La stirpe del Fuoco- Alhara dei Cinerei.

di Yavanna97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Prologo ***
Capitolo 3: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 16: *** AVVISO ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Introduzione
Canto del Drago e del Leone
 
Una nazione forgiata dal fuoco di mille battaglie,
un cielo buio e una notte senza stelle,
le grida e il pianto di donne e bambini,
Jua Akifa1: il sole che muore ha bagnato il Deserto col sangue dell’ Harad.
Il Drago dal respiro incandescente e il Leone dal possente ruggito
sorti dalle sabbie e benedetti dai Valar
combatteranno per far brillare la Luce.
Fuoco contro fuoco, fratello contro fratello
la guerra sarà dura e crudele,
il Drago dal cielo farà terra bruciata del nemico
e il Leone lo dilanierà coi suoi artigli .
Sangue sarà versato e spade saranno spezzate,
tutto sembrerà perduto.
Il Drago e il Leone non saranno soli
Il Popolo e le Torri accorreranno in loro aiuto al grido di:
“Per il Sultano, per il Raj, per la gloria dell’Harad,
per i Valar, per l’onore e per la libertà,
per la memoria del Giusto, per la salvezza della Fenice.”
L’alba sorgerà sul campo di battaglia e di Jua Akifa non rimarrà che cenere,
Il Drago possente e il valoroso Leone,
il Popolo indomito e le sagge Torri
guideranno il Raj verso una nuova era.
 
 
 
 
Iscrizione scolpita sul Muro dei Canti a
Vecchia Thar’El’ Nadani
 
 
 
  • Juan Akifa in Swahili significa:” il sole che muore” poiché non essendoci bontà in lui è come se la luce del sole fosse morta.

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Capitolo 2
*** Prologo ***


Prologo

Le dune di sabbia scarlatta ardevano come fuoco alle ultime luci del tramonto, il cielo si colorava di pennellate vibranti d’oro, arancio e rosso e un dispettoso scirocco spirava di tanto in tanto. Tutto era immerso nel silenzio e solo ogni tanto si udiva in lontananza il grido di un falco o l’ululato di uno sciacallo. Lo Specchio di Fuoco,così chiamato dagli Haradrim1 , era il deserto più inospitale di tutta Arda2 per vie delle sue altissime temperature e nessuno vi si addentrava se non spinto dalla disperazione, ed era sicuramente disperazione quella che albergava nei cuori dei due Haradrim che continuavano ad arrancare tra le dune sostenendosi a vicenda. Improvvisamente il più minuto perse l’equilibrio e cadde rovinando a terra, l’altro lo aiutò a rialzarsi e gli asciugò teneramente una lacrima sfuggita alle lunghe ciglia nere. “Non piangere Alhara, so che sei stanca ma devi tenere duro ancora per un po’, quando inizieranno a spuntare le prime stelle ci fermeremo, ma…” “Dobbiamo allontanarci il più possibile dal Raj2a e uscire dal deserto, lo so Jamali” rispose la bambina strofinandosi gli occhi con la stoffa della manica; dimostrava circa dieci anni, sul suo viso rotondo e color caramello brillavano due grandi occhi cremisi venati d’oro resi lucidi dal pianto, il tutto era incorniciato da una cascata di treccine nerissime. L’altro, Jamali, dimostrava quattordici anni e il suo viso leggermente squadrato portava già i segni del lutto e del dolore. Come la sorella aveva due occhi rossi, ma i suoi erano di una tonalità più cupa e una massa informe di ricci gli dava un’aria un po’ sbarazzina. Dopo averla aiutata a rialzarsi la prese per mano e si sforzò di sorridere e di infonderle quel coraggio che lui stesso sperava di avere. Ripresero la marcia attraverso lo Specchio di Fuoco con il pensiero fisso di raggiungere Gondor al più presto: erano due settimane che viaggiavano e cinque giorni che il loro cammello Hump3 li aveva abbandonati stramazzando a terra morto dalla fatica e per di più le provviste cominciavano a scarseggiare.

Era da poco calata la notte sul deserto e la temperatura era scesa sensibilmente, un mare di stelle punteggiava il cielo e una pallida falce di luna rischiarava le dune. Alhara batteva i denti per il freddo e si stringeva convulsamente nel pesante burnus4che poco prima le aveva dato il fratello che intanto continuava a setacciare l’orizzonte in cerca di un posto per riposarsi fino all’alba successiva. Dopo un paio di miglia Jamali tirò un sospiro di sollievo: semisommerso dalla sabbia rossa si stagliavano imponenti le rovine di un vecchio castello con solo due torri sopravvissute al passare dei secoli, ma sarebbero bastate. I due fratelli si avvicinarono alla prima torre e si misero a cercare un’entrata, per fortuna il crollo di una parte della cinta muraria aveva aperto un passaggio grande abbastanza e in un batter d’occhio i due furono dentro. “Non si vede niente qui!” esclamò Alhara che subito chiuse gli occhi, si concentrò e dal palmo della sua mano aperta nacque una piccola fiammella che si trasformò in una palla di fuoco della grandezza di un pugno, la sfera si sollevò dalla mano della bambina e volò sopra le loro teste. “Complimenti sorella, fai progressi!” le disse Jamali battendo le mani e guidandola verso un angolo della torre. L’interno era molto spazioso e caotico, c’erano massi e mucchi di mattoni sparsi per la stanza, qua e là erano spuntati dei ciuffi d’erba e la luce della sfera illuminò addirittura una dozzina di grandi e vecchie anfore di quelle usate per trasportare l’olio o il vino.

I due Haradrim si diressero verso un mucchietto di mattoni e iniziarono a preparare i giacigli per la notte: Jamali stese i loro burnus sul pavimento e iniziò a rovistare in una sacca di tela estraendo due fagotti di cotone e una borraccia di pelle semivuota, nel mentre Alhara aveva accatastato qualche ramoscello trovato per caso nella stanza e aveva trasformato la sfera in un focherello scoppiettante che contribuiva a rendere quella tetra torre un po’ più accogliente. “Quanto ci è rimasto?” chiese la bambina alzando un sopracciglio, anche se suo fratello aveva fatto di tutto per tranquillizzarla sapeva che le provviste si erano drasticamente ridotte. Jamali si sedette vicino al fuoco e sospirò mestamente: “Poco, sorella. Solo mezza pagnotta e un quarto di formaggio, per non parlare dell’acqua! Non ti si può nascondere niente vero, piccola volpe?” la canzonò il ragazzino stirando le labbra in un sorriso. Alhara rise, forse per la prima volta dopo giorni e si sedette anche lei vicino al fuoco prendendo le due fette di pane scuro e raffermo e una fetta di formaggio, guardò il fratello e prese a divorare con voracità la sua razione, si era quasi dimenticata di avere tutta quella fame. Jamali fece lo stesso e dopo aver finito la loro misera cena si passarono la borraccia, l’acqua scendeva come nettare nella loro gola secca. Dopo aver mangiato il ragazzino prese la sacca e ne trasse fuori un semplice janyar4a: “Ora dormi, il primo turno di guardia spetta a me” esclamò imperioso e dopo aver dato un bacio sulla fronte alla sorella si mise a gambe incrociate dando le spalle al fuoco per poter sorvegliare meglio l’entrata. “Buonanotte Jamali e che Varda5 possa vegliare su di te” sussurrò la bambina oramai vinta dal sonno. “Buonanotte Alhara” rispose Jamali.

Rumore di zoccoli ed grida angosciose destarono Alhara dal mondo dei sogni, anche Jamali si svegliò di colpo e girandosi fece cenno alla sorella di seguirlo in silenzio fuori dalla torre. “JAMALI! ALHARA!” chiamava una voce forte e antica. “JAMALI! ALHARA! Oh, per tutti i Valar5a ! Che sia accorso troppo tardi?!” continuava la voce. Mentre il sole iniziava timidamente a sorgere i due Haradrim erano usciti dalla torre e si erano nascosti dietro la parte della cinta muraria ancora in piedi. Jamali sfoderò lo janyar e concentrandosi fece apparire una sottile lingua di fuoco simile ad una frusta, si girò verso Alhara ed esclamò concitato: ”Resta qui, vado a vedere chi è, so a cosa pensi sorella ma bisogna avere prudenza!”; la bambina fece un cenno con la testa e si nascose meglio dietro al muro pregando tutti i Valar di proteggere suo fratello. Jamali strinse la presa sullo janyar e la frusta arse più intensamente, con un urlo il ragazzo corse oltre il muro e si lanciò sullo sconosciuto, un possente stallone bruno si impennò e il suo cavaliere cadde al suolo, subito il ragazzo fu sopra di lui. “Jatrah Valar’ann ghadabi kwami elayk!7”sibilò tra i denti. L’uomo, o meglio, il vecchio signore lo guardò e scoppiò in una fragorosa risata. Jamali spalancò gli occhi e si rialzò di scatto barcollando indietro:”Mithrandir8 , sei proprio tu?!” balbettò sconcertato lasciando cadere lo janyar e la frusta di fuoco che si dissolse in uno sbuffo di fumo. Mithrandir, l’anziano signore, era completamente vestito di grigio dalla tunica al cappello a punta, aveva un viso rugoso e antico su cui spiccavano due vispi occhi azzurri, stringeva in mano un bastone la cui punta nodosa conteneva una preziosa gemma bianca. Raggiunge l’Haradrim e lo abbracciò chiedendo:”Jamali figlio di Huruma il Giusto non riesci più a riconoscere gli amici?!”. Il ragazzo ricambiò l’abbraccio e scoppiò in lacrime : ”Che Varda sia lodata, sei tu! ALHARA E’ LUI, VIENI!” esclamò tra un singhiozzo e l’altro. La bambina uscì dal nascondiglio e corse ad abbracciare l’uomo mentre il cavallo nitriva gioioso. “Lo sapevo, lo sapevo che ci avresti salvato!” sussurrò Alhara. Dopo qualche minuto Mithrandir sciolse quell’abbraccio che sapeva di famiglia e di casa e guardò i due ragazzini ,era passato solo un anno dal loro ultimo incontro ma sembrava trascorso un secolo: Jamali era più alto e il suo sguardo aveva acquistato un che di maturo, Alhara invece era rimasta come se la ricordava eccezion fatta per le profonde occhiaie che le scavavano il volto. L’uomo sorrise e fischiando chiamò a sé un altro cavallo più piccolo e nero, assicurò con una fune l’animale alla sella del suo, montò sul destriero e invitò i due a fare lo stesso.”Presto non abbiamo molto tempo, dobbiamo partire! Ho promesso ai vostri genitori che vi avrei protetto e non ho nessuna intenzione di venir meno alla parola data!” affermò risoluto e si girò per scrutare l’orizzonte. “Dove hai intenzione di portarci? Io e Alhara dobbiamo andare a Gondor!” ribatté Jamali aiutando la sorella a montare sul cavallo, poi fece lo stesso e prese le briglie. Mithrandir spronò la cavalcatura al galoppo e aggiunse:”Mi dispiace ma non andremo a Gondor, troppo pericoloso, troppo vicino a Mordor. Vi porterò a Nord, lì sarete al sicuro.”

1) Popolazioni che abitano l’Harad, il sud della Terra di Mezzo

2) E’ il continente/pianeta dove si trova la Terra di Mezzo.

2a) Il Sultanato del Raj si trova ad ovest nel Lontano Harad

3) Vuol dire “gobba” in Swahili.

4) E’ un ampio mantello con cappuccio di lana, perlopiù bianco, che costituisce l'elemento tipico dell'abbigliamento maschile nell'Africa del Nord. In caso di freddo e maltempo ci si avviluppa in esso tirandosi il cappuccio sulla testa. Spesso viene semplicemente portato sulle spalle, a volte appoggiandolo senza neanche infilare la testa nell'apertura anteriore.

4a) Lo janyar è una sorta di pugnale con una corta lama ricurva e abbinata con un fodero ancor più marcatamente ricurvo.

5) Varda è la protettrice delle stelle e della loro luce, tra le Valie è la più potente e la più importante.

5a) I Valar sono una sorta di divinità.

6) Significa: ”supplica i Valar che la mia furia si abbatta velocemente su di te”

7) Altro nome Sindarin per Gandalf il Grigio usato dagli Elfi e dagli uomini di Gondor.

______Nota dell’Autrice________

Ehilà! Sono nuova su EFP e questa è in assoluto la mia prima fanfiction. Sicuramente avrete notato che i miei personaggi hanno una fisionomia e una cultura affine a quella africana e per la lingua, non essendo Tolkien e non avendo lo strabiliante dono di creare lingue e nomi come fa lui, ho deciso di servirmi delle varie lingue africane e arabe. In conclusione spero che come inizio vi appassioni, per favore recensite e…

Come avrete notato ho aggiustato il formato del prologo visto che qualche tempo fa mi era stato fatto presente che non si leggeva bene perchè troppo piccolo, in più sempre dietro suggerimenti ho apportato alcune modifiche che non comprometteranno assolutamente la storia.

Grazie e ciaoooooooo :3

Yavanna97

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Capitolo 3
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

Fuoco. Oscurità. Grida di dolore. La bambina continuava a scappare ma non avanzava di un metro, l’incendio era sempre dietro di lei, era disperata. Urlava, chiedeva aiuto ma nessuno le rispondeva. Intorno solo un fumo asfissiante che le bruciava la gola e le irritava gli occhi. Cadde e si ritrovò in mezzo ad un bosco in fiamme, attorno a lei solo corpi bruciati e fuoco nero come la notte.”Mostro!” sussurravano quei corpi. “Alhara, questa sei tu: tu sei il Mostro!” gracchiò una voce e la bambina venne avvolta dalle fiamme nere e urlava, urlava, urlava…

Alhara si svegliò ansimante e tremante. Di nuovo lo stesso sogno, era una settimana che la notte non riusciva ad avere tregua; qualcosa stava per accadere, ne era certa. Si districò dalle leggere coperte di seta, si alzò dal letto e camminando incerta a causa del buio raggiunse il balcone dall’altro lato della stanza. Con un sospiro scostò le tende e respirò a pieni polmoni la fresca aria mattutina.Il sole stava sorgendo e Imladris, o Gran Burrone, era avvolto dalla foschia tipica dei giorni invernali, i prati erano ricoperti di rugiada e gli uccellini cinguettavano dando inizio ad una nuova giornata.

Quello spettacolo ebbe un effetto calmante sull’Haradrim che sorrise e, raggiunta l’elaborata balaustra in legno, si mise ad osservare il paesaggio. Aveva smesso di tremare e quella vista mozzafiato le aveva anche infuso una particolare allegria sebbene quella strana sensazione stentava ad abbandonarla. Diede un colpetto al legno e rientrò nella camera da letto, scostò del tutto le tende per far entrare le prime luci e si posizionò davanti al grande specchio che troneggiava su una parete della stanza. Il riflesso le rimandò l’immagine di una giovane donna di ventotto anni dalla carnagione color caramello e dai lunghi capelli corvini raccolti in un’ormai sfatta treccia. La lunga camicia da notte bianca era impregnata di sudore e il viso aveva guadagnato delle perenni occhiaie. Si strofinò il volto e decise di fare un bagno quando qualcuno bussò alla porta. Senza dubbio doveva essere una faccenda urgente, nessuno si presenterebbe all’alba senza un motivo specifico, pensava la giovane mentre apriva il pesante portone ligneo. Davanti a lei si stagliava minacciosa una delle guardie reali di Sire Elrond Mezzelfo che la squadrò dall’altro al basso e facendo cozzare la lunga lancia contro l’armatura argentea proclamò:”Alhara dei Cinerei, il sovrano di Imladris vuole vedervi urgentemente nel suo studio. Avete quindici minuti per rendervi presentabile, non sono ammessi ritardi” Si inchinò e se ne andò con passo spedito attraverso uno dei corridoi. La giovane donna richiuse il portone perplessa e lievemente preoccupata. “Che cosa vorrà mai Elrond da convocarmi all’alba e con così poco preavviso? Che abbia scoperto il piccolo incidente di due giorni fa, se è così sono morta! Mi caccerà o peggio” rifletteva Alhara mentre raggiungeva una seconda stanza dove era stata collocata una piccola vasca in marmo, la donna sorrise di gratitudine vedendola piena fino all’orlo e notando ben ripiegati su un comodino un soffice telo e dei vestiti puliti. Sicuramente era stata Annael1 l’ancella elfica che da un anno si prendeva cura di lei. L’Haradrim si sfilò la camicia da notte e si immerse con piacere nell’acqua tiepida restando a mollo per qualche minuto. Dopo essersi lavata si avvolse nel soffice telo e chiamato a raccolta il suo potere asciugò anche i capelli bagnati. Era migliorata, non doveva più chiudere gli occhi e focalizzarsi sul calore e sulla luce del fuoco come quando era bambina, bastava solo un pensiero e riusciva a far scaturire vive fiamme dalle sue mani. Compiaciuta infilò la tunica e i calzoni che Annael le aveva preparato, erano blu notte, il suo colore preferito e indossati dei corti stivali scuri lasciò i suoi alloggi di fretta per raggiungere lo studio.

L’alba era passata da poco e Alhara stava scendendo gli antichi gradoni di pietra che dall’ala ovest, i Giardini reali, portavano allo studio. Finita la rampa di scale si trovò davanti ad un imponente arco in pietra intagliato a motivi geometrici. L’ansia che fino a poco prima era riuscita a dominare, ricomparve, deglutì rumorosamente e si annunciò. “Alhara,entra!” tuonò una voce forte e imperiosa, l’Haradrim sospirò e oltrepassò incerta l’arcata mormorando tra sé per darsi coraggio.

Lo studio era stato intagliato nella nuda roccia il che gli dava un’aria antica e solenne, era circolare e poco arredato fatta eccezione per un tavolo irregolare di cristallo al centro, una libreria stracolma di volumi e una scrivania in legno scuro a sinistra. Tuttavia la cosa che la lasciò senza fiato fu ciò che vide di fronte a lei: la parete nord era stata abbattuta per lasciare entrare la luce come se fosse una finestra naturale, da lì si poteva ammirare Gran Burrone nella sua interezza, incorniciato dalle rapide della cascata. “Varda mkali!2 esclamò a mezza voce Alhara rapita da quella vista straordinaria, raggiunse Sire Elrond vicino alla scrivania scura e aspettò che l’elfo prendesse la parola. Il re indossava una lunga casacca argentata, dei calzoni della stessa tonalità e dei corti stivali neri. Il viso antico ma giovane era incorniciato da lunghi capelli scuri su cui era poggiata un’elaborata corona argentea. Al silenzio del sovrano l’Haradrim si preoccupò ancora di più e sgranati gli occhi vermigli affermò tutto d’un fiato:”Mio signore perché mi avete convocato questa mattina? Se è per l’incidente di due giorni fa giuro che non volevo! Ero in uno degli studi, stavo leggendo. La guardia mi ha spaventata, mi ha provocata, io ho perso le staffe e…” “Calmati ragazza, non è per aver bruciato uno dei miei studi che ti ho convocato, per quello ho già stabilito una punizione.” Rispose gentilmente Sire Elrond trattenendo a stento una risatina ,divertito dalla melodrammatica difesa della giovane. Alhara alle sue parole borbottò un “Spero che il mio signore sia clemente.” Ad un cenno dell’elfo lo seguì vicino all’apertura e insieme rimasero a contemplare Imladris che si risvegliava per qualche minuto. Fu l’Haradrim a riprendere la parola:”Se non è per punirmi, senza offesa, perché sono qui?” Il sovrano elfico si girò verso di lei, assunse un cipiglio solenne ed esclamò:”Alhara, è per due motivi che ti ho convocata questa mattina: il primo riguarda il Consiglio di domani: ho deciso che vi parteciperai in qualità di ambasciatrice dell’Harad e di D’hira3 . Ti sei integrata bene, a parte qualche piccolo incidente, e sei da quasi un anno mia gradita ospite, posso affidarti questo incarico con sicurezza.” La donna sorrise entusiasta e, cercando di apparire dignitosa, esclamò:”Grazie mio signore! Non la deluderò!-subito dopo il suo sguardo si adombrò- E il secondo motivo qual è?” Il re le appoggiò una mano sulla spalla con fare protettivo e parlò con una nota di apprensione: “Ieri notte uno dei soldati di Lothlorien è venuto qui poiché Dama Galadriel ha visto qualcosa nello Specchio… Lui è tornato e ti darà la caccia. Non sappiamo se si sia alleato col Nemico ma non escluderei questa possibilità.” L’Haradrim sbiancò incredula di fronte a quella terribile notizia, l’elfo le sorrise dolcemente come se volesse consolarla e la congedò dicendo di prepararsi un bell’abito per il giorno seguente.

Alhara si inchinò e sorrise di rimando, si stava incamminando verso l’arcata in pietra quando udì un vociare concitato provenire dalla scalinata, subito dopo due guardie reali, di solito così imperturbabili, entrarono di corsa col viso contratto dall’ansia. La giovane donna si scostò per farli passare, i due interloquirono brevemente in elfico col sovrano che assunse un’aria inquieta e si diresse di gran carriera verso l’uscita seguito dalle guardie. La giovane non capiva quasi niente di quella lingua ma il tono non presagiva niente di buono, accantonò per un attimo le sue riflessioni e si accodò al gruppo. Risalita la scalinata si ritrovò nell’ala ovest, adibita ai Giardini reali e lì vide il sovrano elfico dirigersi velocemente verso i suoi alloggi con in braccio quello che a prima vista sembrava un bambino. Alhara cercò di ottenere spiegazioni ma Elrond la ignorò, così decise di cercare Arwen figlia del sovrano e sua ottima amica, di sicuro lei l’avrebbe aiutata a capire.

La trovò poco lontano, vicino al Guado del Bruinen3a che in ginocchio piangeva sconsolata,sentendo i passi dell’amica si voltò mostrando un viso ovale su cui spiccavano due occhi grigio perla resi lucidi dalle lacrime. Indossava una semplice uniforme da caccia grigio-verde e i suoi lunghi capelli castani erano stati raccolti per facilitarle i movimenti. Accanto a lei pascolava mansueto un bellissimo cavallo bianco: Asfaloth che vedendo la giovane Haradrim nitrì contento. Alhara si sedette vicino alla principessa e le poggiò affettuosamente una mano sulla spalla, non aveva mai avuto molti amici ed Arwen Undómiel era una delle poche, l’aveva accolta e fatta sentire a casa senza chiedere nulla in cambio, le voleva un gran bene. “Arwen, perché piangi? Sei ferita! Cos’è successo? E aspetta… Quello non è il cavallo di Glorfindel4?” chiese d’un fiato la giovane donna. La dama si alzò in piedi,si avvicinò al cavallo e cominciò ad accarezzarlo, Alhara si alzò e la raggiunse. “Tranquilla amica mia, sto bene è solo un graffio. Per quanto riguarda Asfaloth l’ho preso in prestito, siamo molto legati anche se è la cavalcatura di Glorfindel. Sicuramente avrai incontrato mio padre con in braccio una strana creatura, ecco lui è Frodo Baggins e ha bisogno di cure. Ti spiegherò tutto nei miei alloggi, questo non è il posto adatto.”

L’Haradrim annuì e seguì la principessa fino alla parte est della reggia dove si trovavano le camere reali: tre stanze circolari di marmo di cui la prima era adibita a camera da letto. Arwen le fece segno di accomodarsi su un elegante triclinio chiaro, chiamò una delle sue ancelle per farsi aiutare con l’ uniforme rimanendo con una lunga tunica bianca e dei calzoni scuri della stessa tonalità degli stivali, si sedette vicino alla donna e sospirando parlò: “Ieri notte non riuscivo a prendere sonno, avevo una strana sensazione, Aragorn era in pericolo, ne ero certa, così presi Alfaloth e partii. Cavalcai a lungo nell’Eriador finché non arrivai nei pressi di Amon Sûl5, lì intravidi dei fuochi accesi e udii il fragore della battaglia, così mi avvicinai di più e trovai Aragorn in compagnia di quattro Mezzuomini di cui uno, Frodo, era stato ferito. Una lama Morgul! Sapendo quanto potesse essere letale tale arma presi lo Hobbit con me e partii verso Imladris. Purtroppo quattro Spettri mi avevano vista e mi inseguirono fino al Guado del Bruinen dove chiamata a raccolta la magia della mia Gente riuscii a fermarli, il resto lo sai.” “Non preoccuparti, tuo padre è un guaritore molto potente e sicuramente riuscirà a salvarlo.” esclamò Alhara cercando di tirare su il morale della principessa. Arwen sorrise lievemente e alzatasi in piedi si diresse verso una grande finestra. “So che mio padre ti ha convocata oggi… Ha saputo dello Studio vero?!” chiese divertita, l’Haradrim si alzò a sua volta e assunta un’aria solenne le raccontò della convocazione al Consiglio, subito dopo il suo viso si offuscò mentre riferiva della visione di Dama Galadriel. Arwen la rassicurò, era una Cinerea davvero potente, era il Kayla6 e sicuramente Lo avrebbe sconfitto una volta per tutte. Alhara l’abbracciò riconoscente e lasciò i suoi alloggi con il cuore più leggero.

Il sole era arrivato allo zenith quando una nota voce riscosse la giovane donna dai suoi pensieri, sportasi da una delle finestre della biblioteca vide la punta di un cappello grigio e sorridendo corse fino all’Infermeria dove ciò che vide le riempì il cuore di gioia. “Mithrandir,che bello rivederti!” esclamò prima di saltare al collo e abbracciare lo Stregone, sbilanciandolo all’indietro. Il mago ricambiò il gesto mentre sussurrava:”Alhara,bambina mia! Anche io sono felice di rivederti!” Sciolsero l’abbraccio ed insieme si avvicinarono ad uno dei letti dove il Mezzuomo, Frodo Baggins, era stato portato da alcune guardie. Lo Hobbit sorrise debolmente alla vista dei due, anche se era fuori pericolo il suo viso era pallido e sotto gli occhi azzurri si erano formate due occhiaie scure. “Come state mastro Hobbit?” chiese la donna accomodandosi vicino a lui, il Mezzuomo si sistemò meglio e rispose:” Ora meglio mia signora,ma per favore chiamatemi Frodo.” Gandalf sorrise e presentò l’Haradrim che scoccandogli un’occhiata di rimprovero esclamò:” Mithrandir ama i convenevoli, chiamatemi Alhara, solo Alhara.” Lo Hobbit annuì e in quel mentre entrarono Sire Elrond visibilmente sollevato e un altro Hobbit, era in carne e con un viso rotondo e gioviale dove brillavano due occhi smeraldini. “Frodo,Frodo! Meno male che siete sveglio!” esclamò tra l’allegro e l’ansioso. Il Mezzuomo felice chiamò il nome del nuovo arrivato, Sam, e lo Stregone esclamò ammirato:” E’ stato quasi sempre al tuo fianco.” “Eravamo in pensiero per voi, vero Vossignoria?” replicò Sam Gamgee e accortosi di Alhara fece un buffo inchino esclamando:“ Mia signora,è un onore!” L’Haradrim rise e tendendogli la mano si presentò, lo Hobbit la strinse gioviale dicendo:” Samvise Gamgee della Contea, al vostro servizio!” La giovane sorrise e Elrond, che aveva osservato la scena divertito dai modi rustici di Sam si avvicinò a Frodo e, posandogli una mano sulla spalla, esclamò solenne:” Benvenuto a Gran Burrone Frodo Baggins!”

