Unraveling the world

di Coffy_taco_tuesday
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Ormai era abituato a viaggiare. Non si riusciva a stare per più di un mese in uno stesso posto, bisognava subito ripartire. Era questa la vita di Nathan: continui trasferimenti e solo il suo portatile con cui poter distrarsi tramite qualche videogioco. Tempo prima aveva avuto interi scaffali pieni di videogiochi di qualsiasi tipo, ma ora non era più così. Tutto era cambiato nel giro di poche ore, a partire da quel giorno.

Già all'epoca del suo primo spostamento non capiva cosa stesse succedendo e nemmeno perché dovesse abbandonare casa, i suoi genitori non gli diedero nessuna spiegazione. L'unica cosa che capì fu che non sarebbe mai più ritornato in quel luogo che solitamente chiamava casa. Intuì non sarebbe nemmeno più andato alla sua solita scuola. Su quest'ultima non fu troppo dispiaciuto: non gli dispiaceva studiare, ma essa era popolata da persone a suo parere spregevoli. Era sempre stato abituato ad assistere ad ogni scena da un angolo della classe: vedeva amori e amicizie sbocciare tra due persone, andava sempre a finire che una delle due pugnalasse alle spalle l'altra, che una parlasse male alle spalle... insomma, tutte doppie facce. Non si era mai fidato veramente di qualcuno e mai lo avrebbe fatto, non era uno stupido, non si sarebbe lasciato abbindolare dal primo che capitava.

Erano passati quattro anni da quell'avvenimento, dalla sua partenza, e ormai cresciuto aveva capito la situazione in cui stava vivendo e aveva capito perché suo padre, quel giorno, lo aveva con forza strappato dal computer fisso per gettarlo in macchina e portarlo via il più distante possibile, assieme alla moglie. Ricordava le prime settimane: praticamente avevano vissuto in piccole osterie e Bed&Breakfast in quei primi momenti, per il resto stavano sempre in macchina, il padre che guidava a folle velocità, come se stesse fuggendo da qualcosa. Ed era così.

Da sempre suo padre era stato un vigliacco, fuggiva sempre dalle situazioni che gli sarebbero state dannose e non si faceva mai carico di nessuna responsabilità, era una persona debole. Non voleva avere a che fare con nessun problema, era un Don Abbondio, si può dire.

Lui non aveva voluto arruolarsi come soldato, non aveva voluto proteggere il suo paese e non voleva che nemmeno il figlio lo facesse. La morte gli incuteva troppo timore, fuggiva di fronte ad essa, senza nemmeno pensare a chi veniva ferito a causa del suo comportamento. Era egoista, da questo punto di vista, gli importava solo della sua vita. Era una persona vuota, agli occhi di Nathan, il suo corpo era un involucro vuoto privo di qualsiasi valore morale. Nathan ci avrebbe scommesso, se suo padre si fosse ritrovato con le spalle al muro avrebbe rinunciato senza problemi a lui e a sua madre. E lei, come aveva potuto innamorarsi di tale persona? Certo, il marito stava cercando di trarre lei e il figlio in salvo, ma tutti questi spostamenti da un paese all'altro, sempre più distante, avrebbero mai avuto fine? Lui li avrebbe protetti a qualsiasi costo? No, lui stava facendo ciò che stava facendo solo per far la figura del buon padre agli occhi degli altri. Se fosse stato per lui li avrebbe benissimo lasciati a casa e sarebbe partito di nascosto per salvarsi le penne.

E mentre la Terza Guerra Mondiale raggiungeva l'apice della sua distruzione e il confine del loro stato continuava a indietreggiare, loro fuggivano, di paese in paese, allontanandosi da quel caos per trovare un luogo in cui vivere più serenamente. Ma questo era impossibile, era solo un'illusione del padre, non è possibile fuggire dai propri problemi e pensare che in questo modo essi si risolvano da soli. Nathan era stufo di questa situazione, voleva fare dietrofront e andare incontro al problema e affrontarlo, faccia a faccia, non importa cosa, ma non osava far sentire la sua voce e ribellarsi al volere del padre e della madre. Gli adulti, mentre continuavano a scappare, lo avrebbero sicuramente zittito con un "Non essere stupido, ci tieni alla tua vita o no?".

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


"Non essere stupido, ci tieni alla tua vita o no?"

Quelle parole riecheggiavano ancora nella sua mente a distanza di anni. Quelle ultime parole di sua madre, quando finalmente Nathan aveva avuto il coraggio di opporsi, quando il padre, arrabbiato, aveva perso il controllo della vettura andando fuori strada.

