A volte c'è della polvere tra le stelle

di Earth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I naviganti ***
Capitolo 2: *** DNA ***
Capitolo 3: *** Trattato di pace ***
Capitolo 4: *** Una promessa ***
Capitolo 5: *** Con i piedi nelle nuvole ***
Capitolo 6: *** Il sole di metallo ***
Capitolo 7: *** Tra Castore e Polluce ***



Capitolo 1
*** I naviganti ***


Storia partecipante al contest Buona la prima! La sfida. indetto da Lady.EFP sul forum di EFP


Note tecniche: Mi sono chiesta come potranno le creature che popoleranno, in futuro, il cosmo intendersi tutti sulla stessa idea di tempo. Cioè: i nostri giorni, mesi, stagioni e anni derivano dal moto della Terra, dalla sua angolazione e dalla sua orbita, ma se andiamo su Marte, su Giove o su Krypton questi tempi variano, e tanto. Allora per far si che io, voi e i protagonisti di questa storiella pensassimo tutti il tempo nello stesso modo ho ideato i giorni-Greenwich, che non sono altro che i giorni di oggi: una convenzione cosmica per rendere più chiare le cose. Grazie per l'attenzione ^.^


font-corsivi



I NAVIGANTI



I bambini di Porthaven scrutavano il cielo.
Se ne stavano lì, con gli sguardi fissi, i nasi all'insù e, chi le aveva, anche le antenne puntate verso la volta grigia che sovrastava la città.
Alfa Centauri aveva ormai raggiunto il suo punto più alto verso nord e la giornata andava scivolando verso le ore ombreggiate della seconda metà del dì.
La maggior parte delle ragazzine e dei marmocchi che abitavano la pianura oltre i grattacieli avevano passato tutta la mattina appollaiati sui balconi, seduti sui gradini della piazza e, i più audaci, arrampicati sopra le locomotive, a fare a gara a chi scorgeva per primo, dietro le nuvole scolorite, una della navi dai colori brillanti e metallici che, nel giro di poche lune, avrebbero riempito, come caramelle in un barattolo, l'astroporto della città.
E i bambini di Porthaven erano diventati esperti in questa loro attività, tanto da indirne un torneo; una gara che si sarebbe conclusa solo con l'arrivo della Costellazione del Cigno che si sarebbe portata via tutti gli stranieri.
Nelle ultime settimane la baia si era riempita di stranieri; di gente curiosa che andava e veniva, ciondolando tra le strade e i bazar del mercato.
Era facile riconoscerli, gli stranieri. Erano quelli dai vestiti variopinti e dalla pelle disegnata, quelli con la risata grossa e frizzate; quelli con marchingegni scricchiolanti e qualche drone alle calcagne. Erano quelli che le mamme squadravano sospettose, che sorridevano alle occhiatacce e che raccontavano storie sotto le stelle.
Erano i Naviganti.

Uno stormo di fenicotteri sbiaditi sonnecchiava piano sopra le tende del vecchio emporio che riempiva, con le sue bancarelle tintinnanti dalle fragranze esotiche, il piazzale dai mattoni rossi antistante la banchina.
Tra la folla – un mix di curiosi, signorotti in giacca e cravatta, governanti che si affrettavano ad assicurarsi la merce migliore e qualche ologramma in pensione – una giovane dai ricci color indaco e una grossa valigia rattoppata procedeva, senza troppa premura, verso il porto.
La ragazza bazzicò per qualche minuto tra i banchi carichi di odori e sapori cangianti, si fermò ad assaggiare qualche leccornia che una vecchia maliarda le aveva offerto e poi, facendosi spazio tra gli schiamazzi e i mormorii, arrivò fino a dove dormivano le navi-spaziali.
Sfilò davanti alla maggior parte delle navicelle; superò i battelli piccoli e traballanti degli abitanti e si tenne alla larga da quelli grossi e spigolosi della guardia locale. Poi, mentre qualcuno gridava ad un gatto randagio di girare alla larga dalla propria cena, si fermò davanti a una nave grande e colorata, una di quelle che i bambini avevano visto arrivare la sera precedente scivolando nel cielo luminoso della notte.
« Dalia, con questo vestito è incantevole! » La giovane dai capelli indaco si voltò e sorrise al saturniano che accennava ad un inchino al suo indirizzo. « Il rosso le dona particolarmente gliel'ho mai detto? Mi ricorda uno dei fiori che incontrai nelle vecchie Terre del Sole... »
« Salve Signor Willy, non sapevo che sarebbe venuto anche lei » lo salutò la ragazza.
L'omino, incerto sulle gambe magre, si tirò su mentre le labbra gli si arricciavano in un sorriso compiaciuto: « già, nemmeno io me lo aspettavo » sogghignò « ma, a quanto pare, le mie conoscenze di botanica sono indispensabili. »
Dalia ridacchiò al gesticolare dell'uomo, che si lisciò i baffi con un po' troppa veemenza.
« Una mano con i bagagli? » le chiese avvicinandosi la valigia anti-gravità che la seguiva.
« Willy potresti smetterla di fare il cascamorto? Mi vine la nausea » una vocina stridula alle loro spalle le fece alzare gli occhi al cielo.
« Bathilda! » Dalia si voltò e la salutò con un cenno del capo « ti hanno rilasciata dopo l'esplosione su Taos87 a quanto vedo. »
Bathilda si sistemò sulla nuca gli occhiali da aviatore che doveva aver sgraffignato in qualche museo « diciamo che mi sono presa una piccola vacanza » disse avanzando sul ponte metallico e facendo un paio di piroette leggermente coreografiche « non credo se ne accorgeranno prima di un paio di giorni-Greenwich » aggiunse passandosi una mano palmata sul collo.
« Signorina Bath, dal canto mio, posso dirle che la trovo benissimo » le disse Willy, non dissimulando una nota di disapprovazione nella voce.
Dalia rise agli sguardi ostili che corsero tra i due « non iniziate a litigare adesso, altrimenti ci lasciano a terra! »
Bathilda fece come se niente fosse e, fermato un garzone nelle vicinanze, si assicurò che i suoi bagagli raggiungessero il proprio alloggio.
Poi, mentre Dalia osservava i riflessi bianchi e azzurri che si ingarbugliavano sulla parete lucida della navicella, Bathilda Bath le si avvicinò: « Guardate un po', addirittura Comei sono andati a ripescare. »
Dalia seguì il suo sguardo fino a dove la banchina di mescolava con il mercato: un giovane dalla pelle ambrata e i vestiti eleganti stava salutando un gruppo di ragazzine sognati che non facevano altro che cinguettare, come canarini in gabbia.
Osservò le mani inguantate di lui che, come un fachiro incanta un serpente, continuava a ridere con le civettuole Prthaveniane e si ritrovò a pensare che il viaggio sarebbe stato più lungo del previsto.
Dalia si sistemò i capelli che il vento caldo del sud continuava a solleticare « oh sì, questa volta il Capitano ha fatto le cose in grande » disse e, mentre i circuiti di riconoscimento vocale si attivavano sul ponte, seguì gli altri all'interno della nave.
« E comunque » le sussurrò Bathilda « Willy non ha mai nemmeno visto un ologramma delle Terre del Sole. »





# Informazioni di servizio ^.^: Salve a tutti! Questa è la mia primissima long originale e ne sono un po terrorizzata >.< Ma voglio essere sincera: se state cercando battaglie epiche, trame complesse, intrecci arzigogolati, scene d'azione o inseguitemi nello spazio profondo... mi dispiace, ma questa storia non fa per voi. Se vorrete iniziare a leggerla vi troverete a fare i conti con personaggi un po' evanescenti dalle tante chiacchiere sconclusionate, pensieri pseudo-filosofeggianti e un sacco di informazioni sbagliate ( inventate di sana pianta ) sulle leggi di un ipotetico, a tratti forse vagamente distopico, futuro lontano in cui il mondo, e la Terra, come li intendiamo oggi sono leggenda. Ci tengo a ringraziare TortaMillefoglie, Avenal, CeciliaDeedlit, NeuPreussen, skadex, Paperetta@ e milla4 per aver risposto alla discussione che avevo aperto sul forum ( spero di non aver dimenticato nessuno ) :-)
In ultimo: questo racconto prende spunto dal contest “Verso l'infinito e oltre!” indetto da Najara sul forum di EFP.

