Antigone.

di Ornyl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 5 ***
Capitolo 7: *** 6 ***
Capitolo 8: *** 7 ***
Capitolo 9: *** 8 ***
Capitolo 10: *** 9 ***
Capitolo 11: *** 10 ***
Capitolo 12: *** 11 ***
Capitolo 13: *** 12 ***
Capitolo 14: *** 13 ***
Capitolo 15: *** 14 ***
Capitolo 16: *** 15 ***
Capitolo 17: *** 16 ***
Capitolo 18: *** 17 ***
Capitolo 19: *** 18 ***
Capitolo 20: *** 19 ***
Capitolo 21: *** 20 ***
Capitolo 22: *** 21 ***
Capitolo 23: *** 22 ***
Capitolo 24: *** 23 ***
Capitolo 25: *** 24 ***
Capitolo 26: *** 25 ***
Capitolo 27: *** 26 ***
Capitolo 28: *** 27 ***
Capitolo 29: *** 28 ***
Capitolo 30: *** 29 ***
Capitolo 31: *** 30 ***
Capitolo 32: *** 31 ***
Capitolo 33: *** 32 ***
Capitolo 34: *** 33 ***
Capitolo 35: *** 34 ***
Capitolo 36: *** 35 ***
Capitolo 37: *** 36 ***
Capitolo 38: *** 37 ***
Capitolo 39: *** 38 ***
Capitolo 40: *** 39 ***
Capitolo 41: *** 40 ***
Capitolo 42: *** 41 ***
Capitolo 43: *** 42 ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


« Questo giorno ti darà la vita e ti distruggerà »
Edipo re, v. 438
 

Lo sguardo si perde nel cielo giallastro e opaco dell'alba, solcato da nuvole grigiastre e sottili, nuvole di fumo.  Escono dalle vecchie centrali, quelle in periferia, lì nella Città Bassa, che ogni tanto sbuffano in silenzio come vecchi malinconici. Le vecchie centrali non funzionano da anni ormai e le loro ciminiere si ergono come magri giganti monchi di cemento e ferro, con le bocche spalancate verso quell'aria salmastra che prima avvelenavano con i loro scarichi, proprio quelli che hanno fatto ammalare il cielo; eppure ci si chiede ancora perchè ogni tanto sbuffino, soprattutto ora che non c'è più petrolio: la gente qui a Thebe se lo chiede spesso guardandole da lontano  ma rispettando contemporaneamente il loro strano sonno.
Le nuvole iniziano a muoversi spinte da un vento caldo e puzzolente, pregnante del loro fumo e dei vapori contenuti.  Il sole è una palla bianca tra una nuvola e l'altra, si fa spazio tra di esse e proietta sottili raggi malati tutt'intorno, illuminando lievemente Thebe Bassa e svegliandola dal suo torpore avvelenato. Ma Thebe Bassa dorme ancora sotto la sua coperta di smog, con le vene brulicanti di liquami e di acqua sporca, con i palazzi anneriti e le imposte delle finestre ancora sigillate. Nel 2040 le albe non fanno più così effetto, qui alla gente di Thebe: sono tutte gialle e puzzolenti, con i grilli che cantano di nascosto(qualora ci siano) e i moscerini che fanno festa intorno alle lanterne ancora accese dei cortili. Thebe Bassa vuole dormire ancora, almeno fino alle sette, quando le finestre inizieranno ad aprirsi di scatto come occhi mostruosi e le luci ad accendersi di colpo, e le strade e le vie e i cortili inizieranno a brulicare di bestemmie, urla di adulti già in ritardo e schiamazzi di bambini che non hanno assolutamente voglia di aspettare il tram e di andare nelle scuole, forse più fatiscenti delle loro case. La Città Bassa è così pigra da non volersi nemmeno guardare allo specchio, pur continuando a lamentarsi, è un luogo per gente lavativa e puzzolente, non come l'Acropoli: a quest'ora son tutti svegli ormai, nonostante il cielo sia giallo come sempre e non offra un nuovo spettacolo.
 L'Acropoli guarda la Città Bassa dall'alto con fare paternamente sprezzante, lontana com'è dai suoi problemi e dal suo tanfo: i Migliori hanno fatto chiudere le centrali e hanno trasferito le ultime risorse alle loro sedi, in modo tale che quei farabutti pulciosi della Città Bassa non possano sperperarle ancora, risolvendo tra l'altro il problema dell'inquinamento, hanno fatto pulir le fognature e gli addetti ai lavori azionano macchine che aspirino lo smog. Sì che si lavora sull'Acropoli, eccome, ma nessuno si lamenta e anzi gioisce di offrire il proprio servizio ai Migliori, che lo ricambiano con assoluta gratitudine, e la gratitudine è troppo preziosa per esser pagata!
Il cielo è solcato dalle ombre sottili di quegli uccellacci di ferraglia degli aerobus che si innalzano dalle stradine di Thebe Bassa e arrivano alla Piazzuola d'atterraggio. Sono stranamente pieni stamane, pieni della gentaglia avvelenata e puzzolente della periferia, ma tutti sono più silenziosi del solito. Sono dieci, o forse cento, ma non mille: si muovono in fila indiana, a passo veloce ma non troppo, quasi avessero fretta di partecipare a qualcosa di importante. Sono uomini e donne malvestiti, con i maglioni grigiastri e neri e verdi che coprono le mani annerite dal fumo e dal lavoro e i coltellini svizzeri nascosti tra le dita. Il loro passo si ferma sulla Piazzuola, si danno occhiate complici e riprendono il cammino rumoreggiando come un piccolo, sporco, esercito cencioso: oltrepassano il cancello e qualche metro più avanti sono entrati nell'Acropoli da un piccolo ingresso, insozzando con le loro suole spesse e nere i marciapiedi lindi e, ancora, o forse già vuoti di Thebe Alta.
Ennesima sosta. I loro occhi stanchi e piccoli, gialli di malattia, fissano un unico punto all'orizzonte: la bandiera nera con la lambda dorata sventola lentamente sulla propria asta, in cima al Palazzo, spinta dallo stesso caldo vento che accarezza i loro volti rovinati e magri.  Si riprende la marcia, in silenzio, attenti a non svegliare il sonno di quei damerini di Thebe Alta, ancora addormentati nei loro letti di metallo e seta sui loro materassi ad acqua. Il Palazzo è ancora lontano e accelerano il passo mantenendo lo stesso ritmo, finchè il rumore delle loro pesanti suole sull'asfalto si unisce a quello dei cannoni sparati da lontano. Sono due colpi, mesti e cupi, che fendono l'aria dell'alba di Thebe Alta e fanno accendere uno schermo sulla cima di un grattacielo che pare di cristallo, di quanto è brillante e pulita la sua superficie perfettamente levigata com'è giusto che siano i grattacieli dell'Acropoli. I loro sguardo si alza verso quel punto, verso l'inno di Thebe che risuona dalle casse, lievemente disturbato dalle imposte delle finestre che si aprono e dagli sbadigli della gente svegliata da quel suono, e i loro occhi sorridono mentre il maestoso apparecchio si accende: la Grande Corte è piena della gente dell'Acropoli già accorsa nel luogo, ma in mezzo ai loro abiti sgargianti e curati vi sono anche alcuni di loro, neri e terribili come avvoltoi.
Viene inquadrata la ripida scalinata di marmo, decorata da un tappeto nero. Nero come la morte, nero come il lutto: qualcosa di deliziosamente terribile ai loro occhi. Su di esso, figure slanciate e vestite dello stesso colore, i quattro Principi Ereditari, inquadrati uno per uno: hanno il volto triste e chinato sul petto, le mani giunte in grembo e le due Principesse sembrano singhiozzare. Sono irrealmente belli nei loro abiti di lutto e nei loro aspetti così diversi che nessuno li riterrebbe mai fratelli tra loro ma solo a coppie: Eteocle e Ismene biondi come l'oro e  pallidi come la luna sotto quegli abiti neri, Polinice e  Antigone olivastri, coi lucidi capelli corvini sotto i copricapo ; poi l'inquadratura si sposta sul centro della Grande Corte: circondati da quattro guardie, stanno due sarcofagi di marmo su un tappeto rosso, sulla cui nivea superficie spicca la lambda d'oro della casata regnante. Vengono brevemente inquadrati i volti dei defunti: il volto pallido della regina, con quei grandi occhi serrati, pare bluastro, e il volto del sovrano, con la bocca contratta in un'orrenda smorfia mortale, da ambrato s'è fatto grigio.  Si odono singhiozzi misti a risa in un silenzio terribile, solenne e assordante, come forse non era mai abituata da tempo la gente di Thebe Bassa e anche dell'Acropoli stesso, con le aerocar che sfrecciano veloci sibilando tra gli alberi e i tappeti stesi sulle balconate degli attici ad asciugare.
Una figura si fa avanti scendendo a lenti passi dalla scala, poi si ferma al centro della Grande Corte e alza il capo. -Gente di Thebe!- il Gran Consigliere è interamente vestito di nero e la sua pelle bianca e i capelli argentati spiccano sull'abbigliamento-Che dolore ci ha portato la notte! E com'è terribile annunciarvi la mesta notizia! I Sovrani, Oedipus e Giocasta, sono venuti a mancare!-
La voce del Gran Consigliere rimbomba su tutta la piazza, aumentando i singhiozzi e gli scrosci di risa. La gente stringe gli occhi di mille colori, si porta una mano alla tempia incipriata già di prima mattina, oppure stringe i denti e accenna un amaro sorriso dietro i cappotti sgargianti dei più ricchi, e Thebe diventa un arcobaleno di emozioni.
-Gente di Thebe, amati sudditi, stringiamoci ai Principi Ereditari e a questi sacri feretri! Possano le loro anime sempre sorvegliarci e guidarci!-
Gli abitanti dell'Acropoli si riconoscono subito: piangono, si battono il petto, vogliono avvicinarsi ai feretri e lanciano baci ai Principi. Quegli animali di Thebe Bassa stanno invece ritti sulle loro posizioni, nemmeno i volti vengono inquadrati. Meglio così, pensa all'unisono la folla ai piedi del grattacielo: nessuno noterà che stanno imbracciando le armi per riprendere la lotta.

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Capitolo 2
*** 1 ***


1
 

Margot chiuse la cerniera e le aggiustò le spalline alzando i loro fiori di pizzo nero. Ella la osservava compiere ogni piccolo, lento, accurato gesto: spostò la sedia della specchiera, la fece accomodare e afferrò una spazzola dopo aver aperto un cassetto. Margot iniziava a spazzolarle lentamente i capelli, con attenzione e quasi devozione, quasi avesse paura di staccarle la testa pettinandola: continuava ad osservarla e si compiaceva di quella sua tenerezza, di quelle sue piccole mani nere e paffute che impugnavano ciocche di capelli dello stesso colore, le allisciavano per bene e le intrecciavano in mille e più nodi illuminati da fermagli dorati.
A stento  si riconobbe quando passò dall'osservare le manine della domestica al proprio volto e sorrise compiaciuta: le aveva illuminato le guance e le ciglia con della polvere d'oro, le palpebre con dell'ombretto nero e le labbra con un leggero velo di rosa. Kreon e il Gran Consigliere avevano dato le precise disposizioni di essere "eleganti, perfetti, bellissimi anche durante il terribile lutto". Adesso stava finendo di acconciare i capelli e il risultato, con quel tripudio di trecce e fermagli dorati tutti intorno, sarebbe stato sicuramente strabiliante.
-Dove hai imparato ad intrecciare così bene i capelli, Margot? Sono così belli!-
-Ah, principessa mia, tutti segreti di famiglia! Ma se insistete, vi giuro che vi farò leggere il vecchio diario di mia madre, con tutte le regole appuntate!-
Margot parlava e intrecciava, poi improvvisamente si fermò e prese dalla specchiera un profumo. Lo spruzzò tutto intorno, fece cadere sui capelli altra polverina d'oro e prese dal portagioie un paio di orecchini d'oro a forma di lambda, scintillanti di mille riflessi sanguigni alla luce del lampadario, il tocco finale per l'incoronazione.
-Siete pronta, vostra Maestà- Margot le lanciò uno sguardo dolcissimo ma indecifrabile, un misto di tristezza, paura e ammirazione - Potete alzarvi in piedi-
Si alzò dalla sedia e piantò gli occhi sul proprio volto. Quella che vedeva allo specchio era una giovane donna dalla pelle olivastra e gli occhi dipinti di nero ed oro, con le labbra leggermente corrucciate e il viso incoronato da un tripudio di ricci, trecce e fermagli d'oro. L'abito che indossava era bellissimo: le spalline di pizzo nero lasciavano spazio ad un corsetto degli stessi tessuti, decorato da ricami dorati, e poi ad un'ampia gonna di tulle, lunga e vaporosa, che riprendeva gli stessi motivi del corsetto. Fece una giravolta per far ruotare la gonna, che si mise quasi a brillare come se fatta di scintille, mentre Margot continuava a guardarla ammirata.
-E' .. Bellissimo. Le sarte hanno fatto un lavoro incredibile, porta i ringraziamenti da parte mia-
-Lavoriamo per voi, vostra Maestà. Per voi e per i vostri fratelli-
I loro occhi si incontrarono e quasi le venne voglia di abbracciarla, di ringraziarla, di cederle gli orecchini a forma di lambda come pegno della sua pazienza, e lo avrebbe sicuramente fatto se qualcuno non avesse chiamato il suo nome.
-Devo andare, Maestà .. Devo dare un'ultima occhiata al salone da ballo. Con permesso-
Margot la lasciò lentamente dopo aver fatto un inchino a lei e ad Ismene che entrava e le lanciava un sorrisetto affettuosamente freddo, lasciandola uscire.
Anche Ismene indossava il suo stesso abito, ma le strette spalline e la forma severa del corpetto sembravano irrigidire troppo la morbidezza delle sue spalle bianche e fin troppo morbide. Eppure riusciva comunque bella, candida come la neve e bionda come il grano, con quei grandi occhi azzurri simili a quelli di papà. Sorrideva di un sorriso dolcemente triste e il contrasto tra il nero dell'abito e il candore della sua pelle contribuiva ad accrescere la sua eleganza nonostante l'abito dell'incoronazione le stesse stretto.
-Antigone, finalmente! Coraggio, fatti guardare!-
Fece una giravolta lentamente, poi più velocemente e la fece sorridere con gli scintillii dell'abito.
-Sei bellissima, davvero!- le loro mani si stringevano. Ismene era sempre tiepida e morbida come un cucciolo, nemmeno pareva essere più anziana di lei. I suoi occhi brillavano di una dolcezza e di un'innocenza infantile che lei invece sentiva di aver perso -Sei tanto uguale a mamma, sai?-
Si strinsero lentamente,noncuranti dell'abbigliamento e i loro occhi brillarono, noncuranti del trucco. Si staccarono dall'abbraccio altrettanto lentamente, osservandosi insieme,e i propri occhi neri incontrarono quelli vitrei, di ghiaccio, della sorella. Pareva fatta di neve e ghiaccio quella sua sorella, eppure riusciva di essere calda e morbida come l'erba dei Giardini Reali.
-I nostri fratelli sono pronti?-
-Quasi, sai quanto ci mettono a prepararsi-ridacchiò con le sue fossette rosate - Soprattutto Polinice, chissà come vorrà acconciata la barba!-
Qualcuno bussò due colpi alla porta. Erano due colpi energici, decisi, seguiti da uno scampanio metallico.
-Avanti!-
La porta cigolò e si aprì, lasciando entrare il Gran Consigliere: anche lui vestiva di nero ed oro, e d'oro si era fatto tingere capelli e unghie. Aveva messo anche delle particolari lenti a contatto giallastre che rendevano i suoi occhi serpentini. Ella e Ismene si alzarono di scatto e lo salutarono con un piccolo inchino, ricambiate subito dopo.
-Vostre Altezze Reali- stava fermo sull'uscio e sorrideva loro benignamente-Permettetemi prima di porgervi i miei complimenti per il vostro abbigliamento e il vostro aspetto. Siete .. Brillanti. Particolarmente brillanti, com'è giusto che fosse. Il nero dell'abito non toglie nulla alla vostra dolcissima eleganza ..
-Siete molto gentile, Gran Consigliere- Era sempre Ismene a voler prendere la parola con lui, ancora lei non si sentiva in grado di parlargli con confidenza come facevano i suoi fratelli o zio Kreon. Forse da piccola gli si rivolgeva per accompagnarla ai Giardini Reali quando mamma o papà o gli altri non potevano giocare, ma adesso si limitava ad inchinarsi dinanzi a lui quando passava e a sorridergli da lontano-Il vostro abbigliamento non è da meno affatto, brilleremo ancora e nonostante tutto- Era splendida, Ismene, già pareva la futura Regina. Magari una Regina senza re, poco importava, ella avrebbe fatto da entrambi.
Il Gran Cancelliere le prese una mano e gliela baciò.
-Coraggio, principesse care .. E' tempo di raggiungere la terrazza. L'incoronazione è fra pochi minuti, andiamo!-
Il loro piccolo corteo uscì dalla sua stanza da letto e percorse il lungo corridoio, illuminato a giorno e decorato a festa come non mai: i drappi neri erano sì presenti alle pareti, ma a terra erano stesi tappeti rossi e corone di rose rosse e oro pendevano dai lampadari. Da lontano captò il vociare di Polinice e il ridacchiare di Eteocle e subito dopo anche i ragazzi si unirono al loro gruppo, splendidi come non mai: entrambi indossavano dei cappotti di seta nera, lucida come non mai, chiusi da bottoni dorati e da una spilla a forma di lambda, e tenevano stretta in mano la loro pistola nuova, anch'essa perfettamente lucidata. Si differenziavano solo nell'aspetto: il primo tanto simile a lei, con i bei ricci e la barba brillanti di polvere d'oro, il secondo identico ad Ismene, coi grandi occhi di ghiaccio e il viso angelicamente severo. Erano talmente belli da sembrarle irreali.
-Eccovi qui- sussurrò Eteocle dall'ombra, sorridente e perfetto come se non conoscesse il dolore-Siete splendide, splendide davvero-. Le sue braccia si fecero per qualche secondo un piccolo rifugio per entrambe, poi Polinice le baciò sulla fronte e l'inno di Thebe iniziò a risuonare.
-Prendiamo l'ascensore, Altezze! Siamo già in ritardo!-
A passo veloce percorsero il corridoio, raggiunsero l'ascensore ed entrarono. Esso scattò immediatamente, diretto alla terrazza, sibilando, e raggiunsero la terrazza. Essa, di puro marmo, brillava come neve al sole di riflessi di mille colori, decorata anch'essa da tappeti rossi ed oro; il trono per l'incoronazione dava sulla piazza, già gremita di gente, mentre già le telecamere inquadravano i loro volti e da sotto scrosciavano applausi ed urla di gioia.
-Prendete posto intorno al trono, mi raccomando. Vado a sbrigare le ultime faccende-
Ismene ed Eteocle erano già alla balaustra e salutavano la gente di sotto, sorridenti come non mai. Erano incredibilmente sicuri di sè, quasi fossero appena diventati loro i regnanti, e si compiacevano di ogni applauso o scroscio di risa; Polinice stava ancora accanto a lei col volto serio, quasi non riuscisse a godersi lo spettacolo ma anzi aborrisse quella vista.
-Cosa c'è, non ti unisci a loro?-
-Stavo per chiederti la stessa cosa-
-Queste pantomime non mi interessano. Odio eventi del genere..-
L'inno si fece più forte e notò che quasi si stesse portando le mani alle orecchie, ma subito si fermò perchè inquadrato. Ma subito l'attenzione della telecamera si spostò al nuovo arrivato: Kreon entrava in scena. Lo zio era magnifico, aveva un abito degno di un re: il suo lucido smoking nero era decorato da borchie e da piccole lambda d'oro e indossava un lungo mantello tenuto in tinta con lo smoking tenuto fermo da spesse spalline appuntite; la barba, grigia e nera, era stata leggermente spuntata alle punte e arricciata, e i suoi occhi brillavano di riflessi rossi.
Si avvicinava al trono circondato da loro, i quattro nipoti, i quattro Principi Ereditari. Alzava le braccia e la folla era in tripudio, poi sedeva sul trono non appena il Gran Consigliere, posto alle sue spalle, recava la corona sottile che cingeva la fronte e il globo con la lambda incisa., quelli che erano stati di papà. Zio Kreon li prendeva, li alzava e la folla impazziva, poi li indossava e li teneva con sè: Kreon Labdakou, alla morte del cognato, diventava nuovo sovrano di Thebe. Poi si fecero avanti il Gran Consigliere con la Guardia con le spade in mano, abbassate al nuovo Re, dunque i rappresentanti del Senato con gli esponenti più in vista dei Migliori: tutto veniva inquadrato, tutto veniva ripreso, tutto faceva impazzire Thebe laggiù, oltre la terrazza.
All'applauso decisero di unirsi anche loro e di imitare i gesti dello zio, ma nella fibrillazione generale fu solo Antigone ad accorgersi che Polinice era sparito.
-Dov'è andato Polinice?-
-Cosa? Non ti sento!- ribattè Eteocle-  ..  Sia sempre innalzato il glorioso nome di Thebe e della stirpe dei Lambdakou, figlia e madre della città!- E l'inno suonava ancora, in mezzo agli applausi e alle risa.

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Capitolo 3
*** 2 ***


2

In cima ad un piccolo palco a forma di cristallo, montato proprio al centro della sala da ballo, la cantante intonava una vecchia canzone dei tempi di zio Kreon, risalente addirittura alla sua adolescenza. Era una canzone lenta ma coinvolgente che parlava di angeli, dei e mostri calati in un'atmosfera onirica, profumata di vecchi alcolici e rimbombante della calda voce della donnina sul palco e delle note del suo piccolo gruppo.
La cantante era incredibilmente bella, quasi fosse uscita dalla canzone stessa: la sua pelle color salmone e i suoi spumosi capelli color champagne, appuntati da un fermaglio nero a forma di stella, era decorata da piccole borchie sulle braccia e sulle gambe nude, mentre per il resto era fasciata da un tubino nero tenuto fermo da una crinolina dorata. Si muoveva con gesti aggraziati e lenti, compiendo una specie di danza serpentina intorno al microfono e sbattendo le lunghe ciglia nere. Tutti erano incredibilmente ammaliati e tenevano lo sguardo verso di lei, alcuni fumando una sigaretta e alcuni sorseggiando un drink. Zio Kreon stava davanti a tutti, circondato da adulti in abiti particolari e sgargianti e coronati da acconciature vistose, e lanciava occhiate compiacenti ai suoi amici e amiche intorno su quanto fosse brava l'artista scelta per la serata. Tutto trasudava lusso e ricchezza, dai lampadari decorati da rose oro, ai tappeti, alle sculture di ghiaccio a grandezza naturale, alle fontane di champagne e cioccolato, ai vassoi di cibo, ai vestiti degli ospiti.
Appoggiata alla balaustra di una balconata osservava lo spettacolo di casa, sorridendo malinconicamente. C'era nata in quel mondo luccicante e splendente, non era raro che quando mamma e papà erano vivi partecipasse a feste del genere. Eppure quella serata le incuteva uno strano timore misto a frenesia, divisa com'era se unirsi al gruppo di zio Kronon o restare in quella posizione, con accanto Ismene  e Polinice che fumavano annoiati ed Eteocle che smanettava col suo palmare. Antigone lasciò penzolare un braccio e zio Kreon la notò, sorridendole da lontano e facendole cenno di scendere.
-Ismene! Zio Kreon ci ha chiamati! Scendiamo?-
Ismene si voltò di lei, spense la sigaretta e le sorrise.
-Ma sì, dai .. Vorrei chiedere alla cantante dove abbia preso quel vestito, è incredibilmente bello. Eteocle, tu scendi?-
Da Eteocle provenne un mugolio indistinto, indecifrabile.
-Lo prendiamo per un no. Polinice? Siamo i Principi Ereditari e siamo spariti per tutta la sera!-
-Non mi va, odio quella gente. Andate ad avvelenarvi voi con i loro discorsi-
Rimasero ammutolite e si limitarono a scendere le scale, girandosi ogni tanto verso di lui.
-Ultimamente è molto strano, Antigone. Hai idea di cosa gli sia preso?-
-Non dirlo a me. Oggi alla cerimonia di incoronazione non l'ho visto nemmeno un secondo-
Lungo la scalinata i loro abiti ondeggiavano e frusciavano, e Antigone se ne compiacque. Era un rumore lieve e dolce, nascosto nelle zone d'ombra che i grandi fari e lampadari della sala non riuscivano ad illuminare, e per un attimo le parve quasi che il fruscio delle loro gonne oscurasse la musica allegra e chiassosa della sola. Un flash le percorse la mente come un lampo, e c'erano lei e Ismene da bambine che correvano giù inseguite dai fratelli, coi vestiti bianchi e spumosi delle grandi serate degli anniversari di matrimonio di mamma e papà, poi si ritornava alla realtà e, alzando lo sguardo, intravedeva Polinice che fumava malinconicamente. La sua sagoma nerastra faceva risaltare il puntino rosso della sua sigaretta.
-Kreon! Eccole qui, le nostre principesse!-
Una vocina femminile e squillante faceva i loro nomi e partì uno scroscio di applausi generale, mentre un faro puntava verso di loro. Zio Kreon si faceva avanti tra loro, allegro e sorridente, mentre due cameraman e un fotografo lo seguivano per immortalare quei momenti e mostrarli all'intera nazione.
-Eccole qui, le figlie di mia sorella e del mio caro cognato .. Belle e sagge come i genitori!- Kreon venne incontro a loro, baciò prima Ismene e poi le sue sottili labbra baffute si posarono sulla sua guancia. I cameraman e il fotografo non persero l'occasione per immortalare quella tenera scena di vita di corte. Stettero fermi per qualche secondo e accennarono un sorriso per le reti televisive e la stampa, poi Kreon pregò loro di allontanarsi e le portò via con sè, seguito sempre dal gruppetto colorato e sfavillante dei suoi amichetti.
-Ragazze mie, non siete più delle bambine! Io sono solo il Reggente ormai, ma ben presto il trono sarà vostro .. Dovete iniziare a conoscere gente nuova e farvi una cerchia di amici, proprio come me! I vostri fratelli dove sono?-
-Principe! Eccovi pure!- il cameraman sbraitava e faceva avvicinare i colleghi- Un sorriso per la nazione, di grazia!- . Si voltarono verso Eteocle che entrava, zio Kreon gli corse incontro e concesse alla stampa di immortalarlo col nipote,.
Lo abbracciò con affetto e amichevolmente gli posò una mano sulla spalla.
-Chiedevo alle tue sorelle dove fossi, nipote ..-
-Eccomi qua zio, ero stanco di rimanere lì-
-E tuo fratello dov'è? Coraggio ragazzi, seguitemi al buffet che devo farvi conoscere qualcuno-
-Polinice è sparito, non ho idea di dove si sia cacciato!-
Zio Kreon ridacchiò e bevve un altro sorso dal suo bicchiere. -Eh, abbiamo un principino timido .. Ma imparerà, imparerà, ancora è giovane ..-
Il lungo tavolo da buffet copriva quasi tutto il lato destro della sala ed era perennemente affollato. Nonostante ciò, il cibo non pareva terminare e anzi ogni quindici minuti i cuochi venivano a rifornirlo. Zio Kreon le fece avvicinare ad un piccolo gruppo di giovani uomini in uniforme, i cadetti della Guardia Reale: vestivano tutti con un uniforme grigia ben accollata, con bottoni d'oro, ed avevano i capelli tutti acconciati allo stesso modo, una capigliatura corta e ben allisciata con un piccolo ricciolo sulla fronte. Appena si accorsero di loro si voltarono e fecero un profondo inchino.
Un ragazzo in particolare si fece avanti: era più alto e massiccio degli altri, ben piantato, con robuste spalle e i capelli rossastri. I suoi occhi serpentini e azzurri lanciavano lampi sprezzanti e terribili, quasi volessero già da subito mostrare la sua indole decisa e pregna di senso dell'onore.
 Mosse qualche passo avanti, si inchinò profondamente davanti zio Kronon e si inginocchiò.
-Capitano Hans Achilleus, capo della Giovane Guardia Reale al servizio di vostra maestà-
-Piacere di conoscervi, Capitano- pronunciò solennemente zio Kreon, invitandolo ad alzarsi - Mi hanno molto parlato di voi, elogiandovi molto. Finalmente ho l'onore di incontrarvi e di vedervi dal vivo, Capitano, e nonostante non mi fermi mai all'apparenza sappiate che già il vostro aspetto dignitoso e fiero vi rende onore. Che i cadetti possano prendervi ad esempio!- poi si voltò verso di loro e le fece avanzare -Rendete omaggio alla Guardia Reale anche voi, ragazze-
Fu la prima a farsi avanti, limitandosi a salutarli con un inchino. La Guardia Reale, nonostante fosse stata composta per la difesa dei sovrani- come papà le ricordava sempre-, non aveva mai smesso di incuterle un certo timore. Per non parlare dello stesso Achilleus: i suoi occhi erano freddi come stalattiti e altrettanto pungenti e lampeggianti, nonostante fossero simili a quelli di Ismene. Ella invece gli porse una mano, lo fissò con attenzione e Hans la prese tra le sue, grandi e venose, e se la portò alle labbra. Anche un cieco avrebbe notato l'intenso gioco di sguardi tra loro e l'avvampare di lei, e zio Kreon ridacchiò dolcemente.
-Parlate pure, gioventù cara! Vi lascio da soli!-
Gli rivolse uno sguardo di supplica ma le rispose con un occhiolino. Non voleva stare con la futura coppia reale, già da subito persa in chiacchiere da ragazzi grandi ed eleganti, e optò di ritornare alla balconata. Attraversò la sala in mezzo ai saluti degli invitati, cercò loro di rivolgere sorrisi amichevoli e, salite le scale, si sedette su uno dei divani.
-Sei tornata?-
La voce di Polinice, immerso nella sua solita penombra e con la sigaretta ancora tra le dita, la fece sobbalzare.
-Ho girato abbastanza per oggi-
-Vuoi un tiro?-
Si fece avanti e si sedette accanto a lei, porgendole la sigaretta.
-Perchè non sei sceso?-
-Per lo stesso motivo per cui sei salita. Quella gente mi sta sul cazzo, Antigone-

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Capitolo 4
*** 3 ***


3

Gli accarezzava lentamente il petto e Emon sorrideva. Giocava con i nei a creare costellazioni e con quelle sue piccole, strane cicatrici rosate che gli segnavano la pelle come nuvole all'alba. All'Acropoli si è molto fortunati, diceva sempre mamma: l'alba è sempre chiara e pulita grazie al gigantesco filtro posto sopra la città, che la protegge da smog e inquinamento. E siccome a volte la pigrizia le impediva di saltare fuori dal letto per ammirarla, giocava a trovarla su quella pelle giovane e virile, regale e resistente come marmo.
-Non ti annoi a farlo?- le sussurrò mentre tirava fuori una mano dalle coperte e le accarezzava la testa. Erano incredibili, quelle mani sue: forti e venose, con quelle dita lunghe come fusi ma calde e buone come la luce del sole. Emon pareva fatto davvero di luce.
Gli ricambiò un sorriso che fece brillare quegli occhi piccoli e furbi, color smeraldo, e ondeggiare la testa fitta di ricci neri e rossastri.
-Mi diverte disturbarti, lo sai-
Le prese il viso tra le mani e lo avvicinò al suo finchè le loro labbra si toccarono. Quando metteva il dopobarba le piaceva, ma quando non si radeva per giorni ancora di più: la sua barba color rame era morbida, non pungente come tutte le altre. Sentivano ancora i postumi della festa alla villa dei Bacchos e, arrivati alla tarda mattinata, si chiedevano ridacchiando quanto avessero dormito; sapevano solo di esser stati a letto dopo una notte a pomiciare sussurrando, occhio a non essere sentiti da Polinice o Eteocle, o peggio ancora da zio Kreon in perlustrazione. Poco importava che la sentisse Ismene, d'altronde l'aveva sentita anche lei alla serata dell'incoronazione qualche settimana prima: Ismene lo stava portando sul retro e Hans l'aveva palpata più di una volta. Se ci pensava però le si stringeva il cuore, non tanto perchè pomiciasse con un tizio conosciuto la sera stessa quanto perchè pomiciasse con Hans Achilleus. Se zio Kreon l'avesse saputo si sarebbe messo le mani ai capelli, ma lei non faceva altro che parlare dei suoi occhi azzurri e serpentini ed era arrivata a scrivere il suo nome sulla spallina del reggiseno.  Fortuna che Margot non aveva aperto bocca e s'era limitata a sospirare.
-Hans Achilleus dici? Kreon me lo ha presentato la sera dell'incoronazione, gli ha detto che sono suo figlio! Dici che ad Achilleus viene un infarto se ci vede insieme?-
Prendeva una sigaretta dal comò, l'accendeva e aspirava per bene.
-Non è falso al cento per cento, ammettilo-
-Fammi fare un tiro, da brava ..  Hmm, tra il concepire e trovare nel bidone della spazzatura c'è una bella differenza però!-
E i suoi occhi si facevano tristi, e si ritornava a venti anni prima. Lei non c'era ancora, ma di quante volte glielo avevano raccontato s'era ormai immaginato ogni particolare come se l'avesse vista di presenza: zio Kreon, che non voleva sposarsi, usciva di casa per una commissione e tornava a casa con un neonato col pancino bruciato. Quel bimbetto ferito venne chiamato Emon e zio Kreon lo tenne con sè. Eppure il piccolo orfano non avrebbe mai chiamato il suo salvatore papà, soprattutto dopo aver scoperto le modalità in cui era entrato in famiglia.
Emon fumava lentamente e buttava fuori dalla bocca bianchi anelli di fumo. Aveva le labbra leggermente arricciate, proprio come quando la baciava, e il collo tutto meravigliosamente teso con qualche succhiotto intorno. Lo osservava e cercava di entrare nei suoi occhi malinconici e tristi: l'aveva conosciuto così d'altronde, sempre con lo sguardo perso in chissà quale ricordo lontano, qualora lo avesse. Ma la smorfia del suo volto lo tradiva. Antigone aveva sempre cercato di evitare il discorso, ma era lui stesso che lo tirava fuori. Non aveva risposte da sè e li cercava negli altri.
Gli strinse la mano e se la portò alle labbra.
-Coraggio, non pensarci .. Cambiamo discorso, su-
Ridacchiò.- Dovrei chiedere a Kreon, un giorno-
-Non trastullarti il cervello con questi complessi Emon, avanti-
-Già, già. Va bene mamma, la smetto-
 
Lo Sky Needle era un incredibile spettacolo. Si ergeva al centro dell'Acropoli con tutta la sua sottile magnificenza e i fari che ne delimitavano i confini e permettevano alle aerolimo di fermarsi e di far scendere i loro passeggeri. Anche la loro si fermava lì lentamente, sibilando tutta, il maggiordomo dai capelli rosa apriva loro la portiera e cavalcavano il tappeto rosso che conduceva all'ascensore mentre qualche buttafuori intanto disperdeva i fotografi e ulteriori disturbatori.
-Vostra Maestà- il maggiordomo aveva un accento del Satellite 54 -E le care Eccellenze, siate i benvenuti come sempre-
-Salve, Ganymed- zio Kreon usciva stando attento a non far incastrare il suo lungo cappotto-Ho prenotato un tavolo, come ogni domenica sera. Ci scorti fin là?-
Ganymed annuiva profondamente e accompagnava il loro gruppo fino alle portiere di cristallo e platino dell'ascensore, cercando di allontanare con gesti della mano gli scocciatori con le macchine fotografiche in mano.
-Tranquillo Ganymed, lasciali pure fare, fra poco saremo a destinazione ..-
Zio Kreon era elegante come sempre, anche con un completo vecchio stile. Arakne Magoon, la stilista dei reali e delle celebrità-e di conseguenza anche loro- riportava alle luci della ribalta la moda di cento anni prima: colori sobri, pantaloni e gonne accollate, giacche di velluto e spille d'oro e pietre preziose. Lo zio indossava calzoni neri, una camicia dello stesso colore e un cappotto nero dai bottoni d'argento, chiuso dall'immancabile spilla a forma di lambda, che ricordava molto la divisa di Hans Achilleus, presente anch'egli alla cena e vestito molto simile a lui. Non voleva ammetterlo di solito, ma quei due stavano diventando amiconi e ciò faceva brillare gli occhi ad Ismene, vestita per l'occasione con un abito di seta azzurro chiaro, stretto in vita da una cintura bianca, e con la testa decorata da un cappellino in tinta con veletta. Ella stava tutta impettita, profumata dai capelli alla testa, e non faceva che inviare sguardi timidi ad Hans, tutti ricambiati. Quanto ad Eteocle, s'era fatto confezionare dalla Magoon un completo simile a quello dello zio e di Hans, ma sui toni del nero e del rosso, mentre Polinice aveva scelto un completo semplice sui toni del marrone  e così aveva fatto anche Emon. Lei invece aveva un vestito simile a quello di Ismene, ma con le maniche a sbuffo e verde chiaro, con una cintura marrone.
Entravano nell'ascensore, finalmente lontani da sguardi indiscreti. Ganymed premette il pulsante "Su" e l'ascensore schizzò a tutta velocità. Con la coda dell'occhio vide Ismene appoggiarsi ad Hans ed egli accarezzarle la mano.
-Benvenuti allo Sky Needle, Vostre Eccellenze- Ganymed li conduceva in una sala ampia e lussuosa, coi divani neri e i tavoli di marmo bianco, a cui sedevano persone ben acconciate e curate. Appena fecero il loro ingresso tutti si voltarono e si alzarono in piedi, prima inchinandosi e poi battendo allegramente le mani. Il cameriere li condusse ad un tavolo su un piano leggermente rialzato, li fece accomodare e chiamò un cyborg in uniforme a portar loro i menù.
-Un buon appetito alle Vostre Maestà e buona serata!-e li lasciò soli.
Cercò di nascondere i brontolii della fame spingendo la mano sulla pancia e assumendo un'espressione contratta. Ismene lo notò e con lo sguardo le intimò di smetterla. Continuò a leggere il menù sbuffando finchè trovò ciò con cui potesse acquietare la propria fame. Pochi minuti decisero cosa prendere anche gli altri e zio Kreon alzò il braccio per attirare l'attenzione. Il cyborg schizzò dalla sua postazione, dalla sua strana e buffa bocca quadrata tirò fuori un blocnotes e una penna e iniziò ad appuntare i vari ordini.
L'ambiente era allietato da una musica allegra e vecchia, in perfetto stile con i loro abiti. Su un tavolo era posato uno strano aggeggio con un corno dorato e il corpo di legno, sul quale ruotava un grande disco nero.
-Zio, cos'è quel coso?-
-E per dessert una Chantilly Shortcake .. Eh, cosa intendi?-
-Quell'oggetto laggiù da cui esce la musica!-
-Ah!-ridacchiò, uscì fuori un sigaro dalla tasca e lo accese-Si chiama grammofono, Antigone. Sono oggetti molto rari e preziosi ormai, ma a casa ne abbiamo qualcuno .. Apparteneva al nonno,sai? Ereditato da suo padre!-
Hans chiese allo zio un sigaro e venne esaudito. Ismene fissava ogni suoi singolo gesto e ne avvampava.
-Vostra Eccellenza, lo trovo un oggetto magnifico! Anche la mia famiglia ne possedeva uno, con una gran bella raccolta di dischi .. Se me lo concedete, Maestà, vorrei rispolverarlo- si unì alla conversazione di colpo, ridacchiando col suo solito sorriso da serpe e puntando gli occhi verso Ismene -Ho tante belle canzoni .. Belle canzoni d'amore per belle ragazze- e Ismene ridacchiava tutta portandosi una manina alla bocca.
-Stupido ragazzino pulcioso!- la voce di Ganymed tuonò e interruppe l'atmosfera gioiosa della sala, facendo affacciare Polinice dalla sua silenziosa postazione.
-Mi .. Mi dispiace, monsieur, ma mi si son scottate le dita e .. e..-
Vedevano da dietro una tenda Ganymed che se la prendeva con un piccolo sguattero pallido e magro, che aveva sì e no dodici anni. Il suo aspetto malaticcio, gli occhi infossati e l'abbigliamento parlavano chiaro: era un ragazzino di Thebe Bassa.
-Non mi importa un fico secco delle tue dita scottate!- e gli tirava le orecchie con una brutalità pazzesca, quasi sconosciuta ad un tipo raffinato come lui-Ne ho abbastanza delle tue distrazioni! Sei ufficialmente fuori!-
-La prego, signore! Non sbaglierò più, la prego! La mamma sta male, per favore, mi lasci qui ..-
La gente si voltava di nuovo e riprendeva le proprie conversazioni brillanti. Anche loro lo fecero, e i piagnistei del ragazzino furono alle loro orecchie un semplice brusio lamentoso e ovattato, lontano su tutti i punti di vista.
-Cosa può importarmene di tua madre, eh? Qui c'è un ristorante da mantenere! Voi di Thebe Bassa non siete adatti nemmeno a fare gli sguatteri, benchè ci siate nati così! Vai fuori!-
Solo Polinice restava a guardare quel punto lontano e cupo. I suoi occhi erano duri e l'espressione severa, immobile com'era come una statua.
-Thebe Bassa già è un inferno, una discarica- Hans fece un tiro e notò la direzione del suo sguardo accigliato -Per non parlare dei bambini. Sarebbe un ottimo bersaglio, non pensate, Maestà?-
Polinice si voltò rabbiosamente verso di lui e lo squadrò per bene in faccia. Alla sua espressione irata Achilleus rispose con un sorriso pregnante di fumo.
-Perdonatemi, Maestà .. Non volevo interrompere il vostro divertimento-
Polinice allungò le mani, si alzò rabbiosamente e si precipitò fuori dalla sala. Era calato il silenzio.

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Capitolo 5
*** 4 ***


4

Avevano consumato il primo in un imbarazzante silenzio rotto solo dallo sbuffare di Hans e dello zio che fumavano placidi. A loro pareva che quella piccola sfuriata di Polinice non fosse mai accaduta e che s'era semplicemente alzato per andare al bagno, e lo stesso si poteva dire di tutta la sala.
-Prima che arrivi il secondo, Antigone- zio Kreon ruppe il silenzio con la propria voce, questa volta- Va' a cercare tuo fratello. E' inammissibile che a vent'anni si debba dar di matto in questo modo-
Si alzò lentamente, circondata dagli sguardi freddi di Hans e dello zio e dallo sguardo preoccupato di Ismene. Emon, insieme ad Eteocle, era totalmente assorto nella contemplazione della cantante che s'era presentata in sala, pallida come la luna e con lunghi boccoli azzurri, e ricevette sulla spalla una pacca di amorevole gelosia. Antigone percorse la sala in silenzio, cercando di schivare gli sguardi e gli inchini dei presenti e i camerieri che le sfrecciavano accanto, raggiunse la scala che portava alla terrazza e iniziò a salire piano. Man mano che la percorreva, appoggiandosi al luminoso corrimano e mettendo un piede dopo l'altro sugli scalini, abbandonava quella cappa pesante e brillante delle chiacchiere e della musica d'alta classe della sala, finendo dunque per sbucare su e liberarsi di essa.
Sotto il marmo della terrazza, ticchettante passerella per le sue scarpe, e sotto Thebe Alta illuminata e sfavillante, brillante di luci bianche e azzurre nella notte. Il marmo e il cristallo degli edifici si mischiavano alle insegne  fluorescenti rosse e verdastre dei locali e delle cime dei grattacieli. La balconata della terrazza dello Sky Needle si affacciava a strapiombo in quell'oceano di luci e rumori e musica, in quell'oceano notturno in cui Thebe Alta prendeva vita inaspettatamente. Sopra di lei, sopra quello sfavillare rumoroso e artificiale, anche il cielo dava spettacolo:  la volta bluastra della notte brillava di mille e più luci silenziose, ferme o in movimento, talvolta roteanti. Era una fortuna vivere a Thebe Alta, dicevano tutti: il filtro purificava il cielo e lo liberava dallo smog della periferia.
Teneva lo sguardo e il naso puntato verso l'alto, col dito teso verso l'oscurità bluastra e luminosa, e un flash le passò per la mente, veloce e silenzioso come la cometa di cui aveva appena segnato il breve cammino.
-Quello è Perseo il cacciatore, con la sua cintura luminosa-
-Papà, ho visto! Sembra la cintura che lo zio mette nelle occasioni speciali-
Abbassò lo sguardo verso due macchie nere che coprivano parte di quell'immensità bluastra e argentea,  una più alta e illuminata da un puntino rosso di sigaretta accesa, spessa e corpulenta, e una più bassa e magra, quasi fosse l'ombra di un bambino. Le ombre parlavano con due voci, una adulta e una infantile.
-Non hai mai visto il cielo? Davvero? Nemmeno da quando ..sei qui, insomma?-
-Mai, V-vostra Ma-Maestà-
Polinice gettava la sigaretta dalla balconata e prendeva il bambino tra le braccia, sollevandolo delicatamente e mettendoselo sul collo.
-Coraggio, tieniti alle mie spalle e guarda su .. Guarda quanto vuoi, non ho fretta! E soprattutto, non chiamarmi Vostra Maestà! Io sono Polinice e siamo amici!-
Il ragazzino rideva e alzava il naso in aria, proferendo sospiri di ammirazione e stupore che la fece sorridere troppo rumorosamente, dacchè Polinice la notò con la coda dell'occhio e fece scendere il ragazzino dalle spalle.
-Purtroppo devo andare, mio giovane amico- lo poggiava delicatamente e gli carezzava affettuosamente la testa. La sua voce era morbida e affettuosa, ma il suo sguardo s'incupì appena la vide avanzare.
-Lo zio ti cercava, Polinice-
Non le rispose nè la guardò, ma si voltò di nuovo verso il ragazzino, si abbassò e uscì dalla tasca il portafoglio. Ne trasse fuori due dracmes e gliele porse.
-Ma .. Signore ..-
-Come ho detto di chiamarmi? -ridacchiò- Ne ho tante a casa, servono più a te che a me. Con queste puoi comprare del latte, delle uova e del pane per mamma, sai? Ai mercati di Thebe Bassa sai dove prenderlo, lo sai meglio di me ..-
L'oscurità si riempì di quei singhiozzi infantili: era un pianto triste ma allo stesso tempo pieno di speranza e gratitudine, così forte e intenso da farle spezzare il cuore. Il bambino non s'era nemmeno reso conto della sua presenza, forse l'influenza di Polinice non gliel'aveva fatta notare. Per lui sicuramente era una dei Principi Ereditari e basta, solo  la Principessa Minore, bella e ingioiellata come una dea e altrettanto lontana, impossibile da raggiungere e da toccare. Qualcuno di un mondo opposto e lontano dal suo, un mondo luccicante, ricco e crudele.
-E se ci sono problemi, sai dove trovarmi! Non preoccuparti se non ti faranno entrare, appena sentirò il trambusto io scenderò subito ad accoglierti! Ci conto!-
Le due figure si cinsero in un abbraccio lungo e paterno, scrosciante delle risate del bambino. Poi Polinice si staccò piano, gli accarezzò nuovamente la testa e si congedò.
-Adesso vado, suntrophos! Mi chiamano! Abbi cura di te!-
Suntrophos. Era la prima volta che sentiva da così vicino il dialetto di Thebe Bassa, pronunciato senza quella forte cadenza popolana e dura tipica degli abitanti delle periferie. Era un linguaggio rozzo e lontano, di cui aveva sentito qualche parola solo qualche giorno prima, quando avevano fatto impiccare due ribelli. Avevano assistito alla scena dalla balconata, di nascosto perchè zio Kreon non voleva che Principi Ereditari così giovani e ancora devastati da un lutto vedessero scene così violente: il boia conduceva al patibolo due tizi vestiti di rosso e nero, li faceva sedere su uno sgabello e metteva la corda al collo. Lo zio chiese loro se avessero nulla da dire prima di diventare cibo per le aquile del Tempio: loro risposero che tutta la dinastia dei Labdakou doveva andare a farsi fottere. Ridacchiarono, sputarono e porsero il collo alle corde.
La raggiungeva a passi lenti mentre rimetteva il portafoglio al suo posto.
-Zio Kreon mi ha chiamato, dici?-
-Sì, ti stavamo cercando. Che bel gesto che hai fatto, davvero .. Mi ha fatto tanto tempo-
Sbottò in una risata breve e dura, poi i suoi occhi si fecero nuovamente cupi.
-Qua a Thebe Alta dite tutti così, poi però restate immobili davanti a scene come quella a cui abbiamo assistito ..-
-Che intendi dire?-
Non rispose. Forse le parve che avesse mugolato qualcosa di offensivo, ma si limitò a non chiedergli più nulla. Quando iniziarono a scendere la sala si riempì di una vecchia canzone dolce e calda, molto lenta, per la quale Hans e Ismene si precipitarono in pista.
- A sentimental journey, Doris Day- vociò allegro zio Kreon - Mio nonno adorava questa canzone, ragazzi miei, è giusto che balliate sulle sue note anche voi .. Antigone, Emon, andate in pista anche voi, coraggio. Devo fare quattro chiacchiere con il figliol prodigo qui presente-
 
La sala delle colazioni risplendeva dei suoi colori delicati e chiari, adatti alle stanze da giorno. Un tempo era la stanza preferita di mamma proprio per queste sfumature cromatiche pacate e dolci, del tutto in contrasto con i forti colori delle altre sale. Quando si ritiravano dalle lezioni di solfeggio vedevano mamma sempre lì a prendere il tè con le amiche o con papà, e mamma sorrideva sempre quando vi entrava e recava in mano mazzi di rose bianche con cui decorare i tavolini.
Anche quella mattina le pareti di marmo rosa erano decorate da ghirlande di rose bianche, mentre le tende della finestra sulla Grande Corte erano state cambiate dopo la morte di mamma e papà: prima erano pesanti drappi di raso bianco, ora semplici tende di lino leggero. I drappi di raso bianco erano destinati alla sala da visite di zio Kreon, li aveva voluti lui e sua sorella gliel'aveva concesso.
Margot e Lucas portavano il carrello con la colazione: tè oolong e gallette di riso per zio Kreon ed Eteocle, verde e biscotti di pastafrolla per lei ed Emon, cappuccino e cornetto per Ismene e la tazzona di caffè di Polinice. Nel momento in cui entravano si faceva avanti anche zio Kreon, allegro e pimpante già dalla prima mattina, salutato dai camerieri con un profondo inchino.
-Buongiorno, buongiorno anche a voi .. Ragazzi!-
Si alzarono in piedi e chinarono leggermente il capo come prevedeva l'etichetta. Notò come ancora Polinice non fosse arrivato e lanciò uno sguardo preoccupato ad Ismene.
-Grazie, sedetevi pure .. Mmm, avevo una certa fame! Ma dov'è Polinice?-
Eteocle prendeva la sua teiera, versava il tè nella tazza dello zio e poi si serviva.
-Non ne ho idea, zio, davvero .. Basta così?-
-Sì, basta così .. Come non lo sai?-
-Giuro-
-Non dormite nella stessa stanza?-
-Appena alzato sono andato a controllare nel suo letto e non c'era. Era già disfatto, quindi ho pensato che fosse salito in mansarda  e in effetti l'ho trovato lì. Mi ha lanciato un'occhiataccia ed è sceso da lì, andandosene. Non l'ho più visto-
-Tutto chiaro .. Ah, nulla di grave. Sappiamo com'è Polinice, sarà andato a farsi una passeggiata ..-
La sala delle colazioni rimbombava dei rumori prodotti dai cucchiaini nelle tazze, dei lievi risucchi di zio Kreon e dei morsi famelici ai biscotti di Emon finchè da fuori iniziò a provenire un vociare animato e arrabbiato, tra cui spiccava una voce che le parve di conoscere. In quell'atmosfera di tranquillità pareva l'unica ad averlo captato da lontano, da dietro le tende, e decise di tacere prima di aver individuato chi fosse a parlare. 
La voce parlava il dialetto di Thebe Bassa, ma in un tono elegante e pacato, quasi fosse un cittadino dell'Acropoli a farsi animatore di chi gli stava davanti, probabilmente la folla che iniziava a riscaldarsi e aveva sentito muoversi pochi secondi prima. Poi gli venne in mente quella sera sulla terrazza dello Sky Needle e per poco non le andò il tè di traverso. Tossì rumorosamente richiamando l'attenzione dei presenti.
-Scottata col tè?-
Cercò di coprire la voce di Polinice alzando il tono della propria.
-Sì, zio. Scusami-
-Attenta, Antigone. Gustalo piano, che merita!-
Qualcuno bussò due colpi vigorosi alla porta.
-Avanti!- sbraitò zio Kreon pulendosi i lati delle labbra e i baffi.
La porta si aprì di scatto e Hans Achilleus avanzò. Indossava l'Uniforme di Difesa, quella nera con i bottoni d'oro e la cintura con attaccata la pistola, e il suo aspetto fece sobbalzare tutti, in particolare Ismene che sbiancò. Dietro vi erano alcuni commilitoni vestiti con la stessa uniforme, tutti ritti come se fossero già in assetto da combattimento. Avevano capito prima di loro, inconsapevolmente affacciati sul tumulto, cosa stesse accadendo nella Grande Corte.
-Vostre Maestà- sentenziò solennemente.
-Capitano Achilleus- zio Kreon lanciò ad Hans uno sguardo altrettanto preoccupato e sorpreso  -Cosa c'è? Perchè siete in divisa?-
-Non avete sentito nulla, Eccellenze? Povere e sagge orecchie vostre, così .. Inconsapevoli ..-
-Avanti, Capitano, ditemi che cosa sta accadendo-
Achilleus fece quattro rigidi passi, si avvicinò alla finestra e scostò le tende: zio Kreon riuscì ad ammirare la schiera dei ribelli sotto il palazzo reale, rossi dei loro vestiti e dei loro stendardi e neri della loro sporcizia. Tutti guardavano fissi in alto, in fremente attesa di vedere quelle tende scostarsi per iniziare ad urlare la loro rabbia.
-Vostra Maestà, correte ai ripari .. Ci pensiamo noi..-
Il Gran Consigliere si precipitava nella stanza accorrendo trafelato, con gli occhi ancora incrostati di sonno.
-Vostre Eccellenze! I Ribelli sono sotto il Palazzo, ritiratevi tutti nelle vostre stanze!-
Si strinse a Ismene che aveva già la lacrime agli occhi: più che alla loro incolumità pensava sicuramente a quella di Hans; Emon e Polinice si lanciarono uno sguardo e riuscirono quasi ad uscire dalla sala, ma il Gran Consigliere si piazzò davanti la porta bloccando l'uscita.
-Mi dispiace, Eccellenze. Non andate da nessuna parte senza di me. Principesse, Vostra Altezza, seguitemi ..-
Zio Kreon strinse le mani al Capitano Achilleus e seguì l'invito del Gran Consigliere, ma i suoi occhi erano ancora preoccupati e dubbiosi.
-Dov'è Polinice? Dobbiamo andarlo subito a cercare! Presto!-
-Eccellenza!- Hans lo richiamava ancora da dentro mentre la Guardia elaborava il piano d'attacco. La sua voce era grave e gli occhi cupi - Non è necessario-
Zio Kreon sbiancò.
-Cosa vuol dire, Capitano?-
-Zio Kreon, dobbiamo andare!- la morte era arrivata nelle loro vite di colpo e ora pareva stesse di nuovo tornando. Prima i due genitori, morti di notte per chissà che ragione, e adesso tutti loro. E forse, prima di loro, zio Kreon. E non avrebbe dovuto accadere -Polinice sarà qui nel palazzo, stai tranquillo!-
Zio Kreon stava fermo in mezzo al corridoio e anche loro si fermarono.
-Non possiamo andare via senza lo zio, Gran Consigliere- sbraitò Ismene stringendo il fazzoletto con la H tra le mani- Zio Kreon, per favore, ascoltaci!-
-Capitano! Dov'è Polinice? E' morto? E' ferito-
Un boato di voci giunse dalla sala.
-Peggio, Vostra Maestà. Polinice guida i sovversivi-

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Capitolo 6
*** 5 ***


5

Avevano percorso di corsa tutti i corridoi, col cuore alla gola e strisciando accanto ai muri. Dovevano stare più lontani possibili dalle finestre e cercare di mantenere la calma e non urlare per non farsi sentire e riconoscere. I loro sospiri erano gravi e ritmati e rimbombavano insieme ai loro passi e al pulsare del suo sangue nelle tempie.
Ai tempi di papà e mamma le prove di emergenza erano rare. Di solito ricorrevano il giorno stesso in cui papà e mamma erano nella sala delle udienze a discutere col Senato delle nuove riforme: mentre loro decidevano come dovesse essere regolata Thebe, il Gran Consigliere li radunava nei Giardini. Anzitutto mantenere la calma, lasciare ogni attività intrapresa e rifugiarsi in un luogo chiuso ad aspettare il Gran Consigliere con gli altri membri della famiglia. E mai, mai cedere alle urla: un Lambdakou non urla di terrore davanti all'immotivata rabbia di un gruppo di sovversivi.
Raggiungevano la sala delle udienze, il Gran Consigliere li contava tutti e poi si avvicinava al trono. Poggiava una mano su una piastrella leggermente rialzata, questa si illuminava tutta e si apriva il passaggio per il bunker. Secondo il Gran Consigliere e le regole per la sicurezza, se i ribelli fossero malauguratamente entrati nel palazzo se la sarebbero presa con i domestici e la Guardia Reale, senza mai scoprire dove fossero andati i sovrani.
Zio Kreon era pallido e stanco. La corsa e la tensione gli avevano dato il colpo di grazia dopo la notizia di Hans Achilleus. Emon ed Eteocle lo accompagnavano a braccetto e per un attimo lo fecero sedere sul trono e gli asciugarono il sudore.
-Entrate, coraggio- sospirò gravemente il Gran Consigliere dopo averli contati.
-Non ce la faranno, Gran Consigliere. Prima se la vedranno con la Guardia-
Gli rivolse uno sguardo amareggiato.
-Tra i sovversivi c'è anche il Principe, Vostra Altezza.. E' una situazione particolarmente complicata. Coraggio, vi aiuto io-
Zio Kreon si alzò traballando e il Gran Consigliere li guidò dentro il bunker. Era passato circa un mese da quando vi erano entrati, da quando zio Kreon era salito al trono: il giorno dopo l'incoronazione c'erano stati dei piccoli tumulti e li avevano svegliati in malo modo per farli entrare in quel piccolo ambiente angusto e grigiastro, con l'aria puzzolente di polvere e disinfettante. Non v'era nemmeno una finestra ma solo qualche buco per spiare cosa stesse accadendo fuori, poi dei brutti mobili e dei piccoli armadietti con kit per pronto soccorso, bombole di ossigeno e un fornello per cuocere il cibo in scatola. Avevano un tugurio d'emergenza con tanto di provviste dentro casa, cosa che appariva abbastanza insensata, ma il Gran Consigliere le aveva una volta spiegato che vi ci si poteva rimanere dentro anche per giorni, qualora le cose fossero andate davvero male.
La porta scorrevole si chiuse con un tonfo secco e si sedettero sulle scomode panche di legno. Ismene aveva gli occhi stralunati e spaventati, come un cucciolo in cerca della madre mentre la foresta andava a fuoco. Giocava nervosamente con le punte dei capelli e singhiozzava lentamente e lamentosamente, facendo rimbombare del suo strano pianto tutto l'ambiente. Le fece una gran pena e la strinse con le braccia, facendola irrompere in un pianto dirotto a cui ella stessa si unì poco dopo: nonostante fosse sua sorella maggiore, era incredibilmente fragile e il ricordo della morte di mamma e papà la inquietava ancora. I suoi occhi arrossati e silenziosi, azzurri come zaffiri, parlavano da sè: Ismene non voleva altri tormenti, voleva solo che le cose andassero bene e che niente di pericoloso potesse accadere a loro ed Hans.
Il Gran Consigliere e lo zio le guardavano con pietà mentre Emon e Eteocle erano totalmente assenti, con lo sguardo ancora assonnato perso a fissare i neon in alto e le teste poggiate alla parete.
Zio Kreon si avvicinò e si unì all'abbraccio, baciandole entrambe sulla fronte.
-Coraggio piccoline, non fate così .. E' solo una piccola folla e siamo al sicuro qua dentro. Solo nervosismo, state pur tranquille-
Il Gran Consigliere sorrideva dolcemente, intenerito da quella scena.
-Fate finta che sia solo un temporale, suvvia .. Anche vostra madre da bambina ci è passata! Basta abituarsi a queste sciocchezze, sono stupidaggini!-
-I Lambdakou sono forti, ricordatevelo, bambine- e l'abbraccio si sciolse con Ismene che appariva più serena.
-E .. Hans?- e si portò la pallida mano alla bocca, arrossendo tutta. Eteocle ed Emon alzarono la testa di scatto, sorpresi, ma solo Eteocle accennò una risatina.
-Hei hei hei che abbiamo qui?- sbottò ridacchiando - Una damigella in difficoltà che dalla torre chiede notizie del suo cavaliere?-
-Taci Eteocle, Hans Achilleus ci sta parando il culo e tu pensi solo a 'ste stronzate?-
Il Gran Consigliere e lo zio impallidirono e lei ridacchiò davanti a quella scena. Zio Kreon non era bigotto nè bacchettone, cosa che ogni tanto emergeva invece dai comportamenti del Gran Consigliere pronto a svenire ad ogni minima parolaccia, ma non voleva neppure che i Principi Ereditari si lasciassero andare al turpiloquio.
-Ismene- sentenziò grave- Vacci piano col linguaggio, intesi?-
Arrossì di vergogna.
-Scusa zio, ma Eteocle ogni tanto se ne esce con una delle sue -
Zio Kreon ridacchiò e fece l'occhiolino al nipote.
-Avanti Ismene, puoi parlarne con noi .. Siamo in famiglia!-
Calò un imbarazzante silenzio in cui tutti si voltarono a guardare la faccia confusa del Gran Consigliere, calato fin troppo in un quadretto di vita familiare di cui non faceva parte, e sbottarono in una  gran risata, Ismene compresa.
-Sssh, fate piano-sussurrò -Nessuno è a conoscenza di questa stanza ..-
-.. Nessuno fuorchè Polinice- sbottò Eteocle.
L'atmosfera allegra svanì di colpo, lasciando nuovamente il posto alla preoccupazione.
-Traditore- sussurrò gravemente, e le sue parole resero l'atmosfera ancora più tesa e fredda. Per qualche minuto tutti tacquero, con le orecchie unanimemente tese ai rumori ovattati che provenivano dall'esterno: vi erano delle urla, dei passi pesanti e qualche parola urlata che li fece tremare tutti. Poi, di colpo, lo schermo del palmare del Gran Consigliere iniziò a vibrare e si illuminò facendoli sobbalzare.
Il Gran Consigliere se lo portò in grembo, toccò lo schermo e apparve l'ologramma bluastro di Hans Achilleus con una benda intorno alla fronte. Tutti si radunarono intorno all'apparecchio e mancò poco che Ismene avesse un mancamento.
-Capitano! Capitano Achilleus!-
-Gran Consigliere? Mi ricevete?-
-Forte e chiaro! Che notizie mi portate?-
-Per la maggior parte buone: abbiamo fatto evacuare la Grande Corte a suon di mortaio, cercando però di non ferire nessuno perchè il Principe è ancora tra loro. I codardi se la son fatta a gambe levate e non abbiamo potuto arrestarli, non si aspettavano la nostra reazione. Evidentemente il Principe non li aveva informati-
-Ma sta bene, lui?-
-S'è perso in mezzo alla calca mentre cercava di spronarli alla lotta, Eccellenza. Poi sono arrivati i loro orrendi aeroplani e sono andati via. Non abbiamo sue notizie e le squadriglie sono quasi alle loro calcagna, quindi potete benissimo uscire dal bunker-
Ismene si fece avanti con le lacrime agli occhi e la voce tremante.
-Capitano .. Capitano Achilleus?-
Hans ne aveva riconosciuto la voce e tacque.
-Principessa Ismene- sussurrò lieve, dolcemente, facendo trattenere Eteocle, Emon e lo zio dal ridacchiare furiosamente -Come state?-
-Lo chiedo a voi? Dall'ologramma apparite ferito-
-Solo una lieve scemenza, Vostra Maestà. E voi?-
Ismene sorrise asciugandosi una lacrima.
-Sto bene. Ora si può dire di sì-
Uscirono dal bunker appena si chiuse la comunicazione. Il Gran Consigliere spostò una leva, la parete si aprì e trovarono nella sala delle udienze Hans Achilleus con alcuni commilitoni. Rispetto all'ologramma appariva più stanco e ammaccato e oltre alla benda sulla fronte presentava anche dei graffi sulla guancia. Ismene ebbe un piccolo fremito, quasi volesse corrergli incontro e abbracciarlo forte.
Zio Kreon si avvicinò a lui, gli strinse la mano e Hans Achilleus fece un profondo inchino.
-Mai ci fu più grande gioia che vedervi sani e salvi, Vostre Maestà. Il pericolo, benchè la loro azione fosse stata del tutto ridicola e improvvisata, è passato-
-Il vostro valore emerge anche da queste piccole cose, Capitano-
Hans Achilleus sorrise e i suoi occhi glaciali brillarono.
-Il mio valore dipende da voi, Maestà, che lo riconoscete. Potete ritornare alle vostre occupazioni, se volete-
 
Zio Kreon e i ragazzi erano rimasti nella sala delle udienze a discutere della situazione: nonostante il tumulto fosse stato organizzato e gestito peggio dei precedenti, v'era un Principe sovversivo che guidava i Ribelli e tradiva la patria. Era assolutamente richiesta la richiesta delle due Principesse ovviamente e loro parteciparono per la prima ora con l'amaro in gola: era spiacevole, almeno per lei, sentire che Polinice fosse diventato un traditore dedito alla meschina causa dei ribelli piuttosto che iniziare ad assumere la figura del futuro regnante. Le parole di zio Kreon, del Consigliere e del Capitano Achilleus erano dure e terribili: mentre l'Acropoli si impegnava a gestire le poche risorse rimaste sul pianeta per garantire un futuro migliore a chi davvero lo meritava, quei bifolchi di Thebe Bassa si rivoltavano e, anzichè fornire manodopera e aiuto alla patria, si rivoltavano e mettevano a ferro e fuoco l'istituzione che li nutriva! Per loro tre, così anche per Eteocle che continuava a prendere appunti in silenzio, l'unico modo per farli zittire era bombardare Thebe Bassa definitivamente: d'altronde era diventata una pattumiera con aria e acqua inquinata, e bombardarla per creare nuovi quartieri ed estendere la barriera antismog sarebbe stata un'idea geniale. Due piccioni con una fava, continuava a ripetere il Consigliere: niente più sovversivi, nuove aree abitabili e un accesso al mare per cui non si dovesse attraversare quel letamaio.
Emon non pareva tanto convinto e concentrato, e continuava a scarabocchiare sul proprio foglio. Zio Kreon lo richiamò più volte, poi lo invitò ad uscire se non fosse stato interessato e quasi parve essersi tolto un peso.
-Adesso passiamo all'analisi del fattore "Principe Sovversivo"- il Gran Consigliere appuntò il nuovo punto della questione - Principesse e Principe Eteocle cari, fornitemi qualsiasi informazione riguardo a vostro fratello. Vostra Maestà, fate richiamare anche Emon. Ogni informazione è necessaria-
Eteocle tirò fuori il palmare e inviò un messaggio.
- Prima le signore!- posò la penna e allisciò con cura il foglio davanti a sè, poi alzò lo sguardo  -Vostra Altezza Reale Ismene Lambdakou, avete informazioni su qualche .. possibile cambiamento sovversivo di vostro fratello? Non temete per la sua incolumità, lui verrà semplicemente rieducato ..-
Il tono con cui biascicò quelle parole non la convinse. Era a conoscenza dei "metodi rieducativi" usati al palazzo per i leader dei dissidenti politici: scosse elettriche, carcere duro e, nei casi peggiori, boia degli ex compagni. Da bambini Eteocle e Polinice imitavano queste strane pratiche con i loro pupazzi, invertendosi i ruoli: uno faceva il Giudice e l'altro l'Educando, così come li chiamavano, e tra lacrime finte e risate nervose questo doveva sparare in testa ai pupazzi. Erano giochi crudeli davanti a cui papà si sganasciava dalle risate, ma a lei lasciavano sempre una strana amarezza. Chi non parlava o cambiava poi veniva ucciso, come i tizi impiccati alla Grande Corte. Molti Educandi impazzivano e si suicidavano per finire poi al Tempio, smembrati e appetitosi per le Aquile: dopo l'Incoronazione lei e sua sorella li avevano portati come offerte.
Ismene aveva fornito poche informazioni, ma tutte vere e sicure. A lei non interessava cosa facesse il fratello, presa com'era a farsi bella per Hans e a trovare nuove strategie per gli incontri. Oddio, sua sorella non era stupida nè gallina, nè superficiale, ma la sua insicurezza a volte la tramutava in una bambolina confusa e distratta. Soprattutto se aveva addosso gli occhi di Achilleus.
- E voi, Principessa Antigone?-
-Come ho detto di chiamarmi?  Ne ho tante a casa, servono più a te che a me. Con queste puoi comprare del latte, delle uova e del pane per mamma, sai? Ai mercati di Thebe Bassa sai dove prenderlo, lo sai meglio di me .. E se ci sono problemi, sai dove trovarmi! Non preoccuparti se non ti faranno entrare, appena sentirò il trambusto io scenderò subito ad accoglierti! Ci conto!-
- Le stesse parole di mia sorella, Gran Consigliere. I ragazzi stanno spesso per i fatti loro!-
Cercò di apparire più convinta che mai di ciò che stava dicendo, stringendo i pugni sotto il tavolo.
-Nient'altro, Altezza?-
-Nient'altro-
-Nessun comportamento strano ultimamente?-
-Giuro sul mio nome-
-Perfetto .. - Entrava Emon con un passo lento e annoiato - Vostre Altezze, se proprio volete potete alzarvi. E se ci sono novità comunicatelo a vostro fratello o a Emon, giusto il tempo di interrogarli-
Emon le lanciò uno sguardo preoccupato. Anch'egli sapeva cosa aveva fatto Polinice sullo Sky Needle, e sicuramente molto di più. Gli rispose con scuotendo leggermente la testa, per non farsi vedere mentre si alzava. Egli comprese al volo e si sedette al tavolo, sospirando.

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Capitolo 7
*** 6 ***


 6

Mentre Ismene si spogliava davanti allo specchio ella era distesa sul letto. Fissava il soffitto in silenzio, cercando di coprire col rumore dei suoi pensieri lo sbuffare di Ismene che non sapeva cosa mettere per il pomeriggio insieme ad Hans.
Pensava a quel cattivo buongiorno che avevano passato, al trambusto, al Gran Consigliere che correva tutto trafelato e li faceva nascondere nel bunker, all'aria stagnante e viziata di quel piccolo spazio e alle voci della Grande Corte: mille e più voci indistinguibili e rabbiose e tristi e stanche, comandate da Polinice. Pensava a Polinice poi, ai motivi che lo avevano motivato a scappare e a ribellarsi a loro. E poi ricordava la sua natura filantropica che la faceva sorridere e la inteneriva.
Chissà dove sei, si chiese. Chissà com'era essere coperti dal fetore delle vecchie fabbriche e dei tuguri di Thebe Bassa. Chissà se stesse mangiando o riposando, o di chi stesse curando le ferite. Non sapeva esattamente se essere preoccupata o eccitata per lui: era in una pessima situazione senza ombra di dubbio, con il suo stesso zio alle calcagna e accusato di alto tradimento, ma quella di unirsi ai ribelli sarebbe stata un'avventura emozionante. Erano dei parassiti, per definirli con le parole dello zio, ma sicuramente la loro vita era al cardiopalma come un videogioco, come un film emozionante e avvincente. Fantasticò per un attimo su Polinice ribelle che faceva esplodere bombe, maneggiava pistole e curava i compagni; poi ricordò la sua stramba pronuncia del dialetto di Thebe Bassa e ridacchiò.
Ismene, in intimo, tirava fuori dall'armadio un abito di seta beige, si voltava verso di lei e la beccava proprio mentre sorrideva al soffitto.
-Il soffitto è più interessante di me alle prese con il mio armadio?-
Si voltò e rise insieme a lei.
-Sicuramente molto meno interessante di questo vestito-scattò in piedi-Fammi provare!-
Ismene le rivolse un sorriso beffardo e scivolò dentro l'abito, poi tirò fuori una cinta di cuoio marrone e se la strinse in vita.
-Dici che potrebbe andar bene per oggi pomeriggio?-
-Sei sicura che col casino che c'è stato riuscirete a vedervi? Lo zio lo tratterrà molto-
-Mi ha detto che in quanto Capitano farà esercitare le reclute col servizio di guardia notturno, che inizia al tramonto. E al tramonto ci vediamo! Come al solito, Antigone ..-
- .. Come al solito acqua in bocca. Signorsì-
Ismene sorrise e fece qualche piroetta davanti allo specchio. I suoi passetti veloci in quelle scarpette marroni facevano danzare i suoi boccoli biondi, sempre perfetti e spumosi. Quando si voltò di spalle le parve di vedere un succhiotto vicino alla nuca, ma prima che glielo dicesse prese dal portagioie il suo collarino di velluto marrone.
-Dici che può andare?-
-Può andare-
Sua sorella era incredibilmente tranquilla e serena. Il suo volto arrossato pareva quasi disconoscere i problemi del mondo esterno, o peggio ancora li ignorava. Quegli occhi azzurrissimi, quei capelli biondi e il pallore della sua pelle la facevano assomigliare ad una vecchia regina di millenni prima, una certa Antonietta, studiata qualche mese prima con l'insegnante -e biografa- di corte Jenney Twiggiper.
-Maria Antonietta, dice?-
-Sì, Principessa Ismene-
-Certo che è un nome del caz.. Ehm, stupido!-
Twiggiper impallidiva sempre con le osservazioni di Ismene, ma sotto sotto rideva anche lei.
-Principessa cara, la povera Maria Antonietta era una donna degna di pietà, sapete? Le correnti storiche dei rivoltosi hanno inventato menzogne su menzogne su di lei ..!-
- Twiggiper si metterebbe a piangere se ti vedesse-
-Ah, e perchè?-
-Sembri quella regina col nome stupido ..-
- Marìantuaniett intendi?- si portò una mano al petto -Oh, quante menzogne hanno detto i rivoltosi su di me!-
La pantomima venne interrotta da un timido bussare alla porta.
-Avanti!-
Si fece avanti Margot e con lei entrò un forte profumo di pane appena sfornato e bistecche.
-Principesse care, mi rincresce disturbarvi ma il pranzo è pronto. Vostro zio aspetta!-
 
Dopo pranzo zio Kreon aveva deciso di riposarsi, così Polinice e Ismene in attesa dell'appuntamento. Emon invece era venuto a trovarla nella sua stanza al crepuscolo, venendola a svegliare dal torpore della noia con un bacio.
-Ehi- sussurrò
-Oh, eccoti qui- le sue labbra sapevano di caffè. Chissà come poteva andar pazzo per quella brodaglia amara e nerastra -Ti aspettavo-
Emon si sedette accanto a lei e le cinse una spalla con un braccio. Era paradossalmente più calmo e rilassato quando prendeva il caffè, era un'abitudine a cui non rinunciava mai. Da quando stavano insieme aveva dovuto quasi impararlo a memoria prima di sbraitargli contro dopo una cattiva risposta dovuta al nervosismo.
-Perciò .. Che ti hanno fatto dire all'interrogatorio?-
Rise. - Sapevo quanto sapevi tu. D'altronde è la verità, oppure una realtà molto verosimile .. Polinice era molto taciturno in questo periodo, sfuggiva il contatto con la gente e non voleva essere lasciato in pace. Mi hanno chiesto se lo avessi visto rimuginare pensieri e possibili riflessione che lasciassero .. Insomma, che indicassero che voleva far parte dei ribelli-
-Hm, e a questa domanda che hai risposto?-
-Acqua in bocca come al solito-
-Acqua in bocca?-
-Sì, Antigone- aprì la giacca e tirò fuori un diario in pelle nera con una lambda sopra. La copertina appariva consunta e fuoriuscivano post-it ingialliti e fitti di una calligrafia sottile e nervosa, quasi illeggibile - Ho trovato questo nella mia giacca stamane. Per fortuna non ho fatto un passo falso e non l'ho tirato fuori durante l'interrogatorio. Sono pienamente sicuro che l'abbia messo lui, ma non so quando e soprattutto perchè ..-
Toccò la copertina con i polpastrelli e Emon glielo porse. L'agenda giaceva nel palmo della sua mano, pesante quasi come piombo per la quantità di cose scritte e fogli che conteneva. La lambda era annerita, probabilmente di macchie di inchiostro o dal fumo qualora l'avesse portata ad un accampamento ribelle i giorni addietro.
- Sai com'è Polinice. E' un filantropo, come dice lo zio .. -
-.. Un filantropo con i suoi amichetti, intendi-
-No, conosco mio fratello .. Non tradirebbe mai me, o Eteocle, o te, o Ismene, o tutta la famiglia .. E' sempre stato così. Forse vuole solo aiutarli, ma non vuole farci male-
-Già ..- la sua voce pare quasi spezzarsi in un singhiozzo che la fece tremare - Lo conosciamo entrambi bene .. Ma il fatto che sia .. lontano, ecco, che sia improvvisamente scappato ..-
Lo abbracciò e gli baciò la fronte.
-Non temere, tutto passerà .. So che per te è quasi un fratello, quasi foste legati per sangue proprio come me, ma stai tranquillo. Polinice non è stupido e non si farà del male-
Dei passi affrettati e pesanti fecero sciogliere l'abbraccio e la porta si aprì di scatto. Ismene stava davanti l'uscio con gli occhi gonfi di pianto e il viso pallido e spaventato.
-Antigone, Emon!-
Si alzò di scatto, la fece sedere al suo posto e le porse un fazzoletto.
-Ismene! Cosa succede? Perchè sei così pallida?-
-Io e Hans stavamo passeggiando, sai .. Oh Emon, mi raccomando, acqua in bocca pure tu-
Emon imitò una cerniera unendo indice e pollice e passandole sulle labbra sorridendo.
-Coraggio Ismene, raccontaci pure cosa ti ha turbata-
-Ecco, io e Hans stavamo passeggiando in giardino quando il suo palmare ha improvvisamente iniziato a vibrare. Mi sono nascosta per evitare che il mittente mi vedesse ed è apparso l'ologramma di un suo commilitone ..-
Il suo racconto venne interrotto da altri passi affrettati. Il Gran Consigliere si precipitava di corsa nella sua stanza e si chinava ansimando.
-Principesse, signorino Emon! Uscite immediatamente da qui e raggiungiamo il bunker!-
Il suo viso si alterò al contrario di quello di Emon, che continuava ad essere ancora tranquillo.
-Cosa succede, Consigliere? Ismene stava raccontando un fatto stra..-
-Mi dispiace avervi interrotto, Vostra Altezza .. Ma .. Ma .. Oh, insomma, senza altri giri di parole! I ribelli hanno dichiarato guerra!-
 
Erano arrivati alla sala delle udienze e zio Kreon li contò in fretta e furia. Erano tutti visibilmente spaventati, ma i loro visi lasciavano trapelare anche ira e delusione.
-Benissimo ragazzi, ci siete tutti. Ora dobbiamo aspettare solo l'ordine del Capitano Achilleus di ritirarci nel bunker-
Zio Kreon era freddo e impassibile, quasi il terrore avesse cercato di sopraffarlo e fosse stato respinto dal suo corpo. Il suo viso severo e contratto,  con quell'espressione più dura che mai, era illuminato da occhi che tradivano espressioni quasi opposte: erano tristi e cupi come quelli di qualcuno che fosse stato pugnalato da una persona cara. I suoi occhi erano feriti mentre la fiera, sottile bocca cercava di rendere l'espressione del suo viso autoritaria, rendendolo quasi degno di compassione.
Il Gran Consigliere nel frattempo li faceva avvicinare alla porta del bunker. Lei ed Eteocle sedettero a terra mentre gli altri si appoggiarono alla parete, tremando per il nervosismo. Ismene, come al solito, era preoccupata per Hans; Emon appariva sorpreso, come se lo avessero svegliato da un sogno; Eteocle invece sembrava più duro e freddo dello zio, e stringeva i pugni con vigore sussurrando cattive parole per Polinice.
-Traditore ..- mugolò cupo -Zio Kreon, come è accaduto tutto questo? Come hanno fatto ad inviarci una dichiarazione di guerra nel giro di pochissime ore?-
Zio Kreon sospirò e si appoggiò anch'egli al muro. I suoi occhi malinconici e tristi si rivolsero verso una delle alte finestre della sala a guardare gli ultimi, deboli raggi di sole che svanivano pian piano, lasciando gradualmente posto alle ombre. Da fuori provenivano urla e lievi tonfi di esplosioni.
-A quanto pare quella buffonata fatta stamattina era solo un pretesto per farci distrarre. Hanno mandato Polinice perchè sapevano che noi non l'avremmo colpito, e nel frattempo si sono organizzati ..-
Un tonfo fece tremare gli scudi appesi alle pareti e mancò poco che uno cadesse giù. Seguì un silenzio mortale, interrotto poi da un fischio: un razzo entrava dalla finestra e volava davanti al trono.
-A terra!- urlò il Consigliere, e nemmeno ebbe il tempo di finire il proprio ordine che il razzo esplose facendo saltare pezzi interi di pavimenti.
-Non possiamo attendere l'ordine, Vostre Altezze. Entriamo immediatamente-
-Io non entro-  Eteocle si alzava di scattò e guardava tutti con fare sprezzante.
-Cosa diamine vai dicendo? Entra subito! Perchè mai?- lo zio si alzava di scatto e gli afferrava un braccio.
-Zio Kreon, concedimi la possibilità di andare a combattere ..-
- .. Contro tuo fratello?-
-Evidentemente non ho più un fratello, zio. E' un sovversivo che minaccia la patria. Ed io, in quanto erede al trono, devo andare a combatterlo-
Ismene, lei ed Eteocle si alzarono di scatto.
-Tu non andrai da nessuna parte!- urlarono- Non possiamo perdere anche te!-
-Non avete perso nessuno in realtà. Polinice non è più nostro fratello, e ..-
Ennesimo razzo. Ennesimo fischio. Ennesima esplosione.
Eteocle fissò in silenzio ogni movimento del razzo fino al suo schianto, con gli occhi colmi di rabbia.
Il Gran Consigliere li spinse a forza dentro il bunker ed Eteocle corse via, saltando sulle mattonelle e sparendo in mezzo alla polvere e al fumo.
-Non possiamo impedirlo, Antigone- sussurrò lo zio guardandolo allontanarsi -Anche io, se avessi avuto la sua età, avrei fatto la stessa cosa. Buona fortuna, nipote-
-Eteocle!- gridò lei, e il suo richiamo venne coperto dalle urla provenienti dall'esterno e dagli spari, inascoltato e ignorato. Ismene ed Emon l'abbracciavano e le asciugavano le lacrime, aiutandola ad entrare nel bunker.

 

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Capitolo 8
*** 7 ***


7


Si sedette alla panca e si rannicchiò in posizione fetale sul grembo di Ismene, stringendo con le braccia le ginocchia. Fissava davanti a sè la porta chiusa del bunker e la nervosa danza delle dita del Gran Consigliere, in silenzio con la testa appoggiata alla parete. Ismene le accarezzava i capelli e respirava piano, con il ventre che si alzava e abbassava lentamente, mentre i suoi occhi cupi e malinconici erano fermi su un punto a caso della sua guancia.
Il silenzio dentro la feriva e l'assordava. Era un silenzio nervoso e tagliente, squarciato talvolta dal sibilare dei razzi e dalle esplosioni. Un'altra riempì il salone e fece sobbalzare tutti dentro il bunker, facendoli stringere tra di loro, e qualcuna sembrò provenire da più lontano. Ne seguì l'urlo di una voce che parve riconoscere, facendole gelare il sangue nelle vene.
-Margot ..- sussurrò, e la mano di Ismene si fermò di scatto.
All'urlo ne seguirono altre, ma quella voce non riemerse più. Altre voci, altre esplosioni, ma mai più quella voce, o almeno così le parve cercando di isolare ogni singolo rumore. Le urla si fecero più forti e le lacrime le salirono agli occhi, bagnandole gli zigomi, mentre una goccia scesa dall'alto le sfiorò la fronte. Si alzò dalla sua posizione e abbracciò Ismene in lacrime, guancia umida contro guancia umida. Al singhiozzare si unì anche Emon, che si alzò avvicinandosi a loro, mentre il Gran Consigliere e zio Kreon giungevano le mani e chinavano il capo per una silenziosa preghiera.
-Magari è solo ferita ..-sussurrò Emon al suo orecchio.
-Non sento i suoi lamenti, vorrei almeno sentire questi ..- fu Ismene a rispondergli mentre lei era troppo preoccupata a singhiozzare.
Erano dentro da ormai due ore e l'orologio segnava le nove e mezza. Il suo pensiero passò da Margot ad Eteocle e Polinice, schierati l'uno contro l'altro e ritrovatisi a combattere di notte. Le guerre durano tanto, forse mesi o anni, si disse, e questa era appena iniziata.
-Zio Kreon .. Le guerre quanto durano?-
Le sorrise dolcemente, con gli occhi velati di triste rabbia.
-Antigone .. Non si può mai sapere. Dipende da chi ha la meglio-
-E questa è una guerra, secondo te?-
Sospirò.
-Così ci hanno dichiarato. Si spera soltanto duri meno del previsto .. E che non sia una guerra ..-
- .. E che possano tornare salvi entrambi- sussurrò lei. Poi serrò gli occhi e fece finta di non udire il vetro che si infrangeva e il rumore metallico degli scudi di famiglia che cadevano sul pavimento. Fece finta che le esplosioni fossero solo i brontolii del suo stomaco affamato e che l'infrangersi del vetro fosse solo il vento che faceva cigolare le lance, ancora appese alle pareti.
Anche lo stomaco di Ismene brontolò ed ella cercò di metterlo a tacere.
-Avete fame, Altezze?- le chiese preoccupato il Gran Consigliere, alzando di scatto il capo - Se le vostre signorie sono affamate possiamo cucinare qualcosa-
Tutti alzarono la testa e annuirono. Anche zio Kreon si unì a loro e accettò la proposta.
-Fate un po' di spazio mentre vedo cosa propone la casa- Emon si alzò e si diresse verso la piccola dispensa al di là delle panche. Il Gran Consigliere cercò di fermarlo e convincerlo ad accomodarsi, ma s'era già allontanato e l'ennesimo rombo coprì le sue parole. Dopo pochi minuti tornò con in mano due latte in mano e trascinando un fornello.
-Vi aiuto subito, signorino- il Gran Consigliere si alzò e rassettò la giacca e i calzoni, poi trascinò al centro il fornello - Cosa avete preso?-
Emon si portò davanti agli occhi una latta e lesse con attenzione.
- Rollon liofilizzato di tacchino farcito, buono come a Natale- recitò imitando la voce degli spot e facendo sorridere un po' tutti, alleviando la tensione -Preparazione: aprire dall'apposita cerniera, aggiungere mezzo bicchiere d'acqua e lasciar cuocere per dieci minuti a fuoco medio-alto. Servire caldo. Contiene cinque porzioni.-
La pietanza parve soddisfare le aspettative di tutti, comprese quelle di Ismene e dello zio, e mentre Emon seguiva le istruzioni e il Gran Consigliere accendeva il fornello, ella e Ismene si recarono in dispensa e tirarono fuori piatti e bicchieri. Zio Kreon intanto cercava di sistemare l'ambiente, riuniva le panche attorno ad un tavolino di legno scadente e aspettava che la cena venisse servita. Nessuno aveva mai fatto qualcosa di simile in vita loro e la piccola esperienza plebea sembrò divertire Emon e lo zio e annoiare lei e Ismene. Soprattutto lei sbuffava e si lamentava dell'odore acre che emanava la latta sul fuoco.
-Ma questa porcheria non ci avvelenerà tutti?-
-Questa roba non scade mai- ridacchiò Emon - Almeno non andiamo a letto piangendo dalla fame-
La sera prima erano riuniti intorno all'arrosto di cigno dei Giardini Reali, profumato di arance e rosmarino. Adesso cercavano di arrangiarsi intorno ad una latta puzzolente contenente dell'arrosto di pollo liofilizzato, lasciato lì chissà da quanto e inscatolato chissà quando. Ridacchiò della situazione e giocò a guardare le fiammelle bluastre del fornello: forse gli accampamenti dei ribelli non erano così tanto diversi dal loro bunker, forse i cibi di Thebe Bassa non erano tanto diversi da quel rollon liofilizzato che avrebbe fatto andare di corsa in bagno Ismene, e al pensiero di tutto ciò rise di un sorriso amaro. Forse a quell'ora Polinice si stava riposando per un attimo e consumava roba del genere insieme ai suoi commilitoni in attesa di attaccare - o di subire un assalto?!- e condivideva il misero pasto con la gente povera che gli stava intorno. Chissà se pensasse a loro o li avesse ripudiati per sempre, chissà se avesse dimenticato di essere un Principe Ereditario e fosse diventato un suntrophos.
La latta brontolava e bolliva, mentre l'odore si faceva leggermente più simile a quello di un vero e proprio arrosto.
-Zio..?-
-Dimmi, Antigone-
Forse rischiava parecchio a domandare, ma la curiosità la divorava più della fame.
-Hai pensato a Polinice? A cosa stesse facendo?-
I dieci minuti si conclusero e fu tempo di tirar fuori il rollon. Con una pinza Emon lo mise in orizzontale su una teglia malmessa e lo tirò fuori, fumante e giallastro, ricoperto da una strana salsetta. Ismene fece una smorfia disgustata.
-Almeno l'odore non è .. Tossico, insomma- proferì iniziando a porgere piatti, bicchieri e posate di plastica grigiastra.
Zio Kreon non le rispose e prese il proprio piatto. Tutti vennero serviti e iniziarono a mangiare.
Il rollon aveva un sapore dolciastro ma in compenso gradevole, con una consistenza gommosa ulteriormente ammorbidita dalla salsetta. Forse la cottura e la fame riuscivano a mitigarne il sapore: meglio di andare a letto con lo stomaco vuoto, cosa che in vita non aveva mai provato. All'Acropoli, e specialmente se al Palazzo Reale, e soprattutto se Principessa Ereditaria, non potevi mai morire di fame.
 
Dopo cena sparecchiarono insieme. La latta e il resto vennero gettati nel tritarifiuti e il fornello venne riposto. Erano stanchi e sfiniti, con ancora il sottofondo di spari che veniva da dietro.
-Dice che possiamo accendere la radio?- chiese Ismene al Gran Consigliere - E' una tale noia qua dentro!-
-Come volete pure, Principessa Cara .. D'altronde, con tutto quel trambusto, non sentiranno la radio!-
La piccola radio a manovella era poggiata su una mensola: era un oggetto di media grandezza, di plastica bianca e di metallo dipinto in una vernice verde acqua che andava togliendosi. La manovella in plastica aveva l'impugnatura ricoperta di gomma annerita per renderla più comoda. Decise di alzarsi e andarla a prendere, si spinse in su con le punte e riuscì ad afferrarla con entrambe le mani: era più pesante di quanto avesse pensato. La portò al centro del tavolino sotto lo sguardo incuriosito e improvvisamente sveglio di zio Kreon, iniziò a girare la manovella e quindi schiacciò il tasto play, di plastica nera e leggermente roso dal tempo anch'esso.  Partì una melodia lenta e malinconica suonata alla chitarra, probabilmente l'intro di un'altra canzone. Dopo circa un minuto una voce maschile, giovanile ma calda, intonò le parole della canzone:
Well I heard there was a secret chord 
that David played and it pleased the Lord
But you don't really care for music, do ya?
Well it goes like this :
The fourth, the fifth, the minor fall and the major lift
The baffled king composing Hallelujah
- Accidenti!- esclamò zio Kreon avvicinandosi alla radio - Ecco dov'era finita!-
-Cosa intendi, zio?-
Tutti si erano riuniti intorno al piccolo apparecchio come davanti ad uno spettacolo meraviglioso. La canzone era dolce e calma, rilassante e quasi commovente. Ismene aveva già chiuso gli occhi e aveva portato le mani al cuore, sorridendo e arrossendo tutta, immaginando di essere chissà con chi.
-Questa era la radio che mi aveva regalato papà quando compii quindici anni .. C'è ancora dentro quella vecchia cassetta, ah che ricordi, la sua preferita ..- e la sua voce si unì a quella del misterioso, anonimo quanto affascinante cantante. La canzone ogni tanto appariva disturbava ed era necessario dare un piccolo colpo alla radio per farla ripartire, ma bastava la voce dello zio a farla rivivere nei punti in cui il nastro sembrava più consumato: zio Kreon aveva certamente una bella voce che poteva competere con quella del tizio della cassetta.
Dopo la canzone iniziarono i primi sbadigli di Ismene e i suoi. Con un cenno della testa di zio Kreon il Gran Consigliere si rimboccò nuovamente le maniche e aiutò Emon ad uscire delle brande mentre loro mettevano via le panche e il tavolino con la radio. Insieme alle brande vi erano anche dei cuscini spiegazzati e sottili e delle coperte grigiastre e polverose, spolverate alla bell'e meglio da Emon e Ismene.
-C'è un bagno qui, almeno?- disse Ismene con gli occhi stanchi e l'espressione annoiata.
-Dopo la dispensa, Principessa cara- disse il Gran Consigliere dopo aver dato un'occhiata al palmare. E ovviamente Ismene se ne accorse.
-Ci sono .. Novità, dal fronte?-
-Nè buone nè cattive, mi rincresce-
Lei accompagnò Ismene in quello che doveva essere il bagno: una stanza piccola e asettica, piastrellata di mattonelle bianche e lisce e col linoleum al pavimento. Vi era una piccola doccia con un tappetino lilla, un lavabo e un wc grigiastro con la tavolozza ricoperta di polvere. Ismene si avvicinò ad esso con l'espressione disgustata, prese della carta igienica e cercò di renderlo più pulito.
-Questa non è carta igienica, è carta da pacchi, diamine!-
Si sollevò la gonna, abbassò le mutande e cerco di non appoggiarsi al wc. Il neon illuminava le sue gambe pallide, segnate da qualche pelo biondo che la luce rendeva invisibile: era tanto fortunata ad avere i peli biondi, quasi invisibili sulla sua pelle bianchissima e nivea, e a volte non aveva nemmeno bisogno di far la ceretta al contrario di lei. La ceretta che le estetiste di corte testavano sulla sua pelle era una tortura ogni volta, quasi quasi avrebbe dovuto proporla a zio Kreon come nuovo metodo per far confessare i prigionieri.
-Ancora con questa storia dei peli?-
Ismene se n'era accorta e ridacchiava.
-Ah no, figurati. Ero per le mie-
-Non dirmi che Emon fa tante storie per i peli sulle tue gambe-
-Fortunatamente non ha mai avuto occasione di vederli-
Si pulì, alzò le mutande e sistemò la gonna.
-Non tirare lo sciacquone che vado anch'io ..-
- E poi, detto con sincerità .. Se un ragazzo  non sopporta la vista dei peli sulle gambe sicuramente sverrebbe come Twiggiper col sangue dal naso alla vista di .. Qualcos'altro- e accennò un sorriso malvagio che riuscì a vedere dallo specchio scheggiato posto sul lavabo.
Ritornarono indietro e si accomodarono sulle brande. Ismene emise uno strano lamento ed Emon invece si buttò sul proprio lettino quasi fosse il letto imbottito della sua stanza.
-Speriamo non duri molto, eh-
-Ragazzi miei, per ora noi vecchi faremo la guardia- disse zio Kreon - Fra qualche oretta magari ci daremo il cambio. Voi riposatevi, è stata una giornata particolare-
Si stese sulla brandina e lasciò ondeggiare i suoi capelli fuori dal materasso. Tese una mano ad Emon, che la salutò con un cenno della mano già mezzo ronfante, e poi sussurrò la buonanotte ad Ismene. Non si aspettava di addormentarsi subito, e chiuse gli occhi rivolgendo il proprio pensiero ad Eteocle e Polinice per l'ultima volta: si scontravano e si urlavano nella suo dormiveglia, si lanciavano granate ma poi si abbracciavano e facevano pace. Poi il sonno calava sulle sue palpebre come un tendone pesante, mentre fuori ancora tuonavano le bombe e le mitragliatrici cantavano.
Si tappò le orecchie con le mani appena fu certa che il sonno le avesse chiuso gli occhi. Voleva essere cieca e sorda, almeno per una notte.

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Capitolo 9
*** 8 ***


8

La branda era scomoda e dura, tanto diversa dal suo lettone imbottito, ma il sonno l'aveva colpita improvvisamente e abbandonata di colpo tanto più velocemente.
Doveva essere l'alba: l'orologio segnava appena le sei meno un quarto del mattino. Zio Kreon e il Gran Consigliere alla fine non avevano svegliato nessuno e s'erano addormentati sulle panche, rannicchiati in posizione fetale e ronfanti come ghiri. Emon dormiva con tanto di bava alla bocca e anche Ismene sonnecchiava tranquillamente, nonostante sicuramente fosse assolutamente scomoda sulla propria branda. Ogni tanto si girava di un lato per poi ritornare alla posizione iniziale, gemendo e sospirando.
Quanto a lei, s'era messa a sedere sulla branda con le gambe ben avvolte dalla sottile coperta. Aveva fatto un sogno strano quella notte: Polinice ed Eteocle erano ritti e guardavano davanti a sè un punto non precisato, circondati ancora dal fumo e dalle fiamme della lotta. Erano tutti e due feriti ma in compenso in buono stato; solo un particolare l'aveva turbata e continuava ad inquietarla anche al risveglio: i loro occhi erano grigiastri, stranamente e inquietantemente vuoti. Occhi da fantasmi. Ma oh, era solo un sogno, si disse, e sorrise della propria stupidità.
Una volta aveva chiesto a Polinice da dove venissero i sogni e lui le aveva risposto che venivano dalla testa di ciascuno: erano semplicemente informazioni raccolte durante la giornata e rielaborate dal cervello, magari mescolate come un gigantesco caleidoscopio di colori o come colori a tempera in una tavolozza. Da lì era partita una discussione interessante che aveva spinto Polinice a scendere alla Biblioteca Reale e poi ritornare con un vecchio libro polveroso, con la copertina mangiata dalla polvere.
-Che roba è?-
-Un vecchio amico mio che potrebbe interessarti. Non è roba recente, ma è per darti un'idea .. Tutte le ricerche sui sogni partono da qui-
Il libro in questione era di un tale vissuto secoli prima, un certo Sigmund Freud. A detta di Polinice ormai le sue teorie venivano poco considerate dalla scienza psicologica perchè antiquate, ma era sempre molto interessante scoprire come anticamente venissero visti i sogni e come venissero interpretati. Lo aveva finito lo scorso pomeriggio, prima che la guerra scoppiasse.
Per tutto il tempo in cui aveva dormito non aveva sentito altri spari ed esplosioni, e le parve quasi di aver dormito per anni. Forse erano caduti in un sonno magico e profondo come la principessa di una vecchia fiaba, dormendo per secoli fino alla fine della guerra. E ora si ritrovava sveglia, una mattina forse, in mezzo al silenzio spettrale seguito ad una battaglia o ai secoli dopo una battaglia. Le venne un improvviso bisogno di piangere e, vergognandosi di sè, si distese sul letto: sentì due lacrime rigarle il volto, poi quella sua tristezza improvvisa si affievolì e si alzò dalla propria posizione. Facendo attenzione a non urtare le altre brande si diresse in punta di piedi in bagno, si posizionò davanti il lavabo e si sciacquò la faccia: le sue mani raccoglievano l'acqua a grandi e pesanti dosi e con queste si bagnava il viso, cercando di far calmare i suoi occhi arrossati e ancora raggrumati dal sonno. L'acqua era gelida e puzzava di cloro, ma era sempre meglio di niente per scrostare i suoi occhi assonnati. Si asciugò il viso con le vecchie tovaglie appese vicino al lavabo, le parve che qualcuno cominciasse a svegliarsi e ritornò sui propri passi.
Svegli c'erano zio Kreon e il Gran Consigliere. Avevano le facce nere e borbottavano tra di loro.
-Diamine, ci siamo addormentati ..- sospirò il Gran Consigliere - Il mio palmare sarà in fiamme! Chissà quante comunicazioni saranno arrivate ed io non ne ho sentita nemmeno una ..!-
- Si faccia perdonare controllandole ora, accidenti .. Oh, ben svegliata Antigone. Come hai dormito?-
-Non è stato malaccio, zio. Tu invece?-
-Dormire con la testa appoggiata alla parete non è il massimo della comodità - si stiracchiò rischiando di far cadere una scodella poggiata su una mensola sopra di lui -Ops! Eheh .. Comunque, il Gran Consigliere sta controllando gli ultimi avvisi. Non ho sentito nemmeno un bombardamento stanotte!-
La faccia stanca del Gran Consigliere, illuminata di azzurro davanti allo schermo del palmare, improvvisamente si fece allegra e arrossata.
-Oh, perbacco!- il suo urlo fece svegliare di colpo Emon e brontolare Ismene.
-Che diamine succede?! Cos'è questo baccano?-
-Oh, Principessa Ismene e signorino Emon, mi dispiace avervi svegliati così di soprassalto ma .. Oh, ho buone notizie! Lo stato di allerta è finito circa .. Tre ore fa! Ho dei messaggi non letti da parte del Capitano Achilleus e ..-
-Come sta, Consigliere?!- Ismene s'era già messa in piedi ed avvicinata a lui col volto colmo di apprensione.
-Oh, Principessa- il viso del Gran Consigliere era stupito e quasi divertito- Il nostro Capitano sta bene. Mi sto scusando con lui per il ritardo e dice che possiamo uscire dal bunker. Coraggio, già siamo in ritardo!-
L'ambiente si unì di una vivace frenesia: avevano dimenticato il sonno e rimboccandosi le maniche per l'ultima volta sistemavano le brande e il piccolo bunker che li aveva ospitati per dodici ore. Ismene correva in bagno a lavarsi i denti e sciacquarsi il viso-doveva pur apparire presentabile al Capitano Achilleus, anche dopo una notte nel bunker- Emon riponeva le brande e poi, quando furono tutti pronti, finalmente uscirono da lì.
Appena furono fuori la puzza di polvere ed esplosivo la colpì in pieno viso, insieme al triste spettacolo della sala delle udienze: grandi pezzi del pavimento erano stati sbalzati via dalle esplosioni, bisognava star attenti a non cadere sui pezzi di mattonelle distrutte e diverse armature erano cadute a terra, fortunatamente senza subire danni apparentemente evidenti. I pezzi di vetro e marmo sul pavimento erano illuminati dalla luce dell'alba, libera di entrare dalle crepe sulle finestre, e faceva risplendere la stanza di una triste e calda luce mattutina. La puzza non era certamente gradevole, ma sicuramente più respirabile dell'aria viziata del bunker.
Si presero per mano facendo attenzione a non inciampare sulle macerie e uscirono piano dalla sala, inoltrandosi nei corridoi desolati: vi erano statue distrutte, tappeti bruciati e anche macchie di sangue, e il ricordo dell'urlo della sera prima la fece quasi svenire. Secondo le indicazioni del Gran Consigliere la Guardia Reale li attendeva nella sala del trono, possibile alternativa a quella delle udienze che ormai necessitava un restauro. Man mano che passavano per i corridoi vedeva domestici con l'aria assonnata e distrutta che cercavano di ripulire le stanze, armate di aspirapolvere e pezze per lucidare, e chiunque li incontrasse però pareva ritrovare un amaro sorriso: la famiglia reale era salva ma tra loro vi erano state sicuramente delle perdite. E il cuore le si gelò ancora di più.
Finalmente giunsero alla sala del trono: essa non presentava grandi danni, eccetto una grossa bruciatura sul ritratto della loro famiglia. Alcuni soldati, capeggiati da Achilleus, erano schierati come in assetto da battaglia davanti il trono e attendevano soltanto il loro arrivo, salutato con inchini profondi e l'espressione seria. Il Gran Consigliere e zio Kreon si avvicinarono ad Hans, gli strinsero entrambi la mano ed egli si inginocchiò profondamente.
-Raccontateci tutto, Capitano- proferì solennemente lo zio -Abbiamo indubbiamente passato delle ore di ansia dentro il bunker, ma complessivamente stiamo tutti bene e le nostre condizioni verranno descritte dopo il vostro resoconto-
-Vostra Maestà ed Eccellenze carissime- disse Achilleus alzandosi -Ecco che posso iniziare il mio racconto. Appena ricevuto l'ordine ci siamo esposti sulle feritoie e da lontano abbiamo osservato la congerie dei nostri nemici: non erano molti, ma tutti pesantemente equipaggiati con grosse armi da fuoco,aeroplani capaci di oltrepassare la nostra barriera e una fanteria ben robusta. A comandare i Ribelli, con i loro orribili stendardi rossi e neri, v'era il vostro amato Polinice, quasi avesse rinnegato le proprie origini per unirsi, chissà per quale ragione, all'ignobile causa sovversiva. Proprio per questo, non abbiamo deciso di attaccar subito il comandante ma abbiamo da sempre voluto portarvelo vivo.
Dopo di che, Eccellenza, i nostri fucilieri son rimasti sulle feritoie ed io son sceso con la fanteria a combattere alla Grande Corte. Con mio grandissimo stupore e sorpresa incredibile, il vostro amato Eteocle s'è unito alla Guardia e insieme a me, dopo averlo aiutato ad equipaggiarsi in vista della battaglia, è sceso a combattere brandendo il vessillo della vostra casata, la grande lambda dorata ..-
Improvvisamente lo sguardo di Achilleus iniziò a tremare e a brillare, e ciò li fece rabbuiare. Un brutto presentimento le si presentò alla mente, ma cercò di scacciarlo e si limitò a non far domande.
-Continuate, Capitano-
-I ribelli lanciavano bombe verso il palazzo da bravi codardi, ma noi, sapendo voi tutti al sicuro, abbiamo cercato di non concentrarci sulla difesa degli ambienti esterni e siamo scesi a combattere. Abbiamo già contattato dei muratori per venire a riparare i danni e in breve, lo giuro sul mio nome, tutto il palazzo verrà risistemato .. I ribelli, disgraziatamente, erano ben preparati e piuttosto combattivi, ma quando hanno capito che noi eravamo di certo più preparati ed equipaggiati hanno iniziato a retrocedere. Tutti fuorchè vostro nipote Polinice-
-E dunque ..?-
-Eteocle, diventato insieme a me Comandante in quell'occasione, mi ha ordinato espressamente di allontanarmi. Ho rifiutato con tutto il mio essere, Eccellenza, ma secondo lui era una questione che dovevano mettere a pace lui e il suo fratello .. traditore. Anche Polinice, da quanto ho compreso, ha ordinato ai propri commilitoni di retrocedere e di lasciarlo combattere da solo. Da lì, a detta loro, si sarebbe deciso il vostro destino, Maestà-
Man mano che andava avanti con la descrizione i suoi occhi e la sua espressione si incupivano sempre più. Achilleus non aveva una bella faccia, e ciò non era dovuto solo alla stanchezza della battaglia. Aveva sicuramente visto compiersi qualcosa di terribile e luttuoso, e ciò la preoccupava e accresceva il suo terribile presentimento. Anche zio Kreon iniziava ad incupirsi e pareva avesse acquistato vent'anni a sentir raccontare Achilleus.
-Andate avanti-
Ci fu una pausa di silenzio in cui Hans parve tremare, poi riprese a narrare.
-Combatterono corpo a corpo. Polinice armato di lancia ed Eteocle di spada: avevano espressamente ordinato che si facesse così. Noi temevamo il peggio e.. -singhiozzò - Maestà .. E' quello che è accaduto-
Zio Kreon parve perdere l'equilibrio ed Emon si lanciò dietro di lui a sorreggerlo.
-Che .. Che intendente, Capitano?-
-Si trafissero entrambi, nello stesso singolo istante. Uno uccise con la lancia, l'altro con la spada. I Principi Ereditari son spirati, Altezza-
E il buio calò più fitto che mai, illuminato dai flash delle esplosioni e da rossi schizzi di sangue.

