Too Normal isn't Normal at All

di Laura Ashling
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** il Punk, la moleskine e il treno ***
Capitolo 2: *** high standards ***



Capitolo 1
*** il Punk, la moleskine e il treno ***


È la sesta vita che concludo suicidandomi. A volte esistere è così orribile che mi sento in dovere di alleviare le sofferenze del mio ospite. E allora muoio, anche se non so se muoia anche lui. Ogni vita che ho terminato è stata un fiasco. Non c'era nessuno di interessante, nessuno di eccezionale. Tutti erano sempre lì a piangere, a lamentarsi, a cercare il miglior modo di andare all'Altro Mondo, a non sentirsi mai abbastanza per questa vita, nonostante fossero giovani. A volte mi viene il dubbio che sia stata solo colpa mia se volevano farla finita. Perché, in fondo, anche io sono così. Ma ora sto per rinascere, e ogni volta che torno alla vita è così bello illudermi di poter godere di pace e gioia, per una vita. La nanerottola è appena giunta tra le braccia di sua madre. È piccola, rosa e paffutella. E ha già accennato ad un sorriso. Questa nuova vita promette bene. Capitolo 1 Il Punk, la Moleskine e il treno La metropolitana era quasi deserta. C'erano solo tre persone ad aspettare il treno di mezzanotte, quel mercoledì di febbraio: un punk mezzo ubriaco che barcollava anche da seduto sulla panchina, un uomo in smoking con una lunga barba bianca, ed infine io, infreddolita nella mia solita maglia a maniche corte. Non ricordo perché fossi in metro a quell'ora, ma se c'è qualcosa che non posso dimenticare, è un piccolo dettaglio che ho notato appena prima succedesse l'inevitabile. Il ragazzo punk aveva una penna in mano, e le sue dita erano lunghe ed affusolate, da artista. In quel momento distolsi lo sguardo, lo stridore sferragliante del treno che si avvicinava, e appena lo guardai di nuovo, il ragazzo era ad un soffio dal treno, in piedi, troppo oltre la linea gialla, e fissava il soffitto, con quella penna saldamente stretta in pugno. Non barcollava più. Non feci in tempo a corrergli incontro che il treno si fermò, e i suoi vestiti ricoperti di borchie svolazzarono per lo spostamento d'aria. «Tutto bene?» mi sentii di chiedergli. Lui si voltò, piantandomi in viso due occhi di un azzurro fin troppo saturo, e salì sul treno. Lo seguii, cercando di precederlo. Mi sedetti prima io. Lui si sistemò nella fila di sedili di fronte alla mia, nell'angolo, e lì si addormentò quasi subito, rannicchiato, la testa a penzoloni contro il finestrino. La mia era l'ultima fermata, era impossibile che dovesse scendere anche lui a Mortlake. E infatti si fermò a Victoria, svegliato di soprassalto dalla voce femminile che annunciava le fermate. Tutto trafelato, corse fuori dalle porte che già iniziavano a chiudersi. Lo seguii con lo sguardo mentre correva verso l'uscita e veniva inghiottito dalla notte. Poi la metropolitana si rimise in moto. Chiusi gli occhi, sperando di schiacciare un pisolino, ma qualcosa attirò la mia attenzione: a terra, sotto il sedile sul quale era seduto il punk, c'era una Moleskine blu elettrico con gli angoli sgualciti. A pochi centimetri di distanza era rotolata la penna, una Bic verde con il tappo ed il retro mangiucchiati. "È roba sua... Non dovrei raccoglierla! ...Ma chissà cosa c'è scritto... No, no, no Eileen. Lascia perdere. E se poi fosse un maniaco che adesca così le sue vittime?" Ma mi ritrovai inginocchiata sul freddo pavimento del treno, con la penna in pugno ed il taccuino di fronte a me, a terra, aperto sulla prima pagina. Tu sai chi sono. "Visto? Non avresti dovuto prenderlo, Eileen." Mi ammonì la vocina di mia madre. "Ma non ho fatto apposta! Oddio... cosa vuol dire che io so chi è, se non l'ho mai visto prima? Non è possibile non è possibile non è possibile non è possibile non-" «- è possibile.» sussurrai. "Che cosa?! Ma sei scema?" Mi urlò contro mia madre, nella mia testa. "È possibile, invece. Io ora non so chi è, ma se leggessi ciò che è scritto qui dentro..." "Non se ne parla neanche! Torna a casa, subito! Se ti sento entrare e mi svegli, ti becchi la punizione peggiore della tua esistenza." "Non rompere. Ho quasi diciassette anni, saprò come si sta al mondo, no? E non voglio più sentirti nella mia testa! Sparisci!"

