Affari di famiglia

di Mikky
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Niente stress ***
Capitolo 2: *** Nootropi ***
Capitolo 3: *** Tutta questione di chimica ***
Capitolo 4: *** Qualcuno di fidato ***
Capitolo 5: *** Il morto che parla ***
Capitolo 6: *** Un profilo poco convincente ***
Capitolo 7: *** Josephine ***
Capitolo 8: *** Un passato troppo presente e un presente troppo passato ***
Capitolo 9: *** Interrogatorio ***
Capitolo 10: *** Bentornata a casa ***
Capitolo 11: *** Un colpo al cuore ***
Capitolo 12: *** Addio ***



Capitolo 1
*** Niente stress ***


Niente stress

La conoscenza è avere la risposta giusta. L’intelligenza è avere la domanda giusta
-Anonimo-


Spencer chiuse gli occhi e si abbandonò sulla sedia da ufficio, aveva bisogno di far riposare le sinapsi esauste da tutto quello stress. Il suo dottore gli aveva raccomandato di stare tranquillo, senza ansia, prendersi magari una vacanza, ma con il matrimonio in arrivo c’era bisogno di soldi.
Certo non se la passava male economicamente, aveva messo molto da parte, ma non aveva la minima idea di quanto si spendesse solitamente per un evento del genere, ma Rossi gli aveva fatto intuire che non se la sarebbe cavata con poco. Devi farla sentire una regina gli aveva detto, perciò aveva deciso che avrebbe fatto tutto per renderla felice, anche se questo voleva dire spendere quanto il redito lordo del Brasile...
Delle braccia gli circondarono il collo e un profumo piuttosto familiare lo avvolse. Non aprì gli occhi, lasciando che quel contatto umano lo cullasse. “Spencey ho una proposta per te”.
“Dimmi”.
“Prendiamoci una vacanza e stiamocene per conto nostro per…due settimane”.
Lui sospirò “Minnie dobbiamo lavorare”.
Sentì la ragazza sbuffare e il suo seno premere in modo provocante contro il suo collo “Sempre dovere e dovere, mai un po’ di relax per noi”.
Aprì gli occhi e la guardò con i suoi occhi da cucciolo “Il matrimonio…”.
“Il dottore ha detto niente stress” protestò Minerva, sciogliendo l’abbraccio, e andando a sedersi sulla scrivania “E poi per quanto mi riguarda mi va bene una cerimonia con me e te e nessuno. E non intendo Ulisse, ma il nulla cosmico”.
“Il nulla cosmico…”.
“Lo so!” Minerva alzò gli occhi al cielo “Ma comprendimi Reid, non ho bisogno di qualcosa di grandioso per stare con te, è solo un ufficializzazione del nostro amore. Possiamo andare anche oggi in comune e farlo così, senza pensieri e tante preoccupazioni”.
Avrebbe voluto ribattere ma Garcia si avvicinò sulle sue meravigliose scarpe con le farfalle. “Riunione, miei geniali promessi sposini”.
Scattarono entrambi in piedi, abbandonando il discorso lì, sul quella scrivania.

“Università di Berkley, miei cari!” Penelope accese il maxi schermo “E mi fa rivalutare la capacità dei secchioni di far del male! Abbiamo quattro vittime: Lola Harris, 22 anni, Michael Juares, 26 anni, Cornelia e Jeremy Lowell, 24 anni. Sono stati trovati morti in zone dismesse del campus”.
“Qual è la causa della morte?” domandò Blake sfogliando le foto del tablet.
“Overdose di un medicinale sconosciuto”.
“La composizione chimica è abbastanza particolare, alcune sostanze sembrano composti eccitanti, ma sono legate ad altre cose che non capisco” disse Spencer studiando il suo fascicolo cartaceo. Non era ancora sceso a compromessi con la tecnologia e chissà quando l’avrebbe fatto.
Minerva non riuscì a non trattenere un sorriso, mentre alcune pagine sfuggivano dalle mani del suo fidanzato, mentre cercava di leggere tutti i composti.
Garcia scrollò le spalle “L’unica cosa certa è che quella roba non fa bene”.
“Perché hanno chiamato noi?” domandò Morgan “Questi casi non dovrebbero finire in mano alla D.E.A.”.
“Il problema è che sui corpi sono stati trovati sotto questi numeri e sul petto la scritta fallito”. Sullo schermo apparvero due serie di numeri composti da 10 cifre, mentre una era ripetuta ben tre volte, l’altra era stata riproposta un’unica volta.
A Minerva venne un colpo. Non era certa che fossero gli stessi numeri, in fin de conti li aveva visti molto anni prima e mai per intero, ma il luogo in cui erano stati trovati le fecero annodare lo stomaco. “Cosa sono?”.
“Non lo so, ho fatto solo una ricerca preliminare, ma non ho trovato nulla. Inoltre la cosa particolare è che questa droga non si trova in commercio, nessuno sa da dove venga”.
“Quindi l’S.I. somministra questa droga alle sue vittime” Dave si appoggiò le mani sul grembo “Probabilmente è una donna”.
“Mi fa schifo solo l’idea di essere del suo stesso genere” sbottò Garcia.
Hotch chiuse il tablet e si alzò “Decolliamo fra 20 minuti. Minerva tu verrai con noi, ti sei laureata alla Berkley e sei la più giovane di noi, protesti esserci utile sul campo e parlare con gli studenti senza allarmali”.
La ragazza annuì e lentamente si alzò “Chi è il rettore della Berkley attualmente?”.
“Il dottor Eagle. È un genetista e un chimico molto importante a livello nazionale. Sua moglie insegna sempre lì, è anatomopatologa e ha un dottorato in farmacologia” Spencer si fermò “Potrebbero darci una mano a identificare la sostanza”.
“Sì potrebbero” la ragazza raccolse i suoi effetti personali e uscì dalla stanza. Le gambe le stavano tremando per la paura: non era pronta a tornare a casa. Entrò nell’ascensore e aspettò che Reid entrasse prima di premere il bottone per andare al parcheggio.
Il ragazzo la guardò, tenendo le mani in tasca “Cosa c’è? Sei pallida”.
“Nulla, tesoro, nulla”.

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Capitolo 2
*** Nootropi ***


Nootropi

“Agente Hotchner e lei è la dottoressa Hunter, la nostra consulente”.
Il detective Miller squadrò la ragazza mentre le porgeva la mano “Ha un volto familiare…”.
“Ho frequentato la Berkley non molti anni fa, ma non mi ha mai arrestato”.
“Ne è certa?”.
Minerva annuì. L’agente non sembrava molto convinto, ma decise di lasciar cadere il discorso, non voleva di sicuro far infuriare una che aveva dei contanti con l’F.B.I.. Li portò nella sala riunioni più bella e ampia che avevano nel dipartimento “Questa è tutta per voi, sentitevi liberi di fare qualsiasi cosa. Vogliamo prendere quel bastardo”.
Minerva appoggiò la borsa sul tavolo e guardò fuori. Le sembravano secoli da quando aveva visto per l’ultima volta il mare della sua città. “Bastarda” disse rivolta verso il vetro.
“Come scusi?”.
“Probabilmente abbiamo a che fare con un’S.I. donna; è risaputo che un omicidio con veleni o droghe è tipicamente femminile. Si preoccupano di chi pulirà dopo, gli uomini, invece, non lo fanno”.
“E allora come riesce a far ingoiare la droga alle vittime? Una donna non poteva sopraffarli, alcuni erano atleti semiprofessionisti”.
Aaron osservò le foto sistemate sulla lavagna trasparente “Probabilmente con l’inganno, ma appena avremmo un profilo più dettagliato potremmo darle risposte più soddisfacenti”.
Miller incrociò le braccia osservando i due agenti, poi scrollò le spalle “Se scoprite qualcosa fatemi sapere”.

Spencer si piegò sul volto di Jeremy Lowell cercando qualcosa, come segni di costrizione o lividi. “Nessun segno di lotta, vuol dire che si sono drogati di loro spontanea volontà o che sono stati drogati a loro insaputa ”.
“Erano gemelli, facevano tutto insieme” Blake girò intorno al corpo di Cornelia “forse uno dei due aveva iniziato a drogarsi e l’altro l’ha seguito”.
Il coroner scosse la testa “Non c’erano altre sostanze in circolo, se non caffeina e fosforo”.
“Fosforo serve per la concentrazione”.
Spencer corrugò le sopraciglia e si raddrizzò “Siamo in sessione di esame alla Berkley, vero?”. “E’ il periodo in cui vengono fatti i parziali, perché?”.
“Posso vedere il tossicologico?”.
Il medico legale glielo porse e Reid si mise a leggerlo rapidamente, gesticolando, poi alzò lo sguardo. “Forse so che cosa sono, ma devo andare in centrale e parlare con gli altri”.
Blake annuì, ringraziarono il medico e uscirono.

“Tutti i genitori hanno detto che i ragazzi erano ottimi studenti, preparati e motivati” J.J. strinse tra le mani la tazza “Erano tutti casa e studio”.
“Non ci credo molto” disse Morgan “Erano dei ragazzi del college, è normale mettersi nei guai alla loro età. Chi non ha fatto cavolate a quel’età?”.
Penelope, che era in vivavoce, sospirò “A quanto pare, invece, erano dei santi. Sembrano tanti piccoli Reid”.
“Che c’entro io?” il ragazzo entrò nella stanza guardando gli occupanti della stanza confuso.
“Nulla mio angelo” l’hacker schiacciò qualche tasto e continuò a parlare “ma questi ragazzi, tranne alcuni amici, non vedevano mai nessuno”.
“Perché?” Blake, che si era già seduta, cominciò a tamburellare la matita sul tavolo “La Berkley non dà il permesso di fare feste?”.
“Sì, ma sono poste sotto severo controllo dopo il caso di tre ragazze violentate due anni fa” li informò Penelope “E no, non siamo nemmeno lontanamente vicini all’anniversario degli stupri”.
Minerva controllò alcune cose dal fascicolo sovrappensiero “Erano tutti di una fascia di redito medio-bassa, non si potevano permettere le feste. Effettivamente dovevano studiare tutto il giorno per mantenere le borse di studio”.
Spencer si accomodò vicino alla sua ragazza e aprì il fascicolo “E ciò si può collegare a quello che ho notato. Le sostanze ritrovate nel corpo sono le stesse che si trovano nei nootropi”.
“Nootropi?” chiese J.J. “Cosa sono?”.
“Droghe per la concentrazione”.
“E perché danno questo effetto?” chiese Alex “Anch’io, durante la sessione d’esame prendevo pastiglie per la concentrazione, ma non sono finita in overdose”.
“Direi perché non hai preso tutte le pastiglie in contemporanea” disse Reid “Ma ci sono alcuni composti che non mi sono chiari, dovrei confrontarmi con qualcuno specializzato”.
Minerva continuava a leggere le formule chimiche, finche non si alzò di colpo, quasi avesse preso una scossa “Scusatemi ma devo fare una telefonata”.
Hotch le fece segno di attendere “Reid se pensi che la dottoressa Eagles possa darci una mano contattala e porta con te Hunter. Rossi e Morgan andate dal rettore, J.J. e Blake andate a parlare con i pochi amici che avevano le vittime. Voglio sapere ogni cosa su di loro”.
“Vi mando subito la lista di amici” disse Penelope prima di chiudere la telefonata. Minerva rimase a bocca aperta per dei secondi prima di ritrovare la voce. “E se parlassi io con i ragazzi? Sono la più giovane e sembro della loro età. Andare lì con un distintivo potrebbe fargli chiudere le bocche per sempre”.
“Non sarebbe una brutta idea” acconsentì Blake “Due persone che hanno un’età molto vicina possono instaurare una comunicazione migliore”.
“E poi” continuò Reid “E’ raro che si manifestino atteggiamenti ostili o comunque di riservatezza se non si trovano davanti a figure che si possono considerare genitoriali”.
Aaron annuì “Allora, Morgan e Hunter andata a parlare con gli studenti, mentre Reid e Blake dalla dottoressa Eagles, io e Rossi dal rettore Eagles. J.J. voglio tutti ciò che la polizia di Berkley sa sul traffico di droga, piccoli e grandi spacciatori della zona.”.
La squadra si mosse rapidamente, dividendosi. Spencer si avvicinò a Minerva, si scambiarono un bacio veloce, ma lei sembrò lontana. “Tutto ok?” chiese.
“Oh sì…è solo che…è passato così tanto tempo da quando sono andata via da qui e non era un bel periodo”.
“Brutti ricordi?” le chiese, spostandole un ciuffo di capelli dal viso.
Minerva annuì “Adesso vai, che Alex ti aspetta”.
“Si, vado subito. E tu stai attenta con Morgan”.
Lei cominciò a ridere, infilandosi la giacca “Io sono al sicuro, almeno che il suo sex apple non mi abbagli troppo e mi confonda”.
“Mi stai per sposare”.
“Lo so”. Gli appoggiò l’ultimo bacio veloce sulle labbra e poi prese le scale. La claustrofobia le impediva ancora di prendere l’ascensore, ma in quel preciso momento non era stata la paura di rimanere incastrata dentro a una cabina di due metri per due a farle prendere quella scelta: aveva bisogno di privacy.
Si fermò su un pianerottolo e compose velocemente il numero. Per alcuni secondi suonò a vuoto e la ragazza iniziò a sudare a freddo. Doveva risponderle, doveva.
“Cosa vuoi? Lo sai che non ci dobbiamo sentire” la voce maschile dall’altra parte era terribilmente contrariata.
“E’ una cosa importante, Cris”.
“Non vengo al tuo matrimonio, te l’ho già detto. Non credo che il tuo caro sposino voglia vedermi lì quel giorno”.
Minerva si passò una mano tra i capelli. Non sapeva bene come dirlo, era come sganciare una bomba nucleare su una città di innocenti. Proprio per questo non era il caso di comunicarglierlo al telefono. “Dobbiamo vederci, devo dirti una cosa”.
“Cosa…” sentì immediatamente il tono di voce cambiare, addolcirsi “Tu stai bene? Ti è successo qualcosa?”.
“Sì…No…Io sto bene…forse…Cris, ti prego dobbiamo parlare di una cosa piuttosto urgente”.
“Ok, ti raggiungo subito. Dove sei?”.
“Questa sera, al solito posto al molo…”.
“Tu sei…”.
“Sì, sono tornata a casa”.

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Capitolo 3
*** Tutta questione di chimica ***


Tutta questione di chimica

Blake e Spencer erano dietro Morgan e Minerva, quando questi svoltarono per andare nell’ala del campus dedicata agli alloggi degli studenti.
Il giovane dottore continuò a osservare con preoccupazione la macchina, finche non scomparve dalla sua vista. La donna al suo fianco se ne accorse e lo osservò, prima di tornare alla strada. “Che succede?”.
“Nulla”.
“Reid” lo richiamò con fare materno e lui sospirò. Lo aveva beccato con le mani nel sacco, non poteva sfuggirle.
“Sono preoccupato per Minnie”.
“Riguarda il matrimonio?”.
Spencer annuì “Continua a insistere perché facciamo una cerimonia intima, solo noi e i testimoni, ma non riesco a capire il perché. Pensavo amasse le cose da favola, sai, con tutte quelle cose sulle principesse e sugli unicorni”.
“Sì, l’ho sentita parlare con Garcia. Se fosse per lei dovremmo vivere in un mondo d’incanto” Blake rise, ma poi tornò seria “Se non sbaglio lei non ha buoni rapporti con i suoi genitori”.
“E’ scappata di casa a 16 anni”.
Alex annuì “Non potrebbe essere per quello. Fin’ora voi siete stati alla pari: avete noi, che siamo sia i vostri colleghi di lavoro, che la vostra famiglia e i vostri amici, i vostri genitori sono lontani e non avete tempo per stringere nuovi rapporti. Ma il matrimonio porterà alla luce quello che avete intorno a voi. Tua madre, anche se è in una casa di cura, riuscirà a venire e, così, anche tuo padre, verrà quell’amico di New Orleans, probabilmente. E per lei non verrà nessuno, né i suoi genitori, né i suoi amici”.
“Ma a me non interessa, io voglio che sia felice”.
“E credi che sarà felice nel ricordare che è da sola?”.
Reis abbassò il capo, colpito e affondato. Non aveva mai pensato che per Minerva potesse essere così difficile. Si sentì in colpa per tutte quelle volte che esternava le sue preoccupazione per il fatto che la madre non gli avesse scritto. Lei lo consolava e lo tranquillizzava, mentre probabilmente si sentiva frustrata perché non riceveva lo stesso amore dalla sua famiglia. Lei era stata dimenticata, lui no.
“Parlane con lei. Una cerimonia intima non è detto che debba essere per forza piccola e trascurata, potrebbe essere lo stesso grandiosa”.
Spencer sorrise, grato alla collega.
Nel frattempo erano arrivati al dipartimento di farmaceutica. Scesero dalla macchina e andarono verso l’entrata, da cui uscì una folla di studenti, seguiti, poi, da alcuni professori.
Tra loro spiccava una donna di circa cinquant’anni con i capelli castani raccolti in una crocchia e con un completo rosso elegante. Quando li vide si fermò e sorrise. “Siete agenti dell’F.B.I., immagino. Mio marito mi ha detto che probabilmente mi avreste cercato” porse la mano, decisa, senza nessun tipo di timore “Dottoressa Afrodite Eagles”.
“Dottoressa Alex Blake e lui è il dottor Spencer Reid”.
La donna sembrò impressionata “Non pensavo lavorasse sul campo, dottor Reid. Ho letto tutte le sue pubblicazioni sulle droghe e sui composti chimici usati per i reati e i vari trattati di psicologia”.
Il ragazzo avvampò, sentendosi in imbarazzo “Grazie. Anch’io ho letto i suoi. Quello riguardo alla chimica neuronale e ai geni legati all’intelligenza mi ha letteralmente colpito”.
“Grazie mille. Sa’, ho iniziato a condurre quello studio mentre mi stavo occupando dei miei bambini, mi chiedevo come il loro cervello si fosse sviluppato. Erano così brillanti”.
“Con due genitori del genere devo essere veramente intelligenti”.
La donna sospirò malinconica “Sì, lo erano, ma poi hanno deciso di seguire una strada diversa da quella accademica. Hanno sprecato un grande dono…”.
Alex s’intromise educatamente nel discorso “Non vorrei fare la guastafeste, ma siamo qui perché abbiamo trovato un composto chimico nei corpi dei ragazzi deceduti. Pensiamo che sia il prodotto di un miscuglio di nootropi. Vorremmo che desse un’occhiata al referto”.
La dottoressa Eagles prese il fascicolo e lo lesse con calma e attentamente. “E non sbagliate, sono vari nootropi mescolati insieme, in quantità diverse da un caso all’altro”.
“Sa per quale motivo qualcuno lo potrebbe fare o che risultato voglia ottenere?” domandò Spencer.
“Non saprei. Forse per vedere se i neuroni possono essere stimolati in qualche modo…” la donna si mise gli occhiali e guardò le foto dei cadaveri “Ci sono stati danni celebrali?”.
“Non lo sappiamo ancora, ma ce lo diranno presto”.
“Pensa che i loro neuroni si siano spenti?”.
“Non spenti, dottor Reid, bensì bruciati” la dottoressa Eagles porse il fascicolo, che Blake prese prontamente, e cominciò a cercare nella borsa “Alcuni miei studenti stanno facendo delle ricerche riguardo a un composto che permette di far funzionare una porzione maggiore del cervello. Non usano nootropi, ma non si sa mai. Gli scienziati amano sperimentare”.
“Perché pensa che siano scienziati?” Alex prese la nuova cartellina che la donna gli stava porgendo.
“Per quello che hanno scritto sul corpo. E’ un modo che alcuni chimici farmaceutici hanno per segnare che una cavia è morta per l’esperimento e non per cause naturali o malattie precedenti”.
L’agente sembrò titubante, ma Reid intervenne “Alcuni preferiscono sperimentare su cavie che presentano patologie di diversa natura per vedere se il farmaco può essere utile per alleviare alcuni sintomi o guarirli”.
“Esattamente”.
Blake annuì, sovrappensiero. “Pensa che possano essere stati questi ragazzi?” domandò mostrando i fogli appena consegnatoli.
“Non lo so, spero di no, ma potrebbe essere un punto d’inizio”.
“Allora, grazie, la chiameremo se avremmo altri problemi”.
La dottoressa Eagles sorrise raggiante “Non fatevi scrupoli”.
I due si allontanarono, andando verso la macchina. Alex sembrava turbata da quel incontro, ma solo quando furono sicuri all’interno dell’abitacolo espose i suoi dubbi. “Non ti ha lasciato una strana sensazione?”.
“In che senso?” Spencer sembrava confuso.
“Ha fatto quella domanda sul cervello, ci ha dato subito la ricerca dei suoi studenti e i suoi figli…Non c’era amore, ma solo amarezza”.
“Lei e suo marito si sono laureati tre volte e in tutte materie mediche, forse era puro interesse accademico. Per quanto riguarda i figli, probabilmente è rammaricata perché non hanno fatto lo stesso”.
“Ma una madre è sempre orgogliosa di loro, anche se hanno scelto una via diversa” Blake lo guardò, vedendo la sua perplessità “Quando diventarai un genitore lo capirai”.
Reid sorrise debolmente, poi prese la ricerca dei ragazzi mentre tornavano in centrale la lesse.