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Capitolo 10
*** 9 ***


9


Zio Kreon ebbe un mancamento e venne di corsa portato nella sua stanza, sorretto da Emon e da Achilleus. Lei ed Ismene chiamavano a gran voce i domestici sparsi per gli ambienti, ma per quanto cercassero di richiamare l'attenzione generale le parve che la propria voce, almeno per quanto la riguardava, si andasse affievolendo man mano che i nomi dei servi le scorrevano in mente e poi raggiungevano le corde vocali. I suoi occhi erano annebbiati e cupi, confusi come quelli di una bestia ferita in mezzo alla foresta di notte: cercavano i domestici che accorrevano e poi ritornavano dietro i passi affrettati di Emon e Achilleus che portavano lo zio di corsa, sulle proprie spalle, fino alla sua stanza, aprivano la porta in tutta fretta e lo adagiavano sul letto.
Appena zio Kreon venne aiutato a distendersi egli iniziò ad ansimare nervosamente e a singhiozzare.  Ai suoi singhiozzi fratti e lamentosi, terribili a sentirsi, si unirono anche i propri, quelli di Ismene, di Emon e anche di Achilleus. Quando i domestici accorsero, chi con i sali chi con bacinelle e brocche d'acqua fresca, davanti a quel nervosismo si unirono al lamento, forse ignari di cosa fosse davvero successo. Di corsa arrivò anche il Gran Consigliere e, dopo il suo arrivo, l'intero corridoio si riempì di lamenti ed urla: evidentemente aveva sparso la notizia con la stessa drammatica sorpresa con cui anche loro l'avevano ricevuta.
Emon prese i sali e li portò al naso dello zio mentre Achilleus gli sbottonava la camicia per aiutarlo a respirare meglio; Ismene, col volto stralunato, arrossato e pallido come un cadavere allo stesso tempo, intanto gli rimboccava cuscini e coperte; quanto a lei, si limitò ad inginocchiarsi al capezzale e a sfiorare quella fronte matura e corrucciata in un dolore terribile e improvviso, talmente forte da sembrarle irreale, e quelle sue lacrime silenziose ruppero in un pianto lamentoso che le corrucciò tutto il viso.
Svegliati, Antigone. Svegliati adesso.
E' solo un terribile sogno, Principessa Ereditaria.
E' solo una terribile visione causata dall'aria viziata e puzzolente del bunker.
Svegliati, Antigone. Svegliati adesso. E' la dura e tremenda realtà, Principessa cara.
In fretta e furia arrivò anche il medico di corte, Asclepius Apollineus, con la sua ventiquattrore nera e il suo camice immacolato. Inforcò gli occhiali, fece un inchino e cercò di nascondere invano gli occhi arrossati e il volto rigato di lacrime.
-Principesse care, signorino Emon, Capitano, anche voi ..- disse fermandosi al capezzale e posando la ventiquattrore ai piedi del letto - Scansatevi da qui, di grazia .. Il paziente ha anzitutto bisogno di aria e tranquillità! Coraggio-
Tutti seguirono i suoi ordini, ma le domestiche non facevano altro che portarsi lembi del grembiule agli occhi e ripetere, come se fossero coreuti, "che tragedia, che terribile lutto!".
-Per favore, non affannate Sua Eccellenza con i vostri lamenti, per favore! E' già una terribile situazione ..-
Apollineus ordinò che nella stanza restassero solo lei, Ismene e il signorino Emon. Achilleus si congedò con un profondo inchino, asciugandosi gli occhi con una manica del cappotto, e accompagnò fuori le varie donnine.
-Principesse, signorino Emon .. -sentenziò Apollineus dopo aver dato un'occhiata attenta a zio Kreon -Vostra Altezza ha solo avuto un mancamento dovuto al terribile dolore ricevuto, ho ben compreso,  e tutta la corte si stringe intorno alle Grazie Illustrissime della famiglia reale .. Per quanto riguarda il suo stato, ha ovviamente preso un brutto colpo ma è semplicemente uno svenimento. Tuttavia, ho comunque bisogno del vostro aiuto-
Ordinò ad Emon di porgergli i sali e a Ismene di alzargli le gambe. Lei invece avrebbe dovuto bagnare un panno con dell'acqua fredda e pigiarlo leggermente sul viso: seguì con attenzione ogni sua parola e cercò di essere più efficiente che mai nel compiere quel gesto apparentemente facile, ma di certo non agevolato dalla vista annebbiata dalle lacrime e dal peso sul cuore. Qualche mese prima mamma e papà eran volati via inaspettatamente: trovati nel letto abbracciati e sorridenti come se stessero ancora dormendo, ma con i petti che non si alzavano più dal respiro; ora Polinice ed Eteocle erano, più che volati, rivoltatisi l'uno contro l'altro a lame sguainate, ignorando qualsiasi vincolo familiare, uno morte all'altro. Erano volati via in maniera rapida e violenta, come uccelli spinti da quale tempesta, in un oceano di polvere, fumo e fiamme.
Apollineus asciugava le lacrime allo zio e gli misurava la pressione. Nel frattempo zio Kreon pareva riaprire gli occhi e il suo respiro ritornava normale, benchè disturbato dal suo singhiozzare.
-Dottor Apollineus .. Per favore, sto bene. Non ho bisogno di queste attenzioni ..-
L'apparecchio per misurare la pressione indicava come i livelli di zio Kreon stessero per ritornare ai valori normali.
-Avete subito un brutto colpo, Maestà! Dovete assolutamente stare al riposo e cercare di affidarvi al personale!-
-No, Apollineus, vada via, di grazia. Voglio stare con i ragazzi e basta. Piuttosto ordinate .. Ordinate di portare la salma di Eteocle. Voglio vederlo-
-Zio, ascolta il dottore, te lo preghiamo!- dissero quasi in coro loro tre, stringendogli le mani e asciugandogli le lacrime.
-No ragazzi .. Ismene, Antigone, non potete dimenticare così vostro fratello dopo il mio banale svenimento ..-
- Polinice ed Eteocle capirebbero, zio Kreon. Sta' a riposo- proferì lei.
Zio Kreon fece cenno ad Apollineus di andarsene e poi le rivolse uno sguardo amareggiato che non riuscì a decifrare.
Insistette più volte per andare a vedere le salme, ma con l'aiuto di Apollineus gli offrirono una tisana che lo aiutò a calmarsi e poi a dormire. Appena si addormentò e furono certi di questo, sgattaiolarono in silenzio dalla stanza e, tenendosi per mano, iniziarono ad attraversare il corridoio diretti all'infermeria. Di solito era lì che tenevano i morti prima dei funerali, anche mamma e papà erano stati lì ed erano andati a trovarli: i medici di corte dovevano prima accertarsi delle cause della morte, la preparazione della salma partiva da questo. Poi, passate alcune ore(in teoria giusto il tempo di riprendersi dallo shock), il morto veniva vestito e lavato dai familiari e veniva recato al Tempio, da dove sarebbe iniziata la veglia funebre, destinata a durare fino all'alba; dunque, i funerali alla Grande Corte.
Sentiva il cuore pesante, come stesse per esploderle nel petto. Le dita di Emon e Ismene erano gelide e umide di lacrime al contatto, mentre i loro visi arrossati emanavano un triste calore. Man mano che procedevano lungo i corridoi ancora disordinati e immersi in una penombra spettrale, i mesti volti dei domestici erano pallidi squarci nel buio, destinati a ricordare loro ancora il recente dolore. Anche con mamma e papà era successa la stessa cosa, con l'unica differenza che erano stati svegliati di soprassalto e costretti a recarsi all'infermeria in tenuta da notte.
-Condoglianze, Eccellenze-
-Che le anime pure dei vostri fratelli vi illuminino, dovunque esse siano!-
I corridoi erano un continuo sibilare di tali parole e del placido spazzare dei domestici. I loro passi leggeri e svelti rimbombavano in mezzo alla desolazione generale, alle armature cadute e agli arazzi bruciacchiati. Si raggiungeva l'infermeria arrivando ai Giardini Reali e oltrepassando la seconda fontana, quella di quarzo e diamante, si accedeva ad un piccolo edificio basso col tetto di tegole nere. I Giardini suonavano dei cinguettii dei passeri e del ronzare degli insetti come se fosse primavera, ma era impossibile godersi quello spettacolo: anzi, man mano che avanzava in mezzo a quel verde rigoglioso e immacolato, per nulla sfiorato da quella terribile notte, il suo animo e i suoi occhi si facevano sempre più pesanti. La natura, la loro natura privata, quella natura meravigliosa che avevano condiviso da bambini, vestiti da antiche principesse e da cavalieri, si era bloccata in una bellezza rarefatta e quasi irreale, quasi da ologramma: temeva che, se avesse toccato una foglia o un fiore, tutto sarebbe svanito e si sarebbe dissolto come polvere. Come la stessa polvere che aveva divorato Eteocle e Polinice.
La porticina di metallo era lasciata aperta e brillava alla luce del sole. Non si guardarono nemmeno intorno ed entrarono di colpo in quel piccolo spazio puzzolente di alcol e sangue, con le pareti di piastrelle azzurrine e il pavimento liscio e lucido, color verde acqua. Tre dei cinque lettini dell'infermeria erano occupati da figure ferme, biancastre e rigide: il cuore le si gonfiò e le gambe le spinsero ad avvicinarsi ai lettini.
Due erano occupati da Eteocle e Polinice: l'uno con due profonde ferite all'altezza del cuore e del polmone destro, l'altro con un profondo taglio all'altezza dello stomaco. Le ferite erano state sistemate alla bell'e meglio e ora, nudi e grigiastri, giacevano con gli occhi e la bocca serrati dalla morte su lettini sottili e biancastri, anneriti dalle loro ombre e dal sangue raggrumato. Nonostante quella vista terribile la ferisse e la muovesse alla violenza del pianto, non riuscì a piangere e si gettò ai piedi dei lettini, stringendo con i pugni il metallo cavo della sua struttura. Anche Ismene fece lo stesso, posizionandosi ai piedi del letto di Eteocle, mentre Emon si limitò ad appoggiarsi alla parete e a piangere grosse lacrime.
Il metallo era freddo e rigido come ossa e la fece rabbrividire ancor di più della vista dei cadaveri. Stessa scena, qualche mese fa, con tutta la corte intorno. Con gli occhi ancora annebbiati dal pianto alzò il capo verso il neon malaticcio della stanza e chiese se lassù qualcuno avrebbe potuto evitare la guerra, evitare che loro morissero. Poi si ricordò che s'erano uccisi tra loro e non c'era nulla da domandare al cielo di ciò che già non sapesse, e ciò la ferì ulteriormente. Poi si alzò dalla propria posizione barcollando e, notando con la coda dell'occhio l'orologio da taschino di Polinice, aprì di soppiatto un'anta e prese l'oggetto tra le mani: era ancora caldo, umido e sporco di polvere, notevolmente compromesso ma ancora funzionante. Una cornice tonda e dorata circondava il quadrante, protetto a stento dal vetro ormai distrutto, mentre le lancette nerastre su quello sfondo bianco intarsiato dalla lambda continuavano tuttavia a muoversi. Lo strinse tra le dita e poi se lo ficcò in tasca, quasi avesse portato con sè il cuore stesso di suo fratello.
-Vostre Maestà ..-
Esculapius Apollineus, fratello gemello e collega di Asclepius, venne loro incontro col volto mesto e le braccia spalancate. Emon fu il primo ad abbracciarlo, intonando un triste lamento, poi Ismene e dunque fu il suo turno: Esculapius odorava di alcol, bisturi e sangue, un odore terribile che non avrebbe più dimenticato in vita sua dopo l'ennesimo lutto.
-Scusateci il disturbo, dottore- disse timidamente Ismene - Ma siamo .. Siam venuti a trovare i nostri fratelli. Non vogliamo lasciarli soli nemmeno un attimo, proprio come abbiamo fatto con mamma e papà-
-Siete dei ragazzi coraggiosi- sorrise amaramente e dolcemente allo stesso tempo - I vostri genitori e i vostri fratelli saranno fieri di voi .. E non vi abbandoneranno mai ..-
-Quando si procederà alla vestizione, dottore?- disse Emon.
-Non c'è stato bisogno di un'autopsia più approfondita per rivelare le cause della morte, signorino Emon. A breve inizierò a convocare i domestici e anche voi potrete avvertire lo zio .. Sempre se sta bene. Mio fratello mi ha detto che ha avuto un mancamento-
-E' normale, dottore .. E' stato un colpo per tutti-
Antigone aveva visto un terzo corpo steso sul lettino e si avvicinò per vederlo. L'urlo della sera prima tuonò nella sua mente con l'ennesima violenza di un'esplosione e una lacrima cadde sulla pelle grigiastra del cadavere: anche Margot era stata colpita. Metà del suo corpo era gravemente ustionato e mezza testa era saltata via, nonostante fosse ancora riconoscibile.
-Già, principessa cara .. Non c'è stato nulla da fare per salvarla. Le bruciature sono state ad ucciderla .. Povera Margot-
I bottoni di opale sulla stoffa nera erano brillanti come tristi stelle. Chiuse ciascuno con attenzione e serietà, sperando quasi che il tempo passasse impiegato in quell'azione. Voleva che il tempo passasse abbottonando quell'abito di seta nera, ben accollato e lungo fino alle ginocchia, e la impedisse di andare alla vestizione.
Avrebbe rivestito e visto per l'ultima volta quelle braccia che l'avevano sollevata tante volte e quelle gambe che le erano sembrate il dorso di un cavallo.
Avrebbe baciato quelle fronti fiere e alte che le erano sembrate irraggiungibili come montagne.
-Coraggio, sei pronta?-
Ismene infilava le scarpe e appuntava la spilla sul petto. Era bella e regale come mamma, diventata improvvisamente adulta nel giro di poche ore: i suoi occhi apparivano quasi più azzurri, lucenti di lacrime com'erano, e la pelle ancora più bianca sotto la stoffa nera.
-Sì, ecco. Sto abbottonando l'abito-
Ultimo bottone. Voleva che passasse un secolo per concludere quel piccolo gesto e invece furono pochi secondi, giusto il tempo per tirare fuori dal cassetto il cappellino con la veletta nera. Finalmente furono pronte entrambe, si lanciarono uno sguardo cupo e si presero per mano. Le loro guance si sfiorarono, così come i loro petti caldi e lentamente ansimanti.
-Andrà tutto bene, Antigone-
-Zio Kreon non reggerà. Adorava i nostri fratelli-
-Noi tutti li adoravamo, sorellina. Ma sono i brutti colpi che la vita ci offre per fortificarci-
-Che ne sarà di noi dopo zio Kreon? Senza la guida dei nostri fratelli?-
Ismene sospirò e parve arrossire.
-Una volta Eteocle mi ha spiegato che la successione avviene per età: sarebbe salito per prima Polinice, poi Eteocle, io e dunque tu. Mi sa tanto che toccherà a me .. Ma a regnare bisogna essere in due-
-Come mai allora zio Kreon governa da solo?-
-Zio Kreon è solo il reggente, Antigone .. E può governare da solo-
-Quindi dovrai sposarti per forza?-
Sospirò e sorrise, con gli occhi improvvisamente colmi di speranza.
-Evidentemente sì-
Ismene giunse le mani e se le portò al petto. Quando arrossiva e i suoi occhi sorridevano lo faceva sempre: evidentemente aveva in testa un chiaro progetto futuro con un certo Capitano della Guardia Reale.
Qualcuno bussò alla porta due colpi.
-Avanti!- esclamarono in coro.
Si fece avanti Emon con il viso emaciato e smagrito: anche lui pareva essere invecchiato di dieci anni e ciò sembrava accrescere il suo triste fascino. Le venne a baciare il viso e poi ella si appoggiò al suo petto. Ismene sorrise dolcemente e malinconicamente.
Iniziavano a rimbombare le prime cannonate: colpi sordi e improvvisi come il loro dolore.
-Coraggio ragazze, dobbiamo andare-
Emon la prese per mano e lei strinse quella di Ismene. Si chiusero dunque la porta alle spalle e attraversarono il corridoio: la vestizione sarebbe avvenuta nelle stanze dei loro fratelli.
Appena furono davanti alla porta della stanza di Eteocle, che confinava con quella di Polinice, notarono che i domestici tiravano fuori mobili e oggetti da questa, mentre zio Kreon stava fermo davanti la soglia dell'altra stanza.
-Che succede, zio?-
-Dobbiamo vestire Eteocle, coraggio ..-
-Ma perchè questo trambusto dalla stanza di Polinice?-
-Polinice? Chi è Polinice?-
Un brivido freddo le percorse la schiena e la bloccò per un attimo.
-Coraggio, Antigone. Faremo tardi alla cerimonia-

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Capitolo 11
*** 10 ***


10

Tiresia, il gran sacerdote, vestiva di nero come zio Kreon, tutti loro e tutta la corte del resto, ma sulla lunga tonaca, quasi un tutt'uno con la sua pelle color cioccolato e in contrasto con le tempie canute e gli occhi grigiastri, portava due bende vermiglie come sangue: il colore forte e doloroso che si opponeva al nero, che dimostrava che oltre la morte c'era il sangue di un eroe che aveva perso la vita per difendere la patria. Tiresia aveva indossato quella tonaca anche durante il funerale di mamma e papà, anche se effettivamente non erano morti in guerra, e dopo mesi la tirava fuori per Eteocle. Solo per Eteocle.
La stanza di Eteocle, come anche quella di Polinice, era una delle più grandi a palazzo, quasi pareva un vero e proprio appartamento: le grandi finestre di cristallo e ferro, con le vetrate a forti tinte raffiguranti alcune scene della storia dei Lambdakou, brillavano di mille e più colori in quel giorno triste e nero, lasciando penetrare caldi raggi di sole e cinguettii dal giardino; sul grande letto, d'oro e broccato, era disteso Eteocle, forse già lavato dai medici per evitare di turbare eventualmente tutti loro, ma ancora in semplice biancheria. Accanto a lui, ripiegati per bene o appesi , stavano i vestiti che avevano scelto per salutarlo l'ultima volta, gli stessi dell'incoronazione dello zio. I funerali, anche quella volta, sarebbero stati pubblici e trasmessi in tutta la rete nazionale e in tutti gli schermi, sia dell'Acropoli sia di Thebe Bassa.
Tiresia venne loro incontro con un profondo inchino, imitato dai due chierici che aveva portato con sè e che avevano già sistemato  i ceri e la grossa boccia fumante dell'incenso. Zio Kreon, Ismene, Emon e lei si avvicinarono al letto e Tiresia iniziò a recitare le formule funerarie nell'antico dialetto: erano melodiose e veloci, preghiere gravemente sussurrate a stelle e a divinità lontane e impronunciabili, divinità ibride di aria, cristallo e metallo, divinità mortali della guerra e della morte. Il rito di vestizione iniziava: mentre il sacerdote recitava le opportune preghiere, accarezzando e parlando al morto come se fosse vivo e regredito ad uno stato di prima infanzia, lo vestivano con cura e calma, sussurrandogli all'orecchio complimenti e commiati come ninnenanne.
Alte, possano
le stelle,
argentea schiena,
illuminare
il cammino tuo,
principessa ..
Una volta l'era capitato sotto l'occhio un foglietto sulla sua scrivania. Era accartocciato e buttato in un angolo vicino alla lampada da lettura, e forse Eteocle aveva dimenticato di buttarlo via. Presa da chissà quale stimolo di curiosità l'aveva tirato fuori dal suo cantuccio e ne aveva letto il contenuto: un titolo scritto in lapis rosso recitava "Alla sorella minore", e poi seguivano quelle poche righe di poesia. Il suo compleanno s'avvicinava e ancora Eteocle non sapeva cosa regalarle: si sarebbe presentato poi con un ritratto, ma inizialmente aveva in mente una poesiola. Il ritratto era incredibile e ancora troneggiava sulla propria scrivania, ma quelle parole non le avrebbe mai dimenticate: nonostante i litigi, nonostante la differenza di età, nonostante i loro caratteri opposti, per Eteocle sarebbe rimasta la piccola principessa con la spada argentata e la corona di stelle che combatteva in giardino contro Polinice vestito da dragone. E ora, a distanza di un anno, quelle parole le risalivano in mente come calde lacrime e raggiungevano la bocca.
-Alte, possano le stelle, argentea schiena, illuminare il tuo cammino, principe ..-
Eteocle fu vestito e dunque Ismene lo pettinò. Aveva appena finito quando entrarono i facchini e sistemarono Eteocle sulla lettiga che lo avrebbe accompagnato sino alla bara di marmo del Tempio, quella che sarebbe stata esposta l'indomani ai funerali pubblici. Emon e lei li aiutarono a tirarlo su e si posizionarono dunque dietro la lettiga, in un piccolo corteo guidato da Tiresia. Uscivano in silenzio dalla stanza dopo aver spalancato le sue grandi porte e si incamminarono lungo il corridoio, circondato da domestici e guardie di passaggio che si passavano lembi del grembiule o maniche sugli occhi umidi o si toglievano cuffiette e cappelli. Anche qualche mese prima era stato così: un continuo scrosciare di singhiozzi, passi lenti e pesanti nei corridoi, morti caricati sulle spalle. E ora si ripeteva di nuovo, ma per uno soltanto dei morti da onorare e seppellire: ciò le appesantì ulteriormente il cuore e la spinse tra le braccia di Ismene.
Per raggiungere il Tempio bisognava uscire ai Giardini e attraversarli tutti. Sotto quel sole mattutino, ancora tiepido e dolce, non ancora troppo alto per imperlare le loro fronti di sudore, il loro piccolo corteo avanzava in silenzio tra le fontane e le aiuole, mentre i giardinieri si toglievano i berretti verdastri e si battevano il petto addolorati. Quello sarebbe stato solo l'inizio del funerale, proprio come era accaduto con mamma e papà: prima la veglia funebre nell'intimità solenne dei grandi stanzoni colonnati del Tempio, poi sull'auriga avrebbero portato il sarcofago alla Grande Corte, dove tutti avrebbero potuto rendere omaggi al salvatore della patria.
Ma per quanto riguardava Polinice? Zio Kreon pareva averlo dimenticato per sempre, anzi cancellato dalla propria vita. Troppo grande era il tradimento alla famiglia e alla patria, che in quel caso coincidevano. Non osava più domandarglielo, almeno per il momento: forse era ancora troppo scosso e voleva almeno onorare chi lo aveva salvato da una morte terribile. E forse a Polinice non importava tanto di essere onorato come il Principe Ereditario.
Ma zio Kreon forse non intendeva proprio onorarlo. Voleva lasciarlo marcire sul campo, cibo per cani e avvoltoi del Tempio, come i cadaveri dei condannati a morte. Come i due tizi impiccati, come i Ribelli che ogni tanto catturavano: dovevano rendere grassi gli avvoltoi sacri, messaggeri delle stelle. Corpi smembrati in pasto a divinità alate. Sentì nuovamente il sangue raggelarsi e strinse nella tasca l'orologio da taschino che aveva rubato all'infermeria.
Il Tempio brillava d'oro e drappi neri, ancora una volta. Gli stendardi con la lambda dorata erano più alti e lucidi che mai, i musici s'erano già allineati intorno al sarcofago- di marmo lucido intarsiato d'oro, più regale che mai, con le imbottiture di seta rossa com'era stato anche per mamma e papà- e i cadetti della Guardia Reale erano già pronti ai cannoni per sparare i colpi. I portantini recarono la lettiga al sarcofago e adagiarono Eteocle sul suo ultimo letto.
La prima cannonata rimbombò, cupa e dura, fendendo l'aria. Iniziava la veglia.
 
Davanti ai suoi occhi assonnati e pesanti i ceri funebri brillavano ancora: luci sanguigne e deboli come silenziose esplosioni lontane, quelle che non aveva potuto sentire chiusa dentro il bunker. La veglia era finita alle prime luci dell'alba, giusto il tempo di farli riposare per qualche ora e poi prepararli al funerale pubblico.
Erano appena le dieci e mezza. Anche quella mattina era davanti allo specchio con una domestica- Margot era stata sostituita con una ragazza secca e pallida, con i capelli neri dai riflessi azzurrini e le mani sottili e grige- che le abbottonava il lungo cappotto nero e oro, ben accollato. Poi tirò fuori la spilla a forma di lambda e l'appuntò sotto il collo. Tocco finale: l'alto copricapo nero, pesante quasi quanto una lapide, il kajal nero sugli occhi e la bocca tinta di un colore più chiaro.
-Siete pronta, Principessa-
-Grazie ..-
- .. Josie, il mio nome è Josie, Maestà-
Josie la salutò con un inchino e uscì, lasciando entrare Ismene ed Emon già pronti.
-Antigone .. Siamo venuti per chiamarti. Coraggio, lo zio ci attende- sussurrò Ismene.
Piano si alzò dalla specchiera e prese per mano Ismene. Zio Kreon li attendeva al Porticato, unito alla Grande Corte da un lungo viale. Si accedeva al Porticato dopo aver attraversato il salone da ballo, illuminato come non mai a quell'ora del mattino: zio Kreon li attendeva vestito al loro stesso modo, col volto ancora stanco e appesantito dal sonno, quasi grottescamente allungato dal copricapo.
-Eccovi qui, ragazzi. Coraggio, la Corte è già piena-
Si aggiunse a loro Tiresia, Hans Achilleus con la divisa nera e alcuni rappresentanti dei Senato. A guidare il loro piccolo corteo c'era il sacerdote, seguito poi da loro quattro, e dunque dietro di loro i senatori e dunque Hans. Due domestici spalancarono il portone di ferro e si inoltrarono a passi lenti sul viale, decorato da un lungo tappeto bordeaux. Da lontano riusciva a scorgere l'enorme quantità di persone radunate intorno alla corte, il loro brusio e le troupe televisive. La bara era ancora un lungo punto bianco in mezzo al grigiore della Corte, ma man mano che procedevano si faceva più grande e il suo cuore si faceva più pesante.
Arrivavano alla scalinata, decorata anch'essa da un tappeto. Più di mezza Acropoli, tutta vestita con abiti cupi e grigiastri, con i volti truccati anch'essi in colori smorti, era presente e appena li videro entrare un grosso e rumoroso applauso arrivò a coprire anche le cannonate. Con la coda dell'occhio vide zio Kreon che cercava di trattenere la commozione passandosi una mano sulla bocca. Il Gran Consigliere era già davanti al sarcofago: si voltò verso zio Kreon e si asciugò una lacrima in procinto di cadere da un occhio truccato di nero. Ogni singolo movimento, ogni loro espressione, ogni gesto delle loro mani e l'applauso generale venne ripreso dai cameraman e mostrato subito sugli schermi nella piazza. Venne inquadrato per l'ennesima volta il volto di Eteocle e subito i loro volti.
-Gente di Thebe!- esclamò il Gran Consigliere con la voce tremante - La furia ribelle, macchina mortale, ha portato con sè il nostro amatissimo Principe Ereditario-.
Quelle parole la impressionarono più delle continue riprese alla salma profumata e incipriata di Eteocle: Polinice non era più nulla nemmeno per Thebe.
- Sudditi amatissimi, figli e fratelli della stirpe dei Labdakou, il dolore ci raccoglie e ci unisce alla famiglia reale, ferita nel profondo dei suoi affetti dalla violenza dei sovversivi. A voi, assassini, mi appello adesso in spirito di pace: chi vi spinge ad uccidere giovani innocenti? E chi, soprattutto, vi aizza a mozzare la mano che vi nutre? Questo, noi gente di Thebe, non possiamo saperlo e lo chiediamo a voi. Eppure, nemici della casata dei Labdakou, voi non sapete cosa disse un uomo saggio millenni e millenni fa, prima delle vostre azioni crudeli: il dolore rende più forte gli uomini e le donne virtuosi, come un buon padre fa mettendo alla propria i figli meritevoli. Le vostre azioni uccidono corpi, ma non le anime pie e valorose degli eroi che lottano per la patria, tra cui il nostro Principe scomparso-
Ennesima cannonata. Le casse suonarono alto l'inno di Thebe ma la gente si animò nuovamente intonando un ennesimo scrosciante applauso. Le telecamere ripresero prima loro tre e lo zio, allineati sullo scalone, poi il volto del Gran Consigliere, dunque la gente che piangeva e si batteva il petto. Poi, nelle note finali dell'inno, una voce si alzò maestosa tra tutte le altre trascinandole a sè e formando un gigantesco e melodioso vortice scrosciante di voci.
-..  Sia sempre innalzato il glorioso nome di Thebe e della stirpe dei Lambdakou, figlia e madre della città!-
Per zio Kreon fu il momento di rompere in un pianto copioso. Ismene, lei ed Emon si strinsero a lui e l'applauso si fece ancor più imponente e rumoroso. I cameraman ripresero ogni singolo momento, zoommando a più non posso sul loro incrociare di braccia e mani sulle spalle dell'altro, e poi la folla che lanciava baci.
- Signori e signore- la voce del Gran Consigliere cercò di superare l'applauso- Questo, questo zio affettuoso e padre di Thebe dovrebbe essere eliminato dai ribelli?- disse indicando lo zio.
-Lotta ai ribelli! Morte ai traditori!- disse una voce, forse la stessa di prima, e il nuovo slogan venne innalzato dieci, cento, mille e più volte in quell'aria carica e rovente di pianto.
Era il momento di portare Eteocle nella sua ultima casa. Giunse l'auriga col suo grande carro d'oro, scoppiettante come non mai: a fatica il sarcofago fu caricato su di esso e il carro si alzò vibrando in aria, con i razzi posteriori rossastri e fiammeggianti, e si posizionò sul viale d'ingresso. I funerali erano giunti al termine ormai: il carro avrebbe proceduto lentamente verso il Tempio, seguito dal loro piccolo corteo di familiari, mentre in sottofondo gli applausi scrosciavano ancora copiosi.
 
Dopo i funerali zio Kreon volle riunire tutti nella sala delle udienze. Avrebbero partecipato lei e Ismene, Emon, Hans Achilleus come portavoce della Guardia Reale, il Gran Consigliere e tutto il Senato. La sala delle udienze era stata preparata in fretta e furia, ma allo zio non importò granchè: doveva sì dare una comunicazione importante, ma detta in parole semplici e veloci per fissarla a mo' di regola in maniera più semplice. Aveva un brutto presentimento e, a pensarci, le veniva quasi da piangere. Non avrebbe voluto partecipare alla seduta straordinaria, essendo stanca da quella terribile e luttuosa giornata; eppure qualcosa quasi la obbligò ad esserci, qualora avesse mosso qualche parola contro la nuova regola dello zio.
Muovere una parola contro. Disobbedire.
Non aveva mai mosso una parola contro papà, o mamma, o zio Kreon. Oh, magari  disobbediva a mamma e papà , soprattutto quando era bambina e, ad esempio, le si diceva di non correre in giardino per evitare di sporcarsi il vestito. E poi anche a zio Kreon, quando le diceva di andare da Twiggiper per ripassare la storia di famiglia quando in realtà si recava con Emon a pomiciare in giardino. Ma erano cose sciocche, da adolescente. Questa volta non aveva addosso quell'adrenalina tipica di chi sta per disobbedire, ma una cieca paura che avrebbe disobbedito a ciò che zio Kreon avrebbe detto. Perchè non sarebbe stato l'ordine di ripassare la storia della famiglia o di non correre in giardino per non sporcarsi.
Si sedette tremando al proprio posto e Ismene le lanciò un'occhiata preoccupata.
-Cos'hai?-
-Nulla, sono stanca-
Zio Kreon si alzava in piedi e tutti si inchinavano.
-Nipoti care, Emon, Capitano Achilleus ed egregi Senatori. Vi ho convocati qui, ma non vi terrò molto: sarò breve nell'esprimere e ordinare ciò che da oggi cambierà nelle norme che regolano la sepoltura dei morti.-
La sepoltura dei morti. Lo aveva previsto.
-Oggi mi son reso conto della virtù dei miei sudditi e conterrò sempre nel cuore le meravigliose parole che voi, Gran Consigliere, avete detto per commemorare il mio amato nipote Eteocle. E queste parole e queste azioni, emblema della virtù che si sviluppa qui nell'Acropoli, mi hanno spinto a meditare per accrescerla e quasi agevolarla. Ed ecco, signori riuniti, che la mia idea si farà legge-
Ogni presente afferrò dal banco il proprio bloc-notes. Ella invece si limitò a guardare la riunione con le ginocchia tremanti. Sarebbe sicuramente esplosa.
-Ordino esplicitamente, davanti al Senato, alle mie nipoti care, al mio figliastro e a voi, Comandante Achilleus, che i corpi dei traditori siano lasciati insepolti. Poco importa, da oggi, la loro origine: se sono stato più crudele nei confronti dei traditori e dei sovversivi provenienti dalla periferia, lo sarò altrettanto nei confronti delle possibili menti sovversive nascoste qui in città. E no, non voglio essere un tiranno, ma anzi, come un buon padre- e fece l'occhiolino al Gran Consigliere- voglio accrescere la virtù dei miei figli sudditi. Ebbene, ordino che a partire da oggi, anche i traditori provenienti dal seno, dal cuore del mio regno, vengano lasciati insepolti, carne per i cani e per gli avvoltoi del Tempio. A partire da Polinice-
Ecco. L'aveva detto. Doccia gelata che le fece sbarrare gli occhi, mentre Ismene ed Emon risposero con un grave sospiro e gli occhi bassi.
-Polinice, sovversivo e non più mio nipote amato, verrà lasciato insepolto e smembrato. Gli avvoltoi e i cani potranno farne banchetto. Capitano Achilleus.. -
-Ditemi, Maestà-
-Istituite dunque un gruppo di guardie che possano sorvegliare quell'orrenda carcassa. Non durerà a lungo, giusto il tempo che si imputridisca e diventi carne più morbida per gli animali-
-Sarà fatto, Altezza-
-Ecco, e questa sarà la sua punizione. Vi avverto, signori qui presenti e nipoti carissime: chiunque cercherà di seppellirlo verrà considerato traditore. E come tale, condannato a morte-
Le si bloccarono gambe e braccia, insieme alle labbra. Non riuscì a proferire nemmeno un sospiro.
-Bene, signori cari. Questo è tutto. Senatori e Gran Consigliere, avvertite i sudditi e dunque tutto il personale. Cercate di essere fedeli a ciò che ho detto-
-Sarà fatto, Eccellenza- dissero in coro i presenti.
-La seduta è sciolta. Potete tornare alle vostre attività-
Le membra le si sbloccarono di scatto e le venne l'istinto di alzarsi di colpo. Sgattaiolò dal proprio posto, attraversò la stanza correndo e uscì di corsa dalla stanza facendo rimbombare di passi la sala e il corridoio. Poco le importava che l'avessero osservata e avessero commentato il suo strano comportamento. Strinse dentro la tasca l'orologio e corse nella sua stanza, dunque si buttò sul letto. Giusto il tempo di nascondere l'orologio che ruppe in un pianto secco e pesante: Polinice era morto in quell'istante.

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Capitolo 12
*** 11 ***


11

I corridoi erano ancora vuoti, forse la servitù si era presa un momento di pausa. Antigone correva lungo i corridoi rasente le pareti, compiaciuta della penombra grigiastra che l'avvolgeva mentre stringeva al petto l'orologio da taschino di Polinice, ancora vibrante come un cuore pieno di vita.
No, Polinice non era morto. Forse sarebbe vissuto ancora, vissuto nella penombra della sua mente. D'altronde, zio Kreon non aveva vietato di ricordarlo, ma solo di seppellirlo. E Polinice ed Eteocle avevano ormai fatto pace, sì, e sicuramente Eteocle non voleva che zio Kreon odiasse tanto Polinice. Ma i morti forse non potevano parlare da lontano, da lassù, dalle loro stelle. O, se parlavano, erano troppo distanti per essere uditi con chiarezza.
No, ella invece udiva Polinice: quel ticchettio sommesso e timido, ovattato per il contatto con la stoffa, sarebbe stata la voce del suo cuore. Non si poteva condannare a morte un ricordo, caro zio Kreon.
Svoltò a destra e oltrepassò la soglia della stanza di Polinice, con la porta semichiusa. I suoi passi veloci e silenziosi rimbombarono come urla dentro quell'ambiente vuoto. Ai domestici era stato ordinato di togliere tutto: erano spariti il letto, la scrivania e l'armadio, almeno. Nemmeno le antiche miniature e i manifesti vecchi di un secolo c'erano più alle pareti, ma solo le sottili ombre dei chiodi, nere come lunghe mani di strega. Fece qualche passo avanti, talvolta voltandosi per vedere se stesse arrivando qualcuno, e si posizionò sotto le finestre quasi per godere degli ultimi raggi di sole che illuminavano quelle vetrate multicolore.
-E ora la tua faccia è .. rossa! E ora è blu .. E ora? E ora com'è se ti metti qui sotto?-
-Verde! Polinice, è verde!-
Polinice le permetteva di entrare nella sua stanza, sempre, anche quando era troppo piccina per capire cosa stesse studiando, seduto com'era sempre alla sua scrivania, e di cosa stesse parlando. Le stanze dei suoi fratelli erano austere, proprio com'era giusto che fossero le stanze dei principi ereditari; le stanze sua e di Ismene erano invece in uno stile parecchio antico ma delicato, quello che zio Kreon chiamava "liberty": più femminili, aggraziate, proprio come avrebbero dovuto essere le principesse per bene. Ismene aveva deciso di tenerla così, almeno fino a quell'anno, poi le pareti avevano iniziato a ricoprirsi di fotografie, cartoline dal Satellite 54 o i bigliettini a forma di cuore che Achilleus le nascondeva sotto la porta; a lei invece piaceva ricoprirla dei disegni di Emon- soprattutto i ritratti, spesso si chiedeva dove avesse imparato- delle vecchie foto di quando era bambina e dei biglietti dei concerti a palazzo: non che dovessero pagare i biglietti, loro quattro, ma averli appesi alle pareti la faceva sentire normale. Guardarli la faceva sentire Antigone e basta, diciassette anni e una piccola voglia sulla spalla destra, non Antigone Labdakou, Principessa Ereditaria Quarta, chip n°7 inserito nella spalla destra.
Anche Polinice la faceva sentire normale, più di Eteocle o Ismene: prima che se ne andasse le aveva messo in testa il pallino di farsi rimuovere il chip con un intervento segreto, anche se inizialmente ella aveva ribattuto che rimuoverlo sarebbe stato un rischio per la sua vita. Chissà se se l'era fatto rimuovere prima di andarsene: intanto era morto comunque.
L'aria stantia e polverosa di quella stanza e l'odore di vecchia vernice le parvero i migliori profumi, appoggiata alle pareti del piccolo rifugio di Polinice. Poi scese a terra strisciando la schiena al muro, lentamente, finchè le ginocchia e poi il sedere toccarono terra. Ella teneva gli occhi lievemente socchiusi, come in dormiveglia, e i brividi lungo la schiena la facevano sorridere: Polinice la stava abbracciando, sì, era lì. Proprio come papà e mamma erano con lei, Ismene e i ragazzi la notte della loro scomparsa, notte insonne passata a tremare, quando proprio quel tremore erano i genitori che davano l'ultimo bacio della buonanotte.
Sorrideva ancora, stringendo i pugni e gli occhi, e una lacrima le rigò la guancia. I pugni toccavano il pavimento e la cornice della parete, poi si schiusero e si mise a picchiettare con le dita la canzoncina di zio Kreon, accompagnandola con la voce. Picchiettò le dita due, tre volte, poi uno strano rumore da sotto i suoi polpastrelli la richiamò alla realtà, facendole riaprire gli occhi. Picchiettò nuovamente due, tre volte, tendendo un orecchio alla porta per non essere vista o sentita. Poi si voltò, si mise ginocchioni e guardò sotto di lei.
Pareva una piastrella come tutte: quadrata, rossastra con un rombo verde scuro al centro, ma pareva avere i bordi leggermente rialzati. Si scrocchiò le dita, lanciò un'occhiata al corridoio e si voltò nuovamente verso la piastrella, cercando di afferrarne i bordi con i polpastrelli e le unghie. La piastrella scivolò via dolcemente, senza far rumore, scoprendo un piccolo nascondiglio cubico, una specie di scatola segreta di Polinice. Lanciò l'ennesima occhiata al corridoio e iniziò a tirare fuori da quella cassettina gli oggetti nascosti: vi era una piccola foto rettangolare, dai colori e dalle forme sbiadite, tipica delle cattive tecniche fotografiche di Thebe Bassa, che raffigurava Polinice insieme a una fanciulla con abiti umili e la tipica carnagione grigiastra delle periferie. La girò sul retro e trovò una dedica tracciata in inchiostro nero da una mano poco abituata a scrivere o forse direttamente analfabeta, scarna come non mai, senza fronzoli e smancerie: A Polinice, Rebecca; poi tirò fuori un medaglione di legno con la fotografia di mamma, bella come non mai, con i riccioli neri che scendono sulle spalle pallide e l'abito rosso e blu che si intravede da sotto i capelli; un papavero essiccato, con lo stelo sottile ormai annerito ma la corolla ancora accesa come una fiamma. Li tirò pian piano uno dopo l'altro, accarezzandoli per bene con i polpastrelli e cercando di ricacciare invano le lacrime, che caddero una dopo l'altra sulla foto ingiallita. Non sapeva chi fosse Rebecca nè sicuramente Polinice ne aveva mai parlato, ma quei sorrisi di intesa e quelle braccia intorno ai rispettivi fianchi le facevano pensare un amore segreto, un amore impossibile, da nascondere, come quel papavero secco che spesso portavano ai baveri delle camicie i condannati a morte presi tra i ribelli. Tra quegli oggetti umili, si riservò come ultimo un grosso diario in pelle, con la copertina marrone annerita dalla polvere e le iniziali del nome e del cognome di Polinice tracciati d'oro. Il diario le era vagamente familiare, o meglio lo aveva riconosciuto: era un regalo che papà aveva fatto a Polinice il giorno del suo compleanno, e all'apertura del pacco che lo conteneva c'era tutta la famiglia riunita. Poi il diario era sparito, sicuramente Polinice nascondeva questo e i suoi segreti come tesori sotto la piastrella.
Pensava che se l'avesse vista le avrebbe urlato contro di lasciarlo e di andarsene, facendo rimbombare le pareti e facendo spaventare la servitù. Ma Polinice non avrebbe potuto urlargli più contro o, almeno, non avrebbe potuto sentirlo chiamare da dove ormai fosse.
Prese il diario con entrambe le mani, ci soffiò sopra e lo portò al petto. La copertina era stranamente tiepida e ne parve rinfrancata.
-Posso leggerlo, Polinice?- chiese al silenzio che la circondava -Ho paura che qualcuno possa scoprirlo e distruggerlo, se rimane qui e qualcuno si mette a pulire. Non trovi?-
Abbassò lo sguardo verso la copertina e le due lettere P. L. parvero brillare come non mai.
Dei passi la scossero improvvisamente. Sistemò in fretta e furia gli oggetti dentro il vano, li coprì con la piastrella e nascose il diario dentro la felpa, insieme all'orologio. Si alzò di scatto e sgusciò fuori dalla stanza ad occhi bassi, cercando di non far troppo rumore con i propri passi veloci ed entrò velocemente nella propria stanza. Si appoggiò alla parete, fece un profondo respiro e chiuse la porta.
 
Il diario era chiuso da una piccola e malmessa serratura dorata con tanti segni di scassinatura, forse procurati dallo stesso Polinice. Non pareva difficile aprirlo nuovamente. Lasciò il diario sul letto e aprì un cassetto, tirò fuori un fermaglio e lo infilò dentro la piccola toppa arrugginita: la serratura scattò subito e il diario si aprì.
Scostò la pesante copertina in pelle e una folata di polvere la investì in volto facendola starnutire. La prima di quelle pagine giallastre, odorose di muffa e polvere, recitava Rivoluzione Possibile e teorie su di essa e ciò la fece sussultare: il diario era uno di quegli scritti destabilizzanti che venivano messi all'indice e fatti bruciare periodicamente. La fiammata, così come la chiamavano, veniva svolta in un ambiente lontano dall'Acropoli e dal palazzo, vicino alle vecchie centrali della periferia: l'alto fumo che si alzava, gonfio di tutti quei brutti paroloni contro i Labdakou e gli abitanti di Thebe Alta, andava a riempire semplicemente l'aria già viziata di quell'ambiente sporco e aborrito dalla società, andando ad insozzare chi era già sudicio di fumi e ad ammalare chi era già ammalato. Era necessario per salvaguardare l'Acropoli, diceva zio Kreon, e il suo equilibrio. Sicuramente nessuno a palazzo  poteva immaginare che Polinice concepisse tali idee sovversive, figuriamoci scriverle e annotarle in un diario pieno zeppo di appunti, schemi d'attacco e post-it che traboccavano dalle pagine. Scostò la prima pagina e iniziò a leggere con gli occhi, lanciando ogni tanto uno sguardo alla porta.
- "Rivoluzione Possibile e teorie su di essa: ovvero, di come Thebe debba cambiare. Inizio questo diario in data 20/03/40, data dell'incoronazione di Kreon Spartes Labdakou, fratello di Giocasta Spartes in Labdakou, alias mio zio. Cosa mi stia spingendo a scrivere questi appunti e a tenere questo diario, ancora non è chiaro nemmeno a me; ma una cosa è certa: quel piccolo sguattero, quella piccola vita strappata al gioco e allo studio e agli affetti familiari è il mesto simbolo della cattiva condizione delle periferie, di quelle periferie in fermento che hanno raggiunto la Grande Corte il giorno dei funerali, con quei volti grigiastri e anneriti, malati e tuttavia incurabili, poveri e insaziabili. Poco mi importa se questo libro finirà all'indice ed io stesso ne pagherò le conseguenze: le avrò già pagate ed avrò esaurito ogni mia responsabilità se queste mie parole, idee, congetture fissate su carta serviranno a illuminare quei volti resi magri e scavati da fame e malattie. P. L.-
Il suo volto si illuminò di un sorriso triste e gli occhi le brillarono di lacrime. Una goccia nerastra, ancora sporca di kajal, si tuffò sulla carta giallastra della pagina sbiadendo le iniziali di Polinice. Polinice, cibo per cani come i condannati a morte, condannato a morte egli stesso, era colpevole dunque di un atto di estrema generosità? Avrebbe voluto alzarsi di scatto, andare dallo zio con le stesse lacrime agli occhi e convincere lui e i senatori che Polinice era un innocente, che meritava la sepoltura, che egli non odiava la casata reale e la sua famiglia ma le terribili condizioni in cui versavano la periferie per garantire i lussi e il benessere dell'Acropoli. Che era solo un malinteso, un terribile malinteso.
Passò avanti le pagine di argomento strettamente tecnico, o decise di tralasciarle almeno per il momento: erano piani di attacco alla Guardia Reale, tecniche per disattivare il microchip dall'interno, piani economici e sociali per regolare la sanità e l'istruzione delle periferie. Gli appunti tecnici si interruppero in una pagina segnata da una data.
13/05/40
Eteocle dice che scrivo stronzate. Che la Prima Repubblica è un'utopia, un tradimento. Ci stavamo per spingerci giù dalle scale l'uno e l'altro. Rebecca mi dice di star attento e si sente uno schifo per non potermi aiutare a causa del bambino, non riesce a credere che in cima ai miei desideri ci sta la sua, la nostra, la felicità dell'intera Città Bassa. E' tardi e tutti dormono. Non vedo l'ora di lasciare questo schifo per stare con la mia gente.
Un flash le illuminò la mente. Eccola lì, la Rebecca della foto. Rebecca che lo guardava negli occhi, che gli cingeva i fianchi, che era madre di suoi figlio.
La pagina continuava, con una data diversa: la data del giorno precedente alla battaglia che aveva ucciso i suoi fratelli. Dopo questa, tutte le altre pagine erano bianche.
17/05/40
Addio, fogna di cristallo e marmo. Non si può che ricorrere alle armi, ormai. Penso alle mie sorelle e ad Emon, a mamma e papà lontani. Ho paura, confesso, e la luna sta ormai tramontando: è così bella quella palla bianca piena di crateri e dei puntini neri delle colonie. Domani lotterò affinchè Rebecca, il nostro piccolo Marcus che nascerà e tutta la mia gente possano vederla almeno una volta. Addio.
Chiuse il diario di scatto e si buttò in un pianto violento e silenzioso, che cercò di nascondere e mettere a tacere con le mani al volto.

 

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Capitolo 13
*** 12 ***


12


Aveva momentaneamente nascosto il diario sotto il cuscino. Nessuno controllava mai le stanze da letto a meno che non fosse successo qualcosa di strano, e in quel giorno particolare nessuno ne avrebbe avuto comunque la forza. Ismene l'aveva chiamata per cena, venendole incontro con Emon: avevano entrambi i visi stanchi e tristi, ancora reduci della veglia e del funerale, e i brontolii dei loro stomaci si sentivano nel silenzio assordante del corridoio. Camminavano in silenzio, con gli occhi bassi: Antigone non ebbe coraggio di abbracciare Emon come al solito, ma si limitò ad avvicinarsi a lui e a prendere la sua mano nella propria. Egli ricambiò con un sorriso e continuò a stringerle la mano fino alla sala da pranzo, dove si trovava già zio Kreon.
-Eccovi qui, pancini che brontolano- disse accennando un sorriso sforzato, mentre i camerieri servivano già le portate: arrosto di cinghiale e patate e come dessert il budino al caramello. L'odore della carne risaliva lungo le narici e aumentava il suo senso di fame, poi le ricordava che quello era il piatto preferito di Polinice e le si strinse il cuore. Pensò di nuovo a Rebecca e al diario, pieno zeppo di segreti e idee impronunciabili e terribili per zio Kreon e per la famiglia stessa.
Ma no, ella aveva le prove: Polinice non odiava la sua famiglia, non era scritto da nessuna parte. Provava solo un grande amore per la povera gente che non aveva avuto la fortuna di nascere all'Acropoli, per quei bambini sguattero dei grandi ristoranti che frequentava con la famiglia, per gli operai che lavoravano nelle miniere e che non potevano godere di un'aria e di un'acqua pulite come i cittadini di Thebe Alta. Non c'erano parole d'odio in quel diario, solo indignazione e tristezza che volevano essere urlate a tutta la famiglia, a zio Kreon in particolare, domande a cui nessuno sapeva rispondere almeno momentaneamente.
Si voltò verso zio Kreon che la guardava con occhi compassionevoli.
- Hai gli occhietti stanchi, Antigone- le disse in un sussurro- Mangia, altrimenti si fredda-
Guardò velocemente il suo piatto, pieno zeppo di cibo caldo e invitante. Ricordava l'espressione affamata e golosa alla vista di quel piatto di Polinice, che tuttavia lo lasciava spesso senza alcuna ragione apparente, poi si alzava da tavola con la scusa della sigaretta e Ismene lo seguiva, per perderlo poi di vista; poi si voltò verso le due sedie ormai lasciate vuote e un profondo senso di angoscia l'assalì. Ismene se ne accorse e le strinse la mano, mentre zio Kreon guardava con pietà tutta la scenetta.
-Fa .. strano anche a me, Antigone, guardare quel posto vuoto. Dovremo abituarci come abbiamo fatto con mamma e papà, ancora una volta. Domani, se vorrai, provvederò a far togliere le due sedie-
Non possono essere occupate nuovamente, zio Kreon?
Parve quasi leggerle nel pensiero a modo suo.
- .. Oppure, se siam tutti d'accordo, possiamo far sedere il Gran Consigliere e Achilleus. E' un'ideuccia originale, ragazzi, non trovate?-
Gli occhi di Ismene si illuminarono di colpo, mentre lei lanciò uno sguardo divertito ad Emon. Zio Kreon sorrise malinconicamente e impugnò coltello e forchetta.
-Per domani sarà stabilito così. Il Gran Consigliere è un abile intrattenitore, ormai siamo una famiglia. Vi piacerà più di quanto già possa piacervi ed esservi simpatico-
Antigone mangiò velocemente ma senza appetito, e tutti pensarono avesse una gran fame. Si tratteneva a tavola col pensiero fisso di andare a leggere il diario ma non osava alzarsi, aveva quasi le gambe paralizzate al sol pensiero: non era mai successo che durante il pranzo o la cena si alzasse di scatto per andare nella propria stanza, e questo improvviso comportamento avrebbe sicuramente destato sospetti. Si limitò ad attendere che venisse servito il dessert, che tutte le portate fossero state consumate e che zio Kreon li lasciasse liberi.
Si congedarono con un piccolo inchino. Si sentiva come se stesse per svenire: il cuore le batteva all'impazzata nel petto, le tempie le pulsavano e quasi tremava. Era una strana eccitazione quella che la percorreva, la strana eccitazione di stare per compiere qualcosa di terribile e inevitabile. Cercò di scacciare l'ansia credendo semplicemente di dover leggere un libro, un libro qualunque, un libro che per quell'unica sera non sarebbe stato il diario di quel sovversivo traditore di suo fratello.
 
Era riuscita a ritornare nella propria stanza di nascosto. Emon era troppo stanco per camminare nel parco e Ismene le aveva fatto le solite raccomandazioni.
-Tu di' a zio Kreon, se non mi trova a casa entro la mezzanotte, che a causa del nervosismo non sono riuscita a dormire e sono andata a passeggiare nel parco-
Ismene aveva uno strano modo di vivere il lutto e Achilleus era un amante del rischio. Erano perennemente sul filo del rasoio, rischiavano giornalmente di finire sui rotocalchi per le loro scappatelle, soprattutto in momenti difficili come quello. Dopo un principe sovversivo, zio Kreon non poteva permettersi un generale che aspirava alla mano di una Principessa Ereditaria: eppure l'Acropoli amava troppo la sua famiglia più di quanto l'avesse dovuta amare Polinice, e venerava zio Kreon come una divinità, qualsiasi cosa avesse fatto; si poteva dire allo stesso modo di Achilleus: zio Kreon poneva tanta fiducia in quel giovane omone dai capelli fulvi e dagli occhi di ghiaccio, e forse avrebbe permesso un matrimonio tra lui e Ismene.  Forse addirittura sapeva degli incontri furtivi che avvenivano tra i due, ma lasciava correre tranquillamente: era destino ormai, dal giorno dell'incoronazione, che quei giochi di sguardi, quei bigliettini a forma di cuore e quelle scappatelle si sarebbero mutate in fidanzamento ufficiale.
I corridoi erano vuoti e silenziosi, in penombra. Tutte le stanze che davano sul corridoio che stava attraversando erano vuote o chiuse, e tra quelle porte e quegli arazzi si mosse a passi veloci e silenziosi fino ad attraversare l'uscio della propria stanza, a chiudere la porta e a togliersi di dosso i vestiti che indossava ancora.
Scivolò velocemente dentro il pigiama, avvicinò la lampada del comò al capezzale e mise una mano sotto il cuscino. Il diario era lì. Niente era stato toccato in quella stanza.
Voleva leggerlo ordinatamente ma velocemente, per riportarlo al suo nascondiglio originario. Se era stato pericoloso scriverlo, figuriamoci se lo fosse nasconderlo. Le parole di zio Kreon alla seduta speciale rimbombarono cupe dentro di lei: aveva disseppellito terribili segreti e terribili parole e le avrebbe nuovamente seppellite, senza denunciarle ma custodendole come il più prezioso dei tesori. Più sfogliava le pagine del diario, più consumava i propri occhi assonnati nella lettura delle teorie politiche di Polinice, più si sentiva macchiata e rea di un tremendo reato: era quello un tradimento? Era lei, Antigone, Quarta Principessa Ereditaria, una traditrice da condannare?

Capitolo Primo: storia ed energia
Ho dato questo titolo al primo capitolo del mio libello perchè, per comprendere accuratamente le vicende attuali della regione di Beothias, è necessario che si faccia un salto nel passato e fulcro di questa prima analisi è proprio il problema energetico. L'energia è stata ed è la chiave del potere dei Migliori delle varie regioni, compresi quelli di Beothias e, in questo caso, quelli del centro più importante, chiamato Thebe, comandati e retti da Kreon Spartes Labdakou. Thebe si presenta formalmente come una monarchia parlamentare, retta da un sovrano che tuttavia ha potere assoluto: non sta nelle mani del Senato decidere le leggi che fanno e regolano la vita del buon cittadino - o meglio, del buon suddito- ma è il sovrano ad idearle nel segreto della propria anima e a discuterle con il suo stretto gruppo di collaboratori. Essi posson solo impartire consigli e piccole modifiche, ma alla fine sta nelle mani del sovrano decidere il Bene e il Male: queste son le coordinate necessarie per comprendere, in seguito, le dinamiche politiche susseguitesi nel tempo.
Si passi adesso al vero problema del primo capitolo, ovverossia il problema energetico  e le sue conseguenze sulla storia del mondo.
Si iniziò ad aver penuria di risorse energetiche intorno agli anni 30' dell'attuale XXI secolo. V'era un furioso sfruttamento da parte delle più potenti nazioni, impiegate a trasformare quelle risorse, in origine disponibili all'intera umanità, in trappole per loro stessi. E la natura stessa si è ribellata all'avidità umana, tuttavia strappando dalla vita anche chi proponeva un migliore impiego di quelle. Il numero di esseri umani, da che era giunto ai nove miliardi, è diminuito drasticamente a causa di carestie e malattie da esse provocate, scaturite dall'incapacità dei governi di allora di risolvere i problemi "trappola per topi" che essi stessi avevano creato: da un'economia di mercato lievemente controllata si passò ad un collettivismo attuato senza alcun riguardo per l'effettivo benessere della popolazione, un'oligarchia esasperata assunse la maschera di collettivismo in ogni nazione. Di questi anni è rimasto ben poco, ormai: i vari governi, allo scopo di accattivarsi quella povera gente che moriva di fame sotto le loro balconate di marmo, hanno messo a tacere i media su tutto ciò che veniva compiuto alle spalle di quei disgraziati e della loro prole. I governi post- trappola per topi ressero le sorti mondiali per soli cinque anni, ma le forze che condussero la loro caduta non erano in mano a quelle orde di uomini e donne sofferenti(questi erano infatti troppo deboli per ribellarsi, e i pochi sovversivi che erano presenti tra di loro venivano messi a tacere con le tessere per la distribuzione delle pagnotte o con un colpo di fucile alla nuca): a rovesciar quei governi furono gli stessi intellettuali che erano stati messi a tacere dai governanti ed ecco che, verso la fine di questo primo decennio, almeno le terre che si affacciano su quello che veniva chiamato Mar Mediterraneo(ormai ricreato artificialmente, rinominato "Pontos" e ripopolato grazie alla creazione in vitro delle varie specie ittiche) ebbero una nuova forma di governo, mentre ancora nelle Americhe, in buona parte dell'Asia e oltre il Nord Africa ancor si combatte. Non serve dilungarsi troppo sui nuovi sistemi impostisi in Eurasia e il regime di Thebe, capoluogo della regione Beothias, servirà a delinear le coordinate di governi locali e nazionali, legati tra loro da rapporti economici e politici di notevole armonia, che non differiscono molto l'uno dall'altro.

I contenuti del diario, ad un'occhiata più attenta, erano misti: lunghe pagine di teorie politiche sulla futura economia, sul futuro ordinamento di Thebe, sull'influenza alle Regioni intere e anche alle Colonie erano intervallate da piccole scene di vita quotidiana. E più andava avanti, più l'angoscia di tradire la propria famiglia cresceva dentro di lei, accompagnata dalla luna che man mano sorgeva, arrivava in cima al cielo per poi pian piano scendere insieme alle stelle.

.. Da un lato fiumi di champagne che scorrono nei locali più alla moda, aeromobili cromate sfrecciano per le strade dell'Acropoli con il loro carico di damerini incipriati e perfetti, fortunati ad esser nati e cresciuti a Thebe Alta e  favoriti dal governo locale in campi quale istruzione, sanità e pensioni; dall'altro, Thebe Bassa che muore di fame in un ambiente malsano e sporco, dimenticata dal governo, focolaio di criminalità, povertà e corruzione. In un secolo come questo, in anni come questi, reduci come siamo da cattivi governi e carestie, la rivoluzione intellettuale non ha tuttavia portato a nulla: quegli intellettuali son diventati uguali o peggiori degli assassini di dieci anni prima, instaurando l'ennesima oligarchia mascherata, favoriti essi stessi da quella piccola fetta di popolazione che continuano a far ingrassare. Caro lettore, questa è la pura realtà quotidiana di città come Thebe, in mano a servi ingioiellati di un governo che non è stato voluto da nessuno e che ha favorito chi ha voluto favorire.

Il sonno cominciava a pesarle sulle palpebre. Aveva già divorato mezzo diario ed era scoccata la mezzanotte. Sentì la porta della camera di Ismene aprirsi, poi i passi ovattati di lei e la porta che si chiudeva alle spalle. Passò le pagine che esprimevano lo sdegno di Polinice nei confronti della città e fece un profondo sbadiglio.

Rivoluzione Possibile, ecco il nocciolo. Rivoluzione Possibile i cui cardini possono essere sintetizzati grazie al "Programma Triplice I "che verrà illustrato di seguente:
  • Informazione
  • Insurrezione
  • Integrazione
L'informazione pare l'aspetto più semplice del programma, ma in realtà ideologicamente complesso. Necessita di passaggi che coinvolgano l'individuo di qualsiasi classe, ma noi partiremo dalla Città Bassa, e lo rendano capace di capire anzitutto la propria identità e di metterla in relazione con i propri simili. Ciò è possibile grazie all'istruzione, accurata e guidata sin dall'infanzia, che permetta all'individuo "in nuce"di apprender le basi della lingua, dei conti e della società relazionandosi con se stesso e gli altri, e stessa cura venga riservata ai giovani e alle giovani menti, la cui istruzione obbligatoria arriverà sino al compimento della maggiore età, fissata per anni ventuno; arrivati nel mondo adulto, possa l'individuo esser gradualmente guidato sino al mondo del lavoro, lavoro che consenta ad esso di guadagnare, di vivere ma anche di esprimere tutto se stesso in un'attività che gratifichi la mente oltre al corpo, e possano il lavoratore o la lavoratrice, impiegati in qualsiasi attività, essere rappresentati e ad essere coinvolti in dibattiti, che chiameremo "unità di lavoro" in cui tutti e tutte possan decidere liberamente e democraticamente. Ecco queste le basi dell'informazione.
L'insurrezione è la fase complessa in senso pratico, se così possiam chiamarlo. L'insurrezione deve essere anzitutto basata su solidi presupposti morali, ottenuti grazie all'informazione alias fase precedente, a loro volta basati su un reciproco aiuto e collaborazione a scapito di ogni impulso egoistico: se non vi è collaborazione, comunità di intenti e di spirito, non vi è insurrezione.
L'integrazione è frutto della seconda fase ma sempre dipendente dalla prima: essa dev'essere guidata e graduale, sorvegliata attentamente da chi si distingue per saggezza e nobiltà d'animo e scopo, mirante alla costruzione di una nuova società in cui non esistano distinzioni in base al censo, all'impiego e al sesso: perchè dividere Thebe, grande città, in due mondi diversi e non integrarli in base a principi di armonia e collaborazione reciproci? Perchè noi crediamo proprio in questo, e proprio a questo il nostro programma mira: la guerriglia è solo una fase per svegliar le coscienze e spaventar gli oppressori, ma non sia mai duratura. Ma ciò deve portar solo e soltanto ad una cosa: al rovesciamento di una tirannide malata e disumana e all'instaurazione della Repubblica, prima grande Repubblica di questo intenso momento storico, che possa far d'esempio a tutte le altre Regioni.

Stava passando una notte intera a leggere quel diario e stava quasi per finire. Si sarebbe concluso con quell'urlo di terrore, con quella paura della sua ultima notte di vita. Pensò nuovamente a Polinice, poi pensò a Rebecca, poi pensò anche ad Eteocle e le vennero le lacrime agli occhi. Si chiedeva perchè quelle belle idee su una più equa distribuzione delle risorse energetiche , su una politica più umana nei confronti degli abitanti di Thebe Bassa, sul rispetto reciproco senza diseguaglianze fosse così pericolosa per zio Kreon e per ciò in cui egli credeva. Polinice non poteva esser considerato un assassino, nè pericoloso: Antigone aveva avuto l'ennesima conferma che lui possedesse solo un grande cuore. Un grande cuore che giaceva spento in una cassa toracica dilaniata, lasciata ai cani del Tempio, sorvegliata da alcuni cadetti.
Le parole di zio Kreon rimbombarono nuovamente nella sua mente e chiuse gli occhi di scatto.

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Capitolo 14
*** 13 ***


13

Un rumore sordo la svegliò di colpo. Erano i tamburi dell'impiccagione che suonavano lenti dalla Grande Corte, alle luci dell'alba. Alzò lentamente la schiena, nascose il diario sotto il letto e si alzò per aprire la finestra: da un piccolo spiraglio vide Ismene in vestaglia che si incamminava a passi veloci verso la balconata. Ismene notò la finestra aperta e si fermò sotto il davanzale.
-Stanno impiccando gente. Hanno tentato di seppellire Polinice stanotte-
Si sentì quasi per mancare. Due tradimenti erano stati compiuti quella notte: uno da parte di un cittadino, sicuramente abitante di Thebe Bassa ed ex compagno di Polinice, e un altro da parte sua, da parte della Principessa Ereditaria, che aveva preso in mano un libro maledetto dallo stato e destinato all'indice.
-Non vieni a vederlo? Zio Kreon è già lì, non mi ha detto chi è stato. Si sa soltanto che durante la notte qualcuno ha tentato di portare via il corpo. Metti una vestaglia e scavalca da qui, forse zio Kreon vuole che assistiamo-
Tornò indietro sui propri passi, aprì il guardaroba e tirò fuori una vestaglia blu petrolio. Tenendola con un braccio, salì sul letto e si fece aiutare da Ismene a scavalcare il davanzale e ad atterrare subito sul selciato del cortile. Iniziarono a camminare a passo veloce, incalzate dai tamburi e dai passi affrettati di alcuni domestici che volevano assistere all'esecuzione.
-Strano che il Senato abbia condannato il fatto così di impulso..-
-Non ti ricordi cosa ha detto lo zio, Antigone? Seppellire un traditore è punibile ormai con la morte! Non c'è stato un processo, è stato colto sul fatto-
Le si strinse il cuore. Il suo pensiero volò nuovamente a Polinice e a Rebecca, aveva un perchè: non odiava affatto Eteocle, ma a costui erano stati recati tutti i migliori onori. Era stato amato e onorato abbastanza.
Si avvicinavano sempre più alle balconate che davano sulla Grande Corte, lucide più che mai sotto un'alba rosata e tiepida. Da lontano notò il piccolo palco rosso col baldacchino che zio Kreon faceva montare per sè durante le esecuzioni. Arrivata al davanzale riuscì a notare anche il Gran Consigliere e tutti i membri del Senato alle sue spalle, stretti con la solita espressione severa che cameraman e fotografi non tralasciavano di immortalare. Tutta l'Acropoli, nonostante l'orario, s'era nuovamente radunata alla Grande Corte. Erano già tutti incipriati e perfetti, quasi il sonno non li toccasse mai, e guardavano con sdegno la forca già preparata e fiammante, circondata dai cadetti. Sopra, Hans Achilleus scrutava l'orizzonte, tutto impettito con la sciabola al proprio posto e l'espressione fiera, imitata da alcuni ragazzini presenti tra il pubblico.
I tamburi smisero di suonare di colpo e il boia fece il proprio ingresso sulla forca. Poi due cadetti scortarono il condannato, subito inquadrato dalle telecamere in religioso silenzio. O meglio, la condannata.
Riconosceva quella pelle grigiastra, quel visetto scarno e quei capelli neri e stopposi, da ribelle.
Riconosceva quegli occhi grandi, forse un tempo sorridenti e pieni d'amore.
Conosceva quelle braccia magre e consunte dal lavoro che cozzavano con una pancia appena accennata, una gravidanza quasi impossibile su un corpo affaticato.
No, non poteva accadere. No, non era possibile, pensò. Non si poteva condannare una donna incinta, come non si poteva assolutamente condannare nessuno per aver reso le giuste esequie ad un morto. Era un'illusione, solo un'illusione, come era stata un tempo un'illusione la morte di mamma e papà e quella di Eteocle e Polinice. Ma no, questa era un'illusione vera, un miraggio creato dal sole che sorge e dal sonno arretrato.
Poteva anche non essere lei. Solo un'altra fanciulla anonima.
Ma no, non lei.
Lo schermo riportò il nome, l'età e il reato della condannata. Sentì il cuore stretto in una morsa.
Rebecca Moonie, anni diciannove, alto tradimento.
Rebecca veniva condotta al cappio e il suo collo magro vi scivolò dentro. Le espressioni del suo viso vennero captate in tutto e per tutto: sorrise con gli occhi arrossati di lacrime e sonno, sputò a terra suscitando i fischi degli spettatori e aprì la bocca per parlare.
- Damerini incipriati, buoni a nulla campati dallo stato, se vi bombardassimo non sopravvivreste un attimo. Morte vi colga, codardi, su questa forca ne impiccate due-
La sua voce era roca, indurita dalla rabbia e dal freddo. Forse un tempo era stata dolce e femminile, quando aveva pronunciato parole d'amore per Polinice e per i suoi compagni e compagne.
Il boia diede un calcio allo sgabello. Rebecca dondolò mugolando per qualche minuto, poi si irrigidì. Quanto a lei, cadde sulle proprie ginocchia mentre Ismene urlava il suo nome e chiamava aiuto.
 
-Ecco, sta aprendo gli occhi .. Come stai?-
Pian piano mise a fuoco la bocca e poi il viso intero di chi le stava parlando. Era Ismene, curva su di lei, con accanto Emon.
-Sei svenuta e ti abbiamo portato subito qui, zio Kreon verrà a trovarti tra poco-
Dannazione, dannazione, dannazione.
-Sto .. bene- disse in un fil di voce - Andrò a trovare lo zio di persona, Ismene, voglio sgranchirmi un po' le gambe-
-Kreon è molto impegnato, per ora- disse Emon porgendole un bicchiere d'acqua - Sta discutendo in Senato su un rafforzamento delle misure di sicurezza in tutta l'Acropoli, a cominciare dalla stazione degli aerobus-
-Addirittura da lì?-
-Certamente. Da lì vengono alcuni degli operai della Città Bassa-
Ismene aprì la finestra e lasciò circolare l'aria nella stanza.
-Zio Kreon l'ha saputo e vuole che ti riposi almeno fino all'ora di pranzo- qualcuno bussò alla porta e lo invitò ad entrare. Uno dei domestici portava un carrello - E oh, ti ha pure fatto portare la colazione!-
Il domestico fece scivolare piano il carrello, con aria sommessa. Fece un lieve inchino a tutti e venne ricambiato con un sorriso. Antigone si mise a sedere e scoperchiò il vassoio, inspirando a pieni polmoni l'odore di crostata alle ciliegie appena sfornata e di tè al bergamotto.
-Davvero, ringrazierò zio Kreon di persona. Non deve scomodarsi a venire qui, in mezzo a questo disordine, per chiedermi come sto. Lo verrò a trovare nelle sue stanze private appena finirà o durante il pranzo. Avvertitelo!-
Ismene ed Emon le lanciarono un'occhiata poco convinta a cui rispose con un sorriso timido.
-Va bene .. - sospirò Ismene - Vado ad avvertire anche Twiggiper. In questi giorni, poveretta, si è fatta venire la gastrite per pensarci-
-Fa' la brava e riposati- Emon le baciò la fronte e poi le labbra - Ah, dimenticavamo! Ismene, non le abbiamo detto del tè delle cinque di oggi!-
-Già. Zio Kreon sa che stiamo passando un .. momentaccio. Oggi pomeriggio ci sarà un tè delle cinque al salottino d'avorio. Verranno alcuni dalle altre Regioni, ti ricordi? Non ti ricordi Herakles Dios o Medeia Eliou?-
-Ah .. Sì. Vedrò di non mancare. Adesso vorrei riposare un po' da sola, se non vi dispiace-
Ismene ed Emon oltrepassarono la soglia della sua stanza in silenzio.
-Vuoi che chiuda la porta?- chiese Emon prima di andarsene.
-Sì, grazie. Ci vediamo dopo, te lo prometto-
Emon ritornò sui propri passi e la baciò più volte. La faceva ridere, pensò, e senza saper nulla di ciò che stesse pensando l'aveva fatta ridere e risollevare. Macchiò il naso di Emon con un po' di marmellata e lo baciò sulla piccola macchia.
-Promesso?-
-Promesso-
Le diede un ultimo bacio, poi un buffetto sulla guancia e lasciò la stanza chiudendo la porta. Era sola, finalmente, sola con la crostata tra le mani e il tè ancora caldo nel suo termos di metallo lucido e pulito.
I baci di Emon parevano aver cancellato la morte di Rebecca, ma questa tornò rapida come un fantasma. Chissà se avrebbe sognato Rebecca quella notte, pensò. Chissà se quel viso arrabbiato che ben conosceva si sarebbe presentato per chiederle aiuto insieme a Polinice.
Perchè no, Rebecca non avrebbe dovuto morire. Così come non avrebbero dovuto morire Polinice ed Eteocle.
Così come non avrebbero dovuto esserci differenze tra l'Acropoli e la Città Bassa, ma solo collaborazione e amore tra tutti e tutte.
Ormai il sole era ben alto nel cielo, ma il sonno e la stanchezza premevano ancora le sue palpebre. Lasciò il tè nel termos, lo avrebbe bevuto al risveglio.  Guardò il proprio polso: il chip n°7 lanciò una piccola scintilla.  
- A cosa serve, mamma?-
-A proteggerti, Antigone-
-Come?-
Ricordò i suoi nove anni, quando papà aveva fatto inserire il chip a tutti. Papà era spesso alle barricate insieme a zio Kreon per rovesciare il governo e mamma li teneva chiusi nel loro vecchio palazzo, quello che si trovava sul Marble Blvd, al numero 22. Era un bel palazzo, tutto bianco e splendente, i cui appartamenti erano accessibili solo ai più ricchi: i nonni dalla parte di mamma le avevano lasciato quella loro prima casa alla loro morte, si erano suicidati all'avvento della dittatura. Quel giorno, poco prima del coprifuoco per i civili, mamma aveva fatto chiamare Apollineus per installare dei chip sui loro polsi.
- Manderanno le tue informazioni a questo palmare qui, lo vedi? Io e papà ne abbiamo due uguali per vedere dove siete, soprattutto per ora che ..-
-Che c'è la guerra, mamma-
E la guerra non era finita. Non sarebbe mai finita.
Costava molto, diceva Apollineus, ma era qualcosa di necessario che certamente mamma poteva permettersi per i suoi figli. Il medico aveva inserito il chip in maniera rapida e quasi indolore, grazie ad una siringa: l'ago penetrò leggermente sotto la pelle, all'altezza del polso; il chip, giunto a destinazione, si illuminò di una luce bluastra e si allargò di qualche millimetro. Se qualcuno avesse provato a toglierlo, sarebbe scattato un allarme sui palmari.
-Se la polizia dovesse prenderti, sul nostro palmare verrebbe segnalata la tua posizione. E se qualcuno tenta di togliertelo, l'allarme suonerà-
-La polizia è cattiva, mà?-
-Molto, Antigone. Molto-
La polizia non c'era più, o almeno non perseguitava più loro. Anzi, li proteggeva a spada tratta insieme ai cadetti. Perchè continuare a portare il chip?
Polinice aveva trovato un metodo, sicuramente. Quando era scappato per andare a combattere nessuno aveva rintracciato la sua posizione ed era sceso a combattere senza ostacoli. Non era possibile disattivarlo, solo un medico avrebbe potuto farlo.
Doveva esser scritto nel diario, pensò.
Doveva togliere quella piccola sentinella dal proprio polso.

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Capitolo 15
*** 14 ***


14


Cercò di far trascorrere in fretta l'intera giornata. All'ora di pranzo incontrò zio Kreon, lo ringraziò per la colazione portata in stanza e delle sue premure. Le rispose con un sorriso dolce e un buffetto sulla guancia: era uguale a mamma quando sorrideva, forse soltanto più virile a causa dei suoi tratti maschili. Il pranzo in effetti passò velocemente, con zio Kreon pieno di una strana adrenalina che li incitava a partecipare al tè delle cinque.
-Dovete sgomberare la mente dai brutti pensieri- continuava a ripetere tra un boccone e un altro-Ho invitato personalmente quei ragazzi, che peraltro sostengono di avere una gran voglia di vedervi. Non ve li ricordate? Quando eravate piccoli giocavate tutti insieme!-
In effetti ricordava poco di loro, erano vaghi fantasmi lieti e colorati che infestavano la sua mente e giocavano tra i suoi ricordi, come forse un tempo aveva giocato insieme a loro, chissà in quale casa, chissà in quale stanza dei giochi, addirittura prima delle barricate di zio Kreon e di papà. Ricordava solo Herakles e Medeia, quelli che Ismene aveva nominato: Herakles era un bimbo massiccio, con la testa fitta di riccioli biondi e un paio di occhi azzurro, mentre Medeia aveva sempre lunghe trecce nere e un vestitino viola. Forse ai tempi della grande dittatura non avevano ancora i Giardini Reali, anzi ne era certa: forse si erano conosciuti in villeggiatura, quando mamma invitava i vicini di casa alla villa al mare e spesso questi provenivano da altre regioni. Poi papà e mamma erano saliti al potere e al Gran Ballo aveva invitato tutti i nuovi Migliori, e forse c'erano anche loro con tutti gli altri.
-Ricordo a stento Herakles Dios e un altro, Theseus Egeios- rispose Emon -Una scena in particolare: Herakles Dios voleva la piccola spilla a forma di lambda che indossavo all'incoronazione di Oedipus e Giocasta e mi aveva rincorso per tutti i Giardini. Che bambino odioso-
Il dopo pranzo passò velocemente. Zio Kreon ebbe l'idea di preparare una canzone da suonare al pianoforte e chiese a lei e ad Ismene di trovarne una da cantare al tè delle cinque. Alla fine, fu solo Ismene a proporsi come cantante del pomeriggio e in poco tempo riuscì a trovare lo spartito della canzone di Hallelujah, rendendo felice anche lo zio, e ad impararne le parole. Quelle due orette che servirono a farla esercitare passarono velocemente, e poi ognuno corse in camera a prepararsi per il piccolo ristoro.
-Poi mi servi per scegliere il vestito!- Ismene si congedava da lei così, a gran voce, sparendo oltre la soglia della propria stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
Si spogliò lentamente, deponendo la vestaglia dentro il guardaroba e la camicia da notte sotto il letto. Avrebbe scelto una gonna lilla e una camicetta bianca, con la solita spilletta a forma di lambda appuntata sotto il colletto. Guardò per qualche istante i suoi bagliori rossastri: forse quella spilla equivaleva al guadagno di un anno, per un operaio della Città Bassa.
Entrò nel bagno lentamente, quasi con svogliatezza, come se non fosse interessata a quel pomeriggio passato davanti ad un tavolino da tè e al pianoforte. Il marmo e il granito rosa brillavano di pulito e ricchezza, ricchezza nella quale era nata e cresciuta. Anche quella mattina la vasca brillava come un gioiello, linda come non mai, pronta ad accogliere una principessa di quel rango. Con un battito di mani azionò il sensore per aprire i rubinetti e regolare la temperatura dell'acqua: non aveva nemmeno bisogno di abbassarsi per riempire la propria vasca e addirittura scottarsi o provare i brividi prima di rilassarsi. Entrò piano, si sedette e prese la boccetta che conteneva il suo bagnoschiuma preferito, roba preziosa in un contenitore altrettanto prezioso, e si insaponò per bene. L'odore di magnolia le riempiva le narici e il bagnoschiuma faceva assumere all'acqua una colorazione dolce e gradevole, piccole sfumature di lilla e rosa. Ismene diceva sempre che il bagno ideale per una ragazza avrebbe dovuto durare un'ora e mezza, giusto il tempo per permettere alla pelle di assorbire il profumo dei bagnoschiuma: l'aveva letto in una rivista di moda e una volta mamma l'aveva addirittura confermato.
Si raggomitolò su di sè, stringendo le ginocchia con un braccio e giocando con l'acqua con l'altro. Il suo indice creò vortici rosati sull'acqua che assumevano le forme più strane e curiose, quasi fossero nuvole mosse dal vento mattutino, spettacolo dell'alba che solo all'Acropoli poteva essere ammirato.
La sua figura gettava un'ombra grigiastra su quell'acqua che voleva ritrarre il cielo e d'un tratto si sentì sporca. Si alzò di scatto, uscì dalla vasca e afferrò l'accappatoio: puro cotone, morbido come un abbraccio. Tra tutti i suoi vestiti, forse l'accappatoio era il suo preferito; eppure quella morbidezza non le era mai sembrata così dura e terribile, e a passi veloci corse alla zona letto. Si asciugò velocemente, gettò l'accappatoio sul letto e indossò con gesti rapidi, quasi violenti, mutande e reggiseno. Li odiava, li aveva odiati improvvisamente, forse avrebbe preferito andar nuda al pomeriggio da tè. Forse odiava anche quella gonna di cotone e quella camicetta di seta, ma non aveva nient'altro. Nient'altro di più semplice, quando in quel momento odiava quei tessuti che il resto del mondo non poteva più permettersi, frutto di quelle piantagioni di alberi nati in vitro, troppo costosi per essere accessibili anche ai poveracci che vi lavoravano.
Scivolò morbidamente dentro i vestiti, prima nella gonna e poi nella camicetta. Osservò nuovamente la spilla, rigirandola più volte nelle mani: non aveva mai provato tanto disgusto per un oggetto così piccolo e allo stesso tempo così prezioso. Se fosse stata mandata alla fonderia, e il materiale ottenuto fosse servito a coniare delle monete, dalla spilla sarebbero nate almeno due dracmes, sufficienti ad un abitante della Città Bassa per mangiare abbondantemente per una settimana. Tra le dita stringeva una settimana in più per uno sguattero dello Sky Needle, per sua madre, per qualcun altro simile a loro, e quei pasti abbondanti finirono sulla sua camicetta per decorarla, per farla apparire più bella, per affermare che era un membro di quella famiglia potente che decideva della vita e della morte dei più poveri e ingrassava i più ricchi.
 
Medeia Eliou era proprio come se la ricordava: alta e slanciata, con le lunghe trecce corvine, adesso striate di blu e oro, e la pelle leggermente olivastra. Medeia le aveva fatto sempre una strana impressione, esercitando in lei paura e stupore: quegli occhi giallastri, da gatta, cerchiati com'erano di kajal blu e eyeliner blu, brillavano su quel viso appena bruno, con quelle spesse labbra tinte di nero e gli splendidi orecchini a forma di sole che decoravano il suo ovale perfetto. Medeia faceva avanti e indietro con la sua tazzina tra le mani inanellate e sottili, ondeggiando sulle note della vecchia canzone che zio Kreon aveva messo alla videoradio per allietare il pomeriggio.
-Sembri farti più bella ogni minuto che passa, Antigone- le disse avvicinandosi a lei e sorridendole-E questo pomeriggio sta andando alla grande! Ma poi, avanti, fa' una piccola giravolta .. Questi abiti sono splendidi! Lo stile della Magoon si nota e si apprezza da chilometri!-
Medeia non pareva seguire la moda, con la morbida tunica blu che le scendeva lungo i fianchi e la sciarpa porpora che le avvolgeva le spalle, ma risultava affascinante come non mai, se non addirittura più adulta dei suoi diciotto anni.
-Grazie, Medeia- le rispose con un sorriso- Ed io non posso fare a meno di notare l'anello che porti all'anulare! Un regalo di Jason?-
Medeia sorrise e avvampò, poi sorseggiò del tè dalla propria tazza.
-Non male per un vicino di casa, giusto?-
Herakles ed Emon parlottavano poco lontano. Herakles era rimasto sempre identico, se non addirittura più massiccio. La sua pelle abbronzata, la camicia di lino leggermente sbottonata e i jeans lo facevano assomigliare ad un cittadino dell'Acropoli ritornato appena dalla villeggiatura sul Satellite 54. così come il suo tono divertito e accattivante, in confronto al quale Emon sembrava un ragazzino entrato da appena nell'adolescenza.
- Vecchio mio!- Herakles teneva in una mano un pasticcino e con l'altra dava una forte pacca sulla schiena ad Emon, lanciandole contemporaneamente occhiate ammiccanti - Mi fa piacere che chiacchierare con me ti abbia risollevato un po'! Quest'estate mi verrai a trovare al Satellite 54, giusto? Mio padre ha fatto sistemare una riserva di chissà quanti ettari, vecchio mio, con un campo da golf da urlo .. Per non parlare della spiaggia, è piena di belle ragazze..!-
Lo sguardo di Emon si incrociò col suo e sorrisero entrambi.
-Herakles, avanti, lo sai che sono impegnato ..-
-Sei impegnato? Oh! La tua principessa è in questa stanza? In effetti hai ragione, Ismene è una gran damigella..!-
-No, Herakles, i miei occhi si son posati su Antigone .. Vieni a salutare Herakles, Antigone!-
Lasciò Medeia a parlare con Ismene e Eliza Snakes, la figlia di Morrison Snakes, il carceriere. Se  il padre era un omone gigantesco diventato uno dei protetti dello zio per sbaglio o per caso, con un ciuffetto di capelli corvini sulla testa ad uovo e una strana barba tutta intorno alla piccola e sottile bocca contratta in un perenne sorriso da furbastro, Eliza era una ragazzina di sedici anni dai tratti dolci e delicati, con i capelli nerastri raccolti in una crocchia, grandi occhi scuri circondati da lunghe ciglia e un delizioso abitino color menta che metteva in risalto la sua pelle pallida, appena rosata sulle guance. Eliza Snakes non si vedeva quasi mai in giro e strane storie circolavano su quella creaturina innocente: dicevano fosse la figlia di una delle tre mogli segrete che Snakes manteneva, ed era raro che il padre la facesse venire in città, preferendo il collegio per ragazze alla Colonia Lunare. Eliza osservava la scena che si svolgeva davanti ai propri occhi con curiosità e terrore insieme, ma bastò una sua parola a tranquillizzarla.
-Come ti senti, Eliza-
-Bene .. Vostra altezza..-
-Quante volte te lo dovrò dire di chiamarmi Antigone?-
Il piccolo ricevimento seguì fino all'ora di cena. Herakles tentava di mostrare a tutti i muscoli e l'abbronzatura, facendo prima occhiatine ammiccanti a lei e poi alla povera Eliza Snakes, fattasi di mille colori. Medeia riceveva un'olochiamata da parte di Jason e quest'ultimo mostrava come si stesse divertendo nel proprio yacht, Ismene finalmente cantò la propria canzone e tutti andarono via. Non le sembrava di aver vissuto appieno quel pomeriggio, e nonostante il giudizio di Medeia il ricevimento l'era parso abbastanza noioso: troppe chiacchiere, troppe notizie trite e ritrite sulla vita di ragazzini fortunati, cibo troppo raffinato per un pomeriggio tra vecchi amici. Forse l'unico particolare che riusciva ad apprezzare era la canzone di Ismene e il momento in cui tutti avevano applaudito all'esibizione: se li meritava davvero, non solo perchè era sua sorella e era stata molto brava, ma soprattutto perchè quella canzone era stata improvvisa, decisa e preparata appena due ore prima e tuttavia riuscita egregiamente ugualmente. La canzone aveva rotto quella monotonia fatta da tazzine scintillanti, carrelli di pasticcini che facevano avanti e indietro, chiacchiere raffinate di Medeia ed Herakles, sorrisi imbarazzati di Eliza. Quella canzone le aveva permesso di dimenticare tutte quelle chiacchiere da ragazzini troppo fortunati e le aveva tolto dalla mente l'idea di lasciare la stanza e ritornare in camera a star tranquilla. Magari a leggere il diario di Polinice. E a cercare di togliere il chip.
Ismene era corsa via ai Giardini, come al solito. Gli ospiti avevan da poco lasciato la stanza e anche Emon stava per andare via.
-Vado in palestra ad allenarmi un po'. Vuoi accompagnarmi?-
-Sono stanca, Emon, mi dispiace. Giuro che domani sera mi faccio perdonare-
Emon si chinò su di lei, le prese il viso tra le mani e la baciò. Le sue labbra sapevano ancora di tè e pasticcini.
-Promesso?-
-Promesso-
Si allontanò dolcemente dal suo viso e le diede un buffetto sulla guancia.
-Non ti annoierai a guardare la domestica pulire?-
Sorrise. Emon aveva indovinato ancora una volta. Era talmente stanca di quella frivolezza da voler osservare il lavoro di una domestica.
-Vado via fra un po', davvero-
Emon si allontanò sorridendole e sparì dalla stanza. Poco dopo udì un lento rumore di rotelle provenire verso la stanza. Una piccola domestica pallida, con i capelli color topo e le occhiaie, veniva avanti trascinando pesantemente il carrello dei detersivi. L'uniforme le stava male, sembrava grande quasi due taglie in più, accentuando maggiormente quel viso scarno e quei polsi deboli che gridavano fame. Appena la vide, i suoi occhietti scavati si inabissarono ancora di più e la ragazzina fece un lieve, tremante inchino.
-Non è necessario- le sussurrò - Hai fame? Prendi qualcosa prima di pulire, sei magrissima!-
La domestica non le rispose e rimase a guardarla impaurita. Antigone si alzò di scatto, prese un piattino, lo riempì di biscotti e glielo porse.
-E' un peccato buttarli, avanti. Mangiane un po'. Non preoccuparti di nulla, la responsabilità è mia-
-P- posso .. Posso davvero?-
-Non te li avrei offerti altrimenti, non credi?-
La donnina sorrise. Divorò il primo biscotto, poi anche il terzo e il quarto, e in pochi secondi svuotò il piattino. Vide nei suoi occhi una riconoscenza e un rispetto che non aveva mai osservato in nessuno sguardo.
-Prendine quanti vorrai. Ne hai bisogno più tu che me. E se qualcuno ti becca coi biscotti in tasca, io correrò a prendermi le mie responsabilità. Ci siamo intese?-
Non rispose ancora, ma accennò un sorriso.
-Dimmi di sì, avanti. Non mi vedi? Sono una persona tale e quale a te. Buon lavoro, non affaticarti-
Si lanciarono sguardi finchè ella non uscì dalla stanza, lasciandola lavorare. Percorse in silenzio il corridoio, a passi lenti, quasi volesse perder tempo per riflettere e rielaborare le proprie idee. Quei capelli color topo e quelle braccia magre erano tipici particolari presenti negli abitanti della Città Bassa, proprio come aveva avuto modo di vedere nei ribelli e anche negli sguatteri che spazzavano i Giardini e trasportavano enormi sacchi di foglie secche e fiori recisi. Quella donnina, insieme a Rebecca, insieme ai ribelli impiccati prima, insieme al ragazzino che Polinice aveva aiutato quella sera allo Sky Needle erano le urla figurate che Thebe Bassa mandava all'Acropoli per essere ascoltata e finalmente aiutata. E più rimuginava questi pensieri, più i battiti del suo cuore acceleravano e così i suoi passi, sempre più veloci, diretti verso la sua stanza. E più si avvicinava alla stanza, più si sporgeva nella sua mente e nel suo cuore un'idea folle e audace, un'idea forse miracolosa per gli altri ma terribilmente pericolosa per se stessa: quella notte sarebbe scappata. Quella notte, le tenebre le avrebbero consentito di fuggire dal palazzo. C'era un altro mondo che l'attendeva fuori e gridava il suo nome, come lo gridava Polinice insepolto, come lo gridava Rebecca uccisa, come lo gridavano gli sguatteri delle periferie. E non era più possibile far finta di non sentire.

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Capitolo 16
*** 15 ***


15


Stava rannicchiata sul letto, con il vento che l'accarezzava. Si chiedeva da cosa e perchè scappasse: dall'estrema frivolezza e falsità di quel mondo dorato in cui era nata? Da un ruolo e da un'identità che sentiva sempre meno? Scappava perchè Polinice era morto per difendere chi meritava davvero di essere difeso? Perchè voleva giocarsi la vita sul filo del rasoio e portare via il suo corpo dall'area sorvegliata? Forse non lo sapeva ancora. Sapeva soltanto di voler scappare da quel gigantesco palazzo, la sua casa, quella casa in cui era nata e cresciuta. E forse era il momento di abbandonare il nido. Forse perchè era appunto diventata grande, cercò di rispondersi: era cresciuta troppo in quel mondo luccicante e ora voleva scoprire l'altra sua faccia. Poi scacciò questo pensiero dalla mente: se avesse voluto vedere il mondo avrebbe semplicemente chiesto a zio Kreon di organizzarle un viaggio nelle varie Regioni e poi mandarla alla Colonia Lunare o al Satellite 54. No, il viaggio che voleva intraprendere riguardava le periferie, sporche e piene di smog. E, ancora, non sarebbe stato un viaggio di piacere.
Tirò fuori il diario con l'intenzione di voler cercare una data che indicasse il primo incontro di Polinice con la Città Bassa. Sfogliò le prime pagine ma non trovò nulla. Forse era scappato anche lui di notte, riuscendo a trovare un metodo con cui togliere il chip e a descriverlo poi nel proprio diario. In particolare lesse questa parte con attenzione, parola dopo parola, e cercò di memorizzare ogni passaggio: il taglio della pelle del polso, la disattivazione del chip e la cauterizzazione della ferita. Non aveva mai tenuto dei bisturi in mano e l'idea di tagliarsi la pelle non la entusiasmava tanto, soprattutto senza anestesia. Fece un respiro profondo: se l'aveva fatto Polinice per scappare senza farsi notare, l'avrebbe fatto anche lei.
Aveva trovato un motivo per scappare, pensò. E un modo per togliere il chip e dunque fuggire. E per fuggire avrebbe raggiunto i Giardini e passato attraverso la piccola apertura che raggirava la Grande Corte. Era lì da sempre, coperta dall'edera: Polinice l'aveva colpita con la palla, facendo scostare un mattone più debole che aveva permesso a quelli intorno di staccarsi. Quando papà faceva i suoi discorsi di buon anno all'Acropoli e si metteva sul suo palco, grandi cerimonie in pompa magna alle quale i bambini della casa reale non potevano ancora partecipare, lei, i suoi fratelli ed Emon spiavano da lì; a volte permettevano anche ai figli dei domestici di spiare da quella piccola breccia e di riempirsi d'orgoglio insieme a loro. Poteva esserci ancora, si ripetè. Doveva esserci ancora.
L'orologio segnava le undici e mezza. Sentì la porta della camera di Ismene aprirsi e chiudersi, poi i lenti passi di lei e il silenzio; Emon si sarebbe sicuramente recato nella propria stanza dopo la palestra, senza girovagare per il palazzo; zio Kreon era già a letto da un po'. I cadetti avevano montato la guardia alle undici, sorvegliando tutto il perimetro del palazzo e le mura, ma la piccola fessura di solito non veniva controllata perchè non cadeva nell'occhio, coperta com'era dall'edera. Con qualche piccola accortezza, si poteva sperare nell'avere il campo libero. Ma ora tempo di fare i bagagli.
Corse in bagno a togliersi il trucco, senza lasciarne una traccia sul viso. Poi raccolse i capelli in una treccia, andò nel guardaroba e tirò fuori un'enorme borsa da viaggio, vecchio souvenir di un campeggio alla Colonia Lunare: vi mise un paio di pantaloni marroni, un paio di stivali, una cintura, una vecchia camicetta beige che di solito utilizzava come pigiama e un cardigan verde scuro, poi tornò in bagno per prendere delle tovaglie, spazzolino e dentifricio e un flacone di bagnoschiuma; cercò di mettere da parte anche qualche spicciolo per acquistare il biglietto, conservando dentro un piccolo portamonete circa due dracmes divise in oboloi. Cambiò la camicetta con una tshirt grigia e la gonna a con un paio di jeans stinti, messi da parte da chissà quanto tempo e mai buttati, e indossò delle consunte scarpe da tennis vecchie almeno di due anni, ma ancora calzanti a pennello; poi tirò fuori, nascosta anche questa da chissà quanto, una felpa che Emon aveva lasciato nella sua stanza, comoda e sufficientemente grande a coprirla per intero. Poi cacciò fuori dal cassetto un foulard nero e lo mise intorno al viso, all'altezza degli occhi, e guardò la propria opera allo specchio. La Principessa Antigone pareva già sparita, sostituita da una ragazzina esile con un gran paio di occhi cangianti, che aveva tentato di dormire all'ombra del palazzo o di realizzare stupidi, orrendi graffiti dedicati a chissà quale amore. Una ragazzina delle periferie scappata dal suo inferno, da quelle baracche avvelenate e malmesse, con un borsone più grande delle sue stesse braccia, dall'aria strana ma non pericolosa, magra com'era.
Gli ultimi oggetti che mise dentro il borsone furono l'orologio da taschino e il diario di Polinice, che sarebbero stati le prove delle sue buone intenzioni, poi si guardò intorno e pensò a quel piccolo bagaglio che si portava dietro. Un'ultima idea le balenò nella mente: prese alcuni vestiti, li infilò alla rinfusa sotto le coperte e infine pose su di essi un foulard marrone molto spesso. Quel fantoccio sarebbe bastato per una notte abbondante, finchè zio Kreon non fosse andato a chiamarla e avesse scoperto l'amara sorpresa. Fu a lui che dedicò l'ultimo pensiero prima di andare: si sarebbe preoccupato, sarebbe andata a cercarla e qualcuno avrebbe trovato il chip abbandonato all'infermeria. E magari avrebbe messo sottosopra l'intera Thebe per cercare la sua nipotina fuggitiva. Ma Thebe era già abbastanza grande da setacciare, con quelle strade che culminavano poi in monumenti e piccole aree ristoro. Non si sarebbe mai immaginato che la nipote fosse fuggita nelle Periferie per aiutare quegli sporchi disgraziati, dacchè non ne aveva mai espresso l'idea nè aveva dato strani segni di cambiamento, quelli che zio Kreon chiamava potenziali eversioni di rotta.
Apollineus aveva già chiuso le porte dell'infermeria a quell'ora. Aprì un cassetto, frugò velocemente tra le varie cianfrusaglie e trovò un coltellino svizzero appartenuto un tempo a papà: con qualcuno dei suoi strumenti avrebbe sostituito egregiamente la sua chiave, non essendo nemmeno monitorata dalle telecamere.
Spense la luce, spalancò la finestra, imbracciò il borsone e salì sul davanzale, tenendosi per le vetrate: una folata di vento la investì in pieno volto, caricandola di adrenalina. Le sue gambe oscillarono per qualche istante, poi saltò giù atterrando su tutti e quattro gli arti, come un gatto, e ridacchiò. Si guardò intorno, fece un respiro profondo e iniziò a camminare lentamente verso l'infermeria, girandosi talvolta per vedere se qualcuno la seguisse nel silenzio. L'orologio del giardino, alla luce lunare, indicava la mezzanotte: i rintocchi avrebbero coperto il rumore dei suoi passi e riuscì a camminare più velocemente, raggiungendo rapidamente l'infermeria. Mancavano gli ultimi sei, lenti rintocchi: tirò fuori il coltellino svizzero, infilò una delle lame nella toppa e si mise a forzarla velocemente, incalzata dal rimbombare dell'orologio. Finalmente il lucchetto scattò, la serratura si aprì e riuscì ad entrare, chiudendosi la porta alle spalle e accendendo una piccola lampada, sufficiente a farle luce.
Poggiò il borsone su un lettino, lo aprì e tirò fuori la pagina sull'estrazione del chip. Seguendo la procedura indicata nel diario, prese dapprima un bisturi e una pinza, li disinfettò per bene e li poggiò su una superficie sterile; poi passò del disinfettante sulla zona del chip e  preparò un bicchierino di alcol: il circuiti del chip si sarebbero bruciati, se immersi nel liquido, e il piccolo affare sarebbe stato pressochè inutilizzabile. Iniziò a incidere lentamente sulla zona indicata, seguendo con precisione tutte le informazioni indicate: il bisturi doveva tagliare la zona interessata e il taglio scoprire solo la superficie del chip, nè più nè meno, indicativamente di un centimetro. Mordendosi le labbra per il dolore quasi fino a farle sanguinare, realizzò l'incisione e allargò con la lama la ferita: il chip era lì, senza lanciare lampi bluastri o strani rumori. Poi impugnò bene la pinza e la immerse nell'alcol: la sostanza avrebbe già iniziato a bruciare i primi circuiti, disattivandolo momentaneamente. Afferrò l'estremità superiore del chip, trattenendo quelle urla che altrimenti avrebbe lanciato, e lo staccò pian piano dalla sua carne, lasciando un piccolo buco che sanguinava copiosamente. Gettò il chip nell'alcol, l'affare lanciò piccoli lampi e poi si spense del tutto: era libera.
L'orologio segnava appena mezzanotte e mezza, ma voleva ottimizzare i tempi. Aveva paura che quel piccolo trambusto sarebbe stato udito e quindi sarebbe stata scoperta, con i suoi piani tutti andati in fumo, bloccata con il polso sanguinante e dolorante.
Bisognava disinfettare immediatamente i bordi della ferita, poi sigillarla con ago e filo o cauterizzarla, e Polinice indicava più sicura la cauterizzazione. Corse a prendere delle bende, cercò di fasciarla alla bell'e meglio e poi si mise in fretta a cercare un cauterio, trovandolo dopo aver messo sottosopra diversi cassetti. Gettò via le bende e vide la fiammella del cauterio brillare: solo un altro po' di sofferenza, pensò, e dopo sarebbe stata libera, libera davvero. Avvicinò la fiammella al polso, stringendo i denti e cercando di avvicinare le estremità della ferita: quel minuto che impiegò per chiuderla le parse lungo un'eternità, con la mano che tremava per la stanchezza e il dolore e il polso rosso di sangue e calore. Un piccolo segno marrone percorreva il suo polso. Aveva terminato. Era libera.
Una meno un quarto. Gettò bende, bicchiere e chip nella spazzatura, disinfettò velocemente bisturi e pinza e ripose il cauterio nel suo cassetto. Con gesti rapidi riprese il diario e il borsone, spense la luce e corse via dall'infermeria.
Era libera. Libera davvero, finalmente. Persino la luna, le piante e gli alberi illuminati da quella luce irreale, la fontana di quarzo e il selciato apparivano diversi, quasi visioni, quasi assurdi ai suoi occhi. Era come se quel chip si fosse portato via la sua vita precedente, fatta di terribili lutti ma anche di feste, abiti raffinati, gioielli e privilegi. La Principessa Antigone Spartes Labdakou, chip n°7, era morta: esisteva ormai solo Antigone, Antigone la libera, Antigone la fuggitiva, Antigone la ragazzina esile che si recava a passi lenti, con quel cappuccio nero sulla testa, verso il buco sulla parete coperto dall'edera.
 
Una foglia di edera era rimasta incastrata in una tasca. La sfilò lentamente, tenendola con i polpastrelli, e la conservò nel borsone. Le mura che circondavano il castello erano troppo alte per permettere ai cadetti di scorgerla dall'alto e di lanciare l'allarme, e i suoi vestiti scuri erano un ulteriore vantaggio. Quasi non riusciva a credere ai propri sensi: le suole marce delle sue scarpe toccavano il selciato della Grande Corte e i suoi occhi fissavano, davanti a sè, la città addormentata e illuminata dalla luna, con quegli alti palazzi di ferro, cristallo e marmo luccicanti come sogni, con lo Sky Needle che si ergeva alto con i suoi riflessi argentei e azzurrini, e le sue orecchie captavano le risa e la musica allegra che provenivano dagli attici poco distanti, lo sfrecciare sibilante delle aeromobili di lusso e delle aerolimo. Tutto il suo corpo, tutto il suo essere, respirava libertà a pieni polmoni e quella sensazione la rinfrancava, riempiendola di adrenalina e positività. Era andato tutto bene, si disse, almeno fino a quel momento. C'era una piccola speranza che sarebbe proceduto allo stesso modo, coperta e irriconoscibile com'era. D'altronde, anche se si fosse scoperta il viso, nessuno l'avrebbe comunque riconosciuta: la gente la ricordava soltanto truccata e ingioiellata nelle occasioni ufficiali, nelle foto dei tabloid e nelle foto ricordo che alcuni tenevano, quasi paragonandola a divinità, ai loro capezzali. La Quarta Principessa Ereditaria, Antigone Spartes Labdakou, era una celebrità, nume protettore di quella Thebe scintillante come uscita da un sogno, ma lei era Antigone dal viso magro e gli occhi cangianti, con un borsone sulla spalla e una felpa sulla testa, era solo un misero fantasma nella notte, una fuggitiva lontana da casa . E se la principessa aveva tutto, lei non aveva niente nè le assomigliava. Lei era libera, libera di essere uguale agli altri, libera di essere uguale agli altri e di essere se stessa.
Camminava sciolta, col naso all'insù come una turista. Non aveva mai visto la Grande Corte dal basso e ciò la riempì di gioia: era una cittadina come tutti, come tutti quelli di Thebe Alta, come un giorno anche quelli di Thebe Bassa. E Thebe Alta quella sera era più bella che mai, ma non poteva essere ammirata a lungo: doveva recarsi alla piazzuola d'atterraggio, prendere un aerobus e lasciarsi quello splendore alle spalle. Il Senato, nelle sue Disposizioni di cittadinanza, aveva previsto il massimo controllo sugli aerobus: biglietto obbligatorio, sorveglianza ventiquattro ore su ventiquattro nei mezzi all'andata e al ritorno. Ma nessuno, in piena notte, controllava davvero gli aerobus, perchè era anzitutto impensabile che qualcuno dell'Acropoli si recasse alle Periferie di notte e perchè quelli che vi ritornavano erano di solito piccoli sguatteri e piccole cameriere senza nemmeno la forza di tener gli occhi aperti, tanto erano stanchi. La Piazzuola si raggiungeva dopo aver percorso tutto Corso Ponente, un lunghissimo viale inalberato che terminava alla cancellata limite tra l'Acropoli e la Piazzuola. Con un mezzo era anche possibile attraversarlo in meno di cinque minuti, ma a piedi una mezz'ora abbondante, mentre l'orologio segnava già l'una e mezza. Doveva essere lì prima dell'alba.
Iniziò a camminare a passo veloce, rasente i muri meno illuminati, guardando da lontano le insegne scintillanti, i neon colorati e le aeromobili cromate che sfrecciavano ad alta velocità. Era tentata di chiedere un passaggio e di farsi lasciare a metà strada, ma quando una vettura guidata da tre tipi evidentemente ubriachi stette quasi per investirla sullo stesso marciapiede cercò di cancellare quell'abbozzo di piano per ottimizzare i tempi. Accelerò il passo, convincendosi a non soffermarsi troppo sulla bellezza abbagliante dei grattacieli, e addirittura si mise a correre col cuore in gola nei posti più silenziosi, tenendo con un braccio quel piccolo fardello che aveva addosso e fermandosi talvolta per riprendere fiato.
Erano le due meno un quarto e aveva percorso già metà del viale. Aveva sete. Alla Piazzuola in genere c'era una piccola fontana d'acqua potabile. Non aveva una borraccia con sè, ma bere qualche sorso sarebbe bastato sicuramente a ridarle un po' di carica.
Man mano che il viale procedeva i grattacieli si facevano sempre più rari, sostituiti da piccole botteghe di robivecchi, monumenti cadenti e panchine. Antigone decise quindi di spingersi al massimo, iniziando a correre a pesanti falciate, quasi a sollevare l'asfalto, e dopo cinque minuti riuscì a scorgere le pallide luci segnaletiche della Piazzuola. Non doveva fermarsi. Si spinse ancora, correndo a perdifiato e tenendo ben stretto il proprio bagaglio, mentre il cancello e la macchinetta dei biglietti si facevano sempre più vicini.
Ultimo sforzo, si disse, ultimi cento metri. Corse come non aveva mai fatto in vita propria, poi il cancello si fece sempre più vicino insieme alla macchinetta dei biglietti. Scorse la fontanella, la azionò da un pulsante e accostò le labbra all'acqua che scorreva. Poteva festeggiare così quella sua prima, piccola, grande vittoria.
 
- Per acquistare un biglietto, inserire un obolos nell'apposita fessura e premere il tasto "acquista"-
La voce metallica della macchinetta le indicò cosa bisognava fare. Estrasse un obolos dal portamonete, lo inserì nella fessura e premette il tasto indicato. La macchina si mise a vibrare e dopo pochi secondi emise un biglietto rettangolare, giallo e rosso, con data e ora della stampa.
-Le ricordiamo che il biglietto dura novanta minuti. Esibire il biglietto se richiesto. Grazie per aver scelto Aerobus Inc. e buon viaggio-
Si congedò dalla macchinetta e le ante di vetro del cancello scattarono davanti a lei, allontanandosi l'una dall'altra con un sommesso sibilo. La Piazzuola d'atterraggio era uno spazio di circa dodici metri su cui era tracciata un'enorme H di vernice bianca , con due sporche panchine di legno marcio e un cestino per la spazzatura arrugginito e colmo fino all'orlo. Un lampione lanciava un debole fascio di luce biancastra su una coppia smagrita che sedeva su una delle panchine, mentre un orologio col quadrante giallastro, sporco da chissà quanto tempo, segnava le due. Si sedette su una delle panchine e guardò il cielo, poi il cancello che si era lasciata alle spalle: lo Sky Needle brillava da lontano, scintillante come una stella, riusciva ancora a sentire il rumore ovattato che proveniva dagli attici e dagli appartamenti e persino le mura del palazzo illuminate dalla luna. Sospirò e fu quasi presa da una strana nostalgia: aveva lasciato l'Acropoli da nemmeno una notte, ferma com'era in quello spazio terra di nessuno, e già sentiva la mancanza di Ismene, Emon e zio Kreon. Pensò allo stupore e alla paura che li avrebbe colti la mattina seguente, pensò a zio Kreon impallidito che avrebbe i cadetti a cercarla per tutto il palazzo, poi al possibile utilizzo della squadra cinefila. Uno fremito di paura la prese da capo a piedi: non voleva mettere in pericolo nè se stessa nè gli abitanti delle periferie.
Quasi fu tentata di tornare sui propri passi. Polinice era morto, si disse. Era morto davvero, Antigone, tentare quell'assurdo viaggio in un mondo che non era il tuo non lo avrebbe riportato in vita. Non avrebbe riportato in vita nemmeno Rebecca, nè avrebbe permesso ai bambini sguattero dei grattacieli di vivere una vita migliore e più degna. Era soltanto una gita per una principessina viziata amante del pericolo e del rischio.
Non si accorse del sibilo dell'aerobus notturno, una gigantesca vettura di ferro e plastica gialli e rossi che si adagiava lentamente e rumorosamente sulla pista d'atterraggio. Non si accorse nemmeno della coppia che si alzava lentamente, prendeva le proprie misere cose e prendeva posto sul mezzo.
-Hei, ragazzina, svegliati! Se devi tornare a casa spicciati a salire, non ho tempo da perdere con i barboni addormentati!-
Un autista in uniforme bluastra, con gli occhi gonfi di stanchezza, la guardava con disprezzo dalla sua postazione.
Era come se le sue gambe volessero raggiungere spontaneamente quel mezzo e salirci sopra, era come se le sue braccia assumessero una volontà propria nel prendere il bagaglio e montarlo in spalla, era come se la sua schiena avesse voglia di provare gli scomodi e sporchi sedili in plastica degli aerobus, era come se la sua fronte volesse appoggiarsi all'umido vetro sporco di quella vettura: era come se il suo corpo volesse essere già lì, lontano da quella città luccicante che man mano si allontanava dalla sua vista, convinto di esser capace di trascinare anche quella voglia di fuggire che pareva venir meno.
Scivolavano via lentamente, uscendo fuori dalla cupola protettrice. E se le stelle erano ormai invisibili sotto la cappa di smog in cui si erano ormai immessi, Thebe Alta continuava ancora a brillare di riflessi bianchi, argentati e azzurrini, riflessi che divennero puntini minuscoli fino a perdersi in dense, scure nuvole di fumo grigiastro.

