Sfida agli dei

di giambo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ombre nella notte ***
Capitolo 2: *** L'ultimo saluto ***
Capitolo 3: *** Ricordi: il nipote di un bugiardo ***
Capitolo 4: *** L'arcipelago Sabaody ***
Capitolo 5: *** Bar Tispenno e la Locanda dei Mandarini ***
Capitolo 6: *** L'incredibile potenza dell'ammiraglio Furamingo ***
Capitolo 7: *** Ricordi: morire per amore ***
Capitolo 8: *** Ricordi: Due nuovi Nakama, la cecchina Erza e la nave Kuin. ***
Capitolo 9: *** Le origini svelate ***
Capitolo 10: *** Ronac ***
Capitolo 11: *** Notte di sangue ***
Capitolo 12: *** Kita Hirati ***
Capitolo 13: *** Il lancio della sfida ***
Capitolo 14: *** La vendetta di Terezon ***
Capitolo 15: *** Due ragazzini terribili ***
Capitolo 16: *** Acciaio e fuoco ***
Capitolo 17: *** Ricordi: il baleniere ***
Capitolo 18: *** Ricordi: suonare la campana! Il nuovo Nakama Loock ***
Capitolo 19: *** La rivolta ***
Capitolo 20: *** Richiesta di aiuto! La determinazione di un navigatore ***
Capitolo 21: *** Il triello ***



Capitolo 1
*** Ombre nella notte ***


Riepilogo de 'Il figlio del Re'

 

Sono passati ormai tredici anni dall'ultima grande guerra. L'alleanza pirata, formatasi per liberare il Re dei Pirati, condannato a morte, è stata sconfitta, e con lei anche l'Armata rivoluzionaria, venuta in suo soccorso. La Marina è riuscita a prendere il controllo di numerose isole e territori del Nuovo Mondo, sterminando quasi tutti i grandi pirati. Tuttavia, alcuni sono riusciti a sopravvivere, radunandosi attorno a quattro nuovi imperatori pirata, creando un nuovo, fragile equilibrio politico in quelle acque turbolente.

Monkey D. Kinji è un ragazzino di dodici anni, che vive a Baltigo, e sogna di prendere il mare, insieme ai suoi amici d'infanzia: l'inpulsivo Eiji, l'abile Risa ed il riflessivo Sozui. Insieme i quattro si costruiscono una base segreta, e cominciano a raccogliere i soldi necessari per comprarsi una barca. Kinji ha anche un'altra amica speciale: Neyna, una ragazza albina, che milita nei rivoluzionari. Il giorno del suo tredicesimo compleanno, Kinji ed i suoi tre amici stringono un patto di fratellanza con il sangue, giurandosi che non si sarebbero mai combattuti e che si sarebbero sempre aiutati nei momenti di bisogno.

Pochi giorni dopo, Kinji viene contattato da Johan, comandante in terza dei rivoluzionari, che gli rivela una sconvolgente verità: suo padre era Monkey D. Rufy, Re dei pirati deceduto quattordici anni prima durante la Guerra delle innumerevoli lacrime, e che le zie con cui era cresciuto, Quashar e Muttan, erano in realtà due vedove, che l'avevano accudito dietro rischiesta di Johan. Kinji rimane sconvolto da queste dichiarazione, ma l'uomo gli fa una proposta: rimanere per quattro anni con i rivoluzionari, in modo da imparare a combattere, per proteggere le persone a lui care, in pericolo a causa della sua discendenza. Nonostante il parere contrario dei suoi amici, Kinji accetta, e viene portato da Johan in una foresta selvaggia, presente al centro dell'isola di Baltigo, dove il ragazzo dovrà sopravvivere per un anno intero.

Nel frattempo, Neyna, scoperto il piano del suo superiore, reagisce con violenza, convinta che quelle azioni porteranno alla morte del suo giovane amico. Johan però non cambia idea, spedendo la ragazza nel North Blue a combattere contro una flotta della Marina. Qui la ragazza conosce Isao, un giovane idealista unitosi da poco ai rivoluzionari. I due dovranno collaborare per fermare forze d'invasione cento volte superiori e per scovare una pericolosa spia. Durante gli scontri, il contrammiraglio Jonathan, capo della spedizione della Marina, decide di scagliare contro gli ultimi nemici il gruppo mercenario 'Lupi D'Acciaio', guidato dalla spietata Kita Hirati, detta Full Metal Bitch, una misteriosa ragazza che combatte per il puro gusto di uccidere. Quest'ultima però, una volta scoperto che la spia della Marina era stata eliminata, si ritira inspiegabilmente. Mentre Neyna viene a scoprire da un prigioniero che quell'invasione serviva per recuperare un oggetto. Alla fine della missione, prima della sua partenza, Isao le confessa i suoi sentimenti per lei, ma viene respinto dalla ragazza.

Kinji nel frattempo viene a conoscenza di Bellamy, un ex pirata sottoposto di Johan, che lo istruisce alla lotta. Dopo un anno di vita nella foresta, poche settimane prima del ritorno di Neyna, Kinji arriva alla Base di Johan, dove verrà addestrato insieme alle altre reclute da Fumiko, vice di Johan. Qui il ragazzo ritrova Eiji, l'amato fratello maggiore, che lo informa della partenza di Risa e Sozui. Lui, invece, è rimasto per badare a lui, il fratellino più piccolo.

Mentre Bellamy viene spedito nel Nuovo Mondo da Johan, a ristabilire i contatti con l'imperatore pirata Trafalgar Law, Neyna torna, decidendo di addestrare personalmente Kinji. Nei mesi successivi l'albina insegna all'amico tutto ciò che conosce sulla scherma, introducendolo all'uso dell'Haki dell'osservazione e dell'armatura. La spadaccina inoltre spiega al ragazzo che esistono anche altri due tipi di Haki, presenti solo in pochi individui scelti: l'haki del re conquistatore, che permette di ergersi a capo delle masse, e l'haki del drago, che consente la manipolazione dello spazio e del tempo in battaglia. In quei frangenti, Neyna rivela all'amico che Johan possiede quest'ultimo potere.

Nel frattempo Bellamy, raggiunto Law, gli propone di aiutare l'Armata a scoprire cosa sta tramando Smoker, l'attuale grande ammiraglio. Il pirata accetta, anche se non promette risultati da quella collaborazione.

Due anni dopo, Johan viene a sapere da Law che la Marina è pronta ad attaccare le basi ribelli nell'East Blue. Il comandante decide di mobilitare tutte le forze presenti a Baltigo per difendersi, portando con sé anche Eiji e Kinji. Prima di partire, il comandante racconta la propria storia a quest'ultimo, rivelando di essere stato un compagno di suo padre.

Una volta giungo nell'East Blue, Johan riceve una comunicazione segreta da parte di Shusaku, un ammiraglio della Marina. Quest'ultimo gli propone un alleanza per far cadere Smoker. Una volta grande ammiraglio, Shusaku promette a Johan appoggio per le rivendicazioni politiche dei ribelli, ma il rivoluzionario rifiuta sdegnato.

Nel frattempo, durante il viaggio, la nave dove si trovavano i due fratelli viene presa d'assalto dai Lupi, guidati da Kita Hirati. Qui Eiji, per impedire alla Full Metal Bitch di uccidere suo fratello, si sacrifica, morendo tra le braccia di Kinji. Quest'ultimo impazzisce dal dolore, rimanendo alla mercè della mercenaria, ma all'improvviso Zoro, insieme a Sogeking, arriva sul luogo della battaglia, ponendo fine allo scontro. Qui lo spadaccino da mostra del proprio Haki del re conquistatore, ordinando a Kita ed a Koto, il capitano dei rivoluzionari, di seppelire i propri morti ed andarsene. Una volta assicuratosi di ciò, Zoro prende Kinji, ferito e svenuto, e lo porta via con sé.

La notte successiva, mentre Usopp alias Sogeking torna da Kaya, sua moglie, Zoro si imbatte in Kuroc, un giovane misterioso proveniente da Wa. Quest'ultimo chiede notizie della fine del Re dei Pirati, e lo spadaccino gli spiega che, già prima di essere catturato, Rufy era condannato, a causa di un'incurabile malattia. La sua liberazione era stata solo un pretesto, da parte dell'alleanza pirata, per prendere il controllo del Nuovo Mondo, venendo però sconfitti dalla Marina.

Nel frattempo, la frattura tra Neyna e Johan è definitiva e totale: la ragazza lo accusa della morte di Eiji, mentre l'uomo le rimproverà la sua immaturità. Esasperata, Neyna decide di fuggire, una volta terminata la guerra, insieme a Koto, infatuato di lei, verso il Nuovo Mondo, dove sembra ci sia qualcuno che ella teme e rispetta allo stesso tempo.

Kinji, una volta sveglio, rifiuta la verità della morte del fratello, impazzendo. Per riportarlo alla ragione Zoro è costretto ad usare la forza, facendo capire al ragazzo che ha ancora molto per cui combattere. Una volta rinsavito, Kinji decide di dare la caccia alla Full Metal Bitch, per vendicarsi. Successivamente, sarebbe partito per la Grand Line, per diventare Re dei pirati. Per tutta risposta, lo spadaccino gli rivela l'identità della madre (fino ad allora rimasta ignota), ovvero Boa Hancock, e gli dona la spada di Mihawk, ottenuta diciasette anni prima. Tuttavia, per poterla avere, Kinji dovrà sconfiggerlo in duello. Lo scontro è chiaramente a favore del pirata, ma all'ultimo, con una mossa azzardata ma efficace, riesce a ferire Zoro, seppur lievemente. Quest'ultimo si dichiara soddisfatto, donandogli la spada come promesso, che Kinji ribattezza Eiji, in onore del fratello scomparso, inoltre sceglie di prendere il cognome della madre, in sua memoria, mantenendo però la D del padre.

A quel punto, quando sta per partire, Kuroc si fa avanti, sfidando a duello Zoro. Il motivo di questa sfida è che il giovane punta di ottenere il titolo di spadaccino più forte del mondo, con il quale potrà tornare a casa dal suo esilio, vendicando così la famiglia sterminata. Zoro, consapevole della propria superiorità, si rifiuta, consigliandogli di allenarsi di più. Kinji, colpito dall'ambizione del samurai, lo invita ad unirsi a lui. Kuroc, dopo qualche esitazione, accetta. I due salpano insieme, alla volta dello scontro tra Marina e rivoluzionari.

Mentre i rivoluzionari si preparano a contrastare le forze della Marina, guidate dal viceammiraglio Helmeppo e dal contrammiraglio Jonathan, Nico Robin, di ritorno da una ricerca di diciassette anni, scopre un'antica profezia, che la traumatizza. Nello stesso luogo giunge dopo Smoker, che tenta di ucciderla. La donna però, riesce a fuggire. Ferita nel corpo e nella mente, Nico Robin rintraccia Kinji, a cui affida un misterioso medaglione d'oro ed un avvertimento: qualsiasi cosa accada, non dovrà uccidere una donna, seppur macchiata di molti peccati, altrimenti il mondo intero sarà perduto. Il ragazzo pensa che la donna di cui Robin parli sia Kita, ma prima che possa chiederglielo, essa sparisce, lasciandolo solo con i suoi dubbi.

Nel frattempo, lo scontro tra la marina e le forze rivoluzionarie ha inizio. Nonostante il vantaggio iniziale della sorpresa, lo scontro si mette male per quest'ultimi. Johan viene impegnato in uno scontro con Helmeppo. Qui si scopre che fu lui, ex membro della ciurma del re dei pirati, ad sconfiggere Akainu, il predecessore di Smoker, anche se gli costò una grave menomazione fisica.

Con il passare della battaglia accrescono anche le vittime. Koto muore mentre tenta di salvare i propri uomini, lasciando da solo Bellamy contro centinaia di nemici. Desideriosa di vendicare Eiji, Neyna, ultimo ufficiale rimasto sul campo, decide di scagliarsi con Kita. Quest'ultima però la sconfigge facilmente, prima di ucciderla tuttavia, sopraggiunge Kinji, che prende il posto dell'amica nello scontro.

Il duello tra i due è equilibrato. Mentre Kuroc riesce, pur con fatica, a sconfiggere Ryutaro (il vice di Kita), Kinji si trova in difficoltà con la Full Metal Bitch all'inizio. Tuttavia, quando ormai è in punto di morte, la rabbia per la scomparsa del fratello lo riempiono di una collera immensa, facendo scattare qualcosa dentro di lui, ed attivando il leggendario haki del drago. Dopo quell'avvenimento il duello tra i due prende un'altra piega, favorendo il ragazzo. Kita però si batte con valore, riuscendo a ferire gravemente il giovane pirata, arrendendosi solo di fronte ad un attacco devastante lanciatogli contro da Kinji con le ultime forze. A quel punto però, il ragazzo, memore dell'avvertimento di Nico Robin, le risparmia la vita, dichiarando di non essere un assassino. Kita la prende come un offesa personale e giura di vendicarsi un giorno di quel gesto.

Nel frattempo Johan, messo al tappeto Helmeppo, si prepara a distruggere le armate nemiche, quando sul campo di battaglia giunge Sabo, comandande dei rivoluzionari, insieme a Koala ed Isao, che gli ingiunge di ritirarsi e di porre fine allo scontro.

Con i Lupi sterminati durante lo scontro, Kita non viene più considerata utile dalla Marina, che la imprigiona e la condanna a morte. La ragazza però riesce ad evadere, sterminando tutti i membri della base dove era rinchiusa. Prima di uccidere il contrammiraglio Jonathan, quest'ultimo le rivela di essere stato lui a dare l'ordine di incarcerarla e di averlo fatto per pietà. Presa in un momento di debolezza, Kita gli rivela le sue origini, sconvolgendolo, poi lo uccide. Successivamente, la ragazza decide di rimanere nella Grand Line fino a quando non sarà abbastanza forte per prendersi la sua vendetta.

Johan, nel frattempo, ha uno scontro duro con Sabo. Quest'ultimo gli rimprovera il suo cinismo e le perdite di vite causate da esso, ma l'ex pirata respinge le accusa, dichiarando di non avere più alcuna fiducia in quel mondo. Consapevole di non avere più nulla da spartire con i rivoluzionari, Johan, insieme a Bellamy, scelgono di unirsi a Law. Qui ritrova Shirley, conosciuta durante la sua convalescenza dopo la Guerra delle innumerevoli lacrime. La sorella di Arlong si è unita a Law per aiutarlo a salvaguardare l'equilibrio delicato che vige nel Nuovo Mondo, e mette in guardia Johan riguardo Shusaku e le sue mire ambiziose. Felice di aver ritrovato il suo vecchio amore, i due in passato erano stati amanti, Johan si dirige verso il Nuovo Mondo, dove lo attende Law.

Negli stessi giorni Neyna, ripresasi dalla battaglia, incontra Isao, respingendolo una seconda volta. Successivamente, dopo aver reso omaggio a Koto, decide anche lei di partire, da sola, per il Nuovo Mondo, convinta, un giorno, di rivedere il suo amico Kinji. Quest'ultimo, nel frattempo, è insieme a Kuroc e vengono contattati da Sabo, che li convince ad allenarsi insieme a lui sull'isola Dawn, l'isola natale di Rufy.

Due anni dopo, notevolmente più forti, Kinji e Kuroc decidono di riprendere il loro viaggio verso la Grand Line. Durante il viaggio essi si imbattono in Kita, tornata nell'East Blue per incontrarli di nuovo. La ragazza è cambiata, non cerca più vendetta fine a sé stessa, e chiede a Kinji di potersi unire alla sua ciurma. Quando il ragazzo gli domanda il perché, lei gli risponde che è suo desiderio ucciderlo, ma solo dopo che sarà diventato Re dei pirati. Nonostante i dubbi di Kuroc, Kinji accetta e decide di prendere Kita con sé. I tre ragazzi riprendono il loro viaggio, diretti alla Rotta Maggiore, dove, nel frattempo, Risa e Sozui risvegliano, involontariamente, un'antica e pericolosa oscurità.

 

 

Sfida agli dei

 

 

Grand Line, a poche miglia di distanza dall'isola di St. Pauli.

 

Kita si stava trovando in una situazione scomoda.

Erano ore che stava avanzando in quel condotto dell'aria, umido e buio, ed ormai si sentiva indolenzita in ogni parte del corpo. Il suo fido spadone le era d'intralcio, e già un paio di volte si era incastrata, con sua somma irritazione. Ma la cosa che più la infastidiva era che, la sua compagna, non sembrava soffrire dei suoi stessi disagi. Scattava veloce, davanti a lei, senza il minimo rumore o problema, facendola sentire una goffa foca.

Vuoi vedere che è più magra di me?!

Decise subito di lasciar perdere quelle futili invidie. Non erano lì per giocare, e se le beccavano avrebbero rischiato grosso.

La Base della Marina, nota come G6, era considerata da tutti una fortezza inespugnabile, quasi come la leggendaria fortezza Navarone. Normalmente, un pirata con un pizzico di cervello sarebbe stato alla larga da un simile posto, ma se si possiede un capitano idiota, oltre ad un navigatore non particolarmente furbo, allora può capitare di ritrovarsi come Kita, stretta in uno scomodo condotto dell'aria della base militare, in mezzo a centinaia di nemici, a chiedersi come diavolo avevano fatto a convincerla ad immischiarsi in quella follia.

Stupido Kinji e le sue cialtronate sull'amicizia! Pensò rabbiosamente mentre strisciava goffamente dietro alla compagna. Giuro che se non crepo non darò più retta alle sue follie! Ovviamente la volta dopo sarebbe stata di nuovo in mezzo ai guai, ma sul momento era consolante pensarla così.

In quell'istante arrivarono sopra una grata, da dove filtrava una fioca luce. La donna davanti a lei la aprì in pochi istanti, per poi calarsi giù. La bionda la seguì subito, lieta di poter uscire da quel luogo infernale. Una volta scesa, non fece in tempo a guardarsi intorno, che la sua compagna l'afferrò e la trascinò dietro un angolo. Kita, già nervosa per prima, sentì che stava per esplodere, ma prima che potesse reagire, udì un rumore di passi dal luogo dove si trovava pochi istanti fa.

“Potevi avvertirmi!” sibilò nervosa. “Non ti sopporto quando non riesco a seguirti con nessuno dei sensi, Hysperia!”

La donna chiamata Hysperia sorrise. Poi, senza aggiungere, altro, ritornò nel corridoio principale, subito seguita dalla Full Metal Bitch.

Hysperia era una donna alta e magra, sui venticinque anni circa. La cosa che colpiva di più di lei erano gli occhi, di colore viola, privi di pupilla. Due fredde e spietate gemme incastonate in un ovale perfetto. Indossava degli stivali di pelle nera, logori dal lungo uso. I pantaloni erano di stoffa rossa, con rinforzi in cuoio. Di cuoio era anche la giubba che le proteggeva il torso, il tutto avvolto da un mantello nero come la notte più cupa, con il cappuccio, spesso alzato, da cui usciva qualche ciocca nera di un taglio corto, che le sfiorava le spalle. Alla vita indossava un cinturone, da cui pendevano due spade corte, dalla lama ricurva, ed un pugnale dall'elsa fatta d'osso di balena. Sulla schiena si potevano invece notare due balestre a corta gittata. Le mani erano coperte da guanti di pelle nera, assenti sulle dita. Tra le labbra sottili teneva spesso una sigaretta, anche se non era insolito osservarla fumare tramite una corta e rozza pipa di legno.

Ogni suo movimento era la quintessenza della sensualità, e del pericolo. Ogni passo era fatto senza compiere il minimo rumore. Il suo mantello si muoveva senza emettere il minimo suono. Appariva e scompariva senza essere vista. Un'ombra tra le ombre. Un'assassina tra i pirati.

Kita invece era diversa. Leggermente più bassa, era però più muscolosa della sua compagna. Aveva i capelli, rasati sul lato sinistro della testa con un ciuffo ribelle che ricadeva sull'occhio destro, di un azzurro glaciale, di un biondo chiaro, quasi bianco. Indossava pantaloni neri, stivali militari dello stesso colore, ed una canottiera bianca che ne metteva in risalto il fisico. Attorno alle braccia, due draghi tatuati, uno bianco ed uno nero, si attorcigliavano, ricoprendo anche le spalle, per poi incrociarsi sul petto, dove sputavano fiamme nere in direzione del solco dei seni. Sulla schiena portava un fodero di pelle, dove era riposto il suo fido spadone.

I corridoi davanti a loro sembravano tutti uguali, ma le due donne sembravano sapere come muoversi all'interno. Si spostarono furtive, approfittando di ogni spazio oscuro, per circa mezzora, giungendo infine dietro un grande spiazzo. Dall'altra parte c'era un portello d'acciaio, piuttosto spesso, e chiuso, sorvegliato da circa una decina di marines. Kita stava già per lanciarsi all'attacco, quando Hysperia la bloccò di nuovo,

“E adesso cosa c'è?” bisbigliò furiosa.

Di fronte alla sua rabbia, la mora non si scompose.

“Se li attacchiamo ora, ce ne ritroveremo addosso duecento in meno di cinque minuti.” mormorò con voce calda e bassa, da sotto il cappuccio. “Dobbiamo aspettare che gli altri entrino in azione.”

Senza aspettare una risposta, Hysperia si sedette con la schiena appoggiata al muro, seguita, dopo qualche secondo, da Kita. Quest'ultima non era sicura di poter attendere senza fare niente, ma comprendeva le ragioni della compagna. Pertanto si preparò ad una lunga attesa.

I minuti passavano lenti. Le due donne rimanevano in silenzio, ognuna immersa nei propri pensieri. Ogni tanto giungeva qualche rumore dall'altra parte, dove si udiva bisbigliare i marines, ma per il resto il silenzio era il signore indiscusso del momento.

Poi, all'improvviso, l'intera strutturò tremò, mentre da fuori echeggiava l'eco di una forte esplosione.

Senza perdere altro tempo, Kita sguainò il proprio spadone, uscendo allo scoperto, mentre Hysperia metteva mano alle sue balestre.

Fu tutto molto semplice. I loro avversari, distratti dall'accaduto di prima, reagirono con lentezza. Prima che potessero capire cosa stava succedendo, due di loro furono a terra, colpiti da Hysperia, mentre Kita, sorridendo con fare sadico, aveva già piantato la propria arma nelle viscere di un terzo. Con il sorriso sempre sulle labbra, la bionda roteò lo spadone, facendo volare gocce vermiglie intorno a lei. Subito dopo, si creò un fendente di energia, che tranciò in due cinque marines, schizzando sangue ovunque. I due rimasti, terrorizzati, provarono a fuggire, ma Hysperia li finì subito.

“Sempre spettacolare...” osservò quest'ultima, riponendo le proprie armi, mentre si avvicinavano al portone. Nel frattempo, da fuori provenivano i rumori di una battaglia, segno che gli altri erano entrati in azione.

“Smettila di darmi noia.” fu la secca replica di Kita. Una volta davanti alla porta, quest'ultima richiamò l'haki sul pugno destro, colpendo con forza davanti a sè. La spessa lastra d'acciaio si ruppe con estrema facilità. “Non siamo qui per perdere tempo!” Hysperia scelse il silenzio.

Una volta entrate davanti a loro era presente una scala in pietra, che scendeva verso il basso. Il luogo era umido, ed aveva tutta l'aria di essere poco salubre. I rumori dello scontro all'esterno dell'edificio svanirono rapidamente.

“Dove dobbiamo andare ora?” domandò la Full Metal Bitch.

La mora passò avanti.

“Seguimi.” si limitò a dire.

Cominciarono a scendere velocemente, notando come la luce fosse sempre più fioca. Alle pareti erano appese molte torce, non tutte accese. Hysperia ne prese una, per illuminare la strada, attraverso quel dedalo di scale e gallerie. Ogni tanto, alle pareti, si vedevano delle grotte, chiuse da grate di ferro.

“Un giorno dovrai spiegarmi come fai a sapere sempre tutto.” borbottò la bionda, mentre osservava il labirinto oscuro dove si erano immerse.

“La prima regola di un buon assassino è sapere sempre come muoversi.” sussurrò, sorridendo, la sua compagna. “Se non conosco la posizione della mia preda, non posso ucciderla.”

Kita preferì non replicare. Avevano poco tempo, e non potevano permettersi di sprecarlo.

Alla fine, le due ragazze arrivarono di fronte ad un nuovo portone d'acciaio.

“E' qui.” dichiarò Hysperia.

Senza aggiungere altro, la Full Metal Bitch si fece avanti, ripetendo la manovra di prima. Successivamente, senza indugiare, entrarono nell'oscurità davanti a loro.

La fiamma della torcia mostrò loro un posto umido e oscuro. Dell'acqua sembrava gocciolare in qualche angolo nascosto, mentre l'odore di muffa e salsedine riempiva loro le narici. Le pareti erano rozzamente lavorate, a dimostrazione che quel luogo, un tempo, era una grotta sotterranea. In un angolo, rannicchiato, c'era un giovane che, non appena vide la luce, si coprì gli occhi, gridando.

“Ancora voi! Che cosa volete?! Lasciatemi stare!”

Senza perdere tempo, Hysperia gli si avvicinò, prendendogli la mano sinistra.

“Basta! Basta! Tanto non vi dirò mai nulla, non cederò!”

“Milo! Smettila di fare il pazzo! Siamo noi! Siamo venute a salvarti!” sentendo la voce della mora, il ragazzo chiamato Milo abbassò lentamente le mani, stringendo gli occhi, irritati dalla luce. Era un ragazzo alto ed incredibilmente magro. Aveva una zazzera disordinata color marrone in testa, occhi dolci dello stesso colore, ed un viso da ragazzino cresciuto troppo in fretta. Indossava dei pantaloni lerci, una maglietta nera strappata in più punti, e scarpe dalla suola rotta. Sul volto portava un paio di occhiali dalle lenti tonde, piuttosto sporchi, mentre tra le mani stringeva una canna da pesca, ripiegata.

“Hysperia...sei tu?” domandò, guardandola con sospetto.

Tra le pieghe del cappuccio spuntò fuori un flebile sorriso.

“Dai muoviti!” esclamò la donna, aiutandolo ad alzarsi. “Non abbiamo molto tempo, e dobbiamo raggiungere gli altri!”

“Gli altri...” mormorò il ragazzo, sospirando. “Mi hanno picchiato Hysperia. Hanno cercato in tutti i modi di farmi dire dove vi eravate nascosti, ma io non ho detto nulla.”

“Hai fatto bene!” dichiarò seccamente Kita, prendendo la torcia dalle mani della compagna. “Però le storielle rimandiamole a dopo. Altrimenti non riusciremo mai ad andarcene da qui.”

“Riesci a camminare?” gli chiese la mora all'amico. Per tutta risposta, Milo provò ad appoggiare il peso sulle proprie gambe, ma quella sinistra lo tradì, facendolo cadere al suolo.

“Temo...che ci siano andati pesante con me.” mugolò.

Con fare esperto, Kita si avvicinò al compagno, cercando eventuali ferite. Ne trovò parecchie, anche se quasi tutte superficiali. Tuttavia, sulla gamba sinistra, era presente un foro di un proiettile, con un inizio di infezione, mentre il costato era pieno di lividi, facendole sospettare che avesse almeno un paio di costole rotte.

“Non corre pericoli...per ora.” concluse, rialzandosi. “Ma la ferita alla gamba non mi piace per niente. Dobbiamo portalo da Kalì, ed in fretta.”

“Come faccio ad uscire?” si lamentò il moro da terra. “Non riesco a camminare!”

Sospirando, Kita ripassò la torcia ad Hysperia, prendendosi sulle spalle il ragazzo.

“Kita...tu...” Milo sembrava sul punto di scoppiare in lacrime per la commozione.

“Risparmia i piagnistei!” ordinò seccamente la piratessa. “Non sei ancora al sicuro.”

Poi, i tre uscirono di corsa dalla cella, dirigendosi verso l'alto, verso la libertà.

 

“Spiegami una cosa, Milo.” domandò Kita, mentre risalivano attraverso le segrete della base. “Come diavolo hai fatto a non farti prendere la tua arma dai marines?”

Milo sorrise.

“Questo gioiellino è capace di essere ripiegata più volte, fino ad assumere la lunghezza di una salsiccia.” spiegò. “Non è stata difficile da nascondere, una volta portata a quelle dimensioni.”

“Va bene va bene...” chiuse il discorso Kita, mentre sbuffava sotto il peso del compagno. “Vediamo di muoverci! Non sei propriamente leggero...”

Una volta fuori, i tre furono sollevati di non vedere nessuno in giro. Milo osservò con orrore i corpi mutilati precedentemente dalla bionda, rabbrividendo, mentre fuori i rumori della battaglia erano più forti che mai.

“Sei senza cuore, Kita.” pigolò.

“Se fossi senza cuore, ti direi di alzare il culo e camminare!” replicò aggressiva lei. “Ora stai zitto, che se non ci muoviamo non riusciremo mai a prendere una nave per scappare.”

“Come una nave?!” esclamò il ragazzo sorpreso. “Perché non usiamo la Kuin?”

Le due piratesse si fermarono, scure in volto.

“Milo...” bisbigliò Hysperia, cercando di non essere troppo rude. “il fatto è che...”

“Cosa?”

“Che la Kuin è affondata.” dichiarò seccamente Kita. “I marines l'hanno abbattuta dopo che ti hanno preso. Noi ci siamo salvati per miracolo, ma per la nave non è stato possibile fare nulla.”

Il ragazzo spalancò gli occhi, sconvolto, rimanendo per qualche istante a bocca aperta.

“Non...non...” balbettò, incapace di accettare la cosa. “Non è possibile...”

“Dispiace a tutti.” mormorò la mora, mentre si guardava intorno, alla ricerca di nemici. “Ma ora non abbiamo tempo per...”

“Aspettate!” la fermò Milo, la voce carica di rabbia. “Non voglio scappare! Io...io...voglio vendicare la nostra nave!”

“Sei diventato pazzo?” gli domandò la Full Metal Bitch. “Abbiamo contro migliaia di uomini e tu parli di vendetta? Sarà già tanto se porteremo a casa la pelle.”

“Io non me ne andrò senza prima aver visto questo posto bruciare fino all'ultima pietra!” urlò il ragazzo, furibondo. “Era la nostra nave! Una nostra compagna! Come potete permettere che coloro che l'hanno uccisa rimangano impuniti?!”

Per tutta risposta, Kita lo buttò a terra rudemente. Il moro gemette di dolore, ma non smise di osservare con rabbia la compagna, che lo sovrastava.

“Ora smettila di dire idiozie!” ringhiò la bionda. “Era una nave e basta! Non nego che ci fossimo tutti affezionati, ma da qui a voler morire per vendicarne quella che tu chiami morte...beh, tu sei completamente pazzo! E non ho intenzione di seguirti nella tomba!”

Milo fece per ribattere quando Hysperia si mise in mezzo.

“Non è il momento di litigare.” osservò con tono basso ma minaccioso. “siamo in una base nemica, e la cosa forse vi è sfuggita.”

“Allora sei d'accordo con lei?!” protestò furiosamente il moro. “Vorresti che ce ne andassimo senza fare nulla per vendicare la nostra adorata Kuin?!”

“Non ho detto questo.” replicò seccamente l'assassina. “E se mi dai un attimo di tempo ti spiego la mia idea.”

“Kita, tu porta Milo fuori da qui. Cerca Kalì, dovrebbe essere all'arsenale insieme ad Erza, e consegnale il nostro vendicativo navigatore. Poi raggiungi Kinji.”

La bionda si limitò ad un secco cenno d'assenso. Non amava prendere ordini, ma comprendeva che in quel momento la salute di Milo era la cosa più importante.

“E tu invece?” le domandò Milo. “Che cosa farai?”

Il sorriso di Hysperia fu gelido come la morte.

“Vendicherò Kuin.”

“Vorresti assaltare la fortezza da sola?” domandò perplessa la Full Metal Bitch. “E' una follia! Ti uccideranno prima.”

“Non sottovalutatemi.” rispose la mora. “Sapete bene che quando mi scateno...posso diventare...pericolosa.

“Ora andate! Kita, ci rivediamo nella piazza principale insieme agli altri tra un'ora. Ricordati di dirlo a Kalì ed Erza...Se vogliamo scappare, dovremo farlo uniti.”

L'altra piratessa annuì di nuovo. Poi, una volta ripreso Milo sulle spalle, corse verso l'uscita, in direzione est. Hysperia invece si accese una sigaretta, assaporando il sapore acre del tabacco con soddisfazione.

Una sigaretta prima...una fumata di pipa dopo.

Diresse i suoi passi verso ovest, sempre senza compiere il minimo rumore. Ogni istante che passava sentiva crescere la propria collera, facendola precipitare nei ricordi.

Vendetta...il nostro navigatore ne parla così tanto, senza però sapere che cosa significhi veramente cercare vendetta...

Su una cosa però quel ragazzo tutto pelle ed ossa aveva ragione: quell'oltraggio commesso nei confronti dei pirati del Drago andava punito, con sangue ed acciaio.

Sguainò le proprie spade, sorridendo con ferocia.

E' tempo di ballare!

 

 

Erza osservava con attenzione, da dietro le lenti di un binocolo, l'arsenale militare della base. Nonostante le esplosioni e le urla dello scontro nella piazza principale diventassero sempre più forti, i marines addetti alla sicurezza delle navi sembravano tranquilli, rimanendo all'erta contro possibili intrusione nell'area sorvegliata.

“Cosa vedi?” le domandò una ragazza, sdraiata al suo fianco sopra un tetto vicino.

“A quanto pare non sembrano particolarmente preoccupati di quello che accade nel resto della base. Devono essere ben addestrati.” borbottò la prima delle due. Erza era giovane, non doveva avere più di una ventina d'anni, ed era molto bella, con lunghi capelli biondi, raccolti in una coda, fisico da modella ed un viso praticamente senza imperfezioni, dove spiccavano due magnifici occhi color smeraldo. Indossava lunghi stivali di pelle neri, fino al ginocchio, pantaloni attillati dello stesso colore e materiale, ed un giubbotto di pelle, sempre nero, da cui premeva il suo seno abbondante. Alla vita portava un cinturone, da cui pendevano due pistole dal calcio piuttosto corto, più altri oggetti che sembravano i componenti di un'arma a lunga gittata. In testa portava un basco di feltro rosso, con la striscia interna di cuoio, portato sulle ventitre. Di solito indossava degli occhiali da sole, con le lenti rotonde, ma in quell'oscurità le sarebbero stati d'impiccio. In bocca masticava una sigaretta accesa, mentre dal solco dei seni gli spuntava un pacchetto aperto di una marca piuttosto famosa, le Night Quenn.

“Sarebbero da ammirare, se non fossero uomini!” osservò con voce dura la sua compagna, di nome Kalì. Era più grande di Erza, di circa due o tre anni, anche se più bassa e minuta di fisico. Aveva lunghi capelli neri, raccolti in una treccia, occhi dello stesso colore, carnagiore scura, ed un fisico atletico ed avvenente. Indossava delle scarpe leggere, fatte di tela, pantaloni corti che gli arrivavano a metà coscia ed un bikini che le copriva il seno. Alla vita indossava una cintura, da dove pendevano due pugnali dalla lama ricurva, mentre sulla schiena portava una faretra, ricolma di frecce. Attorcigliato sul suo corpo, con la testa appoggiata sulla spalla sinistra, c'era un enorme boa constrictor, profondamente addormentato.

La bionda preferì non replicare. Sapeva che la sua compagna, generalmente dolce e gentile con tutti, ogni tanto soffriva di sfoghi di rabbia contro qualsiasi individuo di genere maschile. Cercava di riflettere su come prendere una nave. In sé le guardie non erano un problema, ma se si fosse scoperto che i pirati stavano tentando di rubare una nave, la Marina avrebbe immediatamente fatto prendere il largo a tutte le sue corazzate. Bisognava dunque evitare che quei soldati dessero l'allarme.

“Tu credi che quei tre ce la faranno?” parlò ancora Kalì, il tono della voce stavolta dolce, ansioso e terribilmente zuccheroso. “Sono tanto preoccupata!”

“Nahhh...se la caveranno.” replicò tranquillamente Erza. “Certo, se quello spadaccino borioso si prendesse un colpo in testa...”

“Erza! È bruttissimo quello che hai appena detto!” esclamò sconvolta l'amica. “Certe cose non si dovrebbero neanche pensare!”

Per tutta risposta, la cecchina le fece la linguaccia.

In quel momento, la mini radio snail che teneva quest'ultima in tasca suonò. Una volta accesa, alle due risuonò la voce lievemente affannata di Kita.

“Erza, qui parla Kita. Ho con me Milo.”

“Evviva!” esultò Kalì. “Ora raggiungete Kinji e gli altri, mentre noi recuperiamo una nave per andarcene da qui.”

“Temo che non sia possibile. Milo è ferito, e necessita di cure immediate. Lo sto portando da voi.”

“Ed a fare cosa?!” replicò aggressivamente Erza. “In questo momento, ci sarebbe solo d'intralcio. Non possiamo portarcelo dietro.

“Ti vengo incontro io.” propose Kalì. “Se mi dici dove ti trovi, vi raggiungo. Per la nave ve ne potete occupare voi tu ed Erza.”

“Mi sta bene!” rispose la Full Metal Bitch. “Sarò sotto gli uffici tra qualche minuto. Aspettatemi lì.” successivamente, la bionda chiuse la comunicazione.

Erza sospirò, chiedendosi come mai non c'era una volta che non venissero fuori delle complicazioni.

“Forza, andiamo!” dichiarò, strisciando indietro, per uscire dal raggio visivo delle guardie dell'arsenale. Kalì la seguì, senza fare movimenti bruschi. Tuttavia, ciò bastò a svegliare il suo boa, che sibilò, irritato per quel brusco risveglio.

“Stai buono, Shun.” lo coccolò la dottoressa per calmarlo. “Adesso dobbiamo andare da quell'angioletto di Milo. Poi, quando andiamo via da qui, ti do i bocconcini di coniglio che ti piacciono tanto.”

Il gigantesco rettile sembrò apprezzare la proposta, perché agitò la coda, liberando le sue spire dal corpo della padrona, mentre sul suo muso si disegnava un'espressione soddisfatta.

“Su, forza!” li incitò la cecchina. “Dì a quella biscia troppo cresciuta di muoversi, abbiamo poco tempo!”

Una volta uscite dal raggio visivo dei nemici, le ragazze si alzarono, camminando con abilità sopra i tetti, mescolandosi tra le ombre. Ad un certo punto, in prossimità dei cantieri navali, Erza si fermò, mentre Kalì e Shun proseguirono per raggiungere Kita e Milo. La bionda invece, una volta fatto un rapido conto dei nemici, tirò fuori le proprie pistole, sputando via il mozzicone di sigaretta.

Andiamo a fare loro una visitina...

 

 

Il sapore del tabacco era decisamente confortante.

Hysperia aspirò dalla propria pipa, soffiando fuori dalle narici il fumo, mentre attorno a lei il silenzio era rotto da un'inquietante gocciolio.

Una sigaretta prima, una fumata dopo...

Seduta sopra una montagna di cadaveri, l'assassina attendeva notizie dall'esterno. Nel frattempo si godeva i piaceri del fumo, osservando quest'ultimo e le sue forme circondarla in modi fantasiosi ed astratti, portandola a navigare tra i propri ricordi.

“Il sole...che brilla nel cielo, risplende alto sopra di noi...” cominciò a cantare, con voce bassa e melodiosa. “Sopra i monti...monti alti, di pura luce stellare...lassù...sopra Cohag.” la sua voce si spense lentamente. Non amava cantare, almeno non più. Anche se, una volta, durante la sua vita passata, quella canzone era la sua preferita.

Il rumore della miniradio snail la riportò alla realtà.

“Sono Kita.” dichiarò la voce della Full Metal Bitch. “C'è stato un cambiamento al piano. Io mi muoverò con Erza, mentre tu raggiungerai Kinji e gli altri in piazza.”

“E Milo?” domandò la mora.

“Ora è con Kalì e Shun. Se la caverà.”

Hysperia annuì.

“Bene. Allora mi muovo.”

“Come è andata da te?” le chiese la piratessa bionda.

“Oh...direi piuttosto bene.” rispose, mentre il sangue gocciolava pigramente dalla punta dei suoi stivali. “Penso abbiano capito che non si affondano le navi degli altri.”

“Immagino...ora vado, vi raggiungeremo con una nave tra poco. A dopo!” la donna chiuse la comunicazione, mentre nello stesso istante, echeggiò uno sparo. Subito dopo, in mezzo alla fronte di Hysperia, apparve il foro di un proiettile.

La donna si girò lentamente, notando che uno dei marines era ancora vivo.

“Dannata puttana!” ansimò. “Questo è per i miei compagni!”

La mora si alzò, estraendo una balestra, mentre i bordi della ferita, il cui foro le attraversava tutta la testa, si mossero, come se fossero vivi. Il tutto sotto lo sguardo allibito del soldato.

“Ma che diavolo...” balbettò, spalancando gli occhi. “Che razza di mostro sei?!” urlò svuotando il caricatore contro la mora. Quest'ultima incassò i colpi senza reagire, mentre le sue nuove ferite si rimarginavano subito, esattamente come quella in fronte.

“Ma...”

“Water's crossbow.” mormorò. Immediatamente, sulla balestra, caricata tramite un grilletto alla base, si materializzò un dardo d'acqua. Subito dopo, mentre il marine tentava una goffa e disperata fuga, Hysperia premette il grilletto di rilascio, colpendo in piena schiena il nemico, che crollò a terra, morto sul colpo.

Il dardo era diventato una macchia umida sul terreno, mentre il cadavere presentava un livido rossastro sulla schiena, nel punto colpito, ma nessuna lesione alla pelle.

La donna sorrise.

“Frutto Hydro-Hydro, stronzo.”

Si alzò, riponendo la propria arma dietro la schiena, muovendosi, silenziosa come un'ombra, in direzione dell'uscita. Ad aiutare il proprio capitano.

Vendetta...con sangue...ed acciaio.

Questo è quello che fanno i pirati!

 

 

CONTINUA

 

Ordunque...benvenuti a questo proseguimento del 'Il figlio del Re! Mi auguro che questo primo capitolo, ed i nuovi personaggi vi siano piaciuti, perché ero molto ma molto felice di potere finalmente parlare di loro. Per adesso non posso dire altro (la storia è appena all'inizio, e quindi parlando di qualsiasi cosa di fatto spoilerei tutto), quindi per ora mi dileguo. Ho messo un riassunto all'inizio in modo che chi volesse iniziare questa storia non sia costretto per forza a leggersi quella precedente. Certo, quello è solo un riassunto, e quindi certe cose potrebbero non essere chiare, ma così facendo si ha già un'idea generale, poi magari, più tardi, avrete voglia di farci un salto (della serie: facciamoci pubblicità da soli xD)

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 2
*** L'ultimo saluto ***


Capitolo 2

 

 

Kinji si stava divertendo un mondo. Sentiva il suo corpo vivo come non mai, mentre l'infuriare dello scontro attorno a lui aumentava sempre di più.

Fermò un colpo di spada con la sua fida compagna, Eiji, ridendo. Successivamente, con un rapido fendente, uccise il proprio avversario. Quando alcuni nemici tentarono di colpirlo alle spalle, il giovane pirata si limitò a creare dei tornadi di fuoco bianco, che eliminarono ogni nemico nel raggio di parecchi metri.

Il suo sorriso si fece più marcato.

Adorava lottare. Ogni volta che gli capitava di scendere in battaglia, la sua anima vibrava di eccitazione, rendendolo felice in maniera quasi incosciente, come se fosse ubriaco.

Avanti ragazze! Recuperate Milo! Pensò, mentre si buttava contro un nuovo gruppo di marines. Per quanto si stesse divertendo, sapeva che quello non era un gioco. Il suo compito, insieme a Kuroc e Loock, era quello di fungere da esca, mentre gli altri due gruppi recuperavano il loro navigatore ed una nave. Come aveva detto Kita la sera prima, quella era la cosa che sapevano fare meglio: distruggere tutto.

E, diavolo, era proprio vero.

Intanto, poco distante, un tornado di energia si alzò fino al cielo, sollevando decine di nemici urlanti, ed illuminando la notte. In mezzo ad esso, tranquillo e serio come sempre, Kuroc mulinava Doragon no buresu, la sua fida katana, sgominando ogni nemico sulla sua strada.

“Fermate quello spadaccino! Ci sta massacrando!” urlò una voce non identificata.

“Mi dispiace per voi...” replicò il pirata, sfoderando un sorriso da lupo “Ma io non ho nessuna intenzione di fermarmi!”

Subito dopo, con un movimento invisibile ad occhio nudo, Kuroc creò con la propria lama un vortice di energia orizzontale, che cominciò ad attraversare l'intera piazza, seminando vittime su vittime, senza mai perdere intensità. Dall'altra parte della piazza, un uomo enorme riuscì a schivarlo appena in tempo, dimostrando ottimi riflessi.

“Ehi, Kuroc!” ululò furibondo quest'ultimo. “Vedi di stare attendo, per poco non mi tagliavi in due!”

“Scusami!” replicò l'altro, alzando l'arma in segno di scusa con la mano sinistra, alla quale mancavano le prime due falangi del medio e dell'anulare. “La prossima volta manderò un annuncio ufficiale!”

“Bah! Vai al diavolo tu e la tua maledetta spada!” replicò l'uomo di prima, mentre stendeva, senza neanche guardarlo, un nemico dietro di sé, tramite il gigantesco martello da guerra che teneva in mano.

Kinji scoppiò a ridere.

“Andiamo Loock!” esclamò il capitano. “Non rovinare la festa!”

Loock sogghignò. Era un uomo immenso, alto più di due metri, sopra la trentina, con le spalle larghe e le braccia muscolose. Il volto era coperto da una folta barba nera, con qualche pelo grigio. Aveva gli occhi neri e luminosi, mentre il naso era storto, risultato di una vecchia frattura. Indossava un paio di pantaloni bianchi, stivali in pelle lucidi, e numerosi bracciali, che gli ricoprivano gli avambracci muscolosi, mentre il torso, che era scoperto, rivelava numerose cicatrici. Portava i capelli lunghi fino alle scapole, ed il più delle volte aveva un sorriso birbone stampato sul volto. Nonostante l'aspetto poco curato, essendo un cuoco, era molto scrupoloso riguardo il proprio igiene personale.

“Scusami, capitano!” urlò, mentre cominciava a roteare l'arma che aveva in mano, spaventando non poco i propri avversari. Quest'ultima era un gigantesco martello da guerra, con l'impugnatura in pelle, pesante svariate centinaia di chili. “Ma sai, quando ci si diverte troppo, c'è sempre il rischio di farsi male!”

“Sei troppo severo, amico mio!” replicò Kinji, mentre creava un tornado di fuoco che spazzò via una batteria di cannoni. “Certe volte dovresti rilassarti di più!” seppure più basso dell'amico, Kinji era piuttosto alto, con le spalle larghe ed i capelli neri, leggermenti lunghi. Aveva gli occhi scuri, perennemente illuminati da una luce fanciullesca, una rada barba a coprirgli le guance, ed un sorriso scanzonato sulle labbra. Indossava dei pantaloni verdi, una panciera della stesso colore ed una maglietta bianca. Sulla schiena portava il fodero della sua fida lama, Eiji, mentre le mani erano coperte da guanti di pelle scura, con le dita libere dalla copertura.

“Rilassarmi?! Ah, questi giovani!” Loock scoppiò a ridere, mentre girava su se stesso in maniera sempre più frenetica. Infine, quando ebbe raggiunto una rotazione sufficientemente veloce, decise di agire.

“Fury's Hammer!”

Il cuoco si bloccò di colpo, facendo leva sulle proprie gambe. La sua arma invece, sfruttando la forza centrifuga, creò una gigantesca onda d'urto, che scagliò via diverse decine di marines.

“Andiamo! E non avevo neanche raggiunto la velocità di rotazione massima!” si lamentò il gigantesco pirata. “Sta a vedere che non devo neanche sfoderare i miei poteri...che noia!”

“Non lamentarti!” lo rimproverò Kuroc. Quest'ultimo era più basso del suo capitano, ma più largo di spalle. Aveva i capelli corti e grigi, con gli occhi neri e profondi. Il volto era bello e raffinato, e ricordava vagamente il muso di un felino, anche se una cicatrice biancastra, che gli partiva dalla tempia sinistra per arrivare sotto il mento, glielo sfigurava. Indossava stivali militari, pantaloni mimetici, ed un giubbotto di pelle, aperto, che rivelava un fisico muscoloso, solcato da una brutta cicatrice sul petto. Alla vita portava un cinturone, da cui pendeva il fodero, in legno, di Doragon no buresu. “Sembri una vecchia zitella!”

“E tu tra poco sarai una schiacciatina all'uvetta se non chiudi quella boccaccia!”

Kinji rise di cuore. Si stava divertendo un mondo, ed il siparietto tra i suoi due nakama non faceva che aumentare la propria ilarità.

“Ragazzi! Formazione speciale!” urlò, alzando Eiji verso il cielo.

“Ancora?” si lamentò Kuroc. “L'abbiamo usata anche prima per entrare!”

“Oh, andiamo!” lo supplicò l'amico. “Mi diverto troppo a farla!”

“Tu sei completamente pazzo!” osservò Loock, sorridendo sotto i baffi.

“Forza, non perdete altro tempo! Formazione speciale da combattimento: drago volante!”

Senza dire altro, Loock e Kuroc si posizionarono dietro a Kinji, caricando le armi all'indietro, il tutto sotto lo sguardo perplesso dei loro nemici.

“Ed uno...” cominciò lo spadaccino.

“E due...” proseguì il cuoco.

“E tre! Andiamo!” concluse il capitano.

Subito dopo, i due pirati crearono un fendente congiunto di energia, che prese in pieno sulla schiena Kinji. Quest'ultimo, sfruttando la spinta ricevuta, cominciò a roteare su se stesso in aria, creando un tornado di fiamme bianche che attraversò tutta la piazza, distruggendo ogni cosa.

“Yuhuuuuuuuu!” urlò il pirata. Si divertiva un mondo a roteare ad altissima velocità, era come essere al parco giochi. “Questa è vita, ragazzi!”

Purtroppo, Kinji calcolò male l'energia della rotazione, andando a scontrarsi contro l'edificio principale, creando un'immensa esplosione, e distruggendolo in buona parte. Kuroc e Loock si spaventarono a morte, correndo subito in mezzo alla polvere ed ai calcinacci per recuperare ciò che restava del loro folle capitano.

“Kinji!!” urlò lo spadaccino, il volto teso per la preoccupazione. “Rispondi, razza di idiota!”

“Kinji! Ragazzo mio, sei ancora vivo?!” gli fece eco il gigantesco cuoco, mentre sollevava enormi blocchi di cemento durante la ricerca.

“Per me, questa volta si è rotto tutto.” borbottò poi, mentre osservava la base nemica ridotta in pezzi. “Quel pazzo! Solo lui poteva pensare ad una tecnica del genere!”

Alla fine, dopo alcuni minuti di affannosa ricerca, udirono le risate del moro. Quando la polvere si dissolse del tutto, i due pirati poterono osservare il loro capitano ridere con gusto in mezzo alla rovina da lui appena creata, completamente illeso.

“Ahahahaha! Ragazzi, ci facciamo un altro giro?!”

Subito dopo, i due lo spalmarono al terreno, tramite due terrificanti pugni in testa.

“Razza di babbeo!” ringhiò Kuroc. “Ed io che mi stavo preoccupando per te!”

“Uff! Come siete permalosi!” borbottò Kinji, alzandosi e spazzolandosi la polvere dai pantaloni. Successivamente, il giovane pirata osservò la piazza mezza distrutta attorno a loro. “Che fine hanno fatto tutti?”

“Credo che abbiano tentato di salvarsi dalla tua pazzia.” rispose Loock, appoggiandosi al martello. “Niente male ragazzi! Kita sarà fiera di noi!”

“Io non ci conterei troppo...” borbottò lo spadaccino. “Se Kita ed Hysperia erano ancora dentro la base, a quest'ora saranno sepolte sotto una montagna di macerie, e Milo con loro. Se mai dovessero uscirne, sono sicuro che quella pazza ce la farà pagare cara.”

I due amici non risposero, consapevoli che, con molta probabilità, Kuroc aveva ragione.

Avevano fallito miseramente anche quella volta.

 

 

Milo sospirò, osservando il cielo sopra di lui.

“Cosa c'è, tesoro?” domandò premurosa Kalì, mentre gli puliva la ferita alla gamba, e gliela fasciava con il kit che si portava sempre dietro.

“Niente...” borbottò il navigatore, accarezzando distrattamente Shun, il quale sembrava indispettito dal non essere considerato con il dovuto rispetto. “E' solo che...anche stavolta sono stato un peso. Senza contare che non posso neanche vendicare la scomparsa della Kuin.”

“Non devi crucciarti, piccolo angelo.” lo consolò, sempre più mielosa, l'amazzone. “Tu sei il navigatore, combattere non è tra i tuoi compiti.”

“Un uomo che non sa badare a se stesso non dovrebbe navigare in questo mare!” replicò di malumore il moro. “Insomma, guardami! Tutti stanno rischiando la vita, in questo momento, tranne me! È...frustrante!”

La dottoressa terminò la fasciatura, stringendola bene. Successivamente, si alzò.

“Non crucciarti Milo. Ognuno di noi è portato in alcune cose ed altre in cui è meno portato. Tu sei un ragazzo intelligente, e sei bravissimo nello svolgere il tuo compito all'interno della ciurma, non ti sembra più che sufficiente?”

Milo sospirò. Comprendeva quello che l'amica voleva dirgli, ma la sensazione di malessere non passava.

“Dai, basta con quel muso! Forza! Andiamo dagli altri! Sono sicuro che Kinji sarà felicissimo di vederti!” esclamò la mora, aiutandolo ad alzarsi. Il navigatore non disse nulla. Si fece guidare in silenzio, immerso nei propri pensieri.

Devo diventare più forte! Altrimenti non potrò mai realizzare il mio sogno! Lo devo ai miei amici...ed anche a te, nonno.

 

 

Erza si nascose dietro un muro, imprecando silenziosamente. Mettere fuori gioco le guardie si stava rivelando più difficile del previsto. Erano numerosi, ben armati ed animati da intenzioni poco amichevoli.

“E' andata da quella parte! Forza forza, svelti!”

Siamo poco socievoli da queste parti, eh?

Impugnò meglio le proprie pistole, rigirandosi nervosamente tra i denti una sigaretta nuova. Successivamente, una volta fatto un conto approssimativo dei nemici, andò allo scoperto, sparando all'impazzata. Dalle sue pistole uscirono decine di proiettili d'aria, che stesero in poco tempo i marines. Nel giro di un paio di minuti, della ventina di uomini che le stavano dando la caccia, non ne era rimasto in piedi nessuno.

La bionda sorrise.

“Te la sei presa comoda, eh?” dichiarò con voce tranquilla. “Un aiuto non sarebbe stato cosa sgradita.”

“Una mano? E perchè?” rispose Kita, scendendo da un tetto vicino. “Te la stavi cavando così bene...probabilmente a quest'ora lo sapranno anche i sassi in fondo al mare che vogliamo rubare una nave.”

“Molto spiritosa...” replicò sarcastica la cecchina. “Sai, non credevo che l'umorismo fosse tra le tue qualità.”

“Magari se la prossima volta aspettassi anche me...”

“Uffa, quanto sei noiosa! Sembri Kuroc! Su forza, vediamo di risolvere questa situazione il prima possibile. Ci serve una nave piuttosto veloce, quindi direi di evitare le corazzate: ci sarebbe solo d'impaccio una nave così lenta e goffa.”

“Concordo.” rispose la Full Metal Bitch. “Muoviamoci! In piazza quei tre impiastri devono aver esagerato, ho visto che hanno mezzo distrutto l'edificio principale.”

“Tipico di Kinji.” borbottò la bionda. “Se non distrugge qualcosa non è mai soddisfatto.”

“Con quell'idiota ci farò i conti più tardi, ora dobbiamo sbrigarci.”

Subito dopo, le due donne si diressero verso i moli, mischiandosi con le ombre della notte.

 

 

“Che noia!” si lamentò il capitano. “Quanto tempo dobbiamo stare qui a non fare niente? Sto cominciando ad annoiarmi!”

“Possibile che ragioni sempre come un moccioso?” borbottò Kuroc, osservando la piazza deserta attorno a loro. “Questo silenzio non mi piace...”

“Forse sono fuggiti tutti?” domandò sbadigliando Kinji.

“No, non credo.” dichiarò Loock. “Sono troppo stupidi per farlo.”

In quell'istante, accaddero molte cose.

Numerose granate volarono sulla piazza, esplodendo, e rilasciando una luce accecante. Presi in pieno, i tre pirati poterono fare ben poco. Poi, mentre cercavano di riprendersi il prima possibile, una nuova scarica di bombe cadde su di loro, rilasciando stavolta gas irritante.

“E' gas!” urlò Kuroc, riparandosi il volto con un braccio. Nonostante la confusione creata dalle esplosioni, poteva udire facilmente il rumore di numerosi individui che si avvicinavano alla loro posizione. “Ci stanno attaccando! State attenti!”

“Aiutooooo!” urlò Kinji da un punto indeterminato alla sinistra dello spadaccino. “Non riesco a muovermi!”

Il vice capitano imprecò sonoramente.

Se non faccio subito qualcosa siamo fottuti!

Facendo forza sulla propria spada, Kuroc fendette l'aria davanti a sé. Il risultato fu uno spostamento abbastanta potente da spazzare via il gas, permettendo loro di riaprire gli occhi. Non appena riusci a riabituarsi alla fioca luce lunare, il pirata si guardò intorno, alla ricerca dei suoi compagni. Loock, seppur ancora stordito dal gas, sembrava illeso, Kinji invece era intrappolato dentro una rete metallica, da cui tentava invano di liberarsi.

“Aiutatemi!” si lamentò, fumando dalle narici. “Questa roba...non riesco a romperla!”

“E' agalmatolite!” urlò Loock. Nello stesso istante, una carica di nemici li investì, costringendoli a difendersi a fatica contro forze cento volte superiori. “Credono che tu abbia i poteri di un frutto del diavolo!”

“Beh, non è così! Quindi ora toglietemi questa cosa!” sbuffò il capitano, sempre più impigliato tra le maglie della rete.

“Sai, se avessi il tempo, lo farei anche!” replicò stizzito Kuroc, parando otto fendenti di spada contemporaneamente. Successivamente, con un'abile giravolta, si liberò dei propri avversari, solo per vederne altri dieci venirgli addosso.

Stanno cercando di sopraffarci con la forza dei numeri!

I due pirati furono costretti lentamente ad indietreggiare, continuamente attaccati, e quindi incapaci di attuare una tattica di difesa efficace. Se non si inventavano qualcosa al più presto, Kinji sarebbe stato catturato, mettendoli in una situazione complicata.

“Hai qualche idea?” urlò lo spadaccino a Loock, mentre liquidava cinque marines, solo per vederne altri sei attaccarlo.

“Accetto suggerimenti!” replicò infuriato il cuoco, roteando la propria arma. La tecnica del nemico era quella di prenderli per sfinimento, attaccandoli senza sosta. E per ora stava funzionando.

Siamo fottuti! Pensò Kuroc, indietreggiando ancora. Ancora un paio di passi, e Kinji sarebbe stato alla mercè della Marina, con tutto quello che ne conseguiva.

In quell'istante, da dietro le linee nemiche, arrivò qualcuno. Si udirono urla di dolore, ed i marines davanti ai pirati sembrarono esitare, guardandosi le spalle. Subito dopo, un'onda d'urto si alzò verso il cielo, sollevando centinaia di nemici. In mezzo a quella forza distruttiva, c'era Hysperia, spade in pugno, che si muoveva, leggiadra e leggera come una ballerina, sfoderando un'agilità ed una potenza sovrumana. Ogni colpo di spada della mora frantumava qualsiasi difesa, ogni fendente creava un'energia immensa, che distruggeva ogni cosa sul suo cammino. Eppure l'assassina non sembrava neanche combattere, sfiorando appena il suolo con gli stivali, tra una pausa di qualche nanosecondo tra un'attacco e quello successivo, per poi riprendere la propria danza di morte. Il tutto ad una velocità inumana. Nel giro di qualche secondo, l'intero corpo d'assalto era stato annientato.

“Salve ragazzi.” esordì la donna, il respiro tranquillo come sempre. I propri movimenti velocissimi le avevano fatto scivolare via il cappuccio dalla testa, rivelando un taglio di capelli corto, a caschetto, con due ciuffi più lunghi ai lati delle tempie. “Mi sembra di capire che vi serviva una mano.”

“Hysperia!” urlò Kinji da dentro la rete. “E' bello vederti! Dov'è Milo?”

“E' con Kalì e Shun. Mentre Kita ed Erza stanno recuperando una nave per la fuga. Noi dobbiamo limitarci a resistere finchè non si saranno messe in contatto con noi.”

“Resistere? Ed a cosa?” dichiarò sarcastico Kuroc, mentre cominciava a liberare il proprio capitano. “Non mi sembra che possano ancora nuocere.”

“Ho ferito il tuo orgoglio per caso?” replicò con voce bassa Hysperia, rinfoderando le spade, gli inquietanti occhi viola fissi su di lui. “Tranquillizzati. C'è ne sono ancora parecchi, e tra un paio di minuti saranno di nuovo qui. Avrai la tua parte di gloria.”

“Sono tutto un fremito.” sbuffò l'altro, mentre faticava più del previsto a liberare Kinji. “Se voi due vi degnaste di darmi una mano, non mi offenderei mica!”

“Quella è una rete di agalmatolite marina.” replicò Loock. “Non possiamo darti una mano noi, in quanto possessori di un frutto del diavolo.”

“Tante grazie per la spiegazione!” alla fine, dopo un altro minuto di fatica solitaria, Kinji fu libero.