L’ufficio del rettore era un elogio senza fine al suo ego. Ovunque si vedeva il suo volto mentre riceveva un’onorificenza o stringeva la mano a qualche personaggio importante. Vi erano poche tracce della moglie, nessuna dei figli. Da quello che gli aveva raccontato Garcia ne aveva tre, di cui uno era morto alcuni anni indietro per un vago incidente. Voleva dimenticarlo? Poteva essere, ma la mancanza di una foto dei figli ancora in vita rendeva tutto molto strano.
Rossi si tormentò l’anello, si sentiva invischiato in un mare di miele, denso, appiccicoso e sporco.
Hotch era davanti alla scrivania e aveva tirato fuori il suo lato da dectetive cattivo e intransigente,dopo le invasive risposte di Robert Eagles.
“Glielo richiedo” disse Aaron “sa nulla di spacciatori nel suo campus?”.
“In ogni Università ce ne sono, agente Hotchner, e io cerco di punirli e di fermare questa pratica, ma purtroppo non ho il budget desiderato e devo preoccuparmi di molti problemi. Alcuni anni fa sono state stuprate delle studentesse e ancora oggi ci sono balordi che minacciano ragazze per bene di fargli fare la stessa fine. Ho pensato di dare la priorità e non ad alcuni che hanno deciso di finire nel tunnel della droga”.
“Sua moglie ha parlato di alcuni esperimenti che dei ragazzi stanno portando avanti su degli stimolanti per il cervello”.
“Lo so e la dottoressa Eagles ha convenuto con me che i ragazzi avrebbero portato avanti gli esperimenti sotto il controllo dei professori e arrivando al massimo a cavie animali, come i ratti. Se poi la cosa è degenerata non glielo so dire. Dovreste parlare con gli interessati”.
Dave si girò, inserendosi “E dove li possiamo trovare?”.
Robert si abbandonò sulla sedia “Non è un liceo, agente, ma un campus universitario. Possono essere ovunque”.
I due profilers si guardarono e convennero che era il momento di andarsene. L’uomo aveva detto quello che sapeva, ovvero nulla di utile, ma si era comportato in modo ostile. C’era altro sotto, ma non riuscivano a capire se riguardava il caso, oppure no.
Mentre stavano uscendo dall’ufficio, il rettore si alzò “Vi pregherei di non fare troppo trambusto riguardo a questa storia. Non vorrei cattiva pubblicità”.
“Faremmo del nostro meglio” disse cordiale Rossi, ma mentre usciva sperava che ci fosse già qualche fuga di notizie.

In centrale J.J. aveva riportato sulla lavagna tutti i nomi dei presunti spacciatori e su che cosa erano specializzati: cocaina, marijuana, ectasi…Nessuno prendeva nulla se non era certo di guadagnarci.
Che senso aveva dare una droga che uccideva ai propri clienti? Non l’avrebbero più comprata e i clienti futuri se ne sarebbero tenuti alla larga. Allora perché?
Rossi e Hotch entrarono pochi secondi prima di Blake e Reid, che si guardò subito intorno. “Minerva non è ancora tornata?”.
J.J. scosse la testa “Morgan ha detto che hanno trovato delle informazioni interessanti e stanno parlando con gli amici delle vittime”.
“Di che si tratta?” Rossi si sedette intorno al tavolo, seguito dagli altri. La bionda rimase in piedi e cominciò a spiegare “Tutti i loro amici hanno detto che le pastiglie sono state consigliate da qualcuno di cui le vittime si fidavano, ma giurano di non essere stati loro, erano fortemente contrari a questo miracoloso farmaco che bisognava comprare dallo spacciatore”.
“Forse erano contrari perché avrebbero perso la presa sul loro membro sottomesso” ipotizzò Reid “Tutti i gruppi sociali presentano un sottomesso e un leader”.
J.J. scosse la testa “Dalle testimonianze non risultavano sottomessi, bensì avevano instaurato rapporti paritari con la propria cerchia di conoscenti”.
“Strano per degli adolescenti” fece notare Rossi.
“Avendo solo rapporti sporadici con le altre persone, non erano riusciti a creare veri e propri legami” la supposizione di Hocth fu accolta dalla squadra con un totale consenso. Quei ragazzi vivevano per studiare e fare del proprio meglio per la borsa di studio, non potevano di certo perdere tempo in rapporti di alcun genere.
“Ma la cosa che ha colpito Morgan e Hunter è il fatto che il rettore, dopo la loro deposizione, li stia spingendo ad andarsene dal campus” riportò Jennifer.
Alex sembrò quasi illuminarsi “E se non dovessimo cercare tra gli studenti? Ma più in alto?”.
Dave cercò di seguirla “Pensi nell’organo insegnanti?”.
“Sì. La dottoressa Eagles ci ha dato subito, senza che noi glielo chiedessimo un fascicolo su un esperimento dei suoi studenti, dicendoci che potrebbe riguardare loro”.
“Ho letto” disse Reid “il progetto e non riguarda i nootropi, bensì alcuni vecchi metodi di erboristeria uniti a moderni medicinali”.
“Ce ne ha parlato anche il rettore, ammettendo che forse i ragazzi hanno esagerato e la questione gli è sfuggita di mano”.
“Non vi sembra strano?” chiese J.J., sedendosi “Stanno cercando di mandare via coloro che hanno qualche indizio su chi può aver consigliato la droga ai ragazzi, cercando di nascondere qualcosa, ma poi vi consegnano subito dei studenti che possono essere benissimo i colpevoli per le loro ricerche. Perché se li sospettavano non hanno fatto nulla?”.
Tutti si guardarono perplessi. Sì, c’era qualcosa che li stava sfuggendo, ma cosa?
Il telefono del capo della squadra suonò e immediatamente la chiamata fu messa in viva voce. “Dimmi tutto Hunter”.
“Non siamo riusciti a trovare la cugina dei Lowell, è a un raduno di una sottospecie di boy scout e gente appassionata di corsi di sopravvivenza” Minerva non riusciva a nascondere il disgusto per quelle cose, amava la natura, ma preferiva di gran lunga un albergo con tutte le sue comodità “Torna domani. Stiamo venendo in centrale”.
“No, tornate in albergo. Abbiamo bisogno tutti di riposo, dobbiamo ragionare a mente fredda”.

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Capitolo 4
*** Qualcuno di fidato ***


Qualcuno di fidato

Erano passati tanti anni da quando aveva frequentato la Berkley, eppure quel corridoio le sembrava opprimente come il primo giorno in cui ci aveva messo piede. Si guardò intorno; aveva vissuto pochi mesi nel dormitorio, il tempo di fare gli esami e laurearsi, eppure le sembrava tutto così familiare.
Lì, in quel angolom aveva baciato il quarterback della squadra di football, lì infondo invece era stata beccata dal rettore con due ragazzi della confraternita peggiore del campus. Aveva rischiato di essere espulsa, ma poi i suoi genitori avevano tirato i fili giusti e un paio di settimane dopo era tutto risolto.
Sospirò sconsolata. Avrebbe preferito essere a casa con i dolori del ciclo piuttosto che stare lì e ricordare tutto quello che aveva passato in quell’area geografica.
“Ehi, posso esserti utile?”. Un ragazzo le si era avvicinato, aveva un viso molto simpatico, oltre a un sorriso contagioso.
Minerva sorrise a sua volta “Sì, forse. Sto cercando la camera di Michael Juares”.
“E’ quella in fondo al corridoio, ma non lo troverai. Purtroppo è morto, una settimana fa”.
“Sì, lo so…” stava cercando nella tasca della giacca il cartellino identificativo dell’agenzia, ma poi decise di usare un’altra tattica. “Sono qui perché sto cercando delle risposte su quello che gli è successo”.
“E’ morto di overdose….”.
“Non ci credi, vero?”.
Il ragazzo si morse l’interno della guancia. Si guardò in giro preoccupato “Ero il suo compagno di stanza e lui non faceva quelle cose. Non poteva…ma…”.
Minerva lo incitò, ma il ragazzo fece un passo indietro, guardando oltre le sue spalle. “Ti accompagno io”.
La ragazza si girò appena e vide che la donna con cui stava parlando Morgan stava osservando insistentemente dalla loro parte. Non voleva pensare al complotto- quello toccava a Garcia- ma aveva la sensazione che le cose si stessero complicando.
Non si era presentata come agente dell’F.B.I. alla guardiana, proprio per non attirare troppo l’attenzione e per, come aveva suggerito Reid, non far nascere un atteggiamento di conflitto o di riservatezza da parte dei studenti, quindi per quanto riguardava a quella donna un ragazzo si era offerto di far fare un giro a una futura studentessa. Allora perché li osservava con insistenza?
“Se non è un problema. Saresti molto gentile”.
Il ragazzo sorrise e la guidò fino alla sua stanza. Le aprì la porta, per poi infilarsi di corsa dentro e sedersi sulla sedia girevole della scrivania.
Una parte della stanza era stata svuotata e ripulita, Minerva ipotizzò si trattasse della zona di Michael.
“Mi chiamo Everett, comunque” le porse la mano e lei accettò sorridendo, cercando di farlo rilassare.
“Io sono Minerva. Ho studiato anch’io alla Berkley”.
“Non ti ho mai vista. Non ti puoi essere laureata molto tempo fa”.
La ragazza cominciò a girovagare per la stanza, cercando qualche segno della presenza della vittima, ma tutto era stato ben pulito. “Dipende che corsi segui, magari eravamo in due ali diverse”.
“Informatica”.
“Teologia”.
Everett annuì “Parti opposte”.
“Perché mi hai portato qui? Hai paura che ti spiino?”.
Il ragazzo si strofinò i palmi delle mani sui jeans “Esattamente cosa sai di quello che è successo a Michael?”.
“Che è morto per una droga sconosciuta, un composto un po’ troppo particolare e con lui altri tre studenti. Tutti di corsi diversi” vide l’ansia nei suoi occhi “Tu cosa sai Everett?”.
“Che dopo che ho parlato con il rettore mi hanno messo sotto sorveglianza. Non come nei film…ma controllano quello che dico e un professore o un inserviente mi seguono sempre o mi tengono d’occhio”.
Minerva si sedette sul letto vuoto di Michael “Che cosa hai detto?”.
“Quello che sapevo” si guardò intorno. Forse era in preda a paranoia, ma in qualche modo riuscì a capire che quella paura era ancora nuova, non erano ancora state sistemate nuove serrature o sistemi d’allarme innovativi, segno inequivocabile di un’evoluzione della psicosi. Forse si sentiva minacciato da poco, dalla morte di Michael. Everett prese fiato “Dopo la morte di Michael sono andato a parlare col rettore per dirgli che non era un drogato, che il massimo di eccitanti che consumava erano la caffeina e le pastiglie di fosforo. Quelle pasticche, quelle che lo hanno ucciso, gli erano state consigliate”.
“In che senso?”.
“Doveva mantenere una borsa di studio. Non è facile, soprattutto se si studi da anatomo patologo. Doveva consegnare tre elaborati e fare quattro esami in meno di 14 giorni e aveva bisogno di concentrarsi, ma non ci riusciva. Sua madre era stata operata da poco per un tumore al seno…Capisci, non era il momento migliore”.
“E allora qualcuno gli ha consigliato la droga? Magari uno studente o qualcuno che ha conosciuto a una festa” Minerva sentì quasi una sensazione di sollievo. Forse era solo una fatalità, forse i numeri non erano quello che lei pensava.
Ma Everett la portò alla realtà “No, non usciva mai e a parte me e Lucky non aveva amici. E’ successo a lezione. Mi ha detto che gliele aveva consigliate qualcuno di cui ci si fidava, qualcuno che non poteva di certo mandarti a prendere qualcosa che faceva male”.
“Chi?”.
“Non lo so. Non me l’ha mai voluto dire, ha detto solo questo. Io e Lucky eravamo molto perplessi, non sapevamo quanto ci si potesse fidare di qualcuno che ti dicesse di prendere qualcosa che non vendono in farmacia, spacciandola per salutare. Dicono che fa bene anche LSD, ma non la vedono gli spacciatori”.
Minerva si strofinò le mani “Quindi è dovuto andare da uno spacciatore? L’hai visto per caso?”.
“No, è andato da solo. Mi aveva proposto di accompagnarlo, ma ho rifiutato”.
“E sei sicuro di non sapere nulla su chi gli può aver consigliato di prendere questa droga?”.
Everett annuì.
“Sicuro? Non è successo nulla di strano che possa aver rotto in qualche modo la sua routine o che abbia parlato con qualcuno? Non eri sempre con lui…”.
“Michael non aveva amici, era considerato strano e perché era….”.
“Gay?”.
“Bisex, ma sì, preferiva di gran lunga gli uomini” Everett si passò una mano sugli occhi “Ha fatto coming out un paio di mesi fa ed era felice, anche se subiva vari atti di bullismo, ma comunque lo rispettavano. Era intelligente e una media invidiabile, quindi anche chi lo prendeva in giro alla fine gli chiedeva una mano a studiare”.
“Ma si fidava della persona che gli ha consigliato le pillole, quindi non può essere stato qualcuno che lo odiava”.
Everett alzò la testa di colpo “Mi è passato di mente. Mi hai chiesto se c’è stata una rottura della routine. Quel giorno mancava il suo professore di anatomia e non voleva andare a lezione, pensava che Lucky potesse firmare a posto suo. Ho insistito io finche non è andato a lezione…Oh Dio! Se lo avessi lasciato dormire, forse…”.
“Non ne puoi essere certo”.
“Ma potrebbe essere…”.
Minerva si alzò e gli appoggiò una mano sulla spalla “Forse era già stato preso di mira prima perché rispondeva a certi parametri e sarebbe stato adescato in qualche altro modo, anche fuori dalla lezione”.
Everett si prese la testa tra le mani e si mise a piangere. Minerva lo consolò per qualche minuto e poi tolse il disturbo.
Quando ritornò nel corridoio , Morgan le andò incontro. “Scoperto qualcosa?”.
“Che Michael non ha preso l’iniziativa, qualcuno glielo ha consigliato”.
“In modo convincente a quanto pare”.
“Sì ha fatto leva sui problemi di concentrazione che aveva a causa dei molti esami e dei problemi di salute della madre”.
Morgan si mise le mani in tasca “Secondo te è successo la stessa cosa alle altre vittime?”.
“Cercherò di scoprirlo”.

Minerva incontrò anche la coinquilina di Lola e gli amici dei gemelli Lowell e si sentì raccontare più o meno la medesima storia: dovevano dare tanti esami, non riuscivano a lavorare bene e qualcuno di affidabile gli aveva consigliato di prendere le pillole che avrebbero dovuto comprare da una spacciatore della zona.
Le pasticche facevano effetto e poi giungeva la morte.
“Chi sarà questa persona affidabile?” domandò Morgan.
Minerva scrollò le spalle, mettendo le mani in tasca “Non lo so, ma direi che è qualcuno che riesce a conquistare la loro fiducia rapidamente”.
“Uno studente, forse?”.
“Non credo” la ragazza si mangiucchiò un’unghia “Non so te, ma stavo in guardia da quelli che non conoscevo e mi proponevano delle pasticche o cose del genere. E poi la loro cerchia di amici è così piccola che non ci possono essere molti collegamenti tra le vittime. Deve essere stato qualcosa di esterno e di cui ci si poteva fidare cecamente e subito”.
Morgan le mise una mano sulla spalla e la fermò. “Tu sai qualcosa. Sputa il rospo ragazzina”.
“Io…”Minerva si morse il labbro inferiore “Ho come la sensazione che sia qualcuno di più in alto, qualcuno che ha l’autorità per dargli consigli su come affrontare al meglio gli esami. Inoltre, Everett mi ha detto che lo stanno spingendo ad andarsene, stessa cosa gli amici delle altre vittime. Non ti pare strano? Come se sapessero qualcosa che potrebbe far scatenare qualcosa”.
“Dici che qualcuno sta insabbiando la faccenda?”.
“Non lo escluderei”.