Nathan ne approfittò quel giorno: l'auto era in fiamme e lui era ferito, ma riuscì in qualche modo ad uscire dal veicolo e fuggire, dalla parte opposta in cui stava fuggendo suo padre, per scoprire quale fosse la 'cosa' da cui stavano scappando.

Fu così che finì per arruolarsi nell'esercito. Era stata dura, all'inizio, per lui riuscire a vivere lì, non aveva più con se il suo computer con cui sprecare il tempo. Il suo addestramento era durano pochi anni a causa della urgente necessità del suo paese di avere soldati. Prima i cadetti erano pronti, meglio era.

"Non essere stupido"

Era un'ossessione. Ci aveva riflettuto spesso su quelle ultime parole, e ci stava male, l'ultima cosa che aveva sentito da sua madre era un rimprovero. Ma aveva anche ragione. Lui, Nathan, che non si era mai interessato alle persone, che disprezzava la maggior parte di esse, ora si ritrovava a combattere per il proprio paese, proprio per proteggere queste ultime. Ma che cosa gli diceva il cervello?

Poi il suo pensiero mutava. No, lui stava combattendo per se stesso, per far fronte al problema da cui era impossibile fuggire. Voltare le spalle a un nemico che ti sta attaccando equivale alla morte certa. Sì, era così, le altre persone non centravano nulla.

Così la sua mente era divisa in questi due pensieri ricorrenti, l'uno il complementare dell'altro, si mettevano a dubbio a vicenda, tanto che in quei casi, pur di non sentirsi la testa esplodere, Nathan dava una bella testata al muro, svuotandosi da quei ragionamenti.

"Ci tieni alla tua vita o no?"

No. No, lui non ci teneva affatto. Cosa aveva di speciale? Nulla. Eppure anche qui continuava a rimuginare. Alla fine si poneva la stessa domanda iniziale: ci tengo o no? Si sentiva la persona più confusa sulla faccia della terra. E solo per una stupida frase detta da una donna di mezz'età incazzata.

-Ti stai ancora scervellando con i tuoi strani pensieri?- la voce di Dylan riecheggiò nel corridoio rivolta verso a Nathan. Dylan si avvicinò a lui e si appoggiò con la schiena al muro.

Non che la sua presenza fosse troppo gradita. Era una persona abbastanza vivace ed aveva preso una simpatia per Nathan, suo completo opposto. Anche se, in realtà, Nathan gli doveva qualcosa: era stato appena arruolato come soldato a tutti gli effetti e nella nuova compagnia non aveva nemmeno un punto di riferimento, un qualcuno su cui fare riferimento in caso di aiuto. Ed ecco che spuntò questo Dylan dal nulla, un raggio di sole tra le nubi di pioggia e al contempo un fulmine a ciel sereno. Un raggio perché ora sapeva a chi rivolgersi, un fulmine perché ora Dylan non gli si scollava più di dosso.

-Non sono affari tuoi- rispose acido, sperando di allontanarselo un po'.

-Come al solito- Dylan alzò gli occhi verso al soffitto –Hanno conquistato la trincea a est, sono avanzati di parecchio.

Nathan rimase stupefatto da quella affermazione, ma non lo diede a vedere. Nella parte est si trovavano alcune delle migliori squadre.

-Pensi che manderanno noi là, ora?

-Non credo- disse Dylan storcendo la bocca in una piccola smorfia –Ora là hanno bisogno di grandi rinforzi, non manderanno certo i soldati meno esperti come noi. Nemmeno io sono stato arruolato da molto, ho solo qualche mese più di te.

Quest'ultima informazione non era interessante, pensò Nathan. Non gli aveva chiesto nulla riguardo ciò, quindi non serviva dirlo. La gente che incontrava era sempre così: sempre pronta a riferirti qualcosa di più o meno privato. Era sempre meglio stare zitti, più cose l'avversario sa di te e più facile sarà per lui trovare una breccia alla tua difesa e colpirti nel punto giusto.

-Dovresti iniziare a socializzare almeno un po'. Se ti trovi nei guai dubito che qualcuno voglia aiutarti se sei sempre così freddo.

No, non lo avrebbe fatto. Perché? Se si fosse trovato in pericolo sarebbero stati cazzi suoi. Se si fosse trovato in una posizione di svantaggio sarebbe stato a causa della sua scarsa abilità. Perché in fondo è così: non ci si ritrova mai in certe situazioni per caso, per fortuna o per sfortuna, è grazie alle azioni e decisioni che compi che il tuo futuro viene scritto.

