Una Pennellata di Felicità

di Mary P_Stark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Brevi cenni storici + Capitolo I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III. ***
Capitolo 4: *** IV. ***
Capitolo 5: *** V. ***
Capitolo 6: *** VI. ***
Capitolo 7: *** VII. ***
Capitolo 8: *** VIII. ***
Capitolo 9: *** IX. ***
Capitolo 10: *** X. ***
Capitolo 11: *** XI. ***
Capitolo 12: *** XII. ***
Capitolo 13: *** XIII. ***
Capitolo 14: *** XIV. ***
Capitolo 15: *** XV. ***
Capitolo 16: *** XVI. ***
Capitolo 17: *** XVII. ***
Capitolo 18: *** XVIII. ***
Capitolo 19: *** XIX. ***
Capitolo 20: *** XX. ***
Capitolo 21: *** XXI. ***
Capitolo 22: *** XXII. ***
Capitolo 23: *** XXIII. ***
Capitolo 24: *** XXIV. ***
Capitolo 25: *** XXV. ***
Capitolo 26: *** XXVI. ***
Capitolo 27: *** XXVII. ***
Capitolo 28: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Brevi cenni storici + Capitolo I ***


 




– Brevi cenni storici –

 

Il Regno del Terrore francese era ormai storia finita, pur se il sentore del sangue - che era scivolato copioso lungo la lama delle ghigliottine - non era ancora scemato nell’aria.

Un re era stato deposto e, al suo posto, era giunto dal nulla uomo, autoproclamatosi Imperatore.

Il Corso, di nome Bonaparte, aveva imposto la sua presenza ai francesi con l’astuzia e l’ingegno, facendo credere loro in un futuro lussureggiante e pieno di beatitudine.

Napoleone era il nome sussurrato dai più con rispetto e idolatria, almeno nelle terre da lui governate.

Sbeffeggiato e osteggiato, invece, dal gelido Nord della Scozia fino alle bianche scogliere di Dover.

La protestante Inghilterra, contro la cattolica Francia.

Risanare un regno allo sbando, riportare la gloria nella Ville Lumière, divenire il sovrano di tutte le genti d’Europa. Questo e altro, era il sogno utopistico di Napoleone.

Una guerra decise di far esplodere, una guerra contro l’odiata corona inglese, tanto potente e tanto restia a dividere con altri la supremazia sui mari e sulle colonie.

La pace di Amiens a ben poco servì, se non a rinfocolare nel cuore del Corso il desiderio di ottenere il dominio assoluto.

Dopo poco più di un anno di relativa pace, Napoleone decise di tornare all’attacco, forte dell’appoggio dei suoi alleati. Fu cieco e sordo di fronte a coloro i quali gli chiesero, invece, di desistere dal suo progetto di conquista.

Nel 1803, dopo uno scontro a Malta tra Inglesi e Francesi, la guerra riprese il suo cammino, come se la Pace di Amiens non fosse mai stata siglata.

Napoleone poté contare sull’appoggio dello zar Alessandro I mentre gli Inglesi, forti dei nobili francesi invisi al nuovo regnante, poterono muoversi all’interno del campo nemico senza troppe difficoltà.

Auto proclamatosi Imperatore di Francia, Napoleone sembrava inarrestabile.

Migliaia di inglesi, dai figli delle sguattere ai nobili di più alto titolo, vennero chiamati a servire la Corona di fronte all’odiato Corso, e al suo tentativo di becera invasione.

Vite vennero spezzate, destini vennero decisi dalla mano di un colpo di cannone o di una lama di baionetta. Solo una cosa importava; la difesa del Regno.

Quante anime fossero state spese per una tale impresa, poco importava.



1.
 
 
 
 
York, 12-IX-1803.
 

I passi cadenzati e furenti di Christofer Spencer, secondogenito del Conte Harford, rimbombarono feroci all’interno dello studiolo del padre.

Lord Bartholomew, Conte Harford e signore di Green Manor, palazzo appartenente alla famiglia da cinque generazioni, lo osservava con furia non inferiore.

La luce morente della sera disegnava lunghe ombre nello studio, sottolineando l’atmosfera torva del momento.

Gli eleganti tappeti damascati, provenienti dalla lontana Istanbul, non bastarono a smorzare il tonfo dei pesanti stivali di Christofer, calati con violenza sui morbidi ciuffi di lana color cannella e ocra.

Tale violenza si rispecchiava in egregia maniera sul suo volto sbarbato, in quel momento solcato da un profondo cipiglio.

I chiari occhi color ghiaccio scintillavano di pura ferocia a stento trattenuta.

Lunghe basette brune e perfettamente tagliate incorniciavano un viso forte, dagli zigomi alti e fieri, reminiscenze degli avi della sua famiglia.

La pelle, abbronzata per le lunghe cavalcate e segnata da una piccola cicatrice bianca sul sopracciglio sinistro, era contratta in una serie di rughe nervose.

Secondo di tre fratelli, Christofer era stato destinato a prendere parte alla guerra contro l’odiato Corso, il famigerato Napoleone Bonaparte.

Ma non questo aveva scatenato la sua ira, che ora rimbombava tra le pareti dello studio come tuono di tempesta.

In quanto erede, suo fratello Kenneth avrebbe dovuto pensare a consegnare un erede alla famiglia.

Il Fato avverso, però, o un qualche genere di disturbo sconosciuto, avevano impedito alla moglie Marianne di portare a termine le gravidanze fin lì sostenute.

Insieme a lei a Bath, nel vano tentativo di curare il debole corpo della donna, Kenneth aveva pertanto pregato il padre di provvedere in tal senso.

Finché Marianne non fosse stata in salute, non avrebbero più tentato di avere un figlio che succedesse al nome degli Spencer.

Perciò, l’erede del titolo avrebbe dovuto essere un figlio di Christofer, qualora Kenneth e Marianne non fossero mai giunti a quell’ambito traguardo.

Figlio che, ovviamente, ancora non esisteva.

Quanto al terzogenito di Harford, Wendell, nessuno sperava che potesse raggiungere la maturità.

La sua cagionevole salute era una Spada di Damocle troppo pressante quanto evidente, per non essere tenuta in debito conto.

La lettera proveniente da Londra, e controfirmata dallo stesso Re Giorgio III, richiamava al dover di patria uno dei figli del Conte.

Gli Spencer, non solo a cagion della loro parentela con la famiglia reale, non avrebbero potuto evitare in alcun modo un simile ordine.

Poco importava che, nella famiglia Spencer, restasse solo Christofer a vantare questo triste primato.

La parola del re era legge, pertanto Bartholomew non aveva potuto che accettare una simile richiesta, pur se controvoglia.

L’importanza di un matrimonio e di un futuro erede era, perciò, di primario interesse per il Conte, visto che il secondogenito sarebbe partito col fare dell’anno nuovo.

Lasciar partire Christofer senza una moglie incinta del suo erede legittimo, sarebbe stato folle e privo di senso.

Kenneth aveva ragione; Christofer avrebbe dovuto dare un erede alla famiglia Spencer.

Se fosse successo qualcosa ai figli, le ricchezze di famiglia si sarebbero sparse ai quattro venti, una volta giunto Bartholomew alla fine dei suoi giorni.

Questo, il Conte non lo avrebbe mai permesso.

Battendo il pugno sul sottomano di pelle scura dell’enorme scrivania in legno di palissandro, lord Bartholomew richiamò perciò all’ordine il riottoso figlio.

“Forse non mi sono spiegato bene, Christofer. Non hai possibilità di scelta!”

“Beh, al diavolo la dinastia, e al diavolo la Corona. Non andrò in guerra e, men che meno, mi sposerò con una donna che non ho mai visto in faccia!” sbottò irrispettoso Christofer, lanciando in aria le braccia possenti, abbracciate da una camiciola di seta bianca.

I muscoli, sotto l’esile tessuto, fremettero di rabbia.

Levandosi in piedi dalla poltrona di pelle, ove era rimasto accomodato fino a quel momento, Bartholomew esplose con un ringhio furioso che riverberò per l’intera stanza.

“Tu sposerai la figlia del barone Barnes, questo è quanto! E’ un vecchio amico di famiglia, inoltre sei in buoni rapporti con il suo primogenito, se non sbaglio… Andrew, giusto?”

“Non mi devo sposare con Andrew, padre!” ringhiò per contro il figlio, passandosi nervosamente le mani sul plastron di raso blu scuro a ricami dorati. “Conosco molto poco Kathleen, e voi lo sapete bene. Barnes è sempre stato restio a che lei fosse presente, quando mi presentavo in visita. Inoltre, se ben ricordi, suo padre non l’ha ancora presentata in società. Cristo, ha solo sedici anni! Avrei l’impressione di portarmi a letto una bambina!”

“Tua madre non era più vecchia di lei, quando ci sposammo” brontolò Bartholomew, sordo alle sue requisitorie.

“Questo non vuol dire che io debba ripercorrere le vostre orme, padre!” sibilò il giovane, fermandosi in prossimità del mappamondo che il padre teneva nell’ufficio.

In realtà, altro non era che un ottimo posto dove annegare i propri dispiaceri.

Apertolo, ne estrasse una bottiglia di cristallo ricolma di whisky, e se ne servì una dose più che generosa in un grosso e pesante bicchiere di vetro.

Tracannatolo senza troppi complimenti, si volse nuovamente in direzione del padre e, rabbioso, esclamò: “Non permetterò a voi e Kenneth di disporre della mia vita come meglio credete! Non sono un ninnolo nelle vostre mani!”

“Tu sei mio figlio ed eseguirai esattamente i miei ordini, se non vuoi che le tue entrate si azzerino, o il titolo venga passato a qualcuno dei tuoi cugini! Kenneth ha ragione. Marianne potrebbe non essere mai in grado di darci un erede, perciò è compito tuo proseguire la stirpe!” gli spuntò in faccia senza pietà Batholomew.

Il colpo andò a segno.

Christofer impallidì, quasi lasciando cadere a terra il bicchiere, dove solo alcune gocce di whisky ancora persistevano contro la superficie liscia del vetro trasparente.

“Non osereste mai!” gracchiò sconvolto il giovane, sgranando poco alla volta gli occhi di fronte all’espressione volitiva del padre.

Oh, lo avrebbe fatto eccome.

La scintilla feroce che brillava negli occhi scuri del padre, non lasciava presagire nulla di buono, per lui.

Sarebbe stato capacissimo di lasciarlo al verde, e sbatterlo fuori di casa senza pensarci due volte.

Se avesse proseguito nel suo intento di rifiutare le nozze con lady Kathleen Campbell, figlia minore del barone Barnes, tutta la sua vita sarebbe stata rovinata.

Non che maritarsi l’avrebbe resa migliore, ben intesi.

Di lei, aveva solo ricordi distratti, o per lo più persi nel tempo.

Uno in particolare, però, gli era rimasto impresso.

Quando, solo tredicenne, era sgusciata fuori dalla biblioteca della casa di campagna dei Campbell.

L’aveva scorta a malapena, tutta gambe e iarde di tessuto, correre su per le scale tenendo stretto tra le braccia esili un tomo dalla copertina consunta.

Andrew aveva sorriso nel vederla fuggire di corsa, lei tutta ossa lunghe e gonne svolazzanti, e gli aveva accennato alla sua passione per i libri.

Christofer vi aveva fatto ben poco caso ma aveva saputo che, per quel prestito senza autorizzazione, Kathleen era stata battuta dal padre quella sera stessa.

Aveva trovato assurdo un simile comportamento, ma non aveva più chiesto lumi in merito, all’amico.

Non erano mai stati affari suoi, almeno fino a quel momento, quando il padre gli aveva praticamente sbattuto in faccia l’accordo prematrimoniale come una cosa fatta.

Un’imprecazione gli sgusciò fuori spontanea, prima di esalare un sospiro rassegnato e mormorare roco: “A quando, allora, il grande evento?”

“Il mese prossimo. Il re vuole che tu ti imbarchi con il fare dell’anno nuovo e, per quel momento, tu dovrai avermi già ingravidato la ragazza” sentenziò Bartholomew, fissandolo livido in viso.

Le folte basette striate di grigio del Conte fremettero impazienti.

Christofer, ancora restio, camminò avanti e indietro per lo studiolo, gli ultimi residui di rabbia vicini a esplodere di nuovo.

Alla fine, crollando su una delle poltrone ricamate a fantasie geometriche, capitolò.

Acconsentì al matrimonio e a partire per il fronte.

Si sarebbe imbarcato sulla White Star, una tre alberi al comando del suo vecchio amico di studi, il capitano Willford Hillman e, con lui, sarebbe partito anche Andrew.

Già sposato da un anno e con un bambino in arrivo, l’amico non aveva i suoi problemi e, soprattutto, si era offerto volontario per combattere in nome della Patria.

Il fatto di saperlo al suo fianco in quella sventurata avventura, però, gli rilassò le membra, irrigidite dalla lunga ed estenuante discussione avuta con il padre.

Andrew e lui erano sempre andati d’amore e d’accordo.

In tutto quel gran guazzabuglio, l’idea di partire con lui era l’unica cosa che lo tratteneva dal gettarsi a capofitto dalla finestra per farla finita.

Avrebbe acconsentito al matrimonio – non che prevedesse di scamparla ancora per molto – e si sarebbe portato a letto quell’insipida ragazzina scelta dal padre.

Sperò soltanto di ingravidarla subito, e togliersi così il pensiero ossessionante di dare un erede alla famiglia.

Quando, infine, fosse tornato dal fronte, si sarebbe preso un’amante come molti dei suoi amici e, con Kathleen, avrebbe avuto ben poco a che spartire.

A quel punto, avrebbe fatto a pezzi quel voltagabbana di suo fratello Kenneth.

Avrebbe lasciato i suoi spazi alla moglie – non era un tiranno come suo padre e, se fossero andati d’accordo, avrebbero vissuto bene quella comune condanna – e avrebbe preteso lo stesso da lei.

Forse, dopotutto, non sarebbe impazzito.

Nel servirsi nuovamente un goccio di whisky, ne osservò le bionde profondità con aria afflitta e, tra sé, pensò: “Spero soltanto che non urli… detesto le donne pavide!”
 
***

Il fidanzamento, ritenuto quasi scandaloso per la sua brevità, fu un supplizio per entrambi i giovani, anche se per motivazioni diametralmente opposte.

Christofer, completamente disorientato dalla timidezza cronica di Kathleen, perse spesse volte la pazienza di fronte ai suoi prolungati silenzi e ai suoi rossori improvvisi.

La giovane, dal canto suo, terrorizzata dal nero cipiglio del futuro marito e completamente soffocata dalla sua presenza mascolina, non riuscì mai a rilassarsi, in sua presenza.

In una fredda mattina di ottobre, la coppia venne infine maritata dinanzi a Dio e alle famiglie riunite per celebrare l’evento.

Non vi furono, però, sorrisi da parte dei due giovani, né tanto meno baci spontanei o abbracci consolatori.

Nessuno se lo aspettava, ben inteso.

Fu più che evidente, almeno ai diretti interessati, quanto entrambi mal sopportassero quell’unione forzosa.

Wilhelmina, la moglie del barone, cercò di confortare in ogni modo la figlia, mettendole di fronte solo gli aspetti positivi di quel proficuo matrimonio.

Kathleen, però, non trovò la forza di dare retta alla madre.

Lei scorgeva solo la rabbia del marito, la sua freddezza e il totale disinteresse nei suoi confronti.

Non che Kathleen si fosse impegnata in tal senso, lo ammetteva candidamente.

Molto semplicemente, Christofer la terrorizzava.

Era troppo avvenente, troppo alto, troppo forte per lei che, pur se alta, era magrolina e ben poco attraente.

Si sentiva poco più che un manico di scopa, se messa a paragone con lui che, invece, avrebbe potuto rivaleggiare con le statue del Canova, quanto a bellezza.

Lo aveva sempre ammirato da lontano, da dietro i tendaggi della sua stanza, mentre cavalcava con il fratello Andrew, o tornava dalla caccia tenendo appeso alla sella uno stuolo di volpi.

Quando il padre le aveva imposto di sposarlo, però, il terrore aveva preso il posto dell’ammirazione.

Sul volto del giovane che, per tanti anni, aveva fatto parte dei suoi sogni a occhi aperti, aveva scorto solo odio malcelato e una profonda, nera delusione.

Ovvio che si sentisse deluso, viste soprattutto le donne con cui solitamente divideva il suo tempo!

Lei non avrebbe mai avuto la loro stessa grazia e beltà, ben lo sapeva.

Ora, lui l’avrebbe odiata per il resto della sua vita, relegandola in un angolo del palazzo dopo averle fatto sfornare un paio di marmocchi.

Si sarebbe preso un’amante degna di tale nome, e di lei nessuno avrebbe più saputo nulla.

Ben misera vita, la attendeva.

L’unico conforto le veniva dall’amore del fratello che, come sempre, la abbracciò strettamente prima di baciarla sulle guance.

Sorridendo generosamente, le sussurrò all’orecchio: “Ora ti sembra burbero, ma solo perché è stato obbligato dal padre a questo passo. Ma sono sicuro che, con te al fianco, tornerà a essere il Christofer di sempre, solare e generoso come io l’ho conosciuto, e lo conosco. Porta pazienza, con lui, e aprigli il tuo cuore. Sono sicuro che saprà apprezzarlo e ricambiarti.”

“Mi detesta” sospirò Kathleen, lasciando che il fratello la accompagnasse in un giro di walzer assieme a tutti gli invitati al lieto evento.

“Detesta suo padre” precisò Andrew, ammiccandole complice. “Dagli tempo. Datti tempo.”

“Tempo? Con il sorgere dell’anno nuovo se ne andrà in guerra… assieme a te. Come posso dargliene, se non ne abbiamo per noi stessi?” esalò Kathleen, affranta.

Le luci del salone illuminarono d’oro i biondi capelli di Kate, raccolti in uno chignon ordinato sopra il capo.

Sorridendo nell’ammirarla nel suo vaporoso abito nuziale color crema, Andrew fece volteggiare la sorella con grazia.

Era sempre stata graziosa, e con quell’abito era davvero incantevole.

“Torneremo entrambi vittoriosi e, quando lui sarà qui, saprai conquistarlo con la tua bellezza e la tua intelligenza. Christofer non è uno stupido. Capirà quale gemma di raro splendore gli è capitata per le mani. Una volta finita la guerra, avrete tutto il tempo del mondo, sorellina” la rincuorò il fratello, lanciando velocemente un’occhiata all’indirizzo dell’amico.

In quel momento, era impegnato a danzare assieme alla madre.

Kathleen lo irrise bonariamente, replicando: “Parli di bellezza, ma io non ne vedo in me. Non sono come mi dipingi, fratello. Sono troppo alta, troppo magra e troppo spigolosa per piacere a un uomo. E ho fin troppe efelidi sul naso.”

Andrew rise delle sue paure e, dopo averla fatta volteggiare un’ultima volta, la ricondusse dal marito con passo quieto.

“Le efelidi ti rendono solo più carina e, per quanto riguarda il resto, dai tempo al tempo. Sei giovane. Le tue forme si ammorbidiranno con gli anni. Inoltre l’altezza, nel caso di Christofer, non è un problema. E’ un uomo molto alto egli stesso, e non ha mai sofferto di complessi di inferiorità. Se anche non scomparirai nel suo abbraccio, non se ne avrà a male.”

“Non sono una bambolina da poter abbracciare con facilità” brontolò Kathleen, arrossendo suo malgrado a quell’accenno.

“E chi lo dice?” ridacchiò Andrew, stringendola a sé in un caldo abbraccio prima di sollevarla da terra, sotto gli occhi inorriditi di molti invitati.

In barba all’etichetta, la fece volteggiare come era sempre stato solito fare, quando ancora Kathleen era una fragile bambina.

Il barone Barnes storse disgustato il naso mentre Wilhelmina, la moglie, si lasciò sfuggire un tremulo sospiro.

Perdere Kathleen per un matrimonio combinato era sempre stato il suo incubo segreto e, vedere che quel momento era giunto, la rattristava.

Sperò soltanto che Christofer Spencer si dimostrasse un uomo migliore di suo padre.

Il fatto stesso che fosse amico di Andrew, deponeva a suo favore.

Ma nessuno conosceva veramente bene gli altri, una volta protetti dalle amene mura di casa.

Inoltre, la partenza di Andrew per la guerra, l’avrebbe spogliata anche del suo unico figlio maschio.

Certo, a casa aveva un nipote che lei già adorava, e una dolce nuora che considerava come figlia sua, ma veder partire Andrew sarebbe stato comunque un supplizio.

Sperava soltanto che Kathleen, andando in mano a un uomo come Christofer, non finisse col soffrire.

Gli uomini troppo belli si portavano dietro sciagure di ogni tipo.

Nel frattempo, più accalorata in viso e finalmente sorridente, Kathleen rimise i piedi a terra dopo che Andrew ebbe deciso di farla discendere.

Nell’accostarsi a Christofer, che li aveva osservati con pacata curiosità, il giovane barone esclamò: “Se scopro che non la fai sorridere a questo modo, amico mio, ti spaccherò la faccia, fosse anche l’ultima cosa che faccio.”

“Andrew, ti prego!” esalò Kathleen, avvampando in viso e scrutando timidamente il viso serafico del marito. “Vi prego di scusarlo, milord. Mio fratello non sa quel che dice.”

“Non mi spavento facilmente, milady, ma grazie dell’avvertimento” replicò Christofer, calcando la voce in maniera sarcastica sulla parola ‘milady’.

Dacché il prete li aveva uniti in matrimonio, molte ore prima, non si erano scambiati che poche parole.

Anche durante il lauto banchetto che aveva preceduto il ballo, non si erano detti molto.

Soprattutto, nessuno dei due aveva voluto usare due maledette parole in particolare, che avrebbero suggellato definitivamente il loro rapporto.

Marito e moglie.

Notando il disagio della sorella, Andrew le avvolse protettivo le spalle e, più seriamente, si rivolse all’amico di vecchia data e, ora, suo cognato.

“Non ha più colpa di te, in questa faccenda, Chrisofer, quindi non fare il burbero con lei. Kathleen non ha potuto fare nulla per evitare questo matrimonio, esattamente  come te.”

Sbuffando, il giovane Harford si passò nervosamente una mano tra i capelli castano rossicci, arricciati intorno al colletto inamidato della camicia immacolata.

Sapeva perfettamente che Andrew aveva ragione, ma aveva sperato che Kathleen fosse un po’ meno paurosa, un po’ meno timida… un po’ meno bambina.

Invece, tutte le volte che avevano incrociato gli sguardi, lei era arrossita, iniziando a balbettare insicura, aumentando a quel modo la sua frustrazione.

“Senti, Andrew…” iniziò col dire Christofer, prima di tossicchiare non appena si rese conto di aver quasi urlato contro l’amico.

Più posato, quindi, aggiunse: “So benissimo che Kathleen non ha avuto alcuna voce in capitolo, ma non posso nascondere quanto, questo contratto matrimoniale, mi stia stretto.”

“Beh, vedi di trovare il modo di fartelo piacere, o ti spezzerò davvero un braccio se, al nostro ritorno in patria, scoprirò che non ti comporti bene con lei” lo minacciò Andrew, neppure troppo scherzosamente.

Poggiando una mano sul torace di Andrew, Kathleen fissò il fratello con amore, ma replicò rigida: “Sono più che sicura che io e…beh, e mio marito troveremo il modo di non ucciderci a vicenda, pur se non approviamo ciò che i nostri genitori ci hanno obbligato a fare. Non voglio che, per causa mia, tu abbia dei contrasti con un tuo amico.”

Il cuore di Andrew quasi andò in pezzi, di fronte alla caparbia volontà della sorella di portare a termine quel ruolo che mal le si addiceva.

Era sempre stata una creatura troppo intelligente, troppo desiderosa, smaniosa di libertà, per poter essere ingabbiata in un matrimonio di comodo.

E, per quanto apprezzasse e stimasse Christofer, non poteva non riconoscerne i difetti.

La pazienza, di certo, non faceva parte dei suoi pregi, e la facilità all’ira era la sua peggior carenza.

Strettala nuovamente in un abbraccio, Andrew sussurrò dolcemente alla sorella: “Sai che ti voglio talmente tanto bene che, per te, sacrificherei qualsiasi cosa?”

“Beh, non sacrificherai la tua amicizia con… con Christofer” mormorò Kate, incespicando nel dire il nome del marito.

Ma perché doveva essere sempre così goffa, in sua presenza?

A sorpresa, il marito le poggiò una mano sulla spalla nuda – messa in evidenza dalla profonda scollatura dell’abito – e, con tono misurato, la aiutò a perorare la loro causa.

“Tua sorella ha ragione. Troveremo un modo per venirne a capo. Se c’è una cosa di cui non dubito, è l’intelligenza di Kathleen, perciò sono certo che sapremo fare buon viso a cattiva sorte.”

Nel dirlo, le sorrise per la prima volta.

Non fu un sorriso affettuoso, quanto di circostanza, ma pur sempre un sorriso.

Non potendo fare altro che rispondere, Kathleen allargò il proprio e annuì al suo indirizzo.

Forse, non sarebbe stato un completo disastro.

Forse.








Note: Qui cominciano le avventure di Christofer e Kathleen. Come avete potuto notare, il primo approccio tra i due non è stato dei più felici e, se non fosse stato per i buoni uffici di Andrew, forse sarebbe andata anche peggio.
Temo che, prima di apprezzare Christofer, potreste anche disprezzarlo, ma vi prego di portare la giusta pazienza, con lui.
Per ora, vi ringrazio se vorrete seguirmi nelle perigliose acque del passato!

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Capitolo 2
*** II ***


 
2.
 
 
 
 
 
Mar delle Antille, 22-VII-1804
                                               
 
 
 La bonaccia non aiutava a stare allegri. Il caldo afoso, neppure.
 
 Erano bloccati in porto da almeno quattro giorni e, di riprendere la via dell’oceano, neanche a parlarne.
 
 I lavori al coronamento1 erano stati completati con successo, l’albero di maestra era stato raddobbato con cura dal mastro d’ascia della nave, e gli ordini da Londra erano giunti.
 
 Mancava solo il vento. Cosa di non poco conto, per un veliero a tre alberi come il loro.
 
 Seduto a poppavia, sulla larga impavesata2 in legno scuro della White Star, Christofer osservava arcigno la breve, algida lettera giunta assieme alla corrispondenza.
 
 Con penna e calamaio ben sistemati accanto a sé, stava tentando di capire come rispondere alle notizie giunte da casa.
 
 Come aveva temuto fin dall’inizio, il matrimonio con Kathleen aveva preso una brutta piega già dalla prima notte di nozze.
 
 Forse a causa del troppo vino, forse indispettito dagli ordini ricevuti dal padre, forse reso nervoso dalle ansie della moglie, alla fine, però, il risultato era stato solo uno.
 
 Le aveva fatto male. E non solo fisicamente.
 
 Si era preso il suo piacere senza badare a nulla e, soprattutto, senza badare troppo alla verginità di Kathleen.
 
 Quando, al termine dell’atto, lei si era scostata tremante e piangente, lui si era limitato ad alzarsi per abbandonarla lì, sola.
 
 In silenzio, si era rifugiato nella sua stanza per fumare un sigaro e terminare di ubriacarsi con del whisky.
 
 Da quel momento, le notti si erano susseguite le une uguali alle altre.
 
 Kathleen aveva cercato di fare buon viso a cattivo gioco e, ogni mattina, si era presentata al tavolo della colazione con un bell’abito vaporoso e un sorriso stampato in viso.
 
 Nessuno dei suoi tentativi di apparire serena o, quanto meno, felice, era però valso allo scopo di salvarlo dal personale disgusto che lui provava per se stesso.
 
 Perché Christofer aveva compreso subito di essersi comportato alla stregua di un bifolco, ma mente e corpo erano rimasti bloccati, come congelati.
 
 Non era mai riuscito a trovare le parole per scusarsi, o un gesto qualsiasi che valesse a renderle ciò che le aveva rubato.
 
 Nei suoi strani occhi verdi, solcati da miriadi di pagliuzze grigio acciaio, Christofer aveva letto dolore e, sì, delusione.
 
 Come darle torto? Un animale si sarebbe comportato meglio.
 
 Lui aveva toccato quelle fragili carni pensando solo alla propria rabbia, senza badare minimamente a quella – più che giustificata – della ragazza.
 
 L’aver saputo dell’aborto, a due mesi dalla sua partenza per il fronte, non l’aveva certo aiutato.
 
 Essere partito sapendola incinta lo aveva rallegrato un poco, ma la sua serenità era stata di breve durata.
 
 Kathleen era stata malissimo e, solo grazie a Dio, non aveva perso essa stessa la vita.
 
 Dal giorno in cui gli era giunta quella triste notizia, ogni speranza di un’esistenza serena con lei, era svanita come il figlio mai nato.
 
 A peggiorare ogni cosa, una missiva della madre lo aveva informato della morte di suo fratello Kenneth e della moglie Marianne, in un incidente con la carrozza.
 
 Di ritorno da Bath, erano stati attaccati dai briganti e, nel tentativo di sfuggire ai fucili dei soldati di ventura, il cocchiere aveva finito col ribaltare il mezzo.
 
 Gli era spiaciuto sapere della loro dipartita, ma non aveva pianto lacrime amare.
 
 Lui e Kenneth non si erano mai amati molto e dubitava che, a parti invertite, il fratello maggiore non avrebbe versato una sola lacrima in sua memoria.
 
 Anzi, forse avrebbe levato un boccale di birra assieme ai suoi amici di Eton, lieti che lui avesse finalmente tirato le cuoia.
 
 Kenneth non aveva mai apprezzato la bravura del fratello minore nella scherma, e le bastonature subite da Christofer a Eton erano da addebitarsi tutte a lui.
 
 Il fatto che Christofer stesso lo avesse sempre saputo, non aveva aiutato a migliorare il rapporto tra i due.
 
 Ora, per lo meno, non avrebbe dovuto più far finta di stimarlo.
 
 Gettando un’occhiata al porticciolo insonnolito – in attesa a sua volta che il vento si levasse – Christofer si chiese per un attimo come stesse la madre.
 
 Non era stato davvero un semestre facile, per lei e, forse, neppure il secondo lo sarebbe stato.
 
 Se poteva anche solo immaginare l’umore plumbeo del padre, non faticava a vederlo mentre se la prendeva con la moglie per qualsiasi motivo concepibile, e non.
 
 Sospirando, tornò a curiosare con lo sguardo la missiva di Kathleen e, con la mente, tornò all’ultima lettera di sua madre Whilelmina.
 
 Lo aveva informato dei loro tentativi di ricondurlo a York, in quanto primogenito della casata Spencer.
 
 Christofer, però, sapeva bene quanto Londra fosse caotica, in quei mesi.
 
 Era impossibile che il re – o il Reggente per lui – lo richiamasse in patria, a quel punto. Forse, se fosse riuscito a mettersi in contatto con l’amico Anthony Phillips, avrebbe avuto qualche chance in più.
 
 Da quel poco che aveva saputo da voci trasversali, era stato impiegato nel Ministero della Guerra e, se avesse chiesto a lui, avrebbe potuto velocizzare la pratica per rientrare.
 
 Il punto era un altro. Non aveva la più pallida idea se ciò che aveva udito corrispondeva a verità e, a ben vedere, da quando Andrew si era sposato con Myriam, ne aveva perso le tracce.
 
 I due avevano fatto una corte serrata alla comune amica ma all’improvviso, senza un motivo apparente, Anthony si era defilato e Andrew aveva avuto la meglio.
 
 Essendo entrambi suoi amici, non aveva parteggiato per nessuno in particolare; aveva unicamente sperato che quell’unione fosse felice.
 
 Lui, Andrew, Myriam e Anthony erano cresciuti assieme e, pur se con dinamiche famigliari molto diverse – più fortunate quelle di Myriam e Anthony, e più complesse le sue e quelle di Andrew – avevano trovato l’uno negli altri affinità elettive uniche.
 
 Pur essendo donna, Myriam aveva potuto crescere – e giocare – assieme a loro grazie ai buoni uffici del padre. Questo, non aveva fatto altro che rinsaldare l’affetto tra loro e ora considerava Myriam alla stregua di una sorella, come Andrew e Anthony come dei fratelli.
 
 A ben pensarci, sentiva un legame maggiore con loro, che con i suoi tre fratelli maggiori che, il Fato o la giustizia – Christofer era indeciso, su quale delle due – gli aveva tolto in modi differenti e in differenti momenti.
 
 Ora gli rimaneva Wendell, il dolce, tenero Wendell, che lui adorava e che sperava stesse bene, nonostante si trovasse nelle vicinanze del padre, senza di lui a fare da scudo.
 
 Non ricordava più le volte in cui lo aveva difeso dai soprusi del padre, e dubitava che, ora che era lontano, le cose fossero cambiate.
 
 Sperava soltanto di trovarlo in salute, al suo ritorno. Dopotutto, Wendell restava l’unico a portare avanti il sangue della famiglia, al momento.
 
 Per quanto egli fosse sempre stato visto come un bambino gracile e inutile, almeno agli occhi del padre, in quel momento era l’unico maschio degli Spencer a essere vivo e al sicuro.
 
 Il fatto che ritenessero solo Christofer unico erede del casato, la diceva lunga su come la pensasse suo padre, ma sperava che questo pensiero cambiasse.
 
 A lui rimaneva solo una cosa, da fare, al momento.
 
 Cercare di restare vivo e, una volta terminata quella maledetta guerra, tornare a casa per tentare di rimettere insieme i cocci di quell’ingombrante matrimonio.
 
 E di quel che rimaneva della sua famiglia.
 
 Andrew era stato straziato dal dolore ben più di lui, a ben vedere, alla notizia dell’aborto della sorella. Solo a stento, Christofer non si era guadagnato un pugno dall’amico.
 
 La sua totale afasia aveva fatto imbestialire Andrew e, solo grazie alla presenza del capitano, non l’aveva pestato degnamente, e a lungo.
 
 Era stata dura, per Christofer, accettare la morte di quel figlio mai neppure immaginato realmente.
 
 Al tempo stesso, era stato orribile ammettere con se stesso che, quella perdita infausta, lo aveva toccato più di quanto avrebbe mai potuto sospettare.
 
 Quel figlio mai nato aveva contato più di Kenneth… contava più di Kathleen.
 
 Quello che più lo aveva fatto star male, e continuava a farlo stare in pena, era rendersi conto che, per Kathleen, non provava lo stesso trasporto provato per quella creatura dispersa nel nulla.
 
 E tutto a causa dell’odio che ancora bruciava dentro di lui, e diretto nei confronti di entrambi i loro padri.
 
 Se solo fosse riuscito a scindere le due cose, forse sarebbe stato in grado di provare sentimenti diversi per la moglie, ma per ora non vi riusciva.
 
 Cosa avevano fatto loro, in nome di Dio?
 
 Come lo avevano ridotto? Era del tutto incapace di provare sentimenti per la propria moglie?
 
 Quell’ennesima lettera, vuota e fredda, era il risultato del suo approccio tutt’altro che delicato all’intera situazione.
 
 Dopo la partenza da Londra, aveva tentato goffamente di riallacciare i rapporti con Kathleen.
 
 Con una stentata lettera di scuse, aveva cercato di mettere a parole il disagio che sapeva di averle procurato.
 
 Più di un mese dopo, nei pressi di Dublino, era giunta la sua risposta, tutt’altro che prolissa.
 
Non c’è nulla da perdonare. Un marito ha pieno diritto sul corpo della propria moglie.
 
 Una sola riga. Lapidaria.
 
 Che l’avesse scritta di suo pugno, o gliel’avessero dettata sotto tortura, poco importava.
 
 Quello sarebbe stato il loro matrimonio. Mera facciata.
 
 Le lettere seguenti era state, se possibile, anche peggio.
 
 Era stata sua madre ad avvisarlo della morte del bambino. Non Kathleen.
 
 Curiosamente, il padre non lo aveva ingiuriato a male parole per quell’infausto destino, né gli aveva mai scritto, da quando era partito.
 
 Sapeva di non essere mai stato il figlio prediletto, ma aveva sperato almeno in una scarna lettera da parte sua.
 
 Evidentemente, non valeva neppure il costo della carta pergamenata.
 
 O forse, voleva fargli pesare la morte di Kenneth. O quella di Brian e Raynor, deceduti anni addietro per la febbre tifoide.
 
 Lui non si era ammalato, loro sì, e questo non gliel’aveva mai perdonato.
 
 I figli maggiormente amati da suo padre, erano morti tutti. Restavano solo lui e Wendell, le pecore nere della famiglia.
 
 Passandosi una mano tra i capelli, Christofer lesse l’ultima frase della lettera di Kathleen e mormorò: “Spero stiate bene…”
 
La consueta frase finale, uguale in ogni suo scritto.
 
 Aveva dubitato fin dal principio che lo pensasse sul serio ma, educata com’era, non aveva neppure mai dubitato che si sarebbe dimenticata di scriverlo.
 
 Un elenco sintetico di ciò che avveniva nel contado e quella frase, quella vuota frase di commiato.
 
 Nulla a che vedere con le splendide epistole di Andrew, in cui decantava le meraviglie dei luoghi visitati, la bellezza dell’oceano, la forza dei venti e delle tempeste.
 
 Non aveva idea se queste iperboli facessero piacere a Myriam, o a Kathleen, che lui immaginava più che preoccupate per il marito e fratello.
 
 Ma Andrew era così da sempre e, nel bene e nel male, lui amava anche questo suo lato così avventuriero e spavaldo.
 
“Sei in difficoltà, Spencer? Stai leggendo quella lettera da più di un’ora” intervenne Andrew, avvicinandosi a lui con passo dinoccolato.
 
 Christofer levò il capo a squadrarlo e, con un sospiro indispettito, ne ammirò l’andatura tranquilla e faceta.
 
 Non c’era nulla da fare. Andrew era nato per il mare, per le avventure e per la vita condita di pericoli.
 
 Non gli importava un accidente di essere un lord titolato, o di avere già collezionato più ferite di un bucaniere di lungo corso.
 
 No, lui voleva tutto questo, e niente di ciò che gli aveva detto fino a quel momento era servito a mettergli in testa un grammo di istinto di autoconservazione.
 
 E, ovviamente, il fatto che i marinai lo adorassero per la sua spavalderia, non faceva che peggiorare le cose.
 
 Scuotendo il capo, Christofer allungò la missiva all’amico e disse: “Dimmi se non devo preoccuparmi, visti i precedenti.”
 
Se la frase di commiato era rimasta sempre la stessa, quest’ultima missiva gli era però sembrata leggermente diversa dalle altre, e non solo per il suo contenuto.
 
 La grafia gli era parsa lievemente tremante, rispetto al solito, e le lettere gli erano sembrate più piccole, contraddistinte da colpi secchi del pennino.
 
 Che fosse stata infuriata, nel momento in cui aveva scritto?
 
 Difficile dirlo.
 
 Non sapeva neppure se Kathleen fosse una ragazza facile all’ira. Sapeva così poco di lei!
 
 Tutti i ricordi che aveva di lei – o che, per lo meno, facevano breccia nella sua memoria – riguardavano fatti avvenuti in compagnia di Andrew.
 
 Era come se la sua mente si rifiutasse di trovare un qualsiasi episodio in cui non vi fosse l’amico, eppure era certo ve ne fossero, per quanto sporadici.
 
 Leggermente sorpreso, Andrew si appoggiò all’impavesata accanto all’amico, prese la pergamena in mano e aggrottò impercettibilmente la fronte.
 
“Katie? Ma che diavolo…”
 
 “Allora non mi sbaglio. E’ strana, vero?”
 
 “Se c’è una cosa che ho sempre invidiato a Katie, è la scrittura. Ha un bellissimo tratto, specialmente nello scrivere le ‘g’ e le ‘f’… eppure, qui non sembra neppure lei. Non capisco” borbottò Andrew, scuotendo il capo con aria accigliata. “E poi, quello che ti scrive… so che non avete mai avuto una corrispondenza molto infuocata, ma questo?”
 
Scrollando impotente le spalle, Christofer lanciò nuovamente uno sguardo allo scritto di Kathleen, chiedendo all’amico: “Tu la conosci meglio di me. Pensi le sia successo qualcosa?”
 
 “Di sicuro, quando l’ha scritta era sconvolta” annuì il giovane, torvo in viso. “E questa frase…la notte vi immagino nel mezzo dell’oceano, e piango. La solitudine deve essere come una morsa dalle zanne affilate, che stringe senza pietà per dilaniare carni e cuore… Chris, lei non ti ha mai scritto nulla del genere.”
 
 “Lo so. Per questo, questa lettera mi è sembrata tanto strana. Certo, la preferisco all’interminabile elenco di merci e servizi che mi manda di solito, però…”
 
Mordendosi un labbro, Harford aggiunse turbato: “Ho paura per lei, lo ammetto. Che sia una ricaduta? Può essere scivolata nella depressione, dopo l’aborto?”
 
 “Non so che dirti, ma sarebbe plausibile” assentì con un sospiro Andrew. “Da qui, purtroppo, possiamo fare ben poco.”
 
Imprecando a denti stretti, Andrew spostò lo sguardo azzurro cielo sull’oceano, sospirò impercettibilmente e mormorò: “Se non fosse per questa bonaccia maledetta! Mi irrita così tanto da non permettermi di ragionare con raziocinio.”
 
Christofer rise della sua smania, e replicò: “E quando mai usi il raziocinio? Ti devo ricordare che sono io a portartelo appresso, sperando che tu ne sorbisca almeno un po’?”
 
Andrew assentì contrito, annuendo, e ammise: “E come dimenticarlo, amico mio! Avrei il doppio delle ferite, e forse un arto in meno, se non fosse per te che mi tieni d’occhio come un falchetto.”
 
Se c’era una cosa che non difettava nell’amico, era lo spirito d’avventura, oltre alla sincerità disarmante.
 
 Ancora si stupiva che si fosse sposato solo vent’enne, prima ancora di aver passato più di una Stagione a Londra.
 
 Certo, il suo amore per Myriam era sincero, e Dio solo sapeva se questa non era una gran fortuna.
 
 Eppure, Andrew gli era sempre parsa un’anima troppo libera e leggera, per poterlo credere felice, da uomo sposato, accasato e con un figlio.
 
 Al loro rientro dal Grand Tour in Europa, dopo aver visitato le capitali del Sud, la bella Grecia e l’orientale Istabul, Andrew gli era parso desideroso di ripartire per altre avventure.
 
 Ma poi era giunta l’estate e la Stagione a Londra, e quello stesso autunno si era fidanzato con Myriam.
 
“Desidera il tuo conforto, in qualche modo, anche se non comprendo cosa possa averla turbata. E’ come se non fosse in grado di dirtelo” convenne alla fine Andrew, riconsegnando la lettera al suo proprietario e riportandolo con i piedi per terra.
 
“Ma non so come fare!” biascicò Christofer, arrossendo leggermente.
 
 Andrew sollevò immediatamente un sopracciglio con aria disgustata e, ficcatigli in mano penna e calamaio, sentenziò: “Non me ne importa un accidente se, fino a ora, siete sembrati solo due contabili che si spedivano vicendevolmente la corrispondenza. Lei ha bisogno di te, e tu l’aiuterai. Sei suo marito, per Dio e per la Corona!”
 
 “Solo di nome!” sbottò Christofer, alterandosi a sua volta. “Come posso sapere di cosa ha bisogno?! Potrei dire qualcosa che non va bene! O che la faccia crollare del tutto!”
 
Sempre più irritato, Andrew gli si pose innanzi e, afferratolo per le spalle, lo scrollò con forza.
 
“Hai ventiquattro anni, non due mesi. Sii maturo, per una volta nella vita, e non pensare solo a te stesso. E’ tempo che tu capisca che, nel bene e nel male, siete assieme su questa nave scricchiolante che è il vostro matrimonio, e assieme dovete lottare perché resti a galla. Lei ti ha teso una mano perché ha capito di non potercela fare da sola, qualsiasi cosa l’abbia spinta a scriverti. Tu, non abbandonarla proprio ora. Già una volta ha dovuto affrontare il Fato in solitudine!”
 
Se avesse dovuto rincuorare Andrew, non ci sarebbero stati problemi.
 
 Si conoscevano così bene, che uno comprendeva immediatamente i bisogni dell’altro. Ma con Kathleen? Che dirle?
 
 Sospirando melanconicamente, Christofer ripensò a quanto avevano perso, a quanto non aveva fatto, a quanto non aveva detto in quei pochissimi mesi passati assieme.
 
 Kathleen Adelaide Campbell era sua moglie, dinanzi a Dio e agli uomini, eppure non la conosceva affatto.
 
 Andrew si allontanò in silenzio senza dirgli più nulla, consapevole che, per affrontare quel genere di sfida, lui avrebbe voluto rimanere da solo.
 
 Preso il coraggio a due mani, Christofer cercò quindi di immaginare cosa potesse averla spinta a chiedere il suo aiuto.
 
 Cosa potesse averla spaventata tanto da abbandonare la rigidità fino a quel momento tenuta con lui.
 
 Fatta scivolare la penna nel calamaio, Christofer prese tra le mani un foglio di pergamena e, con lentezza, tinse il tessuto tracciando lettere esitanti e imperfette.
 
 Esattamente come si sentiva lui in quel momento.
 
 
La solitudine nel mezzo dell’oceano è nera e spaventosa ma, con validi amici al mio fianco, è sopportabile.
 Non desidero che stiate in pensiero per me, perché non ve n’è bisogno. Posso tenere a bada il dolore per la lontananza
 da casa, e il senso di vuoto che l’immensità che mi circonda, può provocare. Vi sono grato per il vostro interessamento,
 e spero ardentemente che il buio della notte non vi tenga desta per altri motivi. Se però così fosse, non abbiate timore
 di parlarne con mia madre. E’ donna saggia e premurosa  e, per una figlia gentile come so voi siete, avrà di sicuro
 care parole da offrirvi e il calore che io, per svariati motivi, non posso al momento donarvi. Consigliatevi con lei, parlate
 con lei. Sono certo che il buio, allora, non vi terrà sveglia la notte e io non diventerò, per voi, un pensiero triste.
 
Sinceramente vostro.                                                                   Christofer
 
 
 Ancora una volta, si maledisse per le sue carenze come scrittore.
 
 Avrebbe di sicuro preferito essere come Andrew, che aveva la stessa eloquenza di un bardo, e il suo stesso fascino nel dipingere la realtà con le parole.
 
 Lui non riusciva a mentire, neppure sulla carta.
 
 Non amava Kathleen; perché asserire il falso, dunque? Perché farle portare il peso di una menzogna, oltre alla mancanza d’amore?
 
 Però, poteva offrirle un riparo dal freddo e dalla paura, tra le sue braccia.
 
 Questo poteva farlo, almeno a parole.
 
 Era poco più di una bambina, catapultata in mezzo a una realtà più grande lei.
 
 Protezione e conforto poteva offrirli e forse, un domani, sarebbe venuto anche un briciolo di affetto.
 
 Dio! Lo sperava davvero, perché invidiava davvero l’amico e il rapporto di complicità che aveva con la moglie.
 
 Randolf era il risultato meraviglioso del loro rapporto così speciale.
 
 Quel piccolo batuffolo dai capelli castani era la cosa più dolce che avesse mai visto, o tenuto tra le braccia.
 
 Non riusciva, però, in alcun modo a vedere se stesso nel ruolo di padre né, tanto meno, a figurarsi un figlio nato dall’unione tra lui e Kathleen.
 
 Forse, non avrebbero mai avuto una simile grazia, specialmente dopo quell’aborto.
 
 Un sospiro gli sfuggì dalle labbra, quando sigillò la lettera con la ceralacca.
 
 Fiacco, la infilò nella sacca di juta che, il giorno seguente, sarebbe stata fatta sbarcare assieme ad altre missive, dirette verso casa con il primo bastimento utile.
 
 Nessuno di loro sapeva per quanto altro ancora quella follia si sarebbe protratta.
 
 Trovarsi a migliaia di miglia dalla Madre Patria, combattendo contro nemici che, ormai, parevano stanchi della situazione non meno di loro, non contribuiva certo a rilassare gli animi.
 
 Un refolo improvviso di vento raffreddò il sudore che gli aveva imperlato il collo, in quella calda giornata estiva, e lo strappò a quei lugubri pensieri.
 
 Passandosi immediatamente una mano sotto le morbide onde di capelli scuri, Christofer levò il capo a scrutare le bandelle appese alle vele.
 
 Con un mezzo sorriso, mormorò: “Si riparte.”
 
La brezza venne accolta con generale sollievo – rimanere alla fonda non piaceva a nessuno, specialmente con l’ordine tassativo di non scendere dalla nave.
 
 Quando, perciò, il capitano si presentò sul ponte per ordinare il ‘salpate le ancore’, vi fu un coro di generale soddisfazione.
 
 Sistematosi la tuba sul capo di capelli biondi tendenti al castano, Andrew tornò da lui di gran carriera e sogghignò all’indirizzo dell’amico.
 
 Avvicinatosi, gli diede una pacca sulla blusa della divisa un po’ sbiadita e rise allegro.
 
“Si torna a combattere, amico. Non sei contento?”
 
 “Sei tu lo scalmanato in battaglia, non certo io, Campbell" ammiccò divertito Chris, dando al compagno un amichevole pugno sulla spalla. “Dovresti pensare a riportare le ossa a casa dalla tua Myriam, invece di lanciarti all’arrembaggio come un corsaro.”
 
Andrew rise ancor più forte, apparentemente incontenibile, non smentendo di fatto l’affermazione dell’amico.
 
 Mentre lo sferragliare delle ancore si levava verso il cielo, insieme ai cori di eccitazione dei mozzi della nave, il volteggiare triste di un albatro attirò l’attenzione di Christofer.
 
 Quell’uccello era messaggero di sventure, per i marinai.
 
 Pur se lui non aveva mai creduto a simili scempiaggini, il fatto di vederlo librarsi nei pressi della loro nave, gli diede un brivido.
 
 Il suo stridente richiamo lo irritò e, ben deciso a non farsi guastare la giornata da quel lugubre suono, gli volse le spalle, ignorandolo del tutto.
 
 Con passo lento, si diresse sottocoperta per prepararsi all’imminente addestramento, cui il capitano li avrebbe sottoposti non appena avessero preso il largo.
 
 Non dovevano più attendere alla fonda in quel posto dimenticato da Dio, perciò questo voleva solo dire una cosa, per loro.
 
 Cannoneggiare, cannoneggiare, e cannoneggiare ancora, fino a divenire così bravi e veloci da spezzare le gambe ai francesi prima ancora di far loro aprire bocca.
 
 Così, avrebbero eliminato il Corso. Così, sapevano fare le cose gli uomini della Corona.
 
 
 
***
 
 
Sdraiato nella sua solitaria amaca, appesa al baglio3 del ponte sopra la sua testa, Christofer ascoltava silente il cigolio soffuso della White Star.
 
 Il lieve e stanco borbottio degli uomini ancora svegli, si alternava al placido russare dei restanti.
 
 Erano davvero troppo infiacchiti dal lavoro, foss’anche solo per prendersi il tempo per un ultimo giro di grog4, o per lanciarsi in una partita a whist5.
 
 Erano in navigazione da un paio di giorni, diretti verso le coste del Brasile, alla ricerca di una nave americana che stava dando loro del filo da torcere.
 
 L’alleanza tra francesi e americani aveva creato loro non pochi disagi, in quella guerra per i mari.
 
 Nel caso specifico, cercare di recuperare i tesori sottratti dagli americani dalla Venus, sembrava un’impresa quasi al disopra delle loro possibilità.
 
 Ugualmente, il capitano ci si era buttato anima e corpo, visto che gli ordini erano di recuperare il maltolto dalle mani dei corsari, destinato a rimpinguare le casse del Corso.
 
 In quel momento, erano impegnati nel tentativo di accerchiare il nemico, sfruttando il vento di bolina6 e le impeccabili doti di marinaio di Willford.
 
 Se c’era una cosa di cui non dubitava affatto, era la capacità del loro capitano di tenere il mare.
 
 Se i suoi calcoli erano esatti, e di solito, lo erano, si sarebbero ritrovati a dar battaglia la mattina seguente, col sorgere del sole.
 
 Con quell’azione, avrebbero riportato alla Corona Britannica ciò che i corsari erano riusciti a prelevare dalle baleniere inglesi, di stanza in quel tratto di mare.
 
 Con un sospiro, Christofer si volse su un fianco, lasciando che il dondolio della nave lo cullasse verso le braccia di Morfeo.
 
 L’unica cosa che gli riuscì di fare, però, fu di pensare a casa.
 
 Rammentò le colline rigonfie di fiori, i frutteti colorati e dai dolci profumi, i boschi rigogliosi di vita, in cui spesso si era spinto per battute di caccia, o semplici passeggiate a cavallo.
 
 Ah, quanto gli mancava il suo Zeus!
 
 Aveva vinto quel magnifico stallone nero a un’asta e, per tanti anni, era stato il suo fedele compagno di scorribande, lungo le colline della tenuta.
 
 Chissà se qualcuno, a casa, si stava prendendo degna cura di lui, facendolo galoppare ogni tanto lungo i sentieri boschivi, o per i folti prati erbosi.
 
 Nella prossima lettera, avrebbe chiesto alla moglie di domandare a uno degli stallieri di occuparsi del cavallo, se già il padre non vi fosse arrivato da solo.
 
 Al solo pensarci, il volto di Christofer venne percorso da una smorfia.
 
 Per come si erano lasciati, suo padre avrebbe anche potuto aver già macellato il suo stallone, e solo per fargli un dispetto.
 
 Non erano state solo le parole non dette, ma la consapevolezza di non essere, per lui, il figlio più amato, ad aver messo fiele nella sua voce.
 
 Ad averlo portato a continue sfide nei confronti del genitore… portandolo, così, a ferire l’unica persona a non c’entrare nulla nella loro diatriba personale.
 
 Sperava soltanto che il padre non avesse fatto ricadere il suo malumore su Kathleen, ma non poteva contarci molto.
 
 Dio aveva deciso di far perdere la vita a Kenneth e al figlio di Kathleen, ma non certo a lui o a Wendell!
 
 Suo padre doveva essere più che furioso, per questo.
 
 Per quanto ne sapeva, Kathleen poteva anche non essere in grado di portare a termine una gravidanza. O lui poteva non avere un seme abbastanza forte, Dio non volesse!
 
 Di tutte le donne con cui aveva giaciuto, non una si era presentata alla porta del palazzo per chiedere giustizia per sé, o per un eventuale figlio illegittimo.
 
 Forse, era davvero colpa sua, unicamente sua. Questo sì che sarebbe stato uno scherzo del destino davvero incredibile.
 
 Lui, l’ultimo figlio in salute del Conte Harford, forse era sterile.
 
 La pecora nera della famiglia, colui che era stato sempre dipinto dal padre come un irresponsabile, era l’unico a poter portare avanti il nome della famiglia.
 
 E, con tutta probabilità, non poteva procreare!
 
 Certo, in primo luogo si sarebbe data la colpa a Kathleen, perché così volevano le consuetudini.
 
 Nessuno avrebbe mai sostenuto il contrario. Ne sarebbe andato del buon nome degli Spencer di York!
 
 Ma se, per disgrazia, Kathleen fosse rimasta incinta di un qualche amante, allora sì che la cosa sarebbe stata oltremodo ridicola.
 
 Forse, però, farla accoppiare a un giovane di suo piacimento, sarebbe stata la soluzione migliore per entrambi.
 
 Rise sarcasticamente di sé, al solo pensiero.
 
 Sarebbe stato davvero disposto a cederla a un altro uomo, perché la ingravidasse?
 
 E poi, avrebbe davvero accettato come se nulla fosse il frutto di quell’amplesso al di fuori del matrimonio?
 
 Non che non fosse già successo in passato. Molte dinastie erano andate avanti a quel modo, ma non era certo che a lui sarebbe andata bene.
 
 Non amava Kathleen, non ne faceva mistero ma, in un certo qual modo molto contorto, lei era sua.
 
 E lui cedeva mal volentieri ciò che gli apparteneva.
 
Dormi, idiota! Domattina dovrai essere fresco e riposato per dar battaglia!, pensò tra sé Christofer, imponendosi di chiudere gli occhi e dormire.
 
 L’unica cosa in cui riuscì, però, fu di sognare la fragile Kathleen tra le braccia di un amante immaginario, leziosa e felice come, con lui, non era mai stata.
 
 
 
***
 
 
D’accordo, il capitano Willford Hillman era un mostro dell’arte marinara.
 
 Le bianche vele quadrate che intravedevano all’orizzonte, erano sicuramente quelle della Venus.
 
 Nel giro di un’ora al massimo, sarebbero giunti al loro fianco per poter dare inizio ai giochi.
 
 In piedi sul ponte di prua, le mani sui fianchi e lo sguardo fisso sulla sagoma scura che li precedeva sull’orizzonte marino, Christofer lanciò un’occhiataccia ad Andrew.
 
 Per l’ennesima volta, lo aveva sorpreso a sogghignare come un idiota.
 
 La mano destra, nervosa, giocherellava impaziente sul pomolo della spada che portava al fianco.
 
“Di tutte le cose che potrebbero divertirti, tu godi all’idea di massacrare gente?” mugugnò il giovane Spencer, scuotendo esasperato il capo.
 
 Andrew ridacchiò, scrollando le spalle prima di replicare: “Non si tratta di portar massacro, amico mio, quanto di riconsegnare il maltolto al re. E’ solo per questo, che io calo la mia spada. E’ solo per questo, che io combatto. Per il re e la Patria!”
 
 “Non si direbbe” sbottò l’amico, sempre più irritato. “Penso che tu sia un idiota, innamorato del lato romantico della guerra, anche se ormai avresti dovuto capire che non ne esistono, di lati romantici.”
 
Christofer aveva dormito malissimo e quello strano sogno, che lo aveva accompagnato durante tutta la notte passata, lo aveva oltremodo scombussolato.
 
 Quel mattino, con il cambio della guardia, non aveva neppure toccato cibo.
 
“Cosa ti angustia tanto, Spencer? Sembra che tu sia andato in bianco con una donna” sghignazzò Andrew, ammiccando all’indirizzo di Christofer.
 
“Se così fosse, dovresti infuriarti a morte con me, invece di ridacchiare, perché vorrebbe dire che avrei tradito tua sorella. Fortunatamente, non ci sono donne su questa nave, o sarebbe un vero disastro” brontolò il visconte, aggiungendo subito dopo: “Però, in effetti, tua sorella c’entra.”
 
 “In che senso?” si incuriosì il giovane, fissandolo con i suoi allegri occhi azzurro cielo.
 
 I suoi occhi erano più limpidi di un ruscello boschivo e, se c’era una cosa che Christofer aveva imparato, era che tutto ciò che l’amico faceva, o diceva, non aveva secondi fini.
 
 Era realmente interessato a sapere cosa lo angustiasse.
 
 Scrollando le spalle, irrigidite dal nervosismo che provava sempre, poco prima di una battaglia, Christofer gli confessò: “Stavo pensando che forse, io o Kathleen, potremmo avere qualche difficoltà ad avere… beh, dei figli e…”
 
Bloccandolo sul nascere, Andrew poggiò una mano sulla spalla dell’amico e replicò: “Guarda che può succedere. Conosco decine di donne che hanno perso il primo bambino. Myriam voleva darmi subito un erede, ma anche noi abbiamo faticato per raggiungere lo scopo, credimi. Quando tornerai a casa, e sarai più rilassato, potrai dedicarti alla ricerca di un figlio. E’ già stato un miracolo che Katie sia rimasta incinta subito, e una disgrazia che abbia perso il bambino subito dopo. Ma questo depone a favore di entrambi. Potete farcela tranquillamente. Tuo padre è stato un folle, scusami se te lo dico, a sottoporvi a questo stress emotivo.”
 
Sconsolato, Christofer mugugnò a mezza bocca: “Cosa ti fa pensare che io voglia una famiglia? O che Kathleen ne voglia una con me?”
 
Andrew si azzittì per diversi attimi, prima di sospirare e ammettere: “Quanto alla tua seconda domanda, direi che non c’è da preoccuparsi. Kathleen ha sempre avuto un interesse particolare per te.”
 
 “Cosa?!” esalò il giovane Spencer, sgranando gli occhi per la sorpresa.
 
 Cosa diavolo stava dicendo, Andrew?
 
 Certo, l’aveva vista crescere, era sempre stato un assiduo frequentatore della famiglia Campbell, ma questo non voleva certo dire che conoscesse Kathleen.
 
 Non aveva mai passato molto tempo con loro, contrariamente a quanto aveva sempre fatto Miryam.
 
 Kathleen era sempre stata una ragazzina timida e riservata, almeno quanto Myriam era stata spericolata e coraggiosa.
 
 Con un mesto sorriso, l’amico gli confessò: “Devi sapere che, ogni volta che tu eri a casa nostra, lei faceva di tutto per trovarsi nei tuoi paraggi, vuoi portandoci del tè coi pasticcini – fatti da lei, tra l’altro – vuoi sistemando i fiori nel salottino mentre eravamo presenti. Insomma, ogni scusa era buona per passare qualche attimo con te, e scambiare due parole. Anche solo darti un’occhiata per sincerarsi che tu stessi bene, le bastava.”
 
 “Non … ne avevo idea” mormorò stordito Chris, ripensando alla loro prima notte di nozze.
 
 Quanti sogni aveva infranto, con il suo comportamento egoista? Quale innocenza aveva distrutto, comportandosi come aveva fatto?
 
 Sarebbe già stato tanto se, al suo ritorno, Kathleen non lo avesse odiato per sempre.
 
 E solo perché, come al solito, lui aveva anteposto davanti a tutto i suoi desideri, i suoi interessi, il suo malessere.
 
 Non si era fermato a pensare neppure un po’ a lei.
 
 Non aveva badato a essere gentile nel momento di maggior intimità tra un uomo e una donna.
 
 Non si era accorto del dolore che, sicuramente, le aveva causato.
 
 Era stato un mostro.
 
 Perso nei suoi ricordi, Andrew disse ancora: “Ricordo una volta che, osservando uno degli schizzi a carboncino che avevi fatto di Randolf, quando era appena nato, Kathleen mi disse che avresti potuto diventare un pittore rinomato in tutto il mondo, più dello stesso Raffaello.”
 
Chris si limitò a fissare l’amico senza proferir parola, del tutto ignaro che Kathleen avesse visto i suoi disegni, di cui Andrew era uno dei pochi ad averne copia.
 
 Il suo amore per la pittura, lo celava ben stretto nel cuore.
 
 Suo padre aveva dichiarato chiaramente il disgusto per la sua affinità con quell’arte che, a detta del genitore, era assai poco adatta a un nobiluomo.
 
 Era un’attività idonea a una gentildonna, così come a qualche artista di strada senza mezzi di sussistenza. Non certo al figlio di un conte.
 
 Sapere che Kathleen, invece, aveva trovato i suoi schizzi belli al punto da paragonarli alle opere di Raffaello, gli scaldò il cuore per un attimo.
 
 Lacerandolo un attimo dopo, per farlo sprofondare nel risentimento più nero nei confronti di se stesso.
 
 Era stato davvero un disgustoso egoista, a pensare solo alla propria disperazione personale.
 
“Datti il tempo di imparare a conoscerla, prima di dire che non vuoi una famiglia con lei. So che Katie può esserti sembrata tremendamente chiusa in se stessa, forse addirittura fredda, ma ne ha ben d’onde. Mio padre non è, quel che si suole dire, un uomo aperto di idee. Non ha mai fatto mistero di non apprezzare il desiderio di apprendere di sua figlia e, quando ha scoperto certe sue inclinazioni, ha fatto di tutto per spegnerle” gli spiegò Andrew, dandogli una pacca sulla spalla.
 
“Che intendi dire?” volle sapere Christofer, adombrandosi impercettibilmente in viso.
 
“Katie conosce sei lingue diverse, tutte imparate da libri che, lo ammetto, le ho comprato io. Inoltre, ha un’ottima conoscenza della matematica, dell’astronomia e della geografia. E’ un talento sprecato, l’ho sempre detto ma, al contrario di mio padre, io ho cercato di aiutarla, non di tarparle le ali” mormorò l’amico, sorridendo mestamente nel pensare alla sorella.
 
 Sinceramente impressionato, il visconte esalò: “Non … non pensavo le piacessero cose simili.”
 
 “Nessuno lo pensa, perché Katie tiene tutto ben nascosto dentro di sé, per paura che qualcuno possa rubarle ciò che, tanto faticosamente, ha conquistato.”
 
Sospirando, si sistemò una ciocca ribelle dietro l’orecchio e aggiunse: “Se fosse nata maschio, non esito a dire che io e lei saremmo fuggiti da casa per viaggiare e, forse, ci saremmo trasferiti in America, lasciando ai parenti il nostro titolo nobiliare.”
 
 “Cosa?” esalò Christofer, vedendo l’amico sorridere affabile.
 
“Katie ha la stessa brama di sapere, di avventure e di libertà che ho io ma, essendo donna, non ha mai potuto mettere in pratica queste sue passioni, se non attraverso lo studio e la lettura.”
 
Fissando poi accigliato Christofer, Andrew chiese torvo: “Non le porterai via i suoi libri, vero?”
 
Facendo tanto d’occhi, Christofer esalò contrariato: “No! Che vai a pensare?! Non avrei motivo di farlo!”
 
 “Bene” sentenziò l’amico, annuendo seccamente. “Già troppi uomini le hanno fatto del male in tal senso.”
 
Adombrandosi maggiormente, Christofer gli domandò: “Che intendi dire?”
 
Con tono sardonico, Andrew ammise: “Il mio stimatissimo zio Constantin, fratello di mio padre, ha pensato bene di batterla, quando lei ha avuto l’ardire di replicare a una sua affermazione, durante una cena di famiglia. E mio padre non ha mosso mano per evitarle una simile umiliazione.”
 
 “Cosa… cosa aveva detto?” ansò Christofer, evidentemente turbato da quella notizia.
 
“Semplicemente, che Napoleone era nato in Corsica, non sul Continente, tutto qui” scrollò le spalle il giovane Campbell, disgustato da quel ricordo. “Zio Constantin si è alzato da tavola, le si è avvicinato e, senza troppi complimenti, l’ha afferrata per un braccio e l’ha condotta fuori dalla saletta, raggiungendo lo studio di mio padre. E’ lì che ha sempre tenuto la sua pagaia7, e lo zio lo sapeva.”
 
Christofer l’aveva conosciuta sulla pelle a sua volta, e in più di un’occasione e, al solo pensiero che una ragazzina potesse aver subito un simile castigo, tremò.
 
 Ombroso in viso, Andrew proseguì nel suo racconto.
 
“La afferrò con fermezza e, scaraventando Kathleen contro la scrivania, la fece piegare in avanti per poterla battere. Mio padre mi trattenne dall’intervenire, mentre mia madre scoppiava in lacrime, scappando via. Alla fine, mia sorella crollò a terra, scossa dal pianto mentre mio zio, pacificato, chiosò che nessuna donna avrebbe mai dovuto parlare di politica perché, semplicemente, non la comprendevano come gli uomini.”
 
Un’imprecazione, e il giovane terminò di dire: “L’ho odiato, dandogli dell’animale, e fu in quell’occasione che…”
 
 “Che?” esalò Christofer, chiedendosi cos’altro vi fosse, di così tremendo, da dipingere sul volto dell’amico quell’espressione disgustata.
 
“Litigai aspramente con mio zio, mentre mio padre era impegnato a calmare mia madre. Costantin, ovviamente per farmi un dispetto, mi disse che io ero figlio di un uomo non certo migliore di lui. Mi confidò che avevo un fratellastro più grande, scacciato assieme alla madre – una domestica che mio padre aveva ingravidato – ed entrambi spediti a Londra per azzittire qualsiasi pettegolezzo sulla nostra famiglia.”
 
La notizia lasciò di sasso Christofer, impreparato a una simile verità. Il tanto compassato Barnes, in realtà, si era comportato né più né meno come tanti altri nobili che, il barone stesso, aveva sempre denigrato apertamente.
 
“Sai… sai chi è?” mormorò l’amico, ancora frastornato.
 
 Andrew annuì una volta sola.
 
“Volli sapere a ogni costo di lui, o avrei raccontato tutto nei più rinomati salotti di Londra, così mio padre mi disse ogni cosa, compreso anche il luogo dove lavoravano sia la madre, che il figlio. Andai nella capitale per incontrarlo e, dopo l’iniziale sorpresa, diventammo amici. Anche Kathleen sa di lui.”
 
 “Dio…” esalò Christofer, sconcertato da tutte quelle novità.
 
“Troppi uomini l’hanno delusa, amico mio. Non essere il prossimo, ti prego” sussurrò Andrew, fissandolo con estrema fiducia.
 
 Una fiducia che l’amico non si sentì di meritare.
 
“Farò quel che posso. Mancasse tutto il resto, per lo meno la rispetterò” riuscì a dire Christofer, non sentendosela di promettere altro.
 
“Mi può bastare… per ora” ammiccò Andrew, rivolgendogli un mezzo sorriso.
 
 Abbozzando una risatina, Christofer esalò: “Sei davvero un inguaribile ottimista, sai?”
 
 “Lo so” ammise il giovane, lanciando un’occhiata scintillante in direzione della Venus che, entro breve, avrebbero raggiunto. “Pronto a farmi da spalla, Spencer?”
 
 “Se non penso io alla tua pellaccia, chi vuoi che ci pensi? Tu, forse?” ironizzò Christofer, guardandolo ridere divertito.
 
“Insegneremo ai nostri figli ad andar per mare, ad apprezzare le altre culture e a decidere di loro stessi con le loro forze, non più legati a un casato che è lì ad attenderli, simile a una condanna a morte” gli promise Andrew, con uno sguardo stranamente serio.
 
“Che intendi dire, Andrew?” mormorò l’amico, mentre i coltellacci8 sopra di loro venivano ritirati per diminuire l’andatura.
 
 Lasciando che lo sguardo vagasse sul cupo oceano che li circondava, lui ammise: “Amo Myriam, così come amo Randy, ma…”
 
I suoi occhi azzurri non lasciarono l’orizzonte e Christofer comprese che, pur con tutto il mondo ai propri piedi, si poteva essere ugualmente infelici e combattuti.
 
“Lascia perdere ciò che ti ho detto” mormorò Andrew, accennando finalmente un sorriso. “Allora, baderai a me, Spencer?”
 
 “Come sempre” assentì Christofer. “Grazie, comunque. Per ciò che mi hai detto riguardo a Kathleen.”
 
 “Per quanto possibile, vi aiuterò, ma questa cosa dovete risolverla voi due. Insieme.”
 
Insieme.
 
 Era un concetto strano, per lui, ma forse ci sarebbe riuscito.
 
 Forse.
 
 
 
 
______________________________________
1.Coronamento: (luci di) zona di poppa della nave, dove si trovano le luci di segnalazione di una nave.
2.Impavesata: Parapetto di una nave.
3.Baglio: travature che supportano i ponti di una nave.
4.Grog: bevanda alcolica composta da acqua e rum. Si usava solitamente sulle navi per “tener buono” l’equipaggio.
5.Whist: gioco di carte.
6.Bolina: La bolina è un'andatura che consente alla barca a vela di risalire il vento, mantenendo un angolo, rispetto al vento reale, mediamente tra i 60° e i 37°. Questo angolo è variabile a seconda del tipo di imbarcazione e del tipo di invelatura che essa supporta.
7.Pagaia: o Paddle. Strumento ligneo usato per battere, notoriamente, gli studenti o i figli maleducati.
8.Coltellacci: vele aggiuntive, sistemate ai lati delle principali per aumentare la velocità, la ‘portata’ del vento.
 

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Capitolo 3
*** III. ***


 
 
3.
 
 
 
 
 
Trafalgar, 21-X-1805
 
 
 
L’aria era densa, ammorbata da un fumo nero e acre che graffiava la gola e gli occhi.

Tutt’intorno, il rombo dei cannoni si confondeva con le grida degli uomini in battaglia.

Il clangore feroce delle spade feriva le orecchie mentre, cozzando tra loro, dipingevano archi ferali nell’aere ricco di odio.

La battaglia infuriava da ore, niente sembrava in grado di porvi un freno.

Nonostante il potente enclave nemico – formato dalle navi spagnole e francesi riunite assieme –  l’armata britannica reggeva bene il colpo.

L’Ammiraglio Nelson, al mascone di dritta della Victory, la nave che comandava con destrezza e abilità, era alla testa delle due linee di attacco.

Al suo fianco, la Royal Sovereign del Vice-Ammiraglio Collingwood, suo amico di vecchia data e grande esperto di marineria, lo spalleggiava con vigore e abilità.

Sfruttando con abilità un inusuale schema di attacco1, contrario a tutti i canoni della battaglia marittima, Nelson era riuscito a sfondare le linee nemiche.

In quel modo rocambolesco e inedito, era infine riuscito a porre sotto il fuoco dei cannoni britannici entrambe le armate nemiche.

Arpioni vennero perciò lanciati in aria per abbordare le navi e Andrew, fianco a fianco con Christofer, sogghignò all’indirizzo dell’amico.

“A chi arriva per primo al capitano della Belle Mer! Ci stai, Harford?”

“Sei pazzo! Io punterò a farne fuori il più possibile e basta. Non mi interessa il grado delle loro mostrine!” sbuffò l’amico, acquattato dietro l’impavesata di dritta2.

In attesa dell’urlo del capitano, che avrebbe dato loro il via per l’arrembaggio alla nave, Christofer fremeva di impazienza e paura assieme.

Tutt’intorno a loro, caos, urla, sangue e morte.

Willford gridò all’improvviso, sovrastando con la sua voce stentorea il crepitio proveniente dalle imbarcazioni vicine, che stavano già ardendo sotto i loro occhi.

Il cannoneggiamento subito dai brigantini inglesi aveva lasciato il segno, e ora era tempo di abbordare.

Come un sol uomo, i membri della White Star si lanciarono sulle passerelle gettate tra le due navi, dando l’assalto alla fregata francese che avevano preso di mira.

Da quel momento non vi fu più spazio per pensare.

I colpi dei moschetti sibilarono vicino alle orecchie di Chris mentre, con precisione mortale, affondava la sua spada nel petto dei nemici.

Andrew, poco lontano da lui, si avventurò con grazia ferina lungo il ponte, menando fendenti su fendenti, e gridando con ferocia a ogni nuovo assalto.

Il visconte non ebbe il tempo di controllare che, al suo amico, stesse andando tutto bene, poté solo sperare che quello non fosse il suo giorno.

Era già difficile, per non dire impossibile, tenere a bada la sua stessa sorte, figurarsi quella altrui.

Sotto il sole pallido di quel giorno di ottobre, la battaglia perdurò per un tempo indefinito, lasciando dietro di sé corpi morti e sangue rappreso.

Quando infine gli uomini della White Star guadagnarono la sottocoperta, si rallegrarono del bottino che, entro breve, avrebbero ricondotto a bordo.

Sceso per primo lungo le strette e ripide scale di legno che conducevano dabbasso, Chris si volse indietro per controllare che Andrew fosse con lui. 

Nel momento stesso in cui il giovane mise piede sul pagliolo3 di sottocoperta, esclamò allegro: “Il re sarà fiero di noi, amico mio! Guarda quanta bella roba!”

Già sul punto di ridere dell’allegria dell’amico, Christofer ebbe sì e no il tempo di gridare per la sorpresa quando, da babordo4, un colpo di cannone sfondò la fiancata.

Il colpo scaricò tutt’intorno schegge di legno, metallo e tutto ciò che la palla di metallo, scagliata da una nave limitrofa, trovò sul suo cammino.

Atterrando in malo modo a circa cinque iarde dal punto d’impatto, la gamba trafitta da un dolore lancinante, Chris cercò comunque di alzarsi a sedere.

Fu così che scoprì di avere il braccio destro ricoperto di sangue, dolente all’altezza del bicipite.

Controllatolo, trovò una profonda ferita a squarciarne le carni, inferta sicuramente da un oggetto contundente, infrantosi contro di lui a causa del colpo di cannone.

Pur se sanguinante, non sembrò comunque così brutta da doverlo preoccupare.

Quel che, invece, vide sulla sua gamba destra, lo mise subito in allerta.

Un pezzo di legno lungo almeno un piede spuntava dai suoi calzoni, acuminato e feroce come una spada.

Dal muscolo tranciato, giungevano scosse dolorose così forti che, se fosse stato in un’altra situazione, avrebbe urlato a squarciagola per il male.

Guardandosi in fretta attorno, accertandosi di non avere potenziali nemici nei pressi, si rilassò immediatamente quando vide comparire dalla scaletta alcuni dei suoi compagni.

Evidentemente, la nave era in mano loro.

Questo gli permise di concentrarsi sulla ricerca di Andrew che, sicuramente, doveva essere nei paraggi, probabilmente ferito a sua volta.

Di certo, avrebbe avuto una battuta pronta anche per quell’evento, ne era più che sicuro.

I chiari occhi color del ghiaccio di Christofer si misero perciò alla ricerca della sua figura, mentre alcuni marinai lo raggiungevano per conoscerne le condizioni.

Quando infine scorse la chioma biondo scura dell’amico, a poche iarde da lui, si accigliò immediatamente e il panico tornò ad assalirlo.

Qualcosa non andava.

Aiutato da alcuni uomini della White Star a rimettersi in piedi, Christofer ansò spaventato: “Controllate lord Barnes! Presto!”

Completamente addossato a uno dei marinai, il visconte osservò gli uomini che, con competenza, spostarono il materiale che ricopriva il corpo inerme di Andrew.

Scoprire cosa, quelle assi scomposte, avevano nascosto alla sua vista, fu uno shock.

Sgranando gli occhi fin quasi a farsi male, Harford fissò incredulo l’enorme pezzo di legno che, come una freccia, trafiggeva il petto dell’amico, all’altezza del cuore.

Non un alito usciva dalle sue labbra dischiuse, né la parvenza di una scintilla di vita brillava in quegli occhi azzurri, spalancati e vacui.

Arrancando verso di lui dopo aver abbandonato il fianco del marinaio che, fino a quel momento, lo aveva sorretto, Christofer crollò accanto all’amico scuotendolo con forza.

Sapeva quanto inutile fosse quel gesto, ma non riuscì a impedirselo.

Gli occhi inondati di lacrime, il visconte sfiorò con dita tremanti il viso di Andrew, sussurrando il suo nome con tono incredulo.

Al suo fianco, sempre più marinai si assieparono per osservare mestamente il corpo morto del giovane baronetto.

Strette le mani ad artiglio sulla blusa blu macchiata di sangue, Christofer si ripiegò su se stesso, fin quasi a sfiorare il viso di Andrew con i capelli. 

Facendo sobbalzare tutti i presenti, lanciò poi un grido disumano, colmo di tutto il suo dolore, la sua frustrazione, il suo senso di perdita.

Con rabbia sempre maggiore, cominciò a picchiare i pugni sul pagliolo insozzato di sangue, polvere e detriti.

Mentre i marinai lo portavano via perché fosse curato, Christofer continuò a urlare il nome dell’amico sempre più forte, sempre più forte. Ininterrottamente.

Raggiunta finalmente la  coperta della nave ormai conquistata, gridò ormai allo stremo: “Non gettatelo in mare! Non gettatelo in mare!”

Ciò detto, il dolore prese il sopravvento sulla sua volontà di non perdere di vista l’amico e, come una marionetta senza più fili a sostenerla, crollò svenuto tra le braccia dei marinai.

Nel cielo, un albatro lanciò il suo lugubre richiamo.
 
***

Sprazzi di lucidità si alternarono a ore di delirio, mentre sogni di luoghi e persone che non conosceva, o pensava di non conoscere, si alternavano a suoni confusi, voci roche e preoccupate.

Il dolore che lo attanagliava era così forte, così incessante, che anche gridare era ormai divenuto inutile.

La morte sembrava la soluzione migliore, eppure la Falce Nera sembrava non voler giungere, almeno non per lui.

Quale sollievo sarebbe stato!

Nessun problema, nessuna ansia, nessuna responsabilità.

Si sarebbe lasciato trasportare via, lontano da tutto ciò che rappresentava una sofferenza per lui, e avrebbe ritrovato…

“Andrew…” gracchiò senza forze, riaprendo gli occhi, sgranandoli fino al limite consentito.

Una mano si poggiò sul suo torace dolente, impedendogli di muoversi, mentre un volto a lui familiare comparve dinanzi ai suoi occhi, sorridendogli ironico.

“Hai la pellaccia dura, Harford. Ormai pensavamo di averti perso.”

Christofer strizzò gli occhi per un attimo prima di mettere a fuoco quel viso scavato dalla barba incolta e gli occhi neri, che lo stavano fissando con quieta comprensione.

Il dottor Hellisson.

“God… Godfried…” ansò il visconte, la gola riarsa e dolorante.

Subito, il dottore lo sollevò appena per permettergli di ingollare un sorso di acqua mescolata a whisky.

Dopo aver tossito un paio di volte, riuscì ad articolare un’intera frase senza doversi fermare.

“Cos’è successo, dottore?”

Poggiate le mani sui fianchi stretti, l’uomo lo fissò per alcuni attimi, forse indeciso sul da farsi, prima di mormorare spiacente: “Lord Barnes è morto. Non abbiamo potuto fare nulla, per lui.”

La gola si mosse a vuoto, la bocca nuovamente secca.

La saliva non riuscì a scivolare in gola, per chetare il dolore che gli pulsava nella laringe.

Le mani artigliarono la tela ruvida dell’amaca su cui era disteso e, mentre stralci di immagini iniziavano a balenare come spettri nella sua mente, lui rammentò.

Il colpo di cannone, la ferita di Andrew, le sue urla disperate, lo svenimento.

Lappandosi le labbra inutilmente, anche la lingua era screpolata e asciutta, Christofer ansò: “Che ne è stato… di lui?”

Accennando un mezzo sorriso, Hellisson gli spiegò succintamente: “Il mastro d’ascia gli ha preparato una cassa in cui è stato sistemato, in attesa di arrivare a Londra.”

Un sospiro di sollievo fu seguito da una domanda silenziosa, dipinta nei suoi occhi chiari.

Il dottore, accomodatosi su un piccolo treppiede di legno, lo informò su ciò che, durante la sua lunga agonia, Christofer non aveva potuto sapere.

“L’Ammiraglio Nelson è morto per un colpo di moschetto, durante i combattimenti, ma la flotta britannica ha comunque sgominato il nemico e il comandante della marina francese, Villeneuve, è stato catturato. In questo momento, lo stanno conducendo a Londra perché sia incarcerato. Tu hai riportato ferite di diversa entità, e hai avuto la febbre per quattro giorni. Da stamattina, sei sfebbrato. Il braccio destro ha subito una lieve lacerazione al bicipite, ma sta guarendo bene. Ti ho tolto dal torace diverse schegge di legno, e i tagli guariranno perfettamente nel giro di un mesetto. Che mi preoccupa, è la tua gamba destra.”

Christofer lanciò un’occhiata dubbiosa all’indirizzo dell’arto, trovandolo fasciato e steccato per maggiore sicurezza.

Pulsava tremendamente e, a giudicare dalla macchia scura che intravedeva, la medicazione avrebbe dovuto essere sostituita entro breve tempo.

“Ti ho applicato dell’allume di rocca5 per ridurre l’emorragia, dei cataplasmi per evitare infezioni e ho ricucito la ferita meglio che potessi, ma la lacerazione era così importante e profonda che, temo, potresti rimanere zoppo a vita. Con un buon esercizio e tanta pazienza, potresti anche non aver bisogno del bastone, ma sarai sempre un po’ claudicante” gli spiegò il dottore, seguendo la direzione dello sguardo del suo paziente.

Con un ironico sorriso di scherno, Christofer scrollò poi le spalle prima di indicarsi la gola e gracchiare: “La voce?”

“Hai urlato così forte il nome di Andrew, e per così tanto tempo, che hai irrimediabilmente rovinato le tue corde vocali. Ora sono irritate ma, nel giro di un mese o due, dovresti recuperare parte del tuo tono di voce. Scordati di urlare però, perché d’ora in poi non ci riuscirai più” lo mise in guardia Hellisson, ammiccando.

“Ottimo” brontolò lui. “Ne sarà felice mia…”

Non riuscì a terminare la frase.

Il pensiero di Kathleen, e del fratello, gli balenò nella mente come un colpo di moschetto, facendolo rabbrividire di terrore puro.

Avrebbe dovuto essere lui a informarla, lui a sorreggerla, lui a consolarla.

Non aveva idea se sarebbe stato in grado, o meno, di adempiere a quel compito così infelice.

Dio! Dopo il figlio, ora, anche il fratello!

Come avrebbe potuto affrontare tutto questo? Si poteva chiedere tanto, a una donna?

“Non è tutto” lo informò il dottore, accigliandosi leggermente.

“Cioè?” mormorò Christofer, adombrandosi in viso.

“Tuo padre è morto poche settimane fa. Ce ne è giunta notizia ieri. Il re ha disposto che tu sia ricondotto a casa per prendere le redini della tua famiglia, visto che sei l’unico maschio in età matura – e in salute – degli Harford. Mi spiace” sussurrò contrito l’uomo.

Christofer si limitò ad annuire, non sapendo bene come sentirsi.

Sapeva che, bene o male, tutta la nobiltà era a conoscenza della salute cagionevole di Wendell e molti, addirittura, scommettevano su quanto tempo sarebbe sopravvissuto.

Gli sciacalli!

Non faceva specie che Godfried avesse parlato di lui come dell’unico figlio maschio sano, in famiglia.

A quanto pareva, però, Wendell aveva battuto ogni pronostico, sopravvivendo al padre.

Morto. Suo padre era morto.

La testa gli crollò sul misero cuscino di rozza juta e, chiusi un momento gli occhi, cercò di concentrarsi su quella semplice parola. Morto.

Cosa provava? Dolore, afflizione, risentimento, paura?

Niente. Non provava niente.

Il che, forse, era peggio di qualsiasi altro sentimento.

Possibile che la guerra avesse rinsecchito le sue emozioni?

Non lo credeva.

La morte di Andrew serpeggiava dentro di lui, lasciando morsi sanguinanti nella sua anima, e quei colpi di zanna li sentiva tutti. Percepiva un dolore lanciante.

Perciò?

Non c’era dunque spazio, nel suo cuore, per una goccia di dolore per la scomparsa del padre?

Forse no, visto come si erano lasciati, visto come aveva rovinato la sua vita, visto quanto poco – da sempre – era stato compreso da lui.

Quando riaprì gli occhi, erano asciutti e, fissando il dottor Hellisson, mormorò roco: “Il re mi rivuole a casa, eh?”
“Ha pensato che la tua famiglia abbia già subito troppi lutti” commentò atono il dottore.

Come se le altre famiglie non avessero subito la loro stessa sorte.

Ma essere cugini del re, seppure alla lontana, contava ancora qualcosa e, in quel momento, quella scomoda parentela lo stava riportando a casa.

Senza più forze, tornò a chiudere gli occhi. C’era troppo a cui pensare, e non ne aveva ancora la forza.

Il dottore gli diede una pacca sulla spalla, levandosi dal treppiede.

“Riposa. Per arrivare a Londra, mancano ancora alcuni giorni di viaggio. La White Star è parecchio acciaccata, e non viaggia con il suo solito spunto.”

Chris abbozzò un sorriso e, dopo un sospiro, si addormentò.

 
 
 
 
 
 
 
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1.…schema di attacco: faccio riferimento all’attuale ‘strambata’, elson ideò proprio per combattere durante la Battaglia di Trafalgar.
2.Impavesata di dritta: l’impavesata è il parapetto della nave. La dritta è la destra.
3.Pagliolo: piano rimovibile su cui si può camminare. Forma i vari pavimenti di sottocoperta della nave e, all’occorrenza, può essere asportato per portare un maggiore carico nella stiva.
4.Babordo: parte destra della nave.
5.Allume di rocca: o allume di potassio. Minerale utilizzato un tempo come emostatico, serviva cioè a ridurre le emorragie.






Note: So che in questo momento mi odierete ma, ai fini della storia, Andrew aveva questo destino in tutti i possibili finali che ho visto per questa storia. Vi sarà più chiaro tutto quando sarà Myriam a parlare ma, per il momento, abbiate fiducia.
So che il dolore potrà essere grande, come è giusto che sia se vi siete già affezionate al personaggio, ma lo è anche per colei che lo ha creato, e per i personaggi ad esso legati.
Spero di ritrovarvi anche la prossima settimana. A presto!

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Capitolo 4
*** IV. ***


 
4.
 
 
 
 
Londra, 25-X-1805
 

Pioggia e neve lo accolsero al suo arrivo, assieme a un vento gelido che spirava dal Tamigi, investendo le navi alla fonda nei docks.

Gli scaricatori di porto, impegnati nel carico e scarico dei bastimenti, parevano non avvertirlo ma, più probabilmente, erano così abituati da infischiarsene.

Il mantello di lana ben stretto intorno al collo, Christofer discese con passo malfermo la passerella fino a toccare terra.

Una folata di vento si incuneò feroce sotto le falde del manto lanoso, mettendo in mostra il pesante bastone a cui il conte si reggeva con forza.

Quando il marinaio che lo accompagnava si allontanò per chiamare una carrozza per lui, Harford vi si dovette appoggiare di peso, tremando irrefrenabilmente.

Non era guarito del tutto, lo sapeva bene anche da solo e, pur se il dottore era stato ottimista sulla sua ripresa, in quel momento si sentiva solo un infermo e poco altro.

Le condizioni meteorologiche non lo aiutavano certo a vedere un futuro lieto, soprattutto quando l’occhio cadeva sulla bara in cui riposavano le spoglie mortali di Andrew.

Se il tempo non fosse migliorato, avrebbero di sicuro impiegato più di qualche giorno, per raggiungere lo Yorkshire.

Ammesso e non concesso che le strade del Nord fossero ancora percorribili, col sopraggiungere di novembre.

Quando infine vide arrivare un carrettiere e, con esso, una carrozza senza insegne guidata da un uomo di mezza età, Christofer ringraziò il marinaio per la cortesia e lo lasciò tornare sulla nave.

Atono, poi, spiegò ai due conduttori dove avrebbero dovuto recarsi, e cosa avrebbe trasportato il carro.

I due uomini espressero le loro condoglianze, ringraziando lo stesso conte per il suo impegno nella guerra contro Napoleone.

Al cenno di assenso di Christofer, entrambi lo rassicurarono circa le condizioni delle strade, ancora agibili nonostante il tempo inclemente con cui Londra lo aveva accolto.

Nell’accodarsi dunque al cocchiere per salire sulla carrozza, mormorò: “Debbo fermarmi all’ufficio della darsena per inviare un messaggero. Dopodiché, potremo partire.”

“Sì, milord, non ci sono problemi. Se preferite, posso prendere nota io di tutto, e parlare direttamente con il corriere postale” si offrì cordialmente il cocchiere, lanciando un’occhiata veloce al bastone di Chris.

Troppo stanco per impuntarsi – l’unica cosa che voleva era sedersi all’asciutto e non pensare più a niente – il conte annuì, depositando sulla sua mano una corona d’oro.

Dopo aver dettato uno scarno comunicato per la famiglia, salì infine in carrozza e lì si lasciò cadere contro i cuscini di velluto scuro, sospirando.

Quell’ambiente era pulito e salubre, privo degli odori aggressivi e violenti che, per mesi e mesi, avevano solleticato le sue narici, all’interno della nave.

Era già tanto che non stesse riportando a casa un’infestazione da pidocchi, o peggio, dopo quel passaggio diretto all’Inferno.

Passando una mano sul sedile morbido, ne studiò il tessuto lievemente consunto sui bordi, e sorrise.

Certo, l’interno non aveva i velluti damascati della carrozza degli Harford, o le sue elaborate tendine in Pizzo Sangallo, ma in quel momento non gli importò nulla.

Era un luogo comodo, in cui avrebbe potuto stare da solo con i suoi pensieri e i suoi demoni.

Quando la vettura prese il via, Christofer si calò la tuba sul viso e, con un ultimo sospiro, cercò di rilassarsi.

Tra la sosta alla darsena e il tempo impiegato per uscire da Londra, persero più o meno un paio d’ore.

Nel frattempo, Christofer pensò e ripensò a ciò che aveva consegnato alla carta pergamenata partita col corriere, così da mettere al corrente Kathleen del suo ritorno.

 
 
Mia diletta Kathleen, mi duole informarvi della perdita prematura di vostro
fratello. Il mio cuore piange con voi in ogni istante, e le sole parole non possono
esprimere il senso di perdita che avverto a ogni respiro, a ogni battito del mio cuore.
Presto sarò con voi per piangere e ricordare insieme l’amato Andrew.

Christofer

 
Per l’ennesima volta, si chiese se non avesse detto troppo, o troppo poco, in quello scritto.

Forse, avrebbe potuto infiocchettare il tutto, aggiungere qualche verso con cui addolcire la notizia ma, alla fine, gli era parso solo sciocco e inutile.

In qualsiasi veste essa si presentasse, la morte era pur sempre morte.

Anche se abbellita di bianchi fiori o sgargianti fiocchi, essa era definitiva, senza scampo.

Nulla avrebbe potuto alleviare il dolore che sarebbe scaturito da quella missiva, … solo il tempo, forse.

A ogni modo, tutto era preferibile al presentarsi alle porte di Green Manor con la bara di Andrew, e senza aver preventivamente avvisato Kathleen della sua fine prematura.
 
***

Il profilo di Andrew si stagliava su un orizzonte gorgogliante di nubi temporalesche, alte onde spumeggianti e fulmini dall’aspetto terrificante.

La tempesta che li aveva accolti al largo delle Antille, li stava sbatacchiando come turaccioli in una vasca smossa da un bimbo pestifero.

Eppure, Andrew non aveva paura, mentre fissava cavi di sicurezza, o raccoglieva imberbi marinari per rimetterli diritti.

Nei suoi occhi brillava quella luce che solo i veri marinai accolgono a piene mani; il richiamo degli oceani, il loro canto ancestrale, simile a quello delle sirene dei miti.

Era in quei momenti, in cui Christofer tremava per l’amico.

Era in quei momenti, in cui temeva di perderlo del tutto.

Era in quei momenti, nonostante tutto, in cui sapeva di vedere il vero volto di Andrew.

Non il raffinato nobiluomo della casata di suo padre, non l’abile fiorettista o l’elegante cavaliere.

No, Andrew era nato per il mare, e quella era la sua vera casa.

Non il palazzo a York, non le splendide dimore di campagna di casa Barnes.

Quell’ammasso di assi, sartiame, sale e sangue, era ciò che lui più bramava, e Christofer lo sapeva da anni, ormai.

Non aveva mai temuto per lui, prima della partenza per la guerra, perché l’amore di Myriam gli era parso bastargli.

Si era stupito, nel venire a conoscenza della sua decisione di sposarsi, ma aveva plaudito il cielo in silenzio, per questo.

Il mare non se lo sarebbe preso, dopotutto.

Quando il Corso aveva iniziato la sua campagna di conquista, però, ogni cosa era andata a rotoli e Andrew si era offerto volontario per partire.

In barba alle strenue proteste del padre.

Non di Myriam, però. Lei, al pari di Christofer, sapeva che tipo d’uomo fosse,… sapeva chi aveva sposato, e bloccarlo avrebbe voluto dire ucciderlo lentamente.

Non subito ma, nel corso degli anni, Andrew avrebbe finito con l’odiare Myriam, e la donna questo l’aveva saputo fin dal giorno in cui aveva detto ‘sì’ di fronte a Dio.

Se si voleva amare Andrew, si doveva anche venire a patti con quel suo lato libero e senza freni.

Myriam lo aveva accettato, Christofer lo aveva accettato, Kathleen lo aveva accettato.

E ora, aggrappato a uno degli stragli della nave, con l’acqua che lo colpiva in faccia con violenza, Andrew si volse verso l’amico e urlò: “Non è la cosa più bella che tu abbia mai visto?!”

Harford si svegliò di soprassalto, il viso ricoperto di sudore e il cuore a pompargli nel petto come un martello.

Si guardò intorno confuso, non riconoscendo per un attimo gli interni della carrozza che lo stava riaccompagnando a casa.

Con il migliore amico chiuso in una cassa di pino.

“Era un sogno…” mormorò, passandosi una mano sul viso prima di scrutare al di fuori del finestrino.

Pioveva, anche se alcuni fiocchi di neve si inframmezzavano a quelle gocce prepotenti e fitte.

Sospirando, tornò a poggiare il capo contro lo schienale della panca imbottita su cui era seduto.

Non aveva badato ai rigori del viaggio, o ai luoghi che avevano toccato durante la loro risalita verso York.

Aveva osservato distratto le locande in cui avevano soggiornato per la notte, così come i paesaggi brulli, pronti per il riposo invernale.

Giorno e notte si erano alternati gli uni uguali agli altri, senza cambiamenti di nessun genere.

Un fruscio di legno riscosse Christofer dalla sua trance, mentre la voce compita del cocchiere gli giungeva dallo sportellino che l’uomo aveva aperto dalla cassetta.

Green Manor dista meno di un’ora, milord. Abbiamo i cancelli della tenuta dinanzi a noi.”

Harford assentì, ringraziando l’uomo e, quando oltrepassarono i pilastri di granito che sorreggevano gli alti cancelli bruniti, seppe di essere giunto al termine di quel tedioso viaggio.

Impiegarono poco più di mezz’ora per raggiungere la villa, sita su un colle e circondata da un boschetto di faggi secolari.

Le alte mura della villa, così come le sue ampie vetrate, erano come lui le ricordava, allo stesso modo dei giardini all’italiana ai lati della magione, ora spogli e privi di colore.

La prima neve era caduta, imbiancando ogni cosa.

La pioggia fastidiosa che li aveva accompagnati fino a qualche minuto prima, però, aveva creato un denso strato di fango, dinanzi alla breve scalinata d’entrata.

Là, sull’ampia spianata antistante i portoni di legno che si aprivano sull’interno della villa, quattro figure attendevano il suo arrivo.

Quando la carrozza si fermò, Christofer prese un gran respiro prima di guardare il pannello della porta aprirsi per lui.

I gradini vennero fatti discendere e il cocchiere gli porse una mano per aiutarlo, cui il conte dovette gioco forza appoggiarsi per non ruzzolare malamente.

Quando gli stivali furono ben saldi sul terreno infangato, Harford ringraziò con un cenno il cocchiere e scrutò il palazzo natio.

Lesto, quest’ultimo si avvicinò al carrettiere per aiutarlo a scaricare la bara dal carro e i miseri bagagli del conte.

Puntato finalmente lo sguardo in direzione dell’ingresso, il giovane riconobbe subito la madre, in gramaglie non meno della ragazza al suo fianco.

Poco più in là, tenuto per mano da un uomo alto e bruno che non riconobbe, Christofer scorse Wendell, mogio e pallido come sempre.

Impiegò qualche istante prima di riconoscere come sua moglie, la fanciulla al fianco di sua madre Whilelmina.

Kathleen appariva molto maturata, in quei due anni di lontananza.

Più snella di quanto non ricordasse, aveva però linee morbide e femminili, messe in evidenza dal vento che, inclemente, schiacciava il suo abito scuro contro il giovane corpo di donna.

La veletta stesa sul volto ne celava i segreti e le sue mani, dalle dita lunghe ed esili, erano strette in mezzi guanti di pizzo nero.

Se ne stavano distese sull’ampia gonna di velluto, leggermente tremanti nonostante l’apparente contegno.

Forse, avrebbe voluto stringerle a pugno, o rivolgerle contro il marito come vendetta per non aver difeso Andrew. Chissà.

Ma Kathleen era troppo ben educata per lasciarsi andare a simili gesti impulsivi.

L’uomo al suo fianco, lo sconosciuto, le rivolse alcune brevi parole, cui lei annuì con un cenno del capo.

Imponente, dall’ampio petto, gli scuri e mossi capelli stretti in una coda di cavallo, l’uomo aveva la mascella volitiva, oltre a zigomi alti e fieri.

Quest’ultimo fissò il conte con aria imperscrutabile, prima di abbandonare il fianco di Wendell con un sorriso di scuse.

Si mosse perciò verso Christofer con movenze fluide, raggiungendolo in poche falcate, a cui fece seguire un inchino rispettoso.

“I miei omaggi, conte Spencer. Il mio nome è William Knight, attendente di Sua Signoria la contessa. Sono stato assunto qualche settimana dopo la vostra partenza, per cui volevo presentarmi subito a voi, e porgervi le mie più sentite condoglianze” si presentò l’uomo, tornando a fissarlo con i suoi penetranti occhi color del whisky invecchiato.

Annuendo distrattamente, Christofer  mormorò: “Oh, sì, capisco. Non fa specie che non mi ricordassi di voi, mister Knight. Siate così cortese da aiutare uno storpio a salire le scale di casa propria, visto che siete qui.”

William abbozzò un sorriso e un cenno rispettoso del capo, offrendogli poi il braccio.

Dal retro della villa, nel frattempo, diversi domestici giunsero nel cortile per aiutare carrettiere e cocchiere a trasportare la bara di Andrew nel seminterrato di palazzo.

Nel tempo impiegato a risalire le poche scale di granito grigio, la cassa di pino venne condotta via, lontano dai loro occhi tristi.

Quando Christofer finalmente raggiunse la sua famiglia, prese un respiro e si scostò dal corpo imponente di William con un mesto sorriso di ringraziamento.

Finalmente dinanzi alla madre, il conte la abbracciò con il braccio libero, mormorando al suo orecchio: “Mi duole essere stato lontano nel momento del bisogno, madre.”

“L’importante è che tu ora sia qui, caro. Tutto andrà meglio, adesso” lo rassicurò la donna, minuta e fragile nel suo abbraccio.

Christofer salutò poi Wendell con una carezza sui lisci capelli rossicci, a cui lui rispose con un sorriso e una riverenza.

A quel punto, però, non trovò altre scuse per non affrontare Kathleen.

Era dunque giunto il momento.

Non poteva procrastinare oltre l’inevitabile.

Volgendosi perciò verso la moglie, Christofer cercò gli occhi di Kathleen oltre la veletta scura.

Nell’avvedersi del suo cipiglio, e della fierezza con cui affrontò la sua occhiata, ne rimase sorpreso.

Dov’era finita la ragazzina spaurita di due anni prima?

“Siamo felici che siate potuto tornare vivo, mio signore” esordì lei, la voce vellutata di una giovane donna, non più di una ragazzina inerme.

Sempre più colpito da quella creatura, che non riusciva a ricollegare alle memorie legate alla moglie, Christofer annuì mestamente al suo indirizzo.

“E io sono lieto di vedervi in salute, mia signora, pur se comprendo quanto il vostro cuore stia piangendo lacrime di sangue.”

“Eravate con lui?” chiese soltanto Kathleen, lo sguardo ancora fisso in quello del conte.

Lui annuì ancora e la giovane, lappandosi nervosamente le labbra – unico accenno al suo reale stato d’animo – mormorò: “Grazie. Sono lieta che non sia morto in solitudine. Come vi sono grata di avermelo riportato. Anche Myriam sarà felice di poter piangere lui, e non solo un ricordo.”

“Non avrei mai permesso che lo gettassero in mare” si premurò di dire Christofer, annuendo grave.

“Eravate buoni amici, lo so.”

Kathleen assentì prima di scrutare William, allungare una mano nella sua direzione e dire, all’indirizzo del conte: “Con il vostro permesso, vorrei andare da mio fratello per porgergli i miei saluti e le mie preghiere.”

L’uomo annuì semplicemente e la moglie, al braccio del suo attendente, si allontanò dopo una breve riverenza, leggera come una farfalla quanto altrettanto elegante.

Rimasto solo con la madre e il fratello – la servitù, in silenzio, li attendeva oltre la porta d’entrata – Christofer domandò: “Da dove proviene, quell’uomo? Non mi sembra sia della zona. E il suo timbro vocale… mi pare sia londinese, o sbaglio?”

Annuendo, Whilelmina affiancò il figlio maggiore mentre, con passo lento, si dirigevano verso l’entrata della villa per salutare la servitù tutta.

Con tono tranquillo, la donna mormorò la sua risposta.

“E’ un bravo giovane che fu mandato qui da Andrew stesso. Kathleen lo conosceva già, e aveva ottime referenze al seguito. Il caro Andrew ha pensato in prima persona a stipendiarlo. Mister Knight ha un vitalizio a suo nome e, quando gli è stato domandato se volesse essere annoverato tra la servitù di palazzo, ci ha detto di non avere occorrenza di nulla, se non di vitto e alloggio poiché, la cifra destinatagli dal primogenito dei Campbell, era più che sufficiente per le sue necessità.”

Sinceramente sorpreso, il conte esalò: “Andrew non mi aveva detto nulla! Chissà perché ha voluto un suo dipendente al servizio della sorella?”

“Si fidava ciecamente di lui, evidentemente” chiosò la madre, con un sorriso teso.

“Ed è evidente che non solo Andrew si fidava di quest’uomo” convenne Christofer, giungendo infine dinanzi alla servitù.

Salutando per nome ciascuno dei suoi dipendenti, Harford ebbe una parola per tutti e la servitù, nessuno escluso, espresse il suo bentornato.

Gli occhi, però, trasmisero all’uomo una generosa dose di insicurezza, mista a un sentimento generalizzato di sfiducia.

Senza lasciarsi intimorire – in fondo, non lo vedevano da due anni – Christofer si rivolse infine al suo valletto, Julian.

Battendogli una pacca sulla spalla, lo pregò di dargli una mano e il giovane, prodigo di attenzioni, lo aiutò a incamminarsi verso le scale.

