Shiver

di 5AM_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - Pilot ***
Capitolo 2: *** 2 - Oltre ***
Capitolo 3: *** 3 - Lei non beve birra ***
Capitolo 4: *** 4 - Rimane ***
Capitolo 5: *** 5 - Pride ***
Capitolo 6: *** 6 - Fammi uno squilo ***
Capitolo 7: *** 7 - Fuorigioco? ***
Capitolo 8: *** 8 - Cosa siamo noi? ***
Capitolo 9: *** 9 - Non doveva andare così ***
Capitolo 10: *** 10 - Euro/Fiorino? ***



Capitolo 1
*** 1 - Pilot ***


Passeggiare per le vie del centro dopo cena è una di quelle abitudini che difficilmente mi toglierò mai.
Soprattutto ora che è estate, ora che il cielo a quest’ora possiede i colori del tramonto e la brezza delicata ti avvolge.  Se anche il resto della giornata fosse così potrei affermare con certezza che l’estate è la mia stagione preferita. Invece, purtroppo, le giornate restano comunque di un afoso insopportabile che cerco di combattere in ogni modo: docce fredde, ventilatori e gelati. Ma sappiamo che sono solo dei metodi temporanei, per questo mia cara estate non raggiungerai mai il livello dell’autunno.
La mia camminata serale arriva alla meta prestabilita: una di quelle piazze poco conosciute in città, una di quelle che vengono apprezzate solo da pochi fortunati. Piccola e raccolta ma piena di storia e arte. Una possente statua, di una bellezza che mi sconvolge sempre, si prende la parte centrale della pizza contornata da una serie di panchine. I palazzi che la circondano risalgono a diversi periodi architettonici, facendola così diventare un tripudio di correnti di pensiero.
Mentre la musica scorre veloce nelle mie orecchie, decido di sedermi su una panchina. Misterioso come la musica, o in particolare una canzone, possa rendere ciò che si ha intorno, ciò che si sta guardando, diverso e più bello. Per esempio, in questo preciso istante con questo preciso sottofondo, questa piazza sembra ancora più magica e ci si può solo sentire piccoli ed insignificanti di fronte a così tanta bellezza.
I miei occhi si perdono a guardare i giochi di colore che fa il cielo sui palazzi. Di colpo la musica si ferma e sento qualcuno che mi sfila le cuffie dalle orecchie.
-Ti rendi conto di ciò che hai appena stoppato?- dico di riflesso.
-Ehy! Buonasera anche a te!-
-Buonasera Eleonora. Ripeto, hai idea di cosa hai appena stoppato?-
-Su non farla tragica. Di sicuro, vista la tua faccia seria e pensierosa, era qualcosa di super triste visto che non fai altro che ascoltare quel genere depresso ultimamente-
-Il pop-punk non è un genere depresso, cioè per certi versi lo è. Okay, forse alcune band lo sono un po’- dico alzando le mani in segno di resa.
-Per la miseria! Dov’è finita la cazzutaggine che avevi?-
Sentendo questa domanda rido di gusto.
Eleonora non capisce che ci sono momenti per alcune canzoni e altri per altri tipi di canzoni, semplicemente. Per questo la musica è così bella e completa.
-Senti, per recuperare la tua cazzutaggine devi assolutamente venire a vedere una band domani sera. Sono fortissimi, credimi!-
-Dai Eleonora lo so che non è una missione “facciamo recuperare la cazzutaggine perduta a Chiara”, ma è più una missione “Devo trovare qualcuno con cui andare al concerto”- dico prendendola in giro.
-Ehy, no è una missione che porta vantaggi a tutte e due: io ho un’accompagnatrice e tu riprendi la tua cattiveria- mi dice spingendomi giocosamente.
-Va bene, ci vengo volentieri-
-Grazie Chiara, sono sicura che ti piaceranno. Poi sono molto seria… non ce la faccio a vederti così. Quella emh... faccenda ti ha davvero buttato giù e non è giusto-
-Credimi, va tutto bene. Acqua passata- le sorrido rassicurandola.
-Lo so che è acqua passata, ma so anche che alla fine uno ritorna sempre a pensarci-
-Davvero, non ti devi preoccupare-
Acqua passata più o meno, ma questo particolare non è importante.
Dopo aver passato un’oretta insieme a parlare dei vari piani per questa estate ci salutiamo dandoci appuntamento per il giorno dopo.
Io e Eleonora ci siamo conosciute durante questo primo anno di università. Lei veniva da una piccola città ad un’ora da qua e per caso il primo giorno di lezione ci siamo incontrate. Io, come lei, ero persa nell’intricato palazzo che sembrava infinito. Arrivata ad un livello di panico altissimo ho deciso di chiedere informazioni al primo studente che passava di lì. Chiesi proprio a lei, e guarda un po’ che fortuna era nella mia stessa identica situazione! (da qua possiamo capire il mio rapporto  problematico con la fortuna e derivati) Ma si sa che comunque essere in due è sempre meglio che esser da soli, quindi ci siamo messe a cercare l’aula, per poi scoprire che c’era una portineria e una bacheca su cui era tutto ben scritto con tanto di mappa dettagliata. Da quel giorno abbiamo iniziato a sederci vicine, a parlare del più e del meno e a studiare insieme. L’ho aiutata a conoscere la città, a trovare un piccolo alloggio dove stare e lei in compenso mi ha aiutato a farmi degli amici. Insieme abbiamo cominciato a parlare con altre persone, conoscere i nostri compagni e compagne di corso. E ammetto: da sola non l’avrei mai fatto. Siamo diventati così un piccolo gruppo affiatato, in cui si scherza, si ride, ci si dispera prima degli esami e con cui soprattutto bere una buona birra il venerdì sera. Così ora, essendo finito questo primo anno di università, posso fare un piccolo bilancio e questo bilancio è decisamente positivo. Ma forse più in generale sono cresciuta e ho conosciuto persone mature, e questa vita da “quasi adulti” non mi dispiace affatto.

Giro le chiavi nella toppa. Mi butto sul divano e accendo la tv. Il bello di viver da soli è che in sostanza puoi fare quel che vuoi. E credetemi, non riuscire a dormire e avere la libertà di potersi vedere Penny Dreadful alle 4 del mattino non ha prezzo. Oh beh, forse ha il prezzo dell’affitto. Sta di fatto che non tornerei mai più nella mia piccola cittadina fuori città. È da agosto che vivo qua e sento già che questa sta diventando la mia casa.
Giro i canali svogliatamente senza trovare nulla che mi piaccia. Così decido di prendere la mia chitarra e suonare senza impegno per un po’. Le corde iniziano a vibrare e il resto è pura magia per me. Suonare sarà per sempre una di quelle cose che mi faranno stare meglio, qualunque cosa accada. È un po’ come uno sfogo per me, un momento in cui la testa è da un’altra parte e le dita diventano il tuo cervello, le note diventano le emozioni.
Passare delle serate così è la cosa migliore che ci sia. Io e la mia chitarra, non ho bisogno di niente altro.



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Buonasera. Questa è la prima storia che scrivo, quindi vi prego di essere buoni, di lasciarmi qualche consiglio e parere per migliorare. 
È da molto tempo che frequento questo sito, ma non mi ero mai iscritta e non avevo neanche mai pensato di scrivere una storia. Ma visto che sto aspettando aggiornamenti dalle storie che seguo ho deciso di scriverne una io. Come ho scritto nell'introduzione, sarà una storia basata soprattutto sulla musica e sul personaggio di Chiara. Ovviamente i luoghi, i personaggi che vi propongo sono inventati. 
Questa è solo una breve introduzione, spero che comunque vi piaccia e vi abbia incuriosito. Grazie a chiunque la leggerà! 
Ci vediamo presto con un nuovo capitolo. 

Ah, il titolo della storia è preso da una bellissima canzone che appunto si intitola Shiver degli Amber Run. 

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Capitolo 2
*** 2 - Oltre ***


Il giorno in cui Eleonora non sarà in ritardo sarà un grande giorno. Uno di quei giorni che poi diventano festa nazionale e giorno di riposo per tutti. Oppure molto più semplicemente, il giorno dopo verrà una bufera di neve o una tempesta di quelle toste. Ma non prendiamoci in giro, Eleonora sarà sempre perennemente in ritardo.
Dopo un anno di lezioni universitarie ho capito che non c’è proprio nulla da fare: se la lezione è alle 14 lei arriverà alle 14:30 per colpa del traffico, se l’esame è alle 9 del mattino lei sarà troppo stanca per arrivare in orario. Ormai mi sono abituata alla cosa e anche a tenerle un posto accanto a me quando è in ritardo. Forse però l’ho abituata un po’ troppo bene.
Ma il vero ritardo arriva quando ci dobbiamo incontrare in centro, oppure in un locale: ecco, quello è un vero disastro. Ogni tanto sto ad aspettarla anche ore. “Ci vediamo alle 17”, ma arriva poi alle 19 accampando una qualche scusa che neanche ascolto più. Io sono, per fortuna, una tipa paziente, ma alcuni dei nostri amici lo sono decisamente di meno e a volte se la prendono.
E anche questa sera è in ritardo. Il nostro appuntamento era alle sette e mezza di sera, in un pub vicino al locale del concerto. Il piano era quello di mangiare qualcosa e poi andare al concerto. Era. Perché sono le otto e non si è ancora fatta viva. Per di più il cielo tuona già da mezz’ora e ogni tanto mi ricorda che non ho un ombrello, quindi Eleonora farebbe meglio a sbrigarsi.
La parte più imbarazzante di tutto questo è il fatto che io sono impalata davanti all’ingresso del pub, ansiosa, in attesa, ogni tanto guardo il telefono nella speranza di ricevere qualche segno di vita... Ma niente.
Sento gli sguardi della gente su di me “una poverina che aspetta da mezz’ora lì fuori”, penseranno. Beh, non hanno tutti i torti. Il fatto è che mi dà tremendamente fastidio aspettare nei posti da sola. Probabilmente è uno dei tanti problemi mentali che mi affliggono, eppure mi sento a disagio, comincio ad entrare in paranoia, a chiedermi se è davvero la data, il luogo e l’ora giusta del ritrovo.
Sbuffo sonoramente nel guardare il telefono e nel vedere ancora assenza di vita da parte di Eleonora.
-Le persone in ritardo danno decisamente fastidio, ti capisco- dice una voce al mio fianco. Giro leggermente la testa a destra e noto che una ragazza alta si sta accendendo una sigaretta sorridendo.
L’ultima cosa che mi aspettavo in quel momento era un commento da parte di qualcuno. Impalata sul mio posto distolgo subito lo sguardo dalla ragazza sentendomi decisamente a disagio.
Sputo un piccolissimo –Eh- e ritorno a guardare il  telefono.
-Posso offrirti una sigaretta per ingannare l’attesa?- dice facendo spuntare nel mio campo visivo un pacchetto di sigarette aperto con una sigaretta in evidenza.
-Non fumo, grazie- rispondo ancora senza guardarla in faccia. Il pacchetto di sigarette sparisce dal mio campo visivo.
Il cielo tuona di nuovo, il mio viso si alza verso il cielo per controllare la situazione.
-Non promette niente di buono- dice la voce alla mia destra. La curiosità mi sta mangiando viva, perché è la stessa frase che stavo pensando io, così il mio sguardo cade di nuovo su di lei. Si fuma una sigaretta incurante il fatto che sta per arrivare una tempesta e lei indossa una canottiera grigia con dei disegni neri, che cade morbida sul suo corpo, e degli shorts.
Nel silenzio più totale, nel mentre che io ancora la osservo fumare la sigaretta e guardare il suo telefono, scendono le prime gocce di pioggia.
Bene, meglio di così non poteva andare. Eleonora è in ritardo, una sconosciuta scambia due parole con me e sembra che io abbia perso l’utilizzo della parola, piove e non ho un ombrello –Che fai? Stai lì a prenderti la pioggia?- la voce interrompe il mio elenco di sfiga concentrata. Devo averla guardata con uno sguardo che è un misto tra lo stupito e lo spaventato, perché sta ridendo.
-Perché stai ridendo?- chiedo di colpo. Perché sto usando questo tono offeso? Non sta facendo nulla di male! Chiara, non hai aperto bocca e ora te ne esci così?
-Perché se vuoi aspettare fuori, da sola, sotto la pioggia, fai pure. Però forse ti conviene entrare con me e aspettare in compagnia, non ti mangio lo giuro- alza le mani come dire “non ti faccio nulla, sono disarmata”
Incomincio a sentire distintamente le gocce sui miei vestiti, sì forse ha decisamente ragione.
Annuisco e entro del pub con lei.

Entrata nel locale mi sento già meglio, fuori incominciava a fare freddo e i vestiti bagnati di certo non avrebbero aiutato a riscaldarmi.
Continuo a seguire la sua sagoma tra i tavoli, credo che si voglia dirigere al bancone.
I miei occhi cadono sui suoi capelli rossi, raccolti in un chignon spettinato da cui esce qualche ciuffo di capelli più chiaro, sul suo collo magro  si appoggia un tatuaggio molto particolare: una scritta piccola e delicata che dice “oltre”.
Chissà che significato può avere un tatuaggio così, la parola possiede dentro di sé mille significati e altrettanti se ne possono trovare con un po’ di fantasia.
I miei ragionamenti vengono interrotti dal vibrare del mio telefono: finalmente Eleonora si è fatta viva. Il suo messaggio dice “Ho dovuto parcheggiare lontano, dammi 10 minuti e arrivo”. Beh è già un passo avanti
-Vuoi qualcosa da bere…- dice la ragazza lasciando la frase in sospeso.
-Chiara, mi chiamo Chiara- dico sottovoce.
-Vuoi qualcosa da bere, Chiara?-
-No, ti ringrazio. In teoria dovevo cenare con la mia amica che sta arrivando- spiego.
-Tu come ti chiami?- chiedo cercando di essere almeno un po’ socievole.
Sorride contenta forse che abbia risposto più che con un monosillabo e che stia facendo andare avanti la conversazione.
-Sono Sara, piacere- dice porgendomi la mano e ridendo. La stringo giocosamente.
-Quindi la tua amica sta arrivando?- continua. Annuisco in risposta. Intanto si siede su uno sgabello davanti al bancone e io faccio lo stesso. Mi fisso le scarpe, decisamente sporche e logore. Che situazione imbarazzante e strana. Lei ordina una birra e sorride appena gliela servono.
-Ti piace eh?- dico quasi involontariamente-
Mi guarda strano, come se la mia domanda fosse strana e la risposta troppo scontata.
-Ma ovvio! A chi non piace la birra??- mi chiede stranita.
Guardo in basso. –Beh a me no-
-Cosa?- mi guarda con gli occhi spalancati.
Sento le guance che vanno a fuoco. Perché ho detto questa cosa? Potevo starmene zitta e tranquilla.
-Impossibile- farfuglia guardando la birra davanti a se –Ma non vedi? È tipo il nettare degli dei, guardala!- Indica la sua birra.
Sembra davvero sconcertata dalle mie parole. Mi scappa una piccola risata che cerco di trattenere. È così buffa mentre cerca di spiegarmi perché ama la birra.
Dopo l’ultimo sorso dice tutta compiaciuta: -Ti farò cambiare idea Chiara la timidona- e così se ne va esattamente come è spuntata. Non mi lascia neanche il tempo di controbattere quello stupido nomignolo. Non sono una timidona. Beh, forse un po’. Ma non le da il diritto di prendermi in giro.
-Sto cazzo di temporale- una voce più che famigliare si fa sentire all’entrata del locale. La solita finezza di Eleonora.
-Buona sera anche a te- scherzo.
-Non mi scuso neanche più per il ritardo-, si siede sullo sgabello dove prima era seduta Sara. –Piuttosto chi era quella ragazza di cui ho solo potuto ammirare un sedere niente male?- alza un sopracciglio.
-Sei sempre la solita, Ele. Comunque a quanto pare vuole farmi cambiare idea sulla birra- dico rimanendo sul vago.
-Le hai detto che neanche io ci sono riuscita? È una causa persa- annuisco.
-Per favore mangiamo, che è un eternità che ti aspetto- dico cambiando discorso.
 
Finita la cena ci dirigiamo verso il locale in cui suonerà la band stasera. Eleonora mi spiega che questi ragazzi sono molto giovani, avranno solo qualche anno in più di noi, ma che comunque hanno appena finito il loro tour e che questa è la loro ultima tappa prima di una pausa. Penso tra me e me, che davvero… niente male avere una ventina d’anni o poco di più e aver già girato la nazione suonando. Io, personalmente, ci metterei la firma.
Entriamo nel locale che già conosco. Sono venuta qua in passato a vedere parecchi concerti, conosco questo posto come casa mia se non meglio. Il posto è davvero carino perché ha un ampio spazio aperto, con tante panchine e alberi dove sedersi e rilassarsi. Invece l’interno è fatto in un modo particolare, per avere l’acustica migliore possibile, e direi che ci sono riusciti. I concerti che ho visto qua dentro sono sempre stati fantastici, non è neanche eccessivamente grande, così il tutto rimane più intimo e raccolto.
Il posto è già pieno di gente, alcuni ragazzi e ragazze si sono già avvinghiati alle transenne come è giusto che sia. Noi invece decidiamo di stare un po’ più indietro e goderci il concerto con calma, senza essere sballottate di qua e di là, anche perché voglio davvero capire perché ad Eleonora piacciono così tanto.
Sì è vero, io e lei abbiamo gusti musicali simili, e ogni giorno la ringrazio per questo. Speravo davvero di incontrare qualcuno con cui condividere questa mia passione, e Eleonora è proprio la persona giusta. Perché comunque non ascolta esattamente le mie stesse cose quindi riusciamo a consigliarci cose nuove a vicenda, infatti questa sera serve proprio a questo. Quindi sono davvero curiosa.
Quando il locale è ormai pieno le luci si spengono e la gente incomincia ad urlare.
-Direi che stanno per entrare- dice Eleonora ridendo.
Sul palco si illumina uno schermo su cui scorrono tante parole una dietro l’altra, si mischiano e uniscono fino ad arrivare ad una sola unica parola enorme e bianca su uno sfondo nero. “Oltre”. La mia mente subito mi rimanda al tatuaggio visto poco fa addosso a quella misteriosa ragazza. Che coincidenze.
Si sente nello stesso istante una musica, che più che musica sembra essere un unione di suoni diversi che fanno un po’ di atmosfera. Ad uno ad uno i componenti salgono. Il batterista si posiziona e si infila le cuffie, il chitarrista e il bassista fanno lo stesso posizionandosi vicino ai propri microfoni. Rimane ancora una posizione scoperta, il microfono centrale contornato da due tastiere e una chitarra appoggiata in bella vista.
Entra finalmente una ragazza, capelli rossi sciolti che ricadono sulle spalle. Indossa un pantalone nero attillatissimo che però lascia scoperte le sue caviglie magre, una maglietta grigia un po’ corta che lascia intravedere i lembi di pelle vicino alla linea dei pantaloni. Poi quando finalmente le luci la illuminano la riconosco.
Non può essere è proprio lei, la ragazza della birra, quella con cui ho “parlato” poco fa, quella che mi ha tolto ogni parola, quella che adesso è sul palco e lo gestisce da vera artista.
Quella che ora poggia delicatamente le mani sulla tastiera. E di colpo suona, il suono del pianoforte potente, energico, riecheggia in tutto il locale.
Non sento nulla se non brividi. Brividi. Più le note si espandono più i miei occhi si incatenano ai i suoi.
Al suo suono si aggiunge tutto il resto, lei continua a suonare concentrata la tastiera, la sua testa si muove a ritmo, si scosta i capelli da davanti e fa sembrare il tutto dannatamente bello.
Nello stesso istante si gira e inizia a cantare.
-Cazzo- mi lascio scappare.
 
 
Buonasera, scusate il ritardo, ma ci sono state le vacanze e non ho avuto tempo di aggiornare.
Grazie alle persone che seguono la storia anche se ha pochi capitoli, e vi prego di dirmi se vi piace e se ci sono degli errori di battitura. È l’una quindi potrebbe anche essere che ci siano.
Comunque i nomi di Chiara e Sara li ho presi da una canzone che si intitola “Le ragazze stanno bene” de Le luci della centrale elettrica. Una canzone che vi consiglio :)
Per il resto, ripensandoci questo è il vero modo in cui ho incontrato la “mia Sara” della questione. Ci saranno alcune cose che prendono spunto dalla mia vita personale, sì
Grazie per aver letto, alla prossima!


 

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Capitolo 3
*** 3 - Lei non beve birra ***


Il concerto era andato una meraviglia, indubbiamente. Uno di quei concerti in cui, dopo aver suonato, capisci che tutto il tuo lavoro è stato ripagato, che ne è valsa la pena. Ti senti un po’ come su un altro pianeta, lontano dal resto delle persone, dai rumori, dai suoni, è tutto ovattato e puoi sentire solo i tuoi pensieri dire: ce l'ho fatta ed è stato fantastico.
Ora mi sto sentendo esattamente così. È come se ci fosse un'altra gravità qua, come se stessi fluttuando sopra il mondo e mi stessi sentendo migliore, importante, qualcuno.
-Ehy, Sara!-
La voce di Andrea mi riporta sulla terra. Uno sguardo interrogativo si posa su di lui.
-Ti stavo solo facendo i complimenti, ci sei? Sei con noi?- ridacchia.
-Oh sì, io... Complimenti anche a te! Sei stato un mostro là dietro. E quei giri di batteria improvvisati? Sei magico!- rispondo.
Mi fa un occhiolino e va ad abbracciare gli altri.
Anche io decido di scendere i tre scalini che dividono il retropalco dal backstage e di andare ad abbracciarli. È stato un gran concerto ed stato merito di tutti noi, merito del nostro duro lavoro, quindi è giusto stringersi in un bell’abbraccio che vale più di mille parole.
Li abbraccio uno per uno, e in quel momento capisco che sono come i miei fratelli. Sebbene ci siano spesso incomprensioni, litigate furiose, finiamo sempre in un backstage ad abbracciarci e a complimentarci a vicenda. Insomma, aggiustiamo sempre tutto con la musica.
-Beh ragazzi non approfittiamo del frigo pieno di birre?- chiedo alzando un sopracciglio.
Fino a poco tempo fa non riuscivamo a pagarci le bollette con quello che guadagnavamo, ma almeno c’erano dei risvolti positivi. Alcune volte se suonavi bene e stavi simpatico al proprietario ti dava il pass per tutta la stagione dei concerti, il che non era male: i venerdì sera li potevi passare in un modo alternativo sentendo qualche band live. Altre volte ti riempivano di consumazioni, che spesso davo ai fan perché erano davvero troppe per una sola persona, altre ancora ti regalavano qualche maglietta. Insomma, dopotutto non era male tornare a casa stanchi, con qualche soldo e una maglietta in più da mettere nell'armadio.
Ora le cose andavano meglio, il nostro guadagno era aumentato notevolmente, ma di certo non avrei smesso di servirmi come mi pare dal bar.
Afferro quindi due birre, decido di uscire dal backstage e prendere una boccata d'aria. Di sicuro avrei trovato qualcuno a cui dare l'altra. Certo, non sono tantissime le persone che mi riconoscono, ma ultimamente in parecchi cominciano a fermarmi in mezzo alla strada e a chiedermi foto o autografi. Il che mi rende felicissima, ho sempre sognato che accadesse e con questo tour è accaduto così tante volte che potrei farci l'abitudine.
-Ehi dove scappi?- ecco Riccardo, il nostro tour manager. Quello che dirige ogni concerto, che trova i locali e che ci aiuta nella scaletta, insomma la persona che fa accadere tutto questo.
-Oh dai Ricky, il concerto è stato fantastico, sono nella mia città con due birre in mano. Mi lasci divertire un po’?- lo guardo con occhi supplichevoli.
-Va bene- mi concede -Ma non fare troppa festa con qualche ragazza, perché anche se è l'ultima data, domani dopo pranzo vi voglio da me, bisogna organizzare tante cose-
Faccio un saluto militare seguito da un occhiolino e mi congedo.
Mi guardo intorno. Il locale è pieno di gente, tutti si stanno dirigendo al bar quindi decido di evitare quella direzione.
-Allora ti smezzi una sigaretta con me?- ed ecco il mio chitarrista preferito di sempre. Pietro è un ragazzo fenomenale oltre che un chitarrista pauroso.
-No grazie, sono a posto così-
-Allora la birra è per me?-
-Neanche per sogno, devo offrirla a qualche ragazza carina. Intanto puoi tenermela, sai devo sembrare proprio un’ubriacona da fuori con due birre in mano- rido rifilandogli la birra.
Sbuffa ma poi la prende. Ci dirigiamo fuori, una brezza sottile mi accarezza le braccia... Un piacevole sollievo.
-Questa tecnica di rimorchio me la devi spiegare. Pensi che con una birra cadano ai tuoi piedi?- ridacchia.
-In realtà ci spero inutilmente- dico bevendo un  sorso di birra.
-La fai fin troppo tragica- mi tira una pacca sulla spalla, si accede la sigaretta.
Anche qua fuori c’è parecchia gente, bevono, parlano, si fumano una sigaretta, ridono. Se mi avessero chiesto, due anni fa, se tutto questo potesse mai accadere avrei detto un no diretto e freddo. Era un sogno irrealizzabile, soprattutto con i mezzi che avevamo.
E invece guardateci ora. Nella nostra città, per chiudere un tour che ci ha portato su e giù per il paese, con un locale pieno e gente felice di averci visto.
Tiro giù un altro sorso.
-L’avresti mai detto?- mi chiede, quasi leggendomi nel pensiero.
-Neanche per sogno- sorrido felice.
-Ricky mi ha detto che stasera le magliette e i cd sono andati a ruba, ne sono così felice-
Pietro aveva curato tutta la parte delle grafiche del cd e delle magliette, era davvero orgoglioso che la gente li stesse comprando e noi, ovviamente, anche.
Ad un certo punto mi sento bussare sulla spalla. Mi giro. Mi ritrovo davanti una ragazza ed un ragazzo, tutti sorridenti.
-Ciao!- esordisco con un sorriso non vedendo nessuna azione da parte loro.
-Ciao Sara, ciao Pietro!- dice lui –Possiamo chiedervi un autografo?- sorride speranzoso.
-Ma certo!- rispondo felice -Mi terresti la birra?- chiedo alla ragazza che non aveva ancora aperto bocca.
Sorride e annuisce. -Piacere- sporgo una mano verso di lei -Tu sei?- sorrido.
-Elena- mi risponde dandomi il cd e una penna.
Apro il cd, tiro fuori il libretto e incomincio a scrivere sopra. Il mio sguardo ricade di nuovo su di lei, e sulla sua frangetta scura, che fa da contorno ad occhi chiari e azzurrissimi.
“Ad Elena, con piacere ed affetto” e poi firmo passandolo a Pietro.
Faccio lo stesso con il cd del ragazzo.
-Grazie per essere venuti stasera ragazzi e grazie per aver comprato il cd- dice Pietro con umiltà.
-Non vedevamo l’ora di vedervi, quindi grazie a voi- dice la ragazza ridandomi la mia birra.
Si congedano con gentilezza e rimaniamo di nuovo io e Pietro, che intanto ha finito la sua sigaretta.
-Beh io vado dagli altri, io e Andrea ci eravamo ripromessi di sbronzarci come non mai. Direi che è arrivata l’ora- mi da una pacca sulla spalla, mi ridà la mia altra birra ancora intatta e mi lascia qua, con un sorriso sincero sulla bocca: sempre i soliti.
-Non vorrai mica berle tutte e due?- mi si para davanti una ragazza. Così dal nulla. Occhi color nocciola, alta quasi quanto me, capelli curati, viso truccato, indossa una giacchetta nera, sotto una maglietta altrettanto scura e dei jeans.
Sorrido. -Perché no?-
Non mi veniva in mente una risposta migliore. Non conosco questa ragazza quindi l’unica cosa da fare è ironizzare sulla figura da ubriacona che sto facendo. Immagino mi conosca per via della band, ma non mi era mai successo di avere un approccio così divertente e in amicizia da parte dei fan.
-Beh dopo il bellissimo concerto che avete fatto, direi che te le meriti- dice ridendo.
Mi unisco alla sua risata.
Noto dietro di lei un’altra ragazza con una mano sulla fronte che scuote la testa sconsolata. Sospira sonoramente. Credo lo stia facendo per il comportamento della sua amica.
Questo mi fa ridere ancora di più. Continuo a guardare la ragazza davanti a me e la sua amica dietro. Finché non alza lo sguardo verso di me e la riconosco.
I nostri sguardi si incrociano. Mi incontro con le sue iridi di un verde misto al grigio. È lì che capisco: è la ragazza di oggi, quella strana ragazza a cui non piace la birra. Le sue guance si colorano leggermente. È imbarazzata, mi ha riconosciuto anche lei.
-Direi che non posso offrirti questa birra- le dico con tono calmo e sfoderando il miglior sorriso che possiedo.
La sua amica ci guarda in modo interrogativo, l’altra invece scuote il capo in tutta risposta.
-Questa quindi va a te, se la vuoi- dico alla sua amica. Si prende la birra e continua a guardarci in modo strano.
Tendo la mano verso di lei -Piacere, sono Sara-
-So chi sei, vi seguo da un po’! Io sono Eleonora-
-E tu sei Chiara, ricordo bene?- chiedo per smorzare la situazione.
La sua unica risposta è un “Sì” leggermente accennato, che dice guardandomi negli occhi, ma subito dopo torna a guardar per terra.
-Come?! Cioè.. voi vi conoscete?- alterna lo sguardo tra noi due. -Chiara quando cavolo pensavi di dirmelo?- tira giù due bei sorsi di birra tutti d’un fiato.
-Mentre ti aspettavo ha solo cercato di convincermi che la birra è il nettare degli dei, non la conosco- dice fredda.
Ridacchio e butto giù anche io un sorso.
Che tipetta che sei Chiara.
-Ah ma quindi era lei la ragazza con cui parlavi mentre io cercavo parcheggio come una disperata! Beh, ti sei trattata bene e sei anche stata fortunata- poi si rivolge a me -Era tuo il bel culo che se ne stava andando quando sono arrivata, quindi!-
La birra mi va quasi di traverso. Ho sentito bene? È un complimento oppure un pensiero ad alta voce?
-Ops non doveva uscire così- dice tappandosi la bocca con le mani.
Tiro un’occhiata a Chiara che di nuovo sospira mettendosi una mano in fronte con aria sconsolata.
-A parte tutto questo, che tu poi mi spiegherai nei dettagli,- dice Eleonora a Chiara -Sara, è stato davvero un bel concerto, siete bravissimi. Vi ascolto da un po’, ma non vi avevo mai visti live, siete fenomenali. E, onestamente, adoro la tua voce-
-Che parole gentili, grazie Eleonora- sorrido -Invece tu ci conoscevi?- voglio saperne di più.
-Umh, no. Siete bravi- è l’unica risposta che ottengo.
-Chiara sembra una critica musicale, ma in realtà vi ha apprezzati anche lei, è solo di poche parole- aggiunge Eleonora.
-Possiamo farci una foto insieme? Devo andare via- chiede nuovamente Eleonora.
Annuisco e ci scattiamo una foto insieme. Eleonora sembra essere molto soddisfatta e saluta la sua amica dicendole qualcosa sottovoce. Riprendo a bere la mia birra.
-Ciao Sara, ancora tanti complimenti!- dice voltandosi e andando via. Faccio un cenno di saluto e subito ritorno a guardare Chiara. Ha questo carattere strano e incomprensibile che mi intriga. La sua freddezza mista a timidezza mi disarma, non so come comportarmi. Di solito non mi capita mai, qualcosa per far conversazione o per risultare simpatica lo trovo sempre, soprattutto con i fan. Invece con lei pare non funzionare.
Guarda di nuovo per terra, si gira e fa per andarsene.
Allungo una mano e le afferro la spalla. Sembra scottare a quel contatto, si gira spaesata.
-Posso offrirti qualcosa che non sia birra? Il backstage è pieno di roba da bere, di sicuro troverai qualcosa che ti piace- chiedo.
-No grazie, non mi va. Devo proprio andare-
-Ti do qualcosa da bere e poi sei libera di andare, non vorrai andare in giro disidratata dopo un concerto?- ridacchio.
Annuisce sospirando.
-Seguimi-
Incomincio a camminare in mezzo alla gente cercando di schivarla, diretta al backstage. Una volta entrata noto che nessuno degli altri è più qua, saranno tutti a fare baldoria.
Apro il frigo. -Ecco, serviti, c’è di tutto-
Si avvicina timidamente -Non era il caso, non ho neanche voglia di bere- prende una coca-cola e torna al centro della grande stanza.
-Una coca-cola?- chiedo ridendo.
-È buona- fa spallucce e la apre.
Ne beve un sorso.
Utilizzo questi pochi secondi per osservarla meglio. È stretta in una giacca di pelle nera aperta, da cui sbuca una camicia a quadretti rossa e nera. È di media statura, indossa dei pantaloni neri stretti e ai piedi porta delle vans nere anche quelle. I suoi capelli sono castani chiari, un po’ mossi e arruffati. La sua carnagione è chiara, il che fa risaltare ancora di più il rossore sulle sue guance e il colore dei suoi occhi.
Incomincia a girovagare per la stanza, con un andamento quasi circolare.
-Grazie per la coca-cola- dice spezzando il silenzio che si è venuto a creare. È quasi buffa. Lì che cammina nervosamente, in silenzio, forse cercando qualcosa da dire. Ad un certo punto si ferma vicino alla mia roba, noto che fissa la mia chitarra ancora appoggiata nel suo porta chitarra.
-Ritirare la nostra roba dopo i concerti, non è il nostro forte- dico ridacchiando. -E non abbiamo ancora i soldi per permetterci dei roadies, quindi montiamo e smontiamo tutto noi. Molto spesso, però, questo si traduce in un “smontiamo dopo, ora festeggiamo e beviamo”- prendo l’ultimo sorso di birra e poi la butto nel cestino. -A volte è capitato che qualcuno di noi era troppo ubriaco per mettere la propria roba nel furgone e hanno dovuto farlo gli altri! Una volta Andrea era talmente ubriaco che voleva mettere i piatti della batteria a tutti i costi dentro la custodia della mia chitarra. Abbiamo praticamente dovuto legarlo ad una sedia perché non facesse danni, che ridere-
Le tiro fuori una risata, finalmente.
-Hai davvero una bella chitarra- mi dice guardandomi negli occhi finalmente.
-Grazie, ci tengo davvero a lei- dico tornando ad osservare la chitarra.
Questo perfetto momento di intimità e relax viene improvvisamente interrotto da Pietro che, visibilmente ubriaco, esordisce: -Allora hai trovato qualcuno con cui smezzare le birre e magari un letto eh?! Sciupafemmine!-
Scuto la testa visibilmente, lo guardo sconcertata, penso anche di essere rossa come un peperone.
Chiara ride sottovoce. Guarda te, si prende gioco di me!
-Stupido- mi avvicino a lui e gli do uno schiaffetto dietro al collo -Lei non beve birra-, la metto sul ridere.
-Chiara, lui è Pietro… è il chitarrista scarso della band-
-Ciao!- risponde lei con un piccolo cenno della mano.
-Piacere Chiara, io sono quello bravo non ascoltare questa rossa maligna- dice ridendo.
E poi com’è arrivato se ne va.
Chiara ancora ridacchia tra sé e sé. Poi guarda l’orologio -Devo proprio andare, grazie di tutto- dice.
-Grazie a te per essere venuta, scusa per Pietro. Hai bisogno di un passaggio a casa?-
-No grazie, mi piace camminare per la città dopo un concerto- si dirige verso la porta, fa un cenno di saluto e mi lascia lì sola. Mi appoggio al tavolo e sospiro.
Che strana serata.

Spengo la macchina, scarico tutta la mia roba nell’ampio garage. Che lunga e stancante serata… ma che soddisfazioni che ha portato. Una volta chiuso il garage mi dirigo verso le scale e chiamo l’ascensore.
Che bello ritornare a casa. Mai avrei pensato di poter dire una frase del genere, ma dopo mesi di tour non vedo l’ora di dormire nel mio letto, di farmi un bel bagno rilassante, di essere finalmente a casa in tutti i sensi.
Secondo piano, apro la porta di casa. Un odore familiare mi invade le narici, il deodorante per ambienti ancora lavora, ho fatto un ottimo acquisto. Lascio andare lo zaino che cade sonoramente nell’ingresso, chiudo la porta e mi fermo. La casa è immersa in un silenzio quasi assordante. Mi guardo intorno e mi sporgo leggermente nell’ampio salotto, poi mi dirigo in cucina. Bevo un bicchiere d’acqua e salgo le scale silenziosamente. Controllo che nelle stanze sia tutto in ordine e, a quanto pare, è così. Perfetto.
Dopo una doccia calda e rilassante mi metto a letto, un lungo sospiro mi esce dalla bocca.
Chiudo gli occhi. Involontariamente la mia mente ripercorre tutto ciò che è successo oggi. Il concerto, i momenti più belli. Poi si sofferma sulla figura di Chiara, sul suo carattere strano. È lì che mi addormento… finalmente nel mio letto. 
 
Okay buonasera lettori!
Ecco qua un nuovo capitolo!! (che speravo uscisse in modo diverso, ma niente è uscito questo) 
I personaggi si incominciano a conoscere meglio tra loro. 
Come avrete notato questo capitolo è raccontato da Sara, se vi piace l'idea penso che cambiero pov anche nei prossimi capitoli ogni tanto. 
Scusate gli eventuali errori, è tardi e il mio cervello è fritto dallo studio. 
Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate della storia e secondo voi come continuerà! 
Intanto ho aggiornato la bio del mio profilo, se volete sapere qualcosa di me. 
Buonanotte e grazie per aver letto.

