Insieme per vincere

di Robynn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una mattina speciale ***
Capitolo 2: *** Nonno Piero ***
Capitolo 3: *** I tre moschettieri ***
Capitolo 6: *** Il campo da gioco ***



Capitolo 1
*** Una mattina speciale ***


INSIEME PER VINCERE



Capitolo I
Una mattina speciale


E' una splendida mattina di giugno, calda e assolata. Sono le sette e trenta.
Diiin! Driiin! Con un colpo deciso, gli occhi ancora chiusi, Marco spegne la sveglia e un attimo dopo la mamma entra nella stanza.
«Marco, ma perché hai puntato la sveglia? E' finita la scuola, o ti sei scordato che da oggi sei in vacanza?» gli dice Anna, con una nota canzonatoria nella voce.
Marco tira fuori la testa da sotto il cuscino e getta un'occhiata alla mamma come fa sempre quando si sente sottovalutato, il che, per la verità, succede secondo lui troppo spesso.
Allunga le braccia in alto, stiracchiandosi ben bene come un gatto, contento della dormita appena fatta. Allarga la bocca in un sonoro sbadiglio e finalmente si decide a rispondere.
«Ma mamma, che dici? Ti sembra che possa dimenticarmi una cosa del genere? E' che devo trovarmi con Luca e Paolo al parco, alle otto e dieci».
«Proprio il primo giorno di vacanza? Io non ti capisco».
«Non sarebbe la prima volta, mamma» conclude con un sorrisetto bonariamente canzonatorio. «Senza offesa, naturalmente».
Poi dà un'occhiata all'ora e, senza aggiungere altro, rapido come un felino scatta giù dal letto e infila i piedi nelle ciabatte.
«Dovevo immaginarmelo, quando ho sentito la sveglia» dice Anna sorridendo «che voi tre avevate già qualcosa. Certo che sei proprio un bel tipo. Quando dovevi andare a scuola ti dovevo tirare giù dal letto a viva forza e mi facevi diventare matta tutte le mattine, perché avevi sempre sonno e volevi poltrire qualche minuto in più. Ora che potresti startene tranquillo a letto, salti giù come se fossi stato morso da una lucertola. E ti permetti anche di fare lo spiritoso!»
Gli va vicino e lo fissa dritto negli occhi, tornando seria. Ha bisogno di sapere sempre cosa fa Marco, per potere stare tranquilla. E' un bravo ragazzo, ma ha un'età in cui è facile prendere decisioni sbagliate, fare incontri pericolosi. Sa che deve stargli vicino, essere sempre presente per poterlo aiutare a non mettersi nei guai. Non capisce tutta questa fretta di incontrarsi al parco, per cui decide di togliersi il dubbio.
«Posso almeno sapere che cosa state architettando questa volta voi tre?»
«Certo. Per un mese e mezzo è vietato toccare i libri». Sottolinea queste parole tracciando con aria solenne nell'aria una croce, a dire che questa è una questione chiusa. Poi continua: «Abbiamo deciso che ci dedicheremo a tempo pieno al pallone, così ogni giorno ci troveremo al parco per allenarci. Dobbiamo diventare forti, come giocatori. Ma non è finita qui. Il nostro obiettivo finale è quello di attirare altri ragazzi ad allenarsi con noi, per poter organizzare una squadra tutta nostra e magari sfidare altre squadre».
Marco ha parlato tutto d'un fiato ed alla fine rimane lì tutto rosso in faccia per l'eccitazione, gli occhi fissi su un punto e un'espressione beata stampata sul viso.
