But i'm creep

di bribreezy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno. ***
Capitolo 2: *** Capitolo due. ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre. ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno. ***


Quelle mani così odiosamente grandi le stringevano la gola, sentiva il respiro scivolarle lentamente via, assieme alla vita che non si aggrappava più a quel gracile e pallido corpo, che in quel momento era più indifeso che mai. Le lacrime le rigarono le gote, mentre si stava arrendendo, consegnandosi ormai esausta nelle braccia della morte, che l'avrebbe salvata da quel tormento di vita.

Amber sobbalzò dal letto, portandosi istintivamente le mani al collo, il suo cuore sembrava quasi volesse esplodere mentre il suo respiro non voleva rallentare, facendo sollevare di continuo il suo petto matido di sudore. Lentamente, con le mani ancora tremanti scostò i capelli fradici dal suo volto cercando di controllare il suo respiro, era stato solo un incubo.
Un incubo, lo stesso che faceva quasi ogni notte, da una vita intera. Lo stesso incubo che viveva ad occhi aperti ogni minuto della sua vita.
Portò le ginocchia contro il petto, stringendo le braccia attorno ad esse e lentamente iniziò a dondolarsi, proprio come faceva da bambina, dopo essersi rifugiata nel suo angolo segreto, tra il muro e l'armadio e socchiuse gli occhi, alla ricerca di un minimo di quiete che le permettesse di riprendere il sonno. La radiosveglia sul suo vecchio comodino scheggiato ovunque, segnava le 3.32 del mattino, in quel rosso che le infastidiva gli occhi. Sbuffò con decisione, continuando a dondolarsi mentre sentiva lentamente un senso di pace avvolgerla. Nella sua mente, iniziarono a proiettarsi immagini di ricordi lontani e felici, il sorriso di sua nonna, la stretta della mano di suo nonno, il profumo dei biscotti appena sfornati. L'angolo della sua bocca si sollevò in un leggero sorrisino, fatto di malinconia e perduta felicità. Poteva aggrapparsi solo ai ricordi, non aveva altro e doveva farselo bastare. Infondo, mancavano solo 300 giorni al suo diploma, poi sarebbe potuta scappare lontana da quell'inferno. Avrebbe scelto il college più lontano, e si sarebbe ricostruita una vita, da sola, con le sue forze.
Con quel pensiero, le sue palpebre lentamente si chiusero, ed un sonno profondo la cullò, sino al mattino seguente.
I raggi del timido sole di ottobre si fermarono sul suo viso qualche minuto prima che la sua sveglia prendesse a suonare, con il suo immancabile anticipo poggiò l'indice sul bottone per spegnere la sveglia e non appena emise la prima nota, lo spinse con decisione, sollevandosi dal letto. Si concesse qualche secondo per stiracchiarsi, sentendo tutte le ossa ancora indolenzite. Si diresse verso lo specchio, spogliandosi del suo pigiama e notò che il livido sulla schiena era ancora ben visibile “accidenti, anche oggi dovrò evitare di mettere la maglia della divisa”. Non voleva che qualcuno le riservasse domande scomode, lei odiava rispondere alle domande dei curiosi, solo alla sua migliore amica Robin, era concesso sapere ogni singola cosa, anche se talvolta era obbligata ad omettere qualche verità, non poteva rivelarle proprio ogni cosa, non era giusto metterla in certe situazioni. Dopo aver accuratamente preparato i vestiti sul letto si diresse alla svelta sotto la doccia, senza neanche attendere che l'acqua divenisse tiepida, era un lusso che non poteva concedersi, aveva solo un quarto d'ora per lavarsi, asciugarsi e vestirsi, dopodiché avrebbe dovuto preparare la colazione e correre a scuola. Si insaponò alla svelta i capelli e dopo aver risciacquato accuratamente chiuse l'acqua e avvolse il suo corpo leggero nell'asciugamano, asciugandosi velocemente. Quasi di corsa tornò in camera per vestirsi. I suoi jeans stretti e logori sulle cosce li aveva indossati il venerdì appena passato, considerando che era mercoledì poteva indossarli di nuovo, assieme alla t-shirt grigiastra e scolorita dei Pink Floyd. Si avvicinò allo specchio, pettinò i suoi capelli lunghi e lisci e li raccolse in un'alta coda di cavallo. Ebbe appena qualche secondo per guardarsi allo specchio, la sua figura bassina, risaltava appena in quei vestiti che sembravano decisamente troppo vissuti per la sua età, assieme alle sue adorata all stars nere, forse quelle erano l'unica cosa che realmente adorava in quello schifo in cui era costretta a vivere. Prese la sua borsa per la scuola, ed uscì dalla sua stanzetta tetra, scendendo le scale in modo silenzioso, dormivano ancora tutti, le voci di Josh e Lysa non si udivano, quindi presumibilmente anche i loro genitori dovevano essere ancora addormentati. Almeno una cosa, sembrava andare per il verso giusto. Arrivò in cucina ed iniziò a preparare la colazione, mangiò una barretta dietetica al volo ed apparecchiò la tavola mentre riservò un'occhiata all'orologio appeso affianco alla cucina, fortunatamente, non poco più tardi di dieci minuti, Robin sarebbe arrivata e lei avrebbe potuto respirare un'aria meno pesante.