1) Annael nome Sindarin che significa “stella di dono”

2) In Swahili vuol dire “Varda luminosa”, è un’esclamazione molto comune nel Raj.

3) D’hira è la capitale del regno dei Cinerei, è una specie di città-stato.

3a) Il Guado del Bruinen è una delle entrate per Gran Burrone.

4) Nel film è Arwen a salvare Frodo, ma nel libro è Glorfindel. Io,però ho voluto unire entrambi. ;)

5) O Colle Vento è un’antica fortezza.

6) I Kayla sono… sorpresa!Leggete e lo scoprirete! ;)

________Angolino dell’Autrice_______

Per prima cosa mi scuso per l’estenuante attesa, ma ho avuto una serie di sfortunati eventi e mi scuso anche per la lunghezza del capitolo, purtroppo sono moooooolto prolissa.

Tuttavia vorrei ringraziare elanorstella, m0nica e fay90 per aver messo la storia tra le seguite. Grazie di aver letto e vi prego recensite!

Anche per questo capitolo vale lo stesso discorso del Prologo: ho ingrandito il formato così da facilitarne la lettura ed ho modificato un paio di cosette che non funzionavano senza tuttavia stravolgere la trama, mi scuso per il disagio ma sono disagiata io, perciò:')

Grazie della pazienza e alla prossima, si spera presto

Yavanna97

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Capitolo 4
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

“Fantastico! Non ho niente da mettere!” sbuffò Alhara chiudendo in malo modo il coperchio dell’elaborata cassapanca lignea. Mancavano più di due ore al Consiglio e all’ansia si erano aggiunte anche una buona dose di nervosismo e preoccupazione: per gli uomini della Terra di Mezzo le donne non dovevano interessarsi di politica, figurarsi partecipare ai Consigli! L’Haradrim aveva paura di essere derisa o insultata e il vestiario, di cui si era raramente curata, era diventato improvvisamente importante: doveva sembrare dignitosa, regale e degna di rispetto. Stanca di quelle inutili riflessioni decise di ricorrere ad un abito tipico della sua gente, semplice e comodo, che aveva trovato in fondo alla cassapanca. Indossò il tutto: un’ampia gonna dai colori caldi e una maglia di una tonalità leggermente più chiara che lasciava scoperto l’addome, aggiunse anche un paio di bracciali che erano finiti tra le sue cose e si posizionò davanti al grande specchio. Aveva raccolto i lunghi e ricci capelli neri in un kitengedagli intensi colori e aveva contornato i grandi occhi scarlatti con un sottile strato di kohl2 . Restò qualche secondo a fissare la sua immagine riflessa, poi prese una lunga stola bruna e vi si avvolse sospirando: aveva intravisto, quella mattina mentre era alla disperata ricerca di un abito, un volto tristemente noto e ne temeva il confronto. Decise che avrebbe cercato Mithrandir per proporgli di andare insieme al Consiglio, si riteneva una donna indipendente e forte ma non stupida: in un mondo d’uomini era sempre meglio circondarsi di amici ed alleati fidati e Mithrandir lo era.

Percorse di gran carriera il dedalo di atri e corridoi che caratterizzavano la Reggia fino a sbucare in uno dei giardini dove, su una panca in pietra, era seduto lo Stregone. Era intento a fumare una delle sue pipe preferite e sentendo arrivare la giovane donna si voltò salutandola. Alhara constatò che non era cambiato di una virgola, lo stesso abito grigio, lo stesso cappello a punta grigio e lo stesso bastone nodoso. Solo il viso portava impresso il passaggio del tempo: aveva qualche ruga in più e i vispi occhi azzurri celavano una strana inquietudine. “Alhara, non ti vedevo indossare un abito così elegante dal giorno dell’incoronazione! Assomigli molto a tua madre, lei sarebbe fiera di te!” esclamò allegro Gandalf, l’Haradrim sorrise riconoscente e prese posto vicino a lui. “Cortese come al solito, ma non sono qui per farmi adulare. Ho visto molti volti sconosciuti giungere a Imladris per il Consiglio e non solo: il principe di Bosco Atro è qui- restò un attimo in silenzio mentre inconsciamente si sfiorava il collo dove, nascosta dalla stola, si trovava una lunga cicatrice- Mithrandir ho paura della reazione che avrebbe vedendomi. Né lui né io abbiamo dimenticato cosa successe quella notte, quante vite furono spezzate. Non voglio rivivere quel dolore.” Finì in un sussurro la donna, lo sguardo triste e le mani che tremavano impercettibilmente. Gandalf smise di fumare e prese le mani della giovane tra le sue. Alhara ne aveva passate tante, forse troppe per quella giovane età ma era riuscita sempre a rialzarsi e a trarne il meglio, degna erede di una casata potente, avrebbe compiuto grandi imprese. Sorrise tra sé e lasciatele le mani si alzò. “Non angustiarti troppo, ciò che è stato non può essere cambiato e lo sai. Pensa, invece, a quanto potrai fare per il futuro. La tua storia è appena cominciata Alhara dei Cinerei, la Mezzodemone.” Concluse sibillino. L’Haradrim si alzò a sua volta e posizionatasi dinanzi a lui, lo fissò a lungo negli occhi e chiese:”Non mi inganni, Stregone, c’è qualche cosa che ti turba,non è così?” “Hai ragione,non ti si può proprio nascondere niente!- rispose il mago abbozzando un sorriso poi tornò subito serio e riprese- Saruman, la guida del nostro ordine, ci ha tradito e ora è dalla parte del Nemico. Sarà un fattore da non sottovalutare in questa guerra.”finì assorto Gandalf. Alhara lo guardò, appoggiò una mano sulla sua spalla, come a trasmettergli tutto il suo sostegno e si incamminarono silenziosi verso l’interno della Reggia.

Si diressero verso la sede del Consiglio: una grande terrazza in pietra circondata da alberi e statue da cui si poteva godere della vista di tutta Imladris. Per l’occasione erano state disposte circolarmente, intorno al massiccio tavolo di pietra, una ventina di elaborate sedie lignee occupate da rappresentanti di tutte le razze della Terra di Mezzo e il grande trono reale dove Sire Elrond Mezzelfo avrebbe presieduto l’assemblea. Mithrandir prese posto vicino allo Hobbit che Alhara ricordò chiamarsi Frodo Baggins. Sembrava ancora più piccolo e indifeso in quel contesto, la giovane gli sorrise per incoraggiarlo e lui rispose riconoscente. L’Haradrim, invece, si accomodò vicino ad un giovane uomo dal portamento dignitoso e autoritario, indossava abiti semplici ma regali e il suo viso giovane sembrava tuttavia tradire un’anima antica, allo stesso modo i suoi occhi verdi celavano una profonda tristezza dietro l’apparente imperturbabilità. “Aragorn, siano lodati i Valar, mi ero preoccupata! ” esclamò la donna riconoscendo un altro volto amico. Il Ramingo le sorrise e posando lo sguardo sulla delegazione degli Elfi di Bosco Atro replicò:” Ho avuto giornate peggiori. Tuttavia non dovresti preoccuparti per me: ho visto il suo sguardo appena sei giunta qui.” Alhara si incupì e rivolse la sua attenzione ai presenti, c’erano tutti: dai Nani piccoli, tozzi e dalle lunghe barbe, agli Elfi alti, fieri e dall’esistenza millenaria, agli Uomini, la sua razza, che spesso si erano rivelati deboli ed suscettibili al fascino del potere. I suoi occhi scarlatti si spostarono sugli Elfi di Bosco Atro ed incrociarono quelli azzurri del principe di quel reame. “Legolas Verdefoglia”, quel nome uscì dalle sue labbra come un sussurro e l’elfo in questione le lanciò un’occhiata carica d’astio e di risentimento. Niente era cambiato.

Appena tutti ebbero preso posto Elrond risoluto parlò: “Stranieri di remoti paesi, amici di vecchia data. Siete stati convocati per rispondere alla minaccia di Mordor. La Terra di Mezzo è sull'orlo della distruzione. Nessuno può sfuggire. O vi unirete o crollerete. Ogni razza è obbligata a questo fato, a questa sorte drammatica- fece una pausa per far assimilare ogni parola, riprese- Porta qui l'Anello, Frodo.” Lo Hobbit si alzò titubante ed appoggiò sul tavolo di pietra un piccolo anello d’oro, poi lesto tornò al suo posto. Mormorii e brusii si sollevarono da ogni delegazione, nessuno poteva credere che quello fosse davvero l’Unico Anello anche se tutti ne percepivano il malsano potere. Un uomo dall’aspetto regale zittì i rappresentanti della sua razza e parlò con una nota di eccitazione nella voce scura: “Questo è un dono. Un dono ai nemici di Mordor. Perché non usare l'Anello? A lungo mio padre, Sovrintendente di Gondor, ha tenuto le forze di Mordor a bada. Grazie al sangue del nostro popolo, tutte le vostre terre sono rimaste al sicuro. Date a Gondor l'arma del nemico. Usiamola contro di lui!” concluse alzandosi in piedi per dare maggior enfasi alle sue parole. Alhara scosse la testa, era chiaro come il sole: l’Anello non avrebbe mai agito contro il suo stesso creatore, anzi, avrebbe condotto l’uomo di Gondor alla morte . “Non potete servirvene. Nessuno di noi può. L'Unico Anello risponde soltanto a Sauron. Non ha altri padroni.” Esclamò stizzito Aragorn quasi dando voce ai pensieri della giovane. A quella risposta Boromir, l’uomo che aveva parlato prima, lo trapassò con lo sguardo e asserì con disprezzo che un Ramingo non avrebbe mai compreso tali cose. L’Haradrim si alzò in piedi di scatto e fissato negli occhi l’uomo, difese l’amico con fermezza:” Non è un semplice Ramingo. Lui è Aragorn, figlio di Arathorn. Si deve a lui la vostra alleanza” Spostato lo sguardo si accorse che anche Legolas aveva avuto la sua stessa reazione. Boromir li fissò entrambi e rivolse l’attenzione all’uomo:” Aragorn? Questo è l'erede di Isildur?” “Ed erede al trono di Gondor” finì per lui il principe del Reame Boscoso. L’uomo guardò un’altra volta il Ramingo, affermò che a Gondor non serviva un re e si sedette. Aragorn si rivolse ad Alhara e a Legolas parlando in elfico e facendo segno di placare gli animi. Detto ciò lo Stregone diede man forte all’erede di Isildur affermando che nessuno poteva servirsi di quell’Anello. “Non esiste altra scelta: l’Anello deve essere distrutto.” Concluse solenne il sovrano di Gran Burrone, subito dalla delegazione dei Nani uno di loro scattò in piedi e brandendo una pesante ascia si avventò sul manufatto. L’arma non scalfì l’oggetto, anzi essa si ruppe in mille pezzi scaraventando il nano all’indietro. Elrond scosse la testa sconsolato e allargando le braccia come per circondare tutte le razze parlò:” L'Anello non può essere distrutto qui, Ghimli figlio di Gloin, qualunque sia l'arte che noi possediamo. L'Anello fu forgiato tra le fiamme del monte Fato. Solo lì può essere annientato. Dev'essere condotto nel paese di Mordor e gettato nel baratro infuocato da cui è venuto. Uno di voi deve farlo.” A quelle parole Alhara sgranò gli occhi vermigli: Mordor era sicuramente l’ultimo posto dove sarebbe voluta andare e dopo ciò che il giorno prima il sovrano le aveva riferito, era ancor meno propensa. Dal brusio di sottofondo si udì la voce di Boromir: ”Non si entra con facilità a Mordor. I suoi Cancelli neri sono sorvegliati da più che meri Orchi. Lì c'è il Male che non dorme mai e il grande Occhio è sempre all'erta. È una landa desolata, squassata da fiamme, cenere e polvere. L'aria stessa che si respira è un'esalazione velenosa. Neanche con diecimila uomini sarebbe possibile. È una follia.” Concluse non riuscendo a trattenere una nota di paura. Alhara si sporse verso l’uomo di Gondor e ribatté celando a stento l’irritazione:” Non avete sentito ciò che ha detto re Elrond?! L’Anello deve essere distrutto!” Boromir corrugò le folte sopracciglia bionde, si avvicinò alla donna sovrastandola con la sua figura e la schernì dicendo:”Da quanto le fanciulle partecipano ai Consigli? Non dovresti neanche essere qui, non hai una casa e un marito a cui badare, donna?” “E dalle tue parole suppongo che sarai tu a portare l’Anello.” Rincarò la dose Legolas con un sottile ghigno. ”Sarò morto prima di vedere l'Anello nelle mani di un Elfo! Nessuno si fida di un Elfo!” si intromise irato Ghimli. Nel mentre Aragorn aveva scostato in malo modo Boromir dall’Haradrim esclamando:” Come osi parlarle così. Lei è una donna di sangue reale! Alhara dei Cinerei, figlia di Huruma il Giusto, sultana del Raj e principessa di D’hira!” “Ma non capite? Mentre bisticciamo fra noi, il potere di Sauron si accresce! Nessuno può sfuggirgli! Sarete tutti distrutti!” gridò Gandalf cercando di far tornare il silenzio ed anche un minimo di buonsenso all’assemblea che si era alzata e dispersa. Nessuno, nella confusione generale di urla ed offese si era accorto che il piccolo Hobbit si stava avvicinando al tavolo catturato dall’immagine dell’Anello in preda alle fiamme e da oscure parole. Notando come quel manufatto avesse influenzato tutti i presenti, sospirò con rassegnazione ed armato di un nuovo coraggio parlò:” Lo porterò io! Lo porterò io! Porterò io l'Anello a Mordor. Solo... non conosco la strada.”finì in un sussurro. La voce di Frodo ebbe il potere di far cessare ogni litigio, tutti si girarono verso di lui. Gandalf, che aveva temuto quella conclusione, si voltò verso lo Hobbit e parlò triste ma in cuor suo orgoglioso:” Ti aiuterò a portare questo fardello, Frodo Baggins. Finché dovrai portarlo.” “Se con la mia vita o la mia morte riuscirò a proteggerti, io lo farò. Hai la mia spada.” Dichiarò solenne Aragorn inginocchiandosi davanti a lui. “E hai il mio arco.” Proseguì Legolas avvicinandosi determinato allo Hobbit. “E la mia ascia.” Affermò risoluto Ghimli. “Per quanto possano valere la parola di una donna e di un Haradrim ti prometto che il Fuoco dei Cinerei illuminerà la tua via. Varda ambayo inaweza kuangalia juu yenu3.” esclamò Alhara, decisa e commossa da quel gesto coraggioso, avvicinandosi a lui e prendendo posto vicino ad Aragorn. “Reggi il destino di tutti noi, piccoletto. Se questa è la volontà del Consiglio, allora Gondor la seguirà.” Dichiarò con un sorrisetto Boromir. Improvvisamente da una delle vicine siepi sbucò trafelato Sam Gamgee, l’altro Hobbit, si piazzò accanto a Frodo e asserì convinto:” Ehi! Padron Frodo non si muoverà senza di me.” “No, certo, è quasi impossibile separarvi. Anche quando lui viene convocato ad un Consiglio segreto e tu non lo sei.” Constatò Sire Elrond non riuscendo a mascherare con un rimprovero il moto di simpatia che era nato in lui. Sam arrossì di vergogna e rivolse lo sguardo alla siepe da cui uscirono di volata altri due Hobbit che si posizionarono convinti accanto ai loro due amici. “Ehi! Veniamo anche noi! Dovrete mandarci a casa legati in un sacco per fermarci.” Replicò Meriadoc Brandibuck, uno dei nuovi arrivati. “Comunque, ci vogliono persone intelligenti per questo genere di... missioni. Ricerche. Cose.” Concluse l’altro, Peregrino Tuc, finendo però col dare meno credibilità alle sue parole. Merry lo guardò di traverso e sbottò spazientito: “Ma così ti autoescludi, Pipino!” Dopo questo piccolo siparietto Elrond Mezzelfo guardò a lungo, uno per uno, i dieci coraggiosi che avrebbero intrapreso quella pericolosa missione e posizionatosi dinanzi a loro si lisciò la lunga veste bianca e rossa e affermò risoluto:”Dieci compagni. E sia! Voi sarete la Compagnia dell'Anello.” “ Grandioso. Dov'è che andiamo?” chiese gioviale Pipino.

Il sole era da poco tramontato e Gran Burrone si stava preparando alla notte, l’ultima notte che i dieci compagni avrebbero trascorso in una terra amica. Alhara si aggirava per i corridoi come un’anima in pena, aveva riflettuto a lungo sugli avvenimenti di quel pomeriggio e non riusciva a comprendere, col senno di poi, la decisione di Elrond. Perché aveva convocato proprio lei? Perché non Jamali, suo fratello, che era più riflessivo e sicuramente più adatto ad una missione delicata come quella. Per non parlare del pericolo che Lui rappresentava per sé stessa e per tutti coloro che le stavano accanto. Con la testa che le scoppiava per quelle lunghe riflessioni si diresse verso la terrazza. Lì vi trovò il sovrano di Imladris anche lui immerso in chissà quali pensieri. “Mio signore, posso rivolgervi qualche domanda?” chiesa titubante l’Haradrim. L’elfo si avvicinò alla giovane e la invitò a raggiungere una delle statue della terrazza: rappresentava una giovane donna intenta a suonare un flauto traverso, era bellissima e trasmetteva gioia e serenità. Il re la fissò assorto e parlò:” So cosa mi vuoi chiedere: perché ho convocato proprio te e non tuo fratello. Ascoltami bene: L’Unico Anello è un manufatto potente ma insidioso e il portatore dovrà lottare per non cadere sotto il suo influsso. Tu stai vivendo la stessa cosa: essendo il Kayla, come si dice nella vostra lingua, sai cosa si prova a dover convivere con un potere immenso e che non sempre si può controllare. Aiuterai Frodo Baggins a non essere soggiogato dal Male e lui ricorderà a te la stessa cosa.” “Ma, Sire, per quanto riguarda Jua Akifa4? E’ un pericolo da non sottovalutare, ho paura che possa colpire uno qualunque della Compagnia e…” Elrond la zittì con un rapido gesto della mano e riprese:”Non è sicuramente grazie alla paura che sei sopravvissuta a tutto e sei diventata la donna che sei ora. C’è una grande forza in te e un grande coraggio. Alhara, Lui deve essere sconfitto e solo tu puoi, ma attenta: la necessità non deve farti dimenticare chi sei.” Concluse enigmatico il re e se ne andò lasciando la giovane donna con ancora troppe domande senza risposta. Restò a fissare la statua della flautista per un po’ di tempo e sospirando si diresse verso gli appartamenti di Arwen: voleva salutarla in maniera più informale prima della partenza.

Giunta davanti agli alloggi della principessa bussò un paio di volte e una voce la invitò ad entrare. La dama di Imladris era in piedi al centro della stanza con le braccia conserte e lo sguardo vacuo, il suo viso appariva ancor più pallido e al lungo e leggero abito indaco mancava qualcosa… “Arwen, amica mia, sembri scossa. Va tutto bene?” chiese incerta la donna avvicinandosi. La principessa sorrise e la invitò a sedersi vicino a lei sul grande letto a baldacchino. “Alhara, volevo salutarti in tranquillità prima che tu partissi. Sarà un’impresa lunga e perigliosa e io ho timore di non rivedere nessuno di voi, soprattutto lui. Lo hai già capito, gli ho donato il mio cuore e la Stella del Vespro… Ho scelto una vita mortale.” Concluse la principessa sorridendo mentre gli occhi grigi diventavano lucidi. L’Haradrim si portò le mani davanti la bocca sorpresa: una vita mortale! Era stata una scelta coraggiosa, ma non si sarebbe aspettata niente di diverso: quei due si amavano alla follia e niente, nemmeno la morte, li avrebbe divisi. Di slancio abbracciò l’amica e le sussurrò all’orecchio:” Sono contenta per te. Aragorn è un uomo valoroso e ti ama moltissimo. Lo giuro, costi quel che costi te lo riporterò.” A quelle parole Arwen strinse ancor di più l’amica, pregando i Valar affinché entrambe le persone a lei care tornassero sane e salve. Sciolsero quel commovente abbraccio dopo qualche minuto e si congedarono in silenzio.

Alhara si incamminò verso le sue stanze dove aveva già preparato l’armatura e quei pochi oggetti personali che avrebbe portato con sé. Aprì la porta ed entrò nella camera da letto, si avvicinò alla balaustra della finestra e rimase a contemplare il paesaggio notturno. Presto non ci sarebbe stato più tempo per indugiare, bisognava agire.

1) E’ un indumento tipico dell’Africa: una specie di scialle che può essere portato sui fianchi o a mo’ di bandana.

2) E’ una polvere composta principalmente di galena, malachite, antimonio e grasso animale usata per il trucco degli occhi, per scurire le palpebre e delineare il contorno occhi tramite un apposito bastoncino di feltro. A seconda della composizione il kajal o kohl può essere nero o grigio.

3) In Swahili significa:” che Varda possa vegliare su di te.”

4) Jua Akifa in Swahili:”il Sole che muore”, sarà un personaggio molto importante per Alhara.

______Angolino disperato dell’Autrice_______

Sono tornata! Scusate per l’enorme ritardo ma non ero in Italia e Internet era off-limits. Comunque si inizia ad intravedere con cosa i nostri nove compagni+ 1 avranno a che fare. Alhara ha delle origini particolari così come la mitologia che c’è dietro di lei, scoprirete tutto a tempo debito…. Muahahahah ;) Ringrazio AlyssaBlack, Crateide e RagazzaOmbra per aver messo il mio obbrobrio fra le storie seguite. Ringrazio a prescindere chi recensisce, che scriva recensioni positive o negative, l’importante è che siano costruttive.

A (spero) presto,

Yavanna97 PS: Vi lascio con il presta volto di Alhara: Riann Steele

picture of riann steele

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Capitolo 5
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Non fu una partenza festosa: niente squilli di trombe, sventolii di bandiere o lanci di petali, solo la benedizione di Sire Elrond e il saluto accorato di pochi amici. La Compagnia lasciò l’Ultima Casa Accogliente1 alle prime luci del mattino.

Tutto taceva come se la natura stessa volesse salutare quei dieci coraggiosi, solo lo stormire delle fronde e il canto di qualche uccello temerario rompevano quell’irreale silenzio. Alhara si voltò e diede un ultimo sguardo nostalgico al luogo che per un anno aveva imparato a chiamare casa. La sua mente iniziò a vagare tra le memorie mentre con passo spedito procedeva insieme ai suoi Compagni alla volta di Mordor. Ricordò il giorno in cui mise piede per la prima volta a Gran Burrone, sorrise ripensando a quanto fosse irritata, al limite della rabbia, dalla decisione presa da Mithrandir e da ciò che era rimasto della sua famiglia. Come avevano potuto obbligarla a lasciare il suo popolo per andare a vivere tra gli Elfi? La risposta le venne data dal sovrano in persona appena raggiunse il grande piazzale adibito ad ingresso, Elrond Mezzelfo la guardò a lungo prima di parlare:” Alhara, figlia di Huruma il Giusto, benvenuta ad Imladris. So che non vorresti essere qui, so che vorresti essere nel Raj, con tuo fratello, a riportare il Sultanato ai suoi antichi fasti, ma dovrai essere paziente. Il tuo immenso potere necessita di pazienza e controllo e, nel limite delle mie possibilità, ti mostrerò come utilizzarlo senza esserne schiava.” Da quelle parole la giovane donna comprese che non era stata convocata al Nord per un capriccio e acconsentì a rimanere lì il tempo necessario per diventare padrona del Fuoco di Varda , poi sarebbe tornata nell’Harad. Così per un intero anno il sovrano elfico le insegnò tutto quello che sapeva: come non lasciarsi influenzare dalle emozioni, cosa che per una testa calda come l’Haradrim si rivelò molto difficile, come gestire la Luce e il Fuoco donatale dalla Valië2 e come riuscire a sopravvivere senza affidarsi totalmente ad essi. Prima di giungere a Gran Burrone veniva considerata un valente spadaccino, ma dopo gli insegnamenti elfici riusciva tranquillamente a tener testa anche al loro migliore cavaliere. Tuttavia non si sarebbe mai ambientata senza l’aiuto e l’amicizia di Arwen: la principessa le fu vicino dall’inizio, imparando a conoscerla e trovando in lei, forse per la prima volta, una vera amica.

Alhara scosse la testa accantonando quei ricordi dolci e amari, era male indugiare troppo nella nostalgia e nel passato, ora bisognava pensare al presente e soprattutto al futuro della Terra di Mezzo e di tutta Arda.

La Compagnia dell’Anello si diresse a Sud costeggiando le Montagne Nebbiose3 per circa una settimana fermandosi solo per mangiare e per dormire. Il morale oscillava tra la paura e la determinazione, tutti sapevano in quali pericoli sarebbero incorsi, ma pochi ne avevano effettivamente preso coscienza. Inoltre l’atmosfera diveniva tesa ogni volta che ad Alhara veniva affidato un turno di guardia insieme al principe di Bosco Atro oppure all’Uomo di Gondor: il primo nutriva ancora troppo rancore per far sì che la minaccia di Sauron appianasse ogni divergenza, mentre il secondo dubitava fortemente che la presenza di una donna nella Compagnia fosse un valore aggiunto. L’Haradrim, dal canto suo, era stanca sia delle continue occhiate accusatorie dell’uno sia delle proteste dell’altro e nonostante cercasse in tutti i modi di non farsi prendere dall’ira era convinta che bisognasse concludere quella faccenda al più presto se volevano portare a termine la missione.

Erano passati dieci giorni dalla partenza e Gandalf, che guidava il gruppo, li aveva condotti per riposare nei pressi di un’antica torre di vedetta di cui oramai rimanevano solo rovine: avevano marciato senza sosta tutta la giornata, erano tutti esausti ed i quattro Mezzuomini erano terribilmente affamati. Lo Stregone decise che avrebbero pernottato lì, era un rifugio abbastanza nascosto ed isolato e sarebbe andato bene per quella notte.

