri. 

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Capitolo 41
*** Capitolo 41. ***


41.
 
 
 
C’era nata, con quelle capacità. La prima volta che i suoi genitori se ne resero conto fu quando aveva sei anni, forse, e sprigionò una strana luce verde che fece carbonizzare la terra attorno a lei in giardino. Era rimasta basita, mentre guardava quello che aveva fatto; si era spaventata, ma sua madre Melisandre sembrava non essere della stessa opinione. Anzi, aveva fatto una faccia entusiasta – una lieve espressione su quel volto che pareva non scomporsi mai – e, con gli occhi che brillavano, aveva detto a suo padre di portarla da lui.
Adesso ricordava.
 
La guardava con i suoi occhi gialli, girandole intorno. Era impassibile, come ipnotizzata. Non riusciva a smettere di affogare nel colore degli occhi di quello strano mago, di un giallo quasi cangiante, di un colore simile al miele. La studiavano, imperterriti, come fosse una bizzarra creatura sotto un microscopio. Dentro di lei si agitavano emozioni differenti: da un lato soggezione, dall’altro... semplice curiosità. Era così piccola in suo confronto – in confronto a quel mago che sembrava come un’ombra gigantesca e minacciosa che torreggiava su di lei – ma al tempo stesso si sentiva come se nulla potesse farle del male.
«Melicent» il suo nome, accarezzato da quella voce quasi sinistra, in realtà sembrò armonioso e potente – come quello di una regina, pensò in quel momento.
«Ciao» la sua voce di bambina aleggiò nel silenzio della grande sala del castello, già con quella nota cupa che da sempre l’aveva caratterizzata. «Perché sono qui?»
L’atrio in cui si trovava era ampio, ricavato da una vecchia costruzione in rovina. Lo poteva notare dai soffitti alti e dalle pareti in pietra antica, oltre che al pavimento a scacchi su cui camminava. In fondo alla stanza, all’interno di un grande camino, delle lingue di fuoco danzavano come serpenti.
«Tanto tempo fa» iniziò il mago alto, avvicinandosi di più a lei. «In questa stanza, si riunivano dei maghi come te» proseguì. Aveva già capito che era una bambina intelligente, ricettiva, pronta ad immergersi in qualunque mito le venisse raccontato. «Erano molto potenti, e riuscivano a mantenere l’ordine nel Mondo Magico. Ti andrebbe di ascoltare la loro storia?»
Melicent lo guardò con i suoi occhi – così simili a quelli di lui nel colore e nelle espressioni – grandi, quasi sproporzionati sul volto magro.
«Sì» disse solo.
 
Da quel giorno, Pitch Black era sempre comparso, di tanto in tanto, nella sua vita. Compariva ogni volta che i suoi poteri si manifestavano, per ricordare ai suoi genitori che dovevano essere preservati per il momento opportuno. C’erano periodi in cui veniva più spesso a far visita alla sua famiglia, e allora si chiudevano tutti nello studio di suo padre a parlare; numerose volte aveva provato ad ascoltare, ma evidentemente i suoi facevano un incantesimo insonorizzante alla stanza, perché nessun rumore trapelava mai.
Le visite del mago erano sporadiche, apparentemente senza motivo; ma Melicent sapeva che c’era qualcosa dietro, e che prima o poi l’avrebbe scoperto. Con il passare degli anni era diventata una ragazzina seria, intelligente e con quell’unico obiettivo nella testa; nessun altro avrebbe dovuto saperlo, ma letteralmente viveva per scoprire l’origine di quella luce verde che era esplosa dalle sue mani – la stessa che aveva bruciato tutto ciò che c’era intorno quella volta in giardino, quando aveva sei anni.
 
«Mamma» proruppe quella sera.
«Dimmi, Mel.» Apparentemente quel modo di parlare poteva sembrare dolce, ma nella voce di Melisandre non c’era mai nulla che potesse essere associato a quell’aggettivo. Le aveva parlato sempre in modo, piuttosto, affettato. Finto.
Era la sera del suo quattordicesimo compleanno, e dopo la festa con le sue amiche e i suoi compagni di Casa, era sprofondata in una delle due poltrone di pelle nera del salotto. Sua madre aveva fatto lo stesso, ma erano rimaste entrambe chiuse in un silenzio fitto di pensieri. Il fatto di aver festeggiato con i suoi compagni di scuola l’aveva fatta riflettere sul momento del suo smistamento, e sulle parole che le aveva riservato il Cappello Parlante.
 
Sento che la tua grande intelligenza e amore per la cultura ti renderebbe molto adatta per Corvonero; hai un temperamento misterioso, enigmatico, orgoglioso.
 
Aveva gustato quelle parole come se fossero caramelle, immaginando già di trovarsi nella Casa a cui aveva sempre immaginato di appartenere... ed invece il Cappello l’aveva collocata in Serpeverde.
La sensazione che aveva provato in quel momento, non l’aveva mai saputa spiegare. Come se qualcosa fosse andato storto, come se Hogwarts le stesse nascondendo qualcosa.
«So a cosa stai pensando» sua madre aveva il dono della telepatia, e anche quella volta non si era smentita. «Forse è arrivato il momento che tu sappia» concluse poi, con voce incolore.
La ragazzina aspettò, sforzandosi di ignorare il cuore che aveva iniziato a batterle più forte nella cassa toracica.
«Il Cappello è stato manomesso» iniziò, e Melicent seppe che era solo una frase preparatoria, buttata lì appositamente per ammorbidire quello che avrebbe sentito dopo.
«Non è possibile» obiettò. «Solo un incantesimo confundus di potenza superiore alla media potrebbe farlo. Forse neanche in quel caso.»
Brillante come sempre, ma no, sembrò dire il leggero sorriso che comparve sul volto di sua madre. «È stato Black a farlo. Ti abbiamo detto tante volte che è un mago molto potente.»
«Esatto» replicò lei, freddamente. «Ma non avete mai specificato fino a che punto.»
Melisandre apparve sconcertata dalla maturità che sua figlia dimostrava, e al tempo stesso esaltata. Melicent sapeva che c’era di più, che lei era parte di qualcosa che tutti si ostinavano a nasconderle. Ormai i segnali erano palpabili.
«I maghi di cui Black ti ha parlato anni fa si chiamano Antichi» iniziò sua madre, e ormai la ragazzina capì che stavano pian piano arrivando al nodo cruciale della questione. «Da sempre sono i regolatori del Mondo Magico. Beh, da quando questo ha avuto origine, in realtà. Ma adesso sono stati abbattuti tutti. Tutti tranne lui. È l’ultimo rimasto.»
«Arriva al dunque» Melicent non aveva mai avuto un rapporto affettuoso con sua madre – e neanche con suo padre, se è per questo. Avevano sempre parlato come se fossero ad un tavolo di trattative, come se fossero colleghi piuttosto che familiari.
«Tu potresti rappresentare un tassello mancante. Black ti vuole con sé, Mel. È il nostro destino.»
«Quale?»
Sua madre fece una faccia corrucciata, come se non riuscisse a comprendere il senso della sua domanda.
«Discendiamo da loro – dagli Antichi. Pertanto, il nostro destino è quello di fare ciò che loro hanno sempre fatto.» Melisandre sorrise, serafica. «Non dovrai fare assolutamente niente. Tutto verrà da sé; vedrai che col tempo ciò che ti ho appena detto assumerà un senso. Sarai l’inizio, Melicent» e la guardò con affetto, ma sembrava più fanatica ammirazione, in realtà. «L’inizio di un rinnovamento.»
Cosa stesse cercando di dirle, iniziò a capirlo effettivamente solo un anno dopo.
 
 
Era strano avere quella consapevolezza che la faceva sentire in qualche modo definita, come se finalmente avesse un posto, una collocazione. Era tranquillizzante dare un senso a quelle capacità che aveva da sempre – che avevano sempre sussurrato, dentro di lei.
Aveva quindici anni, quando successe la prima volta. La prima volta che il discorso di sua madre arrivò a diventare concreto.
 
Era seduta sul muricciolo del cortile di Hogwarts, sotto gli archi a sesto acuto che risalivano a mille anni prima, i lunghi capelli neri dolcemente manipolati dal vento. Versava lacrime, come le era capitato poche volte, mentre una rabbia cocente si agitava nelle sue vene.
Aveva solo perso tempo. Mesi prima aveva conosciuto Stefano, un ragazzo del settimo anno con cui aveva iniziato a sentirsi; e per un po’ – per un po’ – aveva avuto quasi l’impressione di piacergli. Si era messa a fantasticare come una stupida; evidentemente era stata solo un’illusione. Sicuramente lo era stata.
Le aveva detto che doveva parlarle, quella mattina, e la sua voce le era sembrata seria, come se dovesse dirle qualcosa di terribile. Si ritrovò a pensare a quello che da lì a poco avrebbe sentito, e ad averne paura. Il nervosismo la mangiava viva: perché si stava facendo attendere tanto? Si erano dati appuntamento proprio lì.
«Melicent» la voce del ragazzo la riscosse bruscamente, e sobbalzò appena sul muricciolo.
«Ciao» disse, guardandolo con i suoi strani occhi color miele. Stefano le sembrò quasi impaurito, e odiò quello sguardo carico di preoccupazione; perché non poteva semplicemente amarla?
«Scusami se sono arrivato in ritardo, ma avevo lezione fino a poco fa» Mel non faticò a notare che stava parlando a caso per prendere tempo, e stette in silenzio, il volto una maschera di pietra. Le venne in mente la frase che Eris le rivolgeva sempre: come fai ad essere così?
Ovviamente si era sempre riferita al fatto che, già a quindici anni, fosse seria – troppo seria – e sicura di sé. Melicent era troppo tutto, tranne che allegra e spensierata come una qualunque ragazza della sua età. Sembrava talmente fuori da quel mondo, talmente adulta da essere quasi inquietante.
«Cosa dovevi dirmi?» fece infatti, troncando di netto ogni tentativo del Grifondoro di girare intorno al motivo per cui si erano visti.
Stefano cambiò atteggiamento ad una velocità quasi surreale. «Mel, io penso che sia meglio non vederci più.» Qualcosa si spezzò, nel petto della Serpeverde, che però rimase come sempre impassibile.
«Perché?»
«È vero che fai incantesimi oscuri? O che comunque... la tua famiglia li fa?»
Non andava fiera di quello che facevano i suoi genitori. Non particolarmente, almeno. Se l’interesse fosse stato solo accademico, avrebbe capito, ma...
«Chi ti ha detto questo?»
Non puoi nasconderti per sempre, Mel. La nostra origine è questa. Apparteniamo a questo mondo.
Quella frase, suo padre, gliel’aveva detta tante volte, da quando Melisandre le aveva parlato degli Antichi, ma lei la rifiutava. O perlomeno, non voleva che gli altri conoscessero questo lato di lei.
«Lo sanno tutti. Perché non mi hai risposto?» chiese; il suo tono vagamente inquisitorio non fece altro che indispettirla ulteriormente.
«Sei già giunto ad una decisione» disse, con voce di ghiaccio.
«Non voglio stare con una persona che mi nasconde la sua vera identità.»
«E quale sarebbe la mia vera identità?» chiese la ragazza, con voce insidiosa.
Cominciava a capire perché, sia lui sia i suoi amici, avevano iniziato ad evitarla. Cominciava a capire che idea si erano fatti. Era vera? Forse. Ma nessuno doveva saperla, o anche solo vagamente intuirla. La sua famiglia era stata molto chiara al riguardo.  
«Una strega oscura. Già a questa età» disse lui, con un tono vagamente intimorito che Mel si ritrovò ad apprezzare sadicamente.
«Quindi hai paura?» lo incalzò. «Hai paura di me?»
«No, ma...»
«No no» lo frenò lei. «È tutto molto chiaro. Davvero. Va bene così. Effettivamente non voglio esporti a determinati rischi... anche se, certo; come ti ho detto tante volte, il mio è un interesse puramente accademico.»
«Davvero? Sicura che non ci siano problemi? Insomma... ci siamo frequentati per tanto tempo, e ad essere onesti mi dispiace.»
Allora fregatene di questi pregiudizi idioti, fu tentata di dirgli. Ma stette zitta.
«Anche a me» disse. Cercò di contenere il compiacimento, perché lui non sapeva per quale motivo quella strana nota fosse bloccata nella sua voce seria, incastonata nelle sue parole ambigue.
Non lo seppe nemmeno quando, mentre si allontanava, una cappa di invisibile fumo nero calò su di lui, silenziosa.
Stefano morì esattamente un anno dopo, e le autorità non trovarono mai il colpevole, perché la Traccia per lei non era ancora svanita.
 
 
«Mi dispiace, Mel.»
La frase che le rivolse Megara l’anno successivo, così, senza neanche girarci intorno, la spiazzò in quel momento. Lei non ci pensava neanche più; aveva elaborato lei stessa la maledizione in poco tempo, sapeva gli effetti che avrebbe avuto e le era piaciuto. Era felice che fosse morto, perché con lui erano morti anche le sue idee pericolose. Ma non era ovviamente una frase da dire alla sua amica.
Melicent aveva imparato che era bene non dire molte delle cose che le passavano per la testa, così come molte delle cose che aveva già fatto.
«Grazie. Anche a me» disse, mantenendo un atteggiamento impassibile. Evidentemente, però, Meg lo interpretò come sofferenza malcelata, quindi non destò sospetti. Meglio così, pensò immediatamente la Serpeverde.
«Insomma, sapevo quanto ti piacesse, e da quello che mi ricordo non ti è mai piaciuto nessuno. Perciò... mi dispiace tanto.»
«Spero solo che prendano la persona che lo ha ucciso. Merita di stare chiuso in una cella di Azkaban per il resto dei suoi giorni.» Era così che avrebbe detto una persona normale, giusto?
«Già» disse la sua amica, racchiudendo in quella parola una miriade di sentimenti. Perché Meg era fatta così: sarcastica e sempre con la risposta pronta, ma al tempo stesso capace di provare empatia come pochi altri. «Vedrai che succederà.»
«Dai, adesso andiamo» disse Melicent dopo una manciata di secondi. «Faremo ritardo a lezione» aggiunse, come per dire che era meglio cambiare argomento.
Megara capì l’antifona, e fortunatamente non fece più domande.
 
Avrebbe voluto sentirsi in colpa, per quello che aveva fatto – perché sarebbe stato giusto così, in fondo – ma le era impossibile. Per tutto quel tempo aveva creduto di non aver avuto una vera identità; quel senso di non appartenenza l’aveva sempre schiacciata... aveva sempre trovato il conforto nei libri, libri di magia oscura che adesso avevano un perché, un motivo che si ricollegava a lei e a quello che era. E questo sorpassava ogni possibile rimpianto, ogni possibile emozione normale.
Al compimento dei suoi diciassette anni – allo svanire della sua Traccia – lui aveva finalmente smesso di chiudersi nello studio di suo padre e sua madre escludendola.
Aveva iniziato a volere anche lei, in quelle riunioni.
 
«Merman ha provato a scaricare la responsabilità sui suoi studenti, ma ovviamente non ci è riuscito» iniziò, con voce ferma.
«Il preside non ci ha mai detto niente che riguardasse questo» fece la ragazza, fissandolo ostinata, come per incitarlo a proseguire.
«Esatto. La missione in cui è morta la tua amica – Megara – era una missione suicida. Lei lo sapeva bene. E anche Merman, ma semplicemente ha ritenuto opportuno tralasciarlo.»
Fece una pausa, poi continuò. «Quando diventai Preside, lui mi ostacolò. Non è mai stato quello che voleva farvi credere di essere.»
«Parla!» la voce decisa di Melicent, ora dotata di un suono sorprendentemente maturo, fendette l’aria. La mano di suo padre le si posò sulla spalla magra, come per ammonirla; lasciò andare un sospiro, lentamente.
«Deriva dalla stirpe dei maridi» disse Black, dopo un istante di silenzio. «Penso tu sappia cosa siano: sirene. Nient’altro che questo. Creature mitologiche, che successivamente hanno avuto la pretesa di mettersi a capo della scuola. Ma nessuno lo sa» si interruppe, poi riprese.  «Ti sei mai chiesta per quale motivo non faccia niente, adesso, mentre io sto prendendo possesso di tutta la scuola?»
Silenzio.
«Abbiamo stipulato un accordo. Se lui tradisse, in qualche modo, la verità, tutta la sua Stirpe andrebbe perduta. Io sono la paura, Melicent. L’oscurità. Pochi sanno di quelli come me, perché pochi sono quelli come me. Ma è la legge del Mondo Magico: ordine e caos, che si alternano ciclicamente» sorrise. «È così che vanno le cose. E adesso tocca a me – a noi.»
 
I suoi pensieri vennero interrotti bruscamente quando sentì dei passi dietro di lei; tenne lo sguardo fisso sulle statue degli Antichi, figure scomparse e sopravvissute solo attraverso la pietra, alte e inquietanti. «Ciao Melicent.» La voce di Pitch Black squarciò il silenzio, arrivandole familiare e rilassante – quella voce sinistra, in cui lei però si ritrovava perfettamente.
Non dovresti sentirti in colpa per aver ucciso le tue migliori amiche, Mel?
Perché c’era lei dietro, sin dall’inizio. Era stata quella che aveva mosso i fili di quello spettacolo insieme a Pitch – insieme a quel burattinaio fatto di buio e paura – quella che aveva dato inizio al procedimento, quella che aveva visto che cosa era successo – e che cosa sarebbe successo – prima degli altri. «Ti stavi preparando?» le chiese, avvicinandosi a lei.
Melicent sollevò una mano; sottili volute di fumo nero si sollevarono dai suoi palmi, danzando armoniosamente. «Sì» disse, la voce persa mentre osservava il suo potere. «Ho sempre avuto questa capacità, è solo che non me lo ricordavo» continuò.
«Premeva per uscire, certo» le diede manforte lui. «Ti ho osservata molto, quest’anno, e quando ho capito è stato subito tutto molto chiaro. Una coincidenza come questa non avveniva da secoli. Ma in fin dei conti, è da quando ti hanno portata da me che lo immaginavo» proseguì, con una voce calma che risuonò ancora più intensamente nell’eco dei sotterranei.
Melicent chiuse la mano, poi la riaprì; stavolta fu una piccola sfera di luce verde a sollevarsi dal suo palmo. «Quando è successo, l’ultima volta?»
Aveva solo dei flash nella mente, instillati da lui.
 
Una ragazza con i capelli di fuoco e gli occhi azzurri, che parlava con lui. Black sorrideva, lei metteva le mani avanti. Mani pallide che crepitavano di ghiaccio e occhi insicuri e sottili puntati sul mago che si limitava a sorridere.

 
Glielo aveva fatto vedere durante una delle riunioni, ma non aveva mai capito veramente che genere di collegamento quella ragazza avesse con lei. Sembrava così fragile...
Le aveva sempre ricordato Elsa, in realtà.
«Cosa c’entra, lei, con me?» chiese, consapevole del fatto che Black avrebbe capito a chi si stesse riferendo.
«Si chiamava Iris Hale» rispose lui, sempre con quella voce flemmatica. «Ed è vissuta molto prima di te, nel 1648. All’epoca la situazione non era così drammatica come adesso, ma vi erano comunque le prime avvisaglie.»
Silenzio.
«Merman iniziava già allora a sospettare qualcosa. La Guerra civile aveva avuto ripercussioni anche sul Mondo dei Maghi, ma tutti erano tutto sommato tranquilli, anche se allarmati per via dell’Inquisizione. Dovevamo stare attenti a chi era incontrollabile, e consegnarlo agli Antichi. Perciò l’ho osservata... molto. Esattamente come ho fatto con te» la sua voce si impregnò di una nota nostalgica, che Melicent notò con curiosità; c’era di più, lo aveva già capito. Che si fosse affezionato alla ragazza? Allora aveva un punto debole? Improvvisamente avvertì la curiosità morderle il cervello come un animale feroce: voleva sapere che cosa le fosse successo.
«Mi ricorda Elsa» disse la ragazza, sovrappensiero. «E non solo per i poteri.»                
«Infatti non è casuale che la mia scelta sia ricaduta su di lei. Non succede da allora che ci sia qualcuno con delle capacità inerenti al ghiaccio.»
Si allontanò, poi, e Melicent sentì la consapevolezza che Pitch le nascondesse qualcosa pungolarla come uno spillo.
Subito dopo, lo percepì fermarsi di colpo.
«C’è qualcun altro» sussurrò. «Qualcosa che manca. Lo percepisco. Adesso.»
La fiamma di buio nel palmo di Melicent si spense di colpo, e la rabbia la abbracciò subito col suo tocco formicolante.
Qualcosa non andava come premeditato.
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Dopo essere stata letteralmente per mesi a pensare a come avrebbe potuto proseguire la storia – perché ovviamente ho di nuovo cambiato idea sui suoi sviluppi – sono giunta alla conclusione che avrei dovuto DAVVERO postare questo capitolo. Beh, ovviamente nella speranza che questa FF non sia caduta nell’oblio (e nel caso, so di meritarmelo).  Devo dire che, una volta terminato, ero particolarmente soddisfatta, e non vedevo l’ora di scrivere quello dopo: mi sono messa e… mi è sembrato tutto assurdo, poco plausibile. Spero davvero di venirne a capo: ho pensato per molto tempo a questa storia, e non mi va proprio di scrivere un finale “tirato via”, tanto per concluderla.
Scusate se ho parlato poco del capitolo, ma
  1. Mi devo vergognare di esistere solo per i ritmi con cui posto
  2. Il capitolo si commenta da solo
A questo proposito, spero vi sia piaciuta la frase ad effetto finale. Avete qualche idea su cosa aspettarvi – io sì, anche se vaga? Fatemi sapere!
Alla prossima <3
Stella cadente
 


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Capitolo 42
*** Capitolo 42. ***


42.
 