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Capitolo 5
*** Il morto che parla ***


Il morto che parla

Spencer uscì dal bagno, asciugandosi i capelli con l’asciugamano, ma si fermò sulla porta, quando vide Minerva che si stava mettendo le scarpe. “Abbiamo appuntamento con i ragazzi fra un’ora e quarantasei minuti. Sei in anticipo”.
Minerva prese il cappotto “Non esco con voi”.
“Ma andiamo a mangiare sushi e tu ami il sushi. E lo offre Morgan”.
“Sì, lo amo, ma non ne ho voglia”.
Il ragazzo le andò vicino e le appoggiò una mano sulla fronte, cercando di capire se aveva la febbre “Sei sicura di stare bene? Tu non rifiuti mai il sushi, soprattutto se te lo offrono”.
La ragazza gli accarezzò il volto dolcemente “Non sarei molto di compagnia stasera”.
“E allora dove vai?”.
“Al molo di Berkley, ci andavo sempre quando dovevo pensare”.
Reid le accarezzò il braccio “Vengo con te, non voglio lasciarti da sola” prese il telefono e iniziò a scrivere qualcosa “Dico agli altri che non vado…”.
“No, Spenc, vai con gli altri e divertiti”.
“Sicura?”.
La ragazza annuì, si mise la giacca e lo abbracciò sorridendo “Sai cosa amo di più del suhi? Te”. Lo baciò sulle labbra, per poi sfuggirgli subito, prima che potesse fermarla. Prese la borsa e se la mise a tracolla, poi si girò “Mi daresti le chiavi della macchina?”.
Spencer cercò nella sua borsa e gliele diede “Ma torna presto, ok?”.
Minerva sorrise e annuì, ma quando uscì dalla porta il sorriso non c’era più.

La baia non era cambiata da quando se n’era andata. Erano passati più o meno otto anni, quindi grossi cambiamenti non ci potevano essere, ma ci aveva sperato. Sperava che ci fossero meno ricordi ad attenderla, invece, ce n’erano sempre troppi.
Scese dal suv e andò verso il lampione che illuminava l’entrata del deposito navale 3. Poco più avanti fu parcheggiata un'altra macchina da cui scese un uomo alto e dalle spalle larghe. I capelli erano tagliati corti, come un militare, eppure gli abiti erano ordinari: jeans e giacca in pelle.
Rimase lontano, le mani in tasca, quasi a voler precludere qualsiasi contatto tra di loro.“E’ da una vita che non ci vediamo e sei anche cresciuta”.
“Ma sono ancora tappa per i tuoi standard, vero Cris?”.
“Il tuo DNA è così, quando vedi chi l’ha progettato farglielo presente”. Rimasero in silenzio per alcuni secondi, e furono pesanti, come se un macigno fosse caduto su di loro.
Il ragazzo sbuffò “Senti, lasciamo stare i convenevoli. Se ci trovano siamo nella merda, quindi, dimmi cosa vuoi”.
Minerva annuì “Due anni fa ho iniziato a lavorare per l’F.B.I. come consulente per l’unità analisi comportamentale. Ci occupiamo di serial killer e indagini psicologiche. Ieri ci hanno chiamato per questi”. Gli porse le foto e Cris cominciò a sfogliarle. Sbiancò quando arrivò ai numeri.
“Sono quello che penso io?” domandò la ragazza.
“Può essere un caso”.
“Guarda il referto chimico”.
Cris impallidì ancora, diventando quasi un fantasma “Ci deve essere una spiegazione, magari qualcuno ha saputo…”.
“Chi?” chiese lei “Solo noi lo sapevamo e abbiamo distrutto le prove. Non credo abbiano parlato se no si sarebbero trovati l’F.B.I. già alle calcagna”.
“Cosa dice la tua squadra?”.
Minerva incrociò le braccia e abbassò lo sguardo. Era un’ammissione di colpa e lui lo sapeva.
“Il tuo bel maritino?”
“Futuro” lo corresse.
“Lo sa o no?”.
Qualche secondo di silenzio e poi Minerva emise un leggerissimo No. L’uomo davanti a lei sembrò andare di matto per qualche istante, diventando paonazzo e cominciando ad agitare le mani, ma poi prese fiato, facendo ricadere sui fianchi le braccia. “Quanto seriamente hai preso la questione di dimenticare tutto?”.
“Molto. Ho fatto tutto quello che era nelle mie capacità per scomparire, ma vivo ancora con la paura di…”.
“Lo so…Anch’io, finche non ho capito chi era il vero obiettivo tra noi. Credi che sappiano che lavori per l’F.B.I.?”.
“Non lo so, non sono così stupidi da lasciare prove così evidenti del loro passaggio e lo hanno fatto perché venissi qui con la squadra. Oppure…”.
“Stanno semplicemente invecchiando o non sono, semplicemente, loro”.
Minerva annuì. Rimasero a osservare l’acqua che si muoveva sotto di loro, cercando di non pensare a tutto quello che gli era capitato nelle loro brevi vite, eppure l’ombra del passato continuava ad alleggiare e lo dimostrò Cris. “Perché hanno usato solo una volta il suo numero?”.
Aveva insistito per convincere la ragazza che potevano non essere le persone che conoscevano bene, ma quella domanda aveva dimostrato che nemmeno lui ci credeva.
“Forse perché aveva gli stessi caratteri oppure per la miscela”.
Annuì, le porse le foto e rimise le mani in tasca. “Quando avrai altre notizie, chiamami. Per ora è meglio che lavori normalmente, come se le cose non fossero legate. Avrai una visione più obiettiva. Se, invece, continui ad avere prove sul loro coinvolgimento…”.
“Ti faccio uno squillo”.
“Brava” si voltò e senza salutare andò nella sua auto.
Non aspettò di vederlo andarsene. Erano due ore che era fuori e voleva tornare da Spencer e potersi sentire al sicuro. Salì sul suv velocemente e mise in moto.
Corse per le strade della città senza rispettare nemmeno un limite di velocità. Aveva lo stomaco che brontolava, ma non si fermò a prendere nulla. Probabilmente l’avrebbero odiata, perché era in riserva e il giorno dopo si sarebbero dovuti fermare a fare benzina, ma non le interessava. Voleva Reid!
Parcheggiò ed entrò nell’albergo. Niente ascensore, era da sola, era notte, se le fosse successo qualcosa nessuno l’avrebbe sentita, quindi scale.
Le fece di corsa e quando arrivò alla stanza era senza fiato. Fece un respiro profondo, cercando di calmare il cuore, di sembrare calma e rilassata, prima di entrare.
La luce era ancora accesa, Reid stava leggendo velocemente, sotto le coperte, con il suo bel pigiama azzurro e gli occhiali. Non riuscì a trattenere un sorriso, quella scena stava diventando parte della sua vita e lo amava. Ringraziava il Cielo, ogni giorno, per essere arrivata fino a lì.
Chiuse lentamente la porta, cercando di non fare rumore, ma lui aveva già alzato gli occhi su di lei. “Ehi, hai corso?”.
Minerva abbandonò la borsa sulla poltrona e si tolse la giacca e le scarpe. Gattonò sul letto fino a sistemarsi al suo fianco, appoggiando la testa sulla sua spalla.
Spencer le sistemò il braccio attorno alle spalle, per poi riprende il libro tra le mani. La ragazza si accoccolò e si beò di quel contatto e del senso di sicurezza che l’avvolgeva. “Che stai leggendo?”.
Ulisse di Joyce” la squadrò ancora “Sicura di stare bene?”.
“Sì, sto benissimo”.

Il telefono cominciò a suonare, svegliandolo. Lo prese e rispose, mentre si stropicciava gli occhi, con ancora un piede nel mondo dei sogni. “Reid” sbadigliò.
“Abbiamo un nuovo cadavere” lo informò Rossi “L’hanno trovato dietro la mensa. Vi aspettiamo sul posto”.
“Ok, arriviamo” chiuse la chiamata e si abbandonò sul cuscino. Era sempre stato il suo più grande desiderio svegliarsi sapendo che c’era un cadavere bello fresco ad aspettarlo. Be’, in fin dei conti era lui che aveva scelto quel lavoro e conosceva i rischi, come quello di non avere dei ritmi di vita normali.
Diede un bacio sulla guancia a Minerva che stava ancora dormendo beatamente e si alzò. La sentì mugugnare come al solito e rigirarsi dall’altra parte.
“Studi scientifici hanno dimostrato che se ti svegli presto il tuo cervello è più reattivo e più propenso all’apprendimento”.
La ragazza sbadigliò rumorosamente, cancellando tutta quella femminilità che di solito la caratterizzava. “Odio svegliarmi presto. Lo odierei anche se mi regalasse una scarica di endorfine”.
“Ma dopo una scarica di endorfine l’organismo richiede altro riposo. Non avrebbe senso, quindi, svegliarsi presto, per poi dover comunque riposare”.
“Era una battuta, Spencer” sospirò la ragazza stiracchiandosi.
Adorava quello sguardo smarrito mentre cercava di capire in che modo gli fosse sfuggita la parte divertente e, soprattutto, dove fosse. Minerva si alzò e cercò nella valigia qualcosa da mettersi. Optò per uno dei suoi soliti vestitini e per i suoi meravigliosi stivali, ma appena li vide Spencer corrugò la fronte.
“Che hai?” domandò scocciata, spazzolandosi i capelli rapidamente, quel tanto che le bastava per sembrare ordinata. Per una volta nella sua vita la sua chioma ribelle aveva preso una piega decente da sola e non voleva di certo rovinarla.
“Hanno dimostrato che se porti i tacchi alti molto spesso aumenti il rischio di Osteoporosi”.
“E nessuno ti ha detto che se fai troppo il saccente di prima mattina, quando qualcuno deve prendere ancora il suo primo caffè, rischi di beccarti un pugno sui denti?”.
“Ogni mattina”.
“Ecco, allora taci”.
Presero le loro rispettive borse e uscirono dalla stanza, dirigendosi verso l’auto. Rimasero in silenzio per buona metà del viaggio, finche non si fermarono a un bar. “Spencer ci stanno aspettando!” protestò la ragazza vedendolo scendere dal suv, ma lui non rispose, si infilò dentro il locale, per riemergere dieci minuti dopo con un sacchetto e due bicchieri di carta.
Minerva sorrise e quando entrò lo ringraziò veramente grata. Lo amava proprio per quello: riusciva a fare dei gesti così dolci e grandiosi senza alcuno scopo, perché era interessato realmente al bene degli altri.
“Adesso posso parlare?” chiese Reid immettendosi in strada.
“Uhm…credo di sì” disse la ragazza, mentre addentava, tutta felice, il primo pezzo di tortina alle more.

Il retro della mensa non era un luogo così isolato come le precedenti aree di abbandono, infatti, questa volta il corpo era stato trovato da degli studenti e non dagli spazzini.
La squadra si era già messa al lavoro e stavano interrogando i testimoni e cercando vari elementi sul delitto.
Rossi, appena li vide, li fece cenno di avvicinarsi. I due ragazzi, così, andarono di fianco al corpo e lo osservarono in modo clinico, mentre si mettevano i guanti. “A parte il numero non c’è nulla che dica che si tratta dello stesso S.I.”.
Minerva si chinò e alzò la maglia del ragazzo cercando la scritta che aveva caratterizzato le prime vittime, scoprendo l’addome muscoloso. “Ragazzo piuttosto atletico, di sicuro non era un emarginato come gli altri. Probabilmente faceva parte della squadra di football”. Si spostò e gli ruotò leggermente la testa, scoprendo una macchia di sangue, ormai seccato, la toccò leggermente, cercando di capire i contorni. “E’ stato ucciso da un corpo contundente, ma vi potrei dire qualcosa di più preciso solo dopo aver avuto i calchi della ferita dal medico legale”.
“E se fosse una cavia morta per motivi esterni al farmaco?” propose Reid “Forse voleva parlare ma l’hanno fatto tacere”.
“Doveva sapere qualcosa che avrebbe smascherato l’S.I.” disse Rossi, osservando il corpo.
La ragazza si alzò e andò verso la parete, osservando il numero. Doveva lavorare al caso senza pregiudizi, senza pensare a quello che le era successo. Qualcuno poteva essere venuto a sapere di quello che le era successo e aver voluto riprovare, prendersi il merito. Forse, veramente non erano loro.
Eppure non riusciva a crederci, continuava a pensare a quello che facevano e a come si muovevano. Non avevano mai ucciso prima, ma se lo avessero fatto senza che loro lo sapessero?
“Questa serie è stata riproposta solo due volte su cinque fino ad adesso” fece notare Dave “Perché gli stessi numeri? Ogni cavia non dovrebbe avere numeri diversi?”.
“E se non fosse la cavia? Fosse il composto?” propose Spencer , rimase per alcuni secondi a fissere il nulla “Abbiamo il profilo”.
La squadra fu chiamata a raccolta, ma Minerva si allontanò. Vicino a un cespuglio, in disparte rispetto alla folla di curiosi che chiacchierava, c’era Everett.
Passò sotto il nastro giallo e andò verso di lui, che sembrò, tuttavia, nascondersi da lei nell’ombra. Fece finta di niente, e seguì i suoi movimenti, facendo un percorso parallelo, per incontrarsi in un angolo isolato del campus.
“Sei dell’F.B.I.”.
“Beccata” Minerva si tolse i guanti e li infilò in tasca. Il ragazzo sembrò agitarsi e guardarsi intorno. La ragazza cercò di appoggiarli una mano sulla spalla, ma lui si ritrasse. “Cosa succede Everett?”.
“Non credo di Eric prendesse la stessa roba di Michael e degli altri”
“Perché?”.
“Lui era uno dei migliori giocatori di football dell’Università, non aveva bisogno di studiare”.
“Quindi non credi che sia opera della stessa persona?”.
“E tu?”.
Hunter si morse l’interno della guancia. “Io credo che ci sia qualcosa che non mi vuoi dire, Everett. Di che si tratta?”.
Il ragazzo infilò le mani nelle tasche “Se Eric è morto per la stessa cosa di Michael, forse vi posso dire chi è lo spacciatore che gliela ha data”.
“Come?”
“Eric si faceva, anche pesantemente, ma chiudevano un occhio perché era bravo, ma tutti lo sapevano. Basta chiedere in giro e io lo posso fare per voi. Nessuno risponderà a quel vecchio o a quel tipo che sembra un professorino del liceo”.
Avrebbe voluto mettersi a ridere, la definizione dell’aspetto di Reid, era molto azzeccata. “Posso indagare io…”.
“Non risponderanno a te. Dovresti trovare un contatto con una delle ragazze che fanno uso di droghe e poi farti dire chi spaccia a loro. Maschi e femmine non hanno lo stesso giro”.
“Perché?”.
“Le nuove regole per evitare che gli stupri. Abbiamo diversi coprifuoco, quindi diversa gente che spaccia”.
Corrugò la fronte. Com’era possibile che, invece di dare un unico coprifuoco, si fosse arrivati a darne uno diverso per le ragazze e uno per i ragazzi. Era una forma di sessismo!
Ma non era questo il punto. “Everett, tu come fai avere questi agganci? Ti fai di qualcosa?”.
Lui scosse la testa “Non ho contatti, ma me li posso costruire in poco. Ho già avuto un paio di proposte per della roba per superare la morte di Michael, basterà chiedere informazioni la prossima volta”.
“Stai attento ok?”.
Everett ridacchiò, ma era una risata spenta, come il suo sguardo. “Se Eric non è morto perché ha visto qualcosa e voleva parlare, be’, io sono già un morto che cammina”.

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Capitolo 6
*** Un profilo poco convincente ***