- Ma guardalo - pensa Anna con sollievo - si sta già immaginando giocare di serie A! -.
«Va bene, calmati ora. Pensa a lavarti e a scendere per colazione» gli dice e chiude la porta, scuotendo la testa divertita.
Marco resta lì, in piedi in mezzo alla stanza. Chiude gli occhi e fa un lungo respiro: gli piace sentire sulla faccia l'aria fresca che entra dalla finestra aperta. Odora il buono: il primo giorno di vacanza!
Marco si sente un re: niente più libri, né corse per arrivare in orario! Va alla finestra, ha voglia di godersi il panorama. Sporge la testa, da lì può godere di una vista mozzafiato: i tetti dei palazzi vicini rosseggiano alla luce splendida di quella mattina assolata. Alcuni sono fatti a terrazza e le lenzuola bianche distese al sole lasciano bagliori accecanti tutt'intorno. Il blu dei suoi occhi luccica vivido, rischiarato da quella luce mattutina riflette l'azzurro intenso del cielo. E' una festa a colori. La mattina ideale per iniziare le vacanze!
Osserva divertito i passeri che si rincorrono, volteggiando intorno ai camini dei tetti, alcuni gli passano vicino alla testa e i loro vocii garruli aumentano il suo buon umore. Alza le braccia e grida felice: «Questa sarà un'estate speciale!»
Sente i rumori della città, che si sta svegliando, salire fino a lui. Istintivamente, prima di ritirare la testa, dà un'occhiata alla strada sottostante. Lui abita al decimo e ultimo piano di un palazzo uguale a tanti altri, nel centro di una città uguale a tante altre città. Là sotto, la strada si sta riempiendo di persone, le osserva correre indaffarate di qua e di là. Si diverte a guardarle. Ne immagina alcune disratte dai loro pensieri, altre tutte prese ad arrivare presto a un appuntamento, che si urtano e non danno nemmeno il tempo o la voglia di fermarsi e chiedere scusa o, perché no, iniziare una nuova amicizia.
Marco ride.
«Ma guardale, sembrano tante piccole formiche!»
Le saracinesche dei negozi iniziano ad alzarsi una ad una e il loro rumore ferisce l'aria come un brontolio, che giunge alle orecchie di Marco mescolato al rumore dei motori delle auto.
«Marco, che stai facendo? Ti sei rimesso a dormire?». La voce di mamma lo riporta alla realtà.
«Accidenti, se non mi sbrigo farò tardi proprio il primo giorno!»
Si fionda in bagno e si lava alla svelta, poi corre trafelato in cucina.
Lo accoglie il profumo caldo e invitante di una tazza di cioccolata già pronta e non mancano, ovviamente, i suoi biscotti preferiti. La mamma è un po' brontolona e a volte rompe, ma Marco deve ammettere che sa indovinare sempre ciò che può fargli piacere. Lei è già seduta e lo sta aspettando, come al solito.
Marco la osserva, mentre lei sorseggia pensierosa il suo caffè. Intuisce a che cosa sta pensando.
«Papà starà via ancora per molto?» le chiede cercando di avere un tono disinvolto.
«Ieri sera mi ha telefonato e mi ha assicurato che tornerà a fine mese». Anche se cerca di nasconderlo, la sua voce tradisce una certa insoddisfazione. Entrambi fingono. Nessuno dei due vuole confessare all'altro che l'assenza del padre gli pesa.