Il sole stava tramontando inondando l’Eriador4 di luce rossa e dorata, le colline brulle sembravano gemme di quarzo ed ematite mentre il boschetto di pini riluceva come smeraldo. Raggiunta la destinazione Sam lasciò pascolare il piccolo pony bruno davanti all’entrata mentre lui armeggiava con le varie bisacce da cui trasse fuori la rustica cena di quel giorno: pane, formaggio e carne secca. Frodo ed Aragorn presero un paio di mantelli per usarli come rudimentali giacigli, Merry e Pipino erano crollati sull’erba esausti mentre Ghimli il nano narrava loro delle grandi città sotterranee della sua gente. Mithrandir e Legolas iniziarono a consultare una mappa discutendo su quale fosse la via migliore da percorrere mentre Boromir uscì per cercare legna. Alhara decise che era giunto il momento di porre fine ai dissapori col Gondoriano e lo seguì nella vicina pineta. Lo trovò che stava spaccando col lungo spadone a due mani un robusto ramo, troppo grande da portare intero, e risoluta lo raggiunse. L’uomo sentendo i passi della giovane cessò il suo lavoro e si voltò verso di lei abbozzando un ghigno. “Bene, bene, bene, la fanciulla vuole tagliare la legna? Sai Donna, dovresti essere al campo a cucinare per noi.” Esclamò ironico. L’Haradrim placò a stento un moto di rabbia e riacquistata la calma rispose:”Ascolta Uomo di Gondor, io non mi sono unita alla Compagnia per farmi insultare. Lo so, sono una donna, ma sono potente, molto potente, talmente tanto che basterebbe uno schiocco di dita per ridurti letteralmente in cenere. Tuttavia ho altro di cui preoccuparmi ed anche tu: Sauron deve essere sconfitto e se noi continuiamo a litigare e ad insultarci a vicenda non riusciremo mai a vincere. Poco importa se continui a pensare che non sono adatta a tutto questo: tu non conosci il mio passato, non sai niente di me e della mia gente.” L’uomo la guardò a lungo: il volto, incorniciato dai lunghi capelli ricci, era teso, i grandi occhi scarlatti brillavano di una luce sinistra, il suo intero corpo, rivestito dell’armatura blu notte e argento, era scosso da leggeri tremori; non era fatta per la guerra e non sarebbe durata a lungo, pensò e posato a terra il ramo le si avvicinò dicendo: “Presta molta attenzione alle mie parole Donna, perché non mi ripeterò: le fanciulle non sono fatte per impugnare spada e scudo, guardati tremi come una foglia! Sarai anche l’essere più potente di tutta la terra ma resti comunque una donna e lo sanno tutti che le donne devono rimanere a casa ad occuparsi dei figli e del marito.” Finì sibilando Boromir. Alhara non riuscì più a trattenersi e lasciò che fosse l’indignazione a parlare per lei: “Sta bene. Non ricordavo che la razza degli Uomini avesse tra le sue fila un rappresentante così ottuso! Ma seguirò il tuo consiglio: mi occuperò dei miei affari e quando ti troverai ad un passo dalla morte, guarda verso di me perché sarò lì ad aiutarla!” sputò con disprezzo e quasi urlando la giovane. Girò i tacchi e se ne tornò al campo in preda all’ira lasciando l’uomo basito da quella risposta. Giunta di fronte all’entrata si ritrovò davanti il principe di Bosco Atro che la fissò truce prima di esclamare cupo:” Vedo che ancora riesci a dominare i tuoi impulsi, Flagello di Lorien. E’ un miracolo che il figlio del Sovrintendente sia ancora vivo- si fermò accennando al braccio destro della donna che era avvolto dalle fiamme. Alhara se ne accorse e con un gesto spense il fuoco; Legolas, non contento, continuò- Tutto era iniziato in questo modo: una piccola scintilla, un bosco e una principessa del Raj che non riusciva a controllare il suo grande potere. Rimembri come si è concluso? Morte, sangue, urla…” “ADESSO BASTA!” urlò l’Haradrim scagliando contro l’elfo una palla di fuoco che mancò il bersaglio e svanì in una nuvola di fumo. L’arciere scosse la testa e rientrò nella torre. Attirati dal trambusto gli altri membri della Compagnia corsero fuori dal nascondiglio e trovarono la donna tremante, le mani sulla bocca a coprire un “Mi dispiace, mi dispiace tanto”, gli occhi lucidi e vacui, come se stesse rivivendo un triste ricordo. Aragorn, capita la gravità della situazione e scambiato un cenno con Gandalf, fece tornare tutti dentro il rudere. Alahara affranta ed abbattuta si sistemò a pochi metri dall’ingresso, aprì la mano e dal palmo nacque una piccola fiamma che divenne una sfera luminosa volante, a mo’ di lanterna. Stanca chiuse gli occhi e sospirò; come aveva potuto lasciarsi prendere dalla rabbia al punto da attaccare Legolas?! Tutti gli sforzi di quell’ultimo anno, tutti gli esercizi, gli insegnamenti si erano dissolti come neve davanti alle accuse dell’elfo. Si morse il labbro inferiore cercando di non piangere, mancava solo che la Compagnia la vedesse come una bambina piagnucolosa, la beffa al danno. Assorta in quei pensieri, non si accorse dell’Uomo di Gondor che tornava dal bosco con la legna per il fuoco. “E’ opera tua?” chiese Boromir riferendosi alla sfera e destando Alhara dal torpore in cui era caduta. Lei lo guardò interrogativa per qualche secondo poi incerta rispose:” Sì, è opera mia. Non dovresti essere così sorpreso, in fondo sono solo una donna.” Finì con una punta di sarcasmo nella voce. Il cavaliere annuì distratto e passò oltre entrando nella torre.

Il giorno aveva lasciato da un paio d’ore il posto alla notte: il cielo era trapuntato di stelle e una timida falce di luna faceva capolino da una grande nuvola scura. Si era levato un leggero vento e di tanto in tanto si udiva l’ululato di un lupo solitario. Alhara rabbrividì e si portò le ginocchia al petto, aveva fame ma non sarebbe mai rientrata nel rudere, non dopo quello che era successo. Sussultò quando la figura minuta di Frodo Baggins le si palesò di fronte, lo Hobbit sorrise e si sedette vicino a lei porgendole una grande razione della cena. L’Haradrim lo guardò riconoscente e si gettò vorace sul cibo. “Questo è da parte di Sam, non vuole che tu rimanga senza mangiare ed io sono d’accordo con lui, in più non dovresti stare da sola.” Affermò timidamente il Portatore dell’Anello. La donna gli sorrise grata, non conosceva bene la cultura dei Mezzuomini ma non c’era voluto molto per comprendere che fossero un popolo cordiale e pacifico, il migliore tra tutte le razze. Rimasero in silenzio a contemplare il cielo stellato finché il resto degli Hobbit non ruzzolò fuori dalla torre rompendo quell’atmosfera serena. “Sai Pipino, non è il caso che Dama Alhara sia qui fuori da sola, bisogna che qualcuno stia con lei per proteggerla!” esclamò galante Merry piazzandosi di fronte alla giovane. “Ma Merry, c’è già Frodo con lei!” lo rimbeccò Pipino sedendosi di fianco all’amico. Meriadoc levò gli occhi al celo stizzito e facendo cenno a Sam di accomodarsi esclamò sornione:” Hai ragione, ma sono sicuro che la Signora non ha mai avuto a che fare con la proverbiale ospitalità Hobbit, è ora di rimediare!” “Non considerate questi perdigiorno Vossignoria, avete mangiato?” chiese premuroso Sam Gamgee. Alhara rise divertita e rincuorata da tanta allegria e rispose:” Vi ringrazio Mastri Hobbit, ho mangiato e il valoroso Frodo ha vegliato su di me fino al vostro arrivo.” Lo Hobbit in questione gongolò soddisfatto scoccando un’occhiata complice ai suoi amici. Merry rispose con una smorfia, poi acquistata una particolare aria curiosa chiese:” C’è una cosa che vorrei sapere, se non sono troppo indiscreto, ma da dove vieni di preciso? Sai, non si vedono molti Uomini dalla pelle così scura...”finì bofonchiando e arrossendo. L’Haradrim raddrizzò la schiena e facendo segno di mettersi comodi rispose: ”Tranquillo Merry, sono felice di poter parlare della mia terra. Da dove potrei iniziare? Mmh, bene, io provengo dall’ Harad una regione a Sud della Terra di Mezzo, più precisamente dal Sultanato del Raj, un regno ancora più a Sud, nel Lontano Harad. Sapete è una terra antica e magica: sconfinati deserti, tramonti che incendiano il cielo, grandi città dalle cupole d’oro. L'aria profuma di spezie e incenso e la notte si può udire una dolce musica, come se il vento volesse augurarti la buonanotte. Lì fa davvero molto caldo e il mio popolo, per non essere bruciato dai raggi del sole, ha la pelle molto scura.” Si fermò per ammirare soddisfatta i quattro Mezzuomini: avevano gli occhi sgranati e Sam aveva un’aria sognante che rendeva il suo viso rubicondo ancor più dolce. Sorrise e riprese a narrare delle bellezze dell’Harad fino a che i suoi ascoltatori non iniziarono a dar segni di stanchezza ed uno dopo l’altro crollarono in un sonno profondo. Alhara sospirò serena: per un po’ aveva dimenticato l’incidente con Legolas, i suoi poteri e la minaccia di Sauron, era davvero grata a quelle piccole creature. Con un gesto della mano ingrandì la sfera di fuoco e osservò l’intricato arabesco rosso che compariva sulla sua pelle ogni volta che ricorreva al Fuoco di Varda. Si sistemò meglio contro la parete della torre e si preparò a vegliare sugli Hobbit per tutta la notte; come se avesse intuito le sue intenzioni Mithrandir si affacciò fuori dal rudere. “Come ti senti ora, bambina?” chiese paterno lo Stregone ma alla vista dei quattro addormentati il suo volto si rilassò e sorridendo continuò:” Vedo che sei stata in ottima compagnia. Rimarrai con loro per tutta la notte, non è così?” L’Haradrim annuì e sorridendo rispose:” Mi hanno sommersa di domande sul mio paese finché il sonno non li ha vinti. Il primo turno di guardia è mio, devo assicurarmi che abbiano un buon risveglio domani mattina.” Finì ridendo sommessamente. Il mago sorrise e si sedette su un masso accanto a lei, prese la sua fidata pipa e iniziò a fumare. Avrebbero trascorso insieme il turno di guardia. La notte si prospettava tranquilla, era il giorno che lo preoccupava.

1) Altro nome di Gran Burrone.

2) Femminile di Valar.

3) Erano la più grande catena montuosa della Terra di Mezzo nord-occidentale, che, estendendosi da nord verso sud, per una lunghezza superiore alle mille miglia, separava le vaste distese dell'Eriador e del Rhovanion, le terre selvagge.

4) È la vasta area della Terra di Mezzo compresa tra i Monti Brumosi e i Monti Azzurri. Questo nome, infatti, significa Terra tra le Montagne. È una landa scarsamente abitata, ma in ere precedenti ospitava diversi regni, poi decaduti o distrutti.

_________Angolino dell’Autrice_________

Eccoci qua con il primo capitolo di passaggio (perdonate l’obbrobrio che è uscito, ma non sono molto ferrata in questo tipo di capitoli), Alhara inizia a mostrare i suoi pregi e i suoi difetti e si accenna al perché a Legolas non vada proprio a genio. Il prossimo capitolo sarà una piccola sorpresa…

Ringrazio Knight_7, dreamy_Allis, per aver messo la mia storiella tra le seguite ed IlaryCobain per averla messa tra le ricordate. Al prossimo aggiornamento(spero prestissimo),

Yavanna97

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Capitolo 6
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

Il vento sferzava impietoso la distesa brulla sollevando sabbia e cenere; il cielo era scuro, senza stelle, solo una pallida luna osava rischiarare quella cupa notte. La fortezza era stranamente silenziosa, all’apparenza disabitata, solo lo sventolio degli stendardi e i passi pesanti e cadenzati delle guardie mostravano quanto in realtà quell’impressione fosse errata.

Dalla balconata dei suoi alloggi il Cinereo osservava compiaciuto i suoi domini illuminati dalla luce spettrale: una grande spianata arida punteggiata da case piccole e basse, edifici diroccati un tempo splendidi, i resti di un mercato coperto, tutto racchiuso in alte mura crollate in diversi punti. Sorrise, scoprendo i denti appuntiti e passò in rassegna al campo militare che i suoi avevano allestito ai piedi del forte: il giorno seguente, alle prime luci del mattino, avrebbero lasciato l’Harad e sarebbero partiti per il Nord. Si prospettava una lunga traversata piena di pericoli, primo fra tutti le forze congiunte di D’hira e del Raj. “Patetico- pensò stringendo più forte la balaustra in pietra bruna- credono davvero di ostacolarmi, quel moccioso e suo zio la pagheranno cara appena avrò finito con Lei!” si interruppe poiché aveva rotto una parte della struttura tanta era stata la forza impiegata, stizzito gettò al vento i detriti e a passo spedito rientrò nelle sue stanze. Si massaggiò la mandibola squadrata: desiderava la compagnia di una della concubine, avrebbe alleviato la tensione e lui amava intrattenersi con così piacevoli occupazioni, ma non quella notte. Quella notte aveva visite e doveva cercare di apparire lucido e potente e farsi trovare con una di loro non avrebbe giocato a suo vantaggio con l’ospite che sarebbe giunto. Si avvicinò pensieroso alla grande cassapanca su cui era sistemata la sua spada: una lunga scimitarra dalla lama affilata e ricoperta di scritte in D’hirano. L’elsa era impreziosita da gemme che rilucevano come stelle mentre la lama era di un inquietante rosso che virava al nero, testimonianza della sua ferocia in battaglia: quel particolare colore derivava dalla pelle della sua prima vittima, scuoiata, trattata e utilizzata come metallo. In tutto l’Harad era noto che i Cinerei fossero composti da un materiale duro e resistente, secondo solo al Mithril1 ,era praticamente impossibile ferire o uccidere un Demone senza un’arma forgiata con l’Argento di Moria o con la loro stessa pelle. Il sovrano sollevò la spada e presa una pietra si sedette per affilarla: lo calmava e gli permetteva di riflettere.

Dopo qualche passata si specchiò nella lama affilata e vide un possente Demone di Fuoco: il viso spigoloso era deturpato dalla mancanza di alcune protuberanze oltre la fronte, gli occhi senza pupille erano di un insolito color ambra, così come l’intero corpo era di un insano grigio invece del nero e del rosso scuro tipico della sua gente. Il petto ampio era solcato da molte cicatrici e la schiena era coperta da un intrico di tatuaggi tribali, memorie di un passato che non esisteva più. Si alzò sdegnato, ripose con cura Kukata Tamaa2 ,la sua scimitarra, chiuse la mano destra in un pugno ed essa fu subito circondata da fiamme nere come la notte, si concentrò ed anche il resto del corpo fu avvolto dalle stesse fiamme.

Jua Akifa, il Sole che Muore, questo era il suo nome da oltre un migliaio di anni, nome che incuteva terrore al solo pronunciarlo, che veniva sussurrato da bambini tremanti e da donne in lacrime, che veniva sputato dagli uomini, che veniva urlato dai suoi soldati. Il fuoco nero era il suo marchio, ovunque andasse fiamme oscure lo seguivano portando morte e distruzione. Era stato per millenni l’essere più potente della terra, acclamato, onorato, considerato al pari del re e da lui temuto, era il Kayla e niente lo avrebbe sconfitto. Prese possesso di D’hira con la forza e la guidò in una nuova era di prosperità e terrore, chi non lo soddisfaceva moriva e pochi potevano vantare di essere tra i suoi favoriti. Per anni ed anni venne quasi venerato come un dio e lui si comportava come tale: aveva il diritto su tutto, vita, morte, amore e odio; la sua parola era legge e le sue azioni leggenda. Conquistò tutto l’Estremo e il Lontano Harad gettando il mondo in una notte senza fine: re, capi tribù, sultani, califfi, tutti si prostravano devoti e tremanti ai suoi piedi, tutti tranne Lui!

Utamu l’Antico, Utamu il Liberatore, così lo chiamavano, Utamu il Pazzo, lo avrebbe definito lui, l’unico così folle da sfidarlo. Combatterono a lungo e strenuamente, il Pazzo aveva riunito un manipolo di Cinerei e di uomini per contrastarlo, ma niente potevano contro le fiamme distruttrici del Sole che Muore, finché non chiesero aiuto ai Valar. Varda udì le loro preghiere e decise di porre fine al delirio di onnipotenza del Kayla: lo marchiò per tutta la vita. Il suo corpo perse la luce e divenne grigio, le sue fiamme divennero nere come la sua anima e la forza venne dimezzata. Era diventato un reietto, un cancro da estirpare e la Valië lo aveva reso un mostro agli occhi dei mostri. Il suo esercito gli si rivoltò contro, ribellioni scoppiarono in ogni territorio conquistato, le popolazioni insorgevano e combattevano. Fu scacciato insieme ai pochi fedelissimi del suo esercito e fuggì a Sud della Landa di Fuoco dove costruì un nuovo regno, ritirandosi per accumulare potere. Era stato privato di tutto: ricchezza, energia, persino il suo vero nome era stato dimenticato e nemmeno lui riusciva a rammentarlo.

Sbatté violentemente i pugni sul sontuoso letto rompendolo, stizzito lanciò una palla di nero fuoco e lo ridusse in cenere: portare alla memoria il sapore acre della sconfitta subita lo lasciava spossato e in preda all’ira. Cercò di dominarsi, doveva placare la rabbia per non innervosire il suo ospite che, tra l’altro era in forte ritardo. Il Messo aveva annunciato tramite un corvo nero come la pece che sarebbe arrivato al calar delle tenebre, quello stesso giorno, tuttavia era oramai passata la mezzanotte e di lui nessuna traccia. Jua Akifa temeva che fosse venuto meno alla parola data privandolo dei benefici che la loro alleanza avrebbe portato con sé: la forza necessaria per sconfiggere, anzi uccidere l’unica persona che ostacolava i suoi sogni di conquista, Alhara la Mezzodemone.

Un rumore lo fece sobbalzare, una delle guardie aveva bussato al grande portone metallico annunciando che la Bocca di Sauron era finalmente giunta. Il Cinereo ghignò soddisfatto, pregustando l’esito di quel colloquio. Aprì il pesante portone e ordinò alla guardia di far accomodare l’illustre ospite nella sala dei Concili, poi indossò l’armatura argentata e raggiunse la sala di gran carriera.

Il luogo d’incontro era una stanza circolare dalle pareti alte e scure, fiaccole di surreale fuoco nero illuminavano debolmente l’ambiente, intervallate ad esse c’erano lunghe picche metalliche su cui il sovrano aveva fatto infilzare le teste mozzate dei suoi nemici, macabri trofei delle sue vittorie. Al centro troneggiava un grande tavolo di legno scuro con diverse sedie disposte intorno, accomodato su una di queste c’era una figura, le lunghe dita scheletriche tamburellavano ritmicamente sul legno. Il Cinereo congedò in malo modo le guardie rimanendo solo col nuovo arrivato, incrociò le braccia dietro la schiena, si avvolse di fiamme oscure ed esclamò:” Benvenuto nella mia umile dimora, Voce di Sauron, spero che la traversata dell’Harad non vi abbia stancato perché avremo molto di cui discutere” Il Nùmenoreano Nero3 si alzò lentamente dallo scranno e si voltò verso l’interlocutore rivelando un uomo dalla statura imponente completamente ammantato in una tunica nera da cui spuntavano due braccia ossute rivestite di stoffa, solo le dita delle mani, bianche e scheletriche, erano scoperte. Tuttavia era il volto che lasciò sconcertato il Sole che Muore: di esso si vedeva solo la bocca poiché il resto era celato da un grande elmo di metallo nero che alla sommità presentava punte e aculei. La pelle vicino la bocca era pallida, le labbra erano piene di taglie incrostati di sangue scuro, da esse spuntavano due file di denti marci e appuntiti, personificazioni delle blasfemie dette. Il Messo si avvicinò lentamente in maniera sinuosa, quasi come se fosse un serpente pronto a scattare e a divorare la sua preda, si posizionò davanti al Demone e parlò, la voce cavernosa e stridula al contempo:” Non è bene mancare di rispetto agli ospiti, Demone di Fuoco, soprattutto se da essi dipende il vostro futuro. Ciò nondimeno lascerò cadere le vostre provocazioni per rassicurarvi: il mio Padrone intende rispettare l’accordo. Domani stesso partirete per Mordor con i migliori guerrieri e all' arrivo vi sarà affidato un reparto per ultimare il vostro proposito.” Finì ghignando e scoprendo i denti marci. Il Cinereo sorrise a sua volta e soddisfatto chiese:” Mi sarà assicurata carta bianca per stanare e uccidere la Mezzodemone? Non tollererò intromissioni di sorta: solo dopo che le avrò estirpato anche l’ultimo brandello di vita e di potere parteciperò alla vostra causa.” La Bocca ghignò ancora e con un movimento rapido agguantò il sovrano per il collo e lo sbatté con violenza contro il muro, il Demone strizzò gli occhi per il dolore e boccheggiò in cerca di aria. La presa del Nùmenoreano Nero era estremamente forte e salda, per liberarsi aumentò l’intensità della fiamme, ma l’altro non ne fu scalfito, anzi si avvicinò all’orecchio del re e sibilò:” Non sei tu a dettare le regole, feccia immonda! Ringrazia che il mio Padrone ti lasci assaporare un granello della sua forza senza che esso ti annienti. Ogni tua azione deve essere volta alla vittoria di Sauron, se troverai ed ucciderai il nemico sarà solo grazie a Lui. Che sia ben chiaro,Dannato!” e conclusa la minaccia lo lasciò. Jua Akifa tossì e si massaggiò il collo ora libero dalle fiamme. Ghignò, non contava che fosse diventato servo dell’Oscuro Sire, l’importante è che si sarebbe riappropriato di ciò che era suo: il potere assoluto. Si avvicinò alla Voce e gli porse la mano sentenziando:” Perfetto, questo sodalizio sarà molto proficuo!” L’altro gliela strinse sussurrando con voce roca e stridula:”Non sai quanto!”

L’alleanza era stata stretta.

 

1)Detto anche Argentovero o Argento di Moria, è un metallo descritto come un "metallo elfico" (forgiato dagli Elfi), dotato di particolari proprietà magiche tali da renderlo estremamente resistente e al tempo stesso leggerissimo. I maggiori esperti nella lavorazione del Mithril erano però i Nani.  

2)In Swahili significa “Disperazione”.

3)Erano dei Numenoreani (e successivamente i loro discendenti) che furono corrotti da Sauron durante la Caduta di Numenor, e seguirono il re Ar-Pharazôn nella guerra contro Valinor. Durante la Terza Era questi vivono in varie zone della Terra di mezzo, molti trovarono spazio nel regno di Angmar.

 

_______Cantuccio dell’Autrice_________

SORPRESA! Con questo capitolo ho voluto presentare il peggior nemico di Alhara: Jua Akifa. Ho raccontato solo una parte della sua storia, che approfondirò in seguito con altri capitolo (pochi) su di lui. Spero vi abbia incuriosito e che almeno un pochettinoinoinoinoino vi sia piaciuto. Ringrazio valepassion95 per aver inserito il mio scarabocchio tra le seguite e ringrazio chiunque recensisca.

A molto presto (spero),

Yavanna97

 PS- Mi potreste dire come caricare i disegni con html? Grazie perchè io ci sto combattendo da tre settimane T.T

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Capitolo 7
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

Si aggirava inquieta tra i vicoli della cittadella, le alte mura sembravano soffocarla. Faceva caldo, molto caldo. Non si udiva nessun rumore, l’aria era pesante e ferma. D’un tratto tutto fu avvolto da fiamme nere come la notte, la giovane venne circondata mentre intorno si udivano pianti, grida e gemiti. Una lenta nenia iniziò a risuonare stridula: ”Corri, corri, non ti fermare. Dolore, morte, sangue per le strade. Scappa, bambina, non farti trovare: il Mostro è affamato e non si può saziare!” Il fuoco si dissolse e al suo posto comparvero centinaia di volti carbonizzati, la nenia continuava sempre più veloce, i volti si avvicinavano. Aveva paura, iniziò ad urlare, a chiedere aiuto ma nessuno la poteva sentire…

“Alhara, che succede? Stai tremando. Svegliati!” le parole di Ghimli, figlio di Gloin, riscossero la donna dall’incubo e la riportarono alla realtà. Aveva dormito poco negli ultimi giorni: da quel piccolo scontro con Legolas gli incubi erano tornati a tormentarla più vividi che mai. Rassicurò il Nano che, dopo aver grugnito qualcosa sui sogni e sul loro reale significato, si rimise a dormire: mancavano un paio d’ore all’alba e non le avrebbe sprecate rimanendo sveglio. La giovane si mise a sedere osservando i resti del fuoco che li aveva riscaldati durante la notte, erano passati cinque giorni dall’ultima volta che aveva parlato con l’Elfo e la cosa la irritava oltremodo: non voleva che la Compagnia la considerasse una mina vagante, avrebbe dimostrato loro che il suo contributo era importante per la riuscita della missione. Sospirò stizzita e si passò una mano sul viso imperlato di sudore, fece scorrere lo sguardo sull’accampamento improvvisato e i suoi occhi, abituatisi alla poca luce, scorsero la figura curva di Mithrandir. Sorrise e, facendo attenzione a non svegliare nessuno, raggiunse lo Stregone. Si sedette accanto a lui ed insieme aspettarono il sorgere del sole.

L’alba giunse colorando l’Eriador di tenui sfumature rosate, gialle e arancio. Timidi raggi di luce facevano risplendere le gocce di rugiada come diamanti. Pian piano il bosco si destava animandosi dei cinguettii degli uccelli e dei fruscii prodotti dai piccoli animali che si affacciavano ad un nuovo giorno. Alhara si beò di quell’atmosfera calma e serena, sarebbe stata un caro ricordo quando le forze di Mordor li avrebbero trovati e attaccati.

Fu il Mago a parlare per primo dando voce alla domanda che aleggiava silenziosa tra loro:”Hai di nuovo avuto gli incubi questa notte, non è così?” La donna stirò le labbra e rispose senza staccare gli occhi dall’apertura tra gli alberi da cui si scorgeva l’orizzonte: “E’ sempre lo stesso sogno, solo in forma diversa. Sono cinque notti che non mi dà pace. Ho un brutto presentimento Mithrandir.” L’altro annuì pensieroso, poi si alzò esclamando:” Non lasciare che le ombre del tuo passato offuschino la luce del tuo presente ed il sole del tuo futuro. Vieni con me, dobbiamo destare gli altri, ci aspetta una lunga marcia.” Alhara sorrise tra sé: le parole del mago riuscivano sempre a rincuorarla. Si alzò e lo aiutò a svegliare gli altri membri, ultimati i pochi preparativi partirono.

La mattinata volò accompagnata dalle innumerevoli domande che i quattro Mezzuomini rivolgevano all’Haradrim. Avevano trovato un nuovo passatempo ed erano molto curiosi: volevano sapere tutto su quella terra sconosciuta e misteriosa che era l’Harad. La giovane era felice di poterli accontentare e dopo un po’ la loro allegria la contagiò facendole accantonare il ricordo di quel terribile incubo.