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Capitolo 2
*** high standards ***


Scesi dalla metro all'una e mezza. Le strade dell'East Sheen erano più silenziose che mai, e il rumore dei miei passi rimbalzava sulle alte staccionate della viuzza che portava dalla stazione a Waitrose, il supermercato del quartiere. Sapevo che nel parcheggio accadevano cose che avrei preferito non testimoniare, ma che potevo farci? Non c'era altro modo per arrivare a casa. Cinque ragazzi erano accovacciati sul bordo del marciapiede, con in mano bottiglie di vodka e quelli che, dalla puzza, sembravano spinelli. Erano troppo occupati a prendere in giro uno di loro -stava vomitando- per accorgersi del mio rumoroso passaggio. Uscita dal parcheggio mi ritrovai sulla strada, attraversai senza curarmi delle strisce pedonali a due metri di distanza e finalmente arrivai davanti a casa. Scavalcai il cancelletto del giardino con una agilità inaspettata, 'grazie, adrenalina!' sussurrai esultando. Ma quella piccola felicità durò poco. "Mani in alto o ti riduco a colabrodo, teppista!" Urlò mio padre, che uscì di casa imbracciando il suo amato fucile da caccia. "Sono io, papà!" Gli dissi a mezza voce, sperando che mia madre non stesse ascoltando. Senza fiatare, mi si avvicinò e mi prese per un polso, trascinandomi dietro casa. "Non. Farlo. Mai. Più. Intesi? Entra dalla finestra di camera tua e non fare rumori strani, deve sembrare che tu ci sia sempre stata. Domani mattina mi spieghi cosa ci facevi in giro a quest'ora di notte." La mia stanza era al primo piano. Salii sulla fioriera di mia madre e fissai impotente il davanzale, troppo in alto perché ci potessi arrivare saltando. "Martin! Tutto a posto?" Chiese mia madre da camera sua. "Muoviti! -Mi sussurrò papà, poi- Sì tesoro! Era un deficiente ubriaco che credeva di essere arrivato a casa. Arrivo!" Non pensavo di poter stimare mio padre così tanto. Mi ricordai della grondaia a pochi centimetri da me, mi ci aggrappai e la scalai. Fu una tra le cose più faticose che io avessi mai fatto. Grazie al Cielo avevo lasciato la finestra aperta. In piedi sul davanzale, con solo i mattoni a facciavista come appiglio, le vertigini e le mani doloranti mi rallentarono nell'abbassarmi ed entrare in camera. Atterrai sul letto. 'Meno male che mi muovo nel sonno.' Pensai, mentre mi slacciavo il doppio nodo delle scarpe, ripensando con un po' di vergogna al forte cigolio delle doghe del letto sotto di me, quando ci saltai sopra. Mi raggomitolai sotto il piumone con ancora addosso i jeans e la maglietta, ma lo trovai così comodo dopo una serata del genere che nemmeno il taccuino, che avevo lasciato nella tasca posteriore dei pantaloni, mi impedì di addormentarmi. 'Porca vacca, oggi è giovedì! C'è scuola!' Saltai giù dal letto e mi precipitai giù dalle scale, in cucina, dove mia madre mi stava scaldando i pancakes nel tostapane. "Buongiorno mamma!" Mi sforzai di sorridere mentre prendevo un piatto, una forchetta e lo sciroppo d'acero. "Ciao tesoro, devi essere affamata. Ieri sei rimasta in camera a studiare e non sei scesa per cena!" Il suo viso tondo contornato dai capelli mossi e neri non faceva altro che accentuare le borse sotto gli occhi scuri. Che papà le avesse detto della sera prima? Ma dovetti ascoltare il mio stomaco brontolante. 'Non ha tutti i torti...' "Sì, beh, in effetti mi mangerei anche una bella fetta di pane e burro di arachidi e una ciotola di lamponi..." Adoravo mia madre quando mi leggeva nel pensiero: aveva già tutto pronto, e me lo passò con un piccolo sorriso. Mentre divoravo pane e burro di arachidi, iniziò un discorso che però odiavo. "Che voti hai di media, Eileen? Se vogliamo la borsa di studio dobbiamo arrivare ai nove decimi." La mia media era di vitale importanza per la famiglia: i miei non guadagnavano molto e il costo della vita a Londra era molto alto, perciò una borsa di studio era l'unico modo per stare un po' meglio. Tuttavia, studiare così tanto mi pesava, tanto quanto la costante pressione di mia madre riguardo i fatidici voti. Deglutii e la ignorai, versando sciroppo d'acero sui pancakes. "Allora?" Sbuffai. "Otto decimi." Sicura che mi avrebbe dato la solita lavata di capo, chiusi gli occhi e mi irrigidii. Ma mia madre non disse nulla, ed uscì dalla cucina a passi pesanti. Mentre lavavo le stoviglie mio padre mi raggiunse. "Dimmi tutto." Gli raccontai del punk e dei ragazzi da Waitrose e mentii su un guasto della metropolitana per giustificare l'ora tarda. Mi guardò in tralice per un istante, poi chiuse gli occhi e si passò una mano tra i ricci castani spettinati. "Sei in punizione per due settimane. Dovrai allenarti con me per due ore al giorno e arrivare ai nove decimi di media. Ti aspetto dopo la scuola a Richmond Park." 'Che cosa?!' "Allenarmi?" "Ormai sei grande, Eileen. Non posso impedirti di fare ciò che vuoi, ma almeno posso far sì che tu sia preparata per la peggiore delle ipotesi. Ti aspetto stasera al Deer Gate, 17:30." Mio padre mi fece l'occhiolino e uscì di casa. 'Oddio. Papà è un ex Marine. Sono morta.'

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