Un profilo poco convincente

Minerva continuava ad andare avanti e indietro per la stanza, torcendosi le mani.
Quel profilo era sbagliato, se lo sentiva. Ma doveva presentarlo, la squadra contava anche su di lei.
Morgan la vide ed entrò nella sala riunioni con una tazza di caffè in mano “Credo che ti serva un buon tè, invece di questo, quindi me lo bevo io”.
La ragazza gli strappò la tazza dalle mani e cominciò a berlo rapidamente. Il suo compagno di squadra glielo allontanò e lo appoggiò sul tavolo, frapponendosi fra loro. “Cosa succede, ragazzina? Ti stai comportando in modo bizzaro da quando abbiamo accettato questo caso”.
“Nulla d’importante”.
“Non fare così con me, fiorellino, ti conosco bene. Hai litigato con Spencer?”.
“Oh no!”. Derek la studiò con sguardo critico e lei sbuffò “Non farmi il profilo, profiler!”.
“Voglio solo sapere cosa c’è”.
Lei sospirò e si sedette su una delle sedie libere “Se non fossi convinta del profilo che stiamo per presentare?”.
“Perché?”.
Avrebbe voluto spiegargli tutto, ma non ce la fece. Solo l’idea di scoprire le sue carte la faceva tremare. “Mi sembra che ci sfugga qualcosa”.
Morgan gli appoggiò una mano sulla spalla “E’ solo un profilo preliminare, possiamo modificarlo se le indagini portano ad altri risultati. Non ti devi preoccupare”.
La ragazza annuì, così il suo compagno le regalò uno dei suoi meravigliosi sorrisi e le porse la mano “Allora, sei pronta a colpire con la tua bellezza e la tua intelligenze quei poliziotti là fuori?”.
Minerva sorrise e fu condotta fuori dalla stanza, dove la stavano aspettando anche gli altri. “Tutto ok?” chiese J.J. cingendole le spalle.
“Crisi da palcoscenico” intervenne Morgan “Ogni tanto anche i sapientoni non sanno cosa dire”.
“Avrai presentato migliaia di profili ormai” la rassicurò la bionda, tirandola a sé e accarezzandole i capelli.
Spencer, che era dietro di lei, la corresse “Per essere precisi ottantasei”.
“Ottantasette con questo” Minerva sciolse l’abbraccio dell’amica e si presentò davanti ai poliziotti. “Stiamo cercando un S.I. di età compresa fra i 30 e i 45 anni. Ancora non è possibile sbilanciarci sul sesso, ma molto probabilmente e secondo le statistiche riguardanti il modus operandi, si tratterebbe di una donna con grandi competenze nella chimica farmaceutica”.
Aaron fece un leggero sorriso vedendo la più giovane della squadra prendere in mano la situazione e aver imparato come muoversi in quei momenti. “Le scritte non sono parte di un rituale” intervenne affiancandosi a Minerva “bensì sono frutto di un’operazione scientifica, ciò dimostra che lavora o ha lavorato in un laboratorio”.
“Sta portando avanti degli esperimenti su esseri umani in modo clandestino, quindi è probabile cha abbia avuto problemi con le autorità che non credevano nel progetto o nella sua validità” continuò Morgan “Quindi bisogna cercare anche nei gruppi di scienziati che hanno avuto un passato burrascoso o scatti d’ira durante colloqui con aziende o negli ospedali”.
Blake avanzò “Ma non dovete escludere le persone che hanno avuto riconoscimenti accademici, ma con lontani trascorsi nella vita di strada. Le vittime si fidavano, forse proprio perché era conosciuto o un esponente eminente della loro comunità, anche se li veniva consigliato di procurarsi il medicinale da un pusher”.
“La vittimologia è molto varia” J.J. si sedette sulla scrivania “questo indica che è un personaggio che si inserisce tranquillamente in ogni gruppo e contesto sociale, non fa distinzione tra i borsisti o i giocatori di football”.
“Quindi” chiese un poliziotto “anche Eric Northon è morto a causa di quella strana droga?”.
“Sì e no” disse Spencer “Sono state trovate delle tracce del miscuglio numero 2 all’interno del suo organismo, ma in dosi minori rispetto le altre quattro vittime. La causa della sua morte è stato un colpo alla testa con un oggetto contundente, probabilmente una sbarra di metallo” e indicò il disegno realizzato dalla sua fidanzata seguendo il calco e le varie indicazioni sulla profondità e sull’angolazione del colpo. “Probabilmente” continuò il dottore “voleva parlare con qualcuno dell’esperimento e l’S.I. l’ha ucciso per evitarlo”.
“Non può essere che abbia semplicemente visto qualcosa?” domandò nuovamente l’agente.
“Possibile, ma improbabile” Dave incrociò le braccia “Il fatto che abbiano lasciato il numero vuol dire che anche lui era parte dell’esperimento, inoltre, non crediamo che abbia la possibilità di creare grandi dosi di questo nuovo tipo di nootropo, perciò non lo può sprecare per depistare le indagini”.
“Ma se” intervenne una detective “è un personaggio eminente della comunità potrà procurasi tutto quello che vuole”.
Morgan appoggiò le mani sul tavolo “E’ una persona molto intelligente e che di sicuro ha avuto a che fare con le forze dell’ordine, sa di non poter ordinare o rubare tante quantità di quei composti senza destare sospetti. Oltre ad essere la prima cosa che si contrala in un caso del genere”.
La donna, avvampò, sentendosi dare in modo molto sottile della stupida. Ma un altro suo collega prese la carica “E i numeri? Abbiamo trovato due serie diverse, che indicano?”.
“I nootropi” cominciò Minerva “si dividono in tre categorie e si occupano della stimolazione di diverse aree del cervello e le rispettive proteine. Abbiamo i colinergici, i dopaminergici e i serotoninergici. Molto spesso possiamo trovare in natura degli alimenti che ci permettono di avere lo stesso effetto dei farmaci, ma questo S.I. ha deciso di sperimentare quale composto sia il migliore. Usa, infatti, sia rimedi naturali che chimici. I due codici distinguono i due composti che stanno usando. Il primo ha come base l’inositolo, mentre il secondo ha la psilocina”.
“Quest’ultima è una potente droga” s’intromise Reid “con una struttura molto simile a quella della serotonina, ma che porta, in base alle quantità, a semplice ilarità, fino a potenti visini, che possono arrivare anche alla confusione su ciò che è vero e ciò che non lo è, provocando quindi la morte del soggetto. Forse proprio per questo il composto è stato usato solo due volte”.
Hotch si fece avanti “Perciò è importate trovare anche lo spacciatore che può procurarsi queste cose, in modo tale da poter poi arrivare all’S.I.. Probabilmente chi gli vende la psilocina avrà in esclusiva il suo nootropo. Questo è tutto, grazie”.
Gli agenti finirono di prendere nota e cominciarono a disperdersi.
Minerva si morse il labbro inferiore e cercò di sfuggire verso la sala riunioni, cercando di sparire dalla vista dell’unica persona che si poteva rendere conto di quello che aveva appena detto. Purtroppo fu intercettata proprio da Spencer, che la bloccò pochi centimetri dalla porta. “Come ti sei accorta della psilocina e dell’inositolo?”.
“Libri di chimica” mentì spudoratamente. Come aveva detto lui, la psilocina aveva una struttura simile a quella della serotonina e potevano essere scambiate a causa di qualche errore di laboratorio, mentre l’inositolo si trovava si trovava nelle noci, nei meloni e nelle arance, quindi poteva venire da un qualche alimento che le vittime potevano aver mangiato poco prima, per questo lui non ne aveva fatta parola. Erano delle variabili da verificare.
“Ma tu odi la chimica…”.
Una breccia per poter cambiare discorso!
“Se un certo e geniale Spencer Reid non avesse spostato i miei libri di arte da dov’erano e non li avesse in qualche modo nascosti, forse non avrei letto i suoi libri di chimica”.
“Sono nella libreria sopra”.
Minerva lo guardò perplessa “Da quando abbiamo una libreria di sopra?”.
“Da quando Morgan l’ha montata”.
“E quando l’avrebbe fatto?”.
Spencer si passò una mano tra i capelli “Doveva essere una sorpresa, ma non siamo mai stati abbastanza tempo a casa per fartela vedere, di solito crollavamo a letto stanchi. Sai, sono anche ventitre giorni…”.
“Pervertito! Da quando in qua pensi solo a quello!” trillò, scansandolo. Non entrò in sala riunione, non ce n’era più bisogno, la bomba era stata disinnescata.
“Ma no, non è vero, è solo che statisticamente è uno dei motivi per cui i rapporti si deteriorano”.
“Se vuoi avere un orgasmo ti puoi mangiare un po’ di cioccolata o dei piselli!”.
Spencer le andò dietro, mentre lei con passo di marcia si dirigeva verso il parcheggiò. Aprì la portiera della macchina e si girò a guardarlo “Hotch mi ha chiesto di pensare ad altre ipotesi sull’arma del delitto, perché non è stata trovata nessuna asta sporca di sangue ed è difficile che qualcuno sia andato in giro per il campus con una sbarra insanguinata e pensavo di andare in albergo, dove, tra l’altro, ho lasciato il computer. Vieni con me a darmi una mano con i calcoli”.
“Hai il software…” ma poi avvampò, capendo che cosa voleva dire “Ti accompagno io, magari mi possono servire i libri che ho lasciato lì”.
Avrebbe voluto ridere o almeno provare gioia nel sapere di essere ancora desiderata dopo quei ventitre giorni d’astinenza obbligatoria, invece, si sentiva male. Stava facendo una cosa terribile: lo aveva distratto con il sesso.
Spencer si meritava la verità, ma lei era pronta ad affrontarla?

Il disegno non era errato. L’avevano appurato in pochi minuti e in pochi calcoli.
“Quindi da qualche parte ci deve essere quella sbarra”.
“Per forza, almeno che non se la siano portata via come trofeo” Minerva mordicchiò la matita sovrapensiero.
“Grazie, Minerva”.
“Figurarsi” la ragazza si sistemò meglio il lenzuolo con cui si stava coprendo.
“Reid è con te?”.
Un brivido le salì lungo la schiena, adesso avrebbero ricevuto una bella ramanzina, se lo sentiva. “Sì, è qui di fianco a me, sta studiando i composti chimici, continua a dire che gli sfugge qualcosa”.
Il ragazzo disteso al suo fianco alzò gli occhi dai fascicoli che aveva davanti, incuriosito. Probabilmente non aveva nemmeno ascoltato con chi era al telefono.
Il loro capo sezione rimase in silenzio per alcuni secondi “E’ tutto ok tra di voi?”.
“Certamente! Oh…sei preoccupato per prima? Ma no, è tutto a posto, il signorino si era dimenticato di dirmi una cosa riguardo casa. Ma va tutto più che bene!”.
“Quando Reid ha finito prendetevi il resto del tempo per parlare del matrimonio. Sono ormai mesi che dovete iniziare a organizzare e non lo avete ancora fatto”.
“Hotch, il caso…”.
“Il lavoro non vi deve mangiare la vostra vita privata, godeteveli questi momenti”.
Minerva sorrise “Grazie”. Chiuse la chiamata e buttò per terra il blocco da disegno e la matita, appoggiò il telefono sul comodino e si sistemò al fianco di Spencer, che aveva appoggiato i fogli sulla sua pancia “Che succede?”.
“Hotch ci dà la giornata libera a patto che organizziamo il matrimonio”.
Reid mise da parte il fascicolo e si sistemò meglio per poterla vedere negli occhi “Vorrei parlare proprio di questo”.
“Non vuoi più?” lo sguardo della ragazza era spaventato.
“No, no, solo che forse ho capito cosa ti preoccupa e se vuoi fare a modo tuo, lo faremo”.
“Di cosa stai parlando?”.
Proprio in quel momento i loro cellulari cominciarono a suonare. Avrebbero voluto evitare di rispondere, ma quando li chiamavano così voleva dire che era qualcosa di importante. E infatti era stato trovato un nuovo corpo.

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Capitolo 7
*** Josephine ***


Josephine

Questa volta era una ragazza, sistemata compostamente sul luogo dell’abbandono. Sul suo seno era stato scritta nuovamente la parola fallito, ma sul muro sopra di lei non vi era un numero bensì la scritta Josephine.
Minerva non era riuscita ad avvicinarsi, era rimasta dietro il nastro giallo e le sembrava di essere ancora troppo vicina. Un forte senso di nausea le attanagliava lo stomaco, avrebbe vomitato se non si fosse allontanata.
Se prima ci potevano essere dubbi, ora c’era la certezza più assoluta.
Con mano tremante prese il telefono dalla tasca ma si fermò quasi subito quando Alex le si avvicinò. “So che Hotch vi aveva dato del tempo libero per parlare del matrimonio, mi dispiace che sia finita così”.
“E’ il nostro lavoro”.
“Avete parlato della cerimonia?”.
La guardò perplessa, forse c’entrava qualcosa con quello che Spencer voleva dirle prima della chiamata. “Avevamo iniziato, ma ci hanno interrotti”.
“Be’, è un discorso che dovete affrontare con calma, senza serial killer in giro a disturbarvi” la donna le fece un sorriso dolce, per poi tornare seria, riportandola alla realtà “Credono che sia una sostituta”.
Quanto si sbagliavano. Quella ragazza era bionda,alta e snella. Non era Josephine.
La bile le salì di colpo, non aveva molto tempo. “Scusami,Alex, devo fare una telefonata”.

Spencer aveva visto Minerva allontanarsi in macchina. Blake gli disse che li avrebbe aspettati in centrale, perché doveva fare una cosa, ma non sapeva di che cosa si trattava.
Si sentiva terribilmente inerme di fronte a quei cambiamenti d’umore e di comportamento, sembrava lontana e perennemente sull’attenti.
Forse era lo stress, la preoccupazione per il matrimonio, il fatto che erano ormai settimane che non riusciva a passare un po’ di tempo in studio a dipingere, oppure semplicemente lo sbalzo ormonale e umorale dovuto al ciclo appena concluso…Non lo sapeva, ma gli sarebbe piaciuto sapere il motivo certo di tutto ciò.
Salì in macchina con Derek e J.J. e mentre loro parlavano del caso lui non riusciva a non pensare alla sua ragazza che se n’era andata di colpo, senza dirgli assolutamente nulla, senza spiegargli cosa stesse succedendo. Di solito per zittire Minerva bisogna tapparle la bocca, rendeva partecipi tutti di tutto, di qualsiasi cosa le passasse per la testa, ora, invece, era troppo silenziosa.
Arrivarono alla centrale che ormai stava facendo notte. Il detective Miller li andò incontro “Vi stano aspettando in sala riunione”.
Rossi lo guardò sorpreso “Chi?”
“La vostra collega e un tizio. Non vi so dire altro, erano solo parecchio agitati”.
Spencer fu il primo a muoversi. Voleva capire che stava succedendo, voleva delle spiegazioni da parte di Minnie, ma soprattutto voleva sentirla di nuovo vicino a sé. Quando entrò nella stanza la trovò davanti al maxi schermo, le braccia incrociate e gli occhi gonfi di lacrime, davanti a lei c’era un ragazzo, seduto sulla sedia.
Era praticamente l’opposto di lui, era la versione caucasica di Morgan: alto, bei pettorali, braccia muscolose. Sembrava uno di quelli che l’avevano legato nudo al palo della bandiera al liceo. Ma osservandolo meglio vide ddelle somiglianze con la sua fidanzata, avevano la stessa arcata sopraccigliare e lo stesso colore di capelli.
Provò ad avvicinarsi, ma la ragazza scosse la testa “Non ora, Spence”.
Il misterioso uomo lo guardò attentamente, quasi volesse esaminarlo attentamente, prima di saltargli addosso e rompergli l’osso del collo, per poi rigirarsi verso di lei con un sopraciglio alzato.
Reid dovette così sedersi insieme a tutti gli altri e aspettare che Minerva parlasse. Passò un lungo istante in cui lei non spiaccicò parola, osservandoli terribilmente dispiaciuta, fu il ragazzo misterioso a prendere la parola.
“Salve, sono il detective Cristopher Eagles” disse alzandosi “E credo di potervi dare una mano con il vostro attuale caso”.
“Come?” Hotch lo stava studiando approfonditamente, come se fosse in grado di captare i pensieri di quel tizio.
Anche lui, attraverso i linguaggi del corpo, lo avrebbe potuto capire, ma era smarrito. Cosa c’entrava Minerva con tutto quello e con quel tipo? Perché sembrava una donna sul patibolo che aspettava che la ghigliottina le staccasse la testa dal corpo?
“Dicendovi chi sono i colpevoli”.
“Scusami, ma non ti credo” Morgan si sistemò sulla sedia “Tu vuoi venire qui e dirci chi è il colpevole senza sapere assolutamente nulla sul caso”.
“Sa tutto, lo informavo man mano che trovavamo indizi”. La voce di Minerva era bassa e triste, come se dentro di lei ci fosse qualcosa che la trascinasse giù.
Avrebbe dovuto provare stupore, come gli altri, ma rimase a osservarla con le labbra schiuse. Non riusciva a capire, il suo cervello era in tilt. Che stava succedendo?
“Non voglio rubarvi il vostro lavoro, ma forse è il caso di dirvi quello che io… che noi sappiamo” Cristopher premette un pulsante e apparve la foto di due giovani. Non ci mise molto a capire che la donna non era altro che Afrodite Eagles, l’altro per esclusione doveva essere il rettore Eagles. A catturare la sua attenzione fu la forte somiglianza della donna con Minerva, che si era appoggiata contro il muro, quasi cercasse di rimanere in piedi.
“Immagino li conosciate già, sono Afrodite e Robert Eagles. Si sono conosciuti all’Università di Berkley mentre si stavano laureando rispettivamente in farmaceutica e in genetica. La scintilla scattò nel momento stesso in cui scoprirono di essere entrambi dei fanatici del gene dell’intelligenza, una teoria secondo cui le facoltà intellettive si possono passare da una generazione all’altra attraverso determinate parte del nostro DNA. I due si sono sposarono più per salvare le apparenze che altro, e pensarono di procreare tanti meravigliosi pargoletti intelligenti, visto che entrambi superavano la media con il loro Q.I:. Purtroppo non fu così”.
“Cosa c’entra con il caso?” chiese Alex, incrociando le mani sul tavolo.
Cris sorrise “Siete voi che studiate il comportamento e io vi sto quello che volete: le motivazioni che hanno portato a ciò”. Schiacciò nuovamente il tasto del telecomando e apparve la foto di quello che doveva essere un piccolo Cristopher “Nacqui io e mi considerarono troppo normale, crescevo normalmente, le mie facoltà era abbastanza nella norma e non imparai cosa assurde, come leggere e scrivere, fino alla prima elementare. Solo dopo dimostrai la mia propensione per le materie matematiche, ma loro volevano di più.
“Mamma prese il secondo dottorato, questa volta in genetica anche lei, mentre papà si dedicò alla biochimica, e cominciarono a occuparsi d’inseminazione artificiale e il trattamento degli embrioni. Dopo poco nacque Matthew”.
Una nuova foto apparve sullo schermo, si trattava di un ragazzo con i capelli neri e ricci, gli occhi scuri erano scavati da profonde occhiaie, il suo sorriso era triste e stremato.
“Lui era il vero genio di casa. A tre anni sapeva parlare correttamente il francese e tutte le tabelline e a cinque anni era in quinta elementare, con me.
“Erano così felici del loro campioncino e cominciarono ad accorgersi anche del mio potenziale e ci sfruttarono in tutti i modi. Concorsi d’intelligenza, di chimica, di fisica, di matematica…In qualsiasi campo noi dovevamo emergere. Finche non uscì un articolo”.
Altra, immagine, questa volta si trattava di un articolo di giornale che raccontava di come a Las Vegas, capitale del peccato, un ragazzino di soli sette anni stesse frequentando le medie e le stesse completando con voti a dir poco eccellenti. Spencer sentì gli sguardi d’interesse dei membri della squadra, non servivano dei geni per capire che si trattava di lui.
“Avevano deciso che quel bambino sarebbe stato il loro genero, o almeno volevano una dose del suo DNA per poter creare un bambino ancora più perfetto”.
“ Fu così” intervenne Minerva “che fui concepita io”.
Spencer trattene il fiato quando vide il volto paffuto di una piccola Minerva sorridergli raggiante dallo schermo. La ragazza guardò la foto, ma poi si girò verso di loro “Il mio nome per intero è Josephine Minerva Eagles e fui il loro capolavoro. A tre anni sapevo parlare il francese, lo spagnolo e l’italiano, a sette anni stavo finendo le medie. Ma volevano di più e iniziarono a premere per risultati maggiori. Avevano una forma particolare di Sindrome di Dio”.
“Cominaciarono a lavorare alla Pastiglia dell’intelligenza, crearono due versioni, una per me e una per Matthew e Josephine, nel frattempo si dedicarono a metodi molto alternativi per farci apprendere”.
Minerva si strinse le braccia al corpo, sembrò quasi tremare “Io e Matthew passavamo notti intere svegli a studiare, per punirci in caso non imparassi o se mostravamo di essere stanchi ci facevano inginocchiare sui chicchi di riso o ci chiudevano nel ripostiglio”.
Cris le accarezzò la schiena “Io riuscivo a cavarmela, non era necessario perdere tempo con me, così ero io a occuparmi di loro dopo le punizioni. Cercavo di togliere i chicchi di riso dalle ferite o impedire che questi rimanessero sotto pelle, oppure cercavo di evitare che Josy passasse tutta la notte dentro il ripostiglio da sola. Era la punizione che papà preferiva infliggerle, perché per tutto il tempo lei piangeva e a urlava, e lui poteva continuare a studiare l’evoluzione della paura in un essere umano e i danni psicologici che infliggeva. Anche le cose più barbare diventavano ottimi temi per le loro ricerche”.
Ecco spiegato perché Minerva odiasse i posti piccoli e chiusi e il perché prendesse l’ascensore solo quando c’era qualcuno con lei o era un’ora in cui il luogo era affollato: era il suo modo per sentirsi al sicuro, per impedire che succedesse di nuovo. Non osò a immaginare quali altri fossero i traumi infertole nella sua infanzia e a quali comportamenti avevano portato.
“Poi” continuò l’uomo “arrivarono alla creazione delle pastiglie, dovevamo prenderne due ogni giorno. Erano delle bombe, riuscivamo a produrre e apprendere in modo più rapido ed efficente, finche da bravi bambini che eravamo non facemmo cadere i fogli delle ricerche di mamma e papà”.
“Tra quelli trovammo la formula chimica e gli studi riguardo le pastiglie e Matt capì quali erano gli effetti collaterali: lui non sarebbe arrivato a 30 anni, io ai 25. I nostri neuroni si sarebbero bruciati prima. Ideammo così un piano: limitare i danni facendo uso di tutte le sostanze che indeboliscono le capacità mentali”.
“Io e Matt eravamo già al college e quindi ci procuravamo la droga senza problema, mentre Josy doveva aspettare il nostro ritorno a casa durante le vacanze”.
J.J. li guardò con compassione. Il suo istinto di mamma si stava ribellando di fronte a quella malvagità, riusciva a vedere cosa le passasse per la testa: puro odio nei confronti di quei genitori orribili e crudeli, che avevano trattato così i loro meravigliosi figli. “Quanti anni avevate quando avete iniziato?”.
“Cris ne aveva 17, Matt 13” la ragazza sembrò prendere coraggio “mentre io 8”.
Suo fratello scosse la testa “Era troppo piccola, certo, un super genio, ma sempre una bambina che stava iniziando il liceo. Molto spesso rimanevo a casa, saltando le lezioni, per occuparmi di lei dopo le sessioni di studio e portarla in ospedale in caso di maltrattamenti più gravi, ma così persi di vista Matt. Si suicidò dopo tre mesi di college”.
Un nuovo articolo riempì lo schermo, questa volta c’era la foto del ragazzo che campeggiava e un elogio dei genitori anche fin troppo controllato per una perdita del genere.
“Sembravano controllati, ma non era così. Dovevano sostituirlo, ma era impensabile avere un altro figlio, così mi portarono a tutti i concorsi a cui lui doveva partecipare, senza dimenticarsi dei miei. Non avevo tempo per la scuola o per studiare o pensare di fare anche solo gli esami, così persi un anno. L’anno seguenti ebbi una crisi depressiva, non era riuscita ancora a superare la sua morte di Matt e Cris se n’era andato all’Accademia” commentò Minerva sedendosi su una delle sedie libere “Mamma e papà non capirono e aumentarono le sessioni di studio e le punizioni. Arrivai a fare uso di qualsiasi cosa potesse farmi stare male, provai alcool, droghe, avevo comportamenti indecenti e rischiai di essere arrestata parecchie volte. Ma poi non riuscii più a scappare e mi diplomai a 15 anni, ulteriori pressioni e sedute punitive e l’anno successivo mi laureai in religioni comparate, recuperando il tempo perso.
“Quella stessa notte distrussi le formule e me ne andai. Scappai dai miei zii, cambiai nome e città cercando di allontanarmi il più possibile da loro e dai loro piani”.
“A quanto pare non si sono arresi e hanno ricominciato gli studi dall’inizio, fino ad arrivare a qui”.
Morgan incrociò le braccia “Ci state dicendo che i colpevoli sono gli Eagles?”.
I due annuirono tristemente.
“Ma lo studio è stato pubblicato tredici anni fa” commentò Reid, non riusciva ancora a credere che due dei suoi eroi dell’infanzia fossero realmente così. Ma soprattutto non voleva credere a quella storia. Era troppo tremenda per essere vera.
“E’ per questo che Cris era scettico, ma ci sono i numeri” gli spiegò Minerva, mentre giocheralava con l’anello di fidanzamento “Quelli che avete trovato sono i codici per distinguere le miscele e non furono mai divulgati”.
“Ma la prova decisione è stato il nome di mia sorella. Josephine era il nome in codice di un terzo esperimento che consisteva nell’iniezione della droga direttamente in vena. Volevano calcolare i diversi tempi di reazione, oltre a voler impedire il rigetto della pastiglia”.
“Dobbiamo essere certi” commentò Hotch “Non possiamo accusare delle persone così importanti senza prove certe”.
“Cose del genere non si possono di certo inventare” disse Rossi “Basta guardare Minerva, è sconvolta”.
“Nessuno mi ha creduto è per quello che non ci sono documenti sui trattamenti” ammise Minerva “Mi hanno diagnosticato una sindrome paranoica, che era diventata quasi compulsiva fino a dicionnove mesi fa”.
Diciannove mesi fa Spencer aveva iniziato a trasferirsi da Minerva, avevano portato le sue prime cose nel suo appartamento. In verità erano diciannove mesi e quattro giorni, ma non gli importava che si fosse dimentica di quei giorni, gli importava di averla aiutata nel suo piccolo a superare quello scoglio.
Ma gli occhi di Minerva raccontavano un’altra storia, gli imploravano perdono. “Diciannove mesi fa mi sono disintossicata definitivamente da tutto quello che prendevo”.
Reid si alzò e uscì dalla stanza sbattendo la porta.