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Capitolo 2
*** DNA ***



DNA



Nel corridoio i passi svelti di Dalia risuonavano cantilenanti tra le pareti color mogano. Il rumore degli stivali, che calpestavano il pavimento freddo, rimbalzava sulle porte a vetri come una pallina matta finendo sul soffitto e creando un impossibile effetto eco. La prossima volta che avrebbero fatto rifornimento su Akhaten doveva ricordarsi di convincere il Capitano a prendere dei tappeti; magari non di quelli con l'allarme antifurto incorporato, ma dei semplici e noiosi tappeti, per evitare di essere svegliati quando qualcuno passeggiava cercando il bagno sul ponte di tribordo, quelli sì.
Erano in viaggio da quattro giorni-Greenwich, il tempo necessario affinché Bathilda tornasse ad avere una cospicua taglia sulla testa, e Dalia si era già ritrovata a dover prendere parte a sei riunioni della massima urgenza che, ora come ora, le avevano lasciato solo un mucchio di pettegolezzi su come Omi, il cuoco, fosse riuscito a convincere il forno che, tra i due, era lui quello che decideva il menù.
Svoltò l'angolo, si appoggiò alla parete e diede una furtiva occhiata alle sue spalle, ma, a quanto pareva, il vecchio Willy non aveva più l'età per starle dietro. Bene, uno in meno da convincere che non aveva alcuna intenzione di prendere parte al torneo di scarabeo di quella sera.
Così tornò a rivolgere tutto il suo interesse all'ala sud della nave. Accanto a lei una targa se ne stava appuntata, come una spilla su di una camicia, su una porta dal vetro opaco: “ M. B. Comei ” recitava.
Dalia la fissò scettica e sorpresa per qualche secondo poi, sentendo la voce di Bathilda che la chiamava da un punto imprecisato alle sue spalle, si disse che non sarebbe finita in bocca a nessun drago sputa fuoco ed entrò.
Dietro di lei la porta si richiuse in automatico sibilando leggermente. La stanza era uno dei tre laboratori dai muri tappezzati di carte nautiche e costellazioni antiche che, fino ad un paio di viaggi precedenti, erano stati off-limits a tutti i componenti della ciurma senza un dottorato in astroscienza delle nebulose bianche oppure un master in cosmologia quantica. E nonostante tra di loro vi erano sapientoni e eruditi, nessuno era mia stato veramente attirato dal ramo della disinteressata ricerca delle possibilità che le stelle avevano da offrire – ben altro discorso era per il loro lato sonante e facoltoso – praticamente i tre laboratori erano stati adibiti a ripostiglio.
E Dalia si scoprì meravigliata nel ritrovare la camera ordinata ed arredata, adornata di due grossi tavoli bianchi pieni di cianfrusaglie dall'aspetto tutt'altro che trascurato. La luce era calda e soffusa e una grossa finestra ovale si incastrava sulla parete di fronte a lei, all'altro capo della stanza.
Il cigolio di una sedia la fece voltare di scatto.
Il giovane dalla pelle ambrata che quattro giorni-Greenwich prima ammaliava le aliene di Porthaven adesso l'osservava sorridendo da dietro una scrivania alla sua destra.
« Mi hai spaventa » esclamò la ragazza « che ci fai qui? » Dalia avanzò di qualche metro; era veramente un bel laboratorio, con tanto di microscopi quantici e una fila di ampolle colorate dalle forme curiose che ciondolavano sugli scaffali di una gigantesca libreria.
« Ciao anche a te Dalia, è un vero piacere rivederti » la salutò il ragazzo in tono curioso e divertito appoggiando i gomiti al tavolo davanti a lui « se non lo hai notato: c'è il mio nome sulla porta. »
Dalia gli lanciò un occhiata « sì, ho visto » non era cambiato affatto « e così adesso tu hai una suite di lusso, mentre a me tocca dividere la cambusa con Bath » si voltò facendo un mezzo giro su se stessa, rischiando di far cadere una traballante pila di vecchi libri, e guardandolo con cipiglio capriccioso. Si morse il labbro.
« È un laboratorio, non una suite » le rispose lui appoggiandosi allo schienale e giocherellando con una piuma di fenicottero di un improbabile blu notte.
« Malachi te l'ho già detto che sei sempre il solito pignolo? » pignolo e terribilmente attraente, con quella sua insopportabile aria svogliata e indolente.
« No, non da un secolo e mezzo a questa parte » Malachi alzò lo sguardo che, come una calamita, finì negli occhi di Dalia.
« Bene: sei sempre il solito pignolo » gli ricordò « e poi non è “un secolo e mezzo”, sono passati solo tre anni. »
« Appunto: un secolo e mezzo per il popolo Vega. »
Dalia rise. Il tempo ultimamente poteva essere alquanto relativo eppure erano già passati tre anni-Greenwich in cui lei si era dimenticata degli occhi vermigli di Malachi, del suo disperato tentativo di avere sempre l'ultima parola e del voler lasciare costantemente la porta sul retro aperta perché prima o poi sarebbe arrivato il momento di scappare.
Dalia gli sorrise: « Il tuo nuovo impiego sa che sei qui? » chiese, avvicinandosi alla finestra ovale che troneggiava sul fondo della camera; forse non era il caso di toccare tasti dolenti, ma nemmeno di fare finta che nulla fosse.
« Ti hanno già raccontato di come Omi abbia impedito al forno di avvelenarci tutti? » Malachi aveva cambiato argomento; evidentemente non aveva intenzione di rivangare il motivo per cui si erano lasciati, proprio per niente.
« Sì, devono avermi accennato qualcosa a riguardo » Dalia si appoggiò al davanzale della vetrata « però non ti ho visto a nessuna riunione da quando siamo salpati » aggiunse poi passandosi una mano tra i capelli.
« Io ti ho vista ieri sera alla festa sul ponte-due; sembrava ti stessi divertendo » le rispose lui con una nota di malizia.
Dalia sorrise, ma poi spostò lo sguardo e, sfortunatamente, si ritrovò a fissare, per un istante, la mano destra di Malachi su cui correvano, fini e silenziose, sottili stringhe metalliche, chip e fibre di carbonio. Come dei nastri gli avvolgevano le dita, rotolavano sul palmo e sul dorso incastrandosi con la sua pelle come perfetti pezzi di un puzzle. Si intrecciavano, lucidi e splendenti, al suo polso per poi scivolare sull'avambraccio e andare a nascondersi sotto la manica della maglia chiara, riapparire sul collo e arrampicarsi fin sotto l'orecchio: l'upgrade.
E allora non poté farci niente : « L'imperatrice delle Pleiadi ha gradito l'aggiornamento almeno? » gli disse senza riuscire a evitare che tutta la polvere che aveva accumulato in quegli ultimi inutili tre anni venisse sbatacchiata via, così da una misera folata di vento, e il risentimento e la rabbia tornassero lustri e scintillanti.
Lui rimase in silenzio per qualche secondo, come a riflettere se ignorare la domanda, ma non ci riuscì: « Lo ha trovato indispensabile. »
Poi Malachi si alzò, girò attorno alla scrivania e le si avvicinò: « Dalia... non ce l'avrai ancora per questo? »
« Credo di averti dato le mie spiegazioni un secolo-Vega e mezzo fa. »
A dire il vero, quando Malachi le aveva detto che aveva deciso di entrare a far parte del corpo degli scienziati al servizio dell'Imperatrice e che questo avrebbe comportato inevitabilmente il diventare un umano potenziato, un cyborg di primo livello, a Dalia la cosa non era andata giù nemmeno un po', e dopo un turbine di incomprensioni e litigi avevano entrambi trovato giusto fuggire dalla porta sul retro.
« Oh per favore... non credi che sia giunto il momento di smetterla con i capricci? » insistette lui e Dalia si chiese perché non avesse continuato a sfuggire a Bathilda correndo giù per il corridoio.
« Malachi non mi interessa se- »
La mano di Malachi si era stretta attorno al suo braccio e al contatto con quelle dita gelide e metalliche lei aveva sentito come una scossa. « Perché non provi a capire? Adesso potrei perfino leggere nel tuo DNA se volessi. »
Dalia si sentiva lo sguardo del ragazzo sul collo, ma strinse i denti e, cocciutamente, guardò verso il nero dell'universo al di là della finestra. « Come se ti servisse leggere nel mio DNA per sapere chi sono. »
E poi, prima che uno dei due potesse aggiungere ancora una sillaba, uno scossone fece sobbalzare il laboratorio facendo perdere l'equilibrio ai due alieni tanto che Malachi lasciò andare Dalia nel tentativo di rimanere in piedi.
« Cos'è stato?! » esclamò lui allarmato, mentre una pila di scartoffie finiva sul pavimento.
« Come credi che possa saperlo! » gli rispose lei sopra il rumore delle ampolle colorate che traballavano « sembra che qualcosa stia modificando la rotta dall'esterno. »
« E tu per quale motivo sei qui e non nella cabina di pilotaggio?! » effettivamente Malachi aveva ragione.
Dalia si rialzò e, facendosi strada tra i dossier che erano volati sul pavimento, scivolò via veloce verso la sala di controllo.
Per i corridoi buona parte dell'equipaggio correva in direzione della propria postazione; a quanto pareva la cosa aveva preso i più alla sprovvista e così un vociare aggrovigliato e spasmodico di ordini e grida confuse andava riempendo la nave fuori rotta.
Lei non fece in tempo a raggiungere il timone che un altro scossone colpì il velivolo, facendole perdere nuovamente l'equilibrio. Si aggrappò al bordo di una finestra e non appena riuscì e recuperare un briciolo di stabilità sulle gambe guardò fuori: una coltre di nuvole rosse accerchiava il vascello, una nebbia densa intervallata da pezzi di un cielo chiaro si mescolava oltre il vetro creando un curioso effetto a macchie di leopardo, poi, mentre l'altoparlante ordinava a tutti i piloti incarica di recarsi immediatamente nella sala di comando, le nuvole si diramarono e il bordo di un pianeta sconosciuto si stagliò all'orizzonte.