-Non mi interessa, e non so nemmeno come questo interessi te- gli voltò le spalle e iniziò a camminare, diretto verso una meta non ben definita, voleva solo allontanarsi.

-Non importa se non sai perché mi interessi, basta che tu sappia che interessa e basta- Dylan non accettò la chiara richiesta di Nathan di stare da solo, e lo raggiunse con una corsetta.

Non era abituato a parlare con qualcuno. Perché a qualcuno dovrebbe importare di una persona come lui? Non c'era spiegazione.

-Ogni cosa ha una ragione- sibilò con un filo di voce. Dylan sorrise.

-Un uccellino si chiede perché sa volare?

Un silenziò calò fra i due, mentre Dylan attendeva la risposta, che non sarebbe mai arrivata. No, no ,no, com'era possibile? Nathan non se ne capacitava, ad ogni azione c'è una conseguenza, ma questo interesse era la conseguenza a quale azione? Cosa aveva fatto per suscitare questo attaccamento di Dylan? Forse non gli piacevano le persone asociali. Ma questo non giustificava il fatto che non erano affari suoi.

-Senti- ricominciò Dylan –Non è che voglio costringerti o cosa, ma in queste situazioni dei legami servono. Ho notato che non comunichi nemmeno coi tuoi genitori. Così andrà a finire male- gli poggiò una mano sulla spalla e lo tirò, in modo da farlo girare e da guardarlo negli occhi –Almeno, ogni tanto, sfogati dei tuoi pensieri e fai quattro chiacchiere con me, sono un buon ascoltatore quando serve.

Dylan allungò il braccio verso Nathan, porgendogli la mano. Non era mai andato così in là con le offerte, Dylan non gli aveva mai proposto di parlargli dei suoi pensieri personali. Parlare a cosa sarebbe servito? Solo a pronunciare un sacco di parole. No, parlare non aiutava, i fatti e le azioni potevano aiutare.

Nathan rimase qualche secondo fermo, fissando la mano di Dylan.

Non sarebbe mai andato da Dylan, ma era sicuro che, solo stringendoli la mano, lo avrebbe reso contento. Dylan avrebbe pensato che Nathan stesse iniziando a fidarsi di più di lui. Ma questo non era vero, Nathan lo avrebbe solo illuso.

-Scusami.

Si voltò e iniziò a camminare dalla parte opposta di Dylan, la mano di quest'ultimo ancora ferma nella sua posizione, che attendeva una stretta che non sarebbe mai arrivata.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Era incredibile la determinazione di quel ragazzo, Dylan. Continuava ad esser convinto di poter entrare attraverso una breccia nel cuore e nei pensieri di Nathan.

Nonostante il chiaro rifiuto di quel giorno del ragazzo, Dylan non si dava per vinto. Erano passate già diverse settimane, da quella mancata stretta di mano. E nonostante le numerose attenzioni, Nathan continuava ad essere molto freddo nei suoi confronti.

Cosa aveva quel ragazzo per essere sempre così scontroso? Era per via della situazione in cui si trovavano? Per le oscure sorti che il futuro profilava loro? Tante cose erano plausibili. Nessuna certa.

Dylan stava disteso sul letto della camera, su quello scomodo letto.
Restava in bilico tra il sonno e la veglia.

Quando sveglio, pianificava nuovi metodi per poter avvicinarsi a Nathan, quando addormentato sognava la sua famiglia. Così distante da lui, fisicamente.

Chissà se loro stavano pensando a lui. Chissà se gli volevano bene.

I suoi due bambini? Di certo apprezzavano il padre. Ma da grandi, le cose sarebbero state le stesse?

La moglie? No, lei no. Il loro era stato un matrimonio combinato, si tolleravano a vicenda. Non parlavano. Mantenevano le distanze.

Forse proprio in quel periodo privo di rapporti interpersonali aveva iniziato ad interessarsi alle perone più introverse di lui. Scoprì un certo fascino in loro. Chissà cosa si celava nei loro pensieri? Dylan aveva sempre pensato che le persone più silenziose fossero quelle con le menti più rumorose. Rumori e suoni che solo loro potevano sentire, circondati dalla loro silenziosità.

Dylan voleva essere in grado di sentire quei suoni, di ascoltare le loro storie e trarne insegnamenti. Era un mondo così nascosto, misterioso.