“Ahhh! Finalmente! Sai Hysperia, se non fossi arrivata tu, a quest'ora sarei stato sicuramente catturato! Grazie mille!”

La donna si limitò ad un veloce cenno del capo. In quell'istante, dall'altra parte della piazza sbucarono fuori Kalì, Milo e Shun, che osservarono sconvolti il numero di marines caduti al suolo.

“Milo!” urlò il capitano, sollevando un braccio per salutare i nuovi arrivati. “E' bello vedere che stai bene!”

“Che cosa è successo qui?” domandò sconvolto il navigatore. “E' passato un re del mare?”

“Niente di tutto questo.” rispose sorridendo Loock. “Solo Hysperia che ha deciso di 'ballare'!”

“Hysperia!” esclamò Kalì, il tono di voce severo. “Dovresti vergognarti di aver fatto del male a così tante persone!”

“Mi farò perdonare più tardi.” replicò freddamente lei, mettendosi in posizione di guardia. “Abbiamo visite.”

Davanti a loro c'erano circa duecento marines, armati di tutto punto, dietro a due batterie di cannoni, da dieci pezzi l'una.

“A quanto pare vogliono prenderci a cannonate.” osservò Loock, sorridendo.

“E' la fine! Siamo finiti! FINITI! Non riusciremo fai a sopravvivere ad una scarica di quel genere!” urlò disperato Milo, ondeggiando dalla paura.

Sul volto del capitano si dipinse un sorriso da lupo. Raccolse la propria spada, mentre lingue di fuoco bianche cominciarono a danzare attorno alla lama nera.

“Kalì, tu e Milo restate indietro.” ordinò.

“Pirati del Drago!” urlò successivamente, facendo in modo di farsi sentire anche dai nemici. “Mostrate loro di cosa è capace un vero pirata!”

“Avanti! Per la Kuin!”

Kinji, Loock e Kuroc scattarono in avanti, le armi pronte. Hysperia invece si leccò le labbra, sfoderando le balestre.

“Dance's water!” sussurrò.

Cominciò a ruotare su se stessa, in modo sempre più veloce, sparando dardi d'acqua all'impazzata. Decine e decine di colpi che falciarono i nemici, ruppero i sostegni dei cannoni, e misero in fuga la prima linea della Marina, permettendo ai suoi tre compagni di penetrate nelle loro difese come un coltello nel burro, spargendo morte e distruzione tra le file nemiche.

Pochi minuti dopo, il silenzio era di nuovo scese sulla piazza.

“Beh, non è andata male.” esordì Kinji, sorridendo sopra i corpi morti dei loro nemici. “Penso che gli sia bastata per oggi.”

“Concordo.” dichiarò Kuroc, riponendo la spada nel fodero. “Non credo che ci disturberanno ancora.”

In quell'istante, la miniradio snail di Hysperia suonò.

“Qui è Kita.” la voce della Full Metal Bitch risuonò forte e chiara. “Abbiamo la nave. Come va laggiù?”

“Direi bene.” rispose pacata la mora, fumando la propria pipa. “Ci siamo riuniti tutti. Diteci dove raggiungervi.”

“Dirigetevi verso il molo principale, vi aspettiamo lì tra dieci minuti.” successivamente, Kita chiuse la comunicazione.

“Perfetto! Direi che è ora di andare!” esordì Milo. “Prima lasciamo questo posto, meglio è!”

“Voi andate pure.” disse Kinji, osservando l'imponente fortezza davanti a lui. “Voglio prima fare una cosa.”

“Cosa?” domandò lo spadaccino.

Il capitano sorrise.

“Voglio fare un funerale per la nostra nave.”

Gli altri capirono subito cosa intendeva con quelle parole.

“Molto bene.” replicò Loock, mettendosi il martello in spalla. “Ti aspetteremo al molo principale. Non farci aspettare troppo.”

“Stai tranquillo!” rispose il moro, un sorriso obliquo sul volto. “Sarà una cosa veloce.”

Attese che i propri nakama si fossero allontanati a sufficienza. Poi, radunando il proprio potere sulle mani, sferrò il proprio attacco.

“Fire Punch!”

Un enorme pugno di fuoco fuoriuscì dalla mano sinistra, andando a colpire l'edificio principale. Il pirata ripetè la mossa fino a quando fu sicuro che l'incendio non fosse possibile domarlo. Dopo, cominciò a dirigersi verso il molo principale, mentre i marines rimasti in piedi dallo scontro precedente tentavano invano di domare le fiamme.

Questo è per te, amica mia!

 

 

La ciurma dei pirati del Drago osservò l'incendio da distante, mentre a bordo di una caravella militare si allontanava dalla base del G6.

“Devo dire che da lontano è ancora meglio!” dichiarò Kinji, mentre salutava mentalmente la loro nave, ormai persa per sempre.

“Può essere...” replicò Kuroc, il volto scuro. “Ma è indubbio che abbiamo lasciato dietro di noi una traccia evidente. Non vorrei che quell'ammiraglio tornasse alla carica.”

Il silenzio che seguì le sue parole fu denso di significato.

“Quel bastardo ci ha affondato la nave, cosa vuole di più?” borbottò Erza, indossando i suoi fidi occhiali da sole.

“Che cosa pensi che facciano i marines a dei pirati, Barbie?” replicò sarcasticamente lo spadaccino.

“Ehi, mi rifiuto di prendere lezioni di logica da un buzzurro maschilista come te!”

“Piantatela!” dichiarò Loock. “La situazione è grave, e Kuroc ha ragione: sarebbe stato meglio evitare di lasciare una traccia dietro di noi così vistosa. Milo, qual è la nostra prossima destinazione?”

Il navigatore studiò il Log Pose che teneva al polso.

“Secondo i miei calcoli, dovremmo dirigerci verso l'isola degli uomini pesce.”

“Isola degli uomini pesce? Se non sbaglio, da lì ci si dirige nel Nuovo Mondo.” A Kuroc non sfuggì che, mentre stavano discutendo, Kita si incupì, volgendo lo sguardo verso il basso. “Credo che sia la soluzione migliore raggiungere il prima possibile il Nuovo Mondo. Una volta laggiù, sarà più facile depistare eventuale inseguitori.”

“Sono d'accordo.” dichiarò Kinji, senza smettere di osservare l'incendio da lui causato, ormai lontano. “Raggiungeremo il Nuovo Mondo con questa imbarcazione. Una volta laggiù ci procureremo una nuova nave, con la quale proseguiremo il nostro viaggio.”

Gli altri non aggiunsero nulla, cominciando a preparare la nave per la navigazione. Mentre in lontananza le fiamme divampavano vivide nel cielo scuro della notte.

 

 

“Qual è la situazione?”

“La base è completamente distrutta, a causa di un incendio doloso. Dei cinquemila marines che erano di stanza, circa novecento sono morti, mentre altri milletrecento sono rimasti gravemente feriti.”

“Navi?”

“Illese, ad eccezione di una decina di corazzate a cui è stato manomesso il timone. Una è stata rubata: una caravella, adatta alle missioni di ricognizione.”

Smoker si rigirò i sigari tra i denti nervosamente.

“Non sono certo buone notizie.” borbottò, la voce bassa e minacciosa. “Quei mocciosi si sono divertiti a prenderci per il culo.”

Tashigi si sistemò nervosamente gli occhiali, cercando di evitare di incrociare lo sguardo del suo superiore.

“Quel piccolo, sudicio stronzetto.” proseguì Smoker, soffiando fuori il fumo con rabbia. “Immagino che si sia divertito a distruggere tutto...” le mani del grandammiraglio si contrassero spasmodicamente, quasi sperasse di poter strozzare sul momento Kinji.

“Signore...” si azzardò a parlare Tashigi. “Di fronte alla gravità di tali azioni, ritengo che sia doveroso e necessario mettere una taglia molto più alta sulla testa di questo Boa D. Kinji, per non parlare dei membri della sua ciurma.”

Smoker si alzò di scatto, andando ad osservare dalla finestra le fortificazioni del QG della Marina. Rimase fermò, in silenzio, per parecchi minuti, sbuffando fumo ad intervalli regolari dalle narici, riflettendo attentamente su tutto ciò che aveva appena saputo.

“No.” rispose infine, girandosi e volgendo le spalle alla luce del sole. “Non voglio inutili allarmismi. La taglia su quello stronzetto non deve superare per nessun motivo i cento milioni.”

La donna fu convinta di non aver sentito bene.

“Come?” chiese, sconvolta.

“Sei sorda per caso?!” replicò l'albino, irritato dal vedere la propria sottoposta incapace di comprendere. “Non voglio dare visibilità a quello straccione. Sarebbe la peggior cosa da fare in questo istante.”

“Ma lei deve dare una dimostrazione di forza!” esclamò Tashigi. “Non è la prima volta che quel pirata sfida la Marina, e questa notizia non passerà in silenzio. Non appena si saprà che una piccola ciurma di pirati è stata capace di distruggere una delle migliori basi della Marina nella Grand Line, i giornalisti di tutto il mondo...”

“Giornalisti!” la interruppe Smoker, masticando con disprezzo quella parola. “Quei dannati pennivendoli non fanno altro che campare con le nostre disgrazie! Sono peggio degli avvoltoi in cerca di carogne!”

“Posso capire che nella sua posizione la stampa possa risultare non molto simpatica.” proseguì l'ufficiale. “Ma temo che anche stavolta non ci andranno leggeri con lei. La gente si aspetta una nostra risposta a questa rinnovata emergenza sulla pirateria: una risposta netta e forte.”

“Che aspettino, allora!” replicò sprezzante l'uomo. “Tashigi, voglio che questa notizia passi sotto traccia. Non ne voglio una sola, singola parola sui giornali è chiaro? Per i prossimi sei mesi, la base del G6 deve essere un argomento tabù.”

“Ma perché, signore?” chiese la mora, perplessa. “Lei ha sempre odiato queste manovre di insabbiamento.”

“E' vero.” ammise Smoker. “Ma sai anche tu che quella ciurma è un caso...particolare. Ho ricevuto ordini precisi da Marijoa, e per quanto detesta ammetterlo, questa volta ho le mani legate: se non obbedisco in tutto e per tutto, mi fanno fuori.”

“Sta parlando dell'incarico dell'ammiraglio Furamingo?”

“Esattamente! Quell'incarico non proviene da me, ma da Marijoa. Non ho idea del motivo, ma sospetto che centri il fatto che, all'interno di quell'equipaggio pirata, sia presente una certa disertrice di nostra conoscenza.”

“Kita Hirati?! Ma perché i Draghi Celesti dovrebbero essere interessati a lei?”

“Lo ignoro.” mormorò il grandammiraglio, soffiando fuori il fumo in modo più riflessivo. “Tutto quello che so è che questa faccenda non deve avere pubblicità. Perciò, fino a nuovo ordine, quella ciurma non esiste per noi. Ci penserà Furamingo a sistemare a faccenda. Del resto, se non sbaglio, quei pirati sono diretti a Sabaody, giusto?”

“Immagino di sì.” rispose Tashigi. “Sabaody è l'unico posto dove possono rifornirsi del necessario per raggiungere il Nuovo Mondo. Passeranno sicuramente da lì se vogliono oltrepassare la Linea Rossa.”

“E' anche vicino a Marineford...” Smoker si risedette, unendo le mani dietro alla nuca. “Dai ordine a Furamingo che ha carta bianca: potrà prendere tutti gli uomini ed i mezzi che desidera da Marineford per portare a termine questa missione. Prima ce ne sbarazziamo, meglio è!”

“Sissignore!” dopo aver rivolto il classico saluto militare, Tashigi uscì, per adempiere ai suoi nuovi compiti.

Smoker depose un sigaro, ormai finito, sul posacenere, strapieno, accendendosene subito un altro. La situazione era critica. Quel moccioso era esattamente come suo padre: testardo e fortunato. Se non lo fermava subito rischiava di diventare una mina vagante, e il Nuovo Mondo era l'ultimo posto dove avrebbe desiderato vedere un individuo del genere. Fare il leccapiedi dei Draghi Celesti non gli piaceva neanche un po', ma quella era un'opportunità per liberarsi di un personaggio scomodo, e di placare gli irritati Draghi Celesti, che sempre meno tolleravano l'assenza di servilismo da parte della Marina nei loro confronti. In sintesi, era un'operazione rischiosa, ma anche perfetta.

Furamingo...mi affido a te. So che non mi deluderai.

Perché, se anche l'ammiraglio più fidato che aveva falliva, allora per lui, e per la Marina come la conosceva, era davvero la fine.

 

 

CONTINUA

 

Bene, anche questo secondo capitolo è terminato. Come mi è parso di capire dalle recensioni del primo, questo salto temporale ha lasciato un pizzico di delusione per non aver visto il reclutamento della ciurma di Kinji. Posso assicurarvi che questo incoveniente verrà risolto tramite dei flashback, che ripercorreranno i momenti più salienti dell'avventura di Kinji e della sua ciurma prima di arrivare alla base del G6. Intanto, per fare un po' di ordine, metterò qua sotto nomi, ruoli e taglie della ciurma (taglie che sono precedenti all'assalto della base narrato in questi primi due capitoli).

 

Boa D. Kinji: capitano; Taglia: 63 milioni di berry;

Kuroc Watsani: vice capitano; Taglia: 55 milioni di berry;

Kita Hirati: primo ufficiale e tesoriere; Taglia: 50 milioni di berry;

Loock: cuoco; Taglia: 45 milioni di berry;

Hysperia: assassina e ladra professionista; Taglia: assente;

Kalì: medico di bordo; Taglia: assente;

Erza: cecchino; Taglia: assente;

Milo: navigatore; Taglia: assente;

Shun: animaletto domestico di Kalì; Taglia: assente;

 

Bene, direi che per ora è tutto! Come sempre spero che il capitolo vi sia piaciuto e che vogliate lasciarmi un vostro parere.

Un saluto!

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Capitolo 3
*** Ricordi: il nipote di un bugiardo ***


Capitolo 3

 

 

Sei mesi prima, East Blue, isola Sthiv.

 

 

“La vuoi smettere di mangiare una buona volta?!”

Kinji si girò a guardare i propri compagni, la bocca tesa fino all'inverosimile per contenere tutto il cibo.

“Cofa f'é?” sputacchiò in faccia ai suoi nakama.

“C'è che mi dai il voltastomaco!” ringhiò Kita, pulendosi con stizza la faccia dagli sputi del proprio capitano. “Sono ore che non fai che ingozzarti come un maiale, quando il nostro scopo qui è un altro.”

“Davvero?” il capitano ingoiò, con un colpo solo, tutto ciò che aveva appena trangugiato, attaccando l'ennesimo piatto di carne. “Che cosa?”

“Raccogliere informazioni sulla Grand Line.” rispose Kuroc, lo sguardo impassibile. “Non avendo un navigatore, non possiamo partire senza avere un'idea di quello che ci attende.”

“Esattamente!” Kita cominciò a sorseggiare la propria birra gelata. “Su quest'isola dicono sia vissuto un famoso esploratore diversi anni fa, forse riusciremo a procurarci il suo diario di bordo, ma abbiamo bisogno di sapere se è ancora in vita o se possedeva degli eredi.”

In quell'istante, il barista, un uomo basso, tarchiato, con il volto largo e sudato, contornato da due folti baffi rossicci, si avvicinò, squadrandoli con fare critico.

“Beh?! Che cosa vuoi?!” chiese sgarbatamente la Full Metal Bitch.

L'uomo portò le mani ai fianchi, nel tentativo di apparire minaccioso.

“E così voi sareste alla ricerca del diario del vecchio Stich?” domandò con fare aggressivo. “Andate via da quest'isola! Non vogliamo avvoltoi o altri sgradevoli individui di quel genere, da queste parti!”

“Ci ha frainteso.” iniziò a dire Kuroc. “Non vogliamo rubare niente, siamo solo alla ricerca di...”

“Non mi interessa!” replicò irato l'uomo. “Andatevene subito dal mio locale! E anche da quest'isola!”

Kita terminò di bere la propria birra con un ultimo, lungo sorso. Poi, appoggiando con forza il boccale al tavolo, si alzò, osservando dritto in faccia il barista.

“E se io non volessi andarmene?” domandò con voce bassa e minacciosa. “Cosa farai, palla di lardo? Cercherai di soffocarmi con la puzza della tua pancia?”

Nel locale scese il silenzio. La clientela osservò i due con fare preoccupato, mentre alcuni avventori, probabilmente gente del posto, si alzarono, andando dietro il barista per aiutarlo.

“C'è qualche problema, Argo?” domandò uno di loro.

“Questi tre disgraziati vogliono rubare il diario del vecchio Stich!” spiegò loro il barista di nome Argo. “Glielo ho sentito dire con le mie orecchie, lo giuro!”

Gli avventori si guardarono in faccia per qualche secondo, scoppiando successivamente a ridere. Facendo imbestialire il vecchio Argo.

“Siete i soliti codardi senza un briciolo di orgoglio!” urlò, il volto rosso per l'emozione. “Come potete reagire così di fronte a gente che vorrebbe infangare un nostro grande concittadino?!”

“Andiamo Argo! Tu vedi ladri, impostori ed opportunisti ovunque! Se fosse per te, anche il Governo Mondiale starebbe cercando il diario di quel fanfarone!”

“F...f...” il barista sembrò non riuscire a parlare da quanto era arrabbiato. “Fanfarone?!” sbraitò infine. “Fuori! FUORI! Uscite subito dal mio locale, razza di ubriaconi senza un minimo di orgoglio!”

“Sei troppo permaloso.” provò a spiegare uno dei clienti, a nome di tutti. “Sappiamo tutti che eri un grande amico di Stich, ma...”

“Proprio perché ero un suo amico cercherò di non prendervi a fucilate!” replicò Argo. “Stich odiava la violenza, e non avrebbe approvato...ma ora FUORI!”

“Ed ora, razza di manigoldi!” dichiarò l'uomo, una volta aver fatto sgombrare il locale dalla gente del posto, che uscì ridacchiando e scuotendo la testa. “Possiamo riprendere il discorso da dove l'avevamo interrotto.” si rimise di fronte a Kita, la quale aveva osservato la scena di prima con vaga perplessità. “Che cosa stava dicendo riguardo la mia onorabilissima pancia?!”

“Chi è Stich?” chiese Kinji, che fino a quel momento aveva osservato il tutto con indifferenza. “Era un suo amico?”

“Non sono affari vostri!” rispose sgarbatamente Argo. “Andatevene, prima che perda la pazienza!”

Il giovane capitano si alzò lentamente, il volto impassibile. Superò il vecchio barista senza dire una parola, seguito da Kuroc ed, infine, da Kita. Quest'ultima, prima di uscire, si girò, a fissare il combattivo oste.

“Questa volta ti sei salvato, oste.”

Successivamente uscì, sbattendo con violenza la porta, con i vetri delle finestre che tintinnarono pericolosamente.

 

“Che vecchietto strano!” dichiarò Kinji, sbadigliando. “Chi sarà mai?”

“Un idiota che solo per caso non ho ucciso.” rispose la bionda, di pessimo umore per essere stata scacciata come l'ultima delle straccione.

“Ha parlato di un certo Stich.” dichiarò Kuroc. “Credo sia il nostro uomo. Quel vecchio pazzo ha avuto quella reazione solo dopo che abbiamo parlato di diari di bordo. Sono convinto che se chiediamo in giro troveremo facilmente ciò che cerchiamo.”

“Credo tu abbia ragione.” ammise Kita. “Il villaggio è piccolo. Direi di dividerci, e di ritrovarci, qui, nella piazza principale, tra un paio d'ore.”

“D'accordo!” dichiararono gli altri due compagni.

 

L'isola Sthiv era una piccola isola rocciosa, situata sulla rotta per Mock Town. Si caratterizzava per il paesaggio desolato e spoglio, una sterminata distesa di sassi e rocce arse dal sole e dalla pioggia, dove in mezzo si elevava un altopiano, in cima al quale era situato il villaggio di Sthiv, da cui prendeva nome l'isola. Nonostante fosse composto solamente da una cinquantina di case, posizionate ai limiti dell'altopiano, dove erano situate le sorgenti dell'unico fiume dell'isola, il villaggio era spesso luogo di rifugio per viaggiatori, pirati, mercanti, cacciatori di taglie, tutti diretti alla Grand Line, in cerca di fortuna.

Gli abitanti di Sthiv erano, in linea di massima, cordiali e gentili con tutti. Consapevoli dell'importanza strategica della loro isola, si erano attrezzati per ricevere qualsiasi tipo di ospite il mare portasse loro. Tuttavia, di fronte a nuovi arrivi ostili, erano capaci di prendere le armi e difendersi. La posizione del loro villaggio, in questo caso, era strategica, situata in cima ad un altopiano, la cui unica via di accesso era un sentiero di montagna, facilmente difendibile.

Kinji girò per le strade rivestite di pietre per oltre un'ora, chiedendo a chiunque di un certo Stich. Tuttavia, a chiunque domandasse, la risposta era sempre la stessa.

“Stich? Cosa vi interessa di quel fanfarone? Non sarete mica interessati alle storielle che andava in giro a raccontare?”

Alla fine, ormai sull'orlo di una crisi di nervi, il giovane capitano chiese, a quella che probabilmente era la cinquantesima persona, con la convinzione ferrea che, se anche stavolta non l'avessero preso sul serio, sarebbe scoppiato.

“Stich? Lo conoscevano i miei, era proprio una brava persona!” rispose una giovane donna, sulla trentina, alla sua domanda. Immediatamente, il moro focalizzò la propria attenzione su di lei.

“Davvero? Lo conosce?”

“Sì, ma ormai è morto da molti anni, più di dieci.” la donna lo fissò con pacata curiosità. “Perché vi interessa?”

“Oh, mi sarebbe piaciuto porgli qualche domanda.” rispose, di nuovo demoralizzato, il giovane capitano. “Ma se dite che è morto...”

“Beh, lui sì, però il nipote vive ancora qui.”

“Davvero?! E chi è? Dove lo posso trovare? Come si chiama???”

“Beh...” la sua interlocutrice parve a disagio di fronte al suo entusiasmo. “Si chiama Milo, abita vicino al sentiero che porta al mare. L'ultima casa prima della fine del villaggio, non potete sbagliare.”

“Evviva!” Kinji abbracciò di gioia la ragazza, felice per le notizie ottenute. “Grazie mille!”

“Pr...prego...” e prima che la donna potesse capire cosa era successo, il moro era già scomparso, diretto alla piazza principale, per incontrare i propri amici.

 

Quando arrivò li trovò già sul posto.

“Ehi ragazzi!” esclamò tutto felice. “Ho scoperto dove si trova...”

“Il nipote del vecchio Stich.” concluse al suo posto Kuroc, lasciandolo di stucco.

“Ma...quindi...”

“Andiamo! Non era così difficile da scoprire!” lo prese in giro lo spadaccino.

“Uffa! Tanta fatica per niente!”

“Muoviamoci!” ordinò Kita, cominciando a dirigersi verso la casa di Milo Stich. “Prima risolviamo questa faccenda, meglio è.”

I due pirati la seguirono, senza notare che, occhi attenti sorvegliavano la piazza, annotando ogni cosa che si diceva.

 

La casa di Milo Stich era identica a tutte le altre abitazioni del villaggio. Una costruzione a due piani, con il tetto in legno, ed un paio di finestre sia al piano terra che al primo piano. L'unica differenza era dovuta alla grande quantità di oggetti sparsi per tutto il portico. C'è ne erano di tutti i tipi: statuine religiose intagliate nel legno, trottole di latta, coltelli esotici, vasi di ceramica impolverati e libri. Tantissimi libri sparsi un po' ovunque ed in qualsiasi condizione: da quelli con la copertina brillante, e le pagine pulite, ad altri con la copertina e le pagine stracciate, rotte ed impolverate.

“Un uomo ordinato, questo Milo.” osservò sarcasticamente Kuroc.

“Dai, entriamo a chiedergli del diario!” dichiarò Kinji, avanzando in mezzo al ciarpame senza farsi troppi scrupoli su cosa calpestava. Gli altri due preferirono invece evitare di creare possibili attriti con il proprietario.

Il capitano bussò con forza. Dall'interno, per circa un minuto, non arrivò nessuna risposta, ma poi la porta si aprì.

Ad aprire fu un ragazzo alto, magro, con i capelli castani ed arruffati. Indossava un paio di occhiali, dalle lenti tonde, che non riuscivano a nascondere due profonde occhiaie, rovinando così i suoi occhi scuri e gentili. I suoi vestiti, un jeans stinto ed una felpa rossa macchiata, davano l'idea di aver visto giorni migliori. Nonostante la giovane età, la sua faccia sembrava sciupata, come se dormisse troppo poco.

“Sì?” borbottò, trattenendo a stento uno sbadiglio.

“Salve! Cerchiamo Milo Stich, sei tu?” gli domando gioviale Kinji.

“Sì, sono io.” rispose il ragazzo, stropicciandosi gli occhi. “Sentite, se siete qui per quella vecchia storia del debito con il macellaio Morn posso subito dirvi che cascate male: non ho il becco di un quattrino.”

“Stai fraintendendo.” disse Kuroc. “Siamo qui perché saremmo interessati al diario di tuo nonno, l'esploratore.”

Nel sentire quelle parole, l'espressione di Milo cambiò. Da stanca ed apatica divenne furiosa nel giro di un secondo.

“Ancora con quella storia?! Non vi siete stancati?! Statemi bene a sentire, perché lo dirò per l'ultima volta: non è in vendita, ne ora ne mai. Preferisco che mi pignoriate la casa, ma quel diario non l'ho cederò mai, per nessuna cifra! Addio!” il moro provò a sbattere la porta in faccia ai tre, ma Kinji, con un movimento velocissimo del piede, glielo impedì.

“Che cosa volete ancora?!” urlò furibondo il ragazzo. “Andatevene subito!”

“Guarda che noi non siamo interessati a quel diario come pensi.” provò a spiegare Kinji. “Vogliamo solo...delle notizie riguardanti la Grand Line!”

Nel sentire quelle parole, Milo cambiò di nuovo atteggiamento in un secondo. Aprì di scatto la porta, sfoderando un sorriso entusiasta.

“Perché non l'avete detto subito? Prego, entrate!” esclamò, facendosi da parte.

I tre pirati si guardarono in faccia, vagamente perplessi.

“Per me questo è un po' svitato.” sussurrò lo spadaccino all'orecchio di Kita, la quale si limitò ad annuire.

La casa di Milo era un completo disastro. Libri, cartacce, vestiti ed oggetti di vario genere occupavano ogni tavolo, sedia o comodino della casa, mentre il pavimento sembrava che non vedesse una scopa da parecchio tempo. Nell'aria c'era odore di chiuso, mentre dalla porta della cucina si poteva vedere una pila di piatti sporchi dentro l'acquaio.

“Perdonate il disordine.” dichiarò il ragazzo, facendo strada attraverso il caotico salotto. “Ma sono spesso preso dai miei studi sulla Grand Line.”

“Studi? Di che genere?” domandò Kita, aprendo bocca per la prima volta.

“Di qualsiasi tipo!” rispose Milo, gli occhi che brillavano per l'eccitazione. “Geografia, morfologia, meteorologia, correnti marine, biologia del posto...la Grand Line è un posto immenso e pieno di misteri ancora irrisolti: penso che non basterebbero dieci vite per scoprire tutto ciò che è presente in quel mare.”

Salirono le scale, arrivando in una stanza con le pareti ricoperte di libri, finestra e tavolo compresi. Qui sembrava che ci fosse meno sporcizia, forse perché questa era coperta da pergamene e testi scritti di ogni tipo.

“Allora, avete detto di volere notizie sulla Grand Line. Che tipo di informazioni vi interessano?” chiese il ragazzo, buttandosi in mezzo alla montagna di fogli volanti che intasavano la scrivania, sfogliandoli freneticamente.

“Veramente, ci interesserebbe di più sapere qualcosa su vostro nonno.” osservò Kuroc. “Dicono sia stato un famoso esploratore.”

“Il migliore!” rispose con forza Milo, gonfiando il petto per l'orgoglio. “Pensa che è riuscito addirittura a raggiungere il Nuovo Mondo! Nel suo diario ha descritto ogni isola che ha visitato nel suo viaggio durato dieci anni, e vi posso assicurare che a leggerlo potreste trovarne di tutti i colori!”

“Ed è vero?” domandò Kita, appoggiandosi con la schiena al muro, incrociando le braccia.

Il ragazzo sembrò non capire.

“In che senso?”

“Hai delle prove che quel diario non sia solo una marea di frottole?” spiegò la bionda freddamente. “La Grand Line è un posto misterioso, ma proprio perché è poco conosciuta non ci vuole molto a creare racconti su quell'oceano, leggende che il più delle volte sono completamente false.”

“Mio nonno non era un bugiardo!” rispose con rabbia il moro, il volto sfigurato. “Era un grande uomo, il migliore che abbia mai conosciuto! Lui quelle avventure le ha vissute tutte, dalla prima all'ultima!”

“Ma davvero?” Kita sorrise sadicamente. “Isole sospese nel cielo, mostri marini grandi come isole, tribu cannibali ferocissime, città galleggianti...storie di questo genere non si contano neanche più ormai. Potrei andare al mercato di Mock Town e trovare almeno dieci farabutti giurare e spergiurare le stesse cose che hai appena detto tu. Quindi dimmi, come facciamo a sapere che il diario di tuo nonno, e quindi i tuoi studi che si basano su di esso, non sono solo una grossa truffa?”

Kinji e Kuroc erano convinti che Milo sarebbe andato su tutte le furie per quelle insinuazioni. Invece, sorprendentemente, il ragazzo abbassò lo sguardo, incurvando le spalle.

“Siete come tutti gli altri.” dichiarò con voce stanca ed afflitta. “Ormai non mi stupisco più...anzi, mi chiedo se esista in questo mondo almeno una persona disposta a credermi.”

“Io ti credo!” esclamò Kinji.

“Ma che cosa stai dicendo?” replicò stizzita Kita. “Smettila di dire stronzate!”

“Perchè?” domandò perplesso il giovane capitano, indicando il loro anfitrione. “Se lui dice che quel diario è vero, perché non credergli?”

“Perché non hai nessuna prova che suo nonno fosse un esploratore e non un bugiardo.” dichiarò la Full Metal Bitch.

“Mio nonno non era un bugiardo.” dichiarò Milo, ma la sua voce era priva di qualsiasi combattività. Si avvicinò alla finestra, da dove si poteva vedere il mare, prendendo in mano una vecchia foto che ritraeva un bambino di circa sette anni in braccio ad un uomo sulla cinquantina, con una folta barba bianca. Entrambi possedevano gli occhi scuri e gentili di Milo.

“Io sono cresciuto con mio nonno, è stato lui a crescermi quando i miei scomparvero.” spiegò con voce triste, accarezzando l'uomo dell'immagine. “Lui è stato il mio eroe, fin da piccolo. Non ho mai creduto, neanche solo per un istante, che tutte quelle storie meravigliose che mi raccontava ogni sera fossero bugie. In fondo, come poteva un uomo così buono, dolce e gentile essere un bugiardo? Perché avrebbe dovuto prendere in giro suo nipote? No, quelle storie erano vere, io ne sono sicuro. So bene che per dei perfetti sconosciuti come voi, questi sono solo dei farneticamenti, ma per me la sua parola vale più di ogni altra cosa. Quindi io continuerò a credere in lui e nel mio sogno!” nel finire del suo discorso la voce gli ritornò forte e combattiva. Milo si girò, credendo di trovare facce scettiche, invece ciò che vide furono tre volti profondamenti colpiti dal suo discorso.

“V-voi mi credete?”

“Io già da prima se è per questo!” rispose ridendo Kinji.

“Quello che hai detto non vale come prova, ma di sicuro è un discorso molto profondo.” osservò Kuroc. “E quando si parla così è difficile non credere a simili parole.”

Kita non proferì parola, ma i suoi occhi rivelavano che sembrava quasi divertita dallo spirito del loro anfitrione.

Milo rimase sul momento incapace di reagire. Poi, infine, sorrise, felice finalmente di aver trovato qualcuno che gli credeva.

“Grazie ragazzi!” esclamò. “Permettetemi di offrirvi qualcosa, come segno della mia gratitudine.”

“D'accordo! Spero che sia cibo!” urlò il giovane capitano.

“Cibo? Ehm...beh, diciamo che...la mia dispensa attualmente è...vuota.” dichiarò imbarazzato il moro. “Ma non vi preoccupate! Conosco un amico di mio nonno che sarà felicissimo di servirci qualcosa da mangiare!”

 

 

Quando Argo rivide quei tre giovani sbruffoni, mentre entravano nel suo locale, il suo primo istinto fu quello di prendere il fucile che teneva sotto il bancone.

“Ancora voi?!” sbraitò furibondo. “Non vi avevo detto di sparire da quest'isola?!”

“Tieni chiuso quel forno, oste.” fu la secca replica di Kita. “Abbiamo fame.”

“L'unica cosa che vi darò sarà del piombo caldo se non sparite da qui entro tre secondi!”

“Aspetta!” Milo si mise davanti a Kita, che era già pronta alla rissa, nel tentativo di fare da pacere. “Sono con me, Argo!”

“Il giovane Stich!” il vecchio barista rimase stupito. “Che cosa ci fa in giro con gentaglia come loro? Lo sa che vogliono impossessarsi del diario di suo nonno?”

“Non è così.” spiegò lentamente il moro, sorridendo nervosamente. “Sono solo dei viaggiatori che vogliono delle notizie sulla Grand Line. Pensa che mi credono! Credono veramente anche loro che il viaggio del nonno sia esistito!”

“Ma certo che è tutto vero!” ruggì Argo, dando al giovane studioso una violenta pacca sulla spalla, facendogli cedere le ginocchia. “Solo gli idioti di quest'isola credono che il mio vecchio amico Tobias fosse un bugiardo! Bugiardo lui! Non ha mai detto una sola bugia in tutta la sua vita, che la sua anima sia benedetta!”

“E cosi siete solo curiosi di sapere cosa c'è scritto in quel diario? Ma perché non l'avete detto subito?! Sarei stato più gentile, e vi avrei presentato io stesso il piccolo Milo!” proseguì l'oste, osservando con aria bonaria i tre pirati.

“Ciò provato!” si difese Kuroc. “Ma ogni volta che provavo a spiegarle la situazione, lei...”

“Dai dai, basta con le chiacchiere!” Argo li interruppe, spingendoli a forza verso una stanza a parte, dove era presente un tavolo rotondo, già apparecchiato, un camino spento ed una grande finestra ad arco, da dove si poteva osservare il mare. “Mangerete qui, nel mio salottino privato. Sistematevi pure con calma, mentre io vado a preparare da mangiare. Ovviamente offre la casa.”

“Cibo gratis?! Yuhuuuu!” Kinji fece una piroetta in aria per la gioia. “Grazie vecchietto! Lo sapevo che eri un tipo a modo!”

“Io un tipo a modo?” Argo scoppiò a ridere. “Sei proprio simpatico ragazzo, proprio simpatico.” ed uscì dalla stanza, senza smettere di ridacchiare.

La cena, perché ormai la giornata volgeva al termine, fu abbondante, allegra e lunga. Argo diede fondo alla sua dispensa e cantina, servendo loro i suoi cibi più pregiati ed il suo vino più dolce, per la gioia di Kinji e di Kuroc. Dopo un paio di boccali, i due si misero a cantare a squarciagola, abbracciati, sulle gioie dell'essere giovani ed in viaggio per mare.

“Reggono bene, eh?” osservò Argo, ridacchiando sotto i baffi, mentre i due giovani pirati tracannavano un boccale dietro l'altro. “Siete delle forchette buone, ma la cosa mi rende solo che felice. Era tanto che non trovavamo gente così gentile, vero Milo?”

“Già, hai ragione!” il giovane studioso sorrise, mentre finiva il proprio piatto. “Una serata così non capitava da tanto.”

“Dimmi, Milo.” esordì Kita, aprendo bocca per la prima volta durante la cena. “Perché quel diario è così prezioso per te?”

“Perché ti interessa?” chiese il moro, scrutandola dall'altra parte del tavolo.

Gli occhi glaciali della bionda ebbero un guizzo.

“Diciamo...curiosità. Mi riesce difficile credere che tu custodisca quello scritto con tanta forza solo per affetto. Ci deve essere altro...o sbaglio?”

Milo si incupì. Si alzò di scatto dal tavolo, torvo in volto, uscendo fuori quasi di corsa. Sotto lo sguardo perplesso dei tre pirati, e di quello divertito di Argo.

“Ah, quel ragazzo non cambierà mai.” esclamò il vecchio barista, sorridendo sotto i baffi. “Ancora dopo tutti questi anni si vergogna ad ammetterlo.”

“Ammettere cosa?” chiese Kuroc.

“Il proprio sogno. Milo ha sempre sognato di poter prendere un giorno il mare, seguendo così le orme di suo nonno, ma anche ora che ha diciotto anni si vergogna, trovandola un'idea infantile, quando invece credo che sarebbe la prima cosa sensata che farebbe da parecchi anni a questa parte.”

“Milo sogna di prendere il mare?” domandò Kinji, pulendosi con una mano la bocca sporca di sugo.

“Sì.” rispose Argo. “Quel ragazzo sarà disordinato e pasticcione, ma è un genio, posso assicurarvelo. Senza contare che possiede una forza di volontà ferrea, come suo nonno. Sapete, io e Tobias siamo cresciuti insieme. Ed a volte mi spavento nel constatare quanto Milo gli assomigli. È intelligente, sagace, coraggioso, determinato...e buono.” nel finire il suo discorso, il barista si passò una mano sulla fronte, perso nei suoi ricordi.

“Sapete...” proseguì successivamente. “Milo non ha avuto un'infanzia facile. I suoi sono scomparsi quando lui aveva appena sette anni. Suo padre, Torquato, che era un vero scavezzacollo, si era sposato con la ragazza più pestifera di tutta l'isola, Elizabeth, in giovane età. Quei due erano dei veri e propri pazzi. Adoravano qualsiasi sfida estrema, e spesso si assentavano per settimane, andando in giro per il mare, a caccia di avventure.”

“Un brutto giorno però, quando il piccolo Milo aveva compiuto da poco sette anni, Torquato ed Elizabeth, durante la scalata dell'altopiano dove siamo ora, ebbero una brutta caduta, e morirono. Per il bambino fu un vero e proprio trauma, che lo segnò: adorava i suoi genitori, li credeva immortali, e vederli fallire fu un brutto colpo. Ma colui che soffri di più probabilmente fu il mio amico Tobias, che era appena tornato da qualche mese dal suo lungo viaggio, e che vide il figlio morire ad appena trent'anni.”

“In ogni caso, essendo il suo unico parente in vita, Tobias prese il piccolo Milo con sé, crescendolo con amore. Fu in quel periodo, mentre viveva con suo nipote, che il mio vecchio amico cominciò a divulgare le scoperte dei suoi viaggi, ma tutti lo presero per un pazzo ed un bugiardo. La gente era convinta che Tobias fosse impazzito a causa della morte del figlio, e che si inventasse tutto solamente per fare felice il nipote. Una tesi assurda a mio avviso.”

“Comunque, Milo crebbe con suo nonno per i successivi tre anni senza troppi problemi, fino a quando...” Argo sospirò, portandosi una mano sopra gli occhi.

“Scusatemi, ma per me è sempre difficile ricordare quel momento. Quando la codardia e la cattiveria di quest'isola presero il sopravvento sulla ragione.”

“Cosa accadde?” chiese Kinji, ormai preso dal racconto del vecchio oste. Quest'ultimo fece un profondo sospiro, poi riprese a narrare.

 

Nonno!”

Il ragazzino urlava disperato, cercando di divincolarsi dalla presa ferrea che lo bloccava, mentre osservava ciò che accadeva davanti a sé.

Stai fermo, moccioso!” ringhiò il pirata che lo bloccava. “Altrimenti facciamo fuori anche te!”

Lasciami! Lasciate stare mio nonno, avete capito?!!” le sue urle si limitarono a far ridere il gruppo di fuorilegge.

Il microbo ha fegato!” urlò uno dei pirati. “Sarebbe un peccato non ricompensare tanto ardore!”

Già!” un uomo immenso, che doveva essere il capitano, afferrò Milo per i capelli, portandolo vicino ad un corpo pieno di ecchimosi e ferite, semisvenuto. “Come ricompensa potrà vedere la decapitazione di quel bugiardo di suo nonno in prima fila!”

Nonno!!!” il ragazzino, una volta gettato con malagrazia a terra, corse dal suo adorato parente, osservando tra le lacrime le sue ferite.

M-Milo...” Tobias Stich, ormai sull'orlo dell'incoscienza, ebbe la forza di sorridere al nipote. “Nipote mio...”

Nonno! Cosa ti faranno?! Perché la gente del villaggio non viene a fermare questi pirati? Perché?!”

Milo...non preoccuparti...andrà tutto bene.” il sorriso dell'esploratore divenne più marcato. “Segui sempre i tuoi sogni ragazzo mio...ricordatelo.”

Bene!” urlò il capitano pirata, maneggiando un'immensa ascia in mano. “Tobias Stich, io ti condanno a morte per essere un bugiardo!”

Sollevò l'arma, sotto gli occhi del ragazzo, ormai incapace di parlare per il terrore.

Milo!” la voce di suo nonno lo portò a girare lo sguardo, verso quest'ultimo.

Ti voglio bene!” dichiarò Tobias, il sorriso sempre sul volto.

Furono le sue ultime parole.

Poi, l'arma cadde con violenza, ponendo fine alla sua vita.

NONNO!!!!”

 

A Milo rimbombava ancora nella mente l'urlo disperato che lanciò, quel giorna maledetto in cui suo nonno venne assassinato, tra l'indifferenza della gente dell'isola. Il solo pensiero gli fece ribollire il sangue, incapace dopo otto anni di accettare che suo nonno fosse morto in quel modo ingiusto e meschino.

Tirò fuori da una tasca il suo diario, accarezzandone la copertina di pelle consumata. Aveva letto centinaia di volte quel libro, ogni volta con il cuore in gola, emozionandosi, soffrendo, gioiendo nel sentire le incredibili avventure che suo nonno aveva vissuto nel suo viaggio nella Grand Line, nel tentativo di saziare la sua fame di scoperte.

Nonno...

Improvvisamente, il suo pensiero andò ai ragazzi che aveva conosciuto quel pomeriggio, ancora dentro il locale di Argo. Milo faticava ancora a credere che qualcuno, oltre al vecchio e burbero oste, credesse a tutto quello che era scritto in quel diario. Era una sensazione magnifica quella che provava, una sensazione che, purtroppo, suo nonno non aveva mai potuto provare.

Quella di non essere considerato un bugiardo.

A volte mi domando come sei riuscito a rimanere sempre sorridente, sempre così pieno di speranza verso il futuro nonno. Vorrei avere tanto la tua forza, ed il tuo coraggio! Vorrei tanto riuscire a ripercorrere il tuo viaggio, attraverso gli oceani, per poter dimostrare a tutti che tu, Tobias Stich, eri un grande uomo!

Sospirò. Quei pensieri erano belli, ma purtroppo irrealizzabili. Non era pronto a compiere un viaggio simile, e forse non lo sarebbe mai stato. Il sangue che gli scorreva nelle vene era quello di grandi esploratori, e avventurieri coraggiosi. Eppure, nel profondo del suo cuore, Milo era terrorizzato all'idea di lasciare tutto e partire, pensando sempre che, il momento giusto, sarebbe arrivato più avanti.

Forse quei tre ragazzi...

Si accorse con un attimo di ritardo del rumore dietro di sé. Mentre si girava sentì un violento colpo alla nuca, che lo fece sprofondare nel buio. Prima di perdere definitivamente i sensi, udì una voce rauca ridere sguaiatamente.

 

 

All'interno della sala cadde il silenzio per alcuni minuti.

“Dunque...morì così, per un 'gioco'?” osservò, con fare serio, Kuroc.

Argo annuì, l'espressione sul volto torva.

“Già...quei pirati uccisero il mio amico per divertimento! Avevano sentito parlare di un grande bugiardo, e decisero di spassarsela in quel modo orribile, tra l'indifferenza della gente di questo villaggio.”

“Per Milo quello fu un colpo durissimo. Aveva sempre visto suo nonno come un eroe, e vederlo morire in quel modo terribile ed inumano lo distrusse. Io mi occupai del ragazzo, ma la sua reazione all'ennesimo lutto fu di rifugiarsi nei libri, nello studio, in attesa di un'occasione per esaudire il sogno che custodisce nel cuore.”

“Ed il suo sogno sarebbe...” le parole di Kinji furono basse e grevi. “dimostrare che suo nonno aveva ragione?”

“Precisamente.” rispose il barista. “Il più grande desiderio di Milo è prendere il mare, e trovare le prove che suo nonno era il più grande esploratore che il mondo abbia mai conosciuto!”

Il giovane capitano si alzò, fissando con i suoi occhi scuri il volto rubicondo del vecchio oste.

“Argo!” esclamò, la voce dura e decisa. “Voglio chiederti un favore!”

Non appena sentì di cosa si trattava, Argo sogghignò.

“Allora, posso contare sul tuo aiuto?”

“Ci puoi giurare, ragazzo!” ruggì l'oste. “La tua idea è veramente interessante, e che io sia dannato se non ti aiuterò a realizzarla!”

“Ti ringrazio!” esclamò Kinji, sorridendo. “Sono sicuro che riusciremo nel nostro intento.”

“Aspettate un attimo!” li interruppe Kuroc, guardandosi intorno. “Dov'è Kita?”

Gli altri due alzarono gli sguardi, constatando che lo spadaccino aveva ragione: la Full Metal Bitch era silenziosamente sparita dalla saletta, senza lasciare la minima traccia di sé.

 

 

“Questo è un colpo da novanta!”

“Già...se anche fosse solo una marea di frottole, rivenderlo a peso d'oro sarà un gioco da ragazzi!”

“Il capitano Richard sarà felice di noi! Abbiamo in mano la chiave per conquistare la Grand Line! Presto potremo saccheggiare anche le ricche isole di quel mare immenso!”

Ascoltava le loro voci, avanzando lentamente nell'ombra, senza compiere il minimo rumore. Da quello che aveva udito, erano in tre, piuttosto sicuri di sé, e fondamentalmente degli imbecilli senza cervello.

Potrei sbarazzarmene con una mano.

Eppure attese, senza compiere mosse affrettate. Limitandosi a seguirli lungo il sentiero che conduceva verso il mare, abbandonando l'altopiano dove sorgeva il villaggio. Voleva vedere se quel moccioso, così testardo, era capace di tramutare le proprie intenzioni in fatti.

Chissà poi perché mi interesso così tanto per quell'idiota...

Già, perché lo stava facendo? Quel cretino si era fatto fregare la cosa a lui più cara come il peggiore degli inetti. Perché dunque era lì, ad osservarlo e, in caso, ad aiutarlo?

Un tempo me ne sarei fregata di certe cazzate...se uno è un inetto non può cambiare.

Un tempo avrebbe agito in modo diverso, ma ora lei era cambiata. E se una sporca assassina aveva la chance di tornare ad essere una persona, allora anche un inetto poteva avere la possibilità di diventare un uomo.

“Fermatevi!”

La voce di Milo risuonò forte e chiara per il sentiero. Il giovane aveva il fiatone, e si teneva a fatica in piedi, eppure nel suo sguardo gli si poteva leggere tutta la determinazione di questo mondo, unita ad una fottuta e bruciante paura.

I tre di prima, presumibilmente pirati, si girarono, mentre Kita si nascose in un anfratto del sentiero, sfruttando l'oscurità della notte.

“Ehi ragazzi, guardate chi è arrivato! Il pollo di prima!” sghignazzò uno del gruppo. “Cosa c'è, il terreno della piazza era troppo scomodo per i tuoi gusti?”

“Voi avete una cosa che è mia di diritto, ridatemela!” urlò il moro, la voce che tremava impercettibilmente.

“E così la rivuoi?” i tre fecero una risata di gruppo, voltandogli le spalle. “Torna a casa moccioso, prima di farti male!”

Con un movimento veloce ed abile del polso, Milo tirò fuori dalla propria giacca una canna da pesca, ripiegata su se stessa più volte, preparandola allo scontro con un colpo secco del braccio.

“Ho detto di ridarmi il diario di mio nonno, luridi bastardi!” urlò con tutta la forza che aveva in corpo. Di fronte a tale offesa, i tre pirati si girarono lentamente.

“Adesso l'hai fatta grossa, pidocchio!” ringhiò uno del gruppo, estraendo dalla tasca un lungo e lucente pugnale.

Milo agì d'istinto, senza pensare alle conseguenze. Con un urlo roco, più per farsi forza che per intimorire i nemici, il ragazzo agitò la propria arma, avvolgendo il filo attorno alla gamba del primo. Senza permettere a quest'ultimo di compiere qualcosa, Milo tirò con violenza la canna, facendolo cadere pesantemente al suolo.

“Piccolo, lurido moccioso!” ululò il secondo pirata, estraendo una lunga spada dal fodero. “Questa te la faccio pagare!”

Il loro avversario, seppure chiaramente terrorizzato, non si scompose eccessivamente. Deglutendo vistosamente, Milo schivò il primo fendente del suo avversario, scartando alla propria sinistra. Poi, una volta a terra, ne approfittò per fare lo sgambetto al bucaniere, che cadde in ginocchio. Prima che quest'ultimo potesse muovere un muscolo, il ragazzo lo colpì violentemente alla nuca con la propria arma, stordendolo. L'ombra di un sorriso si dipinse sul suo volto, ma subito dopo essa si tramutò in una smorfia di dolore.

L'ultimo pirata non era stato inoperoso. Liberando il proprio amico dalla lenza della canna, si erano lanciati entrambi all'attacco del ragazzo, colpendolo alle spalle, e piantandogli i pugnali nella schiena. Lanciando un gemito di dolore, Milo si accasciò al suolo.

“Hai finito di fare l'eroe, piccolo bastardo!” grugnì uno dei due. Successivamente, esso cominciò a prenderlo a calci, subito imitato dal compare.

“E questo è per lo scherzetto di prima!”

Implacabili, i due pirati continuarono a picchiarlo selvaggiamente per oltre dieci minuti. Poi, una volta sfogati, essi cominciarono a discendere verso il mare, ignorando il proprio compagno svenuto.

“A-aspettate!”

I fuorilegge si bloccarono, increduli di sentire quella voce.

Reggendosi a fatica in piedi, con il volto insanguinato, ed il fiatone, Milo li fronteggiò una seconda volta.

“V-voi...” il ragazzò traballò per un istante, prima di riprendere l'equilibrio. “Voi...non potete prendere quel diario...”

“Hai preso un granchio, moccioso.” rispose uno dei due, sorridendo. “L'abbiamo già preso!”

“Esso è...esso è...è il mio sogno!” Milo spalancò le braccia, tirando fuori ogni singola oncia di coraggio e forza che possedeva.

“Non permetterò a degli sporchi codardi di rubarmi anche l'ultimo ricordo di mio nonno!”

I bucanieri si osservarono in faccia, per poi sorridere con fare crudele.

“Bene...non volevamo arrivare a tanto...ma visto la tua fastidiosa insistenza...” i due sfoderarono i loro pugnali, avvicinandosi al moro che, d'altro canto, non aveva la forza neanche di muovere un muscolo.

“Sarà una cosa veloce, stai tranquillo.” sghignazzarono. “Un taglio alla gola...e tutto finirà presto.”

quando furono ormai a pochi passi dal ragazzo però, essi si bloccarono di colpo. Nell'aria infatti, si udì un flebile ronzio, come il passaggio di un insetto troppo veloce per essere visto. I due si guardarono in faccia, solo per poi accorgersi, con orrore, degli squarci presenti sulle proprie gole.

“Avevate ragione.” dichiarò Kita, roteando pigramente il proprio spadone. “E' stata una cosa veloce.”

Successivamente, i due pirati caddero al suolo, dove si contorsero per alcuni secondi, prima di morire, soffocati dal loro stesso sangue. Senza aggiungere altro, la Full Metal Bitch lanciò, con precisione millimetrica, la propria arma contro il criminale svenuto. La lama si conficcò dritta nel cuore, uccidendolo nel sonno. In quello stesso istante Milo, stremato, cadde al suolo. Pochi secondi dopo, nel suo fioco raggio visivo arrivò la figura, leggermente sfuocata, di Kita.

“I-il diario...” balbettò, sentendo il sangue fluire sempre più piano dalle proprie ferite. “D-dove è il d-diario...”

Senza dire nulla, Kita lo colpì in faccia con un calcio, facendogli perdere i sensi.

Hai superato la prova...piccolo idiota.

Sì, quella sera aveva visto che, spinto dalla forza di volontà, il ragazzo era diventato uomo. Pronto a morire per i propri sogni.

L'inetto era diventato qualcuno, capace di prendere il mare, per esaudire i propri sogni.

 

 

Una volta fuori dal locale, Kinji, Kuroc e Argo si misero ad ispezionare il villaggio, alla ricerca di Kita, mentre anche Milo sembrava sparito nel nulla.

“Dove diavolo si saranno cacciati entrambi?” borbottò di malumore Kuroc.

“Ehi! Magari quei due si sono appartati per fare le cose sporc...” Kinji non riuscì a finire la frase perché lo spadaccino lo zittì con un terrificante pugno in testa.

“Se eviti di dire stronzate saremmo tutti più contenti.” dichiarò quest'ultimo, con il pugno ancora fumante.

In quell'istante, dal sentiero che portava all'altopiano, apparve Kita. La bionda camminava lentamente, a causa del peso di Milo, che trasportava sulle spalle.

“Eccoli! Ma dove diavolo vi eravate cacciati?!” ringhiò Argo. Il vecchio oste tuttavia, non appena vide la giacca del moro intrisa di sangue, impallidì. “Ma cosa è successo?”

“Secondo te?!” lo aggredì Kita. La ragazza era di pessimo umore, e non fece il minimo tentativo per nasconderlo. “Invece di sprecare tempo ad usare quella testa vuota, muovi il culo e dammi una mano! Questo idiota ha bisogno di cure, e subito!” Argo sembrò sul punto di esplodere, ma le ferite di Milo gli fecero cambiare idea.

“Venite.” dichiarò, facendo strada verso la sua taverna. “”Una volta sdraiato chiamerò subito il medico.”

 

 

Quando il medico fu uscito dalla stanza in cui riposava Milo, Argo gli si fece subito incontro.

“Come sta?” chiese l'oste, con un espressione preoccupata in volto. “Si riprenderà?”

Il dottore, un uomo alto, magro e con un aspetto spettrale, si limitò a ridacchiare.

“Riprendersi? Due coltellate non hanno mai ucciso nessuno!”

“Su questo avrei qualcosa da ridire...” borbottò Kita. La Full Metal Bitch teneva tra le mani il prezioso diario di Tobias Stich, e sembrava, insieme ad Argo, quella più tesa e preoccupata di tutti.

“Il ragazzo sta bene. Ha solo bisogno di qualche giorno di riposo, poi starà meglio di prima!” con una faccia che sembrava quasi provare dispiacere per la salute del proprio paziente, il medico prese congedo.

Nonostante il volto pallido, Milo sembrava stare abbastanza bene, sepolto sotto chili di coperte sul letto a due piazze del vecchio Argo. Queat'ultimo, non appena entrò, lo assordò con un ruggito di vittoria.

“Lo sapevo! Ci vuole ben altro che due taglietti per fare fuori il nipote del mio vecchio amico Tobias!”

Milo si portò le mani alle orecchie.

“Per favore...” sussurrò. “Non urlare Argo...”

Quando entrò Kita, lo sguardo truce e gelido, il ragazzo cercò di apparire il meno intimidatorio possibile, per paura di scatenare quella belva.

“Tieni.” disse la ragazza, lanciandogli il diario tra le mani. “La prossima volta cerca di stare più attento. Se non riesci a tenere testa a tre balordi da due soldi, come pensi di riuscire a realizzare il tuo sogno?”

Il moro abbassò gli occhi, profondamente umiliato per quelle parole.

“Non lo so...” sussurrò. “Non credo che avrò mai le capacità per realizzarlo.”

“Fino a quando rimarrai in questa polverosa stanza a piangerti addosso no di certo.” replicò, con voce fredda, la bionda. “Se vuoi veramente scoprire se sei in grado o meno di realizzarlo, prendi il mare. Ed affrontalo a testa alta!”

Lo sguardo mogio e rassegnato di lui la fecero esasperare. La Full Metal Bitch lo afferrò per le spalle, piantandogli il suo sguardo duro e freddo in faccia.

“Ti ho visto prima, su quel sentiero.” gli spiegò. “Ho visto la grinta che ci hai messo. Sapevi che difficilmente potevi vincere da solo, eppure hai scelto di lottare per quello in cui credi. E questo non è da tutti.”

Milo rimase sorpreso da quel discorso. Era la prima volta, da quando era morto suo nonno, che qualcuno gli diceva certe parole.

“Lo pensi veramente?” domandò, con un flebile sorriso sul volto.

“Sì. Altrimenti non avrei perso tempo a salvarti la pelle.” fu la secca risposta di lei, mentre si distaccava da lui. “Tra una settimana dovrai fare una scelta. Non puoi più rimandare, sappilo. O parti, o rinunci per sempre al tuo sogno.”

Prima che il ragazzo potesse riflettere sulle parole della bionda, la porta di aprì di colpo, facendo entrare un Kinji urlante.

“Cosa state facendo voi due? Non è che si siete messi a fare le cose sporc...” il moro non riuscì a terminare la frase. Kita infatti, con il volto rosso, lo schiantò al suolo con un pugno, i denti contratti per la vergogna.

“Sei un vero idiota!” sbottò, uscendo di corsa dalla stanza.

“Beh?” il capitano si rialzò come se niente fosse, nonostante un bernoccolo fumante gli spuntasse tra i capelli. “Che cosa le è preso?”

Milo lo guardò sconvolto. Incapace di capire cosa diavolo passasse per la testa di quei pazzi.

A volte mi domando se c'è l'abbiano una testa...

 

 

“Perché l'hai fatto?”

Kita, seduta al margine della strada, alzò lo sguardo, incrociando quello perplesso di Kuroc.

“E a te cosa importa?”

“Considerando quello che stai facendo, mi importa eccome.” replicò lo spadaccino. “Non è che stai diventando troppo...buona?”

Lo scricchiolio dei denti della ragazza fu facilmente udibile, nel silenzio della notte.

“Un tempo non avresti perso tutto quel tempo per gli altri.” proseguì il vice capitano, la voce bassa.

La Full Metal Bitch si alzò, cercando di nascondere il rossore del volto, dirigendosi verso l'ingresso del bar di Argo, senza proferire parola.

“Potresti anche degnarti di rispondere.”

“E tu potresti ficcarti la tua spada nel culo.” dichiarò seccamente prima di andare dentro, lasciando il compagno con un sorrisetto sulle labbra.

Ti piace fare la parte della dura...ma in fondo, non sei così crudele come ti piace apparire...Full Metal Bitch.

Successivamente la seguì, preparandosi a dormire.

 

Argo osservava i tre ragazzi dormire, avvolti nelle sue coperte, nel bel mezzo del suo salone. Se Kinji e Kuroc russavano alla grande, agitandosi di continuo e sbavando. Kita invece sembrava come una grossa gatta addormentata: il respiro era appena impercettibilmente, ed ogni suo muscolo era pronto a scattare al primo segno di minaccia, chiaro retaggio della sua precedente vita militare.

L'oste ridacchiò. Nonostante tutto quei tre ragazzi gli piacevano, ed era convinto che sarebbero stati capaci di prendersi cura del suo adorato Milo.

 

Argo, voglio chiederti un favore!”

Cosa vuoi?”

Voglio che mi aiuti a convincere Milo a partire con me! Mi serve un navigatore nella mia ciurma, e sono convinto che lui sia la persona giusta.”

 

Spero che decida di partire con loro...in fondo, uno come lui, non può che fare altro che partire all'avventura.

Poi, stanco per la giornata appena trascorsa, Argo si ritirò a dormire. Mentre, nella stanza accanto, Milo ripensava a ciò che gli aveva detto poco prima quel buffo ragazzo di nome Kinji.

 

Cosa significa che non vuoi più leggere il diario?!”

Ho cambiato idea!” il volto del giovane capitano fu solcato da un largo sorriso. “Del resto, perché rovinarmi la sorpresa? Quando arriverò alla Grand Line scoprirò cosa mi attende!”

Dopo un attimo di sorpresa, anche Milo sorrise.

Ti auguro di riuscire a superare tutte le prove che ti attendono.”

Beh, sono sicuro di farcela! Anche perché al mio fianco voglio te, Milo! Esaudiamo insieme i nostri sogni!”

 

Il moro sospirò, accarezzando il diario di suo nonno. Chiedendosi cosa avrebbe fatto lui al suo posto.

Lo so già cosa avrebbe fatto nonno Tobias...perché allora indugio così tanto?

Forse per quella sua ancestrale paura di non essere all'altezza di lui, di poter fallire.

Sono ragazzi in gamba...siamo sicuri che non sarò un peso per loro?

Non lo sapeva.

Ma, come gli diceva sempre suo nonno, non poteva saperlo, senza prima provare.

Il sogno di tuo nonno non si realizzerà da solo. Secondo me dovresti ascoltare il tuo cuore, e partire con quei ragazzi.” Le parole del vecchio Argo gli risuonarono in testa, confondendolo ancora di più.

Si mise le mani in testa, incapace di decidere. Rimase a rimuginare su cosa fare fino all'alba quando infine, sfinito dalle emozioni che lo dilaniavano, si addormentò, stringendo tra le mani il suo sogno.

Nonno...

 

 

Una settimana dopo.

 

Kinji aspirò a pieni polmoni l'aria piena di salsedine, mentre il vento gli scompigliava i capelli.