«La colazione non è ancora pronta? Che razza di sfaticata che sei! Mi chiedo cosa cavolo ti tengo a fare ancora qui dentro..»
Quella voce stridula ed odiosa la destò dai suoi pensieri, spense velocemente i fornelli e mise le frittelle sul tavolo, assieme allo sciroppo d'acero e le uova con pancetta che aveva preparato qualche minuto prima.
«E' pronta, dovevo solo finire di apparecchiare.» Si giustificò a voce bassa, pregando di non dover ancora sentire quella voce. Dopo qualche secondo di silenzio, quando stava per tirare un sospiro di sollievo, quella mano troppo grande per una donna si strinse attorno al suo braccio esile, provocando un dolore lancinante al livido che aveva da qualche giorno. Una smorfia di fastidio si dipinse sul suo volto, ma rimase in silenzio, mentre quegli occhi che emettevano solo tanto odio e rabbia, la fissavano, quasi come se volessero ucciderla. Il clacson dell'auto di Robin fece mollare la presa alla donna ed Amber si divincolò avvicinandosi alla porta.
«Appena hai terminato le lezioni torna a casa, devi fare il bucato e riordinare quel cesso di camera che ti ritrovi.»
Chiuse la porta alle sue spalle e senza emettere una parola, salì a bordo dell'auto che l'avrebbe condotta nell'unico luogo in cui le era permesso andare. L'unico luogo in cui si sentiva al sicuro e poteva riposarsi.

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Capitolo 2
*** Capitolo due. ***


«Sono passata da Starbucks e ti ho preso un caffè, data la tua faccia credo che tu ne abbia un estremo bisogno.» La voce allegra e squillante di Robin riempì improvvisamente l'auto, sovrastando la canzone che in quel momento passava la radio locale. Amber si voltò verso di lei, osservando il viso tondo con la pelle bianchissima e perfetta, incorniciato dai capelli lunghi e mori della sua migliore amica. Anche quando le giornate andavano storte ed iniziavano nel peggiore dei modi, riusciva sempre a farle tornare il buon umore. Accennò un leggerò sorriso e prese il caffè, portandoselo immediatamente alle labbra, sentendo il dolce elisir scivolarle giù per la gola. Nel corso degli anni aveva sviluppato una certa dipendenza nei confronti del caffè e quello di Starbucks era decisamente il suo preferito. Lo finì immediatamente, riponendo il break ormai vuoto nell'angolo apposito dello sportello, promettendosi di gettarlo non appena fossero arrivate a scuola e si stiracchiò sul sedile, mancava più di un'ora alla prima lezione e ciò voleva dire che avrebbero avuto del tempo per fare due chiacchiere, anche se lei non era esattamente la tipa a cui piaceva molto parlare. Robin fermò l'auto nell'enorme parcheggio, ancora deserto, del liceo che frequentava da cinque lunghissimi ed interminabili anni ed Amber aprì lo sportello per poter fumare una sigaretta. «Questa sera c'è la partita, potremmo mangiare una pizza, andare al raduno della squadra e poi andare al campo.» Amber ebbe un brivido, immaginando la reazione dell generale se solo avesse osato chiederle una cosa simile. Fece spallucce e scosse la testa, avrebbe desiderato avere una vita normale e fare tutto ciò che facevano i suoi coetanei, ma a lei non era permesso. «Non posso, appena terminano le lezioni devo tornare subito al comando, sono stata già avvertita dal generale..» la delusione nello sguardo della ragazza che aveva di fronte la fece sentire subito in colpa, odiava doverle dire sempre e solo di no, ma non poteva fare altrimenti. «Ti prego, non passiamo quasi mai del tempo assieme fuori dalla scuola, voglio che tu abbia delle valvole di sfogo, la tua vita è praticamente concentrata sullo studio e sulle faccende domestiche.» il tono di Robin si fece più serio, velato da un