Il papà di Marco, Antonio, è capitano di una nave mercantile che viaggia in tutto il modo e a volte lui si assenta da casa per uno o anche due mesi. Anna gli aveva chiesto tante volte di cercarsi un lavoro che gli permettesse di stare con la sua famiglia e, in un primo momento, Antonio aveva sul serio cercato di accontentarla.
Col passare del tempo, però, aveva smesso le sue ricerche e le aveva detto che amava molto lei e il piccolo Marco, ma non sarebbe stato felice se fosse stato costretto a lasciare il suo lavoro. Anna si era così rassegnata a dividere Antonio con la sua passione per il mare.
Lo aspettava pazientemente e cercava di godere di ogni minuto che trascorrevano insieme, tra un viaggio e l'altro. Erano sposati ormai da tredici anni, la loro unione era salda e il sentimento che li univa era ancora intenso e vivido, nonostante le continue lontananze di lui.
Ma non era una vita facile. Quando doveva prendere una decisione era da sola, a volte pensava di non farcela, la responsabilità le pesava sulle spalle come un macigno troppo pesante per le sue sole forze. Si sentiva spesso inadeguata ad affrontare certe situazioni, così per reazione finiva con l'essere troppo severa e possessiva.
Per dedicarsi a tempo pieno a Marco, aveva preferito non lavorare fuori casa. A volte il suo lavoro di segretaria le mancava, ma non si era mai pentita di quella decisione: suo figlio era la cosa più importante della sua vita.
Finito il suo caffè, Anna posa la tazza e, allontanando quei pensieri, osserva Marco mangiare in fretta la sua colazione.
«Cerca di non strozzarti, altrimenti non arriverai all'appuntamento con i tuoi amici! Hai tutto il tempo per mangiare e prepararti» dice Anna ridendo. Con un gesto affettuoso gli accarezza i capelli castani, arruffandogleli tutti.
«Ma dai, mamma, falla finita! Devo sbrigarmi, perché prima di andare al parco voglio passare da nonno Piero, per raccontargli il nostro programma per l'estate» risponde Marco con la bocca piena. Ora rischia sul serio di strozzarsi.
Un colpo di tosse gli fa salire le lacrime agli occhi. Si affretta a bere un lungo sorso di cioccolata e ingoia tutti i biscotti che ha in bocca. Si batte il petto con il pugno della mano, - sta morendo - e fa un lungo respiro. Finalmente riesce a riprendere di parlare.
«Lo sai che lui mi dà sempre buoni consigli».
La mamma gli sorride e sta per dirgli qualcosa, ma Marco è già corso in camera sua.
Dopo dieci minuti eccolo di nuovo in cucina, con pantaloncini bianchi e canottiera blu, pronto per il calcio. Infila nello zaino il pallone e il panino al salame che Anna gli allunga. Si mette il cappello di tela azzurra che gli ha regalato nonno Piero e di cui va fiero, d'estate non esce mai senza.
«Vedi di essere a casa per mezzogiorno e non scordarti di salutare per me il nonno. Digli che lo andrò a trovare presto».
Poi gli dà un buffetto sulla guancia e lo abbraccia affettuosamente.
«Stai attento quando attraversi la strada» gli sussurra in un orecchio. Poi lo bacia sulla guancia.
«Tranquilla mamma, ormai ho dodici anni». Marco si libera dal suo abbraccio ed esce di corsa da casa. L'ascensore è come al solito occupato e così decide di scendere a piedi per non perdere tempo. Fa i gradini a due a due di corsa e arriva sulla strada col fiatone. - Ho proprio bisogno di allenarmi! -.  