Erano passati sette giorni da quando Milo era stato ferito. Ormai il ragazzo si era completamente rimesso, ma non si era ancora espresso in merito all'invito di Kinji a far parte del suo equipaggio.

“Allora, cosa vuoi fare, Milo?” gli chiese Kinji, mentre Kita e Kuroc completavano i preparativi per la partenza della loro piccola barca. “Vuoi venire con noi, nella Grand Line?”

Il ragazzo sorrise, ma i suoi occhi dimostravano tutta la determinazione di questo mondo.

“Dimmi la verità, Kinji.” esordì, la voce sicura. “Tu credi che io possa essere un peso per voi?”

Il giovane capitano lo guardo perplessò.

“Certo che no, Milo! Tu sei un tipo in gamba!” rispose con naturalezza.

Quelle poche parole sembrarono sbloccarlo definitivamente. Con un sorriso rinnovato, Milo saltò a bordo, urlando la sua gioia al cielo, il tutto sotto lo sguardo commosso di Argo.

“E' deciso! Io sarò il vostro navigatore!”

“Era ora che ti decidessi, ragazzo!” gli urlò il vecchio oste. Successivamente, quest'ultimo rivolse al giovane capitano.

“Prenditi cura di lui.” gli chiese, sorridendo sotto i baffi. “Considerala...una richiesta di un povero vecchio.”

Il moro sorrise, alzando il pollice in segno affermativo.

Poi salì a bordo, mentre Kuroc e Kita issarono la vela, dirigendosi verso sud-est.

“Si parte!” urlò Kinji, urlando la sua gioia all'orizzonte infinito.

“Addio ragazzo!” urlò Argo, sventolando una mano in segno di saluto. “Ti auguro di tornare un giorno! E di aver realizzato il tuo sogno!”

“Te lo giuro!” gli rispose il giovane, commosso per il dover salutare un caro amico con il vecchio oste. Che, nel frattempo, non smise di salutarli fino a quando l'isola Sthiv non divenne una linea all'orizzonte.

“Ah, quasi dimenticavo!” dichiarò Kinji, cadendo dalle nuvole. “Noi siamo pirati!”

“Voi siete cosa?!” urlò isterico il nuovo membro della ciurma, osservandoli con fare sconvolto.

“Non glielo avevi ancora detto?!” urlarono imbestialiti all'unisono Kita e Kuroc.

Kinji scoppiò a ridere, cercando di evitare i pugni di una furente Kita, mentre il vice capitano sospirò, ormai rassegnato all'idiozia del proprio comandante. Il tutto sotto lo sguardo perplesso del navigatore, che si chiedeva in quale gabbia di matti si era cacciato.

Speriamo di non dovermene pentire!

Fortuna volle che non se ne pentì mai.

 

 

CONTINUA

 

Buonasera! Scusate per il mio ritardo, ma in queste settimane sono stato molto impegnato, ed ho avuto poco tempo per proseguire questa storia.

Dunque, visto e considerato che in molte recensioni mi si chiedeva come era nata la ciurma di Kinji, ho deciso di inserire, ogni tanto, un flashback, dove narrerò di come i vari membri hanno conosciuto Kinji, Kuroc e Kita, e di come hanno deciso di unirsi a loro. Spero che quest'idea vi piaccia!

Bene, anche questa volta ho finito. Spero vivamente che il capitolo vi sia piaciuto, mentre dal prossimo si tornerà al filone principale della storia.

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 4
*** L'arcipelago Sabaody ***


Capitolo 4

 

 

Arcipelago Sabaody, Grove 13.

 

 

L'occhio glaciale di Sharp scrutò con indifferenza il mucchietto di oro che si depositò davanti a lui.

“Poco.” grugnì, mentre proseguiva a pulire i bicchieri dietro al bancone del bar.

“Come sarebbe 'poco'?!” replicò l'uomo davanti a lui, un energumeno sulla trentina, con i muscoli gonfi e pieni di cattive intenzioni. “Quell'acqua sporca che mi hai propinato per whisky, in qualsiasi altro posto dell'arcipelago, l'avrei pagata meno della metà di quanto ti sto dando!”

Il gigantesco barista, la pelle scura come l'ebano, non si scompose minimamente.

“Poco.” ripete, la voce fredda e priva di emozioni. “Il doppio. Oppure tutto.”

Il colosso digrignò i denti, mentre afferrava l'elsa della spada che gli pendeva alla vita.

“Ora vedrai come riduco te e questo buco da quattro soldi, sporco negro!” ululò. Tuttavia, prima che potesse sguainare la propria arma, un calcio, sferrato ad una velocità inumana, lo colpì in pieno viso, facendolo crollare a terra. Il tutto sotto lo sguardo indifferente di Sharp, che proseguì nella propria attività.

Nel frattempo, l'autore del calcio, che si scoprì essere una donna sulla quarantina, uscì fuori dalla penombra del locale, sollevando con una mano il cliente ormai svenuto. Con una mossa rapida lo privò di ogni oggetto che possedeva, ad eccezione dei vestiti, e lo gettò fuori dalla porta. Successivamente, quest'ultima depositò una grande quantità di monete d'oro sul bancone, tenendosi il resto del bottino.

“Metti in cassa, Sharp.” ordinò con voce calda e seducente, ma che esprimeva una grandissima forza di volontà. Il barista obbedì senza fiatare, per poi cominciare a pulire con uno strofinaccio il pavimento dal sangue.

Da un tavolo in fondo al locale, dove la fioca luce era del tutto assente, si udì una risata rauca.

“Non cambi mai. Sei sempre il solito demonio, Shaky.” nel sentire nominare il suo nome, la donna si diresse verso il tavolino di colui che aveva parlato, sorridendo non appena lo riconobbe.

“Jimbei! Vedo con piacere che sei ancora vivo.” dichiarò, sedendosi senza chiedere il permesso all'uomo-pesce.

Se Shaky, bellissima e sensuale, non mostrava minimamente i segni del tempo, per Jimbei era leggermente diverso. Il fisico dell'ex pirata era ancora atletico e robusto, e la sua leggendaria forza era ancora intatta. Ma il volto era sfregiato da una brutta cicatrice biancastra, che partiva dall'occhio destro, ormai chiuso, per giungere fino al naso. I capelli, raccolti in una coda, erano grigi, ed alcune leggere rughe gli incorniciavano lo sguardo fiero, che fissavano il volto senza tempo della barista con un pizzico di macabra ironia.

“Dunque, che cosa ci fa qui, nel mio bar, un vecchio compagno del defunto Re dei pirati?” chiese la mora, accendendosi una sigaretta.

“Sono in missione per conto del mio re.” ringhiò con la sua voce animalesca Jimbei, sorseggiando un bicchiere di rum. “Le relazioni tra uomini-pesce ed umani ultimamente si sono deteriorate, a causa della presenza di alcuni miei simili tra le fila dei rivoluzionari. Sono appena tornato da Marineford, dove ho avuto un lungo e spossante incontro con un rappresentante del Governo Mondiale.” successivamente, l'uomo-pesce lanciò un'occhiata divertita alla donna. “Ma immagino che tu sappia già tutto, no?”

“Ovviamente.” confermo Shaky, sorridendo con fare sensuale. “Ma mi piaceva sentirti parlare del tuo nuovo lavoro. Soldato, pirata, flottaro, disertore...ed ora ambasciatore del Regno Emerso...chi l'avrebbe mai detto che avresti messo da parte la tua carriera da fuorilegge per indossare i panni del politico?”

“Beh...non che avessi molto scelta!” osservò cupo l'altro. “Passare sotto l'ala protettiva del re Fukaboshi era l'unico modo che avevo per sopravvivere alla caccia spietata che mi stava dando la Marina all'epoca. Non è un lavoro che mi piaccia molto, ma almeno ho ancora modo di lavorare al mio scopo.”

La barista soffiò fuori il fumo dalle labbra, mentre non smetteva di fissare l'amico.

“Tu invece? Come stai, ora che Rayleigh non è più tra noi?”

“Non è stato facile.” ammise la donna, mentre si serviva da bere. “Rayleigh era un compagno estremamente interessante, ed ormai ci conoscevamo da tantissimo tempo, da quando eravamo ancora dei pirati. Ora che lui non è più qui, devo ammettere che la vita mi sembra più monotona.” nonostante la donna non fosse tipo da piangersi addosso, c'era una punta di tristezza nella sua voce.

“Sotto un certo aspetto, posso capirti. Anche io ho perso molte persone a cui tenevo.” anche la voce di Jimbei sembrò mostrare del rimpianto. “Ma in fondo, è il ciclo della vita. Il nostro tempo sta finendo, mentre sta arrivando quello della nuova generazione.”

“Una generazione piuttosto interessante, oserei dire.” osservò Shaky, mentre trangugiava rum come se fosse acqua. “Era da parecchio tempo che nella Grand Line non navigava un così grande numero di giovani pirati. Alcuni parlano addirittura di una nuova era della pirateria.”

“Ne ho sentito parlare.” borbottò l'uomo-pesce. “Ma il loro vero banco di prova sarà il Nuovo Mondo. E dubito fortemente che gli Imperatori permetteranno a questi pivelli di fare il bello e cattivo tempo. E' probabile, che su cento aspiranti pirati, solo uno riuscirà ad affermarsi in quell'oceano spietato.”

“Concordo. Eppure, negli ultimi tempi, i giornali non hanno fatto altro che segnalare l'impresa di quello o di quest'altro pirata. E molti di loro hanno ottenuto taglie davvero interessanti.” la barista alzò la mano sinistra, aprendola. “Pensa che in questo momento sono presenti su questo arcipelago ben cinque pirati con una taglia superiore ai cento milioni...notizie del genere non si udivano da quasi vent'anni ormai.”

“Cinque pirati, eh? E chi sarebbero?”

Con un movimento velocissimo della mano, Shaky appoggiò sulla superficie di legno cinque manifesti.

“Udin, il 'Corazzato', Dainer. Ha una taglia di centotrentaquattro milioni di berry.” dichiarò, indicando il manifesto che ritraeva un uomo dai capelli rossi, con una folta barba, ed un paio di occhi folli e spiritati che spuntavano fuori da un elmo d'acciaio. In mano sembrava maneggiare un enorme martello da guerra.

“Chester, la 'Spezzaossa', Goder. La sua taglia è di centododici milioni di berry.” Chester era una donna sulla trentina, con i capelli rasati a zero, spalle imponenti, un teschio tatuato sulla fronte, ed un'espressione spietata stampata sul proprio viso. Tra le mani reggeva una catena d'acciaio insanguinata

“Pamer Feirutte, lo 'Spadaccino Gentiluomo'. Possiede una taglia pari a centoquarantotto milioni di berry.” il manifesto di Pamer raffigurava un uomo magro, alto, con una lunga e curata chioma castana, baffi sottili, ed un'espressione altezzosa sul volto.

“Hasura Sakari, detto il 'Folle'. Ha una taglia di duecento milioni di berry.” Hasura era un ragazzo giovane, sui venticinque anni, con un volto affilato e magro, capelli blu sparati all'insù, ed un sorriso enigmatico nel volto. Nella mano sinistra teneva una carta da gioco, più precisamente un joker.

“Joruri , la 'Donna-filo'. La sua taglia è di centocinque milioni di berry.” il manifesto ritraeva una ragazza giovane, sulla ventina, con i capelli neri, raccolti in una corta coda, occhi scuri e duri, volto bello ma dai lineamenti duri.

Jimbei osservò i cinque manifesti per circa un minuto, finendo di sorseggiare la propria bevanda.

“E questi sarebbero il futuro della pirateria?” ringhiò, servendosi di nuovo dalla bottiglia. “Nessuno di loro mi sembra abbia le qualità per affermarsi dall'altra parte della Linea Rossa, a parte forse quel ragazzo con i capelli blu.”

“Concordo.” dichiarò Shaky, mentre buttava il mozzicone della sigaretta nel posacenere. “Di questi cinque pirati, l'unico con le capacità per sfidare i grandi fuorilegge del Nuovo Mondo è Harusa. Se si considera poi che Joruri è una sua sottoposta, si può capire che possiede un certo carisma. Tuttavia non sottovaluterei gli altri tre. Se sono arrivati fino a questo punto della Rotta Maggiore, significa che hanno talento.”

“Non volevo certo dire questo.” replicò l'uomo-pesce. “Ma se penso a persone come Rufy, Ace oppure Fisher Tiger...beh, non reggono certo il confronto queste nuove leve.”

Le labbra della mora si distesero in un sorriso enigmatico.

“Forse lui sì...” dichiarò, appoggiando sul tavolo un sesto manifesto. Non appena l'ex pirata ne lesse il nome, il suo unico occhio si contrasse.

“E questo da dove diavolo sbuca?”

“Boa D. Kinji, detto il 'Dragone'.” lesse a bassa voce Shaky. “Ha una taglia di novantacinque milioni di berry.” sul manifesto era ritratto Kinji che sorrideva allegro di profilo, mentre lo sfondo attorno a lui era riempito di fiamme bianche.

“Un esponente della D. eh?” Jimbei riprese a bere il proprio rum, mentre rifletteva su quel nome. “Immagino che sai anche da dove proviene questo moccioso, giusto?”

Il sorriso della donna divenne più largo.

“Ovviamente.”

 

 

“Novantacinque milioni?!”

Kinji scoppiò a ridere, mentre agitava il proprio manifesto tra le mani, urlando la propria gioia al cielo.

“Avete visto? Mi hanno alzato la taglia a novantacinque milioni? Yuhuuuu!!!”

“Non c'è niente da ridere!” sbraitò Milo, tenendo tra la mani il proprio manifesto.

“A quanto pare, abbiamo avuto tutti una taglia questa volta.” osservò Hysperia, rigirandosi la sigaretta tra le labbra. “Interessante...”

“Che miseria di taglia!” dichiarò sprezzante Erza, sbuffando fumo dalle narici. “Mi meritavo almeno il doppio!”

“Che vuoi...si vede che anche la Marina sa distinguere i veri pirati dai piratucoli...” le sussurrò velenoso Kuroc all'orecchio.

“Ascolta spadaccino, sei in cerca di grane?!” replicò subito la cecchina, mentre digrignava i denti.

“Non aspetto altro che darti una lezione, barbie da due soldi!”

“Maschilista!”

“Donna arrogante!”

“Babbuino troppo cresciuto!”

“Ora smettetela!” ordinò esasperato Loock, mettendosi in mezzo ai due litiganti.

“Impicciati degli affari tuoi!” replicarono all'unisono questi ultimi, scaraventandolo via con un calcio congiunto. Tuttavia, quando si rialzò, il cuoco aveva un'espressione tutt'altro che pacifica in volto.

“Ora avete veramente esagerato...” ringhiò, prima di gettarsi in mezzo ai due, dando vita ad una terrificante rissa a tre, che si placò solamente con l'intervento congiunto di Kita ed Hysperia. Il tutto mentre Kalì si confidava con il povero Shun.

“Oddio Shun...hanno dato una taglia anche a me...sono stata cattiva per caso? Sono una persona cattiva? Ti ho dato troppo poco da mangiare ultimamente, Shun?” blaterava senza sosta la dottoressa, rintronando il povero boa che, ormai, era sul punto di buttarsi in acqua per la disperazione.

Alla fine, quando il parapiglia per l'arrivo delle nuove taglie fu placato, si decise, sotto il comando di Milo, di fare una classifica in base al valore della taglia.

“Al primo posto troviamo il capitano Kinji, detto il 'Dragone', con una taglia di novantacinque milioni di berry!” annunciò il navigatore, usando un giornale arrotolato a mo' di megafono.

“Al secondo posto, con una taglia di ottanta milioni di berry, troviamo Kuroc, ' Il Samurai rinnegato'!” lo spadaccino non sembrava troppo felice della sua taglia in quel momento, forse perché ancora troppo preso a punzecchiarsi con Erza.

“Al terzo posto del podio invece troviamo Kita Hirati, la Full Metal Bitch, con una taglia di ben settantacinque milioni!” Milo cominciò ad applaudire la ragazza che, per tutta risposta, gli rifilò un pugno in faccia, facendogli capire che non era il caso di proseguire con quella buffonata.

“Ehm...” il moro dovette tamponarsi il naso sanguinante prima di riprendere a parlare. “Bene, proseguiamo! Possiamo trovare subito dopo Loock, 'Il Demone del Nord', con una taglia di sessantotto milioni di berry!” anche Loock in quel momento non sembrava troppo felice, forse a causa dell'occhio nero che si era ritrovato dopo la scazzottata con Kuroc e la cecchina.

“Con cinquantasei milioni invece, al quinto posto, troviamo la donna contro cui nessuno oserebbe mettersi contro. La fortissima, ed affascinante, Hysperia, 'La Mangiatrice di uomini'!” l'assassina sembrava ignorare volutamente il navigatore, anche perché presa a giocherellare con Shun, il quale sembrava gradire molto le carezze della donna. Tuttavia, Milo non si perse d'animo.

“Molto bene, proseguiamo! Al sesto posto possiamo trovare un'altra vera 'dura'. Stiamo parlando di Erza, 'la Ninfa Demoniaca', con una taglia di ben quaranta milioni di berry.”

“Ehi, Milo!” gli urlò quest'ultima, con il volto ricoperto di graffi per la lite di prima. “Perché non ci fai un favore e chiudi quella bocca?!”

“Al settimo posto invece...” continuò il moro, alzando la voce. “Possiamo trovare il medico più gentile, ma allo stesso tempo, più in gamba di tutti i mari. Stiamo parlando di Kalì, 'l'Amazzone Pirata', che possiede una taglia di ventisei milioni di berry!”

“Voi uomini siete così fastidiosi...solo per questo dovreste morire!” sospirò la ragazza con fare sognante.

“Ed infine, ultimo per taglia ma non certo per abilità, possiamo trovare me, il grande Milo, detto 'l'Esploratore' con una taglia di ben quindici milioni di berry!!” una volta concluso il proprio discorso, Milo si accorse di essere, ormai da parecchi minuti, completamente da solo sul ponte della nave, con il resto della ciurma che era andato a mangiare, facendolo cadere in depressione.

“Nessuno che apprezzi la mia abilità oratoria...”

 

 

La sala da pranzo, pur non essendo ospitale come quella della Kuin, era di sicuro spaziosa. Di solito i pranzi si trascorrevano in relativa calma, eccezione fatta per Kinji, che in quei frangenti si trasformava in un aspiratutto umano, causando non poche tensione negli altri componenti della ciurma.

“Ahia!” si lamentò il capitano, quando Kita gli trafisse la mano sinistra con una forchetta.

“Questa è l'ultima volta che rubi il cibo dal mio piatto, razza di ingordo primate!” ringhiò la bionda, torcendo sadicamente la posata nelle carni del moro.

“Ma io ho fame!” si giustificò Kinji, mettendo il broncio come un bambino di tre anni.

“NON ME NE IMPORTA UN ACCIDENTE! STAI LONTANO DAL MIO PIATTO!”

Nel frattempo, Kuroc e Erza avevano iniziato una singolare gara, che consisteva a chi finiva prima la propria porzione. Dando vita, come al solito, a dispute infinite.

“Ah! Ho vinto!” urlò la bionda, sbattendo con forza la forchetta sul tavolo. “Alla faccia tua, borioso buzzurro!”

“Non dire assurdità! Quando hai appoggiato la tua posata, io aveva già finito da oltre due secondi!”

“Mi stai dando della bugiarda, stronzetto?!” ringhiò la cecchina, già pronta a ricominciare la rissa interrotta precedentemente.

“Precisamente, barbie da due soldi!” replicò lo spadaccino, desiderioso della rivincità.

Subito dopo, il centro della tavolata divenne un contorno confuso di pugni, morsi e posate, da cui gli altri si tennero saggiamente a distanza.

Intanto Milo si prodigava in mille discorsi, a cui nessuno dava retta, mentre Kalì era chiaramente in difficoltà, costretta a respingere gli assalti sia di Kinji che di Shun.

“Avanti Shun, fai il bravo.” lo implorò l'amazzone, mentre cercava di tenere la testa del suo boa lontano dal piatto. “Ti sei ingozzato di coniglio fino a cinque minuti fa! Ora lascia mangiare la mamma!” inutile dire che, il più delle volte, il gigantesco rettile falliva nel suo intento, ma ad ogni pasto ritornava alla carica, mai vinto nella speranza.

Infine, in fondo alla tavolata, comodamente seduta ed intenta a mangiare con calma c'era Hysperia, alla quale bastava una semplice occhiata per far desistere chiunque, anche Kinji, dal disturbarla durante i pasti.

In quell'istante, Loock fece il suo ingresso trionfale in sala, portando un gigantesco vassoio coperto in mano, ed un sorriso raggiante in volto.

“Ragazzi!” ruggì. “E' l'ora della degustazione speciale!”

Immediatamente, il gelo calò sul resto della ciurma, facendoli impallidire di botto.

“A-anche oggi?” chiese, titubante, Milo. “D-d-dobbiamo proprio?”

“Ma certo!” esclamò il cuoco, il sorriso sempre più largo. “Oggi è proprio una chicca. Mi sono davvero superato!”

Nonostante fosse un cuoco eccezionale, come tutti gli artisti, Loock era continuamente alla ricerca di nuove opere d'arte. Si dilettava ogni giorno alla creazione di nuovi piatti, con risultati non sempre commestibili, che pretendeva fossero mangiati interamente dai suoi compagni. Pena: pestaggio pesante e due giorni a sua disposizione completa, come sguattero personale in cucina, a pane ed acqua.

La ciurma osservò con trepidante attesa che il coperchio del vassoio venisse sollevato. Se fosse stato qualcosa di commestibile sarebbe stato più facile liquidare, per quel giorno, la follia culinaria di Loock. Viceversa, in caso di qualcosa di totalmente immangiabile, la loro disperazione avrebbe rasentato i tentativi di suicidio.

Sorridendo come un bambino di fronte ad un'enorme caramella, Loock sollevò il coperchio, mostrando ai propri compagni di viaggio quale destino attendeva loro nella prossima ora: se il letto oppure il bagno (o tutti e due).

“Ecco qua! Fagioli lessi con gelatina di gamberi, conditi con zucchero finissimo! Sono sempre più convinto che il condimento dolce sia il futuro della cucina d'alta classe...”

La disperazione prese il sopravvento all'interno dell'equipaggio. A memoria d'uomo, nessuno si ricordava una simile aberrazione da parte del cuoco. Neanche la pasta e fagioli con il caffé aveva raggiunto simili picchi di pazzia. In preda alla panico, ogni membro pensò, egoisticamente, di salvarsi come poteva.

“Beh, ripensandoci, credo di essere stata troppo cattiva con te, Kinji.” osservò Kita, tirando fuori un'orrenda smorfia che doveva essere, in teoria, un sorriso gentile. La bionda detestava darla vinta al moro, ma di fronte a quel tentativo di avvelenamente era disposta a tutto, anche alle bassezze più vergognose.

“Mah...sai, quasi quasi penso che avessi ragione tu.” dichiarò Kuroc, spingendo il proprio piatto verso Erza. “Al vincitore una porzione extra!”

“Ma che dici, carissimo amico!” replicò, con il sorriso più falso del proprio repertorio, la cecchina, respingendo l'offerta. “Avevi ragione tu, sono io che ero troppo lenta di ben due secondi! Tocca a te prenderti la mia razione!”

“Oh, non potrei mai...”

“Insisto.” ringhiò la bionda, già pronta a mettere mano alle proprie pistole. Seguita, subito dopo, dal vice capitano, che mise mano alla propria katana.

“Sei il solito cafone che rifiuta anche le vincite!”

“E tu una smorfiosetta che non sa accettare la vittoria!”

Subito dopo, i due ripresero la discussione da dove l'avevano lasciata.

Hysperia sollevò un po' di quella pappa giallognola e densa, dall'aspetto decisamente poco invitante. Decidendo di essere a posto così, l'assassina riuscì, con un movimento velocissimo, a rifilare la propria razione a Shun. Il rettile ingoiò subito il tutto, incredulo di tanta fortuna, ma poco dopo fu costretto a rivedere le proprie convinzioni, impallidendo di botto, e terrorizzandosi nel vedere la propria padrona cercare di costringerlo a mangiare anche la sua razione.

“Avanti Shun...non vorrai mica restare a digiuno! Guarda che ti fa male!” cinguettò l'amazzone, cercando di infilare a forza il cucchiaio in bocca al boa che, disperato, cercava di evitare come poteva quel tentativo di avvelenamento.

“Spero solo che non debba stare al bagno tutta la notte...” borbottò Milo, mentre cercava disperatamente una scappatoia da quella situazione.

Ed improvvisamente essa arrivò.

“Non è male!” dichiarò Kinji, la bocca piena di cibo, mentre finiva di pulire il proprio piatto. “A me è piaciuto!”

Al giovane capitano non piacquero minimamente gli sguardi scintillanti che i suoi compagni gli rivolsero.

“Mio adorato capitano...” esclamò Erza, mettendogli un braccio attorno alle spalle, e spingendo 'accidentalmente' il proprio piatto verso di lui. “Sai, ti devo confessare che ultimamente ho trovato la tua guida veramente perfetta! In segno di riconoscimento, vorrei farti dono della mia razione extra, ti va?”

“Grazie, sei molto gentile!” rispose il moro, attaccando la sua nuova razione. Il tutto mentre la cecchina faceva il dito medio a Kuroc di nascosto.

Subito dopo, tutti cercarono di trovare una scusa per appioppare la propria razione di veleno al loro rispettabilissimo capitano.

“Kinji, mi sono accorto che oggi ti sei addirittura lavato! Prenditi pure una razione extra!” propose un'inquietante Kita, con un sorriso falsissimo in faccia.

“Kinji, mi sono appena ricordato che oggi sei stato proprio gentile, perché non ti prendi la mia razione?” esclamò Milo,

“Kinji, oggi...bah, mangia e non rompere troppo!” borbottò Kuroc, mandando al diavolo l'etichetta, e spingendo il piatto verso il proprio capitano.

“Grafie...siete profio genfili...” sputacchiò quest'ultimo, mentre svuotava un piatto dietro l'altro.

Alla fine, quando Loock ritornò, trovò tutti tranquili e rilassati a chiacchierare, ad eccezione di Kinji, che sembrava sul punto di rigettare tutto da quanto aveva mangiato, e Shun, che alla fine era stato costretto a mangiare anche la parte di Kalì, sfiorando un collasso fisico.

“Allora, era buono?” chiese il cuoco. Tutti annuirono, da bravi bambini, mentre il capitano alzava a fatica il pollice destro, in segno affermativo.

“Davvero...squisito...” ansimò, trattenendo a stento un rutto.

“Perfetto! Direi che da oggi lo posso allora già considerare un piatto tipico del menù! Volete che lo riprepari anche domani?”

Successivamente, Loock si chiese il motivo per cui stava ricevendo sei sguardi colmi di odio, sette se si considerava il serpente, dato che, a loro dire, la sua creazione era piaciuta.

“Provati a riproporci quella schifezza e ti squarto...” ringhiò Kita, mandando all'aria la copertura, e facendo infuriare il gigantesco cuoco.

“Ehi...nessuno può criticare la mia cucina...” borbottò, già pronto alla rissa.

Subito dopo, la sala si trasformò in un'empia battle royal, in cui gli unici a sfuggirne furono Hysperia, che saggiamente si dileguò alcuni istanti prima dello scoppio del finimondo, ed un gonfio Kinji, il quale rotolò via al primo calcio di Erza fuori dalla stanza, rimanendo spiaggiato sul ponte della nave per le successive tre ore.

 

 

Arcipelago Sabaody, Grove 43

 

 

Seduta a prua della nave, con la pipa in mano, Hysperia si godeva il tramonto, contornato dalle luci del Sabaody Park, dedicandosi alla sua fumata serale, il volto accarezzato da una leggera brezza, sufficiente a far sventolare, in cima all'albero maestro, il jolly roger dei pirati del Drago. Quest'ultimo era composto da un teschio di drago sogghignante, con dietro due spade incrociate, una bianca ed una rossa, il tutto su sfondo nero.

Erano arrivati nel pomeriggio, sotto la guida di Milo, a quel singolare arcipelago, dove avrebbero attrezzato la loro nave per raggiungere l'isola degli uomini-pesce. Non appena attraccati, Kinji, insieme a Milo, Kalì e Shun, era voluto subito andare al Sabaody Park, nonostante il parere contrario di Kita. Nello stesso tempo, Kuroc ed Erza erano scesi per andare a fare una passeggiata, ovviamente in direzioni opposte. Una volta tornati tutti, la cena si era svolta nel consueto casino, facendo desiderare all'assassina un momento di solitudine e pace. Amava l'esuberanza e l'allegria dei suoi compagni, ma ogni tanto preferiva rimanere da sola, a riordinare i propri pensieri.

“Disturbo?” in quel momento, da sottocoperta, sbucò Milo, reggendo in mano una tazza fumante.

“Ti ho portato del tè, Loock ne ha fatto un po' ed ho pensato che ne avresti voluta una tazza.” spiegò, porgendola all'amica.

“Sei gentile.” lo ringraziò Hysperia, accettando volentieri il pensiero.

Subito dopo, il navigatore si sedette affianco a lei, osservando le luci notturne dell'arcipelago.

“Bello spettacolo, vero?”

“Già.” convenne lei, riponendo la pipa, e cominciando a sorseggiare la bevanda dolce. “E' particolare.”

“Domani andremo alla ricerca di un rivestitore.” cominciò a spiegare Milo. “Ho sentito che c'è ne è uno bravissimo dalle parti del Grove 13...chissà che tipo è!”

La ragazza non rispose, facendo così sorridere il moro.

“Scusa, dimenticavo che non ti piace la mia parlantina.”

“Ti sbagli.” replicò Hysperia. “E' solo che non piace parlare a me. Preferisco i fatti.

Milo scoppiò a ridere.

“Sei proprio strana.” dichiarò, sorridendo con fare allegro. “Sai, a volte mi chiedo cosa ti ha spinto ad unirti a noi. In fondo, il nostro primo incontro non fu propriamente...pacifico!”

Un sorriso si dipinse sulle labbra dell'assassina, nel ricordare quel momento.

“No...non lo fu affatto...” sussurrò.

“Mi chiedi perché scelsi di unirmi a voi?” proseguì subito dopo. “Beh...il fatto è che...da piccola avevo un sogno.” il suo sguardo viola brillava sotto le luci multicolore dell'arcipelago. “Un sogno che, quando vi incontrai, decisi che avrei portato a termine insieme a voi.”

“Mi piacerebbe conoscerlo!” disse il navigatore.

“Chissà...” la ragazza sembrava divertirsi a parlare per enigmi. “Forse un giorno te lo dirò...sappi però che anche Kinji lo sa...magari potresti chiederlo a lui.”

“Kinji conosce il tuo sogno?!” il moro sembrava sbalordito. “Come mai?!”

“Me lo chiese la prima volta che ci incontrammo...da allora, credo che si sia fatto un'idea di me leggermente diversa dalla realtà, ma va bene così. Lui ha fiducia in me...” il suo sorriso divenne più marcato. “E questa è la cosa più bella che poteva mai fare nei miei confronti...”

Milo ricambiò il sorriso di lei, tornando ad osservare le luci davanti a loro.

“Spero che tu possa realizzarlo il tuo sogno, qui con noi.” dichiarò.

Hysperia appoggiò la tazza, ormai vuota, affianco a sé, mentre tornava a fumare la propria pipa con più vigore di prima.

“Sarà un piacere scoprirlo...” sussurrò.

 

 

Le luci di Sabaody Park gli erano sempre piaciute. Gli trasmettevano gioia e malinconia allo stesso tempo.

Chissà perché mi ricordano lui...

Scosse la testa, non era lì per divertirsi, ma perché aveva una missione da portare a termine. Anche se non era propriamente delle più facili.

Il destino ha voluto che mi incontrassi con lui...chissà che cosa mi diresti...

Conoscendolo, era sicuro che gli avrebbe detto qualcosa di unico, come sempre.

Sorrise. In fondo, sapeva che aveva un debito profondo, che non aveva mai ripagato, e forse non l'avrebbe mai fatto. Eppure, ora si accingeva a fermarlo, con tutte le sue forze.

L'ammiraglio Furamingo ripercorse il ponte della propria nave per quella che doveva essere la millesima volta in un'ora. Quella missione, a cui lavorava ormai da parecchio, era per lui una prova difficile, una sfida con il proprio passato che aveva però tutta l'intenzione di vincere.

Lui non vorrebbe che mi tirassi indietro...mi direbbe di fare del mio meglio, sempre e comunque.

Raggiunse la poppa, dove il sergente Hora, la sua più fida collaboratrice, lo attendeva, con i gomiti appoggiati al parapetto.

“Non mi sembrava che fossi tu di guardia stasera.” osservò lui.

“Dovresti darti una calmata.” lo redarguì lei. Ormai si conoscevano da così tanto tempo che si potevano permettere di mettere da parte i formalismi, cosa che lui comunque preferiva evitare a prescindere.

“Forse.” ammise Furamingo, appoggiando i gomiti sul parapetto, affianco a lei, ed odorando l'odore di tabacco della sigaretta che la ragazza stringeva tra le labbra. “Ma poi sono sicuro che troveresti qualcos'altro di cui rimproverarmi.”

Hora sorrise. Era una ragazza sui venticinque anni, d'altezza media e spalle larghe. Teneva i propri capelli, di un biondo paglierino, raccolti in una corta coda. Aveva gli occhi azzurri, le labbra carnose, ed un viso magro ed affilato. Il suo fisico, seppur ingentilito da delle curve femminili, rispecchiava la dura vita militare che affrontava ogni giorno, con muscoli guizzanti e forti, ed una tartaruga di tutto rispetto. Indossava dei pantaloni mimetici, anfibi militari, un cinturone da cui pendeva un pugnale ed una maglietta senza maniche bianca. Su entrambe le spalle aveva tatuata una stella, rossa a destra e blu su quella sinistra, mentre teneva un pacchetto di sigarette dietro l'orecchio destro. Appoggiato alla sua sinistra, era presente un grosso bazooka, lucidato ed ingrassato alla perfezione.

“Diciamo che mi diverte farti notare i tuoi errori.” spiegò lei, buttando fuori dalle narici una considerevole quantità di fumo. “Del resto, non si dice sempre che l'allievo prima o poi supera il maestro?”

“Tu?” Furamingo ridacchiò. Era un uomo alto e magro, sulla quarantina, con un'arruffata chioma color rosa. Indossava un'uniforme da ufficiale, pulitissima, scarpe nere di cuoio luccicanti e sulle spalle teneva appoggiato il proprio mantello da ammiraglio. Sulla fronte portava un paio di occhiali da vista, che però usava raramente, preferendo affidarsi agli altri suoi sensi. “Ne hai di strada prima di potermi superare!”

“Forse...” Hora buttò in acqua la propria sigaretta, stiracchiandosi le spalle muscolose. “Ma di sicuro un artigliere come me non lo troveresti da nessun altra parte.”

“Modesta come sempre.” la prese in giro lui. “A volte mi domando perché ho scelto una mocciosa così arrogante e fastidiosa come mio secondo.”

“Perché sono l'unica che appoggia tutte le tue stranezze.” replicò lei, sorridendo. “Come ti chiamano? Furamingo il Buono? Solo tu potresti continuare a metterci tutti nella merda, con l'intento di salvare ogni volta il maggior numero possibile di vite, amici o nemici che siano.”

“Sai bene che quest'uniforme che indossiamo non è una scusa per tramutarci in assassini.” rispose lui, improvvisamente diventato serio. “Il nostro compito è proteggere i deboli e gli oppressi, non sterminare tutti coloro che non la pensano come noi.”

“Ci fossero più persone nella Marina che la pensasserò così!” Hora scosse la testa. “Ma forse non esisterebbe neanche il Governo così come lo conosciamo...”

“Hora...” la redarguì lui. “Dovrei arrestarti per frasi come quella che hai appena pronunciato.”

“Già...dovresti.” replicò lei, un sorriso birbante stampato sul volto.

Subito dopo, i due scoppiarono a ridere.

“Comunque avevi ragione prima.” osservò l'ammiraglio. “Una come te non la troverei da nessun'altra parte.”

“Piantala con i complimenti!” sbuffò lei. “E concentrati su domani. Hai intenzione di catturarlo?”

“Non lo so.” ammise lui. “Non ho idea di cosa farò, una volta che me lo troverò di fronte.”

“Gli ordini li conosci...”

“Al diavolo gli ordini!” esplose lui. “Ho passato tutta la mia giovinezza affianco ad uno dei più grandi marine che la storia abbia mai conosciuto. E la sai una cosa? Non ha mai obbedito ad un singolo ordine, che fosse uno, con il quale non era d'accordo!

”Lo so...” Hora alzò lo sguardo. “Era il tuo eroe, non è vero?”

“Sì.” ammise lui. “Lui, e suo nipote, erano i miei eroi. Perché erano persone libere, che seguivano i loro sogni ad ogni costo, con forza e determinazione. Ho sempre cercato di attenermi ai loro insegnamenti, e ti posso assicurare che non me ne sono mai pentito.”

“Ma questo non ti aiuta con il dilemma che ti tormenta ora, non è vero?” la ragazza scosse la testa. “Sai qual è il tuo problema? Che vorresti cambiare il mondo senza usare la forza, e per quanto io possa essere d'accordo, credimi, in questo mondo dilaniato da morte e guerra, la tua chimera è destinata a rimanere tale.”

Detto questo, il sergente raccolse la sua arma e se ne andò, lasciandolo solo con i suoi pensieri.

Forse hai ragione...pensò lui, fissando l'acqua scura sotto di sé. Ma non ho mai smesso di credere che quello che faccio sia per creare un mondo migliore. E non voglio smettere di sognare ora.

Perché lui non sarebbe stato d'accordo, e se c'era una cosa che Furamingo non avrebbe mai fatto, era deluderlo.

Se lui ha realizzato il suo sogno, io posso realizzare il mio. Sorrise amaramente. Tutti lo consideravano un pazzo sognatore, ma la cosa non lo toccava minimamente. E lo farò ad ogni costo. L'ho giurato.

E lui mi ha insegnato che le promesse vanno mantenute!

 

 

Jimbei fissò Shaky con il suo unico occhio buono, incredulo.

“Sei sicura che sia lui?” borbottò, tracannando l'ennesimo bicchiere di rum. “Insomma...sapevo che esisteva, ma che sarebbe diventato un pirata...beh, questo non l'avrei mai sospettato!”

La donna sorrise.

“Di che ti sorprendi?” osservò lei, accendendosi un'altra sigaretta. “Il sangue che ha nelle vene dovrebbe farti capire che non si sfugge al proprio destino. Kinji era destinato a diventare un pirata, e sono sicura che diventerà un grande pirata!”

“Il figlio di Rufy qui...a Sabaody.” l'uomo-pesce scosse la testa. “Forse ormai sono ubriaco, ma la cosa mi rende un po' malinconico. Chissà se riusciremo ad incontrarlo, prima che parta.”

La mora lo guardò dritto in faccia, il sorriso sempre presente sul volto.

“Oh, io credo di sì.” osservò, mentre il fumo l'accarezzava gentilmente. “E sai che ti dico? Che sarà divertente.”

“Divertente?” Jimbei sembrò non capire.

La barista, persa nei suoi pensieri, ragionò su quella bizzarra situazione che il destino aveva creato.

“Jimbei, hai mai considerato cosa accadrebbe se il figlio di Rufy si incontrasse con l'ammiraglio Furamingo?” chiese.

“Furamingo?” l'ex pirata sgranò il suo unico occhio. “Vuoi dire che anche lui si trova qui?”

“Ovviamente.” confermò lei. “E voglio vedere cosa accadrà...sì, sono proprio curiosa.”

“Furamingo contro Kinji...” l'uomo-pesce finì di scolarsi il proprio bicchiere. “Non ho proprio idea di come finirà.”

Shaky lo fissò con fare enigmatico.

“Neanche io, ma posso dirti questo.” dichiarò, la voce bassa e sensuale. “Che quel ragazzo ha la stoffa per affrontarlo, e credo che ci sorprenderà. Del resto, è nel suo sangue rendere possibile l'impossibile.”

Jimbei la guardò con fare strano.

“Il mondo sta per cambiare di nuovo.” sussurrò lei. “E le pedine si stanno muovendo molto in fretta!”

 

 

CONTINUA

 

Eccomi di nuovo qua con il nuovo capitolo. Ammetto che non è molto lungo, ma spero che vi possa piacere lo stesso. Ho colto l'occasione per cominciare ad approfondire i rapporti tra i vari membri della ciurma, cercando di svilupparli meglio come personaggi. La scena del pranzo mi sono divertito parecchio a scriverla, spero che l'abbiate apprezzata!

E con questo vi saluto! Come sempre, le recensioni sono ben accette!

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 5
*** Bar Tispenno e la Locanda dei Mandarini ***


Capitolo 5

 

 

Arcipelago Sabaody, Grove 13.

 

Kinji osservò, con fare perplesso, la taverna dall'aria dismessa davanti a sé.

“Bar Tispenno...” lesse sull'insegna polverosa Kuroc. “Non mi sembra un nome incoraggiante.”

“Ehi, cervellone.” borbottò Erza in direzione di Milo, che si stava pulendo gli occhiali con fare ossessivo, a causa della resina dell'arcipelago che gli si appiccicava sempre sulle lenti. “Sei sicuro che il posto sia questo?”

“Eh? Beh...ecco...penso di sì. Ovunque sono andato a chiedere, tutti mi hanno indicato questo locale dove trovare un buon rivestitore.” rispose il navigatore, ricominciando a pulirsi gli occhiali per l'ennesima volta.

Erza stava per controbattere, quando Kita la zittì con un'occhiata gelida.

“Basta perdere tempo!” osservò la bionda. “Entriamo e troviamo questo rivestitore.”

E senza indugiare ancora entrò, subito seguita dagli altri.

Il locale aveva l'aria dismessa, come se avesse visto giorni migliori. Il pavimento era consunto, i tavolini scoloriti, e le finestre impolverate facevano entrare poca luce. Ma nell'aria serpeggiava un profumo dolce, da donna, che inebriava le narici, facendo ribollire il sangue a chiunque, maschio o femmina.

Dietro al bancone era seduto un uomo di colore, dal fisico muscoloso e la testa rasata. La sua espressione indecifrabile li studiò per circa una decina di secondi, per poi tornare ai bicchieri che stava pulendo. L'unica altra presenza era quella di una figura alta e corpulenta, avvolta in un mantello nero, che sedeva in un tavolino nell'angolo più scuro della stanza, sorseggiando un bicchiere di rum.

“Salve!” esclamò Kinji al barista, rivolgendogli un sorriso smagliante. “Stiamo cercando un rivestitore. Tu lo sei?”

L'uomo non rispose, limitandosi a cambiare bicchiere da lucidare.

“Potresti anche rispondere...antipatico!” borbottò Kinji, facendogli una linguaccia. Subito dopo, Kita lo spedì al suolo con un pugno in testa.

“Scusalo.” dichiarò la bionda, mentre il suo capitano agonizzava al suolo, tra l'indifferenza dei suoi compagni. “Ci hanno riferito che in questo locale avremmo potuto avere indicazioni per un ottimo rivestitore. Ci puoi dare delle informazioni?”

“Le informazioni costano.” grugnì allora l'uomo, aprendo bocca per la prima volta.

La piratessa inarcò un sopracciglio.

“Quanto?” fu la sua unica parola.

“Dieci milioni di berry.”

Davanti a quella cifra a Milo cadde letteralmente la mascella, mentre Kuroc ed Erza si preparavano a scattare, pronti alla rissa. Kita invece sorrise, ma il suo sembrava più il ghigno di un lupo.

“Il negretto gioca a fare lo stronzo.” sibilò con voce velenosa. “Se non vuoi che ti sfasci questa catapecchia, ti conviene abbassare le pretese. Non sono stupida.”

“Lo sarete se toccherete le vostre armi.” esordì una voce femminile e sensuale, proveniente dal retro del locale. “In questo bar non c'è posto per i deboli e gli squattrinati.” Gli occhi gelidi di Kita si indirizzarono verso la fonte della voce, osservando una donna sulla quarantina entrare nel loro campo visivo. Era alta, magra, bella e terribilmente sensuale. Aveva i capelli neri tagliati con un taglio a caschetto, occhi penetranti dello stesso colore, ed una sigaretta che pendeva con fare pigro dalle labbra morbide e carnose. Indossava una maglietta viola senza maniche, che lasciava poco all'immaginazione, e che le scopriva la pancia piatta, mentre le sue lunghe gambe erano ricoperte da un pantalone nero ed attilato. Ai piedi teneva un paio di sandali con il tacco, di colore abbinati alla maglietta.

“E tu chi saresti?” chiese Erza, accarezzando con il pollice il calcio di una delle sue pistole.

La donna aspirò una boccata di fumo, rilasciandolo con fare sensuale nella stanza. Solo in quel momento, i pirati si accorsero che il profumo sexy ed erotico che sentivano nell'aria proveniva da quella splendida creatura.

“Il mio nome è Shaky, Erza.” rispose, sorridendo loro con fare misterioso. “Sono la proprietaria di questo locale.”

“Come sai il mio nome?” domandò la cecchina, sempre più tesa.

“Oh, io conosco tutti i vostri nomi.” replicò la mora, indicando uno per uno i nuovi arrivati. “Kuroc Watsani, Milo Stich, Kita Hirati, Boa D. Kinji...ed infine te, Erza Sakurani.” in quell'istante, Kinji si riprese dal colpo infertogli da Kita. Sbadigliando, il capitano fissò dritto negli occhi Shaky, che gli sorrise di rimando.

“Benvenuto Kinji il 'Dragone'. Speravo che venisti in questo posto.”

“E perchè?” chiese il moro, inclinando la testa perplesso.

“Beh, mi sembra ovvio.” rispose la donna, il sorriso sempre più largo. “Io sono tua nonna.”

 

 

All'interno del bar, ad eccezione di Kinji e Shaky, lo stupore fu immenso. Il mento di Kita e degli altri compagni toccò il pavimento, la figura nell'angolo rimase bloccata con il bicchiere di rum a mezz'aria, e perfino Sharp, il burbero barista, sembrò colpito da quell'affermazione.

“Tu saresti mia nonna?” il moro inclinò la testa, sovrappensiero.

“Beh, non di sangue.” specificò la donna, aspirando una nuova boccata di fumo. “Ma ho accudito tua madre e le tue zie quando erano piccole. E per loro ero come una madre. Pertanto, io sono tua nonna.”

“Mmm...” il capitano la squadrò, ancora non troppo convinto.

“H-ha detto nonna?” l'occhio sinistro di Milo aveva un tic alquanto innaturale. “Ma...che razza di famiglia ha?”

“E che ne so, io?!” dichiarò Erza, gli occhiali da sole scesi fino alla punta del naso a causa dello stupore. Kita e Kuroc rimasero invece in silenzio, ma le loro facce erano tutto un programma.

Finalmente, Kinji parlò.

“Tu non puoi essere mia nonna!” esclamò con voce dura.

Shaky lo guardò gelidamente.

“Perché?” si limitò a sillabare.

“Semplice.” rispose il moro, la faccia serissima. “Perché le nonne sono tutte vecchie e brutte. Mentre tu sei giovane, e volevo chiederti di uscire.”

Subito dopo, i suoi nakama cadderò al suolo, mentre Shaky scoppiò a ridere.

“Si può sapere che razza di spiegazione è mai questa?!” ululò Milo. “Non si è mai sentito nulla di più assurdo!”

“Quell'imbecille...” ringhiò la Full Metal Bitch, gli occhi chiusi per la vergogna. “Non si smentisce mai!”

“Beh, se vuoi ti metto in agenda.” replicò alla fine la donna, un sorriso giocoso stampato in faccia. “Comunque puoi pure chiamarmi Shaky. Non mi piace essere etichettata come una nonna.”

“Ma scusa, se non ti piace essere una nonna, perché ce l'hai detto?” domandò il navigatore.

La mora scrollò le spalle.

“Così...mi andava di farlo.”

“Ora comincio a capire come fa ad essere imparentata con Kinji...” mormorò Kuroc.

“Già...” affermò Milo. “A quanto pare, non è il sangue il metodo di trasmissione del gene della stupidità che circola nella loro famiglia.” il moro aveva saputo dallo spadaccino di Sabo, l'eccentrico zio di Kinji.

Con un'ultima aspirata, Shaky terminò la propria sigaretta, lanciandola con millimetrica precisione nel posacenere sul bancone. Subito dopo, si diresse verso il retro del proprio locale.

“Forza venite.” ordinò ai pirati. “Sarete ospiti miei. Qui gli amici consumano gratis.” concluse con un sorriso accativante.

“Davvero? Yuhuuu!! Grazie mille, nonn...” Kinji non riuscì a terminare la frase a causa di un calcio della mora, che lo prese con inquietante precisione proprio sulla bocca.

“Ti ho detto di non chiamarmi nonna.” osservò Shaky, il sorriso sempre al proprio posto sulle sue morbide labbra.

“O-k...” ansimò il capitano, alzando il pollice destro in segno di assenso. “Me lo ricorderò.”

 

 

Il retrò del bar 'Tispenno' era decisamente migliore. Un salottino moderno, arredato con buongusto, e illuminato con una luce calda ed allegra accolse i giovani fuorilegge. I tavoli erano lunghi, con gli angoli spuntati, e lucenti. I divanetti erano morbidi e profumati, ed il grande frigo che troneggiava nell'angolo sembrava promettere pasti luculliani e bevute memorabili.

“Uao!” esclamò Milo, la salivazione già aumentata. “Che posticino carino!”

“Decisamente...inaspettato da trovarsi quaggiù.” osservò Kuroc.

Gli altri non dissero nulla, limitandosi a guardarsi intorno. Tuttavia, se nel caso delle ragazze era dovuto a semplice sorpresa, il giovane capitano era impossibilitato a parlare, a causa di una salivazione eccessiva, che gli inondava letteralmente la bocca.

“Di solito questo posto non è riservato ai clienti del mio locale.” spiegò Shaky, mentre tirava fuori cibo e bibite dal frigorifero. “Ma, come ho già detto prima, gli amici qui ricevono un trattamento speciale, e completamente gratuito.”

“Ti ringrazio, a nome di tutti!” dichiarò il vice-capitano, già pronto a scolarsi la prima bottiglia della giornata.

“Già...anche a nome suo...” borbottò Erza, impegnata a tenere a freno un affamatissimo Kinji.

“Puoi lasciarlo pure 'libero'.” la tranquillizzò la mora. “Sentitevi liberi di mangiare e bere quanto volete.”

“D'accordo...io non mi assumo più responsabilita sui suoi disastri.” concluse la cecchina, lasciando libero il proprio capitano di divorare le scorte di cibo del locale.

Mentre tutti i membri della ciurma erano impegnati a bere ed a mangiare, Kita rimase in disparte, accettando solamente un bicchiere di acqua, mentre il suo sguardo vagava freddamente attorno a sé. Shaky si incuriosì di quell'atteggiamento, anche se non eccessivamente, e decise di cominciare a stuzzicare la ragazza, nel tentativo di farle fare un passo falso.

“E' una mia impressione, o noi ci siamo già viste da qualche parte?” esordì, piantando i propri occhi scuri in quelli chiari della bionda. Con sorpresa di tutti gli altri, quest'ultima arrossì leggermente, abbassando prontamente i propri occhi.

“No.” rispose con voce sicura, ma all'orecchio attento della mora non sfuggì una leggera punta di nervosismo. “Non sono mai stata da queste parti.”

Spudorata la ragazza...

“Capisco...” concluse, accendendosi un'altra sigaretta. “Devo essermi sbagliata.”

“Dimmi Shaky.” dichiarò all'improvviso Erza, distogliendola dalla Full Metal Bitch. “Che tipo di rapporto c'era tra te e la madre di Kinji? Sai, sappiamo così poco del suo passato.”

Shaky sorrise, mentre appoggiava un gomito sul tavolo di legno.

“Non credo di essere la persona più adatta a rispondervi.” dichiarò. “Se Kinji non vi ha mai riferito nulla del suo passato, non mi sembra corretto che lo faccia io.”

“Mfh? Il fio paffafo?” domandò il moro, sputando pezzetti di rognone ovunque. Dopo aver inghiottito il tutto il capitano riprese a parlare “E che cosa c'è da sapere?”

La donna inarcò un sopracciglio.

“Sanno chi è tuo padre?” si limitò a chiedere.

“Mmm...beh, a parte Kuroc...gli altri no.” si giustificò Kinji, sorridendo. “Ah, ragazzi, mio padre era il Re dei Pirati.” aggiunse subito dopo, come se fosse una notizia secondaria, e riprendendo a mangiare come se niente fosse.

Nel locale cadde un silenzio di tomba.

“Il...Re...” ansimò Milo, dopo aver sputato a terra mezza caraffa di succo di mela, la sua bibita preferita.

“Dei...” balbettò Erza, il bicchiere di vino fermo a mezz'aria.

“Pirati...?!” concluse Kita, gli occhi ricolmi di stupore.

Kuroc si limitò a schiaffeggiarsi la fronte, mentre sollevava gli occhi al cielo.

Lo sapevo che sarebbe andata a finire in questo modo...quel babbeo...glielo avevo detto mille volte di dirlo e basta...

“Beh? Che sono quelle facce sconvolte?” chiese Kinji, osservando gli occhi grandi come piattini da thè dei propri compagni.

“C-come cosa c'è?!” esordì Milo. “Ti vieni qui a spifferare che sei il figlio di uno dei più grandi pirati della storia, e ci chiedi cosa c'è?! Ma cosa hai in quella testa?!”

“Il vuoto cosmico...ecco cosa!” borbottò Erza. “Solo un idiota potrebbe comunicare così una simile notizia.”

Kita non parlò, ma il suo sguardo chiaro non si staccò mai da Kinji, il quale lo ricambiò con un sorriso allegro. Il capitano sapeva a cosa stava pensando il suo primo ufficiale, e la cosa non gli dispiaceva neanche un po'.

Ora non è più così sicura di superarmi un giorno...dovrà impegnarsi molto di più.

“Visto? Non ci voleva così tanto a dirlo.” esclamò Shaky, rompendo quell'istante di tensione che si era creato nella stanza. “Ora, mi sembra di aver capito che eravate venuti per cercare un rivestitore, giusto?”

“Aspetta, Sahky!” esclamò Erza. “Non si può liquidare in questo modo quest'argomento. Kinji ci deve delle spiegazioni. Cosa crede, che se la può cavare così? Vogliamo delle risposte!”

“Concordo.” dichiarò Milo.

Kinji li squadrò con fare perplesso.

“Che tipo di risposte?” chiese.

“Per esempio, come diavolo è possibile che il figlio del Re dei Pirati circolì liberamente per gli oceani, ed il Governo Mondiale non faccia nulla? Che prove ci sono? Come hai fatto a sopravvivere? E poi...” il navigatore fu costretto ad interrompersi, a causa di Kita, che sbattè il proprio pugno sul tavolo in maniera così violenta, che i vetri tintinnarono, richiamando l'attenzione attorno a sé.

“Si può sapere...” esordì, la voce bassa e minacciosa la piratessa, gli occhi ancora più freddi del solito. “Cosa diavolo ve ne frega?”

“Ma...Kita...” Milo la guardò perplesso, incapace di capire il suo ragionamento.

“Anche se Kinji rispondesse a tutte le vostre domande, questo cambierebbe qualcosa? Vorreste cambiare per caso ciurma? In quel caso, vi conviene farlo subito, senza perdere tempo. Quale che sia il padre di Kinji mi è del tutto indifferente...perché non è da queste cose che si sceglie chi seguire.”

Nel locale scese il silenzio. Erza e Milo si guardarono in faccia, leggermente in colpa, mentre la Full Metal Bitch tornò a fissare il paesaggio fuori dalla finestra, non avendo più nulla da aggiungere. Il tutto mentre Kinji e Kuroc sorridevano, increduli di quanto fosse cambiata la ragazza in quegli ultimi sei mesi: una volta non avrebbe mai detto quelle parole.

“Riguardo al rivestitore, comunque...” proseguì Shaky. “Io posso darvi una mano.”

“Davvero? Ne conosci uno, per caso?” chiese il navigatore.

La donna sorrise.

“No, ma posso portarvi da chi conosce il miglior rivestitore dell'arcipelago.”

 

 

Arcipelago Sabaody, Grove 25.

 

 

Kinji e gli altri squadrarono, con fare perplesso, l'edificio davanti a loro. Era una locanda di piccole dimensioni, interamente in legno, e dall'aria confortevole. Le assi di legno chiare ed i colori vivaci dell'insegna contribuivano notevolmente nel dargli quell'aria di sicurezza e comodità. Quest'ultima era composta da una scritta, che terminava con uno strano disegno: una girandola blu, da cui spuntavano dei graziosi mandarini di un arancione brillante.

“'La locanda dei mandarini'.” lesse Erza, mentre si accendeva una sigaretta. “E' questo il posto di cui parlavi, Shaky?”

La donna annuì.

“Sì, è questo. Ho preferito accompagnarvi, per questa volta, per presentarvi i proprietari. In questo modo, vi daranno una mano senza troppi problemi.”

“Chi sono i proprietari?” domandò il capitano.

Prima che Shaky potesse rispondere, da dentro la locanda si udì un'esplosione, che fece uscire fumo nero da ogni finestra, e creò un vento fortissimo che investì il gruppo. Poi, subito dopo, un corpo semiustionato venne scaraventato fuori, cadendo di fronte ad un terrorizzato Milo, che prontamente si nascose dietro a Kuroc.

“Si può sapere che cosa hanno i gestori di locali da queste parti?” borbottò il samurai, grattandosi la testa. “Sembra sia consuetudine picchiare a sangue i clienti.”

“Solo quelli più fastidiosi.” lo corresse Shaky, completamente rilassata nonostante quello che era appena accaduto.

In quell'istante, un uomo uscì dalla locanda. Era alto, magro, e vestiva con un elegante completo nero, lucidato e senza neanche un grammo di polvere addosso. Aveva i capelli biondi, che cadevano con un ciuffo sul lato sinistro del volto, sopracciglia arricciolate, un pizzetto leggermente più scuro a coprirgli il mento, occhi azzurri, ed un volto curato che in quel momento era sfigurato da un'espressione di gelida collera. Ai piedi calzava scarpe di un nero lucido, mentre tra le labbra gli pendeva una sigaretta.

“Guai a te se oserai rientrare in questo locale.” esordì con voce minacciosa, puntando la sigaretta verso il poveretto svenuto ed ustionato riverso al suolo. “Nessuno, qua dentro, può importunare una signora.”

Subito dopo, l'uomo alzò lo sguardo, andando ad incrociare lo sguardo caldo e suadente di Shaky. Immediatamente subì una metamorfosi tanto repentina, quanto inquietante. La sua espressione, da gelida, divenne lasciva, i suoi occhi divennero due cuoricini, e sulle sue labbra si disegnò un sorriso idiota.

“Shaky-chan!!!!!!” urlò, fiondandosi verso l'avvenente barista, e cominciando a girarle attorno a mo' di trottola, spargendo cuoricini ovunque. “A cosa devo questa magnifica, magnifica, visita! Dovevi avvertirmi, che ti avrei preparato un pranzo da regina quale tu sei!”

Prima che Shaky potesse rispondere, l'attenzione del biondo fu calamizzata dal seno prosperoso di Erza, e dalle gambe sensuali e muscolose di Kita.

“Ma hai portato anche delle amiche! Che cosa carina da fare! Pensare con questa premura al povero Sanji, sei davvero un angelo!” poi, schizzando come un razzo, Sanji si mise davanti alle due bionde, sorridendo come un ebete, e cercando di fare un goffo, quanto pervertito, baciamano alle due piratesse.

“Che piacere conoscervi dolci fanciulle, sono veramente entusiasta di fare la vostra splendida, splendida, conoscenz...” prima che il biondo potesse mettere in atto i suoi peccaminosi pensieri, le due ragazze lo colpirono, all'unisono, con un violentissimo calcio sul mento, mandandolo a schiantarsi contro la parete della locale.

“E questo sarebbe il proprietario?!” domandò Kuroc, allibito dalla scena alla quale aveva appena assistito. “Un idiota con evidenti problemi di approccio con le donne?”

“Lui è Sanji, ed è il cuoco di questo posto. I suoi piatti sono veramente squisiti, ve lo posso garantire.” spiegò Shaky, sempre perfettamente composta.

“Che tipo buffo!” osservò Kinji, ridendo a crepapelle.

“Se quell'idiota mi osa sfiorare un'altra volta, gli ficco una pistola su per il culo!” borbottò Erza, rabbrividendo.

“Ed io lo sgozzo!” ringhiò Kita. “Anzi no, gli taglio quelle inutili palle, gliele ficco in gola, e poi lo squarto un pezzetto di pelle alla volta! Ucciderlo subito sarebbe troppo comodo!”

“Sanji-kun!” attirata da tutto quel frastuono, una donna uscì dalla porta. Era alta, magra, e molto bella. Una lunga chioma di capelli rossi le cadeva lungo la schiena, incorniciando un volto affascinante, anche se in quel momento rovinato da un'espressione infastidita. Indossava un pantalone attillato, che metteva in risalto le sue curve, ed una maglietta chiara, che le scopriva la pancia e risaltava il suo seno prosperoso. Al polso sinistro indossava un monile d'oro mentre sulla stessa spalla era tatuato lo stesso simbolo impresso sull'insegna della locanda.

“Sanji-kun! Si può sapere cos'è tutto questo chiasso?!” in quell'istante, la donna vide Shaky e la sua espressione mutò, diventanto allegra e gioiosa. “Oh, Shaky! Che bella sorpresa! Cosa ci fai qui?”

“Vi ho portato dei clienti!” rispose la mora sorridendo.

“Dei clienti?! Davvero?!” gli occhi della rossa si illuminarono di una luce inquietante, facendo un suono terribilmente simile a quello di un registratore di cassa. “Ottimo! Veramente ottimo!”