 
Hogwarts
 
«Ieri ho chiesto a mio zio se fosse possibile andare ad Azkaban per fare visita a Frollo.» esordì Febo la mattina seguente, in Sala Grande.
«Davvero?» fece Esmeralda, a metà tra stanchezza e sorpresa, mentre beveva un sorso di succo di zucca. «Ha risposto? Achille è già tornato?» chiese, riferendosi al gufo reale dell’amico.
«Già» sorrise il Grifondoro. «Una scheggia» aggiunse, con un sorriso fiero. «Comunque» divenne più serio un istante dopo, «Non ha portato buone notizie. Nel messaggio mio zio ha scritto che, conoscendo bene l’ambiente, non è possibile entrare se non per visite da parenti. L’unica possibilità è che lui si offra spontaneamente di rilasciare una dichiarazione scritta.»
«Pensi che lo farebbe?» chiese la ragazza, leggermente preoccupata, mentre si riempiva il piatto di pane con burro e prosciutto. «Insomma... perché dovrebbe rilasciare una dichiarazione su mia richiesta? Io non sono nessuno per lui.»
Forse aveva pronunciato quelle parole con eccessiva amarezza, perché Febo la guardò preoccupato. «Esatto… era quello che volevo dirti io. Non credo ci sia nessun modo per estorcergli qualcosa. E non possiamo certo infilarci ad Azkaban di nascosto, visto che passeremmo dei guai.»
«Non è quello che serve alla scuola in questo momento» convenne Esmeralda, gli occhi verdi persi chissà dove. Sembrava che, nell’arco di una sola notte, avesse buttato via tutta la grinta che l’aveva da sempre caratterizzata; le occhiaie erano evidenti sulla sua carnagione olivastra e la bocca era una linea piatta. Appariva quasi invecchiata.
«Esme» disse Febo, spontaneo, «Tutto bene?»
«È che penso che, in fondo, sia stata anche un po’ colpa mia, se lui è riuscito a nascondere tutto questo.»
«Che vuoi dire? Non parlavate quasi mai.»
La Grifondoro si mise le mani nei capelli, che in quel momento apparivano come una criniera disordinata. «Ultimamente parlavamo. A volte. Lui...»
Fu quando lasciò quella frase in sospeso con un’espressione turbata che Febo sentì un brivido agitarglisi nello stomaco. Attese, ansioso, senza sapere cosa dire.
«Mi ha detto che aveva una specie di ossessione per me. Che gli avevo fatto qualcosa, da quella volta in cui siamo stati messi in punizione insieme.»
«E tu cosa ne pensi?»
Gli occhi verdi della ragazza assunsero un’espressione strana. Sembrava che non trovasse neanche le parole per dire quello che voleva esprimere. «Penso che lui sia pericoloso. Penso che non dovrebbe mettermi curiosità, come invece sembra fare da un po’ di tempo a questa parte» sbottò, in un impeto di sincerità che investì Febo con prepotenza.
«Forse dovrei occuparmene io» snocciolò il Grifondoro, con tono deciso. «Tu sei troppo coinvolta» aggiunse, facendo del suo meglio per mascherare la delusione che lo stava uccidendo.
«No, sto bene» si indurì lei, alzandosi dal tavolo di colpo e serrando le labbra in quel gesto che, ormai, Febo conosceva da anni. Non poteva crederci: lei incuriosita da Frollo?
Non se ne parlava. Era semplicemente assurdo.
«No, Esme» disse infatti, alzandosi a sua volta e raggiungendola. «È per il tuo bene che lo sto facendo.»
O forse per il tuo egoismo?, fece una vocetta odiosa dentro di lui.   
«Il mio bene?» ripeté Esmeralda, incredula. Continuò a sfuggirgli, iniziando a camminare verso l’uscita dalla Sala Grande. «Febo, siamo tutti coinvolti. Non soltanto io» affermò, risoluta.
«Ti rendi conto che parli di uno che è finito in carcere come di una persona da salvare?»
La Grifondoro si ammutolì, fermandosi proprio in mezzo al corridoio. Non era mai successo, da quando lui ne aveva memoria.
«Esme» provò lui, avvicinandosi.
«No» disse solo la sua amica, allontanandosi a grandi passi.
Febo digrignò i denti, trattenendosi dal tirare un pugno alla colonna in pietra del porticato. Tirò fuori dalla tasca della divisa la pergamena che aveva ricevuto quella mattina, leggendovi il messaggio dello zio Charles – che da sempre lavorava negli Uffici di detenzione del Ministero della Magia.
 
Non posso dirti niente, Febo. La persona di cui mi stai parlando rappresenta un caso molto particolare, e il Ministero sta facendo ulteriori ricerche per trovare delle risposte che abbiano un senso.
Le indagini sono segrete.
Non posso proprio parlarne.
Mi dispiace.
 
 
*
 
Esmeralda iniziò ad allontanarsi via via sempre di più dal suo amico – che ora non vedeva altro che come un estraneo – per poi cominciare a correre, sperando che non la seguisse. Fortunatamente i corridoi erano deserti: tutti stavano terminando la colazione per poi andare a lezione di Difesa, nel caso accadesse qualcosa – perché sapevano tutti che sarebbe successo.
Ultimamente le sembrava di vederla, quasi, l’impazienza degli altri, la nervosa trepidazione con cui tutti si aspettavano che accadesse qualcosa di brutto da un momento all’altro. Non che ci si potesse comportare diversamente, in effetti: diverse persone erano morte, alcune non si vedevano più a scuola da giorni, ed Esmeralda si ritrovò a chiedersi per quale motivo la disperazione non avesse ancora preso possesso della sua mente.
«Stai bene?»
Quella voce.
Era da una vita che non la sentiva. Avvertì la gola stretta in una morsa per lo sforzo di non piangere, ancor prima di voltarsi a guardare quel viso così familiare.
Quentin la fissava preoccupato; sembrava stanco, provato, ma sapeva che avrebbe messo i suoi problemi da parte – che sicuramente erano ben più gravi dei suoi – per starle accanto.
«No» rispose, sincera. «Ma sai cosa? Chi se ne frega.»
Si avvicinò al suo amico e lo abbracciò con impeto. «Sono contenta di vederti» disse a malapena, stringendolo forte.
Le braccia robuste del Tassorosso la circondarono con affetto. «Anche io.»
Quando sciolsero l’abbraccio, Quentin iniziò, deciso seppur visibilmente abbattuto. «Esmeralda, mi dispiace per non averti più parlato. È solo che...» indugiò per un attimo. «Ho dovuto capire come fosse la situazione. Adesso più che mai – ne sono certo, finalmente – non si può più aspettare. Dobbiamo mettere da parte le nostre paure, dobbiamo mettere da parte tutto quanto. Compresa la rivalità tra Case.»
«Perché me lo stai dicendo?» Non aveva neanche più la forza di irrigidirsi e indurire la voce indispettita, come avrebbe fatto di solito. Era solo stanca.
«Perché ho bisogno che» iniziò prudente, come se avesse paura di suscitare reazioni estreme. «Tu dia fiducia ai Serpeverde. Ecco… sì, insomma» aggiunse poi, dopo una breve pausa. «Se accadesse, tutti i Grifondoro ti seguirebbero. Ne sono convinto.»
Silenzio. Esmeralda sapeva che non avrebbe detto di no al suo migliore amico, ma la richiesta che le stava facendo era troppo... era troppo.
«Sai benissimo di essere una persona molto carismatica» proseguì il Tassorosso, con voce pacata.
«Sai anche che non ho praticamente nessun motivo per dare fiducia ai Serpeverde. O sbaglio?» fece lei, con tono piatto.
«Lo so» il ragazzo sollevò gli angoli della bocca in un gesto nervoso, poi sospirò. «Il punto è che anche loro sono in difficoltà. E so che non dovrei dirtelo, ma è necessario per farti capire.»
«Dirmi cosa?»
«Hai presente Vaiana Waialiki?»
«Di vista» rispose Esmeralda, frettolosamente. «Perché?»
«Lei è l’unica a poter fermare questa cosa, credo. E non sto scherzando.»
La Grifondoro si sentì pietrificare. «In che senso?»
«Ha il potere di controllare l’acqua, ma a quanto pare è sfuggita al controllo di Black, che ha preso solo le altre ragazze – Lily, Elsa, Melicent e Merida. Hai notato che non si vedono a scuola da giorni? Black le ha prese con sé. C’è un rituale dietro a tutto questo, un rituale oscuro. Ma lei potrebbe essere la soluzione.»
Lo disse tutto d’un fiato, lasciando che quelle informazioni si abbattessero come proiettili sulla sua amica. «Ed è per questo motivo che ti sto chiedendo di mettere da parte la tua diffidenza. È la nostra unica possibilità» concluse, con tono urgente.
Esmeralda non ne poteva più di sentir parlare di quella storia; aveva solo voglia di tapparsi le orecchie, chiudere gli occhi e rintanarsi in un angolino. Ma doveva affrontare la realtà, lo sapeva; o non ci sarebbe mai stata via d’uscita per nessuno.
«D’accordo» disse poi. «Lo spiegherò agli altri» disse, sforzandosi di mettere da parte l’immagine di Claude Frollo che le era balzata in testa.
Non lo disse ad alta voce, ma aveva capito che non c’era più nulla di normale, in quella quotidianità a cui erano tutti abituati da un po’ di tempo a quella parte. Vivevano nella paura, ormai, nel costante timore che il prossimo ad essere ucciso fosse un amico, un fidanzato, un fratello. Black non aveva dimostrato pietà per nessuno… e, da quando quell’anno scolastico era iniziato, sembrava passata un’eternità.
Fu allora che la voce di Merman si fece forte e chiara nelle sue orecchie; arrivò improvvisa, come un fulmine, ed Esmeralda capì che non avrebbe fatto in tempo a parlare con i suoi compagni di Casa.
Era tardi, ormai, perché se il Preside aveva scelto un incantesimo di informazione immediata voleva dire solo una cosa: che si era avverato il peggio.
 
Quello che dovete fare è uscire da Hogwarts, immediatamente. Fate incantesimi di protezione alla scuola: sono sicuro che li abbiate imparati in modo eccellente. Rimarrà solo una fra di voi, nascosta nella Camera dei Segreti. Io sarò con voi.
Sono arrivati.
E dobbiamo essere pronti.
 
 
 
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Sto postando il capitolo nuovo dopo soli nove giorni dall’ultimo aggiornamento, ancora non ci credo.
Certo, come probabilmente saprete anche voi, c’è un motivo – ovvero che, come tanti, sono chiusa in casa. A causa dell’emergenza COVID-19 l’università è ferma, così come i centri linguistici in cui studio i miei amati francese, inglese e russo. Ma la quarantena ha qualcosa di positivo: dopo avere avuto un crollo emotivo al terzo giorno di reclusione, ho realizzato di avere più tempo da dedicare a questa storia, e alla scrittura in generale. Mi ero dimenticata quanto fosse rilassante per me, davvero.
E così, tra ieri e oggi l’ho riletta tutta – ho riletto tutta Hogwarts, la fic che tanto mi ha fatto penare – e mi sono messa a riflettere con calma, sapendo di, per una volta, non avere il tempo contato. L’ho riscoperta, in un certo senso, ho riscoperto la mia creatività, e in qualche modo ne sono felice.
Il capitolo che ne è venuto fuori è breve, ma spero che abbia sortito il suo effetto; spero anche che la mia storia vi faccia compagnia in questi giorni così duri, in cui la nostra normalità di sempre è bloccata temporaneamente.
Adesso è un punto di svolta: credo di essere vicina alla fine della storia… ma come avrete imparato “standomi dietro”, non si sa mai ;)
Spero che vi sia piaciuto, alla prossima!
Sara






Rabia Sevencan (svncn_rabiaaa) Pinterest'te



Quentin la fissava preoccupato; sembrava stanco, provato, ma sapeva che avrebbe messo i suoi problemi da parte – che sicuramente erano ben più gravi dei suoi – per starle accanto.

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Capitolo 43
*** Capitolo 43. ***


43.
 
 
Qualche ora prima – Skià
 
 
Pitch Black spaccò istintivamente una statua del castello con un incantesimo, quando avvertì quella sensazione. La sensazione di qualcosa di mancante, qualcosa che non andava per il verso giusto. Come una macchina che si era messa in moto, ma senza l’ultimo ingranaggio.
Ed in questo modo, la macchina non può partire.
«C’è qualcun altro» sussurrò. «Qualcosa che manca. Lo percepisco. Adesso.»
«Che cosa vuol dire?» ringhiò Melicent, voltandosi di scatto. Per un istante, gli occhi le divennero completamente neri, e dalla bocca – insieme alla sua voce cupa – sgorgò un gracchiare arrabbiato.
Il Corvo.
Due ali nere dal piumaggio lucido fuoriuscirono dalla schiena pallida, spaccandole il vestito nero con lo strascico all’altezza delle scapole.
«Ad Hogwarts è rimasto l’ultimo elemento» iniziò Black, con rabbia. «E Merman farà di tutto per tenerlo lontano da me» sibilò, gli occhi gialli che mandavano lampi. «Non possiamo iniziare, senza di lei» concluse, inchiodando Melicent con lo sguardo.
«Perché no?» sembrava più un’esclamazione che una domanda, quella frase che si catapultò prepotentemente dalla bocca della ragazza.
«Perché morirete tutte, ancora una volta!» la zittì lui. «Secoli fa andò in questo modo» proseguì, approfittando del suo silenzio improvviso. «E non riuscii nel mio intento. Avrei dimostrato ai babbani quanto fossimo potenti; li avremmo dominati, li avremmo resi nostri schiavi. Ma no – no! – questa mancanza si rivoltò contro di me. E guarda come siamo finiti. Con un sacco di ragazze morte!» concluse, esasperato.
«Comprese quelle che hanno perso la vita quattrocento anni fa nell’esperimento – quando quella che mi mancava è andata perduta» aggiunse di nuovo. «E stavolta non so di chi si tratti.» Sembrava fuori di sé; il corpo era scosso da un leggero tremito dovuto alla tensione, mentre gli occhi erano persi nel vuoto, come se parlasse con sé stesso.
«Non posso fallire» si rivolse a lei, la faccia affilata che adesso era rigida di determinazione. «Il Mondo Magico ha bisogno degli Antichi di nuovo; le cose non funzionano come dovrebbero funzionare. Alcune rivalità si sono appianate, violando quelle che sono sempre state le nostre leggi» disse, e Melicent capì immediatamente che si riferiva allo scontro tra Purosangue e Mezzosangue.  «Raduna Lily e Merida; ad Elsa penserò io. E fai attenzione alla Fenice» era così che chiamava la Dunbroch, «Lei rappresenta l’elemento finale. Ricordatelo.»
«So bene che cosa fare» lo rimbeccò lei, irritata.
«Tu sì. Ma loro?» replicò Black. «Loro non sanno niente di tutto questo. Nessuno le ha mai addestrate per quello che devono fare. Hanno solo ricevuto delle avvisaglie tramite i loro poteri. Ma non riesci proprio a capire quanto tu sia stata privilegiata in tutta questa storia?»
Un’altra statua esplose, e Melicent sospirò, come a reprimere un’altra frase che avrebbe potuto metterla a rischio – stavolta per davvero.
«Merman non dovrà strapparvi più a me. Non dopo l’ultima volta. Non si tratta solo di Hogwarts ormai: si tratta di tutto il Mondo Magico.»
«Cosa intendi?»
Sul volto del mago prese forma un’espressione feroce. «Quattrocento anni fa, voi quattro siete morte, per poi tornare adesso» disse solo. «Non intendo voi come streghe in quanto tali, ma… i vostri poteri sono sopravvissuti fino ad arrivare a qui. E non può essere un caso. Il Momento è giunto. È necessario il Risveglio.»
Nonostante quella rivelazione – l’ennesima, che si era abbattuta su di lei proprio quando credeva di sapere tutto – l’avesse devastata, la ragazza si sforzò di restare impassibile.
«Come faccio a sapere che non stai mentendo?»
«Forse da quello che hai visto finora?» fece, retorico. «Suppongo che siano stati gli Antichi a portare le vostre doti fino a questo tempo. Quello che è certo è che avete delle particolarità che vanno al di là di ogni tipo di magia esistente» disse, mortalmente serio. «E adesso muoviti» concluse, digrignando i denti.
Melicent se ne andò, mentre delle lacrime che non sapeva a cosa attribuire le scendevano sul volto statuario. Le ignorò; lei non poteva concedersi di essere debole.
 «Sarai il cambiamento, Melicent» la inseguì la voce di Black, mentre si allontanava. «Lo sarete tutte.»
 
 
I suoi poteri e quelli di Merida erano destinati a combinarsi; erano fondamentali, l’inizio l’una e la fine l’altra. Era stata la più inaspettata, per lei… era la stessa ragazzina insulsa con cui Eris si batteva sempre, in fondo. Ed invece... invece era un tassello fondamentale di quel puzzle inarrestabile.
Ormai quell’immagine – l’immagine della Grifondoro scalmanata e battagliera – apparteneva a quello che sembrava un tempo lontano.
Adesso la Fenice era al centro della stanza – la prima dell’ala Ovest – imprigionata in un bozzolo di fiamme che si arricciava lentamente come una spirale. Accanto a lei, Lily Corona era all’interno di una cappa di luce, i capelli biondi intorno alla sua testa che sembravano raggi intorno ad un sole. Le luci di entrambi gli involucri sembravano alimentarsi a vicenda, come se si stessero fondendo.
Doveva risvegliarle.
«Exsūscito» disse, accompagnando la formula con un movimento di bacchetta.
Le ragazze spalancarono gli occhi, prendendo una boccata d’aria come se non respirassero da ore. Le fiamme caddero intorno alla sagoma di Merida, formando un cerchio di lingue di fuoco intorno al suo corpo pallido. Lily, invece, appariva normale; la culla di luce si era spenta, e di essa rimanevano solo scintille che saltellavano tra i suoi capelli, come tanti piccoli insetti luminosi.
«Sapevo che c’eri tu dietro, me lo sentivo fin dall’inizio» disse Merida, sollevando una mano, minacciosa. Delle piccole fiammelle le spuntarono all’unisono sulla punta delle dita, sfrigolando impazzite. «Non porterò a termine l’esperimento. Io non sono questo, non lo sono mai stata. Mi è successo solo...»
«Una volta, quando avevi undici anni. Lo so» disse Melicent, piatta. «Black mi ha fatto sapere tutto. Ed è stato anche molto chiaro su cosa ti succederebbe se tu non lo facessi. Che cosa succederebbe a tutte noi.»
Adesso capisco perché Pitch abbia un occhio di riguardo per lei.
«Non tradiremo Hogwarts» si intromise Lily.
«Sarete obbligate ad utilizzare i vostri poteri. Ne va della nostra vita. So che avete paura, ma non potete fare altrimenti. Contrastateli e morirete.»
Sollevò una mano, e una scia di buio si sollevò impetuosa, andandosi a scontrare con una fiamma che Merida le restituì.
A quella combinazione si andò ad aggiungere la luce di Lily, che con sguardo arrabbiato provò a contrastarla.
Melicent sentì ribollire in sé quella rabbia – quella rabbia antica, quella che Black le aveva insegnato ad usare – e gettò indietro la testa, la bocca atteggiata in un cerchio perfetto. Da essa scaturì una cappa di fumo denso – denso come l’oscurità che l’aveva sempre abitata – che andò a circondare le ragazze, disorientandole. L’incantesimo lanciato da Lily e Merida, infatti, si interruppe subito.
«Smettetela di combattere la vostra stessa natura. È inutile» si limitò a dire poi. «Voi non siete che una parte di tutto questo. Sapete già come usare i poteri, ma riuscirete a farlo appieno se la smetterete di respingerli; e dovrete farlo, perché c’è in ballo qualcosa di molto più grande di ognuna di noi.»
«Merman non avrebbe voluto questo» disse Merida, furiosa.
«Merman non si è fatto problemi a far perdere la vita a qualche centinaio di persone!» esplose la ragazza. «E adesso deve pagare.»
Silenzio. Il fumo, adesso, si andava diradando, andando a rifluire tutto nella sua sagoma magra.
«C’è un tassello mancante al Rituale, e Black vuole che andiamo ad Hogwarts per riuscire a scovarlo in qualche modo. So che il vostro addestramento non è completo, ma dovrete combattere.»
«Cosa?» fece Merida, incredula. Sembrava le mancasse il fiato per parlare.
«Hai sentito bene. E farai come ti dico» aggiunse, puntandole contro la bacchetta. «Che tu lo voglia o no.»
Sbatté un piede per terra, e le volute di fumo nero rimaste nell’aria danzarono arrabbiate, come serpenti di tenebra.
Quasi inconsciamente, il fuoco e la luce si fusero al buio, stavolta senza astio, e Melicent riuscì a percepire la potenza accecante di quella fusione che le scorreva nelle vene.
 
 
*
 
Elsa stava letteralmente giocando con il suo potere, quando la raggiunse nell’ala Est del castello. Muoveva le braccia in una danza triste e dolce allo stesso tempo – una danza che la descriveva alla perfezione, intensa e tormentata. Frammenti di ghiaccio le sussurravano intorno, e lei sembrava osservarli con occhi diversi, come se li vedesse per la prima volta.
Non si era neanche accorta di lui, e a Pitch dispiacque quasi interromperla nel suo allenamento. Perché sì, Elsa non lo sapeva, ma quello che stava facendo era parte dell’addestramento. Familiarizzare con la sua abilità era necessario, e nel mondo dei maghi non avrebbe mai potuto farlo, troppo frenata dalla paura e dall’incertezza per lasciarsi andare davvero.
«Elsa» la richiamò. La ragazza si voltò subito, facendo svolazzare appena la treccia di capelli chiarissimi. All’istante, tutti i pezzi di ghiaccio che le fluttuavano intorno fino a qualche attimo prima, crollarono a terra infrangendosi.
Non disse niente; gli corse solo incontro e lo abbracciò, dicendo poi un dolce. «Ciao. Stavo provando a migliorarmi», come per dargli una spiegazione. «Era da molto che mi stavi guardando?»
«No, ma quello che ho visto mi è piaciuto» disse lui, sincero.
Elsa fece un sorriso spontaneo. «Ne sono felice» e sul suo viso bianco come il latte c’era un’espressione così… devota.  Come se non si fosse mai sentita davvero amata da nessuno, tranne che da lui.
Riprese poi ad esercitarsi: un getto di ghiaccio scaturì prepotente dal suo palmo – stavolta in modo preciso, mirato. I piccolissimi pezzetti di freddo rimasero poi sospesi in aria; e un attimo dopo, la ragazza li aveva scagliati a terra, con un gesto deciso.
Lo dominava, adesso.
Ed era proprio quello che lui voleva.
A dargli una seconda dimostrazione, Elsa strinse la mano a pugno e la tirò indietro; il ghiaccio, insieme a quel gesto, si ricompose e si sollevò di nuovo, fluttuando placido.
Quando la ragazza aprì il palmo della mano, quella massa informe era diventata uno stormo di stalattiti appuntite, che luccicavano minacciose. Roteò la mano a 180 gradi, poi la spinse in avanti.
E le stalattiti si diressero decise verso il muro, conficcandocisi dentro.
Elsa si lasciò andare ad un sorriso liberatorio, accompagnato da una lieve risata. «Ce l’ho fatta.»
Era il sorriso di chi aveva troppo sofferto, quello. Il sorriso di chi si rende conto di aver ignorato le proprie capacità per troppo tempo, e che ora sa quasi di follia, di alienata incredulità.
Ma non era un problema, perché era esattamente quello che cercava.
«Preparati» le disse. «Torniamo ad Hogwarts. Ed avrai modo di mettere in pratica cosa hai imparato.»
Nel dirlo, le sciolse i capelli – lentamente, con delicatezza – lasciandole cadere quella cascata biondo platino sulle spalle e lungo la schiena.
Lei non era infastidita: anzi, sembrava trepidante, sicura di sé.
Era cambiata.
 