La madre, a quel punto, si affrettò a scusarsi per raggiungere la nuora nel seminterrato, pur certa che William le stesse offrendo degno sostegno morale.

Wendell attese un attimo dopodiché, con un sorriso di scuse, seguì la madre, trotterellando via sulle esili gambe.

Vagamente confuso, il giovane conte si chiese cosa stesse succedendo in quella casa, che non riconosceva più come sua.

Chieste quindi informazioni al suo valletto, scoprì quanto William fosse benvoluto da tutti, e come Kathleen fosse addirittura idolatrata dal suo attendente personale.

Per non parlare della servitù tutta.

Reso ancor più curioso dalle lodi entusiastiche di Julian, Christofer si informò sull’avvenimento che aveva condotto suo padre alla morte.

Quando Julian si mostrò scevro di notizie e sì, avaro persino di sentimenti, il conte si pose mille altre domande, e tutte senza risposta.

Rimasto infine da solo, ristette per ore nel suo enorme letto solitario per riposarsi in vista della cena.

Fu solo con l’imbrunire, che trovò il coraggio di risollevarsi dalle coltri profumate di agrifoglio.

All’atto di uscire dalla sua stanza per recarsi nel salone del pranzo, scoprì con sua somma sorpresa di non dover discendere le scale per raggiungere la sala al pianterreno.

Di comune accordo con la suocera, Kathleen aveva deciso di utilizzare la piccola saletta per la colazione, che si trovava al piano delle camere da letto.

Ciò avrebbe evitato a Christofer inutili percorsi a ostacoli, lungo le impervie scale di palazzo.

Raggiunta che ebbe la stanza, illuminata a giorno grazie all’ampio lampadario, il conte vi trovò già la moglie che, prima ancora del domestico, scostò la sedia per lui.

Accomodandosi sotto gli occhi attenti di Kathleen, il cui volto ora era libero dalla veletta nera, Christofer la osservò mentre si sedeva all’altro capo del corto tavolo.

Servita direttamente da William, che pareva non abbandonarla mai, Kathleen appariva una statua, impassibile e lontana come una dea nel suo tempio.

Con un cenno del capo da parte della padrona, l’attendente svanì dietro una porticina per non ricomparire.

Qualche attimo dopo, fecero il loro ingresso la contessa madre, ancora in gramaglie non meno di Kathleen, e il fratellino, in abito scuro e con il plastron leggermente macchiato.

A prima vista, Christofer immaginò trattarsi di cioccolata e, tra sé, sorrise.

Se Wendell mangiava la cioccolata, non doveva stare male, il che era già un sollievo.

Voleva bene a quel bambino emaciato e troppo debole per il suo carattere solare, e tremava al pensiero che potesse ammalarsi e morire.

Troppe volte avevano rischiato di perderlo, e il periodo invernale era sempre la stagione peggiore, per lui.

A un suo ordine, venne servita una cena leggera in un silenzio tutto sommato rilassato, spezzato ogni tanto dalle domande di Wendell sulle navi e i combattimenti.

Christofer rispose a tutte le sue richieste, lanciando nel contempo occhiate attente all’indirizzo della moglie, a sincerarsi che quegli argomenti non la turbassero.

Notò solo dei cerchi rossi attorno ai suoi strani occhi verde-oro, oltre all’aria abbattuta e stanca.

Whilelmina, ogni tanto, domandò al figlio notizie sullo stato di Napoleone mentre, tra una portata e l’altra, i domestici ripulivano la tavola dei vassoi ormai vuoti.

Il conte si limitò a brevi notizie, tutte edulcorate dei fatti più raccapriccianti.

Dallo sguardo serioso di Kathleen, Christofer comprese però senza problemi che, ciò che lui non disse, fu tranquillamente immaginato dalla donna.

Non volle esaminare a fondo il viso della madre, poiché lo turbava l’idea che anche lei potesse sapere quanto sangue fosse corso sulle lame francesi e spagnole.

Ma Kathleen gli parve più forte, più coraggiosa, perciò più pronta a simili incubi a occhi aperti.

Non sapeva da dove gli venisse quella certezza, visto che la ricordava pavida e insicura, ma i suoi sguardi parevano quelli di una persona senza paura alcuna.

Cosa l’avesse portata a un simile cambiamento, lui non lo sapeva.

A cena terminata, Christofer si scusò con la famiglia e si ritirò per la notte, troppo stanco per il lungo viaggio e desideroso unicamente di riposare in un vero letto.

Né la madre, né tanto meno la moglie si dimostrarono in disaccordo con lui.

Wendell, con un sospiro, gli chiese solo di poter parlare ancora con lui di guerra, il giorno seguente.

Chris glielo promise, deponendo sul suo capo un bacetto prima di ritirarsi.

Ben presto, nella villa calò il silenzio.

Solo il crepitio delle fiamme teneva compagnia a Christofer, nella sua stanza solitaria.

Nel massaggiarsi la gamba dolente e pulsante, il conte si diede dell’idiota per non aver accettato il bagno che Julian gli aveva offerto prima di cena.

Se avesse lasciato che il calore dell’acqua gli ritemprasse i muscoli della gamba, a quel punto non si sarebbe trovato con un tronco al posto dell’arto ferito.

Ma era difficile accettare di aver bisogno di così tante attenzioni, alla sua età.

Ancor più dura, era venire a patti con il fatto che, dopo due anni di privazioni, la donna a cui era sposato si trovava all’altro lato della porta.

E non aveva neppure il coraggio di raggiungerla.

Quale marito avrebbe potuto essere, per lei, storpio e ferito com’era?

Quale marito avrebbe potuto essere, per lei, visto quanto era stato insensibile?

Quale marito avrebbe potuto essere, per lei, visto che non era stato in grado di salvare Andrew?

A voler essere onesti, non gli era parsa desiderosa di volere compagnia, specialmente dopo aver passato tutto il pomeriggio a piangere il fratello scomparso.

La sola idea di unirsi a lui, probabilmente, la disgustava.

Proprio in quel momento di profonda commiserazione, un ciocco ebbe la malsana idea di rotolare verso l’esterno della bocca del camino.

Con un’imprecazione, Christofer si rese conto di non aver sistemato a dovere la rete di protezione dinanzi alle fiamme.

Avrebbe dovuto lasciar fare a Julian, invece di intestardirsi a voler fare tutto da solo!

A fatica, il conte fece così scivolare fuori dal letto le gambe dolenti e, afferrato che ebbe il bastone, si levò in piedi e iniziò a camminare stentatamente sui tappeti.

La rabbia montò in lui non appena serrò la mano sul manico in argento ma, non potendo farne a meno, avanzò claudicante verso il fuoco.

A ogni passo, la gamba destra pulsò con violenza sempre maggiore finché, messo un piede in fallo a causa di una piega in un tappeto, la caduta divenne inevitabile.

Senza potersi trattenere, né aggrappare ad alcunché, Christofer ruzzolò a terra, battendo malamente il ginocchio sano prima di terminare la caduta urtando il pavimento.

Il bastone rotolò lontano, andando a sbattere contro la porta che comunicava con la stanza di Kathleen.

Un’imprecazione seguì la caduta rovinosa.

Passandosi le mani sugli occhi strizzati per il dolore, il conte picchiò subito dopo i pugni sul pavimento freddo, dandosi più e più volte dell’idiota.

Fu solo il clic di una porta aperta in tutta fretta, a bloccare il suo fiume di imprecazioni.

Sorpreso e sgomento, fissò a occhi spalancati la figura nivea di Kathleen che, in camicia da notte e armata di candela, si affacciò sulla sua stanza.

La lunga chioma di capelli biondo-castani, che le scivolava in onde sinuose fin oltre i fianchi, pareva un morbido e caldo mantello, sulle sue esili spalle.

Christofer ne rimase suo malgrado ammaliato.

“Oh, mio Dio! Ma cosa state facendo lì a terra?!” esalò Kathleen, entrando di corsa e abbandonando la candela su un cassettone.

Inginocchiatasi in fretta al suo fianco, lo sguardo intenso a percorrerlo in fretta alla ricerca di ferite evidenti, la moglie aggiunse: “Avreste dovuto chiamare Julian, invece di avventurarvi da solo per la stanza semi buia.”

Ben conscio della propria incoscienza, Christofer si appoggiò su un gomito per mettersi seduto e, aggrottando la fronte, borbottò: “Ne sono cosciente, signora, ma non volevo svegliare il mio valletto per un semplice ceppo irrispettoso.”

Lanciato uno sguardo al fuoco, Kathleen fu lesta ad afferrare un alare per sistemare il ciocco incriminato.

Sistemata poi la rete metallica dinanzi al fuoco, aggiunse un paio di legni e si volse nuovamente verso il marito.

“Dovrei sgridare Julian per aver lasciato così incustodito il fuoco.”

“Non è sua la colpa, ma mia” replicò il conte, aggrottando la fronte. “L’ho… dimenticato.”

Levando un sopracciglio con aria evidentemente accigliata, la donna brontolò: “E per quale recondito motivo vi siete messo a giocare con il fuoco, mio signore? Non è cosa che dovrebbe spettare a voi.”

“Perché ne avevo voglia” protestò Christofer, accalorandosi.

E da quando Kathleen aveva il coraggio di rabberciarlo? O anche solo di parlargli con quel tono?

Chi era quella volpe scatenata che tutti sostenevano essere sua moglie? Lui non la ricordava affatto così!

Avvolto un braccio sotto le ampie spalle del marito, la fanciulla fece forza sulle gambe e ordinò torva: “Coraggio, vediamo di levarci da questo freddo pavimento, prima che le vostre condizioni peggiorino.”

“Sono capacissimo di alzarmi con le mie sole forze, moglie” protestò nervosamente l’uomo, pur dovendo ammettere tra sé che il suo aiuto gli era più che necessario.

Lei lo fissò scettica e, tenendolo fermamente sotto un’ascella, il braccio ben saldo dietro di lui, lo accompagnò fino al letto.

Quando fu sicura che fosse ben ancorato al baldacchino, corse a prendere il bastone da terra.

Christofer si prese il tempo di volgersi verso di lei e fu a quel punto che, complice il fuoco vispo nel camino, scorse il corpo longilineo e femminile della moglie attraverso il candore della camicia da notte.

Subitaneo quanto indesiderato, il sangue gli corse ai lombi e, un istante dopo, Harford si diede dell’idiota e dello screanzato.

Vile corpo traditore!

Non appena Kathleen fu di ritorno, lui la afferrò al polso per sorreggersi, per trattenere se stesso e le proprie voglie di uomo, ma la moglie male interpretò il gesto.

Lo scostò di malagrazia, quasi rendendo vano il suo salvataggio e, furiosa, sibilò: “Comportatevi da gentiluomo e non da zotico, per l’amor di Dio! Non sono una sciacquetta da sbattere su un letto per la vostra soddisfazione!”

“Come, prego?!” sbottò Christofer, già pronto a rabberciarla per essere stato ripreso per una cosa che aveva evitato di commettere.

Kathleen lo aggirò con passo sdegnato e, dopo aver appoggiato il bastone contro il suo comodino, lo fronteggiò a viso aperto.

“Il fatto che voi siate mio marito, non vi da il diritto di afferrarmi a un braccio per imporvi su di me. Mai più mi concederò a un uomo come se fossi un oggetto e basta. Neppure a voi!”

Detto ciò, se ne tornò nelle sue stanze sbattendo sonoramente la porta.

Rimasto solo a contemplare il vuoto della sua stanza, Christofer non poté che lasciarsi sfuggire un’imprecazione.

Come diavolo era riuscito a sbagliare, pur volendo fare la cosa giusta? Come, in nome di Dio?!
 
***

La mattina non portò consiglio, e una pioggia fitta e scrosciante lo svegliò di soprassalto, tamburellando violenta contro le imposte chiuse.

Julian si presentò di buon’ora, aprendo la sua stanza al nuovo, uggioso giorno.

Lavatosi e sbarbatosi, si fece aiutare con gli abiti e, con minuziosa attenzione, legò i capelli in una coda di cavallo per apparire il più ordinato possibile.

Quando infine raggiunse la saletta della colazione, a un paio di stanze di distanza dalla sua, vi trovò a sorpresa sua madre e sua moglie, nonostante l’ora antelucana.

Wendell se ne stava accanto alle finestre, impegnato a mordicchiare un panetto dolce.

“Buongiorno, mie signore, … fratello. Siete mattinieri, a quanto pare” asserì il conte, con tono neutro.

“Buongiorno a te, figliolo” mormorò la madre, sorseggiando del succo d’uva. “Io e Kathleen siamo solite levarci poco dopo l’alba… Wendell, invece, era ansioso di parlare di nuovo con te.”

Vagamente sorpreso – era insolito che una dama si presentasse prima di mezzogiorno, al cospetto del suo signore – Christofer si accomodò a fatica, digerendo quell’informazione insolita.

Un domestico si affrettò a servirgli uova strapazzate e bacon.

“Siete davvero encomiabili, non c’è che dire.”

“La mattina ha l’oro in bocca” chiosò serafica Kathleen, imburrandosi un panino dolce.

Il conte studiò di sfuggita il viso della moglie per comprenderne l’umore.

Contrariamente alla notte precedente, in cui i suoi sentimenti erano scaturiti come uno scoppio di bomba, quella mattina pareva ermetica quanto fredda.

“Senza Kathleen e Wendell, non so come avrei potuto sopportare queste settimane di lutto” asserì Whilelmina, sorridendo grata alla nuora, che rispose con un sorriso altrettanto sincero e diretto.

Parevano andare d’amore e d’accordo.

Wendell, tornando nei pressi del tavolo, diede un bacetto sulla guancia alla madre e, un po’ goffo, si sedette accanto a Kathleen, che sorrise amorevole al cognato.

“Siete come una madre, per me, non avrei mai lasciato che soffriste in solitudine” replicò cortese Kathleen, allungando una mano per sfiorare quella della suocera.

La donna accentuò il suo sorriso e Christofer, in dovere di dire qualcosa di carino, commentò: “Siete stata fortunata, madre, ad avere avuto Kathleen e Wendell al vostro fianco.”

“E’ una ragazza così cara e dolce!” assentì Whilelmina. “E Wendell mi ha confortata molto.”

Dolce?, ripeté tra sé l’uomo, ripensando alla volpe che lo aveva aggredito verbalmente la notte scorsa.

Il bacio di una baionetta gli sarebbe parso più appetibile.

A onor del vero, però, andava detto che la moglie doveva ricordare – di lui – solo episodi nefasti, perciò non faceva specie che avesse frainteso la sua stretta.

Lo sguardo gli corse immediatamente alla mano destra della moglie, che lui aveva afferrato con forza solo poche ore addietro.

Il mezzo guanto nero, però, non gli permise di comprendere se, la sua manovra ben poco ortodossa, avesse lasciato strascichi.

Avrebbe dovuto attendere di rimanere solo con la moglie per sincerarsene e, eventualmente, per chiedere perdono per i suoi modi sgarbati, pur se involontari.

“Mamma ha detto che, subito dopo le festività natalizie, dovrò tornare in collegio. E’ proprio necessario, fratello?” intervenne Wendell, mogio.

Sorridendo comprensivo al fratello – sapeva cosa volesse dire essere un figlio cadetto – Christofer asserì: “Credo che, almeno per quest’anno, tutto debba svolgersi così come i nostri genitori hanno stabilito. L’anno prossimo, potremo decidere di prenderti dei precettori privati, se lo desideri.”

“Va bene” assentì il fratello, gratificandolo di un sorriso.

Un quieto bussare alla porta prevenne qualsiasi altro commento da parte di Christofer.

Nel vedere William fare capolino – un pesante mantello al suo braccio, mentre un altro ne copriva le ampie spalle – il conte lo fissò dubbioso.

“Signorie vostre, buongiorno e scusate l’interruzione. Milady, la carrozza è pronta come ordinato, e così pure le spoglie di vostro fratello.”

“Molto bene, partiamo subito” assentì lesta Kathleen, levandosi dal tavolo senza neppure terminare la colazione, peraltro molto leggera.

Con una riverenza appena accennata, la giovane uscì assieme al suo attendente che, premuroso, le avvolse le esili spalle con il mantello prima di uscire dalla stanza.

Rimasto solo assieme alla madre e al fratello, l’uomo si volse in cerca di spiegazioni e Whilelmina, con un mesto sospiro, dichiarò: “Porterà Andrew alla casa del padre, perché venga tumulato nella cappella di famiglia.”

“Avrei potuto accompagnarla” si premurò di dire Christofer, vagamente piccato per non essere stato minimamente informato della cosa.

La madre scosse il capo, imbarazzata.

“E’ meglio di no, Christofer. Quando abbiamo saputo della morte di Andrew, abbiamo avvisato il barone Barnes, e lui non è stato esattamente lieto di sapere che tu, al contrario, ti eri salvato. Vederti, potrebbe farlo soffrire troppo.”

Memore delle parole dell’amico, il conte ribatté torvo: “Non mi sembra che lasciar andare Kathleen sola da suo padre, sia più sicuro. Il barone non ha mai avuto molto a cuore la figlia, da quel che so.”

“Mister Knight baderà a lei egregiamente” liquidò la faccenda la madre, ripulendosi la bocca con il tovagliolo di bianco cotone.

“Mastro William è bravissimo! Mi ha anche insegnato a correggere i miei errori di postura sul pony! E’ davvero un cavallerizzo eccezionale. E’ un peccato che non sia un nobile, perché cavalca davvero bene” aggiunse Wendell, sorseggiando del latte caldo.

Aggrottando la fronte, Christofer borbottò: “A quanto pare, basta William Knight a questa famiglia.”

Whilelmina poggiò il tovagliolo con aplomb impeccabile, ma i suoi occhi parlarono per lei, e non fu bello ciò che il conte vi vide.

Levandosi lentamente da tavola, si limitò a dire: “Troverai ben poche persone, qui a Green Manor, scontente di lui.”

Con un breve saluto, anche la donna lo abbandonò, lasciandolo con il solo Wendell a terminare il suo pasto.

Sbuffando debolmente, Christofer lasciò perdere la madre e cancellò temporaneamente anche la moglie dalle sue preoccupazioni più urgenti.

Non aveva tempo né voglia di comprendere le bizze di quelle due donne, visto che tutto il patrimonio di famiglia era caduto sulle sue spalle.

Immaginava soltanto la sfilza di documenti rimasti in attesa che lui li visionasse.

Che lui aprisse quelle porte e varcasse le soglie di quella nuova vita, di quel nuovo peso da portare sulle spalle.

Scusandosi con il fratellino, e promettendogli che avrebbero parlato nel primo pomeriggio, abbandonò a sua volta la saletta e si inerpicò lungo le scale per raggiungere lo studio del padre.

Con passo incerto e infelice si diresse a sud, verso l’ala di palazzo ove si trovava lo studio.

Quando lo raggiunse e ne aprì le porte, però, lo sconcerto e la confusione balenarono sul suo viso con la velocità del fulmine.

Nessun incartamento ricopriva la scrivania di palissandro.

Tutto era ordinatamente impilato su un fianco, apparentemente già catalogato, controllato o stilato.

Quando Christofer raggiunse quel numero imprecisato di documenti, fu sorpreso di trovarvi anche appunti su appunti, stilati con grafia eccellente. E femminile.

Sua madre?

Afferrato a caso uno dei fogli di appunti, lo studiò con attenzione e, dopo qualche breve istante, scosse il capo.

No, quella non era la scrittura della madre.

Quello sfarfallare elegante e fluido, apparteneva a una sola persona; Kathleen.

Accomodatosi alla scrivania, prese gli incartamenti uno dopo l’altro, studiandoli con attenzione sempre crescente.
Quando poi si avvide dell’ordine con cui tutto era stato sistemato, ebbe di che stupirsi ulteriormente.

Non solo sua moglie si era occupata della tenuta nell’ultimo anno, in apparenza, con efficienza e meticolosità.

Aveva anche già predisposto la suddivisione ai loro mezzadri delle derrate  alimentari per l’inverno.

Sfogliando i vari incartamenti, scoprì alcuni documenti riguardanti il lanificio, e se ne stupì ulteriormente.

A quanto pareva, il vecchio proprietario aveva venduto circa otto mesi addietro a un nuovo affittuario, e diversi bambini lì impiegati erano stati redistribuiti ad altro incarico.

Non poté che compiacersene in segreto.

Non era mai stato d’accordo con l’utilizzo degli infanti all’interno delle fabbriche, ma suo padre non se ne era mai interessato.

A lui era sempre bastato ricevere il pagamento degli affitti dei terreni da parte degli imprenditori locali, indipendentemente dal loro metodo di lavoro.

Non che in Parlamento la pensassero diversamente, se era per questo.

A quanto pareva, Kathleen era riuscita laddove in molti avevano fallito.

Come, però?

Levando lo sguardo per scrutare oltre le finestre, che si affacciavano sulla vallata brulla, Christofer si chiese quante cose fossero cambiate, in quei due anni di lontananza.

E quanto ancora, della giovane moglie, avrebbe scoperto.

Quali misteri celava, quella strana creatura?







Note: Christofer è infine tornato a casa con il suo mesto accompagnatore e, nel rivedere la moglie, si rende conto di non riconoscerla. Quella non è la ragazza insicura che ha lasciato, ma una donna forte e di carattere che, suo malgrado, lo mette a disagio, facendogli capire una volta di più quanto, ora, lui sia fuori posto.
La sua disabilità motoria lo rende insicuro, iniziando a fargli comprendere cosa voglia dire essere inermi di fronte al destino. Un bell'insegnamento, per Christofer, che cerca di mettere in pratica quando sceglie di allontanare la moglie dai propri desideri di uomo.
Nel farlo, però, combina un pasticcio, perché Kathleen male interpreta i suoi gesti, lei giustamente restia a fidarsi di lui.
A qualcun altro, va la fiducia di Kathleen, a Mastro William, che scatena in Christofer un'insolita quanto imprevista gelosia. Che si senta minacciato nel suo stesso territorio? Forse.
Di sicuro, William gli riserverà più di una sorpresa, in futuro.
E ora, ve lo presento, assieme al piccolo Wendell, che Christofer tanto ama.

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Capitolo 5
*** V. ***


 
5.
 
 
 
 
  
Attendere paziente il ritorno della moglie non fu impresa da poco, per lui.
 
La pazienza non era mai stata la sua più grande virtù, e la guerra non lo aveva reso migliore.
 
Per tutto il giorno, non aveva fatto altro che controllare ciò che Kathleen aveva sapientemente portato avanti nell'ultimo anno e mezzo.
 
Non aveva faticato molto a comprendere quanto fosse stata scrupolosa e attenta.
 
Non solo aveva plaudito tra sé la sua capacità di saper far di conto bene quanto un uomo, ma aveva avuto la riprova schiacciante di quanto ci sapesse fare dal punto di vista amministrativo.
 
Non aveva trovato nulla da ridire sul suo modo di gestire della tenuta, ma quel che lo aveva stupito davvero non era stato scoprire la sua bravura come amministratrice.
 
Era stata la totale mancanza di appunti del padre, di sue firme o approvazioni scritte sui vari documenti che aveva consultato fin lì, a sorprenderlo.
 
Possibile che si fosse abbassato a farsi aiutare dalla nuora, lui che disdegnava apertamente il sapere femminile, e si faceva beffe delle donne acculturate?
 
Cosa diavolo era successo, in quella casa, nei due anni in cui era mancato?
 
Aveva provato a chiedere lumi al fratello – credendo che domandare alla madre sarebbe stato indelicato – ma Wendell era stato parco di informazioni.
 
Si era limitato a lodare la cognata con occhi sognanti aggiungendo, ogni parola o due, quanto ‘Kathleen fosse brava’.
 
Chiedendo alla servitù non era riuscito a ottenere molto di più. Neppure chiedendo a Bridget, giovane cameriera e figlia di una delle lavandaie di palazzo.
 
La conosceva da quando era nata, visto che il parto era avvenuto proprio a palazzo, in una notte di tempesta, e il mastro sellaio si era dovuto improvvisare levatrice, non avendo potuto chiamare in tempo il dottore.
 
Era stata forse una delle poche volte in cui il padre non si era irritato con la servitù, impegnata con una domestica e non per loro conto.
 
Bridget era nata senza problemi e, su decisione di Harford stesso, era stata allevata a Green Manor perché, un giorno, facesse parte ella stessa della servitù.
 
Christofer si era presto abituato a vederla scorrazzare per i corridoi utilizzati dai domestici e, non visto, aveva spesso giocato con lei ad acchiapparella.
 
Solo quando era diventato chiaro quanto, le loro differenti classi sociali, avrebbero potuto metterla in pericolo agli occhi del conte, Christofer aveva suo malgrado smesso di vederla come un’amica.
 
L’affetto, però, era rimasto e, negli anni della sua adolescenza scapestrata, Bridget era stata una delle poche a proteggerlo – ove possibile – dagli strali del padre.
 
Eppure, persino lei era stata avara di spiegazioni su ciò che era avvenuto a palazzo durante la sua assenza e, soprattutto, sul comportamento di suo padre.
 
Non volendo insistere proprio con lei, aveva ben presto rinunciato, sperando che il tempo e la mancanza del vecchio Harford portasse a palazzo una maggiore serenità.
 
Forse, per allora, avrebbe potuto domandare nuovamente spiegazioni.
 
Quando infine il pomeriggio giunse, Christofer finalmente vide comparire la carrozza di famiglia in lontananza.
 
Poco dietro, poté scorgere il carrettiere che li aveva accompagnati, infagottato in una pesante cerata scura.
 
Scostatosi dalle finestre dello studio per raggiungere le scale, il conte armeggiò con bastone e mancorrente per non ruzzolare dai gradini.
 
Era quasi senza fiato, quando alfine raggiunse l'ampio salone d'ingresso della villa.
 
Lì, attese paziente che la moglie oltrepassasse la porta principale, cercando nel contempo di darsi un’aria compassata e tranquilla.
 
Era preferibile non farle sapere quanto, la visita ai coniugi Campbell e a Myriam, l’avesse angustiato.
 
Quando udì finalmente i cardini scivolare perfettamente oliati sui loro perni, si stampò in faccia un quieto sorriso di circostanza.
 
William fu il primo a comparire nello specchio della porta, alto e protettivo nei confronti della sua signora.
 
Quest’ultima, nello scrollare il mantello dall’umidore della pioggia, mormorò al suo attendente poche parole prima di rendersi conto della presenza del marito.
 
Sobbalzando leggermente, Kathleen si bloccò a metà di un passo, lo fissò con aperta sorpresa e infine mise mano agli alamari argentati del mantello per lasciarlo a William.
 
Questi si affrettò a riporlo sul suo braccio, attendendo poi istruzioni dalla sua signora.
 
Con un gesto elegante della mano, la fanciulla congedò l'attendente che, con un formale inchino, si allontanò a passi lunghi e potenti.
 
Alcuni attimi dopo, scomparve oltre una delle porte che conducevano ai piani bassi della villa.
 
Rimasti finalmente soli, i due si studiarono in silenzio mentre, all'esterno, la fitta pioggia tamburellava ipnotica e apparentemente infinita.
 
Alla fine fu Kathleen a prendere la parola e, nell'avvicinarsi al marito, mormorò: “Mio signore, come mai qui? Temevate non tornassi?”
 
“Mi chiedevo se avreste passato la notte dai vostri genitori. E' pomeriggio inoltrato, e cominciavo a preoccuparmi” dichiarò pacato Christofer, scrutandola dall'alto al basso per sincerarsi che tutto fosse in ordine.
 
Gli occhi apparivano leggermente arrossati, ma quello non preoccupò particolarmente l'uomo.
 
Non faticava a immaginare che la moglie si fosse lasciata andare al pianto, una volta raccolta in preghiera con la sua famiglia.
 
“Myriam mi ha in effetti chiesto di rimanere, ma ammetto di non essermela sentita. C'è troppo... livore, in quella casa” sospirò Kathleen, reclinando mesta il capo.
 
“Come sta nostra cognata?” le domandò amabilmente, spostando il peso del proprio corpo da un piede all'altro.
 
Rimanere in piedi era oltremodo disagevole, per lui, ma non sapeva in che modo convincere gentilmente la moglie ad allontanarsi dall'atrio senza toccarla.
 
Quella era l'ultima cosa che voleva fare, almeno non prima di essersi scusato con lei per i suoi modi da bifolco della notte precedente.
 
Kathleen però si avvide del suo movimento rigido e, levato uno sguardo comprensivo su di lui, mormorò: “Parleremo più agevolmente nel salottino azzurro. Non vi fa bene rimanere in piedi per lunghi periodi di tempo.”
 
Già pronto a brontolare di fronte alla sua preoccupazione, Christofer si azzittì per non peggiorare la situazione.
 
Istintivamente, però, le offrì il braccio libero per scortarla al salotto.
 
La moglie lo fissò dubbiosa, forse non aspettandosi quella cortesia, forse temendola ma, alla fine, sfiorò la manica della sua giacca con la punta delle dita.
 
Lieto per quella piccola concessione, il conte si avviò con passo claudicante verso il salottino, affiancato dalla figura slanciata ed elegante della moglie.
 
Moglie che fu lesta ad aprire la porta per entrambi e, dopo essere entrata, suonò un campanellino per avvertire la servitù della loro presenza.
 
In pochi attimi, si presentò una delle cameriere, Bethany che, con un inchino e un dolce sorriso, domandò: “In cosa posso esservi utile, milady?”
 
“Bethany, potreste portarci del tè e qualche pasticcino al limone?” le domandò cortesemente Kathleen, sorridendole.
 
La domestica si profuse in un sorriso deliziato e, con una riverenza, sgattaiolò fuori senza alcun rumore.
 
“Pare che siate la pupilla della servitù. Vi siete fatta amare, in questi due anni” constatò Christofer, accomodandosi su un divano prima di allungare la gamba destra, dolente e stanca.
 
“Sono tutti molto cari, con me” mormorò in risposta la moglie, sedendosi sul divanetto di fronte a quello del marito.
 
“Myriam e Randolf reggono il colpo?” si informò l’uomo, massaggiando distrattamente la gamba dolorante.
 
Ricordava Myriam fin da quando era una ragazzina che scappava con il pony dalle scuderie, pur di galoppare assieme a loro.
 
O di quando si nascondeva nei boschi per giocare ad acchiapparella, il tutto sotto la supervisione dei suoi fratelli maggiori.
 
Kathleen, al contrario, non aveva mai partecipato ai loro giochi sfrenati. Lord Barnes gliel’aveva sempre vietato, dacché potesse ricordare lui.
 
Erano stati bei tempi, e gli era quasi parso sensato che, alla fine, lei e Andrew si fossero sposati, eppure…
 
Con un sospiro afflitto, Kathleen lo strappò ai suoi ricordi e asserì: “Randolf è troppo piccolo per comprendere ciò che è successo, e la cosa triste è che crescerà senza sapere chi era suo padre. Myriam, invece, è semplicemente distrutta. Temo stia sopravvivendo solo per il bambino... e questa non è vita.”
 
“La posso capire” ammise l'uomo, giocherellando distrattamente con il suo bastone.
 
Kathleen appariva così composta nel suo dolore, così controllata.
 
La ragazzina spaurita che gli era stata data in moglie, era del tutto scomparsa.
 
Se di quella giovane aveva conosciuto ben poco, di questa ninfa dalla bellezza misteriosa non sapeva davvero niente.
 
Era difficile capire come esprimersi, cosa dire, quando non si era in grado di comprendere chi si aveva di fronte.
 
Una cosa, però, poteva farla.
 
Allungandosi verso di lei, Christofer la vide divenire immediatamente guardinga, come una volpe di fronte a un cacciatore.
 
Un mezzo sorriso gli comparve sul viso mentre, con voce tranquillizzante, mormorò: “Non desidero farvi nulla di male, Kathleen.”
 
Lei annuì, ma la rigida postura del suo corpo la smentì in pieno.
 
Era in allerta, forse pronta a scappare al primo accenno di pericolo. Perché?
 
Allungato il braccio oltre il tavolino che li separava, le sfiorò la mano destra, che lui aveva stretto con violenza la sera prima.
 
Delicatamente, la sollevò con movimenti lenti e tranquillizzanti.
 
Con dita esperte, poi, aprì i bottoni del mezzo guanto di pizzo per metterne in mostra il dorso e il polso.
 
Aggrottando la fronte nel notare i segni violacei in corrispondenza dell'attaccatura dell’osso, Christofer mormorò contrito: “Avrei davvero dovuto prestare attenzione, la notte scorsa, e possiamo dare la colpa di questa mia mancanza di delicatezza all’eccessiva compagnia maschile con cui ho convissuto negli ultimi due anni. Non volevo farvi male, solo sorreggermi… e allontanarvi.”
 
“Oh” mormorò sorpresa Kathleen, facendo tanto d’occhi.
 
“Due anni senza una donna sono tanti, ma non avrei mai preso mia moglie in quelle condizioni. Non una seconda volta. Il mio intento era mandarvi via dalla stanza, non il contrario” le spiegò con più precisione Christofer, sorridendole dolente. “Non ho potuto frenare il desiderio, ma le azioni, quelle sì. Anche se ho esagerato nell’esprimermi, spaventandovi senza volerlo.”
 
“Non… non avevo compreso” assentì infine lei, arrossendo lievemente.
 
Massaggiando quella tenera carne con il pollice, si sorprese nel sentire il battito furioso del cuore di Kathleen sotto le dita.
 
Nello scrutarla in viso, si avvide con sorpresa del suo autentico terrore.
 
Subito, l'uomo le lasciò la mano, che lei racchiuse assieme all'altra tra le falde dell'abito nero e, confuso, le domandò: “Vi ho spaventata anche ora, Kathleen?”
 
“Sto bene... davvero” si affrettò a dire lei, con un tono per nulla convincente.
 
Un quieto bussare interruppe le sue domande e, nel veder comparire Bethany con il vassoio, ne studiò attentamente le mosse senza però dare a vedere il proprio interesse.
 
La giovane sistemò il vassoio sul basso tavolino di cristallo e, dopo aver lanciato uno sguardo ansioso in direzione di Kathleen, ne rivolse un altro al conte, ben poco lusinghiero.
 
Quasi oltraggiato.
 
Non fosse stato che quell'occhiata lo lasciò di stucco, Christofer avrebbe sicuramente rabberciato Bethany per quell’avventata presa di posizione.
 
Prima ancora di poterle dire qualcosa, però, la giovane si inchinò e uscì dalla stanza in un fruscio di gonne e un pallido profumo di limone.
 
Kathleen servì silenziosa il tè per entrambi, e aggiunse al liquido profumato qualche goccia di latte, apparentemente ignara del comportamento della cameriera.
 
Per Christofer fu la classica goccia che fece traboccare il vaso.
 
Ne aveva abbastanza di quegli sguardi incomprensibili, delle frasi smozzicate, delle occhiate dubbiose della servitù.
 
Voleva la verità.
 
“E' possibile conoscere i motivi per cui la mia stessa servitù mi tratta come se fossi un estraneo in casa mia e, peggio ancora, come se io dovessi sostenere un qualche tipo di esame, di cui però non conosco la materia?” brontolò Christofer, afferrando la sua tazzina e facendo quasi debordare il tè.
 
“Mi spiace che vediate la cosa in questo modo. Forse, si stanno semplicemente riabituando a voi. Dopo due anni, è difficile per tutti, in special modo con i cambiamenti avvenuti ultimamente” asserì la giovane, sorseggiando con grazia la sua bevanda calda.
 
Ora perfettamente composta e apparentemente calma, Kathleen sembrava aver superato l'iniziale panico.
 
Il marito, più cortesemente, replicò: “Può essere vero, mia signora, ma trovo che Bethany sia stata dichiaratamente maleducata, pochi attimi fa.”
 
Subito, la moglie levò uno sguardo d'acciaio su di lui, come se avesse desiderato avventarsi al suo collo per difendere l'onore della cameriera.
 
Nuovamente, Christofer vide la volpe volitiva della notte precedente.
 
No, non era indifesa. Ma qualcosa, evidentemente, la turbava, come turbava la servitù intera, e aveva a che fare con lui.
 
Ma cosa?
 
“Spero non avrete intenzione di farle una ramanzina, perché mi vedrei costretta a intervenire” dichiarò Kathleen, con il gelo nella voce.
 
“E' evidente che Bethany ha visto qualcosa sul vostro volto che ha reputato essere stato causato da me, e la giovane vi è così affezionata da aver addirittura osato sfidarmi” le confidò con una certa ironia l’uomo, vedendola irrigidirsi nuovamente.
 
Allora era vero! Qualcosa c'era!
 
“Non vedo cosa possiate avermi fatto” replicò la giovane, con noncuranza.
 
Sorridendo mellifluo, lui ribatté: “Non fingete di essere ingenua, Kathleen, perché non mi sembrate proprio il tipo. Conosco molti dei miei domestici da quando sono nato e, con Bethany, siamo praticamente cresciuti assieme. Per aver avuto una reazione simile, deve aver avuto il sospetto che fosse capitato qualcosa tra di noi. Perciò, vi domando; avete parlato con qualcuno di ciò che è successo la notte scorsa, dipingendomi come un mostro?”
 
Avvampando d'ira in viso, Kathleen si levò dal divano come una dea furente e vendicativa e, con tono misurato quanto a stento controllato, dichiarò: “Non mi permetterei mai di parlare con alcunché di ciò che avviene nel privato delle nostre stanze, men che meno di vostre eventuali mancanze che, a quanto pare, ho solo immaginato, e a torto. Forse non vi ricordate chi sono, signore, ma speravo rammentaste almeno che non sono una traditrice.”
 
Detto ciò, si scusò in fretta e uscì dal salottino a passo di carica, le pesanti gonne e sottogonne a spazzare il pavimento lucido e color panna.
 
Già sul punto di rincorrerla per scusarsi nuovamente con lei, Christofer quasi inciampò nel proprio bastone.
 
Imprecando contro la sfortuna e il destino, si ritrovò a fissare con insofferenza il divanetto vuoto e i pasticcini, che nessuno dei due aveva toccato.
 
“Dannazione!” sbottò l'uomo, scaraventando a terra uno dei cuscini del divanetto.
 
La madre si affacciò ombrosa proprio in quel mentre e, nel chiudersi la porta alle spalle, lo fissò accigliata e lo rimbrottò senza tanti giri di parole.
 
“Lascia questo linguaggio fuori da questa casa, figliolo, e cerca di comportarti da gentiluomo, una volta per tutte!”
 
“Ma cosa avete, tutti quanti, per guardarmi – e comportarvi – come se dovessi commettere un omicidio da un momento all'altro?!” ringhiò Christofer intrecciando le braccia sul torace, lo sguardo truce rivolto verso la figura minuta della madre.
 
Whilelmina non badò allo sbotto riottoso del figlio, gli occhi puntati sul mezzo guanto che Kathleen aveva abbandonato sul divanetto.
 
Accigliandosi ulteriormente, la donna mormorò fredda: “Cosa le hai fatto?!”
 
“Niente! Assolutamente niente!” esclamò a gran voce lui, ora davvero infuriato.
 
La donna, però, indicò accigliata il mezzo guanto e il figlio, con un brontolio irritato, mugugnò: “Volevo solo sincerarmi che... che io...”
 
La rabbia ormai del tutto scomparsa, l'imbarazzo prese ora il sopravvento su di lui che, grattandosi nervosamente una guancia, mormorò più calmo: “La notte scorsa sono caduto nel tentativo di ravvivare il fuoco, e Kathleen è accorsa in mio soccorso.”
 
“E ...” tentennò Whilelmina, stringendo febbrilmente le mani, l'ansia dipinta sul viso pallido.
 
“...e ho badato un po’ troppo a quanto fosse bella. Desideravo solo allontanarla dalla mia stanza perché non dovesse subire le mie attenzioni, ma le ho stretto la mano con troppa forza, nel farlo” sopirò Christofer, sentendosi né più né meno che un bambino sotto esame.
 
Sbuffando contrariato, Christofer aggiunse con un borbottio: “Non è stato fatto con l’intento di ferirla, tutt’altro! Ma è evidente che ho esagerato con la forza, visto che le ho lasciato un livido … del tutto non voluto.”
 
“Oh, figlio mio, ma come hai potuto essere così sgarbato?” esalò la madre, scuotendo il capo con esasperazione.
 
“Passate anche voi due anni su una nave da guerra, a pulir sangue e altri parti anatomiche da un ponte, o a trattare i vostri panni con lisciva perché tornino più o meno puliti, e poi vediamo dove va a finire il bon ton che ci inculcano a scuola!” brontolò Christofer, piccato. “Non l'ho violentata, dopotutto!”
 
Ma chi credevano che fosse? Un maniaco?
 
“Abbiamo battibeccato un po', e io ho fatto troppa pressione sul polso. Volevo sincerarmi di non averle fatto troppo male ma, con mio sommo dispiacere, ho notato di averle fatto venire un livido. Ecco, cos’è successo” aggiunse con tono meno rabbioso, studiando il volto affranto della madre.
 
Non ricevendo alcuna risposta in merito, proseguì nel suo dire.
 
“Mi sono scusato!” si premurò di dire il conte, cominciando a sentirsi vagamente idiota, di fronte a quell’apparentemente inutile difesa. “Non l'ho certo fatto di proposito, ma tutti in casa vi aspettate che io faccia qualcosa, e sempre contro di lei. Mi guardate come se fossi un lupo in un gregge di pecore... anzi, di una sola pecora. Beh, di sicuro Kathleen non è una pecorella smarrita, visto quanto risponde a tono!”
 
“Non mi ha detto nulla” sospirò la madre, accomodandosi quasi senza forze sul divano. “Avrei preferito saperlo.”
 
“Per fare cosa? Per sculacciarmi? Sono un tantino troppo grande per queste cose” la irrise il figlio, irritato da quell'eccessivo protezionismo nei confronti di Kathleen.
 
Whilelmina lo fissò esasperata e replicò: “Non ti sculaccerei di sicuro, ma ti ricorderei che sei stato educato al rispetto dell'altrui persona. E, quando ho visto uscire Kathleen così furiosa, non mi è sembrato che tu ti stessi attenendo a questa regola.”
 
“Si è infuriata perché l'ho accusata di aver sparlato di me alla servitù, cosa che evidentemente non è avvenuta, se non ne ha parlato neppure con voi” mormorò contrito Christofer.
 
Dio! Neppure quando era stato fanciullo, si era mai sentito così fuori posto e maldestro!
 
“Kathleen non farebbe mai una cosa simile” dichiarò convinta la donna, scuotendo recisamente il capo.
 
“Voi la conoscete sicuramente meglio di me” convenne il figlio. “Ma la faccenda rimane. Sono un estraneo in casa mia, mia moglie è terrorizzata se anche solo cerco di toccarla, oppure si infuria come una valchiria in battaglia. Quando chiedo spiegazioni, tutti vi fate reticenti… persino Bridget non ha voluto rispondere alle mie domande! Concedetemi un po' di credito, madre. Tutto ciò è molto lontano dall'essere normale.”
 
La donna fu costretta suo malgrado ad annuire e, rigirandosi nervosamente le mani, ammise: “Sì, è ben lungi dall'essere normale, lo so. Ma Kathleen, o la servitù, non ne hanno colpa.”
 
“Non penso di licenziarli tutti, madre, né di cacciare mia moglie per poche parole astiose, dettate sicuramente dal malumore e dal dolore che porta nell’animo, ma vorrei capire” asserì più gentilmente l'uomo. “Cosa vi turba così tanto? Perché pensate che il mio ritorno sia un danno, per lei?”
 
“Nessuno lo pensa!” esalò sconvolta Whilelmina, fissandolo a occhi sgranati.
 
“Non sembrerebbe” replicò serafico Christofer.
 
“E' molto difficile da spiegare, figliolo, e non ne vado particolarmente fiera” sospirò la madre, reclinando contrita il capo.
 
Che mai aveva potuto commettere la madre, di così atroce, da renderla così insicura? Era la persona più educata e gentile che conosceva!
 
“Madre, non sono qui per giudicare nessuno. Desidero solo capire e, eventualmente, esimermi dal fare ciò che vi rende così nervosi. Ma senza comprendere, non posso evitare di commettere errori” la incoraggiò lui, parlando con tono pacato, suadente.
 
“Non è qualcosa di cui parlo volentieri, caro, perché fa riaffiorare ben miserevoli ricordi” mormorò la donna, con un tono di voce così esile che quasi il figlio stentò a comprenderla.
 
“Ho ricordi nella mia mente che farebbero impallidire più di una persona, perciò penso di poter reggere il colpo” asserì piuttosto convinto il figlio, sorridendole comprensivo.
 
Lei lo sbirciò da sotto le lunghe ciglia scure prima di ammettere: “Tuo padre non fu mai esattamente un campione di virtù, in questi anni. Credo tu già lo sapessi.”
 
Il figlio annuì. Non gli diceva nulla di nuovo.
 
Il conte Spencer non aveva mai fatto mistero di avere almeno un paio di amanti, a Londra, e la madre si era semplicemente rassegnata all'evidenza dei fatti.
 
Che fosse comparso un fantomatico figlio bastardo a rovinare la loro serenità? Non vedeva, comunque, come questo potesse impensierire Kathleen, o la servitù.
 
“Dopo l'aborto di Kathleen, lui era alquanto irritato” mormorò la donna, lappandosi nervosamente le labbra.
 
Christofer aggrottò la fronte, chiedendosi cosa c'entrasse questo con le discutibili abitudini del padre.
 
Un sospiro tremulo scaturì dalle labbra sottili della madre che, infine, dichiarò affranta: “Fu molto crudele con lei. La incolpò di aver perso di proposito il figlio, di non aver tenuto alto il buon nome della famiglia.”
 
“Che idiota” ringhiò il conte, disgustato dal comportamento del padre.
 
“Non si fermò lì, purtroppo. Dopo le febbri che presero Kathleen, rischiando di portarcela via, una notte... una notte...”
 
Un singhiozzo strozzato le mozzò la voce e Christofer, cominciando a subodorare qualcosa di veramente tremendo, esalò: “Madre, lui non... non può...”
 
“Entrò nelle stanze di Kathleen, completamente ubriaco, e la trasse via dalle coltri, gettandola a terra. Lei gridò, si difese come meglio poté, si liberò dalla sua stretta ma, nel farlo, la camicia da notte si lacerò. E questo diede il via alla follia” asserì la donna, distrutta dal dolore.
 
Christofer ringhiò un'imprecazione, mentre la madre terminava il suo racconto.
 
“William entrò di corsa, richiamato dalle urla di Kathleen, trovando… Bartholomew con le brache calate e Kathleen sotto di lui, con la camicia a brandelli e le mani di tuo padre a bloccarle i polsi.”
 
“Dio” esalò senza voce l'uomo, passandosi le mani sul viso, pallido non meno di quello della madre. “Lui la...”
 
“No” gracchiò a fatica Whilelmina. “William lo fermò in tempo. Lo allontanò a forza da Kathleen mentre io mi prendevo cura di lei, che stava piangendo a dirotto e tremava come una foglia. Occorse anche l'intervento di Julian e di Abraham, per impedire a Bartholomew di fare pazzie. Wendell, fortunatamente, era in collegio, in quel periodo. Non sa praticamente nulla di questa faccenda, anche se ha capito che qualcosa non va, e ha a che fare con Kathleen e vostro padre.”
 
Christofer si piegò in avanti, i gomiti puntati sulle cosce tremanti e, senza forze, sussurrò: “Non fa specie che sia terrorizzata dal mio tocco, e che tutti mi guardino con sospetto.”
 
“So che non saresti mai capace di una simile follia, ma... sono due anni che manchi da casa, e noi...” tentennò la madre, incerta su cosa dire.
 
Lui scosse il capo e, con una risata sgangherata, dichiarò: “Non mi sorprende che William la segua come un'ombra. E' merito suo, se lei si è salvata dalle attenzioni davvero poco dignitose di mio padre.”
 
“Mastro William si prese personalmente cura di tuo padre quando, a seguito della colluttazione, ebbe un piccolo attacco di cuore. Questo lo bloccò a letto, infermo, per più di un anno, finché non sopraggiunse la morte, più di un mese fa” gli spiegò Whilelmina, asciugandosi una lacrima ribelle.
 
“Oh... ecco il perché dei registri” assentì a quel punto Christofer, comprendendo il perché della totale mancanza di annotazioni da parte del padre.
 
Non era stato fisicamente in grado di prendersi cura della tenuta, e sua moglie si era presa carico di ogni cosa!
 
“Kathleen si è presa cura della tenuta in maniera egregia” la difese immediatamente la donna, subito bloccata da un gesto della mano del figlio.
 
“Lo so, non stavo dicendo che ha fatto confusione. Madre, vi prego! Non la sto giudicando!” brontolò lui, accigliandosi.
 
“Sì, scusa” assentì lesta la donna.
 
“C'è altro che dovrei sapere, oltre al fatto che mio padre ha disonorato se stesso, mia moglie e l'intera famiglia?” dichiarò Christofer, non sapendo bene come sentirsi, se irritato o semplicemente disgustato da tutto.
 
“Beh, ecco...” tentennò la madre, ora imbarazzata.
 
Levando un sopracciglio con evidente sorpresa, lui le domandò: “Cos’altro non so?”
 
“Vedi, figliolo... noi abbiamo pensato in primo luogo alla sicurezza di Kathleen, per cui...” tergiversò Whilelmina, torcendo nervosa la stoffa dell'abito.
 
“Madre” la richiamò lui, chiedendosi cos’altro vi fosse di così tremendo, dopo quello che gli aveva appena detto.
 
“William le ha insegnato a sparare” disse in un soffio la donna, serrando gli occhi per non guardare in viso il figlio.
 
“Come?” esalò l’uomo, sgranando gli occhi per la sorpresa.
 
“Abbiamo pensato tutti che fosse la cosa migliore. Era così disperata, così affranta... nessuno poteva avvicinarla, neppure Gwen, la sua cameriera personale. Tremava al minimo rumore. Volevamo darle sicurezza” gli spiegò in tutta fretta lei, in tono difensivo.
 
“E William andava bene, invece, per starle accanto come insegnante” borbottò Christofer, avvertendo dentro di sé uno strano prurito. Gelosia, forse?
 
“L'aveva salvata, dopotutto. Di lui si poteva fidare” gli fece notare la donna, conciliante.
 
“Fidare. E' solo la fiducia che li lega?” si lasciò sfuggire, non potendolo evitare.
 
“Christofer! Non oserai pensare davvero che tua moglie e ...e William possano avere una tresca?!” esplose la madre, con veemenza inaudita.
 
“Calmatevi!” la rabbonì subito lui. “Sto facendo un po' fatica a digerire tutto, madre, perciò datemi una tregua dai vostri sbalzi di umore. Quindi, Kathleen sa sparare. Con la pistola, immagino.”
 
“Ehm... sì. Sì” assentì fin troppo velocemente la donna.
 
“Oddio” esalò costernato l'uomo, levandosi in piedi a fatica, tenendosi sul bastone.
 
Claudicante, raggiunse la finestra per scrutare il paesaggio brullo del giardino sfiorito.
 
A sorpresa, vi scorse Kathleen, impegnata in una discussione con il capo giardiniere, che le stava mostrando alcuni cespugli di rose coperti da sacchi di juta.
 
“Non la sgriderai, vero?” domandò turbata Whilelmina, raggiungendolo alla finestra.
 
“Mia moglie sa tirare col moschetto. Perché immagino sia questa la verità, giusto?” ritorse Christofer.
 
Sua madre ebbe la compiacenza di arrossire e rimanere in silenzio.
 
“Bene” continuò l'uomo, ormai pronto a tutto. “Spero solo che non decida di spararmi. Ora vado da lei... da solo.”
 
Whilelmina annuì contrita e l'uomo, trascinandosi fuori alla maggior velocità possibile, si fece consegnare un mantello da un domestico.
 
Con calma, poi, percorse le scalette che conducevano al giardino, imprecando contro l'architetto che aveva costruito la villa.
 
Perché ci dovevano essere così tanti scalini?!
 
Quando infine raggiunse il gazebo coperto dove si era rifugiata Kathleen, era ormai sfinito.
 
Complice la cocciutaggine che l'aveva sempre contraddistinto, non si diede però per vinto.
 
Zoppicando vistosamente, si diresse con determinazione verso la coppia che stava parlando all’ombra del gazebo.
 
Subito, il capo giardiniere si inchinò formalmente e Kathleen, avvedendosi delle difficoltà del marito, si affrettò a rivolgere un sorriso a Mr Petts, dicendogli: “Parleremo delle nuove piante un'altra volta. Per ora, direi che non possiamo fare altro, per salvare le rose.”
 
“Molto bene, contessa. Vostra Grazia” mormorò l'uomo, allontanandosi subito dalla coppia.
 
Distrutto da quel breve tragitto, che aveva messo penosamente in evidenza il suo attuale stato di salute, Christofer si lasciò cadere su una vicina panchina di granito.
 
“Comincio a detestare casa mia. E' troppo grande!”
 
“Sarebbe bastato mandare a chiamarmi, se avevate bisogno di me” gli fece notare lei, rimanendo testardamente in piedi dinanzi al marito.
 
“Più che sì, ma volevo soffrire un po', sapete com'è. Gli stolti non hanno molto sale in zucca” ironizzò lui, battendo una mano sul ripiano freddo della panchina. “Non vi morderò, né vi toccherò, promesso. E se volete, vi darò il mio bastone per difendervi.”
 
Kathleen non disse nulla, limitandosi ad accomodarsi il più lontano possibile da lui.
 
Chris, con un colpetto di tosse, mormorò: “Mia madre mi ha detto di voi... e di mio padre.”
 
La giovane ansò sorpresa, impallidendo leggermente e, con tono duro, asserì: “Non avrebbe dovuto. Non ve n'era ragione.”
 
“Invece sì, Kathleen. Come potevo sapere che mio padre si era macchiato di un simile reato? Non avevo idea che potesse giungere a tanto, e ringrazio Dio che fosse presente Mastro William a difendervi, in quel momento, visto che io non potevo essere al vostro fianco” replicò lui, mettendo sincerità nella sua voce.
 
Perché era vero. L'avrebbe difesa a spada tratta dalle attenzioni del padre.
 
Non l'amava, certo, ma questo non significava che non si sarebbe battuto per lei e il suo onore.
 
Dopo ciò che le aveva fatto passare la prima notte di nozze, questo era il minimo che le doveva.
 
Sospirando pesantemente, Kathleen mormorò sconsolata: “Vi devo anch'io delle scuse, perché non avrei dovuto essere così sgarbata con voi, e proprio nel giorno del vostro ritorno. Ma è ...difficile... non è facile essere toccata da qualcuno, e io...”
 
“Kathleen, non azzardatevi mai più a chiedermi perdono. Sono stato sgarbato e basta. Punto. Quanto al vostro... problema con me? Lo capisco. Diamine! Vorrei proprio vedere, dopo quello che avete passato!” sbottò Christofer, battendo nervosamente il bastone a terra.
 
Una folata di vento gelido preannunciò la neve e Kathleen, nel rattrappirsi nel morbido mantello, attese con pazienza che il marito proseguisse a parlare.
 
La rattristava il fatto che Whilelmina fosse stata costretta a rammentare ciò che aveva sconvolto tutto Green Manor, ma comprendeva quanto Christofer avesse ragione.
 
Senza conoscere la verità, come poteva capire quanto stava succedendo a tutti… a lei?
 
“Volete rientrare? La sera sta scendendo velocemente, e l’aria è ben più che frizzante” le domandò cortesemente il marito.
 
“Non ho paura del freddo. E mi piace stare fuori casa” replicò lei, scrollando appena le spalle.
 
Il marito annuì quieto e, con tono tranquillo, asserì: “Avete vissuto un inferno non certo migliore del mio, a quanto vedo. Il mio, era fatto di colpi di cannone, malattie e guerra. Il vostro, di figli perduti, un marito inetto e parenti senza alcun amore per voi.”
 
Silenziosa, Kathleen annuì e Christofer, rincuorato dalla sua espressione più tranquilla, proseguì.
 
“La morte di Andrew mi ha quasi fatto impazzire… ho urlato così tante volte il suo nome da rimanere afono per giorni.”
 
“La vostra voce…” assentì la moglie, guardandolo dubbiosa in viso. “… mi sembrava fosse diversa.”
 
“Ho martoriato ben bene le corde vocali” ammise, abbozzando un mesto sorriso.
 
Lei annuì, stringendo le mani sotto le falde del mantello di velluto scuro.
 
“La notte sogno Andrew, ma non riesco a figurarmi bene il suo viso.  So che è lui, ma appare sfocato, quasi senza forma. Vorrei tanto abbracciarlo, ma non lo raggiungo mai” gli confidò Kathleen, reclinando il capo mestamente.
 
“Sogni migliori dei miei, allora” asserì Christofer. “Quel che vidi su quella maledetta nave non lo scorderò mai e, fin da quando ripresi i sensi la prima volta, quelle immagini mi perseguitano notte e giorno.”
 
“Lo avete sempre amato molto” convenne Kathleen, regalandogli il primo, vero, timido sorriso da quanto era tornato.
 
Il conte assentì con vigore.
 
“L’ho sempre considerato come un fratello. E lo era diventato, grazie a voi! Ma io ho rovinato ogni cosa, disonorando me stesso e la persona che pensavo di essere… e proprio con voi, che avrei dovuto trattare con ogni riguardo” sospirò lui, lanciandole un’occhiata contrita.
 
Kathleen annuì debolmente.
 
Poggiatosi sul pomo del bastone, Christofer fissò lo sguardo in lontananza, scontrandosi contro l’alta siepe di pini dal taglio squadrato.
 
Sembravano chiusi in un bozzolo, pur trovandosi all’esterno della villa e, per qualche motivo, questo lo confortò.
 
Lì erano lontani da tutto, dalla guerra, dalle trame politiche, dalla Londra corrotta e i servilismi a essa legati.
 
La campagna era decisamente più umana, vivibile.
 
E, a conti fatti, era il luogo ideale per riprendersi da ciò che lui aveva visto, ciò che aveva vissuto.
 
“Non mentirò, Kathleen. Mi sento stringere il petto al solo pensare ad Andrew, e parlarne è ancora peggio, ma capisco quanto possa essere egualmente difficile per voi che, negli ultimi due anni, non avete potuto vederlo… e io ve lo riporto indietro morto, in una cassa di pino” mormorò spiacente il marito, fissandola con sincera contrizione.
 
“Non è colpa vostra, questo lo so. E sapervi vivo, è un sollievo molto più grande di quanto io riesca a mostrare in questo momento. Vorrei piangere in ogni istante della giornata, ma so quanto sarebbe inutile.”
 
Sospirò e, passandosi una mano sulla fronte, aggiunse: “Non ho voluto rimanere a casa dei miei genitori, perché le accuse che vi rivolge mio padre sono così assurde da avermi quasi fatto venire l’emicrania. E Myriam non è dissimile da lui. Sono così arrabbiati, così ciechi di fronte alla realtà che…”
 
“Voi cos’avreste desiderato?” si sentì dire Christofer, incapace di trattenere quella domanda.
 
“Non avrei mai voluto la vostra morte per avere indietro mio fratello, se è questo che volete sapere” replicò con sincerità lei, asciugandosi lesta una lacrima ribelle.
 
“Kathleen, scusatemi… non avrei dovuto…”
 
Lei lo azzittì con uno sguardo d’acciaio e, con la voce resa roca dal profondo dolore che stava provando, dichiarò: “Non mentitemi mai… mai. Non vi chiedo altro. Non pretendo che mi amiate, o che mi restiate fedele a vita. Ma pretendo la verità. Sempre. La mancanza di verità tra di noi ci ha…ci ha divisi, quella notte, e ora ne paghiamo lo scotto. Inoltre, ho vissuto per troppo tempo con un uomo falso e meschino, perciò non voglio che voi lo siate con me.”
 
“Nel bene e nel male, siamo marito e moglie, Kathleen e, a meno che voi non vi riveliate un’autentica arpia – cosa che io dubito – …” e nel dirlo ammiccò, provocando in lei un piccolo sorriso. “… non vedo il motivo di cercarmi un’amante.”
 
“Ma io non sono in grado di…” iniziò col dire lei, avvampando in viso e lasciando a metà la frase.
 
Azzittendola con un dito leggero poggiato sulle sue morbide labbra, lui replicò gentilmente: “Non vi voglio nel mio letto ora, né domani, né tra un mese. Ma desidero che torniate ad apprezzare la presenza delle persone accanto a voi e, chissà, anche la mia. Non è giusto che mio padre vi abbia rubato così tanto e, nel mio piccolo, cercherò di darvi una mano a recuperare la sicurezza perduta. Inoltre, non crediate che non ricordi. Neppure io sono esente da difetti. So bene di non aver reso le prime settimane del nostro matrimonio un idillio e, oltretutto, avete dovuto sopportare il dolore atroce della perdita di nostro figlio senza che io fossi presente.”
 
“Mio signore…” mormorò sgomenta Kathleen, fissandolo a occhi sgranati.
 
“Mi farebbe piacere mi chiamaste per nome. Un tempo, lo facevate” le propose lui, abbozzando un timido sorriso.
 
La fanciulla allora assentì e, mordendosi un labbro, allungò una mano per sfiorare la guancia destra di Christofer, dove era ancora evidente il segno lasciato da una scheggia di legno.
 
“Trafalgar?” domandò Kathleen, sfiorando la pelle fredda del marito.
 
Lui annuì, rimanendo perfettamente immobile sotto il suo tocco.
 
Era bella.
 
Il viso si era assottigliato, gli zigomi erano più evidenti e le conferivano un’aria regale.
 
Gli occhi, con quel loro strano color verde e punteggiato di pagliuzze dorate, erano contornati di lunghe e arcuate ciglia biondissime, così come le sopracciglia sottili.
 
La bocca, morbida al tatto, aveva un naturale color ciliegia che tanto lo solleticava ma che, almeno per il momento, non avrebbe più toccato.
 
La gravidanza, – anche se breve – ne aveva addolcito le forme che, diversamente da due anni prima, apparivano morbide, pur se su un corpo esile.
 
Sì, era bella.
 
Ma era davvero troppo presto per dire altro.
 
Ora era tornato e, memore della promessa fatta ad Andrew, si sarebbe impegnato per conoscerla.
 
Certo, suo padre e la sua follia avevano reso tutto molto più difficile, ma lui era testardo per natura, e non si sarebbe dato per vinto.
 
“Vorreste… vorreste vedere dove è stato tumulato nostro…”
 
La voce le mancò e, ritirata la mano dal viso di Christofer, Kathleen sospirò e aggiunse: “… nostro figlio? Era… era poco più che… ma non me la sono sentita di…”
 
Balbettò quasi senza fiato e il marito, stringendo i denti per trattenere il suo istinto primario – che gli diceva di abbracciarla per chetarne le ansie – si limitò ad annuire.
 
Maman mi ha detto che lo avete chiamato Benjamin. Avete scelto un nome bellissimo” mormorò poi, la voce carezzevole e gentile.
 
“Grazie” sussurrò lei, annuendo debolmente. “So che è sciocco… non aveva che due mesi, poco più di un frugoletto informe, quasi irriconoscibile, ma io gli volevo già bene e…”
 
“Kathleen” la chiamò dolcemente lui, obbligandola a sollevare il viso.
 
Quando finalmente incrociò il suo sguardo, il marito ammise: “Non so quanto possa valere, ma io ed Andrew abbiamo scolpito dei giocattoli in legno per lui, pur sapendo che era morto. Pensavamo che, almeno in cielo, avrebbe potuto giocarci così, quando li abbiamo finiti, li abbiamo lasciati nella prima chiesa che abbiamo incontrato sul nostro cammino. Se non ricordo male, si trovano in un villaggio del Brasile.”
 
La moglie trovò la forza per sorridere in qualche modo e, annuendo, mormorò: “Sono sicura che ci starà giocando. Il medico mi disse che era ancora troppo presto per conoscerne il sesso, ma ho voluto lo stesso che venisse battezzato con quel nome, e fosse annoverato come vostro primogenito. Spero di non aver fatto male.”
 
Assentendo, Christofer dichiarò: “Non appena il tempo migliorerà, andremo alla cappella di famiglia e mi presenterete a nostro figlio.”
 
“Va bene.”
 
“Torniamo dentro, ora? Ho paura che la mia gamba non gradisca queste temperature rigide” le propose alla fine lui, sorridendole a mezzo.
 
Kathleen a quel punto sgranò gli occhi, come ricordandosi solo in quel momento delle condizioni del marito e, levatasi in piedi di fretta, esalò: “Avreste dovuto rammentarmelo! Sono così sbadata, in questi giorni!”
 
Lui ridacchiò suo malgrado e, appoggiandosi sul bastone, si rizzò in piedi a fatica, trattenendo a stento una smorfia per non impensierirla.
 
“Non si direbbe, visto il lavoro egregio che avete svolto al posto di mio padre” replicò lui, sogghignando malizioso.
 
“Oh… avete controllato?” esalò lei, avvampando in viso. “Credo di non aver commesso troppi errori, ma mi scuso fin d’ora se doveste…”
 
“Ssst, Kathleen” la chetò subito il marito, sorridendole. “Va tutto benissimo. Siete stata molto brava, e avete preso decisioni che io stesso avrei voluto prendere tanti anni addietro. Perciò, calmate il vostro cuore e siate generosa. La gamba mi fa un male dell’inferno, e ho bisogno di qualcuno che mi aiuti a salire le scale. Ben poco decoroso, ma reale.”
 
“Siete ferito, quindi non si tratta affatto di decoro, ma di necessità” ribatté lei con un sorrisino. “Chiamo immediatamente Alfred perché vi aiuti. Temo di non avere abbastanza forze per sostenere egregiamente entrambi. L’altra notte non mi sembravate così mal ridotto, ma ora mi parete sofferente.”
 
“Non sia mai che io vi faccia cadere. Inoltre, non ricordatemi la mia stupidità, vi prego” convenne lui, fermandosi in prossimità delle scale, un sogghigno divertito stampato in viso. “Attenderò paziente qui.”
 
“Bene” assentì la giovane, raccogliendo un poco le gonne per correre verso casa.
 
Un attimo dopo, però, si bloccò per volgersi a mezzo e mormorare: “Sono lieta che siate tornato, Christofer. E non siete stato stupido, solo… umano. Nessuno crede di aver bisogno degli altri… anche quando è vero il contrario.”
 
Ciò detto, corse via in uno sfarfallare di gonne e sottogonne e lui, nonostante tutto, sorrise.
 
 
 
 
 
 
 

 
Note: E così, Christofer ha finalmente scoperto il terrificante segreto che nasconde Green Manor. Suo padre non ha solo disonorato se stesso e il suo nome, ma ha spezzato le fragili certezze di Kathleen, trasformandola.
Venire a sapere di questa verità ha portato Christofer a rivedere molte cose, prima tra tutte il suo approccio con sua moglie. Ora, non solo è ben deciso a riconquistare la sua fiducia, ma anche a ridarle quella speranza nel futuro - e nelle persone - che suo padre le ha strappato con così tanta violenza.
Sapere per bocca stessa di Kathleen che, nonostante tutto, lei non lo volesse morto in guerra, è per lui fonte di speranza. Forse, dopotutto, ha la possibilità di rimediare ai suoi torti.
Ammesso e non concesso che il cuore di Kathleen non sia già impegnato da qualcun altro, cosa che Christofer teme sempre di più, ormai.

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Capitolo 6
*** VI. ***


 
6.
 
 
 
 
 
“A volte, penso che avremmo dovuto rimanere a Corfù, diventare pescatori e sposare un paio di belle greche del posto” rise Andrew, passando a Christofer un bicchiere di Porto. “O avventurarci in Turchia, trovare un luogo sperduto e…”

“E rinunciare alla nostra prima Stagione come scapoli d’oro? Non te la saresti persa per nulla al mondo, ammettilo!” lo interruppe l’amico, dandogli di gomito.

Gli occhi azzurro cielo di Campell sondarono la sala di Almack’s senza realmente vedere nessuno, persi in mille pensieri diversi.

Pensieri che non avevano nulla a che fare con le dame da conquistare, o l’erede da concepire per il buon nome del proprio baronato.

No, Andrew pensava a tutt’altro, in quel momento.

“Ammetti anche tu che, lontano da York, siamo stati meglio entrambi!” replicò con un sorriso il giovane erede dei Barnes.

Christofer si adombrò a quelle parole e, nell’ingollare la bevanda scarlatta, borbottò: “Non ricordarmi quanto sia penosa la mia vita a Green Manor, amico mio. Lo rammento fin troppo da solo, e i miei fratelli sono bravissimi a ficcarmelo ben in testa.”

Andrew batté una mano sulla spalla dell’amico, asserendo contrito: “Scusami. Hai ragione. Kenneth si è almeno scusato, per quanto è successo?”

Christofer lo irrise con lo sguardo, forse credendo che stesse scherzando e, lasciandosi andare a un sospiro, replicò: “Perché? Il tanto compassato erede degli Spencer, ha forse qualche colpa? Ha commesso qualche crimine?”

Sbuffando, Andrew ripensò a quanto avvenuto a Eton, a quello stupido scherzo, conclusosi in una semplice visita all’infermeria per mera, sfacciata fortuna.

“Ricorda una cosa, Andrew. Bacia la terra dove cammina tua sorella, perché lei non tenterà mai di ammazzarti con un canovaccio spinto a forza in gola” sibilò Christofer, chiedendo per sé un altro bicchiere di liquore. “Né tenterà di infilzarti con la spada da allenamento durante la lezione di scherma.”

Il giovane Barnes fece per dire qualcosa, ma lo sguardo torvo e rabbioso dell’amico lo fece desistere.

Era inutile tentare di rappacificare il suo animo, in quei momenti.

L’avvicinarsi di Myriam distolse entrambi da quei tristi discorsi e, con un sorriso, Andrew le baciò la mano protesa, esclamando: “Una mattina d’estate non potrebbe rifulgere come te, mia cara Myriam. Sei splendida!”

La risata argentina della ragazza riempì l’aria profumata di quell’ambiente caloroso e ricco di colori.

Di colpo, però, l’atmosfera goliardica mutò, ammorbandosi di un tanfo ben più insopportabile, in netto contrasto con quell’ambiente così giocoso e allegro.

L’esplosione di un colpo di cannone rimbombò nelle orecchie di Christofer che, terrorizzato, osservò il salone sprofondare nell’oscurità, divenendo qualcos’altro.

Qualcosa che mai avrebbe voluto rivedere ma che, ogni notte, si ripresentava alla sua memoria con straziante ferocia.

Un attimo dopo, madido di sudore e con il torace martellato dai battiti frenetici del cuore, Christofer spalancò gli occhi solo per trovarsi nella sua stanza da letto.

Era solo, al buio e percorso da brividi così forti da fargli battere i denti.

Era passata una settimana dal suo ritorno e, pur con tutta la sua buona volontà, non era riuscito a dormire bene neppure una notte.

Le immagini legate alla morte di Andrew, inframmezzate a ricordi più lontani, continuavano a tormentarlo ogni qualvolta tentava di chiudere occhio.

Feroci, lo assalivano quando era più debole, riportandogli alla memoria ogni particolare, ogni rumore, ogni odore.

Il petto squarciato di Andrew, il sangue copioso che usciva dalla sua ferita, gli occhi vitrei, la bocca socchiusa, sorpresa, quasi non si aspettasse di poter essere ucciso.

Lui, che affrontava sempre i nemici con spavalderia!

Lo aveva sempre terrorizzato a morte con i suoi assalti alla baionetta, o armato della sua spada e, ogni volta, ne era uscito senza un graffio.

Assurdo pensare che, dopo due anni di assoluta fortuna, avesse dovuto morire di colpo, e in modo così tremendo.

Come se non fossero bastati gli incubi a ricordargli quel tragico evento, la gamba gli doleva sempre più, memento tragico di quegli istanti senza tempo.

Un quieto bussare alla porta sorprese Christofer, strappandolo a quel gorgo di pensieri tragici.

Un attimo dopo, in vestaglia da camera e armata di candela, fece il suo ingresso Kathleen, il viso pallido e turbato.

“Vi sentite bene? Vi ho udito urlare, e così ho pensato che…” mormorò lei, rimanendo accanto alla porta di comunicazione tra le loro stanze.

“Chiedo venia se vi ho svegliata, mia signora, ma un incubo mi ha riscosso dal sonno in maniera piuttosto violenta” si scusò in fretta lui.

“Non stavo dormendo” ammise Kathleen, con una lieve scrollatina di spalle.

Piuttosto sorpreso, l’uomo si allungò fuori dal letto per afferrare il suo bastone e, dopo aver raggiunto la sedia dove aveva riposto la vestaglia da notte, la indossò.

Kathleen rimase per tutto il tempo accanto alla porta finché il marito, volgendosi verso di lei, non le disse: “A quanto pare, nessuno dei due avrà requie, questa notte. Volete dunque scambiare due parole con me, Kathleen?”

Vagamente sorpresa da quella richiesta, lei annuì un attimo dopo e il conte, indicandole con un sorriso i divanetti nei pressi del fuoco, la invitò ad accomodarsi.

La moglie acconsentì e, dopo aver attraversato la stanza per raggiungere il camino, si acciambellò su uno dei divani.

Con abilità sopraffina nascose le caviglie al di sotto dell’orlo della vestaglia e, nel contempo, riuscì suo malgrado ad apparire elegante nonostante la posizione quanto mai inusitata.

Christofer sorrise di quel piccolo accorgimento e, nell’accomodarsi a sua volta, mormorò: “Immagino che l’idea di mostrarmi le caviglie sia quantomeno inopportuna, vero?”

“E’ sciocco, ma non sono a mio agio” ammise, sorridendo imbarazzata.

“Tra poco, sarete anche indolenzita” precisò il marito, allungandosi per afferrare una delle coperte di lana drappeggiate sugli schienali dei divanetti.

Allungatagliela, le propose di avvolgervi le gambe, cosicché lui non potesse scorgerne le caviglie.

Sorridendo, Kathleen annuì e, dopo essersi sistemata più comodamente, intrecciò le mani in grembo e gli domandò: “Grazie per il suggerimento. E’ senz’altro più comodo. Dunque, di cosa vorreste parlare, mio… Christofer?”

Il marito ridacchiò nel sentirla correggersi alla svelta e, scrollando le spalle con indolenza, ammise: “Di qualsiasi cosa. Chissà che non esista la maniera per chetare le nostre rispettive paure.”

Tornando seria, Kathleen gli domandò: “Stavate sognando Andrew?”

“Tra le altre cose, il suo incidente” precisò lui, adombrandosi un istante in viso. “Ma non voglio turbarvi con ricordi che, già ai miei occhi, appaiono tremendi. Cosa teneva sveglia voi, piuttosto?”

“La mancanza di ricordi, oserei dire” ammise la moglie, sorprendendolo. “Cerco sempre di immaginarmi come fosse Andrew poco prima di morire, se fosse cambiato, se le vicende della guerra lo avessero reso più duro, o più chiuso in se stesso. Altre volte, invece, rammento… beh, ecco…”

“Mio padre” aggiunse per lei Christofer, vedendola annuire con un sospiro. “Dirvi che non accadrà mai più nulla del genere, penso non basti a ridarvi il sonno, immagino.”

“Può servire… ma se avrete la pazienza di ripetermelo molto spesso” dichiarò la moglie, riuscendo a raggranellare la forza per sorridergli. “Quanto a mio fratello… potete dirmi com’era?”

“Uno scavezzacollo. Un pazzo. Un emerito idiota.”

Kathleen non rispose a quelle accuse.

Avvertì subito quanta dolcezza e affetto fossero contenuti in quelle parole che, dette da un altro, sarebbero suonate solo come beceri insulti.

Accentuando il suo sorriso, quindi, mormorò: “Allora, la guerra ha solo accentuato le sue dubbie virtù. Dovevo immaginarlo.”

“Già” convenne Christofer, annuendo. “Era solito prendermi in giro per i miei musi lunghi, o per la mia totale incapacità di scrivervi una lettera degna di tale nome.”

Lei sorrise a quell’accenno, e ammise: “Le conservo ancora, sapete?”

“Dio! Gettatele nel fuoco!” rise allora lui, passandosi una mano sul viso con aria tragicomica. “Sono un monumento alla mia stoltezza!”

“Mi dicevano che eravate vivo, perciò erano importanti” gli fece notare lei, con estrema semplicità e onestà.

“Kathleen…”

Giocherellando con l’intreccio caldo dei fili di lana della coperta, la giovane mormorò a capo chino: “Ero terrorizzata, la prima volta che vi vidi entrare nella mia stanza. Avrei voluto urlare, piangere, scacciarvi… non feci nessuna di queste cose, mi limitai a rimanere impassibile, come mi disse di fare mia madre.”

“Vostra… madre?” esalò Christofer, sgranando leggermente gli occhi.

Aveva praticamente dato per scontato che avesse parlato della prima notte di nozze con Myriam, che aveva solo qualche anno più di lei.

Annuendo, la moglie asserì torva: “Mi aveva assicurato che sarebbe durato poco, che avrei sofferto, ma non per molto e che, una volta rimasta incinta, probabilmente mi avreste lasciato stare, preferendo la compagnia di un’amante.”

Passandosi una mano sul viso, il marito mormorò contrariato: “Ed è andata esattamente così, vero? Vi ho fatto male, e l’amplesso è durato ben poco.”

Lei si limitò ad annuire.

Non sembrava imbarazzata da quell’argomento, che molte signore avrebbero ritenuto davvero troppo scandaloso, anche se toccato con il proprio marito.

Pareva sinceramente interessata a spiegarsi, a fargli conoscere cos’aveva provato, cosa provava in quel momento.

Pur se si sentiva un verme ogni qual volta tornava a quella notte di due anni prima, doveva concederle lo spazio per dire la sua, visto che non le era stato dato a suo tempo.

Se volevano un futuro insieme e, soprattutto, un futuro sereno, avrebbe dovuto ingoiare il rospo e sottostare al suo esame.

“Quando voi ed Andrew partiste, ne parlai anche con Myriam, ma lei mi mise ancor più confusione in testa, sostenendo l’esatto contrario di quel che aveva detto mia madre. Non seppi più a cosa credere e, più di una volta, mi chiesi se il problema non fossi stata io.”

Nel dirlo, levò due occhi enormi e insicuri a scrutarlo in viso.

“Non fu colpa vostra, su questo posso rassicurarvi” ci tenne a dire lui, lasciando che le membra si rilassassero sul comodo divano in stile Chippendale. “Fui sgarbato, egoista e del tutto preso dal mio personale senso di rivalsa nei confronti di mio padre e, a torto, usai voi per sfogarmi. Ben misero comportamento ma, visto che mi avete chiesto la verità, non userò false scuse con voi.”

Kathleen deglutì a fatica, ma annuì.

Le spalle ritte e fiere, sorbì quella realtà senza il minimo accenno di rabbia o risentimento.

Ancora una volta, Christofer si stupì del suo coraggio e della sua determinazione. Quanto era cambiata, in due anni!

“Quindi, se vostro padre non vi avesse angustiato così tanto…”

“… vi sareste… ci saremmo divertiti molto di più, quella notte” ammise lui, abbozzando un sorriso malizioso. “E, anche in quelle seguenti, avreste tratto maggiore piacere dall’atto in sé.”

La reazione di Kathleen lo riscaldò.

Sorrise teneramente e le sue gote si arrossarono, conferendole un aspetto più salubre e, sì, affascinante.

“Dopo… beh… non è… non è stato poi così brutto. Non del tutto, almeno. Però...”

Christofer sorrise di fronte al suo imbarazzo, ma fu lieto che gliene avesse parlato. Dovevano parlarsi, specialmente dopo quanto aveva fatto suo padre.

Più lei avesse espresso le sue paure e i suoi timori, più sarebbe stata libera da demoni.

“Non ne avete tratto il piacere che, forse, desideravate” la pungolò, vedendola avvampare, a quel punto. “Non sapevate se chiedere o meno, vero?”

“Se mia madre sapesse che sto parlando con voi di questo, morirebbe di imbarazzo!” ridacchiò sommessamente lei, reclinando pudica il viso a fissarsi le mani.

“Lo immagino. Le nobildonne di campagna sono molto più morigerate di quelle di città” assentì Christofer, scatenando nella moglie una nota di curiosità.

Ridendo piano per non svegliare Julian, che dormiva saporitamente nella stanza adiacente alla sua, il marito ammise: “Ho conosciuto matrone e damigelle, a Londra, che avrebbero fatto impallidire ben più di un nobile titolato, con i loro modi di fare decisamente… anticonformisti.”

Le iridi verdi punteggiate d’oro di Kathleen si sgranarono ancor di più, e la sua virginea curiosità fece sorridere Christofer che, con un sorriso scaltro, aggiunse: “Non voglio farvi scappare a gambe levate dalla stanza, mia signora, ma oserei dire che molte di loro ne sanno anche più di me, sui piaceri carnali.”

“Oh” esalò lei, coprendosi la bocca con le mani per soffocare un singulto di sorpresa.

“Vi tedia sapere che ho conosciuto altre donne prima di voi, Kathleen?” le domandò con sincero interesse il marito.

“No. O per lo meno, non proprio. Lo davo praticamente per scontato. Ce n’è qualcuna che conosco, però?” gli domandò la giovane, tornando a guardarlo in viso, gli occhi ora attenti e, sì, vagamente torvi.

Christofer, suo malgrado, trovò quell’accenno di rivalità molto piacevole e, nello scuotere il capo, dichiarò: “Nessuna donna, da qui a Londra, può vantare un simile piacere.”

Kathleen allora levò ironica un sopracciglio e celiò: “Sapete, vero, che la superbia è un peccato capitale?”

Il marito rise, sinceramente divertito dal tono della moglie.

“E’ un dato di fatto, Kathleen, non falsa modestia.”

“Datemi qualche nome. Chiederò conferma” gli propose allora lei, perfettamente seria in viso.

Il marito la fissò basito, chiedendosi se fosse per caso impazzita quando, su un angolo della bocca, vide balenare il fantasma di una risata.

Oh, quindi la moglie sapeva anche fare dello spirito? La faccenda si stava facendo davvero interessante.

Decidendo di stare al gioco, lui si tamburellò un dito sul mento con fare pensoso e la moglie, ora accigliata, sbuffò al suo indirizzo.

Il conte sogghignò e, nell’appoggiare gli avambracci sulle cosce, sostenne con divertimento: “A questo gioco possiamo partecipare in due, Kathleen. E comunque, non vi direi mai chi sono le donne che ho conosciuto prima del matrimonio, perché non sarebbe carino nei loro confronti… e in quelli dei loro attuali mariti.”

“Capisco” mormorò a quel punto Kathleen, portandosi le mani alla bocca per soffocare un risolino.

“Non ero un santo, lo ammetto, ma posso dire a mia discolpa che mi hanno sempre cercato loro” ammise lui, spallucciando.

“Non so se essere infastidita dalla cosa, oppure compiaciuta all’idea che mio marito sia così benvoluto dal genere femminile” brontolò a quel punto la moglie, intrecciando le braccia sottili sotto i seni.

Quel gesto innocente ne mise in evidenza le curve morbide, e più floride di quanto non ricordasse.

Suo malgrado, i lombi traditori gli rammentarono quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che aveva assaggiato le carni di una donna.

Divincolandosi leggermente sul divanetto per trovare una posizione più comoda, Christofer si accorse solo troppo tardi del lento rossore sorto sulle gote della moglie.

Ridacchiando imbarazzato, si coprì il basso ventre con le mani e borbottò contrito: “Per quanto io possa pensarla in un modo, qualcun altro vorrà sempre e solo una cosa. Le mie più profonde scuse, non volevo turbarvi. Il mio corpo mi tradisce quando certo di essere un gentiluomo tutto d’un pezzo.”

“Ma… ma sono… trasandata e…” tentennò lei, volgendo lo sguardo verso il fuoco per non dover correre con lo sguardo a ciò che il marito, tanto febbrilmente, stava nascondendo.

L’aveva sorpresa e, sì, sgomentata, notare i febbrili movimenti del marito per nascondere la sua mascolinità.

Suo malgrado, si era sentita andare a fuoco e, al tempo stesso, raggelare di paura.

“Credetemi, Kathleen, potreste indossare anche un sacco di tela, e sareste ugualmente una giovane decisamente attraente” le confessò il marito, sorridendole.

“Come?” esalò lei, avvampando in viso.

Non si era mai vista carina, questo era poco ma sicuro, e la sua altezza non le aveva mai reso le cose facili.

Le sue forme erano aggraziate, ma non certo formose come avrebbe voluto lei, o come la moda del momento dettava.

Di sicuro, un uomo doveva preferite una donna come Myriam, piccola e morbida, piuttosto che una come lei.
Sorpreso dal suo sconcerto, Christofer perse del tutto la voglia di fare dell’ironia e, con sincero interesse, le domandò: “Nessuno vi ha mai messo dinanzi a uno specchio, Kathleen?”

“Mi ci rifletto tutte le mattine, Christofer, e so esattamente cosa non sono” brontolò la moglie, accalorandosi.

“Lasciate che vi smentisca. Siete una donna affascinante, e la vostra cascata di capelli lunghissimi, e del colore del grano, attira lo sguardo. E, prima di passare alla descrizione del vostro corpo che, sono certo, potrebbe scatenare in voi un forte imbarazzo, vi dirò soltanto che non scorgo in voi nessun difetto e che, quel che vedo, incontra la mia piena approvazione.”

Nel dirlo, le sorrise il più teneramente possibile, giusto per non apparire un cafone.

Il rossore giunse comunque e, nel reclinare il viso, borbottò: “Avete bisogno di occhiali. Sicuramente.

Lui rise sommessamente, replicando: “E voi, di maggiore fiducia nelle vostre qualità che, da quel poco che ho scoperto, non si limitano a un bel corpo sinuoso e a un’indubbia capacità nel saper far di conto.”

“Mio signore!” sbottò lei, avvampando.

“Non mi scuserò con voi per la verità, visto che me l’avete espressamente chiesta. Sta a voi decidere se accettarla o meno. Io ve la offrirò spontaneamente ogni qualvolta me la chiederete” ironizzò lui, allungandosi per afferrare un ceppo e gettarlo nel fuoco.

Levandosi in piedi con estrema grazia, il volto ancora accaldato, Kathleen mormorò: “Penso che, per stasera, abbiamo parlato a sufficienza. Buonanotte.”

Lui si limitò a sorriderle nel vederla allontanarsi ma, quando la moglie ebbe raggiunto la porta, le domandò: “Mi direte mai perché vi rincuorava sapere che ero vivo?”

Il volto fisso sul battente di quercia, lei si limitò a mormorare: “Siete mio marito. Era ovvio che fossi rincuorata dal sapervi in vita.”
 
***

La colazione poco dopo l’alba era divenuta ormai un rito, per la famiglia Spencer.

Nel veder comparire la madre, il fratello e la moglie, Christofer si affrettò – per quanto possibile – ad alzarsi dallo scranno, pronto a inchinarsi dinanzi a loro.

Whilelmina lo gratificò con un bacio sulla guancia mentre Kathleen, più compita, lo beneficiò di un sorriso.

Wendell, più espansivo, lo abbracciò frettolosamente alla vita prima di curiosare sul tavolo per decidere cosa mangiare.

Ritenendosi soddisfatto, l’uomo tornò a sedersi per dedicarsi al suo piatto di uova strapazzate e bacon.

Con tono tranquillo, dialogò del più e del meno con le due donne e il fratello, informandoli della sua intenzione di incontrare i vari fittavoli.

La madre si dichiarò entusiasta e la moglie assentì compita, sbocconcellando un piccolo panino dolce imburrato, ricoperto di composta di mirtilli.

Come sempre, Kathleen mangiava pochissimo.

E, come sempre, fu la prima a terminare.

Quando si levò per allontanarsi dalla saletta – facendo segno a Christofer di non alzarsi – si affiancò al marito e, con un sorriso timido, mormorò: “Grazie, per ieri notte. L’ho apprezzato molto.”

“E’ reciproco” la rincuorò, arrischiandosi ad allungare una mano per batterla gentilmente su quella della moglie, poggiata con disinvoltura sull’immacolata tovaglia.

Subito, Kathleen allontanò la mano e, un attimo dopo, sospirò afflitta, fissando spiacente il marito.

Christofer allora le sorrise comprensivo e asserì: “Ho troppa fretta. Scusate.”

Lei allora si arrischiò a sfiorargli il viso con la stessa mano che aveva rifuggito il suo tocco e, accentuando il sorriso, dichiarò: “Avete bisogno di farvi la barba.”

“Avvertirò Julian” annuì lui, seguendola con lo sguardo quando uscì dalla stanza.

La risatina del fratello lo portò a distogliere in fretta il volto e, accigliato, lo squadrò torvo fino a farlo smettere.

Faceva il furbo, eh?

Quando la nuora fu uscita, Whilelmina si arrischiò a chiedere al figlio: “E’ successo qualcosa, tra voi due?”

Ancora, Wendell ridacchiò, ma stavolta fu la madre a rabbonirlo, ricordandogli chi fosse e quale grado di educazione dovesse tenere a tavola.

Il ragazzo assentì mogio e, con un leggero sbuffare, tornò alla sua tortina dolce.

“Niente di quanto voi stiate pensando, madre. Abbiamo solo parlato per un po’, poiché nessuno dei due riusciva a prendere sonno” le spiegò succintamente, dedicandosi alla sua tazza di tè alla menta.

Era curioso come Kathleen rifuggisse il tocco degli altri ma se, spinta dal bisogno, non badasse minimamente alla cosa.

La prima notte, vedendolo in difficoltà, non aveva esitato a sorreggerlo ma il semplice tocco della sua mano, il giorno seguente, l’aveva spaventata a morte.

E, anche quella mattina, era avvenuta la stessa cosa.

“Oh… capisco” annuì la madre, vagamente dispiaciuta.

“Madre… Kathleen rifugge anche il vostro tocco?” le domandò con curiosità il figlio.

La donna assentì spiacente.

“Non vuole che io la abbracci. Neppure da sua madre accetta simili gentilezze. Wendell è l’unico che, almeno ogni tanto, riesce a strapparle un abbraccio.”

Nel dirlo, sorrise al figlio minore, che assentì orgoglioso.

“E’ solo lei a decidere quando ha bisogno del tocco di un’altra persona. Ma non devi pensare che…”

Azzittendola con un cenno della mano, Christofer bofonchiò: “Non sono un idiota, madre. Capisco perfettamente perché non vuole essere toccata. Solo, trovo difficile trovarmi vicino a lei senza poterle neppure sfiorare il viso, o una mano.”

“Dovrai portare molta pazienza, caro” dichiarò la madre, speranzosa.

“Gliel’ho promesso, se è per questo, ma è una cosa maledettamente complicata, visto quanto è affascinante. Dovevo avere ovviamente la testa da un’altra parte, prima di partire, per non essermene accorto” brontolò il figlio, guadagnandosi per diretta conseguenza un’occhiataccia dalla madre e lo strizzare d’occhio del fratellino. “Ehi, andiamo! Non ho gli occhi foderati! Non è vero che Kathleen è molto bella, fratello?”

“La mia sorellona Kathleen è bellissima” assentì Wendell, sbocconcellando la sua tartina.

Whilelmina fissò male entrambi i figli, ma sospirò sconfitta.

“Preferirei che pensassi a tua moglie con maggior modestia e affetto, piuttosto che mosso da semplice… semplice libido.”

Ora sinceramente divertito, quanto indispettito, il figlio replicò caustico: “Libido? Madre, vorrei ricordarvi che io e Kathleen siamo sposati davanti a Dio, perché mio padre ha voluto questo, non certo per una decisione presa da noi due. Sarebbe un affronto a Kathleen stessa parlare d’amore, quando non ne provo affatto. Affetto? Certo. E’ la sorella del mio migliore amico e, per quanto poco io l’abbia frequentata prima del matrimonio, l’ho sempre ritenuta una ragazzina educata e carina. Che altro pretendete, da me, oltre a questo?!”

“Che tu avessi maggiore cuore!” sbottò la madre.

Wendell si rattrappì un poco, al suono cocciuto della voce materna e, facendo finta di niente, sorseggiò il suo succo d’uva per evitare grane.

Levandosi in piedi a fatica – il freddo di quelle terre non aiutava di certo la guarigione della sua ferita – Christofer replicò con maggiore controllo: “Le ho promesso sincerità, madre, e io mantengo le mie promesse anche se, nel suo caso, in modo tardivo. Mentirle le farebbe più piacere? Non credo. Kathleen mi sembra tutto tranne che una persona sciocca. Dirle che l’amo sapendo che non è vero, equivarrebbe a farle un torto ben maggiore di quanto io non le abbia fatto in passato. Non le mentirò mai più!

Sostenne con forza lo sguardo accigliato della madre, sapendo di avere ragione. Kathleen non voleva vuote parole, ma solo la verità, e lui gliel’avrebbe sempre offerta, assieme alla sua fedeltà.

“Ora, con il vostro permesso, vorrei recarmi alle scuderie per vedere Zeus. E’ il primo giorno di sole da quando sono tornato e, anche se non posso salire in sella, credo che un giretto alla cavezza gli possa fare bene” terminò di dire Christofer, lapidario.

Whilelmina, inspiegabilmente, arrossì come un peperone maturo e Wendell tossì fragorosamente, quasi gli fosse andato di traverso il succo d’uva.

Il conte, però, non vi fece poi molto caso e, claudicando visibilmente, uscì dalla stanzetta per raggiungere le scuderie.

Impiegò diversi minuti per discendere le scale, ma per nessun motivo al mondo avrebbe chiesto aiuto a chicchessia.

Pur se la casa brulicava di domestici già al lavoro e che, sicuramente, si sarebbero ben volentieri offerti di aiutarlo, il conte preferì mettere a tacere il proprio dolore.

Ne andava del suo amor proprio e del suo orgoglio, due cose che da settimane erano ai minimi storici, nel suo animo.

Quando infine raggiunse il cortile, il fiato corto e un leggero umidore al collo, testimone della fatica patita, Christofer dovette bloccare sul nascere qualsiasi sua azione, strabiliato da ciò che vide.

Nei pressi dello stallaggio, in compagnia dell’onnipresente William, Kathleen stava infilando un piede nella staffa della sella che si trovava sulla schiena di Zeus.

Il suo Zeus.

E quella sul dorso del cavallo, che poteva scorgere senza fallo, era una sella da uomo.

Con un gesto esperto e sicuro, Kathleen scavalcò con agilità l’ampia schiena dell’andaluso nero.

William, premuroso, le sistemò le vesti da cavallerizza, drappeggiandole alla perfezione attorno all’animale.

Fatto ciò, consegnò le redini alla donna, si accostò a un secondo cavallo, un frisone corvino dal magnifico portamento e, muovendosi con fare esperto, vi salì in groppa agilmente.

Kathleen non attese oltre.

Con un colpo di tacchi ben assestato sui fianchi di Zeus, si mise in marcia, prendendo la via che conduceva al vicino villaggio di Stamford Bridge.

William la seguì a brevissima distanza, un fucile legato alla sella e il mantello pesante che svolazzava sulle sue spalle diritte.

“Ma che diavolo…” borbottò il conte, incapace di credere a ciò che aveva appena visto.

Non solo sua moglie era partita al trotto sul suo stallone, ma pareva che il cavallo fosse più che abituato a lei e al suo dolce peso.

E il gigantesco frisone nero con il quale William la accompagnava, da dove saltava fuori?

Dubitava fortemente potesse appartenere a William, visto il costo abnorme di una simile bestia.

Inoltre, era più che certo che, prima della sua partenza, quello splendido esemplare non facesse parte delle loro scuderie.

Quindi, di chi era?

Sempre più confuso e sì, accigliato all’idea di sapere la moglie in sella a un animale focoso come Zeus, Christofer si diresse con rinnovata forza in direzione dello stallaggio.

Lì, trovò soltanto un giovane garzone, intento a mettere paglia nuova nei box.

Quando fece notare al ragazzo la sua presenza, il conte si irritò non poco nel vederlo sobbalzare di sorpresa e paura.

Ma era mai possibile che suo padre avesse messo un tale nervosismo addosso a tutti i dipendenti?

Cercando perciò di controllare il suo tono di voce, il conte gli domandò: “Ho visto mia moglie e Mastro Knight uscire a cavallo. Sai dirmi se è consuetudine che la contessa cavalchi Zeus?”

Il ragazzo assentì nervosamente e, nello stringere il pesante forcone tra le mani, mormorò ansioso: “Milady si preoccupa di far passeggiare Zeus da più di un anno e mezzo, ormai. Riteneva che lo stallone passasse troppo tempo chiuso nel suo box, e avesse necessità di correre.”

Lappandosi le labbra, aggiunse in un sussurro nervoso: “Inoltre, dopo… dopo la morte del figlio, sembrava che stare con Zeus le facesse… bene.”

“Non avrebbe potuto farlo il suo attendente?” replicò caustico Christofer, prima di tossicchiare quando vide il giovane impallidire per la paura. “Scusami. Volevo dire che mi preoccupo del fatto che la mia signora possa farsi male. Zeus, dopotutto, è un cavallo piuttosto imponente, anche se sono lieto di sapere che, stare qui all’aperto con lui, l’abbia aiutata a riprendersi.”

“Oh, ma milady è un’amazzone eccezionale, e Zeus è innamorato perso di lei” asserì con un mezzo sorriso il ragazzo, deliziato al solo pensiero di decantare le doti della sua padrona.

Levando un sopracciglio con evidente sorpresa, Christofer si chiese se Kathleen avesse fatto il lavaggio del cervello all’intero Green Manor.

Possibile che ne fossero tutti stregati?

“Zeus innamorato, eh?” celiò il conte.

“Da quando milady lo ha condotto alla cavezza per la prima volta, lo stallone non ha voluto che lei, in sella. Mastro William ha provato a sellarlo e montarlo, per maggiore sicurezza per lady Spencer, ma non c’è stato verso. Così, lui la accompagna con Thunder, il frisone di milady, mentre Sua Grazia cavalca Zeus” gli spiegò il ragazzino, ora maggiormente loquace.

Christofer impiegò qualche istante per digerire la notizia ma, quando il suo cervello fu sceso a patti con ciò che aveva appena udito, strabuzzò gli occhi e gracchiò: “Quel… quel bestione è di mia moglie?!”

“Sì, milord. So che lo ha acquistato a una fiera di paese, circa otto mesi fa.”

Poi, come se si fosse appena ricordato di chi aveva di fronte, avvampò in viso e si cucì la bocca.

Passandosi una mano tra i capelli, l’aria sconcertata e la mente colma di mille e più domande, Christofer mormorò al ragazzo: “Non devi preoccuparti che io ce l’abbia con mia moglie, giovanotto. Non le torcerei un capello. Mi sono solo stupito della scelta. Non è esattamente un palafreno.”

“No, immagino di no” mormorò il giovane che, con un sorriso di autentico sollievo, si volse a mezzo non appena si avvide dell’arrivo dello stalliere.

“Ehi, Roderick, chi ti ha detto di fermarti? Continua a lavorare” brontolò bonariamente l’anziano, strizzandogli l’occhio nel dargli un affettuoso scappellotto.

“Subito, zio. Milord, buona giornata.”

In fretta, il ragazzino si inchinò e tornò a svolgere il suo lavoro mentre lo stalliere, nel togliersi il berretto, salutò il suo titolare.

“Gilford, è un piacere rivederti” asserì Christofer, avvicinandosi di qualche passo all’uomo.

Era stato lui a metterlo sul suo primo pony, a insegnargli come curare una cavalcatura e, di lui, aveva ottimi ricordi.

“Milord … vedo che la guerra ha lasciato strascichi. Come vi sentite?” si interessò l’uomo, indicando con discrezione la gamba del conte.

“Una ferita piuttosto profonda, in effetti, e che mi da dei grattacapi, ma il dottore era ottimista, quando sono sceso dalla nave” gli spiegò succintamente Christofer prima di indicare i due box vuoti. “Ti facevo più avveduto, amico mio. Da quando permetti che una signora cavalchi una bestia scatenata come Zeus?”

Gilford, a sorpresa, ridacchiò divertito e il conte, fissandolo con aria curiosa, mormorò: “Ebbene?”

Per diretta conseguenza, lo stalliere chiosò: “Da quando una certa lady ha saputo chetarlo con il semplice sguardo, e qualche carezza. Milady è abilissima con i cavalli, sembra vi sia nata in groppa, e con Zeus è adorabile. Era evidente quanto il vostro stallone mordesse il freno, ma nessuno aveva il coraggio di avvicinarlo, perché cercava di masticare qualunque mano tentasse di metterlo alla cavezza.”

“Un brutto vizio, lo so, lo ha sempre avuto” ammise lui, curioso di ascoltare il resto.

Annuendo, lo stalliere proseguì.

“Lady Spencer si presentò qui, una mattina, munita di una carota, una cavezza e uno sguardo così volitivo che azzittì tutti. Accarezzò Zeus sul muso canticchiando qualcosa a bassa voce, ma con tono così suadente che, lo ammetto, se fossi stato un cavallo, mi sarei prostrato subito ai suoi piedi.”

Christofer ridacchiò, e Gilford si concesse un sorriso divertito.

“Lo condusse fuori senza sforzi e, da quel momento, furono inseparabili. Poi giunse Thunder, e furono scintille. I due cavalli se la contendevano. Non si può pensarla in nessun altro modo, quando vedi due bestioni a capo chino che, con tutta la delicatezza di cui possono essere capaci, le danno dei colpetti sulle spalle per indurla a salire sulle loro groppe.”

Ora, il conte era più che strabiliato, era senza parole.

“Così, non appena può, Sua Grazia conduce i due destrieri a fare un giro. Al ritorno, la vedrà in sella a Thunder, mentre Mastro William cavalcherà Zeus. Ma è un favore che l’andaluso concede  a quel ragazzo solo quando c’è lady Spencer con loro, come se sapesse che è l’unico modo per avere un po’ della sua compagnia” gli spiegò lo stalliere, spallucciando leggermente, come se anche a lui apparisse strano quel comportamento.

Ridendo sommessamente, suo malgrado, Christofer mormorò: “Ho sposato una fattucchiera, a quanto pare.”

“Direi una fatina buona, milord. Sua Signoria ha una parola gentile per tutti, si preoccupa di chiunque lavori alla villa e, non appena può, è prodiga di attenzioni anche per i poveri bambini dell’orfanotrofio di Dunnington” replicò con gentilezza Gilford, sorridendo compiaciuto.

“Una santa, allora” esalò il conte, sempre più sgomento.

Levando un sopracciglio con aria divertita, Gilford celiò: “Anche le rose più belle hanno le spine.”

“C’è qualcosa che non so?” si informò allora il giovane, incuriosito.

“Su vostra moglie? Non credo. Ma vorrei informarvi che una delle giumente partorirà nelle prossime settimane e, forse, vedrete lì le spine di Sua Signoria” lo mise in guardia lo stalliere, allontanandosi con un inchino per riprendere il suo lavoro.

Spine, eh?

Quell’accenno mantenne accesa la curiosità di Christofer per buona parte della mattinata.

Quando vide infine tornare la moglie in sella a Thunder, apparentemente sana e salva, il desiderio di sapere lo fece balzare dalla sedia dello studio.

Quel movimento repentino, però, gli causò dolori così cocenti da farlo crollare come un sacco sulla poltrona, ove era rimasto accomodato per ore.

Pur desiderandolo, non riuscì a risollevarsi.

Costretto suo malgrado a suonare il campanello per richiamare la servitù, ordinò ai domestici che lo accompagnassero nelle sue stanze.

Non se la sentiva di affrontare la famiglia in quelle condizioni.

La gamba gli doleva così tanto che, al momento, anche il solo riuscire a mettere insieme una frase sensata gli costava parecchia fatica.

Un intero pranzo, seduto al tavolo con loro, sarebbe stato una sofferenza.

Quando infine lo fecero sdraiare sul letto, e Julian ebbe ordinato che gli portassero  acqua calda e teli puliti, Christofer scoprì il perché di quel dolore sempre crescente.

Da quando era tornato, non si era voluto occupare della ferita, fin troppo preso dai suoi personali incubi per voler pensare anche a quell’arto offeso.

Prendersi cura di quell’ennesimo patimento sarebbe stato troppo, per i suoi nervi, specialmente in considerazione del fatto che, ne era sicuro, non avrebbe mai recuperato l’uso della gamba.

Si era anche rifiutato di chiamare il dottore, adducendo come scusa che la gamba stava guarendo bene.

Quando la madre avesse scoperto la verità, lo avrebbe scotennato. E forse anche Kathleen.

Fissando con rabbia e disgusto assieme quel che la sua testardaggine aveva causato, si chiese cosa ne sarebbe stato della sua gamba, a quel punto.

La ferita appariva gonfia e rossa e, suo malgrado, si avvide della presenza di qualche goccia di pus disgustoso e purulento sui bordi.

Julian fece del suo meglio per pulirla con dei panni umidi, ma il dolore era troppo forte e, alla fine, Christofer lo allontanò con un gesto rabbioso della mano.

Se proprio doveva farsi del male, lo avrebbe fatto di propria mano.

Lanciando imprecazioni su imprecazioni, il conte cercò quindi di ripulire come meglio poté quel maledetto disastro.

Alla fine, ciò che riuscì a fare, però, fu molto poco e lo lasciò del tutto stremato.

Andrew gli avrebbe dato dell’idiota, se avesse potuto vederlo, e non avrebbe avuto tutti i torti.

Ma perché, perché doveva essere sempre così testardo?