 

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Capitolo 17
*** 16 ***


16

Se la Piazzuola d'atterraggio al confine tra Acropoli e Periferie era già un piccolo letamaio, il capolinea di Thebe Bassa era una pista di asfalto talmente annerita dal fumo e dalla sporcizia che persino l'H di vernice bianca sembrava sparita dalla vista, con le due panchine che fungevano da giaciglio per due barboni e il cestino della spazzatura che andava a fuoco lanciando mille bagliori rossastri.
-Capolinea!- urlò il conducente. L'aerobus si fermò placidamente al centro della piazzuola, le porte scorrevoli si aprirono con un sibilo e i passeggeri scesero a terra con un piccolo balzo. Antigone afferrò il borsone, lo gettò a terra e saltò giù, atterrando sulle suole e poi rimettendosi in piedi per bene.
Sentì i motori dell'aerobus smettere di ronzare e le sue luci al neon spegnersi di colpo. La giornata, anche nelle Periferie, poteva considerarsi finita o quasi. Imbracciò il borsone, si guardò intorno e cercò di fare un profondo respiro prima di mettersi in marcia, finendo per tossire a causa del forte tanfo di fogna e sporcizia che aleggiava nell'aria. Un orologio dal quadrante spezzato segnava le due e dieci della notte, una notte senza stelle nè luna nè cielo, con l'aria densa e maleodorante. Camminava lentamente, girandosi a guardare in tutte le direzioni. Era sola, sola e senza una meta: non poteva chiedere dove si trovasse la base di Polinice, nè chi fossero gli amici di Polinice, nè chi dovesse evitare per incappare in brutti guai. Polinice non aveva dato un nome al suo gruppo di amici segreti, parlandone tuttavia in maniera fitta e accurata come se l'intero diario fosse dedicato ad uno di loro, destinatario speciale a cui affidare le proprie memorie. Era sola, ma non aveva paura: si sentiva sicura grazie alle memorie del fratello, oggetti necessari e indispensabili per accertare chi fosse, da dove venisse e se fosse una spia o no. Nessuno a palazzo sapeva del diario e lei l'aveva scoperto solo pochi giorni prima. Almeno questo sentimento non poteva esser definito paura, paura vera e propria, come la paura del buio o di essere aggredita: aveva con sè un coltellino svizzero ed era capace di difendersi e di correre a chiamare aiuto, aveva con sè gli oggetti di Polinice e avrebbe giurato sulla propria testa se fosse stato necessario; piuttosto provava preoccupazione, preoccupazione per ciò che sarebbe seguito alla sua fuga, per ciò che avrebbe comportato conoscere chi aveva visto Polinice gli ultimi giorni della sua vita, per ciò che avrebbero pensato di lei.
Procedeva lentamente, senza una meta, talvolta voltandosi dietro. Le Periferie erano uno spettacolo triste e degradante, di larghi e tozzi edifici squadrati con piccole finestre rettangolari illuminate da deboli luci, balconi stretti come gabbie da cui pendevano tovaglie e vestiti malmessi stesi ad asciugare, vecchie macchine arrugginite che facevano da banconi per ragazzini venditori di fiammiferi e acciarini, insegne al neon che segnavano l'entrata di cinema squallidi, di bar e di piccoli bordelli. E se era degradante lo spettacolo, lo erano anche i suoi attori: bambini sporchi che correvano per strada con delle lanterne in mano, donne che spazzavano a notte fonda l'uscio delle proprie case, canticchiando strane canzoni in uno strambo dialetto, uomini ubriachi che si accasciavano a terra a vomitare, ragazze apparentemente sue coetanee truccate pesantemente e in abiti succinti, ferme ad attendere i clienti davanti a piccoli locali adibiti a bordelli, tutti illuminati da insegne al neon blu e fucsia. Non c'erano pattuglie nè qualcuno che controllasse o aiutasse quei disgraziati; eppure, camminando, le parve di vedere all'entrata di un bordello una sagoma che ben conosceva, una testa ad uomo ritta di capelli nerastri, un costoso completo nero e una grossa faccia grottescamente bonaria, rasata per l'occasione come quella di un ragazzino: il carceriere Snakes teneva per il polso una ragazzina appoggiata all'entrata di un locale, conciata come una prostituta di basso rango, cercando di fare il romantico e finendo per ruttarle addosso. Si accostò ad un muro, lontana dalla forte luce dell'insegna e studiò bene la scena, cercando di trattenersi dal saltargli addosso e spaccargli la faccia con un calcio: la ragazzina, magra come non mai, tremava alla vista di quell'omone gigantesco che la forzava a baciarlo, poi Snakes sbottò qualcos'altro con la sua parlantina serpentina e la trascinò dentro per un braccio, quasi volesse spezzarglielo. Snakes non le aveva mai fatto chissà che simpatia, eppure zio Kreon lo adorava per la sua affidabilità e per la sua capacità di rendersi affabile e amabile come non mai. Non le erano mai piaciute le persone con il sorriso fisso sulla faccia e le guance ferme in quella smorfia grottesca, e Snakes era il primo individuo con queste caratteristiche che ella conosceva. Snakes e la ragazzina erano spariti da circa qualche minuto quando, dal piano di sopra del bordello, aveva iniziato a suonare una canzoncina vecchia di almeno novant'anni, cantata da una voce maschile nè grave nè stridula che invitava il mittente ad appoggiare la testa sulla spalla. Put your head on my shoulder ripeteva la canzone, mentre Snakes imprecava le peggiori bestemmie e ordinava alla ragazza di abbassarsi.
Riprese a camminare pur tenendo gli occhi fissi su quell'edificio. Sentì le lacrime scenderle copiose sulle guance, ma le scacciò passandosi la mano sul volto e si voltò davanti a sè, mentre la musichetta si faceva sempre più lontana. I lampioni proiettavano sui marciapiedi lunghi fasci di luce polverosa attorno a cui si radunavano le falene, che ben presto andarono a sostituire i bambini schiamazzanti per strada, le donne che battevano i tappeti sui loro balconi-gabbie e gli ubriachi che si addormentavano russando ai piedi degli edifici; le luci delle finestre si spensero lentamente, le serrande si abbassarono e piombò il silenzio. Uno strano soffiare però la richiamò da lontano e la spinse ad avvicinarsi verso la fine della strada per vedere meglio: le alte ciminiere delle vecchie centrali, grigiastre a quella luce irreale densa di inquinamento, sbuffavano ancora come se queste funzionassero. Aveva spesso sentito Hans Achilleus parlare delle vecchie centrali, indicandole come il parassita sovversivo che tenta di avvelenare il cuore dell'Acropoli, eppure zio Kreon quella volta non l'aveva appoggiato: sosteneva che le vecchie centrali fossero solo un luogo di rifugio per quei pulciosi incompetenti troppo deboli e affamati persino per aprire una scatoletta di tonno. Non c'era nemmeno bisogno di bombardarle, diceva: con la merda che respirano quei rottami crolleranno da un momento all'altro. Eppure, almeno da lontano, le pareva che quelle ciminiere si ergessero più fiere che mai, sbuffanti come vecchi orgogliosi e pieni di vita. La riempì una strana curiosità: Polinice non aveva mai parlato direttamente delle vecchie centrali, eppure sul diario era tracciato un piccolo schizzo delle ciminiere, con tanto di firma dell'autore. Doveva farci un salto, almeno per proteggersi quella notte e poi indagare meglio di giorno. Confessò di avere sonno e nemmeno una borraccia addosso. Non ci teneva a soffrir la sete e iniziò a guardarsi intorno: tutti i bar le sembravano poco raccomandabili e temeva che, se avesse chiesto dell'acqua, le avrebbero sicuramente sputato e riso in faccia perchè non bastava nemmeno per i residenti. Si aggiunsero pure i brontolii della fame e fu in quell'attimo che provò un accenno di terrore: era in quartiere infido e problematico, lontana da casa e con pochi spiccioli addosso.
Pensava di aver abbastanza problemi quando un'improvvisa e violenta folata di vento animò la strada in cui si trovava, mettendosi a sollevare qualsiasi cosa trovasse a passaggio. Antigone si strinse nella felpa, raggiunse a fatica una parete e cercò di ripararsi, ma l'unico risultato fu quello di ritrovarsi la faccia stretta in una superficie cartacea umidiccia, forse un volantino alzatosi da terra nel mezzo del polverone. Lo staccò lentamente dalla faccia, si posizionò sotto un lampione e mise a fuoco cosa c'era scritto

GRUPPO DI LOTTA PROLETARIO RUBRA SPHINX
UNISCITI A NOI E LOTTA PER IL TUO FUTURO!
Il Governo Centrale pare aver ucciso la democrazia e il benessere di chi è meno fortunato e adesso tenta di minacciare anche il tuo, garantendo privilegio e appoggio solo a chi ha avuto la fortuna di nascere all'Acropoli e finanziando quelle classi inattive e pigre che campano alle spalle di operai e sguatteri. Non si può più restare a guardare ed è arrivato il momento di agire per cambiare. Il tuo aiuto è prezioso, amico/a lavoratore/trice! Unisciti al Gruppo di Lotta Proletario "Rubra Sphinx" e intervieni attivamente nelle nostre attività e discussioni: ogni singola idea, ogni singola proposta, OGNI SINGOLA INTELLIGENZA è un mattone indispensabile per porre le basi della futura democrazia, della gloriosa Prima Repubblica dopo i tempi della Catastrofe.
PER INFORMAZIONI: UFFICIO 3, FABBRICHE SOCIALI
Eterna gloria ai suntrophoi!

Bingo.  Quella folata era stata un miracolo. Adesso bisognava camminare, camminare dritta davanti a sè, senza fermarsi un secondo, fino alle vecchie centrali.
 

Un cancello metallico, coronato da filo spinato, circondava due massicci di cemento armato, annerito dal fumo e imbruttito dai graffiti, con le due enormi ciminiere che sbuffavano fiere. Il primo edificio, davanti al quale si trovava, era poco più basso del secondo, con alte e spesse pareti e vetrate debolmente illuminate da strane luci giallastre e rosse; un prato d'erba bassa e sottile come spilli, ingiallita dalla calura e dallo smog, circondava quella prima porzione dell'agglomerato, mentre due enormi pick-up, uno nero e un altro color sabbia, erano fermi davanti alla sua presunta entrata. Per raggiungere la propria meta aveva dovuto camminare fino ad un incrocio, poi era stata costretta a salire su un tram e fermarsi cinquecento metri prima della fabbrica. Per fortuna non aveva trovato nessuno sul tram e il suo viaggio era stato abbastanza tranquillo, sola com'era col pilota automatico che gestiva il mezzo.
In mano teneva ancora stretto il volantino, bagnato e sporco ma con la sua scritta e la figura disegnata ancora ben distinguibili, un disegno minimale di una sfinge rossa con sfondo nero che si abbatteva su una cittadella squadrata, bianco e senape: l'Acropoli. Si mise a camminare avanti e indietro lungo la cancellata, alzando talvolta gli occhi per vedere se qualcuno la notasse, e non aveva il coraggio di toccarla. Le sembrò di sentire un rumore di passi sull'erba secca e una figura davanti ad uno dei pick-up. Non avrebbe voluto farlo, ma pensò che urlare sarebbe stato l'unico modo per attirare l'attenzione.
-Ho letto il volantino! Laggiù, ho letto il volantino!-
La luce di una delle finestre del primo piano acquistò intensità e le sembrò che la figura vista sul prato si fosse fermata e stesse venendo verso la cancellata brandendo una torcia. Sentì i suoi passi avanzare sull'erba alta, passi pesanti in scarpe altrettanto pesanti su un terreno fragile e poco stabile. Si ritrovò il fascio di luce puntato in faccia mentre una voce maschile le rivolgeva la parola.
-Non ti ho mai vista, cosina in nero. Strano che qualcuno si presenti a quest'ora-
La voce, fortemente intrisa della cadenza dialettale delle Periferie, proveniva da un uomo sulla quarantina, dalla pelle color cenere e i capelli neri striati di bianco. Indossava una camicia e un paio di pantaloni verde scuro, e ai piedi degli anfibi molto sporchi di pelle nera. La guardava con aria indispettita e assonnata dall'alto del suo, ad occhio e croce, metro e novanta di statura, tenendo ben fissa la torcia su di lei come se fosse una pistola.
-Camminavo per strada e .. ho beccato il volantino. Sono passata qui per curiosità, ho letto .. ho letto la scritta, ecco-
L'uomo rimase fermo a guardarla da dietro la cancellata.
-E' pericoloso per una nanetta del genere girare per la Periferia, soprattutto se straniera, da come mi sembra di sentire dalla tua vocetta da topo- tacque per un secondo che le parse un'eternità. Antigone deglutì. - Allarme! Un'acropolina tenta di accedere!-
L'uomo aveva urlato con una tale forza da spingerla quasi a terra. Tutte le luci dell'edificio si accesero di colpo, seguite poi dal rumore assordante degli allarmi e dal latrare dei cani. Il cancello si aprì di scatto, l'uomo l'afferrò per un braccio e, dopo aver messo in tasca la torcia, tirò fuori una piccola pistola e gliela pose alla tempia.
-Cammina. Cammina fino all'interno-
Il cuore le batteva nel petto all'impazzata. Il freddo del metallo quasi la bruciò a contatto con le sue tempie calde e pulsanti. La stretta al braccio era forte e vigorosa, quasi ad impedire ogni tentativo di fuga.
-La prego, signore! Mi lasci, devo parlarle!-
-Ti comporterai da bravo uccellino quando sarai dentro e canterai, da brava, con il tuo stupido accento da acropolina-
Attraversarono a passo veloce il campo, poi varcarono l'entrata e capitarono in una larga e alta sala dalle pareti di mattoni rossastri e alte impalcature di ferro. La sala era illuminata da plafoniere attaccate alle pareti, che rischiaravano quell'ambiente freddo con una luce abbastanza calda. Dal soffitto pendevano delle corde robuste e grigiastre, unico collegamento ad un secondo piano fatto di piccole stanzette adibite a vari scopi, da cui si calavano gli abitanti dell'edificio, uomini e donne assonnati con vestiti sgualciti ma apparentemente puliti.
-Che abbiamo qui, Amphiaraus?- disse dall'alto una matura voce femminile accompagnata dal sibilo delle corde.
-L'Acropoli ci ha portato un regalino- Amphiaraus continuava a spingere il ferro della pistola sulla sua tempia - Te l'ho portata viva, la ragazzina ha voglia di cantare-
 
-Mi creda, davvero! Ho delle prove da mostrarvi, non sono una spia!-
Si dibatteva come una bambina in preda ad un incubo e per la prima volta fu presa dalla paura. Forse le avrebbero fatto il terzo grado, forse l'avrebbero tenuta in ostaggio, forse l'avrebbero fraintesa. Solo dubbi, pensò, ma niente paura. Tremava e basta perchè era davanti a sconosciuti e senza identità, tremava solo per una timidezza repressa che l'Antigone Principessa Ereditaria aveva dovuto occultare, se non cancellare. Non poteva aver paura con gli oggetti di Polinice a portata di mano.
-Lo vedremo presto, cosetta in nero- riprese la voce -Un passo dopo l'altro-
La voce femminile ebbe presto un volto. Era una donna sulla trentina d'anni, con una lucida pelle color ebano e riccissimi capelli corvini corti fino alle spalle, striati di piccole sfumature oro. Se il suo busto era ben vigoroso e femminile allo stesso tempo, come allo stesso modo le lunghe braccia piene di ferite e la gamba destra, snella e flessuosa ma forte come quella di un corridore, della gamba sinistra rimaneva soltanto la coscia, mentre la parte che andava dal ginocchio fino al piede era stata sostituita da una protesi nerastra, un po' arrugginita ma complessivamente funzionante. La donna scendeva accompagnata da due uomini in anfibi, pantaloni verde scuro, e camicia color vinaccia, dall'aria minacciosa e indagatrice.
-Fred, Hank, non accompagnatemi- disse la donna ai due tizi alle sue spalle-Dite a tutti di ritornare alle proprie brande, è un ordine di Iphigenia-
-Ricevuto- dissero in coro i due uomini e, senza muovere un dito nè opporsi, ritornarono alle corde e ripresero a salire.
-La ragazzina si è comportata bene?-
Riuscì ad inquadrare il volto della donna: era giovane e intelligente, con le labbra piene e rossastre, un nasino schiacciato e grandi occhi verdi incorniciati da piccole ciglia e due sopracciglia arcuate, solcate da piccole cicatrici.
-Devo dire di sì. Quando l'ho presa ha lasciato fuori il suo bagaglio, una grande borsa da viaggio abbastanza vecchiotta-
-Valla a recuperare, a lei ci penso io. Raggiungimi poi all'ufficio 3-
Amphiaraus si allontanò ed uscì dalla sala. La donna rimase a guardarla, l'afferrò per un braccio e le puntò la pistola alla testa.
-Cammina. Seguimi e fa' la brava anche con me-
Attraversarono in silenzio metà della sala, poi svoltarono a destra su un lungo corridoio spettrale, con le piastrelle grigie annerite dalla sporcizia e le pareti macchiate da graffiti e scritte in dialetto, illuminato dai neon sul soffitto. Dopo circa cinque metri svoltarono a destra, attraversarono l'uscio di una porta malmessa ed entrarono in una stanzetta in piena oscurità. La donna premette un interruttore e la lampada al neon mostrò il colore azzurrino delle pareti, un tavolo di metallo e plastica verdina e tre sedie di plastica arancione. La donna chiuse la porta, la bloccò con una sedia e le ordinò di sedersi. Poi allontanò la pistola, si sedette al tavolo e la guardò fissa. Poi le scostò con forza il cappuccio, le tolse il foulard e lo gettò a terra.
Antigone incontrò i grandi occhi della donna. Vide il suo grande, intelligente volto color ebano impallidire e i suoi occhi arrossarsi di lacrime.
-Cosina in nero .. Tu sei .. -
-Antigone Spartes Labdakou. Sorella di Polinice Spartes Labdakou-
E questa volta furono i propri occhi a riempirsi di lacrime.

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Capitolo 18
*** 17 ***


17

Le loro mani si incontrarono sull'umidiccia e appiccicosa superficie del tavolo. La donna la guardava con grande pietà, quasi volesse chiederle perdono. Non era certo uno spettacolo che lei stessa aveva inscenato per farsi accogliere in quel gruppo e per muoverla al pianto, la donna davanti a sè l'aveva già compreso. Antigone aveva fede nelle sue intenzioni. Quello sguardo indicava comprensione e accettazione. Le credeva ciecamente.
Rimasero qualche minuto a guardarsi in silenzio, poi qualcuno bussò alla porta e Amphiaraus si fece avanti.
-Ho preso il suo borsone .. Non sembra essersi portata mol..-
Amphiaraus guardò prima la donna, poi Antigone, poi guardò entrambe.
-Iphigenia? Cosa .. Cosa significa?-
-E' identica, vero?- disse Iphigenia in un sussurro-Guardala bene. Due gocce d'acqua-
Amphiaraus si fermò davanti a lei. La fissò bene, per tre minuti abbondanti, poi il suo viso si fece pallido. Si mise una mano alla bocca ed emise un singhiozzo di stupore. Antigone sorrise, afferrò il borsone e tirò fuori il diario e l'orologio da taschino.
-E ho portato anche i suoi oggetti. Ho trovato il diario in un nascondiglio e ho strappato l'orologio dalla sua mano quando .. quando a casa hanno portato il suo corpo-
Iphigenia prese tra le mani l'orologio e se lo portò al viso. Amphiaraus sfogliò il diario, gli diede un'occhiata svogliata e sorrise singhiozzando.
-E' proprio il suo .. Guarda qui, è perfetto! Fa' vedere l'orologio-
-Prendi .. Anche questo è suo, è ancora sporco di terra dal giorno della rivolta..-
I dubbi si erano dissolti come neve al sole. Si sentiva felice nel vederli sorridere di malinconia e nel sapere che provavano le sue stesse emozioni. Era come se in quel momento Polinice fosse in quella stanza, vivo più che mai: ne avvertiva l'ardore e la bontà, come se avesse varcato la porta insieme ai suoi oggetti segreti, attraverso i sorrisi e gli occhi arrossati di pianto di Iphigenia e Amphiaraus.
Iphigenia e Amphiaraus poggiarono gli oggetti sulla scrivania, singhiozzarono e scoppiarono in un pianto sommesso, abbracciandosi. Anche Antigone si alzò dalla sua sedia, cercò di cingerli entrambi con le proprie braccia e iniziò a singhiozzare.
-Sono venuta in suo nome- sussurrò tirando col naso- Il suo corpo .. il suo corpo è ancora lì e ..-
- Lo sappiamo bene- emise in un singhiozzo Amphiaraus, distaccandosi dall'abbraccio e passandosi una mano sul viso - Una nostra compagna aveva tentato di seppellirlo e..-
-.. Ed è stata giustiziata. Era Rebecca Moonie. Polinice e Rebecca si amavano come non mai, l'ho letto nel diario-
Iphigenia annuì con gli occhi lucidi mentre Amphiaraus rimaneva a bocca aperta.
Si sedettero intorno alla scrivania e Iphigenia tirò da sotto un grosso contenitore di plastica trasparente contenente acqua, poi tre bicchieri di carta. L'acqua pareva limpida e fresca, quasi intatta dalla cappa di inquinamento e sporcizia che opprimeva le Periferie.
-Non stupirti del colore dell'acqua .. Come hai detto di chiamarti?- disse Iphigenia versando l'acqua nel primo bicchiere.
-Antigone. Può chiamarmi così-
-Dammi del tu, assolutamente. Comunque, non ti stupire del colore dell'acqua .. -
Amphiaraus le lanciò un'occhiata amareggiata, come se volesse metterla a tacere. Antigone scrutò la mossa di quegli occhi giallastri e circondati da occhiaie, severi come non mai, quasi volessero rimproverare Iphigenia di star per rivelare un segreto da tenere ancora nascosto. L'aveva capito, si disse: Amphiaraus non si fidava ancora di lei.
-Grazie, avevo una gran sete ..-
Bevvero la loro piccola razione in silenzio. Antigone era soddisfatta: quell'acqua era liscia e dissetante come quella che beveva a casa, totalmente lontana dal liquido dalla consistenza grumosa della fontanella della Piazzuola d'atterraggio. Notò Iphigenia sorriderle compiaciuta in tutta la sua maestà, col collo sottile ben dritto e le labbra che accennavano un sorriso.
-Avevi sete, cosetta in nero. Gradisci un altro bicchiere?-
-Mi fai un favore, davvero-
Iphigenia non aveva paura di sprecare troppa acqua e riempì generosamente quella seconda piccola razione. Anche questa volta l'aveva guardata con degli occhi sprezzantemente materni, aveva sorriso e infine aveva riposto la grande boccia sotto la scrivania. Anche Amphiaraus la guardava bere, ma i suoi occhi erano più duri e indagatori: era ovvio che ancora non si fidasse di lei, pensò, ma quello sguardo da uccellaccio del malaugurio le infondevano comunque un certo timore. Quella volta fu Iphigenia a fulminarlo con uno sguardo.
-Ripresa?-
Si leccò i baffi come una bambina.
-Decisamente, grazie-
-Hai gli occhi assonnati. Vuoi restare a parlare con noi o ..-
Amphiaraus interruppe Iphigenia di colpo.
- .. Non trattenerla. Antigone, se vuoi puoi riposare al Dormitorio 1, alla mia branda. La stanza è vuota, così dormirai in pace senza che nessuno ti disturbi. Io e la mia collega dobbiamo discutere di roba importante. Ti dispiace?-
Si alzò in silenzio, si fece aiutare a caricarsi il borsone in spalla e Amphiaraus chiese ad Iphigenia di accompagnarla. Procedettero lungo il corridoio fino a trovare un grosso montacarichi di ferro: Iphigenia premette un pulsante rosso e le porte del montacarichi si aprirono mostrando una piccola cabina dal pavimento verde acqua, illuminata da una plafoniera al neon.
-Reggerà entrambe?-
-Fidati. Questo vecchio catorcio ha visto pure Big McKeane ubriaco-
Non volle chiederle chi fosse Big McKeane, ma si limitò ad entrare nella cabina e a lasciarsi chiudere dentro insieme alla sua accompagnatrice. Iphigenia premette un piccolo bottone biancastro con una freccia che puntava verso l'alto e il montacarichi iniziò a salire lentamente, traballando. Poi si bloccò e le porte si aprirono davanti ad un pianerottolo scarsamente illuminato, con una piccola lampada ad olio che proiettava bagliori arancioni. Vi erano due robuste brande con materassi consunti, una vecchia radio arrugginita e alcuni rimasugli di quello che era stata sicuramente una cena modesta. Iphigenia indicò la branda a destra, con un robusto materasso azzurrino e un lenzuolo sgualcito color cenere.
-Non è il tuo letto, ma per la notte andrà bene. Fidati anche del cuscino, giuro sulla mia testa che Amphiaraus non ha i pidocchi-
Iphigenia la salutò con un sorriso, poi rientrò nel montacarichi e ritornò al piano inferiore.
Antigone si sedette sul lettino, poggiò ai suoi piedi il borsone e si distese a pancia in su. Guardava il soffitto e le macchie di umidità sulle pareti. Non sentiva freddo, anzi la felpa che portava le faceva sentire abbastanza caldo. Quando se la tolse, si accorse della piacevole temperatura dell'ambiente, reso tiepido da chissà quale marchingegno.
Era stanca, ma non sfinita. L'adrenalina circolava ancora nelle sue vene. Voleva riposare soltanto per recuperare un po' di forze, almeno due orette e niente di più. Sorrise, poi si girò su un fianco e provò a chiudere gli occhi. Polinice danzava nel buio della sua mente, più luminoso che mai.
 
Un raggio di luce si infilò lentamente tra le sue palpebre e un rumore di motori, unito al vociare della gente in strada, arrivò alle sue orecchie. Era l'alba, pensò, e la stanza era ancora vuota, o almeno non aveva avvertito nessuno durante le sue poche ore di sonno. Si stropicciò gli occhi, sbadigliò e si mise lentamente a sedere, poi scese giù dalla branda e si mise a cercare con gli occhi una toilette o qualcosa molto simile. Poco lontano, vicino alla seconda branda, c'era una piccola porta di legno. Si avvicinò a passi veloci, l'aprì e ringraziò cielo e terra.
Che culo, pensò.
Le si era aperta una stanzetta biancastra, con il pavimento di piastrelle color  lapislazzuli incrostate di polvere e sporcizia, un cesso senza tavoloccia e una doccia con le ante malmesse. Si chiuse la porta alle spalle e si fece avanti a piccoli passi, cercando di scacciare l'odore di fogna che proveniva da fuori e di non pestare le strane macchie sul pavimento. Poi si abbassò i pantaloni e cercò di non toccare la porcellana lercia del gabinetto, tentando di orinare come se fosse a casa. Ci metteva tempo e non si meravigliò quando riuscì ad orinare dopo almeno cinque minuti in quella posizione scomoda, ma liberarsi fu comunque un sollievo. Allo stimolo di orinare si sostituì i brontolii della fame, che cercò di mettere a tacere stringendosi la pancia.
Quando uscì dalla stanzetta vide Iphigenia che la fissava con un sorriso.
-Mi hai fatto spaventare, cosetta. Accidenti come sei magra, con tutte le cose strambe che ti rifilano?-
Ridacchiò.
-Anche nonna lo ripeteva spesso. Colpa di papà-
Le sue ultime parole vennero quasi soffocate da un brontolio che non riuscì a nascondere. Iphigenia rise rumorosamente, con i denti brillanti e perfetti come perle.
-'Orca troia, abbiamo una principessa affamata eh? Cosetta, sai arrampicarti?-
-Perchè me lo chiedi?-
Iphigenia sorrise di nuovo e un debole raggio di sole la colpì in pieno viso.
-Seguimi e ti faccio vedere. Si vede che non sei mai stata nelle Periferie-
La seguì dentro il montacarichi, poi lungo il corridoio e fino alla sala dove era stata accolta qualche ora prima. Da su veniva un forte odore dolciastro e un vociare di gente, poi di colpo calò il silenzio. Dagli ambienti al piano alto si affacciarono mille volti ancora sbadiglianti, ma non per questo meno indagatori, donne, uomini e anche ragazzini. Piuttosto che Iphigenia, guardavano lei con occhi severi e stupiti, quasi ci fosse un nemico che stesse attendendoli dal basso. Iphigenia notò i loro sguardi, tossì e li squadrò uno dopo l'altro.
-Che c'è? Lo sapete che è qui, smettetela e tornate in mensa-
Amphiaraus si sporse da su. Aveva l'espressione contraddetta e infastidita. Ad Antigone parve di sentire una bestemmia uscire dalla sua bocca.
- Per la miseria.. - cercò di dire a bassa voce, poi riprese a tuonare -Ne abbiamo già parlato, diamine. Il colloquio di ieri sera non ti ha chiarito le idee?-
-Più di quanto non le avessi già chiare. Avanti, chè la vostra colazione si fredda. Noi stiamo arrivando-
-Voi?- sbottò ironicamente una voce da lassù - Iphigenia, la tua cosetta in nero deve portare altri problemi dopo quelli che abbiamo già?-
Si sentì ferita e delusa. Quel viaggio non era servito a nulla.
-Fa nulla, Iphigenia ..- sussurrò alle robuste spalle di lei, facendola voltare lentamente - Non chiedo di restare qui. Volevo soltanto che sapeste che .. penso ogni giorno a Polinice e non vorrei che la sua memoria si estinguesse..-
-Antigone, per favore ..- Iphigenia le rivolse uno sguardo colmo di dispiacere, come se si facesse carico delle parole dei suoi compagni.
-Li capisco, fa nulla. Non chiedo altro che un pezzo di pane e una borraccia, poi tornerò a casa da brava. E' stata bella questa notte, davvero-
Stava per ritornare sui propri passi, poi una mano color ebano la prese dolcemente per una spalla.
-La colazione è interrotta momentaneamente!- tuonò Iphigenia - Riunione straordinaria nel Salone 5! Sbrigate a consumare i vostri pasti o non toccate nessun boccone, siamo intesi?-
Ci furono dei mugolii sommessi di lamentele, insulti e bestemmie, ma ad Iphigenia non sembrava importare. Ella anzi osservava la scena con fare severo e benigno allo stesso tempo, come non aveva mai visto fare a nessuna donna prima, nemmeno a mamma, quando era viva, durante la Giornata della Donna all'Acropoli.
-Cosetta, nel frattempo vieni con me, okay? Mi dispiace non poterti dare da mangiare al momento. Prima le questioni importanti, è importante la prassi qui dentro. Okay?-
Annuì.
-Bene. Ora ti porto a vedere qualcosa. O meglio, qualcuno. Ti va?-
La seguì in silenzio, come un agnellino. Rientrarono nel corridoio, lo percorsero interamente e in silenzio giunsero davanti ad una porta. Iphigenia la aprì lentamente, mostrando una piccola stanza in totale penombra, con le serrande delle finestre abbassate per più di metà. La stanza, piccina, era interamente occupata da un grande altare di candele rosse e consunte, medagliette, piccoli stendardi e dediche attaccate alla parete con scotch, tutti a formare una cornice per una grande foto di Polinice, ritratto sorridente e sereno fino alle spalle.
Antigone si portò le mani alla bocca per mettere a tacere un singhiozzo. Fu una pugnalata al cuore, lo ammise, ma si sentiva come se dovesse ringraziare Iphigenia. Qualcuno amava e ricordava ancora Polinice.
Si voltò verso Iphigenia. Ella non piangeva, ma il suo bel volto d'ebano mostrava dolcezza e tenera malinconia.
-Sai .. Anche Polinice, la prima volta che si è presentato al commando, è stato guardato con disprezzo. E' stato prima della morte dei vostri genitori, verso gennaio .. Ci siamo spaventati tantissimo quando l'abbiamo visto e pensavamo sarebbe andato tutto a puttane. E invece no, abbiamo imparato a fidarci e .. Abbiamo compreso di esserci sbagliati all'inizio. Quando è morto il commando ha perso il vigore di prima. E' stato lui a motivarci con il programma del suo diario..-
-La tripilice I?-
-Proprio così. Il nostro commando è quello che è grazie alle sue parole. Prima eravamo solo una massa di delinquenti bravi a maneggiare le armi-
Rimasero in silenzio davanti al piccolo memoriale per qualche minuto. Polinice era vivo, più vivo che mai: la sua luce accendeva le fiammelle di quelle candele e le faceva brillare, le sue parole erano più ardenti che mai nelle dediche lasciate dai compagni e nelle idee che a sua volta aveva lasciato loro, in quel sorriso brillante reso immortale dallo scatto. Forse Polinice non aveva bisogno di una sepoltura, in effetti. Cos'era il corpo lasciato a marcire, quelle ossa ormai scoperte, quella pelle gonfia di gas? Polinice era vivo e basta, non gli importava della sua carne. Non era stato nemmeno onorato da Thebe Alta, ma cosa gli importava?
-E' tardi, cosetta. Non dobbiamo far tardi alla riunione-
Ritornarono sui loro passi, chiusero la porta e procedettero verso il montacarichi. Iphigenia premette due volte il tasto con la freccia su, l'apparecchio procedette per due piani e poi si aprì su una grande sala ricoperta da cartapesta rossa ormai cadente, con il pavimento di linoleum grigio e un grosso lampadario arrugginito che pendeva da su. Tutti i membri del commando- circa quaranta persone, tra adulti e ragazzini, che si voltarono verso il montacarichi con uno sguardo dubbioso- erano radunati lì, seduti a terra o in panche di legno sgabelli di plastica. Amphiaraus attendeva Iphigenia al centro della sala, circondato dai suoi spettatori.
Antigone fece segno di voler prendere posto in fondo allo stanzone, ma Iphigenia le prese la mano e con un cenno dello sguardo la invitò a seguirla. Amphiaraus le seguì avanzare, poi si posizionò al centro, schiarì la voce e iniziò a parlare.
-Suntrophoi! Siamo qui riuniti per discutere di un'importante questione di cui già io stesso e compagna Iphigenia avevamo discusso in precedenza! Vi prego, come al solito ma è giusto ricordarlo, di intervenire in maniera educata, civile e rispettosa delle opinioni altrui, anche in un momento di confutazione!
Ritornando al nostro discorso, amici e amiche. Come avete potuto vedere, Iphigenia Minos, la nostra amata collaboratrice, una delle più valide compagne del commando, ha portato con sè un elemento che ha destato sicuramente scalpore in tutti e tutte noi. L'elemento in questione è la giovane Principessa Antigone Labdakou, sorella del defunto compagno Polinice. Questa notte io e la compagna Iphigenia abbiamo discusso sul da farsi e, per essere sincero davanti a voi e anche davanti alla nostra ospite, ho il dovere di dire la mia verità: a prima occhiata, di questa ragazzina non posso ancora fidarmi. Eppure, come ho potuto constatare dal piccolo bagaglio che si è portata dietro, sostiene di aver letto a fondo il diario del fratello e di aver conservato con sè uno dei suoi oggetti più amati, l'orologio da taschino. Ora, mia cara ospite, non intendo affatto offendervi ma questa è la mia opinione. Sono stato breve, ma preferirei lasciare il posto a Iphigenia almeno per il momento. E' lei quella che, a quanto pare, se l'è presa sotto la propria ala protettrice-
Amphiaraus lasciò il posto ad Iphigenia, che si schiarì la voce e iniziò il proprio discorso.
-Suntrophoi, la prima volta che ho visto questa ragazzina esile e straniera ho avuto paura anch'io. L'ho portata nella sala per gli interrogatori, come lo stesso compagno Amphiaraus può dimostrare. Ma appena mi ha rivelato la sua identità, ho provato un misto di paura e stupore. Sì, amici e amiche, stupore! Stupore perchè ho creduto questo arrivo come un segno, quasi un regalo .. Lo so, vi sembrerà stupido, eccessivamente sentimentale per una come me e per tutti noi in generale, ma quando ho guardato negli occhi di questa ragazza mi è sembrato di rivedere Polinice per la seconda volta. Non vi ricordate anche voi il suo arrivo? Era per giunta da solo, senza oggetti che dimostrassero le sue buone intenzioni. Lo abbiamo a lungo interrogato, giusto? Mosso alle lacrime, alle urla.. E poi ci siamo sbagliati noi. E Polinice si è rivelata una guida preziosissima, il vero motore che anche per poche ore ha fatto tremare l'Acropoli, con le sue idee straordinarie e il suo ardore! Sapete, l'ho portata al memoriale poco prima dell'incontro. Non ho mai visto un'emozione tale negli occhi di una persona, in mezzo a questo delirio di alienati quali sono le Periferie. Antigone non può tradirci, anche in memoria di suo fratello-
-E chi lo dice non sia una spia? Che prove hai?- tuonò una voce in fondo dopo aver alzato la mano.
-Ripeto, dicevamo lo stesso di Polinice. E Polinice si è rivelato la vera guida di Rubra Sphinx-
-Almeno Polinice ci ha presentato un programma da mettere in atto- uno degli omaccioni che l'avevano accompagnata la sera prima si alzò, accese una sigaretta e riprese a parlare - Sua signoria si è presentata con il diario del fratello, il suo orologio e pretende di sostituirlo. Che prove abbiamo che Polinice, prima di morire, non abbia lasciato il diario incustodito e abbiano tramato qualcosa con quella roba, una sorta di pretesto insomma ..-
Iphigenia sospirò. L'incontro non era iniziato da molto, ma pareva stanca, quasi si fosse arresa. Traballò un po' sulla sua protesi e si riuscirono ad udire delle risate sarcastiche.
Polinice, dammi la forza. Per favore.
- I damerini incipriati, così come li chiamate voi e sulla cui definizione non ho nulla da obiettare perchè vivo lì da sempre- si era alzata di scatto, spostando con violenza lo sgabello su cui sedeva e facendo impallidire Iphigenia - Ecco, proprio quegli individui lì a Thebe Alta non ci penserebbero nemmeno per scherzo a mandare la loro principessina ereditaria in posti come le Periferie. Per percorrere questo viaggio ho addirittura seguito le istruzioni di mio fratello per rimuovere il chip affinchè nessuno mi seguisse fin qua e soprattutto io non mettessi voi nei guai. Se non ci credete, posso mostrarvi il polso e potete controllare la mia borsa: le vere spie dell'Acropoli sono ricoperte di marchingegni individuabili grazie ad una tac ben fatta, ma se non mi credete posso sottopormi all'esame anch'io.-
Era calato il silenzio. Iphigenia la guardava con occhi severi e stupiti e Amphiaraus si era fatto di mille colori. Antigone alzò il braccio sinistro e con l'indice della mano destra indicò il piccolo taglio cauterizzato, ancora rosseggiante e pizzicante.
- Questa è la ferita. Non è il migliore degli spettacoli, lo ammetto. Immagino che anche mio fratello abbia fatto lo stesso-
Un omone dai capelli rossi, con una barba di circa tre giorni e gli occhi verdi, si avvicinò a lei traballando e le prese il polso tra le mani. Lo scrutò lentamente, a lungo, picchiettò la ferita. Ad Antigone scappò un piccolo urlo.
-Hm, è la cauterizzazione più brutta che abbia mai visto. Fatta da una mano per nulla ferma e per nulla esperta.. Quindi possiamo fidarci di lei. Se l'avesse fatta un medico di corte, la cauterizzazione sarebbe stata ben dritta e certamente più curata-
Si alzarono dei mormorii di stupore e dei commenti. Il piccolo pubblico si mise a confabulare tra sè e sè e alcuni ragazzini si avvicinarono a lei per vedere la ferita.
-Tom, smettila! Le fai male- richiamava la madre di uno di loro.
-Ma è vera, signorina?-
-Lo giuro!-
La tensione della sala pareva essersi sciolta. Amphiaraus e Iphigenia richiamarono tutti all'ordine. L'uomo sorrise ironicamente, come uno sportivo che accetta pacificamente la sua sconfitta, poi riprese la parola.
-Compagni, ordine .. Ecco, bene, seduti. La seduta sembra esser stata breve, ma possiamo comunque riassumere i punti brevemente discussi: Antigone è o non è nostra nemica? Certo, la sua provenienza ci spaventa un po' ma d'altronde abbiamo avuto gli stessi problemi quando è giunto in commando l'amico Polinice. Il dottor McKeane sostiene che quella ferita è troppo imperfetta per esser stata fatta da un medico, e che quindi Antigone sia si sia tolta il chip da sola, proprio come aveva fatto il fratello; d'altronde, è giunta qui in abiti semplici, con un piccolo bagaglio di roba e gli oggetti appartenuti al compagno, tra cui l'importantissimo diario. Anche se il dottor McKeane procederà ad una tac per vedere se la nostra ospite nasconde altro al proprio interno, almeno le mie opinioni su di lei hanno preso un'altra piega e ora vorrei sapere anche come voi la pensate. Chi è d'accordo ad un suo inserimento nel commando?-
-Ad una condizione- una roca voce femminile si alzò tra tutte. Essa proveniva da una giovane donna dai capelli scuri, con vispi occhi cangianti e pelle pallida -Che sia inserito un nuovo chip nella principessina. Un chip ovviamente controllato da noi, per vedere se l'uccellino si mette a cantare quando torna al nido-
Era calato di nuovo il silenzio. Guardò negli occhi la giovane donna ed essa le ricambiò lo sguardo con rabbia. Le parve di vedere una certa somiglianza con qualcuno che già conosceva, pensò. Poi scosse la testa e scacciò l'idea.
La giovane donna prese una cartina da una tasca sudicia, tirò fuori una tabacchiera e arrotolò una sigaretta, poi la mise dietro l'orecchio.
-Vi ricordo che quei bastardi hanno reso orfani almeno cinque bambini qua dentro. Non voglio essere dura ma ..- tirò fuori la sigaretta, la portò alle labbra e la accese- E' così. E' la realtà. Solo un esperimento-
Calò nuovamente il silenzio. Iphigenia lo ruppe dopo cinque lunghi secondi.
-Grazie dell'intervento, compagna Jeanne, terremo in considerazione la tua opinione durante la votazione. Bene, a conclusione del dibattito, chi è favorevole ad introdurre Antigone tra i nostri?-
Contò circa trentacinque mani alzate. Le uniche cinque abbassate erano quelle di quattro ragazzini e quella di Jeanne.
-Bene .. E chi è favorevole all'introduzione di un nuovo chip?-
Una, due, tre, quattro .. trentanove mani.
Iphigenia annuì. Era soddisfatta, lo lesse nei suoi occhi quando le lanciò un'occhiata colma di ammirazione.
-Ottimo. Grazie per il vostro tempo, compagni. Potete ritornare alla mensa!-
La seduta fu sciolta immediatamente e ritornarono tutti in mensa. Iphigenia attese che la sala si svuotasse e Antigone rimase ad aspettarla, affascinata da quella sua aura di regalità.
-Fame?-
-Direi- ridacchiò.
-Adesso possiamo mangiare tranquillamente. Si abitueranno, fidati. Il chip viene inserito con una siringa. Hai subito lo stesso trattamento?-
-Sì, a nove anni-
-Molto bene. Solo pochi secondi, e Big McKeane è molto bravo-
-Era il McKeane di cui parlavi stamattina? Quello grasso e ubriaco che è riuscito ad entrare comunque nel montacarichi?-
Iphigenia ridacchiò nuovamente.
-Ah, proprio lui! Non sai che scene ti sei persa, non siamo sempre a combattere noi ..-
Le porte del montacarichi si chiusero davanti a sè. L'apparecchio si mosse lentamente. Quanto a lei, un altro passo era stato fatto. Ora bisognava festeggiare con un bel boccone.

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Capitolo 19
*** 18 ***


18


Si accedeva alla mensa arrampicandocisi sulle funi che penzolavano dal soffitto, dal momento che la scala che conduceva ad essa era crollata. Il locale mensa faceva capolino sulla parte destra dell'ambiente di ingresso e un pianerottolo metallico permetteva di accedervi a chi si arrampicava sulle funi.
Quando furono sotto di esse Antigone sospirò: non si era mai arrampicata così in alto, nemmeno alla Colonia Lunare molti anni prima, e forse temeva addirittura di aver dimenticato come ci si mantenesse saldi sulle funi.
Iphigenia le rivolse un sorriso comprensivo.
-Sai arrampicarti?-
-Sono stata al campeggio tanto tempo fa. Forse ci avevano insegnato anche ad arrampicarci, ma ricordo poco e nulla-
-Guardami attentamente. Afferra la corda alla mia destra, io userò questa-
Iphigenia afferrò con entrambe le mani un punto all'altezza del suo viso, poi, con un balzo, arrotolò le gambe alla fune.
-Imitami, così arriviamo insieme-
Antigone ripetè i suoi stessi gesti. Strinse la corda con la forza di mani e braccia.
-Molto bene. Ora, tenendoti salda con le gambe, afferra un punto più in alto e poi trascinati su, lentamente-
Iphigenia afferrò il segmento di corda sulla propria testa e poi spinse le gambe in su. Antigone cercò di tenersi ben attaccata e la imitò lentamente, tremando.
-Consiglio. Non guardare giù, soprattutto se soffri di vertigini-
Iphigenia si mosse per due metri. Ne mancavano altri due.
-Coraggio, ci siamo quasi! Ti seguo!-
Non guardare giù.
Cercò di muoversi più rapidamente per metter fine alla tortura, ma la fune si mise ad oscillare. Rivolse uno sguardo pieno di terrore ad Iphigenia.
-Niente fretta, soprattutto la prima volta. Coraggio, l'ultimo metro e ci siamo-
Non guardare giù.
La fune smise di muoversi. Si mosse a lenti scatti, tenendosi più salda che mai, mentre il pianerottolo metallico iniziava a farsi più vicino.
-Ultima mossa, ora dobbiamo avvicinarci un po'. Non hai mai visto un film di pirati?-
Papà raccontava spesso episodi della propria infanzia. Diceva che quando si trovava ricoverato al Morris Sanatorium per colpa di un'appendicite nonna Periboea gli portava alcuni film con cui passare il tempo, che allora giravano ancora in dvd. Papà aveva apprezzato particolarmente la storia di alcuni uomini che solcavano il mare su strane navi, sicuramente molto vecchie, di solito per cercare tesori, e molte scene riprendevano i combattimenti che questi uomini dovevano affrontare prima di giungere alle loro mete.
-Roba vecchia, piacevano a mio padre quando era un ragazzino-
Iphigenia mugolò.
-Mmm .. Guardami quest'ultima volta. Ora è un pochetto più difficile, ma modestamente hai un'ottima maestra!-
Iphigenia, reggendosi con forza alla fune, si diede una spinta verso destra e si mosse veloce verso il pianerottolo. Poi balzò giù dalla fune e i suoi piedi toccarono con sicurezza la superficie d'appoggio.
Antigone deglutì. Nonostante il brutto colpo subito che l'aveva costretta ad indossare una protesi, Iphigenia aveva una forza di cento uomini, con quelle gambe flessuose e vigorose che lavoravano come una macchina. Chissà da quanto tempo era lì, si chiese. Forse un giorno glielo avrebbe chiesto e, se ne avesse avuto il coraggio o un livello di confidenza tale, le avrebbe chiesto anche come fosse arrivata alla protesi. Iphigenia probabilmente conosceva il dolore: i compagni persi negli scontri, le difficoltà nel commando di ribelli, la morte di Polinice e Rebecca. Si leggeva nei lampi oscuri che ogni tanto quegli occhi d'ebano lanciavano, sforzandosi tuttavia di sorridere e mostrarsi affabile e forte.
-Credo in te, cosetta in nero!- urlò dalla propria posizione - Puoi farcela!-
Da lontano vide alcune figure alzarsi, spinte da curiosità. I ragazzini allungavano i loro colli e gli adulti distoglievano gli occhi dal piatto.
Iphigenia si voltò verso la mensa.
-Andiamo ragazzi, un po' di tifo per la nostra ospite! Forza Antigone!-
I ragazzini chiamavano il suo nome con le loro vocine rauche, una, due, tre volte.
Big McKeane si era alzato e aveva fatto tremare le pareti con la sua risata.
-E se lo dice la compagna Minos, allora puoi farcela!- tuonò portandosi le mani alla bocca- Coraggio, cosetta in nero!-
Puoi farcela.
Non guardare giù.
Si diede una vigorosa spinta guardando dritto davanti a sè. La corda si mosse dolcemente fino a fermarsi davanti al pianerottolo. Poggiò un piede, poi l'altro e tese la mano ad Iphigenia. Ella sorrideva dolcemente, poi l'abbracciò di colpo.
-La cosetta ce l'ha fatta- sbottò Big McKeane- La cosetta ce l'ha fatta!-
E rise con quella bocca sdentata e grassa, tracannando la propria tazza di caffè.
-Sei stata bravissima- disse Iphigenia staccandosi dall'abbraccio- Meriti una bella colazione!-
La mensa era una grande stanza dalle unte pareti blu e azzurre, con dei grossi banconi di legno e in fondo un tavolo più piccolo, apparecchiato con tre grandi montagne di strane frittelle fumanti e brocche colme di un liquido nerastro che avrebbe dovuto sembrare caffè. Mentre passava tra i banconi i ragazzini le rivolgevano un sorriso, ma gli adulti si mostravano più indifferenti. In particolare la ragazza del chip, Jeanne, la guardava sottecchi sorseggiando la propria tazza di caffè. Era uno sguardo tagliente, quasi offensivo, che nemmeno Iphigenia aveva notato.
-Per essere una principessina sei stata brava- ridacchiò Jeanne - Un peccato però aver rovinato la manicure, eh?-
-Avanti Jeanne, non sembra così terribile la ragazzina- sorrise un tizio accanto a lei - Pensavi lo stesso di Polinice, almeno inizialmente ..-
Qualcosa dentro di sè voleva spingerla a rovesciarle il caffè sulla faccia e a prenderla a calci, ma forse era ancora troppo presto. Si limitò a seguire placidamente Iphigenia lungo il bancone con il menù del giorno: gallette di mais, frittelle, cereali, latte e caffè.
-Prendi quello che vuoi e quanto ne vuoi- Iphigenia colmava la sua ciotola giallina con due pugni di cereali e latte e riempiva la propria tazza di caffè - A volte rimane così tanta a roba anche per distribuirla all'orfanotrofio. Facciamo sempre così. E poi, non perchè sia mio fratello, Orest è un cuoco eccezionale-
Antigone riempì il vassoio con un piatto di frittelle, un bicchiere di latte macchiato e due gallette di mais. Seguì Iphigenia al suo tavolo e si sedette accanto a lei, suscitando alcuni mormorii e un sorriso ironico da parte di Amphiaraus. Egli beveva distrattamente da una tazza di caffè e rollava una sigaretta.
-Vedo che hai imparato ad arrampicarti, ragazzina-
Morse con avidità la prima frittella. Iphigenia aveva ragione, Orest il cuoco era eccezionale: le frittelle erano morbide e dolci, non avevano quella consistenza spugnosa e quel sapore dolciastro che si aspettava dal cibo delle Periferie. Forse i ribelli campavano in maniera più dignitosa, riuscendo a sottrarre ai camion e ai battelli pieni di cibo per l'Acropoli qualche ingrediente decente.
-Mmm- annuì con la bocca piena -Iphigenia, avevi ragione! Devi fare i complimenti a tuo fratello!-
Amphiaraus e Iphigenia ridacchiarono e le rivolsero un'occhiata divertita.
-Hai già dimenticato le buone maniere?-
Gli lanciò un sorriso divertito. Si sentiva a casa.
 
Quelle frittelle avevano riempito il suo stomaco dopo una lunga notte e le avrebbero fornito la forza necessaria per affrontare il piccolo intervento. Big McKeane aveva finito la propria colazione, si era avvicinato al loro bancone e l'aveva guardata con un sorriso.
-Io vado a preparare tutto, okay cosetta? Riempiti lo stomaco, anche se faremo presto!-
Poi si era allontanato, aveva afferrato una fune ed era sceso giù con l'agilità di una gazzella. Amphiaraus si alzò lentamente, si avvicino al bancone e accese una radio vecchia di almeno dieci anni, con le manopole rosse e i tasti sporchi e polverosi. Allungò l'antenna dell'oggetto, accese un pulsante e si mise a trafficare con le manopole mentre la radio lanciava segnali di interferenze e voci frante. Poi le diede un leggero colpo secco e Amphiaraus riuscì a captare una frequenza.
- Morrison Snakes, per l'ennesima volta, dimostra di essere più di un carceriere!- riconobbe la vocina femminile del radiogiornale Voce di Thebe - Questa mattina terrà un comizio alla Grande Corte: i suoi progetti sono ambiziosi!-
-Niente di nuovo- mugolò Iphigenia scroccando tabacco, cartina e filtro dalla bustina di lino che Amphiaraus aveva lasciato sul tavolo - Se non altra roba su questo porco-
Put your head on my shoulder, hold me in your arms, baby
-Ascoltiamo cos'altro deve combinare 'sto qua- Amphiaraus fece un tiro, sbuffò e il fumo nascose il suo volto- Se la radio non passa altro ..-
Io l'ho visto questa notte, prima di arrivare al commando.
Stava aggredendo una ragazza di un bordello.
Lo avrei preso a calci.
- Noi di Voce di Thebe abbiamo colto un'importante occasfrrr .. per intervisfrr ..-
-Vecchio catorcio, diamine!- Amphiaraus mollò un pugno alla radio - Vedi di funzionare!-
- ... Signor Snakes, allora, ci illustri il suo progettfrr ... defrrrinto certamente ambizioso!-
La vocetta venne sostituita dalla voce bassa di Snakes e dalla sua orribile parlantina serpentina. Non riusciva a capire come una cadenza del genere riuscisse a convivere con il suo vocione da oltretomba.
-Moralità. La parola che sta alla base del mio programma è moralità-
La voce di Snakes biascicò quella parola lentamente, pregustandone un significato diverso che il parlante sembrava attribuirvi. Le dava il voltastomaco.
- Glielo dirò con sincerità, mia cara- Sei disgustoso, Snakes. Disgustoso-  Il mio sogno, fin da ragazzo, è statfrrr  essefrr Gran Consigliere-
La stanza si animò di risate e Big McKeane, tornato in mensa, sbottò una risata fragorosa appena riconobbe la sua voce alla radio. Quanto a lei, era preoccupata. Dopo quello che aveva visto la sera prima, non avrebbe mai voluto che quel tipo strano diventasse Gran Consigliere, anche se per quello presente era ormai giunta quasi l'ora di congedarsi. Zio Kreon voleva proposte giovanili, ripeteva sempre, e il Gran Consigliere si sforzava sempre di adeguarsi ai tempi anche se era poco più anziano dello zio. Ci restava male, ogni volta, e Antigone si prendeva il suo stesso dispiacere.
- Quel maiale con la faccia storta! Fa prima ad ammazzare il vecchio Kreon!- Antigone si accorse delle sue parole e gli rivolse un'occhiata spaventata. Big McKeane impallidì e si scusò con gli occhi bassi, poi cambiò discorso- Hei cosetta, ho preparato tutto! Sei pronta?- ridacchiò.
Annuì e gli sorrise. Forse non voleva dire quella cattiveria, forse aveva addirittura ragione: un tipo dall'aria viscida come lui non si sarebbe posto scrupoli per un po' di grana. Una brutta immagine di zio Kreon che adescava una ragazzina e la malmenava si fece largo nella sua mente: Antigone cercò di scacciarla scuotendo la testa. Iphigenia notò il suo gesto con fare preoccupato.
-Sei pensierosa, Antigone. Qualcosa ti turba? Sei strana-
-Ho visto Snakes questa notte- sussurrò. Amphiaraus udì le sue parole e fece cenno agli altri di raccogliersi intorno al tavolo. Anche lui mostrava una certa preoccupazione.
-Alle Periferie?- chiese Iphigenia con gli occhi ardenti.
Annuì.
- Ero appena arrivata. Camminavo senza una meta, poco prima che beccassi per caso uno dei vostri volantini. Snakes era alla porta di un bordello, stava .. importunando una ragazza di lì-
Gli occhi di Iphigenia divennero simili a braci. Strinse i pugni e contrasse le labbra in un'espressione disgustata, ma cercò di trattenere la propria rabbia.
-E poi? Ricordi il nome del bordello?-
-No, ma ricordo la sua insegna: blu e fucsia, al neon. Comunque, li ho visti sparire dentro. Poco dopo li ho sentiti dalla finestra del piano superiore. Lei urlava e non ho potuto fare nulla-
Iphigenia sbattè il pugno d'ebano sul tavolo, paonazza come non mai. Poi abbassò gli occhi.
-Prima Achilleus, poi il farabutto testa d'uovo. C'era d'aspettarselo, in effetti-
Achilleus. Impallidì. Sentì il proprio cuore spezzarsi al posto di quello di Ismene.
L'orologio segnava le otto del mattino. La colazione sarebbe stata servita tra un'ora. Ismene era ancora a letto o forse si era appena svegliata. Si sarebbe alzata, poi sarebbe andata in bagno a conciarsi per bene e poi avrebbe indossato uno dei suoi vestitini da passeggio. Si sarebbe resa bella per un mostro.
Jeanne si era avvicinata con fare circospetto e le aveva lanciato uno sguardo che non riuscì a decifrare. Spense con un gesto rabbioso la radio proprio mentre Snakes stava iniziando a descrivere i suoi comizi, con la gente che lo acclamava a gran voce e tutti i bambini che volevano essere chiamati Morrison e le bambine che volevano essere chiamate Eliza. Si avvicinò a lei lentamente con gli occhi freddi e un sorrisetto amaro.
-Certo che l'Acropoli genera disgraziati, eh. Nomi noti per te, principessa-
Non aveva torto. Annuì silenziosamente alle sue parole.
-Lo sai perchè esistono i bordelli, vero?-
Era capace di rispondere? Sì. Lo aveva imparato da Polinice.
-Polinice lo spiega nel suo diario, spiega anche questo-
-Mmm, dimmi un po' allora, se lo hai letto con attenzione-
Iphigenia lanciò a Jeanne uno sguardo carico d'ira, ma Antigone colse la sfida.
Era spiegato bene, sì. Eccome se era spiegato bene, e lei l'aveva imparato.
L'Acropoli era troppo sacra per essere infangata da bassi appetiti. Certo, c'erano le damine dei salotti, circondate spesso da vecchi bavosi e pieni di soldi e da ragazzini ambiziosi. Ma non sempre i suddetti se le portavano a letto: erano troppo belle e intelligenti per loro. Talmente intelligenti da spillar loro soldi senza farsi toccare.
E se poi i suddetti s'incazzavano?
L'Acropoli era una madre previdente che permetteva di sfogare bassi appetiti in posti squallidi e malconci, con l'aria intrisa di alcol e fumo, con le ragazzine imbottite di anfetamine che giacevano su divani di velluto consunto e si facevano violentare in silenzio. Tutti i ragazzi dell'Acropoli le frequentavano, talvolta. Anche i più grandicelli, come Achilleus e Snakes. Tutto ciò fruttava all'Acropoli ben trentamila dracmes al mese, se non di più tralasciando la rendita delle anfetamine, e molte puttane facevano le cameriere e le sguattere durante il giorno. Poi di corsa a indossare vestitini di lattice e a truccarsi la faccia di blu e rosso.
Piacevano quelle esili, quelle deboli. Una più disgraziata dell'altra, che fossero poveracce vedove, ragazze madri o squilibrate col borderline e l'Asperger. I bordelli costavano meno dei manicomi e rendevano di più. Non si vedeva un manicomio da almeno cinquant'anni, da prima della Catastrofe, della Dittatura e dei Migliori. All'Acropoli si stava tanto bene da non poter essere pazzi o, meglio, da riuscire a dissimularlo.
-E' tutto ciò che ho letto, spero sia bastato-
Jeanne sorrideva ancora, ma nei suoi occhi c'era una luce diversa. Iphigenia aveva distolto lo sguardo dalla ragazza e l'aveva poggiato su di lei, spegnendo l'ira nei suoi occhi e placandosi. Aveva un'espressione amaramente serena. Fece un gesto a Big McKeane di avvicinarsi.
-Avanti, prima facciamo meglio è, okay?-
-Va bene-
Nella stanza era calato il silenzio, un silenzio imbarazzato. Mentre si dirigeva al pianerottolo insieme a Big McKeane e Iphigenia, venne circondata da occhi curiosi e sommessi, a cui rivolse sguardi tristemente benevoli. C'era qualcosa di diverso nei loro occhi e nei loro volti smagriti, persino in quelli dei bambini. Era come se si fosse finalmente guadagnata il loro rispetto.
-Big McKeane-
Jeanne lo chiamò da lontano. Aveva le braccia conserte e la solita espressione contrariata, ma i suoi occhietti brillavano di luce nuova. Erano benevoli, quasi dispiaciuti.
-Cosa c'è, compagna Jeanne?- sospirò.
-Mettile quel dannato chip come abbiamo stabilito. Ma non farle troppo male con le tue manone, okay?-

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Capitolo 20
*** 19 ***


19


Era stato come vivere un piccolo flashback. La piccola infermeria era un ambiente pulito e curato, ben mantenuto, con le pareti azzurre e un pavimento di linoleum bianco e gli armadietti in tinta. Big McKeane aveva lavato le mani e aveva indossato dei guanti di lattice bianco, aveva disinfettato la siringa e l'aveva fatta sedere su uno dei lettini.
Le prese dolcemente il polso nella sua grande mano. Si sedette su uno sgabello e si mise ad esaminare la piccola cauterizzazione.
-E' bruttina, cosetta. Stiamo intervenendo con grande anticipo per fortuna, già si intravede un po' di pus-
-E' un brutto segno?-
-Assolutamente no, una sciocchezza come tante. Ma meglio prima togliere questa schifezza e poi mettersi a lavoro per bene-
Premette con i due pollici sul brufolo, poi bagnò del cotone idrofilo con l'acqua ossigenata e lo passò sul piccolo punto. Antigone si morse il labbro inferiore.
-Ottimo segno se brucia in un po'. Dobbiamo sistemare questa cauterizzazione e renderla meno visibile possibile, poi inseriamo il chip-
Prese un piccolo bisturi e iniziò ad aprire lentamente la ferita, poi la disinfettò ancora e prese un piccolo cauterio molto più sottile di quello che lei aveva utilizzato in precedenza. Asciugò la ferita e poi iniziò a chiuderla pian piano, tracciando una rosea linea sottile che la fece gemere per un po'. Il piccolo taglio si aprì in due estremità rosate e sanguinanti: Big McKeane le strofinò per bene con del cotone idrofilo imbevuto di acqua ossigenata, le asciugò e iniziò a chiuderle lentamente con il piccolo cauterio. Dopo qualche minuto, apparve sul polso un piccolo taglio leggermente rosato, quasi impercettibile.
-Ecco qui, adesso va certamente meglio. Ora è il momento di inserire il chip-
Big McKeane impugnò una grossa siringa bianca, disinfettò l'ago per bene e poi la zona interessata. Appoggiò lentamente l'arnese sulla pelle e completò il suo lavoro: Antigone sentì l'ago penetrarle lentamente la carne e si morse con violenza il labbro inferiore. Infine l'ago scattò via dalla carne, lasciandole un piccolo foro che Big McKeane sigillò subito con un cerotto già disinfettato. Il polso si illuminò di un bagliore bluastro: l'operazione era stata conclusa con successo.
-Il forellino guarirà in poco, vedrai. Se lo tieni al sicuro e cambi il cerotto con frequenza, disinfettandolo accuratamente, in un giorno e mezzo si formerà la crosta e salterà via-
Iphigenia accese un palmare poggiato su uno dei piccoli scaffali e sulla sua schermata bianca si illuminò di un tratto una scritta blu: INSERIMENTO DEL CHIP N°44 EFFETTUATO CON SUCCESSO. Poi le lanciò un sorriso e le mise una mano sulla spalla.
-Non offenderti se seguiamo questa procedura. Sarà per poco tempo, giusto quello che serve al commando per .. abituarsi alla tua presenza-
La comprendeva bene. Le lanciò uno sguardo di intesa che venne colto anche da Big McKeane che le poggiò una mano sulla testa e le scombinò affettuosamente i capelli.
-Una principessa viziata avrebbe tremato davanti a quella siringa! Si vede lontano un miglio che Antigone è una ribelle, o almeno una principessa ribelle!-
I suoi grandi occhi verdi brillavano come non mai.
-Compagna Minos, le facciamo vedere una cosa?-
-Cosa, compagno McKeane?-
Big McKeane avvicinò le labbra all'orecchio di Iphigenia, bisbigliando qualcosa. Iphigenia sorrise e poi annuì.
-Antigone, vuoi fare una gita al commando?-
Antigone annuì come una bambina a cui i genitori promettono di andare al lago la domenica mattina.
McKeane le fece uscire dall'infermeria, spense la luce e si chiuse la porta alle spalle. Procedettero lungo il corridoio illuminato debolmente dalla luce giallastra che proveniva da fuori. Da lontano riusciva a sentire delle voci di uomini e donne che man mano si facevano sempre più forti e vicine. Dopo circa dieci metri furono davanti ad una grande finestra dalla cornice arrugginita che dava su un cortile interno dall'erba bassa e giallastra, bruciata dal sole, su cui uomini, donne e ragazzini sembravano allenarsi con percorsi ad ostacoli, pareti d'arrampicata e macchinari da palestra, tutti controllati da un severo Amphiaraus che li accompagnava negli esercizi.
-Palestra all'aperto per le giornate di bel tempo .. - esordì McKeane.
-.. Qualora il nostro possa essere chiamato bel tempo- concluse Iphigenia con un tono amaro - Ogni mattina, dopo colazione, almeno due ore di addestramento per gli adulti, un'ora sola per i ragazzini. Sembra strano che bambinetti di undici, dodici anni debbano esser sottoposti a questo allenamento, ma è per tutelarci e tutelare anche loro. E poi quelle bestiole sono dei sabotatori eccezionali-
Antigone ammirava quella piccola schiera con grande meraviglia, come una bambina curiosa. Osservava ogni loro singolo movimento, ascoltava ogni loro singolo sussulto e sospiro e il battere dei passi sulla terra arsa, il rumoreggiare dei macchinari, la voce severa di Amphiaraus che faceva cessare le loro lamentele. Poi, di colpo, pensò di nuovo alla sua casa: zio Kreon lasciava che tutti loro si allenassero e soprattutto, quando erano ancora vivi, voleva che Polinice ed Eteocle guardassero gli allenamenti dei cadetti e li seguissero con costanza. Quanto a lei e sua sorella, voleva che si tenessero in forma per apparire costantemente belle, ma ormai pareva essersi abituato alla morbidezza di Ismene e alla sua piacevole pigrizia, da tipica principessa.
Amphiaraus lanciò uno sguardo su e lanciò un occhiolino proprio mentre era vicino a Jeanne, che si accorse del gesto e seguì i suoi movimenti. Gli occhi di Antigone e di Jeanne si incrociarono per qualche secondo: il suo sguardo, da duro e scontroso, si addolcì e Jeanne arrivò a lanciare un sorrisetto.
-Ti piace?- chiese Iphigenia.
-E' così .. ordinata. Sembra un addestramento militare-
-Lo è. Facciamo quattro ore di allenamento in tutto, due la mattina e due sul tardo pomeriggio, prima di cenare, dopo una breve siesta. A volte i ragazzini fanno i capricci, quindi Amphiaraus trasforma l'allenamento in un gioco a premi- poi indicò un ragazzino magro, con folti capelli castano chiaro - Lo vedi quel monellaccio lì? Ecco, è l'unico che pare allenarsi seriamente. Ha perso il padre in uno degli scontri-
-Compagno Hector!- sospirò grave McKeane- Era uno dei migliori, quell'uomo. Ed era molto attaccato a tuo fratello!-
-Come si chiama il ragazzino?-
-Astyanax. Ha visto sua madre con in braccio il cadavere di Hector. E' rimasto muto per una settimana, lo abbiamo costretto a mangiare. Adesso cerca di imitare suo padre-
Lo osservò per qualche istante. Il ragazzino si muoveva velocemente tra uno pneumatico e l'altro, poi saltava la fossa del percorso ad ostacoli e saliva sulla parete, muovendosi circospetto come un gatto. Poi alzò la testa in direzione della finestra, rimase per qualche secondo in quella posizione e poi riprese la salita.
-E' incredibile come un ragazzino possa avere una determinazione tale!-
-E  non è tutto- Iphigenia fece loro cenno di proseguire per il corridoio -Quel ragazzino è una scheggia vagante. Odia qualsiasi riferimento all'Acropoli da quando è morto suo padre. Stagli alla larga almeno i primi tempi, se vorrai entrare a far parte del commando-
Entrare a far parte del commando.
Lo voleva davvero?
Proseguirono per altri cinque metri, poi si fermarono davanti ad una grande porta arancione a due ante, serrata da un lucchetto. Iphigenia tirò fuori una sottile chiave arrugginita dalla sua canottiera, la infilò nella piccola toppa e fece scattare la serratura. McKeane si posizionò davanti ad una delle ante e iniziò a spingerla lentamente, poi la aprì e le fece accomodare.
-Benvenuta all'arsenale!- esclamò Iphigenia premendo un interruttore.
Una forte luce al neon illuminò una grande sala dalle pareti bianche e linde, piena di armi di qualsiasi tipo ordinate con cura. L'arsenale contava circa cinque scaffali e pareti colme di armi di ogni genere, ordinate per dimensione e forma, più un piccolo angolo con dei giubbotti antiproiettile e degli elmetti. Era uno spettacolo a lei familiare, simile alla piccola sala d'armi che zio Kreon aveva allestito in uno dei saloni, forse addirittura più grande, uno spettacolo che l'affascinava anche se non aveva mai tenuto in mano una pistola o una bomba a mano.
-Niente male, eh?- ridacchiò Iphigenia.
-Lo considererei grandioso se conoscessi ogni singolo nome delle robe che tenete qui dentro ..-
Iphigenia lanciò un'occhiata complice a McKeane.
-Io mi occupo delle armi da fuoco e tu delle armi bianche, okay?-
-Ci sto!- grugnì ridacchiando, e si andò a posizionare vicino ad un'immensa parete piena di lame taglienti.
-Piccola gita all'arsenale del commando Rubra Sphinx! Una giornata da ricordare, insomma! Seguimi, cosetta!-
Si mise a seguirla come un cagnolino, con le orecchie ben aperte a qualsiasi parola che avesse detto. La prima tappa fu una grande parete ricoperta da fucili di vario tipo, con sotto dei cassetti di legno.
-Tu sei abituata a chiamarli tutti fucili o pistole, immagino. Piccola lezione prima di entrare al commando: ovviamente non tutte le armi da fuoco sono uguali. Questa che vedi qui- prese una piccola pistola argentata col manico nero - Si chiama Colt. Colt M1911 di preciso. Qui al commando è la nostra pistola di base, quella con cui facciamo allenare i ragazzini e andiamo in giro a perlustrare. Vuoi provare a tenerla in mano?-
Gliela lasciò con sicurezza. Toccò per la prima volta il manico in ferro e pelle e lasciò che il suo peso gravasse sui polsi. Iphigenia sorrise.
-Non temere, la prima volta è così. Ma è solo l'inizio, se non hai mai tenuto in mano un'arma da fuoco. Vuoi maneggiarla ancora un po'?-
L'alzò davanti agli occhi, tenendo le braccia tese e cercando di vincerne il peso. Dopo qualche minuto si abituò e iniziò a muoversi più scioltamente.
-Brava recluta, la colt m1911 ha avuto il piacere di conoscerti- la riprese tra le mani e la rimise al suo posto - Passiamo avanti con qualcosa di simile-
Passarono di fronte ad un'altra parete piena di pistole più piccole e tozze, anche se lontanamente simili a quelle precedenti. Iphigenia ne prese una in mano e gliela mostrò accuratamente.
-Questa si chiama Beretta. Più precisamente, Beretta M9. Maneggia anche questa!-
Si accorse che il modello era più leggero e mostrò una certa abilità nel maneggiarla. Si sentiva quasi di casa, ormai, e Iphigenia sorrideva nel guardarla.
- Ti piace?-
Osservò con cura la superficie lucida e nerastra della pistola. Era bella, in effetti, e tenerla tra le mani la faceva sentire un'altra persona. Forse la Principessa Ereditaria era morta per davvero.
-Sì. Non è male-
-Chissà, magari un regalo di benvenuto- Iphigenia le lanciò un occhiolino- Ma nel frattempo proseguiamo!-
Proseguirono davanti ad una parete più ampia, colma di pistole decisamente più grandi, slanciate e sicuramente mortali. Iphigenia lanciò alla parete una rapida occhiata, poi si voltò verso di lei.
-Queste sono le armi che utilizziamo più spesso. Sono diversi modelli, sono tanti, non ha senso che te li illustri nel dettaglio uno dopo l'altro. Quella che utilizziamo di più è questa qui- si spinse sulle punte e ne staccò una dalla parete, di metallo e legno rossastro, guardandola con soddisfazione - Questo qui è un kalashnikov. Più precisamente, questo è il mio modello preferito, quello che utilizzo durante le esercitazioni e i possibili assalti!-
Le braccia sinuose e muscolose di Iphigenia stringevano quell'arma mortale con la stessa fierezza di un uomo e con la stessa eleganza di una modella. Non aveva mai visto tanta fierezza e tanta abilità nel maneggiare un arma, nemmeno durante il cambio della guardia o durante le parate militari. Iphigenia pareva avere la forza di cento soldati e l'abilità di cento strateghi.
-Più in là puoi vedere alcune piccole mitragliatrici e bombe a mano, mentre in ogni cassetto ci sono le munizioni. Se vorrai, potrai vedere oltre nei vari garage. McKeane, te la cedo-
La seconda parte fu più breve e veloce. McKeane le mostrò dei tirapugni, delle mazze e dei coltelli a serramanico, poi si allontanò verso un piccolo armadietto di legno che non aveva notato in precedenza. Vi era inciso un nome sopra: Polinice L. . A McKeane bastò un piccolo colpo per aprirlo.
-Questo era il tesoro di tuo fratello. Ci sono poche e semplici cose, ma le teniamo come se da esse dipendesse la nostra vita-
Vi era una Beretta M9, una Colt M1911, un coltellino svizzero e una bomba a mano. Qualche proiettile, impolverato e ormai arrugginito, giaceva intorno ad ogni singola arma e brillava di riflessi giallastri. Ne prese uno tra le dita e lo guardò per bene, sfiorando la sue superficie rugosa. Le sembrò di sentire le sue urla, i suoi passi sulla terra arsa, gli spari lanciati dalle sue armi. Voleva vivere quei momenti anche lei.
 
Si riunirono a pranzo all'una esatta. Orest proponeva zuppa di patate e crostini di pane. Amphiaraus accese la radio, la sintonizzò su una frequenza e si sedette a rollare una sigaretta. Antigone invece si era seduta accanto ad Iphigenia e aspettava che il pentolone della zuppa venisse portato fuori, godendosi nel frattempo il buon odore che usciva dalla cucina e le penetrava le narici.
-Oggi l'Acropoli ha tremato alle sue fondamenta- la voce dolciastra e biascicante della giornalista del radiogiornale annunciava la notizia principale - la Quarta Principessa Ereditaria, Antigone Spartes Labdakou, è misteriosamente scomparsa-
Un'ola di risate e fischi si alzò dai banconi e Big McKeane le passò affettuosamente una mano tra i capelli.
-Ce l'abbiamo noi, damerini!- urlò, sollevando il proprio bicchiere di birra e portandosele alle labbra baffute.
-Sssh, sentiamo- sussurrò una voce.
-L'allarme è stato dato alle dieci e trenta minuti di questa mattina dalla sorella, la Terza Principessa Ereditaria, Ismene. Dopo aver trovato un fantoccio al posto della ragazza- e Iphigenia diede il via ad un coro di risa e di applausi rivolti a lei - Ha subito avvertito Sua Eccellenza, che a sua volta ha disposto alla Guardia Reale di iniziare le ricerche. In mattinata, è stata perlustrata la parte superiore della reggia. Noi di Voce di Thebe terremo aggiornati voi ascoltatori sulle indagini. Nel frattempo, la pista più accreditata è l'allontanamento volontario, spiegato dal fantoccio. Che sia stata una semplice sbandata giovanile?-
Jeanne accese una sigaretta e si mosse verso il loro tavolo, poi si sedette accanto a lei e la fissò negli occhi sorridendole.
-Hmm, beh, certo che per una principessa è una mossa audace-
Aveva il solito tono irritante, ma la sua espressione era pacata e serena, quasi volesse farle i complimenti.
-Ottima mossa, cosetta- sbuffò una vampata di fumo lontana dal suo viso - Per quanto penserai di stare lontana dai tuoi damerini?-
Non ci aveva mai riflettuto bene, in effetti. Era mancata appena da un giorno e già la città si era mobilitata per trovarla. Pensò alla grandezza di casa, poi alla grandezza dell'Acropoli: a quanto aveva detto la radiogiornalista, la reggia era stata già setacciata per metà e sicuramente le squadre erano ancora a lavoro, senza sosta. Per setacciare i sotterranei, i giardini e le stalle era necessaria almeno mezza giornata con le squadre di cadetti. E per setacciare l'Acropoli? Almeno tre giorni, tre giorni abbondanti. E dopo si sarebbero rivolti alle Periferie. E sarebbero stati in guai seri.
Non poteva mettere in pericolo il commando, pensò. Le avevano salvato la pellaccia e già si erano abituati a lei. E non poteva nemmeno mettere in pericolo quei disgraziati delle Periferie, quei barboni ubriache, quelle massaie con i capelli unti e i grembiuli lerci, quei bambini che scorrazzavano in piena notte, quegli uomini dai visi grigi, quelle ragazze violentate da Snakes e Achilleus, da quegli stessi stesso Snakes e Achilleus che tanto detestavano la sporcizia e il fetore delle Periferie ma che adoravano comprare quei corpi imbottiti di droga per sfogare i propri appetiti.
Proteggere le periferie sarebbe stata la sua missione. Era decisa.
- Non molto. Voglio tornare stanotte-
Il gruppo le lanciò un'occhiata stupita.
-Ma come?- sbottò Iphigenia - Dopo aver percorso tutta da sola le Periferie vuoi tornare subito?-
-Abbiamo sentito tutti la radio, no? Non posso stare a lungo. Devo dar per forza l'impressione di essermi buttata in un'avventura fuori dal palazzo, ma nessuno deve cercarmi qui-
Iphigenia la guardava ancora dubbiosamente.
-Devo proteggervi. Devo proteggere le Periferie. Vi incriminerebbero di avermi rapita con l'inganno e paghereste voi le conseguenze della mia decisione.. E per colpa di una svista del genere Polinice morirebbe. Morirebbe davvero. Tutto andrebbe in fumo-
Era calato il silenzio e qualcuno aveva spento la radio. Tutti avevano ascoltato le sue parole e ora la guardavano a bocca aperta, ma con gli occhi lucidi di lacrime. Anche Jeanne aveva assunto la stessa espressione. Orest fece capolino da uno sportello e urlò che la zuppa era pronta, poi si accorse del silenzio e sbiancò. Tutti ritornarono ai loro posti, lanciandole occhiate di viva comprensione.
-Va bene- annuì Iphigenia - Ritornerai stasera, subito dopo cena-
 
Aveva dormito per qualche ora durante il pomeriggio, giusto per recuperare le forze, e a cena si era riempita per bene lo stomaco. La notte era scesa lentamente anche sulle Periferie, piena di smog come al solito e di bagliori violacei, mentre dalla terrazza l'Acropoli brillava come un piccolo blocco d'argento, con dei fari luminosi proiettati verso il cielo e riflessi sulla superficie della cupola. Ammirava quello spettacolo in silenzio insieme a Iphigenia, tra un tiro di sigaretta e un altro.
-E' bella, da lontano- sussurrò Iphigenia - Scintilla come un cristallo-
Fece un tiro e gliela restituì.
-Tanto bella quanto marcia. Vedere Snakes alle Periferie è stato un colpo, anche se non mi è mai piaciuto .. Ho paura possa influenzare zio Kreon. Un uomo così non lo merita-
-Com'è il vecc .. ehm, tuo zio?-
Le lanciò un sorriso.
-Zio Kreon è buono, in realtà, e generoso. Dalla sua scorza di vecchio odioso nemico delle periferie si intravede qualcosa, ogni tanto- e ridacchiarono.
- Che ora è?-
-Mezzanotte, Antigone-
Si alzò, stringendo il suo borsone. Non dimenticava nulla, tranne l'orologio e il diario. Sarebbero stati più al sicuro lì. Aveva messo la felpa nera e il fazzoletto in borsa, quella notte era troppo calda.
- Non pensi sia ancora presto?-
Ritornò nella sua posizione precedente e Iphigenia guardò ogni singolo gesto. Si scambiarono un sorriso.
-Posso chiederti qualcosa sul commando?-
-Certo, fai pure-
-Com'è nato tutto questo? Come sei entrata a far parte del commando?-
Iphigenia sospirò e si rannicchiò sulle ginocchia.
-Forse nessuno te lo ha mai raccontato .. -
-Cosa?-
- Il Tumulto delle Polveri. E' stato circa .. diciotto anni fa. Addirittura prima della Grande Dittatura e addirittura prima che nascessi tu. C'è stata una rivolta in questa zona della città, che prima non era divisa in due come è adesso, ma si potevano delineare sempre due aree, una più ricca e una più povera. Ovviamente noi eravamo la zona povera, e da qui è partito appunto il tumulto. Tentarono di sbloccare e di garantire alla zona quel poco di risorse che restava, ma fu invano. La polizia del tempo ha freddato tutti coloro che si erano uniti al movimento ed io .. beh, io avevo dodici anni e vidi i miei genitori morire sotto i proiettili. Molti membri del commando sono rimasti orfani o soli, quei giorno, come Jeanne che ha trovato i genitori freddati in casa e a cui hanno rapito il fratellino di pochi giorni, di cui non si è saputo più nulla; Big McKeane e Amphiaraus erano i più facoltosi del quartiere, ma sempre impegnati nella difesa dei più deboli. La loro scuola venne incendiata quel giorno dalle forze dell'ordine e le loro famiglie sterminate. Si salvarono soltanto fingendosi morti, dato che erano gravemente feriti-
-E' stato l'evento che ha fatto nascere Rubra Sphinx?-
-Se non lo ha fatto nascere, ha posto le basi. Amphiaraus e Big McKeane hanno radunato i sopravvissuti alle stragi, alle carestie e alla Grande Dittatura. Il commando ha tentato di riunirsi alla rivoluzione intellettuale ma non ci è riuscito, e a partire da Oedipus .. Beh, Thebe è rimasta divisa in due. Non ci hanno nemmeno considerati, anche se ci siamo fatti in quattro anche noi per rovesciare la Grande Dittatura. Ed ora eccoci qui, a combattere i nostri vecchi colleghi-
Sospirò. Iphigenia le cinse le spalle con un braccio.
-Non odiamo gli acropolini, però. Non odiamo almeno quelli che si comportano come Polinice o come te. Hector, quel valente compagno di cui abbiamo parlato oggi, veniva dall'Acropoli. Il suo vero nome era Priameus Ecubaios ed era figlio di un funzionario. Odiava l'Acropoli come non mai dopo aver visto suo padre sparare ad un mendicante, ed era scappato-
Annuì.
- Ora rispondimi tu ..-
-Dimmi-
-Com'è vedere nitidamente le stelle, la luna e il sole?-
Le lanciò uno sguardo triste.
-Non le hai mai viste? Nemmeno da piccola, quando non c'era ancora la cupola?-
-Ho un vago, infantile ricordo della loro luce e della loro poesia. Dopo i miei dodici anni ricordo solo il cielo colmo di nuvole e fumo, e le pareti illuminate dai deboli flash degli spari-
Le strinse la mano.
-E' impossibile descrivere la loro .. bellezza. Soprattutto se sei abituato a vedere quello spettacolo costantemente, talmente luminoso da odiarlo perchè riuscirebbe quasi ad accecarti e perchè sembra riservato solo a pochi. Ecco, alzare gli occhi e vedere il cielo terso è bellissimo, ma è triste. Triste perchè al mondo c'è chi non riesce a vederlo-
Rimasero in silenzio per qualche minuto, a sospirare.
- Che ora è adesso?-
-Mezzanotte e un quarto. Sembra prestino-
-Non preoccuparti, con gli abiti scuri non mi vedrà nessuno-
Iniziarono a incamminarsi verso l'uscita, in silenzio, fino a poggiare i piedi sull'erba arsa che circondava la vecchia fabbrica. Iphigenia urlò ad Amphiaraus di aprire il cancello e questo scattò di colpo.
- Appena superi la piazzuola, cerca un luogo nascosto e cambiati i vestiti. Se hai del sapone con te, cerca di coprire il fetore dello smog che potresti potenzialmente trascinarti. Butta i vestiti vecchi da qualche parte, okay? Non portarli a casa per nessuna ragione al mondo. Nessuno deve sapere, nemmeno grazie ai propri sensi, che sei stata qui-
- Lo prometto-
Si strinsero come se dovessero dirsi addio.
-Non è un addio, davvero- le sussurrò all'orecchio.
-Tornerai presto?-
-Farò del mio meglio-
-Ecco, per favore. Abbiamo bisogno di te qui al commando, lo sento-
Si staccarono lentamente e Antigone oltrepassò il cancello, che si chiuse di scatto. Iphigenia le lanciò uno sguardo triste e preoccupato.
-Abbi cura di te, cosetta in nero!-
Si lanciarono gli ultimi sguardi senza avere il coraggio di lasciarsi andare. Poi si allontanò dal cancello, si avvicinò ad un angolo buio e si mise a correre a perdifiato, rasente i muri per non farsi notare.

 

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Capitolo 21
*** 20 ***


20


Camminava a passi veloci, cercando di accelerare quando poteva. Un vecchio orologio segnava l'una meno un quarto: in mezz'ora, correndo col cuore in gola, aveva percorso metà di quell'infinito stradone che le aveva permesso di raggiungere le vecchie fabbriche. Un forte vento si alzò anche quella notte, costringendola a fermarsi e ad annodarsi il fazzoletto alla bocca per non soffocare, e l'impressione di aver visto una pattuglia la spinse a raggomitolarsi dietro un cassonetto e a tapparsi il naso per il forte tanfo. Poi la macchina passò avanti e rivelò essere un vecchio catorcio, quindi sgusciò fuori per ritornare a correre.
Anche quella notte passava davanti al bordello della sera prima. Si fermò sotto a quella maledetta, lurida finestra coperta da una tenda malconcia di pizzo bianco e pensò alla ragazza violentata da Snakes. Le rivolse una silenziosa preghiera: che potesse dormire almeno quella notte, che potesse godere di una piccola gioia personale, che potesse giacere  intatta da manacce luride.
Le venne un'idea: aprì il borsone e tirò fuori il volantino di Rubra Sphinx, lo accartocciò a forma di palla e prese bene la mira verso la finestra, dunque lo lanciò. La pallina di carta centrò in pieno la finestra. Vide una luce accendersi di colpo e un mugolio sommesso, femminile. Antigone corse via col cuore che le batteva forte e una strana, piacevole sensazione, quasi avesse salvato la vita a quella sconosciuta con gli abiti succinti e la faccia triste e variopinta. Avrebbe aperto la pallina? Avrebbe letto il volantino? Lo avrebbe gettato via? Questo non poteva saperlo, pensò, ma le aveva acceso un piccolo barlume di speranza. Si fermò pochi metri dopo e si voltò verso la finestra: una figura esile, nascosta dal pizzo e leggermente illuminata dalla luce interna alla stanza, pareva guardare fuori.
-Buona fortuna- mormorò Antigone al silenzio. Poi riprese a correre, più forte che mai, con il respiro affannoso e il cuore che le stava scoppiando in petto, debole per il tanfo e la stanchezza, cercando di evitare un vecchio taxi giallo sporco con due lerce figure dentro l'abitacolo. Poi le parve di riconoscere, insieme agli occhi giallastri e cisposi del conducente, brillanti nell'oscurità della cabina, due occhioni da ragazzino e un sorrisetto serafico.
Snakes era tornato alle Periferie.
Per un attimo si sentì mancare. L'aveva sicuramente vista scattare alla luce dei fari anteriori e certamente si sarebbe girato a controllare. Anche quella volta, le sue gambe assunsero una certa autonomia e la portarono dietro un grosso cestino della spazzatura. Da lì riuscì a vedere l'imponente figura di Snakes alzarsi dal proprio posto, accendere una sigaretta, tirare fuori una pistola e allontanarsi verso il bordello. L'avrebbe fatto di nuovo. L'avrebbe violentata di nuovo. Deglutì.
Appena la sua figura fu lontana, sgusciò lentamente dal nascondiglio e riprese a correre. Da lontano, dall'estremità della lunga strada, riuscì a vedere le luci dei fari di un aerobus.
Doveva tornare a casa, doveva sbrigarsi.
L'aerobus avrebbe atteso di riempirsi almeno di cinque passeggeri, poi sarebbe partito. Forse la Piazzuola d'atterraggio non sarebbe stata così solitaria quella sera, con tutte le pattuglie in giro, ma bisognava comunque ritornare. E poi lei non era la Quarta Principessa Ereditaria, almeno non ancora: era ancora Antigone la fuggitiva, Antigone col cuore in gola che voleva tornare a casa per non mettere nei guai i suoi nuovi amici. Quell'identità avrebbe dovuto reggere fino all'alba, pensava mentre i metri che la separavano dal capolinea diminuivano sempre di più.
 
Tirò fuori un obolos, acquistò un biglietto e indossò di colpo la felpa. L'aerobus giaceva placido al capolinea, col conducente seduto alla sua postazione che tracannava qualcosa da un thermos. La Piazzuola di partenza era notevolmente affollata, con ragazzini malconci e adulti smagriti:  gli sguatteri e i lavapiatti fantasma si accodavano man mano sul mezzo, con i volti assonnati e le mani consunte che stringevano biglietti. Antigone si accodò dietro una coppia di uomini e li seguì fino all'ultima fila di posti, che scelse per sè, poi alzò il cappuccio e cercò di rannicchiarsi. L'aerobus iniziò ad oscillare e si alzò piano piano, fino a sollevarsi in aria e a iniziare a traballare nel vuoto con tutti i neon della cabina che andavano in tilt.
Uno degli uomini davanti a lei aveva iniziato a russare, appoggiato alla spalla del compagno. Antigone studiava la scena dal suo nascondiglio.
-Cerca di non addormentarti, coraggio .. Sarà una brutta nottata questa ..-
-Sono stanco, Sam- sospirò con tristezza- 'Sta vita di merda sta mandando a puttane tutti i nostri progetti-
Sam non rispose e si limitò a cingerlo col magro braccio, mortalmente pallido alla luce del neon lampeggiante.
-Mi raccomando- sussurrò Sam - Non farti venire la geniale idea di metterti a parlare di Rubra Sphinx a lavoro. Il boss ci farà diventare sapone per lavare i piatti se ti scappa una parola, intesi?-
-Intesi- sussurrò l'altro, crollando sulla sua spalla.
Antigone appoggiò la testa al finestrino, osservando con la coda dell'occhio le luci giallastre della piazzuola farsi sempre più lontani e i vapori salmastri che salivano al cielo per poi scendere, densi come una strana nebbia sorta dallo smog. L'aerobus traballava, sfrecciava accanto ad un'altra vettura e faceva tremare i passeggeri. Il conducente urlò un insulto al collega e riprese a guidare più veloce di prima, giungendo in pochi minuti alla Piazzuola d'atterraggio.
Con i palmi delle mani e il naso attaccati al finestrino cercava di scorgere più particolari possibili. Tutto normale, o quasi. Due poliziotti delimitavano l'ingresso della Piazzuola con sguardi attenti e vigili, spogliando con gli occhi chiunque passava loro davanti e talvolta fermandoli per perquisirli. Antigone si morse il labbro e ritornò a raggomitolarsi. Certo, pensò, aveva l'aria di una stracciona qualunque delle Periferie, persino lo stesso tanfo: ma quale straccione avrebbe potuto permettersi un borsone del campeggio della Colonia Lunare? Asta di beneficienza, sì. Attenta perlustrazione nell'immondizia altrui per cercare qualcosa di decente. Oh, signore, l'aveva trovato mia madre in un cassonetto. Ottimo. Era il momento di rimettere piede all'Acropoli.
Si accodò di nuovo alla coppia che le stava davanti e si diresse verso l'uscita, atterrando sull'asfakti con un piccolo balzo. Sgusciò tra la folla dei passeggeri e passò davanti l'entrata, con i due poliziotti già alle prese con altre due persone.
Forse la faccio franca, forse non mi nota.
-Hei, ragazzino, dove pensi di andare?-
La mano pesante, vestita di un guanto bianco, del poliziotto la bloccò pressandole la spalla e facendola quasi rimbalzare all'indietro.
-Anzitutto togliti quel dannato cappuccio e quel fazzoletto, poi vediamo se dobbiamo lasciarti andare-
Alzò gli occhi verso il suo volto. Il gigante biondo che l'aveva fermata, con le vene del collo strette nella micidiale morsa del colletto bianco di quella divisa bluastra, aveva gli occhi cisposi e arrossati: occhi di chi non avrebbe svolto bene il lavoro assegnato.  E poi aveva avuto fortuna fino a quel momento: era arrivata senza un graffio al commando e lo aveva lasciato tale, aveva beccato quel porco di Snakes senza farsi beccare ed era sopravvissuta allo smog senza un colpo di tosse. Non era truccata e aveva degli abiti maschili addosso: non farsi riconoscere e prendere sarebbe stato un gioco da ragazzi.
Si calò piano il cappuccio e abbassò il fazzoletto. L'omone la bloccò per entrambe le spalle, la squadrò per pochi secondi e annuì.
-Bene, ragazzino- ragazzino! -Fammi vedere cosa hai in quella borsa e con te abbiamo chiuso-
Tolse il borsone dalla spalla e lo porse al gigante. Lo aprì velocemente, infilò il naso e poi lo ritrasse disgustato.
-Diamine, che puzza- mugolò -Vattene ragazzino, sei a posto-
Imbracciò il borsone, alzò il cappuccio e riprese a correre, sfrecciando tra gli uomini fantasma delle Periferie e avvicinandosi alla fontanella. Lavarsi in una delle fontane di quarzo era troppo pericoloso, bisognava arrivare a casa ben pulite, senza quel tanfo di Periferia addosso che avrebbe mandato a monte la copertura.
La Piazzuola si stava svuotando lentamente. La gente si allontanava piano e l'aerobus, da lontano, si spegneva e si adagiava al capolinea. Puzzava, aveva sete e fretta. Erano appena le due.
Aprì il rubinetto e anzitutto mise la bocca sotto l'acqua, cercando di trattenere il disgusto per quell'acqua grumosa e amara. Poi tirò fuori il sapone, bagnò le mani e cercò di insaponarsi almeno il viso e il collo, per poi sciacquare con le mani a coppa colme d'acqua; poi mise la testa sotto l'acqua, la insaponò per bene e la sciacquò di nuovo, dunque indossò la felpa e si rimise in marcia. Lo shampoo improvvisato sarebbe servito anche a nascondere il tanfo della felpa. Anche per poco, anche solo per poco.
Alzò gli occhi al cielo e fece un profondo respiro che le ripulì la gola. L'aria dell'Acropoli le era mancata. La rinfrancava e la rattristava allo stesso tempo: era casa, si disse. Ma non poteva condividere quella casa con Iphigenia, con Big McKeane, con Amphiaraus, con la ragazza del bordello e gli altri del commando. E con gli abitanti di tutte le Periferie.
Almeno, era impossibile almeno in quel momento.
L'Acropoli era uno spettacolo scintillante come sempre, con quel cielo terso sopra la testa, con i palazzi di vetro e metallo illuminato da mille luci bianche e azzurre, con la musica che veniva dalle terrazze e dai locali, con le aerolimo e le aeromobili che sfrecciavano, con i fari proiettati da tutte le parti a illuminare gli angoli bui e magari scovarla.
Thebe voleva ritrovare la Quarta Principessa Ereditaria. Ma lei era ancora lontana.
Si mise a camminare vicino agli angoli più bui, scattando come un gatto al primo fascio di luce improvviso. Doveva correre ancora, schivare le vetture ed evitare la luce. Qualsiasi luce. Aveva avuto soltanto l'ultimo colpo di fortuna se il poliziotto gigantesco non l'aveva stanata per bene. Adesso bisognava tornare a casa, scusarsi e tornare alla normalità almeno per un po'. Solo per un po', forse. Ormai si sentiva divisa in due, anzi, lo era eccome: quella magra figura che camminava a passi veloci sull'asfalto e poi sul selciato dei marciapiedi, attenta ad evitare la luce e le aerovolanti della polizia che sfrecciavano come pesci azzurri in un mare d'aria, con il cappuccio nero sulla testa piena di capelli umidi e lerci, celava due identità opposte e inconciliabili, unite solo da un nome in comune. Antigone la cosetta in nero che camminava fianco a fianco con quella principessa omonima e nuda, che tuttavia avevano trovato una scorciatoia per ritornare a casa, davanti a quella parete d'edera che nessuno conosceva nè sorvegliava.
Eccoci a casa. L'aveva fatti spaventare un po' e si sarebbe fatta perdonare.
Cercò di muoversi a passi lenti, attenta a non provocare un fruscio troppo rumoroso. Il muro sopra di lei era sorvegliato, ma le luci del giardino erano spente. Sarebbe stato il vento a muovere le foglie, sarebbe stato il vento a produrre quei rumori: lei era un tutt'uno con l'oscurità.
Da lontano vedeva le finestre delle stanze da letto sua e di Ismene. La luce della sua stanza era spenta, ma l'anta della finestra era aperta. Si tolse le scarpe, le buttò nel borsone e si mise a correre a perdifiato, tenendo con foga il borsone e cercando di non ansimare troppo per la fatica. Mancavano pochi, pochissimi metri al davanzale.
Aprì l'anta della finestra e gettò giù il borsone, producendo un tonfo sordo sul letto. Antigone fece un balzo, si aggrappò con tutte le forze e saltò su, tenendosi dapprima al davanzale con le braccia e appoggiando le piante dei piedi al muro.
Ultimo balzo.
Si spinse su e cadde sul letto sbattendo il sedere.
Era a casa.
E solo in quel momento qualcuno aveva visto qualcosa.
Ci fu un forte latrare di cani. Riuscì a identificare un'imperiosa voce maschile che gridava che qualcuno si fosse introdotto nella stanza di Antigone. Si sporse a guardare quello spettacolo, divertita, e un giovane cadetto si fermò sotto il suo davanzale. Stette a guardarla per qualche secondo, poi si avvicinò meglio. Antigone gli rise in faccia.
-E' tornata! E' tornata, vostra Eccellenza, Antigone è tornata!-
Il ragazzino in uniforme attirò due, tre, cinque, dieci compagni. Uno dei più grossi si avvicinò a lei e le puntò una torcia in faccia.
-E' lei, hai .. hai ragione! Vostra Eccellenza, Antigone è tornata!-
Le luci della stanza di Ismene si accesero di colpo, così come quelle della vicina stanza di Emon e quella di zio Kreon, al piano superiore. Sentì un vociare provenire dal corridoio e dei passi pesanti. Deglutì e ridacchiò di se stessa: non aveva paura delle sfuriate dall'età di tredici anni.
La porta si aprì di scatto. Ismene si fece avanti in camicia da notte e vestaglia, col viso stanco, quasi smagrito. Si avvicinò a lei a passi pesanti, con gli occhi gonfi di sonno e arrossati di pianto.
-Stronza che non sei altro!- l'afferrò per le spalle e la scosse con forza, guardandola negli occhi. Poi scoppiò a piangere e la cinse con le braccia - Ci hai fatto prendere un colpo, razza d'idiota!-

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Capitolo 22
*** 21 ***


21


Le venne portato del latte tiepido e due biscotti con le gocce di cioccolato. Zio Kreon entrò nella sua stanza accompagnato da Emon e da un piccolo stuolo di domestici, tutti pallidi e stupiti, ma con lo sguardo sollevato per averla vista finalmente viva, finalmente a casa.
Zio Kreon aprì la bocca ma nessun suono uscì dalle sue labbra, almeno per i primi cinque secondi. Poi parve riprendere colore e corse verso di lei, a braccia aperte.
-Antigone- mormorò al suo orecchio. Respirava affannosamente, come se avesse corso senza fermarsi - Sciocca, sciocca Antigone ..-
Si distaccò piano dall'abbraccio, stringendole le spalle con le mani e guardandola negli occhi. Zio Kreon aveva tutti gli occhi rossi di pianto e soffiava col naso. Pareva invecchiato di almeno dieci anni.
-Sono vecchio, Goonie- Goonie. Non sentiva quel soprannome da anni. Papà la chiamava così dopo i brevi periodi di punizione nella sua stanza - Non puoi farmi questi scherzi. Non farli più-
Si sentiva in colpa. Vedere zio Kreon, o un adulto in generale, piangere era sempre una brutta botta. Si sentiva mancare l'aria.
-Sì, zio. Lo giuro-
-Giuri davvero?-
Annuì.
Zio Kreon si allontanava sorridendole tristemente e lasciava avvicinare Emon. Sentì le sue braccia calde intorno alla vita e il battito del suo cuore mentre egli appoggiava il mento sulla sua testa.
-Stupida- la baciò sulla testa, tra i capelli -Giuro che la prossima volta che scappi ti trascino per un braccio di persona, intesi?-
Gli diede un bacio sulle labbra. Anche Emon aveva gli occhi lucidi e assonnati, e ciò la fece sentire ancora più in colpa. La Quarta Principessa Ereditaria emergeva dalla sua recente sepoltura e si prendeva a botte con Antigone fuggitiva. Che orgogliosa principessa, pronta a rivendicare il proprio ruolo. Quella testa era troppo piccola per due Antigone gemelle e opposte.
Sapeva soltanto di essere stanca e di avere un forte dolore alle gambe. Aveva corso tutta la notte con poco cibo nello stomaco, senza bere acqua per rinfrescarsi, aveva visto Snakes entrare in un bordello, era venuta a contatto con la povertà, aveva viaggiato lungo le luci nerastre di un caleidoscopio di colori nuovi e cupi, e ora voleva prendersi una pausa. Voleva esser lasciata sola di nuovo, ma non aveva il coraggio di aprir bocca: doveva loro delle scuse, almeno per il momento. Emon e zio Kreon quasi lessero nel suo pensiero.
-Noi .. Noi torniamo a letto- disse zio con fare imbarazzato -Domattina ne parleremo. L'importante è che sei finalmente tornata a casa. Emon, vieni con me. Uscite tutti, avanti-
La stanza si svuotò lentamente, in un silenzio animato solo dal frusciare delle vestaglie e dei grembiuli e dagli sbadigli.
Antigone immerse i biscotti nel latte e morse con vigore. Masticava lentamente, come se fosse gelosa di un sapore che aveva dimenticato per anni, e beveva a lenti sorsi. Ismene la guardava con affetto, come non faceva ormai da anni.
-Si vede che hai fame, chissà come hai fatto a resistere per un giorno intero senza cibo-
Leccò un pezzo di cioccolato che era rimasto sul labbro superiore, poi diede un altro morso.
-Sono stata bene, invece. Me la sono cavata-
Ismene, appoggiata ad una parete con le braccia conserte e la vestaglia sbottonata, le lanciò uno sguardo sorpreso e divertito. Se solo avesse potuto parlarle delle frittelle di Orest l'avrebbe fatta ricredere.
-Ah sì, e come?-
-Ho trovato cosa potevo permettermi con pochi spiccioli-
Ismene si mise a ridere e poi sbadigliò.
-Non potevi tornare domattina ed evitare di svegliarci tutti, eh? Adesso posso lasciarti da sola o scappi di nuovo?-
-Non scappo più, lo giuro-
La vide allontanarsi verso la porta.
-Dopo mangiato fatti un bagno. Puzzi come una fogna!-
Si allontanò ridendo, poi chiuse la porta. Sentì i suoi passi in corridoio, poi un cigolio e un tonfo.
Antigone consumò lentamente l'ultimo biscotto, bevve l'ultima goccia di latte e iniziò a spogliarsi. Puzzava come una fogna, pensò. Solo come una fogna. Era normale, normalissimo, dopo un giorno intero lontana da casa, con gli stessi vestiti addosso, costretta a riposarsi sulle panchine e dietro le aiuole. Era un alibi che reggeva, pensò aprendo il rubinetto della vasca da bagno e lasciando scorrere l'acqua. Ed aveva avuto tanta fortuna da non essere stata notata da nessuno, struccata e malconcia com'era.
Perchè sei scappata, Antigone?
Zio Kreon si era limitato ad abbracciarla, per il momento. L'indomani l'avrebbe sicuramente convocata nella sua stanza di ricevimento e le avrebbe fatto il terzo grado. Aveva un alibi, ora necessitava soltanto di un motivo per cui fosse scappata.
Perchè sei scappata?
L'acqua era al livello delle sue caviglie.
Sono scappata per curiosità, zio. Piccola avventura. Non intendevo mettere in ansia nessuno di voi. Mi dispiace, davvero. Giuro che non si ripeterà.
Aveva tutto ciò che si potesse mai desiderare, avrebbe detto zio Kreon.
Lo so, ma non darmi dell'ingrata. So che non mi manca nulla, zio. E' stata solo una piccola gita, una batosta .. giovanile. Sì, giovanile. Proprio così.
Si sedette lentamente sul fondo della vasca, prese del bagnoschiuma e riempì la spugna. Si sentiva sporca come non mai, unta, come se avesse passato anni via da casa. E quella sensazione era apparsa da quando aveva rimesso piede in camera sua. Si lavava per bene, passando la spugna in ogni angolo, in ogni centimetro di pelle che attraversava; poi prendeva un grosso pugno di shampoo e lavava per bene la testa, separando ogni ciocca di capelli con attenzione e lasciando cadere scie grigiastre sulla superficie dell'acqua.
Ritornare sua Altezza Antigone Spartes Labdakou pareva dura, anche se aveva smesso quei panni da un giorno solo. E pensare che avrebbe dovuto tornare al commando, decidere quale vita condurre e chi abbandonare.
Si asciugò distrattamente i capelli e poi indossò la camicia da notte. Puntò la sveglia alle otto. Decise di dormire senza scostare le lenzuola.
 