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Capitolo 2
*** Nonno Piero ***


Capitolo II
Nonno Piero


La casa di nonno Piero è poco lontana dalla sua. Camminando tranquillamente bastano cinque minuti arrivarci. Ma oggi Marco non riesce a fare niente con calma e così corre, scansando a destra e a sinistra i passanti sul marciapiede. E' divertente, come fare un percorso  a ostacoli. Inavvertitamente, urta con un gomito una vecchietta. La sente brontolare minacciosa: «Teppista!» ma non ha tempo per fermarsi.
«Mi scusi, non volevo» le grida, prima di sparire dietro l'angolo.
Lui ha una vera passione per suo nonno. E' un tipo eccezionale, sempre allegro e disponibile. Fin da piccolo ha imparato a fidarsi ciecamente di lui. E nonno Piero non lo ha mai deluso. A lui Marco può raccontare tutto. Nonno Piero lo ascolta con attenzione, muovendo la testa per dire sì o no. Se ne sta in silenzio, lasciandolo parlare finché ne ha voglia. Solo alla fine, quando gli ha detto tutto e si è sfogato ben bene, lui gli dice come la pensa e Marco può stare certo che il consiglio che gli dà il nonno è quello giusto. Niente da stupirsi, perciò, se adesso Marco non vede l'ora di essere da lui.
«Perché non vieni ad abitare con noi, papà?» gli aveva chiesto tante volte sua mamma.
«Vuoi scherzare?» rispondeva puntualmente nonno Piero. «E la mia libertà dove va a finire? Io ho le mie abitudini, le mie manie. Non voglio dare fastidio a nessuno. Non ci penso nemmeno a cambiare casa». Dette queste parole, nonno Piero si metteva a fare qualcos'altro con tanta attenzione, così Anna capiva che era inutile insistere. Era il suo modo per farti capire che la discussione era chiusa. Per fortuna la sua salute era buona e lui sapeva badare a se stesso pienamente.
«Il nonno è proprio forte» pensa Marco allegramente, facendo lo slalom tra i passanti sul marciapiede «ha settant'anni, ma ha vitalità e l'entusiasmo di un ragazzo». Ormai sono dieci anni che è in pensione.
«Sai, Marco» raccontava spesso «da quando ho smesso di lavorare, è come se fossi rinato: non ho più padroni che mi dicono cosa devo fare, posso scegliere come trascorrere il mio tempo e fare sempre ciò che preferisco. E' da una vita che sognavo di lavorare il legno, ma il lavoro in fabbrica e la famiglia non mi lasciavano tempo per me. Ora ho tutto il tempo che voglio e, credimi, questa è la mia più grande soddisfazione».
Il nonno gli parlava spesso di sua nonna, a cui era ancora molto attaccato. Lei era una persona buona e gentile. Era morta da dodici anni; una terribile malattia l'aveva portata via prematuramente e Marco non l'aveva mai conosciuta, se non attraverso i racconti del nonno. Lui gli raccontava spesso di lei, di quello che amava fare, del suo modo di amare le persone a lei vicine.
«Non puoi nemmeno immaginare il vuoto che ha lasciato nella mia vita. Per fortuna sei nato tu, Marco. Quando ti ho preso in braccio per la prima volta, ho subito capito che eri il regalo che tua nonna Ada mi ha voluto fare, perché non mi sentissi più solo. Hai i suoi occhi blu e lo stesso modo di sorridere, e quando ti guardo sento che la mia Ada è qui, vicina  a me».
Marco ha perso il conto di quante volte lo ha sentito pronunciare queste parole, ma ogni volta una calda sensazione di benessere lo pervade tutto: è orgoglioso del legame speciale che ha con suo nonno. Come la mamma, anche lui gli è sempre vicino, molto più di suo papà.
«Starà già lavorando» pensa divertito.
Nonno Piero ha il pallino di aggiustare tutto ciò che è di legno. In quei giorni sta aggiustando le gambe di una seggiola.
«Perché buttarla via solo perché è vecchia?» gli aveva detto due giorni prima. «Basta metterle le game nuove e il problema è risolto. Magari potessi fare lo stesso con le mie gambe!» e finiva con una sonora risata.
Il suo piccolo appartamento è al piano terra. E' composto da due stanze, una cucina e una stanza da letto, più un bagno.
Di fianco ha un piccolo garage che lui, dal momento che non ha la macchina, ha trasformato nel suo laboratorio di falegname.
Quando arriva, come ha previsto, Marco lo trova già al lavoro, totalmente intento a sistemare una gamba alla sedia che non si accorge del suo arrivo.
«Ciao nonno!».
«Ecco il mio nipotino preferito!» esclama nonno Piero allegramente. «Anche perché è l'unico» aggiunge strizzandogli l'occhio destro. «Perché sei già alzato? Non avevi voglia di poltrire oggi che sei in vacanza?».
«Mi devo trovare al parco con Luca e Paolo per giocare a calcio. Sai, abbiamo intenzione di cercare altri ragazzi che si possano unire a noi e chissà, magari formare una vera squadra. Che ne dici? Non ti sembra una buona idea?».
«Mi sembra ottima. Se vi terrete occupati con il pallone, non andrete a cercare guai. Inoltre è un buon sistema per cercare nuovi amici». Mette giù la sedia e con uno straccio cerca di togliersi la colla dalle dita.
«Sai che ti dico? Tra uno o due giorni, quando avrò finito di riparare questa benedetta sedia, verrò al parco a vedervi giocare e così vedrò cosa avrete concluso».
«Benissimo. Ciao nonno, corro perché sono già in ritardo!».
«A presto! Salutami gli altri moschettieri» dice nonno Piero con un cenno della mano e pochi secondi e già di nuovo chino sul suo lavoro.