Note: Grazie ai sogni di Christofer veniamo a sapere dei suoi bruttissimi rapporti con i fratelli che, evidentemente, cercavano in ogni modo di non farlo uscire intero da Eton. Se già avere il biasimo del padre era di per sè pesante da sopportare, l'odio dei fratelli è un'aggravante che ha portato Christofer a divenire freddo con il mondo esterno, con l'eccezione di Andrew.
Scopriamo anche un'altra caratteristica di Kathleen. E' un'ottima cavallerizza, e sembra non avere affatto paura di un animale focoso come Zeus, cosa che colpisce non poco il marito, che ne conosce il caratteraccio. 
Non fosse stato per la gamba, forse sarebbe stata una degna conversazione per un'altra nottata insieme, ma la gamba ha deciso di farsi finalmente sentire, visto che Christofer l'ha trascurata.
Basteranno le sue semplici cure, o dovrà intervenire qualcun altro?
Lo scopriremo molto presto!
Per ora, grazie per essere passate e/o aver commentato!

 

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Capitolo 7
*** VII. ***


 
7.
 
 
 
 
 
 
L'aver trovato la porta degli appartamenti del marito chiusa a chiave, la sera precedente, non aveva sorpreso Kathleen più di tanto.

Probabilmente, Christofer si era sentito troppo stanco per sostenere un'altra notte di lunghe chiacchiere assieme a lei.

Era stato così impegnato, quel giorno, da non poter neppure condividere i pasti con loro.

Il non trovarlo neppure al tavolo della colazione, la mattina seguente, le fece però sorgere qualche sospetto.

Chieste spiegazioni alla suocera – che non le aveva saputo rispondere – la contessa si era infine risolta a raggiungere la stanza del marito.

La risatina di Wendell l’aveva seguita per quasi tutto il corridoio, ma lei non vi aveva fatto caso.

Ora, in prossimità della stanza del marito, ne vide uscire di corsa Julian, armato di bendaggi sporchi e pezzuole umide.

Aggrottando la fronte, lo bloccò in corridoio per chiedergli spiegazioni in merito.

Il valletto parve a disagio e, tergiversando, le disse brevemente che Sua Signoria non si era ancora alzato.

Detto ciò, sgattaiolò via a testa bassa e di gran carriera.

Sempre più incuriosita, Kathleen mise allora mano alla porta, trovandola a sorpresa chiusa a doppia mandata.

“Ma cosa succede?” borbottò a mezza voce, levando un pugno per bussare quietamente.

Due colpetti e, dopo alcuni istanti, una chiave venne fatta girare nella toppa. La testa di Alfred, il capo maggiordomo, ne uscì un attimo dopo.

“Julian, sei già...” iniziò col dire l'uomo, interrompendosi subito non appena si avvide della presenza della sua signora. “Oh... milady, buongiorno.”

Sgattaiolando fuori dalla stanza per poi richiudersi in fretta la porta alle spalle, l'uomo se ne stette ritto dinanzi al battente con l'aria di non saper bene cosa dire.

Sempre più confusa, Kathleen mormorò: “Buongiorno a voi, Alfred. Posso sapere se mio marito è desto? Gradirei parlare con lui.”

“Oh, ehm... Sua... Signoria è... è indisposto, al momento.”

Mai, in più di due anni, Alfred era stato così evasivo con lei, e questo la mise subito in allarme.

Aggrottando la fronte, Kathleen gli domandò: “Ha per caso un'infreddatura?”

Il rombo di un tuono fece tremare l'intera villa e la donna, vagamente sorpresa, esalò: “Cielo! Si sta scatenando l'Apocalisse, qui fuori?”

“Pare davvero un brutto temporale” ammise Alfred, avvertendo ora anche lo scroscio violento della pioggia.

Era così forte che, pur trovandosi all'interno della villa, potevano udirlo con chiarezza.

Per nulla intenzionata a farsi distrarre dal tempo, però, la contessa tornò a fronteggiare il capo maggiordomo e, con cortesia, gli domandò: “Posso entrare? Potrei essere di aiuto.”

“Ah... non credo sia necessario. Abbiamo tutto sotto controllo” si affrettò a rassicurarla l'uomo, sorridendo imbarazzato.

Il ritorno di Julian diede a Kathleen l'opportunità di capire qualcosa in più.

Non appena vide dell'allume di rocca, bendaggi nuovi e una brocca d'acqua pulita, dichiarò torva: “Da quando in qua, per un'infreddatura, si usa l'allume di rocca? La ferita di Sua Signoria è peggiorata, vero?”

Kathleen aveva notato che, in quei giorni, il claudicare del marito era peggiorato ma, scioccamente, non gliene aveva chiesto i motivi.

Avrebbe dovuto essere più accorta!

Sia Alfred che Julian non seppero cosa dire e la contessa, afferrato il vassoio dalle mani dell'incolpevole valletto, ordinò senza tanti giri di parole: “Aprite. Subito.”

“Milady, davvero... non è il caso di preoccuparsi” biascicò ansioso Alfred, ben deciso a non scostarsi dal suo posto, pur trovandosi nella scomoda situazione di dire di no alla sua padrona.

Accigliandosi maggiormente, Kathleen fece un passo avanti, perentoria.

“Devo dedurre che non vogliate eseguire il mio ordine, Alfred?”

“Non mi sognerei mai di disobbedirvi, mia signora!” esalò l'uomo, inorridendo al solo pensiero.

“Allora, fatemi la cortesia di aprire” replicò melliflua Kathleen, sorridendo appena.

Vistosi suo malgrado costretto a obbedire, il capo maggiordomo estrasse dalla tasca dei pantaloni la pesante chiave ottonata che aveva usato per chiudere il battente.

Con un sospiro rassegnato, aprì.

La prima cosa che la contessa notò furono le tende chiuse, oltre alla relativa oscurità della stanza.

La seconda, fu un forte odore di alcool, misto all'acre aroma della legna bruciata.

Quella camera non era stata arieggiata da ore.

Accigliandosi, Kathleen entrò e, nell'allungare una mano in direzione di Alfred, mormorò: “La chiave, per favore.”

“Vostra Grazia, per pietà... non è cosa per i vostri occhi e...” tentennò l'uomo, indeciso sul da farsi.

“Non penso sia uno spettacolo più miserevole delle ferite che ho curato al lanificio, o all’orfanotrofio” precisò Kathleen, fissandolo con estrema serietà.

Alfred fu costretto ad annuire e, nel consegnarle la chiave, dichiarò scontento: “Sarò qui fuori, se avrete bisogno di me, milady.”

“Grazie, Alfred, e perdonami se ho dovuto puntare i piedi” mormorò la donna, chiudendosi la porta alle spalle.

Rammentava ancora troppo bene le dita amputate, le ferite causate dai macchinari e le lacerazioni lasciate dai colpi di bastone inferti dal vecchio padrone del lanificio.

Era certa che nulla potesse essere peggio di quello che aveva visto in quei due anni, passati a curare le ferite altrui per dimenticare le proprie.

Anche per questo, si era prodigata per cacciare il vecchio proprietario del lanificio.

Somigliava troppo alle persone che l’avevano fatta soffrire negli anni, perché potesse rimanere sulle sue terre.

Almeno questo aveva potuto farlo, oltre a trovare un degno sostituto che non facesse lavorare bambini, nelle sue linee di produzione.

Ciò che aveva scorto in quel posto era stato l'Inferno in Terra, per cui niente di quanto avrebbe visto da lì innanzi l'avrebbe spaventata.

Ugualmente, avanzò cauta nella semi oscurità della stanza, spezzata soltanto dal baluginare del fuoco nel camino.

All'esterno, i tuoni si intervallavano tra loro, apparentemente sempre più vicini e forti, con un ritmo via via crescente.

La pioggia, violenta e pesante, pareva non voler concedere tregua alla campagna.

“Alfred... siete voi?”

La voce di Christofer le giunse roca e stanca dal letto, ove i tendaggi risultarono essere completamente tirati. Le fu impossibile vedere il marito.

Poggiato che ebbe il vassoio su un basso tavolino, Kathleen iniziò a scostare le tende di velluto blu del baldacchino, mormorando: “Sono vostra moglie, Christofer.”

“Che cosa?!” gracchiò l'uomo, sgranando gli occhi e afferrando in fretta le coltri per coprirsi alla bell’e meglio.

Christofer aeva passato un'autentica notte d'inferno, a causa della gamba malandata e, per meglio riposare, aveva finito con il denudarsi.

Lasciato l'arto scoperto, Julian o Alfred avevano poi provveduto ad applicarvi impacchi freddi e caldi per allentare il gonfiore attorno alla ferita.

Il trattamento, però, non aveva sortito gli effetti voluti, e la coscia ora pulsava come se fosse stata attraversata da un branco di cavalli al galoppo.

“Cosa diavolo ci fate qui dentro?! Avevo vietato di farvi entrare!” sbraitò Christofer, furente e col volto percorso da un profuso rossore.

“E io sono entrata lo stesso” replicò candidamente lei, iniziando a rischiarare la stanza grazie a una serie di candele.

Accigliandosi quando le vide, l'uomo ringhiò: “La luce mi ferisce, donna! C'era un motivo se non erano state accese!”

“Per curarvi, devo vedere dove mettere le mani” gli fece notare lei con fastidioso candore.

“Vorrete scherzare, spero! Voi non toccherete questa maledetta ferita!” sibilò Christofer, lanciando poi un’imprecazione stizzita.

Fu del tutto inutile.

Né Julian, né tanto meno Alfred si fecero vivi e Kathleen, nel mettere mano alle tende delle finestre, le scostò con forza.

“Nessuno di loro verrà in vostro soccorso, perché ho detto loro di non farlo. Inoltre, la porta è chiusa a chiave, perciò…”

“Codardi! Aver paura di una donna che pesa la metà di loro!” sbottò Christofer, poggiandosi un braccio sugli occhi quando le imposte vennero aperte per lasciar penetrare luce e aria fresca.

Il rombo del temporale si fece più forte, a quel punto, ma almeno il vento era calato, permettendo così a Kathleen di arieggiare la stanza del marito.

Una serie di brontolii e imprecazioni soffocati giunsero dal letto, ma lei non vi badò.

Sistemò tutto ciò che trovò in disordine e, quando ritenne che la finestra fosse rimasta aperta a sufficienza, la richiuse.

Ciò fatto, si avvicinò finalmente al letto, trovandovi un accigliato e furibondo Christofer che, potendo fronteggiarla a viso aperto, le ringhiò contro: “Ora ve ne andrete da questa stanza, e chiuderemo qui la faccenda.”

“Non ci penso minimamente. State male e...” iniziò col dire lei, allungando una mano per tastargli la fronte. “... a quanto pare, avete la febbre. Avrei dovuto essere più attenta e chiedervi come stavate, nei giorni addietro, e di questo mi scuso, ma ora porrò rimedio alla mia superficialità.”

“Non siete stata negligente, credetemi” brontolò lui, fissandola bieco. “Sono io che non vi ho detto nulla. Ora che abbiamo chiarito, andatevene!”

Imperturbabile al suo scoppio d'ira, Kathleen mise mano alle lenzuola per toglierle ma Christofer, caparbio, le afferrò a sua volta.

“Kathleen, per favore! Non indosso nulla!”

Le mani della giovane si scostarono immediatamente, come se le coltri avessero preso fuoco e, avvampando in viso, esalò: “Oh... scusate. Vedremo di porvi subito rimedio, comunque.”

Esasperato, l'uomo si passò una mano tra i capelli sparpagliati sul cuscino e, con occhio attento, la scrutò mentre ripiegava un telo di cotone più e più volte.

Dopo essersi assicurata che fosse perfetto, glielo passò e disse: “Ponetelo sulle vostre parti intime, così nessuno dei due avrà problemi.”

Christofer ripensò alle parole di Gilford, e alle fantomatiche spine di Kathleen.

Nel vederla così determinata e caparbia, sorda a qualsiasi richiesta, capì cosa intendesse dire.

Non era solo docile e gentile, ma anche ferma e dispotica come un generale, quando voleva.

E lui, a quanto pareva, era divenuto la sua vittima sacrificale.

Sistemato il telo alla meglio, avvertendo suo malgrado un profondo imbarazzo all'idea di farsi vedere praticamente nudo dalla moglie, Christofer alla fine bofonchiò: “Ho fatto. Ora potete divertirvi.”

“Non sono qui per divertirmi, ma per curarvi, è ben diverso” replicò lei, scostando con delicatezza le coltri.

Cercando di non farsi impressionare dal torace possente dell'uomo, percorso da chiara peluria sottile, e dal ventre piatto e sodo, Kathleen arricciò il naso non appena si avvide della ferita alla gamba.

Era davvero messa male.

A quanto pareva, i punti avevano fatto infezione, e del pus giallo e maleodorante fuoriusciva dal taglio slabbrato e gonfio.

La carne, all'esterno, era rossa e rigonfia e, quando la giovane la tastò con gentilezza, ne avvertì immediatamente il fuoco sottostante.

Aggrottando la fronte, mormorò: “L'avete davvero maltrattata. Perché non avete fatto venire un medico?”

“Pensavo di cavarmela da solo” brontolò lui, studiando il volto della moglie con interesse e turbamento assieme.

Fosse stata un'altra donna, sarebbe certamente svenuta di fronte a un simile spettacolo o, quanto meno, sarebbe scappata a gambe levate.

Lei, invece, non aveva battuto ciglio dinanzi alla serie di ferite più o meno recenti che lo ricoprivano in più punti.

Alla vista dello scempio sulla sua gamba, inoltre, si era contenuta egregiamente, non dimostrando alcun disgusto evidente.

“E' chiaro che vi sbagliavate” motteggiò Kathleen, volgendosi per controllare cosa vi fosse, di preciso, sul vassoio portato da Julian.

Nulla trovando di quanto cercava, si avventurò fino alla porta e lì, aperto che ebbe, ordinò ad Alfred di portarle ago e filo, dell'alcool e un coltello.

Ciò detto, domandò loro di chiamare anche William perché la raggiungesse.

Nel sentire menzionare l'arma, Christofer impallidì leggermente e, quando la vide tornare, esalò: “Volete porre fine alla mia vita, mia signora?”

“Affatto. Voglio salvarvi la gamba prima che vada in cancrena” dichiarò lei, coprendolo con un lenzuolo mentre attendevano che fosse portato il necessario.

Il conte non seppe dire se quel gesto fosse stato compiuto a suo beneficio, o per salvaguardare se stessa, ma ugualmente disse: “Grazie. Ma davvero, non dovete occuparvi di me.”

“E perché, di grazia? Siete mio marito. Io prima di tutti devo occuparmi della vostra salute” protestò lei, accomodandosi su una poltrona posta accanto al letto.

“Molte donne neppure si sognerebbero di esporre un simile pensiero” le fece notare lui, abbozzando un sorrisino di scherno. “E voi, prima tra tutte, dovreste essere lieta che io soffra a questo modo, invece di tentare di alleviare le mie pene.”

“Io non sono ‘molte donne’, ma vostra moglie” sbuffò Kathleen, cocciuta. “Quanto alla scempiaggine sul godere delle vostre sofferenze, beh… temo di non essere così crudele. Mi spiace, vi dovrete accontentare di una donna che
non sa vendicarsi.”

“Comincio a credere che il mio debito con voi non verrà mai saldato… siete davvero troppo buona, per un miserabile come me” ammise il marito, abbozzando una risatina.

La moglie allora si esibì in un timido sorriso, ammettendo: “Sono terrorizzata all'idea di farvi male, ma non vi lascerò solo a soffrire, quando posso esservi di aiuto. E non parlerei di debiti nei miei confronti, ma nei confronti di voi stesso.”

Lui la fissò confuso, e Kathleen si spiegò meglio, lappandosi nervosamente le labbra.

“Non so cosa vi abbia fatto cambiare idea su… su di noi, se la guerra o Andrew, ma apprezzo ciò che state tentando di fare per riparare. Vedo nei vostri occhi la battaglia che state combattendo, anche se non ne comprendo appieno la portata. Il fatto di avere una moglie, e non poter …godere del suo corpo, vi rende tutto più difficile, e…”

A quel punto, arrossì tremendamente, e si bloccò.

Christofer, allora, dichiarò: “Sarei folle a dire che non vi desidero dal punto di vista fisico, Kathleen. Ma la battaglia che sto combattendo è innanzitutto contro l’uomo che sono stato per voi, nelle prime settimane del nostro matrimonio. Quell’uomo, vorrei cancellarlo dalla vostra memoria, se non dalla mia, perché so che non è l’uomo giusto per voi. Né voglio continuare a essere quello stereotipo d’uomo.”

Sbattendo le palpebre con frenesia, come a voler scacciare le lacrime che Christofer le scorse baluginare per un attimo ai lati degli occhi, Kathleen mormorò in risposta: “So che non siete quell’uomo, anche se a volte è difficile far sovrapporre l’immagine che ho di voi – e di amico di Andrew – con quella della persona che… che mi ha…”

“Ferita? Umiliata?” terminò per lei, sospirando afflitto.

Kathleen si limitò ad annuire, e Christofer non poté che dire: “Meritate più di quei tristi ricordi e, se potrò, ve ne offrirò di nuovi.”

Lei accennò un sorriso e, nel tornare a scrutarne il suo corpo – ricoperto dal lenzuolo – Kathleen asserì: “Questo sarà sicuramente un ricordo originale, e del tutto inaspettato.”

Christofer rise e, lanciata a sua volta un’occhiata al suo corpo disteso, le disse: “Non vi siete spaventata, di fronte a ciò che avete visto...e non parlo del mio fisico prestante.”

Kathleen ridacchiò suo malgrado, arrossendo un poco, e Christofer ne fu felice. Era bello sentirla ridere, pur se l'occasione era assai infelice.

“Ho avuto modo di curare molte ferite, al lanificio, così ero... preparata” gli confidò la donna, volgendo lo sguardo quando udì bussare. “Anche se sapervi così… discinto mi… beh, non è facile, lo ammetto.”

“Sarò come una statua, per voi, lo prometto” le garantì lui, sorridendole generosamente.

La moglie annuì, pur non sentendosi del tutto sicura.

Non era facile mostrarsi impassibili di fronte al marito ma, in quel momento, doveva pensare innanzitutto alla sua salute, non al proprio imbarazzo.

Scusandosi con lui quando udì bussare alla porta, si affrettò a ritirare dalle mani del valletto di Christofer quanto lei aveva richiesto.

Nel tornare poi verso il letto, spiegò al marito: “Per quanto volenterosi, né Alfred, né tanto meno Julian sanno trattare ferite simili. Io e Mastro William, sì.”

“Perché ve ne volete occupare di persona?” le domandò lui, allungando una mano verso di lei.

Poggiato sul letto il necessario per curarlo, Kathleen lasciò che il marito le afferrasse la mano.

Con sua sorpresa, Christofer si limitò a osservarla con occhio attento, come se stesse scrutando un oggetto raro e prezioso.

“Sono così delicate... perché lasciate che tocchino simili... simili orrori?” mormorò lui, spiacente.

Sorridendogli benevola, lei replicò gentilmente: “Non sono disturbata dalle vostre ferite, se è questo che vi turba tanto, Christofer. Avevo dato per scontato che, dopo due anni di guerra, avreste potuto averne, ma questo non mi preoccupa.”

“Ne siete sicura? Non sono certo belle a vedersi, alcune” mormorò l'uomo, suo malgrado insicuro.

“Per questo non volevate che vi vedessi senza abiti addosso?” lo irrise bonariamente Kathleen. “Christofer, imparerete presto che non sono più un candido giglio, pronto a spezzarsi al minimo alito di vento.”

“Oh, me ne sono avveduto. Cavalcate Zeus come un provetto fantino, per non parlare di quel bestione che avete acquistato!” ironizzò lui, vedendola arrossire per diretta conseguenza. “Grazie per esservi presa cura del mio Zeus, fra le altre cose. Sono sicuro che avete fatto un ottimo lavoro.”

“Si sentiva solo” sussurrò lei.

“E voi?”

Kathleen non rispose, ma annuì debolmente.

Un quieto bussare alla porta interruppe le mille domande che il marito avrebbe voluto porle e, quando vide entrare William, il consueto senso di fastidio sorse a increspargli il viso.

Con un breve inchino formale, l'uomo avanzò a grandi passi in direzione del letto e, dopo aver dato un'occhiata frettolosa alla ferita, domandò: “Come intendete procedere, milady?”

“La ferita è infetta e va riaperta e, per fare questo, dovrò inciderla” spiegò a entrambi gli uomini, scusandosi con lo sguardo con Christofer per il dolore che, sicuramente, avrebbe patito. “Voi dovrete tenerlo fermo, William, altrimenti rischierò di causare molti più danni, vista la posizione in cui si trova la piaga.”

Il conte ironizzò caustico.

“Vi sarei grata se non mi eviraste, moglie mia, pur se vi capirei, se quella lama sbagliasse inavvertitamente percorso. Vorrei avere tanti figli da voi, se mi fosse possibile.”

Lei si limitò a esibire un sorriso sbarazzino, anche se il suo parlare di figli la riscaldò per un attimo. “Vedrò di non sbagliare.”

Christofer si lasciò andare a un sospiro tremulo mentre William, poggiate le mani sui suoi avambracci, mormorò: “Vi chiedo scusa fin d'ora, milord.”

“Non ve ne farò una colpa, ma voi non ascoltatemi, se imprecherò contro la vostra persona a più riprese” ironizzò Christofer, vedendo giungere in loro aiuto anche Marcus, uno dei domestici, e Percy, il mastro ferraio. “Oh... a quanto pare, sapevate cosa vi aspettava.”

“Avevo già ipotizzato cosa volesse da me Sua Signoria, e visto quanto siete forte, milord, temevo che da solo avrei potuto fare ben poco” ammise William, con un sogghigno.

Kathleen sorrise ai due nuovi venuti e ordinò loro di bloccare il marito alle caviglie, mentre lei avrebbe pensato a riaprire la ferita.

“Mi sento come un uomo pronto per il patibolo, mia cara, perciò siate lesta e fate ciò che deve essere fatto. Per quanto mi sarà possibile, rimarrò fermo” celiò il conte, lanciando uno sguardo accorato a Kathleen, che gli sorrise sicura.

“Non vi deluderò” mormorò lei, afferrando il coltello con mano ferma.

Ciò che seguì fu, per Christofer, prova dura e di somma sofferenza.

Urlò, quando il dolore fu così cocente da non concedergli scampo.

Si dimenò il meno possibile, pur mettendo a dura prova i tre uomini giunti per tenerlo bloccato ma, in tutto quel caos a stento controllato, Kathleen fu esemplare.

Incise la ferita, rapida e precisa e, con mano ferma, deterse la carne dal pus fino a far riapparire la carne rossa e sana del muscolo.

Tamponò il sangue espulso senza mai dare segno di cedimento, il tutto sotto gli sguardi ammirati dei quattro uomini.

Dopo aver inzuppato il filo di seta nell'alcool, iniziò a ricucire il tutto, muovendosi con competenza fino a riunire le labbra della ferita.

Ciò fatto, applicò dell'allume di rocca e fasciò la gamba e, solo a lavoro ultimato, mormorò roca: “Potete lasciarlo andare.”

I tre uomini, madidi di sudore non meno del conte, che appariva pallido e sfiancato, si allontanarono dal letto per andarsene ma, sulla porta, William le domandò: “Avete ancora bisogno di me, milady?”

Era chiaro cosa vi fosse sottinteso in quelle parole.

Christofer avrebbe avuto bisogno di spugnature, a quel punto.

Kathleen, però, non volle tirarsi indietro e, scosso il capo, congedò l'attendente ordinando che nessuno li disturbasse.

Rimasti finalmente soli, Kathleen emise un sospiro tremulo e, crollando sulla poltrona, si lasciò andare a un breve scoppio di pianto, silenzioso quanto straziante.

Il marito, pur distrutto da quell'immane prova, trovò la forza di esalare: “Kathleen, no, non piangete.”

Lei annuì nervosamente, tergendosi il viso con le mani come avrebbe fatto una bambina.

Fu in quel momento che Christofer rammentò un particolare non da poco: la moglie aveva solo diciotto anni!

A cosa l'aveva costretta?

“Kathleen, vi prego...” ansò lui, cercando a fatica di mettersi a sedere.

Subito, la giovane balzò dalla sedia per impedirgli qualsiasi movimento e, gentile quanto irremovibile, lo sospinse nuovamente verso il materasso.

“Non dovete muovervi. Ora mi passa, davvero.”

“Avrei dovuto impedirvi di farlo, anche a costo di farvi caricare su una spalla da Mastro William, e farvi condurre fuori di qui” ammise lui, con triste ironia.

A Kathleen sfuggì una risatina nervosa, replicando: “Non l'avrebbe mai fatto.”

“Accetta solo i vostri ordini?” volle sapere Christofer.

“Andrew gli ordinò di proteggermi, e di fare solo quello che desideravo, perciò sì, prende ordini solo da me” assentì la giovane, ora più calma. “Mi spiace di avervi fatto soffrire così tanto.”

“Siete stata bravissima, altro che storie!” sbottò lui, sorprendendola un poco. “Il cerusico di bordo avreste dovuto essere voi!”

Lei lo ringraziò per quello strano complimento, carezzandogli il viso punteggiato di barba e, nel mordersi pensosa il labbro inferiore, asserì: “Ora dovrei farvi delle spugnature.”

“Chiamate Julian. Può farlo lui. Avete già dovuto subire traumi a sufficienza, per oggi” scosse il capo il marito, ben sapendo quanto, quella vicinanza forzata, dovesse pesarle.

Il tremore lieve alle mani ne era un chiaro indizio.

“Desidero... desidero farlo io, se posso” dissentì lei. “So che è meschino ma,... siete del tutto inerme, ora, e io...”

“Vi è più facile starmi accanto. Avete meno paura di me” ipotizzò il marito, annuendo brevemente.

“Non desidero passare il resto dei miei giorni lontano da voi, Christofer. Sarebbe una convivenza orrenda per entrambi e, visto che sono io ad avere un problema con... con ...”

Si bloccò un momento ma, alla fine, ammise: “... con i contatti intimi, da qualche parte devo pur cominciare.”

Il marito si esibì in un sorrisino malizioso, sussurrando: “Pensate davvero di essere l'unica ad avere dei problemi?”

Quell'uscita la spiazzò, asciugando del tutto le lacrime nei suoi occhi.

“In che senso, prego?”

“Direi che i fatti valgono più di mille parole” ghignò Christofer. “La sola idea che voi possiate prendervi cura di me così intimamente mi eccita, lo ammetto, e certe parti del mio corpo lo ammettono più di altre.”

Kathleen non si arrischiò a controllare, avvampando semplicemente in viso e, portandosi una mano alla bocca per soffocare una risatina, esalò: “E io che pensavo foste inerme!”

“Oh, credetemi, lo sono! Ma lui pare non risentire del mio attuale stato di prostrazione” ringhiò Christofer, lanciando un'occhiata malevola ai propri lombi, ancora coperti dal pesante lenzuolo che avevano applicato all'inizio di quell'assurda vicenda. “Però sono felice, nonostante tutto.”

“E di cosa?”

“Siete qui, in camera mia, e io sono praticamente nudo accanto a voi. Non mi sembra abbiate paura di me, indipendentemente dal fatto che io non sia in grado di muovere un dito, o meno” le fece notare lui, vagamente soddisfatto.

Lei parve notare quel particolare solo in quel momento e, annuendo con un sorrisino, asserì: “Volete farvi male nuovamente, per mettermi a mio agio?”

“Direi di no. Vi dovrete accontentare di questa volta, per avermi alla vostra totale mercé. Ma, come inizio per farmi perdonare da voi, mi sembra buono.”

“Mi accontenterò” assentì lei, prendendo finalmente in mano la spugna per ripulirlo dal sudore.
 
***

Guardarlo riposare era rilassante.

Dopo le lunghe ore passate in camera per curarlo e ripulirlo, Kathleen era uscita il tempo necessario per permettere alle cameriere di cambiare le lenzuola, e a Christofer di indossare una camicia da notte.

Nel frattempo, aveva ordinato un pasto leggero per entrambi e aveva rassicurato Whilelmina e Wendell sulle condizioni di salute di Christofer.

Aiutata da Gwen, aveva indossato un altro abito – il suo, si era sporcato in più punti – e, tra commenti più o meno ironici, aveva pranzato con il marito fino a vederlo crollare privo di forze.

Il temporale infuriava ancora, all’esterno, ma a lei poco interessava.

Ben presto sarebbe giunta la neve e, dopo la neve, la primavera sarebbe tornata a riscaldare quelle terre.

Il tempo trascorreva inesorabile, senza curarsi di niente e di nessuno e, presto o tardi, lei avrebbe dimenticato paura e dolore.

O almeno così sperava.

Desiderava con tutta se stessa non avere più timore delle altre persone e, più di tutto, agognava a non aver più paura del tocco di Christofer.

Era stato traumatico accettare che il giovane che, per lungo tempo, aveva sempre ammirato come un cavaliere dalla scintillante armatura, non si era comportato con lei come aveva sperato.

La prima notte di nozze era stata traumatica e, a volte, ancora la ricordava nei suoi incubi.

Le sue mani l’avevano toccata nel buio della stanza e, con sua somma sorpresa, lui non l’aveva spogliata.

L’aveva presa frettolosamente, procurandole dolore e, con gli occhi iniettati di sangue e di rabbia livida, l’aveva lasciata sola per andare a ubriacarsi.

Certo, non si era aspettata da lui l’amore sdolcinato che aveva letto sui libri, ma neppure quella totale mancanza di partecipazione.

I loro amplessi, da quel momento in poi, erano sempre stati brevi, avvolti dall’oscurità e, il più delle volte, l’avevano lasciata insoddisfatta, preda di un desiderio lasciato a metà.

Christofer era stato più delicato, dopo quella prima notte, facendole immaginare mondi diversi da quelli che aveva visitato quella sventurata prima volta.

Solo, non l’aveva mai accompagnata in quelle lande, e se n’era sempre andato dalla sua stanza con un borbottio e il corpo contratto.

I suoi sogni di bambina si erano infranti contro la dura realtà e, quando lui era infine partito, lei aveva quasi provato sollievo.

Lo scoprirsi incinta le aveva restituito un po’ di gioia; almeno, quel bambino l’avrebbe amata, e lei avrebbe amato lui fin dal profondo dell’anima.

Ma anche quel sogno era durato ben poco e, quando si era ritrovata a letto e percorsa da dolori così forti da desiderare solo la morte, aveva odiato suo marito.

All’odio era poi seguita la paura, paura di rimanere sola, paura di non poter avere una seconda possibilità… paura di dover accettare che Christofer fosse un mostro.

Non l’uomo che aveva pensato che fosse, o che Andrew aveva pensato che fosse.

Aveva inviato al marito quella lettera carica di panico e speranza per comprendere quanto si fosse sbagliata, e la risposta del marito l’aveva un poco rincuorata.

La sua scrittura stentata, quelle parole goffe… Kathleen aveva letto in esse un uomo in pena per lei, ma non in grado di dimostrare quanto.

Questo, l’aveva aiutata a guarire.

Non era un uomo perfetto come aveva pensato nella sua infatuazione giovanile, ma neppure un mostro.

Aveva dimostrato di avere pregi e difetti come tutti e, come tutti, di poter sbagliare.

Con quei pensieri, aveva pensato di scrivere al marito per rincuorarlo e per dirgli quanto, le sue parole, l’avessero aiutata.

Il conte però, aveva inferto il colpo finale al suo animo di fanciulla.

Quando era riemersa da quell’Inferno crudele, non le era occorso molto per comprendere di essere cambiata.

Non le sarebbe servito a nulla attendere che altri la salvassero, che la proteggessero perché, a parte William, nessuno avrebbe potuto contrastare il male che la circondava.

Non aveva desiderato per il suo meschino aggressore ciò che poi era avvenuto, ma la sua prolungata malattia le aveva permesso di eliminare ciò che lei aveva sempre odiato.

Poco per volta, si era presa sulle spalle l’intero governo di Green Manor e, un giorno dopo l’altro, aveva conquistato la fiducia dei fittavoli e della servitù tutta.

Si era fatta coraggio in più di un’occasione, spesso e volentieri cancellando dall’equazione il particolare non indifferente del suo essere donna.

Grazie a William, infine, aveva imparato a difendersi e a controllare rabbia e paura.

Le lettere piene di speranza che avrebbe voluto inviare al marito, però, erano rimaste nel suo cassetto dei ricordi, dimenticate ma non cancellate.

La morte del conte era stata quasi una liberazione, per lei e, pur se le era spiaciuto per Whilelmina, non aveva trovato la forza di piangerlo.

La notizia del ritorno di Christofer e della scomparsa di Andrew, avevano però minato l’equilibrio raggiunto con tanta fatica, e tutto era quasi crollato su sé stesso.

William l’aveva sostenuta, aiutata, protetta dai suoi stessi demoni.

Rivedere Christofer era stato difficile, ma aveva trovato in lui un uomo nuovo, più maturo e consapevole, provato da un dolore simile al suo.

Il suo amore infantile, che l’aveva spinta a cercarlo con lo sguardo a ogni sua visita, era ormai scomparso da tempo, ma le aveva fatto comunque piacere rivederlo.

Scoprirlo disposto a darle tempo e spazio, per riprendersi dagli orrori che il padre le aveva fatto passare, poi, l’aveva fatta sperare in un futuro sereno per entrambi.

E quelle lettere piene di speranza erano riemerse dalla sua memoria, rammentandole quanto fosse bello credere in un futuro più roseo.

Poi questa prova, questo incontro con un destino che pensava di non dover ancora affrontare.

Si era sentita ribollire il sangue ad averlo immobile sotto il suo tocco, inerme e senza possibilità di fuga.

Immagini del suo passato si erano inframmezzate al presente e, pur non volendo, aveva desiderato in parte infierire su di lui, pur avendo ammesso il contrario, con il marito.

La vista di tutte quelle cicatrici, però, e del dolore che sapevano sollevare sfiorandole semplicemente, l’aveva fatta desistere.

Non sapeva se qualche entità divina avesse previsto di punire a quel modo Christofer per gli errori commessi, ma dubitava vi fosse bisogno di vendetta, a quel punto.

Inoltre, se così fosse stato, perché uccidere Andrew? Lui era stata la persona più buona e generosa che avesse mai camminato per il mondo!

No, Dio e i Santi non c’entravano nulla.

Erano solo gli orrori della guerra e della stupidità umana, che il marito portava sulla sua carne martoriata.

Lei aveva sperimentato un altro genere di guerra, tutto qui.

Ed era sopravvissuta.

Entrambi lo erano e, con le loro ferite, avrebbero convissuto.

Il crepitare violento di un fulmine la fece sobbalzare sulla poltrona e, all’esterno, un abete crollò al suolo, divelto dalla furia di una saetta piombata al suolo.

Spaventata suo malgrado da quella violenza, Kathleen fece per raggiungere una delle finestre per scorgere gli eventuali danni causati ma, a trattenerla sul posto, pensò Christofer.

Risvegliatosi di colpo, gli occhi sgranati e vitrei, l’uomo gridò roco: “Andrew, no!”

Le mani ad artiglio levate dinanzi a lui, sembrò voler afferrare qualcosa, o qualcuno, e Kathleen si affrettò a raggiungerlo, sedendosi sul bordo del letto per chetarlo.

“Christofer, calmatevi, è solo un incubo!” lo richiamò lei, cercando di afferrare quelle mani tremanti e fredde.

Lui le strinse, portandosele al petto e, con gli occhi serrati, esalò di sollievo: “Andrew, meno male…”

Sgranando gli occhi, la moglie si rese conto che stava ancora sognando e, con voce carezzevole, mormorò: “Christofer… sono Kathleen… svegliatevi.”

Il suo nome parve risvegliarlo del tutto perché, quando la donna tornò a incrociare il suo sguardo color del ghiaccio, il marito era nuovamente in sé.

Allontanando le sue mani come se si fosse ustionato, esalò contrito: “Kathleen… scusate, io… non volevo, davvero…”

“Ssst, state tranquillo. Non avete fatto nulla di male” lo rassicurò, carezzandogli una guancia prima di rendersi conto di un particolare.

Christofer stava piangendo.

Mordendosi il labbro inferiore, lei sussurrò spiacente: “Oh, Christofer… mi spiace così tanto!”

Reclinando il capo, lui si limitò a mormorare: “Non dovrei assillarvi con i miei incubi. Avete già fatto troppo, per me.”

No, non era davvero il cavaliere con l’armatura scintillante dei suoi sogni di bambina.

Era un uomo orgoglioso, fiero, cocciuto, ma anche tenero, che sapeva riconoscere i propri errori e, con tutto il cuore, cercava di porvi rimedio.

Era un uomo che piangeva la morte dell’amico fraterno, e non si vergognava di mostrare alla moglie le proprie lacrime.

Quello era un uomo che poteva apprezzare. Che avrebbe potuto imparare ad amare.

Quello, era suo marito.

Carezzandogli il viso, Kathleen asserì convinta: “Portiamo nel cuore le medesime cicatrici, Christofer. E’ inutile che tentiamo di farle guarire in solitudine, perché è impossibile.”

Ciò detto, allargò le braccia per attirarlo a sé e l’uomo, stringendola quasi fosse fatta di porcellana, poggiò il capo contro la sua spalla e pianse in silenzio al pari di lei.

Il temporale scemò lentamente all’orizzonte, facendo eco al loro pianto e, quando anche l’ultimo tuono fu scomparso, Kathleen si scostò dal corpo ora più tranquillo del marito.

Aiutatolo a sdraiarsi, gli sorrise e mormorò: “Cercate di riposare.”

“Solo se lo farete anche voi, Kathleen” le propose, trattenendo nella sua una mano della moglie.

Lei annuì e il marito, sotto il suo sguardo attento, le baciò delicatamente il dorso della mano candida.

“Pregherò perché possiate avere solo bei sogni.”

La moglie si allontanò con un sorriso e, in silenzio, sparì oltre la porta che conduceva nelle sue stanze.

Nessuno dei due rammentò i rispettivi sogni, ma neppure ebbero incubi, per la prima volta da settimane.








Note: la testardaggine di Christofer lo ha portato a spingere la moglie a misure estreme, per curarlo e, pur se questo gli ha procurato un dolore lancinante, gli ha anche permesso di chiarirsi ulteriormente con Kathleen e, al tempo stesso, ha permesso a lei di chiarirsi con se stessa.
Il desiderio di Kathleen di vendicarsi si è scontrato contro la realtà dei fatti. Ha visto in suo marito non solo la persona che ha distrutto i suoi sogni di fanciulla, ma anche un uomo divorato da un dolore profondo e un rimorso quasi tangibile con mano.
Ha compreso quanto sia vero e forte il desiderio di Christofer di riscattarsi ai suoi occhi, e ha toccato con mano quanto, la morte di Andrew, pesi ancora su di lui.
Sì, Christofer non è il principe azzurro, ma un uomo con pregi e difetti, e che le ha dimostrato non solo di poter migliorare, ma di poter diventare qualcuno di importante, veramente importante nel suo mondo.
Resta solo da capire che ruolo avrà William, in tutto questo.
Grazie per avermi seguita fino a qui e, se volete, fatemi sapere cosa ne pensate!
A presto!

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Capitolo 8
*** VIII. ***


 
8.
 
 
 
 
 
Forse era completamente pazzo, o aveva battuto la testa una volta più del necessario.

Dopo l’intervento di Kathleen, atto a salvargli la gamba, si era lasciato medicare da lei ogni volta.

 
Nel giro di un paio di settimane, la ferita era migliorata visibilmente, dando i primi segni di una vera guarigione.

Per maggiore sicurezza, comunque, Christofer aveva accettato di farsi visitare dal dottor Jordan, da cui aveva ricevuto conferme e rassicurazioni.

Poco per volta, con l’aiuto di Julian e, alcune volte, anche di William, aveva ripreso gli esercizi motori iniziati sulla nave, e mai portati avanti una volta giunto a casa.

La muscolatura aveva iniziato a rispondere bene ai trattamenti e, ogni sera, Kathleen lo aveva massaggiato con un unguento all’acero campestre, prodotto in casa dalla cuoca.

Wendell era passato da lui ogni sera, dopo le abluzioni, per giocare un po’ a scacchi, dando così il suo personale contributo al recupero della salute del fratello.

In tutto quel gran andirivieni nella sua stanza, Christofer giunse a notare un particolare non da poco.

Pur senza farglielo notare, il conte si rese conto di diversi cambiamenti avvenuti nella moglie.

La forzata vicinanza, derivata dall’obbligo morale che Kathleen sentiva nei suoi confronti, aveva portato la giovane a perdere, poco per volta, parte della sua ritrosia.

Certo, lui poteva solo sfiorarle le mani o il viso senza che lei sobbalzasse, però era pur sempre un passo avanti.

Sempre troppo poco, comunque.

Perché era difficile starle accanto senza desiderare di più, senza sperare in un tocco più intimo, in un bacio, in un invito.

Sapeva di volere troppo da lei, visto ciò che aveva passato, ma avvertiva l’esigenza sempre più pressante di apporre il suo marchio sulla moglie.

Quasi fosse importante dichiarare a chiare lettere a chi appartenesse.

Perché, lo volesse o meno, era geloso.

Sua madre era stata categorica, le poche volte che aveva anche solo accennato all’ipotesi che, tra William e Kathleen, vi fosse del tenero.

Si era sentito accusare di farneticare, di vedere cose che non esistevano, ma era lampante l’affetto che la moglie provava per il suo attendente, e quanto esso fosse corrisposto.

Lui le era dichiaratamente fedele, e pendeva dalle sue labbra come un cagnolino ben ammaestrato.

Kathleen cercava sempre la sua mano, quando aveva bisogno di qualcosa, e ogni volta essa era presente. Salda, forte, calda.

Non gli importava di recuperare le forze solo per se stesso, ma anche per mettere in chiaro con tutti, in primis con William, chi fosse il marito di Kathleen.

Era stupido, infantile, davvero paranoico, ma non poteva farci niente.

Sì, forse aveva davvero battuto la testa una volta di troppo.

Passeggiando nervosamente nella sua stanza, la luna alta in cielo e un vento gelido che spirava da nord, Christofer fu tentato di raggiungere la moglie per chiedere lumi direttamente a lei.

Probabilmente, gli avrebbe dato del folle, scacciandolo dalla stanza, ma ormai quel tarlo lo stava rodendo così a fondo da rendergli impossibile anche il solo dormire.

Già sul punto di mettere mano alla maniglia, sobbalzò quando udì, oltre il battente, le voci concitate di Gwen, Kathleen e, con suo sommo disappunto, di William.

Non comprese cosa fosse successo, ma percepì dei passi frettolosi e, subito dopo, un battente sbattere con violenza.

In fretta, bussò alla porta per sapere i motivi di tale trambusto ma, dall’altra parte, non giunse più alcun suono.

Aprendo con titubanza, si ritrovò a fissare una stanza vuota, la vestaglia di Kathleen negligentemente gettata sulla poltroncina della toeletta e le babbucce lasciate in disordine accanto alla porta.

Ma dove era andata, così di corsa?

Aggrottando la fronte, Christofer si affrettò a indossare brache, camiciola e un paio di consunti stivali dopodiché, gettatosi sulle spalle un pesante mantello di lana secca, si avviò verso la stanzetta di Gwen per avere notizie.

Quando la cameriera se lo ritrovò sulla porta, torvo in viso e con i capelli scarmigliati, esalò: “Mio signore, cosa succede?”

“Kathleen… dov’è andata a quest’ora di notte, con William?” le chiese l’uomo, senza tanti giri di parole.

“Oh… eravate sveglio. Mastro William ha riferito a Sua Grazia che Persefone sta partorendo. Milady desiderava essere avvisata a qualsiasi ora del giorno, o della notte” gli spiegò la donna, tenendo ben salde le falde della vestaglia.

Ben comprendendo quanta fosse la paura della cameriera – visti soprattutto i trascorsi in famiglia – Christofer si impose di calmarsi.

Allontanatosi di un passo dalla porta, le sorrise fiacco e mormorò: “Le mie scuse se vi ho turbata, Gwen. Non intendevo spaventarvi.”

“Oh, ma non…”

Interrompendola con un gesto della mano, l’uomo mormorò: “So cos’ha fatto mio padre, e capisco quanto possiate esservi sentita angustiata, vedendomi piombare qui nel cuore della notte. Ancora le mie scuse, Gwen. Buonanotte.”

“Buonanotte, lord Spencer” sussurrò la donna, fissandolo a occhi sgranati mentre si allontanava lungo il corridoio in compagnia del suo fido bastone.

Per l’ennesima volta, si era comportato da idiota.

Si era completamente dimenticato di Persefone e del puledrino in arrivo!

E lui che aveva pensato a chissà quali macchinazioni!

Una volta o l’altra, avrebbe fato la figura dell’imbecille davanti alla moglie,   vanificando definitivamente tutti i suoi sforzi per riavvicinarsi a lei.

Ma era così facile credere che, tra loro, vi fosse qualcosa di più di un semplice rapporto di lavoro!

Kathleen aveva sempre un sorriso, per William, e l’uomo era così prodigo di attenzioni da rasentare quasi il fastidio, almeno ai suoi occhi.

Quando finalmente raggiunse il cortile, Christofer venne investito da una folata di vento gelido ma, imperterrito, si diresse verso lo stallaggio, illuminato fiocamente da alcune lanterne.

Vedendo Gilford uscire di corsa, lo bloccò per chiedere se sua moglie fosse all’interno e, quando ne ricevette conferma, lasciò andare lo stalliere per entrare a sua volta.

Finalmente al riparo dal gelo esterno, l’uomo si rilassò un poco.

Fu però un sollievo di breve durata perché, prima ancora di poter chiamare la moglie, udì nettamente le voci di William e Kathleen.

E quello che si dissero non gli piacque per nulla.

“Non so cosa farei, se Persefone perdesse il puledro. Non lo sopporterei, William” sospirò affranta Kathleen.

“Sono cose che possono succedere, Katie, ma non devi turbarti. Lei sa che noi la amiamo e la sosteniamo, perciò affronterà meglio il travaglio” la consolò l’uomo, con tono caloroso e sentito.

Furente per l’indubbia intimità che correva tra loro, Christofer avanzò silenzioso per raggiungere il box, illuminato da alcune lanterne.

Gli altri cavalli erano troppo impegnati a riposare, per badare lui e, quando si affacciò per meglio vedere, trasalì.

William stava accarezzando con le nocche il viso ansioso di Kathleen che, turbata, reclinò il capo fino a poggiarlo sulla spalla possente dell’uomo.

Per Christofer fu troppo.

Resa nota la sua presenza aprendo con forza la porta del box, fissò furente i volti sgomenti di entrambi, colti in flagrante e impossibilitati a negare l’evidenza.

“Avevo ben ragione a dubitare di voi” ringhiò il conte, fissando accigliato William, che non replicò al suo dire.

Non contento, Christofer rivolse un’occhiata livida alla moglie e, sinceramente ferito, esalò: “E io che mi preoccupavo di non urtare la vostra sensibilità! Era dunque menzogna, la vostra! Era il mio tocco, a disgustarvi! Sapevo di aver sbagliato, con voi, ma pensavo di poter rimediare, e invece… invece…”

Levandosi in piedi, scarmigliata e bellissima nonostante i fili di paglia deturpassero la perfezione del mantello che indossava sopra la camicia da notte, Kathleen esalò sconvolta: “Non dovete pensare questo, Christofer! Il vostro tocco non mi ripugna e William… io e lui non stavamo facendo nulla!”

“Da quando in qua, un dipendente può osare una simile confidenza con una lady?!” sbottò l’uomo, disgustato dai miseri tentativi della moglie di giustificarsi.

Mordendosi un labbro, lei non rispose e il conte, facendo un passo indietro, mormorò roco: “Ho le mie colpe per avervi fatto soffrire ma, quant’è vero Iddio, non vi ho mai tradita!”

“Neppure io!” esclamò lei, volgendo un momento lo sguardo verso William, il quale annuì.

“Negate l’evidenza!” ringhiò il marito, fissando entrambi con livore genuino e genuino dolore.

Avvedendosene, Kathleen lo raggiunse in pochi, rapidi passi e, afferrata la mano libera di Christofer, se la portò al viso mormorando con enfasi: “Non vi è stato tradimento alcuno, ve lo giuro. William è mio fratello!”

Quelle parole, quel tocco, quegli occhi lo fecero tremare violentemente, squassato da un’infinità di sensazioni e pensieri diversi.

Lasciato andare il bastone, si resse completamente alla moglie per non crollare a terra, la verità gettatagli in faccia con feroce brutalità.

Era dunque lui, l’uomo di cui Andrew gli aveva parlato? Il figlio illegittimo di cui il barone non aveva voluto sapere alcunché?

Levato lo sguardo a scrutarne i lineamenti, non vide nulla che gli ricordasse l’amico o la moglie che, invece, si erano sempre somigliati molto.

Con voce resa esile dal dubbio e la speranza, fissò le tumultuose profondità verde-oro della moglie e mormorò: “Dite il vero?”

Kathleen annuì, aiutandolo a raggiungere il bordo del box perché vi si potesse aggrappare.

Raccolto che ebbe il bastone, la contessa lo strinse con forza tra le mani e dichiarò spiacente: “Non sapevo come avreste reagito alla notizia che avevo un fratellastro, perciò non vi ho detto la verità ma, visto quanto vi abbiamo turbato, era giusto che sapeste.”

“Andrew me ne parlò, tempo addietro” ammise Christofer, sorprendendo entrambi e fissando turbato l’attendente. “Mai, però, avrei immaginato di incontrarvi, William.”

Poi, rivolgendosi alla moglie, aggiunse: “Pensavate davvero che avrebbe potuto infastidirmi la sua presenza? Mi credete così meschino?”

“A onor del vero, vi conosco poco, Christofer” replicò Kathleen, sorridendogli contrita nel restituirgli il bastone.

“Vero” ammise il conte, sorridendo impacciato a William. “Le mie scuse. Mi sono comportato da idiota.”

“Non ho pensato a come avreste potuto interpretare la nostra amicizia, perciò sono io a dovermi scusare” replicò William, sorridendo di rimando.

“Ora capisco perché Andrew vi volle qui. Chi meglio di un fratello, per proteggere la propria sorella?” ammiccò Christofer, allungando una mano verso l’uomo. “Sono lieto che vi siate trovato qui, quando Kathleen ha avuto bisogno di aiuto.”

Stringendo quella mano con vigore, William asserì: “Ci sarò sempre, per Kathleen.”

Più tranquilla, Kathleen si rivolse al marito e disse: “Credo dovreste tornare in camera vostra, ora. Qui ne avremo per un po’, e la vostra gamba sta iniziando a guarire solo adesso.”

Scuotendo il capo, Christofer poggiò contro il muro il proprio bastone e, rivolgendo un sogghigno alla moglie, replicò: “Persefone è anche la mia cavalla, perciò rimarrò.”

Kathleen non trovò argomentazioni sufficienti per rispedirlo alla villa.
 
***

Era ormai l’alba quando, con l’aiuto congiunto di Kathleen, William e Christofer, il piccolo puledro di Persefone vide la luce.

Gilford, Samuel e il giovane Roderick pensarono subito a raccogliere quanto era stato usato per far nascere il giovane virgulto.

Lieti e stanchissimi, i due giovani conti, invece, osservarono con il sorriso sulle labbra il piccolo muovere i primi passi.

Appoggiato al box a braccia conserte, un sorriso fiacco sul viso inumidito dal sudore, William osservò solo distrattamente l’animale, più concentrato sulla sorella e il marito.

Apparivano sereni, pur se stanchi per la lunga notte insonne, e la mano di Christofer che, leggera, avvolgeva la vita di Kathleen, non pareva dare alcun fastidio alla giovane.

Il fratello ne fu lieto.

Aveva dubitato del conte, in principio, non conoscendolo ma, sapendo quanto fosse stato amico di Andrew, aveva voluto dargli il beneficio del dubbio.

Vedendoli insieme in quel momento di gioia condivisa, non poté che essere lieto di aver avuto torto.

Se si fosse rivelato essere come il padre, non avrebbe esitato a ucciderlo, per amore di Kathleen.

Fu ben lieto di non dover ricorrere a simili mezzi.

Fin da quando Andrew era giunto a Londra la prima volta, con il solo scopo di incontrarlo, William si era affezionato a quel giovane dal sorriso pronto e dalla mano capace.

Si era dimostrato non solo molto generoso con lui e la madre, ma anche disgustato dal comportamento del comune padre.

Avevano passato lungo tempo a parlare, a conoscersi, e così William era venuto a conoscenza dell’esistenza di una sorella, e di quanto Andrew le fosse affezionato.

Durante un suo viaggio al nord, l’aveva vista in compagnia del fratello, impegnati in una cavalcata in giro per le campagne di York.

Lì, in gran segreto, aveva fatto la sua conoscenza.

Era stato con estrema sorpresa che, poco tempo dopo, aveva ricevuto una lettera di Andrew, in cui lo avvertiva del prossimo matrimonio di Kathleen e della richiesta di entrare alle sue dipendenze.

Christine, sua madre, lo aveva spinto ad accettare – nutriva un profondo rispetto per Andrew – e, una volta sistemati i suoi impegni a Londra, era partito per York.

Gli era spiaciuto non arrivare in tempo per salutare Andrew e, per come erano andate a finire le cose, il dispiacere gli rimordeva le carni più del sopportabile.

Per lo meno, però, aveva avuto la possibilità di stare assieme all’amata sorella, vederla crescere e divenire donna.

Christofer l’avrebbe protetta, di questo ormai era sicuro, e lui si sarebbe assicurato che a nessuno dei due succedesse nulla.

“Penserò io a loro, Andrew” mormorò tra sé William, staccandosi a fatica dal box.

Avvedendosi dell’alba alle porte, Kathleen soffocò a stento uno sbadiglio e, rivoltasi al marito, asserì: “Visto che il piccolo e la madre stanno bene, credo potremmo dirigerci verso i nostri letti. Comincio a sentirmi a pezzi.”

“Credo anch’io” assentì l’uomo, prima di rivolgere un sorriso a William. “Grazie per essere rimasto con noi, William.”

“Dovere, milord” dichiarò compunto l’uomo, reclinando educatamente il capo.

“Non quando siamo soli, William. Mai” replicò il conte, scuotendo il capo. “Siete fratello di mia moglie e di mio cognato. Siete mio cognato. Capisco perché, di fronte alla servitù, voi vogliate mantenere il segreto, ma con me tutto ciò non sarà necessario.”

“Anche se sono un bastardo?” ribatté con triste ironia William, pur apprezzando il suo dire.

“Con tutto il rispetto per mia moglie, ma l’unico bastardo che conosco è il barone Barnes” dichiarò con convinzione Christofer.

William sogghignò complice e Kathleen, lanciato che ebbe uno sguardo a entrambi gli uomini, motteggiò: “Mi fate quasi paura.”

Il conte si ritrovò a ridacchiare e, appoggiandosi di peso al bastone, esalò: “Moglie, ringraziate che io e vostro fratello andiamo così d’accordo, invece. Ci sono famiglie in cui ciò non accade affatto!”

“Lo so” assentì lei, sorridendo delicatamente. “E, per quanto la cosa mi renda felice, lascerei qualsiasi disquisizione in merito a dopo un lauto riposo.”

“Concordo con Sua Signoria” ironizzò William, inchinandosi ossequiosamente alla sorella, che lo fissò con sufficienza. “Desiderate vi aiuti, Christofer? Sembrate piuttosto provato.”

“Non rifiuterò un aiuto” ammise l’uomo, accettando il braccio offerto da William. “Non vorrei mai che le spine di vostra sorella mi pungessero per ripicca.”

“Spine?” esalò Kathleen, seguendoli a un passo di distanza, l’aria di non aver affatto compreso l’uscita del marito.
Christofer si limitò a ridacchiare e, scuotendo il capo, replicò: “Ve lo spiegherò un’altra volta, Katie.”

Non vista, la fanciulla sorrise di quel nomignolo mormorato con affetto e, pur provando stanchezza infinita per quella lunga nottata, si sentì felice come non mai.
 
***

Whilelmina venne avvisata dalla servitù della nascita del puledro e della mancanza dei conti, che avevano passato l’intera notte con la partoriente.

Per lunghe ore, silenziose e tranquille, i due giovani dormirono nei rispettivi letti.

Solo nel tardo pomeriggio fecero la loro comparsa nel salottino al primo piano, dove la contessa madre li stava attendendo per un tè.

Salutati entrambi con calorosi baci sulle guance, Whilelmina chiese notizie di Persefone e Parsival, il nuovo nato.

Christofer le spiegò con dovizia di particolari il lungo travaglio, e la bravura di William nel dirigere il puledro nella giusta via.

Kathleen ascoltò assorta e felice, un bel sorriso a illuminarle il volto e, quando la contessa madre se ne rese conto, approvò in pieno.

Era lieta di vedere la nuora serena e quando Christofer, con apparente naturalezza, le sfiorò una mano per una pacca delicata, Whilelmina non notò alcun tremore, o irrigidimento.

Certo, sarebbe passato del tempo prima che la povera ragazza potesse cancellare tutte le sue paure.

Per lo meno, però, ora intravedeva uno spiraglio di luce nell’oscurità densa in cui, tutti loro, erano caduti dall’infausta notte in cui suo marito aveva perso il lume della ragione.

Pensare a ciò che Bartholomew le aveva fatto, a ciò che le aveva urlato – ormai preda della follia – non la aiutava a sentirsi serena.

Il barone Barnes non era stato più generoso di suo marito, con la ragazza.

Aveva rabberciato la figlia non appena era stata fuori pericolo.

Incurante delle proteste di Whilelmina e di Georgiana, la moglie di Barnes, l’aveva accusata di aver abortito di proposito, e solo per screditare il buon nome della famiglia.

Se avesse avuto più forza, o più coraggio, la contessa madre lo avrebbe schiaffeggiato, ma così non era stato.

Aveva tentato in tutti i modi di far capire alla giovane quanto le volesse bene, quanto le fosse vicina e comprendesse il suo dolore.

Scoprire che Christofer e lei sembravano non essere più così distanti, la rincuorò.

“Quasi me ne dimenticavo” esalò a un certo punto Whilelmina, portandosi una mano al viso per nascondere un risolino contrito. “E’ passato il guardiacaccia, verso mezzogiorno, perché desiderava parlare con te. Gli ho detto di ripassare stasera.”

“Avete fatto benissimo, madre. Vi ha accennato a quale problema vi fosse?”

“Lupi. Da quel che hanno potuto notare, c’è un branco in zona, e alcune pecore sono già state uccise” gli spiegò la donna, intrecciando le mani in grembo.

“Oh, capisco” annuì Christofer, pensieroso. “Immagino dovremo uscire per una battuta di caccia, quindi.”

“Scordatevelo” precisò Kathleen, categorica.

Volgendo lo sguardo nella sua direzione, il conte levò un sopracciglio con espressione ironica e replicò candidamente: “Come, prego?”

“Non potete uscire a cavallo, con la vostra gamba in via di guarigione. Rischiereste di rovinare in un colpo solo tutti i progressi fin qui fatti” gli fece notare la moglie, risoluta.

“Sono il conte, mia cara, ed è mio dovere proteggere le persone del contado, anche occupandomi di cose come queste” asserì con tono fermo l’uomo, ben deciso ad averla vinta sulla moglie.

“E io vorrei ricordarvi che siete attualmente convalescente e, di queste cose, posso benissimo occuparmi io” ribatté Kathleen, assottigliando le iridi di giada, che mandarono lampi infuocati.

Sbattendo le palpebre con aria confusa, il marito mormorò: “Di cosa vorreste occuparvi, scusate?”

“Chi pensate sia uscito per i boschi, l’anno passato, assieme al guardiacaccia e ai cacciatori del contado? Vostro padre? Neppure riusciva più a uscire dal suo letto! Figurarsi partecipare a una battuta di caccia!” sbottò Kathleen, accalorandosi.

Passandosi nervosamente una mano sul viso, l’uomo si rivolse alla madre, che era visibilmente impallidita e, furente, ringhiò: “Le avete permesso di fare una simile sciocchezza?!”

“Non è stata una sciocchezza! Era mio…” iniziò col dire Kathleen, subito azzittita da un’occhiata raggelante del marito.

“Non ora, Kathleen” sibilò lui, tornando a rivolgersi alla madre, che si vide costretta a rispondere.

“Tesoro, Kathleen non è mai stata in pericolo. C’era William, con lei, e tuo padre era già a letto malato, perciò non è mai venuto a saperlo. Inoltre, era circondata da uomini fidati e in gamba. Qualcuno della famiglia doveva esserci, anche per dare fiducia ai membri del contado che, dopo la malattia di Bartholomew, si sentivano insicuri e sperduti” cercò di spiegargli Whilelmina, stringendo nervosamente le mani tra loro.

“Avete notato, per puro caso, che mia moglie è una ragazza?! Che ci faceva vicino a un branco di lupi, e in mezzo a così tanti uomini armati?!” sbraitò a quel punto Christofer, ormai fuori di sé dalla rabbia.

“Christofer, davvero, non c’era pericolo per…” tentò di intromettersi la moglie, nuovamente azzittita dall’uomo, che la indicò con aria di sfida.

“Quanto a voi, scavezzacollo che non siete altro, non avete un briciolo di assennatezza?! Tale e quale a vostro fratello! Siete davvero degna di lui!” sbottò furibondo Christofer, levandosi in piedi per fronteggiarla in tutta la sua altezza. “Non vi è mai passato per l’anticamera del cervello che avreste potuto ferirvi, o morire?!”

“Sono capacissima di difendermi e…”

Lo so!” urlò l’uomo, interrompendola per l’ennesima volta. “Mia madre mi ha detto che William vi ha insegnato a sparare e, per Dio, mi sta anche bene, ma il cavallo avrebbe potuto inciampare, scivolare sul ghiaccio e… e…”

A quel punto, tutto il livore svanì e, come una bambola di pezza, si lasciò crollare nuovamente sulla poltrona, mormorando affranto: “Come pensate avremmo reagito, io e Andrew, alla notizia della vostra morte, o di un vostro incidente?”

Kathleen ebbe la compiacenza di arrossire e, contrita, reclinò il capo mormorando spiacente: “Non ho fatto pazzie, ve lo giuro.”

“E neanche me lo sarei aspettato. Sono ben felice che con voi ci fosse William, ma per favore, Kathleen, cercate di capire. Non voglio che voi siate in pericolo proprio quando io sono qui per proteggervi. Rimarrete in casa e, ai lupi, baderò io.”

Il suo tono fu così accorato e, al tempo stesso, così lapidario che Kathleen non poté ribattere alcunché.

Levandosi in piedi con grazia, si inchinò a madre e figlio e, silenziosa, uscì dal salottino.

Rimasto con la madre, Christofer si passò una mano sul viso, ora pallido e teso, ed esalò: “Cos’altro ha fatto, in mia assenza, per sopperire alla mancanza di mio padre?”

“Poco altro, caro. Ha cercato di esserci sempre per le persone del contado, ha dato udienza a coloro che avevano bisogno, e si è esposta in prima persona quando qualcosa non andava. Ha passato un sacco di tempo all’orfanotrofio, che ha fatto sistemare, e il lanificio è stato ammodernato grazie a nostri finanziamenti privati” sospirando, la donna aggiunse: “Le miniere sono state fortificate, e gli orari di lavoro sono stati cambiati. Vi lavora molta più gente, ora, e la produzione è aumentata.”

“E naturalmente, il tutto in barba alle leggi di Londra e della Camera dei Lord, vero?” ironizzò Christofer, con un mezzo sorriso.

“La gente è contenta, ci sono meno incidenti e gli uomini tornano a casa meno gravati dalla fatica” gli fece notare Whilelmina, prima di venire interrotta dal figlio.

“Non ho detto che ha fatto male” sospirò l’uomo. “Kathleen è una fanciulla davvero intelligente e, soprattutto, molto lungimirante. Ma non potete pretendere che io accetti come se nulla fosse il fatto che lei si trovasse nella foresta, con il rischio che venisse attaccata dai lupi. Questo non posso farlo.”

“Certo, caro, lo capisco. E anche Kathleen lo ha capito” assentì la madre, sorridendogli benevola.

“E’ per questo che è uscita col broncio? Perché ha capito?” replicò con triste ironia il conte.

“Vedrai che le passerà presto” gli promise Whilelmina.

“Ho come l’impressione di fare un passo avanti e due indietro. Quando penso di averla compresa, salta fuori qualcosa che scompagina completamente quel poco che so di lei, e devo ricominciare da capo per tentare di capirla” sospirò Christofer, scuotendo il capo.

“Kathleen non è così complessa come la dipingi.”

“La è eccome, madre. E’ un caleidoscopio di emozioni trattenute in quel corpo da fata che si ritrova, e questo non fa che peggiorare le cose!” sbottò l’uomo. “Mi sono ripromesso di non guardarla solamente, ma di capirla, ma ammetto che è un lavoro complesso, cui non sono di certo abituato. Già una volta, però, l’ho fatta soffrire, e ho rischiato di mandare a monte l’unica possibilità di felicità che avremmo potuto avere insieme. Non commetterò lo stesso sbaglio due volte.”

“E’ bello sentirtelo dire” asserì la madre, sorridendogli comprensiva.

“Non la tradirò mai, madre, anche se tra noi non dovesse mai nascere l’amore. Ma vorrei almeno esserle amico, così che il nostro rapporto diventi il più possibile solido e, per farlo, devo conoscerla. Ma è così… complicata!” ammise senza vergogna Christofer.

“Dai tempo a te stesso, caro, non solo a lei. Credo che servirà a entrambi. Anche lei deve imparare a conoscere te… non solo il tuo corpo.”

Quell’accenno fece arrossire Christofer che, tossicchiando imbarazzato, gracchiò: “Vi ha detto… qualcosa?”

“Solo che si occupa di te e della tua ferita e che… che hai diverse lacerazioni sul corpo, tutte causate dalla guerra” gli spiegò la madre, sospirando leggermente.

“Vi è parsa turbata? Disgustata?” La sola idea lo terrorizzava.

Whilelmina rise divertita della sua paura e, con ironia, asserì: “Sei sempre stato così orgoglioso del tuo aspetto, figliolo!”

“Ora non prendetemi in giro! Sono serio!” sbottò l’uomo, accigliandosi.

“Non era turbata dalle tue ferite, se è questo che temi. Era dispiaciuta per te, per il dolore che hai sicuramente patito quando ti sono state inferte. Kathleen ha un cuore grande, e non ama veder soffrire le persone” dichiarò con calore la donna.

“Questo l’ho imparato” assentì Christofer. “E’ uno dei suoi aspetti migliori.”

“Perché? Ha anche degli aspetti che non ti piacciono?” replicò la madre, vagamente piccata.

“E’ testarda come un mulo e, quando si mette in testa una cosa, non le fai cambiare idea neppure ammazzandola” precisò lui, levando con ironia un sopracciglio.

“Oserei dire la stessa cosa di te, figliolo” replicò lapidaria la madre, levandosi in piedi con eleganza. “E ora, se me lo concedi, mi ritirerò prima di cena. A dopo, mio caro.”

“Madre…” mormorò il figlio, compunto.

E dire che pensava di aver capito qualcosa, delle donne.
 
***
 
Jefferson Lawrence era esattamente come lo ricordava. Tarchiato, col volto solcato da una cicatrice sul mento, i capelli cortissimi e spruzzati di grigio.

Come sempre, un sorrisone addolciva quel viso altrimenti duro e serioso.

Salutò con un profuso inchino Kathleen, in piedi alla destra di Christofer, che era accomodato alla poltrona della sua scrivania, e si rivolse al conte asserendo: “E’ un vero piacere rivedervi sano e salvo a casa, milord. Ci è spiaciuto molto per la morte di vostro padre. Abbiamo pregato tutti per lui.”

“Vi ringrazio, Mastro Lawrence. Che potete dirmi dei lupi? Qualche fittavolo è stato danneggiato seriamente?” volle sapere il conte, preferendo non dilungarsi troppo sulle preghiere rivolte al padre.

Per quanto gli concerneva, il vecchio conte poteva anche stare bruciando all’Inferno.

Fattosi serio, il guardiacaccia dichiarò torvo: “Abbiamo trovato le tracce di un branco piuttosto numeroso a nord-est di qui, milord. A circa sei miglia dal villaggio. Il giovane Maddock dice di averne scorti almeno sei, nei pressi del mulino, ma potrebbero essere anche di più. Gli inverni si sono fatti sempre più freddi, negli ultimi anni, e quelle bestie si fanno sempre più affamate.”

Annuendo pensieroso, Christofer mormorò: “Dobbiamo sicuramente intervenire per sfoltire il branco, se si è fatto troppo numeroso. Su quanti uomini possiamo contare, Lawrence?”

“Quindici buoni fucili, signore, altrettanti cani e due buoni cercatori” lo mise al corrente il guardiacaccia, prima di lanciare un’occhiata dubbiosa alla contessa. “Milady parteciperà anche quest’anno?”

“Temo di no” intervenne lesto Christofer. “Me ne occuperò io, Lawrence, e lasceremo che la contessa rimanga a casa al sicuro.”

Annuendo, l’uomo dichiarò con un sorriso: “Dovremo fare a meno dei suoi occhi, allora. Lady Spencer è una cercatrice nata. Scova tracce come se fosse un segugio… con tutto il rispetto, s’intende.”

Il conte assentì con un sorriso e, volgendo lo sguardo a scrutare la moglie - che fino a quel momento era rimasta in silenzio - le domandò: “Quindi, non avete mai sparato ai lupi?”

“Mi limitavo a seguirne le tracce e indirizzare i cacciatori” mormorò lei, spallucciando infastidita.

“Mastro Knight si occupava esclusivamente della sua sicurezza, signore, e un cacciatore era sempre con loro, mentre milady ci aiutava con le tracce” si premurò di dire Lawrence. “Non è mai stata in pericolo, neppure per un istante.”

“Questo mi rincuora” annuì dopo un istante Christofer. “Comunque, predisponete il gruppo perché sia pronto tra una settimana. Desidero dare la caccia a quel branco per allontanarlo dalle mie terre.”

“Sarà fatto, milord. Milady. Con il vostro permesso…” mormorò Lawrence, inchinandosi per andarsene.

Christofer lo congedò con un saluto e, una volta rimasto solo con la moglie, ancora impettita dietro di lui, si levò in piedi per scrutarla meglio in viso e mormorò: “Ancora arrabbiata con me, Kathleen?”

“Non sono arrabbiata” precisò lei, sulle sue.

Il marito ghignò beffardo e la donna, allontanandosi da lui con uno sbuffo infastidito, raggiunse le finestre per scrutare l’orizzonte e, a mezza voce, borbottò: “Dobbiamo liberare il giardino all’italiana di quell’abete. Il fulmine di due settimane fa lo ha letteralmente divelto in due, e deturpa l’ambiente.”

Raggiuntala alla finestra, scrutò il giardino con altrettanta attenzione e, annuendo placidamente, dichiarò: “Non ci sono problemi. Diremo al guardia-boschi di venire con i suoi ragazzi perché lo taglino a pezzi, e il legno ricavato lo divideremo tra l’orfanotrofio e i fittavoli, va bene?”

Lei annuì silenziosa, pur sorridendo appena.

Nel notarlo, Christofer le diede un colpetto con la spalla, sussurrando malizioso: “L’ho visto, sapete?”

“Che cosa, di grazia?” replicò lei, fingendosi ignara di tutto.

L’uomo ridacchiò e, nell’appoggiarsi al davanzale in marmo della finestra, la scrutò in viso, lei bellissima e dall’incarnato eburneo.

“Non vi permetterò mai e poi mai di mettere a rischio la vostra incolumità. Promisi dinanzi a Dio di proteggervi, e così lo feci con vostro fratello e, per quante manchevolezze io possa avere, non voglio venir meno alla parola data a Andrew. Vi concedo di essermi comportato da idiota, nei primi giorni del nostro matrimonio ma, visto che qualcosa in zucca mi è entrato, ora voglio metterlo in pratica.”

Kathleen cercò di rimanere seria, ma fu una cosa molto difficile.

“Quindi, mi rinchiuderete in una torre d’avorio per tenermi al sicuro?”

“Affatto, mia cara ma, se posso evitarvi dei compiti da uomo, ben volentieri lo farò. Vi siete comportata egregiamente, lo scorso anno, da quel poco che ho compreso, e ve ne rendo merito. Ma ora tocca a me.”

Le sorrise, nel dirlo, e Kathleen sospirò.

“Non voglio apparirvi ostinata, ma mi ero abituata a cavarmela da sola, e così… è difficile…” tentennò lei, apparendo contrita e testarda allo stesso momento.

“Dio solo sa cosa avete dovuto passare, Katie, e capisco che parte della vostra caparbietà nasce proprio dal processo che avete messo in atto per salvarvi dagli incubi di cui vi ha reso vittima mio padre, ma credetemi… ora non siete più sola. Ci sono io, ad aiutarvi. Lavoreremo insieme” asserì lui, sorridendole gentilmente.

Lei replicò timida e, annuendo, mormorò: “Un’altra cosa a cui abituarmi. Ma sono brava, in questo.”

“Prima o poi, mi farete anche vedere quanto siete brava con il fucile. Sono curioso” dichiarò lui, facendole sorgere un sorrisino divertito in volto. “Ecco, ora va meglio.”

“Vi spiaceva vedermi accigliata?” gli domandò lei, vagamente sorpresa.

“Vi preferisco sorridente. Ci sono fin troppi motivi per piangere, Kathleen, e non voglio diventare l’ennesimo.”

“Non lo siete” ci tenne a precisare lei.

“Ne sono lieto.”








Note: Finalmente scopriamo i legami tra Kathleen e William, che tanto avevano preoccupato Christofer. La scoperta che William è suo fratello rincuora il conte che, oltre a essere lieto di conoscerlo, si tranquillizza anche riguardo alla moglie.
Questo, però, non impedisce ai due di fare scintille, quando il conte deve imporre il suo ruolo su Kathleen che, ormai, si è abituata a prendere decisioni indipendenti e senza l'aiuto di nessuno. 
Christofer non è più disposto a farle correre dei rischi, quando c'è lui per proteggerla e, anche se Kathleen sa che il marito ha ragione (il contando ha bisogno di vederlo, di sentirlo parte di loro), è difficile tornare a essere 'una coppia', quando non lo sono mai stati.
Ma oserei dire che la faccenda si risolverà più che bene... :)
Per ora, grazie di avermi seguita fino a qui. Buon week end!

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Capitolo 9
*** IX. ***


 
9.
 
 
 
Forse, in fondo, aveva agito solo per puntiglio.

Forse, l'idea che sua moglie avesse svolto compiti che sarebbero spettati a lui, lo disturbava più di quanto volesse ammettere, a discapito dei complimenti che lui stesso aveva rivolto a Kathleen.

Forse, dopotutto, si era comportato solo da inguaribile testardo quale era sempre stato, come la sua stessa madre gli aveva ben ricordato.

Poco importava cosa lo avesse spinto a relegare la moglie in casa per prendere il suo posto, pur sapendo quanto la gamba fosse ancora ben lungi dall'essere guarita.

Ora si trovava lì, nell'ampio cortile sul retro di Green Manor, dove brulicavano uomini armati, cavalli e grandi risate colme di aspettativa.

Il freddo era consistente e, nonostante le brache di pesante velluto e il mantello di lana che indossava, la sua morsa si faceva ugualmente sentire.

Al suo fianco, già pronto per battere i sentieri, Zeus non sembrava rendersi conto della giornata gelida e, con uno zoccolo, tracciava profondi solchi nella neve smossa.

I suoi garresi erano stati sapientemente fasciati per sopportare freddo e storte improvvise, ma Christofer aveva idea che, anche senza, il possente andaluso non avrebbe battuto ciglio.

Lui, invece, avrebbe voluto trovarsi al caldo, di fronte al camino, a sorseggiare whisky e, magari, chiacchierando con la moglie.

Ma tant'era, quello era un compito che gli spettava, e la sola idea di sapere Kathleen là fuori, mentre lui si godeva gli agi della villa, lo irritava grandemente.

Non le avrebbe mai permesso di rischiare una seconda volta che le zanne di un lupo la deturpassero, o peggio.

Quando, però, la vide comparire nel cortile, abbigliata con le gramaglie e un pesante mantello scuro ornato di zibellino, perse di vista ciò a cui stava pensando e si limitò a fissarla.

La frescura di quel giorno le aveva arrossato le gote, rendendole accese e piene di vitalità.

I chiari capelli, raccolti in una trina di trecce appuntata sopra la nuca, erano ricoperti da una sottile cuffia di pizzo nero.

Gli uomini si inchinarono ossequiosi nel vederla, e tutti si levarono i pesanti colbacchi per omaggiarla, subito ricompensati dai suoi sorrisi educati e sinceri.

Christofer se ne compiacque.

Era evidente quando la moglie fosse ben voluta dalla sua gente.

Quando infine lo raggiunse, Kathleen accentuò il suo sorriso e, con una graziosa quanto scherzosa riverenza, mormorò: “Sua Signoria è pronto per la battuta di caccia? Non ha per caso pensato di rinunciarvi, piegandosi ai più miti consigli della moglie?”

“Per la verità, preferirei ritirarmi al caldo assieme alla mia zelante moglie, ma tant'è. I lupi hanno deciso diversamente, per me, perciò devo intervenire” replicò lui, con un ghigno.

Lei sollevò ironica le sopracciglia e, facendo spallucce, asserì: “Avreste potuto evitarvi una simile sfacchinata, se l'aveste lasciata fare a me.”

“Dovrete legarmi al letto, per evitarmi di salire in groppa a Zeus” ironizzò Christofer, sorridendole come per sfidarla.

Kathleen parve prendere in considerazione l'idea, ma lo stallone andaluso decise di mettersi in mezzo.

Avvicinatosi alla donna, le sfiorò una spalla con il muso, lanciando un brontolio sommesso e un nitrito.

Scoppiando in una risatina argentina che scaldò il cuore di Christofer, la giovane carezzò con la mano inguantata la fronte liscia dell'animale.

Suadente, poi, gli mormorò: “Sì, mio bel cavallo, mi sono accorta di te, tranquillo. Non ti avrei mai lasciato partire senza salutarti.”

L'andaluso parve soddisfatto.

Mentre la contessa era impegnata nel fargli dei teneri grattini sotto il mento e sul collo, il cavallo squadrò il padrone, quasi volendo ironizzare sulla sua fortuna.

Il conte ne rimase strabiliato.

Scoppiando a ridere, esalò: “Credo che il mio stallone mi stia debitamente prendendo in giro perché riceve più attenzioni di me.”

Kathleen fissò stupita entrambi, prima di notare lo scintillio nello sguardo del cavallo.

Coprendosi la bocca per ridere sommessamente e con maggiore compostezza, la contessa ammise: “Penso lo stia facendo sul serio.”

“E voi non volete rimediare in nessun modo?” la punzecchiò Christofer, ammiccando malizioso.

Facendo finta di nulla, lei replicò candidamente: “Volete vi gratti dietro le orecchie, o sul mento?”

Il conte storse il naso al solo pensiero ma, nello scorgere le labbra morbide e sorridenti della moglie, fu colto da un'idea improvvisa quanto piacevole.

Avvicinatosi di un passo a lei, che si fece subito guardinga, il marito asserì con malizia: “Non ci penso minimamente, ma potreste salutarmi con un bacio.”

“Come, prego?” esalò lei, facendo tanto d'occhi prima di guardarsi intorno con aria sconvolta.

Gli uomini presenti stavano facendo di tutto per non scrutarli con curiosità e William, accanto al suo roano, la fissava come in cerca di segnali che indicassero un suo eventuale stato di pericolo.

Scuotendo leggermente il capo all'indirizzo del fratello, che si tranquillizzò immediatamente, Kathleen tornò a rivolgersi al suo dispettoso marito, borbottando: “Non credete che sia quanto meno sconveniente propormi una cosa simile, di fronte a tutte queste persone?”

Ironico, lui replicò: “Se fossimo stati soli, me lo avreste concesso?”

Lei si accigliò e Christofer, divertito e sì, ammaliato da quel viso così affascinante e che, sempre più spesso, osservava con piacere, celiò: “Dovevo pur provarci, non pensate?”

“Uomini... pensate solo a una cosa” borbottò lei, afferrando a sorpresa le sue spalle con le esili mani per levarsi in punta di piedi.

Prima che il conte potesse anche solo comprendere le azioni della moglie, l'uomo si ritrovò a sfiorare le labbra morbide di Kathleen, leggere come le ali di una farfalla.

Un attimo dopo, lei si scostò e fuggì via in uno svolazzare di gonne, pizzo e velluto.

Christofer ne fu completamente tramortito, e rimase impalato come una statua mentre i risolini ghignanti degli uomini facevano da cornice al suo stupore.

Solo William non rise. Si limitò a scrutare la sorella correre in direzione delle cucine, il viso in fiamme e solcato da un sorrisino soddisfatto.

Avvicinatosi lentamente al conte, celiò: “Pare che oggi abbiate ricevuto il vostro portafortuna.”

Sbattendo le palpebre confuso, come riemergendo da un sogno a occhi aperti, Christofer guardò vagamente stupito William e ridacchiò. “Avete visto?”

“Sì” assentì il giovane, sorridendo lieto.

“Direi che è ...una buona cosa” balbettò a quel punto il conte, non sapendo se mettersi a ridere o esibirsi in un ballo sfrenato per la soddisfazione.

Kathleen lo aveva baciato di sua spontanea volontà!

Certo, era stato un tocco leggerissimo, niente più di uno sfiorarsi tra labbra, ma non aveva avuto paura.

Si era fidata a sufficienza di lui da avvicinarsi senza tremore alcuno.

Quando si rese però conto dei risolini dei suoi uomini, Christofer li fissò in cagnesco e ringhiò: “Scordatevelo, che la mia signora vi saluti allo stesso modo!”

Un coro di risate si levò tra i presenti e William, nell'aiutare a salire in sella il suo signore, sorrise lieto.

Forse, c'era una speranza per entrambi.
 
***

La gamba gli doleva, assestandogli stilettate improvvise e laceranti, ma se l'era aspettato.

Stare a cavallo per così tante ore, con un clima così rigido e su un terreno reso scivoloso dalla neve, non era certo una panacea per i suoi mali.

Ma aveva gradito ritrovarsi a stretto contatto con i suoi uomini, riappropriarsi di quel rapporto di salda amicizia da cui si era allontanato a causa della guerra.

Dopo le iniziali ritrosie, i cacciatori erano tornati a rivolgersi a lui come se non fosse il conte.

L’avevano trattato come una volta, come il giovane Christofer a cui loro avevano insegnato a seguire le tracce nei boschi, o a imbracciare un fucile da caccia.

Quel cameratismo gli era mancato.

Certo, con i suoi compagni di lotte aveva sputato sangue e sudato sette camicie, ma era ben diverso dal passare ore e ore con persone che, sostanzialmente, lo avevano visto crescere.

Quell'uscita, inoltre, gli era servita per conoscere meglio il fratellastro di Andrew e Kathleen.

William si era rivelato un uomo faceto e dalla battuta pronta, sorridente e affabile e, cosa che lo aveva colpito, dai modi di fare che riflettevano in parte le sue nobili origini.

Per quanto si desse da fare per nasconderlo, era indubbio quanto fosse innato, in lui, un portamento fiero e impostato.

Gli uomini parevano averlo notato, perché si rivolgevano sempre a William anteponendo al nome sempre la parola 'signore'.

Era come se sapessero, almeno inconsapevolmente, che in lui c'era qualcosa di diverso.

Fortunatamente per l'uomo, doveva assomigliare alla madre.

Se solo fosse rassomigliato al barone o ai figli, le chiacchiere si sarebbero sprecate, con il rischio di mettere in pericolo la sua stessa incolumità.

Non dubitava, visti i precedenti che, se il barone Barnes fosse mai venuto a conoscenza della verità, non avrebbe esitato a nascondere per sempre qualsiasi collegamento tra lui e William.

Il solo pensarci lo fece imprecare tra i denti.

“Problemi con la gamba, milord?” gli domandò premuroso il cognato.

Era buffo pensarlo, ma in fondo era così.

Di ritorno dalla battuta di caccia, che era servita per stanare i lupi, Christofer appariva stanco e provato, ma sul suo volto appariva una serenità che non provava da tempo.

Scuotendo il capo, il conte asserì: “Diciamo solo che Kathleen mi farà una lavata di capo, lo so già, ma ne è valsa la pena. Uscire è stato corroborante.”

“Un ritorno alle origini?” ipotizzò William.

“Esatto. Conosco questi uomini da quando sono nato e, con alcuni, ho giocato quando ero solo un ragazzino con le braghette corte e i denti storti” ridacchiò Christofer, lanciando un'occhiata divertita ad alcuni dei cacciatori che li precedevano lungo il sentiero. “La guerra mi ha portato a conoscere altre persone, con cui ho diviso sogni e incubi, ma qui è diverso. E' più... intenso. E' la mia gente, dopotutto.”

“E voi l'avete servita con coraggio, sia oggi che in guerra” convenne l'uomo, omaggiandolo di un cenno ossequioso del capo.

“Avrei preferito rimanere a casa e curarmi di Kathleen. Forse, avrei evitato di farla soffrire e di... beh, di permettere a mio padre di terrorizzarla a morte” replicò torvo Christofer, lanciando un'occhiata all'uomo al suo fianco. “Immagino sappiate che il nostro matrimonio è stato combinato.”

“Ne sono al corrente” rispose diplomaticamente William.

Il conte sorrise sardonico e, sollevando una spalla con noncuranza, ammise: “Non mi voglio nascondere dietro false ipocrisie, William. Ammetto senza remore di non aver trattato molto bene Kathleen, nelle poche settimane che siamo stati insieme, ma sono ben deciso a mutare questo stato di cose. Non è stato giusto per nessuno dei due ma, visto che siamo assieme, tanto vale vivere nel miglior modo possibile, no?”

“Mi sembra che Kathleen sia già passata sopra al vostro... pessimo comportamento” gli fece notare con diplomazia l'uomo, lanciandogli una strana occhiata.

Divertimento? Minaccia?

Christofer non ne fu del tutto certo.

“Ammetto che stamattina mi ha sorpreso. E' stato... piacevole” convenne il conte, lasciandosi andare a un sorriso soddisfatto.

“Spero non abbiate intenzione di forzarle la mano, ora.”

“Non le salterò addosso, se è questo che temete. Ormai comincio a capire come ragiona Kathleen, e fin dove posso spingermi” replicò il conte, annuendo.

“Kathleen è fortunata ad avere voi. Non tutti i mariti sarebbero stati disposti ad aspettare, ad accettare un no come risposta” asserì William, regalandogli un sorriso orgoglioso.

Christofer si schernì, ribattendo: “Oh, non sono un santo! E' difficile non pensare a Kathleen in... in un certo modo. Ma ho promesso ad Andrew che l'avrei protetta, che l'avrei trattata con cortesia e gentilezza, ed è quello che voglio fare.”

“Per lui?”

“Per me. Per Kathleen.”

La risposta parve soddisfare William, che annuì convinto. Ma non lo fermò dal domandargli: “Il vostro nervosismo, quindi?”

Ridacchiando, Christofer mugugnò: “Cielo! In questo, somigliate davvero a Kathleen. Non vi sfugge niente.”

L'uomo sollevò un sopracciglio con candida insistenza, e il conte non poté che ammettere: “Pensavo a voi e vostro padre. A quello che potrebbe farvi se scoprisse la verità, e mi sono infuriato.”

“E perché, di grazia?” esalò lui, sinceramente sorpreso.

“Beh, che diavolo, siete il...” Interrompendosi quando si rese conto di aver alzato la voce, il conte continuò con tono più quieto. “Siete il fratello di mia moglie, perciò è ovvio che io mi preoccupi.”

“Sono un bastardo, milord.”

Quella replica gli venne così naturale che Christofer trasalì.

Quante volte, ancora fanciullo, dovevano averlo preso in giro per questo? Lui, cresciuto senza un padre e, soprattutto, con il cognome della madre?

“Non per me” decretò lapidario il conte, volgendo lo sguardo per scrutare il sentiero dinanzi a loro, chiudendo così la questione.

William si limitò a sorridere.

Quando infine raggiunsero Green Manor, il sole stava ormai reclinando all'orizzonte e l'aria si era fatta così fredda da far intirizzire anche il più forte tra loro.

E là, nel cortile dalla villa, Christofer scorse la figura di Kathleen.

Sorpreso e sì, sgomento all'idea che avesse potuto prendere troppo freddo in loro attesa, il conte accelerò il passo dando un colpo di tacco ai fianchi di Zeus.

Raggiunto per primo lo spiazzo cortilizio, ora ripulito dalla neve, esalò: “Mia signora, siete paonazza in viso! Da quanto tempo siete qui fuori?”

Sinceramente sorpresa, Kathleen si passò una mano inguantata sul viso prima di mormorare: “Sono così rossa?”

“Direi di sì. Mi sembrate passata allo spiedo” ironizzò lui, prima di notare, a poca distanza, la figura di Bridget.

Sembrava preoccupata e ansiosa insieme, e si stava rattrappendo nel suo mantello come se fosse indecisa sul da farsi.

William la guardò per alcuni istanti, prima di distogliere lo sguardo con una certa fretta per posarlo sulla sorella e, a sua volta, Christofer osservò tutti e tre con una certa curiosità prima di dire: “Bridget, immagino che sua signoria si sia rifiutata di entrare, vero?”

Bridget sorrise un poco, affondando tra le falde del mantello e asserì: “La contessa ha espresso il desiderio di attendere il vostro ritorno, così mi sono offerta di tenerle compagnia… nel caso avesse avuto bisogno di me.”

Kathleen le dispensò un sorriso grato e ammise: “Bridget non vuole dire che ha insistito perché aspettassi al caldo, visto che temeva potessi prendermi un malanno.”

“Perché la nostra Bridget è molto premurosa” ironizzò Christofer, lanciando un’occhiata carica di affetto alla giovane domestica, che arrossì. “Lo è sempre stata, del resto.”

Ciò detto, poggiò le mani sull’anteriore della sella per fare leva e scendere da cavallo. Tutto andò bene fino a quando non poggiò i piedi a terra.

A quel punto, le gambe cedettero di schianto, traumatizzate dalla lunga giornata passata a cavallo.

Se non fosse stato per l'intervento di Kathleen e Bridget, il conte si sarebbe trovato disteso sul lastricato del cortile.

Lesta, la moglie lo avvolse alla vita con un braccio, mentre Bridget si sistemava sul lato libero, drappeggiandosi un braccio del conte sulle spalle.

In fretta, William discese dal suo roano per raggiungere il trio in difficoltà e, proprio quando la contessa diede i primi segni di cedimento, intervenne per salvare la situazione.

Messosi al posto della sorellastra, sorrise a Christofer prima di dire a Bridget: “Posso sostenerlo agevolmente io, non temere.”

Lei arrossì, limitandosi ad annuire per poi scostarsi in fretta e raggiungere la sua padrona.

William, allora, si allontanò lentamente con il conte al fianco e il guardiacaccia, avvedendosene, mormorò spiacente: “Avremmo dovuto rientrare prima, signor conte. La vostra gamba è ancora troppo dolorante.”

“Sua Signoria è cocciuto quanto forte, non dubitate” replicò con un sorriso Kathleen, tenendo una mano sul braccio del marito con fare protettivo. “Se vorrete accomodarvi in cucina, signori, ci sono libagioni per tutti e del buon vino speziato e caldo appena fatto.”

Un coro di approvazione si levò tra i presenti e, mentre i cacciatori si dirigevano verso le cucine, William riportò in casa Christofer e Kathleen lo seguì assieme a Bridget.

“Vi giuro che non ho fatto pazzie. Ma il freddo deve avere congiurato contro di me” si affrettò a giustificarsi il conte, turbato all'idea che la moglie potesse avercela con lui.

“Non ne dubito, mio signore, infatti non ho estratto alcuna scure per decapitarvi, mi pare” replicò lei, con ironia.

William stentò a non scoppiare a ridere, e così pure Bridget che, gentilmente, asserì: “Sua signoria non ha visitato la sala d’armi, posso assicurarvelo, milord.”

“Tutto ciò mi rincuora, Bridget, credimi” dichiarò Christofer, dannandosi l’animo per non imprecare dal dolore dinanzi alle due donne.

Ringalluzzito, comunque, dalla tranquillità della moglie, il conte mormorò: “Quindi, non debbo temere vendette da parte vostra?”

“Delle scuse, piuttosto. Ho minato la vostra autorità quando non dovevo, e ho messo in dubbio le vostre capacità. Non succederà più, ve lo giuro” asserì contrita la giovane, aprendo la porta della villa per entrare all'interno.

La sorpresa per quella confessione, si confuse con il piacere che provò nell'avvertire il calore diffuso presente all'interno.

Quando il conte vide giungere la madre assieme a Wendell, lasciò a un secondo momento le sue domande.

William lo aiutò quindi a raggiungere le sue stanze, mentre Bridget correva ad avvertire l’attendente del conte perché preparasse un bagno per sua signoria.

Christofer, nell’attesa di raggiungere il piano superiore, intrattenne i famigliari raccontando ciò che era avvenuto durante la battuta di caccia.

Kathleen rimase al suo fianco per tutto il tempo, vigilandolo come un falco e, quando infine raggiunsero il primo piano, si prese personale carico del marito, congedando William con un sorriso.

Whilelmina, a quel punto, portò con sé Wendell, premurandosi di avvisare le cuoche di posticipare la cena.

Nell'aprire la porta della stanza di Christofer, Kathleen mormorò: “A parte la gamba, va tutto bene?”

“Benissimo, Kathleen, davvero” annuì l'uomo.

Julian li salutò con un sorriso di benvenuto, gli abiti già debitamente pronti e stesi diligentemente sul letto.

In fretta, il valletto si apprestò ad aiutare il conte mentre Kathleen, da vera padrona di casa, presiedette alla preparazione del bagno del marito, annuendo a più riprese.

Alla fine, però, congedò tutti, valletto compreso.

Vagamente confuso, Christofer le domandò dubbioso: “Con tutto il rispetto, Kathleen, ma avrei bisogno di Julian, per gli stivali.”

“Vi aiuterò io” asserì la giovane, imperturbabile.

Levando un sopracciglio con evidente scetticismo, l'uomo replicò gentilmente: “Dubito riuscireste a toglierli. E' un'operazione piuttosto complessa. Inoltre, non è compito di mia moglie togliermeli.”

La giovane ci pensò sopra un istante, come valutando le varie ipotesi. Alla fine, richiamò indietro Julian perché preparasse il conte per il bagno.

Senza una parola, andò nelle sue stanze, lasciando però aperta la porta.

Muto e sorridente, il valletto aiutò il conte, badando ben poco ai rumori provenienti dalla stanza adiacente.

Dopo aver aiutato Christofer a entrare nella vasca di rame, si ritirò nelle sue stanze con un sorrisino divertito stampato in faccia.

Iniziando a ripulirsi con spugna e sapone al sandalo, il conte quasi si nascose sotto la coltre di acqua bollente e schiuma, quando vide ricomparire la moglie e chiudersi la porta alle spalle.

Appariva determinata e per nulla spaventata, ma il marito non seppe dire se questo fosse un bene, o un male.

Certe volte, Kathleen era davvero difficile da capire.

“Cosa... avete intenzione di fare?” tentennò l'uomo, fissandola da sopra una spalla con aria apparentemente tranquilla.

In realtà, era teso come una corda di violino.

“Aiutarvi con il bagno” sentenziò lei, afferrando un cuscino, che sistemò a terra prima di inginocchiarvisi sopra.

Christofer strabuzzò gli occhi, fissandola senza parole quando la vide allungare una mano per afferrare dalle sue la spugna e il sapone.

“Perché, se posso chiedere?” mugugnò lui, arcuando le spalle in avanti perché le fosse più facile compiere quel compito davvero imprevisto.

La giovane non rispose subito. Si limitò a poggiare le mani sulle spalle umide del marito che, per prime, percepirono il tremore della moglie.

Subito, lui si volse a mezzo per scrutarla e, sconvolto, la vide con le lacrime agli occhi, turbata come poche volte l'aveva vista.

Era tremante, sconvolta da un sentimento che non avrebbe mai pensato di poterle scorgere nello sguardo.

Affetto. Un affetto così forte che l'aveva portata a innervosirsi al solo pensiero di saperlo fuori, in pericolo, senza lei a vigilare sulla sua persona.

Davvero Kathleen vedeva questo, in lui, provava questo, per lui?

“Kathleen... Katie...” ansò lui, afferrando una delle sue mani per massaggiarla delicatamente con le proprie.

“Non uscirete mai più senza di me. Non posso sopportare che...”

Bloccandosi per non iniziare a balbettare, sentì il marito dirle con sincera partecipazione: “Verrete sempre con me, Katie. Ve lo giuro. Non voglio vedervi mai più così turbata. Non ho pensato che questa caccia avrebbe potuto riportare alla mente brutti ricordi.”

“Sapervi in pericolo, voi e Andrew, era qualcosa di straziante, di atroce. Io e Myriam cercavamo di farci forza l'un l'altra, sapendovi in mare assieme, ma era un'agonia sapere così poco di voi! Quando vi ho visto prendere la via del bosco, io... ho rammentato quei momenti.”

Più risoluta, poi, aggiunse: “Non mi interessa cosa penseranno gli altri! O anche la servitù! Io sono vostra moglie, e di voi mi occuperò io.”

Sorridendole generosamente, Christofer si arrischiò a baciare il dorso della mano che ancora teneva tra le sue – e che la moglie non aveva ritratto – e, con voce resa roca dall'emozione, asserì: “E' la cosa più dolce e tenera che voi poteste dirmi, Katie.”

Lei sorrise di rimando, mormorando: “Mi piace, quando lo dite.”

“Katie?” volle sapere lui.

La moglie annuì e il conte, più sicuro di sé, asserì: “Allora, in privato, vi chiamerò sempre così. E ora, se proprio volete farmi il bagno...”

La giovane scoppiò in una risatina nervosa e, con mano ferma e forte, lo lavò sulla schiena, le braccia e il torace.

Christofer si divertì poi a mimare le movenze di una ballerina, estraendo lentamente una gamba alla volta perché lei potesse ripulirle con la spugna.

Quel gioco improvvisato servì a entrambi per cancellare parte del nervosismo che stavano provando – ben evidente sul viso di Kathleen, che era vermiglio – e consentì al conte di conoscere un nuovo aspetto della moglie.

Era divertente, non si faceva mettere i piedi in testa dalle sue paure e, anzi, le affrontava con coraggio.

Probabilmente, se non avesse vissuto ciò che il Fato le aveva posto innanzi, sarebbe stata molto più sorridente e spensierata, ma per quello Christofer si impose di rimediare.

Le avrebbe stesso tappeti rossi su tappeti rossi su cui camminare, e non avrebbe più dovuto piangere in vita sua.

E fu in quell'istante che comprese una cosa. Si stava affezionando a Kathleen.

Non perché era sorella dell'amato Andrew, ma per se stessa. Perché era lei a rendergli facile apprezzarla e stimarla.

Il suo tentativo di conoscere la moglie per quello che era, stava dando dei risultati insperati.

Quando poi lei lo prese in giro per la troppa peluria sparsa sulle gambe – che mal si addiceva a una ballerina – lui esplose in una calda risata, cui si accodò la giovane.

Possibile che, per loro, potesse esservi un futuro più roseo del previsto? Possibile che potessero diventare più che amici?

Christofer, nel vederla così gaia e felice, lo sperò. E fece la cosa più stupida e insensata che gli potesse venire in mente.

La afferrò gentilmente, ma con forza, alla nuca e, attirandola verso di sé, la baciò.

Non il bacio leggero e flebile di quella mattina, ma un bacio vero, fatto di passione, di calore, di sensazioni.

Kathleen ristette immobile per alcuni attimi, lasciando che Christofer le mandasse in fiamme le labbra dopodiché, riprendendosi da quel momentaneo stato di shock, si divincolò, allontanandosi.

Nella foga, ruzzolò a terra e il marito, ora contrito e sconvolto, esalò spiacente: “Dio, Kathleen, scusatemi! Sono un idiota, non avrei dovuto farlo! Perdonatemi, giuro che non lo farò più, giuro che è stato solo un momento di cedimento, di...”

Le sue scuse perdurarono per altri minuti ancora, minuti in cui Kathleen cercò con tutte le sue forze di comprendere cos'avesse provato in quel momento.

Mentre il viso del marito si faceva sempre più colpevole e il suo più paonazzo, la giovane si rese conto di non aver provato paura ma... desiderio.

Certo, se si fosse accorta per tempo del lampo negli occhi del marito, forse si sarebbe ritratta, e lei avrebbe perso l'occasione di comprendere quel basilare, importantissimo punto.

Desiderava il tocco di suo marito, almeno a livello inconscio.

Quando, infatti, si era resa conto di ciò che stava succedendo, si era divincolata con forza fino a cadere a terra.

Ma era un passo avanti. Non aveva avuto solo paura. Quella, era venuta dopo.

Quando infine si rese conto che Christofer stava per crollare, preda di una crisi di panico, si affrettò a esalare: “Sto bene, davvero.”

Lui interruppe il suo sproloquio per fissarla scettico e lei, ben comprendendo come potesse apparire in quel momento, si rimise in sesto quel tanto che bastò per aggiungere: “Mi avete... sorpresa.”

“E spaventata” mugugnò lui, tetro.

“Dopo” ammise lei, confondendolo un poco. “Prima è stato... bello.”

Irrigidendosi un poco a quelle parole, lui borbottò: “In che senso?”

“Quando non pensavo. Se penso, allora mi spavento, perché tornano ad assalirmi le mie vecchie paure, ma subito non ho … pensato.”

Gesticolò frenetica, sapendo di esprimersi malamente, ma Christofer la interruppe con un sorriso.

“Vi è piaciuto?”

“Sì” assentì lei, timida.

“Non avrei comunque dovuto comportarmi così, dopo tutto quello che avete fatto per me” precisò lui, contrito.

“Oh, no! Se non mi aveste preso alla sprovvista, non avrei potuto rendermene conto” replicò lei, prima di precisare: “Questo non vuol dire che dobbiate riprovarci, perché potrei reagire molto male.”

Sinceramente incuriosito, lui le domandò: “Mi picchiereste?”

“William mi ha detto dove colpire” ammise lei, con un risolino malizioso.

Il marito corse subito a coprirsi i lombi, benché fossero più che al sicuro e, ghignando, replicò: “Vi esorterei a evitare di colpirmi proprio lì. Starò buono finché non me lo direte voi, lo giuro. E mi scuso ancora per il bacio rubato.”

“Vi è piaciuto, almeno?” si lasciò sfuggire lei, prima di avvampare in viso.

Christofer allora scoppiò a ridere e, annuendo, mormorò malizioso: “Così tanto che non vedo l'ora di concedermi un altro assaggio. Ma saprò attendere. Le cose più dolci e preziose meritano di essere centellinate con cura.”

Levandosi in piedi in tutta fretta, Kathleen gli lasciò sapone e spugna mormorando: “Ora è meglio se continuate voi. Io vado a vestirmi per la cena.”

Lui annuì ma, quando la vide raggiungere la porta, le disse: “Vorrei divorare voi, a ben vedere, non la cena.”

“Christofer!” esclamò lei, affrettandosi a chiudersi nella sua stanza.

Non abbastanza veloce, però, per nascondere il sorriso che le illuminò il viso.

Soddisfatto, rise gaio e, in tutta calma, finì di gustarsi quel meraviglioso interludio mentre Kathleen, appoggiata alla porta della sua stanza, sorrideva divertita.

“Tutto bene, milady?” si informò Gwen, che le stava preparando l’abito per la sera.

Annuendo, la giovane le si avvicinò per prenderle le mani.

Dopo averla attirata vicina per un giro di danza, rise sommessamente di fronte all’espressione sconcertata della domestica e mormorò: “Va tutto benissimo, Gwen!”
 
***

Le candele accese sugli imponenti lampadari a bracci, oltre a quelle posizionate sulla mensola del camino, facevano risaltare il candore della pelle eburnea di Kathleen.

Ma ciò che Christofer notò maggiormente, fu il suo sorriso di benvenuto.

Stanco e con le ossa rotte, Christofer accennò un breve movimento del capo prima di lagnarsi del gran male provato.

La moglie allora sorrise sorniona e, mentre si accomodava al tavolo assieme all’uomo, alla suocera e al giovane cognato, gli domandò candidamente se si sentisse provato.

Accigliandosi, il conte mugugnò: “Se fossi stato calpestato da Zeus e Thunder contemporaneamente, non mi sentirei così a pezzi.”

Sia Whilelmina che Kathleen sorrisero indulgenti, mentre Wendell sghignazzava senza ritegno.

Nel veder servita una profumata crema di asparagi, l’uomo asserì con convinzione: “Giuro su quanto ho di più caro che ho più acciacchi che muscoli. Non è possibile averne così tanti!”

Il sorriso della moglie si accentuò e, nel battergli affettuosamente una mano, mormorò: “Nel giro di qualche giorno, tornerete a posto. Ho consegnato a Julian un po’ di nuova crema lenitiva per i muscoli.”

Christofer la fissò con evidente sorpresa – Kathleen era solita curarlo di persona e, ormai, lui si era abituato al suo gentile tocco – ma la giovane si limitò a sorridere misteriosa.

Certo, sua madre non era al corrente delle assidue cure cui la moglie lo aveva fatto oggetto negli ultimi giorni.

Kathleen aveva chiesto a Julian di non dire niente a nessuno, e a ciò lui si era attenuto.