“Prego, prego! Entrate pure! Non fate i timidi!” esclamò subito dopo, in direzione della ciurma di Kinji, con un sorriso falsissimo. “Avanti, tu!” sbraitò subito dopo in direzione di Sanji, ancora steso a terra ed immerso in qualche sogno sconcio molto probabilmente. “Ci sono dei clienti da sfamare!”

“Veramente, Nami...questi non sono clienti...'ordinari'.” osservò l'ex piratessa, sempre sorridendo.

Nami si girò a fissarla incuriosita.

“Che cosa vuoi di...oh...” i suoi occhi videro solo in quel momento Kinji, e la spada che portava sulla schiena. Comprendendo immediatamente ogni cosa, la rossa spalancò i suoi splendidi occhi scuri, incredula.

“Non...non è possibile.” balbettò con voce tremante. “T...tu...sei...”

“Eh? io sono cosa?” chiese Kinji, inclinando la testa.

Di fronte a quella domanda senza senso, Nami scoppiò a ridere, mentre tratteneva a stento le lacrime.

“Sì, sei sicuramente suo figlio!” osservò. “Solo lui avrebbe reagito in maniera così stupida!”

E senza riuscire ad aggiungere altro, scoppiò in un pianto di gioia, subito assistita da un redidivo Sanji.

“Nami-san! Non piangere! Il tuo volto è troppo bello per essere rovinato con delle lacrime! E poi...ci sono io affianco a te!”

“Smettila di darmi fastidio!” urlò subito dopo la rossa, tirandogli un pugno che lo spedì dentro il locale.

“Ehm...” Milo non sembrava eccessivamente convinto di quello che aveva appena visto. “Sarebbero loro...le persone di cui parlavi, Shaky?”

“Precisamente.”

“Non mi piacciono!” borbottò subito il navigatore.

“Perché? Sono simpatici!” replicò sorridendo Kinji. “E poi non vedo l'ora di assaggiare i manicaretti di quel cuoco!”

 

 

“Che cosa?! Voi due eravate sulla nave del Re dei Pirati?!” esclamò Milo.

“Esattamente.” replicò Nami. “E, per la precisione, io ero il navigatore, mentre Sanji era il cuoco di bordo.”

“Che figata!” esclamò Kinji, gli occhi luccicanti. “Deve essere stato superstramegamitico!”

Erano nella cucina del locale di Nami. Un ambiente pulito, in ordine, e con le migliori attrezzature da cucina che splendevano appese lungo i muri. Kinji e la sua ciurma erano seduti attorno ad un grande tavolo quadrato, insieme a Nami e Shaky, con Sanji che nel frattempo preparava da mangiare, senza mai perdere occasione per ricoprire di gentilezze le ragazze dentro la stanza. Tuttavia, se Nami e Shaky sembravano non farci neanche caso, Kita ed Erza rabbrividivano ogni volta che il cuoco pervertito si avvicinava a loro.

“Ah...quante soavi fanciulle in questa stanza...sono l'uomo più felice del mondo!” cinguettò il biondo, mentre spargeva orribili cuoricini rosa per tutta la stanza.

“Sanji-kun...vuoi dedicarti ai fornelli? Abbiamo sete.” lo richiamò Nami.

“Subito, Nami-swan!”

“E fame!” aggiunse Kinji.

“Ma se hai svuotato la dispensa di Shaky meno di un'ora fa!” osservò Milo.

“Sì...ma vuoi mettere la possibilità di assaggiare i manicaretti del cuoco del Re dei Pirati?” gli occhi del giovane capitano avevano cominciato a luccicare in modo pericolosamente familiare al navigatore.

Poco dopo, una volta che tutti avevano ricevuto la propria ordinazione, Nami cominciò ad osservare Kinji con curiosità, sorridendo nel constatare che, riguardo il cibo, era la copia esatta di Rufy.

“Sei identico a tuo padre.” osservò la rossa, mentre Kinji tentava, senza successo, di rubare dello spezzatino dal piatto di Kita. Peccato che quest'ultima non fosse troppo d'accordo, ed aveva lanciato dall'altra parte della stanza il suo capitano con un calcio.

“Ah sì?” domandò il moro, una volta ritornato seduto.

“Già...anche lui amava mangiare...e con la stessa identica foga!” Nami si perse nei propri ricordi, sempre con un sorriso sulle labbra. “Si vede che hai ereditato la sua buona forchetta.”

“Sai che gioia...” borbottò Milo, osservando il proprio capitano ritornare ad ingozzarsi a velocità inumane. “Ogni pasto con lui è una lotta...”

“Concordiamo.” dichiararono all'unisono gli altri tre membri della ciurma.

“Ehi, Nami.” esclamò Shaky, mentre tirava fuori la quinta sigaretta della giornata. “Sbaglio, o gli abiti che Kinji-kun indossa sono gli stessi che aveva quel vostro compagno spadaccino?”

“Chi? Zoro?” la navigatrice osservò meglio i pantaloni verdi, la panciera dello stesso colore, e la maglietta bianca del moro. “E' vero! Per caso avete incontrato uno spadaccino con tre spade, privo di un occhio?”

“Loro no.” rispose Kuroc, indicando Milo, Erza e Kita. “Ma noi due sì.”

“Davvero! Allora quello zuccone è ancora vivo! Hai sentito, Sanji-kun?” il cuoco non rispose alla domanda della donna, a causa di un ringhio inumano che aveva cominciato ad uscirgli dalla gola non appena aveva sentito nominare il nome di Zoro.

“Quindi è ancora vivo...” l'ex navigatrice si mise a rimuginare. “Questa poi! Nelle condizioni in cui si ritrovava non avrei scommesso un berry sul fatto che se la cavasse. Ma è sempre stato uno dalla pelle dura.”

“E con la testa vuota...” borbottò Sanji di malumore.

“Come sta?” chiese la rossa, ignorando gli insulti che il cuoco stava riversando sullo 'stupido Marimo'.

“Zoro?” a rispondere fu sempre il vice-capitano, dato che Kinji era ancora troppo impegnato a gustarsi il carpaccio di Sanji. “Sta bene. L'abbiamo incontrato nell'East Blue, anche se ormai l'ho visto l'ultima volta più di due anni fa, quindi ora non ho idea di dove si trovi o cosa stia facendo.”

“E non dimenticare anche quello strano scheletro che abbiamo beccato al promontorio Futago.” aggiunse Milo, desiderioso di non essere ignorato. “Anche lui, se non sbaglio, disse di aver fatto parte della ciurma del Re dei Pirati.”

“Avete incontrato anche Brook?” domandò sorpreso Sanji. “Però! Non sapevo che ora fosse a Reverse Mountain!”

“Allora è vero che anche quello scheletro pervertito faceva parte della vostra ciurma.” borbottò Erza. “Quanti psicopatici con problemi nei rapporti con le donne avevate a bordo?!”

“Parecchi!” sospirò sconsolata Nami. “Ed io mi sono tenuta il peggiore di tutti!”

“Oh...Nami-san! Sei bellissima anche quando sei crudele!”

“Che cosa ci fa laggiù quel babbeo di Brook?” chiese la rossa, ignorando il cuoco.

“Il guardiano.” rispose sempre la cecchina. “Insieme ad una balena gigantesca. A quanto pare, sembra che si diverta un mondo a chiedere le mutande di ogni donna o ragazza che passa per di là.”

“Sì, è un vecchio vizio di quell'idiota...” confermò la donna. “Beh, che sorpresa! Brook e Zoro sono vivi e stanno bene. Questa è decisamente una splendida notizia!”

“Ehi...” a parlare questa volta fu Kita. “Come era navigare con il Re dei Pirati?”

Nami rivolse il suo sguardo sulla Full Metal Bitch, osservandola a lungo, fino a metterla a disagio.

“Perché mi fissi in quel modo?” chiese con tono brusco.

“Sbaglio, o noi ci siamo già visti da qualche parte?” chiese la rossa, facendo arrossire per la seconda volta in poche ore la bionda.

“No!” rispose seccamente, tenendo alto lo sguardo stavolta. “Non sono mai stata prima d'ora su questo arcipelago.”

“Mmm...” l'ex navigatrice scambiò una fugace occhiata d'intesa con Shaky, ma preferì non insistere su quel discorso.

“Allora?” insistette Milo. “Com'era navigare con il Re dei Pirati?”

Di fronte a quella domanda, sia Nami che Sanji sorrisero con fare nostalgico.

“Com'era navigare con Rufy?” la voce del cuoco fu la prima a risuonare nella cucina. “Beh...era...un'avventura continua. Rufy aveva il cuore puro come quello di un bambino, e ragionava sempre e solo con esso. Era impossibile prevedere una sua decisione, oppure una sua mossa. Riusciva a sorprenderti sempre, anche dopo anni che lo conoscevi.”

“Era unico.” proseguì la rossa. “Sapeva farti arrabbiare come poche persone al mondo, ma subito dopo era capace di farti ridere come non mai. Senza contare che ognuno di noi sapeva che Rufy non ci avrebbe mai abbandonato. Avrebbe dato anche la vita per proteggerci ed aiutarci...e saperlo era una cosa meravigliosa.”

“Sapeva farsi seguire e rispettare dagli altri.” osservò ancora Sanji. “Ma in un modo così naturale e spontaneo, che non te ne accorgevi...era il capitano, eppure tutti lo consideravano più che altro un amico...un amico su cui sapevi di poter sempre contare.”

Kinji, che aveva ascoltato tutto, sorrise nel sentire parlare in quel modo di suo padre. Anche i suoi nakama sorridevano, ma per un altro motivo: sembrava loro di sentir parlare di Kinji, ed il fatto che fosse il figlio di quel pirata leggendario era più che plausibile ormai. L'unica che non sorrise fu Kita, che osservava con fare perplesso il proprio capitano.

Stanno parlando del Re dei Pirati...o di Kinji?

“Ehi Nami, ora ho io una domanda da farti!” esclamò Milo. “Vorrei sapere se siete stati veramente su Raftel e se il mitico One Piece esist...” la voce del navigatore si spense quando Kinji sbattè un pugno sul tavolo così forte da mandarlo in mille pezzi.

“Milo...” esordì il capitano, una vena che pulsava pericolosamente sulla sua fronte, il sorriso di poco prima completamente sparito. “Chiudi quella dannata bocca!” gli altri lo guardarono a bocca aperta. Non l'avevano mai visto così furioso.

“Non me ne frega niente se quel tesoro esiste o meno! Non voglio sapere neanche se Raftel esiste o è solo una fantasia! Noi stiamo sfidando la sorte, veleggiando in queste acque selvaggie e pericolose, e tu vorresti togliermi tutto il divertimento?! Te lo puoi scordare!”

Milo rimase imbambolato per qualche secondo prima di riprendersi.

“H-hai ragione!” dichiarò infine. “Scusami...sono stato uno sciocco! Neanche a me interessa saperlo! Quindi non chiederò nulla!”

Nami scoppiò a ridere, mentre Shaky e Sanji riuscirono a trattenersi dal farlo.

“Kinji, sei proprio il degno figlio di tuo padre!” esclamò la rossa. “Hai il suo stesso temperamento, e la sua stessa capacità di affrontare le difficoltà con il sorriso. Sono sicura che riuscirai a trovare quello che cerchi, alla fine di ogni cosa.”

“Ma adesso, lasciando perdere questi discorsi, ditemi: cosa possiamo fare per voi?”

“Shaky ci ha detto che voi conoscete un bravo rivestitore.” spiegò Erza. “Ci serve per rivestire la nostra nave, e raggiungere così l'isola degli uomini-pesce.”

“Ah, l'Isola Sommersa!” osservò Sanji, lasciando i giovani pirati abbastanza perplessi, costringendolo a spiegarsi. “Viene chiamata così da quando il re Fukaboshi si trasferì con la sua corte ed una parte della popolazione su un'isola alla luce del sole, dando vita ad un nuovo regno che avesse legami più stretti e frequenti con gli umani. Tuttavia, non tutti gli uomini-pesce vollerò lasciare le profondità marine, ed alcuni di loro restarono nella vecchia isola, retta e governata dai due fratelli minori del re. Da allora, i due regni vengono chiamati Regno Emerso e Regno Sommerso, ed entrambi fanno parte del Governo Mondiale.”

“Dunque esistono due isole dove vivono gli uomini-pesce?” domandò Milo.

“Sì, ma tutto questo esiste da appena quindici anni.” precisò Nami. “E' un ulteriore passo verso l'integrazione tra umani e uomini-pesce, ma i rapporti sono molto tesi nel Regno Emerso tra le due razze, e già molta gente ha preferito ritornare negli abissi. Senza contare che nessuna sirena ha avuto per ora il coraggio di vivere nel Regno Emerso, e questo senza dubbio è influenzato dalla spietata caccia che gli schiavisti danno loro da anni.”

“Dove si trova questo Regno Emerso? Mi piacerebbe visitarlo!” dichiarò Kinji.

“Non potete, è fuori dalla vostra rotta. Ormai vi dovrete accontentare di visitare il Regno Sommerso, ma vi assicuro che non rimarrete delusi.” rispose il cuoco.

“Pensavo che potevate mandarli dal miglior rivestitore dell'arcipelago.” aggiunse ad un tratto Shaky. “Dopo tutto, è figlio di un vostro caro amico, no?”

Sulle labbra di Nami comparve un sorriso enigmatico.

“Stai parlando di Santoli, non è vero?”

 

CONTINUA

 

 

Mi scuso per il mio interminabile silenzio, ma questo è stato davvero un periodo intenso e pieno di impegni per me, e ho fatto veramente fatica a ritagliarmi dello spazio per la scrittura.

So bene che ritornare dopo tutto questo tempo con un capitolo di transizione non è il massimo, ma spero che vi possa piacere, e cercherò di pubblicare il prossimo in meno tempo (non che ci voglia molto...)

Ah, colgo l'occasione per chiarire subito che Nami e Sanji non sono sposati, non sono una coppia, e non hanno nessun tipo di relazione intima. Sono solo due amici che gestiscono insieme una locanda, e verrà anche spiegato più avanti perché sono alle Sabaody. Volevo specificare questo punto per togliere eventuali equivoci sulla possibilità di una coppia NamixSanji, perché non ci sarà (così come non ci saranno relazioni intime tra gli altri membri della ciurma di Rufy).

E per ora è proprio tutto.

Un saluto!

Giambo.

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Capitolo 6
*** L'incredibile potenza dell'ammiraglio Furamingo ***


Capitolo 6

 

 

Arcipelago Sabaody, Grove 21

 

 

Kinji ed i suoi compagni osservavano, incuriositi, l'edificio davanti a loro. Era una grossa rimessa per navi, costruita con legno scuro, che dava una forte idea di robustezza. Il portone d'ingresso, fatto interamente in acciaio, era socchiuso, e sopra di esso c'era una grossa e scolorita targa, dove era rappresentata una citta costruita attorno a dei canali, con affianco la scritta 'Z&S, rivestitori e carpentieri di prima scelta'.

“Dunque Nami non aveva mentito.” osservò Kuroc.

“Già.” confermò Erza, accendendosi una nuova sigaretta. “A quanto pare, questo Santoli è un tipo che con le navi ci sa fare.”

“Ci servirebbe proprio un carpentierie in squadra...sarebbe un bel colpo magari ingaggiarlo!” propose Milo.

“Frena gli entusiasmi, cervellone!” replicò la cecchina. “Non sappiamo ancora niente di questo tizio, e parli già di farlo entrare nella ciurma? E poi, non credo che un uomo che fa il carpentiere, brami di diventare un pirata.”

“Basta chiacchiere!” ordinò Kinji, gli occhi fissi sull'insegna, ed un sorriso birbante in faccia. “Entriamo e scopriamo che tipo è!”

Prima che i pirati potessero mettere piede nel locale, da dentro si udì una violenta esplosione, con conseguente fuoriuscita di fumo nero e grigio, ed un forte odore di bruciato. Temendo per la vita del proprietario, Kinji corse dentro con la delicatezza di un uragano, mettendosi ad urlare in mezzo al fumo che lo circondava a mo' di nebbia.

“Rivestitore!!!” urlò ripetutamente. “Ehi, rivestitore!!!! Dove sei?! Stai bene?!”

Alla fine, il fumo si dissolse, permettendo a Kinji, ed agli altri componenti della ciurma, che nel frattempo erano entrati, di osservare un locale piccolo, ed arredato in modo spartano: una scrivania ed una sedia erano presenti in fondo alla stanza, con affianco due grandi porte in ferro, da cui presumibilmente si accedeva alle rimesse. Il resto delle pareti era spoglio, ad eccezione di qualche quadro che ritraeva sempre la citta costruita sui canali che si vedeva sull'insegna.

Da una delle due porte uscì un uomo, dalla carnagione olivastra, sui trent'anni, sbattendosi le mani per pulirsi dalla polvere. Era di media altezza, magro, ma con un fisico atletico. Aveva i capelli rosso scuro, rasati ai lati della testa e più lunghi al centro. Un paio di folti baffi a spazzola dello stesso colore gli incorniciavano il labbro superiore, mentre il resto del viso era accuratamente rasato. I suoi occhi verde chiaro erano animati da una luce divertita. Indossava un paio di jeans grigi e larghi, con numerose tasche laterali, un cinturone da cui pendevano numerosi utensili tra cui un martello di medie dimensioni dalla testa nera, ed una felpa con la zip, senza cappuccio, di colore rosso, con inciso, in filigrana d'argento, sul petto la stessa sigla presente sull'insegna del negozio. Sulla fronte portava un paio di occhiali da pilota, ed ai piedi indossava degli scarponi neri, dalla suola rialzata, mentre le mani erano protette da robusti guanti da lavoro grigi. Tra le labbra gli pendeva un fiammifero, dalla capocchia rosso fuoco.

“Però!” esclamò il nuovo arrivato, apparentemente ignaro di avere visitatori, mentre si spazzolava la polvere dai calzoni. “Quella sì che era un'esplosione come si deve! Devo ricordarmi che candelotti di dinamite, ammollo nella nitroglicerina, non sono una combinazione innocua...”

“Ehilà!” esclamò Kinji, salutandolo allegramente con la mano. “Allora sei vivo! Sai, temevamo il peggio, vista che razza di esplosione c'è stata un attimo fa!”

“Eh, cosa?” solo in quell'istante, il rosso, si accorse dei nuovi arrivati. “E voi chi sareste?” chiese. Aveva una voce strascicata e leggermente nasale, e dava l'idea di un uomo pacifico e tranquillo, con quell'espressione perennemente rilassata che aveva in faccia.

“Noi stiamo cercando un uomo di nome Santoli.” dichiarò Kita, aprendo bocca per la prima volta da quando avevano lasciato il locale di Nami.

L'uomo si portò una mano ad accarezzarsi i folti baffi, mentre l'altra la portò dietro la schiena.

“E così state cercando Santoli, eh? Beh, se voi lo state cercando, significa che avete bisogno di una riparazione, oppure di un rivestimento...non ci sono molte altre spiegazioni...”

“Taglia corto, tricheco!” borbottò la Full Metal Bitch. “E dicci dove lo possiamo trovare.”

“Rilassatevi, signorina. La vostra ricerca è finita, dato che il nome di Santoli corrisponde alla mia personalissima persona.” replicò il rivestitore, abbozzando un piccolo inchino. “In che cosa posso esservi utile?”

“Dobbiamo rivestire la nostra nave.” spiegò Milo. “E ci servirebbe il prima possibile...abbiamo fretta.”

“Una rivestitura...” Santoli, continuando ad accarezzarsi i baffi, rimase impassibile anche quando si udì una nuova esplosione dal retro.

“Oh, non preoccupatevi...” dichiarò mentre vedeva i pirati osservare le pareti tremare. “Deve essere stato quel gatto randagio che amava giocare con i miei candelotti di dinamite...non credo che ne sia rimasto molto però...”

“Quanto tempo ci impiegherà?” chiese Erza, preferendo non pensare a cosa potesse essere rimasto del povero animale.

“Difficile dirlo...prima dovrò ispezionare la nave.” spiegò l'uomo. “Seguitemi, prego.” chiese ai pirati, mentre ritornava dietro alla porta da cui era uscito.

Il retro era decisamente più ampio. Un'enorme stanza, illuminata da varie lampade in alto, piena di scaffali, alti fino al soffitto, contenenti ogni tipo di attrezzo necessario ad un carpentiere od un rivestitore di tutto rispetto. Era presente però anche un'enorme quantità di polvere da sparo, granate, esplosivi, dinamite, nitroglicerina, tutte pericolosamente mescolate alla rinfusa. In fondo allo stanzone, alla fine degli scaffali, era presente un bacino di carenaggio, collegato con l'oceano, in quel momento vuoto.

“Dunque...che modello di nave possedete?” chiese il rivestitore, cominciando a rovistare tra gli attrezzi, lanciando in giro esplosivi come se niente fosse, per il terrore dei pirati. Milo poi ebbe un colpo al cuore quando vide una granata puntare dritto verso di lui. Con un salto degno di un gatto, il navigatore si rifugiò sulle spalle di una seccatissima Kita, mentre il punto dove era presente un attimo prima veniva incenerito.

“Milo! Vuoi staccarti dalle mie spalle, razza di pagliaccio?!” ringhiò la bionda.

“N-n-n-non mi p-p-piace questo posto...” balbetto il moro. “Proviamo d-da un'altra parte.”

“Sciocchezze! Lui andrà benissimo!” replicò Kinji, ridacchiando ogni volta che vedeva un'esplosione attorno a sé.

“Mi sembra di capire che hai una passione per le cose che scoppiano.” osservò Kuroc.

“Cosa? Ah sì, mi piace gingillarmi con la polvere da sparo quando non lavoro. Lo trovo rilassante...”

“Dunque...” continuò dopo, uscendo dal groviglio di attrezzi con in mano un foglio di carta ed una penna. “Che tipo di nave avete, modello, dimensioni e tutto il resto?”

Tra i pirati cadde un'imbarazzante silenzio. Tutti si guardarono in faccia, consapevoli di non averne la più pallida idea.

“Una caravella ad un albero?” azzardò infine Milo con fare titubante.

“Una caravella...” Santoli annotò un segno sul foglio di carta, per poi grattarsi la nuca con la penna. “Non mi basta...se non sapete darmi le informazioni che mi servono, dovrò ispezionare la nave, ma porterà via del tempo. Dove l'avete ormeggiata?”

“Al Grove 43.” rispose il navigatore.

“Bene...passerò nel pomeriggio, e domani comincerò la rivestitura. Non preoccupatevi: massimo tre giorni, e la vostra nave sarà pronta.”

“Tre giorni?! Non si può proprio fare prima?!” chiese Kinji, deluso dal dover aspettare tutto quel tempo.

“Temo di no...se volete un lavoro fatto bene, tre giorni è il minimo.”

“E quanto ci verrà a costare?” domandò Kita, riuscendo finalmente a togliersi di dosso Milo.

“Mmm...” Santoli fece un paio di rapidi calcoli con la penna prima di rispondere. “E' difficile dirlo con certezza, prima devo vedere la nave, ma comunque siamo attorno ai cinque milioni di berry.”

“Cinque milioni di berry?! È un furto!” sbottò Erza.

“Smettila di urlare, barbie buzzurra!” replicò Kuroc. “Non siamo così straccioni...”

“Senti stronzetto...mi stai dando della tirchia?!” ringhiò subito la bionda, già pronta alla rissa.

“Precisamente.” sillabò lo spadaccino.

Subito dopo, i due diedero via ad una lotta violenta, senza esclusione di colpi, che si interruppe soltanto quando Kita prese a colpire tutto ciò che incontrava in mezzo alla polvere.

“Spero che vi basti di lezione.” borbottò il primo ufficiale, mentre osservava i volti tumefatti del vice-capitano e della cecchina annuire lentamente.

“Comunque...” proseguì la Full Metal Bitch. “Non puoi farci uno sconto? Nami ha detto che i tuoi prezzi sono buoni.”

“Nami? Nami della locanda al Grove 25?” chiese Santoli sbattendo le palpebre.

“Sì, è stata lei a mandarci da te.” spiegò Milo.

“Beh...allora le cose cambiano. Per voi il lavoro sarà gratuito.” dichiarò il carpentiere, con la solita flemma.

“Cosa?! Come mai questo cambio repentino?” chiese Erza.

“Mangio sempre a scrocco da lei...” spiegò sottovoce il rosso.

“Davvero ci farai il lavoro gratis? Evviva! Grazie baffetto!” esclamò Kinji, facendo una piroetta in aria.

“Dimmi una cosa, Santoli.” chiese Kuroc all'improvviso, mentre gli altri suoi compagni festeggiavano per quell''incredibile colpo di fortuna. “Cosa sta a significare la città che è rappresentata sull'insegna? E quella zeta?”

Santoli piantò i propri occhi verdi in quelli scuri dello spadaccino per circa dieci secondi prima di rispondere.

“Quella città è Water Seven, il luogo dove sono nato.” spiegò infine, mentre si toglieva il fiammifero di bocca, e lo accendeva con un'abile gioco di mano. “In quanto alla zeta...essa è l'iniziale del nome di mio padre. Aprimmo insieme questo posto, circa quindici anni fa.”

“E lui ora dov'è?” lo sguardo del vice-capitano divenne più corrucciato quando osservò il corpo del carpentiere irrigidirsi.

“E' morto...ormai dieci anni fa.” sibilò, mentre il fiammifero si spegneva con un'ultimo sfavilliò tra le sue dita. “Ci vediamo al Grove 43 questo pomeriggio.” concluse freddamente, mentre prendeva una scatola di fiammiferi da una delle tasche laterali dei suoi calzoni, e se ne metteva uno tra le labbra.

I pirati, comprendendo che quello era un congedo, se ne andarono senza proferire ulteriore parola.

“Perché non gli hai chiesto il nome del padre?” domandò Milo, una volta fuori, mentre si incamminavano verso la nave. “Visto che eri lì potevi anche farlo.”

“Non l'ho fatto perché mi ha dato una sensazione per niente piacevole quell'uomo.” rispose lo spadaccino, lo sguardo accigliato. “Era come se...fosse una bestia feroce, pronta a scatenarsi alla minima provocazione. Ero convinto che, se gli avessi fatto un'altra domanda su suo padre, mi avrebbe attaccato senza pensarci due volte.”

“Non è un tipo tranquillo come gli piace apparire.” asserì Erza, mentre si accendeva l'ennesima sigaretta. “Anzi, l'ho trovato estremamente pericoloso...come se dentro di lui covasse tanta rabbia.”

“Rabbia verso cosa?” chiese il navigatore.

“Non è ho idea.” rispose la cecchina, gli occhi verdi coperti dalle lenti scure che brillavano di una macabra curiosità. “Ma qualsiasi cosa sia, credo che sia meglio per essa se sta a parecchia distanza da quell'uomo.”

 

 

Il sergente Hora accese il lumacofono, sentendo la voce di Furamingo lievemente tesa.

“Novità?” chiese l'ammiraglio

“Ho individuato la nave dei pirati. È ancorata al Grove 43.” rispose la bionda. “E sono arrivati i rinforzi da Marineford.”

“Quante navi?”

“Esattamente quante ne avevi richieste: nove navi da guerra, equipaggiate perfettamente, con a capo tre viceammiragli provenienti dal Comando Generale del Nuovo Mondo. Ora in totale abbiamo dieci corazzate pronte a muoversi ad un tuo comando.”

“D'accordo.” il tono di Furamingo sembrava quasi rassegnato. “Sai cosa fare Hora. Assicurati che il lavoro sia veloce e senza intoppi.”

“Proprio il genere di cose che prediligo.” ribatte sogghignando la ragazza. “Tu invece? Hai individuato i pirati?”

“Sì, si stanno dirigendo verso la loro imbarcazione. Hanno cercato di non dare nell'occhio, ma non è stato così difficile.”

“Sei sicuro di volerlo fare?” gli chiese Hora, questa volta seriamente preoccupata per il suo superiore. “Sai bene che, una volta entrato in gioco, non potrai più tirarti indietro. Non possiamo scherzare con i nobili mondiali.”

“Lo so.” la voce dell'ammiraglio stavolta risuonò decisa. “Ma stai tranquilla: ho fatto la mia scelta, e non tornerò indietro. Ora muoviamoci! Abbiamo una missione da portare a termine.”

“Agli ordini, signore!” replicò il sergente, chiudendo la comunicazione con un ghigno stampato sul volto.

Era ora di agire.

 

 

Seitaro lanciò uno sbadiglio, mentre si grattava un orecchio, guadagnandosi un'occhiataccia da parte di Joruri.

“La vuoi smettere di sbadigliare?!” ringhiò la mora. “Sei irritante!”

“Sono annoiato!” replicò Seitaro. Era un ragazzo giovane, sulla ventina, magro e con lunghi capelli neri, raccolti in una coda, occhi altrettanto scuri, ed un viso bello ed abbronzato. Indossava una lunga tonaca da samurai bianca, con sandali tradizionali ai piedi. Al fianco gli pendeva il fodero scuro di una katana, mentre sul lobo destro luccicava un lungo orecchino d'oro. “Potevo passare la mattinata nei casinò dell'arcipelago, invece di perdere tempo girando a caso con voi!”

“Se per una volta non ti ubriachi, e soprattutto non butti via soldi, non sarà un dramma!” Joruri era più bassa e minuta del compagno, che non era comunque altissimo, ma di media statura. Aveva i capelli neri raccolti in una corta coda, tranne che per un piccolo ciuffo che gli ricadeva davanti alla fronte, occhi dello stesso colore, ed un volto dai lineamenti piacevoli, seppure induriti dalla vita da pirata. Indossava dei jeans scuri, una maglietta nera con le maniche corte, ed ai piedi calzava dei sandali con il tacco, rossi. Aveva un leggero trucco sotto gli occhi, sempre nero, unghie dei piedi e delle mani smaltate di scuro, e numerosi bracciali d'oro lungo i polsi. Sulla caviglia sinistra portava un monile d'argento.

Lo spadaccino sbuffò. “Come se fossero tuoi i soldi...è la mia paga, avrò diritto a spenderla come voglio?”

“No, perché poi mi infastidisci per settimane per avere qualche spicciolo.” replicò la mora.

“Io ci rinuncio!” dichiarò Seitaro, scuotendo la testa. “Per favore Mae, la prossima volta lasciamola andare da sola!”

“Ordini del capitano.” si limitò a controbattere la donna chiamata Mae. Era più alta, ed anche più vecchia dei due compagni di circa un paio d'anni. Era magra, e portava i capelli rossi a caschetto, che incorniciavano un volto piacevole, seppure rovinato da una brutta cicatrice sullo zigomo sinistro, dove spiccavano i suoi brillanti occhi scuri. Indossava una camicia da donna scura, leggermente sbottonata a causa del seno prosperoso, pantaloni blu dal taglio altrettanto raffinato, e mocassini di pelle chiara ai piedi. Attorno al collo era presente una collana in oro, a forma di serpenti attorcigliati tra di loro, che culminavano in un piccolo zaffiro.

“Sempre di grande aiuto, eh?” osservò con sarcasmo lo spadaccino. “Ma perchè poi il capitano ha voluto che venissi anch'io. Insomma, a cosa servivo?”

“Che non ti ubriacassi.” rispose Joruri. “Se le cose precipitano, potremmo essere costretti a passare all'azione prima di quanto pensiamo.”

“Furamingo è già sbarcato sull'arcipelago.” osservò Mae, mentre non staccava i propri occhi dai passanti che li circondavano. “Ormai è questione di ore, se non di minuti, prima che si muova assieme alle sue forze.”

“Sono sbarcate anche loro?” chiese Seitaro.

“No, loro stanno per attaccare la nave dei pirati del Drago.” rispose la rossa. “Sono guidati da Hora, la vice di Furamingo.”

“Dobbiamo muoverci.” ordinò Joruri, accelerando il passo. “Immagino che dopo si dirigeranno verso la locanda della donna chiamata Nami.”

“Probabilmente sì.” asserì Mae.

“Allora non c'è proprio tempo da perdere.” concluse lo spadaccino.

“Finalmente ci sei arrivato, eh?” osservò la mora. “Meglio tardi che mai!”

Quando infine, pochi minuti dopo, arrivarono al luogo dell'incontro, trovarono soltanto un giovane uomo, seduto per terra, che faceva un solitario di carte. Aveva circa venticinque anni. Era alto, magro ma di fisico atletico. Aveva i capelli di un blu elettrico, tirati all'indietro, un volto dai tratti felini, ed occhi di un verde cupo. Indossava dei pantaloni attillati, di colore rosso, che lasciavano scoperte le caviglie, un gillet senza maniche bianco, che lasciava vedere il fisico asciutto e muscoloso, mentre ai piedi calzava delle scarpe di tela, sempre bianche, con la punta affilata.

“Capitano, abbiamo individuato la ciurma di Kinji il Dragone.” esordì Joruri, non appena gli furono vicini.

“Davvero?” Harusa sollevò gli occhi dal proprio solitario. Aveva una voce calda e suadente, ma allo stesso tempo pericolosa. Era come un crotalo che tintinnava allegramente i propri campanelli per distrarre le prede, mentre si preparava ad usare le zanne velenose per finirle. “E l'ammiraglio Furamingo?”

“Sta dando loro la caccia. Crediamo che presto anche la loro nave verrà attaccata.”

“D'accordo.” riportando gli occhi sul proprio gioco, il pirata pescò una carta, ma la tenne con il disegno verso il basso, in modo da non vederla. “Joruri, raduna gli altri. Sai già cosa fare.”

“D'accordo.” annuì la ragazza.

“Io proprio non capisco, Harusa.” borbottò Seitaro. “Che senso ha cacciarci in un simile guaio? Dopotutto, noi non abbiamo nulla da spartire con quella ciurma.”

“Non conosci Kinji il Dragone.” rispose il capitano, abbozzando un sorriso dalle labbra sottili. “Quel ragazzo farà esattamente quello che ho previsto, ed io non ho nessuna intenzione di perdermi il divertimento.”

“Non lo puoi sapere con certezza...” obbiettò lo spadaccino.

“E' vero.” ammise Harusa. “Ma lo sai anche tu che raramente mi sbaglio. Mettiamola così: sarà un interessante riscaldamento in vista del Nuovo Mondo...” l'uomo ridacchiò.

Seitaro stava per parlare, quando udì una forte esplosione in lontananza.

“Proviene da dove era ancorata la nave del Dragone.” osservò Mae.

“Ci siamo.” con un'abile movimento, Harusa raccolse le proprie carte, girando solo in quell'istante la carta pescata prima. Sorrise quando vide il ghigno spettrale che il joker gli rivolgeva.

“E' tempo di salvare una ciurma.”

 

 

Kinji non capiva proprio da dove quel tipo fosse sbucato. Un attimo prima stava camminando tranquillo, in direzione della sua nave assieme ai suoi nakama, mentre un secondo dopo, davanti a lui, era comparso quell'ufficiale della Marina, dalla divisa impeccabile e dagli arruffati capelli rosa.

“E tu chi saresti?” chiese il pirata.

Furamingo non rispose. Con espressione impassibile, l'ammiraglio richiamò l'haki sul proprio pugno destro. Poi, con uno scatto troppo veloce per essere notato dai pirati, colpì sul volto Kinji, mandandolo a schiantarsi contro la mangrovia dietro di lui, il tutto in meno di un secondo.

“Ma cosa diavolo è successo?!” esclamò Kita, mentre cercava di scrollarsi di dosso un terrorizzato Milo.

“Quel tipo ha scaraventato via Kinji ad una velocità mostruosa...” osservò Erza, sudando freddo. “Mai visto un uomo muoversi tanto velocemente.”

“Ahia!” con un urlo di dolore, il giovane capitano sbucò fuori dal fumo dell'esplosione, massaggiandosi il naso dolorante. “Ma si può sapere tu chi diavolo sei?! E perché c'è l'hai con me?!”

Solo allora Furamingo sorrise, ma il suo fu un sorriso freddo, privo di alcuna gioia.

“Il mio nome è Kobi.” dichiarò. “Sono un ammiraglio della Marina, ed ho ricevuto l'incarico di arrestare te, e tutta la tua ciurma, Kinji il Dragone.”

“E' l'ammiraglio Furamingo!” urlò Kita, sbiancando quando comprese chi aveva di fronte.

“Dunque è lui il bastardo che ci sta dando il tormento da settimane.” osservò Kuroc, mettendo mano alla sua katana.

“Sta fermo!” ordinò la Full Metal Bitch. “Contro di lui non hai nessuna speranza. Nessun uomo, in questo oceano, è capace di tenergli testa. Alcuni dicono che sia addirittura più forte di Smoker, il Grandammiraglio. È una leggenda vivente.”

Milo sembrò sul punto di svenire, e dovette appoggiarsi alla schiena di Kuroc per non farlo.

“Sei troppo gentile, Kita Hirati.” osservò Kobi, alias Furamingo, mentre osservava Kinji avvicinarsi a lui con passo lento. “Cerco solo di fare del mio meglio per proteggere il mondo da criminali come voi.”

“Proteggere...” sibilò la bionda, mettendosi in posizione di guardia. “Evita di prendermi per il culo. So bene come la Marina 'protegge' i civili.” nonostante la sua espressione sicura, le sue gambe tremavano impercettibilmente. Aveva una fottuta paura, ed era in difficoltà a gestirla.

Ci sono solo due possibilità perché un pezzo grosso come lui ci dia la caccia: Hanno scoperto l'identità del padre di Kinji, oppure...

Una goccia di sudore scese lentamente dalla sua fronte, mentre metteva mano al suo spadone.

Beh...sembra che ormai siamo arrivati alla resa dei conti...nonostante tutto, la Full Metal Bitch riuscì a sfoderare un sorriso nervoso, mentre anche gli altri suoi compagni si preparavano al combattimento, ognuno sfoderando la propria arma.

“State fermi!” ruggì Kinji, mentre continuava ad avanzare verso l'ammiraglio. “Che nessuno di voi lo attacchi.”

I quattro si girarono a fissarlo. Kinji aveva un'espressione di fredda rabbia in volto. Mise mano alla sua spada, Eiji, sguainandola lentamente.

“Di lui mi occupo io.” spiegò con voce glaciale. “Voi andate alla nave, ed aspettatemi laggiù con gli altri.”

“Sei diventato pazzo?!” esclamò Milo “Non hai visto con che velocità ti ha colpito?!”

“Non andremo da nessuna parte.” dichiarò Erza, mentre toglieva la sicura alle sue pistole. “Daremo il nostro contributo anche noi.”

“Il mio era un ordine!” urlò furibondo il capitano. “E voi dovete eseguirlo!! Subito!!”

Kuroc e gli altri, sorpresi da quel tono duro e freddo, abbassarono lentamente le armi, mentre Kinji proseguiva, fino ad arrivare di fronte a Furamingo, molto più alto di lui.

“Questo è uno scontro tra noi due.” dichiarò il pirata, la voce sempre fredda. “Lasciali andare.”

Kobi sorrise freddamente.

“Hai la mia parola.” promise.

Kinjì annuì.

“Ora muovetevi!” ordinò ai suoi compagni. “Andate alla nave...subito!”

Senza dire altro, i quattro pirati si diressero di corsa verso l'imbarcazione, mentre Kinji sembrava trattenere a stento la propria rabbia.

“Perché non mi attacchi?” gli chiese Furamingo. “Ormai i tuoi amici sono distanti.”

“Sei stato tu...” lingue bianche di fuoco cominciarono ad uscire dal corpo del giovane pirata, quasi stesse facendo fatica a trattenersi. “Sei stato tu...a far affondare la nostra nave?”

L'ammiraglio annuì freddamente, facendo esplodere definitivamente il moro.

“Preparati, bastardo!” urlò, i denti contratti. “Perché ti farò a pezzi!”

 

 

Sulla nave dei pirati del Drago, la mattina stava scivolando lentamente via. Loock era andato a rifornire la cambusa in vista del viaggio verso l'isola degli uomini-pesce, Kalì era indaffarata a creare nuovi medicinali con le erbe acquistate la sera prima, mentre Hysperia si godeva la giornata di sole sul ponte della nave, con affianco Shun, che si crogiolava sotto il calore dell'astro.

Tuttavia, pochi minuti dopo il ritorno di Loock, l'assassina aprì gli occhi all'improvviso, udendo i passi veloci di alcune persone in direzione della nave. Senza compiere il minimo rumore, la mora si alzò, portando una mano ad una delle sue spade.

“Tieniti pronto, Shun...” sussurrò. “Stiamo ricevendo visite...”

Il boa non si degno neanche di aprire un occhio. Dopotutto, non era suo compito proteggere la nave. Tutto quello che il rettile fece, fu di arrotolare meglio le sue spire, facendo uscire la lingua biforcuta con aria soddisfatta. Sbuffando, Hysperia lasciò stare, comprendendo che da Shun avrebbe ricevuto ben poco aiuto.

“Ehi! Ehi!” poco dopo, l'assassina potè udire la voce affannata di Milo. “Voi della nave! Ci siete?!”

“Che cosa sta succedendo?” borbottò Loock, uscendo dalla cambusa. “Che diavolo ha da strillare Milo?”

“Non ne ho idea.” rispose Hysperia, mentre estraeva una delle sue spade. “Ma immagino che non sia così di fretta per caso. Deve essere successo qualcosa.”

“Ehi! C'è nessuno sulla nave?!” la voce di Milo risuonò ancora, ed stavolta i due compagni poterono vedere il navigatore, in compagnia di Kita, Erza e Kuroc, correre trafelati verso l'imbarcazione.

“Perché diavolo hanno così tanta fretta?” chiese il cuoco, grattandosi la nuca.

Gli splendidi occhi viola di Hysperia si contrassero appena.

“Dov'è Kinji?” chiese.

Quando ormai vide i suoi compagni a pochi metri dalla nave, l'assassina percepì un sibilo inquietante nell'aria.

“Ma che diav...” fece per girarsi, ma fu troppo tardi.

Dalla terraferma, Milo e gli altri videro con orrore la loro nave, ed i loro amici, venire bombardati da una granucola infernale di palle di cannone.

 

 

Hora alzò la mano destra, tenendo il palmo aperto, facendo successivamente ricadere il braccio.

“Fuoco!” ordinò ad alta voce.

Il suo ordine si trasferì in modo concitato e veloce attraverso tutte le corazzate, e pochi secondi dopo, la ragazza potè vedere una pioggia infernale portare morte e distruzione sui pirati del Drago.

Sorrise. Era in quei momenti che adorava il proprio lavoro. Aveva calibrato e calcolato i cannoni delle corazzate in modo tale che non servisse nessun tiro preliminare, impedendo così di dare tempo ai pirati di contrattacare.

“Adoro l'odore della polvere da sparo la mattina.” mormorò, mentre si accendeva una sigaretta.

“Signore, il ponte della nave nemica ha preso fuoco.” la informò un giovane capitano.

“L'ho vedo anch'io.” borbottò, mentre si sistemava gli occhiali da sole. Nonostante fosse solo un sergente, la sua autorità proveniva dall'ammiraglio Furamingo in persona. Pertanto nessuno, neppure i viceammiragli del Quartier Generale, avrebbero osato mettere in dubbio il suo comando. “Proseguite con il bombardamento fino a quando quella bagnarola non sarà colata a picco.”

“Sissignore.”

Mentre assisteva all'inabissamento della caravella, Hora rimase impassibile. Sapeva che sulla terraferma erano presenti dei membri della ciurma, ma non se ne curò. Il suo obiettivo era tagliare qualsiasi fuga ai pirati, poi ci avrebbe pensato Kobi a catturarli.

“Così termina il vostro viaggio. Qui...alle pendici della Terra Santa...” borbottò infine, quando vide che della nave nemica non era rimasto che qualche asse galleggiante.

Poi diede ordine alla flotta di ritirarsi al punto convenuto precedentemente con Furamingo.

Ora tocca a te, vecchio mio...forse dovrai sudare un po' di più del previsto.

Al sergente, infatti, non era sfuggito un dettaglio: alcuni istanti prima che le prime palle di cannone colpissero la nave, qualcuno aveva creato una barriera d'acqua.

 

 

Kalì sputò acqua dalla bocca, mentre si riempiva i polmoni di fredda aria.

“Cosa...diavolo è accaduto?” ansimò, con le gambe tremanti, mentre Shun al suo fianco sibilava furioso per essere stato interrotto durante la sua pennichella mattutina.

“Un bombardamento della Marina.” spiegò Hysperia, mentre si rigenerava dalle pozzanghere che si erano formate attorno a Kalì, Loock e Shun. “Non ho potuto fare altro che smembrarmi, rallentando le palle di cannone da un parte, e trasportandovi tutti a riva dall'altra.”

“Sei stata fenomenale, Hysperia!” dichiarò l'amazzone sorridendo, mentre si strizzava i capelli dall'acqua. “Anche se non avevo in orario un bagno.”

“Ringrazia di essere viva!” borbottò Loock, osservando in cagnesco le navi della Marina ritirarsi. “Quei bastardi meritano una lezione! A quanto pare, non li è bastata la distruzione della loro cara base militare.”

“Ehi!” in quel momento, Milo e gli altri sopraggiunsero di corsa, osservando con orrore ciò che era rimasto della loro nave. “State bene? Siete feriti?!”

“Nulla di che...grazie ad Hysperia.” sintetizzò il cuoco, mentre raccoglieva il proprio martello. “Adesso però abbiamo una decina di navi della Marina da fare a pezzi, venite anche voi?”

“Non c'è tempo per certe cose!” esclamò Erza. “Kinji è nei guai fino al collo, e dobbiamo subito andare ad aiutarlo!”

“Che tipo di guai?” chiese Kalì.

“Di quelli grossi...” rispose cupa la cecchina. “Ha iniziato uno scontro contro un ammiraglio della Marina.”

Loock e Kalì spalancarono i loro occhi, mentre Hysperia si limitò a contrarre i suoi occhi viola.

“Siamo nella merda fino al collo...” si limitò a sussurrare.

“Già, ormai è chiaro che la Marina ci ha teso un'imboscata.” osservò Kuroc, aiutando l'amazzone ad alzarsi. “Ora come ora non c'è tempo per pensare ad un piano di fuga o cose di questo genere. Prima di tutto dobbiamo andare ad aiutare Kinji.”

Gli altri annuirono.

“D'accordo, guidateci ragazzi!” ruggì Loock.

 

 

Kinji ansimò lentamente a terra, mentre percepiva ogni suo singolo muscolo impazzire dal dolore.

Quanto diavolo è forte questo tizio?!

Cercò di alzarsi, ma scivolo nella pozza vermiglia sotto i suoi piedi, composta dal suo sangue.

Alla fine, usando la lama Eiji come sostegno, riuscì a rialzarsi, osservando il proprio avversario che, al contrario di lui, non aveva riportato nessun tipo di lesione.

Digrigò i denti. Quell'ammiraglio era veloce, forte e potente, incredibilmente potente. Non aveva ancora usato nessun potere particolare, quindi credeva che non possedesse un frutto del diavolo, ma anche così era veramente di un livello superiore.

“Di nuovo in piedi?” domandò Kobi, mettendosi le mani nelle tasche dei pantaloni. “Credevo che ormai avessi capito la differenza che esiste tra noi due...ma nella tua famiglia siete sempre stati testardi.”

“Cosa sai...della mia famiglia?” domandò il pirata mentre scattava di nuovo all'attacco. Ricoprendo di haki la lama della propria spada, il moro tentò di penetrare il petto del marine, ma Kobi, con un movimento inumano del piede sinistro, lo disarmò con una facilità irrisoria.

“So più di quanto tu possa pensare...Boa D. Kinji.” mormorò, mentre usava l'altro piede, senza ricorrere all'haki, per colpire sul mento il ragazzo. Kinji accusò il colpo, e barcollò per un istante, un tempo sufficiente perché l'ammiraglio usasse il ginocchio destro per colpirlo al petto. Un colpo dalla potenza devastante, da cui il moro non riuscì a riprendersi.

Sempre tenendo le mani in tasca, Furamingo si avvicinò lentamente al giovane pirata, ormai sull'orlo dell'incoscienza. Tuttavia, quando era ormai a pochi passi, fu costretto a fermarsi, sentendo due fredde lame a contatto con la sua gola.

“Io starei fermo, se fossi in te...” borbottò Kuroc, tenendo la propria katana ben appoggiata sulla gola di Kobi.

“Concordo.” ringhiò Kita, anche il suo spadone pronto a tranciare la trachea del marine. “Un solo passo, e potrai fischiettare dalla gola, stronzo.”

Furamingo si limitò ad inarcare un sopracciglio quando vide anche gli altri membri della ciurma pronti a combattere.

“Dunque è lui il bastardo che ci sta dando la caccia.” osservò Loock, roteando lentamente il martello per scaldarsi.

“Già...anche se questa volta dobbiamo tutto ad Hysperia se siamo ancora vivi!” aggiunse Kalì, incoccando una freccia nel suo arco, composto dal boa Shun. L'assassina non rispose, limitandosi a caricare le sue balestre con un dardo d'acqua, la solita sigaretta piantata tra le labbra.

“Sei in inferiorità numerica! Quindi ti diano l'ultima possibilità per arrenderti, ammiraglio!” esclamò Milo, mentre si metteva in posizione di guardia, tremarella alle gambe a parte.

“Dubito che accetterà la tua generosa offerta...” osservò Erza, rigirandosi la sigaretta tra le labbra, e togliendo la sicura alle sue pistole.

“Dunque...avete scelto di combattere tutti?” chiese Kobi, rilassato come sempre.

Gli altri lo fissarono con feroce determinazione.

“Certo!” esclamarono all'unisono. “Kinji non si tocca!”

“I-idioti...” balbettò quest'ultimo, prima di perdere i sensi.

Furamingo invece, una volta udite quelle parole, scoppiò a ridere. Facendo irritare ancora di più i componenti dell'equipaggio.

“Si può sapere per quale motivo stai ridendo?!” chiese Milo, indietreggiando di due passi nel frattempo. “Bada a non provocarmi, altrimenti potrei arrabbiarmi!”

“Sto ridendo...” spiegò l'ammiraglio, mentre la sua risata si tramutava in un ghigno feroce. “Perchè siete degli stupidi incoscienti...esattamente come i suoi nakama!”

Poi, prima che i pirati potessero muovere un muscolo, Kobi fece la sua mossa. E non ci fu difesa che resse.

 

 

Poch minuti dopo, Hora udì il proprio lumacofono suonare. Quando aprì la comunicazione, essa sentì la voce, rilassata e tranquilla come sempre, del suo superiore.

“Hora, ho appena finito.”

“Dunque hai catturato l'intera ciurma?” chiese il sergente.

Kobi esitò per una frazione di secondo.

“No...purtroppo mi sono scappati. Sono riuscito a catturare solamente Kita Hirati.”

La bionda strinse con forza la ricetrasmittente.

“Kobi...” la sua voce era cupa. “Sei sicuro che i pirati ti siano sfuggiti?!”

“Ti mentirei mai?”

“Sì, specie se parliamo di tu sai chi!”

“Erano bravi a lavorare di gambe.” fu la secca replica dell'ammiraglio.

Hora sospirò, portandosi una mano alla tempia.

“Questo non piacerà ai Draghi Celesti, lo sai vero?”

“Se ne faranno una ragione. In fondo, non torniamo a casa a mani vuote.”

“D'accordo d'accordo.” la ragazza decise di lasciare perdere. “Tanto lo sapevo che sarebbe finita così. Vieni alla nave, partiamo subito per Marijoa.”

La ragazza potè vedere il marine sorridere, attraverso la radio snail.

“Arrivo subito.”

 

 

Una volta riagganciato, Kobi si guardo attorno, osservando i corpi svenuti dei membri della ciurma del Drago attorno a lui. Con espressione impassibile, l'ammiraglio si avvicinò al corpo di Kinji, dove affianco era situato anche quello di Kita, ultima ad arrendersi di tutto l'equipaggio.

“Ho ricevuto l'ordine di catturare te e la tua ciurma, e portarvi tutti ad Impel Down.” mormorò, osservando il corpo privo di sensi del figlio del suo eroe. “Ma non posso farlo, non dopo tutto quello che tuo padre e suo nonno hanno fatto per me.”

Strinse i pugni. Nonostante quello che aveva appena detto ad Hora, era veramente combattuto. Da una parte sapeva quale era il suo dovere, ma dall'altra non poteva ignorare l'immenso debito che aveva nei confronti di quel ragazzo, o meglio, del sangue che scorreva nelle vene del giovane pirata.

Forse non ero la persona più adatta per questa missione...

Il marine indugiò ancora per circa un minuto. Infine, con una mossa fulminea, afferrò il corpo della Full Metal Bitch, se lo caricò in spalla, e si diresse verso la sua nave.

“Ti do un'occasione per redimerti Kinji...” borbottò allontanandosi velocemente. “Mi auguro che tu possa coglierla.”

Rufy...pensò, alzando la testa al cielo. Di più non posso fare.

I suoi passi, se possibile, divennero ancora più veloci.

Mi dispiace...

 

 

CONTINUA

 

 

Bene bene, ed ecco che, dopo un mese di silenzio, pubblico la bellezza di ben due capitoli in meno di una settimana: devo essermi ammalato o qualcosa del genere.

Posso annunciare che, con questo capitolo, termina ufficialmente la parte introduttiva di questa storia. Da qui in avanti si farà sul serio (nel senso che non dovreste annoiarmi od almeno quella è l'intenzione).

Come sempre, spero che il capitolo vi sia piaciuto, e sappiate che recensioni di qualsiasi tipo (positive e negative) sono ben accette.

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 7
*** Ricordi: morire per amore ***


Capitolo 7

 

 

East Blue, pressi dell'isola Raifuru, sei mesi prima

 

 

“Fatti più in là!”

“E spostati!”

“Ma non ci sto!”

“E spostati lo stesso!”

“E dove? In acqua?!”

“Bastaaaaa!!!!” la voce esasperata di Kita riportò la quiete all'interno della piccola barchetta. Ergendosi sopra agli altri, la bionda esprimette ciò che dilagava ormai da giorni all'interno della ciurma.

“Questo guscio è troppo piccolo per tutti noi. Ci serve un vero vascello!”

“Esattamente! Possibilmente una nave dove si possa avere un po' di privacy...” borbottò Milo, osservando desolato tutti i suoi libri strappati 'accidentalmente' da Kinji.

“Un pirata che si rispetti non si porterebbe dietro una libreria ambulante.” osservò il vicecapitano.

“Vedremo quando saremo nella Grand Line se parlerai ancora così. Quei libri potrebbero essere la nostra unica speranza di sal...”

“Vi ho detto di smetterla!” lo sguardo del primo ufficiale non ammetteva infrazioni al suo ordine. “Dobbiamo trovarci una vera nave, per un sacco di motivi, COMPRESI i tuoi dannati libri, Milo.” aggiunse non appena vide il navigatore aprire bocca.

“E con quali soldi? Attualmente possiamo solo permetterci un paio di remi, di bassa qualità per giunta.” la voce di Kuroc non invogliava a pensare positivo.

“Siamo pirati!” dichiarò esasperata la Full Metal Bitch. “Se non possiamo comprare una cosa, la rubiamo!”

“Ma rubare è sbagliato!” esclamò all'improvviso Kinji.

Kita sospirò, cercando, inutilmente, di mantenere la calma.

“Benissimo...se hai un'idea migliore, esponila...capitano!

Il moro rimase in silenzio per oltre un minuto, riflettendo attentamente su come fare per procurarsi una nave. Poi, all'improvviso, scoppiò a ridere, battendo le mani soddisfatto.

“Ma certo!” esclamò. “E' semplicissimo! Ce la facciamo regalare!”

Nella barchetta scese un silenzio imbarazzante.

“Io ci rinuncio!” dichiarò Kita, sedendosi a prua. “Fatemi sapere quando lo affogate, che io ve lo tengo fermo!”

“Anche subito...” rispose Milo.

“Dai ragazzi! Un po' di ottimismo!” il sorriso di Kinji era quasi irritante. “Ci sono un sacco di motivi per essere felici, no?”

“NO!” rispose gli altri tre all'unisono, ponendo fine alla conversazione in modo repentino.

 

 

L'isola Raifuru apparve alcune ore dopo all'orizzonte, riempiendo di eccitazione Kinji, il quale cominciò a dare ordini così frenetici ed insensati che Kita fu costretta a stenderlo per permettere alla loro imbarcazione di raggiungere la terraferma.

Raifuru era una terra lunga e stretta, con un paesaggio verde e dal clima temperato. Tuttavia, l'intera isola era circondata da alte scogliere, che rendevano impossibile sbarcare, ad eccezione di un approdo sul versante orientale, che consisteva in una ripida scarpata. L'unico altro approdo era un porto fortificato dalla parte opposta, dove di sicuro non avrebbero fatto entrare dei pirati.

Una volta tirata a riva la propria imbarcazione, i quattro ragazzi si guardarono intorno, incuriositi da quel posto a loro sconosciuto.

“Non sembra niente di che...” osservò Kuroc. “Dite che è abitata?”

“Secondo le mie fonti, sì.” rispose Milo, sfogliando un piccolo atlante dell'East Blue. “Dovrebbe esserci una città situata sul versante occidentale, anche piuttosto popolosa. Mentre poco vicino da qui è presente un grosso paese. Altri centri abitati l'atlante non ne segna.”

“Forse in città troveremo qualcuno che possiede una nave.” borbottò la Full Metal Bitch. “Ma vista la conformazione del territorio, dubito che ci siano cantieri navali o robe simili da queste parti.”

“Non importa! E' un'isola nuova! E dobbiamo esplorarla tutta!” urlò Kinji, alzando le braccia al cielo. Fece per salire sulla scarpata, quando uno sparo riecheggiò nell'aria, alzando una nuvoletta di polvere proprio davanti ai suoi piedi.

“Ma che cosa...” prima che Milo potesse capire cosa era successo, si udirono altri tre spari, uno dietro l'altro. Il navigatori impallidì di botto quando vide il proprio prezioso atlante bucato, mentre Kita e Kuroc si irrigidirono, osservando le nuvolette di polvere che si erano alzate davanti a loro.

“Siamo sotto tiro!” sibilò la bionda. “A quanto pare, qualcuno ci ha voluti avvertire...”

“Aiuto!!! Chiunque tu sia, risparmiaci ti supplico! Sono innocente e senza alcuna colpa!!!” urlò il navigatore, tremando come una foglia e girando la testa ripetutamente, alla ricerca del loro misterioso aggressore.

In quel momento, dalla cima a sinistra dei pirati, si erse una figura, illuminata dal sole del pomeriggio. I quattro compagni videro che colui che li aveva assaliti era una giovane donna, sui vent'anni. Era alta, magra, e molto bella, con un fisico da modella, e con lunghi capelli biondi raccolti in una coda. Indossava pantaloni di pelle neri, attillati, stivali lunghi fino al ginocchio dello stesso colore e materiale, ed un giubbotto, sempre di pelle, anch'esso nero, dalla cui scollatura si intravedeva un seno florido, con in mezzo al solco, incastrato, c'era un pacchetto di sigarette rosso. Si riparava dai raggi del sole tramite degli occhiali da sole, con le lenti a goccia, mentre in testa portava, sulle ventitré, un basco di feltro rosso, con la striscia interna di cuoio. Il suo volto privo di imperfezioni era impassibile, mentre tra le labbra carnose stringeva una sigaretta accesa. Tra le mani teneva un fucile, con la canna ancora fumante, mentre alla vita indossava un cinturone di cuoio rigido, da cui pendevano due pistole dal calcio corto.

“Chi siete?” domandò la ragazza, mentre buttava fuori del fumo dalle narici. “E quale è il vostro scopo su quest'isola?”

“Con quale autorità ci domandi tutto questo?” replicò Kuroc, mentre Milo cercava disperatamente di far capire alla nuova arrivata, tramite le sue pessime abilità di mimo, che lui era assolutamente innocuo.

La bionda sorrise, mettendo in mostra una fila di denti perfetti e bianchissimi.

“Quella di una che ha in mano un fucile carico, e che non si fa scrupolo a scaricartelo addosso.” rispose. “Non mi piace ripetere le cose. Quindi, se entro dieci secondi non mi darete una risposta, vi riempio di piombo le budella.”

“Ahhhhh! Una killer pazzoide ci sta assalendo!!!” mentre Milo cominciava a scappare in direzione del mare, con le lacrime addosso per la paura, Kinji sorrise alla loro assalitrice.

“Siamo dei semplici pirati che vogliono visitare l'isola!” rispose ingenuamente.

“Idiota!” urlò Kita, spedendolo al suolo con un pugno. “Quando imparerai a non dire stronzate?!”

“Pirati, eh?” borbottò la cecchina. “E volete visitare Raifuru? Come no...” prese meglio la mira, togliendo la sicura alla propria arma. “Andatevene se non volete diventare cibo per i gabbiani.”

“Aspetta!” Kuroc provò a prendere in mano la situazione, ma Kita lo precedette. Con uno scatto fulmineo, la Full Metal Bitch spiccò un salto, arrivando davanti alla bionda.

“Cambio di programma, dolcezza!” ringhiò la piratessa, sfoderando il proprio spadone. Quando però fece per tagliare la testa alla sua nemica, quest'ultima si abbassò di colpo, respingendo il colpo con il calcio della propria arma.

“Io non ne sarei così sicura...” osservò. Poi, approfittando della guardia abbassata della Full Metal Bitch, le sferrò un calcio con la gamba destra sul mento, mandandola a schiantarsi sulla spiaggia sottostante. Senza perdere tempo, la ragazza si posizionò, cercando di prendere la mira, ma vide una cosa che la sorprese.

Seduto davanti a lei, a pochi centimetri dalla canna del suo fucile, c'era Kinji, che la guardava sorridente.

“Quello è stato proprio un bel calcio.” esclamò. “Sei in gamba!”

La ragazza non rispose, limitandosi a rigirarsi la sigaretta tra i denti.

“Perché c'è l'hai così tanto con noi? Vogliamo solo visitare l'isola.”