 
 
 
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Allooora
Questo è quello che si dice un capitolo di passaggio: era semplicemente per sviluppare una continuità narrativa con quello che è successo nello scorso capitolo, dal punto di vista dello schieramento opposto. Detto in soldoni, mi sono posta questa domanda: che cosa è successo per far sì che Hogwarts si debba adesso preparare ad un attacco (quasi) inaspettato? Ed ecco qui la risposta :)
Sento che gli esiti di questa battaglia determineranno in modo vero e proprio anche l’esito della fic.  A dirla tutta, neanche io ho idea di come possa andare: se finirà bene, male o con un finale aperto. Suppongo, perciò, che saranno i miei personaggi a dirmelo.
Passando ai contenuti: che mi dite delle vostre impressioni sulle ragazze? Io non so, ho adorato scrivere dei poteri di Melicent, così oscuri e misteriosi. Vediamo poi che le previsioni di Merman dei primi capitoli si sono avverati: Elsa è cambiata. E, cosa ancora peggiore, appare indissolubilmente legata a Pitch Black. Gli unici punti interrogativi sono Merida e Lily, visto che non sembra si siano ancora piegate del tutto alla forza dei loro poteri.
Per finire, vorrei ringraziare veramente le nuove lettrici che si sono tuffate in questa avventura (davvero, grazie mille per le recensioni favolose); e, naturalmente, le sante che mi seguono da quattro anni :’)
GRAZIE MILLE per seguire questa pazza che scrive la stessa cosa da quattro anni
 
 
Sara






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Melicent sentì ribollire in sé quella rabbia – quella rabbia antica, quella che Black le aveva insegnato ad usare – e gettò indietro la testa, la bocca atteggiata in un cerchio perfetto. Da essa scaturì una cappa di fumo denso – denso come l’oscurità che l’aveva sempre abitata – che andò a circondare le ragazze, disorientandole.

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Capitolo 44
*** Capitolo 44. ***


44.
 
 
Merida
 
 
«È preoccupante, dottore?»
La voce di Elinor – sua madre – le sembrò come sempre insopportabilmente apprensiva, come se lei non fosse in grado di badare a sé stessa. Aveva undici anni, in fondo, non due. E sapeva perfettamente che cosa fare.
«Non nel senso negativo della cosa; molti giovani maghi, prima di andare a scuola, manifestano poteri incontrollati.  Nel caso specifico di Merida, credo che non ci sia nulla di cui preoccuparsi – a meno che, ovviamente, questo non sfugga al suo controllo anche dopo. In quel caso, ci sarebbero senza dubbio dei provvedimenti da prendere.»
La ragazzina strinse i pugni; odiava quando qualcuno parlava di lei in sua presenza senza guardarla, come se non fosse neanche lì.
«Che tipo di provvedimenti?» fece quindi, ignorando l’occhiataccia che sua madre le lanciò immediatamente.
Il medico – Dr. William Hastings, recitava la targhetta sulla sua uniforme – era un esperto in anomalie magiche dell’età adolescenziale, e Merida, chissà perché, se lo immaginava come una specie di strizzacervelli. Aveva una voce pacata e dei modi prudenti, come se interagisse continuamente con persone instabili. «Beh» disse appunto, con quel tono affettato che la faceva arrabbiare. «Dovremmo tenerti sotto osservazione, ecco. Hai detto che il fuoco è sfuggito al tuo controllo, vero?» le chiese, mentre prendeva un blocchetto per gli appunti.
«Sì» disse solo la ragazzina, serrando la bocca sottile. «Ma solo per un momento.»
Elinor rimase in silenzio, senza puntualizzare come suo solito – senza dire che, in quell’unico momento, Merida aveva rischiato di bruciare vivo suo fratello.
Forse anche lei aveva capito che, se la verità fosse venuta fuori, sua figlia sarebbe finita in un istituto di correzione.
Forse anche lei voleva dimenticare, e fingere che andasse tutto bene.
 
Da quando suo padre Fergus era stato ucciso da un orso, lei era diventata cupa, arrabbiata verso tutto e tutti. E quella volta… la sua rabbia era esplosa in qualcosa di strano.
Sua madre aveva paura di lei; la sentiva, a volte, mentre parlava al telefono con sua zia Maud, che era preoccupata e avrebbe voluto farle fare decine di visite. L’unico in cui era assente quel velato sospetto era il suo fratellino John – che aveva quattro anni e che vedeva ancora semplicemente la sua sorellona, che lo avrebbe sempre protetto dalle insidie di tutto il mondo.
Dopo, il fuoco si era addormentato per poi non svegliarsi più.
Fino ad ora.
Merida ci pensava, mentre camminava al fianco di Pitch Black, in mezzo alle altre ragazze. Aveva sempre cercato di respingere il fuoco, che quell’anno aveva ripreso a ribollire dentro di lei, come per gridarle che c’era, che era lì – che era sempre stato lì. Lo aveva odiato, aveva cercato di reprimerlo, senza dire niente a Merman, troppo concentrato su Elsa. Aveva immaginato che non fosse il caso, che non sarebbe stato giusto dare al Preside altri pensieri e altri problemi. Non voleva essere lei a complicare la situazione; in fondo, se si era acquietato per tutto quel tempo, che motivo c’era che ricomparisse? Nessuno.
Invece la sua logica l’aveva ingannata, e senza volerlo si era esposta ancora di più, fino a farsi trovare.
Come una gazzella che va spontaneamente nella tana del leone.
 
Elsa giaceva a terra, vicino al Platano Picchiatore, la brina nera che le attraversava le braccia in rami scuri. Meg, Anna e Quentin discutevano, ma lei non riusciva a reagire; sentiva la voce dura di Meg, che intimava ad Anna di non toccare la sorella, come se fosse ovattata.
Quello che riusciva a sentire molto chiaramente, invece, erano le mani che bruciavano.
Un bruciore sottopelle, che diventava più intenso man mano che si avvicinava a lei.
Ad Elsa. 
 
Forse era inevitabile. Forse avrebbe dovuto farsi davvero rinchiudere in un istituto di correzione per ragazzi con anomalie magiche. Forse era questo che era davvero: una strega fuori controllo. Che cosa avrebbe detto Anna, se lo avesse saputo?
Ormai era tardi per chiederselo, perché adesso stava per combattere contro Hogwarts. Il fuoco la chiamava, la costringeva a stare dalla parte di loro – dalla parte di Melicent, di Pitch Black, di Elsa, che adesso aveva lo sguardo trasognato di una che ha finalmente trovato il suo posto nel mondo, anche se è quello sbagliato. E di Lily, che come lei cercava di contrastare la sua abilità invano.
Il bruciore sottopelle era tornato; adesso, sulle sue braccia pallide comparivano delle venature rosse, come sottili fili di lava che però non le facevano male. Si intensificavano quando lei si avvicinava a Black. Non avrebbe mai immaginato che, quello di andare a cercare Elsa, sarebbe stato uno sbaglio così grande. Non avrebbe mai immaginato che quel potere fosse dentro di lei a causa di un disegno ben preciso, che prima o poi sarebbe stato portato a compimento.
Dentro di lei, adesso, si agitavano emozioni contrastanti: cosa sarebbe successo ad Hogwarts? Avrebbe dovuto uccidere Anna, Quentin, Esmeralda? Avrebbe dovuto guardarli negli occhi, prima di scagliare loro addosso un incendio con le sue stesse mani?
Anche con le dita chiuse a pugno, Merida riusciva a sentire il fuoco che la chiamava, ancora una volta.
Non puoi resistere.
Lo odiava.
Si odiava.
 
«Non puoi farci niente, Merida. Il fuoco ha attecchito su di te sin da quando sei nata, restando nel silenzio fino ad ora affinché arrivasse al momento opportuno. In Alchimia si chiama “latenza”: anche la ragazza che, prima di te, ha avuto il potere di governare questo elemento, ha attraversato la stessa fase. Non si è resa conto della presenza del fuoco, fino a che non è stato ingovernabile. E forse è stato meglio così.»
La ragazza si rifiutava di realizzare che la sua intera esistenza fosse solo funzionale ad un progetto di distruzione.
«Perché?»
«Perché tu rappresenti la Fenice, la Fine. E se tu lo avessi capito prima, saresti potuta sfuggire, tenendo il tuo potere per te. Non lo sai? È necessario il fuoco, per portare a compimento il Rituale. La sua potenza. Altrimenti, il Rituale fallisce. Fortunatamente per noi, non è andata così.»
«Per te, piuttosto» sibilò la Grifondoro. «È un tuo interesse riportare indietro gli Antichi.»  
Pitch Black la guardò con freddezza, e Merida capì di aver detto una cosa che non doveva dire. Ma non si spaventò – non adesso che sapeva di avere un potere inarrestabile. Il mago aveva una vaga paura di lei; se ne accorgeva da come le parlava, come se temesse in una sua esplosione da un momento all’altro.
Come il Dottor Hastings, sei anni prima.
«Non puoi opporti alla sua forza. E lo sai anche tu» si limitò a dirle Black, gelido.
Era come se, da quando era stata portata nel Limbo, non riuscisse più a ricordarsi chi era; tutto sembrava annientato dalla potenza del fuoco. Poteva sentire il crepitare delle fiamme nel cervello, continuamente, come se volessero dire tutte le parole che non avevano mai detto. Era così difficile resistere. Ma doveva, doveva farlo. Anche se era arrivata ad avere gli incubi. Anche se, per la prima volta in vita sua, aveva paura.
 La rabbia – una rabbia sconosciuta, estranea, come se dipendesse da qualcos’altro – prese possesso di lei, facendola sentire tutto un formicolare. Sentì il suo corpo irrigidirsi, lo scricchiolare delle scintille che le risalivano il collo, i capelli rossi che fluttuavano come fiamme.
Era terrificante, lo vedeva nello sguardo di Black. Il mago sollevò poi una mano, e un fulmine di un giallo innaturale squarciò il grande salone buio. Ad esso si aggiunsero spirali di granelli scuri e fini, che formarono presto un cavallo nero dagli inquietanti occhi gialli, che la guardò torvo. La stava provocando, era chiaro.
Un tempo avrebbe avuto paura, di quella situazione: invece, adesso aveva paura di sé stessa.
Rispose battendo il piede a terra, rilasciando istantaneamente delle fiamme alte quanto lei. Formavano un perfetto anello attorno alla sua sagoma, senza neanche toccarla: attraverso di esse, i suoi occhi erano puntati sul mago che le stava davanti. Lo guardò per un istante come a volerlo sfidare, poi protese le mani in avanti e un getto di fuoco esplose dalle sue dita, per poi partire verso l’alto; le fiamme si intrecciarono poi in una sfera iridescente, che, nel giro di qualche secondo, iniziò a plasmarsi nelle forme di una fenice, che dispiegò le ali ed emise un grido, per poi dissolversi.
Black chiuse la mano a pugno, e gli incantesimi che aveva evocato tornarono a lui, come se fossero risucchiati solo dalla forza del gesto che aveva fatto.
«È questo quello che sei» concluse il mago, muovendo qualche passo verso di lei fino a guardarla da vicino. «Mi sembra evidente.»
La lasciò lì, e quando chiuse l’enorme porta a battente Merida emise un lungo urlo di rabbia, che le rimbombò nelle orecchie sotto forma di eco.
 
 
Aveva ragione. Non poteva sottrarsi, e questo le provocava un nervosismo costante, feroce, che le faceva venire voglia di ribellarsi e distruggere tutto – distruggere lui.
Ma a quei pensieri il fuoco si infuriava e le faceva male.
Continuò a camminare nella notte accanto a Pitch Black – l’unico Antico rimasto – fingendo di non sentire il dolore delle sue braccia coperte di ustioni.
 

 
 
 
 
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Ciao a tutti! (fa ciao con la manina allegramente)
In realtà non ci sarebbe proprio niente da essere allegri, per quello che attualmente succede nella storia. A tal proposito, ho qualche nota da fare: poiché mi piace molto l’idea di far sentire ai lettori cosa provano i personaggi – in realtà è più una mania, ma vabbè – ho inserito alcune componenti che, seppur adattate al contesto del mondo magico, sono riscontrabili anche in quello babbano. Sto parlando, ovviamente, del Dr. Hastings, che ricorda per l’appunto uno psichiatra. Non è una cosa molto allegra, in effetti, quella che viene fuori, se pensate al significato metaforico di questo capitolo. Il cedimento all’oscurità, il lasciarsi andare pur sapendo che si faranno cose brutte. La rabbia mischiata alla rassegnazione. Insomma, questa fic, in poche parole, è partita come una storia tra adolescenti un po’ scema, e poi è diventata la fiera del disturbo mentale.
YAY.
Anyway, avete notato che non c’è mai stato un vero e proprio capitolo all’insegna del POV di Merida? Era proprio per questo motivo yuhuuu (si sente esaltata). Come mi pare di aver già detto una volta, la trama è ambientata al settimo anno di Hogwarts, e negli anni sono successe varie cose ai personaggi. Ognuno ha nascosto dei segreti – che però dovevano esser rivelati a tempo debito – tra cui la nostra impulsiva Grifondoro. Ed eccoci qua.
Adesso tutto combacia, le ragazze hanno scoperto la loro vera natura, ognuna reagendo in modo diverso, e si stanno preparando per l’attacco ad Hogwarts.
Il prossimo capitolo sarà nuovamente introspettivo, stavolta su Lily, personaggio tanto dolce quanto misterioso; dopodiché, entreremo nel vivo... e chissà cosa potrebbe succedere.
Un abbraccio a tutti e scusate il poema, alla prossima!
Sara


 
We're Sick - Auditions - Page 2
 

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Capitolo 45
*** Capitolo 45. ***


 45.

 
 
«Lily» quella voce la raggiunse ormai familiare, e la ragazza si voltò, sgranando i suoi grandi occhi verdi.
Le prime luci dell’alba erano comparse, e lei, Merida, Elsa e Melicent stavano aspettando il momento opportuno nascoste nella casa – quella che era sempre esistita nella Foresta Oscura – in religioso silenzio.
Lei ci andava spesso, anche quando non aveva ancora chiaro a che cosa servisse – anche quando non aveva chiaro che c’era un libro particolare, che fungeva da collegamento tra Hogwarts e Skià: ci andava quando voleva restare sola, e da quando aveva messo piede alla scuola di magia lo era sempre stata troppo.
«Sei pronta?» le chiese con delicatezza Pitch Black. L’aveva trattata così sin dal primo momento, sin da quando le era apparso la prima volta; in fondo, forse sapeva che lei era persa, bisognosa di amore.
Ma sì che lo sa. Lo ha sempre saputo.
Non rispose, comunque.
Il suo potere era la luce, certo; ma dentro, dentro, si sentiva più spenta che mai.
 
 
«Non posso iscriverti ad una scuola in cui imparerai solo come usare queste mostruosità.»
Sua madre – Gothel – le rispose in quel modo, quando le disse che aveva ricevuto la lettera di Beauxbatons. Ovviamente la Preside, Madame Maxime, l’aveva osservata a lungo tramite i suoi gufi, e si era premurata di segnalarle quanto fosse rimasta piacevolmente sorpresa da quello che sapeva fare. Aveva ammirato i suoi capelli che si sollevavano non appena lei iniziava a cantare, il modo in cui le fluttuavano attorno alla testa e riparavano i danni che la ragazzina faceva – come aver rotto un vaso o scardinato accidentalmente una porta con la magia.
Ma sua madre non era d’accordo.
«Il mondo è un posto insidioso, Rapunzel» le disse. «E se vai a quella scuola, entrerai a contatto con altri ragazzi che sanno fare quelle… cose» pronunciò la parola “cose” con disprezzo. «Anche tu diventerai un mostro.»
La sua voce l’ammutolì, come sempre, e lei non replicò, inerme.
 
Quando la Preside era venuta a prenderla a forza, però, sua madre non aveva fiatato. Aveva guardato con espressione stizzita lei che se ne andava, come se le stesse facendo un torto imperdonabile. Le si era spezzato il cuore, nel vederla così: sua madre era l’unica che la volesse, l’unica che la proteggeva sempre. L’unica che la faceva sentire compresa, quando gli altri ragazzini del quartiere non facevano che prenderla in giro per via del suo nome e dei suoi capelli.
Fino a che Gothel non cambiò, negli anni successivi all’iscrizione a Beauxbatons.
 
 
«Ti conviene non uscire di casa, mai; tutta la città parla di te, Rapunzel» le disse, velenosa. Sembrava una biscia infuriata, tanta era la bile con cui aveva pronunciato quella frase.
«Ma non ci è concesso usare la magia al di fuori della scuola» la rassicurò la ragazza. «E poi non mi importa di quello che dice la gente di Mirepoix. Davvero. Non c’è problema» disse, con voce dolce, avvicinandosi a lei.
«Non toccarmi» indietreggiò sua madre, guardandola quasi con disgusto.
Rapunzel le voleva dare un abbraccio, ma quel modo in cui si era allontanata – il modo in cui l’aveva guardata – la bloccò all’istante. Sua madre la odiava. La odiava perché frequentava Beauxbatons. La odiava perché era... quello che era.
Quella consapevolezza fu talmente atroce che la paralizzò.
 
 
«Mia madre non vuole parlarmi più» confessò, all’inizio del suo terzo anno scolastico. «Non so se vorrò tornare a casa, la prossima estate. Pensi che potrò rimanere qui?» chiese a Belle, la sua migliore amica. Lo fece di getto, come faceva sempre, aspettandosi uno dei suoi soliti consigli razionali e la sua voce pacata che diceva “pensaci bene, Punzie, non agire di impulso come tuo solito”.
«Assolutamente sì» disse invece la ragazza.
«Beh, certo, sapevo che me lo avresti detto, ma... cosa?» si interruppe subito.
«La penso come te» disse semplicemente Belle. «Per una volta, non mi sembra una follia quello che stai dicendo. E poi, conoscendoti, penso che tu abbia fatto di tutto per riappacificarti con lei. Se non ha funzionato...» lasciò cadere la frase, stringendosi i libri al petto in quel suo gesto caratteristico. «Ecco» si fermò all’entrata dell’aula, approfittando dello sciamare degli studenti per finire il discorso. «Io credo che lei non capisca, semplicemente. Non devi fargliene una colpa» le suggerì saggiamente, «ma penso anche che tu abbia il diritto di stare bene, Punzie» concluse, sistemandosi il fiocco blu che le raccoglieva i capelli castani.
«Grazie, Belle. Sai sempre cosa dirmi» fece lei, con un sorriso dolce.
«Figurati. Ora andiamo» le rispose l’amica. «O arriveremo in ritardo. E sai quanto io odi arrivare in ritardo a lezione.»
Rapunzel alzò gli occhi al cielo. «Lo so.»
Rise, poi, un po’ per la sensazione di sollievo che le aveva dato la risposta di Belle; un po’ per essere di nuovo a Beauxbatons, dove si sentiva bene.
Era felice.
 
 
Beauxbatons era diventata la sua casa. Era libera in mezzo agli incantesimi che imparava, fiera di essere sé stessa mentre volteggiava felice in mezzo alle farfalle di luce che produceva con uno schiocco di dita. Le piaceva starsene nella biblioteca della scuola, dalla cui immensa finestra di vetro – un vetro così trasparente che sembrava fatto di ghiaccio – si poteva vedere tutta la Francia, e provare gli incantesimi che riusciva a fare senza usare la bacchetta.
Una volta, solo battendo le mani, tra i suoi palmi era arrivata a produrre un tripudio di scintille, come tanti piccoli raggi di sole; avevano preso la forma di un grande ricciolo luminoso, e avevano iniziato ad avvolgersi attorno a lei come un drappo. Si erano dissolti subito, ma non poteva sentirsi più fiera di quello che, con le sue sole mani, aveva creato.
La Tassorosso sorrise al ricordo, ma fu un sorriso triste, il suo. Aveva creduto di poter fare qualcosa di positivo, con il suo potere, ma da lì a poco sarebbe successo quello che l’avrebbe fatta davvero diventare un mostro.
Forse, un mostro, lei lo era sempre stata.
 
 
Il quinto anno a Beauxbatons era quasi terminato. Era aprile, e nel sud della Francia la primavera si faceva sentire con un sole caldo e un’aria frizzantina: Rapunzel ringraziò la decisione della sua Preside di aver reso obbligatorie delle divise piuttosto leggere. Solo camminando nel grande atrio, poteva avvertire il vestitino di seta azzurra appiccicarsi alle cosce. E menomale che era stato fatto un incantesimo refrigerante: non osò immaginare come fosse la situazione una volta uscita dall’edificio. Aveva appena finito il compito di recupero di Difesa contro le Arti Oscure, e doveva raggiungere Belle per mettersi d’accordo per quella sera: avrebbero seguito Grimilde, una ragazza olandese che, secondo Belle, nascondeva qualcosa.
Belle era fatta così: quando veniva colpita da una delle sue intuizioni, ci teneva ad andare fino in fondo. A quanto pareva, girava voce, tra gli studenti, che quella ragazza facesse esperimenti magici piuttosto sconsiderati, data la giovane età; e, in qualità di Governeure, Belle era determinata nel rendere nota la cosa. Ormai l’aveva presa sul personale, e Rapunzel sapeva già in anticipo che non ci sarebbe stato verso di farle cambiare idea. Sarebbe stata disposta a tutto, pur di chiarire i suoi dubbi.
Quando arrivò nella grande piazza davanti all’edificio, però, davanti a lei c’era un capannello di studentesse, radunate intorno a qualcosa, che subito la insospettì. Rapunzel avvertì un senso di allarme, un’ansia strisciante che le punzecchiava il cervello, e che aumentava man mano che si faceva spazio tra le sue compagne.
Fino ad arrivare davanti a quello spettacolo disarmante.
Belle era al centro della cerchia di ragazze, raccolta su sé stessa. Gli occhi erano sbarrati, le braccia piene di tagli contornati di blu. E, vicino a lei, una mela rossa immersa in un liquido azzurrino. Una professoressa – Madame Dubois – esaminava il frutto tenendolo sospeso in aria, avendo cura di non toccarlo.
Vedere la sua amica in quello stato fece scattare qualcosa, dentro di lei.
«Posso curarla!» si lanciò, piazzandosi in preda al panico davanti alla professoressa. «Davvero! Mi lasci fare!»
Non aspettò nemmeno che le desse il permesso, perché la luce ruggiva nelle sue mani, nella sua testa, in ogni singola cellula del suo corpo. E voleva essere liberata, perché lei lo avrebbe fatto per Belle.
I suoi lunghissimi capelli biondi si sollevarono spontaneamente, iniziando a fluttuare e ad illuminarsi; subito dopo, senza più controllo, si agitarono impazziti, producendo una luce sempre più forte.
Rapunzel chiuse gli occhi, spaventata, ma quando li riaprì, intorno a lei c’era solo cenere.
 