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Capitolo 4
*** 4 - Rimane ***


Mi ero dimenticata la magnifica sensazione del svegliarsi nel proprio letto.
Mi rotolo svogliatamente tra le lenzuola, il caldo dell’estate si sta facendo sentire e penso sia stato proprio quello a svegliarmi. Mi tolgo le lenzuola di dosso e sospiro.
Non mi ricordavo perché mi mancasse così tanto casa. Forse mi mancava il mio bellissimo letto matrimoniale in cui mi piace tanto rotolare di prima mattina. Solo ora comincio a pensare che il miglior acquisto della vita sia un letto matrimoniale, rigorosamente da non condividere con nessuno. Poi ovviamente il giorno in cui vi sposerete ne prenderete due: uno per voi e uno per la vostra dolce metà. Così sarete liberi di rotolare, scalciare, dormire in diagonale o al contrario.
La libertà a letto è importante, no? Lo dicono tutti. Io la libertà a letto la vedo così.
Okay Sara, ora stai decisamente degenerando. Devi alzarti e prendere il tuo caffè, prima di peggiorare le cose.
Finalmente decido di aprire gli occhi. Una leggera luce filtra dalle veneziane bianche.
Mi metto seduta e fisso la parete davanti a me. Un grosso armadio la riempie, probabilmente non ricordo neanche più cosa c’è lì dentro.
Decido di alzarmi, apro l’armadio e trovo una vecchia maglietta da calcetto che deve risalire ai tempi del liceo. L’avevo presa di due taglie in più, quindi mi andrà sempre bene.
Scendo le scale e mi dirigo in cucina, metto su il caffè e inizio a fissare il voto.
Se mi ero dimenticata quanto fosse bello svegliarsi nel letto di casa propria, dall’altra parte mi ero anche dimenticata perché la odiassi e perché quando ci dissero le date del tour scappai da qua alla velocità della luce.
Me ne andai volentieri perché c’era un silenzio assordante qua dentro, lo stesso silenzio che la riempie anche oggi. Un silenzio che non doveva esserci, che non era pianificato, che odiavo e che odio.
Sospiro.
Decido di mettere della musica dall’iPod e sovrastare questo schifoso silenzio.
Finalmente ingerisco la mia dose quotidiana di caffeina.
Mi guardo ancora intorno. Nulla è cambiato in questa casa da quando ci ho messo piede la prima volta. La cucina, per esempio, è rimasta intatta. Ha uno stile semplice e moderno che sinceramente non mi dispiace. Ma anche il resto della casa non è cambiato. La verità? Non ho mai avuto il coraggio. Quindi non facevo altro che uscire ed entrare, entrare ed uscire da queste quattro mura. Di conseguenza non ho mai avuto né tempo né coraggio per cambiare una sola virgola di quello che c’è qua dentro.
Se solo fosse andato tutto secondo i piani…
Scuto violentemente la testa -Sara, basta pensare a quello, basta davvero-
Mi è bastata una semplice notte e colazione a casa mia in solitaria e già mi ritrovo a parlare da sola come una psicopatica.
Okay, è tempo di uscire da questa casa.

Poco dopo mi ritrovo sul marciapiede della mia città senza valige da trascinare, senza un furgone da guidare o da caricare.
Respiro a fondo e chiudo gli occhi. Nelle mie orecchie si riversano centinaia di suoni diversi: le persone, il loro accento, la campanella del tram, i clacson delle macchine, il chiacchiericcio in dialetto degli anziani… Per chiunque questi sono rumori tipici di una qualunque città, ma quando si è nella propria, beh allora è tutto diverso. I rumori diventano famigliari, non sono di una qualunque città ma della tua, solo ed esclusivamente della tua. Questo è esattamente quello che mi sta succedendo ora, i rumori che ho sentito in tutto questo tour finalmente mi sono famigliari, finalmente sono a casa.
Mi lascio accarezzare dai caldi raggi del sole e mi incammino.
Conosco ogni angolo di questa città e ogni pezzo di essa mi ricorda frammenti della mia vita. L’asilo, il primo concerto, il primo bacio, il pub di fiducia, il liceo, le partite di calcetto, le litigate, la casa del mio amico d’infanzia, ogni luogo è in qualche modo speciale.
Mi divincolo tra i viali e i controviali pensando a ciò che avverrà ora. Ora che è finito il tour cosa succederà? Cosa ci aspetterà? Le mie nuove canzoni saranno all’altezza delle aspettative degli altri? Magari non piaceranno, magari il lavoro sarà più duro di quanto posso immaginare. Avrò un po’ di riposo? Un po’ di tempo per me?
Tento di scacciare quei pensieri dalla mia mente, la strada verso lo studio di Ricky è ancora lunga.

◦●◦                                                    ◦●◦
Chi dannazione è la persona che a quest’ora di mattina si attacca al mio campanello?!
Mi avvicino alla porta ancora in pigiama.
-Chi è?- riesco solo a dire stropicciandomi gli occhi.
-Io, scema! Sono Ele! Apri questa cazzo di porta-
Giro le chiavi e apro.
-Ma che cazzo ci fai qua, Ele? Il sabato mattina per di più-
-Senti bella addormentata, vedi di vestirti che io con quel pigiama a gattini non ti rivolgo parola-
La guardo di storto con la poca forza che ho in corpo.
-Sei proprio lesbica, non c’è dubbio. Anche se non me l’avessi detto dopo aver visto questo bellissimo pigiama non avrei più alcun dubbio!-
-Questi sono stereotipi!- urlo dalla mia stanza. -Poi da che pulpito? Come se tu fossi così etero-
-Almeno non cado in cose così banali- mi risponde.
Ritorno in salotto.
-Così mi vai molto meglio- mi dice fissando i miei vestiti.
-Mi dici esattamente cosa ci fai alle 10 di sabato mattina a casa mia, attaccata al campanello come i testimoni di Geova?- chiedo buttandomi sul divano.
-L’unica persona che qua deve fare domande sono io, in più sei una dormigliona, sono le 10 e stavi ancora dormendo!- dice incrociando le braccia. -Allora, te la se fatta la rossa?- dice facendomi l’occhiolino.
Sobbalzo sul posto - Cosaaaa?!-
-La rossa è andata in porto?- chiede di nuovo virgolettando in aria.
-Ho capito cosa vuoi dire, non sono stupida, ma mi chiedo perché stai facendo questa domanda-
-Vi ho lasciato sole apposta! Due lesbiche insieme, cosa vuoi che facciano?!-
-La smetti di sottolineare la mia sessualità? So cosa sono!- le tiro un cuscino.
-Scusi Miss. Nonhofattocomingout- sbuffa e continua: -Comunque, me ne sono andata appunto per lasciarvi sole! E poi quando pensavi di dirmi che hai chiacchierato amabilmente con quel pezzo di figa che è lei?! Eh?- mi rilancia il cuscino indietro, che io prendo al volo facendole una linguaccia.
-Allora andiamo per punti:
1. Io non avevo idea di chi fosse lei. Tu potevi darmi qualche informazione in più, no? Almeno avrei potuto avvisarti, quindi non prendertela con me!
2. Quando pensavi di dirmi che la cantante della band è lesbica dichiarata?
3. Perché mi hai lasciato sola in un locale con una cantante semi-famosa? Lo sai che io odio le situazioni così e tu mi ci hai buttato senza neanche chiedere, ti odio!-
Eleonora sbuffa buttandosi anche lei sul divano di fianco a me.
-Senti quando ho capito che avevate già parlato ho pensato di lasciarvi sole, così potevate conoscervi meglio…- mi fa l’occhiolino.
Le tiro di nuovo il cuscino in faccia.
-Ti sequestro tutti i cuscini della casa se continui!- mi risponde facendo la finta arrabbiata. -A parte tutto, cosa avete fatto dopo che me ne sono andata?- mi sorride maliziosa.
-Oh dio, sei sempre la solita- sbuffo -Niente, mi ha fatto andare nel backstage, mi ha offerto da bere e ho preso una coca-cola. Poi uno dei suoi colleghi è entrato dal nulla e ha scherzato sul fatto che finalmente lei aveva trovato qualcuno con cui smezzare la birra e il letto, e poi me ne sono andata. Si è offerta per accompagnarmi, ma no grazie-
Scuote sonoramente la testa.
-Vedi? Era propensa pure ad accompagnarti a casa e tu non ne hai approfittato! Credo che tante ragazze e ragazzi ieri sera avrebbero pagato per essere accompagnati a casa da lei. L’hai vista?? È bellissima, carismatica, ha una voce pazzesca e un corpo che beh… solo Dio sa cosa le farei-
-Perché ti preoccupi tanto per la mia vita sentimentale? Non dovresti preoccuparti della tua relazione?- chiedo cercando di cambiare discorso.
-La mia non-relazione- specifica.
-Appunto! Forse non è ora di chiarire le cose e passare allo step successivo?-
-E forse per te non sarebbe ora di andare “oltre”?- dice facendomi l’occhiolino, chiaro rifermento alla band della cantante di ieri sera.
-Sei impossibile- dico alzandomi dal divano e prendendo la mia fidata macchina fotografica -Io vado- aggiungo dirigendomi verso la porta.
-Ehi ma dove vai? Mi lasci sola in questa casa triste?-
-Così sai come ci si sente! Hai Netflix e popcorn, fanne buon uso, ciao!- dico uscendo di casa.
Sospiro e finalmente esco da casa.
Eleonora è mia amica, forse la mia migliore amica ora come ora, però su queste faccende di cuore abbiamo idee completamente diverse e non facciamo altro che discuterne senza arrivare ad un punto di arrivo.
Io non sono di certo la tipa che si butta, che approccia, che ci prova spudoratamente, non sono neanche una tipa che socializza volentieri. E mi stupisco anche che non sia stata completamente in silenzio a bere la mia coca-cola in un angolo, ieri sera.
Ecco, su questo io e Eleonora siamo completamente diverse, lei si butta, socializza, fa battute per rompere il ghiaccio, evita mille giri di parole per farsi capire o per dire qualcosa e soprattutto risulta simpatica a tutti.
Mi auguro che la sua situazione sentimentale si risolva in fretta e che possa essere felice con la persona che le piace, di sicuro lo merita e io sarò la prima a festeggiare con lei quel giorno.
Intanto spero che si goda il mio abbonamento Netflix nel migliore dei modi, evitando di guardare soap opere spagnole come suo solito.
Scuoto la testa al solo pensiero.
Oggi avevo intenzione di dormire, mangiare schifezze per pranzo e poi uscire e fotografare un po’ la città.
Eleonora invece mi ha fatto saltare subito all’ultimo punto, senza neanche farmi prendere un caffè per svegliarmi.
Adoro le giornate così: c’è un sole caldo, il cielo non è completamente limpido, alcune nuvole ti danno riposo dai raggi solari di un giugno particolarmente caldo per i miei gusti. È anche il tempo perfetto per fare delle foto, adoro le ombre che creano le nuvole in cielo, oppure il gioco di luci che i raggi fanno attraverso di esse.
Così inizio a fare un po’ di foto per vedere quali regolazioni sono migliori oggi, intanto cammino per il centro con la musica che scorre nelle cuffie. Sto ascoltando la band di ieri sera, sono davvero rimasta colpita dai loro testi, dalla loro passione, quindi perché non ascoltarli un po’? Sono un buon soffondo per le foto direi.
Cammino fino alla stazione centrale passando per un parco che io reputo stupendo. Il parco ha degli splendidi laghetti ed è popolato da tantissimi scoiattoli simpatici, è la mia tappa fissa quando si tratta di fare qualche foto per pura passione. Gli alberi e i prati del parco sono curatissimi e la gente che lo frequenta sembra essere anche abbastanza interessante: a volte qualcuno strimpella una chitarra, altre volte incontro lettori presissimi da grandi classici della letteratura, altre volte semplicemente c’è chi si gode un po’ di musica e la natura.
Arrivata in stazione come al solito mi fermo al centro di essa dove campeggia un bellissimo pianoforte che tutti possono suonare e decido di togliermi le cuffie. Ogni volta mi fermo qua, perché vedere queste persone qualunque fermarsi, lasciare le valigie a lato, immergersi completamente in un mondo fatto di note, tasti bianchi e neri e passione, mi fa venire i brividi e mi riempie di gioia. Si vede proprio nel loro sguardo e nel loro volto: sono totalmente assorti nel suonare che il resto del mondo non esiste. Questa è la musica per me, quindi è quasi un obbligo passare di qua e sentire melodie bellissime.
Mentre mi avvicino al pianoforte, le mie orecchie vengono riempite da una melodia lenta ma ricca di suoni melodici e armoniosi. Quasi come se tra una nota e l’altra l’artista si stia cercando di capire, per decidere come far continuare la canzone. Come se tra un accordo e l’altro, ci sia un grosso ed enorme respiro, uno di quelli importanti, quelli di preparazione. Preparazione per un grande evento.
Impugno la macchina fotografica e inquadro l’artista che, rispetto a dove sono, mi dà le spalle. È una ragazza, capelli raccolti in modo disordinato, rossi.
Scatto. Continuo a scattare, intanto i suoi accordi potenti crescono di intensità. La gente passa davanti all’obbiettivo, è frenetica, alcuni corrono, altri parlano al telefono: la musica per alcuni non esiste.
Incomincio a camminare intorno al pianoforte, ovviamente a debita distanza. Impugno la macchina fotografica, metto a fuoco e istantaneamente la riconosco. È Sara, ha gli occhi chiusi, è assorta nel suo mondo e continua a suonare. Indossa una semplice maglietta e dei jeans neri strappati, è anche lei una persona qualunque come tante altre che ho ascoltato.
Continuo a scattare. Intanto il crescendo è sempre più potente e finalmente scoppia in un arpeggio bellissimo che mi mette i brividi esattamente come è successo ieri sera con la sua voce. Le sue dita si muovono agili e veloci sui tasti del pianoforte, la sua testa si muove a ritmo. Le sue labbra si dischiudono leggermente, i suoi occhi si aprono. Le sue pupille seguono le sue dita, i piedi battono il tempo sul pavimento.
La musica si calma.
Il mio obbiettivo non si è staccato da lei per tutto il tempo. Quando stacca le dita dalla tastiera, prontamente mi tiro indietro, mi nascondo quasi in un angolino.
Riguardo lentamente le foto: sono venute bene. Con qualche modifica qua e là, potranno essere decenti.
Mentre sono ancora intenta a rivedere le foto, sento una presenza dietro di me. La sento dal respiro che si infrange sul mio braccio.
Spero non sia lei, lo spero davvero.
-Quindi oltre che critica musicale, anche fotografa?-
E dalla voce capisco che è proprio lei.
Mi giro lentamente. -Non sono nessuna delle due in realtà- dico semplicemente.
-Ti ho visto con la coda dell’occhio mentre mi facevi le foto, hai quelle pose tipiche da fotografa, quindi non mentirmi- dice con un leggero tono di ironia.
-Non sto mentendo, è la verità. Non sono nessuna delle due- dico seria.
-E allora cosa fai nella vita?- mi chiede grattandosi la testa.
-Questo lo devi scoprire tu Sherlock- dico quasi divertita. Chiara, che stai facendo? Scappa! Non stare al gioco, devi riprendere il tuo giro di relax in mezzo alla città!
-Ho un’idea, seguimi- mi dice dal nulla.
-Io in realtà avrei da fare-
Mi guarda scettica.
-Seguimi forza!- mi dice e in tutta risposta mi incomincia a tirare dalla maglietta.
-Okay, okay! Vengo ma non mi tirare, non sono un cagnolino e so camminare!- ecco, brava Chiara. Una cosa dovevi fare ed era non darle corda! Ora magari ti porta in un vicolo buio e ti uccide!
-Smettila di pensare, ti sento fin da qua- mi dice -non ti porto in nessun vicolo strano per stuprarti- ride.
-In realtà pensavo per uccidermi-
Vedo sulle sue guance quasi un leggero rossore.
-Almeno posso sapere dove stiamo andando e perché?- davvero io non capisco cosa stia succedendo e perché vuole portarmi da qualche parte.
-Oddio sei peggio di un bambino di quattro anni in una macchina! Aspetta e vedrai- risponde.
Okay, meglio tapparsi la bocca.
Dopo cinque minuti di cammino veloce, con Sara davanti a me e io dietro, arriviamo.
-Eccoci, entra-
Entriamo in un piccolo bar, dove a colpo d’occhio il legno sovrasta ogni cosa. I tavoli  e le sedie sono fatti di un legno chiaro e caldo, sui tavolini ci sono molti libri, e le pareti sono piene anch’esse di libri.
-Quando voglio stare tranquilla vengo qua, prendo un libro e leggo, inoltre fanno i migliori muffin al cioccolato della città- dice contenta.
Ci accomodiamo in un tavolino per due. Guardo l’ora. -Non vorrai davvero mangiare muffin al cioccolato per pranzo?- chiedo stranita.
-E non uno, ma ben due! Dovresti farlo anche tu!- mi dice sorridendo. Lo stesso sorriso naturale di ieri sera. Sembra essere così genuina.
-E io che pensavo di avere abitudini poco sane per quanto riguarda il cibo… ho trovato qualcuno che mi batte!- dico in modo spontaneo, quasi stupendomi di me stessa.
Una volta arrivata la cameriera per l’ordine Sara inizia dicendo: -Due muffin al cioccolato e per lei lo stesso, grazie!- non dandomi neanche il tempo di poter dare il mio ordine.
Scuoto la testa, che caso perso.
-Non te ne pentirai, vedrai!-
Rido quasi sottovoce. Sembra essere una persona serissima, presa dalla musica e da ciò che fa, però poi si sa sciogliere e cambiare totalmente in pochi minuti. Penso di ammirare questa sua dote e capacità.
-Posso vedere le foto per favore? Ovviamente solo se vuoi e se ti fa piacere, non voglio forzare nulla- mi chiede con un tatto e una gentilezza inaudita.
Sorrido e intanto tiro fuori la mia macchina fotografica.
-Perché pensi che mi dia fastidio farti vedere le mie foto?- chiedo curiosa.
-Perché so quanto può essere difficile mostrare agli altri la propria arte, soprattutto se mostra la parte più intima di se stessi-
-Questa non è arte, è un semplice passatempo e non c’è niente di intimo nel fotografare una persona che suona il pianoforte- rispondo gentilmente.
-Penso che ogni opera che derivi da una passione sia in qualche modo arte, soprattutto per chi la crea. E ogni nostro gesto ha qualcosa di intimo, solo che alcune volte è palese altre volte è solo nascosto- mi spiega gentilmente.
In soli cinque minuti e con un semplice argomento già mi ha spiazzato e tolto le parole di bocca. E non solo, mi ha anche capito e compreso anche se non lo sa. Concordo esattamente con ogni sua parola, anche se non voglio darlo a vedere.
Accendo la macchina fotografica.
-Ti faccio vedere quella che secondo me è più bella, lasciami solo fare due regolazioni alla buona-
Sorride poi le sporgo la macchina.
La foto che ho scelto di farle vedere è davvero quella che reputo la migliore. La messa a fuoco è esclusivamente su di lei, occhi chiusi, labbra socchiuse, volto leggermente rivolto verso l’alto, il resto intorno non è a fuoco, i passanti che corrono e camminano lasciano scie segno di movimento, di velocità. Ma lei è ferma e immobile.
La scruta con interesse.
-Bellissima, è davvero bellissima Chiara- mi dice seria guardandomi negli occhi, penetrandomi.
-Grazie, Sara- è l’unica cosa che riesco a dire avendo ancora i suoi occhi puntati sui miei.
Rimane così, a fissarmi e io a fissare lei.
-Poi mi vieni a dire che non c’è nulla di intimo in questa foto- sputa ad un tratto.
Quasi mi viene da arrossire.
-Hai ragione, i propri pensieri e le proprie vibrazioni si sentiranno in qualunque cosa. La musica per me è proprio quella foto, per tanti altri passa, scivola, per me… rimane-
Mi guarda intensamente, sento le mie guance che vanno a fuoco, sento il suo sguardo ancora su di me.
Finalmente i muffin arrivano e mi fiondo su di loro.
-Abbiamo più cose in comune di quanto tu non creda- finalmente rompe il silenzio.
-Dici?- chiedo curiosa.
-Facciamo un gioco, io chiedo qualcosa su di te e tu chiedi qualcosa su di me. Dobbiamo rispondere e rispondere sinceramente. Ci stai?- Mi chiede speranzosa.
-Va bene, ma solo perché questi muffin sono effettivamente buonissimi- le concedo.
Prende un morso e poi inizia.
-Cosa ci facevi là a fotografare?-
Pensavo mi chiedesse di peggio, sinceramente.
-Visto che i miei obblighi sono finiti da poco, mi godo il relax. Quindi vado in giro per la città e fotografo qualcosa, come passatempo e passione-
Annuisce contenta.
-Tocca a me!- dico -E tu star del rock, cosa ci facevi là a suonare il piano?-
Scuote la testa e ride, -Si vede che non hai mai giocato! Sei prevedibile-
Faccio la finta offesa.
-Tornavo verso casa dallo studio del nostro manager, dovevo scaricare un po’ di tensione e suonare è sempre un buon metodo per farlo, quindi perché no?- annuisco in risposta.
-E tu che obblighi hai terminato? Nel senso.. cosa fai nella vita?- chiede.
-Io studio, appena finito il primo anno. Ma non chiedermi cosa studio- rispondo secca.
-Dai non puoi non dirmi cosa studi! Forza dimmelo o ti rubo il muffin!- dice scherzando.
-Ma è mio!-
-Rispondi, forza!-
-Studio fisica, dai forza prendimi pure in giro!-
-Perché dovrei?- mi chiede.
-Perché fisica è da sfigati, lo sanno tutti!- dico incrociando le braccia e aspettando per davvero una serie di battutine sulla scia di: “Allora sei una secchiona!”.
Mi guarda e ride invece. Cosa ride ora?
-Dovresti guardarti, tutta imbronciata con le braccia incrociate a fare il musetto offeso- continua a ridere.
Lancio uno sguardo dritto ai suoi meravigliosi occhi verdi.
-Penso tu sia coraggiosa, non deve essere facile, ma non riderò di certo di te!- mi dice seria. -Però pensavo facessi qualcosa più… umh.. artistico?!-
-E invece- rispondo.
-Complimenti comunque, devi essere una secchiona- ride.
Sbuffo sonoramente e ritorno al muffin.
-Come mai eri agitata dopo la visita dal vostro manager?- chiedo curiosa.
-Perché tra poco arriverà il momento di far sentire i provini delle future canzoni, e io odio quel momento. Inoltre avrò tra poco un appuntamento pubblico al quale tengo molto, quindi mi dovrò preparare- dice seria guardando il suo bicchiere.
-Pensavo che per voi artisti fosse un vero e proprio piacere condividere le proprie canzoni con il resto del mondo e i fan-
-Infatti lo è, anzi è la parte che mi piace di più di quello che faccio. Condividere me stessa con gli altri, è… magnifico. Ma d’altra parte ho sempre paura del loro giudizio, soprattutto del giudizio dei miei compagni di avventure- beve un po’ d’acqua e riprende -Sai, sono bravi e tutto, ma comunque umani e anche loro giudicano spesso il mio operato o le mie parole. E non è sempre bello essere fraintesi, oppure non capiti a pieno, anzi dopo un po’ la cosa pesa-
-Cerca di pensare che però ne vale la pena e che poi le tue canzoni verranno condivise con i tuoi fan, se superi quello scoglio-
Mi annuisce sorridendo.
-E invece il famoso appuntamento pubblico?- chiedo sperando non si accorga che in realtà è il suo turno e non il mio.
-Beh, hai da fare il prossimo sabato?-
-Umh, non credo-
-Non prenderti impegni, ci vediamo qui sabato prossimo alle 9:30 di mattina- dice lasciando i soldi sul tavolo. La guardo confusa.
-E non pensare che non mi sia accorta che mi hai fatto due domande! Me ne devi una, ma me la tengo per sabato- dice dirigendosi verso l’uscita e lasciandomi lì, confusa con un ultimo pezzo di muffin da mangiare.

 
Ed eccoci qua, un nuovo capitolo.
Grazie per le recensioni e per gli apprezzamenti che avete dimostrato! Soprattutto grazie per tutte le domande che mi avete fatto in messaggi privati, non mi aspettavo nulla del genere.
Grazie grazie.
Ecco un nuovo incontro tra le due. Si incominciano a conoscere e soprattutto, se avete notato, in un modo molto profondo e poco superficiale. Direi che neanche loro se ne sono accorte!
Ma la vera domanda è… sabato che succerà?
P.s. il personaggio di Eleonora mi fa morire ahahah
A presto, un abbraccio.
(scusate eventuali errori, è mezzanotte non ci sto capendo più nulla!)

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Capitolo 5
*** 5 - Pride ***


-Ma quando cavolo pensavi di dirmi che eri di nuovo in città?-
Mi stropiccio gli occhi.
Probabilmente ho risposto al telefono ancora mentre dormivo.
Rispondo con un brontolio a caso.
-Questa è la risposta che dai alla tua migliore amica?- dice la persona dall’altra parte del telefono. So benissimo che in realtà non è arrabbiata come vuole far sembrare.
Non lo è perché ci è abituata e, soprattutto, perché mi vuole troppo bene.
-In realtà volevo farti una sorpresa, ma la stai rovinando completamente- dico con la voce tipica di chi si è appena svegliato.
-Bene, ora è anche colpa mia! Appena ti vedo ti prendo a pugni, puoi giurarci- dice con tono autoritario.
-Ale, lo sai che appena inizio a farti il solletico ti arrendi- dico ridendo, ricordando l’ultima “rissa” che abbiamo avuto.
-Beh, quando ci vediamo allora? Così vedi come non mi arrendo-
-Sabato sai cosa c’è, vero?-
-Ovvio che lo so, ormai è un rito dal tempo delle superiori!- dice ridendo.
-Allora ci vediamo là, fidati-
-Affare fatto Sara! Sono felice che tu sia di nuovo a casa, mi sei mancata- mi dice dolcemente.
-Anche io sono felice di rivederti Alessandra, a sabato- e chiudo la chiamata.
La mia non era una bugia, volevo davvero farle una sorpresa. Soprattutto perché è da esattamente tre mesi che non ci vediamo, quindi una sorpresa sarebbe stata una giusta ricompensa per l’attesa. Però come al solito Alessandra è impaziente, quindi mi ha parzialmente rovinato tutto.
Ma, in generale, le sorprese non sono finite.
Ed è ora di mettersi al lavoro per sabato.


◦●◦                                                    ◦●◦
Addento le penne che ho nel piatto e guardo Eleonora.
Mi fido davvero poco delle sue abilità culinarie. L’ultima volta ha messo lo zucchero nell’insalata e lei continuava a sostenere che fosse la miglior insalata che avesse mai mangiato.
-Allora? Com’è?- mi chiede speranzosa.
-Ele, è orribile- dico con sincerità.
-Non è vero! A me piace!- mi dice addentando la pasta.
-Ele… è senza sale, asciutta e soprattutto è scotta!- dico spostando il piatto lontano da me.
-Non è vero è buonissima- dice mandando giù un'altra forchettata. -Lo sai cosa c’è sabato, vero?- chiede con un tono divertito.
-Emh, una qualche fiera? Festa?- chiedo, non capendo cosa intenda.
-No, sei sempre una tale delusione- scuote la testa, -Il pride! Dovremmo andarci. Fiumi di birra, arcobaleni e ragazze! Cosa vuoi di più?-
-Non mi piace la birra- rispondo. Voglio, decisamente, evitare di dirle il mio piccolo impegno di sabato mattina.
-Ma gli arcobaleni e le ragazze sì- mi dice in tutta risposta. E come darle torto?
Mi guarda ammiccando.
-Okay, va bene ma la mattina ho da fare! Potremmo andare nel pomeriggio- concedo.
Tanto male non può fare, no? Anzi potrebbe essere una bella esperienza, uno svago niente male, oppure una giornata passata in modo alternativo.
-Il sabato mattina che vuoi fare se non dormire, Chiara la dormigliona?-
-Non sono una dormigliona e ho da fare!- rispondo secca.
-Se non mi rispondi non ordino la pizza e sarai obbligata a mangiare questa buonissima pasta- mi dice con tono minaccioso.
-Oh uffa! È un ricatto- dico scocciata. Mi guarda come se avesse già vinto. -Sara, la tua amica cantante, mi ha dato appuntamento in un bar- ammetto finalmente.
-Uhhh! Questa sarà la pizza più lunga che mangerai in vita tua, mia cara Chiara. Mi devi dire ogni piccolo dettaglio, altrimenti ti farò pasta per il resto dei tuoi giorni- sogghigna.
-Ordina sta pizza!- urlo.
Lei in tutta risposta ride a crepapelle.
 
Il sabato che tutti tanto attendevano è arrivato.
Sinceramente? Questa mattina, c’era solo una persona in ansia e non ero io. Eleonora era più in ansia di me per questo incontro misterioso. L’ho capito quando alle sette di mattina mi ha buttato violentemente giù dal letto attaccandosi al mio campanello, buttandomi successivamente sotto una doccia gelata.
Ha ribaltato il mio armadio nella speranza di trovare qualcosa che:
1. Fosse colorato
2. Non rimandasse a qualche band “sconosciuta e depressa”
3. Fosse “sexy”
Risultato? Non ha trovato niente che rispettasse questi tre sacri canoni.
Doveva aspettarselo… insomma, mi conosce da un po’, eh!
Dopo vari “dobbiamo andare a fare shopping e rimediare a questo scempio”, seguito da “oddio ma questa maglietta la usi come pigiama, vero?”, per concludere “queste sono le uniche cose che non butterei nella spazzatura, mettile”, mi ha buttato letteralmente fuori di casa.
Quindi ora mi ritrovo con indosso una maglietta qualunque, dei pantaloni stretti e neri che già odio, davanti a due muffin al cioccolato aspettando Sara.
Sara che tra l’altro non ha il mio numero, quindi se mai cambiasse idea (e farebbe bene) non mi potrebbe neanche contattare. Beh, nella peggiore delle ipotesi sembrerei una persona sola e i muffin sarebbero tutti e due miei.
-Vedo che hai capito come funzionano le cose nella mia vita! Muffin al cioccolato ad ogni ora, brava Chiaretta!-
-Come mi hai chiamato?- alzo lo sguardo sulla figura che mi si para davanti. Alzo un sopracciglio.
-Chiaretta- risponde orgogliosa.
-Non mi chiamare mai più così, oppure me li mangio- indico arrabbiata i muffin.
-Okay, mai più giuro- mette una mano sul cuore e si prende un muffin.
Tra un boccone e l’altro la scruto.
Indossa una maglietta dei Pink Floyd grigia, con sopra una giacca di pelle oserei dire minuscola. Diciamo che è tutto molto… stretto? Corto? Le lascia i fianchi leggermente scoperti e i pantaloni che indossa sembrano molto simili ai miei ma solo grigi. Anche le caviglie sono scoperte. Indubbiamente non ha paura nel far vedere parti di sé, anche se sono piccoli lambi di pelle qua e là.
-Oggi hai da fare?- chiede dal nulla.
-In realtà, io e Eleonora, pensavamo di andare al Pride nel pomeriggio- dico con sincerità
-Ma è fantastico! Hai portato per caso la tua macchina fotografica?-
-Sì, è nel mio zaino- dico sorridendo appena.
-Allora oggi ti va di essere la mia fotografa durante la mia esibizione al Pride?- chiede speranzosa.

Ed eccomi qua, a cercare di tirare su un pesantissimo amplificatore da chitarra per metterlo nel bagagliaio della macchina di Sara. Ma chi me l’ha fatto fare? Perché diavolo ho detto di sì? Potevo staramene bella tranquilla nel mio letto, a dormicchiare e mangiare schifezze davanti ad un bel film. Ma invece no, ho accettato l’invito di Sara senza neanche pensarci un secondo.
-Bene, abbiamo messo tutto direi! Asta, microfono, chitarra, amplificatore, i cavi… ci sono, il mio cambio anche. Direi che ci siamo!- dice felice guardando un’ultima volta il suo bagagliaio e chiudendolo.
-Grazie per la mano Ricky, domani riporto tutto in studio, promesso- aggiunge poi.
-Prego! E mi raccomando, tu- punta il dito contro di me -fai delle belle foto a questa signorina! Conto su di te- mi dice facendo l’occhiolino e andandosene.
Riesco appena in tempo ad annuire che Sara mi trascina per un braccio dentro la sua macchina, aprendomi la portiera con gentilezza. Mi stupisco vedendo quel gesto da vera gentildonna. Mi allaccio la cintura e aspetto.
La radio si accende insieme al motore e riconosco subito la canzone che esce dalle casse.
-Così sei una fan degli Arctic Monkeys, eh?- dico spezzando la musica.
-Ci sono cresciuta con loro, sono il mio sottofondo quotidiano- sorride.
Canta sopra la canzone e mi perdo ad ascoltare la sua voce perfettamente intonata e melodiosa.
Intanto fuori dal finestrino passano i palazzi che ormai conosco abbastanza bene, riconosco dalla strada che ci stiamo avvicinando al centro. Ritorno con gli occhi sopra Sara, la osservo delicatamente. Occhi sulla strada, le dita che tamburellano a tempo sul volante, labbra che si muovono con la canzone e un leggero soffio che esce dalla sua bocca, si sente poco ma è melodioso come quando cantava fino a pochi secondi fa.
Facendo finta di niente accendo la mia macchina fotografica, la tengo ancora sulle mie gambe in modo tale che Sara non si accorga di nulla.
Scatto due o tre foto, non so neanche se l’inquadratura è buona, se si veda ciò che sto vedendo io, ma semplicemente ci spero.
-Siamo arrivate, scarichiamo la macchina velocemente e poi la metto nel parcheggio riservato- dice mettendo il freno a mano.
Scendo dalla macchina e realizzo di essere nella grande piazza della città, la più monumentale di tutte. La prima volta che misi piede in questa città, una volta arrivata in questa piazza rimasi senza parole. Mi sentivo così piccola, indifesa… una nullità rispetto a questi palazzi storici che la contornano, rispetto alle bellissime luci, rispetto alle statue famosissime.
Dev’essere qua che la sfilata del pride terminerà, visto che un grande palco occupa una parte della piazza ovviamente decorata a tema.
Scaricate le cose dalla macchina, le portiamo nel backstage prontamente recintato e coperto dietro al palco. Un brulicare di gente parla, cammina di qua e di là, gesticola, urla al telefono, da questo clima capisco che è il “quartier generale” dell’organizzazione.
Appena entrate Sara viene assalita da cinque o sei persone insieme: -Ciao Sara, grazie per essere venuta!-, dice una voce tra le tante.
-Figuratevi, grazie per l’invito. Per me è un onore-
-L’onore è nostro, ti dispiace se ti spiego un po’ come funzioneranno le cose oggi?- Chiede un’altra ragazza.
-Guardate sono tutta vostra se prima mi dite dove sistemare queste cose. Sapete, sono un po’ pesanti- dice sorridendo.
-Oh, sì scusaci! Lì di fianco c’è spazio per voi artisti, presto arriveranno anche gli altri invitati di oggi- ci dice un ragazzo indicando un punto non lontano da dove siamo noi. Una volta lasciata la roba di Sara in un angolo del locale, noto come sia tutto attrezzato: bevande di ogni genere, cibo a volontà, divanetti. Proprio come un vero backstage!
-Beh, sono organizzati- vedo che Sara la pensa come me. -Vado a parcheggiare la macchina e torno subito. Non farti mangiare da nessuno- dice scherzando.
Appena Sara mi abbandona il ragazzo di prima si avvicina a me.
-Ti lascio un pass- esordisce. -Immagino tu sia la fotografa di Sara oggi- dice indicando la mia macchina fotografica.
-Ci provo- rispondo prendendo il pass che mi ha gentilmente offerto.
-Lavori con gli “Oltre” da molto?- chiede curioso.
-No, io in realtà… è la prima volta- rispondo impacciata.
-Davvero? Non mi sembri per niente intimorita o impaurita- dice sorridendo. Si gratta la barba e i arriccia un baffo guardandomi.
-Riesco a fingere bene- sorrido, più per cortesia che altro. E invece lui scoppia in una risata clamorosa, di sicuro fin troppo esagerata.
Nello stesso momento rientra Sara, che subito fissa malamente il ragazzo che ancora si contorce dalle risate senza un motivo. Lei gli mette una mano sulla spalla ed esordisce dicendo: -Grazie per aver intrattenuto la mia amica, ma ora sono tornata-. Lo dice con un tono protettivo, quasi arrabbiato per la situazione.
Lo sguardo ritorna su di me. -Vieni, ora c’è il soundcheck. Visto che sei una critica musicale come dice Eleonora voglio che tu stia davanti al palco a dirmi se si sente bene-
Annuisco come una macchinetta e la seguo.
Intanto una delle ragazze di prima ci lascia un foglio con il programma del Pride. Mentre che Sara sale sul palco e monta tutti i suoi cavi e altre robe complicate, mi piazzo a qualche metro dal palco e leggo il programma.
Tra i vari interventi, spuntano nomi di musicisti abbastanza famosi, qualche dj. Sara dovrebbe suonare per un quarto d’ora verso le 16 del pomeriggio. Non male, un orario perfetto! Non troppo tardi, ma neanche troppo presto.
-Prova prova, ehi, ehi- Sara ha iniziato il soundcheck direi. -one, two, three, check-
Vedo che annuisce al fonico che sta al centro della piazza, si gira verso il suo amplificatore da chitarra, lo accende. Nello stesso momento gli occhiali da sole che aveva sulla testa le cadono sul naso, le scappa un sorrisetto divertito. Si sistema meglio i suoi Ray-Ban all’ultima moda e incomincia a suonare la chitarra.
La testa si muove leggermente a tempo. I suoi occhi fissano le sue mani. Faccio qualche passo avanti. I suoi capelli rossi si muovono spostati dal vento leggero. Le dita veloci toccano le corde delicatamente, producendo un suono dolce che riempie la piazza. Schiacciando alcuni pedali ai suoi piedi ne cambia il suono ogni tanto, aggiungendo suoni armoniosi al già piacevole arpeggio. Intanto continua a passeggiare tranquillamente sul palco, che è evidentemente fatto per accogliere decisamente più di una persona.
Dopo pochi minuti, ritorna davanti al suo microfono. Stacca la mano dalle corde, tira indietro i capelli mostrando il suo viso dalla carnagione chiara. Si raddrizza, mostrando tutta la sua altezza, la sua bocca si avvicina al microfono ed involontariamente tiro fuori la mia macchina fotografica.
Fotografo un po’ da diverse angolazioni. Faccio le regolazioni necessarie, cerco di capire quali posti potrebbero essere migliori per le foto.
Poco dopo la sua voce si espande nelle casse. Non è una delle canzoni che avevo sentito al concerto, quindi magari è una sua canzone? O una canzone di qualcun altro?
In ogni caso è bellissima.
Continua a cantare e a suonare per altri cinque sei minuti buoni. Poi il fonico la fa smettere e lei poco dopo scende dal palco.
-Come si sentiva?-
-Benissimo- rispondo.
-Ne sono felice, voglio che sia quasi perfetto- dice sorridente.
-La canzone che hai suonato è tua?- chiedo innocentemente.
-Sì, verso le ultime date del tour la strimpellavo sul bus, oppure durante i soundcheck. Così a forza di suonarla è diventata una vera e propria canzone con un inizio e una fine. Allora è ormai abitudine suonarla nei soundcheck- mi spiega mentre sorseggia una coca-cola.
-Dovrebbe diventare una vera e propria canzone, non una da tenere per te- dico gentilmente.
Non riusciamo a finire il discorso che il backstage comincia a riempirsi di altri artisti, fotografi, giornalisti che chiedono qualche intervista. Sara incomincia a scherzare ed abbracciare tutti. La guardo mentre ride su qualche battuta a sfondo musicale, mentre sorride a qualche giornalista… sembra fatta apposta per questo, sembra che abbia fatto questo per tutta la vita.
Il vibrare continuo del mio telefono mi risveglia.
-Dove sei? Dove ci vediamo? Te la sei fatta la rossa? Se no, me la posso fare io?-
Corro fuori dal backstage.
-Sei sempre la solita eh?-
Ridacchia.
-Sono al pride, comunque. Sara fa qualche canzone, mi ha chiesto se facevo qualche foto-
-E poi come ti paga? In natura?-
-Non mi paga! La smetti?- sbuffo.
-Lo sai, farti arrabbiare è il hobby preferito. Allora ci vediamo lì, direi! Ti mando un messaggio quando sono lì- e chiude la comunicazione.
-Ehy, tutto bene?- mi sento una mano sulla spalla. La voce ormai la sto imparando a conoscere sempre di più.
-Sì, era solo Eleonora. Voleva sapere dove ci troviamo dopo- sorrido girandomi verso di lei.
Ci ritroviamo incredibilmente vicino. Riesco a vedere il mio buffo riflesso nei suoi occhiali.
-Vieni andiamo a mangiare qualcosa, che tra poco inizia la festa- mi sorride dolce e la seguo.