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Capitolo 3
*** I tre moschettieri ***


Capitolo III
I tre moschettieri


Nonno Piero chiamava Marco, Luca e Paolo i tre moschettieri, perché erano inseparabili. Non poteva essere diversamente: frequentavano la stessa classe, abitavano nello stesso quartiere e andavano a giocare nello stesso parco.
Marco conosceva Luca dai tempi dell'asilo. Tra loro era stata simpatia fin dal primo giorno. Marco, timido e a volte imbranato, era estremamente sensibile e si commuoveva per un nonnulla, aveva il pianto facile e per questo gli altri bambini si divertivano a prenderlo in giro, chiamandolo ''femminuccia''.
Luca, al contrario, sapeva mantenere la calma in ogni situazione e cercava di risolvere le piccole contrarietà parlando, senza venire alle mani. Marco lo considerava un ''piccolo adulto'' - lo chiamava sempre con questo nomignolo quando voleva scherzare con lui - e lo guardava estasiato quando sistemava i piccoli prepotenti che ogni giorno tormentavano lui, la femminuccia, con dispetti e provocazioni, ma Luca trovava sempre le parole giuste per quegli antipatici. E non solo le parole.
Mentre va al parco, Marco sorride pensando a quel giorno all'asilo, quando aveva visto per la prima volta Luca picchiare un altro bambino.
Tutto era cominciato quando lui era andato in bagno, mentre Luca lo aspettava nella sala grande per giocare. Si stava lavando le mani quando vide entrare quei tre: Matteo, Lazzaro e Antonio. Erano i bulletti dell'asilo e quelli che lo prendevano in giro sistematicamente.
«Guarda chi c'è qui. Sei solo, femminuccia?» disse Matteo, mentre gli altri controllavano se i bagni fossero vuoti.
Lui si asciugò in fretta le mani. Era terrorizzato, perché doveva passare tra di loro per uscire. Le gambe sembravano diventare di gelatina e il sangue gli pulsava violentemente contro le tempie.
«Lasciatemi passare, io non vi ho fatto niente».
«Fifone, dove credi di andare». Matteo era il più prepotente dei tre e si vantava di essere il capo. Con una manata lo fece cadere per terra. Sentì un gran dolore al ginocchio e la tensione fece il resto: cominciò a piangere senza ritegno.
«Femminuccia, femminuccia. Guardati: fai pena. Devi startene lì sul pavimento, quello lì è il tuo posto».
Cominciarono a colpirlo con calci sulle gambe e sulle braccia. Istintivamente lui si protesse la faccia con le mani.
«Cosa pensi di fare, femminuccia. Sei solo qui, non hai nessuno che ti difenda».
«Non ne sarei così sicuro». Luca era entrato all'improvviso. Non diede tempo ai tre di reagire. Sferrò un gran pugno sul naso a Matteo, che era il più vicino. Questo cacciò un urlo e si tenne stretto con le mani il naso che sanguinava, mentre correva fuori dal bagno come se fosse inseguito da mille diavoli.
Lazzaro e Antonio andarono contro Luca e chissà come sarebbe andata a finire se non fosse arrivata la cavalleria!
«Si può sapere cosa succede qui? Misericordia!» disse suor Agata, guardandolo steso per terra, tutto pesto. Suor Agata era alta e grassa e sembrava un generale dell'esercito. Quando la vide lì, davanti alla porta con le gambe divaricate e le mani sui fianchi, Marco sorrise: erano salvi!