Forse, era per timore di concedere false speranze alla suocera o forse, si trattava di semplice pudore, fatto stava che quello era il loro piccolo segreto.

Era probabile che volesse continuare su quella linea, perciò l’uomo a ciò si attenne.

Assentì e la ringraziò per la cortesia, tornando a occuparsi della cena con fame a dir poco animalesca.

La madre fu lieta di vederli così di buon umore e, con rinnovata allegria, dissertò con entrambi delle ultime novità da York e delle notizie che giungevano sull’odiato Corso.

La vittoria di Trafalgar non era servita a fermare Napoleone, solo a dirottarne le attenzioni.

Se l’Inghilterra era persa, per i francesi, rimaneva pur sempre l’intera Europa su cui puntare lo sguardo famelico, e a ciò Napoleone si era attenuto.

A un anno esatto dalla sua incoronazione come Imperatore di Francia, Austerlitz era caduta per mano del genio militare dell’astuto comandante francese.

Il giorno seguente era stata chiesta la pace, e gran parte dell’Europa era finita nelle mani di Bonaparte.

L’idea che il Continente fosse nelle mani di quel piccolo farabutto, fece fremere d’ira Christofer.

Lui portava sulla pelle le sue pretese di conquista, ma ben poco poteva fare, se non attenersi al volere del suo re.

Come conte di Harford, suo dovere era mantenere in salute la sua gente, occuparsi del contado e della sua famiglia.

I suoi anni di combattente per la Corona erano terminati, altre persone avrebbero imbracciato il moschetto, o dato fuoco alle micce dei cannoni.

Altri giovani sarebbero periti in quell’inutile guerra per il predominio e, anche su quello, lui non avrebbe avuto potere alcuno.

Andrew era perito, perso per sempre, per loro, e la sua morte si era rivelata un prezzo inutile da pagare, per una pace che ben poco sarebbe durata.

Dubitava fortemente che i governanti europei si sarebbero abbassati a chinare il capo di fronte a quell’uomo venuto dal nulla, che si era autoproclamato Imperatore.

No, altro sangue sarebbe stato sparso, altre vite sarebbero state spezzate.

E nessuno di loro avrebbe potuto evitarlo.

Quando però Christofer, roso da quei tarli sanguinari, levò il capo per scrutare il viso della moglie, si ritrovò a sorridere.

Non poteva fermare la guerra né i suoi lutti, ma poteva rendere felice lei.

E l’avrebbe fatto.

Anche lei aveva combattuto una guerra, portava ferite nell’animo degne di un guerriero, e Christofer si ripromise che, almeno Kathleen, si sarebbe salvata da ulteriori barbarie.

Lo doveva a Andrew, alla giovane che gli era stata data in sposa e, forse, un po’ anche a se stesso.

 
 
 
 
Note: Qualcosa sta cambiando, e Christofer se ne è reso conto. Kathleen gli interessa per se stessa, non solo per la promessa fatta a Andrew, e il fatto che la moglie abbia suo malgrado accettato il suo goffo bacio, è la riprova che qualcosa sta cambiando, tra loro.
Kathleen si è inoltre espressa circa il suo desiderio di non essere più lasciata sola, e il crollo emotivo che ha avuto dinanzi al marito ne è la chiara riprova.
Insomma, qualcosa si sta muovendo, in seno alla coppia, e Christofer ne è assai felice.
Spero che la scena della vasca vi abbia divertito. Alla prossima!

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Capitolo 10
*** X. ***


 
10.
 
 
 
 
 
 
L’essere stato l’unico superstite, tra lui e Andrew, a tornare dalla campagna contro Napoleone, non aveva certo reso più facili i rapporti con Barnes.

Christofer, già al tempo del suo matrimonio frettoloso con Kathleen, non aveva mai fatto mistero di disprezzare il barone per le sue prese di posizione egoistiche.

Neppure Andrew era riuscito a impedirgli di prenderlo a male parole, e Barnes non si era di certo risparmiato, dandogli del perdigiorno e del buono a nulla.

All’epoca, anche Bartholomew si era sperticato nell’insultare il figlio e, forte dell’amicizia con il barone, lo avevano azzittito con la semplice realtà dei fatti.

Lui avrebbe sposato Kathleen, gli piacesse o meno, Barnes avrebbe ottenuto un matrimonio di valore per la figlia, e Bartholomew una nuora cui chiedere un sacco di nipoti.

Che questi piani non fossero stati nelle corde di entrambi gli interessati, non era importato a nessuno dei due nobiluomini.

La guerra e la morte di Andrew avevano poi cambiato Christofer, ma non certo il padre di Kathleen.

Se possibile, il disgusto provato per il giovane cadetto degli Harford, ora conte, si era inasprito a dismisura.

L'unica volta in cui Christofer aveva scorto il barone Barnes, in occasione di una sua visita alla tomba di Andrew, le cose non erano andate molto bene.

Quel giorno, approfittando di una tregua nel maltempo, il conte, la moglie e William avevano sellato i cavalli per raggiungere la cappella di famiglia dei Barnes.

Non appena avevano messo piede sulla bella collina dove si trovava la cappella, però, tutto era andato a rotoli.

Il barone non solo aveva ingiuriato a male parole la figlia, rea di aver condotto lì il marito, ma aveva anche minacciato di colpirla con il frustino, per la sua incresciosa condotta.

Christofer era intervenuto per tempo, afferrando il frustino prima che colpisse Kathleen e, dinanzi a entrambi, si era parato William.

Gelido e forte quanto una montagna, li aveva protetti dalle intemperanze del barone, pronto a sfidare la sorte, per loro.

Il barone, allora, se n’era andato sdegnato in viso e, ingiuriando la figlia e il suo attendente, era salito sul suo roano per riprendere la via di casa.

Nessuno dei tre aveva voluto commentare l'episodio, limitandosi a pregare sulla tomba di Andrew prima di allontanarsi per raggiungere la cappella di famiglia degli Harford.

Lì, con un mesto sorriso e la mano stretta in quella di Christofer, Kathleen aveva mostrato al marito la lapide in marmo rosa ove era stato inciso il nome del loro figlio perduto.

Quella vista, unita al brutto episodio appena vissuto, aveva portato il conte a lasciarsi andare a un pianto silenzioso.

William e Kathleen vi avevano assistito in religioso silenzio.

Christofer si era poi piegato su un ginocchio per sfiorare la bellissima lapide, abbellita da fronzoli dorati e da una struggente poesia.

Era stata una sorpresa, per lui, scoprire che era stata la moglie, a scriverla.

La contessa era rimasta tutto il tempo accanto al marito, una mano poggiata sulla sua spalla in segno di conforto.

Quando, infine, erano rientrati alla villa, non si era voluta allontanare da Christofer per tutto il giorno.

Quell'episodio aveva segnato profondamente il conte.

Aveva toccato con mano, e nel peggiore dei modi, la loro immane perdita, e il rischio corso da Kathleen, viva solo per grazia divina.
 
***

Con l’approssimarsi del Natale, Christofer decise che, pur non desiderando festeggiare in pompa magna, nulla gli vietava di regalare qualcosa di speciale alla moglie.

Scoprire cosa le potesse piacere, però, si rivelò più difficile del previsto e, anche chiedendo alla madre, non venne a capo di nulla.

Così, mosso dal desiderio di carpire dalla stessa Kathleen cosa avrebbe potuto darle gioia, il conte iniziò a porle di tanto in tanto domande sibilline.

Questo non migliorò la situazione.

La giovane contessa, infatti, si rivelò essere una persona molto umile.

Non desiderava gli ultimi abiti alla moda o i gioielli più belli, perciò la scelta di un regalo si complicò enormemente.

Inoltre, Christofer dubitava che Kathleen si sarebbe lasciata sfuggire così su due piedi ciò che più le stava a cuore.

Un caso fortuito, però, lo aiutò in maniera insperata.

Una mattina di metà dicembre, impegnato come suo solito negli esercizi riabilitativi, il conte intercettò la moglie intenta in un'attività tutt'altro che consueta.

Stava ripulendo un quadro.

Armata di straccio e sgabello, se ne stava appollaiata sul ripiano più alto, in punta di piedi e tutta presa dalla pulizia dell'articolata cornice di un quadro raffigurante un paesaggio boschivo.

Il quadro, un dipinto di Jacob Van Ruisdael1, ritraeva una bellissima cascata immersa nel verde di un bosco e, personalmente, lo aveva sempre trovato stupendo.

Non comprendeva, però, perché la moglie si stesse occupando di ripulire quella cornice di sua mano.

Avvicinatosi a lei con aria curiosa, tossicchiò per rendere nota la sua presenza e Kathleen, interrompendo immediatamente il suo lavoro, scese al volo dallo sgabello e mormorò: “Christofer, … avevate bisogno di me?”

“Affatto, mia cara, piuttosto, ero incuriosito da ciò che stavate facendo. Le domestiche sono scappate? Ci hanno abbandonate senza dirci nulla?” si informò con cortesia il marito, sorridendole malizioso.

Da breve distanza, dove stavano lavorando alacremente alcune ragazze della servitù, si udì più di un risolino sommesso.

Mordendosi il labbro inferiore con aria divertita,  Kathleen allora asserì: “Oh, no, affatto. Ma questo quadro mi è molto caro, così ho chiesto di potermene prendere cura personalmente.”

Il conte  lanciò uno secondo sguardo al dipinto, alle sue pennellate forti, al suo realismo da togliere il fiato, alla possanza delle acque tumultuose della cascata.

Sì, non poteva negare che quel quadro fosse affascinante.

“Piace molto anche a me. E' sempre stato uno dei miei preferiti.”

Accentuando il suo sorriso, la contessa dichiarò con voce sognante: “Ho sempre desiderato saper dipingere così, ma non sono mai stata capace di replicare quel genere di pennellata. Sono abbastanza brava nel dipingere paesaggi, ma di certo non così.”

“Andrew mi fece vedere uno dei vostri dipinti, e posso smentirvi senza tema di venire sbugiardato. Siete molto capace, invece” replicò il marito, vedendola arrossire di piacere a quel complimento insperato.

Erano anni che non ripensava a quei bei dipinti, scorti in camera di Andrew.

Li aveva tenuti gelosamente in raccoglitore, e gliene aveva parlato con orgoglio malcelato.

Curioso, come se ne fosse ricordato solo vedendo la moglie accanto a uno dei suoi quadri preferiti.

Fu a quel punto che Christofer comprese cosa regalarle.

Avvolta una mano della moglie nella propria in un gesto spontaneo quanto sentito, le domandò: “Vi piacciono le avventure, mia signora?”

“Credo di sì. Non ho viaggiato molto, come voi ben sapete, ma ho sempre desiderato farlo” ammise lei, facendo comparire due delicate fossette sulle gote rosee.

Christofer desiderò ricoprirle di baci, ma preferì astenersi dal commettere errori del genere.

Dopo quel bacio rubato durante il suo bagno, l'uomo non si era più arrischiato a chiedere altro alla moglie.

Da quell’incidente imprevisto, però, Kathleen si era sempre recata da lui, la sera, per scambiare due chiacchiere dinanzi al camino.

Se l’avesse turbata irreparabilmente, non si sarebbe mai arrischiata a rimanere di nuovo sola con lui, e questo l’aveva rincuorato.

Ogni volta, inoltre, lei gli aveva sempre concesso di sedersi al suo fianco per tenerle la mano, o sfiorarle i capelli rilasciati sulle spalle.

Christofer le aveva categoricamente vietato di legarli, e lei aveva acconsentito.

Erano davvero passi brevissimi verso un futuro più roseo, ma all'uomo stavano diventando cari e desiderabili come l’aria stessa che respirava.

Agognava l'arrivo della sera, per poter vedere la moglie senza le odiate gramaglie – che sarebbero rimaste per altri due mesi – e, soprattutto, per godere della sua esclusiva compagnia.

Non era facile da ammettere, perché questo non faceva che sottolineare la sua precedente superficialità, ma apprezzava sempre di più la moglie e la sua compagnia.

Soprattutto, amava parlare con lei.

Non c'era argomento di cui la moglie non sapesse almeno qualcosa.

Quando, invece, non era al corrente delle ultime novità, subissava il marito di così tante domande che, alla fine, Christofer si riduceva quasi a perdere la voce.

Ma non avrebbe mai cambiato per nulla al mondo quei preziosi momenti.

Gli restituivano la serenità, la pace,... la moglie.

Mai aveva sperato di poter creare un simile rapporto con Kathleen ma, a quanto pareva, erano più affini di quanto non avesse immaginato il giorno del loro matrimonio.

Quando perciò la condusse con passo eccitato verso i piani alti, dove si trovava la mansarda – usata per raccogliere ciò che non veniva più usato – seppe di non sbagliarsi.

Lì, avrebbe trovato il regalo giusto per Kathleen.

Sorpresa dalla foga del marito, che non aveva mai visto così acceso di aspettativa e di allegria, la contessa si ritrovò a sorridere come una bambina.

Quando Christofer, con aria cospiratrice, si fermò innanzi a una porta, lo fissò dubbiosa, inclinando il capo meditabonda.

Che ci facevano lì?

Il conte non attese molto, per farglielo scoprire.

Aprì lentamente la porta che conduceva alla mansarda e, con un sorriso che avrebbe potuto illuminare la stanza, la guidò al suo interno.

Il battente cigolò spettrale, evidentemente ben poco usato negli ultimi anni, ma questo non scoraggiò i due avventurieri.

Forti di una lampada a olio, si inerpicarono su una stretta scaletta fino a raggiungere un ampio stanzone ricolmo di enormi mobili.

La semi oscurità, spezzata solo dalla lampada – che Christofer teneva alta per meglio scorgere le sagome che li circondavano – conferì a quel luogo un che di inquietante.

Kathleen, impulsivamente, si strinse al braccio del marito e mormorò: “Non possiamo aprire le imposte, per favore?”

“Ma certo. Non ho voglia di darmi alla caccia al tesoro senza vedere dove metto i piedi” assentì lui, accompagnandola fino a una delle finestre, che lei aprì in fretta, scostando le imposte di legno.

Subito, una falce di luce tenue si espanse sul pavimento, che risultò essere polveroso ma sgombro di pericoli.

Una dopo l'altra, le finestre vennero aperte e Kathleen, ammirando il paesaggio circostante da quella posizione sopraelevata, esalò: “Oh, è così bello, qui, Christofer! Grazie per avermi portato in questo posto.”

In effetti, le campagne innevate e baciate dal sole, le colline brillanti come diamanti e le rade nubi nel cielo azzurro, erano una vista mozzafiato.

“Non era esattamente questo, il mio scopo ma, per iniziare, va già bene così” asserì lui, sorprendendola non poco.

“In che senso?” volle sapere lei, prima di vederlo poggiare la lanterna su un davanzale per poi dirigersi verso una delle casse. “Cosa pensate di trovare?”

“Quando li vedrete, lo scoprirete da sola” ironizzò lui.

“E' piuttosto sibillina, come frase” gli fece notare la moglie, pur divertita da quello strano gioco.

Aprendo un mobile per dare una mano al marito in quella strana ricerca, la giovane scoppiò in una risata argentina non appena si rese conto di ciò che aveva davanti.

Incuriosito dalla sua reazione, il marito sbirciò a sua volta all'interno e gracchiò: “Oh, cielo!”

Un enorme cappello dall'ampia tesa se ne stava in bella mostra, appeso a una gruccia, e una lunga piuma di struzzo pencolava dall'alta fascia di seta che la tratteneva a quella fantasiosa creazione.

Estrattolo con mani emozionate, Kathleen lo spazzolò con cura prima di indossarlo e, nel rivolgere uno sguardo divertito al marito, celiò: “Non sembro una donna pirata?”

Scoppiando a ridere, Christofer assentì e le spiegò le origini di quello strano orpello.

“Quello deve essere appartenuto alla pro-prozia Ermengarda. So che si trasferì per un certo periodo di tempo in Giamaica, e che fece amicizia con alcuni corsari.”

“Oh, mio Dio!” esalò la giovane, facendo tanto d'occhi.

“Era folle, ma molto, molto simpatica, da quel che so” ironizzò il conte, scartabellando nel mobile alla ricerca di qualche altro accessorio stravagante.

Quando trovò un gilet in seta blu con ricami dorati, e pesanti borchie ottonate sulla schiena, lo consegnò alla moglie, divertito.

“Con questo, diventereste una corsara coi fiocchi.”

Indossatolo con un risolino agli angoli della bocca, Kathleen si sistemò meglio il cappello perché le nascondesse in parte il viso e la rendesse più misteriosa.

Fatto ciò, si guardò intorno alla ricerca di qualcosa che potesse fungere da spada ma, nulla trovando, chiese in prestito il bastone del marito e si mise in posa.

L’abito in stile impero che indossava non le consentiva una postura molto comoda, ma poteva andare lo stesso.

Christofer ne rimase a dir poco incantato, lei fiera e meravigliosa in quelle vesti così inconsuete per la sua giovane sposa.

I suoi occhi verdi, in cui splendevano mille pagliuzze dorate, erano illuminati dalla gioia e da una giocosa malizia, e le gote rosee erano abbellite da quelle meravigliose fossette, che comparivano quando era felice.

In quel momento, nonostante si sentisse un vero barbaro al solo pensarlo, avrebbe voluto gettarla sulla prima superficie morbida disponibile e farla sua.

Era la creatura più sensuale, bella e speciale che avesse mai incontrato in vita sua... ed era sua moglie.

Quando mosse un passo verso di lei, però, la donna si mise in posizione di attesa e il conte, a quel punto, comprese anche un'altra cosa.

Scoppiando a ridere di gusto, Christofer si passò una mano sul viso ed esalò sconcertato: “Oh,cielo! Non ditemi che William vi ha insegnato anche a tirar di spada?!”

“No, è stato Andrew, quando avevo quattordici anni” replicò lei, facendo la lingua come una birbante.

Sì, fece proprio la lingua.

Il marito non resistette più.

Annullò la distanza che li separava con pochi, rapidi passi e, sotto lo sguardo sconvolto e vagamente sorpreso di Kathleen, le strappò dal capo il pesante cappello.

Lesto, prima che potesse sfuggirle, le avvolse la vita con un braccio e la schiacciò contro di sé.

Stretta in quell'abbraccio febbricitante, gli occhi colmi di desiderio del marito puntati su di lei, la contessa socchiuse le labbra per dire qualcosa, ma lui glielo impedì.

La sospinse verso un cumulo di coperte ammonticchiate in un angolo e, sfiorandole la guancia con un bacio, mormorò roco: “Non spaventatevi, per pietà... voglio solo tenervi stretta a me. Prometto di non fare altro.”

Lei annuì e, con delicatezza, poggiò le mani sulla schiena di lui, forte e ampia.

Christofer emise un sospiro tremulo in risposta al suo tocco e le labbra, come mosse da fili invisibili, si poggiarono vogliose sul suo collo, deponendovi un bacio.

Kathleen sospirò e, sorprendendo se stessa e il marito, si inarcò contro di lui per offrirgli maggiore superficie su cui baciarla.

Il conte non se lo fece ripetere.

Uno dopo l'altro, piccoli baci carezzevoli si depositarono sulla carne morbida e profumata di lei che, pur tremando leggermente, lasciò fare il marito.

Voleva quel tocco, quella passione, quel desiderio incontrollabile e, anche se era difficile non lasciarsi sommergere dalla paura, desiderava che lui continuasse.

La mano destra di Christofer, frettolosa, le sollevò un poco la gonna fino a trovare le morbide calze di seta che lei indossava.

Carezzandole il polpaccio, mormorò tra un bacio e l'altro: “Adoro questo abito. Scollato al punto giusto.”

Un attimo dopo averlo detto, le depositò un bacio sulla clavicola, esposta al suo sguardo e alle sue labbra.

Kathleen ridacchiò, afferrandolo alla nuca perché non si scostasse, il cuore che le palpitava nel petto sempre più forte, sempre più frenetico.

La mano risalì, leziosa e piacevole, ammonticchiando poco alla volta la stoffa della gonna finché, sorpresa, non si bloccò per tastare qualcosa che mai si sarebbe aspettato di trovare.

Levandosi su un gomito per meglio osservare ciò che la mano aveva toccato – lasciando Kathleen insoddisfatta, e desiderosa che lui continuasse – Christofer sogghignò nel tornare a guardarla.

Malizioso, mormorò: “Siete davvero una donna pirata, mia cara.”

“Giro sempre con una pistola nella giarrettiera, signor conte” sussurrò lei, sorridendogli con fare così sensuale che il marito non poté che tornare a stringerla in un abbraccio di fiamma.

Lasciato perdere che ebbe la piccola pistola, Christofer proseguì la sua risalita fino a sfiorarle un fianco, abbracciato da morbida seta.

Lì, però, si fermò, risistemò la gonna e badò solo a sfiorarle il corpo da sopra gli abiti pesanti.

Non voleva prenderla lì, come se fosse stata una sguattera.

Il solo fatto che lei non cercasse di fuggire o, peggio, di urlare in preda al panico, era comunque un successo.

Proseguì con baci leggeri alla base del collo e sulle spalle che, lentamente, ne sciolsero le ultime paure e, quando finalmente arrivò alla sua bocca, mormorò: “Volevo trovare un regalo per voi, ma voi l'avete fatto a me.”

Sgranando gli occhi per la sorpresa, occhi che erano accesi di passione e desiderio, Kathleen esalò: “Oh, ma... non abbiamo fatto nulla e...”

Lui rise nonostante tutto, dandole un bacetto sul naso prima di replicare: “Mia cara, se pensate che questo sia nulla, allora mi sorprendete. Questo è ciò che avrei dovuto fare con voi, la prima notte di nozze. Invogliarvi a desiderare il piacere, non a temerlo. Farvi capire quanto eravate preziosa e speciale. Nulla di tutto ciò vi è stato dato, perché io ve l'ho tolto con l'inganno.”

“Ma ora me lo avete reso” ribatté lei, gli occhi lucidi di una felicità a cui Christofer non volle dare un nome per la troppa paura.

“Sì, credo di sì, anche se posso dire di averne goduto a piene mani a mia volta” ammise lui, chinandosi finalmente per baciarla.

Kathleen chiuse gli occhi non appena le sue labbra toccarono quelle del marito.

Contrariamente alla volta precedente, però, lui fu delicato, le mordicchiò un labbro per stuzzicarla e, quando le sfiorò la bocca con la lingua, lei lo accolse.

Fu naturale, pur se non lo aveva mai sperimentato.

Avvertì ogni suo tocco, ogni suo guizzo e, mentre quelle magnifiche labbra facevano svanire da lei qualsiasi desiderio di fuggire, il ricordo della tentata violenza andò scemando.

Rimase solo il fuoco appiccato da Christofer, la brama crescente che aveva di lui, la forza che sentiva accrescersi dentro il suo animo grazie al suo tocco.

Ansò sotto il peso del marito, e si contorse per meglio aderire a quel corpo tonico e forte.

Nel farlo, però, le coltri persero stabilità e, strillando per la sorpresa, entrambi ruzzolarono a terra in un mare di polvere e coperte.

Scoppiando entrambi a ridere per quel volo imprevisto, si misero seduti su quello che rimaneva del loro talamo improvvisato.

Lo scenario era davvero bizzarro.

Spazzolandosi poi vicendevolmente gli abiti, continuarono a ridere fino ad avere le lacrime agli occhi.

“Non ho mai... combinato... una tale confusione... in vita mia...” boccheggiò Christofer, incapace di smettere di ridere.

“Con una donna?” esalò lei, asciugandosi lacrime di ilarità nel rimettersi in piedi.

“Anche” ammise lui, afferrando il bastone per alzarsi.

Nel farlo, gli occhi gli caddero su ciò che era venuto a cercare e, accendendosi di letizia, esclamò: “Eccoli!”

“Cosa?” volle sapere la moglie, seguendone lo sguardo deliziato.

“Il mio regalo per voi” le spiegò Christofer, armeggiando con uno scatolone di legno perché fosse più accessibile.

Aiutatolo come meglio poté, Kathleen si esibì in un sorriso estasiato quando comprese cosa fossero i tesori tanto bramati dal marito.

Nel sollevare uno dei quadri contenuti nella pesante cassa, iniziò col dire: “Sono i vostri...”

La voce, però, le morì in gola, quando i suoi occhi si posarono sull'enorme squarcio che divelleva l'opera.

Impallidendo visibilmente, Christofer corse a controllare gli altri quadri, un pensiero assillante a gelargli il cuore.

Una dopo l'altra, le tele vennero estratte e lasciate ricadere a terra come stracci usati.

Nessuna di esse si era salvata dallo scempio cui erano state vittime sacrificali e Kathleen, nello stringere le spalle tremanti del marito, mormorò: “Sapete chi può essere stato?”

“Una sola persona. Mio padre” ringhiò l'uomo, fremente di una rabbia tale che, se le forze glielo avessero concesso, avrebbe raso al suolo l'intero Green Manor.

Suo padre non aveva mai fatto mistero di non approvare la sua passione per la pittura.

Mai, però, avrebbe immaginato che sarebbe giunto a distruggere i suoi quadri, in sua assenza.

“Perché tenerli? Non capisco” mormorò Kathleen, avvolgendo le braccia attorno alla vita del marito, che strinse a sé un attimo dopo.

“Per spregio, perché io potessi vederli” sibilò l'uomo, passandosi la mano libera tra i capelli. “Dio, … se fosse ancora vivo, lo ammazzerei di mia mano!”

La moglie levò fiera il capo a scrutarlo e, lapidaria, dichiarò: “Non dategli la soddisfazione di fargli capire, anche dall'aldilà, che è stato capace di ferirvi. Possiamo fare altri quadri... insieme. Voi mi insegnerete dove sbaglio, e creeremo altre opere che esporremo in villa.”

“Kathleen...” sospirò lui, fissandola in quei grandi occhi coraggiosi.

“Non dategli l'opportunità di ferire anche voi” lo scongiurò lei, speranzosa.

“Lo ha già fatto mille e mille volte, nel corso degli anni” ironizzò tristemente l'uomo, scostandosi dai suoi quadri mutilati.

“Beh, allora credo che basti e avanzi” borbottò la moglie, raccogliendo dalla cassa la sua valigetta con i colori e i pennelli. “Usateli, e rendetemi fiera di voi.”

“Con dei colori a olio?”

“Si rivolterà nella tomba, ne sono sicura, e io ne sarò lietissima” si limitò a dire Kathleen, senza alcun pentimento nella voce.

Non erano belle cose da dire, ma Christofer sapeva esattamente da dove nasceva quell’asprezza.

Molte volte si era trovato in quell'oscuro regno, in cui suo padre era solito mandarlo con le sue male parole, o i suoi gesti egoistici.

Aveva subito molti tipi di violenza, dal padre, oltre a quella fisica – il vecchio conte era un fervido sostenitore delle punizioni corporali.

Come aveva sostenuto la moglie, però, era tempo che Bartholomew Spencer smettesse di ferirli, anche se solo dalla tomba.

“Dovrete attendere un po' per il vostro regalo, stando così le cose” si scusò Christofer, stringendosi al petto la sua scatola di colori e pennelli.

Lei, però, sorrise e, arrossendo copiosamente, mormorò: “Beh, penso di aver ricevuto per lo meno... l'antipasto.”

“Katie!” esalò il marito, sorpreso dal suo ardire.

La moglie reclinò il capo e lo poggiò contro il suo braccio perché non la vedesse avvampare e, con voce solo a stento udibile, ammise: “Non... non ho avuto paura. Se siete voi a toccarmi, non ho paura. Non più.”

“Procederemo comunque per gradi” sostenne lui, sorprendendola un poco. “Oggi eravamo sovraeccitati dalla ricerca ma sono più che sicuro che, a mente fredda, qualche paura tornerà a solleticarvi. Ho visto più di un soldato, preda di crisi post-traumatiche, perciò so che ci possono essere delle ricadute. Non forzerò la mano, pur se ammetto senza remore che oggi il mio cuore ha gioito.”

Kathleen annuì, sorridendogli grata e, mentre le imposte venivano chiuse una dopo l'altra, la giovane si ripromise di trovare un regalo degno per il marito.

Lui le aveva aperto le porte per una ritrovata libertà, e nulla di quanto avrebbe fatto, da lì in poi, sarebbe bastato per ricompensarlo.

Ma, in un modo o nell’altro, l’avrebbe fatto.
 
***

Il suono del pianoforte si espandeva per la villa con toni struggenti, senza dimensione né corporeità.

Poiché da tempo non aveva più udito alcuno suonarlo, Whilelmina si chiese fuggevolmente se Kathleen si fosse per caso recata nella sala della musica.

Sapeva che, ogni tanto, era dedita a suonare brani di Mozart o Beethoven, ma quello non le sembrava uno dei suoi pezzi preferiti.

Se la memoria non le giocava brutti scherzi, quello era il Preludio in C maggiore di Bach, e Kathleen non era solita interpretarlo.

Non fu del tutto sorpresa perciò quando, sul divanetto di fronte al bellissimo pianoforte a coda, trovò il figlio.

Era raro che Christofer suonasse – l'ultima volta che era successo, Bartholomew aveva litigato ferocemente con lui – ma, quel che veramente la stupì, fu vedere Kathleen al suo fianco.

Col terminare delle ultime note, che galleggiarono nell’aria immota della stanza, Christofer attaccò i primi passi di Sonata al chiaro di luna di Beethoven.

Whilelmina rabbrividì interiormente a quel suono, presagendo qualcosa di brutto, ma lasciò perdere quei tetri pensieri per fare attenzione a ciò che aveva davanti.

Le mani di Kathleen erano poggiate sulle spalle ricurve del marito e, ogni tanto, le sue dita sistemavano con gesti teneri le ciocche brune di Christofer.

Il figlio portava i lunghi capelli sciolti sulla giacca, giacca che recava segni evidenti di polvere, come pure l'abito di Kathleen.

Ma dov'erano stati? Cos'era successo?

Kathleen fu la prima a rendersi conto della presenza della suocera.

Salutatala con un mormorio, si scostò appena dal marito per volgersi completamente nella sua direzione.

Subito, la melodia si interruppe, galleggiando ancora qualche secondo nell'aria prima di scomparire.

Con un movimento fluido, Christofer si volse a sua volta verso la madre e, allargando le gambe, attirò possessivo a sé la moglie.  

Senza dar peso all’aria sconvolta della contessa madre, strinse le braccia attorno all’esile vita di Kathleen per poi poggiare il capo appena sotto i suoi seni.

Sconvolta da quel comportamento ben poco decoroso, anche per una coppia sposata e, di sicuro, impensabile per Kathleen, Whilelmina però si trattenne dal fare qualsiasi commento.

Vedere la nuora perfettamente a suo agio con il marito, frenò la sua lingua.

Appariva sicura di sé, quasi protettiva nei confronti di Christofer.

Con un braccio ad avvolgere le spalle del marito, pareva pronta a sfidare un'intera legione di dragoni inglesi, se solo avesse dovuto.

Ancora una volta, la donna si chiese cosa fosse successo a entrambi per portarli a quel radicale cambiamento.

Ben sapendo quale fosse la sua missione, però, lasciò le domande a un secondo momento ed espose ciò che doveva.

“Mi fa piacere avervi trovati entrambi” esordì la contessa madre, cercando di non sentirsi imbarazzata di fronte al comportamento fin troppo possessivo del figlio nei confronti della moglie.

“Cosa succede, madre?” le domandò lui, attirando sulla gamba sana la moglie, che si sedette con naturalezza.

Christofer le sorrise un attimo dopo, dandole un buffetto sulla guancia come per ringraziarla della fiducia accordatagli.

“Abbiamo ricevuto un invito dal barone Barnes per le festività natalizie” confidò loro la donna, sorprendendoli entrambi.

Consegnando la missiva con l’invito al figlio, continuò dicendo: “Ci invitano a recarci presso la loro villa di campagna, pregandoci di rinunciare temporaneamente alle gramaglie in occasione delle festività natalizie, così da rendere più gioiose le feste al piccolo Randolf.”

Annuendo torvo, Christofer lesse più e più volte la missiva, scritta evidentemente da Georgiana, la madre di Kathleen.

Nel riporla sul pianoforte, il conte asserì: “Non posso negare che al piccolo Randolf possa far bene un po’ di cambiamento, dopo tanto lutto, ma quel che mi stupisce è l’invito. Mi era parso di capire che il barone Barnes mi odiasse e, di certo, io non ho mai esternato un grande amore per lui.”

Christofer lanciò un'occhiata dubbiosa all'indirizzo della moglie, che appariva non meno preoccupata di lui.

Quell'invito aveva tutto l'aspetto di un bacio di Giuda, ma il conte non se la sentiva di tenere la moglie lontana dalla sua stessa famiglia, pur non apprezzandone per nulla il padre.

Whilelmina mormorò con tono conciliante: “Può darsi che il tempo abbia raffreddato la rabbia di Barnes, consentendogli di scorgere la verità oltre il dolore.”

Christofer si mostrò molto più che scettico, ma fu Kathleen a esprimere apertamente quanto poco credesse a quelle parole.

“Mio padre non passerebbe sopra al proprio orgoglio ferito neppure in punto di morte” asserì sarcastica la giovane, levandosi dalla gamba del marito per passeggiare nervosamente attraverso la stanza. “Questo invito mi sembra solo l'ennesima occasione per denigrare mio marito, e prendere di mira me. Non fosse per mia madre, che so essere innocente, rispedirei al mittente il messaggio senza neppure una risposta.”

La suocera si limitò ad annuire, lo sguardo per lo più concentrato sul figlio che, come un magnete, non faceva che seguire con gli occhi i movimenti nervosi della moglie.

Da quando l'aveva abbandonato, pochi attimi prima, il suo viso si era subito incupito e, come spinto da una profonda preoccupazione, il suo sguardo non l'aveva più lasciata.

Non voleva intromettersi nelle loro vite private per conoscere i motivi di un tale comportamento, ma era assai curiosa di comprendere cosa fosse mutato, in loro.

Sperava ardentemente che il figlio non si fosse spinto troppo in là con la moglie, spaventandola ulteriormente ma, almeno a giudicare dal comportamento di Kathleen, pareva l'esatto contrario.

La giovane si era fatta fieramente, e apertamente, protettiva nei confronti di suo marito, e lasciava che Christofer la toccasse senza che lei provasse l'istinto di fuggire.

Era davvero successo qualcosa, ne era certa, ma comprendere come comportarsi con Barnes aveva la precedenza sulle sue domande.

“Preferireste non andare? Mi atterrò alle vostre scelte” le propose Christofer, sorridendole comprensivo.

Kathleen si volse a guardarlo, le braccia strette sotto i seni e il viso nuovamente pallido e triste.

Il marito detestò vederla in quello stato e, infischiandosene del ton, la attirò verso di sé in un abbraccio consolatorio, in cui Kathleen si lasciò andare con un sospiro.

“Lo ucciderò di mia mano per avervi fatta intristire, Kathleen. Non dovete permettergli di rovinarvi le festività. Non andremo. Punto” ringhiò Christofer, carezzandole lentamente la schiena.

Lei scosse il capo, scostandosi appena per scrutarlo in viso e, con una sicurezza che non provava, replicò: “Andremo. Non voglio più farmi mettere i piedi in testa da mio padre. Vorrei far visita a mia madre e al piccolo Randolf, pur se Myriam e mio padre non saranno affatto felici di vederci.”

“Affari loro” sentenziò lapidario il conte.

Rivoltosi poi alla madre, l’uomo dichiarò: “Manda pure a dire a lady Georgiana che accettiamo il loro invito, e che giungeremo alla villa dei Barnes due giorni prima di Natale, nel primo pomeriggio.”

Whilelmina assentì e, dopo aver lanciato un ultimo sguardo alla coppia, che tornò a dedicarsi al pianoforte, si avviò per recarsi nel suo studiolo a redigere la risposta a quello strano invito.

Mentre percorreva a ritroso i corridoi che l'avevano condotta alla sala della musica, la contessa madre tornò a udire il suono melanconico del piano.

Stavolta, in quell'accorata richiesta di pace, avvertì il tocco di Kathleen.
 
***

“Cosa dovrei fare, scusate?” borbottò contrariata Kathleen, accigliandosi di fronte all'assurda richiesta del marito.

La sala d'armi, ove si trovavano in quel momento, era illuminata da candele appese a pesanti candelabri d'argento.

Dal soffitto, leggiadri lampadari pendevano come enormi mani distese, sparpagliando bargigli di luce un po' ovunque.

Il piano in parquet era stato tirato a lucido da poco, e rifletteva la luce delle candele rinviando una calda luce dorata tutt’attorno.

Appese alle rastrelliere da muro, una serie di spade da allenamento si alternavano ad autentici pezzi da collezione, provenienti da ogni angolo del mondo conosciuto.

Stupende katane giapponesi, avvolte nei loro elaborati foderi, erano compagne preziose per elaborate e magnificenti sciabole arabe dalle else ingioiellate.

Kris malesi di ottima fattura, dalle lunghe lame a fiamma, erano appesi accanto a possenti bipenni di origini scandinave.

Ammirando pensieroso quella collezione, Christofer replicò candidamente alla moglie: “Desidero solo rendermi conto della vostra preparazione, tutto qui.”

“E per questo dovrei indossare le brache di... di Julian? Per saziare la vostra curiosità?” esalò la donna, avvampando in viso nel tenere tra le mani gli indumenti perfettamente ripiegati del valletto del marito.

“Non venitemi a dire che William non vi ha rinfrescato in materia, in mia assenza, perché non vi crederò mai. Inoltre, non penso lo abbiate fatto abbigliata a quel modo. Quella gonna non ha un'ampiezza tale da permettervi un buon gioco di gambe, figurarsi un affondo di spada” le fece notare il marito, ghignando divertito.

Lei sbuffò contrariata e mugugnò: “Ve l'ha detto Julian, vero?”

“L'ho fatto parlare, sì” ammise candidamente il marito. “Inoltre, ho fatto due più due. E' l'unico, tra i nostri dipendenti, a essere abbastanza magro da potervi prestare un simile indumento, e i pantaloni da cavallerizza sono solo mutandoni assai lunghi…e ben poco decorosi, senza la gonna al seguito.”

Ghignando, aggiunse malizioso: “E, visto che immaginavo non vi sareste mai abbassata a esibirvi con i mutandoni neppure dinanzi a vostro fratello...”

Il rossore sul volto di Kathleen si fece così evidente che il marito scoppiò a ridere sonoramente, portando la donna a sbuffare infastidita.

Con rabbia, si infilò infine le brache sotto le gonne con gesti goffi e furiosi.

Quando fu più o meno soddisfatta del lavoro, sibilò: “Dovete aiutarmi con l'abito, razza di idiota, invece di rimanere lì a sghignazzare come una scimmia.”

Christofer incontrò una certa difficoltà a rimanere serio e, mentre slacciava il vestito della moglie sulla schiena, non riuscì a veder nulla di sensuale in quel gesto.

Era troppo impegnato a ridacchiare per i suoi brontolii sommessi e sentiti, per cogliere l’evidenza di ciò che stava compiendo.

Quando infine lei rimase in camiciola – che sfiorava a malapena le cosce – era a dir poco paonazza in viso, ma il marito si ritenne soddisfatto.

Lasciati abito, sottogonne e corsetto su una sedia, Christofer la ammirò in quella strana mise, trovandola più seducente di mille dame abbigliate con raffinata seta orientale.

Fu solo in quel momento che capì di aver quasi spogliato del tutto sua moglie.

Le lunghe gambe slanciate, messe in mostra dalle brache di velluto strette al ginocchio, erano diritte e morbidamente tornite.

La camiciola di lino, che le avvolgeva i seni con leggerezza, lasciava ben poco all'immaginazione.

Nel complesso, era deliziosa, e le sue mani vennero percorse da un brivido di aspettativa, di desiderio a stento controllabile.

Ma non poteva prenderla lì, in quella stanza tutt’altro che agevole per le arti amatorie.

Inoltre, doveva prima di tutto pensare a lei, e non ai propri desideri carnali.

“Se mi aveste avvisata di questa pazzia, mi sarei preparata degnamente” ringhiò lei, afferrando con competenza una delle spade da addestramento, debitamente smussata su punta e lama.

“Credetemi, vi trovo più che adeguata” replicò lui, imitandola e piazzandosi in mezzo alla stanza.

“Mancano due ore alla cena, … non credete che avremmo potuto scegliere un altro giorno, per questo gioco?” brontolò ancora Kathleen, mettendosi in posizione di difesa.

Christofer approvò mentalmente la sua postura, ma si limitò a dire: “Dovevo sincerarmi di una cosa.”

“E cosa?” sbottò la giovane.

L'uomo si esibì in un affondo che colse di sorpresa la contessa, costretta suo malgrado a difendersi.

Rintuzzato il colpo con una parata, Kathleen replicò con una stoccata, che Christofer evitò abilmente.

Pur gravato dall'impedimento della gamba destra, ancora debole seppur in netto miglioramento, il conte riuscì a piazzare qualche ottimo colpo prima di disarmare con abilità la moglie.

Lesto, la afferrò alle spalle, avvolgendole un braccio attorno alla vita.

Mentre il tintinnio della spada rimbalzava da una parete all'altra della stanza vuota, Christofer si strinse la moglie al petto, ansante non meno di lui.

Nel poggiare le labbra roventi sulla pelle del suo collo, mormorò: “Volevo essere certo che poteste difendervi. Non mi fido di vostro padre e, per nessun motivo al mondo, vi lascerei entrare in casa sua meno che preparata.”

Schiacciata contro il corpo rovente del marito, che la stava trattenendo possessivamente alla vita, Kathleen esalò: “Pensate davvero che possa attentare alla mia vita?”

“Non penso nulla, Katie. Vi voglio solo in grado di difendervi, qualora io non fossi presente per qualsiasi motivo. Nessuno deve toccarvi, a parte me” ringhiò Christofer, affondando il viso nei suoi capelli raccolti in uno chignon per aspirarne il dolce profumo di miele.

“Christofer...” mormorò lei, sorpresa dal tono possessivo e accorato del marito.

Lasciando andare la spada a terra, il conte la strinse con entrambe le braccia e, in silenzio, rimase a cullarla dolcemente nel suo calore, nella stretta protettiva del suo abbraccio.

Lentamente, la furia che aveva preso Christofer scemò e Kathleen, ormai rilassata contro il torace dell'uomo, sussurrò: “Siete preoccupato di rimanere vedovo, mio signore?”

“Sono preoccupato per voi, ragazza insensibile” brontolò lui, scostandosi dalla moglie per voltarla verso di sé e fissarla negli occhi. “Come potete anche soltanto pensare che io non mi preoccupi per voi?!”

Lei allora gli sorrise dolcemente e celiò: “E' per questo che mi avete sconfitta, e mi avete dimostrato che non posso difendermi da sola?”

Christofer imprecò senza tanti complimenti e, torvo in viso, le confidò: “Signora, se foste riuscita a togliermi la spada, mi sarei trafitto io stesso su di essa. Ve lo dico senza tema di venire smentito, mia cara... ero, e sono, il miglior spadaccino di tutto lo Yorkshire. Per questo, sono abbastanza sicuro quando vi dico che no, non mi avreste mai disarmato ma sì, vi ritengo in grado di difendervi discretamente bene.”

La moglie lo fissò sinceramente stupita e Christofer, con aspra ironia, ammise: “Mio padre è sempre stato contrariato all'idea che fossi io, il miglior spadaccino in famiglia. A Eton non avevo rivali e, se Andrew fosse qui, vi potrebbe confermare che non mento. So che conoscete Anthony Phillips,… chiedete a lui, quando sarà  tornato dalla Spagna. Potrà decantare le mie prodezze molto meglio di me.”

Sorridendo appena nel sentir parlare del loro comune amico d’infanzia, Kathleen mormorò: “E’ troppo impegnato con il Ministero della Guerra, per tornare a York… e so che la sua missione a Madrid non è meno impegnativa degli affari che svolge di solito a Londra.”

Levando un sopracciglio con evidente sorpresa, Christofer le chiese lumi in merito e la moglie, nel riporre la sua arma, asserì: “Lady Phillips viene qui, a volte, e così parliamo di suo figlio e delle sue missioni diplomatiche. Di quel poco che sappiamo, per la precisione.”

Annuendo, Christofer dichiarò: “Era anche grazie a lui e alla sua abilità di spia, se riuscivamo ad avere dispacci aggiornati. Una qualità che coltiva da anni, per la verità.”

Lappandosi nervosamente le labbra, la giovane mormorò: “Andrew non mi parlava mai di Eton, quando era a casa. Immagino intendiate che Anthony imparò lì.”

Assentendo torvo, il marito borbotto: “Non ve ne parlò mai volentieri perché era l'Inferno in terra, mia cara, e non erano argomenti degni delle vostre gentili orecchie. E sì, Anthony imparò lì, salvandoci da un sacco di punizioni corporali. Più di quante voglia ammettere… o rammentare.”

“Eravate così scapestrati?” cercò di ironizzare Kathleen, non riuscendovi.

Gli occhi di Christofer si fecero di ghiaccio, nel rammentare quegli anni in collegio.

“Ben pochi rampolli delle case nobiliari inglesi, meritano il titolo che Dio ha deposto sulle loro spalle. La maggior parte, sono boriosi figli di papà, che non fanno altro che prendersela con i più deboli... o con i figli cadetti. Non mi vergogno nel dire che i miei fratelli erano parte dei miei aguzzini, spesso e volentieri.”

“Oh” esalò Kathleen, comprendendo al volo cosa volesse dirle il marito.

Con un sorriso ironico quanto triste, lui ammise: “Ho imparato a essere il migliore nella lotta, quanto nella scherma, per non venire massacrato. I miei fratelli non erano molto propensi a difendermi, quando erano a Eton con me, perciò...o imparavo, o morivo.”

“Capisco” assentì lei, spiacente. “E io che pensavo che solo i circoli per sole signore fossero insopportabili!”

Ridacchiando suo malgrado, Christofer esalò: “Non credo che le lezioni di bon-ton, o di cucito, possano produrre i danni di Eton, ma non desidero sapere davvero cosa fate, quando voi donne siete sole.”

“Non ci accoltelliamo con i coltellini da burro, se è questo che temete” ironizzò lei, ammiccando divertita.

“Ah, Katie! Ora sì che mi piacete. Prima, nella sala della musica, eravate così pallida!” mormorò il marito, deponendole un bacio sulla fronte.

“La prossima volta che vorrete tirarmi su di morale, portatemi un fiore. Sarà più semplice e meno... confusionario” replicò lei, indicando i suoi abiti ammonticchiati su una sedia.

“Lo spogliarello mi ha divertito, però” ammise lui, lanciando un'occhiata interessata ai suoi seni.

Kathleen arrossì suo malgrado e, nell'andare a recuperare i propri indumenti, borbottò: “Non vi rispondo per le rime solo perché io ho avuto l'opportunità di vedervi con molto meno addosso.”

“Grazie per averlo notato” ironizzò lui, deliziato alla vista del morbido fondoschiena della moglie, abbracciato dalle brache di velluto di Julian. “Ah, mia signora... siete davvero una visione!”

Lei si raddrizzò immediatamente, gli abiti stretti in un unico fagotto contro i seni e, lanciandogli un'occhiataccia da sopra una spalla, ringhiò: “State attento, mio caro... ci sono troppe armi, qui dentro.”

Christofer scoppiò a ridere di tutto cuore mentre, a passo di carica, la moglie si dileguava dalla sala d'armi.

Oh, sarebbe stato un autentico divertimento, il suo matrimonio, d’ora innanzi, ne era sicuro!

 
 
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1: Il dipinto di cui parlo è “Cascata tra le rocce”, del pittore olandese J. Van Ruisdael, che attualmente si trova nella National Gallery di Londra.



 

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Capitolo 11
*** XI. ***


 
 
11.
 
 
 
 
 
 
L'arrivo alla villa di campagna dei Barnes fu funestato da una fitta nevicata, e dal sibilare sinistro del vento proveniente da nord.

Quando la famiglia di Christofer mise piede nell'abitato, l'umore di tutti era incline a eguagliare il tempo atmosferico.

Solo Georgiana, la madre di Kathleen, si presentò nell’atrio d'ingresso per salutarli, dopo essere stata prontamente avvertita dalla servitù del loro arrivo.

Abbracciato che ebbe la figlia, ringraziò calorosamente Christofer per averle riportato il figlio e per aver taciuto sulle intemperanze del suocero.

Ciò detto, la baronessa si rivolse a Whilelmina, asserendo: “Sono così felice che sia venuta anche tu! Era da tempo che non venivi qui!”

“Non avrei mai mancato di esserci, Georgiana” le sorrise Whilelmina, battendole affettuosamente una mano sul braccio.

“E tu, giovane Wendell… invidio sempre di più i tuoi capelli, lo sai? Tiziano avrebbe pianto di delizia, nel vedere questa tonalità perfetta” asserì Georgiana offrendo la mano a Wendell, che lui baciò dopo un aggraziato inchino e un sorriso.

Dopo aver sorriso all’educato figliolo, Whilemina domandò alla padrona di casa: “Chi saranno gli invitati, se posso chiedere, Georgiana?”

“In quanto nostri vicini, mio marito ha pensato bene di invitare i Chappell e i Phillips. Oltre a lord e lady Chappell, inoltre, sono giunti qui anche il figlio minore, Peter, e il maggiore, Gregory, assieme alla sua sposa e al figlioletto primogenito. Per lo meno, Randolf avrà qualcuno con cui giocare. L'erede di Gregory, Wilfred, ha quasi l'età del nostro piccolo campione.”

Avendo tenuto d’occhio la moglie per tutto il tempo, Christofer domandò con garbo, ma ben deciso a ricevere una spiegazione: “Perché ho l'impressione che nessuna di voi sia lieta della presenza dei Chappell alla cena di Natale?”

Perché, quando Georgiana aveva fatto il nome dei Chappell, Kathleen aveva aggrottato la fronte?

“Oh, non dovete pensare questo, Christofer” replicò lesta Georgiana. “Solo... beh...”

“I Chappell, così come lord Gregory, sono persone adorabili, ma Peter è un tipo piuttosto... particolare” intervenne la moglie, lasciandogli intendere ben altro, dal suo sguardo ombroso.

Il conte preferì non indagare oltre e, rivolgendo un sorriso delizioso alla loro ospite, disse: “Credo che ci ritireremo nelle nostre stanze per prepararci per stasera. Il viaggio, per quanto breve, è stato piuttosto disagevole a causa del maltempo, e credo che un po' di riposo prima di cena sia preferibile.”

“Ma naturalmente! I domestici dovrebbero aver già portato i vostri bagagli ai piani superiori, e le stanze sono già state debitamente riscaldate. Vi accompagno” assentì Georgiana, sorridendo al genero.

Kathleen lanciò un'occhiata interrogativa all'indirizzo della madre, ma lei si limitò a far finta di nulla.

Era evidente che la mancanza del padre fosse dovuta a un motivo più che serio, ma la madre pareva non essere intenzionata a parlargliene.

Per lo meno, non davanti a Christofer, Whilelmina e Wendell.

Quando ebbero infine raggiunto le loro stanze, Kathleen vide Gwen impegnata nel sistemare l'abito per la cena sull'ampio letto a baldacchino.

Nel rendersi conto della presenza della madre alle sue spalle, però, congedò la cameriera personale con un sorriso di scuse.

Desiderava rimanere sola per capire cosa stesse succedendo.

In piedi accanto al camino, le mani strette tra loro e un'espressione dubbiosa dipinta sul viso, Kathleen attese che la madre fosse abbastanza sicura di sé per parlare.

Quando però lo fece, ciò che udì la fece sobbalzare di sorpresa, oltre che di sgomento.

“Non è possibile, madre! Che state mai dicendo?!” esalò Kathleen, gli occhi sgranati per lo stupore.

Scuotendo infelice il capo, Georgiana replicò amaramente: “Spero sinceramente di sbagliarmi, ma ciò che ho udito non poteva essere frainteso. Peter è ancora infatuato di te e, a quanto pare, tuo padre non è più così in disaccordo con lui come un tempo, specialmente ora che ha scoperto che le sue rendite sono aumentate.”

Accigliandosi, Kathleen la bloccò sul nascere e sibilò: “Questo cosa dovrebbe significare? Sono sposata davanti a Dio e agli uomini e, per nessun motivo al mondo, abbandonerò mio marito. Per un uomo villano e incivile come Peter, poi, non vorrei un matrimonio neppure se fossi ancora nubile. Piuttosto, la morte!”

“Kathleen, ti prego!” esalò sconvolta la madre, impallidendo di fronte alle sue parole così dure.

“Sono maritata con Christofer, ho generato con lui un figlio che, per volere di Dio, ora è in Paradiso, ... come potete anche solo pensare che io faccia i bagagli per andarmene tra le braccia di un altro uomo? Sarebbe immorale, impossibile e assurdo! Mio marito è vivo e vegeto, di certo non ha nessunissima intenzione di ripudiarmi e, anche se fosse, io non mi rimetterei mai più alla decisione di mio padre, per ciò che riguarda il mio futuro. Mai più, è chiaro?!”

Quell'arringa così feroce, sibilata tra i denti come se la giovane stesse brandendo una spada per difendersi, fece indietreggiare di qualche passo Georgiana.

Sbigottita, fissò sinceramente sorpresa la figlia, sconvolta dalla sua veemenza.

“Sono sicura che, quando si renderà conto della follia del suo pensiero, capirà di aver illuso inutilmente il nostro ospite. E’ del tutto chiaro che tuo marito non ti ripudierebbe mai…” cercò di rassicurarla la madre, sorridendo tremante. “Devi comprenderlo… da quando Andrew è morto, non vede le cose con lucidità, e imputa ingiustamente Christofer di ogni colpa. Sono comunque sicura che, col tempo, gli passerà.”

Kathleen sbuffò aspra, decisamente incredula all’idea che il padre potesse cambiare parere su suo marito, o su qualsiasi cosa in generale.

Non era mai stato uomo incline ad ammettere i proprie errori e, fin da quando aveva saputo di William, non aveva mai accettato che potesse aver tradito la moglie.

No, quell’uomo non sarebbe mai cambiato, e avrebbe sempre tentato il tutto e per tutto per far soffrire lei e Christofer.

“Dite solo questo, a mio padre. Se a mio marito verrà inferto anche un solo graffio durante la nostra permanenza qui, non solo lo ripudierò come genitore, ma chiederò espressamente di essere estromessa dalla famiglia. Non desidero essere la figlia di un uomo che congiura alle spalle di mio marito! Piuttosto, lavorerò come modista in un negozio, ma non accetterò mai più il suo giogo sulle mie spalle!”

“Oh, tesoro, non pensare neppure una cosa del genere” esalò Georgiana, sconvolta dalle parole della figlia. “Inoltre, tuo padre non potrebbe mai concepire anche solo l’idea di fare del male a Christofer.”

“Per quale altro motivo invitarci, madre, visto che mio padre ha espresso, fin dal suo ritorno, l'odio che cova nei confronti di mio marito?” le ritorse contro Kathleen, dispiaciuta suo malgrado di dover parlare a quel modo a sua madre, che lei amava sinceramente. “Inoltre, non ha mai fatto mistero di detestarlo, e di aver accettato le offerte del conte solo per mero interesse.”

“E' stata Myriam a chiederlo espressamente” ammise a quel punto Georgiana, sorprendendo la figlia. “Sa di essersi comportata male, con voi, ma era il dolore a parlare, e ora desidera sinceramente vedere Christofer e parlare con lui, oltre che scusarsi con te.”

Kathleen annuì debolmente e Georgiana, sfiorandole debolmente un braccio, aggiunse: “Non credere che tuo padre sia solo un mostro, cara. Il dolore prende sempre forme diverse, lo sai.”

“Lo farò quando si rivolgerà a me e a mio marito con rispetto e, finora, non l'ha fatto. Con il vostro permesso, ora chiederò a Gwen di aiutarmi con l'abito.”

Vistasi congedata, Georgiana salutò la figlia con un bacio sulla guancia e infine se ne andò dalla stanza, lasciando un'addolorata Kathleen accanto al camino.

Non era quello che aveva sperato quando, quella mattina, erano partiti di buon'ora per recarsi alla casa dei Barnes.

Assurdamente, aveva sperato che suo padre si fosse ravveduto dalla sua assurda idea di incolpare Christofer della morte di Andrew.

A quanto pareva, tutto ciò era ben lungi dall'avverarsi.

Anzi, dopo gli insulti ricevuti per aver perso il bambino, ora voleva usare a proprio vantaggio il suo dolore per concepire un'altra sordida alleanza.

Liberarsi della scomoda presenza di Christofer doveva essere un pensiero fisso, per suo padre, visto quanto pareva essersi immerso nei suoi stessi intrighi.

Beh, non solo suo padre avrebbe trovato l'Arcivescovo di Cantherbury contro di lui, ma anche la figlia.

Non era più la piccola Katie, troppo timida anche solo per aprire bocca.

Ora era una moglie, una donna dotata di una volontà propria, e avrebbe lottato con le unghie e con i denti per la propria libertà di opinione.

Quando Gwen tornò e la aiutò ad abbigliarsi, Kathleen si ripromise di affrontare a testa alta il padre.

Non aveva nulla di cui vergognarsi e, soprattutto, nulla di cui temere.

Il suo matrimonio era più che valido e nessuno avrebbe potuto contestarlo, neppure Iddio stesso.
 
***

La presenza degli zii, Constantin e Mathilde, non aiutò di certo Kathleen a tranquillizzarsi.

Ricordava ancora troppo bene il modo in cui l'uomo l’aveva trattata, ma Christofer fu per lei più di una spalla, fu un'autentica fortezza entro cui rifugiarsi.

Salutò perciò i numerosi invitati con compostezza ed educazione, rimanendo sempre accanto al marito, che la sostenne col suo braccio, oltre che con la sua presenza.

Quando infine Myriam si avvicinò loro assieme al piccolo Randolf, una paffuta versione in miniatura di Andrew, per un momento l'ansia si sciolse.

La donna abbracciò calorosamente Kathleen, e lasciò che Christofer le baciasse con deferenza una mano prima di reclinare penitente il capo e mormorare: “Mi scuso profondamente, cognato, per averti ingiustamente colpevolizzato per la morte di mio marito. Il dolore ha parlato per me, ma non era ciò che pensavo.”

“Non vi sono colpe, Myriam cara, e Iddio sa quanto amassi anch'io Andrew. Sento la sua mancanza ogni giorno” asserì con calore Christofer, sfiorandole una spalla con la mano.

Myriam gli sorrise tremula prima di far avvicinare un poco Randolf e mormorare al piccolo: “Randy, non saluti lo zio?”

Il bimbo, forse intimorito dall'altezza del conte, forse dal bastone che portava alla mano, si strinse spaventato alle gonne della madre.

Christofer allora, lasciato il bastone alla moglie, si inginocchiò a terra per sorridergli generosamente e, con voce tenera, mormorò: “Ciao, piccolo Randy. Non so se ti ricordi di me. Eri così piccolo, l'ultima volta che ti vidi!”

Il bambino, pur guardingo, studiò con attenzione il volto sorridente che gli stava innanzi e, biascicando stentatamente, gorgogliò: “Zio Chittoffer?”

L'uomo si allargò in un sorriso di aperto orgoglio, nel sentire il suo nome storpiato da quella dolce voce di contralto.

Avrebbe potuto sbagliarsi, ma forse anche Andrew aveva avuto la sua stessa voce, quando aveva avuto l’età del figlio.

Annuendo, allargò le braccia perché si avvicinasse a lui e, con tutto se stesso, cercò di trattenere le lacrime.

Dopo un istante, il bimbo assentì e si lasciò prendere in braccio dall'uomo che, un po' goffamente, si rimise in piedi tenendo tra le solide braccia il nipote.

Ora tutto sorridente e lieto per quella nuova posizione elevata, il bambino gli tastò la faccia con interesse e gli domandò: “Papà non è con te?”

“No, tesoro. Non c'è, mi spiace” mormorò contrito il conte, lanciando un'occhiata a Myriam, che scosse tristemente il capo.

Il bimbo non era ancora al corrente della morte del padre. Ed ecco spiegato il motivo per cui, in casa, nessuno indossava le gramaglie per il lutto.

Pur dispiaciuto, Randy gli domandò ancora: “Ma vai via, poi?”

“Rimango qui con la zia, la mamma e te” replicò allora Christofer, accigliandosi subito dopo, quando vide comparire in fondo al salone la figura imponente e fiera del barone Barnes.

Myriam se ne avvide a sua volta e, impallidendo leggermente, mormorò: “Su, tesoro, scendi dalle braccia dello zio. Andiamo a giocare con il piccolo Wilfred.”

“Ma io voio ttare con lo zio...” si lagnò il bambino, afferrando Christofer alla cravatta perché la madre non lo portasse via.

“Giocherò con te più tardi, Randy. Ora vai, tranquillo” lo rabbonì l'uomo, consegnandolo tra le braccia di Myriam, che lo ringraziò silenziosamente.

Nel riaggiustarsi la cravatta, il conte mormorò poi alla moglie: “Perché ho la sensazione che vostro padre non sia felice di vedermi?”

“Ve lo spiegherò più tardi. Per ora, mantenete il controllo e basta” lo ammonì Kathleen, facendosi di ghiaccio quando vide il padre raggiungerli con il solito cipiglio stampato in viso.

“Vedo che avete avuto la sfacciataggine di accettare l’invito di mia nuora” esordì senza troppi complimenti il barone, lanciando uguali occhiate gelide a entrambi i giovani.

“Myriam desiderava una festa in famiglia per il figlio, per cui non vedo perché non accontentarla” replicò lesta Kathleen, a testa alta e senza alcuna inflessione nella voce.

“Le permettete di parlare per voi, Harford? A tal punto vi siete rammollito?”

Il commento velatamente offensivo del barone non sconvolse affatto Christofer che, pacato, si limitò a dire: “Ritengo che mia moglie abbia un'intelligenza così sottile da comprendere quando può, e quando non può intervenire. E, se posso osare l’ardire, questo era uno dei momenti migliori in cui parlare al mio posto.”

“Siete sempre stato uno sbruffone, Harford. Avrei dovuto pensare meglio a quel maledetto accordo, prima di darvi mia figlia, specialmente in considerazione degli eventi che sono seguiti.”

Kathleen strinse il braccio del marito con forza ma il conte, imperturbabile, replicò: “Vi riferite alle vostre infamanti accuse nei confronti di vostra figlia? Sì, credo anch'io che siate stato palesemente scortese nei suoi confronti, specialmente considerando il rischio corso dalla di lei persona, e il dolore che le ha percosso il cuore in quei momenti così tragici.”

Barnes si accigliò a quelle parole, che grondarono educazione solo all'apparenza e, stizzito, ribatté: “Mi riferivo a voi e a vostro padre! Quanto a ciò che ho detto a mia figlia, ne avevo tutto il diritto, visto che sono suo padre e...”

Interrompendolo con un gesto imperioso della mano, Christofer replicò serafico quanto lapidario: “Da quando è divenuta mia moglie, sono io ad avere pieno diritto su di lei, non voi, Barnes. E se mia moglie lo vorrà, vi sfiderò a duello per averla insultata, poiché sarebbe nel mio pieno diritto. Qualora non abbiate compreso, ve lo dirò ora e mai più. Kathleen è mia, e mia soltanto. Nessun uomo potrà più vantare diritti su di lei, neppure dopo la mia morte, poiché sarà così ricca e potente da non aver bisogno della protezione di nessun uomo.”

Il barone si accigliò – e così pure Kathleen, che lo fissò stranita – già pronto a ribattere alle sue minacce, ma l'arrivo di lord Chappell e della moglie evitò il disastro.

Il giovane erede del ducato si congratulò con Christofer, per essere tornato quasi indenne dalla guerra.

Con un sorriso, poi, gli chiese informazioni sul campo di battaglia che, in quanto menomato a una mano, aveva bellamente evitato.

Suo malgrado, il conte si intrattenne con Gregory mentre Kathleen, praticamente rapita da Chelsea, la moglie, si ritrovò nel crocchio ristretto delle donne, riunite accanto al camino.

La cena venne servita meno di mezz'ora dopo, e fu in quel mentre che fece la sua comparsa Peter.

Secondogenito dei Chappell e fiero rappresentante dei dragoni di Sua Maestà il re, apparve nella sala imbandita come se fosse stato il sovrano in persona.

Entrò con passo baldanzoso nel salone, l'alta uniforme rossa a risvolti verde smeraldo a far risaltare le ampie spalle.

I calzoni, neri al pari degli alti stivali al ginocchio, disegnavano gambe muscolose e forti, che divorarono letteralmente la distanza che lo separava dagli invitati.

Battendo fieramente i tacchi dinanzi al padrone di casa, il giovane si inchinò leggermente per salutare Barnes che, sorridente, lo accolse come il figliol prodigo.

Di tutt'altro avviso furono i genitori, che lo salutarono molto più freddamente e così pure Gregory, che si limitò a un cenno del capo.

Peter parve imperturbabile a quella fredda accoglienza da parte della famiglia e, con un'intimità davvero inconsueta quanto fastidiosa, baciò la cognata su una guancia.

Con tono più che udibile, poi, asserì: “Diventate sempre più bella, Chelsea. Oserei dire che mio fratello è fin troppo fortunato, ad avervi come consorte.”

Gregory lo fulminò con lo sguardo e il fratello, ridacchiando nel levare alte le mani, si andò ad accomodare accanto a Constantin Campbell, fratello minore del barone Barnes.

Questi, lo salutò con un cenno del capo e un sorriso.

Fu a quel punto che Peter si avvide della presenza di Kathleen e Christofer e, ammiccando all'indirizzo della donna, celiò: “E voi, fulgida creatura! Sono lieto che abbiate potuto raggiungerci per queste festività natalizie.”

“Capitano” mormorò compita la contessa.

“La vostra gamba, Harford? Ho saputo che siete stato ferito a Trafalgar” si informò allora Peter, imperterrito.

“Migliora a vista d'occhio, Capitano Chappell, grazie. In che acquartieramento siete stato destinato? Noto che  fate parte del reggimento dei dragoni” replicò serafico Christofer.

“Oh, non sono stato così fortunato da scendere in battaglia. Sono sempre stato a Londra, a difendere i confini di Buckingam Palace, o al Ministero della Guerra. Avrei preferito di gran lunga partecipare al conflitto ma, visto che Napoleone ha pensato bene di non arrendersi, forse ciò accadrà, prima o poi” motteggiò Peter, sogghignando con aria spavalda.

Il conte preferì non commentare in merito.

L’odore della battaglia e il suo gelido bacio li rammentava ancora troppo bene, per desiderarli come compagni di notte.

Avrebbe portato per sempre sul corpo i segni di quella follia e forse, solo col tempo, sarebbe riuscito a liberarsi dei mille incubi che infestavano le sue notti.

Non avrebbe mai desiderato tornare in battaglia, e trovava difficile credere che quel pomposo damerino agognasse a brandire una spada.

O rischiare di spargere il proprio sangue per la patria.

Non ce lo vedeva proprio.
 
***

Christofer stava sistemando un ciocco di legno con un alare quando, dalla porta in comune con la stanza di Kathleen, giunse un quieto bussare.

“Avanti” mormorò l’uomo, accomodandosi sul divano dinanzi al fuoco.

La moglie fece il suo ingresso con passo silenzioso, una pesante vestaglia di velluto color porpora e oro ad avvolgerle fino ai piedi il corpo perfetto.

Il marito la invitò ad accomodarsi e lei, con un mezzo sorriso, asserì: “Giocate ancora con il fuoco, Christofer?”

“Ho imparato a domarlo” replicò lui, ammiccando. “Vi posso servire qualcosa? Ho trattenuto nelle mie stanze una buona bottiglia di Porto ma, se preferite, chiamerò qualcuno per farci portare qualcosa dalle cucine.”

“No… il Porto andrà benissimo” assentì la giovane, lo sguardo fisso sulle fiamme sfrigolanti.

Christofer ne servì mezzo bicchiere per entrambi e, dopo aver porto il bicchiere alla moglie, centellinò il proprio, ammirandone le sfumature sanguigne alla luce altalenante del fuoco.

Kathleen fu più parca di gesti.

Ne ingollò un sorso prima di relegare il bicchiere nell’abbraccio delle sue mani leggermente tremanti e, torva, sentenziò: “Peter… il Capitano Chappell è un folle.”

L’uscita della moglie lo sorprese non poco e, scrutandola con attenzione, dichiarò: “Ho notato che, al solo nominare il figlio minore dei Chappell, vi siete irrigidita e stasera, a cena, non sembravate a vostro agio. Vi ha importunato in qualche modo?”

Sprezzante, Kathleen mormorò: “Sarebbe più facile dire le volte in cui non l’ha fatto. Andrew fu sul punto di piantargli un coltello in gola, quando lo trovò nelle stalle di casa nostra. All’epoca avevo undici anni, se non erro, e il maledetto si trovava assieme alla famiglia in visita presso di noi. Quel giorno, era nascosto nel box accanto a quello del mio cavallo. Uscì quando mi sentì arrivare e, prima che io potessi scappare, mi schiacciò contro la porta della stalla per rubarmi un bacio. Rise, quel vile!”

I chiari occhi di Kathleen fiammeggiarono d’ira a stento trattenuta, e Christofer si ritrovò a desiderare di stringere tra le dita il collo del giovane Chappell.

“Mi disse di calmarmi, che non mi avrebbe fatto del male, che voleva solo un bacio innocente da me… ma i suoi occhi dicevano ben altro.”

Il tono duro e lapidario della giovane trasmise al marito tutto il suo livore.

“Ero ancora piccola per capire appieno cosa succedesse tra un uomo e una donna, ma non ero tranquilla. Gli pestai un piede per allontanarlo da me e lui, urlando per il male, fece per schiaffeggiarmi. Andrew glielo impedì e lo gettò a terra. Era venuto per uscire con me a cavallo e, per fortuna, vide ogni cosa. Lo colpì ripetutamente al viso e, quando anche Gregory si presentò nella stalla e mi vide seduta a terra e con le lacrime agli occhi, comprese.”

Christofer si limitò ad annuire, non sentendosi davvero in grado di parlare coerentemente, in quel momento.

Probabilmente, avrebbe solamente imprecato, finendo così con il turbare Kathleen.

“Gregory mi strinse a sé, cullandomi per calmarmi e, nel frattempo, pregò Andrew di non uccidere Peter. Quando mio fratello si fermò, Gregory fissò malissimo Peter e gli intimò di tornare nelle sue stanze e di stare in silenzio. Miracolosamente, gli diede ascolto. Gregory poi raccontò di essersi accapigliato col fratello per una sciocca questione, e tutto morì lì. In seguito, feci sempre in modo di non trovarmi mai sola con lui e, per diverso tempo, lui non tentò più un approccio ma, alcuni mesi fa…”

Deglutendo a fatica, Kathleen si morse il labbro inferiore prima di reclinare il capo e mormorare: “Io e William lo incontrammo durante una passeggiata a cavallo. Si trovava a casa in licenza, per far visita ai genitori. Ironizzò sul mio modo di cavalcare con una sella da uomo e, nel guardare William… beh, vi lascio immaginare il resto.”

“Dovrei strangolarlo seduta stante, quel bastardo!” ringhiò Christofer, ingollando una dose generosa di Porto prima di accomodarsi al fianco della moglie.

Avvolte le spalle della giovane con un braccio, la scosse gentilmente e asserì: “Dovete solo dirmelo, e io lo ucciderò per voi.”
Kathleen scoppiò in una risatina nervosa e, nello scuotere il capo, si volse a scrutare il volto risoluto del marito.

“Non voglio vi macchiate del suo sangue. Non ne varrebbe la pena. Lasciamo pure che si comporti da sciocco. Ora sono abbastanza forte per sopportarne le battute, ma volevo conosceste i motivi che mi hanno spinta a reagire a quel modo, alla notizia della sua presenza.”

“Non dovete difendervi da sola, Katie. Ci sono io, per questo” le rammentò gentilmente, sfiorandole la punta del naso con un dito.

Un lento sorriso balenò sul viso della moglie che, annuendo, mormorò: “Lo so. Ma non voglio ugualmente che sprechiate del tempo con lui.”

“Dovrei impiegarlo solo per voi?” ironizzò Christofer, ammiccando.

Lei annuì, asserendo con candore: “Per chi altri?”

Il conte rise sommessamente nell’annuire e, dopo averle deposto un bacio leggero sulla tempia, le domandò: “A parte questo increscioso argomento, avete altro che vi turba, o di cui vorreste parlarmi?”

Kathleen fu sul punto di parlargli del breve colloquio avuto con la madre, ma non le parve il caso.

Già l’aver saputo dei suoi trascorsi con Peter, aveva irritato il marito.

Se fosse anche venuto a sapere delle mire del padre, avrebbe dato in escandescenze.

Non c’era bisogno di angustiarlo.

In fondo, lei non aveva nessuna intenzione di venir meno ai suoi voti matrimoniali, e Christofer era ben lungi dall’essere in fin di vita, o deciso a scacciarla.

Se Dio glielo avesse concesso, sarebbe rimasta sua moglie per molti decenni ancora.







Note: A quanto pare, Barnes ha scelto un modo davvero subdolo per ferire la figlia e il genero. Non ha potuto impedire a nuora e moglie di invitare gli Spencer, ma ha trovato comunque il sistema di rendere loro la vita difficile e, di sicuro, Peter ci ha messo del suo, per irritare la coppia.
Ma sarà vero che Barnes agogna alla scomparsa di Christofer dalla vita della figlia, o il suo è solo un gioco crudele ma, a conti fatti, innoquo? E Peter la penserà allo stesso modo? Si presterà a questo gioco senza alcun premio finale, o penserà di ottenere ciò che ha sempre bramato, in un modo o nell'altro?
Lo scopriremo presto, e non mancheranno le sorprese!

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Capitolo 12
*** XII. ***


 
 
12.
 
 
 
 
 
La vigilia di Natale infine giunse ma, nel cuore di Kathleen, sarebbe stato impossibile trovare la felicità tanto bramata dalla giovane.

Ritrovarsi nella casa che, per anni, aveva diviso con l'amato fratello, non la rendeva lieta né, tanto meno, la rendeva felice sapere dell’aperta ostilità del padre.

In quei giorni, passati in compagnia dei famigliari e dei loro invitati, era divenuta sempre più nervosa e tesa, lo sapeva, e quella sera non sarebbe stata diversa dalle altre.

La presenza di Peter la infastidiva più di un'infreddatura, e il fatto che suo padre fosse così condiscendente con lui, quanto freddo con Christofer, la angustiava.

Dopo la prima sera passata nella tensione più totale, Kathleen aveva spiegato sommariamente al marito il perché della sua antipatia nei confronti del Capitano Chappell.

L'aver saputo che Peter aveva tentato diversi approcci con Kathleen, quando era ancora troppo piccola per comprenderli, non aveva reso per nulla felice Christofer.

Inoltre, l’essere venuto a conoscenza che, la mano menomata di Gregory, era frutto di un colpo di pistola infertogli dal fratello, lo aveva sgomentato.

Nessuno gliel’aveva mai detto.

Kathleen ne era venuta a conoscenza per puro caso, ascoltando di nascosto Andrew e il padre mentre, impegnati a sellare i loro cavalli, erano andati in argomento.

All’epoca, Barnes si era dichiarato scioccato da una simile impresa ma, evidentemente, la sua opinione sul giovane capitano doveva essere cambiata.

L’essere venuto a conoscenza di quel particolare, non aveva migliorato l'umore di Christofer.

Sospirando, Kathleen uscì su una balconata per scrutare la copiosa nevicata che, già da ore, stava cadendo sullo Yorkshire.

Pareva di essere in un universo sconosciuto, privo di suoni e di profumi.

Era comunque preferibile all'Inferno presente all’interno della villa, dove il suppurato di veleni era ormai insopportabile.

Il tenue calore di un mantello le sfiorò le spalle e Kathleen, volgendosi a mezzo per scoprire chi l'avesse raggiunta sulla terrazza, sorrise spontaneamente quando vide il marito.

“Non è un po' freddo, per rimanere qui fuori senza neppure un mantello?” le fece notare lui, carezzandole una guancia arrossata con una nocca.

“Volevo chiarirmi le idee, e il freddo è l'ideale per farlo. Inoltre, desideravo liberarmi i polmoni dall'aria fetida di questo luogo” ironizzò la giovane, socchiudendo un poco gli occhi quando avvertì il braccio di Christofer avvolgerle la vita.

Un lieve brivido la scosse, ma rimase immobile suo malgrado, attendendo che le vecchie paure scivolassero via.

Ormai era diventata brava a farlo, almeno con il marito.

Il conte, a sua volta, non si mosse finché non avvertì i muscoli di Kathleen farsi più morbidi.

Quando fu certo che fosse tranquilla, mormorò: “Va meglio?”

“Ci sto ancora lavorando, ma miglioro. Anche se mi sento tremendamente in colpa, perché sto impiegando un sacco di tempo a... a imparare di nuovo.”

“Siamo stati messi a forza in quel letto, tanto tempo fa, Katie. Ora possiamo prenderci tutto il tempo che vogliamo per conoscerci meglio, no?” ironizzò lui, dandole un bacetto sulla tempia. “Non vi farò mai pressioni, ricordatevelo. Già a suo tempo, ne avete subite fin troppe.”

“Mi sembra di farvi un torto, però.”

“Certo, rimanere lontano dalle vostre grazie è un autentico supplizio...” ammiccò il marito, sorridendo nel vederle arricciare il naso, contrariata. “... ma saprò resistere, ve lo prometto. E, quando potrò godere del vostro mirabile corpo, non vi farò pentire di aver atteso così tanto.”

Avvampando a quelle parole, Kathleen reclinò modestamente il capo e ansò sconvolta: “Non dovreste parlare così!”

“Se non posso farlo con mia moglie, con chi dovrei?” replicò il conte, afferrandole delicatamente una mano per ricondurla all'interno della villa. “Mi giudicate troppo villano, forse?”

“Spregiudicato” precisò la donna, lasciandosi andare a un sorrisino.

Levando un sopracciglio con evidente interesse, Christofer ribatté: “So come sono descritti gli uomini, nei romanzetti d'amore che siete solite leggere voi signore, e non penso di essere peggiore di loro.”

“Non vi ci vedo a leggere simili storie…” ridacchiò Kathleen, lasciandosi guidare dal marito. “… perciò vi domando; come siete a conoscenza di simili fatti?”

“Myriam era solita rubare alcuni libri alla madre, che poi portava nel bosco durante le nostre galoppate. Ricordo molte risate, in merito ad alcuni di quei racconti” le spiegò il marito, ghignando.

Quella sera, Christofer  non aveva il bastone con sé e, almeno a un primo sguardo, sembrava camminare piuttosto speditamente. Kathleen fu felice per lui.

Sapeva quanto, ritrovare un poco di indipendenza motoria, gli fosse costato.

“Ho idea che molti dei vostri desideri inespressi dipendano da ciò che leggete lì, sapete? Sì, insomma, tutto quel gran declamare versi, o rendersi sfuggenti e truci di fronte alla fanciulla segretamente amata. Mi sembra un po' sciocco” le confessò Christofer, procedendo a braccetto con la moglie.

“Non credete che un po' di mistero, in un uomo, sia interessante?” replicò la moglie, suo malgrado divertita da quello strano argomento.

“Mi vorreste più pirata, e meno damerino?”

“Non siete un damerino. Non più, almeno” gli confessò, sorridendo teneramente.

Christofer rispose a quel sorriso con una risatina contrita e, annuendo, ammise: “In effetti, quando mi conosceste la prima volta, ne avevo tutta l'aria. Quanti anni avevate? Dieci? Undici?”

“Siete cambiato, e molto, rispetto al giovane che soleva venire in visita, d’estate, per passare le giornate con mio fratello” lo lodò la giovane, battendogli affettuosamente una mano sul braccio.

Il marito fece per risponderle, ma la risatina querula di Peter interruppe i loro passi.

Dall'alto della scala che conduceva al primo piano, il giovane dragone chiosò: “Siete davvero una coppia splendida! E dire che il vostro fu solo un matrimonio combinato in fretta e furia!”

Il conte si accigliò, a quelle parole, ma Kathleen lo trattenne a un braccio prima che potesse dire, o fare, qualcosa di inconsulto.

Pacata, si limitò a mormorare: “Io e Christofer ci conoscevamo da anni, quindi non aveva senso perdersi in un fidanzamento interminabile.”

“Non vi rammento a nessun ballo di società, mia cara. Che io sappia, il vostro primo ballo pubblico fu il giorno del vostro matrimonio” replicò Peter, scendendo dalla scala con passo imperioso e fiero.

“Ero troppo geloso di lei per permettere che Barnes la presentasse in pubblico” intervenne il marito, sorridendo affabile alla moglie.

“Oh, un amore così segreto che neppure il barone ne era a conoscenza?” ironizzò allora Peter, avvicinandosi alla coppia con aria rapace. “E’ stato dunque per rimediare a un torto, che avete dovuto sposarvi così di fretta?”

Kathleen desiderò strappargli dal viso quell'espressione disgustosa.

“Mio padre non conosce molte cose, su di me” dichiarò Kathleen, il gelo nella voce, così come negli occhi. “Ma, di certo, Christofer non si sarebbe mai macchiato di un simile crimine. E’ un uomo d’onore, e degno del titolo che porta.”

Peter accennò una riverenza col capo, come per concedere un punto a Kathleen per la sua audacia.

Proseguendo nel loro tragitto senza attendere oltre, Christofer mormorò: “Sarà meglio raggiungere la sala da pranzo, o arriveremo per il dessert.”

“Ne dubito” replicò Peter, accodandosi a loro. “Lord Barnes non inizierebbe mai la cena della Vigilia senza la sua adorata figliola.”

La coppia preferì non rispondere e il giovane Chappell, con una smorfia derisoria stampata sul volto, si limitò a seguirli.

Tra sé, comunque, ammirò l'elegante incedere di Kathleen e la morbida curva del suo collo, evidenziata dai capelli raccolti sul capo.

Era sempre stata una ragazzina interessante ma, nell'ultimo anno, era addirittura sbocciata.

E, ben presto, sarebbe stata sua.
 
***

La cena era stata abbastanza gradevole, nonostante tutte le ansie di Kathleen.

Le libagioni, pregiate quanto sapientemente preparate, erano state servite con impeccabile maestria.

Mai, neppure una volta, Barnes era stato sgradevole con la figlia o il genero.

Per qualche ora, Kathleen si era sentita quasi a casa ma, non appena si erano spostati nella vicina sala dei balli, tutta la sua sicurezza era di colpo scemata.

Danzare i minuetti non le piaceva, ma aveva imparato alla perfezione ogni genere di ballo che l'alta società tanto apprezzava.

L'idea di dover condividere le danze con Peter, però, la disgustava.

Certo, la maggior parte della coreografia l'avrebbe inscenata con il marito, ma avrebbe dovuto, gioco forza, intrecciare le sue mani anche con l'odioso figlio dei Chappell.

La sola idea la ripugnava.

Avrebbe preferito di gran lunga ritirarsi nelle sue stanze come avevano fatto Wendell, Phillip o Randolf, ma non era previsto che lei sfuggisse a quel supplizio.

Quando la musica iniziò e si espanse per l'elegante sala, dai bei pavimenti laccati  alle pareti ricoperte di pannellature di legno scuro, Kathleen si sentì raggelare.

Peter si inchinò dinanzi a lei con tutta l'avventatezza che lo contraddistingueva e, sogghignando perfido, mormorò: “Mi fareste l'immenso onore di accettare il mio invito a ballare, milady?”

La giovane si volse immediatamente in direzione del marito che, accigliato, aveva lasciato il fianco della madre per avvicinarsi alla moglie.

Quando Peter se ne avvide, rizzò fiero le spalle per meglio fronteggiarlo e, contrito quanto ironico, asserì: “Sarei davvero onorato se lady Kathleen potesse danzare con me questo minuetto, milord. Concederete anche a un povero gentiluomo mio pari di godere della sua gradevole compagnia, per qualche minuto?”

Christofer si accigliò ma assentì, sapendo bene che, nell'invito del giovane, non vi era stato nulla di dichiaratamente sconveniente.

Il fatto che a Christofer si rizzassero i capelli alla sola idea che qualcuno, a parte lui, danzasse con la moglie, era tutt'altro affare.

Non aveva immaginato di poter reagire a quel modo a una simile richiesta, anche se poteva imputare parte del suo nervosismo alla chiara antipatia che provava per il capitano.

Andava anche detto che, dal giorno in cui era tornato, non aveva passato giorno senza passare del tempo con la moglie, e quella era la prima volta in cui doveva dividerla con qualcuno.

Che fosse diventato geloso fino a quel punto?

Non potendo far altro per la moglie, Christofer invitò sua madre in un giro di danze, così da tenere maggiormente sott’occhio la coppia.

Avrebbe preferito evitare a Kathleen una simile prova, anche solo in considerazione del fatto che, dopotutto, non era ancora guarita dalle sue paure viscerali.

Pur se quel genere di danza non era per nulla sensuale, né permetteva un gran numero di contatti, aveva comunque l’idea che la moglie non ne fosse lieta.

“Sono sicura che non le succederà nulla” si premurò di dire Whilelmina, sorridendo benevola al figlio che, con eleganza, la stava facendo volteggiare al fianco delle altre coppie.

“Sarà anche vero, ma non mi va l'idea di averla abbandonata tra le mani di quel mascalzone...” brontolò Christofer, sollevando la mano della madre nel disegnare la serie di complessi passi di danza. “...e, meno ancora, mi va di vedere il sogghigno di Barnes stampato sul suo volto aquilino.”

La madre gli batté una mano sul braccio, suo malgrado apprezzando l'apparente gelosia del figlio nei confronti della giovane moglie.

Moglie che, impegnata in un giro di danza con il giovane Chappell, si ritrovò mano nella mano con lui.

Pur sapendo quanto fosse inutile, storse il naso all'ennesima frecciatina da parte di Peter.

“Non avrei mai immaginato di vedere vostro marito camminare senza l'uso del bastone. Dovete aver fatto miracoli, con lui!” celiò il giovane, sorridendole sprezzante. “Si diceva che fosse stato gravemente menomato in guerra, ma evidentemente erano tutte panzane messe in giro da ignoranti e maldicenti.”

“Mio marito sta guarendo perfettamente, e chiunque abbia messo in giro simili voci dovrebbe solo vergognarsi” mormorò la giovane, cercando di tenere a freno la lingua.

Non faticava a immaginare chi avesse detto simili scempiaggini, e la cosa la urtò non poco.

Lo sguardo soddisfatto di suo padre non fece che confermarglielo e, per poco, non si mise a urlare.

Era stanca di passare sempre per una creatura fragile e delicata, di dover subire le ingiurie degli uomini vicini a lei,… non ne poteva davvero più.

Piegandosi leggermente verso di lei durante un passo ravvicinato, Peter asserì malizioso: “Sono sicuro che, a letto, facciate faville. Non vedo altro motivo per una rinascita così veloce. Sempre che la guerra non abbia colpito qualcos'altro, oltre alla gamba. In questo caso, mi rincrescerebbe davvero tanto per voi.”

Kathleen fece tanto d'occhi, a quelle parole, ma fu ciò che disse in seguito a farle perdere le staffe.

“Se mai voleste un sostituto accanto a voi, nel letto, io mi farei avanti volentieri, Kathleen. Non abbiate a pensare che, un’eventuale mancanza da parte di vostro marito, vi obblighi a rimanere lungi dai piaceri carnali per il resto della vita” dichiarò con sicurezza il giovane, sogghignando lezioso.

La contessa non sopportò oltre.

Strappò via la mano dalla presa gentile di Peter e, senza badare a null'altro se non allo sguardo vizioso di Chappell, lo schiaffeggiò con forza di fronte a tutti.

La musica venne interrotta di colpo mentre le coppie danzanti, una dopo l'altra, si bloccarono sgomente di fronte a un simile spettacolo.

Il primo a muoversi fu Barnes che, furioso, esplose in un ringhio infastidito.

“Che ti salta in mente, figlia?! Schiaffeggiare a quel modo un mio stimato ospite?!”

Kathleen non rispose e, mentre Christofer la raggiungeva in silenzio per allontanarla da un ghignante Peter, il barone proseguì nei suoi strepiti.

“Avrei dovuto farti rinchiudere anni fa! Dovevo saperlo che eri solo una gatta furiosa!”

Georgiana ansò sconvolta di fronte alle dure parole del marito.

Il conte, per contro, fissò malamente Peter, che lo stava apertamente sfidando, e replicò serafico: “Prima di asserire che il capitano Chappell è uno stimato ospite, dovreste chiedere a vostra figlia cosa è successo. E andrei piano a dare a mia moglie della gatta furiosa, o potrei pensare seriamente di sfidarvi a duello, per questo.”

Barnes si accigliò, adombrandosi, ma non rispose alla sua minaccia.

Peter non fu dello stesso avviso.

Si avvicinò di un passo alla coppia, ma Christofer lo bloccò con un gesto imperioso del braccio, intimandogli di non muoversi.

Per nulla spaventato, il giovane dragone asserì: “Dovreste essere lieto della fedeltà di vostra moglie. E' stata così carina da difendervi da alcune mie incaute illazioni.”

Accigliandosi, il conte replicò: “Non posso che decantare le doti di mia moglie, questo è sicuro. Ma non accetto che venga turbata da chicchessia, soprattutto da una persona che si definisce un gentiluomo.”

Il brusio soffuso che li circondava venne spezzato dalla voce tonante di Barnes che, impettito, ribatté alle accuse di Christofer con assoluta tracotanza.

“Nessuna nobildonna degna di tale nome si sarebbe mai permessa di comportarsi a questo modo, con un uomo. E' chiaro che non sapete come trattare vostra moglie, Harford.”

Constantin annuì soddisfatto all’indirizzo del fratello mentre la moglie, con un sospiro, scosse il capo con rassegnazione.

“Dissento su tutta la linea, Barnes, e voi stesso dovreste sapere che Kathleen è la quintessenza dell'educazione e della cortesia. Se ha schiaffeggiato quest'uomo, non esito a dire che abbia avuto più che gravi motivazioni”  ritorse il conte, volgendosi finalmente verso il suocero.

L'aria nella sala avrebbe potuto essere tagliata con una lama, tanta era la tensione presente tra gli ospiti dei Campbell.

Dopo aver raggiunto in silenzio la figlia, Georgiana fissò il marito con aria speranzosa, ma lui non diede adito di averla vista.

Il barone si avvicinò a figlia e genero, accigliato in viso e, senza badare minimamente alla moglie, levò una mano per sferrare un ceffone a Kathleen.

Un coro di sgomento si levò tra molti dei presenti, ma la mano non raggiunse mai il viso della giovane.

Christofer intercettò il braccio dell'uomo e, senza alcuna delicatezza, lo spinse all'indietro, facendolo caracollare ingenerosamente fino a Peter, che lo trattenne senza problemi.

Furente, il conte sibilò: “Non vi permettete mai più di levare la mano su mia moglie. Non ne avete alcun diritto. Quanto a voi, capitano Chappell, vi sfido a duello per aver insultato la mia stimata consorte. Non mi interessa quali siano state le motivazioni che l’abbiano spinta a colpirvi. L'avete turbata, e questo mi basta.”

“Non fatico a credere che mio fratello sia stato più che indelicato con lady Harford, perciò vi chiedo perdono a nome suo, milord” intervenne Gregory, fissando malamente Peter che, per contro, sogghignò beffardo. “Vi prego di ritirare la sfida, se possibile, per non macchiare con un simile dramma la Vigilia di Natale.”

Scrutando in viso il figlio maggiore dei Chappell, come per trovare le motivazioni di un simile gesto, il conte si sorprese nel vederlo turbato.

Per chi era turbato? Per lui, o per il fratello?

Fu Kathleen a intervenire, interrompendo quel silenzioso confronto di sguardi.

“Mio signore, non c'è bisogno di un duello, davvero. Le sue parole mi hanno turbata, ma non voglio che voi rischiate così per me, e solo perché non ho saputo trattenere l'ira” mormorò la giovane, afferrando accorata un braccio del marito.

“Sarà come voi vorrete, mia signora. Non desidero spaventarvi in alcun modo” le sorrise benevolmente Christofer.

La moglie sospirò sollevata, ma Peter non demorse.

Sprezzante, si scostò da Barnes e dichiarò irriverente: “E' evidente che vostra moglie sa già che perderete, e non vuole diventare vedova precocemente. E' un tale peccato, Harford, che la guerra vi abbia menomato al punto tale da non poter neppure impugnare un'arma per difendere l'onore di vostra moglie!”

Il guanto della mano destra di Christofer venne e, con forza, schiaffeggiato sul volto di Peter che, sorridendo trionfante, fissò pieno di malizia Kathleen, quasi pregustando le sue carni succose.

In un attimo fu il caos.

Gregory e suo padre si infuriarono con Peter, che fece orecchie da mercante a tutte le loro parole.

Christofer, Kathleen e Whilelmina si ritirarono lesti dalla sala per tornare alle loro stanze, seguiti a breve da Georgiana, che appariva pallida e smunta, oltre che ferita nel profondo.

Constantin affiancò il fratello per dargli man forte e, tra gli ospiti, serpeggiò l’ansia e l’imbarazzo.

Di fatto, la Vigilia di Natale sarebbe stata sepolta lì.
 
***

William, che aveva atteso nervosamente di fronte alle stanze della sorella, si preoccupò immediatamente non appena li vide comparire trafelati e irritati.

Christofer scosse il capo al suo indirizzo, limitandosi a dire: “Fai preparare la carrozza. Ce ne andiamo immediatamente.

“Subito, milord.”

Non era il tempo delle spiegazioni, solo delle azioni.

Accompagnata la moglie nelle sue stanze, Christofer ordinò a Gwen di preparare subito i bagagli di Kathleen, dopodiché fece lo stesso con Julian.

Whilelmina, nel frattempo, si premurò di far preparare Wendell, e avvisare la sua dama di compagnia perché preparasse anche i loro bagagli.

Furente come poche altre volte, il viso percorso da un'ira profonda quanto a stento trattenuta, il conte afferrò uno dei vasi posti sul camino e lo scagliò direttamente nel fuoco.

Un’imprecazione seguì quello scoppio d’ira violenta.

Né Gwen né tanto meno Kathleen emisero fiato, comprendendo quanto l'uomo avesse bisogno di sfogare la propria rabbia.

Kathleen stessa avrebbe voluto comportarsi nel medesimo modo, ma sapeva quanto uno dei due, al momento, dovesse mantenere la calma.

Mentre la cameriera sistemava in tutta fretta gli oggetti della sua signora all'interno dei bauli, la contessa raggiunse il marito accanto al fuoco scoppiettante del camino e mormorò: “Non avreste dovuto sfidarlo a duello. Non era necessario.”

“Lo era eccome!” sbottò Christofer, fissandola con sguardo adamantino. “Non si insulta così impunemente mia moglie, senza pagarne le conseguenze!”

Lei sorrise appena, apprezzando intimamente il gesto, ma replicò: “Non ha insultato me, per essere onesti, ma voi. E Peter non è uomo da poter essere sfidato così alla leggera. Gregory non è stato ferito onorevolmente, è giusto che lo sappiate.”

Accigliandosi, il conte le chiese: “Che intendete dire?”

“Gregory fu accecato dal sole, quando combatté contro suo fratello. Il luogo dello scontro non fu scelto a caso, e Peter insistette per combattere proprio sul colle dietro la villa di famiglia. Sapeva benissimo che, a quell'ora, il sole avrebbe colpito in pieno volto Gregory, …ne sono sicura.”

Aggrottando la fronte, Christofer borbottò cocciuto: “Non importa. Non sono un novellino, e so sparare piuttosto bene.”

Kathleen si limitò a sospirare.

Un quieto bussare interruppe qualsiasi sua gentile  reprimenda e Gwen, affrettandosi ad andare ad aprire, vi trovò William, già pronto per partire.

“I bagagli di milady sono pronti?” domandò l'uomo, rivolgendosi alla cameriera.

La giovane annuì e William, a passo di carica, entrò nella stanza, il mantello che recava i segni della neve che stava cadendo all'esterno.

Kathleen e il fratello non si scambiarono che uno sguardo, ma all'uomo bastò per sincerarsi che la sorella stava bene.

Quanto al cognato, si avvide subito della sua rabbia e dello sguardo omicida che brillava nei suoi occhi, ma non si preoccupò troppo.

Ormai aveva compreso che, pur se furente, non se la sarebbe mai presa con Kathleen.

Restava solo da capire cosa fosse successo per fomentare un simile furore, tale da spingerli a partire in fretta e furia, e sotto la minaccia di una tempesta di neve.

Nel giro di un'ora al massimo tutto fu pronto per la partenza.

Ferma sulla porta d'entrata della villa assieme a Whilelmina, Kathleen attendeva impaziente il ritorno di William e Christofer.
Wendell, la mano stretta in quella della cognata, osservava insonnolito il viso contratto della sorella acquisita, forse chiedendosi il perché di quella partenza.

Georgiana osservò il trio dall'alto delle scale, lo sguardo intristito e la bocca piegata in una smorfia.

Solo Gregory ebbe il coraggio di raggiungere le due donne e il giovane Spencer e, dopo essersi inchinato, mormorò contrito: “Mio fratello non ha scusanti, Kathleen, davvero. Avrei dovuto insistere perché non partecipasse, e di questo mi dolgo immensamente.”

La giovane sorrise all'amico di famiglia e scosse il capo, replicando gentilmente: “Non è colpa vostra, Gregory. Inoltre, mio marito sarà perfettamente in grado di tacitare i suoi bollenti spiriti.”

“Mettetelo in guardia. Non mi fido di Peter, anche se il mio cuore sanguina al pensiero di parlare in codesto modo di un mio parente stretto” la pregò Gregory, aggrottando la fronte.

“Lo farò, non temete” assentì Kathleen, voltandosi quando udì le porte della villa aprirsi.

Non appena vi fece capolino Christofer, Gregory si esibì in un inchino, mormorando: “Lord Harford. I miei rispetti. Chiedo perdono anche a voi per le intemperanze di mio fratello. Vorrei essere il vostro testimone al duello, se me lo concederete.”

Wendell sgranò gli occhi, a quelle parole, ma Kathleen gli fece cenno di non parlare.

Avrebbero avuto tutto il tempo per spiegargli il perché di quel combattimento, ma quello non era né il momento, né il luogo.

Il conte annuì seccamente, asserendo: “So quanto potete essere leale, lord Chappell, perciò accetto la vostra proposta, ma non il perdono, perché non devo perdonare nulla a voi, Gregory. Attenderò vostro fratello nella Radura dei Due Cervi, la mattina del primo dell'anno, intorno alle undici. Abbiate la cortesia di riferirglielo.”

“Lo farò, naturalmente” assentì l'uomo, lasciandosi sfuggire un sospiro sconsolato. “E' stato davvero uno stupido. E dire che la sua nomina tra i dragoni avrebbe dovuto soddisfarlo!”

“Dubito esista qualcosa che possa soddisfare pienamente le brame di Peter” sentenziò gelida Kathleen.

“Temo abbiate ragione, amica mia” ammise suo malgrado Gregory.

Con un baciamano sopraffino, il duca si congedò dicendo: “Vi lascio in pace, mia cara, con la speranza che tutto si risolva per il meglio.”

“E' quello che spero anch'io, Gregory” asserì la giovane.

“Contessa Madre, giovane Wendell... i miei più sentiti auguri, a dispetto di questa tetra serata” dichiarò poi Gregory, rivolgendosi a Whilelmina.

Ciò detto, si allontanò e Christofer, nell'offrire il braccio alla madre, sentenziò lapidario: “E ora andiamocene. Non rimarrò qui un minuto di più.”

Kathleen annuì e, accolto con calore il braccio di William, si accodò al marito e alla suocera per uscire, lanciando solo un'ultima occhiata alla madre.

Wendell, al suo fianco, le sussurrò: “Stava piangendo.”

“Sì, Wendell. E’ probabile” assentì la cognata, non avendo però cuore sufficiente per rincorrere la madre.

L’unica cosa che voleva, in quel momento, era fuggire da lì, da loro.

Fortunatamente, la nevicata risultò essere tranquilla e, pur se con estrema lentezza, sarebbero riusciti a raggiungere Green Manor senza problemi.

Dopo aver aiutato Kathleen e sua madre a salire in carrozza assieme a Wendell, Christofer si assicurò che il landau dove si trovavano William e i domestici fosse pronto.

A quel punto, raggiunse lo sportello della carrozza e ordinò ai cocchieri di partire.

Le slitte sistemate al posto delle ruote funzionarono egregiamente, e le due vetture procedettero lungo la strada imbiancata di neve.

Le lampade a olio, poste sulle intelaiature esterne dei mezzi, aiutarono i cocchieri a scorgere il percorso dinanzi a loro.

I cavalli, a ogni buon conto, conoscevano a menadito la zona, e non avrebbero comunque trovato alcuna difficoltà a procedere fino a casa.

Le mani strette su pomolo del bastone e lo sguardo torvo puntato sul pavimento della carrozza, Christofer ristette a lungo in silenzio.

Ascoltò pensoso lo sferragliare delle sospensioni, del telaio bistrattato dal freddo pungente, dello scrocchio della neve sotto le slitte.

Sistemando meglio la coperta di lana che copriva entrambe, Kathleen sorrise alla suocera prima di mormorare: “A cosa state pensando così intensamente, Christofer?”

“Al modo migliore di uccidere quel maledetto” ringhiò l'uomo, avvedendosi in ritardo dello sconcerto delle due signore e del fratello. “Le mie scuse. Non avrei dovuto essere così diretto. Ma sì, sto cercando di comprendere quale sia il modo migliore di agire.”

“Sono sicura che non avrete problemi. La radura che avete scelto per il duello è riparata, perciò concede a entrambi il beneficio della protezione dal sole. Inoltre, il terreno è privo di asperità e consente un appoggio sicuro per prendere la mira e sparare” mormorò Kathleen, stringendo tra loro le mani perché non tremassero.

“Non vi farete battere da quel maleducato, vero?” si interessò Wendell, seduto al fianco del fratello.

Christofer gli sorrise e, nell’avvolgergli le spalle, se lo attirò vicino per scaldarlo, mormorando: “Nessuno potrà battermi, fratellino.”

Kathleen avrebbe tanto voluto prenderlo in parola, ma non era semplice accettare le sue parole per vere.

Era difficile, per non dire impossibile, trattenere la paura, ma non voleva mostrare quel genere di debolezza a Christofer.

Non quando lui aveva necessità di vederla sicura di sé e forte.

Il marito, però, la spiazzò e, allungando una mano verso di lei, prese nella propria le sue e, con calore, le disse: “Non dovete mascherare la vostra ansia, Kathleen, davvero. Non crediate che non sappia cosa vi frulla per la testa, perché neppure io mi sento tranquillo.”

“E allora, perché vi siete preso la briga di sfidarlo?!” sbottò a quel punto la donna, accigliandosi.

“Perché ha rovinato il nostro primo vero Natale assieme, e non mi ha neppure concesso di danzare con voi” ammise con candore Christofer, sorridendole.

Lei reclinò il capo, imbarazzata, e Whilelmina, sfiorandole una spalla con la mano, asserì: “Sono sicura che Christofer lo metterà a tacere, cara. Non angustiarti.”

“Non fingete neppure voi, madre. So bene che siete preoccupata a vostra volta” protestò amabilmente Kathleen, sorridendole.
La suocera rise sommessamente, annuendo, ma replicò: “Mi è concesso fingere, ogni tanto.”

“Allora fingeremo tutti che non sia successo nulla” dichiarò con voce tremula Kathleen, accennando un sorriso.

Christofer a quel punto la trascinò verso di sé e, con un sorriso di scuse alla madre, che arrossì copiosamente, prese accanto a sé la moglie e le avvolse le spalle con un braccio.

Wendell ridacchiò di fronte a quell’aperta infrazione all’etichetta, ma non disse nulla.

Voleva troppo bene a Kathleen per criticare qualsiasi cosa che la riguardasse e, con un sospiro, si limitò a chiudere gli occhi e stringersi al fratello.

Il conte sorrise nel vedere con quanta facilità Wendell gli volesse bene e, nel far poggiare il capo della moglie contro il suo torace, mormorò: “Accoglierei anche voi, madre, ma non vi è davvero più spazio, qui al mio fianco.”

“Mi accontenterò della vista di voi tutti” replicò la donna, accennando un sorriso.

Kathleen chiuse gli occhi per nascondere l'imbarazzo, ma non si scostò dal marito e, anzi, si strinse a lui mentre il conte copriva tutti e tre con una pesante coperta di lana.

Nel depositare un casto bacio sulla fronte della moglie, mormorò: “Dormite un po', Kathleen, e cercate di non fingere come sta facendo Wendell.”

A quel commento, il ragazzo ridacchiò.

“E' stata una serata piuttosto movimentata, e voi certo non ne avevate bisogno” aggiunse poi il conte, addolcendo il suo tono.

Lei annuì, docile come una bambina e, nel giro di poco tempo, si assopì.

Immobile al suo fianco, la mano era appoggiata protettiva su una sua spalla mentre, con lo sguardo, ne percorreva il viso rasserenato dal sonno.

Christofer sorrise lievemente alla moglie assopita, prima di tornare a incrociare lo sguardo della madre.

“Sono felice di vedervi così affiatati, ma sai benissimo che certi comportamenti non vanno tenuti in pubblico” mormorò con un sorrisino Whilelmina, addolcendo il suo rimbrotto.

“Sono con voi, madre, e con mio fratello. Non ritengo di essere nel torto” scrollò le spalle lui, noncurante.