La festa è iniziata eccome. Solo un paio di ore, verso le 14 il corteo era arrivato e aveva riempito la piazza. Manca poco meno di un’ora all’esibizione Sara e incomincio a sentire un po’ di pressione. Se nessuna foto mi venisse bene? Per qualche strano motivo Sara aveva riposto le sue aspettative in me e anche il suo manager lo aveva fatto. Chissà cosa le aveva detto la ragazza per convincerlo.
Intanto un via vai di gente continua ad entrare ed uscire dal backstage. Gli artisti si susseguono uno dopo l’altro felici. Ognuno di loro suona qualche canzone a tema oppure fa qualche intervento.
-Non dirmi che sei agitata piccoletta- dice scompigliandomi un po’ i capelli.
-Dai soprannomi stupidi a tutti?- dico rimettendomi a posto i capelli.
-No, solo a te in realtà. Mi ispiri!- dice ridendo.
-Mi chiamo Chiara ed è ovvio che sia agitata!- dico in risposta.
-Stai tranquilla, sei brava- mi dice seria.
-È la prima volta che faccio qualcosa di simile- ammetto.
-Se non si passa dalle prime volte non si andrà mai da nessuna parte! Qualunque cosa tu faccia, o farai, devi passare da una prima volta. La prima volta che hai dato un esame all’università eri agitata, no? Ma poi lo hai dato per forza ed è passato direi, visto che sei ancora qua per raccontarlo- mi dice con un tono di voce basso, serio, che poche volte ha usato fino ad ora.
-Sì hai ragione, grazie-
-Prego. Che ne dici di andare nella folla e cercare Eleonora?- mi propone.
-Sì, ne sarebbe davvero felice. Mi ha mandato un messaggio per dirmi dov’è-
Ci avviamo verso la folla e, mentre ci districhiamo tra le moltissime persone, le spiego dove si trova Eleonora. Una volta superati tutti gli arcobaleni, le persone urlanti e danzanti, arriviamo finalmente da Eleonora. Mi corre incontro e mi abbraccia di slancio, prova inconfutabile che ha bevuto qualche birra di troppo.
Sara osserva la scena ridendo sotto i baffi, osservandomi tramite i suoi occhiali scuri. So che sta ridendo per la mia espressione, però è davvero l’unica che riesco a fare. Di solito Eleonora mi saluta a pugni sulla spalla o pizzicotti.
-Ehy, ma c’è anche la mia cantante preferita!- dice staccandosi da me e buttandosi tra le braccia di Sara.
-E la mia fan preferita!- risponde lei ridendo.
-Oddio, hai sentito? Sono la sua fan preferita!-
Scoppio in una sonora risata.
-Allora quando ti esibisci?- chiede felice.
-Tra poco vado a cambiarmi, una mezzoretta e tocca a me- dice sorridendo.
-Ti vesti di arcobaleni anche tu?- dice ridendo.
-No, ma ammetto che il tuo outfit mi piace, potrei prendere spunto!- dice indicando la bandiera arcobaleno messa come mantello.
-Bellissimo vero?- dice facendo una giravolta su se stessa. -Almeno io esprimo la mia sessualità! Non come questa qua che si veste di nero anche durante il Pride!- mi indica. -Lo diresti che gioca nella nostra squadra?-
Sento le mie guance che vanno a fuoco. Sono di sicuro rossa come un peperone. Okay, la mia sessualità non è un segreto. Se mi chiedete “per che squadra gioco” ve lo dico senza problemi, però non sono il tipo di persona che lo va a sbandierare in giro. Non sono come Eleonora, questo di sicuro.
Lo sguardo di Sara quasi buca la mia pelle, lo sento su di me, che mi scruta e fissa. La sua espressione è un misto tra il sorpreso e il divertito. Decido di guardare per terra e fare finta di niente. È una tecnica, no?
-Magari proprio per questo è più lesbica di te!- dice scherzando, penso per spezzare la tensione che si è venuta a creare.
-Ora devo andare ragazze. Dopo l’esibizione ci vediamo nel backstage? Chiara ti può accompagnare- dice salutando con la mano e girandosi.
Con uno scatto che sorprende anche me stessa, riesco a bloccarla per un polso.
-Buona fortuna- dico seria, quasi imbarazzata dalla situazione.
-Sono io che devo dirlo a te- dice alzando gli occhiali e sorridendo divertita. Si gira di nuovo e si perde nella folla.
Mi giro verso Eleonora che balla a ritmo di musica non curante della situazione che ha creato.
-Io e te facciamo i conti dopo!- dico dirigendomi verso l’area davanti al palco, dedicata ai fotografi.
Dopo pochi minuti di attesa finalmente il conduttore la annuncia: -Ora su questo palco arriverà una persona molto speciale per la nostra città! Cantante e frontman degli “Oltre”… date il benvenuto a Sara Leonardi-
Ed ecco che fa la sua entrata maestosa. Il pubblico applaude forte, alcuni urlano, beh gioca in casa. È nata e cresciuta in questa grande città, quindi la gente la conosce e adora.
Saluta il pubblico, collega la sua chitarra e si prepara.
Ora indossa una canottiera larga, nera e con la scritta “Pizza rolls not gender roles”. Direi perfetta per l’occasione. La canottiera lascia decisamente molti lembi di pelle scoperti, forse anche troppi. Noto che ha anche cambiato la tracolla della chitarra con una arcobaleno, giusto per restare in tema.
Dopo aver salutato il pubblico incomincia a suonare.
-Questa canzone parla di un amore, un amore per nulla diverso dagli altri, un amore che dobbiamo difendere sempre e per sempre. Per questo siamo qui oggi, no?- dice scatenando applausi. Intanto la musica della sua chitarra continua ad inondare la piazza. -L’amore è amore, dobbiamo festeggiarlo oggi ma difenderlo domani, dopodomani e i giorni che verranno-
Mi perdo in quelle parole cariche di significato, di potenza, di bellezza. Mi perdo nel suo sguardo serio, nelle sue mani sulla chitarra.
Poi la musica mi fa ritornare alla realtà. Sara non sei qua per fissare e adulare. Sei qua per fotografare.
Quindi mi metto subito all’opera, scatto moltissime foto e intanto la canzone prosegue. Non riesco a seguirla come vorrei, perché devo concentrarmi su quello che sto facendo, ma è comunque una meraviglia. Continuo a scattare da diverse angolazioni e poi la canzone si calma, si chiude. Rimane solo qualche nota nell’aria e Sara canta con un’intensità unica, quasi sottovoce:” …hai visto il loro non era un amore poi tanto diverso…”
E la folla scoppia in un boato.
Decido di indietreggiare e mettermi in mezzo alla folla.
Intanto Sara riprende a parlare: -A volte ci svegliamo la mattina e ci sentiamo non supportati, rifiutati, come se non facessimo parte di questo mondo, a volte ci svegliamo così e non possiamo far altro che accettare la situazione. Beh a voi, a voi che vi sentite così, voglio dire questo. Non importa quante persone vi faranno sentire così, dovete concentrarvi sulle persone che non vi fanno sentire al di fuori di questa vita e dovete usare la vostra rabbia, il vostro dolore come benzina su un fuoco: far sì che alimenti solo la vostra forza non che vi indebolisca a favore degli altri. L’amore sarà sempre l’arma più forte, non smettiamo mai di combattere per questo-
La folla va di nuovo in delirio e io con loro.
Qualcuno poco più avanti alza una bandiera arcobaleno ed è lì che capisco di avere tra le mani lo scatto perfetto. Scatto immediatamente la foto, anzi più foto, con diverse messe a fuoco. Con qualche ritocco sarà perfetta.
La canzone parte di nuovo e tutti incominciano a cantarla. Deve essere la canzone più famosa del gruppo, perché è conosciuta da tutti.
Tra una strofa e l’altra sento solo commenti positivi tra le persone, ma anche cose tipo: “io me la sposerei subito”, “ma come fa ad essere ancora single?”, “Bella, intelligente e talentuosa, non chiedo di meglio”
L’esibizione finisce e corro a prendere Eleonora. La trascino fino al backstage anche lei dice qualcosa su quanto sia figa Sara, ma non la sto a sentire. È praticamente sbronza.
Una volta superata la soglia del backstage vedo una scena che mai avrei immaginato di poter vedere.
Sara tra le braccia di una ragazza poco più alta di lei, capelli biondi, corpo tonico e praticamente perfetto.
Si stringono in un abbraccio quasi intimo, la bionda le mette le mani sui fianchi e poi la allontana. Le sussurra qualcosa nell’orecchio che scatena le risate di tutte e due. Io ed Eleonora restiamo a fissare la scena. Le due intanto continuano a guardarsi e a ridacchiare.
Perché sono ferma impalata? Perché non mi aspettavo una scena del genere? Perché l’unico gusto che ho in bocca è amarezza?
Non devo essere gelosa, non devo. Non si era creato nulla di speciale, io non sono niente di speciale, come sempre. Mi avrà usato solo per qualche foto gratis e va bene così. Chiara accettalo e muoviti, vattene. Hai fatto il tuo dovere, no?
-Ehy, Chiara! Eleonora! Venite!- ci dice Sara.
Riluttante mi muovo con Eleonora verso di loro.
-Bravissima Sara- questa volta è Eleonora a rompere il silenzio, forse perché ha visto la mia espressione sotto shock.
-Grazie! Chiara com’è andata là sotto?- mi chiede felice.
-Bene- rispondo fredda. Si stupisce quasi della mia fredda risposta, proprio come la prima volta che ci siamo parlate.
-Sara, devi dire loro la nostra proposta!- dice la bionda posando un braccio sulla spalla di Sara. La squadro ancora, al suo corpo già perfetto si aggiungono due occhi azzurri cristallini. Una bellezza allo stesso livello di Sara, se non di più.
-Giusto!- sorride alla bionda. -Io e Alessandra pensavamo di festeggiare un po’ questa giornata a casa mia, che ne dite? Ci saranno il resto dei miei colleghi, alcuni nostri amici e tanta tanta birra.- ci sorride speranzosa.
-Grazie ma n- la mia frase viene interrotta da Eleonora che nello stesso istante dice: -Ma certo, se c’è la birra potete contarci! Anche se a Chiara non piace, ma se avete della vodka a lei va bene-
Rivolgo a Eleonora uno sguardo omicida.
Lei mi sorride contenta. Che razza di migliore amica ho, me lo spiegate?
-Beh allora è fatta!- dice Alessandra.
Intanto Sara mi continua a fissare preoccupata.
-Questo è il mio indirizzo, ci vediamo lì tra un’ora- dice lasciandomi un bigliettino.
Dannata Eleonora.


 
 
Eccoci qua con il quinto capitolo.
Ho superato delle settimane pessime, non sono riuscita ad aggiornare prima, scusatemi. Però sapete quando tutte le cose brutte succedono tutte insieme? Non ho avuto tregua. Tra esami, casini vari h trovato solo questi due giorni per scrivere questo capitolo. Ma dalla prossima settimana dovrei avere più tempo, quindi spero di far arrivare prima il prossimo capitolo.
Grazie a quelli che recensiscono sempre, grazie a chi mette la storia tra le seguite o preferite. Mi fate davvero felice.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, in realtà la scena del pride doveva succedere più avanti ma dopo l’elezione di Trump (il prossimo anno andrò a studiare negli USA) mi sono sentita in “minoranza” (?), quindi ho sentito il bisogno di scrivere qualcosa che abbia a che fare con arcobaleni e orgoglio gay. Scusate ahaha
Per il resto, se ci sono errori mi scuso. Tra un capitolo e l’altro di studio ho scritto questo di capitolo e ora è quasi mezzanotte, quindi di errori ci saranno.
Tra l’altro ho fatto da poco un mio nuovo tumblr (dell’altro ho dimenticato e-mail e password, come le nonnine) lo lascio a voi in caso qualcuno volesse fare due chiacchiere. Per ora è vuoto, ma presto lo farò “mio”. Seguitemi se vi va! http://lineaguidagenerale.tumblr.com/
Buona serata! :)

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Capitolo 6
*** 6 - Fammi uno squilo ***


-Cavolo, guarda in che palazzo vive!- dice Eleonora salendo i gradini e guardando per aria.
Beh, Eleonora ha effettivamente ragione.
Il palazzo è praticamente una reggia super moderna, con un ascensore in vetro di quelli che si vedono nei film, scale bianchissime e vetrate enormi. Ma se è moderno, è al contempo asettico e minimale. Non sa di casa. Sembra di entrare in un palazzo di una grossa multinazionale americana.
Una volta arrivate al secondo piano, ci piazziamo davanti alla porta con il numero “92”.
-Dovrebbe essere questa- dico guardando la porta, anch’essa bianca come il resto.
-Dai suona!- mi risponde.
Sbuffo.
-Non ti capisco! Perché non vuoi andare a questo piccolo party? Lei è palesemente intrigata da te e ho visto come guardavi la sua amica biondina. Sembrava volessi bruciarla! Sei gelosa di lei- mi dice seria.
-Non è vero. Non è interessata a me, voleva soltanto usarmi per delle foto gratis! Fine!- dico quasi esasperata.
-Ma non è vero, Chiara! Non mi sembra sia una persona del genere sinceramente. Poi la devi smettere con questa cosa che ogni persona che ha a che fare con te deve usarti o avere secondi fini, dopo quello che ti è successo non fai altro che pen-
-Basta entriamo e basta- la fermo.
-E se ti fa stare meglio, secondo me la biondina è solo una semplice amica-
Suono il campanello.
Sto facendo una grande cazzata.
Eppure la sto facendo comunque.

◦●◦                                                    ◦●◦

Dopo l’esibizione Alessandra mi ha aiutato a caricare l’attrezzatura in macchina e siamo sfrecciate a casa mia.
Ma prima, ovviamente, abbiamo fatto tappa al supermercato: comprato schifezze, alcolici e birra.
Nel frattempo Alessandra ha messo in modo le sue qualità da PR e ha invitato un po’ di persone al “party” a casa mia. Niente di che, solo il resto della band, qualche altra persona e ovviamente Eleonora e Chiara.
Ho visto nello sguardo di Chiara qualcosa di strano. Come se fosse delusa. E quando Alessandra l’ha invitata a casa mia, i suoi occhi urlavano “non voglio venire”. Insomma, si vedeva. Si vedeva che qualcosa non andava.
Spero che sia stato solo un momento.
-Ehy sei ancora nel nostro mondo?- mi chiede Alessandra mentre stappa una birra.
-Sì, scusa, sono un po’ stanca- mento.
-Ma come! Il party sta per iniziareeee- dice buttando giù la birra che ha in mano e iniziando a ballare a ritmo di musica.
La musica è alta, ma non in modo insopportabile. Io e i ragazzi avevamo fatto, durante tutto questo tour, una playlist per i “dopo concerti” piena di canzoni che ci piacciono, che ci fanno ballare, divertire e essere semplicemente felici. Perché dopo ore di pullman e stress da performance, la cosa che meglio ti può curare è la musica. Soprattutto quella musica spensierata, casinista, divertente ed innocua. Quella che non ti può far male.
Così mettevamo sempre quella playlist, anche quando i concerti andavano male, anche quando eravamo arrabbiati tra di noi, anche quando tutto sembrava andare nella direzione sbagliata.
L’abbiamo messa anche oggi mentre chiacchieriamo del più e del meno, delle nuove uscite degli The xx e di come è andata la mia esibizione oggi.
Io rimango seduta vicino a Pietro, comoda comoda sul mio divano. Sorseggio la mia birra ascoltando l’intensa discussione tra Pietro e Andrea su quali cuffie siano le migliori in assoluto. Ridacchio di nascosto sentendo questa discussione che continua da anni tra di loro.
Poi all’improvviso suona il campanello.
So già chi sono, perché mancano solo loro.
-Ma chi manca ancora?- chiede Andrea curioso.
-Il suo nuovo amore!- mi prende in giro Alessandra.
Mi alzo facendo finta di non aver sentito e vado verso la porta dicendo: -Ale, tappati la bocca!-
La sento ridere.
Apro la porta. Mi trovo davanti una sorridentissima Eleonora e Chiara completamente seria e muta. Che è successo?
-Ciao Sara!- mi dice Eleonora.
-Ciao ragazze, prego entrate- dico facendole entrare in casa.
-Wow- dice Eleonora.
Ridacchio.
-Potete mettere le vostre cose qua nel guardaroba all’ingresso- dico. Loro immediatamente posano borsa e zaino lì dentro.
-Gli altri sono in salotto e in cucina, abbiamo preso un po’ di cose da bere e da mangiare, venite-
Entrate in salotto le presento: -Ragazzi loro sono Chiara ed Eleonora- salutano tutti in coro. -Lui è Pietro, forse lo ricordate dalla sera del concerto, lui è Andrea il ragazzo che suona le pentole- dico ridendo. Lui fa un cenno di saluto in risposta. -Lui invece è Marco, collega bassista! E la band direi che è finita! Invece lei è quella rompipalle di Alessandra, per ultimi abbiamo Cecilia che cura le nostre relazioni con la stampa e il nostro amico di cazzate Lorenzo-
Finite le presentazioni tento di far sentire Chiara ed Eleonora a loro agio.
-Venite, vi prendo da bere- dico con un sorriso. Ci dirigiamo in cucina, che si trova comunque nel grande open space condiviso con la sala. -Allora cosa preferite?- chiedo.
-Birra!- risponde Eleonora.
-Qualcosa di forte- risponde Chiara seriamente.
La guardo intensamente. Non risponde in alcun modo al mio sguardo. Sporgo la birra ad Eleonora, la prende e torna in salotto con gli altri canticchiando la canzone in sottofondo.
-Per forte intendi?-
-Non so, fai tu-
Preparo un classico Jack e coca. Incomincia a berlo.
-Dovresti mangiarci qualcosa insieme- dico a Chiara.
Ride quasi a schernirmi.
Rimaniamo in silenzio per qualche minuto. Intanto noto che Eleonora si è già ambientata: sta discutendo animatamente con gli altri. -No ragazzi, il più bravo in live ora come ora è Bruce Springsteen!- dice tutta presa.
Alessandra scuote la testa in tutta risposta.
-Concordo, lui è il Boss, dai! Nessuno lo batterà mai- dice Andrea.
Ridacchio.
-Vedo che fa presto a fare amicizia Eleonora- dico per spezzare il silenzio con Sara.
Annuisce solamente.
-Vieni, ti faccio vedere la casa- le dico.
Usciamo dalla cucina e ci dirigiamo verso il corridoio che porta alle scale. Incrocio lo sguardo di Alessandra, noto che mi sta sorridendo felice.
Sorrido in risposta.
-Qua c’è un bagno e qua ci sono le scale che portano al piano di sopra- dico iniziando a salirle.
-Hai davvero una casa enorme e bellissima- ecco le prime parole gentili che mi sento dire da quando l’ho incontrata nel backstage solo qualche ora prima. Alla buon’ora!
-Grazie Chiara, ma non è niente di che. Non ci passo neanche troppo tempo qua dentro-
-Se la avessi io sarei sempre attaccata a quella tv gigante a vedere serie TV-
Rido sentendo quella risposta. -Beh a volte lo faccio anche io, ma poco-
-Peccato. La casa è molto grande per una sola persona- ecco l’osservazione che non volevo dicesse.
Sospiro.
-Vero-
Arrivate al piano di sopra dico: -Qua c’è la mia camera- e apro la porta.
-Cavolo- esordisce.
La mia camera è l’unico angolo che davvero apprezzo insieme all’altra mia stanza preferita.
Il letto matrimoniale è basso e moderno, davanti a lui c’è un grande armadio bianco, la luce arriva dalla grande finestra a lato del letto. Una porta scorrevole in vetro opaco porta al bagno della camera. Bagno che non ho scelto io.
Ricordo ancora quando ordinammo tutti gli arredi. I bagni li aveva scelti tutti lei, io non potevo mettere parola in quello. Aveva voluto una doccia lunga e stretta, con un vetro bellissimo che la chiudeva.
Un sorriso malinconico mi spunta sulla bocca.
Non la uso mai quella doccia.
Uscite dalla mia camera indico un’altra porta. -Laggiù c’è la stanza degli ospiti-
-E qua cosa c’è?- mi chiede gentile indicando l’ultima porta rimasta.
-Entra e guarda- sorrido.
Apre piano la porta, quasi come avesse paura che all’interno ci sia un brutto scherzo o una delle sue paure più nascoste e terribili.
I sensori si accendono e con loro anche e luci.
Entriamo nella stanza illuminata da una grossa e ampia vetrata, ai suoi lati due spessi tendoni la incorniciano. La stanza è bianca come tutte le altre dentro casa mia, ma ha una particolarità: su tutte le pareti dei grossi quadrati di materiale insonorizzante la ricoprono, creando quasi una scacchiera su di esse. Un quadrato bianco e uno nero.
All’interno della “stanza della musica” (così la chiama Alessandra), c’è tutto ciò che mi è necessario per suonare: una grossa scrivania al centro del muro in fondo della stanza raccoglie il mio computer portatile, tutti i fogli su cui scrivo testi volanti e bozze di canzoni; due grosse casse si appoggiano agli angoli della stessa parete, così riesco ad avere una buona qualità di ascolto mentre sistemo le mie idee al pc; al lato destro della scrivania c’è una delle mie chitarre, quella che uso quasi sempre ai concerti, la mia prima chitarra e quella a cui sono più legata; dall’altro lato invece c’è un’altra chitarra quasi nuova. Invece al centro della stanza c’è un grosso pianoforte a mezza coda, che è il pezzo più delicato e bello della stanza.
Vicino alla porta di ingresso c’è un piccolo divano. Prima che gli Oltre avessero un’etichetta, un manager e quindi un quartier generale, questo era il luogo in cui facevo sentire le mie canzoni agli altri. Si sedevano lì, io nervosamente accendevo il pc e facevo partire i miei provini registrati in modo casereccio quasi per divertimento. Se ripenso all’ansia di quei momenti, alla voglia di sotterrarsi per paura dei giudizi negativi, probabilmente non lo rifarei. Non mi metterei di nuovo a nudo di fronte a loro. Eppure senza quello step, senza quella prima volta non ci sarebbe stato niente di quello che sto vivendo. Non ci sarebbe neppure stata Chiara qua, ora, in questa stanza, intenta ad accarezzare delicatamente il profilo del pianoforte.
-È un paradiso- dice quasi sottovoce.
Sorrido felice.
-Quindi suoni la chitarra, il pianoforte e…?- chiede.
-Anche il basso e un po’ di batteria-
-Potresti fare una band da sola praticamente-
Ridacchio.
-Sarebbe un po’ difficile-
Si ferma davanti alla chitarra che aveva già visto quella sera al concerto. La osserva di nuovo, deve piacerle parecchio. -Ti piace vero?-
-Decisamente- risponde. -Sei molto fortunata nell’avere un posto del genere-
Annuisco in risposta.
Mi siedo sul seggiolino del pianoforte e lo apro. Appoggio le dita sui tasti e inizio a suonare una melodia che per me è ormai diventata familiare. Chiudo gli occhi e mi lascio trasportare.
Non so perché stia suonando.
Non so perché stia suonando questa canzone dimenticata.
Non so perché io lo stia facendo in presenza di Chiara.
Ultimamente questa stanza è mia e mia soltanto. Dove scrivo, dove mi sfogo, dove piango sopra canzoni tristi o dove mi arrabbio con il mondo.
Ma ora stavo condividendo qualcosa di estremamente intimo per me.
Sento lo sguardo di Chiara penetrarmi la pelle e arrivare dentro la mia anima.
Stacco le dita dalla tastiera fredda del pianoforte.
Riapro gli occhi.
Chiara si è appoggiata nel piccolo angolo del seggiolino che non ho occupato, è girata in modo opposto rispetto a me.
Il silenzio pesante riempie la stanza.
-Complimenti- mi dice.
-Troppo buona- i nostri occhi si incrociano per pochi secondi. Ma in quei pochi secondi riesco a percepire qualcosa di sbagliato, strano, qualcosa che semplicemente non va.
-Cosa succede?- chiedo seria.
-A me?- si risveglia di colpo.
Annuisco.
-Niente!- risponde. È stupita. Stupita che io abbia capito che qualcosa non va.
-Chiara ti ricordo che hai barato al gioco delle domande. Quindi io sono in credito di una domanda. Avevo intenzione di utilizzarla in un modo diverso, ma mi stai obbligando ad usarla così. Cosa non va? Rispondimi sinceramente-


◦●◦                                                    ◦●◦

Come ha fatto?
Come cavolo ha fatto a leggermi con tutta questa velocità? E facilità!
Non l’ho neanche guardata, non ho quasi parlato, proprio per evitare che mi venissero poste domande. E invece in due secondi di contatto, in due secondi di silenzio, mi ha beccata.
Non pensavo di essere così facile e scontata. Pensavo di aver creato un buon muro, una facciata credibile o almeno di aver imparato a filtrare le mie emozioni. Ero sempre stata brava a farlo! Cosa mi sta succedendo? Chiara, ricomponiti, diventa di nuovo quel tipo di ragazza che è sempre felice, mai arrabbiata, mai triste, che non fa trapelare niente di sé.
Non dire nulla, non rispondere a Sara. Si merita davvero la tua sincerità? La conosci da poche settimane, non la merita di certo no? Probabilmente ti ha solo utilizzata per delle foto, niente di più, non merita la tua sincerità. Nella sua vita sarai una fra le tante, le tante che l'hanno conosciuta e apprezzata, le tante che magari volevano anche di più al contrario tuo, le tante che le hanno fatto del foto. Tu sei solo..  Una fra tante e per questo motivo non merita la tua sincerità.
-Possiamo stare in silenzio quanto vuoi, se preferisci. Tanto nessuno salirebbe mai qua senza il mio permesso- dice cercando di smuovermi. Mi guarda in modo quasi scettico. -Dai parlami Chiara, perché non vuoi dirmi nulla?-
Sto ancora in silenzio. -Perché dovrei dire qualcosa che mi turba ad una semi conosciuta?- dico di colpo.
-Beh l'altra volta al bar mi sembrava che avessi piacere di parlare con me- dice sincera. E come darle torto? Ha detto la verità. Annuisco in risposta.
-Allora cosa cambia stavolta?-
-La domanda in più che avevi a disposizione come volevi usarla?- chiedo. Magari con questa domanda riesco a sviarla.
-Volevo chiederti se ti andava di uscire con me-
Okay forse non mi sono salvata con questa domanda.
-Uscire, uscire?-
-Uscire. Io e te, sai un caffè, o un drink, oppure una pizza. Anche un film, qualunque cosa tu preferisca. Sai quelle cose lì- chiede gesticolando per aria.
Immediatamente la mia temperatura corporea aumenta. Devo rossa come peperone, anzi, peggio! Il cuore mi batte forte, quasi come fosse in gola. Chiara forza, devi rispondere! Apri la bocca e di qualcosa, qualsiasi cosa! Un suono, fai un cenno, forza! Cosa aspetti?
-Parco!- dico di colpo.
Dio, ma che razza di risposta è? Parco? Parco cosa? Parco dove? Dovevi dire “sì piacerebbe anche a me”.
-Parco?- mi guarda strana.
-Si cioè, potremmo… andare in un parco insieme, un giorno- dico cercando di risolvere la situazione senza sembrare una totale svitata.
Sorride felice. Okay, è andata.
Per fortuna ho detto parco, se avessi detto ciabatte come la arrangiavo? “vorrei provare le tue ciabatte?”
Al solo pensiero mi viene da ridere.
-Andata per il parco, poi dimmi un giorno-
Annuisco.
-Ma tu e Alessandra non.. Cioè non state insieme?- chiedo timida. Alla fine le ho detto ciò che mi turba. Alla fine ha saputo tutto.
Ride sonoramente e di gusto.
-Io ed Alessandra? Ma per favore! È la mia migliore amica, niente di più. Le voglio bene, davvero tanto bene. Mi ha sempre aiutato, c’è sempre stata sia nei momenti infelici sia in quelli più belli. È praticamente una sorella per me. Ora non ci vedevamo da molto, molto tempo-
Annuisco sollevata.
-Cosa pensavi?- mi chiede quasi ridendo. Scompigliandomi un po’ i capelli.
-Io? Niente!- mento. -Era solo curiosità! Vi ho visto molto affiatate-
-Se lo dici tu- mi risponde alzandosi. -Dovremmo scendere. Gli altri si staranno chiedendo dove siamo finite-
Una volta arrivate di nuovo al piano di sotto assistiamo ad una scena tutta da ridere.
Eleonora in mezzo alla sala, in piedi sul tavolino del salotto, con ancora addosso la sua bandiera arcobaleno/mantello, tutta intenta a recitare un passo dal film V per Vendetta. Tutta ispirata dice a gran voce -Remember remember the 5th of November-, con tanto di gesti uguali al protagonista. Gli altri comodamente seduti sul divano la guardano e ridono di gusto sorseggiando le loro birre.
Applaudono alla fine del discorso.
Pietro fischia forte come se fosse allo stadio.
Gli altri continuano a ridere.
-Remember remember che ho dei vicini, signori- dice Sara entrando di nuovo in salotto.
-Vi davamo per disperse- dice Eleonora guardandomi con un sorriso ammiccante. Alzo gli occhi al cielo. Dio, che stupida.
Balza giù dal tavolino e per poco non si ammazza. Per fortuna Sara la prende al volo e il tutta risposta Eleonora dice: -Grazie per avermi salvata, mia principessa-
E tutti ricominciano a ridere a crepapelle.
Non so chi sia più ubriaco di loro, ma di sicuro Eleonora è nella top 3.
Anche Sara si mette a ridere. Una risata cristallina, pulita, sincera e genuina. Una di quelle belle, che escono dal cuore. Non l’avevo mai sentita così.
Si stappa una birra e si siete sul divano. -Ragazzi, che ne dite se guardiamo le foto che ha fatto Chiara oggi?-
Alessandra annuisce.
-Sì, che se sei brava ti ingaggio per il mio book fotografico da modello- mi dice serio rivolgendosi a me.
Scoppiamo tutti a ridere contemporaneamente. Non che non sia un bel ragazzo, anzi. Penso che un sacco di ragazze vadano pazze per lui: vestito sempre alla moda, alto, snello, capelli scuri, barba proprio come va ultimamente e occhi azzurri. Il classico ragazzo per cui tutte le ragazze prendono una cotta almeno una volta nella vita. In più è un musicista, quindi credo che non manchino le groupies. Però proprio non ce lo vedo sulla copertina di un magazine di moda.
-Ridete, ridete, quando sarò un famoso modello mi verrete a cercare e pretenderò le vostre scuse- dice incrociando le braccia. Ridiamo ancora.
-Allora, queste foto?- dice Marco guardandomi serio.
Lui forse è quello più schivo del gruppo, quello sempre serio e con uno sguardo imbronciato.
-Chiara! Chiara! Chiara!- ecco che Eleonora fa parte una specie di coro da stadio. Tutti gli altri ripetono il mio nome con lei.
Alzo gli occhi al cielo. Di nuovo.
Che ho fatto di male per meritarmi un’amica del genere?
Alzo le mani in segno di sconfitta. Prendo la mia macchina fotografica e la collego all’enorme televisore di fronte al divano.
-Ma sono ancora da modificare!- dico sperando cambino idea.
-Non importa, tanto non ne capisco nulla comunque!- dice Alessandra.
Anche lei è piena di alcool, direi.
Alessandra con il telecomando apre la prima foto.
Mi fa segno di sedermi di fianco a lei, in uno spazio decisamente stretto. Mi siedo comunque. Le nostre gambe si sfiorano, ma io sembro l’unica a sentire come se il contatto tra le nostre pelli bruciasse.
Dall’altra parte, seduta sul bracciolo del divano c’è Eleonora, che ad ogni foto applaude come un’idiota.
Invece di fianco a Sara c’è, ovviamente, Alessandra, poi Pietro. E per terra, davanti a noi, Andrea e Marco. Dietro di noi, invece, ci sono Cecilia e Lorenzo.
Per ora sono solo le foto del soundcheck, quindi niente di che… più che altro prove.
Ogni tanto qualcuno dice: -Bella questa!-, il che mi solleva.
Ma d’altra parte Sara non ha ancora proferito parola. Continua a cambiare foto con il telecomando. Non stacca lo sguardo dal televisore. Sorride appena. Quasi come se non volesse essere vista.
Finalmente iniziano le foto vere e proprie del concerto.
-Ehy quella sono io!- dice Eleonora tutta contenta. Le ho scattato una foto, mentre balla, che mette in risalto tutto il suo bellissimo “mantello arcobaleno”.
-Wow Eleonora, dovresti metterla da qualche parte, diventeresti famosa. Penso sia il riassunto più efficiente dell’intero Pride- dice Alessandra.
Poi finalmente ritornano le foto su Sara.
Sara che parla, Sara che suona, la mano di Sara che si muove sulle corde, la sua chitarra, la sua maglietta, il pubblico.
-Eccola! La mia cantante preferita!- dice Eleonora tutta contenta.
Sara finalmente ride.
-Ragazzi che ansia vedermi su uno schermo gigante-
-Ma cosa dici che ci sei abituata! E se non lo sei ti devi abituare, è quello a cui puntiamo-
Sorride.
Poi si blocca sulla foto. Sulla foto che io credo sia una delle migliori che io abbia mai scattato.
Quasi tutti dicono un -Wow-, quasi in coro.
-Cavolo- dice Sara. -Questa è boh, bellissima-
-Iconica- dice Pietro.
-Avrei voluto esserci anche io su quel palco. Voglio anche io una foto così- ammette Alessandra.
-Davvero Chiara, è bellissima- dice di nuovo Sara. -Mi piace il fatto che si veda il pubblico, che in prospettiva la bandiera arcobaleno sventoli proprio vicino a me. Bello il fatto che io ci sia, ma che sia al contempo un po’ sfocata-
-Quella dopo è al contrario. Tu sei messa a fuoco e il resto no. Secondo me devono andare vicine, messe una sotto l’altra, così sarebbero davvero belle-  rispondo mentre va alla foto successiva. Quella che stavo descrivendo.
Si gira verso di me. Mi sorride con il suo sorriso perfetto, i suoi occhi sono felici, quasi orgogliosi. Annuisce e porta una mano poco sopra il mio ginocchio.
Il contatto brucia di nuovo. -Hai talento- dice.
Penso di voler stare ferma così per il resto della mia vita, ferma in questo contatto fastidioso ma allo stesso tempo intimo.

Dopo aver finito tutte le foto, Cecilia e Lorenzo si congedano.
Dopo di loro anche Andrea e Marco se ne vanno.
-Alessandra, vuoi uno strappo a casa?- chiede Pietro.
Lei annuisce. -Però scelgo io la musica!-
-Ragazze voi avete bisogno?-
-Tranquillo Pietro, al massimo le riporto io a casa- dice prontamente Sara.
Alessandra immediatamente la guarda. La fissa esattamente come Eleonora ha guardato me quando siamo tornate in salotto.
Sospiro sonoramente.
Perché non evitano di commentare ogni singolo scambio di battute che facciamo?
Forse perché sono tutti un po’ ubriachi, ecco perché.
-Siamo con la mia macchina!- esordisce Eleonora un po’ in ritardo.
-Ma non guiderai mica tu, vero?- chiede Sara tutta preoccupata.
-No guido io- dico piatta. Tanto è normalità, io sono sempre l’amica sobria che porta a casa le altre.
-Bene, allora arrivederci! A presto!- dice Pietro uscendo.
Alessandra si avvicina a Sara, la stringe in un abbraccio. Chiaramente le sta dicendo qualcosa nell’orecchio, qualcosa che probabilmente fa ridere visto che stanno ridendo sotto i baffi tutte e due.
Quando si staccano Alessandra mi rivolge uno sguardo. -Notte fotografa- e se ne va.
-Eleonora, prendi la roba, così andiamo anche noi-
Eleonora esegue subito l’ordine e sparisce verso l’ingresso dove abbiamo lasciato le nostre cose ad inizio serata.
-Tieni. Qua c’è il mio numero e la mia mail- mi dice prontamente Sara approfittando dell’assenza di Eleonora. Mi porge un biglietto da visita.
-Un biglietto da visita?- chiedo stupita. -Che serietà-
-Li ho fatti e sono inutili. In qualche modo dovrò pur utilizzarli, no?-
-Così li dai alle ragazze con cui vuoi uscire?- voglio capire se, quello che è successo prima nella sua stanza, è stato un sogno oppure è la realtà. Se me lo sono sognato, oppure Sara vuole davvero uscire con me.
-Oh, sì. Ce l’hanno un sacco di ragazze- dice scuotendo la testa. -Se riesci quando torni mandami le foto, mi piacerebbe metterne qualcuna su twitter come ricordo del Pride-
Non riesco ancora a togliermi dalla testa il pensiero che forse tutto quello che sta accadendo, tutte le parole di Sara, i suoi sguardi, le sue piccole e discrete attenzioni, siano un modo per usarmi. È come se avessi un campanello d’allarme che continua ad accendersi ad ogni sua frase: “Attenzione ti sta usando! Ritirata, ritirata!”.
Forse è meglio spegnere tutti i campanelli, spegnere i ricordi, le imposizioni che mi sono fatta e semplicemente vivere questo momento surreale.
Annuisco.
Mi risponde con un semplice sorriso. Uno dei suoi, uno di quelli genuini e felici.
-Ehy, ma le mie scarpe dove sono??- una voce urla dall’altra parte della stanza.
Alzo gli occhi al cielo per la terza volta consecutiva in una serata.
-Le hai ai piedi, idiota!-
Sara ride di gusto.
Ci avviamo verso la porta.
-Mi raccomando andate piano e fate attenzione- ci dice Sara sulla soglia della porta.
-Ma da quando si è trasformata dalla mia cantante preferita a mia mamma?- dice Eleonora.
Sara scuote la testa rassegnata.
-Ciao rossa focosa!- saluta Eleonora.
Sospiro, sempre la solita Ele.
-Grazie per l’ospitalità Sara- dico sulla soglia della porta.
Scendo il primo scalino ma Sara mi blocca il polso con la sua mano.
-Fammi uno squillo quando arrivi a casa- dice con tono serio.
Annuisco. Di certo non mi aspettavo tutta questa premura.
Mi lascia un bacio in fronte.
Rimango pietrificata sul posto.
Un bacio? In fronte?
Questa non me l’aspettavo.
Mi sorride dolce e chiude la porta dietro di sé.