 
I titoli del “Le Monde Magique” non avevano mai riportato della ragazzina che, in un impeto di magia incontrollata, aveva letteralmente carbonizzato una decina di compagne e un’insegnante; Madame Maxime, però, aveva ritenuto comunque opportuno non farla entrare più a scuola – sia perché la riteneva pericolosa, sia perché il consiglio scolastico aveva fatto pressione su di lei per non ammettere più Rapunzel Corona a Beauxbatons.
Per un intero anno, a dir la verità, Rapunzel non aveva mai preso in considerazione di tornare a scuola in generale.
Fino a che un mago dagli occhi gialli non l’aveva convinta.
 
Se ne stava seduta in quel locale in stile medievale che c’era a Mirepoix – quello in cui andava le poche volte in cui usciva durante le vacanze – quando lo vide. Era alto, talmente magro che sembrava a malapena esistere, con il naso aquilino e gli occhi che sembravano gialli. Lo vide di sfuggita da dietro le pagine del suo libro – uno degli stessi che aveva letto e riletto – mentre si avvicinava e le si sedeva di fronte.
«Ciao.»
«Vattene via» gli rispose subito, piantando gli occhi verdi nei suoi. «Oppure inizio ad urlare» fece, serissima.
Quelle parole non sembrarono spaventarlo, però, e Rapunzel si irrigidì, stringendo le dita attorno al suo libro. «Voglio solo parlare» le disse lo sconosciuto. «Visto e considerato che hai abilità particolari.»
Adesso aveva decisamente paura. Come faceva, lui – chiunque fosse – a saperlo? Era sempre stato il suo segreto… neanche i giornali ne avevano parlato. Che Gothel lo avesse detto in giro?
Sua madre non si era fatta neanche trovare a casa, se era per questo; quando era tornata, con l’intenzione di dirle ciò che era successo, aveva trovato la casa vuota. L’aveva lasciata da sola, senza nemmeno un messaggio con su scritto dove fosse andata: probabilmente aveva ricevuto una chiamata da Madame Maxime, che le aveva detto che sua figlia era una specie di pericolo pubblico.
Adesso era passato un anno, e di Gothel nessuna traccia.
Rapunzel non la biasimava per questo: in fondo, lei era stata la prima a voltarle le spalle, andando a vivere direttamente a scuola.
In quel momento, una lacrima scese lenta sulla sua guancia rosea; era una pessima persona. Aveva abbandonato sua madre, che anche se la disprezzava le dava comunque da mangiare, le dava un posto dove dormire e le pagava tutti i libri per Beauxbatons. Si sentiva solo una ragazzina ingrata.
«Come fa, lei, a sapere di quello che so fare?»
«Riesco a sentirlo» si limitò a risponderle il mago sconosciuto, enigmatico. «E credo di avere delle risposte. Presumo che avrai delle domande» la incalzò.
Decisamente sì, fu tentata di dirgli. Invece serrò le labbra. «Può darsi» disse solo.
«Come ti chiami?» le chiese lui.
«Rapunzel» rispose, un po’ addolcita dal modo calmo in cui lo sconosciuto le si rivolgeva. Aveva un modo di parlare calmo, come se comprendesse la sua fragilità semplicemente guardandola negli occhi.
Rapunzel aveva un disperato bisogno di contatto umano: aveva compiuto sedici anni da poco, ma, dentro di sé, sapeva perfettamente che si sarebbe sentita una marziana, in mezzo a ragazzi della sua età.  Era sorprendente come una persona mai vista prima sembrava comprendere il suo dolore e il peso di quella situazione.
«Io sono Elias Black» si presentò il mago. «Ma sono stato – e sono ancora – conosciuto con un altro nome» concluse, criptico.
«Come potrai aiutarmi?» altre lacrime si erano affacciate ai suoi occhi grandi; era così bello parlare con qualcuno. Fissò il mago negli occhi, focalizzandosi sul suo volto affilato e le sue iridi color topazio che la scandagliavano, curiose.
«La luce ha proprietà curative, ma è anche in grado di produrre gli effetti più devastanti. Devi imparare a controllarla, ad usarla» rifletté, accompagnandola nei suoi ragionamenti. «Tu sei una guaritrice. Ma avverto energie negative. Devi tornare alla tua vera natura, e l’unico modo per farlo è tornare ad una vita normale.»
 
Se solo qualcuno le avesse detto che tutto ciò era stato appositamente orchestrato per farla combattere contro Hogwarts, si sarebbe tirata indietro – perché lei voleva fare ciò che era giusto, sempre. L’episodio avvenuto a Beauxbatons poteva anche essere stato insabbiato dai giornali, ma per Rapunzel sarebbe sempre stato una macchia indelebile, una croce che avrebbe portato per tutta la vita.
Era il suo pensiero fisso, anche da quando si era iscritta alla scuola di magia e stregoneria della Gran Bretagna. Il Preside Merman – probabilmente ignaro di quello che aveva fatto – aveva accettato che lei vivesse nel castello; l’aveva vista, semplicemente, come una ragazza in difficoltà, che meritava una seconda possibilità. E come avrebbe potuto fare altrimenti? Gli aveva raccontato che era fuggita da Beauxbatons per problemi con i compagni, che a seguito di un episodio abbastanza grave l’avevano costretta a lasciare la scuola. Nessun dettaglio riguardante omicidi o strani poteri indipendenti dalla propria bacchetta magica.
Ad Hogwarts gli studenti erano suddivisi in Case, e venivano smistati da un Cappello parlante, un cimelio importantissimo della scuola – si narrava che esistesse dalla sua fondazione, intorno all’anno Mille. Rapunzel aveva trovato molto curioso e interessante il fatto che maghi e streghe venissero esaminati nel profondo della loro anima da un oggetto incantato, che ne riusciva a carpire la natura più profonda.
Aveva cercato di non concentrarsi sugli occhi perplessi degli studenti che l’avevano vista in fila con quelli del primo anno, come per analizzarla. Erano come tizzoni accesi sul suo corpo sottile, quegli occhi, e lei si era sentita terribilmente in soggezione.
Mai, comunque, come quando il Cappello fu posato sulla sua testa.
 
«Nascondi molti segreti, non è vero, Rapunzel Corona?» domandò il Cappello nella sua mente, facendola rabbrividire. La ragazza serrò le labbra, avvertendo le lacrime pungerle gli occhi e un nodo attanagliarle la gola. «C’è qualcosa, nel tuo passato, che odi con tutta te stessa… qualcosa che ti spinge a chiuderti.»
E quelle parole – quelle parole – rimbombarono dentro di lei come una maledizione.
«Sei una ragazza curiosa, sognatrice, particolare sotto ogni punto di vista. Ma sei difficile da collocare. Le qualità che ti ho appena elencato ti rendono senza dubbio adatta per Corvonero, ma possiedi anche delle caratteristiche che fanno di te una perfetta Tassorosso. Dolce, sensibile, radiosa… una guaritrice per natura.»
Una guaritrice per natura.
 
 
«Tu sei una guaritrice. Ma avverto energie negative. Devi tornare alla tua vera natura, e l’unico modo per farlo è tornare ad una vita normale.»
 
 
«Sono una guaritrice» disse, l’urgenza nascosta nella sua voce esile.
«Ottima scelta. Oh, beh, in questo caso… Tassorosso!»
Ottima scelta.
Non aveva immaginato, in quel momento, che cosa veramente quelle parole significavano.
 
 
«Devi giurare che non dirai a nessuno dei tuoi compagni di questo esperimento. A voi ragazze non succederà nulla di male, ma per gli altri… questo è inevitabile, Rapunzel. Mi dispiace tanto.»
Era sull’orlo del pianto, perché dopo il primo omicidio aveva iniziato a comprendere. La notizia del come fosse successo non si era ancora diffusa, a scuola, ma lei aveva avuto la pungente sensazione che ci fosse lui, dietro.
Lo aveva trovato alla casa nella Foresta, la notte in cui la prima uccisione avvenne; si era svegliata di soprassalto, e si era istintivamente vestita in tutta fretta per andare là – il suo posto, il suo rifugio. Dove avrebbe potuto riflettere in pace, facendosi accarezzare dall’odore di terra e di freddo della Foresta; dove avrebbe visto, dalle finestre della casa, gli unicorni passeggiare indisturbati, protetti dal silenzio della notte.
Non le importava che la quasi totalità dei suoi compagni di Casa la ritenesse strana; per dire la verità, non c’era mai stato un momento, in tutta la sua vita, in cui Rapunzel – Lily, come si faceva chiamare a Hogwarts – non si era sentita fuori posto. Ci era abituata, ormai, al fatto che nessuno, a parte qualcuno di Corvonero, volesse parlare con lei. Persino nella Casa che aveva scelto si sentiva un’estranea, come se non avesse mai vissuto nel mondo esterno: ma era stata lei a volerlo, in fondo. E ora, quella scelta sembrava avere un senso.
«Hai fatto bene a scegliere Tassorosso» le si avvicinò e le accarezzò i capelli lunghi. «È la Casa perfetta per te.»
Rapunzel sospirò – un sospiro intriso di malinconia. «Almeno so che è servito a qualcosa.»
Silenzio.
«Non voglio che muoiano altre persone per colpa mia» si sciolse in lacrime la ragazza, lasciandosi cadere tra le braccia del mago – lo stesso che l’aveva salvata e maledetta allo stesso tempo.
«Lo so» lui la strinse a lungo, con affetto. «Ma non puoi farci niente. È un passaggio necessario… non è colpa tua.»
La Tassorosso si ritrovò a tremare, nel pensare a cos’era diventata… era così solare, prima. Così piena di vita. E ora invece… aveva perso la sua luce.
L’unica che le era rimasta era quella dei suoi poteri, che però zittiva continuamente.
Avrebbe dovuto farlo fino al momento opportuno, come le aveva detto lui.
Fino al momento in cui l’avrebbe liberata.
 
 
E adesso si trovava lì, sempre nello stesso posto, lo stesso in cui si erano visti numerose volte e numerose volte avevano parlato dei suoi poteri. Lui le aveva insegnato a non disprezzarli, a non odiarli. Le aveva insegnato che potevano fare anche delle cose positive.  
Si era fidata. Lo aveva fatto ciecamente, senza nessun rimpianto e nessun sospetto, come i bambini; lo aveva fatto perché non aveva nessun altro. Perché lui la aiutava con il suo potere. Perché l’aveva fatta tornare alla normalità.
Ma quella fiducia le era costata cara, perché adesso osservava l’alba toccare Hogwarts da lontano, e insieme a quel sole sapeva che stava sorgendo una nuova Lily – una nuova Rapunzel.
Una ragazza che non sarebbe più riuscita a perdonarsi, probabilmente.
«Adesso, nonostante vi siano alcuni addestramenti incompleti, tutte e quattro siete pronte a sprigionare al massimo i vostri poteri. Ma per far funzionare il Rituale e riportare i Regolatori del Mondo Magico al loro compito, è necessario un ultimo elemento. E noi dobbiamo trovarlo.»
Si voltò a guardare Merida, che fissava Black con un misto tra astio e timore. Melicent aveva la sua solita espressione altera, mentre Elsa era diventata ormai irriconoscibile, rispetto a quelle poche volte che l’aveva vista ad Hogwarts: nei suoi occhi blu – normalmente riempiti dall’ansia – si agitava una scintilla di determinazione, come se non avesse nulla da perdere. Come se la sua vita non dipendesse che da quello che stavano per fare.
Sapeva che lei, invece, appariva piccola e insicura come sempre. Percepiva i suoi occhi verdi sgranati, e quel tremolio al labbro che non poteva controllare.
«Voi riuscite a sentire la magia, adesso. Quindi sarete in grado di individuare il tassello mancante. Soprattutto tu, Melicent» proseguì Black, solenne. «Per te è stato facile iniziare quella ragazza – Eris – in modo da farle fare da tramite… un passaggio molto importante. E questo sarà molto più semplice, te lo garantisco.»
Silenzio.
«Inoltre, non dovrete cercare di abbandonare il Legame che esiste tra noi» Rapunzel sapeva a cosa si riferiva; erano legate a lui, sin dall’inizio. Sin da quando le aveva viste e scelte. «Chi lo farà, morirà. Il nostro Legame è indissolubile. Solo io posso spezzarlo.» Fissò prima Merida, poi lei. «Non succederà nulla di male a voi, ve lo garantisco» le rassicurò infine. «In ogni caso, difendetevi come potete. Loro si batteranno, per proteggere l’ultimo elemento, questo è certo.»
Nella casa circolare c’era un silenzio assordante; solo il crepitare delle fiamme nel camino lo interrompeva appena.
«Adesso, potete prendere il vostro aspetto originario» disse. «Metamorphosis» pronunciò poi, sollevando una mano per poi calarla lentamente verso il basso.
Una cappa scura con venature di diversi colori – blu, rosse, gialle e verdi – calò su tutte loro, e Rapunzel avvertì una forza magica posarsi su di lei; come una carezza calda, ma anche una fiamma che la ustionava al tempo stesso.
Quando aprì gli occhi, guardando sé stessa e le altre, non si riconobbe. E neanche loro avevano il solito aspetto.
I suoi capelli, che da lisci erano diventati ondulati, sembravano illuminare l’ambiente circostante; la sua stessa pelle irradiava energia, che si rifletteva sull’abito sottile ed evanescente che aveva preso il posto dell’uniforme di Tassorosso.
Merida, abbigliata con un vestito color cremisi, aveva delle fiamme intorno a sé, che le volteggiavano anche tra le ciocche rosse, come se esse stesse fossero tali.
Elsa sembrava un’altra; i capelli – bianchi come la neve – che le ricadevano sciolti lungo la schiena la facevano apparire una temibile regina dell’inverno; così come il suo volto, reso più spigoloso, in qualche modo più adulto, dall’espressione seria.
Ed infine Melicent; il Corvo.
L’Inizio.
Sulla sua testa erano comparse due corna scure, arricciate in spirali perfettamente simmetriche. Il corpo pallido ed esile era fasciato da un vestito con lo strascico, nero come l’inchiostro; nella sua mano sinistra, poi, teneva ben saldo uno scettro con una sfera sulla punta – una sfera che conteneva della luce di un verde acido, che scintillava nella penombra della casa. Sembrava una dea dell’oscurità; una creatura fatta di buio, come Black.
«Che abbia inizio» disse solo.
Uscì dalla casa, preceduta da Black, e le altre la seguirono, obbedienti.
 


 
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Ciao a tutti! Come state, e come va il lockdown?
Scrivere questo capitolo è stato assurdo; ci ho messo una vita – non a caso ho iniziato a scriverlo con largo anticipo rispetto a quando dovevo realmente farlo – le rivelazioni da fare erano infinite, ma tutto sommato sono soddisfatta del risultato. Adesso mi resta solo da sapere che ne pensate voi <3
Con questo capitolo esploriamo il passato di Lily, altro personaggio che finora è stato poco più che una comparsa; scrivere di lei mi ha dato un senso di completezza, come se, in qualche strano modo, si concludesse una specie di cerchio. Adesso conosciamo la storia personale di tutti gli elementi, e capiamo cosa le ha portate ad essere così deboli allo sguardo attento di Black.
Descrivere le dinamiche che ci sono tra loro e il mago mi ricorda un po’ la sindrome di Stoccolma: se ci pensate, tutte e quattro sono ragazze perse. Ragazze che non hanno avuto una scelta, ragazze che si sono trovate a far fronte ad abilità terribili, ragazze che convivono con i propri demoni. E, puntualmente, Black sembra prendersi cura di loro. Sembra accompagnare Melicent nel suo processo di conoscenza; dare un po’ di pace ad Elsa; permettere a Merida di guardare in faccia la sua vera natura; proteggere Lily – che in realtà si chiama Rapunzel. C’è un legame, tra di loro, che va al di là di quello dato dall’incantesimo; qualcosa di molto, molto più inquietante.
O perlomeno, questa era l’idea.
Spero vi sia piaciuta anche la descrizione finale della loro “metamorfosi”. Devo dirvi, però, che i capitoli successivi – essendo quelli finali – potrebbero richiedere un po’ di elaborazione in più, per cui potrei essere più lenta (non vi farò aspettare un mese, giuro <3). Devono – assolutamente devono, secondo la mia mente da ambiziosa Serpeverde – essere epici.
Alla prossima!
Sara

 







Aine, rainha das Fadas, Senhora da fertilidade e do amor | Dez mil ...


I suoi capelli, che da lisci erano diventati ondulati, sembravano illuminare l’ambiente circostante; la sua stessa pelle irradiava energia, che si rifletteva sull’abito sottile ed evanescente che aveva preso il posto dell’uniforme di Tassorosso.

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Capitolo 46
*** Capitolo 46. ***


 46.