Sentì dei passi provenire dal corridoio e fermarsi giusto davanti alla sua camera.

"Nathan?" fu il suo primo pensiero.

LA figura fece passare una lettera da sotto la porta, per poi andarsene.

Dylan aspettò di non udire più i passi prima di alzarsi dal letto e raccogliere la corrispondenza.

"No" constatò subito, rigirandosela tra le mani.

La aprì con discreta curiosità e ne lesse il contenuto. Come finì di leggere, le sue gambe sembrarono cedere. No, non era possibile. Le sue speranze sgocciolarono via dal suo cuore.

No, non voleva crederci.

Sicuramente quell'uomo stava passando di porta in porta a consegnare quella lettera. Dylan decise in fretta. Uscì dalla camera in fretta e corse lungo il corridoio a perdifiato. Doveva avvertire Nathan. Sì, anche lui avrebbe ottenuto quella busta, ma voleva essere lui di persona a riferirglielo, forse in quel modo si sarebbe aperto in qualche modo.

Giunto alla porta corrispondente, sollevò un pungo in procinto di bussare, ma poi lo ritrasse subito. Aprì la porta.

Lo sguardo stupito di Nathan gli si posò addosso.

-Bussare non esiste?

-No- disse svelto Dylan -Ho una cosa importante da dirti.

Nathan si alzò dalla sedia su cui era seduto e si avvicinò verso Dylan, mentre quest'ultimo tirava fuori dalla tasca la lettera.

-Se è un'altra delle tue trovate per parlarmi, vedi di...

-No- ripetè -Prima o poi anche te riceverai questa lettera. Ma io volevo riferirti il contenuto di persona.

Nathan sbuffò.

-Se tanto la otterrò comunque, che senso ha venire qua per dirmelo? Perchè scomodarsi tanto quando non serve. Per favore, torna alla tua camera e riprendi le tue cose, che tanto qua non c'è bisogno di...

Le sue parole si incrinarono quando il suo sguardo incrociò quello di Dylan.

Era privo della sua solita allegria, spento. Un fiore appassito. Nathan si stupì. Lo conosceva, lo capiva quello sguardo, lui stesso aveva quello sguardo. Per la prima volta sentì una connessione con Dylan. Era una sensazione nuova, non credeva fosse possibile capire una persona senza nemmeno parlarle, solo attraverso gli occhi.

Stette zitto e lo guardò con aria interrogativa, in attesa di una qualsiasi spiegazione, parola, azione.

-Ci vogliono mandare sul fronte est.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Non se lo sarebbe mai aspettato, così, d'improvviso, una notizia tanto cruda. Erano avanzati nuovamente, su quel fronte, i nemici, e si aveva bisogno di forze al più presto. Lì la situazione era di certo tremenda, lì la vita non era altro che un sogno. Un sogno impossibile, un fiore bello ma finto.

Nathan abbassò il capo. Nel contempo una lettera sbucò da sotto la sua porta, accompagnata dal rumore di passi che si dirigevano a frantumare le speranze di altri uomini.

-Puoi andare, adesso.

Nulla da dire, Dylan rimase deluso. Pensava che la perdita di ogni sogno o speranza di Nathan lo avrebbero aiutato a parlare con lui, come ultima cosa da fare prima della morte.

Ma in fondo, a quel punto, che senso aveva ogni cosa? Tutto sarebbe finito nel giro di poco tempo.

E invece no.

Tutto sarebbe finito ancor prima.

La porta alle spalle di Dylan si spalancò all'improvviso a causa di un calcio, tirato da un soldato, la cui divisa era diversa dalle normali divise.

Nathan non fece in tempo a realizzare cosa stesse succedendo che vide il corpo di Dylan pietrificarsi all'improvviso, lasciando cadere la lettera che teneva ancora in mano.

Una sirena d'allarme riecheggiò per tutta la caserma. Ogni sirena d'allarme aveva un suono diverso, a seconda del pericolo: c'era quella per l'incendio, per un attacco improvviso...

Una voce metallica si sentì dagli altoparlanti sparsi un po' d'ovunque.

"A tutti i soldati! Prima arma che trovate a fianco a voi e preparatevi al combattimento! I nemici sono riusciti a entrate alla base e hanno vissuto con noi, a quanto pare, delle spie sono rius...-"

La voce venne interrotta e un fastidioso fischio risuonò ovunque. Quell'uomo era stato appena ucciso di sicuro.