Si svegliò al primo trillo della sveglia. Voleva prepararsi in tempo prima della colazione e dell'incontro con zio Kreon. Sciacquò velocemente il viso sotto l'acqua corrente, si diede una passata di trucco e una spazzolata ai capelli e scelse un vestito di cotone leggero, azzurrino, con una cinta bianca. Quel pomeriggio avrebbe dovuto assolutamente rendere conto e ragione di quella fuga all'intero Senato, riunito in seduta speciale. E magari l'avrebbero anche fatta visitare. Antigone portò il polso all'altezza degli occhi. Il piccolo punto che Big McKeane aveva sistemato era ancora coperto dal cerotto: nessuno l'aveva notato, per fortuna. Sospirò e afferrò un'estremità, serrando le labbra e strappandolo con forza. La piccola e sottile cauterizzazione era una sottilissima linea grigiastra, praticamente invisibile. I medici che l'avrebbero controllata non ci avrebbero nemmeno fatto caso. Era tranquilla. L'alibi reggeva. Svuotò il borsone e annusò i vestiti uno dopo l'altro, con cura, quindi cercò di coprire il tanfo di smog della felpa, del fazzoletto e dei jeans spruzzando su qualche goccia del suo profumo, sufficiente a dar l'impressione che fosse rimasta a girovagare nell'Acropoli, poi spostò il tutto nel cesto dei panni sporchi.
Due lievi tonfi alla porta la richiamarono.
-E' permesso?-
-Avanti!-
Una piccola domestica con la pelle color sabbia e la faccia piena di lentiggini si fece avanti.
-Buongiorno, vostra Altezza! Spero di non avervi svegliata!-
-Buongiorno a te, figurati, ero già sveglia. Hai qualcosa da dirmi?-
-Sì, sua Altezza vostro zio vi ha chiamata. Vi vuole vedere nella sua stanzetta dei ricevimenti!-
-Perfetto, accompagnami lì-
Seguì la piccola domestica, si chiuse la porta alle spalle e la seguì lungo tutto il corridoio e poi sulla scalinata che conduceva al primo piano. La stanza dei ricevimenti era la prima porta sulla destra, subito dopo la scalinata. La domestica bussò sommessamente.
-Sì?- la voce assonnata di zio Kreon era riconoscibile tra mille. La domestica aprì la porta e avanzò.
-Vostra Eccellenza, è arrivata vostra nipote-
-Falla entrare, Michelle. Poi chiudi la porta e ordina di far preparare la colazione-
Antigone entrò a passi lenti nella stanzetta, un piccolo ambiente dalle pareti bianche e dal pavimento in piastrelle bianche e verde scuro, arredata con mobili di legno tinteggiati di bianco e poltrone di legno e velluto verde. Zio Kreon, in camicia azzurra e gilet nero, sedeva alla scrivania con espressione assonnata ma serena, tranquilla, con i gomiti sul tavolo e le mani incrociate.
-Non ti ricordi di questa stanza, immagino-
Sorrise. Prima era la stanza dei ricevimenti di papà, che le vietava spesso di accedere. Erano alcuni dei luoghi vietati ai bambini, almeno fino alla pubertà, ma quella stanza l'aveva sempre trovata noiosa.
-Forse no- si sedette lentamente, sorridendogli imbarazzata -Erano le regole, noi bambini non potevamo entrare-
Zio Kreon rise guardandola negli occhi, poi sospirò.
-Immagino tu abbia capito perchè ti abbia convocata-
-Sì, zio. Devo porgerti le mie scuse. E' stata .. una sbandata. Una semplice sbandata. Non volevo farvi soffrire in nessun modo, a nessuno di voi. Stanotte ho pensato intensamente a come farmi perdonare-
La guardava ancora con espressione serafica e serena, con gli occhi assonnati e tranquilli. Il suo volto non pareva mostrare nè rancore nè rabbia.
-Molto bene. Hai ormai diciotto anni, non penso ti servano le ramanzine, giusto?-
Rimase in silenzio, con gli occhi bassi.
-Goonie?-
-Immagino di sì. Mi dispiace. E' ovvio che debba comunque chiedere scusa a te, a Ismene, ad Emon e a tutti gli altri-
-Antigone Antigone Antigone ..- fece giocherellare una penna stilografica tra le mani continuando a sorridere - Sei una ragazza intelligente, degna figlia di mia sorella e di tuo padre. Immagino tu abbia capito la lezione e abbia .. Insomma, capito la gravità. Cosa avremmo fatto se fossi rimasta ferita, Antigone? E se non fossi tornata a casa? Noi non possiamo più perdere altri membri della famiglia, Goonie ..-
La gola le si strinse in un nodo. Voleva piangere.
Se solo avesse potuto dirgli la verità, forse avrebbe compreso.
-Oh, Goonie ..- le strinse la mano - Goonie, avanti. Può capitare, l'ho compreso. Da ragazzo le mie bravate le facevo pure io, eh, ti pare forse che sia nato adulto? L'importante è che sei tornata a casa sana e salva e mi prometti che non scapperai più, okay?-
Come posso non scappare?
-Avanti, asciugati il viso- le porse un fazzoletto di cotone -Devo dirti una cosa bella-
Alzò gli occhi di colpo appena si calmò.
-Cosa?-
Zio Kreon si alzò e uscì dalla tasca dei pantaloni un biglietto di carta rossa, bollato con una lambda di cera color oro.
-Aprilo e leggilo, su-
Staccò lentamente le due estremità che chiudevano il biglietto.
- "Gran Ballo di Riappacificazione: la Principessa Perduta, ore 21:30 al Palazz.. "-
Si bloccò di colpo. Una risata nervosa fiorì sul suo volto. Zio Kreon ridacchiò rumorosamente.
-Niente male, eh?-
Lanciò il biglietto per aria e corse ad abbracciarlo. Aveva le lacrime agli occhi.
-Zio Kreon .. Non posso crederci .. Sono un'ingrata, lo so!-
-Ah, Goonie .. E' una storia chiusa, okay? Corri a fare colazione chè fra poco hai un appuntamento con Arakne Magoon!-
 
La morbida gonna di seta color fiamma toccava terra, producendo un debole fruscio ovattato, e saliva fino al bustino di seta e organza in tinta, attraversato da una trama di fili d'oro che si intrecciavano come fiamme fino all'altezza delle spalle. La Magoon aveva scelto per lei una corona d'alloro in oro, due pesanti orecchini di rubino e bracciali degli stessi materiali. Un paffuto collega della Magoon, Adonis Ciniereus, un ometto dai capelli ondulati color azzurro cielo e la pelle color neve, la truccava e l'acconciava con cura: rossetto color fiamma alle labbra, polvere d'oro sulle guance e abbondante mascara sugli occhi, mentre per i capelli aveva scelto una treccia olandese.
-Ecco qua- poggiò la corona sulla sua testa e sorrise - Alzatevi, vostra Altezza!-
Si alzò in piedi, ben dritta, fissandosi per bene allo specchio. La Quarta Principessa Ereditaria, Antigone Spartes Labdakou, tornava a brillare dopo un giorno di angoscia per la famiglia e l'Acropoli intera, rossa e fiera come una fiamma. Adonis batteva le mani felice.
-Tra voi e vostra sorella è impossibile decidere chi sia la migliore, vostra Altezza!-
-Avete fatto un lavoro meraviglioso. Sono un'altra persona, davvero. Ringrazi la Magoon da parte mia-
Adonis spruzzò sulla sua testa una vaporosa nuvola di lacca luccicante.
-Siamo noi a dovere ringraziare voi! Voi e vostra sorella! Siete delle stelle!-
-A proposito, mia sorella è pronta? Manca poco al ballo!-
Due colpi bussarono alla porta.
-E' permesso?-
Ismene si faceva avanti, radiosa come non mai, con i capelli d'oro raccolti nella sua stessa acconciatura e il viso splendente di rosa e azzurro. Indossava il suo stesso abito, ma di colore diverso, un azzurro chiaro che esaltava la sua pelle nivea e i suoi occhi cerulei.
-Ismene!- si voltò di scatto e le strinse le mani - Ma guardati! Guai a te se ti sento ancora ripetere di essere grassa, va bene?-
Ismene ridacchiò e l'abbracciò.
-Ti perdono soltanto per aver spinto zio Kreon ad organizzare una festa grandiosa!-
-Ma la mia ragazza è pronta o è in fase di costruzione?-
Emon entrò di colpo nella stanza, sbucando dalla porta con un gran sorriso stampato in faccia. Indossava uno smoking nero, ben attillato, abbinato ad una cravatta color fiamma e a dei gemelli d'oro e rubino. La prese per una mano e la fece volteggiare su se stessa, facendo brillare l'orlo della sua gonna di sprazzi dorati che non aveva notato. Ismene batteva le mani e faceva tintinnare i suoi bracciali.
-Sei bellissima! La Magoon ha fatto un ottimo lavoro con te! Sei l'attrazione della serata!-
-Ragazzi, vedo che siete tutti pronti!- la voce di zio Kreon tuonò dal corridoio e si sentirono i suoi passi avvicinarsi. Si fece avanti con un completo simile a quello di Emon, ma con una grossa spilla a forma di lambda sul nodo della cravatta e un aspetto decisamente più originale: un ciuffo di capelli neri striati da luci dorate si innalzava sulla sua fronte e la barba era stata eliminata, lasciando il suo viso liscio e lucido di bagliori d'oro. Anche quella sera, zio Kreon avrebbe indossato le lenti a contatto con i riflessi dorati.
-Ecco lo zio!- esclamò Ismene - Caspita che eleganza! E' sempre della Magoon, vero?-
-Già!- esclamò zio Kreon accennando un occhiolino- Ha fatto un ottimo lavoro con tutti! Siete tutti incredibili, belli come i vostri genitori! Per non parlare di te, Goonie ..-
Avvampò. Emon le diede una pacca sulla spalla.
-Sei la stella della serata. Questa festa è tutta per te- guardò il suo orologio da taschino -Andiamo. La sala è già piena, ci aspettano-
Si incamminarono lungo il corridoio e arrivarono all'ascensore. Ad attenderli c'era il Gran Consigliere con l'abito da cerimonia.
-Vostra Altezza!- esclamò appena la vide - Bentornata a casa! Non lasciateci più, vi prego!-
-Non lo farò, Gran Consigliere-
-Meno male!- schiacciò un pulsante e le portiere dell'ascensore si aprirono di scatto -Vostra Altezza vostro zio vi avrà sicuramente parlato dei rischi che avreste potuto correre, di tutti i pericoli che avrebbero potuto insidiarvi e ..-
-Basta, questa è una serata di festa- lo interruppe zio Kreon -Dobbiamo tutti divertirci senza pensieri, okay?-
L'ascensore schizzò giù velocemente e delicatamente, aprendosi poi davanti al corridoio della sala da ballo con un forte trillo. Due damerini afferrarono le maniglie delle porte e fecero accedere quel piccolo corteo formato da zio Kreon, Gran Consigliere e loro ragazzi in una stanza sfavillante di luci dorate e rossastre, con leggeri drappi appesi al soffitto, i lampadari decorati da rose e un grande buffet poco lontano. Appena fecero il loro ingresso nel salone la musica si interruppe e tutti , chi con il bicchiere di champagne in mano o chi era impegnato in una conversazione o al buffet, si voltarono verso di loro e iniziarono ad applaudire, accompagnati dai flash dei fotografi e dalle telecamere verso di loro.
-Vostra Altezza!- un fotografo mingherlino, con una macchina fotografica più grande della sua faccetta secca, si appostò davanti a lei sul tappeto rosso - Un sorriso per la vostra città che è stata col fiato sospeso per voi!-
-Com'è stato essere lontana da casa, Principessa?- una giornalista bruna, con un caschetto di capelli neri e il rossetto viola, si faceva largo tra i paparazzi e le porgeva un microfono.
-Ero uscita a prendere una boccata d'aria, nulla di male!-
Gli astanti ridacchiarono rumorosamente e due buttafuori provvidero a disperdere alcuni paparazzi. La musica riprendeva a suonare e alcuni ospiti si avvicinavano per salutare: Medeia veniva avanti con un leggero abito di chiffon violetto che le arrivava alle caviglie, decorato in vita da una fascia dorata, e una spola color indaco, con i capelli tagliati fino al collo e arricciati sulle punte tinte di blu elettrico.
-Antigone, scema che non sei altro!- le prendeva le mani e poi le baciava le guance -Almeno ti sei guadagnata una festa coi fiocchi! Ma guarda poi che abito che hai, fa' una piroetta!-
Si allontanò e volteggiò su se stessa. L'orlo della gonna si mise a scintillare nuovamente.
-Favolosa, magnifica! Herakles, Deianyr, venite a salutare!-
Herakles, in completo beige e cravatta azzurra, con il ciuffo color carota ben impomatato, veniva avanti con una ragazza formosa, in abito arancione stretto in vita tanto da esaltarle i fianchi, e una vaporosa coda di cavallo color mogano decorata da un cerchietto dorato.
-Antigone, carissima!- le baciò leggermente la mano e strinse col braccio il fianco della ragazza -Bello scherzo, davvero! Ti presento Deianyr, la mia ragazza!-
La ragazza fece un profondo inchino, avvampando improvvisamente.
-Dammi del tu, il piacere è tutto mio- disse Antigone -Siamo coetanee e per giunta ad una festa, abbandoniamo le formalità almeno per questa sera!-
Da lontano vide zio Kreon circondato dai suoi soliti amici in smoking sgargianti e amiche dalle pettinature strambe e dai vestiti dai colori metallici; Ismene si avvicinava al buffet a braccetto con Achilleus, vestito con un'attillata giacca azzurra e calzoni grigi, e seguita di nascosto dall'ennesimo fotografo. Seguì ogni suo gesto con lo sguardo: con una mano prese lentamente una tartina e la portò alla bocca. I suoi grandi occhi guizzavano sempre in direzione di quelli di Achilleus, più serpentini che mai sopra quel sorrisetto furbo e brillante. Achilleus l'aveva fatta volteggiare su se stessa e Ismene era avvampata tutta come una bambina, e le si strinse il cuore nel ricordare le parole di Iphigenia.
Già, Iphigenia. E poi Big McKeane, Amphiaraus, anche Jeanne e tutti gli altri. Chissà cosa stessero facendo, chissà se la stessero pensando, chissà cosa avrebbero pensato se l'avessero vista con quell'abito sgargiante e costoso.
Emon ridacchiava con alcuni cadetti e due sue vecchi amici di cui non ricordava il nome; il Gran Consigliere afferrava la sua terza porzione di risotto e parlottava con una robusta donna dai capelli rossastri e l'abito verde scuro; zio Kreon si avvicinava ad un piccolo pulpito al centro della sala e prendeva la parola, illuminato da un fascio di luce dorata.
-Carissimi amici e amiche! Questo piccolo, improvviso rinfresco significa molto per tutti noi. Questa serata è dedicata alla stella più luminosa dell'intera Acropoli-
Nella penombra della sala, un fascio di luce si posò sulla sua testa. Tutti si voltarono verso di lei sorridendo, stringendo i loro bicchieri con quelle mani da unghie laccate in smalto fosforescente.
-Mia nipote, la Quarta Principessa Ereditaria Antigone Spartes Labdakou. Non voglio costringerti a salire e a parlare, assolutamente no, ma .. Volevo soltanto che tutti notassero la tua sfavillante bellezza. Bentornata a casa-
Tutti applaudirono e qualcuno si mise a fischiare. Zio Kreon scese dal pulpito, che si abbassò lentamente fino a sparire dentro una piccola botola, la raggiunse e la baciò sulla fronte. I fotografi immortalarono la scena tra mille flash.
-Già da adesso questa foto farà il giro del mondo!- gridò una voce indistinguibile.
La musica suonava forte. Zio Kreon le porse una mano.
-Vostra Altezza accetta un ballo da me?-
Non aveva mai ballato in vita sua, nemmeno alla festa di incoronazione, e alle feste che organizzavano mamma e papà si sentiva troppo giovane per buttarsi nella mischia. Non era nemmeno sicura di saper ballare bene o di saper ballare proprio.
Tutti intorno a lei sorridevano. Anche una testa ben riconoscibile si era fatta strada fra gli ospiti, una testa d'uovo ben rasata per l'occasione tanto da sembrare quella di un ragazzino grasso poco cresciuto, con gli occhietti tondi e bovini ben aperti e le grosse mani che stritolavano un bicchiere di cristallo. Morrison Snakes indossava un completo e una cravatta neri, con il nodo decorato da un grosso smeraldo e un piccolo fiore bianco che faceva capolino dal taschino, e camminava sorridente e spavaldo circondato da donnette di mezza età, alcune magre e alcune grasse e tutte vestite con abiti stravaganti, di fattura scadente.
-La principessa è uno splendore!- ridacchiò con vocetta stridula una donnina bassa accanto a lui, secca come un giunco, fasciata in un abito verde e con un grosso fiocco sui capelli color cenere -Così giovane e così bella! Si farà una gran signora, come sua madre!-
Zio Kreon si avvicinò con un gesto rapido a Snakes e gli strinse la mano. Lui sorrise, lasciò il bicchiere ad un cameriere e prese un sigaro dalla tasca.
Ballarono un lento per circa cinque minuti, con tutti gli occhi puntati addosso. Era felice e commossa, pensò. Le ricordava quando papà la sollevava in aria e la faceva volteggiare sotto lo sguardo divertito di mamma e quello dei suoi fratelli che provavano ad afferrarle l'orlo del vestito.
Ad ogni giravolta la gonna mandata sprazzi dorati. Zio Kreon si muoveva elegantemente, guidandola in ogni passo, senza affaticarla. La danza finì con un inchino da parte di entrambi e uno forte scrosciare di applausi, mentre Ismene ed Emon sbucavano tra gli invitati e la raggiungevano. Una l'abbracciava, l'altro la prendeva per la vita e la baciava sulle labbra, con gli applausi sempre più forti. Zio Kreon sorrideva e si allontanava verso Snakes.
Occhi dipinti di mille colori, pettinature vaporose ed eleganti, abiti preziosi su chiunque, volti amici e sereni. Eppure si sentiva uno strano vuoto nel cuore, anche se stringeva le mani di Ismene ed Emon. Mancava qualcosa, anzi, qualcuno.
Iphigenia avrebbe indossato un lungo abito di pizzo e seta neri, pieno di decori dorati, e avrebbe ballato da regina anche con una protesi addosso; Amphiaraus avrebbe portato uno smoking simile a quello di Emon; McKeane avrebbe indossato lo stesso completo di Snakes, ma senza quell'orribile spilla di smeraldo e quello strano fiore che fuoriusciva dalla tasca; anche Jeanne sarebbe stata presente, con addosso un vaporoso abito color fumo che arrivava alle ginocchia, fasciato sulla sua bella ed esile figura, con un corpetto nero e le maniche a sbuffo.
Ed Eteocle e Polinice avrebbero fatto la pace, avrebbero iniziato a sparare le loro battute stupide e avrebbero fatto facce strane ai fotografi e alle telecamere.
-Antigone?-
La voce di zio Kreon la chiamò dalle spalle.
-Sì, zio?-
Era accompagnato da un sorridente Snakes, seguito a sua volta da un ragazzetto alto e secco dalla faccia sbilenca, con strani capelli ricci striati di bianco e un completo che pareva più grande della sua taglia.
Che cazzo di fottuta faccia da schiaffi.
-Oh, signor Snakes. Salve-
Lurido puttaniere giù le mani da mio zio o te le faccio saltare a calci.
-Immagino tu conosca già il signor Snakes, no? E' il padre di Eliza-
Sì, uno stupratore di ragazzine disgraziate che nessuno getterà mai in gattabuia.
-Sì, zio. Piacere di incontrarvi anche qui, signor Snakes-
Snakes ridacchiò, le prese la mano e se la porto alle labbra, lasciando un freddo bacio.
Chissà che porcate ci hai fatto con quella bocca, lurido porco.
-Il mio amico Snakes, appunto, chiedeva se .. Se potessi concedergli un ballo. E' un gran signore e un eccellente ballerino, mia cara. Ha tantissime qualità-
Sì, nel ruolo di stupratore con la faccia d'angelo non è male.
Da lontano vide gli occhietti del Gran Consigliere farsi tristi. Gli lanciò un'occhiata colma di compassione.
-Vostra Grazia carissima- disse prendendole la mano -Ebbene, non ho potuto non ammirarvi. Ballavate come una vera regina. Accettate dunque un ballo da me?-
Meglio accettare un ballo che essere colpite alla testa ed essere violentata. Sono una ragazza fortunata.
-Con piacere, signor Snakes-
Le luci si fecero soffuse e si unirono agli altri ballerini. Una grossa mano di Snakes si poggiò sul suo fianco e fu colpita da un brivido di disgusto, l'altra prese la sua. Incrociò i suoi occhietti bovini ed ebbe la tentazione di sputargli in faccia  e colpirlo per bene. Iniziava la danza.
-Mia figlia non fa altro che parlare di voi, Altezza ..-
-Glielo stavo chiedendo, signor Snakes. Eliza è presente alla festa?-
Snakes lanciò una risata quasi malvagiamente divertita.
-La mia piccola Lizette non è ancora abituata ai balli. Qualcuno dirà "oh, ma ha ormai sedici anni!" .. Non capisce le preoccupazioni di un genitore alle prese con una figlia femmina!-
Biascicò quell'ultima parola come se fosse un terribile insulto e in quell'attimo i suoi occhi si accesero di rabbia, poi tornarono serafici.
-Ecco, dicevo ..- disse schiarendosi la voce -Eliza non fa che parlare di voi! Mi ha mandato una lettera in cui ha parlato del piccolo tea party di qualche giorno fa. Vi ha ammirato come una regina, avreste dovuto sentire le sue parole!-
-Cosa diceva?-
-"Oh, sua Eccellenza Antigone è stata così gentile con me, papino caro! E poi è così bella!"-
Nell'imitare un tono di voce femminile Snakes assunse sembianze quasi grottesche. Cercò tanto di sforzarsi di non ridergli in faccia e di non insultarlo pesantemente che iniziarono a farle male le guance.
-Le porti i miei saluti, quando la sentirà. In effetti è una ragazza deliziosa!-
Per una volta era sincera con lui. Eliza era davvero un angioletto con un padre cafone e violento. Un giorno avrebbe dovuto andare al Tempio e pregare per lei.
-Già, una ragazza ..- biascicò quella parola quasi da pronunciarla sputando - Il college femminile alla colonia lunare è il posto giusto per lei. Impara tutto ciò che deve sapere e conoscere una ragazza della famiglia Snakes!-
-Anche qui all'Acropoli c'è un ottimo college, signor Snakes. Vorrei tanto vedere Eliza..-
Snakes le rivolse un sorrisetto nervoso che la fece impallidire. Quell'uomo era una maschera di cera e lardo.
-Ma no!- disse quasi urlando, facendo voltare due ballerini più avanti - Cioè .. Mettetevi nei panni di un buon papà che deve proteggere la sua bambina! Quando la vedo la trovo sempre così piccola, così delicata, così .. Diversa, da me-
La danza finì presto e Antigone quasi si mise a baciar terra. Lo strazio era terminato.
-Oh, ballo terminato!- disse Snakes con un sorrisetto farlo - Permettetemi di congedarmi a dovere ..-
Le baciò nuovamente la mano col suo fare viscido, poi si allontanò a braccetto con la donnina dai capelli color cenere.
-Non ho mai danzato con una creatura talmente elegante! Ah, se il vostro piedino potesse schiacciare le Periferie ..!-
Taci, Antigone, taci.
Trattieniti.
Respira.
Avrebbe voluto sgozzarlo con un colpo di tacco. Gli lanciò uno sguardo colmo d'ira che egli non seppe cogliere, circondato com'era dal suo stuolo di megere.
 

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Capitolo 23
*** 22 ***


22


Antigone giocherellava col palmare e ridacchiava alle foto buffe che Emon le mandava dalla palestra, guardando per l'ennesima volta la sua foto con i capelli avvolti nell'asciugamano, il braccio contratto e la faccia imbronciata. Poi tolse lo sguardo dallo schermo e sbirciò sul quotidiano che zio Kreon stava sfogliando.
"Rapina conclusasi in tragedia alla Thebe National Bank. Due malviventi, rispettivamente di venticinque e trent'anni, entrambi originari delle Periferie, hanno messo a segno il colpo questa mattina alle ore 9:40, dieci minuti dopo l'orario di apertura dell'esercizio. Bloccati dalla Security, hanno iniziato a sparare a vuoto, colpendo mortalmente cinque persone e ferendone altre quattro: due di loro, dipendenti della banca, sono gravi. La Polizia è subito intervenuta per arrestare i due criminali. Si attendono notizie riguardo al processo e al verdetto."
La notizia del suo ritorno era stata in prima pagina per una settimana intera durante la quale non aveva avuto pace, tra interviste e colloqui con giornalisti. Ora però tutto era tornato alla normalità, a quella normalità candida e intatta spesso macchiata da fatti di cronaca descritti in quella maniera sentimentalista che lei tanto odiava.
-Caspita- sbuffò zio Kreon -  E l'ho saputo soltanto adesso. Insisterò di persona per far giustiziare questi criminali-
Passò avanti di qualche pagina, poi si bloccò davanti a due foto: una che riportava una scena del crimine, con un corpo a braccia spalancate disteso a terra e coperto da un telo bianco macchiato di sangue, e l'altra che riportava il ritratto di una donnina sulla quarantina d'anni, con vaporosi capelli chiari sovrastati da un cappellino con veletta e camicia chiusa fino al collo.
"Tragedia nello Starlet Boulevard. Macy Morrison, la proprietaria della boutique d'alta moda Macy's, è stata trovata morta nella cantina del negozio, colpita alla testa da un corpo pesante, sicuramente un martello. Non ci sono segni di scassinamento e il registratore di cassa non presenta effrazioni, ma la Polizia sospetta che l'omicida non sia altro che una dipendente della Morrison, una quarantatreenne originaria delle Periferie, assunta come donna delle pulizie"
Il pugno di zio Kreon si strinse intorno alla carta, quasi a stritolarla, e il suo volto assunse un'espressione adirata.
-Dannazione, tuo padre ed io avremmo dovuto far pulizia tempo fa. Schifosi ubriaconi e puttane-
Non era raro che zio Kreon si esprimesse in questo modo nei confronti degli abitanti delle Periferie, così come facevano ogni tanto papà e mamma ed Eteocle da ragazzino. Nessuno lo aveva mai rimproverato, nemmeno Polinice. Negli ultimi tempi avevano persino smesso quasi di parlarsi e di ascoltarsi: Polinice non tollerava ciò che diceva Eteocle sulle Periferie ed Eteocle non sopportava che Polinice li difendesse a spada tratta come al solito. Ismene era raro che si pronunciasse sull'argomento, pensare ai pericoli dietro l'angolo le metteva spesso ansia e non era raro che, durante le passeggiate o le uscite in famiglia, dovesse portare dietro i sali da usare in caso di svenimento. Quanto a lei, inizialmente si limitava a considerarle di cattivo gusto, ma dopo l'esperienza al commando e la visita alle Periferie durante la notte, pareva che quelle parole ferissero lei stessa come un coltello. Detestava le parole di zio Kreon quando condannava in massa le Periferie e non i diretti interessati.
-Cosa intendi per pulizia?-
Zio Kreon ridacchiò, chiuse il giornale e tirò fuori una sigaretta.
-Cosa intendo? Beh, la storia la sai. Diciamo che a far cadere la Grande Dittatura siamo stati io e tuo padre, principalmente. Quei pulciosi delle Periferie sono rimasti a guardare mentre sgobbavamo e adesso si permettono pure di aggredirci. Avremmo dovuto fare pulizia, Antigone .. Ci siamo intesi-
- Il Tumulto delle Polveri. E' stato circa .. diciotto anni fa. Addirittura prima della Grande Dittatura e addirittura prima che nascessi tu. C'è stata una rivolta in questa zona della città, che prima non era divisa in due come è adesso, ma si potevano delineare sempre due aree, una più ricca e una più povera. Ovviamente noi eravamo la zona povera, e da qui è partito appunto il tumulto. Tentarono di sbloccare e di garantire alla zona quel poco di risorse che restava, ma fu invano. La polizia del tempo ha freddato tutti coloro che si erano uniti al movimento ed io .. beh, io avevo dodici anni e vidi i miei genitori morire sotto i proiettili. Molti membri del commando sono rimasti orfani o soli, quei giorno, come Jeanne che ha trovato i genitori freddati in casa e a cui hanno rapito il fratellino di pochi giorni, di cui non si è saputo più nulla; Big McKeane e Amphiaraus erano i più facoltosi del quartiere, ma sempre impegnati nella difesa dei più deboli. La loro scuola venne incendiata quel giorno dalle forze dell'ordine e le loro famiglie sterminate. Si salvarono soltanto fingendosi morti, dato che erano gravemente feriti-
Nessun libro di scuola dell'Acropoli riportava la notizia del Tumulto delle Polveri. Doveva ringraziare solo Iphigenia se lei ne era venuta a conoscenza. E adesso voleva raccontare quella storia ad alta voce, davanti a zio Kreon, ma non poteva.
Tacque.
Qualcuno bussò alla porta. Si fece avanti una domestica grassoccia, con una crocchia d'argento sulla testa, e con la mano bruna porse un biglietto a zio Kreon.
-Cos'è?-
-Un certo Morrison Snakes mi ha detto di consegnarle questo biglietto. Non mi ha parlato di cosa si trattasse-
Zio Kreon staccò il bollo di cera e aprì il biglietto.
Vostra Altezza Illustrissima
Voi siete un esempio mirabile, indistruttibile e tuttavia da difendere. I quotidiani, i telegiornali e i radiogiornali ci hanno ricordato per l'ennesima volta di un pericolo nascosto che ci minaccia a piccoli e mortali colpi. Sicuramente avrete sentito parlare dei terribili fatti di cronaca avvenuti questa mattina, eventi che farebbero rabbrividire anche il più freddo e duro dei cuori della città. Ma ahimè, non spezzano certo il cuore di quegli animali delle Periferie che tanto si divertono ad uccidere cittadini innocenti!
Sarò breve, Eccellenza. Io e un gruppo di seguaci, amici, colleghi abbiamo costituito un Ordine nuovo in collaborazione con la Guardia Reale: esso si chiamerà Ordine Edelweiss. Abbiamo tutto pronto: documenti, slogan, sedi e un programma di progetti e idee. Ma manca la cosa più importante: la Vostra approvazione. Vi attendiamo con ansia questo pomeriggio alle 15:00, nella Sala delle Udienze. Speriamo in Voi.
Vostro umile suddito
Morrison Snakes
Zio Kreon lesse con attenzione ogni parola, poi sorrise e annuì.
-E' un'ottima persona, non trovi? Te lo immagineresti come mio nuovo Gran Consigliere?-
Un ottimo stupratore. Un ottimo bugiardo. Un ottimo padre di famiglia che segrega la figlia in un collegio a causa di ciò che porta tra le gambe.
Non rispose e abbassò lo sguardo. Zio Kreon sorrise e le diede una pacca sulla schiena.
-So che sei affezionata a quel bravo vecchio, ti ha vista crescere, ma ormai .. Ormai è anziano, capisci? E sarà molto stanco, penso. Ha bisogno di un valido sostituto. A proposito, non te l'ho mai chiesto, ma di cosa parlavate tu e Snakes l'altra sera, al ballo?-
-Di Eliza, sua figlia-
-Non l'ho vista! Era presente al ballo?-
-No, mi ha detto. Era al collegio, là, alla colonia lunare-
Zio Kreon annuì lentamente, lanciandole occhiate di sottecchi. Poi qualcuno bussò nuovamente alla porta.
-Sì? Avanti!-
La porta si aprì di scatto, introducendo un Gran Consigliere pallido e trafelato.
-Maestà!- urlò con una voce stridula e ansimante - Principessa cara! Potreste lasciarci soli, per favore? Devo parlare a vostro zio, di grazia-
Zio Kreon squadrò quell'ometto secco, con la barba lunga di qualche giorno, e invecchiato con sguardo severo.
-Antigone può restare. Cosa c'è?-
-Devo parlarvi di Snakes, Maestà-
Zio Kreon gli lanciò un'occhiata indagatoria, Antigone lo guardò con occhi speranzosi. Quegli occhietti anziani nascondevano più astio che i suoi.
-Snakes, uh? Ebbene?-
Il Gran Consigliere lanciò un'occhiata al biglietto che lo zio teneva fra le mani. I suoi occhi si fecero spenti e sospirò.
-Arrivo troppo tardi-
-Avanti, cosa è successo?-
-L'Ordine Edelweiss, Maestà. A cosa serve se esiste già un Senato? Voi siete superiore a tutti i possibili partiti, Eccellenza, è la vostra legge! E poi non dimentichiamoci che Morrison Snakes è l'attuale carceriere? Come la penserebbero i cittadini?-
Zio Kreon ridacchiò tanto da far sentire umiliato il Gran Consigliere. Questi fece spallucce e sospirò, con gli occhi bassi come un bambino incompreso.
-Snakes è una brava persona, non costituisce alcun pericolo per me nè per la città. Anzi sarà solo un bene- porse il biglietto al Gran Consigliere, sorridendogli -Legga. Collaborerà con la Guardia Reale e la riunione si terrà in Senato, ergo molti membri ne fanno già parte e  la sua esistenza è perfettamente coerente con ciò che ho ribadito spesso-
 
La Sala delle Udienze risplendeva della luce del pomeriggio. Tutti i banconi erano stati decorati con piccoli bouquet di edelweiss e fili d'erba, e dal piccolo pulpito centrale scendeva uno stendardo bianco e lucido, dall'orlo dorato e decorato da piccoli fiori. Quando arrivarono, la sala era già semi occupata da alcuni membri del Senato, dal ragazzetto del ballo insieme ad un uomo più anziano e da Achilleus con qualche cadetto, tutti vestiti con uno strano completo formato da calzoni bianchi e giacca in tinta con bottoni color smeraldo e una piccola spilla a forma di edelweiss al centro del petto.
Ismene lanciò un'occhiata ad Achilleus, immediatamente colta e ricambiata da un bacio. Antigone vide con la coda dell'occhio quelle belle labbra sottili arricciarsi in una smorfia resa più grottesca dalle sue folte basette rossastre che quasi si incrociavano sulle guance.
-Diamine, è un'audizione per il ruolo dello schiaccianoci all'Opera?- sbottò Emon all'orecchio di Ismene.
-Non è divertente- sbuffò -Invidia eh?-
Dei passi pesanti si udirono dal corridoio. Snakes entrava nella sala, interamente vestito di nero, con una cravatta bianca e verde menta, con un grosso edelweiss di oro e smalto appuntato sul nodo. Si era nuovamente rasato, con la faccia robusta e lucida come il muso di un maiale alla fiera e il sorrisetto soddisfatto con cui scrutava la piccola assemblea. Salì a passi veloci sul suo pulpito e accese il microfono.
-Prova? Prova?- disse con la sua strana voce, guardando l'assemblea con un'espressione stranamente imbarazzata- Oh, ci siamo. Eccovi qui, amici cari, riuniti in questo incontro breve ma sicuramente importante. Noi tutti di Ordine Edelweiss illustreremo alle care Eccellenze- puntò la mano verso di loro e ricevette un sorriso da zio Kreon -il nostro programma e le nostre intenzioni che certamente non si differenziano da quelle delle Signorie illustrissime. Tutto ciò è molto importante per noi che, come tutti sapete, siamo il primo partito ufficiale creato dopo la caduta della Grande Dittatura e vogliamo sostenere le Eccellenze reali in ogni momento della vita di questo grandioso, ricco stato.  Voi due- fece cenno a due uomini seduti ai banconi in fondo -Venite e mostriamo insieme il programma al sovrano-
I loro passi echeggiarono per le scalinate. Il ragazzetto del ballo e l'uomo più anziano che lo accompagnava, forse il padre data la loro somiglianza, procedevano alti e secchi come cipressi, con quella brutta faccia cadaverica e glabra, ognuno con folti capelli ricci, corti fino alle orecchie, neri o splendenti di un bianco quasi irreale, sopra la lunga testa squadrata. Sorridevano soddisfatti, agitando le lunghe mani ossute davanti a quella piccola folla e avvicinandosi a passo svelto al pulpito. Snakes strinse la mano ad entrambi e li baciò due volte sulle guance. Fu il più anziano ad apprestarsi al pulpito e a schiarirsi la voce, con Snakes e il ragazzetto in piedi alle sue spalle, ritti come fusi.
-Vostre Eccellenze- la sua voce era rauca e pesante, quasi incattivita e nervosa- il nostro padre fondatore, Morrison Snakes, mi ha dato la straordinaria opportunità di illustrare il nostro progetto e il nostro scopo. Siamo veramente onorati di essere il primo partito di Thebe, come ha ricordato il signor Snakes. Ebbene, noi di Ordine Edelweiss nasciamo con un solo, importantissimo scopo, come ha già avuto modo di accennare Snakes: aiutare sua Maestà il nostro sovrano a governare, sostenendolo in ogni momento della vita di questa regione e di questa città, bello o brutto che sia. Siamo in un periodo difficile, lo ammetto, in cui sono morti i due principi ereditari, gloria dell'intera regione, peraltro avvelenati dalle continue minacce sovversive. E noi di Ordine Edelweiss abbiamo individuato il vero cancro proprio in questo terribile, oscuro fardello-
L'uomo si interruppe e lanciò un'occhiata al ragazzetto. Questo prese un telecomando e accese un proiettore poco distante, facendo fiorire sullo schermo la figura di omuncolo rachitico e sporco, con la giacca color verde oliva bucherellata e lercia, con i jeans cadenti e un grosso paio di anfibi. L'ometto raffigurato aveva un'espressione furba e maligna sul volto pallido, con un sorriso bucherellato e cadente, due occhietti gialli e malati e un ciuffo di capelli castani sulla testa tonda, e teneva nelle mani un fucile e una bottiglia di liquore; alle sue spalle invece vi era un donnone più alto di lui, con un pancione prominente, un dente che usciva dalle grosse labbra brune e una crocchia color rame sulla grossa testa, vestito con una maglietta turchese e una lunga gonna tutta rattoppata che celava, nelle strambe tasche, coltellini svizzeri e sacchetti colmi di monete.
-Grazie, Troy. Ecco, le Periferie celano questo !- incalzò tanto su quel termine da stringere il pugno e sbatterlo sul pulpito -Questi esseri sporchi, dall'aria innocua per chi è tanto cieco e stolto da non conoscerne appieno la natura, sono un cancro che ci avvelena quotidianamente! Pensateci, amici riuniti! Fate un piccolo resoconto nella vostra testa! Avete mai conosciuto un abitante delle Periferie, amici?-
Sì, e ti assicuro che non sono così. Ho condiviso con loro cibo e sonno, pensa che guaio.
-Immagino di no!- continuò con foga -Soprattutto quando vi sembrano così degni di compassione, nascosti come sono dietro i nostri monumenti, colti a mendicare nelle nostre strade o a lavorare come sguatteri e lavapiatti nei nostri ristoranti, ecco che si rivelano più pericolosi! Eccellenze, non li trovate ripugnanti?-
Zio Kreon aveva seguito quel curioso discorso con espressione perplessa, con la mano al mento e uno sguardo poco convinto che lasciò di sasso l'uomo al pulpito.
-Decisamente, ottimo disegno-
Era felice di zio Kreon e di quell'espressione perplessa che mostrava nel volto, pensò. Antigone era da pochi minuti in quella sala e avrebbe già chiesto ad Iphigenia di bombardarla per bene e di mettere a tacere, con le buone o con le cattive poco importava, quella voce ragliante che sparlava a raffica delle periferie. Guardò con attenzione l'uomo, poi passò al ragazzetto, poi a Snakes e lanciò un'occhiata con la coda dell'occhio agli altri partecipanti: la loro pelle levigata e i loro completi raffinati parevano dimostrare come nessuno di loro fosse mai andato nelle Periferie per indagare sui comportamenti dei residenti, o almeno per questo. Di Snakes e Achilleus conosceva già la condotta, e pensare che quei due invasati avessero potuto costituire un partito con la possibile approvazione dello zio le metteva i brividi.
-Maestà!- l'uomo ragliò come se fosse stato ferito, con gli occhi tondi che quasi fuoriuscivano dalle orbite per l'incredulità -Non è un semplice disegno! Questo è il genere di persone che abita nelle nostre Periferie e che viene ogni giorno, con quei dannati aerobus, a infestare il nostro suolo con la loro sporca presenza! Pensateci, Maestà, pensateci bene: questi .. tarli della società camminano quotidianamente su un suolo che per legge, per la vostra legge non è a loro dedicato! E soprattutto rovinano il prestigio di Thebe chiedendo l'elemosina accanto ai negozi di lusso! Per non parlare del tasso di criminalità, Maestà. Avete sentito degli ultimi fatti di cronaca?-
Zio Kreon incrociò le braccia e sbadigliò. Proprio in quel momento, qualcuno entrò quatto quatto il Gran Consigliere, con un fare spaventato che le ricordava quello di un bambino che si apprestava a rubare i biscotti appena sfornati dopo il divieto materno. Snakes lo vide entrare e gli lanciò un'occhiataccia che lo fece impallidire, e l'ometto si andò a sedere a passi veloci dietro il loro posto. Antigone seguì il suo percorso e infine squadrò Snakes: un carceriere invasato non avrebbe dovuto permettersi di squadrare in quel modo l'uomo che lavorava al servizio di sua Maestà, pensò. Soprattutto se la sua condotta era decisamente discutibile. Ma questo nessuno poteva saperlo.
-Ho sentito, sì, sì- sospirò Kreon -Sicuramente saranno una minima parte, quei criminali. Prendetevela con loro piuttosto-
Gli occhietti affossati dell'uomo al pulpito si fecero rossi di rabbia, ma il suo volto continuava ad essere falciato da un sorriso nervosamente triste, come quello di un professore deluso dalla cattiva risposta fornita da un alunno tutto sommato brillante.
-Maestà- disse l'uomo con tono supplichevole, con le venacce che fuoriuscivano dal collo -Ragionate. Avete mai sentito parlare di criminali provenienti dall'Acropoli? O almeno, di gravi episodi di violenza da parte loro? Rispondete, ve ne prego!- sbottò, come se da quella risposta dipendesse la sua stessa vita.
Zio Kreon stette a guardarlo con freddezza, muovendo la bocca in un atteggiamento riflessivo. Anche lei ci volle riflettere. Stette a rimuginare un po', poi le venne in mente qualcosa: qualche tempo fa aveva sentito di un tizio che era stata finalmente buttato fuori casa per maltrattamenti sulla moglie, finita all'ospedale spesse volte, che si era spesso giustificata con un "oh, sono sbadata e non vedo dove metto i piedi". Si era parlato del fatto per qualche giorno, in tv e nei giornali, poi tutti l'avevano dimenticata e cancellata dalle loro vite. Ogni tanto succedeva qualcosa durante i festini, ma l'opinione pubblica tendeva a dare la colpa alla vittima piuttosto che al possibile criminale e niente finiva nei giornali o in tv. Aveva voglia di parlare, pensò: quell'uomo le sembrava troppo stupido per continuare a blaterare.
-Sì!- esclamò con un tale finto candore da far impallidire l'uomo al pulpito, che tentò di fulminarla con lo sguardo insieme ai colleghi -Non ha mai sentito parlare di quell'uomo accusato di violenza domestica, signor .. ?-
-Signor Brown, Principessa cara- disse con una punta di disprezzo che l'avrebbe spinta a ridergli in faccia di come i suoi occhietti si erano illuminati di rabbia -Dovete sapere che, purtroppo, anche i cittadini più onesti impazziscono e commettono scempiaggini pure. Ma ciò non fa di loro dei criminali di .. razza, insomma. Era impazzito e l'aveva picchiata, peggio per lei che col suo carattere lo aveva fatto mandare fuori di testa!-
-E quindi? Alle Periferie non si impazzisce?- incorniciò quell'ultima parola imitando le virgolette con le dita.
Il signor Brown strinse i pugni sul leggio e serrò le secche labbra. Ismene le diede una gomitata sottobanco per farla stare zitta, Emon le lanciò un'occhiata di approvazione e zio Kreon uno sguardo severo ma ancora perplesso.
-Basta così, Brown- irruppe Snakes, trascinandolo per un braccio e mettendosi al suo posto -Maestà, perdonate il nostro amico per la sua .. irruenza, se così possiamo definirla. E' un uomo così estasiato all'idea di partecipare al nostro progetto, di aiutarvi in tutto e per tutto e grazie a questo aiutare l'intera città. Perdonatelo davvero, l'emozione gioca brutti scherzi- si aggiustò il nodo alla cravatta e tossicchiò - Comunque, andiamo al nocciolo della questione. Se l'Ordine Edelweiss è nato, Eccellenza, è per difendervi, aiutarvi e vendicarvi-
La parola vendetta non le aveva mai fatto un buon effetto. Non la sentiva da quando erano morti Eteocle e Polinice e la gente aveva smesso di urlare, dopo una giornata, vendetta per Eteocle morto nello scontro.
-Ebbene, avete capito- proseguì -Noi di Ordine Edelweiss, insieme alla Guardia Reale e ai membri del Senato che abbiamo assorbito, vogliamo vendicare la morte di Eteocle-
Zio Kreon trasalì. Glielo lesse in faccia.
-Quel giovane eroe, principe, nostro fratello e concittadino, morto per mano sovversiva, otterrà quella vendetta che merita dopo i dovuti onori funebri, Maestà. E questa vendetta passerà per quelle strade lerce e affollate delle Periferie, senza che essi lo sappiano. Ovviamente tutto dovrà partire dal cuore, dall'Acropoli- prese in mano il telecomando e cambiò l'immagine dello schermo. Vi era una scaletta con cinque punti verso cui si voltò con fare orgoglioso.
- Si parte da qui- disse sorridendo, con quegli occhi grossi improvvisamente diventati sottili e serpentini, e brandendo una bacchetta di metallo -Ecco le nuove regole per iniziare ad attuare la nostra vendetta, Maestà-
Preservazione e conservazione dell'Acropoli: punti fondamentali
a cura di M. Snakes
  1. Riconoscere un acropolino da un parassita > Vd. cap. 1
  2. Evitare ogni contatto, fisico o non, con un parassita > ibidem
  3. Reprimere severamente ogni comportamento sovversivo e/o violento e/o anormale da parte un parassita > vd. cap. 2
  4. Evitare l'impiego dei parassiti nelle svariate mansioni e preferire impiegati e/o lavoratori acropolini > vd. cap. 3
  5. Incentivare la cura per la preservazione e la conservazione dell'Acropoli dalla più tenera infanzia > vd cap. 4-5
 
Snakes sorrise a zio Kreon mentre quest'ultimo leggeva ogni singolo punto. Antigone seguiva il suo sguardo su ogni assurdità scritta sullo schermo. Zio Kreon annuiva silenziosamente, ma non sembrava ancora convinto.
-E ciò in che modo permetterà .. Insomma, la vendetta?-
Snakes si morse le labbra. Era orribile.
-Maestà, noi siamo superiori a quegli animali. Non possiamo attuare una vendetta brutale e immediata, proprio come quando ci hanno .. Brutalmente strappato il nostro Principe Ereditario. Noi siamo migliori, Maestà- Snakes si allontanava dal pulpito e si avvicinava al loro bancone. Guardò zio Kreon dritto negli occhi- Non a caso siamo stati noi a salvaguardare le ultime risorse energetiche e a falle fruttare per vivere, no? Quei parassiti sono rimasti lì a guardare, fermi come sassi, con quelle pance orribili, gonfie e brontolanti .. A noi devono la vita, Eccellenza. E loro non fanno altro che sputare nel piatto in cui mangiano e che noi generosamente porgiamo. Le Periferie non hanno anima. Anima alcuna, signore-
Zio Kreon impallidiva, con la bocca leggermente aperta per lo stupore. Aveva lo sguardo vuoto, perso in quegli occhi orrendi e serpentini che si aprivano e chiudevano a piacimento per incantare la loro vittima. E pareva averci abboccato.
-Mi fido di lei, Snakes ..-
Si sentì mancare. Si voltò verso Ismene ed Emon, ma solo da lui ebbe uno sguardo di stupore e indignazione. Anche il Gran Consigliere era stupito, con gli occhi quasi gonfi di pianto.
-Mi fa piacere, Maestà. E' la mia missione e il mio dovere. Nei vostri confronti e in quelli del Principe Ereditario-
-Dov'è che devo firmare?-

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Capitolo 24
*** 23 ***


23


La Grande Corte splendeva di verde, bianco e oro. Zio Kreon aveva consentito che l'Ordine Edelweiss si facesse conoscere anche dai cittadini e, per l'occasione, aveva permesso che Snakes tenesse un comizio in pubblica piazza. Era straordinario come Snakes fosse già ben conosciuto da una grossa fetta di persone, alcune addirittura vestite degli stessi colori degli stendardi per l'occasione: straordinario nel senso di incredibile, incredibile quasi come inquietante. Ci riflettè quella mattina, appena spruzzò alcune gocce di profumo sulle spalle dopo essersi vestita per andare ad assistere al comizio: Snakes la inquietava. Non era paura quella che provava verso di lui, (sapeva che non avrebbe potuto e dovuto storcerle nemmeno un capello) ma un'inquietudine cupa e quasi rabbiosa che si celava nel suo stomaco ogni volta che incrociava il suo sguardo serpentino o beccava la sua faccia sorridente in un manifesto. Era un voltastomaco di nervosismo e disgusto che avrebbe voluto buttargli in quella faccia grassa e lucida, da porco.
Ismene sedeva sul suo letto, in silenzio, guardandosi la lucida punta delle scarpe. Ormai era una consuetudine che entrambe si vestissero quasi in simbiosi, tanto da diventare una regola: camicetta bianca con scollo a barca per entrambe e gonna a pieghe lunga fino alle caviglie, verde per Antigone e azzurro chiaro per Ismene.
-Posso avere qualche goccia di profumo?- chiese improvvisamente, alzando il capo.
-Certo, prendi pure- e le porse la boccetta di colonia. La osservò agitare la boccetta e passarsi la mano umida di profumo sul collo pallido.
-Cosa ne pensi?-
-Di chi?-
-Di Snakes-
E' un puttaniere, Ismene, insieme al tuo fidanzato. E' una fogna a cielo aperto che possiede una vita propria. Non posso dirti cosa so di lui, Ismene.
-Che tipo strano, accidenti. Non ho capito perchè ce l'abbia così tanto con quei poveracci delle Periferie. Tu cosa ne pensi?-
-E' .. singolare. Che io sappia, ha attirato molti consensi qui in città. Per quanto riguarda quelli là .. Forse non ha tutti i torti-
Non puoi saperlo. Non posso dirtelo. Non posso dartene la colpa.
-Lo vedresti mai accanto a zio Kreon?-
Ismene sospirò.
-Sono troppo affezionata al Gran Consigliere, come penso anche tu .. Sembra troppo giovane per stargli accanto-
Poi aveva guardato l'orologio e si era fatta l'ora di andare. Non voleva recarsi a sentire per l'ennesima volta quel tipo strano blaterare ad un microfono, davanti a gente che non sapeva e che avrebbe permesso di ricevere un lavaggio del cervello mattutino. Ma erano gli impegni di corte, pensò sospirando appena calcò gli scalini della terrazza. I loro posti erano già pronti, con zio Kreon, Emon e il Gran Consigliere che parlottavano da loro.
-Ben arrivate- disse zio Kreon nel vederle -Prendete posto, avanti-
Snakes saliva sul suo pulpito accompagnato da uno scroscio di applausi. Le telecamere ripresero ogni singolo movimento e lo riportarono ai grandi schermi: prima venne inquadrata la folla oceanica venuta a sentire le sue parole, con colonne di uomini con lucide giacche smeraldo e donne con i capelli tinti di bianco, con grossi fiocchi e nastri verdi tra quelle ciocche d'argento, e bambini in abitini verde menta; poi venne inquadrato il palchetto col pulpito di mogano su cui Snakes sorrideva trionfante, anche quella volta interamente vestito di nero e con l'edelweiss di smalto che brillava sul nodo della sua cravatta; infine il piccolo gruppo di seguaci, con Snakes, il signor Brown, Troy il ragazzetto e gli altri membri del senato, tutti vestiti con un rigido completo grigio topo, camicia bianca e cravatta nera con edelweiss di smalto appuntato su.
-Grazie, grazie!- biascicò avvicinando il microfono, e l'applauso si fece ancora più scrosciante. Snakes fece un ampio sorriso e alzò una mano, quasi per fermarli.
-Troppo, troppo gentili con me. Splendida, splendida e luminosa Acropoli! Guardate, guardate come sorridete, come siete belli! Guardatevi negli schermi e ditemi se non siete fieri del vostro aspetto e della vostra natura. Insomma, splendete come ..- guardò la sua spilletta e ridacchiò- Come edelweiss appena colti da un prato, freschi di rugiada! Siete così splendenti e puri, miei cari concittadini, e per salvaguardare questa vostra purezza e sicurezza un grande uomo, il padre di questa nazione- e partì l'ennesimo scrosciante applauso, mentre l'obiettivo di una telecamera si spostò su zio Kreon, imbarazzato ma sorridente, e lo riprese per qualche secondo - mi ha concesso di attuare un progetto grandioso, amici miei, grandioso! Proprio in questi giorni, il nostro amato sovrano mi ha dato il permesso o, meglio, la grande opportunità di fondare il primo partito nato dopo tempi bui ormai lontani. Qualcuno mi avrà già sentito alla radio, seguito ai talkshow in tv e sicuramente saprà di cosa stia parlando ..- con atteggiamento da conduttore televisivo di giochi a quiz, porse l'orecchio verso una folla che cominciò ad urlare.
-Ordine Edelweiss! Ordine Edelweiss!- gridarono a gran voce, e le telecamere ebbero la premura di inquadrare quelle colonne di uomini e donne vestiti coi colori del neonato partito, che sollevavano alti i figli vestiti di bianco e verdino sulle loro teste e mostravano al mondo le loro faccette sorprese.
Snakes sorrideva soddisfatto, con le grosse guance arrossate e gli occhietti semichiusi. Seduta alla sua postazione, Antigone lo osservava lentamente e annuiva. Quell'uomo non si poteva certo definir stupido: aveva capito e fatto proprie le virtù che all'Acropoli tanto perseguivano ma che nessuno aveva idolatrato per bene come adesso egli stava facendo. Ma non era intelligente, affatto. Era semplicemente furbo.
-Ecco che lo sapete, ecco! Bene, miei cari, riprendiamo le fila del nostro discorso. Non starò ad elencare tutte le vostre grandiose virtù perchè non basterebbe una giornata, ma voglio farvi riflettere insieme a me su una nostra peculiare caratteristica. Voi conoscete la storia, certo che la conoscete! E la storia, in particolare la nostra, è il mezzo migliore per farci riflettere sulla natura del nostro presente e del nostro futuro. Noi, noi dell'Acropoli, di questa splendente e ricca metropoli, oltre ad essere puri siamo stati .. protagonisti. Protagonisti indiscussi di ciò che ha portato alla nostra gloria e al nostro splendore. Noi siamo figli, fratelli e concittadini di quelli che la storia ha segnato sui suoi annali come migliori- scandì quella parola con lentezza, assaporandone ogni sillaba, guardando con occhi serpentini e sazi la gente ai suoi piedi- Migliori, già. E perchè la storia ha definito noi migliori piuttosto che altri ? Anche qui, la storia stessa ci fa da maestra e ci illustra la verità. Siamo i migliori perchè siamo risorti dalle ceneri, amici miei; perchè abbiamo utilizzato quelle stesse ceneri per rinascere a nuova, splendida vita; perchè noi abbiamo lottato all'ultimo sangue per accaparrarci ciò che le stoltezze del passato parevano aver spazzato via!-
Disse quell'ultima frase con una foga particolare, alzando il pugno destro in aria e brandendolo sopra la folla in delirio. Antigone si voltò verso zio Kreon: aveva il volto sereno, sorridente, come quello di un bambino a cui viene promesso qualcosa di speciale da parte del genitore. I suoi occhi brillavano di fiducia e le sue mani iniziarono ad applaudire.
Snakes riprese a parlare.
-Noi siamo puri e degni di natura, amici miei! Guardatevi, guardatevi ancora e guardatevi sempre mentre applaudite, guardate come le vostre guance e i vostri occhi brillano di quella purezza e di quella gioia degna della gente perbene!-
L'applauso scemò pian piano. Snakes prese un bicchiere e lo riempì con un po' d'acqua, bevendone fino in fondo.
-E se è questa la nostra natura- il suo tono s'era fatto più cupo e severo -Quale sarà mai la natura degli altri? E soprattutto, chi sono costoro? Li vediamo ogni giorno, amici miei: sotto i monumenti, alle stazioni, accanto alle boutique delle belle signore, all'entrata di cinema, ristoranti, parchi. E che fanno? Lavorano come lavapiatti o ci fanno da domestici, ma soprattutto chiedono l'elemosina in qualsiasi modo, nella maggior parte dei casi. Attività singolari per gente singolare, qualcuno mi potrà dire. E invece costoro non si limitano ad esser singolari, carissimi concittadini. Alle Periferie non sono semplicemente singolari-
Silenzio di qualche secondo.
-Avrete sicuramente sentito parlare degli ultimi fatti di cronaca, vero? Gente orribilmente massacrata, gente rispettabilissima, onesta, con un lavoro e una famiglia, nostri concittadini, o peggio amici, parenti, cari in generale. Massacrata da gente di cui si fidava, già.. Se possiamo definire gente quell'orribile congerie di criminali e accattoni che affollano le Periferie! Qualcuno potrà anche dire "ma non sono tutti così!", eppure i giornali dicono il contrario!-
Sputò quelle parole come denti rotti.
Non dicono il contrario, Morrison. Dicono solo ciò che vogliono.
-A veder star male i miei concittadini, io sto male. Sto male come se fossero i miei fratelli, i miei genitori, i miei figli! E non posso più permettere che vivano la loro onesta vita nel terrore, nella paura di essere derubati o uccisi da gente che non ha fatto mai nulla per contribuire alla nascita e alla crescita della nostra città!-
Sforzati di non urlare "Tumulto delle Polveri".
Sforzati di non urlare "Tumulto delle Polveri".
Sforzati di non urlare "Tumulto delle Polveri".
- Ed ecco che la storia ci aiuta un'ennesima volta! Quei pulciosi, quei pezzenti abitanti di una parte di città dimenticata da tutti, hanno mai mosso un dito per costruire insieme a noi la società? Non hanno forse utilizzato il pretesto della loro presunta miseria per avere tutto servito su un piatto d'argento, continuando tuttavia a sputare vilmente sulle porzioni che gentilmente offriamo? Che contributo danno alla nostra società? Di acropolini volenterosi di diventar lavapiatti o domestici ce ne saranno a centinaia! Non siete stanchi anche voi di vedere il nostro asfalto insozzato da quegli animali, concittadini? Di temere di camminare a tarda notte, magari ritornando da un'attività piacevole, con la paura di beccare uno di questi zombie alle vostre calcagna?-
Una voce maschile si alzò dalla folla, gridò "Giusto!" e ad essa si unirono le altre.
-E soprattutto, concittadini .. Quelle belve ci hanno strappato Eteocle e hanno avvelenato l'anima di Polinice, impregnandoli con le loro idiozie sovversive, pericolose per la sicurezza di tutti noi. Si può dire che abbiano ucciso entrambi. Del resto, non è colpa del defunto Polinice il non aver riconosciuto degli impostori ..-
Io ti ammazzo. Io salto addosso a quel collo da maiale e ti ammazzo.
- Io non voglio più quei parassiti nella nostra città, con la testa piena di brutti pensieri e le tasche piene di coltelli! Chi è con me?-
La folla si infiammò come non mai. Le donne urlavano e gli uomini battevano i piedi in uno scrosciare di mille e più voci e mille e più mani. Snakes si voltò verso gli uomini alle sue spalle e fece loro un cenno: ognuno scese dalla propria postazione e prese tra le braccia una grossa pila di libretti. Un cameraman ne inquadrò uno: "M. Snakes, Preservazione e conservazione dell'Acropoli". La versione estesa di quella scaletta si presentava con una rigida copertina nera, con rilegature argentate e un edelweiss dipinto al centro. Alcuni volontari tra la folla si affrettarono verso il pulpito e aiutarono gli altri a distribuire le varie copie, finchè fitte colonne di gente riuscirono ad averne una e a portarla alta sopra la testa, tenendola con la mano destra verso il cielo.
Snakes venne inquadrato per l'ennesima volta. Un maggiordomo portò delle copie anche per loro e zio Kreon. Il Gran Consigliere, Emon e Ismene guardarono perplessi le proprie, zio Kreon invece iniziò a sfogliarle con grande interesse. Quanto a lei, tenere quel libretto in grembo le faceva sentire un grosso peso sullo stomaco.
-Siete in molti della mia stessa idea, concittadini- disse soddisfatto -Quel libretto son semplici consigli, amici miei. Spero soltanto che vi siano d'aiuto per procedere alla .. grande pulizia!-
Trasalì. Stette a guardare come imbambolata zio Kreon che si alzava di scatto, seguito lentamente da Ismene ed Emon ancora perplessi. Lanciò un'occhiata al Gran Consigliere: egli la colse perfettamente, sospirando gravemente.
Chissà se al commando avessero sentito il discorso di Snakes, si chiese. Sicuramente Iphigenia avrebbe sbattuto i pugni sul tavolo e si sarebbe creato un gran trambusto, Jeanne si sarebbe messa a insultare Snakes, Amphiaraus avrebbe ascoltato annoiato ma non svogliatamente e McKeane ci avrebbe forse riso su. Eppure sentiva sulla pelle che le Periferie erano in pericolo e per quella grande pulizia avrebbero impiegato qualsiasi cosa, senza distinguere comportamenti umani da quelli disumani. A cominciare dall'Acropoli.
Il bambino sguattero dello Sky Needle le percorse la mente per l'ennesima volta. Poi pensò ai barboni che sonnecchiavano alla piazzuola d'atterraggio, poi alla giovane prostituta, poi ad Astyanax e a Sam che abbracciava il suo compagno. Tutti ripuliti.
 
-L'ondata di idee diffuse da Ordine Edelweiss, nuovo partito promosso dall'ex carceriere Morrison Snakes, ha travolto l'Acropoli con straordinaria foga. In virtù della dottrina della grande pulizia, stamane sono stati fatti cacciare alcuni mendicanti che si trovavano alla Silver Train Station e al Magnolia Park. Alcuni hanno mosso resistenza e si è reso necessario l'impiego delle forze dell'ordine. Ecco qui Morrison Snakes, accorso immediatamente per monitorare l'operazione-
La reporter dai capelli spumosi e azzurrini, con gli occhi resi ancor più allungati dall'eyeliner bianco che contrastava sulla sua pelle giallina, tese a Snakes il microfono in occasione del servizio speciale che Thebe24hNews trasmetteva come notizia principale.
-Sono accorso subito, ovviamente. Dobbiamo mettere concretamente in atto le nostre idee già da subito. Questa gente è un pericolo e un fastidio per l'Acropoli intera: puzza, disturba ed è altamente pericolosa. Non dobbiamo scordarci che dalle Periferie è partita l'ondata sovversiva che ha messo a repentaglio, spesso e volentieri, l'incolumità dell'intera nazione-
Zio Kreon sorrideva davanti allo schermo e sorseggiava placido il suo vino. La telecamera riprese due poliziotti in divisa che ammanettavano due barboni deboli e malconci presso il binario 6 della Silver Train Station, trattenendoli per bene di spalle. I barboni non fecero il minimo movimento e se ne andarono a testa bassa scortati dai poliziotti.
-C'è da dire che almeno questi si son comportati bene!- squittì la reporter.
-Mah!- la faccia di Snakes assunse un'espressione buffa e grottesca, con quella strana barba appuntita che ricopriva guance e mento -Adesso fanno gli agnellini!-
La giornalista ridacchiò con la sua faccetta da roditore.
-Qui è tutto, Marceen, a te la linea!-
E si ritornò allo studio bianco e oro di Thebe24News, con una giornalista dal caschetto viola e dal tailleur lilla e verde. Zio Kreon spense lo schermo e sbocconcellò un acino d'uva.
-Ottimo lavoro, Morrison- mormorò al vuoto. Emon e lei si guardarono perplessi.
-Kreon, non pensi che quell'uomo stia sopravvalutando la cosa?- chiese timido Emon.
Zio Kreon si voltò verso di lui ridacchiando.
-Figliuolo, mi cadi dalle nuvole! Per certe cose c'è bisogno del pugno duro ..-
-.. Anche se quella gente non aveva altri mezzi con cui guadagnare?- si intromise lei.
Zio Kreon ridacchiò una seconda volta.
-Se sei un nullafacente delle Periferie, fa' il nullafacente alle Periferie. Non gliel'ho mica chiesto io di venire a mendicare qui-
Guardò zio Kreon con fare dispiaciuto. In quei pochi era già cambiato tantissimo nè si vedeva più di tanto in giro, soprattutto nelle ore pomeridiane. Pareva lo zio Kreon di sempre, sereno già dal mattino durante la colazione, impegnato nelle sue letture e nei suoi esercizi quotidiani, ma dopo il pranzo ecco che non si vedeva più in giro per andare alle riunioni dell'Ordine Edelweiss. Era come se una luce interiore che aveva posseduto in precedenza si fosse spenta di colpo.
-Oggi giustiziano quei tipi lì-
-Quali tipi?-
-I tipi della rapina e la domestica di Macy's. Ne abbiamo parlato oggi pomeriggio in assemblea ed è stato deciso così-
Emon sospirò e lanciò un'occhiata stanca ad Antigone.
-Andiamo a fare una passeggiata?-
Non avrebbe voluto dirgli di no, probabilmente. Aveva una gran voglia di piangere e di sentire qualcuno che la pensasse come lei sulle assurdità di Snakes e che almeno provasse la sua paura di vedere quell'uomo inquietante accanto a zio Kreon. Ma era solo la punta dell'iceberg, pensò: più sotto ancora vi erano i timori per la vita di quei disgraziati che aveva beccato sulla propria strada lontana da casa, per Iphigenia e il suo commando che l'avevano accolta dopo poche ore, per Astyanax a cui era stato strappato il padre. Non poteva incolpare zio Kreon se non sapeva, nè aveva il coraggio di odiarlo. Non odiava nemmeno l'Acropoli e la sua gente infervorata vestita da sciocco edelweiss: nemmeno loro sapevano nè avrebbero potuto immaginare. L'odio era diretto ad uno solo e basta.
-Va bene, ma poco. Sono stanca-
Emon le sorrise e le prese la mano.
-Ti lascio se ti fai perdonare- le sussurrò all'orecchio.
Confessò di aver bisogno di sfogarsi. Avrebbe trovato modo per stare da sola in un'altra occasione.

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Capitolo 25
*** 24 ***


24


Vedere quei corpi contorcersi, esalare l'ultimo spasmo e poi morire non era mai uno spettacolo gradevole ai suoi occhi. Quell'anno erano stati condannati e uccisi solo abitanti delle Periferie, ma si ricordava vagamente anche di un condannato dell'Acropoli. Era stato tempo fa, ai tempi del governo di papà, e forse lei era ancora piccina per esser costretta ad assistere a quella mattanza; ricordava soltanto che era un tipo con qualche rotella fuori posto, un tipo schizofrenico che era scappato dal Nosocomio d'Igiene Mentale e si era messo a sparare a caso al Rosebloom Park, uccidendo due ufficiali e circa venti persone tra genitori e bambini che giocavano. Strano che Snakes non l'avesse menzionato, pensò, poi si ricordò di chi stesse parlando e di come all'epoca non fosse ancora apparso alle luci della ribalta. Snakes si trovava nel posto sbagliato al momento giusto.
Aveva visto i due rapinatori e la domestica, smagriti, denutriti, con gli occhi rabbiosi e cisposi. Zio Kreon aveva voluto che tutti partecipassero. Solo il Gran Consigliere non era presente, adducendo un piccolo problema di salute. I tre condannati avevano infilato la testa nel cappio, avevano guardato con sguardo inespressivo la folla sottostante che attendeva la loro morte e poi qualcuno aveva tirato via gli sgabelli; fu uno spettacolo di spasmi, smorfie e lamenti, con grosse e scure macchie di urina e feci sotto i loro piedi penzolanti. Poi era sopraggiunta la morte e la gente aveva urlato e battuto le mani. Erano felici che avessero ottenuto la giusta pena, ma non perchè avessero ucciso delle persone inermi, quanto per il fatto che fossero delle Periferie. E Snakes aveva guardato quello spettacolo di spasmi e applausi con sguardo paterno, poi si era messo al centro della Grande Corte e aveva alzato le mani al cielo.
- Perchè la grande pulizia passa anche dalle piccole cose, amici miei- e poi aveva volto lo sguardo verso zio Kreon, sorridendogli con garbo e ricevendo l'applauso anche in nome suo.
Antigone non aveva avuto molto appetito per tutto il giorno. Vedere quelle facce morte le aveva chiuso la gola e lo stomaco con un grosso peso che non riusciva a deglutire e a mandar giù. Lo sapeva, tanto lo sapeva bene. Li volevano morti perchè appartenevano alle Periferie, non perchè avessero fatto del male a qualcuno. Li avrebbero voluti morti anche se avessero chiesto dell'acqua alla loro porta.
Il cielo stellato avrebbe dovuto infonderle calma. Lo fissava ad occhi spalancati rannicchiata sul letto, stringendo le ginocchia con le braccia e tenendo una sigaretta tra le dita. Il puntino rosso del mozzicone ardente era l'unica luce che voleva tener accesa per evitare di disturbare, anche in misura minima, la bellezza sfavillante delle stelle che si accendevano sulla sua testa, lontane anni luce attraverso quella finestra.
Li avrebbero voluti morti anche se avessero chiesto di osservar il cielo notturno insieme a loro.
Aspirò e buttò giù. Era già la quinta volta. Fumava nervosamente, a grosse e pesanti boccate che espelleva subito senza godersi il sapore. Era già la seconda in mezz'ora, e ben presto questa avrebbe seguito la prima al di là del davanzale dopo un breve volo. Quel fumo che buttava era rabbioso e stanco come lei, che non riusciva a capacitarsi di quella strana sensazione che le bloccava il corpo. Cos'era, stanchezza arretrata? Paura di Snakes? O forse delusione, tristezza seguita all'improvviso cambiamento di zio Kreon? Non lo sapeva. Sapeva soltanto di avere un cupo caleidoscopio di emozioni dentro la mentre e dentro la gola che le creavano un pesante groviglio impossibile da deglutire, come una palla di peli nella gola di un gatto.
D'altronde, faceva parte dell'Acropoli ed era per giunta la Quarta Principessa Ereditaria. Che male le avrebbe mai fatto Snakes? Non mirava certo a detronizzare lei, o peggio a detronizzare zio Kreon. Snakes non rappresentava un problema per quella principessa ritta e severa, con la pelle olivastra lucida come non mai e i capelli neri raccolti per bene, fasciata in abiti costosi. Snakes venerava la Quarta Principessa Ereditaria, come tutti del resto, e lei avrebbe dovuto ascoltare le proposte di quel futuro Gran Consigliere dalla faccia bonaria. Ma la Quarta Principessa Ereditaria era ormai solo una facciata già da giorni, già da settimane, una maschera rarefatta di cui ammirava la straordinaria resistenza ma che le stava ormai stretta. Antigone, Antigone fuggitiva, la vera Antigone, odiava Snakes con tutta la forza con cui fosse quasi accettabile poter odiare un essere umano. E Antigone non poteva tollerare che la gente abboccasse alle sue parole come pesci ad un'esca succulenta, figuriamoci zio Kreon. Non poteva perdere anche lei.
Quelle sigarette parevano sprigionare solo il cattivo sapore della carta bruciata. La schiacciò con energia sulla superficie liscia del portacenere e la tirò oltre il davanzale. Si gettò di schiena sul materasso e sospirò gravemente. Nulla, non riusciva a decifrare nulla di ciò che stesse accadendo dentro la sua testa. Ciò che voleva era solo piangere, piangere sommessamente, a singhiozzi, oppure urlando per svegliare tutti. Per svegliare zio Kreon e dirgli di cambiare rotta.
Quella mattina era quasi eccitato di vederli appesi, felice come un bambino che va alla sua prima festa. Aveva messo una camicia nuova e un paio di calzoni rossi, profumati di ammorbidente e sapone alla magnolia, e aveva appuntato al colletto la spilla con l'edelweiss, che quella mattina pareva mandare riflessi sanguigni alla luce del sole. Quasi canticchiava e saltellava sulle punte, come se non stesse nella pelle di assistere all'impiccagione. Aveva persino arruffato i capelli a lei, Ismene ed Emon come se ciascuno di loro avesse ancora sei anni, sorridendo come un ragazzino, con la faccia arrossata e gli occhi luminosi. Occhi che mandavano lampi cupi e rabbiosi, opachi, come se ogni traccia di benevolenza fosse stata cancellata dal suo sguardo, come se qualcuno gli avesse fatto il lavaggio del cervello.
Ripensò a quella notte, quando aveva beccato Snakes al bordello. Ricordava il suo sorriso beffardo, il suo sguardo soddisfatto e le sue mani che si sfregavano per l'impazienza. Anche se avesse confessato di esser stata alle Periferie e di aver visto Snakes entrare in un bordello, nessuno le avrebbe creduto e anzi avrebbe messo nei guai l'intero commando. Doveva tacere, almeno per quel momento, n giorno la verità sarebbe venuta a galla. O almeno così sperava.
Non li ricordava così pecoroni, quelli dell'Acropoli. E per giunta in quella frazione di territorio di Thebe erano radunati dottori, avvocati, professionisti in genere. Le migliori scuole di Thebe erano ovviamente lì, così come le università, e i professori vi insegnavano qualsiasi materia in modo dettagliato e complesso, atto a formare ogni futura classe dirigente. La stessa Twiggiper veniva dalla Facoltà di Lettere e Studi Storici e Filosofici dell'università e aveva cercato di portare lo stesso clima universitario anche a palazzo. Era colta e intelligente, capace di fare un distinguo tra ciò che potesse esser considerato bene o male. Chissà cosa pensasse lei di Snakes, se avesse assistito al suo comizio e se si fosse infiammata come gli altri nel sentire le sue parole. Avrebbe voluto parlare con lei in quel momento, chiederle come definisse Snakes e se avesse voglia di ritirare quel libretto dell'Ordine Edelweiss, e poi lei le avrebbe forse spiegato ogni retroscena, avrebbero fatto una ricerca insieme e avrebbe compreso talmente bene il messaggio che il partito voleva trasmettere da esser capace di spiegarglielo senza giri di parole. E forse l'avrebbe tranquillizzata, o forse l'avrebbe aiutata a scavare negli angoli più bui di quello strambo movimento e a scoprirne tutti gli aspetti inquietanti.
E forse non sarebbe stato necessario scappare per l'ennesima volta.
Si rimise a sedere sul letto, con le ginocchia tra le braccia, e fece spallucce al silenzio. La Twiggiper stava sicuramente dormendo, a quell'ora, e ben presto forse sarebbe partita in vacanza alla colonia lunare. Anche se ne avesse parlato in termini negativi, non avrebbe scalfito l'opinione di zio Kreon o della città nemmeno un minimo. Era una privata cittadina senza poteri decisionali sulle opinioni del sovrano. Non sarebbe servito a nulla.
Scappare. Scappare di nuovo.
Quel fantasmagorico imperativo le rimbombava nella testa da ormai qualche giorno. Doveva raccogliere poche cose, percorrere mezza città, inoltrarsi nelle strade lerce delle Periferie e deludere zio Kreon per l'ennesima volta. E una volta tornata alle Periferie? Avrebbe forse raccontato per filo e per segno ciò che ormai il commando aveva già ascoltato alla radio? E senza un attacco diretto da parte di Snakes, avrebbe avuto senso giocare d'anticipo e passare automaticamente dalla parte del torto?
No, non era ancora giunto il momento, pensò.
Bastava altro. Il commando era formato da gente troppo furba per attaccare anticipatamente e direttamente, soprattutto con migliaia di zombie ipnotizzati dalle parole di Snakes. Bastava altro, una minima goccia.
Era solo questione di tempo.
Si sentì improvvisamente più serena. Si spogliò lentamente, deponendo uno dopo l'altro gli abiti smessi sulla sedia, e scivolò dentro il pigiama. Si struccò con cura, raccolse i capelli e si infilò sotto le lenzuola. Il viso di Iphigenia, splendente come ebano e illuminato di polvere dorata, brillò nel buio dei suoi occhi prima che il sonno e la stanchezza li serrassero per una notte intera.
 
- Ed ecco iniziare finalmente il primo capitolo della mia opera, dopo questa breve introduzione!-
La folla ascoltava in religioso silenzio, con gli occhietti luminosi e felici e il sorriso stampato sulla faccia, come bambini che ascoltano le storie curiose e divertenti raccontate dai nonni. Snakes alzava le grosse braccia verso il cielo come era ormai da prassi, con il suo libro aperto sul leggio.
-Ecco qui, "Riconoscere un acropolino da un parassita", ecco il primo capitolo- si schiarì la voce e abbassò gli occhi sul leggio - Il primo passo per una corretta attuazione della grande pulizia, unica soluzione per ripristinare e rafforzare il prestigio della città e della comunità, è un'azione che può sembrare banale ma che rappresenta il tassello di una corretta attuazione del nostro progetto: si tratta della distinzione tra acropolino e parassita. Ci si focalizzi anzitutto sui termini utilizzati: per acropolino s'intende un individuo, maschio o femmina, residente già dal nome in uno specifico luogo e appartenente ad una specifica comunità. Come appunto dice il termine, acropolino deriva da Acropoli, centro di residenza e sede del cuore dello stato stesso: l'acropolino è un individuo dunque ben distinto e tuttavia profondamente integrato nel territorio e nella sede di nascita, a cui è legato da rapporti non solo affettivi ma soprattutto politici e sociali. E' infatti colui che possiede diritti civili e politici per eccellenza, a prescindere dal sesso e a partire dalla maggiore età. Questo ubi consistam gli fornisce, come viene accennato, un sostrato politico già al momento della nascita, che gli consente dunque, automaticamente, di entrare a far parte della comunità con tutti i diritti e i doveri, ma anche i vantaggi, che comporta l'essere acropolino. L'acropolino è l'uomo di questo terzo millennio relativamente appena cominciato e tuttavia già colmo di avvenimenti drammatici a cui egli ha saputo resistere validamente e onestamente, partecipando attivamente agli eventi storici che le circostanze hanno offerto. L'acropolino è un uomo completo, politicamente e socialmente attivo e soprattutto puro: puro anzitutto moralmente, perchè lo stato in cui egli è inserito gli garantisce quei valori e quei modelli che egli coltiva nel corso della propria vita; puro fisicamente, perchè lo stato gli garantisce ogni cura e attenzione fin dal momento del concepimento; e infine, ultimo ma non per importanza, puro geneticamente: l'Acropoli è uno spazio incontaminato e asettico da ciò che l'uomo aborrisce da secoli e che infetta l'essere umano dalla sua comparsa, e motivi della sua purezza sono il suo coraggio e la sua moralità. Dunque, tutto si collega al suo status civile e politico.
Passiamo ora alla definizione di parassita: il parassita è, come vocabolario e scienza affermano, un organismo che infesta un altro organismo per sopravvivere, spesso avvelenando l'ospite e conducendolo alla morte. In questo libello, definiamo parassita l'individuo che, come da definizione appunto, viene sostenuto dallo stato senza effettivamente versare un contributo ad esso e pretendendo anzi di continuare a condurre una vita sterile in questo modo. Il parassita si fa riconoscere bene ogni giorno: è colui che, privo di qualsiasi istruzione e/o di bene(almeno apparentemente, pretende di vivere alle spalle dello stato senza versare un contributo in denaro o in effettiva partecipazione alla vita di questo. Il parassita si nasconde in luoghi sporchi ad esso quasi adibiti, tale è il caso delle Periferie, e si offre all'Acropoli per mansioni di poco conto che a causa della propria rozzezza si ritrova unicamente a compiere: non a caso sono sempre sguatteri o lavapiatti senza titolo di studio, come se pretendessero di trovare un lavoro servito su un piatto d'argento senza nemmeno saper leggere, scrivere o conoscere le operazioni matematiche basilari! Inutile ricordare che è tutto il contrario dell'acropolino: impuro fisicamente perchè incapace di pagarsi le spese sanitarie, impuro moralmente perchè lontano da quell'ideale di civiltà che invece l'acropolino persegue e impuro geneticamente perchè privo di quelle caratteristiche che rendono l'acropolino tale.Tuttavia, lo stato si preoccupa comunque di questi figli imperfetti, fornendo loro un'abitazione che corrisponda alle loro esigenze e alle loro caratteristiche. E loro, impunemente, le rifiutano!-
Mugolii di disgusto si alzarono dalla folla. Zio Kreon si morse il labbro e strinse i pugni.
- Ma adesso ci si focalizzi sull'aspetto del parassita - quello dell'acropolino verrà ripreso subito dopo perchè sicuramente noto. Il parassita è un essere sporco e cencioso, dedito alle azioni illegali più disparate e odiose: spaccio di droga, furti e sfruttamento della prostituzione!-
Un rombo sordo si alzò sopra le loro teste insieme ad un forte vento, tanto che la voce di Snakes ne venne totalmente messa a tacere. Alzarono il collo e guardarono verso il cielo: da un grosso dirigibile verde acido, con delle ronzanti pale bianche, qualcuno si mise a gettare a grandi manciate, su tutta la Grande Corte, dei volantini bianchi che iniziarono a svolazzare placidi sulle teste di ognuno. Il dirigibile fece più di un giro intorno alla Grande Corte, ricoprendola di quei grossi fiocchi di neve cartacei, poi si spostò leggermente sulla terrazza e colpì con quella tempesta di volantini anche le loro teste. Antigone afferrò un volantino e lo portò davanti agli occhi: vi era la foto in bianco e nero di uno Snakes visibilmente ubriaco che stringeva il polso esile di una ragazzina dai capelli scuri, vestita in maniera succinta, con lo sguardo inespressivo e serio. Sotto, una scritta: VOLETE QUEST'UOMO DAVVERO?
- Dannazione! Chi ha stampato una simile robaccia? Si faccia avanti, se è un vero uomo! Cittadini cari, vostra Maestà, guardate quanto odio sia annida nei miei confronti!- ragliò Snakes.
Il brusio che proveniva dalla Grande Corte, fatto di urla e di mormorii di cupo disprezzo per ciò che era raffigurato sul volantino, si unì al pulsare del proprio cuore. Quel dirigibile anonimo, verde acido e non bianco splendente e rosso come quelli dell'Acropoli, le faceva sperare e immaginare solo una cosa.
Emon ridacchiò e Ismene sbiancò; Zio Kreon lanciò un'ultima occhiata al volantino e lo strappò in mille pezzettini.
-Dannati parassiti .. - mugolò -Ragazzi, non date ascolto a questi bugiardi. Conoscete Snakes, sapete che non è così-
Antigone guardò in alto. Il dirigibile si era fermato proprio sopra la terrazza, alto tanto da coprire il sole. Stette immobile per qualche secondo, poi iniziò ad allontanarsi a tutto gas verso ovest. Ridacchiò e si portò le mani alla bocca per soffocare quella risata. Era felice: se solo le fosse stato permesso, avrebbe urlato all'intera Acropoli di come quella foto fosse vera e di come avesse visto Snakes in quegli atteggiamenti molte sere prima. Al commando non si erano affatto scordati di lei ed erano venuti a trovarla di sorpresa. Adesso era il suo turno.

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Capitolo 26
*** 25 ***


 
25


Lo bloccavano mentre si avvicinava alla fontanella della Piazzuola d'atterraggio, lo facevano inginocchiare con la forza che quattro persone hanno contro una inerme, lo ammanettavano per bene e lo facevano alzare a calci nel sedere: l'ologramma proiettato dalla videoradio mandava le immagini nitide e chiare dei quattro poliziotti in uniforme antisommossa e del barbone rachitico del Magnolia Park, colto a ridacchiare con uno dei volantini anonimi tra le mani.
- Dopo il disordine di venerdì scorso al comizio tenuto da Morrison Snakes- squittiva la vocetta della reporter- la polizia ha subito bloccato i possibili sovversivi. L'attacco era diretto e chiaro: screditare il lavoro e la missione del prossimo candidato al ruolo di Gran Consigliere. La polizia, su ordine di Sua Maestà stessa, ha già arrestato da venerdì trenta possibili sovversivi e sono già iniziati gli interrogatori alla presenza del Sovrano, dell'Ordine Edelweiss e del suo maggiore rappresentante. Da qui è tutto, ti restituisco la linea-
Si passò a parlare di una fiera di libri che si stava tenendo a Chalchida ed Emon spense la radio, sbuffando. Il Gran Consigliere si abbandonò sulla sua poltrona, sospirando.
-Tutto questo è ..-  mugolò con voce stanca.
-Ridicolo- concluse Antigone -Snakes sta cavalcando le paure della gente e sta facendo incarcerare dei poveracci! Gran Consigliere, non c'è qualcosa che potrebbe fare per convincere zio Kreon a mollare il progetto di Ordine Edelweiss?-
Antigone ribolliva dalla rabbia da ormai settimane, eppure qualcosa la tratteneva dallo scoppiare e dall'assalire quel maiale a due zampe, e dunque fuggire alle Periferie. Pensava costantemente a Polinice e a Rebecca con tristezza e delusione, poi a Rubra Sphinx e a Iphigenia con una punta di terrore, poi cercava di scacciare i cattivi pensieri valutando la loro abilità e i loro possibili piani già in atto. L'immagine di quell'uomo dai vestiti cenciosi, con la crespa barba giallastra e lo sguardo stanco, circondato da grossi poliziotti armati le faceva venire una strana rabbia nauseabonda che, in un altro contesto, l'avrebbe spinta a lanciarsi contro di loro e a implorarli di lasciarlo andare. Perchè Antigone, Principessa Ereditaria, aveva deciso così.
Ma lei era solo un piccolo tassello prima del grande pezzo centrale, della grande mente di zio Kreon che pareva essersi persa nella nebbia dolciastra e allucinogena delle parole di Snakes, così come aveva fatto ormai quella di Ismene. Era uno dei suoi tanti pensieri fissi, quelli che la spingevano all'insonnia: Ismene, Ismene con quegli occhi buoni e l'animo gentile, si stava facendo convincere da quel mentecatto pel di carota di Achilleus, e per assecondarlo l'avrebbe seguito pure in capo al mondo, tanto da accettare di essere raffigurata nell'ultimo volantino propagandistico insieme a lui. GIOVENTU' EDELWEISS, IL FUTURO BRILLA DI VERDE SPERANZA: Ismene e Achilleus, vestiti con abiti color grigio topo abbottonati da spille smaltate a forma di edelweiss, avevano un'espressione fiera e particolarmente seria, fermi nell'atto di stringersi le mani, con i visi pallidi e ben lucidi e gli occhi chiari più splendenti che mai; sullo sfondo, un leggero schizzo di un'argentea Thebe, con la torre dello SkyNeedle e le mura del palazzo ben in vista. Le aveva chiesto se fosse venuta bene e lei le aveva risposto di sì, poi l'aveva vista sparire insieme ad Achilleus.
- La situazione è grave, Gran Consigliere- disse Emon arrotolando una sigaretta tra le dita -Lei ha l'esperienza necessaria per convincere lo zio. Quell'uomo dà sui nervi, diamine, e vuole prendersi il suo posto!-
-Vi ringrazio, Illustrissime Altezze Reali- disse con un sospiro pesante e gli occhi bassi - Ma purtroppo Sua Maestà vostro zio è .. E' testardo. No, non fraintendete Eccellenze, non intendo prenderlo in giro, voglio solo ricordarvi la sua vera natura, ormai lo conosco bene e non ha senso .. Non ha senso insistere oltre, ecco- concluse quella frase con una forte punta di amarezza che le spezzò quasi il cuore. Quegli occhi anziani si incrociarono con i suoi ed ella provò tanta pena e tenerezza nell'osservarlo.
-Emon ha ragione. Non può farsi strappare il titolo da una persona del genere. Ha visto il volantino, no?- si rese subito conto di quanto fosse azzardata quella domanda. Non sarebbe stato normale credere ad un volantino anonimo, sicuramente stampato da mano sovversive.
Il Gran Consigliere ridacchiò e le lanciò uno sguardo paterno.
-Bugie, Principessa cara. Apprezzo il vostro sostegno, certamente, ma quello era solo un volantino anonimo con un bel fotomontaggio stampato sopra. Quell'uomo non convince nemmeno me e, come sapete, io cerco di appoggiare sempre sua Maestà. Questa volta però no ..-
-Non avete provato a parlare a Kreon?- Emon aspirò e poi buttò fuori una piccola nuvola di fumo.
-Ci provo ogni singola volta in cui partecipa alle riunioni di Ordine Edelweiss .. Mi ride in faccia, Altezze Reali! Io ormai ci ho rinunciato, sono solo .. Un povero vecchio che ormai deve iniziare a far fagotto perchè le sue idee non contano più. Snakes è più giovane di sua Maestà, figuriamoci di me. Questa è una nazione in grande crescita demografica, ci sono tantissimi giovani e .. Bisogna adeguarsi-
Parve quasi che singhiozzasse. Lo osservò mentre sospirava, si passava una mano sul naso e poi afferrava il quotidiano e lo sfogliava annoiato. Emon lanciò prima un'occhiata a lui, poi rivolse il suo sguardo verso di lei.
-E se provassimo noi a parlare a Kreon?-
-No!- sbottò il Gran Consigliere, alzando di colpo il capo -Non parlategli di questo, per favore! Non avrebbe senso, non vi starebbe a sentire e ribatterebbe ogni singolo punto .. E potrebbe arrivare a convincervi a partecipare ai progetti di Ordine Edelweiss!-
-Potrei parlargli io! - gli lanciò un sorriso con l'intenzione di rincuorarlo -Posso provarci!-
-Scherzi, Antigone?- Emon le passò la sigaretta -Ismene si è subito convinta a partecipare a Gioventù Edelweiss. Tu andresti contro e potrebbe sospettare cose strane .. Soprattutto dopo la storia di Eteocle e Polinice-
Le lanciò un'occhiata triste, riprese la sigaretta e la spense dentro un posacenere. Il Gran Consigliere assunse la stessa espressione.
-Sua Eccellenza ha ragione, mia cara Principessa. Dobbiamo tollerare quell'uomo, anche se non ci piace. Tutta Thebe lo adora e pende dalle sue labbra. Andare contro di lui equivarrebbe a perdere consensi importanti e a fare una brutta figura..-
-Pende dalle sue labbra perchè è furbo come una volpe e sa far leva sulle paure della gente. Sta facendo il lavaggio del cervello all'intera nazione, Gran Consigliere! Nessuno se ne accorge!-
Il Gran Consigliere strinse i pugni. Dalla tristezza passò ad un astio che non aveva mai visto dipinto sul suo volto.
-Avete ragione, Eccellenza, avete ragione. Ma non abbiamo le prove per dimostrarlo e mai le avremo. Dobbiamo provare a trovare un lato positivo nella faccenda: Thebe sarà più pulita e forse più sicura, e la casata Labdakou- Spartes ha un appoggio garantito per le prossime generazioni-
-Anche se questo appoggio è macchiato del sangue di poveracci che si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato?-
Calò il silenzio per i successivi cinque minuti, finchè il suo palmare di illuminò di colpo. Un messaggio di zio Kreon li invitava a scendere al Livello -1
 
Il Livello -1 era quello che, nei vecchi libri di favole scritti almeno cinquant'anni prima, veniva chiamato "segrete del palazzo reale". Per accedervi, almeno per quanto riguardava la famiglia reale, bisognava recarsi alla Sala delle Udienze, trovare la parete con piccolo schermo su e digitare un breve codice che, fino a quel momento, conosceva solo il Gran Consigliere. I prigionieri venivano condotti da un sottopassaggio nascosto da qualche parte nei pressi della Grande Corte.
- Ormai siete grandi, Eccellenze- disse davanti a loro non appena Ismene fu presente nella stanza -E' necessario che vediate certe cose anche voi-
Digitò il codice davanti a tutti e la parete si aprì a scatto, mostrando la penombra grigiastra di un ambiente angusto nel quale dominava una piccola scala di metallo, illuminata da neon lampeggianti e polverosi. Il Gran Consigliere fu il primo ad inoltrarsi e fece cenno a tutti di scendere. La parete si chiuse con un tonfo sordo e iniziarono a inoltrarsi per la scala, tenendosi fermamente al corrimano e scendendo fino ad un pianerottolo metallico, illuminato da un cartello al neon con scritto Livello -1. Il Gran Consigliere premette un pulsante vicino alla massiccia porta biancastra e  questa si aprì di scatto, con un suono metallico. Il primo ambiente che si presentò ai loro occhi fu una stanzetta dalle pareti di lucido metallo, con una plafoniera al neon sul soffitto e una robusta porta metallica con oblò e grossa maniglia rossa. Un tempo era il piccolo ufficio da carceriere in cui Snakes passava i pomeriggi prima di creare Ordine Edelweiss, adesso occupata da un altro omaccione dai capelli biondi, il viso glabro e grossi occhi azzurri, che sedeva con le gambe sulla piccola scrivania di plastica grigia e con tazza di caffè alla mano. Nel vederli l'omone biondo subito si mise composto e si alzò di scatto, facendo un breve inchino.
-Eccellenze, Gran Consigliere- disse l'omone biondo con la sua voce cupa, ritto come un fuso.
-Buongiorno. Possiamo entrare?-
L'omone non disse una parola, tirò fuori dalla tasca una piccola scheda bluastra e la passò nella fessura di un aggeggio vicino alla porta. L'aggeggio lanciò una lucetta verde e l'omone spinse la grossa maniglia rossa della porta, aprendola.
-Grazie, una buona giornata. Eccellenze?-
Seguirono insieme il Gran Consigliere come dei bambini dietro all'insegnante durante una gita scolastica. Si inoltrarono lungo uno stretto corridoio illuminato da neon azzurrini che pendevano dai soffitti, disseminato da celle vuote e chiuse a chiave, rimbombante di urla e di comandi a voce alta che le fecero tremare il cuore. Le voci si facevano sempre più forti man mano che essi procedevano fino ad una grossa porta bianca dalle maniglie nere, con una stretta fessura nella parte superiore.
-Sono qui dentro- mugolò una voce femminile rauca alla loro sinistra, proveniente dal basso.
La cella accanto alla porta era occupata da due coppie di giovani adulti in abiti sgualciti, occhi neri e lividi su tutto il corpo. Una delle donne stava appoggiata alla parete, gli occhi inespressivi e le braccia che stringevano le ginocchia, uno degli uomini rannicchiato in un angolo, con gli occhi vuoti che fissavano davanti a sè e le mani lerce in bocca, che appena si accorse di essere guardato si coprì immediatamente il volto, mentre la seconda coppia era intrecciata in un complicato abbraccio, quasi si difendessero a vicenda da un pericolo imminente. Ringraziare la donna sarebbe stato come prenderla in giro; quegli occhi rabbiosi e cisposi ma tristi la seguirono finchè non attraversò la soglia ed entrò nella stanza degli interrogatori. Questa era uno stanzone ampio dalle pareti lucide e bianche, luminose, tanto che bastava una sola, piccola lampadina fissata alla parete ad illuminarlo, zeppo di strani macchinari pieni di fili rossi e blu e collegato ad altri ambienti per mezzo di due porte sulle pareti destra e sinistra. Intorno ad un tavolo metallico erano seduti zio Kreon, Snakes e Achilleus, mentre due robuste guardie tenevano fermo il barbone del servizio alla videoradio e un altro ometto più giovane. Se il barbone più anziano aveva gli occhi impauriti e si lasciava tenere docilmente dalle guardie, il più giovane si divincolava e poggiava i gomiti sulla scrivania, poi fissava Snakes in cagnesco.
Zio Kreon fu il primo ad accorgersi del loro ingresso. La sua espressione severa si rilassò e si tramutò in un sorriso accomodante.
-Mi mancavate, ragazzi. Oh, Gran Consigliere- zio Kreon lanciò uno sguardo a Snakes -Benvenuto. Abbiamo bisogno di una mano, come vedete. Gradiremmo che voi riusciste a far sputare il rospo a questi sacchi di immondizia qui davanti-
-Io e mio padre non abbiamo fatto niente!- il ragazzo si alzò in piedi, sbattendo con violenza le mani sul tavolo e sbraitando in faccia ad Achilleus, zio Kreon e Snakes, che immediatamente gli mollò uno schiaffo e fece cenno alle guardie di immobilizzarlo. Poi uno di loro tirò fuori un teaser e glielo puntò alla spalla, facendolo sussultare per dieci lunghi secondi.
- Noah!- mugolò dolorante l'uomo anziano al suo fianco, giungendo le mani -Vi prego, Vostra Maestà, giuro sulla mia testa. Perdonate l'impulsività di mio figlio, ma giuro su tutta la mia vita che siamo innocenti. Ve ne prego!-
Snakes guardava la scena con le braccia incrociate e un sorriso beffardo, scrutando attentamente le espressioni del ragazzo e dell'uomo, poi sussurrò qualcosa nell'orecchio di zio Kreon e poi in quello di Achilleus.
-Amico mio- biascicò zio Kreon con un tono dolciastro che la fece disgustare e spaventare -I nostri poliziotti non sono mica stupidi nè sono le bestie violente che voi amate tanto descrivere. Ci sarà un motivo se vi avranno preso, no?-
-Mio padre stava riposando accanto alla statua di Giocasta- disse Noah con le mani tra i capelli -Non faceva nulla di male. Io ero andato a elemosinare. Prendete me, se proprio dovete-
Zio Kreon incrociò lo sguardo di Noah per un breve secondo, poi questo si spostò verso di lei facendola rabbrividire: erano gli stessi occhi disperati e sporchi della ragazza del bordello, del piccolo Astyanax, di qualsiasi individuo delle Periferie. Per un attimo vide una strana luce di pietà negli occhi di zio Kreon, come se qualcuno avesse ascoltato la sua preghiera di fargli cambiare immediatamente idea.
-Però il tuo amato paparino ha commesso un sacrilegio, mio giovane eroe- sbottò Snakes improvvisamente, seguito da Achilleus che annuiva con decisione -Hai capito o dobbiamo farti un disegno?-
La luce negli occhi di zio Kreon s'era improvvisamente spenta.
Snakes si alzò dal tavolo, tirò fuori sigaro e accendino e sbuffò un denso, puzzolente getto di fumo.
-Dobbiamo arrivare a circondare le statue di filo spinato elettrizzato per impedirvi di dormirci accanto, eh? La statua della nostra defunta regina madre non è il vostro fottuto letto!-
Zio Kreon pareva essere in balia di forze esterne. Non proferiva parola ma si limitava ad annuire.
-Siete d'accordo, Altezze care?- la voce serpentina e lamentosa di Snakes era rivolta a tutti loro. Il Gran Consigliere era invisibile ai suoi tondi, acquosi occhi. Antigone rimase imbambolata, come se le parole le fossero morte prima di affacciarsi dalle sue labbra. Emon se ne accorse e da dietro le strinse le mani, quasi a svegliarla.
-La statua di Giocasta non sarà pure un giaciglio, ma addirittura condannarli come sacrileghi .. Non è giusto, Antigone?- chiese timidamente Emon.
Non utilizzare il pretesto di mia madre per dare aria alle tue stronzate, Morrison Snakes, lurido puttaniere e bugiardo. Non ti azzardare a ripetere più il nome di mia madre per condannare questi poveracci se non vuoi trovarti con la testa aperta in due, bastardo.
-Eh? Sì, Emon .. Concordo con ciò che ha detto Emon-
Achilleus si sporse, puntando gli occhi su Ismene e sorridendole.
-E voi, Principessa Ismene?- quelle parole sembravano cantate, tanto furono dette melodiosamente. Ismene avvampò tutta e tossicchiò. Antigone detestava quel suo atteggiamento da ormai un po': era segno che Ismene avesse cambiato idea dopo un intervento più o meno indiretto di Achilleus. Era un atteggiamento che aveva avuto modo di verificare prima della comparsa dell'Ordine Edelweiss, che a sua volta non aveva fatto altro che renderlo ancora più evidente, come se il sorriso smagliante di Achilleus fosse capace di cancellare qualsiasi sua capacità critica. In quei momenti la vera Ismene spariva dalla faccia della terra, sostituita da un ologramma di ragazzina innamorata pronta a cedere ad ogni parola del suo amante, più o meno ortodossa che fosse.
-Io? Io sono d'accordo con Antigone ed Emon, da una parte- miracolo? -Ma devo ammettere che i nostri poliziotti sono dei professionisti. Non vi avrebbero toccati se non aveste fatto nulla, no?-
Le loro opinioni non sarebbero state considerate.
Avrebbe voluto strozzarla.
Zio Kreon la guardò sorridendo, quasi fiero di ciò che Ismene aveva detto. Achilleus se la mangiava con gli occhi e Snakes ridacchiava e sbuffava fumo dal suo sigaro puzzolente.
- La gioventù ha espresso il suo giudizio- disse Snakes alle orecchie di zio Kreon, poi si voltò verso Noah e il padre -Siamo democratici con voi, da umano a umano. E la maggioranza si è espressa nel considerarvi criminali. Democratico, no?-
I poliziotti li fecero alzare con forza e puntarono loro la pistola alla nuca. Poi li spinsero verso un lettino da sala operatoria, con due grossi fari puntati verso la superficie e un piccolo tavolino accanto. Il primo a salire fu Noah, venne fatto calmare a furia di schiaffi e poi gli furono bloccati i polsi e le caviglie.
Il Gran Consigliere lanciò loro un'occhiata spaventata, poi si avvicinò ad Antigone.
-Vi prego, Altezze care, non vorrete certo restare ..-
Ismene annuì.
-Non intendo assistere a quella tortura- poi lanciò loro uno sguardo ipocritamente dispiaciuto che quasi la fece infuriare -Santo cielo, però mi fanno una gran pena-
Sapeva da sempre dell'utilizzo della tortura nella loro monarchia. Anche papà l'aveva utilizzata ai tempi della Congiura Alata per smascherare chi avesse attentato alla sua vita. E ora perchè l'impressionava tanto, tanto da volere assistere e urlare insieme a Noah, e poi a suo padre, e poi curare le loro ferite? Forse perchè erano colpevoli, rei confessi e macchiatisi del crimine di esser nati alle Periferie?
Il Gran Consigliere li spinse ad allontanarsi e li invitò a non guardare. Una guardia intanto preparava uno strano intruglio verdastro, lo travasava in una siringa e la pressava sul braccio di Noah.
-Cosa gli stanno facendo?-
-Siero della verità, Altezza- disse spingendoli dolcemente, come bambini, verso l'entrata.  Poi aprì la porta, fece un piccolo inchino e li spinse fuori.
-E come funziona?-
Un urlo lancinante si levò da dietro la porta, seguito da altre urla lanciate come proiettili fischianti nell'aria.
-Non so dirvi come agisca di preciso. So soltanto che blocca muscoli e articolazioni in crampi dolorosissimi per spingere la vittima a parlare. Se parla, ottiene l'antidoto e addio crampi-
Lasciò che il Gran Consigliere e gli altri si allontanassero, poi si bloccò davanti la porta e si spinse in alto con i piedi per spiare dalla fessura. Attraverso la fessura riuscì a inquadrare la schiena vestita di gessato di zio Kreon e di Snakes e la secca schiena del vecchio coperta da una camicia bucherellata. Poi vide vecchio accasciarsi a terra e Ismene la tirò per un braccio.
 
Aveva mangiato poco ed Emon aveva divorato il resto del suo rollon di carne e patate. Quelle urla avevano sovrastato il lieve stridio delle posate sulla porcellana, il tintinnio dei bicchieri e delle bottiglie e le allegre chiacchiere da cena in famiglia, e forse l'avrebbero anche accompagnata a letto. Zio Kreon, Ismene ed Emon invece parlavano  con leggerezza del festival di letteratura di Chalchida.
-Andremo, zio?- aveva chiesto Ismene.
-Io vorrei, in effetti! Emon, Antigone, non siete d'accordo?-
Emon aveva annuito allegramente e le aveva stretto la mano, poi l'aveva guardata con intensità. Era l'unico che avesse capito il suo stato d'animo, quella sera.
-Cosa c'è, non hai fame?- aveva ridacchiato zio Kreon. Puzzava ancora di metallo e di alcol denaturato.
-No, scusa. Sono un po' stanca-
-Quindi, vorresti andare a Chalchida per il festival?-
La letteratura non era stata mai la sua grande passione e lo ammetteva con un certo imbarazzo. Piuttosto non aveva mai trovato un libro interessante tra tutti quelli che la Twiggyper aveva proposto durante le sue lezioni, e quindi l'era scocciato anche recarsi alla Biblioteca per consultare gli scaffali e perdere tempo tra vecchi volumi polverosi. Eppure aveva un vago ricordo di un libro interessante, propostole da Polinice molto prima che morissero mamma e papà: parlava di una ragazza poco più piccola di lei che era vissuta nascosta in una soffitta per alcuni mesi, prima che uno squadrone di soldati fedeli al governo di allora arrestassero lei e la sua famiglia e li uccidessero. Era un libro di circa ottant'anni fa, ambientato ai tempi di una guerra di cui nessuno parlava più e che aveva sentito mormorare solo a zio Kreon quando parlava della sua vita da adolescente prima della Grande Dittatura e dell'esaurimento delle risorse del pianeta. Aveva chiesto a Polinice perchè la ragazzina e la sua famiglia fossero stati sterminati e Polinice aveva fatto una brutta faccia.
-Perchè erano diversi, a modo loro. In realtà no, non lo erano affatto, ma secondo il loro governo erano diversi e quindi da perseguitare-
-Un po' come se noi, di punto in bianco, ce la prendessimo con le Periferie e iniziassimo ad ucciderli?-
-Esattamente, hai capito-
La ragazzina del libro era di una tenerezza unica, che l'aveva fatta sorridere tra le lacrime. La sua innocenza le ricordava quella di Eliza Snakes, anche se una ragazzina come Eliza Snakes non sarebbe stata mai perseguitata perchè figlia di un uomo vicino al governo. Chissà cosa avrebbe pensato Snakes se avesse letto quel libro, ma dubitò del fatto che un uomo del genere l'avesse letto. A lui piaceva frequentare i bordelli con ragazzine, non leggere le loro storie.
-E' una storia vera, la sua?-
-Sì, Antigone. E' successo molti anni fa ormai, ma è successo-
Chissà dov'era la ragazzina dell'unico libro che avesse mai apprezzato in vita propria, si chiedeva spesso in quei giorni, e chissà cosa avrebbe pensato del fatto che molti altri stessero soffrendo ciò che aveva fatto soffrire anche lei e la sua famiglia. Avrebbe provato rabbia, tristezza o sarebbe stata solo delusa del fatto che la gente non avesse ancora imparato un tubo dalla sua storia?
-Troveremo libri .. vecchi?- chiese sorseggiando dal proprio bicchiere.
-Libri vecchi?- zio Kreon aveva messo in bocca un boccone e lo aveva masticato - Non ricordo di averne parlato alla riunione. Cosa intendi per vecchi? -
-Vecchi come il ..- aveva i nomi del romanzo e della ragazzina sulla punta della lingua. Il libro aveva un nome breve ma conciso, pregnante di significato e di dolcezza insieme, franto come un termine tecnico e tiepido come le memorie di una ragazzina - Come, ecco! Come il Diario!-
-Diario? Cosa intendi?-
Il nome della ragazzina le era misteriosamente morto sulla lingua. Non ricorda nè le sillabe, nè la dolcezza dei loro suoni, nè la corretta pronuncia che aveva in Indoeuropeo Medio.
-Diamine, ho scordato il nome dell'autrice. Comunque si chiama così, me l'aveva fatto leggere Polinice tempo fa ..-
Zio Kreon alzò il capo dal piatto e sospirò, lanciandole uno sguardo deluso.
-Se te l'ha fatto leggere lui, allora hai ingerito roba sovversiva. Diamine, certo che bisogna essere subdoli per far leggere roba del genere ad una ragazzina-
- Qualcuno dirà "oh, ma ha ormai sedici anni!" .. Non capisce le preoccupazioni di un genitore alle prese con una figlia femmina !-
Aveva pronunciato quella parola con quello stesso tono serpentino. Era come se gli avesse venduto l'anima e, con essa, addirittura la voce.
-No zio, me l'ha fatto leggere prima che mamma e papà morissero. Non c'entra nulla con i sovversivi-
Ismene le lanciò uno sguardo preoccupato, come se avesse indovinato il suo segreto.
-Goonie, idee malsane del genere covano come virus- sbottò Ismene dopo aver sorseggiato dal suo bicchiere- Non sbucano dal nulla come funghi-
E allora come te lo spieghi Snakes?
-Ieri è stato un bell'incontro. Il gruppo Gioventù Edelweiss è fenomenale, tu ed Emon dovreste partecipare almeno una volta, per convincervi. E poi ..- Ismene prese tra le dita la spilletta edelweiss -Guardate che bella! Oro e smalto!-
Una spilletta del genere per ficcargliela in quella bocca a calderone che Snakes si ritrova.
-Tua sorella ha ragione, Goonie. Emon, segui anche tu il consiglio di tua cugina-
Emon girò gli occhi in una smorfia stizzita, poi lanciò uno sguardo nervoso a zio Kreon. Antigone sapeva ormai cosa volesse dire quello sguardo: " se solo fosse mia cugina, Kreon". Ed Emon sapeva che Antigone avesse già compreso tutto. C'erano sicuramente i pro e i contro in quell'atteggiamento, pensò osservando Emon sbocconcellare nervosamente il suo panino: potevano stare insieme senza che qualcuno gridasse all'incesto e, se avessero avuto dei figli, c'era una percentuale bassissima, se non assente, di riscontrare malattie nei bambini. Spesso si chiedeva come sarebbe venuto fuori il loro primo figlio e chiedeva la stessa cosa ad Emon, ovviamente scherzando, eppure era come se lui cercasse di evitare sempre l'argomento. E di mezzo c'era più della sua giovane età.
Rimase in silenzio. Non voleva litigare con zio Kreon, non sarebbe cambiato nulla. Si limitò a stringere la mano di Emon sotto il tavolo.
- Quante polemiche per un vecchio libro polveroso- sbottò Ismene dopo aver masticato l'ultimo boccone di rollon - Zio, più o meno sai che roba ci sarà?-
Zio Kreon si asciugò i lati della bocca con un fazzoletto e tirò fuori una sigaretta.
- Alla riunione con l'Ordine Edelweiss abbiamo redatto una piccola scaletta. Ci saranno scrittori emergenti come Homer Eptapolis e Hesiod Cumaios!-
Ad Emon brillarono gli occhi.
-Homer Eptapolis? Diamine, Antigone, dobbiamo esserci! Presenterà Iliad 1945! Avanti Goonie, togli quel muso lungo!-
Zio Kreon ridacchiò e sbuffò.
-No, figliolo, Eptapolis non presenterà Iliad 1945. L'Ordine Edelweiss l'ha definito offensivo-
Ismene annuì con foga.
-E' vero!- proseguì lei -Il personaggio di Achil Schneider offende Achilleus. Abbiamo letto i passi insieme ed è .. Ridicolo, qualcosa di ridicolo. Ci siamo decisi di far entrare Eptapolis solo come ospite-
Emon e Antigone si guardarono stupiti.
-Offensivo?- sbottò lei -Ma se non è nemmeno ambientato ai giorni nostri! E' un comune romanzo storico ambientato più di novant'anni fa!-
- La nostra è stata una decisione democratica- proferì Ismene con un tono che la fece rabbrividire - Lo zio può spiegartelo meglio-
-Tua sorella ha ragione. A te piacerebbe se qualcuno facesse una tua caricatura grottesca in un romanzo?-
-Non mi stupirei più di tanto se avessi il carbone bagnato-
Boom. L'aveva sganciata per bene.
-Carbone bagnato?- zio Kreon le puntò lo sguardo addosso. Quegli occhi bruciavano come fuoco, come se l'avesse offeso di persona -E per cosa dovremmo avere il carbone bagnato, eh, Antigone? Un nostro collaboratore e amico viene offeso da uno scrittore da quattro soldi e noi non dobbiamo muovere un dito?-
-Ci sarà stato un perchè, accidenti!-
-Sì che c'è, perchè Eptapolis è un fottuto parassita! Parassita come i suoi amichetti criminali delle Periferie! Fortunatamente ce li siamo tolti di mezzo tutti oggi, ecco, tutto il Livello -1 ripulito per bene!-
S'era alzata di colpo, a sangue freddo. Aveva guardato zio Kreon con la stessa espressività di una statua, a bocca aperta per il disgusto, poi si era allontanata lentamente dalla sedia ed era uscita dal salone da pranzo. La corsa fece rimbombare tutto il corridoio.
 
Era riuscita a trovare un altro paio di jeans, tre magliette stinte di ricambio, un secondo paio di vecchie scarpe da ginnastica e un altro foulard di colore scuro. La felpa nera, i vecchi jeans, il foulard nero e le sneakers della prima fuga erano stati ripuliti per bene e sarebbero ritornati di nuovo per il viaggio. Controllò il borsellino: dieci dracmes e cinque obolos, più che bene; il bagnoschiuma era stato ficcato in fondo al borsone insieme alla sua tovaglia e al pigiama. Decise di lasciare il palmare sul comodino: nessuno l'avrebbe rintracciata chiamandola o controllando i tabulati. Poi afferrò un foglio e impugnò una penna.
Cari zio Kreon, Ismene ed Emon
Esco di nuovo a fare un giro. Ho bisogno di star da sola, non me ne vogliate nè preoccupatevi per me. Starò bene, a diciotto anni so come cavarmela nel mondo. Non mandatemi a cercare per nessun motivo: più saprò che mi state sulle calcagna, più mi renderò invisibile a tutti. A volte questo palazzo puzza di polvere e aria viziata, ecco, vedetela così: Goonie è andata a fare quattro passi per respirare a pieni polmoni nel giardino sfavillante di Thebe. Ribadisco anche in quest'ultima riga di questo piccolo biglietto di arrivederci: starò bene, davvero. Sono molto stressata e la discussione di oggi è stata, per dire, la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Tornerò presto se non mi cercherete. A bientot.
Antigone
Andava bene, mossa furba che non aveva rielaborato prima.
Guardò l'orologio: erano le undici e mezza anche quella volta. Allacciò il foulard sulla bocca, tirò su il cappuccio e ritornò su quei passi: il balzo dal davanzale, la fuga a passi silenziosi verso la breccia ricoperta d'edera e la corsa a perdifiato tra le vie di quella città splendente di riflessi argentei e diamanti, con i manifesti dell'Ordine Edelweiss stampati e incorniciati ogni dieci metri, con Ismene e Achilleus che si stringevano le mani, e poi altri con un paio di grosse mani che sollevavano Thebe da un confuso mucchio di zombie marroncini sottostanti, con le aeromobili e le aerolimo che sfrecciavano con i loro motori a reazione dalle fiammelle bluastre, con le strade dalle luci sfavillanti che scemavano man mano che si avvicinava alla Piazzuola d'Atterraggio.
Era il momento di dirle l'ennesimo arrivederci, se proprio non voleva definirlo un addio.
 