 
Il tremito che sembrò scuotere l’aria fu quasi irreale. Era come se le nubi stesse, che fluttuavano nel cielo chiaro come zucchero filato, si spostassero a seguito di una forza innaturale.
Anna vide quello scenario come se si rispecchiasse nei suoi occhi chiari; lo sentì nel profondo di sé stessa come una spina nel cuore.  D’istinto, afferrò il braccio possente di Kristoff, che le stava accanto protettivo; erano in piedi, nel cortile di Hogwarts, immobili come due statue. Insieme a loro, tutti gli studenti del settimo anno – saranno stati poco più di cinquanta, così piccoli in confronto a ciò che stava per arrivare – li avevano raggiunti, pronti a qualunque cosa fosse giunta a scuola.
Merman li aveva radunati velocemente, avvisandoli con un incantesimo, e nessuno aveva esitato a seguire le istruzioni del Preside. Quello che stavano per affrontare aveva affondato le sue radici ad Hogwarts diversi mesi prima; era loro che aspettava, che voleva.
Quella era la loro guerra. La resa dei conti.
E la verità sarebbe venuta fuori, ne era sicura.
Ora erano tutti fermi, le bacchette sguainate, i volti accartocciati dalla paura e dalla confusione. Aspettavano che succedesse qualcosa, un’esplosione che si ostinava a non arrivare.
Con la coda dell’occhio, la Grifondoro vide Esmeralda in lontananza; si lanciava degli sguardi consapevoli con Quentin, che d’improvviso posò gli occhi verdi su di lei.
Anna le sentì; sentì le parole che diceva quello sguardo. Sembrava dirle che aveva sempre saputo che sarebbe stato quello il finale – che Elsa sarebbe cambiata davvero, così come aveva detto Merman. Era ciò che era successo col tempo – col passare dei mesi – in effetti. Solo che lei non aveva mai voluto vederlo, perché in fondo non ti aspetti che proprio tua sorella finisca per trasformarsi in qualcosa di oscuro e pericoloso.
Elsa non è pericolosa.
Quelle cose succedevano sempre agli altri. Erano così lontane, così… impossibili. Succedevano solo nelle famiglie come quelle di Melicent Somber. Giusto?
Non poteva essere. Non poteva essere.
Si accorse che stava tremando violentemente solo quando Kristoff l’afferrò per una spalla. «Stai bene?» le disse poi, con una voce premurosa che le fece venire solo voglia di piangere.
«Dovrò combattere contro Elsa» riuscì solo a dire, consapevole di quanto il suo senso di smarrimento fosse così maledettamente evidente.
«Non per forza» la rassicurò il suo amico, con voce ferma.
«Sì, invece» si indurì lei. «Se non posso fermarla io, nessun altro potrà farlo.»
«Che intendi dire?»
«Che io sono l’unica possibilità che lei si ricordi com’era prima. Prima che tutto questo iniziasse» lo disse come se fosse un segreto, come se fosse una confessione che non avrebbe mai dovuto arrivare in superficie.  «Lei non è mai stata così.»
Kristoff la guardava in modo penoso; come se la compatisse, come se pensasse che quelle non erano altro che illusioni. Ma non poteva essere diversamente... giusto?
Elsa sarebbe tornata indietro, se solo lei fosse riuscita a farsi ascoltare.
«Ne sei sicura?» chiese il Tassorosso.
«Io... certo che ne sono sicura» il tono nervoso che le uscì non era quello che avrebbe voluto, e stridette terribilmente con la ferrea convinzione che stava sfoderando, ma cercò di non badarci. «Siamo state distanti, negli ultimi anni, questo è vero; ma l’ho vista com’era, in questi mesi. Ho visto come lottava contro il suo potere.»
Silenzio.
«Non capisci, Kristoff? Elsa ha combattuto tutto l’anno contro il suo lato oscuro. Black si è approfittato di lei, e ora devo portarla indietro. E, sì» aggiunse. «Combatterò contro di lei, se necessario; anche se mi sento morire alla sola idea. Anche se non ho alcun potere, se non la magia che ho imparato a scuola.»
Non se n’era accorta, ma stavolta aveva pronunciato quelle parole con così tanta determinazione che il suo amico si era ammutolito.
Poi, l’oscurità calò su Hogwarts, interrompendo l’inquietante attimo di calma che aveva pervaso il cortile fino a quel momento; era come una nebbia, una nebbia di un grigio fumo, densa, in cui sembrava di poter sentire tutte le proprie paure strisciare nel cervello e sul corpo. Una nebbia che non poteva dipendere da nessuno degli studenti – e tantomeno da Merman, che stava un passo avanti a tutti, come per proteggerli.
Il Preside sollevò la bacchetta e pronunciò incantesimi di protezione, con voce bassa, solenne; subito dopo, una bolla di magia azzurra circondò tutta Hogwarts, come per racchiuderli in un abbraccio di luce. Anna tremò leggermente; il cuore le batteva a mille, ma si sforzò di non badarci. Lei non poteva essere debole; nell’arco di quell’anno, aveva imparato che – anche se non sembrava – era Elsa quella in difficoltà delle due, e che doveva essere forte per lei.
Doveva prepararsi. Doveva essere pronta.
Intanto, era come se ogni rumore fosse stato annullato: alla Grifondoro sembrò quasi di sentire i propri pensieri rincorrersi, tanto era il silenzio che quell’inquietante nebbia aveva prodotto con il suo arrivo. Lei non sopportava il silenzio: le ricordava quello di Elsa, negli anni in cui non si erano parlate – gli stessi anni in cui l’aveva evitata e le aveva fatto credere di non voler più avere a che fare con lei senza motivo apparente. E quello – quel silenzio vuoto, sordo, terribile – la stava uccidendo dall’interno.
Persino i ragazzi di Serpeverde si stringevano attorno ai suoi compagni di Casa: quella vicenda aveva inevitabilmente unito tutta Hogwarts, aveva annullato ogni rivalità.
Adesso erano tutti dalla stessa parte, con lo stesso nemico.
Lo stesso che ora li osservava, in piedi, davanti a Merman e a distanza di qualche metro; anche se era lontano, Anna avvertì tutte le energie negative che emanava. Come un peso sul petto, che le impediva di respirare. Come se le sue peggiori paure fossero tutte concentrate in quell’unica, scheletrica figura che li guardava.
C’era qualcuno che gli stava dietro; quattro ragazze, dritte come se non fossero neanche umane.
Una aveva, adesso, dei capelli che sembravano emanare luce solare, così come la pelle. Anche se oscurata dalla nebbia, la riconobbe: l’aveva già vista, nei corridoi della scuola. Kristoff gliene aveva parlato poco tempo prima: si chiamava Lily, ma neanche nella sua Casa aveva molti amici. Era strana, vivace ma bizzarra, a sentire i racconti del suo amico. Inoffensiva.
Ed invece adesso era lì. Dalla parte di Pitch Black.
A poco a poco, riconobbe anche Melicent Somber, che non sembrava – se è per questo – neanche più una studentessa del settimo anno di Hogwarts. Era come se si fosse trasformata in qualcosa di diverso, qualcosa di temibile e malvagio.
Il volto affilato e pallido sembrava scolpito; ma la cosa più impressionante erano le corna che le spuntavano tra i capelli corvini, così come le grandi ali nere che parevano esserle direttamente fuoriuscite dalla schiena. Sembrava un essere ultraterreno, un demone, anziché una ragazza di diciassette anni.
Anna notò, con un colpo al cuore, che c’era anche Merida: gli occhi azzurrissimi erano assenti, le labbra rosse e sottili serrate, i capelli cremisi che fluttuavano in aria. E intorno a lei, il fuoco, che sembrava quasi proteggerla. Istintivamente, la Grifondoro fece qualche passo indietro: la sua amica la riconosceva? Sapeva che cosa stava per fare, o era sotto incantesimo? Era così inquietante, vederla tremendamente immobile. Come se fosse ferma nel tempo. Non stava lottando… non stava facendo niente.
Non fu lei, comunque, a darle un impulso improvviso e repentino – la scintilla che avrebbe fatto scattare tutto – di fare qualcosa. Fu lei.
Elsa.
Era accanto a Melicent, atteggiata in una posizione fiera ed elegante; i capelli le ricadevano sulle spalle bianche, scoperte da un abito che sembrava fatto di ghiaccio finissimo. Intorno a lei fluttuavano dei nastri di piccoli fiocchi di neve, come se fossero animati di vita propria. Gli occhi erano persi, freddi, come se non avesse più alcuna emozione ad abitare il suo corpo esile.
Come se fosse un involucro vuoto.
Anna non sopportava di vederla così. Non era sua sorella, quella ragazza; era un’altra, un’altra persona che si era impossessata di lei. Era una regina delle nevi, gelida e distruttiva. E le faceva salire prepotentemente le lacrime agli occhi.
Pitch Black.
Era colpa sua.
Quella visione era troppo. Sapere come stava Elsa, dentro di sé, ed essere consapevole di non poter fare niente, era più doloroso dell’indifferenza, del ghiaccio, della paura che si era alimentata nei mesi verso la sua gemella, facendole terra bruciata attorno.
La ragazza, in un lampo di lucida follia, sguainò la bacchetta e la sollevò con decisione verso l’alto.
«Finite» gridò, fissando Pitch Black come se potesse ucciderlo; l’adrenalina che correva nelle sue vene imperterrita, diffusa dal cuore che le rimbombava nello sterno.
Non le importava se sarebbe morta. Avrebbe provato a fermare l’incantesimo – qualunque esso fosse – che Black aveva innescato.
«Kataphlègo lithos» fece, per tutta risposta, la voce di Melicent – una voce seria, lugubre.
Con un rapido movimento della mano, creò una fiamma verde acido, scagliandola poi contro la protezione creata da Merman. Nella stessa frazione di secondo, Elsa strinse le mani a pugno per poi spalancarle, accompagnando il gesto con un deciso movimento delle braccia. Un fiotto di ghiaccio andò ad unirsi alla fiamma verde; l’insieme, una volta raggiunta la cupola di protezione, vi creò un buco, fondendosi in un’inquietante massa di ghiaccio innaturale, splendente nelle sue sfumature verdi e blu.
Fu così che la barriera venne frantumata, esplodendo in centinaia di scintille azzurre tutt’intorno. Gli studenti si sparsero, e il gruppo si spezzò. Così come il silenzio, ora martellato dai rumori delle esplosioni.
«Interessante, Merman» fece poi Pitch Black, con la sua voce sinistra. «Volevo semplicemente che mi fosse consegnato il Quinto elemento… ma se insisti.»
Silenzio.
«Procedete» disse poi, diretto alle ragazze. In un momento che sembrò surreale – in un momento in cui guardò con la coda dell’occhio, prima di iniziare a correre – le sembrò che avesse lanciato uno sguardo particolare ad Elsa, e che lei... che lei lo ricambiasse.
Che cosa ti ha fatto?
Anna non avrebbe mai dimenticato quell’immagine. Fu poco prima che degli incantesimi che non conosceva – che nessuno studente conosceva – iniziassero a radere al suolo ciò che Minerva McGranitt aveva costruito dopo la Seconda Guerra Magica, tingendo l’aria dei colori più disparati.
Un fiotto di ghiaccio aveva appena inciso il pavimento in pietra, disegnando una spirale informe e involontaria. Delle scintille erano partite dai capelli della ragazza con la pelle luminosa, andando a incendiare gli angoli del cortile.
Hogwarts era già irriconoscibile.
Le orecchie di Anna erano invase di un fragore assordante, il rumore dei calcinacci che cadevano, e quello della polvere che si sollevava. D’un tratto, tutti sembravano essere scomparsi. E l’aria si era fatta di nuovo scura, densa come l’inchiostro.
La Grifondoro si sentì smarrita: riusciva solo a vedere dei bagliori di tanto in tanto di luce azzurrina, che poteva provenire solamente da bacchette magiche. I suoi compagni stavano combattendo, così come voleva Merman. Stavano ostacolando Black, ma erano lontani, irraggiungibili…
È un incantesimo? Un’illusione?
Era come immobilizzata da una forza invisibile; qualcosa che sapeva benissimo essere la paura di trovarsi faccia a faccia con Elsa, e realizzare che lei non la riconosceva più.
Anna si sentì letteralmente morire; era sola. Sola con i suoi demoni da combattere.
Per tutto quel tempo aveva creduto che la cosa peggiore che le fosse capitata fosse il silenzio di Elsa; era il suo tormento, ciò che riusciva a spazzarle via il sorriso che tanto piaceva ai suoi amici e che riusciva a mettere il buonumore a chiunque. Persino i poteri della sua gemella sembravano un niente, a confronto; quello era molto peggio. Sapere che Elsa non si sarebbe fatta scrupoli a combattere contro la sua famiglia, contro la sua scuola.
Era successo tutto talmente in fretta; era successo ancora prima che tutte le Case di Hogwarts potessero realmente superare i propri conflitti, ancora prima di sapere se qualcuno fosse a conoscenza di dettagli in più sui rituali come quello che voleva fare Black.
Era troppo tardi.
Lui era lì, insieme alle ragazze che aveva brutalmente strappato via ad una vita normale. E stava distruggendo tutto quanto.
 
«La signorina Arendelle è in grado di creare il ghiaccio» fece una pausa, «Senza usare la bacchetta.»
Silenzio.
«Avere poteri come quello non è un buon segno, nemmeno nel mondo dei maghi» rifletté Quentin, cercando una conferma nel Preside.
«Esatto»  disse infatti il mago. «Il vostro compito, dunque, sarebbe proteggerla, in modo che non ceda alla magia oscura. È fin troppo vulnerabile» continuò. «Se non dovesse migliorare, ho paura che sarebbe molto più complicato fermare il caos.»
Scese il silenzio, nella stanza; i ragazzi avevano assorbito crudelmente l’impatto di quelle parole.
«Che cosa succederebbe ad Elsa se... insomma...» prese parola Anna. «Se non ci riuscissimo?»
Il Preside la guardò per una manciata di secondi, prima di risponderle. «Non lo so. Ma sicuramente – e questo non voglio nasconderlo, a nessuno di voi – niente di buono. Cambierebbe, diventando qualcosa che non è.»

 
 
Le parole di Merman erano state chiare, mesi prima. E ciò che tutti avevano cercato di evitare sin da quando sua sorella era scappata nella Foresta Proibita, alla fine era successo. Non sembrava neanche una cosa concreta; Anna avvertiva un profondo senso di irrealtà, mentre cercava Elsa come si cerca qualcosa di indispensabile, facendosi largo tra le tenebre che avevano avviluppato adesso tutta la scuola. Salì le scale, seguendo il combattimento senza un’idea precisa di dove andare, lasciando solo che le rampe la portassero dove volevano loro.
Era arrivata al terzo piano, dove la luce delle fiaccole illuminava un poco l’ambiente circostante; e subito avvertì un freddo insopportabile, come se fosse nei sotterranei al posto che in un corridoio riscaldato.  Con una fitta al cuore, capì che Elsa era vicina. Poteva sentirlo nel suo sangue, come se fossero connesse tramite un filo invisibile ma solido al tempo stesso. Riusciva quasi a sentire i sentimenti della gemella, che le si agitavano nella testa come se fossero suoi.
«Elsa!»
Non ebbe paura di pronunciare il suo nome, perché, nonostante tutto, non riusciva – ancora – a pensare che sua sorella fosse realmente quello che sembrava. Si fece luce con la bacchetta: aveva bisogno di vedere cosa succedeva attorno a lei.
Il corridoio era buio, freddo, e un rumore sordo, come di un flusso d’acqua che scorre placido, le invadeva le orecchie. E poi il rumore tagliente del vetro che si infrange, di lame che si fanno affilate, di rabbia e tristezza e frustrazione. Era come se fosse sottoterra, nascosto, ma come se al tempo stesso volesse farsi trovare.
I quadri erano vuoti: tutti i maghi che vi erano rappresentati erano andati altrove, le cornici erano coperte di polvere e tracce di magia – magia inusuale, diversa da quella che veniva praticata a scuola. In meno di mezz’ora, Hogwarts si era trasformata. Era un cumulo di macerie, una cosa rovinata e piena di spettri.
Fu quando si avvicinò al bagno delle ragazze, che quei rumori si acuirono. E Anna capì immediatamente il perché.
La schiera di lavandini, che da sempre aveva troneggiato al centro della stanza, si era aperta come la corolla di un fiore di ceramica. E dal buco nero spalancato che ne derivava, oscuro e profondo, provenivano luci azzurre che ormai le erano inconfondibili.
Anna non ci pensò due volte, e si lanciò dentro.
 

 
 

 

 
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And here I am!
Perdonate l’anticipazione pomposa dell’altra volta, salvo poi pubblicare questo coso.
Scusatemi se la famosa epicità che avevo promesso non è ancora giunta, ma in realtà il capitolo era unico e ho deciso di spezzarlo.  Questa battaglia, alla fine, è un po' il nodo centrale della storia; succederanno delle cose importanti, e non volevo mettere troppa carne al fuoco.
Ma bando alle ciance: per la mia gioia, ci dedichiamo ad un po’ di introspezione su Anna, personaggio che amo tantissimo. Mi commuove ogni volta il modo in cui ha fiducia in Elsa; e questo nonostante tutto, nonostante le circostanze orribili. Cioè, basta, io penso che una persona così non esista ahahah, è seriamente troppo perfetta e dolce *_*
È empatica, coraggiosa (vogliamo parlare di quando sfida Black? Me la sono proprio immaginata ed ero lì tutta fiera, aiuto), e pronta a fare letteralmente qualunque cosa per le persone a cui tiene. Credo che, infatti, la Casa di Grifondoro sia decisamente appropriata per lei, perché ce la vedo tantissimo a comportarsi così.
E niente. Spero di essere riuscita a farvi entrare nella storia, perché io ultimamente temo di non esserne più in grado (scusate il momento depresso ahahah).
Alla prossima!
Sara




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Anche se era lontano, Anna avvertì tutte le energie negative che emanava. Come un peso sul petto, che le impediva di respirare. Come se le sue peggiori paure fossero tutte concentrate in quell’unica, scheletrica figura che li guardava.

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Capitolo 47
*** Capitolo 47. ***


 47.
 
 
Vaiana riusciva a sentire nitidamente le energie che provenivano da sopra.
L’alto soffitto e i diversi metri che la separavano in altezza da quello che stava accadendo non erano bastati a impedire che avvertisse come un’onda, dentro di lei, che si infrangeva con prepotenza lungo le pareti del suo corpo. Era come un’energia nascosta, che aveva sempre avuto, ma che mai si era risvegliata così repentinamente. E adesso, forse, capiva come mai suo padre non aveva appoggiato che utilizzasse quell’abilità. Era distruttiva, lo sentiva. E – Merman glielo aveva detto, anche se a mezza voce – avrebbe potuto uccidere. Alle altre ragazze era già successo; tutte loro avevano ucciso, o rischiato di farlo, con il loro potere. E lei aveva paura; paura che anche lei cadesse, paura di non essere diversa.
Era della sua diversità che avevano bisogno; della sua energia positiva, quella che nelle altre era già andata perduta. Vaiana si era sentita male, quando aveva sentito quelle parole riferite alle sue compagne; non poteva credere che proprio loro, comunissime ragazze che incrociava nei corridoi, fossero...
Dei mostri.
Non si vergognava a pensarlo; quello che aveva visto, quando aveva incrociato l’occhio in biblioteca, era stato mostruoso. Aveva visto l’Opera, aveva visto cosa richiedeva. Aveva visto persone che morivano, che venivano sacrificate senza scrupoli per quella che era una causa senza l’ombra di alcun sentimento umano. Ma Pitch Black non era umano, giusto?
Le sembrava impossibile – persino un mese prima, quando ancora Pitch Black era solo un timore più o meno diffuso – che sarebbe andata a finire così. Che avrebbe dovuto separarsi dai suoi amici più cari – separarsi da Maui, che aveva sempre saputo tutto di lei – e vederli andare a rischiare la morte, faccia a faccia con quel nemico che ormai era concreto, visibile, e tremendamente vicino. Mentre lei non avrebbe fatto niente; se ne sarebbe semplicemente rimasta nascosta nelle profondità di Hogwarts, in quella Camera che lo stesso fondatore della sua Casa aveva creato per distaccarsi da tutti, su obbligo di Merman.
Aveva tenuto la sua rabbia per sé, incanalandola nell’acqua, che, lo sapeva, prima o poi sarebbe esplosa. Forse Merman lo aveva fatto di proposito, per far sì che lo facesse al momento opportuno. Perché, altrimenti, confinarla, se era l’unica speranza che Hogwarts si salvasse? Perché lasciare che degli alunni morissero inutilmente?
Lo capì quando, nel freddo di quella stanza, avvertì la porta circolare che si apriva e dei passi leggeri percorrere il lungo corridoio in pietra. E l’energia dell’acqua, che adesso si faceva più pulsante che mai. Man mano che la sagoma sottile ed eterea di Elsa Arendelle si avvicinava, quella sensazione aumentava, come se ci fosse qualcosa che urlava, dentro di lei. Qualcosa che doveva essere liberato.
Si sentì come una preziosa reliquia nascosta nel cuore del castello, un artefatto che ora, inevitabilmente, era stato scoperto. Elsa camminava con calma, consapevole che la sua compagna di Casa non avrebbe potuto scappare da nessuna parte; sembrava letteralmente contemplare quel momento, e i contorni della Camera, costeggiati da grossi serpenti di pietra con le fauci spalancate, erano come una cornice alla sua figura quasi ultraterrena.
«Ci incontriamo di nuovo» fece Vaiana, in un impeto di coraggio che non sapeva di avere.
Elsa non rispose subito; era seria, ma non come l’aveva sempre vista. Non era mai stata allegra; Vaiana constatò tristemente che, un’espressione serena, non aveva mai abitato quel volto diafano.
Ma adesso lo era in modo diverso. Era una serietà che in qualche modo la faceva sembrare invecchiata. Una serietà cupa, arrabbiata. E orribilmente consapevole.
«Senza di te non possiamo andare avanti» disse solo, la voce gelida. «Sei l’elemento chiave. Quello che lui ha perso secoli fa.»
«Lo so» replicò Vaiana, guardandola negli occhi determinata. «Che cosa ti fa stare dalla sua parte?» chiese poi, con voce calma.
La bocca di Elsa si curvò appena in un sorriso di scherno. «Tu non capisci» disse solo. «Lui ha dato un senso a tutto questo. A questo» con un solo gesto della mano fece partire una spirale di ghiaccio, che, dopo essere esplosa al centro della stanza come un fuoco d’artificio, prese a fluttuarle intorno placidamente.
Silenzio.
«Mi avete sempre vista come un mostro, è inutile girarci intorno.» Quelle parole la colpirono come macigni, nella loro verità insostenibile. Era vero – maledettamente vero. Come un fulmine, le vennero in mente le parole di Nick, quando non faceva che ripetere quanto la temesse. «Lui è stato l’unico a dirmi che non lo sono – a farmi sentire speciale, apprezzata. Stavolta per davvero.»
«Non puoi fidarti di lui» replicò Vaiana, ora consapevole di trovarsi davanti ad una ragazza fragile.
«E tu sei convinta di poterti fidare di Merman, invece?» la provocò l’altra, sollevando un sopracciglio.
«Merman mi ha detto tutto di Black. Vi sta manipolando, tutte voi» disse, forse a voce un po’ troppo alta.
«Certo; e ovviamente non ti ha detto del fatto che, secoli fa, loro due erano d’accordo» fece Elsa, per tutta risposta.
«Me lo ha detto» la bocca di Vaiana era una linea piatta, lo sentiva. Si sforzava di capire che cosa fosse successo di preciso, per far apparire quella ragazza così improvvisamente... sicura di sé.
Come non l’aveva mai vista. Che Black le avesse fatto un incantesimo?
«Si illude che con te potremmo tornare normali, vero?» insistette Elsa. «Non torneremo mai normali. Non lo siamo mai state.»
C’era solo un modo per scoprirlo.
Vaiana tirò fuori la bacchetta. «Legilimens» pronunciò, a voce alta, prendendo Elsa alla sprovvista.
 
 
 
«Hai delle capacità notevoli.»
«Smettila di dirlo.»
«E perché mai?»
Elsa si imbronciò, arrabbiata. Il volto di Anna, congelato da quel terribile incantesimo, le balenò alla mente. «Tutto questo non è notevole, Pitch. È pericoloso. Io sono pericolosa... ed è bene che stia lontana dagli altri.» Chiuse gli occhi e inspirò profondamente, come da anni era abituata a fare per evitare un attacco di panico – che sicuramente avrebbe ucciso qualcuno.
Si trovavano nel sotterraneo del castello, che ricordava, per certi versi, l’aula di Pozioni. I mattoni ordinatamente impilati delle mura andavano a confluire in un’unica cupola che sembrava inglobarli, adornata da intarsi di acciaio e affreschi. All’interno della stanza rifluiva una vaga luce giallognola, mentre intorno a loro erano esposte varie fiale dal contenuto sconosciuto, che ribolliva e si agitava dentro i contenitori di vetro – esattamente come i suoi pensieri dentro la sua testa.
«Non credo ad una parola di quello che mi dici. E non capisco perché tu...» si interruppe. Perché tu mi attragga così tanto, avrebbe voluto dire. Che cos’era successo? Com’era che adesso, da nemici erano diventati...
Cosa, Elsa?
Non lo sapeva. Non sapeva definirlo. Semplicemente, quando guardava quegli occhi di un ipnotico giallo topazio, si perdeva e dimenticava tutto. Ogni domanda – ogni domanda che prima si sarebbe posta – appariva inutile, superficiale. Sembrava svanire nel vuoto.
«Elsa» la chiamò lui. «Tu» la attrasse a sé, guardandola intensamente. Quella voce – in qualche modo subdola, melliflua – la avvolse come un caldo abbraccio. «Sei speciale. Il fatto che tu sia qui ne è la dimostrazione.»
«Perché solo io? Le altre sono meno importanti?» chiese la ragazza, con un filo di voce che non avrebbe voluto avere.
Pitch Black le sorrise, mostrando i denti piccoli e appuntiti. «Sei l’uroboro» disse, senza rispondere alla sua domanda. «Il simbolo dell’immortalità.»
 
