Destino Stregato

di BeatrixLovett
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come tutto ebbe inizio ***
Capitolo 2: *** Visite indesiderate ***
Capitolo 3: *** Amicizie sbagliate ***
Capitolo 4: *** Di nuovo a casa ***
Capitolo 5: *** Tra due litiganti il terzo gode ***
Capitolo 6: *** La notte delle streghe ***
Capitolo 7: *** Sottomissione ***
Capitolo 8: *** Perduti ***
Capitolo 9: *** Condannati ***
Capitolo 10: *** Rivelazione ***
Capitolo 11: *** Fratellanza ***
Capitolo 12: *** Fuoco e fiamme ***
Capitolo 13: *** Dominazione ***
Capitolo 14: *** Speranza ***
Capitolo 15: *** Profondo Oblio ***
Capitolo 16: *** La fine ***



Capitolo 1
*** Come tutto ebbe inizio ***


 

Capitolo 1

Come tutto ebbe inizio


 

Durante una calda mattina di giugno, il gufo di casa, Cocó, entrò con la posta dalla finestra di cucina, mentre la famiglia Todd faceva colazione. Portava tre lettere nel becco. La prima era per Sweeney, suo padre, veniva dal Ministero della Magia dall'ufficio per la cooperazione magica internazionale dove lavorava; la seconda era per sua madre, Nellie, era una lettera da parte di sua sorella Narcissa; la terza, era indirizzata a lei. Gli occhi le s'illuminarono di gioia quando lesse ciò che vi era scritto:

Iscrizione alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts
Sig.na Beatrix Todd
Piccadilly Street, 23, Londra

Era una busta bianca, ben chiusa da un sigillo in ceralacca che raffigurava un castello con gli stendardi di quattro casate: Grifondoro, Tassorosso, Corvonero e Serpeverde. La ragazza sapeva già tutto sulle caratteristiche di ciascuna. I Grifondoro erano conosciuti per il coraggio e la nobiltà d'animo, i Tassorosso per la pazienza e la tolleranza, saggezza e intelligenza per i Corvonero, ambizione e furbizia per i Serpeverde. Beatrix, non aveva ancora un’idea precisa di quale casa avrebbe preferito essere smistata, in quel momento le importava poco, stringeva tra le mani il suo sogno, la lettera che tanto aveva aspettato era arrivata. 

La settimana dopo, accompagnata da sua madre, andò a Diagon Alley, il luogo segreto accessibile solo ai maghi e alle streghe, in cui si poteva comperare tutto il necessario per la magia. Acquistò le divise sia per la stagione estiva che per quella invernale, un paio di guanti in pelle di drago indispensabili per le lezioni di erbologia, i libri di testo, le pergamene, la penna d’oca e l’inchiostro; si procurò anche un nuovo gufo, per mandare messaggi ai suoi genitori e per le lezioni di trasfigurazione.
Tutto ciò fu emozionante per Beatrix, sopratutto la scelta della bacchetta magica.
«E’ la bacchetta a scegliere il mago»  le disse il Signor Olivander, il proprietario del negozio più famoso e antico di tutta Diagon Alley. Un metro volava intorno a lei prendendo le misure di altezza, braccia e spalle. Olivander posò delle lunghe scatoline rettangolari in fila sul bancone. Beatrix dovette provare diverse bacchette prima di trovare la sua: ebano, quindici pollici, piuma di coda di fenice, leggermente flessibile. «Molto bene, una buona bacchetta non c'è che dire! »  disse sorridendo e consegnandole il sacchetto con dentro il suo acquisto. «Buona fortuna per il Suo futuro!»  le augurò l'anziano signore. La bambina lo ringraziò e felice, stringendo il pacchetto, uscì tenendo la mamma per mano.
Non vedeva l’ora che fosse il primo settembre, il giorno in cui avrebbe iniziato la scuola.

L'estate passò e quel giorno arrivò.
Alle dieci Beatrix si trovava alla stazione di King's Cross, dove avrebbe preso l’espresso per Hogwarts alle undici.
Quel mattino c'era una leggera brezza che faceva svolazzare i suoi lunghi capelli biondi.
Fremente dall’emozione, prese un carrello e con l'aiuto dei genitori ci adagiò sopra il baule e la gabbia con Ralph, il suo nuovo gufo postino. Era certa di aver preso tutto, aveva controllato il bagaglio almeno dieci volte.
Insieme ai suoi genitori passò la barriera invisibile tra il binario nove e dieci e arrivò dritta al binario nove e tre quarti, dove un enorme treno rosso e nero sostava sui binari, su di un lato vi si leggeva la scritta: “Espresso per Hogwarts”

La stazione gremiva di bambini e ragazzi, famiglie che accompagnavano i figli che s'abbracciavano, si salutavano e davano le ultime raccomandazioni. Sweeney e Nellie aiutarono la figlia a caricare il baule sul treno e cercarono uno scompartimento vuoto, dopodiché quando ormai mancavano pochi minuti alla partenza, si salutarono:
«Buona Fortuna, piccola mia!»  le disse sua madre stringendola a sé.
«Sono sicuro che sarai la migliore tra i Serpeverde!»  aggiunse suo padre appoggiandole una mano sulla spalla.
«Ma papà mi devono ancora smistare!»  esclamò Beatrix ridacchiando, e diede due grossi baci ai genitori.
Questi scesero dal treno e la bambina continuò a parlare ai suoi dal finestrino.
Le porte si chiusero con un tonfo e il treno fischiò per annunciare la sua partenza.
Beatrix mandò un ultimo saluto ai genitori.
«Scrivimi tutti i giorni!»  esclamò la madre, mentre la locomotiva iniziava a muoversi, la bimba annuì e osservò i suoi diventare sempre più piccoli e lontani, una volta spariti chiuse il finestrino e si abbandonò sul divanetto, felice di vivere quella nuova avventura da sola.

Nel suo scompartimento entrarono due bambine della sua età. Cloe era una ragazzina alquanto particolare, molto bella, aveva occhi di un azzurro cielo e capelli biondo cenere, era un po’ timida, ma quando iniziarono a conoscersi si aprí e si accorse che era molto dolce ed ambiziosa;  Grace invece aveva capelli rossi e ricci, aveva dei grandi occhi verdi segnati dalle occhiaie, a differenza di Beatrix e Cloe, non sembrava provenire da una famiglia benestante, ma quando cominciò a parlare notò che era molto intelligente e simpatica,
Passarono l’intero viaggio insieme, chiacchierando e mangiando gelatine tutti gusti + 1 .

La sera giunsero alla stazione di Hogsmeade, il villaggio di maghi vicino alla scuola. Lì gli studenti vennero accolti da un uomo altissimo, un mezzo gigante con una grossa pancia e il volto circondato da una folta barba scura, si presentò con il nome di Hagrid. Richiamò l'attenzione di tutti i primini e li condusse lungo un sentiero, illuminando il percorso con una lanterna, alla fine si trovarono davanti ad un immenso lago nero che attraversarono su delle piccole barche che si muovevano da sole.
Una volta giunti sull'altra riva entrarono da un portone, ritrovandosi nella sala d'ingresso della scuola, qui si presentò la vicepreside, Minerva McGrannit, una donna che dava l’impressione di aver superato la mezza età con lunghi capelli grigi raccolti in uno chignon, occhi azzurri incorniciati da una fine montatura da vista, indossava una lunga veste di velluto verde e un cappello dello stesso colore, il viso era scarno e la sua espressione severa. Condusse i ragazzi in una stanza che chiamò Sala Grande dove erano disposte quattro lunghe file di tavoli sistemate in verticale e grossi stendardi delle varie casate appesi alle pareti.
Una volta all’interno, le venne spontaneo sollevare la testa: il soffitto era identico al cielo di fuori, era il crepuscolo e la volta era tinta dei colori del tramonto.
Gli studenti più grandi, seduti ai tavoli, osservarono i nuovi arrivati avanzare verso lo sgabello dove vi era collocato un vecchio cappello dall’aria malandata. Dietro ad esso c'era un altro tavolo, questo disposto in orizzontale dove sedevano tutti i professori compreso il Preside, Albus Silente, al centro.
La McGranitt spiegò ai ragazzi che dovevano indossare il cappello per essere smistati in una delle case: Grifondoro, Corvonero, Tassorosso o Serpeverde, una volta scelti dovevano rispettare il regolamento imposto dalla scuola: svolgere i compiti avrebbe aumentato i punti della casa e la promozione dello studente all’anno successivo, mentre l’infrazione delle regole, come avventurarsi nella foresta proibita, avrebbe fatto perdere punti. Alla fine dell’anno la casata con più punti avrebbe vinto la coppa delle case.
Beatrix provò una sensazione di disagio mista all’emozione, di lì a poco sarebbe stata smistata in una delle famose quattro case di Hogwarts, anche lei sarebbe entrata a far parte di quel meraviglioso luogo che sarebbe diventato la sua nuova casa.
Quando sentì il suo nome, ebbe il timore di essersi pietrificata e di non riuscire a muoversi, ma fortunatamente non avvenne, si sedette sullo sgabello e aspettò di vestire il cappello. Lo sentì sul capo e sobbalzò nell'udire una voce parlarle all'orecchio: «Mmm… un destino avverso ti attende, ti servirà molta forza d’animo e coraggio… ma vedo… anche molta astuzia...»  ci fu una pausa: «… SERPEVERDE! »
Applausi provennero dal tavolo delle Serpi. Beatrix scese dallo sgabello, ridiede il cappello alla vicepreside e contenta di essere stata smistata nella casata della sua famiglia, si diresse verso il tavolo, mentre prendeva posto, i suoi compagni le davano il benvenuto. In quel momento si sentì davvero a casa.

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Capitolo 2
*** Visite indesiderate ***


Capitolo 2

Visite indesiderate

 

Venne richiamata alla realtà da un bussare lieve.
Aprì gli occhi, confusa, rendendosi conto di essersi addormentata mentre leggeva.
«Signorina Todd... »  annunciò una vocina lieve, «...sua madre la desidera in salotto. Ci sono visite.» Era Jack, l’elfo domestico della famiglia. Viveva con loro da sempre.
La ragazza sospirò alzandosi svogliatamente dal letto.
«Grazie Jack, scendo subito.»  rispose, mentre chiudeva il libro abbandonato sul cuscino e lo riponeva sullo scaffale. Uscendo dalla camera passò davanti allo specchio e non riuscì a far a meno di guardarsi: aveva un viso tondo, due occhi verdi risaltavano sotto le lunghe ciglia nere coperte di mascara. Il vestito metteva in risalto le sue forme, era alta, ma indossava comunque delle scarpe con un leggero tacco, mentre sulle spalle ricadevano i lisci capelli biondi. Era carina, sentiva spesso gli sguardi addosso quando camminava per Hogsmeade, le facevano piacere certo, ma ormai ci aveva fatto l’abitudine e non ci faceva più caso.
Quando scese le scale sentì un chiacchiericcio provenire dalla sala. Tre voci diverse, tre donne. Una era sua madre e una pareva quella di sua zia, Narcissa Malfoy, ma la terza? Arrivò sulla soglia e lo scoprí.
Nel salotto c’erano tre donne che parlavano sedute sulle sedie dagli alti schienali intorno al tavolo rettangolare.  Sua madre sedeva al lato e davanti a sé c’era Narcissa. A capotavola c’era lei, la donna che aveva visto solo sui manifesti da ricercato.
La prima ad accorgersi di Beatrix fu proprio lei, Bellatrix Lestrange, la scrutava con i suoi occhi scuri e il suo sguardo non era di apprezzamento come quello che avvertiva su di sé tra la gente, era uno sguardo indagatore e penetrante.
Beatrix si sentì turbata. Certo sapeva che quella donna fosse sua zia, ma fino ad allora non l’aveva mai vista perché era stata rinchiusa nella prigione di Askaban, la prigione dei maghi più malvagi, sorvegliata costantemente dai dissennatori, mostri senz’anima n’è corpo che succhiavano via i ricordi felici dei prigionieri fino ad ucciderli. Nessuno era mai riuscito a scappare. Eppure ora quella donna era davanti a lei.
«Eccoti...»  disse sua madre, Nellie, «Immagino tu ti ricorda di Narcissa...»  indicò la donna davanti a lei, dai capelli per metà biondi e metà bruni dalla carnagione chiara e l'aspetto austero.
La ragazza annuì, era da parecchi anni che non la vedeva.
«E' passato molto tempo dall'ultima volta che ci siamo viste... allora eri poco più che una bambina... ora dovresti avere la stessa età di Draco...» aggiunse Narcissa, spezzando il silenzio della ragazza.
«Diciassette...» rispose brevemente Beatrix, poi vedendo che la madre le faceva segno di sedersi, prese posto alla sedia accanto a lei.
«Finalmente ci conosciamo, Beatrix...» prese parola la Lestrange, senza aspettare la presentazione della sorella, «...come tu saprai sono stata impossibilitata per quindici anni...»
Senza dubbio i suoi tratti dovevano essersi rovinati per la lunga prigionia, ma di certo anni prima doveva essere stata una bella donna. Aveva occhi scuri dalle palpebre pesanti, il viso era scavato, gli zigomi evidenti. I capelli erano scuri, ricci e lunghissimi, raccolti in alto, le ricadevano dietro la schiena. Indossava un abito nero dalla profonda scollatura con un corpetto in pelle a stringerle la vita.
“Ma come ha fatto a scappare e perché è qui?” pensò Beatrix.
«Ti starai chiedendo come mai sono fuori...» disse la donna, come se le avesse letto la mente.
La stanza si fece carica di tensione.
«Bellatrix...»  la supplicò Nellie.
La nominata guardò incredula la sorella, «Non capisco cosa stai aspettando per dirglielo...»
Nellie aprì bocca per ribadire, ma le sue parole rimasero a mezz’aria. Bellatrix la ignorò e continuò: «Allora vuoi sapere come sono scappata?»  domandò alla nipote con un sorriso sarcastico dipinto sulle labbra.
Beatrix cercò di tenere testa al suo sguardo.
«Ho atteso quindici... interminabili... anni.»  cominciò a dire, «I dissennatori mi avevano portato via tutto, ma non l'unico motivo che mi teneva in vita... la speranza che Lui sarebbe tornato...»  abbassò lo sguardo e sorrise per la prima volta, a quel ricordo, «...e così è stato... mi ha salvato ed è grazie al Signore Oscuro che ora sono qui. Dopo tutti quegli anni non mi aveva dimenticata.» 
La ragazza cercò di non pensare a nulla, per non farsi rileggere la mente da lei.
«Sai da chi discende la nostra famiglia? »
«Salazar Serpeverde» rispose la ragazza, confusa del motivo della domanda.
Sembrava che ci fossero solo loro due nella stanza, le altre due donne erano quasi invisibili e mute.
«Le più nobili famiglie di maghi e streghe discendono da Salazar Serpeverde... per questo motivo dobbiamo continuare quello che ha cominciato, dobbiamo tenere alto l'onore della nostra famiglia e dei purosangue...» 
Ormai la stanza era gelida.
«Non esiste che siamo noi a doverci nascondere per evitare che i babbani scoprano il nostro mondo, abbiamo creato un universo separato come se fossimo noi ad infettare il mondo...» 
Il silenzio da parte dei presenti continuava.
«Alcuni “maghi e streghe”, se così si possono definire, sporcano e ripudiano il sangue magico per unirsi con questi luridi babbani. Se si continuerà così, nella tolleranza verso quella feccia, il nostro mondo finirà per scomparire. E' per questo che il Signore Oscuro ha costituito un esercito, il nostro scopo è combattere per salvare il Nostro mondo, per conservare il sangue puro, per liberare il mondo magico dal marc... » 
«Quello che Bellatrix cerca di dirti è che... » intervenne sua madre che venne interrotta nuovamente.
«La nostra famiglia è completamente devota al Signore Oscuro.»  continuò Bellatrix, «E vedi di non interrompermi più mentre parlo Annette. »
«Completamente?»  iniziò a dire Beatrix, «Andromeda… »
«Non N-O-M-I-N-A-R-E quel NOME!» urlò Bellatrix scattando in piedi furiosa, «Per la Nostra famiglia lei non esiste più, dopo che ha sposato quello sporco mezzosangue...»
Beatrix si sentiva spaventata e confusa. La sua vita fino a quel momento era stata piena di bugie. Un continuo nascondino con la verità.
«...si è scavata la sua fossa…»  riprese la donna, «se la incontrassi per strada non esiterei ad ucciderla... »
A queste parole Nellie guardò Bellatrix con incredulità.
«Ne abbiamo già parlato. Non ritorniamo su nostra... su questo... argomento.» disse Narcissa, falsamente tranquilla.
«Quindi...» cominciò a dire Beatrix, «Mi stai dicendo che se non faccio anch’io come voi, mi ucciderai? Non ho molta scelta a quanto pare...»
«Brava! Vedo che sei sveglia...» commentò la donna.
“La mia migliore amica è una mezzosangue, non rinuncerò a lei per la vostra stupida ideologia!” ma qualcosa impedí alla ragazza di dire a voce alta questo suo pensiero.
Nellie scattò in piedi, battendo le mani sul tavolo, furiosa: «Adesso basta! Non ti permetto di parlare in questo modo a mia figlia, in casa mia!»
Bellatrix non si scompose, disse soltanto: «Preferisci perderne un altro?»
Beatrix non capì cosa volesse dire. 

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Capitolo 3
*** Amicizie sbagliate ***


 

Capitolo 3

Amicizie sbagliate

 
Poco dopo Beatrix era appoggiata al balcone del terrazzino della sua camera ad osservare il tramonto: il cielo era dipinto da diverse sfumature rosso, arancioni, azzurre; le rondini volavano verso l’orizzonte sicuramente dirette verso paesi caldi e accoglienti. Si soffermò a pensare a come doveva essere volare, sbattere le ali e liberarsi nel cielo... ma il rumore di una porta che si chiudeva la fece tornare alla realtà. Guardò giù e vide la chioma dei folti capelli neri di Bellatrix e quelli biondi di Narcissa, si diressero entrambe fino al cancello, senza dire una parola, ma prima di smaterializzarsi Bellatrix alzò lo sguardo in alto e per un momento i loro sguardi s'incrociarono.
«Bea sono io posso parlarti? »
La ragazza rispose affermativamente, per non creare un dispiacere alla madre, ma non aveva affatto voglia di parlare.
Nellie si sedette sul letto e la figlia prese posto accanto a lei.
«Ti ho tenuto nascoste molte cose lo so e mi dispiace, ma se l'ho fatto è stato per il tuo bene. E' complicato...»  cercò di spiegarle, avvicinò una mano per accarezzare la guancia di sua figlia, ma quest'ultima si discostò, guardava dritta davanti a sé, l'occhiata d'odio di sua zia, era ancora vivida nella sua mente. «Perché non me l’hai detto? Tu e Sweeney mi avete mentito per tutti questi anni? Come potete essere…»  si voltò a guardare la madre, «Mangiamorte!» 
«Beatrix, so che è difficile da accettare. Avrei dovuto dirtelo prima...»  confessò sua madre quasi in un sussurro, «È stato un errore...» Nellie non guardava più la figlia, ma fissava un punto per terra, «...pensavo che seguire le mie sorelle fosse la scelta migliore, ma quando mi sono resa conto, era troppo tardi per tornare indietro. Non posso scappare dai miei errori, ma così facendo ho messo in pericolo anche te...»  la sua voce s'incrinò, «...mi dispiace per la sofferenza che ti sto provocando, ma da un momento all’altro il Signore Oscuro vorrà anche te...lo capisci che se prenderai un'altra strada non potrai più rimanere qui... dovrai andartene, perché non riuscirei a proteggerti... e non posso permettere che ti... » 
Beatrix si voltò verso sua madre, aveva la testa bassa, gli occhi chiusi e il viso segnato dalle lacrime.
Non se la sentì di abbracciarla. Anzi il suo pianto cresceva la rabbia che aveva dentro.
«Fammelo vedere!» esclamò la ragazza
Nellie con riluttanza si tirò sù la manica del vestito, sull'avambraccio c'era un tatuaggio in inchiostro nero: un teschio dalla cui bocca usciva un serpente. Era il marchio nero. Il tatuaggio che Voldemort applicava ai suoi seguaci.
«Voglio che tu sappia che io e tuo padre non approviamo le sue idee, ma ormai ci siamo dentro, uscirne significherebbe morire e la prima da cui andrebbe, per vendicarsi, saresti tu... cerca di capire...»  Nellie si allungò per prendere le mani di Beatrix tra le sue, ma la ragazza si ritrasse nuovamente. Triste, continuò con il suo discorso, «Non te l'ho detto prima perché volevo proteggerti da tutto questo, ma non posso. E' giusto che tu scelga la tua vita... »
Beatrix scattò in piedi, « Vediamo... se voglio restare con te il prezzo da pagare è piegarmi all'oscurità? Se voglio essere libera dovrò dimenticarmi della mia famiglia e fingere che non esista? Questa è la scelta che mi chiedi di fare? Che ne sarà della mia felicità?» 
La donna s'alzò dal letto, avvicinandosi alla figlia.
«No! »  disse voltandosi e dandole le spalle.
«So che sei arrabbiata con me e hai tutte le ragioni... ma ti prego ascolta quello che sto per dirti... quello che si dice in giro su Bellatrix è vero! Lei ha fatto… cose orribili. Voldemort non avrebbe sprecato il suo tempo a salvare una qualunque mangiamorte da Askaban… Devi promettermi di starle alla larga, qualsiasi cosa ti dica, potrebbe minacciarti o ingannarti. Ha una predisposizione per questo. Ti prego, promettimelo. »
«Tranquilla ci credo, d’altronde è tua sorella!» disse Beatrix, senza voltarsi.
La ragazza, rimasta da sola, sfogò tutta la sua rabbia nelle lacrime, sprofondò in mille pensieri cupi, non vedeva speranza, solo oscurità, sentiva il bisogno di parlare con qualcuno, ma sapeva che non poteva gettare sulle spalle di qualcun altro il peso di quei segreti, no si sarebbe tenuta tutto dentro.
Pensò che la soluzione migliore fosse distrarsi, uscire da quella casa che era diventata quasi una prigione e non più il luogo della sua infanzia.
Si diresse verso la scrivania e si sedette sulla sedia di faggio.
Prese una pergamena pulita, intinse la penna nell’inchiostro blu e iniziò a scrivere:
Cara Grace,
é tutta l’Estate che provo a scriverti, ma il mio gufo è tornato sempre indietro senza risposta.
Stai bene?
Domani vado a Diagon Alley per prendere le ultime cose per la scuola, se ti va, ti aspetto alle ore 15.00 davanti alla Gringott.
Un abbraccio.
Beatrix   
                                                                                                                             
La ragazza rilesse quello che aveva scritto, piegò la lettera e la mise in una busta, intestandola con l’indirizzo. Poi uscì nel terrazzo. Aprì la mano sinistra che teneva un pezzo di carne cruda, dopo pochi secondi un gufo comune si posò sulla ringhiera, allungando il collo per prendere la carne. Beatrix chiuse il pugno e scosse la testa, «Smettila Cocò, il primo è per la spedizione, il secondo è per quando torni con la risposta di Grace,  chiaro?» 
Il gufo girò la testa marrone di lato, poi allungò una zampa verso la lettera e con il becco prese il boccone di carne. La ragazza gli fece un grattino sotto il becco, il gufo chiuse gli occhi soddisfatto, bubbolò per ringraziare ed infine si liberò in alto nel cielo oramai buio.
 
Quel pomeriggio i negozi erano brulicanti di gente, anche perché l'indomani si partiva per Hogwarts e gli studenti si riducevano sempre all'ultimo per comprare il materiale scolastico.
Beatrix indossava dei jeans alla moda, una maglia nera che le lasciava scoperte le spalle e delle sneaker, i capelli erano legati in una coda spettinata con dei ciuffi che le circondavano il viso e a tracolla portava una borsa di pelle nera.
Si trovava davanti alla Gringott (la banca dei maghi), non vedeva Grace, ma solo una ragazza seduta su una panchina intenta a chiacchierare con un ragazzo. Avvicinandosi si rese conto che quella ragazza così trascurata era proprio la sua amica. I suoi capelli rossi mossi avevano perso la loro bellezza e gli occhi verde-acqua erano privi della loro abituale luminosità.
Beatrix un po’ incerta le s'avvicinò e cercando di non sembrare meravigliata la salutò, «Ehi Grace, come stai?»  La ragazza si alzò dalla panchina e l’abbracciò teneramente, «Bea! Da quanto tempo! »
«Adesso devo proprio andare» disse il ragazzo alzandosi dalla panchina, non appena vide Beatrix, «Ciao Grace!»
Beatrix si rese conto che l’atteggiamento del ragazzo non appena l’aveva vista era stato molto strano, ci rimase male, ma cercò di non darlo a vedere a Grace.
S’avviarono per la via chiacchierando sulle novità e dell’estate appena trascorsa. Il pomeriggio prometteva bene e s’accorse che la sua prima impressione su Grace era stata azzardata.
Acquistarono i nuovi libri di testo al Ghirigoro e si recarono alla cartoleria per prendere nuove pergamene, penne d’oca e inchiostro.
«Ti va di andare ai Tiri Vispi Weasley? »  chiese Grace sorridente.
Beatrix annuì. L’amica non se lo fece dire due volte, le prese il polso e la tirò di corsa fino al negozio. Era pieno zeppo di ragazzi e ragazze tutti indaffarati a comprare scherzi, caramelle e altre chincaglierie. La folla era talmente tanta che la ragazza perse di vista Grace.
Beatrix iniziò a girare per il negozio: gli scaffali contenevano una quantità infinita di barattoli e pacchetti di ogni colore e dimensione; girò l'angolo e trovò un gruppo di persone indaffarate nel guardare Fred Weasley che agitava in aria una boccetta di liquido rosa proclamando: «...per soli due galeoni stregherete il ragazzo o la ragazza che vi piace per ventiquattr’ore... »
Vide uscire da quella calca Grace che teneva in mano la stessa identica boccetta e la guardava in modo sognante.
«Chi vuoi stregare?»
Grace arretrò sorpresa vedendo l'amica e nascondendosi dietro alla schiena la pozione, «Cosa? Ma figurati... non voglio stregare nessuno.»  disse sorridendo.
«Non dovresti sprecare così i tuoi soldi, Grace.»  Beatrix parlò senza riflettere, si preoccupava solo per l’amica perché sapeva che le sue risorse economiche non bastavano nemmeno per comprare il necessario per la scuola.
«Non credi che essendo soldi miei, posso farne quello che voglio?»  disse un po' irritata Grace, ma poi osservò meglio la pozione, scosse la testa e riposò il barattolo sullo scaffale. Mentre si dirigevano verso l'uscita una scritta d'oro colpì la loro attenzione, si fermarono e lessero: “Perché hai paura di Tu-Sai-Chi?  Meglio aver paura di no-pupù-no-pipì, il senso di occlusione che stringe la nazione”
Le due ragazze se la risero di gusto, dimenticandosi della piccola discussione di prima e ripresero a camminare lentamente. Grace era la migliore amica di Beatrix, sapeva che se le avesse detto qualsiasi cosa non lo avrebbe mai riferito a nessuno, lo avrebbe tenuto per sé anche al costo della vita, una ragione per cui Grace era Grifondoro, ma nonostante la leggendaria rivalità tra le due casate, non c'era odio tra di loro. Erano unite da un legame che andava ben oltre l'amicizia, Grace era come la sorella che non aveva mai avuto.
«Grace, io… vorrei… »  iniziò a dire Beatrix, intenzionata a dirle tutta la verità, ma poi cambiò idea, «Io…vorrei…che ne dici se andiamo al paiolo magico a prenderci qualcosa da bere... offro io! »  le chiese facendole l'occhiolino.
L’amica, rispose con un sorriso, «Se proprio insi…! »
Grace era caduta a terra.
«Ehi feccia, guarda dove vai! »  disse un ragazzo dai capelli biondo platino che era sbucato dall'angolo della strada e l'aveva scontrata apposta, «Non ricordi più come si fa a camminare?»  dietro di lui c’erano due grossi bulli, Tiger e Goyle che gli facevano eco dandogli manforte.
Beatrix nel frattempo aveva aiutato l’amica a rimettersi in piedi, «Non hai niente di meglio da fare Draco?»
Il ragazzo le lanciò uno sguardo di sfida e un sorrisetto compiaciuto comparve sulla sua faccia, «E tu cugina? Invece che farti vedere in giro con una sporca mezzosangue?»
Beatrix non ebbe tempo di replicare che Grace già era scattata in avanti, «Come mi hai chiamata? Ripetilo di nuovo, se hai il coraggio... »  gli ringhiò Grace, ma Beatrix le prese il braccio e le sussurrò: «Andiamocene! Non ha senso parlare con i deficienti! »
Fece muovere per prima Grace, poi si voltò e guardò torva il cugino che la stava trattenendo per un braccio, «Continua a difenderla e zia Bella ti farà passare la voglia!»
Era quasi l'ora di cena, Beatrix e Grace si trovavano al Paiolo Magico (un pub che permette il passaggio a Diagon Alley), sedute ad un tavolino, stavano finendo le loro chocobirre. Beatrix cercava di far ridere Grace, facendole dimenticare ciò che era successo prima, o forse per distrarsi dalla sensazione di essere osservata. Infatti, da quando erano arrivate aveva adocchiato un tavolo isolato di soli uomini, uno di questi non le staccava gli occhi di dosso, mentre continuava a bere un boccale di birra.
Ad un tratto Grace annunciò: «Si è fatto tardi, sarà meglio che vada! »
Entrambe si alzarono e si diressero verso il bancone per pagare. Mentre aspettavano, Grace le sussurrò ridacchiando: «C'è uno che ti continua a fissare da quando siamo arrivate... »
«Me ne sono accorta ed è alquanto fastidioso»  disse secca Beatrix.
«Non è malaccio. Non ti piace? » 
«Grace, ma ti pare? Hai visto con che gente è? Sembrano dei bruti... »
« Magari anche a letto... »  e Grace si mise a ridere di gusto, Beatrix si trattenne mordendosi il labbro, ma proprio in quel momento da dietro il bancone spuntò Tom, il proprietario del pub.
«Buonasera Signorina Todd, ‘Sera signorina Fray!»
Le ragazze ricambiarono il saluto.
«Stasera offre la casa per gli studenti di Hogwarts!»  annunciò l'omino con un gran sorriso.
«Oh, che bel gesto, grazie mille! Quest’anno sarà il più difficile, per noi che siamo al settimo ci sono gli esami e… »  ma Grace venne interrotta da Tom, «Oh...oh sì, bene, buona fortuna per il nuovo anno allora! Perdonatemi, starei volentieri un altro po’ a chiacchierare, ma il dovere mi chiama! Buona Serata e... oh che sbadato! Signorina Todd portate i miei saluti ai suoi genitori! »  e Tom scomparve di nuovo.
L'aria della sera era gelida e fredda, ma non più dell'espressione sul volto di Grace. Tom aveva rievocato un triste e doloroso ricordo per Grace. Un' incendio aveva portato via la sua casa e la sua famiglia quando era solo una bambina. Era venuto il momento di tornare nella casa dei suoi genitori adottivi. Non si era mai affezionata a loro. Non ci sarebbe mai riuscita.
«Grazie del pomeriggio Bea, ci vediamo a scuola »  la salutò Grace e si voltò per andarsene, ma l'altra la richiamò.
«Sei sicura che non vuoi che t'accompagno a casa? E’ buio e devi fare un sacco di strada! Io ci metto un attimo a… »
«Me lo hai già chiesto almeno cento volte. No, me la cavo da sola, grazie »
Beatrix rimase ferma sul marciapiede fino a quando non vide Grace scomparire dietro l'angolo, poi sentendosi invasa nuovamente dalla sensazione di essere osservata, si girò e tornò a casa.

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Capitolo 4
*** Di nuovo a casa ***


 
Capitolo 4  
Di nuovo a casa  
 
 
Il treno era partito da poco dalla stazione di King’s Cross. Beatrix guardava fuori dal finestrino, pensando a ciò che era successo nei giorni precedenti, mentre il senso di colpa per non aver riabbracciato sua madre la divorava. Pensava su cosa avrebbe fatto una volta ad Hogwarts, se dire o no la verità ai suoi amici.
Improvvisamente, la porta dello scompartimento si aprì e comparve un ragazzo, non molto alto e piuttosto magro.
«Ehi, ti disturbo se mi sistemo qui?»  domandò, prendendo posto senza aspettare la sua risposta. Aveva capelli scuri, lunghi fino alle spalle, il ciuffo gli copriva l’occhio sinistro e lasciava libero l’altro, azzurro ghiaccio.
La ragazza lo ignorò tornando al libro che aveva aperto sulle ginocchia, ma non riusciva a concentrarsi e di tanto in tanto lanciava qualche occhiata al ragazzo. Non aveva l’aria di essere uno studente, non aveva nemmeno il baule e sembrava avere sui venticinque anni, allora cosa veniva a fare ad Hogwarts? In mano teneva un giornale, la Gazzetta del Profeta.
«Il Ministero della Magia sta perdendo colpi, ci sono troppi disordini, troppe insabbiature, se continua così Scrimgeour cadrà...»  disse lo sconosciuto, senza alzare gli occhi dal quotidiano.
«Lavori per Silente?» chiese Beatrix. Il ragazzo ripiegò il giornale e la guardò.
«No, non per lui, mi manda il Ministero. Io ed altri dobbiamo controllare quello che succede ad Hogwarts e fare rapporto. Un’altra perdita di tempo.»  spiegò il ragazzo, portandosi una mano alla nuca per tirarsi indietro i folti capelli neri, poi aggiunse «Ah scusa, non mi sono presentato. Strify Collins, piacere!»
«Piacere. Beatrix Todd »
Si strinsero la mano.
«Tuo padre lavora mica al Ministero? Nell’ufficio per la cooperazione magica internazionale?»  domandò Strify.
Beatrix fu incerta se mentire, ma alla fine annuì. «Hai lavorato con lui?»
«Ho lavorato lì per un anno più o meno, prima di accettare questo nuovo incarico.» concluse il ragazzo, facendosi poi silenzioso.
«Cosa stanno insabbiando?» chiese la ragazza dopo un po’.
Strify la guardò, studiandola. 
Beatrix ricambiò lo sguardo.
«Voldemort è tornato. Ha già radunato il suo esercito ed é più potente che mai. Ha cominciato ad uccidere molti suoi oppositori, ma i giornali, compreso il Ministero, nascondono la verità. Ciò che più vuole è Harry Potter...» si ammutolì, sentendo dei passi nel corridoio del treno, poi riprese: « ...il suo scopo è finire ciò che ha cominciato. Ho sentito voci che parlavano di una profezia che li riguardava entrambi. Comunque ricorda bene, se Tu-Sai-Chi dovesse riuscire ad impadronirsi di Hogwarts oltre che del Ministero, allora sarà davvero finita.»
Beatrix impallidì.
Strify stava per aggiungere qualcos’altro, ma qualcuno bussò alla porta e apparì un’anziana signora, robusta, con grossi occhiali pacchiani, «Qualcosa dal carrello, cari? » 
Dopo una buona mezz’ora Strify, guardò fuori dal finestrino.
«Siamo quasi arrivati, devo cercare gli altri guardiani... » 
«Mi ha fatto piacere conoscerti!» lo salutò la ragazza.
Il ragazzo sorrise, «Anche a me!»  disse alzando una mano, «Ci si vede in giro!» e uscì dallo scompartimento.
Beatrix guardò fuori, non riusciva a credere che fossero già arrivati, il tempo era passato davvero velocemente. Aprì il suo baule e prese la divisa di scuola, indossò la gonna grigia che le arrivava leggermente sopra alle ginocchia, la camicia bianca in raso, un pullover grigio con orli verdi che la teneva al caldo, una cravatta verde e argento con lo stemma di Serpeverde, le calze e scarpe nere con il cinturino. Infine s’infilò il mantello e si sistemò i capelli sciolti dietro alla schiena, mise dentro al baule i vecchi indumenti e lo chiuse.
Il treno si fermò completamente. Beatrix prese il suo bagaglio ed uscì nella fresca brezza serale di Hogsmeade.
La città era deserta, se non fosse stato per i tanti studenti che scendevano dal treno. Hagrid, il mezzo-gigante guardiacaccia, si occupava di radunare i primini e di condurli ad Hogwarts, mentre gli altri studenti prendevano le carrozze che si trainavano da sole per raggiungere la scuola.
«Bea!»
I suoi amici si stavano avvicinando, ma mancava Grace.
«Ehi, ragazzi! » li salutò.
Gli amici caricarono sulla carrozza i loro bauli e salirono.
«Dov'eri? Noi ti aspettavamo al solito scompartimento... »  spiegò Helen sistemandosi un ciuffo ribelle dei suoi dread bruni, «Sei stata tutto il tempo da sola? »
«No, è entrato un ragazzo all'improvviso e ho perso la condizione del tempo»  rispose Beatrix con tono ironico, mentre la carrozza partiva alla volta del castello.
Cloe che stava facendo una bolla con una BigBabool, la fece esplodere, «Non ce la racconti giusta!»  esclamò con aria maliziosa.
«E' carino? »  chiese Jenny, facendole l'occhiolino.
«Come si chiama?»  domandò Erik, molto interessato.
«Ragazzi...ma che avete capito?» scoppiò a ridere Beatrix, facendo finta che fosse uno scherzo.
Erik che era seduto accanto a lei la punzecchiò con il gomito, « Dai, dai, dai »
Pensò che forse doveva dire la verità agli altri, alzò la testa, ma improvvisamente gli mancarono le parole. «Come avete passato l’estate?»  intervenì Jenny, vedendo che l’amica si era ammutolita.
Il resto del viaggio lo passarono dimenticandosi di quell'argomento, si raccontarono come avevano trascorso l’estate e le novità. Beatrix si rese conto che qualcosa era cambiato in lei. Quando era partita da Londra credeva che una volta arrivata ad Hogwarts sarebbe tornata ad essere felice, invece si sentiva turbata anche se era circondata dai suoi amici si sentiva sola.
Nella Sala Grande dopo che tutti presero posto ai tavoli e i primini furono smistati, Silente s’alzò dalla sua sedia dorata e salutò tutti con un gran sorriso. Era un uomo molto anziano, ma era considerato da tutti un mago eccentrico e brillante, ed era anche l’unico mago che Voldemort temesse.
Albus Silente aveva una lunga barba e capelli che parevano argentei, sul lungo naso poggiavano degli occhiali a mezzaluna che gli conferivano un'aria da vecchio saggio.
La sua voce si udì forte e chiara nella grande sala, ottenendo il silenzio di tutti:
«Ai nuovi arrivati benvenuti! Ai nostri vecchi amici … bentornati! Adesso non perdiamoci in chiacchiere. Dateci dentro! »
Gli studenti applaudirono e, in poco tempo, sui tavoli prima vuoti, comparirono pietanze di ogni tipo: arrosti, pasticci, verdure e condimenti, boccali di succo di zucca.
Gli studenti affamati iniziarono a riempirsi i piatti e a chiacchierare con gli amici ritrovati.
Beatrix aveva una fame tremenda, sul treno presa dalla conversazione con Strify si era dimenticata di pranzare. Si servì del pollo, pasticcio e patate arrosto, si riempì il calice con del succo di zucca e iniziò a mangiare: il sapore di quel pasticcio di carne era ottimo, ma quelli che cucinava sua madre erano ancora più buoni... improvvisamente fu presa dalla nostalgia e le si chiuse lo stomaco. E se non l’avesse più rivista? Non l’aveva neppure salutata.
Quando la ragazza alzò lo sguardo sulla tavola, s’accorse che al posto degli arrosti c’erano montagne di dolci e di frutta. Beatrix s'allungò per prendere una pesca, ma scontrò la mano contro quella di Erik, si guardarono sorridendosi, lui stava per dirle qualcosa, ma il suo vicino Blaise Zabini, un ragazzo di colore con gli zigomi pronunciati, lo chiamò facendogli una serie di domande sulla nuova squadra di Quidditch di Serpeverde, visto che per quell'anno era Erik il caposquadra.
Il professor Silente s’alzò di nuovo, chiedendo silenzio agli studenti.
«Bene, spero che il banchetto sia stato di vostro gradimento. Ora, vorrei ricordarvi delle regole fondamentali non trasgredibili. É severamente vietato l’ingresso nella foresta proibita a qualsiasi studente. Dopo le ore undici di sera è vietato trovarsi fuori dalla propria sala comune. Ogni studente che infrangerà le regole sarà sottoposto ad una punizione e farà perdere punti alla propria casata. Quest’anno ne dovrete avere la massima osservanza, perché Voldemort...»  e ci furono dei sussurri «...è in circolazione. Hogwarts è certamente un luogo sicuro, ma la cautela deve essere sempre presente. Se notate qualcosa di strano, nelle vicinanze del castello, vi prego di renderlo noto ai professori. Grazie! Ed ora, andatevi a riposare, domani è il vostro primo giorno di lezione. I direttori delle rispettive case consegneranno gli orari dei corsi a ciascun studente. Buona notte! »
Ci fu un trambusto di panche spostate, i ragazzi s’alzarono e s’avviarono insieme ai prefetti, che avevano il compito di accompagnare i primini nelle rispettive sale comuni.
«Allora Bea durante l’estate hai incontrato qualche ragazzo interessante?»  chiese Erik investigatore, con una nota di ironia. Erik era un ragazzo affascinante, dai lineamenti fini, magro e alto, aveva ricci e corti capelli bruni e dei bellissimi occhi verdi.
Il ragazzo era un po' geloso, si comportava in  modo protettivo nei suoi riguardi, ormai si conoscevano da sette anni e Beatrix lo considerava uno dei suoi migliori amici.
«Mi mancavano le tue battutine! »  esclamò la ragazza appoggiando la testa sulla spalla di lui.
«Attenta che così i tuoi pretendenti s'ingelosiscono! »
I due scoppiarono a ridere.
Erano arrivati nei sotterranei di Hogwarts. Si trovavano davanti alla vecchia porta antica che faceva da entrata alla loro sala comune. Come al solito, una voce serpentesca sibilò: «Parola d’ordine? »
Ogni casata aveva una parola d’ordine, per accedere alla propria sala comune, e questa cambiava ogni due settimane. Solitamente veniva affissata su di una bacheca interna, ma loro erano appena arrivati.
«Fama! »  rispose Erik.
L’ingresso s’aprì ed entrarono.
La sala comune dei Serpeverde era una stanza circolare, le finestre s’affacciavano sulle profondità del Lago Nero, non di rado capitava di scorgere qualche calamaro gigante, o altre creature acquatiche ancora più fantastiche. L’atmosfera era avvolta da un’aura di mistero e illuminata da una luce smeraldina che penetrava dalle finestre e s’irradiava ovunque, dando l’impressione di essere su di un relitto sul fondo del mare.
L’arredamento era costituito da poltrone e sofà di pelle nera, tappeti verdi e argento, lampade che diffondevano nella stanza luce verde che richiamava e vivificava l’effetto irreale di quel luogo. L’unica fonte di calore proveniva da un gran camino di marmo, abbellito da statuette, teschi e l’immancabile emblema di un serpente.
Beatrix amava quel posto, aveva tanti ricordi passati lì dentro, lunghe giornate passate a studiare, interminabili temi su rotoli di pergamena, ma anche chiacchierate, risate, partite a scacchi e a carte magiche (di gran lunga più divertenti di quelle babbane). Quello era il posto dove aveva passato sette anni della sua vita e che le aveva dato tutto. Era casa.
Ralph, Saetta, Crow e Spike (i due gufi, il corvo e il pipistrello dei quattro amici) giocavano liberi per la stanza, mentre i loro proprietari, parlavano seduti su uno dei divani.
Beatrix intravide Cloe, stava per chiamarla, ma tacque, vedendo che era impegnata a scambiarsi effusioni, seduta in braccio al suo ragazzo.
«Mi sembra che Cloe sia un po’ occupata al momento...»  disse Helena, guardando i due dall'altra parte della stanza.
«Non ha più tempo per noi, evidentemente»  Victoria era visibilmente nauseata.
Beatrix distolse lo sguardo.
«Smettetela di fare le pettegole. Avete sentito la notizia?!»  domandò Erik alle tre, «C’è stata una fuga di massa da Askaban! »
Beatrix impallidì a quelle parole, ritornandole in mente lo sguardo fisso e sprezzante di sua zia.
«Era sulla gazzetta del profeta, vero? Mi pare di averlo letto»  disse Victoria allungandosi all'indietro per prendere qualcosa.
«C’è chi dice che sia stato V... Voi-Sapete-Chi in persona a liberarli!»  chiarì Helena, dimostrando che era informata sull’argomento «E questo dimostra che Potter non mentiva, è davvero tornato!»  concluse.
Victoria nel frattempo aveva tirato fuori dalla sua borsa, ancora da disfare, un giornale spiegazzato, la data era di 5 giorni prima, il 27 agosto.
«Ecco qua »  indicò Erik, distendendo il giornale ed andando alla pagina dell’articolo, ed iniziò a spiegare, «La cosa strana è che non sono stati liberati tutti i prigionieri, ma solo dei Mangiamorte tra i quali Rabastan, Rodolphus e Bellatrix Lestrange. Condannati all’ergastolo tutti per lo stesso motivo: partecipazione ad organizzazione sterminatrice razziale, pluriomicidio e … »  
«… per aver torturato fino alla pazzia Frank e Alice Paciock. I genitori di Neville»  concluse Beatrix, abbassando gli occhi.
Sentirono uno strano silenzio attorno a loro, così si voltarono e riconoscendo l’uomo alla soglia tutti gli studenti si alzarono in piedi in segno di rispetto verso il professore. Severus Piton, professore di Difesa Contro le Arti Oscure e direttore della casa dei Serpeverde, era un uomo di mezza età, abbastanza alto, con capelli unti e neri e gli occhi scuri come il carbone, severo come annunciava il nome e il volto assolutamente inespressivo.
Accanto a lui, levitava, una pila di fogli che con un colpo di bacchetta, iniziarono a distribuirsi per tutta la stanza, sistemandosi nelle mani degli studenti.
«A partire da domani, seguirete questi orari. Le lezioni cominciano alle 8.30 e finiscono alle 12.30 per il pranzo. I corsi pomeridiani si terranno dalle 14.00 fino alle 16.00. Ci sono domande? Spero di no. »  ci fu una pausa, alcuni studenti sussurrarono qualcosa tra loro, ma nessuno disse nulla.
«Il Professor Silente mi ha chiesto di informarvi sulla presenza di nuovi ospiti, hanno il compito di controllare il castello. E vi prega di non disturbare il loro lavoro...»  poi sussurrò più tra sé: «Come se ce ne fosse bisogno!»  guardò con intesa verso Draco Malfoy che restituì uno sguardo compiaciuto al professore.
«Beh, buona notte! »  fu talmente insolito quel comportamento che sembrò detto quasi in modo ironico, poi si girò e uscì lasciando il silenzio rotto dai sussurri dietro di lui.