Passarono tutti e cinque il resto del pomeriggio in castigo, ma lui e Luca si divertirono tutto il tempo a raccontarsi l'accaduto almeno un centinaio di volte. Era stata la prima volta che lui aveva visto Luca picchiare qualcuno. E l'aveva fatto per difenderlo!
Con il tempo anche lui aveva imparato a essere meno fifone. Finché rimasero all'asilo non ebbe, però, occasione di dover venire alle mani con qualcuno, perché da quel giorno i bulletti lo lasciarono in pace. Quell'episodio rese la loro amicizia così salda che diventarono inseparabili e Marco poteva godersi beato il suo amico.
Luca gli diceva spesso che loro erano come le due metà di una mela: opposte, ma che si completavano a vicenda. Anche fisicamente erano diversi. Ora Luca è alto, magro, biondo e con gli occhi castano chiaro. Lui, invece, è di statura normale, robusto, con i capelli castano scuro e gli occhi blu.
Avevano conosciuto Paolo in prima elementare. Si era trasferito da un piccolo paesino di montagna, perché suo padre aveva trovato lavoro in fabbrica. Paolo aveva una testa di capelli ricci e fulvi, un viso pieno di lentiggini e due occhi neri sempre pronti a lanciare un messaggio di sfida, del tipo: «Non provocarmi, altrimenti vedi». Era alto e grosso, molto più della media dei suoi coetanei e sembrava divertirsi all'idea di prendere a pugni il mondo intero. Fu proprio così che si conobbero un pomeriggio di agosto lì al parco: con una bella scazzottata.
Lui e Luca stavano giocando a fare i tiri in porta, mentre Paolo - ancora non lo conoscevano, ma era questione di minuti - se ne stava seduto su una panchina lì vicino. Era tutto intento a divorare un enorme panino e li osservava giocare.
Luca fece un tiro troppo forte, sbagliò la direzione e il pallone, neanche fosse telecomandato, andò a colpire Paolo sulla faccia. Il panino volò via e lui schizzò dalla panchina!
«Siete morti!» disse infuriato.
Marco, quando se lo vide davanti più alto di lui almeno di due spanne, pensò che avesse ragione. Ma quando vide quello prendersela con Luca, non ci pensò sopra un secondo: si lanciò sopra quel prepotente, che aveva già steso a terra con un pugno il suo amico e ora gli stava sopra. Lui lo prese da dietro per il collo e iniziò una zuffa in piena regola: volavano calci e pugni. Nessuno dei tre si risparmiò.
Alla fine, dopo dieci lunghi minuti, si ritrovarono distesi pancia in su sull'erba con le braccia e le gambe allargate. Ansimavano ed erano tutti sudati, pieni di polvere e pesti.
Quando finalmente si guardarono, scoppiarono a ridere. Fu l'inizio della loro amicizia. Conoscendolo meglio, loro due scoprirono che Paolo non era quell'orso burbero che voleva sembrare. I suoi modi, spesso troppo sbrigativi e aggressivi, nascondevano un cuore d'oro. Era generoso e si sarebbe fatto in quattro per un amico.
Così erano diventati inseparabili: facevano tutto assieme e ognuno sapeva di potere sempre contare sugli altri due. Per di più li univa la stessa passione: il pallone.
Marco guarda l'orologio. «Per la miseria, sono già in ritardo!». Comincia a correre come una volpe inseguita da una muta di cani imbestialiti ed arriva tutto trafelato al parco. Li trova già lì, seduti su una panchina.