La lama perforava la spalla di Dylan. Nathan rimase stupito, si sarebbe aspettato una pistola come minimo. No: non si sarebbe aspettato quello e basta.

"Scappa" si disse fra sè e sè "scappa e lascia qua tutti, salvati"

Sì. Lo avrebbe fatto di certo. Fanculo tutti, ora si rendeva conto quanto fosse davvero attaccato alla vita. Sì, era un vigliacco. Ora capiva suo padre, non poteva più biasimarlo.

E allora perchè se ne stava fermo là e non si dava una mossa? Anzi, perchè stava correndo verso il comodino per recuperare il suo coltello di scorta? Lui lo sapeva perchè. Sapeva perchè lo stava prendendo, ma non sapeva perchè si stava accingendo a fare quello che aveva intenzione di fare.

Prese la rincorsa e si buttò addosso al nemico, che però lo scansò con facilità, mentre aveva ritirato la sua arma dal corpo di Dylan.

Nathan ora si ritrovava fuori dalla camera, poteva fuggire. Sì, lo avrebbe potuto fare.

Serrò la stretta sul manico del coltello e caricò nuovamente il colpo verso l'avversario.

No! Cosa stava facendo!? Si stava praticamente consegnando alla morte. Perchè? Perché? Nemmeno lui era in grado di darsi una risposta

-Corri- sentì la voce di Dylan, tra un rantolo e l'altro.

Non poteva essere. Nathan stava cercando di proteggerlo. Persino Dylan ne era rimasto sorpreso. Com'era possibile?

I pensieri di Nathan, man mano che caricava e riceveva colpi, si facevano più chiari. Non era abituato ad aver qualcuno a fianco, qualcuno a cui lui importasse. Non era abituato ad essere tra i pensieri di qualcuno, la sua vita era passata in solitudine e desiderio. Sì, sotto sotto lui aveva sempre desiderato qualcuno vicino che non fosse un peluche.

Solo ora se ne rendeva conto. Non sapeva nemmeno lui di avere queste emozioni. In fin dei conti non gli dava tutto questo fastidio aver Dylan sempre attorno, ma era una situazione sconosciuta. L'uomo è sempre diffidente dalle cose sconosciute. Il suo piccolo desiderio di bambino di avere un amico si stava avverando, ma i sogni erano tali per rimanere sogni, secondo lui. Non avrebbero mai potuto avverarsi.

Corse un'ultima volta verso l'avversario, verso il muro che lo separava da Dylan. No, avrebbe lasciato tutto alle spalle, avrebbe abbattuto quel muro e poi sarebbe scappato, sarebbe tornato a casa con Dylan, lontano da quella fabbrica di morte.

Sì, ora tutto gli era chiaro. Era strano, non si era mai sentito... felice.

Il nemico lo bloccò e lo gettò a terra, lasciandolo disteso a fianco all'altro.

Un altro nemico si avvicinò al primo.

-Cazzo stai facendo, muoviti e non usare quel coltellino, ti hanno dato una pistola per fare veloce il tuo lavoro- e detto questo corse via.

L'altro, sentite le parole, scrollò le spalle e, afferrata la pistola dalla cintura, la puntò verso la schiena di Nathan.

Il movimento fu veloce e rapido, Nathan non riuscì ad evitarlo, fece a tempo di vederlo fuggire, indirizzato a togliere la vita ad altri suoi compagni.

Dylan era ancora lì fermo, aveva perso molto sangue.

Nathan si girò, in quegli ultimi istanti, per vedere la gravità della sua ferita. Era profonda, ma di certo curabile. Dylan avrebbe potuto alzarsi senza problemi e, fermando l'emorragia, si sarebbe potuto salvare! Ma perchè non si era mosso? La quantità di sangue perso era notevole, ormai non si sarebbe più potuto fare nulla.

-Perchè?- rantolò Nathan.

-Potrei farti la stessa domanda- tossì Dylan -saresti potuto fuggire. Io sono rimasto qui per distrarre quello stronzo e perchè tu potessi avere un vantaggio nella fuga.

Non vi furono ulteriori parole. Non servivano. Tutto quello che volevano dirsi in quel momento lo comunicarono attraverso uno sguardo. Un ultimo sguardo. Il resto dei suoni era diventato ovattato, ora esistevano solo loro due.

Non era una sconfitta, almeno non per loro due.

Nathan aveva trovato un amico.

Dylan era riuscito a diventare un amico.

 

-Grazie per aver reso questo giorno il più bello della mia vita.

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