“Cos'è successo tra voi?” si arrischiò a chiedere la donna.

“Assolutamente nulla, per la verità” ironizzò Christofer, sorprendendo la madre. “Ha solo compreso che, di me, si può fidare. E poi, beh... mi piace averla vicina, parlare con lei, sentire la sua voce. E' gradevole.”

“Spero non le avrai forzato la mano, perché sai che...”

Interrompendo sul nascere le paure della madre, il conte asserì con un sorriso: “E' successo e basta, madre. Nessuno ha forzato nessuno. E' stato difficile non volere altro ma... sapevo che era giusto così. Un passo avanti anche per me, direi.”
Whilelmina sorrise al figlio, annuendo, e mormorò: “So che parlarne con me è complicato, tesoro, ma desidero così tanto la felicità per entrambi voi che... beh, non posso fare a meno di chiedere.”

“Non scenderò mai nei particolari, madre, ma vi assicuro che voglio anch'io la felicità per entrambi. Sarebbe ingiusto vivere una vita d'inferno, visto quello che ci hanno fatto passare. Siamo sulla stessa barca e, poiché non ci troviamo vicendevolmente antipatici...”

Ridacchiò, nel dirlo e, suo malgrado, arrossì.

“Ohhh, come mai questo rossore, caro?” sorrise benevola la madre.

“Non dichiarerò nulla, questo è poco ma sicuro” celiò lui, sistemando meglio la coperta attorno alle gambe della moglie, che sospirò flebile contro il suo collo.

“Credo che sia la prima volta che riposa senza avere incubi” ammise Whilelmina, fissando la nuora con affetto.

Tra sé, Christofer si ripromise di regalare a Kathleen altre notti senza incubi.







Note: Peter sembra essere più pericoloso di quanto, in un primo momento, lo stesso Christofer aveva pensato, e questa sfida a duello non migliora le cose.
Di sicuro, gli avvertimenti di Gregory non sono spesi per nulla visto che lui stesso, per primo, ha pagato per essersi fidato troppo del fratello.
Come andrà a finire il duello lo scopriremo molto presto, promesso.
E, di sicuro, non rimarrete deluse.
Per ora, vi ringrazio e vi saluto.

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Capitolo 13
*** XIII. ***


 
13.
 
 
 
 
 
 
Tutto aveva immaginato, tranne di passare gli ultimi giorni di quell’angoscioso anno con il pensiero di dover nuovamente lottare per la propria vita.

A peggiorare le cose, poi, Kathleen si era intestardita con il voler presenziare al duello a ogni costo.

Dopo non poche ed estenuanti discussioni, Christofer le aveva infine negato tale possibilità.

Non desiderava che un simile evento facesse parte dei suoi ricordi e, di sicuro, l’avrebbe protetta dalla stupidità di Peter Chappell e dall’assurda decisione di Barnes.

Quando aveva saputo chi avrebbe fatto da testimone al giovane, Christofer aveva sonoramente imprecato e inveito contro tutti i pantheon da lui conosciuti.

Solo dietro fiere minacce da parte dei famigliari, si era lasciato convincere a dire quel nome, perché tutti comprendessero il motivo di tale e furente ira.

Nell’udirlo dalle labbra contratte del marito, Kathleen era raggelata e, da quel momento, aveva insistito per esserci, quasi fosse stata una questione di vita o di morte.

Combattere contro una tempesta sarebbe stato più semplice, alla fine dei conti.
 
***

Bloccato a letto con un’infreddatura, Wendell non si sarebbe presentato al tavolo, quella mattina, ma Christofer si sincerò sulle sue condizioni, prima di fare colazione.

Al suo capezzale, però, non trovò la moglie come aveva immaginato e, chiedendone al fratello, lui non seppe dargli notizie.

Sorpreso, si diresse quindi al salottino per fare colazione ma, trovando solo la madre ad attenderlo, chiese lumi anche a lei.

Nulla sapendo, Whilelmina non poté che scuotere il capo, vagamente preoccupata.

Sconcertato – Kate era solita alzarsi molto presto – Christofer mangiò solo a spizzichi e bocconi prima di abbandonare del tutto l’idea di terminare il pasto.

Scusatosi con la madre, uscì quindi di gran carriera per recarsi presso le stanze della moglie.

Lì, trovò soltanto una confusa Gwen dinanzi al battente chiuso.

A chiave.

Fissata per diversi attimi la porta, il conte decise quindi di bussare con una certa forza e, a gran voce, esclamò: “Kathleen, sono io! Aprite, per favore. Desidero parlarvi!”

“Scordatevelo!” sbottò dall’interno della stanza la donna, sorprendendo sia il marito che la domestica.

Accigliandosi, l’uomo si volse verso Gwen per chiederle spiegazioni ma la donna, nello scuotere il capo, asserì: “Stamattina era già chiusa e, quando ho provato a convincerla, mi ha detto di non aver bisogno dei miei servigi, per oggi.”

“Testarda di una donna. Se è mai possibile che io debba passare l’ultimo giorno dell’anno a prendere a pugni una porta” brontolò Christofer, bussando nuovamente, e calcando ogni volta i pugni con maggiore impeto. “Non ve lo ripeterò, Kathleen. Aprite!”

“Andatevene! Non voglio vedervi!”

L’urlo di Kathleen fu così rabbioso e, al tempo stesso, così pieno di dolore che il marito trasalì.

Ma cosa le era successo?

Gwen si lasciò sfuggire un’occhiata accigliata indirizzata al suo datore di lavoro, occhiata che venne immediatamente colta dal conte, il quale si premurò di sottolineare: “Non mi fissate come se fossi un orco, Gwen. Non le ho fatto nulla. Sta facendo i capricci, ecco cosa.”

La donna ebbe il buon gusto di arrossire e, nel reclinare il capo, asserì contrita: “Le mie scuse, milord. Non avrei dovuto.”

Battendole una mano sulla spalla, Christofer replicò bonariamente: “Gwen, so benissimo che tenete a mia moglie, e so anche perché siete così protettiva con lei. Non temete non abbia compreso i motivi di quello sguardo, ma voglio rassicurarvi. Kathleen è evidentemente infuriata con me, ma non per qualcosa che ho fatto a suo danno.”

La domestica annuì più volte e l’uomo, con una certa rassegnazione, mormorò: “Andate a cercare William. Chissà che, ascoltando il suo attendente, non si dia una calmata.”

“Vado subito” assentì la donna.

“Ah, un’altra cosa. Avvertite mia madre della situazione, e rassicurate Wendell. Erano piuttosto agitati entrambi, quando si sono resi conto che non sapevo dove fosse mia moglie. Da ultimo, allontanate tutti i domestici da questa ala del palazzo. Ho idea che voleranno parole grosse, tra poco, e non voglio spaventare nessuno” si premurò di dire Christofer, bloccandola per un istante a un braccio.

“Ma non la toccherete, vero?”

Lui sorrise convinto e scosse il capo, e a Gwen non restò altro che eseguire i suoi ordini, sperando che il conte non si rimangiasse la parola data.

Nel giro di un quarto d’ora, passato interamente a passeggiare nervosamente dinanzi alla porta della stanza della moglie, Christofer vide infine giungere di corsa William.

Dopo averlo ragguagliato sull’attuale situazione, gli domandò: “Hai qualche idea su come farla uscire da lì?”

“Siete…” cominciò col dire William, prima di venire fulminato da un’occhiata intimidatoria del conte.

Ridacchiando, si corresse subito e mormorò: “Sei sicuro di non averle detto nulla di particolare, ieri sera?”

Scrollando le spalle, Christofer replicò sconsolato: “Abbiamo parlato del più e del meno, di un paio di puledri che vorrei addestrare prima di venderli,… poco altro, direi.”

Accigliandosi leggermente, William ribatté turbato: “Non avete parlato affatto di domani?”

“No” sentenziò lapidario il conte.

Storcendo il naso, l’attendente allora bussò alla porta e, a mezza voce, mormorò: “Kathleen, sono William. Posso entrare?”

“Vattene anche tu! Non voglio vedere nessuno!”

William sobbalzò leggermente di fronte a quel ringhio furioso e Christofer, nel fare spallucce, decretò: “E’ infuriata a morte con tutti e due, è appurato. Ma perché?

Grattandosi pensierosamente dietro la nuca, gli occhi ridotti a due esili fessure color del brandy, l’uomo borbottò: “Stavolta non so davvero dove sbattere la testa.”

“E va bene” sbottò il conte, aggrottando la fronte. “Aiutami a togliere questa maledetta giacca.”

“Cos’hai intenzione di fare?” si informò William, aiutandolo.

“Buttare giù la porta” sentenziò Christofer, facendo strabuzzare gli occhi del cognato.

“Che cosa?!” esalò William, senza parole.

“Katie, allontanatevi dalla porta, se non volete farvi male!” sbraitò Christofer, scuro in volto e ben deciso a porre fine a quella situazione di stallo.

“Non osate neppure toccare quel battente, o giuro che vi sparerò!”

Passandosi una mano sul viso con aria esacerbata, fissò un contrito William per poi sibilargli in faccia: “Ma proprio le armi da fuoco? Non qualcos’altro, dico io?”

“Me lo chiese lei” precisò l’uomo, scrollando impotente le spalle.

“Lasciamo perdere” mormorò a bassa voce il conte. “Non sparerà, checché ne dica. Comincia a picchiare contro questa porta, mentre io mi dedicherò a quella della mia camera. E’ più piccola e, di sicuro, meno robusta.”

“Molto bene. La distrarrò” assentì William prima di bloccarsi non appena udì, all’interno della stanza, un rumore di sfregamento.

Christofer sbuffò contrariato. Aveva barricato la porta, forse?

“Ne vedremo delle belle” borbottò il conte, allontanandosi a grandi passi – giacca sottobraccio – mentre William iniziava a dare gran colpi al battente.

Mentre i rumori provenienti dal corridoio continuavano, seguiti dagli insulti di Kathleen, il conte raggiunse la sua stanza, vi entrò e si diresse a tutta forza verso l’altra porta.

Come prospettato, quel battente cedette subito e, divellendo la cerniera della serratura, si ritrovò immediatamente nella stanza della moglie.

La giovane strillò spaventata, sorpresa dalla sua entrata, prima di armarsi di rabbia e correre contro di lui a pugni levati, col chiaro intento di infierire sul marito.

Christofer, però, la bloccò con facilità e se la strinse al petto, lei fieramente inviperita e ben decisa a sfuggire alla sua presa.

I colpi alla porta smisero di colpo e, sull’altro lato, William esclamò: “Va tutto bene?”

“Tutto a posto! Vai pure e rassicura la servitù. Ne avremo per un po’, qui” gli ordinò Christofer, tentando con tutta la sua forza di trattenere la moglie. “Insomma, Katie, basta!”

“Non dovevate entrare! Non vi volevo vedere!” sbraitò lei, divincolandosi come un’anguilla.

Acuendo la stretta su quel corpo esile e tonico, il conte fece non poca fatica a contenere l’ira della moglie.

In quella strenua battaglia per il predominio, finirono così con l’incespicare sul tappeto in malo modo.

Con un corale grido di sorpresa, si ritrovarono stesi sul pavimento, le membra avvinghiate e la camicia da notte di Kathleen avvolta tra le gambe muscolose del marito.

Affrettandosi a togliersi di dosso dalla moglie per non farle male, Christofer si mise a sedere, tenendo lei sopra le cosce.

Ansante e furioso, dopodiché, ringhiò: “Basta, Katie! Ditemi che succede, o giuro che vi sculaccerò!”

“Provateci, se ne avete il coraggio!” lo minacciò lei, gli occhi colmi di lacrime.

Fu quello a bloccare tutta la rabbia del conte.

“Katie” mormorò un attimo dopo, sfiorandole il viso con il dorso di una mano.

Quel tocco gentile, in netto contrasto con la battaglia appena combattuta, fece crollare le esigue difese della giovane.

Scoppiando in un pianto dirotto, la contessa si gettò con le braccia al collo del marito e mormorò confusamente una marea di frasi inarticolate.

Massaggiandole la schiena mille e mille volte per chetarne i tremori sempre crescenti, il marito si stese sul pesante tappeto causa della loro caduta e, trattenendo a sé la moglie, mormorò: “Cosa succede? Perché questa crisi?”

“Avevate promesso” singhiozzò lei, accentuando la stretta.

“Cosa, mia cara?” asserì lui, confuso.

Scostandosi quel tanto che bastò per scrutarlo in viso, i suoi occhi gonfi e rossi, Kathleen esclamò roca: “Che mi avreste sempre condotta con voi! Che non ci saremmo mai più separati!”

Sospirando sconfortato, Christofer esalò: “Dio, Kathleen… tutto questo caos per questo?”

“Una promessa è una promessa, e io non volevo soffrire ancora. Vedervi andare via e non sapere cosa aspettarmi… non rimarrò mai più chiusa in una stanza a piangere per qualcuno che non so se tornerà da me!”

Aiutandosi con un gomito, il conte rimise a sedere entrambi e, nello scorgere la marea di lettere sparse accanto al camino, l’uomo si chiese cosa fossero e, soprattutto di chi fossero.

Kathleen ne seguì lo sguardo e, nel rimettersi in piedi, allungò una mano al marito e mormorò: “Ve l’ho detto… le avevo tenute tutte.”

Christofer si piegò per raccogliere le sue scarne lettere e, insieme a esse, trovò anche quelle prolisse e allegre di Andrew. Nello scorgere quella grafia a lui cara, tremò.

L’uomo se le strinse al petto e, volgendosi a mezzo per osservare la moglie, asserì: “Voglio solo evitarvi un’ennesima bruttura. Perché non volete capirlo?”

“E io voglio sincerarmi in prima persona che voi usciate vivo da quel maledetto duello. Credete sia facile rimanere qui ad attendere notizie, quanto tanta gente intorno a noi muore? Non pensate che, a ogni ritardo nel ricevere vostre notizie, o di Andrew, io non morissi un po’ ogni volta?” protestò debolmente Kathleen, riprendendo le sue lettere per ripiegarle con cura. “Non mi interessa se ci sarà sangue o dolore. Voglio essere con voi. Non lasciatemi più sola ad aspettare.”

Christofer non parlò.

Si limitò ad avvicinarla e, strettala a sé, calò sulla bocca di sua moglie per strapparle un bacio avido, pieno di desiderio a stento represso.

Kathleen non si allontanò, lo trattenne a sé affondando le unghie nella sua schiena.

Piegò indietro il capo, aderendo maggiormente al corpo del marito e, quando percepì le labbra di Christofer scendere sul suo collo in baci avidi, ansimò.

Aggrappandosi ai suoi capelli con una mano, lo avvicinò a sé e mormorò: “Dovete vincere.”

Affondando il viso nell’incavo del suo collo, l’uomo ne aspirò il dolce profumo mielato e, roco, assentì con vigore.

Detto ciò, si allontanò con uno scatto dalla moglie per non correre il rischio di perdere il controllo di se stesso.

Fissando con occhi divorati dalla passione il corpo esile di Kathleen, asserì: “Vestitevi e, quant’è vero Iddio, non nascondetevi mai più a me! Non basteranno neppure i Cavalieri dell’Apocalisse a tenermi lontano da mia moglie, sappiatelo!”

Lei sorrise appena, e annuì.

E a Christofer non restò altro che allontanarsi alla svelta per trovare un luogo molto isolato – e molto freddo – dove rinchiudersi per un po’.
 
***

La luna alta in cielo era un misero spicchio dalla luce diafana e contornata di fredde stelle, scintillanti come una distesa di diamanti su un manto di velluto scuro.

L’aria era frizzante, tersa sul suo viso e i rumori della notte, vacui e attenuati dal manto di neve che ricopriva ogni cosa, giungevano a malapena al suo orecchio.

Tutto era avvenuto come al solito, quel giorno.

Nulla si era svolto diversamente da ogni altra giornata passata a Green Manor, sebbene nell’atmosfera aleggiasse l’incombere del pericolo.

La pendola in fondo al corridoio batté la mezzanotte e Christofer, nel chiudere le imposte, tornò accanto al fuoco per attizzarlo un poco prima di distendersi.

Quando scorse la figura esile della moglie accanto al baldacchino, però, sobbalzò sorpreso e mormorò: “Kathleen… non vi avevo udito entrare.”

“Vorrei rimanere qui con voi… stanotte, intendo” asserì lei, il volto paonazzo ma la voce seria, incrollabile.

Christofer le si avvicinò ignorando il fuoco e, nel sorriderle gentilmente, replicò: “Non c’è necessità alcuna perché voi vi sentiate in dovere di giacere con me proprio stanotte. Non succederà nulla, io tornerò da voi e tutto andrà come deve andare.”

“E se…”

Lui la azzittì, poggiando un dito sulle sue labbra e, dopo aver baciato la sua fronte liscia  e calda, mormorò: “Niente ‘e se’. Ci sarete voi a portarmi fortuna, domattina e, se proprio vorrete festeggiare con me dopo il duello, sarò ben lieto di passare anche tutto il giorno con voi nel mio letto.”

Il tono scherzoso di Christofer portò Kathleen a sorridere divertita.

“Davvero non volete che io…” tentò nuovamente la giovane, fissandolo con occhi turbati.

“Katie, è davvero un bel gesto, ma non siete pronta, ve lo leggo negli occhi. Dovrà essere spontaneo, non dettato dalla paura del domani” le spiegò il marito, conducendola docilmente su un lato del letto. “Però, se può farvi stare tranquilla, potete dormire qui con me.”

Lei annuì fiduciosa e il marito, nello scostare le coltri pesanti, la aiutò a issarsi sull’enorme letto e le rabboccò le coperte come avrebbe fatto con un bambino.

Sorridendole, le baciò il naso e mormorò: “Devo cantarvi la ninna nanna?”

Kathleen ridacchiò, ma scosse il capo.

“Sarebbe divertente ma… no, grazie.”

Christofer allora andò al camino, aggiunse qualche ceppo e, dopo aver sistemato la rete di protezione, se ne tornò a letto, dove sorrise a una infagottata Kathleen.

Per quanto la desiderasse, quella non era la serata adatta e, pur apprezzandone il gesto, sapeva che il giorno dopo entrambi se ne sarebbero pentiti.

No, si era ripromesso di fare un passo alla volta, con Kathleen, e non aveva intenzione di venire meno alla parola data.

Anche perché sarebbe venuto meno non solo a un semplice giuramento.

C’era in ballo molto di più, ormai, e lui non aveva nessuna intenzione di rovinare tutto.

Poggiato il capo sul morbido cuscino di piume, Christofer augurò la buonanotte a Kathleen e, così come il sonno l’aveva rifuggito fino a quel momento, così decise di ricomparire, rapendolo ai suoi dubbi e alle sue paure.
 
***

L’alba gelida che le si presentò innanzi non la stupì.

Il cielo era sgombro di nubi, la lieve brezza sfregiava la pelle e, pur rattrappita nel suo mantello di velluto pesante color smeraldo, rabbrividì.

Era molto più che probabile che il brivido dipendesse più dalle ansie che provava, che dall’effettiva giornata raggelante che si era presentata innanzi a loro.

L’idea di incontrare Peter, e di dover sopportare che lui puntasse un arma contro Christofer, era già insostenibile di per sé.

Sapere che suo padre sarebbe stato lì, a testimoniare contro suo marito, la faceva fremere di un’ira così funesta da farla tremare.

“I cavalli sono pronti, mia signora… ancora convinta di voler venire con noi?” mormorò alle sue spalle Christofer, chinandosi verso di lei per parlarle all’orecchio.

Stallieri e servitù erano rimasti accanto alla stalla mentre la loro signora, solitaria, si era portata al limitare delle mura di Green Manor, forse desiderosa di rimanere in pace con i suoi pensieri.

William, con le redini di Thunder in una mano e quelle di Light – il suo baio – nell’altra, attendeva pazientemente assieme agli altri, l’ansia nascosta dietro la consueta facciata imperscrutabile.

Le labbra fredde seguirono quella domanda appena sussurrata, e sfiorarono la carne tenera dietro l’orecchio di Kathleen, che sospirò deliziata prima di dichiarare torva: “Non è proprio il caso di amoreggiare in pubblico, marito. Men che meno in questo giorno in particolare.”

“La servitù è lontana, e neppure immagina dove sto poggiando la mia bocca” replicò bonariamente l’uomo, afferrandola gentilmente per le spalle per volgerla verso di lui. “Bene, vedo che avete un po’ di colore sulle guance. Stamattina, appena sveglia, mi ero preoccupato.”

Quella mattina, il pallore evidente della moglie lo aveva messo in ansia.

Fin da quando l’aveva vista raggiungere le porte che conducevano all’esterno della tenuta, aveva temuto un suo cedimento.

Solo per questo si era arrischiato a baciarla a quel modo. Sapeva che si sarebbe sicuramente imbarazzata, oltre a rabberciarlo verbalmente.

Diversamente, non avrebbe mai espresso così chiaramente – e in presenza di un pubblico – il desiderio che aveva della moglie.

Desiderio che travalicava le semplici esigenze della carne, che pure a fatica riusciva a tacitare, e sfociava in un affetto sentito quanto profondo.

Difficile dire quando, la strana creatura che Iddio gli aveva posto al fianco, avesse fieramente preso possesso di un angolo del suo cuore.

L’ira per quanto era stato costretto a subire, gliel’aveva resa invisa fin dal primo istante.

Prima del loro frettoloso fidanzamento, però, non aveva mai avuto pensieri truci o vendicativi nei confronti della fanciulla. Tutt’altro.

Certo, la conoscenza della piccola Kathleen era più legata a vicende narrate da Andrew, che ad avvenimenti in cui erano stati protagonisti, ma il fatto rimaneva.

Quel piccolo frugoletto tutto gambe e braccia non gli era mai parso che adorabile, specialmente quando si era esibito per loro cantando qualche buffa filastrocca, o servendo loro il tè con i pasticcini.

Non aveva idea del perché, proprio in quel momento, gli giungessero alla memoria tanti particolari della Katie bambina che, prima di allora, pensava di non aver affatto notato.

Forse, perché temeva di perderla? Di non giungere mai a confidarle quanto tenesse a lei?

Scuotendo il capo per il fastidio, Christofer lasciò perdere quei pensieri lugubri e asserì: “Dobbiamo andare, mia cara, o Peter potrebbe pensare che temo il confronto con lui.”

“Vorrei tanto che sprofondasse all’Inferno!” sbottò la giovane, accettando il braccio che il marito le offrì per raggiungere le scuderie.

Il conte ridacchiò di quella strana preghiera e replicò: “Non siete un po’ crudele?”

“Affatto! Libereremmo il mondo da una creatura infida e malvagia!” brontolò Kathleen, sempre più inviperita.

Christofer non poté far altro che ridere sommessamente e, quando infine raggiunsero gli altri, sul viso di entrambi era scomparsa parte dell’ansia.

Salirono a cavallo sotto gli sguardi ansiosi degli stallieri e, dal balcone sul retro della villa, Whilelmina li salutò silenziosa.

La contessa madre era ben cosciente che, se si fosse trovata là con loro, sarebbe certamente scoppiata in lacrime, finendo con il mettere in ansia Christofer.

Scrutò perciò l’orizzonte finché le loro figure non svanirono oltre le pendici della collina e, solo a quel punto, si permise di piangere.

Affiancata dalla sua cameriera che, con frasi gentili, la riaccompagnò all’interno di Green Manor, Whilelmina si decise infine a raggiungere il figlio più piccolo.

Nato quando tutti non avevano più creduto possibile per lei una gravidanza, Wendell era parso fin da subito troppo gracile, troppo piccolo, perché potesse sopravvivere.

Ma i suoi figli maggiori, più in forze, non erano riusciti a sconfiggere la Falce, quando il piccolo Wendell vi era riuscito.

Ora, le rimanevano solo Christofer e Wendell, dei sei figli che aveva avuto con il suo defunto marito.

Il solo pensiero che un colpo di pistola le potesse portare il maggiore tra loro, la fece rabbrividire.

“Riuscirà, mia signora, e tornerà a casa da Padron Wendell e da voi. Lord Harford è uomo forte e coraggioso. Non fallirà” si premurò di dire la sua cameriera, sorridendole.

Whilelmina assentì e, nel battere una mano sul braccio della donna, mormorò: “Andiamo dal nostro Wendell, Lucinda. Andiamo da lui.”

La donna annuì alla sua padrona e, cercando di non pensare ai pericoli a cui stava andando incontro il conte, condusse con sé la contessa madre lungo il corridoio.

Vi erano stati troppi lutti, in quella famiglia. Era ora che la ruota girasse.
 
***

Forse, anche Kathleen avrebbe voluto imitare la suocera, ma non si concesse un simile lusso.

Per tutto il tragitto fino alla Radura dei Due Cervi, rimase in religioso silenzio tra le cavalcature del marito e del fratello.

I due uomini discorsero del più e del meno, intervallando qualche battuta sul modo migliore di affrontare un avversario infido come sembrava essere Peter Chappell.

Nessuno dei due tentò di includerla nel discorso, forse comprendendo quanto avesse bisogno di tutte le sue forze anche solo per mantenere la calma.

Quando, però, oltrepassarono il colle di un’enorme quercia secolare, ove solitamente Kathleen si fermava per brevi pic-nic assieme a William e Gwen, la giovane mormorò lapidaria: “Se vi ferisce, lo ucciderò di mia mano. E poi ucciderò voi per avergli permesso di lasciare un segno sulle vostre carni.”

“Vedremo di evitarlo” replicò candidamente Christofer, lanciando nel contempo un’occhiata a William, che assentì.

Per nessun motivo al mondo avrebbe voluto sapere la moglie a più di un centinaio di iarde di distanza da Chappell, figurarsi così vicina da poterlo uccidere.

“Mi spiace per mio padre, Christofer… non dovrebbe comportarsi così con voi” aggiunse poi la moglie, sfiorandolo con occhi tristi e contriti.

“Non avete di che scusarvi, mia cara. Siete custode della vostra coscienza, non di quella degli altri e, per quel che mi riguarda, voi siete nata solo da Georgiana. Dubito che una creaturina così dolce e ostinata possa essere nata da quel fanfarone di Lord Barnes” asserì con tranquillità il conte, guadagnandosi un’occhiata incuriosita da parte della moglie.

“Dolce… e ostinata? Suona come una contraddizione in termini, mio signore” replicò lei, storcendo un po’ la bella bocca.

“Perché voi siete una contraddizione unica, una meravigliosa contraddizione, oserei dire” celiò Christofer, sorridendo gaio.

Accigliandosi leggermente, Kathleen borbottò: “Non so se prenderlo come un complimento o un insulto. Deciderò.”

“Ne avete tutto il tempo. Io lo considero un complimento, comunque” le concesse lui, facendo spallucce.

La giovane gli rivolse un rapido sorriso, che svanì subito come era nato non appena si rese conto di dove i cavalli erano giunti.

E di chi vi fosse presente in quel luogo.

Gregory, solitario e nella parte direttamente opposta a quella del fratello, dove Peter era ritto al fianco di lord Barnes, accennò un saluto al trio appena giunto ma, quando scorse Kathleen, si accigliò.

Si affrettò quindi con galanteria a farla scendere da Thunder, senza commentare minimamente la sua sella da uomo – Christofer immaginò che anche Gregory l’avesse vista a cavallo – e, torvo, le domandò: “Era davvero necessario che veniste anche voi, amica mia?”

“Si tratta di mio marito, Gregory. Non sarei mai rimasta a casa ad attendere notizie” lo rincuorò Kathleen, battendogli una mano sul braccio con aria fiduciosa.

Assentendo suo malgrado, il duca scrutò Christofer prima di salutarlo e, dopo un accenno di saluto anche a William, dichiarò: “Peter è così sicuro di sé da farmi quasi desiderare che lo uccidiate.”

“Quasi” sottolineò il conte, sogghignando.

Gregory fece spallucce, e ammise: “E’ pur sempre mio fratello, anche se aborrisco la sola idea che qualcuno, a parte me, mi faccia notare l’ovvio. Trattandosi di un duello al primo sangue, mi aspetto soltanto che siate corretto.”

“Vedrò di non affidarmi alla mia consueta mira infallibile” concesse Christofer prima di scrutare la moglie e mormorare: “Ora, voi rimarrete accanto a William e non vi muoverete di qui.”

“Tornate da me” disse soltanto Kathleen, reclinando il viso.

Il conte non disse nulla, limitandosi a sfiorarle il volto con una mano.

Sapeva bene perché, quel giorno in particolare, Kathleen avesse svestito le gramaglie per indossare un vistoso quanto elegante abito di un bel blu di Prussia, abbellito da ricchi ricami bianchi.

Non voleva che lui la vedesse in lutto.

Non quel giorno quando, più di ogni altra cosa, doveva pensare alla vita, alla loro vita insieme.

Abbozzando un sorriso, Christofer si volse quando udì il fruscio ovattato dei passi sulla neve e, nel volgersi  a mezzo, aggrottò la fronte non appena scorse il ghigno beffardo sul volto di Peter.

Barnes appariva imperscrutabile; solo quando vide la figura della figlia, ebbe un barlume di cedimento.

Kathleen, al contrario, raddrizzò le spalle e lo fissò con aria di sfida.

Fu Peter, però, a parlare.

Sprezzante, si inchinò a Kathleen e asserì: “Ben trovata, milady. A quanto pare, la vista del sangue non deve turbarvi, se siete qui. Desiderate prestare le cure a vostro marito in prima persona?”

Con un sorriso gelido, la giovane replicò serafica: “Mi premurerò di curare voi, quando mio marito vi avrà debitamente messo a tacere, capitano. So essere magnanima, all’occorrenza.”

“Vi avrò su un piatto d’argento, quando vostro marito perirà sotto i vostri occhi” sibilò Peter, raddrizzandosi.

Christofer aggrottò la fronte, a quelle parole, e Kathleen sperò ardentemente che Chappell non proseguisse oltre.

Naturalmente ciò non avvenne e Peter, avvedendosi dell’espressione dubbiosa del conte, esplose in una risata ed esclamò: “Oh… a quanto pare, la vostra premurosa moglie non vi ha avvisato! Quando morirete, lei sarà mia!”

“Mi trafiggerò di mia mano, piuttosto” replicò Kathleen, lapidaria.

Peter la fissò con livore, ma aggiunse: “Dubito che una donna abbia un simile coraggio, ma non vi darò l’occasione di provarmelo. Non appena il sangue di vostro marito scorrerà sulla neve, io vi esigerò come mia, e voi non potrete far nulla per impedirmelo.”

William fece per intervenire, ma Christofer lo bloccò con un gesto del braccio.

Fissando biecamente Barnes, che non aveva detto alcunché per bloccare le follie del giovane Chappell, il conte replicò: “Kathleen non sarà mai vostra, scordatevelo. Se  dovessi perire, voi finireste in galera per la mia morte, lei diventerebbe mia erede legittima e non avrebbe alcun bisogno di un nuovo marito.”

Peter parve sorpreso dal suo dire e replicò dubbioso: “Non potete davvero averla resa vostra erede universale… lei è…”

“Solo una donna?” ribatté divertito Christofer, fissandolo disgustato. “Se la pensate così, allora non meritate neppure di respirare la sua stessa aria. Ma poco importa, ora. Non siamo qui per disquisire sulle vostre insensate pretese.”

Kathleen lo fissò stralunata, sorpresa ella stessa dalle parole del marito, ma lui scosse il capo, promettendo a se stesso di parlargliene in un altro momento.

Gregory, in quel mentre, fissò malamente il fratello, che stava letteralmente fulminando con lo sguardo Harford, e dichiarò: “Dopo quest’ultima follia, non presentarti mai più alla mia porta, Peter. Ti disconosco come fratello.”

Il giovane non si preoccupò minimamente e replicò: “Tieniti pure la puttana di tua moglie e i tuoi soldi, Gregory.  Ho di meglio, per le mani.”

Christofer avrebbe voluto riempire il giovane Chappell a pugni, ma preferì evitare.

Prese dalla scatola che William teneva tra le mani una delle pistole da duello e, dopo averla controllata, si portò nel mezzo della radura assieme a Peter.

Schiena contro schiena, contarono trenta passi a gran voce, calpestando la bianca coltre nevosa mentre, tutt’attorno, un silenzio tombale faceva loro da eco.

Le mani strette al petto e lo sguardo puntato sul marito, Kathleen deglutì a fatica quando infine il numero ultimo venne scandito stentoreo nell’aria immota.

Il tutto durò solo qualche battito frenetico del cuore, eppure le parve un’eternità.

Christofer si volse lesto, elegante nonostante l’impedimento dato dalla neve e, molto più veloce di Peter, fece fuoco.

Un attimo dopo, si gettò a terra per prevenire qualsiasi colpo.

Mentre la pallottola esplosa dalla sua arma andava a conficcarsi nella spalla del contendente, quella di Peter si perse nella neve, molte iarde lontana dal suo bersaglio.

Kathleen si lasciò andare a un sospiro di puro sollievo, mentre il ringhio furioso dell’avversario si levava alto verso il cielo, spaventando gli uccelli nel bosco.

Correndo verso il marito che, nel frattempo, stava rialzandosi grazie all’aiuto di Gregory, la giovane contessa si lasciò andare a un sorriso estasiato.

Sorriso che, un attimo dopo, si tramutò in una smorfia di terrore quando udì William gridare loro di prestare attenzione.

Contrario a tutte le regole del duello, Peter estrasse dal panciotto una seconda arma e la puntò verso di loro.

Persino Barnes lo fissò scioccato, al colmo della sorpresa e dell’orrore.

In barba alle leggi della cavalleria, puntò la pistola contro il suo nemico e prese la mira, ben deciso a fargliela pagare.

Kathleen non perse tempo.

Con tutto il fiato che aveva in corpo, percorse quel breve tratto che la separava dal marito e, chiusi ermeticamente gli occhi, si gettò su di lui.

Udì lo sparo, un sordo dolore al petto, poi più nulla.

Fu solo oscurità, e un immenso vuoto.








Note: Prima che decidiate di staccarmi la testa a morsi... abbiate un po' di fiducia! XD

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Capitolo 14
*** XIV. ***


 
 
Note: Visto che eravate tutte preoccupate per Kathleen, ho pensato di farvi questo regalo infrasettimanale, sperando che possa essere di vostro gradimento. Buona lettura e se volete, dopo, fatemi sapere cosa ne pensate.
Tanto perché lo sappiate, anche i prossimi capitoli saranno lieti (ma Peter non è scomparso... ricordatevelo).






14.
 
 
 
 
 
Aveva la gola secca, la testa le martellava come solo poche altre volte aveva fatto ma, più di tutto, avvertiva un secco, sordo dolore all’altezza della clavicola.

Cosa mai le era capitato?

Mosse una mano per tastare il punto in cui più le doleva ma, a sorpresa, quella mano venne intercettata e, con essa, si udì un singhiozzo disperato e una risatina di sollievo.

Kathleen sbatté le palpebre più volte, confusa, sentendosi stremata pur se aveva la sensazione di aver passato ore e ore a letto.

Finalmente, i suoi occhi misero a fuoco le cortine del letto, di un bel velluto blu a ricami dorati e, oltre quella barriera… Christofer.

Appariva smagrito in volto, con una barba di giorni e coi capelli arruffati e rilasciati sulle spalle.

Pareva indossare una camicia spiegazzata, come se l’avesse portata per lungo tempo.

Oltre a lui, non v’era nessun altro nella stanza.

Perché era lì, e perché era ridotto in quello stato?

Tentò di dire il suo nome, ma non vi riuscì. La gola le faceva troppo male.

Avvedendosi del suo tentativo di parlare, Christofer fu lesto a sistemarle alcuni cuscini dietro la schiena e, con delicatezza, la aiutò a mettersi seduta.

La spalla le dolse tremendamente, ma almeno così riuscì a bere un po’ di tè alla menta, caldo e dissetante.

Lappatasi più volte le labbra, quindi, gracchiò: “Christofer, … cos’è successo?”

Carezzandole il viso più e più volte, come se non la vedesse da mesi, lui le sorrise sollevato e asserì: “Succede, mia cara, che siete folle. Non ricordate davvero nulla di quanto è accaduto?”

Barlumi di memoria le giunsero in soccorso e, quando infine rammentò l’episodio del duello, sgranò gli occhi ed esalò: “Voi… voi state bene, vero?!”

Il conte scoppiò in una risata sgangherata, cui seguì un sonoro bacio sulla mano di Kathleen – che l’uomo ancora tratteneva a sé – e, con voce rotta dall’angoscia, mormorò: “Katie, siete stata voi a salvarmi, non rammentate?”

“Peter?”

Aggrottando la fronte, il conte scosse il capo.

“E’ fuggito. Nella concitazione del momento, abbiamo pensato tutti a voi, e lui ne ha approfittato per scappare. Ora, su di lui pende un mandato di cattura ma, almeno per ora, nessuno l’ha visto.”

Kathleen annuì e il marito, levandosi in piedi per accomodarsi sul bordo del letto, la attirò debolmente a sé e sussurrò contro i suoi capelli: “Non fate mai più una cosa simile, Katie. Morirei, se vi succedesse qualcosa.”

“Mi è venuto spontaneo, scusate. Non volevo turbarvi” replicò lei, sorridendo contro il suo torace caldo, dove il cuore batteva a un ritmo frenetico.

Doveva averlo davvero terrorizzato a morte!

Scostandola da sé per baciarle le labbra, Christofer si dilungò in brevi, gentili baci su tutto il viso e, con occhi lucidi di lacrime che stentò a trattenere, aggiunse: “Non voglio perdervi, amore mio… non voglio!”

Sbattendo le palpebre con aria confusa, tentando di capire se l’uso di quelle parole fosse casuale o meno, Kathleen ansò di sorpresa quando il marito le depositò un bacio all’altezza della ferita.

Con voce tremante, lui asserì: “Questa cicatrice non avrebbe dovuto macchiare il vostro corpo. Avrei dovuto portarla io per voi. Se potessi, la strapperei via da lì per averla al vostro posto.”

“La porterò con orgoglio” replicò la giovane, sorridendogli.

“La mia coraggiosissima moglie… il mio amore impavido” mormorò ancora lui, tornando a baciarla con ardore sempre crescente.

Kathleen si lasciò andare contro i cuscini, le mani avide di Christofer che, gentili, carezzavano il suo corpo un palmo alla volta.

Non le importava se la spalla le faceva male, se Gwen o la suocera potevano entrare nella stanza in qualsiasi momento; lei voleva i suoi baci, le sue carezze, il suo tocco.

Voleva udire Christofer parlare d’amore, anche se non poteva essere certa della veridicità delle sue parole.

Per qualche ora, fin quando l’ansia non fosse scemata, poteva illudersi che lui l’amasse veramente.

Il solo fatto che fosse stato in pensiero per lei era qualcosa di cui andare fieri, perché le dava la certezza di un futuro lieto e complice con il marito.

A Christofer importava di lei. Fosse anche solo come amica, ma questo non contava.

A suo marito stava a cuore la sua salute.

Quando, però, lo udì abbinare più volte il suo nome a quella tenera parola che lei, mai, aveva voluto nominare in sua presenza, osò sperare, e il suo cuore si illuminò.

Bloccando il fiume incessante di baci del marito, nonostante le costasse molto, esalò: “Non lo dite solo per… per farmi felice, vero?”

“Lo dico per entrambi, amor mio” sussurrò lui, apparendo contrito e imbarazzato al tempo stesso. “E spero onestamente che, in cuor vostro, sia rimasto un po’ d’amore per me. Spero di non averlo ucciso con il mio comportamento odioso, anni fa.”

Avvampando in viso, Kathleen ansò: “Come… Andrew… oh, cielo! Vi disse ogni cosa?!”

Annuendo, il conte le carezzò con dita gentili i lunghi capelli rilasciati sulle spalle e mormorò: “Non sapevo del vostro amore nei miei confronti e, quando ne fui messo a conoscenza, mi sentii un mostro. Vi avevo ferito in molti modi, ma credo che distruggere il vostro sogno di fanciulla, sia stato il peggiore di tutti. Tornai a casa anche con la speranza di poter aggiustare un torto, ma non mi aspettavo di poter provare simili sentimenti per voi. Sono stato davvero uno sciocco, in tanti modi diversi!”

“Perché?” sussurrò lei, ancora incredula. Era mai possibile?

Christofer le sorrise e, nel deporle un bacio sulla fronte, asserì: “Poco prima del duello, ho rammentato cose di voi che non pensavo di aver notato. Rivedervi nella mia mente come eravate da bambina, mi ha colpito. Siete sempre stata lì, dinanzi ai miei occhi, e io vi ho data per scontata quando non avrei mai dovuto farlo. La fatalità del nostro matrimonio mi ha reso cieco di fronte all’immenso dono che avevo ricevuto e, per poco, non ho rovinato tutto. Ma ora ho compreso e mai, finché avrò vita, commetterò più l’errore di non ammirarvi in tutta la vostra bellezza.”

“Christofer…”

“Avete un cuore indomito, un carattere forte, nulla può piegarvi…” dichiarò ancora lui, deponendo un bacio sul suo viso a ogni parola. “… questo vi rende bellissima. Non solo il vostro viso, è ricco di beltà.”

In barba al dolore alla spalla, Kathleen gli avvolse le braccia al collo e scoppiò in una calda risata di gola.

Se stava sognando, non voleva destarsi.

Se il mondo stava per finire, che finisse. Lei aveva ottenuto ciò che voleva.

E così pure Christofer.

Seppe fin dal primo momento che era stupido farlo, ma non si fermò.

Strappò dal letto Kathleen e la prese in braccio, cominciando a girare su se stesso tenendola stretta contro di sé, un sorriso a illuminare il suo viso pari soltanto a quello della moglie.

Rise sempre più forte, sempre più eccitato, e Kathleen con lui.

Fu così che li trovò Whilelmina, ridenti entrambi ed entrambi abbracciati l’uno all’altra.

“Ma cosa… Christofer, cosa le stai facendo? Quella fanciullina dovrebbe essere a letto!” sbraitò terrorizzata la donna, prima di rendersi conto dello sguardo che i due giovani si stavano scambiando.

Nessuno dei due l’aveva udita. C’era spazio solo per loro.

Sorridendo più tranquilla, la contessa madre si ritirò nuovamente nel corridoio e allontanò Gwen e William, che attendevano trepidanti sulla porta.

Nel richiudersi i battenti alle spalle, dichiarò con un sorriso: “Avvertite la servitù che la contessa sta bene. Tutto è ormai a posto.”

Gwen non perse tempo, e così pure William.

Mentre Whilelmina pensava a raggiungere Wendell per riferirgli la bella notizia, per tutta Green Manor si allargarono esclamazioni di giubilo, che fecero da controcanto alla gioia dei due innamorati.
 
***

“Perché?”

La domanda giunse a sorpresa, mentre Christofer era intento a raccogliere con cura un cucchiaio abbondante di brodo di verdure.

Scacciata letteralmente servitù e madre dalla stanza di Kathleen – persino William era potuto rimanere per pochi minuti –, il conte si era voluto prendere personale cura della moglie, comportandosi in maniera dispotica e irascibile.

Wendell le aveva promesso che, se si fosse reso necessario, avrebbe trascinato fuori il fratello per i capelli, caso mai l’avesse disturbata troppo.

Neppure la moglie era riuscita a far cambiare idea al marito ma, dalla reazione di tutti, parve che nessuno se la fosse presa per quel colpo di testa.

Alla fine, Christofer aveva ottenuto quello che voleva, e nessuno se l’era sentita di contraddirlo.

L’averlo visto sconvolto e furioso al suo ritorno alla villa, la moglie esanime tra le braccia e le mani lorde del suo sangue, aveva spaventato tutti.

Wendell aveva corso intorno al fratello finché non aveva depositato Kathleen a letto, dopodiché si era sistemato al suo capezzale, in attesa del dottore.

William stesso era corso al villaggio per andare a recuperare il medico che, alla notizia del ferimento della contessa, aveva raccolto tutte le sue cose e si era messo in sella in tutta fretta.

Per loro fortuna, la pallottola era fuoriuscita, ledendo solo la spalla di Kathleen, ma la febbre era sopraggiunta ugualmente, forse a causa di un’infreddatura non curata adeguatamente.

Per giorni e notti intere, Christofer aveva vegliato sul corpo febbricitante della moglie, ascoltandone il suo parlottio farneticante, rabbrividendo di fronte ai suoi tremendi ricordi.

Udire ciò che le era accaduto, senza il filtro del pudore della moglie, era stato tremendo.

Le poche volte in cui a Wendell era stato permesso di rimanere, Christofer l’aveva osservato turbato, e solo per scoprire quanto il fratello fosse maturato.

I suoi dodici anni di età erano ben poca cosa, di fronte a quello sguardo serio e forte.

No, Wendell poteva essere gracile, ma la sua mente era tutt’altra cosa, così come il suo cuore.

Avrebbe voluto estrarre dalla tomba il corpo del padre per farne scempio, e solo per avere la soddisfazione di vendicare sia la moglie che il fratellino.

Quando la febbre era infine scesa, anche gli incubi erano svaniti e, con sua somma sorpresa, lui era divenuto parte integrante del mondo onirico di Kathleen.

Il suo nome era stato sussurrato molte volte, nel corso dei giorni e, in più di un’occasione, Christofer aveva ricollegato il ciangottare della moglie a eventi appartenuti a un lontano passato.

Più volte, aveva sorriso nel rammentare un aneddoto piuttosto che un altro.

In più di una occasione era arrossito di fronte alla madre – spesse volte presente al capezzale della nuora – nel venire smascherato per marachelle passate.

Un particolare, più di altri, lo aveva colpito. E sorpreso.

Fino a quel giorno, era stato più che certo che Kathleen non si fosse accorta di nulla, in quell’occasione.

L’episodio, sorto dagli anfratti della sua memoria dopo il ferimento della moglie, ora lo rammentava come se fosse avvenuto solo il giorno precedente.

Estate. L’albero di melo nel giardino di casa dei Barnes. Una Kathleen addormentata alla sua ombra.

All’epoca, la piccola Kate aveva avuto solo tredici anni e, ancora lontana dallo sbocciare come era infine avvenuto, appariva fragile e goffa negli abiti vaporosi che la madre le faceva indossare.

Andrew era stato solito chiamarla fenicottero per via delle lunghe gambe e lei, ogni volta, era cosa via in lacrime, rifugiandosi sotto l’ombra protettiva del melo.

In una di quelle occasioni, Andrew era stato così scorretto da prenderla in giro dinanzi a Christofer, scatenando la reazione furibonda della sorella, che era scappata via con il volto in fiamme e il cuore spezzato.

In seguito, Andrew si era dichiarato pentito di averlo fatto e Christofer, comprensivo, si era offerto di aiutarlo a trovarla per chetarne la rabbia.

Sapendo già dove potesse essere, il giovane Spencer aveva però preferito recarsi da solo al grande melo, spinto dal desiderio di essere lui, in prima persona, a prendersi cura della fanciulla disperata.

Trovarla addormentata e con il volto rigato di lacrime, gli aveva fatto sorgere una smorfia in volto, oltre che avvertire un palpito di dolore al cuore.

In silenzio, si era inginocchiato accanto a lei e, con le nocche di una mano, ne aveva carezzato le gote gonfie di pianto.

La sua boccuccia a forma di bocciolo di rosa si era mossa per un istante e Christofer si era ritratto, inorridito al pensiero che potesse trovarlo così proteso verso di lei.

Nulla era però successo e il giovane, con un mezzo sorriso, si era chinato su quelle tenere labbra, mormorando: “Non piangete più, bella principessa.”

Era stato solo un fuggevole sfiorarsi di labbra, a cui lui aveva badato poco in quel momento ma, evidentemente, aveva scatenato in Kathleen una ridda di emozioni.

E la sua infatuazione per lui.

Poggiando il cucchiaio sul piatto, Christofer fissò la moglie e, per un attimo, presente e passato si confusero.

“Riguardo a cosa, Katie?” le domandò per contro lui, inclinando leggermente il capo.

Lei arrossì, reclinando il capo biondo e, a mezza voce, mormorò: “Riguardo ai vostri sentimenti per me.”

Il marito ridacchiò e, nello scostare il vassoio del cibo su uno dei comodini, si accomodò sul bordo del letto.

Sollevò delicatamente il mento della moglie con un dito e asserì: “Forse, sono sempre stato innamorato di voi ma la mia superbia, o il mio essere così chiuso in me stesso, mi ha tenuto lontano dalla verità.”

“Oh, non credo che voi…” iniziò col dire Kathleen, subito azzittita da Christofer, che scosse il capo.

“Lo ero. Scapestrato, intendo. E sciocco. E cieco. Diamo pure la colpa alla mia adolescenza, ai miei fratelli ben poco amorevoli, o a mio padre, che non smetterò mai di disprezzare. Ero molte cose, ma avrei dovuto essere una cosa sola per voi, e non lo sono stato per lungo tempo. Un buon marito” replicò lui, dandole un bacio sulla fronte.

“Vi state colpevolizzando troppo, Christofer. Eravate giustamente furioso per un matrimonio che vi hanno imposto, perciò vi posso capire. E se avete sbagliato voi, a suo tempo, ho sbagliato anch’io a non imporre le mie idee, o tentare di spiegare a voi come mi sentivo. Dopotutto, eravate anche mio amico. Avrei potuto parlarvi sinceramente. Sapevo che eravate diverso da mio padre, da vostro padre, perciò avrei dovuto tentare. Ma non lo feci. Ero fin troppo pavida!”

Rise sommessamente, a quel commento su se stessa, e il marito ampliò il suo sorriso.

“Eravate semplicemente una fanciulla educata a eseguire esattamente il volere del marito, o del padre. Tutto qui” replicò l’uomo. “Avrei dovuto tenere a mente che la ragazza nel mio letto eravate voi, ma non lo feci.”

“Avrebbe fatto differenza, se fosse stata un’altra?” replicò lei, vagamente sorpresa.

“E’ il contrario, Katie. Avrebbe dovuto fare differenza perché c’eravate voi. La mia principessa che dormiva all’ombra del melo.”

Le sorrise nel dirlo, e lei arrossì ancora di più.

“Dovrò stare attenta a non ammalarmi mai più, se parlo così a sproposito” brontolò lei, pur sorridendo maliziosa.

“Mi ha fatto piacere scoprire che sapevate del bacio. Anzi, forse, se entrambi lo avessimo rammentato il giorno delle nozze, le cose sarebbero andate diversamente” ammise lui, con il rammarico nella voce.

“Era solo un bacio di nessun conto” si schernì Kathleen.

Il marito non fu di quell’avviso.

“Vi baciai per un motivo, anche se all’epoca ero troppo superficiale per comprenderlo. Volevo darvi quel bacio, rasserenarvi con la mia presenza, essere il vostro paladino… ma rovinai tutto con il mio sciocco orgoglio ferito” sbottò Christofer, accigliandosi.

La moglie afferrò le sue mani strette a pugno e, rilassandone le membra, gli sorrise gentilmente e mormorò: “Siamo qui, insieme. Alla fine, siamo noi ad aver vinto, non vi pare?”

“Ma quanto ci è costato?!” esalò lui, sfiorandole con lo sguardo la spalla ferita.

Lei scosse il capo, replicando semplicemente: “Calpesterei gli Inferi stessi per stare con voi, non l’avete ancora capito?”

Christofer si limitò ad abbracciarla, un sorriso dipinto sul bel viso e, nel depositarle un bacio dietro l’orecchio, mormorò: “Provateci, e vi ucciderò di mia mano. Non dovrete mai più rischiare la vita per me, avete capito?”

Kathleen si limitò a ridacchiare, evitando di rispondere e il marito, suo malgrado, dovette farsi bastare quel silenzio.

Sapeva quanto potesse testarda la moglie, quando voleva e, nonostante tutto, era orgoglioso che fosse così forte da tenergli testa.

Non dubitava che avrebbero trovato altri terreni di scontro, nel loro lungo viaggio insieme, ma si sarebbero affrontati a testa alta, con onestà, non più nascosti dietro false parole.

Più tardi, sdraiato accanto alla moglie sull’enorme letto a tre piazze, Christofer era impegnato in quello che, in quei giorni, era divenuto il suo hobby preferito: guardare Kathleen dormire.

Ogni tanto borbottava qualcosa a mezza bocca e, spesso, rivolgeva anche nel sonno il viso verso di lui, come se sentisse il bisogno di essere vegliata dal suo sguardo.

In quei momenti, lui le carezzava il volto, e sorrideva deliziato non appena i tratti di lei si distendevano pacificati.

Quanto era stato stupido, a non dare voce al dolce sentimento che l’aveva accompagnato fin sotto il melo, quel giorno?

Sapeva, però, quale fosse stato il problema.

Eton lo aveva reso freddo e cinico, e quelli erano stati i risultati.

La morte prematura dei fratelli non lo aveva certo aiutato, confinandolo entro le strette mani ad artiglio del padre.

Bartholomew Spencer, conte Harford, non era mai stato lieto di avere un figlio come lui, o come Wendell.

Loro, le pecore nere della famiglia.

Christofer era sempre stato troppo studioso, troppo erudito – pur se abile con le armi – e, di questo, il padre gliene aveva sempre reso demerito.

Wendell, invece, era sempre stato gracile e debole, l’opposto del padre e, per questo, il conte non lo aveva mai amato.

Sospirò, nel ripensare a quegli anni di scuola, alle percosse, ai silenzi costretti dalla paura di venire malmenati – o peggio.

I suoi fratelli aveva sempre tentato di piegarlo, forse spinti dallo stesso padre, chissà. La sostanza, però, non era cambiata, per Christofer.

Si era dovuto indurire, per sopravvivere, e quella durezza si era poi trasmessa alla sua vita di tutti i giorni e, così facendo, aveva ferito Kathleen.

Diventare conte suo malgrado, poi, non era stato semplice da accettare.

Avrebbe preferito mille e mille volte non ereditare Green Manor così come l’intera tenuta, la sua villa a Bath, o il palazzo su Grosvenor Square, a Londra.

Il pensiero di tutti i fittavoli che dipendevano da lui, di tutte le vaste proprietà sparse per l’Inghilterra che avrebbe dovuto controllare e far prosperare lo aveva reso nervoso e aspro.

Tutto quell’astio, quella paura, si erano riversati sull’incolpevole mondo che lo circondava.

E su Kathleen.

Ma tutto ciò sarebbe cambiato, con l’aiuto di sua moglie.

Insieme, avrebbero scoperto la vera felicità, proprio come aveva sempre desiderato anche Andrew e, con questa consapevolezza, avrebbero creato una vera, nuova famiglia.

Nell’assopirsi, ripensò all’amico e, a sorpresa, scorse solo il suo volto sorridente e fiero.

Per quanto gli incubi si fossero diradati, in quelle lunghe notti passate nella casa di famiglia, il viso di Andrew gli era sempre apparso macchiato dal sangue della morte.

Quella notte, però, il suo sorriso spontaneo e sincero la fece da padrone e, avvolto dal dolce profumo di rose della moglie, poté finalmente riposare sereno.

Per quella notte, niente e nessuno sarebbe giunto a disturbarlo.









 

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Capitolo 15
*** XV. ***


 
Note: Oserei dire che, in questo capitolo, qualche pennellata di felicità la vedremo... poi mi saprete dire... buona lettura. ^_^






15.
 
 
 
 
 
 
Le settimane seguenti al ferimento di Kathleen si susseguirono serene, pur se di Peter non si seppe più nulla.

Christofer si chiese segretamente se covasse o meno rancori verso di loro, o se si fosse già allontanato a sufficienza da far perdere per sempre le sue tracce.

Desiderò che fosse così.

Giorno dopo giorno, la ferita di Kathleen diede segni di miglioramento, rallegrando non solo il marito, ma la servitù tutta.

Era indubbio quanto, l’aver temuto di perderla, avesse angustiato gli abitanti di Green Manor.

Anche per questo, Christofer impiegò tanto, prima di permettersi di mettere in atto ciò che, da tempo, ormai stava pregustando con gioia e aspettativa.

Passare del tempo con sua moglie, al di fuori delle mura della loro casa.

In una fresca e limpida mattina di febbraio, giungendo al tavolo per la colazione, Christofer baciò teneramente la moglie sulla fronte, prima di sorriderle speranzoso.

A quello sguardo pieno di dubbi, Kathleen rispose con un’occhiata curiosa e lui, eccitato suo malgrado, le domandò: “Posso importunarvi con una proposta?”

“Dite, vi prego” gli sorrise lei.

Whilelmina, quella mattina, non era ancora giunta per la colazione, perciò Christofer si sentì libero di inginocchiarsi dinanzi a lei per prenderle entrambe le mani.

Una dopo l’altra, gliele baciò con tenerezza.

La moglie arrossì di fronte a quel gesto delicato e tenero e il marito, in un sussurro, le chiese: “Uscireste con me? Vorrei prendere il calessino con le slitte per raggiungere la Radura del Cervo Bianco e dipingere un poco con voi, se vi va.”

La giovane si illuminò in viso, a quella richiesta e, annuendo con fervore, si arrischiò ad abbracciarlo per un attimo, asserendo: “Ne sarei felicissima.”

Levandosi in piedi con facilità – ormai, il bastone era divenuto un ricordo, pur se avrebbe sempre zoppicato un po’ – Christofer le sorrise raggiante e disse: “Faccio preparare il calessino e un cesto con il pranzo. Nel frattempo, cambiatevi d’abito. Sarò da voi entro breve.”

“Non mancherò” assentì lei, alzandosi in piedi a sua volta, l’eccitazione dipinta negli occhi ridenti.

Christofer la osservò per un momento, il nero vestito che stonava con lo sguardo scintillante della giovane e, nello strapparle un rapido bacio, sussurrò sulle sue labbra: “Indossate l’abito blu, per favore. Vi sta così bene!”

Rammentando uno degli abiti che aveva usato durante la loro permanenza alla villa dei Barnes, Kathleen annuì e, con un sorriso, lo osservò allontanarsi a passo veloce e solo leggermente claudicante.

La gamba del marito era guarita molto bene e, pur se non avrebbe mai perso quella leggera zoppia, entrambi potevano ritenersi più che soddisfatti del suo decorso post-operatorio.

Avrebbe potuto andare molto peggio, davvero molto peggio.

Ma Kathleen non voleva pensare a cose spiacevoli, in quel momento.

Christofer l’aveva invitata a una gita nel bosco, e lei voleva godersi pienamente l’idea.

Fin da quando i loro rispettivi sentimenti erano stati confessati con ardore e imbarazzo, la loro vita matrimoniale era senz’altro migliorata.

Kathleen, però, era turbata dalla totale mancanza di rapporti fisici tra lei e il marito.

Pur se lui l’aveva rassicurata, dicendole che voleva attendere la sua completa guarigione, la giovane cominciava a credere che vi fossero altri problemi, che il marito era restio a confessarle.

Che la guerra avesse lasciato strascichi diversi, oltre alla gamba?

Nel pensare a ciò, arrossì copiosamente, rammentando le rare volte in cui i suoi occhi, maliziosi, erano corsi a quella parte anatomica del marito che, più di tutte, esprimeva il suo essere uomo.

Non dubitava affatto della sua virilità, perciò cosa poteva esservi, che ancora frenava Christofer?

Davvero non ne aveva idea.

Ugualmente, scacciò via anche quel pensiero molesto ed entrò in camera da letto, dove Gwen stava sistemando la sua camicia da notte.

Vedendola così di fretta e con le gote arrossate per la corsa, la sua cameriera la fissò dubbiosa per un istante prima di chiederle: “Avete bisogno di me, milady?”

“Devo uscire con mio marito, Gwen, e vorrei indossare l’abito di velluto blu. Potresti prepararlo assieme al mio mantello con gli alamari d’argento?” le chiese cortesemente, mentre si accomodava alla toeletta per aggiustarsi i capelli, trattenuti da uno chignon apparentemente perfetto.

Notando il nervosismo eccitato della padrona, Gwen sorrise sorniona e preparò in silenzio il tutto, ben lieta che la sua signora fosse così felice.

Dopo aver indossato le brache da equitazione, sistemò la lunga e leggera gonna di velluto oltre allo spencer1 in stile ussaro e, sotto le mani attente di Gwen, mise un grazioso bonnet2 piumato in tinta con l’abito.

Ritenendosi soddisfatta, prese sottobraccio il mantello e uscì dalla sua stanza un attimo prima che Christofer bussasse.

Sorridendo entrambi con aria divertita, l’uomo le offrì il braccio dopo averla lungamente osservata con apprezzamento e, nel condurla ai piani inferiori, le confidò: “Siete davvero splendida, così vestita e, pur se comprendo i motivi delle gramaglie, vorrei davvero smetteste di portare i colori del lutto.”

“Vi prometto che, con il sopraggiungere della primavera, non li indosserò più” gli concesse lei, radiosa dinanzi al suo sguardo speranzoso.

Nel trovare William sulla porta d’ingresso, il frustino in una mano e mantello e tuba di Christofer nell’altra, Kathleen salutò il fratellastro con un sorriso e disse: “Torneremo nel primo pomeriggio, non preoccuparti.”

“Sei con tuo marito, perciò sono tranquillo. A ogni buon conto, ho messo un fucile carico e alcune munizioni, sul calessino. Non si sa mai” le confidò lui, sorridendole generosamente prima di rivolgersi al cognato e passare all’uomo l’occorrente per la giornata. “Bess ha preparato cibo per un reggimento, perciò avrete l’imbarazzo della scelta, ma voglio avvertirvi. Sebastian ha detto che entro sera giungerà un fronte nevoso, e sapete che raramente si sbaglia.”

“Saremo di ritorno per tempo, te lo prometto. E grazie” affermò Christofer, lasciandosi aiutare dalla moglie a indossare il mantello.

La stessa cortesia la concesse a lei e, con mani solo leggermente esitanti, le allacciò gli alamari fin sotto alla gola, dove si concesse una lieve carezza rubata.

Non era il caso di amoreggiare nel bel mezzo dell’entrata, e sotto gli occhi di William, per giunta.

L’attendente fece finta di nulla, fissando un punto indefinito sulla parete opposta e Christofer, con un mezzo sorriso, aprì il portone e disse: “A più tardi.”

“Buona giornata a entrambi” disse loro William, ammiccando alla sorella prima di allontanarsi.
 
***

Il lago ghiacciato risplendeva sotto il sole e, quando Christofer fermò il calesse nei suoi pressi, sospirò compiaciuto.

La neve caduta in quei giorni, grazie al freddo notturno, si era compattata, formando uno strato abbastanza solido per potervi camminare sopra senza fallo.

La luce del giorno, poi, faceva risplendere ogni cosa e, nello scendere con l’aiuto del marito, Kate non poté che dire: “E’ tutto magnifico. Sembra di essere circondati da migliaia di diamanti.”

“Speravo vi sarebbe piaciuto” ammise lui, estraendo dal calessino il necessario per dipingere. “Perché voi sarete la mia musa, oggi, e tutto deve essere perfetto.”

Kathleen lo gratificò di un dolce sorriso e di una carezza sul viso, cui lui rispose con un bacio, appena sopra il polso dell’amata.

“Ditemi… dove dovrei mettermi?” gli domandò a quel punto lei, ammiccando.

“Vi direi tra le mie braccia, ma sarebbe difficile ritrarvi, a quel punto” ironizzò il marito, facendola ridere.

Era così bello sentirla così spensierata e felice, così libera da freni e paure.

Al solo pensiero di averla quasi persa a causa di Peter, Christofer fremette.

Se e quando lo avesse trovato, si sarebbe premurato di sistemarlo una volta per tutte.

Nel frattempo, però, avrebbe gustato della compagnia della moglie e dell’amore nato tra loro, nonostante le difficoltà sorte a dividerli.

Camminando leggiadra sulla neve, Kathleen scelse infine un tronco caduto e, dopo aver spazzolato un po’ la corteccia, vi si accomodò, aprendo le ampie gonne dell’abito.

Approvandone la scelta, Christofer sistemò abilmente il cavalletto e, dopo aver preso in mano pennello e colori, iniziò la sua opera.

Kathleen chiacchierò per tutto il tempo, cercando di muoversi il meno possibile mentre il marito, abile e veloce, tratteggiava lo sfondo e le sue forme.

Timidi uccellini cantavano in sottofondo, mentre un lieve stormire di rami si accompagnava a quella giornata tranquilla.

Quando il sole iniziò a reclinare, la coppia si fermò per un breve pranzo a base di pollo arrosto, cipolle in agrodolce e pane di segale, cui accompagnarono del buon vino.

Christofer stentava quasi a credere di poter stare così bene con Kathleen, ripensando a cosa – e quanto – fosse successo dal suo ritorno a casa.

La morte di Andrew pesava ancora su entrambi ma, ora che potevano condividerla pienamente, era più facile averne ragione.

Inoltre, l’aver scoperto l’amore dentro di sé, rendeva ogni attimo, ogni respiro più piacevole, più completo.

Andrew aveva avuto ragione, dopotutto.

Gli era bastato conoscere veramente sua sorella, e non basarsi solo su molti pregiudizi e tanta rabbia a far da contraltare, per innamorarsene.

Il suo carattere indomito, la sua dolcezza innata, velata da una buona dose di cocciutaggine, la rendevano una donna unica e quanto mai piacevole.

Amava il modo in cui gli parlava, senza sentirsi minimamente a disagio con lui, come se fossero sempre stati così intimi, così teneramente coinvolti.

Più ancora, apprezzava i suoi consigli, le sue opinioni, le sue prese di posizione.

Se i suoi fittavoli gli erano ancora così fedeli, in gran parte era merito suo.

Sì, Kathleen era davvero una donna unica, e lui l’amava.

Allungandosi per darle un bacio leggero sulle labbra, mormorò: “Vi amo, mia bella Katie.”

“Fa piacere sentirselo dire” ammise lei, carezzandogli la guancia prima di lasciarsi andare a un gesto più sensuale, inusitato per lei.

Le dita scesero lungo la mascella, indugiando un attimo sulle sue labbra prima di scendere lungo il suo collo, lasciato libero dal colletto della camicia, ora slacciata.

Christofer rimase perfettamente immobile, lasciando che lei terminasse ciò che aveva cominciato, pur sentendosi molto prossimo a cedere.

Se fosse scesa a sfiorargli il torace, avrebbe sicuramente perso la sua battaglia per il dominio di se stesso.

Come presagendolo, Kate immobilizzò le dita sul suo plastron, slegato malamente e decisamente stazzonato.

Accarezzandoglielo, lei sorrise e disse: “Se vi vedessero ora, penserebbero che siete davvero disordinato, per essere un conte.”

“Al diavolo gli altri. Ho chi voglio al mio fianco, uno scorcio di natura spettacolare e le vostre labbra da divorare. Chi può dire di essere più fortunato di me?”

“Nessuno” sussurrò lei, afferrando il plastron con la mano per attirarlo a sé.

Un’altra cosa che Kathleen non aveva mai fatto.

Christofer si sentì incendiare il corpo, al suo tocco e, quando avvertì le sue ritrosie venire meno, cominciò a sperare.

A sperare che i suoi fantasmi fossero scomparsi, che il suo passato non la tormentasse più.

Che il loro futuro potesse finalmente ripartire da zero.

Un vento inclemente, però, li sorprese, levando le cappe fino a farle sbatacchiare contro i loro volti, separandoli per il gran ridere.

Rimettendo a posto il proprio mantello, Kathleen levò lo sguardo verso l’alto e, nel notare le nuvole cupe avvicinarsi leste, esalò: “Temo che la nostra uscita possa dirsi conclusa!”

“Credo anch’io!” esclamò Christofer, levandosi in piedi per raggiungere i suoi dipinti.

Kathleen lo aiutò a recuperare il tutto, sistemando poi le tele al sicuro, protette da una cerata.

Dopo aver sistemato anche il cesto con le vivande, salì in fretta sul calessino e, nel sorridere a un accigliato marito, celiò: “Pensavate davvero che avessi bisogno del vostro aiuto, per salire e scendere?”

“Affatto, mia cara, ma mi avete appena tolto un piacevole interludio” replicò Christofer, usando le briglie per guidare il cavallo verso casa.

Lei si limitò a sorridere maliziosa e, per tutto il resto del viaggio, scrutò pensierosa il cielo, torcendosi le mani come se qualcosa la impensierisse.

Il marito non si preoccupò troppo, poiché non era successo nulla di veramente strano, quel giorno, perciò le preoccupazioni della moglie dovevano essere rivolte al tempo.

Tempo che si premurò di rovinare loro l’arrivo a Green Manor.

Quando varcarono infine i confini della villa, nevicava da ormai un’ora e, poiché avevano usato il phaeton – sprovvisto di cappottino – , si ritrovarono a scendere pressoché zuppi.

Le cerate erano servite per proteggere i dipinti e, per nessun motivo al mondo, Kathleen aveva voluto togliere loro quella preziosa protezione.

Lasciate infine le briglie agli stallieri, che li fissarono con espressioni sgomente, Christofer prese in braccio la moglie e, ridente, si avviò verso le cucine.

Stavano ancora ridendo, quando fecero irruzione all’interno, bagnati e gocciolanti.

Le domestiche strillarono di sorpresa mentre la capocuoca, Mrs Kerew, si avvicinò  loro, esclamando: “Signore Iddio, ma che vi è successo? Colette, Maureene, presto! Due teli per le loro signorie, forza, svelte!”

Poi, rivolta ai suoi datori di lavoro, ordinò: “Su, bambina, avvicinatevi al fuoco. Vostra signoria, per favore, anche voi. Non vorrete buscarvi un’infreddatura, spero?”

Assentendo alla donna, Christofer depose a terra una ridente Kathleen che, accettando di buon grado il telo che Colette le passò, disse: “Credo di aver bisogno di un bagno caldo. E’ possibile averne uno?”

Mrs Kerew batté le mani e, subito, due valletti partirono di corsa per predisporre le vasche per i loro signori.

In quel mentre, Gwen fece irruzione in cucina, sicuramente avvertita da un membro della servitù e, dopo aver preso sottobraccio la padrona, disse sollecita: “Ora penserò io a voi, milady. Toglieremo subito questi abiti bagnati.”

Ciò detto, lanciò un’occhiata gelida all’indirizzo del conte, come se la colpa del tempo inclemente fosse da imputare solo a lui.

Christofer, però, non si premurò di riprenderla. In fondo, sapeva bene che Gwen stava solo pensando a proteggere la sua dolce padrona.

Dopotutto, Kathleen si era appena ripresa dal ferimento e, di certo, non aveva bisogno di ammalarsi.

Però, quel giorno, tutto era stato così speciale, così bello… e Kathleen gli era parsa così libera dalle sue consuete paure!

Sì, era valsa la pena di essersi bagnati fino all’osso.

Con un risolino, salutò le domestiche in cucina e si diresse a grandi passi verso i piani alti, zoppicando leggermente.

Il freddo non faceva bene neanche a lui, ma anche questo non importava, quel giorno.

Quel giorno, tutto era perfetto.
 
***

Sorridendo a se stessa nell’osservarsi allo specchio, Kathleen sospirò grata, quando Gwen cominciò a pettinarle i capelli umidi.

Un bagno caldo era stato un autentico toccasana, dopo tanto freddo e, ora che poteva rilassarsi nella sua vaporosa vestaglia di velluto verde smeraldo, non poteva essere più felice.

O meglio, avrebbe potuto se…

Un quieto bussare alla porta di comunicazione con la stanza del marito la fece sussultare e, sorridendo a Gwen, mormorò: “Puoi andare, grazie.”

“Mia signora…” assentì la donna, ammiccando complice.

Levatasi in piedi, Kathleen disse: “Venite pure, Christofer.”

La porta si aprì e fece la sua comparsa il marito, in vestaglia da camera a sua volta.

Aveva i piedi nudi e camminava sui tappeti con passo tranquillo, quasi trasognato.

Kathleen cercò di non badare ai polpacci nudi, così come al torace, messo in evidenza dalla vestaglia lasciata quasi del tutto aperta.

“Come vi sentite, mia cara?” domandò Christofer, guardandosi intorno con aria curiosa.

In effetti, erano state poche le volte in cui si era trovato lì in circostanze tranquille, o anche solo lontanamente normali.

“Molto bene. E voi? Vedo che siete piuttosto… discinto” mormorò lei, accennando un sorrisino.

Christofer si guardò subito e, sistemando il nodo alla vestaglia, replicò: “Chiedo venia. Non me n’ero reso conto.”

“Nessun problema” asserì a quel punto Kathleen, scrollando le esili spalle.

Avvicinandosi un poco a lui, che si era fermato nei pressi del letto, aggiunse: “Volevate parlare, mio signore?”

“Tra le altre cose” mormorò Christofer, chinandosi per darle un bacio sulla guancia. “Profumate di rose.”

“Il sapone” sussurrò lei, reclinando il capo all’indietro quando la sua bocca le mordicchiò la mascella.

“Buono.”

“Mm-mh” mormorò ancora Kate, lasciando che le sue mani indugiassero sul velluto della vestaglia di lui.

Christofer la attirò più vicina, i seni contro il suo torace, e solo il velluto a dividerli.

La bocca gli scese sul collo lungo e levigato, mentre le dita di lui aprirono un poco la vestaglia, mettendo in evidenza le clavicole e la base della gola.

La moglie, allora, emise un mugolio indistinto e lui, bloccandosi immediatamente, mormorò: “Devo smettere, Katie?”

Per tutta risposta, lei affondò le mani sotto il bordo della vestaglia, allargandola sotto le sue dita per aver pieno possesso del suo torace.

Christofer ansimò al suo tocco e, quando la bocca di lei si posò alla base della sua gola, pensò di crollare a terra.

“Scusate… io…” mormorò, scostandosi da lui per fissarlo contrita. E paonazza in viso.

“Non scusatevi mai, Katie. Mai. Io sono vostro, e qualunque cosa vogliate, o desideriate provare, potete farlo” replicò lui, sorridendole nell’accarezzarle il viso con lo sguardo e il dorso di una mano.

“Oggi è stato tutto splendido…” sussurrò allora lei, continuando a baciarlo teneramente, mordicchiando leggermente le sue clavicole. “… e io mi sentivo così bene, in quella foresta. Così libera! Non avevo paura.”

Sollevando il viso per guardarlo con occhi colmi di fuoco, aggiunse: “Non avevo paura perché voi eravate con me.”

“Non vi lascerò mai sola, Katie” le promise Christofer.

“Lo so. Ora lo so” assentì lei, allargando ulteriormente la vestaglia.

Ansò leggermente, trovandolo nudo sotto di essa, ma non si allontanò, non lasciò che le antiche paure la sopraffacessero.

Guardò suo marito forse per la prima volta, in modo completo, senza timori o pudori virginali.

Le sue mani indugiarono sui fianchi snelli, scivolando poi sull’addome piatto e teso.

Lui rimase fermo, trattenendo i fiato per il terrore di spaventarla, ma lei non tremò, non cedette.

Mordendosi il labbro inferiore, Kathleen mormorò dubbiosa: “Sembra… piuttosto imponente.”

Suo malgrado, Christofer rise e, guardandola con occhi divertiti, replicò: “Mi lusingate, mia signora. Ma non dovete temere che io possa farvi male. Non più.”

Lei annuì, ma il dubbio rimase così il marito, avvolta la sua vita con un braccio, la sospinse fino al letto, facendola distendere.

Un bottone alla volta, slacciò la sua vestaglia e, sempre sorridendole, depose un bacio sulla sua candida pelle per ogni nuova conquista.

Poco alla volta, Kathleen si sentì sciogliere sotto quella dolce tortura e, rammentando le parole del marito, comprese.

Era questo, quello che aveva inteso dire una volta, parlandole di ciò che le aveva tolto, la prima notte di nozze.

La scoperta, il dolce avvicinarsi, le tenere carezze, i baci lievi.

Quando anch’ella fu nuda dinanzi a lui, Christofer trattenne il fiato, ammaliato.

Sì, la gravidanza e la maturità avevano conferito morbidezza alle sue forme, rendendola ancor più bella.

Carezzandole i seni con le mani, li trovò perfetti per lui e, con reverenziale timore, ne baciò i capezzoli.

Kathleen, sotto di lui, tremò.

“Sì, Katie, abbandonatevi. Lasciate che vi guidi verso il piacere. Non è solo dolore, credetemi” mormorò lui, continuando nelle sue lente carezze.

Le avrebbe reso indietro tutto ciò che le aveva tolto un tempo e, poiché l’amava, le avrebbe dato tutto di sé, e anche di più.

Mentre la bocca si occupava dei suoi seni, la mano provvide a darle piacere nella sua intimità, facendole scoprire sensazioni nuove, mai provate.

Dimenandosi sotto di lui, Kathleen lo carezzò sulle braccia, tra i capelli e, più volte, richiese come pegno un bacio.

Christofer le concesse ogni cosa e, quando la ritenne pronta, si pose sopra di lei e, lentamente, la penetrò.

Kathleen ansò, fissandolo con occhi sgranati e sorpresi e, quando lui prese a muoversi, il suo sorriso si fece radioso.

Non era mai stato così, prima!

Quello che Myriam le aveva detto, tra un sorrisino e un rossore copioso, era dunque vero!

Quell’onda dilagante che, sempre più forte, ti portava via, era dunque la verità più pura tra tutte!

Adeguandosi naturalmente al ritmo del marito, Kathleen lo afferrò alle spalle e, solo per un attimo, venne presa dal dubbio.

“Christofer… la vostra gamba…”

“Ssst, lei sta bene. Noi stiamo bene, Katie, e voi siete meravigliosa” mormorò lui, accentuando le spinte.

Lei ansimò, reclinando all’indietro il capo quando il piacere crebbe, si fece fuoco e la inondò completamente.

Il ritmo aumentò, si intensificò e, quando le parve di morire, eruppe in un grido liberatorio, cui seguì quello del marito.

Mai, mai avrebbe pensato che, donandosi all’amata, quell’atto di cui, scioccamente, aveva pensato di conoscere tutto, avrebbe potuto diventare unico, incredibile.

Adagiandosi al suo fianco, ansante e soddisfatto, le sorrise fiducioso e, carezzandole il ventre bollente, esalò: “Come state?”

Kathleen si limitò a guardarlo, le lacrime agli occhi, e mormorò: “Grazie. Grazie.”

Christofer allora la avvolse nel suo abbraccio e Kathleen, stringendosi a lui, lasciò che quello sfogo proseguisse per non turbarla mai più.

Lui continuò a baciarle i capelli, a ripeterle che l’amava e, quando la crisi passò, la moglie sussurrò: “Ora sto bene. Ed è stato meraviglioso.”

Christofer la osservò sornione e, nel carezzarle un fianco, mormorò: “E questo è solo l’inizio.”

Kathleen lo fissò scettica, non credendo possibile potesse esistere piacere più grande di quello appena provato.

Il marito, però, si divertì un mondo a smentirla.







Note: Ho pensato che questo interludio avrebbe potuto farvi piacere, visto quanto abbiamo dovuto patire fino a ora.

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Capitolo 16
*** XVI. ***


6.
 
 
 
 
La primavera giunse con i suoi profumi, le piogge frequenti e gli arcobaleni misti a nubi dai colori plumbei e funesti.
 
Le strade erano in grado di diventare autentiche paludi, così come stagni rinsecchiti e rugosi.
 
Colline e prati si tinsero di verde e oro, mentre la vita a Green Manor procedeva senza scossoni.
 
Rientrato a Eton per terminare gli studi, Wendell scriveva regolarmente a casa, lagnandosi della lontananza da casa e dei troppi compiti.
 
Su richiesta stessa di Kathleen, Christofer aveva comunque deciso di ritirarlo con il finire dell’anno scolastico.
 
Avrebbe proseguito gli studi a casa, con precettori privati.
 
Quel poco che rimaneva degli Spencer, avrebbe dormito sotto lo stesso tetto, da quel momento in poi.
 
Per quanto non vi fossero più notizie di Peter Chappell da mesi – forse, era espatriato, o morto in un canale, Christofer non lo sapeva – preferiva non correre rischi.
 
Un coltello nella notte, così come del veleno nella ciotola di porridge, non erano sistemi così inusitati per far perire una persona indesiderata.
 
Già essere un cadetto, non era semplice. Avere anche un nemico alle spalle, che si nascondeva abilmente tra le ombre, era peggio.
 
Forse, Christofer esagerava in prudenza ma, visto ciò che l’ex dragone di Sua Maestà era stato in grado di fare, ogni sua azione non gli pareva esagerata.
 
Nel sistemare l’ennesimo incartamento nell’apposita carpetta, Christofer si stirò le lunghe braccia prima di alzarsi dalla poltrona.
 
Sorridendo sghembo nello scrutare il suo bastone nell’angolo dello studio, tornò col pensiero ai suoi primi mesi di ritorno dal mare.
 
Gli era parso che nulla potesse andare per il verso giusto, e che il suo destino fosse di vivere nel dolore.
 
Invece, il Fato aveva posto sul suo cammino l’unica persona in grado di renderlo veramente felice.
 
Kathleen si era dimostrata una compagna divertente, maliziosa e piena d’iniziativa.
 
Non solo non si era mai mostrata pudica in camera da letto – cosa che lo aveva deliziato – ma era stata ben lieta di soddisfare i suoi appetiti…  e i propri.
 
Sulle prime, Christofer non si era trovato molto a suo agio, nel chiederle tanto ma, dopo le iniziali reticenze, si era man mano lasciato andare con lei.
 
Sapeva sempre come stupirlo, questo era fuor di dubbio.
 
Passandosi una mano sul torace, Christofer stirò le labbra per il dolore quando sfiorò uno dei graffi freschi lasciatigli dalla moglie.
 
La notte precedente erano stati particolarmente focosi, quasi Kathleen volesse dimostrare qualcosa.
 
Di sicuro, lui non aveva disdegnato quel suo prendere l’iniziativa.
 
Anche se ora il petto gli doleva alquanto.
 
E parlando del diavolo…
 
Sorridendo spontaneamente quando scorse sulla collina vicina le figure di tre cavalieri, si mosse per uscire dallo studio.
 
Quando, però, notò il passo tranquillo con cui Thunder stava rientrando alla villa, si accigliò.
 
E da quando Kathleen non lo lanciava al galoppo sfrenato?
 
Erano più le volte in cui lui la redarguiva per gli eccessivi rischi presi, di quelle in cui lei riusciva a non farlo morire di paura.
 
Quindi, cos’era quella novità?
 
Muovendosi lesto, uscì dallo studiolo per raggiungere le scale e, divorati i gradini sotto di sé, raggiunse in fretta una porta secondaria che dava sul cortile.
 
Lì, attese impaziente il loro rientro e, quando le tre cavalcature oltrepassarono i cancelli, Christofer non seppe più aspettare.
 
Si mosse verso di loro, attirando l’attenzione del cavallo di Kathleen che, nitrendo, allungò il passo fino a fermarsi nei pressi del conte.
 
A quel punto, Christofer impallidì e, sfiorando una gamba della moglie, esalò: “Dio, tesoro, ma cos’avete?”
 
Lei tentò di sorridere, ma il suo colorito verdognolo non tranquillizzò affatto il marito, che si affrettò a farla scendere.
 
Kathleen accettò di buon grado l’aiuto ma, invece di rimanere accanto al marito per fornirgli informazioni, corse via fino alla prima aiola… e diede di stomaco.
 
Ora terrorizzato, Christofer lanciò un’occhiata inferocita a William, che se ne stava al fianco di Zeus senza battere ciglio.
 
Uguale sorte subì lo stalliere che li aveva accompagnati – Paul – che, come William, stava osservando il proprio datore di lavoro con aria quasi divertita.
 
“Ma che vi prende?!” sbottò l’uomo, raggiungendo in fretta la moglie.
 
Kathleen, però, levò un braccio per fermarlo e, con voce gracchiante, borbottò: “Sto bene, tranquillo. Non morirò di certo per un po’ di nausee.”
 
“Nausee? Ma se non avete mangiato che un frutto e poco altro, a colazione! Non capisco cosa…” cominciò col dire Christofer, prima di lanciare una seconda occhiata ai suoi due dipendenti.
 
William e Paul si erano fatti più vicini, attenti a intervenire se necessario, ma non particolarmente ansiosi o preoccupati.
 
Quindi, era…
 
Impallidendo maggiormente, Christofer esalò: “Siete… incinta?”
 
“Ne avevo il sospetto” assentì la moglie, pulendosi la bocca con un fazzoletto prima di rimettersi diritta.
 
Sorrise tranquilla al marito, che ora non aveva un aspetto del tutto salubre, e chiosò: “Ci sono già passata, ricordate? Oh, no, in effetti, no… eravate già partito, quando scoprimmo che ero rimasta incinta, perciò…”
 
Christofer non la lasciò finire.
 
La prese in braccio, facendola strillare per la sorpresa e, furioso come una serpe, esclamò: “E voi ve ne andate in giro per la campagna, con mio figlio nella pancia, come se niente fosse?! Devo forse rammentarvi cos’è successo la prima volta?!”
 
Incurante delle occhiate sconvolte della servitù, il conte condusse su per le scale la moglie, seguito a pochi passi da un silenzioso William.
 
Abbaiando ordini al primo valletto che trovò sulla sua strada, si fece aprire la porta delle sue stanze e, una volta lì, depositò Kathleen sul letto.
 
Christofer la scrutò ansioso, forse cercando segni di un qualche genere di sofferenza, ma nulla trovò se non un sorrisino indulgente.
 
Sulla porta, si udì un quieto bussare e, volgendosi a mezzo, il conte scorse William.
 
“Entrate, e chiudete la porta” brontolò Harford, mentre un paziente William faceva come ordinatogli.
 
“Sicura di stare bene?” mormorò ancora Christofer, sfiorando il viso della moglie con il dorso della mano.
 
“Marito caro, respirate a fondo, sedetevi e poi respirate di nuovo. Sembrate sul punto di svenire” replicò la moglie, sistemandosi meglio contro i cuscini del letto.
 
Lui fece come consigliatogli e William, raggiuntili, asserì: “Mi sembri più salubre, ora.”
 
“Dare di stomaco aiuta. E dire che avrei dovuto saperlo, di non dover mangiare i panini dolci. Anche l’altra volta, non riuscivo a tenerli nello stomaco” si lagnò Kathleen, come se nulla fosse.
 
Christofer li fissò arcigno per diversi attimi prima di sbottare.
 
“Come potete parlare con così tanta calma di ciò che è successo?! Stavate male!”
 
“Vuoi spiegare a mio marito come mi sentivo le settimane precedenti l’aborto, William? Temo che, se glielo dicessi io, non mi crederebbe.”
 
“Come desideri, Kathleen” assentì il fratellastro, sorridendole. “Devi sapere, Christofer, che Kathleen è stata male tutto il tempo. Riusciva a stento a uscire dalla sua stanza. Nessuno si è sorpreso del suo aborto, pur se tutti speravamo che non succedesse.”
 
Pacificato solo in parte dal racconto dell’uomo, il conte tornò a scrutare la moglie che, in effetti, aveva recuperato un bell’incarnato roseo e fresco.
 
“Quindi… ora state bene?”
 
“Così bene che vorrei un po’ di tè e qualche fetta di torta al limone. Anzi… William, puoi chiedere a Bess se, per cena, può prepararmi del pan di zenzero e qualcosa di acidulo? A lei la scelta.”
 
“Nessun problema” assentì William, salutando entrambi prima di allontanarsi dalla stanza.
 
Rimasti soli, i due coniugi si scrutarono vicendevolmente per alcuni secondi.
 
Fu Kathleen a muoversi per prima.
 
Aprì le sue braccia per Christofer e, nell’accoglierlo nel suo abbraccio, mormorò: “Non dovete spaventarvi così… è normale che io sia un po’ sottosopra.”
 
“Non ho affatto badato al tempo che passava. Scusate” replicò lui, baciandole la punta del naso.
 
“Neppure io, se è per questo, ma avrei dovuto capirlo dal dolore ai seni. Anche se, a onor del vero, quello poteva dipendere dalle nostre attività notturne” lo prese in giro lei, facendolo sorridere divertito.
 
“Quindi, avete idea di quanto siate?”
 
“Non di sicuro, ma direi di un mese, un mese e mezzo. Al massimo due. Potrei anche essere rimasta incinta subito dopo il nostro primo rapporto, ma non è detto” gli spiegò analitica, tamburellandosi un dito sul mento con fare pensoso.
 
“Chiameremo il dottor Wilson, e lui saprà dirci qualcosa di più preciso” le propose, sollevandosi a sedere, già pronto a muoversi per darle tutto il necessario.
 
Kathleen, però, lo trattenne e, sorridendo timida, gli domandò: “E… e se non fosse un maschio? Che direste?”
 
Lui scoppiò a ridere, le diede un bacio sulla bocca timorosa e chiosò: “Se sarà come voi, avrà vita dura. La terrò rinchiusa in una torre, lontana dagli sguardi lascivi degli uomini fino ai… trent’anni o giù di lì. Il pensiero che qualcuno la tocchi come io faccio con voi… no, non voglio neppure pensarci.”
 
“Ma succederà” lo mise in guardia lei, sorridendo divertita.
 
“Giammai! Non con me come padre! Le troverò io un uomo degno di lei e, prima di farli sposare, detterò a costui patti così rigidi che non si sognerà neppure di notte di torcerle un capello, o di non farla felice come merita” replicò lapidario il marito, andandosene per raggiungere la porta.
 
“Una figlia non potrebbe avere padre migliore” motteggiò Kathleen, mentre Christofer le sorrideva nell’uscire.
 
Nelle tre ore successive, Green Manor fu in totale subbuglio e, quando finalmente il medico uscì dalla camera padronale, si ebbe il responso.
 
La contessa era in effetti incinta e, con tutta probabilità, di almeno un mese e mezzo.
 
Se tutto fosse andato secondo natura, nel mese di ottobre sarebbe risuonato il vagito di un neonato, entro quelle mura.
 
Christofer fu così lieto della notizia che diede a tutta la servitù la serata libera, perché festeggiassero come desideravano la lieta novella.
 
In molti, comunque, preferirono rimanere a palazzo per essere a disposizione della coppia e, quando Bess portò in prima persona il pan di zenzero alla contessa, la donna le disse: “Ci ho messo anche un po’ di cannella. Se non ricordo male, la reggevate bene.”
 
“Sì, avete una memoria ferrea, Bess” assentì Kathleen, ringraziandola con un sorriso.
 
“Ancora felicitazioni a entrambi” mormorò la cuoca, sorridendo alla coppia, prima di defilare.
 
Whilelmina, accomodata su una poltroncina negli appartamenti del figlio, dichiarò: “Sei così solare, figliola, che supererai i primi tre mesi senza neppure accorgertene.”
 
“Sono già a metà strada, dopotutto” chiosò Kathleen, addentando famelica il pan di zenzero.
 
Un attimo dopo, mugolò e, subito, Christofer domandò: “Non vi piace?”
 
Kathleen, allora, sospirò e, nell’allungargli un pezzo di pan di zenzero, borbottò: “Mugugnavo per il piacere. Christofer, davvero, non vorrete farvi venire un infarto tutte le volte che sospiro, spero?”
 
Accigliandosi, il marito replicò fosco: “Chiedo venia, mia signora, ma io non posso sapere come vi sentite. Non sono io a essere incinta.”
 
La moglie sorrise divertita e, scambiata un’occhiata sorniona con la suocera, celiò: “Non credo che gli uomini potrebbero sopravvivere a tanto.”
 
“No, cara. C’è un motivo se la Natura ha concesso a noi un simile dono” assentì la contessa madre, sorridendo indulgente al figlio.
 
“Siate serie, per favore!” sbottò il conte, fissandole entrambe con riprovazione.
 
Kathleen e Whilelmina, allora, esplosero in una risata gaia e Christofer, vistosi sconfitto, si scusò con entrambe e uscì dalla stanza.
 
Contro due donne coalizzate, era impossibile spuntarla!
 
Raggiunto che ebbe le stanze di William, nell’ala della servitù, bussò un paio di volte e, quando l’uomo aprì, domandò: “Ti va di bere qualcosa con me?”
 
“Scacciato dalla tua stessa stanza?” domandò William, sorpreso.
 
“Fuggito a gambe levate da due donne irresponsabili” replicò Christofer, spazientito.
 
William allora rise sommessamente, uscì dalla stanza e, assieme al conte, si diresse in cucina, dove i locali apparivano stranamente tranquilli.
 
Lì, l’attendente prese un paio di bicchieri, una bottiglia di brandy e, dopo averne servito per entrambi, mormorò: “A voi e al vostro bambino.”
 
Christofer accettò il brindisi e, con un tintinnare di bicchieri, entrambi gli uomini si scolarono il brandy.
 
Servitosene un secondo, il conte borbottò: “Io cerco solo di rendermi utile. Dopotutto, la prima volta che successe, ero in mare. Questa volta, sono qui, e voglio essere una spalla, per lei. Eppure, loro mi prendono per i fondelli.”
 
“Si rallegrano perché tutto sta andando bene, Christofer, non perché desiderino prendersi gioco di te. Credimi, Kathleen non era neppure lontanamente così forte e sana, la volta scorsa. Non l’avresti riconosciuta. Per questo, siamo tutti così rilassati” lo rincuorò William, bissando a sua volta con il brandy.
 
“Fu così brutta?” gli domandò il conte, tremando al solo pensiero.
 
William si fece serio, a quella domanda, e assentì.
 
“Fu angosciante vederla così debole e fragile, e non poterle stare accanto quanto avrei voluto. Avrei voluto vegliare su di lei notte e giorno, confortarla… ma non mi era permesso dal mio status di attendente.”
 
Nel dirlo, sorrise mesto, e Christofer imprecò.
 
Era un tale scorno che, un giovane così valente e intelligente, non potesse reclamare il suo posto all’interno della società.
 
Molti figli illegittimi erano stati riconosciuti dai propri genitori altolocati, e a loro erano stati concessi possedimenti o cariche militari.
 
Nel caso specifico, però, non sarebbe venuto nulla, da Barnes.
 
Se, anzi, fosse venuto a conoscenza della reale identità dell’attendente della figlia, sarebbe successo un disastro.
 
No, da quel frangente sarebbero giunti solo guai.
 
Però, quanto a lui…
 
Levando il viso a scrutare il cognato, Christofer mormorò: “Sei sicuro di poter sopportare di rimanere nella servitù a vita? Dopotutto, sei figlio di un barone. Potrei destinarti un terreno poco fuori York, con una piccola tenuta da mandare avanti. Sarebbe più che dignitoso e…”
 
Interrompendolo con un cenno della mano, William replicò: “Sei generoso, ma no. Non desidero né possedimenti, né denaro. Andrew mi ha destinato una rendita più che generosa, che non spenderei in una vita intera, e Kathleen destina parte della sua rendita a mia madre. Entrambi i miei fratelli sono stati più che generosi con me. Io desidero solo stare al fianco di Katie, e vederla felice.”
 
“Potrei, però, farti conoscere alcune signorine del contado che potrebbero piacerti. Passi davvero troppo tempo, chiuso qui dentro, e non è giusto che sacrifichi la tua vita per Kathleen. Sono figlie di vicari, molto acculturate e di buona famiglia, e…” tentò ancora Christofer e, ancora una volta, William lo interruppe.
 
Con un sorriso carico d’affetto, l’attendente replicò: “Non ho bisogno di un sensale, Christofer, davvero.”
 
In quel mentre, Bridget, una delle cameriere, entrò in cucina con un vassoio e, nel vederli seduti in fondo a un tavolo si bloccò.
 
“Vostra Signoria… William… scusate il disturbo, ma le loro Signorie hanno chiesto altro tè e pasticcini” mormorò la giovane, sorridendo contrita.
 
“A mia moglie è venuta fame?” domandò allora il conte.
 
“Biscotti al limone. Solo cose asprigne, d’ora innanzi” assentì la domestica, sorridendo allegra nel riempire un piattino a fantasie fiorate.
 
Messo il bollitore sul fuoco, Bridget si mosse veloce per recuperare altre due tazze pulite e, nel passare a fianco del tavolo dei due uomini, storse il naso.
 
“Brandy, William? Quando esiste il buon whisky scozzese che fa mio padre?” brontolò bonaria la giovane, requisendo la bottiglia per farla sparire.
 
Armeggiando con uno stipetto a muro, la giovane consegnò loro una bottiglia senza etichetta e mormorò: “L’ideale per festeggiare. Fu messo nelle botti il giorno della vostra nascita, Vostra Signoria.”
 
“Invecchiato alla perfezione, allora” motteggiò Christofer, ringraziandola per la cortesia.
 
Con una riverenza graziosa e un sorriso, la cameriera defilò per tornare alle sue mansioni e William la seguì con lo sguardo per alcuni attimi, prima di servire il whisky.
 
Quando furono nuovamente soli, diversi minuti dopo, il conte mormorò: “Forse ho capito perché non desideri il mio aiuto, in fatto di donne.”
 
L’attendente scoppiò in una gaia risata e, scrollando le spalle, replicò: “Non vederci più del dovuto. Bridget è molto giovane.”
 
“Ha ventidue anni, mentre tu ventisette, se la memoria non m’inganna. Non saresti affatto un molestatore, se le chiedessi di uscire, una di queste volte. Kathleen è al sicuro, con me. Non devi congelare la tua vita per pensare solo a lei.”
 
“Pensi stia facendo questo?” mormorò William, fissando lo sguardo in quel liquido ambrato e dall’aroma eccezionale.
 
“Penso che tu l’ami molto, ma ciò ti impedisce di darti il tempo necessario per vivere anche la tua vita. Sei a sua totale disposizione, a volte fin troppo” ammise Christofer. “Concedi a te stesso la possibilità di una vita felice.”
 
William gli sorrise sghembo e, nel rigirare il whisky nel bicchiere, asserì: “Sai che Bridget volle imparare a sparare a sua volta, quando insegnai a Kathleen?”
 
“E come mai?”
 
“Per poter difendere la sua signora” sorrise l’attendente. “E’ così facile amarla, Christofer! Non è un peso, per me, sacrificarmi per mia sorella.”
 
“Ma non ve n’è più bisogno… ora sei libero. Proteggeremo insieme Kathleen, ma questo non deve precludere che tu vivi la tua vita. Anche Kathleen ne sarebbe lieta, se sapesse del tuo interesse per Bridget. E’ una brava ragazza.”
 
“La conosci da molto?” si informò allora William.
 
Assentendo, il conte disse: “Nacque qui, e mio padre le permise di crescere a palazzo, invece di scacciare la madre. Da quel che so, era apprezzata da tutti, anche dai miei nonni, per cui, beh… fu una delle poche azioni sensate di mio padre. Che vuoi che ti dica? Forse lo fece per interesse, visto che a Bridget fu insegnato subito il mestiere della domestica e, a sette anni, già correva per i piani con lenzuola e tovaglie. Non so cosa gli passò per la testa, ma fui felice che lo fece.”
 
William sorrise, e Christofer proseguì nel racconto.
 
“Essendo più o meno d’età, la coinvolsi più volte in diversi giochi pericolosi per i corridoi, almeno finché mio padre non si trovava a palazzo. Sapevo bene che Bridget sarebbe finita nei guai, se ci avessero pescato a giocare assieme. Quando, però, iniziai a studiare a Eton e rimasi per lungo tempo lontano da casa, non potei proseguire il mio rapporto con lei come, da bambini, avevamo potuto fare.”
 
“Niente più giochi, quindi.”
 
“No. Ma è sempre stata una persona fidata, anche quando io non ero al massimo…” mormorò Christofer, con un sorriso contrito.
 
“Gioventù dissoluta?” ironizzò William, facendo ridere il conte.
 
Annuendo, l’uomo dichiarò: “Mi ritrovò più di una volta, mezzo sbronzo, sotto il melo nel giardino, o appoggiato al muro di cinta. A volte, avevo anche un occhio nero, regalo di qualche marito oltraggiato. E lei, ogni volta, mi raccoglieva e mi conduceva al riparo da sguardi curiosi. Dovrebbero farla santa!”
 
“A quanto pare, anche tu ti facevi amare…” chiosò l’attendente, atono.
 
“Oh, no… non in quel senso, William. Non ho mai visto Bridget in quel modo, e non perché è una domestica” asserì Christofer, sorridendo. “Era… una sorellina. Ecco. La definirei così. E lei mi vedeva, credo, come il fratello maggiore un po’ scemo, da dover proteggere come si può.”
 
“Era la pianta di salice piangente” mormorò una voce in fondo alla cucina.
 
Christofer e William si volsero a mezzo, sorpresi nell’udire una voce femminile e, nello scorgere il viso emozionato di Bridget, il conte esalò: “Ops. Parlato troppo?”
 
Lei scosse il capo e, nel tergersi una lacrima ribelle, sussurrò: “Non vi ho mai considerato come un… un…”
 
“Un fratello scemo?” la aiutò Harford, sorridendole.
 
“Non la seconda parte, insomma” esalò in fretta la giovane, avviandosi verso la porta. “Scusate se vi ho interrotto.”
 
In uno svolazzare di gonne, Bridget fuggì via e Christofer, sollevando il bicchiere all’indirizzo di William, asserì: “Ho idea che la mia lingua lunga ti abbia messo nelle condizioni di darle qualche spiegazione. Scusa.”
 
Scrollando le spalle, William replicò: “Probabilmente, mi chiederà il perché di tanta familiarità con te, ma non penso che Bridget si spingerà oltre.”
 
“Non sei il primo dipendente con cui uso un tono colloquiale. Questo non la può certo stupire” dichiarò con calma Christofer. “Mio padre non lo ha mai apprezzato, ma ora direi che non devo più temere il suo biasimo.”
 
“No di certo” assentì William con un mezzo sorriso.
 
Studiandolo curiosamente, il conte allora gli domandò: “E tu? Com’è stato crescere senza padre? Dove hai imparato a tirare di scherma, o a cavalcare? Me lo sono sempre chiesto, ma non ho mai avuto l’occasione di chiederti nulla.”
 
Con un mezzo sorriso di divertimento, misto a un pizzico di nostalgia, l’attendente centellinò il suo bicchiere, gli occhi fissi nel liquido ambrato, prima di mormorare: “Lord Conroy.”
 
“Il cugino di Barnes?”
 
Annuendo, William asserì: “Fu lì che il barone inviò mia madre, quando scoprì che era rimasta incinta. A quanto pare, Conroy era una persona di cui lui potesse fidarsi per… mascherare il suo peccato.”
 
“Sempre meglio che scacciarla” cercò di scusarlo Christofer, pur sapendo di non dovere nulla a Barnes.
 
“Sì, è vero. Pur essendo stato un bastardo nello sfruttare mia madre, ha per lo meno pensato a trovarle una casa” borbottò William, terminando il suo whisky. “Lasciò che mi tenesse, e io crebbi nell’ala della servitù del suo palazzo a Londra. Quando divenni abbastanza grande per fare il garzone, mi diedi da fare nelle cucine.”
 
Christofer annuì, preferendo non intervenire nel discorso. Desiderava che William si sentisse libero di scegliere se parlare, o fermarsi.
 
Ma l’uomo proseguì nel suo racconto.
 
“Lord Conroy mi prese in simpatia. Non ebbe mai figli, e sua moglie fu sempre gentile, con me. Divenni il suo lacchè, e mi insegnò a leggere e scrivere, mentre suo marito pensò a istruirmi come avrebbe fatto con suo figlio.”
 
“Ne fosti felice?”
 
“Fu strano, all’inizio, ma poi mi abituai alle loro attenzioni… al loro affetto” gli spiegò William, servendosi dell’altro whisky. “Lord Conroy era contento di me, ma sapevo che mi nascondeva qualcosa. Quando giunse Andrew, chiedendo di me, mi disse ogni cosa. Sulle prime, ne fui sconvolto, lo odiai, persino. Ma conoscendo meglio Andrew, e comprendendo quando lord Conroy detestasse ciò che il cugino aveva fatto… compresi.”
 
“Non ho mai avuto il piacere di conoscerlo, ma mi pare una persona davvero a modo” mormorò Christofer, terminando il suo liquore.
 
William assentì. “Fu difficile abbandonare la sua casa per venire qui ma, quando gli spiegai le mie motivazioni, accettò senza dirmi nulla se non buona fortuna. Mi promise che si sarebbe preso cura lui, di mia madre, e lady Conroy mi pregò di scrivere, per far avere loro mie notizie. Non potrebbero esistere due persone più buone e generose.”
 
“Concordo con te.”
 
Levandosi in piedi, William gli sorrise e disse: “Non mi importa se il mio vero padre non mi ha voluto, o se non conoscerà mai la verità su di me. Ho avuto loro, e mia madre. E ora, ho te e Kathleen. Mi basta.”
 
Annuendo, Christofer levò il bicchiere verso di lui a mimare un brindisi e, formalmente, dichiarò: “Sarò dalla tua parte in ogni caso, sia che tu decida di crearti una tua vita, che non. Mi avrai al tuo fianco sempre.”
 
William non disse nulla, ma assentì e si inchinò con eleganza, prima di allontanarsi dalle cucine deserte, forse per parlare con Bridget.
 
Rimasto solo, il conte fissò le ultime due dita di liquore nella bottiglia e, sorridendo divertito, chiosò: “E’ un peccato lasciarlo lì. Come ha detto Bridget, è di un’ottima annata.”
 
 
 
 
 
 
 
Note: Scopriamo qualcosa di più sul passato di William, venendo così a sapere come ha imparato a fare cose 'da gentiluomo'. (vedi cavalcare, saper tirare di spada, sparare con ottimi risultati, saper far di conto e leggere)
Inoltre, godiamo di un altro squarcio di gioia tra i due giovani, che scoprono di attendere un figlio. Pur se le reazioni sono contrastanti (Christofer è prima di tutto terrorizzato per le sorti della moglie, poi lieto per la novella), in casa regna la gioia.
E, assieme alla gioia, scopriamo anche la simpatia speciale che William prova per Bridget, una delle cameriere di Green Manor.
Riuscirà il nostro attendente a pensare un po' meno alla sorella per dedicarsi più a se stesso?