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Capitolo 8
*** Un passato troppo presente e un presente troppo passato ***


Un passato troppo presente e un presente troppo passato


Minerva lo seguì fuori dalla stanza “Aspetta! Aspettami Spence”.
Il giovane uomo prese la sua borsa e cominciò a cercarvi qualcosa dentro, che sembrava essere di vitale importanza. La ragazza lo toccò sulla spalla, ma lui si allontanò di colpo. “Ti prego…non mi toccare…”.
“Che cosa ti succede?”.
“Ho solo bisogno di una cosa…” tornò a dedicarsi alla ricerca, ma la ragazza si intrufolò fra lui e la tracolla.
“Spencer, non ti serve il dilaudil”. Avrebbe voluto abbracciarlo, dirgli qualche scemenza, portarlo via da lì, in un posto dove sarebbe stato meglio, ma lui non voleva avere nessun contatto con lei. “Parliamone, ok?” “Cosa vuoi…” sembrava furioso, non sembrava nemmeno in grado di articolare delle frasi di senso compiuto “Tu non mi hai detto nulla di tutto questo”.
“Forse perché non ci volevo ripensare” la ragazza strinse i pugni “Non volevo che nella tua memoria ci fosse anche questo. Bastano le mie cicatrici a ricordarmi quello che accaduto, non mi serve uno che al minimo accenno di problema mi faccia il profilo tirando fuori un passato che voglio dimenticare”.
“Ti ho promesso che non lo avrei mai fatto”.
“Oh, davvero?” il suo tono grondava sarcasmo “Non ti ricorda niente questo? Il tuo bisogno di approvazione probabilmente arriva dalla mancanza di autostima e dal fatto che i tuoi genitori non ti ascoltassero”. “Ero il tuo psicologo!”.
“Me l’hai detto un mese fa!” sospirò “E adesso sei l’uomo che amo e che sposerò e vorrei risolvere tutto questo”.
“Proprio per questo me lo dovevi dire! Tu sai tutto di me” Spencer era ferito, i suoi occhi erano lucidi e continuava a gesticolare “E di te cosa sapevo fino a 5 minuti fa? Assolutamente nulla!”.
Si morse il labbro inferiore e si guardò la punta delle scarpe. Com’era potuto succedere?
Aveva pensato che Spencer avrebbe capito, che le sarebbe stato vicino per superare anche quella difficoltà. Aveva visto di peggio,bambini che erano stati amati e curati che erano diventati psicopatici solo perché la mamma una mattina non gli aveva preparato la colazione, perché allora se la prendeva così tanto con lei?
E poi entrò in funzione il pilota automatico. Dopo quasi due anni di lavoro insieme all’unità era diventata una cosa naturale capire dove l’armonia si era rotta. “Ti sei alzato quando hai saputo che mi drogavo…Tu non ti sei arrabbiato perché non sapevi quello che mi avevano fatto i tuoi amati idoli dell’infanzia, ma perché non ti ho detto che avevo una dipendenza”.
“Minerva non farmi il profilo!”.
“Tu lo hai fatto a me”.
Il ragazzo fece un passo verso di lei e la guardò negli occhi, bastarono quelli per farle capire che aveva fatto centro. “Hai la minima idea” le sussurrò Spencer “di quanto mi sia sentito inadeguato a stare al tuo fianco? Quanto abbia influito la mia dipendenza sull’esternare i miei sentimenti? Ero convinto fossi un meraviglioso angelo, che i demoni della mia mente non dovevano toccarti perché se no ti avrei persa…”.
“Avevi detto che riguardava le statistiche…” gemette Minnie.
“I segreti li so tenere anch’io, Minerva. Ogni giorno pensavo che non sarei ma stato alla tua altezza, che la possibilità di ricadere in quel tunnel avrebbe compromesso il nostro rapporto. Poi mi sono reso conto che eri l’unica persona che riusciva a tenermi pulito, che mi tenevi a galla in mezzo a questo oceano di male. Ma ora tutte le belle parole che mi hai detto, tutte le frasi dolci e d’incoraggiamento sono diventate solo bugie. Appena me ne andavo ti facevi una dose, ridendo della mia vulnerabilità?”.
“Non era così…io…” provò ad accarezzargli il volto, obbligandolo a guardarla negli occhi e vedere la verità.
Spencer la bloccò “Non m’interessa. Non m’interessa più nulla di tutto questo”. Prese la sua borsa e ne andò, lasciando Minerva lì, davanti alla scrivania con ancora la mano alzata.
Chiuse gli occhi cercando di recuperare un po’ di contegno, di non mettersi a piangere come una bambina. Suo fratello le si avvicinò e le appoggiò una mano sulla spalla. Non le chiese nulla, aveva già capito.
Un passato del genere cerchi di nasconderlo in tutti i modi, ma quando viene fuori uccide ogni rapporto possibile, anche il più solido.
Le sarebbe piaciuto credere che fosse solo e semplicemente così, ma, in verità, si trattava di molto di più. Spencer aveva contatto su di lei per rimanere pulito dalla droga, aveva trovato l’appoggio che aveva sempre cercato, mentre lei, in realtà, era una dipendente storica e aveva smesso solo per cause maggiori.
Aveva tutta la ragione per odiarla.
Cris la guidò dolcemente verso la sala riunioni e prima di portarla dentro le spiegò cosa stava succedendo. “Credo che mamma e papà stiano usando uno spacciatore che conoscono bene e di cui possono fidarsi”.
“Viper?”. La sua voce era monotona: stava ancora elaborando il fatto che Spencer con molta probabilità le aveva dato il ben servito e che non aveva ancora visto la foto del vestito da sposa di cui si era innamorata…Non aveva senso pensare a quello che stava pensando. Era sotto shock evidentemente.
“Dobbiamo trovarlo”.
Minerva annuì “Mi serve Garcia”.
La ragazza entrò, gli occhi di tutti puntati su di lei. Non riusciva a capire se era per quello che aveva raccontato oppure fosse la curiosità per quello che era successo con Spencer nell’altra sala.
Ma a qualsiasi cosa fossero legati quegli sguardi sentiva forte e chiaro il disprezzo e odio nei suoi confronti.
Reid faceva parte della loro famiglia da tanto tempo, era come la loro mascotte, lei era una sconosciuta, era lì per la sua buona parola e Spencer le aveva tolto il suo benestare. Era di nuovo un’estranea.
Minerva si sedette, fingendo di stare bene, e fece il numero di Garcia. Mise in vivavoce, così che tutti potessero sentire e non s’insinuasse il dubbio che li stesse mentendo ancora.
“Mi dica signorina Hunter”.
Fu doloroso sentire quel distacco. Penelope era la sua migliore amica, era l’unica con cui condivideva ogni aspetto intimo della sua vita, ma ora anche lei aveva messo un muro tra di loro. Sentì le lacrime salirle agli occhi, ma cercò di farsi forza. “Potresti trovare qualche evento creato da A.J. Polert in qualche club o in qualche discoteca? ”.
Alcuni secondi di silenzio. “Al Graziosa c’è una serata a tema Rock star questa sera a cui sei stata persino invitata su facebook”.
“Grazie mille”.
“Sì, certo” e la chiamata s’interrupe.
“Andremmo lì” disse Hotch “E cerchiamo di prendere questo Viper, dobbiamo avere la certezza che si tratti degli Eagles prima di agire”.

Reid avrebbe voluto rimanere in centrale a studiare il profilo geografico o psicologico. Si sarebbe dedicato anche all’astrologia o alla lettura dei fondi di caffè, piuttosto che essere lì, ma Hotch era stato irremovibile: c’era bisogno di tutti.
Le tavole del progetto del Graziosa avevano mostrato come l’edificio presentasse ben tre uscite secondarie e una principale enorme a causa della sua mole. Non potevano lasciare nessun angolo scoperto.
E così si era preparato. Erano andati in albergo e si era cambiati. Fu difficile fare finta di niente, mentre Minerva, dall’altra parte della stanza stava decidendo cosa indossare dopo una doccia. Dovette così ripetersi per la centesima volta il piano nella testa, cercando di non pensarci.
Mentre loro avrebbero aspettato fuori, Minerva sarebbe entrata e fatto uscire con qualche stratagemma Viper dal locale, portandolo così in centrale per interrogarlo. In questo modo non avrebbero dovuto fare irruzione e agitare l’S.I., gli S.I. se la storia era vera, per aver compromesso una delle loro zone sicure.
Appena finì di vestirsi uscì dalla stanza, lasciandola sola a preparare la sua valigia. Minerva aveva deciso di prendere una stanza in un altro albergo. Non era stato necessario spiegare le motivazioni, erano semplici e logiche: fra loro tutto era finito, non aveva senso dormire nello stesso letto facendo finta che tutto fosse ok.
Conseguenza logica, doveva continuare a ripeterselo perchè gli faceva male anche solo il pensare di non vederla più gironzolare per casa sporca di colore, vederla apparire sulla porta con la colazione in mano o di baciarla quando voleva, liberamente.
Guardava fuori dal finestrino ripercorrendo ogni attimo della loro vita insieme, mentre Derek guidava, serio, perso nei suoi pensieri. “Come va, ragazzino?”.
“Mi sembra di andare letteralmente a pezzi”.
“Quando una persona che ami ti tradisce è così”.
“Non riesco a capirne le motivazioni” sussurrò “Era necessario tenere nascosto tutto questo?”.
Morgan sospirò “Forse, un po’, la capisco. Ti hanno fatto male nel passato e non vuoi che te lo facciano nel futuro, anche se sono a mille chilometri di distanza da te. Perciò si finge che non sia mai successo nulla di importante, qualcosa da trascurare”.
“Mi ha mentito”.
“Cerca di capire il perché”.
Il suo compagno di squadra parcheggiò la macchina nello spiazzo a poco meno di un chilometro dal Graziosa insieme agli altri. Tutti scesero dalle vetture con addosso già i giubbotti anti proiettile e si radunarono davanti a Hotch, mentre Cris face il giro della macchina, aprendo la porta del passeggero, per aiutare sua sorella a scendere.
Quando finalmente la vide gli venne un colpo. La ragazza acqua e sapone che conosceva si era trasformata in una donna a lui sconosciuta. Il trucco troppo pesante, i capelli resi fin troppo lisci, il corpo fasciato in un abito corto e aderente, che lasciava intuire ogni sua forma, e le gambe erano risaltate da delle scarpe con un tacco così alto da far impallidire quelle di Garcia.
Minerva si sistemò la giacca di pelle, che copriva veramente poco, e mostrò a Hotch dov’era sistemato il microfono. “Spero che si senta qualcosa”.
“Garcia in caso pulirà il suono, togliendo la musica di sottofondo. Ricordati che non sei mai da sola, ti controlliamo con le telecamere interne, in caso di pericolo entriamo”.
La ragazza annuì e aspettò le disposizioni del loro capo. Spencer e Morgan avrebbero controllato l’uscita a sud, alla porta a nord ci sarebbero stati J.J. e Rossi, mentre a Blake e Aaron sarebbe aspettato il retro. Cris avrebbe controllato con la polizia l’entrata principale.
Quando gli ordini finirono, Hotch fece un cenno del capo e ognuno andò nella propria posizione e purtroppo per raggiungere la sua, Spencer, dovette fare tutta la strada interna del quartiere con lei. L’osservava mentre camminava, così diversa da quella ragazza con cui aveva vissuto, lavorato e aveva amato. La sua mente gli offrì una frase di Gabriel Garcia Marquez , che sembrò veramente scritta per quel esatto momento, per lui che stava cogliendo ogni sua sfumatura, mentre gli altri la vedevano solo per quello che era semplicemente.
Gli sembrava così bella, così seducente, così diversa dalla gente comune, che non capiva perché nessuno rimanesse frastornato come lui al rumore ritmico dei suoi tacchi sul selciato della via, né si sconvolgessero i cuori con l’aria dei sospiri dei suoi falpalà, né impazzissero tutti d’amore al vento della sua treccia, al volo delle sue mani, all’oro del suo ridere. Quando si fermarono alla porta, osservandola mentre girava l’angolo, si rese conto di una cosa: un uomo normale avrebbe dovuto provare una scarica di dopamina e serotonina, ma lui non aveva provato niente di fronte a quella nuova versione di Minerva. Perché?
Freud avrebbe trovato interessante il fatto che non provasse nessun imput sessuale quando le si era offerta alla vista con vestiti così provocanti, mentre tutt’altro effetto gli abiti colorati e quasi infantili che usava solitamente. In psicologia si sarebbe potuto parlare probabilmente di due personalità, o comunque di due parti della sua vita ben distinte, solo che lui se n’era innamorato di una sola e non riusciva ad accettare l’altra.
Spencer amava Minerva, ma sarebbe riuscito a convivere con lo spettro di Josephine?