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Capitolo 5
*** Tra due litiganti il terzo gode ***


 
 

Capitolo 5

Tra due litiganti, il terzo gode




 
Il giorno successivo Beatrix s’alzò di buon’ora, dopo una sana e ricostituente dormita.
Quella mattina c’era un gran schiamazzo nella Sala Grande, i primini erano in agitazione per la loro prima lezione e i prefetti cercavano inutilmente di calmarli.
Beatrix si sedette sulla panca dei Serpeverde, a malincuore, vicino a Vincent Tiger il grosso bullo molto stupido, amico di suo cugino Draco.
Beatrix si servì il cappuccino nell'attesa dell'arrivo dei suoi amici. Prese una fetta biscottata e cominciò a spalmarci sopra una buona quantità di crema di nocciole. Quando ad un tratto, la vista le si oscurò, sentì delle mani calde sugli occhi e una voce sussurrarle all'orecchio «Indovina chi sono... »
Beatrix sussultò perché la voce era identica a quella di Draco Malfoy, ma era impossibile che fosse lui.
«Ti arrendi? Forse così mi riconosci… »  sentì le labbra di Erik baciarle la guancia
«Forse ieri sera hai mangiato troppi dolci! » scherzò la ragazza, scompigliandogli i capelli.
«Ogni tanto bisogna dimostrare i propri sentimenti alle persone che ti circondano, altrimenti inizieranno a pensare che sei senza cuore»  rispose il ragazzo, usando un tono teatrale sulle ultime parole. Beatrix gli sorrise e ricambiò il bacio sulla guancia, lasciandogli il segno del rossetto.
«Mi mancava solo questo per essere un vero sex symbol! »
Scoppiarono a ridere.
«Ieri sera cercavi di dirmi qualcosa?»  chiese la ragazza, mentre addentava l'ultimo pezzo della sua fetta biscottata. «Sì, giusto! Ti volevo chiedere... »  iniziò a dire Erik, ma Beatrix non lo ascoltava, aveva visto Grace al tavolo dei Grifondoro. Doveva andare a parlarle.
«Hai visto un fantasma?» le domandò Erik.
Beatrix distolse lo sguardo dall’amica.
«Non mi sorprende visto che ad Hogwarts ci sono quattro fantasmi...»  gli rispose Beatrix scherzando, ma Erik la guardò investigatore. «Sto bene, scusa... ehm... cosa stavi dicendo?»
Erik ripetè quanto aveva detto, visibilmente scocciato. «Lunedì prossimo ci sono le selezioni per la nuova squadra di Quidditch di Serpeverde. Mi farebbe piacere se tu venissi a provare.» 
Beatrix posò la tazza sul piatto e guardò Erik per vedere se era serio. La sua risposta in realtà doveva essere tutt'altra, ma fu intenerita dall’espressione dell’amico. Questa volta non scherzava, doveva tenerci davvero molto.
«Va bene. A che ora?»
Il lungo viso del ragazzo s'illuminò e un sorriso colmo di gioia gli si dipinse sul volto.
«Brava! Alle 17.00, al campo di Quidditch! »
«Perfetto, ci sarò! Ora devo andare, ci vediamo a lezione!»  salutò Beatrix, dando due baci all'amico, prese la borsa da sotto la panca e se la mise a tracolla mentre si dirigeva verso l'uscita della sala, ma Grace era già sparita. Beatrix pensò che magari poteva essere ritornata al suo dormitorio, così salì le scale fino al settimo piano e percorse vari corridoi fino ad arrivare all’ingresso della sala comune dei Grifondoro. Non le era permesso entrare, essendo di un’altra casa, così aspettò fuori, subendo varie occhiate sospettose dagli studenti che uscivano. Stufa di essere costretta a subire quelle occhiatacce, trovò un’amica di Grace e le chiese se era dentro. Le rispose di no che non era più tornata in camera dopo la colazione.
Ritornò indietro, innervosita dall'aver perso tempo inutilmente, scese le scale fino al secondo piano, dove aveva lezione di Difesa contro le Arti Oscure. Improvvisamente le venne l'orribile dubbio che Grace fosse scappata via proprio per evitare di parlare con lei.
Entrò nel bagno della ragazze, dirigendosi verso il lavandino per calmarsi.
Sentì una porta chiudersi. Beatrix si voltò e si trovò faccia a faccia con Grace.
«Ti stavo cercando! Cosa succede? Voglio solo parlarti!»
L’amica scosse la testa e cercò di divincolarsi per uscire dal bagno, ma Beatrix senza rendersene conto le aveva afferrato il polso.
«Lasciami! Non voglio parlare con te! Sei uguale a lui!» le urlò contro Grace, «Ti ho detto di lasciarmi andare!»
Beatrix se ne rese conto e mollò la presa.
Grace la fissò con gli occhi pieni di lacrime, sorrise falsa, poi si portò le mani al foulard che teneva al collo e se lo tolse, aveva un grosso livido nero sul collo. «Questo è quello che mi ha fatto tuo cugino, qui a Hogwarts, ha detto che non dovevo tornare che quelli come me moriranno tutti... oh, ma perché ti sto dicendo questo!»
«Invece devi dirmele queste cose, Grace! Sono tua amica... »
«Amica? Anche io lo pensavo! Forse c’è qualcosa che dovresti dirmi?» 
Le parole di Grace la fecero trasalire.
«Ha detto… che molto presto quelli della mia razza scompariranno tutti. E che tu e lui sarete tra quelli che lo faranno...»
Beatrix aveva insistito tanto per parlare, ma mai si sarebbe immaginata di arrivare ad un simile argomento, non in quel modo.
«Grace la cosa che mi stupisce è che sei stata ad ascoltarlo. Lo sai che Draco è…» 
«C’è l’hai anche tu?» la interruppe Grace, prendendole il braccio destro.
«Grace cosa...»
La ragazza le tirò su la manica.
«Cosa pensavi di trovare, Grace?» disse sfilando il braccio dalla sua presa,  «Io non sono come mio cugino, mi sorprende che ancora tu non l’abbia capito!»
«I tuoi sono Mangiamorte?»
«Sì»
«I miei genitori sono stati uccisi dai Mangiamorte...»
«Lo so, Grace, ma...»
«No! Chiamami come sono davvero per te, Mezzosangue… non capisco come mai sto perdendo tempo con te… non sono l’amica che corrisponde alle caratteristiche della tua classe sociale? Scusa se ho sporcato, il terreno dove stai camminando!»
«Grace, perché non vuoi ascoltarmi? Grace!!» 
Ormai l’amica era uscita dal bagno e lei era rimasta lì ferma ed incredula davanti al lavandino. 
Grace non le parlò per il resto della giornata, né per i giorni successivi, faceva finta di non vederla quando s'incrociavano, non la salutava più. Odiava Draco e quello che aveva fatto alla sua amica. Odiava il disprezzo. Odiava Voldemort, i Mangiamorte e la sua famiglia. Tanto che tagliò i rapporti con tutti. I giorni a seguire Beatrix s'isolò, cercando di pensare soltanto alla scuola, ma con così tanti pensieri in testa era ancora più difficile. Inoltre le ore sembravano interminabili, i professori continuavano a sottolineare che quell’anno gli studenti del settimo anno avevano gli esami M.A.G.O. (Magie Avanzate di Grado Ottimale) e che dovevano impegnarsi costantemente per superarli. 
Lunedì pomeriggio, Beatrix si trovava in Sala Comune seduta ad un tavolo. Svolgeva il tema di due pagine di pergamena per Erbologia: definizione della Sanguisuga Stritola e come liberarsene.
Dopo circa un'ora posò la penna d’oca e fece asciugare l’inchiostro, rilesse tutto, arrotolò il foglio e lo mise nella borsa. La mente vagava da tutt'altra parte.
“Ora concentrati sul Quidditch!” pensò. Alzandosi, aprì con cautela il suo vecchio baule e ne tirò fuori la sua Nimbus duemila, comprata durante l'estate del secondo anno e usata solo per le lezioni, gli anni successivi non l’aveva più neanche tirata fuori e adesso si chiedeva se fosse stata ancora capace di salirci sopra.
Indossò degli abiti comodi, una maglia verde scuro e dei leggins neri, per evitare di essere impedita nei movimenti, si legò i capelli in una coda alta, si mise il mantello da Quidditch di Serpeverde e impugnando la scopa uscì dalla stanza.
In corridoio camminò lentamente, il castello era stranamente silenzioso, l’unica presenza era il fantasma di Serpeverde, il Barone Sanguinario: un torvo, silenzioso e terrificante spettro ricoperto di macchie di sangue. Il Barone un tempo amava Helena Corvonero, figlia di Cosetta. Dopo un rifiuto da parte di quest’ultima, la uccise. In preda al rimorso, si suicidò con la stessa lama.
Non parlava mai, però solo a guardarlo incuteva timore. Non considerò Beatrix e passò oltre.
Poco dopo la ragazza si ritrovò all’aria aperta del giardino. Era una bellissima giornata di sole, tempo perfetto per il quidditch.
Dirigendosi verso il campo, notò parecchi studenti che svolgevano i compiti distesi sul manto erboso oppure riposavano appoggiati ai tronchi degli alberi, questo spiegava il perché il castello fosse così silenzioso.
Luna Lovegood, una ragazza di Corvonero amica di Jenny, le sorrise e la salutò con uno sguardo trasognante, ritornando poi sul libro che teneva rovesciato sulle ginocchia.
Beatrix arrivò al campo in pochi minuti e si accorse subito del gran numero di aspiranti giocatori, scorse anche Draco tra questi e l'ondata di odio si riaccese. Non ebbe tempo ad avvicinarsi a lui e tirargli un pugno perché Erik richiamò l'attenzione di tutti e li fece riunire. Mostrava con orgoglio la sua divisa da Capitano, verde con le rifiniture in argento, che gli calzava a pennello.
«Bene, credo che ci siamo tut…» , ma s'interruppe vedendo arrivare di corsa una ragazza che raggiunse la folla col fiatone, era Cloe.
«Scusate.. il... ritardo »
«Per questa volta va bene Cloe. Voglio che fate un giro di riscaldamento, tanto per ambientarvi un po', dopodiché procederemo con l’allenamento»  annunciò Erik prendendo il suo manico di scopa, «Forza, scattare!»
Beatrix si mise a cavalcioni sulla scopa e, pregando di ricordarsi le regole base, dandosi la spinta necessaria, si liberò nell’aria. Volare era un emozione fantastica, essere liberi dalla terra, sovrastare le leggi della fisica, superare la gravità. Fece alcuni giri per il campo, sentiva il vento sferzarle il viso, lo aveva previsto, infatti aveva fatto un incantesimo su se stessa in modo che non le lacrimassero gli occhi mentre volava.
Erik volò al centro del campo e radunò tutti i ragazzi attorno a lui, «Adesso si fa sul serio. Iniziamo una partita e vediamo come ve la cavate. La prima squadra sarà formata da... Serena, Theresa… Victor, Goyle, Kate… Anne e… Beatrix. I restanti formano la seconda. »  disse indicando ciascun nominato.
Le regole del Quidditch non erano difficili: una squadra è formata da tre cacciatori che hanno il compito di passarsi la pluffa (palla leggera) e cercare di segnare attraverso i tre cerchi (le porte) posizionati ai due lati opposti del campo; due battitori muniti di mazza, hanno il compito di difendere i propri compagni e disarcionare gli avversari con i bolidi (palle stregate e programmate per buttare giù dalla scopa); un portiere che deve difendere i tre cerchi per la sua squadra; un cercatore che ha il compito di prendere il boccino d’oro (pallina piccola e veloce che vola da sola) prima della squadra avversaria.
Beatrix si era proposta come battitore insieme a Victor, i loro avversari erano Margaret e Draco.
«Pronta a cadere dalla scopa?»  le disse sprezzante Malfoy.
«Sta' zitto e pensa a giocare senza imbrogliare. Se ne sei capace.»  gli rispose Beatrix di rimando, senza perdere la concentrazione. Prese la mazza che gli porse Erik, poi quest’ultimo scese a terra e aprì un grosso baule marrone composto da innumerevoli cinghie. Prese in mano una piccola scatolina e l'aprì liberando il boccino d’oro che volò via ad una velocità incredibile. Poi slegò i due bolidi dalle rispettive cinghie e anche questi partirono, iniziando a volare in alto. Infine prese la pluffa e la lanciò in aria. Fischiò.
La ragazza identificò la posizione dei due bolidi e mentre Victor colpiva uno dei due, lei si diresse verso il secondo, impugnò la mazza e si tenne saldamente alla scopa con la mano libera, fece uno scatto in avanti, ma Draco si fiondò ad una velocità sorprendente davanti a lei, colpendolo al suo posto. Il bolide volò in direzione di Anne. Beatrix fece il giro del campo e si tuffò in picchiata per pararlo, riuscì a rispedirlo contro Malfoy, ma lui non era più nello stesso punto di prima. La ragazza constatò che non era così facile come sembrava, il compito del battitore era forse il più faticoso tra tutti, ci voleva una grande forza nelle braccia, infatti dopo mezz'ora cominciò a sentire dolore alle spalle e la mazza iniziava a pesare. Distratta dalla fitta di dolore, perse la posizione dei bolidi, così si fermò, guardando in tutte le direzioni. S’accorse troppo tardi, che era stata una mossa sbagliata: i due bolidi precipitavano verso di lei. Iniziò a farsi prendere dal panico: non sarebbe riuscita a respingerli indietro tutti e due con la sola forza di un  braccio, ma se non voleva finire in infermeria doveva decidersi.
Prese l’equilibrio necessario e staccando entrambe le mani impugnò saldamente la mazza, prese la mira e quando furono abbastanza vicini, colpì i due bolidi nello stesso momento e questi s'abbatterono verso terra. Dando il colpo però Beatrix perse l’equilibrio, cadendo in avanti. Si ritrovò, fortunatamente, aggrappata al bastone della scopa, ma sapeva che se fosse balzata oltre sarebbe caduta da venti metri d'altezza. Nonostante fosse fuori pericolo, il cuore continuava a battergli all’impazzata e l’adrenalina a scorrerle veloce nelle vene.
Erik, nel frattempo, aveva bloccato con un incantesimo i due bolidi, anche perché Draco invece che eseguire il suo compito, li aveva scansati e per poco non avevano preso un cacciatore. Cloe, nel bel mezzo di quel trambusto era riuscita ad afferrare il boccino, muoveva il braccio tenendo il pugno chiuso da cui uscivano due ali sottili e dorate. La partita era finita.
Beatrix fu contenta di ritoccare la terraferma.
A Erik, ora, toccava declamare la sua decisione riguardo la squadra.
«Innanzitutto volevo ringraziarvi per aver partecipato alle selezioni, so che non vedete l'ora di sapere chi è stato scelto, quindi vediamo di andare subito al punto... »  fece una pausa, e continuò: «Mi sembra ovvio che Cloe sarà la migliore cercatrice che la squadra abbia mai avuto, »  annunciò Erik elogiando la ragazza che esultava facendo segno di vittoria, mentre Draco diventava rosso di collera, visto che al secondo anno lo era stato lui.
«…hai una buona presa e sei molto agile sulla scopa più di quanto sembri Goyle, sarai il nuovo portiere... »  annunciò, rivolgendosi al nominato che per la prima volta vide sorridere di gioia.
«Paul, Kate, Serena mi spiace, siete veloci, ma non avete quella mira che hanno Ann, Jack e William! »
I ragazzi che erano passati esultarono, s'abbracciarono e presi dall'entusiasmo non ascoltarono più ciò che aveva da dire Erik.
«Credo che tu debba cercare il significato di battitore sul dizionario, Malfoy. Da quando in qua si schiva? Hai messo in pericolo una tua compagna di squadra...»
«Mi sembra ovvio di come siano andate queste selezioni... »  borbottò il nominato.
«Hai qualcosa da dire, Malfoy? Dillo a voce alta.»
Draco usò il suo tono impertinente, «Hai deciso di far passare solo i tuoi amici Draven?»
«Forse sarebbe meglio che la prossima volta te la sudi l'entrata in squadra, non m'importa niente dei soldi di tuo padre, Malfoy, non servono per comprare la nostra vittoria... »
Draco sorrise falso, «Dovevo immaginarlo... forse avresti avuto più probabilità nello spogliatoio da solo con te...»
Il volto di Erik si contorse in un’espressione mista di odio e disgusto.
I presenti erano sicuri che gli sarebbe saltato addosso da un momento all'altro, ma invece si voltò «Mi dispiace, non sei il mio tipo...» disse Erik, riprendendo ad assegnare i ruoli come se nulla fosse, come se le offese di Malfoy gli scivolassero addosso, perché non si sarebbe abbassato al suo livello, non avrebbe perso il ruolo di capitano per colpa di quell'invidioso di Draco.
«Victor… se fossi stato in una partita vera avresti fatto perdere l'intera squadra, hai lasciato che Beatrix respingesse due bolidi contemporaneamente a causa del tuo mancato intervento. Quindi brave Margaret e Beatrix, siete le nuove battitrici!» comunicò Erik.
Beatrix non si era ancora ripresa dalla sorpresa che si sentì abbracciare da qualcuno, «Brava! » disse Cloe su di giri con ancora in mano il boccino d’oro che aveva catturato, «Tu di più! »  disse sorridendo soffocata dalla stretta dell’amica.
«Ragazzi che squadra! Grandi! Vinceremo la coppa, me lo sento! »  urlò Erik facendo esplodere la sua felicità, ormai tutti si erano dimenticati di Malfoy. S'abbracciarono e gridarono in coro: «Merda,merda,merda »  
Tutti tornarono al dormitorio di Serpeverde. Beatrix e Cloe aiutarono Erik a mettere a posto il baule del Quidditch e uscirono per ultimi dal campo.
«Siete state bravissime, ragazze! »  disse Erik, raggiante, «Sono contento di avervi in squadra e posso assicurarvi che non è per favoritismi... »
«Grazie Erik »  rispose Cloe, sciogliendosi i lunghi capelli biondi che aveva raccolto in una coda.
«Anche tu sei stato grande oggi! »  disse Beatrix, passandogli un braccio attorno al collo.
Erik si rabbuiò.
«Forse dovevo picchiarlo, forse gli passava la voglia... »  considerò Erik, mentre camminavano verso il castello.
«Hai fatto benissimo così, Erik. Potevi rischiare di perdere il tuo posto di capitano... »
«Ma davvero ti voleva pagare? »  chiese Cloe, incredula.
«Sì, 1000 galeoni per un posto in squadra. Il che voleva dire vittoria persa e squalifica.»
«Lascialo perdere è solo un viziato presuntuoso... oh Emily dov'eri finita? Sai che sono nella squadra... »  Cloe incontrò una ragazza di Serpeverde e si fermò a parlare con lei.
Erik e Beatrix andarono avanti, «Tra pochi minuti lo saprà l'intera scuola...»  disse ridacchiando Erik, «Ma sono felice che lei sia contenta.»
Continuarono a camminare, ma non più verso la scuola, ma verso una collinetta, dove si potevano sedere per vedere tramontare il sole.
«Tu sei felice?»  gli chiese.
«Sì, Erik. Sono contenta perché il tuo sogno si è avverato.»  disse sedendosi, senza staccare gli occhi dal cielo tinto delle varie sfumature di rosso.
«Sto parlando in generale»  
Beatrix lo guardò e vide che la stava guardando.
Lei abbassò lo sguardo e scosse la testa.
«Se vuoi, ti ascolto »
Lei lo guardò ancora accennando un piccolo sorriso che lui ricambiò.
Gli raccontò tutto della sua famiglia e della scelta che doveva fare, di Grace e di Draco e una volta finito il sole era ormai sparito e intorno a loro era calata l'oscurità della sera.
Erik non disse niente.
«Meglio andare adesso...»  aggiunse la ragazza.
Una volta in piedi, Erik disse: «Hai bisogno di una cosa per affrontare tutto questo.»   La ragazza sollevò lo sguardo verso l'amico che la circondò in un abbraccio stringendola a sé, «Non devi più essere sola »  le sussurrò nell'orecchio. La ragazza lo strinse e non riuscendo più a trattenersi scoppiò a piangere sulla sua spalla. 

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Capitolo 6
*** La notte delle streghe ***


 

Capitolo 6

La notte delle streghe 

 
«Bella giornata non è vero? » Malfoy aveva stranamente preso posto accanto a lei e aveva un sorrisetto trionfante dipinto sul volto, «...una splendida giornata! Il sole splende, gli uccellini cantano… »
«Che vuoi? »  lo interruppe Beatrix, senza nascondere il fastidio che provava per la sua presenza.
«Oh ma come siamo irascibili stamattina... è per via della mezzosangue e di quel tuo... come chiamarlo...»  Malfoy si girò e fece un movimento effeminato, per poi dire con lo stesso tipo di voce: «...amichetto»
Beatrix si voltò verso Draco, trattenendosi dal tirargli un pugno in quella sua faccia presuntuosa.
«Se oserai di nuovo toccare Grace o Erik, ti giuro che...»
Il ragazzo sorrise di nuovo, «Cosa? Dovresti ringraziarmi invece, ti sto facendo un favore...» disse con voce irrealmente seria, «...il tuo tempo sta per scadere...»
Proprio in quel momento atterrò sul tavolo, vicino a lui, un barbagianni con nel becco una lettera, il ragazzo gliela strappò di bocca e senza controllare il mittente se la mise nella tasca del mantello.
«Leggi la Gazzetta del Profeta» disse mentre si alzava per andarsene.
Beatrix non disse una parola. Era tanto sbalordita da quello strano comportamento di suo cugino che gemette quando si sentì beccare le dita da Ralph. Prese qualche noce sgusciata e gliela diede come ricompensa. Il gufo si accucciò, portando in avanti la testa piumata per ricevere qualche grattino. Mentre la ragazza faceva le coccole a Ralph con una mano, con l'altra controllava la posta. Quando trovò la Gazzetta del Profeta si dimenticò di Ralph e cominciò a leggere, sulla prima pagina un'unica notizia occupava l'intera facciata.
Grande lutto al Ministero della Magia: Rufus Scrimgeour è morto (articolo intero pagina 1)
 
“E' morto la scorsa notte, colpito da un malore, il Ministro della Magia, Rufus Scrimgeour. E' stato  trovato nel suo ufficio, «Era riverso sulla scrivania, ormai non c'era più niente da fare»  annuncia uno dei maghi che hanno trovato il corpo.
Evidentemente voleva proseguire il suo lavoro fino all'ultimo respiro, Rufus Scrimgeour, dapprima capo del Dipartimento degli Auror e successivamente nominato Ministro della Magia grazie alla sua grande conoscenza e preparazione.  L'ultima azione per cui verrà ricordato è la condanna  dell'ex bigliettaio del Nottetempo, Stan Picchetto, ad Askaban con l'accusa di associazione alla confraternita dei, così chiamati, Mangiamorte.
Si conclude così, dopo pochi mesi, il comando di Scrimgeour sul Ministero della Magia.
Domani i funerali, in forma privata.”
 
«Un articolo un po' misero per ricordare il Ministro della Magia, non credi? »
Beatrix sussultò, «Cloe, non ti avevo visto, da quanto sei qui? »
«Abbastanza da aver letto tutto il giornale... vai a pagina nove.»
La ragazza obbedì.

 
CASO PICCHETTO RIAPERTO, NUMEROSI ERRORI DA PARTE DELL'EX-MINISTRO, PRESTO LE NUOVE ELEZIONI

“L'improvvisa scomparsa dell'ex-ministro Rufus Scrimgeour ha riportato alla luce diversi avvenimenti di dubbia certezza. «Abbiamo riaperto il caso Stan Picchetto, perché riteniamo che non sia stata fatta un'indagine accurata. Riesaminando la vecchia relazione sul caso emergono svariati errori e contraddizioni. Per mancanza di prove effettivamente valide, abbiamo deciso di concedere a Stan Picchetto libertà vigilata, fino a quando non verrà fatta maggiore chiarezza sul caso. »
Sembra quindi che sia stato accusato l'uomo sbagliato, ma Stan non vuole sporgere denuncia contro il Ministero, «I dipendenti del Ministero svolgono un grande lavoro di responsabilità, alcuni errori possono essere ammessi, altri no. Accetto le loro scuse e spero che non si ripeti più una cosa del genere, è stata un'esperienza terribile, davvero scioccante. »
«Il Ministero e l'intero mondo magico non possono restare senza una guida... »  afferma Sweeney Todd, vice-direttore del reparto della Cooperazione Magica Internazionale, questo pomeriggio verranno svolte le immediate elezioni per stabilire chi sarà il nuovo Ministro della Magia”

Beatrix rimase con lo sguardo fisso verso l'articolo anche dopo che aveva finito di leggere. Era scioccata, fu grazie a Cloe che riuscì a tornare alla realtà.
«E non è finita... » aggiunse l'amica, chiudendo il giornale e rovesciandolo. 
 
“Regole per una corretta convivenza”
“A causa della momentanea situazione, richiediamo una collaborazione da parte di tutti. Rivolgendoci in particolare ai maghi e le streghe di origine mista, di recarsi al Ministero della Magia per un semplice controllo di identificazione a scopi puramente di sicurezza. Inoltre qualsiasi persona scoperta a pronunciare il nome dell'Oscuro, sia in luogo pubblico che privato, andrà incontro a severe sanzioni e ad un'esemplare punizione. Tutto questo solo per mantenere la tranquillità della vita del popolo magico.”
 
Beatrix piegò la Gazzetta e si portò le mani alla testa.
Quello che aveva detto il ragazzo incontrato sul treno, Strify, si era avverato.
Il Ministero era caduto.
Ora toccava ad Hogwarts.
Quella sera, come ogni sera, il Preside si alzò richiamando l’attenzione degli studenti, «Buonasera a tutti voi, vedo i vostri volti impazienti di assaggiare le mille prelibatezze preparate, come sempre, dalle abili cucine della nostra scuola, quindi non perdiamoci in chiacchiere. Bon Appetite! » 
Sui tavoli comparvero lasagne al sugo di zucca, ravioli di carne, costolette al tartufo, bistecche, frittelle e altre deliziose cibarie e i ragazzi, come al solito, iniziarono ad abbuffarsi.
Una volta finiti i primi ed i secondi si materializzarono dolci di ogni genere e dimensione, torte a più strati o a più piani, teglie di biscotti appena sfornati, muffin e cupcake decorati a tema Halloween.
«Un caloroso grazie alle nostre fantastiche cucine che non ci deludono mai!»  esclamò Silente con un sorriso soddisfatto, «Ora passiamo alle cose serie... vista la velocità con cui girano le notizie nella scuola presumo che siate al corrente della scomparsa del Ministro della Magia, Rufus Scrimgeour. Quel che non sapete è che, contrariamente a quanto scritto sulla Gazzetta del Profeta, il Ministero ha già provveduto a nominare un sostituto. Il suo nome è Yaxley ed è un mago al servizio di Voldemort»
La sala si riempì di mormorii e sguardi spaventati.
«Ha pronunciato il nome... »
«E' pazzo! »
«Non posso crederci...»
Furono alcuni tra i commenti che Beatrix sentì al tavolo della sua casata. Silente continuò a parlare, ignorandoli: «Vi ho detto questo perché è giusto che voi sappiate la verità. Voldemort ha conquistato il Ministero e ora vorrà anche Hogwarts. Vuole creare un mondo popolato da soli maghi purosangue, per lui, i restanti, mezzosangue e babbani, non meritano di vivere insieme alla sua gente. Vi sto dicendo questo per mettervi in guardia, avvertite le vostre famiglie di non presentarsi a questi suddetti “controlli d'identità”. So che avete paura, è normale averne, ma dovete fare attenzione e in primis proteggere voi stessi. Non fatevi sopraffare dal male, anche se può sembrare la strada più semplice da scegliere...»
Ora la sala era avvolta in un silenzio sepolcrale.
«Si trova ovunque e dovunque andrete ci sarà, non potete scappare, ma potete vincerlo... » mentre diceva questo, posò lo sguardo su ogni singolo studente, uno a uno.
«Spero che le mie parole possano aiutarvi nelle scelte che vi riserverà la vita... »
Il Preside fissò la fiamma di una candela davanti a lui e si fece all'improvviso silenzioso e triste.
«Adesso andate ragazzi e passate una buona notte di Halloween »
«Stai bene?»  chiese Erik posandole una mano sulla spalla.
Beatrix aveva visto una ragazza dai capelli rossi passare davanti a lei. Si ricordò solo in quel momento della posta del mattino e che, insieme al giornale, aveva ricevuto una lettera da Grace.
«Sì, è solo che... »  iniziò a dire, aprendo la borsa e strappando la busta. Era un biglietto molto breve coperto da una calligrafia in stampatello:
Ciao Bea,
voglio chiederti scusa per quello che ti ho detto.
Ti aspetto stasera dopo cena davanti alla Sala Grande.
Grace