filo di rabbia, posò la sua mano affusolata sul braccio di Amber e lo accarezzò con l'innata dolcezza che le apparteneva. «Non so che scusa inventarmi Robin, non voglio guai con lei, la situazione è già abbastanza tesa così, non sono belle giornate.. E lei è più instabile che mai.» Abbassò lo sguardo sospirando, mordicchiandosi il labbro inferiore, cercando di nascondere il disgusto che in quel momento stava provando, avrebbe fatto qualsiasi cosa per allontanarsi da quell'inferno, ma doveva resistere ancora per un po'. «Facciamo così, verrò io a parlarci assieme a mia madre. Le diremo che abbiamo un importante progetto di scienze su cui lavorare questo week-end e che quindi ti fermerai a casa mia in questi tre giorni, d'accordo?» L'idea non era male, se tutto sarebbe filato per il verso giusto si sarebbe allontanata per un po' da lì ed avrebbe vissuto qualche giorno in completa tranquillità, ma non voleva nutrire false speranze, quindi, senza troppe parole annuì facendo spallucce, tirando fuori una sigaretta dal suo pacchetto e portandosela tra le labbra, incendiandone il principio con la fiamma del suo clipper arancione, che teneva ben nascosto nella tasca creata da lei, nel suo zainetto marrone ultra vintage. Robin sembrava non stare già nella pelle, come se sapesse che il suo piano avrebbe avuto un responso positivo, certo ogni volta che lei e sua madre erano venute al comando, il generale aveva mostrato entusiasmo ed aveva sempre accettato, ma con lei mai nulla era certo. Anche se, il fatto che la sua migliore amica, facesse parte di una delle famiglie più ricche e facoltose della città, faceva piuttosto gola a quella donna. Finì la sua sigaretta assorta nei suoi pensieri e la gettò a terra con un gesto meccanico, sollevandosi dal sedile per sgranchirsi le gambe. Non aveva proprio sentito cosa stava dicendo la sua amica, le accadeva spesso di estraniarsi dalla realtà e ritrovarsi immersa totalmente nel suo mondo e fortunatamente non le venivano quasi mai poste domande. «Alla fine, come è andato l'appuntamento con Tod? Non mi hai raccontato nulla..» Il viso di Robin cambiò subito espressione, venne ricoperto dall'immensa cascata di capelli neri corvino e il suono della sua risata riempì il parcheggio, suscitando in lei una reazione mista tra stupore e curiosità. Non appena riprese fiato, scostò i capelli dal suo bel viso e fermò le mani sul volante «E' un completo idiota, ha bevuto così tanto che alla fine mi chiamava Regan, posando le sue mani sudaticce ovunque. Finale della serata? Sono tornata a casa a piedi e l'ho bloccato ovunque.» Scoppiò a ridere anche Amber, scuotendo la testa, evitando di esordire con il suo solito “te l'avevo detto”, con un'occhiata complice, si compresero senza alcun bisogno di aggiungere altro. «Sono sicura che con il prossimo andrà meglio, sei una ragazza a cui molti ambiscono e non avrai alcun tipo di problema a trovare qualcuno che non pensa solo ai propri muscoli.» Era fermamente convinta di quelle parole, sapeva quanto valesse la ragazza che aveva di fronte, la conosceva meglio di chiunque altro ed amava ogni sua singola cosa. Le riservò un sorriso sincero, sapendo benissimo che era ciò di cui aveva bisogno, si sostenevano a vicenda in ogni situazione, sin dal primo giorno che si erano conosciute, quando avevano poco più di 11 anni. Erano molto legate, ma soprattutto, la famiglia di Robin aveva accolto Amber come una figlia, facendola sentire a casa ogni qualvolta che lei era stata da loro. Prese un profondo respiro e sollevò lo zaino, portandoselo in spalla chiudendo lo sportello «Andiamo pigrona, devo passare dalla professoressa Mc Granith, deve restituirmi alcune cose che ho scritto.»