La musica era troppo alta, facendole girare per qualche secondo la testa.
Non era più abituata, negli ultimi due anni aveva preferito rimanere a casa, in silenzio, a disegnare, mentre nell’altra parte della stanza Spencer leggeva. Chissà se sarebbe mai più successo?
Si avvicinò al bar e ordino una vodka liscia. Hotchner le aveva permesso di bere, ma non così tanto da ubriacarsi.
Certo, iniziare a bere alcolici dopo 2 minuti e 13 secondi da quando era entrata non era il massimo, ma le serviva qualcosa che la facesse andare avanti.
Finì il drink e cominciò a girovagare per la discoteca piena di gente che si fingevano rock star, dopo aver rispolverato dall’armadio le peggiori cose che fossero mai state concepite dalla moda.
Evitò un uomo con un boa viola e una maglietta a rette blu elettrico, che faceva gesti piuttosto volgare con la lingua a tutte le ragazze che incontrava e uno completamente vestito di nero che imitava Ozzy Osbourne, probabilmente l’unico che effettivamente fosse in tema.
Fu solo con il terzo giro della pista e dopo aver rifiutato una decina d’inviti che si ricordò di dove era e cosa doveva fare. In una discoteca, soprattutto affollata, cercare le persone camminando e guardandosi attorno era impossibile, soprattutto se si trattava di uno spacciatore esperto come Viper. Lì dentro non eri tu a cercarlo, ma lui avrebbe trovato te.
Tornò al bancone e si fece dare un cocktail dai colori sgargianti e si lasciò andare. Cominciò a ballare con degli sconosciuti e a flirtare con loro, ma appena questi provavano ad andare oltre, mostrava l’anello di fidanzamento. Molti serial killer sceglievano così le loro vittime, uccidevano le donne che li avevano rifiutati o che li avevano dato un’illusione per poi tirarsi indietro…Uno di loro poteva essere là e aver appena finito di ballare con lei, ma non le interessava. Cosa aveva da perdere in fin dei conti?
Si sedette su uno degli sgabelli del piano bar e ordinò una tonica. Aveva bevuto già tre cocktail, avrebbe dovuto aspettare un po’ prima di prenderne un altro.
Un ragazzo le si avvicinò, ma non alzò gli occhi, sperava se ne andasse. Per i successivi quindi minuti sarebbe stata volentieri seduta a pensare alla sua vita parlando con la barista. Le dita del tipo cominciarono a tamburellare sul piano, vicino alla sua mano e così riuscì a vedere i tatuaggi sulle falangi e si irrigidì.
“Dicono che ci sia una meravigliosa ragazza che balla con tutti, ma poi si tira indietro dicendo che è fidanzata” le urlò nell’orecchio, cercando di superare il frastuono “Pensavo fosse la solita puttana e, invece, sei tu. E’ da tanto che non ci vediamo Jo’!”.
“Ci siamo sentiti un anno e sei mesi fa” lo corresse sorridendogli.
“Sì, ma vedere il tuo bel faccino è un’altra cosa”.
Avrebbe voluto sputargli in un occhio, era un lurido schifoso pervertito, ma doveva stare al gioco e potarlo fuori, in modo tale che lo potessero portare in centrale e interrogare. Dovevano salvare gli altri ragazzi finiti tra le grinfie della sua famiglia, era quello l’importante non il suo ego o il suo onore.
“Vedilo come un grandissimo favore, visto che mi sto per sposare e non lo vedrai più per molto, molto, tempo”.
“E chi sarebbe il fortunato?”.
“Spencer… E’ un dottore”.
“Dottore dottore o dottore solo perché ha fatto l’Università?”.
Minerva lo guardò con un sopraciglio alzato “Ha un paio di laure e di dottorati”.
“Un geniaccio, insomma”.
Le fu consegnata la sua tonica e lei la sorseggiò, cercando di sembrare sicura di sé e non toccata dal suo tono spavaldo. “Sì sta per laureare in filosofia”.
“E’ per questo che ti ha lasciato qui da sola?” Viper si avvicinò a Minerva, il petto le sfiorava il braccio.
“Non gli piacciono questi posti”.
Le accarezzò la spalla “Anche se fosse l’inferno non lascerei mai una ragazza come te da sola”.
“Ci stai provando?” Minerva si girò, mentendosi di fronte a lui, doveva prendere il controllo della situazione, se no le cose le sarebbero sfuggite di mano.
“Assolutamente no” le si avvicinò ulteriormente, salì fino al collo, per poi afferrarle la nuca “Ma non credi sia il caso di ricordare i vecchi tempi?”.
“Penso sia un’ottima idea”.
Viper gli prese la mano e la guidò in mezzo alla folla, portandola dall’altra parte della sala ghermita. Minerva si mise l’orlo della manica vicino alla bocca, fingendo di essere infastidita dal getto di vapore che il DJ aveva appena fatto partire, e sussurrò la direzione che avevano preso.
Entrarono nel retro del locale, dove la musica si sentiva a mala pena, come se fossero entrati in un altro mondo. Girarono intorno alle casse di liquori e bibite, finche non arrivarono alla porta. Viper l’aprì e si trovò davanti le pistole di Aaron e Blake che lo puntavano.
“F.B.I., fermo dove sei” gli ordinò Alex.
“Merda, i federali”. Viper la spinse avanti e le abbracciò le spalle, mentre le puntava una pistola, appena estratta dalla cintura dei jeans, alla tempia. “Fermi o le sparo”.
Minerva rimase immobile, senza respirare. Quando sentì un colpo, fece un piccolo strillo,mentre sentì qualcosa sfiorarle il polpaccio. Il ragazzo dietro di lei lasciò la presa e cade a terra, imprecando, provò a rialzarsi ma Hotch lo buttò a terra, puntandogli al petto l’arma.
Hunter si girò e vide Spencer con la pistola che fumava ancora in mano, si stava avvicinando velocemente. Provò a fare un passo verso di lui, ma la superò senza degnarla di uno sguardo.
“Sei in arresto per minacce contro un consulente federale” lo informò Reid, mentre lo ammanettava e lo tirava su prendendolo per il collo della maglia.
Viper si trovò così di nuovo a faccia faccia con la ragazza. “Sei una lurida puttana”.
“Non sono cambiata così tanto negli anni, A.J.”
Provò a sputarle addosso, ma Spencer lo trascinò via, aiutato da Derek

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Capitolo 9
*** Interrogatorio ***


Interrogatorio


Si strinse nella giacca troppo grande dell’F.B.I., cercando di tenersi al caldo, mentre osservava A.J. dentro la sala interrogatori. Era lì da ormai un’ora, ma la squadra non aveva fretta;si stavano confrontando sul suo profilo per scegliere chi fosse più adatto a trattare con lui e farsi dare delle indicazioni riguardo a quello che stava succedendo. Fu deciso così che a entrare dovessero essere Reid e Rossi.
Quando lo vide avvicinarsi provò ad andargli incontro. Vide chiaramente Dave appoggiarli una mano una sulla spalla, prima di comunicare che si era dimenticato i fascicoli e che non ricordava dove erano stati messi. Tutta la squadra capì lo stratagemma e uscirono tutti lasciandoli soli nella stanza antigua a quella in cui si trova Viper.
Fu Spencer a rompere il silenzio “C’è qualcosa che dovremmo sapere riguardo al suo comportamento che ci potrebbe essere utile?”.
“E’ un narcisista, un prepotente e un grandissimo idiota…”.
“E da quello che ho capito ci stavi insieme”.
Minerva ridacchiò sarcastica “Disse quello che ha baciato una diva di Hollywood”.
“Non è questo il punto”.
“Allora qual è?” fece un passo verso di lui e gli accarezzò la guancia senza che lui si ritraesse. Le sembrò di aver fatto una delle più grandi conquiste della storia “Spencer, cosa posso fare per risolvere tutto questo casino? Se può aiutare leggerò tutto Anna Karenina in russo, vedrò tutti i film rumeni in lingua originale e senza sottotitoli, ma ti prego dimmi che cosa fare per averti”.
Spencer sorrise. Sapeva quanto odiasse quelle cose, ma era disposta a farle per lui per avere ancora una briciola di loro due insieme. Ma poi tornò serio, togliendole quel poco balurme di speranza che le era restato.
Le afferrò il polso e le allontanò la mano dal suo viso “Non credo che si possa tornare indietro”.
Uscì dalla stanza e seguì Rossi, che lo aspettava fuori, da Viper che si mise a ridere quando li vide entrare.
“Mi mandano un vecchio e il tizio sfigato che mi ha sparato. Non potevate fare di meglio?”.
“Buonasera anche lei, signor Poler” Rossi appoggiò il fascicolo sul tavolo e si sedette “Io sono l’agente speciale David Rossi, mentre lui è il dottor Spencer Reid”.
“Spencer?” A.J. si spostò sulla sedia “Tu sei il dottore che si sposerà la piccola Josephine? E’ assurdo, quando eravamo al liceo quelli come te li predavamo in giro e li chiudevo negli armadietti. Ti hanno mai messo la testa nel cesso?”.
“Non è una cosa di cui andare fieri” commentò Reid “Ci porta a pensare che lei sia destinato a comportamenti scorrenti, oltre al fatto che debba compensare qualche mancanza. E’ di tipo fisico, psicologico o sessuale?”.
Quello era il suo modo per colpire basso qualcuno. Non era normale che facesse così, di solito se la prendeva con coloro che facevano del male ai bambini usando le loro uniformi o i loro ruoli, ma con una certa classe e mai così gratuitamente. Così la ragazza si trovò a pensare che in verità quella fosse gelosia nei suoi confronti, che in qualche modo non la volesse condividere con nessuno. Sperava fosse così, avrebbe voluto dire che c’era ancora speranza.
A.J. rise nuovamente “E tu? Tutte le tue lauree cosa compensano?”.
“Risponde a una domanda con un’altra domanda” Dave lo guardò dritto negli occhi “Esattamente cosa stai nascondendo in realtà? La tua cordadia?”.
“Io non sono un fifone” protestò lo spacciatore diventando serio.
“Io direi, usando un termine non tecnico, che lei è un cagasotto” inferì il giovane dottore “Ha usato una ragazza come scudo”.
“Non una ragazza qualsiasi, ma la sua fidanzatina. E’ per questo che ce l’ha con me? Perché l’ho messa in pericolo?” Viper si allungò sulla tavola “Sai, genietto, dovresti proteggerla un po’ meglio”.
“L’ho fatto”.
“Davvero? Tutta sola in un locale malfamato non equivale al mio concetto di proteggere”.
Spencer stava per rispondere, ma Rossi intervenne. Il discorso stava degenerando. “Era sotto copertura per l’F.B.I., era un pericolo calcolato” fece l’ex-militare “Ma adesso torniamo al motivo per cui è qui. Vogliamo parlare di una droga che sta circolando”.
“E chiedete a me? Io sono un angioletto, chiedetelo a quello schiatto della mia ex”. A.J. aveva calcato sull’aggettivo mia e per un attimo tutti si erano irrigiditi, pensando che Reid avrebbe potuto avere uno scatto di rabbia. Sarebbe stato insolito, ma il suo comportamento stava degenerando.
Anche Dave sembrò avere la loro stessa paura, perché gli afferrò il braccio e glielo strinse. Spencer fece un respiro profondo e aprì il fascicolo mostrando le foto. “Questi sono i ragazzi morti a causa di una nuova droga che sta circolando. Dicono che sia qualcuno della tua zona a spacciarla. Conosci qualcuno che potrebbe farlo?”.
“No comment”.
“E’ nel tuo interessere rispondere”.
“No comment”.
Rossi si alzò “Senti, potremmo accusarti di favoreggiamento e di concorso in omicidio. Potresti farti un bel po’ di anni in galera. Ti conviene parlare”.
A.J. rise e aprì le braccia “Ok, parlerò…”.
“Bene, allora, cosa…”.
“Alt, alt, nonnino! Non con voi, ma con quel meraviglioso bocconcino di futura sposa che è là fuori”.
Spencer si irrigidì. David annuì, fece un cenno al suo compagno di squadra uscirono.
La squadra accorse da loro, mentre Minerva rimase indietro.
“Cosa facciamo?” chiese AleX.
“Vuole Minerva e noi gliela daremo”.
Reid si fece avanti, visibilmente preoccupato “Non ha mai fatto un interrogatorio e quel tipo non mi convince”.
“O così o non sapremmo mai nulla” Derek li guardò severo “Non abbiamo molta scelta”.
La ragazza si tolse la giacca e si fece strada verso la porta “Basta che mi faccia dire che collabora con i miei, giusto?”.
Aaron annuì, ma Cris intervenne “Non te lo lascio fare, potrebbe farti del male…”.
“Se mi sentirò in pericolo ti chiamerò” ed entrò.
A.J. la osservò da capo ai piedi, leccandosi le labbra. Si sentiva un pezzo di carne su il banco della macelleria, ma cercò di ignorarlo. Si andò a sedere, sapendo che così la maggior parte del suo corpo sarebbe stata celata ai suoi occhi avidi.
“Sei arrivata finalmente”.
“A quanto pare”.
“Dimmi la verità” Viper incrociò le mani sul tavolo “Veramente ti sposi con quello sfigatello?”.
“Te l’ho detto al Graziosa. Ti crea qualche problema?”.
“Josephine Lied suono male”.
“Ried” lo corresse “E poi con loro uso il mio secondo nome e mi sembra che Minerva Ried sia grazioso”.
A.J. tornò a stravaccarsi sulla sedia, buttando un braccio dietro lo schienale “Minerva. Non mi è mai piaciuto come nome, penso sia così… datato”.
“Non è questo il tuo problema, vero?” il ragazzo alzò un sopracciglio, incuriosito “Non si tratta del che nome uso o avrò, ma di qualcos’altro. Cosa ti dà fastidio?”.
Il ragazzo rise “Mi sono dimenticato di questo particolare: sei una vera rompi palle, vuoi sempre sapere tutto” tornò a sporsi sul tavolo “Sei davvero felice di tutto questo Josi? Non ti mancano i vecchi tempi?”.
“Affatto”.
“E lui” e indicò con la testa la porta “sa cosa ti piaceva fare quando eri un’adolescente? I giochi che adoravi fare nell’intimità?”.
Minerva lo osservò negli occhi, senza battere ciglio “Ero piccola, pensavo che l’amore fosse quello che subivo da te ogni santissimo giorno. Ora, invece, so che è rispetto reciproco e dialogo”.
“Balle! Lo dici solo perché è così rinsecchito da non poterti lasciare un livido nemmeno se ti molla un pugno”.
Questa volta fu lei a sporgersi “O forse lo dico perché mi ama abbastanza da non farmi andare in ospedale per le botte o perché mi ha iniettato un miscuglio di droghe per convincermi a stare con lui”.
“Tu lo volevi”.
“No, non volevo quello, volevo essere amata, ma tu mi hai convinto che era quello di cui avevo bisogno”.
Calò il silenzio dentro la stanza, così anche dall’altra parte del vetro.
Reid rimase immobile, stringendo i pugni “Quando è successo?”.
“Aveva tredici anni” Cris aveva una mano appoggiata al vetro, mentre l’altra era sistemata sul fianco, stretta a pugno “L’ho trovata al molo in condizioni pessime e l’ho portata al pronto soccorso. Ero riuscito a convincerla a testimoniare, ma i nostri carissimi genitori cercarono di insabbiare tutto e non ci fu mai una denuncia. Ci mise un anno e altri sei giri in ospedale per farla curare per farle smettere di stare con lui”.
Spencer avrebbe voluto tornare dentro e distruggerlo, sapeva abbastanza di chimica e di anatomia da escogitare le torture più fantasiose. E non era il solo a desiderarlo, sentì dietro di lui Morgan schioccare le nocche, Aaron irrigidire la mascella e Rossi continuava a rigirarsi tra le dita il vecchio anello dei marines.
Prese fiato, contò fino a 100 e tornò a guardare dentro. Minerva aveva ripreso a parlare, tranquilla, nemmeno colpita da quello che si erano appena detti.
“Mamma e papà li hai più visti?”.
“I tuoi?” lui scrollò le spalle “Capita, sai, il campus è piccolo”.
“Ti hanno mai parlato?”.
“Certo, mi chiedevano se avevo tue informazioni. Gli ho detto” continuò senza che ci fosse bisogno di fare domande “che compravi ancora qualcosa da me, fino a un anno e mezzo fa. Cos’è successo?”.
“Ho smesso, fine”.
“Dal giorno alla notte, così? Complimenti”.
Fu questa volta lei a scrollare le spalle. “Succede. Lo yoga aiuta”.
“Tu odi quella roba”.
“Lo so”.
“Quindi perché?”.
“Sono al sicuro ora, non ho bisogno di far finta”.
Viper si allungò “Comunque i tuoi ce l’hanno ancora con te. Dicono che potevi sfruttare meglio quello che ti hanno dato”.
“Possono fare a meno di preoccuparsi, alla fine ho seguito il loro esempio e mi sono laureata tre volte”.
“Ma se non li avessi abbandonati, invece di essere solo un agente dell’F.B.I. saresti arrivata direttamente al vertice”.
La ragazza scosse la testa “Non m’interessa il potere”.
“No, tu vuoi aiutare le persone, giusto. Santa Josephine da Berkley” rise per quella vecchia battuta, per poi tornare serio “Non ti senti in colpa, allora, per non essere rimasta?”.
“Perché dovrei sentirmi in colpa?”.
“Perché quei sfigati non sarebbero morti se tu fossi rimasta” sembrò quasi un ovvietà per lui “Non ti saresti persa tutto questo e ne avresti fatto parte. Stessa cosa vale per quel fratello scemo che ti è rimasto”.
“Cosa mi sono persa?”.
“Hanno deciso di dare il vostro dono ad altri”.
Lei puntò i gomiti sulla tavola e sistemò le mani sotto il mento “Sono curiosa. Spiegami come”.
Gli stava dando cibo per il suo ego. Lei, plurilaureata e con un quoziente intellettivo superiore alla media, non sapeva qualcosa che lui, semplice spacciatore di strada, invece, era a conoscenza.
“Stanno lavorando alla pastiglia che davano a te e ai tuoi fratelli. Solo che si finisce come quei poveri cretini. A quanto pare funziona solo con gente come voi, ma troveranno un modo per poter dare un’intelligenza maggiore a tutti”.
“E tu come fai a saperlo?”.
“Perché” rispose A.J. “lavoro con loro. Io do la roba alle loro cavie, evitando che finiscano in gattabuia in caso la polizia lo venga a sapere. In cambio mi prendo una percentuale e quando sarà finita la sperimentazione io avrò la mia dose e sarò geniale come te”.
“E cosa faresti con questa super intelligenza?”.
A.J. sorrise “Ti farò rimpiangere il fatto di avermi lasciato per quell’idiota. Sarò così ricco da potermi comprare tutte le ville e le macchine che voglio. Farò la vita da re, mentre tu mi guarderai dalla topaia in cui vivrai, implorandomi di riprenderti. Ma non temere, se rimarrai ancora un bel bocconcino ti riprendo. Tranquilla, ok?”.
“Guadagnerai tutto ciò spacciando, immagino”.
“Creerò un impero e tutti avranno paura di me, nemmeno voi dell’F.B.I. mi potrete fermare. Sarò uno di quei tra ficcanti intoccabili che si vedono nei film”.
Minerva si alzò ridendo e si piegò sul tavolo “Ti posso dire un segreto A.J.”.
“Dimmi, dolcezza”.
“Hai appena detto a una consulente dell’F.B.I., in una sala interrogatori di una centrale di polizia piena di federali che spacci. Non credo proprio che farai molta strada”.
Viper sbiancò, mentre lei usciva dalla stanza con le prove che le servivano.