«Erik, scusa, mi ero dimenticata che stasera vedo Grace. Vi raggiungo più tardi in Sala Comune d'accordo?»
«Ho capito» rispose il ragazzo ricambiando il sorriso, «A dopo »
La ragazza si diresse verso l'uscita e vide Grace con le braccia conserte, appoggiata ad una statua.
«Scusa per il ritardo… »  iniziò a dire Beatrix, ma l'altra la interruppe avvolgendola in un abbraccio.
«Mi dispiace. Non riesco a capire come posso essermela presa con te per colpa di Malfoy… »
«L'importante è che non succeda più »  disse Beatrix sciogliendo l'abbraccio «E devi imparare ad ascoltare! »  Le due entrarono nella Sala Grande, quasi vuota, sedendosi al tavolo dei Grifondoro.
«Allora, ci sono delle novità? Ho sentito che tu e Cloe adesso fate parte della squadra di Quidditch di Serpeverde... »  disse prendendo due calici puliti e versandoci dentro un po' di succo di zucca.
«Sì. Erik è contentissimo per il suo ruolo e per la squadra, ha preso molto seriamente questo compito.»  disse Beatrix prendendo uno dei due calici.
«Ah sì, ho sentito di Erik... »  cominciò a dire Grace, prendendo l'altro.
«Cosa? »
«Beh, dicono che è gay »
«Chi lo dice? »
«Ho sentito che ne parlavano... »
«E anche se fosse? »
«Non è un problema per me. Sembra un tipo simpatico. Vedo che scherzate parecchio insieme.»
«È un vero amico... e comunque non sono venuta qui certo per parlare di Erik...»
Un silenzio teso scese tra le due ragazze.
«Cambiando discorso... tra scuola e allenamenti non c’è la faccio più, il prima possibile voglio organizzare un’uscita tutti insieme ad Hogsmeade, ti andrebbe di venire? »
«Oh sì. Mi farebbe molto piacere. Distrarmi un po'. Quei momenti passati insieme a voi mi mancano »  acconsentì Grace, contenta.
Beatrix alzò il calice, «Allora propongo un brindisi, alla nostra amicizia! »
«Alla nostra amicizia! »  ripetè Grace.
Le due ragazze si guardarono negli occhi, mentre scontrarono i bicchieri e bevvero incrociando le braccia. Scoppiarono a ridere e si riempirono di nuovo i bicchieri.
«Brindare con il succo di zucca...siamo delle ubriacone! »  esclamò Grace.
«Già. Ci vorrebbe qualcosa di più forte per poter superare certe cose... »  disse Beatrix posando il calice vuoto sul tavolo.
«Cosa succede? » 
Beatrix decise di non nasconderle più niente.
«Avevi ragione. Non sono stata del tutto sincera con te. Io... »  e le raccontò della sua famiglia e della scelta che doveva prendere.
«E cosa hai pensato di fare? »  chiese Grace, visibilmente turbata.
«Non lo so. Diventare una di loro, vorrebbe dire, rinnegare tutto ciò in cui credo. Seguire il mio cuore, vorrebbe dire combattere contro la mia famiglia. In entrambi i casi, c'è solo oscurità...»  Beatrix si fece triste, ma l'amica la illuminò con il suo sorriso, «E' qui che sbagli... una luce c'è sempre, anche se ora non riesci a vederla. La troverai, vedrai. »  Allungò un braccio verso di lei, prendendole la mano, «Capisco che hai paura... non devi affrontare tutto questo da sola, non ti abbandonerò. »
L’orologio risuonò nella sala.
«Grazie Bea »  disse l’amica, mentre si alzavano per tornare alle proprie sale comuni.
«E di cosa? »
«Di avermi detto la verità. »
«Semmai grazie a te, Grace »
Entrambe si guardarono e sorrisero.
«Non ci posso credere! »  esclamò Beatrix, aggrappandosi al corrimano per non cadere. Le scale avevano preso a muoversi.
«Odio queste scale, cambiano sempre direzione... »  disse Grace nella stessa posizione dell'amica.
«Sbrighiamoci »
Raggiunsero entrambe il pavimento fermo e guardarono il corridoio, che si apriva di fronte a loro cercando di capire a che piano si trovavano.
«Mi pare sia il settimo »  disse Grace, riprendendo a camminare.
C'era un silenzio spettrale, non avevano il coraggio di parlare per il timore di farsi sentire da Gazza, il bidello del castello che amava dare punizioni agli studenti che violavano le regole. E loro se ne meritavano una visto che erano fuori dal dormitorio oltre l'orario stabilito.
Erano quasi a metà corridoio quando le fiaccole che lo illuminavano si spensero.
«Ma insomma, che scherzi sono questi? »  iniziò a dire Grace, ma Beatrix la fece tacere «Shh. Non dovremmo nemmeno essere in giro a quest’ora» sussurrò.
«Ehi, hai sentito quel rumore? Sembra che provenga dal… » 
Entrambe trasalirono vedendo spalancarsi, di fronte a loro, una porta.
Grace stava per dire qualcosa, ma Beatrix come aspettandosi da sempre quel momento, le tappò la bocca e la spinse contro il muro, riparandosi dietro ad una statua.
Sentì un rumore di passi, tacchi e dei risolini. Sicuramente non era Gazza.
Beatrix si sfilò la bacchetta dalla tasca, restando in ascolto. Sentì, con sollievo, che i passi si stavano allontanando. Poi, improvvisamente, qualcuno parlò: «Non siamo soli! »
Beatrix e Grace trattennero il respiro.
Cosa fare? Beatrix pensò solo a fuggire, ma era azzardato, sarebbero state troppo esposte.
«Greyback, il Signore Oscuro ci ha dato un ordine preciso. Non abbiamo tempo da perdere. »
«Che dia pure l'allarme. Non vedo l'ora di uccidere qualcuno, altrimenti che gusto c’è?»  e seguì una risata malvagia. Poi i passi ripresero, allontanandosi.
«Dobbiamo avvertire Silente! » disse Beatrix, tirando per il braccio Grace.
«E' troppo lontano, non riusciremo a raggiungerlo in tempo... Vitious è a questo piano! »
Le ragazze presero a correre nel senso opposto, arrivando davanti alla porta della stanza del Professore d' Incantesimi. Bussarono forte. «Professore ci dispiace disturbarla a quest’ora... »  iniziò a dire Beatrix. «I Mangiamorte... i Mangiamorte sono entrati nella scuola! »  urlò Grace, in preda all'agitazione.
La porta si aprì e ne uscì un ometto basso con ancora la veste da giorno e gli occhiali da lettura sulla punta del naso. «Ne siete assolutamente certe?»  chiese il professore scrutandole con uno sguardo severo, «Non è uno scherzo di cattivo gusto, vero? »
«E' la verità. Hanno detto qualcosa a proposito di un compito affidatogli da V... dal Signore Oscuro. »
«Dove si trovavano? »  chiese, mentre si chiudeva la porta alle spalle.
«Proprio su questo piano. »  spiegò Grace, «E' comparsa una porta e loro sono usciti da lì. »
Il Professore, nel frattempo, aveva riacceso tutte le fiaccole con un colpo di bacchetta e prese a camminare veloce, seguito dalle ragazze che corsero per stargli dietro.
Vitious si voltò verso di loro, lanciandogli uno sguardo rigido e serio, «Tornate subito nella sala comune dei Grifondoro, anche tu Todd.. »  disse indicando Beatrix e voltandosi cominciando a correre.
«Ma professore… noi … »  cercò di controbattere Grace.
«Nessun ma, avete fatto il vostro dovere, ora fate come vi ho detto! »  ordinò, arrabbiato.
Le due si fermarono, mentre Vitious scompariva dietro l'angolo.
«Dovremo fare come ci ha detto... » 
«Tu se vuoi, torna indietro. Io non ci riesco, non posso nascondermi sapendo che la scuola è... »
Un grosso boato e delle grida provennero al piano inferiore.
Grace prese a correre.
Beatrix la seguì, la bacchetta stretta in pugno e il cuore che le martellava nel petto. Era una pazzia, ma non avrebbe abbandonato Grace.
Nel corridoio del quinto piano saettavano da ogni parte maledizioni e controfatture. A difesa della scuola erano intervenute diverse persone che non aveva mai visto prima, evidentemente il gruppo di Strify. Alcuni cadevano, altri si rimettevano in piedi e altri ancora non si rialzavano.
I Mangiamorte lanciavano attacchi feroci, molte volte alle spalle, colpendo persone distratte nel combattere con altre.
«Impedimenta! »  Grace aveva lanciato una fattura contro ad un mangiamorte che stava per aggredire un ragazzo di spalle. L'uomo bloccò l'incantesimo con facilità e rispedì indietro una maledizione senza perdono che la ragazza schivò per miracolo. Il ragazzo che stava per essere attaccato si accorse di ciò che era successo e colpì il mangiamorte che volò per qualche metro e cadde rovinosamente a terra.
«Grace! »  urlò Beatrix, facendole segno di andarsene di lì. Erano solo d'intralcio.
Proprio in quel momento furono superate da tre Mangiamorte che correvano in direzione dello studio di Silente. Le ragazze li inseguirono, lanciandogli contro diverse fatture, ma i loro sforzi sembravano vani. I tre varcarono l'ingresso senza rallentamenti. Beatrix e Grace corsero più veloce, avevano quasi raggiunto l'ingresso, quando una strana forza le scaraventò all’indietro.
«Cazzo! »  imprecò Beatrix, massaggiandosi la schiena dolorante.
«Dev'esserci una sorta di barriera invisibile, »  pensò Grace, alzando una mano e constatando che c'era qualcosa che bloccava il passaggio,  «Silente è là dentro! Dobbiamo fare qualcosa! »
«Silente è là dentro! Dobbiamo fare qualcosa! »
Le ragazze si voltarono.
Una figura incappucciata era davanti a loro e sghignazzava di gusto, «Questa non è la vostra battaglia, mocciose! Fatevi da parte... »
Le ragazze alzarono contemporaneamente le bacchette e la guardarono con aria di sfida.
«Oh, volete giocare? Sto tremando di paura! »le provocò, poi si portò una mano al cappuccio e si scoprì il volto. Gettando sulle ragazze un'espressione altezzosa.
Un brivido di freddo corse lungo la schiena di Beatrix. L’aveva riconosciuta anche con il viso coperto. Ora aveva la conferma che aver seguito Grace in mezzo a quella battaglia era stato sconsiderato, nonostante questo non abbassò la bacchetta.
«Forza, spostatevi, sciocche! Non ho intenzione di sprecare il mio tempo con voi... »  riprese Bellatrix, ma le ragazze non si mossero di un passo, rimasero impassibili davanti alla soglia impassabile.
La donna ringhiò: «Confringo! »
Entrambe le ragazze, per scampare alla fattura, balzarono di lato lasciando la soglia abbandonata. La donna sorrise compiaciuta, mentre si dirigeva verso la porta, ma Grace la bloccò urlando: «Incarceramus! Come ci si sente adesso? »
Le funi legarono la donna facendola cadere a terra.
Grace ridacchiò contenta, voltandosi verso Beatrix con un sorriso di vittoria, ma notando l'espressione dell'amica, riposò lo sguardo sul corpo della donna che si stava sgretolando, fino a sparire.
Incantesimo d’illusione, pensò Beatrix.
Entrambe si guardarono attorno, ma sembrava che Bellatrix si fosse dileguata. Tuttavia la ragazza sentiva una strana sensazione.
«Invece di nasconderti, fatti vedere.» gridò Grace, «Combatti... codarda! »
«Grace!» urlò Beatrix all'amica. Doveva controllarsi o sarebbero morte per davvero.
Sentì una presenza dietro di lei, si voltò di scatto, puntando la bacchetta contro il volto della donna, «Stupefi…»  ma evidentemente non era stata abbastanza veloce. Indietreggiò, dolorante, tenendosi una mano sul petto, per poi crollare sulle ginocchia.
«Oh, Beatrix, non costringermi ad ucciderti... tua madre non me lo perdonerebbe...» dichiarò la donna con un finto tono pentito. Alzò la bacchetta annullando la fattura che aveva lanciato Grace nel tentativo di colpirla approfittando della sua distrazione.
«Come mi hai chiamata prima?» 
Grace era con le spalle al muro. Bellatrix incombeva su di lei, il viso vicinissimo al suo.
«Codarda... »  ripetè con coraggio la ragazza, «Sei una codarda! »
La mangiamorte, prese il polso della ragazza e la tirò, scagliandola a terra «Crucio » urlò, fuori di sé.
Grace si contorceva dal dolore, le sue grida erano strazianti.
«No, Bellatrix! Non sa quello che dice lasciala perdere!» gridò la nipote sulle ginocchia.
«Dici, Beatrix? Ti farò un favore, te la toglierò di mezzo! »  esclamò Bellatrix con un sorriso raggiante sul volto.
Nonostante lo spasmo, Grace rispose: «Non...non mi fai paura... Bellatrix Lestrange...sei solo uno dei suoi burattini...mi fai soltanto pena! »
Cosa credeva di fare quella stupida di Grace? A che scopo le aveva raccontato tutto?
Bellatrix era fuori di sé dalla collera. Grace si mordeva il labbro per non darle la soddisfazione di urlare. La donna socchiuse gli occhi e alzò la bacchetta. «Av... »  Beatrix, non sapendo in quale altro modo aiutare l’amica, le si gettò addosso impedendole di scagliare la maledizione. La donna non aspettandosi quell'assalto alle spalle, perse l'equilibrio e cadde a terra insieme alla nipote.
Grace si precipitò a prendere le bacchette che erano rotolate lontano.
Beatrix si sollevò svelta, raggiungendo l’amica, ma scoprì che questa volta sua zia se n'era andata sul serio.
Le due ragazze stavano scendendo le scale, quando Grace s'arrestò.
«Dove stiamo andando? »  chiese piena di energia e per nulla spaventata da ciò che avevano appena vissuto. Cercava una battaglia da vincere, ma era così ottusa da non capire che la loro era già persa.
«Grace, abbiamo la sua bacchetta, di certo non se ne andrà senza. Gliela darò io, ma tu torna nella tua sala comune...»  le spiegò in tutta sincerità Beatrix, dato che si era ripromessa di non mentirle più.
Grace scese gli ultimi tre scalini, «Ti ho fatto una promessa, non ti abbandonerò. »
«Non mi stai abbandonando. Te lo chiedo come favore. »
«Ti ucciderà. »
«No, Grace, se sarò da sola, si riprenderà la bacchetta e se n’è andrà.»
Grace era meravigliata dal suo strano comportamento, tuttavia, dopo un lungo silenzio, cambiò tattica: «Torniamo indietro, insieme. Silente era dietro quella porta, ne sono sicura. Forse ha bisogno di aiuto. »   Era come se un leone tenuto in gabbia per tanto tempo, fosse di nuovo libero. Grace sembrava essere un’altra.
«Silente è un grande mago. Non gli serve il nostro aiuto.»  rispose Beatrix, senza abbassare la guardia, continuando a guardarsi intorno «Non siamo riuscite a passare da quella soglia, né tantomeno a ferire un mangiamorte. Cosa abbiamo ottenuto?» continuò, guardando Grace negli occhi «Dovevamo fare come ci aveva detto il Professor Vitious... »  Beatrix sperava che con quelle parole Grace avesse capito e non frainteso, ma ovviamente era troppo da chiedere.
«Credi che io sia un’incosciente, non è vero? »  le urlò Grace, «Questa è la mia unica casa Beatrix e la voglio proteggere. Io non sono ricca, non ho più i genitori… non ho nulla da perdere...»  strinse i pugni e proseguì: «Va bene se non vuoi tornare lassù, ma qualsiasi cosa vuoi fare la faremo insieme... »
Tra le due cadde il silenzio, l’una di fronte all’altra con le rispettive bacchette in mano si continuavano a guardare finché il sorriso di Grace si spense.
«Credi di essere l’unica a considerare Hogwarts una casa? Nemmeno io voglio abbandonare Silente. Non è questione di arrendersi o meno, ma di vita o di morte.»  riprese Beatrix, arrabbiata «Ti rendi almeno conto di ciò che hai fatto? Insultandola, l'hai sfidata. E' pazza e finché non t'uccide non avrà pace. »
Grace sgranò gli occhi, «Ah certo, è colpa mia se ora siamo in questa situazione. »
«Per favore, Grace, fai come ti ho detto, torna al sicuro nella tua sala comune, darò la bacchetta a Bellatrix e poi farò altrettanto »
«Cosa ti è successo? Non sei più quella che conoscevo, sei cambiata. Ti arrendi così? Consegnando una bacchetta? Tutto qui? »  domandò scuotendo la testa, «C’è solo una risposta a tutto questo, smettila di nascondermelo… »  Grace era fermamente convinta di ciò che diceva, ma non si rendeva conto di essere sconsiderata, «Tu hai già fatto la tua scelta... e chi mi dice che, magari, non vedi l’ora di sbarazzarti di me, proprio per aggregarti ad uccidere qualcuno con la tua cara zia. Io, di certo, non te lo permetterò! »  urlò Grace, furente, puntando la sua bacchetta contro il volto di Beatrix che non sapeva se pensare ad uno scherzo o se stesse facendo sul serio.
«Vedo che ho scelto proprio la persona giusta a cui raccontare il mio segreto. Complimenti Grace! Se volevi farmi incazzare ci sei riuscita. Spero che tu stia scherzando... sei ridicola! »  le rispose seria, ma capì che la conversazione non poteva durare in eterno, parlare con lei, in quel momento, non sarebbe servito a niente e che doveva farla andare via subito.
La nominata aprì la bocca per protestare, ma dei passi lungo il corridoio buio, la fecero tacere. Beatrix insistette per l’ultima volta: «Grace, ti prego, torna alla tua Sala Comune! » 
La ragazza mosse qualche passo in avanti, portandosi in un punto più illuminato, dava le spalle a Grace ed era in guardia, scrutando verso l’oscuro corridoio.
«Beatrix, ti stavo giusto cercando!»  disse sarcastica Bellatrix, ma la voce proveniva alle sue spalle.
La ragazza si voltò di scatto, presa alla sprovvista.
«Sono delusa dalle tue amicizie. Ma a questo rimedieremo subito… dov’è lei? Volevo saldare un conto in sospeso prima d’andarmene.»
Beatrix sospettando una tattica di sua zia, sbirciò verso la scalinata, ma dell'amica non c’era traccia. «Non è con me. Perché non te ne vai? Il tuo Padrone ti starà di sicuro aspettando... »  rispose la ragazza, rincuorata dalla scoperta che Grace l’avesse ascoltata.
«Mmm… »  disse la donna, avvicinandosi «Perché così in fretta? Abbiamo passato poco tempo insieme, dopotutto. Dovremo rimediare.» 
Beatrix strinse con più forza la sua bacchetta, mentre quella di sua zia era in tasca, non avendo avuto il tempo di trovare un nascondiglio migliore,
«Prima però... hai qualcosa che mi appartiene... »  dichiarò la donna, allungando la mano, aspettando di ricevere indietro l’oggetto sottratto.
«Cosa ti fa pensare che l’abbia io? »  domandò la ragazza prendendo tempo, ma la donna scaltra imitò: «Abbiamo la sua bacchetta, di certo non se ne andrà senza.»
Beatrix impallidì. Allora era lì dall'inizio e aveva sentito tutto.
«Suvvia, Beatrix. Pensi che sia ottusa, come la tua amica? Bello stratagemma, quello di liberarti di lei, per evitare che la uccidessi. Ma vedi, ora tu ti sei messa in mezzo e non puoi dire che non ti avevo avvertito »  disse facendosi più vicina.
«Se ti ridarò la bacchetta, tu te ne andrai senza far del male a nessuno.» stabilì la ragazza.
La donna sorrise, «Forse non hai capito bene chi hai davanti, io non scendo a patti con nessuno. Ora, prima che perda davvero la pazienza, ti ordino di darmi subito la mia bacchetta!»
Beatrix, non aveva intenzione di dargliela vinta così facilmente: «E se rifiutassi?»
Bellatrix scoppiò a ridere.
«Ho provato ad usare le buone maniere con te, ma a questo punto…»  proferì allungando la mano destra che teneva qualcosa d’argentato.
La ragazza evitò il coltello con un balzo all’indietro e prese a correre, pensando che farle perdere tempo fosse la soluzione migliore, girò l’angolo, ma se la ritrovò di fronte.
Come poteva essere, se era dietro di lei fino a pochi secondi prima? Non ci si poteva smaterializzare ad Hogwarts, quindi, probabilmente era un incantesimo d’illusione. Bellatrix Lestrange poteva usare la magia anche senza bacchetta.
«Stupeficium»  urlò Beatrix, colpendola. La donna davanti a lei svanì e la ragazza riprese a correre.
Il sudore dalla fronte le scivolava sugli occhi impedendole di vedere. Si passò la manica sul viso, ma questa rimase asciutta. Se si fermava, sua zia l'avrebbe raggiunta, ma non poteva nemmeno continuare a correre, ormai non vedeva più niente e si sentiva grondare di sudore. Ridusse la velocità, ma non in tempo. Inciampò su qualcosa e andò a sbattere contro il pavimento freddo. La ragazza si riprese dal colpo e sentì qualcosa avvolgersi alle caviglie.
«Finite Incantatem »  sussurrò, puntandosi la bacchetta addosso, con suo sollievo scoprì che faceva effetto. Nel frattempo, qualcosa di lungo e viscido, stava salendo per la sua gamba. Iniziò a distinguere la testa, la bocca, gli occhi. «Vipera Evanesca »  L'incantesimo risultò inefficace. Provò a liberarsi dalle spire, ma la stretta del serpente era salda. Il rettile aprì la bocca, mostrandogli i denti, a poca distanza dal suo viso.
«Consegnami la bacchetta»  comandò la voce di Bellatrix più in alto. Il serpente sibilò e arretrò allentando la presa su di lei.
La ragazza rimase a terra, fissava l'orlo del lungo vestito nero e gli stivali di sua zia, ma non osava alzare lo sguardo, capì in quel momento la realtà dei fatti, di essere di fronte ad una donna fuori di sé che provava piacere nell'uccidere o torturare gli altri e non cambiava niente il fatto che Beatrix fosse sua nipote.
«Alzati! »  le ordinò, feroce.
Non si mosse.
«Ho detto… Alzati»
Un fischio assordante le riempì la testa, forte, sempre più forte. Era sicura che quella sensazione sarebbe svanita se solo si fosse alzata, in fondo cosa le costava? Ubbidì e come pensava finì, ma lasciò lo spazio ad un grande senso di vuoto.
«Non è che hai deciso di stare dalla loro parte, vero, Beatrix? Perché se è così, dammi una ragione per non ucciderti subito!» urlò minacciosa la donna.
«Vuoi sapere cosa penso davvero, Bellatrix? »  disse, prendendo coraggio, «Siete così convinti che uccidendo, le persone vi rispetteranno. Ma anche se vi siete impadroniti del Ministero, Hogwarts non sarà mai vostra, ci sarà sempre qualcuno a combattere al fianco di Silente... »  s'interruppe vedendo Bellatrix che scoppiava in una risata perfida, «Povera sciocca… non vorrai farmi credere che voi ragazzini con i vostri due incantesimi da quattro soldi volete mettervi contro di noi? Neppure te, ci credi Beatrix, lo hai detto tu stessa.»  disse guardandola in modo spregevole, «Silente avrebbe fatto meglio a farsi da parte, anziché mettersi contro l'Oscuro Signore...»  continuò con un sorriso esultante, «E dimmi... queste persone, che credi continueranno a stare dalla parte di Silente, cosa faranno quando anche lui avrà preso il volo? »  Bellatrix calcò l'ultima parola, in modo da poter vedere la reazione della nipote che rimase in silenzio, poi aggiunse con una vocetta infantile: «Ops… troppo tardi»
La ragazza serrò i pugni, credendo che la donna si stesse prendendo gioco di lei, ma scoprì solo più tardi che era vero, Silente era morto quella notte, nel suo studio, dov'erano entrati i tre mangiamorte.Grace aveva ragione, era lì… potevano aiutarlo.
La risata di Bellatrix, le risuonava nelle orecchie, così spregevole da farla impazzire.
«Crucio»
Bellatrix incassò il colpo con gli occhi sbarrati dall'incredulità. Si riprese in fretta.
«Ma bene… che cosa vedo? Beatrix che usa la magia oscura? Se vuoi lezioni, basta dirlo. Devi provare desiderio nell’infliggere dolore, la rabbia non c'entra. Vuoi una dimostrazione? »
La ragazza cadde a terra, agonizzante. Era come se centinaia di coltelli dalla lama arroventata le si conficcassero nella carne, era un dolore così intenso che non poteva dubitare che avesse portato delle persone alla pazzia.
Bellatrix sprizzava di gioia, «Avanti, sono qui. Uccidimi. Vendica il tuo Preside! Ne avrai solo una di occasione!»
Beatrix provò a rialzarsi, ma le braccia tremavano tanto che non riuscì a sollevarsi.
La donna s’abbassò su di lei, sussurrandole ad un orecchio: «Spero che tu abbia imparato la lezione, Beatrix. Per quanto io sia riluttante nel farlo, questa volta ti lascerò andare, ma non ce ne sarà una seconda »  si voltò e fece per andarsene, ma poi si girò nuovamente, «Ti consiglio di valutare meglio la tua scelta»  sogghignò puntandole la bacchetta addosso, «Sogni d'oro!» 

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Capitolo 7
*** Sottomissione ***


Capitolo 7

Sottomissione


 
Beatrix camminava lungo una stretta via di Diagon Alley. Era notte e la strada era poco illuminata.
Improvvisamente, sbucò davanti a lei un uomo. Era un vecchio dai capelli brizzolati che continuava a guardarsi nervosamente alle spalle, ma non sembrava accorgersi di lei.
«Buonasera, Signor Olivander»  lo salutò Beatrix, riconoscendolo.
L’anziano, come se nulla fosse, aprì una porta poco più avanti ed entrò. La ragazza lo seguì, sicura che fosse solo un sogno, non c’era nessun pericolo da temere.
Si ritrovò nel retrobottega del negozio di bacchette di Olivander. Gli scaffali contenevano centinaia di lunghe scatoline, disposte le une sulle altre, in perfetto ordine, raggruppate in base alle caratteristiche della bacchetta al loro interno.
«Olivander… »  sibilò una voce malvagia che proveniva dalla stanza accanto.
Beatrix si spostò sulla soglia della porta.
«Mi hai mentito… pensavo fossi stato chiaro …»
Un uomo, se così si poteva definire, si ergeva sopra il vecchio. Indossava un lungo mantello nero che lasciava scoperti testa, mani e piedi. Il volto era pallidissimo, scheletrico e calvo. Ricordava la testa di un serpente.
«Ho… ho detto la verità. Non… non so come possa essere successo…»  balbettò Olivander con un espressione di puro terrore dipinta sul volto rugoso.
«No? Evidentemente, sono stato troppo indulgente con te, vecchio… »  disse feroce Voldemort, mentre alzava la bacchetta.
Olivander urlò, alzò le mani, implorante, nel vano tentativo di proteggersi. «Forse c’è un altro modo! »  gridò, pallido come la morte «… può sembrare impossibile, ma… la bacchetta di Sambuco… non è una storia inventata, esiste… »  Voldemort fissava Olivander, malvagio e Beatrix provò una sensazione di assoluto gelo, come se quegli occhi spietati stessero guardando proprio lei.
«S-S-Ssilente!» riprese Olivander balbettando, «Quella bacchetta passa di mano in mano solo sconfiggendo il mago che la possiede.»  l’anziano aveva gli occhi profondamente segnati, rossi e sgranati, tremava da capo a piedi, ma continuò: «Albus Silente l’ha sottratta a Grindelwald che, a sua volta, l’aveva rubata a Gregorovich…»  spiegò con un solo fiato, «Posso assicurare che la bacchetta è ancora nelle mani di Silente…»
Voldemort mosse il braccio e il vecchio urlò dal dolore, piangendo.
«Questa è la tua ultima opportunità Olivander…»  sussurrò crudele Voldemort, «o pagherai per i tuoi errori… »
 
“Era solo un incubo” si ripeteva Beatrix.
Passò poco tempo e convinta che non sarebbe più riuscita a prendere sonno s’alzò, chiudendosi in bagno.
Accese la luce, perché non sopportava di restare al buio. Riempì la vasca da bagno di acqua calda e sapone e vi s’immerse, sperando di riuscire a lavare via tutte le sue preoccupazioni.
Inutile.
Erano passati tre giorni dall’assassinio del Preside. Circolavano voci… molti sospettavano che fosse stato Severus Piton. Oltre alla delusione, si sentiva colpevole. Lo scontro che aveva avuto con sua zia le aveva fatto capire che era davvero impotente, così schifosamente debole.
Ora cosa le restava?
Forse la soluzione migliore era scappare, fuggire da tutto quello schifo e non farsi trovare mai più. Senza coinvolgere nessuno. Senza più nessuna preoccupazione. Sola.
No. Non poteva scappare. Doveva rimanere, come tutti gli altri. Non era una vigliacca.
Si avvolse nei morbidi asciugamani verdi e iniziò ad asciugarsi i capelli, cercando di mantenersi occupata in modo da pensare il meno possibile.
Sprofondò nuovamente nella tristezza entrando in Sala Grande. Il clima di serenità e accoglienza che aleggiava nell’immenso salone era svanito. C’era un silenzio spettrale. Nessuno sorrideva. Il tavolo dei professori era avvolto nello stesso clima, solamente due persone sembravano entusiaste. Non ricordava di averli mai visti prima. Erano un uomo e una donna. Entrambi avevano lunghi capelli lisci, lei biondi legati in una treccia e lui neri sciolti fin sopra le scapole. Indossavano abiti scuri.
Tuttavia, non erano le sole due nuove presenze ad inquietare gli studenti, ma anche le due assenze. Le sedie di Hagrid il guardiacaccia e Charity Burbage l’insegnante di Babbanologia erano sparite.
In silenzio Beatrix cominciò a mangiare la sua colazione, diede un morso alla brioche, ma era insipida. Abbandonò il dolce per passare ad un sorso di caffè che era freddo. La ragazza ripose la tazza sul piattino, evidentemente doveva essere successo qualcosa anche agli elfi domestici della cucina.
Si sentì il rumore di una sedia che si spostava. La ragazza che era uscita dall’infermeria solo il giorno prima, alzò lo sguardo aspettandosi di vedere la McGrannitt in qualità di vicepreside, invece in piedi c’era Severus Piton. Gli studenti stavano in silenzio aspettando un qualche discorso rincuorante, come faceva il Professor Silente.
«In qualità di Preside di Hogwarts… » cominciò con la sua voce ferma e dura, «Sono costretto a mettervi al corrente di alcuni cambiamenti che di certo…miglioreranno le cose a Hogwarts…»  qualcuno cominciò a parlottare e Piton, accorgendosene, con un movimento della bacchetta li mise a tacere, «…come avrete già notato, Rubeus Hagrid e Charity Burbage si sono assentati… permanentemente…» fece una pausa e poi continuò, «…saranno sostituiti da due nuovi insegnanti di…difesa contro… le arti oscure. Amycus e Alecto Carrow…»
Tutti i presenti nella sala, tranne Piton e i due nominati, s’alzarono e cominciarono ad applaudire senza riuscire a smettere.
Severus alzò un sopracciglio e guardò di sbieco i fratelli Carrow. I due sorridevano divertiti nel godersi la scena.
Dopo qualche secondo la maledizione cessò e gli studenti, confusi, si risedettero.
«Saranno eliminate dal piano di studi le ore di babbanologia e cura delle creature magiche. Verranno invece aggiunte nuove ore di difesa contro le Arti Oscure…»  proclamò, scatenando grida di protesta che furono messe a tacere all’istante.
«Andate»  concluse Piton.
Ci fu una vera e propria ressa all’uscita, gli studenti cominciarono a spintonarsi per andarsene il prima possibile da quella stanza.
“Allora era questa la fine di Hogwarts?”
Pensava Beatrix prendendo la borsa e mettendosela a tracolla. Qualche giorno prima nessuno si sarebbe mai immaginato un tale orrendo destino per la scuola… tanto valeva andarsene sul serio.
Entrò nell’aula di trasfigurazione e si andò a sedere in un banco in seconda fila di lato. Erik le si sedette accanto. Era dalla notte di Halloween che non avevano più parlato ed immaginava che l’avrebbe tempestata di domande, invece Erik prese la pergamena appiattendola con le mani, poi prese la penna d’oca e rimase fermo così senza dire una parola.
Dopo qualche minuto entrò nell’aula la professoressa McGranitt, attraversò a passo svelto la stanza e, raggiunta la cattedra, si voltò verso gli studenti. Alle lezioni di Hogwarts partecipavano sempre due classi dello stesso anno, ma di diverse casate, quel giorno erano Serpeverde e Tassorosso. «Ci sono domande sulla scorsa lezione?»  chiese la McGrannitt, ma nessuno ne fece, «Bene, allora possiamo continuare… »  proclamò, mentre con un gesto della bacchetta chiuse la porta.
«L’animagus è il nome che viene attribuito ad un mago o ad una strega capaci di trasformarsi in un animale»  iniziò a spiegare, «Si può assumere una sola sembianza, ma non può essere scelta poiché rispecchia il carattere del mago o della strega in questione. E’ una tecnica molto difficile e per una buona riuscita ci vuole un’ottima preparazione o una forte propensione… »
I minuti passavano lenti, la professoressa continuava ad esporre e il gessetto incantato scribacchiava sulla lavagna lo schema del suo discorso.
Beatrix prendeva appunti, mentre con la mano libera si reggeva la testa.
«Professoressa, qual è la differenza tra un lupo mannaro e un animagus?»  chiese una ragazza paffuta della casata avversaria.
«I licantropi, innanzitutto, si trasformano a causa di un infezione del sangue causata dal morso di un lupo mannaro. Ad oggi non ci risultano casi di lupi mannari che riescano a controllare la metamorfosi e loro stessi durante la mutazione, perché dipendono dalla luna piena. Ucciderebbero un loro amico o un familiare, se lo avessero davanti, senza riconoscerlo. Mentre gli animagus padroneggiano la propria trasfigurazione e hanno piena coscienza di sé, come già detto prima… »
Anche Beatrix aveva una domanda, stava per alzare la mano, ma qualcuno la precedette.
«Come ci si può difendere da un licantropo? »  domandò Cloe.
Ci fu un attimo di rigido silenzio, poi la Professoressa rispose: «Sarebbe una domanda più adeguata per Difesa contro le Arti Oscure, tuttavia posso dirvi che se in caso vi troviate ad affrontare un licantropo, l’unico modo per ferirlo è l’argento.»  fissò a lungo la classe, poi proseguì: «Ma ci stiamo distaccando troppo dall’argomento principale, stavo dicendo… »
Alle 11.00 la lezione finì e con profonda depressione la ragazza si rese conto che la prossima lezione sarebbe stata Storia della Magia al secondo piano.
Il professore si chiamava Cuthbert Rüf ed era l’unico insegnante fantasma. Era morto proprio lì, ad Hogwarts, una mattina si era svegliato ed era andato a lezione lasciandosi il corpo dietro, senza nemmeno accorgersene.
Quando Beatrix era poco più che bambina dovette abituarsi alla presenza dello spettro. Era alquanto inquietante vedere, attraverso la sua trasparenza, gli oggetti ed i mobili dietro di lui, ma nessun altro, essere vivente o spirito, sapeva più di lui in fatto di storia.
Il modo in cui il professore spiegava, la cadenza e il tono monotono, faceva addormentare qualsiasi essere, tanto che quando cominciava a parlare anche gli altri fantasmi del castello rimpiangevano di essere morti.
La ragazza si rese conto che quella era stata una delle poche volte a non essersi addormentata durante la sua lezione, forse perché aveva passato l’intera ora a pensare a come formulare la sua domanda alla fine della lezione.
Il suono della campanella rimbombò per le pareti dei corridoi. Ma contrariamente al passato, i ragazzi non s’alzarono in piedi correndo a pranzo. Nessuno aveva voglia di rivedere quelle facce.
La ragazza si alzò e si diresse lentamente verso la cattedra.
«Professore… »   lo chiamò Beatrix, per attirare la sua attenzione che era ancora rivolta verso la lavagna, «Volevo chiederle… »  continuò, visto che il fantasma continuava a parlare da solo.
Lui si voltò meravigliato della presenza di uno studente che volesse chiedergli qualcosa.
«Prego… Mood »  disse lui, ricordandole la sua particolarità nel storpiare i nomi degli studenti a cui insegnava da anni.
«Ehm… Todd… »  lo corresse, «So che non c’entra molto con la sua lezione, ma… esistono i doni della morte? »  chiese schietta, mentre il volto pallido del fantasma si contorceva in una specie di sorriso divertito. «I doni della morte sono una storia per bambini… una leggenda »  rispose lui in tono canzonatorio, poi si fece d’un tratto serio,  «Alcuni credono invece nella loro reale esistenza. Non si può tuttavia, avere delle certezze. Sono stati trovati molti oggetti simili ai doni descritti nella storia, come il mantello dell’invisibilità, ma della pietra della resurrezione o della bacchetta di sambuco non vi è certezza!»  spiegò.
La ragazza lo ringraziò, lui fece un cenno con il capo, poi si voltò e si rimise a parlare con la lavagna.
Quella spiegazione era stata alquanto deludente.
 
Beatrix decise di non andare a pranzo in Sala Grande.
Gli era tornato in mente l’incubo che aveva avuto quella notte. Era convinta che non fosse stato un semplice sogno. Aveva già vissuto qualcosa di simile, da piccola. Il sogno si verificava anche nella realtà, o nell’esatto momento, o dopo. Se le sue preoccupazioni erano fondate allora Olivander era in pericolo, i Doni della Morte esistevano davvero, Silente aveva la “Bacchetta di Sambuco” e Voldemort la stava cercando. Inoltre i nomi dei maghi citati da Olivander: Grindelwald e Gregorovich, non li aveva mai sentiti prima e non potevano essere frutto della sua immaginazione.
 
Entrò in biblioteca, era molto grande, divisa in corridoi colmi di scaffali sui quali erano raccolti migliaia di libri di vario genere. Esisteva persino un Reparto “Proibito” che conteneva libri sulla magia oscura, ma per quello serviva un permesso speciale.
La bibliotecaria era Madama Pince, una donna scarna che assomigliava ad un avvoltoio denutrito che la accolse intimandole di non fare il minimo rumore.
La ragazza iniziò la sua ricerca, annotando tutto ciò che scopriva su un foglio. Dopo un paio di ore, stanca, ripose i libri al proprio posto e rilesse ciò che aveva scritto:
 
 
  • Gregorovich (Gregorovitch) era un fabbricante di bacchette bulgaro. Voci non confermate hanno dichiarato che fosse stato in possesso di una bacchetta molto potente e simile alla “bacchetta di Sambuco” della leggenda e che gli fosse stata sottratta da Gellert Grindelwald, un grande Mago Oscuro.
 
  • Gellert Grindelwald ha studiato a Durmstrang, prima di venir espulso a causa di alcuni  esperimenti pericolosi che praticava. Viveva a Godric’s Hollow dalla sua parente Bathilda Bath. Il suo scopo è sempre stato quello di dare vita ad una nuova epoca in cui i maghi avrebbero regnato sui babbani e per farlo, sosteneva che aveva bisogno dei “Doni della Morte”, ovvero la bacchetta di Sambuco, la pietra della Resurrezione e il mantello dell’Invisibilità e  ha passato tutta la vita a cercarli.
 
Grindelwald sconfitto da Albus Silente in duello, finì a Nurmengard, la prigione che lui stesso aveva fatto costruire, condannato all’ergastolo.

 
Le informazioni non erano molte, ma provavano che l’incubo di Beatrix fosse vero. Silente sconfiggendo Grindelwald aveva ottenuto la bacchetta di Sambuco e, come aveva detto Olivander, la bacchetta giaceva nella tomba con lui.
Poteva dire di conoscere le intenzioni di Voldemort, e quindi? Cosa poteva fare ora?

 
Il professor Lumacorno era in piedi davanti alla cattedra di Pozioni, aspettando pazientemente gli studenti. Era un mago alto e tondo, dai capelli grigio-argento e un paio di grossi baffi bianchi, indossava un elegante completo verde con fantasia scozzese. Si voltò e dalla sua caotica scrivania prese una fiala di liquido blu.
«Oggi prepareremo la pozione Sancitatis, chi sa dirmi che effetti produce? »  chiese il professore, scuotendo la boccetta con il liquido.
«Ah, Signorina Morgan » esclamò dando la parola alla ragazza che aveva alzato la mano.
«E’ la pozione dell’invisibilità. Se assunta in quantità eccessiva può provocare la completa scomparsa di una persona »  rispose Cloe prontamente.
«Eccellente, dieci punti per Serpeverde »  annunciò Lumacorno, gli studenti della casata vincente sorrisero compiaciuti guardando con superiorità i Grifondoro.
«Prendete tutti posto e iniziamo… »
Gli studenti fecero quanto loro ordinato, posizionandosi ciascuno dietro al proprio paiolo.
«Andate a pagina 182 del vostro libro di testo e preparate la pozione descritta seguendo attentamente le istruzioni. Avete un’ora e mezza di tempo a partire da… »  il professore prese la clessidra che era sopra la scrivania e la capovolse, in modo che la sabbia cominciasse a scorrere, «…ora! »
Beatrix prese il libro di malavoglia e cominciò a girare le pagine una per una, senza concentrarsi sul serio.
«Sta aspettando che si prepari da sola quella pozione, Signorina Todd?! »  la riportò alla realtà la voce del professore.
«Mi scusi »  rispose la ragazza, andando alla pagina assegnata. Cercò di respingere i pensieri e di prestare attenzione su ciò che leggeva.
Gli ingredienti:
ortiche secche;
succo di sanguisuga;
erba fondente;
artemisia;
Comprese il resto e cercò di schematizzare a se stessa ciò che doveva fare:
→  “Riempire il paiolo d’ acqua”: Beatrix controllò che il calderone fosse vuoto e constatando che non c’era niente dentro, fece comparire dell’acqua.
→ “Far bollire”: accese il fuoco sotto al pentolone, mantenendo una fiamma non eccessivamente alta;
→ “Tagliare le sanguisughe e spremere via il succo”: la ragazza si chinò e aprì una delle piccole ante della sua personale dispensa, prese un barattolo dalla forma tonda su cui c’era una targhetta che presentava il contenuto.  Non sapeva la quantità di sanguisughe che doveva usare, siccome non c’era scritto, ma dato che doveva ricavarne del succo dedusse che ne servivano molte. E iniziò a schiacciarle nel pentolone, facendo un lavoro accurato che le fece perdere più tempo del dovuto.
→ “Mescolare in senso orario”: eseguì quanto scritto.
→ “E in senso antiorario fino all’ottenimento di un color rosa”: incantò il mescolo, in modo che girasse da solo.
→ “Intanto tagliuzzare le ortiche e buttarle nel pentolone, sempre continuando a mescolare”: nonostante questo, il colore non mutava, ma non aveva tempo di ricominciare da capo, così continuò ignorando l’errore.
→ “Avvolgere l’erba fondente con l’artemisia e lasciarli sciogliere, insieme, nell’acqua per circa trenta minuti”: con un incantesimo adesivo fece aderire le due piante e le calò lentamente nel calderone, evitando così che il fluido traboccando spegnesse la fiamma.
«Mancano venti minuti »  annunciò Lumacorno.
I ragazzi aumentarono la velocità del mestolo, ma Beatrix la mantenne uguale, piuttosto studiò la pozione, che a suo malgrado, era nera.
Il filtro magico cominciò a salire e spumeggiare, stava per succedere quello che temeva, così abbassò la fiamma. Ora, la pozione più che blu era viola. La ragazza borbottando tra sé, tolse il mestolo e si augurò che l’intruglio raffreddandosi sarebbe diventato del colore giusto.
«Dieci minuti »  annunciò il professore.
«S-a-n-c-i-t-a-t-i-s »  articolò Beatrix una volta che l’infuso si era raffreddato, poi afferrò una fiala e l’immerse dentro il paiolo. Dopo qualche minuto sollevata e sorpresa scoprì che la pozione aveva assunto il colore giusto, anche se non significava che fosse efficace.
«STOP! Posate i mestoli e spegnete il fuoco… insomma mettete a posto e portatemi il vostro lavoro… »  intimò il professor Lumacorno.
Alcuni ubbidirono, altri consegnarono subito e uscirono fingendo di non aver sentito la raccomandazione, senza pulire il sudicio che avevano lasciato. Il Professore se ne accorse e li obbligò a tornare e a pulire fino a che il calderone non brillasse di pulito.
Beatrix fu la prima ad uscire avendo messo tutto apposto sin da subito, però per qualche strana ragione, si ritrovò ad essere l’ultima ad entrare nella classe della lezione successiva.
 