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Capitolo 6
*** Il campo da gioco ***


Capitolo III
Il campo da gioco


«Ehi lumacone, sbrigati! Siamo stufi di aspettarti, tra un po' mettiamo le radici su questa panchina!». Paolo, il Rosso, sembra alquanto seccato, ma la pazienza non è certo il suo forte.
«Scusate, ho fatto tardi perché sono passato da nonno Piero. Ah, dimenticavo, vi manda i suoi saluti».
Incominciano subito a giocare. A turno, uno sta in porta e gli altri due si contendono il pallone, cercando di fare gol.
Dopo un'ora di gioco, tutti sudati e trafelati, decidono di fare una pausa e di concedersi un panino. Il parco a quell'ora si va popolando, ma il posto che loro tre hanno scelto per giocare è un punto strategico, come ama definirlo Luca. E' un piccolo spiazzo, ben spianato e ricco d'erba: l'ideale per giocare. Lì non ci sono alberi, ma solo una fontanella, dove è possibile bere l'acqua fresca che scende dai monti poco distanti. Vicino ci sono tre panchine, sempre in pieno sole. Si trova ai margini del parco, lontano dai giochi dei piccoli, sempre affollati e chiassosi; per di più, proprio perché non è possibile trovare un po' d'ombra ristoratrice, difficilmente d'estate puoi trovare qualcuno seduto nei paraggi.
Avevano scelto quell'angolo del parco l'autunno precedente, quando erano alla ricerca di un luogo per giocare, senza dare fastidio a nessuno e senza essere cacciati via. Il bello di quel posto è che, pur essendo vicino alla rete di recinzione e quindi lontano dal passaggio della gente, è visibile da ogni lato, perché il terreno del parco è rialzato rispetto alla parte centrale.
«Questo luogo è perfetto!» esclamò Luca quando lo vide.
«Qui, amici, potremo giocare indisturbati».
Il giorno dopo Paolo arrivò con un'asta di ferro e il giorno appresso con un'altra identica alla prima. Poi, una alla volta, portò due basi di cemento, dove si potevano infilare le aste.
«Me le hanno date in prestito al cantiere vicino a casa mia» disse con aria trionfante. Marco e Luca conoscevano l'arte di arrangiarsi dell'amico e lo guardarono perplessi, ma subito scacciarono qualsiasi domanda affiorasse loro alle labbra, perché finalmente avevano una porta dove tirare e questo valeva bene qualche piccolo rischio! Piantarle per terra fu un'impresa abbastanza facile: bastò interrare le due basi di cemento e alla fine riuscirono a fare un bel lavoro. Con i loro risparmi acquistarono una rete e la fissarono in modo ingegnoso. Questo, a dirla tutta, fu merito di quel cervellone di Luca. Per tenere la rete legata sul fondo vi legò due corde, una a destra e una a sinistra. Le fissò a due bastoni piantati dentro la terra, in modo che le corde fossero sempre in tensione. Fu un lavoro da artista!
Fatto sta che alla fine si erano ritrovati tutti e tre, braccia attorno alle spalle, a contemplare la loro opera.
«Ragazzi, quando lavoriamo insieme siamo veramente forti. E' uno spettacolo!» aveva detto -marco guardando la loro porta. «E' praticamente perfetta!».
Gli altri due moschettieri avevano annuito con gli occhi chiusi, conferendo a quel momento un che di solenne.
Non finì lì. Per tutta la settimana seguente, Paolo arrivò ogni mattina con un sacchetto pieno di sassi presi in prestito - questa almeno era la sua versione - dal cantiere, ovviamente quella sera - questo pensavano invece Marco e Luca - quando gli operai erano già andati a casa. Quei sassi servirono per delimitare il campo da gioco. A dire la verità, per dimensioni era più simile ad un campo da calcetto che a uno da calcio. Ma per loro tre andava benissimo e si sentivano al settimo cielo: un campo tutto loro!
Il guardiano del parco era una persona comprensiva. Avevano raggiunto un accordo: loro tre si impegnavano a tenere pulita la zona e lui permetteva loro di tenere il campo.
Anche d'inverno, quando era possibile, si ritrovavano al parco per allenarsi. Fu Marco che ebbe l'idea di cercare altri giocatori per formare una vera squadra. Era certo che vedendoli giocare, prima o poi altri si sarebbero uniti a loro.
Ora lì, seduti sulla panchina sudati e intenti a mangiare i loro panini, stanno inseguendo probabilmente lo stesso sogno.
Sono passate ormai due settimane dall'inizio delle vacanze.
Hanno giocato tutti i giorni, ma nessun altro ragazzo si è avvicinato per unirsi a loro.
E' una mattina più calda delle altre, l'afa è pesante e fanno fatica a correre. «Riposiamoci un po' all'ombra» propone Luca. Così si siedono sull'erba e fanno merenda. Paolo e Luca chiaccherano del prossimo anno di scuola. Frequenteranno la terza media e già stanno discutendo di esami.
Marco non partecipa alla conversazione. La sua attenzione è tutta per un ragazzo che è seduto su una panchina vicina alla fontanella,in pieno sole.

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