Giro le chiavi nella toppa.
Finalmente a casa.
Cerco di trascinare Eleonora dentro casa.
Alla fine ha deciso di dormire da me e io ne son felice. È troppo sbronza per stare a casa da sola e io troppo stranita per stare sola con i miei pensieri contorti.
Una volta entrate posiamo la roba e Eleonora si lancia sul letto.
Poi a suo dire sono io la pigrona della situazione.
-Ele, almeno mettiti in pigiama-
Le urlo dal salotto.
L’unica risposta che ricevo è un grugnito.
Inutile, sta già praticamente dormendo.
Mi spalmo prontamente sul divano. Mi rigiro tra le mani il biglietto da visita di Sara.
“Fammi uno squillo quando arrivi a casa”. Da molto tempo nessuno aveva questi riguardi per me. Queste piccole attenzioni che però fanno la differenza. Nessuno, da tempo, aveva a cuore la mia sicurezza e il mio  star bene. Certo, Eleonora faceva il possibile, ma questa volta è diverso. Sara mi ha letto come un libro aperto, ha colto ogni mio piccolo dubbio e cambiamento di umore.
Non succedeva da tanto, troppo, tempo.
E poi quel tenero bacio in fronte. Non mi aspettavo niente di quello che è successo oggi e ancor di meno un gesto così dolce e carico di emozioni.
Sospiro.
Probabilmente è davvero un sogno che sta scorrendo troppo in fretta, ma tanto vale viverlo.
Compongo velocemente il numero, lo salvo e poi chiamo.
Uno squillo.
Due squilli.
Direi che bastano.
Faccio per staccare quando sento una voce dall’altra parte.
-L’hai fatto davvero- dice.
-Perché non avrei dovuto farlo?-
-Non so. Forse perché ci conosciamo poco-

Sorrido. Scommetto che ha capito che sto sorridendo anche se non lo può vedere.
-Ti mano le foto per e-mail, le sto modificando velocemente ora-
-Grazie. Eleonora sta bene?-
mi chiede.
-Grossomodo. È spiaccicata sul mio letto, tra poco si metterà a russare-
La sento ridere.
Potrei abituarmi molto velocemente a tutto questo.
-Sono felice tu sia venuta questa sera da me-
-Grazie per l’invito- dico in modo sincero. -Okay, ho fatto, ora te le mando-
-Sei velocissima!-
-Controlla che ti siano arrivate. In caso mandami un messaggio e te le rimando. Grazie ancora per stasera, Buonanotte Sara-
-Buonanotte Chiara-
Sì, tutto questo è molto molto surreale.
Fino a poco tempo fa eravamo due perfette sconosciute che per puro caso finiscono per parlare insieme, e ora ci diamo la buonanotte per telefono.
Il mio cervello ha decisamente bisogno di riposo.
Mi cambio. Controllo che Eleonora respiri ancora e la copro con una coperta leggera.
Mi metto sul divano e sospiro.
Nello stesso istante mi arriva un messaggio.

Sara: “Sono arrivate, ti ringrazio… bellissime.
“Prego, figurati.”
Sara: “Hai twitter? Come ti chiami?”
“Sì lo ho. Ma a che ti serve?”
Sara: “Vuoi che non dia i crediti alla fotografa?”
“Scusa, scusa. Sia mai. Sono @chiara_foo”
Sara: “Foo come Foo Fighters?”
“Esatto. Lo so è imbarazzante, non commentare! È che tutti i nomi che volevano erano già occupati…”
“Sara: Sei tosta. Mi piace.”
Sorrido.

Notifica da @SaraLeonardiOff.
Apro il tweet.
“Una giornata all’insegna dell’amore, dell’uguaglianza e del rispetto. Una giornata per noi. Grazie a tutti quelli che cantavano sotto il palco e grazie alla magnifica @chiara_foo per le foto. Stupende.”
Appena il tempo di leggerlo, che il post viene infiammato da commenti, persone che iniziano sistematicamente a seguirmi e a farmi i complimenti.
Rimango allibita da quanta passione abbiano i suoi fan per lei e ciò che fa.

“Grazie per la menzione”, le scrivo.
Sara: “Prego, è il minimo per quello che hai fatto”
“Buonanotte Sara (di nuovo)”
Sara: “Buonanotte Chiara, aspetto giorno, ora e parco”
Allora non era decisamente un sogno il mio.

 

Buonaseraaa! Eccoci qua. Spero abbiate passato delle buone vacanze e spero che i vari rientri a scuola/università non siano stati troppo traumatici.
Questo è un capitolo un po’ di transizione, non succede molto lo ammetto, però preferivo farlo più corto che riempirlo troppo. Quindi eccoci. Ovviamente se ci sono errori, oppure volete dare suggerimenti io sono sempre qui disponibile per tutto.
Nel prossimo capitolo entreremo nel vivo, la prima uscita al parco (ahaha) è molto vicina!
Vi anticipo già che ci sarà un crossover con un’altra storia che sto seguendo(non subito, ma quando tutte le storie saranno avviate per bene), ovvero quella della fantastica reflect_: “You are whole”. http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3254442&i=1 Abbiamo deciso insieme di incrociare le nostre storie e personaggi per uno o massimo due capitoli, quindi niente di che però vi consiglio vivamente di leggere la sua storia così da conoscere già i personaggi (bellissimi!) che tratta.
Insomma, succederanno cose belle.
Ciao a tutti, mi raccomando recensite!
Un abbraccio forte.

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Capitolo 7
*** 7 - Fuorigioco? ***


“Aspetto giorno, ora e parco”. Quella frase mi risuonava nelle orecchie da giorni interi, continua ad aleggiare nella mia mente e a bussare continuamente come se volesse dirmi: “sbrigati, cosa aspetti?”
In effetti non so neanche io cosa stia aspettando.
Ho il suo numero, è lei che mi ha chiesto di uscire… eppure non le ho ancora scritto.
Ormai sono passati quattro giorni dal Pride e dalla consecutiva scampagnata a casa di Sara.
Giustamente Eleonora mi aveva detto di non scriverle subito il giorno dopo, ma di farla stare un po’ in ansia e di aspettare. Era un ragionamento corretto, non volevo pensasse che sono una tra le tante che cade ai suoi piedi con facilità.
Così mi sto trattenendo da quattro lunghi giorni. Ho cercato di riempire le mie giornate con maratone di serie tv e, ogni tanto, qualche suono di chitarra. Diciamolo: erano stati quattro giorni di relax.
Però ora è tempo di agire, devo raccogliere il mio coraggio e scriverle.
Guardo la sveglia appoggiata sul mio comodino. Sono le nove. Stranamente i miei pensieri mi hanno fatta svegliare presto. Sarà già sveglia oppure è come me, ovvero una dormigliona senza precedenti? Beh non resta che scoprirlo.
Scrivo velocemente il messaggio e lo rileggo per controllare di non aver fatto nessun errore madornale vista l’ora. Invio.
Okay Chiara, ormai è fatta. O questo è uno sbaglio madornale, oppure questa ragazza si rivelerà il tuo più grande punto debole.
Sbuffo sonoramente sentendo i miei pensieri.
Mi rigiro nel letto e aspetto pazientemente la risposta.
Improvvisamente mi ricordo che Eleonora ieri sera era tornata a casa, al suo quartier generale, per passare un po’ di queste vacanze con i suoi. Compongo il suo numero e la chiamo. Sicuramente è già sveglia e sarà anche già tornata dalla sua corsa mattutina.
-Qual buon vento!- mi risponde dopo pochi squilli.
-Oddio la tua capacità di essere felice alle nove del mattino mi dà i brividi- rispondo.
-La mattina in cui verrai a correre con me sarò ancora più felice- dice apposta per farmi innervosire.
-Volevo sapere come ci si sente ad essere di nuovo a casa-
-Bene, mi coccolano! Quindi sono molto contenta di essere tornata. Da una parte è bello rivedere facce conosciute- mi risponde seria.
-Beh goditi tutto finché puoi!- le dico sincera. -Quando torni?-
-Oh, ti manco già stellina?- dice ridendo.
-Ogni giorno tiri fuori un nuovo nome orribile. Comunque no, non mi manchi. Volevo solo sapere quanto dura quest’ora d’aria- dico ironicamente.
-Due settimane. Vedi di usare queste due settimane di liberà per farti sta rossa o quando torno sono guai seri!- mi dice con tono minaccioso.
Rido. Questa storia non finirà mai.
Poi continua. -Tu invece quand’è che torni a casa?-
Uffa, argomento delicato e difficile.
-Non so sinceramente. Per ora i miei sono in vacanza, quindi se ne riparla tra tre settimane- dico molto distrattamente.
-Capisco, allora hai tempo per fare baldoria con la tua bella! Ci sentiamo presto Chiara-
-A presto Ele e divertiti!-
Stacco la comunicazione e mi ritrovo a fissare il soffitto.
Magari una doccia fresca può far partire questa giornata con il piede giusto? Nel dubbio mi infilo sotto il getto fresco e mi abbandono al relax più totale.
Una volta uscita lascio i miei capelli bagnati. Se c’è una cosa che mi piace dell’estate è il fatto di non essere obbligata a dover passare un’ora sotto il getto bollente del phon, per asciugarmi i capelli. Anzi, questo fatto era una vera e propria benedizione.
Prendo il telefono per controllare l’ora e decidere il da farsi.
Noto che c’è un messaggio da parte di Sara.


Sara: “Oggi? Sì sono libera, ma alle sei purtroppo ho un impegno. Che avevi in mente di fare? (:”
“Sei ancora disponibile per il famoso parco?”

Magari aveva cambiato idea, anzi era molto probabile l’avesse fatto.
Invece dopo pochi minuti mi arriva un altro messaggio.
Apro.

Sara: “Certo! Avevo quasi perso le speranze! Verso le 14? Dimmi solo dove”

Ci penso un attimo.
“I giardini reali?”
Sara: “Andata. Ci vediamo lì? Ti passo a prendere volentieri se hai bisogno”
“Tranquilla, mi faccio volentieri una camminata”
Sara: “Come preferisci. Allora, ci vediamo là! (:”
“A dopo!”
Guardo l’ora. Okay, ho esattamente quattro ore per prepararmi a quello che avverrà.

In quelle quattro ora ho mangiato, ho cercato di aggiustarmi i capelli ribelli e soprattutto ho sparato la musica a mille cercando di sovrastare il volume dei miei pensieri. È così frustrante avere un cervello perfettamente funzionante! Si fa mille domande, mille pensieri, costruisce castelli di carta che poi fa crollare apposta con un soffio… in poche parole? Ti fa impazzire e non ti molla mai. Picchia come un martello su un chiodo e non ti da pace.
Decido di non abbandonare la tecnica della musica neanche durante il breve tragitto che mi separa da casa ai giardini. Magari continuerà a fare l’effetto sperato ed evitare che i miei pensieri prendano il sopravvento.
Una volta arrivata davanti al grande arco, che segna l’entrata ai Giardini Reali, mi fermo e aspetto pazientemente. Sono le due spaccate, quindi Sara non dovrebbe arrivare tra molto.
Infatti dopo pochi minuti intravedo i suoi capelli rossi in mezzo alla folla. Porta una semplicissima maglietta a maniche corte nera con qualche riga bianca, con un taschino proprio sul lato destro del suo petto, inutile dire che le sta benissimo. Le gambe sono fasciate da dei pantaloncini corti, decisamente corti, ma che porta con disinvoltura. Sul suo naso si appoggiano i solidi Ray-Ban dalla forma quadrata che le danno un’aria di mistero. Dietro di lei, appoggiata sulla sua schiena, scorgo una custodia della chitarra. Questa ragazza non riesce a vivere senza la sua “donna” neanche per qualche ora, eh?
Il suo sorriso mi abbaglia a distanza da quanto è perfetto.
-Ma ciao- esordisce abbracciandomi forte.
Ricambio l’abbraccio ancora un po’ intontita da quella visione di perfezione umana.
-Ciao- dico con un sorriso.
-Che dici, andiamo?- dice, iniziando a camminare sotto il grande e imponente parco.
Annuisco e la seguo.
I Giardini Reali probabilmente sono l’angolo più bello di questa immensa città. Sono un respiro fresco e tranquillo in mezzo alla frenesia del centro. Entrando in questo groviglio di stradine, alberi, gazebo in legno, non diresti mai di essere in pieno centro della città. Per fortuna durante la settimana non c’è mai troppa gente: la maggior parte delle persone sono a lavoro, gli studenti sono in vacanza oppure sono tornati alle loro case in provincia e il parco è popolato solo dai pochi fortunati che vogliono farsi una corsa o leggere un libro in santa pace.
-Vuoi andare in un angolo particolare?- mi chiede spezzando la catena di osservazioni che la mia testa stava facendo.
-Non saprei, basta che sia all’ombra- le dico.
Mi sorride e annuisce, penso che abbia già idea di dove dirigersi.
Dopo aver camminato ancora pochi minuti, si dirige verso un grosso albero e appoggia la chitarra al tronco. -Direi che qui va bene- dice tirando fuori una coperta dalla tasca della custodia e stendendola.
Wow, è preparatissima. Io neanche ci avevo pensato.
-Bell’idea- le dico sincera.
-Grazie, almeno stiamo più comode-
Tira su gli occhiali tra i capelli, e si lega i capelli in modo disordinato scoprendo il suo collo magro.
Mentre si mette a posto mi perdo con gli occhi su di lei. Le sue braccia alzate mi danno l’occasione di cogliere un particolare che neanche le mie foto avevano catturato. All’interno della parte superiore del suo braccio, c’è un altro tatuaggio. Un piccolo triangolo, tre linee e niente di più.
-È il primo tatuaggio che ho fatto- mi dice cogliendomi impreparata. Quasi mi spavento.
Mi ha beccato in pieno.
-Semplice ma bello- le dico imbarazzata.
-Grazie. Tu ne hai?-
-No, ma vorrei farmelo un giorno. Ma in realtà sono un po’ spaventata dal dolore-
Mi sorride dolce.
-Se ci tieni non dovresti pensare al dolore-
Mi dice come se non si riferisse soltanto ad un tatuaggio, lo dice come se avesse un significato quasi universale.
Annuisco.
-Bhe dimmi… come ti sono andati questi giorni? Cosa hai fatto di bello?- mi chiede prendendosi le ginocchia tra le gambe.
-Bene, ti ringrazio. Non ho fatto molto, ho messo un po’ apposto il casino che avevo lasciato durante la sessione esami- le dico semplicemente.
-Devi ancora fare qualche esame o sei in vacanza?-
-No, fino a settembre sono in ferie. Niente studio!- dico tutta felice. -Invece tu come stai? Che hai fatto?-
-Tutto normale, io mi sono annoiata. Ho suonato un po’, ho incontrato qualche vecchio amico, ma niente di più-
Sorrido.
La conversazione si è già fermata. Il silenzio cade sui nostri corpi, cerco disperatamente qualcosa da dire senza riuscirci.
Se c’è una cosa che non va in me è la mia capacità di comunicazione.
-Hai avuto una bella scelta- dice di colpo.
-Cosa?- non ho capito a cosa si riferisse.
-Il parco. È una bella idea, non ci venivo da tempo-
Mi sorride.
-Ehhh, vedi? Ci volevo io per farti venire fin qua- dico scherzosamente.
Ridacchiamo insieme.
-Hai proprio ragione- dice con una serietà inaudita.
Si mette più comoda sulla coperta, si allunga e distende. Incrocia le mani dietro la testa e sospira sonoramente.
Ecco, si sta già annoiando.
Dannata Chiara, neanche una semplice uscita riesci a reggere.
-Allora, che impegno hai oggi?- chiedo. Dio ma una cosa migliore da chiedere non l’avevi? Devi farti gli affari di Sara? Fai sul serio? Il mio cervello scuote la testa internamente.
-Ah, grande! Mi hai ricordato che dovevo chiederti una cosa. Io alle 18 devo andare a vedere la partita di quella rompiballe di Alessandra o mi spezza le gambe. Mi ha detto di dirti che, sia tu che Eleonora, siete invitate se vi fa piacere-
-Ringraziala tanto per l’invito, ma mi sentirei di troppo. Tra l’altro Eleonora non è più in città. È tornata a casa dai suoi per due settimane- dico gentilmente.
-Ah, studentessa fuori sede?- mi chiede.
-Esattamente-
-Beh, già lei non può venire, non vorrai mica mancare anche tu? Potrebbe prenderla sul personale- mi dice giocherellando con l’erba al suo fianco.
-Davvero, mi sentirei fuori posto- le dico con tutta la gentilezza possibile.
-Dai non mi vorrai abbandonare ad una partita di 11 ragazze che corrono dietro ad un pallone?!-
Rido sonoramente.
-Mica ti mangiano Sara!-
-Daiii ti prego- dice unendo le mani in segno di preghiera.
-Solo se mi suoni qualcosa con quella- le dico indicando la chitarra appoggiata all’albero.
-Uhh, siamo già allo step “ti faccio una serenata”? Non lo sapevo- dice facendomi arrossire visibilmente. Sento addirittura le punte delle orecchie andare a fuoco.
Ride alla vista della mia reazione.
Prende la custodia e sfila delicatamente una chitarra acustica di un legno scuro elegantissimo.
Quante chitarre possiede questa ragazza?
Muove le dita sulla tastiera e suona una melodia dolce e rilassante. Perdo lo sguardo sulle sue dita affusolate, magre e lunghe. Si muovono sapientemente tra le corde della chitarra, penso addirittura Sara neanche le comandi più. Saranno così abituate a muoversi in quel modo, che lo faranno in automatico.
Prende un sospiro e inizia a cantare con la sua voce cristallina e perfetta.
So we come to a place of no return
yours is the face, that makes my body burn
So when you're weak

Prende un respiro, come se volesse assaporare totalmente le parole che sta per dire.

When you are on your knees
I'll do my best, with the time, that's left
I'll turn into a monster for you, If you pay me enough

La musica continua ancora per qualche minuto, dolce e lenta. Poi si spegne così com’è iniziata.
-Wow- dico soltanto.
Scuote la testa e ride un poco.
-Davvero… complimenti. Bellissima-
-Troppo buona, come sempre- mi dice evitando di guardami negli occhi.
-È tua?-
-Sì, potrebbe finire nel prossimo album della band se me l’accettano- dice speranzosa.
-Beh, spero non facciano la cazzata di bocciartela. È bellissima!- dico incrociando le braccia.
Mi sorride amaramente.
-Non è tutto rose e fiori con loro, non è come uno si immagina- mi rivolge uno sguardo quasi deluso.
-Beh, sono comunque contenta perché ho sentito una canzone in anteprima. Potrei vantarmi per mesi- dico cercando di togliere dal suo viso quello sguardo deluso e triste. Chissà cosa la rende così nel suo lavoro. Chissà cosa succede dietro la facciata della band, chissà cosa deve affrontare per vivere la sua passione.
-Non fare spoiler a nessuno, mi raccomando- mi dice ridacchiando.
Annuisco seria. -Non lo farei mai!- dico con una mano sul cuore come se stessi giurando.
Tra qualche nota e l’altra, qualche parola, qualche racconto di avventure durante il suo tour si fa l’ora di andare.
-Allora, io ho mantenuto la mia parte della promessa- mi dice rimettendosi gli occhiali da sole e ritirando la sua chitarra. -Ora tocca a te!- dice facendomi un cenno del capo come per dire “seguimi”.
La seguo fuori dal parco silenziosamente.
-Ho la macchina da questa parte-

◦●◦                                                    ◦●◦

Arriviamo al campo sportivo dopo una ventina di minuti, che passiamo ad ascoltare la musica.
-A cosa gioca Alessandra?- mi chiede con un sorriso Chiara.
-Calcio!- rispondo scendendo dalla macchina. -Un consiglio: non iniziare mai una discussione sul calcio con lei. Non ti mollerebbe più per giorni!-
Ride genuinamente.
-Non c’è pericolo, io odio il calcio!- mi dice grattandosi la testa.
-Chi è che odia il calcio?!- ecco che una voce familiare urla alle mie spalle.
Alzo gli occhi al cielo.
Se c’è una cosa che non doveva accadere era decisamente questa.
Mi giro e incrocio lo sguardo di Alessandra, visibilmente furiosa. -Stai tranquilla, nessuno odia il calcio qui. Chiara stava scherzando. Vero Chiara?- le dico rigirandomi verso di lei e guardandola con occhi spaventati. Lei è più spaventata di me.
-Ma ovvio scherzavo! Era una battuta, davvero!- dice cercando di essere credibile.
-Umh, ti controllo ragazzina- le dice tutta seria e minacciosa.
Chiara dall’altra parte sorride nervosa.
Noto che Alessandra è già vestita con la divisa da gioco rossa e arancione tipica della squadra della città. Scarpette da calcio, calze che le fasciano i suoi polpacci muscolosi, maglietta larga per lasciare più libero il movimento. È indubbiamente una ragazza sexy in divisa. Questo per chiunque, etero o no che sia. Infatti Alessandra ha una sfilza di ammiratrici ed ammiratori che fa invidia a chiunque. Però lei non ha mai amato parlare della sua vita sentimentale, neanche io -la sua migliore amica- sapevo i particolari o con chi uscisse. Neanche in tutti gli anni di liceo mi ha mai confidato mezza parola su qualche cotta o qualche notte di fuoco. Infatti, per questo motivo, tutti noi la stuzzicavamo con continue battute sull’argomento ma con scarsi risultati. L’unico particolare che avevo conosciuto era che aveva delle relazioni da una notte e basta. L’avevo scoperto facendo due più due quando, per emergenza, era vissuta a casa mia per un mese. Usciva senza dire dove andava e tornava la mattina dopo. Beh, sicuramente aveva qualcuno con cui passare la notte. Non ho mai fatto domande e penso non lo farò mai. Capisco la sua intenzione di mantenere tutto privato e intimo, vorrei poterlo fare anche io. Ma la posizione in cui sono, non sempre mi permette questo lusso. Istintivamente i miei pensieri ritornano a Chiara che ora mi sta seguendo tra gli spalti.
Se mai si creerà un rapporto tra di noi e di qualunque tipo sarà, per lei non sarà facile dover sopportare quello che io sopporto ogni giorno. Sospiro sonoramente.
-Non hai voglia di vedere la partita?- mi chiede sentendo il mio sbuffo.
Pensavo di aver sospirato solo nella mia testa, invece l’ho fatto davvero e mi ha sentito.
-Eh? No, figurati. Anzi con la tua compagnia è tutto più sopportabile- dico sorridendo.
-Shh, non dirlo troppo forte che se ti sente…- mi dice mettendosi l’indice sulle labbra.
Alzo le mani in segno di difesa.
La partita finalmente inizia. Intanto sono arrivati a fare il tifo con noi tutti i miei colleghi musicisti e qualche amico di Alessandra. Tutti salutano cordialmente Chiara e dopo si siedono vicino a me.
Alessandra sta giocando bene come al solito. Se c’è una cosa in cui è brava è proprio giocare a calcio. Ha questa passione fin da quando era piccola. In casa sua ci sono solo premi calcistici sopra i ripiani, foto di Alessandra con il pallone da calcio tra i piedi, perfino quando ancora il pallone sembrava più grande di lei.
Durante il liceo la sua più grande preoccupazione era riuscire a combinare studio ed allenamenti, perché non voleva saltare nessuna partita e nessun allenamento. Tante volte è andata con la febbre ad allenarsi pur di non perdere il posto da titolare.
Sicuramente tutti gli forzi fatti in questi anni la stavano ripagando. Ovviamente il calcio femminile non è una miniera d’oro come quello maschile, ma giocare in serie A per la sua città è tutto quello che ha sempre sognato. Lo stipendio non è alto, anzi… per niente alto, però ha sempre cercato di farselo bastare. Per arrotondare lavora anche in uno dei miei bar preferiti e credetemi, come barista ci sa decisamente fare.
Finalmente dopo molti tentativi la nostra squadra incassa il primo gol. Pietro e Andrea si mettono in piedi insieme agli altri tifosi ed esultano. Io mi limito ad applaudire felice e con la coda dell’occhio noto che Chiara sta facendo lo stesso.
Dopo che il momento di euforia è passato si ritorna al gioco. Quando l’arbitro fischia un fuorigioco inesistente la folla si scalda.
-Dai non c’è sto fuorigioco!- urla arrabbiato Pietro.
Chiara mi picchietta la spalla.
-Odio doverlo chiedere, ma cos’è un fuorigioco?- mi chiede quasi sottovoce.
Istantaneamente mi metto a ridere. Allora è vero che non ne sa nulla di calcio!
La mia risata ha catturato l’attenzione di Pietro che capisce immediatamente quale sia il problema. Così, mentre ancora rido, Pietro spiega con precisione la regola.
Tra le varie spiegazioni e domande di Chiara il gioco si conclude.
Dopo il primo goal, Alessandra ne ha fatto un altro conducendo così la sua squadra alla vittoria.
Scendiamo velocemente gli spalti per andare a salutare Ale.
Appena mi vede mi stringe in un abbraccio affettuoso e sincero. -Complimenti- le dico sussurrando.
-Mi faccio una doccia veloce e poi sono tutta vostra- dice sparendo negli spogliatoi.
Mentre aspettiamo che esca la mia attenzione si rivolge a Chiara che ancora parla con Pietro di regole del calcio. -Bah, io comunque non capisco il senso del gioco. Cioè, odio i calciatori! E odio come viene trattato il calcio qua in Italia- dice sincera verso Pietro.
-Hai ragione Chiara, però per fortuna il calcio femminile è molto diverso e spero tu venga qua abbastanza da rendertene conto! Cioè sempre se questa musona ti porta con sé!- dice scompigliandomi i capelli.
Gli faccio una linguaccia in risposta. Sempre a chiamarmi con quel nomignolo!
-Davvero è una musona?- chiede Chiara ridacchiando.
Pietro in risposta sussurra qualcosa nell’orecchio di Chiara e la fa scoppiare a ridere.
Sbuffo arrabbiata e porto gli occhi al cielo.
-Pietro, parla un po’ con Andrea che io devo parlare con Chiara- gli dico prendendo per il polso Chiara e portandola un po’ lontana dal gruppo.
-Ehy senti…- esordisco. -Di solito dopo una vittoria di Alessandra andiamo tutti nel nostro pub preferito e festeggiamo. Sappi che non sei tenuta a farlo, nel senso… so che loro possono essere pesanti soprattutto dopo una sana bevuta. Se ti fa piacere sei invitata ma ecco, non sentirti obbligata. So anche che magari sei fuori da parecchio tempo e puoi essere stanca, magari i tuoi si stan- mi blocca.
-Calmati Sara. Prendi un respiro- mi dice ridendo appena. -A me fa piacere, ma non voglio essere di troppo. Soprattutto… non voglio essere un peso per te- dice guardandosi le scarpe.
Con due dita le tiro su il mento. -Ma figurati a me fa solo piacere se vieni-
-Allora vengo volentieri- ammette finalmente.

Poco dopo ci ritroviamo nel nostro pub preferito, con la nostra musica preferita in sottofondo e circondati da persone splendide.
Tutti con le nostre birre davanti, un enorme piatto di nachos e tante risate. L’unica che non ha voluto la birra è stata Chiara, ovviamente. Ognuno chiacchiera con il proprio vicino degli argomenti più disparati, ogni tanto interpella il tavolo per sapere opinioni o per avere consensi. Per esempio: -Vero che il portiere dell’altra squadra era una figa strepitosa?-, oppure -Vi ricordate di quella volta che Pietro era talmente ubriaco da scambiare il lavandino della cucina per il cesso?-, ecco queste erano le conversazioni che giravano tra noi regolarmente.
Eppure, ora che mi ritrovo in mezzo a loro dopo esser stata lontana da casa per mesi, mi sento finalmente arrivata. Arrivata di nuovo tra chi mi conosce, di nuovo tra chi mi considera una parte importante della sua vita di nuovo… a casa.
Chiara parla animatamente con Alessandra di… calcio. Le avevo detto di evitare l’argomento ma a quanto pare è curiosa.
-Quindi com’è vedere i giocatori maschi avere un certo successo e voi ragazze invece niente o quasi?- le chiede sorseggiando la sua bibita.
-Ragazzina, vai subito al punto eh! Mi piaci!- le dice dandole un’amichevole pugno sulla spalla. -Beh, lo ammetto… non è semplice. Io mi faccio il culo come loro, o forse ancora di più essendo donna, eppure visto che non ho un pene tra le gambe ma, appunto, una vagina non devono darmi il giusto merito che mi spetta. Sai mi sono incazzata tantissimo per questo aspetto per tanti anni della mia vita, forse ancora adesso mi sale un po’ di rabbia su per lo stomaco ogni tanto, ma ho anche imparato che è solo un perdita di tempo. Arrabbiarsi ed insultare un sistema non lo cambierà mai e sono sicura che la visione del calcio femminile non cambierà con uno schiocco di dita. Quindi mi sono detta: Alessandra fai del tuo meglio per arrivare in alto, suda, bestemmia, prenditi i crampi alle gambe e tutto ciò che ne consegue. Perché l’unico modo per far rosicare il sistema è che ti voglia una squadra estera e che tu te ne vada da questo cazzo di paese- conclude con amarezza.
-Questo cazzo di paese maschilista- aggiunge Chiara con serietà.
Alessandra alza il bicchiere di birra e dice: -Non potevo dire di meglio- dice andando a brindare con il bicchiere di Chiara. -Sei forte ragazzina- le dice poi Alessandra.
-Spero tu riesca a vivere della tua passione Alessandra, te lo meriti!- le dice poi genuinamente.
-Cavolo Sara, non hai mai portato una ragazza così gentile, simpatica e soprattutto femminista. Finalmente te le stai scegliendo bene?- si rivolge a me ironica.
Chiara si gira verso di me imbarazzatissima e intimidita dalla situazione.
In risposta do uno spintone giocoso ad Alessandra e un po’ di birra si rovescia sul grande tavolo in legno.
-Sara, sei una sprecona! Guarda che casino hai fatto! Hai sprecato la cosa più bella della mia vita!- dice guardandomi con sdegno. Tutti al tavolo ridiamo in coro.
-Tieni te ne offro un’altra- le dico lasciando i soldi sul tavolo.
Poi sottovoce mi rivolgo a Chiara: -Che dici se ci facciamo una passeggiata?- Annuisce seria.
-Noi andiamo ragazzi. È stato un piacere- dico alzandomi da tavolo e prendendo la mia borsa.
-Buona continuazione- esordisce Chiara salutando con la mano.
Sicuramente Alessandra saprà di che parlare ora.

◦●◦                                                    ◦●◦

Una volta uscite dal pub iniziamo a passeggiare per le vie della città.
Vivo solo da un anno qua, ma so già orientarmi discretamente bene. So che questa è una zona abbastanza vicino a casa mia, ma di solito non vengo mai da queste parti.
Parliamo del più e del meno, di com’è simpatica e forte Alessandra, di come gli altri siano molto uniti.
Questo fino a quando un tuono forte non ci fa immediatamente guardare in alto preoccupate.
-Io ho paura dei temporali- dice spaventata Sara.
Immediatamente mi metto a ridere. Sara spaventata dai temporali? Lei che fa tutta la rocker dura e forte?
-Cosa ridi?- mi dice spaventata. -È veroo!-
Incrocia le braccia. Sbuffa.
Continuo a ridere vedendo questa buffa scena.
-Okay okay allora direi di correre a ripararci il più presto possibile-
-Andiamo alla macchina-
Si mette a correre sotto la pioggia battente, verso la macchina che è poche traverse più in là.
-Ti muovi o cosa? È il diluvio universale-
Che esagerata!
Una volta in macchina mi dice seria: -Ti porto a casa-
-Abito solo a solo due isolati da qua, posso andare anche a piedi- le dico. Non voglio di certo crearle disturbo.
-Ma sei pazza?!- mi guarda preoccupatissima. -Ti bagneresti tutta e scusa se magari ti cade un fulmine in testa? Nono io non voglio questo senso di colpa- mette in modo la macchina e parte alla velocità della luce.
-Qua a destra e poi sempre dritto- le dico.
Dopo qualche minuto di silenzio un ticchettio sul tettuccio ci risveglia dai nostri pensieri.
Rivolgo gli occhi sopra di me.
-No ma che cazzo stiamo scherzando?!- dice Sara accelerando.
-Direi che è grandine- dico guardando fuori.
-L’ho capito! È proprio quello il problema! Cavolo la mia macchina, povera macchina- dice quasi in panico.
-Senti siamo arrivate, dietro casa mia c’è il parcheggio. È coperto, metti la macchina lì e ti vieni a prendere una camomilla in casa- le metto istintivamente una mano sulla spalla.
-No ma sei fuori? Non posso venire a casa tua, così… bagnata fradicia- mi dice.
-Rallenta qua è l’entrata. Parcheggia lì, che in teoria è del mio appartamento- le dico facendole segno.
Una volta parcheggiate faccio per uscire dalla macchina.
Noto che Sara è ancora paralizzata all’interno.
Vado dalla sua parte e le busso al finestrino. Mimo con la bocca un “forza”. Lei in risposta tira giù il finestrino e mi dice: -Si è fatta tanto male?- chiede indicando il tettuccio.
Mi alzo in punta di piedi e controllo. -Neanche un graffio, ti è andata bene- le dico rassicurandola.
Apre la portiera subito dopo e ci dirigiamo verso la portina.
Saliamo silenziosamente sull’ascensore.
-Sei sicura che non sia un problema?- chiede ancora quasi in panico.
-Sono sicura, credimi-
-Io non vorrei disturbare, dai poi sono anche bagnata e sporco tutto.. e poi- la blocco.
-Basta, stai tranquilla-
-Ma se ci sono i tuoi cosa devo dire? Tipo aiutami a prepararmi qualche risposta-
Scoppio a ridere in una fragorosa risata.
Sara non sa che non vivo con i miei genitori e di conseguenza è in panico perché pensa di incontrarli.
Rido ancora quando le porte si aprono e infilo le chiavi. -Ma cosa ridi Chiara!-
Apro la porta e accendo le luci.
-Puoi stare tranquilla, vivo da sola- dico mettendo a tacere le sue continue domande e la sua ansia.
Mi guarda paralizzata.
-Potevi dirmelo prima!- mi dice facendo la finta arrabbiata.
-Non me l’hai mai chiesto- ribatto pronta.
Non dice niente altro.
L’ho zittita io questa volta.
-Comunque come puoi vedere non è come la tua reggia- dico proseguendo nel salotto. -È piccola, poco moderna e soprattutto la tv non è grande come la tua, però mi accontento- dico.
-È molto carina-
Sorrido riconoscendo la gentilezza che dimostra.
Restiamo impalate al centro del salotto.
-Okay che ne dici se ti trovo qualcosa in cui cambiarti e mettiamo i tuoi vestiti ad asciugare sul termosifone?- le dico con un sorriso rassicurante.
-Oh… sì, forse è meglio- mi dice con un velo di imbarazzo.
-Vado in camera così cerco qualcosa che possa andarti bene-
Per fortuna Sara non ha occasione di vedere la mia camera da letto, perché è molto spartana in confronto alla sua. La mia è composta solo da un letto matrimoniale e un armadio neanche troppo moderno. Tra l’altro non ho ancora avuto tempo e voglia di personalizzarla un po’ da quando sono arrivata qua.
Dopo aver scavato nel mio armadio, finalmente trovo qualcosa di adatto a Sara.
-Il bagno è di qua, così ti puoi cambiare tranquillamente- dico indirizzandola verso il bagno.
Mentre la aspetto mi butto sul divano.
L’unico pensiero che ho in mente è: per fortuna ho pulito casa.
Poi dopo un lungo sospiro un altro pensiero mi passa per la testa. Sara che si sta svestendo nel mio bagno, Sara che si sta vestendo con i miei vestiti.
Scuoto violentemente la testa. Non devo pensare queste cose, non devo farmi illusioni e non devo fare i miei soliti viaggi mentali. Quelli, Chiara, li potrai fare quando sarai da sola.
Poco dopo Sara esce vestita con la mia maglietta dei Muse, dei pantaloncini corti e neri.
Mi incanto nel vederla con i miei vestiti addosso.
-Questi dove posso metterli?-
Mi dice risvegliandomi dal mio sogno ad occhi aperti.
-Emh, si quelli dammeli li vado a mettere sul termosifone-
Corro in camera da letto e cerco di darmi una calma.
Un respiro profondo e torno in salotto.
-Che ne dici se ci guardiamo qualcosa e intanto aspettiamo che la tempesta smetta?- dico ridendo un poco ricordandomi della reazione di Sara poco fa.
Annuisce con un sorriso.
Ci buttiamo sul divano quasi simultaneamente.
-Cosa vuoi vedere? Gira un po’ il catalogo di Netflix-
Prende il telecomando e gira tra i vari generi.
-Non ho mai visto Daredevil. Tu?- mi chiede.
-Io neanche, vogliamo iniziarlo?-
Annuisce contenta e fa play.
Stendo una leggera coperta sulle nostre gambe fredde per la pioggia e scoperte. Sembra gradire l’idea tanto da prendersela e tirarsela su fino al mento.
Mentre la sigla scorre sullo schermo Sara rompe l’atmosfera: -Quindi vivi sola?-
-Mi sono traferita qua per l’università. Fisica è molto più rinomata qua-
-Capisco, non lo sapevo. Hai fatto bene comunque. Tutti quelli che studiano qua sono molto contenti- mi dice.
-Anche io sono contenta- rispondo.
-Penso che i tuoi lo siano un po’ di meno- dice sorridendo dolce.
-Per certi versi sì, per altri no. Un po’ di distacco fa bene a volte- le rispondo sincera.
-È vero. Anche tu tornerai poi a casa?- chiede titubante.
-Più avanti e non per molto tempo- le rispondo sicura. -Ora guardiamo la puntata o no?-
Annuisce e ritorna con lo sguardo verso la tv.
A metà puntata si posiziona più comoda sul divano e le sue gambe finiscono per sfiorare le mie. Le nostre due pelli a contatto mi creano brividi lungo tutta la schiena. A malapena riesco a controllare il mio respiro.
Tento di riconcentrarmi sulla tv e le immagini ma mi è impossibile.
Diventa ancora più impossibile quando Sara decide di portare la sua mano sulla mia coscia scoperta. Le sue dita esplorano la mia carne creando cerchi concentrici e infiniti.
Tento di non farci caso, il mio corpo sembra quasi paralizzato da questo contatto. Anzi… lo è.
Sentendo che il contatto non smette, i miei occhi si posano sulla coperta e sulla sua mano che si muove al di sotto. Continuo a fissare la mano che si muove con quell’andamento circolatorio finché istintivamente i miei occhi non finiscono su di lei che mi stava già fissando da un po’.
Non so cosa dire, dalla mia bocca semi aperta non esce nessun suono.
Di colpo le sue iridi si fanno più vicine e il mio sguardo si alterna tra le sue labbra rosse e i suoi occhi quasi socchiusi.
Siamo troppo vicine. Troppo.
Quando le nostre labbra si scontrano è un tripudio di emozioni. Un misto tra paura, felicità, desiderio e timidezza. Tutto questo insieme mi crea un calore al petto che non riesco a gestire. L’unica cosa che mi riesce di fare e ricambiare il bacio, rispondere con quanto sentimento ho in corpo. Metto una mano tra i suoi capelli rossi ancorandomi a lei.
Intanto le sue dita delicate non smettono di toccare la mia pelle.
Mi stacco di colpo
-Se mi tocchi così non capisco più niente- dico quasi stupendomi di tanta intraprendenza.
Sorride dolce guardando mi negli occhi. Ritorna sulle mie labbra sorridendo ancora.
Ritorniamo in quel contatto magico. Non so quanto stia durando, non so come sia visto da fuori, ma l’unica cosa che riesco a percepire sono i suoi movimenti dolci e delicati.
Poi di colpo tutto si ferma.
-Io.. scusa- dice Sara di colpo. -Davvero scusa, io non volevo… scusa ho oltrepassato il limite-
Si alza, prende le sue cose e sempre balbettando esce fuori di casa prima che possa rendermene conto.
La ricorro istintivamente e apro la porta di scatto: -Sara dove vai? Diluvia fuori- nessuna risposta. La sento distintamente scendere le scale. -Sara!-
Tutto inutile.
Chiudo la porta dietro di me e mi appoggio ad essa.
Che cosa diamine è successo di così tanto sbagliato?