 

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Capitolo 27
*** 26 ***


26


Quell'odore di fumo e di immondizia rancida la rinfrancò più del profumo del bagnoschiuma o dei biscotti con le gocce di cioccolato appena sfornati. Aveva corso a perdifiato dalla Piazzuola d'Atterraggio, senza fermarsi un secondo, scivolando accanto ai bambini che le correvano accanto e alle donne panciute, rosse come mele, che spazzavano i loro davanzali e le urlavano di non correre troppo veloce per paura di sollevare altra polvere e costringerle a riprendere scopa e paletta per l'ennesima volta; si era fermata a metà strada, sotto la tettoia malmessa di quella che pareva una fermata del tram, a pochi metri dal bordello preferito di Snakes. Si era rannicchiata sulle ginocchia, col cappuccio alzato fino agli occhi e il foulard che le sfiorava il naso, ferma ad aspettare quel tram che l'avrebbe riportata al commando e ad osservare quel mondo giallastro e lercio, fatto di vapori fetenti e di cestini della spazzatura che vanno a fuoco, di personaggi smagriti e malaticci sotto i loro vestiti sgualciti o i loro abitini di bassa fattura  in lattice sgargiante, di luci grigiastre e bianche che filtravano da quella piccola finestra che si era creata da sola tra lei e l'esterno. Antigone era scappata di nuovo, Antigone l'irriducibile, Antigone che non ascolta mai.
Antigone la ribelle.
Non sapeva se considerarsi una ribelle nel senso vero e proprio del termine. Certamente non aveva mai tenuto un'arma in mano se non davanti ad Iphigenia, e per giunta con tanto di sicura, nè aveva ancora affrontato direttamente quel muso da pitbull, nè aveva elaborato un piano per buttare fuori quei pagliacci dell'Ordine Edelweiss e i loro ridicoli programmi; ma forse era sulla buona strada, con quella seconda fuga coronata da una bella lettera d'addio. Sicuramente Iphigenia, o Big McKeane, o Amphiaraus non avevano bisogno di darsi l'appellativo di ribelli per definirsi, svegliarsi di buon mattino e riconoscere davanti allo specchio di essere ancora loro stessi: il loro sangue, la loro mente, la loro pelle, la loro intera vita erano intrise di quello spirito indefinibile e mutevole, fiammeggiante di mille sprazzi di idee e sentimenti positivi che cozzavano, per poi unirsi ad essi in un abbraccio, con le pulsioni negative che affliggevano ogni essere umano. Erano ribelli perchè non si definivano tali: a loro bastava sentirlo nel sangue.
Il tram arrivò sulle rotaie, sferragliando lamentosamente. Antigone balzò in piedi, afferrando il borsone con entrambe le braccia e facendosi avanti oltre l'uscio della porta scorrevole. Dalla sua piccola finestra di tessuto guardò prima a destra, poi a sinistra se ci fossero controllori, quindi constatò di avere il campo libero e si sedette su uno dei sedili centrali. Il tram, illuminato da una luce biancastra, con un forte tanfo di orina nell'aria, era quasi vuoto, con due ragazzine di circa sedici anni sedute accanto al conducente e un vecchio che trangugiava una brodaglia dalla propria latta di cibo. A quell'ora, in momenti del genere, forse alle Periferie preferivano star ben rintanati in casa, sicuri di non poter nuocere a nessuno o di essere scambiati per criminali.
Il vecchio stava due sedili dietro di lei. Gli aveva lanciato qualche occhiata curiosa mentre mangiava, sicura di non disturbarlo con un contatto visivo più diretto, ma questo s'era quasi accorto dei suoi occhi addosso.
-Ragazzino- per l'ennesima volta qualcuno le dava del ragazzino e per l'ennesima volta si compiacque di sè: evidentemente la felpa la copriva abbastanza da farla sembrare un ragazzetto trasandato uscito da uno di quei tuguri -Hai fame?-
Scosse la testa per evitare di parlare, temendo che la potesse riconoscere.
-Eh? Non ti vedo molto bene, non parlarmi a gesti. Hai fame sì o no?-
-No- cercò di rendere la sua voce più rauca che mai -Grazie-
Il vecchietto ridacchiò, appoggiò le labbra alla latta e bevve il contenuto. Poi si asciugò la bocca con la manica del cappotto.
-Eheh, sei fortunato, ragazzo mio. Sei la prima persona non affamata della giornata, magari per oggi lo Squadrone Edelweiss ti ha lasciato perdere ..-
Trasalì. Aveva visto l'evolversi dell'Ordine Edelweiss fin dalla sua nascita improvvisa. Conosceva il loro programma, le loro ideologie e aveva avuto modo di fare conoscenza anche con la parte giovanile di Gioventù Edelweiss, ma del loro Squadrone non ne aveva mai sentito parlare.  Avevano mentito spudoratamente a tutti. E sicuramente avrebbero continuato a farlo.
Si alzò dal sedile e sbirciò dal finestrino: le lunghe ciminiere sbuffavano da lontano un fumo grigiastro che cozzava su quel cielo irrealmente viola; per quella sera ormai nessun controllore sarebbe salito sul tram e mancavano circa due fermate. Ritornò sui propri passi, imbracciò il borsone e si avvicinò alla porta scorrevole: l'asfalto nerastro, illuminato dalle insegne kitsch dei locali e delle taverne e dai lampioni sui marciapiedi, scivolava veloce come acqua sporca alla fognatura. Stava per tornare.
Il tram sorpassò la penultima fermata e Antigone prenotò la seguente, posizionandosi davanti alla porta scorrevole. Dopo pochi secondi il tram iniziò a rallentare fino a fermarsi davanti ad un lampione, le porte si aprirono di scatto e Antigone saltò giù, spostandosi sul marciapiede. Vide allontanare il tram nell'oscurità, poi alzò gli occhi e riconobbe le ciminiere. Pochi minuti e sarebbe tornata a casa.
Camminava  con gioia e sicurezza, quasi andasse a passeggiare al Magnolia Park o ai Giardini Reali. Sapeva che in quei pochi metri che la separavano da quell'alta cancellata non avrebbe potuto accaderle nulla di spiacevole e, se le fosse successo, Iphigenia avrebbe spaccato con un calcio la testa al colpevole e Amphiaraus lo avrebbe fatto confessare con le cattive. Teneva il proprio borsone come una borsetta da passeggio, sorridendo al silenzio, e man mano che si avvicinava il suo cuore prendeva a battere sempre più velocemente e allegramente, come un tamburo che intona vittoria al termine di una battaglia.
- Hei! Laggiù!- aveva gridato di nuovo, in quello stesso punto di molti giorni prima, ma con una forza e un entusiasmo maggiore -Heilà!-
Una luce si accese di colpo al piano superiore, seguita da altre due più vicine. Riuscì ad udire un piccolo urlo di stupore e dei passi ovattati e lontani, poi un lieve brusio dal giardino. Qualcuno si avvicinava a passo svelto sull'erba secca.
-Antigone! Antigone!-
Quella voce l'avrebbe riconosciuta tra mille.
-Andromaca, di' a Big McKeane di aprire il cancello!- urlò la voce.
Iphigenia veniva avanti nella penombra di quella notte senza luna nè stelle, con quella pelle color ebano tanto lucida da brillare nella notte e la protesi di ferro che scricchiolava timidamente. I suoi bianchissimi denti erano le stelle di quelle notti senza luce.
-Finalmente, finalmente!- era finalmente dietro il cancello, con le dita che sporgevano dall'intelaiatura metallica. Mancavano pochi secondi per riabbracciarla -Ti abbiamo pensata ogni giorno, quasi temevamo che non ritornassi più! Sono successe cose terribili alle Periferie, dobbiamo raccontarti tanto!-
La luce aranciata del cancello iniziò a lampeggiare. Iphigenia indietreggiò di qualche passo e il cancello scattò di colpo. Antigone lanciò il borsone a terra e corse verso di lei a braccia aperte, buttandosi su quel petto acerbo coperto da una canottiera biancastra. Era morbido come quello di Ismene, quando capitava che l'abbracciasse, ma trasudava un calore particolare che non sentiva da tempo. Era quello stesso calore che Polinice teneva nel petto e che ella provava quando lo stringeva.
Tra le risate persero l'equilibrio e Iphigenia cadde sul sedere, poi ritornò a ridacchiare.
-Cosetta! Che entusiasmo! Siamo mancati anche a te?-
Le ultime parole di zio Kreon rimbombarono nella sua mente, poi ricacciarono fuori i discorsi idioti di Snakes e la sua mente si riempì dei fantasmi dei volti di Noah e del vecchio padre. Voleva piangere come una fontana e quasi non riuscì a trattenersi.
Iphigenia le carezzò la testa e la strinse, poi l'aiutò ad alzarsi.
- Lo prenderò come un sì- disse quasi mormorando, poi stette qualche secondo in silenzio -Tutti sono ansiosi di rivederti. Sarò sincera con te: non ci aspettavamo che ritornassi -
Non chiese perchè. Si limitò ad imbracciare il borsone e a incamminarsi insieme ad Iphigenia lungo il vialetto di ingresso.
 
 
Big McKeane la stritolò con le sue grasse braccia tatuate e la sollevò di qualche centimetro come una bambola. Puzzava di sudore e di birra, ma abbracciarlo era piacevole. Le era mancato anche lui.
-Eh! Cosetta in nero è tornata al nido! Ci sei mancata tantissimo!-
Forse al commando quella giornata era ormai finita: molti sbadigliavano e si trascinavano per i corridoi a passi lenti, con bottiglie d'acqua o bambini per le mani, altri invece tracannavano qualcosa da lucidi thermos e si dirigevano verso l'ascensore.
-Spero di non avervi disturbato!- disse distaccandosi dall'abbraccio.
-Gli ospiti non disturbano mai!- esclamò estraendo un piccolo thermos dalla cintura -E poi io starò sveglio tutta la notte insieme ad Amphiaraus! Oh canaglia, eccoti, stavamo giusto parlando di te!-
Da lontano arriva Amphiaraus, sbadigliando e stropicciandosi gli occhi. Per i primi cinque secondi non la degnò nemmeno di uno sguardo.
-Bestia, ho appena sistemato tutto alla torre di avvistamento. C'è caffè in abbondanza e ho fatto portare anche qualche galletta. Di qui all'alba sopravvivremo come al solito-
Big McKeane ridacchiò.
-Si accettano ospiti?-
-Cosa intendi?-
Amphiaraus abbassò di colpo gli occhi e la sua espressione perplessa si tramutò in un sorriso.
-Oh! Guarda chi si vede- si avvicinò a lei, l'abbracciò per pochi secondi e le diede una vigorosa pacca sulla schiena -Cosetta in nero che ritorna a Rubra Sphinx. Ti ha accolta Iphigenia?-
Annuì. Amphiaraus le prese dolcemente il borsone e se lo portò sulle spalle.
-Sarai stanca. Lo prendo io, dammi qua-
Glielo cedette senza protestare e lo ringraziò con un sorriso. Big McKeane la strinse a sè.
-Che facciamo, Amphiaraus? Può restare alla torre di avvistamento?-
Amphiaraus le lanciò un sorriso di sfida.
-Se sua Altezza reale non crolla, può stare con noi fino al mattino-
-Resisterò perfettamente, comandante Amphiaraus- gli fece il verso e Amphiaraus le lanciò l'ennesimo sorriso.
-Oh, abbiamo una principessa ribelle qui .. Coraggio, si sta facendo tardi e dobbiamo essere là prima che tutti si addormentino-
Iphigenia uscì da una stanza con in mano una coperta di pile azzurrina e gialla, con qualche macchia marrone sulla superficie, e gliela porse con fare materno.
-Tieni qui. E' la prima volta alla torre di avvistamento, questa ti servirà. Fa freddino lassù, sai .. sai com'è. Le Periferie sono un cazzo di deserto in tutto e per tutto- il viso di Iphigenia si fece improvvisamente duro- Amphiaraus, McKeane, forse i compagni che vi aiuteranno nella guardia non si ricordano di lei. Antigone è sotto la vostra protezione e non permettete a nessuno di rivolgersi a lei con tono scortese o di rivolgerle occhiatacce, okay?-
Amphiaraus e McKeane sembravano sull'attenti. Annuirono gravemente.
-Per stanotte vado alla mia branda. Spiegatele cosa è successo alle Periferie, spiegateglielo per bene. Antigone, se ci sono problemi- tirò fuori dalla tasca un cercapersone di plastica verdastra e metallo, con schermo e tasti anneriti ma funzionante -Digita 0001 sulla tastiera e poi schiaccia il tasto verde a destra. E' il mio codice per contattarmi al cercapersone, okay?-
Strinse tra le mani il piccolo aggeggio e se lo ficcò in tasca. Iphigenia la guardò e poi si avvicinò a baciarle la fronte.
-Buona osservazione, ragazzi. Domani, a mezzogiorno, riunione straordinaria. Avvertite i compagni al turno di guardia mentre io avverto gli altri. Buon lavoro-
Iphigenia si voltò e iniziò ad incamminarsi dalla parte opposta.
-Seguici- disse Amphiaraus -Dobbiamo sgobbare un po', ma la vista non è malaccio da lì-
Proseguirono in silenzio per tutto il corridoio, poi raggiunsero l'ascensore. McKeane schiacciò un pulsante e le porte si aprirono di scatto, mostrando quello stretto abitacolo che aveva visitato settimane prima. Appena furono dentro, la cabina iniziò a traballare.
-Reggerà tutti e tre?-
-Ha visto di peggio- disse Amphiaraus.
McKeane schiacciò un pulsante a forma di freccia e la cabina iniziò lentamente a salire per circa due piani, indicati dal monitor nerastro. Poi la cabina si aprì di scatto, aprendosi su un lungo e tetro corridoio illuminato da neon ronzati e lampeggianti.
-Sempre dritto fino alla scala. E poi altre due rampe e ci siamo- disse McKeane.
Procedettero lentamente, con calma, sporgendosi ogni tanto da ciò che rimaneva di una finestra, fino ad arrivare ad una grossa e sporca scala di cemento, disseminata da tappi di bottiglia e da cartacce. Antigone si strinse nel fazzoletto e cercò di non tossicchiare.
-McKeane, gliela daremo una ripulita qui?-
McKeane tossicchiò e starnutì.
-Diamine, sì. Che porcile. Tutto bene, Antigone?-
Mugolò dal suo fazzoletto e Amphiaraus sorrise.
-Sì, dobbiamo dare una ripulita. Antigone, tieniti bene al corrimano e guarda bene dove metti i piedi. Non preoccuparti delle tue cose, con me è in mani sicure-
Decisero di farla passare avanti per coprirle le spalle. Si attaccò al corrimano con foga, guardando bene dove mettesse i piedi e cercando di mettere a fuoco gli scalini. Dopo la prima rampa però i suoi occhi si abituarono alla penombra e procedette con più sicurezza, più rapidamente, e permise a Big McKeane e ad Amphiaraus di passarle oltre e di approdare per primi alla torre di avvistamento.
-Mademoiselle- disse McKeane stringendo la sua mano tra le sue grosse dita -Benvenuta alla nostra torre di avvistamento per passare una piacevole serata in compagnia-
Quello che chiamavano "torre di avvistamento" era un largo stanzone pieno di finestre dai vetri doppi, grosse scrivanie di plastica unite insieme e vecchi materassi buttati per terra. Sulle scrivanie vi erano quattro monitor, un vecchio laptop e una lampada da lettura;  su un tavolo poco più piccolo troneggiavano tre grossi thermos e un contenitore di plastica colmo fino all'orlo di gallette rugose e biancastre. Seduti alla scrivania, con binocoli alla mano e pistole attaccate alle cinture, vi erano tre uomini dalle facce assonnate e dagli occhi rossastri, con le labbra sottili che tenevano una sigaretta. Tra i presenti riconobbe come conoscente solo Jeanne, appoggiata alla parete, con una sigaretta tra le dita. I tre uomini sconosciuti guardarono Amphiaraus e McKeane perplessi, con le facce magre improvvisamente fattesi pallide. Jeane si avvicinò e diede ad uno di loro una pacca sulla spalla.
-Niente domande, calmi. E' dei nostri. Bentornata, cosetta-
-Cosetta? E' Antigone, per caso?- chiese uno degli uomini, alzatosi di scatto -Non se n'era andata?-
-E' appena tornata dopo qualche giorno di assenza. Non te la ricordi, Tideus?-
Tideus sbuffò. Era un uomo alto e magro, forse poco più anziano di Amphiaraus, con una lunga treccia d'argento che cozzava con la sua pelle scura. Indossava una tshirt porpora e dei larghi bermuda color cachi.
-Uh, sì, me la ricordo- si voltò verso Jeanne, lanciandole un sorriso -Hai vinto la scommessa, disgraziata-
Jeanne fece qualche passo avanti e si posizionò davanti ad Antigone. In poche settimane pareva essersi fatta più atletica e maestosa, con quella canottiera che lasciava intravedere degli addominali ben accennati. Antigone si aspettava la sua ennesima battuta di scherno, ma questa non arrivò.
-Ti ho monitorata per bene. Bravo uccellino, non hai cantato. Ho creduto in te!-
La guardò dall'alto in basso, poi le diede una pacca sulla spalla.
-Compagna Jeanne, hai finito con questa pagliacciata?- sbottò Amphiaraus.
Tideus alzò la mano.
-Sorry, colpa mia. Spero non te la sia presa troppo, cosetta ..- aspirò dalla sua sigaretta e sbuffò -L'altra volta, quando hai parlato della prostituzione qui alle Periferie, mi sei piaciuta. Non ti odiamo, davvero. Giusto, ragazzi?-
Gli altri due uomini diedero un mugolio di assenso. Tideus si voltò verso di loro.
-Avanti, canaglie, presentatevi almeno alla nostra ospite-
I due uomini si alzarono svogliatamente, sbuffando. Non ne poteva più di quella pagliacciata.
-Va bene, ho capito- sbottò -Antigone, per voi sono Antigone e basta. Ditemi solo i vostri nomi e non parliamone più, okay?-
Jeanne lanciò un fischio di approvazione.
-Però! Non me lo aspettavo, cosetta- e lanciò la sigaretta spenta dalla finestra.
I due uomini tornarono a sedersi.
-Heteoclis, piacere- sbuffò uno dei due, un tipo rossiccio e pallido, con un accenno di barba sul mento e  secco come un giunco, con i jeans strappati e una canottiera grigia sporca di caffè.
-Capaneus, cosetta. Chiamami Pan e ci siamo- Pan aveva una faccia giallastra e occhietti neri e allungati. Indossava un paio di occhiali sottili e una lunga salopette da operaio che pareva di tre taglie più grande. La sua faccetta tonda dimostrava di avere sì e no diciotto anni.
Amphiaraus aveva osservato l'intera scena a braccia conserte e sguardo severo, in assoluto silenzio. Poi aveva ripreso a parlare.
-Bene, dopo questi convenevoli spero abbiate chiaro di non importunarla più. Ah, Iphigenia mi ha detto di ricordarvi la riunione di domattina. Tideus, Pan, mettetevi alla finestra. Jeanne, aiutaci a raccontare cosa è successo in questi giorni alle Periferie-
Tideus e Pan si recarono alla finestra in silenzio, senza protestare. Il sorriso di scherno di Jeanne era improvvisamente sparito, lasciando il posto ad un'espressione cupa e triste. Ella si avvicinò a passi lenti, vicino ad un materasso, e li invitò ad accomodarsi. Antigone seguì McKeane e Amphiaraus e si sedette, poi si tolse la felpa.
-Ne vuoi una?- le chiese Jeanne porgendole una sigaretta -Ti servirà. Raccontare o ascoltare 'sta roba fa venire l'orticaria. Nulla di meglio di una sigaretta-
La accettò senza protestare. Jeanne l'accese dopo un tiro e gliela lasciò. Amphiaraus si lasciò scappare un sospiro.
-Bene .. chi comincia?-
-Comincio io- esclamò Jeanne -Dio, se solo avessi un sacco da boxe ..-
Fece un lungo sospiro e strinse i pugni. Era pronta per raccontare.
- Sicuramente avrai sentito alla videoradio o al telegiornale cosa è successo, eh. Ci hanno ammazzato Noah e suo padre, Vecchio Jim-
Annuì. Decise di evitare di dire di averli visti gli ultimi minuti della loro vita.
-Erano due dei nostri migliori fornitori di ricambi. Anzi, i migliori in assoluto. Barboni di giorno e rovistatori di cianfrusaglie al centro rottamazione dell'Acropoli. L'avrai presente, no?-
-Sì. Ti ascolto-
-Ottimo. Bene, adesso dobbiamo arrangiarci coi ragazzini per andare a prendere i ricambi. Quei poveracci non sanno nemmeno distinguere un motore da un radiatore, e quindi dobbiamo accompagnarli. Fortunatamente Andromaca ci sa fare, sia con i marmocchi sia con le macchine .. Comunque, ritornando al nostro discorso. Oltre ad essere nella merda per i cazzi nostri, senza fornitori e con pochissimi tecnici davvero esperti, lo Squadrone Edelweiss ci ha fatto una visita a sorpresa-
Uno strano e improvviso nervosismo si impossessò di lei di colpo.
-Maledetti. Nemmeno io sapevo che esistessero, Jeanne, mi cogli davvero impreparata-
Jeanne fecce un cenno ad Amphiaraus.
-Amphiaraus, è il tuo turno, bellezza di reporter che non sei altro-
-Bene .. Lo Squadrone Edelweiss si è presentato due volte. Ieri e due giorni fa. Alla guida c'era il tipaccio con i capelli rossi e le basette, Andreus là, come diamine si chiami ..-
-Achilleus. Hans Achilleus-
-Ecco, proprio lui. In quei giorni avevamo seguito alla radio tutti i servizi su e di Snakes e soppesato ogni singola, fottuta parola di quelle pagliacciate che chiama comizi. Devo confessare che il nostro amichetto ci ha colti impreparati. Avevamo fatto delle possibili congetture sull'istituzione di uno squadrone d'assalto, ma abbiamo considerato che fossero troppo damerini per sporcarsi quelle belle uniformi del cazzo e venire alle Periferie. E invece non è stato così. Le canaglie si sono presentati a mezzogiorno, all'orario di punta del mercato e di tutte le attività. Io ero a far provviste ed ero completamente solo, armato solo di taglierino. Sono piombati improvvisamente da un veivolo piatto e bianco, talmente lucido da accecarmi, con il loro stupido fiore stampato su. Si sono messi a sparare a caso, dall'alto, i codardi non si sono manco azzardati ad attaccarci da terra, corpo a corpo. A quell'ora il mercato era pieno di gente, uomini, donne e bambini .. Stavo cercando il mio referente dal mercato nero delle armi, avevo bisogno di munizioni, e mi sono ritrovato in mezzo a quella carneficina. Proiettili fitti come pioggia su bancarelle e negozianti. Sono vivo per miracolo e ho pagato tutto questo con la visione di quei cadaveri ricoperti di sangue, tutti buttati a terra. E' stato un caos-
-E poi ha chiamato me al cercapersone- continuò Big McKeane -E gli ho detto di trovare subito riparo da qualche parte e di nascondersi, o almeno di fingersi morto. Devo dire che la parte dell'opossum ti è riuscita bene, compagno!-
Amphiaraus lanciò un sorriso amaro.
-Grazie, compagno McKeane. Immagino che all'Acropoli non ne abbiamo parlato, quindi ..-
-Non sapevo nemmeno dell'esistenza dello Squadrone Edelweiss. Sono stata costretta a seguire alcuni comizi e non ha mai accennato a nulla di tutto questo. Solo a quella cretinata di Gioventù Edelweiss .. E' stato bello però quando avete fatto piovere i volantini su tutta l'Acropoli. Ne ho raccolto uno e zio Kreon me l'ha strappato dalle mani-
-Già, il vecchio Kreon .. -riprese Jeanne -Si sta facendo fare il lavaggio del cervello lui?-
Annuì gravemente. Big McKeane le diede una pacca paterna sulla spalla.
-Ti capisco. Qui la gente ha paura, invece. Abbiamo aiutato a ripulire, abbiamo curato i feriti e seppellito i morti. Abbiamo cercato di convincerli ad entrare a Rubra Sphinx ma alcuni hanno una paura fottuta, soprattutto gli adulti. Sono genitori che temono o di lasciare le loro famiglie o di perdere un figlio o una figlia. Moltissimi ragazzini sono rimasti orfani e vivono per strada, vorrebbero entrare ma ci sembrano troppo giovani. E' un circolo vizioso-
-Non avete provato a seguire il programma di Polinice?-
Jeanne le sorrise e le strinse la mano. Sorrideva sinceramente, senza scherno, in un sorriso che le accendeva nel cuore una luce familiare e vicina.
-Ci proviamo ogni giorno. Al mercato nero troviamo i vecchi libri di scuola dell'Acropoli e li distribuiamo alla scuola elementare, se tale si può chiamare. Almeno insegniamo loro a leggere e a scrivere. Almeno capiscono le stronzate dei manifesti di Ordine Edelweiss e ci sputano sopra come meritano-
Lei, Amphiaraus e Jeanne imasero in silenzio per qualche secondo. Big McKeane invece si mise a fischiettare un motivetto lento e malinconico, da canzone popolare, che Amphiaraus e Jeanne riconobbero subito.
-Come faceva, McKeane?- chiese Jeanne.
- Gialle colline e fumo quaggiù, i fantasmi di un tempo che fu .. Dalle case lontane e nemiche il baglior ..-
- Morte certa e cupo fulgor- continuò Jeanne- Ma sì, cantiamola! Antigone, ormai sei di famiglia ed è giusto che la conosca pure tu-
Jeanne era cambiata improvvisamente. Non v'era più traccia di scherno o di ironia in quel volto magro e appuntito, ma una malinconica dolcezza che si faceva cullare dalla melodia della canzone.
Rosso papavero sulla mia testa
Di una vita sicura, speranza non resta
Guerriero calpesta il fiore crudel
Bianco di morte, amaro di fiel
Avevano cantato in coro tutti e tre, con voci melodiose e felici, quasi avessero dimenticato gli avvenimenti dolorosi che avevano raccontato fino a pochi minuti prima.
-E poi?- si bloccò McKeane -Ragazzi, qualcuno si ricorda come continua?-
Pan si voltò di scatto, alzando il dito.
-Io la ricordo!-
Pesante è il nemico sopra il terren
mozza crudel quel sospiro fratern
o baionetta, non mi tradir
rivedremo insieme la patria fiorir!
-Ecco!- esclamò con gioia Amphiaraus -Continuiamo!-
Ripeterono il ritornello, si bloccarono per due secondi e poi ritornò loro l'ispirazione.
Rosso papavero al petto ti stringo
di lacrime e sangue la strada dipingo
o madri attendete meste alle porte
giogo di schiavitù, questa è la vera morte!
Jeanne si alzò di colpo, imitata da Amphiaraus e da McKeane. Tutti portarono la mano sul petto e sorrisero come non mai, con i volti splendenti come se avessero vinto una battaglia.
E Thebe riunita risorgerà
dolce vento di libertà!
E deporre le armi un dì noi potrem
e la man del vicin stringerem!
Conclusero la canzone con una melodiosa risata. Jeanne e Amphiaraus si abbracciarono e arrivarono a stringere anche lei. Quella melodia le era entrata nella mente con un dolce vigore, riempiendole le orecchie di quelle voci armoniose e rauche allo stesso tempo, continuando a rimbombare anche a canzone conclusa.
- E' ..bellissima, davvero- mormorò timidamente -Come si chiama?-
- Papaveri e baionette, cosetta- ridacchiò Jeanne -Hai tutto il tempo per impararla. Ora è meglio che ti metta a nanna, coraggio. Per noi è giunto il momento di lavorare con serietà-

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Capitolo 28
*** 27 ***


27


Papaveri e baionette l'aveva accompagnata per tutta la notte, come una fantasmagorica ninnananna suonata da lontano. Aveva sognato Polinice che emergeva da una fitta nebbia nerastra, poi a lui si era affiancata Rebecca e gli aveva preso la mano. Suo fratello le sorrideva da lontano, poi faceva un cenno a Rebecca e anche lei le mandava un sorriso; infine avevano voltato le spalle, canticchiando quella canzone, e si erano allontanati fino a sparire.
Antigone si svegliò con le mani in tasca e un senso di torpore nel cuore. Aveva dormito bene come nel proprio letto ormai lontano, senza rumori di spari o urla in lontananza. Nemmeno i compagni avevano fatto alcun rumore. Frugò in cerca del cercapersone e guardò l'orario: erano appena le cinque del mattino. Si alzò lentamente dal suo giaciglio e si mise a sedere, guardandosi intorno: Jeanne dormiva appoggiata alla parete, con la bocca spalancata e un rivolo di bava che le scendeva giù. Aveva un'espressione buffa che la fece ridacchiare; Big McKeane si teneva nella stessa posizione, con le braccia conserte, la bocca serrata e i baffi che facevano su e giù per il suo forte russare, mentre Amphiaraus era crollato sulla sua grossa spalla e tossicchiava nel sonno; Pan dormiva placido sulle gambe di Hetoclis, mentre questo appoggiava le spalle al muro e ogni tanto calava la testa per poi rialzarla di colpo, russando rumorosamente.
 Solo Tideus era in piedi, fermo davanti alla finestra a scrutare l'esterno. Era immobile come una statua, con le magre e forti spalle che ogni tanto salivano per poi abbassarsi e la lunga treccia bianca che ondeggiava al vento aspro del mattino, con la sua ombra lunga e sottile che si proiettava fino alla scrivania. Poi di colpo si voltò, abbassò gli occhi e la notò.
-Heilà- disse alzando leggermente la mano -Dormito bene?-
-Sì. Tu .. Tu hai dormito?-
Tideus ridacchiò, mostrando due profonde fossette e un sorriso bianchissimo su quel viso nero come la notte.
-Fra poco vado a nanna. Ci siamo dati il cambio a vicenda e ora- sbadigliò -Ora tocca a me dormire. Spero di essermi riposato abbastanza per la riunione straordinaria di mezzogiorno-
-La nottata è stata tranquilla?-
-Sì, diciamo di sì. Solo gli orfani del quartiere e gli ubriaconi che cercavano di avvicinarsi al cancello. Tutto regolare anche questa sera, niente rumori sospetti-  fece una pausa di qualche secondo -Sai dirmi che ore sono?-
-Le cinque. Cinque del mattino-
Tideus si avvicinò a Pan e a Hetoclis e mollò loro un leggero calcio.
-Canaglie, il mio turno è finito-
-Eh?- mugolò Hetoclis.
-Diamine, svegliarci in modo civile no?- esclamò Pan, facendo sussultare Jeanne, Amphiaraus e McKeane.
-Che cazzo avete da urlare voi due ..- mugolò Jeanne asciugandosi la bocca con il dorso della mano e aprendo lentamente gli occhi -Avete fatto svegliare Antigone, cazzo, ma ve ne rendete conto?-
Ridacchiò.
-Ero già sveglia, non rimproverarli così. Li capisco, Tideus è stanco e loro sono stati svegliati di colpo-
Tideus le fece l'occhiolino da lontano, Pan e Heteoclis si misero in piedi e iniziarono a stiracchiarsi. Dopo qualche secondo fu il turno di Jeanne, che iniziò a distendere le braccia e a fare i nomi di Amphiaraus e McKeane.
-Buongiorno raggi di sole, è ora di alzarsi e illuminare il mondo con la vostra luce!- e mollò un lieve calcio agli anfibi di McKeane e poi a quelli di Amphiaraus, che fu il primo a sussultare e a stiracchiarsi.
-Devi essere sempre così dolce, Jeanne..?- mugolò Amphiaraus per poi mettersi a sedere.
-Buongiorno cosetta!- esclamò McKeane -Appena sveglia?-
-Cosetta è stata la prima a svegliarsi- disse Tideus sedendosi su uno dei materassi -Altro che principessina snob, è uguale a suo fratello! Era già in piedi prima di noi, dovremmo vergognarci- e le lanciò un sorriso colmo di tristezza che seppe cogliere al volo.
-Prima di addormentarti, Tideus- Jeanne scrocchiava dita e collo e sbadigliava nuovamente -Hai visto nulla di singolare o di strano stanotte?-
-Campo libero, massimo i ragazzini orfani e i soliti barboni. Non volava una mosca-
-Se sei troppo stanco dirò a Iphigenia che hai passato tutta la nottata a fare la vedetta, meriti di riposarti-
Tideus alzò la larga mano in segno di ringraziamento.
-Figurati, Jeanne. Da ora a mezzogiorno mi riprenderò a dovere. A più tardi-
-Possiamo lasciarti solo?-
-Ovvio, non sono mica un ragazzino. Iphigenia sarà già in piedi, andate da lei a riferirle quanto ho detto-
Jeanne si avviò verso l'uscita, le passò affettuosamente la mano tra i capelli e l'aiutò ad alzarsi.
-Dammi il borsone, lo porto al dormitorio. Amphiaraus, McKeane, accompagnatela giù-
Amphiaraus le diede una pacca affettuosa sulla spalla e le fece cenno di cominciare a muoversi. Scesero dalla vecchia scala, attraversarono il corridoio illuminato dalle luci grigiastre e azzurrine dell'alba e ritornarono all'ascensore. S'erano appena aperte le porte che il cercapersone lanciò un trillo e iniziò a vibrare. Il messaggio "ti aspetto al dormitorio" era stato inviato dal codice 0001.
-Potreste accompagnarmi al dormitorio? Iphigenia mi ha mandato un messaggio al cercapersone-
-Okay- disse secca Jeanne -Piccola sosta al primo piano-
Dalle porte dell'ascensore si intravedeva un corridoio immerso in penombra e brulicante di ombre nerastre. Jeanne schiacciò il tasto stop e l'ascensore si fermò di colpo, traballando per poco.
-Amphiaraus, McKeane, giretto di ispezione mattutino come al solito. Io accompagno cosetta da Jeanne e dopo vi raggiungo-
Jeanne uscì dalla cabina e Antigone la seguì. Il largo corridoio dell'ambiente dormitorio giaceva nella luce lattiginosa delle albe delle Periferie, ronzante dei primi brusii mattutini e degli sbadigli. Le larghe porte, o ciò che ne restava, che si affacciavano sul corridoio davano accesso a tre ambienti denominati A, B, C. Intravide i capelli di Iphigenia nell'ambiente A e cercò di sbirciare più avanti: se l'ambiente B era riservato agli adulti insieme all'A, quello C era destinato a bambini e ragazzini.
Iphigenia si voltò verso di loro e lanciò loro un gran sorriso assonnato.
-Buongiorno, eccoti qui. Puoi poggiare il borsone qui, sulla branda che ti ho fatto preparare-
Antigone si sedette su quello che sarebbe stato il suo letto per tutti i giorni della permanenza al commando. Pensava a cosa le avrebbe detto Iphigenia quella mattina e si sentiva come quando aveva incontrato la Twiggiper per la prima volta, quando ancora andava alla scuola pubblica durante la Grande Dittatura. Iphigenia però non destava curiosità per il suo modo strambo di abbigliarsi, ma per l'aura di autorevole dolcezza che la circondava. Era felice che ci fosse lei a capo di un commando di cui ancora conosceva ben poco.
-Allora, come è andata stanotte?-
-Ho dormito bene. Non ho sentito nulla, nessun rumore strano. Tideus mi ha confermato tutto: niente rumori o movimenti sospetti, solo i soliti elementi a quanto pare-
-I barboni e gli orfani?-
-Esattamente-
-Ti hanno raccontato di quello che è successo in questi ultimi giorni?-
-Jeanne e Amphiaraus mi hanno parlato dello Squadrone Edelweiss. Roba che nemmeno io conoscevo, è pazzesco. Il loro racconto mi ha fatto venire addosso una certa rabbia ..-
-Per non parlare del sollevare il corpicino di un ragazzino colpito in piena fronte o di uno dei commercianti del mercato, o di sentire la gente urlare di colpo a causa di quella pioggia di proiettili.. - Iphigenia scuoteva la testa come in trance, con gli occhi abbassati e improvvisamente silenziosa. Dopo la breve pausa ricominciò a parlare.
-Forse non sai perchè ti abbia chiamata, stamattina. Beh, è una questione importantissima che noi due dobbiamo chiarire ora, una volta e per tutte, e poi parlarne insieme agli altri alla riunione di mezzogiorno. Devo farti tante domande, Antigone, okay?-
Annuì, le mani sulle ginocchia e gli occhi verso il suo viso d'ebano.
-Come abbiamo tutti constatato, sei scappata di nuovo. Non so come, non so cosa ti abbia spinto a scappare questa volta, ma non importa a me nè importerà ai compagni alla riunione di mezzogiorno. Adesso sei di nuovo qui, hai dormito tranquilla senza avere problemi e ti ho fatto preparare una branda per la prossima notte. La prima domanda che ti pongo è la seguente: hai intenzione di restare definitivamente?-
La realtà sembrò piombarle addosso come una bomba. Sì, aveva scritto una lettera in cui aveva comunicato che si sarebbe allontanata da casa per un po', senza specificare dove avesse intenzione di andare o se volesse addirittura raggiungere la colonia lunare e indicando anzi di non essere seguita, ma se qualcuno l'avesse letta sarebbe comunque uscito fuori a cercarla. E questa volta avrebbero setacciato ogni angolo di Thebe.
Antigone abbassò la testa. Quella domanda aveva spiazzato la parte infantile e impulsiva di lei e le aveva messo in faccia quegli aspetti della realtà che aveva considerato solo in parte. Per la prima volta si sentiva una ragazzina stupida e viziata che giocava a far la ribelle, libera di scorrazzare per strade sicure vestita da barbona, senza sentire il peso dei proiettili che calavano sulla sua testa e la fracassavano come un vaso di porcellana.
Perchè Polinice è morto?
Sentì la morbida mano di Iphigenia sulla sua spalla. Alzò gli occhi e vide quelle splendide pozze nere a pochi centimetri dal suo naso.
-Heilà, non preoccuparti. Puoi dirmi qualsiasi cosa, senza tabù. Voglio solo conoscere le tue intenzioni e aiutarti, qualsiasi esse siano. Dobbiamo organizzarci un minimo, no?-
Si sentiva più serena. Quegli occhi neri ispiravano solo fiducia.
-La mia paura è sempre la stessa, Iphigenia. Ho paura di mettervi in pericolo sempre e comunque, sia che ritorni a casa sia che resti qui: se dovessi passare da un capo all'altro si insospettirebbero, se dovessi restare arriverebbero a cercarmi pure qui .. Polinice faceva avanti e indietro, quindi ..-
-.. E quindi non c'è stata rivoluzione. Solo spargimento di sangue- le tolse la mano dalla spalla -Tesoro, capisco benissimo cosa provi. Hai lasciato casa come tutti noi, ti sei dovuta allontanare perchè sai che c'è del marcio a Thebe e stai lottando per gli stessi ideali di tuo fratello. Polinice aveva le tue stesse identiche paure, me ne parlava spesso, e .. Te lo dirò con sincerità.. Queste lo hanno portato soltanto a fare casini- la fissò dritta negli occhi, con serenità -Prima di rispondere a me, rispondi a te stessa. Cosa c'è all'Acropoli?-
Cosa c'era all'Acropoli?
Asfalto luccicante alla luce del sole, pulito quotidianamente.
Grattacieli e palazzi di marmo biancastro che fungevano da residenze private, da uffici e da negozi.
All'Acropoli non c'era la povertà, non c'era la guerra, non c'erano orfani.
C'era solo un pazzo ritto sul suo palchetto, un pazzo con la pancia gonfia e il viso paonazzo, lucido come quello di un bambinetto grasso. Il pazzo sbraitava odio e infiammava gli animi, ben vestito con il suo completo di gessato e con i capelli spazzolati per bene. La gente amava quando l'uomo si infiammava e pronunciava quei discorsi, quei discorsi così pieni di menzogne e cattiverie che nessuno sapeva cogliere. Nemmeno la mente brillante di zio Kreon.
E se l'uomo avesse continuato a parlare, all'Acropoli l'asfalto non avrebbe più brillato e gli edifici di cristallo, ferro e marmo biancastro non avrebbero più accolto nessuno. Thebe avrebbe mosso guerra a Thebe e lei sarebbe rimasta a guardare dalla sua terrazza, in silenzio, con Emon che si sarebbe fatto scannare, con Ismene sposata con un bugiardo e con zio Kreon che avrebbe governato a braccetto con quell'uomo. E avrebbero condiviso i giorni e le notti, le condanne a morte e le baldorie.
E Polinice sarebbe morto, morto definitivamente.
L'Acropoli era un corpo sano corroso da un male nascosto e sibilante, scambiato per una piccola escrescenza. Era un becero odio scambiato per patriottismo, che la feriva e la disgustava. Non riusciva a guardare negli occhi Iphigenia con quei pensieri per la testa, quasi si sentisse addosso la colpa della stessa intera Acropoli.
Si distese sulla branda e mosse gli occhi al soffitto giallastro, gonfio di muffa e umidità.
Twiggiper le aveva insegnato che la storia era una catena di azioni e reazioni. Ad una determinazione azione corrispondeva una corrispondenza precisa e netta, derivante dalla prima, in un gioco di scatole cinesi che si aprivano a vicenda quasi all'infinito. E l'uomo non sarebbe mai riuscito a finire la partita finchè non avesse capito il suo meccanismo ed evitato di incappare in trappole o nei suoi stessi errori. Quel paragone era perfettamente applicabile a ciò che stava accadendo all'Acropoli: un uomo si credeva portavoce della verità assoluta e infiammava gli animi di tutti, governo compreso. E se avesse continuato, avrebbe portato alla guerra civile. E ormai bastava una goccia a far traboccare il vaso, una scintilla a far scattare la miccia e a far esplodere l'ordigno.
E la miccia s'era accesa appena aveva messo il piede fuori casa per la seconda volta.
Non si poteva più tornare indietro a spegnerla. Bastava solo rassegnarsi all'imminente esplosione, tappare le orecchie e nascondersi in un luogo sicuro per non essere colpiti dalle schegge. Senza tornare indietro. Anche se avesse dato l'allarme dell'imminente esplosione, nessuno sarebbe scappato e l'avrebbero guardata dall'alto verso il basso, magari ridacchiandole in faccia e riempiendola di buffetti sulle guance.
Iphigenia le carezzò la testa.
-Io vado a dare l'ordine di preparare la colazione. Quando ti va, potrai rispondere-
-Ferma. Ho deciso-
La bloccò con la mano proprio mentre stava per alzarsi dalla sua branda. Iphigenia la aiutò a mettersi a sedere e prese le sue mani tra le proprie.
-Dimmi tutto-
La guardò dritta negli occhi e strinse le sue dita con più foga.
-Non posso stare a guardare dalla mia terrazza.. Zio Kreon non ascolta i nostri commenti sull'Ordine Edelweiss ..-
-Vostri?-
-Nemmeno Emon è d'accordo. Hai presente chi è, no?-
-Sì, ho presente- lanciò un sorriso che tentò di dissiparle ogni tristezza -Certo che siete carini-
Ricambiò appoggiandosi sul suo petto.
-Snakes non piace nemmeno a lui. Solo che .. E' come se si sentisse impotente. Condividiamo le stesse idee ma lui .. forse non avrebbe mai il coraggio di scappare-
-E tua sorella?-
-Mia sorella ama Achilleus e lo seguirebbe in capo al mondo, in qualsiasi cosa. E' testarda come un mulo, diamine. E quindi a casa siamo due contro un'intera nazione che idolatra quel sacco di pulci-
-E quindi ..?-
-E quindi sono dei vostri, Iphigenia. Resterò qui finchè .. Finchè potrò. E se succederanno casini, sono pronta ad affrontarli insieme a voi-
Iphigenia la strinse tra le braccia per un lungo minuto. L'orecchio di Antigone poggiava sul suo petto tiepido e pulsante di una gioia fremente e nervosa, la gioia delle belle notizie che preludono a qualcosa di catastrofico.
-Ti aspettavamo, cosetta. Benvenuta tra noi-
 
Quando, durante la colazione, Iphigenia aveva proposto l'inserimento di Antigone nel commando, i primi a dichiararsi assolutamente favorevoli furono, ovviamente, Amphiaraus, Jeanne e Big McKeane. Poi anche Tideus, Pan e Heteoclis provarono a tirare dalla loro parte tutti gli altri.
-Iphigenia, pendo come al solito dalle tue labbra- si fece avanti una donna dalla pelle rosata, con lunghi ricci castani che le scendevano fino ai fianchi e grandi occhi bovini, incorniciati da lunghe ciglia. La donna teneva alla fronte una fascia rossa e vestiva con una maglietta giallastra che le arrivava sotto il seno, lasciando scoperto un ventre largo e armonioso, dei jeans che mettevano in risalto le sue gambe floride e un paio di anfibi neri -Sai come la pensiamo un po' tutti, ma ci fidiamo di te e di conseguenza di lei, se ce lo assicuri. Non è vero, Astyanax?-
Da dietro la sua figura fece capolino una testa magra e due secche manine pallide, coperta di fitti capelli color cioccolato. Astyanax, con la bocca ancora sporca di latte e i capelli che arrivavano ai suoi grandi occhi verdastri, le lanciò uno sguardo torvo.
-Non mi piace lei, mà - Astyanax aveva una voce stridula, da ragazzino, diventata rauca e crudele troppo presto. Sentirla le fece venire i brividi.
-Hai sentito cosa ha detto la compagna Iphigenia, no? Lei è dei nostri, non lasciarti ingannare dalle apparenze questa volta-
-L'Acropoli deve bruciare, hai capito?- Astyanax si fece davanti a lei e si mise a strillare a pugni chiusi, con gli occhietti ancora bambini rossi di rabbia -Morite tutti! Tutti!-
La madre lo afferrò per un polso e lo riportò indietro a forza.
-Non voglio sentirti più urlare cose del genere, hai capito?-
-Non .. Non rimproverarlo ..- disse Antigone timidamente.
-.. Andromaca, se vuoi sapere il mio nome-
-Ecco, Andromaca. Lo capisco, non posso biasimarlo-
-Iphigenia però ha detto che possiamo fidarci di te, quindi ..-
-Quindi accetta le scuse, cosetta- si intromise Big McKeane -Avanti, Astyanax, chiedi scusa ad Antigone e non parliamone più, okay?-
Astyanax le rivolse un secondo sguardo, più acceso e cupo del primo. Poi tornò a sedersi e finì di consumare la sua colazione.
Anche quel mattino, Amphiaraus accese la radio per sentire le ultime notizie.
-Dici che avranno già scoperto che sei scappata di nuovo?-
-Sono appena le sette. Di solito non ci svegliamo prima delle nove-
La sigla del radiogiornale accennava la sua prima nota. Ben presto seguì tutto il motivetto e la vocetta trillante della giornalista iniziò a squittire.
-Buongiorno a tuffrti gli ascoltatori di Vofrrre di Thebe! Apriamo oggi con una notizia di cronaca che ha destato un certo dibattito?-
Jeanne tracannò il suo caffè e ridacchiò.
-Hanno beccato un parassita a respirare e a rubare aria preziosa agli acropolini?-
Tutti ridacchiarono forte e coprirono la vocetta della giornalista.
-In stfrrdio oggi abbiamo Morrison Sfrrkes, il nostfrro amato trascinafolle!- si sentì in sottofondo la risata di Snakes che portò qualcuno a lanciare un bicchiere di carta contro la radio-E niente di meno che il nostro attuale Gran Consigliere!-
Antigone non riuscì a credere alle proprie orecchie e mancò poco che si affogasse con un boccone di frittella. Si sentì qualcuno sputare il caffè dalla sorpresa e Big McKeane gridare una grassa risata.
-Ma guarda un po'! Cosetta, che mi dici di lui?-
Il Gran Consigliere mormorò un timido buongiorno con una voce resa ancora più roca dalle continue interferenze. Sospirò e confessò di sentirne quasi la mancanza.
-E' un brav'uomo. Non sarà mai dalla parte di Rubra Sphinx, ma più volte ha ribadito di non sopportare Snakes. Sentiamo cos'ha da dire!-
Dopo qualche interferenza, la vocetta della donna delineò il tema del dibattito.
-Il tefrrrma di oggi è il seguente: ieri sefrrra un gruppo di giovani dell'Acropoli hafrrr brutalmente assafrrrlito una giovane, residente alle Periferie, che si stava refrrrcando verso la Piazzuola d'Atterraggio. I commenti sono stati discordi sul fatto e molti hanno incolpato la ragazza, lavapiatti, di trovarsi nel posto sbagliato al mofrrrmento sbagliafrrrto. Qual è il vosfrrtro parere? Iniziamo da Mofrrrrrison Snakes!-
Amphiaraus diede l'ennesimo colpo alla radio e alzò l'antenna per scacciare le interferenze.
-Mia cara- la voce di Snakes iniziava a ragliare-Certo, è qualcosa di terribile. Ma pensiamoci tutti insieme: quanti di quei parassiti aggrediscono quotidianamente i nostri concittadini e ci rendono la vita impossibile? Atto terribile, ma mettiamola sul piano di una vendetta ..-
L'ennesimo bicchiere volò in direzione della radio, ma deviò e andò a colpire il banchetto su cui questa era poggiata.
-Però ti piace scopare le ragazzine, eh?- sbottò Andromaca da lontano.
-Silenzio, ascoltiamo la risposta!- disse una voce.
-Signor Snakes- quella punta di astio e di ironia che si percepiva nella voce del Gran Consigliere la fece quasi gongolare di orgoglio nei confronti di quell'uomo. Quasi si mise a fantasticare su un suo possibile coinvolgimento a Rubra Sphinx, diviso dalla sua fedeltà nei confronti di zio Kreon ma unito nella lotta a quel bugiardo -Come può definire vendetta qualcosa di oltremodo scandaloso come uno stupro? Che sia ai danni di una ragazza dell'Acropoli o delle Periferie, è qualcosa di oltraggiante e terribile, di cui ha colpa solo l'aggressore! Cosa intende dire con le sue parole?-
Snakes ridacchiava e quella risata la faceva uscire fuori dai gangheri.
-Snakes ha paura della concorrenza ..- sussurrò Iphigenia e Amphiaraus e Jeanne ridacchiarono
-Ha frainteso, Gran Consigliere- continuò Snakes -Ammetto certamente la gravità del fatto. Ma quei ragazzi, lo sa, mi capisce da uomo a uomo, forse erano presi dai fumi dell'alcol e non era loro intenzione aggredirla .. Ci pensi, anche una parassita  può apparire una bella ragazza in mezzo  a quel gran casino, mi spiego? E' stato un malinteso, mio caro collega-
Dovresti fare i gargarismi con l'acido prima di paragonarti a lui, sacco di pulci.
Ti odio, cazzo, ti odio.
Antigone strinse i pugni sul tavolo e abbassò lo sguardo. In vita propria non aveva mai provato una tale rabbia e un tale disgusto. Con Snakes avrebbe dovuto già abituarsi alla rabbia. Era solo l'inizio delle ostilità, delle vere ostilità. Se era dentro il commando, lontana da casa, con il cuore pesante per la paura di vedere i suoi cari, che fossero all'Acropoli o alle Periferie, in pericolo, era solo per colpa sua.
Iphigenia se ne accorse e poggiò le proprie mani sui suoi polsi. I suoi polpastrelli e il suo palmo rosati erano morbidi e tiepidi.
-Amphiaraus, spegni la radio-
Amphiaraus non obiettò. Si limitò a spegnere la radio, in silenzio, guardandola da lontano. Nessuno fiatò e si limitarono a consumare la colazione e a parlottare tra loro.
A fine pasto Iphigenia propose una votazione per alzata di mano, non prima di aver ricordato a tutti la sua parentela con Polinice, la sua conoscenza accurata del diario del compagno e la perfetta condivisione di idee. Qualcuno ripensò al suo discorso sulla prostituzione alle Periferie, sorrise con garbo e scambiò le idee con il vicino, riuscendolo a convincere. La votazione registrò trentasei favorevoli e quattro contrari, tra cui lo stesso Astyanax e tre ancora scettici. Nel frattempo, aveva mandato qualcuno Hank e Fred a dare una sistemata per l'occasione alla sala delle riunioni.
Tutti terminarono di far colazione in breve tempo e Iphigenia chiese loro di iniziare le loro attività quotidiane. Poi prese Antigone da parte e la portò accanto a sè.
- Meriti una cosa in grande oggi, okay?-
-Mi lusinghi troppo. Lo noto negli occhi di tutti, non mi accetteranno mai-
-Sono successi gli stessi casini quando si è presentato Polinice, se non peggio. Almeno adesso sanno che sei la sorella di uno dei più valenti compagni che abbiamo mai avuto a Rubra Sphinx, e sono sicura che saprai farti valere come meriti. Dentro di te scorre lo stesso sangue di Polinice, l'unico che abbia mai potuto fornire una direzione da seguire ad una banda di zotici scalmanati bravi a smontare aeromobili di lusso e a maneggiare bombe a mano-
-E a mettere in salvo i feriti dopo un attacco a sorpresa dello Squadrone Edelweiss-
Iphigenia sorrise e la strinse a sè.
-Quindi il tuo è un sì?-
-Mai stata più certa-
-E allora fa' vedere a questi zoticoni di che pasta sei fatta. Con te non falliremo, lo sento-
 
Lo stendardo rosso e oro di Rubra Sphinx, con la sfinge geometrica che si scagliava sulla cittadella alle sue zampe, ondeggiava lentamente davanti al ventilatore di plastica che qualcuno aveva messo vicino al palco. Dalla serratura di una porta di un camerino, quello in cui Iphigenia l'aveva portata per aiutarla a darsi una sistemata e per andare in bagno, spiava la sala già piena, con i compagni mugolanti e i ragazzini che schiamazzavano.
-Ho paura, Iphigenia-
-Di cosa?-
-Lo sai. Nessuno vorrebbe al cento per cento che io entrassi al commando-
Iphigenia fece un lungo sospiro, poi la prese per le spalle e la guardò negli occhi.
-Tu vuoi entrare al commando, non è vero?-
Annuì. Gli occhi di Iphigenia mandavano degli strani lampi che non aveva mai visto brillare.
-E allora sii impavida sin da ora. Il commando non si è costituito in un giorno, Antigone. Cosa credi, che ci siamo trovati tutti in pace ed armonia a saltellare come capre in mezzo al filo spinato e ai calcinacci? Fatti valere, diamine, esci fuori e dimostra di avere lo stesso sangue di Polinice!-
Poi l'abbracciò forte per cinque lunghi secondi, si staccò da lei e aprì la porta.
Attraversarono insieme la soglia che portava ad un palco illuminato a neon ronzanti, con la moquette grigiastra appiccicosa e impolverata. Tutti tacquero appena le videro mano nella mano, e Jeanne e Big McKeane le fecero l'occhiolino da lontano. Iphigenia si avvicinò al microfono, lo picchiettò e si schiarì la voce.
-Compagni di Rubra Sphinx, la riunione di oggi ha un'ospite speciale che ormai tutti conosciamo e che, sicuramente, tutti noi apprezziamo e stimiamo. Il nostro mestiere e la nostra condotta, che ci costringono di vivere nascosti e nella palese illegalità, ci hanno insegnato e ricordato più volte di fidarci della prima impressione e di mostrarci restii. Oggi non sarà così. Antigone, sorella di Polinice, è disposta a seguire lo stesso percorso di suo fratello. Il sangue è proprio quello, compagni carissimi! Antigone ha la stoffa necessaria per entrare nel nostro commando e noi siamo pronti ad accoglierla dopo aver constatato i pareri favorevoli della maggior parte dei membri di Rubra Sphinx- fece un cenno ad Amphiaraus, seduto in fondo alla sala, di avvicinarsi al palco. Amphiaraus si incamminò verso il leggio, stringendo tra le dita un piccolo sacchetto di velluto marrone, e si avvicinò ad Antigone.
-Ho un regalino per te, cosetta- Amphiaraus tirò fuori dal sacchetto una piccola spilla di metallo scadente, col simbolo di Rubra Sphinx oro e rossastro, e gliela appuntò sul colletto della maglietta -Benvenuta tra noi- e l'abbracciò, cingendola con le sue braccia brune e muscolose puzzanti di fumo.
Jeanne intonò il primo applauso, lo riconobbe dal rumore secco di quelle mani ossute che si toccavano; poi fu il turno degli applausi rumorosi delle grasse mani di Big McKeane. Poi qualcuno ne lanciò un altro, seguito da un altro ancora, e fu un crescendo di applausi scroscianti e felici e di fischi. Antigone si voltò verso la folla, sorridendo con più tranquillità, con la mano bruna di Iphigenia sulla spalla. Poi tutti si alzarono in piedi, col viso arrossato e sorridente, e lo sguardo pieno di speranza: erano occhi felici e sereni come quelli dei bambini che giocavano al Magnolia Park, di quei bambini che non avevano mai visto proiettili bollenti sopra le loro teste o sopra le teste dei genitori e degli amici del quartiere. Anche le loro bocche erano felici, felici e piene delle belle parole di Papaveri e Baionette, quella ninnananna fantasmagorica che accompagnava la dolcezza delle parole alle colonne di fumo e al rumore degli spari durante la notte e alle corse silenziose sul selciato per sfuggire ai proiettili. L'inno dell'Acropoli era ormai un lontano ricordo.

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Capitolo 29
*** 28 ***


28


Amphiaraus la fece posizionare davanti ad un pannello di carta bianca e puntò verso di lei la macchina fotografica instantanea.
-Fammi un bel sorriso!-
Il flash si illuminò per qualche secondo, poi la macchina fotografica scattò.
-Va bene, qualche secondo e ci siamo-
Amphiaraus tirò fuori un piccolo quadrato di carta fotografica che si mise a sventolare davanti a sè. Poi lo guardò bene, annuì e glielo porse.
-Ti piace?-
-Sì, per un documento va bene-
Iphigenia giunse nello studio fotografico con un sottile portadocumenti di iuta con una sfinge rossa disegnata con lo stencil, alla quale Amphiaraus porse la fototessera di Antigone dopo averla tagliata accuratamente.
-Ecco qui, adesso dobbiamo compilarlo- Iphigenia la fece sedere ad una scrivania, quindi tirò fuori un pennarello nero dalla punta sottile -Allora, nome e cognome?-
-Antigone Spartes Labdakous-
-Data di nascita?-
- Quattro novembre del duemilaventidue-
- Cittadinanza-
-Thebaide-
- La residenza la tagliamo .. Hmm, stato civile celibe, professione la tagliamo .. avvicinati alla parete, ti misuro l'altezza-
Antigone fece come detto e Iphigenia appoggiò alla parete un metro da sarta, che srotolò fino a terra. Poi le fece un cenno di ritornare a sedersi.
-Okay, un metro e sessantasette centimetri  .. Capelli neri, occhi verdi, hai segni particolari?-
-No, nessuno-
Iphigenia barrò l'ultima casella.
-Perfetto, ci siamo quasi ..- tirò fuori dal cassetto una piccola scatola di inchiostro rosso e le chiese di bagnarvi le dita -Adesso premili dove ti sto indicando-
Fece come Iphigenia indicò, cercando di non macchiare di inchiostro il documento. Poi le venne offerto un fazzolettino umido e potè pulirsi.
-Aspettiamo che si asciughi- disse Iphigenia firmando in bassò al documento -E poi puoi firmare. Firma dove hai pressato le dita e sei ufficialmente entrata a far parte del commando. Non perdere il documento, eh!-
Antigone tracciò la propria firma. Era stranamente eccitata ed emozionata, quasi fosse uno dei disegni di legge che mamma leggeva e firmava spesso.
-E anche burocraticamente, benvenuta a Rubra Sphinx. Il documento di identità sembra una stupida formalità, ma l'abbiamo adottato per una questione di trasparenza nei confronti degli abitanti delle Periferie. Se vedono questo documento con il nostro simbolo, dato che siamo l'unico gruppo di lotta dell'intera Thebe, non ci scambiano per possibili spie e possono tranquillamente fidarsi di noi-
Strise il libretto tra le mani, ancora impregnato dell'odore acre dell'inchiostro. Quella iuta, tanto ruvida e diversa dalla pelle ben lucida e levigata delle borse che aveva lasciato a casa, simboleggiava il passaggio da un'identità vecchia ad una nuova. Con la spilletta al collo e il documento di identità tra le mani, era rinata in un mondo nuovo, sicuramente più oscuro e più vero. I grattacieli di cristallo e ferro, con gli enormi schermi al plasma montati sui tetti, erano deboli fantasmi azzurrognoli che iniziavano a sbiadire.
-Ovviamente, qualora dovessi tornare all'Acropoli per un qualsiasi motivo, puoi lasciare il documento a noi. Okay?-
-Okay-
-E adesso- le cinse con un braccio la spalla e le diede una pacca affettuosa -E' il momento di entrare in maniera più decisa nel nostro mondo. Devi iniziare immediatamente, far parte di un commando richiede una certa prestanza fisica-
Si inoltravano lungo un corridoio illuminato dalle prime luci del giorno, con il cielo grigio azzurro che lanciava bagliori lattiginosi e una brezza fredda che accarezzava crudelmente la pelle. Da fuori vedeva i compagni, adulti e ragazzi, dediti ai loro esercizi, con macchinari rudimentali e dall'aspetto trasandato ma funzionanti.
-Anche con questo freddo vi allenate?-
-Certamente, anzi è meglio. Ci manteniamo caldi e facciamo lavorare meglio i muscoli-
Percorsero il corridoio per altri due metri, poi arrivarono ad una grossa porta di vetro dalla maniglia rossa. Iphigenia spinse la maniglia e la introdusse in quella palestra rudimentale e improvvisata, a cielo aperto, con la fredda brezza che accarezzava i loro corpi stretti in abiti leggeri e un albero spoglio che tendeva le braccia alle nuvole dalla sua posizione centrale.
-Benvenuta nella nostra palestra all'aperto. Ce n'è un'altra, ma quella la usiamo in genere per le esercitazioni con le armi. Noi facciamo esercizi con qualsiasi condizione metereologica, anche con una forte pioggia-
-Ragazzini compresi?-
-A loro lo chiediamo. Ci sono abbastanza genitori qui e mettiamo in conto anche le loro possibili preoccupazioni nei confronti dei loro figli. Hank! Hank!-
Un uomo alto sul metro e settanta, con spalle larghe e robuste e corti capelli neri, vestito con una stinta uniforme da soldato, veniva avanti dopo essersi staccato dal gruppo di corridori. Dimostrava circa trentacinque anni.  Portava una barba di tre giorni e aveva una lunga cicatrice rosata, ormai sulla via della guarigione, che andava dall'occhio destro fino al labbro superiore.
-Compagna Iphigenia, hai chiamato?- giunse con un sorriso giallastro, a cui mancava un canino.
-Salve Hank, abbiamo una recluta speciale, come ben sai-
Hank le fece un buffo inchino.
-Mia cara Antigone, la compagna Iphigenia ha scelto il migliore addestratore di reclute di tutte le Periferie- le prese la mano e fece finta di lasciarle un bacio sopra, facendola sorridere.
-Magari se inizi ad allenarla senza fare troppo lo spiritoso inizio a considerarti il miglior addestratore dell'intera Beothias ..-
Hank ridacchiò e le fece cenno di seguirla. Iphigenia iniziò ad allontanarsi verso il prato per poi unirsi al gruppo dei corridori.
-Allora, cosetta, prima di iniziare il nostro primo allenamento, hai mai fatto sport?-
-Qualcosa, quando ero più piccola-
-Oh, del tipo?-
-Atletica leggera, nulla di più. Erano i miei fratelli ad allenarsi maggiormente, i mieii non pretendevano da me e da mia sorella che facessimo sport .. -
Hank mugolava e annuiva.
-Sai correre almeno?-
-Correre? Certo che so correre-
-Per quanti minuti?-
- Ehm ..-
Sentiva di avere ormai le gambe arrugginite da un pezzo, ma pensava che quei lunghi spostamenti fatti interamente a piedi l'avessero fatta sgranchire un po'. Ne era certa, pensava. Aveva resistito a quelle lunghe camminate con un borsone sulla spalla, il buio sulla testa e il cuore in gola: correre per due minuti sarebbe stato un gioco da ragazzi.
-Guarda- Hank prese il suo timer -Io imposto il timer. Iniziamo con cinque minuti di corsa non stop, okay?-
-Hm, okay-
-Inizia a correre laggiù, accanto agli altri. Non correre insieme a loro però, voglio vedere cosa riesci a fare autonomamente-
Si allontanò da Hank, si avvicinò al gruppo di corridori e aspettò un suo segnale.
-Via!- e fischiò, e Antigone potè partire. Si mise a correre in tondo, forzando le sue gambe inizialmente troppo lente e lanciando  occhiate al gruppo accanto. Iphigenia si accorse della sua presenza e le fece l'occhiolino da lontano.
-Non ti distrarre! Corri- urlò Hank -Più veloce, ricordati di coordinare la respirazione!-
Inspira.
Espira.
La testa cominciava a girarle. Non era lo stesso di correre lungo una strada dritta e tutta in discesa. Si rese conto che il suo respiro cominciava a farsi lento e ansimante. Boccheggiava, guardava gli altri dediti alle loro attività e si sentiva ancora più stanca.
-Non ti fermare! Corri, corri ancora!- urlava Hank e lanciava fischi -Una pioggia di proiettili sta colpendo tutto ciò che ti circonda. Rimani a guardare o ti metti in salvo?-
I fischi incalzanti di Hank divennero come proiettili scrocianti e sibilanti nell'aria, freddi nell'attraversare la carne tiepida e mettere a tacere chiunque incontrassero. Immaginava l'attacco a sorpresa dello Squadrone Edelweiss, magari proprio in quel momento, mentre i membri del commando svolgevano i loro esercizi quotidiani senza mai aspettarsi il meglio o il peggio dalle loro giornate; immaginava una pioggia di proiettili che si abbatteva sull'albero spoglio e sui loro corpi in abiti da ginnastica di vecchia fattura, su quelle gambe, quelle braccia e quelle teste scoperte. Immaginava di dover dare l'allarme e scappare, aiutare Iphigenia e gli altri a prelevare feriti e bambini e a metterli al riparo all'interno.
-Bravissima, stai andando più veloce! Altri tre minuti di corsa!-
Tre minuti. Tre minuti che in quel momento le sembravano un lasso di tempo eccessivamente esteso prima di finire l'esercizio e di buttarsi a terra sfinita. Tre minuti che in un'altra circostanza sarebbero sembrati troppo, troppo pochi per mettere in salvo quaranta persone e pregare il cielo di non essere raggiunti pure all'interno. Troppo pochi pure in quelle notti insonni che l'avevano portata alle Periferie, un piccolissimo tassello di un lasso di tempo oscuro che l'aveva trasportata in una dimensione totalmente opposta a quella in cui aveva vissuto fino ad allora. Troppo pochi pure per uccidere Antigone Spartes Labdakou, Quarta Principessa Ereditaria, per permettere ad Antigone di Rubra Sphinx di emergere dalle sue ceneri ed unirsi ad un progetto di cui non riusciva ad intravedere la fine.
La Prima Repubblica. Avrebbe dovuto essere questa, questa l'imboccatura del tunnel grigiastro in cui aveva inziato ad inoltrarsi.  E ancora non aveva sentito il rumore della guerra, della guerra vera-
Prima perchè primo regime democratico e popolare dopo la Catastrofe e la Grande Dittatura, Prima perchè vero e primo modello di democrazia a tutto tondo, Prima perchè il nostro ideale supremo.
Polinice aveva scritto così.
-Ottimo, ancora un minuto!-
In minuto avrebbe potuto succedere qualsiasi cosa.
Avrebbe potuto cadere.
Lo Squadrone Edelweiss avrebbe potuto bombardare Rubra Sphinx.
Snakes avrebbe potuto far uccidere qualcuno.
E invece ci fu Hank che si limitò a fischiare e ad avvicinarsi a lei.
-Va bene Antigone, stop! Adesso iniziamo con la prima lezione di strechting!-
 
Le faceva male tutto, ma era normale, si disse. Sicuramente aveva avuto delle difficoltà a salire sulla corda per raggiungere il salone mensa.
-Normalissimo, Antigone- disse Hank scrocchiando le dita e afferrando una fune -A giorni alterni mi occuperò del tuo allenamento. Di pomeriggio, seguirai Iphigenia nella seconda palestra per allenarti con le armi. Mangia bene adesso, recupera un po' di forze-
Salire sulla fune era stata un'impresa, ma Orest aveva cercato di preparare qualcosa di speciale per festeggiare il suo ingresso ufficiale al commando: era una sottile schiacciata di pane, croccante e leggermente salata, accompagnata ad un brodo di carne con patate. Il pranzo aveva un aspetto delizioso: la carne, speziata, era calda e profumata, e la schiacciata di pane lasciava un piacevole sapore di rosmarino.
-Dove trovate gli ingrendienti?- disse dopo aver trangugiato metà della propria schiacciata -Ricordano in tutto e per tutto i cibi.. Dell'Acropoli! Sì! Orest è un cuoco eccezionale poi!-
Fu la prima volta che Orest si presentò. Era un uomo adulto, forse coetaneo di Amphiaraus, con la pelle color ebano segnata da rughe leggere, la testa pelata e il pizzetto grigiastro. Aveva un aspetto bonario e simpatico, vestito com'era con il suo grembiule sporco di sugo e la camicia bordeuax sgualcita.
-Buon appetito .. com'è che la chiami, Iphigenia?-
Iphigenia sbocconcellò un boccone di schiacciata e carezzò la testa ad Antigone.
-Si chiama Antigone, ma per noi amici ormai è "cosetta". Dico bene?-
Annuì, a bocca piena. Orest ridacchiò a braccia conserte.
-Hai fame e guarda cosa ti ho preparato! La carne migliore rubacchiata dai miei collaboratori del Porto solo per te!-
-Avete corrispondenti anche al Porto? Non ci credo!-
Orest le lanciò un occhiolino.
-Cosa credi, cosetta? Che un tuo concittadino voglia sporcarsi le mani a fare il mozzo? Pff, i mozzi che lavorano al Porto sono tutti delle Periferie .. E ci conoscono, cavolo se ci conoscono!-
-E la distribuite anche agli abitanti delle Periferie?-
Orest ridacchiò.
-Prendiamo quel che possiamo per sfamare il commando e poi rubacchiamo anche altro da vendere! Ci pagano in ottime munizioni, a noi i soldi non servono!-
-A proposito, Orest!- urlò Jeanne -I tuoi collaboratori quand'è che si decidono a portare una bottiglia di Jack Daniel's? Qua c'è gente che ha sete!- e Big McKeane la seguì ridacchiando, imitato da Tideus.
-Cazzo Jeanne, passa il tempo e resti sempre una fottuta alcolista- esclamò Amphiaraus sorridendole -Cosa c'è, altri due di picche?-
-Già, amico. Altri due di picche. Mi serve, mi capisci, no?-
Gli occhi di Jeanne si fecero improvvisamente lucidi e malinconici. Vide i suoi occhi incrociarsi coi propri e poi arrivare a posarsi su Andromaca, che sospirò. Ma Antigone non ci fece caso più di tanto.
Dopo pranzo Iphigenia le disse di seguirla. Lasciò gli altri ad occuparsi della pulizia della mensa e la accompagnò alla palestra, una larga sala dalle pareti blu e bianche gonfie di umidità, con dei bersagli di diverse dimensioni fissati al muro.
-Fa' qualche esercizio per le braccia, io vado a prendere qualcosa di adatto per te-
La lasciò allontanarsi e quindi uscire dalla palestra. Antigone cercò di ripercorrere gli esercizi per le braccia che le aveva consigliato Hank: si scrocchiò le mani, portò le braccia in avanti e mise a ruotare come se stesse nuotando, ripetendo l'esercizio per dieci volte; poi portò i pugni al collo, a gomiti larghi, e ripetè quelle mosse con la stessa frequenza. Alternò i due esercizi finchè Iphigenia non fece ritorno con due Beretta M9 e un.
-Iniziamo in maniera soft. Prendi questa. Ho già messo i proiettili, a fine esercitazione ti faccio vedere come si ricarica. E' la nostra pistola base, come già sai, e ce la portiamo in perlustrazione. Pesante? -
La maneggiò per qualche secondo, poi lasciò che la sua mano si abituasse.
-No, va bene-
-Ottimo. Allora, li vedi quei bersagli?- erano bersagli dalla forma umana, ad altezza naturale, con delle crocette disegnate al centro del petto, della testa e dello stomaco -Punta verso di quelli. Tranquilla, ti seguo per tutto l'esercizio. Impugna la pistola con entrambe le mani, così-
Seguì ogni movimento delle sue mani, cercando di imitarne la posizione.
-Bene, adesso punta verso il bersaglio e stendi bene le mani, così-
-Ci sono-
-Fissa bene il suo bersaglio. Respira, inspira-
Fissò bene il bersaglio, puntandolo verso il centro.
Respira, inspira.
-Sta' ben piantata, dritta. Reggerai meglio il rinculo-
-Rinculo?-
-Terzo principio della dinamica, tesoro. Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. E se l'azione è compiuta dal proiettile che schizza fuori, come reazione la pistola ti darà una spinta all'indietro. Ci sei?-
-Ci sono-
-Bene, adesso punta il tuo bersaglio. Concentrati bene, facciamo tre tiri. Come vedi, ci sono alcune crocette di scotch bianco sulla sagoma: questi sono punti mortali, cerchiamo di non prenderli, okay? In perlustrazione dobbiamo difenderci, è raro uccidere qualcuno, anche perchè non ne abbiamo ancora avuto l'occasione. Cerca di colpire alle gambe, al ginocchio più precisamente: bloccherai chi ti insegue senza ammazzarlo e riuscirai a dartela a gambe. Pronta?-
Annuì.
-Premi il grilletto. Fuoco!-
Il grilletto, freddo e metallico, alla leggera pressione esercitata dal suo polpastrello fece scattare fuori un proiettile argenteo. La pistola rimbalzò all'indietro facendola sobbalzare.
-Ritta, ritta coi piedi!-
Il proiettile volteggiò per aria e terminò la propria corsa colpendo il fianco della sagoma.
-Proviamo ancora, non è male. Fuoco!-
Secondo proiettile, secondo rimbalzo, secondo sibilo per l'aria. Il proiettile rimase incastrato all'altezza della coscia.
-Attenzione, arteria femorale. Qualora dovessi difenderti, non colpire là sennò lo ammazzi. Ultimo colpo-
Terzo proiettile, terzo rimbalzo, terzo sibilo. Il colpo si schiantò sul ginocchio.
-Ottimo, adesso ci siamo. Ti senti più pronta?-
-Decisamente-
-Non posso ovviamente cederti immediatamente una pistola, dobbiamo allenarci ancora un po'. E soprattutto, devi imparare a guidare-
-Imparare a guidare?-
Gruppi di ribelli in abiti da combattimento, magari alla guida dei loro bolidi sporchi e modificati: li aveva spesso immaginati così, magari con una mano al volante e l'altra alla bomba a mano, sulle strade impervie, aride e polverose della Zona Non Protetta, con i grossi massi di roccia giallastra che salivano su quelle montagne dell'Entroterra che la cupola non includeva. Imparavano a guidare da soli, direttamente su strada, e l'unica patente che possedevano era l'esperienza al volante. E adesso, di punto in bianco, toccava imparare anche a lei, perchè la sua nuova vita così richiedeva.
-Sì, ma non c'è fretta. Solo se vorrai, ovviamente. Diciamo che saper guidare almeno un po' ci ha salvato il culo molte volte, è una questione di .. Prudenza. Sì, prudenza. Se dovessi trovarti come passeggera su uno dei veicoli, possibilmente durante uno scontro, e quello che sta a alla guida dovesse essere ferito, tu dovresti prendere il posto e portare avanti la carriola-
-Hmm, ho capito-
-Un giorno di questi vieni a far perlustrazione con me, okay? Adesso aspetta, ricarico le pistole e ci esercitiamo ancora un po'. Ti porto un piccolo regalo, non ti sarà utile molto spesso ma è sempre un bene averlo con sè-
Iphigenia prese le pistole ed uscì dalla stanza. Ritornò dopo qualche minuto con le Beretta caricate e un coltellino svizzero nella tasca dei pantaloncini.
-Coltellino svizzero. Non so se tu l'abbia incluso nel tuo bagaglio, comunque prendilo come un regalo. Ce li danno al mercato nero quando non sanno con cosa pagarci la carne che barattiamo, ne abbiamo per un esercito. Prendilo, ti servirà qualora dovessi tagliare i fili dell'accensione di un aerovettura o di un aerociclo. Oddio, ci sono molti altri utilizzi ma non è necessario perderci molto tempo. Prendi, mettilo in tasca e ricominciamo-
Il coltellino svizzero, di plastica argentata e metallo, andò a finire nella sua tasca. Antigone impugnò la pistola e mirò al bersaglio.
-Adesso fa' da sola, ti sto a guardare- Iphigenia si avvicinò alle sagome e premette un pulsante verde che Antigone non aveva notato in precedenza -Lo facciamo più difficile. Sagome mobili. Fa' finta che siano miliziani dello Squadrone Edelweiss che ti ritrovi davanti mentre vai in perlustrazione-
Le sagome iniziarono a muoversi e Iphigenia tornò accanto a lei.
-Bene, ricorda quel ti ho detto. Braccia ben stese, piedi ben saldi a terra, attenta al rinculo e ai punti vitali. Vai!-
La prima sagoma nerastra, con le crocette sui punti vitali, iniziò a muoversi freneticamente a destra e a sinistra, imitata dalle altre due alle sue spalle. Scattavano a destra e a sinistra tanto da essere difficili da colpire. Le giravano gli occhi, ma sotto lo sguardo amorevolmente severo di Iphigenia doveva mantenere nervi saldi.  Era fortunata in quel momento, erano semplici sagome di cartone e metallo adatte per esercitarsi e facilmente sostituibili; in un futuro prossimo avrebbe potuto trovarsi davanti due grossi tipi in uniforme, con quell'orribile spilla a forma di edelweiss appuntata sul colletto, pronti ad afferrarla con le loro grosse mani guantate e a portarla alle celle.
- Occhi fissi sul bersaglio, Antigone!-
Occhi fissi sul bersaglio.
- Incanala la tua rabbia e trasferiscila al grilletto! Sfogati!-
Snakes e il suo partito di bugiardi.
La mente annebbiata di zio Kreon.
Ismene e la sua infelicità nascosta.
Sparò il primo proiettile e questo andò a vuoto. Il secondo colpì al braccio la sagoma di mezzo, poi ritentò colpendo il ginocchio  della prima . La quarta pallottola colpì la testa della terza sagoma e le restanti si scagliarono sul petto e sui fianchi delle prime due figure.
-Stop!- urlò Iphigenia -Abbassa lentamente la pistola-. Poi si diresse vicino alle sagome e spense il meccanismo.
-Come sono andata?-
-Non c'è male, come prima volta. Ti vedevo disinvolta, non traballavi. A volte capita di oscillare un po', soprattutto la prima volta. Tu invece sei rimasta ben dritta, senza perdere l'equilibrio per il peso della pistola o per il rinculo. Brava!-
Antigone fece cenno di restituire la Beretta ma Iphigenia scosse la testa.
-Prendila pure. Anzi, vieni che ti do un po' di pallottole. Le terrai sotto la branda per caricare la pistola quando vorrai, okay?-
Soppesò la pistola e la guardò per qualche secondo, perdendosi nei suoi riflessi neri e metallici. Poi annuì e la seguì in sala d'armi.
 
-Thebe si sconvolge di nuovo: la Quarta Principessa Ereditaria, Antigone Spartes Labdakou, è di nuovo fuggita. Ci parla di lei la nostra Loomy Gowan!-
-Laggiù, zitti tutti!- urlò Iphigenia alzando il viso dal piatto -Stanno parlando di Antigone!-
I commensali abbassarono il tono della voce per ascoltare ciò che la tv a manovella cicalava quella volta.
Loomy Gowan, pallida come uno straccio come al solito, con l'eyeliner viola che tracciava una linea spessa intorno a quegli occhietti piccoli dalle iridi giallastre, indossava un tailleur viola scuro e teneva il microfono con una mano altrettanto bianca e sormontata da lunghe unghie laccate di smalto nero.
-Proprio come dici dallo studio, Thebe è nuovamente sconvolta per la sparizione della nostra Principessa! Principessa che tra l'altro non finisce di stupire neanche questa volta, come sua sorella Sua Maestà Terza Principessa Ereditaria ci ha appena comunicato. Vostra Altezza, cosa avete trovato stamattina sul letto di vostra sorella?-
Dalla sala mensa si alzò una risata rumorosa. McKeane si avvicinò a lei, la strinse tra le braccia e le scompigliò i capelli.
-Cosetta nera che non sei altro, come fai tu a far uscire dai gangheri i borghesi non ci riesce proprio nessuno! -
-Zitto McKeane, fa' parlare la radio!- sbottò Amphiaraus, gettando un fazzoletto sporco nel cestino della spazzatura.
Loomy Gowan passò la parola ad Ismene. Ismene indossava un abito blu petrolio con il colletto tondo, di merletto bianco, con la spilla di Ordine Edelweiss ben in vista. Aveva gli occhi arrossati e la faccia pallida, quasi esangue, e la sua bella bocca era contratta in una smorfia grottescamente trista, come quella di un bambino a cui era stato strappato il peluche preferito. Vederla in quel modo le strinse il cuore, ma Antigone si limitò a sospirare: Ismene non avrebbe mai potuto nè dovuto sapere o scoprire perchè fosse scappata. Almeno fino alla morte di quell'incantatore di serpenti.
-Sono entrata nella sua stanza e non l'ho trovata. In compenso ho trovato questa .. Questa lettera, questa che vedete tra le mie mani- la telecamera fece lo zoom sulla lettere e la tv fu presa da una piccola interferenza -.. Leggerne il contenuto-
-Sì, Maestà. Leggete pure!-
Ismene, con voce roca e rotta di pianto, lesse ogni parola che lei aveva scritto la sera prima. Ad ogni pausa e ad ogni fonema i compagni sussultavano di risate e le davano forti pacche sulla spalla, ma Antigone avrebbe voluto piangere vedendo quella scena. Lei odiava Thebe, era vero. Odiava il marcio che si nascondeva in Snakes, odiava Snakes e tutto l'Ordine Edelweiss che voleva far loro il lavaggio del cervello adducendo a stronzate, e detestava anche zio Kreon per aver ceduto a quelle parole blande. Ma non riusciva ad odiare lei, Ismene, l'unica sorella che l'era rimasta in quella famiglia prima così numerosa e poi così vuota, con i posti a tavola perennemente vacanti, con le vecchie stanze di Eteocle e Polinice trasformate in camere degli ospiti con mobili convenienti.
Ismene aveva l'unica colpa di non potere capire. Nemmeno se l'avesse saputo.
Implicita come le colpe di mamma e papà.
Antigone nascose il viso tra le mani e abbassò la testa.
Voleva fingersi stanca, tanto aveva sempre funzionato. Ma non con Iphigenia.
Sentì il suo braccio tiepido e liscio sulla nuca e iniziò a singhiozzare. Non si poteva mentire nè essere ipocriti accanto a lei, ma Iphigenia avrebbe avuto sempre uno sguardo colmo di comprensione ed empatia.
-Compagni, seguite attentamente cosa dicono in tv. Sto accompagnando Antigone in bagno, okay?-
Nessuno pronunciò parola, ma Amphiaraus fece cenno di sì con la testa.
-Orest, possiamo usare un attimo il wc della cucina?-
-Certamente! E' dopo il disimpegno!-
Iphigenia, continuando a stringerla a sè, l'aiutò ad alzarsi e la condusse alla cucina, un piccolo ambiente di piastrelle ingiallite dal fumo, colmo di pentole e stoviglie ancora sporche. Appena entrate girarono a sinistra e si fermarono in una piccola saletta illuminata da un neon.
Antigone si buttò tra le sue braccia, ma Iphigenia non mosse una parola di protesta. Lasciò solo che si calmasse dopo un lungo minuto di pianto.
-Cosa succede, hei? Mancanza di casa?-
-Non posso vedere Ismene così! Io quell'espressione la riconoscerei tra mille! Ha pianto tutto il giorno per colpa mia, ecco! Perchè sono una bambina viziata che gioca a fare la ribelle e che non sa nemmeno salvare i propri cari!-
-Sbagli, Antigone. Hai tutta la stoffa per diventare la degna sostituta di Polinice, ma queste parole non sono, appunto, da vero ribelle. Un vero ribelle lotta a prescindere per i propri cari, non trovi? Perchè ti saresti mai iscritta a Rubra Sphinx, eh?  Non vorresti salvare Thebe dallo schifo in cui sta sprofondando? E in Thebe non è compresa anche tua sorella Ismene?-
-Lei .. Lei forse non cambierà! E' circondata da gente di merda, Iphigenia, primo fra tutti Achilleus! Non scoprirà mai di stare insieme ad un mostro nè di essere circondata da bestie ignoranti! E' ingenua, è buona .. Non può cambiare!-
-Guardami bene, dico a te- la fissò dritta con i suoi grandi occhi neri -Per le rivoluzioni, piccole o grandi che siano, ci vuole sempre tempo. Solo il tempo e l'impegno costante, il rischio e i vari tentativi possono davvero portare ad una rivoluzione, Antigone. Così brava a maneggiare un'arma ma con tante cose da imparare .. La Grande Dittatura non è caduta dall'oggi al domani, così come Snakes e la sua allegra combriccola di buffoni. Ci vorrà tempo, e forse anche tanti sacrifici .. Tu vuoi cambiare Ismene e anche Emon, e quindi tutta Thebe?-
-Ismene è tutto ciò che mi resta, insieme ad Emon-
-Molto bene. Ma devi attendere. Così come hai atteso e pensato tante di quelle volte prima di unirti a questa allegra brigata di pezzenti bravi a sparare. Questa è la prima, piccola rivoluzione che ha spianato la strada a tutte le altre. Hai stravolto la tua vita, abbandonato i tuoi affetti, la tua casa, il ragazzo che ami e tua sorella, proprio come abbiamo fatto tutti noi. E noi, tutti noi, possiamo capirti. Ma è solo il primo passo, Antigone, solo il primo passo, e devi solo andare avanti senza voltarti indietro. Il passato è solo una montagna di cenere e il presente è una merda secca che rischia di diventare abbastanza puzzolente e ingombrante, eh, penso di essermi spiegata abbastanza chiaramente. Davanti a te, davanti a noi, c'è invece qualcosa in più. E dobbiamo raggiungerlo o no?-
-Sì, Iphigenia-
La strinse forte e la baciò sulla fronte.
- Le cose cambieranno. Abbi speranza-
Speranza.
Quella speranza che non brillava di verde smeraldo come i manifesti dell'Ordine Edelweiss ma di rosso, rosso come il colore della Sfinge geometrica che si abbatteva sulla cittadella, rossa come gli stendarti di Rubra Sphinx, rossa come il sangue che Hector e Polinice avevano versato per liberare Thebe da un giogo che opprimeva tutti da troppo, troppo tempo.
La speranza era rosso sangue, era rosso rubino, era rossa come i papaveri della canzone del commando, rossa come i loro volti nell'ardore del combattimento, rossa come i fiori di sangue schizzati fuori dai corpi di quegli innocenti del mercato che non sarebbero rimasti invendicati.
Questa era e definiva speranza.
Quel verde smeraldo nascondeva solo il bianco della morte e il nero della schiavitù.
-E ora che ti sei calmata, noi andiamo a farci un giro per strada-
-Alle Periferie?-
-E dove sennò?-

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Capitolo 30
*** 29 ***


29


La vettura di servizio, così come la chiamavano, era un pick up di marca Volkswagen vecchio di almeno quarant'anni. La vernice verdastra che lo ricopriva era ricoperta a tratti da macchie di fango o di sporcizia nerastra, con il cofano bucherellato da colpi di proiettili e il parafango lurido. Iphigenia le aprì lo sportello, la aiutò a salire e poi si allontanò.
-Torno subito, aspettami qui-
Nello stretto abitacolo del pick up, con i sedili di ecopelle nera e consumata e il cruscotto impolverato, occupato da mappe ingiallite e vecchi volantini, aleggiava un forte odore di polvere e di aria stantia.
Dopo qualche minuto Antigone sentì dei passi e un lento strisciare sul terreno. Si sporse dal finestrino e vide Iphigenia trainare un grosso e pesante sacco di iuta, per poi sollevarlo e metterlo dietro il pick up. Ripetè gli stessi gesti pochi secondi prima, ritornando con un secondo enorme sacco da caricare dietro. Dunque aprì lo sportello e rientrò nell'abitacolo.
-Lo so, puzza come non mai. Ma se tieni i finestrini leggermente aperti la puzza se ne va, soprattutto se ci muoviamo-
Iphigenia accese il pick up e l'abitacolo iniziò a traballare, con le mille lucine gialle e arancioni che lampeggiavano sul cruscotto, poi schiacciò la frizione e ingranò le marce, guardandosi alle spalle. Il pick up scivolò dal suo improvvisato parcheggio di erba secca e ghiaia, indietreggiando prima a destra e poi mettendosi in orizzontale. La vettura si posizionò davanti il cancello, Iphigenia tirò fuori un piccolo telecomando e schiacciò il tasto rosso, facendo scattare il cancello. Poi strinse le mani sul volante, premette l'acceleratore e si mosse in avanti.
Con le mani strette sul volante di ecopelle, rattoppato da nastro isolante, le braccia tese che lasciavano intravedere ascelle del tutto diverse da quelle delle ragazze bon ton dell'Acropoli e gli occhi neri e lampeggianti, Iphigenia appariva bella come non mai. La guardava con la coda dell'occhio, in silenzio.
-Cosetta, hai messo la cintura?-
-Oh, già. La metto subito-
-Nah, basta che ti tieni forte. Oggi giretto turistico, basta che tiri su il cappuccio e non ti fai riconoscere-
Il pick up prendeva velocità, scivolando e rombando sull'asfalto polveroso. L'orologio elettronico sul cruscotto segnava le dieci e mezza della sera con i suoi numeri rossi e lineari.
-Sai la storia del coprifuoco?-
-Coprifuoco?-
-Alle Periferie dovremmo essere tutti a nanna già dalle dieci. Ovviamente i papponi dell'Acropoli possono frequentare i bordelli, però-
-No, non lo sapevo. Ve l'hanno detto quelli dello Squadrone Edelweiss?-
-No, cosetta. E' una vostra legge. E' passata quando il tuo amato zietto ha ordinato alla nazione di lasciare Polinice a marcire in mezzo alla strada-
Iphigenia si sporse dal finestrino e allungò un braccio per salutare qualcuno.
- E cosa c'entra?-
-Bene, vedo che nemmeno zietto Kreon te l'ha spiegato. Credevano che di sera andassimo a recuperare Polinice per dargli una degna sepoltura. Ma a Polinice non importava di essere sepolto, non credeva a nessuna di queste baggianate. Nemmeno la tua famiglia lo conosceva come lo conoscevamo noi .. o forse tu-
-Già-
Il pick up si fermò ad un semaforo. Iphigenia e Antigone rimasero in silenzio finchè non scattò il verde.
-Non avete mai pensato di .. Andarlo a recuperare?-
-No, cosetta. Come ti ho detto, a lui non sarebbe importato nulla. Non si è unito al commando per morire da eroe e per essere ricordato come un principino ribelle che si è voluto abbassare al livello dei poveracci delle Periferie. Se si è unito a noi, è perchè aveva capito che la scintillante Acropoli era marcia come un cadavere. Negli ultimi tempi, prima che ci lasciasse, ci parlava molto di come la odiasse. Addirittura voleva che tutti si estinguessero, la sua famiglia compresa-
Antigone sorrise.
-Davvero?-
-Esattamente. E tanto gli avrebbe fatto schifo essere commemorato come un eroe, che pare abbia deciso di farsi ammazzare da suo fratello proprio per questo. Polinice non voleva essere un eroe nè essere ricordato come tale. E quindi siamo stati buoni buoni a rispettare le leggi del vecchietto-
Girarono a sinistra, procedettero per alcuni metri e arrivarono ad un viale disseminato da baracche basse, illuminate da lanterne di carta issate sulle piccole verande di legno consunto. In mezzo a quello squallore polveroso i lampioni lampeggiavano e ronzavano, giaciglio per cani randagi e accattoni, mentre la strada che il pick up percorreva faceva da parco giochi a bambini e bambine vestite di lunghe canottiere bucherellate, colti nell'atto di seguire cerchi di legno o cuccioli randagi, e di adulti e anziani radunati alle verande, in totale e freddo silenzio. Non appena però Iphigenia diede un colpo di clacson le verande iniziarono ad animarsi di frenesia, come se per i loro abitanti fosse arrivata una bella notizia che aspettavano da tempo.
-E' la compagna Iphigenia di Rubra Sphinx!- urlò un ragazzino indicando il pick up con il suo braccino secco -Guarda papà, guarda nonna! E' lei, guardate tutti!-
Le strade iniziarono ad animarsi di voci rauche ma allegre, tutte che invocavano il nome di Iphigenia e stendevano le braccia verso di lei. Iphigenia accostò al marciapiede e parcheggiò.
-Salta giù, ti faccio conoscere un po' di gente-
Appena Iphigenia pose un piede sull'asfalto, venne immediatamente circondata da ragazzini secchi ma sorridenti, accompagnati da adulti altrettanto affamati ma felici di averla incontrata per strada.
-Buona sera a tutti, gente del quartiere ovest! Babbo Natale è venuto a trovarvi!-
-Compagna Iphigenia, sei da sola come al solito? Ho visto qualcuno accanto a te!- chiese la vocetta rauca di una bambina.
Dal proprio posto vide Iphigenia carezzare la testa di una bambinetta piccola e magra, con un curioso taglio di capelli a scodella che cadevano lenti sul suo visetto pallido e appuntito dalla fame.
-No, piccola. Questa volta ho portato qualcuno con me. Scendi, non essere timida!-
Antigone aprì la portiera e poggiò i piedi sull'asfalto, uno dopo l'altro, a viso basso.
-Coraggio, Antigone. Non essere timida- disse Iphigenia.
- A-Antigone?- mugolò una vecchietta pallida, con un fazzoletto nero da cui fuoriuscivano ciuffi di capelli bianchi.
Antigone si fece avanti, sorridendo. Vide la piccola folla che circondava Iphigenia sbiancare.
-Salve- mugolò timidamente -Felice di incontrarvi-
Iphigenia tese un braccio alla vecchia in procinto di inchinarsi.
-No, non c'è bisogno di inchinarsi, grandma Maryem. Giusto Antigone?-
-Iphigenia ha ragione. L'aiuto ad alzarsi-
Aiutò la donna a sollevarsi e spazzò la polvere che si era depositata sul suo lungo grembiule. La vecchietta le strinse la mano e sorrise.
-Principessa, siete un'amica allora. Come vostro fratello-
-Non chiamarmi così. Non sono più una principessa-
-La nostra cosetta ha ragione, grandma Maryem. Scordati la principessa ingioiellata dell'Acropoli, qui abbiamo una degna consanguinea di Polinice! Antigone, mi aiuti a distribuire le razioni?-
Grandma Nora rivolse ad Iphigenia un sorriso commosso.
-Vado a dire a mio figlio di avvertire tutti. Yussef!- gridava quel nome a gran voce, con tutte le forze che l'età inoltrata le concedevano -Compagna Iphigenia ha portato le razioni! Ce la fa Fatima ad alzarsi?-
Tutti i bambini e gli adulti che si erano radunati intorno al pick up corsero alle rispettive case per avvertire i genitori e gli altri ragazzini del vicinato, per svegliare gli accattoni dei lampioni e per portare alcuni dei randagi del quartiere. Iphigenia seguì i gesti di quella gente con occhi severi e benevoli allo stesso tempo.
-Due sacchi basteranno?- le sussurrò Antigone.
-Ogni volta se li fanno bastare per due mesi, poveracci. Quello che c'è dentro i due sacchi deve bastare per le Periferie intere-
-Cosa c'è dentro?-
-Scatole di riso bollito con zuppa di carne e verdure, latte e pane. La zuppa liofilizzta la produciamo noi. Per il resto, prendiamo spesso ciò che resta in esubero in dispensa e lo distribuiamo. Sono così poveri che spesso non hanno nemmeno coltelli adatti per tagliare la carne o le verdure, e il cibo liofilizzato si trasforma in qualcosa di discreto con un po' di acqua calda, per il resto cercano di dividersi l'altro cibo. Non è molto, ma è già qualcosa per ridurre il tasso di denutrizione-
In pochi minuti le piccole baracche si svuotarono e una certa folla si radunò accanto al pick up.
-Antigone, aiutami a portare giù un sacco- disse Iphigenia afferrandone la iuta -Al mio tre. Uno, due .. issa!-
Imitò i suoi gesti, utilizzando quanta più forza aveva nelle braccia. Il sacco pesava come non mai e si stupì al pensiero di Iphigenia che trascinava un peso del genere. Il grosso bagaglio fu messo a terra, Iphigenia slegò la corda che lo teneva chiuso e lo aprì pian piano, mostrando la crosta di grosse pagnotte marroncine e il coperchio giallo metallizzato delle scatole di zuppa. Iphigenia ne tirò fuori tre e lo stesso modo fece Antigone, e ne distribuirono una per famiglia, a seconda del numero dei membr. Venne seguita la stessa procedura per la distrubuzione delle scatole di zuppa. Poi Iphigenia rimise il primo sacco al proprio posto e portò giù il secondo, colmo di buste di latte intero. Ne vennero date due a famiglia, poi il sacco ritornò sul pick up.
Gli occhi stanchi e affossati dei residenti si illuminarono di un lampo di felicità mista a gratitudine. Un uomo magro, dalla pelle olivastra, con corti capelli neri e occhi castani si avvicinò ad Iphigenia e l'abbracciò, subito imitato da una donna da lunghi capelli neri e grandi occhi  verdi. Tutti i presenti guardarono l'abbraccio e si misero a battere le mani, commossi.
-Compagna Iphigenia- disse l'uomo -Senza il tuo aiuto, senza Rubra Sphinx, la vita alle Periferie non sarebbe tollerabile- poi allungò la mano verso di Antigone, sorridendole -Sono lieto di fare la vostra conoscenza, principessa Antigone. Potete chiamarmi Yussef-
-Mi dia del tu. Non sono più una principessa, Yussef-
Iphigenia le cinse una spalla con un braccio.
-Gli abiti sontuosi dell'Acropoli stanno stretti a questa novellina! Ce lo ha dimostrato fin dal primo momento!-
-Bisogna festeggiare allora!- la donna che accompagnava Yussef era di una bellezza sfolgorante e lontana, con quegli occhi verdi e allungati e la figura sinuosa in un abito di lino bianco che cadeva morbido su di lei. Sorrideva amabilmente, con quei denti bianchi e perfetti e le labbra beige che sembravano disegnate, e le mani affusolate che sistemavano un morbido velo turchese sulle sue magre spalle. La donna si fece avanti, fece un lieve inchino e poi rise melodiosamente -Mia cara Antigone, chiamami pure Fatima. Attendevamo da troppo un ospite d'onore ed eccoti qui!- poi si rivolse ai gruppi alle sue spalle -Accedete più lanterne che potete e prendete la chitarra! Meriti un benvenuto come si deve, anche con quel poco che abbiamo-
In pochi minuti, i silenziosi e magri abitanti di quelle baracche uscirono dalle loro abitazioni. Avevano i vestiti vecchi e sporchi, alcuni erano addirittura a piedi scalzi, ma in tutti i loro volti anneriti dalla fatica e dalla stanchezza brillavano calorosi sorrisi. Due famiglie poco distanti si avvicinavano, portando delle chitarre, i bambini si divertivano ad accendere le stinte lanterne di carta mentre gli adulti li portavano sulle spalle. Il misero vicinato si riempiva di tenue luci che illuminavano quella sera fumosa e puzzolente, senza luna nè stelle, con l'aria pregnante di fumo e smog, cartacce e polvere sparse per le strade e cani randagi che girovagavano tra i marciapiedi.
Qualcuno portava anche dei vecchi tappeti bucherellati, li stendeva a terra e organizzavano un improvvisato banchetto di benvenuto, con bocconi di pane e una busta di latte. Grandma Maryem uscì di casa con una grossa pentola metallica, e Yussef corse ad aiutarla.
-Mamma, guarda che è troppo pesante per! E potrebbe scottare!- le disse sorpreso e preoccupato
-E' fredda, tesoro, e ho portato pentoloni di riso per tutta la vita! Va' ad aiutare gli altri, ce la faccio-
-Non si discute, lascia che ti aiuti-
Yussef e grandma Maryem poggiarono la pentola al centro di quell'improvvisato pic nic. Dopodichè, tutti si sedettero a cerchio, con Antigone e Iphigenia poste al centro.
Fatima uscì fuori un coltellino svizzero e aprì la busta di latte.
-Questa è una serata speciale. I nostri angeli, come sappiamo, ormai vengono da terra. Ma stasera, se n'è aggiunto un altro. Facciamo un caloroso benvenuto alla nostra nuova amica Antigone!-
Tutti iniziarono ad applaudire, Iphigenia compresa. Grandma Maryem si avvicinò a lei e le baciò la fronte, porgendole il latte.
-Questo primo sorso è per te, la nostra festeggiata. Spero ti basti per avere abbastanza fiato per cantare Papaveri e Baionette!-
 
Si sentiva stanca ma felice. Felice di quelle piccole cose, così semplici e nascoste in una metropoli dai mille contrasti, proprio come Fatima, Yussef e i loro vicini di casa, con le pance vuote e brontolanti e gli occhi pieni di speranza. Non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine di una bambina minuscola, dalla pelle pallida e i capelli neri, che s'era avvicinata ad Iphigenia e le aveva chiesto di poter entrare al commando.
-Sei ancora piccina per entrare, ma appena sarai grande ti prometto di accoglierti come vorrai-
-E se la rivoluzione scoppia prima che diventi grande? Io voglio combattere come te, compagna Iphigenia!-
E Iphigenia l'aveva guardata commossa, poi l'aveva salutata con un bacio sulla guancia.
-Ti faccio uno squillo, piccolina. Ora io e Antigone dobbiamo andare-
Ed erano ritornate sul pick up per concludere il giro delle Periferie.
Iphigenia canticchiava Papaveri e Baionette, con gli occhi stanchi ma ancora sereni e attenti. Dovevano ancora distribuire quelle poche provviste sullo stradone centrale ed entro due ore avrebbero dovuto essere alla base.
-Lo stradone centrale è quello che hai attraversato, ricordi?-
-Perfettamente. Ed è pure la strada con i bordelli, dobbiamo assolutamente entrare lì-
Iphigenia scosse la testa e accostò ad un angolo buio del marciapiede.
-Nessun "dobbiamo", questa volta. Tu sta' ben riparata, anzi tirati su il cappuccio e distenditi. Con questo buio non riuscirà a vederti nessuno-
Antigone sospirò e annuì.
-Dici che è controllato qui?-
-No, non è controllato, è frequentato. E sappiamo benissimo anche da chi. Sta' all'erta-
Antigone si tirò il cappuccio, si distese sul lungo sedile e lasciò scendere Iphigenia. Dal suo nascondiglio riusciva a sentire i bambini dei marciapiedi che chiamavano a forti schiamazzi i genitori, i passi svelti degli affamati e lo strisciare dei grossi sacchi di provviste. Nessuno chiedeva ad Iphigenia se fosse sola, e forse nemmeno importava a qualcuno. Tutti gioivano del fatto di poter deglutire un boccone nutriente almeno quella sera, giusto per sopravvivere ad un altro giorno di quella misera, grigia vita. I bambini battevano le mani, le donne e gli uomini sospiravano, i cani abbaiavano e forse scodinzolavano allegri.  Le palpebre le si fecero pesanti: forse, per quella sera, era giunto il momento di addormentarsi. Iphigenia avrebbe distribuito il resto, poi sarebbe tornata sul pick up e le avrebbe permesso di dormire sulle sue gambe. Pochi minuti e sarebbero state al dormitorio, distese sulle brande a ricaricare le energie per la giornata seguente.
Il pick up s'era fatto quasi più leggero. Iphigenia aveva distribuito tutto ciò che era rimasto e i residenti di quel pezzo di Periferie le rivolgevano gli ultimi ringraziamenti e la buona notte. Improvvisamente, un forte rombo di motore la fece sobbalzare e portò la folla ad urlare. Poi si udirono dei passi veloci, un forte strepitare di suole consunte sul terreno e la portiera del pick up aprirsi di colpo.
-Cosa succede?-
-Qualcuno dice di aver visto una macchina sospetta-
-Sospetta?-
-Non è normale vedere un'aerocadillac alle Periferie, sai com'è-
Iphigenia accese il motore, fece retromarcia e portò il pick up a nascondersi in un vicolo buio che dava sullo stradone, poi spense i fari e il motore. Un improvviso e confuso vociazzare animò la strada che avevano lasciato, accompagnato da passi lenti e da colpi di pistola.
-Maledetti- sussurrò a denti stretti Iphigenia -Sono venuti a farci una bella visita in borghese-
-E' lo Squadrone Edelweiss?- domandò Antigone preoccupata -Che cosa facciamo-
-Aspettiamo e restiamo in silenzio. Le loro voci non mi convincono. Sono troppo allegre, quasi sembrano urlare. Ascoltiamo-
Si udirono delle risate maschili gracchianti e rumorose, un rumore di vetri infranti e l'ennesimo colpo di pistola. Una delle tre voci propose alle altre due  di andare a fare baldoria.
-Dici che Cassie c'è? C'ho voglia, papà, lo sai!- gracchiò in risposta una voce, quella che pareva più giovane e squillante.
-Accontentati, diamine!- urlò una voce, forse più matura ma ancora giovanile -Se è vecchia ci sputi per caso?-
-Se è vecchia me la prendo io- ruttò la terza voce, più roca e forse appartenente al più anziano del gruppo -Sennò tua madre mi urla contro, quella gallina!-
Le tre voci ben presto ebbero un volto: ubriachi e malconci, con le giacche e le camicie sporche, Boris Brown, suo figlio Troy e Hans Achilleus procedevano traballando e ondeggiando, pronunciando bestemmie e sparando alle bottiglie di vetro che si erano lasciati alle spalle. I tre  si fermarono davanti all'entrata del bordello, ripresero fiato e iniziarono a dare calci alla porta.
-Aprite, puttane!- urlò Achilleus sferrando calci davanti a sè -Siamo stanchi, cazzo- e ridacchiò, imitato dai due compagni di bevuta.
La porta si aprì lentamente, mostrando una donna sulla cinquantina d'anni, con la faccia impomatata e un lungo abito di stoffa rossa di bassa qualità. Boris Brown le prese una mano e finì per ruttarvi su, in un becero e volgare baciamano.
-Madame- ruttò -Siamo venuti presto?- chiese urlando alla donna.
La donna accettò quella volgare dimostrazione di galanteria e si mise a parlottare con loro, a bassa voce. Poi i quattro sparirono oltre la soglia, inoltrandosi in una penombra violacea di luci al neon e fumo di sigaretta.
Iphigenia guardava con occhi di fuoco il punto davanti a sè.
-Missione speciale e inattesa. Certo che non si può stare tranquilli stasera-
Si abbassò e aprì un piccolo cassetto sotto il sedile, tirandone fuori una pistola e una bandana nera.
-Cosa vuoi fare?- chiese Antigone preoccupata.
-Andiamo a salvare le ragazze- Iphigenia indossò la bandana, raccolse i capelli in una vaporosa coda e strinse la pistola -Andiamo a prenderne quanto possiamo. Coraggio, salta giù-
Antigone strinse le spalle e la guardò preoccupata. Quella sarebbe stata la sua prima, piccola missione, l'azione che avrebbe consolidato il suo ingresso al commando. Aveva una spilla addosso, aveva firmato dei documenti di riconoscimento, aveva imparato ad utilizzare una pistola, aveva mangiato ad una mensa di sovversivi e aveva dormito su una delle loro sporche brande. Ma era una novellina, una recluta che non si era mai esercitata, che non aveva ancora salvato nessuno.
Un brivido di paura le attraversò la schiena. Quella volta avrebbe sparato sul serio, verso gente viva e debole a causa dell'alcool. E magari li avrebbe anche colpiti, o uccisi.
Antigone l'assassina, Antigone la sovversiva, Antigone la ribelle pulciosa e la traditrice della patria.
Pensò alla prima notte alle Periferie. Ripensò al volto triste, pesante di trucco volgare, della giovane prostituta, e al suo polso magro stretto nella grossa, pelosa mano di Morrison Snakes. Le urla della ragazza rimbombarono nella sua testa insieme alla vecchia canzone che aveva ascoltato, piena di parole d'amore cantate nell'atto di uno stupro.
Quei tre avrebbero pagato fior di dracmes per stuprare altre sue compagne, incapaci di controllare i propri istinti bestiali a causa dell'alcool. E lei sarebbe rimasta indifferente, chiusa nell'abitacolo del pick up, con una paura incomparabile a quella delle ragazze del bordello.
-Terra chiama Antigone- ridacchiò Iphigenia -Nasconditi bene e prendi la pistola-
-Non l'ho portata .. Mi dispiace ..-
Iphigenia sospirò. Si abbassò nuovamente, riaprì il vano e tirò fuori un piccolo teaser.
-Prendi questo- disse porgendoglielo -Li prendi alle spalle ed io li minaccio. Così lasciano stare le signorine, okay?-
-Ci sono-
-Bene, adesso facciamo piano. Cerca di farti riconoscere il meno possibile e di nascondere la faccia, anche se quei tre sono talmente ubriachi da non riuscire manco a riconoscersi tra di loro-
Scesero dal pick up, ognuna stringendo la propria arma, e chiusero gli sportelli cercando di fare meno rumore possibile. Poi si appoggiarono ad un muro, diedero un'occhiata veloce allo stradone davanti a loro e attraversarono di corsa il marciapiede a passi veloci e silenziosi. Iphigenia si appoggiò alla parete del bordello, proprio accanto alla porta, e diede un'occhiata furtiva all'interno.
-Il campo è libero- sussurrò -Andiamo-
Entravano di soppiatto in una larga stanza illuminata a neon viola e blu, con lunghi divani di velluto rosso e consunto e tavolini da caffè pieni di bicchieri sporchi di liquore. Un forte tanfo di fumo, alcool e acqua di colonia scadente avvelenava l'aria di una stanza già sporca e parecchio disordinata, con la moquette bordeaux appiccicosa e colma di mozziconi di sigaretta. Una scala di legno marcio, decorata al centro da un vecchio e consunto tappeto persiano sui toni del blu e del rosso, conduceva al piano di sopra, sicuramente quello delle stanze da letto. Da su, provenivano gemiti maschili e una musica vecchia e allegra.
Iphigenia allungò l'orecchio.
-Non se lo aspettano. Sono troppo occupati a scopare e, anche se provassero a difendersi, noi avremmo sicuramente la meglio. Procediamo lentamente, sul tappeto-
La prima ad avanzare fu Iphigenia. Calcò il primo scalino lentamente, cercando di non perdere l'equilibrio e di non far scricchiolare la vecchia scala. Procedette a passi lenti per altri due gradini, poi con un cenno della testa le indicò di salire.
Antigone cercò di ripetere i suoi stessi movimenti, cercando di rimanere ben salda e silenziosa, fino ad arrivare a metà scala, dove si fermò. Lasciò procedere Iphigenia fino al secondo piano, e al suo segnale riprese a salire fino a raggiungerla.
La stanza che si apriva ad entrambe era larga e spaziosa, con le pareti bianche ricoperte di scritte oscene e di impronte rosse e fucsia lasciate col rossetto. Quattro letti matrimoniali, ricoperti di lenzuola a tinte accese e da cuscini consunti a forma di cuore, occupavano insieme a due poltrone di stoffa color oro la grande stanza, sulla quale si affacciava anche un minuscolo bagno di piastrelle turchesi e bianche. Se in un letto dormivano profondamente tre ragazze, strette come sardine, mentre un secondo era lasciato vuoto, sugli altri due stavano distesi gli ospiti con le ragazze rimaste sveglie: il vecchio Brown sonnecchiava insieme alla donna che lo aveva accolto, Achilleus e Troy Brown sovrastavano due donne dalle caviglie magre, strette in due paia di decolletè dal colore sgargiante: e se Achilleus si dedicava alla più giovane, Brown seguiva le orme del padre su una donna più matura.
Iphigenia le fece un cenno con la testa. Ora.
-Fermi dove siete!- urlò Iphigenia stendendo le braccia e puntando contro Achilleus e Troy la pistola -Alzate le mani e allontanatevi dalle ragazze, subito!-
Achilleus e Troy si girarono di scatto, con la bocca storta sporca di rossetto e gli occhi stralunati e accesi di rabbia.
-Un'altra troia!- gridò Achilleus -Una troia che gioca a fare lo sbirro!-
Achilleus cercò di rimettersi in piedi, traballando, e quasi fu sul punto di scivolare sui propri pantaloni.
-Sbirri?!- Troy Brown si mise le mani tra i capelli e iniziò a piagnucolare -Noi siamo amici degli sbirri, non dobbiamo alzare le mani!-
-State zitti e allontanatevi dalle ragazze- tuonò di nuovo Iphigenia -O giuro che vi ammazziamo, vi ammazziamo tutti come si deve!-
Brown junior si avvicinò al padre e iniziò a scuoterlo, chiamando il suo nome.
-Cosa c'è, mostriciattolo di prole che non sei altro- tuonò ubriaco il vecchio Brown, i quali occhi acquosi si poggiarono subito su Iphigenia e lei -Tranquillo, sono le puttane che giocano a sbirri e ladri ..- poi infilò la mano nei pantaloni, riuscendo quasi a tirare fuori una pistola.
-Bloccalo subito!- urlò Iphigenia - Alle due bestie ci penso io!-
Antigone si avvicinò a passi veloci al vecchio Brown, puntò il teaser alla spalla e gli diede una forte scossa. Il vecchio oscillò per dieci secondi, poi svenne sul letto, accanto alla donna addormentata. Antigone si avvicinò a lei per guardarla bene: dormiva di un sonno irreale, plastico, quasi fosse in coma, con la faccia contratta in una strana espressione, crudele e sofferente allo stesso tempo.
-Papà!- urlò Troy Brown -Che hai fatto al mio papà, lurida puttana!-
Uscì dalla tasca dei pantaloni un coltellino svizzero e tentò di lanciarsi contro di lei, ma Iphigenia lo colpì alla nuca con l'impugnatura della pistola. Bastò questo a stenderlo a terra con un gemito.
Achilleus si guardava intorno con faccia spaventata e preoccupata. Per la paura arrivò ad alzare le mani e a piagnucolare.
-Lo dirò ai miei colleghi!- urlava -Glielo dirò!-
Iphigenia si avvicinò a lui, gli prese il collo in una mano e con l'altra gli puntò la pistola alla tempia.
-Chiuditi in bagno-
-Non mi chiudo in bagno!-
-Chiuditi in bagno o ti faccio saltare il cervello-
-No!- urlò come un bambino in procinto di andare in punizione.
Iphigenia si voltò verso di lei.
-Stendilo col teaser. Nel frattempo vedo quante ragazze posso portare via-
Antigone puntò il teaser alla spalla di Achilleus e, dopo dieci secondi, anche questo si accasciò a terra. Nel frattempo, le due donne distese sul letto aprirono gli occhi.
-Che succede?- chiese una, la più matura delle due.
-Forte trambusto ..- mugolò l'altra - Forte, fortissimo trambusto! -
Antigone scansò il corpo di Achilleus e si avvicinò per aiutarle ad alzarsi.
-Succede che vi portiamo via-
La guardarono con occhi pieni di paura.
-No, non vogliamo farvi del male. Io e la mia amica vi porteremo in un posto più sicuro-
Iphigenia tornò verso il letto con espressione afflitta.
-Quelle tre non si svegliano manco con le bombe- chiese rivolta alle due donne -Sapete dirmi perchè?-
-Pillola, nanna! Pillola nanna, mamma!-rispose la più giovane, quasi contenta di pronunciare quelle parole. Era una ragazza esile e pallida, con lunghi capelli biondi dalle punte colorate che scendevano sotto il suo seno piccolo e immaturo. Il suo volto tondeggiante presentava un paio di grandi occhi blu, due spiragli di cielo al centro di un trucco per occhi pesante e volgare, e due labbra piccine e sottili dipinte di rosso. Aveva sì e no diciassette anni, ma le sue esili braccia e le sue gambe magre, ricoperte di tagli, le davano l'aria di una bambina appena entrata nella pubertà.
La donna più anziana le cinse una spalla con un braccio, poi portò la testa della ragazza sul suo grembo.
-Già, i sonniferi. Vengono somministrate grosse dosi di sonniferi quando non servono a nulla. Ecco perchè dormono così pesantemente- disse un sospiro la donna. Nei tratti e nel fisico era molto simile alla ragazza che stava stringendo, ma con un'aria di più decisa maturità, forse data dai colori opposti a quelli della ragazzina che le stava accanto. Anch'essa truccata pesantemente e volgarmente, aveva un paio di occhi piccoli e tristi, di un brillante color nocciola, e un'espressione serenamente afflitta, quasi si fosse appena svegliata da un incubo le cui immagini continuavano a tormentarla.
Iphigenia le aiutò ad alzarsi, poi attese che si vestirono e prese per mano la più anziana.
-Prendi la ragazza, aiutala a scendere le scale. Io penso a lei, okay?-
Lasciarono la stanza a passi veloci, lanciando un'occhiata ai tre uomini e alle donne che avevano lasciato dormire. Arrivate alle scale, Antigone accompagnò le donne al piano inferiore e Iphigenia restò su a guardar loro le spalle per poi raggiungerle dopo poco tempo. Lasciarono il bordello a gambe levate, raggiunsero il pick up e lasciarono accomodare le due donne.
Iphigenia abbracciò entrambe e carezzò loro i capelli, facendo commuovere la più anziana.
-Non temere, sfogati quanto vuoi. E' tutto finito, è tutto finito-
La ragazza si portò i palmi agli occhi e iniziò a singhiozzare in un modo singolare e strano, inspirando ed espirando nervosamente.
-Madame no trova- ripeteva tra sè e sè, a mo' di mantra -Madame no trova più! No pillole nanna, mamma, no pillole nanna!-
-Puoi dirlo forte, tesoro- disse la donna stringendola a sè -Guarda che amiche coraggiose che abbiamo trovato! Ci porteranno in un luogo sicuro!-
- Altre?-
-Cosa intendi, Cass?-
-Altre no venire?-
Iphigenia sorrise dolcemente e accese il motore.
-Ti prometto solennemente che riusciremo a portare in salvo anche le altre, okay? Adesso riposati e goditi il viaggio, ce ne andiamo a casa-
Il pick up partì a tutta velocità, rombando come non mai per le vie del quartiere. Iphigenia canticchiava serena, con gli occhi assonnati ma ben attenti alla strada e la donna appoggiata sulla sua spalla.
-Come vi chiamate?- chiese improvvisamente.
-Io mi chiamo Ecuba- rispose la donna -E lei è mia figlia Cassandra. Lei come si chiama, signorina?-
Iphigenia sorrise.
-Non darmi del tu, ti ho salvato la vita! Chiamami Iphigenia, okay?-
-E tu?- Ecuba si rivolse a lei. Iphigenia le fece l'occhiolino.
-Mi chiamo Antigone-
La donna impallidì e strinse al petto Cassandra, che si portò le mani alle orecchie e iniziò a piagnucolare. Iphigenia accostò e spense di colpo il pick up.
-Non ci avete salvate! Ci avete ingannato!- urlava Ecuba -Siete dell'Acropoli, voi siete la principessa e ..-
-Calma, calma!- disse severa Iphigenia, tirando fuori dalla tasca il tesserino di Rubra Sphinx -Quella di Antigone è una storia lunga, ma scordatevi l'immagine della principessa impomatata che avete sicuramente visto in giro. Lei con l'Acropoli non ha più nulla a che fare-
-Credimi, Ecuba- disse stringendole la mano -Al commando ti spiegheranno tutto, se vorrai-
-Commando? Non ditemi che è ..-
-Rubra Sphinx- esclamò Antigone, quasi con orgoglio- Ti accolgono come in una famiglia-
E alla fine era vero. Quell'inserimento avrebbe certamente comportato la cieca fedeltà alle regole e agli ideali del commando, una partecipazione attiva alle discussioni, agli allenamenti alle distribuzioni di provviste agli abitanti delle Periferie, e in futuro alle azioni sovversive, ma il calore e l'umanità che aleggiavano in quelle stanze polverose e sporche, con le pareti piene di umidità e le cartacce sotto le brande, erano più forti che in tutta Thebe. E tali sarebbero stati anche per due disgraziate scampate al loro inferno.
-Una famiglia piena di rozzi personaggi bravi a maneggiare le armi-ridacchiò Iphigenia, mandando loro un occhiolino.Il pick up si fermava davanti il cancello e questo scattava al segnale lanciato dal telecomando.
-Ma con un grande cuore- proseguì, spingendo il pick up fino al suo parcheggio- Non abbiate paura, voi due, saremo la vostra nuova famiglia. Potete saltare giù-
Iphigenia sospirava e sorrideva, con i grandi occhi neri sereni e brillanti. Bastò uno dei suoi sguardi a tranquillizzare Ecuba e Cassandra, che iniziarono a muoversi verso l'ingresso con gli occhi pieni di gioiosa curiosità.