«Tu devi essere Todd. La prima lezione e sei in ritardo? Si comincia male… »  dichiarò Alecto Carrow sogghignando, ma si frenò non appena vide che la ragazza, non curante di ciò che gli era stato detto, si dirigeva verso un banco.
«Non vuoi sentire quale sarà la tua punizione?»  le domandò velenosa, facendola arrestare e voltare, «Per questa lezione potrai fare a meno della bacchetta… »  e protese una mano dalle lunghe unghie appuntite.
Beatrix guardò la donna con sospetto.
«Ne desideri un’altra?»  la pungolò.
La ragazza nonostante fosse irritata dall’arroganza della donna non provò a ribattere. S’avvicinò alla cattedra tirando fuori dalla tasca la bacchetta e senza alzare lo sguardo, la mise sulla scrivania. Non si sarebbe ridotta a consegnargliela proprio nelle sue mani. Dopodiché si voltò e cercò un posto vuoto.
«Spero che nessuno disturbi ancora la lezione… »  aggiunse Amycus che era in piedi, accanto alla porta.
«Vediamo, se questi anni ad Hogwarts sono serviti a qualcosa o se è stato tempo sprecato… »  continuò Alecto, «Quali sono le tre maledizioni senza perdono… », fece scorrere il dito affusolato sull’elenco dei nomi, «Draven »  e non appena alzò lo sguardo, guardò nell’esatto punto in cui sedeva Erik, come se già conoscesse il suo volto.
«La maledizione della tortura, cruciatus; la maledizione imperio, per il comando e l’anatema che uccide… l’avada kedavra »   rispose il ragazzo.
«E qual è la punizione per colui che ne fa uso, La Fey? »  cambiò bersaglio: una ragazza di Grifondoro dall’aspetto fiero, «Viene arrestato, portato al Ministero, giudicato dal Tribunale dei Maghi e, nella maggior parte dei casi, condannato ad Askaban »  rispose mantenendo un tono forte e deciso.
«Risposta sbagliata… vedete? Non siete aggiornati! Questa legge è stata abolita qualche giorno fa!»
Amycus sogghignò.
«Miei cari ragazzi, non potete permettervi di rimanere indietro, ora potete esercitarvi quanto volete! E noi siamo qui per questo!»
Il silenzio degli studenti nella stanza era assordante. Nessuno si muoveva, ne fiatava. Una tremenda sensazione era in bilico nel baratro, tutti avvertivano che ci voleva poco a farla cadere.
«Ma c’è tempo… proseguiamo con la teoria… quali sono le guardie di Askaban, Rainey?»
Il ragazzo rispose: «I Dissennatori… »
«Presumo che vi abbiano insegnato come sconfiggere un Dissennatore… »  questa volta fu Amycus a parlare, trattenendo un sorriso di scherno «Non è vero, Fray?»  chiese velenoso senza nemmeno guardare il registro. Sembrava che quei due conoscessero ogni persona in quella stanza, nome e volto.
«Con l’expecto patronum… »  rispose decisa la nominata, guardando con sguardo di sfida Amycus.
«E saresti così gentile da mostrarlo? »  la sfidò l’uomo, continuando a trattenere il ghigno.
«È un incantesimo avanzato… non ci hanno mai…» urlò uno studente di Grifondoro, ma venne zittito da Alecto. «Lo farò!» urlò Grace alzandosi fiera, impugnò saldamente la bacchetta e prese aria per pronunciare l’incantesimo.
«Ah-Ah! Non stai dimenticando qualcosa?»  questa volta era stata Alecto a parlare, aveva il braccio teso verso la finestra.
Un sinistro cigolio accompagnò l’apertura di una delle enormi vetrate dell’aula. Una mano scheletrica, coperta di croste, comparve sul bordo. Si presentò, dinanzi a loro, una figura volante, qualcosa che prima era un uomo e che ora era solo un cadavere putrefatto, senza coscienza né sentimenti, simile ad un fantasma, vestito come un boia. Era un Dissennatore. Muoveva la testa e nonostante fosse priva di occhi e avesse soltanto orbite vuote, pareva che stesse scrutando l’interno della classe in cerca di qualcuno in particolare. I Dissennatori non essendo capaci di distinguere gli uomini, individuano le loro prede percependone le emozioni: prima succhiando via i ricordi positivi necessari per evocare l’Incanto Patronum, l’unica protezione contro di loro, poi s’impadronivano dell’anima della persona praticando il bacio del Dissennatore.
La creatura avanzava, svolazzante, avvicinandosi alla ragazza in piedi con la bacchetta in pugno.
Quel mostro portò il freddo, non solo nell’aula, ma anche nel cuore di tutti i ragazzi presenti. La stanza pareva fluttuare e allontanarsi sempre di più, c’era solo il buio. Anche se Grace, in qualche modo, era a conoscenza della teoria dell’incantesimo di difesa non avrebbe potuto farcela.
La creatura s’avvicinava sempre di più e allungò una mano per prendersi la giovane.
I fratelli Carrow erano divertiti nel vedere quella scena, ma le loro espressioni mutarono non appena Grace si mosse. «Expecto Patronum! »
Una nuvola di luce scaturì dalla bacchetta formando la figura sinuosa di un gatto che riuscì a far retrocedere il nemico, ma non a mandarlo via. Alcuni ragazzi di Grifondoro si alzarono e puntando le bacchette contro il Dissennatore lanciarono a loro volta l’incantesimo. Un cavallo, un leone, un lupo e un corvo puntarono sulla creatura che si dissolse, invasa dalla troppa luce.
I Grifondoro acclamarono entusiasti. Mentre i Serpeverde guardavano increduli e sbigottiti di quanto fosse successo, anche Beatrix era sconvolta, sollevata certo, ma nessun insegnante aveva mai insegnato loro quell’incantesimo, come facevano i Grifondoro a conoscerlo?
Amycus e Alecto erano lividi di rabbia. Quell’insulsa ragazzina era riuscita a sconfiggere una Creatura Oscura e li aveva resi ridicoli di fronte alla classe.
Alecto iniziò ad applaudire falsa, mettendo a tacere le celebrazioni, «Era un incantesimo semplice. Sono sicura che nessuno di voi sappia eseguire una fattura di medio livello… »  dichiarò la donna, dopodiché il fratello continuò: «Cosa direbbe di voi Silente?»
«Voi non sapete niente di cosa direbbe o non direbbe Silente… »  ribatté Grace, mentre i Grifondoro dietro di lei la sostenevano con grida di approvazione.
«Davvero? Silente apprezzava l’impegno a quanto pare… »  continuò Alecto, «Anzi nemmeno quello, visto che siete solo un branco di rammolliti… evidentemente voleva mettere su il circo!»
Amycus scoppiò a ridere, ma Alecto riprese, «Non sapete proteggervi… né tantomeno duellare… con gli incantesimi che conoscete ora fareste solo un po’ di solletico al vostro nemico… se volete sopravvivere dovete saper padroneggiare le maledizioni senza perdono, solo così potrete avere una possibilità…»
«Mai! Albus Silente è stato un grande mago. Era contro alla magia oscura e non voleva che ci piegassimo a voi! Ce lo ha detto poche ore prima di morire, quasi come se lo sapesse! E’ per merito suo che questa scuola è sopravvissuta. Noi non l’abbandoneremo!»  urlò Grace con vigore e grinta stringendo i pugni.
Alecto digrignò i denti, «Tu… »  ma venne interrotta dalla risata del fratello, «Parli al plurale, ma non mi sembra che nessuno in questa stanza si sia schierato dalla tua parte. Allora c’è qualcuno che è d’accordo con lei?»  disse terribile Amycus senza staccare gli occhi dagli studenti delle due classi.
Beatrix voleva alzarsi, lo voleva con tutta la sua volontà, ma sembrava che non avesse più forza in corpo, era stata fissata alla sedia da un incantesimo. Allora provò a parlare, ma come nel suo incubo, non usciva nessun suono dalla sua bocca. Era costretta a guardare la scena, senza poter far niente, di nuovo.
Nessuno rispose. Nessuno si fece avanti.
«…allora non abbiamo vie di scampo… »  continuò sogghignando l’uomo.
Grace furente lanciò una fattura contro l’uomo, ma Alecto, che se n’era accorta in tempo, protesse il fratello con un incantesimo scudo.
La ragazza ormai sola davanti a quei due, subì il contraccolpo scivolando all’indietro, cascando sul pavimento e battendo la testa sul bordo della sedia.
I due ridevano di gusto, mentre gli studenti erano impietriti.
«Basta continuare con questa pagliacciata, adesso comincerete ad imparare sul serio… »
Gli occhi di Alecto si tinsero di rosso e Grace iniziò ad agitarsi sul pavimento in preda agli spasmi.
Non aveva avuto bisogno nemmeno della bacchetta. Aveva lanciato una maledizione non verbale.
 
Ora Beatrix capiva perché Alecto le avesse sottratto la bacchetta.
Le sue intenzioni erano chiare sin dall’inizio.
Era la sua punizione.
Grace era inginocchiata e tossiva, coprendosi la bocca con la mano. Alcune dita erano sporche di sangue.
Amycus sorrise allungando il braccio e colpendo per la seconda volta la ragazza che crollò a terra.
«Basta!»  gridò qualcuno. Evidentemente l’incantesimo era cessato.
I Carrow lanciarono insieme un’altra maledizione a Grace che sputò altro sangue.
«Così la ucciderete! »  disse un ragazzo di Serpeverde, alzandosi in piedi.
«E chi ha detto che non lo vogliamo fare? »  urlò malvagio Amycus, infliggendo un nuovo colpo a Grace.
«Amycus, sai forse hanno ragione… forse dobbiamo smettere e lasciar provare loro! »  la donna si voltò verso gli studenti, «Avanti, non siate timidi… chi vuole provare per primo? »  chiese con un sorriso orrendamente divertito.
Beatrix lanciò un’occhiata furtiva alla classe e fu contenta di vedere espressioni di disgusto anche dalla parte dei Serpeverde.
«Elaine Arvey… vuoi provare…»
«Mai!»  rispose una ragazza di Grifondoro inorridita. Era la migliore amica di Grace.
«Non era una domanda… ma un ordine. Imperio. »
Gli occhi della ragazza si fecero vuoti. Il suo corpo cominciò a tremare scosso evidentemente da una sottile coscienza ancora rimasta, ma dopo pochi secondi anche questa venne domata e la ragazza cominciò a dirigersi verso l’amica a terra.
Poi, Beatrix, distolse lo sguardo. Non sarebbe rimasta lì a guardare. Cercò di chiamare la sua bacchetta con la mente, «Accio bacchetta »  pensava.
Iniziò a sentire delle urla. Così alzò la testa e vide che anche l’altra ragazza era a terra. «Chi si rifiuterà subirà la stessa sorte… »  annunciò Amycus.
«Erik» sussurrò la ragazza approfittando delle urla,  «…perfavore richiama la mia bacchetta…»
«No, Beatrix. Mi dispiace… non ti permetto di metterti in pericolo un’altra volta…»
«Todd…»  chiamò Alecto, «Vuoi venire a prendere il posto di queste due?»
«No, al contrario… voglio provare!» rispose decisa Beatrix, mentre la sua bacchetta ritornava a lei.
Aveva una voglia incredibile di far provare dolore a quei due stronzi, li voleva vedere contorcersi a terra e supplicarla di smettere. Si alzò e lanciò la maledizione cruciatus addosso ad Alecto. Quella fu la prima volta che avvertì la sensazione di cui parlava sua zia, il pizzicore lungo il braccio e il piacere nel far provar dolore a chi odiava.
I due Mangiamorte caddero a terra insieme e Beatrix avvertí che anche Erik era in piedi accanto a lei.
Le maledizioni lanciate dai due ragazzi cessarono.
«Come avete osato? »  urlò terribile Alecto, alzandosi e lanciandole uno sguardo di fuoco.
«Lo avete detto voi, no? Abbiamo fatto pratica… poco importa con chi…» rispose Erik.
Gli insegnanti alzarono lo sguardo rosso sangue su di loro, sollevando una mano, stavano per lanciargli qualche maledizione, quando la porta si aprì di colpo. «Cosa sta’ succedendo qui?»  disse la McGrannitt entrando nell’aula a passo veloce, con la bacchetta in pugno, seguita da due pallide ragazze di Grifondoro.
«Non sono affari tuoi… questa classe è ancora nella nostra ora e possiamo farne ciò che vogliamo… »
La campanella suonò, interrompendo Alecto.
«La lezione è finita. Potete andare!» confermò la McGrannitt rivolta agli studenti per affrettarli ad uscire.
La classe si svuotò in fretta.
Beatrix prese la sua borsa e con Erik si diresse il più in fretta possibile verso l’uscita.
Prima di varcare la porta, sentì Alecto minacciare la McGrannitt.
«E’ l’ultima volta che interrompi una nostra lezione, Minerva… »
«Finché sarò ad Hogwarts, non vi permetterò di far del male ai miei studenti! »
«Non hai più l’autorità per poterci fermare »
Beatrix si voltò, la McGrannitt stava uscendo in quel momento dall’aula e dietro di lei gli sguardi malvagi dei fratelli Carrow erano rivolti verso di lei.
«Fray, è meglio che tu e la signorina Arvey andiate subito in infermeria! »  esclamò la McGrannitt, senza fermarsi, continuando a camminare per il corridoio deserto.
Beatrix s’avvicinò all’amica per vedere se stesse bene, «Grace, come… »
«Non ho bisogno del tuo aiuto!»  la respinse, le diede le spalle e se ne andò con Elaine.

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Capitolo 8
*** Perduti ***


Capitolo 8

Perduti


 
«Smettila di cercarla!» esclamò Cloe, mentre camminavano lungo il sentiero che portava ad Hogsmeade, «Non ha senso che tu perda tempo con una persona che non capisce quello che fai per lei. Lasciala perdere!»
Beatrix alzò lo sguardo verso il cielo grigio, pieno di grossi nuvoloni. Provava solo amarezza nel constatare che ormai lei e Grace non erano più amiche.
«È convinta che io sia una Mangiamorte, da quando ho usato la maledizione…»
«Se è per questo motivo è una stronza ingrata! Se non fosse stato per te ed Erik ora farebbe compagnia al fantasmi di Hogwarts!» disse Cloe.
«Ora basta, non sono venuta con voi per parlare di quella Grace!»  esclamò Erik, «Sbrighiamoci, prima che cominci a diluviare! »
Infatti, in poco tempo scoppiò un temporale e i ragazzi corsero per raggiungere un posto asciutto.
Quando arrivarono a Hogsmeade scoprirono che come Hogwarts, era cambiata. Un tempo il villaggio era bello ed ospitale, era diventato un paesello deserto e lugubre. Molti negozi che vendevano deliziose leccornie per gli studenti avevano messo delle tavole per sbarrare le porte. Le vetrine erano coperte da manifesti, non più di criminali ricercati, ma di oppositori. La foto di Harry Potter era in primo piano, sopra la sua testa una scritta enorme diceva “Indesiderabile n°1”
«Salve ragazzi! Cosa prendete?»  chiese Madama Rosmerta, una simpatica strega sulla cinquantina, la proprietaria del pub I Tre Manici di Scopa.
«Per me una burrobirra, grazie.»  rispose Helena, ricambiando il sorriso.
«Un idromele»  ordinò Cloe.
«Vada per lo sciroppo alla ciliegia!» seguì Jenny decisa, chiudendo la lista che aveva tra le mani.
Tutti si voltarono verso Beatrix ed Erik, «Per voi, invece?» domandò Rosmerta.
«Io… penso di aver bisogno di qualcosa di forte…» rispose Beatrix.
«Prendo lo stesso! » disse Erik, concludendo l’ordinazione.
«Molto bene… due whisky incendiari, arrivano subito!» Rosmerta fece sparire tutte le liste con un colpo di bacchetta e con uno schiocco delle dita fece apparire tutto quello che avevano ordinato, accompagnati da dolci e stuzzichini salati.
Beatrix prese il bicchiere che aveva davanti, portandoselo più vicino. Ne esaminò il contenuto: liscio, dal colore ambrato. Ne diede una piccola sorsata, l’amaro si diffuse prima sulla lingua e poi sul palato, un’ondata amara le si diffuse in bocca e quando deglutì venne invasa da un piacevole calore.
«Le cose si stanno mettendo male… non credete? »  cominciò a dire Cloe, dopo aver dato un sorso alla sua bibita, «Prima la morte di Scrimgeour, poi il nome di Voi sapete Chi diventa un tabù. La cosa che più mi fa sospettare è che Silente sapeva che sarebbe morto, sapeva della battaglia… altrimenti perché avrebbe fatto quel discorso? »
Un momento di silenzio.
«Non riesco ancora a credere che Silente sia… morto. »  comunicò Jenny.
Beatrix non alzava gli occhi dal suo bicchiere, osservava il bordo liscio.
Cloe intanto aveva ripreso a parlare: «La Gazzetta del Profeta pubblica solo ciò che viene approvato dal Ministero ed è ovvio che non si saprà più cosa succede realmente.»
«Come se prima lo si sapeva…»  ribatté Beatrix.
Helena allungò una mano per prendere una cioccorana, «Ha il Ministero. Ora ha anche Hogwarts. Voi-sapete-chi ha vinto, aspetta solo il momento migliore per uscire allo scoperto. Mentre a noi non resta altro che decidere se stare dalla sua parte oppure opporci a lui facendoci ammazzare… »  concluse, staccando la testa della sua cioccorana con un morso.
Beatrix alzò gli occhi verso Erik, lui ricambiò lo sguardo.
«Questa sarebbe una scelta?»  chiese Jenny, sbattendo il bicchiere sul tavolo, furiosa, Io scelgo di vivere, è chiaro. Ma non mi abbasserò mai ad uccidere per lui o ad eseguire i suoi comandi…»
A questo punto Beatrix alzò la testa, ma fu Helena a parlare: «E cosa ci resta allora? Vivere sperando di non finire nel suo mirino? Vivere nascosti fino a che qualcuno non faccia qualcosa ed uscire allo scoperto quando tutto sarà finito? »
Erik rispose: «Rimanere ad Hogwarts, rimanere uniti con chi sappiamo che la pensa come noi e rivoltarci nel momento giusto. Se scappiamo, da soli, ci troveranno deboli e sarà più facile per noi cadere nelle loro mani.»
Beatrix aprì bocca per parlare, voleva dargli ragione, era il momento di dire anche agli altri suoi amici la verità su di lei e sulla sua famiglia, era giusto che sapessero, non riusciva più a portare quel peso, ma Cloe riprese a parlare e Beatrix si riportò il bicchiere alle labbra.
«Restare a Hogwarts? Ma non ti sei accorta delle sparizioni? Sono scomparsi un sacco di studenti, la maggior parte mezzosangue…»
Il gruppo sprofondò nuovamente nel silenzio. Tutti tenevano lo sguardo basso o fisso nel vuoto, preoccupati su come stavano andando le cose e confusi sulla decisione da prendere per il loro futuro.
Beatrix finì l’ultimo sorso di Whisky Incendiario.
«Non mangerò e non dormirò, sotto lo stesso tetto, con qualcuno che vuole uccidermi… »  concluse Jenny.
Beatrix si sentiva le tempie pulsare dolorosamente.
«Fuori non sappiamo cosa ci aspetta…» disse qualcuno, allontanandosi.
La stanza iniziò a girare e si pentì di aver preso quell’alcolico troppo forte.
«Ci verranno a cercare, ci troveranno e metteremo in pericolo le nostre famiglie… »
Sentiva le voci farsi sempre più lontane.
«Scusate devo andare un attimo… » disse Beatrix, alzandosi di scatto. Scontrò qualcuno che passava proprio in quel momento.
«Guarda dove vai!»  gridò qualcuno dietro di lei.
«Scusa non ti ho… »  voltandosi scoprì che era Grace, «vista… »
La ragazza era rossa dall’imbarazzo, o forse dalla rabbia. Una grossa macchia scura si stava allargando sul suo vestito, mentre in una mano teneva una tazza di cioccolata, mezza vuota.
La sua amica Grifondoro, Elaine, riprese: «Andiamocene Grace non ha senso perdere tempo con questa gente! »
Beatrix afferrò per il polso Grace, mentre si voltava. «Non riesco a capire il tuo atteggiamento, ma ti prego per me è importante che tu rimanga!»
Le due si guardarono a lungo, poi mentre Grace si girava per dire qualcosa all’amica, Beatrix venne colpita da un’altra fitta alla testa e la stanza si riempì di luce. Credendo che fosse stato un flash di una foto, chiuse gli occhi, ma quando li riaprì scoprì di non trovarsi più al pub. Era in una stanza buia dalle lisce pareti fredde, senza mobili né finestre. C’erano due uomini, uno bloccava Grace per le braccia, l’altro teneva Elaine per i capelli. Un uomo calvo e basso sbucò dal buio, fermandosi davanti a loro. Aveva gli occhi neri spalancati, inebriati di eccitazione, mentre tendeva il braccio con la bacchetta in pugno.
Elaine crollò a peso morto sul pavimento. Non si mosse, né si rialzò.
Continuava a sentire quella risata crudele nella sua testa, mentre ritornava alla realtà.
Beatrix si riscosse atterrita. Le due ragazze erano ancora lì e stavano prendendo posto al loro tavolo. Si sedette anche lei, scossa.
«Tornerà pulito in un attimo »  assicurò Jenny, prendendo la bacchetta dalla tasca e sbiancando il vestito di Grace ancora prima che potesse ribattere.
«Grazie »  borbottò quest’ultima.
«Stavamo parlando della caduta di Hogwarts… »  la informò Helena, cercando di inserirla nella conversazione.
«Hogwarts non è caduta. »  asserì Grace, guardandola torva e incrociando le braccia al petto.
«Non è di certo un clima normale quello che si respira ad Hogwarts in questi giorni… non ti pare?»  si capiva che Erik era abbastanza innervosito dall’insolenza di Grace.
«Dove volete andare a parare? »
«Dovresti imparare a trattenerti… qualche volta…» disse Beatrix, cercando di essere il più chiara e docile possibile, «Lo fanno apposta a provocare. Cercano vittime con cui giocare. Capisco che non puoi sopportarlo, ma non puoi metterti sempre in mezzo così, tutte le volte. »
Grace sbottò furente, «Oh ma certo, ci credo che tu lo capisca, Beatrix… » ma prima che potesse dire altro, Jenny riprese parola: «Tutti li odiamo, Grace… per questo pensavamo di… »
«Ah sì? Li odiate?»  urlò Grace, sbattendo le mani sul tavolo, alzando sempre di più il tono della voce e attirando l’attenzione di tutti i presenti nel locale. «E allora dov’eravate la notte in cui Albus Silente è morto? »
«Grace, calmati… abbass… »  provò a dire Cloe.
Grace la ignorò, continuando imperterrita: «…eravate a divertirvi nella vostra sala comune, a spassarvela per  Halloween…» si fermò un momento, poi continuò:  «…anzi no, forse c’ eravate proprio voi sotto i cappucci, ridotti come servi ad eseguire ogni ordine di Voldemort! »
«NO! »
Il caos si distribuì all’interno del pub. Tavoli e sedie vennero rovesciati, mentre la gente si smaterializzava e gli studenti si riversavano verso l’unica uscita, inveendo contro chi aveva proferito il nome proibito.
«Brava Grace, complimenti! »  urlò Jenny, fuori di sé.
«Scusate, io… »  sussurrò Grace, guardandosi intorno, visibilmente scossa.
«Ormai siamo fottuti Grace, grazie! »  le gridò contro, Erik.
«Pensiamo a come uscire da qui… »  cominciò a dire Helena.
«Dovremmo lasciarla al suo destino… è colpa sua! »  urlò Cloe che venne ignorata da tutti, mentre Helena continuava: «…la porta d’entrata è intasata! Non faremo in tempo se arriveranno… »
Una voce arrivò da dietro di loro, «La finestra nel bagno! »
I ragazzi si voltarono, Madama Rosmerta teneva aperta la porta.
La pioggia era diminuita. Una pioggerella fine cadeva sulle teste dei ragazzi che svelti si erano allontanati, nascondendosi dietro ad una delle ultime case di Hogsmeade, dove si erano fermati per guardarsi indietro.
Davanti al pub c’erano una decina di uomini. Uno di questi teneva Madama Rosmerta per il collo. La donna urlava, diceva che non ne sapeva niente che era lontana da chiunque fosse stato a pronunciare il nome.
Quella donna li aveva coperti e salvati. Se i Ghermidori avessero scoperto la verità, l’avrebbero uccisa. Perché aveva rischiato tanto?
L’uomo che la minacciava la liberò.
Forse avevano avuto fortuna. Magari i Ghermidori pensavano che si fosse trattato di un ubriaco che avesse nominato il nome di Voldemort senza neanche rendersene conto. Ma quella speranza svanì com’era nata, perché all’improvviso comparve un gatto che vedendoli gli soffiò contro, miagolando all’impazzata, tradendo la loro presenza.
Il gruppo di uomini si voltò, vedendoli, scattarono verso di loro.
I ragazzi cominciarono a correre con tutte le forze che avevano in corpo.
I “Cacciatori”, nonostante più vecchi, erano sorprendentemente veloci e agili. Riuscivano ad evitare le fatture che, di tanto in tanto, i ragazzi scagliavano contro di loro.
Mancava poco al castello, una volta entrati a Hogwarts, sarebbero stati salvi. O almeno così credevano.
In quel punto il terreno era più fangoso, essendo piovuto molto e trovandosi nel piano, l’acqua si era mischiata alla terra formando delle pozze di fango. Elaine, perse l’equilibrio, scivolando. Grace si fermò per aiutarla.
Beatrix che era ultima, raggiunse le due. «Vai!»  ordinò a Grace, dando la mano alla caduta per aiutarla a tirarsi su, poi insieme ripresero a correre.
Vide Elaine scattare in avanti, mentre lei si sentì afferrare per il polso e trascinare indietro.
Aveva il respiro corto e il cuore che le batteva a mille in gola.
«La corsa è finita! »  annunciò il Ghermidore, mentre le sfilava la bacchetta dalle mani.
«Prendete gli altri, non fateveli scappare!» gridò con tono di comando a qualcuno che correva.
Beatrix cercò di divincolarsi, ma era inutile, la presa era salda.
«Vi divertivate a scherzare con il nome del Signore Oscuro, eh?»  la derise, voltandola verso di sé. La ragazza si trovò il viso dell’uomo a pochi centimetri dal suo. Doveva avere sui trentacinque anni, o poco più. Si sentì scrutare dai suoi occhi verde scuro, segnati dalle occhiaie. Due ciocche di capelli scuri gli sfioravano l’occhio sinistro e la guancia. Aveva i capelli lunghi, sporchi e mossi, raccolti in una coda dietro la schiena. Sentiva il suo alito sulla pelle, sapeva di alcool. Questo le fece ricordare dove lo aveva visto per la prima volta. Era l’uomo che la fissava al Paiolo Magico, quando era uscita con Grace.
«Qual è il tuo nome?»
La ragazza non rispose, titubante se mentire o dire la verità,
«Ti ho chiesto… »  disse con maggiore aggressività, afferrandola dietro al collo.
«Beatrix Todd »
L’uomo la studiò con il suo sguardo penetrante, mentre la ragazza cercò di rimanere impassibile. Ad un tratto, lui avvicinò il volto al suo collo e ne odorò i capelli. Lei rimase spiazzata da quella sua abilità inaspettata.
«Ti è andata bene, purosangue…»  sussurrò.
In un punto poco più avanti si erano radunati gli altri Ghermidori, ognuno teneva un ragazzo.
«Un buon bottino, devo dire! »
A parlare era stato un uomo, se lo si poteva definire tale, indossava un cappotto lungo, una maglia strappata dalla profonda scollatura che mostrava i pettorali e il collo ricoperti di pelo, pantaloni in pelle nera e anfibi. Era il lupo mannaro mangiamorte, conosciuto per la sua ferocia, Fenrir Greyback. Sebbene fosse nelle sue sembianze umane, mostrava chiaramente cosa fosse in realtà. Aveva la fronte ampia e alta, lunghi capelli grigi e lisci che gli circondavano il volto, gli occhi erano gialli, mentre la pupilla era scura cerchiata di azzurro. Sogghignò mostrando dei lunghi denti affilati e macchiati che spuntarono da dietro le sue labbra.
«Chi abbiamo l’onore di avere qui?» domandò con voce gutturale.
«Cloe Morgan» rispose l’uomo che teneva Cloe, «Purosangue.»
Greyback guardò Cloe, con sguardo depravato.
«Non è nella lista dei ricercati, non vale niente…» valutò un altro, dopo aver studiato attentamente il foglio che teneva in mano.
In questo modo passarono in rassegna tutti.
«Elaine Harvey e Grace Fray sono le uniche mezze…» dichiarò il Ghermidore che teneva le due ragazze, «Inoltre è proprio questa che ha pronunciato il nome…»  rese noto, spingendo Grace.
«Molto bene… allora non facciamole aspettare… vanno portate subito al Ministero!» affermò Greyback, curvando le labbra in un sorriso malvagio.
«Invece degli altri cosa ne facciamo?»  domandò l’uomo che teneva Jenny.
«Lasciateli! » ordinò Greyback, suscitando lo stupore di tutti,  «Sono tutti purosangue, non sono fuggiaschi e nemmeno ricercati. Non valgono niente…»
Beatrix non appena si sentì di nuovo libera, si girò per riprendersi la sua bacchetta.
«Ho la sensazione che ci rivedremo molto presto…»  le sussurrò il Ghermidore all’orecchio, restituendole l’arma.
La ragazza sapeva bene a che cosa stavano andando incontro Grace ed Elaine. Non aveva dimenticato la sua visione. Non poteva permettere di farsi portare via la sua amica.
Rimase ferma nel punto in cui si trovava, impugnando stretta la bacchetta. Stava per alzarla, quando sentì qualcuno urlare al suo fianco: «Non ce ne andremo senza di loro!»
Jenny stava correndo contro Greyback, «Non le porterete via!»
Alcuni Ghermidori puntarono le bacchette contro la ragazza, altri andarono verso di lei.
Jenny era stata veloce, si trovava molto vicina al lupo mannaro e dalla sua bacchetta, prima di venire colpita da un incantesimo di disarmo, scaturì un lampo di luce verde che colpì Greyback in pieno petto.
La bacchetta di Jenny le volò via dalle mani, poi tutto sembrò rimanere sospeso. Attese un tremolio, un rantolo, qualcosa che facesse sperare nella morte dell’uomo. All’improvviso impallidì, rendendosi conto del tremendo sbaglio che aveva commesso, ricordandosi che solo qualche giorno prima la McGranitt aveva parlato di argento.
L’argento era l’unica arma in grado di ucciderlo.
La ragazza si sentì tutti gli occhi puntati addosso. Tutto ad un tratto venne invasa da una puzza di sudore, mista a sangue, che faceva asfissiare. Spostò la testa da un lato, disgustata e spaventata da quell’uomo malvagio. Era davanti a lei, con sul viso un’espressione disumana, «Guarda un po’ ho trovato l’ antipasto per la luna piena di stasera!»
Nel frattempo gli amici avevano sguainato le bacchette, in difesa di Jenny, lanciando fatture e maledizioni contro i Ghermidori.
«E voi sarete la mia cena!» aggiunse il lupo mannaro, quando se ne accorse.
Non ci volle molto per far saltare le bacchette di mano a tutti i ragazzi, poi gli uomini avanzarono verso di loro per riprenderli.
Greyback si voltò improvvisamente, colpendo Jenny di sorpresa e ferendola al volto con le sue sporche unghie affilate. La ragazza cadde in ginocchio, nel fango, portandosi le mani sul viso coperto di sangue. Sembrava che Greyback non avesse finito con lei, aveva uno sguardo famelico e inumano.
«Non toccarla, bastardo!» urlò Erik lanciandosi su Greyback nel disperato tentativo di distrarlo dalla sua preda. Il lupo mannaro si girò in tempo, afferrando per il collo il ragazzo e sollevandolo da terra. «Cos’è che volevi fare, bamboccio?»  lo schernì, aumentando la stretta. Erik trasalì.
Beatrix che fino a quel momento aveva cercato di non farsi prendere dal Ghermidore, vedendo la scena, si lanciò contro il lupo mannaro, tirando fuori dalla tasca del suo cappotto, un piccolo pugnale d’argento.
Erik cadde a terra, libero, tossendo e cercando di prendere ossigeno.
La mano di Beatrix si fermò a mezz’aria, proprio quando stava per affondare la lama. Qualcuno dietro di lei  l’aveva fermata, bloccandole la mano e sottraendole il coltello.
Lo sguardo di Greyback era terribile.
La ragazza non riusciva a liberarsi dalla presa di chi, dietro di lei, la teneva per le braccia. Aspettava il peggio.
Il lupo mannaro le assestò un pugno allo stomaco che la fece cadere in ginocchio, poi un altro alle costole che la fece piegare in avanti, in cerca d’aria.
«È noi che volete! Lasciali stare!» urlò Grace divincolandosi, tra le braccia di un Ghermidore, con una riga di sangue che le colava giù dalla tempia.
Greyback la ignorò. Afferrò il mento di Beatrix, sorridendole crudele, mostrandole i denti appuntiti.
Voleva morderla, lo sapeva. L’unico scopo di Greyback era trasformare più persone che poteva, condannare l’umanità a quello che era costretto a sopportare lui.
«Greyback, ma quello non è il pugnale della Lestrange?» fece notare qualcuno, dietro di loro.
Il cuore di Beatrix ebbe un sussulto.
«Da qua!» ringhiò.
Greyback si chinò nuovamente su di lei, avvicinando la lama affilata al suo volto.
«Appartiene a Bellatrix Lestrange?»
La ragazza non rispose.
L’uomo ringhiò, scaraventandola a terra. Mise un piede sulla sua spalla e distribuì tutto il peso sulla gamba per evitare che si rialzasse. La ragazza serrò i denti per non dargli la soddisfazione di urlare.
«Portami quel ragazzo,»  ordinò ad uno dei suoi uomini, «…vediamo se dopo che lo avrò morso le tornerà la voce…»
«Sì. E’ di mia zia» rispose la ragazza a terra con, sorprendendo se stessa, orgoglio e fermezza.
«Giusto… tua zia… chissà come hai fatto a prenderglielo… non ha l’aria di essere una che fa regali…» Greyback rise malvagio, continuando a pesarle sulla spalla, «Ti piacciono le torture, ragazza? Perché la Lestrange lo riavrà presto… per me sarà un ottimo guadagno… pagherà per riaverlo e non sarà contenta quando scoprirà che sei stata tu a rubarglielo…»  la schernì l’uomo.
Beatrix nonostante la sua condizione scoppiò a ridere, «Sei veramente convinto che Bellatrix Lestrange pagherà per riavere ciò che è suo? Se non ti uccide, puoi considerarti fortunato…» ma venne zittita da una maggiore pressione sulla sua spalla. Gli occhi le si riempirono di lacrime, dal dolore e dall’umiliazione.
«Sta’ zitta! Tu parlerai solo quando io ti do il permesso di farlo!» Greyback la liberò, tese una mano prendendola per un braccio, tirandola su in malo modo, «Cambio di programma…»  annunciò, scaraventando Beatrix nella presa del Ghermidore di prima. «…li portiamo tutti al Ministero! E chissà… se qualcuno ne esce vivo, ci potremo divertire… »  disse, guardandola come se avesse davanti il suo piatto preferito, «…ho trovato il mio dessert!»

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Capitolo 9
*** Condannati ***


 

Capitolo 9

Condannati
 


 
Ogni cosa sembrava sprofondare sempre più nell’oscurità.
La spalla le faceva molto male e le tempie le pulsavano tremendamente. Fino a quel momento, intorno a lei aleggiavano ombre, ma lentamente, il mondo sembrò riprendere forma.
Si erano materializzati in un enorme salone, molto affollato. Al centro erano state posizionate due immense sculture di pietra raffiguranti un mago e una strega seduti su due troni, creati con dei corpi, s’intuiva fossero dei babbani. La ragazza però la ricordava ben diversa quella statua. L'unica volta che era entrata al Ministero della Magia era stato per registrare la sua bacchetta a undici anni. Già allora aveva trovato il Ministero della Magia un luogo da brividi, ma ora, dopo la presa di Voldemort, lo era ancora di più. L'Atrium era come una grande piazza al coperto, lungo una parete c'erano dei camini disposti in fila, erano gli ingressi della metropolvere con i quali i maghi potevano teletrasportarsi da un focolare all’altro tramite la polvere volante.
Il Ministero della Magia, come gli aveva spiegato suo padre, si divideva su dieci livelli, ognuno con una specifica funzione. Per spostarsi da un piano all'altro si potevano usare gli ascensori che si muovevano in ogni direzione, oppure le scale.
I Ghermidori spinsero i cinque ragazzi dentro ad uno degli ascensori. Elaine e Grace erano sparite e con loro Greyback e alcuni dei suoi uomini.
L'ascensore partì in verticale poi si fermò improvvisamente cambiando direzione, muovendosi verso destra, poi di nuovo in su, per poi fermarsi.
La porta s’aprì per far entrare qualcuno e non appena vide chi era, Beatrix trasalì. Era l'uomo calvo che aveva visto nella sua visione. Lui avrebbe ucciso Elaine e forse anche Grace, se non lo aveva già fatto.
«Scabior, cosa fate di nuovo qui?»  chiese arrogante, rivolto all'uomo che aveva preso Beatrix.
«Il nostro lavoro... Ministro! »  rispose questo, mostrando fermezza.
Il Ministro della Magia, Yaxley, diede una rapida occhiata ai ragazzi e massaggiandosi il pizzetto sul mento, disse: «Altri mezzosangue?»
«Oppositori... Sono tutti purosangue insubordinati... stavano con le due mezzosangue...»
«Ah...beh la questione è diversa allora...» Yaxley sorrise perfido guardando Beatrix negli occhi, la ragazza contraccambiò lo sguardo di sfida, ma non poté parlare a causa dell’incantesimo silenziatore che era stato fatto ai ragazzi. «Portateli tutti all'Aula Dieci. Dobbiamo sbarazzarcene stasera stessa... » ordinò, uscendo dall’ascensore non appena si riaprì.
«Nono livello, Ufficio Misteri, Aula Dieci»  recitò la voce dell'ascensore.
I Ghermidori li strattonavano per un lungo corridoio. Le pareti erano lisce e fredde e ad ogni passo Beatrix sentiva una stretta al cuore, l'aumentare di una terribile tristezza e un profondo sconforto.
Ad un certo punto sentirono delle grida soffocate, sembrava provenissero dalle pareti. Dopo poco, un pò più avanti da loro, si aprì una porta dalla quale uscirono due uomini vestiti con dei lunghi cappotti neri.
Beatrix si fermò di colpo assieme a tutti gli altri.
Gli uomini trascinavano per le braccia una ragazza dai capelli rossi, lei non opponeva resistenza, non piangeva, non urlava. Si era arresa.
Le grida continuarono più forti e per un momento le sembrò di vedere gli occhi della ragazza, svuotati, senza anima, privi di emozioni.
«No!» urlò una quarta persona che usciva dalla porta, «Mia figlia é purosangue come me!» La donna si buttò sui due, cercando di liberare la ragazza, ma quelli erano stati più veloci e la madre colpita si accasciò a terra, mentre una riga di sangue le usciva dalla bocca. «Purosangue, purosangue vi dico...» ripeteva, mentre guardava i due uomini allontanarsi con la sua bambina.
«Avanti, non abbiamo tutto il giorno...» disse uno dei Ghermidori spingendo Beatrix in avanti.
Passarono vicini alla donna, il viso rigato dalle lacrime, la testa appoggiata sulla spalla, la bocca socchiusa e gli occhi aperti verso il buio dove avevano portato sua figlia. Ormai un guscio vuoto.
La ragazza con gli occhi annebbiati dalle lacrime venne fatta sedere su una sedia, all’improvviso da essa uscirono delle catene che le bloccarono i polsi ai braccioli. La stessa sorte era capitata anche ai suoi amici accanto a lei. Nel mezzo dell'aula c'era Grace. L'amica non poteva vederli perché dava loro le spalle, stava in piedi e aveva le braccia legate dietro la schiena, guardava davanti a sé, c’erano tre uomini vestiti di tuniche color prugna con una “W” argentata incisa sopra, stava per Wizengamot, il tribunale supremo dei maghi.
Beatrix si guardò intorno. I Ghermidori erano spariti e di Elaine non c'era traccia. Un tremendo sospetto la fece sbiancare.
Dopo pochi minuti entrò l'uomo che avevano visto in ascensore, non indossava nessuna tunica, ma lo stesso completo da Mangiamorte di poco prima.
Yaxley si sedette nel posto centrale a lui riservato.
«Grace Fray, giusto?» domandò, guardando la ragazza con una sorta di sorriso compiaciuto, come se fosse già chiaro che se la sarebbe tolta dai piedi tra poco.
«Sì e voglio essere liberata subito... sono innocente di qualsiasi cosa Lei stia tentando di accusarmi...» rispose risoluta.
«Lei ha pronunciato il nome di Colui-che-non-può-essere-nominato. Era a conoscenza del divieto imposto dal Ministero? Si rende conto di aver infranto la legge e della punizione che ne conseguirà?» 
«Oh avanti, ammetta il vero motivo del perché sono qui... sono una mezzosangue!» urlò Grace con tutto il fiato che aveva.
Yaxley scoppiò in una risata falsa, «Oh bene, visto che Lei è così acuta saprà di certo come li trattiamo quelli come Lei... »
«Vi odio! Siete degli esseri viscidi! Voi e il vostro Padrone siete destinati ad essere sconfitti... siete solo delle marionette impaurite nelle sue ma...»
Grace tacque, colpita da una maledizione che la fece trasalire.
«Sfacciata per una che sa già il suo destino...» Yaxley si rigirava la bacchetta tra le mani, la sua voce malvagia echeggiò nella stanza fredda, «Finiamo questa faccenda così avrò un’altra sporca mezzosangue in meno di cui preoccuparmi e potrò andare a cena...»
Stese il braccio pronto a lanciare la maledizione, «Avada...»
Beatrix sentì delle dita fredde stringerle la mano. Trasalì, guardò in basso e vide che Cloe, accanto a lei, le stava passando la bacchetta.
I tre uomini vestiti con le tuniche del Wizengamot crollarono insieme, la bacchetta del Ministro saltò via dalla sua presa e le catene di Grace si spaccarono di colpo.
I ragazzi liberi, si alzarono con le bacchette in pugno. Non c'era tempo per chiedersi cos'era successo. Dovevano pensare a come uscire da quel posto, il prima possibile.
Uno strano rumore fece sollevare la testa ai ragazzi. Una decina di dissennatori stava calando su di loro.
«Expecto Patronum!» urlarono in coro.
Una volpe, un gatto, un corvo e un' aquila uscirono dalle bacchette di Beatrix, Grace, Erik e Helena, riuscendo così a bloccare il passaggio ai dissennatori, accecati dal loro splendore.
I ragazzi superarono la porta, ma non si diressero verso l'ascensore (senz'altro bloccato per via dell'allarme scattato), presero le scale. 
«Non lasciateveli sfuggire, prendeteli!» sentirono urlare Yaxley, un piano più sotto.
Le maledizioni, passavano vicine ai ragazzi che non avevano tempo di voltarsi e rispondere.
Beatrix si rese conto dell'impossibilità di salvezza. Anche se fossero riusciti ad arrivare fino all’atrio, non sarebbero riusciti ad uscire, l'intero Ministero era sotto allarme e tutte le vie di fuga sicuramente sbarrate.
I ragazzi vennero disarmati. Alcuni uomini gli bloccavano la strada e in breve tempo vennero raggiunti da quelli che gli stavano alle calcagna.
Erano in trappola.
I ragazzi vennero accerchiati.
Yaxley sbucò da dietro i suoi uomini, «Peccato, tanto sangue puro sprecato inutilmente...»  li schernì, guardandoli con espressione soddisfatta, «...avete preferito fare gli eroi, difendere una sudicia mezzosangue... e mettervi contro il Ministero della Magia...» «Tuttavia mi sento in vena di perdonarvi... vi lascerò vivere e tutto ciò che è successo oggi verrà dimenticato. Tornerete a scuola e dalle vostre famiglie, come volete... ma... »  e Yaxley si fermò, guardò i ragazzi con lo stesso sorriso compiaciuto di poco prima, «... solo se vi farete da parte e mi lascerete uccidere quella feccia! »  concluse lui, indicando Grace, pregustandosi già l'idea di come sarebbe finita.
I ragazzi non si mossero, guardarono tutti fissi l'uomo davanti a loro, con sguardi colmi di odio.
«Come volete, allora. Uccideteli.» ordinò, sorridendo estasiato.
All'improvviso sentì un trambusto e diversi corpi che cadevano.
«Tu, qui? Sporco traditore...»
Beatrix aprì gli occhi. Le guardie che fino a poco prima li circondavano erano riverse a terra.
Qualcuno con il volto coperto da un cappuccio teneva sotto minaccia Yaxley.
«Perché, Ministro, non ritorna a fare il suo bel lavoro pulito? Coraggio vada! » 
Lo sguardo di Yaxley divenne vacuo, poi con un movimento rigido si voltò e scese le scale.
Il gruppo di amici, nel frattempo, aveva recuperato le proprie bacchette da terra.
«Andatevene! Ne stanno arrivando altri! » li informò lo sconosciuto, restando voltato per non farsi vedere in faccia.
«Dove? Non possiamo tornare a Hogwarts!»  ribatté Jenny.
«E nemmeno a casa...» aggiunse Beatrix.
«Eccoli!» «Sono in trappola! »  urlò qualcuno che sembrava abbastanza vicino.
Lo sconosciuto prese a correre intimando ai ragazzi di seguirlo. Loro non se lo fecero ripetere, nonostante non lo conoscessero, gli erano riconoscenti.
Svoltarono a destra, entrando in una stanza colma di camini. Uno solo era acceso da una debole fiamma che sembrava sul punto di spegnersi.
«Dentro, sbrigatevi!» li incitò lui, «Tenetevi a me! » 
Beatrix prese per mano lo sconosciuto. E prima di teletrasportarsi, vide diversi uomini irrompere nella stanza e tra questi identificò suo padre che si avvicinava al camino.