# Due parole ^.^: Salve a tutti :-) Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno letto il precedente capitolo! A questa storia ci tengo molto e mi farebbe molto piacere poter migliorarla anche, e soprattutto, con l'aiuto di voi lettori, quindi non esitate a farmi saper quelo che ne pensate, accetto ogni tipo di consiglio!! (fatemi saperere se è noiosa, se non si capisce un accidente, se i dialoghi sono improbabili... sono pronta a inserire note, a spiegare e a modificare dove serva XD)
I nomi di: Porthaven, Akhaten e Bathilda Bath non sono farina delmio sacco, ma mi piaceva molto come sunavano, e perciò sono stati gentilmente presi in prestito rispettivamente dalle opere de "Il castello errante di Howl", "Doctor Who" e "Harry Potter".

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Capitolo 3
*** Trattato di pace ***



TRATTATO DI PACE



Sopra la sua testa lo scudo antiradiazioni continuava a crepitare a intervalli irregolari, ma Dalia non ci faceva troppo caso. Con la scusa di andare a sistemare la linea di rotta del pilota automatico, che si era completamente resettata durante l'atterraggio di fortuna, era riuscita a sgattaiolare sul ponte esterno.
La loro nave aveva subito grossi danni: lunghe ferite bruciavano sullo scafo e buona parte della poppa era andata perduta. Prima del disastro totale, però, erano riusciti a controllare la caduta – fortunatamente i sistemi di emergenza erano entrati in funzione – e, a parte qualche frattura, l'equipaggio stava bene, ma del maestoso galeone che fendeva il velluto impenetrabile della volta dell'universo, ormai, non era rimasto che un guscio scheggiato.
Dalia si era avvicinata alla balaustra un po' ammaccata e osservava, curiosa, i battelli stranieri che solcavano, lenti e inesorabili, con le loro lunghe zampe metalliche le acque scure e le rocce aguzze e azzurre di quel luogo, avvicinandosi sempre di più – avevano risposto stranamente, e piuttosto alacremente, al messaggio di soccorso che il Capitano si era ritrovato costretto a dover inviare dopo che uno dei motori si era spento sbuffando e tossendo.
Dei passi svelti arrivarono dalle scale, ma poi si fermarono per qualche secondo e fecero per allontanasi.
« Aspetta » li chiamò Dalia « vieni qui. »
Malachi, sul terzo gradino della scalinata che conduceva dal ponte esterno alla sala macchine, si fermò.
« Non dovresti essere disotto a coordinare i lavori di riparazione dei motori a carbonio? » disse avvicinandosi all'aliena.
« Il Capitano è furioso con te, cosa hai combinato? » chiese lei mentre anche Malachi si appoggiava alla ringhiera della terrazza « conviene che gli stai alla larga altrimenti potresti finire bruciato in una supernova. »
Malachi la osservò sistemarsi i ricci indaco dietro le orecchie e riporre la chiave inglese e il cacciavite dentro la cassetta per le riparazioni di emergenza.
« Che ne dici di firmare un trattato di pace? » le chiese.
Dalia si voltò verso di lui, lentamente: « Io non sono mai scesa in guerra contro di te » e cercò di convincere entrambi con quell'affermazione, ma lui la guardò diffidente.
« Ok » ammise « forse solo un pochino, ma è stato... »
« Pace? »
Quella conversazione non aveva molto senso. Dalia ne era certa, come potevano quattro lettere mescolate a casaccio mettere a posto tutto il tempo che era passato? E che bisogno c'era poi?
« Va bene » rispose però sorridendogli.
« Allora, che cosa mi sono perso? » Malachi si sistemò il berretto.
« Sono stata in giro » e lei decise di srotolargli addosso quello che si era perso, o almeno un pezzetto: « il sushi non mi piace più, ho scoperto di essere del segno dei gemelli e un gigante dalle parti di Orione mi ha letto il futuro in una tazza di tè una volta; quel tè era veramente terribile, nauseante! A quanto pare ai giganti non piace lo zucchero. » Malachi rimase pensieroso per un attimo: « sai nella vita a volte- » ma la risata gorgogliante di Dalia lo interruppe.
« Non sarai per caso diventato un filosofo? » disse lei.
Malachi aggrottò la fronte « no » protestò « sono sempre e solo uno scienziato, ma mi è tornato alla memoria che una volta Willy ha detto- »
« Ah ecco Willy » lo interruppe nuovamente lei « che tu riuscissi a filosofeggiare era effettivamente troppo. »
« Nella vita molti vedono solo quello che sembriamo, ma solo in pochi sentono quello che siamo. »
Per qualche secondo Dalia pensò che quella frase, che Malachi aveva appena rubato a Willy, doveva essere stata in precedenza sgraffignata da quest'ultimo a qualche pubblicità di make up, magari era lo slogan di uno degli ultimi modelli di rossetto svanitore... e rifletté che sarebbe stato divertente rispondere a tono citando il motto dello spray restringente per bagagli.
Ma poi, quando si voltò verso di lui, lo vide guardare oltre il parapetto, con lo sguardo vermiglio perso tra le lande blu polvere di quel pianeta alieno e decise che, per quella volta, gli avrebbe dato retta.
« E tu cosa fai: vedi o senti? » gli chiese lasciando correre anche lei gli occhi nel cielo plumbeo davanti loro.
Le nuvole: quel posto era pieno di nuvole. A casa non ve ne era traccia, il cielo era sempre di quel grigio soffocante...
Lì, invece, le nubi raccoglievano i colori dell'oro e dell'arancio che la vecchia stella lasciava sul filo dell'orizzonte, e si mescolavano al rosso e a quell'insolita tonalità rosa cipria che era il cielo, e poi correvano via.
Le nuvole calpestavano quel firmamento in un modo che Dalia non aveva mai visto e che, doveva ammetterlo, l'ammaliava.
« Io ho sempre pensato che tu saresti dovuta essere qui. »
« Qui? In un pianeta sperduto tra Castore e Polluce? » e Dalia lo fissò senza sapere bene se sotto quella pelle ambrata si nascondesse un folle o un clown.
« Ma no » disse lui « qui » e allargò le braccia verso la valle affogata nella nebbia che si estendeva al di sotto delle loro scarpe « qui, tra le stelle. Tra questi cieli lontani, a camminare tra mondi mai visti, tra strabilianti ovvietà e inutili verità. »
Una delle navi ammiraglie costeggiava veloce il fiume a ovest, scarabocchiandone le acque con la scia dei suoi motori blu.
Dalia sentì il vento scompigliarle i capelli.
« Non ti aspetterai certo un bacio adesso vero? » e con la coda dell'occhio vide Malachi che si voltava a guardarla ad occhi sbarrati.
« Dì pure a Willy che le sue lezioni dovranno andare avanti ancora a lungo » Dalia rise.
« Scusa?! »
« Un mago filosofo non sarebbe male » perché Dalia doveva ammetterlo, lui per lei non era stato altro che un mago, sin da quella prima volta in cui si erano incontrati in quella strada nascosta dalla neve. « Chissà, se questa fosse un'altra vita saresti stato un mago filosofo e io la tua zingara e saremmo andati insieme a caccia di fantasmi tra gli anelli di Saturno. »
« Non vorrai per caso andartene? » nella voce di Malachi vi era una certa nota d'inquietudine.
« Ma no, ti pare? » la ragazza si voltò e si appoggio al corrimano dando le spalle alla valle « come sei drastico, stavo solo riflettendo. Credi che solo Willy possa fare il poeta? »
« Dalia non penso che... »
« Stai tranquillo, per quanto mi riguarda resterò nelle controfila dei Navigati almeno fino alla pensione ̶ o fino al ritrovamento di un tesoro che mi faccia diventare milionaria. »
« Mi fa piacere sentirtelo dire perché credo proprio che la notizia bella stia arrivando. » sogghignò Malachi.
« Notizia? Che vuoi dire? »
Poi qualcosa di piccolo e veloce si staccò da uno dei battelli stranieri che erano lì per soccorrerli, zigzagò nell'aria torbida e in pochi istanti raggiunse lo scudo antiradiazioni, a un paio di metri dalla loro testa.
« Aspetta “notizia bella”? Questo significa che devi dirmi qualcosa di brutto?! » sussurrò l'aliena mentre entrambi indietreggiavano di qualche passo.
La sagoma tremolante di una bambina, umanoide, dagli occhi grandi e le scarpette con i lacci fluttuava davanti a loro: « Il mio nome è Ermes e sono qui per portarvi un messaggio da parte di Maia l'Impeatrice delle sette Pleiadi stelle sorelle » disse.
Il messaggio doveva essere risuonato all'interno della nave forte e chiaro, poiché il vocio che fino a qual momento aveva riempito i corridoi era sparito all'istante.
« L'Imperatrice si rivolge al Capitano di questa astronave con parole di pace e speranza di collaborazione e si scusa immensamente per aver provocato danni irreparabili al vostro mezzo » stridette la voce di Ermes « vi verranno forniti soccorsi adeguati. L'imperatrice chiede però che sia consegnato al suo corpo di guardia lo scienziato Malachite Braian Comei, ricercato per aver commesso reati di alto tradimento e furto ai danni della medesima. »
« Cosa?! » Dalia credette di aver capito male « alto tradimento » di rivolse ridacchiando a Malachi lì accanto a lei « e questa tu la chiami “notizia bella”? »
Ma lui prima ancora di risponderle l'afferrò per un polso e la trascinò via veloce verso l'interno della nave.
« Non crederai di svignartela così! Che razza di uomo sei? Scappi via! » ma lei non poté fare altro che seguirlo verso l'anticamera dalle pareti specchiate che divideva l'interno della nave da tutto quello che c'era fuori.
« Dove stiamo andando? » chiese non appena si fermarono davanti al portone d'ingresso.
« Per me è giunta la fine: l'Imperatrice non è una persona che conosce la parola pietà. »
E mentre lui digitava il codice di apertura le loro tute spaziali, accompagnate da un ronzio annoiato, apparvero all'ingresso.
« Non ho alcuna intenzione di farmi trascinare in questa storia, sei tu il cyborg traditore, mica io. »
Malachi si fermò sorpreso mentre indossava la propria divisa bianca. Le sorrise, di quel sorriso furbo e maledetto che Dalia avrebbe voluto riempire di schiaffi « Mi dispiace, ma credo che tu ci sia già in mezzo » fu la risposta secca e decisa dell'alieno.
Lei poggio le mani sui fianchi e lo fissò per qualche istante « perchè ? » chiese.
« Muoviti, mettiti quella tuta spaziale o le radiazioni ti friggeranno. »
Delle grida confuse arrivarono dall'astronave – a quanto pare l'equipaggio non aveva alcuna intenzione di disubbidire agli ordini dell'Imperatrice.
Così Dalia cedette e, dopo un susseguirsi rapido di borbottii e ticchettii, il portellone dell'astronave in panne si aprì: i due alieni si ritrovarono fuori, su di un terreno altrui e sconosciuto.