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Capitolo 31
*** 30 ***


30
 

-Signori miei!- urlò Iphigenia appena il suo piede calcò il pavimento dell'atrio -Abbiamo ospiti!-
Mille facce fecero capolino dal locale mensa e molti raggiunsero le funi per calarsi giù, uno più sorpreso dell'altro. Tutti fissavano con curiosità e stupore Ecuba e Cassandra, che si rintanava tra le braccia magre e sporche della madre.
-Amphiaraus!- continuò -C'è per caso Amphiaraus?-
Hank scivolò veloce sulle corde e raggiunse terra.
-No, Amphiaraus è già andato a letto. Chi sono queste due?-
Iphigenia si voltò verso di lei.
-Antigone, raccontaglielo tu. Io vado a prendere due coperte-
Antigone raccontò per filo e per segno gli avvenimenti di quella singolare serata, arrivando a presentare le due donne davanti ad un piccolo uditorio di gente sbadigliante ma ancora abbastanza sveglia per sorprendersi e impietosirsi. Qualcuno buttò giù una borraccia, che Hank pose prima alla madre e poi alla figlia.
-Saranno stanche- disse osservandole -E affamate. State tranquille, faremo di tutto per proteggervi. Vi faccio portare giù qualcosa?-
-Solo se è possibile..- rispose timidamente Ecuba, con Cassandra ancora attaccata al braccio, gli occhi bluastri spiritati e arrossati di sonno.
Hank sorrise dolcemente.
-E' possibile sì. Heteoclis!- gridò-Butta giù una pagnotta!-
Heteoclis fece capolino dal locale mensa e lanciò ad Hank una pagnotta, subito spezzata e concessa alle due donne. Ecuba allungò timidamente la mano, l'afferrò e ne spezzò un boccone. I suoi occhi si riempirono di lacrime appena riuscì ad assaporarne il sapore.
-Era passato troppo tempo .. Troppo- disse con la voce strozzata dal pianto -Troppo tempo. Cass, tesoro, prendine un po'-
-Cibo?- chiese con quella vocetta stramba e spiritata, come di eterna bambina rimasta tale in seguito a qualcosa di terribile che era accaduto davanti ai suoi occhi -Cibo buono, mà?-
-Ottimo. Avanti, mangia e ringrazia il signore-
Cassandra prese tra le pallide, secche dita dalle unghie laccate di rosso un pezzo di pane e lo portò alla bocca. Masticò lentamente, tenendo quel boccone come un tesoro da custodire avidamente, con gli occhioni pieni di riconoscenza.
-E' buono!- esclamò arrossendo tutta -Buono! Niente ha fatto boom! Grazie, signore!-
Hank incrociò le braccia al petto e sorrise teneramente.
-Già, piccola mia ..- Ecuba aveva consumato la prima metà e si accingeva a divorare la seconda -E' buono davvero. E niente ha fatto boom-
Iphigenia tornava con due coperte di pile verdastro e le poggiava sulle loro spalle.
-Va bene così o sono troppo pesanti?-
-Vanno benissimo, davvero, soprattutto con questi vestiti addosso ..-
-Potete prendere qualcosa dal mio bagaglio- si intromise Antigone -Andrà bene per entrambe, ne avete più bisogno voi di me-
Ecuba le rivolse uno sguardo tristemente riconoscente, Cassandrà finì di mangiare la sua metà di pagnotta. Poi sbadigliò e Iphigenia si decise a portarle al dormitorio.
-Hank, riferisci agli altri compagni ciò che ti ha spiegato Antigone. Non tralasciare una parola, okay? Rassicurali anche sul fatto che non sono spie, io e Antigone siamo testimoni-
 
Cassandra si era addormentata di colpo, subito dopo aver poggiato la testa sulla branda. Dormiva su un fianco, con le braccia magre strette alle ginocchia in posizione fetale, la coperta su di sè e le ciocche di colore bluastro che uscivano fuori dal materasso. Ecuba le si era seduta accanto e si era messa a carezzarle la testa, con la coperta sulle ginocchia e gli occhi bassi verso quella fronte pallida e stretta.
-Non ricordava nemmeno cosa significasse dormire- disse in un soffio Ecuba -Tu e Antigone ci .. Ci avete salvate, ecco. E chi lo avrebbe mai immaginato ..-
Iphigenia  l'abbracciò per pochi  secondi, poi ritornò a sedersi sulla propria branda.
-E abbiamo intenzione di liberare anche le altre ragazze, Ecuba. E' stato come bere un bicchier d'acqua!-
-Oh, non sarà facile ..- disse Ecuba, stringendosi nelle spalle -Madame è pappa e ciccia con quelli dell'Ordine Edelweiss..-
-Sappiamo chi sono- intervenne Antigone -E quello che noi del commando vogliamo è distruggere loro e la loro montagna di bugie. Non è facile, lo sappiamo, e proprio per questo abbiamo bisogno dell'aiuto di tutti voi-
Ecuba lanciò loro uno sguardo sconsolato e stanco.
-Prima la Grande Dittatura ci ha privati della vita, poi la monarchia ci ha private della libertà ..-
La guardava con occhi tristi e delusi, ma quasi sorpresi del vederla al commando. Del resto, Antigone non poteva certo darle torto: Polinice si era già reso conto di tutta la situazione prima ancora che l'Ordine Edelweiss sbucasse dal nulla con le sue idee strampalate.
Antigone strinse l'ossuta mano giallastra di Ecuba, che arrossì di colpo.
-La monarchia crollerà, te lo assicuriamo. E all'Acropoli stessa ci sono tante persone che la pensano come noi pur non conoscendoci-
-Ricordi il principe Polinice?- chiese Iphigenia -Ecco, il fratello di Antigone. Beh, lui è stato membro onorario prima di lasciarci. Secondo Principe Ereditario, già. Odiava l'Acropoli come non mai ..-
Un rumore di passi frettolosi le fece voltare di scatto. Di colpo, Andromaca si palesò sulla soglia del dormitorio.
-Non riesco a crederci!- esclamò con gli occhi arrossati di pianto -Ecuba! Sei proprio tu?-
Ecuba si alzò di colpo, tremando e traballando sui propri piedi, e si diresse a braccia aperte verso Andromaca cercando di scansare le brande. Le due si strinsero in un abbraccio singhiozzante e vigoroso, l'una col viso sulla spalla dell'altra; poi si distaccarono, si presero per mano guardandosi di nuovo e si abbracciarono.
-Ti ho ritrovata, finalmente- disse Ecuba in un soffio -Lo sapevo che tu ed Hector sareste sopravvissuti! C'è Cassandra qui, aspetta, la sveg..-
-No, Ecuba- disse Andromaca con gli occhi arrossati e gonfi -Non svegliarla. Dobbiamo raccontarci tante cose .. Torna a sederti, sta' comoda-
Ecuba tornò a sedersi sulla branda di Cassandra, Iphigenia lasciò il posto ad Andromaca e prese una sedia di plastica bianca. Guardava la scena con occhi pieni di commosso stupore, muovendosi silenziosi per cercare di non svegliare Cassandra o quasi di interrompere l'atmosfera di calda tristezza che aleggiava in quella stanza.
Gli occhi di Ecuba si erano fatti improvvisamente sereni e brillanti, colmi di speranza. Antigone guardava quella scena in silenzio, sospirando piano e cercando di trattenere le lacrime: pensava al male che la Grande Dittatura aveva arrecato a quella gente e a quello che la monarchia ancora infliggeva loro, e ad ogni riflessione si sentiva il cuore sempre più pesante. Che avesse rifiutato di condurre una vita oziosa in quella metropoli di cristallo e ingiustizia, poco importava; in quel momento, ella non stava cambiando qualcosa nè sarebbe stata in grado di farlo. Aveva salvato due donne da una condizione terribile che non avevano deciso, toccata loro in sorte per la sola colpa di abitare nella parte sfortunata di quella metropoli gigantesca, e poi? Poi avevano rincontrato i loro cari e avevano ottenuto protezione. E poi? Fuori la gente avrebbe continuato a morire di fame, a ricorrere a soluzioni degradanti per sfuggire alla povertà, a temere gli attacchi improvvisi dello Squadrone Edelweiss. C'era ancora tanto da fare, troppo, e il futuro del commando era perennemente incerto a causa della sua stessa natura. Era scomparsa di nuovo e l'avrebbero cercata per l'ennesima volta. E questa volta avrebbero setacciato ogni angolo dell'Acropoli e saccheggiato le Periferie, piene di possibili colpevoli di quell'empio misfatto, colpevoli in primo luogo per essere nati nella parte sbagliata. E nascere alle Periferie significava essere in torto fin dalla nascita.
Eppure gli occhi di Ecuba avrebbero dovuto rinfrancare anche lei, colmare di speranza l'animo di una ragazzina che fino a qualche giorno prima era stata la venerata Principessa dei più fortunati, con l'animo intatto dal contatto con certi sporchi individui che avevano cercato di mettere a repentaglio la sicurezza della sua patria; eppure, Antigone provava un'immensa tristezza nell'osservare quella sua gioia improvvisa dopo una serie di disgrazie che non s'era cercata. Perchè,  se chi nasceva alle Periferie aveva, anche indirettamente, la colpa di essere un farabutto, chi nasceva all'Acropoli era implicitamente colpevole di aver reso quei disgraziati una razza di farabutti di cui fare di tutta l'erba un fascio.
E il tempo scorreva, ed erano ancora all'inizio di una possibile sollevazione, se quel salvataggio non programmato poteva definirsi la miccia di tale futuro evento. Le tv ne avrebbero parlato? E la radio? Sì, ma a modo loro, e le vittime sarebbero diventati quei tre bifolchi ubriachi. Conosceva troppo bene i meccanismi dei media dell'Acropoli, e ciò rendeva il suo animo ancora più triste e pesante. Quella speranza era effimera e la feriva in quanto tale: non aveva salvato proprio nessuno.
-Non posso crederci, davvero!- esclamò Ecuba con le mani al viso -Andromaca, sei un membro di .. Oddio, ho dimenticato il nome ..-
-Rubra Sphinx- disse Andromaca -Non lo conoscevi?-
Ecuba scosse la testa cupamente.
-No, tesoro. La vita al bordello ci aveva alienate totalmente ..-
Passarono qualche secondo in silenzio, poi Ecuba riprese a parlare con trasporto.
-Ed Hector? Non l'ho visto! Dov'è?-
Andromaca abbassò gli occhi e sospirò gravemente. La luce negli occhi di Ecuba si spense di colpo.
-Hector .. Hector è morto durante gli scontri. Le sue ultime parole sono state per me e per te ..-
Ecuba aprì leggermente le labbra e sgranò gli occhi. Una lacrima scese sulla sua guancia magra.
-Diciotto anni ..- disse in un soffio -Avevo diciotto anni e suo padre venti .. Il nostro unico figlio ..- e portò le mani al viso, singhiozzando -E Cassandra! Povera Cassandra! Lei che avrebbe voluto conoscere suo fratello, quel fratello che l'avrebbe salvata nonostante tutto ..-
Andromaca si avvicinò a lei e l'abbracciò, appoggiando la propria testa sulla spalla. Anche Iphigenia e Antigone si unirono all'abbraccio, entrambe cercando di reprimere il pianto.
-L'unico uomo che abbia mai amato- sussurrò Andromaca -E' stato un amico, un marito, un fratello e un padre. Mi manca ogni giorno, Ecuba, ogni giorno.. -
-Uno dei compagni più valenti ..- disse Iphigenia al suo orecchio -E più generosi. Manca tantissimo anche a noi-
Ecuba si calmò pian piano e si asciugò lentamente le lacrime. Andromaca le prese lentamente le mani e le sorrise tristemente.
-Hector vive ancora, sappilo. Nostro figlio Astyanax è tutto suo padre-
I suoi occhi brillarono ancora.
-Un figlio identico a lui? Quante cose, quante cose mi sono persa .. Dov'è adesso?-
-Adesso dorme, domani in mensa lo incontrerai. Gli ho parlato spesso dei nonni, sai? I due Capoquartiere tanto amati ..-
Ecuba sospirò.
-Capoquartiere?- chiese Antigone -Cosa intendi?-
-I Capoquartiere sono stati i primi a proporre una resistenza attiva, ai tempi della Grande Dittatura- Andromaca carezzò la testa di Ecuba e le passò una mano sulla spalla -Tutti vogliamo conoscere cosa è successo, Ecuba, sia a te, sia a Cassandra. Io so solo metà della tua storia, e al commando sono desiderosi di conoscerla per intero-
Ecuba fece un profondo sospiro, si portò le mani al petto e distese il viso.
-Prima fatemi togliere questa robaccia dalla faccia, per favore. Dio, quanto brucia-
Antigone tirò fuori un fazzoletto, andò in bagno ad inumidirlo e glielo porse delicatamente. Ecuba la ringraziò con un sorriso e iniziò a pulirsi lentamente gli occhi e le labbra, fino a mostrare le vere sfumature del suo volto, segnato pesantemente da circa quarantacinque anni di sicuro non facili.
Antigone osservava con attenzione le rughe accanto ai suoi occhi e alla sua bocca, prima malcelate da un fondotinta scadente, e le piccole labbra screpolate, ancora sporche tracce di rossetto appariscente. L'ombretto sbiadito aveva formato spessi cerchi rossastri intorno a quegli occhietti nocciola, coperti da sottili ciuffi di capelli castano chiaro.
-Ecco- disse quasi soddisfatta, a lavoro compiuto -Mia cara Andromaca, dovrò parlare anche di fatti ancor più vecchi. Devo risalire addirittura al mio incontro con Priameus .. Spero di non annoiarti-
-Devo riferire tutto ciò che hai detto per filo e per segno, mentre ti lascio riposare-
-Sappi comunque che tutti i membri del commando saranno favorevoli a coprirvi- aggiunse Iphigenia -Però adesso raccontaci la tua storia. Sarà utile anche quando dovremo salvare altre persone che hanno vissuto la tua stessa situazione-
-Bene- disse portando le mani sulle ginocchia -Del resto, parlare non mi farà male. Non parlavo poi così tanto, da Madame ..-
Gettò il fazzoletto in grembo e si mise ben dritta sulla schiena.
-Tutto è iniziato- riprese -Quando ho conosciuto Priameus. Eravamo due giovani pieni di speranze, allora. Io avevo finito la scuola dell'obbligo e Priameus andava all'università, prima che la Catastrofe e la Grande Dittatura facesse crollare tutto il nostro piccolo paradiso privato: ci siamo piaciuti da subito e ci siamo messi insieme, così, velocemente e ingenuamente, come prima la gente cercava di amarsi. Sapevamo che una disgrazia stava per abbattersi su di noi, su tutta l'Eurasia, su tutto il pianeta, eppure cercavamo di guardare al futuro con gioia, quasi con trepidazione. Volevamo vedere giorni migliori e quindi non vedevamo che quelli, anche quando rimasi incinta. Nessuno se l'aspettava e forse nessuno lo voleva, ma decidemmo di tenere quel bambino. E quel bambino, Andromaca, era proprio Hector.
Priameus ed io non ci sposammo mai, ma qualcuno riuscì a farci ottenere un certo riconoscimento giuridico ai tempi della Catastrofe. Era una misura d'emergenza, ci avevano detto, per garantirci un approvigionamento abbastanza costante: eravamo una giovane coppia con un ragazzino vivace, in piena adolescenza, da crescere e da educare. Hector era un terremoto, Andromaca (ecco ridacchia pure), e la morte di suo padre durante il Tumulto delle Polveri non ha fatto altro che peggiorare il suo carattere. L'ha visto saltare in aria dopo aver messo il piede su una mina antiuomo, povero bambino. Ed eccoci, io e un ragazzo difficile che stava per diventare uomo, durante la Grande Dittatura. Quanto mi fece penare, nessuno potrà mai descriverlo: quante notti insonni nell'attesa che ritornasse vivo e illeso dalle sue scorrerie, quante inutili raccomandazioni pronunciate a bassa voce .. Inutili. Tutto inutile. E le nostre strade si separarono, come tu ben sai, Andromaca, e ..- si interruppe e schiarì la voce -Posso avere un po' d'acqua?-
-Certamente- Iphigenia le porse la borraccia e Ecuba bevve fino a ristorarsi.
-E poi entrò a far parte di Rubra Sphinx. All'epoca sapevo ben poco di ciò di cui facesse parte Hector e cercavo solo un lavoro con cui mandare avanti la baracca. Mi offrirono un lavoro come cameriera in quello che prima si chiamava Traveller Cafè, alias il bordello da cui mi avete tirata fuori. Prima non era male, davvero, con quell'aria vintage e rassicurante .. Fu durante la Grande Dittatura che cambiò. Non avevo nemmeno una quarantina d'anni, non avevo mai lavorato e non avevo avuto la possibilità di continuare i miei studi a causa della gravidanza. Ero stupida come una capra, insomma, e mi abbassai ai loro ordini pur di .. di sopravvivere, ecco. E poi iniziarono le molestie e le minacce. Sapevo che Hector, al commando, avrebbe parlato delle condizioni di sua madre e delle donne costrette a quei soprusi, ma quei maledetti furono più forti. Ci imbottirono di droga per farci diventare automi; ci furono sequestrate penne, carta e qualsiasi cosa servisse a comunicare con l'esterno. Ed ecco che il Traveller Cafè divenne un bordello, ed Hector  non lo vidi mai più. Seppi soltanto che s'era sposato grazie ad un cliente. Lo definì "matrimonio tra Hector e Andromaca, i bastardi di razza del quartiere nord". Quella fu l'unica parola di conforto che riuscii a sentire tra quelle dannate pareti-
Iphigenia stringeva i pugni e cercava di trattenere la rabbia, ma il suo tono di voce era ugualmente dolce e comprensivo.
-Ricordo di quel ragazzone che non faceva altro che scrivere lettere, Ecuba. Sì, ogni sera si ritirava al dormitorio e si metteva a scrivere lettere anonime. Si era segnato l'indirizzo del Traveller Cafè alla parete sopra la sua branda, e ogni sera vi si rivolgeva come ad un santino. Non conoscevamo bene la sua storia, forse non l'abbiamo mai conosciuta davvero; ma ti assicuro, ti assicuro su tutto il commando, sulla vita di tutti noi, che Hector non faceva altro che pensarti. Quelle lettere scritte sulla carta da imballaggio, che non sarebbero mai arrivate a destinazione, erano tutte indirizzate alla mamma-
Ecuba era sull'orlo di un secondo pianto, ma fece un bel respiro e trattenne i singhiozzi.
-Le avete ancora?-
Iphigenia e Andromaca annuirono gravemente.
-Dopo voglio vederle. Voglio leggerle, scorrere la sua calligrafia .. Per favore-
-Sarà fatto- disse grave Iphigenia -Tra compagni ci si aiuta. Ci si aiuta sempre-
Gli occhi di Ecuba erano un continuo brillare di lacrime.
-Lo avrei sempre portato nel mio cuore, mi ero promessa questo. Hector era un ribelle e un giorno mi avrebbe liberata, vicino o lontano che fosse. Io avrei resistito proprio come lui amava resistere, resistere e lottare ogni giorno. E mi tirai su con tutte le mie forze anche quando ebbi lei- si voltò verso Cassandra, che dormiva placida a pancia in giù -Venne improvvisamente, come Hector. Un giorno venne un cliente e rimasi incinta. Madame voleva che abortissi, ma mi rifiutai e la implorai con tutte le mie forze di tenere il bambino: no, non potevo perdere un altro figlio. Quella vecchia strega si convinse solo appena partorii: avevo fatto nascere una bella bambina bionda che sarebbe diventata un'incantatrice di uomini. Un'incantatrice di uomini ritardata e semifolle, proprio come i clienti volevano. I maledetti la violentarono quando aveva appena quindici anni. Non parlò per tantissimo tempo, e a Madame andava bene così. Se ora riesce a parlare, dobbiamo definirlo un miracolo. Un miracolo in un lasso di tempo troppo vasto e troppo breve allo stesso tempo, come se tra un bacio a Priameus e una pasticca al bordello fosse tutto volato velocemente. Troppo, troppo velocemente, fino a trovarmi su questa branda-
-.. Fino a trovarti su questa branda- ripetè lentamente Iphigenia -E adesso è tutto finito, Ecuba. Sei tra persone amiche che ti aiuteranno ogni giorno a recuperare ciò che hai perso ..-
-Ho perso troppo, Iphigenia. E più perdevo, più cercavo di rialzarmi e lanciarmi contro. Avevo accettato di portare avanti una gravidanza a soli diciotto anni, di partorire uno dei più validi compagni che Rubra Sphinx avesse potuto mai accogliere e perdere, di sopprtare quelle violenze in silenzio, di concepire una creaturina gracile e di fare in modo che sopravvivesse a quell'inferno. Ho visto e perso troppo, Iphigenia. Sarò io ad aiutarvi a sradicare quelle bestie-
L'espressione triste sul suo viso aveva lasciato il posto ad uno sguardo ardente e combattivo, da bestia ferita e ancora desiderosa di combattere. Il dolore provato era stato una miccia che aveva acceso una fiamma potente e distruttiva, Antigone lo aveva già compreso. E se l'Ordine Edelweiss andava avanti aizzando le piccole scaramucce che contrapponevano quei potenti manichini incipriati ai ladruncoli cenciosi delle Periferie, Rubra Sphinx avrebbe trasformato le debolezze e i dolori di quella gente nella viva forza che avrebbe animato quella macchina da guerra che si sarebbe scontrata contro l'Acropoli per un futuro migliore. Non ci sarebbero stati più un'Ecuba sola e ingannata, una Cassandra gracile e malaticcia costretta a subire violenze di ogni tipo, un'anziana grandma Maryem a soffrire la fame insieme alla propria famiglia, un Astyanax a vedere il padre venire ucciso davanti ai suoi occhi.
Era solo questione di tempo, si disse. E di forza di volontà necessaria a sopportare la rabbia.
Perchè era questo che lei, Antigone, purosangue proveniente dall'Acropoli, stava provando in quel momento. Troppi avevano sofferto e continuavano a soffrire per colpa loro e del loro egoismo, aizzati da quel bugiardo di Snakes e dal suo gruppetto strampalato. E zio Kreon! Il suo pensiero ricorreva anche a lui, poi ad Ismene e ad Emon, quei tre a lei tanto cari a cui avrebbe voluto trasmettere un po' della propria rabbia, quella rabbia che in un altro momento le avrebbe cosparso il volto di lacrime.
Iphigenia strinse Ecuba tra le sue braccia, per l'ennesima volta. L'abbracciò durò più a lungo, con la testa magra di Ecuba poggiata sul petto di Iphigenia e le sue spalle coperte dalle morbide mani di Andromaca.
-Adesso è ora di riposare- disse Iphigenia -Io e Andromaca andremo a riferire ciò che hai raccontato al resto del commando. Antigone, ti chiedo la cortesia di sorvegliarle. Ti lascio la mia pistola, okay? Tieni tra le mani il cercapersone qualora dovesse succedere qualcosa-
Antigone annuì e prese tra le mani la pistola, che nascose sotto il cuscino. Iphigenia le rivolse un sorriso fiero.
-Bene. Ecuba, passa una buonanotte. Qualora dovessi avere bisogno di qualcosa, chiedi ad Antigone, va bene?-
Ecuba annuì e le lanciò uno sguardo. Vide Iphigenia e Andromaca uscire fuori dal dormitorio e inoltrarsi lungo il corridoio, Ecuba nel frattempo sbadigliava  e si stiracchiava.
-Starò sveglia a sorvegliarvi- disse Antigone -Dormi serena, okay?-
Ecuba non se lo fece ripetere due volte, avvolse la coperta al proprio corpo e si distese sulla branda
-Grazie- disse con gli occhi socchiusi -L'Acropoli non fa così schifo, giusto?-
-Te lo assicuro-
La vide chiudere gli occhi e addormentarsi lentamente, con un sorriso dolce stampato sul viso.

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Capitolo 32
*** 31 ***


31
 

-In questa riunione di oggi- disse solennemente Iphigenia dal centro della stanza per i dibattiti -Noi discuteremo sul destino delle nostre nuove ospiti, Cassandra ed Ecuba. Da quanto mi è parso di comprendere, siamo tutti d'accordo nel considerarle parte della nostra famiglia di scalmanati. Dico bene?-
Dal loro piccolo uditorio si alzò un lieve mugolio di assenso. Molte teste annuivano e alcuni davanto l'ok con il pollice.
-Molto bene. Possiamo tralasciare questo punto, dal momento che è già stato chiarito. Adesso, passiamo a parlare delle dirette interessate. Andromaca vi avrà sicuramente riferito la loro storia, giusto Andromaca?-
Andromaca annuì da lontano, seguita e imitata dal resto dei partecipanti.
-E come abbiamo potuto comprendere, la loro è una storia davvero tremenda, davanti alla quale è davvero impossibile provare pietà. La serie di emozioni che io e la compagna Antigone abbiamo provato la notte scorsa, nel momento in cui le abbiamo trovate in quello stato, non sono descrivibili a parole. Comunque sia, adesso le nostre amiche sono qui al sicuro, in mezzo a volti amici e disponibili nei loro confronti. Ed è qui che emergono le prime difficoltà e i primi dubbi, e spero che voi tutti compagni riusciate ad aiutarmi a districare questa piccola matassa: che trattamento dovremmo riservare a queste due donne? Farle entrare nel commando come vere e proprie compagne o .. Insomma, renderle le nostre prime protette? La proposta mia e di Amphiaraus- con un cenno della mano invitò Amphiaraus ad avvicinarsi al pulpito -E' quella di iniziare un allenamento leggero almeno per Ecuba, leggero come quello della compagna Antigone. Compagno Amphiaraus, illustra agli altri il nostro progetto-
Amphiaraus si avvicinò ad una lavagna di plastica bianca e lucida e iniziò a tracciare i nomi delle due donne con un pennarello blu elettrico, in una grafia sottile e tremante.
-Riuscite a leggere tutti? Perfetto. Allora, le nostre nuove ragazze, come ha già ricordato Iphigenia, hanno una storia difficile. Eppure, secondo noi, la loro terribile esperienza non deve essere considerata un handicap, ma un eccezionale punto di forza da cui far partire la loro nuova vita al commando. Mi spiego meglio-
Collegò i nomi di Ecuba e Cassandra con un trattino, poi fece partire una freccia sotto di essi.
-Prostituzione, vita difficile- lesse dopo aver tracciato la parola -Esperienza orribile che deriva soltanto dal controllo dell'Acropoli esercitato sui loro corpi con violenza. Quindi, prostituzione uguale Acropoli. Ci siamo? Molto bene. La loro difficile storia è stata causata da quei luridi damerini- disse solennemente, indicando alla sua destra con la mano -E se facciamo capire qual è il loro nemico, che fino ad adesso si sono limitate a sottovalutare e che noi riteniamo minaccia comune per la libertà futura, loro si uniranno subito al nostro piccolo commando con tanto di armi in mano. Ovviamente, compagna Iphigenia e compagno Hank si occuperanno di insegnar loro tutto ciò che serve come stanno facendo con Antigone. Confesso che mi aspetto risultati più evidenti da parte di Ecuba, non tanto di Cassandra. Con lei, certamente, ci mostreremo più comprensivi data la sua condizione, sulla quale il compagno Heteoclis e la compagna Andromaca, adesso assenti, stanno cercando di far luce. Domande? Critiche varie?-
-Non sono d'accordo- Jeanne alzò la mano -Collega, ragioniamo. Non possiamo indottrinare quelle due così di colpo. Non hanno mai tenuto un'arma tra le dita, c'è il rischio che possano spaventarsi. Per non parlare di Cassandra, poveretta. E' troppo strana per uscire fuori ad allenarsi, a sopportare ancora la fatica e a imparare a sparare-
-Jeanne, come ha già detto Amphiaraus, verso Cassandra mostreremo una maggiore comprensione- riprese Iphigenia.
-Lo stesso, non può andare bene. Ecuba e Cassandra vivono quasi in simbiosi, cavolo, si vede lontano un miglio. E non soltanto perchè sono madre e figlia. Hanno vissuto, fianco a fianco, la stessa terribile esperienza. Per ora sono troppo stanche per combattere una guerra-
-Concordo con la compagna Jeanne- si alzò in piedi Tideus -Sono ancora troppo deboli. Dobbiamo ricordarci di essere in guerra, davvero. La nostra è una guerra, ed è solo all'inizio. Non sono forse attacchi quelle rappresaglie improvvise dello Squadrone Edelweiss? I barboni strappati con forza dai marciapiedi non sono i loro prigionieri, così come le prostitute dei loro bordelli sono le loro schiave? Dobbiamo proteggerle, prima di armarle. Devono sì vivere ogni giorno con noi, ma non devono farsi vedere in giro perchè sarebbe la fine-
-Assistere ad altra violenza-  si inserì Big McKeane -Farebbe loro solo del male. Soprattutto alla ragazzina. Loro, almeno per un po', devono stare tutelate. Sono le nostre prime protette, compagna Iphigenia. Prima di andare a combattere, hanno bisogno di un po' di pace-
Iphigenia ascoltò ogni singolo parere in secondo, portando una mano al mento e annuendo lentamente. I suoi occhi non tradirono nessuna delusione o astio, solo una viva curiosità ad ogni parola che i compagni proponevano. Quanto a lei, pensava di essere d'accordo con le parole di Jeanne e di Tideus: se i compagni erano cresciuti in mezzo alla guerra e alla fame, Ecuba e Cassandra si erano spostate da un letto all'altro, imbottite di droga, con il corpo violato una sera dopo l'altra e i proiettili che fischiavano dall'esterno del loro limbo di neon rosa e blu. Le loro anime e i loro corpi avevano bisogno di pace e di cure. La guerra era appena iniziata e c'erano abbastanza compagni, lei stessa compresa, per sabotare gli aggeggi di quelle bestie e magari farle saltare in aria. Due donne deboli e spaventate non avrebbero nemmeno arrecato nessun vantaggio, con una pistola in mano, e anzi sarebbero state talmente confuse da arrecare danno agli altri o a loro stesse.
-Bene, quindi la maggioranza boccia la proposta mia e di Amphiaraus. Alzate le mani, vediamo un po'-
Il risultato fu palese: Ecuba e Cassandra sarebbero state le protette dell'intero commando, tuttavia con la possibilità di effettuare delle piccole esercitazioni, ma solo se le avessero voluto.
Dei passi veloci e un respiro allarmato richiamò tutti verso il corridoio. Andromaca, con gli occhi pieni di stupore e la voce rotta, entrava nella stanza e si appoggiava alla parete dopo la corsa.
-Tutti in mensa! E' successa una cosa assurda- gli occhi di Andromaca incrociarono i suoi, accompagnati da un'espressione triste e preoccupata -Antigone ..-
Il cuore iniziò a batterle più forte che mai.
-Andromaca? Cosa è successo?-
-Che rapporti avevi con il Gran Consigliere?-
No, non questo.
No, che razza di domanda è?
Per favore, Andromaca. Non dirmelo. Non voglio sentirlo.
-Che razza di domanda è? Per favore, non tenermi sulle spine-
-Rispondi, erano buoni o no?-
-Principessa, attenzione! Potreste sbucciarvi un ginocchio!-
-Ma non succede niente, Gran Consigliere! Papà dice che correre fa bene!-
Era primavera, o forse estate. Emon era soltanto un ragazzaccio adottivo verso cui non provava ancora nulla. Era bello giocare a palla sotto il tepore del sole, lei, Ismene e il Gran Consigliere, con Eteocle e Polinice che entravano di soppiatto nella fontana e giocavano tra gli schizzi d'acqua.
-Ma tutto questo affannarvi non vi giova!-
-Silenzio, afferra la palla e gioca subito con me!Ismene! Vieni a giocare anche tu!-
Era primavera, o forse estate. La guerra era finita, la guerra non sarebbe mai iniziata, papà e mamma stavano bene e passeggiavano mano nella mano. Zio Kreon era alla Colonia Lunare con gli amici e Snakes perso chissà dove.
Antigone la guardò sospirando, come arresa.
-Parla, per favore- disse in un soffio, quasi stesse perdendo le forze.
Ognuna colse l'espressione cupa dell'altra. I compagni si voltarono prima verso Andromaca e poi verso di lei.
-Il Gran Consigliere è morto, Antigone. Lo hanno detto alla radio-
HANNO SPENTO IL SOLE
L'HANNO FATTO DI NUOVO
HANNO SPENTO IL FOTTUTO SOLE DI NUOVO
L'ennesimo rumore di passi veloci richiamò la sua attenzione per pochi secondi. Tideus entrava tutto trafelato, con gli occhi tristi e la bocca spalancata per lo stupore.
-Antigone ..- disse in un soffio.
-Fermo- tagliò corto Andromaca -Lo sa-
Prima Andromaca, poi Tideus, poi si voltò di scatto verso Iphigenia dopo aver passato velocemente in rassegna i volti altrettanto stupefatti degli altri compagni. Iphigenia tentò di tenderle le braccia, ma Antigone indietreggiò di qualche passo, uscì dalla stanza e iniziò a correre lungo il corridoio. Le pareva che i suoi occhi avessero assunto una vita propria, tante erano le lacrime che iniziarono a scorrere lungo le sue guance, quasi ad annebbiare la sua vista già confusa e a portarla ad inginocchiarsi a terra, appoggiata alla fredda e umida parete.
 
Sedeva ben composta su una delle sedie della sala mensa. Teneva lo sguardo basso e un bicchiere d'acqua fra le mani, con le dita di Iphigenia su entrambe le spalle.
-Come è morto?- chiese quasi in un mormorio.
-Avvelenamento, cosetta- disse McKeane -E' altamente probabile-
Antigone alzò di scatto la teata e fissò il suo grosso faccione barbuto con rabbia. Era come se non controllasse le proprie emozioni e i propri movimenti, lasciati tutti liberi all'istinto di triste rabbia che la stava consumando.
-Non hai sentito la radio, big McKeane. Eri alla riunione. Andromaca, parla-
Si sentiva uno schifo. Parlare in quel modo, con quel tono, a chi l'aveva accolta nonostante mille pregiudizi, non era certo segno di riconoscenza. Che colpa avrebbero mai potuto avere della morte del Gran Consigliere? E che colpa avrebbe potuto avere lei di tutto questo? Ecco, le sue parole erano trascinate da quell'ira rancorosa e triste che le stava mangiando il cuore e gli occhi, gonfi di lacrime e bassi verso le proprie ginocchia, quelle ginocchia magre, quasi ossute, che Ismene aveva tanto invidiato.
Ismene ed Emon in lacrime, insieme a zio Kreon e a tutta la corte. E Snakes pronto ad accusare i suoi capri espiatori preferiti, anche se sicuramente non sarebbero stati loro ad ucciderlo. Ma questo, Antigone non poteva ancora saperlo bene, anche se nel suo cuore qualcosa le diceva che quella volta, almeno quella volta per l'opinione pubblica comune, quei luridi parassiti delle Periferie erano innocenti.
-Ho acceso la radio e Voce di Thebe è subito partita con l'edizione straordinaria. Hanno detto che il Gran Consigliere ha avuto un malore subito dopo pranzo e che si sia accasciato a terra, in pieno corridoio. A poco sono valsi i tentativi di rianimazione-
-Hanno già fatto l'autopsia?-
-No, non hanno accennato a nulla. Hanno solo intervistato tuo zio e Snakes. Il vecchio Kreon era in lacrime ..-
Antigone strinse il viso tra le mani e fece un profondo sospiro. Zio Kreon stava piangendo di nuovo, insieme ad Ismene e ad Emon. E lei era lontana, lontana da loro, a giocare a fare la ribelle.
-E la bestia?-
Andromaca le lanciò un sorriso amaro, pieno di compassione.
-Assecondava le parole di Kreon, nè una sillaba in più nè una in meno-
Antigone stette ad assaporare le lacrime che le erano rimaste agli angoli della bocca. Fissava un punto davanti a sè, perso tra le caviglie e i grossi scarponi dei compagni, con le spalle abbassate e le mani sulle ginocchia.
Gliel'avevano ucciso. Ne era certa. Qualcosa dentro il suo cuore non faceva che urlarle questo. Il Gran Consigliere godeva di ottima salute, nè l'aveva mai visto con qualche acciacco dovuto ad un'età alla fine non troppo avanzata. Quell'uomo era stato ucciso, ucciso a sangue freddo, da una mano che in quel momento non aveva un volto nè il coraggio tale per mostrarsi e agire alla luce del sole.
Torna.
Evidentemente non era destino che lei stesse al commando. I suoi cari erano stati colpiti di nuovo nel pieno degli affetti e lei non poteva continuare a giocare a far la piccola combattente schierata dalla parte dei parassiti. Lei non era Polinice, nè sentiva di avere il coraggio necessario per resistere a quelle lacrime e a quel sangue che era stato gettato di nuovo.
-Devo tornare- disse secca -Hanno bisogno di me-
Si alzò di scatto, si appoggiò nuovamente alla parete e sospirò. Tutti le rivolsero uno sguardo tristemente sorpreso e colmo di una strana agitazione.
-Antigone ..- sussurrò Iphigenia, cercando di prenderle una mano.
-Evidentemente non è destino che stia qui- continuava -La mia famiglia ha bisogno di me .. Ismene, Emon e in particolare zio Kreon. E' stato colpito in pieno, ha perso l'amico di una .. vita, se possiamo dire così.-
I suoi occhi incrociarono quelli di Iphigenia. Ella la guardava con tristezza, con gli occhi già supplichevoli.
-Antigone, cosetta ..- poi si interruppe, abbassando lo sguardo -No, devo tacere. Saremmo egoisti se ti costringessimo a restare qui. Dopotutto, hai perso una persona importante ed è giusto che tu vada a trovare la tua famiglia-
-Ti capiamo, lo sai- si intromise Amphiaraus -Tutti noi abbiamo perso delle persone a noi care. E il tuo allontanamento temporaneo non verrà considerato un tradimento, affatto-
Guardò entrambi, prima Iphigenia e poi Amphiaraus, e poi si voltò verso gli altri che le mandavano dolci sorrisi comprensivi. Il suo cuore si era fatto di piombo in appena una mezz'ora, e ogni secondo che passava non faceva altro che appesantirlo.
I loro visi grigiastri, alcuni magri e alcuni più pieni, le loro braccia piene di bende e i loro vestiti laceri le avevano mostrato una realtà che l'Acropoli voleva nascondere e condannare; le avevano insegnato a prendere in mano una pistola e a sforzarsi di correre, a dormire su una branda e a cercare di coprirsi con una copertina consunta, a mangiare gallette insipide e a distribuire ciò che restava inutilizzato ai meno fortunati. Le avevano mostrato le mille sfumature di un dolore uguale per tutti, che li aveva colpiti uno dopo l'altro con la stessa intensità e soltanto modalità diverse.
E ora doveva lasciarli, lasciarli di nuovo, senza sapere se sarebbe tornata o no.
-Allontanamento ..- disse con voce tirata, continuando a sospirare -Non posso ferirli di nuovo. Devo tornare, devo .. restare. Restare lì. Non posso permettermi di continuare a giocare a fare la ribelle. Io non lo sarò mai-
Il suo ennesimo nodo in gola si sciolse in un altro fiume di lacrime, straripante sul suo viso stanco.
Era stanca.
-Non importa se abbia tenuto in mano una pistola, o abbia imparato a correre veloce, o abbia distribuito cibo del mercato nero a chi ne aveva bisogno ..- proseguì -Sono una debole. Sono una fottuta ragazzina debole, che ha giocato con la propria vita e con i sentimenti degli altri, della mia famiglia .. Li ho feriti e ora soffrono di nuovo. Hanno perso me e poi lui- prese una lattina, la strinse forte nel pugno e la lanciò. L'oggetto fendette l'aria con un piccolo volo fino a tornare a terra con un rumore metallico-Ragazzina idiota! Idiota!-
Iphigenia le bloiccò le braccia e la strinse tra le proprie. Anche quella volta, Antigone sentì che avrebbe bagnato il suo petto di lacrime come se fosse un cuscino.
-No, piccolina ..- ripeteva carezzandole i capelli -Tu non sei idiota, maledizione. Tu sei forte, cosetta nera, fortissima .. Stai sopportando un inferno fottuto, come l'abbiamo sopportato noi e come alcuni continuano a sopportarlo. Mi hai aiutato a salvare due vite umane e ne salverai tante. Però è giusto che tu raggiunga la tua famiglia, piccola-
-Non voglio lasciarvi, non voglio. Ma molto probabilmente dovrò farlo. Non posso ferirli di nuovo, Iphigenia. Il mio posto, evidentemente, è là-
Iphigenia la fissò negli occhi e le baciò la fronte.
-Ognugno ha il posto che gli spetta, sempre, anche se il destino ce lo costruiamo da soli. A volte è necessario fare qualche passo indietro, già..-
-Perdonatemi, compagni .. Se sono degna di chiamarvi così ..-
Amphiaraus le scosse i capelli.
-Ma scherzi? Non esistono 'sti discorsi in questa famiglia!-
Dal fondo si sentirono fischi di approvazione. Erano riusciti a farla sorridere.
-Però devi soddisfare una nostra richiesta, okay?- riprese Iphigenia -Partirai stasera, col buio pesto. Nessuno deve scoprirti-
Antigone annuì e l'abbracciò nuovamente. Fu come se sentì il suo cuore spezzarsi.
 
Aveva consegnato il distintivo e la spilletta, e i suoi averi non erano stati tirati fuori. Poi si era riempita lo stomaco di gallette e Iphigenia le aveva dato una piccola borraccia.
-Per dissetarti un po'. Senza esagerare, mi raccomando, che non ti venga di far pipì mentre corri!-
Durante la cena avevano cantato Papaveri e Baionette per due volte: la prima tutti insieme, la seconda l'avevano lasciata cantare da sola e tutti avevano applaudito, perfino Astyanax. Quel ragazzino non la guardava più con disprezzo, anzi le lanciava dei sorrisetti divertiti e voleva che addirittura gli facesse il solletico tra i capelli.
-Astyanax, ma insomma! Ti sembrano richieste da fare?-
-An, fallo divertire!- ridacchiava Jeanne -Ad Antigone non sembra dare fastidio, vero?-
Jeanne aveva ragione. Dopo una vita passata a fare la sorellina minore, passare le dita tra i capelli stopposi di un ragazzino che aveva imparato a fidarsi di lei non era poi così male.
Subito dopo cena aveva già il borsone in spalla. Amphiaraus le raccomandò di orinare prima di mettersi in viaggio e di tenere sempre qualche spicciolo in tasca per pagare i biglietti.
-Ovviamente la pistola la teniamo noi. Qualora dovessi vedere tipi strani, mettiti a correre o nasconditi-
Passò a salutare ogni singolo membro, ma lasciò per ultima Iphigenia. L'abbraccio che le avrebbe dato sarebbe stato sicuramente più lungo, pieno di lacrime e ultime raccomandazioni.
Si ritrovarono all'ingresso, sotto le funi. Iphigenia le corse incontro e le diede un lungo bacio sulla fronte.
-Ci mancherai, ci mancherai di nuovo. La tua branda e il tuo tesserino li terrò io come ricordo, qualora non dovessi tornare. Ma lo spero, lo spero con tutto il mio cuore-
Dall'esterno, in una notte violacea e piena di smog, proveniva il cantare delle cicale e il latrare dei cani randagi del quartiere. Nessuno fiatava in quel silenzio quasi onirico, un sogno polveroso in una vecchia fabbrica trasformata in commando che faceva da sfondo ad un addio.
-Giurami che non è un addio- disse Iphigenia guardandola negli occhi.
-Non lo so- rispose in un soffio -Se non torno, giuro che il mio sostegno sarà sempre dalla vostra parte, proverò con tutte le mie forze a convincere zio Kreon della vera natura di Snakes e dell'Ordine Edelweiss ..-
-Sei la nostra piccola sfinge rossa, Antigone. Da cosetta nera a piccola sfinge rossa. Con te all'Acropoli, mentre ci guardi dalla tua terrazza, combatteremo con più coraggio di prima-
-Addio-
-Non chiamarlo addio, ti prego-
Si distaccarono lentamente, lanciandosi lunghi sguardi tristi. Antigone mise il primo piede sull'uscio e il suo naso fu appena fuori, accompagnato dal forte ululato dell'allarme.
-Intrusi!- urlò una voce maschile -Intrusi acropolini!-
Hanno vinto loro.
Antigone gettò il borsone a terra e raggiunse Iphigenia.
-Nasconditi in cucina!- urlò Iphigenia -Lascia le tue cose, fa' presto!-
Con l'allarme che accompagnava i propri passi affrettati, Antigone afferrò una corda e iniziò a salire.
-Non ti fermare!- Iphigenia tirò fuori la pistola e si catapultò fuori.
Alla fine avevano vinto loro. L'avevano trovata e quella sera sarebbe tornata a casa accompagnata dalla Guardia Reale, magari con un mandato d'arresto per lei e per i membri del commando. Lei esiliata, loro condannati a morte. Forse Snakes avrebbe deciso anche della sua vita, condannandola alla stessa fine e ridacchiando appena l'avrebbe afferrata per i capelli con la sua lurida e grassa mano pelosa. La prima e ultima occasione per sputargli in faccia e riempirlo di insulti come testamento.
Raggiunse la mensa, corse verso la cucina e si rintanò sotto un balcone. In quella penombra grigiastra, lievemente rischiarata da un neon, riusciva a sentire solo il lamento ovattato dell'allarme e forse non sarebbero riusciti a trovare lei, vestita di scuro e nascosta in quell'angolo com'era. Antigone si portò la felpa sul naso per scacciare l'odore di cipolla e bucce di patate che proveniva da quell'angolo striminzito e umido, cercando di reprimere il suo stesso respiro per cogliere meglio i rumori che provenivano dall'esterno. Il lamento dell'allarme cessò di colpo, seguito da un silenzio che non era stato ferito nè da spari nè da urla. Forse erano semplici e inesperti cadetti, mandati a fare le spie in un luogo per loro inospitale e sconosciuto, capitati nelle mani degli avversari senza la forza necessaria per reagire e scappare.
Si sentiva soffocare.
Uscì lentamente, prima gattonando e poi mettendosi piano in piedi. Si avvicinò alla porta, la aprì lentamente e sbirciò da uno spiraglio: il campo era libero. Antigone uscì piano nella mensa, vuota e silenziosa, a passi lenti e ponderati. Non aveva nemmeno il coltellino svizzero in tasca, ma si sarebbe arraggiata con i coltelli nascosti in cucina.
Una voce femminile urlò il suo nome. Era la voce di Iphigenia.
Antigone si distese a pancia sotto e sbirciò sotto. Iphigenia era sola e la cercava con lo sguardo, ma i suoi occhi e il suo viso non tradivano nessuna preoccupazione.
-Iphigenia!-
I suoi occhi schizzarono su e la notarono.
-Eccoti qui! Scendi, hai ospiti-
Antigone afferrò una fune e si calò giù, in silenzio. L'eccitazione di pochi minuti prima aveva lasciato il posto alla curiosità.
-Ospiti? Nessun pericolo in vista?-
-Ho detto che hai ospiti, cosetta. Niente di preoccupante quindi-
Entrarono in corridoio e raggiunsero una stanzetta. Amphiaraus sedeva alla scrivania con un sorrisetto furbo, davanti a due figure in abiti scuri.
-Signori miei, scopritevi pure- ridacchiò.
-Eh finalmente, grazie per averci tenuto in ostaggio, devo dire!- riconobbe quella voce stizzita e nervosa, quei capelli biondissimi e quel paio di occhioni talmente azzurri da sembrare bianchi, rivolti verso di lei stupiti e irritati -Oh, guarda un po' chi si vede!-  esclamò Ismene.
-Sorpresa!- ecco quegli occhi cangianti e quel cespuglio di capelli nerastri -Ho dimenticato i fiori a casa, va bene lo stesso?- ridacchiò Emon.
Antigone rimase a bocca aperta, indecisa se indietreggiare o saltare loro addosso.
Ismene ed Emon si alzarono in piedi, si guardarono in faccia e le rivolsero un sorriso divertito.
-Ismene, che dici? La perdoniamo?-
-Avanti, Emon. Abbiamo faticato tanto per trovare la nostra pecorella smarrita ..-
31
 
-In questa riunione di oggi- disse solennemente Iphigenia dal centro della stanza per i dibattiti -Noi discuteremo sul destino delle nostre nuove ospiti, Cassandra ed Ecuba. Da quanto mi è parso di comprendere, siamo tutti d'accordo nel considerarle parte della nostra famiglia di scalmanati. Dico bene?-
Dal loro piccolo uditorio si alzò un lieve mugolio di assenso. Molte teste annuivano e alcuni davanto l'ok con il pollice.
-Molto bene. Possiamo tralasciare questo punto, dal momento che è già stato chiarito. Adesso, passiamo a parlare delle dirette interessate. Andromaca vi avrà sicuramente riferito la loro storia, giusto Andromaca?-
Andromaca annuì da lontano, seguita e imitata dal resto dei partecipanti.
-E come abbiamo potuto comprendere, la loro è una storia davvero tremenda, davanti alla quale è davvero impossibile provare pietà. La serie di emozioni che io e la compagna Antigone abbiamo provato la notte scorsa, nel momento in cui le abbiamo trovate in quello stato, non sono descrivibili a parole. Comunque sia, adesso le nostre amiche sono qui al sicuro, in mezzo a volti amici e disponibili nei loro confronti. Ed è qui che emergono le prime difficoltà e i primi dubbi, e spero che voi tutti compagni riusciate ad aiutarmi a districare questa piccola matassa: che trattamento dovremmo riservare a queste due donne? Farle entrare nel commando come vere e proprie compagne o .. Insomma, renderle le nostre prime protette? La proposta mia e di Amphiaraus- con un cenno della mano invitò Amphiaraus ad avvicinarsi al pulpito -E' quella di iniziare un allenamento leggero almeno per Ecuba, leggero come quello della compagna Antigone. Compagno Amphiaraus, illustra agli altri il nostro progetto-
Amphiaraus si avvicinò ad una lavagna di plastica bianca e lucida e iniziò a tracciare i nomi delle due donne con un pennarello blu elettrico, in una grafia sottile e tremante.
-Riuscite a leggere tutti? Perfetto. Allora, le nostre nuove ragazze, come ha già ricordato Iphigenia, hanno una storia difficile. Eppure, secondo noi, la loro terribile esperienza non deve essere considerata un handicap, ma un eccezionale punto di forza da cui far partire la loro nuova vita al commando. Mi spiego meglio-
Collegò i nomi di Ecuba e Cassandra con un trattino, poi fece partire una freccia sotto di essi.
-Prostituzione, vita difficile- lesse dopo aver tracciato la parola -Esperienza orribile che deriva soltanto dal controllo dell'Acropoli esercitato sui loro corpi con violenza. Quindi, prostituzione uguale Acropoli. Ci siamo? Molto bene. La loro difficile storia è stata causata da quei luridi damerini- disse solennemente, indicando alla sua destra con la mano -E se facciamo capire qual è il loro nemico, che fino ad adesso si sono limitate a sottovalutare e che noi riteniamo minaccia comune per la libertà futura, loro si uniranno subito al nostro piccolo commando con tanto di armi in mano. Ovviamente, compagna Iphigenia e compagno Hank si occuperanno di insegnar loro tutto ciò che serve come stanno facendo con Antigone. Confesso che mi aspetto risultati più evidenti da parte di Ecuba, non tanto di Cassandra. Con lei, certamente, ci mostreremo più comprensivi data la sua condizione, sulla quale il compagno Heteoclis e la compagna Andromaca, adesso assenti, stanno cercando di far luce. Domande? Critiche varie?-
-Non sono d'accordo- Jeanne alzò la mano -Collega, ragioniamo. Non possiamo indottrinare quelle due così di colpo. Non hanno mai tenuto un'arma tra le dita, c'è il rischio che possano spaventarsi. Per non parlare di Cassandra, poveretta. E' troppo strana per uscire fuori ad allenarsi, a sopportare ancora la fatica e a imparare a sparare-
-Jeanne, come ha già detto Amphiaraus, verso Cassandra mostreremo una maggiore comprensione- riprese Iphigenia.
-Lo stesso, non può andare bene. Ecuba e Cassandra vivono quasi in simbiosi, cavolo, si vede lontano un miglio. E non soltanto perchè sono madre e figlia. Hanno vissuto, fianco a fianco, la stessa terribile esperienza. Per ora sono troppo stanche per combattere una guerra-
-Concordo con la compagna Jeanne- si alzò in piedi Tideus -Sono ancora troppo deboli. Dobbiamo ricordarci di essere in guerra, davvero. La nostra è una guerra, ed è solo all'inizio. Non sono forse attacchi quelle rappresaglie improvvise dello Squadrone Edelweiss? I barboni strappati con forza dai marciapiedi non sono i loro prigionieri, così come le prostitute dei loro bordelli sono le loro schiave? Dobbiamo proteggerle, prima di armarle. Devono sì vivere ogni giorno con noi, ma non devono farsi vedere in giro perchè sarebbe la fine-
-Assistere ad altra violenza-  si inserì Big McKeane -Farebbe loro solo del male. Soprattutto alla ragazzina. Loro, almeno per un po', devono stare tutelate. Sono le nostre prime protette, compagna Iphigenia. Prima di andare a combattere, hanno bisogno di un po' di pace-
Iphigenia ascoltò ogni singolo parere in secondo, portando una mano al mento e annuendo lentamente. I suoi occhi non tradirono nessuna delusione o astio, solo una viva curiosità ad ogni parola che i compagni proponevano. Quanto a lei, pensava di essere d'accordo con le parole di Jeanne e di Tideus: se i compagni erano cresciuti in mezzo alla guerra e alla fame, Ecuba e Cassandra si erano spostate da un letto all'altro, imbottite di droga, con il corpo violato una sera dopo l'altra e i proiettili che fischiavano dall'esterno del loro limbo di neon rosa e blu. Le loro anime e i loro corpi avevano bisogno di pace e di cure. La guerra era appena iniziata e c'erano abbastanza compagni, lei stessa compresa, per sabotare gli aggeggi di quelle bestie e magari farle saltare in aria. Due donne deboli e spaventate non avrebbero nemmeno arrecato nessun vantaggio, con una pistola in mano, e anzi sarebbero state talmente confuse da arrecare danno agli altri o a loro stesse.
-Bene, quindi la maggioranza boccia la proposta mia e di Amphiaraus. Alzate le mani, vediamo un po'-
Il risultato fu palese: Ecuba e Cassandra sarebbero state le protette dell'intero commando, tuttavia con la possibilità di effettuare delle piccole esercitazioni, ma solo se le avessero voluto.
Dei passi veloci e un respiro allarmato richiamò tutti verso il corridoio. Andromaca, con gli occhi pieni di stupore e la voce rotta, entrava nella stanza e si appoggiava alla parete dopo la corsa.
-Tutti in mensa! E' successa una cosa assurda- gli occhi di Andromaca incrociarono i suoi, accompagnati da un'espressione triste e preoccupata -Antigone ..-
Il cuore iniziò a batterle più forte che mai.
-Andromaca? Cosa è successo?-
-Che rapporti avevi con il Gran Consigliere?-
No, non questo.
No, che razza di domanda è?
Per favore, Andromaca. Non dirmelo. Non voglio sentirlo.
-Che razza di domanda è? Per favore, non tenermi sulle spine-
-Rispondi, erano buoni o no?-
-Principessa, attenzione! Potreste sbucciarvi un ginocchio!-
-Ma non succede niente, Gran Consigliere! Papà dice che correre fa bene!-
Era primavera, o forse estate. Emon era soltanto un ragazzaccio adottivo verso cui non provava ancora nulla. Era bello giocare a palla sotto il tepore del sole, lei, Ismene e il Gran Consigliere, con Eteocle e Polinice che entravano di soppiatto nella fontana e giocavano tra gli schizzi d'acqua.
-Ma tutto questo affannarvi non vi giova!-
-Silenzio, afferra la palla e gioca subito con me!Ismene! Vieni a giocare anche tu!-
Era primavera, o forse estate. La guerra era finita, la guerra non sarebbe mai iniziata, papà e mamma stavano bene e passeggiavano mano nella mano. Zio Kreon era alla Colonia Lunare con gli amici e Snakes perso chissà dove.
Antigone la guardò sospirando, come arresa.
-Parla, per favore- disse in un soffio, quasi stesse perdendo le forze.
Ognuna colse l'espressione cupa dell'altra. I compagni si voltarono prima verso Andromaca e poi verso di lei.
-Il Gran Consigliere è morto, Antigone. Lo hanno detto alla radio-
HANNO SPENTO IL SOLE
L'HANNO FATTO DI NUOVO
HANNO SPENTO IL FOTTUTO SOLE DI NUOVO
L'ennesimo rumore di passi veloci richiamò la sua attenzione per pochi secondi. Tideus entrava tutto trafelato, con gli occhi tristi e la bocca spalancata per lo stupore.
-Antigone ..- disse in un soffio.
-Fermo- tagliò corto Andromaca -Lo sa-
Prima Andromaca, poi Tideus, poi si voltò di scatto verso Iphigenia dopo aver passato velocemente in rassegna i volti altrettanto stupefatti degli altri compagni. Iphigenia tentò di tenderle le braccia, ma Antigone indietreggiò di qualche passo, uscì dalla stanza e iniziò a correre lungo il corridoio. Le pareva che i suoi occhi avessero assunto una vita propria, tante erano le lacrime che iniziarono a scorrere lungo le sue guance, quasi ad annebbiare la sua vista già confusa e a portarla ad inginocchiarsi a terra, appoggiata alla fredda e umida parete.
 
Sedeva ben composta su una delle sedie della sala mensa. Teneva lo sguardo basso e un bicchiere d'acqua fra le mani, con le dita di Iphigenia su entrambe le spalle.
-Come è morto?- chiese quasi in un mormorio.
-Avvelenamento, cosetta- disse McKeane -E' altamente probabile-
Antigone alzò di scatto la teata e fissò il suo grosso faccione barbuto con rabbia. Era come se non controllasse le proprie emozioni e i propri movimenti, lasciati tutti liberi all'istinto di triste rabbia che la stava consumando.
-Non hai sentito la radio, big McKeane. Eri alla riunione. Andromaca, parla-
Si sentiva uno schifo. Parlare in quel modo, con quel tono, a chi l'aveva accolta nonostante mille pregiudizi, non era certo segno di riconoscenza. Che colpa avrebbero mai potuto avere della morte del Gran Consigliere? E che colpa avrebbe potuto avere lei di tutto questo? Ecco, le sue parole erano trascinate da quell'ira rancorosa e triste che le stava mangiando il cuore e gli occhi, gonfi di lacrime e bassi verso le proprie ginocchia, quelle ginocchia magre, quasi ossute, che Ismene aveva tanto invidiato.
Ismene ed Emon in lacrime, insieme a zio Kreon e a tutta la corte. E Snakes pronto ad accusare i suoi capri espiatori preferiti, anche se sicuramente non sarebbero stati loro ad ucciderlo. Ma questo, Antigone non poteva ancora saperlo bene, anche se nel suo cuore qualcosa le diceva che quella volta, almeno quella volta per l'opinione pubblica comune, quei luridi parassiti delle Periferie erano innocenti.
-Ho acceso la radio e Voce di Thebe è subito partita con l'edizione straordinaria. Hanno detto che il Gran Consigliere ha avuto un malore subito dopo pranzo e che si sia accasciato a terra, in pieno corridoio. A poco sono valsi i tentativi di rianimazione-
-Hanno già fatto l'autopsia?-
-No, non hanno accennato a nulla. Hanno solo intervistato tuo zio e Snakes. Il vecchio Kreon era in lacrime ..-
Antigone strinse il viso tra le mani e fece un profondo sospiro. Zio Kreon stava piangendo di nuovo, insieme ad Ismene e ad Emon. E lei era lontana, lontana da loro, a giocare a fare la ribelle.
-E la bestia?-
Andromaca le lanciò un sorriso amaro, pieno di compassione.
-Assecondava le parole di Kreon, nè una sillaba in più nè una in meno-
Antigone stette ad assaporare le lacrime che le erano rimaste agli angoli della bocca. Fissava un punto davanti a sè, perso tra le caviglie e i grossi scarponi dei compagni, con le spalle abbassate e le mani sulle ginocchia.
Gliel'avevano ucciso. Ne era certa. Qualcosa dentro il suo cuore non faceva che urlarle questo. Il Gran Consigliere godeva di ottima salute, nè l'aveva mai visto con qualche acciacco dovuto ad un'età alla fine non troppo avanzata. Quell'uomo era stato ucciso, ucciso a sangue freddo, da una mano che in quel momento non aveva un volto nè il coraggio tale per mostrarsi e agire alla luce del sole.
Torna.
Evidentemente non era destino che lei stesse al commando. I suoi cari erano stati colpiti di nuovo nel pieno degli affetti e lei non poteva continuare a giocare a far la piccola combattente schierata dalla parte dei parassiti. Lei non era Polinice, nè sentiva di avere il coraggio necessario per resistere a quelle lacrime e a quel sangue che era stato gettato di nuovo.
-Devo tornare- disse secca -Hanno bisogno di me-
Si alzò di scatto, si appoggiò nuovamente alla parete e sospirò. Tutti le rivolsero uno sguardo tristemente sorpreso e colmo di una strana agitazione.
-Antigone ..- sussurrò Iphigenia, cercando di prenderle una mano.
-Evidentemente non è destino che stia qui- continuava -La mia famiglia ha bisogno di me .. Ismene, Emon e in particolare zio Kreon. E' stato colpito in pieno, ha perso l'amico di una .. vita, se possiamo dire così.-
I suoi occhi incrociarono quelli di Iphigenia. Ella la guardava con tristezza, con gli occhi già supplichevoli.
-Antigone, cosetta ..- poi si interruppe, abbassando lo sguardo -No, devo tacere. Saremmo egoisti se ti costringessimo a restare qui. Dopotutto, hai perso una persona importante ed è giusto che tu vada a trovare la tua famiglia-
-Ti capiamo, lo sai- si intromise Amphiaraus -Tutti noi abbiamo perso delle persone a noi care. E il tuo allontanamento temporaneo non verrà considerato un tradimento, affatto-
Guardò entrambi, prima Iphigenia e poi Amphiaraus, e poi si voltò verso gli altri che le mandavano dolci sorrisi comprensivi. Il suo cuore si era fatto di piombo in appena una mezz'ora, e ogni secondo che passava non faceva altro che appesantirlo.
I loro visi grigiastri, alcuni magri e alcuni più pieni, le loro braccia piene di bende e i loro vestiti laceri le avevano mostrato una realtà che l'Acropoli voleva nascondere e condannare; le avevano insegnato a prendere in mano una pistola e a sforzarsi di correre, a dormire su una branda e a cercare di coprirsi con una copertina consunta, a mangiare gallette insipide e a distribuire ciò che restava inutilizzato ai meno fortunati. Le avevano mostrato le mille sfumature di un dolore uguale per tutti, che li aveva colpiti uno dopo l'altro con la stessa intensità e soltanto modalità diverse.
E ora doveva lasciarli, lasciarli di nuovo, senza sapere se sarebbe tornata o no.
-Allontanamento ..- disse con voce tirata, continuando a sospirare -Non posso ferirli di nuovo. Devo tornare, devo .. restare. Restare lì. Non posso permettermi di continuare a giocare a fare la ribelle. Io non lo sarò mai-
Il suo ennesimo nodo in gola si sciolse in un altro fiume di lacrime, straripante sul suo viso stanco.
Era stanca.
-Non importa se abbia tenuto in mano una pistola, o abbia imparato a correre veloce, o abbia distribuito cibo del mercato nero a chi ne aveva bisogno ..- proseguì -Sono una debole. Sono una fottuta ragazzina debole, che ha giocato con la propria vita e con i sentimenti degli altri, della mia famiglia .. Li ho feriti e ora soffrono di nuovo. Hanno perso me e poi lui- prese una lattina, la strinse forte nel pugno e la lanciò. L'oggetto fendette l'aria con un piccolo volo fino a tornare a terra con un rumore metallico-Ragazzina idiota! Idiota!-
Iphigenia le bloiccò le braccia e la strinse tra le proprie. Anche quella volta, Antigone sentì che avrebbe bagnato il suo petto di lacrime come se fosse un cuscino.
-No, piccolina ..- ripeteva carezzandole i capelli -Tu non sei idiota, maledizione. Tu sei forte, cosetta nera, fortissima .. Stai sopportando un inferno fottuto, come l'abbiamo sopportato noi e come alcuni continuano a sopportarlo. Mi hai aiutato a salvare due vite umane e ne salverai tante. Però è giusto che tu raggiunga la tua famiglia, piccola-
-Non voglio lasciarvi, non voglio. Ma molto probabilmente dovrò farlo. Non posso ferirli di nuovo, Iphigenia. Il mio posto, evidentemente, è là-
Iphigenia la fissò negli occhi e le baciò la fronte.
-Ognugno ha il posto che gli spetta, sempre, anche se il destino ce lo costruiamo da soli. A volte è necessario fare qualche passo indietro, già..-
-Perdonatemi, compagni .. Se sono degna di chiamarvi così ..-
Amphiaraus le scosse i capelli.
-Ma scherzi? Non esistono 'sti discorsi in questa famiglia!-
Dal fondo si sentirono fischi di approvazione. Erano riusciti a farla sorridere.
-Però devi soddisfare una nostra richiesta, okay?- riprese Iphigenia -Partirai stasera, col buio pesto. Nessuno deve scoprirti-
Antigone annuì e l'abbracciò nuovamente. Fu come se sentì il suo cuore spezzarsi.
 
Aveva consegnato il distintivo e la spilletta, e i suoi averi non erano stati tirati fuori. Poi si era riempita lo stomaco di gallette e Iphigenia le aveva dato una piccola borraccia.
-Per dissetarti un po'. Senza esagerare, mi raccomando, che non ti venga di far pipì mentre corri!-
Durante la cena avevano cantato Papaveri e Baionette per due volte: la prima tutti insieme, la seconda l'avevano lasciata cantare da sola e tutti avevano applaudito, perfino Astyanax. Quel ragazzino non la guardava più con disprezzo, anzi le lanciava dei sorrisetti divertiti e voleva che addirittura gli facesse il solletico tra i capelli.
-Astyanax, ma insomma! Ti sembrano richieste da fare?-
-An, fallo divertire!- ridacchiava Jeanne -Ad Antigone non sembra dare fastidio, vero?-
Jeanne aveva ragione. Dopo una vita passata a fare la sorellina minore, passare le dita tra i capelli stopposi di un ragazzino che aveva imparato a fidarsi di lei non era poi così male.
Subito dopo cena aveva già il borsone in spalla. Amphiaraus le raccomandò di orinare prima di mettersi in viaggio e di tenere sempre qualche spicciolo in tasca per pagare i biglietti.
-Ovviamente la pistola la teniamo noi. Qualora dovessi vedere tipi strani, mettiti a correre o nasconditi-
Passò a salutare ogni singolo membro, ma lasciò per ultima Iphigenia. L'abbraccio che le avrebbe dato sarebbe stato sicuramente più lungo, pieno di lacrime e ultime raccomandazioni.
Si ritrovarono all'ingresso, sotto le funi. Iphigenia le corse incontro e le diede un lungo bacio sulla fronte.
-Ci mancherai, ci mancherai di nuovo. La tua branda e il tuo tesserino li terrò io come ricordo, qualora non dovessi tornare. Ma lo spero, lo spero con tutto il mio cuore-
Dall'esterno, in una notte violacea e piena di smog, proveniva il cantare delle cicale e il latrare dei cani randagi del quartiere. Nessuno fiatava in quel silenzio quasi onirico, un sogno polveroso in una vecchia fabbrica trasformata in commando che faceva da sfondo ad un addio.
-Giurami che non è un addio- disse Iphigenia guardandola negli occhi.
-Non lo so- rispose in un soffio -Se non torno, giuro che il mio sostegno sarà sempre dalla vostra parte, proverò con tutte le mie forze a convincere zio Kreon della vera natura di Snakes e dell'Ordine Edelweiss ..-
-Sei la nostra piccola sfinge rossa, Antigone. Da cosetta nera a piccola sfinge rossa. Con te all'Acropoli, mentre ci guardi dalla tua terrazza, combatteremo con più coraggio di prima-
-Addio-
-Non chiamarlo addio, ti prego-
Si distaccarono lentamente, lanciandosi lunghi sguardi tristi. Antigone mise il primo piede sull'uscio e il suo naso fu appena fuori, accompagnato dal forte ululato dell'allarme.
-Intrusi!- urlò una voce maschile -Intrusi acropolini!-
Hanno vinto loro.
Antigone gettò il borsone a terra e raggiunse Iphigenia.
-Nasconditi in cucina!- urlò Iphigenia -Lascia le tue cose, fa' presto!-
Con l'allarme che accompagnava i propri passi affrettati, Antigone afferrò una corda e iniziò a salire.
-Non ti fermare!- Iphigenia tirò fuori la pistola e si catapultò fuori.
Alla fine avevano vinto loro. L'avevano trovata e quella sera sarebbe tornata a casa accompagnata dalla Guardia Reale, magari con un mandato d'arresto per lei e per i membri del commando. Lei esiliata, loro condannati a morte. Forse Snakes avrebbe deciso anche della sua vita, condannandola alla stessa fine e ridacchiando appena l'avrebbe afferrata per i capelli con la sua lurida e grassa mano pelosa. La prima e ultima occasione per sputargli in faccia e riempirlo di insulti come testamento.
Raggiunse la mensa, corse verso la cucina e si rintanò sotto un balcone. In quella penombra grigiastra, lievemente rischiarata da un neon, riusciva a sentire solo il lamento ovattato dell'allarme e forse non sarebbero riusciti a trovare lei, vestita di scuro e nascosta in quell'angolo com'era. Antigone si portò la felpa sul naso per scacciare l'odore di cipolla e bucce di patate che proveniva da quell'angolo striminzito e umido, cercando di reprimere il suo stesso respiro per cogliere meglio i rumori che provenivano dall'esterno. Il lamento dell'allarme cessò di colpo, seguito da un silenzio che non era stato ferito nè da spari nè da urla. Forse erano semplici e inesperti cadetti, mandati a fare le spie in un luogo per loro inospitale e sconosciuto, capitati nelle mani degli avversari senza la forza necessaria per reagire e scappare.
Si sentiva soffocare.
Uscì lentamente, prima gattonando e poi mettendosi piano in piedi. Si avvicinò alla porta, la aprì lentamente e sbirciò da uno spiraglio: il campo era libero. Antigone uscì piano nella mensa, vuota e silenziosa, a passi lenti e ponderati. Non aveva nemmeno il coltellino svizzero in tasca, ma si sarebbe arraggiata con i coltelli nascosti in cucina.
Una voce femminile urlò il suo nome. Era la voce di Iphigenia.
Antigone si distese a pancia sotto e sbirciò sotto. Iphigenia era sola e la cercava con lo sguardo, ma i suoi occhi e il suo viso non tradivano nessuna preoccupazione.
-Iphigenia!-
I suoi occhi schizzarono su e la notarono.
-Eccoti qui! Scendi, hai ospiti-
Antigone afferrò una fune e si calò giù, in silenzio. L'eccitazione di pochi minuti prima aveva lasciato il posto alla curiosità.
-Ospiti? Nessun pericolo in vista?-
-Ho detto che hai ospiti, cosetta. Niente di preoccupante quindi-
Entrarono in corridoio e raggiunsero una stanzetta. Amphiaraus sedeva alla scrivania con un sorrisetto furbo, davanti a due figure in abiti scuri.
-Signori miei, scopritevi pure- ridacchiò.
-Eh finalmente, grazie per averci tenuto in ostaggio, devo dire!- riconobbe quella voce stizzita e nervosa, quei capelli biondissimi e quel paio di occhioni talmente azzurri da sembrare bianchi, rivolti verso di lei stupiti e irritati -Oh, guarda un po' chi si vede!-  esclamò Ismene.
-Sorpresa!- ecco quegli occhi cangianti e quel cespuglio di capelli nerastri -Ho dimenticato i fiori a casa, va bene lo stesso?- ridacchiò Emon.
Antigone rimase a bocca aperta, indecisa se indietreggiare o saltare loro addosso.
Ismene ed Emon si alzarono in piedi, si guardarono in faccia e le rivolsero un sorriso divertito.
-Ismene, che dici? La perdoniamo?-
-Avanti, Emon. Abbiamo faticato tanto per trovare la nostra pecorella smarrita ..-

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Capitolo 33
*** 32 ***


32
 

Jeanne entrò di colpo, facendoli tutti sobbalzare. Aveva gli occhi duri e indagatori, pronti a scrutare tutti i segreti in fondo all'anima dei nuovi arrivati.
-Avete iniziato l'interrogatorio?- chiese con durezza, poi abbassò gli occhi verso Ismene ed Emon -A quanto pare, sono arrivata in anticipo-
Si avvicinò alla scrivania e vi si sedette su, proprio al centro, con Ismene alla propria destra ed Emon alla propria sinistra. La prima a guardare fu proprio Ismene, mettendosi a squadarla con viva antipatia e una punta di disprezzo.
-Bene, la famiglia reale è al completo- ridacchiò -E il tuo fidanzatino dov'è, principessa Ismene?-
Ismene ricambiò la domanda con uno sguardo tagliente.
-Immagino che arriverai a casa e ti metterai a cantare, non è vero?-
- Chi diavolo ti credi di essere?- Ismene si alzò di scatto in piedi, facendo violentemente indietreggiare la sedia -Se io ed Emon siamo venuti qui è per riprenderci Antigone, senza immischiarci nei vostri affari!-
Jeanne fece spallucce.
-Hmm, riprenderti tua sorella? E cos'è, un pacco? Lo sappiamo tutti che voi acropolini siete fissati col possesso, ma per favore evita di rivolgerti ad Antigone in questo modo, manco fosse una cazzo di bambina. Oppure hai imparato dal tuo caro fidanzatino?-
Ismene fu sull'orlo di saltarle addosso, ma Antigone la bloccò e le fece il cenno di sedersi.
-Lascia stare mia sorella, Jeanne- tagliò corto Antigone -Tu non la conosci, non farebbe mai una cosa del genere. Se sono venuti qui, è perchè sono semplicemente preoccupati per me. Non prendertela-
Ismene le rivolse un'occhiataccia.
-Signorina Antigone, se io ed Emon siamo capitati in questa topaia è solo per colpa tua. Riprendi le tue cose e torniamocene a casa, chè sono successe cose terribili-
-Lo sappiamo, principessa Ismene- si immischiò Iphigenia, sospirando -Il vostro Gran Consigliere è morto. Tutti noi del commando ci siamo stretti intorno ad Antigone e vostra sorella può confermare-
Ismene le lanciò un'occhiata dolorsamente stupita, con quel viso pallido fattosi ancora più diafano e i grandi occhi azzurri pronti a bagnarsi nuovamente di lacrime.
-Come lo avete saputo?- chiese in un soffio.
Antigone sospirò e le poggiò una mano sulla spalla.
-Dettagli, Ismene. Anzi, vogliamo tutti sapere come è morto-
Amphiaraus, Iphigenia e Jeanne annuivano lentamente.
Emon guardava fisso davanti a sè, poi spostò lo sguardo di scatto e lanciò un'occhiata profonda prima ad Amphiaraus, poi ad Iphigenia e infine si soffermò su Jeanne. Antigone vide le sue palpebre sbattere, per poi chiudersi di colpo e riaprirsi immediatamente, come confuso. Poi Emon incrociò le braccia, sospirò e strinse i pugni, soffiando come una bestia arrabbiata e mordendosi le labbra, a occhi bassi. Antigone si spostò alle sue spalle, gli cinse il collo con le braccia e gli baciò la fronte.
-Ascolteremo ogni particolare- gli sussurrò con voce tremante -Vogliamo saperlo, e vogliamo saperlo tutti-
-Sì, signorino .. Come hai detto che si chiama?- chiese Amphiaraus.
-Emon, il suo nome è Emon-
-Dobbiamo tornare a casa- tagliò corto lui -Te lo spiegheremo dopo-
-No, Emon. E questo vale anche per te- Antigone si rivolse ad Ismene-Loro sono amici e soprattutto non ce l'hanno con voi, nè hanno festeggiato quando abbiamo saputo della morte del Gran Consigliere. E adesso vogliono sapere cosa ci sia dietro la sua morte improvvisa ..-
-O almeno confermare i nostri sospetti- disse Jeanne.
-Cosa intendi?- chiese Iphigenia.
Jeanne prese una sigaretta e se la portò alle labbra, poi l'accese.
-Se con la morte di quel poveraccio c'entri qualcosa Snakes. Lui puzza più di chiunque altro-
-Snakes non c'entra niente!- esclamò Ismene, quasi piagnucolando -Anzi, sono loro a presidiare la camera ardente! Siete solo dei parassiti fannulloni, ha ragione a definirvi così! E quanto a te, Antigone- le piantò addosso i suoi occhi di cielo, più irati che mai, con quel viso pallido appena arrossato sulle guance -Sono profondamente delusa da te!-
-Ismene, cerca di calmarti, per favore ..- sussurrò Emon- Volevate che parli di cosa è successo? Bene, allora lasciat..-
-Ascoltami bene, ragazzina viziata!- urlò Jeanne con una foga tale che le vene sul suo collo s'ingrossarono -Prima di tutto, vedi di rivolgerti con un tono più consono a tua sorella, davanti a cui dovresti solo vergognarti per il fatto di essere la più vecchia e la più stupida di famiglia! Secondo, tu non sai cosa il tuo caro amichetto Morrison Snakes abbia fatto a noi fannulloni, okay? Vuoi che ti faccia conoscere le nostre protette, eh? Dato che lo adori così tanto, proprio come adori quel tuo ragazzetto pel di carota di Achilleus,potresti ricavare una descrizione ben accurata delle dimensioni dei loro cazzi, dato che quei due compagni di bevuta se le sono scopate per bene!-
Ismene impallidì e si accasciò sulla sedia. Antigone fu sul procinto di fulminare Jeanne con lo sguardo, ma Amphiaraus la bloccò e la guardò negli occhi.
-Prima o poi sarebbe venuta a saperlo. Meglio saperlo adesso che all'altare, non credi?-
-Punto terzo- proseguì Jeanne -Non hai nemmeno permesso al tuo compagno di viaggio di raccontare cosa hanno fatto del Gran Consigliere! Diamine, Antigone, per fortuna che tu sei tutto l'opposto-
-Sono stronzate!- urlò Ismene -Hans non .. non .. Non oserebbe mai! E Morrison Snakes è la moralità fatta persona! Voi non sapete cosa ci sia dietro l'Ordine Edelweiss e ..-
-Basta!- proruppe nervosamente Iphigenia -Jeanne, principessa Ismene, state zitte! Emon, coraggio, parlate pure di cosa è successo. Noi riferiremo al resto dei compagni-
Emon sospirò e si voltò verso la scrivania, con lo sguardo fisso su Jeanne appena placata. I loro occhi si incrociarono per qualche secondo, poi Jeanne distolse lo sguardo e lo rivolse alla sigaretta che teneva tra le mani. Antigone osservò quello strano giocare e lampeggiare con vivida curiosità, ma non provava alcuna gelosia nell'animo. Conosceva troppo bene Emon e aveva ormai imparato a riconoscere ogni sua espressione, ogni sua emozione, ogni direzione e senso dei suoi sguardi, e quello sguardo, curioso come il suo, era lo stesso che faceva ogni volta che passava davanti ad uno specchio per osservare la sua immagine riflessa.
Emon si schiarì la voce e si mise ben comodo.
-Avevamo appena finito di pranzare. A tavola eravamo io, Ismene, tuo zio e il Gran Consigliere. Stavamo tutti bene, abbiamo mangiato e bevuto la stessa roba e noi non abbiamo avuto problemi. Parlavamo di te, eravamo tutti molto preoccupati e il Gran Consigliere non faceva che controllare il suo palmare. Doveva recarsi, insieme a Kreon, alla Guardia Reale per organizzare i gruppi di ricerca subito dopo pranzo, e appena si è alzato ha aperto la porta della sala pranzo e ha preceduto vostro zio. E' arrivato alla fine del corridoio, si è fermato e si è accasciato a terra. Siamo corsi verso di lui col cuore in gola e, appena ci siamo fermati a chiedergli cosa avesse, lui non riusciva nemmeno a parlare: si contorceva in una maniera orrenda, urlava e accusava di avere forti spasmi allo stomaco. Ismene è corsa a chiamare il medico, nel frattempo Kreon è rimasto accanto a lui. Quando io e una domestica siamo ritornati, era ormai tardi-
-Non hanno predisposto un'autopsia?-
-E' stato portato di corsa all'infermeria, anche se non respirava più. Arrivati lì si sono aggiunti anche Snakes, alcuni dell'Ordine Edelweiss e Hans Achilleus. Stasera avrebbero avuto una riunione speciale per decidere il da farsi. Se io ed Ismene siamo qui, è perchè Kreon e tutti gli altri sono rinchiusi nella Sala delle Udienze-
-Dovreste parlare con Big McKeane- disse Antigone -E' un medico, potrebbe dire da cosa derivino quei sintomi-
-Non serve, molto probabilmente stabiliranno l'autopsia per domattina e si il farabutto salterà fuori. O almeno spero- Emon abbassò la testa e si strinse nelle spalle -Dannazione, tra tutti i farabutti da eliminare proprio lui. Non l'avete conosciuto, diamine, no ..-
-Antigone ha pianto come una fontana quando l'ha saputo- disse Amphiaraus -E a vederla così abbattuta non abbiamo avuto bisogno di chiedere maggiori informazioni su di lui-
Ismene sospirò e guardò l'orologio.
-Antigone, prendi le tue cose. Andiamo via, avanti. Adesso sai tutto-
Aveva lasciato il borsone all'ingresso.
Sarebbero bastati pochi minuti.
Pochi minuti e pochi gesti per riprenderlo, caricarselo in spalla e salutare Iphigenia, Amphiaraus e Jeanne. Poi qualcuno li avrebbe accompagnati fino alla Piazzuola d'Atterraggio, avrebbero preso l'ultimo aerobus in servizio e sarebbe ritornata a casa, nella sua stanza, tra quelle pareti colme dell'ennesimo dolore. L'indomani avrebbe indossato, per l'ennesima volta, gli abiti da funerale e avrebbe guardato con occhi bassi il feretro del Gran Consigliere, pallido e incipriato, pronto per essere portato al Tempio.
Antigone guardò Ismene, poi Emon, poi rivolse lo sguardo ad Iphigenia e ai suoi grandi occhi seri, pronti ad accogliere positivimante ogni sua decisione. Poi pensò alla spilla, al tesserino, ai visi stanchi e segnati di Ecuba e Cassandra, ad Astyanax e agli altri orfani di quartiere.
Pochi minuti e pochi gesti per tornare indietro. Ma non si poteva ritornare indietro, lei non poteva.
-Io resterò qui. Non posso più ritornare-
Ismene le lanciò uno sguardo colmo di disgusto e sorpresa insieme.
-Cosa ti salta in mente? Il Gran Consigliere è morto, zio Kreon soffre e Thebe rischia di andare di nuovo nel caos! Preferisci restare a giocherellare a fare la ribelle, un po' come Polinice? Se a lui non fosse saltato in mente di giocare a guardie e ladri a quest'ora non soffriremmo la morte dell'ennesimo membro della nostra famiglia!-
Antigone vide Iphigenia lanciare un'occhiataccia ad Ismene.
-Principessa Ismene- disse Iphigenia con voce tirata, cercando di trattenere palesemente la rabbia -Evitate di esprimervi su cose di cui non conoscete che poco, se non addirittura nulla. Prima di forzare vostra sorella a seguirvi, ci sono un paio di cose di cui noi dobbiamo parlarvi. E soprattutto, dobbiamo farvi incontrare due persone. Sono donne, proprio come voi e vostra sorella, e magari anche come me-
 
-Dio, che topaia!- esclamò Ismene appena varcò la soglia del dormitorio -Antigone, non dirmi che dormi qui-
Jeanne le fece il verso e Antigone le diede un pizzicotto, tentando di soffocare una risata. Trovarono Ecuba seduta sulla propria branda, intenta a leggere dei fogli di carta e a sorridere ad ogni parola, tirando ogni tanto col naso.
-Sono le lettere di Hector? Le hai trovate?- chiese Jeanne appena la vide.
-Sì, perdonatemi, non ho saputo resistere e mi sono messa a cercare. Cassie si è appena addormentata, gliene ho letto alcune. Sembrava così felice-
-Figurati, quelle lettere sono tutte tue. Puoi tenerle!-
-Troppo gentile, ho paura di diventare troppo viziata!- il suo viso appuntito e magro si illuminò di un sorriso dolce e infantile, mentre i suoi occhietti nocciola erano ancora imperlati di lacrime -Oh, ma ci sono due volti nuovi. Chi sono quei due ragazzi?-
Jeanne ridacchiò e si rivolse ad Antigone.
-Cosetta, avanti, fa' le giuste presentazioni!-
-Loro sono mia sorella Ismene e il mio ragazzo, Emon. Sono venuti a .. trovarmi, per così dire-
Il viso di Ecuba si fece più cupo e le sue secche dita abbandonarono sul letto una delle lettere.
-Oh- disse chinando la testa -Piacere di conoscervi, eccellenze-
Iphigenia fece l'occhiolino ad Antigone.
-Cosetta, io racconto ad Emon cosa è successo a questa donna. Nel frattempo, puoi benissimo presentarle Ismene! Sono sicura che diventeranno amiche!-
Jeanne si sedette su una branda e invitò lei e Ismene a sedersi.
-Ecuba, riconosci questa ragazza?-
-E' la principessa Ismene, esatto. Perchè me lo chiedi?-
-Il mondo è piccolo, sai?- ridacchiò Jeanne -Questa bella ragazzona ..-
-.. Non chiamarmi così!-
-.. che vedi davanti a te è la fidanzata di un qualcuno che conosci molto bene. Uno schifoso pel di carota che ha rovinato la tua vita e quella di Cassie. Il mondo è proprio piccolo, non è vero, principessa?-
-Basta, Jeanne- proruppe Antigone -Stai esagerando. Potremmo spiegarle tutto in altri modi!-
-Tua sorella non ci ascolterebbe mai- le sussurrò all'orecchio -Dobbiamo per forza passare alle maniere forti-
Ecuba si strinse nelle spalle e impallidì. Si voltò velocemente verso la branda di Cassandra, poi ritornò a fissarle. Il suo volto esprimeva la tristezza di una vita, ma i suoi occhi ardevano di rabbia nel fissare il viso pallido di Ismene, improvvisamente fattosi rosso di imbarazzo.
-Non voglio farvi una predica, principessa Ismene. Non penso riuscirete ad ascoltarmi o a capirmi, oppure penserete che io stia mentendo a tavolino solo perchè ho intenzione di allontanarvi dall'amore della vostra vita. Beh, non è così- si alzò di scatto, si avvicinò alla branda di Cassandra e sussurrò al suo orecchio il nome di Hans Achilleus. La ragazza aprì di scatto gli occhi, irrigendosi come in trance. Con gli occhi sbarrati e la bocca contratta in un'orribile smorfia di terrore, tendeva le braccia verso la madre, ansimando e chiamando il suo nome.
Ecuba le mise una mano sulla testa e le baciò la fronte.
-Niente, piccola. E' solo un incubo-
Gli occhi di Cassandra brillarono di una triste felicità.
-Notte notte, mammina- squittì.
-Notte, tesoro-
Cassandra si voltò su un fianco e dopo pochi secondi si riaddormentò profondamente. Ecuba ritornò sui propri passi e si riaccomodò sulla brandina.
-Questo è quello che gente come Hans Achilleus hanno fatto a me, a mia figlia e a tante mie compagne di sventura. Aveva quindici anni quando due tali dell'Acropoli la violentarono. E adesso è una ritardata, come sicuramente voi la chiamereste. Ringraziate pure il vostro uomo e Morrison Snakes, se vi piace guardarla in questo stato-
Gli sguardi di Ecuba e di Ismene si incrociarono. Ismene trasalì, abbassò lo sguardo e si portò una mano alla bocca.
Iphigenia ed Emon tornavano al dormitorio, lanciando occhiate colme di pietà ad Ecuba e a Cassandra che sonnecchiava sulla propria brandina. Ismene si alzò di colpo e corse fuori dalla stanza, piangendo. Jeanne la osservava con una mesta soddisfazione.
-E' stato necessario. Abbiamo tutti qualcosa da imparare, ogni giorno-
 
Amphiaraus porgeva la borraccia ad Ismene.
-Prendi un sorso, su-
-No, non ho sete-
Sedeva su una delle sedie della mensa, rannicchiata per bene, con la schiena appoggiata alla parete. Teneva lo sguardo basso, con gli occhi ancora gonfi di pianto, mentre Antigone le teneva un braccio attorno alle spalle.
-Come ha potuto ..- sussurrava in continuazione, in una specie di litania catartica con cui tentava di dimenticare la brutta batosta -Come ha potuto, come ..-
Jeanne la guardava con pietà, appoggiata ad un banco.
-E chi sapeva che anche le principesse piangono? Mi dispiace. Ma qualcuno avrebbe dovuto dirtelo, prima o poi-
-Sei stata brusca, Jeanne- disse Amphiaraus -E' qualcosa di terribile. Avrebbe dovuto dirglielo Antigone-
-Non le avrebbe creduto, giusto?- chiese Jeanne a Ismene -Heilà, dico bene?-
Ismene alzò gli occhi in direzione di Jeanne. La fissò per qualche secondo, annuì lievemente e fece un cupo sospiro.
Emon guardò il suo orologio.
-E' tardi. Dobbiamo tornare prima dell'alba-
-Tranquillo, c'è ancora tempo- disse Iphigenia -E' stata una nottataccia per tutti. Riposate almeno un po', le Periferie non sono il massimo a notte fonda-
Emon sorrise ad Iphigenia e questa diede ad Antigone una pacca sulla schiena.
- Certo che non sono malaccio- disse sorridendo -Emon, giusto? Avanti, ti cedo il mio posto accanto ad Antigone. Sicuramente avrete tante domande da farle-
Emon si sedette a gambe incrociate accanto a lei, le prese una mano e le baciò le dita.
-Stronza, mi hai fatto preoccupare- poi si guardò intorno e sorrise -E per giunta inutilmente. Davvero inutilmente, dico bene Ismene?-
Ismene gli lanciò un'occhiata triste e annuì lentamente. Emon riprese il discorso.
-Allora, come sei capitata qui dentro?-
Antigone gli arruffò teneramente la testa. Iphigenia sorrise dolcemente e Jeanne lanciò un sorriso divertito. Poi si mise a raccontare per filo e per segno come fosse capitata a Rubra Sphinx, parlando anche dell'avventura della notte precedente, e il tutto con un certo orgoglio e una certa gioia. Era fiera di appartenere a quella stramba famiglia di fuorilegge, pensava. E ne era tanto fiera da voler comunicare lo stesso ad Emon e ad Ismene. Raccontò con particolare ardore l'attacco dello Squadrone Edelweiss sotto gli occhi increduli di Emon e quelli ancora gonfi di Ismene.
-Pazzesco! E non ha mai accennato niente di tutto questo!- esclamò Emon.
-E spero che cercheremo di far cambiare idea a tutti gli abitanti delle Periferie. Adesso possiamo dirci tranquilli e .. Eccoci qui-
Ismene si alzò, la raggiunse e l'abbracciò da dietro, baciandole la testa. Ridacchiava e singhiozzava allo stesso tempo.
-Teppista che non sei altro- sorrise, con le belle guance arrossate -Ti chiedo scusa-
Poi si mise dritta, si appoggiò alla parete e sospirò gravemente.
-E chiedo scusa anche a tutti voi. Da parte mia e di Emon, certamente. Siamo stati così .. Ciechi-
Jeanne sorrise ad Ismene e la guardò intensamente negli occhi, facendola arrossire e porgendole una salvietta.
-Tieni, asciugati il viso. Scuse accettate ma ad una condizione-
Le dita olivastre di Jeanne sfiorarono le pallidi falangi di Ismene.
-Acqua in bocca, pesciolini. Guai a voi se vi scappa qualcosa dalla bocca, okay?-
Ismene guardò Emon. Egli annuiva deciso, con gli occhi verdastri che brillavano in direzione di Jeanne. I loro sguardi si incrociarono per l'ennesima volta, sempre per pochi secondi, poi i due abbassarono la testa e sorrisero imbarazzati. Si stavano guardando allo specchio di nuovo.
-Acqua in bocca- disse Emon con decisione- E Ismene è con me-
Ismene abbassò il viso, imbarazzata e timida come non mai.
-E zio Kreon ..?-
Antigone la guardò negli occhi, la strinse e poi le prese le mani.
-Zio Kreon è cieco così come voi lo siete stati fino a poco fa. Con lui ci vorrà solo più tempo. Ma io ti prometto, noi tutti di Rubra Sphinx ti promettiamo che zio Kreon cambierà. Voi dovete solo mantenere il segreto e comportarvi come sempre-
-Cosa diremo quando ritorneremo a casa?-
Antigone corse in cucina e chiuse la porta. Si tolse la felpa, poi sfilò la maglietta e la gettò ai suoi piedi, quindi scivolò nuovamente dentro la felpa. Poi sciolse la treccia e arrotolò alcuni capelli intorno al vecchio elastico, quindi ritornò sui propri passi.
-Direte di aver trovato questi- disse porgendo la tshirt  l'elastico per capelli ad Ismene. Poco importa dove, okay? Non scopriranno mai dove mi sono nascosta a partire da questi, ma avrete mostrato comunque l'impegno di esser andati a cercarmi - Ismene prese tra le mani i due oggetti, indecisa, e la guardò con tristezza -Comportati bene, Ismene-
Le braccia pallide di sua sorella si strinsero intorno ai suoi fianchi, e all'abbraccio si unì anche Emon.
-Comportatevi bene e acqua in bocca. Ve ne prego-
-Promettimi soltanto che non è un addio- Ismene si distaccò piano, con le mani poggiate sulle sue spalle -Goonie, sporca canaglia. Abbi cura di te-
Piangevano come bambine riappacificatesi dopo un litigio.
 

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Capitolo 34
*** 33 ***


33
 

Jeanne fumava placidamente la sua sigaretta, distesa sulla branda. Aveva gli occhi persi nel vuoto e sorrideva dolcemente.
-Però- disse sbuffando -Non male la tua sorellina-
Antigone le lanciò un'occhiata indagatoria.
-La mia sorellina?-
Jeanne aspirò e sbuffò nuovamente.
-Ma sì, la tua sorellina. E' parecchio bella, non vi assomigliate per nient .. No no, Antigone, non fraintendermi. E' che rispetto a te è così .. Pallida. Sembrava un confetto-
Antigone ridacchiò, rubò una sigaretta a Jeanne e se la portò alle labbra.
-Puoi passarmi l'accendino? Ecco, grazie mille ..- fece il primo sbuffo a grandi polmoni. Iphigenia non voleva che qualcuno fumasse così spesso, almeno come lei e Jeanne, e ogni volta poneva l'esempio di Hank e Amphiaraus che fumavano massimo una, due sigarette al giorno e sempre lontano dagli allenamenti. Antigone quella sera non riusciva a dormire: troppi pensieri le frullavano per la testa e troppe scene si erano susseguite già davanti ai suoi occhi, un ammasso di avvenimenti curiosi che erano volati via in poche ore. Fortuna che quella sera Iphigenia sarebbe stata al servizio di guardia: con tutta la propria buona volontà, Antigone non sarebbe riuscita ad obbedirle almeno per quella volta -Hmm .. Non dirmi che ti piace!-
Jeanne ridacchiò rumorosamente. Andromaca, che dormiva poco lontano, mugolò qualcosa nel sonno e si girò a pancia in su.
-Nah. Non avrei speranze con lei-
-La sopravvaluti. Non è la vanesia che tu credi-
Jeanne sospirò e allontanò la sigaretta dalle labbra, osservando placidamente il mozzicone ardente.
-No, no, nulla di tutto questo .. Però sai com'è. Passato il periodo Achilleus, rivolgerà gli occhi a qualche principino del suo rango-
Hank, con le spalle strette in un consunto plaid, varcò la soglia del dormitorio e sbadigliò.
-Ma tu guarda, siete sveglie?-
Jeanne gli rivolse uno sguardo perplesso.
-Non riuscivamo a prendere sonno-
-Vi abbiamo chiamate, circa mezz'ora fa. Non rispondevate e pensavamo vi foste addormentate. Volete un riassunto?-
-Riassunto di cosa? Che è successo?-
Hank ridacchiò, si sedette sulla sua branda e poi vi si distese sospirando.
-Alla radio abbiamo sentito che domani faranno Snakes Gran Consigliere. L'abbiamo sentito al notiziario della notte-
Antigone sobbalzò sul proprio letto e spense la sigaretta sul pavimento, lasciando una grossa e scura macchia di cenere.
-No, non è possibile .. Cosa hanno detto?-
-Hanno detto solo l'orario della cerimonia  e il luogo. Alle nove del mattino partirà la diretta, che sarà possibile ascoltare alla radio. Addormentatevi, domani dobbiamo essere tutti piazzati davanti alla radio e seguire parola per parola-
Jeanne fece l'ultimo tiro e spense la sigaretta in un portacenere di plastica verde poggiato sotto la propria branda.
-Parola per parola per farci capire che siamo fottuti. Nella merda fino al collo-
Osservava Jeanne girarsi sul fianco sinistro e darle le spalle e Hank chiudere gli occhi, quindi girarsi sul fianco destro. Antigone si tirò fino al naso il lenzuolo, chiuse gli occhi e cercò di rilassare il capo su quel cuscino sottile e giallastro, odoroso di polvere e naftalina.
-Buonanotte, Antigone. Anche a te, Hank-
-Buonanotte, Jeanne- rispose -Buonanotte, Hank-
Hank le rispose con una sonora ronfata.
 