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Capitolo 10
*** Rivelazione ***


 

Capitolo 10

Rivelazione


 
Scivolarono fuori da un camino e si ritrovarono stesi a terra.
Lo sconosciuto, ancora incappucciato, fu l'unico a rimanere in piedi, cominciò a fare incantesimi al camino e accese il fuoco, per evitare di essere seguito.
I ragazzi si guardarono intorno. Si trovavano in una casa, precisamente nel salotto. Era una stanza ampia, in pieno stile inglese, arredata con mobili dai toni scuri.
«State tutti bene?» domandò l’uomo, togliendosi il cappuccio e scrollando i biondi capelli ricci che gli arrivano alle spalle.
I ragazzi si erano tutti alzati, solo Grace era rimasta a terra, tremava e teneva la testa giù.
«Grace?» la chiamò Erik che era stato il primo ad accorgersene, ma la nominata non rispose, farfugliava tra sé e sé: «Era... davanti... a... me...» strinse i pugni, «…...ha detto che voleva il mio potere... ha detto che...lei non le serviva...Elaine...non... » Grace alzò la testa, aveva il viso rigato dalle lacrime, «L'ha uccisa... e non ho fatto niente...»
«Non è colpa tua... come potevi...» le sussurrò Jenny.
«Noooooo!»
L'urlo di Grace fu straziante, scoppiò in singhiozzi.
Beatrix la strinse, sapeva che nulla l'avrebbe calmata. «Stupeficium» sussurrò puntandole la bacchetta alla schiena. Grace svenne.
«Perché lo hai fatto?» chiese Cloe.
«Era l'unico modo» rispose lo sconosciuto, rispondendo per lei. S'avvicinò e posò una mano sulla fronte di Grace. «Ha la febbre alta...» dichiarò, allungando le braccia per tirarla su.
Beatrix continuava a tenerla, non aveva intenzione di lasciarla.
«Ricordo che mi avete detto che non avete un posto dove andare... » spiegò l'uomo, «Sta male. Ha bisogno di cure e di riposo. Non mi sembra saggio uscire fuori dopo tutto quello che è successo. E inoltre ora siete ricercati...» guardò i ragazzi, sopratutto Beatrix continuando «Non ospito sconosciuti in casa mia tutti i giorni, ma in questo caso non vedo alternativa...potete restare fino a che lei non si riprenderà, ma ovviamente la decisione spetta a voi...»
I ragazzi si guardarono.
«Comprendiamo il disagio che ti provochiamo...ti ringraziamo per la tua proposta...» cominciò a dire Jenny, dopo un lungo silenzio.
Beatrix guardò Grace che tremava ancora nonostante fosse svenuta. «Accettiamo» disse, interrompendo bruscamente l'amica.
Beatrix lo seguì, non del tutto tranquilla. Le sembrava strano che uno sconosciuto aveva rischiato la vita per salvarli e che ora li ospitasse in casa sua, senza chiedere nulla in cambio.
Uno scalino dopo l'altro arrivarono al piano superiore dove c'era un lungo corridoio e alcune porte chiuse. L'uomo le chiese di aprire l'ultima a destra, lei lo fece.
L'uomo adagiò Grace sopra un letto a due piazze. La camera era semplice, non molto arredata e probabilmente nessuno ci aveva mai dormito prima.
Beatrix si sedette sul letto, accanto all'amica. Rimproverava a sé stessa di aver anche solo pensato di scambiare Grace con la loro vita, al Ministero. Si sentiva strana, come se piano piano si stesse trasformando in un essere senza sentimenti come Voldemort e i Mangiamorte.
Lo sconosciuto le porse uno straccio umido. Lei lo prese, premendolo sulla fronte di Grace, pulendole il viso incrostato da sangue e lacrime.
«Questo le farà abbassare la febbre» sentì dire. L'uomo le stava porgendo un bicchiere riempito a metà di un liquido effervescente.
Grace riprese i sensi e Beatrix glielo fece bere.
L'amica si addormentò subito dopo, sussurrando parole sconnesse.
«Adesso ha solo bisogno di riposare.» concluse l'uomo, facendo capire alla ragazza che era ora di lasciarla.
Beatrix tolse le scarpe a Grace e la mise sotto le coperte, controllò un'ultima volta la stanza prima di chiudere la porta e seguire l'uomo giù per le scale, in silenzio.
Ritornarono in salotto. I ragazzi erano ancora in piedi che parlavano tra loro, ma si zittirono non appena li videro arrivare.
«Potevate sedervi, vi assicuro che i divani non mordono.»
I ragazzi sorrisero e presero posto.
«Come sta?» chiese Cloe preoccupata, mentre Beatrix si sedeva accanto a lei.
«Il peggio è passato. Ora dorme.» rispose brevemente, tenendo gli occhi bassi.
«Mi rendo conto che vi starete chiedendo se fidarvi o meno di me. Non spetta a me dirlo, ma vi garantisco che non ho intenzione di farvi del male, altrimenti mi sarebbe bastato lasciarvi nelle mani di Yaxley...» disse sedendosi su una sedia al contrario, appoggiando le braccia sullo schienale.
«A proposito... perché lo hai fatto?» chiese Erik investigativo, ma Helena intervenne: «Non fraintendere, ti siamo grati per averci salvato, ma ci è sembrato strano... hai rischiato molto...»
«Avete tutte le buone ragioni per volerlo sapere. La verità è che mi trovavo lì perché volevo uccidere il Ministro Yaxley» lo disse talmente a bruciapelo da far rimanere i ragazzi di sasso, «Una cosa che mi ha sorpreso è che di solito a quell'ora Yaxley si doveva trovare nel suo ufficio, mai prima di oggi aveva mai svolto un'esecuzione in prima persona. Cos'aveva di tanto speciale la vostra amica?»
«Niente... cioè...voglio dire... è una mezzosangue!» rispose Helena, ma Cloe chiarì: «E ha pronunciato il nome.» «Ah... capisco...» lo sconosciuto rimase in silenzio e in contemplazione per qualche secondo, poi si riscosse e continuò: «...comunque vi ho visti entrare con i Ghermidori e vi ho seguiti. Quando quei due scagnozzi vi hanno lasciato nell'aula e sono usciti li ho uccisi e ho preso le bacchette. Sono riuscito ad entrare nell'aula senza essere visto, prima dell'inizio dell'udienza...»
«Una cosa non capisco... se davvero volevi uccidere Yaxley come mai non lo hai fatto? Era davanti a te!» chiese Cloe, senza staccare lo sguardo dall'uomo davanti a lei.
«Semplicemente perché così sarebbe stato troppo semplice...» l'uomo sorrise, «Non ci sarebbe stato gusto e poi ho rivalutato il mio piano... cosa succederebbe se lui morisse? Assolutamente niente... Lui lo rimpiazzerebbe con un altro dei suoi scagnozzi... oh, grazie Sally...»
Nella stanza era entrata una piccola elfa domestica con due lunghe orecchie appuntite all'insù, aveva un aspetto pulito e ordinato e, al contrario di tutti gli altri elfi domestici, indossava un vestitino verde. Era un'elfa libera e ciò voleva dire che non prendeva ordini da quell'uomo, ma lo serviva per propria volontà, questo diede una prova ai ragazzi di potersi fidare di lui.
Sally appoggiò un grande vassoio sul tavolino al centro, c'erano dei panini imbottiti e sei bicchieri riempiti di succo.
«Ciao!» la salutarono i ragazzi, in coro.
Lei ricambiò con un sorriso e chinando la piccola testolina verso l'uomo chiese: «Posso fare qualcos'altro?»
«Basta così, Sally. Vai pure a riposarti. Grazie. »
L' elfa fece un profondo inchino ed uscì dalla sala.
L'uomo allungò una mano, prendendo un bicchiere e bevve. Così anche i ragazzi si servirono e iniziarono a mangiare.
«E voi invece? Come siete finiti al Ministero? Non eravate a Hogwarts?» chiese lui.
«Sì...eravamo a Hogsmeade e, come ho già detto, Grace ha pronunciato il nome di... Tu-sai-chi...» spiegò meglio Cloe.
«Grace? Si chiama così quella ragazza?» chiese l'uomo sorpreso.
«Ah sì, scusa... non ci siamo neanche presentati... io sono Jenny...»
I ragazzi si presentarono uno alla volta e quando toccò a Beatrix, l'uomo la fissò più a lungo rispetto agli altri.
«Tu invece?» chiese Helena.
«Sono James. Preferisco non dire il mio cognome, visto che non ho più alcun legame con la mia famiglia. Mi hanno ripudiato perché ho scelto di diventare un Auror, anziché unirmi a loro... »
Beatrix alzò lo sguardo su di lui, studiandolo a lungo, incuriosita da quanto aveva detto. Forse poteva trovare in lui un aiuto per fare la sua scelta?
L'uomo si accorse del suo sguardo e lo ricambiò, poi riprese: «Toglietemi una curiosità...ma se è stata la vostra amica a dire il nome, perché vi hanno presi tutti?»
«Ci siamo opposti...» rispose Erik.
«Ho tentato di uccidere Greyback... anche Beatrix... a dire il vero, lei c'è andata più vicina...» aggiunse Helena, «Stava per ucciderla... ma poi si è distratto...»
Beatrix era stufa di essere soggetta a quel continuo sguardo e ai discorsi.
«Oltre alle nostre bacchette, i due tizi che hai ucciso al Ministero avevano un pugnale dalla lama d'argento?» chiese Beatrix, cercando di cambiare discorso e ricordandosi del pugnale che le aveva preso Greyback.
«No» rispose James.
«E l'altro che è scappato?»
«Chi?»
«Hai detto che ne hai uccisi due. Erano in tre che ci hanno portati al Ministero.»
«Allora probabilmente se n'era già andato... io ne ho visti solo due... e due ne ho uccisi.»
Silenzio. L'orologio suonò le tre di notte.
«Direi che è abbastanza per oggi... ora dovreste riposarvi...» consigliò James, guardando l'orologio, «Sopra ci sono tre camere, Sally deve aver già aggiunto dei letti... » L'uomo s'alzò e i ragazzi fecero lo stesso, allora aggiunse: «Vi chiedo soltanto di non usare la magia per alcun motivo. Ho protetto questa casa con incantesimi di difesa, ma potremmo comunque essere rintracciati dal Ministero. Non vi chiedo di darmi le vostre bacchette, ma posso fidarmi di voi?»
I ragazzi annuirono.
«Ci puoi contare!» assicurò Cloe.
Beatrix seguì i suoi amici, non vedeva l'ora di tornare in camera da Grace per vedere come stava. O forse era una scusa, forse voleva solo evitare di rimanere sola con lui. Notò invece che Cloe era rimasta indietro e stava parlando con James. Probabilmente ringraziamenti per l'ospitalità e bla bla bla. I soliti discorsi che faceva Cloe e probabilmente anche qualche avance, conoscendola.
Notò anche che lui alzò ancora lo sguardo verso di lei e Beatrix, infastidita, fingendo di non essersene accorta guardò davanti a sé e salì gli scalini il più rapidamente possibile.
S'avvicinò all'amica che era sdraiata supina e respirava normalmente. Le tastò la fronte, era ancora calda, ma non bollente come qualche ora prima. Tranquillizzata Beatrix si tolse le scarpe e si sedette a gambe incrociate, nella parte libera del letto, accanto a lei. Sciacquò lo straccio di prima e le passò il panno sul viso, mentre lo faceva sentiva le palpebre farsi sempre più pesanti, ma non voleva, non doveva dormire. C'era qualcosa che non le quadrava. Non si fidava di quell'uomo. Le sembrava che nascondesse qualcosa che non avesse detto tutta la verità. Era molto strano e misterioso.
Solo in quel momento si rese conto di quanto le faceva male lo stomaco, la spalla le andava a fuoco e forse aveva una costola incrinata. Beatrix si sdraiò perché il dolore era davvero forte. Stendendosi si rese conto di essere stanca morta.
“Chiudo gli occhi solo per qualche secondo. Non dormirò.” pensò, mentre posava la testa sul cuscino.
Un sussurro nel suo orecchio. Si svegliò.
Si mise seduta sul letto, cercando di guardarsi intorno, ma attorno a lei non c'era altro che oscurità e non voleva accendere la luce, per non disturbare l'amica.
Tese le orecchie in ascolto di un nuovo suono, ma non arrivò. Forse lo aveva solo immaginato.
Eppure non si mosse, aveva la sensazione che qualcuno la stesse osservando.
All'improvviso sentì di nuovo la voce che la chiamava, lontana.
Questa volta si alzò. Scalza, superò le varie porte e giunse nel corridoio. «Mamma!» chiamò, ma la sua voce rimbombò nel vuoto, tra le fredde e lisce pareti, nel lungo ed oscuro androne. L’eco si fece sempre più forte, assordante da spaccare i timpani. Si portò le mani alle orecchie. Pensò che fosse impossibile che non ci fosse nessuno nel corridoio, con un tale baccano tutti si sarebbero svegliati, uscendo. Allora una terribile verità le affollò la mente cioè che tutto stava accadendo solo nella sua testa. Sconvolta dalla paura, si voltò per tornare nella sua stanza il più in fretta che poteva, ma non vedeva nulla senza occhiali, non distingueva le forme e non riusciva a capire in che posto si trovasse e come ci fosse finita. Spostò le braccia davanti a sé, arrancando, cercando il muro per appoggiarsi. La terribile certezza di essere spiata non era mai passata. Tastandosi, cercò la bacchetta, senza trovarla, mentre dei passi si facevano più vicini.
Cominciò a correre senza sapere dove andava, persa nella follia della sua paura. Sentiva il cuore batterle in gola.
Due occhi rossi spuntarono nel buio, davanti a lei, come due fari nella tempesta.
«No…no… » urlò, voltandosi, ma qualcun altro le aveva già sbarrato la strada.
Non riusciva a respirare, si sentiva strozzare da mani invisibili, urlò con tutte le sue forze, ma dalla sua bocca non usciva che un sussurro.
«Non ti fermi per uno spuntino? »
Un sorriso malvagio. Due denti appuntiti spuntavano dalle gengive, brillavano nel buio. Poi i denti si sporcarono di un liquido rosso e denso. Sangue. Il suo sangue.
La prima cosa che fece fu guardare accanto a lei. Grace dormiva ancora. Tuttavia questo non riuscì a tranquillizzarla.
Era vero. Era sicura che il suo sogno era realmente accaduto. Lo sospettava dal primo giorno: i Carrow erano vampiri.
Gli studenti erano in grave pericolo, ogni notte i due fratelli uccidevano qualcuno.
Era orribile da sapere e tanto più non poter fare niente.
Si bagnò il viso e rimase per un po' a guardare lo specchio davanti a lei, vedeva il suo riflesso avvolto nel buio e si chiedeva se non fosse così anche all'interno. Il suo cuore, la sua anima. Si sentiva sempre più oscura.
Aveva paura, una tremenda paura che la divorava.
Si rese conto che il giorno prima aveva sfiorato la morte per ben due volte e in quel momento divenne qualcosa che sarebbe arrivata presto, era dietro ad ogni angolo. Ora erano ricercati.
Quale dolore aveva provocato a sua madre? Perché aveva agito in quel modo tanto sciocco?
Il cuore le batteva all'impazzata, non riusciva più a stare li ferma. S' infilò le scarpe e facendo attenzione a non svegliare Grace uscì dalla stanza.
Si ritrovò nel corridoio. Andò verso le scale, per scendere. Non sapeva dove sarebbe andata o cosa avrebbe fatto, desiderava solo uscire da lì.
Avanzando s'accorse che una delle porte era socchiusa. Incuriosita, spiò dalla fessura. C'era una scrivania con diverse carte ordinate sopra, uno scaffale dall'altro lato, la stanza sembrava essere vuota. Vinta dalla curiosità e dalla necessità di sapere qualcosa di più su quell'uomo, entrò.
Era uno studio. Beatrix s' avvicinò alla scrivania per esaminare i documenti. Accese una piccola lampada sul tavolo. C'erano diverse cartelle e fascicoli. La ragazza li consultò uno alla volta, leggendo la didascalia sull'etichetta. “Brown”, “Wood”,”Turner”, “King” erano cognomi e aprendo la cartellina c'erano foto, descrizioni e informazioni su ogni persona. Su alcune foto era stata disegnata una “X” rossa.
“Malfoy”, “Lestrange”. Beatrix stava per prendere la cartellina di Bellatrix, quando si bloccò. “Todd” lesse.
L'aprì tremante e vide le foto dei suoi genitori seguite da descrizione e informazioni che nessuno poteva sapere, se non chi aveva vissuto con loro. Girò parecchie pagine prima di trovare anche la sua foto e molte moltissime informazioni che solo chi l'avesse pedinata poteva conoscere. Posti che frequentava, hobby, modo di vestire, comportamento, amici... c'era l'elenco di soli cinque nomi ed erano coloro che dormivano tranquillamente nelle camere accanto.
Questo voleva dire che i suoi dubbi riguardo quell'uomo erano fondati. Già li conosceva, sapeva tutto di loro, ogni più piccolo e banale dettaglio. Aveva mentito.
Beatrix chiuse la cartella di scatto, si voltò per correre ad avvertire gli altri, a svegliarli per andarsene, ma vide che la porta era stata chiusa. Era sicura che quando era entrata l'aveva lasciata socchiusa.
Beatrix si girò sguainando la bacchetta, ma questa le volò via dalle mani ancora prima di accorgersene.
«Vi ho salvati da morte certa... vi ho dato una casa... l'unica cosa che vi ho chiesto in cambio è di fidarvi di me... e tu?»
«Io non mi fido di te!» sussurrò Beatrix, in tono cattivo.
«Me ne sono accorto...» disse lui, avvicinandosi.
«Smettila di fingere! Non ci hai salvati, tu ci stavi cercando e questi lo dimostrano!» urlò la ragazza indicando i documenti sopra la scrivania.
Lui continuava ad avvicinarsi a lei, aveva una strana espressione dipinta sul volto. Spaventosamente seria.
«Cosa sono questi? Chi sei tu?» continuò lei con voce ferma, senza arretrare.
«Lo sai» rispose l'uomo, fermandosi a pochi centimetri da lei.
«Non so chi tu sia, né cosa tu voglia da me. So solo che qualcosa mi ha spinto a non crederti sin dall'inizio... qualcosa mi fa odiarti...»
Lui cercò di prenderla, ma lei riuscì a scappare dalla sua presa. Gli tirò un pugno in faccia e si voltò cercando di scappare.
«Svegliatevi! Ragazzi svegliatevi, scapp...» urlò con tutte le sue forze, ma all'improvviso si sentì afferrare da dietro e una mano le tappò la bocca.
Lei cercò di divincolarsi e di mordere la mano, ma non ci riuscì.
«Basta, ora devi ascoltarmi, Beatrix... devi farmi parlare... ti lascio, ma non urlare...»
La ragazza non appena si sentì libera, si voltò.
«Ti assicuro che tu e i tuoi amici non avete niente da temere da me... quello che ho detto è la verità... » aggiunse lui, mentre un livido gli stava comparendo sulla nuca.
«Allora perché quelli, perché tutte quelle informazioni su di me e la mia famiglia?» controbattè Beatrix, senza farsi impietosire dalle condizioni del ragazzo.
«Perché...» James fece una lunga pausa di silenzio, sembrava che dovesse trovare le giuste parole, sembrava che si stesse per liberare da un peso che portava da anni in silenzio, «Mi mancate, sopratutto tu e la mamma...»
Beatrix lo guardò divertita, «Cosa?» scoppiò a ridere.
Lui la prese per il polso, «Ti pare un gioco Beatrix? Ti sembra che stia scherzando? Smettila con questa scena, non capisco perché continui a fingere, a ignorarmi!» disse infuriato, fissandola con i suoi occhi color nocciola.
La ragazza spaventata s'allontanò da lui, facendo un passo indietro.
«Ti sei dimenticata di me?» chiese James, nel suo sguardo c'era la disperazione più profonda, «Cosa ti hanno fatto?» allungò una mano verso di lei, mentre le lacrime gli rigavano il viso. Beatrix non sapeva cosa fare, era incredula e spaventata da come la situazione fosse cambiata così drasticamente.
«Non puoi esserti arresa così...» disse James, avvicinandosi di più a lei, «...devi provarci, ritrova i tuoi ricordi Beatrix, non puoi aver dimenticato... » le prese il viso tra le mani.
«Mi dispiace, non... »
La testa le scoppiava. La disperazione di quell'uomo la faceva stare male. Si sorprese a piangere a sua volta. Poi un flash di luce bianca e spalancò gli occhi.
Sopra un prato fiorito era steso un telo su cui sedevano un ragazzo e una bambina.
«...e ti viene messo il Cappello Parlante sulla testa, non devi fare nulla, lui è molto saggio, sarà lui a scegliere la casa a cui appartieni…» spiegò lui.
La bambina lo guardava sognante, «Perché non possiamo andarci insieme?» chiese.
«Perché sono più grande di te, sono al quarto anno. E quando tu andrai al primo anno, io avrò già finito da un anno. Aspetta, tra cinque anni arriverà il tuo turno!» disse sorridente.
La bambina si rabbuiò, «Mi scriverai? Tornerai presto?»
Il ragazzo continuava a sorridere, colse una margherita da terra e la diede alla piccola, «Conserva questo fiore. Quando partirò inizierà a perdere i petali, ma quando il giorno del mio arrivo sarà più vicino ricresceranno »
La bambina rise e si lanciò sul ragazzo abbracciandolo, caddero a terra e si misero a ridere entrambi.
La scena si dissolse come fumo e cambiò.
Un ragazzo di qualche anno più grande era al cospetto dei genitori, poco distante un viso di una ragazzina spiava la scena da una porta socchiusa.
«Non accadrà mai che mio figlio diventi un auror... toglitelo dalla testa…» gridò un uomo livido dalla collera. Era suo padre, Sweeney. Era un po' più giovane, il viso era comunque marcato dalla durezza dei lineamenti e aveva lo stesso taglio di capelli, ricci, corti e neri con una ciocca bianca che si distingueva dal resto. «E se cercherai di opporti sei libero di andartene da questa casa!» concluse guardandolo colmo di disprezzo con i suoi occhi azzurri.
La madre che fino a quel momento era rimasta in silenzio, si avvicinò al marito e mettendogli una mano sulla spalla per calmarlo, disse: «Perché non possiamo…»
L'uomo la guardò storto maligno e senza farla finire di parlare, sbraitò: «Fa silenzio! La nostra famiglia ha l'onore di discendere da Salazar Serpeverde, il Signore Oscuro è fiero di noi, delle nostre origini e del mio lavoro. Non permetterò che uno sciocco ragazzo con le sue idee strampalate rovini tutto!»
Nellie staccò la mano dal braccio dell'uomo e fuori di sé urlò: «Per te conta solo VOLDEMORT...ma non pensi a nostro figlio?!»
Il marito la guardò in modo spregevole e le tirò uno schiaffo.
Il ragazzo scattò in difesa della madre, ma si arrestò nel sentire le ultime parole di Sweeney.
«Quale figlio, noi non abbiamo nessun figlio!»
La donna si portò le mani alla bocca orripilata, gli occhi sgranati e le lacrime che le bagnavano le guance.
Nebbia.
«Ti prego, non te ne andare! » urlò la ragazzina in lacrime, mentre inseguiva il fratello che sembrava non avesse voglia di dare addii, ma ad un tratto si fermò, si chinò e avvolse la sorella in uno stretto abbraccio.
«Non me ne andrò, se tu lo vorrai, io resterò qui…» indicandole il cuore,
La bambina lo guardò sorridendo con il volto bagnato, non capendo bene quello che volesse dire, « … per sempre?» Lui annuì e ripeté: «Per sempre!»
Beatrix tornò alla realtà, al posto del ragazzo trovò un uomo, il fratello che aveva e che gli era stato portato via, nascosto, cancellato. La sua mente venne affollata da tanti ricordi di quel breve tempo che aveva passato insieme a lui. Si ricordò anche di quando suo padre le aveva cancellato la memoria, cancellando per sempre l'identità di un figlio che non avrebbero mai dovuto avere.
La ragazza abbassò lo sguardo tirando fuori, da sotto la maglia, il ciondolo che portava al collo e che aveva sempre nascosto.
«Non capivo per quale motivo mi piacesse. Era una semplice pallina di vetro con dentro un fiore senza petali. L'ho sempre portato con me...» la ragazza sollevò la testa, mostrando al fratello il ciondolo. La piccola margherita all'interno ora era ricomposta.
Tutti e due sorridevano e piangevano come bambini. Non c'era bisogno di parole. Bastava non lasciarsi più.
 
 

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Capitolo 11
*** Fratellanza ***


 

Capitolo 11

Fratellanza


 
Beatrix era seduta a gambe incrociate sul divano, avvolta in una coperta, ascoltava il suono della pioggia che picchiava sui vetri delle finestre. Si sentiva protetta, finalmente al sicuro.
Era passata una settimana da quando aveva ritrovato suo fratello. Era felice di essere con lui, ma provava un forte senso di tristezza. Sapere che Hogwarts e il Ministero erano ormai in mano a Voldemort e che l'intero mondo magico era destinato a soccombergli la spaventava. Aveva paura per tutti quelli che conosceva, per le loro famiglie, compresi i suoi stessi parenti, incluso Draco.
Suo fratello entrò nella stanza, interrompendo i suoi pensieri.
Le porse una tazza di cioccolata fumante, Beatrix la prese.
«Tutto bene?» chiese lui, mentre si sedeva accanto a lei sul divano.
«Veramente no... voglio chiederti una cosa...» cominciò a dire la ragazza, avvolgendo la tazza tra le mani, non sapendo bene come iniziare.
«Ti ascolto...»
«E' da quando sono piccola che mi capita di fare dei sogni...» iniziò a spiegare, «...per lo più incubi in cui avvengono cose che si verificano anche nella realtà...»
James appoggiò il bicchiere sul tavolino, tenendo lo sguardo fisso, «Riguardano persone che conosci?» chiese.
«Quasi mai. A volte parlano di cose che non conosco e pronunciano nomi che non ho mai sentito...» Beatrix fece una pausa di riflessione, poi si decise a continuare, «Tempo fa ho sognato Tu-sai-chi,» James voltò la testa guardandola serio, «...torturava Olivander...ed è successo prima che se ne scoprisse la scomparsa.»
«Questi sogni sono nitidi?» la interruppe James, alzandosi e dirigendosi verso lo scaffale al lato della stanza.
La ragazza annuì.
«Sei una delle persone o guardi la scena dall'esterno?» chiese ancora James, facendo scorrere le dita sulle copertine dei libri disposti in fila.
«Dipende »
Il ragazzo si voltò di scatto, «Ne hai parlato con qualcuno?»
Beatrix scosse la testa, un po' spaventata dalla sua reazione. «Sei l'unico al quale ne ho parlato...» rispose.
James sembrò calmarsi. «Hai fatto bene. Questo è un dono. Tu-sai-chi cerca di approfittarsi di persone con simili poteri.» James la cinse per le spalle, «Immagino che non sia facile sopportarlo, visto come stanno andando le cose penso che non vedrai cose piacevoli, ma devi capire che un tale potere può fargli comodo. Lui teme che le persone come te possano intralciare i suoi piani, quindi o le raduna o… » si fermò per un momento, poi proseguì in tono freddo, «…le uccide.» James la guardava molto seriamente, continuando a stingerle le spalle: «Devi promettermi che non ne farai parola con nessuno... perfino io posso essere un pericolo per te, per questo motivo cancellerò questo ricordo dalla mia mente, ma tu prima devi promettermi che non ne farai parola con nessuno!»
Beatrix rimase sbigottita, riponeva la massima fiducia in lui, invece sembrava che James non provasse la stessa cosa per sé stesso.
«Va bene James. Te l'ho prometto.»

Sentirono un rumore alla porta ed entrambi si voltarono di scatto.
«Che giorno è oggi?»
«Grace! » Beatrix si alzò di colpo, correndo verso l'amica e stringendola in un abbraccio.
La ragazza si appoggiava al muro, debole, aveva gli occhi stanchi e segnati dalle occhiaie, i capelli arruffati, ma c'è l'aveva fatta. Aveva sconfitto la febbre e da adesso in poi avrebbe pensato solo a rimettersi in forze.
«Come ti senti? » le chiese James, aiutandola a raggiungere il divano, facendola sedere.
«Meglio, però...» fece una pausa, preoccupando i due. «...ho una gran fame! »
Beatrix e James sorrisero sollevati.
La ripresa non fu semplice. Esteriormente Grace sembrava migliorare, ma non era più la ragazza di prima. Era ancora profondamente scossa per Elaine. I ragazzi cercavano di non lasciarla mai sola, ma ogni tanto capitava che scoppiasse a piangere improvvisamente.

Un pomeriggio James li radunò in salotto.
«Qualche giorno fa Grace mi ha chiesto quali fossero le tecniche di combattimento degli auror e mi ha fatto pensare che non avete mai fatto vera e propria pratica. Ho pensato di proporvi di fare un po' di esercizio ovviamente se vi va...»
I ragazzi scoppiarono in un'esultazione generale.
«Sarebbe bellissimo, James.» rispose Beatrix, entusiasta. «Però come facciamo con la magia? Fin'ora abbiamo evitato di usarla per non essere rintracciati dal Ministero!»
James sorrise, «Hai ragione. Ma in questa casa c'è ancora una stanza che non avete visto, creata appositamente per questo scopo... ma perché spiegarvelo? Scendiamo subito, così la vedrete!» dicendo questo si voltò e cominciò a scendere una scala che portava alla cantina. I ragazzi lo seguirono, fermandosi, poco dopo, davanti ad una porta arrugginita. James girò le chiavi nella toppa e spalancò la porta. Il seminterrato era un’unica grande stanza illuminata da diversi candelabri, c'era un grosso armadio disposto lungo una parete e dalla vetrinetta si poteva vedere una collezione di piccole armi, dai coltelli alle pistole.
«Come mai tieni queste armi babbane? Non basta la magia agli auror?»
«E' solo una mia passione» rispose brevemente James, forse infastidito dalla domanda impertinente di Erik.
Al centro della stanza c’era un fantoccio, e nel momento in cui James chiuse la porta, prese vita e fece un inchino.
«Che ne pensate?» domandò James, compiaciuto delle espressioni meravigliate dei ragazzi, mentre guardavano il frutto del suo lavoro.
«E’ una stanza straordinaria!» esclamò Cloe.
«Allora, volete iniziare? »

James si posizionò al centro della stanza, accanto al manichino, mentre i ragazzi si disposero in cerchio attorno a lui.
«Un buon auror deve tenere a mente cinque punti fondamentali...» cominciò a spiegare, «...rispettare e far rispettare la legge, avere una strategia, difendersi e sopravvivere. Ora, visti i recenti avvenimenti, il primo punto possiamo anche saltarlo perché non combatteremo contro maghi e streghe che si possono definire rispettosi della legge. Ciò a cui daremo importanza da questo momento sarà: strategia, attacco e difesa.»
Jenny alzò la mano e James gli diede la parola, «Mi sono sempre chiesta… ma gli auror le usano le maledizioni senza perdono?»
Tutti spostarono lo sguardo da Jenny a James, in attesa di una risposta.
«Sono vietate dal Ministero della Magia, ma in caso di estrema necessità sì. Non esistono contro-incantesimi per quelle. E se non vuoi morire certe volte sei costretto ad usarle» rispose James, poi cambiò argomento: «Ma andiamo per gradi... se veniste feriti, conoscete qualche incantesimo di cura?»
«C'è anapneo che libera le vie respiratorie e innerva per far riprendere i sensi dopo uno schiantesimo... » cominciò Cloe cercando, come al suo solito, di fare la saputella.
«Oltre a innerva esiste anche reinnerva che ha lo stesso effetto, da usare se colpiti da un altro tipo di fattura» aggiunse Erik.
«Epismendo aggiusta le ossa rotta e guarisce tagli e ferite.» disse Grace.
«Emendo preceduto dal nome latino cura la parte del corpo indicata anche dalla bacchetta...» continuò Cloe.
James sorrise compiaciuto e alzò le mani per farli fermare.
«Molto bene! Un auror non deve sapere solo come attaccare, ma anche come difendersi e curarsi. Ora passiamo alla parte divertente, provate a sferrare qualche attacco contro i fantocci e fate attenzione alle luci perché potrebbero spegnersi da un momento all’altro.»
Davanti a loro erano comparsi altri manichini che presero vita all'improvviso, quello davanti a Beatrix lanciò un incantesimo che per poco non la colpì.
«Quando combattete dovete concentravi al massimo, nulla deve distrarvi.» chiarì James, passando tra di loro e spesso fermandosi per correggerli quando sbagliavano o per spiegargli una tecnica.
«Usate troppi incantesimi poco potenti, provate a confondere e nello stesso tempo a colpire l'avversario, non perdete tempo con fatture ridicole, non servirà a niente far crescere i denti al vostro nemico!»
«Erik, usa diffindo se vuoi indebolirlo!»
«Grace, tieni la bacchetta più alta per lanciare l'experlliarmus. »
«Prova con locomotor mortis per bloccargli le gambe e farlo cadere. Colpo secco del polso.» disse a Beatrix, prendendole la mano con la bacchetta e insegnandole il movimento.
Il manichino cadde a terra e la ragazza lo puntò con la bacchetta, improvvisamente pensò alla maledizione cruciatus, al formicolio al braccio, alla sensazione di controllo e di piacere che aveva provato quando l' aveva lanciato a Bellatrix. Era tentata... ma a cosa sarebbe servito? Un fantoccio non provava dolore.
Nel frattempo, com' era stato annunciato, la luce si spense e temendo di colpire i suoi amici rinunciò a lanciare lo schiantesimo. Quell'esitazione le costò un volo all'indietro e un doloroso atterraggio sulla schiena.
Le luci si riaccesero e si ritrovarono tutti a terra.
«Questo vuol dire che avete a cuore la salute dei vostri compagni, il che è un bene certo, ma se avrete dei Mangiamorte davanti a voi, non si preoccuperanno certo di chi colpiscono. Non dovete avere ripensamenti. Tenete sotto tiro il vostro nemico e colpitelo subito, anche in maniera sleale, anche di spalle. Loro non se ne farebbero di problemi.»
I ragazzi, sbalorditi, guardarono l'uomo.
«James...» prese parola Beatrix, tirandosi su da terra, «Cosa vuoi dire? »
«Avete capito bene. Dovete usare la magia oscura, se volete che sia un duello ad armi pari» rispose lui.
«Stai scherzando?» domandò Erik, raccogliendo la propria bacchetta dal pavimento.
«Perché no? Il Ministero non bada più a sbattere ad Azkaban chi le usa. La sua unica preoccupazione in questo momento è di sbarazzarsi dei mezzosangue.» rispose James, incrociando le braccia e guardando serio Erik.
«E allora se è così facile perché non hai ucciso il Ministro della Magia quando lo avevi davanti?» continuò il ragazzo, ricambiando lo sguardo di sfida e sospetto.
«Non vuoi proprio capire, eh? Non dovete sottovalutare la strategia, è questa che vi manca. Se io non avessi avuto un piano sarei morto con voi. Credi che quel camino al Ministero fosse rimasto acceso per miracolo? No, ho usato una maledizione senza perdono su Yaxley per necessità, per uscire da lì. Il Ministro può anche tenersi la sua vita, per quel poco che vale» terminò James, «Soddisfatto?»
Ci fu un lungo silenzio.
Grace intervenne: «Io mi fido di James. Voglio che continui ad insegnarci, così quando verrà il momento saremo pronti a spaccare il culo a quei Mangiamorte del cavolo e ci riprenderemo Hogwarts!»
«Per Hogwarts! » risposero tutti in coro.
«E per Silente!» aggiunse Helena.

«Ora possiamo continuare?» domandò Cloe girandosi verso James.
«Va bene...» rispose lui, «...dividetevi in coppie, facciamo uno contro uno!»
Beatrix guardò istintivamente verso Grace e notò che anche lei la guardava.
«Mi concedi l’onore di questo duello?»
«Con piacere, Beatrix. L'onore è tutto mio!» rispose l'amica facendole l'occhiolino.
Le due ridacchiarono.

«Procederemo con una coppia alla volta. Così possiamo studiare i movimenti di ciascuno. Chi vuole andare per primo?»
Beatrix e Grace si lanciarono uno sguardo d'intesa e in silenzio raggiunsero il centro della stanza, mettendosi l'una di fronte all'altra.
«Al mio via...1...»
Ciascuna stringeva nel pugno la propria bacchetta, pronte in posizione d' attacco.
«...2... »
Si guardavano sorridendosi.
«...3...via!»

«Stupeficium! » strepitò Beatrix.
Grace che era già pronta, respinse abilmente la fattura con un' incantesimo scudo. «Petrificus Totalus!»
Beatrix si spostò di lato, evitando l'incantesimo dell'avversaria. «Confringo!»
Grace si abbassò e la fattura passò oltre colpendo uno dei manichini che esplose scatenando lo stesso effetto a quelli vicini.
«Incarceramus!»
Questa volta Beatrix non schivò in tempo, cadde a terra legata stretta da delle corde. Questo le ricordò molto la notte di Halloween quando si erano scontrate contro Bellatrix e Grace era riuscita a bloccarla ma, come quella notte, Grace esultò non accorgendosi che nel frattempo Beatrix si era liberata con un incantesimo tagliuzzante.
Le parti s'invertirono. Grace capitombolò a terra, colpita dalla fattura dell'amica.
«Experlliarmus » gridò Beatrix per disarmare l'avversaria, ma quest'ultima si era sollevata frettolosamente in ginocchio, rispondendo all'attacco con la stessa fattura. I due incantesimi si scontrarono con un boato, uno dei due avrebbe vinto sull'altro e si sarebbe scoperto chi era la più forte tra le due.
Beatrix si rese conto che non aveva mai preso sul serio le capacità dell’amica, l’aveva sempre considerata una sorella minore da difendere, ma ora che erano arrivate a quel punto capiva che si era sbagliata. Grace era forte, lo era sempre stata, ne aveva superate così tante. Non era possibile che fosse il contrario.
La bacchetta le volò via dalla mano e Grace raggiante l'afferrò con un salto.