# Chiacchiere inutili ^.^: Salve a tutti!
Per prima cosa ci terrei tanto a ringraziare MaxT e milla4 che hanno recensito i precedenti capitoli e anche Raphael_15 e RedCrimson che hanno inserito questa storia tra le preferite e ricordate :-* Mi date un grande supporto! Poi mi scuso per gli aggiornamenti lenti -.-, ma sono in fase esami e non riesco a dedicarmi quanto vorrei efp T.T So che questo capitolo è tutte chiacchiere, tutto fumo e niente arrosto insomma hahah!, ma spero che si capisca e che non vi abbia troppo confuso ^.^
La frase in corsivo "Nella vita molti vedono solo quello che sembriamo, ma solo in pochi sentono quello che siamo." è una citazione di Niccolò Machiavelli.
Grazie ancora a tutti quelli che leggono :-*

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Capitolo 4
*** Una promessa ***



UNA PROMESSA



4 anni, 6 mesi, 7 giorni e 11 ore - Greenwich prima:


La luce che filtrava dall'oblò, insieme ad un sottile odore di bruciato proveniente dal piano di sotto, costrinse Dalia ad aprire gli occhi e ad abbandonare, anche quella mattina, l'ovattato mondo dei sogni per prendere parte alla fredda ed ispida realtà.
La giovane si rigirò assonata tra le coperte lanciando uno sguardo appannato alla stanza dalle pareti scarabocchiate. Poi, però, si tirò su a sedere sbadigliando e massaggiandosi la massa disordinata di ricci, nel tentativo di spostarli dal suo campo visivo.
Un rumore di pentole che finivano sul pavimento, seguito da un lamento, arrivò dalle scale e l'aliena decise, ridacchiando, di alzarsi: raccolse la vestaglia dal fondo del baule, se la infilò e, senza preoccuparsi di dove fossero finite le ciabatte, si diresse verso la cucina.
I gradini di legno scricchiolarono sotto i suoi passi, creando una curiosa sinfonia.
Dalia si sedette al tavolo ancora sbadigliando « Sei mattiniero ultimamente » disse rivolgendo un sorriso al ragazzo che stava litigando con i fornelli « mi devo per caso preoccupare, Malachi? »
Lui si voltò portandosi appresso una padella fumante « Vuoi una frittella? » chiese facendo cadere della pastella ancora semicruda in due piatti scheggiati « Pensare a stomaco pieno mi riesce meglio. »
Dalia estrasse dal cassetto due forchette da dolce « la prossima volta però la ordiniamo la colazione, ok? » ridacchiò dopo aver assaggiato un boccone di quella poltiglia zuccherina « meglio che ci limitiamo al pensare. »
E risero entrambi dopo che Malachi convenne con lei che nella sua carriera da cuoco si sarebbe limitato a fare da assaggiatore – o da lavapiatti.
« Credo di essere riuscito a trovare qualcosa di interessante questa volta » disse poi mentre si puliva le dita dall'impasto dolciastro.
Dalia lo guardò perplessa: « mi prendi in giro? »
« Niente affatto! » e così dicendo Malachi fece scivolare sul tavolo un mucchio di fogli disordinati « ho rintracciato le rotte delle navi mercantili sulle quali abbiamo trovato le quattro tracce di antimateria » spiegò « e, incrociandole con le apparizioni delle ultime aurore, tenendo conto delle attività delle nane brune scomparse negli ultimi tre secoli... ho fatto un rapido calcolo – ok, non è stato per niente rapido – ma credo di non aver trovato nessuna traccia della nave del vecchio Barbanera. »
Dalia alzò un sopracciglio: « Sbaglio oppure avevi affermato di aver “trovato qualcosa di veramente interessante”? »
« Infatti » continuò lui sorridendole « mentre cercavo la rotta della nave di Barbanera, sono incappato in qualcosa che potrebbe fruttarci un bel po' di quattrini. »
Erano ormai giorni che Malachi passava la notte in bianco, perso tra le pagine ingiallite di vecchi volumi, correndo appresso a indizi inesistenti, nel disperato tentativo di imbattersi, quasi per sbaglio, nella mappa giusta in cui la isc segnasse per davvero il tesoro perduto – e non solo un inutile mucchio di sabbia.
Dalia lo guardò ridere a fior di labbra fiero di se come un bambino che impara ad andare in bicicletta senza mani.
« Allora? » lo esortò lei, prendendo in mano uno dei fogli colorato dalla calligrafia di Malachi.
« Se ti dicessi che so dove si trovano “le Lacrime del Sole”? »
Per un attimo non gli rispose; si morse il labbro mentre vecchie storie le tornavano alla memoria: racconti di guerre sanguinose e di paci durature, di manufatti antichi in cui la scienza si confondeva con l'incanto, di quando ancora gli esseri che popolavano il cosmo non ne comprendevano le infinite – pericolose e affascinanti – possibilità.
« Ne ho sentito parlare, è un oggetto che rende immortali giusto? » disse poi cercando di mettere ordine tra quel groviglio di pensieri che si era ritrovata.
Malachi sembrò compiaciuto del suo stupore: « Pare che l'Imperatrice sia sulle sue tracce » aggiunse.
E a questa affermazione l'aliena dai capelli indaco si ritrovò ancora più sorpresa: « E a cosa le serve? È già la donna più potente di tutta la galassia! »
Malachi spostò lo sguardo verso la finestra dal vetro giallo alle spalle di Dalia.
« A quanto pare brama gloria eterna. »