“Un pirata che vuole visitare un'isola significa che la vuole saccheggiare.” rispose lei, senza abbassare la guardia. “Non sono nata ieri, moccioso.”

“Ma noi vogliamo veramente visitarla e basta. Ci serve una nave, e vogliamo sapere se da queste parte ne possiamo comprare una. O, al limite, trovare qualcuno che ce la regali.” il sorriso del moro si allargò. “Ti posso promettere che non vogliamo fare nulla di male.”

Per alcuni secondi, la situazione rimase in stallo. Poi, molto lentamente, la ragazza abbassò il fucile, mettendosi però subito a distanza di sicurezza dal giovane pirata.

“Avete tre giorni.” dichiarò, mettendosi l'arma in spalla. “Se scaduto il tempo sarete ancora su quest'isola, verrò ad uccidervi di persona.”

E senza dire altro si allontanò, inoltrandosi nella fitta boscaglia che circondava la scarpata.

 

 

“Chi diavolo era quella?” chiese Milo, mentre recuperava fiato dopo la salita della scarpata.

“Non ne ho idea.” rispose Kuroc. “Forse era un marine in abiti civili.”

“Non credo che un marine si comporterebbe come ha fatto lei.” replicò il navigatore. “Ci avrebbe uccisi e basta, una volta appurato che siamo pirati.”

“Non mi interessa chi fosse.” dichiarò all'improvviso Kinji, un sorriso allegro sul volto. “Chiunque fosse, è in gamba, e mi piacerebbe che entrasse nella nostra ciurma!”

“Come no!” esclamò sarcasticamente il vicecapitano. “Come minimo ti trasforma in uno scolino se le fai una richiesta del genere. Non l'hai vista? È una donna orribile, e con un pessimo carattere!”

“Questo non lo puoi sapere...” borbottò Milo sottovoce.

“Hai detto qualcosa?” chiese subito Kuroc, il tono di voce minaccioso. Tuttavia, prima che il navigatore potesse dire qualcosa, Kita si avvicinò ai due, lo sguardo azzurro ricolmo di sete di vendetta.

“Voi due!” ringhiò. “Chiudete quella fogna, andiamo a vedere nel paese qua vicino se troviamo informazioni per una nave.” il calcio della cecchina non l'aveva ferita in modo grave, ma il suo labbro superiore era rotto, senza contare che si era pure morsa la lingua, rendendola di pessimo umore.

Una volta arrivati in cima alla scarpata, i quattro pirati si trovarono davanti una strada piccola e polverosa, che tagliava in modo deciso attraverso la piccola foresta che li circondava. Passeggiare sotto le fronde era piacevole, anche a causa della giornata calda, senza contare che la strada sembrava prendere la via più agevole per superare la boscaglia, senza troppi giri. Dopo poco più di mezzora, furono fuori, osservando i rigogliosi campi di segale, ed i tranquilli bovini dell'isola pascolare sui verdi prati attorno a loro. Non c'era traccia di presenze umane, a parte alcuni recinti di legno dove il bestiame pascolava, ed il silenzio della campagna era rotto solo dal frinire delle cicale, e dal rumore delle onde del mare che si infrangevano sulle scogliere dietro di loro.

Proseguirono nel loro itinerario, notando come, più avanti andavano, più la presenza dell'uomo si faceva più marcata. Cominciarono a sbucare fattorie all'orizzonte, dapprima piccole, poi sempre più grandi, mentre gli ampi pascoli per il bestiame lasciarono il posto a curati campi di colture di grano, segale e barbabietole, oltre a numerosi orti e piccole serre. Cominciarono anche a notare alcune persone, che però preferivano ripararsi sotto le fronde degli alberi da frutta, piuttosto che camminare sotto il sole come stavano facendo i pirati. Alla fine, quando il pomeriggio si fece vecchio, avvistarono il villaggio segnalato dall'atlante di Milo. Il centro abitato era costituito all'incirca da una cinquantina di case, tutte attorno alla strada, che si inerpicava attorno ad una collina, dove in cima svettava una casa dall'aria imponente, anche se sembrava in stato di abbandono.

Una volta dentro il villaggio, che scoprirono chiamarsi Raifuru come l'isola, cominciarono a chiedere ai passanti le informazioni che cercavano. Scoprirono con delusione che, molto probabilmente, erano sbarcati nell'isola sbagliata per procurarsi una nave.

“Mi sa che siete nel posto sbagliato.” confermo un contadino sulla cinquantina, grattandosi la fronte resa scura dal sole. “Siamo un'isola piuttosto isolata dalle rotte principali, quindi non abbiamo mai avuto bisogni di porti e cantieri. Comunque, potreste cercare in città, magari avrete fortuna.”

“Ha qualche indirizzo che ci può fornire? Così magari evitiamo di perdere tempo.” gli chiese Milo.

“Mmm...no, temo di non potervi aiutare.” rispose l'altro. “Ma provate ad andare da Ichibei, forse lui può darvi una mano. È il medico del villaggio, la terzultima casa sulla destra prima della collina, lui potrebbe essere il vostro uomo.”

Dopo aver ringraziato il contadino, i quattro si guardarono in faccia, cercando di decidere cosa fare.

“Che facciamo? Andiamo da questo Ichibei?” chiese il navigatore.

“Abbiamo alternative?” replicò Kita. “Andiamo da lui, vediamo se da darci qualche informazione utile, e poi domani filiamo verso la città.”

“Considerando che tra un paio di ore sarà buio, potremmo anche chiedergli informazioni su dove passare la notte.” aggiunse Kuroc.

“Allora non perdiamo altro tempo!” dichiarò Kinji. “Andiamo dal medico, e vediamo cosa ci sa dire.”

Mentre percorsero il villaggio, i pirati notarono come l'imponente casa in cima alla collina fosse in stato di abbandono. L'intonaco delle mura era screpolato, le finestre rotte ed impolverate, e le cupe ombre che troneggiavano sopra di essa le donavano un aspetto spettrale.

“Che casa da brividi!” esclamò Milo. “Non mi piace quel posto. È sicuramente infestato di fantasmi!”

“Fantasmi?!” gli occhi di Kinji cominciarono a brillare in maniera preoccupante. “Ci andiamo stanotte a fare un giro?”

“Te lo puoi scordare!” risposero all'unisono Milo e Kuroc.

“Uff! Che antipatici...”

 

 

Quando bussarono alla porta del medico Ichibei, una casa simile in tutto e per tutto alle altre, venne ad aprire loro un uomo di mezz'età, piuttosto in carne. Era di media statura, con i capelli brizzolati e lunghi baffi spioventi bianchi che incorniciavano la bocca. Aveva gli occhi di un nero brillante, dietro ad un paio di occhiali. Indossava un camice bianco lindo, sotto il quale si poteva intravedere una camicia azzurra, un paio di pantaloni scuri e lucide scarpe di cuoio.

“Sì?” chiese. Aveva una voce gentile, adatta a tranquillizzare i suoi pazienti, seppure leggermente roca.

“Lei è Ichibei?” chiese Milo cortesemente.

“Esattamente. Cosa posso fare per voi?”

“Può regalarci una nave? Ci farebbe veramente comodo!” si intromise Kinji, sorridendo.

Subito dopo, Kita e Kuroc lo stesero all'unisono.

“Lo lasci perdere.” spiegò la Full Metal Bitch, il pugno ancora fumante. “Ci servirebbero delle inf...” la ragazza non riuscì a finire. Ichibei infatti, con una mossa fulminea, le aveva afferrato il mento, andando a squadrare con occhio clinico il suo labbro rotto e gonfio.

“Mmm...forte ematoma, rottura dell'epidermide, e rischio di infezione...” borbottò con voce professionale. “Venga dentro, le somministrerò delle cure.”

“Non mi servono!” replicò freddamente la bionda, dopo essere riuscita a divincolarsi dal medico. “E' solo un...” la ragazza si bloccò di nuovo, dato che Ichibei le aveva posto una pistola sulla tempia.

“Mai discutere il parere di un medico.” rispose sorridendo quest'ultimo. “Ora, se è così gentile da accomodarsi. Le prometto che non ci vorranno più di dieci minuti.”

Non potendo fare diversamente, ma giurando mentalmente di fargliela pagare, Kita entrò, subito seguita a ruota dagli altri, anche se Milo ebbe una certa riluttanza ad entrare.

 

 

“Visto? Non c'è voluto molto?” esclamò il medico, dopo aver medicato il labbro della ragazza.

“Mai visto un medico minacciare di morte i propri pazienti...” borbottò Milo.

La casa di Ichibei era piccola, ma confortevole. L'arredamento della cucina, dove si erano accomodati i pirati, era di buona qualità, con un ampio camino pulito che, seppure spento, sembrava emanare calore. Il resto dell'abitazione era composto da un salotto, uno studio dove il medico visitava i propri pazienti, e due stanze da letto al piano di sopra.

“Scusatemi per prima, ma non sopporto le persone che non hanno cura del proprio corpo.” spiegò l'uomo, mentre riponeva i propri attrezzi. “Una ferita, per quanto piccola, deve essere curata e tenuta d'occhio. La vita è già difficile, senza avere complicazioni dalle malattie.”

“Apprezziamo la sua premura, ma quello che ci servono sono informazioni.” replicò Kuroc. “Vorremmo sapere se può darci l'indirizzo di qualcuno intenzionato a vendere un'imbarcazione di un certa grandezza. Adatta ai lunghi viaggi in mare.”

“Mmm...così su due piedi non saprei. Dovrei fare qualche domanda in giro. Ditemi, quanto tempo pensate di fermarvi?”

“Il meno possibile!” esclamò Milo. “Una pazza, armata di fucile, ha minacciato di ucciderci, se tra tre giorni saremo ancora su quest'isola!”

“Erza vi ha minacciato?” l'uomo sembrò sorpreso. “Strano. Per quanto quella ragazza abbia un caratterino, non è da lei minacciare senza averne motivo.”

“Dunque lei conosce quella ragazza?” domandò il vicecapitano.

“Se la conosco? Beh...diciamo che io sono suo zio adottivo.” spiegò Ichibei. “Vive qui con me da ormai quattordici anni.”

“Aiuto! Questa è una trappola! Adesso scommetto che sbucherà fuori lei, armata di mille pistole, che ci ucciderà tutti!” Milo sembrava disperato, e fu solo con un enorme sforzo che Kita riuscì a staccarselo di dosso.

“A me quella tipa piaceva! Mi piacerebbe se entrasse nella mia ciurma!” dichiarò Kinji sorridendo.

“Dunque voi sareste una ciurma?” il medico li osservò con un sorrisetto. “Questa è buona! Da quando quattro ragazzi sarebbero un equipaggio?”

“Da quando la gente si immischia negli affari degli altri?!” sbottò sgarbatamente la Full Metal Bitch di risposta. “Non è la quantità che conta, ma la qualità. Un vero pirata non si valuta dal numero di sottoposti.”

“Dunque voi sareste pirati? Mmm...beh, ora le azioni di Erza hanno senso. Evidentemente, vi reputa una minaccia per quest'isola.”

“Si può sapere chi diavolo è quella ragazza? Un marine? Con quale autorità spara alla gente?” chiese Kuroc.

“Un marine? No, niente di tutto questo. Lei è...il vigilante di quest'isola.”

“Vigilante? Non sapevo che esistessero civili che facessero questo lavoro.” osservò Milo.

“Non è un lavoro. Nessuno la paga per questo. Diciamo che è...la sua missione.”

“Ma perché fa tutto questo? Insomma, c'è qualche motivo per cui ha scelto di diventare il guardiano di quest'isola?” proseguì il navigatore.

“Beh, un motivo c'è.” Ichibei si alzò, e si mise a preparare del té per i suoi ospiti. “Sarà una storia lunga, quindi è meglio avere una bevanda da sorseggiare nel frattempo.”

“Vedete...” riprese, una volta messo il bollitore dell'acqua sul fuoco. “E' una storia che risale a parecchi anni fa, e che riguarda me, mio fratello, e la grande casa che svetta lassù sulla collina.”

“Suo fratello? Sta parlando del padre adottivo di Erza?” domandò Kita. In sé la storia le interessava poco, ma almeno avrebbe potuto aspettare lì quella ragazza impertinente, e restituirle il calcio di prima con gli interessi.

“Sì...il suo nome era Ichizo. Ed era un uomo straordinario.” il tono del medico era diventato greve.

“Perché parla al passato?” domandò Kinji.

“Perché è morto...ormai più di sei anni fa. Un dolore che ancora oggi è difficile da dimenticare.”

“E di cosa è morto?” chiese il navigatore.

Lo sguardo di Ichibei si perse nei ricordi.

“Di amore.”

 

 

Il sole del tardo pomeriggio le stava scaldando le spalle, mentre avanzava nel viottolo polveroso che, abbracciando la collina, sbucava dietro la grande magione. Lì era presente una grossa area verde, circondata da un muro di pietra, con un unico cancello, dove era seduta, nella portineria costruita all'interno delle mura, una guardia annoiata. Quest'ultima, nel vederla arrivare, sorrise, mentre tirava fuori da sotto la scrivania un mazzo di crisantemi.

“Erza! Puntuale come sempre!”

“Ciao, Nik.” lo saluto la ragazza, mentre si accendeva una sigaretta nuova. “Come va?”

Nik scrollò le spalle.

“Come sempre. Stare seduto tutto il pomeriggio non è il massimo del divertimento, ma almeno ho avuto modo di leggere in pace il giornale. A proposito, sempre il solito?”

La ragazza si limitò ad annuire. Quando l'uomo le passò il mazzo di fiori, ella le lanciò una moneta d'argento.

“Fammi un fischio quando chiudi.”

“Ovviamente.”

Poi, senza aggiungere altro, la bionda attraversò il cancello, mettendo piede all'interno del cimitero del villaggio.

Maestro...

 

 

Erza! Abbiamo trovato qualcuno disposto a prenderti con sé. Non dovrai più andare all'orfanotrofio!”

E chi sarebbe?”

Il signor Ichizo! È stato molto generoso a prendersi una simile responsabilità!”

Si sbaglia!” esclamò una voce nuova, rauca e pesante. “Per me non è una responsabilità, ma una gioia immensa poter aiutare una bambina.”

 

 

“Erza ha sangue nobile nelle vene. Il suo cognome è Sakurani, e la sua famiglia ha governato per generazioni questi luoghi. Non erano dei veri sovrani, quanto più dei signorotti. Ed il simbolo del loro potere era quella grande casa lassù, sulla collina. Espressione dell'agiatezza dei Sakurani.” la voce di Ichibei divenne più calda, rendendo facile seguire le sue parole.

“Quando Erza nacque, la ricchezza dei Sakurani era molto diminuita, così come il loro potere, ormai pressoché nullo. Tuttavia, il padre di Erza era un uomo estremamente colto e distinto, e si era guadagnato il rispetto di tutti noi con i suoi modi di fare, sempre pacati e gentili.”

“Aveva però avuto poca fortuna con i figli. Il primogenito si chiamava Chojiro, ed era un ragazzino impossibile. Era pigro, svogliato, poco propenso agli studi ed era chiaramente il cruccio del padre. Quando la moglie, cinque anni dopo la nascita del primo figlio, rimase di nuovo incinta, la sua speranza di avere un erede degno del nome Sakurani risorse. Speranza che però si spense brutalmente quando la moglie, morendo durante il parto, diede alla luce una bambina, Erza.”

Il medico sospirò, mentre ripiombava nei suoi ricordi.

“Rimembro ancora la mattina dei suoi funerali. Pioveva, ed il cielo sembrava piangere insieme a noi, giacché avevamo molto amato la madre di Erza, una donna raffinata, dolce e gentile con tutti. Ma il nostro dolore sembrava irrisorio se comparato a quello del signor Sakurani. Dietro alla maschera impassibile con cui si presentò ai funerali della moglie, c'era un uomo distrutto, che si vedeva costretto ad educare da solo due figli che faceva fatica ad amare.”

“A complicare le cose, il rapporto con Chojiro, mai sbocciato del tutto, precipitò. Era solo un bambino, ma era molto affezionato alla madre, e la sua morte fece cadere un gelo ostile all'interno della magione. I rapporti con il padre cessarono del tutto, dato che quest'ultimo lasciò completamente la cura dei figli a dei tutori, chiudendosi nella sua ricca biblioteca, o andando a fare lunghe passeggiate a cavallo. Questa situazione andò avanti per circa cinque anni. Poi, pochi giorni prima del quinto compleanno della piccola Erza, accadde un fatto che sconvolse l'intero villaggio: Chojiro era scappato.”

“Lo cercammo ovunque. Partecipammo tutti alle ricerche, dato che vedere quell'antica famiglia distruggersi ci sconvolgeva, e volevamo bene ai Sakurani. Ispezionammo palmo a palmo l'intera isola, ma lui fu più furbo. Chojiro scomparve, e nessuno di noi ebbe sue notizie per molti anni.”

“L'ennesimo colpo del destino fu fatale per il padre di Erza, che forse solo allora comprese di quanto aveva sbagliato nell'educazione dei figli. Si ammalò, di dolore e di disperazione, e nel giro di un anno morì, raggiungendo la moglie da lui tanto amata.”

Ichibei interruppe il suo racconto a causa del fischio del bollitore. Una volta gettato l'infuso, e spenta la fiamma, il medico si risedette, sorseggiando un bicchiere d'acqua.

“Da lì in poi le cose precipitarono. Il testamento del padre prevedeva che l'intero patrimonio spettasse a Chojiro, ma di lui ormai non si aveva più alcuna notizia da oltre un anno. A quel punto Erza, in quanto secondogenita, divenne erede universale della fortuna Sakurani. Ma era solo una bambina di appena sei anni, incapace di comprendere come mai il mondo attorno a lei stesse crollando così di colpo. I suoi tutori si rivelarono meno attaccati al bene della famiglia di quanto si potesse pensare: grazie ad un cavillo legale, spodestarono di ogni bene la bambina, fino alla sua maggiore età. E ne approfittarono per saccheggiare casa Sakurani, rinchiudere la bambina in un orfanotrofio della città, e prendere il largo con le loro ricchezze, verso regni più agiati di questo.”

“Avvoltoi.” borbottò Milo. “Si trovano ovunque carogne di questo genere.”

“Già.” convenne il medico, un sorriso strano sul volto. “Ma non avevano fatto i conti con la persona più incredibile e folle di tutta l'isola: mio fratello Ichizo.”

 

 

La bambina fissava, spaventata, quell'uomo davanti a lei. Era alto, magro, con i capelli grigi, disordinati e sporchi, la barba mal fatta, i vestiti trascurati e puzzolenti di fumo, ed un sorriso in volto che a lei sembrò il ghigno di un orco.

T-tu chi sei?” pigolò, stringendo le mani sul suo vestitino per farsi forza. “Sei il mio nuovo papà?”

Il sorriso dell'uomo si allargò. Le porse una mano che, a lei, sembrò immensa.

Solo se tu lo vorrai. Nessuno deve costringerti a fare qualcosa, Erza.”

Erza rimase perplessa da quella risposta. Osservò quella mano scura e callosa per qualche secondo, mentre la paura faceva spazio alla curiosità.

Me lo prometti?” sussurrò lei.

Lui annuì, sorridendo felice come un bambino quando lei mise la sua piccola mano nella sua.

Andiamo a casa.” disse. “Avrai fame.”

 

 

Il sole, ormai rosso, illuminava la lapide davanti a lei. Era piuttosto anonima, di un bel bianco slavato, con incise sopra poche parole.

La ragazza passò i successivi minuti a pulirla con cura, a cambiare i fiori e l'incenso, ed a sistemare la candela che, ogni sera, gli portava come omaggio.

Si sedette davanti, chinando la testa, e crollando nei ricordi.

Maestro...

Strinse con più forza la sigaretta che teneva tra le labbra. Quel vizio l'aveva preso da lui, una delle poche cose che aveva ereditato dall'uomo più buono che avesse mai conosciuto.

Ovunque voi siate, vi prego...non smettete mai di credere.

 

 

Cosa hai fatto?! Hai adottato Erza Sakurani?!”

Non potevo permettere che la mandassero in un orfanotrofio. E poi, tu mi hai sempre detto che devo responsabilizzarmi.”

Idiota! Adottare una bambina nelle tue condizioni, è tutto tranne che un comportamento responsabile.”

Me la caverò. Mi sono sempre piaciuti i bambini.”

E come pensi di mantenerla? Sentiamo!”

Beh...visto che io e te viviamo insieme...potremmo...”

Dovrei sfamare anche lei, quindi?”

Oh, andiamo fratello! Sai anche tu che non posso chiedere un compenso per il mio ruolo di vigilante. E' contro i miei principi.”

Nessuno ti ha mai chiesto di diventarlo, Ichizo! Quando comincerai a crescere un po'? Come pensi di poter essere un buon padre per una bambina che ha passato l'inferno?”

Preferiresti che la mandassi in quell'orfanotrofio, come volevamo fare quelle carogne? È questo che tu chiameresti un 'comportamento responsabile', fratello?”

Ichibei sospirò, mentre abbassava gli occhi, incapace di reggere lo sguardo fiammeggiante del fratello minore.

No...non sarebbe giusto.”

Per alcuni minuti ci fu silenzio.

Resterà con noi.” dichiarò all'improvviso il fratello maggiore, rompendo il silenzio. “Ma cerca di non farla soffrire. Sarebbe troppo per lei, dopo quello che ha passato.”

Ichizo sorrise.

Te lo prometto, fratello!”

 

 

Ichibei sorrise, rimembrando vecchi ricordi, mentre serviva il thè ai suoi ospiti.

“Vedete...mio fratello è sempre stato...strano. Era un abilissimo cecchino, non sbagliava un colpo, con qualsiasi tipo di arma. Avrebbe potuto diventare qualcuno di importante, un pirata, un marine, un cacciatore di taglie, ma lui scelse di rimanere qua, dove era nato, per proteggere gratuitamente il suo villaggio natale.”

 

 

Questo posto mi ha dato il dono più grande e prezioso del mondo: la vita. Il minimo che posso fare e dedicarla completamente ad esso.”

 

 

“Quando decise di adottare Erza io...beh, non ero molto d'accordo. Credevo che sarebbe stato un pessimo padre un uomo che, nella propria vita, aveva imparato solo a sparare con un'arma. Tuttavia, alla fine, cedetti ed accettai che portasse Erza nella nostra vita.”

“All'inizio fu difficile. Non sapevamo nulla di bambini, ed Erza era una bambina un po' troppo enigmatica per due come noi. Ma poi, con il passare del tempo, trovammo un equilibrio. Lei stessa divenne sempre più allegra e spensierata, dimenticando i fantasmi del suo passato, e concentrandosi sul presente e sul futuro.”

“Poi un giorno, circa due anni dopo il suo arrivo in questa casa, Erza mise in luce un talento nascosto.”

 

 

Sdraiato in modo scomposto sul divano, Ichizo stava 'riflettendo profondamente' quando, all'improvviso, udì un rumore secco dal giardino di casa, che lo sveglio di colpo.

Ma cosa...” udendo ripetutamente quel suono, l'uomo si alzò con un grugnito. Irritato per essere stato disturbato nel pieno della sua riflessione pomeridiana.

Se è Erza spero abbia una giustificazione per tutto questo rumo...” le parole gli morirono in gola quando vide la bambina, con in mano una fionda, che per gioco lanciava sassi contro alcuni barattoli, ad oltre trenta metri di distanza, senza sbagliare un colpo.

Che mi venga...” Ichizo non credeva ai suoi occhi. Non aveva mai visto un bambino con una mira così precisa. E il solo pensiero che aveva appena otto anni gli fece accaponare la pelle.

Questo è un diamante grezzo...”

 

 

“Erza...era una cecchina?” domandò Milo.

“La migliore che abbia mai visto.” rispose il medico. “Neppure mio fratello a quell'età era così bravo. Aveva un talento nato, che aspettava solo di essere coltivato e curato.”

“Mio fratello Ichizo decise immediatamente di addestrarla. Scoprimmo ben presto che Erza aveva una passione incredibile per le armi da fuoco. Amava studiarle, curarle, lucidarle, ed era capace di esercitarsi con una qualsiasi di esse per ore. All'inizio io ero abbastanza dubbioso sul fatto di insegnare a maneggiare una pistola ad una bambina, ma ben presto l'entusiasmo di mio fratello e di lei assopirono i miei dubbi. Probabilmente fu allora che Ichizo le parlò per la prima volta del suo grande sogno segreto.”

“Un...sogno segreto?” Kinji si grattò la testa, perplesso. “Non era difendere il villaggio il suo sogno?”

“Sì, ma aveva anche un altro sogno mio fratello: trovare Gan Heiwa.”

“Gan Heiwa? E cosa sarebbe?” domandò Kuroc.

Ichibei sospirò.

 

 

Gan Heiwa? Cosa sarebbe, Maestro?”

Non chiamarmi Maestro.”

Cosa sarebbe?”

Gan Heiwa è un'antica arma, creata dagli uomini agli arbori del mondo. Si dice che quest'arma sia così potente che possa distruggere il mondo con un colpo, ma allo stesso tempo è un'arma che può dare amore.”

Erza inclinò la testa, perplessa.

Come può un'arma così potente dare amore?”

Perché coloro che la costruirono non volevano uno strumento di morte, ma di pace. Gan Heiwa va a colpire l'animo delle persone, purificandole di tutti i loro sentimenti negativi, e restituendo loro la pace interiore.”

Ma come è possibile tutto questo?”

Ichizo sorrise.

Bisogna crederci, Erza. Solo con la volontà, qualcuno un giorno porterà alla luce quell'oggetto, cambiando il mondo per sempre. Ricorda: il vero coraggio non sta nel prendere una vita, ma nel risparmiarla. Un vigilante non deve uccidere chiunque infranga una legge, ma fare in modo che possa avere la possibilità di pagare, e quindi scontare, la propria colpa. Tutti a questo mondo devono avere una seconda possibilità.”

 

 

“Mio fratello ed Erza diventarono inseparibili. Lei cominciò ad accompagnarlo nelle sue ronde, facendosi ben presto benvolere da tutti. Era pur sempre l'ultima dei Sakurani, e vederla al servizio della comunità ci faceva piacere. Gli anni passarono, facendola crescere sempre più forte e bella, finchè...” l'uomo si interuppe, terminando la propria tazza di thè con un lungo sorso.

“Finchè...cosa?” lo incalzò il capitano.

Ichibei fissò il fondo scuro della sua tazza, tornando indietro nel tempo di sei anni.

 

 

Allora?”

Ichibei si mise a sistemare i suoi strumenti, dando le spalle al fratello, intento a rivestirsi.

Cosa succede fratello? Non è da te essere così silenzioso.” osservò Ichizo.

Al medico tremarono le mani, ma quando parlò la sua voce fu fredda e professionale.

Sai bene anche tu cosa hai...quei colpi di tosse sono sempre più frequenti. Ed anche il sangue lo è...”

Quanto?” chiese il fratello minore. Aveva già capito tutto, ma voleva sentirselo dire da suo fratello.

Non è facile fare una stima precisa. Molto dipenderà da una dieta diversa e da un abbandono progressivo del fu...”

Quanto mi resta da vivere?” ripetè, con voce pacata, Ichizo.

Nell'ambulatorio scese un silenzio di tomba per alcuni secondi.

F-forse un anno...non di più.” dichiarò infine Ichibei. “La malattia è in stato avanzato, ed io non posso farci nulla. Un ospedale magari potrebbe allungarti i tempi ma...”

No, niente ospedali.” replicò l'altro. Sorrise, mentre si accendeva una sigaretta. “Non mi sono mai piaciuti.”

Con uno scatto di rabbia, il medico corse addosso al fratello, strappandogli dalla bocca la sigaretta e buttandola a terra.

La vuoi smettere?! È per colpa di questo dannatissimo vizio se ora sei in questa situazione!”

Cosa importa?” rispose Ichizo, senza smettere di sorridere. “Ormai sono spacciato, non sarà certo una sigaretta in più a rovinarmi la vita.”

Non pensi ad Erza? Non pensi al tuo sogno? Cosa ne saranno di loro?!”

Il mio sogno si avvererà.” rispose l'altro. “E guarirà molti mali di questo mondo.”

Come?!”

Sarà Erza a portarlo a termine.” gli occhi di Ichizo risplendevano di gioia. “La mia volontà, fratello, non si disperderà mai, fino a quando Gan Heiwa non sarà tornata alla luce.”

Di fronte a tanta determinazione, il medico indietreggiò di un passo, abbassando lo sguardo.

Lei soffrirà.”

Lo so.”

Mi avevi promesso che non l'avresti mai fatta soffrire.”

Il volto magro di Ichizo si adombrò.

Ti chiedo perdono per questo.” il vigilante si accese una seconda sigaretta. Questa volta Ichibei non si oppose. “Lascio a te ogni cosa, anche la mia ultima missione.”

Quale missione?”

Un sorriso stanco tornò ad aleggiare sul volto dell'uomo.

Voglio che, quando sarà il momento, lei possa compiere la sua volontà.”

 

 

“Ichizo era...malato?” la voce di Kita nascondeva una punta di curiosità. Ormai anche lei era stata rapita dal racconto del medico.

Quest'ultimo annuì gravemente.

“Sì. Un tumore maligno ai polmoni, dovuto al suo vizio delle sigarette. Mio fratello aveva sottovalutato i sintomi per tanti anni, e quando si decise a mostrarmi quella strana tosse, ormai era arrivato al punto di non ritorno.”

“Ichizo tuttavia, non sembrò particolarmente colpito dal fatto di avere le ore contate. Affrontò la sua malattia con la stessa incoscienza di sempre. L'unico suo cruccio però, era Erza che, negli stessi giorni, ebbe un incontro che le cambiò la vita.”

 

 

Correva sotto la pioggia, con il fiato mozzo, mentre davanti a lei riusciva appena a vedere la sagoma del ladro.

Fermati!” gli urlò, mentre uno schizzo di fango le colpiva un occhio, facendola rallentare.

Ti ho detto di fermarti!” con uno scatto disperato, la ragazza dimezzò la distanza. Sotto pressione, il ladro imboccò una via laterale. Erza sogghignò: sapeva che era un vicolo cieco. Tuttavia, una volta entrata anche lei nella stradina, vide il fuorilegge già a metà del muro in fondo, intento a scavalcarlo con incredibile agilità.

Agì senza pensare. Aveva la pistola già in mano, e fu un movimento naturale, come se fosse parte di lei.

Sparò. Tuttavia, ingannata dalla fitta pioggia, la ragazza, convinta di puntare alla gamba, colpì il proprio bersaglio in mezzo alla schiena. Quest'ultimo, lanciando un grido di dolore disumano, crollò al suolo, in mezzo al fango, dove non si mosse più.

Erza capì subito la gravità del suo errore. Con il cuore che batteva all'impazzata, la bionda si avvicinò alla figura stesa a terra. I suoi occhi videro un volto giovane, sulla ventina, di un ragazzo magro. Aveva il respiro mozzo, mentre con una mano si teneva il petto da cui fuoriusciva sangue scuro, che veniva lavato via dalla pioggia scrosciante.

Io...” alla ragazza mancavano le parole. Non aveva mai sbagliato prima d'ora un tiro, e sapere che quell'errore stava costando la vita ad una persona la sconvolgeva. “Resisti, ti porto da un medico!”

Ferma!” la bloccò lui, la voce fievole. “Io...cercavo una persona...”

Non parlare, risparmia il fiato!” proseguì lei, invano. Il ragazzo non le permise di spostarlo.

Erza...”

La ragazza si bloccò nell'udire il proprio nome.

Chi sei?” sussurrò, la bocca secca per la paura.

Erza...Sakurani...quando la vedrai...digli che...suo fratello...è...”

CHI SEI TU?!”

Chojiro...Sakurani...digli che...la stavo cercando...” le parole si spensero lentamente dalle labbra del giovane Chojiro, mentre spirava tra le braccia di sua sorella, inconsapevolmente colpevole della sua morte.

Ed allora Erza urlò. Urlò con tutto il fiato che aveva in gola, mentre si osservava le mani sporche di sangue, del sangue di suo fratello. Proseguì ad urlare come un ossessa anche quando la gente del villaggio arrivò sul posto, osservando impietrita il corpo del giovane Chojiro steso a terra, e quello insanguinato ed urlante della giovane Erza.

 

 

“Erza aveva appena quattordici anni all'epoca, e l'uccidere il fratello, di cui aveva comunque un ricordo vago, la sconvolse. Ci vollero tre giorni prima che avesse il coraggio di uscire dalla sua stanza, ed anche allora fu impossibile comunicare con lei. Neppure Ichizo riuscì a rompere il silenzio in cui si era rinchiusa.”

“Cosa era successo a Chojiro?” chiese Milo. “Insomma, cosa aveva fatto in tutti quegli anni lontano dal villaggio?”

“Non fu semplice rispondere a questo quesito.” replicò Ichibei. “Solo molto più tardi, tramite conoscenti, seppi che Chojiro aveva cercato fortuna, invano, nella capitale di questo regno. Ormai ridotto in miseria, si era messo a fare il ladruncolo, campando alla giornata. Tuttavia, ad un certo punto, non si sa il perché, ritornò nel suo villaggio natale, alla ricerca della sorella. Probabilmente si sentiva in colpa per averla abbandonata anni fa al suo destino.”

“E lei...lo uccise?” il navigatore impallì, sconvolto. “Deve essere stato terribile.”

Il medico annuì.

“Sì, e le conseguenze del suo gesto furono esaminate dal villaggio. Una commissione si riunì per esaminare l'accaduto. Anche se giovane, e sicuramente non in modo intenzionale, Erza aveva commesso un omicidio, e doveva essere giudicata per questo. Quest'ultima non si tirò indietro. Racconto tutto, si addosso ogni colpa. Probabilmente, nella sua mente sconvolta dal dolore, pagare con la vita le sembrava una via d'uscita meravigliosamente rapida. L'unico che si oppose fu mio fratello, che non accettò in nessun modo che facesserò del male a quella che, per lui, era sua figlia ormai.”

 

 

Siete diventati matti?! Vi rendete conto di quello che state dicendo?!”

Ichizo, cerca di essere ragionevole...”

Io ragionevole?! È UNA RAGAZZINA! E voi volete mandarla a morire, maledizione!”

Anche se è una ragazzina, ha pur sempre commesso un omicidio! Tutti noi vogliamo bene ad Erza, ma non possiamo fingere che non sia accaduto nulla. È la legge, Ichizo!”

Non vi permetterò di torcerle un solo capello! Piuttosto vi crivello di colpi qui sul momento!”

Ci stai minacciando?”

Precisamente!”

Se invece di addestrarla ad ergersi a paladino del villaggio, come hai fatto te stesso per anni, l'avessi educata come tutte le ragazzine, questo non sarebbe successo, Ichizo! Non puoi continuare a tergiversare sulla cosa! È una ragazzina, e tu l'hai addestrata a sparare ed ad uccidere! Avresti dovuto pensarci prima, adesso è troppo tardi per proteggerla!”

Il vigilante non rispose, mentre un sorriso strano comparve sul suo volto.

Dunque...voi la vedete così.” sussurrò. “Molto bene. Se è il sangue che volete, lo avrete. Ma non sarà quello di mia figlia.”

Successivamente alzò la testa, gli occhi che bruciavano di rabbia ed orgoglio.

Se volete una testa, prendete la mia! È mia figlia adottiva, ed io, in quanto suo tutore, mi addosso ogni colpa!”

Nella sala scese un silenzio di tomba.

Ichizo, non dire assurdità.” dichiarò all'ìmprovviso una donna.

Assurdità? No, non sono mai stato così serio.”

Non permetteremo che tu salga su quel patibolo.”

Però non muovereste un dito per mia figlia, eh? Secondo la legge, è ancora minorenne, quindi mi posso benissimo addossare la colpa di ogni cosa.”

Ichizo...”

Volete una testa? Benissimo, eccola qua.”

Smettila di fare lo sciocco. Nessuno qua ti ucciderà.”

Voi forse non avete capito!” urlò Ichizo, il volto sfigurato dalla rabbia. “Non torcerete un capello ad Erza, sono stato chiaro?!”

 

 

“Alla fine, l'assemblea del villaggio accettò che a salire sul patibolo per l'impiccagione fosse mio fratello. Era malato, e quindi, sapendo di avere i giorni contati, non ci pensò un attimo a sacrificarsi per sua figlia. Quando me lo disse non ebbi la forza di dirgli nulla. Era calmo, come non l'avevo mai visto prima d'ora. E capì subito che niente al mondo gli avrebbe fatto cambiare idea.”

 

 

Spero solo di sopravvivere abbastanza a lungo per morire...”

 

 

“Erza non la prese molto bene, era palese, ma non disse nulla. Era ancora troppo sconvolta. I giorni prima dell'esecuzione passarono lenti, con mio fratello che in cella aspettava la sua morte, ed Erza che cadeva preda dei suoi incubi dentro questa casa.”

“Poi, infine...”

 

 

Il cielo era nuvoloso, e prometteva pioggia.

Nella strada principale, un patibolo improvvisato si ergeva minaccioso. Di fronte c'erano, ad assistere, ogni persona del villaggio, tranne i più piccoli.

Ichizo salì lentamente sul patibolo, le mani legate dietro la schiena. Era magro, e pallido. La malattia lo stava consumando velocemente, ma lui cercava in ogni modo di non darlo a vedere. Una volta davanti al proprio villaggio, sorrise con fare allegro al fratello, in prima fila, ed a sua figlia, lì affianco, che lo fissava con fare inespressivo.

I minuti successivi trascorsero lenti, mentre il sindaco leggeva i capi d'accusa, e la successiva condanna. Poi, infine, il boia mise il cappio intorno al collo del vigilante, che non smetteva di sorridere.

Ichizo.” dichiarò il sindaco, scosso anche lui da quell'orribile spettacolo. “Un ultimo desiderio?”

Il sorriso del condannato si allargò.

Erza...” dichiarò con voce tonante. “Ricordati, non smettere mai di credere!”

Gli occhi di tutti si spostarono verso la ragazza, che però rimase immobile.

Molto bene.” dichiarò il sindaco. “Procedete!”

Con passo veloce, il boia si avvicinò alla leva della botola.

E' stata una vita magnifica!” urlò all'improvviso Ichizo.

Poi la leva si abbassò di colpo. Ponendo fine ad ogni cosa.

 

Ore dopo, ormai sola, davanti al patibolo vuoto, Erza ripensò alle ultime parole del suo Maestro.

E fu lì, sotto una pioggia scrosciante, che finalmente diede sfogo al suo dolore.

 

 

Ichibei si interruppe, non riuscendo ad andare avanti. Anche lui aveva pianto a lungo quel lontano giorno di sei anni fa, chiuso tra le mura della sua casa.

“Da allora sono passati sei anni.” proseguì infine. “Erza ha proseguito l'opera di Ichizo, proteggendo questo villaggio. Ma della ragazza allegra di un tempo ormai non è rimasto quasi nulla. È convinta di portare una maledizione, che uccide chiunque le sta intorno, e cerca disperatamente di stare lontana da qualsiasi legame umano. Ma nel profondo del suo cuore, io sono convinto che lei non desidera altro che partire, alla ricerca di Gan Heiwa, e fare in modo che la volontà di mio fratello si compia.”

Nella casa scese il silenzio. I pirati non dissero una parola, ognuno immerso nei propri pensieri, mentre il medico si asciugò una lacrima solitaria, causata da un dolore che il tempo non poteva guarire.

Nel frattempo, il sole tramontò definitivamente, insieme alla sigaretta di una vigilante con il cuore spezzato dal troppo dolore.

Maestro... pensò la ragazza, mentre usciva dal cimitero, il fucile in spalla. Mi dispiace...

 

 

Al largo dell'isola Raifuru, un occhio vigile osservava la costa.

“Il porto della capitale è troppo fortificato per attaccarlo.” osservò una voce rauca. “Dovremmo sbarcare sull'approdo orientale, capitano.”

Quest'ultimo non rispose, mentre proseguiva ad osservare l'isola di fronte a sé tramite un canocchiale.

“Capitano Richard?”

“Silenzio!” sbottò Richard con voce intrisa di pazzia e cattiveria. I suoi occhi brillavano di una luce malvagia. “Dite agli uomini di prepararsi!”

Un sorriso folle si intravide nell'oscurità della notte appena giunta.

“E' tempo di distruggere un'isola.”

 

 

CONTINUA

 

 

Chiedo scusa per (l'ennesimo) il ritardo, ma tra il fatto che questo è stato un capitolo molto travagliato e laborioso (molte parti sono stati riviste e corrette più volte) ed il fatto che il mio tempo libero non è tantissimo, il risultato è che il tempo fugge via in un batter d'occhio.

Erza, insieme ad Hysperia, è il personaggio della ciurma di cui mi piace più parlare, quindi ho deciso di dividere in due (se non tre...si vedrà) capitoli il suo passato. Spero che questo non vi dispiaccia eccessivamente, ma adoro parlare di lei, ed ho preferito approfondire parecchio il suo passato.

Per il resto, spero che il capitolo vi sia piaciuto, seppur privo di azione, e che abbiate la pazienza di attendere i miei tempi biblici XD

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 8
*** Ricordi: Due nuovi Nakama, la cecchina Erza e la nave Kuin. ***


Capitolo 8

 

 

Quando Erza ritornò a casa, il sole ormai tramontato da un pezzo, la sua espressione indecifrabile non mutò nel vedere i pirati riuniti attorno al tavolo della cucina insieme a Ichibei.

“Ehi! Ciao Erza!” la salutò Kinji, alzando la testa dal proprio piatto. “Come va?”

La ragazza non rispose, andando a piantare il suo sguardo gelido verso il medico.

“Mi domando se un giorno riuscirai a tenere la bocca chiusa.” sibilò con voce velenosa.

“Li hai attaccati senza motivo.” spiegò l'uomo senza scomporsi. “Mi sembrava il minimo dargli delle spiegazioni.”

“Spiegazioni?” la voce della ragazza si indurì. “E' la mia vita. Non hai nessun diritto di parlarne senza il mio consenso.”

“Cosa vuoi fare? Uccidere chiunque osi parlare di lui? Era mio fratello, credo di avere qualche diritto a parlar...”

“STA ZITTO!”

Il silenzio che seguì fu denso di tensione. Erza sembrava ribollire di rabbia, mentre Ichibei la osservava con fredda calma.

“Erza...non sarà dimenticandolo che supererai quello che stai passando.” provò a spiegare quest'ultimo.

La ragazza sembrò riacquistare la solita freddezza.

“Non ho intenzione di proseguire questa discussione.” dichiarò, riaprendo la porta. “Tornerò quando ti sarai deciso a cambiare idea.”

E senza aggiungere altro uscì, sbattendosi dietro la porta.

Ichibei sospirò, scuotendo la testa. Successivamente, rivolse uno sguardo carico di significati ai suoi ospiti. Questi ultimi non dissero nulla, consapevoli della situazione, ma Kinji, serio in volto, si alzò all'improvviso, fissando dritto negli occhi il medico.

“Ichibei.” esordì. “Ho preso una decisione. E non salperò da quest'isola fino a quando non avrò raggiunto il mio obiettivo.”

L'uomo lo guardò, perplesso.

“E quale sarebbe?”

Gli occhi del giovane capitano brillavano di determinazione.

“Voglio che Erza entri a far parte del mio equipaggio!”

 

 

Seduta sulla scogliera orientale, con una sigaretta stretta tra le labbra, Erza fissava l'oceano scuro davanti a sé, mentre ribolliva di rabbia e dolore, gli occhi chiari nascosti dagli occhiali da sole.

Maestro...mi avete lasciato da sola. Perché? Cosa volevate da me? Che cercassi Gan Heiwa? O che proteggessi il villaggio? Ed io...io cosa voglio?

Non era arrabbiata con Ichibei per aver parlato della sua storia a degli sconosciuti. Era arrabbiata con sé stessa per non riuscire ad accettare ancora la cosa dopo sei anni. Ichizo era malato, lo sapeva, eppure non riusciva a togliersi di dosso il peso di averlo ucciso lei, come aveva fatto con tutta la sua famiglia.

Sono maledetta...non sono degna di cercare Gan Heiwa, le mie mani sono lorde di sangue innocente.

Si portò la testa alle ginocchia, sospirando, mentre il peso che avvertiva ormai da sei anni attorno al suo cuore diventò più forte.

Maestro...perché?

Gli parve quasi di udire la sua risata aspra e secca nell'aria, mentre cercava disperatamente di trattenere le lacrime. Sei anni era troppo pochi. Forse, neanche un secolo sarebbe bastato a redimerla del tutto.

Si strinse con forza le gambe, con la forza della disperazione, mentre rigettava con forza dentro di sé il proprio dolore. Non si meritava di piangerlo, non era degna neanche di quello.

 

Erza, un giorno diverrai la cecchina più brava del mondo, e cambierai per sempre questo pianeta.”

 

Rialzò il volto, aspirando la fredda aria di mare. Le era impossibile riuscire a credere a quelle parole. Lei era maledetta, e l'unica cosa che poteva fare, era evitare che la sua maledizione potesse fare del male ad altre persone.

Avevate torto Maestro...io non sono quello che credevate.

I suoi occhi, da tristi e malinconici, divennero attenti e freddi: aveva visto un puntino luminoso, come la brace di una sigaretta, a poche miglia di distanza dall'isola. Sfruttando la propria acuta vista, la ragazza intravide delle ombre sopra il pelo dell'acqua, simili a numerose scialuppe. La bionda ci mise poco a comprendere di cosa si trattasse.

Pirati...

Si maledì per non aver ucciso quei ragazzi nel pomeriggio. Era ovvio che fossero degli esploratori, mandati in avanscoperta, e lei, invece di freddarli uno ad uno, si era fatta abbindolare dagli occhi puri di uno di loro.

Non devo essere stata la prima a farsi fregare così dal moccioso. Deve avere un talento naturale.

Si alzò, lentamente, stringendo la presa sul proprio fucile. Dentro di lei non provava niente ora. Non c'era spazio per il dolore, non ne era degna. Ora doveva uccidere.

Sono un'arma...niente di più.

 

 

Jormur aspirò l'aria piena di salsedine, mentre sbarcava su quell'isola. In sé non era niente di che, ma la ricca città che sorgeva dall'altra parte dell'isola era un boccone assai ghiotto per un gruppo di pirati perennemente famelico come quello di cui faceva parte. Jormur ne era sicuro: quella notte, il nome del capitano Richard e dei suoi seguaci sarebbe entrato nelle leggende di terrore di quell'oceano.

“Disponi gli uomini.” ordinò ad un suo compagno, un moro basso e magro. Il secondo di Richard, invece, era alto, largo di spalle, e con un volto indurito dal vento, dal mare e dai numerosi scontri che aveva vinto nella sua vita. I capelli erano neri, così come i suoi occhi, illuminati da una luce crudele e sadica. Indossava degli stivali di pelle, pantaloni bianchi ed un lungo mantello rosso come il sangue. Mentre alcuni bucanieri affondavano la barchetta di Kinji, dato che intralciava le operazioni di sbarco, egli finiva di coordinare le manovre. “Che nessuno si lanci in razzie fino a quando non do io l'ordine.”

Il pirata moro fece per rispondere, quando uno sparo riecheggiò in aria, facendo immobilizzare i fuorilegge.

Jormur sorrise. Forse non sarebbe stata una faccenda così semplice.

Qua c'è qualcuno che vuole fare l'eroe.

“Non state lì impalati come pesci!” sbraitò subito dopo. I pirati corsero a cercare un rifugio, mentre, stranamente, i loro avversari non ne approfittavano di quel momento di confusione per mietere vittime.

“E adesso?” chiese un bucaniere al secondo di Richard. Quest'ultimo scrutò le scogliere immerse nell'oscurità della notte, deciso a vedere dove fosse il loro nemico.

“Ora silenzio.” ordinò con voce bassa. Non aveva idea di chi o cosa avessero di fronte, ma di una cosa era sicuro: erano pochi, massimo tre individui, ed erano dei folli a sfidarli.

Uscì dal suo rifugio, muovendosi con furtività e cautela, tra le piccole dune di sabbia, nel tentativo di avvicinarsi alla fonte dello sparo di prima. Non udì né vide niente mentre arrivava di fronte alla scogliera. Una volta lì, Jormur cominciò a scalarla, non senza aver preso prima le necessarie precauzioni. Con un coltello tra i denti, il pirata scalò la parete rocciosa con l'abilità di chi sa muoversi tra le sartie di una nave. Fu solo una volta in cima, che capì due cose del loro nemico: era una donna, ed era molto furba.

La fredda canna di un fucile era puntata verso la sua fronte accaldata per la salita. Il pirata alzò lentamente lo sguardo, cercando di mantenere il sangue freddo.

Una fila di denti bianchi brillò nell'oscurità.

“Chi siete?” sussurrò Erza, mentre toglieva la sicura alla sua arma.

Anche il bucaniere sorrise, ma il suo fu più un ghigno. Con uno scatto improvviso delle braccia, si tirò su di colpo, costringendo la ragazza a colpirlo in pieno petto.

Jormur cadde nel vuoto, precipitando a terra senza emettere un solo suono. Vedendo il proprio superiore cadere a terra, immobile, i pirati rimasero indecisi su come muoversi. Alla fine, a rompere i loro indugi, fu lo stesso Jormur. Quest'ultimo, dopo alcuni minuti, si rialzò lentamente, respirando a fatica, tra lo stupore dei suoi sottoposti e quello di Erza.

“E' solo una donna.” dichiarò, la voce affannata ma sicura. Un ghigno animalesco si dipinse sul suo volto. “Ed è anche carina...uomini, sapete cosa fare!”

I fuorilegge si guardarono in volto per un attimo. Poi, lanciando un urlo bestiale, si lanciarono verso la scarpata. Il tutto mentre Jormur si alzava lentamente da terra, il corpo privo di qualsiasi ferita.

Erza non ebbe tempo di domandarsi perché il pirata non era morto. Tutto quello che fece fu di correre all'impazzata verso la scarpata. Una volta lì, vide che alcuni dei fuorilegge erano già a metà di essa. Tempo un paio di minuti e l'avrebbero raggiunta.

Vediamo se un po' di piombo li calma.

Con velocità fulminea, la ragazza aprì il fuoco contro di loro. Nonostante l'oscurità della notte, ogni suo colpo andava a segno in modo perfetto. Tuttavia, nessuno di essi fu mortale, si limitava a ferire ad un braccio, una gamba, una spalla i pirati, in modo che essi fossero impossibilitati a combattere. Nel giro di cinque minuti, oltre venti fuorilegge cadderò verso il fondo della salita, feriti e doloranti.

“Dovrete fare di meglio, prima di passare da qui!” urlò la bionda, un sorriso feroce dipinto sul suo spendido viso. Jormur, invece, corrucciò la propria espressione, sbalordito dall'incredibile mira della ragazza.

Forse l'ho sottovalutata.

“Andrej.” chiamò con voce tonante. Immediatamente, una figura si avvicinò al pirata, in attesa di ordini.

“Va!” gli ordinò il bucaniere. “E non tornare senza la sua testa.”

L'ombra chiamata Andrej annuì, poi scomparve, come fosse fumo nell'aria, salendo veloce la scarpata. L'unica traccia che lasciava del suo passaggio era un leggero sibilo, come un sinistro fischio. Fu solamente grazie al suo istinto, che Erza riuscì a parare, con la propria arma, il pugnale bianco che brillò, senza preavviso, sotto la fredda luce lunare.

La lama intaccò profondamente il fucile della vigilante, mettendolo fuori uso. Tuttavia, prima che la bionda potesse tentare qualcosa, l'ombra scomparve, così come la bianca arma, lasciandola disorientata.

Ma dov'è?

Il dolore lancinante che percepì alla spalla sinistra le fece comprendere che era dietro di lei. Trattenne di colpo il fiato, come se fosse stata colpita da una secchiata di acqua gelida, mentre percepiva la lama che si rigirava con sadismo nella sua carne.

Maledetto... un rivolo di sangue scuro cominciò a colarle lungo il braccio. Con una giravolta fulminea, tentò di colpirlo, usando il fucile come clava, ma sua mossa non fendette altro che l'aria, mentre l'ombra riprese a muoversi attorno a lei, simile ad un vortice nero, pronta a colpire al minimo accenno di debolezza da parte sua.

Jormur sorrise quando vide la lama penetrare nella carne della ragazza altre due volte. Andrej era quel prototipo di killer sadico e freddo che adorava. Era un ex assassino della Marina, che si era stufato di sottostare alle rigide regole militari. Reclutarlo era stato un vero colpo da novanta per la ciurma di Richard.

Non si fermerà fino a quando non sarà un pezzo di carne sanguinolento, ormai desiderioso solo di morire.

Il sapore ferroso del sangue gli riempì la bocca, quando cadde pesantemente a terra, dopo che il suo avversario le aveva trafitto entrambe le gambe. Erza strinse i pugni, cercando di fare forza sulle braccia, ma fu inutile. Andrej la trafisse su entrambe le spalle, per poi rigirare il pugnale nel suo fianco destro, in una zona non vitale, ma molto dolorosa.

La bionda inarcò la schiena, urlando il suo dolore. Ricadde pesantemente al suolo, il respiro mozzo, mentre la sua mente, annebbiata dal dolore, perdeva rapidamente lucidità.

Maestro...

Riuscì finalmente a vedere il suo avversario. Era alto, di carnagione bianca, con i capelli rossi e gli occhi di un azzurro chiarissimo, quasi bianco. Indossava dei pantaloni larghi e lunghi, di colore scuro, e un lungo mantello nero più della notte, mentre i suoi piedi, stranamente, erano privi di calzature. La osservava con espressione fredda, mentre tra le mani stringeva una lama insanguinata. Il suo sangue. La ragazza digrignò i denti, stringendo i pugni, ma quando provò ad alzarsi, un dolore atroce pervarse in tutto il suo corpo, facendola desistere subito.

Andrej proseguì a fissarla freddamente, in silenzio. Poi, per puro sfizio, le conficcò, con un movimento rapidissimo, la propria lama nella gamba destra, rigirandola con sadismo estremo. Erza non urlò, ormai sull'orlo dell'incoscenza, a causa della perdita di sangue.

Maestro...perdonatemi...

La sua mente cominciò a viaggiare fuori dal tempo e dallo spazio, volando indietro nel tempo, quando il mondo non era grigio, e la sua maledizione non le era ancora nota.

 

Erza...io ho fiducia in te. So che un giorno troverai Gan Heiwa.”

 

Strinse i denti con tanta forza da farli scricchiolare. Mosse una gamba, sentì un dolore terribile diffondersi per tutto il corpo, ma rispetto a ciò che provava dentro di sé, era nulla.

Questo dolore...non è niente, in confronto a quello patito da Lui!

 

Sei il mio nuovo papà?”

Solo se tu lo vorrai. Nessuno dovrà più costringerti a fare qualcosa Erza, neanche io.”

 

Sotto lo sguardo stupido del pirata, la bionda mosse in modo lento, ma deciso, le proprio gambe, come per rialzarsi. Lanciò più volte la proprio arma per ferirla, ma ogni volta Erza, dopo un attimo di pausa, assimilava la nuova ferita con un ringhio, e riprendeva ad alzarsi.

No...non perderò...non posso perdere!

 

Erza! Ricordati! Tu devi credere!“

 

Ormai era quasi in piedi quando Andrej cercò di colpirla in mezzo agli occhi, deciso ad ucciderla. Tuttavia, per quanto rapido, non lo fu abbastanza. La vigilante infatti, afferrò il suo polso, e lo fissò, da dietro le sue lenti scure, con uno sguardo pieno di una rabbia bruciante, così intensa da poter consumare l'oceano intero.

Non mi arrendo...

“Hai finito?” domandò, la voce calma e tranquilla.

L'uomo non rispose. Cercò di liberarsi dalla presa di lei, ma quest'ultima glielo torse con violenza. A quel punto, messo alle strette, Andrej sfoderò un secondo pugnale, muovendolo con velocità fulminea verso il cuore di lei. Erza però fu più rapida. Con un urlo pieno di rabbia, dolore e disperazione, la ragazza usò il proprio fucile come un bastone, colpendo con tutte le proprie forze il proprio avversario sulla tempia. L'impatto fu così violento che l'arma si ruppe in due pezzi, mentre Andrej venne scagliato verso la spiaggia a velocità terrificante, dove si schianto con forza. Quando la polvere si depositò, dell'assassino più temuto dell'East Blue non era rimasto che un corpo sanguinante e privo di sensi.

La sconfitta improvvisa di Andrej fece cadere nell'incredulità più profonda i pirati, e perfino Jormur fece fatica a mascherare il suo stupore dietro ad una maschera di sobria irritazione. Non solo quella ragazza aveva resistito alle innumerevoli ferite che la danza della morte del loro killer le aveva procurato, ma aveva trovato anche la forza di sconfiggerlo e di restare in piedi.

E' in gamba...ma ormai è allo stremo.

Sapeva che toccava a lui terminare l'opera iniziata da Andrej. In quanto secondo di Richard, doveva vendicare la sconfitta dei suoi sottoposti. Fece per muoversi verso la figura traballante in cima alla scarpata quando una voce crudele e pesante lo bloccò.

“No.”

Jormur si bloccò immediatamente. Con una mossa fulminea si girò, inginocchiandosi di fronte alla figura alta, immensa ed imponente che si era materializzata sulla spiaggia.

“Capitano...” esordì il bucaniere. “Chiedo perdono per questo ritardo, ma abbiamo incontrato più resistenza del previsto.”

“Lo so.” replicò Richard. “Ho visto il suo combattimento contro quell'incapace di Andrej. Quella ragazza ha fegato, voglio essere io a darle il colpo di grazia.”

“Capitano...” Jormur cominciò ad avere paura: temeva di aver sbagliato qualcosa, e di dover essere punito per questo. “Non serve che si disturbi. Posso farlo benissimo io.”

“Non sarà un disturbo, Jormur...per niente.” dichiarò Richard, esibendo un sorriso freddo e spietato come la morte.

Per la prima volta da quando aveva iniziato la lotta, Erza ebbe paura.

 

 

L'esplosione scosse con violenza il villaggio, andando ad intaccare perfino le fondamente della dimora abbandonata dei Sakurani. La gente si riverso spaventata in strada, convinta dell'arrivo di un terremoto. Anche Ichibei uscì preoccupato, ma l'origine del suo malessere era un'altra.

Dove sei Erza? Cosa sta accadendo alla nostra isola?

“Era un terremoto quello?” chiese Milo, sudando freddo.

“Quello? Non dire assurdità!” replicò Kita, scrutando il cielo scuro verso est. “Quella era un'esplosione molto potente...e veniva dall'approdo orientale.”

I pirati si guardarono in faccia, comprendendo subito il pericolo.

“Dite che potrebbe essere...dove si è diretta Erza?” domandò il medico.

“Se volete la mia idea...è sicuramente avvenuta nello stesso luogo dove si è diretta Erza.” rispose Kuroc, calmo come sempre.

Ichibei impallidì. Tuttavia, prima che potesse dire qualcosa, Kinji gli mise una mano sulla spalla.

“State tranquillo, amico mio!” dichiarò il pirata, gli occhi sicuri e freddi. “Non permetterò che nessuno faccia del male ad Erza. Lei è una mia Nakama!”

“Non sai neanche se accetterà...” puntualizzò il vice-capitano, ma fu ignorato dal moro.

Ichibei lo fissò con sguardo preoccupato. Il giovane pirata comprese dunque che la vita della giovane vigilante era per lui la cosa più importante del mondo.

“Riportala viva...ti scongiuro.” gli sussurrò l'uomo.

“Te lo prometto!” esclamò il moro.

Poi, senza aggiungere altro, prese a correre all'impazzata verso la scogliera est, seguito a ruota dagli altri. Avevano molta strada da fare, ed il tempo era disperatamente poco.

Resisti Erza! Kinji sguainò la propria lama. Eiji brillò fredda sotto la luce lunare, anch'essa desideriosa di battersi. Stiamo arrivando a salvarti!

 

 

Gli occhiali della ragazza cadderò lievemente sul suolo bruciato, mentre il suo volto, totalmente coperto di sangue, fissava il cielo stellato sopra di lei. Fumo nero usciva dalla terra, e dal suo corpo, mentre ogni nervo del suo fisico inviava scariche di dolore disumane al suo cervello.

“Peccato...credevo di aver incontrato una valida avversaria.” esordì tranquillo Richard mentre saliva la scarpata. Il capitano Richard, terrore dell'East Blue, era un uomo immenso, ed incredibilmente muscoloso. La luce lunare metteva in mostra fasci di muscoli, coperti da un mantello nero, fatto di pelliccia d'orso. I suoi stivali erano rossi come il sangue, mentre tutto ciò che indossava era un piccolo gonnellino bianco attorno alla vita, che li permetteva di mettere in mostra il suo fisico statuario. Il suo volto, circondato da lunghi capelli neri, era di una bellezza turpe, con un naso adunco, una mascella leggermente pronunciata, ed occhi di un verde brillante e completamente folle. “Ma è evidente che tutta la tua grinta l'hai spesa per quell'imbecille di Andrej. Sai, la cosa mi delude.”

Erza cadde in ginocchio. Respirò a fatica, mentre cercava di frenare il tremito compulsivo che le bloccava il corpo.

E' terribilmente forte...non mi stupisce che sia chiamato 'Il Terrore dell'East Blue'.

Riuscì solo ad alzare la testa, quando la figura gigantesca di lui troneggiò sopra di lei.

“Sono arrivato in cima.” sussurrò il pirata. “Game over...bambolina.”

Fece per superare la ragazza, quando quest'ultima, con una mossa fulminea, prese una delle sue pistole, e colpì dritto in mezzo alla fronte l'uomo di fronte a lei.

Richard si fermò subito, ma ciò che stupì la ragazza fu che il suo volto, più che dolore, sgomento o sorpresa, mostrava solo un crudele divertimento.