Quando il sole fu alto nel cielo e l’aria più calda la Compagnia si fermò per riposare e dissetarsi: avevano trovato un piccolo rivo che scorreva placido tra le rocce e ne avrebbero approfittato per riempire le borracce. L’Haradrim bevve a grandi sorsi ristorata dalla freschezza dell’acqua, dopo iniziò a sciacquarsi il viso: tutta la stanchezza e l’ansia scivolarono via in un secondo. “Allora, Haradrim, mi vuoi dire cosa hai sognato questa notte di così brutto da farti svegliare madida di sudore e tremante?” la voce burbera ma seriamente preoccupata di Ghimli attirò la sua attenzione. Si girò verso il suo interlocutore e incerta raccontò degli incubi che la tormentavano, omettendo il vero motivo per cui non riusciva a scacciare dalla mente quelle immagini: faticava ancora a parlare del suo passato. Con un cenno d’assenso e una pacca sulla spalla il Nano la lasciò sola. Era stato molto gentile a preoccuparsi per lei, sorrise: del resto non tutti la consideravano inutile. Dopo una mezz’ora, la Compagnia dell’Anello ripartì col cuore più leggero.

Il sole si stava abbassando quando Mithrandir fece segno di fermarsi. Si accamparono su un terrapieno roccioso delimitato da piccoli arbusti. Sam assicurò il fidato pony e iniziò ad accendere uno scoppiettante fuoco mentre lo Stregone discuteva col Nano sulla strada da percorrere. “Seguiremo questa direzione ad Ovest delle Montagne Nebbiose per quaranta giorni. Se la fortuna ci assiste, la Breccia di Rohan sarà ancora aperta e da lì volteremo verso Est, per Mordor.” Ghimli scosse la testa irritato e replicò:” Se qualcuno chiedesse la mia opinione, e noto che nessuno la chiede, direi che abbiamo preso la strada più lunga. Gandalf, potremmo attraversare le Miniere di Moria1. Mio cugino Balin1a ci darebbe un benvenuto regale.” Finì con occhi sognanti ricordano la grandezza del suo regno. Il mago rispose che avrebbe preso quella strada solo se costretto lasciando il Nano deluso.

I Dieci stavano assaporando con gusto il pranzo preparato accuratamente da Sam, Frodo era seduto su un grande masso e osservava Boromir dare lezioni di scherma a Merry e Pipino: l’ Uomo aveva stretto un particolare legame con quei due Hobbit, come se volesse proteggerli. Legolas scrutava l’orizzonte attento a cogliere ogni minimo segnale di pericolo, non bisognava mai abbassare la guardia. Alhara finì di mangiare e si sedette accanto ad Aragorn che, con un sorrisetto, dava consigli ai due improbabili allievi. Con un colpo più forte del previsto il Cavaliere disarmò Pipino che a sua volta lo colpì agli stinchi con un calcio, chiamò l’amico ed insieme si avventarono sul loro maestro al grido:” Per la Contea!” Ridendo Aragorn cercò di liberare l’altro dall’assalto dei Mezzuomini ma finì per essere attaccato lui stesso. Alhara decise di correre in aiuto dei due uomini urlando:”Carica!” e prese per le ascelle Merry mentre Pipino cercava di bloccare il Ramingo che non smetteva di ridere. In risposta i due Hobbit si scambiarono uno sguardo complice e presero la donna per la vita facendola rovinare a terra accanto al Gondoriano che tra una risatina e l’altra esclamava:” Mi arrendo, avete vinto.” Quell’atmosfera giocosa fu interrotta dalla domanda preoccupata di Sam: una strana nuvola nera si stava avvicinando lesta alla Compagnia. Legolas sbiancò di colpo e gridò allarmato:” I Crebain da Dunland2!” Compresa la minaccia tutti corsero ai ripari cancellando le loro tracce, spegnendo il fuoco e nascondendosi meglio che potevano. Pochi secondi dopo uno stormo di corvi neri piombò gracchiando sul terrapieno, Alhara chiuse gli occhi e si tappò le orecchie. Odiava i corvi: le ricordavano quando da bambina venne beccata da uno di loro, le lasciò ferite su tutto il viso. Accanto a lei l’Arciere osservava lo stormo con cipiglio severo, si girò verso la donna e le poggiò una mano sulla spalla: non sapeva perché ma vederla raggomitolata su sé stessa con gli occhi serrati e le mani premute convulsamente sulle orecchie come una bambina impaurita lo faceva sentire strano. Passato il pericolo uscirono tutti dal loro nascondiglio e osservando attentamente il cielo Gandalf parlò accigliato:” Spie di Saruman. Il passaggio a Sud è sorvegliato. Dobbiamo prendere il Passo di Caradhras3.”

La traversata risultò impervia: la neve era alta e fresca, i quattro Mezzuomini vi affondavano fino alla vita mentre gli altri fino alle ginocchia. L’unico a non avere problemi sembrava essere il principe del Reame Boscoso: i suoi piedi non affondavano e lui non sembrava avvertire la stanchezza. Alhara imprecò sotto voce: tutto quel freddo le faceva battere i denti e a poco serviva la sottile seppur calda aura di fuoco che si era creata attorno. Spaziò con lo sguardo concentrandosi sul paesaggio invernale: il sole faceva brillare la neve e la montagna come gemme, i suoni giungevano smorzati ed ovattati creando un’atmosfera quieta. Dopo un po’ raggiunsero un tratto più agevole e la Compagnia proseguì spedita finché il Portatore non ruzzolò all’indietro mentre scavalcava un masso, Aragorn si chinò per aiutarlo mentre lo Hobbit convulsamente si tastava il collo. Gli occhi si spalancarono quando non riconobbe la sensazione fredda dell’Anello contro la pelle. “Che strano destino. Dobbiamo provare tanti timori e dubbi per una cosa così piccola. Un oggettino...” esclamò Boromir con voce melliflua, osservava rapito il manufatto che aveva raccolto dalla neve. La Compagnia si voltò verso l’Uomo, la tensione si fece palpabile. “Boromir! Da' l'Anello a Frodo!” tuonò perentoria la voce di Aragorn. Il Gondoriano fu come riscosso da un sogno, si avvicinò incerto al Mezzuomo ed esclamò fin troppo noncurante:” Come desideri. Non mi interessa.” Diede l’oggetto allo Hobbit ,che subito lo mise al collo, e con un sorriso tirato gli scompigliò i folti ricci scuri. La tensione scomparve e la marcia riprese, nessuno però si accorse del fuoco che la Cinerea aveva evocato attorno al braccio.

Nubi scure e minacciose avanzavano nel cielo preannunciando una tempesta, i Dieci si strinsero nei loro mantelli preparandosi. Dapprima si alzò un forte vento freddo, poi si udì il rombo dei tuoni e infine scoppiò la tormenta. Arrancavano sferzati dal vento gelido e coperti dalla neve fino all’addome, i due Uomini avevano preso in braccio due Hobbit a testa, troppo bassi per proseguire senza affondare. Gandalf apriva la fila aiutandosi col suo bastone mentre Legolas, i cui piedi a stento lasciavano orme, tendeva le orecchie in cerca di rumori particolari: quella tempesta non era naturale. Si bloccò all’improvviso, ascoltò meglio e parlò:” C’è un’empia voce nell’aria” “E’ Saruman!” rispose irato lo Stregone: il traditore aveva scatenato la Montagna contro di lui. Con un boato sordo il costone soprastante crollò mancandoli per poco. “Vuole buttare giù la Montagna!-esclamò impaurito Aragorn, continuò- Gandalf, dobbiamo tornare indietro!” “NO!” urlò il Mago di rimando staccandosi dalla fila e impugnato il suo bordone iniziò a parlare recitando antiche e potenti formule. Lo Stregone Bianco non era il solo a saper usare la magia. Tuttavia a nulla valsero contro la forza di Saruman: un fulmine colpì la vetta del versante su cui si trovavano facendo franare la parete. Con un urlo Alhara evocò una cupola di fuoco che avvolse Aragorn e Boromir, i più vicini a lei, gli altri si protessero al meglio e dopo poco riemersero tutti, infreddoliti ma illesi.

“Dobbiamo abbandonare la montagna! Verso la Breccia di Rohan. Prendete la via Ovest per la mia città!” esclamò con una luce febbrile l’Uomo di Gondor. L’Haradrim con un gesto fece scomparire la cupola e allarmata ribatté:”La Breccia di Rohan ci porta troppo vicini a Isengard.” Ghimli si avvicinò ai due e replicò deciso:”Non possiamo passare sopra le Montagne. Passiamoci sotto! Attraverso le Miniere di Moria.” Al suono di quelle parole Gandalf si adombrò: temeva la furia di Saruman, ma temeva di più ciò che si annidava all’interno di Khazad-dûm4 … Ombra e Fiamme. Con un sospiro rassegnato si voltò verso Frodo scorgendo la paura nei suoi occhi azzurri:” Colui che porta l'Anello decida. Frodo?” Lo Hobbit in questione fece scorrere lo sguardo su tutti i membri della Compagnia come per infondersi coraggio,inspirò profondamente e rispose:” Attraverseremo le Miniere.” Mithrandir annuì, osservò il cielo plumbeo poi mesto rispose:”Così sia fatto.”

1) Le Miniere di Moria erano le più grandi miniere mai costruite dai nani, nonché uno dei loro reami più potenti e splendenti.

1a) Balin era uno dei dodici accompagnatori di Thorin Scudodiquercia e Bilbo Baggins nella Ricerca di Erebor. Era figlio di Fundin e fratello maggiore di Dwalin.

2) I Crebain (al singolare Craban) sono dei corvi che abitavano la terra del Dunland durante la Terza Era. Erano usati come servi e spie e in particolare furono usati da Saruman. Durante la guerra dell'Anello, uno stormo di Crebain fu mandato a cercare il Portatore dell'Anello. La parola Craban/Crebain è una parola Sindarin e significa per l'appunto "corvo".

3) Caradhras, chiamato anche Cornorosso , è uno dei più imponenti picchi delle Montagne Nebbiose. Si trova al di sopra del Passo Cornorosso, l'unico sentiero in superficie conosciuto attraverso le Montagne Nebbiose da Gran Burrone fino alla Breccia di Rohan.

4) Le Miniere di Moria sono anche note anche con il nome di Khazad-dum, il Reame di Nanosterro.

_____Angolino dell’Autrice che si cosparge il capo di cenere___

Hola! Scusate per l’enorme ritardo, ma questo capitolo è stato un parto podalico trigemellare con complicazioni. Ci ho messo molto perché volevo che uscisse decente, ma non sono sicura di aver raggiunto il mio obbiettivo.

Comunque, la storia inizia ad arrivare all’azione con l’entrata delle Miniere di Moria.

Ringrazio chi legge e chi recensisce, non siate timide! Si accettano tutte le recensioni, basta che siano costruttive ;)

A presto (‘sta volta sul serio)

Yavanna97

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Capitolo 8
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

Le tenebre erano calate da tempo quando la Compagnia dell’Anello raggiunse i Cancelli Occidentali1 . Gandalf aveva meditato sulla nuova meta per tutta la durata del cammino: si era ripromesso di non scendere in quei corridoi intricati a meno che non fosse stato obbligato. Eppure eccolo a guidare i Dieci attraverso i pendii delle Montagne Nebbiose2 per inoltrarsi nel maestoso quanto insidioso Reame nanico.

“Sembri nervoso Mithrandir, c’è qualcosa che dovremmo sapere?” chiese Alhara che aveva notato l’espressione angustiata del Mago. Sapeva che se era allarmato allora tutti dovevano stare all’erta: non bisognava mai trascurare l’istinto di un Istari3 . L’interpellato si voltò e stirò le labbra in un sorriso gelido:”Non preoccuparti amica mia, sono solo inquieto. I Nani hanno scavato a fondo e con avidità risvegliando creature che avrebbero dovuto restare nell’Ombra.”concluse enigmatico. La donna annuì pensierosa e fece vagare lo sguardo sul resto della Compagnia: erano provati dalla lunga e perigliosa traversata e pochi erano realmente consci della minaccia che li attendeva. Nemmeno lei ne era effettivamente consapevole.

La destinazione era stata ormai raggiunta: un ampio lato della montagna che dava su un lago dalle acque torbide e limacciose. “Oh, le mura di Moria.” Esclamò sognante Ghimli appena avvistati i Cancelli. Si avvicinarono all’alta fiancata rocciosa mentre il Nano faceva tintinnare la pesante ascia contro la parete borbottando:”Le Porte dei Nani sono invisibili se chiuse.” La giovane alzò un sopracciglio scettica: non aveva mai sentito parlare di porte invisibili e se davvero esistevano sarebbe stato arduo trovarle, non avevano molto tempo. “Sì Ghimli, i loro stessi padroni non le trovano se il segreto viene obliato.” Continuò il Mago mentre tastava accuratamente la nuda roccia con le mani. Legolas storse la bocca e mormorò sarcastico un “Perché questo non mi sorprende?!” facendo grugnire stizzito il nano. Era dal Consiglio di Elrond che quei due non smettevano punzecchiarsi a vicenda cogliendo ogni occasione per rivangare antiche offese. Tra le loro Razze non correva buon sangue e il rancore è duro a morire, di questo la Cinerea ne era ben consapevole. Percorsi una decina di metri Gandalf si fermò di fronte a quello che a prima vista sembrava solo roccia, si mise ad osservarla mormorando:”Dunque, vediamo... Ithildin. Riflette solo i raggi del sole e della luna.” Si voltò e dal cielo nero si palesò l’astro tanto sperato.

Uno dei suoi raggi illuminò il Mago e la parete rivelando un disegno che andava a comporre la Porta: due colonne avviluppate trai rami degli alberi sormontate da un’arcata che recava inscritte delle parole in Elfico. Sotto era stata incisa una corona circondata da sette stelle che simboleggiavano le stirpi di Durin. Alhara rimase a bocca aperta: era uno spettacolo meraviglioso quanto raro. Mithrandir sorrise soddisfatto vedendo lo stupore sul volto dei suoi Compagni, si allontanò dalla Porta e parlò:”C'è scritto: Le porte di Durin, Signore di Moria. Dite amici ed entrate.” “E che cosa vorrebbe dire?” chiese Merry osservando curioso sia l’Istari sia l’entrata nanica. “Oh, è semplice. Se uno è amico dice la parola magica e le porte si aprono.” Rispose sbrigativo e puntato il bastone contro la parete pronunciò solenne:”Annon Edhellen edro hi ammen! Ando Eldarinwa a lasta quettanya, Fenda Casarinwa!” La Compagnia trattenne il fiato aspettando che succedesse qualcosa, ma le Porte rimasero sigillate. “Non succede niente” esclamò noncurante Pipino. Gandalf lo fulminò con lo sguardo e prese a spingere con la spalla . Vedendo, però, che a nulla valevano i suoi sforzi si tirò indietro e sospirò affranto:”Una volta conoscevo gli incantesimi in tutte le lingue degli Elfi, Uomini e Orchi.” “Allora cosa farai?” chiese lo Hobbit osservando l’Entrata. Mithrandir si voltò verso di lui e sbottò irato:”Sbatti la testa contro queste Porte, Peregrino Tuc! Se questo non le fracassa, e mi viene dato un attimo di pace dalle domande sciocche, tenterò di trovare le parole giuste!" Il Mezzuomo in questione sbiancò dallo spavento e si nascose dietro ad Alhara che cercava di non sorridere: aveva visto spesso lo Stregone perdere la pazienza, ma mai in modo così comico. Si accorse che la stava guardando e recuperato il controllo tossì ed esclamò:”Credo che andrò ad accendere il fuoco. Ho come l’impressione che ne avrai per molto, amico mio.” Detto questo girò sui tacchi e iniziò a raccogliere rami secchi e canne rotte seguita a ruota dal resto della Compagnia. Solo Frodo Baggins rimase indietro a fare compagnia ad un Gandalf il cui morale oscillava tra l’affranto e l’irritato.

Dopo circa una mezz’ora la tetra entrata delle Miniere era rischiarata da una tenue luce. I tre Mezzuomini intrattenevano Alhara con racconti sulla Conte, la Cinerea pendeva letteralmente dalle loro labbra. Ghimli era impegnato in una discussione con Boromir su quale arma fosse la migliore tra ascia e spadone a due mani. Finita l’ultima storia Merry assunse un’aria inquisitoria e chiese alla giovane:”Alhara, perché Gandalf lo chiami Mithrandir? Non è un nome Elfico?” La donna fece per rispondere ma Legolas fu più veloce di lei. “E’ un nome Sindarin, una delle lingue della mia gente, significa: Grigio Pellegrino o Grigio Viandante.” “E nella tua lingua? Se esiste perché non lo usi?” chiese tutto d’un fiato Pipino che era intervenuto incuriosito dalle parole della giovane. L’Haradrim sorrise ad entrambi e rispose:”Nella mia terra esiste il nome Incanus, solo che ha molti significati. Lo si può interpretare come: Spia del Nord e quindi in maniera negativa oppure come Astuto Governatore oppure ancora Dalla barba bianca. Tuttavia preferisco l’ Elfico: il significato non si discosta molto e in D’hirano il nome sarebbe troppo lungo da pronunciare.” Concluse attizzando il fuoco mentre i due Mezzuomini la guardavano pensierosi. L’Arciere sorrise sghembo e chiese:”E quale sarebbe questo nome così esteso?” Alhara storse la bocca e parlò monocorde:”Gray Msafiri ambaye ana hekima katika macho yake ya kale4” Il Principe non rispose, alzò le sopracciglia e si allontanò.

Ultimata quella improbabile lezione Aragorn si mise in piedi facendo cenno a Sam di seguirlo, prese il fido destriero e iniziò a liberarlo dalle briglie. “Le miniere non sono adatte a un pony. Anche se è coraggioso come Bill.” Esclamò mettendo una mano sulla spalla dello Hobbit con fare premuroso. Sam osservò dispiaciuto il suo caro amico mentre incerto si incamminava trottando verso casa, non lo avrebbe più rivisto, ne era sicuro. “Addio Bill.” Sussurrò lo Hobbit mentre con una mano lo salutava mesto. La giovane allontanò gli occhi da quella scena dolce amara: Sam le faceva molta tenerezza col suo viso rubicondo e i riccioli biondi. Sentì un tonfo sospetto provenire dalla riva e vide i due combina guai della Compagnia che si divertivano a lanciare piccoli sassi nel lago. Non sapeva cosa celassero quelle acque scure ma era meglio non scoprirlo, così si alzò e affiancati i due Mezzuomini li prese per le spalle ordinando:” Non disturbate l’acqua. Ho un brutto presentimento…” Come a volerle dare conferma sinistre increspature iniziarono ad agitare il lago facendo avvicinare sospettosi Aragorn e Boromir.

Improvvisamente un rumore sordo e scricchiolante attirò l’attenzione di tutti: le Porte finalmente si schiudevano! Gandalf sorrise soddisfatto, prese una gemma dalla sua bisaccia e la incastonò sulla punta del bastone. I membri della Compagnia lo seguirono mentre si addentrava nel ventre oscuro della montagna. Ghimli era il più eccitato di tutti, si rivolse al Principe di Bosco Atro e assunta un’aria superiore esclamò:”Preso, Mastro Elfo, gusterai la leggendaria ospitalità dei Nani. Grandi falò, birra di malto, carne stagionata con l'osso! Questa, amico mio, è la casa di mio cugino Balin. E la chiamano una Miniera. Una Miniera!” “Non è una Miniera… E’una TOMBA!” soffiò scioccato Boromir, mentre uno dopo l’altro i Dieci osservavano i resti scheletrici di quella che doveva essere stata una battaglia cruenta.

C’erano corpi trafitti da frecce sparsi per tutto il pavimento, teschi che sembravano scrutarli dalle orbite vuote, mascelle spalancate come per invocare un aiuto che non sarebbe mai arrivato. Il Nano si portò le mani alla testa iniziando ad ululare sconsolato: aveva appena visto il massacro della sua gente. Legolas analizzò attentamente una delle frecce conficcatesi nei cadaveri e assunta un’espressione severa parlò:”I Goblin!” Quelle parole allarmarono la Compagnia: Aragorn e Boromir sguainarono i lunghi spadoni, l’Elfo incoccò una freccia e Alhara avvolse la sua letale scimitarra di fiamme. Passarono secondi interminabili in cui tutti scrutavano tesi il buio aspettando un attacco da ogni angolo. “Dirigiamoci alla Breccia di Rohan. Non saremmo mai dovuti venire qui. E ora andiamocene. FUORI!” ordinò il Gondoriano senza staccare gli occhi dalla scalinata cosparsa di cadaveri.

Un grido di paura fece voltare tutti verso i quattro Hobbit: Frodo era stato agguantato da un enorme tentacolo viscido. Sam spaventato urlò il nome dell’amico mentre quest’ultimo veniva sballottato in aria. Il Giardiniere di Casa Baggins armato di coraggio liberò il Portatore che venne trascinato al sicuro da Pipino. Il tentacolo ferito si ritirò nella acqua ma subito dopo ne spuntarono molti altri mentre dal centro del lago emergeva un enorme polpo grigio che spalancò la bocca irta di denti aguzzi in un ruggito raccapricciante. Era l’Osservatore: una delle creature marine al servizio di Sauron. Frodo gridò di nuovo mentre un’altra di quelle viscide appendici si stringeva alla sua vita portandolo in aria mentre i membri della Compagnia lottavano contro i tentacoli del mostro. Alhara aprì il palmo e lanciò una palla di fuoco contro il nemico che squittì dolorante, Aragorn mulinava la spada a destra e a manca così come Boromir mentre l’Arciere scagliava nubi di frecce. L’Haradrim vide lo Hobbit troppo vicino alle fauci dell’Osservatore e si lanciò contro il tentacolo che lo teneva intrappolato. Con un grido si ammantò di fiamme e lo bruciò completamente facendo cadere il Mezzuomo tra le braccia del Gondoriano. L’Uomo la guardò allibito e gridò:” Ma tu cosa diamine sei!?” La donna fece segno di tornare a riva mentre Mithrandir urlava di portarsi al sicuro.

Nel tumulto generale erano quasi giunti a destinazione quando il mostro avvolse la Cinerea con uno dei suoi tentacoli e la trascinò lontano. Il Nano recise con l’ascia l’appendice liberandola ma facendola cadere in acqua. Alhara iniziò ad agitare le braccia affondando sempre di più. Gli occhi scarlatti videro la figura di Legolas che si avvicinava e rincuorata iniziò a chiamarlo e a chiedere aiuto. Il Principe Elfico si fermò a qualche metro da lei mentre tutt’intorno infuriava la battaglia. La Cinerea urlò ancora, ma l’Elfo si girò e tornò a riva. La donna annaspò ingoiando acqua torbida mentre pian piano i suoi movimenti si facevano più lenti. Sarebbe morta, annegata in un lago scuro senza poter combattere, senza poter sconfiggere Jua Akifa o Sauron. Inutile, era stato tutto inutile. Il buio la avvolse, il freddo scomparve lasciando il posto ad un inquietante tepore…

Due mani callose l’afferrarono riportandola in superficie e trascinandola a riva: Aragorn si era tuffato e l’aveva recuperata salvandole la vita. “Correte! Nella Miniera!” ordinò il Ramingo mentre, caricatosi Alhara sulla schiena, li precedeva nella caverna. Uno dopo l’altro tutti i membri lo raggiunsero nel momento esatto in cui l’Osservatore, nella sua furia distruttrice, faceva crollare i Cancelli. Erano bloccati nel Reame nanico. L’Erede di Isildur stese la giovane sul pavimento, Gandalf fece segno di allontanarsi mentre con un incantesimo le faceva riprendere conoscenza. La donna si girò su un fianco e sputò l’acqua limacciosa del lago tra i sospiri sollevati dei Dieci. “Hai fatto preoccupare questo povero vecchio, lo sai bambina?” le sussurrò lo Stregone mentre la aiutava ad alzarsi. Alhara stirò le labbra in un sorriso stanco: tremava, aveva freddo e il suo viso era diventato pallido. Incrociati gli occhi di Aragorn mormorò tra un colpo di tosse e l’altro:”Mimi deni wewe maisha yangu, ndugu yangu.5” L’uomo annuì sorridendo.

“Non abbiamo altra scelta. Dobbiamo affrontare le lunghe tenebre di Moria. State in guardia: ci sono cose più antiche e più malvagie degli Orchi nelle profondità della terra. Ora silenzio. È un viaggio di quattro giorni fino all'altra parte. Speriamo che la nostra presenza passi inosservata...” Raccomandò solenne il Mago mentre rischiarava col bordone la massiccia scalinata in pietra. La Compagnia si mise in marcia silenziosa e col cuore pesante: avrebbero passato quattro giorni nell’oscurità e nel pericolo… Bisognava restare vigili.

1) Le Porte di Durin, o Cancelli Occidentali, erano l'ingresso occidentale al regno di Khazad-dum. Furono costruiti nella Seconda Era quando i rapporti tra i Nani e gli Elfi erano maggiori di quanto non lo fossero mai stati.

2) Erano la più grande catena montuosa della Terra di Mezzo nord-occidentale, che, estendendosi da nord verso sud, per una lunghezza superiore alle mille miglia, separava le vaste distese dell'Eriador e del Rhovanion, le Terre Selvagge.

3) Gli Istari sono personaggi di Arda. Nella Terra di Mezzo vengono chiamati anche Stregoni o Maghi e i principali sono cinque: Saruman il Bianco, i due Stregoni Blu,Radagast il Bruno e Gandalf il Grigio. Appartengono alla razza dei Maiar, esseri semidivini, e formano tra loro un “Ordine”, l'Heren Istarion, di cui ogni membro si afferma in possesso di profonde cognizioni della storia e della natura della Terra di Mezzo.

4) “Grigio viandante che custodisce la saggezza nei suoi occhi antichi” in Swahili.

5) “Ti devo la vita, fratello mio.” In lingua Swahili.

____Angolo dell’esaurita Autrice_____

Eccoci qua con un nuovo capitolo… Sono stata più veloce di quanto pensassi, non abituatevi, non sarà sempre così… Muahahaha! Bando alle ciance: ci sono un bel po’ di avvenimenti qui.

Per prima cosa scopriamo perché Alhara utilizza l’Elfico al posto dell’Haradrim per chiamare Gandalf, poi abbiamo lo scontro con l’Osservatore e il gesto di Legolas. Non linciatemi, c’è un motivo a tutto questo, non si è incattivito di colpo.

Detto questo spero che vi piaccia e ringrazio chi legge, chi segue e chi recensisce.

A presto,

Yavanna97

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Capitolo 9
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

“Perché! Perché mi ha lasciata là a morire!?”continuava a chiedersi Alhara mentre insieme agli altri membri della Compagnia percorreva gli intricati e oscuri cunicoli di Moria. Le Miniere erano state scavate nella pietra nera e in ogni dove spiccavano rilievi geometrici e imponenti pilastri in netto contrasto con la desolazione e il pericolo che quel luogo trasmettevano.