 
 
«Puoi farcela» la incitò, con quella voce sinistra che ora era morbida, incoraggiante.
Nessuno mai le aveva mai parlato così. Tranne forse...
Anna.
Ma lei non poteva capire – non poteva entrare in quel mondo, non poteva esporsi ad un tale pericolo. Non glielo avrebbe permesso. Lui era l’unico a poterla salvare, a poter permetterle di usare il suo potere per ciò che era giusto. Lui lo conosceva, aveva familiarità con quello che sapeva fare… l’avrebbe guidata.
«Non lo so» fragilità che non tarda a manifestarsi, un corpo esile che trema, e quel senso di impotenza che ormai lo divora da un bel pezzo.
«Sì invece. Dentro di te sai quanto sei potente.» Sentì il ghiaccio crepitare violento sotto lo strato della sua pelle candida, come a volergli dare ragione. Riusciva a vedersi… riusciva a vedersi mentre gettava il ghiaccio su ogni cosa, su quella realtà che l’aveva sempre costretta a recitare un ruolo che non le apparteneva. Quell’immagine le piaceva...
Solo lui l’aveva compresa.
«Liberati, Elsa.»
E successe.
Il ghiaccio coprì tutto il pavimento, stagliandosi in un’onda fredda e immobile. Sul finire della lastra che si era formata, quella distesa immutabile terminava con delle punte alte, affilate come se fossero i denti di una pericolosa creatura.
«Immagina che cosa riusciresti a fare, con un po’ di addestramento in più. Saresti perfetta.»
Perfetta.
Perfetta...
Aveva voluto esserlo così tanto. Era stata così tanto tempo a desiderare di essere nel pieno dell’autocontrollo; di arrivare esattamente dove voleva arrivare, senza che quelle stupide emozioni la sviassero.
Quando Pitch Black si avvicinò al suo corpo pallido e fine, giungendole alle spalle e sfiorandole appena la vita con le mani, sentì come se qualcosa fosse andato esattamente come sarebbe dovuto andare. Lei che ormai accettava la paura, la abbracciava come si abbraccia un’amica, senza cadere più.
Si voltò, e i loro occhi si incrociarono, scontrandosi come si scontrano due anime destinate a fondersi; Elsa avvertì di nuovo quella sensazione di completezza, come se il suo potere e quello che lei era avesse finalmente un senso. Un senso che non apparteneva ad Hogwarts, né alle cose comuni del Mondo Magico.
Adesso erano tremendamente vicini, l’elettricità che c’era nell’aria si poteva quasi tagliare. Per la prima volta, Elsa non aveva abbassato gli occhi di fronte ad una persona. Per la prima volta, sentiva di non sapere più cosa fosse la paura. Il ghiaccio era suo amico, e lei era il simbolo dell’immortalità, bianca e fredda. Lo sarebbe sempre stata… ma in fondo, per lui era bella così, no?
La baciò, e quel fondersi di buio e gelo sembrò la cosa più giusta che ci fosse mai stata.
 
 
 
L’aveva sedotta.
Ecco che cos’era successo.
Ed Elsa – per Merlino, si sentiva male solo a pensarci – si era innamorata di lui.
Come aveva previsto, infatti, la sua reazione fu brusca. Ma l’urlo che le scaturì dalla gola fu ugualmente terribile, un suono arrabbiato che sapeva di demoni del passato mai sepolti del tutto. Come una grossa e minacciosa onda di energia oscura che viene liberata tutta insieme. Le indirizzò una miriade di stalattiti appuntite, che l’avrebbero presa in pieno se solo lei non si fosse racchiusa appena in tempo in una bolla d’acqua che le respingeva. In preda alla rabbia, Elsa pronunciò alcune parole che Vaiana non capì; all’inizio pensò al serpentese, ma ascoltando meglio quella lingua non aveva affatto le sonorità del serpentese. Maui era un rettilofono, e lei lo aveva sentito numerose volte parlare nel sonno, ma quella lingua... era qualcos’altro.
Qualcosa di antico, come un battito cupo e gutturale, che non poteva appartenere a nessuna creatura magica di cui si fosse mai sentito parlare.
Dopo aver pronunciato quello che doveva essere un incantesimo, infatti, alle spalle minute della sua compagna di Casa comparve un drago di ghiaccio, che la guardò minaccioso.
Non c’era più tempo per parlare, ormai. Se solo ci avesse provato, Elsa avrebbe cercato di ucciderla, ora ne era consapevole.
Sfidandola con lo sguardo, creò uno scudo d’acqua attorno a lei, semplicemente sbattendo un piede a terra. L’aria vibrò in onde ripetitive come fosse gelatina, mentre il drago di ghiaccio produceva un verso profondo e tintinnante insieme, pronto ad attaccare.
«Fermatevi!» irruppe una voce che Vaiana aveva già sentito.
Una ragazza con le trecce, che sembrava disperata e determinata allo stesso tempo, si mise in mezzo a lei e ad Elsa, rivolgendo lo sguardo alla sua avversaria.
Già, Elsa ha una sorella, pensò allarmata. Che cosa pensava di fare, quella ragazza? Almeno si rendeva conto di cosa fosse quello in cui si stava immischiando?
«Sei impazzita?» urlò Vaiana, con quanto più fiato avesse in corpo. «Togliti, ti prego, o finirai uccisa!» ormai aveva le lacrime agli occhi e le corde vocali le bruciavano già per lo sforzo.
Elsa era diventata una statua; era rimasta immobile, sembrava che la sua rabbia si fosse improvvisamente acquietata. Un silenzio assordante, insostenibile.
«Elsa» sua sorella pronunciò il suo nome come se fosse doloroso, con compassione, come per dire “che cosa hai fatto?”. Si potevano percepire le lacrime, nella sua voce dolce. Vaiana restò in silenzio, pregando con tutte le sue forze che la Serpeverde non decidesse di congelarla. Non l’avrebbe sopportato.
La ragazza con i capelli fulvi sembrava non curarsi neanche della creatura fatta di freddo che troneggiava nella Camera, e che continuava ad emettere quello strano ringhio tintinnante – il suono del ghiaccio che crepita e che non vede l’ora di macchiarsi di sangue. Tutto quello che sembrava importarle era la sorella, che la guardava attonita. Gli occhi di Elsa erano ancora cupi, ancora iniettati di rabbia, ma si erano leggermente rilassati. Che stava succedendo?
«Non devi fare questo, Elsa» sussurrò la Grifondoro, come se temesse di farle male. «Non sei così. Non sei un mostro. Sei» il nodo in gola si percepiva chiaramente; Vaiana si sentì sprofondare a pensare a cosa dovesse aver passato, negli ultimi mesi. «Sei una ragazza talentuosa, dolce, ambiziosa. Sei una bella persona» le disse a mezza voce, senza però osare toccarla. Le mani pallide le si serrarono, come se si stesse violentando per non stringerla in un abbraccio.
E si creò qualcosa tra di loro. Come un’energia elettrica, che allontanava la magia oscura.
«Non farlo» disse ancora la sorella di Elsa. «O non riuscirai più a tornare indietro. Arriverai ad un punto di non ritorno» la esortò, con più forza stavolta.  
«Ci sono già» sentì che sussurrava l’altra, a malapena. «Non posso sottrarmi. È questo il mio destino, Anna. E ora spostati» Aveva la voce spezzata. Era tornata di nuovo la ragazza smarrita che era prima – prima che lui la portasse via. «Io devo farlo. Devo ucciderla, se si rifiuta di venire con noi. O spezzerò il Legame, e lui...»
«Cosa?»
«Ucciderà me» la sentì mormorare, con un filo di voce e gli occhi bassi. «E ucciderà tutte le altre, perché la catena sarà rotta. Hogwarts verrà maledetta.»
Tese le mani in avanti, e Vaiana capì subito che, se Anna non si fosse tolta da lì, l'avrebbe colpita.
«No, Elsa!» urlò la ragazza, con una disperazione atroce.
Vaiana si intromise facendole scudo appena prima che il ghiaccio la fermasse per sempre, mentre la Grifondoro teneva risolutamente gli occhi chiusi, stretti in un’espressione di terrore e sofferenza. Si riaprirono, sfarfallando meravigliati, non appena si rese conto che non era morta, e si posarono smarriti su Elsa, che la guardava inespressiva e triste.
Vaiana si avvicinò. «Verrò con voi» disse solo. «Prenderò parte al Rituale e porterò a termine tutto questo. Ma lascerete in pace Hogwarts.»
«Non è così semplice» un’altra voce intervenne, e Melicent Somber entrò nella Camera.
 
 
«Black ha cercato numerose volte dii creare qualcosa che avrebbe dato impulso all’Opera; in passato ha già provato a farlo... ma senza successo.»
«Chi era?» ebbe il coraggio di dire Vaiana.
Merman, adesso, sembrava malinconico. «Si chiamava Iris Hale» disse. «Ed era una studentessa di Hogwarts molto tempo fa. Io ero un professore, all’epoca.»
Pausa.
«Aveva gli stessi poteri di Elsa, che scatenarono la curiosità di Black. Ma quando si trattò di effettuare il rituale, si ribellò; i suoi poteri si scagliarono contro di lei.»
Quelle frasi si abbatterono su di lei come una martellata. «Se lo sapeva, allora perché non ha fatto niente?» chiese con rabbia.
Merman attese un po’ prima di parlare. «Aveva preso in ostaggio mia figlia» disse poi, incupendosi di botto. «Mi ha minacciato. Non potevo fare niente. Ma» fece una pausa di pochi secondi. «Nonostante questo, non si è curato comunque di risparmiarla.»
Il silenzio che aleggiava in quel momento era pesante, soffocante. Le parole che Merman aveva detto le avevano procurato delle fitte al cuore, insieme alla consapevolezza che il mondo magico era davvero in bilico tra la vita e la morte.
«Quando è successo tutto questo?» ebbe il coraggio – raccolto chissà dove – di chiedere.
Il Preside fece una pausa densa di pensieri. «Nel 1648. Sia io sia Black siamo immortali. Lui appartiene alla famiglia dei phoboi, io a quella dei maridi. Melicent Somber discende dalla famiglia di Black, tu dalla mia.»
Vaiana aveva voglia di scappare.
«Per questo tu sei l’unica a poter far tornare gli scomparsi.»
Non può essere...
Lei era solo una studentessa. Solo una studentessa.
«Tu e Melicent siete rivali. E questa è una guerra.»
 
 
Se possibile, quella ragazza era ancora più spaventosa di quanto non fosse Elsa. Avvolta in un vestito scuro e con le corna da demone che svettavano decise, spuntando dalla sua testa, sembrava una fata oscura. Camminava lentamente, e Vaiana avvertì una sensazione di pericolo molto più potente di quella che aveva sentito quando aveva visto Elsa. Era un dolore intenso che scorreva nelle vene, l’acqua che pulsava, un destino orrendo che si avvicinava inesorabilmente per ghermirla.
«Tu e Melicent siete rivali. E questa è una guerra.»
Era la sua rivale; colei con la quale avrebbe dovuto scontrarsi, la stessa ragazza che apparteneva alla famiglia opposta alla sua. Programmate, progettate apposta per quel fine, per quell’incontro che avrebbe segnato l’inizio e la fine di tutto. Lo stesso incontro che avrebbe segnato la sua codardia e il suo voltare le spalle ad Hogwarts, ma a Vaiana non importava. Bastava solo che gli altri fossero lasciati in pace. Se questo poteva essere garantito, allora si sarebbe consegnata a loro senza alcun rimpianto.
«Cosa devo fare?» le chiese, dura, non appena Melicent fu abbastanza vicina.
«Non è sufficiente che tu ti consegni a noi» fece l’altra, squadrandola con i suoi occhi – calcolatori, sottili e di un inquietante color topazio. «Deve esserci un sacrificio, se vogliamo far partire il Rituale. Una persona che significa molto per uno dei componenti» concluse lentamente.
E i suoi occhi gialli si posarono su Anna.
«Non puoi farlo» sibilò Vaiana, avvicinandosi di più.
«E se servisse per un fine superiore?» replicò Melicent, con voce calma e razionale.
Vaiana stava per risponderle che, se voleva, avrebbero potuto sfidarsi a duello e decidere di conseguenza.
Ma poi la terra tremò, e sentì chiaramente un campo di magia talmente potente che quasi si sentì soffocare.
 
 
 
 


 
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Questo capitolo è stato uno tsunami per i miei poveri feels, aiuto. Non so nemmeno come mi sia venuta, di inscenare tutta questa roba, so solo che mentre scrivevo provavo la rabbia di Elsa, la tristezza di Anna e il senso di allarme di Vaiana, e mi è sembrato di andare sulle montagne russe. La scena tra Anna ed Elsa poi, è stata un colpo al cuore; le ho immaginate lì, Anna che tenta con tutte le sue forze di ritrovare sua sorella ed Elsa che è intrappolata in qualcosa di più grande di lei. Tra l’altro ero con una canzone triste nelle orecchie – che se la volete ascoltare è Carry You di Ruelle – e quindi ciao proprio. E poi boh... lo so che è stato così per tutta la storia, ma la fragilità di Elsa, in questo capitolo, mi è sembrata più evidente che mai. Si è innamorata di Black, e questo rappresenta un’ulteriore debolezza per lei, come se non fosse bastato quello che ha passato finora. Mi spezza il cuore, davvero.
Infine, quando tutto sembra precipitare, ecco che succede qualcosa di inaspettato. Che cosa sarà, secondo voi? Sono davvero curiosa di scoprirlo :3
Alla prossima!
Sara



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«Non devi fare questo, Elsa» sussurrò la Grifondoro, come se temesse di farle male. «Non sei così. Non sei un mostro. Sei» il nodo in gola si percepiva chiaramente; Vaiana si sentì sprofondare a pensare a cosa dovesse aver passato, negli ultimi mesi. «Sei una ragazza talentuosa, dolce, ambiziosa. Sei una bella persona»

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Capitolo 48
*** Capitolo 48. ***


48.

 
 
Dopo l’annuncio di Merman – già dopo la prima volta che il Preside aveva accennato alla morte di Eris Goddess – Claude Frollo si era isolato da tutti, per indagare personalmente, alla larga dagli sguardi indiscreti. Come quello di Hans Westergård, per esempio; il dormitorio maschile vibrava di energie oscure già dalla fine del primo semestre, era riuscito a sentirlo da quando aveva trovato tutto quello che era necessario trovare per capirci qualcosa. Un pezzo di ghiaccio visibilmente maledetto, che non aveva avuto il coraggio di toccare, e – nel dormitorio femminile – delle pietre fatte di buio e luce. Avevano vibrato di energia, non appena ci si era avvicinato, dando origine ad un campo di magia dalle sfumature dorate che lo aveva fatto tremare.
Se n’era andato subito, ma non si era reso conto che qualcosa lo stava inseguendo.
 
L’ombra sembrava ormai perseguitarlo da mesi. Era come un parassita, lo accompagnava nel sonno, durante le lezioni, durante lo studio. Gli faceva vedere scenari di distruzione: persone bruciate su un rogo, malattie, il Mondo Magico che si trovava al collasso e una ragazza con dei folli occhi azzurri, con un’abilità singolare e distruttiva.
Il ghiaccio. Scaturiva dalle sue braccia con una potenza sorprendente, macchiandosi di sangue senza che la ragazza avvertisse il minimo rimorso. Guardava tutti con i suoi occhi vuoti e freddi come il suo potere, che spiccavano sul suo volto pallido e spigoloso da regina.
Sentiva tutte le sue emozioni che gli venivano scagliate nel petto: rabbia, desiderio di vendetta, dolore. E Black che sapeva – perché lo sapeva – che avrebbe potuto sfruttare tutto questo a suo favore, perché era questo che era indispensabile, quando si trattava di rituali alchemici.
L’energia.
 
Aveva preso ben presto consapevolezza di che cosa fosse quell’ombra: un ologramma, una proiezione di Black, evidentemente destinata ad interagire con chiunque fosse entrato a contatto con le pietre, che funzionavano come...
Come degli horcrux.
Magia nera, molto oscura e molto potente, utilizzata anche da Lord Voldemort in persona. Un pezzo di anima di Black era collegata a quei cristalli simili a onici, anche se non potevano esserlo. Claude non riusciva a ricordare quale genere di pietra fosse nera con delle venature gialle, che sembravano scorrervi all’interno come rivoli di lava.
L’Ombra era sottile, alta, con un volto affilato ma senza occhi, naso e bocca: un manichino fatto di fumo, che però riusciva a trasmettergli tutto ciò che era necessario sapere. Aveva iniziato a parlare, e finalmente aveva dato un senso agli appunti di Alchimia che aveva preso forsennatamente – per anni, per quello che era sempre stato puro interesse di uno studente modello. Erano bastate poche settimane per capire quale fosse la maledizione che era stata gettata su Hogwarts.
La pietra filosofale. Era questo il centro di tutto, ciò che Black anelava con disperazione. Era per questo che il Rituale andava avanti, per creare la pietra dell’immortalità e riportare indietro altri phoboi – phoboi che c’erano prima, che un tempo erano forti ma ora non lo erano più.
Lo aveva visto, nelle sue visioni.
Black che, in un tempo lontano, parlava a delle figure che sembravano divine, perfette, quasi irreali nella loro bellezza. Come se non fossero neanche esseri viventi, bensì statue immutabili.
 
C’era una donna dalla pelle scura con un paio di corna che scaturivano dai capelli castani; una bambina con i capelli fulvi e gli occhi chiari; un uomo dal naso piccolo e il volto d’alabastro, affiancato da un altro con la mascella squadrata e il volto coperto di tatuaggi; ed infine, altre due donne, una con dei tratti asiatici e l’altra dai capelli bianchi come la neve.
«È necessario fare qualcosa, per il bene del Mondo Magico» disse, deciso di fronte a quell’inquietante commissione che lo guardava con occhi freddi. Il luogo in cui si trovavano non gli era familiare: somigliava alla Camera dei Segreti di Hogwarts, ma era evidente che non fosse quella. I soffitti erano più alti, e la costruzione somigliava più ad una sala delle riunioni ricavata da una caverna, piuttosto che ad una stanza nascosta in un altro edificio.
«Non possiamo farlo, Elias» replicò la donna con i capelli bianchi, scrutandolo con i suoi occhi rosso sangue. «Il Mondo Magico e quello babbano sono vicini, ma sempre nettamente separati. Il nostro intervento non può oltrepassare un certo limite.»
«Concordo» disse l’uomo che sembrava una statua. Le iridi viola si mossero su Black, che sostenne il suo sguardo imperterrito. «Non possiamo assecondare la nostra pietà, fratello. La pietà non è un sentimento che gli Antichi possono permettersi di provare.»
E la rabbia che si agitava nel corpo di Black, il sentimento di rivalsa che c’era nei confronti di chi sottraeva vite al Mondo Magico di continuo.
Quando avvertì quell’emozione, quella rabbia cocente e che sapeva di disperazione, capì.
La caccia alle streghe.
 