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Capitolo 10
*** Bentornata a casa ***


Bentornata a casa


Andarono tutti nella sala conferenza, J.J. le passò la giacca che aveva abbandonato prima di entrare da A.J. e Minerva se l’infilò velocemente. Si sentiva in imbarazzo in quella mise in mezzo a loro.
“Dobbiamo andarli a prendere e interrogarli. Dobbiamo bloccare il traffico di quella roba prima che ci siano altri morti” Morgan guardò i suoi compagni di squadra “Dobbiamo farci dire dove producono la sostanza…”.
“Nel seminterrato” Cris guardò la sorella “Almeno che non lo abbiano spostato c’è il loro laboratorio di chimica”.
“Ci serve un mandato” Hotch guardò J.J. “Occupatene tu e cerca di fare il più presto possibile”.
La bionda corse fuori, mentre gli altri cominciarono a pensare a un piano d’azione.
Minerva guardò suo fratello e Spencer parlare sulle varie sostanze chimiche che ci potevano essere nella casa, se ne valeva la pena andare dentro con le pistole spianate, oppure trovare una scusa per allontanarli e portarli in centrale durante la perlustrazione. Andavano abbastanza d’accordo e se li poteva immaginare anche come amici, se tra loro le cose non fossero andate così.
Il cellulare che teneva in mano vibrò brevemente. Era Everett, le aveva mandato un messaggio. L’aprì e quando finì di leggere richiamò l’attenzione della squadra, per poi leggerlo ad alta voce.
Sono dagli Eagles… Sono loro. Bambina in pericolo. “E’ troppo conciso” analizzò Blake “ma specifica le parole, non usa abbreviazioni o slang, quindi esattamente quello che vuole dire. Ma cosa c’entra una bambina?”.
Rossi guardò la ragazza“Ma perché è da loro?”.
“Aveva detto che avrebbe cercato informazioni sullo spacciatore” spiegò la ragazza.
Cris incrociò le braccia “Ma Viper ce l’abbiamo noi? Com’è arrivato a mamma e papà?”.
La ragazza chiuse gli occhi e cominciò a pensare. C’era qualcosa che le sfuggiva….ma cosa?
Analizzò tutto quello che sapeva sulle vittime, che cosa avevano fatto e come la loro giornata si fosse svolta. Nulla fuori dalla norma, tranne… “Le supplenze!” aprì gli occhi di colpo “Tutte le vittime, il giorno che hanno iniziato a parlare della droga, avevano avuto supplenza in chimica, anatomia e botanica”.
“Botanica?” domandò Cris.
“Mamma stava seguendo un corso di laurea in botanica quando me ne sono andata”.
“Quindi Everett” analizzò Hotch “deve averlo capito e ha deciso di andare da loro per scoprire qualcosa”.
“Probabilmente. Ma la bambina…”.
“Funziona solo con gente come voi” sussurrò Reid e guardò Minerva, che lo stava fissando a sua volta. Entrambi stavano elaborando la stessa crudele e terribile ipotesi e quando fu finita e chiara a entrambi si mossero.
Il ragazzo prese il telefono e compose il numero di Garcia e mise in vivavoce “Senti, cerca bambini morti in modo misterioso in questa zona negli ultimi anni”.
L’hacker sbuffò “Devi essere più preciso. Sono parecchi i bambini che muoiono per mano di mostri o esseri crudeli. Ce ne sono 114. E ringrazio il cielo che esista questa squadra che…”.
“L’allarme bambini scomparsi parte fin dal momento in cui i genitori si accorgono della loro assenza” Minerva si avvicinò a Spencer che le porse il telefono “Garcia, cerca bambini che sono stati ritrovati morti dopo minimo cinque ore dal loro allontanamento, sia che sia stato un rapimento sia un allontanamento volontario”. “Che state facendo?” chiese Alex incuriosita.
“Hanno sperimentato le pastiglie su altri” spiegò Reid.
Minerva continuò “Ho bruciato le formule e quindi sono dovuti ripartire da capo con la sperimentazione”.
“E questo l’ha detto lo stesso Viper, ammettendo che la pastiglia si limitava a funzionare solo per gente come loro, gente dotata di un’intelligenza particolare. Per essere sicuri di ciò bisogna fare una sperimentazione su ampia scala”.
“E probabilmente quei bambini sono stati uccisi, perché dopo aver registrato i risultati non potevano usarli per mettersi in mostra, perché risultavano scomparsi. E’ probabile che altri siano morti prima perché la pastiglia non funzionava e mandava direttamente in overdose”.
“Siamo a quota 103 casi, almeno dalle deposizioni. Alcuni casi presentano dei dubbi sulle testimonianze dei genitori” li informò Garcia.
“Escludi i ragazzi problematici…”.
“No” Hunter lo fermò appoggiandogli una mano sul braccio “A loro non interessa da quale famiglia vengono, bensì il loro cervello. Escludi quelli che non avevano una buona media, magari vedi se tra quelli che ti rimangono ce ne sono che hanno partecipato alle Olimpiadi della Matematica, a gare di Spelling, presentazione di progetti di chimica o fiscia”.
“Insomma tutta roba da geniacci” Penelope cominciò a battere sui tasti rapidamente “O mio Dio! Ma ci sono tutte queste gare per i cervelloni?”.
“Se ne tengono 14 all’anno solo di materie matematiche” disse Cris “Mi pare di aver partecipato a tutte quante almeno una volta”.
“Ho fatto l’intero calendario di sfide per 4 anni di seguito e sono arrivata prima tutte le volte. Ho vinto anche il Quiz del Cervello” si vantò Minerva.
“Anch’io ho partecipato a quel quiz!” Spencer le sorrise “Sarebbe stato bello scontrarsi”.
“Sì, sarebbe stato molto interessante” la ragazza ricambiò il sorriso, ma la voce dell’hacker li interruppe. “Immagino che questo sia un modo per dire di cercare quelli che hanno vinto più premi in queste gare. E siamo a quota 40”.
“Ok, ora devi vedere se nei rapporti autoptici si vedono tracce di tortura”.
“Dovete essere specifici”. I fratelli Eagles presero un respiro profondo. “Chicchi di riso sotto la pelle delle ginocchia e segni di reclusione in spazi angusti”.
Minerva cominciò a torturare l’orlo della giacca “E bruciature di sigaretta. Soprattutto sulla schiena…è il loro posto preferito”.
“Siamo a quota 15 bambini nell’ultimo anno”.
“Allarga la ricerca agli ultimi sette anni” Spencer guardò i suoi compagni “Una cosa del genere non la possono aver fatta solo in un anno”.
“E anche nelle città vicine. Possono essersi spostati ad un certo punto”.
“O mio Dio” Garcia cominciò a imprecare “Sono 30, no 40, o mio Dio, sono 50 casi negli ultimi 4 anni. E il database mi dice che ci sono altri casi negli Stati limitrofi il numero continua a crescere…”.
“Garcia” la fermò Minerva “Una bambina che corrisponde ai parametri è scomparsa di recente?”.
L’hacker fece una ricerca veloce “Sì, Martine Lewis, di Berkley. Stava andando al club di scacchi ma non è mai arrivata. E’ sparita da tre giorni”.
“Dobbiamo salvarla!”.
Hotch prese il comando come al solito “Garcia mandaci i nomi appena il database avrà finito. Noi dobbiamo muoverci se vogliamo recuperare Everett e la bambina ancora vivi. Niente diplomazia, entriamo e li prendiamo. Non meritano clemenza”.
“Ma siamo sicuri che si trovino a casa loro?” chiese J.J. “Sono troppo intelligenti per fare una cosa così stupida come far entrare tutti quei bambini in casa, soprattutto con dei vicini che possono chiedere spiegazioni”.
“Almeno che non usino come base secondaria il vecchio laboratori del professor Coleman” ipotizzò Cris.
Minerva scosse la testa “E’ troppo malridotto per lavorarci”.
“Se stanno lavorando a così ampia scala, hanno bisogno di una base secondaria”.
“Vale la pena tentare” disse Rossi “Io, Cris, J.J. e Hotch al laboratorio, Reid, Blake, Morgan e Minerva a casa degli Eagles”.

Ora che si era cambiata stava meglio, si sentiva meno esposta con addosso i suoi jeans. Ma la sensazione di disagio continuava ad esserci, non riusciva a capire che cosa ci facesse lì esattamente.
Non aveva una pistola, non era un’agente. Cosa avrebbe potuto fare se non guardare? E allora perché l’avevano portata con sé?
Si rannicchiò sul sedile dell’auto, respirando a fondo, cercando di mantenere la calma, ma non era facile. Degli agenti dell’F.B.I. stavano per fare irruzione nella sua casa d’infanzia e scoprire che cosa la sua famiglia aveva nascosto negli ultimi 31 anni. Avrebbero fatto riemergere cose che aveva sperato di lasciare per sempre chiuse tra quelle mura.
Alex entrò nella macchina e si andò a sedere nel posto di fianco a lei. “Appena avremmo controllato sia sicura vieni dentro anche tu, ci potresti essere utile”.
“Per cosa?”.
“Perché ci puoi portare nei posti…” si fermò e le accarezzò il braccio “Tesoro, non è colpa tua”.
“Lo dite sempre alle vittime, solo perché così tornano a vivere. Ma lo sappiamo che non è sempre vero, alcune volte è veramente colpa loro”.
“Ma questa volta è vero” la donna le prese la mano “Hanno iniziato ancora prima che tu fossi nata. Tu non ne hai nessun tipo di colpa. Quello che hai passato è tremendo ed è stato naturale nasconderlo e celarlo dietro ad abusi. Ma adesso ne sei uscita”.
Minerva scosse la testa e guardò fuori “Qualcuno non la pensa così”. Spencer e Morgan si stavano consultando su come muoversi e su cosa fare in caso ci fossero degli agenti chimici tossici in giro. Poi, il cioccolatino di Garcia si girò e fece cenno di muoversi.
“Dobbiamo andare” Blake la prese per mano e la condusse fuori dal suv. L’agente la lasciò poco più avanti, per dirigersi verso l’entrata con la pistola in pugno.
Il meraviglioso portone verde si squarciò sotto il calcio di Derek. Entrarono poi Reid e Alex, facendosi riconoscere come agenti dell’F.B.I., seguiti dalla polizia. Scomparvero dalla sua vista, aspetto un colpo di arma da fuoco o le urla di sua madre perché le avevano rovinato il tappetino con la stampa di un orso polare con un simpatico cartello che amava tanto, ma non sentì nulla.
Blake uscì e le fece segno di entrare, dicendole che era tutto ok.
Minerva prese un profondo respiro ed entrò.
Tutto era come se lo ricordava, come lo aveva lasciato. C’erano ancora le caramelle sulla ciotola a forma di tavola periodica, sistemate in modo da riprodurre in tutto e per tutto lo schema, l’orologio con il cavallino rampante e le mura piene di foto.
A ogni passo vedeva i suoi fratelli e poi lei crescere, mutare, vincere premi o mentre studiavano libri più grandi di loro. Erano incorniciati tutti i loro attestati e i riconoscimenti che avevano ricevuto per i più svariati motivi.
Entrò poi nella sala da pranzo. Lì c’erano i suoi ricordi più felici, sul quel tavolo lei e Matt giocavano a Go alla Torre, preparavano i progetti di scienze con Cris e, rubando le coperte da tutti i letti, costruivano un fortino e ci giocavano fingendo di organizzare e migliorare economicamente, socialmente e culturalmente il sistema feudale: Queste cose le potevano fare solo con la baby-sitter, se, invece, i suoi erano a casa dovevano studiare e studiare.
Altre foto decoravano le pareti. SI trattava dei loro ritratti dopo il diploma, ma lì affianco c’erano le foto delle lauree. Cris era già andato via quando prese la laurea in Diritti umani, mentre lei era ancora sotto il loro tetto alla prima laurea e quando divenne poliziotto, ma durante i tre dottorati e le due lauree successive era dall’altra parte del Paese.
In una, quella che riguardava il dottorato in Storia dell’Arte Religiosa, la sua figura era stata zoomata, tagliando fuori tutte le sue amiche. Poco più avanti c’era la foto che J.J. le aveva fatto per la sua ultima laurea, ma erano stati cancellati Hotch e Rossi, che le cingevano le spalle orgogliosi di lei.
L’unica foto inalterata era quella dell’ultimo Natale, poco dopo la proposta di matrimonio di Spencer. Erano loro due abbracciati davanti all’albero, sorridenti e felici come non mai. Era la prima volta che la squadra li vedevano insieme e in salute dopo la sparatoria e tutti si erano congratulati con loro e avevano aperto delle scommesse sul giorno del matrimonio, sui testimoni, sui colori e sul quando sarebbe arrivato il primo pargolo di quella geniale famiglia.
Per immortalare quel momento Garcia aveva fatto quella foto, che era diventata il suo salva schermo, mentre gli altri se l’erano stampata e messa in mezzo alle loro foto di famiglia.
Ma loro come l’avevano avuta?
Derek le si avvicinò e osservò la cornice che osservava con insistenza sperando che le parlasse dicendole come fosse arrivata fino a loro. “L’avranno avuta dai social network”.
“Non l’ho pubblicata…sai, per i serial killer che ci possono prendere di mira eccettera eccettera. Quello che pubblico non è mai così personale e Penelope lo controlla sempre”.
“Sì, capisco. Non credo abbiano hackerato Garcia se no l’avremmo trovata a correre per tutto l’ufficio urlando come una matta”.
“Hanno trovato il modo di averla” la ragazza uscì dalla stanza furiosa. I suoi genitori non glielo avevano ancora perdonato che fosse scappata e l’avevano probabilmente fatta seguire, ma era ora di finirla.
Andò verso la rampa di scale superandola, per poi fermarsi davanti alla porta del sottoscala. Se c’era stata una bambina superdotata dentro quella casa avrebbe trovato le prove lì sotto, ne era certa.
Aprì la porta e entrò. Scese le scale ripide, arrivando a una vecchia stanzetta dalle pareti spoglie e che faceva atrio al vecchio laboratorio e alla loro stanza per lo studio. Non fece caso se in laboratorio c’era qualcuno, ogni fibra del suo corpo voleva fuggire da lì, ma bisognava trovare Martine. Aprì la piccola porta in legno, così diversa da quella in vetro e acciaio del laboratorio.
Si ritrovò all’inferno.
Sembrava una camera normalissima, molto elegante, con librerie addossate alle pareti, colme di libri e di album fotografici e alcune scatole piene di ricordi. Al centro c’era una tavola in legno scuro con tre sedie intagliate in modo molto elegante.
L’unica cosa che stonava era il pavimento grezzo, dove si potevano vedere alcuni chicchi di riso sparsi sotto il tavolo. Non avevano pulito bene, dopo averla fatta studiare e ripetere per ore inginocchiata lì.
Andò verso l’unica libreria praticamente vuota della stanza e cominciò a tirarla, finche i cardini non assecondarono il movimento, portando alla luce il ripostiglio. Accoccolata in un angolo, tra vecchi scatoloni e quaderni, vi era Martine Lewis.
“Ciao, tesoro. Mi chiamo Minerva e sono dell’F.B.I., ti va di uscire da lì?”.
La bambina annuì e scivolò fuori dalla stanzetta. L’abbraccio forte e si mise a piangere disperatamente, mentre Minerva le accarezzava la schiena dolcemente, cercando di tranquillizzarla, finche non la sentì irrigidirsi sotto il suo tocco.
“Ben tornata Josephine”.

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Capitolo 11
*** Un colpo al cuore ***