«Questo per voi era un duello?» domandò James, scuro in volto, «E' un gioco per voi? »
«Veramente a me sembra che...» s'azzardò a dire Jenny, ma venne interrotta bruscamente dall'uomo.
«Grace con me» ordinò James.
Nessuno osò replicare.
Questa volta il duello durò pochissimo. James rallentò Grace e la disarmò in un attimo.
«Beatrix, tocca a te.» la chiamò suo fratello, con la stessa freddezza di poco prima.
Lei lo raggiunse, mettendosi in guardia.
James era veloce e spietato. Le lanciava incantesimi non verbali uno dopo l'altro, senza darle tempo di attaccare, la ragazza poteva solo parare i colpi. Stava cominciando ad innervosirsi e ad un tratto sentì riemergere in lei la voglia di lanciare la maledizione cruciatus. Sapeva che non doveva nemmeno passarle per la testa di usarla, non poteva. Ma uno strano sentimento si era impossessato di lei e la maledizione scaturì all'improvviso dalla sua bacchetta contro il fratello. Lui rispose. Le due magie si scontrarono.
“Devi voler provocare dolore” sentì dire la voce di Bellatrix, nella sua testa. Beatrix si riscosse, riprese il controllo del proprio braccio e ritirò l'incantesimo. La fattura del fratello la colpì e lei cadde a terra stringendo i denti.
Il dolore le si espandeva in tutto il corpo, bollente come fuoco. La ragazza tentò di mascherare il dolore, tirandosi su velocemente, ancora agonizzante, vide che suo fratello parlava, ma non riusciva a sentire cosa diceva. Sperava solo che i suoi amici non avessero capito che cosa l'aveva colpita altrimenti avrebbero perso ogni fiducia in lui.
«Per oggi basta così, riprenderemo domani...Beatrix tu rimani, vorrei parlarti...»
La ragazza guardò i suoi amici uscire uno per uno dalla stanza e quando se ne furono andati rimase ad osservare la porta arrugginita, chiusa. Non riusciva a guardare suo fratello in faccia, era ancora scossa.
«Perché Beatrix? »
Dal suo tono di voce sembrava deluso, dispiaciuto, arrabbiato, sconvolto. Tutto perché lei si era arresa al desiderio di usare una maledizione proprio su di lui, su suo fratello.
«Perché hai ritirato la maledizione?»
Beatrix alzò il viso, scioccata. «Scusa?»
«Stavi vincendo, dovevi solo metterci più... come posso dire? Sadismo! Pensa a Bellatrix, puoi... »
«Spero tu stia scherzando James!» urlò Beatrix, fuori di sé vedendo il suo sorriso soddisfatto, «Ti volevo colpire con una maledizione senza perdono! Non è già orribile da pensare di farlo ad uno sconosciuto? Volevo lanciarla a te!»
«E allora? Solo così puoi fare pratica!»
«Hai detto di usare una maledizione solo in caso estremo!»
«Lo era! In uno scontro simile contro un Mangiamorte, non riusciresti mai a vincere. Lo devi uccidere tu o sarà lui a farlo... lo so che è brutto da dire, ma tu e i tuoi amici dovete imparare ad uccidere... altrimenti sarà molto difficile sopravvivere...»
Beatrix non staccava gli occhi dallo sguardo del fratello, incredula che parlasse seriamente.
«Sapevo che tu eri l'unica... sapevo che non mi avresti deluso... ti ho attaccato in quel modo per fartelo fare...» disse James prendendola per il braccio.
Beatrix indietreggiò spaventata. «C-c-cosa hai fatto?»
«Preferisci usare quelle inutili fatture, quindi? Preferisci morire?»
La ragazza cercò di ricacciare indietro le lacrime e parlò mantenendo la voce bassa e ferma, «Tu non sei così... il James che ricordo non voleva avere niente a che fare con la magia oscura...»
Il viso del fratello si deformò in un espressione di disprezzo, mentre stringeva la presa sul suo braccio.
«Il James che ricordi è morto, non si avvicina lontanamente a chi sono oggi.»
«No» sussurrò lei.
«Come mi vuoi vedere allora? Debole?» James la tirò facendola avvicinare al muro, «E' così che mi vuoi vedere?» urlò, indicando un punto in alto.
La ragazza tremava, spaventata dal suo atteggiamento. Guardò il punto indicato, non sapendo che altro fare. La parete era ricoperta da quadri che non aveva notato a causa della poca luce. Uno in particolare dominava su tutti gli altri, raffigurava due giovani, un uomo e una donna. James, aveva i capelli più corti e guardava teneramente la giovane che teneva per la vita, lei aveva lunghi capelli neri, la pelle olivastra e gli occhi di un azzurro chiarissimo, assomigliava ad una principessa indiana.
Beatrix sentì allentare la presa sul braccio fino a che si sentì libera, spostò lo sguardo su James, sembrava che si fosse calmato guardando il quadro.
«Si chiamava Aiyana, nella sua lingua significa fiore eterno…» la voce gli si incrinò, fece una pausa, per poi continuare: «Era una delle ultime discendenti di una antica tribù indiana, non era di sangue magico, ma possedeva il dono della resurrezione» James strinse i pugni, «Lui la cercava» affondò le unghie nel palmo della mano, «Io lavoravo al Ministero della Magia e già a quei tempi le cose stavano iniziando ad andare male. Scoprii di lei perché era ricercata, davano mille galeoni di ricompensa a chi l'avesse trovata. Era accusata di aver ucciso una famiglia di maghi.»
«Una sera andando al pub, ho sentito degli uomini parlare, era uno dei primi gruppi di Ghermidori, si vantavano di avere delle ottime tracce sulla ragazza. Dato che ero a corto di soldi e la ricompensa mi sarebbe stata utile, decisi di seguirli e riuscii a raggiungerla prima di loro. Quando la trovai capì che una creatura del genere non poteva che essere innocente così la portai via.
Riuscimmo a far perdere le nostre tracce, la nascosi fuori dalla Gran Bretagna, nel sud della Francia, le diedi un tetto e una nuova identità. Fu allora che mi confidò del suo potere, di ciò che Voldemort aveva fatto alla sua famiglia e del vero motivo per cui era ricercata. Passavano i giorni e per me era il momento di lasciarla, ma giorno dopo giorno diventava sempre più difficile e rimandavo continuamente la mia partenza. Non potevo farlo, lei sarebbe stata di nuovo sola e in pericolo. Mi chiese di restare.»
James alzò una mano verso il quadro e l'appoggiò sul viso della donna.
«Era così bella. Quando la guardavo provavo speranza nel genere umano, se solo tutte le persone avessero avuto in corpo anche solo un briciolo della bontà che aveva lei.» L'uomo tolse la mano dal quadro e continuò a parlare guardando il dipinto, «Non so in che modo, ma i Mangiamorte scoprirono dove eravamo ed entrarono in Francia. Presto, troppo presto. Dovevamo scappare, ma mi disse che aspettava un bambino.»
Beatrix vide lacrime silenziose scivolare dalle guance del fratello, «Non potevamo smaterializzarci, non potevo spostarla con la magia, non in quelle condizioni. Non poteva affrontare un viaggio così lungo e stancante. Inoltre non potevamo nemmeno usare i mezzi babbani perché saremmo stati ancora più rintracciabili. Così ci spostammo nella foresta, lontano da tutto e da tutti, ricoprì la casa d' incantesimi di protezione. Tagliammo ogni amicizia che avevamo per non rischiare di essere traditi. L’unica relazione che conservammo fu quella con il dottore che seguiva Aiyana nella gravidanza.» James tirò un pugno al manichino accanto facendolo cadere a terra, si mise le mani sulla fronte, «Una sera andai nel suo studio e lo trovai impiccato. Mi smaterializzai subito, tornando alla casa. Al mio arrivo le difese della casa erano crollate e la casa era in fiamme... Aiyana corse fuori e io la raggiunsi, i Mangiamorte ci accerchiarono. Mi disarmarono della mia bacchetta e in un attimo mi ritrovai a terra...»
James sollevò lo sguardo verso la sorella che lo guardava, «Vuoi sapere perché sono ancora vivo? Perchè V... Tu-sai-chi voleva che io vedessi... quando ordinò a Greyback di ucciderla... che questa sarebbe stata la mia punizione, la mia condanna per tutta la vita...»

James crollò sulle ginocchia, in preda al pianto.
Non c'era niente da dire. Nessuna parola poteva confortare un tale dolore.
Beatrix afferrò suo fratello e lo strinse forte, entrambi nascosero il viso nella spalla dell'altro e stettero così fino a quando furono versate tutte le lacrime.
 

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Capitolo 12
*** Fuoco e fiamme ***


 

Capitolo 12

Fuoco e Fiamme

 
 
I giorni passarono diventando settimane. La vita era abbastanza dura. Ogni volta che uscivano dovevano coprirsi con gli incantesimi anti-riconoscimento e prestare molta attenzione. Non parlavano con nessuno e cercavano di fare il più presto possibile per tornare alla casa. Ogni pomeriggio si allenavano duramente con James. Ma nonostante le tante difficoltà si facevano forza l'un l'altro. Erano insieme e questo bastava.
Una mattina di un giorno uggioso Cloe tornò a casa disperata. La ragazza raccontò che aveva incontrato i suoi genitori per strada che mendicavano e che stavano morendo di fame.
«Mi dispiace per la tua famiglia, Cloe.» cominciò a dire James, «...ma la mia casa non è un ospizio per accogliere tutti.» chiarì James, in un tono che non ammetteva repliche, poi si voltò dando le spalle alla ragazza e fece per andarsene.
Cloe crollò sulle ginocchia, in preda al pianto: «James, ti supplico... non puoi ignorarli… devi aiutarli!»
James si fermò.
«Lo so, che sono sfacciata. Tu ci hai accolto qui, ci hai sfamato, curato, protetto e istruito. Te ne sono infinitamente grata, ma... »
James la interruppe, «Le tue parole sono inutili. Non cambierò idea. »
Cloe sbiancò.
«Cloe, rifletti, non puoi chiedere questo a James... è troppo pericoloso... » intervenne Helena.
«No, Helena? Sai cosa inizio a pensare? Che James ci abbia accolto solo perché con noi c'era sua sorella. Altrimenti se ne sarebbe fregato... »
Beatrix odiava essere presa in causa, quel comportamento da parte di Cloe la stava facendo innervosire e lo stesso a James.
«Non m'interessa cosa pensi Cloe. Io garantisco la sicurezza in casa mia. E la mia risposta non cambia. Non accetto due persone che non conosco, potrebbero essere sotto effetto di qualche maledizione o della pozione polisucco, se non peggio... potrebbero essere spie!»
«Tu non capisci! Non puoi capire... come ci si senta a temere per la propria famiglia...tu non hai... »
Gli occhi di James divamparono come fiamme.
«Adesso basta Cloe!» intervenne Beatrix, furiosa «Questa è casa di James e fin'ora siamo stati al sicuro.»
La ragazza a terra abbassò la testa.
«Forse lui saprà di chi fidarsi o meno, non credi? Mi dispiace per i tuoi... ma con quello che sta succedendo...non puoi sapere...»
«Alzati! Andrò a prenderli, se è questo ciò che vuoi... »
Beatrix guardò James sorpresa.
Cloe alzò la testa e si tirò su in piedi avvicinandosi a James, aprì la bocca per dire qualcosa, ma l'uomo la precedette.
«Solo per tre giorni, per riposarsi e prendere ciò di cui hanno bisogno. Poi dovranno andarsene. Chiarisci questo aspetto.»
Cloe annuì riconoscente.
Il suo viso era stranamente già asciutto, nonostante il pianto a dirotto.

Un'ora dopo, una figura coperta da un mantello nero era davanti alla porta di casa.
«Non devi farlo, James... può essere pericoloso... non sappiamo chi siano queste persone... » sussurrò Erik.
«Ti prego James...» aggiunse Beatrix, appoggiando la mano sulla spalla del fratello, «...ho un brutto presentimento su Cloe...»
«Lo so, anch'io non sono tranquillo.» disse James, tenendo lo sguardo dritto davanti a sé, «Ma non posso rischiare di dare un giudizio sbagliato. Se davvero i genitori di Cloe hanno bisogno di aiuto e se gli capitasse qualcosa non potrei convivere anche con questo peso...» James uscì sotto la pioggia, tirandosi su il cappuccio, si voltò e aggiunse: «Mi raccomando: non abbassate la guardia! Se da qui ad un'ora non sono di ritorno, scappate!»
Si girò dandogli le spalle e si smaterializzò.

Era da tempo che non metteva piede a Diagon Alley. E dai suoi giorni d'oro era molto cambiata.
La maggior parte dei negozi erano abbandonati. Sulle vetrine erano appesi manifesti di ricercati che non erano più mangiamorte, ma auror ed oppositori. Tra questi c'era anche il suo, ma, fortunatamente, il grosso cappuccio calato sulla testa nascondeva la sua identità.
Strada facendo lo scenario non cambiò. Molti dei maghi che camminavano nel viale, avevano facce poco raccomandabili, indossavano capi scuri, guardavano dritti davanti a sé senza badare alla gente vestita di stracci che sedeva a terra ai bordi della strada.
James si guardò lentamente intorno e sicuro di non essere spiato, prese una via secondaria, fermandosi di fronte ad una vetrina di un negozio di scope. Teneva la mano destra sotto il mantello, stretta sull'impugnatura della bacchetta.

Sentì dei passi. James si voltò di scatto. Due signori, un uomo e una donna, dall'aspetto trasandato, svoltarono nella sua stessa via e si accostarono a lui.
«Morgan?» sussurrò.
«Fedeli a Silente» risposero in coro.
Un attimo dopo sentì una puzza inconfondibile, un odore che non sarebbe riuscito a dimenticare.
James sfoderò la bacchetta e attaccò.


 
«…diamo il via alla nostra esclusiva intervista al Ministro della Magia »
La giornalista Rita Skeeter sedeva su un divanetto bianco traforato, sembrava raggiante.
«Ministro, può dirci qualcosa riguardo l'aumento della sicurezza e dei controlli per le strade di Londra?»
L'inquadratura mostrò l'orrendo primo piano di Yaxley.
«Allo scopo di diminuire il crimine, tutti coloro che verranno sorpresi a vagabondare per le strade della città sprovvisti di carta di riconoscimento magico verranno arrestati immediatamente e condotti al Ministero per le dovute verifiche...»
Beatrix, sempre più irrequieta, camminava su e giù per la sala, lanciando continue occhiate all'orologio.
«Per quanto riguarda i controlli sull’autenticità di sangue magico?» chiese Rita Skeeter, ammiccante a Yaxley.
L'uomo non batté ciglio, sedeva sulla poltrona come un mafioso. Gli mancava solo il gatto in braccio e sarebbe stato perfetto, pensò la ragazza.
«Coloro che non si sono ancora presentati devono farlo al più presto. E' solo un semplice controllo, tranquillizzatevi brava gente, non succederà niente di pericoloso a voi e alle vostre famiglie!»
Ma chi voleva prendere in giro Yaxley, con quel suo ghigno beffardo?
«Un’ultima domanda signor Ministro... riguardo il caso di disordine al Ministero e la fuga della ragazza disturbata, è stato ristabilito l'ordine? Sono stati presi i responsabili? »
Cloe e Grace scoppiarono a ridere.
«Oh mia cara Skeeter, c'è voluto poco per ristabilire l'ordine al Ministero... per quanto riguarda gli oppositori... non può immaginare quanto ci siamo vicini in questo momento…»
«Grazie signor Ministro, per oggi è tutto da Londra, linea allo stu… »
Il televisore si spense.
«Cosa succede?» chiese Cloe con finto tono sorpreso.
«Ora basta con questa recita Cloe! Dov’è mio fratello?» urlò la ragazza, prendendo Cloe per il colletto, «Se gli hanno fatto del male, io… ti…»
«Non c'è tempo per litigare ora!» esclamò Erik cercando di separare le due, «Beatrix, ricordi cosa ci ha detto James? Dobbiamo scappare, ora!» intervenì Erik, sfoderando la sua bacchetta.
Anche Grace, Helena e Jenny impugnarono le loro bacchette, spaventate dalle espressioni degli amici.
«Non verranno qui...» sussurrò Cloe, abbassando lo sguardo.
I ragazzi la guardarono sbigottiti.
«Hanno i miegenitori...volevano solo James. Mi hanno promesso che se glielo avessi portato... »
La ragazza si arrestò, colpita dal pugno di Beatrix, il labbro le sanguinava.
«Tu... che...cosa hai fatto?» sillabò la ragazza, piena d’odio.
«Beatrix…» disse Erik, allungando un braccio, ma una voce vicina li congelò.
«Tranquilli, lo raggiungerete presto anche voi!»

I Ghermidori erano schierati davanti a loro.
Come avevano fatto ad entrare? Le protezioni a difesa della casa erano crollate? Cos’era successo a James...?
«Il gioco finisce qui!» esclamò Scabior.
«No! Avevamo un accordo!» urlò Cloe, facendosi avanti.
«Certo... ma il patto valeva se eri tu a consegnarcelo. E visto che sei qui, non mi pare tu sia stata di parola. Lo capisci, ragazzina? Non vedo come noi dovremmo mantenere la nostra!»
I Ghermidori dietro a lui sogghignarono. Scabior sorrise scaltro.
Cloe indietreggiò, incredula.
«Prendeteli!» ordinò ai suoi uomini.

Erik lanciò una maledizione a Scabior che la schivò. L'incantesimo passò dietro e colpì un uomo corpulento che stramazzò a terra. Il volto del Ghermidore si mutò in un espressione malvagia e attaccò il ragazzo.
La stanza venne invasa dalle luci degli incantesimi che distruggevano ogni cosa che colpivano.
Beatrix lanciava maledizioni contro i Ghermidori che le capitavano a tiro. Un irrefrenabile odio ribolliva dentro lei e riversò questo suo sentimento contro i nemici.
Qualcuno la colpì. Volò all'indietro, andando a sbattere contro il muro.
Davanti a lei c'era un uomo con una brutta faccia e una grossa cicatrice su un occhio.
«Guarda, guarda... non credevo che quel vecchio sciocco di Silente insegnasse ai suoi mocciosi l'uso della magia nera...» disse l'uomo con tono melodrammatico «Oh... se solo fosse vivo... che cosa direbbe di voi?»
La ragazza gli puntò la bacchetta contro, «Crucio» urlò.
Il getto di luce rossa investì il Ghermidore che non si aspettava un attacco. Si chinò, sotto l'effetto della maledizione.
Lei approfittò del momento per alzarsi e allontanarsi. Corse fuori dalla stanza. Sentì un forte boato, poi un esplosione e si ritrovò a ruzzolare giù dalla scala che portava al seminterrato.
Si alzò dolorante e sollevò lo sguardo. L'uomo la stava raggiungendo. Beatrix sollevò la bacchetta, lanciandogli un incantesimo di disarmo, ma l'uomo lo bloccò. Ormai era vicino, allungò una mano prendendola per il collo e bloccandola contro il muro: «Ah... tu devi essere l'altra figlia dei Todd...»
La ragazza rimase immobile.
«I traditori, sono la feccia peggiore!» disse malvagio, facendosi sempre più vicino, «Peccato non poterti uccidere subito. Sarebbe molto meglio per te morire ora piuttosto che subire l'ira di tua zia Bellatrix, non credi? O chissà magari si occuperà di te personalmente il Signore Oscuro, ma ne dubito, non spreca il suo tempo con dei mocciosi come voi. Sai è molto arrabbiato, gli siete stati particolarmente tra i piedi...»
«Coraggio allora stringi più forte, così mi fai soltanto il solletico!» urlò Beatrix, improvvisamente, «Uccidimi ora! Fallo o sarai tu a morire!» disse la ragazza con una voce diversa dal solito.
«Purtroppo non posso ucciderti. Lui vi vuole vivi ...» L'uomo aumentò la forza sul suo collo e si avvicinò al suo orecchio sussurrandole: «E se non sarà lui ad ucciderti, lo farai da sola... perché sei debole...»
«Sai… tu parli troppo!»
L'uomo sbarrò gli occhi dallo stupore. Beatrix gli aveva sottratto la bacchetta e lanciato un incantesimo tagliuzzante.
«Chi è ora il debole?»
Il Ghermidore crollò in ginocchio, annaspando nel suo stesso sangue, portandosi le mani al collo cercando di fermare l'emorragia.
Beatrix scavalcò l'uomo e cominciò a salire i gradini, tenendo la bacchetta stretta lungo il suo corpo, scandalizzata dalla sua stessa crudeltà, si voltò e guardò l’uomo in fondo alle scale che ancora agonizzava.
«Avada Kedavra»
La maledizione della ragazza partì dalla bacchetta e colpì il petto dell'uomo. Beatrix abbassò lentamente la testa e guardò l'uomo che aveva ucciso, steso sugli ultimi gradini. Aveva gli occhi spalancati e la bocca aperta, bloccata in un eterno: «Sei debole»
La ragazza si sentì tremare, ora aveva paura, paura di sé stessa.
L'odio che provava per Cloe era ancora vivo in lei, nonostante avesse combattuto per affievolirlo.
Aveva ceduto. Aveva usato la magia nera e si era macchiata del peggiore tra i crimini.
Aveva ucciso un uomo... magari aveva figli... una famiglia...
La ragazza si stupì del fatto che non riuscisse nemmeno a piangere. Non provava pena, la sua testa continuava a ripeterle che probabilmente se lo meritava. Era un Ghermidore e chissà quanto male aveva fatto, quante famiglie aveva distrutto solo per soldi.
Beatrix distolse lo sguardo. Non poteva restare lì per sempre, doveva andarsene, doveva provare a fuggire e trovare suo fratello. Solo in quel momento si rese conto che i rumori della battaglia erano finiti, sostituiti da rumori di oggetti pesanti che cadevano. Un forte odore di bruciato le invase le narici. Alzò la testa e con un braccio davanti al viso, cercò di correre verso la porta,mentre la vista cominciava ad annebbiarsi a causa della cenere e del fumo. Un caldo intenso l'avvolse e s’accorse di essere circondata dalle fiamme. Puntò la bacchetta contro il fuoco e lanciò un incantesimo di “Aguamenti”. Le fiamme si spensero nel punto colpito, la ragazza corse attraverso il varco, ma proprio in quel momento crollò un pezzo di soffitto e per poco non ci rimase sotto. Cominciava a sentirsi soffocare, tossiva cercando di prendere ossigeno, ma ormai era troppo tardi. Le fiamme l'avevano accerchiata, non avevano risparmiato niente, tutto si stava trasformando in cenere e lo stesso sarebbe successo a lei.

Qualcuno la fece alzare. Lei si aggrappò a quella figura con tutta la forza che le era rimasta. Non aveva idea di chi fosse, ma sapeva che era la sua sola speranza.
L’ultima cosa che vide fu un bagliore azzurro cielo tra le fiamme. Sentì l'aria fresca sferzarle il volto. Ciò le bastò per fidarsi. Chiuse gli occhi, abbandonandosi all’idea di essere stata salvata da un angelo.

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Capitolo 13
*** Dominazione ***


 

Capitolo 13

Dominazione

 

Aprì gli occhi. La stanza si fece sempre più nitida. Spaventata, non riconoscendo il luogo in cui si trovava, si tirò su di scatto.
La camera era decorata in modo raffinato con mobili in stile liberty e soprammobili dall'aria costosa. Il letto su cui era seduta era a una piazza e mezza, lavorato in ottone con diverse coperte ricamate a coprirla.
Un forte dolore al braccio la fece sussultare. Nelle narici sentiva ancora l'odore della casa che bruciava. L'odio per Cloe era ancora vivo in lei. S’alzò, questa volta con più delicatezza senza sforzare il braccio. Non capiva per quale motivo la spalla aveva ripreso a farle male. In effetti, ora che ci pensava, non ricordava di essersela mai curata. Il giorno in cui Greyback le era salito sopra con il piede era stato lo stesso in cui aveva incontrato James. Trovando suo fratello si era completamente dimenticata del dolore e ora che lo aveva perso, il male era tornato.
Da quanto tempo era lì? Doveva andare a cercarlo.
Si guardò intorno e s'avvicinò alla finestra per capire dove si trovasse. Guardò attraverso il vetro e vide una delle oscure vie di Notturn Alley. Non c'era molta gente in giro, per lo più uomini dai lunghi mantelli neri, probabilmente Mangiamorte.

«Buongiorno Signorina, si sente meglio?»
Beatrix si voltò e vide un’elfa domestica a pochi metri di distanza da lei. Non indossava stracci, ma un completo e quindi voleva dire che era stata liberata ed era rimasta a servire in quella casa di sua spontanea volontà. Questo rassicurò la ragazza.
«Sì, grazie. Come ti chiami? Mi puoi dire dove mi trovo?»
«Il mio nome è Callisto. Come ha appena visto da fuori si trova a Notturn Alley, altro non posso dirle. Mi dispiace. Il mio padrone risponderà alle sue domande, ora l’aspetta nel salotto, l’accompagno se vuole seguirmi.»
La ragazza seguì l’elfa nella stanza accanto, sempre arredata nello stesso stile elegante della camera e decorata da soprammobili importanti.
Ma fu la persona che vide seduta ad aspettarla a rubare la scena al resto.
«Ciao Beatrix»
La ragazza si portò istintivamente la mano alla tasca dove teneva la bacchetta, senza trovarla. Scabior abbozzó un sorriso, «Prevedevo una simile reazione...» le indicò il posto a sedere di fronte al suo. Appoggiata su tavolo c’era la bacchetta di Beatrix.
La ragazza si sedette, senza smettere di tenere alta la guardia.
«Perché sono qui?»  domandò la ragazza, «Dove sono gli altri?»  «Dov’è mio fratello?»  
 Scabior assunse un’espressione seria.
«Grazie Callisto, puoi andare. Qui dobbiamo discutere di affari.»
L’elfa fece un piccolo inchino, poi se ne andò e i due rimasero soli.
 «Una domanda per volta, Beatrix.»
Scabior prese la bottiglia che aveva sul tavolo, la stappò e versó il vino prima nel bicchiere della ragazza e poi nel suo.
«Nessuno sa che sei qui. Ti credono morta nell'incendio. Almeno... non ci sono tracce che facciano supporre il contrario. Però basterebbe anche un minimo indizio per stravolgere quella certezza...» disse Scabior prendendo il calice.
«A che scopo salvarmi?» domandò Beatrix, senza distogliere lo sguardo da lui, «Ma certo, come ho fatto a non pensarci prima… lo fai per i soldi ovviamente. Sai che i miei sono ricchi e sborserebbero qualsiasi cifra per salvarmi.»
Scabior bevve l’intero contenuto del suo bicchiere e lo posò sul tavolo.
« Ti sto offrendo la possibilità di cambiare la tua scelta. Davvero vuoi morire per quei tuoi amici? Valgono davvero più della tua vita? Dovresti pensarci. Sei ancora in tempo. Ho degli agganci. Posso nasconderti e nessuno ti troverebbe più. Saresti al sicuro.»
L'espressione incredula della ragazza mutò, allungò una mano, prese il bicchiere e bevve anche lei.
 «È il caso che t’informi anche che il Signore Oscuro ha offerto un’ottima ricompensa per chi ti consegna a Lui. Sa del tuo dono, vuole creare un esercito con tutti coloro che ne posseggono uno.» Beatrix lo guardò intensamente, abbassò il calice vuoto e disse «Desolata che tu abbia perso tempo per me e corso dei rischi, ma ho un’idea migliore… perché non mi porti tu stesso da Lui? Così avrai tutti i soldi tu senza spartirli con gli altri Ghermidori e non ci perderai niente. E io troverò di sicuro mio fratello e i miei amici che Voi avete venduto a Tu-sai-chi!» esclamò alzandosi in piedi.
Scabior la squadrò, sospirò e si fece di nuovo serio, «Prima di tutto quel braccio... non vogliamo che tu sia già dolorante quando il Signore Oscuro inizierà a torturarti, no?»  
 La ragazza si scoprì a tenersi il braccio dolente e lasciò la presa.
 «Sto benissimo. Prima me ne andrò da qui e prima li troverò. Se non mi ci porterai tu troverò un altro modo!»  esclamò e si guardò intorno cercando la porta.
« E dove di grazia? Se non sai nemmeno dove si trovano…» disse Scabior, guardando il bicchiere vuoto. Sbuffò e si alzò anche lui, afferrando la ragazza prima che aprisse la porta.
«Non ti avvicinare. Non basta salvarmi la vita per conquistare la mia fiducia. Non so chi tu sia realmente. So solo che lavori per Lui e questo basta…» disse con disprezzo. Lui non disse niente. Sentì le mani calde dell'uomo sul collo e poi sulla spalla. Le dita facevano pressione sulla pelle tastando prima la scapola, poi la clavicola ed infine un punto tra questa e l’omero. La ragazza trasalì. «Rilassati…» Le prese il braccio e tenendole la spalla mandò l'osso al proprio posto. Sentì un fortissimo dolore che sparì dopo poco. La fitta continua era sparita.
«Qui tutti cerchiamo di sopravvivere come possiamo» disse Scabior, «Come ti ho detto ti offrivo una scelta diversa, ma se rifiuti, ti consegnerò io… vediamolo come un risarcimento per il rischio che ho corso per te.»
La ragazza si voltò verso di lui, le punte dei loro nasi quasi si toccavano.
«Tranquillo, su questo non dirò niente e anche la mia mente ne sarà sgombra.»
Gli consegnò di nuovo la sua bacchetta.
«Grazie» disse senza guardarlo. Sentiva il suo respiro, caldo sulla pelle. I loro corpi si sfioravano. Lui era molto più grande di lei di circa vent’anni. Ma in quel momento la ragazza provava qualcosa che non aveva mai provato prima d’ora.
«Tienila tu.»  disse scostandosi da lei.
«Cosa?»
«La bacchetta tienila tu, ti servirà. La riprenderò una volta che ti avremo catturata… ho un piano!»




 

Il Paiolo Magico era il pub che faceva da tramite tra il mondo dei babbani e quello magico, nel retrobottega si trovava il passaggio per entrare a Diagon Alley. Fino a qualche tempo prima era un locale molto frequentato, allegro e piacevole. Non avrebbero mai osato riunirsi in un posto del genere. Ora, invece, era deserto e lugubre. L'intera stanza era illuminata da delle vecchie lanterne che pendevano dal soffitto, mentre durante il giorno la luce filtrava da delle piccole finestre a grate.
Un uomo secco e ricurvo stava servendo all'unico tavolo occupato quella sera, una lunga tavolata disposta accanto al muro, un'ottima posizione per aver il controllo su tutto il locale
 «E questa sarebbe la tua birra migliore?»  urlò un grosso uomo seduto a capotavola, scaraventando un boccale colmo di birra ai piedi del povero Tom, il proprietario, «Sembra piscio di folletto!»  
«Non ho altro, avete finito tutte le mie riserve di birra e gli alcolici...» sussurrò il vecchio, in tono supplicante. Greyback afferrò Tom per il colletto, portandoselo all'altezza del volto, «Allora dovresti rifornirti meglio, visto che siamo i tuoi ultimi clienti rimasti. O vuoi chiudere il tuo misero locale?»   L'anziano scosse il capo, rassegnato. «Allora vedi di trovare qualcosa di decente da portarci, altrimenti non azzardarti a tornare!» ordinò Greyback lasciando la presa su Tom. «E pulisci questo schifo!»   Tom si alzò e tremante, pulì il pavimento dalla birra e dai cocci del bicchiere, poi scuotendo la testa, sparì dietro al bbancone
 «Finalmente Scabior... dov'eri finito?» chiese uno degli uomini vedendo l'uomo che si avvicinava al tavolo. L'uomo sbatté sul tavolo un mantello raggomitolato. «Non credo che quella ragazza sia morta. Quando sono rientrato la casa era in fiamme, ma non ho visto il suo cadavere, però ho visto quello di Stayne. Dev'essersi smaterializzata. E dobbiamo trovarla se vogliamo quei soldi, altrimenti i Malfoy non ci pagheranno nemmeno gli altri.»
«E questo allora?»  domandò un ragazzo di alta statura, con folti capelli bruni e occhi chiari come il ghiaccio, il più giovane del gruppo.
 «Ho fatto un salto a Hogwarts… e dato che nella casa del fratello non c'era altro che cenere...» Uno degli uomini ruttò, abbassando il boccale dal quale stava bevendo. «Greyback seguirà la traccia e se la ragazza sarà ancora viva la troveremo prima di dire soldi» Alcuni uomini risero maligni, altri sorrisero maliziosi.
«Chiunque può averlo toccato... l'odore si sarà confuso...»  osservò un uomo dall'aspetto zingaresco, con i capelli legati a rasta, stravaccato sulla sedia con i piedi appoggiati al tavolo.
 «Questo sta in Greyback...»  rispose Scabior, voltandosi verso il nominato, «Pensi di esserne in grado?»   Il lupo mannaro trangugiò tutto d'un fiato la nuova birra portata da Tom, sbatté il boccale sul tavolo e con un espressione feroce, ruggì: «Ricordati di restare al tuo posto Scabior, sarai anche il capo di questa manica di idioti acchiappababbani, ma a me non puoi dare ordini... al contrario tuo, sono un Mangiamorte e agisco per conto mio... quando ne avrò voglia lo farò...»
 «Come vuoi, Greyback... ma se passa troppo tempo, qualcun altro prenderà la ragazza e si godrà i soldi. I Malfoy hanno detto chiaramente che prima verrà trovata, più alta sarà la ricompensa. Se la troviamo, tra poche ore saremo in una locanda come si deve a spassarcela con vero alcool e le migliori ragazze di tutta Londra e non in questa topaia...»
«Accordato!»  gridarono in coro gli uomini, alzandosi contemporaneamente. «E per te Greyback, non vorresti della fresca carne al sangue?» il lupo mannaro lo guardò e sorrise compiaciuto. Una voce tra le risa spiccò, era il ragazzo dai capelli folti, Strify, il novellino: «Quella sciocca starà cercando di raggiungere i suoi amici. La accontenteremo!» 



Il sole era tramontato e la temperatura stava calando rapidamente.
La ragazza camminava da ore ormai. Nonostante si muovesse, il freddo pungente della foresta la faceva tremare violentemente. Non doveva fermarsi, non poteva o sarebbe stata la fine. Doveva prendere una buona distanza dalla città, avvicinarsi il più possibile a Villa Malfoy. Sapeva solo che si trovava nel Sud Ovest del Wiltshire, in una zona desolata, lontano dalla città e vicino ad una foresta. Ed era lì che si era smaterializzata, era l'unico posto che conosceva di quella parte d'Inghilterra. Ma la foresta era enorme e non sapeva nemmeno se stava andando dalla  parte giusta. Si era addentrata nel fitto del bosco e non vedeva nulla intorno a lei, solo le ombre degli alberi. Non poteva accendere la bacchetta, se la stavano seguendo, l'avrebbero vista subito.
 Il sudore le impregnava il viso, si sentiva il respiro corto. Il cuore le batteva all’impazzata nel petto. Scossa sempre di più dai fremiti.
Poi sentì un fischio, perse l’udito per qualche secondo e il forte pulsare delle tempie la costringe ad inginocchiarsi a terra. I tremiti ora erano violentissimi, strinse forte gli occhi.
 Ma tutto d'un tratto non sentì più freddo. Il fischio finì. Sentiva il terreno umido sia con le mani e con i piedi. Percepiva ogni singolo movimento intorno a lei, anche dell'animale più piccolo. I suoni si erano amplificati. Sbarrò gli occhi e vide chiaramente ogni dettaglio davanti a lei. Provò a tirarsi su, ma non ci riusciva. Era rimasta a quattro zampe. Guardò giù. Le sue mani erano zampe, i suoi piedi pure. Girò la testa e vide un lungo corpo coperto di pelo e una coda folta, bianca. Non riusciva a capire come aveva fatto a trasformarsi in animagus. Aveva assunto la stessa forma del suo patronus: una volpe bianca. Fece qualche passo e si rese conto di essere molto più agile e leggera. Iniziò a correre, sfrecciando evitando gli alberi e i cespugli e drizzando le orecchie, attenta a tutti i suoni che sentiva. Arrivò ad un piccolo ruscello. Lentamente si avvicinò alla sponda e si specchiò. Il suo riflesso le mostrò un musetto da volpe delle nevi. Era contenta di quello che inaspettatamente era riuscita a diventare. Aveva sempre sentito dire che la trasformazione in Animagus era una tecnica difficile che andava imparata e praticata con costante esercizio e cautela, perché si poteva rischiare di rimanere intrappolati in quella forma per sempre, dimenticandosi di essere umani.
Probabilmente il suo spirito animale le era venuto incontro quando stava per crollare, era diventata tutt’uno con la foresta e questo le aveva permesso di trasformarsi.
Sentì uno scricchiolio. Un tasso stava uscendo dalla sua tana. Si era quasi dimenticata del perché si trovasse lì. Si guardò intorno e annusò l'aria, c'era uno strano odore. Forse era la puzza degli umani. Il silenzio venne spezzato da un lungo e terrificante ululato, sembrava molto vicino. Un solo nome le affollò la mente, riempiendole il cuore di paura: Greyback. La volpe scattò, ma con orrore si accorse che era stremata. La sua mente si affollò di pensieri umani. Si chiese se avesse fatto bene a fidarsi di Scabior. Anche le sue capacità sensoriali stavano svanendo. La vista le si annebbiò di nuovo. Andava di nuovo alla cieca. Smise di muoversi a quattro zampe e si tirò su in piedi. Aveva il fiatone e il corpo dolorante. Nel panico si voltò per vedere dove fosse finito Greyback, ma qualcosa sbucò da dietro un albero in quello stesso momento e venne afferrata prima che potesse cadere. Il suo sguardo si riempì di speranza, riconoscendolo. «Strify! Ti ricordi di me? Aiutami... i Ghermidori...»  ma non riuscì a finire la frase che con un incantesimo il ragazzo le legò i polsi dietro la schiena. Il cuore di Beatrix, ebbe un sussulto mentre la sua piccola e inutile speranza andava in mille pezzi. «Certo, ti aiuterà lui, sta tranquilla!»  disse, beffardo, Greyback che li aveva raggiunti riacquistando le sue sembianze umane. La ragazza cercò di divincolarsi con tutte le forze rimaste, ma non riuscì a muoversi di un centimetro. Smise di colpo e spostò lo sguardo su Strify che la guardava beffardo, mentre la perquisiva prendendole la bacchetta. Non poteva credere che quel ragazzo che aveva incontrato sul treno, fosse un Ghermidore. Avevano condiviso il viaggio insieme. Era stato gentile con lei. Come aveva fatto a credergli?
«Sarebbe lei... quella che ha fatto fuori Stayne?» sentì dire un uomo con i rasta, «Poverino doveva essere proprio messo male per farsi battere da una ragazzina...»
 Beatrix ringhiò.
«Calma il tuo istinto animalesco, ragazza...» intervenne Scabior, avvicinandosi a lei, «E così... un animagus, eh?» disse, mantenendo un tono divertito e malvagio allo stesso tempo. «Siamo tutti molto impressionati... davvero!» Gli uomini scoppiarono in una risata sguaiata. «Ma non credo che saperti trasformare in un tenero animaletto convinca il Signore Oscuro a risparmiarti la vita.» La ragazza gli lanciò un'occhiata gelida. Lui ricambiò. «Ecco spiegato come ha fatto a scappare senza essere vista! Ed ora andiamo!»
«...potremmo divertirci un po’ con lei, prima... » disse uno dei Ghermidori, afferrandole il viso. Lei lo guardò con disprezzo, addentandogli la mano, talmente forte che lo fece sanguinare. L’uomo urló «...come hai osato?»
«Luther... non lo ripeterò un'altra volta...» sentì dire Scabior.
Luther la tiró violentemente via dalla presa di Strify facendola cadere con la schiena sopra una radice sradicata. «Me ne sbatto dei tuoi ordini... a questa qui ci vuole una bella lezione...» disse Luther, buttandosi su di lei, mentre cercava di rialzarsi, «Adesso sentirai il vero dolore...»  
Un attimo dopo un rivolo di sangue uscì dalla bocca dell'uomo. Scabior la tiró su da terra con una sola mano, mentre con l'altra estraeva il coltello dalla testa dell’uomo appena morto. «Non rischierò di perdere la ricompensa per colpa di uno di voi idioti. Se qualcun altro ha qualcosa da dire si faccia avanti!»  Gli uomini tacquero. «Uno in meno. Più soldi per noi.» disse lui, riponendo la lama nella tasca. Poi si smaterializzarono. 
 

Atterrarono in un ampia campagna. Davanti a loro c'era un enorme cancello in ferro battuto che sbarrava loro la strada. Alla fine di ogni sbarra vi era una punta acuminata. Impossibile da scavalcare, pensò la ragazza che studiava ogni possibile via di fuga. Dalle inferriate, si poteva vedere un vasto giardino con alte siepi, una grande fontana e una bella casa dall’aspetto nobile, Villa Malfoy. Strattonata e spinta venne costretta ad avvicinarsi al cancello. Scabior la sorpassò. Le sbarre si erano curvate in modo da formare un volto che parlò con la voce di un uomo. «Chi osa disturbare in casa mia?! »
 «Abbiamo la ragazza. »  rese chiaro, Scabior. E senza aggiungere altro, il cancello svanì, lasciandoli passare. 
 