Erano scomparsi, tutti. Indeboliti, si erano ritirati, e non erano più intervenuti – ove possibile – nel Mondo Magico. Ma perché?
Quell’Ombra lo aveva gettato in una spirale di immagini, e Claude si era ritrovato, in breve tempo, a non saper distinguere più tra presente e passato. Quando si ritrovava, aveva impresso le immagini che aveva visto sulle pergamene, e quei disegni sembravano guardarlo minacciosi dalla carta, istantanee di un’epoca oscura e a cui lui – a cui nessuno di loro – apparteneva. Abbassò lo sguardo su quello che aveva fatto più di recente: il disegno lo guardava dal foglio, buio come le emozioni che si portava dentro.
Aveva tracciato un cerchio con la piuma, tanti cerchi concentrici che formavano un’unica immagine, come un vortice che si stagliava di fronte ai suoi occhi e che lo voleva risucchiare. Una sagoma femminile stava in piedi, i capelli lunghi che ricadevano sul suo fisico sottile. Sembrava osservare il cerchio con occhi distanti e persi. Davanti a lei c’era un’altra sagoma, alta e magra, stavolta maschile.
E a Claude sembrò di capire subito chi fosse, come se qualcuno glielo avesse sussurrato.
Pitch Black.
Non fu quel dettaglio, comunque, a farlo rabbrividire.
Sotto al vortice che aveva disegnato, nell’immagine aveva preso forma anche un corpo umano, completamente sfigurato da terribili ferite, ma il mago e la ragazza sembravano non farci caso.
Anzi, erano come compiaciuti.
Quell’Auror che lo aveva interrogato, alla fine, lo aveva scoperto. Non si era fidata di lui sin dall’inizio, lo aveva visto bene nei suoi occhi nocciola indagatori, ma fu quasi certo che non si aspettasse minimamente quello che avrebbe trovato nel dormitorio giorni dopo, quando suo fratello era stato ucciso.
Claude, ormai, si sentiva distante anni luce dal ragazzo che era prima: era sempre stato ambizioso, serio, cinico; non aveva mai avuto, in realtà, dei buoni rapporti con il suo gemello – soprattutto da quando era iniziata la scuola. Lo aveva sempre trovato talmente impulsivo da sfiorare l’ottusità, ma non avrebbe mai pensato che si sarebbe andato ad immischiare con la Magia Nera.
E lui non si era mai accorto di niente.
Avrebbe tanto voluto sapere le dinamiche della sua uccisione, ma non aveva avuto il coraggio di dire altro, quando quell’Auror gli aveva detto che suo fratello era stato trovato sfigurato.
Come la sagoma del disegno.
Non aveva avuto il coraggio di dire niente, mentre lo portavano via. Forse Black gli aveva lanciato addosso una maledizione, e qualunque alibi non sarebbe servito ad evitare Azkaban.
Forse era così che doveva andare.
Dopo qualche giorno in una cella, come se fosse un pericoloso criminale, lo avevano condotto al Dipartimento di Indagini sugli Incantesimi Oscuri, al Ministero. Era stata la stessa Auror di quella volta – la signorina Campbell – a farlo, guardandolo a volte di sottecchi, come si farebbe con un malato mentale. Sapeva di non avere un bell’aspetto: il viso affilato si era come ingrigito, gli occhi scuri spenti da tutto ciò che aveva visto in quei mesi. L’Ombra era entrata a far parte di lui, e niente aveva più importanza, perché quella aveva distrutto tutto quanto. E poi c’era quella Grifondoro, Esmeralda...
Lo aveva guardato perplessa, quella volta, quando lo avevano prelevato da Hogwarts. Come se avesse capito che lui si aspettava che accadesse. In effetti, era così: ha perfettamente senso, aveva pensato; l’Ombra – la proiezione di Black – ha fatto in modo che gli Auror percepissero la magia oscura che mi era rimasta addosso, così da togliermi di mezzo prima che diventassi scomodo.
E adesso si trovava lì, davanti al signor Chateaupers, il Ministro del Dipartimento Indagini, che lo studiava con i suoi occhi piccoli e neri.
«Dopo delle attente ricerche su documenti precedenti riguardo a Pitch Black, siamo giunti alla conclusione che lei, signor Frollo, sia l’unico superstite – a parte coloro che sono stati scelti – alla magia nera che si è abbattuta su Hogwarts» iniziò, con voce seria ma non minacciosa. «Pertanto, suppongo che lei possa essere in grado di dirci qualcosa su questo caso. Come previsto, è rimasto qualche giorno in carcere, per aver mentito circa le sue scoperte. Tuttavia, adesso il periodo che doveva trascorrere ad Azkaban è terminato.»
Fece una pausa, in cui lo fissò dritto negli occhi, come per dargli spazio per parlare. Forse si aspettava una reazione sollevata, visto che in pratica lo stava dichiarando libero.
Claude, però, lo guardò soltanto.
«Abbiamo esaminato i disegni da lei fatti, quando era sotto incantesimo presumo.» Adesso il signor de Chateaupers aveva un’aria apprensiva. «E ci hanno fatto capire cosa sia realmente la figura che molti maghi prima di noi, nei secoli, hanno cercato di identificare, senza mai riuscirci appieno. Gli studi che sono stati fatti sono approssimativi, a quanto pare.»
«Cosa vorrebbe dire?» fece il ragazzo, con voce piatta.
«Abbiamo sempre pensato che, chi si faceva chiamare Pitch Black, nel corso degli anni, fosse una persona diversa ogni volta. Ma sbagliavamo. Non erano maghi differenti che si facevano chiamare così, quelli che si sono succeduti nel tempo. Erano tutti la stessa persona» quasi la scandì, quella frase. «E questo ci porta ad un’unica conclusione: quell’Ombra – quella che lei ha visto – è l’ologramma di una creatura antica quanto il Mondo Magico, contro cui non possiamo nulla. Possiamo solo sperare che il suo intervento attuale non causi troppe perdite.»
Quelle parole si scagliarono brutalmente su Claude Frollo, che rimase con sguardo assente, come se fosse rimasto congelato. Giorni di analisi dei suoi disegni – di quello che aveva visto, provato, sentito – e non si poteva fare nulla? Gli stavano dicendo di attendere e basta?
«Non si può proprio contrastarlo?»
Il Ministro aveva quasi le lacrime agli occhi. «No. Mi dispiace.»
La signorina Campbell gli mise una mano sulla spalla – una mano piccola e fredda, ma che si serrò leggermente in un timido gesto di conforto. «Secoli fa, quella creatura ha suggellato l’importanza della sua esistenza nel Mondo Magico, durante la caccia alle streghe in Scozia. Lo ha fatto con l’Alchimia, cambiando l’equilibrio che già esisteva e creandone un altro» concluse de Chateaupers, con tono grave.
I roghi, le malattie... ecco perché quelle visioni.
«E la ragazza?»
Il Ministro si scambiò uno sguardo cupo con l’Agente Campbell.
«So che la ragazza del disegno che ho fatto sotto incantesimo è reale. È comparsa nelle mie visioni. Una ragazza con i capelli rossi e delle abilità sul ghiaccio. Come Elsa Arendelle» disse, come per incitare de Chateaupers ad andare avanti.
«Si chiamava Iris Hale» disse allora il Ministro, con tono cauto. «Dopo averla vista nei suoi disegni, abbiamo cercato nell’archivio storico dell’epoca della Caccia. Le profezie tramite le sfere di cristallo erano molto in voga, allora… ed abbiamo recuperato una profezia che era destinata a lei. Diceva che qualcosa l’avrebbe condotta sul suo sentiero, su quello che avrebbe sentito essere compatibile con la sua anima. E così, infatti, è successo.»
La ragazza che guardava il vortice di buio, davanti alla figura scheletrica e vicino al corpo umano sfigurato. Impassibile, concentrata solo su di lui che la guardava.
Era lei.
Silenzio.
«Non so cosa rappresenti con esattezza il disegno che ha fatto, signor Frollo. È rimasto poco, dell’epoca della Caccia. Ma qualunque cosa sia, è accaduta molto tempo fa, e riguarda un uso terribile della magia. In ogni caso, basandoci su quello che abbiamo» fece una pausa, come per assicurarsi che il ragazzo stesse metabolizzando quello che stava ascoltando. «Black ha cercato di ripetere quello che ha fatto nel 1648. Ha di nuovo messo in atto lo stesso procedimento, anche se per un motivo diverso. E ci è riuscito.»
Claude avvertì un fischio nelle orecchie.
«Sta semplicemente finendo quello che aveva iniziato.»
«Quando potrò tornare ad Hogwarts?» chiese il ragazzo; si sentì uno stupido, ma aveva bisogno di sapere.
Stavolta fu la signorina Campbell a parlare. «Quando il conflitto sarà finito. Non c’è altro modo. Indipendentemente da quale sarà l’esito, lei deve rimanere qui finché il nuovo equilibrio non sarà cominciato. Almeno sarà in salvo.»
Claude annuì e basta, senza replicare. Ma il suo pensiero andò d’istinto ad Esmeralda.
Sperò di poterla rivedere, perché ora non era più così sicuro che sarebbe successo.
 
 
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Provo dei sentimenti contrastanti, nei confronti di questo capitolo. Da un lato mi piace, perché lo trovo vagamente inquietante, e perché un po’ risponde ad alcune domande (per esempio, ci dà più info su questa Iris Hale che è già stata menzionata più di una volta, e si intravede uno stralcio che ha come protagonisti gli Antichi: finalmente li visualizziamo e capiamo quanti sono e come si comportano tra loro, anche se per poco) e un po’ ne solleva delle altre (Black ha messo in atto il procedimento per un motivo diverso, l’ultima volta: quale sarà? Che cosa è andato storto, facendo sì che ci fosse qualcosa da portare a termine? E soprattutto: perché sono tutti d’accordo, impassibili di fronte a questo terribile evento?).
Dall’altro lato, invece, non so... mi sembra un po’ scialbo, privo di carattere, anche un po’ breve. Nel senso che non succedono grandi cose, è più un capitolo transitorio che serve a capire cosa succederà dopo. Spero che, in ogni caso, vi sia piaciuto.
Alla prossima!
Sara





philippe garrel | Tumblr


Sapeva di non avere un bell’aspetto: il viso affilato si era come ingrigito, gli occhi scuri spenti da tutto ciò che aveva visto in quei mesi. L’Ombra era entrata a far parte di lui, e niente aveva più importanza, perché quella aveva distrutto tutto quanto. 

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Capitolo 49
*** Capitolo 49. ***


49.
 



 
Brandelli di oscurità avviluppavano Hogwarts, ed Elias Black si sentiva trepidante. Avrebbe messo fine all’epoca in cui gli Antichi erano deboli e inattivi, come vulcani dormienti, esattamente come era stato previsto dall’accordo.
Nel giro di un’ora dal suo arrivo, il cortile era diventato deserto; c’erano solamente lui e Merman, che si guardavano negli occhi. Accanto al suo avversario, alcuni ragazzi di Serpeverde e uno di Tassorosso che sembravano pronti anche a morire; Merida e Rapunzel, in piedi vicino a lui, erano belle e potenti come divinità.
«Ci hai provato con tutte le tue forze» disse al Preside di Hogwarts, che lo fissava con i suoi occhi neri e carichi di rabbia. «Ma non avresti potuto sottrarti all’accordo. Lo sapevi già, del resto.»
«Non immaginavi di aver bisogno del Quinto elemento, a quanto mi risulta. Il piano aveva una lacuna molto importante» controbatté Merman.
Elias vide la perplessità sulle facce degli studenti schierati con lui, e dedusse che non sapessero nulla dell’accordo. «No, infatti. Come ben sai, adesso avevo un motivo differente. E l’Opera, per creare la pietra filosofale, menziona esplicitamente quattro elementi, anziché cinque. Ma lei era l’anello mancante, a quanto pareva necessario.»
«Non puoi prenderla, Elias. Avrà effetti devastanti. Lo sai.»
Silenzio.
«È lo stesso motivo per cui l’ultima volta è andata a finire male, e nel profondo ne sei consapevole. È troppo potente» aggiunse il suo avversario.
«Avrebbe altrettanti motivi per unirsi a me, no? E in fondo, sapevi che questo momento sarebbe arrivato.»
Merman, in preda alla rabbia, sbatté il bastone a forma di tridente a terra con una forza inaudita; pronunciò un incantesimo nella lingua dei Maridi, che risuonò spigolosa e stridente in tutto il cortile. Un’onda scura alta cinque metri si sollevò dal pavimento in pietra, che si ricoprì di uno strato azzurrino increspato, somigliante a una distesa d’acqua in movimento.
Elias seppe che il duello – quello che per secoli aveva aspettato – era finalmente cominciato. Era scontato, dopotutto: Merman, nonostante l’accordo, avrebbe provato fino all’ultimo a salvaguardare la scuola, anche se sapeva fin dall’inizio che tutto quello non avrebbe potuto essere cambiato. E non si sarebbe arreso facilmente.
«Che il buio si incontri con l’acqua, e che finisca quello che aveva iniziato» pronunciò Black, nella lingua degli Antichi. Un’altra onda nera come l’inchiostro, composta di una sostanza simile al fumo, si intrecciò con la prima fatta di acqua, mentre gli studenti guardavano la scena attoniti. Quell’unione generò un incantesimo potente, che sfrigolò e ruggì come fosse un animale; sembrava che le due controparti avessero preso vita, mentre l’acqua e la tenebra si sfidavano senza che vi fosse un vero vincitore.
«Non ti lascerò fare senza combattere» urlò Merman, nella lingua dei Maridi. Quella lingua che lui capiva benissimo, perché era la stessa che aveva usato l’ultima volta che si erano parlati, prima che il rivale sparisse nelle profondità marine. I ragazzi che stavano dalla sua parte, intanto, sguainarono le bacchette pronti ad intervenire, ma sulle loro facce era perfettamente visibile un senso di spaesamento che si sforzavano di reprimere. Nessuno di loro sapeva dell’accordo, era chiaro; Merman aveva nascosto tutto credendo di proteggerli, quando invece, se solo avessero saputo, sarebbero stati con ogni probabilità ancora più forti.
Black sorrise: era esattamente così che doveva andare. Lui lo aveva già previsto tempo prima. Sarebbero stati deboli e impreparati, in modo che lui potesse arrivare esattamente dove doveva arrivare. Perché doveva farlo; o il Mondo Magico sarebbe andato sempre peggio.
«Non sarà sufficiente» disse, «E tu lo sai.»
L’incantesimo, intanto, continuava a produrre rumori assordanti, come la terra che trema per poi aprirsi e inghiottire qualunque cosa. Fu allora che successe qualcosa di inaspettato: un’aura che lui conosceva – compatibile con quella del Quinto elemento, lo sentivo – si mosse.
Capì immediatamente chi fosse.
Un ragazzo alto, robusto e con dei lunghi capelli ricci corse verso di lui, gridando un incantesimo di trasformazione; e subito il suo corpo muscoloso si tramutò in quello di una maestosa aquila, che si librò in cielo gettando un grido. Un’aquila enorme, evidentemente frutto di una magia.
Rimase senza parole: era lui il bersaglio. Quello che avrebbe dovuto colpire, per ottenere la pietra. Lo sentiva, nel profondo della sua anima.
«Ora» bisbigliò a Merida, che capì immediatamente quello che avrebbe dovuto fare. La afferrò per il braccio, ascoltando la sua mente: non si lasciava andare facilmente alla sua vera natura. Non lo aveva mai fatto, in realtà, anche se aveva sempre saputo che non era come le altre. «Adesso è il momento.»
La ragazza – forse ancora troppo debole per capire l’importanza di quella questione, o forse solamente troppo emotiva – aveva gli occhi azzurrissimi gonfi di lacrime. Black riusciva a percepire tutte le sue sensazioni: avvertiva il peso di essere invischiata in un disegno più grande di lei, e il peso di essere la Fenice – la forza creatrice, l’ultimo stadio del processo alchemico.
«Fallo, o si ritorcerà contro di te» la incitò, notando che esitava. «Sai benissimo che non è solo una questione di interessi personali. O non sarei giunto fino a qui. Magie come queste non si possono spezzare» concluse, con tono urgente. La sua volontà non doveva vacillare, o sarebbe andato tutto perduto. «Concentrati» aggiunse, distendendo la voce.
«Devolvat in potentia ignis» pronunciò Merida, tendendo le mani verso l’alto. L’esplosione di energia che liberò con quell’incantesimo fu tale che sprigionò una fiamma alta quando le onde di acqua e oscurità, facendo indietreggiare i presenti. Poi si librò ancora più alto, fino a raggiungere l’aquila; ferito, il ragazzo riprese la sua forma originale, crollando a terra con uno schianto.
Le ustioni si estendevano dal petto al collo, facendolo urlare di dolore.
«Non succederà quello che desideri, se sfrutti in questo modo queste ragazze!» tuonò Merman, con la sua voce profonda. «Loro potrebbero respingerti!»
Sapeva a cosa si riferiva; ma non aveva intenzione di ascoltarlo. Gli Antichi gli sarebbero stati grati, per quanto stava facendo; in fin dei conti, stava provando con tutte le sue forze a riportarli indietro, riparando così ai profondi errori del passato.
«Tu non sei mai stato uno di loro!» scoppiò allora, e la sua voce fu una lama che tagliava il rumore e lo faceva in mille pezzi. «Non puoi saperlo! Nessuno sa veramente» concluse.
Sapeva di avere ragione. Tutti gli studi che i maghi, nel corso del tempo, avevano effettuato sugli Antichi, erano stati approssimativi e vaghi. Perché loro non si facevano vedere. Solo in situazioni di emergenza – come era stata la caccia alle streghe di quattrocento anni prima. Poi scomparivano, restando invisibili pur essendo presenti.
«E in ogni caso, c’è solo un passo in più da fare» disse, piatto. «Non mi tirerò indietro proprio adesso.»
Silenzio; una tempesta di fuoco, tenebra e acqua insieme roteava intorno a loro. L’insolita combinazione di quei tre elementi dava vita ad una luce elettrica tinta di blu, che si accendeva e si spegneva come una lampada al neon. La luce lampeggiava sui volti dei presenti, ricreando degli intermittenti rivoli bluastri sulla loro pelle.
Black pronunciò l’incantesimo concentrando le sue forze mentali sul ragazzo con i capelli ricci, ancora ferito a terra. Lui era il sacrificio mancante; lui era quello più vicino alla quinta iniziata. Riusciva quasi a sentire la sua aura alchemica che pulsava, che si dibatteva come a voler convulsamente attirare la sua attenzione.
«Te umbra circumligo
Il ragazzo levitò in aria, mentre le ultime forze lo lasciavano andare per sempre. Black vedeva Merman che cercava di direzionare il tornado verso di lui per interrompere il contatto visivo... ma era troppo tardi.
La testa riccioluta dello studente ricadde improvvisamente, e il corpo ormai senza vita crollò di nuovo a terra. Black vide, con la coda dell’occhio, gli altri due Serpeverde che provavano a scagliarsi addosso a lui; Merman li fermò subito con un incantesimo bloccante, consapevole che a quel punto non ci sarebbe seriamente stato più nulla da fare.
La ragazza – minuta, ma furiosa – gli urlò contro delle maledizioni senza perdono, fuori di sé; vedendo che non avevano effetto, scoppiò in un singhiozzo disperato, pronunciando il nome di quello che doveva essere il suo amico – Maui – come fosse una litania.
Il ragazzo al suo fianco la tratteneva, più controllato, ma i suoi occhi verdi erano sbarrati e il corpo magro tremava dallo shock.
«Ora» sussurrò Black a Merida, che osservava la scena inerme, il volto più simile ad una maschera.
La Grifondoro si portò la mano vicino alla bocca, tenendo il palmo verso l’alto; soffiò, e un’altra fiamma, di un rosso più intenso, scaturì dalla sua bocca dolcemente, danzando nell’aria piena di polvere del cortile.
Sotto gli occhi dei sopravvissuti all’attacco – sotto gli occhi di Merman – l’incantesimo danzò, annullando quello precedente; il tornado svanì come risucchiato nel nulla, e la fiamma si compattò in una grossa sfera infuocata. Tutti guardavano intimoriti.
All’interno della sfera, qualcosa urlava e sgomitava. Era il Potere... lui lo sentiva.
Lo avvertì più bruciante che mai quando, dalla sfera, una pietra si sollevò, scortata dalle fiamme, e brillò di una luce rossa. Era color cremisi, un rosso carminio che sembrava abbagliare.
La pietra filosofale.
Si diresse verso Merida, che la afferrò.
Fu allora che avvertì la possibilità formicolare in tutto il corpo, e si sentì più concreto, più sensato.
La mano di Merida si intrecciò prima con quella di Lily e poi con la sua.
Svanirono, perché a quel punto l’aura alchemica della quinta iniziata sembrava battere come un cuore, e lo stava chiamando verso il suo destino a gran voce.
 