Silenzio radio per due intere settimane.
Due.
Intere.
Settimane.
Sara era sparita. Così com’era scappata da casa mia, era rimasta invisibile a tutti e su tutti i social network. Questo non è decisamente da lei.
Forse quello che era successo tra noi l’aveva scossa talmente tanto da voler chiudere ogni rapporto con il mondo. Era stato davvero così brutto e rivoltante? Avevo l’alito cattivo?
Erano domande che mi martellavano la testa da settimane intere.
Avevo cercato di evitare anche io ogni contatto, neanche Ele sapeva di ciò che era successo tra noi.
Per andare avanti in queste settimane, mi trascinavo sul divano e mi facevo delle intere maratone giorno e notte. Ogni tanto suonavo la mia fedele chitarra e poi tornavo a dormire. Mettevo piede fuori casa solo se strettamente necessario e per il resto restavo a fissare i suoi vestiti ancora sul termosifone.
Magari se ci tiene a loro li viene a riprendere.
O se non ci tiene, potrebbe aver paura di esser considerata una ladra visto che ha i miei vestiti addosso e verrà a riportarli.
Sbuffo sonoramente.
Inutile fare congetture Chiara. Non sei nella sua testa, non sai cosa le è preso quella sera e non sai cos’ha adesso.
Magari è solo occupata.
Magari ti odia.
Magari anche lei è a casa sua che aspetta un tuo messaggio.
Cazzo, stavo ricominciando con le congetture.
Scuoto la testa e accendo la musica.
Mentre sono persa nel meraviglioso pianoforte sento il campanello suonare.
Eleonora era già arrivata in città? Poteva essere.
Apro la porta distrattamente.
Di fronte a me dei capelli rossi e due occhi profondi come pozzi.
 

Buonasera popolo!
Eccoci con un nuovo capitolo! Succedono tante tante cose eh?
Scopriamo nuove cose su Alessandra e la mancanza di Eleonora si fa sentire (io la adoro!). Ma soprattutto il bacio… perché Sara scappa a gambe levate e ora cosa vuole?
Si accettano possibili vostri continui per il prossimo capitolo.
Comunque trovo di una bellezza sfolgorante (nella mia testa) Sara. Ma forse sono di parte eheh
Tra l'altro tutte le canzoni di Sara, saranno prese da reali canzoni esistenti. Chi le indovina avrà un premio. :)
Aspetto pareri e recensioni, che mi spingono a fare meglio e in fretta! Tra l'altro vi lascio il mio tumblr se volete comunicare con me https://lineeguidagenerali.tumblr.com/
Grazie di tutto e un abbraccio.
(scusate per eventuali errori!)

 

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Capitolo 8
*** 8 - Cosa siamo noi? ***


Scusami- dice di colpo lei dopo attimi di infinito silenzio.
La guardo ancora senza parole.
Le sue scarpe scure sono fissate allo zerbino di casa mia, i suoi capelli sono raccolti in modo distratto e poco curato. Indossa dei vestiti qualunque. Le sue iridi sono scure, di un verde profondissimo e intenso. Il suo viso è in tensione, le sue mani scorrono nervose sul tessuto della sua maglietta e lo toccano ripetutamente.
Non so cosa dire. Non so se aspetta il mio perdono, ma non so neanche se lei lo meriti, non so cosa pensa e perché mi ha lasciato due settimane in un vuoto buio, in un limbo circondato da nebbia. Una parte di me è arrabbiata, è talmente arrabbiata che vorrebbe chiuderle la porta in faccia. L’altra è felice della sua presenza, forse perché pensava che non avrebbe mai più rivisto quella chioma rossa. Vederla qua, davanti alla porta del mio appartamento è, in parte, un sollievo.
Ora però, non so a che parte dare retta. In fondo, tutte e due le parti hanno ragione. Mi aveva trattato male ed è giusto arrabbiarmi per questo. Però non so per quali motivi mi ha lasciato lì, come una statua di marmo, senza spiegazioni, due settimane fa.
Probabilmente la scelta più saggia e corretta è lasciarla parlare, magari mi spiegherà cosa è successo, cosa pensa e cosa… vuole fare.
-Entra- le dico cercando di essere più fredda e distaccata possibile.
Silenziosamente si pulisce le scarpe con rispetto sullo zerbino ed entra in casa.
Mi siedo sul divano e lei mi segue.
Prende un grosso respiro ma io la blocco appena in tempo.
-Prima che tu cominci a dire qualsiasi cosa, vorrei solo farti notare una cosa. Se sono qua, ad ascoltarti gentilmente, è perché per qualche strano motivo, che neanche io conosco, ci tengo. Ci tengo a sapere cosa hai da dire, anche se magari saranno parole che avrei proferito non sapere. Quindi, ricordati e tieni a mente, che sei fortunata. Non l’avrei fatto… eppure lo sto facendo- dico cercando di farle comprendere nel modo più semplice e chiaro possibile, il mio punto di vista. Non voglio pensi che io sia una persona che non se la prende, che non riconoscere gli sbagli degli altri e che sorpassa ogni tipo di torto.
No.
Non sono quel tipo di persona ormai da molto tempo. Di torti ne ho subiti anche troppi e ho finito di vivere la mia vita per gli altri. L’avevo promesso a me stessa e non voglio rompere questo giuramento per nulla al mondo.
-Io… Chiara, davvero grazie. So che nella tua posizione, io stessa, non mi ascolterei, quindi ti ringrazio per la tua pazienza- dice. Si mette una mano sulla fronte spostando qualche ciuffo ribelle che ricade su di essa.
-Non so come e dove cominciare… io ti chiedo scusa. Non dovevo baciarti quella sera, non dovevo superare un confine che neanche avevamo stabilito e soprattutto non dovevo scappare senza darti una spiegazione. Lo so, anche le due settimane di silenzio sono state un errore enorme, lo so. Eppure, credimi, non ho fatto niente di tutto questo per cattiveria, non l’ho fatto per darti fastidio, l’ho fatto perché avevo paura- dice ad un tratto. Prende un respiro e continua. -Ho paura ancora adesso, mentre sono qua a cercare di spiegarti che grandi casini sono la mia testa e la mia vita. Un caos enorme! Ho paura perché tu mi fai paura. Devi sapere che all’inizio di questo lungo tour che ufficialmente è partito un anno fa, ma in realtà molto prima, io ero completa. Avevo una persona al mio fianco per cui avrei fatto qualsiasi cosa. Lei era, al pari con la musica, la parte più importante della mia vita. Era qualcosa di vitale ed essenziale. Però in tutte le storie c’è sempre un “ma” il ma è proprio la parte “al pari con la musica”. Mettere qualcuno sullo stesso livello del tuo lavoro, della tua passione, della tua musica… è uno sbaglio. Uno sbaglio perché solo tu potrai capire quanto è importante il fatto che siano sullo stesso livello, l’ultimo di una lunga scalinata. Lei non lo capiva. Anzi, subito apprezzava questa parte della mia vita. Ma presto la musica è diventata un problema. Quando tornavo a casa tardi, quando ero rinchiusa giorni e giorni dentro la sala prova per preparare il tour, quando stavo ore al telefono per sciogliere le tensioni tra i membri, quando a tavola parlavo di Marco e delle sue scenate e non le chiedevo come stava. Ma la cosa più grave era la mia involontaria assenza: mancavo alle cene tra noi e i suoi amici, davo buca ai suoi genitori, non la accompagnavo alle visite e mi dimenticavo degli impegni. Puoi pensare che tutto questo non sia possibile visto che non siamo i Green Day, eppure forse proprio per quel motivo, perché eravamo ancora agli inizi, stavamo gestendo il nostro “boom” tutti da soli. Questo comportava stress, attenzioni ulteriori alla band. L’ho trascurata è vero e non ho scuse, però lei probabilmente non ha mai cercato di capire la situazione. Durante il tour cercavo di chiamarla, di tenermi in contatto in qualsiasi momento e per il più tempo possibile. Sebbene ci furono questi sforzi, non riuscimmo ad andare avanti. Mi disse che non ce la faceva più e io, lontana da casa ed impotente, accettai. Per questo Chiara, sono scappata non appena ho realizzato cosa avevo fatto. Ho avuto paura… ho paura. Ho paura che tutto questo possa riaccadere, ho paura che tu non possa accettare il mio stile di vita, ho paura di aver rovinato l’amicizia che stava nascendo- sbuffa sonoramente. I suoi occhi verdi sono lucidi, vagano nel vuoto alla ricerca delle parole giuste. Le sue dita tormentano le sue labbra screpolate. -Ho paura perché mi confondi. Mi incuriosisci, mi affascini e sento di avere una certa affinità. Ma comunque, anche se quest’affinità mi dice che tu puoi capire ciò che è la mia vita, non riesco a togliermi questo tremolio alla mia anima. Non riesco a farla smettere di tremare per la paura-
I suoi occhi di colpo mi puntano. Gridano una richiesta di aiuto, aspettano disperati una mia sentenza.
-Sara… ti ringrazio per avermi detto tutto questo- esordisco. -Sai sono arrabbiata con te. Non penso che nessuna persona si meriti di essere piantata senza una spiegazione e di rimanere in attesa di un contatto per due settimane. Ma se c’è una cosa che ho imparato è che quando ti arrabbi è perché, in fondo, nel tuo cuore sai che il motivo per cui ti sei arrabbiato è davvero poco importante rispetto al resto. Se fosse stato davvero così importante mi sarei sentita ferita e delusa, non di certo solo arrabbiata. Non fraintendere, non sto dicendo che tu sia poco importante, anzi il contrario. Tu sei importante, ma non lo è il fatto che tu sia scappata. Nel senso… posso perdonarlo, soprattutto ora che sei venuta qua e hai spiegato perché lo hai fatto. Mi spiace per la tua paura, mi spiace davvero- dico mettendole una mano sulla spalla. -Vorrei poterti dire qualcosa di rassicurante, vorrei poterti dire che andrà via, eppure mentirei. Probabilmente questa sensazione rimarrà per sempre con te. Se però vogliamo fare le oneste, anche io ho paura. Ho una paura che mi martella da quando ti conosco. Temevo che le tue attenzioni fossero rivolte a me solo per dei secondi fini. Avevo paura che mi stessi utilizzando, che lo facessi per delle foto gratis o per portarmi a letto come una delle tue conquiste da rock star. È vero, dopo che ti ho conosciuta un po’ più a fondo, ho capito che alcune mie paure erano infondate: hai un animo buono. Eppure nella mia testa c’è sempre questo eco “ti sta usando”, probabilmente Eleonora mi direbbe tutta incazzata: “smettila di pensarlo! Non tutti sono lei, non tutti vogliono usarti”, avrebbe anche ragione. Sono stata usata Sara e anche in un modo orrendo. Usata e poi messa da parte, lì sono rimasta ferita e delusa, lì davvero ero distrutta da ciò che mi aveva fatto. Per questo, in queste settimane non ho fatto altro che maledirmi, perché pensavo di essere ricaduta nella solita stessa trappola. Quindi ti ringrazio per avermi detto le cose come stanno ed essere stata sincera con me- concludo. Per ora non avevo forza per dire di più. Mi serve qualche secondo di pausa.
Non avevo pensato che sarebbe andata a finire in questo modo, con un risvolto così emotivo. Queste notti già pensavo a una me, ancora lì ad aspettare risposte, usata un’altra volta senza rispetto. Invece, a quanto pare abbiamo tutte e due dei buoni motivi per sfogare tutto ciò che abbiamo dentro ed essere sincere l’una con l’altra.
-Chiara, guardami.- la fisso negli occhi. -Non ti avrei mai usato. Mai e poi mai. Non avrei mai potuto, se un’anima così delicata e pura, non meriteresti niente del genere-
-Grazie- dico con un filo di voce. -Sentirselo dire è tutta un’altra cosa-
-Te lo ripeterò fino a quando vorrai- risponde lei, con una voce bassa e quasi inudibile.
Le sorrido, con il miglior sorriso che si può sfoggiare in una situazione del genere.
-Voglio solo che tu sappia a cosa stai andando incontro- riprende lei dopo un po’. -Non è facile e non pretendo che tu mi capisca, però ecco… dovevi saperlo. Ho paura e questa paura è correlata a te, quindi non so come fare a farla scomparire. Ci tengo a te, ci tengo tantissimo. Ti conosco da poco è vero, eppure sento che la tua presenza mi risana. Non faccio altro che pensare a come stavo l’anno scorso, in questo preciso istante, e a paragonarlo con il presente. Il fatto che tu sia nel mio presente, ha fatto la differenza. È merito tuo se è migliorato il tutto. Merito della tua presenza, della tua ventata di aria fresca, del fatto che mi ritrovo a pensare a te durante la giornata e non alla casa vuota che ho intorno, il fatto che rivedo le tue foto e mi sento fortunata ad averti intorno anche se per poco tempo alla volta. E niente, volevo solo che lo sapessi. Ti ringrazio per questo e non voglio perderti, non voglio tornare alla mia vita precedente senza la mia dose di ossigeno quotidiana- dice tutto d’un fiato.
A sentire quelle parole quasi mi manca il respiro. Il mio cuore perde qualche battito per ogni parola e il mio respiro si fa irregolare.
-Anche io non voglio tornare indietro, sei qualcosa di nuovo per cui non riesco a fare a meno. Mi piaci e tutte queste parole che mi hai detto, non fanno altro che confermare questo sentimento confuso e nascosto che abita nel mio petto-
-Oh Chiara, non hai idea di quanto tu mi faccia impazzire il cuore-
-Mi puoi dare una dimostrazione- dico quasi stuzzicandola.
Una sua mano fredda si appoggia sulla mia, la guida sul suo petto coperto solo da una maglietta sottile. Le nostre bocche si incontrano di nuovo a mia insaputa. Mentre il sue labbra ruvide si muovono contro le mie, la sua mano spinge la mia contro al sua pelle. Sento il suo battito accelerare con il mio. Quando ci stacchiamo dice: -Direi che è efficace come dimostrazione-
Mi scappa una risata dolce.
Ci torniamo a fissare.
Vorrei aggiungere altre mille parole ai nostri discorsi, vorrei fare cento domande una dietro l’altra, ma nessuna parola riesce ad uscire dalla mia gola. Il mio cervello è troppo impegnato nel processare tutto ciò che è accaduto per focalizzarsi anche sulla parola. Il mio cuore ancora batte forte, quando Sara spezza il silenzio: -Stai bene?- chiede preoccupata.
-Mi sto chiedendo se stia accadendo tutto sul serio-
ridacchia prendendomi palesemente in giro.
-Cosa siamo allora, noi?- chiedo immediatamente. Non posso non fare questa domanda, mi viene naturale… non riesco a non etichettare quello che sta succedendo.
-Una persona arrabbiata che frequenta una persona che si deve far perdonare?- dice. -Ovviamente io sono quella arrabbiata delle due- conclude ironicamente con un sogghigno.
La spingo giocosamente facendola cadere di schiena sul divano, durante la sua discesa si aggrappa a me portandomi con sé.
Mi ritrovo sopra di lei, dannatamente vicino al suo viso perfetto.
-Possiamo affrontare le nostre paure solo insieme, quindi accetto questa visione dei fatti- dico, utilizzando un tono misto fra il serio e l’ironico.
-Ma la vera domanda qua è un’altra- dice seria.
-Ovvero?- chiedo preoccupata.
-Posso baciarti anche se sei arrabbiata?- dice sorridendo appena.
Ridacchio.
-Provaci e vedrai che succede- dico.
Subito dopo si tuffa sulle mie labbra.

◦●◦                                                    ◦●◦

-Quindi?!- chiede sconcertata.
-Quindi… cosa?- rispondo.
-Quindi cosa è successo dopo!- mi dice quasi al limite della sopportazione.
-Niente cosa vuoi che sia successo?! Abbiamo continuato a parlare, abbiamo visto un film e poi si è addormentata. Quando si è svegliata si è scusata, ha detto che in queste settimane non ha dormito molto- le dico cercando di calmare la sua sete di notizie.
Ridacchia.
-Oh rossa… quanto hai fatto penare questa ragazza! Però, ehi, quasi non ti riconosco… così calma, senza la smania di portare tutto ad un livello superiore! Wow, Leonardi ti ammiro!-
Scuoto la testa. Sempre la solita Alessandra.
-Allora, questa leggenda metropolitana per cui sono una sciupafemmine deve finire! Non è assolutamente vera, io non so cosa ti abbia detto Pietro ma in tour non è successo niente con nessuno. Neanche per una notte! Smettetela di etichettarmi così, soprattutto ora che c’è Chiara-
Alza le mani in segno di difesa.
-Okay okay, cercherò di crederti, rocker…- dice riprendendo a ridere.
-Mi dispiace moltissimo per averla lasciata sola due intere settimane, eppure tu hai visto in che stato ero. Non l’ho fatto con cattiveria… sono io, sono fatta così. So di aver sbagliato, farò di tutto per iniziare con il piede giusto- dico con serietà.
-Se solo mi avessi ascoltato, al posto che stare chiusa nella tua sala zen, avresti risolto tutto in un giorno! Ma figuriamoci se Sara la testarda può ascoltare i consigli degli altri! Così impari!-
Alzo gli occhi al cielo. Sempre la solita storia.
-Lo so, lo so. Avrei dovuto ascoltarti- ammetto sbuffando.
-Lo dici sempre, ma quando ormai è tardi! Però ho un’altra perla da regalarti: tu piaci a lei, quindi ti perdonerà se non farai più cazzate- dice seria.
Annuisco in risposta.
So che ha ragione.
Quando Alessandra, preoccupata perché non rispondevo alle sue chiamate da due giorni, mi ha praticamente sfondato la porta di casa a suon di pugni, è venuta a sapere del mio gesto stupido e avventato. La prima cosa che mi ha detto è stata: “Va da lei e spiegale cosa ti è successo, ti capirà”, ma io non le ho creduto. Non credo mai alle persone, perché penso sempre che non vivendo la mia situazione non possano capirmi. Ogni volta mi sbaglio, eppure non ho ancora capito la lezione.
Così ho aspettato, chiusa in casa, che il mio cervello lentamente realizzasse la cazzata che avevo fatto. Pessima mossa!
Intanto Alessandra mi controllava come si controllano i bambini che hanno appena iniziato a camminare. Mi aveva tolto tutte le birre da casa e aveva lasciato il mio gioco preferito della Play ben in vista sul tavolo del salotto.
Mi conosce bene la ragazza.
Dopo una lunga sessione di gioco, finalmente ho agito.
Ma ha ragione Alessandra, agisco quando è troppo tardi.
Eppure questa volta, Chiara mi ha dato una specie di seconda occasione. In realtà ha capito le mie azioni. L’essermi aperta con lei mi ha portato solo vantaggi, è stato difficile ma ne è valsa la pena. Anche lei ha le sue paure, anche lei ha degli ostacoli che vuole superare esattamente come me.
Insomma, siamo sulla stessa barca.
-Quindi quando vi rivedrete?- dice quasi più esaltata di me.
-Stasera. Eleonora è tornata qua e ha organizzato una partita a bowling-
Scoppia a ridere fragorosamente.
-Che c’è?!- chiedo frustrata.
-Tu fai schifo a bowling!- dice continuando a ridere quasi con le lacrime agli occhi.
-Infatti! Guarda che sacrifici faccio pur di farmi perdonare. Speravo di poterti invitare e di fare squadra con te. Ma a quanto pare siamo io e Chiara contro Eleonora e una tipa misteriosa-
-Uhuh, misteriosa?- chiede curiosa.
-Ah, non ho capito. Deve essere la ragazza per cui Eleonora ha una cotta spaziale-
-Siamo già allo step “uscita a quattro”!- dice Ale, tutta contenta.
-Io sto per passare allo step “ti butto fuori di casa”- dico lanciandole un cuscino in piena faccia.


Dopo aver passato gran parte della giornata con Alessandra, parlando del più e del meno, aggiornandola sulle varie questioni amorose e non, mi dirigo da Ricky.
Ci ha convocati oggi urgentemente. Il che è preoccupante. Quando lui utilizza la parola “urgentemente” di solito per noi significa: “guai in vista”.
Scrivo velocemente un messaggio a Chiara prima di mettermi al volante.

“Devo andare urgentemente dal manager. Stasera a che ora è l’incontro? Così so quando passarti a prendere (:
Chiara: “Tranquilla, hai tutto il tempo del mondo dobbiamo essere là per le 21”
“Alle nove meno dieci sono da te”, le scrivo veloce. Vorrei scriverle qualcosa di più, però ho paura di correre, di bruciare le tappe, di andare oltre.
Oh al diavolo la razionalità!

“Non vedo l’ora di vederti”, aggiungo veloce e invio prima di cancellare.

Chiara: “Anche io non vedo l’ora. (anche di stracciare Eleonora) A dopo, buona fortuna!”

Sorrido serena e metto in moto la macchina.
Durante tutto il tragitto mi chiedo costantemente cosa diavolo ci debba dire Ricky di così urgente. Di solito, un piccolo accenno ce lo fa sempre.
Una volta arrivata al quartier generale, faccio passare il badge e i tornelli davanti a me si muovono portandomi dall’altra parte della barricata.
Questo posto ormai lo conoscono come le mie tasche: è un intricato labirinto di corridoi e porte insonorizzate, uffici e magazzini pieni di strumenti. Anche se è una semplice etichetta indipendente, rimane comunque una tra le più importanti d’Italia, quindi deve essere attrezzata a trecentosessanta gradi per gli artisti che accoglie. Lo è anche dal lato pratico: ci hanno sempre dato di tutto. Dalla strumentazione, se avevamo qualche problema con i nostri impianti, a miriadi  di contatti stampa, interviste e recensioni. Per non parlare di tutte le date che abbiamo fatto una volta arrivati sotto il tetto di questa grande casa! Tutti i sacrifici fatti per essere qua oggi hanno dato i loro frutti e continueranno a darli.
Mentre cammino lungo l’ampio corridoio contornato da numerose porte, sento in sottofondo una batteria suonare. Forse qualcuno sta usufruendo della sala prova o della sala registrazione. Purtroppo non abbiamo mai avuto occasione di parlare con altri artisti sotto questa etichetta. Forse perché noi siamo un po’ così: un gruppo in disparte. Come dire… timido. Non avevamo mai avuto contatti con i nostri colleghi e non avevamo mai stretto grosse amicizie con altre band. Non era da noi e non lo faremo mai, probabilmente. Non ne sentiamo il bisogno, questo è sicuro. Anche se molto spesso mi spiace. Sinceramente mi piacerebbe avere qualcuno di “amico” in questo campo, che non sia Ricky o i ragazzi. Qualcuno di esterno, ma che al contempo riesca a capire le dinamiche dell’industria musicale e della musica in sé.
La porta di Ricky la riconosco senza neanche leggere il nome sulla targhetta. La spingo delicatamente e quella si apre.
Il suo ufficio lo conosco praticamente a memoria. Conosco ogni locandina appesa, ogni edizione speciale dei vinili di David Bowie e ogni rivista di Rolling Stone.
Ricordo ancora nitidamente il giorno in cui misi piede qua dentro per la prima volta: ero agitatissima. Eravamo tutti spersi, giovanissimi in confronto ai volti che avevamo incontrato nel corridoio e avevamo questo peso sulle spalle… il dovere di provare che eravamo qualcuno, che valevamo e che eravamo ciò che cercavano. Un dovere non proprio leggero, insomma. Ci eravamo vestiti con i nostri indumenti migliori, come se potessero dare l’apparenza giusta. Che stupidi! Solo dopo molti mesi capimmo che il nostro aspetto non doveva provare nulla, era la nostra musica a dover essere perfetta in ogni sua sfaccettatura. Quel giorno, mentre varcavo questa porta, ero determinata ad avere ciò che avevo sempre sognato e così fu.
Dopo mesi di “corteggiamenti” a Ricky, dopo ore e ore di prove, finalmente decise che potevamo registrare il nostro album di debutto con loro. Ovviamente tutto questo aveva un costo, eppure neanche quello ci spaventò. Facemmo quell’investimento ed ora eccoci qua, in questa grande famiglia, finalmente a casa.
-Ciao Sara- mi salutano tutti quanti in coro.
Ricambio il saluto e mi siedo su una sedia ancora libera.
Mentre aspettiamo Ricky, Petro inizia a parlare di un nuovo giro di chitarra che vuole farmi sentire.
-Quando vuoi Pietro! Lo sai che il mio piccolo studio è sempre aperto- rispondo gentilmente. Sono proprio curiosa di sentire cos’ha in mente questo chitarrista matto che è Pietro.
Poco dopo Ricky entra nel suo ufficio e ci saluta cordialmente.
Come al solito ci offre un caffè caldo. Ha imparato a conoscere anche i nostri vizi: il caffè deve sempre circolare nel sangue degli Oltre.
Dopo i soliti convenevoli, finalmente arriva al punto.
-Vi ho chiamo urgentemente perché è molto più semplice parlarne a voce che al telefono- esordisce facendomi quasi preoccupare.
-Sapete cosa c’è ad agosto vero?-
-Il mio compleanno!- dice scherzosamente Andrea. Tutti scoppiamo a ridere.
-Auguri e figli maschi, però no. Intendevo lo Sziget Festival. Ecco…- dice lasciandoci lì appesi.
Il mio cuore batte forte nella speranza di sentire ciò che pensa.
-Siete stati chiamati per rappresentare insieme ad altre band, l’Italia-
Di colpo Pietro di abbraccia contendo, esclamando un wow quasi urlato.
Rimango stupefatta dalla notizia, decisamente incredula.
Cavolo, è un sogno! Non può essere la verità!
-So che siete in pausa, ma è un’occasione unica. Suonerete sul palco italiano, però voi avete una marcia in più, un asso nella manica: cantate in inglese. Questo vi darà la possibilità di catturare fan da tutta Europa se pubblicizziamo bene l’evento anche là. Dovete solo giocare bene le vostre carte-
Dopo un po’ di discussioni su come si svolgerà il festival, su come prepararci al meglio e sulle potenziali canzoni suonare, Ricky chiude il discorso dicendo: -Questi sono i vostri biglietti e pass. Mi raccomando non perdeteli o vi taglio la testa!- usa sempre queste figure retoriche molto violente, è normale. -Il Festival coprirà le spese, non vi preoccupate. Come potete notare, avete il diritto di portare con voi un +1. Mi raccomando andate con il vostro +1, ma non proliferate nel frattempo, so che i festival fanno affiorare molti istinti… però vedete di non fare casini. Non sarò là per controllarvi quindi fate i bravi o sarà l’ultima volta che lo vedrete da sopra il palco- ci dice serio.
Il biglietto al mio +1 lo darò al momento più opportuno, penso istantaneamente immaginandomi la faccia di Chiara alla vista del biglietto.
Finita questa questione ci informa che per tutta la durata di luglio ci ha riservato una sala prove qua, al quartier generale. Una sala per provare le canzoni del nuovo album prima di entrare in sala registrazioni, per definirle, per scartare quelle che sembreranno meno adatte e potenziare le altre.
Inutile dire che non vedo l’ora che arrivi luglio. Mancano solo cinque giorni, eppure sembra un’eternità.
-Bimbini miei, potete andare in pace- ci dice scherzosamente Ricky. Ci alziamo quasi contemporaneamente dalle nostre sedie.
-Non tu Sara. Ti devo parlare- mi dice facendomi ritornare al mio posto.
Tutti escono salutandoci. Rimaniamo solo io e lui. Non mi trovo assolutamente a disagio, questa situazione accade quasi ogni settimana. Io sono la faccia e la voce della band, quindi molto spesso Ricky riferisce notizie o consigli prima a me e poi agli altri.
Eppure, stavolta, il suo sguardo mi sembra davvero molto serio.
-Sto per dirti di una questione a cui tengo molto, eppure al contempo è molto delicata e complicata. Quindi apri bene le orecchie Sara-


◦●◦                                                    ◦●◦

-Sei pronta?- chiedo alla voce dall’altra parte del telefono.
-Sì- mi risponde con tono agitato.
-Ele, ma non ti devi agitare! È una semplice uscita, non siete sole, ci siamo io e Sara!- dico cercando di tranquillizzarla per quanto possibile.
-Lo so, hai ragione. È che ho paura di fare qualche brutta figura, o di aver interpretato male i suoi segnali! Magari non ne vuole sapere di me!- dice quasi disperata.
-Dio, ma ci siamo scambiate i ruoli?!-
Finalmente le faccio scappare una piccola risata.
-Mi sa di sì, da quando ormai ti sei impegnata con la rossa sei così sicura di te- mi dice seria.
-Non è vero! È che sono più tranquilla, so che prova qualche tipo di interesse in me di conseguenza non sento il dovere di dimostrare ogni secondo qualcosa a lei- dico sinceramente.
-Ah, che fortuna. Sappi che mi devi ancora una serata tra donne, ovvero io, te e una bottiglia di vodka! Voglio sapere ogni dettaglio della nuova coppia dell’anno!-
Scuoto la testa.
-Non siamo una coppia e non c’è nessun dettaglio- 
Fortunatamente il campanello mi salva dalla conversazione.
-Ops, Sara è sotto che mi aspetta, devo proprio andare- dico ironicamente.
-Chiaretta ti è andata bene- dice con tono scherzoso.
-Vai a prendere la tua bella, ci vediamo tra poco- dico chiudendo la chiamata.
Scendo velocemente le scale e salgo in macchina di Sara.
Il suo tipico profumo dolciastro mi invade le narici e mi dona un odore che sa quasi di quotidianità. Ammetto mi ero abituata bene in questi giorni: dopo la sua confessione e le sue scuse, abbiamo passato due giorni interi insieme. Ore spese a guardare serie tv e a mangiare sushi. Quindi, sì… mi ero decisamente abituata bene e risentire quell’odore mi riportava solo a questi bei ricordi.
-Pronta per stracciare Eleonora e la sua amichetta?- chiedo mentre ci dirigiamo al bowling.
-Emh, Chiara… ti devo dire una cosa: sono una frana a bowling- ammette quasi spaventata.
Rido nel sentire quella frase.
-Dai impossibile! Devi solo far rotolare una palla verso dei birilli!-
-Sì ma la palla va dove cazzo vuole!- dice cercando di difendersi.
-Ti faremo mettere le barriere come i bambini- dico ridendo ancora più forte.
-Cosa?! No! Ho una dignità io!- risponde sconcertata.
A forza di ridere, quasi piango.
-Ridi di me, intanto perderemo- conclude parcheggiando.
-Ma chi è quest’amichetta?- mi chiede prima di scendere.
-È un’amica di Eleonora. L’ha conosciuta in palestra… ha una cotta pazzesca per questa tipa! Ma non ha amai avuto il coraggio di richiedere un’uscita. Secondo Ele, le lancia messaggi nascosti, tipo che flirta ma non proprio palesemente. Insomma… siamo qua anche e soprattutto per controllare sta tipa!- dico ammettendo il mio piano diabolico.
-Ah, la migliore amica deve approvare la cotta?- chiede quasi ironicamente.
-Ovvio! E non guardarmi così, con quella faccia esterrefatta! Di sicuro tu ed Alessandra avete parlato di me e lei ti ha dato un giudizio. E sa che c’è? È giusto così, siamo umani e giudichiamo!- le dico prontamente lasciandola di sasso sul sedile della macchina. Scendo e mi dirigo verso l’entrata e scorgo la sagoma di Eleonora davanti ad essa.
Vicino a lei una figura alta e snella le fa compagnia. Avvicinandomi noto che la famosa cotta di Eleonora è davvero una bella ragazza. Capelli scuri raccolti in uno chignon che però lascia cadere qualche capello lungo il suo collo che sembra quasi scolpito. Indossa una semplice camicia a maniche corte e dei pantaloni blu e stretti. I suoi occhi azzurri subito mi scrutano curiosi, si starà chiedendo se io sono Chiara o Sara. Non appena le raggiungiamo, abbraccio di slancio Eleonora, invece Sara la saluta con un semplice bacio sulla guancia. Poi finalmente Ele ci presenta alla sconosciuta.
-Lei è Chiara, l’amica di cui ti parlavo- dice Eleonora rivolgendosi a lei.
-Piacere Chiara, io sono Irene!- mi sporge la mano felice. La stringo accompagnando la stretta con un sorriso sincero.
-Invece lei è Sara!-
-Piacere Irene- stringe la mano anche a Sara, che la saluta cordialmente. -Ma aspetta… tu sei Sara degli Oltre?-
Oh, ecco ci siamo…
-Sì, in carne ed ossa!-
-Wow, ma che bello! Io conosco parecchie vostre canzoni! Non posso crederci!- dice entusiasta. Poi si rivolge a Eleonora: -Non mi avevi detto che era una tua amica!- dice quasi sconcertata.
-Emh, è una cosa nuova- dice guardandomi di soppiatto e sogghignando.
Sarà una lunga serata.