Le scoppiava la testa: non riusciva ancora a metabolizzare lo scontro con l’Osservatore e il gesto di Legolas. L’aveva lasciata ad annegare nelle acque melmose del lago senza muovere un muscolo. Furiosa la Cinerea si soffermò sulla figura del Principe Elfico, un moto di delusione la invase quando incrociò i suoi occhi azzurri, scosse la testa e lo raggiunse decisa a chiarire la questione.“Perché.” Soffiò la giovane strattonando l’Arciere e trascinandolo lontano da tutti. Legolas si liberò il braccio in malo modo, le rivolse un’occhiata intimidatoria e accelerò il passo distanziandola.Davanti a quel muro di silenzio Alhara sentì la rabbia crescere, strinse così forte i pugni da far sbiancare le nocche e una debole lingua di fuoco avvolse le braccia. Accortasi di ciò distese le mani, sospirò e ristabilì il controllo facendo scomparire le fiamme. Inspirò profondamente e raggiunse di nuovo l’Elfo.

“Perché non parli?!” sussurrò cercando di non farsi udire da nessuno. L’interpellato si voltò verso l’Haradrim e la studiò a lungo: il viso stava riacquistando lentamente colore, un leggero taglio attraversava la guancia destra mentre gli occhi cremisi dardeggiavano come torce. I lunghi capelli corvini erano ancora umidi così come la leggera armatura. Era più bassa di lui di una decina di centimetri, sembrava una bambina: così fragile e debole, ma lui più di tutti sapeva quanto quella donna potesse essere distruttiva. Ne portava ancora i segni, impressi nella mente e nel corpo, continuavano a fare male dopo tanti anni…

“Allora? Credo di aver diritto almeno ad un cenno, una parola. Non penso ti costi tanto. Che c’è, non sono degna di spiegazioni!?” Le parole intrise di veleno della Cinerea lo riportarono alla realtà. Il Principe del Reame Boscoso indurì lo sguardo assumendo un’espressione distaccata. Al suo continuo e ostinato silenzio Alhara perse le staffe e piazzatasi davanti a lui esclamò:”Non pretendo molto: solo una risposta! Vorrei sapere perché una persona insieme alla quale rischio la vita mi ha voltato le spalle in modo così meschino! Mi avresti lasciata morire in un lago putrido.” Finì in un sussurro carico di amarezza e delusione. Legolas rimase interdetto per un paio di secondi e superatola si fermò dietro di lei. Inspirò e rispose mesto:”Vorrei saperlo anch’io…” e si allontanò di gran carriera.Era la verità: non sapeva perché non era intervenuto quando poteva, non sapeva perché non l’aveva salvata. Si era avvicinato, aveva addirittura incoccato una freccia, ma non l’aveva scagliata, non aveva fatto niente. La cosa che lo turbava, tuttavia, era l’assenza di rimorso: aveva visto la giovane affogare ma era bastato il ricordo di quella terribile notte per far indurire il suo cuore. Tutto quel dolore, le urla, la morte, il fuoco. Qualche secondo di più e il Flagello di Lorien non sarebbe più stato un pericolo per nessuno… L’Haradrim alzò interrogativa le scure sopracciglia e rimase immobile mentre il Principe riprendeva la marcia.

Le ore passavano lente e pesanti scandite solo dai passi dei Dieci. Il silenzio regnava sovrano insieme all’oscurità rischiarata soltanto dalla tenue luce del bordone di Gandalf e da un paio di sfere infuocate che Alhara aveva evocato. L’atmosfera era tesa e densa, la poca luce invece di infondere coraggio sembrava evocare mostri e orrori da ogni angolo buio, mentre sinistri fruscii e scricchiolii accompagnavano ogni movimento della Compagnia. La Cinerea era esterrefatta, furiosa e delusa dal comportamento dell’Elfo. Aveva iniziato a snocciolare imprecazioni che avrebbero fatto arrossire anche il più incallito dei Corsari di Umbar1 mandando in fumo il suo retaggio regale. Le parole di Legolas continuavano a ronzarle nella testa come mosche rendendola nervosa e intrattabile: rispondeva a monosillabi e lanciava occhiatacce a chiunque le si avvicinava. Voleva restare da sola, era meglio per tutti.

Era talmente persa nei suoi pensieri da non accorgersi che Boromir l’aveva affiancata e aveva iniziato a squadrarla da capo a piedi. Con un colpo di tosse attirò l’attenzione della giovane che, per risposta, assottigliò lo sguardo con fare minaccioso. “Che cosa sei, Donna? Ti hanno chiamata Cinerea, questo epiteto non mi è del tutto nuovo.” Esclamò l’Uomo di Gondor ghignando da sotto la sottile barba bionda. La donna si passò una mano sul volto tirato e allontanò i brutti pensieri come se fossero scure nubi temporalesche, si rivolse al suo interlocutore e rispose: ”Sono ciò che hai visto, Boromir figlio di Denethor. Il Fuoco fa parte di me, è un retaggio di mio padre- si fermò e prese aria, continuò- Sono parte Haradrim e parte Cinerea. Sono una Mezzodemone…” “Che cos’è una Mezzodemone?” chiese curioso Frodo Baggins catturando l’attenzione degli altri Hobbit che si avvicinarono alla giovane coi loro grandi occhi pieni di interesse, anche Ghimli rivolse ai due uno sguardo attento anche se velato da profondo dolore. Alhara deglutì e riprese a parlare mentre su di sé avvertiva gli sguardi di tutti:”I Cinerei sono Demoni, esseri ancestrali creati dai Valar per custodire un elemento della natura in particolare, in questo caso il Fuoco. Esistiamo da tempo immemore, siamo nati insieme agli Elfi che consideriamo come fratelli2- a quelle parole guardò di sottecchi Legolas che continuava imperterrito il suo tragitto- In tutta Arda, oltre ai Cinerei, esistono altre quattro grandi stirpi di Demoni ognuna legata ad un elemento specifico. I Sommersi, che vivono negli abissi più remoti dei mari e sono connessi all’acqua, i Portatempeste, abitanti dei cieli e custodi dei venti. I Caduti, schivi e pacifici, vivono nel cuore delle Montagne più impervie e sono legati alle rocce, un po’ come voi Nani.” Detto questo si rivolse a Ghimli sorridendo, l’interpellato chinò la testa in segno di rispetto e Alhara riprese la narrazione:” Per ultimi i Rampicanti, spietati assassini e subdoli ingannatori. Dimorano nelle profondità delle foreste, isolati da tutto e tutti. Sono i custodi di boschi, alberi e piante. Ora sapete da dove provengo, almeno per una metà.” Concluse osservando i volti dei suoi nuovi amici: i Mezzuomini la scandagliavano con lo sguardo cercando di vedere un segno della sua doppia natura, Boromir aveva sul viso un’espressione concentrata con le sopracciglia corrugate e i piccoli occhi verdi fissi sul cammino.

La Compagnia dell’Anello continuò silenziosa il suo cammino per ore attraversando robusti ponti di pietra e superando crepacci e voragini, antichi pozzi minerari. Ai muri erano poggiate scale di ferro oramai preda della ruggine, lanterne impolverate che pendevano come inquietanti lampadari. Martelli e scalpelli erano gettati a terra alla rinfusa impolverati ed arrugginiti: sembrava come il tempo si fosse fermato in un unico istante. Salita l’ennesima ripida rampa di scale Gandalf passò la mano su un lato solcato da venature bianche e lucenti, si fermò ed esclamò rivolgendosi a tutti:”La ricchezza di Moria non consisteva nell’oro o nei gioielli, ma nel Mithril.” Concluse illuminando con la magia il crepaccio sotto di loro: metri e metri di pareti scavate nella continua ricerca dell’Argentovero, i Dieci si sporsero per ammirare quello spettacolo sinistro e magnifico con le bocche spalancate e gli occhi che cercavano di scrutare nell’abisso. “Bilbo aveva una maglia di anelli in Mithril regalatagli da Thorin.” Continuò l’Istari mentre riprendevano il camino. “Un dono regale questo!” esclamò colpito Ghimli e lo Stregone proseguì nella sua riflessione:”Sì e non gliel’ho mai detto, ma il suo valore superava quello dell’intera Contea.” Frodo annuì pensieroso mentre con una mano si tastava la cotta di maglia che suo zio gli aveva donato, si sarebbe rivelata molto utile.

Il giorno e la notte si susseguivano senza che nessuno se ne rendesse conto: l’oscurità intorno a loro aveva attutito i sensi e fiaccato lo spirito. Dormivano poco e male con la costante sensazione di essere seguiti e osservati: era come se sentissero mille occhi puntati su di loro e i fruscii sembravano parole di una lingua terribile e maledetta. Alhara e Legolas non si rivolgevano più la parola da tre giorni salvo rari scambi di conversazione apatica e monosillabica, il morale era al minimo e tutti speravano di rivedere la luce del sole il più presto possibile. “Non ho memoria di questo posto…” mormorò Gandalf mentre uno dopo l’altro i Dieci si fermavano davanti ad una biforcazione: due tunnel identici intagliati nella scura pietra di Moria. Il Mago si tolse il cappello a punta e si sedette a meditare. Aragorn decise che era meglio fermarsi per riposare così allestì un piccolo campo sotto una grande roccia, gli altri membri lo seguirono, accesero il fuoco e aspettarono. Alhara si avvicinò all’Istari e insieme osservarono silenziosi la biforcazione. Fu lo Stregone prendere la parola, le rivolse uno sguardo dubbioso e chiese:”Cosa è successo con l’Osservatore? Non mentire, ti conosco e voglio la verità- si affrettò a parlare, evitando la risposta della giovane- Ho visto la scena, so che lui nutre ancora rancore nei tuoi confronti. Mi dispiace.” Concluse con una nota amara nella voce. La Cinerea sospirò ed esclamò decisa:”Hai ottenuto da solo le risposte che cercavi, amico mio. Forse, e non credo a quello che sto per dire, forse Legolas può essere giustificato. Non sto dicendo che mi abbia fatto piacere vederlo mentre mi lasciava annegare in quell’acqua putrida, tuttavia al suo posto anch’io mi sarei lasciata morire. Sappiamo entrambi come andò quella notte e il suo rancore, da un certo punto di vista può essere capito, ma non assecondato. Siamo in guerra ma non sono io quella da combattere. Il Nemico è Sauron e deve essere sconfitto e dobbiamo farlo insieme.” Concluse risoluta, si alzò e dopo avergli dato una pacca sulle spalle in segno di supporto raggiunse gli altri.

”Ci siamo persi?”sentì dire da Pipino mentre prendeva posto accanto al Nano. “No.”lo rimbeccò Merry scoccandogli uno sguardo di rimprovero, memore delle parole che il Mago aveva letteralmente scagliato contro l’amico dopo che aveva pronunciato l’ennesimo commento di troppo. “Credo di sì.” insistette lo Hobbit con l’espressione di chi la sa lunga. “Zitto, Pipino. Gandalf sta pensando.” lo rimproverò Aragorn mentre fumava la sua lunga pipa con aria assorta. Passarono pochi secondi di silenzio prima che il Mezzuomo chiamò sussurrando il suo amico. Meriadoc spazientito gli rispose:”Allora, che c’è!” “Ho fame.” Ammise l’altro con aria colpevole mentre poggiava platealmente le mani sulla pancia. “Durante il Consiglio di Elrond Aragorn ha detto che sei figlia di un certo Huruma il Giusto, è un sovrano, vero? Quindi sei una principessa o qualcosa di simile.”chiese Ghimli alla donna mentre Peregrino continuava a lamentarsi. Alhara prese la sua bisaccia scura e ne trasse un piccolo libro dalla copertina in cuoio chiaro, ne sciolse i legacci e lo aprì. Su una pagina era ritratto un Demone dall’aspetto fiero e dal portamento regale, al suo fianco c’era una donna sorridente: era bellissima, di una bellezza particolare ed esotica. L’Haradrim sorrise nostalgica ed iniziò a spiegare:”Hai ragione, mio padre è un re ed io sono una specie di principessa.- indicò il disegno e continuò- Il Demone è,o meglio era, Re Huruma il Giusto, il più grande tra i Cinerei, mio padre. La donna, mia madre si chiamava Kalima la Fenice, sultana del Raj e regina di D’Hira. Ho anche un fratello maggiore, Jamali. Lui sarebbe stato più adatto per questo tipo di missioni…” Ghimli annuì e si complimentò per i disegni facendo arrossire la giovane, dall’altro lato Legolas scrutò il volto di Alhara soffermandosi sull’espressione nostalgica e sul sorriso sincero che erano nati. Stava per proferire parola quando Mithrandir si alzò in piedi ed esclamò allegro:”Ah,quella è la Via!”

I Dieci si voltarono verso di lui con una nuova speranza ad animare i loro cuori, Merry schizzò in piedi entusiasta:”Se l’è ricordata!” “No, ma laggiù l'aria non ha un odore così fetido. –lo Stregone indicò il tunnel di destra- Quando sei in dubbio, Meriadoc, segui sempre il tuo naso.” Esclamò poggiando una mano sulla spalla dello Hobbit, poi chiamò a raccolta i Compagni e si diresse all’interno del passaggio. Il tunnel era squadrato e largo abbastanza da permettere uno scorrimento veloce, dopo un tratto in rettilineo la Compagnia sbucò in un enorme spiazzo dal soffitto altissimo.”Voglio osare un po' più di luce.”mormorò Gandalf aumentando l’intensità della gemma posta sul suo bordone, Alhara evocò una sfera infuocata e la fece volteggiare sopra le loro teste. La luce illuminò altissime e imponenti colonne dalla base intagliata a motivi squadrati e geometrici che curvavano in una volta a cupola che rendeva la sala maestosa e regale. “Ammirate il grande Reame e la Città dei Nani: Nanosterro.” Dichiarò solenne. Erano giunti nel cuore della Montagna, nel cuore di Moria.

1) Umbar è una città con porto, si trova sotto la Baia di Belfalas, a sud di Gondor, nella Terra di Mezzo. La cittadella è detta anche Città dei Corsari. Un tempo sotto il controllo di Númenor, in seguito cadde in mano ai Pirati di Umbar.

2) Per quanto riguarda i Demoni sono una mia creazione. Li ho immaginati molto simili agli Elementali e con lo stesso compito degli Ent: proteggere e custodire. Nell’economia della storia li ho immaginati come creature dei Valar e antichi quanto gli Elfi.

______Angolino dell’Autrice______

Eccomi di nuovo qui! Dopo quello che secondo me non è stato una capitolo decente (si cosparge il capo di cenere) sono tornata con un nuovo capitolo, questa volta di passaggio.

Per quanto riguarda Legolas e Alhara, il loro rapporto verrà spiegato a breve ed esso si evolverà :)

Ho voluto mostrare un po’ cosa sono i Demoni e la passione di Alhara: il disegno.

Per quanto riguarda il carattere, non l’ho sviluppato subito per esigenze di trama, ma tranquilli, il suo temperamento salterà fuori presto.

Ringrazio chi legge, chi mi segue e chi recensisce. Recensite mi raccomando! ;)

A presto, Yavanna 97

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Capitolo 10
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

Nanosterro era qualcosa di maestoso, da togliere il fiato: si estendeva a perdita d’occhio e gli imponenti pilastri squadrati facevano sentire tutti piccoli e innocui. Tuttavia l’aria era viziata e opprimente, carica di aspettativa. Il silenzio e l’oscurità rendevano l’atmosfera surreale e insidiosa mentre gli scheletri dei caduti scrutavano i Dieci come ad avvertirli di un grave pericolo.

Man mano che la Compagnia avanzava i cadaveri aumentavano di numero, fino ad arrivare ad una porta dalle ante di legno marcio. Lì sembrava che la battaglia fosse diventata più cruenta e disperata, come se i Nani avessero voluto proteggere l’ultimo baluardo libero del loro Regno. Ghimli vedendo quell’orrore sbiancò e si precipitò di corsa oltre la soglia ululando di dolore. Quello che vide al suo interno fu anche peggio della carneficina ai Cancelli Occidentali: una bara di pietra bianca, illuminata da un’alta finestra, troneggiava al centro di una stanza rettangolare. Ai lati vi erano alte colonne e ampie nicchie ricavate dalla pietra scura, sul fondo vi era un pozzo dove uno scheletro impolverato sembrava fare da guardia all’unico accesso per l’acqua. Oltre al soldato del pozzo la stanza era disseminata di scheletri infilzati delle frecce dei Goblin mentre ai piedi della tomba vi era un cadavere vestito con abiti che un tempo dovevano essere sontuosi e ricchi1, tra le braccia ossute stringeva un grosso tomo impolverato. Alla vista di quel massacro il Nano si gettò in ginocchio davanti alla candida bara e scoppiò in un pianto disperato. Uno dopo l’altro i membri della Compagnia dell’Anello varcarono quella triste soglia scrutando con occhi vigili il macabro spettacolo. Alhara si avvicinò a Ghimli e poggiò delicatamente una mano sulla sua spalla con fare materno, non disse niente poiché quando il dolore è tale da squarciare il cuore le parole diventano superflue. Non era la prima volta che era circondata da morte: l’Harad ne era pieno e seppur giovane, la Cinerea era stata testimone di guerre anche peggiori.

Mithrandir si avvicinò alla bara su cui erano state incise delle parole nella geometrica lingua dei Nani, passò la mano sulla pietra per togliere uno spesso strato di polvere e poi tradusse ad alta voce la scritta:”Qui giace Balin, figlio di Fundin. Signore di Moria.- si fermò per osservare l’intera stanza e riprese con un triste sussurro- E’ morto dunque.” In segno di rispetto si tolse il grigio cappello a punta, rivolgendosi ai Dieci continuò:”E’ come temevo.” Al suono di quelle parole l’Haradrim si allontanò dal Nano, che aveva iniziato a recitare una preghiera nella sua lingua, e si avvicinò allo Stregone. Quest’ultimo aveva sfilato il grosso libro dalle mani scheletriche del caduto e lo aveva aperto alle ultime pagine iniziando a leggerlo in silenzio. “Dobbiamo proseguire. Non possiamo indugiare.” Esclamò teso Legolas rivolto ad Aragorn, le sopracciglia corrugate e gli occhi azzurri attenti a captare il minimo movimento sospetto. Il Ramingo annuì cupo rendendosi conto a poco a poco del pericolo in cui erano incappati: quelle Miniere erano una trappola mortale e loro ci erano caduti come degli sprovveduti! Erano le mosche impigliate inesorabilmente nella tela di un ragno astuto e malvagio.

"Hanno preso il ponte e il secondo salone.-le parole di Gandalf riscossero tutti dai loro pensieri calamitando l’attenzione generale- Abbiamo sbarrato i cancelli ma non possiamo resistere a lungo. La terra trema. Tamburi. Tamburi negli abissi.- Il Mago continuava a leggere dal libro in un crescendo di angoscia e disperazione: erano le ultime parole che i superstiti avevano scritto prima di soccombere-Non possiamo più uscire. Un'Ombra si muove nel buio.-In quell’atmosfera inquieta nessuno si era accorto del giovane Pipino: turbato dalle parole strazianti era arretrato fino al pozzo e aveva iniziato ad armeggiare con una freccia conficcata nello scheletro- Non possiamo più uscire. Arrivano.” La fine del racconto fu accompagnato da un clangore metallico e sordo: il maldestro Hobbit aveva fatto crollare il soldato nel pozzo e con esso il secchio producendo un rumore assordante che si propagò nelle Miniere per diversi secondi. Oramai la presenza dei Dieci era stata rivelata e questo avrebbe portato solo guai.

“Idiota di un Tuc! Gettati tu la prossima volta e liberaci della tua stupidità.” Sbraitò l’Istari rivolto al colpevole mentre richiudeva il tomo con un rumore secco e si riprendeva in malo modo il cappello e il bordone che gli aveva affidato. Il resto della Compagnia osservò in silenzio le conseguenze dell’ennesima stupida azione dello Hobbit preparandosi al peggio. Passarono alcuni interminabili minuti in cui non accadde nulla ed Alhara osò sperare che nessun nemico si sarebbe palesato, ma dalle viscere di Moria iniziò a risuonare un rombo di tamburi che cresceva di intensità ad accompagnarlo stridii, suoni inarticolati e voci gracchianti. Sam notò che la corta spada di Frodo, Pungolo, si era accesa di un freddo bagliore azzurro, questo voleva dire una cosa sola… “Orchi” affermò l’Elfo dando voce ai pensieri del Mezzuomo. Nello stesso istante due scure frecce si conficcarono nel legno marcio della porta mancando Boromir per poco: il Gondoriano dopo aver sentito le parole dell’Arciere era corso a sprangare le ante dell’unica via d’accesso alla sala. “Indietro! State vicini a Gandalf!” ordinò Aragorn ai quattro Hobbit mentre il Mago con ampi gesti li spingeva dietro la sua alta figura. L’Erede di Isildur corse ad aiutare Boromir che cercava di puntellare la porta. “E’un Troll di caverna.” Riferì con una nota apprensiva nella voce. Il Ramingo fece una smorfia e prese al volo una lunga ascia impolverata che Legolas aveva sfilato da uno dei cadaveri: anche così rinforzata la porta non avrebbe retto a lungo. “Fatevi da parte! Bisogna fondere quel metallo.”esclamò risoluta Alhara mentre faceva germogliare fiamme dalle mani, si avvicinò alle asce e premette i palmi sul freddo metallo che iniziò a sfrigolare e a liquefarsi sigillando l’entrata. “Non durerà in eterno. Preparatevi a combattere!” ordinò rivolta ai suoi Compagni mentre con un movimento fluido del braccio sguainava la lunga scimitarra e la ammantava di fuoco. Al suo comando uno dopo l’altro i Dieci sfoderarono le loro armi lanciando grida di battaglia. Ghimli era furioso e bramava lo scontro: con un balzo incredibilmente agile per la sua figura saltò sulla bara e impugnata la fedele ascia abbaiò rivolto ai nemici:”Ah! Che vengano pure. Troveranno che qui a Moria c'è ancora un Nano che respira.”

La porta cigolava e gemeva, i Goblin e gli Orchi cercavano di buttarla giù o di romperne le assi marce. Con un suono secco parte di esse furono rotte e dalle crepe comparvero asce arrugginite e spade scure, Aragorn e Legolas scagliarono le loro micidiali frecce colpendo alcuni nemici che si ritiravano squittendo e guaendo, ma non era abbastanza. Alla fine la porta cedette riversando all’interno della sala orde di Goblin dalla pelle verde e coriacea, indossavano scure armature in cuoio e inserti in ferro arrugginito e si lanciavano alla carica gracchiando. I primi che varcarono la soglia furono abbattuti da nuvole di dardi ma erano troppi da fermare e lo scontro continuò all’interno. I Mezzuomini, costantemente vegliati da Gandalf, si battevano come leoni brandendo le piccole spade, Ghimli sembrava una furia vendicativa: da sopra la tomba mulinava la sua ascia mietendo vittime e recidendo arti. Il Ramingo e l’Arciere combattevano in sincronia facendo roteare lo spadone a due mani e scagliando letali frecce. Boromir utilizzava il grande scudo tondo per stordire gli avversari e poi li finiva con la lama affilata della sua arma mentre Alhara aveva deciso di rivestirsi di fiamme scarlatte e si lanciava tra il nemico bruciando e infilzando.

Un ringhio basso catturò l’attenzione dei Dieci quando dalla porta si fece largo, rompendo la dura roccia, un imponente Troll di caverna: era alto fino al soffitto, aveva due braccia muscolose che arrivavano fino alle ginocchia. Indossava un lercio perizoma marrone e il collo taurino era coperto da un collare metallico a cui era stata attaccata una lunga catena che culminava in un grosso anello con cui un piccolo Goblin lo manovrava. Non aveva l’aria molto sveglia: la testa piccola e glabra presentava un muso schiacciato ai cui lati spiccavano due occhi porcini, la bocca era grande e irta di denti marci. Il mostro ruggì lanciandosi alla carica mulinando un enorme martello metallico, scaraventò in aria il suo sorvegliante e si avventò su Sam. Nonostante le frecce che Legolas gli scagliava il Troll iniziò a rincorrere lo Hobbit, lo isolò e alzato un grande piede si preparò a colpire quando Aragorn e Boromir agguantarono la lunga catena attirando la sua furia. La creatura agitò l’ arma colpendo l’Uomo di Gondor che andò a sbattere contro il muro perdendo conoscenza. Rinvenne pochi secondi dopo e si riprese quel tanto che bastava per vedere un Goblin calare la sua spada contro di lui, per fortuna una palla di fuoco colpì in pieno il nemico facendolo ritirare dolorante. Il Gondoriano si girò e incontrò gli occhi cremisi della sua salvatrice e per la prima volta pensò che forse quella ragazzetta indisponente non era poi così male, le sorrise e la Cinerea ricambiò sicura che l’Uomo non l’avrebbe più sottovalutata. Quella distrazione bastò affinché un nemico la colpisse di striscio al braccio, la lama scura cozzò contro l’armatura argentata producendo scintille, l’Haradrim si girò e dopo aver urlato un “Kufa, wewe mwanaharamu!2” lo sventrò con la scimitarra.

Un boato riempì l’ambiente di polvere e detriti: nella smania distruttrice il Troll aveva fatto a pezzi la tomba di Balin, colpito Ghimli e anche alcuni Goblin. Merry e Pipino dopo aver assistito alla scena portarono Frodo dietro una colonna, al sicuro mentre Legolas scagliava frecce contro la creatura e sgozzava col pugnale ricurvo i nemici che lo assalivano. Il mostro attaccò il Principe che schivò la catena e questa si impigliò in una crepa del pilastro, con un balzo felino l’Elfo salì a cavalcioni del Troll e scoccò due dardi contro la sua testa ma essi si ruppero al contatto con la dura pelle. L’Arciere fu sbalzato a terra mentre Sam si batteva a suon di padellate e affondi rivelandosi più temerario di quanto si potesse immaginare. Il mostro se la prese con gli altri tre Hobbit che erano appena usciti dal loro nascondiglio: calò il pesante martello verso di loro ma venne schivato. I due combina guai scapparono mentre la creatura iniziava a cercare Frodo che si nascose dietro un pilastro sentendo il fiato del Troll sul collo. Il Portatore passò da dietro, fece una finta ma fu vano perché si trovò il mostro di fronte che, ruggendo, avanzò minaccioso costringendo il Mezzuomo con le spalle al muro. Lo Hobbit venne agguantato per i piedi e trascinato mentre Sam invocava l’aiuto di Aragorn che cercava di liberarsi dai nemici. Frodo colpì il Troll con Pungolo e rovinò a terra, il mostro tentò di attaccarlo ma il Ramingo si frappose tra loro brandendo un lungo forcone: con un grido lo piantò nel costato della creatura che guaì ma non cadde. Ripresosi con un verso si sfilò l’arma e con la mano scaraventò in aria Grampassomentre veniva bersagliato dalle pietre che gli Hobbit gli lanciavano. Il Portatore dell’Anello corse verso l’Uomo sperando che stesse bene: lo trovò riverso a terra privo di conoscenza e iniziò a scuoterlo, ma la creatura lo raggiunse e cercò di colpirlo col forcone. Frodo schivò e rispose all’attacco, il mostro conficcò l’arma a pochi centimetri dal Mezzuomo che cadde a terra per il contraccolpo. Il Troll staccò il forcone dalla pietra e con un ringhio trafisse il petto dello Hobbit.