 
*
 
 
Sapeva che si sarebbe trovato lì; nella Camera dei Segreti di Hogwarts, la cosa più vicina che ci fosse, in quella scuola, alle profondità della terra. Da dove venivano loro.
La pietra brillò, nella sua mano, e sfrigolò quando la tenne stretta, pronto a pronunciare la formula che li avrebbe portati indietro.
C’erano tutte: Melicent, Elsa, Lily Merida. E anche Vaiana – questo era il suo nome, lo percepì chiaramente nella sua testa – che lo guardava impaurita e determinata allo stesso tempo. Il campo di magia che c’era nell’aria, adesso, era elettrico e pesante, come una cappa di fumo che li avvolgeva tutti: Elias poteva quasi vederlo che scorreva nelle loro vene, mentre si prendevano per mano, un circolo oscuro e potente, così necessario da avvertirne il bisogno quasi a livello fisico.
Vaiana teneva gli occhi scuri sbarrati: si vedeva che non avrebbe voluto arrivare a tanto. Elsa, invece, lo guardava incoraggiante: sapeva che poteva fidarsi di lui. Notare quanto somigliasse a lei era quasi doloroso; lei aveva sempre celato molto meglio la sua fragilità, eppure Elias l’aveva sempre vista molto chiaramente.
Elsa Arendelle e Iris Hale erano senza dubbio due ragazze che avevano in comune l’essere segnate dalla vita; l’una per un motivo, l’altra per un altro. Era curioso e strabiliante al tempo stesso che fossero così uguali, anche se distanti nel tempo. Lui sapeva il perché – lo aveva sempre saputo, osservando nei secoli – ma non si era sentito comunque di rivelarglielo. Ogni cosa a suo tempo, le aveva detto. Non le era bastato, si vedeva chiaramente, ma aveva annuito lo stesso, perché si fidava.
La connessione che sentiva era la stessa. La stessa oscura, magnetica connessione che li teneva avviluppati l’uno all’altra irrimediabilmente.
«Io vi invoco di nuovo, regolatori del Mondo Magico» iniziò Black, con voce solenne. «Possiate risorgere di nuovo, con la forza della Pietra Filosofale.»
Lanciò la pietra in aria, e quella fluttuò, splendendo di particolari bagliori rossi. Un secondo dopo, bruciò come fosse un pezzo di carta, e per poco non si sentì altro che il silenzio. Venne interrotto soltanto dal lieve fruscio che invase le orecchie dei presenti, e dal materializzarsi di fumo nero davanti ai loro occhi.
A poco a poco, tutti gli Antichi presero forma; Elias vide Morgane, con i suoi capelli bianchi e gli occhi rosso sangue; Esther, piccola e spigolosa; Caminh, con i suoi tratti asiatici e la sagoma esile come un giunco; Taariq, la pelle scura e le corna che spuntavano decise dalla chioma castana; Ayax, i tatuaggi sul volto e su tutto il corpo; e infine Dragomir, con la sua postura dritta e minacciosa.
«Ha funzionato» sussurrò Elias, più a sé stesso che a loro.
«Il Quinto elemento è stato trovato, quindi» esordì Esther, facendo riecheggiare la sua voce argentina nella Camera. «Hai svolto tutto correttamente, stavolta, fratello.»
Nel suo tono regnava la freddezza; lo guardava con i suoi sfavillanti occhi gialli, come a voler sottolineare che la sua rabbia era ancora viva e pulsante. «E non hai lasciato che si uccidessero tra loro, privandoci anche di quel poco che potevamo fare» aggiunse infatti, astiosa.
Elsa gli lanciò uno sguardo preoccupato, e Black capì che il momento era giunto. Doveva sapere; quello era il momento opportuno. Che dicessero tutto; lui non si sarebbe opposto.
Morgane, infatti, non perse tempo.
«Sorprendentemente, l’uroboro non ha ucciso nessuno» disse, con la sua voce tagliente, guardando Elsa con occhi assenti. La Serpeverde indietreggiò, non più tanto sicura come prima.
«Che significa?» chiese la ragazza, deglutendo leggermente.
«Significa che, durante il Primo Rituale, le forze dei componenti non sono state contenute» fece Dragomir, fissando Elsa come se la volesse uccidere. «Tu» disse quella parola come se stesse pronunciando una condanna. «Tu hai perso il controllo, e hai ucciso il Quinto elemento, esattamente come noi avevamo previsto quando l’abbiamo saputo. Ma era troppo tardi, ormai» concluse, astioso.
Elias guardò la Serpeverde come se, facendolo, potesse darle più forza. Sul suo volto di alabastro era dipinta la confusione, ma riusciva a capire bene che un lato di lei voleva sapere.
«Ditemi di Iris Hale» pronunciò infatti, la voce fredda che tagliò l’aria, decisa.
Caminh si scambiò uno sguardo con Taariq, che poi si decise a prendere parola:
«Quando il Mondo Magico è nato, siamo stati messi in una posizione di osservatori di ogni Scuola di Magia» cominciò. Elias notò subito che parlava inglese, invece che la loro lingua. «Io per Uagadou, in Africa; Esther per Ilvermorny, in America del Nord; Morgane a Beauxbatons, in Francia; Dragomir a Durmstrang, in Romania; Ayax a Castelobruxo, in America del Sud; Caminh a Mahoutokoro, in Giappone.»
Fece una pausa per permetterle di assimilare quelle nozioni, poi proseguì.
«Nel diciassettesimo secolo cominciarono consistenti problemi. Non abbiamo mai visto un’epoca più ostile al Mondo Magico di quella; la convivenza con i babbani era diventata difficile, poiché guerre e pestilenze avevano fatto sì che, in alcune parti del mondo, si scatenassero vere e proprie caccie alle streghe. Non fu il caso dell’Africa, naturalmente; lì, così come in Oriente, c’è sempre stato un grande rispetto per la magia. Ma in Europa... le cose andarono diversamente.»
Si voltò verso Black, che si limitò a guardarla; temeva per la reazione di Elsa, che poteva essere terribile.
«Elias era stato messo come osservatore di Hogwarts. Tra il 1647 e il 1649, la caccia in Scozia si intensificò: si poneva il problema di ammettere o meno i nati babbani alla Scuola di Magia, così come stabilito dai Fondatori.»
Dragomir aveva assottigliato ancora di più le labbra, e ora il suo volto appariva quello di una statua; Elias ricordava bene che, insieme a Morgane, era sempre stato il più ostile al Rituale.
«Così il Preside dell’epoca si rivolse a noi» si inserì Ayax, «chiedendo che Elias potesse sostituirlo. Fu allora che cominciò tutto.»
«Ci nascose ogni singolo dettaglio di quello che stava facendo, fino a che non fu troppo tardi» la voce dall’accento slavo di Dragomir interruppe il racconto, intrisa di rabbia repressa. «Il Rituale era già iniziato.»
«Elias, più semplicemente» riprese parola Ayax, con voce calma, «voleva cominciare una crociata contro coloro che non appartenevano al nostro Mondo. Dotare quattro streghe del Potere degli Elementi e renderle cacciatrici di babbani. E ci riuscì.»
Il volto di Elsa si indurì, e gli sembrò di percepire quello che avrebbe detto da lì a poco.
Non si smentì, infatti.
«Le sue erano buone intenzioni, allora» disse. «Voleva proteggere i maghi e le streghe dai babbani che li perseguitavano.»
«Andava contro la legge» la voce di Morgane sembrò una freccia scagliata contro Elsa. «La nostra legge.»
«A noi non è permesso intervenire a tal punto nel Mondo Magico» spiegò Caminh, fissando la ragazza con la curiosità dipinta nei suoi occhi a mandorla. «Abbiamo anche noi una Legge; potevamo eliminare chi avrebbe mosso un’accusa e fatto condannare un mago o una strega, certo. Ma dovevamo agire in segretezza, stando attenti a non lasciare tracce della nostra magia. O avremmo rivelato il Mondo Magico. I babbani erano così vicini a scoprirlo, allora...» si interruppe, e il viso da bambola assunse un’espressione persa. «Se si trattava di fermare un processo pubblico, o un’esecuzione...»
«Diventava proibito agire» finì Esther, terminando la frase per lei. «Se avessimo trasgredito, adesso, il Mondo Magico sarebbe molto meno popoloso» concluse, con voce severa. «Decidemmo che qualche perdita sarebbe stata accettabile. Ma qualcuno non era d’accordo.» I suoi occhi gialli brillarono di risentimento.
«Non passò molto tempo prima che Elias capisse che il Rituale stava avendo degli effetti nefasti. Soprattutto quella ragazza, Iris Hale» riprese Morgane, «Abbatté totalmente il confine tra Mondo Magico e mondo dei babbani. Talmente crudele, spietata e potente da essere troppo visibile» la sua voce fredda si tinse di disprezzo. «Persino con i suoi simili. Per quanto riguarda i babbani, nella città di Aberdeen – quella in cui agì più di tutte le altre – si diceva che il demonio era sceso sulla terra.
«Aveva un’abilità assai insolita e letale» aggiunse Dragomir, l’espressione impassibile. «Il ghiaccio.»
Gli occhi azzurri di Elsa si allargarono dallo stupore. Elias vide che qualcosa si era spezzato, dentro di lei.
«Non succede da allora che ci sia qualcuno con quelle abilità» continuò Dragomir. «Gli Hale erano una famiglia molto potente. Solo i Peveril – famiglia molto oscura e prestigiosa – potevano tenere loro testa. I Peveril avevano una padronanza eccezionale delle Arti Oscure, ma gli Hale avevano poteri che nessun altro aveva. La telepatia, la telecinesi... abilità utili nel Mondo Magico, ma con un potenziale terribile.»
Pausa.
«Fu quello il motivo che spinse Elias a scegliere le due eredi di queste famiglie. In seguito, si servì di una nata babbana – l’anello di congiunzione – e di una ragazza che, tramite un esperimento alchemico andato male del padre, aveva ottenuto dei poteri inerenti al fuoco. Una ragazza in continua lotta con sé stessa. Era quello di cui aveva bisogno.»
«I problemi iniziarono quando si accorse che la potenza assoluta – simmetrica, così come l’Alchimia stabiliva – sarebbe stata raggiunta solo con un Quinto elemento. Elemento che trovò nella figlia di un professore di Hogwarts» disse Caminh, con un’inflessione triste.
«Il Preside Merman» sussurrò Elsa.
«Esatto» Caminh parlò con lo stesso volume di voce, come se stesse pronunciando un segreto inconfessabile. «Erano per metà Maridi, lui e sua figlia. Questo significa che erano dei mutaforma; si potevano nascondere nelle profondità del Lago Nero, all’occorrenza, e da lì raggiungere il mare e nuotare per chilometri. Ma potevano assumere sembianze umane, pur conservando i propri poteri.»
«Che genere di poteri?» chiese la Serpeverde, la voce ormai un filo sottile.
Stavolta fu di nuovo Ayax a prendere parola. «L’Alchimia scorre nel loro sangue, e hanno il controllo assoluto sull’Acqua, il loro elemento. Per questo motivo una quinta iniziata può incrementare il potere alchemico. Ed Elias lo sapeva bene.»
«Ma Iris Hale uccise la quinta iniziata, spezzando così il Legame» la voce di Morgane si abbatté nuovamente su Elsa, che iniziò a tremare. Elias non poteva vederla così. «Quando ha saputo che sarebbero morte tutte – perché noi, Elias incluso, avevamo deciso che lo avrebbero fatto, visti i danni procurati alla Comunità Magica – non resse. Qualcosa si spezzò, dentro di lei. La follia abitava quella ragazza come una forza oscura» disse, gli occhi persi in immagini lontane.
«Non è stato direttamente Black ad uccidere la figlia di Merman» disse Vaiana, inserendosi nella conversazione. «È stata Iris Hale. L’uroboro.»
«Esatto. E successivamente, tutte le famiglie di coloro che avevano preso parte al Rituale cambiarono il proprio cognome. Gli Hale, per esempio, cambiarono il loro nome in Arendelle» disse Dragomir, mettendo così fine a quelle rivelazioni.
«Ciò significa» concluse Taariq. «Che coloro che hanno preso parte al Rituale corrente sono le eredi delle Originarie. E che, per il bene della Comunità Magica, dovremmo ucciderle tutte.»
Un silenzio mortale cadde nella Camera dei Segreti. Elias non voleva guardare più Elsa; gli avrebbe fatto troppo male avere l’immagine dei suoi occhi blu che lo guardavano pieni di dolore.
«A meno che» disse poi Dragomir, con un bagliore di astuzia negli occhi viola. «Lei» e indicò Melicent, che lo fissava impassibile, «Non venga con noi a sostituire Elias, visto che è l’erede dei Peveril, depositari diretti del potere degli Antichi.»
Quello era troppo.
«Fratelli» iniziò, il volto duro come una maschera di pietra. «Non accetto da parte vostra questo trattamento. Sappiamo benissimo le conseguenze che si sono ripercosse sul Mondo Magico, nel corso dei secoli, per ciò che ho fatto; ma ho provveduto a restituirvi i vostri poteri. Ciò significa che ho compreso il mio sbaglio; mi atterrò alla nostra Legge, e non tenterò più di violarla» disse, sforzandosi di mantenere un tono controllato.
«Oh» Morgane simulò meraviglia. «Non eri tu a tenere alle vite magiche più di ogni altra cosa? Mi stupisce, da parte tua, una così palese inclinazione al sacrificio di queste ragazze. Così facile, così priva di ogni resistenza. Credevo che tenessi a loro.»
Qualcosa ribollì, dentro Elias. Morgane non aveva nessun diritto di premere quel tasto così dolente; di menzionare ciò che si era creato secoli prima, senza che lui lo prevedesse.
Si voltò verso Elsa; aveva le lacrime agli occhi. Sembrava che stesse sprofondando nella sofferenza più nera che avesse mai provato. Le altre stavano mostrando segni di paura, ma lei no; in lei, era evidente solo il dolore della delusione.
 
«Hai delle capacità notevoli.»
«Smettila di dirlo.»
 
Così fragile e bellissima allo stesso tempo. Così potente senza neanche saperlo.
Sarebbe stato un tale spreco; non avrebbe mai potuto convivere con quel dolore.
Non di nuovo.
«Accetto» e gli sembrò di sentire il nodo nella gola di Elsa allentarsi. «Rinuncio al mio posto tra gli Antichi per cederlo a Melicent.»
Ayax, Morgane, Taariq, Esther, Dragomir e Caminh lo guardarono consapevoli, come se si fossero aspettati quella decisione. Un filo dorato circondò Melicent, scintillando come i suoi occhi gialli; sibilò per qualche secondo, sussurrando parole antiche, suggellando per sempre quello scambio ufficiale, mentre la ragazza levitava librandosi ad una leggera distanza da terra.
Quando il filo la abbandonò, tornò delicatamente sul pavimento in pietra, e si recò verso Morgane, che le tendeva le braccia spalancate. Un gesto di accoglienza. «Benvenuta tra noi» disse infatti. Melicent era solenne, regale. Sembrò essere perfetta, in mezzo a loro; era sempre stato un rischio concreto, quello, e lui lo sapeva. Ma non avrebbe mai immaginato la rabbia che lo avrebbe investito. La sentiva bruciare come fuoco, corroderlo come il veleno.
Era la rabbia di tanti sforzi buttati al vento. La rabbia di aver fatto qualcosa per i suoi fratelli, invano, perché tutto ciò che avevano fatto era stato sostituirlo.
Non si fidavano di lui, era evidente. Non l’avrebbero fatto mai più, con ogni probabilità.
Capì che la conversazione era conclusa; doveva andarsene – ne aveva bisogno.
Si rivolse alle ragazze. «Non parlerete mai più di quanto è successo quest’anno. Le vostre strade, dopo la scuola, si divideranno; non dovranno più incontrarsi» disse, deciso.
Gettò un ultimo sguardo carico di rancore agli Antichi; poi, prima che anche loro potessero farlo, si smaterializzò, sparendo in una nuvola di fumo nero.
Non si era accorto che, per tutto quel tempo, una ragazza con le trecce aveva ascoltato, nascosta dietro ad una colonna.
 
 

 
 
 
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Eccoci al capitolo conclusivo. O meglio, conclusivo della vicenda nel suo insieme – adesso manca giusto l'epilogo, per capirsi. Traumatico, eh?
L’intento doveva essere proprio quello; è stato il capitolo più difficile da scrivere, credo, perché dovevo fare in modo di dare informazioni senza che queste apparissero disordinate e buttate lì a caso. Spero solo di esserci riuscita.
Allora, tirando le somme: Pitch Black – o meglio, Elias Black – ha avviato una crociata contro i babbani durante la caccia alle streghe, poiché non tollerava più che tutto quel sangue magico venisse versato. Questo ce lo fa vedere sotto un’altra prospettiva rispetto a quella che ci è stata presentata finora, e lo fa quasi sembrare più un antieroe che un villain vero e proprio; che ne pensate di questa sua ambiguità?
Sappiamo inoltre che ha creato, per questo scopo, un circolo magico composto da ragazze potenti, ma che ad un certo punto c’è stato bisogno di una quinta ragazza, che poi Iris ha ucciso. Il motivo non ci è dato saperlo, e ancora una volta, la figura di Iris Hale rimane avvolta nel mistero.
Nel complesso, quello che ho voluto fare è stato rendere un’atmosfera “epica”, solenne e molto dark, fornendo risposta a tante domande e sollevandone, al contempo, delle altre.
Spero vi sia piaciuto <3
Al prossimo capitolo,
Sara
 





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Elsa gli lanciò uno sguardo preoccupato, e Black capì che il momento era giunto. Doveva sapere; quello era il momento opportuno. Che dicessero tutto; lui non si sarebbe opposto.

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Capitolo 50
*** Capitolo 50. ***


50.

Epilogo



 
Giugno 2048, Mattina                                            
 
Il treno sferragliava risoluto sui binari, facendo sibilare le sue ruote e trasportando i suoi passeggeri a casa. Normalmente sarebbe stato un ritorno gioioso, anche se con un pizzico di tristezza per la fine degli anni scolastici e di timore per l’inizio di un nuovo percorso di vita.  Ma era evidente che quello non fosse affatto un normale ritorno a casa. Non lo sarebbe mai stato. Il treno era troppo vuoto.
Troppo deserto.
Vaiana si sentiva svuotata, come se non esistesse più. La sua psiche si rifiutava di accettare quello che era appena successo: preferiva di gran lunga ripetere a sé stessa all’infinito che quello era stato solo un enorme incubo.
Non poteva credere a quello che aveva visto nella Camera dei Segreti: o meglio, non poteva accettarlo. Tutte quelle notizie le avevano fatto arrivare una sensazione martellante alla testa, prepotente, che le dava l’impressione di impazzire.
Le frasi pronunciate dagli Antichi, con quell’accento così oscuro, così gutturale – l’accento della loro lingua aliena, inafferrabile come loro – non facevano che perseguitarla.
Solo in quel momento si era resa conto di quanto Elsa avesse in sé delle potenzialità pericolose; Iris Hale era la sua antenata, così come la figlia di Merman era la sua.
Le Originarie.
Ecco come gli Antichi avevano chiamato quelle ragazze. Le stesse che avevano avuto la loro età quattrocento anni prima, ma i cui poteri erano sopravvissuti, manifestandosi in loro di nuovo, senza nessun preavviso, dopo centinaia di generazioni.
Maui era morto, per favorire la sua inclusione nella Catena. Era morto da solo, senza di lei, cercando probabilmente di combattere; e ora, nel suo stesso scompartimento del treno, Judy era appoggiata passivamente alla spalla di Nick, guardando nel vuoto, il viso sciupato come se fosse invecchiata di dieci anni. Nick, del resto, sembrava completamente assente: appariva completamente dimentico del fatto che ci fossero persone intorno a lui.
Nello scompartimento erano seduti loro tre, ma ognuno aveva la sensazione di essere completamente solo – perché lo era. Vaiana si era resa conto che quella vicenda li aveva uniti tutti, ma li aveva anche separati. Aveva eretto muri come non lo aveva fatto nient’altro, da che ne aveva memoria. Non avrebbe più potuto scherzare con i suoi amici come faceva prima, perché anche solo il semplice fatto di guardarsi in faccia avrebbe significato ricordare tutto.
La Serpeverde avvertì un forte senso di impotenza farsi strada dentro di lei, e le venne voglia di tirare un pugno al finestrino dalla rabbia. Non se n’era accorta, ma le sue sopracciglia scure erano aggrottate, tese in un’espressione di profondo dolore.
Il treno non era rumoroso come al solito, pieno di chiacchiere e petardi magici tirati a caso da qualche studente troppo annoiato. Era immerso nella quiete, come se fosse vuoto.
Sapeva bene che, negli scompartimenti vicini, sedevano le altre ragazze: riusciva a sentire la loro aura alchemica pulsare ferocemente contro la sua. Da quell’incontro doveva essersi creato una specie di vincolo, che le teneva legate tutte: quando se ne sarebbe liberata?
Vaiana preferiva non pensarci.
Il paesaggio le sfuggiva veloce davanti agli occhi, e alla ragazza sembrò che la vita normale che aveva prima facesse inesorabilmente la stessa cosa.
 
 
 
 
 
 Giugno 2048, Notte
 
Elsa Arendelle aveva abbracciato i suoi genitori, quando era arrivata a casa. Lo aveva fatto di istinto, come una bambina che ha bisogno di essere confortata; ma aveva trovato quell’abbraccio profondamente sbagliato, innaturale in quel contesto. Forse ne avrebbe avuto bisogno – forse sarebbe stato normale – prima che tutto quello accadesse. Ora sembrava solo stonato, come se non facesse neanche parte della sua vita.
Il tragitto in treno, affiancata da Anna, era passato in silenzio. Vedeva lo shock sul volto della gemella, che non aveva osato neanche parlarle, come se temesse una reazione troppo avventata. La verità, però, era che Elsa si sentiva troppo debole per fare qualunque cosa. Non riusciva a comprendere fino a che punto fosse stato tutto un sogno – quanto c’era di vero, e quanto era stato solo nella sua testa?
In quei mesi, il senso della realtà era diventato molto ambiguo, poco definito. Era Pitch Black il nemico, stando a quello che diceva Merman; ma adesso, Elsa aveva cambiato completamente il modo in cui lo vedeva. La storia che aveva sentito raccontare agli Antichi aveva segnato qualcosa di indelebile, dentro di lei; forse era per quello che il Preside aveva voluto proteggere i suoi alunni. La verità sarebbe stata troppo da sopportare, troppo spiazzante, improvvisa, come un macigno che ti crolla improvvisamente addosso fino a schiacciarti.
Ma non avrebbe potuto continuare a nascondersi all’infinito da quello che realmente era. E non avrebbe mai scordato il modo in cui lui l’aveva valorizzata, in cui le aveva fatto capire che non c’era niente di sbagliato in lei – che lei era potente, e che gli altri la temevano perché sapevano che avrebbe potuto fare qualunque cosa volesse. Che era fondamentale. Che era perfetta.
Aveva passato tutta la vita ad ambire alla perfezione in ogni cosa facesse. Doveva essere ineccepibile, a scuola, nel trattenere le proprie emozioni, nel nascondere ad Anna quello che provava davvero. Una statua, una sagoma senza sentimenti, che non si concede mai di essere debole o anche solo vagamente umana.
Non aveva mai realizzato quanto quella gabbia mentale che lei stessa si era creata la stesse pian piano uccidendo. La verità era che era sempre stata terrorizzata da tutto, incapace di gestire le sue emozioni, illusa che stesse proteggendo sua sorella mentre la ignorava, quando in realtà la stava solo rendendo sempre più vulnerabile.
Esattamente come me.
Non aveva neanche sistemato tutte le sue cose in camera sua, quando si era fermata a pensare, guardando distrattamente fuori dalla grande finestra. Le tende azzurre si muovevano appena assecondando la leggera brezza estiva, e il cielo era scuro come l’inchiostro; le stelle, però, brillavano, come luccicanti occhi benevoli.
I suoi genitori, ovviamente, avevano saputo di ciò che era successo ad Hogwarts. Non avevano fatto domande, però; Elsa aveva immaginato che, semplicemente, fossero grati del fatto che entrambe le loro figlie erano ancora vive ed illese. Probabilmente non immaginavano neppure il cambiamento che si stava facendo sempre più strada dentro di lei.
Aveva visto gli Antichi smaterializzarsi insieme a Melicent, che in quel momento era sembrata dotata di una nuova luce – come se avesse preso definitivamente quell’aspetto ultraterreno che le aveva donato Black, fino a prenderne l’essenza, il potere. Uno dei Regolatori era stato sostituito... e lei si sentiva male per quello che poteva significare per Elias.
Elias...
Da quando per me lui è questo?
Forse da sempre.
«Ciao.» Riconobbe subito la voce che le giunse alle spalle, ancora prima che si voltasse.
«Come stai?» gli chiese, con un tono che uscì più apprensivo di quello che voleva essere.
Lui era serio, troppo serio. La bocca, già sottile di per sé, adesso era una linea piatta, quasi invisibile.
Non aveva mai avuto un aspetto così terribilmente vivo; sembrava quasi che stesse per spaccare qualcosa, gli occhi gialli iniettati di una furia troppo reale per appartenere ad un essere che esisteva dall’inizio del Mondo Magico. 
Non le rispose: il suo sguardo di quel colore così particolare rimase sospeso nel vuoto per quello che le parve un tempo interminabile.
Poi se ne andò, ma con gli occhi le aveva detto che non l’avrebbe mai lasciata.
 


 
 
 
 
 

 
 
 
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Cari lettori,
A questo punto, forse dovrei passare ai ringraziamenti, dicendo che siete stati fantastici a sostenermi in questa lunghissima – la più lunga in assoluto – avventura in cui mi sono gettata quattro anni fa. Scrivere questa storia è stato come scalare una montagna altissima, faticoso, impegnativo, ma alla fine ce l’ho fatta. Non credevo di riuscire a scrivere una cosa così intricata, lunga e con tanti personaggi, e non credevo di ricevere questo sostegno, anche da parte di nuovi lettori, tutti dolcissimi. Sono cresciuta con questa storia; il tempo è passato, ma Hogwarts è rimasta una costante, insieme alle vostre recensioni che mi incoraggiavano sempre – anche nei periodi in cui ero ad un punto morto. È grazie a voi se la storia è arrivata fino a qui, davvero.
Come dicevo, forse dovrei passare ai ringraziamenti, dovrei sentire quel rammarico misto a soddisfazione che di solito segue la conclusione di una storia… e invece niente. Ovviamente il rammarico c’è; è come la sensazione di abbandonare un intero universo – una sensazione che avevo già provato prima, ma non così. Perché questa storia, nonostante io non l’abbia scritta in modalità full immersion come ho fatto con le altre, è stata totalizzante.
E mi ha salvata nel periodo della quarantena, durante il quale stavo letteralmente per impazzire. Mi ha permesso di vedere gli incantesimi che descrivevo, di sentire la magia sprigionare dalle mie stesse mani. Mi ha fatto sentire il dolore di Elsa, costantemente divisa a metà, e la disperazione di Anna che cerca di non lasciarla cadere nell'oscurità. Mi ha fatto sentire la freddezza con cui il Patto descritto dalla trama va avanti inesorabile, servendosi di ogni mezzo utilizzabile per giungere a compimento. Mi ha fatto sentire tutto. Anche gli occhi gialli di Black dell'ultima scena, è come se fossero rimasti impressi nella mia testa adesso.
Hogwarts mi ricorda una persona che conosco: complessa, problematica, ma in qualche modo adrenalinica e adatta a me.
Mi aveva dato così tanta “dipendenza” che volevo scrivere un sequel fino a non molto tempo fa. Poi ci ho riflettuto e ho capito che, forse, era meglio lasciare così, lasciare questa storia immutata. In fondo, mi piace così com’è.
E tuttavia, il mio legame con questa fic non si spezzerà comunque qui, perché è stata la prima fanfiction che mi ha dato concretamente ispirazione per un romanzo originale. Quindi il rammarico post-conclusione non lo sento così tanto, stavolta.
Non lo sento perché questa storia a cui Hogwarts sta dando vita prende forma nella mia testa sempre di più.
E so che Hogwarts e la sua magia rimarrà con me ancora per molto tempo.
Grazie per esserci stati, spero di ritrovarvi <3
Con affetto,
Stella cadente
 
 

 

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