L'Imperatrice era stata una donna d'affari, figlia di un ricco mercante dalle tasche bucate. Ma quando quest'ultimo era scomparso in circostanze dubbiose, lei aveva ereditato tutto l'inaspettato patrimonio.
All'inizio, quando ancora il Gran Consiglio era in piedi, si era presentata come una giovane vogliosa di prendersi carico della salvaguardia, della giustizia, del suo sistema stellare. Ma cosa mangia cosa, e aveva comprato navi da guerra e reclutato seguaci e la sua giustizia si era tramutata in una legge, spietata ed imparziale.
« Il suo esercito sta diventando sempre più grande » e Dalia ripensò a come i borghi, le città e poi i pianeti, fino a tutto il braccio sud-ovest della galassia era caduto ai piedi delle zuccherose bugie di prosperità e felicità. Raggirati da quelle menzogne che l'Imperatrice aveva saputo tessere, come la tela di un ragno e, come tutti gli aracnidi sanno, una volta che il ronzio della mosca, o le effimere ali della farfalla, hanno sfiorato quella ragnatela, su cui la rugiada ha appoggiato i suoi cristalli, rimangono bloccati. Così il ronzio della mosca era caduto nel silenzio e le ali della farfalla avevano smesso di battere, mentre la ragnatela di quel ragno era diventata sempre più grande e appiccicosa.
« Si vede che paga bene » Malachi ridacchiò « Se le trovassimo prima noi “le Lacrime del Sole”... pagherebbe bene anche noi. »
Ma Dalia arricciò il naso e sbuffò – un po' infastidita e un po' spaventata da quell'idea – ricordando come l'Imperatrice aveva spodestato governi e comprato regni. Di come aveva sorriso, con quel suo vezzo velenoso. Perché, piano piano, la gente aveva iniziato a stare alle sue regole, ai suoi prezzi, alle sue libertà.
E lei sapeva dov'eri, quello che facevi, se facevi tardi a lavoro, se correvi troppo veloce... e poi tutto a un tratto ti ritrovavi perso tra l'essere e il non essere, tra il tradimento e l'esilio, tra la fuga o l'etere nero e eterno.
Poi da quando aveva messo in piedi il suo personale esercito in molti si erano arruolati, nella promessa di gloria e libertà.
« Una volta che firmi non ne esci più » e forse Dalia non si accorse di essersi lasciata sfuggire quel sussurro.
Perché troppo spesso la gente si perdevano tra le fila dell'Imperatrice; lei li voleva forti e sempre più impavidi e loro cambiavano, mutavano voce e pensiero, iniziavi da un occhio bionico per vedere nella notte, e finivi con un cuore meccanico e un anima di ferro.

E a quel punto Dalia doveva aver avuto lo sguardo perso e distante perché Malachi la stava guardando con la fronte corrucciata e gli occhi preoccupati di chi sa a cosa stai pensando. « Promettimi che ti salverai » le disse stringendo la mano su quella di lei « Che non ti farai ingannare, che non cadrai tra le grinfie dell'Imperatrice. »
Dalia si staccò da quel contatto e rise per un attimo, di una rista nervosa che risuonò nell'aria, atona e falsa.
Lui la osservò litigare distrattamente con un riccio di capelli.
« Va bene » rispose poi appoggiando i gomiti sul tavolo e sporgendosi in avanti fino a quasi cancellare del tutto la distanza tra loro « prometto che mi salverò » gli sussurrò guardandolo dritto negli occhi vermigli « ma tu giura che se mai trovassi queste maledette “Lacrime” ne condividerai con me il bottino. »
Lui si scostò leggermente, quel tanto che bastava a squadrarla per un istante: « Solo se tu farai altrettanto. »
Dalia sorrise: « Affare fatto. »
E le loro mani si strinsero – al di sopra della colazione, delle posate da lavare e delle scartoffie – per sancire quel patto firmato tra le ombre chiare di quel mattino qualunque.



# Angolino autrice ^.^: Salve a tutti! per primissima cosa: sì, questo capitolo è un flashback. Spero che si sia capito tutto >.< non sono mai stata molto brava con le spiegazioni, ma a questo punto della storia credevo ci fosse bisogno di qualche chiarimento ( spero di non aver confuso ancora di più le idee T.T ) e così ho cercato di riportare nero su bianco tutto quello che il mio cervellino ha tirato fuori su questi due u.u E niente, come al solito accetto ogni tipo di critica&consiglio :-) mi fa sempre molto piacere poter scambiare opinioni con voi lettori ^o^ grazie a chiunque abbia avuto il coraggio di arrivare fino qui! E un grazie particolare a Aleksis che ha recensito il precedente capitolo e a abyssflare che segue questa storiella :-*
A presto!

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Capitolo 5
*** Con i piedi nelle nuvole ***