La prima partita ovviamente l’abbiamo persa.
Sara non è una frana… di più! Ho provato a insegnarle il modo più facile e giusto per lanciare la palla ma niente da fare. Quando andava bene buttava giù un birillo al massimo due, per il resto la buttava nei piccoli canali ai lati. Insomma è un caso perso!
Eleonora dall’altra parte era solamente felice di questo mio “handicap”. Per questo motivo avevo chiesto una rivincita.
-Dai, cerca di impegnarti un po’!- dico a Sara, cercando di infonderle un po’ di dedizione verso il gioco.
-Sto facendo del mio meglio- mi risponde lei.
Del tuo meglio a buttarla ai lati, quello sì.
Scuoto la testa, ormai Eleonora ha un’altra vittoria in tasca.
Durante i primi tiri cerco di fare del mio meglio, portando a casa qualche strike e spare.
Eleonora mi stava alle calcagna, ma era ancora dietro di me.
Invece Sara aveva tirato giù giusto qualche birillo e niente di più.
Irene, giocatrice mediocre, quando non tira la palla è subito vicino a Sara a parlare della band e di musica. Le due interagiscono animatamente, con tanto di risate correlate a qualche battuta che fa una delle due.
Lancio con quanta più potenza ho la palla facendo uno strike.
Eleonora mi lancia uno sguardo assassino e in risposta le dico: -Non mi potevi dire che la tua amichetta aveva una passione musicale per Sara?!-
Lei in risposta alza le spalle. -Non lo sapevo proprio-
-Avrei portato qualcun altro, soprattutto di più bravo-
Dico portandomi vicino alle due che ancora parlavano piacevolmente insieme.
-No dai, quella canzone parla davvero di una semplice partita a poker persa? Ti ha creato così tanta tristezza?- dice Irene ridacchiando come una fan emozionatissima.
-Ero ubriaca e avevo puntato il mio criceto!- risponde Sara seriamente.
Irene continua a ridere quasi sforzatamente.
-Oddio e poi l’hai dovuto dare a lui!-
-Ovviamente. Povero criceto…-
L’altro ride ancora.
-Sara, tocca a te- dico con freddezza richiamando la sua attenzione al gioco.
-Sì capo- dice prendendomi in giro.
Lancia. Due birilli. Che record!
-Non è proprio serata!- dice sorridendo imbarazzata.
Irene prende il suo posto sulla pedana e io mi metto vicino a Sara.
-Se magari pensassi al gioco al posto che ad altro- le dico con un po’ troppa cattiveria nella voce.
-È solo una partita in amicizia, non prendertela- mi dice quasi sbuffando.
Forse è meglio chiudere qua la discussione.
Con l’ultimo lancio di Eleonora e il suo conseguente strike, abbiamo nuovamente perso.
-Mi devi un po’ di birre Chiaretta- mi dice nell’orecchio Ele.
Alzo gli occhi al cielo.
Tra una chiacchiera e l’altra ci ritroviamo all’uscita.
Ci salutiamo cordialmente e finalmente Irene molla Sara dalle sue persistenti domande.
Ci dirigiamo verso le nostre macchine e poi verso casa.
Il tragitto lo passiamo in totale silenzio.
Sara fissa con attenzione e concentrazione la strada.
-Vieni a casa mia?- mi chiede timida.
Il silenzio regna di nuovo.
-Solo per guardarci un film, niente di più giuro- dice quasi come per difendersi.
Sono in qualche strano modo infastidita da come si è comportata, però non volevo farlo vedere.
-Sì, va bene- dico in modo neutro.
Parcheggiamo sotto casa sua e dopo pochi minuti siamo già sul divano con un film davanti al naso.
Sedute vicine, con le gambe allungate fin ad arrivare al tavolino, per distenderci meglio.
Improvvisamente, dopo solo tre quarti d’ora di film, sento le palpebre pesanti che a stento stanno aperte.
-Sara, ho un davvero molto sonno. È meglio che vada a casa- dico alzandomi quasi come una molla. Non ho idea di dove abbia trovato tutta questa forza di volontà.
-È tardi Chiara! Fermati qua, ho parcheggiato la macchina e tutto, non ho voglia di uscire per riaccompagnarti- ammette.
-Vado a piedi-
-Sei pazza?! È tardissimo! Stai qua, dormi e poi domani vai a casa-
Annuisco senza forze.
Non so neanche come ma mi ritrovo nella sua stanza dopo pochi minuti, o forse neanche.
-Tieni, questa vecchia divisa da gioco del liceo dovrebbe andarti. Cambiati pure in questo bagno, io vado nell’altro per ottimizzare i tempi- dice sparendo dietro la porta.
Entro nel grande bagno moderno e mi cambio. Improvvisamente sento l’odore di Sara sui vestiti e quindi sulla mia pelle. Forse mi sto già abituando a tutto questo.
Quando torno nella camera da letto, lei è già lì ad aspettarmi sotto un leggero lenzuolo azzurro.
Mi infilo sotto di esso e vicino a lei. Guardo un punto fisso davanti a me, cercando di ignorare il batticuore e l’ansia che sta prendendo controllo di ogni centimetro del mio corpo.
-So che qualcosa non va- esordisce facendo passare un dito sul mio avambraccio scoperto. -Dovremmo parlarne- continua.
Sospiro. “Sono solo io ad avere dei problemi qui” vorrei risponderle.
-No, tranquilla è tutto a posto- mento.
-Non mentirmi, non hai proferito parola da quando abbiamo salutato Ele e Irene- mi dice seria.
Possibile che ogni volta debba capire ogni mio più piccolo cambio d’umore?
-Dovevi proprio riservare tutte quelle attenzioni ad Irene?- finalmente sputo fuori.
-Attenzioni?!-
-Sì, battutine, giochetti, aneddoti, storie e via dicendo- dico ancora. -In più lei avrebbe riso anche se tu avessi letto il discorso di Martin Luther King. Ridicola- forse sto esagerando ma le parole escono ancora prima di poterle pensare.
-Non stavo dando nessuna attenzione speciale! Era una fan e io mi comporto sempre così con loro. Se mi avessi conosciuta due o tre mesi fa, avresti capito che per me questo è un comportamento normale. Voglio e devo, fare così. Loro sono quelli che mi mantengono, quelli che apprezzano i miei sforzi musicali. Adoro parlare con loro e vedere ciò che pensano delle mie canzoni, è più forte di me- ammette.
Okay, forse non avevo pensato a questo motivo.
-Però questa era una serata per Eleonora, per sbloccarla, per aiutarla! Dovevamo capire com’è Irene da poter così aiutare Ele. Non era una serata per te, ma per lei- dico cercando di evitare l’argomento gelosia.
-Lo so, hai ragione, scusami. Non ci ho pensato. Ero presa dal fatto che fosse una nostra fan e non ho realizzato ciò che stava accadendo- dice finalmente.
-Non ti preoccupare, ci saranno altre occasioni per sbloccare la situazione fra quelle due!- dico addolcendomi sentendo le sue scuse.
Si distende meglio sul letto, mettendosi comoda. Mi tira la maglietta e mi fa cenno di appoggiarmi sulla sua spalla. Eseguo gli ordini felice.
Spegne la grande luce e ne accende una piccola sul suo comodino bianco.
Il suo calore al mio fianco sembra quasi surreale, anzi, tutto questo sembra un sogno ad occhi aperti. Di colpo una sua mano mi sposta i capelli dal viso, gioca con loro passando le dita tra le diverse onde leggermente mosse. Questo movimento ripetitivo, mi scioglie il cuore e la mente. Sara, non smette. Non riesco a quantificare per quanto tempo gioca con le mie ciocche.
-Spengo la luce- ad un certo punto sussurra.
Annuisco. Una volta al buio con tutta la forza che ho in corpo dico: -Ero gelosa-. Le sue mani di colpo smettono quel piacevole massaggio.
Mi sfiorano il viso e me lo girano verso il suo.
I miei occhi si aprono automaticamente.
La sua pelle chiara è illuminata da qualche raggio di luce proveniente da fuori, che riesce a superare le veneziane. Si intravedono delle piccole lentiggini.
-Non devi esserlo- risponde.
-Eppure, le attenzioni che le dedicavi… mi stringevano e piegavano lo stomaco- ammetto con un filo di voce.
-Mi spiace Chiara, non intendevo farti stare male- dice riprendendo a giocherellare con i miei capelli.
-Cosa siamo noi?- non riesco a vivere a pieno ogni secondo con lei se non sono sicura di cosa siamo.
-Cosa vorresti che fossimo?-
-Vorrei poterti chiamare la mia ragazza- ammetto finalmente dopo giorni di agonia.
-E poi?-
-Vorrei prenderti la mano, vorrei poterti coccolare mentre siamo sedute ad un bar oppure semplicemente vorrei che il mio cuore fosse sereno e limpido, senza dubbi che lo schiacciano- dico sussurrando.
-Direi proprio che abbiamo le stesse idee- dice sorridendo dolcemente. Prende le mie labbra tra le sue e io finisco di nuovo in un altro universo.
Istintivamente porto la mia mano sul suo fianco, quello più lontano da me. La mia testa si appoggia automaticamente sopra la sua spalla destra. La stringo forte a me e mi accoccolo su di lei.
Sento il suo respiro infrangersi su di me. Sento il suo battito regolare.
Mi addormento tra le braccia della mia ragazza, con un leggero sorriso stampato in faccio.
Forse non è la Felicità, eppure per me ha quel sapore.
 


Buonasera a tutti!
Eccoci con un nuovo capitolo! Ringraziate tutti quanti la mia dolce metà per avermi fatto fare un volo aereo lunghissimo in cui ho avuto tempo per scrivere questo capitolo e ultimarlo nei giorni seguenti. *applausi*
Okay, un capitolo importante.
Spero non siano successe troppe cose per i vostri gusti e troppo in fretta.
Finalmente Sara dice la verità, le due si confidano e decidono di frequentarsi, niente male! :)
Cosa avrà detto il manager a Sara? Uhuh, chissà quando lo verremo a scoprire ahahah
Per il resto vediamo una Chiara gelosa della sua bella, che però non può chiamare proprio sua totalmente. Quindi sull’ultima scena finalmente decide di dire la sua riguardo a questa questione e tac, tutto risolto apparentemente. Ma sarà davvero un’etichetta a cambiare lo stato delle cose oppure ci saranno altre difficoltà?
Alessandra è un po’ assente ma prometto che rimedierò. Anche con la nuova figura di Irene… la vedremo spesso ho il presentimento! E non fate giudizi affrettati eh
Vorrei ringraziarvi per tutta la passione che mettete nelle recensioni, me ne passate altrettanta e non sarò mai grata per tutte le bellissime recensioni che mi lasciate. Vi ringrazio tutti, perché senza di voi tutta questa storia non esisterebbe e non sarebbe arrivata qua!
Vi ringrazio, vi abbraccio e scusate gli errori è l’una di notte.

p.s. non potevo non nominare il mio annuale festival! Ci vado ogni anno, dovevo ambientare qualcosa anche lì, chiedo perdono ahaha

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Capitolo 9
*** 9 - Non doveva andare così ***


La suoneria del mio telefono rompe il mio sonno profondo.
Di fianco a me sento la presenza di Chiara, cerco di non svegliarla e di muovermi con cautela.
Sono solo le otto del mattino, chi potrebbe essere?
Apro il messaggio. Alessandra.
Istantaneamente ricordo ciò che ho momentaneamente dimenticato.
Mi alzo di fretta, facendo attenzione a non svegliare Chiara.
Mi fermo un secondo a guardarla. Viso riposato e perso nei suoi sogni, stretta fra le lenzuola del letto, respiro regolare e delicato, capelli sparsi sul cuscino bianco.
Mi stacco da quella visione angelica e corro a cambiarmi.
Prima di uscire di casa lascio un bigliettino per Chiara, così se si sveglierà prima del mio ritorno non si preoccuperà per la mia assenza.
Faccio le scale di corsa, il sole è già abbastanza caldo perché lo sento attraversare le spesse vetrate della tromba delle scale.
Esco di casa e incontro subito un’Alessandra arrabbiata. Braccia conserte, viso duro, divisa da gioco, scarpe da ginnastica ai piedi e ovviamente tutti i gadget possibili immaginabili per controllare i suoi sforzi, i suoi battiti e non so che altro ancora.
Alzo gli occhi al cielo sbuffando.
Un’amica più fissata non potevo incontrarla.
-Leonardi, volevi saltare la corsa mattutina? Direi che mentre eri in tour ne hai già perse di mattine-
Alzo le mani e mi arrendo, meglio non farla arrabbiare quando è in questa modalità da comandante.
-Hai fatto il riscaldamento?- mi chiede smanettando sul il suo orologio cardiofrequenzimetro al polso.
-No. Dai Ale, mica stiamo per giocare la finale di Coppa Italia!- dico cercando di evitarmi l’ennesima sgridata.
-Fai sto stretching, forza! Che bastano la musica e due bei occhioni a farti perdere le buone abitudini- dice quasi sogghignando.
Sbuffo e eseguo gli ordini.
Da quando Alessandra è diventata la mia personal trainer?!
Sarà una mezz’ora di corsa davvero molto lunga.


 ◦●◦                                                    ◦●◦


I rumori della strada sottostante mi svegliano dal sonno.
Mi rigiro nel letto per non so quanto tempo, forse ancora un po’ in dormiveglia.
Non voglio alzarmi quindi tento il tutto per tutto per riaddormentarmi.
Durante i miei vari giri nel letto ricordo di essere a casa di Sara, di essere nel suo letto, di essere con lei.
Quindi sto facendo tutto questo casino, con tanto di grugniti di disappunto, accanto a lei che magari sta cercando di dormire in santa pace.
Mi blocco all’istante.
Mi pento immediatamente di tutto ciò che ho fatto in tutti questi minuti.
Apro lentamente gli occhi sperando di vedere una Sara addormentata al mio fianco, senza il suo solito ghigno stampato in faccia.
Per fortuna o sfortuna che sia, Sara non c’è.
Scatto come una molla e mi metto seduta.
Beh, questa è una situazione molto strana. Guardo l’ora: le 9 del mattino.
È davvero presto, visti i miei standard di quando sono a casa da sola e non ho lezione.
Mi stupisco un attimo di me stessa e poi corro in bagno a lavarmi e cambiarmi.
Magari Sara è di sotto che mi aspetta? Può essere.
Dovrò dirle che mi deve svegliare se si sveglia prima di me.
Se c’è una cosa che mi mette a disagio è andare a dormire a casa di qualcuno e poi svegliarmi o prima o dopo di loro. Mi crea imbarazzo, tensione e ansia. Non so mai come comportarmi, se svegliarli, se alzarmi, se aspettare che si sveglino.
Oddio, credo di star impazzendo prima della soglia dei cinquant’anni.
Sbuffo scacciando via le mie stesse preoccupazioni infondate e mi dirigo verso le scale.
Le scendo piano, cercando di captare qualche rumore che mi confermi la presenza di Sara in casa.
Non sento nulla.
Silenzio totale.
Mi affaccio sul salotto.
Tutto in ordine, TV spenta e nessuna musica di sottofondo.
Sopra il tavolo chiaro della cucina noto un bigliettino arancione.
“Torno presto, non ti allarmare. Fai come se fossi a casa tua, se vuoi Netflix basta che tu accenda la tv. P.s. mi farò perdonare con dei buoni cornetti”
Sorrido.
È la prima volta che vedo al sua scrittura e già la adoro.
Decisa, piccola, irregolare come se comprendesse un tripudio di emozioni.
Sospiro guardandomi intorno.
Se lei porta i cornetti, io magari dovrei preparare il resto della colazione?
Incomincio ad aprire delicatamente i cassetti dell’enorme cucina alla ricerca del necessario.
Dopo un po’ di ricerche trovo tutto ciò che mi serve e faccio un rapido controllo: la tavola è apparecchiata, ho messo a bollire del tè a fuoco basso e ho tirato fuori il latte dal frigo.
Non mi resta altro che aspettare pazientemente Sara.
Mi guardo di nuovo intorno e mi dico, ancora una volta, che la sua casa è bellissima e che mi infonde uno strano senso di pace e tranquillità. Non so perché, eppure questo è ciò che sento e ho sentito la prima volta che ho messo piede tra queste mura.
Noto subito dopo che sul divano, lì abbandonata, c’è la sua chitarra acustica, la stessa che aveva suonato quel giorno al parco con me.
Un sorriso sincero nasce sul mio volto.
Mi siedo sul divano e la prendo delicatamente tra le mani.
La osservo da vicino.
La tocco con cura.
È ancora più bella vista da vicino, è perfetta in ogni dettaglio, misteriosa come ogni strumento musicale sulla terra. Misteriosa perché è qualcosa che ti ammalia, ti cattura lo sguardo, gli occhi le orecchie e ogni altro muscolo del tuo corpo. Quando una chitarra suona, nessuno può distogliere lo sguardo dalle corde, nessuno può lasciare che gli occhi vaghino altrove, semplicemente non si riesce. Lo strumento musicale è un talismano, è una calamita, che ti cattura e non ti lascia più. Per chi non suona sarà sempre un oggetto irraggiungibile, incomprensibile come una geometria confusa di cui non capiamo le regole.
Incomincio a suonarla con timidezza, perché non è la mia chitarra e non ho l’effettivo permesso di suonarla. È un po’ come se stessi invadendo la privacy e intimità di Sara.
Eppure, come una calamita, mi attrae e non riesco a resistere al bisogno di sentirne il suono.
Le note si susseguono veloci, la pace dei sensi arriva di conseguenza.
Mi perdo nel suo suono melodico, le mie dita automaticamente si muovono sulla tastiera.
Continuo per minuti che sembrano infiniti.
Perdersi nella musica è così facile che smettere di suonare è quasi impossibile.
Le mie dita di muovono delicatamente sulle corde, suonandole con quanta più sapienza conoscono. Forse la chitarra è abituata ad un altro tipo e livello di sapienza, ma per ora si dovrà accontentare di me.
Di colpo sento qualcuno dietro di me che si schiarisce la voce sonoramente.
Vedo Sara appoggiata allo stipite della porta scorrevole che porta al salotto.
Il suo solito ghigno di chi è compiaciuto e sicuro di sé stesso stampato in faccia.
Pantaloncini corti e sportivi, maglietta tecnica, capelli legati in una coda stretta, occhi puntati su di me.
-Avevo ragione a dire che avevamo molto in comune- dice mantenendo quel sorriso che ti sfida.
-Io..- mi stacco subito dalla chitarra come un ladro sorpreso dalla polizia. -L’ho vista e volevo provarla, scusa- ammetto appoggiandola di nuovo dov’era in precedenza.
-Ehy, calma Chiara- mi dice ridacchiando. -Hai fatto bene, le chitarre sono fatta apposta per essere suonate- mi dice sorridendo.
Cammina avvicinandosi a me. -Suoni benissimo- mi dice spiazzandomi. -Cosa aspettavi a dirmelo? È una cosa bellissima!- dice tutta eccitata.
-È solo un passatempo, non pensavo fosse importante- rispondo.
-Non pensavi fosse importante? Se riguarda te, è tutto importante! Trovo bellissimo che tu sappia suonare la chitarra. Possiamo suonare insieme quando vogliamo, posso finalmente andare con qualcuno nei negozi di musica senza che sbuffi ogni tre minuti e soprattutto non vedo l’ora di addormentarmi mentre la mia ragazza mi suona qualche dolce accordo…- dice avvicinandosi pericolosamente verso il mio viso già rosso per l’imbarazzo. Le sue parole si scontrano sulla mia pelle e, come accade ogni volta, i brividi arrivano in ogni angolo del mio corpo.
Le nostre labbra sono vicinissime ma di colpo si ritrae dicendo: -Ho fatto una corsa con Alessandra, meglio che mi vada a fare una doccia veloce prima di strapparti un bacio- dice ridendo.
Roteo gli occhi infastidita. -Perché diavolo tutte le persone che ho intorno vanno a correre la mattina?- sbuffo.
-Perché fa bene e ti aiuta ad iniziare la giornata con un altro spirito!- dice solare.
-Sì, con lo spirito di uno zombie-
Scuote la testa ridendo.
-Ho preso i cornetti, come promesso- dice sporgendomi un sacchetto in carta. Improvvisamente un odore dolce invade le mie narici. -Mi raccomando aspettami a fare colazione- dice sparendo per le scale.
Dopo quella piacevolissima colazione, il tempo ha cominciato a scorrere più in fretta e a passare tra le mie dita senza poterlo acciuffare. Come una corda che ti si sfila dalle mani, che scorre tra le tue dita e tu non riesci a fermarla, scorre veloce e tu non hai abbastanza forza per stringere le dita intorno ad essa e arrestare quel suo movimento disperato.
Dopo quella giornata, io e Sara ci eravamo viste molto di meno. Lei aveva impegni importanti con la band e io dall’altra parte cercavo di organizzare il mio ritorno a casa.
In più avevo promesso ad Eleonora, già verso la fine della nostra sessione esame, che avremmo fatto qualcosa insieme in estate. Così avevo sfruttato il fatto che Sara fosse impegnata durante il mese di Luglio per organizzare tutto.
Sarei tornata a casa nelle ultime due settimane del mese e nelle prime due mi sarei dedicata ad Eleonora.
Un piano perfetto.
Così perfetto che è andato a buon fine.
Mi ritrovo con Eleonora, una carta musei in mano e tutta la nostra nuova città e i dintorni da visitare. Nessuna delle due aveva voglia di fare un viaggio lunghissimo verso città d’arte, prendere un aereo o fare ore di treno. Quindi ci siamo guardate intorno e ci siamo dette: ma noi viviamo già in una città d’arte! Così abbiamo optato per girarla in lungo ed in largo, sviscerarla e viverla da un punto di vista totalmente diverso dal solito, non come una persona che ci vive ma come un turista in visita.
Questa idea sta funzionando, devo ammettere.
Abbiamo già visitato tutte le varie mostre temporanee e i maggiori musei. Un piacere che non ci siamo riservate durante l’anno accademico perché i tempi delle lezioni e le tempistiche degli esami erano troppo serrate per prendersi qualche giorno libero. Le uniche vacanze consistevano nel nostro ritorno a casa per le feste, quindi queste due settimane ce le siamo anche meritate.
-Quindi quando torni a casa?- mi chiede curiosa Eleonora mentre ci sediamo sui sedili del tram.
-Prossima settimana!- rispondo.
So al cento per cento che Eleonora è molto curiosa sulla mia casa, sulla mia famiglia e via dicendo. Già dalle prime volte che parlavamo ha sempre cercato di scucirmi qualcosa di più sul mio passato. Erano domande discrete, dettate dalla voglia di conoscersi più che da pura curiosità.
O forse, più semplicemente, le altre persone si sentono più a loro agio nel parlare della loro famiglia, della loro situazione a casa, di fratelli e sorelle, di cosa combinano o di problemi tra vari parenti. Io invece proprio non ce la faccio, ho un blocco. Non riesco, neanche impegnandomi, a parlare della mia famiglia e di ciò che la riguarda. Mi sembra di fare un torto all’intimità del nucleo famigliare e alle parole dette perché “noi possiamo parlare di tutto in famiglia”.
Di conseguenza, non mi sono mai lasciata andare in particolari dettagliati sulla mia famiglia, ma la cosa non mi turba affatto. So di essere nel giusto.
-Ci metti parecchio vero? È dall’altra parte della regione, praticamente-
-Tre ore buone, ma ho musica e libri a farmi compagnia- rispondo prontamente.
-Potresti portarti la rossa a farti compagnia, di sicuro sapreste come passare il tempo- mi dice facendomi l’occhiolino.
Alzo gli occhi al cielo.
-Dai! Un giorno dovrai pur farla conoscere ai tuoi!- dice seria.
-Solo se le cose si faranno serie! Ci conosciamo ancora poco noi stesse, direi che è meglio andare con calma-
Sbuffa in risposta. -Io fossi al posto tuo la esibirei come un trofeo- dice ridendo.
Non commento la frase. -È la nostra fermata- dico catapultandomi fuori dal tram.
Sarà una lunga settimana.

◦●◦                                                    ◦●◦

-Vuoi una birra?-
-Sì, ne ho proprio bisogno- rispondo.
-Non ricordavo fosse così dura- mi dice serio.
Ci sediamo sul divanetto in pelle e finiamo per fissare a vuoto il grosso mixer davanti a noi.
Ogni tanto sorseggiamo un po’ di birra.
-Beh, siamo a metà. Abbiamo cinque canzoni praticamente finite. Ce ne restano altrettante più la bonus track-.
Se c’è una cosa che mi piace di Pietro è la sua capacità di avere tutto sotto controllo anche quando la situazione sembra difficile.
Abbiamo ancora due settimane per finire tutti i provini, ce la possiamo fare.
-Complimenti- mi dice poi dal nulla.
-Per cosa?- chiedo ridacchiando quasi.
-Queste canzoni, sono tutte tue praticamente. Hai fatto il tour, l’hai portato avanti senza problemi, interviste, photoshoot e chi più ne ha più ne metta, eppure sei comunque riuscita e tirare giù un mucchio di canzoni nuove. Non ho idea di come tu abbia fatto, ma complimenti-
-Semplicemente non riuscivo a dormire in quei letti piccolissimi del bus- scateno una risata generale che coinvolge tutte e due.
-Ah, ecco il tuo segreto- dice ancora tra le risate.
-In realtà ho sempre tante idee, il mio computer e il mio telefono sono pieni di registrazioni caserecce di chitarre, voci, cori… la mia mente sembra non stare ferma neanche un secondo. Però non sono mie, sono anche vostre. Senza di voi resterebbero anonime canzoni, le vostre aggiunte e i vostri cambiamenti le fanno diventare le canzoni che ci caratterizzano, che ci indentificano. Quindi è merito di tutti, se siamo dove siamo e se creiamo le canzoni che poi a tanti piacciono- dico con sincerità.
Pietro mi sorride felice, mi abbraccia come un fratello abbraccia una sorella e poco dopo ritorniamo al nostro lavoro.

Stare chiusi in una stanza senza finestre per settimane non è proprio il meglio per il tuo corpo e la tua mente. Infatti finalmente era arrivato il weekend: per sabato e domenica avevamo deciso di staccare, tornare alle nostre vite e prendere una boccata d’aria fresca.
Tanto, ad un certo punto, è davvero inutile stare lì a riascoltare lo stesso giro di batteria infinite volte per cercare cosa non ti convince più di tanto, senza sapere effettivamente neanche tu cosa non vada. Bisogna “pulirsi le orecchie” per un giorno o due, ascoltare la radio e lasciare scorrere note di altri nella tua testa. L’abbiamo imparato con l’esperienza, niente di più.
L’abbiamo capito dopo aver passato notti senza riposo, con le cuffie in testa a passare al setaccio ogni secondo di ogni canzone del nostro primo album. Al tempo eravamo inesperti, non sapevamo che non avremmo ricavato nulla da quello sforzo sovraumano se non un bel po’ di sonno arretrato.
Ricky ci aveva intimato di andare a casa, riposarci, bere una sana birra e di tornare due giorni dopo.
L’avevamo ascoltato, io personalmente ero un po’ contrariata, eppure dopo due giorni di assoluto riposo siamo tornati in studio e al primo ascolto avevamo già le risposte ai nostro dubbi. “Ok, secondo me qua facciamo un pausa”, “Qua metti un po’ di tastiere”, “La chitarra deve salire di volume lì”. Il risultato? Avevamo finito il nostro primo album, lo avevamo ultimato ed era perfetto per noi. Non riuscivamo a trovarne nessun difetto.
Reduci da questa esperienza, avevamo saggiamente deciso che per questo weekend non esisteva lo studio di registrazione, i provini e niente altro di collegato.
Per me questa scelta è stata una benedizione. Chiara lunedì mattina partirà per tornare a casa, quindi questo weekend sarebbe solo nostro.
Avevamo deciso per un sabato sera tranquillo: cena a casa mia, tv e quattro chiacchiere tra di noi per recuperare il tempo perso in queste settimane.
Il campanello suona e prontamente apro.
-Ciao- mi dice felice.
Le rispondo con un tenero bacio sopra le sue labbra, il più casto che esista.
-Sento un buon odorino- dice facendosi strada verso la cucina.
-Niente di che in realtà. Pasta al pesto, pollo e patatine- dico facendo spallucce.
-Cavolo, ti ingaggerò durante l’anno accademico. Le lezioni e lo studio non mi hanno mai permesso di farmi grandi pranzi… o il primo o il secondo, dovevo scegliere-
-Sarò felice di sostenere i tuoi studi con cene e pranzi fatti come si devono- dico ridacchiando.
Tra un forchettata e l’altra parliamo del più e del meno. Più che altro Chiara sembra molto interessata a tutto l’iter della creazione delle nostre canzoni.
-In realtà io butto giù delle idee, accordi semplici, li registro sul computer e poi sempre da lì ci ricamo sopra, metto tastiere e altri suoni. Poi faccio sentire il tutto a loro, le proviamo insieme in sala prove come stiamo facendo ora. Appena la canzone è grossomodo ultimata, con i vari cambiamenti, la modifichiamo al computer e poi la salviamo. Quella diventa un provino, ovvero una versione “demo” della canzone che poi verrà utile nel vero e proprio studio di registrazione-
Annuisce curiosa e attenta. -Quindi la vera e propria incisione sarà più avanti?-
-Sì, decisamente. In autunno credo, anche perché bisogna creare un po’ di aspettativa e attesa-
Poco dopo ci ritroviamo sul divano davanti ad un film, accoccolate sotto una coperta leggera.
-Sei contenta di tornare a casa per un po’?- chiedo curiosa.
-Per certi versi sì, per altri no. Ma credo sia una cosa normale- mi risponde.
-Sì, è più che normale. Però immagino che tornare a casa sia un qualcosa che farà sempre piacere, anche se magari subito non ce ne rendiamo conto. I tuoi genitori saranno molto contenti di vederti!- dico entusiasta.
A dir la verità, voglio sapere di più sulla vita di Chiara. Voglio sapere dei suoi genitori, capire a chi dei due assomiglia di più, vede le sue foto da piccola… voglio far parte davvero della sua vita.
-Sì, lo sono! Soprattutto mia nonna, non vede l’ora che io torni a casa per queste due settimane. Dovrò fare un bel giro tra i vari parenti, alla fine non ho neanche troppo tempo a pensarci bene-
-Potevi stare un po’ di più, due settimane sono effettivamente poco per una ragazza fuorisede che torna a casa- dico facendo quasi una riflessione tra me e me.
Di colpo si irrigidisce sotto le mie dita.
-Non volevo neanche andarci per queste due settimane, direi che è già molto quindi- dice come se si stesse togliendo un peso di dosso.
Il mio sguardo diventa di colpo interrogativo. Spengo la tv davanti a noi e faccio girare Chiara verso di me.
-Perché dici questo?-
-Perché è vero-
-E perché è vero?- chiedo ancora.
-Perché sto meglio senza di loro- mi dice dopo attimi di silenzio.
-Chiara, ti sembra così ma in realtà è il contrario. Il fatto è che questo anno hai provato l’autonomia, l’essere lontana da casa, vivere da sola e hai ragione nessuno vorrebbe tornare indietro. Eppure credimi, sono imp- di colpo mi blocca.
-Sara, tu non puoi capire. Quello che dico è vero, sto meglio senza di loro e non è un momento di ribellione adolescenziale ma un dato di fatto- dice seria.
-Allora spiegami, sono qua apposta- dico cercando di farla parlare.
-È lungo, noioso e soprattutto orribile. Lasciamo stare- dice con un filo di voce, nascondendo subito dopo il suo volto sulla mia spalla e tra i miei capelli.
La consolo immediatamente passando delicatamente una mano tra i suoi capelli. -Chiara, puoi parlare di tutto con me, lo sai? Anche di ciò che per te è orribile-
-Potresti cambiare la tua idea su di me- il suo fiato mi accarezza il collo dolcemente.
-La tua famiglia non sei tu- le rispondo prontamente. -Non ti definisce e non ti etichetta. È una cosa che ho imparato e in cui credo fortemente- le dico baciandole la fronte.
Il silenzio ci avvolge. Le do il tempo per riflettere su ciò che ho detto.
-Durante seconda superiore ho scoperto che mia madre tradiva mio padre con un suo collega- dice tutto d’un fiato. -Un giorno per sbaglio lessi un messaggio che questo uomo le aveva scritto: “Non faccio altro che pensarti, mi mancano le attenzioni che mi dai e il tuo profumo sulle mie lenzuola. Questo week-end sarà fantastico”.
Subito non ci volevo credere. Mia madre non poteva fare un gesto del genere a mio padre e a me. La stessa madre che continuava continuava a ripetere che la famiglia era il bene più prezioso che possedeva, non poteva ferirci in questo modo.
Così non ci credetti, cancellai dalla mia mente ogni traccia di quel messaggio, non lo dissi a mio padre e neanche a nessun altro. Però da quel giorno, involontariamente, divenni più attenta ad ogni suo movimento e atteggiamento. Presto o tardi ricevetti le risposte che avevo seppellito dentro di me: era tutto vero. Lo dissi a mio padre, mia madre ovviamente continuava a negare l’evidenza, ma non ci volle molto ad arrivare alla separazione. Per colpa mia avvenne quel disastro, per colpa mia i miei genitori si contattavano tramite avvocati e non si rivolgevano parola, per colpa mia i miei nonni rimasero delusi dai loro figli, per colpa mia io stessa venivo sballottata una settimana da uno e uno dall’altra, con mio padre che denigrava mia madre per tutto il tempo e con mia madre che cercava infinite scuse per le sue azioni- dice tutto d’un fiato.
Di colpo le lacrime, prepotenti, iniziano a scendere dalle sue guance.
La mia maglietta leggera si bagna di quel dolore quasi istantaneamente.
-Shhh Chiara, va tutto bene. Ora è finito tutto, ora sei lontana da casa e da loro-
-Nessuno si è più preoccupato per me, se non mia nonna. Mio padre controllava solo che i suoi antidepressivi non finissero mai e mia madre si inventava nuovi modi di far sgattaiolare dentro casa il suo amante mentre io ero presente. Io involontariamente odiata da lui, e fortemente odiata da lei… i miei genitori, capisci? I miei genitori per i motivi più disparati mi odiano-
Le lacrime lentamente smettono di scendere.
-Mi odiano e io non posso fare nulla al riguardo-
-A volte gli adulti creano delusioni più forti che i nostri coetanei con i loro comportamenti da immaturi. Mi dispiace sia dovuto capitare proprio a te, non te lo meritavi e non te lo meriti ancora adesso. Hai solo detto la verità Chiara, eppure a quanto sembra solo tu eri pronta ad affrontarne le conseguenze in maniera adulta-
Altri singhiozzi riempiono la stanza.
-Vorrei che tu potessi venire con me- dice sottovoce.
-Vorrei anche io, ma lo sai che non posso… e non sarebbe neanche giusto intromettermi di colpo nella loro vita- dico sincera.
Annuisce sfregando la sua faccia sopra la mia maglietta.
-Niente di quello che mi hai detto e che mi dirai, riuscirà mai a farmi cambiare idea su di te, Chiara. Sei splendida e le azioni degli altri non sono le tue. Devi solo accettarlo-
Annuisce ancora, in completo silenzio.
-Ti accompagno alla stazione lunedì mattina- le dico cercando di cambiare discorso.
-Grazie-

◦●◦                                                    ◦●◦

-Hai obliterato il biglietto?- mi chiede dolce.
-Sì, ho fatto tutto. Non mi resta che sedermi sul treno, direi -
-Ti accompagno-
Sara mi segue silenziosa verso la carrozza e il numero indicato sopra il mio biglietto.
Trascino la mia grossa valigia con me. Ho deciso di portare a casa alcuni vestiti che uso di meno e di portarne altri, giusto per fare un ricambio.
-Ok, è la mia carrozza-
-Ti aiuto a mettere la valigia in alto, visto che qualcuno non è poi così alto…- dice ridacchiando.
-Ehi! Ce l’ho sempre fatta da sola- dico facendo la finta arrabbiata.
In realtà uno degli aspetti che più apprezzo di Sara, è la sua gentilezza. È un’anima gentile in ogni situazione, non perde mai la calma, è sempre diplomatica, ti ascolta e ti aiuta in ogni modo possibile. Non pensavo esistessero ancora persone con queste qualità, eppure Sara le racchiude tutte e non potrei sentirmi più fortunata.
Una volta sistemata la valigia scendiamo ancora dal treno, che tanto partirà tra dieci minuti.
-Grazie per avermi ospitata questo week-end- le dico sincera.
-Lo sai che mi fa solo piacere e ci saranno molte altre occasioni- mi dice lasciandomi un bacio a fior di labbra. -Cerca di sopravvivere-
Annuisco cercando di mascherare la mia preoccupazione.
-Chiamami appena hai tempo-
-Mi mancherai- le rispondo.
-Anche tu-
Ci salutiamo ancora una volta e poi Sara sparisce tra i vari binari della stazione.
Mi siedo al mio posto.
Il treno parte e i minuti incominciano a scorrere sotto le note degli Oltre.