Un colpo al cuore


Minerva si girò e vide sullo stipite i suoi genitori. Si alzò, nascondendo dietro di sé la bambina.
Cercò di sorridere allegramente “Mamma, papà da quanto tempo! Sono passata per farvi un saluto…”.
“Con l’F.B.I.?”.
“Sì, sono i miei nuovi amici”.
Suo papà avanzò e si andò a sedere sul tavolo come faceva molto tempo fa, quando stava per arrabbiarsi con loro perché aveva sbagliato. “Siamo molto orgogliosi di te, Josephine. Tre lauree e due dottorati, anche se sarebbe stato bello se fosse stato qualcosa di più…importante”.
“Dio” alzò gli occhi al cielo “Ancora con questa storia?”.
“Amore, no” sua madre andò da lei e le prese le spalle dolcemente “Non c’importa. Hai dimostrato le tue capacità, sei entrata al Buerau come consulente forense e ti stai per sposare con Spencer Reid”.
Minerva si scrollò di dosso le sue mani “Esattamente. Come fate a sapere ciò? Come fate ad avere quelle foto?”.
“Josephine” la richiamò suo padre “sei una consulente della più grande squadra investigativa dello Stato che si occupa dell’analisi del comportamento e dei serial killer. Non l’hai capito?”.
“Cosa?”.
“Chi aveva quelle foto, Josi?”.
Odiava quel tono, sembrava che la trattassero da deficiente. Lei non lo era e non si meritava di sentirsi parlare così. Ma in effetti non riusciva a capire chi potesse avergliele date.
Si ricordò poi di quando era appena ritornata da Las Vegas, dove aveva incontrato Diana Spencer, durante le vacanze di Natale. Aveva chiamato sua zia per chiederle se poteva andare da loro per presentarle il suo futuro marito e lei entusiasta le aveva detto che li aspettava per il week-end successivo, ma che voleva una foto del suo futuro genero al più presto.
“Dai, lo vedrai quando verremmo da te” aveva protestato.
“Voglio vedere lo schianto che sposerà la mia nipotina. Magari è tutto palestrato…”.
Minerva era avvampata di colpo “Non è così, è l’opposto”.
“Ma perché?”.
“E’ gentile con me e mi ama. Non m’interessa com’è fisicamente, se ha i pettorali o no”.
Penelope che aveva ascoltato tutto le aveva strappato il telefono dalla mano “Signora Hunter, le assicuro che il nostro Spencer è al dir poco meraviglioso, anche se non ha gli addominali. E’ il mio preferito dopo Derek” silenzio e poi l’hacker aveva sorriso raggiante “Le invierò una foto meravigliosa dei due piccioncini al più presto”.
Quando chiuse la chiamata le aveva chiesto spiegazioni sul perché i social network non erano sicuri mentre le mail sì e Penelope, con un sorriso, le aveva detto che poteva far partire quel messaggio da dove voleva, anche dall’Himalaya. E così i suoi zii ricevettero quella foto.
Erano gli unici a cui l’aveva mandata, ed erano gli unici che avevano tutte quelle foto nella loro casa.
Minerva fece un passo indietro, sbattendo contro la piccola Martine, ma era troppo sconvolta per rendersene conto.
Le uniche persone di cui si era fidata fino a quel momento l’avevano tradita.
“Mia sorella” disse sua madre andando verso una delle librerie, come se fosse intenta a cercare qualche libro “ci ha tenuto al corrente di quello che facevi, di come te la cavavi nel mondo. Quando tu andavi a dormire mi diceva tutto quello che avevi fatto in quella giornata. Era tremendo sentire che ti facevi ancora di quello schifo di droga, ci hai falsato i risultati di anni di ricerca. Sai, quante mazzette abbiamo dovuto dare per far passare i pacchi con le pillole i controlli di spedizioni e farli arrivare fino a casa di Lou? E quando te ne sei andata da loro per raggiungere Washigton…Be’…siamo stati obbligati a riprendere tutto dall’inizio”.
“Mi studiavate ancora?Anche se ero lontana da voi? Non avete mai pensato che zia Lou vi potesse mentire?”. Non riusciva a pensare all’eventualità che la sua amata zia, quella che l’aveva presa sotto il suo tetto e l’aveva adottata e permesso di usare il suo cognome, avesse fatto una cosa del genere.
Magari aveva tradito loro, li aveva convinti di cose che in realtà non erano vere per salvarla da loro.
Suo padre le sorrise, come se fosse una bambina che non voleva credere all’ovvio. “Tesoro c’era una telecamera nella tua stanza, o meglio c’è ancora. Aveva l’ordine di accenderla ogni volta che saresti tornata a casa. Come a gennaio”.
Le veniva da vomitare. I suoi genitori avevano visto, ogni cosa, anche la più segreta. Avevano assistito alle sue notti con i più diversi ragazzi, alle litigate da normale adolescente con Lou e Mike, a quei pomeriggi con le sue coetanee o compagne di corso…Avevano visto lei e Spencer quella notte!
Non avevano fatto nulla di sconveniente, ma avevano parlato di loro, della loro vita, di quello che avrebbero voluto per il loro futuro insieme. Quelle cose estremamente private, che si raccontano solo a chi si ama e a nessun altro.
E loro si erano intrufolati in quella sfera solo per i loro maledetti studi.
Sentirono dei passi sopra di loro. Gli agenti stavano ancora perlustrando la villetta e probabilmente avevano portato alla luce i suoi diari e quelli di Matt, e con grande probabilità Spencer li stava leggendo. Presto sarebbero arrivati in cantina.
“Andiamo” le ordinò suo padre, cercò di prenderla per il polso, ma Minerva fece un salto indietro, andando a sbattere contro la libreria.
“Sopra ci sono i miei colleghi, se urlo verranno qui e vi prenderanno…”.
Afrodite Eagles con molta calma prese Martine, l’abbracciò da dietro, mentre con tranquillità prendeva uno dei libri finti sparsi tra gli scafali e ne estrasse una pistola. La bambina era così condizionata da loro che non si mosse, nemmeno provò a liberarsi quando sentì la canna premere contro la sua tempia. “Sicura che vuoi urlare?”.
“Lasciala”.
“Se tu vieni con noi nel laboratorio”.
Minerva li osservò furiosa, mentre armeggiava con la scatola che aveva dietro alla schiena. Era da quando era andata a sbattere che ci provava, finche finalmente non la sentì aprirsi. Con un movimento fluido prese quello che vi era dentro e se lo infilo dietro la schiena sotto la maglia, mentre si drizzava e si allontanava.
Non aveva avuto il tempo di richiuderla, ma i suoi genitori erano troppo concentrati sulla ragazzina e sulla porta sopra le scale per prestare attenzione al mobilio.
Attraversarono l’atrio ed entrarono nel laboratorio. Robert sigillò la porta, mentre sua madre lasciò Martine, per andare verso Everett, sdraiato sul vecchio tavolo da lavoro, con le mani e i piedi legati. Un tubicino era collegava il suo braccio a un sacco con un liquido azzurro. Afrodite controllò che le gocce continuassero a cadere nella cannula a un ritmo costante, per poi allontanarsi e andare a prendere qualcosa nel magazzino.
Suo padre stava smantellando con estrema delicatezza le varie apparecchiature da laboratorio, dando ordini a Martine su cosa fare. Una volta anche lei avrebbe ricevuto quegli ordini, ma era passata dal lato del nemico, quindi aveva perso il diritto di toccare i loro piccoli gioielli, così, lentamente, si avvicino a Everett e gli toccò la fronte, che era fresca.
Il ragazzo aprì gli occhi e la guardò, era lucido. Con lo sguardo le indicò il braccio incerottato, immediatamente notò che qualcosa non andava: c’era una piccola macchia di sangue e la cannula risultava attaccata male. O meglio staccata.
Minerva dovette trattenersi dal sorridere e imprimergli un bacio in fronte per il suo coraggio e il colpo di genio. Invece gli accarezzò la guancia.
“Distrailo. Ci penso io a lui”.
“Sicuro?” chiese in un soffio la ragazza.
Lui annuì prima di tornare a girarsi, mugugnando.
Minerva, allora, cominciò a pensare. Guardò Martine, che aspettava ordini sull’angolo, gli occhi lucidi. Chissà cosa le avevano fatto per renderla così solo in tre giorni?
Prese un profondo respiro e andò verso suo padre “Papà…”.
“Dimmi, Josi” non si era voltato, continuava a lavorare.
Non sapeva che cosa dire, ma doveva fare in modo che desse le spalle a Everett, in modo tale che potesse agire, così cominciò a girare intorno al tavolo, in modo tale che suo padre dovesse solo alzare la testa per vederla, invece di girarsi. “Vi sono mai mancata?”.
Era una domanda che si era posta sempre, sin dal primo momento in cui si era lasciata indietro la villetta della sua famiglia. Aveva sempre immaginato che nel loro gelido mondo scientifico ci fosse un po’ di amore per lei e i suoi fratelli.
Ma l’uomo rispose velocemente, senza nemmeno preoccuparsi di guardarla. “Certamente”.
“Come figlia o come cavia?”.
Questa volta lui alzò lo sguardo, furioso “Non essere stupida Josephine. Eri il nostro migliore esperimento…”.
“Esperimento? Per voi ero solo quello?”.
Il cuore e gli occhi le bruciavano da impazzire, aveva sperato di essere di più di un nome in codice nella loro tabella di risultati, che per almeno due secondi della loro vita avessero apprezzato le altre qualità che possedeva, oltre all’intelligenza.
Robert la fissò negli occhi “Tu non hai ancora capito che tu eri il modo per raggiungere un futuro meraviglioso, dove tutti sarebbero stati intelligenti. Tu eri la chiave per il bene del mondo”.
“Io sono vostra figlia!”.
“Non dire sciocchezze, sei figlia della scienza!” e poi Robert Eagles cadde a terra, colpito da un microscopio in testa.
Everett lo osservava furioso, con l’arma stretta in mano. “Figlio di puttana!” poi osservò Minerva “Senza offesa…”.
“Io avrei detto di molto peggio” raggiunse Martine e l’abbracciò forte. La bambina ricominciò a piangere, stringendosi a lei. Minerva provò a calmarla “Tesoro, sai il codice per uscire da qui?”.
La ragazzina annuì e così i tre si avvicinarono alla porta, quando le luci si spensero, lasciando solo una luce rossa sopra le porte.
Martine e Everett cominciarono a guardarsi intorno e chiedendosi cosa stesse succedendo, mentre la più giovane dei fratelli Eagles lo sapeva fin troppo bene. Guardò verso la porta del magazzino, sua madre era lì, aveva schiacciato il pulsante per le emergenze e aveva un dito premuto verso il bottone che avrebbe rilasciato un gas che li avrebbe uccisi per asfissia. “Ucciderai anche papà” l’ammonì, ma lei rise.
“Credi veramente che ciò mi fermerà? La sua morte in laboratorio potrebbe giovare al nostro lavoro. L’ultima sua scoperta verrà proposta ai più grandi scienziati e loro la porteranno avanti, fino a raggiungere i risultati migliori”.
“Ma tu non ci lavorerai…”.
“Sono una dei migliori, verrò scelta di sicuro. Ma, ahimè, tu non lo saprai mai, perché morirai molto molto presto”. Afrodite stava per schiacciare il pulsante, quando sentì il colpo. Osservò il petto su cui si stava aprendo una macchia cremisi.
Crollò in ginocchio prima di cadere con la faccia contro il pavimento. Martine riprese a piangere chiedendo se la donna era morta, ma non ricevette nessuna risposta.
Everett prese in mano la situazione e disse alla bambina di aprire la porta, mentre cercava di farsi dare la pistola da Minerva che osservava il corpo della madre riverso a terra, ma senza risultato.
Gli agenti dell’F.B.I. scesero di corsa gli scalini del seminterrato, con le pistole spianate ed entrarono nella stanza. Blake andò da Robert, mentre Derek andò a controllare Afrodite. Fu, così, Spencer ad andare da Minerva.
Le prese l’arma e con dolcezza gliela sfilò dalle mani e, appena fu nelle sue, lei si mise a piangere.

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Capitolo 12
*** Addio ***


Addio


Minerva guardò la lapide davanti a lei senza provare assolutamente nulla. Era come se, dopo quel colpo e quel fiume di lacrime, non avesse più nemmeno un sentimento in sé.
Dopo aver ucciso sua madre era andata in centrale con la squadra e lì aveva fatto una deposizione in cui spiegava le dinamiche che l’avevano portata a sparare, che furono confermate sia da Martine e da Everett. Sarebbe partita un’indagine interna e le sarebbe stato dato un congedo per un paio di giorni, per riprendersi, ma non era sicura che sarebbe servito a molto. Non bastava un periodo di vacanza per toglierle dalla testa quella scena.
I genitori della piccola Martine era venuti a prenderla, avevano ringraziato e pianto mentre la riabbracciavano, ma quando anche gli Hunter arrivarono ci furono solo urla, accuse e altri arresti. Anche loro sarebbero stati indagati per gli esperimenti e per quello che era successo. Non avrebbero preso una pena pari a quella di suo padre, ma probabilmente sarebbero andati in carcere per un po’ di tempo.
La sua famiglia era ufficialmente andata in pezzi.
Aveva partecipato al funerale di sua madre solo per avere la certezza che fosse realmente tutto finito, che almeno una di quelle persone che non avevano fatto altro che torturarla fosse effettivamente morta. Niente buoni sentimenti, niente pianti. Era rimasta ai margini della folla di persone che l’aveva amata, e che continuava incredibilmente ad amarla, a pensare a tutto quello che le aveva fatto, alle notti passate sopra i chicchi di riso in ginocchio mentre le chiedeva la tavola periodica, al sorriso malvagio di quella che doveva essere sua mamma mentre la chiudeva nello sgabuzzino…Come poteva piangere per la sua perdita?
E in quel momento, davanti alla lapide di quella che doveva essere la persona che le avrebbe sempre voluto bene, non provava più nulla. Ogni sentimento le era scivolato via, lasciandola vuota e da sola.
Lei sempre carica di vita, in un eterna altalena tra buoni e cattivi sentimenti, lei che non nascondeva mai nulla, lasciava trasparire tutto, non aveva più niente. Era solo un guscio privo di qualsiasi affetto e pensiero.
La squadra non era venuta alla cerimonia. Hotch le aveva consigliato di non andare, non sarebbe servito a nulla, ma lei non l’aveva ascoltato. Così loro erano tornati a Quantico e lei era rimasta.
Nemmeno Cris era andato alla funzione, aveva fatto le valige ed era tornato al suo ruolo di detective a Los Angeles promettendole che l’avrebbe chiamata, ma Minerva non ci credeva. Le aveva detto la stessa cosa anni prima e non si era mai fatto sentire.
Sospirò esausta e si avviò verso la macchina presa a noleggio. Era ora di tornare e vedere se qualcosa le era rimasto dopo tutta quella cavolo di situazione. Per quelle 5 ore di viaggio continuò a pensare e a immaginare cosa l’attendesse nel suo appartamento.
Aveva evitato Spencer per tutto il tempo dopo quello scoppio di pianto nel laboratorio. Si era sentita in imbarazzo per quella fragilità, ma aveva anche percepito quel suo prendere le distanze da lei e aveva capito. Lui non l’avrebbe più vista nello stesso modo, non l’avrebbe più amata nello stesso modo.
Così, ripreso un po’ di contegno, aveva scelto di essere professionale, di essere adulta, lasciando la sua parte adolescenziale per la solitudine della sua stanza. Lì aveva pianto fino a finire le lacrime, fino a sentire ogni parte del suo essere, comprese la sua anima, scossa dai singhiozzi.
Ma davanti al dottor Reid era forte e controllata, mentre dentro le si spegneva l’anima, e, ora, seduta su quel sedile, in mezzo ad altre cento persone e la musica nelle orecchie, si chiedeva se sarebbe mai riuscita ad andare avanti e la risposta ce l’aveva già, solo che non voleva prenderla in considerare.
Avrebbe dato una sola possibilità alla sua vita di riprendere i binari giusti e cominciare ad andare nella direzione giusta, in caso le cose non fossero andate avrebbe fatto l’unica cosa sensata che le rimaneva.
Prese uno dei taxi fuori dall’aeroporto e pregò durante il tragitto verso casa che, per un qualche miracolo, le cose sarebbero andate bene. Pregò di trovare Spencer ad aspettarla seduto sulla sua poltrona, quella che aveva portato da casa sua, perché mai se ne sarebbe separato. Pregò per sentirsi dire che era tutto ok, che le cose sarebbero andate bene e che, fanculo, lui l’amava.
Be’, di sicuro non avrebbe usato proprio quelle parole, ma il senso sarebbe stato quello.
Eppure l’appartamento era vuoto. Nessun buon Dio l’aveva ascoltata.
Lasciò il trolley in entrata e avanzò lentamente guardandosi attorno. Mancavano delle cose: libri, vestiti, foto della famiglia Reid, oggetti vari…
Sul letto, perfettamente rifatto, c’era un biglietto. Lo prese con un ultimo sprazzo di speranza che fosse tutto un malinteso, che ci fosse una spiegazione diversa da quella che le frullava nella mente.
Lo lesse velocemente più e più volte, finche il suo cuore non si spezzò completamente e lo fece con un suono sordo ma che riempì completamente quelle mura.
Se n’era andato per sempre.

Reid fece finta di nulla, ripetendosi dentro di sé tutte le cifre del P greco, ma nemmeno così riuscì a ignorare gli sguardi preoccupati di Blake e Morgan.
Aveva dato la notizia della sua decisione durante il caso successivo, quando J.J. gli aveva chiesto di chiamare Hunter per chiederle alcune informazioni su dei pigmenti che avevano trovato sui corpi delle vittime. Con tranquillità si era rifiutato dicendo che l’aveva lasciata e che non era il caso farsi sentire così presto.
A sorpresa la sua amica si era infuriata, soprattutto quando aveva sentito come le aveva datto la notizia della sua decisione. Era crudele, era vero, ma nessuno di loro poteva capire cosa ci fosse dentro di lui.
Amava Minerva con tutto il suo essere, ma si era sentito tradito. Aveva abbassato le difese per lei, l’aveva fatta entrare nella sua parte più oscura e l’aveva resa partecipe della sua vita, anche di quella che i suoi colleghi, la sua famiglia, ignoravano. Eppure lei si era presa gioco di lui, l’aveva preso in giro. Non si era fidata.
Come poteva fidarsi ancora di lei? Il matrimonio non si basava sulla reciproca fiducia?
Pensava l’avessero capito, che lo avrebbero sostenuto, ma l’intera squadra si dichiarò neutra. Si preoccupavano per lui, ma non si sarebbero sbilanciati a dargli torto oppure appoggiare la sua posizione.
Entrò nel loft degli uffici seguito dai suoi due colleghi e videro J.J. e Garcia sedute sulla scrivania della prima, che osservavano la finestra dell’ufficio di Hotch. Dentro si vedevano il caposquadra, Rossi e Minerva che parlavano.
L’italo-americano accarezzava dolcemente la schiena della ragazza che gli sorrise prima di abbracciarlo. Dave le prese il volto fra le mani, spostandole i capelli indietro e le parlò prima di posarle due baci sulle guancie. Poi toccò ad Aaron.
Non si era mai sbottonato con nessuno, se non con il piccolo Jack, ma con lei lasciò trasparire le emozioni. L’abbracciò forte per pochi secondi e poi le sorrise.
Parlarono ancora un po’, finche Minerva non uscì dall’ufficio, seguita da due uomini, che però si fermarono a guardarla, appoggiandosi al parapetto del piano sopraelevato, mentre lei scendeva le scale.
Superò la squadra senza salutare, senza nemmeno degnarli di uno sguardo o sorridere, passò semplicemente oltre.
Spencer la seguì con lo sguardo, trovando qualcosa di strano in lei. Non era l’abbigliamento, che la faceva sembrare una versione castana di J.J., ne i capelli perfettamente ordinati. C’era qualcos’altro…
La vide con sicurezza prendere l’ascensore e quando si voltò e la vide in viso, capì: aveva preso in mano la sua vita. Sarebbe andata avanti con o senza di lui.
In meno di una settimana era diventata una donna decisa e forte, che aveva fatto i conti con il suo passato, con sé stessa. E lui era rimasto fuori.
Non riusciva a capire se ne era felice oppure no, se si sentiva abbattuto o sollevato per quella scoperta. I loro occhi si incontrarono per pochissimi secondi, ma le porte si chiusero e lei scomparve dalla sua vista. Non ebbe il tempo di analizzare come si sentisse a non averle detto addio che Rossi lo chiamò.
Lasciò la sua borsa sulla scrivania e si diresse verso l’ufficio del supervisore. Hotch gli fece cenno di sedersi e lui accettò sorridendo. “E’ successo qualcosa?” domandò un po’ a disagio.
Di solito non lo convocavano mai, almeno che non ci fossero problemi molto grossi nella sua misera sfera personale, e il fatto che fosse stato chiamato dopo che Minerva era uscita dal quello stesso ufficio non faceva presagire nulla di nuovo.
“Hunter non fa più parte della squadra” annunciò Aaron in tono freddo e distaccato e diede a Reid la sensazione di una cascata d’acqua gelata sulla schiena. Non aveva mai pensato a un’eventualità del genere, si era solo aspettato che Minerva non sarebbe più venuta così spesso sulle scene del crimine, che non avrebbero più condiviso la camera, non che se ne sarebbe andata.
“Ha deciso di lasciarci per evitarti momenti di imbarazzo o darti fastidio” continuò Dave.
Forse aveva capito cosa volevano: che la convincesse a rimanere nella squadra.“Proverò a parlarle questa sera…”.
“Non è quello che vogliamo e nemmeno quello che vuole lei” Hotch prese la sedia e la mise davanti a lui. Non era una cosa bella, voleva dire che era successo qualcosa di molto grave, qualcosa di difficile da digerire. “Vedi, Spencer, ha deciso di lasciare Washigton Non vuole più lavorare né con noi né con l’F.B.I. ha deciso di tagliere i ponti con tutti”.
“Ci ha dato il permesso per usare il suo appartamento come casa sicura. Logicamente ha chiesto di parlarne anche con te visto che ci avete vissuto insieme per un paio di anni…”.
“Perché?” chiese il giovane guardando Rossi “Perché dovremmo usare l’appartamento come casa sicura?”.
“E’ già stato pagato per un anno e Minerva non vuole tornare a Washigton”.
Gli sembrò di annaspare “OK. Se è così, va bene” provò ad alzarsi, aveva bisogno d’aria, ma David lo fermò.
“Ci ha chiesto di darti anche questo” e gli porse il cofanetto blu.
Sapeva esattamente cosa c’era dentro, ma lo aprì ugualmente. Aveva bisogno di avere la conferma.
Il piccolo solitario brillò, ma sembrava spento, opaco, come se avessero prosciugato in lui qualsiasi gioia per cui risplendere.
Il ragazzo chiuse la scatolina e andò verso la porta. Sentì distrattamente Aaron che gli comunicava che c’era un caso di cui discutere in sala riunioni e che, se avesse voluto, avrebbe potuto raggiungerli quando voleva.
Ma lui non voleva. Si sedette sulla sedia della sua scrivania e aspettò che quel senso di abbandono scomparisse.


L’amore non muore mai di morte naturale. Muore perché noi non sappiamo come rifornire la sua sorgente. Muore di cecità e di errori e tradimenti. Muore di malattia e di ferite, muore di stanchezza, per logorio o per opacità. -Anaïs Nin-
Fine


Un angolino tutto mio
Vi ringrazio di aver usato un po’ del vostro tempo per leggere questa storia, spero vi sia piaciuta e se potete lasciatemi un commentino per sapere cosa ne pensate.
Ringrazio un sacco Ouden e ali2188 per averla inserita tra le storie da seguire. Grazie veramente di cuore!
Ci vediamo alla prossima storia su Minerva e Spencer perché, ebbe sì, non finisce qui!
Un saluto e un bacione!

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