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Capitolo 17
*** XVII. ***


 
 
17.
 
 
 
 
 
Scrutando la valle dal bordo del calessino, il contado disteso dinanzi ai loro occhi e il sole a far loro da compagno, Kathleen esplose in una gradevole risata, esalando: “Voi… avete fatto cosa?”

“Non c’è bisogno che mi facciate notare la mia stolta ingenuità, moglie” borbottò Christofer, dando un leggero colpo di redini perché il calesse ripartisse verso York.

Asciugandosi una lacrima di ilarità, Kathleen non fu d’accordo.

“Non sto dicendo che siate stato sciocco, marito, ma la scena è alquanto buffa, se me lo permettete. Due uomini grandi e grossi, seduti di fronte a una bottiglia di whisky, a parlare di donne e amori impossibili” sorrise la contessa, lanciando un’occhiata di sfuggita al fratellastro, che procedeva poco dietro di loro, assieme a uno degli stallieri.

Entrambi erano armati e, entrambi, avevano occhi solo per il rado bosco che circondava la strada su cui stavano procedendo e che, ben presto, si sarebbero lasciati alle spalle.

“Non amori impossibili… non direi. Il mio per voi, è più che possibile” replicò Christofer, facendola sorridere. “E quello di William per Bridget, beh… a onor del vero, non ho osato chiedere.”

Kathleen si lasciò sfuggire una risatina da sotto il contorno della mano, che era premuta sulle sue labbra curvate all’insù.

Il marito la fissò accigliato, domandandole: “Voi sapete qualcosa, vero?”

“Le confessioni di una donna sono segrete, mio caro” replicò la contessa, con tono sostenuto.

“Ma io vi ho detto di cosa stavamo parlando!” sbottò Christofer, adombrandosi ulteriormente.

“Nessuno vi vietava di mantenere il segreto” sottolineò serafica Kathleen, facendo sbuffare sonoramente il marito.

“Siete impossibili, voi donne, quando vi mettete d’impegno!”

“E avete impiegato venticinque anni per comprenderlo? Vi facevo più sveglio, Christofer” motteggiò Kathleen, fissando dinanzi a sé lo sguardo, che stava sfiorando i tetti di York e le sue vie affollate.

“Non tirate troppo la corta, moglie. Potrei rivoltarvi sulle ginocchia e sculacciarvi, anche se vi amo molto” borbottò l’uomo, ghignando al suo indirizzo.

Lei non diede adito di averlo ascoltato e, nel sistemarsi il cappellino sullo chignon, asserì: “Avete detto che la sessione in Parlamento durerà fino ad agosto inoltrato, vero?”

“Non cambiate discorso!” sbottò a quel punto Christofer, facendo scoppiare la moglie in un altro accesso di risa.

E al marito non restò altro che osservarla, mentre il suo cuore faceva le capriole per la gioia, al pensiero di vederla così lieta e allegra.

Come Kathleen gli aveva preannunciato, i disturbi legati alla gravidanza erano calati fin quasi a sparire.

Grazie al cielo, non aveva più avuto alcun crollo fisico e, quando Christofer le aveva parlato del viaggio che avrebbe dovuto compiere di lì a poco, lei aveva deciso di seguirlo.

Questo avrebbe permesso a lei di vedere finalmente Londra, a William di parlare con la madre e a Christofer di prendere posto nel seggio degli Harford, in Parlamento.

E, forse, fare anche una visita al Ministero della Guerra.

Dopo Austerlitz, le mire espansionistiche di Napoleone si erano risollevate come se la battaglia di Trafalgar non fosse mai stata combattuta.

Christofer detestava pensare che la morte di Andrew non fosse servita a fermare Napoleone, e approvava il fatto che lord Grenville, il primo ministro, non volesse scendere a patti.

Il fatto di avere anche lo Zar Alessandro dalla loro parte, contribuiva a rendere più sicuri i confini inglesi, ma Christofer sapeva bene di non potersi fidare del Corso.

Quell’uomo aveva più risorse di un demonio.

Dubitava fortemente che sarebbero rimasti fuori dai conflitti ancora per molto, visto quanto le mani di Napoleone si stavano avvicinando alla Germania e alla Prussia.

Ben presto, sarebbero giunte richieste di aiuto da parte degli alleati, e il re non avrebbe più potuto procrastinare un ritorno alle armi.

Forse, non avrebbero mai dovuto abbandonare il campo di battaglia.

“Christofer…” mormorò a un certo punto Kathleen, strappandolo a quei pensieri.

“Sì, cara?” sussurrò, cercando di raffazzonare un sorriso solo per lei.

Kathleen, però, non vi cascò neppure per un istante e, nello stringere una delle mani del marito, asserì: “Non lasciare che i venti di burrasca ti facciano tornare nel tunnel in cui ti eri smarrito al tuo ritorno.”

Christofer sollevò un sopracciglio, chiaramente sorpreso da quel cambio repentino di formalità e, sorridendole, sollevò la sua mano per baciargliela.

“Non ti senti più a disagio, allora…”

“Sarebbe sciocco continuare a dare del ‘voi’ a un uomo che mi ha vista nuda, e a cui sto per dare un figlio” replicò con praticità lei, sorridendo affabile.

“Il ton non sarebbe d’accordo con te” ironizzò a quel punto Christofer, sorridendole maggiormente.

“Ne ho avuto a sufficienza di ascoltare mia madre per anni, o tua madre, per sapere che ulteriore deferenza nei confronti di mio marito potrebbe farmi venire l’orticaria” ironizzò Kathleen, ammiccando. “Ma sarò così cortese da rispettare l’etichetta, quando saremo in presenza d’altri. Ti può andare?”

“Non ho nulla da eccepire al tuo discorso, Katie. Anche se rischierò di ridere, quando ti ascolterò parlare con tono ampolloso e servile, nei salotti buoni di Londra.”

“Sono sicura che sarai così galante ed educato da contenerti” replicò lei, dandogli una pacca sulla spalla.

Scoppiando in una risatina leggera, Christofer mormorò: “Una volta di più, ho avuto la riprova che Andrew aveva ragione, dicendomi che mi saresti piaciuta, se ti avessi lasciato essere come desideravi.”

“E cioè?” gli domandò Kathleen, sorridendo curiosa.

Deponendole un bacio sulla guancia, il marito le disse: “Mi disse di lasciarti essere te stessa, e allora avresti brillato.”

Kathleen sorrise mesta a quelle parole e, annuendo, asserì: “Era tipico di Andrew, sì. Pensare che io avrei potuto interessare veramente a qualcuno, se fossi stata come il mio cuore agognava di essere.”

“E così è stato, Katie. Forse, avrei potuto impiegare meno tempo ad accorgermene, ma non ne sprecherò altro. Lo devo a te, come lo devo ad Andrew.”

“E anche a te stesso” sottolineò lei, annuendo con vigore.

Christofer assentì. Sì, non avrebbe sprecato altro tempo a rimuginare.

E sarebbe diventato il miglior marito possibile, per Kathleen.
 
***

Nessuna alba poteva essere più gratificante di quella che stava godendosi, avvinghiato a una ragazza piacente, avvolto da lenzuola di seta e attorniato da ricchezze di ogni tipo.

Scostando la chioma bruna e scarmigliata di Annelyse Gordon-Lewis, Peter Chappell sorrise nel vederla svegliarsi tra le sue braccia.

Le sue labbra morbide e gonfie di baci si piegarono in un sorriso e, con voce roca e impastata dal sonno, la giovane mormorò: “Ma come? Già sveglio, tesoro mio?”

“Riposa, p’tit bijoux. E’ ancora presto” replicò Peter, levandosi da letto per raggiungere le finestre che davano su Hyde Park.

La famiglia Gordon-Lewis era tra le più ricche e altolocate dell’Essex, e la giovane Annelyse era annoverata tra le dame di Corte della regina.

In quanto ufficiale dei dragoni di Sua Maestà, di stanza al Ministero della Guerra, Peter aveva avuto il dubbio onore di conoscerne il padre, lord Wallace.

Era stato grazie ai suoi buoni uffici se aveva potuto evitare il campo di battaglia così a lungo,… ma non certo senza motivo.

Non che a Peter fosse importato molto, alla fine dei conti.

Anzi, i favori concessi a lord Gordon-Lewis gli erano valsi una discreta ricchezza, oltre alle grazie di Annelyse.

L’ultimogenita di Gordon-Lewis si era fatta beffe del ton fin da quando, al suo primo ballo in società, l’aveva avvicinato senza uno chaperon al fianco.

O qualcuno che li presentasse ufficialmente.

Aveva scandalizzato i più, e divertito così tanto la regina da convincerla a non scacciarla dalla sua Corte, nonostante il piccolo scandalo.

Da quel momento, era iniziato il loro rapporto clandestino.

Lord Gordon-Lewis non l’avrebbe mai data in sposa a un figlio cadetto del nord, senza titoli al seguito o proprietà e, per di più, ora ricercato dalla legge della Corona.

Ma andava bene per soddisfare le brame della figlia, e al padre interessava solo questo.

Qualsiasi cosa, pur di accontentarla.

Se anche non fosse giunta illibata al matrimonio, all’uomo non interessava.

Esistevano abbastanza nobili attempati e di ampie vedute, a cui accoppiarla al momento giusto, per l’alleanza giusta.

Per il momento, però, non era ancora servita ai suoi scopi, perciò poteva rimanere nell’abbraccio apparentemente sicuro della propria casa.

E del proprio amante.

Peter si sarebbe sollazzato con lei, in parziale pagamento per il lavoro svolto per Gordon-Lewis, e quest’ultimo lo avrebbe salvato dal cappio del boia.

Pensare a Harford, alla sua bella moglie e alla taglia che loro avevano piazzato sulla sua testa, lo fece digrignare i denti.

Ma i nodi sarebbero giunti al pettine.

Solo, ci sarebbe voluto più tempo del previsto e, nel frattempo, avrebbe portato a termine i compiti assegnatigli da lord Wallace.

Questi, erano iniziati tre anni prima del duello contro Christofer, e sarebbero perdurati ancora per molto tempo.

Aver scoperto i loschi traffici di Gordon-Lewis era stato, per Peter, il biglietto vincente per la ricchezza, prima, e la salvezza, in seguito.

Avvolgendosi nella vestaglia da camera quando udì bussare a una porta secondaria, Peter si avviò per andare ad aprire, sapendo bene chi vi fosse all’altro capo.

Sorridendo soddisfatto quando una mano allungò verso di lui una missiva chiusa da ceralacca, Peter lasciò andare una moneta al silenzioso valletto, poi si ritirò.

“Chi era?” mugugnò Annelyse dal letto, armeggiando con i cuscini per mettersi più comoda.

“Nessuno di importante, cara. Riposa” mormorò distrattamente Peter, spezzando il sigillo quando fu nei pressi della finestra.

L’uomo lesse avido le notizie provenienti da York e, con un sorriso trionfante, accartocciò la lettera e la gettò nel fuoco del camino.

Sì, quella era sicuramente l’alba più bella che avesse mai visto.
 
***

Se aveva pensato di trovare una ridente città, vie lastricate e perfettamente pulite, prati fioriti e palazzi ricoperti d’oro, Kathleen dovette ricredersi alla svelta.

Londra non era quel capolavoro di perfezione che aveva sempre creduto e, almeno a giudicare dai suoi confini esterni, aveva decisamente bisogno di una sistemata.

Le strade erano piccole, ricoperte per lo più di terra, liquami e paglia.

Tutt’intorno, la gente viveva nell’indigenza, per non dire direttamente sulle vie di acciottolato sconnesso e maleodorante.

Carri con vettovaglie si alternavano a muli guidati a mano, che trasportavano some ai limiti dell’ammissibile.

Ritirandosi dietro le coltri della carrozza, Kathleen sospirò e Christofer, stringendole una mano, asserì: “Forse avrei dovuto avvisarti. Passare in questa zona non è molto bello.”

“Immagino che al re interessi poco come vive il suo popolo” mormorò Kathleen, rigirandosi un guanto tra le dita.
All’improvviso, l’idea di essersi rifatta il guardaroba per giungere lì, la fece sentire stupida e superficiale.

Ma essersi recata a York assieme al marito, aver visitato le boutique assieme a lui, aver riso delle sue battute,… tutto le era sembrato così bello, così perfetto.

La perfezione di quei momenti, però, stava per essere spazzata via da quella bruttura, dall’ingiustizia che regnava nel mondo.

“Non sentirti mai in colpa per ciò che hai, Katie. Iddio stesso sa quanto tu sia generosa e pura di cuore” le raccomandò il marito, stringendo la mano che li legava. “Pensa soltanto a ciò che hai fatto al lanificio, o a come ti prendi cura dei bambini dell’orfanotrofio.”

“Ma io… avrei potuto… dovuto…” tentennò lei, mordendosi il labbro inferiore con espressione colpevole.

Christofer glielo baciò, asserendo con vigore: “Se vuoi, mi informerò su ciò che è possibile fare qui a Londra, se è possibile devolvere qualcosa in beneficienza presso i locali orfanotrofi.”

“O per i reduci” aggiunse Kathleen, con veemenza. “Iddio solo sa se anche le loro famiglie hanno bisogno di una mano.”

“Chiederò in giro, promesso. Ma tu promettimi di goderti la permanenza qui a Londra. Non si può cambiare il mondo in un giorno, deore1, e neppure da soli” sussurrò Christofer, sfiorandole le labbra con un bacio.

“Vedrò di ricordarmene, anche se a volte vorrei poter fare di più” assentì la moglie, sospirando.

“Ti capisco.”

Non era pratica comune, tra i nobili, pensare a come se la passasse il popolo.

Il più delle volte, se una sola voce si levava dal coro per parlare in tal senso, essa veniva tacitata in breve tempo.

Se non si era abbastanza potenti da resistere alle bordate, si poteva anche rischiare di finire emarginati dalla società.

Nessuno poteva dire alla nobiltà come gestire le proprie tenute, ivi comprese le persone al loro servizio.

E nessuno poteva insinuare che re Giorgio III, o suo figlio il Reggente per lui, non tenesse in buon conto la salvaguardia del proprio popolo.

Le guerre venivano combattute anche per loro, no?

Già, pur se i sacrifici maggiori spettavano sempre a chi, di soldi per mantenere le proprie famiglie, non ne aveva.

La guerra era una possibilità concreta di poter portare a casa del denaro per sfamare i figli, ma voleva anche significare rischiare la propria vita. O restare mutilati.

Molti, troppi soldati semplici erano tornati meno che loro stessi.

Non più in grado di sfamare la propria famiglia, avevano finito con il vagabondare per le strade, mendicando un tozzo di pane o una moneta.

In tanti, si erano lasciati andare allo sconforto e al bere, finendo con il rimanere poi uccisi in bische clandestine, o lungo i sobborghi di Londra.

In questo, la Corona faceva ben poco per sopperire a un tale costo in termini umani.

Christofer scostò la tendina, osservò le strade farsi più pulite e ordinate e, con un sospiro, mormorò: “Sì, a volte vorremmo davvero poter fare di più. Ma troverò qualcosa, Katie, te lo prometto.”
 
***

La casa di Grosvenor Square era interamente color crema, con alti colonnati sul fronte dell’entrata e una lunga cancellata scura a proteggerne i confini.

Essendo confinata in città, non possedeva un ampio giardino, quanto piuttosto un piccolo angolo di verde sul lato sud.

Un ampio bovindo, sorretto da cariatidi di marmo, era affacciato proprio sul piccolo giardinetto.

Kathleen sorrise, immaginandosi a scrutare i fiori delle aiole, o accomodata su una serie di cuscini a leggere un buon libro.

Lasciando però quei pensieri a un secondo momento, entrò in compagnia del marito, consegnando mantello e guanti a William.

Strabiliata, ammirò lo splendente atrio e l’ampio soffitto a volta, decorato da sapienti mani d’artista.

Un enorme candelabro pendeva sopra le loro teste, illuminato da mille e più candele bianche.

Profumi di pino silvestre e di cera d’api si mescolavano tra loro e, quando il maggiordomo si inchinò alla coppia, Christofer disse: “Bernard, è un piacere rivedervi. Posso avere l’onore di presentarvi mia moglie?”

L’uomo, sulla sessantina, alto e allampanato come era moda tra i domestici più in auge nella nobiltà, si inchinò alla donna, mormorando: “L’onore è tutto mio, Vostra Signoria. Ci era giunta voce della beltà di Sua Signoria la contessa, ma posso dire in tutta onestà che le voci non reggono con la stupenda realtà.”

Deliziata da quei complimenti e dalla morbida parlata londinese, Kathleen sorrise al maggiordomo, replicando: “E io posso dire che mio marito non avrebbe potuto avere più gentile e premuroso maggiordomo, per tenere sotto controllo questo splendido palazzo.”

“Se Vostra Signoria lo desidera, più tardi sarò lieto di mostrarvi la sala della musica e la fornitissima biblioteca.”

Vagamente sorpresa, Kathleen fissò lo sguardo su Christofer che, scrollando le spalle, asserì: “Mio padre era assente da anni, qui a Londra e, se c’era una cosa in cui andavamo d’accordo io e Kenneth, erano i libri. Forse, l’unica cosa.”

Il maggiordomo, saggiamente, ignorò quel commento e, nel battere le mani, chiamò a sé un paio di garzoni perché si occupassero dei bagagli dei loro signori.

Rivolgendosi poi a Christofer, disse: “La cena verrà servita come sempre alle sei, a meno che non abbiate disposizioni diverse. Per festeggiare il vostro arrivo, Mr Thomasson ha preparato il coniglio in umido e le patate arrosto.”

“So già che mi trascinerò via dal tavolo, stasera” ironizzò Christofer, battendo una mano sul braccio della moglie. “Le sue doti di cuoco sono eccezionali.”

“Sarà un piacere scoprirlo, allora” asserì Kathleen, sorridendogli nel farsi accompagnare dal marito verso lo scalone principale.

Rimasto solo con William, Bernard mormorò: “Una coppia davvero bella, non c’è che dire. E Sua Signoria la contessa è raggiante. La seconda gravidanza procede bene?”

“Ottimamente” assentì William, dirigendosi verso il reparto della servitù assieme al maggiordomo.

Annuendo lieto, l’uomo mormorò: “La notizia del suo aborto ci colpì moltissimo ma ora, nel vederla al braccio di Sua Signoria il conte, mi sento di dire che andrà tutto benissimo.”

“Lo credo anch’io” dichiarò l’attendente, prima di bloccarsi a metà di un passo quando udì una voce che mai si sarebbe aspettato di udire.

Bernard sorrise sornione e, battendo una mano sul braccio del giovane, chiosò: “Il conte mi aveva pregato di non dirti nulla. E’ stata assunta come aiuto cuoco in cucina, e ha una stanza qui a palazzo, proprio in fondo all’ala della servitù. Ho pensato volessi una camera vicino a lei, così l’abbiamo tenuta libera per te.”

William fissò basito l’uomo per alcuni attimi, prima di correre verso le porte che conducevano in cucina.

Lì, abbigliata con un vaporoso abito di lino grigio chiaro e un bel grembiule bianco legato in vita, Christine Knight levò lo sguardo a fissare il figlio e sorrise.

“Ben arrivato, caro” celiò la donna, vedendolo scoppiare a ridere per la gioia e il divertimento.

“Sua Signoria non mi aveva detto nulla” esalò William, raggiungendo la madre per baciarla sulle guance.

“Tua madre è giunta qui da una settimana, ragazzo…” intervenne Mr Thomasson, con il suo forte accento scandinavo. “…e posso dire con ragionevole margine di sicurezza che, in tanti anni, ho solo avuto idioti come aiutanti!”

Christine sorrise affabile e il cuoco, vistosi osservato dalla donna, borbottò qualche altra parola prima di rimettersi a rimestare con vigore.

“A quanto pare, piaci al cuoco” chiosò William, lanciando un’occhiata curiosa all’uomo di spalle, prima di ricevere un colpetto di cucchiaio sullo stomaco piatto.

“Smettila di arruffare le piume” brontolò gentilmente Christine, facendo sorridere il figlio.

“Difendo solo il tuo onore” replicò lui, attirandola in un angolo tranquillo della cucina. “Christofer non mi ha detto nulla di questo trasferimento.”

“Ho saputo tutto una decina di giorni addietro. Bernard si è presentato presso la villa dei Conroy, parlando loro della richiesta di Sua Signoria il conte” gli spiegò Christine, con occhi leggermente sgranati. “So soltanto che, a fine giornata, il maggiordomo mi ha dato il mio salario, dicendomi di presentarmi, l’indomani, qui in Grosvenor Square, presso il palazzo degli Spencer.”

William sorrise, si passò una mano tra i capelli, e ridendo sommessamente, esalò: “Quell’uomo mi farà ammattire.”

“Lui… lui sa?” domandò titubante la donna.

“Sì, ma non devi preoccuparti di Sua Signoria. E’ come Kathleen. Sono anime buone, e a lui non interessa affatto che io sia un illegittimo” asserì William, con sicurezza.

“Bene… speravo che la tua sorellastra fosse sposata a un uomo meritevole. Sembra una così cara ragazza!” assentì compiaciuta la donna.

“Avrai modo di conoscerla meglio, non temere. Kathleen ha espresso il desiderio di parlare con te, quando avrai un minuto di tempo da dedicarle.”

Facendo tanto d’occhi, la donna esalò: “Io… dedicare del tempo a Sua Signoria? E per dirle cosa, tesoro? Non ho argomenti da offrire a quella dolce bambina.”

“Scoprirai quanto è facile parlare con Kathleen… così come è facile amarla.”

Battendo una mano sul viso di William, fattosi improvvisamente ombroso, Christine mormorò: “Si è ripresa dalla perdita di Andrew? E tu?”

“Kathleen è forte, e Christofer le è di aiuto. Lo amavano entrambi moltissimo, perciò stanno superando insieme il lutto. Quanto a me… beh… penserò sempre a lui. Non potrebbe essere diversamente. Era mio fratello, dopotutto” mormorò William, lasciandosi andare a un sospiro.

Guardandosi intorno, deglutì a fatica, le sorrise con un accenno di lacrime agli occhi e, prima di cedere, asserì: “Porto il mantello e i guanti di Kathleen alla sua cameriera. Ci vediamo più tardi, madre.”

“Ma certo. Vai pure” assentì la donna, vedendolo correre via con la sua falcata elegante.

Sospirando, Christine si disse che suo figlio avrebbe meritato ben altro destino, che quello di un servo.

L’essere con sua sorella, però, sembrava renderlo davvero felice, anche se gli sarebbe mancato per sempre il riconoscimento come figlio di Barnes.

L’amore di un padre non avrebbe mai fatto parte della sua vita, ma lord Conroy e sua moglie erano state persone buone e generose, con loro.

Se non altro, era stato cresciuto come un nobiluomo, pur se non lo sarebbe mai potuto diventare.

Gli era stato offerto il massimo possibile, e Christine sperò con tutta se stessa che, anche in futuro, William potesse avere solo che il massimo, dalla vita.

 
 

 
____________________________
1 deore (antico anglosassone): significa ‘carissima’.


Note: Alcune puntualizzazioni storiche. Ho sottolineato in grassetto i nomi dei personaggi realmente esistiti, così come ho aggiunto alla narrazione della storia di Katie e Christofer appunti di stampo storico, tutti veritieri e attinenti al periodo temporale in cui si stanno svolgendo gli eventi.
Detto questo, come vedete, abbiamo incontrato nuovamente Peter che, a quanto pare, non se la sta passando affatto male, protetto com'è da un nobile titolato. Ma come avrà ottenuto tali favori, e cosa saranno i loschi affari di cui si occupa per conto di Gordon-Lewis?
Ci arriveremo, non temete. Non vi lascerò con il dubbio.
Per quanto abbiamo visto finora, non ha desistito dall'idea di vendicarsi ma, per adesso, non si muoverà ancora. Ha un suo piano in mente, e questo ha bisogno di tempo per concretizzarsi.
Per il momento, facciamo la conoscenza con un nuovo personaggio, la baronessina Annelyse Gordon-Lewis, che ne combinerà una più del diavolo, nei prossimi capitoli.
A presto, e grazie per avermi seguita fino a qui!

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Capitolo 18
*** XVIII. ***


18.
 
 
 
 
Era la prima volta che partecipava a una Promenade a Hyde Park.

Non avendo mai messo piede fuori dalla tenuta, Kathleen era sempre vissuta nei ristretti confini di Casa Barnes, e poco oltre.

Aveva conosciuto poco della vita, prima di diventare moglie di Christofer e tutto, per lei, era una novità e una sorpresa.

In quelle prime due settimane di permanenza a Londra, il marito l’aveva portata in giro per negozi, a teatro, in giro per chiese e palazzi.

Un autentico cicerone.

E, non da ultimo, si era accordato per visitare non meno di una ventina di orfanotrofi diversi, e aveva contattato alcuni vecchi commilitoni di sua conoscenza.

Come avrebbe potuto non amarlo, dopo questo suo fervido impegno, dopo il suo prodigarsi perché fosse felice e coccolata?

Solo se fosse stata di pietra. O già morta da anni.

Quando, perciò, il calessino guidato dal marito entrò nel parco alle cinque precise del pomeriggio, seguendo altri nobili loro pari, Kathleen gli sorrise.

Sorrise così tanto da attirare l’attenzione del coniuge che, divertito dalla sua espressione, chiosò: “Non riesco a capire se tutto ciò ti diverte, o ti disgusta.”

Sventolando il ventaglio dinanzi alla bocca per mascherare la sua aria divertita e quanto mai ironica, Kathleen esalò: “Io, quindi, mi sono persa tutto questo, maritandomi con te senza aver partecipato alla mia prima Stagione in società?”

“Temo di sì, mia cara. Anche per questo, ho pensato di portarti in giro sul calessino. Volevo che ti potessi godere parte dei divertimenti che, le giovani signorine in cerca di marito, possono apprezzare durante il corteggiamento” le spiegò Christofer, toccandosi la tuba a mo’ di saluto quando incrociarono un nobile a cavallo.

Kathleen si nascose ancora di più dietro il ventaglio e, iniziando a ridere sommessamente, esalò: “E’ tutto così… stupido!”

Christofer attese qualche attimo per assimilare quell’ultima parola, prima di esplodere in una calda risata di gola.

Molte teste si volsero contrariate, altre si dimostrarono assolutamente scandalizzate, ma lui non vi fece alcun caso.

Era troppo ammaliato dalla risatina trillante della moglie, per badare a quei benpensanti della domenica pomeriggio.

Come aveva immaginato – e sperato – sua moglie si era dimostrata diversa dalle altre donne anche in questo.

Kathleen rifuggiva dagli schemi classici e, ciò che interessava al ton, su di lei non riscuoteva alcun tipo di fascino.

“Se vuoi saperlo, l’ho sempre trovato assurdo anch’io, anche se va detto che è uno dei pochi momenti in cui due persone, in età da marito, possono parlare agevolmente e senza chaperon” ammise Christofer, lanciando occhiate distratte tutt’attorno a sé.

Il parco rifulgeva per bellezza e colori e, lungo le vie inghiaiate, centinaia di landau, calessini e cavalieri dalle eleganti livree si intervallavano a persone a passeggio.

Altre, erano accomodate su frivole panchine, o sedute su panni colorati nei pressi del laghetto, intenti a divertirsi con pic-nic e chiacchiere leggere.

Niente lasciava intendere che, oltre quei verdeggianti confini, infuriasse una guerra.

Forse, a molti dei presenti neppure interessava.

Tornando serio, Christofer asserì: “Molte delle persone che vedi qui, non sanno quasi nulla di ciò che avviene oltre confine e, tra essi, vi sono molti nobiluomini che hanno pagato per non saperne nulla.”

Kathleen sbuffò contrariata, replicando: “Mi repelle pensare che mio fratello abbia dato la vita per persone loro pari.”

Christofer la guardò di straforo, chiedendosi se pensare alla guerra – o a Andrew – le pesasse ma, sul suo volto eburneo, non scorse nulla.

Già da molti mesi non erano più tornati sull’argomento e, anche se lui sapeva bene che Kathleen non lo avrebbe mai dimenticato, sperava che il ricordo del fratello fosse divenuto più dolce.

Meno difficile da portare sulle spalle.

Teneva così tanto a lei che, se avesse potuto, si sarebbe fatto carico anche del suo dolore.

Sorridendo mesto, ripensò alle parole dell’amico, al suo strenuo convincimento che, presto o tardi, lui avrebbe imparato ad amare Kathleen.

Possibile che Andrew avesse compreso tutto, prima ancora che lui stesso se ne rendesse conto?

Kathleen gli strinse una mano, a sorpresa, e mormorò: “Penso sempre ad Andrew, e lo rivedo in Randolf, che ha il suo stesso spirito curioso e il suo sorriso sincero.”

Christofer la fissò spiacente e, una volta di più, si infuriò con se stesso per aver permesso ad Andrew di essere così… così se stesso, in guerra.

Era sempre stato il primo ad abbordare le navi, come se quel mondo facesse più parte di lui che l’essere un nobile titolato, o un padre di famiglia.

Per quanto avesse amato Myriam o il loro bambino, o la stessa Kathleen, Andrew aveva agognato con tutto se stesso il mare, la lotta, la battaglia a fil di spada.

Tutti i suoi tentativi di tenerlo lontano dai guai non erano valsi allo scopo, alla fine.

Era morto dinanzi a lui, e questo non avrebbe mai potuto dimenticarlo.

“So chi era mio fratello, Christofer… e l’ha sempre saputo anche Myriam” asserì la moglie, come se avesse letto nei suoi pensieri tormentati.

“Andrew era un uomo buono e onesto, Katie, e vi amava” replicò sentitamente lui, afferrando la mano della moglie per portarsela alle labbra per un bacio leggero.

“Nessuno potrebbe metterlo in dubbio, ma desiderava partecipare a quella guerra. Voleva combattere contro Napoleone. Il suo scopo ultimo era essere lì. E, se non si fosse trattato della guerra, avrebbe preso la via del mare in altro modo, alla ricerca continua di avventure. Il baronato non è mai stato nelle sue corde.”

Fissò un istante il cielo, stringendo nelle sue le dita del marito e, più rigida, aggiunse: “Dio mi perdoni, ma ho odiato la sua voglia di libertà e il suo spirito combattivo, perché sapevo che lo avrebbero condotto in pericolo. Era così felice, all’idea di poter essere impegnato in prima persona per la difesa del suo popolo, della sua famiglia, e su quella maledettissima nave…”

Tornando a osservare il viso di Christofer, terminò di dire: “Abbracciò sia me che Myriam, dicendoci che Dio e la Patria lo avrebbero ricondotto a casa da noi. Era convinto, Christofer… così convinto che servire il suo re fosse giusto, l’unica cosa giusta da fare!”

“Giorgio III è così folle, ormai, da non sapere neppure ciò che sta succedendo attorno a lui. Il Reggente, invece, non fa che complottare, e il primo ministro gli da man forte” sospirò Christofer, annuendo suo malgrado.

Non amava parlare a quel modo dei regnanti, né di coloro che ne seguivano i passi, ma era ormai impossibile negare l’evidenza.

A suo tempo, non aveva desiderato partire per la guerra. L’aveva ritenuta un’impresa sciocca, ma non aveva potuto evitarla.

Ora, una volta di più, riconosceva che, più che fermare Napoleone, vi erano interessi così grandi che le morti in battaglia valevano lo scotto.

Non per lui, però.

Kathleen lo fissò duramente, come confutando i suoi pensieri, e aggiunse: “E’ questo, a rendermi difficile accettare la morte di Andrew. Se sapessi che la sua dipartita è stata il viatico per la pace, forse, potrei rassegnarmi. Ma sapere quanto poco interessi la pace, ai nostri governanti, mi fa fremere d’ira” mormorò Kathleen con veemenza.

“Lo so, Kathleen… lo so. E non potrei essere più d’accordo con te” assentì il marito, lasciando che il silenzio calasse tra di loro.

Niente di quanto avrebbe potuto dire, o fare, avrebbe potuto cambiare le cose.

Sì, il Corso andava fermato, ma dubitava che questo fosse l’unico motivo che spingeva il Reggente a muovere le sue truppe verso quel folle.

“Ma che piacevole sorpresa! Cugino, …buon pomeriggio!” esclamò all’improvviso una voce, a poca distanza da loro.

Christofer si riscosse dai suoi pensieri, volgendo il viso alla sua sinistra e lì, ritto sulla sella di un destriero, bellamente vestito e tutto sorridente, scorse il cugino John.

Sir Johnathon Grenview, figlio di uno dei cugini del padre – ne aveva così tanti che non rammentava neppure di quale grado fosse – era appariscente come sempre.

Indossava con baldanza un abito improbabile, con plastron in seta giallo oro, fermato da una spilla di zaffiri.

La giacca, cucita alla perfezione sulle sue forme esili e dinoccolate, esibiva sospette protuberanze sulle spalle, quasi sicuramente ottenute grazie a sapienti imbottiture.

I calzoni, come pure il resto dell’abito, erano di fattura raffinata, e gli stivali di cuoio erano lustri come l’ala di un corvo.

Curioso che apparisse così ben vestito, vista la sua fama di accanito giocatore di poker. Che le sue ultime puntate fossero andate così bene?

“Cugino Johnathon… buon pomeriggio a voi” dichiarò Christofer, serafico. “Vi trovo in salute. Come mai a Londra? Siete qui per la Stagione? O avete già una fanciulla che vi fa battere il cuore?”

Il giovane rise delicatamente, portandosi una mano al viso per nascondere i denti – e i residui del suo uso smodato di tabacco – prima di asserire: “Nessuna donna mi ha mai conquistato, cugino… anche se, per la fanciulla al vostro fianco, potrei fare follie.”

Christofer si accigliò immediatamente e, replicando secco al suo commento irrispettoso, sibilò: “Temo dovrei privarvi della virilità, cugino, poiché state parlando di mia moglie, e ciò che è mio, lo custodisco gelosamente.”

Johnathon sobbalzò leggermente a quelle parole e, tirando un poco le redini del suo cavallo – che aveva reagito alla sua ansia – , esalò contrito: “Mille scuse, cugina. Non ero a conoscenza del vostro matrimonio. Sono stato assente per diverso tempo da casa, e perciò non ho avuto il piacere di venire a conoscenza della lieta novella.”

Sollevando un sopracciglio con evidente curiosità, Christofer si chiese dove fosse sparito, per non aver saputo nulla di loro.

I suoi genitori erano stati presenti al matrimonio, dacché rammentava, perciò…

“Nessun disturbo, Sir, … e potete chiamarmi Kathleen, se lo desiderate” intervenne la moglie, stringendo leggera una mano sul braccio di Christofer.

Forse, voleva impedirgli di mettere in pratica la sua minaccia.

“Cara, cara, Kathleen, sarà un piacere fare la vostra conoscenza…” assentì il giovane Grenview, tutto sorridente. “… e spero vorrete considerarmi vostro amico sincero. Iddio sa se non considero Christofer uno dei pochi parenti veramente in gamba della nostra famiglia. Quanto al resto…”

Johnathon si lasciò andare a un gesto plateale, che fece sospirare Christofer e sorridere Kathleen.

“Vorrete scusarci, Johnathon, ma io e Kathleen abbiamo prenotato un palco a teatro per la rappresentazione dell’Otello. Dobbiamo andare a prepararci” borbottò Harford, ben deciso a interrompere sul nascere le chiacchiere dell’appiccicoso cugino.

“Oh, ma certo, ma certo. Spero, comunque, che avremo occasione di parlarci, cugino. Vorrei sottoporvi alcune idee per un futuro investimento, e…”

Johnathon parlò per diversi minuti, mentre Christofer dirigeva il calessino verso l’uscita di Hyde Park e, quando poté infine immettersi in strada, sospirò di sollievo.

Avere il cugino nei paraggi, era come essere investiti da un’infestazione di locuste.

Un’autentica piaga biblica.

Kathleen sorrise per l’autentico sollievo del marito e, nel battergli il ventaglio sull’avambraccio, chiosò: “E’ una persona assai curiosa. E, da quel che ho visto, segue i dettami della moda di Sir Brummel.”

“Sarà per questo che non ne ho apprezzato lo stile” brontolò il marito, pensando a quel dandy di Beau Brummel, che tante donne – e uomini – aveva stregato con i suoi gusti per la moda.

Aveva avuto il dubbio piacere di incontrarlo una sola volta, in passato, e quell’incontro gli era bastato.

Conosceva abbastanza sciocchi vanesi, nella sua vita, senza dover seguirne uno per la scelta del cravattino, o dei calzoni per l’equitazione.

Kathleen rise del suo cipiglio e, quando raggiunsero il palazzo in Grosvenor Square, non si stupì nel vedere il marito procedere a passo di carica verso le sue stanze.

Era evidente che il cugino lo aveva irritato più di un morso di vipera, ma avrebbe pensato lei a chetarlo.
 
***

Fermi nel foyer del teatro, in attesa della ripresa dello spettacolo, Christofer sorrise di autentica gioia, quando vide avvicinarsi lord Anthony Phillips, erede del duca Thornton di York.

Allungando una mano verso l’uomo, che era avanzato verso di loro con passo elegante e fiero, Christofer esordì dicendo: “Speravo di vederti, Anthony, anche se non pensavo così presto. Avevo già in previsione di venire al Ministero della Guerra, domani, ma qui è meglio. Come stai?”

Anthony sorrise all’amico e strinse la mano dell’uomo con vigore, accennando poi un cenno del capo a Kathleen, che sorrise composta all’amico di famiglia.

“Tutto bene, amico mio. E sono lieto a mia volta di averti visto qui, e non al Ministero. Laggiù, sembra di camminare in mezzo a un campo di battaglia, tanto l’atmosfera è tesa” replicò l’uomo, dal chiaro accento del nord.

“Non parliamo di guerra, stasera, però… come procedono le cose, per te?” asserì allora Christofer, tornando serio in viso.

Il sorriso di Anthony si fece mesto e, con una scrollata di spalle, mormorò: “Quando potrò trovare Emily e il suo stimato amante, e potrò torcere loro il collo, allora starò di nuovo bene.”

Era un fatto conosciuto ai più che Anthony avesse trovato, al suo ritorno dal Ministero, in una notte di autunno inoltrato, una lettera della moglie… e poco altro.

I soldi nella cassaforte del loro palazzo in King’s Street erano spariti, e con essi i gioielli di famiglia.

La lettera di poche parole lasciata dalla moglie, in cui lei si scusava per la sua fuga frettolosa, si era dimostrata quanto mai vanesia.

Aveva accennato al suo amore  per il caro Richard, che l’aveva spinta a fuggire di casa.

Portandosi, però, via una buona fetta dei soldi del marito. Ormai ex,… se non per legge, sicuramente nell’animo.

Il tutto era avvenuto circa sei mesi dopo la partenza di Christofer per la guerra e, per lungo tempo, si era temuto che Anthony avrebbe risolto con il suicidio, quell’onta.

Saperlo lì, impegnato in ciò che sapeva fare meglio, cioè lo spionaggio, rincuorò un poco Harford, che commentò con una certa asprezza: “Sappi che avrai il mio pieno appoggio, qualora riuscirai a trovarli. A costo di trascinarla io stesso fino in Inghilterra.”

“Ne sono lieto, Christofer. Ma ora ditemi di voi… sa Iddio, Kathleen, se non sei diventata una donna splendida. Mi spiace molto per la vostra perdita.”

Essendo stato a sua volta un amico di vecchia data dei Campell, oltre che amico stretto di Andrew e Christofer, Kathleen passò immediatamente a un colloquiare più personale.

Allungando una mano perché l’uomo gliela baciasse, Kathleen replicò: “Te ne sono grata, Anthony. E posso dire di unirmi a mio marito nel dire che, semmai troverai Emily, io sarò al tuo fianco.”

“Saperti mia amica non può che rendermi felice, mia cara” assentì l’uomo.

Cresciuto a sua volta tra le pareti scomode e difficili di Eton, i tre amici avevano fatto spesso fronte comune, quando era stato necessario.

Anthony, Christofer e Andrew avevano così potuto coltivare un’amicizia stretta e forte, che avevano portato avanti fino alla maturità.

Anche per Anthony, venire a sapere dell’amico, era stato un colpo duro da sopportare, così come da digerire.

“Come sta, lady Myriam?” si informò infine l’uomo, riuscendo a trattenere a stento l’emozione.

Kathleen sorrise appena, e disse: “In qualche modo, tira avanti. Randolf le è di molto aiuto… comunque, potrai vederla entro breve. Sarà nostra ospite per tutta la Stagione.”

“Allora, vi tedierò con la mia compagnia, se me lo consentirete” dichiarò Phillips, esibendosi in un frivolo inchino. “Mi duole dover andarmene, ma compiti assai meno interessanti della vostra compagnia, mi attendono. Con permesso…”

I coniugi lo salutarono e Anthony, allontanandosi con passo spedito e veloce, si avvicinò a un gruppo di uomini in fondo al foyer.

“E’ ancora innamorato di lei, vero?” mormorò Kathleen, lanciando un’occhiata al marito, che assentì.

“Lo è sempre stato, ed Emily non ha cambiato lo stato delle cose” replicò Christofer, prima di sorridere a una nobildonna dall’aspetto elegante quanto ricercato. “Lady Jersey, mia cara…”

Un attimo dopo, in uno sventolare di piume e raffinate sete d’importazione, lady Sarah Child Viliers, contessa di Jersey si avvicinò loro tutta sorridente, esalando: “Non posso credere ai miei occhi… Christofer Spencer! Ditemi che siete voi, e non una mera visione, e rendete felice il mio cuore!”

Inchinandosi prima di baciare rispettosamente il palmo della giovane donna, Harford mormorò: “Sono proprio io, milady… e sono lieto che vi ricordiate ancora di me, dopo i miei lunghi anni di assenza da Londra.”

“Sarebbe impossibile dimenticarsi di uno degli scapoli più ricercati d’Inghilterra... oltre che uno degli uomini per cui il mio giovane cuore ha spasimato tanto” sorrise bonaria la donna, battendogli affettuosa una mano sul braccio. “E questa dolce creatura che vi è al fianco, è vostra moglie? Abbiamo sentito così tante voci, sul vostro scandaloso fidanzamento, che non sapevo più cosa pensare.”

La risatina che seguì a quel commento, fece sorridere Christofer.

Immaginava quanto la donna si fosse divertita, piuttosto che essersi scandalizzata.

Londra viveva di pettegolezzi, quando non si abbeverava di scandali o tradimenti.

“La figlia di lord Barnes è più bella di quanto mi fosse stato riferito” brontolò poi lady Jersey, sventolando il suo ventaglio come se fosse uno spadino. “Sono piuttosto irritata con vostro padre, cara, per non avervi mai portato da me. Avremmo potuto divertirci molto, a suo tempo”

“Sarebbe stato un piacevole incontro, ne sono sicura, e mi dolgo che ciò non sia potuto avvenire in precedenza” mormorò compita Kathleen, eseguendo una riverenza perfetta.

Lady Jersey sorrise soddisfatta e, annuendo all’indirizzo di Christofer, asserì: “Sì, vi è capitata in sorte una moglie assai graziosa e molto ben educata. Il mio cuore ha pianto, sapendo delle vostre recenti perdite, cara, ma immagino che vostro marito farà quanto necessario per riparare a questo… inconveniente.

Kathleen sorrise misteriosa a quelle parole e lady Jersey, cogliendo al volo quell’accenno, esalò dietro il suo ventaglio: “Oh… vi ha già posto rimedio, vero? Dovete assolutamente venire a cena da me, perché io sia la prima a dare la lieta novella. Harford, me lo dovete, visto che non avete rischiarato i nostri salotti con la vostra bellezza e sagacia per troppo tempo.”

“Ne saremo lieti, lady Jersey” assentì Christofer, inchinandosi per ringraziarla dell’invito.

“Oh, su, su,… sono solo Sarah, per voi, o l’avete dimenticato?” ridacchiò la donna, ammiccando maliziosa.

“Naturalmente… Sarah” assentì ancora l’uomo, divertito dalla platealità della donna. Era sempre stata argento vivo.

“Bene, bene… organizzerò qualcosa per… il prossimo sabato. E’ così presto, ma sono sicura di riuscirci” decretò la contessa, battendosi il ventaglio sul palmo della mano aperta. “Sarà una gioia avervi sotto il mio tetto.”

Ciò detto, se ne andò con il suo stuolo di dame di compagnia al seguito, e a Kathleen non restò che sussurrare: “Cielo… è… come dire…”

“Impetuosa?” le suggerì Christofer, riportando la moglie al loro palco quando chiamarono per il secondo atto dell’opera.

“Sì, direi che le si addice” sorrise meravigliata lei, accomodandosi alla sua poltrona. “Ma perché era così lieta di sapere che ero incinta? E come mai ti conosce così bene? La corteggiasti, a suo tempo?”

“Risponderò alle tue domande più tardi, mia esigente mogliettina… ma non ora” le sorrise lui, e le luci calarono all’interno del teatro.
 
***

“E’ arrivato a Londra, esattamente come ci avevano detto” mormorò un uomo all’orecchio di Peter, che sorrise soddisfatto per quell’informazione.

“Molto bene. Continuate a tenerlo d’occhio, ma con discrezione. Per ora, non faremo nulla. Voglio solo sapere con chi si vede, e quali sono i suoi spostamenti.”

“Dobbiamo tenere d’occhio anche la moglie?” domandò l’informatore, sempre parlando sottovoce al suo orecchio.

“Sempre. Ma non toccatela con un dito. Lei è mia” sottolineò Peter in un sussurro, prima di gettare sul tavolo una carta ed esclamare: “Scala reale, signori! Ho vinto ancora io.”

Vi fu un coro di generale sdegno, ma Peter non vi badò.

Aveva esattamente ciò che voleva, e a una distanza ragionevole per i suoi scopi.

Ora, doveva solo capire quando agire, e come.

Ritirando la sua vincita, uscì di buon ordine dalla bisca prima di attirarsi contro le ire degli altri giocatori e, avvolto nel suo scuro mantello, tornò da Annelyse.

Era un’amante esigente e, se voleva rimanere nelle sue grazie abbastanza a lungo per poter sfruttare i suoi soldi e i suoi agganci, doveva accontentarla in ogni cosa.

Non che sbattersela ripetutamente gli costasse grossi sforzi.

Annelyse era fresca come una rosa, disposta a qualsiasi tipo di depravazione gli venisse in mente e, spesso e volentieri, era lei stessa a cercare l’eccesso.

Possessiva come poche altre donne aveva avuto nel suo letto, sapeva però anche essere dolce, quando voleva.

Un simile miscuglio di innocenza e spregiudicatezza gli rendevano il compito facile, oltre al fatto non da poco che Annelyse era anche una bella ragazza.

Solo diciassettenne, sembrava però avere una consolidata e matura conoscenza del proprio corpo... e di quello maschile.

Non aveva idea di quanti altri amanti avesse avuto prima di lui, e il padre poco se ne curava, visto che la viziava in maniera indicibile, consentendole praticamente ogni cosa.

Tutto questo non poteva che venire a proprio vantaggio e quand’anche, un giorno, Annelyse si fosse sposata, lui avrebbe continuato a visitare il suo letto.

E aiutare suo padre nel suo lavoro ufficioso al Ministero della Guerra.

Aveva solo da guadagnare, da quella situazione, e avrebbe spremuto quelle mammelle finché non fossero state rinsecchite per l’uso.

Aprendo la porta della servitù per entrare nel palazzo di Annelyse, sgattaiolò non visto al piano superiore e lì, dopo essere penetrato nelle sue stanze, mormorò: “Eccomi qui.”

Nuda e asservita al suo sguardo, Annelyse avanzò come un gatto dinanzi alla preda, sensuale e mortale al tempo stesso.

Nel posizionare lo stiletto che teneva in mano sulla gola di Peter, lei sussurrò livida: “Dovevi essere di ritorno mezz’ora fa.”

“Lo so. Ma ho vinto molte volte, e sai quanto mi piaccia” replicò imperturbabile lui, avanzando fino a che lo stiletto non spillò una goccia di sangue dal suo collo.

Annelyse mollò subito la presa sull’arma, che cadde con un tonfo sordo sui tappeti e, con un sospiro estasiato, poggiò le labbra sulla ferita, suggendone il sangue.

Peter inspirò con forza, affondò le mani nella carne morbida di lei e, in un sussurro roco, ringhiò: “Non provare mai più a puntarmi un’arma contro, è chiaro?”

“Sì, d’accordo, ma tu prendimi. Sono così furiosa, ora, e ho bisogno di sfogarmi!” sbottò lei, scostandosi per strappargli letteralmente di dosso gli abiti.

Lui rise, lasciandola fare, e replicò: “Non puoi essere furiosa perché sono andato a giocare d’azzardo. Cos’altro ti ha fatta adirare, mia cara?”

“Christofer Spencer si è presentato a teatro… con lei. Quella boriosa donnetta scialba che il padre gli ha fatto sposare!” sibilò Annelyse, sbottonandogli i pantaloni e prendendo in mano il suo sesso con forza.

Peter sospirò per quell’aggressione improvvisa, ma anche in quel caso la lasciò fare.

“Intendi… Harford…?” riuscì a dire in qualche modo l’uomo, mentre la donna era impegnata a dargli piacere con mani e bocca.

“Ovvio che intenda dire lui!” sbottò la giovane, scostandosi un attimo per fissarlo arcigna. “La detesto! E’ così… così.. sciatta! La odio con tutto il cuore! E odio lui perché si pavoneggia al suo fianco, neanche fosse sposato con la donna più bella al mondo!”

Peter non la picchiò per quell’insulto solo perché, al momento, era troppo impegnato a godere del suo trattamento.

Le avrebbe però fatto capire presto quanto, le parole sprezzanti nei confronti di Kathleen, fossero pericolose, per lei.

Nessuno poteva denigrare la donna che voleva per sé, neppure quella ragazzina dalle indubbie capacità amatorie.

Ansimando, la afferrò per i capelli, la spinse sul suo sesso e, senza pensare più a niente, lasciò che lei lo facesse godere.

Nell’attesa che fosse Kathleen, e non più Annelyse, a dargli quel piacere ai lombi.








Note: Facciamo la conoscenza di due nuovi personaggi, che ci accompagneranno fino alla fine della storia. Uno, è Johnathon, che non è esattamente quello che si suol dire il cugino che noi vorremmo. L'altro, è Anthony, amico d'infanzia di Christofer e Andrew e, a quanto pare, anche qualcos'altro. Ma ci arriveremo nei prossimi capitoli.
Saranno decisamente importanti per l'esito finale della vicenda, pur se in modi assai differenti.

p.s. L'ultima parte del capitolo è volutamente più 'spinta' perché guardiamo dentro la testa di Peter, che non è esattamente il posto più salutare - e luminoso - al mondo. Ecco spiegata anche la gergalità differente dal solito.

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Capitolo 19
*** XIX. ***


19.
 
 
 
 
Accomodata alla toeletta, mentre Bridget era impegnata a pettinarle i capelli, Kathleen colse l’occasione, visto il momento di intimità, per dire: “Grazie ancora per aver accettato di accompagnarmi al posto di Gwen. Lei proprio non sopporta i sobbalzi della carrozza. Non avrebbe retto a un viaggio così lungo.”

Sorridendo, Bridget scosse il capo e replicò: “E’ un onore che abbiate scelto me per accompagnarvi qui come cameriera personale, milady. E sì,… Gwen non sarebbe giunta viva a Londra. Soffre troppo l’andatura ondeggiante della carrozza.”

Sorrisero entrambe al pensiero della povera donna, impegnata a reprimere conati e svenimenti continui.

No, Gwen era tante cose, ma non una viaggiatrice.

“Bethany mi ha detto che vi piace molto l’orticultura, oltre all’erboristeria” si informò ancora Kathleen, godendo del tocco leggero delle mani della cameriera.

Era davvero brava.

“Dovrei dire due parole alla mia cara amica Bethany…” brontolò la giovane, arrossendo. “… però è vero, milady. Non che intenda andarmene per fare l’alchimista, o che altro!”

Kathleen sorrise, e replicò: “Sapete leggere, vero?”

“Sì, mio padre pensò che, essendo figlia di un vicario, fosse importante, per me, imparare a leggere e scrivere. Inoltre, essendo la sesta di otto figli, più cose avessi saputo fare, meglio sarebbe stato… caso mai non avessi trovato marito, ecco.”

“Un padre lungimirante. Vi ha dato un’istruzione perché foste il più possibile indipendente dagli altri” mormorò Kathleen, con tono vagamente piccato.

Suo padre era stato di tutt’altro avviso, con lei e, pur se aveva rimediato in altro modo, lo scorno ancora le bruciava dentro.

“Papà ha sempre detto che le donne sono esseri di Dio come gli uomini, solo che sanno essere molto più intelligenti di questi ultimi, se vogliono, e possono cacciarsi nei guai proprio per questo” asserì Bridget, con un sorriso furbo. “Perciò, le donne devono essere intelligenti, ma senza darlo a vedere. Così, potranno capire bene le persone che le circondano, ma senza inimicarsi nessuno nel farlo.”

“Vorrei conoscerlo… penso che andremmo molto d’accordo” sorrise Kathleen. “E’ ancora in salute, spero.”

“Pieno di acciacchi, e un po’ sordo. Ma la mente è ancora limpida” le spiegò Bridget. “Penso sverrebbe, se sapesse che una lady ha espresso il desiderio di parlare con lui.”

“Allora, fateglielo sapere a piccole dosi. Non vorrei si sentisse male a causa mia” sorrise poi Kathleen, quando bussarono alla porta. “Sì, chi è?”

“William, Vostra Signoria. Posso entrare? Mi scuso per la tarda ora, ma dovrei comunicarvi una cosa.”

“Ma certo, entrate pure, William” assentì Kathleen, sistemandosi un poco l’orlo della vestaglia che indossava.

Quando l’uomo fece capolino, si irrigidì un poco alla vista di Bridget, e così pure la giovane, che reclinò pudica il volto a guardarsi la punta delle scarpe.

Oh, ma dai?, pensò incuriosita Kathleen, sorridendo al fratellastro.

“Di cosa avevate bisogno, William?”

“Volevo solo avvisarmi che lady Myriam e lord Randolf sono giunti or ora. Si scusano per l’orario, ma hanno avuto difficoltà nel raggiungere il palazzo. Alcuni carri ostruivano una delle vie, così hanno perso tempo.”

“Non esito a crederlo, vista la nobiltà in arrivo per la Stagione estiva. Nelle ultime settimane, sembra siano scappati tutti dalla campagna per giungere qui” assentì Kathleen. “Vi ringrazio. Potete andare, e dite a mia cognata che scenderò a salutarla prima di ritirarmi per la notte.”

“Molto bene, milady” annuì lui, rivolgendo un’ultima occhiata fugace a Bridget prima di svanire.

Quando il battente fu chiuso, e i passi frettolosi di William si persero in lontananza, Kathleen lanciò un’occhiata divertita al volto imbarazzato di Bridget e mormorò: “Come mai quel rossore, Bridget? Devo pensare che il mio attendente non sia stato carino con voi?”

“Come? Oh… no, affatto!” esalò sgomenta lei, avvampando in volto.

“Quindi?”

“Quindi… nulla, milady” borbottò la giovane, iniziando a legare i capelli della sua padrona in una treccia morbida.

“Sapete, trovo che voi e William formereste proprio una bella coppia” buttò lì Kathleen, pur sapendo di essere una ficcanaso matricolata.

Si sarebbe scusata più tardi, col fratellastro, ma voleva capire cosa vi fosse, che non quadrava, in quel possibile rapporto.

Le era parso che William provasse un interesse particolare per Bridget e, stando a quello che le aveva detto Christofer, i due si erano parlati in merito.

Quindi, perché tanto silenzio da parte di entrambi?

“Oh, no, beh… non penso di interessargli, se è per questo” ironizzò la giovane, fermando la treccia con un laccio di seta. “Ecco fatto. Siete pronta, milady.”

Levandosi in piedi, Kathleen la squadrò spiacente e, con tono contrito, mormorò: “Scusatemi per la mia indiscrezione. Non sono affari miei, ma pensavo veramente ciò che ho detto.”

“Non dovete scusarvi di nulla, davvero. E’ carino che lo pensiate, ma penso che lui… beh, insomma… che William…” tentennò la ragazza, fissandola dubbiosa.

Accigliandosi leggermente per un attimo, Kathleen si lasciò andare a un sorriso divertito quando esalò: “Non penserete che… sia infatuato di me?”

“Non lo penserei mai, milady! Insomma, lui è un membro della servitù, e voi una lady titolata e…” farfugliò Bridget, ora del tutto terrorizzata. “… non dite nulla al conte, per favore. Non vorrei pensasse che…”

Interrompendo il suo monologo spaventato con una stretta di mano imprevista, Katlheen mormorò: “William non mi ama come pensate voi.”

“Come?” ansò la cameriera, fissandola con espressione più che confusa.

“Manterreste un segreto così importante che, se venisse svelato, metterebbe a repentaglio la vita di William?” le chiese allora lei, accentuando la sua stretta.

Sgranando gli occhi, Bridget esalò: “Non tradirei mai la fiducia di William, o la vostra. Qualsiasi cosa venissi a sapere, essa morirebbe con me.”

Soddisfatta dalla veridicità delle sue parole, ben impressa nei suoi occhi color cioccolato, Kathleen allora le disse: “Parlate con William, e ditegli di dirvi la verità. Su tutto. Lui capirà, e anche voi.”

“Ma cosa…”

Allontanandosi per raggiungere la porta, Kathleen le sorrise fiduciosa, aggiungendo: “Parlate con lui. E’ il suo segreto, non il mio. Ed è il vostro rapporto che ho messo involontariamente in pericolo, non il mio con William. Parlategli.”

Ciò detto, uscì soddisfatta dalla stanza, ben consapevole che, presto o tardi, il fratellastro gliene avrebbe dette quattro.

Ma, per vederlo felice, avrebbe pagato questo prezzo e ben altro, se necessario.
 
***

Accomodata su una delle panche imbottite del bovindo, lo sguardo perso in direzione del giardino sottostante, Myriam mormorò: “Grazie ancora per l’invito, Kathleen. Se tuo padre non avesse avuto il mal di schiena, sarebbe venuta anche tua madre, ma non se l’è sentita di lasciarlo nelle mani della servitù.”

“Mi spiace per lei, che dovrà sopportare le sue intemperanze” asserì con ironia Kathleen, sorridendo a una divertita Myriam.

Indossava ancora le gramaglie, come era d’uso per le vedove, ma il suo viso appariva più sereno di quando l’aveva vista l’ultima volta, a Natale.

Da quella sventurata notte in cui se n’erano andati dalla villa nel bel mezzo di una tormenta di neve, non aveva più ricevuto visite da parte dei Barnes.

Che fosse stato per l’imbarazzo sopravvenuto ai fatti del primo giorno dell’anno, o altro, Kathleen aveva preferito non saperlo.

Aveva intrattenuto una normale corrispondenza con la madre, rendendola partecipe – tra l’altro – della sua futura maternità, ma poco altro.

Con Myriam, invece, aveva preferito essere più assidua, assai preoccupata per la sua salute fisica e, soprattutto, psicologica.

La perdita di Andrew le era pesata molto, e Kathleen non avrebbe mai voluto perdere anche lei.

Il fatto che ora Myriam si trovasse lì, comunque, era chiaro indice della sua aperta ribellione nei confronti del suocero, a suo modo di vedere.

Oltre che di un debole tentativo di riprendere ad avere una vita, nonostante la morte del marito.

Come vedova di Andrew, infatti, le era concessa qualche libertà in più, rispetto a Georgiana.

“Forse, se tuo padre fosse stato meno tempo a cavallo, in questi mesi, si sarebbe evitato questo eccessivo sovraccarico alla schiena” chiosò Myriam, sistemandosi distrattamente la gonna.

Sorpresa, Kathleen esalò: “Cavallo? E perché mai si è dato alle passeggiate a cavallo?”

“Da come usciva e rientrava dai suoi… viaggi, non parevano affatto passeggiate” replicò la cognata, vagamente dubbiosa. “Non ha mai voluto dirci dove si recava, però. Né a me, né a Georgiana.”

Kathleen preferì non pensare al padre e ai suoi impegni.

Con tutta probabilità, si era incapricciato di qualche donna e, per questo, si era lanciato in corse sfrenate per la campagna.

Da lui, ormai, si aspettava solo il peggio.

Sorridendo lieta quando, in giardino, Christofer sollevò Randolf in aria facendolo volare, Myriam mormorò: “Mi sono odiata, quando ho ripensato al modo tremendo in cui ti ho trattata. E al modo in cui ho trattato Christofer. Non meritavate di certo il mio biasimo, né la mia collera.”

“Ti era stato appena restituito il corpo di tuo marito dentro una cassa di pino, Myriam. Solo una donna senza cuore, non sarebbe impazzita per il dolore” replicò Kathleen, battendole affettuosamente una mano sul braccio.

“Forse… ma sapevo chi avevo sposato, come sapevo che un figlio, o dieci, non avrebbero mai trattenuto Andrew tra le amene pareti domestiche” asserì cupa Myriam, lanciandole un mesto sorriso. “Non fosse stato per la guerra, sarebbe stata qualche altra avventura. Ma ci sarebbe stato sempre qualcos’altro.

Kathleen sospiro, assentendo.

Nulla v’era di più veritiero, ma era difficile ammetterlo.

Andrew aveva amato di amore sincero Myriam, e così lei il giovane, ma nessuno si era illuso che questo sarebbe bastato a chetare lo spirito ribelle del futuro barone.

Il primogenito dei Campbell non aveva mai dato segni di voler seguire le orme del padre, e si era sempre lanciato in sfide audaci quanto in pericolosi viaggi.

In lui, aveva sempre bruciato il fuoco dell’avventura e, pur se mitigato dall’amore per Myriam, esso non era mai svanito del tutto.

“Non potevo certo pretendere che Christofer lo legasse al pennone di maestra, per tenerlo lontano dai guai” sorrise suo malgrado Myriam.

“Credo che lo avrebbe ucciso, se solo ci avesse provato” ammise Kathleen, lanciando un’occhiata al marito, che ora stava facendo il solletico a Randolf.

Le risate del bambino aleggiarono per il giardino, giungendo fino a loro, che li stavano osservando rapite.

“Per lo meno, so che non era solo, e che se n’è andato nell’unico modo che avrebbe accettato senza rimorsi. Non in un letto, piagato da qualche malattia o dall’inedia, ma nel pieno dell’azione, difendendo la Patria, e noi, dalle mire di quel folle di un francese.”

Randolf le salutò, sollevando la mano paffuta prima di passarla sul plastron ormai inguardabile di Christofer.

Le due donne sorrisero divertite e Kathleen, nel passarsi una mano sul ventre leggermente arrotondato, mormorò: “Gli somiglia molto ma, lo giuro su quanto ho di più caro, se Randolf proverà a salire su un destriero prima dei dodici anni, lo azzopperò di mia mano.”

“E io ti aiuterò a tenerlo fermo” assentì Myriam, sorridendo con la cognata.

Il capo maggiordomo si schiarì la voce proprio in quel momento, rendendo così nota la sua presenza e Kathleen, volgendosi verso di lui, domandò: “Sì, Bernard? Ditemi pure.”

“Lord Anthony Phillips è alla porta, milady. Chiede di essere ricevuto.”

“Oh, ma certo. Fatelo pure condurre qui, Bernard. Nel frattempo, fate chiamare mio marito perché rientri.”

“Sì, Vostra Signoria” assentì l’uomo, inchinandosi compito.

Myriam la fissò a occhi sgranati e lucidi e Kathleen, annuendo, mormorò: “Sì, è lui.”

Levandosi in piedi meccanicamente, Myriam si lappò nervosamente le labbra, le mani affondate nel tessuto leggero dell’abito corvino.

Quando infine l’uomo fece la sua comparsa, Kathleen seppe di non essersi sbagliata.

Anthony sussurrò il nome della donna come in un sogno e Myriam, correndogli incontro, affondò nel suo torace per scoppiare in un pianto silenzioso.

Lui le carezzò leggermente la schiena, scossa dai singhiozzi di lei, mentre i suoi chiari occhi verde acqua venivano attraversati da dolore e speranza.

Christofer non disse nulla, quando vide i due amici di vecchia data abbracciati e, nell’avvicinarsi a Kathleen, le baciò la tempia, mormorando: “Tutto bene?”

“E’ solo lo sfogo che speravo di vedere” replicò Kathleen, tranquilla.
 
***

Passeggiando nervosamente per la sua stanza, Kathleen seduta comoda su uno dei divanetti nei pressi del camino, Myriam bofonchiò: “Avresti dovuto impedirmi di fare una figura così pessima con Anthony! Ma che mi diceva la testa, in quel momento?”

“Forse, che avevi bisogno di sfogarti, dopo mesi e mesi di assoluta inedia?” ironizzò l’amica, sorridendole comprensiva.

“E dovevo per forza bagnare il suo plastron, riducendolo a un ammasso contorto di seta azzurra?” brontolò per contro la cognata, passandosi una mano sulla fronte, sempre più irritata.

“Myriam. Tu e Anthony vi conoscete da anni, e non si scandalizzerebbe mai di fronte a un tuo pianto” le ricordò Kathleen, cercando di rabbonirla. “Se non ricordo male, fu testimone di più di uno dei tuoi incresciosi bagni nel torrente… o sbaglio?”

“Non ricordarmelo!” esalò la donna, avvampando. “Va detto che avevo solo dodici anni, all’epoca ma, a ogni buon conto, non avrei mai dovuto dare retta ai miei fratelli, e gettarmi nel torrente con la sola camiciola addosso.”

La contessa le sorrise indulgente, replicando con ironia: “Ti sei divertita ben più di me, cara, e credo sia una cosa impagabile… anche se hai macchiato la tua condotta con i tuoi comportamenti inqualificabili.”

Myriam la fissò arcigna per un momento, prima di scoppiare a ridere con lei.

Era vero. Myriam aveva avuto un’infanzia ben più serena di quella di Kathleen e, di sicuro, più libera e spensierata.

“Non posso comunque approfittarmi così di lui!” dichiarò alla fine Myriam, crollando a sedere sul divanetto, spossata e con i residui del riso ancora dipinti in volto.

Tornando seria al pari della cognata, la cognata mormorò: “Anthony non penserebbe mai che stai approfittandoti di lui, o del suo buon cuore.”

“Già, a quello ha già pensato Emily” sbuffò Myriam, indispettita.

“Ho promesso ad Anthony il mio totale appoggio, quando la troverà” le fece sapere Kathleen, sorridendo con vaga perfidia.

“Oh, se è per questo, potrei prestargli tutti i battitori che sono giunti qui per scortarmi, e poi mettermi a mia volta a sua disposizione, …se solo servisse!” sentenziò Myriam, stringendo le mani a pugno. “Fare questo a un uomo come Anthony!”

“E’ un uomo dalle nobili virtù, non v’è dubbio alcuno, ma sappiamo bene entrambe perché finì tra le braccia di Emily, la donna forse meno adatta a lui, in tutto il Regno” le rammentò suo malgrado Kathleen, sospirando melanconica.

“Non occorre che tu me lo dica. E, dopo tutto quello che ci ha legati in passato, non riesco a essere lucida, in sua presenza” esalò la cognata, chiudendo un momento gli occhi per perdersi nei ricordi.

Quella stagione di alcuni anni prima, in cui sia Anthony che Andrew avevano mirato alla sua mano.

Lei, così giovane e così abituata a loro, che per lei erano stati compagni di gioco da una vita.

Contrariamente agli usi, Myriam era cresciuta in una famiglia molto aperta. I Lawrence non avevano mai impedito alle figlie di giocare con i fratelli.

Le ragazze, Myriam, Fay e Sarah, avevano imparato a pescare e nuotare, esattamente come i fratelli Warren e Rainold prima di loro.

E, grazie a questa libertà, Myriam aveva potuto fare amicizia anche coi figli dei vicini, i Campbell, i Phillips e gli Spencer, per l’appunto.

Anthony, Andrew, Christofer e Myriam erano praticamente cresciuti insieme.

Quando lei era stata presentata a Londra per la Stagione, a Andrew e Anthony era parso logico concorrere per la sua mano.

Ben presto, però, Myriam si era resa conto trattarsi di un’autentica disfida, tra i due, e che l’amore che provava per entrambi non era solo l’affetto di un’amica d’infanzia.

L’esuberanza di Andrew l’aveva fatta capitolare ma, soprattutto, era stato l’allontanamento improvviso di Anthony, a farla propendere per il figlio di Barnes.

Anthony si era ritirato in buon ordine da un giorno all’altro, ma Myriam non aveva mai dimenticato il suo amore per lui, né l’amore che lui aveva provato per lei.

“Mi giudichi ingrata, Kathleen? Ad aver amato due uomini, intendo” mormorò Myriam, riaprendo gli occhi per fissarli in quelli della cognata.

“L’amore ha mille sfaccettature, Myriam, e non ti biasimerei mai per aver amato anche Anthony, oltre ad Andrew. Andrew sapeva essere adorabile e, con la sua luce, avrebbe potuto abbagliare, e ammaliare, chiunque. E so che tu l’hai amato di amore sincero, e che ancora lo ami. Ma ho visto come hai guardato Anthony, quando è giunto oggi, e ho visto come lui ha guardato te.”

“Non potrei mai condannarlo a una vita con una donna spezzata a metà” sospirò Myriam, reclinando il capo contro lo schienale del divano.

“Non sei una donna spezzata a metà, Myriam. Stai soffrendo per un lutto che ti pesa sul cuore, ma questo non vuol dire che tu debba lasciarti consumare da esso. Andrew per primo se ne risentirebbe” protestò Kathleen, accalorandosi. “Mia madre mi ha scritto di te alcune volte, in questi mesi, parlandomi del tuo arrancare alla ricerca di una luce che non fosse Randolf… Andrew non riposerebbe in pace, sapendoti in vita solo per il vostro bambino.”

“E pensi che darmi nelle mani del primo uomo che incontro, sia meglio?” protestò Myriam, accigliandosi e fissandola con aperta sfida.

“Non si tratterebbe del primo uomo che incontri, ma di Anthony e, se proprio Andrew dovesse scegliere, vorrebbe lui per accompagnarti nella vita, perché saprebbe che ti ama, e di un amore così profondo da poter reggere il confronto con quello che provava mio fratello per te.”

“Come puoi dirlo, Katie? Come?” singhiozzò Myriam, crollando in ginocchio accanto a lei.

Kathleen le afferrò le mani e, sorridendole mesta, asserì: “Perché io sono sua sorella, e posso capirlo meglio di chiunque altro. Non ti avrebbe mai voluta sola per tutta la vita, ma al fianco di un uomo abbastanza forte da proteggerti, e amarti, come meriti.”

Myriam si limitò ad affondare il viso sulle ginocchia di Kathleen, che le carezzò i capelli con calma, sussurrandole parole di conforto.

Era certa di essere nel giusto.

Andrew non avrebbe mai voluto saperla sola e, soprattutto, in balia del loro comune genitore.

Perché era questo che non aveva avuto il coraggio di dirle, mentre ammetteva con Myriam di apprezzare l’affetto che Anthony ancora provava per lei.

Non si fidava di suo padre e, più sua cognata fosse rimasta sola, meno sarebbe stata al sicuro, a suo parere.

Molto più tardi, quando infine uscì dalla stanza di Myriam per raggiungere quella di Christofer, Kathleen raggelò a metà di un passo quando vide giungere William.

“Posso avere l’ardire di parlare con voi, milady, in separata sede?” riuscì a dire lui, con tono a stento controllato.

“Oh, ma certo. Prego, venire pure, William. Entriamo nella biblioteca” ansò lei, affrettandosi ad afferrare la maniglia della prima porta che le capitò a tiro.

Non appena fu all’interno della stanza, trovò a sorpresa il marito, impegnato a sfogliare un tomo di geografia.

Sorpreso dalla loro comparsa, esalò: “E voi che ci fate, qui? Katie, non dovresti essere già a letto?”

“Stavo giusto per andarci, ma…” tentennò la donna, sorridendo stentatamente al fratellastro.

“Ti chiedo perdono, Christofer, ma ti pregherei di allontanarti, perché sto per fare una ramanzina a tua moglie, e non vorrei ti risentissi per quanto sto per dirle” brontolò William, sinceramente alterato.

Chiudendo con un tonfo il tomo, il conte si levò in piedi e, fissando incuriosito Kathleen, replicò: “Ora non mi allontanerò di sicuro, perché hai risvegliato il mio interesse. Cos’ha combinato la mia esplosiva moglie? Ha estratto le spine un’altra volta?”

“Non proprio, ma ha tentato di fare la sensale non richiesta” replicò piccato William. “Perché diamine hai detto a Bridget di me?!”

“In realtà, le ho detto di dirti di raccontarle la verità. E’ un po’ diverso” si difese la donna, prendendo sottobraccio il marito con aria vagamente preoccupata.

Christofer sorrise di fronte a quel tentativo di difendersi, ma William non vi badò.

“E perché ti è venuto in mente di dirlo?!”

Sbuffando, Kathleen bofonchiò: “Perché pensava che tu fossi innamorato di me, e non volevo essere la causa di un vostro allontanamento.”

Facendo tanto d’occhi, William esalò: “Credeva… cosa?!”

“Hai capito benissimo. Per questo, mi sono vista costretta a porgerle quella lancia di salvataggio. Ma so che lei è fidata, ed è un segreto che non potrà fare che bene al vostro rapporto.”

“Ma come poteva pensare che io e te…” esalò sconcertato William, scuotendo il capo con espressione basita.

“Oh, beh, se è per questo lo pensai anch’io, a suo tempo” intervenne Christofer, facendo sobbalzare entrambi.

“Ma che dici? Davvero?” esalò la moglie.

“Andiamo, Katie… siete così in confidenza! E William è assai protettivo nei tuoi confronti” fece notare a entrambi l’uomo, sorridendo sornione.

“Beh, allora ho fatto doppiamente bene a dirle di parlare con te” bofonchiò Kathleen, fissando determinata il fratellastro.

“Già, e ora lei pensa di non essere alla mia altezza perché ho in parte sangue nobile” sospirò William, passandosi una mano tra i capelli rilasciati sulle spalle.

I suoi occhi color whisky brillavano di impazienza e nervosismo.

Christofer rise di puro cuore e, presa in mano la situazione, si allontanò dalla moglie e diede una pacca sulla spalla all’amico.

“Lascia che parli io, con Bridget. Cercherò di calmare le sue paure, va bene?”

“A questo punto, farei anche un voto a tutti i santi del Paradiso, se servisse” sospirò l’uomo, annuendo esasperato.

Christofer si limitò a sorridere divertito e, dopo aver dato un bacio alla moglie, si dileguò per andare a parlare con la cameriera.

William, a quel punto, sospirò e Kathleen, sfiorandogli il braccio con una carezza, asserì: “Desidero solo che tu sia felice, e non puoi esserlo, restando soltanto al mio servizio.”

“Sottovaluti la gioia che mi dai” replicò il fratellastro, sorridendole nonostante tutto.

Kathleen sbuffò, pur sorridendo a sua volta.

“Se anche il mondo non lo verrà mai a sapere, a me non importa. Tu sei mio fratello, esattamente come lo era Andrew, e io voglio per te solo il meglio. Bridget è una brava ragazza, e so che ti interessa. Non pensare mai che io venga prima della tua felicità. Mai.

William si chinò per darle un bacio sulla tempia, sussurrando: “Iddio mi ha dato la cosa più preziosa. Una sorella che mi ama, come io amo lei. Vai a dormire e pensa a tuo figlio, Katie.”

Kathleen lo guardò uscire dalla biblioteca e, nel passarsi una mano sul ventre, mormorò: “Grazie per averlo portato da me, Andrew. Grazie.”
 
***

“Come sarebbe a dire, che te ne vai?” brontolò Annelyse, scostando le coltri del letto con un gesto nervoso delle mani.

Sistemandosi il mantello scuro sulle spalle, Peter la ignorò finché lei non si piantò innanzi a lui, nuda e furiosa come un cobra.

Sorridendo appena – Iddio avesse pietà dell’uomo che un giorno l’avrebbe sposata – lui la scostò gentilmente e disse: “Commissioni per tuo padre. Starò via un mese, più o meno.”

Un mese?! E cosa pensi che dovrei fare, io, in questo mese? Rigirarmi i pollici nella tua attesa?!” sbottò la giovane, spintonandolo.

Imperturbabile, Peter replicò: “Sai benissimo che tuo padre non gradirebbe ritrovarsi la casa piena dei tuoi amanti passeggeri. Soprassiede sulla mia presenza solo perché gli torna comodo, ma non pensare che possa portare più pazienza di così.”

Sbuffando irritata, Annelyse replicò: “Posso rigirarmi mio padre quanto voglio. Lui fa solo quello che dico io e…”
Aprendosi in un ghigno beffardo, il giovane dragone la spinse contro il muro, la mano premuta sulla sua gola, e sibilò: “Lui sopporta le tue intemperanze esattamente come me. Sopporta. Ma, se tirerai troppo la corda, il suo affetto per te potrebbe tramutarsi in smania di maritarti al primo vecchio titolato che si presenterà da Almack’s, in cerca di una moglie giovane e piacente. Vuoi questo? Ora?”

“Farei comunque questa fine” brontolò lei, sfiorando con le sue piccole mani quella inguantata di Peter, che ancora la tratteneva al collo.

Mollandola di colpo, lui sbuffò, replicando: “Non ho tempo per i tuoi capricci, Annelyse ma, se farai la brava, quando tornerò non lo farò a mani vuote.”

“Non mi interessano i gioielli. Ne ho finché voglio” mugugnò la giovane, allacciandogli le braccia al collo per strappargli un bacio.

Lui la lasciò fare e, nel passare le mani sul suo corpo morbido, sussurrò sulla sua gola: “Mi riferivo a qualcosa di più esotico di un gioiello… e di molto più divertente. Ci divertiremo, te lo prometto, ma tu devi fare la brava bambina.”

“Non tarderai più di un mese?” gli domandò a quel punto, scostandosi per allungargli il tricorno che riposava su una delle poltrone.

“Non un giorno di più” le promise, infilandosi il cappello per poi strizzarle l’occhio e uscire dalla camera.

Una volta che fu in corridoio, sospirò esasperato e si diresse a grandi passi verso lo studio di Gordon-Lewis, che si trovava in fondo al corridoio, nell’ala opposta del palazzo.

Lì giunto, bussò alla porta ed entrò senza indugiare oltre.

Wallace Gordon-Lewis, barone Cregan, lo fissò ombroso e, nell’allungargli una busta senza insegne, sigillata con ceralacca, mormorò: “Raggiungi la torre martello di Seaford entro domani mattina alle cinque. Dovrai incontrarti con il caporale Rodney Sheridan. Sarà lui ad aprirti la porta e farti scendere nelle segrete. Rimarrai lì fino al giungere della sera, dopodiché salperai dalla spiaggia assieme ai contrabbandieri di whisky. Il tuo riferimento sarà Cougar, come al solito.”

“Sì, signore” assentì Peter, infilando la missiva nella tasca del panciotto.

“Sbarcherai nei pressi di Berck e lì attenderai alla locanda del porto, Le Canard d’or. Chiederanno di te all’oste come di monsieur Guillaume Martin.”

Peter ghignò e chiese: “Come mai proprio questo nome?”

Wallace fece un gesto banale con la mano, replicando: “Credo sia il nome di un santo patrono locale, o qualcosa del genere.”

L’ex dragone rise sommessamente in risposta e, già pronto ad andarsene, dichiarò: “Oh, a proposito… Annelyse l’ha presa piuttosto bene. Non dovrebbe farti ammattire, durante la mia assenza. Ti ho fatto sembrare più burbero di quanto tu non riesca effettivamente a essere, con lei.”

Gordon-Lewis lo fissò furioso, forse desideroso di replicare ciò che Peter aveva solo inscenato con Annelyse alcuni momenti prima.

Stringere la propria mano attorno al suo collo e stringere, stringere.

Tornando sui propri passi, Peter poggiò le mani sulla scrivania in noce del barone, lo fissò dall’alto al basso con il suo sorriso perfido e mormorò: “Non è colpa mia, se hai alzato il gomito con la persona sbagliata. Anzi, dovresti ringraziarmi che della Corona non mi interessi niente, e che approvi sostanzialmente ciò che state facendo, tu e i tuoi amici titolati. A quest’ora, non fosse per me, tu e la tua mogliettina penzolereste dalla forca, assieme a un bel po’ di altra gente.”

“Ti ho salvato dal patibolo! Non basta?!” sbottò l’uomo, levandosi in piedi per fronteggiarlo da pari a pari.

“Una mia parola vale molto più di un gesto singolo, … barone. Io morirei soltanto, ma tu e la tua combriccola? Vuoi davvero tirarti addosso le ire di tutti i membri del tuo discutibile club? Loro ti farebbero cose ben peggiori, che darti la morte” ironizzò Peter, avviandosi verso la porta. “Inoltre, ricorda che, se succede qualcosa a me, qualcun altro parlerà al mio posto, e voi sarete finiti.”

Afferrò la maniglia ottonata, la girò e, in sussurro mielato, aggiunse a mo’ di epitaffio: “Pensa soltanto a cosa potrebbero fare alla dolce Annelyse…”

Non servì dire altro, come sempre.

Soddisfatto per come erano andate le cose, Peter discese le scale fino a raggiungere le scuderie del palazzo e lì, dopo aver fatto sellare un baio, si avviò per uscire da Londra.

Quel viaggio imprevisto avrebbe solo ritardato la sua vendetta su Harford, ma non lasciava sguarnito il fortino.

Aveva chi teneva d’occhio la sua preda e, per quando fosse tornato, avrebbe messo in atto il suo piano.







Note: Come avete avuto modo di scoprire, i rapporti intercorsi tra Myriam e Anthony, erano stati molto di più di una semplice amicizia e, a quanto pare, entrambi serbano ancora nel cuore il dolce sentimento che li aveva avvicinati anni prima. Perché, però, nulla è andato a buon fine, per loro e, alla fine, Myriam ha sposato Andrew, che pure amava con calore? Ve lo spiegherò più avanti, non temete.
Nel frattempo, Kathleen cerca di risolvere i problemi sentimentali del fratello, rischiando però di peggiorare la situazione. Va pur detto, però, che lei vuole bene a William, e non desidera che lui pensi solo alla salvaguardia di sua sorella.
Quanto a Peter? Per un po', ce ne libereremo... ma Annelyse saprà comunque rendere la vita difficile alla nostra coppia. Non si può essere felici, se lei non lo è! 
Per ora vi ringrazio per essere giunti fino a qui assieme a me! Ci rivediamo la settimana prossima!

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Capitolo 20
*** XX. ***


20.
 
 
 
 
 
Ben sapendo che, a quell’ora, l’avrebbe trovata nella sua stanza, al fianco di quella della moglie, Christofer andò praticamente a colpo sicuro.

Non era ancora del tutto certo di quello che avrebbe detto a Bridget, ma non voleva procrastinare quel discorso alla mattina seguente.

Tra i suoi incontri al Ministero della Guerra e i preparativi per la festa da lady Jersey, l’indomani non avrebbe avuto tempo alcuno.

No, doveva parlare con Bridget in quel momento, anche se non era propriamente consono all’etichetta.

O al semplice buon gusto. Ognuno doveva scegliere per conto proprio, se voleva ricevere le attenzioni di qualcuno.

Per lo meno, chi di loro poteva permetterselo.

Dopo essersi schiarito la voce, perciò, bussò alla porta della sua camera e, a mezza voce, asserì: “Bridget, sono Christofer. Potresti aprirmi?”

Il conte udì immediatamente il suo sospiro soffocato, un po’ di trambusto e, infine, la porta si aprì, offrendogli la vista della sua giovane domestica.

Subito, i ricordi gli tornarono a diversi anni prima quando, solo sguattera in cucina, era stata solita recuperarlo in giardino, tra le lunghe ombre della notte.

Era stata testimone della sua ira, del suo lento disgregarsi, del suo mutare da scapigliato e divertente ragazzino a giovane nobile freddo e distante.

Ma mai con lei. Mai con la piccola Bridget, con cui aveva giocato da bambino, e che lei aveva rappezzato nella segretezza della stalla, lontano dagli occhi della famiglia.

Ora, gli apparve frastornata e sorpresa, i capelli ricoperti da una candida cuffietta e le gote vagamente arrossate dall’imbarazzo.

“Puoi uscire un istante? O posso entrare io?” le domandò, sorridendo appena.

“Oh, beh, beh… ecco… entrate. Entrate pure” balbettò la ragazza, allargando lo specchio della porta per permettergli di entrare.

Nella stanzetta brillava una singola candela, e la finestrella che dava sulla strada – le cui imposte erano aperte – lasciava entrare sufficiente luce per non inciampare.

Christofer notò i suoi effetti personali sul piccolo tavolino da toeletta, i nastri per i capelli arrotolati accanto alla spazzola, e sorrise.

“L’alloggio va bene? Fino a ora, queste stanze erano state usate solo dalla dama personale di mia madre, per cui non so se…” iniziò col dire Christofer, subito interrotto da Bridget, che sorrise appena.

“Sono perfette, Vostra Grazia. Ma non penso mi abbiate cercata per questo, vero?”

Lui rise un poco, scuotendo il capo e, nel passarsi una mano sulla nuca con fare dubbioso, mormorò: “Sto cercando di capire come dirti una cosa, senza per questo apparire impiccione o maleducato.”

Bridget sgranò un momento gli occhi, a quelle parole, chiedendosi perché il suo padrone si prendesse simili scrupoli.

L’attimo seguente, però, comprese. Christofer Spencer non era come il padre, non lo era mai stato sebbene, per un certo periodo, avesse temuto per lui e il suo futuro.

La sua nobiltà d’animo era stata quasi soffocata da una famiglia che non lo aveva mai meritato – con le eccezioni evidenti di lord Wendell e la contessa madre.

L’arrivo di lady Kathleen lo aveva riportato indietro, mostrandole nuovamente il giovane con cui era cresciuta, pur se in due mondi assai differenti, anche se così vicini.

“Perché non mi dite cosa vi turba tanto, milord?” gli propose lei, sistemandosi meglio l’orlo della vestaglia.

“Vorrei solo essere sicuro che tu abbia compreso bene cosa voleva fare mia moglie, parlandoti di William” ammise a quel punto il conte, vedendola sobbalzare leggermente.

“Oh” mormorò soltanto la giovane, avvampando.

“Non desiderava affatto che tu ti allontanassi da William, tutt’altro” sottolineò Christofer, arrischiandosi a poggiare una mano sulla spalla della ragazza.

Era insolito, per non dire rarissimo, che vi fosse una simile familiarità con i propri domestici, ma Christofer ne aveva avuto a sufficienza anni addietro, di quella distanza.

Il conte era affezionato alle persone che lavoravano per lui e, se il padre era stato l’uomo che tutti avevano conosciuto, non per questo desiderava seguirne le orme.

“Siete molto gentile a preoccuparvi per me, Vostra Grazia, ma io…”

Interrompendola, Christofer strinse la mano sulla spalla della ragazza e disse con maggiore veemenza: “Non mi sono dimenticato quando mi sistemavi i lividi che mio padre mi lasciava, o i segni del frustino che Kenneth si divertiva a scaricarmi addosso quando ero un bambino troppo curioso, e lui solo un borioso idiota.”

Bridget ristette zitta dinanzi al conte, e scorse nei suoi occhi quell’antico dolore, quella rabbia cresciuta negli anni e che lui aveva trasformato in uno scudo.

Sì, rammentava anche lei i suoi lividi, lasciati sul suo volto dai ceffoni del padre.

Per questo, il giovane cadetto degli Spencer era sceso così spesso al vicino villaggio per ubriacarsi.

Per questo, era spesso fuggito dalla villa, trovando conforto nel calore umano di nobildonne che, per motivi diversi o forse simili, si erano perse al pari suo.

Per questo, Christofer Spencer, conte Harford ora si stava preoccupando per lei.

Perché era passato attraverso l’inferno, ne aveva subito la sferza bruciante, e sapeva cosa volesse dire soffrire.

E non desiderava che altri soffrissero.

“William Knight e io non saremo mai una coppia compatibile, per quanto l’idea sarebbe splendida di per sé” ammise la giovane, arrossendo suo malgrado.

“E perché mai pensi questo?”

“Gli sono troppo inferiore, milord. Lui merita una donna acculturata, bellissima e di natali ben più nobili del mio” ammise con onestà Bridget, sospirando leggermente.

Christofer la fissò incredulo, esalando: “E tu pensi di non corrispondere a questo quadro? Sei la figlia di un vicario, perciò sei di onorevole discendenza, sai leggere e scrivere, cosa che so con certezza, e sei una ragazza molto bella. Ergo, qual è il vero problema?”

Bridget rimase in religioso silenzio e il conte, accigliandosi leggermente, borbottò: “Devo arrivarci da solo, Bridget? Non sono famoso per essere un esperto di dilemmi da risolvere.”

Lei sorrise appena, a quel commento, e Christofer aggiunse: “Giuro che, se fossi realmente tuo fratello, ti sculaccerei. Perché devo…”

E lì si bloccò, sgranando gli occhi. Possibile che…

“Stai pensando a cosa vorrebbe dire, se tu e lui vi sposaste? De facto, saresti imparentata con mia moglie… e con me. E’ questo a turbarti?”

“William potrebbe essere riconosciuto dal padre. Non sarebbe il primo figlio illegittimo a essere dichiarato erede di una fetta del patrimonio del genitore. E cosa avrebbe da portare con sé, se mai avvenisse ciò? Una moglie indegna di lui… e di voi tutti” mormorò sconsolata Bridget, scuotendo il capo.

Christofer sbuffò irritato, replicando scontroso: “Tu vali mille volte lord Barnes, poco ma sicuro, perciò ti ordino di accettare la corte di William. E niente storie.”

La giovane lo fissò basita, e mormorò: “Mi… ordinate?”

“Visto che fai la testarda, dovrò impormi finché non capirai da sola che William è non solo adatto a te, ma che tu sei adatta a lui” dichiarò lapidario il conte, ghignando soddisfatto.

Bridget sbatté le palpebre, seriamente confusa e Christofer, addolcendo il tono di voce, aggiunse: “E’ quello che un buon fratello farebbe. Inoltre, te lo devo. Mi hai rattoppato davvero troppe volte, perché io non faccia questa piccola cosa per te.”

“Sapete di essere un prevaricatore e un despota?”

“Ne sono consapevole, sì” assentì il conte, notando lo sguardo caldo di Bridget. Non era infuriata con lui, dopotutto, pur se si era impicciato alla grande di una cosa che non lo riguardava.

“E che state condannando William a fare la corte a una donna di bassa estrazione sociale?”

Sbuffando, Christofer replicò: “Se William è un condannato, penso che si farebbero condannare in tanti, Bridget.”

Lei rise appena, a quel commento, e assentì più tranquilla.

“E sia, allora. Visto che siete il mio padrone, non posso certo rifiutare un vostro ordine.”

“Bene, vedo che ci siamo capiti” dichiarò soddisfatto l’uomo, tutto sorridente.

“Ma riterrò voi responsabile, se William sarà infelice.”

“Dubito succederà, ma accetto le tue parole. Sarai padrona di darmi tutte le colpe, se malauguratamente mi fossi sbagliato nel consigliarti” assentì il conte, avviandosi poi verso la porta.

Nell’uscire, si volse a mezzo e aggiunse dolcemente: “Non pensare mai, Bridget, che il letto in cui si nasce crei la grandezza di una persona.”

“Voi siete una grande persona, indipendentemente dal letto in cui siete nato” mormorò Bridget, sentitamente.

Christofer non disse altro, uscendo dalla stanza con il cuor leggero e un sorriso sulle labbra.

Forse, dopotutto, aveva pagato almeno in parte il suo debito con Bridget.
 
***

La villa di lord e lady Jersey era sontuosa, illuminata a giorno grazie alle mille e mille candele accese ogni dove.

Decine di carrozze stavano facendo la spola innanzi alla scalinata d’ingresso, per poter far accedere in pompa magna gli invitati al banchetto.

Lo splendore dell’abitato, poi, faceva concorrenza a uno dei giardini urbani più belli di Londra, di cui lady Jersey non mancava di vantarsi.

Data la bella stagione, ampi padiglioni erano stati aperti sugli ampi prati, perché parte del buffet venisse servito all’esterno.

Spumeggianti fontane erano attorniate da timidi pavoni che, intimoriti dalle troppe persone presenti, tendevano a scappare – e aprire le loro code a ventaglio – quasi a ogni respiro.

Alcuni invitati, divertiti da questo loro comportamento, non mancavano di disturbarli, creando così situazioni ai limiti del ridicolo.

Tra uccelli starnazzanti e dame scioccate da improvvisi attacchi di volatili, il giardino era divenuto, invero, quasi un parco dei divertimenti.

Non che lady Jersey non se lo aspettasse. Forse, anzi, lo aveva desiderato.

Sventolando il ventaglio dinanzi al viso, Sarah Villiers si volse non appena una delle sue amiche le sussurrò all’orecchio.

Infine, i conti Spencer erano giunti e, come aveva richiesto ai suoi valletti, vennero subito accompagnati al suo cospetto.

Approvando la scelta con silenzioso apprezzamento, lady Jersey ammirò il leggero abito color pesca della contessa, che faceva risaltare il candore della sua pelle, senza risultare sfacciata.

Da una donna sposata – e in stato interessante – non poteva pretendere di più.

Christofer, con un posato ed elegante abito blu notte, dalla giacca in raso e i pantaloni al ginocchio su calze in setoso color panna, si inchinò, mormorando: “Siamo davvero lieti di essere potuti venire, lady Jersey. Come sempre, noto che le vostre feste sanno essere le più sontuose. Almack’s dovrebbe enumerarvi tra le sue patronesse, se avessero un minimo di buon senso.”

Sarah sorrise dietro il ventaglio e, nell’allungare una mano verso l’uomo per il consueto baciamano, replicò: “E il vostro colloquiare non è affatto cambiato, lord Spencer. Sempre a dispensare complimenti, così come dispensate bellezza a ogni respiro.”

“Troppo generosa” mormorò Christofer, sfiorandole la mano inguantata.

“E voi, mia cara… siete uno splendore autentico” soggiunse infine Sarah, richiudendo il ventaglio per batterselo leggermente su una mano. “Dio mi è testimone, non ho mai visto donna più bella, nelle vostre gentili condizioni.”

“Come ha sottolineato mio marito, siete troppo generosa” asserì Kathleen, esibendosi in una graziosa riverenza.

“Il banchetto inizierà alle undici,… spero che questo non comporti dei problemi.”

“Affatto. Fortunatamente, sto sempre molto bene” replicò la contessa Spencer, sorridendo affabile.

“Ottimo, ottimo. Allora, miei cari, divertitevi. Vi consiglierei di stare attenti ai pavoni nel giardino. Tendono a infilarsi sotto le gonne delle signore” sorrise divertita lady Jersey, allontanandosi dopo un ultimo cenno del capo.

Christofer e Kathleen la guardarono allontanarsi per accogliere altri ospiti e, nell’allungare il braccio alla moglie, il conte mormorò: “Giuro che quella donna diventa più dispettosa ogni anno che passa.”

“Ama divertirsi, immagino” celiò Kathleen, avviandosi col marito verso le porte finestre che davano sul giardino.

La serata era fin troppo piacevole, per passarla al chiuso.

“Lady Jersey adora creare situazioni potenzialmente foriere di disastri, ma il tutto è orchestrato ad arte. Nulla è lasciato al caso. Anche i cosiddetti guai che ha menzionato poco fa, sono del tutto voluti. Niente succede senza la sua supervisione” le spiegò Christofer, avvicinandosi a uno dei padiglioni per prendere due fresche bevande al limone.

Offertane una alla moglie, proseguì dicendo: “Non scherzavo, prima, quando parlavo di Almack’s. Lady Jersey ha un occhio molto attento, e quasi nulla passa sotto il suo naso senza che lei se ne accorga.”

Sorseggiando la bevanda deliziosa, Kathleen mormorò subito dopo: “Allora, potrebbe dirmi chi sono state le tue amanti?”

Christofer quasi si strozzò con la limonata e, fissando sgomento la moglie, esalò: “Come diavolo ti salta in mente un’idea del genere?”

“Pensavi me ne fossi dimenticata?” ironizzò lei, battendogli affettuosamente una mano sul braccio.

Fu gratificante vederlo impallidire leggermente.

“Non scherzare, Kathleen. Non sono certo argomenti da trattare in questa sede e, soprattutto, non in presenza di così tante persone. Credo proprio che…”

Una voce familiare interruppe la difesa spassionata di Christofer che, sentendosi chiamare, volse lo sguardo in direzione di quel suono trillante.

“Non posso crederci! Lord Spencer! Allora è vero che siete tornato vivo dalla guerra!” esclamò una giovane donna bruna, un candido sorriso a illuminarle il bel viso.

“Miss Gordon-Lewis… buonasera. Ebbene sì, non vi hanno ingannato” asserì Christofer, esibendosi in un inchino formale.

“Ne sono compiaciuta, davvero compiaciuta” dichiarò la ragazza, volgendo poi gli occhi blu verso Kathleen. “E voi dovete essere la consorte del nostro Christofer! Non avete neppure idea a quante giovani donne avete spezzato il cuore, mia cara! Io sono Miss Annelyse Gordon-Lewis. Molto piacere di fare la vostra conoscenza.”

Rispondendo alla sua frizzante riverenza con una molto più modesta, Kathleen lanciò un’occhiata curiosa al marito prima di dire: “Kathleen Campbell Spencer, molto piacere. Mi stavo giusto chiedendo se, tra le giovani in età da marito presenti stasera, non vi fosse qualcuna che avesse aspirato alla sua mano.”

“Mia cara…” tentennò Christofer, cercando di chetarne le curiosità.

Annelyse, però, colse la palla al balzo e, prendendo sottobraccio Kathleen, asserì con fare da cospiratore: “Io ebbi la fortuna di conoscere vostro marito alla mia prima Stagione, un anno prima del vostro matrimonio… e posso dire che almeno una decina di nobili fanciulle ebbero il cuore spezzato, quando lui non scelse nessuna tra loro.”

“Anche il vostro fu spezzato?” domandò Kathleen, stando al gioco.

Annelyse rise divertita, batté una mano sul braccio della contessa e replicò saggiamente: “Oh, no, mia cara, mai lasciare a un uomo il proprio cuore. Lo userebbe a proprio piacimento, per poi gettarlo all’occasione più propizia. Spero che voi non abbiate commesso questo errore!”

“Il mio cuore è al sicuro, non temete” asserì Kathleen.

“Lasciate che vi presenti un po’ di persone, allora…” dichiarò Annelyse, prima di volgere lo sguardo in direzione di Christofer per aggiungere: “Sempre che voi siate d’accordo, naturalmente.”

“Ma certo, Miss Gordon-Lewis.”

“Così a modo!” rise maliziosa Annelyse, sussurrando poi a Kathleen: “Non era affatto così, qualche anno addietro.”

Christofer osservò impotente le due donne allontanarsi e, con un sospiro, finì di bere la limonata per poi dedicarsi a qualcosa di più forte.

“Hai avuto coraggio da vendere, a lasciare che Miss Gordon-Lewis le facesse da accompagnatrice in mezzo a quel covo di vipere” asserì una voce alle sue spalle, facendo voltare Christofer.

“Anthony… quando l’ho vista, mi si è gelato il sangue” dichiarò il conte, sospirando nuovamente. “Pensavo che avrebbe fatto una scenata, o qualcosa del genere. Come mai il barone non l’ha ancora fatta maritare? Ha vent’anni, che io ricordi. O di più?”

“Ricordi bene, mio caro amico, e a Londra è praticamente uno scandalo vivente, abbigliato con le migliori sete cinesi. Ma, da quel che si vocifera, pare che il barone stia aspettando la preda giusta, se capisci cosa intendo” mormorò Chapman, facendosi servire del whisky scozzese d’annata.

Christofer storse la bocca, replicando: “Se non mi fossi rifiutato strenuamente di farle la corte, sarei stato io, la preda giusta.”

“Ah, sì?” esalò sorpreso Anthony.

“Mio padre andò su tutte le furie, visto quanto era interessato agli agganci politici del barone all’interno del Ministero della Guerra. Lo reputò un buon matrimonio, ma io feci di tutto per evitare Miss Gordon-Lewis… anche se lei non fece altrettanto” gli spiegò Christofer, seguendo con attenzione le figure delle due donne, impegnate in un’allegra chiacchierata con alcune dame.

“Non dirmi che provò a sedurre anche te?” sbottò Anthony, sistemandosi nervosamente il colletto della camicia.

Harford sorrise e chiosò: “Chi non ha sedotto, scusa?”

“Credo nessuno, dai quattordici anni in su” chiosò l’amico, bevendoci sopra.

“Non oso immaginare quello che potrebbe dire a Kathleen. Ora che tutto va così bene, non vorrei che lei rovinasse tutto.”

“Vi amate, no? Non si fatica a capirlo, da come vi guardate” lo rassicurò Anthony, dandogli una pacca sulla spalla.

“Certo che l’amo… ma nulla potrà mai cancellare il fatto che, all’inizio del nostro matrimonio, io sono stato un ben misero marito, per lei. E ora che è incinta, non vorrei che le si instillassero nel cuore dei dubbi.”

Anthony sorrise nel venire a sapere di quella notizia, e si congratulò con l’amico, prima di affermare: “Qualsiasi cosa sia successa tra voi all’inizio, Harford, niente può nascondere l’amore che lei prova per te. Kathleen sa essere una persona di cuore, specialmente con coloro che porta nell’animo con più tenerezza.”

“Lo spero, o stanotte chiederà la mia testa” sentenziò Christofer, facendo scoppiare a ridere l’amico.
 
***

Sdraiato a letto, le candele spente e solo la luce dei lampioni all’esterno a tingere i contorni della stanza, Christofer ammirava la candida figura della moglie.

Se ne stava in piedi, in ammirazione della luna alta in cielo, una mano a scostare leggermente le tende chiare, l’altra poggiata sul ventre arrotondato.

La serata non aveva avuto intoppi di alcun genere e, quando lady Jersey aveva reso nota la loro prossima gioia, i presenti al banchetto si erano rallegrati per loro.

Quanto fossero state reali quelle felicitazioni, era difficile da stabilire, ma a lui poco importava.

Sua moglie si era divertita, e questo era l’importante.

Il giorno a venire sarebbero andati in un orfanotrofio per conoscerne le condizioni, così da comprendere dove poter intervenire.

Avrebbe anche raggiunto la luna, se lei glielo avesse chiesto.

Nel vederla volgersi per tornare a letto, le sorrise e lei, sdraiandosi al suo fianco, mormorò: “Era così… prima di me? Di noi?”

Christofer accarezzò il tessuto leggero della camicia da notte, all’altezza del ventre, e mormorò: “Feste, balletti e tanta superficialità? Sì, Katie.”

“E ti divertivi?”

“A volte sì, a volte no. Ma ero sciocco ed egoista, all’epoca” scrollò le spalle lui, sorridendole contrito.

“Allora, sono sciocca anch’io, perché mi sono divertita. E no.”

Chinandosi a baciarle la punta del naso, lui le domandò: “In che senso?”

“Beh, era tutto molto affascinante. I colori, la musica, il baluginio delle candele, tutto quello sfarzo. Ma, con il passare del tempo, ho cominciato a chiedermi a cosa servisse tutta quell’opulenza, e così ho smesso di divertirmi. Inoltre…”

Notando la sua ritrosia a parlare, Christofer la incoraggiò con un sorriso e Kathleen, sbuffando, ammise: “Dimmi che non sei andato a letto con Annelyse Gordon-Lewis. Posso perdonarti qualsiasi cosa, … ma lei no.”

Scoppiando a ridere, lui la rassicurò, scuotendo il capo ma, per dovere di cronaca, disse: “Mio padre avrebbe voluto che la sposassi, lo ammetto. Io, però, la reputavo troppo…”

“Invasata? Psicotica? Egoista e vanesia?” buttò lì, Kathleen, scrutandolo con intensità.

“Un po’ tutte queste cose. Ero un giovane uomo che non sapeva cosa farne di se stesso, disgustato dal proprio padre e dai propri fratelli, in lotta con il mondo… ma non mi sarei mai avvicinato coscientemente a lei” ammise il marito, carezzandole l’ombelico attraverso la camiciola.

“Perché ho avuto l’impressione che volesse ferirmi di proposito?”

“Forse, perché lo voleva realmente. Annelyse sa essere molto… dispettosa, quando vuole. E io la rifiutai, a suo tempo. Uno scorno che, credo, non le sia ancora passato di mente” ammise contrito.

“Comunque, mi ha fatto capire chi sono state le tue prede, a suo tempo” ironizzò a quel punto Kathleen, vedendolo avvampare. “Posso dire che, nonostante tutto, hai dimostrato di avere buon gusto. Sono dame assai simpatiche.”

Nascondendo il viso nell’incavo del suo collo, Christofer esalò: “Non perdonerai mai le mie follie giovanili, vero?”

“Se non l’avessi fatto, caro, non staremmo aspettando un figlio” replicò serafica lei, carezzandogli i capelli.

“Ma me la farai pagare perché, all’inizio, sono stato un idiota e un egoista senza ritegno” sottolineò l’uomo, tornando a scrutarla con attenzione.