Non appena il paesaggio che conosco alla perfezione inizia a delinearsi fuori dal finestrino, sento l’ansia crescere dentro me.
Respiro a fondo.
Indosso la mia giacca di pelle e prendo la mia valigia.
Mi avvicino alle porte del treno.
Non appena si ferma riconosco le case intorno alla stazione. Sento le mie mani fredde dall’agitazione.
Le porte si aprono e scendo subito dal treno.
Cerco con lo sguardo il volto familiare di mio padre mentre mi avvicino alle scale che portano al sottopassaggio.
Finalmente noto il suo viso invecchiato dagli anni e dal continuo dolore, che però mi regala un mezzo sorriso.
-Chiara!- esclama quando ormai sono più vicino a lui
-Ciao papà- rispondo con più enfasi riesco a trovare in questo momento.
-Tutto bene il viaggio?-
-Sì, lungo ma liscio-
Il silenzio cade di nuovo, come sempre accadeva anche negli anni passati.
Ci dirigiamo verso la macchina.
Carichiamo la mia valigia e mettiamo in moto.
-Nonna ci aspetta per pranzo- dice serio guardando la strada.
-Benissimo, non vedo l’ora- rispondo sinceramente.
Durante il tragitto ci fermiamo a comprare del pane e altre cose che nonna aveva richiesto per il pranzo.
-A pranzo ci siamo noi due, la nonna e gli zii. Sono tutti molto contenti di averti qua per le prossime settimane-
Annuisco cercando un qualche motivo, all’interno della mia testa, per essere felice.
Arrivati al pranzo, dopo i soliti saluti di rito, ci ritroviamo tutti a tavola.
I pranzi della nonna non sono cambiati per nulla: sempre lunghi, buoni e grassi. Ovviamente non si può avanzare nulla nel piatto, se no lei si offende e potrebbe anche prendersela sul serio. Quindi mangio tutto, ogni tanto mi dicono qualcosa su qualche cugino o qualche conoscente: “Ti ricordi di Lorenzo? Beh ora è a Londra”, “Francesca si è rotta il braccio, povera bambina”. Per il resto sono invisibile a tutti, come al solito.
Tutti tranne mia nonna, che prontamente mi sorride ogni volta che i nostri occhi si incrociano e che mi riempie il piatto con i suoi manicaretti deliziosi.
Mentre io e lei sparecchiamo, gli altri si spostano in soggiorno e continuano le loro chiacchiere prima di tornare ai loro rispettivi lavori.
-Come sei cresciuta Chiara- mi dice lei.
-Lo spero nonna! Mi sento un po’ una tappetta ogni tanto- rispondo ridendo.
-Non dirlo neanche per scherzo! Tu non sei bassa, essere bassi è ben diverso! Sei giusta- eccola sempre pronta a difendere le mie proporzioni. -Sai cosa? Dovresti tagliarti un po’ i capelli, in queste due settimane potremmo andare dalla mia pettinatrice, sai è bravissima-
-Grazie nonna, ma mi piacciono così- le dico.
-Lo so, ma ora arriverà il caldo e in città da te sarà ancora più torrido!-
Rido nel sentire quell’affermazione. Ormai è normalità discutere sui miei capelli la metà delle volte che parliamo: lei vorrebbe che li portassi corti, io invece li adoro lunghi e mossi senza un’acconciatura perfetta.
-Il tuo babbo sta meglio- mi dice di colpo.
Mi fermo in mezzo alla cucina che conosco bene quanto la mia. Ci sono cresciuta in questa casa, ci ho passato i miei pomeriggi da quando sono nata a prima di andare via.
-Ne sono felice- dico fredda.
-Anche io. Cerca di stargli vicino Chiara, lui ha bisogno di te come tu di lui- mi dice, cercando di farmi ragionare per l’ennesima volta.
Quello che lei non sa è che io ci sono stata vicina, ci sono sempre stata per lui. Dal momento in cui tutto si è sgretolato fino al giorno della mia partenza sono sempre stata dalla sua parte, sempre. Ancora adesso vedo lui come l’unico mio alleato.
Eppure, io avevo saputo reagire. Lui invece no. Ma su questo non ci posso far nulla, o lui reagisce con le sue forze oppure nessuno potrà mai tirarlo fuori da lì.
Finito il pranzo, tutti si dileguano.
Rimaniamo di nuovo io e mia nonna.
Ci scambiamo le ultime novità, mi chiede dell’università, dei miei amici e di cosa farò questa estate.
Le ho raccontato di Eleonora e di tutte le nostre avventure, della nostra visita intensiva della città e le ho mostrato tutte le foto che ho scattato in questo anno pieno di novità.
Guarda le foto con attenzione e, come al solito, mi rivolge solo grandi complimenti.
-Stasera cosa farai?- mi chiede curiosa.
-Sono da mamma-

-Ma salve- dice la voce dall’altra parte del telefono.
-Ciao- soffio.
-Com’è andata?- chiede con tono preoccupato.
-Per ora bene, sono stata da mia nonna. Mangiato e bevuto vino-
-Beh quindi bene, direi-
-Sì ma tra poco devo andare da mia mamma per cena- sbuffo.
-Sopravvivi, devi solo sopportarli due settimane- mi dice.
-Lo so, ma mi manchi- le dico sinceramente.
-Anche tu-
Il silenzio ci avvolge confortevole.
-Ora devo andare, devo tornare in studio o gli altri mi ammazzano-
Ridacchio.
-Ciao, buona fortuna- le dico.
-Anche a te, ci sentiamo stasera prima di andare a dormire-
-Chiara, il babbo è sotto che ti aspetta!- mi urla mia nonna dal piano di sotto.
respiro profondamente.
Scendo le scale e mi infilo in macchina.
-Dimmi poi cosa ti dice tua madre- mi dice mio padre dopo pochi minuti di tragitto.
Ecco che ritorniamo alle solite vecchie usanze.
Io che faccio da tramite e da spia per l’uno e per l’altra, io che devo scoprire cosa fa mia mamma, se vede ancora lui oppure se l’ha mollato, se mio padre si vede con qualcuno oppure le voci che girano non sono vere e via dicendo.
Cerco di contenere la rabbia che di colpo si accende dentro di me.
-Ti chiamo quando abbiamo finito cena-
Questa settimana sarei stata da lui, quindi doveva poi venirmi a prendere a casa di mia mamma visto che non avevo più una mia macchina.
-Certo-
Scendo dalla macchina e suono il campanello.
Dopo pochi secondi la sagoma di una donna bionda, dagli occhi color nocciola si materializza davanti a me. Avevo visto ogni tratto di lei cambiare negli anni e ora, sebbene il forte legame di sangue che ci lega, non provo nessuna emozione nel vedere la mia stessa madre.
Provo solo indifferenza, il sentimento più brutto che possa esistere al mondo.
Sono indifferente nei suoi confronti e nei confronti di tutto ciò che ruota intorno al suo nome, non mi provoca nessuna scossa la sua voce. Neanche una reazione negativa, per intenderci.
Non provo nulla perché  non merita neanche l’indignazione.
-Ciao Chiara, finalmente!- dice abbracciandomi di slancio.
Uno di quegli abbracci ridicoli, falsi e forzati.
Mia madre l’ho sempre odiata per la sua falsità. Ho sempre odiato questa sua capacità di far l’attrice, di recitare una parte alla perfezione per alimentare la bugia enorme che è la sua vita.
-Ciao mamma- rispondo.
Entriamo in casa silenziosamente.
Non è cambiata molto da quando me ne sono andata. È sempre la stessa villetta fuori città, con un bel giardino davanti e un parcheggio riservato. Dentro gli arredi si sono un po’ ammodernati: il salotto ha una nuova tv ultrasottile che immediatamente mi fa pensare a Sara e un nuovo divano in pelle enorme.
Dal salotto ci spostiamo immediatamente in cucina.
Lei non mi dà neanche il tempo di dare uno sguardo intorno che mi fa sedere subito al tavolo.
Dalla quantità di pentole sui fornelli deduco che sarà una lunga cena.
Mi guardo velocemente intorno: il tavolo è apparecchiato con le stoviglie più nuove che abbia mai visto, sul tavolo oltre al pane e al bere ci sono anche altre decorazioni. Alzo gli occhi al cielo.
Tipico di mia madre. Deve sempre esagerare. Una cena in famiglia si tramuta subito in un’occasione per dare sfogo alla sua voglia di primeggiare e farsi notare.
Conto i piatti.
Ci sono tre piatti sul tavolo.
Tre.
Non appena capisco, non appena tento di dire qualcosa a riguardo la porta finestra della cucina scorre e si apre rivelando una figura che mai speravo di vedere.
Lui.
Alto, magro, capelli brizzolati, barba curata e perfettamente modellata sul suo viso apparentemente rilassato.
Io, invece, mi irrigidisco non appena i nostri sguardi si incociano.
-Ciao- mi dice cordiale. Lasciando tra le mani di mia madre qualche foglia di salvia che probabilmente aveva preso dal giardino.
-Ciao- rispondo con freddezza.
Lui ormai vive tranquillamente con mia madre, a quanto pare.
Una volta che me ne sono andata non ha perso tempo e l’ha fatto entrare in casa sua.
-Luca vive con me da qualche mese- dice mia madre dandomi le spiegazioni che mancavano.
Sì, qualche mese e io dovrei anche crederci.
Di sicuro lui ha messo piede qua dentro il giorno dopo la mia partenza, ma annuisco lo stesso in risposta facendo finta di crederci.
-Sedetevi, arrivano i ravioli belli caldi- ci dice.
Mi siedo come capotavola del piccolo tavolo al centro della cucina.
Lui fa lo stesso e si siede dal lato opposto al mio.
Poco dopo mia madre appoggia sul tavolo una padella fumante e a sua volta si siede in mezzo a noi.
Mangiamo silenziosamente e lui le fa i complimenti per il piatto.
Lei sorride dolce, lui ammicca senza vergogna.
-Chiara, penso che non ci siamo mai parlati per davvero. Dovremmo approfittarne e conoscerci un po’-
“Indovina perché” vorrei rispondere.
-Già- mi esce soltanto.
-Come va l’università? Tua mamma mi ha detto che alla fine hai scelto fisica-
-Procede bene, e sì alla fine sono lì-
-Anche io ho frequentato quell’ateneo, sai? Ingegneria meccanica. Direi che siamo affini-
Quasi quello che ho in bocca mi va di traverso.
Bevo un po’ d’acqua cercando di non far caso alle sue parole.
Mi mamma prontamente si intromette: -Oggi hai mangiato dalla nonna?-
-Sì, ha preparato qualcosa come tre primi e altrettanti secondi- rispondo cortese.
-Tipico- dice sfoggiando un sorriso falso come i precedenti. -Sai già cosa farai in questi giorni?- mi chiede curiosa.
-Beatrice mi ha chiesto di passare il week-end da lei, per recuperare le vecchie abitudini. Per il resto non ho ancora idea, non ho fatto nessun piano particolare-
-Brava fai bene a vederti con lei, in fondo è pur sempre la tua amica d’infanzia- mi risponde.
Continuiamo a mangiare in silenzio, noto i lor sguardi complici e sento coltellate continue al cuore.
-Chiara… io e Luca pensavamo che la prossima settimana potremmo andare tutti e tre da qualche parte, come una vera famiglia- dice di colpo.
-Non saremo mai una vera famiglia- dico finalmente.
-Ci possiamo almeno provare- dice lei con quel tono che odio.
-No, io non voglio. Lui non è parte della mia famiglia e soprattutto non è mio padre-
-Beh, tuo padre è come se non esistesse- dice lui di colpo, quasi involontariamente visto che dopo poco si copre la bocca con la mano.
Lo guardo paralizzata.
Le sue parole passano in rassegna dentro il mio cervello e risuonano infinite volte.
Mi alzo di scatto. Evito di guardare i loro volti.
Fisso il pavimento formato da grandi piastrelle.
Lui ha creato tutto questo casino, tutta questa merda che è la mia vita eppure non si rende conto del male che ha fatto e continua ad aprire la sua inutile bocca. Continua a giudicare mio padre e noi, per come abbiamo reagito, continua a sentirsi parte di qualcosa in cui non verrà mai incluso. Lui non sarà mai parte di me, mai parte della mia famiglia.
Esco dalla cucina e poi di casa.
Non mi importa.
Non mi importa perché l’ho fatto già un milione di volte.
Tutte le volte che mia madre iniziava a raccontare bugie, ogni volta che lei addossava la colpa a mio padre, io mi chiudevo la porta alla spalle e mi facevo una lunga camminata.
Al tempo non avevo nessun altro posto dove andare, non avevo nessuna casa lontana ad aspettarmi, non avevo nessuna prospettiva di fuga se non il pensiero che alla fine della scuola sarei andata via e tutto sarebbe cambiato.
Quella prospettiva ora si è avverata, devo solo resistere queste due settimane e poi potrò tornare alla mia nuova vita.

◦●◦                                                    ◦●◦

Mi perdo nel fissare la pila di canzoni e testi scritti che nessuno conosce, che nessuno ha mai sentito.
Note racchiuse in un hard disk fatto di musica e parole sotto chiave.
Sospiro rumorosamente.
Il silenzio della camera si fa sentire ancora una volta.
La mancanza di Chiara incomincia a farsi sentire prepotentemente. Anche se è passata solo una settimana, sento comunque la sua mancanza.
Mi manca la sua presenza in casa, i nostri piani e le nostre uscite serali, la sua curiosità sulle registrazioni.
Continuo a fissare i fogli davanti a me. Intanto le parole di Ricky mi rimbombano in testa.
Non riesco a togliermi le sue frasi e la sua idea dalla mente.
Continua a passare tra i miei pensieri in ogni momento di pausa che ho.
Sospiro ancora.
Di colpo il mio telefono squilla.
-Pronto?- dico.
-Leonardi-
-Ciao Pietro, questo week-end non eravamo in pausa?-
-Sì, ma Ricky ci ha convocato d’urgenza… di nuovo. Vieni alla base, capitano-
Chiudo la chiamata preoccupata.
Ricky ultimamente ci ha convocato spesso. L’altra volta, fortunatamente, era per un buon motivo e anche la nostra chiacchierata privata non era niente di negativo.
Non mi resta che sperare lo sia anche stavolta.
Arrivata là, Pietro mi accoglie con una sigaretta.
La fumiamo parlando del più e del meno.
Ricky ci viene a chiamare dopo una decina di minuti e finiamo tutti nel suo studio.
-Ragazzi miei-
-Dio, quando parti così ho sempre paura Ricky- dice Andrea agitato.
Tutti scoppiamo a ridere.
-Devi averne Andrea- dice con un sorriso stampato in faccia, poi continua. -Negli scorsi giorni sono stato a Milano per un po’ di conferenze in cui eravamo coinvolti. Ho incontrato tante persone e tante di loro mi hanno chiesto di voi… posso dirvi che ho già qualche contatto per il vostro prossimo tour e per tappe che non sono in Italia-
Tutti esultiamo nel sentire questa bellissima notizia.
Incominciano a crearsi dei sorrisi enormi sui nostri volti.
-Però la cosa interessante è un’altra… ho fatto ascoltare i vostri provini ad una persona in particolare, è entusiasta delle vostre demo ed è convinta che possa uscire un cd magnifico. Vorrebbe incontrarvi ragazzi, vorrebbe parlarvi della possibilità di registrare da loro e di tante altre cose- dice accendendosi un sigaro.
-E chi è questa persona?- chiede Marco con un torno misto tra il terrore e la curiosità.
-Il direttore artistico della Warner Music qui in Italia-

Non avevamo fatto in tempo a realizzare cosa stava accadendo che già eravamo a Milano, in un palazzo altissimo e pieno di vetrate.
In una hall di lusso, con segretarie vestite in modo impeccabile pronte a servirti un caffè bello caldo.
Sono troppo agitata per accettare un altro caffè, anzi… lo siamo tutti.
Ricky è seduto in mezzo a noi, silenzioso come non mai.
Per tutto il tragitto non aveva fatto altro che ripeterci come dovevamo comportarci, cosa dovevamo dire e cosa invece dovevamo evitare di dire.
Eravamo allenati e anche molto bene.
Quelle lezioni ce le ripeteva dal primo giorno in cui ha cominciato a lavorare con noi. Solo che in quei momenti sembravano parole su un futuro che non sarebbe mai accaduto. Nessuna major ci avrebbe mai voluto con loro, era una cosa che avevo sempre sognato ma che, comunque, consideravo impossibile.
Eppure, ora mi trovavo seduta su una sedia in pelle, ad aspettare che il direttore artistico di una major ci chiamasse per parlare.
Di colpo la segretaria ci riporta sulla terra.
-Ragazzi, venite con me-
Seguiamo in silenzio la ragazza tra i corridoi bianchissimi.
Bussa ad una porta e di colpo ci ritroviamo su cinque sedie, anch’esse di pelle. Davanti a noi un uomo sulla quarantina ci accoglie con un sorriso.
-Salve Oltre. Io sono Leonardo e sono il direttore artistico per il vostro genere nella Warner Music Italia- dice stringendoci la mano a turno.
-Salve- rispondo quando arriva a me.
-Riccardo mi ha fatto ascoltare i vostri demo, vi devo fare i complimenti. Vi ho osservato da lontano e mi piacete tantissimo. Avete carisma, avete voglia e sapete mettervi in gioco. Ma soprattutto… coinvolgete e muovete moltissima gente per essere al primo album-
-Grazie- dico spontaneamente.
-Senza girarci troppo intorno avrei una proposta: venite sotto la nostra etichetta, venite con noi, registrate il vostro album qua, in uno dei migliori studi d’Italia. Possiamo collaborare e portarvi in alto, nella stessa maniera in cui voi ci farete migliorare. Non dovete rispondermi subito! Vi lascio i contratti e ora vi inonderò di parole per spiegarvi cosa facciamo qua alla Warner- dice lasciandoci di sasso.


Per tutto il tragitto nessuno ha proferito parola.
Tutti leggevano la loro copia del contratto, tutti con penna in mano pronti a segnare ciò che era dubbioso, ciò che potrebbe essere dannoso nei nostri confronti.
Questa era un’altra cosa che ci aveva insegnato Ricky: “Dovete leggere ogni contratto che vi propongono, fare domande e farvi spiegare cosa non vi convince. Far cambiare ciò che è dannoso per voi e poi, forse, firmare”.
Anche io l’ho letto, anche io ho sottolineato ciò che non mi aggrada. Ho anche ripensato alle parole di Leonardo, alle sue proposte e ai piani che stava pensando su di noi.
In modo soggettivo stavo esultando da giorni per quella proposta: avevo svaligiato il negozio di birre e avevo invitato Alessandra per darle la buona notizia. Avevamo festeggiato per tutta la notte.
In modo oggettivo: dovevamo valutare le varie opzioni. Firmare quel contratto era un rischio enorme. Eppure senza nessun rischio non si può avere nessun grande ricavo.
Mi butto sul letto e chiudo gli occhi.
Davanti a me si formano immagini che ho sempre sognato: stadi pieni di gente che canta le nostre canzoni, un palco enorme su cui suonare, una fila di chitarre tutte per me… tutti sogni che ho da sempre, ma che ora vedo un po’ più nitidi, un po’ più a fuoco.
In questo momento realizzo l’unica cosa possibile: bisogna rischiare, bisogna buttarsi e prepararsi alle conseguenze del rischio preso… e io sono pronta a rischiare.

◦●◦                                                    ◦●◦

-Scherzi?!-
-Assolutamente no- dico bevendo un altro sorso dalla bottiglia di vino.
Scoppiamo a ridere.
-Non ci credo!-
-Credici!- rispondo ancora.
-Una musicista, più grande, frontman, rossa, bellissima?!-
Annuisco ancora mentre rido.
-Chiara ma dove l’hai nascosta questa cacciatrice che c’è in te durante tutti questi anni?- stavolta è lei che beve dalla bottiglia.
Rido ancora di più.
-Chissà magari è l’aria di città a farmi questo-
-Dimmi con chi suona no?! Devo chiederti tutto?!-
-Bea, no!-
-Cosa vuol dire “Bea no”? Bea sì! Forza, parla o ti tolgo il vino!- mi minaccia.
-Sei l’unica che sa della mia debolezza per il vino bianco- dico seria.
-E sarò anche l’unica a sapere sulla tua musicista tormentata, daaaaaaai- mi dice la riccia al mio fianco.
Ci troviamo sulla solita collina dove d’estate, durante le superiori, avevamo abitudine di venire per parlare e dire le nostre stupidaggini lontano dai nostri genitori e da orecchie indiscrete.
-Suona in un gruppo che si chiama Oltre-
Mi guarda con gli occhi spalancati.
-Ma io l’ho già sentito questo nome! Vuol dire che sono famosi?! Oddioooo, Chiara sta con una persona dello spettacolo!-
Ecco che inizia lo svarione senza fine di Beatrice.
La lascio parlare a vanvera per minuti e minuti.
-Chiara, aspetta quindi se cerco il gruppo su google mi esce la sua foto!-
-No, Beatrice non farlo…-
-Sherlock, sono Sherlock!!-
Scuoto la testa. È decisamente brilla.
-Bea no!- dico cercando di strapparle il telefono dalle mani, inutilmente.
Dopo una breve battaglia vince lei.
Cerca il nome e vede la foto di Sara.
-Minchia!!-
-Beatrice!- la richiamo.
-Cosa c’è?! Mi fa dubitare della mia eterosessualità-
-Beatrice!- dico di nuovo.
-Santa miseria, ma che fisico ha? Lo voglio anche io!-
-Va a correre tutte le mattine, cosa che noi non facciamo-
-E come fai a saperlo?! Hai dormito già da lei! Allora è seria come cosa!-
Alzo gli occhi al cielo.
Beatrice è come Eleonora.
E io dico che me ne bastava anche solo una delle due.
Guardo l’ora. Le 18.
-Bea, devo andare. Alle 19 ho cena da mia mamma, questa volta spero solo io e lei-
-Ahhh, già. Forse è meglio che tu non le dica della bottiglia che ci siamo scolate in una domenica pomeriggio-
Ridacchio.
-Prossimi giorni approfondiremo l’argomento rossa-
Scuoto la testa nel sentire quell’affermazione.
-E mi vado a sentire sta rock band!- mi dice quando ormai sono lontana da lei.

Arrivata a casa di mia madre la tavola è già apparecchiata.
Mangiamo in silenzio, come al solito. Ma questa volta Luca non c’è.
-Come sta Beatrice?-
-Bene, ci siamo aggiornate su un po’ di cose-
-Brave-
Di nuovo il silenzio.
-Come ti trovi in mezzo a quella grande città? La tua amica come sta?- mi chiede.
-Eleonora? Sta bene, abbiamo fatto un po’ di giri ultimamente e anche nuove amicizie- non riesco a nascondere il sorriso che mi nasce spontaneo ripensando alle “nuove amicizie” fatte.
-Qualche ragazzo?-
-Oh no, direi di no-
-Perché no? È ora di pensarci in fondo! Lo sai che io non sono quel tipo di madre… mi puoi dire se hai un ragazzo o se lo avrai, non è un tabù-
Alzo un sopracciglio. Ovvio che non sei quel tipo di madre.
-Non lo trovo un tabù-
-Allora perché durante la settimana non ti vedi con Carlo? Era così gentile con te al liceo, ti voleva un gran bene ma tu l’ha sempre e solo visto come un semplice compagno di banco-
-Perché a me lui non piaceva, semplicemente-
-Magari ora è cambiato! Lo sai che quando lo incontro per strada mi chiede sempre di te? È ovvio che sia ancora interessato a te-
Ecco che ritorniamo sui soliti discorsi adolescenziali, sul solito ragazzo del paese che “sarebbe perfetto per te” a detta di mia madre, su di lui che ha una cotta per me, ma che io non potrò mai ricambiare.
-Ma è a me che non interessa- dico con più calma possibile.
-Beatrice ha un moroso così carino, vedessi che teneri che sono insieme… ho sperato davvero che stavolta mi portassi un bel giovanotto a casa- dice.
Io sbuffo.
-Non lo dico per infastidirti Chiara… è solo perché vorrei che tu trovassi il meglio per te, non come ho fatto io, che l’ho trovato solo dopo perché mi sono accontentata del primo-
Sentendo quelle parole impazzisco, il cuore inizia a battere di rabbia, il sangue caldo scorre in tutto il mio corpo che sembra andare a fuoco.
-Mamma, io non sarò mai come te, io non farò mai del male ad una persona che mi ama come hai fatto tu! Io sono già diversa da te, lo sono sempre stata e lo sarò per sempre. Sono felice, ho una persona al mio fianco e sono finalmente in pace con il mondo. Lei non mi farebbe mai quello che hai fatto tu a papà e io non lo farei mai a lei, lei mi rispetta e io la rispetto. E mi puoi dire che non mi devo accontentare, che devo avere il meglio, ma io mi accontento di chi mi ama e chi ha un sentimento reale per me. Non sono come te, non sono come la donna che sei diventata! Una donna alla ricerca del meglio, del bello, una donna circondata dal falso e che ha distrutto la sua famiglia per uno stupido amore passeggero!-
Dico rimanendo seduta al mio posto, con lo sguardo puntato sul suo. Il mio carico di rabbia, rabbia per le parole dette verso mio padre e verso di me.
Non si voleva “accontentare” della sua famiglia e l’ha distrutta.
Bene. È ora di dire la verità.
-Non sono stata io a rovinare la nostra famiglia!-
-E chi allora? Non ero io la madre di famiglia che andava a letto con un collega durante le riunioni aziendali!-
-Tuo padre poteva fare qualcosa per riprendermi con sé, poteva reagire!-
-L’hai distrutto mamma, in pochi riescono a reagire quando sono in mille pezzi- dico quasi con le lacrime agli occhi.
-Perché non mi hai detto che hai una persona al tuo fianco? Sono tua mamma, queste cose me le devi dire!- mi chiede arrabbiata, quasi urlando.
-Perché tu non esiti più per me, non sei parte della famiglia, non sei più nessuno, sei un volto come un altro. Anche tu dovevi ammettere che stavi tradendo papà, ma non lo hai fatto - dico svuotando tutto. -In più non mi avresti capita-
-Perché?-
-Perché sto con una ragazza, una ragazza fantastica, una di quelle che sono gentili e genuine, una ragazza che mi consola quando ne ho bisogno, una ragazza che in pochi mesi mi ha svoltato la vita. Ora puoi dare di matto finché vuoi, e se ti chiedi perché non l’ho detto prima… pensa a cosa facevi in tutti i miei anni di liceo, in tutti i momenti in cui avrei voluto condividere questo peso con te, pensa a dov’eri, con chi e a cosa facevi. Fino a quando non arriverai alla risposta “stavo scopando con il mio amante al piano di sopra, mentre mia figlia suonava la chitarra al piano di sotto”, non chiamarmi e non farti più vedere-
Dico uscendo di casa per l’ennesima volta.
Compongo il numero in fretta.
Le lacrime scendono dal mio viso.
Non doveva andare così. La mia vita non doveva andare così.


 

Buona sera lettori!
Eccoci con un nuovo capitolo!
Allora succedono taaaante cose. Finalmente scopriamo qualcosa di più sulla famiglia di Chiara, anzi molte cose… ma comunque non ancora tutte. La seguiamo nel suo ritorno a casa, e nell’affronto con sua mamma, un affronto che non faceva da tanto e che finalmente è riuscita  fare.
Durante questa litigata si lascia scappare qualcosa di molto importante… come la prenderà la madre? Il padre? Il resto del paese?
Abbiamo anche visto Beatrice, che verrà molto utile in futuro eh! Quindi non dimenticatela.
Intanto Sara ha una questione importante da risolvere. Che decisione prenderanno gli Oltre secondo voi?
Grazie per aver letto e vi prego di recensire perché ci tengo molto a questo capitolo, sinceramente. E’ lungo ben 18 pagine ed è stato bello aver scritto così tanto. Soprattutto perché molte cose sono prese dalla mia vita come la situazione familiare. E se pensate che la reazione di Chiara è esagerata allora non avete mai vissuto una cosa del genere, perché credetemi io avevo avuto anche scatti peggiori e ce li ho ancora oggi contro la persona responsabile.
Quindi ditemi i vostri pareri, così mi sprono anche a far più veloce!
A presto un abbraccio!

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Capitolo 10
*** 10 - Euro/Fiorino? ***


-Anche a me quello non convince- esordisce lui.
-Dipende da come lo intendono-
-Resta comunque ambiguo- ribatte.
-Non ambiguo quanto la frase di prima…-
-Quello è sicuro- dice con voce ferma.
Mi stiracchio appoggiando i piedi sul tavolino.
-Sara tu che ne dici?- mi chiedono quasi in coro.
Fisso Pietro seria.
-Che dobbiamo metterlo da parte per un po’ di tempo e poi di rileggerlo con calma- dico. -Se continuiamo a leggerlo ogni giorno non cambieranno le ambiguità, le rinunce, i salti nel vuoto che dobbiamo fare… concentriamoci sulle canzoni, sul festival e poi ne riparleremo-
Pietro si arrotola i baffetti pensieroso. Lo fa sempre quando sta pensando, quando cerca di risolvere un problema o quando si perde in sé stesso.
-Sì hai ragione- annuisce.
Dall’altra parte Marco scuote la testa arrabbiato.
Cerco di non darci peso. Sono convinta della mia idea e sono ormai abituata al suo essere sempre contro le mie proposte. Eppure non mi sono mai lasciata mettere i piedi in testa, né da lui né da altri e neanche questa volta sarà così.
Per quanto io sia propensa al rischio, per quanto voglia fare questo salto di qualità, non voglio farlo perché presa dal momento. Voglio farlo nel momento giusto e con la lucidità necessaria.
Se mi chiedono: vuoi diventare ancora più famosa? La risposta è sì. Sono pronta, lo voglio e tutte le altre risposte positive che possono esserci al mondo. Ma c’è sempre un però. Il mio però è che per quanto lo voglia, voglio anche essere consapevole di ciò che sto facendo. Per ora voglio mettere tutta me stessa nelle canzoni che stiamo scrivendo, il resto può e deve aspettare.
-Non capite che è l’occasione che stavamo aspettando da sempre! Nessuno ci aspetterà in eterno!- dice Marco alzandosi nervosamente dalla poltrona.
Incomincia a camminare arrabbiato per la stanza.
-Calmati, nessuno ha detto che dobbiamo farli aspettare in eterno- dice Pietro quasi spossato.
-Ma no che non mi calmo! Non capite che lo faremo solo innervosire!- dice alzando il tono di voce.
-Allora se si innervosisce perché noi ci prendiamo tempo per decidere, non sa cosa significa il mondo in cui lavora lui stesso. Se non pensiamo alle canzoni del nuovo album, se non facciamo un capolavoro, chi pensi che ci contatterà mai? Dobbiamo pensare a quello, poi al resto- dico sedendomi nervosamente sulla sedia.
-Tanto le canzoni le scrivi tutte tu, no? Che problema c’è? Cosa dobbiamo modificare? È tutto sempre perfetto quello che fai tu, no?- dice prendendo la sua felpa e guardandomi diritto negli occhi.
Scuoto la testa nel sentire quelle parole.
Lui si dirige arrabbiato verso la porta.
La apre e la sbatte dietro di sé.
Alzo gli occhi al cielo e sbuffo.
Mi passo una mano tra i capelli e guardo in basso, socchiudendo appena gli occhi.
Il silenzio regna sovrano.
-Coglione- dice Andrea dal nulla.
Dopo pochi secondi il campanello suona.
Pietro si alza e va ad aprire.
-Ehi ragazzi, perché Marcolino era un uragano per le scale? La tipa l’ha lasciato per l’ottava volta?- la voce di Alessandra mi arriva nelle orecchie.
Non appena sente il silenzio di tomba che regna nel salotto e vede che abbiamo tutti in mano il nostro “famoso” contratto con tanto di sottolineature, lascia andare un sonoro: -Oh-
La guardo con quello sguardo che dice: “Indovina cosa è successo di nuovo?!”
-Ma voi rockstar non dovevate già giocare a Guitar Hero mentre ero via?- chiede sconcertata. -E invece no, sempre a pensare al lavoro-
-Non giochiamo più a Guitar Hero dai nostri 12 anni- dice Andrea ironicamente.
-Su! Togliete sti fogli e musi lunghi che ho affittato Halo e Call of Duty- dice raggiante. -Pallottole per tuttiiiii-
Pietro ride appena e mette via il contratto prendendo un joystick.
Tutti lo seguiamo.
Mentre ci spariamo l’uno contro l’altro, il mio unico pensiero è la discussione appena avuta con Marco. Soprattutto le sue ultime parole taglienti.
“Tanto le canzoni le scrivi tutte tu, no?”. Quanto fanno male queste parole. Parole riferite alla cosa che ami di più sulla faccia della terra: la tua stessa musica. Le canzoni che scrivo sono la mia persona trasformata in note, fraseggi, arpeggi, cattiveria e suoni ovvero me ma un’altra dimensione e forma. Quindi ogni piccola parola, pensiero, cattiveria che Marco ha voluto intendere in quelle frasi le ha anche mirate alla mia persona.
Per questo motivo fa male… male da morire. Quasi brucia dentro il cuore e il cervello.
Non ho mai avuto la presunzione di dire: “scrivo io le canzoni e nessuno le può toccare”. Anzi, gli Oltre sono gli Oltre perché alle mie idee gli altri ci aggiungono le proprie. Quella è la parte più bella del creare musica con loro.
Non ho mai pensato di poter essere l’unica in grado di scrivere delle canzoni. Anzi, molte volte ho chiesto aiuto. Soprattutto quando eravamo all’inizio della nostra carriera.
Le parole di Marco mi feriscono perché tutto lo sforzo, la creatività, la volontà e la mia stessa persona l’ho messa a disposizione di tutti: loro ed i fan. Non per me stessa, l’ho distribuita perché è ciò che voglio fare e l’ho fatta sentire a loro perché potessero metterci il loro tocco.
Brutto realizzare che qualcuno non ha capito il mio scopo e mi crede una persona soltanto egoista e assetata di fama.
-Sara, hai una granata sotto al culo! Muoviti, stiamo perdendo- il vibrare del joystick mi risveglia improvvisamente.
-Ma giochi o cosa? Sei appena saltata in aria!- mi rimprovera Alessandra.
-E via, la più forte è andata in mille pezzi! Stiamo per vincere!- dice Pietro esultando con Andrea.
-Ehy e io che sono? Una schiappa?! Ora vi faccio il culo a strisce e chiederete pietà in ogni lingua, anche solfeggiando le vostre preghiere musicisti-
Mai sfidare Alessandra.
Mai.
Non so perché quei due non l’abbiano ancora capito.
Di colpo il vibrare del telefono mi fa distogliere lo sguardo perso nel vuoto.
Leggo il nome sullo schermo.
Chiara.
Mi alzo immediatamente e corro lontano dalle loro voci e grida da gioco.


◦●◦                                                    ◦●◦

Mentre gli squilli scorrono tra le mie orecchie mi rendo conto di quello che sto facendo e chiudo la chiamata prima che Sara possa rispondere.
Scuoto la testa violentemente mentre continuo a camminare sul marciapiede.
Cosa credevo di fare? Chiamarla e rovesciare su di lei tutti i miei problemi?
Lei che fortunatamente non sa come ci si sente, che è estranea a questo mondo meschino e sbagliato, fatto di bugie e maleducazione. Voglio davvero farla entrare in tutto questo uragano senza fine, senza percorso definito e dalla forza distruttiva?
Mentre gli squilli si riversano nelle mie orecchie ho capito che non voglio. Non voglio che si macchi di questi pensieri. Non voglio che nella sua testa si annidino particolari che poi nessuno riuscirà mai a toglierle.
Era già stato abbastanza tremendo solo sfiorare l’idea del mondo che ho attorno, di certo non volevo farla entrare e segnare anche lei oltre che me stessa.
La mia famiglia è sempre stata come un colore orrendo che ti macchia le mani: più vuoi cancellarlo, più quello non ti lascia la pelle e quando tocchi qualcosa macchi anche quella.
Poco dopo, durante la mia nervosa passeggiata verso casa di mio padre, a sangue freddo avevo realizzato ciò che forse era sempre stato nascosto sotto la mia pelle in questi giorni: era giusto stare con chi non mi aveva fatto del male.
Nella mia vita, soprattutto dopo che la mia adolescenza è stata strappata alla radice, non ho fatto altro che focalizzarmi su chi mi aveva tradito, su chi mi aveva dato tutto e poi se l’era ripreso come se fosse stato una bugia. Quando cresci con uno schema ben preciso, quando pensi che il punto di forza e di ritorno sarà sempre la tua famiglia e quando quella va in frantumi, non fai altro che maledire chi te l’ha fatto credere.
Ecco quello che ho sempre fatto da quel maledetto giorno. Ho maledetto la persona che ha distrutto tutto e non ho pensato, o meglio, non ho curato a dovere chi era rimasto nonostante tutto.
Non ho curato abbastanza il cuore e l’orgoglio ferito di mio padre, ho preferito staccarmi perché l’essere indifferente ti crea meno delusioni. Ma non avevo capito che le delusioni le provochi negli altri.
Era stato più facile trovare difetti nel comportamento di mio padre che capirlo e solo adesso ho realizzato di aver sprecato tempo ad odiare qualcuno per non amare nessuno.
Non appena misi piede nella casa in cui ero scresciuta, uno sguardo preoccupato fece capolino dal salotto illuminato da luci soffuse. La sua espressione diventò ancora più angosciata quando fece caso al mio sospiro.
In quel momento realizzai che avevo fatto la scelta giusta: quello sguardo inquieto mia mamma non me lo rivolgeva da anni. Lui invece, me lo regalava anche se notava il minimo cambiamento d’umore in me.
Dentro di me stavo sorridendo.
-Non dovevi stare a con mamma?-
-Ho cambiato idea- rispondo.
-È successo qualcosa?-
-No, semplicemente preferisco stare con te e la nonna-
Sentivo chiaramente il suo sorriso dispendersi per la casa, dietro le mie spalle. Sentivo le sue labbra allargarsi e i suoi occhi illuminarsi.
Quella sera addormentarsi fu difficile: la rabbia ancora scorreva nelle mie vene, anzi ribolliva.
Era una strana sensazione, perché era rabbia mista a consapevolezza. Consapevolezza di aver fatto delle scelte, di aver scelto delle persone, di averne perse altre per una giusta causa e di essere arrivata in qualche modo ad un checkpoint.
Le parole dette continuavano a rimbombare nella mia testa come un martello pneumatico: con costanza e brutalità. Il suo sguardo mi perseguitava e mi fissava anche quando cercavo di concentrarmi sul buio.
Gli occhi di una madre, quelli che un bambino vede come prima cosa al mondo, quelle iridi che non sa neanche cosa siano e che nome abbiano, erano gli stessi che da anni mi ricordavano come ci si sente ad essere traditi.
In tutto quel caos mentale, in tutte quelle voci, quei ricordi mescolati a realtà che avrei voluto vivere, una voce chiara e dolce mi continuava a ripetere: devi stare con chi ti vuole bene.
Era quello che volevo fare, era quello che stavo cercando di portare a termine.

-Non posso credere che devi già andare via- la voce limpida di Beatrice risuona nell’aria.
Le faccio uno sguardo dispiaciuto in risposta.
-Sembra ieri che finalmente sei tornata in mezzo a noi provinciali- sogghigna.
Tra tutto il subbuglio che il mio ritorno a casa ha creato ci sono due fattori positivi: l’essere stata con chi mi vuole bene e aver riallacciato i rapporti con la mia migliore amica.
Dopo quella sera difficile avevo passato il tempo che mi rimaneva in città aiutando mia nonna con il suo giardino pieno di ogni sorta di fiori, con mio padre aiutandolo ad arredare il suo nuovo studio super moderno e con Beatrice, cercando di aggiornarci su tutte le nostre novità evitando di pensare che da lì a poco sarei partita.
-Lo sai che puoi venire a trovarmi quando vuoi Bea!- dico cercando di trovare un risvolto positivo nella situazione. -Vivo da sola, quindi non avremmo neanche problemi di coinquiline imbarazzanti-
Lei mi annuisce felice: -Lo so e appena so le date della sessione di settembre ci organizziamo! Mi piacerebbe molto vedere dove vivi e conoscere i tuoi nuovi amici-
-Andreste molto d’accordo sono sicurissima- dico sorridendo dolcemente.
Guardo l’ora dal mio telefono e mi accorgo che è tempo di salutarci.
Ci stringiamo in un abbraccio dolce, esattamente come l’ultimo che ci siamo scambiate.
-Non divertiti troppo con la rossa- mi sussurra nell’orecchio.
Scoppio a ridere immediatamente.
-Non ti preoccupare, cercherò di trattenermi- dico stando al gioco.
Poco dopo mi ritrovo tra le mura di casa mia con la valigia di nuovo piena e sacchetti colmi di cibo in mano.
Mia nonna mi guarda con uno sguardo triste. I suoi occhi grigi dicono tutto: mi mancherai. Anzi, lo urlano. La abbraccio forte, le dico che la chiamerò quanto presto.
-Torna presto- mi dice con un filo di voce.
-Lo farò nonna, verrò più spesso lo prometto- la sento sorridere dietro le mie spalle.
-Signorine, è ora di andare o la marmotta perde il treno- ci interrompe mio padre con rispetto e un filo di ironia.
Posso leggere nelle sue parole e nei suoi comportamenti, un miglioramento. Ho percepito in questi giorni il suo silenzioso ringraziamento. Un ringraziamento per aver scelto, di nuovo, lui.
Il mio cuore dall’altra parte, non ha mai scelto un altro posto. Magari, inconsciamente, sono stata lontana da lui e dalla mia famiglia, forse sono stata indifferente e distaccata. In questo anno mi sono concentrata su me stessa, ma solo quando ho visto il suo sguardo preoccupato nei miei confronti ho realizzato che era ciò di cui avevo bisogno. Era qualcosa che mi ero negata pensando che la mia famiglia non ne valesse la pena. Ma quando i suoi occhi, quella sera hanno incrociato i miei, ho capito che lui e pochi altri mi avrebbero mai riservato quello sguardo preoccupato nella mia vita. Quindi dovevo, ad ogni costo, restare qua e onorare chi mi concedeva quello sguardo.
Tante volte sono stata io a essere preoccupata per lui. Quando abbiamo saputo cosa stava succedendo ero io a regalare la mia preoccupazione a lui, ora invece sta accadendo l’opposto.
Questo fanno le persone che si amano: si preoccupano per l’altro nello stesso modo in cui si preoccupano per loro stessi.
E noi, in qualche strano modo, ancora ci amavamo come solo padre e figlia sanno fare. In modo silenzioso, cauto, a volte difficoltoso e scontroso, eppure siamo ancora la vera famiglia.
-Non è proprio giusto che l’unica che mi aiuta a bagnare i fiori se ne debba andare!- dice mia nonna quasi arrabbiata.
-Papà non ti aiuta neanche un po’?- chiedo ridacchiando.
-Lui?- dice indicando mio padre. -Le piante muoio anche solo al suo passaggio- dice ironicamente lei.
Lui incrocia le braccia in tutta risposta.
-Forza al treno tu!- mi dice indicandomi. -Che voi due fate troppi danni quando incominciate a giocare nella stessa squadra!-
Mi apre la porta e la luce del sole mi abbaglia temporaneamente.
La voce anziana dietro di me mi accompagna fuori dicendo: -Ovviamente contro di te!-
Ridiamo tutti insieme e per la prima volta dopo tanto tempo sento che questa può essere di nuovo una quotidianità e una vera famiglia.
Saliamo in macchina e ci dirigiamo verso la stazione.
-Eleonora ti viene a prendere in stazione?- mi chiede mio padre con un sorriso genuino.
-Non so ancora, appena sarò sul treno le chiederò- dico rispondendo vagamente.
So già che ad aspettarmi sul binario ci sarà Sara. Dopo averla chiamata a vuoto le avevo scritto un messaggio dicendo che mi ero semplicemente sbagliata. Non avrei voluto mentirle, ma non volevo spiegarle nulla di quello che era successo. Successivamente si era offerta di venirmi a prendere in stazione, inutile dire che avevo adorato la sua idea perché, effettivamente, mi mancava.
Ma, ovviamente, non voglio fare nessuno sbaglio o passo falso con mio papà. Questo non è il momento migliore per dirlo, non potremmo parlarne nel dettaglio e non potrei rispondere alle sue domande come vorrei. Di conseguenza è meglio lasciare questo argomento per un futuro, che spero essere vicino.
Ci salutiamo a malincuore stringendoci in un abbraccio sincero.
-Ci vediamo presto papà- dico dolcemente.
-Lo spero, sarei felice di vederti più spesso-
Queste sono le parole più sincere che ci siamo scambiati da tanti anni, queste sono parole che vengono dal cuore perché i suoi occhi brillano nascosti dietro la sua finta durezza e il mio stomaco si contorce perché infondo mi dispiace lasciarlo solo.
Poco dopo mi ritrovo sul treno.
Guardo fuori dal finestrino e una voce famigliare mi canta dolcemente nelle orecchie.