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Capitolo 3
*** Capitolo tre. ***


Le prime tre ore volarono decisamente troppo in fretta, adorava la letteratura e quel giorno avevano parlato di uno dei suoi romanzi preferiti, "Cime tempestose". Aveva letto quel libro almeno una decina di volte, rimanendone profondamente affascinata, tanto da promuoverlo suo libro preferito per eccellenza. Raccolse tutte le sue cose, infilandole velocemente nel suo zainetto mentre distrattamente usciva dall'aula. Aveva un'ora di buco, ed aveva intenzione di andarsene in biblioteca ed anticipare i compiti del fine settimana, sapeva benissimo che qualora il generale avesse accettato, Robin non le avrebbe dato il tempo e il modo di dedicarsi ai libri, quindi bisognava giocare d'anticipo. Chiuse la porta dell'aula alle sue spalle e mentre frugava all'interno del suo zaino per cercare una caramella, sentì qualcosa contro il suo corpo, un urto violentissimo che le fece perdere l'equilibrio. Si fermò a terra, con tutto il contenuto del suo zaino rovesciato sul pavimento grigiastro del corridoio del liceo. Una voce gentile e leggermente divertita raggiunse il suo udito «Accidenti, mi dispiace ti aiuto ad alzarti.» Sollevò lo sguardo, che si soffermò su una mano dalle dita lunghe ed affusolate, sembravano mani da pianista, scosse la testa e guardò il ragazzo che si stava offrendo di aiutarla, non lo aveva mai visto, aveva degli occhi incredibilmente azzurri, incorniciati da un viso perfetto. I suoi capelli erano scompigliati e castani ed il suo corpo era snello ed atletico. Non aveva mai visto un ragazzo tanto bello, sentì il suo volto divampare per l'imbarazzo ed ignorando la mano, si sollevò da terra, iniziando a mettere tutto nella sua borsa in modo impacciato e forse un po' troppo nevrotico. «Non preoccuparti, posso fare da sola.. La prossima volta sta più attento!» parlò in tono forse un po' troppo duro, ma il ragazzo sembrò non prendersela affatto, anzi, scoppiò a ridere irritando notevolmente Amber, che si sollevò stizzita e portò le mani sui fianchi, domandandosi cosa avesse tanto da ridere. Il ragazzo si sollevò a sua volta ed imitò un broncio «E sono io che dovrei stare attento? Mi sei venuta addosso come una furia ed eri tu che non stavi guardando dove mettevi i piedi, miss scontrosetta.» La ragazza strabuzzò gli occhi, sentendosi ancora più infastidita per le parole del ragazzo, perché infondo aveva ragione. Quando udì il modo in cui l'aveva definita, si irrigidì. Cos'era quello, un soprannome? Ma come si permetteva? «Se tu avessi guardato la tua direzione, mi avresti vista ed avresti fatto in tempo a deviarmi.» Rise ancora, facendo sbuffare Amber che perse completamente la pazienza, allontanandosi ed incamminandosi verso la biblioteca. Il ragazzo scosse la testa e si voltò verso di lei «Io sono Alex, comunque..» osservò il cartellino che aveva raccolto poco prima «a presto Amber..» fece spallucce, con un sorriso beffardo sulle labbra e si allontanò di corsa, mentre dall'altra parte del corridoio la ragazza continuò a camminare, pensando a quanto fosse stato irritante. “E' un presuntuoso, tipico di queste parti” si fermò all'istante ripensando alle ultime parole. Come diavolo faceva a sapere il suo nome? Non si erano mai visti e non erano mai stati assieme ad una lezione, ne era certissima, aveva la memoria fotografica e poi... E poi non avrebbe dimenticato un volto come quello. Al diavolo, non le importava, non era affar suo. Riprese la rotta verso il luogo che