CON I PIEDI NELLE NUVOLE


Malachi e Dalia corsero per un tempo che sembrò infinito prima che la nebbia chiara, che ricopriva il suolo di quel mondo, li avvolgesse.
E quando si trovarono in mezzo a quell'aria opaca, quando non riuscirono più a vedere dove mettevano i piedi, lei si fermò per riprendere fiato e cercare di capire per quale strano motivo stava seguendo quell'alieno folle – ladro e traditore – senza nemmeno obbiettare, puntare i piedi a terra, disperarsi e mettere il broncio.
« Non si sente più nulla. »
La voce di Malachi la fece voltare: non correva più nemmeno lui, era lì, immobile, a un paio di metri da lei e si guardava attorno, scrutava il bianco di quella curiosa nuvola in cui erano finiti, con un espressione preoccupata ed impaziente.
Dalia deglutì a fatica e sentì l'aria gelida precipitarle giù verso i polmoni che reclamavano ossigeno.
Poi anche lei sentì il silenzio: il gorgoglio dei motori della nave ammiraglia era sparito assieme il brusio della ciurma – della sua, della loro ciurma –, i rumori si erano affievoliti fino ad assopirsi del tutto, lasciandoli avvolti da una quiete sorda incrinata solo dai loro respiri appannati e dai propri passi che correvano veloci appresso ai battiti dei cuori.
« Ascoltami Malachi » disse allora Dalia – e la sua voce risuonò nell'aria come il trillo di mille campanelli.
La ragazza avanzò piano fino a porsi difronte al giovane e cercò, inutilmente, di sfiorarne lo sguardo che fuggiva nel bianco tutt'attorno.
« Che cosa sta succedendo? Cosa hai rubato? Perché l'hai tradita? »
E Malchi voltò il viso verso di lei fissandola con i suo occhi vermigli – con uno sguardo vuoto che Dalia, avrebbe potuto giurarci, non aveva mai visto.
« Le ho trovate! » rise l'alieno poggiandole entrambe le mani sulle spalle « Dalia, non ci crederai, ma le ho trovate, sono nostre. »
« Nostre? » ripeti lei in un sussurro; quel noi riaffiorava da un angolo remoto e dimenticato della sua mente, quel noi che le sembrava così lontano e perfetto, così ovvio ed impossibile.
Dalia si sentiva confusa, non capiva – o forse sì, ma il suo cervello non aveva intenzione di ammetterlo – e continuava a scrutare il volto di Malachi, percorrendone il profilo degli zigomi e l'incavo delle rughe sulla fronte corrucciata nascoste dietro i ciuffi di capelli scuri, alla ricerca di quella risposta che però, probabilmente, aveva paura di incontrare. « Cosa hai trovato? » bisbigliò mentre le labbra le si piegavano in un sorriso nervoso.
Poi, prima ancora che lui le potesse risponderle, qualcosa fendette la nebbia a pochi centimetri dalle loro teste e Dalia sentì una forza invisibile strattonarla e Malachi lasciare la presa dalle sue spalle.
Vento.
Una folata prepotente li investì. Vento contro cui dovette puntare forte i piedi nelle nuvole per non essere portata via. Fu un alito caldo e inaspettato che, come chi prende fiato per spegnere le candeline su di una torta, spazzò via, con un soffio, tutta la nebbia.
Quella curiosa aria opaca sparì da davanti ai loro occhi lasciando che lo scheletro di una vecchia nave si disegnasse, austero e smisurato, contro il cielo.
Ed entrambi rimasero lì con le bocche aperte dallo stupore e gli occhi sgranati dalla sorpresa: il velivolo era di un metallo rosso, un colore intenso come il sangue, e sull'unica fiancata ancora intatta – risparmiata dalla ruggine – incisa come da artigli, vi era una scritta in una calligrafia aguzza, in una lingua antica e dimenticata : “Queen Anne's Revenge”. Dalia pensò che era uguale alle illustrazioni dei libri, identica alle storie che raccontavano nelle valli di Andromeda.
Ed entrambi la riconobbero.
« É la nave di Barbanera » esclamò Malachi correndo verso il veliero fantasma « è lei, sono anni che la cercavamo e adesso... » E mentre tutti e due avanzavano verso la fiancata addormentata al suolo, verso i segreti e i tesori che – doveva essere così – quel galeone leggendario difendeva, una luce cominciò a pulsare, veloce ed impaziente, sulla tuta all'altezza del polso di Dalia.
L'aliena alzò il braccio un paio di volte, come a leggere un orologio invisibile. Tentò di ignoralo, ma poi rallentò, lanciando sguardi allo scienziato che continuava a girare attorno ai resti di quella nave maledetta, e aprì la chiamata. Una piccola Bathilda apparve a pochi centimetri dal suo viso: « Black! Cosa stai facendo?! » la voce di Bath arrivava mescolata a suoni confusi, qualcosa come lo sbatacchiare di oggetti metallici « torna qui subito! Comei è in guai grossi, per favore Dalia torna qui, stanno arrivando » la ragazza parlava veloce, senza fermarsi a prendere fiato « hanno mandato una pattuglia a prendervi, Dalia almeno tu salvati- »
Poi la comunicazione si interruppe bruscamente, come se Bathilda avesse sbattuto in tutta fretta la cornetta sulla consolle di comando. Dalia rimase per qualche secondo ad ascoltare il brusio delle onde radio, mentre una lucetta, rossa e intermittente, le lampeggiava contro il viso.
Poi tornò a guardare verso il battello di Barbanera – il leggendario veliero scomparso che in molti avevano cercato e nessuno aveva trovato, quel relitto che le gridava fortuna, fama e gloria.
Ma sentì come una morsa stringerle lo stomaco: perché la figura di quella ragazzina del colore dei lillà si era materializzata alle spalle di Malachi e osserva Dalia come in attesa.
Lei si morse il labbro e fece un respiro profondo. Poi corse di nuovo verso l'ingresso della nave zigzagando tra i detriti grigi mangiati dalla vegetazione.
« È qui. »
« Se riuscissimo ad entrare potremmo farla ripartire » Malachi stava tentando di aprire uno dei portelloni d'ingresso; aveva smontato un panello e, adesso, sembrava litigare febbrilmente con una vecchia tastiera numerica.
Dalia gli si avvicinò ancora di più « no, Malchi » perché non ci stava capendo nulla e se doveva finire nelle prigioni dell'Imperatrice voleva almeno essere consapevole del motivo.
« Aspetta solo un attimo e tutto il tesoro... » tentò lui.
« Lascia stare Barbanera santo cielo! » esclamò – meravigliando se stessa con quelle parole, perché quello era il tesoro che i Naviganti avevano cercato per decenni e adesso era lì tra le loro mani – stringendogli i polsi e impedendo alle dita dell'alieno di continuare a schiacciare tasti a casaccio « che cosa è successo? » Dalia si contrappose tra lui e la ruggine della nave « Cosa è nostro? »
Il giovane si fermò e Dalia vide come un pensiero affollargli la mente – doveva essere qualcosa di curioso perché una scintilla gli attraversò lo sguardo piegandogli le labbra in un sorriso orgoglioso che poi, dopo meno di un secondo, divenne amaro, amarissimo, e l'orgoglio si tramutò in una smorfia degna di un bambino che assaggia per la prima volta il caffè.
Malachi si liberò dalla sua presa e si allontanò un poco. Avanzò adagio, fissando Ermes che gli volteggiava attorno come una libellula, e poi si sedette su di un masso blu davanti ad uno dei motori spezzati della Quenn Anne's Revande.
La guardò, lanciandole un sorriso che voleva essere sincero, e lei si avvicinò a quell'alieno che le sembrò così diverso dal ragazzo con cui aveva condiviso disavventure, solcato i cieli e raccolto speranze, così diverso e lontano da quello che si ostinava a ricordare come il suo Malachi.
« Le ho trovate, Dalia, le Lacrime del Sole sono nostre. »



# Earth's notes^.^: Ciao! Come al solito posto questo nuovo capitolo in ritardo -.-'' scusate per la lunga attesa, ma come al solito sono indaffarata :-( Ammetto in tutta sincerità che questo è il capitolo che mi piace di meno T.T , è molto breve lo so, ma il fatto è che nell'idea originale non ci doveva essere... ma si sa: alle scale idee piace cambiare! E quindi niente ho raccattato i pezzi ed è venuto fuori il solito capitoletto sconclusionato senza ne capo ne cosa ^-^ Spero non ci siano errori, l'ho riletto sta mattina, ma non credo molto nella mia attenzione ( ne nel correttore di word ) u.u
Ringrazio tantissimo tutti coloro che sono arrivati a leggere fino qui :-* e mando un grande bacio a tutti quelli che mi sopportano e che vorranno recensire questo capitoletto, perché io adoro sapere quello che avete da dire (sì, accetto anche recensioni distruttive XD ) grazie a tutti per l'attenzione!

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Capitolo 6
*** Il sole di metallo ***



IL SOLE DI METALLO



7 mesi, 12 giorni e 5 ore - Greenwich prima:


« Finalmente! Credevo non arrivassi più. »
Malachite Brain Comei si fermò ad un passo dall'ingresso della stiva: un signore anziano in divisa scura, con una scenografica barba bianca, lo osservava a braccia conserte dondolandosi leggermente sulla gambe.
« È lei Jo Josson? » chiese il ragazzo alzando un foglio stropicciato in direzione dell'uomo « questa mattina mi è stato consegnato un telegramma su cui c'è scritto che il capitano della guardia personale dell'Imperatrice aveva urgente bisogno d'incontrami. »
Il signore dalla scenografica barba bianca schioccò la lingua « già » disse « e tu, se avessi un po' di buon senso, non andresti a sbandieralo in giro » aggiunse scuotendo il capo con aria di disapprovazione « muoviti, sei in ritardo. »
E il capitano della guardia personale dell'Imperatrice, Jo Josson, entrò nel magazzino facendo cenno al giovane scienziato di seguirlo. Malachite lo scrutò per qualche secondo procedere adagio, traballando nei suoi robusti stivali neri, nell'ampio vano della nave. Poi, dandosi un occhiata alla spalle – quella sera l'equipaggio era particolarmente silenzioso ed invisibile – e facendosi scivolare il telegramma nella tasca della giacca lo seguì.
« Capitano Josson, devo avvertirla che io lavoro nel gruppo di ricerca delle stelle delle galassie dell'Ovest » disse Malachite « non so di cosa abbia bisogno l'Imperatrice, ma posso assicurale che vi sono miei colleghi sicuramente più adatti di me a- »
« So esattamente di cosa ti occupi ragazzo » lo interruppe il capitano mentre svoltavano a destra infilandosi in un corridoio improvvisato tra due pile di casse impolverate « e non è Lei a richiedere la tua presenza qui, ma io » disse lanciandogli uno sguardo divertito « e chiamami Jo, grazie. »
Il ragazzo fece per replicare, ma Jo Josson lo interruppe nuovamente « Senti Malachi » e qui Malachite si ritrovò ad aggrottare la fronte, leggermente sorpreso di sentirsi chiamare a quel modo « sono molti anni che lavoro da queste parti, fidati se ti dico che ho visto tanti giovani come te, anzi alcuni anche migliori di te, passare le loro giornate appresso alle nane brune e alle supernove giganti per carpirne i segreti, ma credimi se ti dico che se stai zitto per qualche minuto tutto ti sarà chiaro. »
E così per qualche minuto camminarono tra quel groviglio confuso di sacchi, scatole, scatoloni e grosse ceste, che riempivano la pancia della stiva.
Pareva quasi che il vecchio capitano Jo lo stesse conducendo a zonzo, come in una noiosa passeggiata pomeridiana, tra le cianfrusaglie e i tesori che l'esercito aveva raccolto – rubato – nei più svariati anfratti dell'universo conosciuto, e forse anche di quello sconosciuto.
Poi, mentre uno dei condotti d'areazione cigolava pigramente soffiando ossigeno e polvere proprio sopra le loro teste, superarono un mucchio di preziose lanterne ammaccate e dorate e, prima che Malachi se ne accorgesse, si ritrovarono davanti una porta blindata.
« Eccoci qui » disse Jo sistemandosi il cappello e sfilando dal taschino della giacca, nascosto tra le medaglie e i riconoscimenti, una chiave storta e vecchia quanto il suo proprietario, che infilo nella toppa.
Malachi fece saltare lo sguardo dalla porta blindata, nera e misteriosa, all'anziano comandante un paio di volte.
E mentre il giovane scienziato iniziava a domandarsi se per quell'omino canuto non fosse arrivata l'ora di una meritata pensione, la serratura scattò.
I due vennero accolti in una stanza dalle pareti bronzee rischiarata da una fredda luce al neon, leggermente intermittente, al centro della quale vi era un tavolo di vetro su cui se ne stava quella che a gli occhi del ragazzo appariva come una scatola delle dimensioni giuste per contenere un paio di scarpe.
Lo scienziato lanciò un'occhiata sospettosa al suo accompagnatore « Dove siamo? »
Il Signor Jo Josson piegò le labbra in un sorriso e poi schioccò le dita.
E le luci si spensero.
E si riaccesero.
Malachi fece un passo indietro poggiando una mano sulla rivoltella che teneva aggrappata alla cintura dei pantaloni – armamentario base per tutti i membri dell'equipaggio che ci tenevano alla propria pelle – ; la situazione stava prendendo una piega alquanto curiosa.
« Non ti scaldare figliolo » ridacchiò sereno Jo Josson « ho solamente disattivato le telecamere di sorveglianza » spiegò facendo un cenno del capo verso i due occhi metallici – ormai vitrei – agli angoli del soffitto « sono qui per proporti un affare » continuò accarezzandosi la barba chiara « un ottimo, interessantissimo, irripetibile, incredibile- »
« Ok, ok, ho capito » lo fermò il ragazzo abbandonando la rivoltella al suo posto « l'affare del secolo » scherzò « signor capitano, Jo, cosa contiene quella scatola? » chiese, perché solo uno sciocco non avrebbe riconosciuto un'azione clandestina e nelle situazioni illecite – dal rubare i biscotti alla zia, all'entrare nel sistema informatico della maggiore banca del cosmo, a quello – non era mai saggio perdersi in chiacchiere.
« Però! » fece l'uomo alzando un sopracciglio « pensavo fossi un ragazzo dai sani principi morali. Credevo che insieme all'upgrade avessi giurato fedeltà all'Imperatrice e, sai, a questo punto mi aspettavo sentirti fare domande del tipo “è impazzito signor capitano” oppure “quello che sta facendo va contro la legge”... se fosse solo un test per verificare la tua lealtà verso questo comando? »
Effettivamente Jo aveva ragione. Il giovane scienziato si era fatto in quattro per entrare nel copro dei ricercatori dell'Impero; per lui era stato così importate, così irrimediabilmente indispensabile poter lavorare con i maggiori esponenti della scienza mondiale e solo l'Imperatrice gli aveva dato quella possibilità, la facoltà e i mezzi per arrivare ad un ruolo di discreto livello nella comunità scientifica. Ma la vita di Malachite Comei Braian non era mai girata attorno alla ricerca di un posto fisso.
« Ho superato il test? » chiese Malachi tirando le labbra in un sorriso sornione.
« Decisamente! » esclamò il vecchio sfregandosi le mani.
Malachite seguì con lo sguardo le dita ossute del vecchio disegnare simboli invisibili sullo schermo nero della piccola scatola di scarpe. Poi, dopo che un fischio sottile, flebile come il frusciare delle foglie, aveva percorso la stanza per un paio di secondi, il signor Jo fece un passo indietro « ora, figliolo, inizia il bello » disse leccandosi i baffi dorati come un felino che freme per la caccia imminente. E quando la porticina di quella che si rivelò essere una cassaforte si aprì, silenziosa e misteriosa, Malachi sentì il proprio cuore accelerare e uno strano brivido corrergli lungo la schiena fino all'attaccatura dei capelli – che, ci avrebbe scommesso mezzo fiorino, gli si erano rizzati tutti in testa.
Dalla pancia nera della cassaforte fece capolino un bagliore, un chiarore piccolo, come la scia di una lucciola.
« Vieni a vedere » il vecchio sorrise mentre quella luce gli accarezzava la faccia – a lui sembrò quasi che le rughe che solcavano la fronte di Jo si facessero da parte per qualche istante – e fece un passo verso destra.
Malachi si inumidì le labbra e lanciò uno sguardo furtivo alla stanza che era rimasta nel silenzio e nella luce fredda per tutto il tempo: nessun allarme era scattato e nessuno si stava accorgendo di nulla. Avanzò di qualche passo, quel tanto che bastava ad affiancare il vecchio e portò lo sguardo difronte a se, incantato da quel oggettino incomprensibile dalla forma irregolare.
« Le lacrime del Sole » bisbigliò il ragazzo. Non era una domanda, era una certezza, l'ovvietà di trovarsi al centro di un labirinto e non avere la minima idea di come ci si è arrivati.
« Esatto » Jo si passò una mano sulla fronte, come ad asciugare del sudore invisibile « è un manufatto antico » spiegò « potente magia incastrata tra le schegge di una stella morente; donano vita eterna, fama e gloria a chi le possiede.
« In molti le hanno bramate e, ovviamente, Lei le ha trovate. Ma oggetti potenti nelle mani sbagliate possono portare a catastrofi infinite. Lei vuole il cosmo, l'universo intero: il mondo. Vuole conquistarlo, governarlo e comandarlo. Il classico egocentrismo del cattivo di turno » e qui ridacchiò leggermente « ma le Lacrime hanno un animo buono. Se, per esempio, adesso io e te per appropriarcene ci macchiassimo le mani con il sangue, se togliessimo la vita a chi intralcia la nostra brama, esse non avranno, mai, nessun potere su di noi. »
Ad essere del tutto sinceri a quel punto Malachi si stava chiedendo perché quel anziano comandante aveva deciso di tradire ciò per cui aveva speso la sua vita. Il ragazzo si domandava perché stesse raccontando quelle cose proprio a lui, e quale fosse la parte della propria mente che aveva deciso, così, senza consultare nessuno, di prendere il comando del suo cervello e di accettare quell'affare del secolo.
Ma Malachi non osava dare forma a questi interrogativi perché la parte della propria mente che aveva preso il comando non aveva alcuna intenzione di ascoltare le potenziali risposte – temendo un colpo di stato e un ritorno della logica, della coerenza e del buon senso a guidare le sue azioni.
« C'è un trucco sai? » disse il vecchio Jo poggiandogli una mano sulla spalla « un segreto per tenersi questo ben di Dio tutto per se: nascondile. Se nessun altro sa dove tieni la cioccolata, quella cioccolata diventerà tua. E l'Imperatrice farà la fine che fanno tutti i cattivi in ogni stupida favola che si rispetti: perderà. »
« Questa non è una favola signor Jo » disse Malachi allungando le mani verso la gemma pulsante all'interno della cassaforte « questa è la realtà » le Lacrime del Sole emanavano una strana energia, quel contatto era confortante, come quell'amniotica tranquillità che si prova stando a casa durante la tempesta, ascoltando gli scrosci di pioggia che crepitano contro il tetto, come tante voci durante un litigio * « ma se anche lei è d'accordo » e Malchi le fece scivolare nella tracolla « potrei provare a spargere in giro un po' di polvere magica. »