L'inno nazionale segnava l'apertura della cerimonia, intervallato dai morsi che dava alla focaccia e ai sorsi di latte dalla tazza. Subito dopo, la vocetta squillante della conduttrice di Voce di Thebe si inseriva a cavallo della musica, ridacchiando e aggiustando il microfono.
-Ci siamo, Thebe è in festa per l'ennesima volta dopo l'ennesimo lutto! Non ho mai visto una Thebe così splendente di mille e più colori, piena di gioia e di speranza dopo la terribile e improvvisa morte del nostro amato Gran Consigliere-
Antigone immaginava Thebe ricoperta di drappi rossi, oro e smeraldo, con i teleschermi sui grattacieli che permettevano la visione di quella gigantesca parata all'intera città e le aiuole decorate dalle rose più rosse e dalle foglie più vivide e verdi, splendenti di rugiada e polvere d'oro. La Grande Corte avrebbe brillato di tappeti rossi e smeraldo, decorata da drappi d'oro, splendente degli abiti di prima fattura dei cittadini stessi, lucidi di raso, seta e merletti di quei colori tanto amati che brillavano nell'ennesimo periodo oscuro per la grande nave di Thebe, anche quella volta capace di superare la tempesta con il suo glorioso e puro equipaggio.
-La decisione eroica è stata presa in piena notte. Morrison Snakes, dopo una lunga seduta tenutasi nella sala del Senato al Palazzo Reale, ha annunciato la propria decisione ai cittadini di Thebe, accompagnato e sostenuto nella sua scelta dallo stesso sovrano! Philippe, nostro corrispondente dal Palazzo, che notizie ci porti?- squittì la vocetta.
-Tutto un gran fermento!- esclamò una seconda voce maschile, calda e suadente -Le porte del salone delle cerimonie sono strettamente sigillate: al momento, è ancora in atto la parte formale di questa attesa cerimonia che ha salvato questa nazione tanto amata e tanto travagliata. Sicuramente, i presupporti sono certi: in questo momento, il nuovo Gran Consigliere giura assoluta fedeltà al sovrano e alla nostra Costituzione. Sarà il fedele compagno del padre e del fratello di questa gloriosa nazione, pronto a sostenerlo nelle sue decisioni e nei suoi compiti. Ecco, ecco il bello della nostra Costituzione: un uomo così acclamato dai cittadini e stimato per le sue idee, rappresentante della comune volontà dell'intera Thebe, ha l'opportunità assoluta di stare accanto al nostro amato sovrano-
Da lontano si sentì un leggero cigolio di porte.
-La porta del salone delle cerimonie si sta aprendo! L'accordo è stato siglato-
La radio iniziò a lanciare interferenze, durate tra un colpo di Amphiaraus e l'altro per qualche minuto, poi riprese a funzionare correttamente. Si udì il rombo frusciante della folla in delirio che acclamava a gran voce talvolta zio Kreon, talvolta Morrison Snakes.
Lo immaginava ritto sulla terrazza, con lo sguardo fiero e l'abito migliore per l'occasione, magari nero e smeraldo lucido, con le rifiniture d'oro e due grossi orecchini di onice alla orecchie, gli occhi affilati di kajal e le lenti color smeraldo che gli rendevano gli occhi ancor più serpentini. E magari alzava le mani, e magari salutava quella folla che lo acclamava e che gli avrebbe baciato le mani se avesse potuto, quelle mani terribili che si erano portati via di ragazze come Ecuba e Cassandra.
-Sei vomitevole!- urlò Jeanne, facendo quasi tremare le pareti -Hai fatto diventare quei deficienti un branco di stronzi che ti acclamano!-
Poi si voltò verso di lei e ridacchiò. Con gli occhi le rispose che battute del genere non l'avevano mai offesa e non l'avrebbero più fatto.
-Cittadini carissimi!- la voce di Snakes tuonò dalla radio -Venti furiosi si abbattono su questa nave carica di speranza, pregi e grande voglia di fare. E' solo grazie a voi che il nostro amatissimo sovrano, re Kreon, mi ha concesso l'onore di stargli al suo amatissimo e saggio fianco. Voi, voi che potreste benissimo sostuirmi in questo compito che sua Eccellenza mi ha concesso, avete fatto di me il vostro rappresentante davanti alla sua soglia. Ma la mia voce siete voi!-
E partì l'ennesimo scrosciante e urlante applauso, con l'inno di Thebe che riprendeva a suonare alle sue spalle, leggermente distinguibile in sottofondo, tra un urlo e l'altro.
-E continuerò ad esser sincero con voi- riprendeva con vocione tonante -Ed esporrò le mie idee qui ed ora, davanti a tutti voi, in modo da essere assolutamente chiaro fin da adesso. Il Gran Consiglierefrr- una lunga interferenza costrinse Amphiaraus a mettersi a maltrattare l'antenna finchè la radio non riprese a funzionare -.. E gli verranno attribuiti gli onori che merita!-
Anche quella volta sarebbe partito un applauso, durato più di due minuti, con in sottofondo i singhiozzi di Snakes commosso. Ogni singhiozzo le accapponava la pelle, come la più cattiva e fredda delle risate.
-Grazie- sussurrò ai microfoni -Siete la mia, la nostra forza-
E l'applauso si fece di nuovo più forte, con la folla che implorava il suo nome. Poi l'interferenza spezzò nuovamente quelle voci gioiose e allegre, pronunciate da labbra poggiate su un viso illuminato da malinconica e triste speranza, la speranza di chi vede improvvisamente morire un caro e trova subito la mano di un amico tesa verso la propria, pronta a farlo rialzare e a carezzargli via le lacrime dal viso. Di un amico che offre una mano per asciugare le lacrime e con l'altra tiene in mano una pistola macchiata di sangue, di un sangue sporco e tuttavia compianto da qualcuno.
-Dannato apparecchio- mugolò Amphiaraus -Jeanne, dobbiamo fare un salto all'emporio. Questo affare è totalmente andato-
-Guerra..- mugolò tetra la radio, di colpo, facendoli sobbalzare -Guerra totale. Se c'è una mano sporca di sangue, sporca del sangue di un uomo onesto come il Gran Consigliere, per trovarla dovete solo uscire dai confini di questa città. Quei teppisti meriteranno la guerra che noi riserveremo loro, a partire da adesso. Sangue chiama sangue, concittadini carissimi, amatissimo Sovrano. Sangue del Gran Consigliere, sangue di Eteocle, lo stesso sangue di .. Antigone, fratelli e sorelle! Della nostra amatissima principessa, sparita chissà dove!-
Dalla folla si alzò un mugolio sommesso e irato allo stesso tempo. Aveva toccato un tasto pericoloso e mortale, aveva pronunciato il suo nome. L'avrebbe uccisa con le sue parole.
-La principessa Ismene, amici cari, e il signorino Emon sono andati a cercarla! Questo, questo è il coraggio che apprezziamo! E quello che hanno trovato sono stati miseri oggetti, magari strappati con violenza alla nostra principessa Antigone! Dobbiamo aprire gli occhi, fratelli e sorelle, aprire gli occhi e imbracciare le armi contro i parassiti-
Il silenzio che avvolse la Grande Corte raggiunse anche loro. Antigone si sentì improvvisamente colpita da un sibilante, invisibile proiettile. Lanciò un'occhiata ad Iphigenia, che le rispose con lo stesso sguardo tristemente perplesso. Big McKeane si avvicinò a passi veloci alla radio e girò la manovella del volume. La radio gli rispose con un sonoro e lungo brontolare.
-Diamine, funziona!- disse colpendola -Cosa cazzo gli è saltato in mente ..-
La voce gracchiante e irritata di Snakes riempì nuovamente la stanza.
-.. Guerra aperta. Sì, amici miei. Hanno ucciso i nostri principi ereditari e hanno fatto sparire la nostra principessa Antigone. E c'è di più, concittadini, se adesso sto tenendo questo fucile tra le mani ..-
Antigone si sentiva strana, quasi confusa. Guardava Iphigenia e poi Jeanne in cerca di spiegazioni che non riusciva a capire dalla voce rauca di Snakes che sbraitava ai microfoni, ma poi abbassava lo sguardo appena si rendeva conto che quelle due donne esili e ferite, abituate a piangere quanto a lanciare bombe fin da ragazzine, non avevano ancora capito nulla di quelle parole. Guardavano la radio a bocca aperta, con lo sguardo perso davanti a loro, ancora più confuse e incredule
Una voce zittì Hank che imprecava contro Snakes. La radio brontolò per l'ennesima interferenza.
- ..Antigone, scomparsa di nuovo, della quale si sono trovfrr solo che pochi oggetfrr ..Chi ci dice che stia bene? Chi ci dice che sia ancora viva?-
Impallidì. Una brulicante, improvvisa rabbia iniziò a percorrerle ogni lembo di pelle, dritto lungo tutta la schiena e il resto del suo corpo. L'avrebbe uccisa a parole e Thebe se la sarebbe bevuta.
Un mormorio sommesso prendeva la piazza, occupata nuovamente dal silenzio. Snakes schiariva la voce e sospirava.
-E non sto cercando di farvi spaventare, fratelli e sorelli di Thebe. Cerco solo di parlare con la maggiore oggettività possibile.. -
Sarebbe esplosa presto. Scattò in piedi, si lanciò verso la radio a pugni tesi, quasi volesse colpire lui colpendo l'apparecchio. Nemmeno si sentiva padrona di sè, quasi avesse lasciato il dominio del suo intero corpo alla stizzita rabbia che le parole di Snakes aveva generato, orribile sottofondo che non faceva altro che accrescere il suo astio.
Jeanne l'afferrò per la vita e la riportò a sedere, carezzandole le spalle. La guardava con triste empatia.
-Calma, calma cosetta. Quella radio è preziosa, non trovi?-
-Voglio sentire come continua, Jeanne- disse seccamente, con quell'odioso fuoco che bruciava dentro il suo stomaco -Non la deve passare liscia. Sta illudendo tutti i miei concittadini!-
Snakes riprendeva a parlare con voce sorniona.
-.. Se siamo nati in questa parte di Thebe, è perchè il destino, qualcuno dall'alto magari, lo ha voluto per noi soltanto. E noi soltanto dobbiamo camminare su questi lindi marciapiedi, affacciarci dalle nostre finestre di cristallo e acciaio, partecipare con gioia e impegno alla vita di questa gloriosa capitale. Noi e nessun altro, signori miei. Niente parassiti nè i loro amici che magari si nascondono tra la folla. Ed è a loro che mi rivolgo adesso: quelle persone che cercate tanto di difendere hanno ucciso Eteocle e Polinice, disturbano di continuo la quiete di questa città e adesso hanno nascosto pure la nostra amata principessa. Perchè, sinceramente, perchè mai sua Altezza Reale Antigone avrebbe dovuto scappare dalla sua reggia? Perchè per forza di cose è stata presa con la forza o, peggio, qualcuno le ha corrotto la mente! Giovane principessa, se ci stai ascoltando, sappi che tutta la nazione ha il cuore e la mente rivolti a te!-
Si alzò un applauso mormorante e vigoroso, colmo di speranza e risentimento. Antigone deglutì e strinse i pugni, sospirando gravemente per cercare di reprimere la rabbia. L'aveva dichiarata morta con una tale leggerezza che la disgustava e la amareggiava.
-Lascialo parlare ancora- disse Hank poggiandole la mano sulla spalla -Tranquillizzati. Sarà uno spettacolo quando resusciterai dal nulla e l'intera nazione vedrà che razza di bugiardo sia, no?-
Antigone annuì e sospirò gravemente. La radio lanciò l'ennesima interferenza, ma si riuscì comunque a intendere qualche parola.
- .. E allofrr è questo ciò che si aspfrrettano e devono aspettarsi dafrr noi. Guerra. Guerra da noi dichiarata-
Quella parola era chiara e concisa, densa di astio e di disprezzo. Tutti si radunarono attorno alla radio, tutti mordendosi le labbra e stringendo i pugni. Iphigenia guardava la radio con fiero spavento. Era la prima volta che Antigone scorgeva in quegli occhi grandi e neri, fieri e colmi di tanto dolore e tanto coraggio per affrontarlo, un'ombra sottile di paura.
-Loro hanno iniziato la guerriglia, no? Ci addolorano e ci disturbano da quando Thebe è nata dalle ceneri ancora ardenti della Grande Dittatura, che tanto dolore ha portato e che ha riempito la nostra mente e il nostro cuore di brutti ricordi che ogni tanto emergono come fantasmi. Signori miei, fratelli e sorelle thebani, sovrano amatissimo, vi chiedo umilmente di imbracciare le armi e riprenderci ciò che è nostro. Schiacciamo i parassiti, fratelli e sorelle. Che non ne rimanga in piedi nemmeno uno-
Un boato riempì la piazza di cupo fervore. Uomini e donne applaudivano e invocavano il suo nome, poi inneggiavano al nome di zio Kreon e urlavano. Il microfono registrava alcuni che scalciavano sul selciato, quasi pronti ad una marcia.
-Thebe ripartirà. E Kreon, nostro sovrano, benedice questo nuovo inizio-


-Prendete posto- Iphigenia parlava dal pulpito e scrutava l'assemblea. Ecuba stringeva Cassandra amorevolmente, con gli occhi lucidi di rabbia; Hank e Amphiaraus parlottavano tra di loro e Big McKeane si appoggiava al muro con braccia conserte -E' giusto convocare una piccola assemblea dopo quello che abbiamo sentito alla radio, giusto per sentire i diversi pareri e confrontarci. Dopo, potremo ritornare alle nostre attività. Chi vuole iniziare?-
-Inizio io- Amphiaraus si alzò e si diresse al pulpito, facendo scansare Iphigenia. Poi si schiarì la voce -Compagni, noi tutti abbiamo sentito sulla pelle i venti roventi della Grande Dittatura e sappiamo cosa sia una dichiarazione di guerra. Morrison Snakes è un vanesio, come sappiamo, è un individuo meschino che sta cercando ogni pretesto per mettere noi abitanti delle Periferie in cattiva luce, ma non dobbiamo abbandonarci agli allarmismi. Sarebbe sciocco e immaturo. Lo definirei un suicidio. Ci tengo a dirvelo subito, compagni, per tranquillizzarvi e per evitare di vedere azioni stupide e controproducenti. Abbiamo poche armi, anche abbastanza vecchie, e pochi mezzi. Loro hanno armi nuove di zecca, veivoli e un intero esercito. Confermi, Antigone?-
-Confermo. State attenti, usano anche delle armi chimiche se se ne presenta l'occasione-
Amphiaraus sospirò.
-Ecco. Siamo del tutto impreparati. Siamo un semplice gruppo di dissidenti chiuso nelle sue periferie - dall'assemblea si alzò un mugolare di protesta -No, no, compagni, non fraintendetemi. Lo so bene che abbiamo tutti grandi potenzialità. Ma guardiamo in faccia la realtà: quello che possiamo condurre è una semplice guerriglia, logorante per le Periferie e del tutto ridicola davanti ai loro occhi. E comunque, prima di dichiarare guerra, noi abbiamo bisogno di certezze-
-Vuoi che si mettano a bombardarci, quindi?- chiese sprezzante Tideus -Dobbiamo iniziare a preparaci, prepararci e allenarci per bene, ridurre il cibo al minimo per iniziare ad abituarci qualora si presentino tempi di magra. E dobbiamo informare tutti i residenti del possibile pericolo che incombe sulle loro teste, cavolo!-
-Appoggio la tua decisione, compagno Tideus, e spero che tutti gli altri approvino. Sicuramente dobbiamo diffondere messaggi propagandistici a tutti i residenti e coordinare le nostre azioni con le loro, con o senza armi-
-Dobbiamo per forza aspettare un loro attacco, credo- si immischiò Antigone -Amphiaraus, hai detto bene. Le loro armi non potrebbero competere con quelle di Rubra Sphinx, o almeno non ancora. L'unico modo per prendere le armi sarebbe rubargliele-
-Un parolone, cosetta- sbottò Tideus -Se non iniziamo a fare propaganda vera, a parte quelle misere distribuzioni di viveri ai quartieri, rimarremo bloccati qui e quando arriveranno i guai non sapremo a chi rivolgerti. Antigone, dimmi un po', quali sono le principali fabbriche di armi là a Thebe?-
-Il Palazzo Reale è legato alla Schuber Industry. Durante le parate i soldati hanno sempre armi con il loro marchio di fabbrica, una S d'oro tra due croci maltesi. Questa è la fabbrica principale, non mi intendo di armi e a Palazzo non ne parlavamo quasi mai. Che io sappia, ha però molti operai-
Amphiaraus si morse le labbra.
-Compagni, qualcuno per caso conosce qualche operaio che lavora alla Schuber Industry?-
-Al mercato nero incontro spesso un certo Hefestus- disse Jeanne -Porta bulloni e chiavi inglesi e li baratta con qualche pagnotta per i suoi bambini. E' troppo onesto per collaborare, secondo me, e ha paura di ripercussioni. Me ne parla spesso, povero diavolo, sua moglie bloccata a letto e cinque mostriciattoli da campare-
Amphiaraus mugolò.
-Ci sono altri? Magari alcuni che hanno allacci al porto? Si può creare una rete di contatti con cui diffondere anche i nostri ideali qualora quegli stronzi ci dichiarino seriamente guerra, non trovate?-
Big McKeane ridacchiò.
-Snakes è un tronfio. Non la dichiarerà mai. Pensateci! Che senso ha mettere la città contro la stessa città? E' solo una scusa per tenerseli buoni e legarseli al dito. Un giorno magari ci chiederà umilmente scusa e avrà bisogno del nostro appoggio per mandare avanti questa baraccopoli. E' troppo amato per diventare un tiranno, c'è tempo per organizzare tutto questo arsenale. Come hai detto, Amphiaraus, noi abbiamo bisogno di certezze. Quello che possiamo fare, al momento, è unire i residenti contro un nemico comune-
-Che per favore, non confondete con i cittadini di Thebe- disse Antigone sospirando -Loro sono le vittime delle loro bugie. Qualora dovessero attaccarci davvero, sarebbe stupido rivolgere le armi contro i civili. Sono ciechi e tristi, per favore. Non toccate i civili-
-Non toccate i civili?- chiese Ecuba con stizza. Era la prima volta che sentiva quella voce pacata e rauca accesa di nervosismo -Suvvia Antigone, non voglio andarti contro, ma è per colpa loro che le Periferie sono diventate quel che sono, già da prima di Snakes-
-Mi rincresce, cosetta, ma sono d'accordo con Ecuba -disse Jeanne -Non voglio offenderti in nessun modo, per carità, ma devi riconoscere che Thebe è piena di vermi. Vermi che ci hanno rovinato. Pensaci, se Polinice è morto è colpa di quei damerini e del loro egoismo . E poi Snakes ti ha data per morta. Per l'intera città, che pende dalle sue labbra, tu sei svanita nel nulla-
I brividi di rabbia ripresero a correre lungo la sua schiena. Antigone cercò di trattenersi.
-Capisco la vostra rabbia, Ecuba, Jeanne, e le sue parole mi hanno dato un fastidio immenso. Ma se non colpiamo lui, la città non scoprirà mai cosa nasconde dietro. Sono degli sciocchi, compagni, sono ciechi e ..Ingenui. Ma vi assicuro, se avessero la possibilità di conoscere ciò che noi sappiamo già, lo butterebbero fuori a calci insieme all'intero Ordine Edelweiss-
-Dobbiamo metterci a fare i comizi alla Grande Corte ora come ora, quindi?- chiese stizzita Jeanne -Snakes è la punta dell'iceberg che dobbiamo colpire prima di arrivare in profondità. Ingenui un cavolo, tu almeno non hai visto la tua famiglia massacrata sul pavimento di casa-
Antigone la guardò negli occhi. Jeanne aveva lo stesso sguardo di tante sere prima, della prima volta in cui l'aveva vista varcare la soglia della base di Rubra Sphinx. Quella volta, però, un accenno di tristezza le velava gli occhi, quasi fosse spinta a piangere da una triste rabbia. Quasi avesse ancora davanti a sè i genitori in una pozza di sangue.
-Hai capito bene, Antigone. I tuoi genitori stesi a terra, in un lago di sangue, con una pallottola ficcata nei loro cervelli e il tuo fratellino sparito dalla culla in cui stava tranquillo a dormire. Thebe ha distrutto le famiglie di ognuno di noi, Antigone, e vogliamo la stessa possibilità di vendicarci e di far provare loro quel dolore tremendo, quella solitudine davanti alla morte di un loro caro che non hanno mai provato in vita loro- Jeanne aveva gli occhi arrossati e gonfi e il respiro affannoso -Mi dispiace, Antigone. Snakes va eliminato, i cittadini no. Ma che vengano puniti, questo non si discute-
Jeanne si sedette in fondo alla sala, a braccia conserte e a occhi bassi.
-La mia opinione è stata espressa- tuonò dall'angolo in cui era seduta -Andate avanti con la discussione-
Iphigenia guardò prima Jeanne e poi lei. Non aveva negli occhi la stessa rabbia di Jeanne, ma esprimeva con lo sguardo una particolare empatia nei suoi confronti.
-Cosetta, lo so che non hai avuto intenzione di ferirla. Dici così perchè sei buona, lo capisco bene. Ma al momento i cittadini di Thebe Alta non sono il nostro sorvegliato speciale. Dobbiamo prima svegliare questi poveracci dimenticati dal tuo zietto, non credi?-
Abbassò lo sguardo e sospirò. Anche quella volta Iphigenia aveva ragione, e Antigone tornò a sedersi.
-Abbiamo perso il filo della nostra discussione, compagni di Rubra Sphinx. Non dobbiamo ancora pensare ad un possibile armamento, o almeno non subito. Accolgo la proposta del compagno Tideus, ovvero quella di iniziare a illustrare a tutti i residenti il nostro programma e le nostre intenzioni, ma ne decideremo modi e luoghi in una seduta successiva. Altri punti di vista?-

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Capitolo 35
*** 34 ***


34
 

-Visto, non è successo nulla. Proprio come dicevo io- sorrideva Big McKeane durante la corsa -Quel vanesio di Snakes non ha lanciato una bomba e siamo tutti vivi. Ah, e nessuno è stato picchiato o ucciso in una rappresaglia!-
Era una bella giornata, tiepida, come se ne vedevano poche alle Periferie a detta di McKeane. Iphigenia e Amphiaraus avevano deciso di occupare tutta la giornata in allenamenti, sia mattutini sia pomeridiani, intervallati dal pranzo e da un'ora di siesta.
Iniziava ormai ad abituarsi. Quelle corse all'aria aperta non le facevano male, anzi si sentiva ogni giorno meglio e aveva dimenticato il mal di schiena che l'aveva afflitta le prime volte che aveva dormito sulla brandina. Anche le sue gambe non protestavano più dopo una giornata di allenamenti.
-Ultimo giro!- esclamò Hank guardando il cronometro -E poi ci spostiamo al percorso ad ostacoli! Devo fare i complimenti a McKeane e ad Antigone, sono migliorati davvero!-
McKeane la prese per le spalle e le diede una pacca vigorosa sulla schiena.
-Siamo dei soldati, cosetta, ma guarda un po'! Nessun damerino ci sfugge più!-
Terminarono il giro, si fermarono per qualche secondo e procedettero poi verso il percorso ad ostacoli, tutti in fila indiana. La prima ad iniziare fu proprio lei: saltò tra un pneumatico e l'altro, poi superò i petardi e procedette sulla sabbia umida; poi si arrampicò sulla scala di metallo, procedette lungo l'asta e afferrò la fune che stava a metà. La parte finale la portò a sforzare le gambe e a saltare più in alto, per evitare ostacoli puntellati da cocci di bottiglia.
-Diamine Hank, che roba è questa?-
-Sono necessari, fidati. Non si sa mai. Fate un altro giro di corsa e ritorna a percorso, ripetete tutto questo per cinque volte. Forza!-
Al quinto giro le fu finalmente concesso di fermarsi. Cassandra veniva avanti sorridendole, con una borraccia tra le mani.
-E' per me?-
Cassandra annuì e l'abbracciò.
-Brava! Brava!-
-Cosa intendi?-
-Brava!- diceva sorridendo, indicando con il dito il percorso ad ostacoli -Saltato!-
Antigone sorrise e le accarezzò il viso. Cassandra arrossì e la prese per mano.
-Grazie Cassandra. E tu cosa stai facendo?-
La portava dentro con una fretta particolare, quasi volesse mostrarle qualcosa di estremamente importante. La introdusse in sala attrezzi e la portò ad un tavolo a cui erano sedute Ecuba e Iphigenia, tutte e due con gli occhi fissi ed un'espressione stupita sul viso in direzione di alcuni fogli poggiati sotto il loro sguardo.
-E' incredibile, non trovi?- disse Iphigenia guardandola -Antigone, guarda un po' cosa ha combinato Cassandra-
-E chi l'avrebbe mai immaginato ..- sospirò Ecuba prendendo Cassandra sulle ginocchia -Sono basita, non so cosa pensare-
Iphigenia le porse un foglio e le comunicò presto lo stesso stupore. Sul foglio era disegnata una mappa delle Periferie, raffigurate nei minimi dettagli, con la piazzuola d'atterraggio, i viali che si incrociavano tra di loro, le linee del tram e le vecchie centrali sbuffanti dietro le quali si stendevano quelle alture dimenticate dall'Acropoli.
-Come ha fatto? - Antigone rimase a bocca aperta -E' una vera e propria mappa! Poi sembra così precisa e dettagliata-
-Confermo- disse Iphigenia accarezzando dolcemente Cassandra -Cassie, vuoi spiegarci come hai fatto a disegnare questo capolavoro? Avevamo proprio bisogno di una mappa, grazie!-
Cassandra arrossì, lanciò un sorrisetto e portò più volte le mani alle orecchie.
-Non hai capito bene la domanda?-
Cassandra scosse la testa e ripetè il gesto.
-Voi parlate- disse con convinzione -Cassandra ascolta!-
Poi afferrò la matita e finse di tracciare un segno sul foglio.
-E quindi disegna!-
Iphigenia e Antigone si guardarono e le sorrisero, poi le buttarono le braccia al collo. Cassandra accettò l'abbraccio e si mise a ridere forte, quasi trascinandole a terra, ridendo gioiosa come non avesse mai riso in vita propria e facendo rimbombare le pareti della palestra con la propria voce. Ecuba la guardò commossa, poi si mise a ridere rumorosamente insieme alla figlia.
-Gentaglia!- tuonò una voce maschile -Guardate che roba ho trovato!-
Capaneus entrava fischiettando un'allegra musichetta, a passi leggeri e spediti sul parquet della sala palestra. Tra le mani portava un giradischi di plastica trasparente, tendente al nero, con un piatto bianco e un braccio nero sormontato da una puntina di cristallo.
-Capaneus, cavolo- sbuffò Iphigenia -Cos'è questo affare? Il nostro ultimo pensiero è ascoltare musica, dobbiamo rifornirci di roba che ci serva ..-
Capaneus le lanciò un sorriso comunque soddisfatto.
-Non ho trovato nulla di che, ecco perchè sono tornato a mani vuote. E me lo avevano promesso!- Capaneus pose il giradischi sul tavolo e scrocchiò le dita -Diciamo che è stato un regalino. Non posso nemmeno venderlo, mi hanno detto che è un oggetto di lusso-
-Almeno ti ha detto da dove lo hanno tirato fuori?-
Capaneus ridacchiò e si passò una mano tra i capelli.
-C'è stata una rapina proprio ieri sera. Hanno rapinato la casa dei Brown, incredibile-
Antigone lanciò una risata perplessa.
-La casa dei Brown? Intendi .. Tony Brown?-
-Uhm, sì, mi sembra. Sì, il nome del padrone di casa era proprio questo-
Sbottò una risata talmente rumorosa da provare dolore alla pancia.
-Chissà come l'avrà presa! Già immagino il suo faccione rugoso urlarvi maledizioni a più non posso!-
-Strano che non ti abbiano dato dei dischi- disse Iphigenia lanciando un'occhiata al giradischi -Ti hanno rifilato un oggetto praticamente inutile, allora-
Capaneus girò gli occhi.
-Già! Li ho lasciati nell'altra stanza! Corro subito a prenderli!-
In palestra entravano Hank e Tideus a prendere un asciugamano per asciugare il sudore dalla fronte e dalle spalle.
-Che roba è quel coso? Il caro vecchio Capaneus si è fatto prendere per il culo?- mugolò perplesso Tideus.
-Ha detto di non aver trovato munizioni abbastanza buoni- rispose Antigone- Glielo hanno regalato quasi per farsi perdonare-
-Uhm- disse Hank -E' un oggetto di ottima fattura, quasi di lusso. Uno di quelli che si possono trovare in case di acropolini. Almeno un po' di musica ci aiuterà a svolgere meglio gli esercizi. Coraggio bestiacce, tutti pronti alle macchine. Iphigenia, anche tu-
Capaneus tornava con due vinili sotto braccio, attentissimo a non inciampare tra le tavole di legno sollevate che sporgevano dal parquet.
-Non so ovviamente che genere di musica sia, ma è comunque un passatempo-
Capaneus alzò il braccio, pose il disco nel piatto e abbassò la puntina. Poi azionò il giradischi.
La musica fu prima offuscata da qualche strepito, poi la voce del cantante e la musica in sottofondo si fece più chiara.
The roads are the dustiest
The winds are the gustiest
The gates are the rustiest
The pies are the crustiest
The songs the lustiest
The friends the trustiest
Way back home
, back home

Era una canzone vecchia di almeno ottant'anni, cantata da un uomo dalla voce calda e gioviale in chissà quale contesto e in chissà quale anno. Antigone pensava a chi l'avesse ascoltata per la prima volta, forse ormai consumato dalla polvere e dal tempo in qualche tumulo dei vecchi cimiteri precedenti alla Grande Dittatura e cancellati dalla nuova città di Thebe. Pensava a cosa volesse descrivere il cantante anonimo di quella canzonetta allegra e coinvolgente che stava accompagnando lei e i compagni alle macchine da esercizio mentre Cassandra e Ecuba danzavano sulle punte dei piedi, tenendosi per mano.
Perchè forse alle Periferie le strade sarebbero state davvero più polverose, i venti più violenti, i cancelli ricoperti da una ruggine troppo vecchia per essere scrostata, ma quella gente dai vestiti laceri e dalla vita consumata era allo stesso tempo più buona e luminosa dei concittadini che aveva lasciato all'Acropoli, quella gente stretta in abiti di alta fattura, truccata e acconciata in modo stravagante e con la testa infestata di idee ancor più strambe.
La macchina sembrò lanciare uno strano rumore, quasi un rombo. Fu tentata di chiedere ad Hank se la macchina necessitasse di un'occhiata, ma le urla di Big McKeane le diedero la vera risposta a quello strano rumore.
-Stanno bombardando!-
Don't know why I left the homestead
I really must confess
I'm a weary exile
Singing my song of loneliness

 
Cassandra faceva avanti e indietro per la stanza, con le mani strette alle orecchie. Ecuba l'afferrò per un braccio e la portò fuori secondo l'ordine di Iphigenia e di Amphiaraus. I primi a rientrare furono i bambini e i loro genitori, poi Hank e Tideus si assicurarono che nessuno fosse rimasto in cortile e si mise a capo della coda che si era fermata tra la palestra e il corridoio.
-Mantenete tutti la calma!- il vetro delle finestre della palestra esplodeva in mille pezzi, facendo urlare i bambini e Cassandra -Allontaniamoci subito di qui e seguiteci dove vi porteremo! Dobbiamo sbrigarci, non perdiamoci di vista! Bambini, state accanto ai vostri genitori e non staccatevi da loro! Tenetevi tutti per mano, procederemo in fila indiana e a passi veloci. Sbrighiamoci!-
Antigone porse una mano ad Iphigenia e ad Ecuba. Iniziarono a camminare a passi veloci lungo il corridoio, in direzione dell'ascensore e, arrivati davanti le portiere, Iphigenia raccolse un piccolo gruppo di adulti e bambini.
-Scenderemo al livello -1. Arrivati lì, vi spiegherò dove ci troviamo. Anzitutto, mi segua questo gruppo. Amphiaraus, Tideus, formatene altri chè torno subito; Big McKeane, Jeanne ed Hank, andate a prendere medicine e cibo. Jeanne e Capaneus, prendete più coperte che potete. Fate presto-
Iphigenia entrò nell'ascensore con il primo gruppo e la chiamò con lo sguardo.
-Antigone, aiuta Amphiaraus e Tideus a tranquillizzare tutti. Sto arrivando-
Le portiere si chiusero di scatto e l'ascensore schizzò giù.
Cassandra si buttò al suo collo, piangendo. Antigone la strinse forte e la baciò sulle guance.
-Tranquilla, tranquilla. Andrà tutto bene. Sta' con mamma e tutto passerà-
-Tutto fa boom- sussurrò Cassandra. L'ennesima esplosione lacerante tranciò quell'aria già ferita da lamenti e spavento.
-Finirà tutto, te lo promettiamo. Calmati, fra poco arriva Iphigenia e potrai calmarti-
Alcuni dei bambini piagnucolavano, tra cui lo stesso Astyanax che pareva aver perso la sua solita vitalità. Singhiozzava appoggiato al petto di Andromaca, stretto tra quelle braccia ferite e forti di una donna dagli occhi colmi di triste ira che cercava di sussurrargli nelle orecchie parole di conforto che non sollevavano nemmeno lei stessa. Antigone fu presa da una triste, violenta rabbia, come se volesse elevarsi a chissà quale utopica altezza per colpire direttamente chi aveva deciso di bombardarli.
Schiacciamo i parassiti, fratelli e sorelle. Che non ne rimanga in piedi nemmeno uno-
Pronunciò quel nome in un soffio. Andromaca la capì al volo, mentre il pianto del piccolo Astyanax si alzava più forte dopo l'ennesimo scoppio.
 
Nessuno le aveva mai parlato del livello -1, nemmeno di un generico bunker in caso di possibili esplosioni. Più che altro, non pensava che Rubra Sphinx, commando quasi improvvisato, potesse averlo sotto le fondamenta di quella vecchia centrale che aveva occupato come base.
Il livello -1 era un ampio spazio che occupava, possibilmente, tutte le fondamenta della vecchia fabbrica, quasi una gigantesca caserma sepolta da una vecchia fabbrica. Era uno spazio aperto, ampio e umido, con dei vecchi materassi sparsi un po' ovunque e puzza di muffa e naftalina che avvelenava l'aria, e vecchie coperte sparse per terra. Iphigenia si avvicinò ad una grossa leva e la spinse con forza, facendo accendere delle luci giallastre e aprendo degli aeratori per far circolare l'aria.
-Qui sotto non possono raggiungerci. Benvenuto nella nostra nuova casa, almeno fino a quando non finirà questa pagliacciata. Il posto non è dei migliori, ma con un po' di buona volontà si può rendere vivibile. Antigone, Amphiaraus e Tideus, stendete quei materassi e preparate dei giacigli per i bambini. Controllate se ci sono topi laggiù- disse indicando col dito un largo spazio alla loro destra -In caso, cercate una zona abbastanza pulita. Vi consiglio di spazzare un po', se cercate qualche vecchia ramazza possiamo togliere un po' di polvere. Io e Capaneus ci occuperemo della pulizia dei bagni. McKeane e altri, vedete se c'è qualche ferito e controllatelo. Sistemate le cibarie in un luogo pulito-
Si misero tutti a lavoro. Nessuno osava fiatare e persino i bambini avevano smesso di piangere, stretti in un silenzio di terrore e tristezza che metteva i brividi anche addosso a lei. In sottofondo si sentivano solo i tonfi pesanti delle bombe. Jeanne trovò due scope in un angolo, tolse loro la polvere accanto all'aeratore e iniziò a spazzare sotto i materassi.
-Si vede che non lo utilizziamo da anni, già. Da prima che Oedipus salisse al trono-
-Risale al periodo del Tumulto delle Polveri?-
-Esattamente. E chi immaginava lo avremmo utilizzato di nuovo .. Hei McKeane, sei un pessimo veggente!-
McKeane le lanciò una risata amara. Jeanne e Antigone si scambiarono uno sguardo pieno di rabbia, rabbia comune che provavano nei confronti del possibile responsabile di quell'attacco.
-Vigliacco. Lo stronzo non ha utilizzato nemmeno truppe di terra. Capisco che voglia bombardare noi teppisti, brutti, sporchi e cattivi, ma quei poveracci delle Periferie devono essere lasciati stare. Ma lui è un vigliacco, e il suo cervellino del cazzo non riesce a concepirlo-
-Avremmo dovuto prepararci prima, dici?-
-E armarci di tutto punto senza alcun motivo? Non avrebbbe avuto senso, ne avevamo parlato qualche giorno fa. Sono davvero curiosa di quale pretesto abbia scelto per farci tutti fuori-
Jeanne tacque per qualche secondo, poi riprese a parlare.
-A pensarci forse non gli importa più di te. Se volesse cercarti davvero nelle Periferie, non bombarderebbe questo covo di criminali col rischio di ucciderti. O forse le bombe sono un avvertimento per cederti-
-E a quel punto dovrò confessare di stare dalla vostra parte. Di quel che penseranno all'Acropoli mi importa ancora meno-
Jeanne le lanciò un sorriso tristemente dolce. I suoi occhi brillarono appena sentirono quelle parole.
Spazzarono su una larga fetta di pavimento, senza trovare topi. Presero insieme un materasso per volta, controllarono se ci fossero escrementi o muffa e li adagiarono a terra, coprendoli con alcune coperte portate dal dormitorio e alcune trovate nel bunker. Formarono un giaciglio sufficiente per i bambini e per alcuni adulti.
-Ecco fatto. Iphigenia!- urlò Jeanne -Hai bisogno di una mano laggiù? Diamo il cambio?-
-Mi fareste un favore se puliste il bagno delle donne!- rispose Iphigenia -Grazie in anticipo! E' la porticina bianca sulla destra. Troverete pezze e detersivi negli armadietti-
Jeanne e Antigone si scrocchiarono dita e schiena, poi aprirono la porta del bagno delle donne. Antigone premette l'interruttore, accendendo la luce biancastra di un neon su una stanzetta verde pallido, con dei wc incrostati di sporco, due docce, una piccola vasca da bagno impolverata e tre lavandini.
-Tu occupati dei lavandini- disse Jeanne porgendole una pezza umida di detersivo - Per ora penso alle docce. Il resto lo puliamo insieme, okay?-
Antigone annuì e iniziò a rimboccarsi le maniche. Jeanne le lanciò uno sguardo divertito.
-Scusami, ma sei divertente così-
-Così come?-
-Fa .. Strano. Sì. Una principessa che adesso lava i lavandini di un bunker. Che storiella interessante-
Antigone le lanciò una risata.
-In un'altra situazione Ismene mi avrebbe rimproverata di non curarmi abbastanza. Se mi vedesse in questo stato non so cosa penserebbe-
Jeanne si bloccò di colpo e si girò verso di lei. Era improvvisamente diventata rossa ma cercava di nascondere il suo imbarazzo con una risata furba.
-Non penso. Dopo quello che ha visto qui, penso sacrificherebbe la sua manicure per aiutarti. E poi non ne ha bisogno, credo, ha delle spledide mani perdiana ..-
Antigone le lanciò un'occhiata perplessa.
-Belle mani?- sorrise -Cosa mi nascondi, Jeanne?-
-Io? Cosa dovrei nasconderti? Una cotta? Un colpo di fulmine per tua sorella? Te l'ho detto, anche se iniziassi a provare qualcosa per lei io non .. E nemmeno la conosco, diamine, io per andare a letto con qualcuno devo conoscere bene qualcuno e ..-
Antigone mollò pezza e detersivo e guardò Jeanne fissa negli occhi. Non conosceva bene i gusti di sua sorella, questo doveva ammetterlo, ma Jeanne meritava sicuramente un piccolo aiuto nella possibilità di realizzare un suo desiderio. Sicuramente, una Jeanne era meglio di un Achilleus accanto a sua sorella.
-Jeanne, ascoltami. Devo confessare di non conoscere bene i gusti di Ismene ma, se proprio vorrai conoscerla meglio, io sono disposta ad aiutarti. Male che vada, si farà una nuova amica per dimenticare Achilleus!-
-Diamine!- esclamò Jeanne, quasi colta nell'atto di mollare un pugno alla parete -Non pronunciare più quel nome. Mi fa più schifo di Snakes, se ci penso- si bloccò davanti alla parete, coi pugni stretti, a testa bassa sul muro -Coraggio, finiamo di pulire questa topaia. L'odore del detersivo mi dà fastidio-
Finirono di pulire in un'oretta abbondante, concedendosi ogni tanto delle soste di bicchieri d'acqua e gallette. Quando uscirono dal bagno, alcuni bambini e adulti si erano addormentati sul giaciglio, Cassandra giocava con Astyanax e alcuni degli adulti erano seduti su delle sedie. Iphigenia e Amphiaraus mancavano tra di loro.
-Sono andati a controllare al piano di sopra. Forse faranno un giro- disse Ecuba - Spero torneranno presto-
-Avete sentito altri rumori strani?- chiese Jeanne.
-No, è tutto cessato circa un'oretta fa. Temo per i danni-
-Big McKeane?- chiese Antigone -Hai idea di cosa potrebbe averci colpito?-
Big McKeane bevve da un bicchiere e si asciugò la bocca con la manica della giacca.
-Ho alzato lo sguardo e ho visto degli aerei bianchi. Non mi è sembrato di vedere dei simboli o altro, ma erano sicuramente veivoli dell'Acropoli. Non erano molto grandi, per carità, quindi penso che i danni non siano stati eccessivi. Forse volevano divertirsi a farci saltare in aria a caso, tutto qui-
-Io lo vedrei come un segnale, McKeane- disse Andromaca alzandosi dal giaciglio dopo aver carezzato Astyanax addormentato -Noi delle Periferie non possediamo veivoli del genere e di solito le esercitazioni militari avvengono sulle montagne, o comunque da ogni traccia di abitazione. Hanno sganciato direttamente sulle Periferie!-
-E per cosa? Dichiarare guerra ad un quartiere della stessa città?-
-Pensaci, amico. L'Acropoli sorge abbastanza lontano da questa gigantesca topaia, ed è per questo che gli operai delle Periferie utilizzano gli aerobus per andare a lavorare a Thebe Alta. E' come se fossimo un centro a parte, distaccato dalla loro città di perfettini! Fanno così dal Tumulto delle Polveri, non ricordi proprio nulla?-
-Diamine Andromaca, ci mancherebbe! Ma non possiamo ancora parlare di guerra, cioè, non li faccio così .. privi di qualsiasi logica!-
-Hanno distrutto la scuola di medicina tua e di Amphiaraus, McKeane. E sono stati quegli Acropolini che ancora non vuoi accettare come nemici. Ci hanno dichiarato guerra, amico mio, non hai sentito le parole del discorso di Snakes di qualche giorno fa? Magari stanno pure cercando Antigone..-
-Antigone? Pff, bombardare sulla possibile prigione della loro amata principessa e rischiare di ucciderla? Non credo proprio, compagna. Prima di fare congetture, dovremmo aspettare Amphiaraus e Iphigenia-
Antigone si sedette a terra, afferrò la borraccia e ne bevve un sorso, poi la passò a Jeanne.
-Come è andata, sturacessi?- ridacchiò Big McKeane.
-E' andata bene- rispose con una smorfia Jeanne -Tra chiacchiere da signore il tempo passa-
-A proposito di chiacchiere, non è che qualcuno ha portato un cercapersone? Iphigenia o Amphiaraus dovrebbero contattarci in qualche modo!-
-Forse l'ho portato io- disse Antigone -Dovrei averlo nella tasca dei pantaloni, se non l'ho messo via-
Infilò una mano in tasca e il contatto con la plastica la rinfrancò. Tirò fuori il cercapersone e lo pose sul tavolo.
-Dannazione, non ho portato un caricabatteria-
-Puoi sempre chiedere ad Iphigenia di portarne qualcuno, anche se non penso resteremo a lungo qui sotto. Ricordi il codice di riferimento?-
Antigone annuì e lo digitò sulla tastiera. Il cercapersone lanciò delle interferenze, poi la voce di Iphigenia finalmente uscì dall'apparecchio.
-Qui è Iphigenia. Identificati, passo-
-Sono Antigone. Mi hanno detto che tu e Amphiaraus siete andati a controllare alla base, passo-
-In realtà siamo in giro per le Periferie. Hanno bombardato il bordello, parte del mercato e alcuni quartieri residenziali ovest e sud. Per quanto riguarda la nostra base, il cortile e la mensa sono parecchio malmessi, per fortuna a stento non hanno toccato il dormitorio. Secondo Amphiaraus, sono state lanciate bombe di piccola stazza in modo del tutto casuale. Non volevano colpire un obiettivo quanto avvertirci, a quanto pare. Passo-
-Ci sono feriti?-
-Siamo nel viale principale. Il bordello è praticamente distrutto e sicuramente sono malmessi gli edifici vicini. La gente è molto spaventata ma non abbiamo ancora trovato feriti. Di' a Tideus e a McKeane di iniziare a prepararsi, quando torneremo noi saranno loro ad andare in perlustrazione. Passo e chiudo-
La chiamata si interruppe e Antigone ne rivelò il contenuto.
-Hanno detto quando ritorneranno?- chiese McKeane alzandosi in piedi.
-No, ma di tenervi pronti senz'altro-
-Uhm, se hanno colpito i quartieri residenziali ovest a quest'ora del mattino è difficile che ci siano molti feriti, fortunatamente. Non sono nemmeno bravi ad attaccare, vigliacchi. Al massimo troveremo  qualche bambino, ma speriamo di trovare solo gente spaventata-
Amphiaraus e Iphigenia tornarono dopo circa dieci minuti. Avevano l'aria stanca, ma non eccessivamente triste. Tideus e Big McKeane furono sul punto di alzarsi e recarsi verso l'ascensore, ma Iphigenia li fermò e li invitò a sedersi.
-Un attimo, un attimo. Dobbiamo parlare anzitutto di cosa è successo e come dobbiamo organizzarci per l'avvenire. La gente per strada è spaventata, compagni, e a quest'ora del mattino i quartieri residenziali erano pullulanti di bambini che attendevano il tram per andare a scuola o di gente pronta per andare al mercato. Non sottovalutiamo questo attacco, per favore, anche se non è certo paragonabile a quello di una guerra vera e propria. Io e compagno Amphiaraus abbiamo raccolto le testimonianze di alcuni sfollati dei quartieri colpiti sono parecchio spaventati. Ci sono anziani feriti e bambini che hanno bisogno di soccorso immediato, alcuni adulti si sono salvati perchè non erano in casa. Qualcuno si ricorderà certo di grandma Maryem, no? Beh, la sua casa è stata centrata in pieno da quanto ci hanno detto alcuni. E' evidente che non possiamo più stare a guardare, compagni di Rubra Sphinx: è il momento di uscire dalle ceneri del Tumulto delle Polveri e rivendicare la nostra presenza e offrire il nostro aiuto!-
Si alzò un urlo empatico e vigoroso, un sì collettivo alle parole di Iphigenia.
-E soprattutto, qualora l'Acropoli dovesse attaccare, noi abbiamo quell'arma che loro non sono riusciti a mantenere per sè- Iphigenia poggiò lo sguardo su di lei -Antigone, sorella del caro compagno Polinice che si è sacrificato per la libertà di noi perennemente schiavi, è il nuovo simbolo e il nuovo cardine su cui questa rivoluzione girerà e prenderà finalmente quel vigore tanto atteso e tanto sospirato da chi soffre per continui soprusi! Antigone, compagna Antigone- disse dolcemente, con un vigore tanto intenso da muoverla alle lacrime -Sei nostro membro da tempo, ormai. Hai aiutato Ecuba e Cassandra a scappare dal loro inferno e hai persino illuminato la mente di tua sorella sulla realtà delle cose, qui alle Periferie. Quella gente sofferente che domani incontrerai per strada prima si stupirà e poi riconoscerà grazie a te di non essere sola, di essere protetta dalla grande mano di Rubra Sphinx mossa dalle braccia di tutti noi. Ti cedo l'onore, Antigone, di guidare tutti noi e quegli occhi troppo abituati alla sofferenza ma ormai desiderosi di combattere. E spero davvero, speriamo davvero che tu accetterai-
Antigone trasalì. D'altronde, aveva sempre e un giorno avrebbe comunque comandato su Thebe o su una parte di essa. Magari sarebbe stata la regina della prima o della seconda coppia reale, forse sarebbe stata preceduta dall'anzianità di Ismene o forse lei stessa avrebbe preceduto la sorella perchè già fidanzata.
Era come se tutti i momenti salienti della sua vita le fossero passati davanti.
La morte di mamma e papà.
Eteocle e Polinice morti l'uno per mano dell'altro.
Polinice senza sepoltura, Rebecca uccisa senza amore e senza onore.
La vita di Ecuba e Cassandra spezzata da e con un inganno.
I bambini orfani, Astyanax e il padre ucciso davanti ai suoi occhi, Amphiaraus e McKeane a cui era stata strappata la gioventù; Iphigenia e Jeanne a cui era stata tolta l'infanzia dal rombo polveroso di una guerra in cui combattevano e che comunque si era volsa a loro svantaggio per forze che non dipendevano da loro, per forze altre e alte che riuscivano a prevalere grazie ad armi e tattiche migliori su un gruppo di stupidi ribelli scampati alla morte almeno per quel giorno.
RIpensò alla faccia da serpe di Snakes, di Achilleus, dell'Ordine Edelweiss che tesseva i suoi inganni indisturbato. E poi al Gran Consigliere portato via dalla morte in un colpo solo, e a Ismene delusa dalla persona che amava, e al calore del corpo di Emon dagli occhi tristi, velati di quella malinconia lontana che tuttavia Antigone riusciva a spazzare via, perchè lui così le ricordava ed ella era felice di riuscire nell'intento.
Non sarebbero più esistite bombe, Polinice avrebbe riposato, la gente avrebbe vissuto e amato serena nella sua esistenza quotidiana. Nessuna Thebe Alta, nessuna Thebe Bassa, nè Acropoli nè Periferie. Un grande cuore pulsante che doveva battere, che avrebbe dovuto battere al più presto per permettere a quel corpo consunto di ritornare a vivere.
-Compagna Iphigenia- disse Antigone guardandola negli occhi -E compagni carissimi che mi degnate di questo onore. Io, io Antigone Spartes Labdakou, assumo sulle mie spalle e sulla mia vita stessa la vita di tutti voi qui riuniti e di tutti coloro che giacciono per le fredde strade delle Periferie. Farò del mio meglio per riunire le Periferie sotto l'ala della Sfinge, compagni. Io sarò la vostra arma. Tendetemi e non vi deluderò, quanto è vero che io adesso sono viva e ragiono lucidamente-

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Capitolo 36
*** 35 ***


35
 

La sigaretta di Jeanne, piccolo fuoco aranciato in quella penombra giallastra, era un lontano puntino in disparte che illuminava la sua figura oscurata e appoggiata ad una parete. Antigone era distesa sulle sue cosce magre e ruvide, con lo sguardo rivolto verso il soffitto. Era verdastro, scuro e gonfio di umidità, con delle ragnatele argentate e illuminate dalle luci di emergenza che velavano gli angoli.Era stata la prima cosa davanti ai suoi occhi aperti da poco, usciti da un sonno che non era riuscita a misurare nè a controllare, buio, senza sogni e scarsamente rimbombante delle esplosioni di cui era stata testimone.
-Che ore sono?- chiese a Jeanne.
-Il mio orologio segna le cinque-
-Quanto ho dormito?-
-Subito dopo il pranzo ti sei addormentata-
Antigone si mise a sedere, si stiracchiò e lanciò sguardi davanti a sè. Alcuni bambini dormivano sui materassi, Andromaca teneva sulle ginacchia Astyanax e Big McKeane e Tideus varcavano la soglia, l'uno con la valigetta del primo soccorso e l'altro con la radio tra le braccia. Avevano gli occhi stanchi e spossatamente tristi, come reduci da uno spettacolo crudele che aveva vuotato loro la mente.
Iphigenia si accorse della loro presenza e si alzò di scatto, con occhi curiosi e spaventati.
-Ragazzi, ero preoccupata per voi! Non vi vedevamo tornare da ore! Come è andata la perlustrazione? C'erano feriti?-
-La casa di grandma Maryem era malconcia come hai detto, abbiamo fatto un veloce salto lì- rispose Big McKeane con voce cupa e occhi bassi -Dobbiamo recarvi una brutta notizia, a proposito. Della sua famiglia non si è salvato nessuno-
Iphigenia  abbassò lo sguardo, ritornò sui suoi passi e colpì una parete con un pugno, versando lacrime. Jeanne la raggiunse, le cinse le spalle e Amphiaraus la baciò sulla fronte. Iphigenia si distaccò dalle loro braccia, si asciugò gli occhi lucidi con la mano e tirò su col naso.
-Non è tempo di pianti, Iphigenia..- sussurrava tra sè e sè singhiozzando -Niente pianti, per adesso. C'è altro, McKeane, Tideus? Vedo che avete portato giù quell'affare-
-Abbiamo perso tempo anche per questo, Iphigenia- rispose secco Tideus- Volevamo controllare se al radiogiornale avessero riportato la notizia-
-Ci sono novità, quindi?-
-Hanno parlato di un blitz tenutosi alle Periferie questa mattina. Non hanno detto altro-
Iphigenia guardò la radio rabbiosamente e sospirò nervosamente.
-Un blitz, sì .. Un blitz che ha ucciso una famiglia intera! Perchè è questa la giustizia dell'Acropoli, è la giustizia di quei fottuti dell'Ordine Edelweiss e di quel manichino di Kreon- mollò  un altro pugno alla parete e poi vi appoggiò la testa, china -Tutti gli adulti che non abbiano bambini al seguito salgano alla base. Andromaca, hai un cercapersone con te?-
-Sì, Iphigenia-
-Ottimo. Allora sta' a guardia del bunker insieme a chi ha bambini al seguito. Noi e Antigone ritorniamo alla base. Se ci sono problemi, non esistare a chiamare uno di noi. Conosci il mio codice, no?-
Andromaca annuì.
-Ottimo. Adulti, saltate giù dalle brande e lasciate tutta la vostra roba qua. Andiamo a sistemare il piano di sopra, se avete lasciato qualcosa qui la riprenderete in seguito-
Antigone scattò in piedi, in silenzio, e si accodò agli altri. Iphigenia premette il pulsante dell'ascensore e le sue porte scattarono sibilando.
L'abitacolo dell'ascensore puzzava di polvere e fumo, come se fosse stato abbandonato da cento anni e non da poche ore. In poco tempo furono di ritorno alla base, accolti dalla puzza di bruciato e di cemento che pioveva dal soffitto. Le finestre del corridoio del primo piano erano esplose di colpo e le cornici di ferro arrugginito mostravano senza alcuna barriera la loro palestra all'aperto ormai devastata, col percorso ad ostacoli coperto da alcuni macchinari e da altri pezzi di ferraglia ancora fumanti nella luce grigiastra del pomeriggio.
Ippomedon sospirava e tossicchiava. Era un ragazzone dai corti capelli neri e dalle spalle grosse, con folte basette arricciate e piccoli occhi nerastri e brillanti come braci. Nonostante l'aspetto massiccio e quasi terrificante, era un tipo silenzioso e timido, con gli occhi sempre velati di una strana malinconia. Le si avvicinò quasi con un timore referenziale, timoroso di rivolgerle la paura e persino di incrociare il suo sguardo.
-E' un bel casino, sì .. Che ne .. pensi, Antigone?-
-Che sono stati dei vigliacchi che ci hanno colti di sorpresa, senza addurre ad un motivo preciso. Hai sentito le parole di Tideus al rifugio, no? L'hanno chiamato blitz ..-
-Pensi che ci saranno altre esplosioni? Tu .. Insomma, come pensi che ragionino gli abitanti dell'Acropoli?-
Gli lanciò uno sguardo divertito e Ippomedon arrossì di colpo.
-Non sono questi gli abitanti dell'Acropoli, Ippomedon. L'Ordine Edelweiss è spuntato di colpo e sta facendo il lavaggio del cervello a tutti loro. La colpa è solo sua, e francamente non so come possano ragionare quei pazzi ..-
Entravano in punta di piedi nell'ambiente di ingresso. A terra giacevano alcuni pezzi di calcinaccio e l'aria era impestata di polvere. Fu un tossire generale.
-Antigone e Ippomedon andate a prendere alcune scope. Antigone, hai presente la stanza in cui Amphiaraus ti ha portata la prima volta che sei capitata qui? Ecco, accanto c'è la porta di uno sgabuzzino. Troverete scope e palette lì. Noi cercheremo di sollevare un po' di roba, facendo attenzione a non ferirci. Dobbiamo liberare delle vie di fuga-
Antigone si volse verso la sua destra e Ippomedon la seguì silenzioso, a lenti e pesanti passi rimbombanti nel silenzio nervoso di quell'ambiente squarciato. Il corridoio era stato leso alla parete di sinistra e un grosso foro nel muro lasciava entrare un debole fascio di luce azzurrina del tardo pomeriggio. La polvere dei calcinacci svolazzava accanto a loro, alzandosi in timidi scintillii bluastri e grigi.
La porta dello sgabuzzino era socchiusa. Antigone spinse leggermente la maniglia e ciò fu necessario per accedere ad uno stanzino di pochi metri quadri, pieno zeppo di vecchi stracci, secchi di metallo e scope impolverate.
-Ippomedon, aiutami a prenderne qualcuna-
Ippomedon si accodò timidamente dietro di lei, stando attendo a non mettere i piedi sui secchi di metallo e a non scivolare. Ippomedon prese due palette metalliche, Antigone afferrò due scope e lo ringraziò con lo sguardo. Gli occhietti di Ippomedon lanciarono uno scintillio.
-Da quanto tempo sei qui?- gli chiese.
-Da un po'- ridacchiò timidamente Ippomedon, mostrando le fossette ai lati delle labbra -Sono entrato poco prima di Polinice, quando è morto Oedipus .. Ehm, scusa, tuo padre ..-
-Continua pure-
Ippomedon e Antigone appoggiarono il loro carico alla parete e Antigone chiuse la porta.
-Sono scappato di casa perchè gravavo sulla famiglia e non riuscivo a trovare un lavoro qui alle Periferie. Avevo provato al porto di Thebe, mio padre è su una nave mercantile e fa il mozzo. Mi sarei accontentato di questo se ciò fosse servito ad aiutare mia madre ed i miei fratelli, ma è già stato un miracolo se non mi hanno buttato fuori a calci!-
-E tua madre e i tuoi fratelli?-
-Lo stipendio di papà va a loro. Mamma non lavora e i miei fratelli non vengono presi da nessuna parte perchè sono troppo esili e malaticci. Quando i compagni di Rubra Sphinx distribuiscono il cibo in esubero vado a trovarli e porto loro qualcosa, e McKeane dà loro una controllata-
Ippomedon cessò di parlare e ripresero a camminare lungo il corridoio. Antigone si accorse dei suoi occhietti lampeggianti e timidi e le venne da sorridere; Ippomedon parve accorgersene e arrossì di colpo.
-Sei uguale a Polinice- disse in un soffio, quasi stesse confessando qualcosa di terribile.
Antigone gli sorrise e il suo viso squadrato avvampò di colpo.
-Ricordo quando parlavamo delle Periferie. Quando era d'accordo con me mi lanciava quel tuo stesso sguardo. Siete uguali, davvero. Tua sorella era quella ragazzetta bionda che si è presentata al commando insieme a quel ragazzino?-
Lanciò una risata che rumoreggiò per aria e fece voltare Iphigenia e gli altri.
-Bentornati, boyscouts- ridacchiò Iphigenia sollevando un pesante masso -Noi vi abbiamo un po' sgomberato questo casino. Sta polvere è fastidiosissima, urge il vostro aiuto-
Le nuvole di polvere si sollevavano come nebbia, colpendole la gola e gli occhi. Cercò di trattenere il solletico nervoso che le infiammava la bocca e le lacrime che iniziavano a scenderle dagli occhi. Normale, pensava. Era la prima volta che osservava, nella loro danza, le folate di polvere che le accarezzavano le guance e le pizzicavano gli occhi facendola lacrimare, calcinacci cascati giù da ciò che resta del soffitto di un rudere abbadonanto, di quelle vecchie centrali che avevano smesso di funzionare alla fine della Grande Dittatura. O almeno, così avevano pensato all'Acropoli prima e anche dopo, al momento del bombardamento. Quelle centrali, quei vecchi agglomerati di ferro e cemento erano disabitate, avrebbe pensato Snakes o Achilleus prima di organizzare quello che da tutti era stato chiamato blizt e nulla più. Sì, un blitz per dare l'ennesima lezione riguardo a cosa a quei balordi delle Periferie bombardando il covo di barboni e tossici, perchè barboni e tossici non valevano nulla nell'intera Thebe e anche se fossero stati colpiti nessuno li avrebbe pianti. Bastava che fossero zone marginali, sì, poco importava se fossero quartieri o vecchie centrali abbandonate,  bastava bombardare su quei ruderi per rimproverarli della loro ennesima malefatta e sarebbero tornani quatti quatti a lavorare alla miniera, e poi al porto a fare i mozzi, nei ristoranti a fare gli sguatteri e negli anfratti dei loro quartieri di merda a fare le puttane.
Ippomedon spazzava a piccoli passi, sollevando delicamente la polvere di calcinacci nella paletta, pronta per essere trasportata fuori. Era come se cercasse, con la propria stazza massiccia, di non intralciare con l'ambiente che lo circondava, quasi si sentisse di troppo in quella stanza polverosa. I loro occhi si incontrarono e Ippomedon sorrise in modo infantile.
-Guardavo mamma spazzare, quando ero ancora a casa. Il segreto è spazzare a leggere e larghe passate, così ..- e rideva, come se si stesse trattando di un gioco buffo -Mamma aveva bisogno di noi, sola com'era quando papà era via. E papà era via spesso, eh. Io e i miei fratelli l'abbiamo preso come un gioco, sì, un gioco divertente ..!-
Lo osservava giocare con le setole spelacchiate della vecchia scopa, felice come un bambino che sguazza tra le pozzanghere mentre una dolce pioggerella cade sulla sua testa. Ippomedon pareva danzare, scherzare con quei calcinacci che invece a lei pizzicavano occhi e gola.
-Non avevamo un cavallino a dondolo, a casa. Non li vendevano nemmeno al mercato nero!- ridacchiava continuando a trascinare la scopa -Ed io e i miei fratelli immaginavamo che fossero le scope, i nostri cavalli. Da bambini era facile, sì. Era facile-
-Tornerai da loro?-
-Forse. Anzi, spero. Appena si sistemerà tutto sto macello ritornerò da loro. Non ci crederai mai, ma quando sono arrivato qui non avevo affatto questo desiderio. Volevo fare solo un po' di baldoria e rimproverare all'Acropoli di aver sequestrato mio padre con le loro stupide navi piene zeppe di roba da damerini. Mamma non voleva che andassi, anzi mi ha pregato con tutte le forze di restare e di condividere con loro il poco cibo che già avevamo. Ma non era più mia intenzione lasciarle morire di fame, lo sai. Quindi, sai chi mi ha convinto a tornare?-
Scosse la testa.
-Polinice. E' stata l'ultima cosa che mi ha detto prima di andare a scannarsi con .. tuo fratello, ecco, Eteocle. La guerra civile dopo la Grande Dittatura non è ancora finita, diceva, ma se riusciamo a trascinare tutte le Periferie vedrai che finirà. Non ne poteva più di queste muraglie, di queste differenze tra l'Acropoli e le Periferie, diceva, ed era stanco come me, come tutti qui dentro .. -
Antigone abbassò lo sguardo e sentì gli occhi curiosi di Iphigenia addosso. Aveva seguito ogni parola di Ippomedon a bocca aperta.
-.. Li ho visti morire accanto, lui ed Hector. Freddati da quelle accidenti di fucilate, da quel fuoco che abbiamo cercato di renderci amico dalla fine della Grande Dittatura. E adesso che quei bastardi hanno ripreso a colpire le Periferie- Ippomedon tirò con forza col naso ed emise un cupo singhiozzo -Non posso permettermi di perdere la mia famiglia, oltre ai miei amici più cari-
Iphigenia gettò la scopa, si avvicinò ad Ippomedon e lo strinse tra le braccia.
-Se posso consolarti, il tuo quartiere era tutto intero. Non è stata colpita una casa, davvero ..-
-La colpiranno domani, o dopodomani, Iphigenia, o anche adesso. E non si sono degnati nemmeno di fornirci un fottuto pretesto per spiegare il loro bombardamento. E' una dichiarazione di guerra, come hanno già detto altri, è una guerra vera e propria. E loro hanno già sganciato le loro bombe per avvertirci che ci odiano-
-Noi abbiamo un'arma eccezionale, mi hai sentita parlare, no? Noi abbiamo quella chiave di volta che loro hanno perso e senza la quale tutte le loro bugie crolleranno una dopo l'altra. Antigone è più forte di tutta l'Acropoli messa insieme, dell'Ordine Edelweiss e dello stesso Kreon. Questa guerra finirà, Ippomedon. Non lasceremo più le nostre famiglie, non dovremo più essere schiavi di nessuno, non dovremo più rappresentare la parte malata di questa fottuta città. Noi abbiamo un'arma preziosa, ricordalo-
Antigone cercò di degluitire il nodo di tristezza e polvere che le si era bloccato in mezzo alla gola. Avrebbe desiderato piangere e urlare, afferrare una pistola e uccidere tutti i membri dell'Ordine Edelweiss anche se non era Polinice. No, lei non era e non sarebbe mai diventata Polinice nè avrebbe mai posseduto quella sua forza d'animo, quel controllo di sè davanti alle lacrime di chi aveva sofferto davvero, di chi era tanto uguale a lei e tanto diverso in quella sofferenza che legava tutti in quella vecchia centrale abbandonata e polverosa, circondata da corpi martoriati da una fame e da una miseria che non avevano determinato da soli.
E lei no, non era ancora Polinice.
Si sentì impotente e triste. Non aveva che promesse e belle parole sulle labbra per consolare Ippomedon, per comprendere il suo dolore, per comprendere quel dolore tremendo che lei non avrebbe mai provato con quella intensità. E si odiò, si odiò profondamente per quella debolezza fatta di promesse che forse avrebbe fallito perchè lei non era una ribelle, non era una guerriera ma una ragazzina brava solo ad impugnare una pistola, perchè se non fosse stato per Polinice sarebbe rimasta nel suo palazzo a crogiolarsi tra profumi, bei vestiti e tra gli abbracci di Emon che tanto le mancava. E tanto si odiava, tanto si odiò rendendosi conto di quella necessità d'amare e di cambiare qualcosa.
-Te lo prometto, Ippomedon. Te lo promettiamo tutti- disse in un soffio -Questa guerra sarà presente solo tra le pagine dei libri di storia. Te lo prometto sull'anima di Polinice, lasciato in pasto ai cani del tempio in nome di ideali che all'Acropoli non riescono a comprendere. Polinice deve aiutarmi a promettertelo, Ippomedon-
Gli occhi di Ippomedon si mettevano a brillare di una gioia lacrimante e stanca e una sirena dal suono lungo, cupo e feroce si mise a suonare per le strade.
 
-Metti questo cappuccio e sta' nelle ultime file insieme a me. Amphiaraus e Jeanne avanzeranno davanti al pulpito, okay?-
La sirena delle Periferie non urlava dalla Grande Dittatura, aveva detto Iphigenia, da quando per l'ultima volta avevano chiamato gli ultimi condannati a morte per atti di ribellione nei confronti del governo. Dopo anni, quella sirena aveva smesso di cantare luttuosamente fino a quell'arido pomeriggio inoltrato, coperta di polvere e sudore di quelle Periferie sconvolte dall'attacco improvviso.
-Non farti vedere per nessun motivo e non farti scoprire almeno per ora. Salterai fuori in un'altra occasione e non se lo aspetteranno-
Il pesante mantello di stoffa marrone la copriva fino al naso, lasciandole scoperti gli occhi e la fronte. In tasca teneva teaser, cercapersone e una pistola.
-Hai preso le tue armi?-
Antigone annuì.
-Bene. Vediamo cos'hanno da dirci i nostri amichetti dell'Ordine Edelweiss-
Una voce gracchiante che aveva parlato dopo l'urlo della sirena era stata ben chiara: gli abitanti delle Periferie avrebbero dovuto recarsi alla piazza del mercato attorno ad una tribuna dell'Ordine Edelweiss, allestita per l'occasione di un dialogo di importanza notevole tra le due parti.
Iphigenia e Jeanne consegnarono i distintivi e le tessere ad Andromaca e ricevettero in cambio due piccole pistole da borsetta.
-Andromaca e McKeane, sorvegliate la base mentre noi andiamo a sentire quei corvi alla piazza del mercato. Tenete d'occhio il cercapersone, non si sa mai-
Andromaca annuì e ficcò i loro distintivi e tessere in tasca.
-State attenti, mi raccomando. Iphigenia, Antigone andrà con te?-
-Andrà con me-
Andromaca annuì profondamente.
-Sta' attenta, Antigone. Appena tornate voglio conoscere ogni dettaglio-
Si avviarono lungo il cortile d'ingresso e presero la decisione di andare a piedi, separandosi.
-Da questo momento noi siamo dei perfetti sconosciuti- disse Jeanne varcando il cancello- Io e Amphiaraus saremo nelle prime file e tu e Iphigenia ben nascoste nelle ultime per evitare che vi possano riconoscere dopo quel che è successo al bordello. Anche se non vedrete le facce di chi parla, sentirete tutto abbastanza chiaro-
Iniziavano a camminare. La gente scivolava lenta e leggera sui marciapiedi, carica di una svogliata paura, quasi conoscessero a memoria le parole che avrebbero rivolto loro come ramanzina ma non le conseguenze che li avrebbero colpiti. Erano uomini e donne smagriti con al seguito bambini e anziani, stretti nei loro abiti dai colori monotoni che cozzavano con i loro volti giallastri. La sirena aveva ripreso a suonare e aveva coperto il rumore di quei passi lenti e striscianti sull'asfalto, i passi di gente curiosamente spaventata e di bambini che guardavano i loro genitori con viva curiosità.
La piazza del mercato era un largo cortile d'asfalto e ghiaia, circondato ad anfiteatro da un piccolo e tozzo muro di cemento rovinato dal tempo e da graffiti osceni. Al centro della piazza era stata posta una tribuna bianca, splendente alla luce di quel tramonto polveroso, decorata da un drappo verde smeraldo con quell'orribile fiore bianco e oro. Appena la folla iniziò a riempire la piazza, Antigone si alzò sulle punte e guardò oltre la tribuna: un piccolo drappello di uomini in corazza ed elmetto bianchi dalla visiera trasparente, con delle tozze e robuste pistole tra le braccia, circondava un ometto alticcio dai capelli color carota e una donna biondiccia, secca, con un tailleur grigio: Hans Achilleus accanto ad una donna anonima e glaciale, ritta accanto a lui come un fuso. Dietro di loro degli strani veivoli affusolati, bianchi e splendenti anch'essi, luminosi come scintille alla luce del sole che calava dietro le loro spalle.
-Mettiamoci qui- disse Iphigenia fermandosi in mezzo alla folla-Qui in mezzo ai bambini e alle famiglie. Non ci noteranno mai-
La folla si era bloccata davanti la piccola tribuna, in assoluto silenzio. Tutti alzavano lo sguardo per pochi secondi, timorosi, per poi abbassarlo velocemente e timidamente verso i loro piedi o i loro bambini alle loro ginocchia. Hans Achilleus si avvicinava lentamente alla tribuna, camminando in modo spavaldo come era suo solito, saliva su di essa e si schiariva la voce al piccolo microfono. Indossava un singolare composto da pantaloni grigi ben stretti in vita da una cintura bianca e lucida, una camicia in tinta e un cappotto verde scuro che rendeva ancor più larghe le sue spalle squadrate e cozzava col pallore della sua pelle.
-Prova? Prova? Si sente? Spero di sì-ridacchiò con la sua vocetta-Molto bene. Noi di Ordine Edelweiss speriamo di non avervi fatto saltare giù dal letto in malo modo, stamattina, cari cittadini. Premettiamo con trasparenza fin da subito, noi di Ordine Edelweiss, di non aver programmato questo .. Blitz, sì. Chiamiamolo così. Avrebbe dovuto essere l'ennesima esercitazione per l'Esercito Thebano, la prima per noi confratelli dell'Ordine Edelweiss, ed era stata organizzata per la sicurezza di tutta la nostra nazione, Periferie comprese. Eppure, concittadini delle Periferie, a causa dei vostri scorretti comportamenti il Gran Cancelliere Snakes e Sua Altezza Reale Kreon Spartes hanno dovuto cambiare idea ..-
-Gran Cancelliere?- sussurrarono quasi in coro, poi si lanciarono uno sguardo preoccupato.
-Sentiamo cosa dice..- rispose Iphigenia -Non mi piace. Non mi piace per niente-
-.. Di conseguenza, concittadini, abbiamo dovuto farvi pagare le conseguenze. E no, no, non prendetelo come un atto d'odio nei vostri confronti come siete soliti fare. Noi di Ordine Edelweiss miriamo alla riunione dell'intera Thebe, sì, dopo quell'oscura parentesi che è stata la Grande Dittatura, che tanto influenza ancora le nostre vite. Ma prima dobbiamo controllare i requisiti di tutti, compresi i vostri. Noi dell'Acropoli puniamo chi sbaglia all'Acropoli ma riteniamo corretto punire anche chi sbaglia alle Periferie. E, amici miei, sappiate bene che i vostri errori sono tanti. Marcine?-
La donna dal tailleur grigio avanzo a passi svelti verso la tribuna, porse un foglio ad Achilleus e ritornò sui propri passi.
-Da dove inizierò, cari concittadini delle Periferie? O è meglio che faccia un rapido riassunto? Scegliamo insieme la seconda opzione, in modo tale che voi andiate subito a casa a riflettere sui fatti accaduti e venga risparmiato, a noi di Ordine Edelweiss, il dolore di sapere e comprendere che parte della nostra città è infestata dalla criminalità. Omicidi, rapine con omicidi, accattonaggio, borseggi, molestie, resistenza a pubblico ufficiale, atti osceni in luogo pubblico. E- sospirò pesantemente, in modo plateale-La cosa più grave che voi, miei concittadini smarriti, abbiate mai e dico mai potuto compiere nella vostra vita: la sparizione di Sua Altezza Reale Antigone Spartes Labdakou-
Trasalì e si strinse nel cappotto, quasi sentendosi mancare. Iphigenia le cinse le spalle con un braccio e la strinse a sè.
-Non si sanno sue notizie da ormai giorni. Persino il suo promesso sposo, l'arciduca Emon, e sua sorella, Sua Altezza Reale Ismene Spartes Labdakou, hanno messo in pericolo la loro vita per riportare a casa ciò che voi avete nascosto. Perchè proprio voi? Ragioniamo insieme. All'Acropoli non si trova, no, da nessuna parte. Era sola, adesso magari è sola, confusa, infelice e sofferente- la climax delle sue parole procedeva lungo un crescente tono di voce- per colpa della vostra crudeltà senza fine e della vostra totale mancanza di rispetto nei confronti della Monarchia, che tanto si pena di voi e tanto si preoccupa, ma voi siete incapaci di ricondurre voi stessi, scheletri senza più vita ma solo malvagità, nell'alveo di quella santa mano che vi nutre e vi corregge. E allora, cittadini, fratelli irredenti, le bombe sulle vostre teste sono giuste. Antigone non si trova e le opzioni sono due: o la tenete lontana dalla luce del sole, o l'avete uccisa barbaramente per vendicarvi di noi. E allora, signori, le bombe sulle vostre baracche sono legittime finchè voi non pagherete tutti i danni, tutti gli errori da voi commessi-
Doveva assolutamente abbassare il cappuccio, mettersi ad urlare, svelare la propria identità. Era colpa sua se l'Acropoli aveva bombardato le Periferie, era colpa sua se i cittadini stavano ascoltando quelle terribili parole. Doveva pagare, di tasca propria, ogni dardo inflitto a quei cuori già spossati, a quegli occhi che avevano visto fin troppo male, a quelle persone che da innocenti erano state condannate ingiustamente.
Fece per abbassare il cappuccio ma Iphigenia la fermò in tempo.
-Non adesso. Scoppierebbe il caos-
-E perciò, cittadini delle Periferie ..-
Le parole di Achilleus vennero interrotte da un urlo assordante lanciato da una donna alle spalle della folla. Ella, pallida e smagrita, avanzava tenendo tra le braccia secche un bambino ferito, con una grossa ferita alla testa ancora palpitante e sanguinante. Correva urlando il nome di Achilleus, sgomitando tra la folla come una bestia ferita che sfuggiva ai cacciatori.
-Achilleus, non fate pagare il prezzo ai nostri figli!- urlava sollevando il cadavere del figlio-Siete degli assassini, assassini ingaggiati da una principessa viziata e sciocca scappata chissà dove e chissà perchè! A causa dei vostri idoli la gente è morta, la gente è morta nella propria casa! I veri criminali siete voi, siete voi!-
Gli uomini in uniforme corazzava avanzarono verso la donna dopo un cenno da parte di Achilleus. Essi puntarono verso di lei le grosse e tozze pistole e aprirono il fuoco, trivellandola all'addome e alla testa. La donna s'accasciò su una pozza di sangue nero, coprendo col proprio misero peso il cadavere del figlioletto. Poi uno degli uomini in uniforme diede un ultimo colpo alla sua testa, un altro alla testa del bambino.
Sulla piazza era calato un silenzio assordate, atroce, mortale. Il rumore degli spari fendeva ancora l'aria, mesto e impalpabile come uno spettro terribile. Tutti si erano voltati verso la donna, a bocca aperta e occhi spalancati, chi con le mani alla testa chi a pugni stretti.
Antigone si sentiva mancare. Mai aveva desiderato a tal punto di piangere, di strapparsi i capelli e di puntare la pistola verso la testa di Achilleus per freddarlo come meritava. E invece non riusciva nè a parlare nè a muoversi, bloccata in una morsa terribile che le afferrava le gambe e il dorso.
Stavano morendo. Stavano uccidendo. E tutti in nome suo, in nome di Kreon, in nome dell'Acropoli. E non era nemmeno capace di urlare il proprio nome, smentire quelle parole e fermare la strage. Forse perchè l'aveva perso, il suo nome, in mezzo a quella folla piangente e spaventata, senza identità come lei, senza casa nè famiglia a cui fare riferimento, forse perchè Antigone era morta troppe volte e forse era morta davvero.
Hans Achilleus ridacchiò dalla tribuna.
-E' questa la sorte che tocca ai criminali. Un colpo in testa. Se ci sono tanti criminali, tanti colpi con cui far esplodere la loro testa. E in questo caso utilizziamo le bombe-
Un ragazzino corse verso un mucchio di pietre, ne afferrò una e provò a lanciarla verso uno degli uomini armati. Esso rispose prontamente, mirò alle gambe del ragazzino e lo freddò ad un ginocchio.
-Fuoco!- gracchiò Hans Achilleus- E' guerra, luridi parassiti! Ci avete costretti!-
Il drappello di uomini abbassò la visiera del casco e iniziò a sparare verso la folla. Iphigenia la prese per un polso e iniziò a trascinarla con violenza.
-Dobbiamo andare! Sbrigati, scappa!-
-E Jeanne? Amphiaraus? Non possiamo lasciarli qui!-
-Se la caveranno, fidati di me! Ma adesso dobbiamo andare!-
Era una babele di urla, strepiti e fucilate attraverso la quale Iphigenia la trascinava a forza mentre le sue gambe erano incapaci di camminare, le sue membra di reagire. Solo polvere, solo gente che sviava i proiettili e urlava, solo bambini che piangevano in mezzo ad un tumulto di cui all'Acropoli nessuno avrebbe parlato, che sarebbe stato dimenticato di ventiquattr'ore, quel tumulto inesistente che dava inizio alla guerra. La guerra vera, quella di Polinice, di Hector  e di tutti coloro che l'Acropoli aveva ucciso e coperto di terra e sangue, che aveva lasciato a marcire per i cani randagi e per gli uccelli del Tempio.

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Capitolo 37
*** 36 ***


36
 

Sangue versato, polvere, spari, la pancia vuota per l'ennesima volta. Forse questo significava abitare alle Periferie, e le sembrava di averlo capito solo dopo aver visto la donna accasciarsi a terra in un lago di sangue vivido, scuro, quasi avesse assorbito la violenza di quei proiettili lanciati da chi, dall'Alto dell'Acropoli, si faceva portavoce della giustizia e dell'ordine.
Chissà cosa avesse colpito in pieno quel ragazzino dalla testa squarciata, chissà cosa avesse provato la donna a sentire la propria carne attraversata dalla crudeltà dei proiettili, a sentire la propria vita volare via dalle membra e abbandonare per sempre il suo corpo. Si chiedeva cosa significasse morire, averne la tragica colpevolezza, abbandonare progressivamente il controllo di un corpo martoriato dalla fame e dalla fatica e che tuttavia si era cercato di difendere fino alla fine, ritto nella sua tragica dignità di una vita di stenti.
Quel viso esangue, quegli occhi stralunati, quel corpo trapassato. Chissà se l'avessero già tolto, lavato e preparato alle esequie che meritava. Quella fine trivellante e terribile che era toccata ad una madre, ad una moglie, ad una sorella, ad un'amica. Ad una persona. Una persona che aveva avuto la sfortuna di nascere e morire alle Periferie senza riuscire a salvarsi e ad emergere dalla polvere e dal fango di quel pantano di miseria.
La voce della donna risuonava nella sua testa insieme agli spari. Antigone si sentiva un grosso peso al cuore, quasi fosse stata lei a impugnare la pistola e a trivellarla di colpi. Era lei ad averla uccisa indirettamente, subdolamente, nell'ombra e alla luce del sole allo stesso tempo, proprio come avevano bombardato le Periferie. Principessa viziata, finta ribelle e pure assassina.
Stringeva tra le mani la sua pistola e il suo tesserino. Andromaca si era dimenticata di riprendersi indietro la piccola Glock 22 e Iphigenia non s'era nemmeno accorta di lei che tornava al dormitorio. Che avesse capito o no le sue intenzioni, poco le importava e poco teneva a sentire gli altri sbraitare e raccontare cosa avessero visto e provato sulla pelle alla piazza del mercato, prima fermi come statue di gesso davanti a quella stupida tribuna e poi a scattare sulle gambe in mezzo alla ghiaia e all'asfalto, cercando di schivare proiettili bollenti come lava e taglienti come lame.
Si alzò di scatto, camminò lungo tutta la stanza a passi nervosi e ritornò a sedersi sulla sua branda.
Doveva smettere di giocare, di far finta di assumere un ruolo che non era degna di portare sulle spalle nè di vantare davanti a tutte le Periferie. Non era Antigone, nè Polinice. Era una ragazzina finta ribelle, un'assassina, una manipolatrice. Non apparteneva a Rubra Sphinx, nemmeno questa volta, e mai ne avrebbe fatto parte. Una falsa eroina, una ragazzina viziata nel cui nome l'Ordine Edelweiss massacrava civili inermi e uccideva una donna col proprio bambino, nel cui nome bombardava quelle baracche brune che sarebbero volate al minimo soffio di vento.
La Glock 22, ferma, immobile sul materasso, pareva sorridere. La sfiorò con la punta dell'indice, lentamente, osservandola ad occhi bassi: nera, lucida, fredda come i suoi orecchini d'onice che aveva lasciato nella sua stanza, come il vestito che aveva indossato all'incoronazione di zio Kreon e che aveva ormai lasciato a giacere in fondo al guardaroba, come gli occhi di Snakes il giorno della sua investitura a Gran Consigliere. Il colore preferito di zio Kreon insieme all'oro e al rosso, i colori della bandiera, la grande lambda d'oro circondata da lance e da foglie d'alloro.
Prese la pistola tra le mani, la strinse e ne percepì il gelo metallico. Un raggio di pallido sole si posò su di lei e questa parve ridacchiare, schernirla di nuovo. Principessina incapace, viziata, timida quando non serve, una codarda patentata. Una codarda incapace di difendere una donna disarmata dalla furia di quelle orribili guardie che non aveva mai visto, lasciandola alle loro grinfie senza alzare un dito, impossibilitata com'era nell'attuare quella rivoluzione che tanto si aspettavano da lei. E un'innocente aveva pagato per la sua avventatezza, accasciandosi sul proprio sangue, stringendo tra le braccia ciò che di più caro aveva e che le era stato strappato via con violenza. Antigone la morta, Antigone l'incapace.
Doveva pagare, pagare con lo stesso dolore che aveva trivellato quella donna. Pagare attraverso gli stessi proiettili che si erano portati via due innocenti e che avevano tentato di colpirne molti altri.
Sollevò la pistola all'altezza del suo petto, con le mani tremanti e il cuore che batteva all'impazzata.
Uccidere. Ma uccidere chi?
Pochi centimetri più su e lei avrebbe pagato davvero, pagato per l'ultima volta e definitivamente, e il silenzio del dormitorio avrebbe rimbombato dell'ennesimo sparo, dell'ennesimo sangue fiorito sulla parete. Perchè tanto Antigone era morta, Polinice ancor prima di lei, e il contatto momentaneo del ferro sulla tempia sarebbe durato che pochi secondi.
Poi pensò al grugno porcino di Snakes. Fu come un'immagine istantantea tra una diapositiva e l'altra, tra la pistola sulla sua fronte e il muro macchiato del suo sangue. Snakes sorrideva, contento, si stropicciava le mani: Antigone, la credevano tutti morta, ipse dixit. Non si trovava, solo pochi oggetti stupidi trovati da sua sorella e dal suo ragazzo in una gita nottura fuori dalle mura del palazzo, era ovvio che fosse morta. Magari stava già organizzando il suo spettacolo funereo, con una bara vuota ricoperta da un drappo nero e la sua bella foto incorniciata sopra, la gente di Thebe vestita a lutto, la loro mente annebbiata dalla rabbia per un'uccisione crudele in seguito ad un empio rapimento. Uccisione e rapimento che non erano mai avvenuti.
Chi l'avrebbe mai detto, pensò abbassando la pistola. Snakes e la sua immagine grassoccia, bonaria, una maschera di cera con un sorriso ipocrita stampato sulle labbra sottili, le permettevano di allontanare la pistola dalla sua tempia.
Un proiettile dritto nella testa di Antigone e lui avrebbe vinto. Rubra Sphinx privata della sua arma, accusata dell'empia esecuzione dell'amata principessa. Le Periferie trivellate di colpi, fiumi di sangue sulle strade tanto da far ribollire di rabbia e di sdegno le acque delle fogne.
Lei doveva vivere. E tutti avrebbero vissuto insieme a lei, e insieme a lei l'anima di Polinice che era rimasto insepolto e disonorato, Polinice dalla voce tuonante che rimbombava ancora dentro la sua testa.
Non era stata lei a sparare alla donna, al ginocchio del ragazzino, alla folla disarmata. Se l'avessero fatto in nome suo per davvero o l'avessero usato come pretesto, le sarebbe importato poco. La colpa era loro, loro e basta, loro e delle loro dannate e pallide mani in guanti di pelle e velluto, colpa di quelle guardie corazzate uscite fuori all'improvviso. Avrebbero pagato loro. Sarebbero morti loro.
Sentì dei passi avvicinarsi al dormitorio e pochi secondi dopo Iphigenia apparve sulla soglia.
-Come stai?-
-Sto bene. E gli altri? Jeanne e Amphiaraus?-
-Amphiaraus ha una piccola bruciatura al polpaccio. L'ha sfiorato un proiettile. Una cazzata, insomma-
Dillo, Antigone. Dillo.
-Voglio uccidere Snakes-
Iphigenia sgranò gli occhi, accennò un sorriso e si sedette accanto a lei.
-Se ne andrà presto, con la sua orrenda coda fra le gambe. E' una promessa, no?-
-Deve pagare per quello che ha fatto, Iphigenia. Adesso. Se sarò io ad ucciderlo e a guidarvi l'Acropoli non vi torcerà un capello-
-Così verrai condannata dal tuo amato zietto per aver tentato un colpo di stato- le cinse le spalle con un braccio -E verrai messa alla gogna. E Achilleus diventerebbe Cancelliere, sposerebbe tua sorella e tu non potresti far nulla perchè finiresti insepolta come Polinice. Un bel casino, non trovi?-
Antigone strinse i pugni e abbassò lo sguardo verso le proprie ginocchia. Il nodo di tristezza e rabbia che le si era bloccato in gola iniziava lentamente a sciogliersi in pesanti lacrime calde come proiettili. E più Iphigenia la stringeva a sè, più le suscitava una fortissima voglia di piangere ed urlare.
-Quella donna è morta, Iphigenia- singhiozzò sbavando tra le sue braccia, e provò vergogna a vedersi -Morta per causa mia. Le Periferie sono state bombardate per causa mia. Ed io sono ancora qui, ferma, a piangere, incapace di rivelarmi a questa povera gente che soffre a causa dell'Acropoli. Non avrò mai la forza di mio fratello, nè la tua, nè dell'intera Rubra Sphinx-
-La forza si trova, piccolina. Ce l'hai, e tantissima. Quella stessa forza che ti ha spinto ad abbandonare l'Acropoli, la tua famiglia, la tua ultima sorella rimasta, il ragazzo che ami adesso vuole uscire fuori ancora una volta. E se prima questa ti ha spinto a svelarti a noi, la stessa ti spingerà a rivelarti a tutti gli abitanti delle Periferie-
-La gente è stanca di morire. Dobbiamo muoverci, anzi, dovrei smuovermi io a cambiare qualcosa e a non trattenervi più a causa mia- sospirò e si appoggiò al suo tiepido petto d'ebano. Sentiva il cuore di Iphigenia battere lentamente, dolcemente -Vi sto facendo perdere tempo-
Iphigenia le baciò la fronte.
-Amphiaraus è andato a distribuire i volantini- Iphigenia si distaccò, si alzò dalla branda e si stiracchiò per bene la schiena -Col buio non lo vedrà nessuno. Pensano di averci mandati a nanna con quei proiettili-
-Quali volantini?-
Le lanciò un sorriso largo e splendente.
-All'alba ci sarà una riunione alla piazza del mercato. Parteciperà chi vuole e chi può., peccato per chi non potrà esserci e non potrà conoscere l'ospite speciale-
Antigone sentì un tremito percorrerle la schiena.
-L'ospite speciale?-
Il grande, luminoso paio di occhi di Iphigenia si posò sul suo volto.
-Tu, Antigone. E' il momento di innescare questa fottuta bomba-
 
Big McKeane le prestò un giubbotto di pelle bordeaux, vecchio di qualche anno e malridotto sul retro. Jeanne le cedette un vecchio paio di leggings di pelle e Iphigenia un paio di anfibi di pelle, consumati ma ancora morbidi e comodi, poi le porse un giubbotto antiproiettile.
-Mettilo sotto il giubbotto. Non si sa mai che qualcuno, vedendoti, possa incazzarsi e tentare di spararti-
Antigone le rivolse un'occhiata spaventata e interrogativa.
-Funzionerà?-
-Cosa intendi per funzionerà? Se la pensi così, abbiamo già perso questa guerra-
Avevano dichiarato guerra appena dodici ore prima. L'aveva detto Achilleus, ed evidentemente la parola di Achilleus faceva da portavoce alla santa, autoritaria parola di Snakes. La guerra era iniziata, sì, una guerra fratricida e intestina in cui le due opposte metà della città si sarebbero divorate l'una con l'altra fino all'ultimo sangue, fino alla fine della monarchia o fino alla fine di Snakes o fino alla fine della vittoria dell'Ordine Edelweiss. Una guerra appena scoppiata che già si trascinava i suoi morti, uccisi da soldati nemici che non combattevano nè in trincee nè in grossi squadroni ma che organizzavano vite e morti di quel giorno nel tepore delle loro eleganti stanze, con mappe della città stese sul tavolo e coppe di champagne tra le dita.
-Hai pensato a cosa dire?-
-No-
Diceva la verità. In realtà non aveva dormito tutta la notte, presa dal terrore di risultare erroneamente una nemica di coloro che voleva salvare e dall'adrenalina di parlare davanti a chi, in caso contrario, l'avrebbe supportata in nome di Rubra Sphinx e di Polinice. Pensava a Polinice, Polinice nei suoi pantaloni stretti color cachi e nella sua camicia beige, poi a Rebecca incinta di quello che sarebbe stato suo figlio e avrebbe, magari, giocato presto con Astyanax e farlo sentire un fratello maggiore, poi ad Hector che non aveva mai visto morire ma vivere attraverso gli occhi di Rubra Sphinx e attraverso le parole dei compagni. Pensava al caffè annacquato che ondeggiava nel suo stomaco e alle gallette che aveva ingerito prima di lavarsi e vestirsi.
Iphigenia ridacchiò.
-Meglio così. Le parole per un discorso del genere devono essere spontanee, venire dal cuore. Dico bene?-
Annuì cercando di essere più convinta che mai, ma i suoi occhi tradirono la confusione e la paura che si portava dentro e che Iphigenia aveva subito notato. Ella si avvicinò, appoggiò le mani sulle sue spalle e si inginocchiò davanti a lei.
-Non aspettano altro, Antigone. Non aspettano altro che essere salvati da te, sì, proprio da te. E ancora non lo sanno, ma mancano pochissimi minuti e lo sapranno. Parlerai e tutti penderanno dalle tue labbra, e tu non avrai più timore di loro e delle loro armi addosso. Perchè te lo dico, principessa: noi delle Periferie siamo degli inguaribili romantici e dei criminali. Criminali che oggi hanno bisogno di te e anche di Sua Altezza Reale Antigone Spartes Labdakou, della principessina dorata che non ha alcuna vergogna di mostrare il proprio viso e di alzare la voce quando parla in pubblico-
Non li avrebbe delusi, pensò. Non avrebbe mai dovuto farlo.
-Sarete fieri di me, Iphigenia-
-Lo siamo, cosetta in nero. E dovunque egli si sia cacciato, anche Polinice lo è- la voce di Iphigenia tradì un singhiozzo -Quel maledetto disgraziato che s'è fatto ammazzare come un cane-
Antigone cinse il collo di Iphigenia e affondò la faccia nella massa morbida e confusa dei suoi ricci vaporosi e disordinati, aspirandone l'odore di muschio e fumo. Si distaccarono piano, Iphigenia si alzò e la prese per mano.
-Dobbiamo andare. Ci aspettano in macchina, sicuramente. Dobbiamo tenerti nascosta fino a quando non deciderai di parlare-
Si muovevano verso il cortile dove già Amphiaraus li attendeva dentro il pick-up. I corridoi rimbombavano unicamente dei loro passi, immersi in un silenzio spettrale che le mise i brividi addosso. Lo stesso silenzio dei palazzi sventrati dalle bombe, delle case che avevano seppellito i loro abitanti.
-Gialle colline e fumo quaggiù ..- intonò la voce di Jeanne da un punto imprecisato dei corridoi.
-I fantasmi di un tempo che fu ..- si unì la voce di Andromaca.
- Dalle case lontane e nemiche il baglior ..- cantò Iphigenia sorridendole.
- .. Morte certa e cupo fulgor- cantò lei. Papaveri e Baionette voleva uscire fuori dalla sua gola ed essere cantata, cantata a squarciagola. Da lei e da tutti, e si ritrovò ad avere la stessa loro sensazione.
Fu un arcobaleno di mani sinistre pallide, giallastre, brune e nere alzate all'altezza del collo, con medio, anulare e mignolo bene tesi, indice curvo e pollice ben ampio, quasi a formare una figura dalle ampie ali aperte. Una sfinge. Una sfinge rossa.
Cantavano Papaveri e Baionette all'unisono, con le mani ferme in quella posizione e le guance arrossate, i volti felici e gli occhi splendenti. Anche Astyanax cantava forte con la vocetta da ragazzino, stretto ai fianchi di Cassandra che seguiva il labiale degli altri e cantava insieme a loro le parole che le risultavano comprensibile, sempre lieta nel bel viso di bambina e negli occhi di donna anziana che aveva passato fin troppi guai.
La guerra iniziava cantando, una miccia veniva accesa intonando belle parole di soldati malinconici, Antigone attraversava il corridoio accompagnata da Jeanne, Amphiaraus e Iphigenia. Il vecchio orologio digitale di Jeanne segnava le sette di un mattino nebbioso e rosato, ancora scosso e tremante per quei proiettili che avevano attraversato quell'aria già pesante, polverosa, intrisa di lacrime e desideri.
 
Il pick up si fermò accanto al piccolo muro di cinta della piazza che andava riempiendosi. Antigone riconobbe i loro visi stanchi e segnati, i visi degli operai e delle lavandaie delle Periferie con i loro bambini piccoli al seguito e i monelli che sgomitavano per vedere meglio il pick up che sfrecciava sulla ghiaia e rombava, eccitati e felici nelle facce secche e lentigginose.
-Aspetta qui. Capirai quando dovrai scendere, va bene?- disse Amphiaraus.
Antigone annuì.
-Non attenderai molto, vedrai- concluse- Qualche parola per salutarli. Tieniti pronta, ma non stare troppo attaccata ai finestrini-
Iphigenia, Jeanne e Amphiaraus abbandonarono l'abitacolo del pick up e si avviarono verso il centro della piazza. La folla li accolse con un applauso scrosciante e commosso che Iphigenia salutò con una risata tuonante e allegra.
-Compagni e compagne, lavoratori e lavoratrici delle Periferie!- esordì -I vostri volti sono stanchi, affamati, e noi di Rubra Sphinx lo sappiamo bene. Vogliamo anzitutto ricordare, con un minuto di silenzio, la nostra compagna barbaramente uccisa ieri insieme al suo bambino ed esprimere il cordoglio alla sua famiglia, qualora sia qui presente-
Tacque, chinò la testa e tutti la imitarono. Il silenzio calò sulla piazza come un velo, mesto e solenne, rischiarato a tratti dai cinguettii di alcuni passeri e dal rombo dei tram sulle rotaie. Quel minuto passò in modo sacro e reverente, tra l'assoluto silenzio di adulti e ragazzini, per concludersi con l'ennesimo applauso dopo il quale fu Jeanne a riprendere il discorso.
-Sleali, disonesti, violenti .. Troppi sono gli aggettivi con cui potremmo descrivere i membri di Ordine Edelweiss. Li abbiamo visti ieri, già, tronfi come sempre, con le loro stupide e orribili esibizioni di forza che tanto danno ci hanno portato. Vogliono dichiararci guerra, compagni e compagne, lo ha dichiarato Hans Achilleus davanti alla folla riunita e davanti a noi di Rubra Sphinx, presenti in mezzo a voi.-
Ad ogni parola di Jeanne Antigone sentiva crescere in sè l'eccitazione e il terrore. Si strinse nel giubbotto, nel suo odore di naftalina e polvere, e appoggiò la schiena al sedile, sospirando.
-Volevamo indugiare, non volevamo riprendere le armi della gloriosa resistenza orribilmente interrotta il giorno del Tumulto delle Polveri, volevamo una soluzione diplomatica che non portasse allo spargimento di altro sangue: Hector, Polinice, Rebecca. E poi chi? Chi l'Acropoli deciderà di uccidere? Siamo appena all'inizio e non abbiamo munizioni, non abbiamo un esercito, non abbiamo carri armati o pistole di ultima generazione come le loro. Eppure, compagni e compagne, noi abbiamo un'arma che abbiamo strappato all'Acropoli e che mai più tornerà nelle sue mani ..-
Era giunto il momento. Iniziava a tremare.
Jeanne e Iphigenia si girarono verso il pick up e le fecero cenno di uscire.
Inspira, espira. Inspira, espira.
Strinse la maniglia della portiera con mano tremante e questa scattò sotto le sue dita. Fu un'agonia di secondi, dei secondi in cui a testa bassa mise fuori prima un piede, poi l'altro, per richiudere la portiera altrettanto timorosamente, alzare la testa e guardare dritto davanti a sè. Fu un fiorire di sguardi accesi e tremanti, stupiti, innervositi, spaventati. Camminò a passi lenti fino al punto in cui stavano Iphigenia e gli altri, immersa nel silenzio che aveva di nuovo occupato l'aria, carico di stupore, forse rabbia, forse spavento. E forse qualcuno avrebbe tirato fuori un coltello o una pistola e l'avrebbe uccisa, o forse solo ferita, e allora sarebbe stato davvero tutto inutile. Ma questo dipendeva da lei: dipendeva da lei accattivarseli, aiutarli, farli risollevare. E, maledetta lei stessa, si sarebbe sforzata di trovare quelle parole giuste per cui si era esercitata tanto alle lezioni di dizione e portamento quando era ancora a Palazzo, quando mamma e papà erano ancora vivi e insieme a loro Sua Altezza Reale Antigone Spartes Labdakou. Ma era tempo di lasciar dormire la principessa, pensò. Era il momento di parlare.
Antigone si schiarì la voce tossendo, poi sospirando, lanciando occhiate timorose in tutte le direzioni. Poi tornò a guardare dritto davanti a sè.
-Cittadini e cittadine delle Periferie- esordì -So che la mia presenza potrà sembrare del tutto inattesa, o forse del tutto indesiderata, e ben comprendo questi vostri sentimenti. Non posso smentirvi, no, perchè io stessa ieri, insieme alla compagna Iphigenia, Jeanne e al compagno Amphiaraus ho assistito al misfatto delle guardie dell'Ordine Edelweiss, all'omicidio di una donna innocente e del suo bambino e al ferimento di molti di voi. Tutto questo per colpa mia, e mia soltanto.
Me ne rendo conto, cittadini riuniti, compagni di Rubra Sphinx. Io non sono affatto una ribelle. Sono una codarda, una principessina viziata, una ragazzina che non capirà mai il vero dolore di vivere e nascere alle Periferie. Però, vi assicuro e giuro su questa mia vita, vita che per l'Acropoli è stata del tutto spazzata via, di venire in pace e di essere qui per aiutarvi. Se c'è un qualcuno nel nome di cui io sono qui, è proprio mio fratello Polinice, il mio amatissimo fratello che ha rinnegato quel mondo brillante e ricco che ora tanto vi disprezza e vi massacra e che io stessa ho cercato, prima, di ignorare del tutto nel rispetto della mia famiglia e del mio ruolo. Ma no, sono cose che nemmeno io ho saputo ignorare, e forse in questo l'Ordine Edelweiss ha ragione: che diano per morta Sua Altezza Reale Antigone Spartes Labdakou, la principessina dalla corona d'alloro e dal vestito di tulle e seta, che sorride ai teleschermi e posa insieme alla sorella  maggiore! Quella donnina è morta, è morta del tutto e voglio che si sappia, voglio che chiunque mi senta e che la mia voce arrivi fino all'Acropoli!
E il vero assassino è tra di voi, ma non è nessuno di voi. L'assassino di Sua Altezza Reale sono io, io medesima, e per uccidere Antigone voglio riportare in vita Polinice e nessun altro. Lui- non riuscì a trattenersi e singhiozzò -vive più che mai, proprio come ha vissuto per queste strade e ha visto questi volti, questi vostri volti, ha mangiato il vostro cibo e ha combattuto al vostro fianco. E come Polinice ha rinnegato se stesso e l'Acropoli, io rinnego Antigone e rinnego Thebe Alta come il male peggiore, come un male che non sono capace di accettare o di condividere. Ecco, ecco Ordine Edelweiss! Prendete me, io mi consegno assassina della vostra amata principessa! Io con voi, Acropoli e Ordine Edelweiss, non voglio più avere a che fare. Mi basti solo pagare: pagare il mio sangue per il mio sangue, per i corpi della donna uccisa e di suo figlio, per le vostre ferite, per le vostre case sventrate, per le vostre vite segnate. Per Polinice, Polinice insepolto, insepolto perchè i vivi sotto terra non riescono e non devono stare!-
Riprese fiato. Il suo cuore aveva buttato quelle parole di colpo, senza alcuna riflessione, fidandosi delle immagini che liberamente scorrevano nella sua testa: Polinice, l'Acropoli, e lei e le Periferie.
Inspirò, espirò lentamente. Uno scrosciante applauso la scortò riprendere fiato e Antigone non riuscì a credere alle sue orecchie. Iphigenia le lanciò un'occhiata soddisfatta, seguita da Jeanne e Amphiaraus.
-Che Polinice parli attraverso di me, semplice cassa di risonanza per la sua voce immortale, e attraverso Rubra Sphinx e attraverso tutti voi. Polinice è più vivo che mai, e se sono qui è solo ed esclusivamente per concludere ciò che ha iniziato!- l'applauso si fece più forte, gli uomini e le donne sorrisero, i monelli di strada ridacchiarono felici -Perchè ci hanno dichiarato guerra. E con voi non voglio condividere solo le armi, le munizioni, il rischio di morire sotto i bombardamenti. Fottetevi, Ordine Edelweiss e Acropoli, bombardatemi pure insieme a loro se dovete proprio bombardare!-
Si alzarono dei fischi, gli spettatori risero forte e urlarono il suo nome.
-Non voglio condividere odio, paura, ansia del domani. La guerra è appena iniziata e con voi voglio condividere amore, coraggio, speranza nel futuro. La terra e il sangue non hanno insozzato mio fratello invano-
Uno stuolo di mani di ogni colore, forma e spessore si sollevò, tutte all'altezza dei colli dei loro proprietari. Si ripeteva il gesto, si ripeteva la sequenza delle dita, delle falangi che insieme formavano una sfinge e delle bocche che intonavano una canzone di sangue, guerra e speranza che si fondevano insieme.