Kathleen si limitò a sorridere sorniona ma, alla fine, lo baciò sulle labbra e asserì: “Vederti così terrorizzato mi ripaga della tua stupidità iniziale, credimi.”

“Dio sia lodato!” esalò Christofer, abbracciandola.

“Ma…”

“Ma, cosa?” gracchiò a quel punto l’uomo, impallidendo.

Kathleen lo sospinse via, facendolo sdraiare sulla schiena e, dopo essersi tolta la camicia da notte, mormorò maliziosa: “Credo che mi prenderò la mia rivincita su di te, dopotutto, marito. In fondo, un po’ te lo meriti.”

Non sapendo bene cosa aspettarsi, Christofer la vide armeggiare con la sua camicia e, quando l’ebbe aperta sul torace, si abbassò per baciarne lo sterno.

Subito, sospirò e fece per carezzarla ma lei, schiaffeggiandolo su una mano, mormorò: “No, mio caro. Tu non potrai fare nulla.”

“Ma non puoi chiedermi tanto!” protestò lui, guardandola negli occhi con aria risentita.

Lei allora si fece seria, e Christofer capì.

Dopotutto, le antiche paure non erano del tutto svanite, anche se lui l’amava, e sapeva di essere riamato a sua volta.

E come stupirsene?

In fondo, la ferita che le aveva inferto era la più profonda tra tutte.

Un cuore innamorato, e sfregiato dall’oggetto del proprio amore.

Christofer, allora, afferrò il copri materasso con le mani e, lappandosi le labbra, mormorò: “Non ti toccherò, né mi muoverò. Fai di me ciò che vuoi. Sarò a tua completa disposizione, come un marito dovrebbe fare.

A quelle parole, Kathleen ansò e, portandosi le mani alla bocca, soffocò un singhiozzo e scoppiò in lacrime.

Il marito, immediatamente, lasciò andare la presa per abbracciarla e, cullandola contro di sé, mormorò: “No, no, tesoro… è giusto così. E’ normale che tu voglia la tua rivalsa su di me…te lo lascerò fare. Davvero.”

“Ma non devo…è ingiusto…” esalò Kathleen, straziata dal dolore. “Dio… cosa stavo per fare?”

“Quello che io feci a te” le ricordò Christofer, sentendosi morire dentro per l’ennesima volta.

Quando avrebbe smesso di sentirsi in colpa per quegli eventi?

Forse, mai.

Kathleen pianse più forte e si strinse a lui come se avesse timore di scivolare via, di cadere in un pozzo senza fondo, senza alcuna possibilità di salvarsi.

Christofer lasciò che si sfogasse, che dilavasse con quelle lacrime l’ultima ombra rimasta nel suo cuore e, baciandole le gote rigate di dolore e sale, mormorò: “Lasciati andare, amore mio. Prendi ciò che vuoi, e non avere timore per me.”

Lei non rispose, si limitò a prendere il suo viso tra le mani e, con inusitata forza e disperazione, lo baciò.

Lo baciò con foga, facendolo sbilanciare e cadere all’indietro, in mezzo ai cuscini.

Presa da una frenesia senza limiti, Kathleen continuò a baciarlo, a carezzarlo, e Christofer la lasciò fare, rimanendo inerte sotto il suo tocco.

Avrebbe preso ciò che voleva, di lui, così che anche l’ultima ferita nel suo cuore  venisse cancellata.

La sentì discendere lungo il suo corpo con carezze sempre più audaci, finché non raggiunse il centro della sua virilità, e lì si fermò.

Si rialzò per guardarlo, gli occhi fiammeggianti di determinazione e, con voce resa roca dalla passione, gli ordinò: “Mi darai piacere, come io ne darò a te. Per sempre. E non ne riparleremo mai più.

Lui assentì e, nell’attirarla a cavalcioni sopra di sé, la penetrò, lasciando che i loro sospiri di sollievo si unissero in un’unica melodia.

Le lasciò campo libero. Fu lei a scegliere come, e quanto. In ogni momento.

E lei lo amò con tutta la passione che sapeva sempre esprimere, cancellando così il suo errore, e dandogli la forza di accettare il suo passato.







Note: Con questo capitolo assistiamo a un altro pezzetto del passato burrascoso di Christofer, cui Bridget è stata testimone diretta, e all'ennesimo tentativo del giovane conte di porre rimedio ai propri errori, e ricompensare coloro che lo hanno aiutato - e sopportato - in passato.
Al tempo stesso, scopriamo nel cuore di Kathleen ancora qualche traccia residua della rabbia provata nei confronti di Christofer, riportata a galla dal comportamento ingannevole e machiavellico di Annelyse.
Kathleen si riscopre ancora arrabbiata col marito - pur amandolo - e, quando se ne rende conto, scoppia in lacrime, ma Christofer non solo la comprende, ma le permette di prendersi la sua rivincita, concedendole così di cancellare per sempre quel ricordo.
Insomma, un capitolo catartico, se vogliamo. Spero vi sia piaciuto.
Alla prossima, e grazie per avermi seguita fino a qui!

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Capitolo 21
*** XXI. ***


21.
 
 
 
 
Curiosando tra le pietanze in preparazione, Kathleen afferrò una carota già debitamente pulita e, sorridendo al capocuoco, mormorò: “Non mi sgriderete, vero, se ve la rubo?”

“Solo perché siete voi, milady, e perché le verdure fanno bene ai bambini” replicò Mr Thomasson, allungandole un piattino pulito.

Lei lo ringraziò con un sorriso ancor più accentuato e l’uomo, con un borbottio imbarazzato, tornò al suo lavoro, mentre Kathleen si sistemava a uno dei tavoli della cucina.

Fin da quando si era svegliata, aveva cercato di evitare in ogni modo Christofer;  finire nelle cucine le era parso il sistema migliore per non incontrarlo.

Ma cosa le era successo, la notte precedente?

Cosa le era venuto in mente di rinfacciargli la loro prima notte di nozze?

Possibile che fosse così infantile da non poterci passare sopra, visto quanto lui era cambiato?

Visto quanto l’amava?

Non era in fondo questo, ciò che aveva sempre desiderato? L’amore e la devozione di Christofer?

Ebbene, ora non solo aveva tutto questo, ma aspettavano anche un figlio insieme.

Eppure, erano bastate poche parole velenose da parte di una ragazza gelosa, per farle montare dentro una rabbia che non sapeva di aver trattenuto in sé.

Dio, si era comportata in maniera così meschina, con lui!

“Vi sentite bene, contessa? Sembrate un po’ pallida” mormorò qualcuno accanto a lei.

Sobbalzando leggermente, Kathleen levò lo sguardo a inquadrare il viso morbido e dolce di Christine Knight.

“Oh, Miss Knight. Siete voi! No… sto… sto bene…” cercò di sorridere, pur non riuscendovi molto bene.

Si era sempre dichiarata desiderosa di parlare con la madre di William ma, a onor del vero, non ne aveva mai avuto il coraggio.

Come avrebbe potuto affrontare la donna che suo padre aveva rovinato, e che poi aveva lasciato sola e con un figlio in grembo?

Sì, l’aveva condotta a casa dei cugini e, se c’erano persone buone e generose, erano i Conroy, eppure… eppure non le era mai parso abbastanza.

Vi erano così tante cose da dire, così tante cose da farsi perdonare, e non sapeva da dove iniziare.

Sorridendole indulgente, Christine le disse: “Se mi permettete, potrei accompagnarvi in giardino a prendere un po’ d’aria. Credo vi farà bene.”

Poi, rivolgendosi al cuoco, dichiarò le sue intenzioni prima di offrire il braccio alla sua signora.

Kathleen non poté rifiutarsi – non avrebbe mai rifiutato nulla, a quella donna – e, seguendola lungo uno dei corridoi della servitù, sbucarono infine nel piccolo giardino.

L’esterno soleggiato la fece sorridere spontaneamente e Christine, annuendo, dichiarò: “Ecco. Questo è il volto che dovrebbe avere una donna che sta per diventare madre. Sorridente.”

Lappandosi le labbra, Kathleen mormorò: “Miss Knight, io…”

“Vi sono molto grata per avermi portato il mio William. E’ bello poter passare un po’ di tempo con lui” la precedette Christine, sorridendo.

Per Kathleen fu troppo. Si piegò sulle mani della donna, afferrandole con le proprie per poi poggiarvi la fronte in una muta supplica.

“Mi dispiace… mi dispiace così tanto…” sussurrò la giovane, tremando per le immense colpe del padre, che lei aveva fatto ricadere sulle proprie spalle.

“Oh, no, no… milady, non dovete dire una cosa del genere” si affrettò a mormorare Christine, facendola risollevare e poi battendo affettuosamente le mani sulle braccia di Kathleen. “Voi non avete colpa di nulla. E io ho William.”

“Però…”

Scuotendo il capo, la donna replicò: “Fui una sciocca e un’illusa, a cedere alle lusinghe di vostro padre ma, da quell’errore, ebbi in dono William. Penso di essere stata fortunata, non credete?”

Kathleen si limitò ad annuire, non potendo dire nulla in merito a questo.

Nessuno avrebbe potuto controbattere a una simile affermazione.

“Non pensiate mai che io vi ritenga responsabile per le sue azioni, milady. Non lo farei neppure in mille anni. Voi e vostro fratello siete stati più che generosi, con me e William, e il mio cuore ha pianto quando ho saputo di Andrew. Era un così caro giovane!”

“Vi ammirava molto” mormorò Kathleen, sorridendo appena. “E, se penso a voi, allora so che il sacrificio di mio fratello è valso a proteggere una persona buona e generosa.”

Christine le batté affettuosamente una mano sul braccio, replicando: “Il piccolo Randolf somiglia molto al padre.”
“Sì, e io e Myriam siamo già pronte a legarlo, se mai si farà scapestrato come Andrew” sorrise divertita Kathleen.

Christine non ebbe il tempo di replicare, che gli strilli allegri di Randolf giunsero alle loro orecchie.

Evidentemente, doveva trovarsi all’altro angolo della villa, sotto il bovindo.

Sorridendo allegra, Kathleen disse: “Andiamo a vedere cosa sta combinando.”

“Con piacere” assentì la donna, seguendola.

Non appena oltrepassarono l’angolo del palazzo, Randolf le inquadrò subito e strillò felice, agitando le manine.

“Zia Kathleen! Vieni! La palla!”

Lasciato il fianco di Christine, Kathleen si avvicinò correndo al nipote, mentre Myriam era accomodata su una delle sedie da giardino, all’ombra del porticato.

Non appena ebbe raggiunto Randolf nei pressi della fontana, si piegò in ginocchio per sollevarlo da terra… e quella fu la sua salvezza.

Un colpo di fucile fischiò vicino alla sua testa, sbriciolando un angolo della fontana e mettendo tutti in allarme.

All’urlo spaventato di Randolf seguì quello di Myriam, già pronta a balzare in piedi per raggiungere figlio e cognata.

Rannicchiata contro la fontana, il bimbo stretto tra le braccia e gli occhi sgranati per la paura, Kathleen fissò dapprima Christine, intimandole di restare ferma, poi urlò: “Myriam, corri in casa e chiama Christofer. Vai!

La donna si trattenne ancora un istante, ma fece quanto ordinatole, dopodiché Kathleen esclamò: “Christine, rientrate immediatamente e chiedete aiuto!”

“Zia…” singhiozzò Randolf, stringendosi a lei.

“Non temere… ce la caveremo” sussurrò Kathleen, baciandolo sui capelli.

La fontana era abbastanza ampia per proteggerli? Il colpo di fucile doveva essere partito dal parco che si estendeva alle spalle di Grosvenor Square, non v’erano dubbi.

Ma il cecchino era ancora lì? Attendeva forse un suo passo falso, o era già sparito?

Ma, soprattutto, perché aveva sparato proprio a loro?

Stringendosi maggiormente al petto Randolf, giurò a se stessa che niente e nessuno avrebbe fatto del male al figlio di suo fratello.

Aveva perso il padre in guerra. Null’altro gli sarebbe accaduto.

Sperò soltanto che qualcuno giungesse presto in loro aiuto, perché non sapeva davvero come mettere in pratica quei propositi.

Serrando gli occhi, Kathleen mormorò: “Dio, ti prego, ti prego…”

Un secondo colpo fendette l’aria, mandando in briciole un altro pezzo di fontana, e Randolf strillò.

“Ssst, non urlare, tesoro… non urlare” sussurrò Kathleen, tappandogli la bocca, dove gocciolarono grandi lacrime di paura.

Il cecchino voleva stanarli, sperando forse in un loro movimento inconsulto, dettato dalla paura.

Beh, avrebbe dovuto aspettare molto, questo era sicuro.
 
***

Ancora stentava a crederci.

Un’imprecazione gli salì alle labbra, ma la frenò sul nascere.

Non voleva spaventare Randolf ancor più di quanto già non lo fosse.

Sembrava passata un’eternità, eppure erano trascorse solo due ore da quella che avrebbe potuto diventare un’autentica tragedia.

Quando Myriam era corsa in casa, pallida come un cencio, urlando il suo nome, Christofer si era sentito afferrare da una paura a lui ben nota.

La paura di perdere Kathleen.

Lo sparo che Peter aveva riservato per lui, e che la moglie tanto coraggiosamente aveva preso su di sé, era tornato nella sua memoria come un colpo di maglio ben assestato.

Aveva afferrato Myriam alle spalle, bloccando la sua corsa sfrenata, chiedendole concitatamente cosa stesse succedendo.

Christofer aveva temuto un mancamento, un imprevisto problema con il bambino ma no… sarebbe stato troppo semplice.

Il secondo sparo l’aveva fatto riprendere dallo stordimento e, dopo aver ordinato a Myriam di restare in casa, era corso verso il porticato.

Lì, stesa a terra assieme a Randolf, riparati soltanto dalla slanciata figura della fontana del giardino, aveva visto Kathleen.

Lacrime avevano solcato il suo viso, ma nei suoi occhi aveva letto solo una feroce determinazione alla vita.

Gli stessi occhi di Andrew, la loro stessa forza.

Christofer aveva urlato, agghiacciato al solo pensiero che le parole dell’amico fossero foriere di una ulteriore tragedia.

Se fosse nata maschio, Kathleen sarebbe stata come me…

Se Kathleen si fosse mossa, se avesse tentato di sfidare colui che li aveva spinti a nascondersi…

Ma lei non aveva dato ascolto alla tempesta che il marito aveva scorto nel suo sguardo.

Si era limitata a stringere maggiormente a sé Randolf e, rendendosi finalmente conto della sua presenza, aveva annuito all’indirizzo di Christofer.

Era stato a quel punto che, dal piano superiore, era giunto un altro sparo, stavolta in direzione del cecchino.

“Portatela via, Vostra Grazia!” aveva gridato William, e un altro colpo di fucile era seguito al suo ordine.

Christofer era stato lesto a sfruttare quella momentanea copertura e, tenendosi basso, si era mosso verso moglie e nipote per condurli in salvo, facendo loro da scudo.

Kathleen aveva immediatamente passato Randolf al marito e, tenendosi al suo braccio, aveva corso assieme a lui fino a raggiungere l’interno del palazzo.

Lì, Myriam era corsa ad abbracciare il figlio mentre Christofer aveva stretto a sé la moglie, piangendo lacrime di sollievo.

Erano occorsi diversi minuti prima che la servitù si calmasse, e Christofer ritrovasse la lucidità necessaria per inviare uno dei valletti a Bow Street per chiamare la polizia.

E ora, in uno dei salotti del palazzo, intento a raccogliere le loro deposizioni, un agente in divisa stava domandando loro informazioni circa possibili mandanti.

“L’unico che mi venga in mente è Peter Chappell, ex dragone dell’esercito britannico, che ha già una taglia sulla sua testa. Ha un contenzioso particolare con la mia famiglia, e ha già attentato una volta alla vita di mia moglie” espose Christofer, passandosi una mano sulla nuca con evidente nervosismo.

Ma perché ora? E perché Kathleen?

A voler essere onesti, il colpo che aveva ferito la moglie era stato esploso per uccidere lui. Quindi, perché attentare alla vita di Katie?

Però, chi altri avrebbe potuto commettere un atto del genere?

“Nessun altro, milord? Un parente scontento della vostra recente eredità del titolo? Un …” tossicchiando, l’agente mormorò contrito: “… un debito di gioco? Scusate la domanda, ma devo essere accurato.”

“Non vi preoccupate” lo liquidò in fretta Christofer, gesticolando con una mano. “Per quanti difetti io possa aver avuto in passato, il gioco d’azzardo non è mai stato tra questi. No, nessun debito. Quanto ai parenti scontenti, sa Iddio quanti ve ne siano, perciò dovrei darvi una lista assai lunga e, forse, del tutto fuorviante.”

Annuendo, l’agente richiuse il suo taccuino, sorrise a Myriam e Kathleen, diede una carezza a Randolf, che sorrise un poco e infine disse: “Mi consulterò con il mio comandante, e avvieremo subito le indagini. Nel frattempo, faremo appostare due uomini di fronte al palazzo.”

“Non vi disturbate. Partiremo entro stanotte per tornare a York. Non rischierò la vita di mia moglie un solo giorno di più, qui a Londra. Mi invierete i risultati della vostra indagine direttamente a Green Manor, nello Yorkshire” decretò Christofer, lapidario.

“Ah… oh, sì, certo. Come desiderate, milord. Avviserò il mio comandante, allora” assentì sorpreso l’agente, prima di volgere lo sguardo verso la porta, quando questa si aprì di scatto.

Sull’entrata, fece la sua comparsa Anthony che, trafelato e chiaramente reduce da una cavalcata a spron battuto, esalò sconvolto: “Sono arrivato appena ho saputo… Kathleen?”

Sorridendo all’amico mentre Christofer tranquillizzava l’agente, lady Spencer assentì all’indirizzo di Anthony che, un attimo dopo, lanciò un’occhiata terrorizzata a Myriam.

Lei accennò un sorriso tremulo e Randolf, sceso che fu dalle braccia della madre, corse dall’uomo ed esclamò: “Zio Tony! Volevano fare male a me e alla zia!”

Anthony allora lo accolse tra le braccia, sollevandolo da terra e stringendolo a sé.

Affondato il viso contro la sua spalla, l’uomo mormorò roco: “Ma tu hai protetto la zia, vero? Tu sei un bravo e forte ometto.”

Il bimbo annuì e l’uomo, carezzandogli il capo più e più volte, asserì: “Kathleen non avrebbe potuto avere protettore migliore.”

Mentre Randolf, finalmente, si lasciava andare a un pianto liberatorio, Anthony squadrò per un momento l’agente di Bow Street prima di dire: “Scusatemi per l’irruzione. Sono Anthony Phillips, figlio del duca Thornton di York. Sono un amico di famiglia. E, prima che vi venga in mente di chiedermelo, ero al Ministero della Guerra, quando è successo il misfatto, in riunione con altri venti membri del Consiglio.”

L’agente sorrise divertito, annuendo, e replicò: “Non mi sarei azzardato a domandarvelo, visto quanto vi è affezionato il bambino, ma grazie comunque per la precisazione.”

Lanciato poi uno sguardo al padrone di casa, l’agente aggiunse: “Mi accommiato, pregandovi di rimanere all’interno dell’abitato finché non sarete pronti per la partenza. Nel frattempo, farò comunque venire quei due agenti, perché possiate muovervi in relativa tranquillità, almeno tra le vie di Londra. Avete abbastanza battitori, per il rientro?”

“Sì, agente. Non temete. E grazie” assentì Christofer, chiamando uno dei valletti perché lo accompagnasse alla porta.

Rimasto solo con la famiglia, il conte sospirò pesantemente e Anthony, rimettendo a terra Randolf, domandò sorpreso: “Ve ne andate?”

“Sì, e passeremo a prendere Wendell a Eton. Non lascerò un solo membro di questa famiglia lontano da casa” dichiarò Christofer, con un tono che non ammetteva repliche.

Kathleen assentì, e così pure Myriam.

Fu Anthony a replicare.

“Voi dovete raggiungere York il prima possibile. Baderò io a recuperare Wendell a Eton, poi mi stazionerò a Green Manor finché questa faccenda non sarà terminata” lo informò con una certa ironia l’amico, sorprendendolo non poco. “Dovrai sopportare la mia compagnia per un po’.”

“E il tuo lavoro al Ministero?”

“Possono fare a meno di me, per qualche mese. Inoltre, ho inviato delle spie sul Continente per cercare di capire come diavolo faccia Napoleone ad anticipare i nostri attacchi e, prima di tre mesi almeno, non saranno di ritorno. Spero davvero che, per quel periodo, avremo già risolto quest’incresciosa situazione” gli spiegò Anthony, torvo in viso.

“Non posso chiederti tanto” scosse il capo Christofer, restio ad accettare il suo aiuto.

“Non è negoziabile, mi spiace” lo liquidò l’amico, strizzando l’occhio a Randolf, che sorrise.

“Noi andremo a prendere Wendell, allora” dichiarò a quel punto Myriam, sorprendendo tutti. “Tu pensa a Kathleen, Christofer. Questo spavento davvero non le serviva.”

“Sono qui, comunque, se qualcuno non l’avesse notato. Nessuno chiede la mia opinione?” borbottò la diretta interessata, ancora accomodata su un divanetto.

“No” dissero in coro Myriam e Christofer, facendola adombrare.

Anthony le sorrise comprensivo, dandole una pacca sulla spalla.

“Sono due tipacci, eh?”

“Di lungo corso” assentì mogia Kathleen. “Non mi aspettavo nulla di diverso, da loro.”
 
***

Abbracciando la cognata, Myriam mormorò: “Mi raccomando. Non pensare a quello che è successo, e bada solo al tuo bambino. E’ la cosa più importante.”

“Un solo mese. Ho passato qui un solo mese, e già devo rientrare. Si vede che non sono destinata a passare le mie estati al Sud” ironizzò Kathleen, baciando la cognata sulla guancia. “Fate attenzione, mi raccomando. Anche se so che Anthony è con voi, voglio che tu presti la massima attenzione.”

Myriam la fissò torva, e dichiarò: “Non ce l’avevano con Randolf… né con me.”

“Lo so” assentì la contessa, lasciandola salire sulla carrozza, dove già si trovavano Anthony, Randolf e la dama di compagnia di Myriam.

Le due cognate si lanciarono un lungo, ultimo sguardo prima di salire sulle rispettive carrozze.

I battitori a cavallo furono i primi a partire e, mentre la luna faceva capolino oltre i tetti di Londra, i due veicoli partirono.

Lasciando che Porthia prendesse in braccio Randolf perché riposasse, Myriam si rivolse ad Anthony e mormorò: “Cosa ne pensi? Di tutta questa situazione, intendo.”

“Non è opera di Chappell, questa è una certezza. A quest’ora, Kathleen sarebbe morta, se la mano fosse stata la sua. Quell’uomo ha sicuramente più mira di quanta ne abbia dimostrata il nostro ignoto cecchino” dichiarò lapidario l’uomo, dopo essersi sincerato che il piccolo Barnes dormisse saporitamente.

Beata innocenza! I bambini erano davvero in grado di superare qualsiasi angustia!

Annuendo, Myriam sospirò e ammise: “Temevo l’avresti detto. Quindi, siamo a un punto morto.”

“Siamo al punto in cui tu devi occuparti solo di tuo figlio, mentre Bow Street si premurerà di pensare alle indagini. Io mi dovrò solo sincerare che il tutto avvenga nel migliore dei modi” decretò Anthony, accavallando le lunghe gambe, abbracciate da comodi calzoni di pelle chiara e stivali neri al ginocchio.

Myriam sorrise ironica nonostante tutto, e replicò: “Detto da bravo generale quale tu sei.”

“Non sono un generale, amica cara. Solo, rispettosamente, un passacarte dello Stato con un buon naso per le informazioni” ironizzò a quel punto Anthony, omaggiandola di un delicato cenno del capo.

“Il giorno in cui sarai solo un passacarte, il sole sorgerà a nord e le stelle si vedranno di giorno” gli rinfacciò Myriam, accigliandosi leggermente. “Non pensare che non sappia realmente quali siano stati i tuoi compiti, fino a un anno fa, Vento Nero.”

Anthony la fissò impassibile, un accenno di sorriso sul bel volto ombreggiato da leggera barba castano dorata.

La donna attese qualche attimo ma, alla fine, sbuffò irritata e sibilò a bassa voce per non svegliare il figlio: “Andiamo, Anthony! A me puoi dirlo! Se lo sa tua madre, posso saperlo anch’io!”

“Mia… madre? Che diamine vai dicendo, donna?” borbottò l’uomo, accigliandosi leggermente.

“Ah! Allora è vero! Sei tu la spia che ha salvato quella guarnigione in Andalusia!” lo accusò Myriam, puntandogli contro il dito come se fosse stato sotto processo.

Porthia sorrise debolmente, di fronte al comportamento della padrona, ma non disse nulla.

Sospirando esasperato, Anthony si passò una mano tra i capelli e, fissandola bieco, mormorò: “Come può saperlo, mia madre?”

“Non sottovalutare il potere di una donna determinata” gli rammentò lei, sorridendo appena. “Ha fatto ubriacare il generale McKormick e, alla fine, lo ha fatto parlare.”

Anthony se ne uscì con un’imprecazione spagnola che Myriam fece finta di non comprendere e, sorridendo alla sua dama di compagnia, motteggiò: “Gli uomini sanno essere straordinariamente sciocchi, credendo che noi non usiamo il cervello.”

La governante ridacchiò a quel commento, mentre l’uomo si atteggiava a lesa maestà.

Myriam, allora, lo squadrò da sotto le ciglia e aggiunse: “Non pensare che io sia meno inventiva di tua madre, perché ti sbaglieresti di grosso. La verità, Anthony.”

“Cosa cambierebbe, se lo sapessi? Non vado fiero di molte delle cose che ho fatto, e dirti la verità non renderebbe più belle molte delle azioni in cui mi sono dovuto cimentare” sbottò a quel punto lui, tamburellando nervosamente le dita su un ginocchio.

Tornando seria, Myriam bloccò quella mano con la propria e Porthia fece del proprio meglio per diventare trasparente.

“Per quanto tempo sei stato il Vento Nero?”

Tornando a irrigidirsi, Anthony replicò: “Sapere tutto non porterà a nulla di buono, mia cara.”

Lei, allora, strinse maggiormente la sua mano su quella dell’uomo e insistette con lo sguardo, se non con le parole.

“Quando compii diciotto anni e terminai i miei studi a Eton, rinunciai al Gran Tour in Europa per un altro genere di… pellegrinaggio per gli Stati europei.”

“Anthony…” ansò Myriam, sgomenta.

Lui sorrise appena, asserendo mestamente: “Non mi trovavo da Almack’s per caso, l’anno in cui ci rivedemmo. Stavo seguendo una pista che portava fino ai salotti bene di Londra, e a un barone nello specifico. Tu fosti… una sorpresa, per me.”

Indurendo lo sguardo, Myriam ritirò la mano per nasconderla tra le falde dell’abito, e mormorò livida: “Il tuo corteggiamento, quindi… ti servì come mascheramento?”

“Mai! E dovresti saperlo!” sibilò per contro Anthony, serio al pari suo. “Ma rammenti la mattina in cui non passai a prenderti per la Promenade e, al mio posto, giunse Andrew?”

“Sì” assentì semplicemente lei, fissandolo con feroce intensità.

“Mi stavano ricucendo un fianco, tentando di evitare che mi dissanguassi sul mio stesso letto. Inviai un messaggero da Andrew, dicendogli del nostro appuntamento e pregandolo di prendere il mio posto. Gli dissi che rinunciavo a te, per sempre.”

Le labbra di Myriam tremarono, ma Anthony non seppe dire se per la paura, o lo sdegno.

“Mi… mi avete passato dall’uno all’altro… come un pacchetto postale?”

“Nessuno dei due avrebbe mai fatto una cosa simile, Myriam. Ma ammettilo, che vita avrei potuto offrirti, non sapendo neppure se sarei riuscito a sopravvivere a quella ferita? E in seguito, cos’altro avrei potuto darti? Un’esistenza in cui ero sempre in pericolo? Andrew sapeva soltanto che ero spesso via, ma neppure lui immaginava i perché delle mie assenze. O, per lo meno, spero che non lo sapesse.”

Rise mestamente, aggiungendo: “Mi diede del folle, quando gli dissi che rinunciavo a farti la corte, asserendo che lui non sarebbe stato altrettanto altruista, con me. E ti conquistò, alla fine.”

“Ti amavo.”

Anthony chiuse un istante gli occhi, a quelle parole, ma riuscì ugualmente a replicare: “Ma amavi anche Andrew.”

“Sì. E sapevo che, nel bene e nel male, lui avrebbe amato non solo me, non solo i nostri eventuali figli, ma anche qualcun altro… qualcos’altro” ammise Myriam, lanciando uno sguardo oltre il finestrino.

Le vie di Londra si erano ormai diradate e, nell’oscurità della notte, tutto sembrava lontano, indistinto, perso in un limbo.

Si lappò le labbra, terminando di dire: “Andrew è sempre stato un’anima avventurosa. Inoltre, si era innamorato del mare, durante il suo lungo viaggio in Europa assieme a Christofer. Ne parlava con un tale entusiasmo! Aveva desiderato con tutto se stesso non essere l’erede dei Barnes, così da potermi sposare su una piccola isola delle Antille e stabilirsi lì, per fare il pescatore o il cercatore di ostriche. Ti pare possibile?”

“Mi pare molto da Andrew” sorrise mestamente Anthony.

“Già. Ma io amavo questo suo lato avventuriero e un po’ folle. Nelle sue avventure a occhi aperti, eravamo sempre assieme. Ma poi venne la guerra, e… e lui cambiò” mormorò Myriam, reclinando il viso. “Litigammo furiosamente, quando mi disse di volersi arruolare.”

“In molti presero questa decisione” le fece notare l’amico.

“Molti non sono lui” sottolineò la giovane. “So che è ingiusto ed egoistico ma, in quel momento, mi interessava salvare lui.”

“Chi non l’avrebbe fatto, Myriam? Non puoi biasimarti per questo.”

“Gli dissi che poteva partire, che io accettavo la sua decisione, ma lo feci per lui, non perché lo credessi veramente e, forse, questo mio sentimento negativo lo ha ucciso” singhiozzò, portandosi una mano alla bocca per soffocare quei sospiri strazianti.

“Myriam, non dire mai più una cosa simile!” esclamò soffocato Anthony. “Non hai alcuna colpa, per la morte di Andrew.”

“Se avessi messo più cuore nelle mie parole, forse lui…lui sarebbe stato più…”

“Ssst” la azzittì gentilmente l’amico, sfiorandole una spalla con la mano. “La guerra ha ucciso Andrew, non il tuo giusto desiderio di salvarlo da pericoli immani.”

“Se hai rinunciato a me perché pensavi di non potermi dare un futuro, perché hai poi sposato Emily?” lo accusò a quel punto Myriam, tornando a fissarlo con livore.

Punto sul vivo, lui si irrigidì e disse: “Pensai erroneamente che avere in moglie una donna che non amavo, mi sarebbe bastato. Avrei avuto un erede, la mia famiglia sarebbe stata felice e io avrei potuto continuare a servire nell’ombra il mio Paese.”

“Il Paese!” sbottò lei, irritandosi ancor di più. “Perché pensate che al re possa interessare qualcosa, delle vostre vite? Lui non vi ha affatto a cuore, o non manderebbe tanti baldi giovani alla morte!”

“Non posso parlare per gli altri, ma io non lo faccio per il re” le replicò semplicemente lui, sorprendendola. “L’ho fatto per la mia famiglia, per i miei amici… per te. Questo, mi spingeva a essere il migliore nel mio campo. Ma non potevo averti e, al tempo stesso, tenerti al sicuro.”

Myriam non resistette.

Si allungò verso di lui e lo schiaffeggiò.

Porthia trasalì, ma fece convenientemente finta di dormire. Quelli, non erano discorsi per lei.

Anthony accettò il ceffone senza colpo ferire, ma per Myriam non fu sufficiente.

Strinse le mani a pugno sulla stoffa delicata dell’abito e sibilò: “Siete tutti così… orgogliosi e testardi! Perché non chiedesti mai la mia opinione!?”

Lui non rispose e Myriam neppure si aspettò da Anthony un qualche tipo di replica.

Sapeva che non ne avrebbe ricevute.

Spazientita, volse lo sguardo verso la notte e, senza più dire nulla, tentò di prendere sonno.

Invano, naturalmente.
 
***

“Pensi sia stato saggio lasciarli andare da soli?” mormorò a un certo punto Christofer, notando gli occhi ancora desti della moglie.

“Porthia è con loro, e così pure Randolf. Non si uccideranno tra loro, questo è certo” replicò Kathleen, massaggiandosi il ventre con fare distratto.

Il marito sorrise appena, ma disse: “Neppure lo pensavo. Temevo, piuttosto, che … beh, che…”

La moglie lo guardò divertita, e replicò: “Che Anthony si esponesse, o il contrario?”

“Il contrario?” mormorò sorpreso lui, fissandola dubbioso.

“Myriam amava Anthony. Questo lo so per certo, perché si confidò con me, a suo tempo, circa la sua indecisione. Poi, di punto in bianco, lui rinunciò al corteggiamento in modo piuttosto brusco, e questo la fece indispettire. E Andrew ne approfittò, ovviamente. Inoltre, tra lei e mio fratello, c’era sempre stata molta intesa, per cui…”

Basito, Christofer asserì: “Non penserò mai più di saper capire le donne. Quindi, pensi che l’affetto reciproco potrebbe sbocciare nuovamente?”

“Non lo so e, più di tutto, rimane il fattore Emily. Finché Anthony non la trova, facendole firmare le carte del divorzio, lui non può risposarsi.”

“Potrebbe dichiararla pazza… dopotutto, non sarebbe una bugia” ironizzò lui, facendo sorridere la moglie.

“Emily è più che pazza, è una ladra egoista e ipocrita.  Ha accettato la corte di Anthony solo per poter avere accesso ai suoi denari. Sapeva benissimo che lui la stava sposando solo per avere un erede… che non gli ha dato” sottolineò Kathleen con lucida sicurezza.

“Non voglio chiederti come sai queste cose…” tentennò Christofer.

“Le donne parlano, nei salotti di campagna” sottolineò lei, sorridendo maliziosa prima di piegare il capo verso il basso. “Oh… qualcuno si è svegliato.”

Allungata una mano, afferrò quella del marito per poggiarla sul suo ventre e Christofer, sgranando gli occhi, esalò: “Nostro… figlio…”

Kathleen annuì e, concentrandosi su quel tocco lieve e ritmico, asserì: “Pensiamo solo a lui, o a lei. Il resto si sistemerà. Siamo passati in inferni ben peggiori, io e te.”

“Avrei preferito risparmiartene qualcuno, per essere sinceri.”

“Eri lì a salvarmi, assieme a mio fratello. E’ stato sufficiente, per me.”

“Cerca di riposare un po’, Katie. Baderò io al tuo sonno” le propose lui, sollevandole gentilmente le gambe perché poggiasse i piedi sul divanetto.

Lei allora gli sorrise, stese le gambe e si appoggiò contro la sua spalla.

“Scusami, per ieri notte” mormorò poi la donna, chiudendo gli occhi.

“Non devi scusarti di nulla. Desidero solo che il tuo cuore sia libero da ombre.”

Poi, con un sorriso, aggiunse: “E credimi, lo rifarei altre mille volte. Essere il tuo giocattolo sessuale è qualcosa di… estremamente appagante.”

Kathleen, allora, rise appena e sussurrò: “Degenerato.”

“Non lo nego” assentì lui, dandole un bacio sulla tempia. “Dormi, mia adorata moglie. Il nuovo giorno ci apparirà più sereno, te lo prometto.”

Nel vederla prendere sonno, sperò sinceramente di non aver detto una bugia.







Note: Come vi avevo detto, l'idillio non sarebbe durato... fortunatamente, stavolta, nessuno si è fatto male, ma è chiaro che il tempo passato a Londra può dirsi terminato, almeno agli occhi di Christofer, che preferisce prendersi cura di Kathleen a York, dove conosce meglio le persone che lo circondano.
Scopriamo anche parte del passato di Anthony e Myriam, cosa li abbia legati - e separati - e perché il primo sia così impegnato al Ministero della Guerra. Non è un semplice passacarte, ma ha avuto un passato come spia, e ora ne gestisce di sue, per conto della Corona.
Myriam, comunque, non è affatto felice che Anthony abbia deciso del loro futuro senza consultarla, a suo tempo, e reagisce con non poca energia.
Secondo voi, lo perdonerà? E perdonerà se stessa, per i sensi di colpa che prova nei confronti di Andrew, per la lite che ebbero prima della sua partenza?

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Capitolo 22
*** XXII. ***


 
22.
 
 
 
 
18-VIII-1806
 
 
Sollevando un cesto ricolmo di rose recise, Wendell corse incontro a madre e cognata e, offertane una ciascuna, sorrise e disse: “Porto le altre in casa, ora.”

“Se trovi Myriam, offrine una anche a lei” gli rammentò Whilelmina, vedendolo annuire prima di correre verso Green Manor.

Scrutando Wendell mentre rientrava, Kathleen si levò in piedi un po’ a fatica dalla panchina dove si era fermata e, nel riprendere la passeggiata, asserì: “Pare che abbandonare Eton non gli abbia pesato affatto. L’istitutore è contento di lui?”

“Da quel che so, sì. Spero solo che Wendell non lo abbia corrotto perché Mr Fairchild non mi nascondesse qualcosa” sorrise divertita Whilelmina, sfiorando con un dito un bocciolo di rosa rossa.

“Quel gentiluomo, un mentitore? Non lo crederei neppure se lo vedessi con i miei occhi!” rise Kathleen, prima di accigliarsi alla vista di una carrozza in avvicinamento.

La suocera le strinse istintivamente una mano, quando vide il blasone dei Barnes impresso sulle portiere laterali.

Quando, però, dal mezzo uscì solo Georgiana, entrambe le donne si rilassarono.

Avviandosi verso la madre a mani levate, Kathleen strinse quelle di Georgiana nelle proprie e, con un sorriso, esordì dicendo: “Non mi aspettavo una vostra visita, madre. Spero che a casa vada tutto bene.”

“Sono voluta fuggire per un po’ dalle follie di tuo padre. Non fa che mandare, e ricevere, missive come se piovessero. E’ più taciturno del solito e, quando provo a chiedergli cosa lo turbi, mi risponde con dei grugniti, perciò ho preferito defilare” ammise la donna, baciando la figlia sulle guance. “Sei raggiante, tesoro… stai bene? Il sole non ti da noia?”

“Sto benissimo, davvero, e il sole mi allieta, in verità. Christofer è sempre meno disposto a lasciarmi uscire, ormai, perché pensa possa avere un mancamento così, quando è a York per affari, ne approfitto per fare una passeggiata in giardino” ammise con un risolino Kathleen, sorridendo alla suocera.

“Tuo figlio è così ansioso?” domandò Georgiana, rivolgendosi a Whilelmina.

“Non so quanta sia preoccupazione per il parto, e quanta per la mancanza di notizie sui fatti di Londra” sospirò la contessa madre, scuotendo il capo.

“Ancora nulla, dunque?” esalò lady Campbell, sorpresa.

Kathleen lanciò un’occhiata alle mura che circondavano il giardino più interno della villa, e sospirò.

Erano passati mesi, da quell’evento infausto, ma non avevano avuto ancora notizie da Bow Street.

Del suo attentatore, pareva essersi persa traccia.

Lo scalpiccio di diversi cavalli sorprese le donne mentre, alcuni piani sopra di loro, William teneva d’occhio la situazione da un angolo propizio della villa.

Da quando erano tornati, non aveva più girato per casa disarmato e, anche in quel momento, teneva stretto il suo fucile tra le mani.

Quando, però, si avvide delle identità dei cavalieri, si rilassò visibilmente.

“Una di queste volte, sparerai a Sua Grazia perché lo hai scambiato per un bandito” mormorò una voce gentile alle sue spalle.

William si volse a mezzo, sorridendo a Bridget che, nel posizionarsi al suo fianco, alla finestra, osservò le dame in giardino e i cavalieri in avvicinamento.

“Lord Spencer e lord Phillips di ritorno da York. Chissà che non abbiano notizie da Londra” mormorò la giovane, carezzando il braccio di William.

“Lo speriamo tutti, ma qualcosa mi dice che dovremo attendere ancora, prima di vedere un termine a questa follia” replicò il giovane attendente, allontanandosi dalla finestra con la ragazza.

“Devo tornare ai miei doveri, ora, ma…” mormorò lei, levandosi in piedi per dargli un casto bacio sulla guancia. “… volevo solo dirti che sono molto orgogliosa di quello che stai facendo.”

William la trattenne prima di vederla allontanarsi e, stringendola in un abbraccio caloroso, le baciò il capo e mormorò contro i suoi capelli: “Quando si sarà sistemato tutto, parlerò con tuo padre, ma ora… ora…”

Bridget si scostò da lui con un sorriso, annuendo.

“Adesso devi pensare a tua sorella, lo so. Per questo, sono orgogliosa di te. William Knight, nessuna donna potrebbe desiderare di avere per sé uomo migliore di te.”

William si guardò intorno e, lesto, le strappò un bacio che la lasciò senza fiato e molto, molto accaldata.

Poggiandosi una mano sul torace, dove il cuore batteva a mille, la ragazza gli sorrise deliziata, e aggiunse: “E io morirò di impazienza, se mi bacerai ancora così…”

“Vai, prima che venga meno alle buone maniere, mia bella signora” la minacciò scherzosamente, sospingendola via.

Nell’osservarla correre verso le scale di servizio, William sospirò.

Desiderava con tutto se stesso sposarla, renderla la donna della sua vita per sempre, di fronte a dio e agli uomini, ma ora doveva pensare a questo.

Non avrebbe mai potuto perdonarsi se, a causa di una sua negligenza, fosse successo qualcosa alla sorella.

Bridget lo capiva, e lui ne era lieto, ma sperava davvero che quella condizione di stallo non perdurasse troppo.

Era pur sempre un uomo, dopotutto, e non poteva resistere in eterno alle tentazioni.

Soprattutto, se la sua tentazione preferita aveva occhi così dolci da spezzargli il cuore in due.
 
***

Il fatto che Myriam e Anthony non si parlassero dal giorno in cui avevano riportato Wendell da Eton, la diceva lunga.

Kathleen non avrebbe mai pensato di dirlo ma, a quanto pareva, la cognata sapeva essere più testarda di un mulo… o di lei!

E Anthony era del tutto dell’idea di lasciarla fare. Come se gli stesse bene quel silenzio forzato!

Non che lei potesse farci molto – non avrebbe mai ficcato il naso – però…

Però, era pur sempre una donna. E una donna incinta, con una marea di ormoni in circolo che…

Massaggiandosi il ventre prominente mentre Myriam acuiva lo sguardo al pari suo, Kathleen mormorò: “E’ il giorno degli arrivi, a quanto pare. Chi mai potrà essere, su quel landeau?”

“Finché non lo scopriremo, noi staremo in disparte, o per cena serviranno le nostre teste, al posto del capretto” la minacciò scherzosamente Myriam, ritirandosi con la cognata dietro un’alta siepe di bosso.

“Esagerata! Né mio marito, né tanto meno Anthony, farebbero una cosa simile!” la rimbeccò Kathleen, sperando di poter cogliere qualcosa dalla reazione dell’altra.

Nulla di nulla, però.

Myriam rimase seria e non rispose alla sua battuta, mandandola su tutte le furie.

Ma cosa si erano detti, quei due, per litigare a quel modo?

Tonando a concentrarsi sul landeau, quando esso si fermò di fronte all’entrata, Kathleen esalò un sospiro di sollievo non appena scorse l’uomo che ne discese.

Non altrettanto lo fu Myriam che, storcendo la bocca, sibilò: “Cosa diamine ci fa, qui, quel perdigiorno di Grenview?”

“Conosci il cugino di Christofer?” esalò Kathleen, sorpresa.

“Purtroppo sì” ammise Myriam. “Mio fratello Reynold ha avuto a che fare con lui più di una volta in…”

Sospirando, gesticolò con una mano e aggiunse: “Eliza mi perdoni, perché lei non sa dei trascorsi del marito, ma Reynold era un accanito giocatore d’azzardo, prima di sposarsi, e Johnathon Grenview era uno dei più assidui frequentatori della bisca dove andava mio fratello.”

“Oh” esalò ancora la contessa, lanciando un’occhiata di famelica curiosità alla cognata.

Suo malgrado, Myriam sorrise e le raccontò dei trascorsi del fratello, della rissa che gli era costata la cicatrice sul labbro e, cosa più importante, del coinvolgimento in tutto questo di Grenview.

Presa sottobraccio la cognata, la riaccompagnò verso la villa, asserendo: “Non so bene come ma, tutte le volte che Reynold tornava conciato male, era sempre Johnathon a ricondurlo a casa. Buonanima, o mandante?”

“E’ un buon giocatore?” si informò allora Kathleen.

“Da quel che mi disse più volte Reynold, i soldi che vinceva finivano di volta in volta in gioielli o fiori, che lui donava alle cortigiane che riusciva ad affascinare con i suoi modi di fare alla Brummell” mormorò Myriam, arrossendo leggermente.

“E’ sicuramente bello, ma…” tentennò Kathleen, non sapendo bene che dire.

Annuendo, la cognata terminò per lui, dicendo: “Bello ma senza titolo, senza onore e senza futuro. Johnathon spilla soldi a parenti e amici, gioca d’azzardo per pagare i debiti ma, il più delle volte, spende il guadagnato come ti ho detto prima, così si ritrova con un sacco di nemici e ben pochi averi in tasca.”

“Un perdigiorno.”

“Della peggior specie” sibilò Myriam. “Non ho mai chiesto a Reynold se avesse controllato le sue tasche, dopo le prodighe attenzioni di Johnathon, ma non mi stupirei nel sapere che erano spariti dei soldi.”

Kathleen non seppe se ridere o piangere. Christofer non brillava certo per parentele edificanti.

“Povero marito mio…” sorrise comprensiva, mentre Myriam rideva assieme a lei nel rientrare.
 
***

Guardandosi attorno attentamente, Johnathon rammentò bene lo studio del vecchio conte, le sue raccolte di libri, i quadri riguardanti la tenuta, l’opulenza del suo titolo.

Bartholomew era stato un bastardo matricolato, e aveva goduto delle vincite di Johnathon più di quanto piacesse ricordare al giovane nobiluomo.

Il vecchio conte Harford non era mai stato un bravo giocatore, e si era spesso affidato al suo parente povero – ma abile – per vincere diverse giocate al tavolo.

In quegli anni, Johnathon aveva sempre sperato in un ringraziamento, in un segno benevolo da parte del ricco parente che valesse i servigi resi.

Ma, come era stato per Christofer o il piccolo Wendell, anche Johnathon era stato ringraziato con il suo totale disprezzo e la sua derisione.

E pensare che, molte delle puttane che si era portato a letto, le aveva trovate proprio Johnathon, espressamente per lui!

Sfiorando con un dito uno dei tomi più antichi presenti nella libreria dello studio, Grenview soffocò a stento un’imprecazione.

Quando aveva saputo della sua morte, non ne aveva certo pianto.

Una bestia simile, non aveva meritato di vivere nel lusso e negli agi, e la morte era stata la sua degna fine.

Avere a che fare con Christofer sarebbe stato certamente più semplice, visto che erano passati dal comune passato di vittime del vecchio conte.

Ora che poi la moglie era incinta, sarebbe stato facile trovare un accordo valido per entrambi. Tutto si sarebbe svolto nel migliore dei modi.

Ma, prima di qualsiasi altra cosa, doveva sincerarsi di un particolare, il tutto senza farsi cogliere in fallo dallo sguardo del lontano cugino.

Non che in questo non fosse un artista. Se c’era una cosa che aveva imparato, con gli anni, era cogliere la palla al balzo, e rialzarsi da qualsiasi caduta.

Suo cugino era stato fortunato, a diventare il lord, ma anche lui avrebbe colto dei frutti succosi, da questa inaspettata nomina a signore del contado da parte di Christofer.

E non solo da questo. Le sue mire erano altre e, con ciò che sapeva – e a discapito dei suoi errori – avrebbe ottenuto più oro di quanto non ne avesse mai avuto.

Quando infine il cugino si degnò di mostrarsi – stranamente, accompagnato da lord Phillips – Johnathon gli sorrise cordiale e disse: “Che piacere rivedervi, cugino! Non ho neppure avuto il tempo di dirvi quanto, ciò che è successo alla cara Kathleen, mi abbia turbato. E come sta vostro nipote? Spero che a lui non sia accaduto nulla, durante quei tragici momenti.”

“Randolf sta bene” dichiarò a mezza voce il conte, mentre l’amico si andava ad affacciare alla finestra. “Come mai avete chiesto di parlarmi, Johnathon?”

Con un mezzo sorriso, Grenview lanciò un’occhiata alle spalle imponenti di Phillips, poi parlò.
 
***

William stava sistemando una delle stecche dell’ombrellino da passeggio di Myriam quando, dal piano superiore, giunsero delle urla furibonde.

Sobbalzando, lady Campbell fissò stranita l’attendente della cognata che, accigliandosi, la scostò gentilmente dietro di sé.

Un attimo dopo, però, si lasciò sfuggire una risatina quando, sul ballatoio del primo piano, comparve un furente Christofer.

E un lord Grenview in ritirata strategica, con tanto di plastron fuori posto e capelli scompigliati.

A pochi passi da loro, li seguiva un attento Anthony, che stava osservando la scena con aria curiosa e meditabonda assieme.

Sbucando dal salottino azzurro, attirata dalle grida, anche Kathleen lanciò un’occhiata alla scalinata e, sotto gli occhi sgomenti di tutti, Johnathon ruzzolò giù malamente.

“Non vi permettete mai più di mettere piede qui dentro, razza di bifolco che non siete altro! Neppure capisco come mio padre potesse sopportare la vostra sola presenza!” gli gridò contro Christofer, più che mai alterato.

Johnathon fu sorprendentemente abile nel rialzarsi e, sistemandosi alla bell’e meglio come se nulla fosse successo, si inchinò a Myriam e uscì alla chetichella.

Un attimo dopo, Kathleen scoppiò a ridere ed esalò: “Perché abbiamo assistito a questa scena, mio caro?”

Facendo le scale due a due, il conte raggiunse la moglie e, nel baciarle una mano, mormorò più calmo: “Nulla che le tue orecchie debbano sopportare, Kathleen.”

Un’occhiata ad Anthony, che lo aveva seguito silenzioso, confermò alla donna che sarebbe stato meglio non chiedere, e a questo si attenne.

William colse perciò l’occasione di rendere l’ombrellino a lady Campbell e, nel rivolgersi a Kathleen, disse: “Sono diretto in paese, milady. Necessitate di qualcosa?”

“Sì, William, in effetti. Portate con voi mio marito, e galoppate un po’ assieme. Ho idea che la sfuriata con lord Grenview lo abbia irritato più di quanto voglia ammettere con me, e un po’ di tempo con Zeus gli servirà, anche se ne è appena disceso.”

“Come desiderate” assentì il giovane attendente, prima di lanciare un’occhiata al conte. “Mio signore?”

“Andiamo pure, William. Non sia mai che io dica di no a mia moglie” sospirò a quel punto Christofer. “Penserai tu a loro, Anthony?”

“Naturalmente” assentì l’uomo, imperturbabile.

Myriam sbuffò di fronte a quel tono così accondiscendente e, senza salutare nessuno, si diresse verso il primo piano con passo elegante e fiero.

Assottigliando le iridi verde-oro, Kathleen mormorò: “Ora, tu e io parleremo, Anthony.”

Ridendo, Christofer diede un bacetto alla moglie e disse all’amico: “Forse, non ti ho reso un favore, chiedendoti di rimanere qui.”

“Sono sopravvissuto a cose ben peggiori della compagnia di una donna” replicò Anthony, offrendo il braccio a Kathleen, mentre Christofer e William si allontanavano assieme.

Una volta giunti alle scuderie, sellarono i cavalli e si avviarono al trotto verso il vicino paesello.

Il cielo era ancora terso, e l’aria leggermente umida e calda. Una giornata agostana degna di tale nome.

Ma il bel tempo e la buona salute di Kathleen non bastavano a tranquillizzarlo.

Non dopo le notizie che avevano ricevuto, il tutto grazie ai buoni uffici di uno degli uomini di Anthony.

“Allora… Katie aveva ragione a volerti fuori di casa?” esordì William, lo sguardo fisso sull’orizzonte ondeggiante delle colline di York.

“Non so quanto possa contare per noi ma, circa un mese e mezzo dopo la nostra partenza da Londra, hanno trovato morta la figlia del barone Gordon-Lewis.”

William si accigliò leggermente, nel sentire quel nome.

Sapeva per sentito dire di molti dei nobili che lavoravano al Ministero della Guerra e, uno di questi, era per l’appunto un tale di nome Gordon-Lewis.

Così glielo disse e, nel veder annuire il cognato, ebbe conferma dei suoi sospetti.

“Lady Annelyse Gordon-Lewis era una giovane dalle amicizie piuttosto… varie. Il padre le faceva fare praticamente quel che voleva, indipendentemente da quanto le sue… voglie minassero la sua reputazione” spiegò sbrigativamente Christofer. “L’hanno trovata sgozzata nel suo letto, in un bagno di sangue, completamente nuda.”

“Mio Dio!” esalò William, sconvolto.

Christofer annuì ancora, torvo in viso.

“Non ho mai avuto rapporti stretti con la sua famiglia, ma sapere di una morte così orribile mi ha sconvolto, lo ammetto, e mi fa pensare a quando Katie ha rischiato di morire per colpa di quel cecchino.”

Scarso cecchino” sottolineò William, vedendo ghignare il cognato. “Un soldato di fanteria sarebbe stato in grado di colpire sia Randolf che Katie, dalla posizione rialzata in cui quasi sicuramente si trovava. Il parco da cui provenivano i colpi offriva più di una possibilità.”

Assentendo, il conte dichiarò: “E’ quanto mi hanno detto da Bow Street, oltre al fatto che sono a un punto morto, per rimanere in tema, quanto a piste da seguire. Hanno provato a curiosare nei bassifondi, a chiedere nelle bische, ma non è emerso nulla. Sembra che il cecchino sia scomparso nel nulla.”

“Tuo cugino, invece, cosa voleva?”

Imprecando senza tanti complimenti, Christofer dichiarò sprezzante: “Aveva avuto intenzione di parlarmene già a Londra, ma gli eventi che ne sono seguiti glielo hanno impedito. Desiderava sapere se avevo intenzione di approfittare dei suoi servigi come, un tempo, era solito fare mio padre.”

Aggrottando la fronte, William mormorò: “In che senso, se è lecito chiedere?”

Scoppiando in una risata aspra e disgustata, il conte asserì: “Voleva sapere se volevo una donna con cui scaldarmi il letto visto che, ovviamente, ora Katie è indisposta.

William non disse nulla, rimase impassibile, ma non Christofer che, tornando a infuriarsi, sbottò dicendo: “Come se io potessi anche solo concepire il pensiero di tradirla! Neppure quando tornai dalla guerra, un simile pensiero mi sfiorò la mente!”

Il cognato gli sorrise appena, e disse: “E’ solo questo a turbarti?”

“No, c’è dell’altro” sospirò Christofer. “Penso a mia madre, agli anni di soprusi che ha dovuto subire a causa di un uomo che non aveva interesse per lei, se non per ingravidarla ancora, e ancora. Cinque dei suoi figli sono sopravvissuti oltre il primo anno di età, ma altri tre li ha persi entro i primi sei mesi. Quant’altro poteva sopportare?”

Il tono del conte fece male a William. Vi era così tanto dolore, così tanta rabbia, nella sua voce, da desiderare di non essersi preso così tanta cura del conte, a suo tempo.

Bartholomew Spencer, conte Harford, non aveva davvero meritato alcun tipo di attenzione.

Solo per Whilemina, si era prodigato per lui.

Quegli occhi tristi e svuotati da ogni speranza gli avevano ricordato quelli della madre, ferita dall’unico uomo da cui mai fosse stata violata.

“Forse, avrei dovuto occuparmene con meno fervore, a suo tempo” mormorò spiacente William, guardando contrito il cognato.

Christofer allora gli sorrise, scosse il capo e replicò: “Neppure Andrew l’avrebbe lasciato lì a morire, e così pure Kathleen. Siete così, voi fratelli Campbell.”

“Solo Knight, per me” sottolineò William, sorridendo orgoglioso.

“Giusto. Knight” assentì Christofer. “Non dire nulla a Katie dell’omicidio di Annelyse. Non voglio si preoccupi anche di questo, a due mesi dal parto.”

“Ma certo.”
 
***

Cos’avresti fatto?!” sbottò Kathleen, irrigidendosi alla fine del racconto di Anthony.

“Cos’avete, voi donne, per reagire tutte allo stesso modo?” ironizzò sarcastico l’uomo, in piedi accanto alla finestra. “Ve lo insegnano le istitutrici?”

“Molto spiritoso davvero” brontolò Kathleen, tamburellandosi la pancia con le dita. “Non pensi che, forse, Myriam avrebbe meritato di sapere la verità, invece di scoprire che, di punto in bianco, ti eri ritirato dal corteggiamento, facendole credere che non le interessavi più?”

“Ha sposato tuo fratello, Kathleen! Non penso sia stata una scelta sbagliata. Si volevano molto bene, no?” replicò esasperato Anthony, alterandosi leggermente.

“Già, peccato che Myriam abbia sempre creduto che tu l’avessi presa in giro. E poi, hai finito con il maritarti con la donna più sbagliata del Creato, e solo per avere un erede che non ti ha dato” ribatté la contessa, vedendolo adombrarsi.

“Cosa avrei dovuto dirle, sentiamo? Che volevo avere una parte attiva nella guerra? Che desideravo sgominare i nostri nemici dall’interno? Che fare la spia mi rendeva fiero? O soddisfatto dei miei successi?” sbottò allora l’uomo, stringendo i pugni per poi poggiarli sul davanzale in marmo bianco. “Cos’avevo da offrirle, se non bugie, violenza e sotterfugi? Sarebbe stata in pericolo, e io non avrei potuto difenderla!”

Si volse verso Kathleen con occhi sgranati, percorsi da ricordi così orribili da azzittire l’amica e, senza più alcuna forza, si lasciò cadere su una poltrona per poi aggiungere: “Sai perché ho smesso, diventando un imbrattacarte del Ministero? Ho visto morire un intero villaggio a causa mia, e io non potuto far nulla per impedirlo.”

Ora, i suoi occhi si velarono di lacrime e, passandosi una mano sul volto, Anthony disse ancora: “Hanno pagato con la vita, per avermi aiutato a ottenere informazioni tali da salvare i nostri soldati a Cordoba…ma questo non li ha aiutati contro le baionette francesi. Fu una strage, e io osservai tutto dall’alto di un colle, ferito e stretto al mio cavallo, mentre tentavo di tornare alla nostra guarnigione più vicina.”

“Anthony…” sussurrò spiacente Kathleen, coprendosi la bocca con la mano.

“La mattina dopo, il villaggio era bruciato. Non avevano risparmiato nessuno. Io venni premiato per il mio coraggio perché, grazie alle mie informazioni, avevo salvato quattrocentosessantadue uomini della Corona. Ma non fu mai menzionato il massacro di quei centosettantacinque spagnoli. Mai.

La sua voce si spense e, reclinando il capo all’indietro, Anthony si lasciò andare a un sospiro strozzato.

Un altro, proveniente dalla porta, portò entrambi a volgere lo sguardo.

Con la mano premuta sulla bocca, Myriam entrò di corsa, si inginocchiò accanto a Anthony e, poggiata la fronte sulla mano poggiata sul bracciolo, sussurrò: “Scusami. Scusami…”

“Dannazione, rialzati, Myriam…” mormorò lui, alzandosi in fretta per farla levare da terra.

Questo permise alla donna di abbracciarlo e Kathleen, sorridendo tra sé, si levò in silenzio e uscì alla chetichella dal salotto per non disturbarli.

Massaggiandosi la pancia prominente, sorrise maggiormente e sussurrò tra sé: “Sono stata brava, vero, Andrew? Tu non avresti mai voluto che Myriam, o Randolf, rimanessero da soli. E chi meglio di Anthony, per prendersi cura di loro? Li ama più di se stesso…”

Il bambino scalciò come in risposta e, lasciandosi andare a una risatina, risalì piano le scale per raggiungere le sue stanze.

Sì, era convinta che quei due dovessero stare insieme.

Myriam e Randolf avevano sofferto troppo, e così pure Anthony, che si era precluso l’amore di Myriam per troppo tempo.

Sarebbe andato tutto bene. Ne era sicura.








Note: Quanto vi ha sorpreso la notizia su Annelyse, da uno a dieci? E la verità su Anthony e sui suoi sensi di colpa? Credete che ora Myriam capirà perché ha voluto tenerla lontana a tutti i costi da un mondo così oscuro e crudele, o avrà ancora qualcosa da ridire?
Aspetto le vostre ipotesi e, nel frattempo, vi ringrazio per essere arrivate fino a qui assieme a me.

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Capitolo 23
*** XXIII. ***


 
23.
 
 
 
 
01-x-1806
 
 
Addormentato al fianco della moglie, che aveva avuto una nottata assai agitata e priva di tranquillità, Christofer si svegliò di soprassalto, quando la sentì sibilare.

Un attimo dopo, si ritrovò ad affogare tra le coltri che la moglie, negligentemente, aveva scostato, gettandole addosso a lui.

Scostandole in fretta e furia per capire cosa le fosse preso, la fissò mentre, in piedi di fronte al camino, osservava il suo ventre enorme con aria furiosa.

A un esame più attento, però, Christofer dovette ammettere che non quello, ma altro, aveva attirato la sua attenzione.

E questo lo fece impallidire di puro terrore.

Raggiuntala in pochi, rapidi passi leggermente claudicanti – zoppicava sempre un po’, la mattina – la afferrò gentilmente alle spalle e, sorridendole stentato, mormorò: “Tesoro, perché non torni a letto mentre io chiamo Gwen?”

“Prova a indovinare perché non torno a letto…” sbuffò lei, simile a una pentola di fagioli.

“Si è bagnato il letto?” ipotizzò lui, notando subito lo sguardo furente della moglie. “D’accordo, lasciamo perdere. Vado subito da Gwen, ma tu non ti agitare.”

“Sei tu a essere agitato, Christofer Robert Walter Spencer, conte Harford.”

Rabbrividendo nel sentire il suo nome per esteso – non gli era mai piaciuto – il conte affrettò il passo fino a raggiungere la stanzetta di Gwen, dove bussò in fretta.

In pochi attimi, la donna aprì e, nel vederlo in camicia da notte, comprese al volo cosa fosse successo.

Prese in mano le redini della situazione, entrò nella stanza della sua signora e, al padrone di casa, disse perentoria: “Chiamate Bridget, Margareth e Bethany, poi fate informare il dottore, giù al villaggio. Avrò bisogno di un bel po’ di mani, qui. E di tanta acqua calda.”

Christofer assentì più volte e, nell’afferrare la sua vestaglia da camera, diede un bacetto alla moglie e sgattaiolò fuori.

In corridoio, scorse Alfred già al lavoro e, trasmesse a lui le indicazioni di Gwen, corse poi in camera sua e abbaiò ordini su ordini a Julian perché lo aiutasse a vestirsi.

Nel breve decorrere di dieci minuti, tutta la villa fu desta, dallo stalliere al fabbro e alla cuoca, e tutti erano in trepidante attesa di notizie dalla camera padronale.

Il medico fu mandato a chiamare – William non ebbe neppure il coraggio di uscire dalla villa, tanto era nervoso – e, per i corridoi, servitù e nobiltà si fecero silenti e tesi.

Whilelmina e Georgiana attendevano fuori dalle stanze, poiché all’interno erano già presenti fin troppe persone.

Christofer, Wendell e Myriam, invece, si trovavano nella saletta della colazione, seduti al tavolo con espressioni parimenti ansiose.

Anthony, suo malgrado, era dovuto partire poco tempo dopo la visita rocambolesca di Grenview, richiamato a Londra dal Ministero della Guerra.

Aveva comunque promesso di tornare entro breve, non appena il caos che lo aveva ricondotto alla capitale, fosse scemato.
A momenti alterni, Christofer si levava dallo scranno per passeggiare nervosamente, chiedendosi perché impiegassero tanto tempo, o se tutto stesse andando bene.

“Non agitarti… è normale che sia così…” mormorò Myriam, prima di guardare Wendell, evidentemente a disagio. “Perché non vai nella nursery con Randolf, e vedi se si sta annoiando? Tanto, qui non abbiamo nulla da fare.”

“Va bene” assentì grato il ragazzino, andandosene quasi di corsa.

Sorridendo poi a Christofer, la donna asserì: “Era inutile che se ne stesse qui a rimuginare. E’ ancora troppo piccolo, per queste cose.”

“E io troppo grande per lasciare che siano altri a occuparsi di mia moglie” dichiarò lapidario il conte, uscendo di gran carriera dalla stanza, seguito a ruota da Myriam.

Incurante del ton, delle regole di condotta, di tutto quanto, Christofer oltrepassò madre e suocera e, senza dire nulla, aprì la porta della stanza ed entrò.

Le donne presenti lo fissarono sgomente, e il dottore sollevò un sopracciglio con evidente sorpresa, non aspettandosi di certo la sua entrata in scena.

Il conte, però, non degnò di nota nessuno e, dopo aver circumnavigato il letto enorme, salì sul lato libero e scorse infine la moglie.

Kathleen se ne stava appoggiata a diversi cuscini, il volto sofferente e accaldato e, coperta in parte da un telo, se ne stava a gambe aperte fino allo stremo.

Mancò poco che Christofer non svenisse.

“Che diamine ci fate, qui? Non è posto per voi!” sbottò la moglie, fissandolo bieca.

Al marito venne quasi voglia di ridere.

Come le fosse venuto in mente di usare le forme di cortesia in un momento simile, quando stava così male, solo lei lo sapeva!

Baciandole la fronte, le afferrò una mano stretta a pugno e, apertala, vi infilò la propria, asserendo: “Starò qui con voi, e sfogherete su di me la vostra rabbia, come è giusto che sia.”

“Non si dovrebbe fare…” brontolò lei.

“Me ne infischio. Siete mia moglie, e state per partorire mio figlio. Il mio posto è qui” replicò lui, assentendo con vigore.

Una contrazione strappò la parola a Kathleen che, inarcandosi, spinse quando il dottore le diede il via libera.

Christofer stette male per lei in ogni momento. Giurò anche a se stesso di non volere nessun altro figlio, e di non toccarla mai più in quel modo.

Non voleva che soffrisse un’altra volta per causa sua. Neppure per tutto l’oro del mondo.

Quando, però, il dottore tenne tra le mani il neonato, e questo pianse con la forza di un drago, Kathleen sorrise.

Sorrise così raggiante da cancellare tutto il dolore patito fino a quel momento e, nel volgersi verso il marito, esalò: “Ce l’abbiamo fatta…”

“Ancora un momento, contessa… pare che non sia del tutto finita…” sorrise sornione il medico. “… un’altra spinta, per favore…”

“Come?” esalò Kathleen, prima di sottostare al bisogno insopprimibile di contrarre i muscoli addominali.

Un attimo dopo, un secondo vagito seguì il primo e, sorpresi, i due coniugi si guardarono basiti, gli occhi sgranati e pieni di meraviglia.

Mentre il coro di vagiti si espandeva per la stanza, Gwen consegnò il primo dei bambini alla madre, dicendo orgogliosa: “Un bel maschietto, milady.”

Il dottore, invece, consegnò il secondo fagotto al conte, asserendo: “E una femminuccia in salute a voi, signor conte. Congratulazioni. Sono entrambi forti ed energici, anche se sono arrivati con un po’ di anticipo.”

Ancora incredulo, Christofer fissò quel tenero frugoletto dal viso grinzoso e, con delicatezza, ne baciò la fronte, sussurrando: “Ben arrivata, amore mio.”

Kathleen, pur se ancora assai frastornata da quella sorpresa imprevista, mormorò: “Come li vuoi chiamare?”

Lui la guardò, la baciò con delicatezza, in barba all’etichetta e quant’altro, e dichiarò con sicurezza: “Lui sarà Andrew. Andrew Christofer Spencer, futuro conte Harford, mentre lei…”

Tornando a guardare la figlia, mormorò ammaliato: “… lei si chiamerà Elizabeth Kathleen Spencer.”

“Sono nomi bellissimi…” sussurrò la moglie, carezzando una guancia al marito.
 
***

“Se anche abbandoni per un attimo le culle, loro non andranno da nessuna parte” lo richiamò a un certo punto Kathleen, sdraiata sul fianco sull’enorme lette il viso puntato in direzione del marito.

Le felicitazioni per la coppia si erano protratte fino a tarda ora e, pur se adesso che la casa era silenziosa e tutti riposavano, Christofer ancora non voleva lasciare i gemelli.

Era stato straziante veder soffrire a quel modo la moglie, non poter far nulla per alleviare le sue pene, eppure…

Eppure, da quell’immenso trauma, era sorto qualcosa di unico. Di speciale.

Ancora non poteva crederci. Due bambini.

Un fruscio di stoffe lo riportò al presente e, quando il conte vide la moglie fuori dalle coltri del letto, corse immediatamente da lei per bloccarla.

In fretta, la sollevò tra le braccia e, torvo, borbottò: “Cos’ha detto, il dottore? Totale riposo.”

“Era l’unico modo che conoscevo per farti tornare da me” ammise lei, facendo spuntare la punta della lingua con fare impertinente.

Christofer, allora, la accompagnò fino alle culle e, sempre tenendola in braccio, mormorò: “Non sono bellissimi?”

“La penserai diversamente, quando ti sveglieranno perché hanno fame” ironizzò lei, pur pensandola esattamente come il marito.

“Non lo farò mai” scosse il capo lui, poggiando il capo contro quello della moglie. “Anche se ripenserò ogni attimo a ciò che ti ho fatto patire.”

“Un parto gemellare,… svolto con assoluto successo, e senza danno né per me, né per i bambini?” esalò sorpresa Kathleen. “Tesoro, come pretendevi che uscissero?”

“Non facendoti così male” protestò scioccamente lui.

Lei allora sorrise, gli baciò la punta del naso e, strette le braccia al suo collo, gli mormorò all’orecchio: “Torna a letto con me e massaggiami la schiena. Sono dolente, e ho bisogno di qualcuno che mi faccia un po’ di coccole.”

“Perfida” sbuffò Christofer, pur accontentandola.

Depositatala con gentilezza sul letto, le sollevò la camicia da notte, esponendo al suo sguardo la carne pallida e le forme morbide.

Dopo aver preso gli unguenti per il massaggio, ne sparse un po’ sulle mani e, con movimenti circolari, sciolse la muscolatura tesa della moglie, che mugolò.

Socchiudendo gli occhi, Kathleen mormorò: “Potrei passare la mia vita così…”

“Anch’io” sorrise lui, arrischiandosi a massaggiarle una natica.

Lei rise sommessamente, e Christofer risalì, tornando al suo scopo primario.

Fu dopo molti minuti passati a massaggiare quelle carni tenere e profumate, che il conte si accorse che la moglie si era infine addormentata.

Sorridendo, la coprì con le coltri e, dopo aver preso per sé un pannetto, andò a sistemarsi su una poltrona, accanto ai pargoli.

Si era strenuamente rifiutato di farli portare nella nursery, scatenando le ire della bambinaia e le sue reprimende.

Il conte, però, non l’aveva minimamente ascoltata e, dopo averle baciato una mano – facendola avvampare – l’aveva pregata di tornare solo la mattina seguente.

Per quella notte, voleva essere lui a badare ai suoi piccoli.

Non avrebbe concesso questo onore a nessun altro.

Sistemando accuratamente una delle copertine, Christofer ripensò ad Andrew, al suo sguardo perso e sognante quando era nato Randolf.

E al suo senso di sconforto quando, nonostante tutto, aveva scelto di partire per la guerra, lasciando a casa figlio e moglie.

Sapeva del litigio tra lui e Myriam, sapeva che la moglie, alla fine, l’aveva perdonato, ma non era del tutto certo che Andrew avesse avuto il tempo di perdonare se stesso.

A discapito di tutto, del suo umore  perpetuamente allegro, Christofer aveva sempre saputo che, nel cuore dell’amico, era pulsato anche il rimorso per quella scelta.

Carezzando il capo del piccolo Andrew, su cui brillava una spruzzata di capelli biondi, lui mormorò: “Ti sei sempre sentito come spezzato in due, amico mio, lacerato da desideri ugualmente forti e contrastanti tra loro… ma non temere, mi prenderò cura sia di Randolf, che di Myriam. E amerò i miei figli con tutto l’amore che saprò dargli.”

Andrew scelse quel momento per muoversi nella culla e, sempre dormendo, afferrò una delle dita del padre, avvolgendola con la piccola mano.

Una lacrima sfuggì all’uomo che, pur se in una  posizione scomodissima, preferì non muoversi.

Dopotutto, suo figlio aveva desiderato un contatto con lui, e Christofer non gliel’avrebbe negato per nulla al mondo.

Lo avrebbe distrutto, il mondo, se qualcuno avesse tentato di fare loro del male.
 
***

Era forse troppo, un mese, per essere ancora in ansia per la moglie e i loro bambini?

Le donne erano liete e allegre, tutte sembravano galleggiare serene e tranquille e nessuna, tra di loro, dava segno
di preoccuparsi di qualcosa.

Quindi, perché essere così nervosi?

Sorseggiando del whisky assieme a William, Christofer non ebbe bisogno di spiegazioni, per scoprirlo.

Nell’oscurità della notte, rade luci si scorgevano all’orizzonte, appartenenti al non lontano villaggio.

Tutto appariva tranquillo, eppure non era sicuro di poter mollare ancora la presa.

Anthony era parso assai perplesso dalla frase di Johnathon riguardante l’incidente occorso a Londra.

Da una mente abituata al sotterfugio come quella dell’amico però, non si era stupito delle sue elucubrazioni mentali, e l’aveva lasciato parlare.

Quando, infine, Anthony gli aveva spiegato la sua teoria, Christofer aveva ammesso a sua volta come, quel particolare, fosse assai strano.

Come aveva fatto, Jonhathon, a sapere che anche Randolf era stato minacciato dal cecchino appostato nel parco dietro Grosvenor Square?

Nessuno lo sapeva, a parte la servitù e l’agente di Bow Street e, le poche notizie che erano circolate sull’evento, avevano riguardato solo Kathleen.

Quindi, perché lui ne era al corrente?

Era più che certo che nessuno dei domestici di Londra avrebbe mai parlato con lui e, soprattutto, di questioni così personali e riguardanti gli Spencer.

Anthony non si era sentito tranquillo, in merito e, visto il suo obbligo di tornare a Londra, aveva espresso l’intenzione di seguire a distanza Johnathon, così da sincerarsi di un suo eventuale coinvolgimento.

L’omicidio di Annelyse, poi, non smetteva di tormentare la sua mente.

Non era collegato alla moglie, eppure… non riusciva a darsi pace. Chi mai avrebbe voluto la sua morte?

Nessuno dei suoi amanti, visto che tornava comodo a entrambe le parti che i loro … sollazzi rimanessero privati.

Perché attirare l’attenzione sui Gordon-Lewis, allora?

“Pensieri profondi, Christofer?” mormorò William, servendosi un po’ di whisky.

Si erano rifugiati nello studio dell’ala est, lontano dai festeggiamenti che alcune domestiche avevano messo in piedi per la loro signora.

Guardando il cognato, i cui strani occhi ambrati sembravano sondarlo fin nell’anima, il conte asserì stanco: “Non so che pensare, William… sembra tutto così calmo! Come se non fosse mai successo nulla, eppure…”

“Eppure, non sappiamo più niente di Peter Chappell, o del misterioso cecchino che ha attentato alla vita di Kathleen” assentì lui, torvo in viso. “E’ come essere circondati dai lupi, mentre noi siamo stremati e feriti, in attesa che loro decidano di darci il colpo finale.”

Storcendo il naso, Christofer annuì tra sé. L’esempio calzava alla perfezione e, con la nascita dei gemelli, questa sensazione si era solo acuita.

Se solo avesse conosciuto i motivi di quell’attentato!

“Notizie dai cacciatori?” domandò Christofer, per nulla speranzoso.

“Pattugliano il bosco ma, per ora, non hanno trovato nulla di strano” gli riferì William, scuotendo impotente il capo.

Sospirando, Christofer si levò in piedi per raggiungere la finestra che dava sul giardino e lì, scrutando verso il basso, mormorò: “Ora mi sembra che tutto quello che mi circonda sia inutile, persino pericoloso. Se vivessimo in un luogo più piccolo, e circondati da altre persone, forse…”

“Kathleen si trovava in un luogo pieno di gente, circondato da miriadi di case, eppure il cecchino ha cercato comunque di colpirla” gli ricordò William, sorridendo spiacente. “Il modo si trova sempre.”

Imprecando tra sé, Christofer annuì, passandosi una mano tra i lunghi capelli rilasciati sulle spalle.

Ormai, avrebbe dovuto tagliarli, ma a Kathleen piacevano, per cui…

Lanciata un’occhiata di straforo al cognato, il conte disse con discrezione: “Katie mi ha detto che non hai ancora parlato al padre di Bridget. Ci sono dei problemi, per caso?”

William rise nonostante tutto e, raggiuntolo alla finestra, chiosò: “Quella chiacchierona non si smentisce mai, vero?”

“E’ una donna” dichiarò Christofer, come se questo bastasse a spiegare tutto.

Tornando serio, l’attendente asserì: “Voglio aspettare che tutto sia a posto, e Bridget è d’accordo. Anche lei è preoccupata per Kathleen.”

“Le cose non cambieranno, anche se tu e lei vi sposate” gli fece notare per contro il conte. “E, a tal proposito, pensavo di farvi dono di quel casolare che c’è lungo il sentiero nel bosco, a cinque minuti da qui.”

“Come?” esalò William fissandolo a occhi sgranati.

Continuando a scrutare il paesaggio notturno, lui proseguì dicendo: “Ho già mandato alcuni operai a ristrutturarlo, e stanno anche sistemando uno steccato robusto, e riassestando la stalla, che sarà a prova di lupo.”

“Christofer, aspetta… fermati.”

Ma lui non lo ascoltò.

“E’ una casa a due piani, abbastanza grande per una famiglia, se vorrete avere dei figli, ed è vicina a Green Manor, così che nessuno dei due abbia difficoltà a raggiungerci, la mattina, o a tornare a casa la sera. Vi fornirò anche di un calessino e di un paio di cavalli, non preoccuparti” lo informò Christofer, sorridendogli.

“Non se ne parla neppure!” sbottò a quel punto William, accigliandosi. “Mi comprerò da solo la casa e, quanto al resto, non è proprio necessario.”

Il conte allora ghignò e replicò: “E come vorresti impedirmelo, scusa?”

“Come, prego?” esalò William, fissandolo stralunato.

Divertito suo malgrado dall’apparente ritrosia del cognato ad accettare i suoi doni, Christofer disse serafico: “Mi domando come tu possa rifiutare una cosa che è già tua. Certo, sei davvero sbadato a non esserti mai accorto di avere una casa, ma a questo ho posto rimedio io. I lavori di ristrutturazione sono un dono di nozze di mia moglie. E tu sai che ci rimarrebbe malissimo, se tu non accettassi.”

William lo fissò arcigno per diversi istanti, istanti in cui il conte gongolò non poco, compiaciuto di se stesso.

Aveva ipotizzato fin dall’inizio che William si sarebbe opposto con tutto se stesso, a quel dono, così aveva preparato di suo pugno l’atto di vendita, facendo poi firmare la moglie.

Il fatto che Kathleen si fosse dimostrata un’abile falsificatrice di firme, aveva aiutato.

Consegnati i documenti al suo notaio, aveva fatto mettere poi tutto agli atti, in modo che la compravendita risultasse legale.

“Come diavolo siete riusciti a…? Chi ha firmato i documenti al posto mio?!” borbottò William, ancora ombroso in viso.

“Tua sorella. Un’ottima truffatrice. Avrebbe una carriera assicurata, se perdessimo tutti i nostri soldi” ironizzò il conte, battendogli una mano sulla spalla. “Non hai scampo, William, a meno di non ferirla al cuore.”

“Siete subdoli… entrambi voi” gli fece notare l’attendente, sospirando esasperato.

“Verissimo. Ma ormai ti conosciamo, e sapevamo che non avresti mai accettato” dichiarò Christofer, tornando serio. “Accetta. E’ una delle poche cose legali che posso fare per te. Non posso restituirti il titolo che meriteresti, ma posso offrirti almeno una casa in cui crescere la tua famiglia.”

“Non voglio la baronia. Non l’ho mai voluta. E’ di Randolf, come prima era di Andrew” scosse il capo William, accennando un sorriso. “Ma grazie… anche se tu e Kathleen avete barato spudoratamente.”

“Accontentati” sorrise allora Christofer.

“Non ho molta scelta, mi pare.”

“No, affatto” assentì il conte, scoppiando poi a ridere con il cognato.
 
***

La neve stava scendendo leggera quando, di colpo, Kathleen si volse sospettosa nell’udire un discreto trambusto fuori dalla porta.

Trovandosi nella nursery, che guardava verso il retro della villa, non aveva idea di chi fosse eventualmente arrivato per turbare tanto gli abitanti di Green Manor.

Dubitava vi fosse un incendio in casa perciò dedusse che, una simile confusione, fosse attribuibile all’arrivo di un ospite inatteso.

Lasciati un istante i bimbi nelle loro culle, mentre la bambinaia la scrutava con espressione parimenti confusa, Kathleen si avviò verso la porta per indagare.

Si bloccò, però, un attimo dopo quando, trafelato e con il volto rosso per la corsa, Wendell entrò e disse: “Sorella…è arrivato…”

Christofer raggiunse il fratello proprio in quel momento e, torvo in viso, lo fissò scuotendo il capo. Infine, lo pregò di raggiungere la madre.

Wendell, però, storse il naso e replicò: “Sto con i miei nipoti.”

Ciò detto, entrò nella nursery con passo deciso e il fratello non poté dire nulla per fermarlo.

Se c’era una cosa che avevano notato tutti – e subito – era che i gemelli adoravano il giovane zio.

Quando neppure le coccole della madre bastavano, interveniva Wendell per riportare la pace tra i gemelli, facendoli smettere di piangere.

Kathleen ne era rimasta così colpita che, in barba alle convenzioni, aveva iniziato a chiedere spesso l’aiuto del giovane cognato per occuparsi dei propri figli.

Christofer non aveva avuto nulla da ridire, in merito, visto che la cosa rendeva felice entrambi.

Inoltre, sapeva cosa volesse dire desiderare di essere utili in qualche modo e, se questo poteva aiutare il fratello, ben volentieri lo avrebbe lasciato fare.

Aveva passato troppo tempo della sua giovane vita a essere bistrattato da un padre insensibile, e ora voleva dargli tutte le gioie possibili.

Era ancora così fragile da non voler lasciare nulla di intentato, per dargli quello che il resto della sua famiglia gli aveva sempre negato.

Perciò, lasciò che restasse e, presa la moglie per le spalle, dichiarò roco: “C’è tuo padre.”

Kathleen impallidì visibilmente e la bambinaia, trattenendo a stento un singulto, esalò: “Signore Iddio!”

Christofer scrutò per un attimo Peggy, colei che era stata anche la sua bambinaia,  prima di tornare a scrutare la moglie.

Assentendo preoccupato, mormorò: “Non avrei saputo dirlo meglio. Tua madre e mia madre sono dabbasso, cercando di darci un po’ di tempo, e William è già qui. Aspetta solo di sapere come…”

Scuotendo il capo, Kathleen bloccò le sue rassicurazioni con un gesto e disse: “Che venga pure. Non ho paura di lui.”

“Non ho nessunissima intenzione di permettere che lui ti turbi, è chiaro?” sbottò Christofer, adombrandosi in viso.

Lei allora gli sorrise, carezzandogli una guancia col dorso della mano e, annuendo, dichiarò: “Lo so. E, proprio per questo, so di poterlo affrontare. Non sono sola. Ho te, e Wendell, e Peggy, l’intera Green Manor mi protegge. Non devo fare tutto con le mie sole forze, ora lo so.”

Il marito le baciò con fervore la fronte, stringendola poi in un rapido abbraccio e, con un tono che non ammetteva repliche, disse: “Resterò qui con te, e interverrò solo se capirò che non puoi più sopportare la sua presenza. Va bene?”

“Benissimo” assentì lei, prendendo un gran respiro. “Fallo salire.”

Christofer annuì, si concesse un altro secondo per scrutare quegli occhi volitivi e, dopo aver raggiunto la porta con pochi passi, si affacciò e disse: “William, fate salire il barone.”

“Come desiderate, Vostra Signoria” assentì l’uomo, scambiando uno sguardo d’intesa con il cognato.

Se le cose fossero crollate di colpo, lui sarebbe intervenuto. Non era la prima volta che lo faceva.

Nel percorrere le scale che portavano dabbasso, William pregò quasi che accadesse qualcosa che lo costringesse a intervenire.

Aveva davvero una voglia matta di mettere le mani addosso al barone Barnes.

Per il momento, comunque, si sarebbe attenuto alle volontà della sorella e sarebbe stato tranquillo.

Più o meno.

L’idea di sapere Kathleen e il barone nella stessa stanza, non lo solleticava per nulla.

Quando infine raggiunse l’imponente atrio, in cui si trovavano la contessa madre e la baronessa, William procedette più calmo fino a raggiungerli.

Con un inchino formale, poi, asserì: “Sua Signoria la contessa ha accettato di riceverla, barone. Se mi permettete, vi scorterò personalmente presso le stanze ove si trova lady Spencer.”

Barnes, ritto e fiero nel suo completo da equitazione – il mantello e la tuba erano già stati ritirati dai domestici – assentì e si avviò assieme a William.

Georgiana e Whilelmina lo scrutarono silenziose risalire la grande scalinata centrale di Green Manor, mentre alcuni domestici lo osservavano turbati dai vicini corridoi.

Non occorse molto per raggiungere la nursery e, dopo aver bussato, William si fece da parte per lasciare Barnes, che lo degnò solo di una distratta occhiata.

La rabbia bruciò feroce in lui e, quando incrociò lo sguardo del cognato oltre lo specchio della porta, comprese che anche il conte stava provando la stessa ira.

Forse, non per gli stessi motivi, ma anche la sua ardeva possente.

Quando infine richiuse il battente, sperò che il barone non commettesse un errore di troppo, con Kathleen, o lo avrebbe ucciso con le sue stesse mani.
 
***

Kathleen non era certa se aver temuto, o bramato, questo incontro fin da quando erano nati i gemelli.

Ora che vedeva suo padre lì dinnanzi a lei, ritto come un fuso e fiero del suo titolo al pari di un grido lanciatole contro con violenza, seppe che non l’avrebbe mai perdonato.

Non quell’uomo, che aveva ferito una donna come Christine Knight, mettendola alla porta dopo averla sfruttata e distrutta.

Non quell’uomo, che aveva preso in giro per una vita la moglie, insozzando il suo nome con tutte le amanti che aveva avuto.

Non quell’uomo, che aveva portato nelle loro vite Peter Chappell, costringendoli a vivere nel dubbio e nella paura.
No, per lui non avrebbe avuto alcuna pietà.

Che pensassero i santi e il Paradiso a concedergli il perdono, perché lei non ne aveva più da donare a chicchessia.

“Benvenuto, padre” disse perciò con estrema e fredda cortesia, assisa sul suo scranno al pari di una regina, il piccolo Andrew stretto tra le braccia.

Christofer, in piedi alla sua destra, teneva stretta a sé Elizabeth, che stava giocherellando con il suo plastron bianco neve.

Barnes li guardò entrambi, ignorando la bambinaia e Wendell, prima di mormorare con tono fermo: “Ben trovata, Kathleen. Vedo che la gravidanza non ha lasciato strascichi.”

“Sto bene, sì. E anche i bambini” dichiarò lei, levando un fine sopracciglio con aria vagamente interrogativa.

Sarebbe stato dunque così? Un’indifferente sequela di domande scontate?

Barnes si guardò intorno, cincischiò con i guanti di pelle che aveva tenuto per sé e, infine, disse: “Devo parlarvi di Chappell.”

Di tutte le cose che avrebbero mai potuto udir scaturire da quella bocca dura e ripiegata, quella fu davvero l’ultima, e la più imprevista.

Christofer si irrigidì immediatamente e, dopo aver passato Elizabeth a Wendell, mosse i primi passi verso il barone, ben deciso a sbatterlo fuori.

Kathleen allora si mosse lesta, passò Andrew a Peggy e, bloccato il marito a un braccio, si volse verso il padre e dichiarò rigida: “Cosa vorreste dirci, esattamente?”

“Forse so dov’è.”








Note: Spero che la nascita di Andrew ed Elizabeth possa compensare il finale completamente in sospeso con cui vi lascio. :)
Cosa vorrà dire il fatto che Grenview sapeva troppi particolari dell'incidente occorso a Kathleen? Era presente? Qualcuno a parlato? O c'è dell'altro? E l'ultima frase bomba di Barnes? 
Vi lascio con dei quesiti da risolvere e, almeno in parte, troveranno risposta la settimana prossima.
A presto, e grazie per essere arrivate fino a qui assieme a me!

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Capitolo 24
*** XXIV. ***


 
 
24.
 
 
 
 
Sorseggiando del whisky con fare vagamente nervoso, Barnes levò infine il capo a scrutare la giovane coppia innanzi a lui.

Dopo quell’affermazione, esplosa in mezzo a loro come un colpo di cannone ben assestato, il barone li aveva pregati di parlare in separata sede, lontano dai nipoti.

Christofer aveva accettato e, dopo aver lasciato i bambini a Wendell e Peggy, si era diretto nel suo studio assieme a Kathleen.

William li aveva seguiti con lo sguardo, turbato dalle loro espressioni serie e determinate.

Quando si erano infine chiusi nello studio, il conte si era servito una dose generosa di whisky e, un po’ a sorpresa, ne aveva offerto anche a Barnes.

Kathleen, invece, era rimasta in silenziosa attesa accanto alla scrivania, le mani conserte e l’aria ombrosa.

Lappandosi le labbra, il barone si decise alfine a parlare e dichiarò: “Non accettavo che voi foste tornato, mentre Andrew era morto in guerra.”

“Lo avete chiarito più volte, non avete affatto bisogno di dirmelo in questo momento” assentì sarcastico Christofer, andando a porsi accanto alla moglie.

Barnes annuì secco, proseguendo comunque nel suo dire.

“Diamo pure la colpa al mio dolore di padre, o al mio orgoglio, ma questo ora conta poco.”

Christofer avrebbe voluto replicare a quella frase lapidaria, ma preferì tacere. Voleva sapere i motivi che lo avevano spinto a venire lì, dopo tanti mesi di silenzio.

“Chiamai Peter solo per… per irritarvi, lo ammetto. Sapevo che il giovane Chappell nutriva da tempo dell’interesse per Kathleen ma, essendo un cadetto con un appannaggio piuttosto ridotto, non ho mai pensato di dare mia figlia in moglie a uno come lui.”

A quel punto, fu la contessa a doversi trattenere dal parlare.

La stava trattando ancora una volta come una merce di scambio, come una vacca da vendere al mercato del bestiame.

“L’idea di sfruttare la sua infatuazione nei confronti di mia figlia mi venne spontanea, perché volevo ferirvi… entrambi.”

Barnes guardò la figlia, e il livore nei suoi occhi fu evidente ma, oltre a questo, Kathleen scorse altro.

Scorse confusione, oltre a un pizzico di rimorso. Per cosa, non seppe dirlo.

“Tu eri sopravvissuta a un aborto che ti aveva portato quasi alla morte. Tu, che sei sempre stata così debole e gracilina…” mormorò Barnes, lasciando trasparire per la prima volta una crepa nella sua maschera di impassibilità. “… mentre il mio Andrew, che era forte e intraprendente, era morto. Non potevo accettarlo.”

Christofer mormorò un’imprecazione tra i denti, stanco di sentir denigrare a quel modo la moglie e, avanzando di un passo, ringhiò: “Un altro insulto alla mia consorte, e vi sbatterò a calci nella neve, Barnes, e con sommo diletto.”

“Christofer… un momento…” replicò Kathleen, fissando gelida il padre. “Non mi avete mai amata, questo lo so. Ero troppo simile a Andrew, perché poteste amarmi così com’ero. Ho ragione?”

Lui assentì lapidario, e il conte desiderò prenderlo per il collo.

“Nessuna donna avrebbe mai dovuto comportarsi come… come facevi tu. E lui ti dava corda, per giunta!” sbottò il barone, fissandola astioso. Ma con ancora quel rimpianto a fare da contraltare.

“Per questo, non mi fu mai permesso di uscire con Andrew, quando se ne andava per i boschi assieme a Myriam, Anthony e gli altri? Per questo, venni punita tutte le volte che mi trovaste a compiere atti non degni di una lady? Per questo, passai la mia infanzia e la mia adolescenza come una segregata, conoscendo le persone solo di sfuggita?” gli riversò addosso Kathleen con stizza a malapena trattenuta.

Dovevo educarti!” esclamò Barnes, picchiando i pugni sulle ginocchia. “Piegandoti a forza, se necessario.”

“L’avete quasi distrutta!” sbottò Christofer. “Bene, ora che avete parlato, potete anche andarvene e, se proverete a rimettere piede qui, giuro che vi ucciderò.”

Ma Barnes non si mosse, gli occhi ancora fissi in quelli lividi della figlia.

“Ho distrutto Andrew, a causa del titolo che portava pur non volendolo…” mormorò a quel punto il barone, quasi ripiegato in due dal dolore. “… e ho tentato di distruggere te, soffocando tutto ciò che eri. Ma ora… ora sei…”

Kathleen intrecciò con eleganza le braccia sotto i seni e dichiarò gelida: “Sono la donna che voi avete nascosto sotto la sabbia, dimenticandovi di me. Sono la donna che avete venduto per vanità. Sono la donna che è sopravvissuta a tutti i vostri tentativi di farmi diventare qualcuno che non ero, né mai sarò.

Barnes annuì e reclinò il capo, mormorando: “Quando Peter ti ha sparato, ho pensato di aver perso anche te, così come avevo perso Andrew. Non ho aiutato Chappell a scappare. L’ho inseguito, pur se invano. Ho atteso quell’attimo di troppo, sconvolto dalla vista del tuo corpo che cadeva a terra nella neve, e così mi è sfuggito.”

“Storie” sbottò Christofer, non volendo assolutamente credergli.

“Ho assoldato diversi investigatori privati perché cercassero Chappell in giro per la Gran Bretagna e, nel frattempo, ho tentato di mettermi in contatto con tutti i suoi commilitoni, oltre che con le persone che lo conoscevano” continuò a dire il barone, gesticolando nervosamente con le mani.

In effetti, Georgiana aveva ammesso con la figlia di aver trovato strani i diversi viaggi che il marito aveva compiuto in quei mesi, oltre alla sua copiosa corrispondenza.

Sarcastica quanto rassegnata, però, li aveva attribuiti a semplici visite presso le sue amanti.

Era mai possibile che stesse dicendo la verità?

“L’ultima volta che Chappell è stato visto, si trovava a Londra, nei pressi della casa del barone Gordon-Lewis.”

Quel nome rimbalzò tra le pareti dello studio raggelando Christofer che, passandosi una mano tra i capelli, domandò torvo: “Quando, esattamente?”

“Un mese e mezzo dopo il vostro ritorno a York” dichiarò Barnes, ombroso in viso. “Lui fu visto…”

Interrompendolo con un gesto, Christofer si volse verso la moglie e disse: “Sarebbe meglio che tu tornassi dai nostri figli, Kathleen.”

“Non se ne parla. Quello che fa Chappell interessa soprattutto me, perciò resterò” dichiarò lapidaria Kathleen, accigliandosi.

Il conte sospirò e Barnes, lanciata un’occhiata alla figlia, domandò dubbioso: “Lei non sa, vero?”

“Che cosa?” esalò la giovane, fissando in alternanza i due uomini.

“Lady Annelyse Gordon-Lewis è stata trovata morta nel suo letto” dichiarò alla fine Christofer, fissandola spiacente.

Kathleen sobbalzò sorpresa, ma domandò: “E perché hai pensato di non dirmelo? Mi spiace per lei, ma non vedo come la cosa avrebbe potuto coinvolgermi.”

“Eri al settimo mese di gravidanza, Kathleen, e non volevo che, oltre a dover pensare al misterioso attentatore di cui non sapevamo ancora nulla, avessi anche pensieri dolenti per una ragazza morta in circostanze tragiche” le spiegò il marito, sospirando.

Tornando a guardare il padre, la giovane sgranò leggermente gli occhi ed esalò: “Non penserete che…che lui…”

“Il mio investigatore mi ha assicurato che, quando lo ha visto uscire da una porticina laterale della casa, era sporco di sangue e molto, molto alterato” dichiarò Barnes, assentendo torvo.

“Oh, mio dio” ansò Kathleen, poggiando una mano alla scrivania per sorreggersi. “Ma perché… perché?”

“Questo non lo so ma, come ha ucciso quella ragazza, potrebbe tentare di farti nuovamente del male. E’ braccato, solo e senza appoggi di alcun genere” le spiegò Barnes. “L’investigatore mi ha detto che Chappell ha venduto al mercato nero alcuni gioielli che, sicuramente, deve aver prelevato alla vittima e poi, dopo aver preso un mercantile, è sparito. Da quel momento, non è più riuscito a trovare alcuna traccia di lui.”

“Dove può essere andato?” mormorò Christofer, prima di domandare: “Perché proprio Gordon-Lewis, comunque?”

“Per ora, non abbiamo scoperto nulla, ma è indubbio che il barone goda di una fortuna finanziaria che, difficilmente, può essere spiegata con l’appannaggio che gli spetta, o con le entrate che gli giungono dai suoi possedimenti” dichiarò sprezzante Barnes.

“Pensate che abbia un… finanziatore esterno?” asserì dubbioso il conte, aggrottando la fronte.

“Sarebbe una spiegazione plausibile. Ma perché finanziarlo? E per cosa?” fece spallucce il barone, all’oscuro della verità al pari di Harford.

Kathleen si mosse spazientita per raggiungere le finestre che davano sul giardino e lì, afferrata una tenda, la strattonò, sibilando: “Spero sarete orgoglioso di aver scatenato contro di noi un folle!”

Barnes non parlò, limitandosi a levarsi in piedi per poi guardare il conte.

“Vi terrò informati su quanto verrò a sapere e, se avrete bisogno di qualche uomo in più per pattugliare la zona, vi metterò a disposizione i miei…”

“Non li vogliamo!” sibilò Kathleen, ferita e rabbiosa.

Volgendosi a fissare il padre con un livore palpabile, dichiarò lapidaria: “Venite qui a dispensare informazioni smozzicate, sperando che questo basti a passare sotto silenzio ogni cosa. Cosa pretendete, da me? Da mio marito?!”

“Kathleen…” mormorò Christofer, tentando di chetarne la furia.

Ma lei non lo ascoltò, avvicinandosi al padre con rabbia sempre crescente.

“Lasciaste che lo zio mi picchiasse, che la vostra sferza mi segnasse le carni ogni qual volta il vostro orgoglio credette di essere stato messo alla prova da una donna. Mi avete violata nello spirito, facendomi credere di non essere alla vostra altezza, all’altezza di nessuno!”

Sferzando l’aria con un braccio, aggiunse furente: “Mi avete data in moglie come se fossi solo una merce di scambio, come se non vi importasse nulla di me, e ora pretendete che io, non solo vi ascolti, ma vi ringrazi anche?! Avete sempre agito per i vostri interessi, mai per i miei o per quelli di Andrew!”

Senza più riuscire a trattenersi, lo schiaffeggiò e, forte come una dea vendicativa, sibilò: “Fuori da questa casa. Non meritate di stare sotto lo stesso tetto dei miei figli, o di mio marito. Ci avete messo tutti quanti in pericolo, con la vostra follia, perciò state lontano da noi!”

Barnes non disse nulla. Si avviò verso la porta e uscì senza salutare, senza replicare, senza accennare neppure una difesa di qualche tipo.

Kathleen, a quel punto, esplose in un pianto dirotto e Christofer, avvoltala tra le braccia, le baciò i capelli, sussurrando: “Coraggio, siediti…”

“L’ho fatto… l’ho fatto…” ansò lei, stringendosi ai baveri della giacca del marito.

Accennando un sorriso, lui dichiarò: “Urlargli in faccia ciò che pensavi? Direi di sì.”

Al pianto si inframmezzò il riso e, con voce soffocata dai singhiozzi, Kathleen esalò: “Sono stata orribile… ma è stato…”

“Liberatorio?” le consigliò il conte, vedendola annuire.

Asciugandole le lacrime coi pollici, Christofer le sorrise e dichiarò: “Non credo che neppure Dio ti chiederebbe di perdonarlo, ma penso che sia giunto qui per darti la possibilità di parlare. E, magari, di prendersi un ceffone.”

“L’ho cacciato via davvero in malo modo” dichiarò Kathleen, singhiozzando.

“Era un tuo diritto. Sei la lady di Green Manor e, se c’è una persona a te sgradita, puoi cacciarla” le ricordò Christofer, baciandole il naso ormai rosso.

“Ma ho detto delle cose…”

Scoppiando in una risatina, il marito disse: “Sei davvero pessima, nelle tue vendette. Non riesci a goderne che per pochi attimi… poi, sei subito rosa dal rimorso.”

A quel punto, Kathleen mise il broncio e brontolò: “Non burlarti di me.”

“Non mi burlo, dico la verità. Sei troppo buona, amor mio. Dovresti estrarre più spesso le spine che io so tu possiedi, e lasciare che esse rimangano esposte per almeno un po’ di tempo” le sorrise lui, tornando ad abbracciarla.

“Ti pungerei, allora, e non sarebbe gradevole.”

“Non ho detto che devi esporle per me…” sottolineò Christofer, facendola finalmente ridere.

“Dici che non si presenterà davvero mai più?” chiese alla fine Kathleen, dubbiosa.

“Barnes? Che si lascia dire da una donna quello che deve fare?” ghignò lui. “Voleva gettare un ponte per recuperare un minimo di rapporto con te, forse perché si è reso davvero conto di aver fatto un disastro con entrambi i suoi figli legittimi. Non so se si ripeterà ancora una resa simile, ma è sicuro che ora tornerà a comandare in prima persona. E sì, tornerà, se non altro per farci avere notizie su Chappell.”

Adombrandosi, Kathleen mormorò turbata: “Che motivo avrà avuto per ucciderla, se è veramente stato lui? E come faceva a conoscerla?”

“Sul come, posso dirtelo io” le spiegò Christofer, prima di raccontarle lo scandaloso comportamento di Annelyse al famoso ballo dove aveva conosciuto Peter.

La informò sul rapporto che avrebbe potuto essere intercorso tra Gordon-Lewis, che lavorava al Ministero della Guerra come, a suo tempo, aveva fatto Peter.

Infine, le menzionò i sospetti riguardanti Johnathon, così che non vi fossero più segreti tra di loro.

Era stato uno strazio mentire a Kathleen sui fatti riguardanti Annelyse ma, ora che sapeva, si sentiva meglio.

Non avrebbe più taciuto nulla, alla moglie.
 
***

“Una festa per la Vigilia di Natale?” esalò Christofer, costernato. “Visti i precedenti, non sarebbe preferibile evitarla? Inoltre, finché non sapremo per certo che i nostri nemici sono in gattabuia o, meglio ancora, all’inferno, non è il caso di far pervenire qui un sacco di gente. Creeremmo solo dei disagi a coloro che ci devono proteggere.”

“Tutto verissimo, ma viviamo da troppi mesi nell’ansia e nella paura delle nostre ombre e, onestamente, sono stanca di questa prassi ormai consolidata” replicò Kathleen, passeggiando per la nursery con Elizabeth in braccio.

Wendell stava giocando con Andrew su un enorme tappeto damascato e, guardando l’andirivieni della cognata, ammise: “Kathleen non ha tutti i torti… Mastro William gira sempre armato fino ai denti, quando esce di casa per proteggerti. Per non parlare dei valletti o dei domestici. Sono tutti sul chi vive.”

Sospirando, Christofer fissò esasperato il fratello e replicò: “Immagino non sia un bel vedere, ma volete davvero che entri qualcuno qui dentro per fare del male a Kathleen o ai bimbi?”

Kathleen strinse impulsivamente al seno la figlia, fissando malamente il marito ma il conte, imperturbabile, dichiarò: “E’ inutile che mi fissi come se avessi detto una follia. E’ un pericolo reale, e io non lascerò nulla di intentato per proteggerti.”

La moglie emise un sospiro altrettanto esasperato e, lasciandosi scivolare sul tappetone a sua volta, avvolta da un lago di velluto blu scuro, borbottò: “Lo so, Christofer. Ma ciò non toglie che sia stancante, vivere così.”

Wendell assentì e il conte, sarcastico, dichiarò: “Non avevo dubbi che saresti stato d’accordo con lei, Wendell caro. Quando mai non lo sei?”

Il fratellino arrossì leggermente e fece spallucce così il conte, levatosi in piedi dalla poltrona dov’era stato accomodato fino a quel momento, disse: “Esco a cavallo con William e gli altri. Sarò di ritorno verso sera. Starai bene?”