# NdA ^.^: Salve a tutti! Grazie a tutti i lettori che sono arrivati a leggere fino qui! So che questa storia non è il massimo, ma ci tengo molto e spero che a qualcuno possa piacere almeno un pochino.
Per quanto riguarda l'asterisco che forse avrete notato:
* quell'amniotica tranquillità che si prova stando a casa durante la tempesta, ascoltando gli scrosci di pioggia che crepitano contro il tetto, come tante voci durante un litigio.
La frase non è mia, ma mi piaceva tanto XD. Essa è la definizione del neologismo "Chrysalism" contenuto in The Dictionary Of Obscure Sorrows ((Il Dizionario delle Pene Ignote), un blog che crea e cataloga parole che ancora non esistono) che io ho trovato grazie al contest "Per quando il dizionario non basta" indetto da Achernar_Ari sul forum di EFP. Ci terrei inoltre a ringraziare particolarmente la giudicia, Achernar_Aria, per aver tradotto la definizione dell'emozione Chrysalism e per avermi dato la possibilità di usarla in questa mia storia anche se non partecipo al contest :-*

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Capitolo 7
*** Tra Castore e Polluce ***


Note: E bene sì, questa volta le chiacchiere sono prima del racconto, scusatemi, ma così avrò il tempo di scappare mentre voi arrivate alla fine di questo capitolo e decidete di lanciarmi pomodori marci u.u Come ho detto mesi fa questa è stata la mia prima long originale e ( come dico sempre alla fine di ogni ff ^.^ ) anche se è stata un completo scatafascio io un po' ne vado fiera :-) E niente, spero recensiate in tanti ( prima o poi ( perché è vero: ultimamente su questi lidi EFPiani c'è carestia di recensioni T.T )) Un bacione e grazie a tutti quelli che mi hanno seguita in questa avventura :-*



TRA CASTORE E POLLUCE



Per un istante le sembrò che il tempo si fosse fermato; che quella bolla surreale, dipinta di bianco e di frammenti di vite, in cui si trovava non fosse altro che un sogno da cui sarebbe potuta scomparire – trascinata via dal suono imperterrito di una sveglia – da un momento all'altro.
Dalia sbatté le palpebre un paio di volte prima di rendersi veramente conto di quello che Malachi le aveva appena raccontato.
Furto e alto tradimento.
Inaspettatamente sentì le proprie labbra piegarsi in un sorriso: sì, probabilmente era quello che si sarebbe aspettata dal suo mago.
« La notizia brutta » il ragazzo la guardò, si alzò dal masso grigiastro muovendosi a passi lenti; e lei lo seguì con lo sguardo in quella curiosa traiettoria circolare.
Poi si fermò « mi dispiace Dalia Black » Malachi alzò il braccio metallico porgendole una rivoltella, letale e unica, rubata al compatimento speciale della sicurezza dell'Imperatrice.
« Che ci devo fare? »
« Prendila » adesso la mano dell'alieno tremava « ora tocca a te: non cadere nelle sue grinfie. »
« Di cosa stai parlando? Hai forse perso la ragione?»
« Forse si » e Malachi lanciò la rivoltella nella polvere ai piedi di Dalia « ma non l'ho persa, la ragione ce l'hai sempre avuta tu. »
La ragazza alzò gli occhi al cielo « Per una buona volta non perdiamoci in stupidi giri di parole. »
« Ho trovato le "Lacrime del Sole". »
« Questo l'ho capito » era poco ma sicuro.
« Ho rubato le "Lacrime del Sole" » e a Dalia sembrò una vecchia cantilena – come una di quelle filastrocche dell'infanzia che ripeti troppo a lungo fino a che non perdono ogni significato e rimangono solo un pugno si sillabe straniere.
« Ho capito anche questo. »
Poi per qualche secondo si sentì solo il ronzio delle navi ammiraglie perse da qualche parte nella nebbia sopra le loro teste.
« Loro » riprese lui indicando Ermes che sfarfallo e scomparve dalla roccia su si cui era posata per riapparire poco più avanti, accanto a quello che sembrava un cespuglio di grossi funghi e erbacce verdastre.
« Loro sanno che tu sai dove le ho nascoste, ma se... se mi uccidi loro crederanno che non potrai più sfruttarne il potere, che non saranno più tue, e ti lasceranno in pace. »
« Io non lo so davvero dove le hai nascoste » sentenziò lei sedendosi su di un brandello ricurvo della nave di Barbanera, improvvisamente sentiva le ginocchia troppo stanche per stare ancora in piedi.
« Sono al sicuro, in un luogo segreto che solo io conosco » e l'inflessione della voce del ragazzo era insistente, come se le stesse mandando un messaggio in un qualche ovvio codice segreto che lei avrebbe dovuto saper decifrare.
« Te lo sto chiedendo. Sono d'accordo e funzionerà. »
Se fosse veramente stata in grado di decodificare quel messaggio...
Poi, mentre il vento fischiava giocando con lo scheletro del vascello rosso, ad un tratto, Dalia comprese il senso di quello che lui le stava dicendo. E sentì il proprio cuore pulsare veloce, rimbombarle nelle orecchie, come un tamburo maori che batte il ritmo incalzante di una danza tetra e spaventosa.
« So chi sei Dalia. Sono certo che saprai essere cocciuta e che combatterai. Salvaci tutti. »
Quello era un testamento, ne era certa, lui le stava lasciano l'unica cosa che avrebbe fatto inciampare l'Imperatrice e tutto il suo inutile esercito.
Ma la stava lasciando immortale, con la sua fine sulla coscienza.
E con una missione impossibile?

L'aliena dai capelli indaco osservò la rivoltella ai suoi piedi: era lucida e dal profilo consumato, come se qualcuno avesse perso troppo tempo a rigirarsela tra le mani. Sospirò, e chiuse gli occhi per un secondo, sentendo le lacrime pizzicare contro le palpebre. Poi lo guardò – scrutò ogni centimetro del cyborg che aveva davanti osservandolo con insistenza, quasi a volere che sentisse il peso dei suoi occhi.
Lui rise, ma la sua risata non era più quella cristallina e allegra che Dalia ricordava, era roca, piena di sarcasmo e sconforto. E allora lei sentì qualcosa incrinarsi, come se da qualche parte nelle vicinanze di quel cuore indigeno che si ritrovata un ingranaggio le si inceppasse a metà tra un colpo di tamburo e l'altro, ed ebbe la certezza che Malachite non stava scherzando, che non era una beffa o un brutto sogno, ma solo un tiro mancino del destino.
« Fa' presto » le disse lui raddrizzando le spalle come una recluta davanti al generale « le guardie stanno arrivando. »
In quel momento Dalia avrebbe voluto asciugarsi le lacrime, che le annebbiavano la vista e, prepotenti, le macchiavano le guance, ma il casco trasparente della tuta spaziale glielo impediva.
Dove era finito il suo Malachi? Quel alieno coraggioso e pieno di speranze?
Non c'era più. Adesso il ragazzo dalla pelle ambrata e dagli occhi vermigli che aveva d'avanti non era altro che un cyborg di primo livello al servizio dell'Imperatrice delle Pleiadi che fuggiva via.
E lei sentì una stella esploderle nel petto e un buco nero aprirsi nello stomaco, ma lo ammise: lui non era più. Non era più da quando erano scappati, entrambi, l'uno dall'altra, dalla porta sul retro.

Dalia raccolse l'arma e si alzò, mosse il braccio con un movimento lento e pesante quasi che la gravità stessa glielo stesse impedendo.
Poi la punto verso di lui.
« Se solo ci fermassimo a pensare, sono certa che troveremo altri mille modi...» ma la frase le si spezzò in gola.
« Me lo hai promesso » e Malachi sorrise.

E mentre Ermes correva tra le lande blu polvere di quel pianeta, perso tra Castore e Polluce, un colpo risuonò nell'aria.

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