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Capitolo 38
*** 37 ***


37
 

L'atrio, a parere di Iphigenia, non era mai stato così pieno di gente da anni, da quando la vecchia centrale aveva chiuso i battenti, e non era mai stato così pieno di allegria e gaiezza da quando l'edificio aveva aperto i suoi cancelli per la prima volta.
Un ometto con una camicia giallastra e un gilet di tela marrone saltellava allegramente sulle gambette secche, suonando il proprio violino e facendosi circondare da Cassandra, Astyanax e alcuni bambini che danzavano attorno a lui. La sua musica accompagnava il giradischi che era stato portato al commando qualche giorno primo insieme al vinile in un'armonia dissonante e chiara di suoni differenti e allegri. Iphigenia danzava senza scarpe sul selciato, con gli scricchiolii della sua protesi coperti dalla melodia, tenendo le mani di Amphiaraus nell'intrecciata quadriglia che s'era venuta a creare, e Jeanne che teneva strette le due mani.
-Antigone! A palazzo ballavate così?- chiese Jeanne ad alta voce.
-No, e ad essere sincera non ho mai ballato robe del genere?-
-Solo valzer? Non ci credo! Questa quadriglia l'abbiamo sempre ballata nei giorni di festa delle Periferie, come nei matrimoni! La vita dell'Acropoli dovrà essere noiosa!-
Le rispose con una risata e riprese a farla volteggiare. Poi una folla più corposa si raccolse al centro, formando un cerchio intrecciando le mani e tenendo in mezzo Jeanne e Antigone. I ballerini, coppie di adulti e ragazzi, iniziarono un rapido e saltellante girotondo che accompagnava la musica fischiettando e schiamazzando. Jeanne la fece girare su se stessa, poi girò attorno a lei e intrecciò un piccolo girotondo.
-Questa la balliamo ai matrimoni. Oggi tu e le Periferie vi siete sposate!-
Dal girotondo si alzarono degli schiamazzi e delle risate. Poi la musica si fermo, il disco cessò di girare e tutti applaudirono ridacchiando e chiamando il suo nome a gran voce. Alcuni bambini si avvicinarono, la tirarono per il giubbotto e le offrirono delle sottili corone di papaveri.
-Sono per me?-
Una bambina esile e pallida, con luminosi capelli biondi e grandi occhi azzurri, si spinse sulle punte dei piccoli piedi fasciati in babbucce lacere e cercò di incoronarla, ma perse l'equilibrio e cadde a terra picchiando il sedere. Antigone notò i suoi occhietti splendenti arrossarsi e le porse una mano, la propria accaldata di danza che stringeva la sua, gelida e vellutata.
-Fatta nulla?-
La bambina sorrise e si aggrappò alle sue braccia, ridacchiando.
-No!- esclamò -E da grande voglio essere coraggiosa come te!-
La prese tra le braccia per permetterle di poggiare la sottile corona sulla sua testa, poi la ripoggiò delicatamente a terra. Una risata generale riempì la sala, accompagnata da quella, squillante e argentina, della bambina appena poggiata a terra.
-Partenopaios! Partenopaios, vieni qui!- esclamava -Ho incoronato Antigone, guarda! Porta anche la mamma, Partenopaios!-
Tra la folla ancora ridente avanzava un giovane alto ed esile, pallido e biondo come la bambina, con gli stessi occhi cerulei. Portava a braccetto una donna slanciata, con una lunga ferita da taglio che andava dal sopracciglio alla guancia destra e superava i suoi grandi occhi, anch'essi luminosi di azzurro. La donna, accompagnata dal giovane, procedeva zoppicando su una gamba ben fasciata e poggiandosi su una vecchia stampella metallica, sforzandosi di sorridere quasi per mascherare il dolore.
-Ce la faccio, Partenopaios. Non stancarti- sussurrò la donna.
-La tua gamba è in pessime condizioni, mamma, anche se in condizioni normali sei capace di schivare una bomba fischiante su casa nostra-
Jeanne e Iphigenia si lanciarono un rapido sguardo e corsero verso il giovane, cercando di sostenere con le proprie braccia la donna zoppicante.
-Atalanta!- esclamò Jeanne -Sei ..-
-Viva?- ridacchiò la donna, scostando dagli occhi una ciocca color miele -Beh, se non fosse per quest'accidenti di gamba starei certamente meglio, maledizione!-
Iphigenia si allontanò e ritornò portando una sedia di plastica.
-Siediti, coraggio. Devi stare a riposo-
Atalanta sbuffò annoiata, poi acconsentì. Si accasciò sulla sedia sospirando, allontanando la stampella da sè con un calcio.
-Non sopporto questa condizione- mugolò -Bastardi, e pensare che sapevo fare una sola cosa in questa vita .. Piccola mia, vieni qui- disse rivolgendosi alla bambina -Cosa devi fare vedere a me e a Partenopaios?-
-Ho incoronato Antigone!- disse la bambina salendo sulle ginocchia della madre, che cercò nel frattempo di soffocare una smorfia di dolore-Guarda com'è bella con la corona di papaveri!-
Atalanta alzò gli occhi luminosi verso i suoi e le rivolse un sorriso. Le belle guance levigate, segnate dalla ferita e da piccole abrasioni, parevano quelle di una regina.
-Antigone- le disse sorridendo -Ho ascoltato le tue parole, qualche ora fa. Allora all'Acropoli non siete tutti bastardi-
Antigone scosse la testa imbarazzata. Atalanta la guardò sorridendo.
-Artemis, hai fatto davvero un ottimo lavoro- disse abbassando gli occhi verso la figlia -Antigone è davvero bella-
-Lo pensi davvero?-
-Davvero- poi rialzò lo sguardo e le porse una mano -E allora benvenuta, Antigone-
Prese la secca mano di Atalanta nella sua e la strinse con maggior vigore possibile.
-Oh, che bella stretta forte! Come quella di Polinice!- ridacchiò Atalanta -Ti avranno sicuramente già ricordato l'incredibile somiglianza, davvero?-
Arrossì. Atalanta mostrò un sorriso luminoso e perfetto.
-Sì-
Continuava a sorriderle dolcemente, senza ironia nè sarcasmo, col sorriso biancastro e gli occhi solcati dalla ferita. Poi fece avvicinare Partenopeios con un cenno della mano e questo si posizionò alle sue spalle, ponendole le braccia attorno al collo. Atalanta allungò un braccio e gli carezzò i capelli.
-Che situazione paradossale, non trovi, Antigone? Sporchi ribelli che si fidano e che accolgono come compagni il principe e la principessa ereditari che qualcosa o qualcuno ha deciso di illuminare riguardo la nostra sorte e la nostra condizione. Sarò chiara, Antigone. Da te ci aspettiamo molto di più di quanto abbiamo ricevuto da Polinice-
Il suo tono s'era fatto dolcemente serio, quasi materno. Per un attimo le ricordò mamma prima di ogni ballo, quando si assicurava che le sue Principesse Ereditarie fossero in perfetto ordine per mostrarsi ai giornalisti e ai fotografi.
-Tu sei un'arma che non possiamo perdere, Antigone. Ci tengo a ricordartelo, e non so se questa sarà la prima e ultima volta che sentirai queste parole: se ci sei tu, noi non possiamo e non dobbiamo perdere. Sei venuta sola, come Polinice la prima volta, e se hai deciso di venire da noi hai promesso e prometti solennemente di restare al nostro fianco. Dico bene?-
-Sì, Atalanta-
-Hai qualcuno che ami all'Acropoli?-
Il viso di Emon sorridente illuminò la sua mente come un lampo, accompagnato dalla lucentezza dei capelli biondi di Ismene. Il sorriso di zio Kreon, zio Kreon buono che taceva davanti a Snakes fu un debole fantasma come i visi di mamma e papà, offuscati dalle ombre di Polinice ed Eteocle.
-Sì. Mia sorella, Emon e ..-
-E zio Kreon-
Annuì
-Esattamente-
-Sai di dover combattere anche per loro, non è vero?-
-Lo so-
-Le battaglie che combattiamo non sono mai fini a se stesse, nè legate ad un motivo esterno. Noi combattiamo per un'unica persona e contro un unico nemico: noi stessi e i nostri fantasmi. E a volte hanno il nostro viso, a volte quello di coloro che amiamo. E i tuoi un volto ce l'hanno?-
-Immagino di sì-
-Devono averlo, cosetta nera. E' così che ti chiamano qui?-
Annuì ridacchiando. Atalanta le prese una mano e la girò tra le proprie dita, osservandola attentamente.
-Una bella mano. Una bellissima mano ancora curata, ancora ben tenuta. Voglio vedertela più rovinata che mai, Antigone. Piena di graffi, ferite, abrasioni, sporca di polvere da sparo e di sangue. E, almeno per la maggior parte delle volte, di qualcuno che non sia tu-
Atalanta le puntò i suoi occhi luminosi e taglienti contro il viso. La sua espressione dolce s'era improvvisamente irrigidita, quasi incattivita, quasi volesse vendetta in quell'esatto momento.
-Iphigenia, hai mostrato ad Antigone come si impugna una pistola?-
-Sì. Abbiamo fatto qualche prova e abbiamo iniziato già l'allenamento in palestra. Ha fatto degli ottimi progressi, parola di Hank. Non è vero?-
-Verissimo, Atalanta- disse Hank avvicinandosi, sorseggiando qualcosa da un bicchiere -E' più rapida e attiva di quanto ci aspettassimo-
Atalanta annuì convinta e il suo viso di distese di nuovo, dolcemente, tornando all'espressione paziente che aveva tenuto prima.
-Molto bene. E sai impugnare un arco, Antigone?-
-Non abbiamo ritenuto necessario insegnarglielo- disse Iphigenia -Non abbiamo archi che valga la pena utilizzare e al mercato nero se ne vedono spesso. Preferiamo affidarci alle pistole-
Atalanta cercò di alzarsi lentamente, barcollando, per poi accasciarsi tra le braccia di Partenopaios.
-Dannazione- mugugnò -McKeane? Dove accidenti sei?-
-Mi hai chiamato?- arrivò McKeane sgranocchiando una galletta.
-Guardami la gamba. Quanto pensi che ci starà a guarire?-
-Siediti. Jeanne, portami un'altra sedia-
McKeane fece sedere Atalanta e distendere la gamba sulla sedia portata da Jeanne. Quindi le si accovacciò accanto, osservò la sua fasciatura con attenzione e scosse la testa.
-Cosa ti è successo di preciso?-
-Un calcinaccio mi ha centrato la caviglia in pieno. Quando hanno bombardato, praticamente-
-Con una fasciatura così perderai tempo, scusami Partenopaios. Dopo resta qui, così posso controllare anche com'è messa all'interno. Anzi, Amphiaraus, vammi a prendere una redia a rotelle così Atalanta sta più comoda-
-.. E almeno posso muovermi e mostrare quello che so fare ad Antigone. Ci conosciamo ancora troppo poco, non è così?-
 
-So correre, saltare gli ostacoli, schivare per bene i colpi. Ho imparato così da piccolo, quando giocavo insieme a mio padre e a mia madre-
Era appena finita la festa quando Partenopaios espresse manifestamente di voler entrare a far parte di Rubra Sphinx. Jeanne e Iphigenia si erano guardate, annuirono e poi lanciarono un'occhiata ad Amphiaraus. I suoi occhi guizzanti avevano detto sì.
-.. E poi conoscete mia madre Atalanta, no? Ecco, lei mi ha insegnato ad usare l'arco e a correre! Vi manca un arciere, no? E poi potrei sostituirla, aiutarla, dato che per ora non può nè correre nè utilizzare alcun tipo di arma in modo davvero efficace. Farò di tutto per aiutare Rubra Sphinx, le Periferie e di collaborare alla causa comune-
-Quanti anni hai, Partenopaios- chiese Amphiaraus osservandolo attentamente, con sguardo attento e serio.
-Sedici. Sedici anni appena compiuti-
Amphiaraus scosse la testa e gli lanciò un'altra occhiata.
-Altezza e peso?-
-Cinquantacinque chili per un metro e ottanta-
-Giovane e sottopeso. Resisteresti a pasti magri e allenamenti che iniziano all'alba? Sai maneggiare altro, oltre all'arco?-
-Imparerò. Imparerò come ha fatto Antigone e come avete fatto tutti voi. E poi .. Siamo tutti esili e nessuno di noi tocca i cinquant'anni. Ve lo prometto, Iphigenia, Antigone e Amphiaraus, io vi renderò fieri di me-
-Partenopaios non ha tutti i torti- sbottò Iphigenia sorridendogli e invitandolo a sedersi -Abbiamo iniziato tutti come dei piccoli, denutriti teppistelli capaci soltanto a lanciare sassolini contro i poliziotti. Non possiamo permetterci dei soldati di professione o dei piloti di aeroveicoli, Amphiaraus-
-Aeroveicoli? Mio padre per qualche tempo ha fatto servizio notturno negli aerobus. Andavo a trovarlo per portargli la cena, quando c'erano pochi passeggeri mi faceva sedere insieme a lui nel posto del conducente. So come funziona un aerobus, non penso che pilotare un aggeggio più complesso e con più pulsanti sia tanto diverso .. - una risatina imbarazzata si abbozzò tra le sue labbra- .. o no?-
-Antigone, cosa ci dici degli aereoveicoli e dei veivoli in generale?-
- A prima occhiata ci sembravano sempre maestosi, mortali. So che per imparare a pilotarne uno da parata ci vogliono molti mesi di addestramento, se non addirittura più di un anno. Eteocle e Polinice avevano iniziato da poco l'addestramento, quando si sono uccisi. Non hanno mai proposto a me e a mia sorella di far parte dell'aeronautica reale-
Partenopaios annuì sospirando, passandosi una mano dietro la nuca e scompigliandosi i capelli.
-Vogliamo fare comunque una prova- disse Jeanne dopo una piccola pausa -Partenopaios, da domani potrai iniziare l'addestramento anche senza tesserarti. Vogliamo metterti alla prova, non prenderla a male, ragazzino .. E' che siamo in guerra, capisci? Non vogliamo altre perdite umane a Rubra Sphix. Siete d'accordo con me, Iphigenia e Antigone?-
Annuì insieme ad Iphigenia.
-E tu, Amphiaraus? Diamo una possibilità a questo ragazzo?-
Amphiaraus sospirò, incrociò le mani e annuì con convinzione.
-Benvenuto in mezzo a questi delinquenti, ragazzo mio. Domani, alle sette, ti voglio qui puntuale per iniziare l'allenamento-
Sulle labbra di Partenopeios fiorì un luminoso sorriso giallastro e il suo esile, pallido braccio si tese in direzione di quello di Amphiaraus.
-Ehi, che bella stretta! Ci aspettiamo grandi cose da te, mi raccomando!-
Tutti fecero segno di alzarsi e Hank apparve sulla soglia.
-Antigone, hai ospiti. Ti aspettano all'ingresso-

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Capitolo 39
*** 38 ***


38
 


Ismene era interamente vestita di nero, con abiti che non le aveva mai visto indossare: jeans che le fasciavano le gambe, anfibi e un poncho con mantello che aveva appena tirato giù. Anche l'abbigliamento di Emon la lasciò curiosamente perplessa, tanto era simile a quello di Ismene sia per gli abiti che per il colore.
-Ismene, Emon, cosa ci fate qui?-
Ismene la guardava con viso pallido e occhi spaventati, Emon le fissava un lungo sguardo severo.
-All'Acropoli domani celebreranno i tuoi funerali- rispose secco Emon, guardandola fissa e cercando di trattenere quella tristezza rabbiosa che brillava dai suoi occhi.
Un brivido le corse lungo la schiena. Hank le mise una mano sulla spalla.
-Che è successo?-
-C'è stata una riunione ieri sera- disse Emon -Dell'Ordine Edelweiss con Kreon. Snakes è riuscito a persuadere tutti della tua morte, adducendo a quelle stupide prove che abbiamo fornito qualche giorno fa e al fatto che non ti abbiano trovata da nessuna parte-
Un colpo veloce, secco. Snakes l'aveva spazzata via dall'Acropoli, uccidendola a colpi di retorica e seppellendola sotto le sue possibili lacrime da coccodrillo.
-Nessuno .. Nessuno ha provato ad opporsi?-
-Io ed Emon ci abbiamo provato, ma non abbiamo saputo dire di cercare meglio alle Periferie-
Antigone notò il luccichio di gratitudine negli occhi di Hank, dritto verso Ismene.
-Ma anche se avessimo detto delle Periferie, il guaio sarebbe stato comunque inevitabile ..- Ismene sottolineò con una tale pesantezza quell'aggettivo che lo stesso inquietante, freddo brivido riprese a camminarle dalla nuca ai piedi, condensandosi poi in un nodo alla gola -Devi venire con noi. Così convincerai tutti della verità e le Periferie saranno salve-
-Vi ho sentiti- entrò Jeanne, con le braccia conserte e l'espressione dura, ma con lo sguardo profondamente preoccupato -Che pericolo dovremmo correre?-
-Già, cosa succede?-
Emon sospirò, deglutì e prese fiato.
-Domani, durante il rito, le Periferie verranno attaccate e verranno alcune truppe di terra. Intendono vendicarsi, vi ritengono colpevoli della presunta morte di Antigone-
Jeanne sgranò gli occhi e portò una mano alla fronte.
-E come attaccheranno di preciso?-
-Squadre d'assalto e missili sulle case, almeno è quello che hanno detto. Conoscendoli, potrebbero servirsi anche delle bombe con cui vi hanno colpito la volta scorsa-
Si sentì mancare. Jeanne le mise una mano attorno ai fianchi, la strinse a sè e la lasciò andare.
-No ..Non è possibile- furono le uniche parole che Antigone si sentì capace di dire, dirette in un grave sussurro che pesava sulle sue labbra come un macigno -Vigliacchi, prendersela con chi è in netto svantaggio dopo quello che hanno fatto! Non ne hanno le prove!-
Emon le prese una mano e la strinse nella sua, guardandola con gli occhi gonfi di un pianto rabbioso.
-La loro prova più schiacciante è la tua assenza. Rubra Sphinx sa che tu sei dalla loro parte, ma devi tornare. Per la salvezza tua e di queste persone- tirò con foga col naso, si passò una mano sugli occhi-Ti prego. Puoi tornare a casa, dire di essere viva, raccontare tutto ciò che sai e punire Snakes come si deve. Ma devi tornare-
Emon la strinse al suo petto, stretta come non aveva mai fatto. Ne aspirò l'odore acre e gradevole, quell'odore di muschio e dopobarba che non avrebbe mai dimenticato nemmeno sotto il fragore dei proiettili e la polvere, il sudore e il sangue di quella guerra imminente. Non avrebbe mai saputo dimenticare l'odore di mentina delle sue labbra sottili, quell'odore che prima la disgustava tanto e poi aveva imparato ad amare con i baci dati e ricevuti da lui.
-Come siete venuti qui?-
-Prima dimmi che tornerai-
I suoi occhi cangianti, luminosi di lacrime brillavano come stelle. Ismene le si avvicinò e la abbracciò da dietro.
-Non mi resta più nessuno a questo mondo, Goonie. Se perdo anche te io non ho più dove andare-
I giardini reali illuminati dal sole di maggio, Ismene con le guance arrossate delle bambine di dieci anni che piangono per una bambola con la testa rotta, i pugni stretti in quella rabbia infantile, che le urla di sparire e di non farsi vedere, brutta assassina di bambole che non era altro.
Una vecchia fabbrica polverosa, prossima alla distruzione, Ismene vestita interamente di nero, con le guance arrossate di una giovane donna di diciannove anni e mezzo tendenti ai venti che piangono per una sorella uscita male, le braccia strette attorno alle spalle di quella sorellina imprudente mentre la implora di tornare a casa per non morire, per non lasciarla più sola.
Ma aveva già fatto una promessa, si era ritrovata ad avere una famiglia più vasta di quanto avesse avuto prima e previsto, una famiglia che non comprendeva più solo l'unica sorella rimasta o quello che un giorno l'avrebbe accompagnata all'altare o in un lercio e vecchio motel per giocare a nascondino come un tempo, come quando non si sopportavano l'un l'altro, ma anche degli orfani, mutilati, ex prostitute scampate all'inferno e al loro inferno, scampati a delle bombe gigantesche sulle loro case di cartapesta. E nessuno era più importante dell'altro, nesuno inferiore.
-Evacueremo ogni abitazione, ci trasferiremo nei bunker, li faremo andare via. Ma io devo restare-
Il silenzio che calò su tutti assorbì anche i loro respiri.
Ismene ed Emon si staccarono da lei con espressione mestamente contrariata.
-E lasciarti morire? Darla vinta all'Ordine Edelweiss? - esclamò Ismene -Penseremo a rivelare tutta la verità! Porteremo qualcuno di questi ribelli in senato e Snakes verrà incarcerato come si deve! Ma devi tornare, Antigone, tornare!-
-Penseranno che mi abbiano fatto il lavaggio del cervello, magari con qualche strana tortura. Sono capaci di immaginare qualsiasi cosa, Ismene, e farla risultare veritiera all'intera Acropoli. E bombarderebbero comunque le Periferie, perchè loro vogliono solo far del male a gente innocente, che io ci sia di mezzo o no-
Emon rimase in silenzio, Ismene abbassò lo sguardo.
-Ho fatto una promessa. E giuro, giuro su ogni capello che mi ritrovo sulla testa che reagiremo all'attacco che l'Acropoli sta preparando alle Periferie. Nessuno morirà, o non mi chiamo Antigone-
Ci fu un lungo momento di silenzio. Ismene ed Emon le rivolsero l'ennesimo sguardo bagnato di lacrime, contrariato e rassegnato, senza più parlare.
-Compagni di Rubra Sphinx!- urlò Jeanne al centro della stanza, portando le mani a coppa alla bocca -Raduno straordinario d'emergenza! E' attesa la partecipazione di tutti i compagni e delle compagne!-
Antigone prese per mano Emon e Jeanne, allontanandoli dal centro della stanza.
-Cosa succede?- chiese timida Ismene.
-Riunione straordinaria. Comunicheremo a tutti il vostro importantissimo avvertimento-
In pochi minuti, chi calandosi dalle funi, chi arrivando da altre stanze, l'ambiente si riempì di ogni membro del commando, bambini annoiati compresi. Jeanne e Iphigenia si allontanarono dal centro, presero per mano Emon e Ismene e li posero in mezzo ai presenti.
-Compagni e compagne, che ci crediate o no- sbraitò Jeanne -Questi ragazzi che vedete qui, Emon e la principessa Ismene, hanno importantissime e bruttissime notizie da darci, avvenimenti a cui dobbiamo immediatamente mostrarci pronti-
Antigone si sedette a gambe incrociate e osservò la singolare scena che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi. Jeanne teneva il polso di Ismene con una presa forte e dolce insieme, lanciandole continui sguardi e voltandosi verso di lei. Pareva quasi tremare, ondeggiare sulle magre gambe strette nei lerci cargo color cachi, e le sembrò fosse sul punto di cadere tutta intenta com'era ad ascoltare la voce di Ismene che aveva fatto sobbalzare e urlare spaventati i compagni radunati davanti a lei.
Emon si era alzato e si era diretto verso di lei, finendo per sedersi al suo fianco.
-Non ti sembra strano lo sguardo di quella tipa?-
-Jeanne?-
-La tizia accanto ad Ismene. La guarda come se non avesse mai visto una ragazza in vita sua!-
-Magari è solo stupita del fatto che Ismene sia capace di fare un discorso del genere ..-
-Dai, ammettilo. Jeanne le sta guardando il culo come facevo io prima che ci mettessimo insieme ..-
Fece per dare un'occhiata quando Ismene si spostò, cedendo il proprio posto a Jeanne.
-Sei stata grande- disse Jeanne sorridendo ad Ismene con una risata sincera, vera, del tutto diversa dal sorrisetto sarcastico con cui si era rivolta a lei per la prima volta -Ora ci penso io a tranquillizzarli-
Poi si voltò, schiarì la voce e prese la parola -Compagni e compagne, dobbiamo iniziare a prepararci per domani.. -
Ismene veniva nella loro direzione con uno strano sorriso sul viso e il viso arrossato.
-Strano ricevere i complimenti da una .. ragazza così-
Si accovacciò sulle ginocchia, passò un dito sul pavimento e osservò attentamente il suo polpastrello.
-Non date mai una spazzata qui?-
-Rispondi alla mia domanda piuttosto, come accidenti siamo capitati qui?-
Ismene finì col sedersi accanto a lei, sbuffando.
-Ci siamo nascosti in un aerocarro con gli addetti all'istallazione del teleschermo. Secondo i piani dell'Ordine Edelweiss, o meglio di Snakes e di Achilleus, questa gente assisterà al doppio spettacolo del funerale della principessa dispersa e al proprio. Preparatevi ad un possibile attacco da terra, accerchieranno gli spettatori con pistola alla mano. Ah, può darsi che alla fine dell'istallazione del teleschermo possano mettersi ad annunciare la tua morte, quindi vi consiglio di avvertire quanto prima la gente delle Periferie-
Annuì.
-Cercate di tornare quanto prima all'aerocarro. Non voglio che scoprano voi o me-
-Tanto domani .. Arriverai a domani, Antigone?-
-Sarà una bella sorpresa per loro vedermi di colpo resuscitare e improvvisamente passata al lato opposto, non pensi?-
 
Gli aeroveivoli si erano appena sollevati da terra quando Amphiaraus e Iphigenia avevano iniziato ad avvertire i residenti del prossimo bombardamento e dell'evacuazione. Dopo mezz'ora furono mandati anche Jeanne ed Hank con il pick up e dall'alto della stanza d'avvistamento Iphigenia e Antigone riuscirono a vedere le prime colonne di famiglie evacuate, lente e curve sotto i grossi bagagli che si portavano addosso adulti e bambini, lo scalpitio veloce e rumoroso dei più piccoli e dei più ignari che arrivava alle loro orecchie e fino alla torretta di controllo in quel luogo che pareva essere piombato improvvisamente nel silenzio, in un silenzio mortale da cimitero animato dal correre ingenuo e senza pensieri di bambini non ancora abituati alla morte o così tanto abituati da averla dimenticata, trascurata e posta in un cantuccio lontana dalla loro vista come un giocattolo con cui avevano giocato troppe volte.
-Orest è già al lavoro?- chiese Antigone ad Iphigenia guardando fuori, dritto davanti a loro.
-Sì. Alcuni lo aiuteranno. Stasera mangeremo tutti al piano di sotto, all'entrata, a terra-
-Avete anche sistemato la zona notte?-
-Durante la cena vieni con me ed altri a sistemare il bunker del piano di sotto. Noi dormiremo su, se non ti spiace, dobbiamo essere pronti a saltare giù dalle brande e ad andare a sparare ad un po' di feccia in divisa-
Restò per qualche secondo in silenzio con lo sguardo perso verso quei corpi bassi e smagriti degli edifici delle Periferie, illuminati dalla luce rosata del tramonto che li faceva apparire viola come lividi. Qualche finestrella si accendeva per qualche secondo per poi spegnersi in un palazzo, poi la stessa scena si ripeteva in un altro, qualche tapparella saliva e un'altra scendeva per poi scambiarsi il ruolo, fitto frullar delle ruote di quelle macchine sgangherate da ruggine e polvere unito alle urla dei genitori e agli schiamazzi dei bambini che pensavano fosse tutto un grande, misterioso gioco. Pochi minuti, massimo un'oretta e sarebbero stati tutti rintanati nel bunker, stretti come sardine e tremanti di paura col fischio delle bombe e i passi pesanti dei soldati sulle loro teste, ritmati come i battiti del loro cuore sobbalzante nei loro petti, colmo del timore di non vedersi più palpitare.
Un'idea si accese come una miccia dentro la sua testa, desiderosa di percorrere la miccia della sua gola e di raggiungere la sua bocca per esplodere in parole ingenue, insensate, stupide.
-Mi è venuta un'idea per domani, Iphigenia-
Iphigenia si voltò verso di lei con viva curiosità, sorridendole.
-Dimmi tutto. Vedremo se e di poterla attuare-
Li colpiremo. Li uccideremo.
Fu sull'orlo di a tacere, ma la miccia era già accesa, già fiammante e divorata dalla fiamma.
-Domani entreremo nelle case evacuate a gruppi di quattro. Ci metteremo vicino alle finestre e colpiremo le truppe di guerra-
L'aveva detto in un soffio, quasi fossero le sue ultime parole prima di morire. Un soffio lungo e pesante, pesante per ogni lettera, sillaba e parola pronunciata, pesante come piombo, pesante come corpi che cadono nel loro sangue e nella sporca polvere sotto i loro piedi.
Gli occhi di Iphigenia si erano illuminati di una vivida e gioiosa luce di soddisfazione e sorpresa.
-Oh- disse -Spiegati meglio-
Ma sorrideva. L'aveva capita al volo.
-Noi prenderemo le armi e usciremo all'alba. Qualcuno resterà a prendersi cura degli sfollati, noi usciremo sotto le bombe a combattere contro le truppe di guerra-
-Uhm ..Se ammettiamo l'utilizzo dei missili sicuramente mostreranno una certa prudenza verso le squadre di assalto. Le squadre li tirano via per fucilarli e i missili distruggono le case di quei disgraziati. Ma il bunker è ad un livello sufficiente per non morire sotto le macerie, nonostante il tremendo terremoto che avvertiranno tutti-
-Prima di andare a letto avverti tutti dei rischi che correremo domani. Scegli chi vorrai portare, mi fido di te. E' già tanto che abbia detto questo-
-Non hai paura di ucciderli?-
I suoi concittadini. Coloro che lo erano stati.
Suoi ex concittadini che avrebbero sfilato per le strade polverose di quella terra di mezzo di vetro e cemento per abbattere quegli edifici cadenti, pieni di cente cadente e sconquassata dal dolore che li segnava alla nascita, per uccidere i presunti colpevoli di un omicidio che non era mai stato compiuto, risuonanti dei pesanti passi a ritmo con l'inno nazionale che avrebbe risuonato dalle casse del teleschermo per accompagnare all'altro mondo la sventurata principessa rapita e massacrata quando la sventurata principessa si era suicidata, rinata a nuova vita da ceneri che si era scrollata di dosso per rinascere pezzente, ladra, criminale e sovversiva.
Avrebbe tenuto in mano un fucile di qualsiasi foggia, si sarebbe nascosta dietro una parete e avrebbe puntato alle ginocchia dei soldati. Forse avrebbe mirato al petto, forse alla testa, e tutti sarebbero ugualmente caduti, chi vivo e chi morto, doloranti e rabbiosamente sorpresi sotto quella raffica di proiettili che li avrebbe raggiunti in quell'inferno di oblio, polvere e case sventrate.
Perchè anche le Periferie si sarebbero vendicate.
Perchè Polinice non era morto invano, perchè Antigone non si era suicidata invano.
-Non più. Hanno iniziato la guerra e noi li assecondiamo-
Iphigenia restò per qualche lungo e silenzioso secondo a guardarla fissa negli occhi. Le sue iridi nere e ardenti come fuochi splendevano di lacrime di triste gioia e le sue braccia fredde e magre si mossero in avanti, pronte a cingerle le spalle.
-Vieni qui, cosetta in nero- le sussurrò all'orecchio singhiozzando -Con te non perderemo. Ne sono certa-
-Non vi deluderò. Non uccideranno Polinice una seconda volta e non vi cancelleranno dalla faccia della terra-
-Dillo meglio, Antigone. Non ci cancelleranno-
 
La branda era più rigida e fredda che mai.
Stava ferma ad osservare il soffitto nel più totale silenzio, cercando di trattenere il respiro mentre intorno a lei tutti sembravano dormire e ronfare tranquilli, come se l'indomani fosse una giornata normale di una strana, irreale tregua che Thebe Alta aveva loro concesso dopo il Tumulto delle Polveri e che si era improvvisamente decisa a revocare.
I capelli di Iphigenia erano un curioso e largo cespuglio di ricci neri.
La schiena nuda e pallida di Jeanne un fantasma di pelle e ossa su un corpo magro disteso su un fianco, e la sua voce stridula e il suo sguardo confuso le erano ancora rimasti impressi nella mente. Le sembrava ancora di sentire la sua voce che cercava di orientare gli adulti spaventati e i bambini piangenti, con le secche e pallide dita che li contavano man mano e ogni testa contata che faceva crescere l'angoscia. Dieci, cento, centoventi e aveva già visto i suoi occhi giallastri andare in tilt, colmi di paura.
Non li avrebbero saputi accogliere e curare tutti.
Non sarebbero riusciti a farli sopravvivere e a far rivedere loro la luce, prima oscurata dagli aerei a bassa quota come da larghe e inquietanti lune di acciaio verniciato di bianco.
-Da questa parte gli adulti, da questa i bambini! Andromaca, Ecuba, occupatevi di loro! Partenopeo, Atalanta, accedete la stufa e preparate l'ambiente per gli adulti! Gentilissimi residenti, staremo come sardine finchè l'attacco non sarà terminato!-
Cercò di deglutire un pesante nodo alla gola che invece trasformò in lacrime calde e pesanti, piccoli fiumiciattoli che le rigarono le guance e caddero sul cuscino quasi rumoreggiando dei pianti dei bambini spaventati e confusi e dei sospiri pesanti dei loro genitori.
-Non ci entreranno tutti! Dannazione, dobbiamo riuscirci!-
Alla guerra vera non mancavano che poche ore, che le poche e lente ore che uniscono la notte al giorno tramite l'alba, un'alba che aveva smesso gli abiti rosa per indossare abiti grigiastri di polvere e neri di sangue rappreso, l'alba di quella guerra che lampeggiava negli occhi spiritati di Jeanne e di Iphigenia mentre cercavano di accogliere gli sfollati e di non permettere che loro vedessero ciò che avevano visto, o che almeno non lo vedessero di nuovo.
Alla guerra vera non mancavano che poche ore, così come all'uccisione di quelli che magari una volta l'avevano guardata al teleschermo e avevano sognato guardando lo scintillio dei suoi pesanti gioielli ormai lontani, dei suoi abiti di tulle e seta brillanti di mille e più luccichii infuocati e dorati, dorati come la lambda che ondeggiava sulla bandiera, di quelli che l'indomani avrebbero incrociato i suoi occhi per l'ultima volta, non più circondati di kajal di polvere d'oro ma di occhiaie di una notte insonne, vestita non degli abiti di Arakne Magoon ma degli stracci di una traditrice, con il piombo e non l'oro tra le braccia.
Fissava quel soffitto cadente e gonfio di umidità, forato di buchi neri pieni di ragnatele e polvere. Gli stessi buchi che avrebbero segnato il petto e la testa degli uomini in uniforme che sarebbero caduti, morti o feriti che fossero, neri di polvere o rossi di sangue sulla bella corazza da battaglia bianca come la neve e lucida come un cristallo.
Una principessa suicida e la sua pistola in mano. Morta per rinascere e per far rinascere.
Si girò su un fianco e cercò di chiudere gli occhi, sospirando.
Jeanne tossicchiò, Andromaca starnutì.

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Capitolo 40
*** 39 ***


39
 


La vecchia centrale era deserta come se la guerra l'avesse già svuotata.
S'erano lasciati alle spalle il caos del bunker affidato a McKeane, Andromaca ed Ecuba, con i bambini ancora addormentati sulle ginocchia degli adulti stretti l'uno accanto all'altro, con l'odore acre della polvere mischiato a quello del sudore e dell'aria sporca degli ambienti stantii.
-Quanti ce ne sono là dentro?- chiese a Jeanne.
Le lanciò uno sguardo tristemente spiritato.
-Pochi. Pochissimi. Non quanti ne volevamo salvare-
-Gli altri dove sono?-
-Abbiamo detto loro di provare a trovare rifugio nelle montagne. Lì fanno esercitazioni, ma queste sono sicuramente meno pericolose dei razzi che verranno lanciati oggi-
Il silenzio tombale dei corridoi rimbombava dei loro passi lenti e pesanti, quasi trascinassero i loro corpi senza alcuna voglia di scendere a patti con il nemico. L'orologio di Jeanne segnava le cinque e mezza ma Antigone sapeva di essersi svegliata almeno due ore prima, il tempo necessario di riempirsi la pancia per bene e per preparare l'equipaggiamento necessario per sopravvivere alla furia e per uccidere uomini.
Iphigenia, Amphiaraus ed Hank li attendevano all'ingresso con un piccolo stuolo di compagni in procinto di armarsi, tra cui Partenopeios che pregava Amphiaraus di includerlo, quasi piangendo e buttandosi ai suoi piedi.
-Chi si prenderà cura di tua madre, Partenopaios? E' invalida per ora e tu sei troppo giovane per buttarti in mezzo a quella mischia. Cosa ne pensa lei?-
-Io andrò al posto suo a combattere. Lei ne sarebbe fiera, Amphiaraus, dico davvero!-
Amphiaraus mise una sigaretta tra le labbra e accese un fiammifero sulla parete.
-Non mi assumo alcuna responsabilità- disse accendendo la sigaretta e aspirando il primo tiro -Iphigenia, hai sentito questo ragazzino?-
Iphigenia gli lanciò un sorriso.
-L'ho sentito e penso che questa esperienza possa fargli le ossa. Coraggio, basta chiacchierare e che ognuno prenda il proprio equipaggiamento e segua il proprio caposquadra. Antigone, Ippomedon e Partenopaios verranno con me, ecco il mio gruppo. Come vedete, ecco i vostri zaini- disse Iphigenia lanciando lo sguardo verso una serie di zaini verde militare dall'aria pesante e di piccoli fucili d'assalto con tracolla -e le vostre armi. Gli zaini contengono un piccolo kit di primo soccorso, una borraccia, una corda, due bombe a mano ciascuno e delle munizioni per quei fucili che vedete accanto. Si chiamano FN F2000 e sono abbastanza comodi, come vedete hanno una tracolla-
Ognuno caricò sulle proprie spalle uno zaino e prese un fucile.
-Molto bene- riprese -La mia idea è questa: appena arrivati nelle nostre postazioni, verso le quali ci muoveremo a piedi e prima che il sole sorga più velocemente possibile, terremo gli zaini vicini a noi e ci nasconderemo dietro le finestre. Appena gli stronzi faranno la loro apparizione, noi li trivelleremo dall'alto. Qualora i razzi dovessero colpire gli edifici e sventrarli, utilizzate le corde per calarvi giù e affrontarli faccia a faccia. Non spaventatevi ad utilizzare le bombe a mano, mi raccomando. Mors tua, vita mea e viceversa. Siamo in guerra e i nemici si uccidono. Tutto chiaro fin qua?-
Lanciarono un unanime cenno d'assenso.
-Molto bene. Dobbiamo muoverci velocemente, a breve sarà l'alba e inizieremo a ballare-
Iniziarono a muoversi, lasciando dietro le proprie spalle l'ingresso della vecchia centrale e il secco prato, quindi il cancello che Amphiaraus ebbe cura di chiudere. Davanti ai loro occhi le Periferie sonnecchiavano ancora, strette nella dolciastra morsa di un sonno ignaro di ciò che sarebbe accaduto nel giro di poche ore, con i goffi e squadrati palazzi vuoti che iniziavano ad illuminarsi alla luce dell'alba che iniziava ad avanzare.
-Dobbiamo sbrigarci, è quasi l'alba e conoscendo le abitudini dell'Acropoli le celebrazioni solenni iniziano sempre a quest'ora. Antigone, confermi?-
Annuì.
-Come volevasi dimostrare. Jeanne, Hank e Amphiaraus raccogliete i vostri gruppi e distribuitevi come vi sembra lungo gli edifici del corso principale, soprattutto in quelli più alti. Sfondate le porte se necessario e tenete d'occhio i vostri cercapersone. Bene, possiamo iniziare ad organizzare le danze di questa festa-
Il gruppo si smembrò in piccole unità che man mano si allontanarono verso alcuni edifici, ne sfondarono la porta e sparirono dietro l'uscio. Rimase il loro piccolo gruppo con fucile tra le braccia davanti ad un piccolo ostello di tre piani, un edificio biancastro dai muri sporchi e dalle finestre annerite.
-Andrà bene questo, per noi- disse Iphigenia guardandolo con aria soddisfatta -Iniziamo a salire. Stiamo tutti insieme all'ultimo piano, okay? Non separiamoci per nessun motivo, non possiamo permetterci morti già al primo incontro-
Si voltarono verso la piccola porta di legno verniciato e Iphigenia ne esaminò attentamente la serratura osservandola e strattonandola.
-Fate un passo indietro, sto per sfondarla-
Iphigenia, in equilibrio sulla protesi, slanciò l'altra gamba verso la porta e la aprì con un colpo rumoroso e secco. Poi si rimise dritta, lanciò un'occhiata all'interno e fece loro cenno d'entrare. Procedettero lungo un piccolo e stretto corridoio in penombra e sbucarono in una striminzita e quadrata hall, con delle piccole sedie di vimini e un bancone di legno con ancora il registro lasciato aperto. La luce dell'alba iniziava a spargersi dolcemente sulla polvere del bancone e su un tappeto di nappe verdi logore e sporche.
-Di qua!- sussurrò di colpo Iphigenia dopo aver sbirciato dietro il bancone ed essersi avvicinata ad un piccolo arco -Ci sono le scale. Dritti verso il terzo piano!-
In fila indiana e a lenti passi iniziarono a salire le scale lungo un altro stretto corridoio totalmente al buio, con gli occhi bassi verso i gradini. Approdarono al primo pianerottolo, un piccolo ambiente rettangolare con due porte lasciate socchiuse che lasciavano intravedere due piccole stanzette ancora sfatte, nelle quali Iphigenia e Partenopaios diedero un'occhiata. La stessa situazione si ripetè anche al secondo piano, dove il carrello di una donna delle pulizie occupava ancora quell'ambiente sciatto e ricoperto di tappeti di nappe consunte, e così anche al terzo, un pianerottolo dal tetto basso e dalle plafoniere impolverate che mandavano una luce biancastra in contrasto con quella che filtrava da due finestrelle in fondo al corridoio.
-La stanza che dà sulla strada è quella di sinistra. Andate indietro di nuovo-
Iphigenia mollò un calcio alla sciatta porticina di compensato e questa scattò di colpo, quasi staccandosi dalla cornice.Iphigenia entrò per prima, diede un'occhiata e fece loro cenno d'entrare. La stanzetta era una piccola matrimoniale sciatta e polverosa, con un forte odore di naftalina nell'aria e il povero letto dalle lenzuola consunte ancora sfatto. Chi alloggiava era probabilmente scappato immediatamente e nessuno era intervenuto a pulire, come si vedeva dal disordine in cui versava anche il piccolo bagno puzzolente di fogna e sudore. Quella che forse avrebbe dovuto essere la stanza migliore dell'ostello aveva una larga finestra coperta da una spessa tenda di velluto rosa, sporca e bucherellata a tratti, che dai fori lasciava entrare deboli fasci di luce mentre manteneva la stanza completamente al buio.
-Bingo, con una tenda del genere sarà impossibile farci scoprire e i buchi ci permetteranno di vedere-
Iphigenia aveva appena finito di parlare che l'inno di Thebe s'era alzato nell'aria, furioso come un rombo, talmente forte da far tremare le pareti dell'ostello. Antigone deglutì e Iphigenia se ne accorse, lanciandole uno sguardo preoccupato. Thebe intonava il luttuoso canto che accompagnava il suo funerale in vita.
-Non pensarci, cosetta- le sussurrò Iphigenia -Fra poco si balla e non devi essere giù fin da adesso, okay?-
-Silenzio- le parve di sentire una voce conosciuta, grottesca, la voce che personificava e aumentava la sua rabbia: Snakes iniziava a parlare -Sentite? Snakes sta già iniziando a parlare! Evidentemente non tarderanno ad attaccare!-
Si avvicinò alla finestra e appoggiò l'orecchio al vetro, cercando di carpire più informazioni possibili tra quelle che le casse del teleschermo, teatro di cristalli luminoso e vivido di colori  senza i poveri spettatori previsti, quegli spettatori che avrebbero dovuto assistere al mesto e sontuoso spettacolo dei funerali della loro principessa e a quello delle loro case, della loro vita, di loro stessi.
-Cittadini di Thebe!- gracchiò la voce di Snakes da lontano -Un'alba luttuosa, un giorno terribile illumina i grattacieli dell'Acropoli!-
-Avvicinatevi alla finestra, Snakes sta iniziando a parlare!-
Iphigenia si accovacciò accanto a lei, imitata da Partenopaios e da Ippomedon.
-Vedete questo feretro vuoto, coperto da seta nera, regale e triste allo stesso tempo? Sono sicuro di sì. E questo è l'ultimo omaggio che noi umili sudditi possiamo offrire alla stella che illuminava il firmamento della nostra bellissima e gloriosa città, stella che ormai brilla da lontano senza che ci sia data la possibilità di osservarla da vicino per l'ultima volta. La nostra principessa, Antigone Spartes Labdakou, ci è stata strappata di colpo, con l'inganno e con la violenza, e ci è stato impedito persino di sentire il suo ultimo urlo di terrore prima di spirare. Perchè sì, amatissimi e inconsolabili sudditi di Kreon, la nostra principessa ha ormai lasciato questo mondo in modo indegno di lei, strappata alle braccia della sua famiglia e della sua città. Eppure, nonostante i suoi assassini abbiano tentato e tentino ancora ora di cancellare la sua memoria, ella vive ancora e il suo segno nei nostri cuori è indelebile, incancellabile, eterno.
Ed è qui, davanti a questa bara di marmo con la bella foto del suo viso splendente, che noi ribadiamo compatti e uniti, da vera nazione, la nostra vicinanza e la nostra solidarietà alla nostra famiglia reale già minata da diversi lutti ma che rialza puntualmente la testa ad ogni colpo, forte di se stessa e del suo appoggio-
Le casse lasciarono seguire un lungo e scrosciante applauso, applauso che uno strano e inquietante rombo iniziata a coprire. Lanciò un'occhiata ad Iphigenia e questa strinse a sè il fucile.
-Manca poco-
-Esattamente-
La voce di Snakes riprendeva a gracchiare dal teleschermo, accompagnata da un rombo che si faceva sempre più forte, sempre più vicino, quasi stesse accompagnando la sua crescente e finta indignazione.
-Ma noi, cittadini e sudditi sovrani sotto l'ala della famiglia reale, non lasceremo impunito questo oltraggio, questo massacro, nemmeno questa volta. Gli assassini pagheranno già da adesso, già da questo funerale senza corpo, senza quel corpo che nella loro meschinità non ci hanno nemmeno restituito. E se loro non restituiscono il corpo, non restituiremo tutta la rabbia e tutta la tristezza che ci hanno lasciato in cambio della nostra amata principessa scomparsa, i cui occhietti vivaci continueranno a guardarci dall'alto, nuove stelle del firmamento. E ora, cittadini amatissimi- il rombo s'era fatto più intenso e più vicino, un violento rombo di motore sopra le loro teste -Lasciamo parlare il silenzio. Il silenzio delle nostre preghiere e del nostro cordoglio-
Il primo cannone fece tremare l'aria, accompagnato da un sibilo inquietante che le fece gelare il sangue.
-Ippomedon, Partenopaios, tenetevi pronti!- urlò Iphigenia -Li vedo, si stanno calando col paracadute proprio sotto di noi!-
Con una mano strinse il fucile e con l'altra scostò leggermente la tenda. Soldati in uniforme bianca e corazzata, gli stessi che si erano presentati qualche tempo prima con Achilleus, avanzavano ordinati e compatti sulla strada con grosse mitragliatrici candide e luminose, lanciando occhiate circospette e stranite alla loro destra e alla loro sinistra.
-Sono evidentemente stupiti- mormorò Iphigenia -Hanno trovato la città deserta al contrario delle loro aspettative-
Ippomedon impugnò il fucile e fu sul punto di premere il grilletto, ma Iphigenia lo fermò in tempo.
-Niente passi falsi. Ora come ora i palazzi sono vuoti-
Il suo cercapersone squillò e Antigone ficcò una mano nella tasca dei cargo.
-Codice 0002, Iphigenia. Chi è?-
-E' Amphiaraus. Rispondigli-
Premette il pulsante verde e avvicinò le labbra al microfono.
-Qui è Amphiaraus- mormorò la voce dall'altro capo -I soldati sono appena arrivati e Jeanne ed Hank abbiamo deciso di non attaccare per primi. Voi come siete messi?-
-Abbiamo avuto la stessa idea, Iphigenia e gli altri stanno bene. Aspettiamo il primo passo-
-Facciamo così. Appena aprono il fuoco noi rispondiamo-
Un sibilo fendette lento l'aria per poi tradursi in un tonfo sordo e inquietante. Iphigenia allungò l'orecchio alla finestra e poi sbirciò da un foro sulla tenda.
-I bastardi hanno aperto le danze. Hanno colpito la parte est, ho visto già due edifici affondare come castelli di sabbia-
-Ho visto, accidenti- mormorò Amphiaraus -Sarà meglio chiuderla qui. Dobbiamo tenerci pronti. Passo e chiudo-
Il cercapersone cessò di parlare e Antigone lo ripose in tasca.
-Stiamo molto attenti- disse secca Iphigenia -Occhi fissi sulla strada e state saldi con le gambe-
Il comandante del plotone, il più alto e grosso degli altri nella stessa uniforme corazzata, bloccava con un gesto della mano e con un sonoro alt la sua squadra d'assalto. Si schiarì con tanta foga la voce da essere sentito persino dalla loro posizione, quindi si mise ben dritto e saldo sulle gambe e iniziò a sbraitare.
-Dove cazzo quei bastardi?- urlò il comandante -E' un cazzo di deserto fetente questo posto!-
-Propongo di dividerci e andarli a stanare, signore!- urlò una voce tra i soldati -Evidentemente c'è una talpa all'Acropoli che avrà detto a tutti dell'attacco, signore-
-Luridi figli di puttana! Dividetevi a gruppi e cercate in questi palazzi, non potranno essere lontani. Figuriamoci se 'ste bestie possiedono dei bunker quando a stento sanno trovarsi un po' d'acqua potabile per dissetarsi-
Il comandante lanciò una risata grassa e crudele, quindi impugnò alta la propria arma e mirò ad un punto a caso.
Proprio verso di loro.
-Vediamo un po' di farci sentire da questi ratti di fogna ..-
Iphigenia la trascinò verso di sè e spinse Ippomedon e Partenopaios dall'altra parte.
-Lo stronzo sta sparando in questa direzione, appoggiatevi al muro e tenetevi pronti a rispondere-
L'aria rimbombò dell'ennesima esplosione e un grosso colpo volò verso di loro, fendendo violentemente il vetro della finestra e infiammando il tappeto che Ippomedon corse velocemente a spegnere a pedate.
-Signorine care- urlò di nuovo -Divertitevi pure. A stanarli ci penseranno i nostri razzi-
Si disposero a spina di pesce in diverse direzioni verso ogni palazzo del corso centrale, le loro bianche mitraglie puntate verso gli edifici, quindi aprirono il fuoco.
-Si balla, signori miei- mormorò Iphigenia ridacchiando -Facciamo vedere loro cosa possiamo fare-
Antigone si inginocchiò davanti alla finestra con il fucile puntato verso la strada. Guardò dai fori quelli che un tempo erano state le sue possibili guardie del corpo, gli stessi che proteggevano zio Kreon e che un tempo avevano protetto anche mamma e papà. Prima premurosi e docili ai suoi comandi, ora feroci verso persone colpevoli di un omicidio che non avevano mai compiuto e ai comandi dell'egoismo di quell'uomo che l'aveva dichiarata morta senza corpo e senza prove.
Forse ne avrebbe uccisi alcuni, forse li avrebbe feriti gravemente. Non l'aveva ancora previsto nè ne sarebbe stata capace.
Iphigenia deglutì e il suo urlo fece tremare le pareti più dei proiettili e più dei razzi che continuavano a sventrare gli altri edifici.
-Fuoco!-
Spara, Antigone. Spara.
Una pioggia di proiettili fendette nuovamente l'aria, riversandosi sui soldati ignari e sorpresi di sentire quei colpi provenire da tutte le parti. I palazzi controllati da Amphiaraus, Jeanne ed Hank aprirono il fuoco allo stesso momento, riversando la loro furiosa pioggia di piombo sulla strada, in un incessante fragore di proiettili e di urla provenienti da sotto i loro piedi.
-Fottuti schifosi!- urlò il comandante -Ci sono dei cecchini, cazzo! All'Acropoli abbiamo una talpa! Reagite, cazzo, reagite, fateli diventare dei cazzo di scolapasta!-
Antigone mirò al comandante e premette il grilletto puntando verso le sue ginocchia. Il colpo andò a segno in un fragore di urla e di bestemmie da parte del ferito che continuava a dibattersi e ad impugnare la propria mitraglia. Cercò di distendersi incurante del ginocchio sanguinante e mirò verso la finestra, centrandola anche questa volta. Con un movimento rapido scansarono la pioggia di pezzi di vetro che rischiò di ricoprirli ma una scheggia trapassò la sua camicia e si ficcò nella sua spalla, facendola gemere di dolore.
-Antigone!- sussurrò Iphigenia -Sta' ferma, te la tolgo e te la medico. Ippomedon, fate fuori quel figlio di puttana-
Con il sottofondo degli spari e del sibilo dei razzi sopra le loro teste, Antigone si sedette sul letto della stanzetta e Iphigenia aprì uno degli zaini.
-Mantieni la calma. Una sciocchezza, davvero, fidati di me. Siamo solo all'inizio, no?-
Iphigenia si rimboccò le maniche, coprì le mani con dei guanti di lattice contenuti nel kit di primo soccorso e con una pinzetta strinse la scheggia.
-Bella grossa, meno male. Meglio la spalla che il viso, più o meno. Ringraziando il cielo non si è infilata in un posto rischioso-
La scheggia scivolò lentamente, bruciandole la carne. Strinse con foga i denti e si morse le labbra, stringendo un lembo del lenzuolo per sopportare il dolore.
-Bravissima, Antigone. Stai resistendo alla grande, ci siamo- la scheggia insanguinata, stretta ancora dalla morsa della pinza, venne lanciata sul pavimento -Togliti la camicia, ti medico la ferita. Quando ritorneremo alla base ci penserà McKeane a medicartela-
-Porca puttana!- urlò Ippomedon -Hanno colpito le vecchie centrali e si stanno dirigendo verso di là-
Iphigenia strinse un pezzo di bambagia tra le dita e la bagnò con dell'alcool.
-Colpiteli alle spalle, tanto non siete soli. Copritevi a vicenda, sto arrivando-
L'alcool deterse e bruciò la sua ferita. Iphigenia la pulì per bene e gettò la bambagia a terra, poi prese un grosso cerotto e lo poggiò sul taglio, fasciandolo poi con della garza.
-Rimettiti la camicia, coraggio. Vendicati del figlio di puttana-
-Evvai!- esclamò di colpo Partenopaios -Colpo grosso! Iphigenia, Antigone, ho colpito alle gambe il comandante e molti altri sono caduti! Stanno dando la ritirata, stanno facendo dei segni verso l'alto-
Iphigenia ridacchiò e diede il cinque a Partenopaios.
-Bravissimo, appena ritorneremo alla base lo racconteremo ad Amphiaraus! Gli prenderà un colpo!-
-Confermo- esclamò Ippomedon -Stanno dando la ritirata. Si stanno calando alcuni soccorritori e i bombardieri si stanno allontanando-
-Come sono messe le Periferie?-
-La zona est è malconcia parecchio e le vecchie centrali sono ammaccate sulla parte centrale e sulle ciminiere-
Iphigenia sospirò e si avvicinò alla finestra. Da un foro riuscirono a vedere i veivoli che planavano basso a raccogliere i feriti per poi rialzarsi, proiettando un'ombra affusolata e cupa sull'asfalto sporco di sangue.
-Confermo, è una ritirata. Non sento nemmeno più i sibili dei razzi ..-
Iphigenia smise appena di parlare quando un forte e inquientante sibilo fendette l'aria sulle loro teste. Il sibilo si protrasse per un lungo minuto, generato da un pesante razzo biancastro che videro volare verso le vecchie centrali fino a colpirle in pieno, seguito da un altro razzo che bastò a far crollare la facciata centrale.
Un brivido le corse lungo la schiena e Iphigenia lanciò un'occhiata colma d'ira verso i veivoli.
-Per oggi siamo tutti pari. Noi li abbiamo costretti a far ritirata e loro ci hanno distrutto la base. Figli di puttana acropolina versus figli di puttana feccia ribelle, uno ad uno. Aspettiamo che se ne vadano, poi usciremo allo scoperto. Sempre all'erta, compagni. La guerra è appena iniziata-

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Capitolo 41
*** 40 ***


40
 
 

I primi a precipitarsi fuori dagli edifici furono i rispettivi leader delle quattro strade. Ognuno comandava il gruppo ponendosi in prima linea davanti a loro e con l'arma puntata verso la strada. L'asfalto era bagnato di sangue ancora fresco, talvolta con le sagome dei corpi dei feriti, ma di questi o di altri mezzi il campo era totalmente sgombero. Solo a terra, lontani qualche metro dal luogo della sparatoria, giacevano alcuni fucili ed elmetti dei soldati appena fuggiti.
Iphigenia, ritta sui piedi, tendeva l'occhio e l'orecchio alla propria destra e alla propria sinistra, a caccia di ogni possibile movimento e bisbiglio. Poi lanciò uno sgardo di conferma a Jeanne, che la rimandò indietro alla mittente, e quindi ad Hank e Amphiaraus.
-Il campo è libero-
-Sì, sono scappati- sbottò Amphiaraus voltandosi verso la propria destra -Guardate lì che accidenti di macello-
Antigone aguzzò la vista. Da lontano, le vecchie centrali avevano perso una delle ciminiere e la loro facciata era stata completamente squarciata.
-Maledizione- sibilò Jeanne tirando un sasso ai propri piedi -Non ci voleva proprio-
-Avranno sentito un bel terremoto laggiù- mormorò Hank sospirando -Propongo di avvertire McKeane e gli altri, ci penso io. Copritemi le spalle-
Hank tirò fuori dalla tasca dei cargo il cercapersone e compose il codice sulla tastiera. L'apparecchiò lanciò un fischio, grugnì e l'interferenza si tradusse nella voce di McKeane.
-Qui è compagno McKeane in difficoltà. Come state, Hank?-
-Noi siamo tutti vivi, nessun ferito. Sono scappati e, prima di andarsene, hanno colpito le vecchie centrali. Come state?-
-Già. C'è stato un gran terremoto e abbiamo subito temuto il peggio. Non ci sono feriti, solo gente spaventata, ma vi avverto che è andata via la luce e non c'è più acqua-
-Accidenti McKeane, avete delle luci d'emergenza?-
-Sì, ma siamo praticamente bloccati qui sotto e voi non potete nemmeno raggiungerci. C'è qualcuno capace di andare a dare un'occhiata alla centralina?-
-Sì McKeane, arriviamo subito. Ci sono io e ..-
-.. E Jeanne. Vengo io con te a riparare la centralina, dillo a McKeane-
-.. E Jeanne, sì. Stiamo arrivando McKeane, cercate di stare tranquilli. Passo e chiudo-
Il cercapersone non trasmesse più la voce di McKeane ed Hank lo ripose nella propria tasca.
-Alla base sono nella merda- sbottò-Vediamo cosa possiamo trovare per strada .. Anzi, no. Io e Jeanne andiamo a riparare di corsa la centralina, i nostri gruppi possono seguire voi dato che a quanto pare i soldati se ne sono andati via. Raccogliete quello che potete dalle case e anche dalla strada, vedete se hanno lasciato qui armi, munizioni o zaini e portate tutto alla base. A fra poco-
Jeanne ed Hank si allontanarono a corsa, saltando le macerie e dirigendosi verso la centrale.
-Propongo di ritornare agli edifici prima di procedere verso la base- disse, attirando l'attenzione di Iphigenia e di Amphiaraus -Sicuramente troveremo del cibo, dei panni puliti e dei contenitori per raccogliere l'acqua, dato che questa zona non è stata colpita-
-Antigone ha ragione- disse Amphiaraus -Ritorniamo dentro, sempre stando attenti. Ritorneremo carichi di roba se siamo fortunati, la fatica che seguirà è il piccolo prezzo che dobbiamo pagare per vivere decentemente alla base-
Il gruppo si smembrò in due unità più larghe, comprendenti ciascuna quattro nuovi membri delle squadre di Hank e Jeanne. Guidati da Iphigenia ritornarono sui propri passi, occupando la piccola e stretta hall quasi a fatica.
-Controllate le stanze e i ripostigli, se ci sono. Come ha detto Antigone, controllate se ci sono taniche o altri contenitori puliti per tenere l'acqua da portare al commando. Per chi era nei gruppi di Hank e di Jeanne, questa scala che vedete davanti a voi-disse indicando dietro di sè -Porta alle stanze. Sono tre piani, sfondate le porte e prendete ciò che vi sembra più utile. Buona ricerca e buona fortuna a tutti-
In fila indiana e in silenzio salirono la stretta rampa di scale fino al primo piano, finendo poi per separarsi al pianerottolo da chi aveva deciso di cercare agli altri piani. Iphigenia sfondò una porta con un calcio, lasciando entrare il suo piccolo gruppo in una stanzetta singola altrettanto disordinata.
-Antigone e Ippomedon, prendete ciò che vi sembra più utile da questa stanza e mettetelo nel vostro zaino. Io e Partenopaios cerchiamo in bagno e poi usciamo in corridoio a vedere se c'è qualche ripostiglio-
Vide sparire Iphigenia e Partenopaios dietro la piccola porta di compensato del bagno, quindi diede un'occhiata intorno a sè. La stanzetta era disadorna e spoglia, con un lettino al centro ricoperto da un sottile plaid marrone che lo faceva sembrare più una delle brande del dormitorio che il letto di un piccolo albergo, un armadio di legno consunto socchiuso e un tappeto di nappe grigiastre.
-Io prendo il lenzuolo e il plaid- disse ad Ippomedon- Tu controlla nell'armadio-
Ippomedon annuì e si rivolse verso l'armadio. Antigone tolse via il plaid, lo piegò e lo arrotolò, quindi lo infilò nello zaino. Ripetè la stessa operazione con il lenzuolo, poi decise di prendere anche il sottile e impolverato cuscino che aveva inizialmente ignorato.
-Ho trovato questo- disse improvvisamente Ippomedon tenendo un secchio di metallo tra le mani -E questa pezza qui-
-Lucidalo un po' con quella pezza. Almeno abbiamo un contenitore pulito che potrà servirci in seguito-
-Trovato nulla, ragazzi?- Iphigenia sbucò dall'uscio accompagnata da Partenopaios -Noi abbiamo finalmente una tanica e l'abbiamo riempita, per fortuna qui abbiamo acqua corrente. Abbiamo trovato anche qualche sapone, ho tutto nello zaino-
-Io ho preso il plaid, il lenzuolo e il cuscino di questo letto. Partenopaios ha trovato un secchio-
-Bene ragazzi, d'altronde questa stanza è piccolina. Noi usciamo a controllare le altre stanze, aspettateci qui-
Iphigenia e Partenopaios uscirono dalla stanza, dirigendosi verso la stanza di fronte alla loro. Ennesimo calcio, ennesima porta sfondata ed ennesima intrusione di cui sentiva, da lontano, il rumore scrosciante e sibilante del loro frugare, delle loro esclamazioni e dei loro passi.
-Bingo!- urlò Partenopaios in lontananza -Due taniche di plastica!-
-Dici che basteranno per il bunker?- chiese Ippomedon -Chissà lo stato di quella povera gente, la sua paura ..-
-Iphigenia dice che siamo soltanto all'inizio. Chissà cosa diranno all'Acropoli, poi-
-Cosa ti aspetti, conoscendo la .. loro mentalità?-
-Servizi al telegiornale, alla radio e nei quotidiani incentrati sul vittimismo dell'Acropoli. A quanto pare, i civili non sanno dell'attacco alle Periferie o non sanno sicuramente tutta la verità. Quelli dell'Ordine  Delta sono delle volpi vestiti da agnellini-
-Antigone, Ippomedon!- urlò la voce di Iphigenia dall'altra stanza -Potreste darci una mano a portare queste taniche? Sono belle pesanti per  fortuna!-
Si alzarono dalla branda, attraversarono il corridoio e raggiunsero Iphigenia e Partenopaios. Sorridevano soddisfatti, con le braccia sudate e tese nell'atto di sollevare le taniche.
-Accidenti!- esclamò -Quanto avete preso circa?-
-Molto bene, vero? Sono sessanta litri in questa grande e in quella piccina sono dieci-
-Pensate che basteranno?-
-Ce le faremo bastare- sorrise Partenopaios sollevando la tanica più piccola -Questo è già un punto di riferimento. Qualora dovesse servire altra acqua, la andremo a prendere qui-
-Hei laggiù!- una voce rimbombò giù dalla tromba delle scale -Avete trovato qualcosa?-
Iphigenia si allontanò verso la porta e fece capolino dall'uscio.
-Acqua, abbiamo riempito due taniche! Voi?-
-Noi abbiamo trovato un kit di primo soccorso- rispose una voce maschile -E una tanica di trenta litri, poi abbiamo preso le coperte!-
-Ottimo, basta acqua per oggi. Controllate se c'è qualche ripostiglio con del cibo, li tranquillizzeremo meglio-
 
Un grosso squarcio si spalancava al centro della centrale come una grande bocca urlante e coronata da denti rozzi e cadenti. Iphigenia rivolse alla base uno sguardo tristemente rabbioso e tirò pesantemente col naso.
-Dannazione- disse in un sospiro -Ci hanno distrutto casa-
Iphigenia iniziò a muoversi a passi lenti verso ciò che restava dell'ingresso. Camminava a passi incerti e traballanti, poco agevolati dalla tanica che teneva con una mano e una grossa busta piena di viveri in scatola e gallette, quel poco trovato nella dispensa del piccolo albergo.
Antigone aguzzò lo sguardo davanti a sè. Se l'entrata era stata sventrata ormai del tutto, grossi pezzi di parete erano crollati lasciando intravedere talvolta il dormitorio, talvolta la mensa. Da lontano, il corridoio che permetteva l'accesso all'ascensore era uno squarcio più piccolo e oscuro, ancora fumante.
-Antigone, Iphigenia! Siamo qui!- la voce di Jeanne li richiamò da lontano -Ben arrivati, visto che casino?-
Jeanne si faceva avanti tra le macerie con uno strano gilet di jeans dalle tasche piene di fili di rame e cacciavite. Aveva uno sguardo spento e stanco che non tuttavia non perdeva la propria coraggiosa luminosità.
-Io ed Hank abbiamo riparato la centralina, ma iniziano a scarseggiare viveri e acqua. In generale però sono tutti molto più tranquilli, Hank è riuscito a sistemare la radio per bene e ci terremo un minimo aggiornati su cosa potrebbero inventare di nuovo all'Acropoli. Vedo che siete ritornati con un bel bottino!-
-Sì- rispose Antigone -Abbiamo cercato di prendere quanto possibile. C'è abbastanza acqua per cuocere il cibo, per pulire e dissetare gli sfollati?-
-Cosa avete preso?-
-Gallette, cibo liofilizzato e alcune buste di latte-
Jeanne annuì e fischiò alle sue spalle.
-Hank! Vieni ad aiutare gli altri, hanno portato un sacco di roba!-
Un'ombra grigiastra balzò tra la polvere. Hank avanzava tossicchiando, con indosso lo stesso gilet di Jeanne, il volto stanco ma lievemente sollevato.
-Ottimo lavoro, compagni. Vi sconsiglio di utilizzare l'ascensore, dovremmo dare sicuramente qualche altra occhiata. L'importante è che ci sia abbastanza elettricità per azionare l'impianto idraulico, il filtro per l'aria ed evitare di scontrarci tra di loro. Abbiamo trovato dei fornelli da campeggio, per qualche giorno staremo benone-
Seguirono Hank attraverso un grosso squarcio cupo, con l'aria ancora di polvere. Il fascio di luce della torcia di Hank illuminò di colpo il buio grigiastro dello squarcio e le particelle di polvere che si poggiavano sulle loro spalle e le loro teste, facendoli tossire. Poi Hank si fermò di colpo e indicò una piccola voragine ai loro piedi, abbastanza larga per accogliere ciascuno di loro, con una scaletta di legno che l'attraversava. Dalla piccola voragine penetrava una voce giallastra e voci confuse, sommesse e spaventate provenivano dal di sotto.
-Non durerà molto, state tranquilli. Sarà l'alternativa all'ascensore per circa due giorni, se non di meno-
Il primo a calarsi fu Hank. Si appoggiò con cautela alla scala e iniziò a scendere piano, guardando sotto i propri piedi con attenzione.
-C'è poca strada da fare. Arriverete proprio dentro al bunker-
Scesero uno alla volta dopo aver accuratamente lanciato a Hank i loro bagagli, subito accolti da un rumoroso applauso.
-Ottimo lavoro!- sorrise Hank facendo capolino -Fatevi vedere e adorare!-
Scese per seconda, attenta a poggiare con cautela le piante dei piedi su ogni piolo. Ogni passo lungo quella scala era uno strano crescere di frenesia che le prendeva ogni lembo della pelle, ogni pelo sul suo corpo e ogni capello sulla testa. Aveva fretta di scendere da quella scala e vedere i visi degli sfollati ancora spaventati, incerti ma più sollevati, più felici, pieni giusto un po' di quella speranza che avrebbero rinnovato tutti insieme, fatto crescere giorno per giorno nonostante le bombe e i proiettili, nonostante Snakes che avrebbe potuto decidere un giorno o l'altro della loro vita o della loro morte. E la felicità la percorse come un brivido facendola sobbalzare, facendola tremare e cadere da quei pochi centimetri, fino ad atterrare sulle grosse braccia di Hank dalla risata grassa.
-Atterraggio morbido, principessa?- ridacchiò forte poggiandola delicatamente a terra, facendo partire un vigoroso applauso da parte degli ospiti, seguito da quello di Iphigenia e degli altri atterrati con più grazia.Amphiaraus, Andromaca ed Ecuba aiutarono Iphigenia e Ippomedon a sistemare le vivande e le taniche. Hank l'afferrò per le spalle e la strinse a sè, trasmettendole la sua risata contagiosa e grassa, l'unico, allegro terremoto che avrebbe dovuto far tremare il bunker.
Poi si alzò una mano, poi una seconda, una terza, una quinta e si aggiunsero le altre, ferme all'altezza dell'orecchio in quella posa che già conosceva, il gesto della sfinge dalle ali spalancate che tornava al suo nido e ancora sarebbe tornata, e ancora avrebbe solcato il cielo di Thebe, malattia nascosta che avrebbe annientato una malattia nascosta, frusciante delle sue piume fatte dalle mani di chi cantava Papaveri e Baionette ancora una volta.
Antigone si unì al coro abbracciando Cassandra e Astyanax che le venivano incontro. Lanciò uno sguardo confuso all'assemblea di visi stanchi e felici che l'attorniavano, ricambiando con la stessa intensità i loro sguardi. Li avrebbe salvati, sì. Avrebbe concluso ciò che Polinice aveva solo iniziato, avrebbe scagliato la bomba dalla miccia che suo fratello aveva già acceso, e lei sarebbe stata solo la piccola mano guidata dalle loro braccia nell'abbattere la roccaforte di Thebe, la roccaforte di ipocrisie e di bugie dell'Ordine Delta.
La Sfinge Rossa avrebbe brillato di tutti loro.
 
 
-Terribfrrrle. Tremendo. Abbiamo loro concesso di guardare il funerale di sua Altfrrr Refffrale- piagnucolava Achilleus alla radio -Non hanno nemmeno avuto il coraggio di assistere al suo ultfrrrmo saluto, al saluto che tutta Thebe ha rivolto alla principessa che loro hanno ucciso-
Voce di Thebe aveva intervistato per pochi minuti Snakes, poi era passato ad Achilleus. Se il primo aveva riferito con minuziosità di dettagli il suo primo incarico da Gran Consigliere, Achilleus faceva un melenso resoconto del funerale e delle celebrazioni rituali.
-Su chi ha ucciso sua maestà- frignò generando l'ilarità generale -Pende, come è ovvio, la condanna a morte! Io e Morrison Snakes, proprio oggi, lo abbiamo promesso alla nostra principessa: prenderemo il vigliacco e lo renderemo quasi ansioso di morire!-
McKeane sbattè il pugno sulla parete e poi passò la mano sui suoi occhi.
-Dannazione cosetta! Certo che eravate due amiconi!-
Sbuffò e gli mollò un leggero pugno sulla spalle.
-Abbiamo provato a intervistare la famiglia reale- squittì l'intervistatrice -Ma ci hanno chiuso le porte in faccia. I domfrrrestici ci hanno detto che nessuno ha intenzione di parlare apertamfrrrnte a Voce di Thebe, nemmeno sua altezza Ismene e l'arciduca Emon. Conferma questa notizia, Comandante?-
-Assfrrrmente sì. La parola che meglio può sintetizzfrrrare i loro sentimenti è dolore. Grandissimo dolore. Lo stesso che stiamo provando io, Snakes e tutto l'Ordine Delta-
-Siete sorpresi della reazionfrrre delle Periferie?-cinguettò di nuovo la donnina, e qualcuno lanciò un bicchiere di plastica verso la radio, facendo alzare di scatto e urlare Amphiaraus.
-Dannazione, di radio ne abbiamo una sola!-
-No, francamente- Achilleus ridacchiò -E quindi siamo sempre più convinti del fatto che sia morta lì, e ogni giorno le mie preghiere vanno alla sua anima e alla sua famiglia. Come tutta Thebe sa, oggi ci siamo fatti in quattro per permettere ai cittadini delle Periferie di assistere ai suoi funerali senza costringerli a spostarsi, permettendo loro anche di risparmiare qualche centesimo per il biglietto dell'aerobus, ma i nostri sforzi sono stati vani. Domani provvederemo a far smontare il teleschermo, le casse e procederemo con le indagini-
Achilleus sottolineò con foga l'ultima parola della sua frase, facendola suonare come la minaccia che evidentemente sperava di pronunciare. Dalle sue spalle si alzò un nervoso mugolio di rabbia.
-Cosa intendfrrte con indagini, Comandante?-
-Manderemo alcune squadre a controllare e a indagare. Setacceremo ogni angolo delle Periferie per trovare almeno il suo corpo. Sappiamo che la nazione è con noi, così come è la sua anima-
Iphigenia le lanciò uno sguardo che capì al volo.
-Amphiaraus, spegni la radio. Tanto abbiamo capito tutti l'antifona dello stronzo, no?-
Amphiaraus si alzò in silenzio, tirò giù la secca antenna della radio e spense l'interruttore.
-Domani sarà un'altra giornata come questa, identica. Quindi, signori e signore, preparatevi psicologicamente e cercate di dormire perchè all'alba saremo già tutti svegli. Io e Partenopaios andremo a fare una visita  ai rifugiati delle montagne e portare un po' di roba che troveremo in mezzo alla strada, quindi non aspettateci in piedi. Partenopaios, tu hai detto di saper pilotare un aerobus giusto?-
-Sì, Iphigenia-
-Benissimo. Prepara lo zaino, stasera dirotteremo un aerobus. Ci inventeremo qualcosa- disse Iphigenia facendogli un occhiolino che lo convinse di colpo -Per il resto, Jeanne e Antigone, io conto su di voi per l'organizzazione della giornata di domani-
-La tattica di oggi è stata gradiosa- disse Jeanne -Ma domani avremo bisogno di molte più persone. Chissà se riusciremo ad avere la fortuna di rubare un mezzo!-
-Torniamo con i piedi per terra. Domani, cari compagni, aspettiamoci un attacco con i fiocchi. Le parole di Achilleus non mi sono piaciute. Cauteliamoci sempre un po' di più, qualora appunto la fortuna decida di sorriderci ancora come ha fatto oggi. Per domani- continuava Iphigenia preparando un grosso zaino e mettendoselo sulle spalle -Contate anche me e Partenopaios nella squadra. L'aiuto di tutti è ben accetto, compagni e compagne di Rubra Sphinx. Abbiamo ancora giorni peggiori davanti a noi-

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Capitolo 42
*** 41 ***


41
 


Iphigenia e Partenopaios sfrecciavano con eleganza e sfrontatezza sospesi a mezz'aria con l'aerobus, con le braccia secche tese al cielo per salutarlo. Sotto era una pioggia di fiamme e di esplosioni, con i corpi dei soldati dell'esercito regolare che urlavano e si dissolvevano improvvisamente come polvere nerastra, creando un tappeto di fuliggine su cui passava l'aerobus a tutta velocità, con gli abbaglianti che lampeggiavano e illuminavano il cielo delle Periferie, per poi poggiarsi sui suoi occhi.
-Buongiorno raggio di sole- sussurrò Iphigenia sbadigliando, puntandole la torcia sul viso -Scusa per il cattivo buongiorno. Ho dormito poco anch'io-
Si svegliò piano dal suo sogno stiracchiando braccia e schiena, sfiorando con un pugno il capo di Andromaca che dormiva accanto a lei.
-Che ora è?-
-Sono le quattro del mattino. A breve sveglieremo anche gli altri. Chi avete scelto ieri sera per la spedizione, quindi? Puoi farmi un resoconto?-
Si mise a sedere sulla branda e incrociò le gambe, lasciando che Iphigenia si avvicinasse. Il suo viso color ebano si illuminò di un sorriso stanco.
-Lo so, sei appena sveglia. Ti preparo un caffè, nel frattempo racconta pure-
Cercò di fare mente locale nella turba foschia del suo dormiveglia, osservando le caviglie di pelle nera e metallo di Iphigenia che si muovevano davanti a un piccolo tavolino di plastica azzurrina su cui troneggiava una piccola macchina per il caffè.
-Io. E naturalmente Jeanne. Poi ci seguiranno Hank, Tideus, Capaneus, Amphiaraus, tu e Partenopaios. Abbiamo deciso di includere anche Ippomedon e una piccola squadra guidata da lui-
-Uh. Per il resto? Immagino che McKeane, Ecuba e Andromaca si occuperanno degli ospiti-
-Esattamente. Ma alla prossima battuta abbiamo promesso ad Andromaca di seguirci insieme ad Astyanax, possibilmente in caso di un attacco in città-
La macchinetta lanciò uno squittio che fece mugolare Andromaca nel sonno. Iphigenia premette un piccolo interruttore e prese il bicchierino colmo di caffè.
-Ecco qui. Ormai io sono abituata alle mattinate, tu devi lavorarci ancora un po'-
Prese il bicchierino tra le mani e ci soffiò su, deglutendo a piccoli sorsi quella liquida poltiglia nerastra che ricordava appena il caffè, ma che bastò a svegliarla.
-Hai già preparato lo zaino, cosetta?- le chiese Iphigenia voltandosi di spalle verso un appendiabiti.
-Non ancora. Mi aiuti?-
-Certamente, ti faccio vedere cosa ho messo nel mio-
Prese dall'appendiabiti un grosso zaino verde militare e lo buttò davanti ai suoi occhi, indicandole con un gesto del viso di guardare dentro. Antigone lo afferrò per l'apertura e cacciò gli occhi dentro, intravedendo una grossa borraccia di pelle, un kit di pronto soccorso, alcune bombe a mano, munizioni, una grossa bottiglia d'acqua e un coltellino svizzero.
-Ovviamente non è ancora pronto. Mancano delle armi d'assalto vere e proprio, e qualche bomba a mano da attaccare alla cintura. Non si sa mai, meglio essere degli straccioni preparati. L'importante è ritornare tutti interi alla base, anche perchè non siamo ancora sicuri se ci attaccheranno davvero o meno-
-Posso inserire la stessa roba nel mio-
-Esattamente, sì. La cosa che importa è proteggersi un minimo, come ti ho detto. Quando ci vestiremo, metteremo anche dei giubbotti antiproiettili per evitare brutte sorprese-
 
 
Un giubbotto antiproiettili grigiastro copriva una camicia verde militare larga di circa due taglie più larghe che indossava su dei morbidi leggings di cotone nero, stretti sui fianchi da una cintura di nera pelle consunta che teneva strette a sè una beretta e una bomba a mano; un paio di stivali di cuoio si accompagnavano al marrone sporco dello zaino che le era stato poggiato sulle spalle, mentre un elmetto mimetico troneggiava sulla sua testa dopo che i suoi capelli erano stati raccolti in uno stretto chignon: l'abbigliamento dei volontari era stato per tutti lo stesso, con piccole variante che dipesero da persona a persona, con Jeanne che preferì degli stivali più bassi e Amphiaraus che decise di andare senza elmetto.
Iphigenia, vestita dello stesso abbigliamento della squadra, camminava avanti e indietro davanti a loro stringendo tra le braccia il suo Magdul PDR, fissandoli con attenzione e squadrandoli da capo a piedi. Molti ospiti del bunker si erano già svegliati e guardavano con triste meraviglia il loro piccolo drappello di soldati improvvisati, quasi li vedesse splendere in quel semplice, improvvisato equipaggiamento militare per l'ultima volta prima di vederli morire sui colpi dell'esercito regolare.
-Compagni e compagne di Rubra Sphinx- disse solenne circondata dal silenzio generale -Anche oggi, e presumibilmente per i giorni a venire, avremo continuamente ospiti evidentemente. Le intenzioni di Achilleus alla radio non sono chiare, ma ambigue sia per noi delle Periferie che per quelli dell'Acropoli: se noi siamo continuati minacciati dalla morte che si ritrova ad avere la loro faccia di merda, all'Acropoli non fanno altro che sentire le baggianate di propaganda dell'Ordine Delta. Sicuramente, come vi ho accennato, oggi avremo compagnia ma non sappiamo ancora se i signorotti di Achilleus ci porteranno cioccolatini e pasticcini da bravi ospiti acropolini o daranno la caccia alla nostra gente ancora questa. Come ha detto quel damerino pel di carota, oggi inizeranno l'indagine per trovare i resti della loro amata principessa, ergo non è escluso che ce li ritroveremo armati fino al buco del culo davanti alla nostra base. Di conseguenza, il consiglio che vi do è quello di non uscire per nessun motivo dal bunker e attendere nostre notizie col cercapersone, vi risponderemo appena potremo. Ci sono domande, osservazioni?-
L'assemblea rispose col silenzio.
-Benissimo, pregate per noi. Amphiaraus, pensi che con questa roba ci potremo fare strada nella voragine?-
-Sta' tranquilla. L'ascensore è perfettamente funzionante. Sono le sei e mezza, è ora di mettersi in marcia.
Si fecero strada tra la folla a passi lenti, in fila indiana, lasciandosi alle spalle le note di Papaveri e Baionette che le loro voci ancora assonnate erano capaci di mugolare. L'ascensore si aprì al tocco di Amphiaraus sul pulsante del livello 0, cigolando lentamente e accogliendo i primi cinque che riuscirono a varcare la sua soglia metallica, per ritornare poi giù dal suo breve viaggio e accoglierla insieme ad Iphigenia e a cosa restava di quel drappello.
-Oggi sarà una giornata strana. Non sappiamo davvero cosa succederà, nè possiamo immaginarlo-
-Almeno saremoarmati fino ai denti- rispose. Iphigenia le sfiorò la spalla e le sorrise.
Si sentì crescere un'adrenalina fremente e brulicante lungo tutta la schiena, un brivido freddo e vibrante che arrivò fino alle radici dei suoi capelli. Poi si morse le labbra, cercando di trattenersi dall'iniziare a sparare per la forte rabbia che man mano si avanzava su ogni lembo di pelle che possedeva, convincendosi di non avere ancora davanti i soldati di Achilleus e di Snakes che avevano deciso di dichiararla morta senza troppi giri di parole, che avevano deciso di utilizzare la sua presunta morte per far soffrire l'Acropoli e per far del male alle Periferie, massacrarle, annientarle.
L'ascensore arrivò al piano terra con un tonfo e un raggio di sole filtrò attraverso le macerie e la lastra trasparente dell'ascensore, illuminando i loro fucili di una luce dorata e stranamente tiepida, sana, dello stesso sole nascente che si vedeva all'Acropoli. Uscirono piano dalla cabina, unendosi al gruppo che già li attendeva.
-Compagni- proferì Jeanne -Come sappiamo, Achilleus è stato abbastanza ambiguo alla radio e dobbiamo aspettarci di tutto: dall'ennesimo bombardamento a una retata, a un semplice discorso da pulpito come quelli di Snakes. La mia idea è quella di muoverci tutti insieme, soprattutto in questa situazione di incertezza, e controllare tutti insieme le possibili zone a rischio. Sembra una sciocchezza, ma è per evitare di perdere o di ritrovare qualcuno ferito dopo tanto tempo. Se non ci sono obiezioni, riprendiamo la marcia con estrema cautela e teniamo gli occhi ben aperti-
Imbracciarono le armi e iniziarono a muoversi in fila indiana, a passi veloci e pesanti che fecero tremare prima la ghiaia e i detriti dell'area di ingresso, quindi il selciato e l'erba secca del cortile. Le loro ombre alla luce dell'alba si allungavano piano, i rami sottili delle loro gambe sormontate dalle tonde e robuste calotte dei loro elmetti.
 I passi rimbombavano in un silenzio irreale e spettrale, il silenzio di una città a metà tra la vita e la morte rischiarato e squarciato solo da tristi cinguettii lontani e dal ronzare dei moscerini. Il suo sguardo si posò su ogni elemento che la circondava, dolcemente e a rapidi tratti, cercando di cogliere ciò che attorniava lei e la schiera grigia e verdastra dei suoi compagni altrettanto silenzio, altrettanto guardinghi, dritti con gli stivali ai piedi e il fucile tra le braccia.
-Antigone- chiamò Iphigenia.
-Dimmi pure-
-Se tu fossi Achilleus, o Snakes, o il gradasso dell'altro giorno, per che ora programmeresti un attacco?-
Un rombo sordo le impedii di rispondere e li costrinse a puntare e a sgranare gli occhi davanti a loro. Un grosso e massiccio veivolo, possente ed elegante nelle sue pallide forme arcuate e con i finestrini neri come un paio di occhi terribili, era atterrato coprendo con la sua grossa stazza l'area che comprendeva la piazzola d'atterraggio degli aerobus e gran parte della piazza del mercato.
-Nascondetevi subito!- urlò Iphigenia indicando un piccolo rudere -Di qui non potranno sicuramente vederci! Sbrigatevi!-
Corsero rapidamente lungo la direzione da lei indicata, sfondando una piccola porta di legno e catapultandosi nel piccolo e cupo ambiente di ingresso di una casupola sfollata. Jeanne e Amphiaraus si appostarono alle finestre e si voltarono verso di loro.
-É un veivolo da trasporto- disse secco Amphiaraus -Considerata la stazza, trasporterà carri armati-
-Dannazione- mugolò Tideus abbassando lo sguardo.
-Calmi tutti. Siamo armati, anche se siamo pochi, e certamente non possiamo passare la giornata rinchiusi in questa stanzetta-
Iphigenia intimò il silenzio con un sibilo e avvicinò l'orecchio alla finestra, reagendo con una smorfia di rabbiosa ansia.
-Riconoscerei questo rumore del cazzo tra tutti. Carri armati, carri armati accompagnati da soldati. E stanno venendo verso di noi-
-Che cosa facciamo?- chiese preoccupato Partenopaios -Dannazione, siamo in trappola-
-No- disse risoluta Iphigenia-Non ancora. C'è bisogno di un'esca-
Si voltarono tutti verso di lei sgranando gli occhi.
-Esattamente. Un'esca che possibilmente non si faccia ammazzare e che apra le danze gettando qualche bomba a mano-
I suoi occhi guizzanti si poggiarono su di lei. Iphigenia le sorrise seraficamente, lei trasalì.
-E io e Amphiarau verremo con te, Antigone. Non abbandoneremo la nostra principessa suicida, se vuole intraprendere questa missione-
Le rivolse uno sguardo confuso che Iphigenia accolse con l'ennesimo sorriso, senza delusione nè nervosismo, come se si aspettasse già quella reazione.
-Il mio piano, compagni, è questo: io, Antigone e Amphiaraus faremo un po' di casino verso i soldati con qualche bomba a mano per distrarli e confonderli. Voi cercate di stare all'erta, preferibilmente fuori da questa capannetta e approfittare del polverone per mettervi a sparare. Dunque, ci divideremo in squadre come l'altra volta e giocheremo a guardie e ladri senza che loro ci vedano. E ora non accetto domande, state tutti pronti-
Iphigenia e Amphiaraus appesero dalla tracolla il suo fucile alle spalle, afferrando due grosse bombe a mano e invitandola a imitarli con lo sguardo. Antigone ripetè meccanicamente i loro gesti, cercando di frenare le mani e le gambe che tremavano di nuovo all'idea di colpire chi l'aveva voluta morta, chi l'aveva uccisa col pensiero per causare dolore e morte dietro i propri passi.
Una voce ben nota urlò un fragoroso attenti. Achilleus era sul campo così come aveva promesso.
-Antigone, cosa succede se uccidiamo il fidanzato di tua sorella?- chiese Amphiaraus ridacchiando, e Jeanne sollevò improvvisamente gli occhi.
-Succede che dobbiamo sbrigarci- disse Iphigenia seccata- Tutti e due fuori con me, adesso-
Strinsero con foga una bomba a mano ciascuno, tirarono contemporaneamente la leva di sicurezza col pollice e afferrarono l'anello della spoletta.
-Presto!- urlò Iphigenia slanciandosi dall'uscio -O la bomba farà fuori prima tutti noi che quei bastardi-
Si allinearono tutti e tre lungo uno stresso asse, guardarono davanti a sè e tesero il braccio.
-Fuoco-sibilò Amphiaraus.
La sua mano la strinse con foga per l'ultima volta, dunque concentrò tutte le proprie forze nel braccio e lanciò. Il corpo nerastro e tozzo della bomba a mano fendette l'aria per una lunga distanza, poi cadde sul terreno e sfrecciò sulla ghiaia, a pochissimi metri da Achilleus.
-Tua sorella diventerà vedova oggi- ridacchiò Amphiaraus -Se Achilleus rimane illeso, o è un semidio o uno zombie-
Si rannicchiarono dietro un piccolo muro e osservarono le tre bombe sibilare, dunque esplodere rumorosamente, sollevando tra sprazzi di scintille aranciate grosse nuvole di polvere.
-Bingo!- urlò Iphigenia -Compagni, uscite immediatamente fuori e caricate la dose! Più polvere c'è, meglio è!-
Eseguirono il lancio di una seconda bomba, dunque cedettero il posto a Jeanne e a Partenopaios e afferrarono i fucili.
-Afferrate i vostri fucili e tenetevi pronti! Alla loro risposta inizieremo ad attaccare. State attenti ai colpi di carro armato!-
Da lontano giunsero il tossicchiare furioso dei soldati, il rimbombare dei confusi colpi dei carri armati e le urla di rabbia di Achilleus che generarono l'ilarità generale. La polvere iniziò a dissolversi e si alzarono di colpo sui piedi, chi schierandosi dietro il piccolo muro e chi dentro il piccolo rudere.
-Fuoco! Non aspettateli più!- urlò Jeanne, dando avvio alla pioggia di proiettili che iniziò a fendere l'aria ancora impolverata.
-Non fermatevi per nessun motivo!- urlò Tideus-Davanti a voi, intravedete i soldati?-
Le corazze bianche dei soldati si confondevano ancora tra la polvere, illuminate dai proiettili che le colpivano e di quelli che vomitavano dai loro grossi fucili. Il carro armato puntò la canna in alto, mirando di nuovo verso le centrali e poi procedendo sulla strada.
-Dannazione!- urlò Jeanne -Di nuovo le centrali! Avete visto?-
-Abbiamo visto eccome!- urlò Amphiaraus -Ormai il dormitorio è fottuto!-
Un urlo straziante li fece voltare di colpo, costringendoli a smettere di sparare e facendo urlare di gioia un soldato lontano.
-Iphigenia!- mugolò Amphiaraus gettando il fucile ai suoi piedi e sorreggendo il corpo tremante e sanguinante di Iphigenia -Dove ti hanno colpito?-
Iphigenia mostrò una ferita fresca e pulsante al braccio, grondante di sangue e sporca di polvere.
-Lasciami stare, è una cazzata-
-Assolutamente no, devo medicarti- sussurrò Amphiaraus -Jeanne! C'è un ferito!-
Jeanne si gettò in mezzo alla tempesta di proiettili e si mosse verso di loro a passi veloci, per poi accasciarsi a terra urlante e mettersi a strisciare.
-Dannazione!- urlò -E ad essere feriti siamo in due!-
Antigone gettò il fucile a terra e corse verso Jeanne.
-No!- urlò Iphigenia con la voce contratta dal dolore -Non andare!-
-Sta' ferma lì! Riuscirò a muovermi da sola! Non muoverti da lì!-
Era come se qualcosa le avesse tappato le orecchie e iniziato a muovere braccia e gambe autonomamente, con gli occhi fissi a Jeanne ferita in mezzo alla polvere, con le spalle verso Iphigenia urlante con la ferita sporca e sanguinante.
Ferite, sporche e sanguinanti come Polinice. Quel Polinice che in quell'esatto istante, dovunque si fosse andato a cacciare o in qualsiasi inferno fosse andato a capitare, le metteva un'idea pericolosa e terribile in testa.
-Vedete questo feretro vuoto, coperto da seta nera, regale e triste allo stesso tempo? Sono sicuro di sì. E questo è l'ultimo omaggio che noi umili sudditi possiamo offrire alla stella che illuminava il firmamento della nostra bellissima e gloriosa città, stella che ormai brilla da lontano senza che ci sia data la possibilità di osservarla da vicino per l'ultima volta. La nostra principessa, Antigone Spartes Labdakou, ci è stata strappata di colpo, con l'inganno e con la violenza, e ci è stato impedito persino di sentire il suo ultimo urlo di terrore prima di spirare. Perchè sì, amatissimi e inconsolabili sudditi di Kreon, la nostra principessa ha ormai lasciato questo mondo in modo indegno di lei, strappata alle braccia della sua famiglia e della sua città. Eppure, nonostante i suoi assassini abbiano tentato e tentino ancora ora di cancellare la sua memoria, ella vive ancora e il suo segno nei nostri cuori è indelebile, incancellabile, eterno... -
L'immagine di Snakes sul pulpito si mischiò all'ombra del viso di Polinice, due ombre acquose che si combattevano davanti ai suoi occhi, due voci, ognuna irata come l'altra, che si scontravano come eserciti nemici davanti a sè, rimbomanti dei passi dei soldati e delle urla dei feriti, del rimbombo del carro armato e delle grida dei proiettili.
 Prese Jeanne per un braccio e la trascinò velocemente dietro il muretto, accanto a Amphiaraus. Jeanne le lanciò uno sguardo di triste gratitudine, Iphigenia la fulminò dolcemente con lo sguardo.
-Antigone, sta' ferma qui- gemette -Fuori è un inferno e abbiamo già due ferite-
Le puntò gli occhi sul viso, facendo sobbalzare i suoi zigomi d'ebano. La smorfia di Snakes, oscurata dal viso sorridente di Polinice, le infusero la stessa adrenalina che l'aveva spinta a trascinare Jeanne dalla polvere e dai proiettili che l'avrebbero uccisa. Era un veleno dolce che si faceva scorrere attraverso le vene, che le muoveva braccia e gambe al posto di lasciarla immobilizzare dal terrore e dagli spari furiosi dell'esercito che voleva avere la meglio.
-Quei bastardi non sparato più. Comandante Achilleus!- urlò una voce -Saranno sicuramente i cecchini che ci hanno colti di sorpresa l'altra volta!-
Sorrise al nulla e sollevò il fucile, imbracciandolo per bene sotto gli occhi spaventati e nervosi di Jeanne, Amphiaraus e Iphigenia.
-La vogliamo vedere questa Grande Corte piena di impiccati o no?- gracchiò Achilleus appena cessarono gli spari, seguito da un urlo di assenso alle sue spalle.
- ..Ed è qui, davanti a questa bara di marmo con la bella foto del suo viso splendente, che noi ribadiamo compatti e uniti, da vera nazione, la nostra vicinanza e la nostra solidarietà alla nostra famiglia reale già minata da diversi lutti ma che rialza puntualmente la testa ad ogni colpo, forte di se stessa e del suo appoggio..-
Le gambe non le permisero di rispondere agli sguardi spaventati che l'attorniavano e la spinsero a muoversi al centro del campo, a passi lenti e quasi silenziosi, il respiro delle suole sull'asfalto sporco di polvere e di gocce di sangue, fiorito dei proiettili di entrambe le parti.
-Comandante Achilleus- urlò davanti a sè, cassa di risonanza della voce di Polinice come aveva promesso davanti alle intere Periferie, cassa di risonanza per la sua anima lontana e allontanata dal suo cadavere ormai carbonizzato, dei suoi pensieri che sonnecchiavano dentro un diario che aveva deciso di conservare dentro il suo cuore e dentro la sua mente qualora le macerie degli edifici e lo strepitio della guerra lo avessero sepolto.
Vide con la coda dell'occhio Amphiaraus alzarsi e posizionarsi alle sue spalle, imitato da Partenopaios e Ippomedon, poi cercò Achilleus tra il polverone ancora denso che impestava l'aria. Seguì il guizzare di uno zigomo pallido tra la polvere che planava sui loro piedi, sui loro stivali e sulle loro divise lerce.
-Chi è? Chi accidenti mi chiama?- urlò Achilleus allungando il braccio armato a mezz'aria.
-C'è stato ultimamente un funerale all'Acropoli, no?- sussurrò incrociando il suo serpentino, ceruleo paio di occhi confusi e spaventati.
Le labbra sottili e rosate di Achilleus si spalancarono come una voragine, tese verso il basso come le braccia che abbandonarono il fucile e le gambe che quasi lo fecero inginocchiare, stupito, spaventato, illuso e adirato in quel volto pallido che sembrava aver raggiunto la morte senza esser stato colpito a quel cuore che lo animava.

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Capitolo 43
*** 42 ***


42
 
 


La smorfia di spaventato stupore di Achilleus si trasformò presto in un ghigno divertito, quasi avesse da sempre aspettato quell'incontro e saputo che in realtà fosse viva, cacciatasi in qualche guaio come quel folle suicida di suo fratello.
-Vostra Altezza- biascicò ridendo, con una fossetta che rendeva il suo sorriso ancora più inquietante -Che sorpresa trovarvi qui. Buon sangue non mente, davvero-
Amphiaraus e Ippomedon scattarono davanti a lei, imbracciando le armi, e due soldati di Achilleus compirono la stessa azione posizionandosi accanto a lui.
-Ma che eccellenti combattenti- Achilleus sputò oltre i propri stivali, colpendo in pieno quelli di Amphiaraus -Cosa c'è, amico? Hai paura che ti si sporchino le scarpe?-
Il viso di Amphiaraus si contrasse in una smorfia di rabbia e i suoi pugni strinsero con più foga il fucile.
-Coraggio, sparami- continuava serafico -Ti sto facendo incazzare come una bestia, non è vero?-
Volse gli occhi verso Amphiaraus. Spianò le rughe di rabbia dal suo viso e indietreggiò, trattenuto da Ippomedon per un braccio. Achilleus rivolse alla scena uno sguardo seraficamente soddisfatto e fece un profondo respiro.
-Mai stato così sorpreso, principessa- riprese -E pensare che la città, qualche giorno fa, ha rivissuto i giorni del dolore davanti alla vostra bara vuota, sormontata dalla vostra foto e da un drappo nero. Mia cara cognata, Antigone, non vi vergognate di gettare in una tale disperazione i vostri sudditi?  Per non parlare di vostra sorella e del vostro fidanzato. Voglio dire, tutti vi credevamo morta e invece .. E invece voi siete a giocare a guardia e ladri come vostro fratello Polinice aveva fatto-
-Voi tutti mi avete dichiarato morta, Achilleus. Avete fatto un funerale senza cadavere, senza accertarvi se fossi viva o morta, e tutto questo per mentire impunemente davanti a tutta la città ed essere autorizzati a far del male a questa gente-
Achilleus lanciò una fragorosa risata portandosi la mano davanti alle labbra.
-Questa gente, principessa? Ah, ma come siete generosa, l'ennesima testa coronata della casata Spartes Labdakou ad avere a cuore queste pantegane! Non vi è piaciuto forse il funerale, maestà? Mancava certamente qualcosa, maestà, e sappiamo entrambi cosa ..-
I loro occhi si incrociarono di nuovo. Achilleus lanciava fulmini gelidi e terribili dalle sue iridi azzurrine, ridendo in modo sornione come se, anche quella volta, si aspettasse una risposta che già intuiva, che entrambi sapevano già. Una domanda a cui non osò rispondere, una risposta che rimbombò nel suo cuore accendendo la miccia della sua rabbia.
-Un funerale davvero singolare, maestà. A cui mancava un cadavere-
Achilleus puntò verso di lei una piccola ed elegante pistola argentata.
-Non siamo più la vostra guardia del corpo, mia cara Antigone. Avete deciso di schierarvi voi con questi fottuti parassiti-
Amphiaraus e Ippomedon furono sul punto di balzare da dietro le sue spalle, stringendo tra i pugni delle piccole Heckler&Koch, ma li bloccò con uno sguardo.
-Se mi ucciderai, Hans Achilleus, e il mio corpo verrà trovato, conficcato nella mia carne troveranno anche il proiettile della tua pistola. E allora risaliranno alla tua pistola, e alla matricola con cui l'hai registrata, poi a te e verrai processato per omicidio, attentato alla vita di uno dei Principi Ereditari e di conseguenza alto tradimento. E verrai impiccato alla Grande Corte, insieme a tutte questi fottuti parassiti così come le chiami tu, e manderai a puttane il vostro glorioso Ordine Delta-
Achilleus tolse la mira e abbassò lentamente il braccio, ridacchiando.
-Pensate che staremo zitti dopo questa incredibile scoperta, vostra altezza?-
-No. E non aspetto altro, comandante-
Achilleus le sorrise con le labbra ma tentò di fulminarla con i suoi occhi di ghiaccio. Antigone rispedì lo sguardo al mittente.
-Soldati!- urlò voltandosi verso il suo plotone -Torniamo all'Acropoli! In marcia!-
 
 
Iphigenia e Jeanne stavano distese su uno dei materassi, già ben medicate da BigMcKeane e rifocillate con una bevanda energica, raccontavano agli ospiti e al resto del commando l'imboscata e la sua riuscita, ponendola al centro come se fosse l'attrazione principale di una giornata da mostra e racconta delle scuole elementari.
Big McKeane le aveva portato un lauto pranzo a base di gallette e latte caldo e le aveva mollato un buffetto sulla spalla. Poggiò sulle ginocchia incrociate il vassoio di plastica rosa che le aveva dato in mano e alzò il bicchiere di latte in alto sulla propria testa, quasi fosse una delle coppe per champagne che non sollevava dalla sua festa di ritorno a Thebe, la prima volta che s'era allontanata da casa. Era stanca, probabilmente dopo aver mangiato sarebbe crollata su un materasso e avrebbe chiuso gli occhi fino a sera, quando poi forse avrebbero preparato l'ultima cena della permanenza al bunker e avrebbero dimenticato quel breve, ma difficile periodo lontano dalla luce del sole, con gli spari e i rimbombi in lontananza che facevano tremare le pareti e le loro ossa. Il latte alla luce del neon aveva un colore giallastro, una tonalità che forse all'Acropoli l'avrebbe disgustata, ma che sarebbe stato la migliore bevanda con cui brindare a Jeanne e Iphigenia lievemente ferite, all'attacco concluso prima del dovuto, a Polinice e ad Achilleus che l'aveva uccisa in mezzo al marmo della Grande Corte e poi l'aveva richiamata dal regno dei morti in mezzo alla polvere e al sangue della guerra, di quella guerra nascosta che consumava tutta Thebe come un cancro, Thebe ancora convinta di essere separata da quelle Periferie che tanto odiava e a cui era tanto attaccata. E solo Polinice era stato in grado di costituire quel collegamento, quel solo che avrebbe meritato quel brindisi.
Scostò il vassoio e si alzò in piedi, tenendo il bicchiere tra le mani.
-Compagni di Rubra Sphinx- lo disse forte, fiera, facendo rimbombare la voce contro le pareti e vacillare i loro occhi stanchi e affossati, ma sorridenti -Questa piccola vittoria, questo primo scacco all'Ordine Delta che conoscerà a breve la nostra forza, voglio dedicarla a mio fratello Polinice. Se non fosse stato per lui, io non mi sarei mai allontanata dall'Acropoli e avrei tacitamente permesso che l'Ordine Delta continuasse a massacrarvi. Se ho trovato il coraggio di affrontare Achilleus, è solo grazie a lui e a voi, che nonostante le gravissime perdite avete continuato a portare avanti le sue idee, con lo stesso ardore che vi aveva mostrato e che aveva nascosto all'Acropoli intera. Chiedo di fare un brindisi a mio fratello e di dedicargli un minuto di silenzio. Senza di lui Achilleus non se ne sarebbe mai andato con la coda fra le gambe come oggi-
Abbassò piano il bicchiere, lo portò sul grembo e lo strinse con entrambe le mani, a testa china e in silenzio. Che fosse stata banale, o egocentrica, o inopportuna in quel momento di gioia non le importava granchè: l'immagine di Polinice danzava davanti ai suoi occhi, leggero e lieve come polvere illuminata dal sole e scossa dal vento, furioso come la corrente che avrebbe spazzato Snakes, Achilleus e il loro piccolo gruppo di mentecatti. Il suo silenzio, il silenzio dell'assemblea che la circondava rimbombava delle parole di Polinice, di suo fratello, del fratello delle Periferie.
Finito il minuto di silenzio portò il bicchiere alle labbra e sorseggiò il latte. Uno scrosciante applauso partì da ogni mano, ogni volto si riempì di un sorriso e ogni bocca si aprì per cantare Papaveri e Baionette ancora una volta, tutti con la mano che toccava il cuore e poi si stringeva in quel gesto che trasformava il dorso, il palmo e le dita in una sfinge che planava dall'alto e portava via il male. La cantarono fino all'ultima nota, all'ultima parola di quella preghiera alla storia, e l'ultima nota fu nuovamente un sorriso accompagnato da un applauso.
-Antigone!-
Sentì le parole di Ismene scendere giù dalla piccola buca del soffitto e chiamarla per nome, dunque i passi pesanti di Emon camminare sopra la sua testa, poi la sua voce domandarsi cosa ci facesse un buco sotto i suoi piedi.
-Emon! Ismene! Sono qui sotto!-
Il viso pallido fece capolino dalla bocca della voragine, un pallido petalo in mezzo allo squarcio scuro nelle fondamenta.
-Antigone! Come facciamo a calarci?-
-State tranquilla, principessa!- disse Jeanne alzando subito gli occhi al cielo -Salirò subito a prendere voi e l'arciduca! Restate dove siete!-
Jeanne corse verso l'ascensore e sparì dentro la sua cabina. Sentì i suoi passi affrettati correre sopra la sua testa e farsi sempre più vicini e forti man mano che si avvicinava all'area dello squarcio.
-Principessa Ismene- la voce di Jeanne si bloccò per qualche secondo generando la sua e l'ilarità di Iphigenia e Amphiaraus -E arciduca Emon. Seguitemi da questa parte-
Jeanne ritornò sui propri passi, scortata dai piedi leggeri di Ismene e dal passo più marcato di Emon. In pochi secondi l'ascensore si aprì nuovamente, permettendo a Ismene di correre verso di lei e di abbracciarla forte.
-Sei viva per fortuna, viva- sussurrò con le guance bagnate dalle lacrime, distaccandosi lentamente -Emon e io dobbiamo darti delle notizie terribili-
-Sei in pericolo, Antigone- tagliò secco Emon guardandola negli occhi, facendo trapelare una rabbiosa tristezza-E non abbiamo molto tempo a disposizione. Sbrigati a raccontare, Ismene-
Ismene annuì alle parole di Emon e le prese le mani, guardandola con occhi nervosamente tristi.
-A quanto pare ti sei fatta scoprire, eh?-
-Esattamente, Ismene. Non potevo fare altro-
-Ti sei resa conto fin da subito di aver messo la tua vita in pericolo?-
-Esattamente-
Ismene si morse le labbra e strinse la presa delle sue mani.
-Oggi abbiamo origliato una riunione dell'Ordine Delta. Achilleus ha fatto subito contattare Snakes e alla presenza di tutti ha raccontato di aver scoperto tutta la verità. Ti risparmierò i dettagli: vogliono ucciderti-
-Ho già detto ad Achilleus che non potrà uccidermi facilmente. Se nel mio cadavere venisse trovata anche una sola scheggia riconducibile a una delle armi registrate a palazzo e si risalisse alla sua matricola, verrebbe immediatamente condannato a morte-
-Ismene ha dimenticato la parte più importante- si intromise Emon -Hanno tentato di corrompere Tiresia per avere libero accesso al tempio e bruciare il tuo cadavere di nascosto. Una volta uccisa, ti eliminerebbero come Kreon ha ordinato di fare a Polinice. L'Acropoli non sa che tu sei viva, sarebbe un gioco da ragazzi-
Abbassò il viso e tacque, e il viso solcato da rughe d'ebano di Tiresia le balenò nella mente. Iphigenia strinse i polsi e si morse le labbra.
-E Tiresia?-
-Tiresia ha ovviamente rifiutato-continuò Ismene-Nessuno, nemmeno Snakes, è riuscito a dissimulare il motivo di quell'urgenza di utilizzare l'inceneritore dei Tempio. Tiresia ha rifiutato categoricamente e ha minacciato di denunciare-
Il sorriso le tornò sulle labbra e rivolse un'occhiata complice ad Iphigenia.
-Ottimo. Non aspettavamo altro, Ismene. Prima o poi l'Acropoli avrebbe dovuto rivedermi-
Ismene scosse la testa e sospirò rabbiosamente.
-No, Antigone, lasciami finire. Tiresia è stato minacciato di morte, se entro due giorni non dimostrerà di collaborare lo uccideranno. E nel frattempo uccideranno te, e getteranno il tuo cadavere nell'inceneritore ..-
-.. E ovviamente daranno la colpa a noi, in un modo o nell'altro- proruppe Jeanne, guardando fisso Ismene negli occhi. Ismene colse lo sguardo e annuì lentamente, sospirando.
-Dovete sbrigarvi a .. Trovare una soluzione- sospirò sconsolatamente Ismene -Tu non puoi morire e ..-
-.. Non posso permettermi che gli altri muoiano a causa mia-
Ismene tacque e lanciò l'ennesimo sospiro, illuminando gli occhi azzurrini di piccole lacrime. Si vennero incontro lentamente, la testa dell'una sulla spalla dell'altra, sospirando entrambe e rigando le guance di lacrime. Aspirò dai suoi capelli d'oro la fragranza del suo profumo, quel profumo costoso con cui non cospargeva la propria pelle da tempo, quel profumo che aveva accompagnato le sue serate a palazzo e le sue mattinate ai giardini, che aveva indossato per fare colpo su Emon.
-Ti prego- sussurrò Ismene al suo orecchio -Non mi resta più nessuno. Non ci resta più nessuno-
Antigone raccolse i suoi singhiozzi all'orecchio, custodendoli dolcemente nella propria mente. Avrebbe voluto stringerla più forte, consolarla invocando il nome proprio e dei compagni di Rubra Sphinx, richiamare gli occhi malinconici di Jeanne che avvolgevano la sua testa bionda come una nuvola di amorevole nebbia, infonderle quel coraggio che bruciava dentro di lei e accenderla come una miccia. Si limitò ad ascoltare il suo breve e intenso pianto, aspirando a pieni polmoni quel profumo che l'era mancato e le mancava.
 
-Ed eccomi qui, da sola. Forse da qualche parte ho mio fratello, vivo o morto chissà. Ci penso spesso, anche se ricordo poco di lui-
Jeanne, appoggiata al muro, sorseggiava placidamente un bicchiere di latte guardando Ismene negli occhi. Le guardava da lontano, sorpresa e felice, lanciando occhiate complici a Jeanne e sorridendole da lontano mentre Ismene non guardava.
-Il suo nome lo ricordi ancora?- chiese timidamente Ismene.
Jeanne sorrise e asciugò le gocce di latte sulle labbra.
-Non gli avevamo ancora dato un nome. O almeno, i miei non si erano ancora decisi. Pensavano John, così avrebbero avuto Jeanne e John. John, breve come i nomi degli operai, per facilitare quegli stronzi che l'avrebbero tenuto in schiavitù in una fabbrica-
Jeanne tacque improvvisamente, guardando Ismene e continuando a sorridere.
-Mi stavo mettendo a piangere quando hai abbracciato Antigone. Spero un giorno di poter fare lo stesso con .. John, anche se dovessi limitarmi ad abbracciare il suo piccolo cranio sfondato. Se sono qui è anche per John e per i miei genitori, sai? E Antigone è qui per te e per .. Come si chiama il suo ragazzo?-
-Emon-
-Esattamente. Se imbracciamo un fucile e ci facciamo riempire di piombo e sabbia, è perchè forse amiamo qualcuno lontano-
Gli occhi di Emon e Jeanne si incrociarono di nuovo, rapidamente e più di una volta, sguardi vibranti e intensi come lampi in una notte di tempesta da due paia di occhi stanchi e assonnati, ma dolcemente sereni.
Emon si mosse liemente dalla sua posizione, allentando la silenziosa stretta della mano che stringeva la sua.
-Che c'è, Ismene?-
-No, nulla- sorrise dolcemente lei -Ricordavo a Jeanne il tuo nome!-
Jeanne gli lanciò un ultimo sguardo, poi tornò a parlare con Ismene.
-Quella tizia non smette di fissarmi- ridacchiò Emon -Glielo dici tu che è troppo vecchia per me?-
Sorrise e si appoggiò sulla sua spalla, forte di quell'odore di muschio e pelle che le mancava ogni notte.
-Secondo me non smette di fissare Ismene. Non vedi come le parla?-
-Può darsi, sì. Quello sguardo era lo stesso che ti lanciavo io quando hai iniziato ad agghindarti per me!-
Iphigenia le lanciò uno sguardo dolcemente preoccupato.
-Ogni volta Jeanne è così. Ad ogni piccola delusione ecco che si lancia su un'altra ragazza. Spero soltanto che Ismene sia abbastanza clemente nello spezzarle il cuore-
Vide Ismene lanciare un'occhiata rapida al quadrante del suo piccolo orologio e il suo viso farsi preoccupare.
-Accidenti!- si alzò di scatto rassettandosi i jeans -Emon, è tardissimo! Dovremmo muoverci!-
Jeanne la imitò nei movimenti e cacciò subito le mani in tasca.
-Ismen.. Ehm, vostra maestà, vi scorterò entrambi. Vi accompagnerò fino all'uscita col pick-up-
Ismene le lanciò un sorriso ampio e dolce che la fece arrossire.
-Saresti molto gentile, Jeanne, davvero. E chiamami Ismene, sono pure più giovane di te-
Il commando, guidato da Iphigenia, si raccolse in una piccola folla per salutare Ismene ed Emon.
-Grazie mille, vostra maestà. Anche questa volta le vostre informazioni ci consentiranno di precedere l'Ordine Delta-
McKeane lanciò una rumorosa risata.
-Buon sangue non mente davvero! Fate un buon viaggio, principessa Ismene e arciduca!-
Ismene si avvicinò a lei a lenti passi, allargando le braccia per stringerla di nuovo a sè.
-La prossima volta voglio vedere l'Acropoli brillare- sussurrò -Ci conto-

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