aveva scelto poco prima e una volta arrivata si addentrò, cercando un angolino isolato, che le avrebbe concesso un minimo di relax. L'ora seguente avrebbe avuto l'allenamento intensivo di basket, giocava dal primo liceo ed era diventata il capitano della squadra, grazie alla sua innata bravura e soprattutto al fatto che non mollava mai. Non aveva certamente il fisico da giocatrice di basket, visto che era piuttosto bassina, ma si dava da fare, ed era questo che il suo allenatore, aveva sempre apprezzato di lei. L'ora passò in fretta, terminò la maggior parte dei compiti aveva ormai gli occhi stanchi e non vedeva l'ora di sfogarsi un po' con un duro allenamento fisico. Prese tutta la sua roba ed uscì dalla biblioteca, dirigendosi direttamente negli spogliatoi, era in anticipo, quindi avrebbe potuto cambiarsi lontana da occhi indiscreti, che non avrebbero notato i segni che aveva sul corpo. Chiuse la porta metallica alle sue spalle e si avvicinò al suo armadietto, aprendolo e depositando al suo interno la propria roba, tirando fuori la t-shirt bianca e i calzoncini azzurri. Si spogliò velocemente, vestendosi altrettanto in fretta, indossando le sue scarpette consumate. Era pronta, non le rimaneva che andare in campo, dove sicuramente avrebbe trovato il suo coach. E infatti, come volevasi dimostrare lui era già lì, le andò incontro con il suo metro e novanta e le sue braccia possenti. Aveva i capelli brizzolati e delle braccia vistosamente muscolose. Era stato un giocatore di basket, ma la rottura di una gamba aveva bruscamente e prematuramente interrotto la sua fiorente carriera. «Ciao Amber, benvenuta.» La sua voce riecheggiò nell'enorme palestra, la ragazza alzò la mano in segno di saluto e con un leggero sorriso si avvicinò a lui. «Buongiorno Coach, inizio con qualche giro di campo per riscaldarmi.» Senza aggiungere altro si allontanò iniziando il suo allenamento intensivo. Desiderava bruciare ogni singolo grammo di energia, voleva smettere di pensare e mettere a tacere i suoi pensieri. L'ora passò in modo veloce, Amber non sentiva più i muscoli, aveva corso insistentemente e durante la partita con le proprie compagne, non si era fermata un solo istante, neanche per riprendere fiato. Era tenace, non si arrendeva mai ed era questo suo lato del carattere, che l'aveva fatta sopravvivere negli anni. Dopo la fine dell'ora, si rivestì velocemente ed uscì dagli spogliatoi, era ora di pranzo e Robin la stava aspettando al solito tavolo fuori. Comprò un sandwich e una bottiglietta d'acqua, con i soldi guadagnati durante il suo solito lavoro estivo e raggiunse la sua amica che era seduta al solito tavolo di legno, sulla destra della porta sul retro del loro liceo. «Finalmente sei qui, ti aspetto da dieci minuti, iniziavo a preoccuparmi» Amber scosse la testa con un leggero sorriso e si accomodò al suo fianco aprendo il suo sandwich ed iniziando a mangiarlo lentamente. «Oggi mi sono letteralmente sfiancata agli allenamenti, non vedo l'ora di farmi una bella doccia.» mormorò avvicinando le proprie labbra alla bottiglietta per bere un sorso d'acqua. «La farai solo quando saremo a casa, abbiamo una missione da compiere.» Era entusiasta, si vedeva nei suoi occhi. Ovviamente anche Amber lo era ma non voleva nutrire false speranze per poi rimanere delusa. «Speriamo bene.» si limitò a dire, non traspariva nessuna emozione, ma era una cosa abituale, tutti sapevano come era fatta Amber Hamilton, o almeno credevano di saperlo.

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