Il tempo sembrava essersi fermato. Frodo Baggins boccheggiava e gemeva, il mostro respirava pesantemente. Il resto della Compagnia si era immobilizzato interrompendo per qualche secondo la battaglia: non volevano credere, non potevano credere a ciò a cui stavano assistendo. Alla vista del loro amico esanime e rantolante i Dieci ripresero a combattere con maggior vigore, come se dalla loro vittoria dipendesse la salvezza dello Hobbit. Merry e Pipino con un coraggioso urlo si gettarono sulla schiena del Troll e iniziarono ad infilzarlo con le spade,Gandalf mulinava il bastone facendo indietreggiare i nemici e Sam si batteva con foga e impeto: colpiva con la padella, con la lama e con qualunque cosa gli capitasse a tiro. Di fronte a quella nuova forza i Goblin si ritirarono lasciando solo il Troll a combattere per loro: il mostro riuscì ad agguantare Meriadoc e lo sollevò a mezz’aria mentre Mithrandir e Ghimli lo ferivano al ventre e alle gambe. La creatura allontanò con un poderoso gesto sia il Nano che lo Stregone. Peregrino conficcò la spada nella nuca del Troll che, dal dolore, alzò la piccola testa rivelando il collo molle, Legolas scoccò una freccia trafiggendolo e uccidendolo sul colpo. Il mostro rovinò a terra trascinando con sé il Mezzuomo.

La battaglia si era conclusa ma non era vittoria quello che avevano ottenuto. Lo Stregone raggiunse Frodo col cuore stretto in una morsa: se fosse morto non se lo sarebbe mai perdonato. Sam osservava l’amico con gli occhi lucidi mentre Aragorn scuotendo la testa sconsolato lo sollevò rivelando un curioso bagliore sotto la sottile camicia. Frodo iniziò a tossire e si mise a sedere tra lo stupore e il sollievo generale, il Giardiniere lo aiutò a rimettersi in piedi e rivoltò a tutti affermò:”E’ vivo!” “Sto bene. Non sono ferito” lo rassicurò lo Hobbit mentre intorno esplodevano esclamazioni di gioia e benedizioni ai Valar. “Dovresti essere morto. Quella lancia avrebbe trafitto un cinghiale!” Pronunciò il Ramingo stupefatto. Gandalf si avvicinò ai tre con un sorriso sornione ad illuminargli il volto mentre il Mezzuomo scostava la camicia logora rivelando una cotta di maglia lucente. A quella vista il Mago parlò:”In questo Hobbit c'è più di quanto non colpisca la vista.” “Mithril! Tu sei pieno di sorprese, Frodo Baggins.” Mormorò solenne Ghimli. Grida di battaglia e clangore di spade strapparono la Compagnia da quel momento felice: i Goblin si erano ritirati, sì, ma per chiamare rinforzi. “Al ponte di Khazad-dûm.” Ordinò deciso l’Istari. Lo scontro non si era concluso.

1) Quello scheletro appartiene ad Ori che accompagnò Balin nelle Miniere di Moria.

2) In Swahili significa “Muori, bastardo!”

3) Grampasso è il nome che Aragorn utilizzava per non farsi riconoscere.

_______Cantuccio dell’Autrice_______

Ciao a tutti :3

Scusatemi tantiiiiiissiiiiimo per la lunghissima attesa ma questo capitolo e i seguenti sono particolarmente tosti e voglio che leggiate qualcosa di decente. Insomma: “Stiamo lavorando per voi” ;)

Beh, che dire? Boromir ha finalmente capito che Alhara è cazzuta e tosta. Spero che le imprecazioni della nostra beniamina non vi diano fastidio (anche perché ce ne saranno altre in futuro), lei è una principessa poco principesca.

Ringrazio michela30 per aver inserito la storia tra le seguite e ringrazio chiunque legga. Recensioni negative e/o positive sono più che ben’accette :)

A presto,

Yavanna97

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Capitolo 11
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9

La Compagnia dell’Anello si precipitò fuori dalla sala correndo il più veloce possibile. Dovevano raggiungere assolutamente l’uscita di quelle Miniere maledette oppure sarebbero rimasti lì per sempre come le centinaia di scheletri disseminate sul suolo di Moria.Gandalf era in testa e guidava tutti illuminando la via col bordone, lo seguivano: Legolas, Aragorn che stringeva una fiaccola, Alhara e Boromir, Ghimli e per ultimi i quattro Mezzuomini. Intorno a loro Nanosterro brulicava di Goblin: sbucavano dai crateri e dai pozzi minerari come se fossero formiche, sciamavano dall’alto soffitto agili come ragni, gracchiando, squittendo e agitando le tozze spade arrugginite. Sembrava che ogni anfratto, ogni angolo del reame nanico vomitasse letteralmente quegli esseri. Presto li avrebbero accerchiati.

I Dieci avevano corso come se ne dipendesse della loro vita ma era stato vano: i Goblin, quelle immonde creature, li avevano circondati. Sebbene fossero alti poco più di un metro e il loro aspetto incutesse ribrezzo, le loro armi li rendevano avversari temibili quanto ogni altro servo di Melkor1 . La loro pelle virava al verde o al giallognolo, i piccoli occhi erano simili a quelli dei rettili e la bocca era irta di zanne appuntite. Emettevano versi striduli e gorgoglii inarticolati lanciando ordini a destra e a manca.

“Feccia disgustosa!” sibilò Alhara rivolta al nugolo di nemici che aveva di fronte. I membri della Compagnia si erano schierati schiena contro schiena in un cerchio che man mano diventava più piccolo. Gli occhi di tutti erano attenti e vigili, i muscoli tesi e pronti a scattare, il cuore pompava sangue all’impazzata battendo forte contro il torace. Sembrava una situazione senza via di scampo: gli Orchi2 erano troppi e sconfiggerli sarebbe stato impossibile. La Cinerea si sforzava di trovare un modo per scappare, una breccia in quel mare brulicante e gracchiante ma niente,nulla. Finché… “State indietro!” ordinò rivolta ai suoi amici. “Che hai intenzione di fare?” chiese tra l’allarmato e l’ostile Legolas. “Ho detto: indietro. Fidatevi di me!” ribatté la giovane guardando implorante il Principe: non era quello il momento di controbattere ogni parola, bisognava agire. La donna avanzò di un paio di passi stringendo le nocche e ammantandole di fiamme. “Alhara no! E’ troppo pericoloso!” esclamò Gandalf intuendone i pensieri. “Oh, Alhara sì!” e con fluidi gesti delle braccia innalzò un imponente muraglia infuocata che circondò i Dieci bruciando i Goblin più vicini. “Ma, ma tu sei di fuoco!” balbettò Frodo incredulo: l’Haradrim era completamente avvolta da fiamme scarlatte e il suo viso era coperto di arabeschi cremisi, incedeva fiera mentre il muro intorno a loro si allargava facendo arretrare gli Orchi. “Ti sbagli Mastro Hobbit, io SONO il fuoco!” esclamò Alhara con voce profonda. Con un movimento brusco fece divampare un incendio attorno a loro bruciando e carbonizzando i nemici che avevano osato avvicinarsi. Tuttavia per ogni Goblin morto altri dieci sbucavano da crepacci, pozzi e colonne.

Con squittii e stridii la marmaglia si preparò ad un massiccio attacco quando un boato risuonò cupo per i corridoi e le sale di Moria. Un bagliore lontano e un ringhio sordo fecero ritirare tremanti e terrorizzati Orchi e Goblin: qualunque cosa o creatura stesse per mostrarsi sarebbe stata pericolosa e agguerrita. Niente di buono. “Adesso basta.” Sibilò l’Elfo col viso ovale contratto dall’ira distogliendo la Cinerea dalla trance in cui era piombata, scuotendo la testa la donna spense le fiamme. Un nuovo prolungato ringhio mise tutti in allarme: l’Arciere incoccò una freccia mentre una dopo l’altra le spade venivano sguainate. “Cos’è questa nuova diavoleria?!” chiese turbato Boromir rivolto allo Stregone. Gandalf non rispose limitandosi a chiudere gli occhi e a concentrarsi, la luce della gemma brillò più intensamente al suono cadenzato di passi in avvicinamento. Di colpo rinvenne e mormorò concitato:”Un Balrog3 . Un Demone del mondo antico. È un nemico al di là delle vostre forze. Fuggiamo!” ordinò iniziando a scappare. Contro una tale nemesi solo la ritirava si frapponeva tra la vita e la morte. Alhara lo affiancò e col fiato corto esclamò:”Posso batterlo, Mithrandir! Lasciami provare.” L’Istari scosse la testa e rispose deciso:”Non contraddirmi, ragazza. Sei potente ma in uno scontro col Balrog periresti immediatamente. Non sei ancora capace di attingere appieno al tuo potere senza perderne il controllo.- continuò impedendo alla giovane di replicare- Scappa finché hai forze per farlo!” La Cinerea fece una smorfia di disappunto ma obbedì al comando del Mago.

I Dieci percorsero a rotta di collo gli ampi saloni di Nanosterro, attraversarono una porta geometrica e per poco non caddero in un precipizio. Boromir, il primo della fila, fu prontamente salvato dal Principe mentre gli altri si bloccavano sul ciglio del burrone. “Conducili fuori, Aragorn. Il ponte è vicino.” Ordinò Gandalf indicando un punto all’orizzonte: un cavalcavia slanciato che univa due imponenti corridoi. Grampasso scosse la testa ma lo Stregone abbaiò:”Fa' come ti dico! Ormai le spade non sono più utili!” Il Ramingo grugnì e si precipitò verso la direzione scelta dall’Istari. La Compagnia iniziò a scendere una serie di tortuose e ripide scale in pietra sospese nel vuoto mentre intorno a loro il rumore dei passi cresceva d’intensità. Dopo la terza scalinata i membri si fermarono: un pezzo dei gradoni si era staccato lasciando un baratro ampio un paio di metri. Con un balzo felino Legolas raggiunse l’altro lato della scalinata. Ad un cenno del Principe, Gandalf saltò e lo raggiunse. Sibili di frecce allarmarono i Dieci, l’Arciere ed Aragorn risposero lanciando micidiali dardi abbattendo i nemici. Alhara istintivamente evocò una palla di fuoco e la scagliò contro le feritoie bruciando una serie di Goblin ma Mithrandir la fermò intimandole di non utilizzare il suo potere col Balrog nelle vicinanze. Cessato momentaneamente l’assalto, Boromir prese sotto braccio Merry e Pipino e con una piccola rincorsa superò l’abisso. Un boato e parte degli scalini crollò lasciando una voragine ancor più ampia, in aggiunta i Goblin ripresero a scoccare frecce mentre il Ramingo e l’Elfo rispondevano all’attacco. “Sam, Alhara. Tocca a voi.” Li incitò Aragorn. La Cinerea afferrò lo Hobbit da sotto le ascelle e, presa la rincorsa, saltò il dirupo rovinando contro Boromir. I tre si rialzarono barcollando pronti ad aiutare gli ultimi rimasti sulle scalinate. A questa scena Ghimli scosse la testa e puntando i piedi per terra esclamò scorbutico rivolto a Grampasso: ”No, nessuno può lanciare un Nano.” L’Uomo sbuffò e fece esattamente il contrario delle parole pronunciate: Ghimli atterrò sul ciglio dal burrone e per poco non precipitò. Con uno scatto Legolas acciuffò la lunga barba rossiccia scatenando l’indignazione del Nano che venne issato al sicuro tra borbottii di fastidio e collera. Scricchiolii cupi accompagnarono il crollo del resto della scalinata lasciando Aragorn e Frodo in bilico su un moncone di pietra. Altri scricchiolii segnarono il cedimento della base della struttura. Lo Hobbit tremava dalla paura ma il Ramingo, con un’abile stratagemma, fece sì che la scala si inclinasse in avanti e sbattesse contro l’altra parte consentendo ai due di riunirsi con il resto della Compagnia e fuggire.

I Dieci fuggirono attraverso Moria costantemente inseguiti da Orchi e Goblin e con la presenza incombente del Balrog. L’uscita era sempre più vicina e tutti speravano di guadagnare la libertà e la luce senza combattere e soprattutto senza subire perdite di alcun genere. Raggiunsero un’enorme salone circondato da fuoco, da lì si scorgeva il ponte e la fine delle Miniere. Gandalf indirizzò tutti verso il cavalcavia quando le fiamme si innalzarono e un ringhio risuonò cupo: il Balrog era infine giunto. Il mostro si palesò ululando minaccioso. Era imponente, alto fino al soffitto: il corpo scuro era avvolto dal fuoco e da una foschia nera. Braccia e gambe erano muscolose e sfoggiavano artigli affilati, la testa era taurina e presentava due corna ricurve mentre sul viso brillavano occhi rossi come il sangue. Si erse in tutta la sua grandezza rivelando un paio di grandi ali che spalancò ruggendo. Lo Stregone impallidì e ordinò a tutti di correre più veloce che potevano: dovevano fuggire. La creatura iniziò ad inseguirli procedendo ad ampie falcate. “Mithrandir! Posso farcela! Lasciami provare, non ti deluderò!” esclamò Alhara rivolgendosi al Mago: era sicura di poter sconfiggere il Balrog, era il Kayla, dannazione! Non avrebbe permesso a nessuno di far del male ai suoi amici. “No! Non puoi, non ora. Credo in te, bambina, ma non è saggio rischiare!” ribatté l’Istari mentre insieme ai Dieci raggiungevano il ponte di Khazad-dûm.

Il cavalcavia era stretto e lungo con una forma arcuata e uno dopo l’altro i membri della Compagnia lo attraversarono. Purtroppo il mostro li raggiunse impedendo a Gandalf di raggiungere sano e salvo l’altra parte. “Tu non puoi passare!” gridò l’Istari rivolto al Balrog. Frodo sbiancò e si precipitò verso il ponte, Boromir prontamente lo afferrò tenendolo stretto. La creatura spalancò le ali e sguainò una micidiale spada fiammeggiante. “Sono un servitore del Fuoco Segreto e reggo la Fiamma di Anor!- la gemma del suo bordone si illuminò rischiarando l’oscurità -Il Fuoco oscuro non ti servirà a nulla, fiamma di Udun!” tuonò lo Stregone. Il Balrog calò l’arma che si disintegrò a contatto con la magia protettrice di Mithrandir. “Ritorna nell'ombra.” Ordinò il Mago, il mostro ruggì in preda all’ira ed evocò una lunga frusta di fuoco. Alhara aveva intuito cosa stava per succedere e decise di intervenire: l’Istari era la figura più vicina ad un padre per lei e per niente al mondo lo avrebbe perso. L’Haradrim si slanciò giù dalle scale che portavano all’uscita, sfoderò la scimitarra e la ammantò di fiamme. Aragorn la chiamò e la bloccò impedendole di agire. La creatura fece scoccare la frusta minacciosa e avanzò facendo tremare il ponte. Gandalf alzò il bordone e la spada, la luce della gemma brillò più fulgida che mai. “TU NON PUOI PASSARE!” gridò mentre con un gesto solenne colpì la roccia creando una cupola candida e lucente. Il Balrog avanzò mentre sotto di lui la pietra crollava spalancandosi su quelle oscure profondità. Il mostro precipitò nell’abisso ululando e dimenandosi: il pericolo era passato. Lo Stregone tirò un sospiro di sollievo e fece per incamminarsi quando la frusta infuocata dalla creatura lo afferrò per la caviglia trascinandolo verso la fine del ponte. Il Mago riuscì ad aggrapparsi ad una sporgenza rimanendo sospeso nel vuoto. Frodo iniziò a chiamare il suo nome. Alhara era semplicemente bloccata, pietrificata. “Fuggite, sciocchi!” fu tutto quello che Mithrandir riuscì a bisbigliare prima che il peso del Balrog lo trascinasse nella voragine insieme a lui. Uno sciame di frecce riportò i Dieci alla realtà: Legolas rispose all’assalto ma erano troppi. Boromir, tenendo ben saldo il Portatore, salì l’ultima ripida scalinata seguito a ruota da tutti. La Cinerea era come in trance e l’ultima cosa che sentì prima di uscire dalle Miniere fu il grido straziante del Mezzuomo risuonare per le sale di Moria.

1) Gli Orchi furono "generati" da Melkor nella Prima Era e da allora si diversificarono in un gran numero di razze. I Goblin sono Orchi leggermente più bassi dei normali e vivono sottoterra.

2) Nell'opera originale di Tolkien, "Goblin" non è altro che un sinonimo di Orco.

3) I Balrog sono Maiar sedotti da Morgoth (chiamato anche Melkor), il Principio del Male e primo Oscuro Signore della Terra di Mezzo. Al pari di Sauron, erano i suoi servitori più potenti. Dominano il fuoco, come il loro signore. È importante precisare che pur essendo spiriti immortali, nella Terra di Mezzo possono essere comunque uccisi per via del fatto che al servizio di Morgoth si sono incarnati in corpi materiali.

________Antro dell’Autrice_______

Eccomi qui con il capitolo che più di tutti mi ha fatto penare: volevo rendere bene tutti gli avvenimenti e dar sfoggio del potere della nostra Alhara. Come avrete sicuramente notato il capitolo è molto Alhara-centrico, viene mostrata la forza dei suoi poteri, la sua voglia di combattere per le persone che ama e l’affetto che nutre per Gandalf.

Nel prossimo capitolo si approfondirà meglio la conseguenza che ha generato la morte del caro Stregone e si arriverà finalmente a Lothlórien.

Ringrazio chi legge e recensisce, chi legge solo e chi segue :3

A presto,

Yavanna 97

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Capitolo 12
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10

Erano fuori. Fuori dalle Miniere, fuori dall’oscurità e da tutta quella desolazione. Tuttavia non c’era gioia o sollievo nei cuori dei Compagni: Moria aveva portato Gandalf via da loro trascinandolo insieme al Balrog nelle profondità senza fine. Oltre le porte del reame nanico si estendeva una distesa brulla e sassosa rischiarata dalla tenue luce del sole mattutino.

I Dieci, oramai in Nove, avevano percorso pochi metri prima di cadere preda del dolore e dello sconforto: l’assenza del Mago aveva lasciato una voragine colmata solo da disperazione e sofferenza. Sam era crollato a terra scosso da singhiozzi. Ghimli aveva sguainato la fidata ascia e se non fosse stato per la ferrea stretta di Boromir, sarebbe tornato nel ventre di Nanosterro gridando vendetta. L’Uomo di Gondor era sconvolto, non riusciva ancora a credere che lo Stregone li avesse lasciati. Merry cercava di consolare Pipino in preda ad un pianto isterico mentre Legolas osservava turbato e incredulo quell’amaro spettacolo: come Elfo la morte era qualcosa di lontano, un traguardo quasi irraggiungibile. Aveva avuto a che fare con la rovina e la desolazione che essa portava con sé, aveva combattuto guerre e cruente battaglie ma mai aveva affrontato qualcosa di così vicino a lui: la perdita di un amico, di una persona cara. I suoi antichi occhi azzurri si posarono sulla figura di Alhara: la Cinerea camminava barcollando con gli occhi cremisi sgranati e le guance scure solcate da calde lacrime. Non aveva detto una parola, nemmeno un suono aveva lasciato le labbra carnose, sembrava come pietrificata. L’Haradrim mosse qualche altro passo incerto e rovinò a terra. La sua schiena iniziò a tremare e urla strazianti risuonarono per l’Eriador. La donna si chiuse su sé stessa e lasciò che il dolore la investisse come onde impetuose di un mare in tempesta. Non le importava di mostrarsi debole e vulnerabile, Mithrandir era morto e niente lo avrebbe riportato da lei. Quella consapevolezza la colpì forte come uno schiaffo e le lacrime iniziarono a sgorgare copiose dai grandi occhi scarlatti. L’Arciere si ritrovò a fissare la donna: Alhara sembrava così fragile, talmente fragile che sarebbe bastato un refolo di vento a spezzarla. Assomigliava più ad una bambina spaurita che al potente Kayla o al temuto Flagello di Lorien. Un pensiero attraversò la mente del Principe di Bosco Atro: forse sotto quella corazza di arroganza e impulsività batteva un cuore ferito…

Aragorn pulì la sua spada con un lembo della tunica e strinse le labbra in una linea dritta: l’assenza di Gandalf pesava su tutti loro ma dovevano lasciare quelle colline brulle prima che calasse la notte.“Legolas, falli alzare.” Ordinò all’Elfo che si incamminò mesto verso i due Hobbit. “Concedi loro un momento te ne prego!” esclamò Boromir tra l’irato e il supplichevole. Grampasso scosse la testa e ribatté: ”Stanotte queste colline brulicheranno di Orchi. Dobbiamo arrivare ai boschi di Lothlorien!” A quelle parole la Cinerea smise di singhiozzare e si alzò tremante in piedi, raggiunse il Ramingo e sibilò concitata:”Non puoi farmi questo. Non puoi.” L’Erede di Isildur le rivolse un’occhiata rassegnata e ordinò al Nano e al Principe di far alzare il resto dei Nove. L’Haradrim strinse la mascella e con un gesto brusco si asciugò le lacrime: non poteva permettersi di mostrare ancora il suo dolore doveva essere forte, l’aspettava un duro confronto… La giovane sollevò Sam per le ascelle e sorrise rassicurante, lo Hobbit rispose stirando le piccole labbra in un timido sorriso. La donna cercò Frodo con lo sguardo e lo vide mentre si incamminava in solitudine verso l’orizzonte. Aragorn lo chiamò un paio di volte facendolo voltare:il Mezzuomo aveva i grandi occhi arrossati e gonfi di pianto. La morte dell’Istari aveva lasciato una ferita profonda nel cuore del Portatore: Mithrandir era parte della famiglia, un amico, un confidente e lo aveva aiutato a sopportare il fardello dell’Unico. Ora era solo.

Silenziosamente la Compagnia si mise in marcia, dovevano arrivare ai boschi entro il calar della notte. Il Ramingo fece segno di accelerare il passo mentre lui correva in avanscoperta, si issò su una sporgenza rocciosa e osservò cupo l’orizzonte dove si snodava un lungo serpente verde: Lothlorien.

I Nove raggiunsero i confini della sospirata meta al tramonto. Il sole illuminava le foglie degli alberi facendole brillare come tante gemme e donando al luogo un’atmosfera magica e favolistica. Alhara trascinò l’Erede di Isildur lontano dalla fila e assumendo un cipiglio autoritario bisbigliò:”Non posso seguirvi. Non lì e tu lo sai. Mi uccideranno a vista e addio ad un altro membro- fece una pausa e sospirò rumorosamente- Aragorn dobbiamo andare via il più presto possibile.” Il Ramingo le poggiò una mano sulla spalla con fare fraterno e rispose:”Lothlorien è l’unico rifugio sicuro da qui fino a Mordor. Non possiamo andare a Rohan e Gondor è troppo vicina. Alhara, fidati di me.” “Alhara, fidati di me un corno!” lo scimmiottò la donna. Grampasso le scoccò un’occhiata di rimprovero: l’insubordinazione era molto presente nella sua giovane amica e per quanto potesse essere geniale alle volte era inutile e controproducente. “Scusami, ma questo posto fa emergere brutti ricordi” sussurrò contrita l’Haradrim.“Adesso basta. Perdonate, Vostra Grazia ma non possiamo rimanere esposti così a lungo- esclamò Boromir avvicinandosi ai due- Gli Orchi ci danno la caccia e solo oltre i confini saremo al sicuro” Ad una replica della Cinerea l’Uomo di Gondor sbuffò e con una smorfia la prese per la vita e la caricò sulla schiena a mo’ di sacco. “Vostra Grazia è comoda?” chiese ironico il Gondoriano. “Boromir, mettimi giù! ORA!” ordinò furente la giovane mentre l’Uomo, seguito da Aragorn, si incamminava verso i boschi suscitando sguardi sorpresi e qualche sorriso. “Boromir! Napenda mbali, au kwa upendo wa Varda kuapa kwamba mimi nitafanya kavu Ilipokuwa kizazi!1” Sbraitò la donna maledicendo con tutta sé stessa il destino infausto che l’avrebbe costretta ad affrontare le conseguenze di quella terribile notte.

La Compagnia aveva percorso pochi metri inoltrandosi nel fitto della vegetazione: gli imponenti alberi lasciavano filtrare pochi raggi di sole, le grandi foglie smeraldine cadevano leggiadre dai robusti rami creando un tappeto morbido e verdeggiante. Una sottile brezza rinfrescava l’aria facendo volteggiare le foglie e scricchiolare i rami. Aragorn era in testa alla fila e guidava tutti, Legolas lo seguiva con le piccole orecchie a punte tese e gli occhi vigili pronto a cogliere il minimo segnale di pericolo. Boromir incedeva pesantemente portando sulle spalle Alhara, la donna ogni tanto tirava qualche calcio all’addome del Gondoriano che stirava le labbra in una smorfia di dolore. In coda procedevano i quattro Mezzuomini e Ghimli che marciava teso come una corda. “Shh! State vicini, giovani Hobbit!-mormorò il Nano chiamando vicino a sé i piccoli amici- Dicono che viva una grande fattucchiera in questi boschi. Una strega-elfo con poteri straordinari. Tutti quelli che la guardano cadono sotto il suo incantesimo.” I Mezzuomini si guardarono spaventati tra loro mentre Ghimli proseguiva la narrazione. Frodo sbiancò di colpo e iniziò a guardarsi intorno. Sam lo chiamò attirando l’attenzione del Portatore e riportandolo alla realtà. “Beh, ecco un Nano che lei non intrappolerà tanto facilmente- aggiunse fiero Ghimli- Ho gli occhi di un falco e le orecchie di una volpe, io. Uh...” si bloccò di colpo davanti alla punta affilata di una freccia elfica.