“Come sempre” mormorò Kathleen, levando il viso perché lui la baciasse.

Wendell si coprì pudico gli occhi, lasciandosi sfuggire un risolino e Christofer, battendo una mano sui suoi capelli di fuoco, gli sorrise, ordinandogli: “Pensa tu a proteggerli, mi raccomando.”

“Questa casa è presidiata. Nessuno potrebbe entrare. Ma starò comunque attento” assentì Wendell, lieto che il fratello maggiore lo rendesse partecipe di quella strana azione militare.

Christofer allora uscì, raggiunse William e gli altri in cortile e, dopo aver lanciato un ultimo sguardo alla casa, disse all’attendente della moglie: “Andiamo pure. E speriamo di trovare qualcosa, stavolta.”

Il gruppo di venti uomini a cavallo uscì al trotto dalla villa, lasciando che al presidio di Green Manor pensassero i battitori del conte e quelli di lord Barnes.

Il barone, li aveva inviati ugualmente, in barba alle richieste della figlia e, pur se la prima settimana Kathleen era stata più inviperita di una serpe, alla fine li aveva accettati.

Aveva compreso anche lei che, più persone fossero state coinvolte, minori sarebbero state le possibilità che qualcuno penetrasse all’interno di Green Manor.

Dalle porte principali, per lo meno.
 
***

Intento a scrutare i nipotini, sdraiati sul tappeto mentre, insonnoliti, tentavano di resistere prima di essere messi a letto, Wendell sorrise a Kathleen, asserendo: “Sono testardi fin da ora. Non ne vogliono sapere di crollare.”

“Non mi stupisce, visti i genitori che si ritrovano” sorrise divertita la cognata. “Dai tu un’occhiata a loro due, mentre preparo gli abitini per il bagnetto?”

“Certo. Nessun problema” assentì il ragazzino, gli occhi chiari persi in contemplazione dei neonati.

Tranquilla, Kathleen socchiuse la porta della nursery per entrare nell’anticamera, dove avevano sistemato qualche cassettone, un paio di divani e un tavolino.

Lì, la giovane lanciò un’occhiata distratta a un imponente arazzo dalle decorazioni campestri, che ricopriva quasi per intero la parete nord.

Aveva sempre ammirato la maestria con cui l’autore aveva saputo intessere i fili, così bene da poter essere scambiato per un quadro, a un osservatore inesperto.

Aperto uno dei cassettoni, Kathleen estrasse due camiciole di lino e un paio di cuffiette, prima di volgersi dubbiosa, quando udì uno scricchiolio inaspettato.

Un attimo dopo, impallidì visibilmente quando l’arazzo si mosse, come sospinto dalle dita sinistre di un demone.

Scostandosi istintivamente dinanzi alla porta che conduceva alla nursery, Kathleen sgranò gli occhi quando vide comparire la figura dinoccolata di Johnathon.

Irrigidendosi nel rendersi conto che, non conosciuto ai più, il muro di quella stanza recava una porta segreta, la giovane disse a voce discretamente alta: “Cugino Johnathon… un’entrata in scena davvero... plateale.

“Non come avrebbe voluto lui” dichiarò una seconda voce, emergendo dalle tenebre del condotto da cui era scaturito Grenview.

A quel punto, Kathleen si fece terrea in viso e, stringendo a sé le tutine dei figli, esalò scioccata: “Chappell…”

Wendell, che era stato sul punto di intervenire non appena aveva udito il tono di allarme nella voce della cognata, impallidì e prese con sé i nipoti.

Dentro di sé, pregò con tutto se stesso che rimanessero in silenzio come erano soliti fare e, non potendo inventarsi altro, si nascose dietro i pesanti tendaggi della stanza.

Chiusi ermeticamente gli occhi, chiese mentalmente scusa a Kathleen e, dentro di sé, pregò che non le facessero del male.

Se l’avessero uccisa, suo fratello ne sarebbe sicuramente morto.

Emergendo completamente da dietro l’arazzo, la pistola puntata alla schiena di Johnathon e un sorriso beffardo a increspargli il viso, Peter dichiarò: “E’ un vero piacere rivedervi, lady Spencer. Come sempre, siete bellissima.”

Accigliandosi, Kathleen asserì gelida: “Non siete il benvenuto in questa casa, e lo sapete benissimo.”

“Per questo, mi sono avvalso dei buoni uffici di Mr Grenview” la irrise Chappell, sospingendo leggermente la canna della pistola contro la schiena del giovane, che singhiozzò ansioso.

La contessa lanciò solo un’occhiata distratta a Grenview, prima di domandare: “Sapete bene che, al solo accennare un mio urlo, tutta la servitù giungerà qui. Cosa vi riproponete di fare, dunque?”

Peter ghignò in risposta e, accennandole di osservare oltre l’arazzo, all’interno del condotto di pietra, dichiarò divertito: “E’ per questo che ci siamo portati dietro una garanzia per il vostro silenzio.”

Avvicinandosi rapida al cunicolo segreto, Kathleen soppresse a stento un grido irato, quando scorse Brigdet, imbavagliata e con un’evidente ecchimosi sotto l’occhio.

“Voi, maledetto…” sibilò la giovane, rialzandosi con una baldanza che forse, in un altro momento, non avrebbe sfoggiato.

In barba alla pistola che Chappell teneva in mano, Kathleen lo schiaffeggiò e, livida, ringhiò: “Pagherete per ogni cosa… siatene certo!”

Peter, allora, tornò mortalmente serio e replicò: “Vi ho concesso questo colpo di testa, mia cara, ma non ve ne saranno altri.”

Poi, lanciata un’occhiata alla porta della nursery, si incamminò a grandi passi fino a raggiungerla, invano trattenuto da una terrorizzata Kathleen e, aperta la porta, domandò: “Dove sono i pargoli di Harford? Ho desiderato tanto fare la loro conoscenza.”

Non vedendoli da nessuna parte – pur sapendo che Wendell doveva essere da qualche parte – Kathleen si inventò sul momento una scusa, sperando di essere convincente.

“Li ha la bambinaia. Stanno facendo il bagno. Quando mi avete interrotta, stavo preparando gli abitini per cambiarli.”

Peter la fissò nei brillanti quanto determinati occhi verde oro, prima di tornare a scrutare attentamente la stanza.

Non essendovi altre porte che permettevano una via di fuga, Chappell infine si ritirò, tornando nell’anticamera assieme a Kathleen.

Lì, Johnathon fissò speranzoso Peter, asserendo: “Ho assolto alla mia parte del piano, Chappell. Ora, non vi devo più nulla e, come promesso, sparirò dalla circolazione.”

“Ringraziate soltanto di avere una mira pessima, idiota” gli rinfacciò Peter, fissandolo bieco. “E ricordatevi che le grazie di una donna non dovrebbero mai essere ripagate con il servilismo.”

“Cosa?” esalò Kathleen, cominciando a temere di aver capito ogni cosa.

Chappell rise sommessamente, indicando Grenview con la pistola.

“Questo idiota si era incapricciato di Annelyse Gordon-Lewis e, mentre sono stato assente per affari, ha pensato bene di portarsela a letto. Peccato che Annelyse non faccia mai niente per niente, vero, Johnathon?”

L’uomo storse la bocca, borbottando contrariato: “Non avrebbe mai dovuto minacciarmi di raccontare in giro che io… che io…”

“Che avete la miccia corta? O che prendete fuoco subito, per poi spegnervi immediatamente?” ironizzò senza troppi complimenti Peter, facendo avvampare Kathleen.

“Voi…” ringhiò Johnathon, muovendo un passo verso di lui.

Chappell, però, gli puntò la pistola contro e, dopo aver preso per un braccio Kathleen, dichiarò: “E’ stato lui a spararvi, accontentando le brame di una sciocca ragazzina che non sapeva accontentarsi di un solo amante per volta. Non avrebbe mai dovuto tentare di uccidervi, ma questo lo ha imparato a proprie spese.”

“L’avete uccisa voi!” soffiò tra i denti Kathleen, sgranando gli occhi.

“Più tardi di quanto non avrebbe meritato” assentì senza alcuna difficoltà Peter. “Avete dovuto attendere più di un mese, perché vi fosse resa giustizia, mia cara. Spero non vi sarete offesa per questa mia mancanza. Ma posso assicurarvi che è morta tra atroci tormenti.”

“Nessuno vi ha chiesto nulla” sibilò Kathleen, divincolandosi per liberarsi.

“Ah, ah, tesoro… la vostra amica cameriera… ve ne siete dimenticata?” ironizzò allora Chappell, trascinandola verso il cunicolo.

Bridget la scrutò con occhi colmi di lacrime, scuotendo il capo al suo indirizzo e Peter, ridendo divertito, esalò: “Oh, cielo! Quale amore! Non vuole che vi sacrifichiate per lei, vero?”

“Lurido bastardo…” sussurrò strozzata Kathleen, fissandolo con occhi colmi di livore.

“Un bastardo che, però, ha messo in scacco sia il conte vostro marito, che il barone vostro padre, a quanto pare” le fece notare lui, irritandola. “Quanto si è prodigato, quel poveruomo, per trovarmi… e io ero sempre un passo avanti a lui!”

Accigliandosi, Kathleen raggelò Johnathon con un’occhiata, ma il giovane scosse la testa, dichiarando piccato: “Ho le mie colpe, ma non certo questa!”

“Quell’idiota non sarebbe mai stato una brava spia, visto quanto ama parlare, non appena leva troppo il gomito, ma ho uomini al mio servizio all’interno dei battitori di vostro padre… proprio accanto al vostro adorato maritino.”

“Oh, no… no…” esalò Kathleen, sentendosi prossima a mancare.

“Mentre voi verrete via con me, i miei uomini faranno piazza pulita di tutti coloro che vi amano, mia cara, così che voi e io potremo allontanarci indisturbati per raggiungere Goole” la informò Peter, sorridendole mellifluo.

“Non potete farlo… non potete…” lo pregò la giovane, afferrando un braccio di Peter per strattonarlo.

“Ora basta!” le sibilò contro il dragone decaduto, fissandola con rabbia.

Azzittendosi subito, la mente già all’opera nel tentativo di pensare a un piano di fuga, Kathleen fissò Peter come per comprenderne le azioni, ma tutto fu vano.

Lui, in compenso, levò lo sguardo per posarlo su Johnathon e, determinato, disse: “Il vostro pagamento, Grenview.”

Senza dargli il tempo di capire le sue intenzioni, Peter lo colpì con violenza alla tempia, tramortendolo.

Il corpo cadde con un tonfo sordo sui tappeti, una pozza di sangue che già si allargava dalla pesante ferita al capo.

Fissando quegli occhi vitrei con espressione sconvolta, Kathleen si trattenne dall’urlare solo per paura che Peter potesse fare lo stesso con Bridget.

Sentendosi strattonare, lo seguì oltre l’arazzo e, dopo aver lanciato un’ultima occhiata alla cameriera, discese le ripide scale assieme a Peter.

“Dio, ti prego, fa che non succeda nulla a Christofer… te ne prego…” pensò tra sé, terrorizzata all’idea che i sicari di Peter potessero colpirlo a tradimento.

Avrebbe sopportato tutto, ma non la sua morte.
 
***

Wendell attese un tempo indefinibile, dietro i tendaggi di velluto scuro, e ascoltò con tutta l’attenzione che gli fu possibile, così da poter riferire ogni cosa al fratello.

Quando non udì più nulla per diversi minuti, si arrischiò a uscire dal suo nascondiglio e, dopo aver baciato i nipoti, ringraziandoli per il silenzio, li depose nelle loro culle.

Un attimo dopo, era già nell’anticamera, gli occhi sgranati quanto terrorizzati e puntati sul corpo del lontano cugino.

Sembrava immobile come una statua, e una chiazza enorme di sangue macchiava i tappeti su cui era sdraiato.

Avvicinandosi timoroso, ne scrutò gli occhi vitrei, la carnagione terrea e, senza degnarlo di una seconda occhiata, raggiunse in fretta il cubicolo nascosto dall’arazzo.

Lì, slegò in fretta Bridget, che lo abbracciò con foga, piangendo a dirotto.

Impreparato a una simile reazione, Wendell arrossì come un peperone maturo ma lasciò perdere l’imbarazzo per un secondo momento; ora doveva occuparsi d’altro.

Scostandola perciò delicatamente da sé, Wendell le chiese: “Vi hanno ferita altrove, Bridget? Riuscite ad alzarvi?”

Lei scosse il capo riguardo ad altre ferite e, levandosi in piedi per uscire dal cubicolo assieme al ragazzino, mormorò: “Mi ha afferrata al collo e colpita con il calcio della pistola, dopodiché mi ha legata.”

“Anche troppo, per i miei gusti” brontolò Wendell, reggendole la mano per aiutarla.

Nel vedere il corpo di Grenview, Bridget ansò sconvolta e si aggrappò al giovane, esalando un gridolino spaventato.

Wendell fu lesto ad accompagnarla lontano dal corpo e, nel mettere mano alla porta, le disse: “Andate da Peggy e ditele di pensare ai bambini. Io avviserò chi di dovere. Mio fratello e il barone sono in grave pericolo.”

Bridget assentì grave e, nel passargli una mano tra i capelli, dichiarò: “State attento, mi raccomando, signorino Wendell.”

“Nei limiti del possibile” dichiarò lui, iniziando a correre lungo il corridoio.

Non aveva potuto intervenire per salvare Kathleen dal rapimento ma, per lo meno, i bimbi erano in salvo.

Ora, doveva pensare al fratello. Non aveva ancora un’idea precisa di cosa avrebbe fatto, ma non poteva restare inerme.

Doveva essere lui, stavolta, ad agire.








Note: Direi che Kathleen si è finalmente tolta qualche sassolino dalle scarpe, anche se poi, come dice Christofer, non sa godere della sua vendetta come dovrebbe, perché è troppo buona.
Peter, invece, riesce a cogliere in fallo la difesa di Green Manor sfruttando le conoscenze del palazzo da parte di Grenview (spiegherò poi come e perché sa di questi passaggi segreti). Questo costringe Kathleen ad andare con lui e, visto che sappiamo che Chappell è invaghito di lei, sappiamo per lo meno che non la ucciderà.
Così non si può dire per gli altri, visti i piani di Peter nei confronti di Christofer e Barnes.
Ma sarà davvero così facile farli fuori, o anche loro avranno qualche asso nella manica?
So di lasciarvi con un grande dubbio a farvi compagnia, ma abbiate fede. A presto!

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Capitolo 25
*** XXV. ***



25.

 

 

 

 

Non seppe dire chi per primo giunse nell’atrio della villa, nella disperata ricerca di qualcuno che potesse dare loro ascolto.

Quando, comunque, Wendell vide il portone d’ingresso aprirsi di botto, e la figura di Anthony Phillips fare la sua apparizione, il giovane non poté che esserne felice.

Nel vedere il giovane Spencer trafelato e pallido, Anthony temette di essere giunto troppo tardi e, raggiunto il ragazzo, lo afferrò alle spalle, esalando: “Christofer? Kathleen? Dove sono?!”

“Chappell ha appena portato via Kathleen. Non ho potuto fare nulla. Stavo proteggendo i bambini, e…”

Le lacrime vennero indesiderate, e Wendell si odiò per questo, ma Anthony neppure le vide.

Scosse il capo, replicando lesto: “Non avresti comunque potuto fare alcunché, contro di lui. E’ un assassino matricolato, Wendell. Hai fatto bene a proteggere i bambini. Ma ora dimmi ciò che sai.”

Il ragazzino fu lesto ad affiancarlo per raccontargli ogni cosa, mentre Phillips si dirigeva a grandi passi verso i locali della servitù per cercare il capo maggiordomo.

Una volta trovatolo, gli ordinò in fretta di far sellare tutti i cavalli disponibili e di mandare gli uomini più forti alla ricerca del conte dopodiché, rivoltosi a Wendell, dichiarò: “Goole, hai detto, vero?”

“Sì. Il nome era chiaro” assentì lui.

Nei corridoi era già iniziato un via vai di persone, e Whilelmina li raggiunse di lì a poco, pallida quanto preoccupata.

“Cos’è successo? Bridget è terrorizzata, e Peggy è fuori di sé…” esalò la donna, trafelata per la corsa.

“Wendell, prenditi cura di tua madre e manda qualcuno nella nursery per Mr Grenview. Non è il caso che le signore vengano turbate ulteriormente” si affrettò a dire Anthony, battendogli una mano sulla spalla.

“Vorrei venire con voi…” dichiarò il ragazzino, mogio in viso. “…ma so che vi rallenterei. Rimarrò qui e baderò a tutti.”

“Molto bene. Hai già dimostrato di avere la testa sulle spalle. Al resto, penserò io. Lady Georgiana e Lady Myriam?”

“Sono… sono tornate a casa per qualche giorno, perché?” esalò Whilelmina, ancora turbata.

“Volevo solo sincerarmi che fossero fuori pericolo” mormorò l’uomo, rivolgendosi poi a Wendell. “Vai, ora. A tuo fratello baderò io.”

Ciò detto, corse via, il mantello umido di neve che sventolava alle sue spalle, mentre la casa era percorsa da persone sempre più fuori controllo.

Non potendo fare altro, Wendell prese su di sé quell’onere e, dopo aver ordinato al capo maggiordomo di richiamare all’ordine la servitù, la fece riunire nell’atrio.

Lì, mise al corrente i presenti di ciò che era successo, oltre a quello che avrebbe potuto succedere nelle ore successive.

Poiché Chappell si stava dirigendo a Goole assieme a Kathleen, le persone di guardia al palazzo vennero reindirizzate ai loro compiti originari.

Anthony e gli uomini più capaci stavano già andando alla ricerca del conte perciò, per avere notizie, non avrebbero potuto che attendere.

Ciò detto, Wendell congedò tutti e, rivoltosi alla madre, mormorò: “Spero solo che a Christofer non succeda nulla. Non voglio fare il conte.”

Whilelmina gli sorrise e, dopo avergli carezzato la guancia con una mano lievemente tremante, esalò: “Andiamo dai bambini. Non devono rimanere senza la loro famiglia.”

“Sì, maman.”

***

Cavalcavano da ore e, pur se le parole sibilline di Barnes gli erano parse strane, aveva pensato bene di non prenderle sotto gamba.

Il suocero poteva pensare di lui quel che voleva, ma sembrava davvero redento, per lo meno sul conto di Chappell.

Attendere che qualcosa si muovesse, però, era davvero snervante, specialmente sapendo Kathleen a casa, mentre lui era a cavallo per i boschi limitrofi la villa.

Quando infine giunsero nei pressi del mulino, la squadra di battitori si fermò, alcuni discesero dai cavalli mentre altri staccarono dalle selle gli otri per bere.

Battere i boschi non sarebbe servito a molto, senza sapere bene dove – e cosa – cercare.

Erano troppo estesi, e troppe persone percorrevano quei sentieri, durante l’inverno.

Suo suocero, però, aveva insistito perché uscissero entrambi nella cerca, sottolineando anche che l’attendente di Kathleen fosse presente, e in attesa di ordini.

William non si era rifiutato e, anzi, aveva accettato di parlare con Barnes in separata sede, tornando poi da Christofer ombroso e teso.

In quel momento di pausa, il conte tornò a scrutare il viso imperscrutabile del cognato, chiedendosi per l’ennesima volta cosa si fossero detti i due uomini.

Lo scrocchiare della neve sotto gli zoccoli di un cavallo, portò però Christofer a volgere lo sguardo alla sua sinistra.

Nel ritrovarsi Norbert Ford al fianco – uno dei battitori del barone – il conte mormorò: “Avevate bisogno di qualcosa, Mr Ford?”

“Solo di parlarvi in separata sede, milord. Dovrei mettervi a conoscenza di alcune cose sul barone, e non vorrei ci udisse” sussurrò l’uomo, reclinando un poco il capo verso di lui.

Accigliandosi leggermente, Christofer assentì e, dopo essere disceso da Zeus – che rimase diligentemente fermo – seguì il battitore verso gli alberi.

Barnes non diede adito di averli visti e, in mezzo a quella confusione di uomini e cavalli, il conte non se ne stupì.

Quando, infine, ebbero raggiunto la prima fila di piante oltre la radura, Harford si fermò, intrecciò le braccia sul torace e chiese: “Ebbene, Mr Ford, di cosa volevate parlarmi?”

L’uomo si volse imbracciando una pistola e, sorridendo divertito, chiosò: “Chappell aveva ragione… siete così prevenuto nei confronti di vostro suocero, che credereste a qualsiasi maldicenza su di lui.”

Irrigidendosi a quella vista, ma restando fermamente calmo, Christofer replicò: “Peter, eh? Siete dunque uno dei suoi?”

“Di certo, non uno degli uomini del barone, pur se lui scioccamente lo crede” ghignò l’uomo, avanzando di un passo.

Un cane venne tirato e Ford, impallidendo leggermente, fece per muoversi in risposta a quel sordido suono.

Una voce, però, gli intimò il contrario.

“Non un solo respiro, vile. Non permetto che si minacci così Sua Signoria.”

La voce di William si levò protettiva intorno al conte che, sorpreso, lo vide comparire assieme a Barnes da dietro un albero.

Anch’egli armato, andò a mettersi sul fianco destro del battitore, mentre William coprì il sinistro, senza mai perdere di vista la sua preda.

Leggermente più tranquillo, Christofer disarmò l’uomo e, dopo aver puntato a sua volta la pistola contro Ford, dichiarò: “Chi pensavate di aver scioccamente imbrogliato?”

“Come sapevate?” ringhiò il battitore, fissando rabbioso il barone.

“Forse, Chappell pensava di aver gabbato il primo dei miei investigatori, ma non ho mai lasciato che fosse solo una persona, a cercarlo. Solo, non sapevo di preciso quali sarebbero state le sue mosse, fino all’altro giorno.”

Il barone sogghignò, prima di aggiungere: “Mai pensare che nelle stalle non ci sia nessuno, oltre i cavalli.”

Ford si accigliò maggiormente e Barnes, rivolgendosi a Christofer per la prima volta, dichiarò: “Li hanno sentiti mentre decidevano come liberarsi di voi, Harford, così ho pensato che portarvi fuori da palazzo, controllato a vista da chi potevate fidarvi ciecamente, fosse il sistema migliore per evitare vittime collaterali… e scoprire chi fossero i traditori.”

“Kathleen…” mormorò il conte, annuendo.

Ricordava fin troppo bene quando, quasi un anno addietro, aveva rischiato di perdere la moglie per il colpo a tradimento di Peter Chappell.

Annuendo, il barone allora si rivolse a William, asserendo: “So che vi fidate completamente di questo giovane, così ho pensato fosse la persona giusta per guardarvi le spalle.”

Ecco, dunque, ciò che si erano detti!, pensò tra sé il conte.

William assentì all’indirizzo di Christofer e, rivolto poi al battitore, sibilò: “I nomi dei traditori, per cortesia, o non esiterò a spararvi. Io non ho nessun buon nome da proteggere, messere.”

“Non risolverete nulla, ormai” ghignò l’uomo, fissandoli alternativamente con aria soddisfatta.

“Che intendete dire?” si informò Christofer, aggrottando la fronte.

“Il vostro battere continuamente i boschi non è servito a nulla, milord… solo a tenervi lontano dal palazzo mentre il vostro peggior nemico compiva indisturbato la sua vendetta” rise sardonico Ford, irridendolo con lo sguardo. “Fossi in voi, farei chiudere i passaggi segreti del maniero, se non volete spifferi nella notte…”

Christofer impallidì visibilmente mentre William, preso l’uomo per la collottola, lo sospingeva con violenza contro una pianta, ringhiando: “La verità, feccia! O giuro su Dio che vi ucciderò seduta stante!”

“Per… per ogni volta in cui voi uscivate e controllavate un’area di bosco, noi avvertivamo Chappell della vostra posizione, finché…” balbettò l’uomo, facendo fatica a parlare a causa della stretta di William.

“Finché?” lo incitò l’attendente, fissandolo furioso.

“Avete lasciato sguarnito un fianco, e loro hanno potuto agire…” gracchiò il battitore.

Il suono di un corno lacerò l’aria, in quel momento e William, non avendo bisogno di sapere altro, per il momento, colpì con forza l’uomo, facendolo svenire.

Nel frattempo, la squadra di ricognizione estrasse preventivamente i fucili dai foderi da sella, mentre Christofer e gli altri uscivano dal bosco.

Dalla direzione opposta alla loro, di gran carriera e coi cavalli spinti al massimo consentito, giunse infine Anthony Phillips, al seguito di una decina di uomini.

Nel vederli, interruppe la corsa del suo destriero, scese al volo dalla cavalcatura e, raggiunto che ebbe Christofer, esalò: “Kathleen! L’ha presa!”

Il conte afferrò un braccio dell’amico, in parte per reggersi, in parte per dare corporeità a quell’incubo e, pallido come un morto, esalò: “Come? Spiegati meglio!”

“Non c’è tempo! Hanno ore di vantaggio, su di noi. Ti spiegherò strada facendo.”

Ciò detto, sospinse Harford verso Zeus, mentre William raggiungeva in fretta il suo cavallo, e Barnes il proprio.

Il resto dei battitori salì a cavallo altrettanto velocemente e Anthony, nel mettersi a fianco dell’amico, asserì: “Era come temevo. Grenview era coinvolto, anche se non so ancora bene come. Ha aiutato Chappell a trovare una breccia all’interno di Green Manor. Sapevi che il palazzo aveva dei passaggi segreti nascosti nei muri?”

“Affatto” ringhiò Christofer, mettendo il cavallo al trotto.

“Beh, a quanto pare, invece, Grenview non solo ne era al corrente, ma ha spifferato tutto a Chappell, portandolo direttamente all’interno del maniero, mentre voi eravate impegnati qui” spiegò succintamente Anthony, scuro in viso.

“I bambini?” esalò a quel punto Christofer, terrorizzato.

Scuotendo il capo, l’amico replicò: “Stanno entrambi bene. Da quel poco che mi ha spiegato Wendell, erano con lui, quando è giunto Chappell. Kathleen gli ha fatto capire di rimanere nascosto, e così ha fatto.”

Poi, lanciando uno sguardo ansioso in direzione di William, aggiunse: “Teneva prigioniera una delle tue cameriere… Bridget McNamara.”

Subito, Christofer fissò il volto di William divenire terreo, ma Anthony si affrettò a dire: “Sta bene, a parte una giusta dose di shock, una ferita lieve al viso e tanta, tantissima rabbia. Penso che, se avesse sottomano quel lestofante, in questo momento, basterebbe lei a eliminarlo.”

“Non mi stupirebbe affatto” ringhiò il conte. “Che altro sappiamo?”

“Wendell mi ha detto che Chappell ha parlato di Goole. Se raggiunge il porto, potrebbero andare in qualsiasi luogo d’Europa ma, così a caso, oserei dire che si dirigeranno in Francia.”

“Francia?” esalò per la prima volta Barnes, rimasto in religioso quanto terrificante silenzio fino a quel momento.

“Ho scoperto un po’ di cose, mentre mi trovavo a Londra per indagare su Grenview, e pare che il ragazzo fosse invischiato con più di una persona, e per diversi affari non proprio leciti. Uno di questi, riguardava il barone Gordon-Lewis… e la vendita di notizie a Napoleone” dichiarò Anthony, calando la mannaia senza alcun preavviso.

Christofer sobbalzò sorpreso e Barnes, imprecando tra i denti, sentenziò: “Le entrate di Gordon-Lewis derivavano dai proventi di questa vendita illecita, dunque!”

“Esattamente, Barnes, e non solo lui era coinvolto. Ora non voglio tediarvi con i particolari, perché dobbiamo pensare ad altro, ma la rete era talmente capillare e così ben radicata che, quando il quadro mi è apparso completo, ne sono rimasto io stesso meravigliato” asserì Anthony, disgustato.

“Goole, hai detto, vero?” mormorò Christofer, fissando l’amico con sguardo risoluto.

Anthony lo squadrò per un attimo prima di ghignare in risposta, e dire: “Stai pensando quello che io penso tu stia pensando?”

“Tu che dici?”

 Phillips si guardò intorno, assentì e infine disse: “Se ci lasciamo indietro le cavalcature più lente, e viaggiamo leggeri, potremmo farcela in poco tempo. Sono più di venti miglia e, considerando la neve e le strade disagiate, arriveremo a notte fonda.”

“Nessun problema. Zeus se ne fa un baffo, della neve. Non è vero, ragazzone?” dichiarò Christofer, battendo una mano sul collo del suo stallone.

Il cavallo nitrì orgoglioso, e Anthony non poté che ridere.

“Molto bene, allora, io e te andremo avanti, mentre…” cominciò col dire Phillips, prima di venire interrotto.

William replicò lapidario: “Dove va Sua Signoria, vado io.”

“E io seguirò voi. Si sta parlando di mia figlia” aggiunse Barnes.

In quel momento, Christofer guardò i due uomini, notò la somiglianza innegabile del loro sguardo adamantino e, per un istante, desiderò mandarli al diavolo entrambi.

Ma sapeva bene quanto avessero ragione, quanto fossero valide le loro argomentazioni, perciò si limitò a dire: “L’andatura sarà sostenuta quanto pericolosa. Ve la sentite?”

William sbuffò irritato e Barnes, fissandolo sarcastico, replicò: “Andavo a cavallo quando voi non eravate ancora stato messo al mondo, Harford.”

Christofer preferì non ricordargli che, proprio l’estate precedente, era caduto dalla sua cavalcatura durante una battuta di caccia così, assentendo, esclamò: “Ebbene, signori, qui ci separiamo!”

I battitori protestarono, molti vollero unirsi al gruppo, ma Christofer fu perentorio.

Sarebbero andati loro quattro, mentre gli altri sarebbero tornati a Green Manor.

Ciò detto, Christofer dirottò Zeus in direzione di Goole e, mettendo il cavallo al trotto veloce, pregò solo di fare in tempo.

Non avrebbe permesso per nessun motivo che Peter gli portasse via per sempre Kathleen.

***

Imbavagliata all’interno della carrozza dove era stata caricata alcune ore prima, Kathleen fissò astiosa la figura di Peter, seduto accanto a lei sul divanetto.

Non aveva parlato per tutta la durata del viaggio, limitandosi a tenerle puntata contro la pistola, un sorriso lascivo dipinto sul volto.

Ora che la notte era calata, e le luci di una cittadina erano visibili attraverso il tessuto sottile delle tende, Kathleen si chiese se fossero infine giunti a Goole.

La carrozza alfine rallentò, e la giovane percepì i pattini delle slitte scivolare su neve più bagnata.

Dovevano trovarsi in una delle vie principali, dove il nevischio era maggiormente schiacciato.

All’improvviso, però, le luci sparirono, i rumori si fecero soffocati, e lei comprese di trovarsi al chiuso.

Ovunque fossero giunti, erano nascosti alla vista dei curiosi.

Lì, la porta della carrozza si aprì e due mani robuste la fecero scendere con malagrazia.

Qualsiasi idea di replicare a tanta maleducazione le morì dentro, quando vide chi l’aveva afferrata.

L’uomo che la tratteneva era alto come una montagna, e altrettanto robusto. Impossibile avere la meglio su di lui.

“Portala nella mia stanza, Carl, e non torcerle un capello. Ma tienila d’occhio. Non è una donna come le altre” gli ordinò Peter, ghignando nello scendere a sua volta dalla carrozza.

L’energumeno fece come ordinatogli e Kathleen, strattonata e trascinata a forza, venne condotta all’interno di un’abitazione in legno e pietra a due piani, in cui brillavano diverse luci oltre le finestre aperte sul cortile.

Non impiegò molto a comprendere dove fosse finita.

Le donne discinte che incontrò lungo le scale parlarono da sole, così come l’ambiente ovattato e gli odori dolciastri e ripugnanti che le solleticarono il naso.

Alcune di loro reclinarono il capo, nel vederla legata e imbavagliata, forse desiderose di non essere messe in mezzo a qualche guaio.

Una di loro, però, la fissò per bene e, dopo aver accennato una risatina, discese le scale e sparì alla sua vista.

Chissà, forse l’idea di vedere una nobildonna legata come un salame, l’aveva rallegrata.

Vagamente indispettita da quel totale disinteresse da parte delle donne che incrociarono sul loro cammino, Kathleen borbottò un’imprecazione contro il bavaglio.

Carl, però, parve udirla, perché rise e borbottò: “Non sapevo che le lady imprecassero.”

Lei lo fissò arcigna ma, quando l’omone aprì la porta della stanza dove sarebbe stata confinata, le forze le mancarono.

In quel posto era contenuto di tutto, tranne qualcosa che le ricordasse un ambiente sano e salubre.

Portandola contro la parete ove si trovavano degli anelli in acciaio, Carl la legò strettamente a uno di essi dopodiché, tronfio, si accomodò su una ottomana.

Il legnò scricchiolò sotto il suo peso, ma resse.

Kathleen, però, pregò che la poltroncina crollasse sotto di lui. Almeno, si sarebbe fatto male.

Guardandosi intorno frenetica, la ragazza notò alcuni attrezzi contundenti che sarebbero stati perfetti per difendersi… se solo non fosse stata legata alla parete.

Carl ne seguì lo sguardo e, ghignando, dichiarò: “Il padrone aveva ragione. Non siete la solita ragazzina annacquata dell’alta nobiltà. Avete nerbo.”

“Siete francese?” gli domandò lei, accigliandosi. Vous avez un accent très épais.

Carl rise e, annuendo, asserì: “Anche acculturata. Bene.”

“Perché un francese si trova qui, nel bel mezzo dell’Inghilterra?” domandò ancora Kathleen, divincolandosi con i polsi.

Le corde erano maledettamente strette.

Poggiando gli avambracci sulle cosce, l’uomo mormorò sardonico: “Perché una lady inglese si trova in un postribolo nei pressi di un porto?”

Lei fece una smorfia, ma si impose di stare calma.

Avrebbe dovuto farsi un male del diavolo, per liberarsi e, soprattutto, avrebbe dovuto tenerlo occupato, ma poteva farcela.

Doveva farcela.

***

“… e questo è tutto. Sono stata di aiuto, milord?” domandò speranzosa la giovane Milly, poggiando una mano sul fianco procace.

“Ma naturalmente, mia cara. So sempre di chi fidarmi, quando vengo qui” assentì Anthony, offrendole due monete d’oro, che la ragazza fece sparire nel corpetto dell’abito succinto prima di svanire nella notte.

“Non voglio neppure sapere come fai a conoscerla” borbottò Christofer, ancora scioccato dagli eventi che avevano preceduto quell’incontro.

Non solo erano giunti a Goole prima del previsto – sia Barnes che William si erano dimostrati ottimi cavallerizzi – ma, con grande sorpresa del conte, Anthony si era diretto senza indugi verso un’abitazione in particolare, quasi stesse andando a colpo sicuro.

Lì, aveva chiesto di una ragazza e, una dopo l’altra, aveva fatto la stessa cosa in ogni locanda del porto.

O postribolo.

O bisca clandestina.

Alla fine, erano giunti a conoscere ciò che interessava loro; l’ubicazione di Chappell.

Restava solo da capire come affrontare la situazione, visto che il loro nemico era ben protetto, e aveva nelle sue mani una donna alla quale tutti loro tenevano molto.

Anthony ghignò di fronte all’aria aggrottata dell’amico, e replicò: “Ammettilo, invece, che vuoi sapere perché conosco persone così… singolari.”

“Non le definirei a questo modo, ma parla. In effetti, dubito arriverò a domattina senza sapere la verità sul tuo conto. Dopotutto, sei uno dei padrini dei miei figli. Vorrei sapere davvero a chi li ho affidati” dichiarò il conte, sospirando.

Controllando la sua riserva di pallottole, oltre che di polvere da sparo, Anthony disse distrattamente: “Devo ricordarti qual è il mio ruolo, al Ministero della Guerra? E, forse, rammentarti che ero a mia volta una spia, anni addietro?”

“Vuoi dirmi che… che sono tutte spie?” gracchiò Christofer.

Persino Barnes e William parvero interdetti.

“Affatto, amico mio…” replicò Anthony, divertito suo malgrado da quell’ipotesi. “… ma sono ottimi informatori e, nel caso te lo stessi chiedendo, avere informatori nei porti principali della madre patria è di grande aiuto, quando stai cercando dei contrabbandieri. Nel nostro caso, come vedi, è stato vitale.”

“E la corona paga per questo?”

“Per niente. Ma non mi piace sfruttare la gente per avere notizie, e non dare nulla in cambio” scrollò le spalle Phillips, sistemando la sua pistola all’interno della tasca del suo pastrano.

“Pagate di tasca vostra?” borbottò Barnes, vagamente sorpreso.

“Sì, barone. Precisamente. Che siano una puttana, o un lattaio, valgono il prezzo di una moneta, per ciò che mi offrono… e per ciò che rischiano” assentì l’uomo, rivolgendo ora la sua attenzione alla parte anteriore del postribolo dove si trovava Kathleen.

“Come intendi agire, quindi?” tornò al dunque Christofer.

“Ci sono due vie, amico mio. Il retro, da cui è possibile accedere tramite quella tettoia, e la porta principale. Poiché sono il più abile a destreggiarmi, sarò io che entrerò per primo e…”

“Scordatelo” lo interruppe Christofer, lapidario. “Si sta parlando di mia moglie, perciò entrerò io per primo, e lo farò alla mia maniera.”

Indispettito, Anthony replicò: “Non siamo a Eton, Christofer, e non stai tornando da una serata alla locanda.”

“Ma sono il miglior scalatore che tu conosca, ammettilo” ghignò il conte, azzittendolo. “Risalirò la tettoia e prenderò il carceriere di Kathleen di sorpresa, mentre voi vi occuperete di Peter che, grazie ai buoni uffici di Milly, sappiamo essere impegnato al tavolo da gioco.”

“Io verrò con voi, milord. Se quello che ha detto la ragazza è vero solo per metà, avrete bisogno di una mano” intervenne William, risoluto.

Christofer lo fissò per un attimo, assentì e infine disse: “Barnes, voi dovrete stare in disparte, perché Chappell conosce fin troppo bene il vostro volto.”

“Cosa volete che faccia?” domandò a quel punto, ben sapendo di non poter fare altro che ascoltarli.

Christofer aveva dannatamente ragione. Se Peter lo avesse visto, avrebbe capito ogni cosa.

“Mi guarderete le spalle, nel caso in cui Chappell avesse un asso nella manica. Ve la sentite, barone?” intervenne a quel punto Anthony.

Barnes si limitò ad annuire.

A quel punto, i quattro uomini si divisero in due gruppi e si diressero verso il postribolo, ben decisi a chiudere una volta per tutte quella faccenda.

Peter Chappell non sarebbe uscito vivo da quella casa.

 

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Capitolo 26
*** XXVI. ***


 
26.
 
 
 
 
 
Cacciarsi nei guai così spesso – o meglio, scivolarvi in mezzo con maestria – era infine servito a qualcosa, a quanto pareva.

Arrampicandosi con la stessa agilità di uno scoiattolo, nonostante la sua gamba destra non fosse più quella di un tempo, Christofer raggiunse con facilità la cima della tettoia.

Un attimo dopo, allungata una mano a William, lo aiutò a salire a sua volta, prima di passargli uno dei due bastoni che aveva trafugato nella vicina stalla.

In silenzio, i due si accucciarono per procedere carponi in direzione della stanza indicata loro da Milly.

Lì, le luci erano basse e soffuse, e da essa non proveniva alcun suono.

Un buon segno, così come pessimo.

Christofer si sentì travolgere dalla rabbia, al solo pensiero che potessero aver fatto del male alla moglie, ma sapeva di doversi trattenere.

Non era il momento di perdere di vista il motivo principale della loro missione.

Avrebbe potuto rivalersi su Peter in un secondo momento ma, adesso, doveva pensare a liberare Kathleen.

Indicando a William di stare dietro di lui, si accucciò nei pressi della finestra più vicina e guardò all’interno.

Come aveva detto Milly, quell’uomo superava di sicuro di mezza testa sia lui che William, e aveva spalle degne di un colosso.

Questo, comunque, non l’avrebbe fermato. Aveva abbattuto nemici grandi il doppio di lui con la semplice astuzia, e quest’ultimo non sarebbe stato diverso.

Senza dire una parola, indicò a William di avvicinarsi alla finestra più vicina a Kathleen, così da distrarre l’uomo e permettergli di colpirlo alle spalle.

Non molto onorevole, ma della cavalleria non gliene importava nulla, questa notte.

Avevano rapito sua moglie, e nessuno sarebbe sopravvissuto per raccontarlo.

Dato l’okay al cognato, Christofer si apprestò ad abbattere la fragile finestra poco sopra di lui e, quando lo vide apprestarsi a fare lo stesso, agì.

L’energumeno, nell’intravedere una figura alla finestra, si allontanò per raggiungerla e, in quel momento, il conte si gettò con tutto il suo peso contro i vetri.

Questi, si fracassarono in uno stridore violento di vetro e legno e, mentre Kathleen gridava a stento, trattenuta dal bavaglio, Carl si volse indietro, interdetto.

William colse al volo l’occasione e imitò il suo signore, confondendo ulteriormente il carceriere che, non sapendo bene chi affrontare per primo, si ritrovò a fare i conti con Christofer.

Calando su di lui con tutta la rabbia repressa fino a quell’istante, il conte lo abbatté con un sol colpo, mandandolo lungo riverso a terra.

Tremante di furore, lo fissò a lungo, indeciso se colpirlo ancora quando, nell’udire l’ansito di Kathleen, si volse.

William l’aveva liberata dalle corde e ora, libera di muoversi, lei corse verso il marito e lo abbracciò con foga, affondando il viso nel suo petto.

A Christofer non parve vero, eppure lei era lì, calda tra le sue braccia, forse un po’ spaventata, ma viva e vegeta.

Con le lacrime agli occhi, Kathleen si alzò in punta di piedi per baciarlo con forza, prima di esalare: “Siete stati due pazzi, a gettarvi dentro a quel modo…”

William li raggiunse con un sorriso, e replicò: “O così, o tuo marito sarebbe impazzito prima di arrivare qui. Non avrebbe atteso un attimo di più.”

Kathleen lo ringraziò con un bacio e una carezza sul braccio e, confusa, domandò loro: “Ma… come avete fatto a scoprire che ero qui?”

“Già… come avete fatto?” domandò una voce, sorprendendo tutti.

Il trio si volse di colpo e, sgomento, osservò la figura di Peter Chappell, fermo sulla porta e con una pistola puntata contro di loro.
 
***

Dov’era, per tutti i santi del paradiso?

Eppure, la stanza non aveva altre porte oltre quella da cui era entrato, e non v’erano tavoli nascosti ove potersi accomodare in gran segreto.

Volgendosi a destra e a manca, cominciando a preoccuparsi, Anthony impallidì visibilmente quando scorse Milly raggiungerlo di gran carriera.

Barnes, fermo al bancone del bar, a debita distanza da Phillips, lo guardò ansioso.

Milly afferrò il gentiluomo a un braccio, incapace anche solo di parlare, ma levò lo sguardo a scrutare ansiosa le scale.

Anthony allora annuì, le diede una pacca sulle spalle e corse via, lanciando uno sguardo di avvertimento a Barnes, che si mosse lesto per andargli dietro.

Qualsiasi cosa fosse successa, da lì in poi, avrebbe dovuto essere improvvisata.

Come al solito.

Perché mai una sola, dannatissima volta, le cose non potevano andare per il verso giusto al primo colpo?
 
***

Portando istintivamente Kathleen dietro di sé, Christofer disse senza mezzi termini: “Sei al capolinea, Chappell. Abbiamo uomini a sufficienza per portarti dove meriti… al Creatore.”

Peter, però, ghignò in risposta e, piegando il capo di lato, replicò divertito: “Ne sei così sicuro, Harford?”

L’attimo seguente, Kathleen emise un rantolo di dolore e, nel portarsi le mani alla gola, se la ritrovò coperta da quella enorme di Carl.

Sia Christofer che William si volsero a loro volta, sconvolti da quella vista e Peter, scoppiando a ridere, esclamò: “Devi assicurarti di lasciare indietro dei morti, signor conte, non solo dei feriti. I feriti possono rialzarsi… e ammazzarti.”

Sollevata di peso da terra, Kathleen non poté fare nulla per liberarsi, ma fu tremendamente consapevole di ciò che stava succedendole intorno.

Con gli occhi sgranati per il terrore, gracchiò il nome del fratello mentre Peter gli sparava a tradimento.

Christofer, però, spinse via il cognato dalla traiettoria di tiro, impedendogli di essere colpito, se non di striscio.

Non contento, Peter estrasse un’altra pistola dalla cintola dei pantaloni e, gettata a terra quella scarica, si preparò a fare nuovamente fuoco.

Non arrivò mai a farlo.

Anthony entrò di corsa nella stanza, gettandolo a terra col suo peso e, assieme a lui, ingaggiò un serrato combattimento corpo a corpo.

Indeciso sul da farsi, Carl gettò malamente a terra Kathleen, che colpì il capo contro il pavimento, restando così tramortita.

Christofer, pur preoccupato per lei, preferì vedersela con l’energumeno che l’aveva colpita così da assicurarsi, una volta per tutte, che non si rialzasse più.

Afferrato uno dei bastoni che aveva utilizzato per abbatterlo la prima volta, si mosse in circolo per evitare le sue mani possenti, mosse ad artiglio per agguantarlo.

In quel parapiglia generale, giunse infine Barnes, che osservò sgomento l’intera scena all’interno della stanza.

Gli occhi gli si sgranarono nel vedere William a terra, il braccio sanguinante per una brutta ferita e una smorfia dipinta sul viso torvo.

Già pronto a raggiungerlo per sincerarsi circa le sue condizioni, il barone vide Peter scantonare Anthony e puntare nuovamente verso William la sua arma, ancora carica.

Per lui fu troppo.

Si gettò sul dragone decaduto, urlando con tutta la forza che aveva nei polmoni: “Non ucciderai mio figlio!”

Se per William fu un trauma udire quelle parole, per Peter non lo fu affatto e, nel colpire con forza Barnes alla testa, esclamò: “Mi chiedevo quando te ne saresti accorto, vecchio!”

Poi, rivolgendosi al fratello di Kathleen, aggiunse: “E ora, vediamo di chiudere la partita una volta per tutte, con voi ficcanaso. Così, saprò che nessuno della famiglia Barnes, o Spencer, verrà a rompermi le uova nel paniere!”

“NO!” gridò Kathleen, sconvolta, prima di udire un colpo di pistola.

Tutti raggelarono, a quel suono, persino Carl e, quando Peter reclinò intontito il capo a guardarsi il torace, infine comprese.

Sdraiato a terra, la spalla destra evidentemente lussata, Anthony gli aveva sparato per mettere fine a quella follia.

Peter cadde in ginocchio un attimo dopo e Carl, come risvegliandosi dal torpore che l’aveva colpito alla vista del suo capo morente, lanciò un grido feroce e si abbatté su Christofer.

Lui, però, non si fece prendere di sorpresa e, scartando abilmente di lato – pur se la sua gamba gridò in risposta a quel trattamento inadeguato – rotolò sul pavimento e si portò alle sue spalle.

Un attimo dopo, estrasse un pugnale dal fodero interno dei suoi stivali e lo pugnalò al fianco, facendolo gridare di dolore.

Lanciato uno sguardo a Kathleen, che annuì in fretta, il conte si fece passare una delle corde appese al muro dietro di lei e, con un cenno di assenso, la vide volgere lo sguardo per non osservare.

Certe memorie non avrebbero dovuto far parte di lei.

Ancora piegato a terra, il pugnale ben incuneato nella carne bruciante, Carl ringhiò furente quando Christofer gli fece passare una corda attorno al collo.

Lui strinse, e strinse ancora, mentre l’altro rantolava e il sangue cadeva a fiotti sul pavimento ormai fradicio.

Il conte, però, non mollò mai la presa sul suo avversario.

Erano state troppe le volte in cui avevano attentato alla sua felicità, così come a quella della moglie.

Troppe le volte in cui avevano tentato di strappargliela.

Troppe le volte in cui aveva seguito le regole, soprassedendo su comportamenti che, in guerra, avrebbe trattato con ben altro stile.

Era il momento di dire basta. A Chappell, ai ricordi, a tutto quanto.

Fu solo quando il corpo di Carl divenne troppo pesante da trattenere, che Christofer comprese che era infine morto.

Lasciatolo andare con un sospiro stanco, il conte si volse infine verso la moglie, rannicchiata contro il muro e il viso sprofondato nelle ginocchia.

Accucciandosi accanto a lei, mormorò: “Katie… stai bene?”

Lei sobbalzò, levò gli occhi verde oro a squadrarlo e, nel vederlo sano e salvo, scoppiò in lacrime e lo abbracciò con foga, quasi mandandolo riverso a terra.

Christofer sorrise nonostante tutto e, nel risollevarla dal pavimento, si guardò intorno distrutto, ma soddisfatto.

William era in piedi, e aveva già badato a stringere la sua ferita al braccio con un bendaggio di fortuna.

Anthony, invece, si trovava accanto a Barnes, apparentemente ancora svenuto.

“William…” mormorò Kathleen, scostandosi dal marito per raggiungere il fratello.

Lui la abbracciò strettamente, in barba alla presenza di Anthony che, dopo aver lanciato a entrambi un’occhiata curiosa, si rivolse all’amico e disse: “Ho idea che mi sia sfuggito qualcosa, in questa storia.”

“Più tardi…” mormorò Christofer, accucciandosi accanto al suocero. “Mi sentite, Barnes? Barone!”

L’uomo mosse appena gli occhi, sbattendo poi le palpebre con espressione confusa e, nel mettere infine a fuoco il viso di Harford, ansò: “Kathleen? William?”

I due diretti interessati si portarono nel suo quadro visivo e il barone, nel notare lo sguardo confuso e ferito del giovane, mormorò: “Quel volto… somigli… a… t-tua madre…”

Ciò detto, perse nuovamente i sensi e Christofer, prendendo in mano le redini della situazione, raccolse da terra Barnes e, scrutato Anthony, domandò: “Come la mettiamo, qui?”

“A questo macello penserò io. Voi, portatelo da un dottore al più presto. Le ferite alla testa possono essere subdole e pericolose.”

Annuendo, Christofer uscì all’esterno della stanza assieme a Kathleen e William.

Dabbasso, il locale sembrava essersi cristallizzato, con svariate teste rivolte verso il piano superiore e tanti, troppi sguardi confusi e spaventati.

Nel lanciare un paio di monete d’oro all’oste, incurante di tutto e di tutti, Christofere si limitò a dire in fretta: “Un dottore, e un letto dove poterlo sistemare.”

Senza chiedere nulla, l’uomo assentì e, nel richiamare l’attenzione di una delle sue ragazze, la mandò in fretta a cercare chi di dovere.

Un attimo dopo, indicò a Christofer di seguirlo nel retro, mentre intorno a loro le attività tornarono al loro stato originario.

Ci voleva ben altro, in luoghi come quello, per far scappare a gambe levate le persone.
 
***

Seduta sul bordo del letto mentre inumidiva con una pezzuola il viso febbricitante del padre, Kathleen si volse in direzione del fratello, poggiato contro il telaio della finestra.

La stanza era deserta, fatta eccezione per loro.

Anthony e Christofer stavano parlando con le autorità locali circa quello che era accaduto, il dottore si era già ritirato e, a pensare a Barnes, erano stati lasciati loro.

Lappandosi le labbra, non sapendo bene cosa dire, Kathleen mormorò: “William… tutto bene?”

Lui sobbalzò, si volse verso la sorella con gli occhi ancora sgranati e persi e, non riuscendo a mettere a parole il suo disagio, sospirò soltanto.

“Come pensi l’abbia scoperto? Solo per la somiglianza con tua madre? Pensi si ricordasse ancora di lei?”

Ancora William non rispose, ma pensò Barnes a farlo.

Sospirando, aprì gli occhi per puntarli sulla figlia e mormorò roco: “E’ successo quando sono stato a Londra, per indagare su Chappell. Non ricordavo che tua madre si chiamasse Knight e, anche volendo, non avrei mai potuto ricollegare quel cognome a te. Ma rivedere Christine…”

“Non parlate di mia madre” ringhiò William, facendosi di ghiaccio.

“Oh, non temere… non l’ho infastidita, se è questo che temi, ragazzo” ansò lui, e subito Kathleen gli inumidì le labbra con un telo bagnato.

Il dottore si era raccomandato di non fargli ingerire nulla, per almeno un paio d’ore.

“La scorsi assieme al maggiordomo degli Spencer, mentre lasciava la casa dove io l’avevo mandata tanti anni addietro. Mi chiesi il motivo di quel cambiamento e, parlando con mio cugino, venni a sapere che suo figlio si era trasferito al nord per lavorare come attendente presso una famiglia di nobili di York.”

Accigliando, William cominciò a passeggiare nervosamente per la stanza, ringhiando: “Questo non conta nulla. Non vi devo nulla. Il fatto che ora sappiate, non cambia ciò che provo per voi.”

“E come potrebbe?” rise nonostante tutto Barnes. “Tu eri una vergogna che non potevo lasciare trapelare sul mio conto. Non il barone Barnes, che si vantava di essere così timorato di Dio!”

Kathleen lo fissò malamente, ma lui non vi badò.

“Ma, quando Andrew è tornato dentro una bara, io…”

Il barone deglutì a vuoto, e proseguì roco. “Ho odiato mio genero per essere tornato, e mia figlia per essere sopravvissuta a un parto prematuro che avrebbe spezzato fibre ben più forti della sua. Ho sempre e solo odiato.”

“Per questo, tentaste di fare del male a coloro che, invece, avreste dovuto amare?” gli rinfacciò William, ora non più in grado di controllarsi. “Per questo, chiamaste Chappell a casa vostra?!”

“Sì, e fu solo il ferimento di Kathleen a farmi rinsavire.”

Poi, scrutando il viso ombroso della figlia, aggiunse: “Ma era tardi per tutto. Per recuperare un rapporto che non avevo mai voluto coltivare…o saputo coltivare, per aspettarmi rispetto da mio genero, o comprensione da parte di mia moglie.”

Kathleen sbuffò a quelle parole, ma il padre non tentò di difendersi. Sapeva di meritare questo, e altro ancora.

“Fu per questo che mi presi l’onere di scoprire ogni cosa su Peter Chappell, di sapere dove fosse, come facesse a rimanere nell’ombra. E seppi di te. Parlai con Christine una sola volta, e ammise che tu non eri più con lei, ma che te n’eri andato per lavorare al nord. Non mi disse di Kathleen ma, dopo averti visto assieme a lei, non ebbi più dubbi.”

William imprecò, cosa davvero insolita per lui, e il suo passo in lungo e in largo per la stanza proseguì più nervoso.

“Nel mio studio ci sono delle carte che devi avere, Kathleen.”

“Non ho nessunissima intenzione di mettervi piede, padre. Se vorrete darmi qualcosa, lo farete voi stesso” replicò lei.

Lui sogghignò, ansando affannosamente, e replicò: “Io… non penso…”

Accigliandosi, la giovane gli poggiò una mano sul torace prima di chinarsi per auscultare meglio e, sgomenta, esalò: “Batte all’impazzata!”

Annuendo, Barnes mormorò: “Il primo cassetto, Kathleen. Per favore. Te lo sto chiedendo per favore.”

Lei, però, non lo ascoltò affatto e, correndo verso la porta, urlò il nome di Christofer per richiamare la sua attenzione.

Subito, il marito la raggiunse e Kathleen, terrorizzata, esalò: “Richiama il dottore, ti prego. Sta peggiorando.”

Lui annuì e corse via.

Kathleen, a quel punto, si volse per rientrare in camera e, nel vedere il padre con la mano tesa verso un figlio che non aveva mai riconosciuto, non seppe che dire.

William era fermo nel mezzo della stanza, terrorizzato da quella mano protesa e, al tempo stesso, restio a non accettare le confessioni di un uomo morente.

Crollò in ginocchio, gli occhi colmi di lacrime rabbiose e, fissando con astio quella mano, sibilò: “Vi ho sempre odiato… per ciò che avete fatto a mia madre, a me, a Andrew… a Kathleen. Non siete mai stato all’altezza del vostro titolo!”

“L’odio è meglio dell’indifferenza, credo” sospirò il barone, reclinando la mano verso terra. “Nel bene o nel male, hai pensato a me, ogni tanto.”

“E’ solo questo che sapete dire? Pensate sia bello essere stato l’incubo quotidiano di vostro figlio?” sbottò Kathleen, avvicinandosi a lui per affrontarlo a muso duro.

Lappandosi le labbra riarse, Barnes replicò con occhi velati: “Somigli… a Andrew…così tanto.”

“Per questo mi avete sempre odiata, lo so” sottolineò la donna, irrigidendosi quando avvertì le mani di William sulle sue spalle.

Lei lo guardò preoccupata, ma il fratello scosse il capo, asserendo: “Sì, ho pensato a voi ogni giorno, e ogni giorno ho pregato di potervi uccidere… ma ora che vi ho qui davanti, piegato dalla morte, so di essermi sbagliato. Per voi, è stato più difficile vivere, mentre ora vi è semplice, morire.”

Aprendosi in un sogghigno liberatorio, Barnes esalò: “Forse… tra poco, comunque, avrò l’occasione di chiederlo a Andrew. Dite, per favore, a Georgiana che… che io…”

Il respiro gli mancò e, nonostante ciò che si era ripromesso, William si staccò dalla sorella e, sollevato che ebbe il padre dalle coltri, lo tenne contro di sé e mormorò: “Cosa dobbiamo dirle? Cosa?”

“Ho… ho sbagliato. Lei capirà.”

Tossì un paio di volte, e fu a quel punto che Kathleen notò il sangue colargli da un orecchio.

Ansando scioccata, la giovane si accoccolò accanto all’uomo e William, nel deporlo nuovamente sul letto, fece per lasciarlo andare, ma Barnes lo trattenne a una mano.

Strinse con tutta la forza che gli riuscì di trovare e, in un ultimo rantolo, gorgogliò: “I miei… figli…”
 
***

Kathleen aveva voluto rimanere a casa con sua madre, non fidandosi a lasciarla da sola, dopo la notizia della morte del marito.

Christofer aveva compreso il suo desiderio di non abbandonarla e, pur se a malincuore, l’aveva lasciata a Casa Barnes con la promessa di tornare nel giro di poco tempo.

Doveva rassicurare tutti, a Green Manor, vista la loro toccata e fuga di poco prima.

Kathleen si era voluta fermare solo il tempo necessario per prendere con sé i bambini, prima di recarsi dalla madre.

Seduto al suo fianco nella carrozza, William appariva silenzioso quanto una statua, e non faticava a comprenderne i motivi.

Non solo aveva scoperto che suo padre sapeva di lui ma, da quel poco che Kathleen gli aveva detto, sembrava essere stato lieto di averlo visto prima di morire.

Dubitava, comunque, che William fosse di quell’avviso, per lo meno a giudicare dal suo sguardo furente.

Scrutando la sera ormai pronta a lasciare il posto alla notte, la neve brillante sotto la luna, Christofer mormorò: “Sai, vero, di poter parlare con me, William?”

L’altro assentì, ma non aprì bocca, così il conte non insisté. Non sarebbe stato certo lui a spingere l’uomo a parlargli di cose che, evidentemente, pesavano troppo sul suo animo.

Dopo alcuni minuti di assoluto silenzio, però, William mormorò: “Ha detto… i miei figli…”

“Puoi vederla così, William. Per quanto tuo padre possa essere stato un uomo dal carattere tutt’altro che facile, alla fine si è gettato contro un assassino armato di pistola, deciso a difenderti.”

A quel punto, l’attendente sbottò e, con voce incrinata dal dolore provato, esclamò: “E cosa dovrei farmene, ora, di tutto l’odio che ho portato con me fino a oggi?! Che senso ha, adesso, aver trovato un padre, che poi è morto tra le mie braccia?! Che senso ha avuto, saperlo?!”

Le lacrime gli scivolarono lungo le guance e la gola, e Christofer lasciò che scendessero, che dilavassero il suo odio, tramutandolo in rimpianto e, forse, affetto.

Quando attraversarono i confini di Green Manor, il cognato gli disse soltanto: “Hai potuto dire addio a un padre che merita di essere ricordato, William. Io dissi addio a un uomo che, invece, vorrei tanto dimenticare.”

Ciò detto, aprì la porta della carrozza quando questa si fermò e, senza attendere il cocchiere, ne discese per raggiungere il palazzo.

A William non restò altro che seguirlo.
 
***

La candela che teneva in mano lanciava lunghe e lugubri ombre, tutt’attorno a lei.

Lo studio del padre era sempre stato interdetto, per lei, e Kathleen lo aveva sempre visto come un luogo pericoloso, assolutamente da tenere a distanza.

Eppure, sapeva che doveva entrarvi.

Il primo cassetto della scrivania, pensò tra sé, avanzando infine nella stanza.

Sua madre era ormai a letto da ore, stremata dal pianto e tranquillizzata dal laudano che la cuoca aveva portato a Kathleen poche ore addietro.

I bambini, invece, erano comodi e addormentati nel suo lettone, circondati da una montagna di cuscini.

Non sarebbero andati da nessuna parte, e voleva portare a termine quell’operazione prima che facesse giorno.

Quello, era compito suo. Suo padre lo aveva lasciato in consegna a lei.

Ironicamente, si rese conto che era stata la prima volta in cui suo padre le aveva chiesto di fare qualcosa… chiedendolo per favore.

Una cosa che una donna non avrebbe dovuto fare, in realtà.

Aggirando la scrivania, ne studiò le linee eleganti, il sottobraccio in pelle, il calamaio e la penna dalla punta in argento, i documenti in ordine.

Chissà quante volte, quella scrivania lignea, aveva ascoltato la sua voce iraconda, o i suoi pensieri affranti?

Scuotendo il capo per l’impazienza, Kathleen lasciò perdere quelle divagazioni inutili e rigirò tra le dita la piccola chiave ottonata che chiudeva il primo cassetto.

Deglutendo a fatica, lo aprì e, lì in bella vista, la giovane trovò una busta chiusa con ceralacca rossa.

Sopra, lo stemma dei Barnes.

Dopo essersi accomodata sulla poltrona del padre e aver avvicinato la candela alla busta, ne ruppe il sigillo ed estrasse i fogli in essa contenuti.

Veloce, lesse l’atto di proprietà riguardante alcuni terreni poco distanti da York… lascito postumo intestato a William Amedeus Knight.

Sgranando leggermente gli occhi, scorse un secondo foglio dove, di suo pugno, il padre legittimava, con atto notarile, William come suo figlio.

Allargando gli altri fogli sulla scrivania, trovò una lettera scritta a metà, e indirizzata a William, direttamente dal barone.

Se fosse sopravvissuto, forse avrebbe potuto terminarla.

Kathleen decise di non leggerla, preferendo inserirla in una busta perché il fratello potesse visionarla con suo comodo.

Scandagliando tra quei documenti, vide alcuni documenti riguardanti Peter, le lettere degli investigatori che il padre aveva assoldato.

Era tutto vero, tutto maledettamente vero.

I mesi che suo padre aveva passato lontano da lei, dopo il suo ferimento, non erano stati mesi passati nel rimpianto del fallimento di Peter.

Tutt’altro.

Si era realmente reso conto di aver dato voce in maniera errata al suo dolore, di aver commesso il peccato di aver ferito il figlio morto, anche se già nella tomba.

L’aver messo in pericolo la sorella tanto amata dal figlio defunto, aveva risvegliato in lui il rimorso.

Non tanto per lei – suo padre non l’avrebbe mai amata e apprezzata come aveva fatto con Andrew, pur se nel modo sbagliato – ma per onorare la memoria del figlio defunto.

Per questo, si era lanciato alla caccia di Peter. Per correggere il suo errore di valutazione, e non far soffrire lo spirito di Andrew.

Con un mezzo sorriso, Kathleen mormorò: “Beh, meglio di niente…”

“Pensieri profondi nel bel mezzo della notte, mia cara?” sussurrò Christofer, dalla porta.

La moglie sobbalzò leggermente – non aveva udito il suo ritorno a Casa Barnes – e, nel muovere una mano sopra i documenti sparsi sulla scrivania, asserì: “Non ha mentito. Ci sono un sacco di lettere da parte dei suoi investigatori… e un atto notarile in cui riconosce William come suo figlio, avuto al di fuori dal matrimonio.”

Christofer levò sorpreso un sopracciglio, avvicinandosi alla moglie.

Scorse velocemente gli incartamenti, concentrandosi maggiormente sull’atto di proprietà destinato a William.

“Questo possedimento è ricco di frutteti e di prati destinati a pastorizia. Gli renderà bene” chiosò Christofer, poggiando una mano sulla spalla di Kathleen.

“Ammesso e non concesso che lo accetti. William mi è parso davvero scioccato…e infastidito dall’idea che nostro padre sapesse di lui.”

“Concedigli il tempo e lo spazio per adeguarsi” la pregò il marito, dandole un bacetto sui capelli. “Chiunque, dopo una vita passata a odiare l’uomo di cui porti il sangue nelle vene, sarebbe sconvolto e fuori di sé, nello scoprire una simile verità.”

“La morte di Andrew lo ha sconvolto più di quanto avrei mai potuto immaginare…e anche il mio ferimento” sospirò Kathleen, sfiorando con una mano la cicatrice sulla sua spalla.

“Non pensarci proprio ora. Torniamo a letto con i bambini. Abbiamo bisogno entrambi di un attimo di tranquillità assieme a loro, dopo tutte queste avventure.”

Lei allora gli sorrise, prese con sé la candela e, nel mettersi al suo fianco, chiosò: “Sarà bello annoiarsi all’ombra di un albero, d’ora innanzi, o addormentarsi in poltrona senza avere il timore della propria ombra.”

“Puoi dirlo forte” assentì lui, avvolgendole le spalle.

“Grenview? Ha già parlato?”

“Per ora, si lamenta per il dolore alla testa, e si lagna di essere stato messo in cantina, confinato come un appestato e controllato a vista da quattro uomini armati” ghignò Christofer. “Un vero peccato che Peter non abbia avuto la prontezza di spirito di fare quanto ha tanto cianciato con me.”

“E cioè?” chiese curiosa la moglie.

“Non lasciarsi mai alle spalle dei feriti. Pensando che mio cugino fosse morto, ci ha lasciato una fonte inestimabile di informazioni e, grazie a lui, scopriremo quali loschi traffici avesse Peter, e come ha fatto a nascondersi così bene, in questi mesi. Prevedo un sacco di impiccagioni, per la prossima primavera” decretò il conte, cupo in viso.

“Io prevedo solo di addormentarmi nel letto, con te e i bambini al fianco. Libera, finalmente” sorrise Kathleen, levandosi in piedi per dargli un bacio.

“Ottimo programma, davvero. Non potrei essere più d’accordo con te” replicò lui, sollevandola a sorpresa tra le braccia.

Lei rise sommessamente per non svegliare nessuno e, con un luccichio malizioso nello sguardo, lasciò che il marito la conducesse nelle loro stanze.

Sì, per la prima volta da un anno a questa parte, avrebbero dormito senza demoni a rincorrerli.

Suo padre era morto, e per questo non aveva potuto porre rimedio ma, per lo meno, avrebbe potuto ricordarlo senza l’odio nel cuore.

Questo sollievo, Christofer non avrebbe mai potuto provarlo, nei confronti di suo padre o dei suoi fratelli, ma avrebbe pensato lei ad alleviare il dolore dei suoi ricordi.

Fino alla fine dei suoi giorni.








Note: Ormai ci siamo. Quasi tutti i nodi sono giunti al pettine e, con Peter morto e defunto, i pericoli sono infine giunti a zero. Grenview è a sorpresa ancora vivo, e sarà utilissimo, nelle mani sapienti di Anthony.
Barnes si è infine rivelato un uomo pieno di misteri e di contraddizioni ma, alla fine, legato ai figli che gli erano rimasti, pur se a modo suo. Vi aspettavate questo colpo di scena?
Mancano solo due capitolo, poi avrò terminato questa storia che, spero, vi abbia accompagnato piacevolmente fino a qui.
Per ora vi ringrazio e vi avviso che, la settimana prossima, posterò martedì e giovedì.
A presto!

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Capitolo 27
*** XXVII. ***


 
27.
 
 
 
 
Georgiana sedeva su un’ottomana con Elizabeth in braccio, mentre Andrew era coccolato da Christofer, poggiato contro lo stipite di una delle portefinestre del salotto.

All’esterno, una fitta nevicata attutiva rumori e colori. Tutto appariva di un bianco uniforme. Senza difetti.

Impegnata a servire il tè, Kathleen levò lo sguardo a sorridere un poco alla madre che, nel riscuotersi dal torpore in cui era caduta, rispose al sorriso della figlia e baciò la nipote.

“E… e così, il giovanotto che ti fa da attendente è…” mormorò Georgiana, ancora un po’ confusa. “… è il figlio di Christine?”

“Sì, madre. Vi ricordate di lei?”

Annuendo con un sorriso triste, la baronessa asserì stanca: “Come potrei averla dimenticata? Quando scoprì di essere incinta, fu un autentico disastro. Tuo padre non fu tenero con Christine, né ammise mai – neppure con me – di averla violentata, pur di stare con lei.”

Kathleen si accigliò, ma la madre non fermò il suo dire. Come se fosse catartico, per lei, ammettere luci e ombre del marito ormai morto.

Sapevo… e tacqui. Dammi pure della codarda, ma fu ciò che feci, all’epoca. Quando Gerard seppe che Christine era incinta, la mandò a Londra presso un cugino. Quel che non sapevo, ma che mi disse il cugino Bastian anni dopo, tramite lettera, fu che tuo padre chiese espressamente che entrambi rimanessero al servizio dei Conroy.”

Inarcando un sopracciglio con evidente sorpresa, Christofer asserì: “Voleva che Christine non dovesse abbandonare il figlio in un orfanotrofio?”

“Esatto. Bastian me lo raccontò, una volta, dicendomi quanto fosse stata una scelta lungimirante, da parte di Gerard, quella di consigliargli di permettere a Christine di tenere il bambino.”

“Uno scrupolo tardivo?” ironizzò suo malgrado Kathleen.

“Chissà. Fatto sta che Bastian prese in simpatia William. Ogni tanto, mi raccontava di quanto fosse utile nella gestione della casa, o nell’addestrare i cavalli. Pareva molto orgoglioso di lui.”

“Il cugino Bastian non ha figli, vero?” pensò a voce alta Kathleen, vedendo la madre annuire.

“Già. Forse, ha riversato le sue attenzioni su William perché era l’unico bambino presente in casa.”

“Ed ecco spiegato il motivo per cui William sa leggere, scrivere e far di conto, oltre che tirare di spada e andare a cavallo come un dragone” ironizzò Kathleen, sorridendo al marito.

“Dovrei ringraziare il cugino Bastian, per questo” mormorò Georgiana, allungandosi per dare Elizabeth alla figlia. “Si è comportato davvero come un uomo onorevole.”

Kathleen la squadrò curiosa, notando la sua aria pensosa, mentre Elizabeth giocherellava col pizzo del suo abito. “E’ successo qualcosa, madre?”

“Ecco… pensavo a una cosa…”

“Ebbene?”

Arrossendo suo malgrado, Georgiana le domandò: “Pensi… pensi che vorrebbe conoscermi? William, intendo. Non vedo Christine da ventisette anni, e beh… mi piacerebbe conoscere suo figlio, e sapere come sta sua madre.”

Ritrovandosi a sorridere orgogliosa, Kathleen assentì e disse: “Gliene parlerò, ma non credo che avrà alcun problema.”
 
***

La gonna dell’abito raccolta tra le mani per correre più agevolmente dietro ad Anthony, Myriam riuscì infine a superarlo per bloccargli la strada.

Ansante e decisa più che mai a parlargli, lo fissò con occhi determinati e borbottò: “E’ mai possibile che tu non possa startene a letto per riprenderti dalle ferite? E’ così difficile?”

Trattenendosi dal risponderle per le rime, l’uomo si limitò a guardarsi il braccio debitamente fasciato, prima di replicare: “La spalla era disarticolata, ma ora è in sesto, perciò non ho bisogno di restare a letto, ma di fare il mio lavoro. E, mentre Christofer e Kathleen si trovano a Casa Barnes, io devo portare avanti da solo gli interrogatori, almeno finché non arriverà l’agente di Bow Street da Londra.”

“Che senso ha voler fare tutto da solo?! Grenview non fuggirà da qui. Abbiamo controllato attentamente la cantina, e lì non ci sono passaggi segreti. Puoi concederti un po’ di riposo, no?” ribatté infervorata Myriam, accendendosi in viso.

Anthony sorrise nonostante tutto e, sorprendendo se stesso e la donna, le sollevò il mento con la mano sana e mormorò sulle sue labbra: “Sei affascinante, quando perdi le staffe.”

Detto ciò, le baciò fuggevolmente la bocca prima di allontanarsi a grandi passi, lasciandola lì senza parole, basita di fronte a quel gesto imprevisto.

Gesto che, però, la tenne buona solo per qualche secondo, scatenando subito dopo il carattere naturalmente riottoso della donna.

“Anthony Maximilian Wilburn Phillips! Torna subito qui!” sbottò Myriam, tornando a rincorrerlo.

Lui, però, non si fermò e, quando passò di fronte alle guardie che controllavano il prigioniero, sorrise divertito.

Era appagante essere ricorso dalla donna che si amava da una vita.

Quando, però, raggiunse la cantina, ordinò che Myriam rimanesse all’esterno e, dopo essersi richiuso la porta alle spalle, fissò Grenview con cupo cipiglio.

La fasciatura vistosa alla testa ne copriva in parte i capelli chiari e il viso, ma non nascondeva l’aria spaventata dell’uomo.

Dentro di sé, Anthony desiderò riempirlo di pugni per tutti i guai che aveva causato, ma conosceva troppo, perché lo riducesse in fin di vita.

Preso un gran respiro, quindi, esordì dicendo: “Torniamo a noi, mio caro Johnathon. Voglio nomi, date, tutto quello che saprete darmi e, quando avrò finito con voi, potrò decidere se intercedere presso la Corona a nome vostro.”

Intrecciando le mani tremanti, il giovane esalò: “Tutto ciò che vorrete. Ve lo giuro, vi darò la lista completa dei nomi, anche i luoghi dove si incontrano. Ogni cosa! Ma non mandatemi sulla forca!”

Era quasi un peccato, avere a che fare con un tale coniglio, pensò tra sé Anthony.

“Toglietemi una curiosità… come diamine vi siete invischiato in un simile complotto? Non avete né titoli né disponibilità economiche, per aver ingolosito le persone che sappiamo essere coinvolte.”

“Ma so ascoltare. E molto bene” replicò Grenview. “Inoltre, ho occhi molto buoni, e so essere assai servizievole, se l’occasione lo richiede.”

Anthony storse la bocca, di fronte all’indubbio tentativo del giovane di apparire scaltro, pur non essendolo.

“Quindi, sapevate dei passaggi perché…”

“… perché il vecchio conte li usava per le sue amanti, ed ero io a condurle dentro e fuori dal palazzo. Servivo in modi simili anche alcuni dei nobili di cui abbiamo parlato ieri, ed è così che ho saputo… sì, insomma, del traffico di notizie.”

Annuendo, Anthony si passò una mano tra i capelli, sinceramente sorpreso da quella rete fittissima e intricata di connivenze, prestanome e passaggi di informazioni.

“E voi vi siete prestato solo per soldi, immagino…”

“Per avere protezione da alcuni creditori, lo ammetto… ma ciò che vi ho detto varrà pure qualcosa, no?” mugugnò Johnathon, fissandolo speranzoso. “Insomma, pensate che il re potrà mai perdonarmi? Dopotutto, sono stato utile, vero?”

Disgustato, Anthony gli volse le spalle senza dire altro e, mentre usciva da quella cella improvvisata, gli scongiuri di Grenview lo seguirono come un cattivo odore.
 
***

Fu nella sua stanza, sdraiato su un fianco e lo sguardo perso nel nulla, che Kathleen trovò il fratello.

Convalescente per le ferite riportate durante l’assalto al postribolo, era stato adeguatamente medicato, con l’ordine di riposare per almeno una settimana.

La morte del comune genitore, comunque, l’aveva svuotato a tal punto di tutta la sua energia che, in ogni caso, non sarebbe stato in grado di muovere un muscolo.

Al suo fianco, Bridget mormorò alla sua padrona: “Sono ore che fissa il muro e non dice una parola. Devo cominciare a preoccuparmi, milady?”

Kathleen le sorrise, carezzandole per un istante il taglio ancora visibile sul suo zigomo – retaggio del rapimento di Peter – e, scuotendo il capo, replicò: “Credo che, tra tutte e due, riusciremo a risollevargli il morale.”

“Vi sento, giusto perché ne siate messe al corrente” borbottò l’uomo, dal suo letto.

Chiudendosi la porta alle spalle, Bridget avanzò per prima e, lapidaria, disse: “Bene, se mi senti, allora, posso farti una predica con i fiocchi. Non hai minimamente pensato a tua sorella, quando ti sei messo qui a piangerti addosso come un lattante?”

Kathleen la fissò stralunata, non avendo affatto pensato a un simile attacco da parte sua, ma la lasciò fare.

Dopotutto, se volevano sposarsi, era giusto che si confrontassero anche quando erano in disaccordo su qualcosa.

Si sarebbero evitati tutti i grattacapi che avevano avuto lei e Christofer scoprendo, prima che fosse troppo tardi, se erano fatti l’uno per l’altra.

A lei e il marito era andata bene, alla fine, ma non era necessariamente detto che tutte le coppie avessero una simile fortuna.

William levò appena un sopracciglio per squadrarla male e, ignorando bellamente la sorella, replicò: “E’ stato il medico a dirmi di rimanere a letto.”

“E da quando in qua ti fai fermare da una ferita superficiale?” ribatté la giovane, bellicosa al punto giusto.

Lui, allora, balzò a sedere sul letto e, irritato, si indicò la copiosa fasciatura al fianco e sbottò.

“Superficiale?! Per poco non ha colpito un vaso sanguigno principale!”

Per poco, infatti. Ce l’hai ancora, il braccio, no? Quindi, alzati da quel letto e dimostra a tua sorella che stai bene. Penso che abbia già abbastanza pensieri da sola, senza dover stare in ansia anche per te” borbottò Bridget, stringendo le braccia sotto i seni.

Facendosi ombroso in viso, William ringhiò: “Scusami se ho perso mio padre, dopo una vita passata a odiarlo. Scusami se ho scoperto che, dopotutto, non era solo un mostro come ho sempre pensato. Scusami se non so più cosa pensare di lui!”

Bridget a quel punto sorrise e, nell’avvicinarsi a lui, lo strinse a sé e mormorò: “Finalmente l’hai detto…”

Kathleen si avvicinò a sua volta e, unendosi all’abbraccio, aggiunse: “Mia madre vorrebbe parlarti di nostro padre… e di Bastian. Ci sono tante cose che vorrebbe dirti, se ti va.”

Sentendosi spingere via, le due donne si guardarono sorprese ma, quando poggiarono lo sguardo su colui che le aveva allontanate, compresero.

William stava piangendo. Non un pianto straziato da sentimenti contrastanti, ma un pianto liberatorio, leggero. Purificatore.

Assentendo all’indirizzo della sorella, abbozzò un sorriso e mormorò: “Lord Conroy, eh?”

“Già. A quanto pare, lui ti considerava qualcosa di più di un semplice dipendente, e nostro padre sapeva di te un sacco di cose, prima di poterti ricollegare alla persona che sei.”

“E tua madre…”

Kathleen si chinò dinanzi a lui, gli prese le mani e aggiunse: “Conosceva bene la tua, all’epoca, e sapeva ogni cosa. Essere tenuta informata da Bastian riguardo al figlio che Christine ebbe in modo così tragico, fu per lei un sollievo. L’avrebbe inorridita sapere che tua madre era stata costretta a darti in adozione.”

Accigliandosi leggermente, William le domandò: “Fu lei a dire a lord Conroy di…”

A quel punto, la sorella gli baciò la fronte e, nel sospingerlo di nuovo verso le coltri, mormorò: “Fu nostro padre a consigliarlo di lasciarti crescere con tua madre.”

Lui si limitò ad annuire e Kathleen, più tranquilla, disse a Bridget: “Rimani pure con lui. Tanto, in casa, non c’è molto da fare, oggi.”

“Sì, milady” assentì la giocane, accomodandosi su una sedia nei pressi del letto di William.

Con un ultimo sorriso, Kathleen abbandonò la stanza e, quando vide Wendell a poca distanza, il viso preoccupato e teso, lo avvolse alle spalle e disse: “William sta meglio, non temere. Già da domani sarà in piedi, non temere.”

“Oh… bene” assentì il giovane, fissandola ancora con aria ansiosa.

A quel punto, Kathleen fermò i suoi passi e gli domandò: “Cosa c’è, Wendell?”

“Va… va tutto bene? Sì, insomma… con… tutto…” tentennò lui, rigirandosi nervoso le mani.

Comprendendo solo in quel momento cosa volesse dire, lei gli sorrise e, assentendo, lo tenne al suo fianco mentre risalivano assieme le scale.

Giunti al primo piano, lo afferrò alle spalle e, fissandolo con la stessa serietà che avrebbe concesso solo a un uomo adulto, disse: “Tu hai salvato i miei figli, Wendell e, di questo, ti sarò eternamente grata. E così pure Christofer. Sei il nostro eroe, e credimi, non sto scherzando.”

A Wendell si inumidirono gli occhi ma, conscio che la cognata lo stava trattando da adulto, e non da bambino, le trattenne, limitandosi a inchinarsi dinanzi a lei.

Kathleen, però, lo abbracciò e, nel baciargli il capo, borbottò: “Oooh, basta! Ora torna a essere il mio Wendell bambino ancora per un po’.”

Lui rise, la prese per mano e, assieme, si diressero verso la nursery.
 
***

Impacciato come un bambino di fronte al proprio genitore, William si inchinò formalmente a Georgiana che, con un sorriso, lo invito accanto a sé, sul divanetto.

Kathleen fece servire loro del tè e, dopo aver sorriso alla madre, li lasciò soli, notando prima di uscire l’espressione inorridita e terrorizzata del fratello.

Quando si chiuse la porta alle spalle, si segnò mentalmente di chiedergli scusa e, con passo deciso, si allontanò.

Ciò di cui la madre voleva parlargli non era per le sue orecchie, ma solo per quelle di William.

Se un domani lui avesse desiderato parlargliene, l’avrebbe fatto, ma non quel giorno.

Quel giorno, era tutto per loro.

Loro che, nel bene e nel male, erano stati le prime vittime di suo padre.

Un padre che, poco prima di morire, aveva compreso almeno in parte i suoi errori e aveva tentato di porvi rimedio.

Poco importava che lei non fosse stata amata – o rispettata – come Andrew o William.

Aveva cercato di salvarla, alla fine, e tanto le bastava.

Ora, era abbastanza forte per sopportare sia il rimpianto che la comprensione.

Salendo al piano superiore per raggiungere i figli nella nursery, vi trovò sia Christofer che Myriam.

Randolf, invece, si trovava nella stanza accanto, assieme ai gemellini, impegnato a giocare con alcuni pupazzetti.

Accomodatasi accanto al marito, che le sorrise, disse: “Credo che, per un po’, William mi odierà, ma non importa. Lui e mia madre dovevano rimanere da soli.”

Myriam finì di sorseggiare il proprio tè e, fissando ancora un po’ sconvolta la cognata, esalò: “E’ ancora così strano pensare che il tuo attendente sia anche il tuo fratellastro. Cielo! Non l’avrei mai detto!”

“Andrew pensò che fosse la spalla giusta da affiancarmi, quando venni ad abitare qui, e posso dire che mai decisione fu più lungimirante di questa” assentì Kathleen, prendendo per sé un pasticcino.

Myriam sorrise teneramente al pensiero del marito defunto, e mormorò: “Andrew era proprio il tipo di persona che pensa a queste cose. Con tutti.”

Sollevato un sopracciglio con espressione curiosa, Christofer le domandò: “Che intendi dire?”

Accentuando il proprio sorriso, Myriam estrasse da una tasca un foglio pergamenato recante lo stemma dei Barnes e lo consegnò al cognato.

“Anthony la ricevette a Londra, una settimana dopo la vostra partenza per il mare. Si rifiutò strenuamente di aprirla, ben deciso a domandare a Andrew stesso cosa volesse da lui. Forse, presagiva cosa vi fosse contenuto all’interno, chissà.”

“E perché l’hai tu?” le chiese Kathleen, osservando dubbiosa il blasone dei Barnes impresso nella ceralacca, ora spezzata a metà.

Scrollando le spalle, lei asserì: “Me l’ha data l’altro giorno. Voleva che la leggessi per lui, poiché non ne aveva mai avuto il coraggio, e così…”

Indicando a Christofer di leggerla, lo vide scorrere velocemente il testo prima di inarcare un sopracciglio e fissarla sorpreso.

Kathleen afferrò la lettera dalle mani del marito e, a bassa voce, lesse:

 
Amico mio, perdonami se ti scrivo in questo momento,
ben sapendo che troverai difficile rispondere a questa mia.
Sappi che nutro grandi speranze, in te, qualora dovesse succedermi
qualcosa sul campo di battaglia. Prima che tu pensi a una mia qualche
 follia, termina la lettura del mio messaggio, per favore, poiché esso è assai
importante. Non desidero che Myriam rimanga sola e, meno che mai, la
voglio pensare in mesta solitudine, con l’unica compagnia dei miei genitori,
a Casa Barnes. Vivrebbe una vita d’inferno, con mio padre a farle da padrone,
 e crescere Randolf sotto il suo giogo, renderebbe entrambi infelici.
Perciò, ti chiedo questo. Se hai ancora amore nel tuo cuore per lei, prenditi
cura di Myriam. Amala, come so che avresti sempre desiderato fare,
se gli eventi te lo avessero permesso. Sono a conoscenza di cosa ti spinse,
quel giorno, a lasciare che Myriam scegliesse me,
vedesse me, e non te, da lì in avanti.
La mia ammirazione non sarà mai sufficiente a farti capire quanto,
il tuo gesto, mi abbia colpito. La tua dedizione alla missione che ti eri prefisso,
 a scapito stesso del tuo futuro, io la capisco più che bene. Per questo,
ti domando perdono per il peso che sto mettendoti sulle spalle, ma so
che tu sei l’unico che può portare a termine questo compito. Rendila felice.
Rendi mio figlio felice. Amali, se io non potrò più amarli.        Andrew
 
post scriptum    Non provare a dire di no perché, se mi succedesse
qualcosa, ti verrei a cercare dall’aldilà per darti il tormento. Sai che
sarei capacissimo di farlo, amico mio, perciò non tentarmi
 
Reclinando il foglio sulle gambe, Kathleen esalò: “Sapeva… ogni cosa?”

“A quanto pare, sì. E, conscio di questo, ha cercato in lui una spalla a cui aggrapparsi, nella malaugurata eventualità in cui lui non tornasse dalla guerra” sospirò Myriam, riprendendo il foglio tra le mani.

“Glielo hai detto?” domandò Christofer.

Scuotendo il capo, Myriam asserì: “Non voglio che lo sappia. Mai. Si sentirebbe in dovere di fare quanto scritto qui, e io desidero che… che lui…”

Le parole le morirono in gola e Kathleen, allungando una mano verso di lei, le sfiorò un ginocchio, asserendo: “Vuoi che lui ti ami perché lo desidera, non perché spinto dal dovere, vero?”

Myriam assentì senza riuscire a parlare e Christofer, levatosi in piedi, prese dalle mani della cognata la missiva poi, nel portarsi accanto al camino, ve la gettò dentro.

Il foglio prese subito fuoco e, nel sorridere alla donna, dichiarò: “Stavi per dirci qualcosa, Myriam?”

Alla donna sfuggì un risolino di gratitudine e, scuotendo il capo, mormorò: “No, Christofer. Nulla.”

Proprio in quel mentre, fece capolino Anthony che, trafelato e con un sorriso trionfante in viso, dichiarò: “Grandi notizie, amici miei!”

Nel vederli un po’ provati, però, si chetò immediatamente e, puntati i suoi occhi chiari su Myriam, la raggiunse in fretta e le domandò: “Cosa succede, Myriam?”

“Niente, davvero. Quali sono queste notizie, Anthony?”

Ritrovando subito la baldanza, disse con entusiasmo: “Finalmente hanno trovato Emily.”

Tutti sgranarono gli occhi, a quelle parole e Myriam, esalando un sospiro di genuino sollievo, mormorò: “Dov’è ora, quella sciocca farfallina?”

Anthony rise di quel nomignolo, ma disse: “E’ a Madera, assieme al suo amante storico. Ora come ora, la sta tenendo d’occhio il mio miglior uomo, perciò ormai non mi può più sfuggire. Partirò per Londra domani stesso, tirandomi dietro Grenview e l’uomo di Bow Street. Sarà un inizio anno davvero concitato e tante teste cadranno, letteralmente.”

Tornato serio, incatenò lo sguardo a quello di Myriam e aggiunse: “Mi spiace separarmi da tutti voi proprio agli albori del Natale, ma prometto che porterò dei bellissimi regali a tutti, quando avrò terminato la mia ultima missione.”

“Ultima… missione?” esalò sorpresa Myriam, facendo tanto d’occhi.

“Lascio il Ministero della Guerra in mani capaci e, dopo la baraonda che solleverò una volta rientrato a Londra, non so che altro potrei dare di più, alla Corona.”

Sorrise a Christofer, come a consegnargli tra le mani il proprio cuore – e cioè la sicurezza di Myriam e Randolf – e l’altro annuì, conscio di quell’onore.

“Tornerò qui e aiuterò mio padre con la tenuta. È ormai tempo che mi occupi dei nostri possedimenti… e di qualcos’altro, che ho procrastinato troppo a lungo.”

Fu sul punto di aggiungere altro, di fare altro, ma si trattenne.

Facendo loro il saluto militare, si congedò soddisfatto e Myriam, nel vederlo andare via, sorrise lieta.

“L’ha trovata…” sussurrò compiaciuta.

“Già. Finalmente” assentì Kathleen, andando a sedersi al suo fianco.

Myriam le strinse la mano, come se le servisse un appoggio per non svenire, così Kathleen la avvolse con un braccio e mormorò: “Andrew sarà lieto di vedere che, anche senza il suo intervento, le cose sono andate come voleva.”

“Quello sciocco…” sorrise Myriam, lasciandosi andare a una sola lacrima liberatoria. “Sempre a pensare agli altri…”

“Era da lui, no?” decretò Christofer, sedendosi sul lato libero di Myriam per avvolgerla a sua volta in un abbraccio.

Fu in quel mentre che Randolf entrò nel salottino e, nel vederli stretti assieme, corse verso di loro e si unì all’abbraccio.

Myriam, allora, lo strinse a sé, lo baciò e, dopo averlo preso in braccio, disse: “Tesoro mio, devo parlarti del papà e del nonno.”

Tutto serioso, il bimbo annuì così Christofer, levatosi in piedi assieme alla moglie, si diresse verso la stanza adiacente e, chiusosi la porta alle spalle, guardò i figli.

Andrew ed Elizabeth strillarono felici nel vederli e la coppia, muovendosi d’istinto, si inginocchiò accanto a loro, stringendoli in un abbraccio.

Nessuno sarebbe più stato solo. Nessuno avrebbe dovuto convivere con l’incubo del proprio passato.

Era giunto infine il momento di guardare soltanto avanti, di dipingere un nuovo quadro, una nuova storia.

 





Note: Ci siamo quasi... la storia sta volgendo al termine, e mi rimane solo offrirvi l'epilogo. Ho voluto comunque mettere una sorpresina anche qui, vale a dire il ritrovamento della moglie di Anthony, la fuggitiva Emily.
E' giunto quindi il momento non solo di chiudere un capitolo della loro vita alle spalle, ma di dire la verità al piccolo Randolf circa suo padre e, ora, anche su suo nonno. Se ricorderete, al piccolo non era mai stato detto perché il papà non fosse tornato assieme a Christofer.
Per andare avanti, è giusto che sappia tutta la verità.
Non mi rimane che ringraziarvi e darvi appuntamento a giovedì, dove chiuderò questa mia prima come romanzo storico.
A presto!
 

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Capitolo 28
*** Epilogo ***


Epilogo.
 
 
 
 
02 – V – 1807
 
 
Intenta a osservare i gemellini alle prese con una palla di pezza, mentre Randolf li studiava con attenzione, Kathleen impiegò un attimo prima di accorgersi dell’arrivo di qualcuno.

Christofer fu più lesto di lei ad accorgersene e, distolto lo sguardo dal quadro che stava ultimando, sorrise nel dire: “William sta arrivando al galoppo. Pare avere fretta.”

Wendell, nei pressi del vicino torrente e tutto preso dalla pesca, lanciò un’occhiata curiosa al cugino, prima di mollare tutto e avvicinarsi al gruppetto steso sul prato.

Sorpresa a sua volta, Myriam distolse l’attenzione dal suo ricamo e lo fissò curiosa, dichiarando: “Forse, Bridget lo sta rincorrendo con un forcone.”

Il gruppo rise gaio – la coppia si era sposata il mese precedente, nella chiesa principale di York – e, quando infine William fermò la cavalcatura, Christofer esclamò: “Ben arrivato! Sembrava tu avessi davvero una fretta indiavolata.”

“Christofer…” lo salutò William, con un sorriso e un cenno del capo. “Wendell…”

Ormai, sia a Green Manor che a Casa Barnes, tutti erano a conoscenza del legame tra William e Kathleen e, pur se le apparenze venivano mantenute con gli estranei, in famiglia tutto ciò non avveniva più.

“Signore…” si inchinò poi l’uomo, sorridendo sia a Kathleen che Myriam, che risposero con altrettanta gaiezza.

Nel vederlo, Randolf lo salutò con allegria, pur non discostandosi dai cugini – si era fatto molto protettivo, con loro.

William salutò anche lui, ma rimase accanto alle due donne, estraendo poi dal panciotto una lettera con il blasone dei Phillips stampigliato sulla ceralacca.

Irrigidendosi immediatamente nel vederlo, Myriam fissò il cognato e mormorò ansiosa: “E’… è di Anthony?”

“Sì, Myriam. Per voi. Ho corso più veloce che potevo, per portarvela” le rispose William, consegnandogliela.

Deglutendo a fatica, la donna afferrò dalla sua mano la missiva e, dopo aver spezzato con nervosismo la ceralacca, aprì il foglio pergamenato e scorse velocemente il contenuto.

Un lento sorriso le si dipinse sul viso e, nel guardare la sua famiglia, mormorò a bassa voce:

 
Mia diletta Myriam, la mia missione in Spagna può dirsi conclusa.
Sto tornando con Emily e il suo amante, assieme a una non ben
precisata quantità del mio tesoro di famiglia (evidentemente, Emily
sa anche essere parsimoniosa, quando vuole) e conto di giungere a
Londra con il finire di maggio. I mari, come ben sai, sono piuttosto
agitati, e i francesi si innervosiscono per un nonnulla. Non mi succederà
comunque nulla, non temere. Siamo difesi dai migliori soldati della Corona
e, dopotutto, il conflitto si svolge in acque ben distanti da dove sto navigando
ora. Al momento, siamo fermi nei pressi di Bilbao, perciò ne ho approfittato
per scriverti e metterti al corrente di tutto. (interessante come, nonostante la
guerra, i commercianti se ne infischino della provenienza della merce)
 
Lì, Myriam si fermò un attimo per sorridere e Christofer, ghignando, dichiarò: “Anthony è un mago nel perdere il filo del discorso, quando scrive…”

“Già” assentì la donna, riprendendo la lettura.
 
Spero non te ne risentirai, ma ho acquistato una spada giocattolo per
Randolf, che intenderei regalargli per il suo prossimo compleanno. Ma
sono pronto a cambiarla con qualcos’altro, se non la riterrai un regalo
adeguato. Comunque, ho anche già pensato di contattare il mio avvocato,
che ha redatto i documenti per il divorzio. Emily si è dichiarata pronta a
firmare, ma solo in cambio di una rendita vitalizia a suo nome. Forse non
ha ancora capito che, quando saremo nuovamente su suolo inglese, le sue
parole non avranno più peso alcuno. Mi spiace agire a questo modo ma,
se fosse stata onesta con me, non saremmo mai arrivati a questo punto. Ho
le mie colpe, ma non me la sento di sobbarcarmi anche quelle di Emily.
A ogni modo, ho un regalo anche per te, pur se non ti dirò cosa. Spero solo
che, quando te lo darò, la tua risposta sarà ‘sì’. Ho detto troppo, forse, ma
ormai non vedo l’ora di rivederti, e il pensiero di raggiungerti non mi permette
di godermi il viaggio come vorrei. Sai essere dispotica anche quando non ci sei.
 
A quella frase, Myriam si accigliò leggermente, e Kathleen le batté una mano sulla spalla, consolatoria.
 
Non voglio tediarti oltre, so di diventare logorroico quando scrivo, perciò
interromperò qui il mio scritto. Desidero solo aggiungere una cosa…
Ti amo                                                               tuo Anthony
 
Stringendosi al petto la missiva, Myriam sorrise a William e mormorò: “Grazie per essere venuto subito qui, quando è arrivata.”

“Visto ciò che portavo, ho pensato di affrettarmi e, a quanto pare, ho fatto bene. Siete raggiante, Myriam” dichiarò l’attendente – e cognato – nel sorriderle.

Incuriosito dal sorriso della madre, Randolf domandò: “E’ dello zio Anthony?”

“Sì, Randy. Sta tornando, finalmente.”

Il bambino si illuminò in viso, nel saperlo e, lasciati temporaneamente i cugini all’occhio vigile di Kathleen, Randolf si andò a sedere accanto alla madre.

“Torna davvero? E non va più via?”

“No, non va più via” lo rassicurò lei, carezzandogli una guancia. “E, a questo proposito, vorrei porti una domanda.”

Il bimbo, allora, si fece serio e, annuendo, mormorò: “Dimmi, mamma.”

“Ti piacerebbe se lo zio Anthony diventasse papà Anthony?”

Sbattendo le palpebre con espressione confusa, Randolf lanciò un’occhiata dubbia a William, domandandogli: “Ma… si può, zio William?”

Lui, a quel punto, si accomodò a gambe intrecciate sull’enorme coperta a quadri su cui si trovava anche il nipote e, annuendo, gli disse: “Il tuo papà era Andrew, il mio fratello minore, e il fratello maggiore di zia Kathleen, ma tu puoi avere un nuovo papà, se la mamma si risposa.”

Grattandosi una guancia con espressione meditabonda, Randolf mormorò: “E lui mi vorrà bene come me ne voleva quando lo chiamavo zio?”

“Di più, perché sarai suo, e potrà donarti tutto l’amore che ha per te, senza che le persone abbiano nulla da dire in contrario” lo rincuorò William.

Inclinando il capo a scrutare sia la madre che lo zio, Randolf ci pensò su ancora un attimo, prima di rivolgersi anche agli altri zii.

Rivoltandosi sulla grande coperta, guardò Kathleen, Christofer e Wendell, prima di domandare: “E’ vero? Può fare il mio papà?”

“Certo che può farlo, tesoro. E sono sicura che tu saprai fare il bravo figlio, vero?” gli disse Kathleen, sorridendo.

“E… e il papà Andrew? Non …non potrò più dire il suo nome?” borbottò turbato Randolf, ora assai confuso.

Wendell gli sorrise comprensivo, carezzandogli il capo di capelli bruni.

Da quando la madre gli aveva spiegato che fine avesse fatto, Randolf era maturato molto. Quelle, infatti, erano domande più che lecite, e molto più che ragionate.

Lasciati colori e tavolozza accanto al treppiede che sosteneva la sua tela, Christofer andò a inginocchiarsi dinanzi al nipote e, nel carezzargli a sua volta il capo, disse: “Andrew e Anthony erano grandi amici, Randy, e si sono sempre rispettati. Anthony ha sofferto come noi tutti, quando il tuo papà è morto, perciò, non solo potrai parlare ancora di tuo padre, ma potrai chiedere ad Anthony di raccontarti storie su di lui. Così non lo dimenticherai, e aiuterai il tuo nuovo papà a sopportare il dolore di averlo perso.”

“Posso davvero?” mormorò speranzoso il bimbo.

“Puoi fare tutto, Randy. E Anthony vorrà bene sia a te che alla mamma, così non sarete più soli” lo tranquillizzò Christofer.

“Vorrà bene anche a nonna Georgiana?”

A quel punto, tutti risero e Myriam, annuendo, disse: “Penso non ci saranno problemi. E poi, da quel che so, nonna Georgiana ha già qualcuno che si sta prendendo cura di lei.”

Kathleen la fissò sorpresa e la cognata, sorridendo maliziosa, mormorò: “Io proverei a chiedere a tua madre quante volte passa a trovarla lord Conroy… forse, sarai sorpresa di saperlo.”

“Il cugino di nostro padre?” esalò Kathleen, lanciando un’occhiata interrogativa all’indirizzo di William, che parve ugualmente sorpreso dalla notizia.

“Da quel che so, è rimasto vedovo nel gennaio di quest’anno e, da quel momento, ha abbandonato il palazzo di King’s Street a Londra per tornare qui al nord, nella sua tenuta nei pressi di Fulford.”

“Oh,… non mi era stato detto” esalò sorpresa e dispiaciuta Kathleen.

“Tesoro… in quel periodo eravamo in Cornovaglia, se ben ricordi” le rammentò Christofer.

“Già… chissà dove ho la testa, ultimamente?” brontolò contrariata Kathleen. “Quindi, mi stai dicendo che mia madre e il cugino Bastian stanno…”

Myriam sorrise divertita e replicò: “Parlane con lei. Non voglio dire cose che posso anche essermi solo inventata. Di sicuro, se la cosa andasse in porto, lo zio Constantin si rincrescerebbe molto, visto che mal si sopportano.”

“Solo per questo, farò il tifo per il nostro cugino di Londra” ironizzò allora Kathleen, sorridendo a un sorpreso William. “Se si sposassero, diventerebbe la figura più vicina a un padre che tu abbia mai avuto.”

“State facendo i conti senza l’oste, signore” replicò William, levandosi in piedi per raggiungere i nipotini. “E lui, in ogni caso, lo è sempre stato, in un modo o nell’altro… che vi fosse o meno una parentela tra di noi.”

Sollevati poi i bimbi tra le braccia, tra strilli entusiastici e divertiti, si avviò verso il torrente assieme a Wendell e, nel chiamare con sé Randolf, anch’egli si allontanò dal gruppo.

Kathleen e Myriam, allora, si levarono in piedi e, dopo un sorriso alla cognata, Myriam li raggiunse.

Rimasta sola col marito, Kathleen si avvicinò a Christofer, che era tornato al suo quadro e, sorridendo nell’ammirare quel bellissimo scorcio di natura, mormorò: “Davvero stupendo.”

Lui la baciò su una guancia, le porse il pennello e disse: “L’ultima pennellata vorrei la dessimo insieme. Non potrà mai essere perfetto, senza il tuo tocco.”

Kathleen assentì in silenzio e, con un sorriso malizioso, si pose innanzi a lui, poggiando la schiena contro il suo torace.

Christofer ne aspirò il dolce profumo, intrecciò la mano sinistra con quella della moglie e, delicatamente, la poggiò sul suo ventre.

Sembrava tutto uguale al solito, eppure…

“Sono io che ho male interpretato o le tue distrazioni continue, ultimamente, sono sintomo di qualcosa in particolare?” sorrise speranzoso, dandole un bacio delicato sulla tempia.

Lei ridacchiò e, annuendo, gli disse: “Credo che diverrai di nuovo padre, Christofer. Spero che la cosa ti renda felice come lo rende me.”

Il conte allora afferrò il pennello dal basamento su cui lo aveva poggiato e, intrecciata la mano destra a quella di Kathleen, sollevò lo strumento e fissò il quadro.

Ci aveva lavorato per quasi un mese, scegliendo sempre un tipo di luce particolarmente trasversale, così che i raggi filtrassero in maniera quasi magica tra le foglie.

Ora, gli sembrava pronto per essere dichiarato finito ma, come aveva detto alla moglie, senza il suo tocco non sarebbe mai stato adeguato.

La baciò quindi sulla tempia e, insieme, diedero un ultimo tocco di colore alle chiome più scure degli alberi.

Sorridendo soddisfatto, poggiò infine il pennello e, portandosi la mano di Kathleen alla bocca, dichiarò: “Sì, ora è perfetto.”

Kathleen gli sorrise e, mentre le risate dei bambini si mescolavano a quelle degli adulti, Christofer baciò la moglie e lasciò che il suo calore penetrasse in lei.

Sì, era davvero tutto perfetto, adesso.







Note: E qui si concludono le avventure di Kathleen, Christofer e famiglia. Spero di aver soddisfatto tutti/e e di avervi lasciato con un bel ricordo nel cuore.
Io, di sicuro, mi sono divertita a sperimentare per la prima volta il romanzo storico e, forse, se la fantasia lo permetterà, ritenterò la fortuna.
Per ora, ci salutiamo per un po' (devo ricarburbare, e non ho nulla di nuovo da offrire, in effetti) ma, per chi avesse letto la saga di Occhi di Lupo, posso dirvi che è stata quasi completamente revisionata e che, a breve, comparirà anche un finale alternativo del primo dei tre racconti della trilogia.
Se foste interessate a dargli un'occhiata, ne sarei lieta, perciò, tenete d'occhio la mia bacheca.
Altro non mi rimane da dire, se non grazie per la vostra partecipazione e per il vostro supporto.
A presto, spero!
 

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