◦●◦                                                    ◦●◦

-Te l’ho già detto devo andare a prendere Chiara in stazione- sbuffo.
-E beh? Vengo anche io!-
Alzo gli occhi al cielo.
Fisso il computer davanti a me.
Pagine intere di testi scritti in tutti questi mesi si presentano davanti ai miei occhi. Erano giorni che cercavo di mettere a posto metriche e linee vocali, ma ovviamente qualcuno mi rendeva il lavoro difficile.
Dopo la “serata sparatutto” Alessandra non mi aveva mollato un secondo.
Comprendevo la sua preoccupazione, le parole di Marco mi avevano ferita ma dall’altra parte non era la prima volta che accadeva. Quando incominci a passare ogni singolo giorno con le solite quattro persone, magari su un bus, su un palco stretto, tendi a perdere la pazienza. Ad un certo punto incominciano a volare parole eccessive, frasi mal interpretabili dovute alla stanchezza e allo stress.
Tante volte è capitato anche a me. Dividere gli spazi e il tempo con loro era fantastico, ma farlo senza pause per più di un anno in tour e studio, beh era tutt’altra cosa. Eppure, dopo esserci scaricati tornavamo come prima. In fondo siamo esseri umani anche noi.
Quindi, la frase di Marco, non era neanche così pesante da sopportare. Ci eravamo tutti abituati. All’inizio ci puoi restare male, ma poi passa perché sai che in realtà non era voluto.
Ma questa parte Alessandra non la stava capendo: continuava a venire a casa mia, a controllarmi di soppiatto mentre registravo le linee vocali nel mio studio e a portarmi cibi ipercalorici.
-Ma non è la tua fidanzata! È la mia- dico quasi spazientita.
-Sono sicura che la tua fidanzata sarà felice di vedermi- dice convinta.
Sbuffo prendendo le chiavi della macchina.
-Muovi quel culo- dico spazientita.

Arriviamo in stazione puntualissime.
Ci mettiamo sul binario e aspettiamo che Chiara scenda dal treno. Non appena incrocio la sua figura e i suoi occhi un sorriso mi appare automaticamente sul viso. Dopo pochi secondi anche sul suo.
Ci scambiamo un abbraccio tenero e veritiero e quando i suoi occhi si posano di nuovo sui miei decido di lasciarle un dolce bacio sulla fronte, spostando i suoi capelli castani e lunghi.
-Almeno non vi siete saltate addosso in pubblico, mi stupisco della vostra forza di volontà- dice una voce alle mie spalle. Sbuffo sonoramente. Chiara invece ridacchia per poi salutare anche Alessandra.
-Tutto bene il viaggio?- chiedo con un sorriso.
Lei mi annuisce felice in risposta.
Mentre ci incamminiamo verso la macchina, è di nuovo la mia amica a interrompere il silenzio che ci avvolge. -Per fortuna sei tornata Chiara, ero stanca di fare la babysitter a questa qua!-
Chiara mi rivolge uno sguardo interrogativo.
Io faccio spallucce e scuoto la testa.
-Dai, ora puoi andare in vacanza per un po’- risponde la mia ragazza con un filo di ironia.
-Grazie, non vedevo l’ora- risponde l’altra.
-Salite, su- dico aprendo la macchina e caricando la valigia di Chiara.
-Stasera ho una partita, venite a fare il tifo per me?- chiede Alessandra dal sedile dietro.
Guardo Chiara che sorride positiva.
-Certo, contaci!- dico in risposta.
Scarico Alessandra a casa sua e finalmente tiro un sospiro di sollievo. Ancora parcheggiata a lato strada rivolgo uno sguardo a Chiara. -Non ce la facevo più- dico facendola scoppiare a ridere.
-Come mai ha fatto da babysitter alla grande rockstar?- dice ironica.
-Ma tu lo sai? Perché io no!- dico sbuffando.
Continua a ridacchiare continuando a specchiarsi nei miei occhi. Improvvisamente mi rendo conto di quanto mi sia mancata, di quanto io sia già dipendente. Appena il suo profumo mi inonda, appena il suo sguardo si posa su di me, ho solo l’impulso di volerla ancora più vicina.
Con questo pensiero in testa catturo le sue labbra tra le mie con avidità.
Presa alla sprovvista lei lascia andare un leggero sussulto per poi posare una sua mano sulla mia spalla e ricambiare il bacio con desiderio.
Ci stacchiamo leggermente, tutte e due prese dall’altra persona. -Per fortuna sei tornata- dico sottovoce.
-Lo dici per questo o perché così ti sei tolta Alessandra?- dice ridacchiando.
-Tutte e due- rispondo.
Metto in moto. Prossima meta: casa di Chiara.
Una volte entrate poso la sua valigia all’ingresso e lei si butta sul divano.
-Hai fame?- dice lei.
-Umh, un po’. Tu?-
-Sì, ma non c’è nulla in frigo- dice triste.
-Beh, vorrà dire che non entreremo ancora nella fase “ti cucino pranzo”- dico sedendomi di fianco a lei.
Scuote la testa ridendo. -Ordiniamo una pizza?-
Annuisco.

◦●◦                                                    ◦●◦

Ci sediamo sul tavolo.
I cartoni della pizza davanti a noi.
Non avrei mai pensato che queste piccole situazioni mi avrebbero resa così felice.
Essere di nuovo tra le mura di questa piccola e modesta casa, mi rende più felice che tornare nella mia vecchia stanza.
Soprattutto ora che Sara è entrata di colpo nella mia vita. Questa città e questa nuova vita hanno tutto un significato diverso. Hanno un obbiettivo: far durare questa felicità il più possibile.
Addento un pezzo di pizza e mi perdo nei suoi occhi verdi. Mi era mancata questa piccola quotidianità che si sta creando. Lei mi risponde con un dolce sorriso.
-Posso invitare anche Eleonora alla partita di stasera?- chiedo timidamente.
-Ovvio! Più siamo meglio è! Dobbiamo fare tifo!- risponde lei contenta.
Sento il suo sguardo su di me.
Sicuramente vuole sapere com’è andato il mio ritorno a casa.
Eppure non voglio già tornare con i pensieri là, in quel posto pieno di bei ricordi ma anche di brutti, là dove ancora una volta qualcuno mi aveva ferito e deluso, là dove al solo pensiero il mio cuore si frantuma di nuovo.
Dopo aver finito la nostra pizza il silenzio continua a regnare sovrano.
-Film?- propongo.
-O serie tv?- ribatte lei con sguardo ammiccante.
Ridacchio. Ha già capito i miei punti deboli.
-Westworld?- propongo.
-Dio, come sei nerd- alza gli occhi al cielo.
Metto su un finto broncio per convincerla.
-Okay, va bene- dice alzandosi dalla sedia e buttando i cartoni di carta.
Seguo le sue movenze e le sue curve. Un corpo scolpito che, con questo caldo, mostra più che mai: pantaloncini cortissimi e una canottiera larga da cui si intravede il sottostante top. Deglutisco a vuoto non appena realizzo che il corpo della ragazza davanti a me potrebbe benissimo appartenere ad una dea.
Non avevo mai negato la bellezza di Sara, è vero. Però, fino ad ora, non avevo realizzato che quel corpo ora è legato in qualche modo al mio. Che quel corpo è il corpo della mia ragazza, che quelle curve, che quei muscoli tonici e quei vestiti sempre scuri e stretti potevo toccarli solo io.
Non avevo mai ragionato troppo su questo aspetto perché, per me, la bellezza è un fattore superficiale. Non mi innamoro della bellezza, ma dell’io di qualcuno ovvero la sua anima, le sue idee, le sue passioni, i suoi difetti e i suoi ideali. Quest’idea la applico parallelamente su di me, non mi sono mai truccata eccessivamente, non mi sono mai mostrata inutilmente perché se qualcuno davvero mi vuole allora deve conoscermi. Non ho mai creduto nell’amore al primo sguardo, perché con lo sguardo vedi solo uno strato, con la mente vedi tutti i livelli che compongono una persona.
Per Sara, è stato lo stesso. Solo quando l’ho conosciuta, quando l’ho vissuta ho capito quanto fosse speciale per me. Quando le sue parole sulla musica mi hanno penetrato la pelle ho sentito i brividi, quando le sue carezze mi hanno sfiorato ho sentito il mio cuore tremare. La bellezza, beh, non ti darà mai gli stessi brividi, lo stesso capogiro di quando ha occhi solo per te.
Nello stesso momento mi rendo conto di quanto i nostri corpi siano differenti. Io per niente tonica e sportiva, lei una statua scolpita nel marmo.
Il mio sguardo ha indugiato un po’ troppo sul suo corpo, perché i suoi occhi verdi si posano sui miei mentre le sue mani raccolgono i suoi capelli rossi in un chignon basso e morbido. Mi sorride di sbieco: beccata in pieno.
-Possiamo andare sul letto a fare la maratona Westworld?- chiedo quasi pregandola.
Mi ammicca di nuovo.
-Non ti facevo così intraprendente, Chiara- ridacchia.
Le tiro il tovagliolo addosso in risposta.
-Dai, andiamo-
Dopo poco ci ritroviamo sul mio letto, nella mia modesta camera, con Sara che fissa la mia chitarra appoggiata al muro.
-Non mi avevi detto che ne avevi una qua- dice guardandola attentamente.
-Perché in confronto alle tue è legna da ardere- dico seria.
-Ma che dici? Non esistono chitarre di migliori o peggiori, è il legame che creiamo con loro che fa la musica che suoniamo. Il legno da un tono alle corde ma le corde sono mosse da sentimenti- dice seria.
-Con una Fender i miei sentimenti sarebbero molto più felici- dico cercando di toglierle quello sguardo serio dalla faccia. Dai, stiamo solo parlando di una chitarra da poche centinaia di euro! Perché tutta questa serietà?
Ride in risposta. -Eppure la prima chitarra non si scorda mai- dice con tono serio.
-Beh, guardiamo o no?- chiedo a Sara.
Lei annuisce mettendosi al mio fianco.
La serie tv ci ha preso totalmente. È un capolavoro di regia e di recitazione, con riferimenti culturali bellissimi.
Eppure, per quanto sia presa, non faccio altro che pensare alla mia mano che è intrecciata con quella di Sara, ai cerchi che lei sta facendo sulla mia gamba sinistra mentre il suo sguardo intenso è dedicato totalmente alla serie. D’impulso anche io inizio a ricambiare queste semplici e dolci coccole. Sciolgo le nostre mani e mi metto più comoda, appoggiando la mia testa sulla sua spalla e incrociando le nostre gambe.
Ho notato come questa sia la nostra posizione preferita quando guardiamo film o quando dormiamo insieme. La mia mano destra vaga dolcemente sulla pelle appena sopra la linea dei suoi pantaloni, una sottile striscia di pelle scoperta inavvertitamente dalla canottiera.
Inconsciamente, quando ancora i miei occhi sono puntati sul momento clou della puntata, mi accorgo che la mia mano era andata direttamente sotto la sua canottiera e sul suo fianco tracciando percorsi immaginari.
Mi blocco quasi immediatamente. Anche se è una sciocchezza non mi ero mai spinta fino a lì. Certo, Sara di sicuro è abituata a cose ben più intime… eppure per noi è nuovo. Vago con lo sguardo fino ad incerettare il suo volto. Mi sorride dolce, non penso neanche che abbia capito il mio turbamento. Le sorrido in risposta allungandomi per darle un dolce bacio sulle labbra.
In fondo devo recuperare le occasioni perse durante la mia assenza.
Il fatto che non ci stacchiamo facilmente mi fa capire che anche lei vuole recuperare.
Sorrido involontariamente sulle sue labbra.
Utilizzo questa breve pausa per prendere fiato.
Eppure dopo pochi secondi le labbra di Sara si avventano di nuovo contro le mie, dischiudendole lentamente. La sua lingua cerca la mia bisognosa. Seguo i suoi movimenti, mi muovo verso di lei per essere più vicine. Sento il suo respiro sul mio volto e subito dopo avverto una sua mano sopra il mio fianco.
Improvvisamente il mio non diventa più bisogno, ma desiderio. Desiderio di sfiorare la sua pelle e di sentire il suo respiro su di me. Mentre il mio cervello elabora questo pensiero i miei denti mordono il suo labbro inferiore e un piccolo gemito esce dalla sua bocca.
Audace, mi complimento da sola.
Le mie mani afferrano i suoi fianchi e ora posso sentire, sotto le mie dita, tutta la sua pelle morbida. Non che le sue siano meno vagabonde, perché le sento sulla mia schiena delicatamente.
Quando le nostre bocche si staccano, i nostri occhi si aprono.
Mi ritrovo quasi sopra di lei, incastrata in lei.
-Forse dovremmo tornare all’episodio- mi dice dolcemente.
Annuisco quasi imbarazzata.
Torno al mio posto, eppure non riesco più a seguire la trama.

◦●◦                                                    ◦●◦


-Ma è il nuovo Del Pietro!- urla Eleonora tutta esagitata alzandosi in piedi, dopo il secondo goal di Alessandra.
Chiara, al mio fianco, non sa più che fare per tenerla buona quindi opta per nascondere il viso dietro le sue stesse mani.
Io ridacchio alla vista della scena.
-Ma se è l’unico nome di calciatore che conosci- dice la mia ragazza sconsolata.
-Chiara, zitta!- risponde l’altra sedendosi. -Tu non lo puoi sapere!-
Faccio segno a Chiara di lasciar perdere, lei sbuffa in risposta.
Le ragazze stanno vincendo ancora una volta.
Con questa vittoria andrebbero in finale, infatti noi sugli spalti stiamo aspettando solo il fischio della fine.
Quando finalmente, pochi minuti dopo, l’arbitro fischia lo stadio esplode in un boato e il giallo e rosso sventolano a festa.
Corriamo giù per le scale alla ricerca di Alessandra che ci viene incontro correndo. Abbraccia tutti felice e ci dice: -Offro io, cazzo se offro io stasera!-
Pietro ed Eleonora non aspettavano altro.
Infatti sono i primi a riempirsi di Leffe rossa doppio malto. Ad ogni sorso Pietro esordisce con un “la finale ci aspetta!” neanche fosse lui a dover giocare tra un mese.
Dall’altra parte Eleonora butta giù alcool come acqua e segue Pietro a ruota. Ogni tanto dice frasi assurde e fa domande come: “E se la NASA ci spiasse tutti mentre facciamo la pipì? Nessuno più indosserebbe i loro loghi… una perdita enorme per il brand”, scatenando le risate di tutti noi.
Invece Chiara, con il suo solito analcolico, ride e scherza con Andrea. La fisso incantata: quando l’ho conosciuta era timida e fredda, quasi impaurita dagli altri. Avevo paura che in questo caos di artisti strampalati e migliori amiche assurde si sentisse fuori posto. In realtà è bastato poco per capire che quella era solo una misera facciata. Chiara è molto più che timidezza e indifferenza, anzi, è tutt’altro. È calore ed amicizia, è impegno e dedizione verso i suoi cari, è un sentimento silenzioso che regala agli altri senza tanti gesti plateali.
Chiara è qualcosa di nascosto che pochi hanno il piacere di assaporare ed io faccio parte di quei pochi fortunati.
-Andiamo a casa?- mi chiede sottovoce mentre gli altri parlano dei goal di Ale.
Annuisco dolcemente. -Casa mia?- propongo, visto che siamo state tutto il giorno nella sua.
Lei annuisce semplicemente.
-Niente Westworld però- scherzo alzandomi. -Ehy Ale, noi andiamo Chiara ha fatto il viaggio di ritorno ed è abbastanza stanca- spiego.
-Ragazze traaaanquille, ci vediamo presto! Andate a casa divertitevi e amatevi, ma ricordatevi che vi amo eh! Vi amo ragazzeeee!- dice visibilmente ubriaca.
Rivolgo uno sguardo preoccupato ad Andrea: -Sicuro che riuscirai a gestire questi qua?-
-Sì capo, vai pure. Se ci pensi abbiamo affrontato di peggio in certe situazioni!- mi risponde lui alludendo a specifiche serate di festeggiamenti dopo il tour di cui ho ancora vaghi e offuscati ricordi.
Ridacchio. -Va bene, allora buona notte!-
Chiara si lancia sul letto subito dopo essersi cambiata.
-Io amo questo letto, te l’ho mai detto?- dice farfugliando tra le lenzuola. -Io lo amo- ripete.
Mi corico di fianco a lei. -Umh, ora mi sa che l’hai detto-
-È morbido e grande e freeeesco- dice allargando le braccia.
-Com’è che fai più complimenti al letto che a me?- dico girandomi verso di lei.
-Emh, ovviamente lui ha tutte queste qualità perché è tuo…- dice con sguardo supplichevole.
-Non basta…-
-Perché sta nella tua bellissima casa- aggiunge cercando di riparare all’errore.
-E poi?-
-Che è tua per questo è bellissima-
Ridacchio sentendo queste scuse improponibili e decido di fargliela pagare in un solo modo possibile: il solletico.
-Dai smettila!- mi supplica.
Ma io continuo.
-Sono… indifesa!- grida quasi.
-Okay, okay, stop! Non farò più apprezzamenti al tuo letto!- dice infine.
-Molto meglio- dico ridendo e lasciandola andare.
-Abbiamo distrutto il letto- mi dice guardandomi con sguardo colpevole.
-L’avremmo distrutto comunque stanotte a causa di questo caldo torrido- rispondo coricandomi. -Non mi hai detto cosa hai fatto a casa tua. Dai raccontami, voglio sapere tutto- dico con sincerità.
Il silenzio che ha lasciato al ritorno dal suo piccolo viaggio, non so propri come prenderlo. È un segnale positivo, oppure negativo? Significa che non è successo nulla di eclatante oppure che è successo troppo?
I miei occhi si posano sui suoi. Lei, dentro la sua maglietta che aveva lasciato qua in caso di necessità, mi guarda con occhi stanchi.
-Il solito- mi liquida.
Rispondo con uno sguardo scettico.
-Pranzi e cene con i parenti… ho bagnato i fiori con la nonna, sono stata da mia mamma, ho visto Beatrice, la mia migliore amica e… basta direi- dice vaga.
-Uh, non mi avevi detto di avere una migliore amica là- dico cercando di farla parlare quel poco di più.
-Ci conosciamo dalle superiori. Prendevamo lo stesso autobus per andare a scuola e lei la mattina leggeva sempre qualche libro. Quando ho visto che leggeva Murakami, beh… non sono riuscita a stare zitta: dovevo dirle che lo amavo anche io. Per farla breve lei lo ha odiato e lo odiava già alla seconda pagina, però da quel giorno abbiamo continuato a parlare di libri e musica. Il resto è storia- dice ridacchiando.
Mi unisco alle sue risate. -Fare amicizia con qualcuno che odia un autore che ami è davvero strano, ma mi piace già questa Beatrice- dico seria.
-Secondo me andreste molto d’accordo, ma sicuramente vi unireste con Eleonora per darmi fastidio in ogni modo-
Rido di gusto di nuovo. -È vero, lei saprebbe così tanti segreti su di te che di sicuro verrebbe utile creare un’alleanza…- dico pensierosa.
Il cuscino mi arriva diritto in faccia dopo pochi secondi.
Un grugnito di dolore esce dalla mia bocca.
-Non vuoi la guerra, vero?- dico facendo la finta arrabbiata.
Scuote la testa preoccupata.
-Perché non viene qualche volta qua durante le vacanze?- chiedo timida.
Voglio che Chiara non senta la sua famiglia o i suoi amici così lontani come, effettivamente, possono essere.
-In realtà l’ho già proposto a lei. Ha detto che mi farà sapere- dice mentre le sue mani finiscono per accarezzare i miei capelli arruffati.
Sorrido in risposta.
-E tu che hai fatto in queste due settimane?- mi chiede.
-Provato, registrato, ho cercato di concludere i testi eppure Alessandra non mi lasciava mai in pace- dico sbuffando.
Vorrei dirle della grande proposta avanzata agli Oltre, ma prima voglio mettere a tacere i dissapori all’interno della band e poi discuterne con Chiara. Di sicuro, anche se non me lo vuole dire, questo piccolo viaggio a casa avrà creato in lei molti pensieri e reazioni. Inutile, quindi, crearne altri inopportunamente ora.
-Alessandra è iperattiva quasi quanto Eleonora-
-Togli il quasi- dico ridacchiando.
Poco dopo il suo respiro regolare si infrange sul mio collo nudo. Dorme beata al mio fianco e guardandola capisco che questo mi era mancato moltissimo e presto non saprò più farne a meno.

Clicco play.
Lascio che la musica scorra fino al punto desiderato e poi comincio a cantare a piena voce, ma con un volume medio-basso.
 -So I'll be a shadow of the flame
I lent down to kiss you then erased my name
And I'll be a whisper on the wind
My hands are shaking from holding so tight for so long
-

Puoi fare di meglio Leonardi, concentrati.
Faccio partire la canzone di nuovo e provo di nuovo a cantare con una diversa melodia.
Okay, molto meglio.
Quando riapro la bocca per cantare di nuovo sento distintamente l’obbiettivo della fotocamera di Chiara chiudersi e riaprirsi dietro di me.
Sta fotografando? Me? Sara Leonardi; alle 9:30 di mattina; davanti ad un computer pieno di barre colorate e di spettrometri; con un testo scritto male su un’agenda consumatissima che tenta di tirare fuori una linea vocale decente?
-Chiara...- dico senza girarmi spezzando il silenzio
-Eddai come hai fatto a sentirmi? Ho anche aperto la porta pianissimo-
-L’obbiettivo della tua amica ti ha fregato- dico girandomi verso di lei.
I suoi capelli castani e lungi sono raccolti in una coda improvvisata. La maglietta le ricade morbida sui fianchi e i pantaloncini corti lasciano scoperte le sue gambe esili.
-Stavo solo fotografando l’artista all’opera- dice venendo verso di me per poi lasciarmi un tenero bacio sulle labbra.
-Hai fame? Volevo fare colazione fuori- dico gentilmente.
Annuisce felice. -Oggi devi finire le canzoni?- mi chiede.
-Sì, ne ho ancora un bel po’. Mi spiace-
-Tranquilla- mi sorride. -Tanto devo sopportarmi quella pazza furiosa di Eleonora, soprattutto per vedere se è sopravvissuta a ieri sera-
Ridiamo in coro.

-Un muffin al cioccolato- dice Chiara prima che possa ordinare. Un sorriso dolce si dipinge sul mio viso nel ricordare quel giorno. Quando ancora non sapevo nulla su di lei, ma comunque tutto mi portava da lei: le mie azioni, i miei pensieri e inavvertitamente anche il destino.
-E per me un cornetto alla nutella- aggiunge.
Quando la cameriera se ne va le dico: -Mi hai tradito e poi ne volevo due-
Lei si mette a ridere.
-Ricordi questo posto?- le chiedo azzannando il mio muffin al cioccolato.
-Certo- sorride.
-Era tutto molto diverso e per certi versi anche strano- dico ridacchiando.
-Beh, di certo hai fatto di tutto per farci incontrare ancora- dice alludendo alla mia richiesta del pride.
-Ti dispiace?- chiedo timida.
-Per niente. Se non lo avessi fatto tu, io non penso sarei stata così intraprendente- ammette.
Sorrido felice.
Nessuna delle due si stava pentendo di tutto questo.
Dopo aver mangiato la nostra colazione iniziamo a parlare del più e del meno, dei nostri programmi per la giornata e della possibilità di vederci per cena.
-Ho una proposta da fare- dico seria.
Lei annuisce curiosa.
-Hai da fare dal 9 al 13 Agosto?-
-Sara, l’ultima volta che me l’hai chiesto sono finita ad un Gay Pride-
-Non ricordo di aver sentito lamentele- la stuzzico.
-Sì, sono libera. Che intenzioni hai?-
-Ho intenzione di farti fare una valigia e di farti portare dentro: magliette e pantaloncini che puoi buttare senza indugio, la tua fotocamera, un costume e soprattutto farti cambiare i tuoi euro in fiorini- dico senza prendere fiato.
-Leonardi è meglio se mi spieghi nel dettaglio o potrei impazzire di curiosità-
-Si va allo Sziget- esclamo di colpo.

◦●◦                                                    ◦●◦

-Scherzi??- urla Eleonora dall’altra parte della casa.
Scuoto la testa sconcertata.
-Per la quarta volta: no- dico quasi distrutta.
-E me lo dici così?!-
-Volevi una raccomandata? O un telegramma?- dico ironicamente.
-Ti rendi conto che è il nostro sogno da tipo… sempre? Ovvero dalla prima lezione di Matematica che abbiamo subito?!- torna in cucina gesticolando affannata. -E lei arriva qua, così dal nulla e ci soffia il nostro viaggio after-laurea così come se niente fosse-
Rido sentendo questo sproloquio senza senso.
-Gli Oltre suonano, ci andiamo semplicemente per questo- cerco di spiegare.
-Cosa?! La smetti di darmi notizie assurde a distanza di 5 secondi?!- continua a dire guardandomi sconcertata.
Mi metto una mano sulla bocca in risposta.
-E io sono invitata ovviamente- dice lei speranzosa.
-Mi ha detto che ti può dare un biglietto-
Eleonora si mette a saltellare contenta per la cucina.
-Ma solo se fai la brava- dico finendo la frase.
-La brava? Ma che vuol dire “la brava”?- dice frenando subito il suo entusiasmo.
Faccio spallucce. -Riporto solamente quello che mi è stato detto. Ambasciator non porta pena-
-Ma poi che sono?! Vostra figlia? Che decidete voi se faccio la brava o no?!- dice buttando giù un bicchiere di Fanta ghiacciata. -Ho capito. Volete farvi la vostra luna di miele e non volete me tra i piedi-
Mi guarda di sbieco.
Io scoppio a ridere.
-Allora sei pronta?- le chiedo.
-Possibile che tu devi essere un genio e passare tutti gli esami e invece io no?- dice sbuffando e tirando fuori i libri. -Quindi eccomi qua che studio a fine luglio. Che disgrazia-
-Dai pensa che dopo queste ore di tortura esci con la tua bella- dico ammiccando.
-Oh, santo Dio. Spero che faccia una qualche mossa perché ho una frustrazione sessuale che non puoi capire, sta a livello “pericolo”-
-Ew, questi particolari non voglio saperli- alzo gli occhi al cielo.
-Certo, perché di sicuro tu non devi sopportare una tortura che neanche nel Medioevo! La vedo tutti i giorni lì che fa i pesi, che corre, che si piega e che suda con un sorriso. È una tortura non poter tastare quei suoi muscoli-
-Lalalala non voglio sentire- dico facendo finta di tapparmi le orecchie.
-Non vuoi sentire perché la tua frustrazione la placa già qualcun altro- esclama con un sorriso stampato in faccia.
-Spero che Irene plachi la tua di frustrazione, così smetti di pensare a me e Sara- dico ironicamente.
-Oh, lo spero, lo spero moltissimo- dice lei sognante.
-Dai ora dimmi. Mentre io ero via l’hai vista?- chiedo curiosa.
Lei mi alza un sopracciglio in risposta. -Ovvio- dice ridacchiando. -Usciamo insieme appena ne abbiamo occasione, ma nessuna delle due ha specificato se queste uscite sono appuntamenti oppure no-
-Ma siete da sole?-
Lei annuisce.
-Dai allora è palese: sono appuntamenti-
Lei sbuffa e appoggia la schiena allo schienale della sedia. -Lei è più grande di me. Non dovrebbe fare lei il primo passo?-
Stavolta sono io quella che sbuffa. -Oh dai Ele, l’età non conta. Se ti piace e se andate d’accordo dovresti dirle che vorresti qualcosa di più. Così magari potreste iniziare ad uscire come coppia, capire se può funzionare e conoscervi ancora meglio-
-Ho una vaga idea di come conoscerci ancora meglio- dice lei con un sorriso beffardo dipinto sulle labbra.
-Oddio, Ele sei un caso perso. Fammi questi integrali oppure giuro che ti abbandono qua in mezzo- dico quasi minacciandola.
-Cosa c’è? Sono bisogni umani!-
-Integrali ho detto!-
◦●◦                                                    ◦●◦

Apro la porta felice.
-Buonasera Prof- le dico scherzando.
Lei ride un poco e poi mi bacia dolcemente. -Guarda, lasciamo perdere. Ho capito che insegnare non è il mio mestiere-
-L’alunna non si impegna o tu sei così intelligente da non trasmettere il tuo sapere?- ironizzo.
-L’alunna pensa a tutto tranne che alla matematica- dice buttandosi sul divano.
-Dai non ci pensare. Per toglierti lo stress post-lezione ho messo a caricare un film nerd dei tuoi-
Mi abbraccia di slancio. -Ehi, guarda che potrei abituarmi-
Scoppiamo a ridere insieme.
-Però prima dimmi una cosa- mi dice. -Com’è andata la tua giornata? Parliamo solo di me ultimamente- sorride.
-Bene, abbiamo finito tutti i testi delle canzoni e abbiamo deciso la scaletta dell’album e del live- spiego.
-Siete agitati?-
-Per ora no, perché sembra ancora lontano. Ma quando saremo vicini alla partenza sarà un disastro- dico ridendo.
-Vi preparerete e vedrai che andrà tutto bene-, mi rassicura teneramente.
-Lo spero-
-E invece con l’album?-
-Abbiamo finito la parte più sostanziosa che richiedeva uno sforzo più grande. Tutti i provini sono pronti e tutto è definito, dopo questo concerto parleremo di registrazioni vere e proprie, di copertine, foto, interviste e date di rilascio. Sarà una lunghissima fase di preparazione…- tendo di spiegarle i meccanismi di questo difficile e intricato mondo.
-Ora non ci pensiamo dai- dice con un sorriso, capendo che il solo pensare a tutte quelle cose mi mette un po’ di ansia e adrenalina allo stesso tempo.
Il silenzio ci circonda di colpo. I suoi occhi sono fissi sui miei: non aspettano nulla, non vogliono che io faccia nulla, mi stanno solo osservando con sentimento.
Le rispondo con un sorriso e poi dico di colpo: -In realtà, volevo venissi qua anche per un altro motivo-
Lei mi risponde con uno sguardo interrogativo.
-Allora, partiamo da un presupposto. Da quel poco che mi hai detto con la tua famiglia non hai il rapporto che vorresti. Ecco… quindi ho pensato che potremmo andare a salutare la mia di famiglia-
Mi guarda spaventata.
-Ehy, aspetta non impanicarti. Lasciami finire- dico ridacchiando per smorzare la tensione che si è venuta a creare.
-Loro non abitano qua vicino e sì, ci sentiamo regolarmente, però io ho una vita complicata e loro altrettanto quindi non abbiamo la possibilità di vederci spesso. Ora è agosto, loro sono in ferie, tra poco noi partiamo per un piccolo viaggio e mi sembra sia l’occasione perfetta per dargli delle buone notizie sull’avanzare della mia carriera e anche su altri passi avanti…- dico alludendo alla nostra nuova relazione.
Lei si rilassa un po’ e ridacchia capendo dove voglio arrivare.
-Lo so che ti può sembrare troppo presto, troppo avventato e so ti mette ansia, però credimi, non lo faccio per questo. Lo faccio solo perché loro sono un tipo di famiglia che ti accoglierebbe senza indugi, in cui tu magari puoi vivere qualcosa che da altre parti non potresti vivere. Non sto dicendo che mio padre e mia madre devono sostituire i tuoi genitori, ma che possono darti e darci ogni tanto una boccata di aria fresca, un po’ di coccole che la nostra vita da adulte non ci concede sempre-
Voglio che Chiara capisca le mie intenzioni.
Non voglio affrettare le cose, non voglio bruciare le tappe, voglio solo che si senta parte di un qualcosa che non sia la sua cerchia di amici e la mia cerchia di amici.
La lascio riflettere silenziosamente sulle parole che ho detto, le lascio il giusto spazio per pensare e intanto spero con tutto il cuore che mi abbia capita.
-Non pensi sia un po’, presto?- dice poi timidamente.
-Chiara, non c’è un tempo preciso per nulla. Se vuoi fare una cosa la fai quando senti sia il momento giusto. È il momento giusto conoscere qualcuno che fa parte della mia vita?-
-Vorrei davvero conoscere ogni particolare della tua vita- mi risponde sincera.
-Ecco hai la tua risposta- sorrido. -Sono persone normalissime, anzi… anche molto pacate, aperte, alla buona. Per certi versi anche pazze, ma vogliono bene a chiunque voglia bene io, quindi sarebbero solo felici di condividere un po’ del loro tempo con noi. Inoltre non li vedo da molto tempo e quando ci vediamo, ovvero raramente, è sempre una festa. Una festa che non puoi perdere-
Mi sorride felice. -Ti mancano?-
-Un po’. Dopo tanti mesi che non li vedo incomincio a sentire la loro mancanza- ammetto sia a lei che a me stessa.
-Non ti vengono a sentire suonare?-
-All’inizio di tutto questo sì, erano sempre presenti… anche quando gli Oltre erano una stupida band di adolescenti liceali che suonava alle feste della birra. Però quando il tutto si è fatto più serio mi hanno lasciato i miei spazi, mi hanno lasciato crescere in questa nuova realtà e mi hanno dato libertà di scegliere ciò che preferivo fare a riguardo-
-È una cosa molto bella-
-Sì, infatti non mi posso lamentare. In questo modo mi hanno fatto capire come sarebbe stata la mia futura vita e non li ringrazierò mai abbastanza. Però ora loro sono presissimi dal loro lavoro, io dal mio e il tempo manca, per questo vorrei davvero passare con i miei genitori un week-end. Però ti lascio del tempo per decidere se vuoi venire anche tu-
-Ho deciso, vengo- mi risponde lei convinta.
Ci scambiamo un tenero e casto bacio.
-Film?- chiedo.
-Ovvio!-
Non appena clicchiamo play il telefono di Chiara squilla.

◦●◦                                                    ◦●◦

-Ele, dimmi- rispondo un po’ scocciata.
-Ciao Chiara del mio cuore! Che fai?-
-Okay, Eleonora… che hai fatto? Dove devo venirti a recuperare? Sei in prigione o semplicemente ubriaca da qualche parte?- chiedo alla mia amica che quando parte con queste sviolinate son solo guai.
-Ohu! Ma cos’è questa poca fiducia in me? Ti stavo dichiarando il mio amore!- risponde lei.
-Dai, sputa il rospo-
-Okay, potrei aver seguito il tuo consiglio…- dice lei quasi sottovoce.
Mi drizzo imemdiatamente sul divano guardando Sara con occhi sgranati.
-E??-
-E lei era tutta positiva, ha detto che ci vuole provare, che le piaccio e tutto…-
-Ma bellissimo! Non sei felice?-
-Sì tantissimo! Ma sai no… eravamo su questa bellissima panchina in legno, io ero tutta agitata… lei era oddio mozzafiato guarda, aveva questo vestitino che addio eppure io ero in panico, cuore in gola e tut-
-Taglia Ele!-
-Potrebbe essermi scappato che questa sera potevamo fare un’uscita a quattro per scaldarci un po’ senza buttarci su un appuntamento galante… e le altre due siete tu e Sara…-
Dannata Eleonora.

 

Buonasera signori e signore!
Andiamo per punti: scusate il ritardo ma è un periodo molto difficile: esami, tesi, lavoro e casa… fate voi le vostre conclusioni.
Per il motivo che ho riportato sopra questo capitolo l’ho scritto a pezzi… tanti pezzi. In ogni momento libero scrivevo, però sinceramente poteva uscire meglio. Eppure non volevo farvi aspettare ancora e scriverlo da capo sarebbe stato un suicidio. Spero vi piaccia anche se è un po’ di passaggio e spero sia scorrevole.
Per il resto spero che stiate bene, che siate felici di leggere un nuovo capitolo della storia e che mi diciate i vostri pareri.
Un abbraccio a tutti.

(la canzone che canta Sara è una bellissima canzone che fa così: https://www.youtube.com/watch?v=pdOMXTe72QE )

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