“Dimmi...secondo te con che cosa ti ho colpito prima, bambolina?” domandò tranquillamente il pirata.

Come fa ad essere ancora vivo?

“Vedi bambolina, io non sono un comune essere umano come te.” spiegò Richard, mentre i lembi della sua ferita si rimarginavano lentamente. “Io sono un essere superiore, dotato di poteri immensamente più grandi di quelli di una puttanella arrogante come te.”

Subito dopo, una sbalordita Erza vide una specie di tentacolo bianco fuoriuscire dal corpo del fuorilegge. Era viscido e viscoso, eppure si muoveva a grande velocità. Incapace di grandi scatti ormai, la ragazza venne bloccata velocemente da quella sostanza...appiccicosa.

“Credo tu possa cominciare a comprendere di cosa si tratti.” sussurrò con voce malevola Richard, mentre il tentacolo sollevava il corpo immobilizzato di lei, e lo schiantava contro la parete rocciosa dietro. I polmoni della ragazza si svuotarono di colpo, e fu solo con immensa fatica che riuscì a riempirli ancora.

Da cosa derivano questi suoi poteri?

“Glue Bomb!”

Con un salto, anche Richard arrivò di fronte a lei, colpendola con un pugno coperto da quella sostanza in pieno volto. Una seconda esplosione, anche se di minore intensità si mostrò in tutta la sua potenza distruttiva. Sotto di loro, i pirati esultavano, mentre Jormur sorrideva, ammirato dalla potenza del suo capitano.

Una volta che il fumo si disperse, Richard afferrò il volto abrasato e ricoperto di sangue della ragazza, sorridendo con fare malevolo.

“Ho mangiato il frutto Glue-Glue...sono un uomo di colla. Un potere che mi rende praticamente invulnerabile. Ora capisci, puttanella?”

“Io...so...solo una cosa...” sussurrò Erza, mentre le sue labbra spaccate si distendevano in un sorriso pieno di determinazione. “Tu...non riuscirai...a battermi...ed a distruggere quest'isola...”

Il pirata la guardò leggermente perplesso, per poi lasciarsi andare ad un sorriso carico di gioia.

“Magnifico! Una donna combattiva e che crede in quello per cui lotta.” i suoi tentacoli di colla esplosiva cominciarono a radunarsi attorno alle sue braccia. “Ma sei davvero sicura di volerti spingere fino in fondo? Sei pronta a morire, per i tuoi ideali?”

Gli occhi di Erza tremarono impercettibilmente.

Morire...per quello in cui credo...

Il suo sorriso si allargò.

Sarebbe la morte più dolce...di sempre.

Non era felice, questo no. Sapeva che, una volta eliminata, quei pirati avrebbero raso al suolo l'intera isola, facendo del male alle persone che lei aveva giurato di proteggere. Ma voleva morire come aveva fatto lui, sorridendo, perché sperava che, qualsiasi cosa ci fosse dall'altra parte, lui la potesse vedere sorridente.

Maestro...

Il volto del pirata si tramutò in un'espressione di gioia animalesca. Lui godeva nel vedere la gente morire, ed anche stavolta avrebbe dato vita ad un spettacolo bellissimo.

“Molto bene.” disse infine. “Vedo che hai fatto la tua scelta. Glue Bom...” prima che potesse finire la frase, una fiammata, di un bianco acceccante, irruppe sulla scarpata, colpendo con violenza il bucaniere, e mandandolo a schiantarsi sulla spiaggia sottostante, dove i pirati osservarono sbigottiti il loro capitano incassare duramente il colpo appena ricevuto.

“Dov'è?!” ringhiò quest'ultimo, guizzando gli occhi in ogni direzione. “Dove si è nascosto, quel pezzo di lerciume...”

“Sono quà sopra, stupido scimmione!”

Richard alzò lo sguardo. In cima alla scalinata, con il fiatone per la corsa folle che aveva appena compiuto, era presente Kinji, il volto trasfigurato dalla collera.

Gli occhi verdi del bucaniere si strinsero di rabbia.

“Ci sono molte cose che odio a questo mondo.” esordì, rialzandosi. “Ma quella che detesto di più sono i mocciosi che si intromettono in faccende che non li riguardano.”

“Stai zitto!” urlò il giovane, completamente fuori di sé. “Hai osato fare del male ad una mia amica, e questo non posso perdornartelo! Preparati ad essere preso a calci in culo!”

Erza, incastrata tra le rocce della scogliera, lo fissò sconvolta. Incapace di comprendere perché fosse giunto in suo aiuto.

Per...ché è qui? Possibile...che sia...davvero...quello che diceva?

“I...diota...” sussurrò, ormai senza voce. “Io non...sono tua...amica...”

“Se fossi furba, non lo contesteresti.” esordì una voce femminile sopra di lei. Con un'abile mossa, Kita le arrivò davanti, tirandola fuori con il minimo sforzo, ed issandosela in spalla. “Quando quell'imbecille si mette in testa qualcosa, è impossibile fargli cambiare idea.”

“Voi...” balbettò la bionda. “Ho tentato...di uccidervi...perché...”

“Perché siamo qui?” completò al suo posto la Full Metal Bitch, riscalando la parete senza problemi, il volto sormontato da uno strano sorriso. “Perché lui ha deciso di salvarti. Fosse per me, eri già crepata.”

Richard guardò solo distrattamente il salvataggio di Erza. Ormai la ragazza non gli interessava più, era Kinji il suo nuovo bersaglio. Leccandosi le labbra, il pirata cominciò a secernere numerosi tentacoli di colla, assumendo l'aspetto di uno spaventoso aracnide.

“Vediamo se sei capace di battermi, pidocchio.” esordì, la voce sicura. “Fatti sotto!”

Kinji si mise in posizione di guardia, tenendo Eiji con la punta verso il basso.

“Volentieri.” ringhiò.

Richard scattò, percorrendo in pochi decimi di secondo la distanza che lo separava dal suo avversario. Lanciò i suoi numerosi tentacoli, nel tentativo di intrappolare il moro, ma quest'ultimo, con movimenti agili e scattanti, li evitò tutti. A più riprese il pirata tentava di prenderlo, e sempre il ragazzo evitava ogni colpo, frustrando il proprio nemico.

“Sei bravo a scappare!” borbottò, vedendo come il suo ennesimo affondo andava a vuoto. “Ma se speri di sfiancarmi sei fuori strada. Posso andare avanti a questi ritmi per giorni se serve, stai solo sprecando tempo.”

“Davvero? Beh, speravo davvero che tu aumentassi il ritmo.” spiegò Kinji, ridendo beffardo. “Perché ormai stai diventando monotono.”

Una vena cominciò a pulsare sulla fronte del pirata più vecchio.

“Piccolo pidocchio!” i tentacoli, divenuti decine, presero a colpire all'impazzata, creando esplosioni a contatto con il terreno, nel tentativo di distruggere quel ragazzino che sgusciava con incredibile abilità al suo attacco.

Infine, quando ormai la collera di Richard stava per esplodere, Kinji si materializzò, come per magia, di fronte a lui, la spada illuminata di una luce di un bianco accecante.

“Cosa...”

“Swing Shiny!” urlò, colpendo il petto del suo nemico. La lama nera tranciò muscoli e carne dalla spalla sinistra fino al fianco destro. Richard inarcò la schiena, urlando dal dolore, e dall'incredulità che una lama fosse stata capace di colpirlo.

“Capitano!” urlò Jormur, incapace di capire come fosse stato possibile quella mossa. Fece per andare ad aiutarlo, ma un vento tagliente lo investì in pieno, ferendolo in profondità sul petto. Il pirata sputò sangue dalla bocca, cadendo a terra pesantemente, senza avere la minima idea di cosa l'avesse colpito.

“Una corazza sotto il mantello...” osservò Kuroc, mentre riponeva la propria arma nel fodero. “Ora capisco come mai non ti ha ucciso Erza prima.” il volto del samurai assomigliava a quello di un lupo famelico. “Peccato che con me certi trucchi non funzionano.”

“C-come fai...a colpirmi?” sputò Richard, mentre vomitava sangue scuro dalle labbra.

Il giovane pirata puntò la propria spada contro di lui, il volto ora serio.

“Non sono affari tuoi.” disse il ragazzo. “Se non sei capace di resistere ad attacchi di questo tipo, non sei degno di essere chiamato pirata.”

“Ora ne ho abbastanza!” urlò il bucaniere. Dal suo corpo uscì una quantità esagerata di colla che, coagulandosi in un gigantesco proiettile, fece per dirigersi contro Kinji. “Ti incenerirò!”

“Questo non accadrà mai!” replicò il moro. Con una mossa rapida ripose Eiji nel fodero, mentre accumulava potere attorno alle mani, illuminandole di fiamme bianche.

“Glue Glue...”

“Haki del Drago...” mormorò il ragazzo, caricando indietro il braccio destro, usando il sinistro come un mirino

“Sphere!”

“Pistol!”

Il colpo d'aria che Kinji creò prese fuoco, e si mosse a velocità subsonica verso la colla di Richard, che fu incenerita in pochi attimi. Poi, prima che il gigantesco pirata potesse fare qualcosa, il colpo del moro lo investì in pieno petto, facendogli vomitare sangue dalla bocca. Con un urlo inarticolato, colui che veniva chiamato 'Il Terrore dell'East Blue' venne scaraventato contro la parete rocciosa dietro di lui, con violenza inaudita. Una volta depositatasi la polvere, non si mosse più.

Nella spiaggia sottostante cadde un silenzio di tomba. I pirati osservavano ammutoliti i corpi privi di sensi di Andrej, Jormur e Richard. I loro condottieri erano stati sconfitti con facilità irrisoria, e questo li terrorizzò profondamente.

“Ed ora?” balbettò uno di loro. “Che cosa facciamo?”

“Ora è il mio turno!” esordì una voce squillante, seppure un po' tremante dall'emozione. “Fisher Trap!”

Un filo lucente volò per la spiaggia, quasi muovendosi con volontà propria. Prima che i corsari potessero comprendere meglio cosa fosse, esso li circondò e li immobilizzò tutti schiena contro schiena, rendendoli incapaci di combattere o di fuggire.

“Eh eh!” Milo sembrava particolarmente soddisfatto della sua opera, mentre si batteva la propria canna da pesca sulla spalla. “Nessuno può sfuggire alla Fisher Trap! Quella lenza non potrebbe essere rotta neanche da un gigante. E' composta da una fibra inventata da me, grazie al diario di mio nonno, e può reggere il peso di una nave! Sono proprio bravo!” si autoincensò alla fine.

“Ma sentilo...” borbottò Kuroc. “E dire che aveva una fifa matta fino a cinque minuti fa.”

“Come prego? Non ho sentito?” replicò Milo, irritato per essere stato interrotto durante il suo monologo.

“Non ho detto assolutamente niente...”

“Non mentire! Ti ho sentito benissimo! Stavi denigrando il mio supporto in battaglia!”

“Te lo stai immaginando!”

“Adesso sarei io quello bugiardo, eh? Brutto...”

Kinji smise di ascoltare con un sorriso il battibecco dei suoi nakama sotto di sé. Tuttavia, mentre si avvicinava a Kita ed alla cecchina, nel vedere l'espressione del suo primo ufficiale, il sorriso lasciò il posto ad una smorfia di preoccupazione.

Erza era distesa a terra, ricoperta di sangue, e respirava a fatica. I suoi occhi chiari sembravano spenti mentre osservava il moro avvicinarsi a lei.

“Come sta?” chiese quest'ultimo alla Full Metal Bitch.

“Non bene. Ha perso molto sangue, e dovrebbe essere portata da un medico il prima possibile.” rispose la bionda.

“Allora lo faccio io.” dichiarò subito Kinji. “Tu occupati dei pirati.”

“Posso ucciderli?” chiese subito la piratessa, leccandosi le labbra.

“Se lo facessimo, diverremmo uguali a loro.” replicò severamente il capitano. “Limitati ad immobilizzarli tutti, poi portali al villaggio insieme a Kuroc e Milo.”

“D'accordo.” mugugnò la bionda, di malumore. “Sei troppo buono Kinji, un giorno questo diverrà la tua condanna.”

“Staremo a vedere.” sorrise il moro. Tuttavia, prima che potesse sollevare la cecchina, quest'ultima gli bloccò una mano.

“Perché...l'hai fatto?” ansimò. “Non...mi dovevi...nulla. Avevo addirittura...cercato di...ucciderti.”

“Ti ho salvata perché voglio che tu entri a far parte della mia ciurma.” spiegò il ragazzo, mettendosela in spalla.

“Io...un pirata?” Erza trattenne un colpo di tosse, mentre un sorriso macabro spuntò sul suo volto insanguinato. “Che assurdità!”

“Assurdità o meno, io ormai ho deciso, e non mi farai certo cambiare idea!”

La bionda non aveva la forza di ribattere. Rimase in silenzio, mentre il movimento continuo e ritmico della corsa di Kinji la fece cadere ben presto in una specie di dormiveglia caldo ed appiciccoso. I rumori attorno a lei gli apparivano ovattati, e perfino le voci gli sembravano giungere da lontano. L'ultima immagine che riuscì a distinguere nella nebbia della sua mente, fu il suo adorato maestro, che gli sorrideva felice.

Maestro...

Sono fiero di te Erza...sei veramente colei che un giorno compirà la mia volontà.

La prego! Non mi lasci...

Compi la mia volontà Erza...cambia questo mondo...

Io credo in te...

 

 

Tre giorni dopo

 

Il sole illuminava la cucina della casa di Ichibei, rendendo le pareti di un colore allegro e caldo. Da fuori si poteva sentire il rumore del villaggio, mescolato ai canti degli uccelli, ed ai latrati di alcuni cani.

I pirati del Drago, seduti attorno al tavolo, si stavano dando da fare per svuotare la dispensa di Ichibei a tempo di record. Kinji in particolare, sembrava una specie di aspiratutto umano, ingurgitando qualsiasi cosa che assomigliasse a del cibo che gli capitasse sotto tiro.

“Sei rivoltante!” sbottò Kita, osservando disgustata il proprio capitano.

“Perché? Cofa f'è?” sputacchiò il moro, osservando perplesso la Full Metal Bitch. Dopo che alcuni pezzetti di cibo arrivarono a colpirla in viso, quest'ultima perse definitivamente la pazienza, stendendo al suolo Kinji con un terrificante pugno in testa.

“Impara a mangiare...animale!” borbottò, il pugno ancora fumante.

Milo e Kuroc si guardarono in faccia, preferendo non fare commenti. Anche perché ormai quella scene era la normalità. L'unico che faceva ancora fatica ad abituarsi a ciò era Ichibei, che si fiondò subito a sincerarsi delle condizioni del ragazzo steso a terra.

“E' fatica sprecata.” osservò la bionda, rimettendosi a mangiare. “Tempo un paio di minuti, e quell'imbecille sarà di nuovo in piedi purtroppo.”

In quel momento, entrò in cucina Erza. La ragazza, seppure un po' pallida, sembrava stare bene. Le fasciature che le ricoprivano le ferite erano state tolte, ed aveva già di nuovo una sigaretta tra le labbra.

“Erza!” esclamò il medico. “Non dovresti alzarti, sei ancora debole. Le tue ferite si riaprira...”

“Stai zitto!” sbottò lei. Gli occhi azzurri erano coperti dalle solite lenti da sole, così come in testa era presente il suo fedele basco, messo sulle ventitre. Con passo lento, la cecchina si avvicinò a Kinji, che nel frattempo si era rialzato da terra.

“Ciao Erza!” esclamò. “Vedo che ti sei ripresa! Ne sono fel...”

“La tua offerta dell'altra sera.” lo interruppe la bionda, l'espressione sul volto indecifrabile. “E' ancora valida?”

Il ragazzo la guardò perplesso.

“Di quale offerta stai parlando?”

“Sono passati i tre giorni di tempo che vi avevo concesso.” spiegò lei, mentre si accendeva la sigaretta, nonostante le proteste di Ichibei. “E siete ancora su quest'isola. Sapete questo cosa comporta?”

“Ahhhhhhh!” urlò Milo, nascondendosi dietro Kuroc. “Lo sapevo! È una killer senza scrupoli che ci ucciderà tutti! Non dovevamo aiutarla!”

“Beh, gli accordi erano quelli...ed un accordo va rispettato.” dichiarò Erza, soffiando fumo dalle narici. “Avete due alternative: combattiamo fino alla morte, oppure...mi prendete con voi.”

“Beh, la scelta mi sembra facile. Combattia...” il samurai non riuscì a terminare a causa di Milo, che gli tappò la bocca con una mano.

“Perfetto! Benvenuta a bordo, Erza!” esclamò Kinji, ridendo. Successivamente, il ragazzo fece una piroetta in aria per la gioia. “Yuhuuuu! Abbiamo un nuovo compagno!”

“Ah!” Alla fine, Kuroc riuscì a liberarsi dal navigatore, e potè così riprendere a respirare. “Avevi intenzione di uccidermi, per caso?!” gli sbraitò dietro.

“Ahhhhhh!” con uno scatto degno di un centometrista, Milo si nascose dietro a Kita, la quale si ritrovò, suo malgrado, in mezzo ai due che si inseguivano per tutta la stanza.

“Volete smetterla, buffoni?!” sbraitò furibonda. Dopo aver steso entrambi i disturbatori della quiete pubblica, la ragazza si avvicinò a Kinji, ancora impegnato a saltellare per la gioia, fissandolo con sguardo truce.

“Frena i festeggiamenti.” sbottò. “Ti sei dimenticato che siamo senza nave? I pirati che abbiamo consegnato alle autorità hanno distrutto il nostro guscio. Non possiamo riprendere il largo.”

“Questo non è del tutto vero.” osservò Ichibei, tra lo stupore dei pirati. “Siete venuti qui per ottenere una nave, vero? Beh, forse ho quello che fa al caso vostro.”

“Davvero? Sei grande, vecchietto!” esclamò Kinji. “Allora, dov'è questo vascello? Dov'è?!”

“Calma!” esclamò ridendo il medico. “Dobbiamo andare all'approdo orientale. Lì potrete vedere la nave che vi porterà nel vostro viaggio.”

 

 

Kinji e gli altri non riuscivamo a credere ai loro occhi. Di fronte a loro, in tutto il suo splendore, era presente una vera nave. Era un vascello ad un albero, con un ponte corto, ma largo, che poi si restringeva verso la prua, dove era presente una splendida sirena intagliata nel legno come polena, che rivolgeva le proprie nudità versò il mare. L'intera imbarcazione era costruita con un legno di una chiarezza quasi innaturale, dando l'idea che fosse fatta di vetro.

“Vi presento la vostra nuova nave. È una caravella ad un albero, costruita interamente in legno di cedro, un albero piuttosto comune da queste parti.” spiegò loro Ichibei. “Il legno di questo albero è leggero e resistente, oltre che di ottima qualità. Le navi che vengono costruite con questo materiale sono le migliori per affrontare il mare in qualsiasi condizione atmosferica.”

“Il timone è formato da una barra, che consente una buona manovrabilità. Gli interni sono formati da una cucina, munita di fornello, due piccoli bagni, ed una grande cabina che potrete usare come alloggio per dormire. La cambusa è già pronta per un lungo viaggio. Dovete solamente farla salpare insieme a voi.”

“Ichibei...” la sigaretta sfuggì dalle labbra della cecchina, incredula di fronte a quella nave. “D...dove diavolo ti sei procurato un simile vascello?”

Il medico la guardò in faccia.

“Il nome di questa nave...è Kuin, Regina.” disse. “Spero vi possa assistere in tutte le vostre avventure.”

“Davvero è nostra?! Grazie mille vecchietto! Sei il migliore!” urlò Kinji, andando ad osservarla da vicino insieme ad un'eccitatissimo Milo. Kuroc e Kita furono più sobri, ma anche loro erano colpiti dalla bellezza di quella nave.

“Questa nave è l'ultimo regalo di mio fratello per te.” sussurrò all'improvviso Ichibei. “Mi diede i progetti alcuni giorni prima dell'esecuzione, insieme a tutto ciò che era riuscito a recuperare del patrimonio della tua famiglia.”

“Ichibei...” la cecchina non riusciva a trovare le parole. “Perché?”

Il medico scoppiò a ridere, ma la sua era una risata melanconica.

“Perché tu e la tua famiglia avete protetto per generazioni il nostro villaggio. Era giusto, dopo il dolore che ti abbiamo inferto, che ripagassimo il nostro debito.”

“Io...” un tenue sorriso si delineò sulle labbra della bionda. Con uno scatto corse ad abbracciare l'uomo, che rimase stupito di quel gesto.

“Saluta da parte mia il resto del villaggio.” mormorò la ragazza, una volta separatasi da lui. “Mi mancherete tutti.”

“Puoi salutarli tu stessa.”

Solo in quell'istante, Erza si accorse che, in cima alla scarpata, si era radunato tutto il villaggio, che la salutava sorridendo.

“Hanno contribuito tutti alla costruzione di questa nave.” spiegò Ichibei, sorridendo sotto i baffi. “Il nostro desiderio è che possa aiutarti a trovare ciò che cerchi.”

Gli occhi della cecchina si inumidirono, mentre la sua mente veniva travolta da tutti i ricordi delle persone che aveva di fronte. Ricordi belli, brutti, dolci, amari...una vita intera gli scorse davanti, riempiendole gli occhi di lacrime.

E fu in quell'istante che comprese la frase che, anni prima, aveva origliato dall'ambulatorio di suo zio.

 

Lascio a te ogni cosa, anche la mia ultima missione.”

Quale missione.”

Voglio che, quando sarà il momento, lei possa compiere la sua volontà.”

 

Maestro...

Il pensiero di tutto quello che Ichizo aveva fatto per lei la fece crollare. Per la prima volta dopo sei anni, Erza scoppiò a piangere. Un pianto liberatorio, in cui la ragazza mise tutto il dolore, la disperazione e la tristezza che si era portata dietro per tanto tempo, ma anche la gioia di chi, finalmente, comprendeva meglio il disegno del fato che l'aveva portata a quel momento.

Maestro...ora so... le lacrime proseguirono anche mentre sorrideva verso il cielo, convinta nel profondo che anche lui la stesse guardando da lassù. Grazie...per tutto.

“Addio!” urlò con voce tremante, il volto rigato di lacrime, ed un sorriso felice tra le labbra. “Grazie infinite per tutto! Non potrò mai ripagare tutto questo! Forse un giorno ci rivedremo!”

 

“Si salpa!” urlò Kinji, un'ora dopo, quando tutto era stato preparato per la partenza. Ichibei fece fatica a trattenere le lacrime, mentre vedeva Erza sistemare la vela insieme ai suoi nuovi compagni di avventura.

So che ci riuscirai. Abbi fede nel tuo sogno, e troverai sicuramente quello che cerchi...Gan Heiwa, realizzando la tua volontà...e quella di mio fratello.

Chiuse gli occhi, mentre gli sembrava di udire la risata aspra e roca di lui tra il vento.

Ichizo...il tuo sogno si sta realizzando. Ha trovato degli amici, che l'aiuteranno, e finalmente è riuscita a superare quella che credeva fosse una maledizione.

Sorrise, mentre abbassava lentamente il braccio con cui aveva salutato quei giovani pirati, osservando la barca diventare sempre più piccola all'orizzonte.

Grazie...fratello.

La vita avrebbe ben presto ripreso il suo corso, ma Ichibei sapeva, come tutti gli altri abitanti del resto, che non sarebbe stato più la stessa, senza un vigilante che si prendesse cura di loro. Erza aveva compreso che quella missione era quella di suo fratello, non la sua, e che l'unico modo che aveva per onorarne la memoria era ritrovare Gan Heiwa.

 

Ichibei...” da sotto le coperte, una febbricitante Erza fissava il proprio zio adottivo con sguardo pieno di significato. “Mi dispiace...per tutto.”

Il medico sorrise, mentre finiva di pulirle le ferite ottenute durante lo scontro con la ciurma di Richard.

Non importa...” sussurrò.

Ho capito...molte cose...ieri.” proseguì lei, gli occhi chiari rivolti verso il soffitto. “Ho compreso...che non sarà rimanendo qui, che riscatterò il nome di Ichizo.” era la prima volta da oltre sei anni che pronunciava quel nome. “Devo partire.”

Lo so.” disse Ichibei.

Mi fermerai?” sussurrò lei, prendendogli una mano.

Il medico la baciò sulla fronte.

No.” si limitò a dire. “Perchè non sarebbe quello che avrebbe voluto mio fratello.”

 

Addio Erza...

Si girò, prendendo la strada che lo portò al villaggio. Convinto però che, un giorno, avrebbe di nuovo sentito parlare di Erza e della ciurma dei pirati del Drago.

 

 

“Dobbiamo fare un brindisi!” urlò Kinji, sollevando il boccale di birra che teneva in mano. “Ad Erza e a Kuin! Che possano diventare due compagni fantastici!”

“Alla loro!” risposero Milo e Kuroc, sollevando i loro boccali e trincandoli subito dopo. Kita invece, pur unendosi al brindisi, si limitò a sorseggiare il proprio bicchiere, osservando quasi con tristezza quella scena di gioia che pervadeva la ciurma. Erza invece sembrava allegra come nessuno di loro l'aveva mai vista. Scoppiò a ridere quando vide Kinji e Milo dare il vita ad una grottesca gara di imitazioni, che scatenarono l'ira di Kita quando quest'ultima fu imitata come una specie di strega iraconda.

Non sarebbe stata l'ultima volta che la Full Metal Bitch si sarebbe arrabbiata con loro.

Così come non sarebbe stata l'ultima volta che la cecchina avrebbe riso così di cuore.

Ora so che cosa voglio.

 

 

CONTINUA

 

Dunque, con questo capitolo termina il flashback su Erza, e su come lei sia entrata a far parte della ciurma. Spero che vi sia piaciuto così come è piaciuto a me scrivere di lei. Dal prossimo capitolo si riprenderà in mano il filone principale, dove ho alcune chicche in serbo per voi *cerca di farsi pubblicità occulta*

Un saluto! Al prossimo capitolo!

Giambo

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Capitolo 9
*** Le origini svelate ***


Capitolo 9

 

 

“Silenzio! È ancora incosciente!”

“Ancora? Deve esserci andato veramente pesante Furamingo.”

“Parla piano, Jimbei!”

“E chi ha urlato?”

“Attenti! Sta riprendendo conoscienza!”

Quando Kinji aprì gli occhi, la prima cosa che vide fu un soffitto scuro, e l'espressione preoccupata di Nami e di un un uomo-pesce con lunghi capelli grigi ed una cicatrice lungo l'occhio destro.

“Kinji!” sussurrò la donna. “Come stai?”

Sentendosi la testa pesante, e lo stomaco brontolare, il ragazzo si alzò lentamente, portandosi una mano alla fronte.

“Bene...” borbottò. I ricordi del suo scontro con quell'ammiraglio gli tornarono in mente con prepotenza. L'ultima immagine che ricordava erano i suoi nakama che si preparavano a combatterlo. Ebbe un moto di paura. “Dove sono gli altri?”

Le espressioni cupe di Nami e di Jimbei non lo aiutarono. Sentendo la paura diventare un macigno sullo stomaco, il pirata si alzò dal letto dove era sdraiato.

“Dove sono gli altri?” ripetè, con voce più convinta.

“Sono di là...” sussurrò Nami.

Senza perdere tempo, ed ignorando i giramenti di testa che il suo corpo gli inviava, il giovane pirata si alzò, ed uscì immediatamente dalla stanza. Si ritrovò nel retrò del bar Tispenno, dove ad attenderlo c'erano i suoi nakama, Shaky, Sanji e, in un angolo, anche il rivestitore Santoli.

“Kinji!” urlò Milo, non appena lo vide uscire. “Grazie agli dei, stai bene!”

Il resto della ciurma, pur mostrando espressioni più rilassate, non parlò, e la cosa preoccupò ulteriormente il moro, che solo in quell'istante notò che mancava una persona.

“Dov'è Kita?” domandò.

Nessuno rispose, mentre le espressioni dell'equipaggio ritornarono ad essere cupe e rabbuiate. Solamente Kuroc rimase impassibile.

“Dov'è Kita?!” ripetè, a voce più alta Kinji, sentendo la fitta di paura diventare un'onda inarrestabile.

“E' stata catturata.” a parlare fu Shaky. La barista soffiò fumo dalle narici, mentre proseguiva imperturbabile nella propria risposta. “Furamingo vi ha risparmiato tutti, in cambio di lei.”

Niente. Kinji non percepì nulla. La paura che fino a qualche attimo prima lo sconvolgeva ora era sparita, lasciando spazio ad una fredda determinazione.

“Capisco.” rispose, mentre il suo volto si adombrava. “Bene, qualcuno sa dove si sono diretti? Dobbiamo salpare il prima possibile!”

Nessuno all'interno della stanza rispose.

“Cosa vi prende, ragazzi?” li incalzò il capitano. “Coraggio! Non abbiamo tempo da perdere! Ogni secondo che passa potrebbe essere importante.”

“La nostra nave è stata affondata.” sussurrò Kalì. “Non possiamo salpare dall'arcipelago.”

“Ce ne procureremo un'altra.” disse subito Kinji. “Sono sicuro che Santoli potrà prestarcene una. Non è vero, Santoli?” quando anche il rivestitore non disse nulla, l'ira del ragazzo esplose.

“Si può sapere cosa accidente vi è preso?!” urlò furibondo. Andò a scuotere per una spalla Erza, arrabbiandosi ancora di più quando non vide alcuna reazione da parte della cecchina. “Dobbiamo salvare Kita! Non possiamo perdere tempo, lo capite sì o no?!”

“Adesso basta, Kinji!” disse improvvisamente Loock. “Tutti noi siamo addolorati per quello che è successo, ma non possiamo farci nulla.”

Il corpo del giovane capitano pirata prese a tremare dalla rabbia.

“Hanno distrutto la nostra adorata nave, costretto ad elemosinare un'imbarcazione, ci hanno sconfitto ed umiliato ed ora hanno rapito una nostra compagna...e voi mi dite che non possiamo fare nulla?!” la sua voce diventò sempre più forte e potente, mentre lingue di fuoco bianche presero ad uscire dal suo corpo. “Non vi credevo così codardi! Kita è una nostra amica, e noi andremo a salvarla!”

“Furamingo ci ha sconfitti tutti con estrema facilità...” osservò Milo tristemente. “E' un nemico che non possiamo sconfiggere con le nostre forze.”

“Ha avuto solo fortuna! Sono sicuro che la prossima volta...”

“Ti batterà, esattamente come ha fatto stamattina.” disse Jimbei, entrando nella stanza. “Kinji, posso capire che sei arrabbiato, ma non sarà buttandoti a testa bassa contro una flotta capitanata da un ammiraglio che cambierai le cose.”

“Tu non impicciarti!” ringhiò il moro. Non aveva idea di chi fosse, né come facesse a sapere il suo nome, ma in quel momento, l'unica cosa che voleva fare, era di prendere a pugni qualcuno per sfogare la sua frustrazione. “Levati di torno! Questa faccenda non ti riguarda!”

“Smettila Kinji!” a parlare fu Nami stavolta. “Jimbei e Santoli vi hanno trovato e salvato. Dovresti avere per loro un minimo di riconoscenza.”

Il ragazzo fissò furente l'uomo-pesce per qualche attimo. Poi, stizzito, girò lo sguardo, cominciando a dirigersi verso l'uscita.

“Dove stai andando?” gli chiese la rossa.

“A salvare Kita.” rispose.

“E come? Non sai neanche dove la stanno portando!” replicò la donna.

“Non mi interessa!” urlò il moro, su tutte le furie. “Io la salverò anche a nuoto! E lo farò da solo, visto che i miei nakama mi hanno abbandonato!”

Loock si alzò di scatto, fissando in cagnesco il suo capitano.

“Stai attento, Kinji!” ringhiò. “Tu sei il mio capitano, ma questo non ti da il permesso di darmi del codardo!”

“E cosa dovrei dire?” replicò il ragazzo, mettendosi di fronte al cuoco, più alto di lui, e guardandolo con espressione furente. “Avete scelto di abbandonare Kita, e tutto per colpa di una stupida sconfitta! Dov'è il vostro orgoglio?!”

“Non è per questo, idiota!” urlò Loock. “Il fatto è che...”

“Che siete dei luridi traditori! Ecco cosa...” prima che Kinji potesse finire la frase, Kuroc scattò, colpendolo con un pugno, e mandandolo a schiantarsi contro la parete dietro.

Lo spadaccino era furente. Aveva il respiro corto, e tremava tutto dalla rabbia.

“Sei un maledetto imbecille, Kinji!” ringhiò. “Se proverai a dire un'altra volta simili bestialità, giurò che ti ammazzo!”

Il ragazzo, per tutta risposta, emerse dalle macerie, freddo e con il volto in ombra, alzandosi lentamente.

“F-forse hai ragione, Kuroc.” disse. “M-mi sono lasciato trasportare dalla rabbia.”

Loock lo guardò male per alcuni istanti, poi, ritornò a sedersi, con espressione leggermente più rilassata.

“Il punto essenziale della nostra ritrosia...” dichiarò all'improvviso Hysperia, mentre soffiava anelli di fumo dalla propria pipa. “E' che oltre a non sapere dove l'hanno portata, non sappiamo il perché l'hanno fatto. Nessuno di noi conosce il passato di Kita, e forse...riprendercela potrebbe diventare un pericolo per noi tutti.”

“Proprio così.” assentì il cuoco. “Invece di accusarci di cose che non abbiamo mai fatto, dovresti ragionare di più, e mantenere il sangue freddo. Se ti buttì a testa bassa in una missione di salvataggio suicida, l'unica cosa che otterrai sarà quella di farti ammazzare.”

Kinji fece un profondo respiro per calmarsi. Poi, lentamente, andò a sedersi, insieme a Kuroc, vicino alla sua ciurma.

“Avete ragione: ho sbagliato. Non avrei dovuto lasciarmi trasportare dalla mia rabbia.” esordì, la voce bassa. “Vi chiedo scusa per le mie parole di poco fa.”

“Scuse accettate.” borbottò Loock, sancendo così la fine della discussione.

“Ora che ti sei calmato...” dichiarò Nami, prendendo in mano le redini della conversazione. “Possiamo finalmente discutere in modo serio. Kita è stata rapita dalla Marina, il punto fondamentale è: perchè?”

“Non lo sappiamo.” rispose uno scoraggiato Milo. “Purtroppo, il passato di Kita era ignoto a noi tutti.”

“Prima di unirsi alla ciurma, Kita era un soldato speciale della Marina, anche piuttosto famoso.” disse Kuroc. “Forse, essendo una disertrice, hanno voluto giustiziarla.”

“Quindi è molto probabile che la loro destinazione sia Impel Down.” ragionò Jimbei. L'uomo-pesce scosse la testa. “Credo che se arriverà in quel posto, le speranze di salvarla siano minime.”

“Impel Down? Che cos'è?” chiese Erza.

“E' una prigione sottomarina dove vengono rinchiusi i criminali più pericolosi al mondo.” spiegò Milo. “E' impenetrabile, e dicono che le sofferenze patite laggiù siano orribili, e che la maggior parte dei prigionieri alla fine impazzisce. Da quando è stata costruita, solamente due volte dei prigionieri riuscirono ad evadere, e l'ultima risale a quasi trent'anni fa ormai.”

“Allora dobbiamo prendere una nave, e raggiungerli prima che arrivino a destinazione.” disse Kinji. “Così non dovremo penetrare in quella prigione.”

“Hanno parecchio vantaggio.” osservò Milo “E la prigione si trova all'interno della Calm Bet. Non sarà facile raggiungerli, anche con una nave leggera.”

“Beh, cosa aspettiamo? Non sarà rimanendo qui che...”

“Non sono diretti ad Impel Down.” esordì all'improvviso Shaky, zittendo Kinji. “Il luogo dove Furamingo sta portando la vostra compagna è un altro, anche se non è meno difficile da raggiungere.”

“E dove?” chiese Kalì.

Shaky si prese una pausa ad effetto, mentre aspirava l'ultima boccata della sua sigaretta, prima di spegnerla.

“A Marijoa.”

Nella stanza cadde il silenzio.

“Marijoa?” disse Sanji, parlando per la prima volta. “Che senso ha portare una disertrice nella terra dei Draghi Celesti?”

“Perché lei non è una semplice disertrice.” spiegò Shaky. “Così come vi ha mentito per tutto questo tempo, fingendo di essere qualcuno che in realtà non è mai stato.”

“Di cosa stai parlando? Spiegati meglio!” la incalzò Loock.

“Sto dicendo, che quella donna l'ho già vista su questo arcipelago, otto anni fa. Anche se all'epoca aveva un altro aspetto, ed un altro nome.”

“Un altro nome?”

“Esatto. Il vero nome di quella ragazza non è Kita Hirati...ma Donquixote Valencien.”

 

Nell'udire quel nome, Sanji e Jimbei spalancarono gli occhi per la sorpresa, mentre Santoli, nel suo angolo, si adombrò. Nami invece chiuse gli occhi, con espressione triste, quasi quel nome le avesse portato alla mente ricordi dolorosi. La ciurma di Kinji invece, si guardò in faccia, non capendo la sorpresa degli altri.

“Donquixote...Valencien? Che razza di nome sarebbe?” borbottò Kuroc.

“Il nome di una famiglia di Draghi Celesti...la vostra compagna è in realta una di loro. Ecco perché Furamingo sta, con ogni probabilità, andando a Marijoa.” spiegò la barista.

“Quella ragazza...fa parte della famiglia Donquixote?!” balbettò Jimbei. “E' assurdo! Questo significherebbe che è...”

“Imparentata con Doflamingo, esattamente.” concluse Shaky.

“Ma come è possibile? Credevo che la famiglia Donquixote si fosse estinta con Doflamingo...come è possibile che dei suoi parenti siano in vita? E che portino ancora il rango di Draghi Celesti?” domandò Sanji.

“Perché Doflamingo aveva uno zio.” dichiarò Nami. “Il suo nome era Donquixote Cortezon. Fu lui ad impedire a Doflamingo di tornare a Marijoa, per timore di perdere il titolo di capofamiglia dei Donquixote.”

“Scusate, non ci sto capendo più niente: chi diavolo è Doflamingo?” chiese Milo.

“Un vecchio nemico del padre di Kinji.” spiegò Sanji. “Un tempo era un Drago Celeste, ma poi suo padre rinunciò al titolo, e per questo venne bandito da Marijoa insieme alla sua famiglia. Doflamingo divenne in seguito uno spietato pirata, e si scontro con Rufy in un'isola del Nuovo Mondo di nome Dressrosa. Da quel che ne sapevo io, è morto ad Impel Down molti anni fa.”

“Come dice Sanji, il padre di Doflamingo rinunciò al proprio titolo.” continuò Nami. “Ma quell'uomo, Donquixote Homing, aveva un fratello minore, Cortezon, che scelse di rimanere a Marijoa, diventando il capofamiglia della loro stirpe, e rifiutandosi di accogliere i figli del fratello dopo la morte di quest'ultimo.”

“Dopo la morte di Cortezon, circa una ventina di anni fa, il capofamiglia dei Donquixote divenne Donquixote Ruizmon, il padre di Valencien.” A proseguire il racconto fu Shaky questa volta. “Ebbe quest'ultima da un primo matrimonio, ma dopo la morte della moglie, qualche mese dopo la nascita della bambina, si risposò, ed ottenne un erede maschio: Donquixote Terezon.”

“Quindi...in parole povere, Kita sarebbe un Drago Celeste? Un Nobile Mondiale?” la voce di Kalì era piena di stupore.

“Esattamente, lei è l'erede della famiglia Donquixote, ed è per questo che credo che Furamingo la stia portando a Marijoa, anche se dubito che lì sarà al sicuro.” la voce della ex piratessa bruna era grave.

“Come mai? Se ne è la leggittima erede, dubito che verrà uccisa.” osservò Kuroc.

Shaky guardò fuori dalla finestra, in direzione della lontana Marijoa, gli occhi pieni di apprensione.

“Non è così semplice...”

 

 

Il rolliò della nave la fece rinvenire. Kita aprì lentamente gli occhi, ma le tenebre che l'avvolgevano non si dileguarono. Aveva un forte mal di testa, che la rendeva poco lucida ed incapace di ragionare. L'umidità del luogo in cui si trovava le aveva reso le membra tutte intirrizzite. Quando provò a muoversi, scoprì di avere catene legate ai piedi ed alle mani.

Sono prigioniera.

Tentò di scuoterle, in un misero tentativo di libersi. Quando però fece per richiamare l'haki, scoprì, con orrore, di non esserne più capace. Era come se una fitta nebbia regnasse attorno alla sua mente, rendendola incapace di sfruttare appieno il proprio corpo.

Mi hanno drogata...

Capì subito di non avere speranze. Il suo corpo ci avrebbe messo parecchie ore per smaltire la droga che inibiva i suoi poteri, e probabilmente, prima di quel momento sarebbe già morta, o resa innocua in modi più definitivi. Sapeva chi l'aveva catturata, così come sapeva dove la stavano portando.

Dunque...è così che finisce. Pensò tristemente. Mi auguro solamente che gli altri stiano bene.

Si diede subito della stupida. Era ovvio che, se lei era stata catturata, lo stesso era accaduto anche ai suoi nakama. Probabilmente non erano neanche sulla stessa nave, diretti ad Impel Down verso una prigionia lunga e dolorosa, mentre lei era diretta verso una morte lenta o, peggio, condannata ad una schiavitù a vita.

Ronac...perdonami. Ho sbagliato tutto. La disperazione prese possesso del suo cuore, mentre ripercorreva tutti gli errori commessi in quegli ultimi otto anni. Ho ceduto al mio disperato bisogno di aiuto, e ho finito solamente con il condannare a morte tutte le persone a me più care.

Portò la fronte a terra, cominciando a piangere sommessamente. Erano anni che non piangeva, ma in quella fredda, oscura e fetida cella, il suo animo si abbandonò alla disperazione ed al dolore, sapendo che, con molta probabilità, il futuro che aveva davanti era molto peggio.

Kinji...dove sei?

 

Una luce rossa di una lanterna, le colpì il volto, costringendola a chiudere gli occhi irritati. Sentì i passi di un uomo avvicinarsi alla sua cella, per poi fermarsi davanti ad essa.

“Hai ripreso conoscienza, infine.” la voce era quella di Furamingo.

Kita non rispose, preferendo chiudersi in se stessa, piuttosto che rivolgere la parola a colui che aveva distrutto il suo mondo.

“Sai dove stiamo andando, vero?”

Ancora nessuna risposta.

“Immagino che tu sappia anche cosa ti attende laggiù, una volta arrivati.”

Morte...o schiavitù. Pensò, ma preferì non aprire bocca.

“So che mi odi, così come so che ti stai chiedendo che fine hanno fatto i tuoi compagni.” la voce di Furamingo era inespressiva, come se per lui vedere quella ragazza in catene non significasse nulla.

“Ad Impel Down.” rispose la Full Metal Bitch, aprendo bocca per la prima volta. “Immagino che saranno già arrivati.”

“No.” il volto di lei si sollevò di scatto. Facendo uno sforzo, aprì gli occhi,osservando la figura di Koby diventare sempre più nitida di fronte a lei.

“Loro avranno una seconda possibilità.”

Allora stanno bene! Sono ancora liberi! Il suo cuore esultò, ma la sua espressione insanguinata non mutò.

“Perché lo stai facendo? Sono dei pirati, esattamente come me.”

Un flebile sorriso illuminò il volto di Furamingo, ma era un sorriso nostalgico, che di gioioso aveva veramente poco.

“Perché avevo un debito.” rispose. “E mi hanno insegnato che un vero uomo, i propri debiti, deve sempre pagarli.”

“A me l'unica cosa che hanno insegnato è che un uomo crepa, con una spada infilata nel petto.” replicò la bionda.

“Il tuo spirito è forte, Kita Hirati.” osservò l'ammiraglio. “O forse dovrei chiamarti, Valenc...”

“Ho smesso di essere quella persona molto tempo fa!” ringhiò lei, interrompendolo.

“Eppure eccoti qui, a dover affrontare il tuo passato.”

“Solo per colpa tua. Come ti senti ad avermi rovinato la vita?”

“Io faccio solo il mio dovere.”

“Il tuo dovere? Strano, credevo che un 'uomo d'onore' come te si domandasse se servire simili bestie fosse giusto o meno. In quel caso il tuo onore tace, vero?”

“Non hai nessun diritto di giudicarmi!” per la prima volta, la voce di Koby si innervosì. “Anche tu hai combattuto sotto le insegne della Marina, e non mi pare che ti facessi troppi scrupoli, quando trucidavi centinaia di persone per il puro e semplice gusto di farlo.”

“Sono solo diventata ciò che voi volevate che fossi!” la voce di lei divenne bassa e piena di rabbia. “Mi avevate strappato tutto, ed ora, non contenti, tornate a tormentarmi. Sei felice di ciò, ammiraglio? È soddisfatto del tuo operato, il tuo onore?”

Furamingo non rispose, ma la mano che reggeva la lanterna tremò impercettibilmente.

“Già...proprio come immaginavo.” proseguì Kita, sorridendo con fare cattivo. “Sei un codardo, che preferisce cullarsi nelle bugie che ti hanno sussurrato alle orecchie per anni, piuttosto che affrontare la dura realtà. Io l'ho fatto, ed ho scoperto che l'uomo è una bestia, e che come tale deve essere trattato.”

“Non mi sembra che la tua verità ti abbia portato molto lontano.” replicò il marine. “E mi domando come poteva Kinji tenere al suo fianco una persona come te. La tua anima è più fredda del vento del nord.”

“Sono i tuoi padroni ad avermi reso quello che sono.” la Full Metal Bitch lo guardò dritto negli occhi, mettendolo a disagio. “Hanno distrutto la mia vita, la mia intera esistenza, solo perché non ero disposta ad accettare le continue ingiustizie che essi commettono continuamente.”

“Ci sono delle leggi a questo mondo. Senza di esse, saremmo perduti.”

“Ed una legge, solo in quanto tale, è giusto che consenta atrocità simili?” l'espressione della piratessa divenne beffarda. “Schiavitù e morte: ecco cosa portate voi! Ho visto fin dove la crudeltà dell'uomo può arrivare, ed è per questo che diventai una belva, perché non avevo altro che odio e rabbia dentro di me. La Full Metal Bitch è nata perché uomini come te erano convinti di fare del bene, seguendo regole sbagliate.”

“Non ti credevo così filosofica. Pensavo fossi solo una criminale con manie omicide.”

“Io non sono nulla di tutto ciò.” rispose la bionda, appoggiando la schiena contro la parete. “Sono solo una ragazza che ha aperto gli occhi sulla vera natura del Governo Mondiale. Una cosa che, a quanto pare, tu non hai ancora fatto.”

Furamingo la fissò per alcuni istanti. Poi, appoggiò la lanterna a terra, e si girò, andandosene senza proferire parola.

Non credere che io sia cieco...anche i miei occhi vedono più di quanto vorrei.

Kita non lo richiamò, né desiderava che lui restasse, anche se era contenta che non l'avesse lasciata nelle tenebre di prima. Osservò lo stoppino lucente davanti a sé con sguardo spento, mentre il suo spirito vagava lontano, a quando lei non era ancora la Full Metal Bitch, quando dolore, sofferenza e disperazione erano vocaboli a lei sconosciuti, quando Ronac e Kinji non le avevano ancora sconvolto l'esistenza. Vago lontano, sempre più in alto, verso un cielo di un azzurro cupo e freddo, verso Marijoa.

Ronac...

 

 

Terra sacra di Marijoa, otto anni prima.

 

 

Valencien osservò con sguardo critico il proprio riflesso nello specchio davanti a lei, cercando una qualsiasi imperfezione nel suo ovale. Fu con soddisfazione che non ne vide alcuno. Si sedette meglio sulla sedia imbottita dove si trovava, permettendo ad una giovane donna dalla pelle scura di sistemarle i biondi e fluenti capelli nell'acconciatura tipica dei nobili mondiali.

Si trovavano in un'immensa sala di pietra, decorata con affreschi mitologici, e con colori sfumati sul viola a decorare il tutto. Un immenso armadio di quercia ricoperto di polvere d'oro, ricolmo di vestiti, era appoggiato alla parete, mentre poco distante era presente un elegante letto a baldacchino, con le colonne in oro puro. Una piccola porticina portava ad un bagno interamente fatto di oro e pietre preziose. Poco distante, un gigantesco camino, alto più del doppio dell'altezza delle due ragazze presenti nella stanza, riscaldava l'ambiente con un fuoco caldo e profumato.

“Mi raccomando, schiava.” le ordinò ad un tratto la ragazza, puntandole contro i suoi freddi occhi chiari. “Se sento un solo capello tirare come l'altra volta, ti punirò in maniera molto peggiore rispetto alle trecento nerbate che ti sei presa.”

La ragazza tremo sotto quello sguardo cattivo. Abbassò immediatamente gli occhi, mentre le sue labbra tremavano per la paura. Era una giovane donna molto bella e curata. Il padre di Valencien l'aveva criticata aspramente per aver maltrattato quella giovane schiava, dicendo che la servitù della casa non doveva mostrate imperfezioni estetiche, pena disonore sulla loro famiglia, ma la giovane nobile credeva che averla frustata per oltre due ore fosse servito: quel giorno, le mani di quella serva erano delicate come non mai.

“Dimmi schiava...” dichiarò ad un tratto, annoiata a morte. “Qual è il tuo nome?”

“Ragazza di Casa numero 105.” sussurrò la giovane, senza smettere di sistemare i capelli della sua padrona.

“Già, è vero. Voi schiavi non avete un nome.” ridacchiò la ragazza. “Ma prima di diventarlo, quale era?”

La schiava ebbe un attimo di esitazione, che Valencien non le perdonò.

“Schiava!” dichiarò con voce cattiva. “Verrai punita per questa mancanza! Ora dimmi subito quale era il tuo nome!”

“Mehrasa...” sussurrò lei, tremando tutta. “Mi chiamavo Mehrasa, vostra Santità.”

“Mehrasa? Puah! Che nome da bifolca!” commentò sprezzante la ragazza. “Ora smettila di sistemarmi i capelli, e vieni davanti a me, che devo punirti!”

Senza emettere un suono, Mehrasa si posizionò davanti alla sua padrona, in ginocchio. Valencien potè osservare, con gioia animalesca, che gli occhi scuri della serva erano pieni di paura.

“Bene bene, Mehrasa. Questa è la seconda volta che ti devo punire nel giro di pochi giorni.” cominciò a dire la nobile, godendo del potere che possedeva. Le piaceva decidere del destino degli esseri inferiori, era divertente. “Ed è stancante punire voi creature inferiori. Lo sai cosa succede, alle ragazze giovani e disobbedienti come te?”

“Sì, mia signora.” disse con voce tremante la ragazza.

“Allora dimmelo! Su, non farmi perdere tempo, Mehrasa!” Valencien sputò il nome della giovane con tale disprezzo che fu come una nerbata per quest'ultima.

“Vanno...nelle caserme.” rispose Mehrasa.

“Vanno nelle caserme...a fare cosa?”

“Le donne...di piacere.” sussurrò la schiava.

“Devi dire le cose con il loro nome! Su, avanti! Dillo!”

“Vanno a fare, le puttane, vostra Santità.” pigolò infine la mora.

“E tu sei come loro, Mehrasa, lo sai, non è vero? Sei solo una schifosa, inutile, puttana, inetta ed incapace. Ma per ora sarò buona, e ti darò un'ultima possibilità.”

“Grazie infinite, mia Signora.” dichiarò la schiava, la voce sollevata.

“Ora baciami i piedi.” le ordinò l'altra. “E poi termina di prepararmi. Oggi mio padre ha dato una grande festa per il mio sedicesimo compleanno, e voglio fare crepare di invidia tutti gli invitati, oltre che quell'imbecille del mio fratellastro, e la sua stupida matrigna.”

Visibilmente sollevata per essersela cavata con così poco, Mehrasa corse a baciare i piedi della sua padrona con ardore. Quando Valencien le tirò un calcio, con il chiaro intento di farle male, non disse nulla. Incassò in silenzio, capendo che ora doveva riprendere ad occuparsi dei capelli della giovane nobildonna. Mezz'ora dopo, quando la bionda fu soddisfatta del suo aspetto, mise mano ad una campanella, scuotendola leggermente.

Immediatamente, nella stanza entrarono tre guardie, che si inginocchiarono una volta arrivate di fronte alla ragazza.

“Ci avete chiamato, vostra Santità?”

“Sì, miei soldati. Alzatevi pure.” esordì Valencien, sorridendo con fare maligno. “Vedete questa inutile schiava al mio fianco?”

“Certamente.” borbottò uno di loro, mangiandosela con gli occhi. Mehrasa, cominciando a sospettare qualcosa, prese a tremare.

“Oggi mi ha deluso, e sono costretta a punirla di nuovo. Tuttavia, essendo il mio compleanno, non voglio perdere il mio prezioso tempo con questa schifezza. La lascio a voi, fatele tutto quello che volete.” il tono della nobildonna non lasciava spazio ad interpretazioni diverse, ed i tre uomini si guardarono in faccia, increduli di tanta fortuna.

“Ai vostri ordini, mia Signora.” dichiarò uno dei tre soldati, con un sorriso da lupo stampato in volto.

“Ma...mia Signora!” pigolò Mehrasa, guardandolo disperata.

Valencien la guardò con fare trionfante.

“Questo ti darà un assaggio di cosa ti aspetta per il resto della tua inutile, schifosa esistenza, nel caso mi deluderai ancora.” le spiegò. Poi, con fare maligno, le strappò di dosso la sua tunica da schiava, esponendo il suo corpo morbido e giovane agli occhi vogliosi dei tre uomini.

“Mia Signora...la prego.” bisbigliò con le lacrime agli occhi la mora.

“Devi imparare la disciplina, schiava. Impegnati nella tua punizione, e vedrai che comprenderai che non ti conviene più disobbedirmi.”

“E' vostra fino a quando non torno. Potete usare il letto di questa stanza, a patto che poi mandiate degli schiavi a pulire il tutto.” dichiarò ai tre. Poi uscì dall'enorme stanza dove era solita prepararsi per i ricevimenti e le occasioni mondane, scoppiando a ridere nell'udire, mentre si allontanava, le urla disperate della sua schiava di compagnia.

Piccola inutilità, imparerai presto che non hai margini di errore con me.

 

Quando arrivò nel salone dove si sarebbe festeggiato il suo sedicesimo compleanno, Valencien inarcò la schiena, e si stampò in fronte l'espressione più fredda ed elegante che riusciva a fare. Nonostante non volesse ammetterlo, aveva paura di fare brutta impressione. Da tempo aveva capito che quei ricevimenti erano troppo importanti per lei per essere ignorati o trascurati. La sua matrigna tramava da anni per scalzarle l'eredita del titolo di capofamiglia dei Donquixote, facendo in modo che spettasse a suo figlio, un tredicenne imbecille, ma già perennemente in calore, di nome Terezon. Valencien odiava la sua matrigna, ed detestava anche il suo fratellastro, vedendoli come un ostacolo al raggiungimento del suo obiettivo: diventare capofamiglia della sua famiglia.

Se fossi un uomo non avrebbero speranze quei due! Pensò con rabbia. I pretesti con la quale la sua matrigna, Isabel, adduceva per candidare suo figlio Terezon era proprio il fatto che lei era una donna, e che quel titolo spettava solamente al primogenito maschio. Fino a quel momento, il padre di lei, Ruizmon, non si era ancora espresso in merito. Ma ora che Valencien aveva raggiunto la maggiore età, era indispensabile che apparisse autorevole e sufficientemente capace di potere ambire al titolo di capofamiglia davanti a tutti.

Il salone, illuminato da decine di calendabri in argento puro, era ricolmo di nobili mondiali, che assaggiavano il vino e il cibo che alcuni schiavi, vestiti in maniera elegante, offrivano loro periodicamente. La maggior parte di loro indossava la tipica uniforme dei Draghi Celesti, ma alcuni avevano deciso di accantonare quella fredda ed incolore divisa con qualcosa di più colorato, esattamente come aveva fatto Valencien, che sfoggiava un abito di seta nero, impreziosito da diamanti lucenti, che esaltavano i suoi occhi chiari ed i suoi capelli biondi, oltre che il suo corpo avvenente e magro.

Consapevole di avere tutti gli occhi addosso, la ragazza per prima cosa si diresse verso suo padre, il padrone di casa, che era impegnato in una discussione con un uomo basso, grasso, stempiato e con una faccia simile a quella di un topo. La bionda sapeva di chi si trattava: Lord Bennit, il capofamiglia della famiglia Bennit, intimo amico della sua matrigna, e uno dei principali avversari che l'avrebbero quasi certamente ostacolata.

“Ah, ecco mia figlia.” dichiarò Ruizmon. Il capofamiglia dei Donquixote era alto, in carne, e con lunghi capelli biondi, esattamente come la figlia. Aveva un volto lungo e spigoloso, labbra sottili ed occhi verdi impenetrabili. Era un uomo dedito ai piaceri del cibo e del vino, ma quando era sobrio sapeva mostrare abili arti oratorie e politiche.

“Padre, Lord Bennit.” dichiarò la nobildonna, facendo il saluto rituale. “Sono felice di vedere che ha accettato il nostro invito.” proseguì, rivolgendosi al loro ospite con tono gentile.

“E' stato un onore, mia cara!” rispose Lord Bennit. Aveva una voce leggermente nasale, che unita alla faccia da topo, gli conferiva un aspetto sgradevole. “Spero che sappiate che entrare nell'età adulta porta in dote molti doveri ed oneri, specie ad una donna.”

“La ringrazio per il suo consiglio.” rispose, impassibile, Valencien. “Le dispiace se le rubo mio padre per un istante? Avrei da conferire con lui in privato.” Bennit liquidò la richiesta con un cenno della mano, mentre si dirigeva al più vicino schiavo che distribuiva vino.

“Dove hai lasciato la tua schiava di compagnia? Credevo che venisse con te.” osservò Ruizmon.

“L'ho punita per avermi disubbidito.” dichiarò seccamente la ragazza.

“Figlia mia, dovresti essere più comprensiva. È nuova del mestiere, e ci vuole tempo ad un essere inferiore per diventare abile in qualcosa.” la rimproverò suo padre.

“So come prendermi cura di lei.” replicò Valencien. “Ora padre, invece di ammorbarmi con i tuoi inutili rimproveri, vorresti spiegarmi come mai quello sgradevole elemento di Bennet è alla mia festa?”

“L'ha invitato tua madre. Lord Bennet è un importante membro dei Draghi Celesti, e credeva di renderti felice invitandolo.”

“Isabel non è mia madre.” sibilò la ragazza. “E in quanto a Bennet, è un maschilista convinto. Farà di tutto per ostacolarmi, e tu vuoi che lo accetti come se niente fosse alla mia festa?!”

Le rughe sul volto di Ruizmon divennero più marcate.

“Valencien, tu ragioni troppo da politico, e questo ti impedisce di vedere le reali intenzioni della tua famiglia. Tua madre non è un nemico, e neanche Lord Bennet.”

“Se tu fossi un minimo più sobrio durante le giornate, capiresti che invece il loro obbiettivo è proprio quello: strapparmi la mia eredità e consegnarla a quell'inetto di Terezon.”

“Ora basta! Non ti permetto di offendermi!” la voce di suo padre non si alzò, ma divenne carica di minaccia. “Sono ancora io il capo di questa famiglia, e non ho ancora deciso che mi succederà.”

“Come deciso? Io sono la primogenita, il tuo titolo spetta a me!” replicò furente Valencien.

“Sei una donna.” replicò Ruizmon, sorseggiando del vino. “E per quanto tu possa essere abile e veloce di mente, una donna a capo della nostra famiglia sarebbe un segnale di debolezza terribile. Gli altri tenterebbero di fagocitare il nostro nome, e le nostre ricchezze, e questo non lo posso permettere.”

Alla ragazza sembrò che le crollasse il mondo addosso. Le parole di suo padre la colpirono con crudeltà al cuore, facendola ribollere di rabbia.

“Allora fai sul serio? Vuoi veramente espropiarmi di ciò che mi spetta di diritto?” sussurrò.

“Il mio titolo non ti è mai spettato, Valencien.” replicò secco il nobile mondiale. “Non ho voluto dirtelo prima perché non eri una donna adulta, ma ora è tempo che tu sappia le cose. Non posso mettere una donna, per quanto abile, a capo della nostra famiglia.”

La bionda fece uno sforzo immane per non esplodere lì, davanti a tutti. Ricacciò indietro lacrime di rabbia, mentre strinse con forza il proprio abito, alla ricerca di quell'autocontrollo indispensabile in quel momento.

“Dunque è questa la tua volonta, padre?” chiese con voce fredda.

“Sì.”fu la secca risposta di Ruizmon.

“Bene. Ti auguro una buona giornata, padre mio.” e dopo aver sibilato velenosa quelle parole, Valencien prese ed uscì dal salone, la mente ottenebrata dalla rabbia e dal senso di ingiustizia.

Non finisce qui. Non puoi togliermi ciò che mi spetta di diritto come se niente fosse.

Non si sarebbe arresa. Esistevano un milione di modi per forzare la mano a suo padre, in un senso o nell'altro. Terezon era ancora minorenne, e quindi aveva anche un margine di tempo considerevole per liberarsi di lui, e in quanto a sua madre, la ragazza era sicura che, molto presto, si sarebbe pentita di quello che le aveva fatto.

Ti distruggerò, vecchia puttana. E quando avrò vinto, manderò te e quella cacchetta di tuo figlio a fare le troie per il resto della vostra misera vita.

Immersa in violenti pensieri di vendetta, si accorse con un attimo di ritardo di avere davanti a sé, appena fuori dal salone della festa, suo fratello.