I Nove erano circondati. Un manipolo di Elfi dalle lucenti armature li aveva accerchiati puntando contro di loro i micidiali dardi. Boromir dalla sorpresa fece cadere Alhara per terra, l’Haradrim si alzò di scatto e deglutì rumorosamente. “Il Nano respira così forte che potevamo colpirlo nel buio.” Esclamò beffarda una voce scura e profonda: dalle retrovie si fece strada un elfo alto e fiero. Il viso leggermente tondo era incorniciato da una cascata di capelli color del grano, gli occhi indaco scrutarono uno dopo l’altro i membri della Compagnia. L’Elfo si avvicinò alla donna e le riservò uno sguardo carico di risentimento, si rivolse ad Aragorn e domandò:”Come osate introdurre nel nostro reame un tale nemico e– accennando a Frodo- una tale minaccia!?” “Il nemico e la minaccia sono con noi, non vogliamo nuocere in nessun modo” rispose deciso Grampasso. “Apprezzo il vostro nobile intento ma la Cinerea non può proseguire oltre… Viva.” Aggiunse intimidatorio il Comandante. Alhara strinse la mascella e avanzò di un passo, subito i soldati le puntarono contro letali fecce. La giovane grugnì e alzate lentamente le mani verso l’alto, parlò:”Non sono mai stata una minaccia per voi, Haldir di Lorien e se sono giunta fin qui, credimi, non era mia intenzione. Tuttavia ti chiedo di lasciarmi proseguire. Incatenami, legami ma lasciami proseguire.” Concluse alzando la testa in segno di sfida. Haldir rivolse un’occhiata veloce alla donna e diede alcuni ordini nella sua lingua ai militari: uno di loro le legò i polsi con una sottile corda bruna. L’Haradrim strinse i denti dal dolore: la corda bruciava come fuoco vivo. Un’imprecazione sfuggì dalla labbra: era corda elfica, nessuno riusciva a romperla o a liberarsi dalla sua stretta, nemmeno il Kayla più potente.

Il Comandante diede ordine ai suoi di scortarli verso il centro della foresta. Marciarono a lungo attraverso i boschi mentre il giorno lasciava il posto alla notte. La luna illuminava gli alberi rendendoli presenze spettrali e creando particolari chiaroscuri sui volti dei Nove. Haldir li scortò attraverso una rampa di scale su un terrazzo da cui si poteva osservare la distesa verde scuro di Lothlorien. La Compagnia venne fatta schierare davanti ai soldati mentre i rinforzi prendevano posto su altri terrazzi sopraelevati, pronti ad agire. Haldir salutò nella sua lingua Legolas poggiando una mano sul cuore in segno di rispetto, il Principe ricambiò con un cenno del capo. Il Comandante riservò le medesime parole di rispetto ad Aragorn che ricambiò nella stessa lingua. “Alla faccia della leggendaria cortesia degli Elfi! Di’ parole che possiamo capire!”abbaiò indignato Ghimli. L’Elfo di Lorien lo guardò disgustato e rispose:”Noi non osiamo trattare coi Nani sin dai Giorni Oscuri2.” L’altro ribatté con un insulto in nanico3 che, a giudicare dalla reazione di Grampasso, doveva essere molto pesante. Haldir mosse qualche passo verso Frodo ed esclamò:”Portate grande malvagità con voi. Non potete proseguire” concluse brusco allontanandosi. Il Ramingo lo raggiunse ed iniziò a discutere tentando di convincerlo.

L’Erede di Isildur ed il Comandante parlottavano da molto oramai e il morale era sceso drasticamente. Frodo si guardava intorno amareggiato scorgendo negli occhi dei suoi Compagni lo sconforto e una leggera accusa. Alhara se ne accorse e posò, impacciata dalla corda, una mano sulla spalla del Mezzuomo. “La morte di Gandalf non è stata vana- esclamò Boromir rivolto allo Hobbit- Né ti avrebbe permesso di perdere la speranza. Porti un grave fardello Frodo, non portare anche il peso dei morti.” Concluse assorto l’Uomo. “Dovete seguirmi!”ordinò Haldir mentre uno ad uno i membri si rialzavano in piedi pronti per quella nuova marcia. “Non voi due- scandì perentorio indicando il Nano e la Cinerea- Voi verrete scortati ai confini e lascerete Lothlorien per sempre.” “Come?!- chiese sbalordita la donna- Non puoi esiliarmi, non di nuovo!” “Dovresti ringraziare i Valar di essere ancora in grado di respirare, Progenie di Melkor4 ! Non approfittare oltre della mia indulgenza.” Replicò duramente l’Elfo. “Ascolta, orecchie a punta, io e la ragazza abbiamo giurato di proteggere il Portatore dell’Anello finché l’Unico non sarà distrutto o finché morte non sopraggiunga! E non verremo meno alla parola data.” affermò risoluto Ghimli. Il Comandante strinse le nocche, riprese:”Non ammetto repliche!” e chiamò due soldati che subito si posizionarono ai lati dei prigionieri. “Aspettate!- intervenne Legolas che fino a quel momento non aveva preso parte alla discussione- Loro verranno con noi. Garantisco io per il Nano e per la Cinerea, se arrecheranno danno al reame ne pagherò io il prezzo”5 concluse deciso. Alhara sgranò gli occhi incredula: l’Arciere la odiava, diamine! L’aveva lasciata in balia dell’Osservatore ed ora si esponeva in prima persona per lei. “E sia! Ora, in marcia” decretò Haldir.

1) In Swahili significa:”Lasciami andare o, per l’amor di Varda, giuro che renderò arida la tua discendenza!” Nell’economia della storia questo è un pesante insulto Haradrim.

2) I Giorni Oscuri si riferiscono all’ascesa di Sauron e alla creazione degli Anelli del Potere.

3) L’insulto che Ghimli rivolge ad Haldir in Khuzdul, la lingua dei Nani è: ”Ishkhaqwi ai durugnul” ossia “Sputo sulla tua tomba”.

4) Per l’appellativo “Progenie di Melkor” non fatevi strane idee: non è la figlia di Melkor e verrà chiarito tutto nel prossimo capitolo ;)

5) Nel libro “La Compagnia dell’Anello” Legolas garantisce per Ghimli che può proseguire alla volta del cuore di Lothlorien, ho voluto riproporre questo passaggio aggiungendo Alhara.

______Antro oscuro dell’Autrice_____

Tremate le streghe son tornate! Muahahahah!

A parte gli scherzi eccomi qui con un nuovo capitolo. Mi scuso per l’enooooorme attesa, non capiterà più giuro, ma sono stata fagocitata dall’Università.

Ciancio alle bande: siamo finalmente giunti a Lothlorien e abbiamo fatto la conoscenza di Haldir, che ne dite? Per quanto riguarda Alhara, abbiamo assistito al suo dolore e alla sua paura e sono niente in confronto a ciò che dovrà affrontare nel prossimo capitolo e vedremo l’evolversi del rapporto di amicizia tra la Cinerea e Boromir.

Legolas… Si è esposto in prima persona per lei e per Ghimli e questo, unito all’averla vista in quello stato pietoso, lo porteranno verso una comprensione migliore della donna. (piccolo spoiler)

Ringrazio chi recensisce e chi legge, ringrazio fredfredina per averla messa tra le preferite (mi hai reso una psicopatica felice:3) e Star_of_Vespers per averla messa tra le ricordate e infine ThranduilOropherion per averla messa tra le seguite. (Se ho dimenticato qualcuno, scusate ma sono un po’ rimbambita)

A presto,

Yavanna97

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Capitolo 13
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11

“Dannata corda elfica. Dannati soldati e tutto il dannato teatrino. Non vogliono slegarmi, non vogliono che io prosegua in pace verso la dannata meta che dobbiamo dannatamente raggiungere. Dannato Haldir: mi ha cacciata in una situazione dannatamente brutta. Dannato pure Legolas. Prima vuole che io muoia poi vuole che io viva. Non capisco più niente, dannazione!” “Alhara, va… tutto bene?” la voce chiara di Frodo Baggins distolse la Cinerea da quel dannato monologo.

La giovane scosse la testa e fece un gesto noncurante, poi rivolgendosi allo Hobbit affermò:”In realtà è di te che mi preoccupo: come stai? So che Mithrandir era molto importante per te.” Gli occhi del Mezzuomo si offuscarono, deglutì:”Gandalf era parte della famiglia. Una presenza costante e preziosa e senza di lui… Ho paura di non farcela,di non riuscire a distruggerlo” finì in un sussurro stringendo l’Unico. L’Haradrim annuì e fece scorrere lo sguardo sulla Compagnia e sugli Elfi che li scortavano: erano in viaggio da molte ore, il corpo risentiva della fatica e l’anima era piegata dal dolore. Non era in catene che la donna sperava in un ritorno nella Terra dell’Oro1 , in realtà non credeva nemmeno che sarebbe tornata. Respirò a pieni polmoni la fredda aria notturna e con solennità esclamò:”E’ comprensibile avere paura, mio piccolo amico. Il peso del mondo è sulle tue spalle e se fallirai tutto verrà inghiottito dall’Oscurità. Tuttavia sei coraggioso, Frodo della Contea, e il tuo cuore è puro. Mithrandir aveva fiducia in te e lui raramente sbaglia.” Concluse sorridendo. Il Mezzuomo rispose con un timido sorriso spento subito da un’ombra triste. “Se soccombessi al Suo volere? Se il Male alla fine mi sopraffacesse? Insomma: non ho i tuoi poteri, come posso sconfiggerlo?” finì con una nota angosciosa nella voce. Alhara rise sommessamente e osservò con attenzione il Portatore dell’Anello: minuto e pallido, i capelli neri e riccioluti ondeggiavano pigri tra un refolo di vento e l’altro, gli occhi azzurri un tempo spalancati dalla curiosità erano offuscati dal dolore. “Hai ragione: custodisco grandi poteri. Posso dire, senza esagerare, di essere una delle Creature più forti di Arda. Eppure spesso mi ritrovo ad essere più un ostacolo che un vantaggio: non ho il pieno controllo sul Fuoco, non posso abbassare la guardia o ne sarei annullata. Sono il Kayla, la Luce di Varda tuttavia non riuscirei a compiere nemmeno la metà delle tue azioni. Non sarei in grado di portare a lungo un così grave fardello, figurarsi distruggerlo. Il potere assoluto rende ciechi, non è un bene.” Asserì la Cinerea con un mezzo sorriso: nella sua breve seppur turbolenta vita aveva imparato che la vittoria non si deve alla forza bruta ma al valore del proprio cuore e Frodo Beggins, il piccolo Hobbit, lui aveva più forza di quanto pensasse.

Proseguirono in silenzio inoltrandosi nel fitto della vegetazione, tra tortuosi sentieri mentre l’alba illuminava la foresta di tenui sfumature color pastello. Ad un gesto di Haldir la Compagnia e i militari si fermarono: il Comandante si girò verso i Nove e con solennità annunciò:”Caras Galadhon, il cuore del Regno degli Elfi sulla Terra. Reame di Sire Celeborn e di Galadriel, la Dama della Luce” Il sole nascente illuminò un gruppo di alti alberi dalle foglie smeraldine bagnate di rugiada. Il bosco risuonava dei canti degli uccelli e un vento lieve rendeva l’aria frizzante. Alhara deglutì: i sovrani di Lothlorien non sarebbero stati molto felici di rivederla. “Seguitemi”ordinò l’Elfo.

I membri della Compagnia si addentrarono nel cuore pulsante di Lorien: imponenti alberi su cui si arrampicavano sinuose scale a chiocciola, grandi terrazzi elaborati e sculture lignee. Tutto era permeato da una potente magia benefica e ristoratrice: il benvenuto personale della Regina. I quattro Mezzuomini procedevano con lo sguardo all’insù ammirando estasiati ciò che li circondava. Pipino esclamò sognante:”E’ tutto così... così…” “Luminoso.” Finì per lui Merry. Sam si avvicinò al Portatore e chiese:”Avete mai visto niente di più bello, Padron Frodo?” “Niente, mio buon Sam, niente.” Rispose lo Hobbit soffermandosi ad osservare un enorme albero da cui si irradiava una luce chiara ed intensa. “Quello- esordì Legolas indicando la pianta- è il Palazzo Reale, dimora dei Signori di Lorien.” “Seguitemi, la Dama attende.”Ordinò il Comandante ai Nove mostrando la strada.

La scala sembrava non finire mai. Gradino dopo gradino l’inquietudine di Alhara cresceva: c’era un motivo ben preciso per cui i Sovrani avevano bandito a vita lei e suo fratello. Intorno a loro decine di elfi li scrutavano imperturbabili, alcuni bisbigliavano tra loro puntando gli antichi occhi sull’esile figura della donna: non avevano dimenticato. Improvvisamente i gradini finirono e la Compagnia si ritrovò su un ampio piazzale contornato da piccole lanterne, statue ed arcate lignee intarsiate. Da una gradinata scura iniziarono a scendere due figure luminose: incedevano fiere ed orgogliose, due Elfi antichi ma dall’aspetto giovane. Quando il chiarore iniziò ad attenuarsi i Nove scorsero finalmente i Sovrani della Terra dell’Oro: la Regina, bellissima ed eterea, indossava un lungo abito candido e sui fluenti capelli biondi portava una elaborata tiara argentea. Sul viso ovale spiccavano due occhi color ghiaccio, tanto belli quanto freddi. Il Re avanzava deciso mentre un lungo mantello argentato si muoveva pigro sollevato da una leggera brezza. Il suo viso era più squadrato e trasudava forza ma anche gentilezza, gli occhi scuri e penetranti scrutavano tutti con attenzione. I membri erano estasiati ma anche leggermente intimoriti, mentre Alhara pregava intensamente Varda di evitare l’inevitabile.

“Il Nemico sa che siete giunti qui. – iniziò grave il Re- Qualunque vostra speranza di segretezza ora è svanita.” Si fermò per abbracciare con lo sguardo quella Compagnia eterogenea, riprese:”Nove sono qui eppure Dieci si sono allontanati da Gran Burrone. Dimmi: dov’è Gandalf?- chiese rivolgendosi ad Aragorn - perché è molto che desidero parlare con lui. Non riesco a vederlo da lontano.”concluse interrogativo Celeborn. Il Ramingo abbassò gli occhi contrito: non riusciva a rievocare la morte del Mago senza venire aggredito dal dolore. Vedendo la sofferenza sul volto dell’Uomo, la Regina parlò in sua vece:”Gandalf il Grigio non ha varcato i confini di queste Terre: è stato preso dall’Ombra.” Concluse con voce incrinata. “E’ stato preso sia dall’Ombra che dalle Fiamme- continuò amaro il Principe del Reame Boscoso- Un Balrog di Morgoth. Siamo finiti inutilmente nella rete di Moria.” A quelle parole un silenzio pesante calò sui Nove e sui Sovrani: la morte di Mithrandir rappresentava una perdita per tutti. Fu la calma voce della Dama della Luce a riportare tutti alla realtà:”Mai inutile è stata un’azione di Gandalf nella vita: ancora non conosciamo appieno il suo scopo. Così come non mi è chiaro la tua presenza, Progenie di Melkor.” Concluse la Dama indurendo lo sguardo e posandolo sulla figura tremante della donna: il momento era infine giunto. “Pensavi che saresti passata inosservata ai miei occhi, Cinerea? Pensavi che avremmo dimenticato tutto il dolore che hai causato al mio popolo e alla mia Terra?” intervenne il Sovrano distorcendo i nobili lineamenti in una smorfia d’ira. Alhara stava per ribattere ma Boromir si fece avanti per difenderla meravigliato da quell’improvvisa ostilità. L’Haradrim fu piacevolmente colpita dal gesto altruista del Gondoriano e rivolgendosi a lui parlò:”Non è la tua battaglia, Boromir figlio di Denethor, non voglio che anche tu debba pagare per le mie colpe. I Sovrani hanno tutto il diritto di trattarmi come un nemico, anche se non lo sono mai stato.” Galadriel avanzò incatenando gli occhi glaciali in quelli di fuoco dalla Cinerea, con voce tagliente affermò:”Dici di non essere mai stata un nemico tuttavia il tuo lascito a questo Reame è una grande distesa brulla a Sud-Ovest, dove non c’è vita, arida, deserta, una cicatrice che non si rimarginerà mai. Ti chiamano Flagello di Lorien, ma loro non sanno il perché- continuò rivolgendosi al resto dei Nove mentre una lacrima solitaria solcava il viso scuro di Alhara- E’ giusto che sappiano.” “No, per favore”sussurrò la donna: se gli altri avessero conosciuto tutta la storia non si sarebbero più fidati di lei. “Sapere cosa, mia Signora” intervenne Frodo Baggins. “Alhara è nostra amica, non potete trattarla così!” gli fece eco Merry. Il Re avanzò ponendosi tra la Cinerea e gli Hobbit esclamando:”Dimostrate molta generosità schierandovi in sua difesa così come lo ha dimostrato il Principe Legolas garantendo per lei, ma questa fiducia è mal riposta. La vostra amica ha bagnato col sangue innocente queste sacre terre e raso al suolo una parte di esse…” “ERO SOLO UNA BAMBINA!” urlò la donna dando sfogo a tutto il suo tormento. “Ero solo una bambina- continuò in un bisbiglio- ero spaventata, avevo visto la mia famiglia venire trucidata e il mio Regno cadere in mano a Lui! Io non volevo, non volevo.” La Regina le si avvicinò iniziando a narrare quella triste storia:”Eri una bambina, è vero. Tuttavia eri un pericolo allora come lo sei oggi: troppo instabile per governare il Fuoco senza venirne annientata. Quella notte il Consiglio avrebbe potuto porre fine alla tua esistenza se non fosse stato per l’opposizione e la caparbietà di Gandalf e di Sire Elrond. Non riesco ancora a capire il perché di tanta fiducia anche nel momento in cui fosti proprio tu a dimostrarci la tua pericolosità!” “Avreste preferito che il Kayla fosse mio fratello! Sapete una cosa? Lo preferivo anch’io. Jamali è sempre stato il più capace tra i due, così riflessivo e ponderato. Il più adatto ad essere la Luce di Varda.” Ribatté amara l’Haradrim, si voltò verso i Sovrani col viso solcato da calde lacrima e il corpo scosso da tremori e continuò:”Siete così saggi eppure non riuscite a capire quanto questa colpa mi stia logorando! Se chiudo gli occhi posso ancora sentire le urla delle guardie ed il pianto dei bambini. I loro spettri non mi danno tregua, il dolore mi perseguita giorno e notte. Non mi sono solo macchiata col sangue innocente ma ho impedito la nascita di un’alleanza tra i nostri popoli. Jamali ha perso un occhio per difendermi ed è stato bandito, Legolas mi ha ferita, è vero, ma ha guadagnato un’estesa ustione sul torace – continuò decisa ormai a lasciar fluire tutta la rabbia e la disperazione che la accompagnavano da di diciotto anni- Non ce la faccio più a vivere con questa colpa! Non ce la faccio a vivere con gli sguardi di risentimento e di odio! Io non sono un mostro.” Concluse cadendo in ginocchio scossa da singhiozzi. Aragorn vedendola così fragile le si avvicinò e le poggiò una mano sulla spalla. Galadriel e Celeborn rimasero fermi osservando la Cinerea crollare. La Dama la raggiunse, si inginocchiò davanti a lei e prendendole il viso tra le mani esclamò:”Il tuo pentimento è sincero, Alhara figlia di Huruma. Nel tuo cuore si agitano luce ed oscurità ma l’ombra non ha vinto, la luce è forte. Siamo stati accecati dal dolore del nostro popolo e non abbiamo riconosciuto il tuo.” Finì alzandosi in piedi, fece un cenno alla giovane invitandola a fare lo stesso. “La mia sposa dice il vero. Non sei il mostro che credi di essere, nemmeno quello che noi dipingiamo. Avremmo preferito tuo fratello, hai ragione tuttavia hai la potenza necessaria per riscattarti. Alzati, Alhara la Mezzodemone poiché la pace ora regna tra noi.” Esclamò solenne il Sire di Lorien. La giovane non credeva alle sue orecchie: tutti quegli anni passati a rivivere all’infinito quell’angoscia ed era bastato il loro perdono per donarle sollievo. “Grazie miei Signori- esclamò con un timido sorriso - non sapete quanto questo sia importante per me.”

“Haldir, le corde non sono più necessarie, procedi.” Ordinò la Regina al Comandante che prontamente slegò la donna. L’Haradrim si massaggiò dolorante i polsi e sorridendo prese ad armeggiare con la bisaccia: ne trasse fuori una piccola boccetta di vetro nella quale mulinava della sabbia scarlatta. “Nyumba, vuol dire casa. Quando sono lontana mi ricorda da dove provengo, chi sono. E’ umile ma desidero che lo prendiate come promessa di amicizia. In fondo anche il Fuoco è Luce.” “ Accettiamo il tuo dono poiché esso rappresenta l’inizio di una lunga alleanza.” Pronunciò solenne il Sire prendendo la boccetta e sorridendo sommessamente. “Gandalf sarebbe felice di sapervi di nuovo in concordia e che le razze degli Elfi e dei Cinerei sono in amicizia.” Esclamò soddisfatto Aragorn, ma quelle parole fecero piombare i Nove di nuovo nell’amarezza. “Non lasciare che il grande vuoto di Khazad-dûm riempia il tuo cuore, Ghimli figlio di Gloin- affermò Galadriel con voce dolce puntando gli occhi color ghiaccio sul Nano- Poiché il mondo è diventato colmo di pericoli ed in tutte le Terre l’amore si mescola con l’angoscia” finì spostando lo sguardo su Boromir. L’Uomo di Gondor sudava freddo e tremava come una foglia, non riuscì a sostenere il peso di quegli occhi scrutatori a lungo e alla fine abbassò la testa esausto.

“Cosa avverrà ora a questa Compagnia?- chiese sibillino Celeborn- Senza Gandalf non c’è più speranza.” “La vostra missione è sulla lama di un coltello- proseguì la Dama- una piccola deviazione ed essa fallirà, per la rovina di tutti. Ma la speranza permane, fin quando la Compagnia sarà fedele.” La Regina alzò gli occhi al cielo e sorrise, riprese:”Che i vostri cuori non si turbino. Ora andate a riposare poiché siete logori dal dolore e dalla molta fatica.” 1) La Terra dell’Oro è un altro nome di Lothlorien

________Cantuccio Natalizio dell’Autrice__________

Ehilà, son di nuovo qui! Mi scuso per l’ennesima volta per il ritardo gigantosferico, ma Università e parenti sono un’accoppiata micidiale.

Purtroppo non sono riuscita a spiegare il perché chiamano la nostra eroina “Progenie di Melkor”, ma prometto che il prossimo capitolo sarà più esaustivo.

Coooooomunque, che ne pensate? Celeborn e signora vi sono piaciuti? Alhara vi ha soddisfatto? Ringrazio chi legge, chi recensisce e ringrazio anche Ankoku10 per aver messo la mia storia tra le preferita rendendomi mooooooolto felice :3

A presto, ‘sta volta sul serio,

Yavanna97

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Capitolo 14
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12

Alhara non riusciva ancora a crederci: aveva sconfitto uno dei tanti fantasmi del suo passato. Il perdono dei Signori di Lothlorien era stato un balsamo per il suo cuore ferito e il dolore per la morte di Mithrandir era stato leggermente lenito da quella nuova seppur improbabile alleanza.

L’oscurità era calata da molto sulla Terra dell’Oro che risplendeva coma una gemma grazie alla miriade di lanterne e alla luce delle stelle. L’intera foresta risuonava di un canto melodioso ma triste, ultimo omaggio degli Elfi alla memoria dell’Istari. Dama Galadriel aveva ordinato ad alcune ancelle di sistemare ai piedi dei grandi alberi delle candide tende, riparo e ristoro per la notte.“Un lamento per Gandalf.”sussurrò assorto Legolas. “Cosa significano queste parole?” chiese Merry uscendo da una della tende. Lui e Pipino avevano deciso di condividere la tenda più grande insieme agli altri due Hobbit mentre Aragorn, Gimli1, Legolas e Boromir si erano sistemati insieme lasciandone ad Alhara una tutta per sé. “Non ho il cuore di dirtelo- rispose l’Elfo con voce incrinata- Per me il dolore è ancora troppo vicino.” Finì mesto tornando al suo alloggio con la testa bassa. “Niente sui suoi fuochi d’artificio scommetto.”commentò Sam mentre aiutava Pipino a sistemare delle leggere coperte. “Dovrebbero farci una poesia- continuò alzandosi in piedi e assumendo un’aria solenne- I razzi e i fuochi più belli, che scoppi coi verdi e blu eran quelli! Dopo il tuono rovesci argentati venivan giù come fiori lanciati! Ah, questo non gli rende per niente giustizia!” concluse stizzito dalla fine del suo componimento. “Sono dei versi molto belli, a Mithrandir sarebbero piaciuti.” Intervenne la Cinerea. Era rimasta a discutere con il Re e la Regina della nuova amicizia che adesso li legava scoprendo che li rancore portato nei suoi confronti era frutto della profonda ed intima connessione che i Sovrani avevano con la Terra e con il loro Popolo, simile all’affetto che un genitore prova per i figli. “Ti ringrazio, mia Signora, ma rimango dell’avviso che la bellezza di quei fuochi non si possa esprimere a parole.” Ribatté il Giardiniere incrociando le braccia. Alhara lo raggiunse e gli posò una mano sulla testa con fare materno: si era molto affezionata ai piccoli Hobbit, così apparentemente indifesi eppure così ricchi di coraggio. “Volevo ringraziarvi, tutti voi. Avete preso le mie parti ignorando la verità ed anche dopo averla saputa non mi avete lasciato. Siete delle Creature speciali.” Affermò la donna con voce rotta mentre i Mezzuomini le sorridevano orgogliosi di quel commento. La giovane, si voltò verso Aragorn che fece un cenno col capo in segno d’intesa: i due erano come fratelli e spesso riuscivano a comprendersi senza l’uso delle parole. Alhara cercò l’Arciere con lo sguardo trovandolo intento a riempire un piccola brocca argentata: doveva ancora chiarire un aspetto di quella vicenda se voleva chiudere col passato. Sì alzò decisa e lo raggiunse. “Legolas, posso parlarti?” Chiese titubante. L’Elfo acconsentì e i due si diressero verso uno dei grandi alberi.

“Volevo ringraziarti: insomma hai garantito per me, ti sei esposto in prima persona. Non so perché tu lo abbia fatto visto i nostri trascorsi, ma… Grazie.” Esclamò la giovane tutto d’un fiato. “Una vita per una vita, ho pagato il mio debito2”rispose secco il Principe e fece per andarsene quando la Cinerea lo agguantò per un braccio decisa a continuare quella conversazione. “Aspetta! Ora che D’hira e Lothlorien sono in armonia voglio che regni la pace anche tra di noi. Non mi aspetto che tutto d’un tratto diventiamo grandi amici, mi basterebbe che il risentimento nei miei confronti sparisse.” Finì in un sussurro. Legolas alzò le bionde sopracciglia scettico e si liberò il braccio parandosi davanti all’Haradrim, respirò e parlò:”Ascolta Alhara ciò che è stato non può essere cancellato. Porterò sempre la cicatrice che tu mi hai inferto così come tu porterai la mia- si fermò mentre la mano della donna andava involontariamente a quel segno chiaro che l’Elfo le aveva lasciato sul collo- Tuttavia ho visto quanto tu sia cresciuta e sebbene io continui a non ritenerti adatta al compito a te assegnato, credo che ci sia speranza.” Concluse con un mezzo sorriso andandosene e lasciando la Cinerea a bocca aperta ma soddisfatta.