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Capitolo 14
*** Speranza ***


Capitolo 14
Speranza

 
 

Una mano scheletrica sbucò dall'oscurità. La sentì muovere attraverso le sbarre, verso di lei. Ne avvertì la dura presa sulla spalla. Non provò a svincolarsi perché sapeva che se anche ci avesse provato, non sarebbe riuscita a muoversi dato che era pietrificata per il freddo. Il respiro le si era fatto sempre più corto. L'ultima cosa che vide, prima di sprofondare nel buio più completo, fu il volto spettrale della creatura farsi sempre più vicina con la bocca spalancata. Sentì il bacio del dissennatore sulle labbra e si sentì cadere in un vortice di morte, mentre l'anima le veniva sottratta.
Sbarrò gli occhi.
Lo stesso incubo la tormentava ogni notte. Ci conviveva, eppure era sempre terribile come la prima volta.
Si tirò su dalla poltrona.
Chissà cosa stava facendo il suo Signore in quel momento. Forse aveva bisogno di lei. Lottò contro il desiderio di raggiungerlo. Non poteva disturbarlo. Sarebbe stato Lui a chiamarla.
Sfoderò la bacchetta dalla fodera. Guardò la sua arma dalla forma curva che l'aveva servita per così tanti anni fedelmente. Quanti oppositori aveva torturato e ucciso con essa. Aveva fatto tutto quello che il suo Signore le aveva chiesto.
Cominciò a girarsela tra le mani, mentre camminava su e giù per la stanza ormai buia.
Ripensò al giorno in cui l'aveva conosciuto. Aveva solo undici anni, ma se lo ricordava molto bene il primo giorno a Hogwarts. Lui venne chiamato per indossare quel vecchio e sudicio Cappello Parlante. Avanzò sicuro verso lo sgabello e dopo poco era già seduto al tavolo dei Serpeverde, prendendo posto accanto a lei. Gli altri si congratulavano con lui per essere entrato a far parte della casata. Lui non disse niente, né guardò nessuno. Accennò solo un piccolo sorriso di compiacimento. Come dimenticarlo? Era davvero un ragazzo affascinante. Non solo per l'aspetto fisico, aveva qualcosa di molto di più. Era dotato di una strabiliante intelligenza per essere appena un undicenne. Possedeva grandi abilità che nessun ragazzo della sua età aveva mai sperimentato, come saper parlare con i serpenti e nessuno dei presenti, quel giorno, avrebbe mai immaginato chi sarebbe diventato. Eppure lei aveva avvertito qualcosa di diverso in Lui. Un’aura di mistero avvolgeva quel ragazzo e l'attrasse a sé sin dal primo momento. Mai lo tradì. Mai ebbe dubbi. Lei era stata la prima a giurargli fedeltà e così era ancora. Avrebbe preferito morire piuttosto che lasciarlo. Quando era molto arrabbiato spesso torturava qualcuno. Lei non osava mettersi in mezzo, anche se prendeva sotto tiro un componente della sua famiglia. Se Lui aveva deciso così evidentemente lo meritavano. Anche quando sotto alle sue sevizie ci finiva lei. Lo lasciava fare. 
Si girò verso il letto vuoto. Rodolphus non c’era. Ormai erano anni che non dormivano insieme. Il  loro matrimonio era stata una semplice unione di sangue puro di cui condividevano solo l’alleanza a Voldemort.
Chissà dov’era?
Andò alla finestra. La luna sbucava tra due grosse nubi nere, un raggio di luce filtrava attraverso il vetro, illuminandole il braccio sinistro. Si tirò su la manica del vestito e guardò il tatuaggio. L'inchiostro era nero e lucido, come se fosse stato appena fatto, da oltre trent'anni aveva impresso sulla pelle il simbolo dei Mangiamorte: il serpente attorcigliato che usciva dalla bocca di un teschio. Quante volte lo aveva guardato in quei tredici anni chiusa ad Askaban! Era stata la sua unica consolazione. Non aveva niente a cui aggrapparsi in quella sudicia e buia cella, se non la convinzione che Lui sarebbe tornato. Aveva vissuto quell'inferno per lui, aggrappata alla sola speranza che sarebbe venuto a liberarla, giorno dopo giorno sempre più pazza di dolore per la lontananza del suo Signore. Infatti così fu.
 Aveva dedicato la sua vita al fianco di Lord Voldemort. Sarebbe stata Sua, alleata, fino alla fine. Lei, Bellatrix, la Sua mangiamorte più fedele. Avvicinò il braccio alle labbra e baciò il Marchio Nero.

Sentì il rumore di passi sulla ghiaia e il suo sguardo si spostò verso il basso. Era un gruppo di Ghermidori e in mezzo a loro c'era una ragazza dai capelli biondi. 

 
Un uomo attendeva fuori, illuminato dalla luce di alcuni lampioni posti ai lati di una sontuosa scalinata in pietra. Quando furono abbastanza vicini, Scabior liberò  Beatrix e la spinse in avanti, sotto la luce.
Era da tanto tempo che lei e Lucius non si vedevano. I lunghi capelli biondi che teneva sempre lisci e sciolti sulle spalle ora erano spettinati e crespi, i vividi occhi azzurri erano segnati da pesanti occhiaie, era molto pallido e la barba era di qualche giorno. Strano per un uomo come Lucius che aveva sempre curato il proprio aspetto esteriore.
Non si dissero nulla.
«Seguitemi! »  ordinò, guardando a malapena la ragazza e incamminandosi all'interno della villa. Procedeva sostenuto da un bastone da passeggio ricoperto d'argento, l’impugnatura raffigurava una testa di serpente sulla quale erano incastonate, due preziose pietre di smeraldo al posto degli occhi.
La casa era arredata con sfarzo. Un grande tappeto persiano copriva gran parte del pavimento, mentre alle pareti erano appesi molti ritratti, probabilmente antenati dei Malfoy.  «Vergogna!» «Disonore!» «Mezzosangue» si sentiva dire dai dipinti quando Beatrix ci passava davanti.
Lucius si fermò, si voltò verso la ragazza facendole cenno. La ragazza gli si avvicinò e l'uomo la prese per il braccio. «Vai qui dentro e restaci.» le sussurrò con tono autoritario, senza guardarla. Beatrix fece quanto gli aveva detto, ma nel frattempo sentì che la conversazione continuava. «Ve li abbiamo consegnati, ora vorremmo essere ricompensati, Signor Malfoy.»
 «Lo sarete e... ho altro lavoro per voi... ne parleremo nel mio ufficio»  
 «Beatrix, cosa ti è saltato in mente!»
 La ragazza si voltò, Narcissa stava avanzando verso di lei. Notò che era molto più magra dell'ultima volta che l'aveva vista. Il suo viso era diventato quasi scheletrico. Gli occhi erano infossati e segnati da profonde occhiaie. Anche lei era vestita in tenuta nera, come il marito. La donna la tirò a sé, sussurrandole: «Ti hanno fatto qualcosa?»
«No» rispose la ragazza, a bassa voce «…sto bene…» 
«Ma sei gelata… »  riprese Narcissa con voce normale, «...riscaldati un po', non abbiamo molto tempo...» La donna fece sedere la ragazza su un divano vicino ad un grosso camino. Con un movimento della bacchetta  accese il fuoco, chiuse la porta, fece comparire uno scialle che l'avvolse sulle spalle e una tazza di the caldo che la ragazza prese tra le mani. Per la prima volta si sentiva in colpa per quello che aveva fatto. Le sue priorità erano sempre stati i suoi amici. Non aveva mai pensato a cosa poteva succedere alla sua famiglia, che quella era e doveva accettarlo. Narcissa non disse niente attendeva che fosse lei a dire qualcosa. «Mi dispiace»  riuscì solo a proferire, «Mi dispiace se avete dovuto pagare voi per quello che ho fatto, ma... » la frase le morì in gola.
«Beatrix...»  cominciò a dire sua zia, sedendosi accanto a lei, «Ci sono molte cose di cui dovremmo discutere, dovrai rispondere a tante domande... ma prima di ogni altra cosa devi sapere che il Signore Oscuro è qui e che vuole che tu vada da Lui…» la voce di sua zia si spezzò.
La ragazza sollevò la testa, «Va bene Narcissa, ora che sono qui, non devi più temere per la tua famiglia!»  
«Ma che brava!» esclamò una voce familiare. «Ora Beatrix ha messo la testa a posto. Ora farà tutto quello che le verrà detto» Draco era in piedi, appoggiato alla parete, con le braccia conserte sul petto.
«Draco...» lo chiamò la donna.
 «No, madre. Mentre lei cercava di fare l'eroina, eravamo noi a pagare per lei. Non basterà qualche bella parola per rimediare!»
 «Mi dispiace Draco, ti ho già detto che mi prenderò ogni responsabilità per le mie decisioni, anche al costo della vita, sistemerò tutto…»  puntualizzò Beatrix,  nel mentre qualcuno fece irruzione nella stanza, procedendo verso di loro, accompagnata dal rumore dei tacchi sul pavimento lucido.
«Già qui, Beatrix? Ma come, ti sei già stufata di stare con i tuoi amici mezzosangue?»  la schernì, la donna, avvicinandosi. Bellatrix indossava un abito nero, stretto in vita da un bustino in pelle e con le maniche staccate, tenute insieme con dei lacci. I capelli erano meno arruffati del solito, raccolti in cima alla testa in una acconciatura, mentre dei ciuffi più corti le contornavano i lati del viso. «Ho pensato di venire a farti un salutino...»  continuò Bellatrix mantenendo il tono ironico. «…visto che molto probabilmente sarà l'ultima.»
Silenzio.
«Ah, dimenticavo…»  riprese Bellatrix, «ti devo questo!» esclamò assestandole un ceffone che le colorò la guancia di scarlatto. 
Gli occhi della ragazza si riempirono di lacrime per l'umiliazione.
«Avanti... tra poco rivedrai i tuoi amici...»  aggiunse con finto tono consolatorio, «Vediamo fino a che punto ti ridurrai per salvarli.»  

Entrarono in una stanza rettangolare. Nel mezzo c'era un lungo tavolo di mogano, circondato da sedie dagli alti schienali. L’unica illuminazione era un grosso camino in marmo, nella parte opposta della stanza, dove le fiamme crepitavano illuminando parzialmente la stanza.
Una figura dava loro le spalle. «Mio Signore...» 
Beatrix trasalì non solo per chi aveva davanti, ma anche per la voce che era appena uscita da sua zia. Era profonda, rispettosa e passionale. Non quella acuta e bambinesca che spesso usava per schernirla.
L'uomo si girò verso le due e Beatrix rimase sbalordita del fatto che era completamente l’opposto di come lo descrivessero. Voldemort non aveva affatto sembianze di rettile, anzi era un uomo di bell’aspetto, sulla mezza età, calvo. Avvolto in un mantello nero che lasciava intendere comunque un corpo normale caratterizzato da braccia muscolose. 
«Le ho portato la ragazza, Mio Signore.»  
Beatrix si voltò verso sua zia per accertarsi che fosse davvero lei. Ed era vero, Bellatrix Lestrange era protesa sul tavolo verso Voldemort. Gli occhi fissi su di lui. In trepidante attesa di un suo comando.
«Molto bene... »  rispose la voce bassa di Voldemort.
«Posso fare qualcos'altro per lei, Mio Signore?» s’affrettò a chiedere Bellatrix. 
«Nient'altro Bellatrix, puoi andare...»
 «Sempre fedele al Mio Signore...»  si congedò la donna, facendo un profondo inchino e arretrando, poi raggiunse la porta e la chiuse alle sue spalle.


Rimasta sola, Beatrix avvertì lo sguardo del mago su di sé. Si voltò e si accorse che Voldemort si era materializzato davanti a lei.
«E così saresti tu…» cominciò a dire, studiandola con i suoi profondi occhi verdi. «La figlia dei Todd...»
«Sì… sono Beatrix Todd» rispose la ragazza cercando di mantenere il controllo.
«È un incresciosa situazione.... ultimamente ci sono state delle vicende poco spiacevoli che riguardano te, le tue compagnie e la tua famiglia... ma forse tu potresti risolvere collaborando… credi anche tu, Beatrix?» L’espressione di Voldemort non trasudava emozioni ed era difficilmente prevedibile.
«Per esempio… una domanda facile… chi è dei tuoi amichetti ad essere tanto speciale, tanto da consegnarti a me con tanta facilità? »  domandò lui con voce gelida.
«Amici? Io non ho amici… non più»  rispose in un sussurro la ragazza. 
Voldemort abbozzò un sorriso soddisfatto e scoppiò in una risata malvagia. Ecco in quel momento assunse la figura con la quale lo descrivevano, un serpente.
La ragazza gelò.
«Bugiarda» La colpì al viso, sulla guancia che aveva già subito l'oltraggioso schiaffo da sua zia, sentì un dolore pungente e un liquido caldo che le scivolava giù, lungo il collo. «Non ti conviene mentirmi, stupida ragazza. So perché sei qui e se anche riuscirai a liberarli sappi che ti spetta una sorte ben peggiore della loro!» 
Beatrix pensò che poteva anche fare a meno di farle domande se sapeva già tutto, ma rimase zitta. Incassò un altro colpo. 
«Tu sottovaluti i miei poteri... so a cosa stai pensando...»  
La ragazza continuò a rimanere in silenzio, cercò di pensare solo al dolore della guancia in fiamme.
«...hai paura che io legga la tua mente... perché? Quali segreti hai che possano interessarmi?» Il volto di Voldemort si era fatto spaventosamente vicino.
Beatrix rimase in silenzio.
 «Deludente, mi aspettavo di più da te. Quando sei insieme ai tuoi amici fai la coraggiosa e da sola, davanti a me, tremi?»  S'avvicinò ancora, sussurrandole all'orecchio, «La tua paura alimenta il mio potere.» Voldemort si mise a girarle in tondo, come un serpente che avvolgeva nelle sue spire un topolino. Si stava mettendo male per il piccolo roditore. «Bene, vorrà dire che mi sbarazzerò subito di te» concluse l'uomo puntandole contro la bacchetta. 
«No! Mio Signore, io imploro la vostra clemenza. Riconosco tutti i miei errori e vorrei porvi rimedio, so bene che non posso cambiare il passato, ma vi chiedo di concedermi una seconda possibilità... permettetemi di dimostrarvi la mia lealtà che ora è riposta in voi soltanto...»  implorò con una voce che non riconobbe come sua, ma alterata dalla paura e dal disgusto verso sé stessa.
Il volto di Voldemort mutò in un espressione di pura malvagità. «Come osi venire a implorare pietà a me? Tu che hai arrecato soltanto disonore al sangue magico!» Colpì ancora la ragazza che cadde in ginocchio ai suoi piedi. Un rivolo di sangue le uscì dalla bocca. «É vero che ti sei schierata dalla parte di Silente la notte in cui i miei Mangiamorte sono entrati a Hogwarts? » 
«Sì »  rispose la ragazza e questa volta lo guardò in faccia.
Lui non trasgrediva alcuna emozione, il suo volto inumano era pura malvagità. «E non è forse vero che hai cercato di ostacolarli, come hai fatto anche al Ministero, trasgredendo le mie leggi e cercando di liberare una mezzosangue condannata?» 
«Sì, é vero... Mio Signore...»  rispose Beatrix, mesta.
«E cosa ti fa pensare che risparmierò la tua vita stanotte?» domandò crudele, ma ancora prima di ricevere risposta aggiunse: «Il prezzo per la mia clemenza è molto alto. Cosa hai da offrirmi? » 
La ragazza inizialmente non capì, poi si ricordò del suo dono. Come poteva saperlo? L'unico che ne era a conoscenza era suo fratello. A meno che... «Il tuo dono, la premonizione, è interessante... ma non basta! »  la precedette Voldemort, confermando il pensiero della ragazza che dovette lottare per ricacciare indietro le lacrime e abbassando la testa proclamò: «La mia anima appartiene a voi, il mio braccio, la mia bacchetta... obbedirò ad ogni vostro ordine. Sono pronta ad uccidere ogni oppositore che ostacolerà la vostra ascesa al potere. Avete la mia fedeltà.»  
Voldemort abbassò la bacchetta, ma Beatrix si sentì come se fosse stata colpita, come se la parte migliore di lei fosse morta. Lui la guardò a lungo, poi allungò un braccio sotto al tavolo e quando lo riportò su, un enorme serpente vi si era avvinghiato, lo fece salire sul tavolo e lo accarezzò come se fosse un animale domestico. «Allora lo verificheremo subito...»  disse con un sorriso malvagio impresso sul pallido volto, «Portami la bacchetta di sambuco, non importa se non sai dove sia, se lo farai lo vedrai in una delle tue premonizioni, giusto?»  disse sogghignando. Beatrix sbiancò, mentre, improvvisamente le parole di Olivander le risuonarono nelle orecchie, riportandole in mente una delle sue visioni: “Quella bacchetta passa di mano in mano solo sconfiggendo il mago che la possiede. Albus Silente l’aveva sottratta a  Grindelwald che a sua volta l’aveva rubata a Gregorovich... Io lo conoscevo e mi aveva confidato questo segreto... Silente non ha mai perso la bacchetta...” Le vennero in mente  le ricerche che aveva fatto: quella bacchetta bacchetta rendeva invincibile chiunque la impugnasse. Non poteva procurare un'arma del genere a Voldemort. Ma all'improvviso le venne un'idea che cercò di respingere immediatamente.
«La ringrazio Mio Signore, non la deluderò! Però... ho bisogno della... »  la ragazza non aveva ancora finito di parlare che la sua bacchetta le si era materializzata nel pugno. 
«Se tu dovessi fallire… sai cosa t’aspetta...»  disse lui, abbassando lo sguardo sul serpente che la fissava sibilando. «E ricorda... hai solo stanotte!»  informò con un sorriso spietato, «Puoi andare »   La ragazza non se lo fece ripetere due volte e uscì.


Non riusciva a credere di essere ancora viva. Ma a quale prezzo? Cosa poteva fare se non ubbidire? Mancava meno di un'ora all'alba. Non sentiva i morsi della fame, né la sete, né il sonno. Doveva solo portare a termine quel compito. Non aveva avuto una premonizione al riguardo, ma sapeva perfettamente dove andare.
Si materializzò nel bel mezzo della foresta proibita. Poteva succedere qualsiasi cosa e se questo avveniva lei era morta e i suoi amici non avrebbero avuto più speranza, ma i suoi timori l'abbandonarono presto. 
Eccolo, nel centro di un enorme radura, un grande sepolcro di marmo bianco. 
Si fermò. La bacchetta di Sambuco era sepolta con Silente, da quanto aveva detto Olivander... ma se non fosse stato vero? Se avesse sbagliato tutto? S'avvicinò lentamente. Non avrebbe consegnato un tale potere nelle mani di un mago talmente pericoloso già senza. Però Olivander aveva omesso di dire una cosa... era sicura che durante le sue ricerche aveva letto che l'invincibilitá della bacchetta si trasmetteva solo da proprietario a proprietario, cioè solo chi uccideva il primo aveva diritto al potere dell'arma. E quella notte, sulla torre di astronomia, Voldemort non c'era. Era stato Piton ad uccidere Silente... e per Voldemort la “bacchetta di sambuco” sarebbe stata non diversa da una comune bacchetta.

La tomba, esposta alle intemperie, era sporca di foglie e di terra. Beatrix la pulì e poté leggere l' iscrizione in caratteri dorati:

 “Qui giace Albus Percival Wulfric Brian Silente nato il 26 agosto 1881 morto il 31 ottobre 20..” 
  Il suono delle dure parole di Grace le risuonarono nelle orecchie: “Torniamo indietro, insieme. Silente era dietro quella porta, ne sono sicura. Forse ha bisogno di aiuto.” 
“Cosa ti è successo? Non sei più quella che conoscevo, sei cambiata. Ti arrendi così? Consegnando una bacchetta? Tutto qui?” 
“C’è solo una risposta a tutto questo, smettila di nascondermelo…Tu hai già fatto la tua scelta...”
Grace aveva ragione. Puntò la bacchetta in direzione del sepolcro. «Alohomora»   La bara s’aprì. Il corpo defunto del Preside era ancora integro e composto. La pelle raggrinzita, il colorito cereo, gli occhi chiusi, gli occhiali posati sul lungo naso e le labbra curvate in un sorriso sereno. Sembrava che dormisse. Poi lo sguardo della ragazza cadde sulla bacchetta, tra le mani conserte, sopra il petto di Silente. Allungò il braccio e la prese, scontrando la mano senza vita del Preside.
Silente che infondeva saggezza e coraggio. Silente che amava parlare ai suoi studenti degli argomenti più svariati e che amava renderli partecipi delle sue scoperte e dei suoi studi. Silente che la notte prima di morire aveva guardato ciascuno dei suoi ragazzi e ad ognuno aveva lasciato un messaggio, il suo addio per loro:
 Speranza.


Si portò il palmo alla bocca, incapace di trattenere ancora le lacrime. Provava tanta rabbia e paura. Il ricordo degli occhi azzurri di Silente che la guardavano intimandole di avere speranza era straziante. Cadde sulle ginocchia e quell'impatto la riportò alla realtà. S'accorse che il cielo stava cominciando a illuminarsi della luce del giorno. 
«Mi dispiace, professore. Ma… si sbagliava su di me...»  proferì a voce alta, mentre la tomba si richiudeva e il corpo di Silente veniva nuovamente inghiottito dall’oscurità della morte. S’asciugò gli occhi e una volta ripreso il controllo di sé stessa, si smaterializzò, tornando a Villa Malfoy. 


Voldemort prese avidamente la bacchetta dalle mani della ragazza. Esaminò l'arma studiandola in tutti i suoi dettagli, rigirandosela tra le mani e alla fine il suo volto si deformò, per la prima volta, in un ghigno di gioia. «Finalmente, il mio braccio è nuovamente intero! »  
Beatrix era rimasta silenziosa, a testa bassa, osservando di sottecchi il comportamento di Voldemort che ricordandosi della sua presenza, alzò di nuovo lo sguardo su di lei, sollevò una mano per aria e alzò quella con la bacchetta, «Dammi il braccio. »  ordinò in tono spettrale.
La ragazza impallidì, rendendosi conto che non aveva mai preso in considerazione quell'eventualità. «Mio Signore?» chiese Beatrix, sconvolta dalla decisione di Voldemort. L'ultima cosa che voleva era il simbolo dei Mangiamorte impresso a vita sulla pelle, se mai fosse sopravvissuta. 
«Hai già dimenticato? Mi hai offerto la tua anima in cambio della salvezza... non è che per caso hai cambiato idea?»  
«No... intendevo solo dire che non merito tanto onore...Mio Signore»  cercò di spiegarsi Beatrix, non sapendo cos'altro dire.
«Oh, ma sei stata proprio tu a convincermi... se non vedi l'ora di servirmi fedelmente perché aspettare oltre? Dopotutto bisogna recuperare il tempo perso.» Voldemort sorrise crudele, mentre la ragazza si tirava su la manica e stendeva il braccio. La mano fredda e scheletrica di Lui si chiuse attorno al polso, mentre con l'altra mano premeva la bacchetta di Sambuco sulla pelle della ragazza. Inizialmente ne uscì dell'inchiostro nero, poi si formò una sagoma.
Voldemort la lasciò.
E la ragazza guardò il Marchio Nero impresso sul suo braccio.
«Benvenuta tra i miei Mangiamorte, Beatrix »  

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Capitolo 15
*** Profondo Oblio ***


 

Capitolo 15 
Profondo Oblio


Ad ogni angolo e piano della villa c'erano dei Ghermidori di guardia. Probabilmente era quello il nuovo lavoro di cui parlava Lucius: controllare ogni movimento nella casa. «Starai qui, per ora »  dichiarò Narcissa aprendo l'ultima porta del corridoio del secondo piano. La camera era più luminosa rispetto alle altre stanze della casa, c'erano due grosse finestre chiuse, un letto spazioso, un tavolino con due sedie e, adagiato al muro, un armadio. Notò con piacere che in quella stanza non c'erano né ritratti e né quadri. «Come mai tanto riguardo per me? Sono prigioniera, come gli altri!»   «Lo siamo tutti» sussurrò la donna, ma rendendosi conto di ciò che aveva detto fece finta di niente e proseguí: «Meglio che tu non ti ricongiunga ai i tuoi amici e che non ci procuri altri guai.»  chiarì Narcissa mentre entravano nella stanza. 
La ragazza stava per ribattere, ma affamata com'era, non le sfuggì il delizioso profumo di pasticcio che aleggiava nella camera. Una brocca e un bicchiere erano appoggiati sul tavolo insieme ad un piatto d'argento su cui era posata la pietanza.
«Prima fammi dare un'occhiata a quei tagli... »  la precedette Narcissa. Beatrix non obbiettò. Si sedettero sulle due sedie, una di fronte all'altra, la donna le si avvicinò per esaminarle accuratamente le ferite. Le sue mani la sfioravano delicatamente, mentre passava sulle lesioni una garza sterile intrisa di pozione. La sensazione di freddo che provocava l'unguento le dava sollievo sui tagli ancora aperti. 
Narcissa fece questo lavoro con calma e silenzio. 
«Ho finito.»  proclamò dopo un po' di tempo, buttando le garze sporche nel cestino. «Ora mangia, prima che si freddi!»  e con un movimento della bacchetta tagliò la torta in spicchi. La ragazza ne prese una fetta, decisa a darci solo un morso, ma quando il sapore le invase la bocca non riuscì a resistere. 
Mentre gustava la pietanza e beveva il thé, Narcissa lodava la sorella per il suo talento in cucina: «Nostra madre era sempre stata contraria, non faceva che ripetere che doveva farsela passare. Esistevano gli elfi domestici per servire. Noi dovevamo pensare a sposarci, continuare la purezza del sangue magico. Ci privava di ogni nostra più piccola passione. La stroncava sul nascere. Era una egoista. Nellie però non cedette, continuò con la cucina e quando nostra madre morì, poté aprire la sua locanda in Privet Drive. “Da Mrs.Lovett” la chiamò. Voleva fare di testa sua e ci riuscí. Ogni sera aveva file di gente davanti al locale per assaggiare uno dei suoi famosi pasticci di carne. E poi conobbe tuo padre e... il resto lo sai già...»  
«Ha chiuso la sua locanda per colpa mia. »  sussurrò Beatrix che aveva finito di mangiare.
«No, Beatrix... lo ha fatto per seguirti, perché non voleva perderti... i ragazzi crescono in fretta... e basta voltarsi per un attimo che quando ti rigiri sono già andati via»  disse Narcissa, assorta, più parlando tra sé che alla nipote, poi riprese: «Ho fatto una promessa a tua madre. Farò quello che posso per aiutarti...» 
«Non devi... » 
«Lasciami finire! Posso perdonarti per quello che hai fatto, probabilmente l'ho già fatto. Non voglio che ti succeda niente, in fondo sei mia nipote e io ti...»  la donna s'interruppe, guardò imbarazzata per terra, poi riportò lo sguardo su Beatrix, «...non voglio che tu muoia... » 
Beatrix non era molto affettuosa, non le piaceva esternare i suoi sentimenti, nemmeno con i suoi genitori, ma in quel momento sentì il bisogno di abbracciare Narcissa. E una terribile visione le comparì davanti agli occhi: i corpi di Lucius, Draco e Narcissa a terra insanguinati e senza vita.
«Ma devi promettermi... »  aggiunse la donna sciogliendo l'abbraccio e interrompendo la sua visione, «...che farai tutto quello che ti dirò, prima di tutto ti toglierai dalla testa quei sciocchi ragazzi...» 
Quel momento che le era sembrato così felice e irreale aveva creato una specie di sfera di vetro intorno a lei e improvvisamente le sembrò come se tutto si frantumasse, rovinandole addosso in mille schegge. 
«Mi stai chiedendo di abbandonarli?»  ribatté la ragazza, non riuscendo a mascherare l'alterazione nella sua voce.
« Mi dispiace, ma sì!»   
«Hai davvero il coraggio di chiedermelo? É solo per loro che sono qui! Fino a che non saranno liberi non mi darò pace! Non me ne starò qui a sentire le loro urla. Non li guarderò morire, senza fare niente! »  
«Non posso lasciartelo fare... »  ribatté Narcissa alzandosi di scatto dalla sedia, «Non ti permetterò di mettere di nuovo in pericolo la mia famiglia!» Anche Beatrix provò ad alzarsi, ma crollò come un peso morto a terra. Ed ebbe una tremenda certezza. «Hai avvelenato il cibo Narcissa?» disse, alzando lo sguardo accusatorio verso sua zia che aveva la sua bacchetta in mano. Probabilmente, pensò amaramente Beatrix, me l'ha sfilata mentre l'abbracciavo. Lacrime di rabbia le riempirono gli occhi. «Mi sono fidata di te... Mi fidavo...»  disse con un filo di voce. 
La donna la guardò per un ultima volta, poi si diresse verso la porta. «E' per il tuo bene, Bea. » 
Beatrix cercò di seguirla, ma quando la raggiunse la porta si chiuse davanti a lei. Sentì il rumore della chiave che girava nella serratura. «No, non puoi farmi questo!»  urlava, battendo i pugni sulla porta. «Narcissa ti prego!» cercò di allungarsi verso la maniglia, ma invano. Tutto si stava facendo buio. «Narcissa... apri... »  sussurrò e scivolò sul pavimento freddo.
Qualche piano più sotto in una buia e umida cella stavano cinque ragazzi. Non riuscivano a vedersi tra loro, a causa dell'oscurità. In verità nemmeno si parlavano. Non avevano detto una parola da quando erano arrivati lì. Alcuni di loro erano rimasti svenuti per lungo tempo. Altri erano troppo spaventati per dire qualcosa. 
L'unico che continuava a muoversi era Erik. Camminava per la stanza con le mani in avanti, legate insieme da una corda, tastando tutto quello che trovava. Forse per cercare qualcosa di utile, forse perché aveva paura ad addormentarsi. In realtà era sfinito.
«Ma dov'è finito James?»  domandò Helena, nel buio.
Silenzio.
«Ho una brutta sensazione... ho paura che ci abbia ingannati per tutto il tempo...» rispose alla fine Jenny.
«No, non è possibile... é il fratello di Beatrix, non può averci... averLE fatto una cosa del genere!» ribatté Erik continuando a muoversi alla cieca, «Avranno un piano!» ma dal tono che aveva usato, non sembrava molto sicuro nemmeno lui.
«E se fossero sempre stati d'accordo e avessero organizzato tutto per farci prendere?» disse Cloe.
«E se chiudessi la bocca Cloe? Non sarebbe male!» disse Helena fuori di sé dalla collera, «A quanto pare tradire i propri amici non serve a salvarsi la vita, visto che anche tu sei qui con noi!»
«Sentite non è proprio questo il momento di litigare!» intervenne Erik, «Perché sono l'unico qui che sta provando a cercare un modo per scappare?»  domandò cercando di sviare il discorso, «E poi parlate piano o ci sentiranno!» 
«Non sei l'unico »  rispose a voce bassa Helena, «...anch'io stavo cercando... mi sono seduta su qualcosa di appuntito prima e ho trovato un gancio... ho quasi fatto... »  Sentirono un suono secco, la corda che la legava doveva essersi spezzata. «Ecco fatto! Adesso libero anche voi... almeno abbiamo una cosa in meno di cui preoccuparci... »  Anche in quella situazione Helena riusciva a trovare qualcosa di positivo, infatti qualche minuto dopo tutti furono liberi. «Allora... non abbiamo le nostre bacchette... dobbiamo trovare degli oggetti che ci possano aiutare a difenderci. Proviamo a cercare in giro.» I ragazzi cominciarono a girare e a tastare dappertutto ed altro tempo passò.
«Qualcuno ha trovato qualcosa? »  chiese Erik.
«Niente »  risposero gli altri.
«Stiamo perdendo tempo, non sono stupidi. Avranno ripulito tutto.»  dichiarò Jenny.
«Allora ruberemo le loro bacchette... »  dichiarò Helena che sembrava aver pensato ad ogni eventualità nel tempo che avevano trascorso in silenzio. «Prima o poi verranno a prendere qualcuno.» 
«Due di noi si nasconderanno dietro la porta, magari io ed Erik...»  continuò Helena con voce ferma e sicura, «Quando i Mangiamorte entreranno andranno in fondo alla stanza per prendere qualcuno. Noi due li attaccheremo da dietro, mentre voi prenderete le loro bacchette. Li stendiamo e scappiamo di corsa.» 
Era un piano che non ammetteva repliche.
«Probabilmente avranno messo delle guardie. Ci fermeranno ancora prima di salire le scale! E poi dove andremo una volta fuori dalla prigione? Non sappiamo nemmeno dove sia l'uscita!» replicò Cloe, cercando di mettere in discussione la strategia che avevano pianificato gli altri. In realtà, si comportava così perché era infastidita che a qualcun altro fosse venuto in mente un piano. Nel tempo trascorso non era riuscita a pensare ad altro che al senso di colpa.
«Se pensi che non possa funzionare allora resta qui... ce la faremo benissimo anche senza di te!»  osservò Jenny, innervosita dallo sciocco comportamento della ragazza.
«Non puoi dirlo sul serio.... siamo amici!»  intervenne Grace, indignata.
Ma Jenny continuò, ignorando l'intervento di Grace: «Oh certo, evidentemente per te è scontato fidarsi della parola di un Mangiamorte! Ma dei propri amici no! Solo una stupida, viziata, ragazzina poteva cascarci. Ecco perché hanno scelto te! Ti hanno detto che ti avrebbero riportato da mamma e papà? Non ti andava più bene la vita che facevi con noi, vero?» 
«Mi avevano detto che li avrebbero liberati... che non avrebbero fatto del male a nessuno... »  disse Cloe, scoppiando a piangere.
«Adesso basta! Dobbiamo andare d'accordo altrimenti...»  Grace si zittì, un rumore lontano echeggiò tra le fredde pareti della prigione. Qualcuno stava scendendo la scala.
«Non c'è più tempo... »  sussurrò Jenny, tremando.
«Facciamolo »  disse Erik, mentre si andava a nascondere dietro alla porta.



«Voi due! Andate a prendere i prigionieri e portateli nel salone!»  ordinò Bellatrix ai Ghermidori che facevano la guar dia alla scala per scendere nei sotterranei.
I due che sicuramente si domandavano se li avesse presi per dei servi, si guardarono tra di loro, ma vedendo l'espressione minacciosa della donna eseguirono il suo ordine senza fiatare. 
Bellatrix si pregustava già la scena che si sarebbe presentata. Beatrix sarebbe arrivata ignara nel salotto e avrebbe visto i suoi amici soffrire per morire uno dopo l'altro.
«Cissy! »  chiamò, vedendo la sorella scendere la scalinata in marmo. «Come sta' nostra nipote?»
«Da quando t'interessa? »  chiese Narcissa, con una nota d'ironia.
«Portala qui.»  ordinò Bellatrix, con un sorriso malvagio.
Narcissa parlò senza riflettere: «Lasciala stare è solo un'ingenua!» 
Bellatrix scoppiò in una risata, poi smise all'improvviso, si guardò attorno e sussurrò con una voce diversa dal solito: «Cosa? Narcissa, non la starai difendendo, vero?»  poi ritornò alla normalità, aggiungendo: «Morirà come gli altri. Solo dopo. Sarebbe crudele non permettere loro di salutarsi per l'ultima volta, no? » 
Narcissa la guardò a lungo, senza cambiare espressione, poi disse: «Le ho dato una pozione. Non si sveglierà.»  dicendo questo si voltò, facendo per andarsene.
La sorella le sbarrò la strada.
«Ascoltami bene, Cissy... se stai cercando di ostacolare il mio lavoro... » 
«Quale lavoro, Bella? »  domandò Narcissa, alterata. «Il Signore Oscuro non ha dato ancora nessun ordine... inoltre Beatrix ora è con noi. Ha il marchio nero.» 
Il volto di Bellatrix si deformò, sbiancò e sgranò gli occhi, rimanendo per la prima volta senza parole.
Narcissa se ne andò, lasciando la sorella scioccata e immobile. Vi rimase per un po'. Domandandosi se il Signore Oscuro non fosse impazzito. Poi si vergognò per aver messo in discussione la scelta del suo Padrone. 
Un rumore di passi la riscosse dal suo shock. Ricordandole che gli amici di Beatrix aspettavano di venire uccisi, sarebbe stato poco educato farli attendere oltre.


«Allora pensavate di scappare, eh?»  li derise la donna, guardandoli divertita. «Peccato che il vostro ingegnoso piano non abbia funzionato!»
I ragazzi erano inginocchiati davanti a lei, pietrificati da un incantesimo che impediva loro di muoversi e di parlare, ma solo di guardare e ascoltare. Passò in rassegna ognuno di loro. 
«Una patetica ragazzina che vuole fare l'eroina... »  disse, soffermandosi davanti a Helena. «... un'insulsa secchiona cocciuta»  oltrepassò Jenny e giunse davanti a Cloe, «Ah sì... tu devi essere quella che ha tradito questi qui. Sei l'unica che mi piace... forse posso valutare di risparmiarti... » E come se le avesse letto nella mente, aggiunse: «Oh sì James e Beatrix che come potete notare sono assenti, ci hanno passato un bel po' d'informazioni su di voi!» Scoppiò a ridere e poi si fermò di colpo vedendo Grace. «Salve. Chi abbiamo qui?»  Bellatrix avvicinò il suo volto a quello della ragazza, «La sporca mezzosangue... ho un conto in sospeso con te... tuttavia il tuo amico qui accanto ha tutta l'aria di voler essere torturato... »  disse mostrando uno dei suoi sorrisi più malvagi. Sbloccò Erik, trascinandolo in mezzo alla stanza. Il ragazzo appena capì di essere di nuovo in grado di parlare urlò: «Che cosa hai fatto a...» ma non riuscì a concludere, poiché iniziò a contorcersi per il dolore.
«Davvero ancora ti preoccupi per loro? I vostri amici vi hanno ingannato per tutto il tempo, d'altronde il sangue non mente. Piuttosto dovresti preoccuparti per te stesso ora!»  
Erik risoluto alzò il volto e urlò: «Stai ment...» ma non riuscì a finire la frase, colpito ancora dalla maledizione. 
«Avrei preferito che fosse presente... sarebbe stato molto più divertente... »  poi la donna alzò la bacchetta davanti al suo volto e ordinò: «Ora, raccontami tutta la storia. Da quando siete scappati da scuola a quando vi hanno portati qui. Voglio sapere tutto.»  Un altro colpo, un altra agonia per Erik. 
«Se davvero i nostri amici ci hanno ingannati perché vuoi sapere tutta la storia da me? Io non ti dirò nulla!»  
Bellatrix scoppiò a ridere, si voltò quasi volesse andarsene, ma poi all'improvviso si rigirò e colpì a caso una delle ragazze: Jenny. La ragazza non era più pietrificata e crollò a terra per il colpo ricevuto.
«No!» urlò Erik cercando di rimettersi in piedi.
«Non ti conviene sfidarmi... o sarà qualcun altro a subire al posto tuo!» ordinò la donna, cattiva. «Dimmi tutto quello che avete fatto.... dimmi tutto su Beatrix.... voglio sapere ogni cosa!»
«Non dirle niente! »  sussurrò la ragazza tra i denti, cercando di tirarsi sù.
Bellatrix la colpì di nuovo. «Se non vuoi che la tua amica muoia... ti conviene parlare subito!»  
«Ci ucciderai comunque perché sei una pazza sadica!»  Gli occhi di Bellatrix erano spaventosamente spalancati, le labbra strette e il viso contratto in un espressione furiosa. Helena si tirò su sui gomiti e tossì sangue.
«V-vede il f-futuro nei s-sogni»  disse Erik, cercando di distrarre Bellatrix dall'amica. La donna si voltò verso di lui con espressione stupita. «Beatrix riesce a vedere presente e futuro nei sogni.» ripeté Erik. La donna scoppiò a ridere. «Ma questo lo sanno tutti ormai. È stato il suo caro fratello a rivelarlo al Signore Oscuro in persona!» Erik abbassò la testa nascondendo la sua espressione incredula. Non riusciva a spiegarsi per quale motivo James avesse fatto una cosa del genere.
«E ha detto qualcos'altro...» aggiunse la donna, contenta di vedere la sua reazione «La vera ragione per cui James vi ha aiutati è stata una sola e non di certo per Beatrix... un altro di voi ha un potere che serve all'Oscuro Signore ed è quello della resurrezione!»
La ragazza a terra scuoteva la testa, atterrita.
«Dimmi il nome o lei muore!» urlò Bellatrix.
«Non lo so...» rispose Erik, «Sapevo di Beatrix soltanto perché l'avevo sentita parlare con suo fratello. Tra noi non abbiamo mai parlato di queste cose. Non c'è nessun altro! Lascia stare Helena e uccidi me!»
 «Va bene Erik ti credo!»
La donna che fino a poco prima sembrava sul punto di colpire Helena cambiò bersaglio puntando su Erik.
«E tu, Helena? Anche tu all'
oscuro di tutto?»  
«Non...»  cominciò a dire Erik, ma Bellatrix lo pietrificò di nuovo e poi la donna tornò vicino alla ragazza a terra, chinandosi su di lei. 
«Può guarire una ferita mortale. Riportare in vita i morti.» le sussurrò Bellatrix.
La ragazza aveva uno sguardo pieno di sé, forte, risoluto. Quello sguardo faceva andare in bestia Bellatrix.
 «Tu credi nell'amicizia, Helena?» 
La ragazza sussultò, sgranò gli occhi, mentre un rivolo di sangue le uscì dalla bocca. Crollò con un tonfo orribile sul pavimento freddo del salone.
Bellatrix sfilò il pugnale dall'addome della ragazza e si alzò. «Vediamo chi tra i tuoi amici è pronto a svelarsi pur di salvarti!» e con un gesto della bacchetta liberò i ragazzi.
Jenny, Cloe e Grace corsero al corpo dell'amica. La chiamavano, piangevano e gridavano disperate. 
Erik era rimasto in piedi di fronte a Bellatrix, guardandola fisso pieno di odio, stringendo i pugni, cercando di controllarsi. La strega lo guardò sprezzante. Il ragazzo non riuscì a sopportarlo, scattò verso la donna.
Nel frattempo Jenny e Cloe piangevano sul corpo senza vita dell'amica. Grace sembrava stesse facendo lo stesso, in realtà era china sul suo orecchio «Perdonami» sussurrò.
 

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Capitolo 16
*** La fine ***


 

Capitolo 16

La fine

 
Si gettò sul viso l'acqua ghiacciata tentando di lavare via gli orribili pensieri che le affollavano la mente. Ma sembrava inutile. Tirò su la testa e nello specchio vide un altro volto. Le gocce d'acqua scivolavano sulla sua pelle liscia e pallida. La ferita che le aveva inflitto Voldemort sulla guancia le aveva lasciato una cicatrice. Gli occhi erano stanchi, vuoti, come se fosse stata privata della sua anima.
Era stanca e aveva una terribile paura, ma non poteva permettersi di sentirsi debole. Doveva essere ancora più forte e mettere da parte le sue emozioni. La sorte dei suoi amici dipendeva da lei. Avrebbe recitato bene la  parte. Si va in scena.
Gli occhi verdi erano scaltri e accesi da una viva fiamma. I capelli erano lisci, biondi quasi bianchi legati in una coda alta. Un rossetto scuro le colorava le labbra. Si tirò su il cappuccio del mantello da Mangiamorte e lo calò sulla testa. Beatrix si era sacrificata. Era morta per risorgere dalle sue ceneri. Forse avrebbe dovuto piangere, ma nessuna lacrima uscì dai suoi occhi. Non aveva più lacrime per nessuno. Il suo cuore era arido. 