“Auguri sorellina!” esclamò lui, con un sorriso languido in volto. Terezon era poco più alto di lei, ed aveva ereditato i capelli scuri e gli occhi castani di sua madre. I lineamenti del volto erano aggraziati, ma per la sua giovane età era già in sovrappeso, al contrario di lei, sempre attenta al proprio aspetto esteriore.

“Grazie, fratello.” rispose sibillina lei, guardandolo con freddezza. “Come mai quel sorriso stupido in faccia? Quante schiave ti sei montato stamani?”

“Un paio, prima di venire qui.” rispose con noncuranza. Da quando aveva raggiunto la pubertà, Terezon si era trasformato in un toro da monta insaziabile, ed ormai erano poche le schiave giovani e belle di casa Donquixote che non erano passate per il suo letto. “Avevo bisogno di rilassarmi.”

“E lo fai interagendo con gli esseri inferiori? Che comportamento singolare” osservò la sorellastra. Aveva sempre odiato Terezon, percependolo come una minaccia, ma negli ultimi tempi aveva capito che il pericolo maggiore non era lui, ma sua madre. Terezon voleva il titolo di capofamiglia, ma se non gli fosse arrivato così, per caso, si sarebbe accontentato senza problemi di una scorta di giovani e piacenti schiave da montare per il resto della sua vita. Chi invece stava tramando in maniera incessabile per fare in modo che lui diventasse capo dei Donquixote era sua madre Isabel, una donna pericolosa, infida e subdola, disposta a tutto pur di vedere suo figlio innalzarsi sopra tutti.

“Non dovresti parlarmi così.” replicò Terezon, guardandola con fare imbronciato. “Sono il tuo futuro capofamiglia, non dimenticarlo.”

“Sempre così sicuro di riuscire a diventarlo, secondogenito?” gli chiese sprezzante lei.

“Certamente. Tu sei una femmina, ed una donna non può comandare. Anche nel sesso state sotto, è la natura ad aver decretato tutto questo.” spiegò lui, orgoglioso della sua nuova virilità.

Ribollendo di rabbia, Valencien si avvicinò al fratello.

“Spero per te che tu abbia ragione.” gli sussurrò velenosa all'orecchio. “Perché, se non dovesse andare così, ti farò provare un'umiliazione senza fine.”

E senza dire altro, si diresse verso la sua stanza, per cambiarsi. Quando entrò, vide due dei tre soldati che aveva lasciato riposarsi, mentre un terzo montava con furia selvaggia Mehrasa, che ormai subiva senza più emettere alcun suono. Non appena la videro, tutti e tre si inginocchiarono, mentre la ragazza sembrò sollevata nel vedere che la sua punizione era durata meno del previsto.

“Quando avete finito, chiamatene altri tre.” ordinò con fare cattivo Valencien. “E toglietele anche la verginità di dietro, voglio le lenzuola macchiate di sangue. Io resterò ad osservare, non voglio pause fino a quando non lo dirò io.”

I tre uomini sorrisero, mentre ringraziavano la loro padrona, mentre la schiava sul letto cominciò a piangere, consapevole che la sua agonia era appena all'inizio.

Il giorno del suo sedicesimo compleanno, Valencien sfogò la propria rabbia sulla povera Mehrasa, osservando con fare impassibile lo stupro continuato della giovane, mentre la sua mente si immaginava il suo fratellastro al posto della schiava.

Un giorno te la farò pagare...a te ed a quella maledetta baldracca di tua madre.

E' una promessa.

 

“Basta così.” dichiarò all'improvviso, quando fu il tramonto. Immediatamente, gli uomini si alzarono e si rivestirono, mentre Mehrasa, ormai svenuta, ricoperta di liquido seminale e sangue, veniva dimenticata sul letto. “Io mi ritiro nelle mie stanze. Chiamate qualcuno a ripulire tutto, mentre lei portatela nelle cucine. La voglio domani mattina di fronte alla mia porta, pronta a servirmi.”

“Sì, mia Signora.” borbottò uno dei soldati, mentre sollevava il corpo sfigurato della giovane, e lo portava via con sé.

“Mia Signora?” prima che Valencien potesse uscire dalla stanza, uno schiavo si fece avanti, inginocchiandosi subito dopo.

“Cosa vuoi, schiavo?” sibilò velenosa la ragazza. Vedere Mehrasa violentata per ore non era bastato a placare la sua ira.

“Porto un regalo per lei, da parte di suo padre.” pigolò il servo.

“Voglio una sola cosa da mio padre, e di sicuro non sarai tu a darmela. Vattene, insieme al tuo stupido dono.” ordinò la bionda.

“Mia Signora...non posso portarlo indietro. Quello di vostro padre è un ordine.” sussurrò, terrorizzato, lo schiavo.

Trattenendosi a stento dal picchiare quell'uomo, Valencien uscì dalla stanza, trovandosi nel corridoio, inginocchiato, un giovane uomo, sulla ventina. Indossava una tunica da schiavo, era alto, magro ed incredibilmente bello e raffinato. La nobildonna lo fissò perplessa.

“Chi diavolo sei, tu?” domandò

Il ragazzo alzò lo sguardo, mostrando un paio di occhi incredibilmente chiari ed espressivi.

“Io sono Ronac, mia Signora.” esordì con voce morbida. “Sono il regalo di vostro padre per il vostro compleanno.”

 

 

CONTINUA

 

Ok ,ok, avete ragione. BASTA FLASHBACK! Questa storia non sta andando più avanti ahhhhhhhhhh!

Bene, sfogo a parte, buonsalve a tutti! Sì, lo so che inziare un nuovo flashback potrebbe non essere il massimo ma...boh, è andata così. Spero che, alla fine, le origini di Kita vi abbiano colto di sorpresa, e che, per ora, il suo passato vi stia interessando.

Bene, chiudo dicendo che, come sempre, le recensioni sono ben accette.

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 10
*** Ronac ***


Capitolo 10

 

 

Valencien osservava, di malumore, la pioggia battere contro le arcate delle sue finestre, rimuginando su come vendicarsi.

I giorni successivi al suo compleanno li passò in camera sua, a smaltire la rabbia che la decisione di suo padre le aveva causato. Odiava la pioggia, ed il maltempo di quei giorni l'aveva costretta a rimanere chiusa nelle sue stanze, aumentando la sua frustrazione. A complicare tutto, Mehrasa non si era ancora ripresa dalla sua punizione. Il giorno dopo, la bionda aveva preteso che la ragazza tornasse nei suoi alloggi, per servirla, ma l'avevano informata che ciò non era possibile. La schiava era in preda a febbri altissime, e difficilmente sarebbe riuscita a sopravvivere. Priva di una schiava di compagnia, e impossibilitata a comprarne un'altra a Sabaody a causa del maltempo, Valencien aveva deciso di dare una possibilità a quello strano schiavo di nome Ronac, che suo padre le aveva comprato per il suo compleanno, nel futile tentativo di ammorbidire il suo odio e la sua collera.

“Pioggia...sempre questa dannata pioggia.” borbottò, mentre girovagava, annoiata, per la sua stanza. Era un'ambiente molto elegante, in pietra, con il soffitto ricoperto da un affresco, raffigurante una volta stellata, e le pareti ricoperte da colori scuri e caldi. Il letto di lei era composto da un enorme ed elegante baldacchino, mentre il mobilio consisteva in un tavolo per il trucco, tre armadi pieni zeppi di vestiti, un angolo, coperto da occhi indiscreti, dove cambiarsi, una piccola libreria, un comodino di legno, ed un bagno di oro zecchino e pietre preziose.

“Beh, cosa fai lì? Allietami, schiavo!” sbottò verso Ronac, che attendeva diligentemente in un angolo della stanza.

“In che modo potrei allietarvi, mia Signora?” chiese diligentemente lui, il tono di voce dolce.

Lei lo squadrò per un attimo. Era bello, ed i tratti del suo volto erano eleganti, ma non aveva nessuna intenzione di abbassarsi come Terezon ad andare a letto con un essere inferiore. Pertanto, avrebbe sfruttato quello schiavo in altri modi.

“Dimmi schiavo, cosa eri prima di diventare una mia proprietà?” gli domandò, mentre si sedeva, annoiata, su una soffice poltrona.

“Ero un criminale, mia Signora. Un pirata.” rispose subito il moro.

“Un pirata? Beh, di sicuro non eri famoso, altrimenti avrei udito parlare di te.” osservò con tono maligno lei.

“Effettivamente, la mia taglia non era così alta da incutere timore. Tuttavia, ho viaggiato molto, e potrei narrarle di luoghi lontani e magici, se lo desidera.” replicò lui.

La ragazza si alzò, avvicinandosi lentamente al lui. Una volta vicini, lo osservò a lungo, per poi colpirlo con un violento schiaffo in faccia.

“Nessuno ti aveva chiesto dei tuoi viaggi.” dichiarò con tono monocorde. “Sei proprio indisciplinato schiavo. Hai visto cosa è capitato a quella sgualdrina della mia schiava di compagnia? Desideri forse fare la stessa fine?”

“No, mia Signora.” rispose lui. Tuttavia, nonostante il tono gentile, i suoi occhi non si abbassarono, fissandola con intensità tale da metterla a disagio.

“Smettila di fissarmi e vattene!” sbraitò lei, arrosendo leggermente. “Mi stai annoiando ancora di più!”

Senza proferire parola, Ronac indietreggiò, uscendo dalla stanza di lei. Una volta che fu fuori, la bionda si buttò sbuffando sul grosso letto, mentre la sua mente cominciò a lavorare su come fargliela pagare ai suoi famigliari.

Troverò un modo...

 

 

Isabel sorseggiava il proprio calice di vino, mentre osservava il proprio marito leggere, corrugato, una lettera del Governo Mondiale.

“Novità?” chiese. Era una donna alta e magra che, seppure avesse passato i quaranta da parecchio, era ancora avvenente. I suoi capelli, tirari su alla maniera del Draghi Celesti, erano neri, così come i suoi occhi, attenti e calcolatori. Indossava un lungo vestito viola, che valorizzava la sua carnagione scura, mentre le sue mani curate terminavano con uno smalto rosso fuoco.

“Sì, e non sono buone.” rispose Ruizmon. “Il nuovo regno degli uomini-pesce ha intenzione di presentare al Reverié di quest'anno un progetto di legge per vietare ed abolire la schiavitù.”

La donna inarcò un sopracciglio.

“Spero sia uno scherzo.” osservò. “Senza schiavi, i nobili di tutto il mondo dovrebbero spendere un patrimonio per mantere il proprio personale. Finiremmo dissanguati in pochi anni.”

“Sono d'accordo. Ma Re Fukaboshi ha scritto che, fino a quando esisterà la schiavitù, sarà per lui impossibile convincere il suo popolo a stabilirsi stabilmente in superficie. Dichiara che sarebbe un passo in avanti fondamentale nell'integrazione tra umani e uomini-pesce.”

“Puah! Quelle bestie sono sempre state inferiori. È già tanto se permettiamo loro di partecipare alle riunioni del Governo. Dovrebbero ringraziarci, invece si permettono addirittura di criticare il nostro stile di vita!”

“Le tue sono parole d'impulso.” replicò Ruizmon, mentre riponeva la lettera, e si versava un bicchiere di vino. “Ma, sostanzialmente, sarà il succo del mio intervento al Reveriè in merito a questa proposta. L'unico problema saranno i regnanti degli altri paesi: molti sono così ottusi che una simile proposta potrebbe incontrare il loro assenso.”

“E tu impedisciglielo.” Isabel sorrise. “Il tuo potere di Drago Celeste è di gran lunga superiore a quello di quegli omuncoli incoronati dalla plebe. Non dovrebbe essere troppo difficile per te bloccare sul nascere quest'idea bislacca.”

“Dimentichi che il mio potere, per quanto elevato, non è sufficiente per bloccare la volontà del Reveriè.” osservò il marito, la fronte corrugata. “Se una simile proposta passasse, per noi sarebbe la fine. Dovremmo investire un notevole patrimonio per mantenere coloro che ora sono nostri schiavi, e la ricchezza dei Nobili Mondiali sparirebbe in pochi decenni. Dobbiamo impedire tutto questo!”

“Manda la Chiper Pool ad occuparsi di quella bestia.” propose la mora. “Se uccidiamo il loro insulso re, forse quelle creature inferiori capiranno con chi hanno a che fare, e la smetteranno di infastidirci con simili assurdità.”

“No, sarebbe una mossa affrettata.” replicò il nobile. “Uccidere Fukaboshi sarebbe eccessivo. Solo se la sua proposta venisse approvata ci penserei. Ma la cosa migliore da fare è quella di isolarlo politicamente.”

“E come?”

“Strappandogli alleati. Dobbiamo fare in modo che il re del Regno Emerso arrivi senza appoggio al Reverié. In questo modo, la sua proposta cadrà velocemente nel dimenticatoio, e lui capirà che è meglio rinunciare ad una simile follia, piuttosto che inimicarsi l'intero Governo Mondiale.”

“Sei sempre stato un politico, Ruizmon.” dichiarò con freddezza Isabel. “Pensi sempre che le parole possano risolvere tutto. Credi veramente che Fukaboshi lascerà perdere? No, farà in modo di presentare le sue folli idee al prossimo Reverié, e se non avrà ancora successo a quello dopo ancora. Uccidere quella bestia è l'unico modo per far capire a quegli animali qual è il loro posto.”

“Non intento far scatenare una guerra tra umani e uomini-pesce, se posso.” Ruizmon, pur non alzando la voce, era irritato per le parole della moglie, e lo stava dando a vedere. “Un simile conflitto servirebbe soltanto a dissanguarci, e non porterebbe a niente. La nostra alleanza con il popolo di Fukaboshi ci consente di impedire il passaggio dei pirati al Nuovo Mondo. Immagina cosa accadrebbe se quella marmaglia avesse di nuovo libero accesso in quelle acque: l'Era della Pirateria risorgerebbe, ed il nostro potere in quel mare si infrangerebbe seduta stante. Non rischierò tutto questo solo perché tu trovi inutile il mio lavoro.”

Isabel non replicò subito. Finì il proprio vino, versandosene un nuovo bicchiere, mentre ragionava su cosa rispondere al marito.

“Sei diventato fiacco.” disse infine. “Tu e quelli della tua generazione siete deboli, vecchi e grassi. Avete una fottuta paura che i pirati possano tornare ad essere i signori dei mari, e per questo non fate nulla, accettando addirittura di perdere il vostro orgoglio di Draghi Celesti. Tuo padre non ci avrebbe pensato due volte ad uccidere questo Fukaboshi e con lui le sue stupide idee. Mentre tu...”

“Mio padre,” la interuppe lui. “Era uno sciocco. Per preservare il potere ha rinnegato i propri nipoti, rischiando così che uno di loro ci distruggesse tutti. Se Marijoa ed i Draghi Celesti esistono ancora, lo dobbiamo soltanto al defunto re dei pirati. Se non è perdere il proprio orgoglio questo...”

“Fai tanto il nobile, ti piace elevarti al di sopra di tutti.” esclamò beffarda lei. “Ma se sei il capofamiglia di una delle più potenti ed antiche famiglie del mondo lo devi solo a tuo padre. Senza di lui, a quest'ora saresti solo un semplice cadetto.”

“Il potere è una trappola.” dichiarò Ruizmon. “E mio padre ci è cascato in pieno. Avrebbe potuto accogliere i miei cugini a Marijoa con tutti gli onori, e liquidarli successivamente con tutta calma. Invece ha trasformato uno di loro in un nemico pericoloso per tutti noi. Era un codardo privo di inventiva...proprio come te.”

Anche se il tono del marito fu pacato, per Isabel quelle parole ebbero l'effetto di uno schiaffo in faccia. La donna serrò le labbra, mentre la mano che reggeva il calice di cristallo tremò impercettibilmente.

“Sarò anche una codarda, ma almeno io ho a cuore il futuro di questa famiglia!” sibilò. “Soltanto un debole, come sei tu, avrebbe illuso così a lungo quella sciocca impulsiva di tua figlia. Sono dovuta intervenire io, per fermare la tua follia di metterla a capo della nostra famiglia.”

“Valencien è una ragazza intelligente, spietata ed acuta.” replicò il nobile. “Sarebbe stata un ottimo capo per i Donquixote, e tu mi hai impedito di farlo.”

“Avresti privato mio figlio di ciò che gli spetta dalla nascita solo perché quella mocciosa è intelligente?!” lo accusò lei. “Sarebbe stata la nostra rovina. Ho solo fatto quello che ogni uomo degno di questo nome avrebbe dovuto fare!”

“E chi ti dice che nominare Terezon sia stato saggio?” osservò lui. “Valencien ora cova vendetta, ed ha le capacità di ferirci. Sei sicura che tu figlio, sciocco com'è, sarebbe stato altrettanto pericoloso, una volta estromesso dal potere?”

Il volto di lei divenne gelido.

“Non osare offendere Terezon!” dichiarò freddamente. “Lui sarà un grande capofamiglia. E riporterà questa casata alla gloria di un tempo. Lui non è come te.”

“Farà quello che vorrai te.” replicò Ruizmon. “La tua sete di potere ti porterà a comandarlo, come una marionetta, e questo porterà disonore su tutti noi.” il suo sguardo freddo si posò sul volto teso e tirato di sua moglie. “Mi hai costretto a dare il potere a tuo figlio, ora l'hai avuto. Ma Terezon farà quello che dico io, fino a quando avrò fiato in corpo. E lo stesso vale per te. Capito?”

Lei non abbassò lo sguardo, tenendo i propri occhi fissi sul marito. Poi, infine, fece un debole sorriso, velenoso come la morte, abbassando il capo.

“Certamente, Mio Signore.” sussurrò. “Fino a quando sarai vivo, io ti obbedirò.”

Ma non credere che questo durerà ancora a lungo.

 

 

Nei giorni successivi Valencien si trovò, suo malgrado, sempre più a disagio con Ronac. Per quanto cercasse di essere irritante ed incontentabile, sempre alla ricerca di un modo per farlo sbagliare e, così facendo, punirlo, lui non sbagliava un colpo. Rimanendo sempre gentile, disponibile e silenzioso. Alla fine, dopo più di una settimana, la ragazza rinunciò a cercare di cacciarlo, e prese ad apprezzare sempre di più quel ragazzo dolce, bello e silenzioso che la serviva.

Mehrasa era morta. Le violenze subite, e la forte febbre che le era sopraggiunta le erano state fatali. Quando Valencien ricevette la notizia scoprì, con sua sorpresa, di provare un sentimento strano dentro di lei. Un malessere sottile e quasi impercettibile, che però era capace di diventare, con il passare del tempo, sempre più forte.

È morta per un mio capriccio. Probabilmente lei non aveva nessuna colpa, se non quella di essere stata la servitrice di una ragazza troppo crudele.

Quei pensieri la colpirono con la violenza di un pugno. Non era la prima volta che vedeva uno schiavo morire per il capriccio del suo padrone, ma era la prima volta che capitava a lei, e scoprì di non essere capace di sopportarlo. Non voleva sensi di colpa, non voleva soffrire per una sua azione.

“Non ho fame, schiavo.” dichiarò una sera, osservando il cielo rosso della sera dalla sua stanza. “Comunica a mio padre che stasera non verrò a tavola con lui e quegli altri.” non riusciva proprio a chiamare Terezon e sua madre Isabel 'famiglia'. Era più forte di lei.

Ronac, silenzioso come sempre, comunicò la notizia a Ruizmon con estrema diligenza. Poi, una volta ritornato nelle stanze della sua padrona, rimase in attesa di ordini.

“Non ti avevo detto di tornare qua.” osservò lei, la voce atona.

“Sono il vostro schiavo, Mia Signora. Credevo fosse sottinteso.” osservò lui.

La bionda sbuffò. Non riusciva a comprendere come facesse quel ragazzo ad essere sempre così' calmo, dolce e paziente con lei. Aveva qualcosa di...magico.

“Dimmi schiavo, quanti anni hai?” chiese all'improvviso, desiderosa di conoscerlo meglio.

“Ventitre, mia Signora.” rispose immediatamente Ronac.

“Ventitre...” ripetè lei, la voce poco più di un sussurro. “E come ti senti...al pensiero di dover passare ciò che resta della tua vita al mio servizio? Che cosa provi?”

Lui la guardò, di sottecchi, sorpreso di vederla così pensierosa, così fragile.

“Niente, Mia Signora.” rispose infine. “E' il mio destino, e lo accetto.”

“Non dire cazzate!” replicò Valencien, la voce di nuovo fredda e dura. “So che mi odi, so che odi il mio modo di fare, e che non desideri altro che piantarmi un coltello nella gola. Voi schiavi odiate i vostri padroni, è naturale.”

“No, Mia Signora. Io non vi odio.” rispose il moro. “Ho accettato il mio destino. Perché so di essermelo meritato.”

“Quale persona può essere così orribile da meritarsi di diventare uno schiavo?! Cosa avrai mai fatto di così orribile da portarti qui, a servire me?!” urlò lei, furibonda. Non capiva perché stesse dicendo tutto quello, perché provasse quelle sensazioni così diverse dal solito. Per la prima volta nella sua vita provava qualcosa diverso dall'odio nei confronti di una persona. Provava pietà. E la cosa la spaventava e la faceva infuriare allo stesso tempo.

“Ero un criminale, ho commesso molte azioni deprecabili.” rispose lui, perplesso nel vedere la sua padrona comportarsi in maniera così insolita. “E' giusto che paghi per le mie azioni.”

“Quali azioni?! Che cosa hai fatto?! DIMMELO SCHIAVO! COSA HAI FATTO?!”

Lui sembrò esitare per un attimo. Per la prima volta da quando era al suo servizio, Valencien aveva l'occasione di punirlo, ma non lo fece. Il desiderio di scoprire cosa portasse una persona ad accettare il proprio destino in quel modo era più forte.

“Ho...ucciso molte persone.” disse infine il moro, la voce bassa, e gli occhi tristi. “Bambini...donne...anziani. Non ho avuto pietà di nessuno. Quando venni catturato...all'inizio ero furibondo, ma poi comprensi che era solamente il risultato delle mie azioni, e che il destino voleva che io pagassi tutto il dolore che avevo causato.”

La ragazza rimase a fissarlo a lungo. A parte gli occhi, Ronac non aveva mutato nulla nel suo solito atteggiamento, eppure sembrava sincero.

“Dimmi, schiavo...” la voce della bionda tremava impercettibilmente. “Ho ucciso io...Mehrasa?”

Gli occhi di lui, così chiari ed espressivi, si piantarono sul suo volto, facendola sentire nuda.

“Sì, mia Signora.” dichiarò infine. “Sono state le vostre azioni, che hanno portato alla morte di quella ragazza.”

“Dunque...io sono un'assassina.” osservò Valencien, stringendo il proprio vestito con forza. “Non dovrei anch'io diventare una schiava, per pagare la mia colpa?”

“No, mia Signora.” rispose Ronac, perplesso nel vedere la sua padrona così strana quella sera. “Il destino ha in serbo per ognuno di noi qualcosa di particolare. È probabile, che il mio destino non sarà lo stesso del vostro.”

Lei rimase a lungo in silenzio, osservando le proprie mani stringere la stoffa elaborata del proprio abito color pesca, mentre il moro seguitava ad osservarla di sottecchi, cercando di capire cosa le stesse passando per la testa in quegli istanti.

“Ti prego...lasciami.” disse infine la ragazza, ma il suo ordine era privo del tono arrogante che l'aveva caratterizzata fin da quando era piccola. “Ho bisogno...di stare da sola.”

Lui obbedì silenziosamente. Una volta sola, Valencien si sedette sul proprio letto, portandosi la testa sulle ginocchia, mentre cercava di sopprimere quelle sensazioni che la stavano travolgendo.

Perché sto soffrendo? Era una schiava, un'essere inferiore, eppure...io mi sento in colpa per tutto quello che le ho inferto...perché?

Non lo sapeva. Non sapeva darsi una risposta. In quegli istanti, tutto, perfino la sua lotta contro Isabel, le parve insignificante, a confronto della scomparsa di Mehrasa.

Dove sto sbagliando? Possibile che io...io abbia torto? Che forse non sono...superiore a gente come Ronac?

In quel momento lo odiò. Era convinta che, in qualche modo, il suo disagio interiore fosse dovuto anche a lui. Che il suo modo di fare l'avesse cambiata. La sua educazione, volta sempre a dare la colpa agli altri, le suggerì di sfogarsi su di lui, di farlo sparire dalla sua vita, in modo da stare meglio. Ma dentro di sé, nei meandri più profondi della sua anima, sapeva che non sarebbe servito a niente.

Io...ho...sbagliato. Accettarlo fu difficile, ma per la prima volta in vita sua, Valencien capì, e comprese, che anche lei, un Drago Celeste, era fallace, e poteva sbagliare. Si ripromise di non sbagliare mai più, in modo da non dover soffrire più di quelle sensazioni orribili.

Non ricapiterà...lo giuro Mehrasa. Forse non mi perdonerai mai, ma ti chiedo scusa...per tutto.

 

 

Isabel sentì bussare alla sua porta.

“Avanti.” ordinò, mentre la sua schiava di compagnia, una bella ragazza bionda e magra, terminava di rifinirle il trucco sugli occhi.

“Mia Signora,” borbottò un soldato. “E' arrivato l'agente governativo che avevate convocato.”

“Ah! Finalmente!” sorrise la donna. “Bene fallo entrare. Tu puoi pure andare, schiava. Ti chiamerò io se avrò ancora bisogno di te.” liquidò con fare autoritario la sua servitrice che, prontamente, obbedì.

Il nuovo arrivato era un uomo piccolo, magro, che difficilmente qualcuno avrebbe notato. Indossava un completo elegante da uomo nero, con scarpe lucide di cuoio, ed una cravatta blu scuro. Aveva corti capelli biondi, mentre il volto era coperto da una maschera bianca, che ne rendeva impossibile comprenderne le fattezze.

“Vostra Santità.” la salutò l'agente, mostrando una voce fredda e dalla pronuncia impeccabile.

“Sono felice che abbiate accettato il mio invito, signor Urun.” rispose Isabel, mostrando un sorriso bianchissimo. “Prego, accomodatevi.”

Urun si sedette dove gli era stato ordinato, mentre i suoi freddi occhi chiari fissavano il volto della nobildonna da dietro la maschera.

“Mi è insolito entrare nella casa di una famiglia di così alto lignaggio, e non essere presentato al padrone di casa.” esordì l'uomo, sottolinenando, pur in modo indiretto, la sua perplessità per quell'incontro nascosto.

“Non prendetemi per sciocca, signor Urun.” replicò la mora, versando del vino per il suo ospite. “So benissimo che non è la prima volta che il Governo ordina a lei, ed ai suoi colleghi, di tramare alle spalle dei Nobili Mondiali, così come questa non sarà l'ultima.”

“Sembrate...molto informata sulle nostre attività.” osservò il biondo, accettando il vino, pur non sfiorandolo mai con le labbra. “Qual è il motivo di questa chiamata?”

Isabel sospirò, mentre il suo volto si adombrava di qualcosa di molto simile alla tristezza.

“La mia famiglia, anche se antica, cova in sé un oscuro nemico, signor Urun.” esordì lei, mentre le sue dite accarezzavano il bordo del proprio calice di vino. “Una malattia...che avvelena la mente, e la porta alla pazzia. Vi ricordate del compianto Donquixote Homing?”

Urun annuì.

“Una morte tragica, di un idealista ingenuo.”

“Già...Homing fu il primo in cui la malattia dei Donquixote si manifestò, ed i suoi figli furono le successive vittime. Il mio compianto suocero, Cortezon, ebbe la morte nel cuore, quando vide che non era più possibile salvarli, ed impedì loro di tornare qui a Marijoa. Sapete, temeva che il germe della pazzia si diffondesse a tutti i membri delle famiglie.”

“Comprendo.”

“Purtroppo però, nonostante tutte le sue attenzioni, la pazzia prese anche suo figlio, mio marito.” dichiarò sospirandò Isabel, mentre i suoi occhi diventavano lucidi.

“Sua Santità Ruizmon?” per la prima volta dall'inizio della conversazione, il tono della voce di Urun ebbe una leggera flessione, mostrando della sorpresa.

“Oh, ovviamente in pubblico Ruizmon sembra perfettamente in sé, un Nobile Mondiale in tutto il suo splendore.” spiegò la donna. “Ma quando nessuno, oltre alla sua famiglia, lo vede, perde completamente la testa. Parla di cose assurde, senza senso. Ha addirittura le visioni! Fino ad ora sono riuscito a controllarlo, ma temo che presto sfuggirà al mio controllo. Solo gli dei sanno quanto disonore porterà tutto questo al nostro nobile casato!” il dolore e la disperazione di Isabel sembravano genuini, e Urun non aveva motivo di dubitare delle parole della nobildonna.

“Capisco. Ma io come posso aiutarvi?” chiese.

L'espressione della mora mutò, diventando dolce ed ansiosa ancora più di prima.

“Ruizmon sta peggiorando velocemente: ho dovuto fare i salti mortali per convincerlo a non disederare il suo unico erede maschio, mio figlio Terezon. Ma ora sta dando alla luce la madre di tutte le follie: intende appoggiare il progetto degli uomini-pesce di abolire la schiavitù al prossimo Reverié.”

“Onestamente, madame, questa vostra preoccupazione mi sembra eccessiva.” osservò Urun, cercando di scegliere attentamente le parole. “Sua Santità Ruizmon può liberamente decidere chi nominare proprio erede, ed onestamente, è libero di appoggiare o meno qualsiasi progetto di legge venga lui presentato.”

Il volto di Isabel si scandalizzò.

“Ma non capite? Come posso io, sua fedele ed innamorata moglie, assistere inerme alla sua pazzia? Che lo distrugge e me lo strappa dalle mani?” chiese, mentre una lacrima scese lungo la sua guancia. “Ruizmon è ormai privo di ogni ragione. Dobbiamo fermarlo, prima che possa influenzare con la sua mente ormai malata le decisioni della sacra riunione del Reveriè.”

“Come le ripeto: credo che stia esagerando, madame.” la voce di Urun ritornò ad essere fredda e priva di emozioni. “Non spetta a noi giudicare sua Santità Ruizmon, solo perché si limita a fare ciò che è nel suo diritto compiere.”

“Non capisco come possiate essere così indifferente di fronte alla tragedia della mia famiglia!” lo accusò Isabel. “Ha idea di cosa accadrebbe, se la follia di Ruizmon colpisse altre persone? L'intera colonna portante del Governo Mondiale verrebbe corrotta nella sua purezza!”

“Ciò non riguarda me ne l'organizzazione che rappresento. Mi dispiace avervi illuso venendo qui, madame.” Urun fece per alzarsi, quando Isabel gli afferrò un polso, il volto ora freddo e spietato.

“Ho cercato di essere paziente e comprensibile con voi, Signor Urun.” dichiarò, la voce pregna di rabbia. “Ma a quanto pare, sembra che abbiate dimenticato un piccolo dettaglio: la vostra organizzazione è sotto lo stretto comando dei Draghi Celesti. Non avete la possibilità di sottrarvi al nostro volere.”

“Dite bene, ai Draghi Celesti. Ciò significa che ubbidirò solamente al volere dei capifamiglia, non certo a quelle delle loro consorti.” replicò Urun, liberandosi senza troppi problemi della presa di lei. Fece per andare via, quando lei gli lanciò una lettera. Una volta aperta, gli occhi di lui, da sotto la maschera, si strinsero pericolosamente.

“Perché non me l'ha mostrata subito?” chiese, restituendola alla proprietaria.

Quest'ultima rise.

“Non mi piace fare mostra delle mie amicizie. Sono una persona discreta io.”

Amicizie? È chiaro che il mio capo se la scopa da anni... pensò l'agente governativo.

“Allora, Chiper Pool 0, mi aiuterete a salvare la mia famiglia?” chiese Isabel, sorridendo soddisfatta.

Senza via di uscita, Urun fece l'unica cosa a lui possibile: si inginocchiò di fronte all'amante del suo superiore.

“Sono ai vostri ordini, Vostra Santità.”

 

 

Nei giorni seguenti Valencien cercò più e più volte di cambiare il proprio atteggiamento nei confronti degli schiavi della famiglia. Dove prima mostrava arroganza e superiorità, ora cercava di mostrare gentilezza o, quanto meno, del rispetto umano. Ciò colpì profondamente suo padre e suo fratello, anche se le loro reazioni furono diverse: Ruizmon la elogiò, sostenendo che la crudeltà fine a se stessa era di poco aiuto nella vita quotidiana, mentre Terezon la prese in giro, accusandola di debolezza e di simpatizzare per delle creature inferiori.

Anche con Ronac le cose cambiarono: era raro ormai che lei gli desse degli ordini, erano più che altro delle richieste. Questo non mutò l'atteggiamento di lui, ma servì ad instaurare un rapporto di silenziosa fiducia, molto più profondo di qualsiasi legame si fosse mai creato tra un nobile ed un servitore in oltre ottocento anni. Ronac inoltre, le permetteva di avere una conoscienza molto più approfondita delle mosse della sua matrigna.

“Mia Signora!” un giorno, un paio di settimane dopo la sera in cui Valencien aveva chiesto perdono all'anima di Mehrasa, Ronac raggiunse la ragazza nei giardini della dimora dei Donquixote. Era palesemente scosso, ed i suoi occhi chiari tradivano una profonda paura. “Mia Signora!”

“Cosa c'è?” chiese lei, leggermente infastidita? Era una bella giornata di sole, e Valencien ne aveva approfittato per dedicarsi alla lettura nel grande giardino che circondava la dimora della sua famiglia, sotto le fronde di un grande albero.

“Mia Signora...” non appena fu davanti a lei, il ragazzo si inginocchiò, mentre recuperava fiato. “Porto notizie...preoccupanti.”

“Che genere di notizie?”

“Ho visto...due agenti governativi uscire dalle stanze della vostra matrigna. Indossavano maschere bianche, ed abiti neri.” la voce di lui esprimeva forte preoccupazione.

“Maschere bianche...” Valencien fece in modo che le parole dello schiavo non la colpissero eccessivamente. Farsi prendere dal panico non sarebbe servito a nulla, doveva invece studiare la situazione. “Possono essere di qualsiasi Chiper Pool...sei sicuro che non avessero nessun segno distintivo?”

“Nessuno...a parte...” Ronac esitò un attimo prima di parlare. “Avevano uno zero ricucito sul taschino della giacca, ma potrei essermi sbagliato.”

Questa volta Valencien non riuscì a contenersi. “La CP0!” urlò sconvolta. “Quella maledetta strega sta complottando con la CP0!”

Per evitare che chiunque la sentisse, Ronac fece qualcosa di inaudito: scattò verso di lei, bloccandole la bocca con una mano, e portandola a suolo. La ragazza spalancò gli occhi per la sorpresa, ma prima che potesse reagire, lo schiavo la liberò subito.

“Mia Signora,” dichiarò, cercando di bloccare sul nascere la furia della bionda. “Non dovreste urlare queste cose in pieno giorno qui, dove chiunque può sentirvi. Orecchie ed occhi attenti sorvegliano la vostra figura continuamente.”

Valencien si morse le labbra, dandosi mentalmente della stupida. Faceva ancora fatica a fare autocritica, ma in quel caso era così palese che non ebbe difficoltà.

“Hai ragione, sono stata una sciocca.” sussurrò. “Cosa posso fare? È ovvio che Isabel sta cercando di spodestare mio padre con la forza, anche se non ne capisco il perché.”

“Vostro padre non vede di buon occhio l'influenza di Isabel su vostro fratello Terezon.” spiegò Ronac. “Senza contare che è ancora dubbioso se lasciare il titolo di capofamiglia a voi o a Terezon. Pertanto, la vostra matrigna cerca di forzare la situazione a suo vantaggio.”

La ragazza lo guardò sorpresa.

“Come fai a conoscere tutto questo?”

“Tra noi schiavi c'è solidarietà. Sono poche le cose di cui non veniamo a conoscenza.” rispose sorridendo il moro.

“Avresti potuto dirmele queste cose.” lo accusò lei.

“Non me le avete mai domandate.” replicò con fare impertinente lui.

Valencien, invece di infuriarsi, scoppiò a ridere. Non sapeva perché, ma quell'impudenza scatenò la sua ilarità. Si domandò come aveva fatto a vivere fino ad allora senza la compagnia di lui. Ora, sentiva che non poteva più farne a meno.

“Comunque, ora che cosa faccio? Dovrei forse avvertire mio padre?” chiese la ragazza, dando, di fatto, a Ronac l'autorità per gestire la situazione.

“Non credo che sarebbe una buona cosa, mia Signora.” rispose lui, di nuovo con un tono umile e dolce. “Non abbiamo prove, e se Isabel scopre che sapete tutto, potreste mettere a rischio la vostra vita.”

“Ma non posso lasciargliela vinta!” esclamò la bionda.

“No, non possiamo.” concordò il moro. “Ma vi chiedo una cosa: voi vi fidate di me?” la sua voce era diventata, improvvisamente, più profonda.

Lei lo guardò, perplessa da quella domanda.

“In che senso?”

“Nel senso che forse possiamo salvare vostro padre, ma questo potrebbe portare a conseguenze estreme. Per questo, ho bisogno della vostra fiducia incondizionata. Vi fidate di me, mia Signora?”

La ragazza si perse in quegli occhi chiari come il cielo, sentendo improvvisamente un forte caldo dentro di sé. Percepì qualcosa di strano, come se una parte della sua coscienza, a lei sconosciuta, si fosse risvegliata, sommergendo la sua volontà sotto un mare di fuoco incandescente.

“Sì, mi fido di te.” rispose infine.

Lui sorrise, chinando la testa.

“La ringrazio profondamente. Cercherò di non deluderla.”

“Lo spero anch'io.” dichiarò lei, ancora scossa dal suo turbamento interiore. “Potresti intanto farmi un piacere?”

“Qualsiasi cosa, mia Signora.”

Valencien sorrise.

“Ho bisogno di distrarmi. Narrami dei tuoi viaggi, sono curiosa.” gli chiese con voce gentile.

Lui sorridendo, si sedette poco distante da lei, sotto le fronde dell'albero dove lei sostava, iniziando a raccontare.

Le parlò di paesi lontani, di isole misteriose, di paesaggi mozzafiato, di luoghi che superavano la comprensione dell'uomo. Sotto l'effetto delle sue parole, la ragazza rise dalla gioia, trattenne il fiato per la sorpresa, si commosse per la bellezza poetica dei suoi racconti. Si immerse completamente in quel lungo viaggio mentale, che le fece perdere completamente il senso del tempo. Quando infine Ronac terminò, il sole stava ormai tramontando dietro l'orizzonte.

“E' stato...bellissimo.” sussurrò lei, gli occhi ancora pieni delle meraviglie da lui raccontate.

“Dobbiamo andare, mia Signora.” le ricordò lui, senza mostrare stanchezza per il lungo racconto che aveva appena narrato. “Presto sarete attesa a cena.”

Con ancora lo sguardo trasognato, Valencien si alzò, incamminandosi verso il portone della villa, la mente ancora turbata. Si chiese, improvvisamente, se tutto quello che vedeva intorno a lei valesse ancora qualcosa. Se il vero mondo, la vera bellezza, fosse oltre quelle mura, quella ricchezza, quel mondo che conosceva da quando aveva ricordo. Rimase sorpresa quando comprese quanto era cambiata in poche settimane, come la sua mente si fosse aperta, ampliata. Avesse accettato nuovi orizzonti, così come il suo cuore.

Ed è tutto merito suo...

“Ronac...” dichiarò, una volta davanti al portone, chiamandolo per nome per la prima volta. Quest'ultimo, che la seguiva a pochi passi di distanza, la guardò sorpreso, incredulo di ciò che aveva appena udito.

“Sì, mia Signora?”

Lei gli si avvicinò con un dolce sorriso sulle labbra. Forse non avrebbe significato nulla, ma in quel momento era felice di aver compreso meglio il mondo attorno a lei, e ciò che aveva evitato di diventare.

“Grazie...per tutto.” gli sussurrò, dandogli un veloce bacio sulla guancia.

Lui la guardò con insistenza, mentre sui suoi lineamenti eleganti la sorpresa lasciava il posto alla gioia, mista a tristezza.

“E' stato un piacere...Valencien.” sussurrò.

Poi i due, ricomponendosi, entrarono nella dimora, ignari che due persone li stavano fissando dall'alto di una grande finestra ad arco.

 

 

Isabel sorseggiò del vino, mentre la sue espressione si faceva grave e preoccupata. Al suo fianco, Terezon fissava il vuoto davanti a sé, spaventato da quello che aveva visto.

“C-che cosa significa, Mamma?” domandò, la voce piena di paura. “Perché Valencien ha chiamato per nome quello schiavo?”

La donna fissò il proprio riflesso nel vetro, mentre le sue labbra si stringevano.

“Oh, figlio mio.” sussurrò. “Mia unica gioia...questo è un mondo crudele, che non risparmia nessuno. La malattia di tuo padre ha colpito in maniera irrecuperabile anche tua sorella, la mia amata Valencien.”

“Dici davvero Mamma?” Terezon sbiancò per la paura. “Ma...non infetteranno mica anche noi...vero?”

“Oh, stai tranquillo, mio piccolo angelo.”rispose lei, cominciando ad accarezzare i suoi capelli scuri. “Nessuno ti infetterà. Presto questo incubo avrà fine, e tutto il nostro dolore svanirà.”

“Davvero? E come?” chiese il figlio, mentre le parole di sua madre avevano avuto l'effetto di tranquillizzarlo parzialmente.

“Lascia fare alla tua mamma, bambino mio.” replicò quest'ultima, dandogli un bacio sulla fronte. “Presto tu diventerai capo di questa famiglia, un Nobile Mondiale temuto e riverito da tutti. Nessuno ti farà del male...te lo prometto.”

Terezon fissò il giardino, ormai vuoto, fuori dalla finestra, mentre l'oscurità della notte avanzava rapidamente.

“Sarò io...il capofamiglia.” ripetè. “Sì, lo so che spetta a me.”

“Sì, amore della mamma. Ma prima di diventarlo, noi dobbiamo...eliminare gli infetti della famiglia.”

“Eliminarli...come?” domandò, fissando perplesso il suo genitore.

Lei gli sorrise.

“Lascia fare a me.” gli sussurrò all'orecchio, abbracciandolo. “Presto...tutto questo sarà solo un ricordo, e noi torneremo ad essere felici!”

 

 

CONTINUA

 

Mmm...boh! Stavolta non so cosa dire. Questo capitolo non è stato facile da scrivere, anche perché mi sembra quasi di scrivere su Game Of Thrones più che su One Piece (ma so dettagli). Posso assicurarvi che non è stato per niente facile cercare di dare una mutazione graduale al carattere di Valencien/Kita (più avanti verrà anche spiegato la scelta di questo nuovo nome), ed anzi, non sono sicuro di averlo narrato bene. Spero vogliate darmi un giudizio anche su questo.

Bene, anche per stavolta ho finito. Vi ricordo che ricevere recensioni mi rende felice, anche se negative, e che quindi non siate timidi e scrivete. :)

Un saluto!

Giambo

 

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Capitolo 11
*** Notte di sangue ***


Capitolo 11

 

 

Sussurri. Mormorii di lamenti lontani.

Tre giorni dopo, durante il sonno, la mente di Valencien fu invasa da strane voce. Suoni carichi di rabbia, dolore, odio. Sentimenti non suoi cominciarono a prendere possesso del suo corpo, della sua anima, immergendola in un abisso oscuro.

 

Vide una città, splendida e lucente, ergersi sopra un colle. Le sue mure erano imponenti, le sue strade lucide, gli edifici fieri. Oro ed argento erano ovunque, a testimonianza della potenza di quel popolo.

Eppure, le persone sembravano infelici, come se qualcosa dentro di loro li consumasse. I vecchi guardavano con odio i giovani, mentre le madri maledicevano i propri figli. L'oro era freddo, di un gelo terribile, che toglieva ogni gioia dal cuore, per fare spazio soltanto all'odio ed all'invidia.

Questa...è la nostra eredità.” sussurrò una voce femminile, mentre gli occhi della giovane si riempivano di quelle immagini angoscianti. “Questo è ciò che noi abbiamo lasciato al mondo.”

La ragazza scosse lentamente la testa, mentre osservava la città cominciare a prendere fuoco. La gente si scannava a vicenda con ferocia bestiale. I volti ebbri di furia e sete omicida. Mariti contro mogli, padri contro figli, amanti contro amati. Lame fredde e spietate si immergevano nelle bianche carni delle persone, uscendone rosse come tizzoni ardenti, sempre più assetate, sempre più implacabili.

Risate folli cominciarono a risuonare nell'aria, mentre il fuoco avvolgeva ogni cosa, vivi e morti. Gli edifici cadevano, le biblioteche bruciavano, il sapere millenario di un intero popolo scompariva, mentre i suoi stessi abitanti gioivano di questo, buttando in mezzo alle fiamme i propri cari, seguendoli poco dopo.

No...” bisbigliò la giovane. “No...qualcuno li fermi! Fermatevi!”

Le sue urla furono vuote, impossibili da ascoltare. Il fuoco ben presto divorò ogni cosa, lasciando solo polvere, cenere e cadaveri bruciati. In mezzo a quella desolazione, quel monumento alla follia ed alla morte, la vide: un'ombra più scura della notte, più fredda del vuoto, e carica di una malvagità che la fece crollare al suolo, stringendosi le braccia al petto, mentre dentro di sé urlava disperata per la paura.

La mia opera...si è compiuta.” rantolò una voce fredda, che la fece rabbrividire. “Presto...tutti conosceranno il Vuoto.”

Anche te.”

Questo...è il tuo destino.”

 

Si alzò di scatto, urlando disperata. I suoi occhi erano spalancati, mentre fissava l'oscurità della sua stanza. Aveva il respiro affannoso, la veste da notte fradicia di sudore, ed una paura di un'intensità incredibile addosso.

Cosa diavolo era...quel sogno? Si chiese, mentre si asciugava il sudore dalla fronte con una mano. Non aveva mai visto prima di allora quella città, quelle persone che si erano uccise tutte tra di loro. Eppure, dentro di sé, aveva come la sensazione che fossero in qualche modo collegate a lei, e che quello che aveva visto fosse tutto vero.

Ovunque sia stato, è accaduto...probabilmente molto tempo fa.

Fece per alzarsi, aveva bisogno di rinfrescarsi, quando una mano guantata le si posò con forza davanti alla bocca, mentre una lama di un bianco accecante le solleticò la giugulare.

“Non fare un solo rumore, altrimenti sei morta.” le sussurrò una voce fredda all'orecchio.

La ragazza cercò di capire chi la stesse minacciando, ma il buio era troppo fitto per capire. La paura, che un attimo prima si stava affievolendo, riaffiorò con forza dentro di sé, rendendola incapace di reagire. Si alzò docilmente dal letto, mentre il suo aggressore le ficcava un bavaglio puzzolente in bocca e le legava con crudele forza le mani dietro alla schiena, tramite una corda.

Chi è? Un violentatore? Vuole uccidermi? Cosa sta succedendo? Dove sei Ronac?

Una volta sicuro di averla resa incapace di emettere un suono, l'uomo l'afferrò per i capelli, strattonandola violentemente fuori dalla sua stanza. La bionda cercò di urlare, ma tutto quello che uscì dalle sue labbra fu un fievole mugugno, impossibile da percepire.

“Zitta!” ringhiò l'aggressore, una voce maschile fredda e spietata. “Un solo rumore, e ti ficco venti centimetri di acciaio nella gola.”

Valencien non emise più alcun suono, facendosi trasportare con forza attraverso le ali del palazzo di famiglia. Si chiedeva chi fosse colui che la stava rapendo, e se comprendesse il rischio che correva: le possibilità che venissero scoperti erano alte, e la ragazza sperò con tutte le sue forze che qualcuno, chiunque, perfino Isabel, venisse a salvarla. Ma non incontrarono nessuno, mentre scendevano verso il salone principale al piano terra. Qui, con sua sorpresa, vide che le luci erano accese, e che parecchie persone erano lì radunate. Sempre più confusa, Valencien fece il suo ingresso nel salone, rimanendo semiaccecata dalla luce delle candele. Quando infine i suoi chiari occhi si abituarono alla luce, ciò che vide le fece aprire la bocca, in un muto grido di orrore.

All'interno della stanza erano presenti una decina di persone, vestite di nero, e mascherate, che erano in piedi sui lati, come se fossero semplici spettatori. In mezzo al salone, sotto il grande calendabro d'oro, era stato posizionato un lungo tavolo di legno. A capotavola era seduta Isabel, vestita anche lei di nero, che sorseggiava un calice di vino. Al suo fianco Terezon, che fissava pallido il soffitto sopra di lui. Ma la cosa che aveva subito attirato l'attenzione della giovane era la lunga e spessa corda che pendeva dal lampadario, da cui penzolava il corpo di suo padre, ormai senza vita, con il volto gonfio ed arrossato, la lingua di fuori, e gli occhi spenti che la fissavano.

No! No! No!!!

“Ah, ecco la nostra seconda ospite della serata.” esclamò Isabel, sorridendo con dolcezza alla bionda. Quest'ultima si sentì le ginocchia cedere nel vedere suo padre morto, e fu solo grazie alla presa del suo rapitore se non cadde a terra.

“Benvenuta a questa piccola...riunione di famiglia, mia cara.” proseguì la donna. Con un gesto secco, il suo aguzzino la portò alla sedia in fondo al tavolo, e la costrinse seduta. Un modo per indicare la sua inferiorità sociale nei confronti della sua matrigna e di suo figlio.

“Ti starai sicuramente domandando cosa è accaduto al nostro adorato capofamiglia, il santissimo Ruizmon.” osservò Isabel, alzandosi e dirigendosi lentamente verso la ragazza. “Purtroppo la sua pazzia lo ha portato fino alla morte. Il mio cuore è spezzato...così come immagino sia il tuo.”

In quel preciso istante, mentre vedeva quella donna avvicinarsi a lei, Valencien percepì che tutto il proprio dolore mutò radicalmente in odio. Un desiderio folle di scannarla a mani nude, di vedere il suo sangue spargersi per terra, di udire le sue urla disperate di dolore si fece strada nel suo cuore. Era bloccata, ma il suo spirito ardeva di rabbia come non mai.

“Tu...l'hai ucciso tu!” sputò, non appena l'altra, con un cenno, ordinò al suo rapinatore di toglierle il bavaglio.

“Io? Come osi dire simili atrocità di me? Come puoi, anche solo sospettare, che tua madre abbia commesso un simile scempio?” replicò la mora, guardandola con espressione sconvolta.

“Non mentire! L'hai ucciso te! Non sei mia madre, sei solo una schifosa bugiarda!” urlò furibonda la ragazza. Tentò di liberarsi, ma venne subito colpita alla nuca dall'uomo dietro di lei. Valencien accusò il colpo, battendo il naso sulla fredda superficie del tavolo. Rimase immobile, mentre il dolore si pervadeva in tutto il suo corpo.

“E' chiaro che non sai quello che dici.” osservò Isabel, il volto ora freddo. “Tuo padre è morto per colpa della sua pazzia. Una malattia che tu stessa le hai inflitto, untrice!”

La ragazza perse un battito nell'udire quelle parole. Comprese in quell'istante di essere spacciata. Isabel aveva archiettato tutto nei minimi dettagli, e lei, scioccamente, era rimasta cieca, inerme, alla mercé di quella donna spietata e senza scrupoli.

Ronac, dove sei? Ho bisogno di te!

“L'hai contagiato! Con la tua frivola mania del potere, con i tuoi approcci blasfemi con degli schiavi, degli essere inferiori. Hai traviato l'essenza buona di tuo padre, ed ora pagherai per averne causato anche la morte!”

“Questa ragazza è accusata di atti osceni ed impuri con esseri inferiori, e di aver traviato e corrotto l'anima di suo padre, il compianto Ruizmon, capofamiglia dei Donquixote!” urlò la mora, rivolgendosi alle figure che si stagliavano come statue ai lati della stanza. La stavano processando.

“E' forse giusto che un simile abominio rimanga in vita? Lasceremo che infetti altri santissimi nobili? Che distrugga il nostro mondo, la nostra società giusta e pura? A voi la risposta, giudici!”

I dieci giudici, senza emettere un suono, portarono in avanti la mano destra, il palmo rivolto verso il basso. Poi, con un gesto all'unisono, l'alzarono, urlando una sola, singola parola.

“Morte!”

“Così sia!” replicò Isabel, dando ordine a due uomini, rimasti in disparte, che subito si diressero verso Valencien. Quest'ultima tentò di liberarsi, ma la stretta dei due, in aggiunta a quella del suo rapitore, era troppo forte. Insieme, i tre la immobilizzarono, mentre le mettevano un nodo scorsoio attorno al collo.

“No! No!” strillò la ragazza, divincolandosi disperata. “Sono innocente! È lei l'assassina di mio padre! L'ha ucciso lei! Lei!”

“Uccidetela!” ordinò Isabel, un sorriso soddisfatto stampato in volto. “Mai più le sue bugie blasfeme corromperanno le nostre orecchie!”

Senza smettere di urlare, Valencien continuò imperterrita a cercare un modo per liberarsi, mentre i tre uomini la sollevavano sopra il tavolo, con l'intento di impiccarla affianco al cadavere di Ruizmon. Isabel sorrideva malignamente, mentre Terezon fissava, pallido ed inespressivo, lo spettacolo davanti a lui, senza proferire una parola.

Quando infine, la corda era issata, e Valencien cominciava a percepire una stretta attorno al collo, accaddero molte cose.

Uno sparo risuonò con violenza nella stanza, subito seguito da un urlo disperato. Isabel osservò con sguardo vacuo il proprio petto, da cui si intravedeva un foro rosso al posto del cuore. Senza emettere un suono, la donna cadde al suolo, mentre Terezon si alzò di scatto, correndo verso di lei.

“No! Madre!! Madre!!”

Nel frattempo, tre sibili sinistri erano risuonati nella stanza. I tre aguzzini di Valencien caddero tutti a terra con un gemito, ognuno con una freccia ficcata in gola. La ragazza cadde con forza sopra il tavolo, confusa, spaventata ed incapace di comprendere cosa stesse accadendo.

Ronac?

“E' morta!!!” strillò Terezon, reggendo tra le braccia il corpo di sua madre, ormai privo di vita. Il volto di Isabel traspariva incredulità, come se non ritenesse possibile morire nell'ora del suo più grande trionfo. Con il volto rosso di rabbia, e le lacrime che sgorgavano libere, il figlio si alzò, puntando il dito contro la sorellastra, ancora immobilizzata.

“E' stata lei! È stata lei con una stregoneria! Uccidetela! Fatela a pezzi qui, davanti a me!”

I giudici, impauriti, cercarono di scappare dal salone, mentre altri uomini, vestiti in nero e mascherati, entravano nella stanza, dirigendosi verso la ragazza semisvenuta sul tavolo. Uno di loro tirò fuori un lungo pugnale, puntandolo verso di lei. Tuttavia, prima che potesse affondare il colpo, una spada gli trafisse il petto, facendolo stramazzare a terra con un gemito strozzato.

“Uccideteli! Uccidete questi schiavisti!”

Decine di persone entrarono nella stanza, urlando e brandendo spade e pistole. Si accanirono contro i giudici senza pietà, mentre questi ultimi strillavano di dolore, cadendo uno dopo l'altro al suolo. Gli uomini in nero, senza perdere la calma, sfoderarono spade e pugnali, cominciando a combattere con abilità fuori dal comune contro i nuovi arrivati. Nel giro di pochi minuti, il pavimento divenne scivoloso a causa del sangue.

Valencien fu afferrata e, senza troppi complimenti, trascinata fuori dal salone da uno degli assassini dei giudici. L'ultima immagine che riuscì ad avere del salone fu suo fratello che, piangendo, veniva scortato al sicuro da due uomini in nero fuori dalla stanza, mentre gli altri restavano per terminare di uccidere gli uomini vestiti di stracci che combattevano con furia e tenacia incredibili.

Una volta fuori dal salone,la ragazza fu trasportata velocemente fuori dalla residenza. Non appena sentì il freddo vento della notte sul suo viso, la bionda vide fiamme rosse divampare ovunque, rischiarando il cielo a giorno. Non riuscendo a comprendere cosa stesse accadendo, si limitò a chiudere gli occhi, pregando che Ronac stesse bene.

Ovunque tu sia, sopravvivi!

“Ormai siamo lontani dalla residenza. Dobbiamo però raggiungere il prima possibile la Scala dell'Ascensione.” osservò colui che l'aveva salvata da morte certa, un uomo di colore alto e immenso, rasato e con il volto deturpato da una sinistra cicatrice biancastra, che gli attraversava tutta la tempia destra.

“Aspetta. Prima di muoverci dobbiamo aspettare il capo con gli schiavi delle altre magioni. Il piano era questo.” replicò un suo compagno, un uomo coi capelli rossi, alto e magro.

“Aspettare? Tra poco questo posto brulicherà di guardie ed agenti governativi!” ringhiò il bestione. “Non ho intenzione di ritornare schiavo, proprio ora che sto riassaporando il gusto della libertà.”

“Ed allora perché hai preso come ostaggio quella nobile?” gli urlò un terzo individuo.

“Ordini del capo. Ma se non si sbriga, la mollo qui e me la do a gambe!”

“Posso capire la vostra impazienza.” dichiarò una voce nuova, una voce che Valencien conosceva molto bene, illuminando con forza la sua mente sconvolta dagli ultimi avvenimenti.

“Ronac!” urlò, cominciando a divincolarsi. “Ronac!!”

“Stai tranquilla, microbo.” borbottò l'uomo di colore, posandola a terra e liberandola dai legacci. “Non ho intenzione di mangiarti.”

Lei, senza dargli ascolto, corse verso il moro, abbracciandolo con tutta la forza che aveva.

“Ronac! Dove eri? Ho avuto una fottuta paura...” cominciò a spiegare lei, ma Ronac, senza perdere tempo, si liberò dall'abbraccio di lei.

“Non c'è tempo ora. Dobbiamo muoverci, e subito!” esclamò lui, con voce dura.

“Muoverci?” Valencien non comprendeva cosa l'amico intendesse dire. Solo in quell'istante si accorse che sembrava diverso. Il suo sguardo era duro come l'acciaio, la sua espressione era fredda come il ghiaccio e tra le mani temeva un grande spadone, dalla forma rozza, che si restringeva su un lato, per chiudersi con una punta con l'altra metà.

“Ronac...che significa tutto questo?” gli chiese lei, sentendosi sempre più confusa. “M-mio padre è morto...”

“Lo so.” sospirò lui. “Non sono riuscito a salvarlo. Ti chiedo scusa.”

“Scusa? Ronac...” improvvisamente, tutta la rabbia e la paura accumulatesi fino a quel momento esplosero in lei. Con un urlo, la bionda si scagliò contro l'amico, cominciando a prenderlo a pugni.

“Scusa?! SCUSA?! MIO PADRE E' MORTO E TU RIESCI A DIRE SOLO SCUSA?!” lacrime amare cominciarono a scorrerle sul volto, mentre Ronac la fissava con fare impassibile. “SEI UNO SCHIFOSO, MALEDETTO TRADIT...”

“Ora basta!” con una mossa decisa, il ragazzo le bloccò le mani. Il suo volto era spietato. “Non c'è tempo ora, lo capisci? Dobbiamo fuggire da qui, e subito!”

“Fuggire?” ripeté la giovane. “Ma...che stai...”

“Forza, alla Scala dell'Ascensione!” ordinò agli altri Ronac. Subito, gli schiavi fuggiti si diressero a grande velocità verso est, in direzione dell'unica via d'accesso a Marijoa. Senza dare tempo a Valencien di reagire, lo schiavo la prese in spalla e prese a dirigersi anche lui in quella direzione.

“Ronac!!!” strillò la bionda. “Che stai facendo?! Perché ti stai comportando così?! Rispondimi, schiavo!”

“Non sono il tuo schiavo.” replicò lui, senza smettere di correre. “O meglio, non lo sono più. Sono un uomo libero, ed intendo restarlo.”

“Ma...”

“Non ti ho detto tutta la verità sul mio conto, Valencien. Mi sono fatto catturare apposta, per venire quassù a Marijoa e liberare tutti gli schiavi dei Draghi Celesti.”

“Che cosa?! Volevi liberare gli schiavi?! Ma...” alla ragazza girava la testa. Le sembrava che il mondo le crollasse addosso. “Perché?”

“Perché sono un rivoluzionario.” proseguì lui. “Dopo essere stato catturato, i rivoluzionari mi liberarono, facendomi diventare uno di loro. Ormai sono due anni che combatto nelle loro file.”

“Sei un rivoluzionario?” Valencien lo guardò sconvolta, come se lo vedesse per la prima volta. “Tu...”

“Valencien...”

“Mi hai mentito!” urlò lei, cercando inutilmente di liberarsi della sua presa. “Sei solo uno schifoso bugiardo!”

“Cerca di capire, ho dovuto farlo.”

“Io mi fidavo di te, mentre tu mi hai solo usata per i tuoi scopi. Mi ha trattato come una stupida. Non sono niente per te, niente!”

“Non è vero!” replicò lui. “Se fossi stata nulla per me, pèrché ti starei salvando la vita?”

“Non lo so come ragionate voi rivoluzionari! Magari ti servo solo come ostaggio per fuggire.”

“Sbagli. Non farei mai una cosa così meschina.”

“Però mentirmi e prenderti gioco dei miei sentimenti invece andava bene, vero? Quello non fu un gesto meschino?!”

Ronac si fermò di colpo, mettendo giù la ragazza, e fissandola dritta negli occhi. Intorno a loro, le fiamme bruciavano e divampano per tutta la cittadella, illuminando a giorno il cielo scuro. Urla e strilla si udivano ovunque, mentre gli schiavi sfogavano la loro rabbia repressa sui nobili, e le guardie cercavano di fermarli nel modo più spietato possibile.