Era tornata alla sua tenda con le parole dell’Arciere che risuonavano ancora nella mente: c’era speranza. Si sedette sul morbido tappeto d’erba e chiuse gli occhi, una lacrima sfuggì alle lunghe ciglia nere: lo Stregone le mancava terribilmente e quella nuova conquista, seppur importante non era nulla in confronto alla sofferenza per la sua morte.

Ripensò a quella notte di quasi diciotto anni prima quando Mithrandir aveva condotto lei e suo fratello Jamali a Lorien per chiedere asilo. Erano ancora scossi dalla caduta del Raj e di D’hira e Alhara era particolarmente instabile tanto che suo fratello non la lasciava mai da sola. Purtroppo aveva ascoltato parte della conversazione del Consiglio, in particolare la decisione di eliminarla in quanto troppo pericolosa e non era riuscita a controllarsi. Fuoco e fiamme avevano ammantato il corpicino della bambina lasciando il posto alla natura demoniaca. La sua coscienza si era come annebbiata e l’unico istinto era stato quello di bruciare tutto ciò che la circondava. Ricordava le urla delle guardie, il pianto dei bambini e uno sciame di frecce volare contro di lei. Ricordava la voce angosciata di suo fratello che cercava di proteggerla e quella forte di Mithrandir. Ricordava la voce del Principe di Bosco Atro e del suo Re, ricordava il dolore di una lama trapassarle le carni e il grido straziante di Jamali. Ricordava una grande rabbia e il corpo del Principe Elfico stramazzare al suolo, suo fratello che si reggeva la testa con una mano e tanto, troppo sangue. Alhara riaprì gli occhi rendendosi conto che altre calde lacrime avevano seguito la prima, sospirò e fece scorrere lo sguardo sugli imponenti alberi e sulla luce soffusa che emanavano le lanterne. I grandi occhi cremisi si posarono sulla figura curva dell’Uomo di Gondor: era rimasto stranamente silenzioso per tutta la sera, era diventato sfuggente e nervoso.

“Cosa ti turba, amico mio?” chiese incerta l’Haradrim raggiungendo la radice su cui Boromir era seduto. Il Gondoriano si voltò verso di lei e sorrise mesto, gli occhi arrossati e il volto pallido tradivano un tormento interiore:”Sei la seconda persona che mi fa questa domanda. Ti dirò la verità: temo per ciò che accadrà a Gondor. L’Ombra diventa più forte ogni giorno che passa.” Concluse amaro. La Cinerea si accomodò accanto a lui ed insieme rimasero ad ammirare i curiosi giochi di luce che il vetro creava sulla liscia corteccia degli alberi. Alhara sorrise e iniziò:”Sei un uomo valoroso Boromir, gli abitanti di Minas Tirith possono dormire sogni tranquilli. Riusciremo a sconfiggere quest’Oscurità.” Il Cavaliere rise piano ed esclamò:”Come mi sono ridotto: ora spetta ad una donna consolarmi! Se i miei soldati lo sapessero sarei lo zimbello di tutto l’esercito!” La giovane spalancò gli occhi stupita ed esclamò teatrale:”Come osi? Ecco che si sgretolano le basi della nostra duratura amicizia!- sorrise e continuò- Grazie, per prima, insomma per avermi difesa.” “Dovere. In fondo non sei la solita fanciulla in pericolo e ti sei rivelata piuttosto abile in battaglia, Progenie di Melkor” rispose calcando volontariamente le ultime parole. Alhara assunse repentinamente un cipiglio serio e parlò:”Non credo tu sappia il loro vero significato, ma non importa. E’ un lunga storia che si perde nella notte dei tempi: come vi dissi nelle Miniere, le Cinque Stirpi di Demoni sono state create da un Valar e a lui o a lei esse rispondono. Tuttavia i Demoni di Fuoco non nacquero insieme agli altri: Melkor, custode delle Fiamme, inizialmente decise di corrompere i Balrog poiché non era in grado di creare dal nulla una stirpe. In seguito, dopo aver guadagnato sempre più potere creò i primi Cinerei, ma essi erano insubordinati e non lo rispettavano,così li abbandonò al loro destino- fece una pausa, riprese- I lamenti dei miei antenati toccarono i cuori di Varda e di Aulë ed essi decisero di diventare i protettori e i custodi della nuova stirpe. Tuttavia i primi Cinerei erano deboli ed incompleti soprattutto dopo la sconfitta di Melkor: non potevano attingere direttamente al loro elemento, così la Signora delle Stelle3 decise di cedere una scintilla della sua Luce. Il prescelto sarebbe diventato una guida per i suoi simili, un consigliere, tramite tra loro e la Valië: era nato il primo Kayla, la prima Luce di Varda. Questo prescelto così come i Kayla dopo di lui ebbero in dono un potere quasi sconfinato tuttavia essi erano instabili, perennemente sul chi vive: abbassare la guardia significava venire annientati dal Fuoco e dalla Luce.” Concluse con un sospiro. Il Gondoriano corrugò le folte sopracciglia e con una mano si grattò la barba bionda concentrato, la donna riprese:”Essere il Kayla è come provare a far rimanere in equilibrio un cavallo sopra uno sgabello, difficile ma non impossibile.”finì sorridendo della strana similitudine. Boromir sorrise di rimando e osservò l’Haradrim allontanarsi verso la tenda per poi tornare con una leggera coperta e una specie di libro rilegato in cuoio. Alhara si accomodò con uno sbuffo accanto a lui e sistemò la coperta, aprì il libro mostrando una serie di disegni e in silenzio iniziò a ritrarre il bellissimo panorama che le si mostrava di fronte. L’Uomo si mise ad osservarla disegnare per poco prima di perdersi nel chiarore soffuso di Lorien.

“Jamali!” la bambina correva nel deserto sconfinato. Era sola ed impaurita. “Jamali, dove sei fratello?!” urlava con le lacrime agli occhi: lo aveva perso e quella distesa rovente sembrava non avere orizzonte. La sua folle corsa si fermò davanti alle rovine di un’antica cinta muraria: i massi erano stati erosi dal vento e la sabbia ne aveva inghiottito una parte. “Alhara, sei giunta, finalmente.” Una voce suadente e melliflua l’avvolse e dalla sabbia si stagliò una figura alta e fiera: un Demone di Fuoco dall’aspetto pericoloso. La bambina arretrava sospettosa mentre il Cinereo dalle Nere Fiamme continuava a parlare:”Il mio volto non ti è nuovo, non è così? Mi hai visto invadere il Raj e attaccare quel pusillanime di tuo zio- Jua Akifa le agguantò un polso- Tu non sei il Kayla, tu sei solo CENERE…” E il Fuoco Nero iniziò ad avvolgere entrambi mentre le urla della bambina si sovrapponevano alla risata sguaiata del Sole che Muore…

Alhara si svegliò madida di sudore e avvolta nelle coperte di seta, tentò di liberarsi da quel bozzolo candido ma finì per sbattere contro una delle grandi radici. “Kutomba!4” mormorò a denti stretti mentre finalmente riusciva a togliere le leggere trapunte, sbuffò ed uscì fuori dalla tenda. Il bosco era avvolto dal silenzio e in lontananza poteva vedere i primi raggi di sole annunciare un nuovo giorno. Inspirò a pieni polmoni l’aria frizzante del mattino mentre un vento fresco le scompigliava i lunghi capelli corvini. Attirata da un fruscio, la donna si girò scorgendo Aragorn che cercava di svegliare il resto dei Nove. Dalla Reggia Haldir li raggiunse di gran carriera, Alhara si avvicinò mentre i quattro Mezzuomini lasciavano i loro dormitori sbadigliando e stiracchiandosi. Il Comandante chinò il capo in segno di saluto ed affermò solenne:” Siete convocati nella Sala del Trono: Sire Celeborn e Dama Galadriel desiderano vedervi.”

1) Mi hanno fatto notare che scrivevo il nome del nostro caro nano in modo sbagliato, pardon :)

2) E’ una citazione del mio film Disney preferito: Mulan, non potevo non inserirla

3) Altro appellativo di Varda

4) Imprecazione Haradrim, in Swahili è abbastanza volgare.

______Cantuccio Natalizio dell’Autrice parte 2_________

Ehi, questa volta sono stata abbastanza veloce, ma non abituatevi ;)

In questo capitolo veniamo a conoscenza del perché Alhara viene chiamata Progenie di Melkor e perché essere il Kayla è così difficile.

Scopriamo inoltre che è stato proprio Jua Akifa a guidare l’invasione del Raj e l’attacco a D’Hira.

In più finalmente si sono gettate le basi per l’amicizia tra Alhara e Legolas e quella tra lei e Boromir si sta rafforzando. Ringrazio come al solito chi legge solamente, chi recensisce e chi segue questo piccolo obbrobrio :3

A presto,

Yavanna97

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Capitolo 15
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13

Le candide canoe solcavano rapide e silenziose le placide acque dell’Anduin1 . Il sole era oramai alto nel cielo quando i Nove oltrepassarono i confini della Terra dell’Oro, una leggera brezza spirava di tanto in tanto scompigliando i capelli e rendendo l’aria frizzante.

Quella mattina Haldir si era recato alle prime luci dell’alba presso l’improvvisato accampamento per condurre gli ospiti dai Regnanti. Il Comandante li aveva guidati attraverso gli stretti sentieri di Calas Galadhon, tra imponenti alberi che, illuminati dai caldi raggi del sole, sembravano come risvegliarsi da un lungo sonno. Erano infine giunti sulle rocciose rive del Lungo Fiumedove Sire Celeborn e Dama Galadriel li avevano raggiunti fieri e regali trasportati da una chiara barca dalla sinuosa prua a forma di cigno. La delegazione di Elfi aveva attraccato sul molo ligneo e i Nove erano stati accompagnati dalla bellissima Dama sotto un’arcata di fronde e foglie. Il Sire di Lorien aveva iniziato elencando uno dopo l’altro i vari pericoli in cui sarebbero incorsi: schiere di Orchi, la magia di Saruman, l’armata di Sauron, la malvagia influenza dell’Unico e la minaccia lontana ma concreta di Jua Akifa. A quelle parole lo sconforto aveva attanagliato il cuore dei Compagni e la loro volontà aveva vacillato un istante, tuttavia il Re aveva ripreso affermando che il valore e il coraggio dimostrato fino a quel momento li avrebbe condotti alla vittoria. In seguito aveva fatto avvicinare alcuni soldati esclamando solenne: “Mai prima d’ora abbiamo vestito stranieri con indumenti della mia gente.- si era fermato mentre i miliziani abbigliavano gli ospiti con mantelli verde scuro e li fissavano con elaborate spille a forma di foglia. Riprese- Che questi mantelli vi facciano da scudo contro occhi ostili.” Concluse grave.

I preparativi per la partenza erano stati veloci: le tre canoe destinate ai Nove erano state riempite con viveri e qualche borraccia mentre Aragorn e Celeborn discutevano sulla via migliore da prendere. Le strade sulla terra erano sorvegliate e percorse notte e giorno da Orchi che portavano come vessillo la Mano Bianca3: il fiume avrebbe garantito sicurezza e discrezione. Prima di partire la Dama della Luce aveva elargito ad ognuno di loro dei doni e regalato parole d’incoraggiamento per i giorni oscuri che sarebbero giunti. Con il cuore pesante ma animati da una nuova forza la Compagnia dell’Anello lasciò Lothlorien alla volta delle Cascate di Rauros4 e di Mordor.

Cullati dalle calme acque dell’Anduin i membri avevano abbandonato la mente ai ricordi. “Il mio dono a te, Legolas, è un arco dei Galadhrim: degno della maestria dei nostri artigiani.” Con queste parole la Dama aveva accompagnato l’omaggio al Principe di Bosco Atro. L’Elfo con un sorriso aveva rievocato il gesto della Regina mentre con lo sguardo spaziava tra le due rive sempre pronto a captare il più piccolo accenno di pericolo. L’Arciere aveva come compagni di navigazione Gimli ed Alhara che era stranamente silenziosa. Sull’imbarcazione accanto alla sua si trovavano Boromir e i due combina guai mentre, avanti tutta, la canoa con Aragorn e gli altri due Hobbit guidava quella piccola flotta. Nel mentre anche il giovane Pipino era tornato indietro con i ricordi: “Questi sono pugnali dei Noldor5 hanno già prestato servizio in battaglia.- aveva esclamato Galadriel mentre titubanti i due Mezzuomini sguainavano le loro armi, rivolgendosi a Pipino riprese- Non temere Peregrino Tuc: troverai il tuo coraggio.” Lo Hobbit aveva annuito sperando in cuor suo che la Sovrana avesse ragione. “E per te, Samvise Gamgee, corda elfica.” Le parole della Signora erano affiorate anche nella mente del Giardiniere di casa Baggins che osservava la nuova fune ricordando le smorfie di dolore che erano apparse sul volto di Alhara quando Haldir le aveva legato i polsi: aveva la sensazione che sarebbe servita presto.

La Cinerea dal canto suo non aveva proferito parola per tutta la traversata, il pallore del volto tradiva un male interno: soffriva intensamente il mal di mare sebbene non ci fossero onde ad increspare il rivo e l’acqua fosse limpida come uno specchio. La scura voce di Gimli riscosse la giovane dai suoi pensieri: “Mi è stata inflitta la ferita più grande con questa partenza. Ho guardato per l’ultima volta la cosa più bella! AH, d’ora in poi non ci sarà nulla di bello oltre il suo dono a me.” esclamò amareggiato il Nano. “E cosa ti ha donato?” chiese curioso Legolas continuando a remare. L’interlocutore assunse un’aria sognante e rispose con voce estremamente dolce:”Le avevo chiesto un capello della sua chioma dorata… Me ne ha donati tre.” Finì in un sussurro. L’Haradrim sorrise al ricordo dei doni ricevuti: il perdono e la redenzione. La Dama e il Sire di Lorien le avevano dato ciò che il suo cuore bramava da tempo e la sua anima ne era uscita risanata: con quella nuova forza riusciva addirittura a credere che avrebbe sconfitto il Sole che muore. Un movimento brusco del remo la fece tornare alla realtà, la donna artigliò il legno della barca e rivolgendosi all’Arciere esclamò a denti stretti:”Legolas, evita di far dondolare la canoa come una giostra!” Il Principe non rispose ma ghignando sollevò il remo e diede una forte scossa alla scialuppa facendola gridare di spavento. Gimli scoppiò in una fragorosa risata mentre Alhara inveiva in Haradrim contro l’Elfo usando parole poco lusinghiere. “Ti è andato di volta il cervello!?- riprese la donna nella lingua comune - Sono scherzi da fare questi? Che c’è, non conosci il mal di…” non riuscì a concludere la frase poiché un conato la costrinse a chinarsi in due mentre il viso assumeva una particolare tonalità verdognola. Il Nano le diede un buffetto affettuoso sulla gamba ed affermò tra una risata e l’altra:”Non ho mai visto qualcuno soffrire l’acqua in maniera così… Così…” “Assurda?- finì per lui la Cinerea che pian piano si riprendeva- E la cosa ancora più assurda è che il fiume è una tavola, uno specchio senza nemmeno un’onda o un’increspatura!” concluse stringendosi teatralmente lo stomaco con le braccia. Gimli sorrise e mentre il ghigno di Legolas non accennava a scomparire: il grande e potente Kayla, il temuto Flagello di Lorien che aveva mal di stomaco solo a stare in un barchetta sul pelo dell’acqua. La cosa era al limite del surreale.

Le ore passavano lente mentre le canoe scivolavano nel rivo, ai lati di esso si diramavano boschi incontaminati alternati da piccoli spiazzi rocciosi. Aragorn era inquieto: le parole di Sire Celeborn lo avevano messo in allerta e lui continuava a scrutare corrucciato le sponde boscose. Si aspettava attacchi da un momento all’altro, la comparsa del temuto esercito della Mano Bianca o di un qualsivoglia nemico. Tuttavia non era solo il pericolo incombente che lo teneva sul chi vive: lo sguardo di Dama Galadriel alla vista della collana lo tormentava. Lui amava Arwen, la amava più della sua stessa vita, ma doveva ammettere che ogni tanto il senso di colpa invadeva il suo cuore: per amore la Principessa aveva rinunciato all’ immortalità, alla possibilità di vivere per sempre ad Aman6. Fu il gracchiare prolungato di un corvo a riscuoterlo dal vortice dei suoi pensieri. Legolas avvicinò la sua canoa a quella del Ramingo e proferì concitato:”Ho visto qualcosa, non ne sono sicuro. Ci stanno pedinando, dobbiamo nasconderci ora che il sole è ancora alto nel cielo.” Grampasso annuì cupo ed ordinò di proseguire per un paio di miglia: al calar della notte avrebbero trovato riparo. L’Arciere si limitò a corrugare le sottili sopracciglia chiare e a remare fino alla canoa dove Boromir continuava a spostare lo sguardo allarmato da una sponda all’altra.

Il buio raggiunse in fretta i Nove, un mare di stelle punteggiava il cielo e una sottile falce di luna illuminava l’acqua creando suggestivi riflessi argentei. I Compagni, su ordine di Aragorn, avevano issato le piccole canoe su una delle due sponde e si erano accampati dietro delle grandi rocce. Alhara aveva letteralmente baciato la ghiaia sotto i suoi piedi ringraziando i Valar per essere sopravvissuto a quel fiume infernale. Richiamata all’ordine dal Ramingo, la fanciulla accese uno scoppiettante fuoco mentre Sam distribuiva delle piccole porzioni di Lembas o Pan di Via: particolare pane elfico che con un morso riusciva a saziare un uomo adulto. La Compagnia aveva mangiato in silenzio cullata dallo sciabordio delle acque. Dopo poco il Gondoriano aveva lasciato l’accampamento e si era messo a scrutare le scure acque con uno strano luccichio negli occhi.

Merry e Pipino erano crollati vinti dal sonno così come il Nano, mentre l’Elfo si era ritirato in disparte perso nei suoi pensieri. “Mangiate qualcosa, Padron Frodo.”esclamò Sam mentre porgeva al Portatore un’abbondante porzione di cena. Al rifiuto dello Hobbit, l’altro affermò preoccupato:”E’ tutto il giorno che non mangiate e non dormite nemmeno! L’ho notato, sapete?” continuò mentre prendeva posto accanto all’amico. “Sto bene.” Fu la risposta apatica di Frodo Baggins. “E invece non state bene!- rispose il Mezzuomo col viso rubicondo leggermente pallido- Io sono qui per aiutarvi. L’ho promesso a Gandalf!” “Non puoi aiutarmi Sam. Non questa volta.” Esclamò amaro invitandolo ad andarsene. Il Giardiniere si allontanò affranto scuotendo la testa. “Non dovresti cacciarlo così-intervenne l’Haradrim che aveva assistito alla scena- Hai bisogno di lui, hai bisogno di tutti noi. Siamo qui per questo.” Continuò prendendo posto accanto allo Hobbit e scompigliandogli affettuosamente i ricci scuri. Sorridendo continuò:”Non posso capire cosa stai provando, ma posso tentare. Il tuo primo istinto è di allontanarti da tutto e tutti. Ti ripeti: saranno al sicuro senza di me, il Nemico non avrebbe nessun motivo per attaccarli e così ti isoli e rimani solo. Sembrerà strano ma è allora che sarai debole. Ricorda: i tuoi amici sono la tua forza, la famiglia la tua ancora. Permettici di proteggerti. ” Concluse sospirando. Il Mezzuomo annuì assorto e la donna rimase accanto a lui beandosi del calore del fuoco.

Con una smorfia Grampasso si allontanò dall’accampamento dirigendosi spedito verso la riva: aveva deciso di sostituire Boromir nel primo turno di guardia. La calma avrebbe giovato allo spirito ed al corpo: era turbato e aveva un assoluto bisogno di tornare lucido. “Gollum- esclamò vedendo un piccolo tronco galleggiare sospetto e facendo trasalire l’altro- ci sta seguendo da Moria. Speravo di liberarmene sul fiume ma è un barcaiolo troppo astuto.” Concluse con una smorfia di disappunto. “Se avverte il Nemico della nostra posizione renderà la traversata più pericolosa” aggiunse l’Uomo sovrappensiero. Aragorn annuì e lo esortò a dormire: dovevano recuperare le forze e ritemprare gli animi, non mancava molto alle Cascate. “Minas Tirith è una strada più sicura e tu lo sai- riprese Boromir con fermezza- da lì possiamo riunirci e dirigerci a Mordor con maggiori forze!” “Non c’è forza a Gondor che possa giovarci.” Ribatté l’Erede con voce dura. “Sei stato lesto a fidarti degli Elfi! Hai così poca fede nel tuo popolo?- lo accusò l’altro assottigliando gli occhi verdi- Sì, c’è debolezza, c’è fragilità! Ma c’è anche coraggio e onore da scovare negli Uomini, ma tu questo non lo vedi! Hai paura!” Continuò afferrando malamente il Ramingo per un braccio e abbaiandogli contro:”Per tutta la vita ti sei nascosto nell’ombra spaventato da chi sei, da cosa sei!” “Adesso basta!-tuonò Alhara raggiungendo i due- Non è l’ora né il luogo per discutere. La notte è lunga e non sarà certo il vostro abbaiarvi contro a tenere lontani i nemici! Qui ci penso io.” Concluse separandoli. “Non porterò l’Anello entro cento leghe dalla vostra città” sputò Aragorn mentre Boromir grugnendo si dirigeva verso l’accampamento. Il Ramingo si rivolse all’Haradrim, il volto stanco e gli occhi azzurri offuscati, stava per replicare ma la donna fu più veloce:”Non ha tutti i torti, c’è del buono negli Uomini, bisogna solo vederlo. Và a dormire, placa il tuo spirito.” Concluse poggiando una mano sulla sua spalla in segno d’affetto. L’Uomo annuì e raggiunse il resto dei Nove. La giovane inspirò profondamente e si accoccolò accanto ad un grande masso: l’indomani si sarebbero sentite le conseguenze di quello scontro.

L’alba la trovò che dormiva vicino al fuoco: Gimli aveva preteso il secondo turno mandando la Cinerea a dormire. Il cielo si colorò di tenui sfumature rosate mentre l’aria diventava più fresca, il fiume scorreva quieto increspandosi di tanto in tanto. Dopo un frugale pasto la Compagnia dell’Anello riprese la traversata del fiume. La tensione era palpabile tra i due Uomini: a stento si erano guardati e i loro dialoghi consistevano in monosillabi e risposte apatiche. La discussione della notte precedente aveva scavato un solco tra i due che non si sarebbe risanato facilmente. Le tre canoe scivolavano veloci avvicinandosi alle Cascate ed a tutto ciò che esse comportavano: Mordor incombeva su di loro e il morale ne risentiva. “Gli Argonath7. A lungo ho desiderato ammirare gli antichi Re: la mia Stirpe.” Le parole solenni e nostalgiche del Ramingo incorniciarono una vista mozzafiato: due colossali statue in pietra chiara dalle fattezze di fieri sovrani. Le braccia tese ed il palmo aperto come ammonimento per chi si apprestava ad entrare nei territori di Gondor. Erano infine giunti.

1) L’Anduin è il fiume più lungo della Terra di Mezzo dopo la fine della Prima Era. Il suo nome in Sindarin significa appunto Lungo Fiume, viene anche chiamato Grande Fiume. Nasce a Est delle Montagne Nebbiose e scorre verso Sud fino al Grande mare.

2) Lungo Fiume è il nome Sindarin dell’Anduin.

3) La Mano Bianca è il marchio di Saruman ed era impresso sugli scudi e sui vessilli degli Uruk-Hai.

4) Le Cascate di Rauros sono delle imponenti cascate del Fiume Anduin e sono caratterizzate dal fatto di essere divise a metà da un'imponente roccia appuntita.

5) I Noldor sono uno dei tre popoli degli Elfi.

6) Aman è un continente di Arda, è situato a ovest della Terra di Mezzo e ospita il Reame Beato, Valinor, dimora dei Valar.

7) All'ingresso fluviale del Regno di Gondor erano poste due statue gigantesche, chiamate Argonath, poste su entrambe le rive del fiume. Scolpite nella roccia dai Númenóreani servivano da monito per chi giungeva da Nord, ricordando la potenza di Gondor e rappresentavano le sembianze di Isildur e Anárion. Entrambe le statue avevano la mano sinistra alzata in segno di ammonimento e nella mano destra stringevano una grande ascia.


________________Cantuccio dell’Autrice_______________

Scusatescusatescusate! Sono passati eoni dall’ultimo capitolo e pensavo di non riuscire più ad aggiornare. Ho passato un periodo particolare in cui non me la sono passata benissimo tra Università & co. In più questo capitolo mi ha fatto penare molto anche perché ho sempre l’impressione che i due precedenti facessero un po’ pena e questo ha contribuito al brutto periodo. Chiudiamo la parentesi Yavanna97 triste e concentriamoci sulla storia.

I dissapori tra i due Uomini li separano sempre di più, Frodo inizia a cadere sotto l’influsso dell’Unico e rifiuta la vicinanza di Sam. Ci pensa Alhara ad alleggerire l’atmosfera con il suo mal di mare ingiustificato.

I Nove sono arrivati alle Cascate e la prima parte del cammino verso Mordor si avvia verso la conclusione così come questa storia. Vorrei tanto che mi diceste cosa ne pensate della fan fiction fino a qui, come vi sembrano Alhara e tutti gli altri e ringrazio a prescindere chi lo farà :)

Ringrazio chi legge e chi ha ancora la pazienza di seguire quest’autrice lunatica e psicolabile. Ringrazio lady anya blu Cullen per aver messo il mio piccolo obbrobrio tra le preferite rendendomi moooooolto felice *-*

Al prossimo capitolo, questa volta non così in ritardo,

Yavanna97

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Capitolo 16
*** AVVISO ***


Scusate l'assenza. Non sono morta nè dispersa, ahahahah

Scherzi a parte, non mi sermbra giusto nei vostri confronti lasciare le cose a metà soprattutto ora che ho deciso di revisionare tutto. Scorrendo i capitoli e ampliando le mie conoscienze letterarie ed artistiche mi sono accorta che l'Alhara che ho tratteggiato non è la stessa Alhara che avevo in mente di farvi conoscere e apprezzare, in più ci sono molte altre cose che a freddo non funzionano. Con calma riprenderò la pubblicazione di una storia che spero vi piaccia di più e che possa essere il più simile possibile a ciò che la mia mente bacata ha partorito ;)

Ringrazio chi ha seguito la mia Alhara per tutto questo tempo, chi ha messo il mio obbrobrio tra le preferite, chi ha recensito, chi ha solo letto dandomi così una possibilità.

Vi adoro. A mooooooooolto presto, IlSignoredegliAnellisamente vostra

Yavanna97

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