Poi in mezzo a tutto quel buio: luce.
 
Tre sagome sbucarono dalla nebbia.
Il silenzio venne rotto dal miagolio di un gatto, insistente, continuo, sempre più forte. Un allarme. Urla di ordini. Urla strazianti, di dolore, di paura, malvagie. Un ululato. Ombre, figure oscure che corrono, si uniscono, crescono diventano una sola e gigantesca. Piove, vetro e sangue, s'infrange a terra e scheggiandosi sempre più fino a diventare polvere. Lampi verdi e rossi. Tuoni nel cielo buio. Corpi, uno sull'altro, uno accanto all'altro, nemici vicino ad amici. Non c'è distinzione nella morte. Arriva lenta. Ecco il suo passo. Ha i tacchi, è una donna. Un ragazzo esce dall'oscurità, la luna lo illumina con il suo raggio. É solo. Voldemort gli è davanti, soddisfatto. Il ragazzo lo guarda con rassegnazione. Entrambi alzano le bacchette e tutto finisce com' è iniziato. Un lampo di luce verde. É sconfitto.
«Sono Jack, signorina Todd »  
Beatrix tornò alla realtà più in fretta del solito. In dubbio se quella voce famigliare facesse anch'essa parte della visione o no. 
«Jack?!»  chiese dubbiosa alzandosi dal letto sul quale non ricordava di essersi mai sdraiata.
La porta s'aprì, mostrando il piccolo elfo. Era sporco e sembrava sofferente, ma sorrise non appena vide la ragazza. «Jack, cosa ci fai qui? Perché non sei a casa?»  disse lei precipitandosi verso la creatura che invece cercava di mantenere una certa compostezza. «I suoi genitori mi hanno ordinato di servire la famiglia Malfoy... »  spiegò Jack abbassando la testolina.
«Che cosa?» 
«I Suoi genitori mi hanno detto che dovevano andare via e che non servivo più a casa. E che sarei stato più utile qui... »  dicendo questo, Jack scoppiò a piangere, coprendosi gli occhioni con le manine.
Beatrix gli s'inginocchiò accanto per essere alla sua altezza, «Mi dispiace tanto, Jack... »  gli disse prendendolo per la spalla. «Come ti hanno trattato? Dimmi la verità!»  
«A Jack non importa... Jack deve fare solo ciò che gli viene ordinato...»  l'elfo singhiozzò.
«Allora ti ordino di dirmelo, Jack!» lo costrinse Beatrix.
L'elfo guardava a terra come se fosse colpevole e rispose: «Jack non ha ricevuto un trattamento migliore di tutti i precedenti elfi domestici dei Malfoy, Signorina Todd...»
Beatrix che aveva solo bisogno di una conferma, non voleva sentire altro. Cercò di mostrarsi calma, accarezzò l'elfo sulla testa pelata, ma lui si riscosse all'improvviso pieno di agitazione: «Sono venuto a chiamarvi siete desiderata di sotto per la riunione generale... » 
Riunione di cosa? Stava per chiedere, ma solo in quel momento si rese conto del bruciore al braccio destro.
«Ah, capisco... possono aspettare... Piuttosto tu... Jack... »  la ragazza distolse lo sguardo dall'elfo domestico e si guardò intorno. I suoi vecchi vestiti erano appoggiati sulla spalliera di una sedia. La ragazza si avvicinò e prese la prima cosa che trovò in buone condizioni.
«Avrei dovuto farlo molto tempo fa e avrei voluto darti qualcosa di meglio... ma non devi più essere costretto a fare questa vita…»  disse Beatrix porgendogli la camicia a quadri rossa e nera.
L’elfo, alzò lo sguardo lucido ed incredulo sull’indumento che la ragazza gli tendeva. Donare dei vestiti agli elfi domestici era simbolo di svincolo dall’obbligo della schiavitù. Jack titubante, levò la manina e fece per prendere l'indumento. La ragazza però ritrasse la mano. «Sarai libero. Però voglio darti un ultimo ordine: scappa da questa casa, trova un posto sicuro in cui restare fino a che tutto questo non sarà finito e... perdonaci Jack...perdonaci tutti!»  
La ragazza fece indossare la camicia all'elfo, che gli calzava come se fosse una giacca. Jack guardò l'indumento che vestiva e con un espressione di felice incredulità si gettò tra le braccia di Beatrix.
 
 
La porta davanti a lei era chiusa. La riunione doveva già essere cominciata. Cosa fare? Entrare o no?
Sospirò e alzò un pugno per bussare, ma la porta si aprì da sola. Si sentì a disagio. C'era silenzio e tutte le persone all'interno della stanza guardavano lei. 
«Sono proprio curioso di sapere quale scusa userai per il tuo ritardo...Beatrix» disse la voce sibilante di Voldemort.
«Mi dispiace... mio Signore. Non capiterà più.» rispose la ragazza chinando leggermente il capo in avanti.
«Lo credo bene... per la tua vita...Ora siedi!»  tagliò corto Voldemort.
Beatrix avanzò velocemente verso la sedia libera, senza guardare i presenti, ma sapendo di essere ancora seguita dagli sguardi. 
«Farò una presentazione veloce, anche se, a quanto pare, sembra che ti conoscano già quasi tutti qui... per la tua fama di sostenitrice dei mezzosangue... »
 «Mio Signore... le sono molto grata per avermi dato una seconda possibilità per rimediare ai miei errori passati e alle mie assurde convinzioni, di certo farò in modo di cambiare questo appellativo con cui mi ricordano...»
Voldemort non cambiò espressione, ma la ragazza era sicura di aver fatto centro sulla risposta.
«Ah che strana situazione è questa, so che la tua famiglia aspettava da molto tempo questo giorno... ci sono i tuoi zii... tuo cugino... addirittura abbiamo l'onore di avere in mezzo a noi anche tuo fratello...» Voldemort enfatizzò molto sull'ultima parola per vedere la sua reazione, ma Beatrix che non voleva voltarsi per vedere quali assassini avesse al suo fianco non si girò nemmeno per vedere dove fosse suo fratello. Lei rimase con gli occhi fissi su Voldemort e cercò di mostrarsi indifferente per la presenza di James tra i Mangiamorte. «Peccato che i tuoi genitori non si presentino alle riunioni da parecchio tempo... spero che non abbiano ripensato su chi riporre la propria fedeltà!» Voldemort la guardò bramoso di sapere la sua risposta.
«I miei genitori sanno perfettamente quale sia la parte vincente, come lo so io. Non oserebbero mai tradirla, ne tantomeno scappare come dei vigliacchi!» rispose la ragazza cercando di mantenere un tono calmo e sicuro di sé.
«Allora...immagino che si tratti solo di un piccolo equivoco... e spero bene, visto che ora anche tu sei dalla mia parte, li contatterai il prima possibile per ripresentarsi a noi.» 
«Lo farò, Mio Signore.» 
Voldemort la studiò attentamente, poi si rivolse a tutti i presenti: «Sapete sembra strano che solo ieri Beatrix sia venuta da me implorandomi il perdono e la grazia per la propria vita, ma ovviamente niente é dato per niente. Mi ha giurato completa fedeltà ed ora é ufficialmente una di noi.»  Beatrix manteneva lo sguardo fisso su Voldemort, mostrandosi senza paura. «Inoltre ha gentilmente scelto di condividere con noi la sua abilità di preveggenza.» l'uomo fece una breve pausa, per poi riprendere: «E a proposito... dovresti cominciare a renderti utile... dovrai impegnarti a darmi le informazioni che cerco altrimenti...»  
La ragazza lo interruppe: «Mio Signore...ho già qualcosa da riferirle... » 
Voldemort rimase impassibile. «Allora parla!» ordinò.
«Proprio poco fa ho visto, in una delle mie visioni, Harry Potter e i suoi due amici che si materializzavano a Hogsmeade. Hanno fatto scattare l'allarme di rivelazione intrusi.»  Alcuni Mangiamorte bisbigliarono, ma lei prosegui cercando di ignorarli: «Ci sarà una lunga e sanguinosa battaglia e Hogwarts verrà... distrutta...»  era davvero orribile da dire, ma non aveva altra scelta, Beatrix riprese cercando di mostrarsi contenta per la svolta finale: «Harry Potter... morirà...per mano vostra...»  concluse, senza staccare lo sguardo da Voldemort che continuava a non esternare alcuna emozione.
«Questo è ciò che hai visto o quello che pensi che voglia sentire? »  
Beatrix rispose immediatamente, sorprendendosi di avere una voce ferma e sicura: «Mio Signore... può leggere nella mia mente e vedere chiaramente le immagini della visione...  sa che dico il vero! »
Voldemort la guardò a lungo e la ragazza cercò di non interrompere il contatto visivo, finalmente riusciva a reggere il suo sguardo e si rese conto che quella doveva essere stata una sorta di prova.
«Greyback! Sai cosa fare! » esclamò Voldemort spostando lo sguardo in fondo alla stanza. Beatrix si voltò verso il punto a cui si era rivolto Voldemort. Il lupo mannaro era in piedi vicino alla porta e non appena si sentì nominato, rispose: «Provvederò subito... Mio Signore! »  e uscì dalla stanza, senza prostrarsi.
Quello fu l’unico momento in cui Beatrix poté guardarsi velocemente intorno: al lato opposto della capotavola a cui sedeva Voldemort c'era Yaxley, il Ministro della Magia che aveva quasi ucciso lei e i suoi amici.
Alla sua sinistra sedeva Antonin Doholov, anche lui calvo con un grosso tatuaggio sulla tempia, aveva uno sguardo perennemente di sfida e cattivo. Accanto c'erano Tiger e Goyle, gli amici inseparabili di suo cugino Draco. Quest'ultimo seduto vicino a loro, aveva il viso più pallido del solito e un'espressione molto seria dipinta in faccia. Accanto a lui Cissy e Lucius che avevano l'identica espressione del figlio, così fermi e impassibili che sembravano pietrificati. Dopo di loro c'era Barty Crouch Jr. che guardava un punto fisso sul tavolo con sorriso maniacale, facendo scattare di tanto in tanto, come tic nervoso, la lingua fuori per leccarsi il labbro superiore. Era conosciuto per essere uno dei più fervidi sostenitori di Lord Voldemort ed era stato arrestato insieme a Bellatrix, Rodolphus e Rabastan con i quali aveva passato molti anni ad Askaban con l'accusa di aver usato la maledizione senza perdono cruciatus sui genitori di Neville Paciock, inducendoli alla pazzia. Accanto a lui sedeva Bellatrix, dritta e composta, le mani avvinghiate ai bordi del tavolo. "Per trattenersi dal lanciarsi su Voldemort" pensò Beatrix. Dall'altra parte del tavolo c'era Rodolphus, il marito di Bellatrix, era un uomo dal viso quadrato e dalla fronte alta, aveva capelli mossi castano scuro e una folta barba. Dall'aspetto sembrava un uomo intelligente e austero. Lo stesso non si poteva dire di suo fratello Rabastan, seduto alla sua destra. Era esattamente l’opposto del fratello. I capelli erano più chiari, il viso magro, poca barba sul mento e occhi di ghiaccio. Sentendosi osservato, alzò lo sguardo su Beatrix che accorgendosene guardò altrove. Fu così che vide chi non avrebbe voluto vedere seduto a quel tavolo. James aveva i capelli scompigliati, la mascella contratta e un'espressione dura sul volto. Mai sarebbe riuscita ad immaginarlo così. James le rivolse uno sguardo cattivo e Beatrix immaginò che anche lui come lei cercava di recitare una parte e che probabilmente fosse contrariato da ciò che stava facendo, ma non poteva saperlo con certezza, perché neanche lei era più tanto sicura di sapere da che parte stesse  realmente James.
«Mentre tu, Severus... » 
La ragazza spostò lo sguardo all'uomo accanto a James. Severus Piton, il professore a capo della sua casata a Hogwarts, stava al fianco destro di Voldemort. Beatrix si sentì gelare il sangue nelle vene. 
«...rendi il castello inaccessibile, distruggi ogni entrata secondaria, aumenta i controlli... potranno anche entrare, ma nessuno dovrà più uscirne! » 
«Lo consideri già fatto, Mio Signore! »  rispose Piton con il suo tono nasale.
La presenza del professore di pozioni non avrebbe dovuto sconvolgerla più di tanto. A scuola giravano delle voci... ma Beatrix non le aveva mai prese seriamente in considerazione. Come le dicerie che tutti gli studenti che finivano in Serpeverde fossero destinati solo al male. Ora Beatrix si domandava se fosse vero.
Comunque qualcosa doveva aver preoccupato Voldemort. La ragazza sperava che Harry Potter non fosse tanto stupido da tornare ad Hogwarts proprio in quel momento, a meno che cercasse qualcosa e forse Voldemort sapeva cosa. 
 
All’improvviso si sentì un gemito e tutti alzarono la testa.
«Quasi dimenticavo... questa sera abbiamo l'onore di avere un'ospite... »  Lord Voldemort alzò la bacchetta e una figura spuntò dall’oscurità. Una donna era distesa nell’aria, aveva la testa a penzoloni e gli occhi sbarrati. Era scossa dai tremiti, ma  probabilmente era immobilizzata perché non faceva un minimo gesto per liberarsi.
«Un'insegnante, se così si può chiamare… Charity Burbage che fino a poco tempo fa insegnava Babbanologia, a Hogwarts... »  Voldemort parlava con una sorta di ribrezzo nella voce.
«Vedete... lei non si limitava a insegnare la sua patetica materia... sosteneva che i babbani non sono poi così diversi da noi, per questo motivo, se fosse per lei, dovremmo accoppiarci con loro … »  
Espressioni di disgusto, imprecazioni e risate irruppero nella stanza, ma dopo poco si placarono perché Voldemort continuava: «Per lei il miscuglio di sangue di maghi e babbani non è abominio, ma da incoraggiare… »  
Nuove risate scoppiarono.
Beatrix strinse i pugni. Vide nella sua mente l'immagine della donna sorridente accanto a Silente al tavolo degli insegnanti. Non la conosceva molto bene poiché non era tra i suoi professori, ma ne aveva sempre sentito parlare bene, sopratutto per la sua pazienza con gli studenti e la sua prontezza nell'aiutarli.Ora, però, nessuno avrebbe aiutato lei.
“E' tutto uno scherzo. Non può essere vero. Non può esistere tanta crudeltà.” pensava. “La prende solo un po' in giro, poi la farà scendere” ma sapeva che stava solo mentendo a se stessa. Era in una stanza in mezzo a gente che si nutriva ogni giorno di omicidio e malvagità, cosa si aspettava?
Poi, all'improvviso, stupendo tutti, la donna sussurrò: «Severus… » I suoi occhi pieni di lacrime si rivolsero verso l'uomo. «Severus ti prego… » 
Piton sollevò lo sguardo sulla donna. La sua espressione sembrava invariata, ma Beatrix vide una strana luce riempire i suoi occhi. Non riusciva a capire come Piton riuscisse a sostenere così a lungo quello sguardo carico di dolore. Beatrix sentì i propri occhi riempirsi di lacrime e abbassò lo sguardo sul tavolo cercando di farle tornare indietro. La Professoressa Burbage parlò di nuovo, in un ultimo impossibile tentativo di speranza: «… siamo amici… non è vero?» 
«Avada Kedavra» 

Il corpo dell'insegnante cadde sul tavolo con un orrendo tonfo. L'ultima lacrima le solcò il viso per poi restare immobile per sempre. Era stata derisa per poi essere uccisa a sangue freddo, senza nessuna colpa. Beatrix guardò i Mangiamorte per vedere le loro reazioni e fu sconcertata nel vedere che alcuni sorridevano nel guardare il corpo senza vita. La ragazza si sentì responsabile, come se fosse stata lei stessa ad ucciderla. In quel momento non riusciva a provare altro che odio e disprezzo. Quei sentimenti svanirono per un attimo quando sentì qualcosa urtarle il piede. 
«Ah Nagini…» 
L’enorme serpente di Voldemort comparve accanto al padrone che lo aveva chiamato e lo accarezzava mentre saliva sul tavolo. 
«… la cena!»  Voldemort concluse con un sorriso sadico, mentre il rettile strisciava verso la donna.
Beatrix disgustata ed inorridita da tanta inumanità, sentendosi osservata si voltò verso Voldemort che la guardava compiaciuto per la sua reazione, come se fosse stato anche un avvertimento per lei. Beatrix si alzò all'improvviso rifiutandosi di vedere altro e senza dire una parola uscì dalla stanza.
Qualcuno doveva aver fatto una battuta su di lei, perché mentre si chiudeva la porta alle spalle sentì scoppiare le risate generali.
 
Una volta fuori la testa le esplose dal dolore. Le tempie le pulsavano e aveva la nausea. Fece qualche passo per allontanarsi dalla stanza infernale e si appoggiò al muro freddo con le spalle. Stava tremando per la tensione accumulata. E si accorse che i palmi le sanguinavano da quanto aveva serrato le dita, le unghie le avevano perforato la carne. Chiuse gli occhi. 
Silenzio.
Aprí gli occhi e si rese conto che quello era il momento migliore per aiutare i suoi amici.
Fece dei respiri profondi, raccolse tutto il coraggio che aveva e con passo deciso iniziò a dirigersi per il verso opposto. Ricordava di aver visto una scala che portava al seminterrato... il posto più logico dove nascondere dei prigionieri…
Ed eccola. Non c’era nessuno a controllarla. “Troppo facile” pensò Beatrix, poco convinta della presenza dei suoi amici là sotto.
Le scale sembravano condurre nella tenebra, ma non poteva farsi luce perché la bacchetta le era stata sottratta da Narcissa. E comunque non ci fu bisogno di scendere nel buio. «Silencio» sentì dire alle sue spalle. Beatrix riconobbe la voce, ma ancora prima di realizzare di essere stata ammutolita. Qualcuno la spinse con forza contro al muro. La luce fioca di una bacchetta le illuminò il viso e venne subito lasciata. «Beatrix?»

«Scusaci, pensavamo fossi una di loro…»  chiarì Grace avvolgendola in un abbraccio, ma Beatrix rimase un po’ sconvolta da quella motivazione. «Non importa…» cominciò a dire la ragazza, una volta riottenuta la voce, «…non abbiamo molto tempo… potrebbero arrivare da un momento all’altro… muoviamoci!»  
Beatrix guardava continuamente verso il corridoio, ma ad un tratto si accorse che i suoi amici la stavano fissando. «Beatrix… stai….»  ma Erik venne interrotto prima di finire di parlare. «Fidatevi di me… sto bene, sono io. Non sono sotto la maledizione imperius, so che qualcuno vi ha aiutati al posto mio e so come uscire da questo posto e in questo momento conta solo che voi vi allontaniate il più possibile da questo luogo infernale… ora andiamo!»
«Beatrix» ripeté Erik cercando i suoi occhi, ma Beatrix continuava a guardare con ossessione verso il corridoio. «Guardami per un secondo ti prego…» 
La ragazza con riluttanza lo guardò. «Beatrix una delle tue migliori amiche… Helena è morta… come puoi far…»
«Erik semplicemente non c’è tempo ora… ti basti sapere che ormai convivo con il dolore e quasi non lo sento più… posso facilmente immaginare chi sia stato e continuerà fino a che non vi avrà presi tutti… solo così riuscirà a distruggermi è così che si diverte... mia zia…»
I suoi amici sembravano sconvolti.
«Beatrix che cosa ti hanno fatto?» chiese Grace.
«Stanno scappando! I prigionieri stanno scappando!»  
Beatrix e i ragazzi cominciarono a correre. Non avevano tempo per voltarsi a guardare la distanza tra loro e i Mangiamorte. Dovevano solo proseguire dritti e sperare di riuscire a raggiungere il grande cancello.  Ecco il corridoio con i ritratti di famiglia, la porta era alla fine. Qualcuno dei ragazzi lanciò un incantesimo che la fece spalancare. Una forte luce irruppe nel corridoio. Si ritrovarono fuori, nell'enorme giardino di Villa Malfoy. 
Davanti a loro era schierato un esercito di Mangiamorte ad aspettarli. I ragazzi non ebbero il tempo di fare un altro respiro che vennero tutti colpiti al cuore dalle maledizioni senza perdono. Beatrix sollevò lo sguardo verso il cielo. Le prime luci dell’alba tingevano il cielo di rosso. Era finita, ma era insieme ai suoi amici. Avevano mantenuto la fede in Silente sino alla fine, la speranza li aveva guidati e non si erano mai arresi. Il male non aveva vinto. Non aveva preso le loro anime.
Sarebbe stata una fine indolore e quasi felice, ma purtroppo il destino aveva in riserbo altro e non permise loro di morire dignitosamente quella notte.
In un attimo si ritrovarono nel giardino di Villa Malfoy senza trovare ostacoli, correndo verso l'enorme cancello.
Beatrix sentì delle urla in lontananza, ma non capiva cosa dicevano. Gli incantesimi ormai li stavano raggiungendo. Una volta vicina all'inferriata, agì d'istinto, si tirò su la manica e il ferro svanì lasciando passare i ragazzi. 
Ora, le persone a cui teneva, Jack e i suoi amici, erano libere. Il momento era giunto. Ecco la sua scelta. Per la prima volta era certa di fare la cosa giusta. Loro capirono ancor prima. «No!»  urlarono in coro.
Eccolo, il muro che la divideva da loro si era ormai completato. Guardò i loro volti sconvolti, quella sarebbe stata l'ultima volta che li vedeva. Sfoderò la bacchetta che aveva sottratto a Jenny senza che questa se ne fosse accorta.
«Ma quella è…» la voce di Jenny si spense e i suoi occhi divennero vacui.
«È una cosa infame usare la maledizione imperio sui propri amici… ma so che altrimenti non mi avreste lasciata qui… vi ordino di abbandonarmi, non dovete tornare per nessuna ragione a prendermi. Dovete trovare un posto sicuro e restarci il più a lungo possibile. So che questa maledizione ha una durata e quando ritornerete in voi allora deciderete ciò che volete. Vi voglio bene.»
Un lampo squarciò il cielo nero.
«Ora andate...» 
I ragazzi si smaterializzarono.
Beatrix avvertì che i Ghermidori ormai erano vicini. Si voltò e qualcuno le si buttò addosso, facendola andare a sbattere contro l'inferriata. 
«Sarà per me un grande piacere consegnarti al Signore Oscuro,»  le sussurrò Strify all'orecchio, il suo alito puzzava di alcool «...proverò un'immensa gioia nel guardarti morire...» 

Un'ombra cadde su di loro e per poco Beatrix tornò ad essere libera.
Strify le dava la schiena, qualcuno lo stringeva per il collo.
«Tu mi servirai… »  disse in tono sprezzante.
«Scabior, che diav… » 
In un attimo Strify piombò a terra con il collo spezzato.
La ragazza guardò il cadavere, e poi Scabior.
L'uomo la prese per i capelli, avvicinandosi a lei, «Non erano questi gli accordi... dovevi andartene con gli altri... se ti legge la mente...»  le sussurrò all'orecchio, in tono cattivo.
«Non preoccuparti… dalla mia bocca non uscirà altro che sangue.»  gli rispose fredda e per un momento Scabior rimase spiazzato, poi accorgendosi della presenza degli altri uomini sorrise crudele e annunciò a voce ben alta, in maniera che tutti potessero sentirlo: «Stanotte ci sarà da divertirsi...» 
La ragazza si rese conto che alcuni Ghermidori e Mangiamorte li avevano raggiunti, altri invece andavano oltre proseguendo nella ricerca dei fuggitivi.
 
Ma ormai i suoi amici erano in salvo.
Avevano trovato una vecchia casa abbandonata nella campagna inglese, un posto dove Jenny aveva trascorso le vacanze quando era piccola. 
Cercarono di renderla vivibile con qualche piccolo incantesimo tolsero l’odore di muffa, eliminarono le ragnatele, pulirono i vetri, i pavimenti, il soffitto, aggiustarono i mobili rotti e accesero un fuoco nel vecchio camino.
Tutto questo li tenne occupati per un bel po'. Dopodiché, a turno, si cosparsero le ferite di un unguento curativo che aveva realizzato Erik con delle erbe che aveva trovato nei dintorni della casa.
Una volta che furono puliti, curati e al sicuro si posizionarono in diversi punti del salotto e s’immobilizzarono come statue con lo sguardo rivolto verso il fuoco. 
Si risvegliarono come da un sonno profondo molto lentamente e ci misero un po' prima di capire cosa fosse successo e del perché si trovassero lì.
«Ragazzi state bene?» chiese Cloe che fu la prima a riprendersi completamente.
«Immagino di sì visto che siete vivi» rispose una voce che non apparteneva a nessuno degli amici.
In disparte, accomodato su uno sgabello in fondo alla stanza, stava James. Maneggiava una delle pistole della sua collezione, probabilmente l’unica che si era salvata dall’incendio, la scrutava con grande attenzione e mentre la lucidava ne studiava i minimi particolari, come un bambino che valuta se al suo giocattolo mancano dei pezzi.
«Cosa ci fai tu qui? E Beatrix dov… oh dio adesso ricordo! Dobbiamo tornare a riprendercela!»  disse Erik agitato.
«Sarebbe da stupidi... tornare equivarrebbe a morire...»  rispose James, burrascoso, senza staccare gli occhi dall’arma, «Beatrix si è sacrificata per salvarvi, sapeva quello che faceva... l'ho vista parlare di fronte a Voldemort e ha convinto perfino me di quel che diceva!» 
I ragazzi si guardarono. 
 «Come puoi stare lì come se nulla fosse? E' tua sorella! E' nostra amica! Ci ha salvato! Non possiamo stare qui senza fare niente per aiutarla!»  esclamò Erik.
Questa volta James puntò la pistola contro il ragazzo e con voce crudele disse: «T’avverto non farmi sprecare questo colpo, ragazzo. Non è per te. » 
Erik assunse un'espressione atterrita.
«Non mi stupisco che Beatrix abbia usato la maledizione “imperius” per mandarvi via. Siete così cocciuti. Riflettete… se torniamo là ed è morta sarebbe inutile e rischioso. Se è ancora viva, ma la stanno torturando saremo in trappola e non potremo comunque far niente. Come ha salvato noi, salverà se stessa. Io credo in lei, dovresti farlo anche tu!»
Il silenzio calò, Erik stava per ribattere, ma prima parlò Grace.
«Io credo nella mia amica, ma dai recenti avvenimenti ho difficoltà a credere in te... si può sapere perché sei qui?»  disse seria. 
«Semplicemente per il fatto che Beatrix salvando voi non ha pensato a cosa avrebbero potuto fare a me…mi avrebbero accusato di averla aiutata a liberarvi… mi avrebbero ucciso al posto vostro e sinceramente non ne avevo molta voglia di sacrificarmi per voi… visto che l’ho già fatto, ma sembra che non sia servito a nulla visto che ancora non vi fidate di me…»
«Ma se tu ci hai trovato vuol dire che questo posto non è sicuro!» disse Cloe.
«Mi sono semplicemente smaterializzato con voi. Non ve ne siete accorti perché eravate sotto l’effetto della maledizione ed io ero nascosto appena fuori Villa Malfoy, Mi sono sentito in dovere di seguirvi per Beatrix.»
«E invece avresti dovuto aiutare tua sorella invece che…» scoppiò adirato Erik.
«Pensi che non ci abbia pensato? Ma Beatrix voleva così e chi vuol bene rispetta le decisioni degli altri… sopratutto se come dici tu é tua amica!»
«James hai ragione dobbiamo rispettare la sua decisione, ma ora basta non ha senso litigare tra noi…» intervenì Grace, ma Erik la ignorò: «Cosa ne vuoi sapere tu di bene e di amicizia… tu che hai il simbolo del Male tatuato sul braccio!»
Il volto di James si contrasse, una strana luce gli brillava negli occhi, parevano crudeli, non sembrava più lui. Scoppiò a ridere.
«Dici questo…»  disse James tirandosi su la manica della giacca. Il marchio nero era impresso sul braccio, era pieno di graffi e tagli, come se avesse provato a toglierselo. «Potrei chiamarlo… qui e subito… così mi toglierei dai piedi una volta per tutte voi ragazzini… potrei barattare la vita di Beatrix con la vostra…perché voi siete qui e lei no? La sua vita vale di più per quello non vi ha ancora trovati,,, Lui non vi vuole trovare… siete solo degli inutili e patetici ragazzini…vi ha solo usati per arrivare a mia sorella!»
Le facce dei ragazzi erano un mix di tristezza, rabbia e senso di colpa.
«Sì vi ho mentito e ho mentito a mia sorella. Ho provato a diventare auror, ma il sistema era corrotto e il fantastico mondo fatto di giustizia che m’immaginavo non era altro che uno stupido sogno. Alla vostra età ero già Mangiamorte e me ne sono andato da casa perché non riuscivo a guardare in faccia mia sorella e a mentirle. Alla vostra età avevo già le mani macchiate del sangue di babbani e mezzosangue innocenti e di stupidi ragazzini come voi me ne sbarazzavo in un secondo. Invece che piagnucolare e sperare nella mia clemenza potevano almeno provare a combattere e invece no, ogni volta che li uccidevo avevano quello sguardo innocente...»
Cloe prese coraggio e disse: «Non credo ad una parola… James tu non sei così… abbiamo vissuto insieme sotto allo stesso tetto per quasi un anno… eri disposto ad aiutare anche i miei genitori che non conoscevi… non sei come vuoi far credere di essere!»
«Un ulteriore conferma della vostra ingenuità! Sto meditando se uccidervi o no, però se per caso Beatrix sopravvivesse non me lo perdonerebbe mai, anche se potrei sempre inventarmi che siete caduti valorosamente in battaglia. Non importa. Io me ne vado. Sono sicuro che ci penserete da soli a farvi ammazzare.»  
«No! James resta ti prego dobbiamo restare uniti…»
Ma prima che Grace potesse finire la frase, James si smaterializzò. 

I quattro ragazzi rimasti s’ immobilizzarono di nuovo come statue, fermi in silenzio con gli occhi fissi sul punto in cui prima c'era James.
 
 
Scabior la gettò a terra e Beatrix atterrò sulle ginocchia. 
La ragazza alzò lentamente la testa per vedere colui che aveva davanti. I suoi occhi non avevano mai visto veramente il mondo, non si erano mai soffermati sullo splendore della natura o sulla bellezza di una persona. Quel naso non aveva mai gradito il profumo della dolcezza. Quelle labbra non si erano mai mosse in un sorriso amabile, in una risata di gioia o in un bacio. Il male era davanti a lei, fatto uomo.
«Avevate un solo e semplice ordine da eseguire...»  disse con voce inumana, gli occhi rosso fuoco delle fiamme dell'inferno. 
Si sentì il rumore di alcuni corpi che crollavano a terra a peso morto, in punti diversi della stanza. Probabilmente erano i Ghermidori che sarebbero dovuti rimanere di guardia alla cella dei prigionieri.
La ragazza non si voltò per vedere chi fosse morto. Teneva lo sguardo fisso davanti a sè, su Voldemort e anche  quando lui abbassò il suo su di lei, riuscì a sostenerlo. Non aveva più paura di lui. Ormai era consapevole del suo futuro e nient’altro avrebbe potuto renderla più forte su di lui.
«Ecco la feccia della peggior specie... chiedere la mia fiducia... la fiducia di Lord Voldemort... una notte e la notte dopo avermi già tradito... »  disse con voce crudele, «Devo supporre che hai architettato tutto questo solo per poter liberare quei mezzosangue traditori?»  
Beatrix sorrise orgogliosa. Ma la bocca era ben serrata.
Voldemort la guardava e nel mentre ordinò con una sorta di felicità nella voce: «Allora…Greyback... perché non liberi la ragazza dal suo fardello?»  
Beatrix non capì subito e presa alla sprovvista si sentì afferrare in una presa immobilizzante alle spalle. Greyback apparì davanti a lei afferrandole il braccio destro in una forte stretta e con un sorriso perverso sul volto, azzannò il suo braccio proprio nel punto in cui era tatuato il Marchio Nero. Con un solo morso il lupo mannaro le strappò la carne dal braccio. Beatrix presa alla sprovvista, non riuscì a trattenere un grido di dolore. Il braccio le andava a fuoco, ma non aveva il coraggio di guardarlo. Sentiva il sangue colarle giù per il polso e lungo la mano. Greyback sollevò la testa e guardò Beatrix con la bocca e le zanne sporche del suo sangue. Ingoiando il pezzo di carne che aveva in bocca. Sorrise, divertito. 
Beatrix che si era ripromessa di non urlare gemeva con il braccio inerte lungo il corpo.
La ragazza alzò il volto, Voldemort si rigirava la bacchetta tra le mani e il grosso serpente era ai suoi piedi.
«Questo è solo un piccolo “assaggio” di ciò che succede a chi tradisce Lord Voldemort!»  
Il serpente aprì le fauci e sibilò.
Le ritornò alla mente il corpo senza vita della professoressa Burbage e quell'orribile serpente che strisciava verso di lei e la ingoiava.
«Sfortunatamente Nagini ha già cenato stasera... »  annunciò Voldemort, leggendo nella sua mente, «Ma c'è qualcun altro qui che credo ti abbia trovato alquanto gustosa... » disse riferendosi a Greyback che la guardava con sguardo famelico «…ma prima vediamo quanto è sporco il tuo sangue traditore... » 
Non era una stupida, sapeva che sarebbe successo, era pronta. 
La maledizione non era una semplice fattura della tortura, come quella usata da Bellatrix. Questa era più simile a dei colpi di frusta e ad ogni colpo il respiro le mancava e un dolore acuto le si diffondeva per tutto il corpo, inoltre lacerava. La ferita del giorno prima che si era richiusa, si riaprì più profonda, sulla sua guancia. Il sangue cominciò ad uscire, rigandole il volto come una lacrima.
«Chi ti ha aiutato?» 
Beatrix non urlava, non si muoveva, ne parlava. Rimase immobile, in ginocchio. Cercando di tenere chiusa la mente per evitare che Lui la leggesse.
Beatrix incassò altri colpi della maledizione su tutto il corpo. Tremò, ma rimase sulle ginocchia. “Non devo mollare” si ripeteva.
«Dimmi... il...nome...del...traditore »  
Questa volta cadde distesa sul pavimento, stringendo forte i denti e serrando i pugni per non urlare dal dolore.
Cominciò a colpirla sulla schiena. Sentiva il tessuto della maglia squarciarsi ad ogni colpo e il sangue inzupparle la maglia.
Sentì ridere, una risata di gioia e di piacere, era Bellatrix e in quel momento capí che non erano soli in quella stanza, ma bensì c'era un pubblico.
La ragazza cercò di tirarsi sù, ma venne colpita ancora. La schiena le bruciava come fuoco. «E' così... non t'importa se faccio del male a te...scommetto che se torturassi qualcun altro cominceresti a parlare...non è vero?» 
Un silenzio carico di tensione si accumulò nella stanza, perfino Bellatrix smise di ridere. 
Voldemort si mise lentamente a girarle intorno, «Se non mi dici il nome, li ucciderò tutti... A cominciare da lui! »  disse con voce gelida, puntando la bacchetta contro suo cugino, Draco.
«Mio Signore… »  esclamarono all'unisono Narcissa e Lucius, in tono supplichevole.
«Silenzio! »  ordinò Voldemort.
«Mio Signore! »  ripeté un'altra voce, in tono deciso.
Voldemort guardò qualcuno, minaccioso.
«Se mi permette di parlare, Mio Signore... so chi è il traditore... o meglio... chi era...»  chiarì Scabior. «Strify... Mio Signore... era da poco entrato a far parte del mio gruppo di Ghermidori. Aveva ottenuto la nostra fiducia consegnandoci la Burbage... prima lavorava per Silente come Guardiano ad Hogwarts... »  Scabior parlava con voce sicura, bassa, ma profonda, a tratti con un timbro crudele «...probabilmente ha conosciuto questa feccia a scuola e l'ha aiutata... forse quando ne abbiamo perso le tracce, durante l'incendio... »  
Beatrix si rese conto che in qualche modo doveva supportare quello che stava dicendo Scabior, la ragazza che lentamente si era rimessa sulle ginocchia, si voltò di scatto verso Scabior che scoprì essere proprio dietro di lei e che probabilmente era stato lui a tenerla ferma quando Greyback la mordeva e con tutto il disprezzo che aveva in corpo gli urlò: «Lo hai colpito alle spalle, bastardo!» 
Sul volto di Scabior si dipinse un espressione spaventosa che non gli aveva mai visto prima. Le sferrò un calcio alle costole che le tolse il fiato dai polmoni.
Voldemort alzò un sopracciglio, ridendo compiaciuto insieme a Bellatrix, mentre la ragazza respirava a fatica.
«... di sicuro al Mio Signore non può essere sfuggita l'assenza del ragazzo durante la riunione e il ritardo della ragazza... questo spiega molte cose, oltre al fatto che lei è stata la prima ad uscire... probabilmente per raggiungere gli altri e scappare. Sono riuscito a bloccarli, prima che varcassero il cancello e si smaterializzassero. Sembrava che discutessero, a quanto pare lei voleva restare... comunque può trovare ciò che resta di quella feccia, davanti al cancello... »  
Voldemort alzò la bacchetta e Beatrix si preparò ad incassare il colpo. Ma questa volta fu Scabior a venire colpito.
«Idiota! Mi serviva vivo! Comunque almeno uno dei traditori è stato sistemato... ritornando a questa qui… sto ancora pensando a cosa farne di te... se darti in pasto a Greyback... o ucciderti io stesso, ma mi domando se vali tanto onore... » 
La ragazza alzò lo sguardo verso di lui e per la prima volta parlò sorridendo: «Non sarai tu ad uccidermi!» 
«Come preferisci... »  sussurrò Voldemort con un sorriso malvagio guardando Bellatrix che ricambiò. 
La ragazza si sforzò di sollevarsi sui gomiti e di rimettersi in ginocchio. Sentiva che le forze la stavano lasciando, aveva perso troppo sangue e si sentiva mancare.
«Tuttavia possiamo apporre una piccola modifica alla tua visione. Il tuo destino ora è nelle mie mani. » 
Beatrix prese tutto il coraggio che le rimaneva e disse: «Allora uccidimi, Voldemort! Non ho più paura di te, non più dopo che ho visto come morirai…»
Le braccia non la ressero più, scivolò nel suo stesso sangue e picchiò la testa contro il pavimento freddo, mentre il suo corpo era scosso dalla maledizione di Bellatrix e nel mentre cominciò a tossire sputando altro sangue. Restò in apnea per alcuni secondi.

«Mio Signore, mi permetta di uccidere questa feccia...»  chiese la donna, con voce disumana.
Voldemort alzò una mano per zittire la donna, sorrise lentamente e poi scoppiò in una risata malvagia.
«Ora capisco... con la mia hai visto anche la tua morte! Volevi rimediare… volevi che fosse nobile… TU HAI PAURA! Non sei altro che una codarda!»
«Morire per gli amici... che cosa stupida! Moriranno comunque cercando di fare gli eroi e allora la tua morte sarà stata inutile. Mi assicurerò che sarà così, puoi starne certa! Come tu stessa mi hai predetto, distruggerò Hogwarts e finirò Potter, annienterò dalla faccia della terra ogni singolo sporco babbano e mezzosangue e sarò il padrone di un nuovo mondo, ogni uomo, donna, bambino che ucciderò sarà sulla tua coscienza perché è grazie a te che mi hai procurato lo strumento per completare il mio piano… »  

La ragazza non doveva abbassarsi a credere alle parole di Voldemort, non doveva neppure ascoltarlo, eppure i suoi occhi erano pieni di lacrime. Tentò di tirarsi su, ma tutto attorno a lei sembrava farsi sempre più nero.
«Ma quanto ti ci vuole a morire?» «Devo ammettere che non mi aspettavo una simile resistenza… non commetterò lo stesso errore…»  Voldemort sogghignò ed ordinò: «Scabior, raduna alcuni dei tuoi uomini, trovate i Todd... ho già perso troppo tempo con loro... » 
«...e una volta trovati?» 
« Uccideteli! »  ordinò Voldemort, dicendo questo alzò lo sguardo verso le persone nella stanza: «Faremo finta che non siano mai esistiti.» 
La ragazza con una nuova forza straordinaria si riuscì a tirare su e con uno sguardo carico d'odio, sputò ai piedi di Voldemort.
Gli occhi del diavolo bruciavano come fiamme.
«Avada… »  
Qualcuno bussò alla porta.
«Spero per te che sia importante, o t’ucciderò al posto suo!»  urlò Voldemort inumano.
«Mio Signore! »  iniziò a dire una voce piagnucolosa, «Potter è stato avvistato a Hogsmeade!»
Un attimo dopo Beatrix scivolò nell’oscuritá che la circondava. In lontananza sentí la voce di Voldemort che ordinava:
«Greyback puoi prenderla é tua! E per quanto riguarda voi Malfoy… provate ad aiutarla e la condanna sarà la stessa dei Todd!» 

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