“Ora ascoltami!” gli urlò lui. Poco distante, un deposito di armi esplose, investendoli con un vento caldo e tagliente. “Puoi scegliere se rimanere o venire via con me, ma sappi che se resti ti uccideranno!”

“Non mi faranno nulla!” replicò lei, fissandolo con rabbia. “Sono un Drago Celeste, non mi torceranno un capello.”

“Ah sì? E tuo fratello? Pensi veramente che ti lascerà vivere, ora che pensa che tu abbia ucciso sua madre?”

A quella domanda, Valencien non seppe che rispondere.

“E' una ua scelta, Valencien.” dichiarò lui. “Ma sappi questo: se sceglierai di seguirmi, devi fidarti di me.”

La bionda non rispose. Si torceva la leggera veste da notte che indossava con le mani, incapace di trovare il coraggio per scegliere del proprio destino. Se rimaneva era morta, ma allo stesso tempo aveva una fottuta paura di ciò che l'attendeva.

“Se ti seguo, cosa ne sarà di me?”

“Niente di male, te lo prometto.” disse lui, tirando fuori un po' della sua vecchia dolcezza. “Andremo in un posto dove ti troverai bene, e dove nessuno ti farà del male.”

Lei lo fissò negli occhi per un lunghissimo istante, poi, con un gesto improvviso, dovuto al turbamento emotivo che si portava dietro da giorni, si fece avanti e lo baciò. Un baciò lungo e passionale a cui Ronac, dopo un attimo di sorpresa, rispose con trasporto, stringendola a sé con forza.

“Andiamo!” gli sussurrò lei. “Portami via da qui.”

Il moro sorrise.

“D'accordo.”

 

 

Percorsero la Scala dell'Ascensione. Una lunghissima scala, scavata nella roccia della Linea Rossa, che collegava la città santa di Marijoa al resto del mondo. In fondo ad essa si trovava un porto fortificato, chiamato 'La Porta del Paradiso', dove le navi dirette alla capitale del mondo stazionavano e si rinfoccillavano. Nel corso dei secoli, per agevolare la salita e la discesa dei Nobili Mondiali, si era costruito un speciale ascensore, che funzionava tramite un complicato sistema di pesi e contrappassi. Tuttavia, Ronac, Valencien e gli schiavi dovettero scendere la lunga e ripida scala, dato che le guardie di Marijoa, nel tentativo di impedire la loro fuga, lo avevano già messo fuori uso.

Mentre scendevano più veloce che potevano le scale, Valencien sentiva dentro di sé un torrente di gioia, paura ed eccitazione allo stesso tempo. Non sapeva cosa sarebbe accaduto in futuro, ma era convinta che, fino a quando Ronac fosse rimasto al suo fianco, tutto sarebbe andato bene.

Sto abbandonando il mio mondo: non sarò mai più una nobile. Era un pensiero sconvolgente sapere che, da quel giorno in avanti, niente sarebbe stato più come prima. Eppure, neppure per un istante si pentì di quella scelta, mentre stringeva la mano del ragazzo che, e di questo ne era sicura, le aveva salvato non solo la vita, ma anche l'anima.

Ci misero parecchie ore per scendere fino al porto. La lentezza fu dovuto sia al fatto che erano un gruppo molto numeroso, sia perché di notte non era facile muoversi tra gli insidiosi scalini, erosi dal vento durante i secoli. Più volte furono costretti a fermarsi, mandando qualcuno in avanscoperta, nel tentativo di comprendere come superare alcuni tratti eccessivamente ripidi. Ronac era molto preoccupato di questo rallentamento: sospettava che ciò avrebbe permesso ai loro nemici di prepararsi al loro arrivo. Il fatto che nessuno li stesse inseguendo era una prova che avvalorava la sua ipotesi.

Una volta al porto, il gurppo si diresse a tutta velocità verso le nave attraccate. L'idea era di impossessarsi con la forza di una di esse, per poi prendere il largo prima che la Marina potesse imperdirglielo. Tuttavia, proprio come il rivoluzionario aveva ipotizzato, erano già state prese delle misure per bloccare la loro fuga.

“Fermateli!” urlò una voce. Subito dopo, centinaia di torce rischiararono le vie tortuose del porto, mentre marines e agenti governativi assalivano da più parti gli schiavi, con l'intento di catturarli.

“Non fermatevi!” urlò Ronac. Con un movimento dello spadone, talmente veloce da essere invisibile ad occhio nudo, creò un fendente di energia che sgominò parte dei nemici, aprendo un varco nel fronte della Marina. “Proseguite verso le navi! È la nostra unica speranza di salvezza!”

Con un urlo furioso, gli schiavi si abbatterono contro i marines, sfogando su di loro anni di soprusi e sofferenze. Tale era la loro collera, e la loro rabbia, che ben presto i nemici furono in rotta, nonostante la superiorità numerica. Presi dall'euforia, alcuni schiavi presero ad inseguirli, con l'intento di ucciderli tutti.

“Lasciateli perdere!” ululò Ronac, mentre eliminava un marine che gli bloccava la strada. Dietro di lui, lo seguiva Valencien, sgomenta per lo spettacolo a cui aveva appena assistito. “Andate alle navi! Questa è la nostra occasione!”

Corsero. Corsero con tutto il fiato che avevano, consapevoli che il loro destino si sarebbe deciso in quei pochi istanti: vita o morte, libertà o schiavitù. Le navi erano lì, davanti a loro, la loro salvezza da quell'incubo durato troppi anni.

Ma i loro nemici non sembravano volerli lasciare scappare troppo facilmente.

Davanti a loro, infatti, erano disposti tutti gli uomini di stanza alla “Porta del Paradiso”, in assetto di guerra, e pronti a morire per fermarli.

“Caricate i cannoni! Voglio che lasciate solo cadaveri ardenti di quei ribelli!” urlò la voce di un ufficiale da dietro le linee.

“Pronti al combattimento!” dichiarò Ronac, mettendosi in testa alla colonna di disperati che stava guidando allo scontro. “Prepararsi a morire con onore!”

“Ronac!” urlò Valencien, afferrandogli la mano. “Cosa stai facendo?! È pericoloso!”

Lui gli sorrise, ricambiando la stretta.

“Faremo vedere a questa gente che preferiamo morire in piedi, piuttosto che vivere in ginocchio!” dichiarò, la voce pacata ma dura come l'acciaio. “Resta indietro Valencien, ci metteremo un po'.”

E lasciandole la mano, caricò i nemici, subito seguito dagli schiavi liberati. Urla roche si levarono dai due schieramenti, mentre i cannoni risuonavano, il tutto sotto lo sguardo sconvolto della ragazza, che non aveva mai visto una simile crudeltà prima d'ora.

E' questa...la guerra?

 

 

“Lasciatemi! È un ordine!” urlò Terezon, mentre si divincolava tra le mani dei due uomini in nero. Immediatamente, questi ultimi lo liberarono, lasciandolo solo con la sua rabbia nel corridoio.

Solo...sono solo.

Il pensiero lo sconvolgeva. Aveva appena perso entrambi i genitori, ma se la morte di suo padre l'aveva lasciato indifferente, quella di sua madre lo riempiva di un furore immenso, impossibile da placare. Era stata lei a proteggerlo, a coccolarlo, a guidarlo, ad insegnarli come un vero Drago Celeste deve comportarsi. Orgoglioso e fiero, sempre pronto a prendersi ciò che vuole, come era giusto che fosse.

La pagheranno... pensò, mentre stringeva i pugni fino a conficcarsi le unghie nella carne. Lo giuro, moriranno tutti per averti ucciso...madre!

“Guardie!” urlò con voce stridula. “Guardie! Venite subito qui!”

Immediatamente, gli uomini vestiti di nero di prima ritornarono, inginocchiandosi di fronte a lui.

“Ci avete convocato?”

“Dov'è mia sorella?” domandò Terezon, il respiro reso affannoso dalla rabbia. “L'avete trovata?!”

“Purtroppo no. Sospettiamo che sia insieme agli schiavi che cercano di sfondare le nostre linee giù al porto.”

Non appena sentì quelle parole, il ragazzo ebbe una scarica di rabbia che gli pervase tutto il corpo. Sua sorella, quella maledetta strega, aveva ucciso sua madre, ed ora stava tentando di scappare. Per lui era praticamente pari ad una confessione.

Solo gli assassini scappano.

“Guardie!” ordinò, la voce sempre più carica di rabbia. “Voglio che raduniate tutti gli uomini possibili, e che mi portiate giù al porto, subito.”

“Mio Signore...”

“Subito!”

“Potrebbe essere pericolo...”

“NON OSARE CONTRADDIRMI!”

I due uomini si guardarono per un secondo in faccia.

“Come desiderate.” rispose uno di loro, infine. “Seguiteci. Manderemo subito dei tecnici a riparare l'ascensore.”

Terezon annuì. La sua anima vibrava di gioia maligna al pensiero che, presto, avrebbe vendicato sua madre. Il pensiero di uccidere, nel modo più lento e doloroso possibile, sua sorella ebbe l'effetto di calmarlo parzialmente.

Presto pagherai per i tuoi crimini, Valencien.

 

 

La battaglia si protasse a lungo. Sempre più schiavi arrivavano dalla Scala dell'Ascensione, desiderosi di libertà, andando ad ingrossare le file dei ribelli. Ma anche la Marina poteva contare su numerosi rinforzi, oltre che su un arsenale decisamente superiore. Ben presto, i moli divennero rossi e viscidi di sangue, mentre i corpi stesi a terra aumentavano ogni minuto che passava. Sotto gli occhi spaventati ed inorriditi di Valencien, Ronac sembrava un dio della guerra. Invincibile, riusciva a sopraffare ogni nemico che gli si parava di fronte, incitando e guidando gli altri, pronto a dare la vita per la libertà.

Perché fa così? Pensò la ragazza, mentre lo vedeva apparire e scomparire nel furore della battaglia. Perché rischia la vita per la libertà degli altri?

Era un atteggiamento così altruistico che per lei, cresciuta nella società egoistica per eccellenza, le pareva impossibile che esistesse. Gente disposta a morire con così tanta facilità per gli altri.

Il mondo...non è come me lo immaginavo.

In quell'istante, un'immensa esplosione risuonò nell'aria, facendo spaventare la bionda, che corse a nascondersi dietro un muro. Una cannonata della Marina aveva raggiunto un deposito di armi, uccidendo decine di persone di entrambi gli schieramenti.

“Ronac!” urlò la ragazza, balzando fuori non appena l'esplosione si interruppe. “Ronac, dove sei?!”

“Sono qui!” urlò il ragazzo, emergendo fuori dal fumo, il volto sporco di sangue, non suo, come si accorse un istante dopo lei. “Forza, andiamo! La Marina si sta ritirando, forse abbiamo una possibilità.”

Valencien sorrise, felice di sapere che c'è l'avrebbero fatta. Scattò verso il ragazzo che amava, convinta che presto si sarebbe creata una nuova vita insieme a lui.

Tuttavia, in quell'istante, risuono uno sparò. Con un urlo di dolore, Ronac cadde a terra, toccandosi la coscia destra.

“Ronac!” urlò la ragazza, correndo al suo fianco. “Ronac!”

“Va tutto bene...è solo...un graffio.” ansimò lui, mentre alcuni schiavi correvano attorno a lui, per proteggere il loro capo. In quell'istante però, alcune figure vestite di nero emersero dalle fiamme dell'incendio, assalendoli e dando vita ad un nuovo scontro.

“Pensi di farcela ad alzarti?” gli domandò lei, mentre cercava di sollevarlo. Prima che lui potesse rispondere, un nuovo sparo gli sfiorò, costringendoli a voltarsi.

Davanti a loro, con una pistola in mano, c'era Terezon.

“Terezon!” urlò Valencien, incredula di vederlò lì. “Ma cosa...”

“Finalmente, pagherai per le tue colpe!” ululò lui. Aveva gli occhi fuori dalle orbite, ed un sorriso folle di rabbia in volto. “Mi hai strappato la persona a me più cara...pensavi di potertela cavare così facilmente?”

“Cosa stai facendo?” domandò la ragazza, mettendosi davanti a Ronac, facendogli da scudo. Il ragazzo provò a protestare, ma lei non gli diede ascolto.

“Dunque è così? Quello schiavo per te vale più di mia madre?!” urlò Terezon. La mano che reggeva l'arma tremava impercettibilmente. “Da quanto stavi archittettando tutto questo? Hai rivoltato queste bestie solo per ferirmi, vero?!”

“Stai delirando!” replicò lei. Aveva una fottuta paura, ma non avrebbe permesso a suo fratello di fare del male all'uomo che amava. “Siete stati te e tua madre a cercare di uccidermi. Avete ucciso voi mio padre, avete solo pagato lo scotto delle vostre azioni.”

“Menti!” urlò lui, il sorriso delirante sempre più marcato. Era inquietante vedere un ragazzo così giovane con un'espressione adulta in volto. “Menti...io e mamma eravano nel giusto...siete stati voi, tu e quello schifoso schiavo a rovinare tutto...ed ora la pagherai!”

Premette il grilletto. Nello stesso istante accaddero molte cose.

Valencien si sentì afferrare per le spalle, venendo spinta a terra. Cadendo, vide Ronac, in piedi, che incassava uno dopo l'altro i proiettili che suo fratello sparava con cieca collera. Rimase immobile, incapace di muoversi dall'orrore, mentre vedeva il volto impassibile del moro tremare ad ogni colpo subito.

Poi, una volta che la pistola fu scarica, Terezon la abbassò lentamente, con il fiato corto, osservando il corpo di Ronac in piedi, immobile, davanti a lui, che lo fissava con fredda determinazione.

“Ronac!” Valencien si alzò di scatto, sorreggendo il corpo di lui, che crollò di colpo. “Stai bene?! Come va?”

Lui non rispose. Provò ad aprire la bocca, ma tutto quello che uscì dalle sue labbra fu un fiotto di sangue nero. La ragazza tentò di mantenere la calma, ma la vista di tutte quelle ferite la stava mandando nel panico. Quando si guardò le mani e se le ritrovò ricoperte di sangue, alcune lacrime cominciarono ad uscire di forza dai suoi occhi, come se dentro di sé sapesse già come sarebbe andata a finire.

“No...” singhiozzò. “No! Non puoi morire, Ronac! Me l'avevi promesso! Me l'avevi promesso...” scoppiò in un pianto nervoso, appoggiando la testa sul suo petto martoriato. Sentendo il respiro di lui affievolirsi ogni secondo di più.

Una risata squarciò l'aria. Terezon aveva portato la testa all'indietro, scoppiando a ridere, una risata folle, cattiva, pregna di maligna soddisfazione.

Valencien alzò la testa, sentendo dentro di sé lo stesso odio che aveva provato alla vista del cadavere di suo padre. Ma questa volta era molto più forte, più vivo. Lo percepiva dentro le sue vene, come un liquido bollente e violento, che premeva per uscire.

“Terezon...” sibilò, la voce fredda, metallica, colma di una rabbia e di un odio disumani. “Maledetto!”

Il fratellastro la guardò impaurito, tutta la sua gioia di prima sparì di colpo. Gli occhi di lei, da azzurri, divennero improvvisamente dorati, mentre l'aria attorno si caricava di elettricità.

“Non...potrai...mai pagare per questo!” urlò lei, il volto contorto in una smorfia animalesca, che di umano aveva ben poco. Lampi dorati cominciarono ad uscire dal suo corpo, mentre l'aria si scaldava sempre di più. Terezon tentò di scappare, ma prima che potesse muovere solo un passo, Valencien allargò le braccia, dando vita ad una tempesta di fulmini d'oro e d'argento, che investirono l'intero porto, portando distruzione e morte ovunque. Suo fratello venne colpito in piena faccia. Con un ululato di dolore, Terezon si portò le mani al volto, mentre veniva scagliato contro un muro, dove giacque immobile.

E poi finì.

Valencien si ritrovò in ginocchio, sul pavimento di pietra del porto, ormai distrutto ed in preda alle fiamme. Una grande stanchezza prese possesso del suo corpo, mentre la sua mente cercava di capire cosa era accaduto. L'ultimo ricordo che aveva era di Terezon che sparava a Ronac.

Ronac!

Il pensiero di lui ebbe l'effetto di una scarica elettrica. Si girò, osservandolo agonizzare per terra, il respiro irregolare, una pozza rossastra attorno a lui sempre più grande.

“Ronac!” urlò lei, raggiungendolo a fatica. “Ronac...stai bene?”

Lui le sorrise dolcemente, il sorriso dolce che lei conosceva ed amava. A fatica, il moro afferrò il suo spadone, caduto al suo fianco, dandolo alla ragazza.

“Prendi...” sussurrò. “Ti servirà.”

“Non dire sciocchezze!” replicò lei, mentre tentava, inutilmente, di bloccare l'emorragia. “Scapperemo insieme! L'hai promesso!”

“Va...all'arcipelago Sabaody...Grove 18...” proseguì lui, in un fioco sussurro. “lì...c'è una donna...si chiama Kita, è una mia compagna...ti aiuterà.”

“Non me ne vado senza di te!” urlò lei, riprendendo a piangere disperata. “Me l'hai promesso...”

“Devi...” rispose lui, senza smettere di sorridere. “Ricordati...tu...sei molto...di più...di tutti loro...sei...umana, Valencien. Non dimenticarlo mai.”

“Aiuto!” urlò lei, cercando un volto amico in mezzo alle fiamme che divampavano. “Qualcuno ci aiuti! Ronac sta male!”

“Va...Valencien...” proseguì lui, gli occhi ormai spenti. “Non dimenticarti mai...di Ronac...Hirati...e di coloro che oggi...sono morti...per la libert...” la sua voce si spense lentamente, i suoi occhi si piantarono in quelli di lei, mentre la sua mano afferrò quella della ragazza, con la forza della disperazione.

L'ultimo sorriso di quel mondo fu diretto a lei, colei che aveva salvato, raggiungendo il suo scopo.

“RONAC!”

Il soffio di vita fuggì via dalle sue labbra, ponendo così fine all'esistenza del rivoluzionario.

“No! No no no!!!” urlò lei, il volto coperto di lacrime, stringendogli la mano. “Ronac! RONAC!”

Le sue urla attirarono alcuni schiavi. Questi ultimi, vedendo il corpo inerme del loro liberatore, rimasero inorriditi, mentre Valencien urlava tutto il suo dolore, e la sua rabbia, al cielo in fiamme, le lacrime che sgorgavano come un torrente in piena.

“Dobbiamo andarcene di qui!” urlò uno schiavo, il bestione di colore che l'aveva salvata nel salone poche ore prima. “Forza, raccogliete la ragazza ed andiamocene!”

Mani robuste l'afferrarono, staccandola dal corpo del moro, ignorando le sue proteste, e le sue urla. Il volto in lacrime di lei vide, mentre veniva portata via, Ronac venire inghiottito dalle fiamme, scomparendo per sempre.

Non disse nulla, riprendendo a piangere con tutta la forza che aveva. Non smise neanche una volta a bordo della nave rubata dagli schiavi. Il vento soffio con forza nelle vele, allontanandoli dalla Linea Rossa, dalla schiavitù.

In piedi, sulla poppa della nave, Valencien stringeva lo spadone dell'uomo che amava con irragionevole forza, mentre vedeva tutto ciò che conosceva bruciare, diventare cenere, e svanire per sempre.

Ronac...

Una lacrima, l'ennesima, scese dal suo volto, ma questa volta non fu seguita da altre.

Anche le lacrime erano incapaci di manifestare il suo dolore.

Poche ore prima era un Drago Celeste, ora era una fuggitiva.

Un giorno ti vendicherò...te lo giuro.

Non sapeva che quel giuramento l'avrebbe portata oltre i confini degli oceani, oltre i confini della ragione, oltre la follia stessa.

Tutto quello che sapeva era che, un giorno, sarebbe tornata.

E il suo dolore avrebbe creato un mare di sangue, capace di sommergere il mondo intero.

Chiuse gli occhi. Infine, voltò le spalle al suo passato, osservando l'oceano scuro davanti a sé.

Una parte del suo cuore era morta.

Toccava a lei salvare ciò che restava della sua anima.

 

 

CONTINUA

 

Bene, eccomi arrivato alla fine di questo capitolo. Spero che il personaggio di Ronac, seppure comparso per appena due capitoli, sia stato di vostro gradimento. Personalmente posso dire che ci sto mettendo il massimo nel flashback di Kita, un personaggio su cui adoro scrivere. Manca ancora un capitolo alla fine della sua storia, poi si potrà tornare al filone principale.

Come sempre, chiunque voglia lasciarmi un pensiero sul capitolo è ben accetto. :)

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 12
*** Kita Hirati ***


Capitolo 12

 

Sabaody.

Valencien osservava l'arcipelago che si stendeva di fronte a lei, coperto da una fitta nebbia, come una gigantesca ragnatela. Faceva freddo, e la ragazza si strinse la leggera veste da notte che ancora indossava, mentre la nave dei fuggitivi si avvicinava con circospezione alle gigantesche mangrovie.

“Non possiamo fermarci per molto.” borbottò il gigantesco schiavo di colore che, dopo la morte di Ronac, aveva preso il comando degli schiavi. Alla ragazza tutto questo non le importava. Da quando erano fuggiti da Marijoa, due giorni prima, si era accesa una discussione a bordo riguardo la rotta da tracciare. Alcuni proponevano il Nuovo Mondo, altri l'abbandono della Grand Line, altri ancora non preferivano nessuna meta in particolare, giacché ai loro occhi nessun posto era abbastanza sicuro per dei ricercati come loro. Alla fine, tra lo sconcerto generale, era stato Ruirok, lo schiavo di colore, che si era imposto, decidendo di fare rotta per Sabaody. Appena venne proposta la rotta per l'arcipelago, un coro di voci infuriate si era levato contro di lui.

“L'arcipelago pullula di marines ed agenti governativi! Sarebbe un suicidio andarci!”

“Dobbiamo scappare dai Draghi Celesti, non finire in bocca dei loro cani!”

“Cosa diavolo ti è passato in testa, Ruirok? Sei forse impazzito?!”

“Silenzio!” ruggì l'energumeno. Con un cenno della testa, il colosso indicò Valencien, che fissava il mare a prua. “Abbiamo un passeggero da scaricare. Lo faremo a Sabaody, e poi prenderemo la via più breve per raggiungere Baltigo.”

“Il Drago Celeste? Davvero fuori fare un favore a quella dannata schiavista? Ammazziamola e finiamola qui!

“Giusto! Anzi, perché non la teniamo come ostaggio? Potrebbe esserci utile per evitare la cattura.”

“Non faremo niente di tutto questo!” ululò Ruirok, abbattendo il proprio pugno sul tavolo davanti a sé, e zittendo così gli altri. “Non ho intenzione di portarmi appresso quella mocciosa, quindi la molliamo a Sabaody, e poi andiamo a Baltigo.”

“Perché proprio Baltigo? Chi ci dice che i rivoluzionari ci aiuteranno?”

“Perché è stato un loro agente a liberarci!” grugnì l'uomo di colore. “E perché per degli ex schiavi come noi l'unico posto sicuro è l'Armata Rivoluzionaria. Senza contare che non ho nessuna intenzione di lasciar perdere il conto in sospeso che ho con il Governo Mondiale. Mi hanno rubato dieci anni della mia vita, ed intendo fargliela pagare. Se qualcuno ha voglia di farsi catturare faccia pure, ma lo farà soltanto dopo che sarò sbarcato a Baltigo.”

Dopo quella spiegazione, nessuno ebbe il coraggio di contraddire il volere di Ruirok. Pertanto, con il vento che soffiava a loro favore, presero la rotta per Sabaody, consapevoli però che il rischio di venire catturati era terribilmente concreto.

“Lo so.” replicò freddamente la bionda, stringendo con forza la spada di Ronac. “Mi basterà che mi portiate al Grove 18, poi potrete subito ripartire.”

“Sai perché ti sto facendo questo favore, Drago Celeste?” disse Ruirok, mentre guardava con freddezza la giovane.

“Non mi interessa poi molto.”

“Me lo aveva chiesto lui.” proseguì l'ex schiavo, sorprendendo la ragazza, che si girò a fissarlo. “Mi aveva detto che, nel caso fosse morto, avrei dovuto portarti a Sabaody.”

Lei non disse nulla, tornando a fissare il mare nebbioso davanti a loro, mentre il ricordo di lui le straziava l'anima.

Ronac...

“Non eri tenuto a farlo.” disse infine, con voce monocorde, la ragazza.

“Lui mi ha liberato. Sarò stato anche un criminale, prima di diventare uno schiavo, ma ho ancora il mio onore.” disse lui. “Mi auguro che tu abbia un posto dove andare.”

“C'è l'ho.” replicò freddamente. Desiderò con tutte le forze che quella conversazione terminasse, e forse Ruirok lo comprese, dato che, senza aggiungere altro, se ne tornò a poppa della nave, dando le ultime istruizioni ai suoi compagni.

La ragazza strinse con forza l'elsa dello spadone, avvertendo sotto il palmo della mano il cuoio ruvido, mentre sentiva dentro di sé una rabbia ed un odio immensi divampare senza sosta.

Un giorno ti vendicherò...lo giuro.

 

 

Valencien osservava, titubante, la porta di robusto legno che aveva davanti a sé, chiedendosi se fosse veramente dietro quella porta la persona che l'avrebbe aiutata a ricostruirsi una vita.

Forse non si trova più qui sull'arcipelago...

Non era stato facile, dopo essere stata sbarcata, trovare indicazioni su questa Kita. Anche perchè il suo aspetto non invogliava i passanti a darle una mano: scalza, sporca, infreddolita, con gli abiti insanguinati ed uno spadone che maneggiava goffamente tra le mani. Abituata ad essere servita e riverita in tutto, la ragazza aveva trovato molta fatica a rivolgersi agli altri in modo da non attirare attenzioni indesiderate. Alla fine un uomo, forse impietosito dalle sue condizioni, le aveva indicato un'anonima abitazione, dove la ragazza si era subito diretta, desideriosa di qualcosa di caldo da mangiare e di un conforto umano.

Forse mi sto illudendo...pensò, mentre osservava la porta, intimorita. Non ho prove certe che posso darle. Come farò a convincerla a darmi aiuto?

Non aveva risposte corrette, ne sarebbe cambiato molto rimanendo lì al freddo. Alla fine, facendo un profondo respiro, la ragazza bussò tre colpi abbastanza decisi alla porta.

Ci mise alcuni istanti ad aprire qualcuno. Ciò che si trovò davanti la giovane fu una donna alta, sui venticinque anni, che la fissava con penetranti occhi neri. Aveva i capelli di un viola elettrico, a caschetto, un fisico longilineo ed atletico, ricoperto da un pantalone scuro ed un maglione bianco, mentre ai piedi indossava un paio di stivali di pelle marrone.

“S-sei Kita?” chiese Valencien, facendo un profondo respiro per calmarsi.

La donna non rispose, fissando l'arma che la ragazza stringeva al petto. Poi, senza dire una parola, l'afferrò per una spalla e la spinse dentro con sorprendente forza.

“Ma cosa...” la giovane fu sorpresa di quella mossa, mentre il suo corpo infreddolito veniva investito da una provvidenziale ondata di tepore.

“L'ingresso non è il posto più adatto a parlare.” dichiarò l'altra, mentre trascinava di forza la bionda di fronte ad un caldo fuoco. Una volta seduta di fronte a quest'ultimo, l'altra andò a recuperare una coperta, che mise sulle spalle della giovane.

“Ti ringrazio...” dichiarò esitante la bionda. Non aveva mai ringraziato nessuno prima di allora, ad eccezione di Ronac, ma con lui era stato facile aprire i propri sentimenti. Con quella donna sbrigativa e dai modi spicci era chiaramente in imbarazzo.

“Allora...” esclamò quest'ultima, sedendosi di fronte a lei, una sigaretta stretta nelle labbra. “Hai fame?”

Non ci fu bisogno che Valencien rispondesse, dato che proprio in quell'istante il suo stomaco brontolò rumorosamente. Di fronte a quel rumore, l'altra sfoderò un sorriso molto materno, mentre si rialzò subito.

“Stai lì a scaldarti, mentre ti preparo qualcosa.” e senza aggiungere altro scomparve dalla stanza, permettendo alla ragazza di guardarsi intorno.

La casa della donna non sembrava nulla di particolare: una stanza curata e pulita, con un grande camino a riscaldare l'ambiente, ed il mobilio strettamente necessario. Difficile pensare che fosse la casa di un agente rivoluzionario.

Stupida...cosa pensavi che fosse? Un'armeria piena di armi e progetti segreti per la conquista del mondo? È ovvio che non vuole attirare l'attenzione.

Non sapeva che pensare dei rivoluzionari. Aveva sempre sentito parlare di loro come di mostri assetati di sangue, che combattevano solo per il gusto di far precipitare il mondo nell'anarchia, ma l'aver conosciuto Ronac, che aveva sacrificato la sua vita senza pensarci due volte per la libertà degli altri, aveva incrinato profondamente le sue idee in proposito. Ed ora era nella casa di uno di loro.

Circa dieci minuti dopo, quando ormai aveva riacquistato sensibilità in ogni parte del corpo, la donna tornò con un piatto fumante di zuppa di verdure. Sarà stata la fame, ma a Valencien sembrò la cosa più buona che avesse mai mangiato. Mangiò con furia animalesca, mentre la donna si sedeva di fronte a lei, fissandola con sguardo penetrante.

“Dunque, immagino che avrai delle domande da farmi.” esordì quest'ultima, una volta che la bionda terminò il pasto.

Nonostante si fosse preparata a quella conversazione, Valencien non riuscì a dire nulla se non una cosa.

“I tuoi capelli sono naturali?”

Lei la fissò per una decina di secondi, prima di scoppiare in una roca risata.

“Sei proprio una donna, vero?” replicò, un sorriso stampato sulle labbra. “Comunque no, sono tinti. Ma non ti dirò il mio vero colore di capelli, è un segreto femminile.”

L'altra annuì.

“Sei tu Kita?” domandò subito dopo, cercando di togliersi quel dubbio dalla mente.

“Sì, sono io. Kita Gomuro, agente rivoluzionario al tuo servizio.” rispose l'altra, facendo un ironico inchino con la testa. “Vedo che ti manda Ronac.”

“Co-come hai fatto a...”

“A capirlo? Ho visto quella spada milioni di volte in mano a Ronac, e la riconoscerei tra migliaia. E se ora ce l'hai tu, c'è solo una spiegazioni possibile...”

“Ronac è morto.” dichiarò con voce monocorde la bionda, avvertendo una fitta di dolore dentro al cuore al solo pensiero di lui.

Kita sospirò, scuotendo la testa.

“Me l'ho aspettavo. Da quando aveva deciso di compiere questa missione, sapevo che le probabilità che non tornasse erano molto alte. Il solo pensiero che lui non sia più qui mi riempie di tristezza.”

“Eravate...legati?” domandò la giovane.

Gli occhi scuri dell'altra la misero a disagio.

“Solo come possono esserlo due persone che rischiano la morte fianco a fianco da tanto, troppo tempo.” spiegò l'altra. “Eravamo pirati sulla stessa nave. Poi, quando venimmo catturati e successivamente liberati dai rivoluzionari, fu lui a convincermi ad unirmi a loro. Era un ragazzo incredibilmente abile e sincero, benvoluto da ogni suo compagno, ma in battaglia diventava spietato, come un vero pirata...credo che mi mancherà.”

“Mi dispiace.” esordì Valencien, sentendosi a disagio nel comprendere quanto Ronac e quella donna fossero stati legati, molto più che con lei. “Non sono riuscita a salvarlo.”

“Non credo che lui l'avrebbe voluto. Se ti ha lasciato quell'arma, è perché si fidava di te più di chiunque altro. Era il suo tesoro più grande, la cosa a cui teneva più al mondo.” Kita si accese una sigaretta, aspirando con forza il tabacco. “E comunque, mi aspettavo che qualche fuggiasco venisse qui.”

“In che senso?”

“Il mio compito è quello di accudire eventuali fuggiaschi ritardari, mentre Ronac avrebbe scortato gli altri di persona a Baltigo.”

“Sono partiti lo stesso verso questa...Baltigo.” spiegò la ragazza. “Riusciranno a trovarla?”

“Penso di sì. Ronac aveva con sé una vivre card che conduceva a Baltigo. Se l'ha data a qualcuno degli schiavi prima di morire, non dovrebbero avere problemi a raggiungere quell'isola.”

“E che ne sarà ora...di me?” domandò infine la bionda.

Kita gli pianto gli occhi addosso, mettendola sempre più a disagio.

“Questo devi dirmelo tu...Valencien Donquixote.”

Accadde tutto in pochi attimi. Valencien tentò di alzarsi, ma la rivoluzionaria, con una mossa fulminea, la bloccò, costringendola a restare seduta.

“Lasciami!” ringhiò la bionda, con fare autorevole.

“Stai calma.” replicò freddamente Kita. “Non ho intenzione di farti del male.”

“Perché non dovresti? Sono un Nobile Mondiale, un tuo nemico.”

“Il mio nemico è il Governo Mondiale.” dichiarò la donna. “Se Ronac ti ha detto di venire qui, avrà avuto le sue motivazione. Dimmi quello che sai!”

L'altra la fissò con ostilità. Tuttavia, consapevole di non avere possibilità di sopravvivere senza l'aiuto dell'altra, accettò di parlare.

“Mio fratello ha tentato di uccidermi, dopo aver ucciso mio padre. Ronac mi ha salvato, ma durante la fuga...” la bionda non riuscì a terminare. Il ricordo era ancora troppo fresco per non fare male.

“Che legame c'era tra voi?” chiese la donna.

“All'inizio nessuno, era il mio schiavo e basta. Ma con il tempo eravamo diventati...” non ebbe il coraggio di dire cosa aveva provato veramente per lui. “Eravamo...amici.”

Kita la fissò con fare impassibile. Poi si alzò, dirigendosi verso l'interno della casa. Prima di uscire dall'ambiente, la rivoluzionaria si girò, fissando negli occhi la ragazza.

“Ronac ha creduto in te, nonostante le tue origini. Ha voluto vederci una persona al posto di un mostro.” dichiarò con voce bassa. “Non sprecare il suo sacrificio.”

“Tra qualche tempo lascerò questo arcipelago, tornando a Baltigo. Puoi scegliere se restare con me, o cercare la tua strada con le tue forze. A te la scelta.”

E senza aggiungere altro se ne andò, lasciando la giovane sola con i suoi pensieri.

 

 

Valencien rimase. Non aveva nessuno al mondo, a parte quel flebile legame con Kita. Se fosse andata via sarebbe morta, lo sapeva. Il suo istinto le consigliò quindi di rimanere con quella donna sbrigativa e sicura di sé.

La loro convivenza all'inizio non fu facile. Valencien non era capace di fare nulla, e questo le donava una sensazione di incapacità che la rendeva irascibile. Kita cominciò ad insegnarle i rudimenti necessari a vivere, come cucinare, sapersi fare un abito, i rudimenti del pronto soccorsi ed orientarsi con le stelle, ma i loro caratteri si scontrarono più di una volta, e non erano rari i litigi.

“Sei solo una bamboccia viziata! Mi domando cosa perdo tempo a fare con una come te!” sbottava spesso la donna, quando vedeva la ragazza mollare dopo qualche fallimento.

Normalmente, la bionda rispondeva a tono, dando vita a litigi colossali che terminavano solo dopo ore.

Tuttavia, con il passare dei giorni, il loro rapporto si armonizzò. Kita comprese che per quella ragazza non era facile immergersi in un mondo completamente nuovo e sconosciuto, e cominciò ad essere più paziente. Anche Valencien capì che doveva mostrare più buona volontà, ed addolcì i toni.

Nelle settimane successive, la ragazza cambiò il proprio aspetto: si tagliò i capelli, tenendoli ad altezza delle spalle, e prese a vestirsi come Kita, con pantaloni e stivali. La donna divenne per lei la madre, o la sorella maggiore, che non aveva mai avuto, istruendola su come funzionava il mondo reale, quella realta multietnica e dinamica che i Draghi Celesti disprezzavano e chiamavano 'discarica'.

“La vera discarica è Marijoa. È un mondo ipocrita, dove la ricchezza esterna è fredda ed inutile, e gli abitanti sono poveri di emozioni, capaci di provare solo odio e disprezzo.” le diceva sempre Kita, una sigaretta sempre stretta tra le labbra. “Il mondo è un posto meraviglioso Valencien...imparerai ad amarlo.”

Nonostante i progressi, la ragazza a volte cadeva preda dei vecchi fantasmi. Si chiudeva in sé stessa, mentre le immagini della morte di suo padre e di Ronac le sconvolgevano la mente, riempiendola di un odio immane, e dandole l'idea di essere completamente sola.

“Che problema c'è, micia?” le diceva in quei casi Kita, osservandola con i suoi occhi penetranti.

“Lasciami stare, Kita! Non puoi capire...nessuno lo può fare.” le rispondeva sempre l'altra, irritata per quel nomignolo sarcastico che la viola le aveva affibbiato.

“Come vuoi...” replicava la rivoluzionaria, scrollando le spalle. “Se hai bisogno di me, sono di là.”

Dopo tre settimane di 'addestramento', Valencien era completamente cambiata. Il suo modo di vedere, di pensare il mondo erano mutati, ed anche i suoi modi di fare, molto più sicuri e sbrigativi, testimoniavano l'istruzione di Kita. Tuttavia, nonostante più volte la bionda avesse visto la donna maneggiare spade, pistole e pugnali, anche se solo per manutenzione, quest'ultima non le aveva ancora messo un'arma in mano.

“Kita?”

“Sì, micia?”

“Quando mi addestrerai a combattere?” le chiese la ragazza una sera, mentre cenavano.

La rivoluzionaria la guardò di sottecchi, poi appoggiò il cucchiaio, sospirando.

“Cosa intendi per combattere? Vuoi imparare a difenderti?”

“Voglio imparare ad uccidere.” disse l'altra con voce monocorde.

Gli occhi scuri di Kita brillarono con fare macabro.

“Tuo fratello, eh?” osservò, riprendendo a mangiare. “Tu vuoi vendetta.” non era una domanda la sua.

“Sì!” confermo l'altra con veemenza.

“Non sei ancora pronta per questo.” replicò la viola, guardandola con fare materno. “Prima devi guarire.”

“Io sto bene.”

“Non parlavo delle ferite del corpo, ma di quelle della mente.” disse la donna più anziana. “Quando vorrai prendere in mano un'arma per più di mera vendetta, ti addestrerò.”

Valencien la guardò male, ma scelse di non proseguire la discussione. Sapeva bene che Kita non avrebbe mai cambiato idea, qualsiasi cosa avrebbe detto o fatto.

Nei giorni successivi, nessuna delle due tirò fuori l'argomento, ma Kita non pulì più le sue armi in presenza dell'altra.

Nonostante le parole di Kita, all'inizio della loro convivenza, non partirono per Baltigo. La rivoluzionaria con il passare dei giorni diventava sempre più inquieta. Non era insolito per Valencien vederla fumare con fare nervoso davanti alla porta di casa, come se si aspettasse l'arrivo di qualcuno da un momento all'altro.

“C'è qualche problema?” le chiese una sera, in cui la vedeva più tesa del solito. Di fronte a quella domanda, la viola fece un sorriso sghembo, più simile ad una smorfia.

“Nessun problema, micia...nessuno.” dichiarò.

“Stai mentendo.” replicò, con voce pacata, la bionda. “E' palese.”

“Ed anche se fosse?” sbottò la donna, alzandosi da tavola. “Non sono tenuta a dirti tutto...non sei l'unica ad avere brutti ricordi.”

E se ne andò a dormire, lasciando la ragazza confusa e perplessa.

Il giorno dopo Kita sembrò più rilassata. Nessuna delle due menzionò il discorso della sera prima, e l'atmosfera nella piccola casetta ritornò quella di sempre.

In quei giorni, Valencien comprese come Kita riuscisse a guadagnare i soldi necessari per vivere, oltre al fatto del perché fosse così nervosa: era una cacciatrice di taglie. Sabaody era un arcipelago che richiamava centinaia di criminali, di ogni categoria e specie. Per una donna decisa, furba ed attenta come la rivoluzionaria, non era difficile tirare su qualche soldo, ed allo stesso tempo crearsi un'ottima copertura dagli occhi indiscreti.

“Non è...pericoloso?” le chiese la bionda un giorno, vedendola tornare con un pacco di banconote.

“Tutto sta nel conoscere te stesso e le tue forze.” spiegò l'altra, mentre riponeva il fucile in un armadio a muro della propria stanza. “Se conosci i tuoi limiti, sarà per te più facile capire quali pirati puoi sconfiggere, e quali no.”

“Ne hai sconfitti molti?”

“Da quando sono qui a Sabaody non più di tre o quattro. Anche se credo che d'ora in avanti, dovendo sfamare anche te, dovrò fare gli straordinari.” scherzò l'altra.

“Non sei divertente!” sbottò la bionda, mettendo il broncio. Per tutta risposta, Kita scoppiò a ridere, afferrandola, ed abbracciandola forte.

“Ahi! Lasciami Kita! Mi fai male!”

“Che micia musona!” osservò la viola, lasciandola andare, e ridacchiando quando vide l'espressione di lei. “Goditi la vita, Valencien. Perché è un dono meraviglioso!”

E se ne andò di là, lasciando la giovane perplessa ma, nel fondo del suo cuore, felice dell'affetto che si era instaurato tra lei e quella donna così strana.

E' questa la vita...Ronac?

 

 

Kita non agiva da sola. Da quando risiedeva nell'arcipelago si era fatta due amiche, che l'aiutavano a scovare i criminali con le taglie più convenienti. Un giorno anche Valencien, molto recalcitrante all'idea di farsi vedere in giro, andò con Kita, sotto insistenza di quest'ultima.

“Prendere un po' d'aria ti farà bene, così come conoscere persone nuove.”

“Io sto bene.” replicò la bionda, osservando la gente intorno a lei con un leggero nervosismo. Non sapeva dirsi il perché, ma aveva il terrore che qualcuno la riconoscesse. Quando la rivoluzionaria vide che si gettava occhiate attorno continuamente, le mise un braccio attorno alle spalle con fare protettivo.

“Stai tranquilla.” le disse. “Nessuno potrebbe immaginare che questa micia spaurita un tempo era...”

“Non dirlo!” la interruppe l'altra, con tono spaventato. “Non voglio sentire quella parola.”

Kita non aprì più bocca, ma il suo sorriso si era incrinato, come se la paura della sua figlioccia l'avesse contagiata.

“Non potrai sempre scappare, micia.” sussurrò. “Purtroppo il destino non agisce così.”

 

 

Valencien squadrò scettica gli interni consunti del 'Bar Tispenno', osservando i pochi clienti fissarla con lasciva curiosità.

In che razza di posto sono finita?

Vedendo il suo disagio, Kita piantò i propri occhi in ognuno degli avventori del locale i quali, uno dopo l'altro, abbassarono gli occhi, impauriti sotto quello sguardo feroce.

“Andiamo nel retro.” disse, spingendo avanti la bionda. “Qui c'è troppa puzza.” esclamò sprezzante.

Il retro del locale era decisamente meglio illuminato ed arredato. Le uniche persone presenti erano due donne, una mora ed una rossa, che parlavano tra loro, sorridendo allegramente. Le due tuttavia, smisero di colpo non appena videro entra Kita e Valencien.

“Kita! Era da parecchio che non venivi a trovarci! Iniziavamo a preoccuparci!” esclamò Nami, sollevando una mano.

“Preoccupate? E di cosa? Io sto bene, lo sai.” replicò la viola, sfoderando un sorriso ironico.

La mora, una donna sensuale di nome Shaky, non disse nulla, limitandosi a piantare i propri penetranti occhi addosso alla bionda.

“Dunque è lei...Donquixote Valencien...” sussurrò, accendendosi una sigaretta.

La ragazza si sentì a disagio sotto quello sguardo, ma Kita la fece sedere, sorridendole.

“Già...il Drago Celeste che ha provato i sentimenti degli uomini.” spiegò ironica quest'ultima, sedendosi al suo fianco.

“Affascinante.” osservò Nami, sorridendo con fare materno alla ragazza. “Non avere paura...non ti mangiamo mica!”

Lei annuì, ma non aprì bocca. Non si trovava bene a contatto con quelle donne così diverse da lei, ed era palese.

“Gradisci da bere qualcosa?” le domandò Shaky. “Il frigo è pieno di tutto, prendi pure quello che preferisci. Qui sei a casa.”

“Grazie.” borbottò la giovane, desideriosa di allontanarsi da quelle donne tatuate e così sicure di sé.

Il pomeriggio passò lento, Kita e le altre parlarono all'inizio di affari, passando alla rivoluzionaria le informazioni necessarie per una nuova cattura. Poi, una volta sbrigate le faccende, si toccarono altri argomenti.

“Allora Kita, quando pensi di lasciarci?” le domandò Nami.

“Non lo so ancora.” rispose la viola. “Da una parte qui non ho più nulla da fare, ma d'altra parte...” il suo sguardo in direzione di Valencien, seduta dall'altra parte della stanza, era palese.

“Capisco...hai paura per lei?” sussurrò Shaky, soffiando fumo dalle narici.

“Di ciò che potrebbero farle.” spiegò Kita. “E' vero che l'Armata non fa mai distinzioni tra le persone, ma sarebbe capace di accettare tra sue file un Drago Celeste? Qualcuno che viene dalla categoria più odiata al mondo? Tremo all'idea di cosa le farebbero gente come Bellamy o Neyna...non la ucciderebbero, ma di sicuro le renderebbero la vita un inferno.”

“Non sei un po' pessimista? In fondo, non fate dell'uguaglianza la vostra forza?” le chiese Nami.

“Forse...ma lei è...” gli occhi della donna divennero tristi. “E' tutto ciò che resta della volontà di Ronac su questo mondo. Le sono affezionata...forse troppo. E ho paura per il suo futuro.”

“Non potrai proteggerla per sempre.” le parole della barista ebbero l'effetto di una coltellata nel cuore della rivoluzionaria. “Ci sono forze a questo mondo, dalle quali tu non potrai mai proteggerla.”

“Lo so...”

“Un giorno dovrà camminare da sola, è inevitabile.”

“Lo so!” sbottò l'altra. “Non voglio parlare di lei, ok? Cambiamo argomento!”

Le altre due non insisterono. Quello che nessuna di loro tre sapeva era che, nonostante le loro parole fossero state poco più di un sussurro, Valencien aveva udito tutto.

Kita...davvero sono così importante per te? Perché? Solo per il mio legame con Ronac? E quale era il vostro?

 

“Kita...posso dirti una cosa?” le parole della bionda ruppero il silenzio che si era creato tra loro da quando erano tornate a casa.

La donna la guardò, sorridendo con fare materno.

“Cosa c'è?”

Valencien si vergognò. Non era brava a mostrare i propri sentimenti, ma le parole che aveva udito quel pomeriggio l'avevano scossa, più di quanto volesse ammettere.

Agì d'istinto. Con una mossa fulminea, abbracciò la donna, stringendola forte, ed affondando la faccia nel petto di lei.

“Grazie...per tutto.” sussurrò.

Kita sorrise, ricambiando l'abbraccio.

“Anche io ti voglio bene, micia.” sussurrò.

 

 

Tre giorni dopo, Kita e Valencien stavano tornando a casa dal mercato del pesce, con in un sacchetto il pranzo per quel giorno. Era una bella giornata, con il sole che scaldava loro le spalle, ed una brezza leggera che le baciava in volto.

“Allora, pronta ad ingozzarti, micia?” le chiese la viola

“Smettila con questo soprannome!” replicò la ragazza, trattenendo a stento un sorriso.

“Non mi pare che ti dispiace poi tanto...micia!” proseguì l'altra, scoppiando a ridere quando vide l'espressione della bionda, un misto tra il divertito e l'offeso.

“Onestamente, non capisco come ti possa divertire così tanto a chiamarmi mi...” Valencien non riuscì a terminare la frase perché Kita, con una mossa fulminea, l'aveva afferrata per una spalla e spinta in ginocchio.

“Cosa...” la giovane, seguendo lo sguardo della viola, vide ciò che non avrebbe mai voluto vedere.

Suo fratello.

Era bendato su un occhio, e camminava con sicurezza, circondato da guardie armate di tutto punto, mentre la gente si inginocchiava al suo passaggio.

“Stai calma...” le sussurrò ad un orecchio Kita. “Abbassa la testa, e vedrai che andrà tutto bene.”

“E'...è lui...” sussurrò la bionda, cominciando a tremare. “E' mio fratello...”

“Muovetevi!” sbraitò Terezon, di pessimo umore. “Non voglio fare tardi all'asta, solo perché quegli schiavi sono troppo lenti e stupidi.” dichiarò, indicando i suoi nuovi acquisti in fondo alla colonna.

“Lui non sa che sei qui.” mormorò Kita. “Andrà tutto bene...non ti riconoscerà mai.”

Valencien chinò il capo, il cuore che batteva a mille, mentre percepiva i passi di suo fratello avvicinarsi sempre di più a loro.

“Sta venendo qui!” bisbigliò, la voce tremante. “Sta venendo qui...”

“Calmati!” la redarguì l'altra. “Non fare mosse azzardate. Lascialo andare per la sua strada.”

Tuttavia, con sommo terrore di Valencien, Terezon, una volta arrivato davanti a loro, si bloccò di colpo.

Perché? Perché proprio qui, dannato? PERCHE'?

Kita le strinse la mano, nel tentativo di tranquillizzarla, ma la paura di lei era troppo forte.

Vattene! Pregò con tutta sé stessa, mentre sudava freddo. Vattene, per favore!

“Vostra Santita?” gli chiese una guardia.

“Aspettate.” borbottò il moro, scrutandosi intorno. “C'è qualcosa...che non va...”

Con la paura che diventava dilagante, Valencien comprese subito cosa intendeva suo fratello, e quale sarebbe stato la reazione.

Non farà sul serio...vuole...sparare per noia?!

Era assurdo. Ormai aveva capito quanto fossero viziati e folli i Draghi Celesti, essendoci passata lei stessa, ma non credeva che suo fratello si sarebbe fermato per una simile sciocchezza.

“Vostra Santità...faremo tardi all'asta. Qual è il problema?”

“C'è che mi annoio a camminare e basta!” sbottò Terezon. “Ho bisogno di distrarmi un po'.”

Vattene! Ti scongiuro...fa quello che vuoi, ma fallo lontano da qui! Avanti, cosa ti co...

Uno sparo interruppe il filo dei pensieri della ragazza. Subito seguito da un secondo, un terzo ed infine un quarto.

La mano di Kita tremò impercettibilmente, ma per il resto non ci furono altre reazioni.

“Ora sto meglio.” ridacchiò il nobile. “Forza, andiamo! L'asta inizia tra poco!”

Valencien rimase immobile, la mente paralizzata dalla paura. Sapeva a chi aveva mirato, ed ormai conosceva l'effetto mortale dei Draghi Celesti.

Non di nuovo...ti prego...

Una volta che Terezon fu lontano, la ragazza girò gli occhi verso la viola, pregando con tutta sé stessa di non vedere ciò che temeva.

“Kita...” sussurrò, la voce tremante per la paura.

Un rivolo rosso sfuggì dalle labbra di lei, tirate in un sorriso strano.

“Sto...ben...” prima che potesse terminare, la donna vomitò un fiotto di sangue nero, cadendo al suolo.

“Kita!” urlando, la bionda la sorresse, mentre la sua mente impazziva per il dolore, rivedendo le stesse immagini di alcune settimane prima.

 

Gli spari, la risata folle di suo fratello, le esplosioni...

E Ronac...Ronac che gli sorrideva, che la salutava...che moriva.

 

No! no! Non di nuovo! NON DI NUOVO!

“K-Kita...” balbettò, mentre le prime lacrime premevano per uscire. “N...non lasciarmi...ti prego...ho bisogno di te!”

La rivoluzionaria sorrise, mentre il suo respiro si faceva irregolare.

“Aiuto! Aiuto! Sta male, qualcuno chiami un medico, vi scongiuro!” la giovane fece per alzarsi, ma Kita la bloccò.

“Lascia stare...” ansimò. “Non...importa. Era...destino...”

“Non dire queste cose, io ti salverò, lo giuro!”

“Sai...” la donna non sembrava aver prestato ascolto alle sue parole. “La prima volta...ti ho mentito...su una cosa.”

“Stai zitta, non affaticarti a parlare.” dichiarò la bionda, mentre cercava di fasciare con il proprio maglione le ferite di lei.

“Gomuro...è un cognome inventato...in realtà mi chiamo...”

“Ti ho detto di non sforzarti.”

“Kita...Hirati.”

Valencien si bloccò, osservando colei che amava come una madre sorriderle tristemente.

“Cosa? Ma...era il cognome di Ronac.” balbettò. “Questo significa che...”

Le labbra della donna si allargarono.

“Sì...eravamo fratello e...sorella.” sussurrò.

La bionda la fissò a bocca aperta, comprendendo solo in quel momento il dolore che la notizia della morte di Ronac aveva causato in Kita.

“Perché non me l'hai detto?” mormorò.

Kita rise.

“Perché non aveva alcun senso. Avevi già fin troppe colpe addosso...non volevo dartene di più.”

“Non importa.” la ragazza terminò di stracciare il maglione, cominciando a bendare le ferite di lei. “Non importa nulla. Ora ti porto da un dottore, così guarirai.”

“Sai...” Kita non la fermò, ma il suoi occhi scuri si stavano spegnendo velocemente. “Tu sei stata...la figlia che avevo sempre desiderato...”

“No!” urlò la giovane. “No, Kita! Maledizione! Non puoi lasciarmi, non puoi!”

“Spero...che avrai...un buon ricordo...di me.” ansimò lei, afferrando la mano di Valencien. “Grazie...di tutto.”

“KITA! NO!” prima che potesse dire altro, il corpo della donna si irrigidì di colpo. Kita fece una smorfia di dolore, sputando fuori altro sangue. Infine, il suo corpo si rilassò, i suoi occhi si spensero, e la vita la abbandonò per sempre.

Silenzio.

Valencien non riusciva a crederci. Fino a pochi minuti fa erano tutte e due vive, felici, spensierate.

Ed ora Kita era morta.

Per uno stupido capriccio di Terezon.

Prese a tremare, mentre il dolore e la rabbia si mescolarono dentro di lei. Un urlo le montò dentro la gola, un grido che non aveva nulla di umano. L'ululato di una bestia ferita e disperata, ricolma di odio e di dolore.

Maledetto...

Non pianse. Non c'erano lacrime capaci di esprimere il suo dolore, la sua disperazione, la sua incapacità di accettare quella morte così ingiusta.

È morta...per un suo capriccio...

L'urlo si spense, mentre strinse il corpo, ancora caldo, della donna, desiderando di poter dare la sua vita per lei.

Non esiste giustizia a questo mondo...la vita è ingiusta.

I suoi occhi divennero freddi come il ghiaccio, mentre l'odio metteva radici sempre più profonde dentro il suo cuore.

Perché devo soffrire solo io? Perché nessun altro prova questo dolore...questo strazio?

Le sue labbra si strinsero, snudando i suoi denti in un ringhio di rabbia.

Morte...morte...MORTE!

La mia vendetta...li prenderà tutti!

 

 

Shaky e Nami non videro Valencien da nessuna parte, una volta recuperato il corpo di Kita. La cercarono ovunque, ma non trovarono nessuna traccia di lei. Sembrava svanita nel nulla.

Due giorni dopo, sotto un cielo plumbeo, ci furono i funerali di Kita, in presenza di poche persone: Shaky, Nami, Rayleigh, Sanji e pochi altri amici di loro quattro. Durante la cerimonia, le due donne si guardarono attorno più volte, nella speranza di poter vedere la ragazza, ma Valencien non apparve.

“Ho paura per lei.” sussurrò Nami, alla fine della cerimonia. “Una ragazza in preda all'odio può compiere gesti insensati.”

La barista scrutò il cielo plumbeo con sguardo tetro.

“Non saranno mai abbastanza insensati...come questa morte.”

 

 

Valencien fissava il suo riflesso nel grande specchio della stanza di Kita. Tornare in quella casa, dove aveva passato tanti momenti felici, era stato terribile, ma ormai era decisa a bere fino in fondo il calice del dolore, per potersene ricordare in eterno.

Osservò i propri occhi azzurri. Non ci vide nessuna luce, nessun sentimento. Erano vuoti, come l'odio che divampava dentro di lei.

È morta per un capriccio...

Strinse i pugni. Sapeva cosa fare, anche perché non aveva più nulla al mondo, se non il suo dolore ed il suo odio. Sarebbero stati i suoi unici compagni per molto tempo.

Loro sono dei bastardi maledetti...tutti...nessuno escluso.

I suoi occhi si strinsero fino a diventare due fessure.

Non sarebbe più tornata indietro.

Afferrò la spada che era stata di Ronac. Ora era sua, e l'avrebbe usata per un solo scopo.

Uccidere.

Si taglio i capelli a zero. Non fu facile, ma infine vide che della sua chioma dorata non era rimasto che il ricordo, sostituita da una zazzera incolta e disuguale. Non contenta, la ragazza li tinse di nero, usando i prodotti di Kita. Non voleva più nulla della sua vecchia vita, ora era solamente un'arma per uno scopo solo.

Vendetta.

Il giorno dopo, una volta sicura del risultato ottenuto, diede fuoco alla casa, portandosi dietro solo la spada dell'uomo che aveva amato.

Non si voltò mai indietro, dirigendosi al presidio della Marina, gli unici capaci di darle le capacità per compiere la sua vendetta.

Avevi torto Kita...il mondo non è meraviglioso.

Valencien Donquixote era morta.

La Full Metal Bitch era appena nata.

 

 

Sabaody, tempo presente.

 

 

All'interno del locale, il silenzio divenne assoluto. Una volta terminato il proprio racconto, Shaky si chiuse in sé stessa, lasciando che fossero gli altri ora a parlare.

“Dunque...è questa la storia di Kita.” sussurrò Kalì, asciugandosi una lacrima. “E' un destino crudele.”

“Non avrei mai pensato che portasse dentro di sé così tanto dolore.” osservò Milo, anche lui scosso. “Ed ora l'hanno catturata per riportarla a Marijoa? È crudele! Mi domando se quelli abbiano...” le parole gli morirono in gola quando Kinji, il volto contratto dalla rabbia, si alzò lentamente.

“Ora basta perdere tempo!” sbottò. “Noi andremo a salvarla!” esclamò in direzione della sua ciurma.

“Dovremmo attaccare Marijoa...” sussurrò Milo. “La capitale del mondo.”

“Non mi interessa cosa sia!” replicò il moro. “Potrebbe essere anche la capitale dell'universo, ma noi andremo là e salveremo Kita!” i suoi occhi erano ricolmi di una determinazione più dura del diamante. “Perchè noi siamo suoi amici!”

Gli altri si guardarono in faccia. Poi, uno alla volta, si alzarono tutti, negli occhi la stessa determinazione del loro capitano.

“Così mi piacete ragazzi!” dichiarò quest'ultimo. “Forza, andiamo! A Marijoa!”

“Mi piacerebbe sapere...” li interuppe Santoli. “Con quale nave prenderete il largo.”

“Giusto.” concordò Jimbei. L'uomo-pesce fissava il giovane capitano con sguardo penetrante. “Come pensate di salpare dall'arcipelago?”

Prima che Kinji potesse dire qualcosa, una voce calda e suadente, proveniente dall'ingresso, si fece strada tra di loro.

“Si potrebbe usare la mia.”

Tutti si girarono. Davanti all'ingresso del bar Tispenno, rilassato e con le mani in tasca, c'era Harusa, con alle spalle Seitaro, Mae, Joruri ed altri tre pirati.

 

 

CONTINUA

 

 

Yehhhhh!!! Finalmente anche questo flashback è' finito, ora possiamo andare avanti con la storia. Avevo in mente un capitolo anche sull'addestramento militare di Kita, ma magari quello lo inserirò più avanti. Per ora può bastare così.

Dunque, spero che questo capitolo possa esservi piaciuto. Difficilmente, anzi quasi impossibile, che mi rifaccia vivo prima di Natale, quindi ne approfitto per augurarvi buon Natale a tutti! E grazie per seguire, leggere e recensire la mia storia, mi da veramente un immenso piacere!

Un saluto!

Giambo

 

 

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Capitolo 13
*** Il lancio della sfida ***


Capitolo 13

 

 

Nel locale l'aria si fece tesa. Kinji piantò i propri occhi in quelli di Harusa, fissandolo con sguardo impassibile. Mentre le altre presenze nel locale si preparavano, seppur inconsciamente, ad uno scontro.

“E tu chi sei?” chiese infine il Dragone.

Il sorriso sul volto di Harusa si allargò.

“Mi chiamo Harusa, e sono un pirata come te.” dichiarò con voce dolce, eppure allo stesso tempo terribilmente pericolosa. “So che necessiti di una nave...io posso aiutarti.”

“Harusa? Mai sentito nominare...” borbottò il giovane capitano.

“Io sì.” intervenne Hysperia, il volto contratto sotto il cappuccio. “E preferirei non averne mai sentito parlare.”

“H-Harusa hai detto?” balbettò Milo, indietreggiando istintivamente di un passo. “E' il nome di un pirata pericolosissimo. Dicono sia completamente folle, e che distrugga tutto ciò che incontra. Cosa ci fa a Sabaody?”

“Un pirata folle, eh?” Kuroc sorrise, mentre metteva mano alla sua katana. “La cosa diventa interessante...”

“Non sono venuto qui per combattervi.” spiegò con tono annoiato Harusa, tirando fuori un mazzo di carte dalla tasca sinistra dei pantaloni, e cominciando a mescolarle. “Io ti offro il mio aiuto...gratuitamente.”

“Non fidarti, Kinji!” replicò subito il navigatore. “E' una trappola, ne sono sicuro. Quest'uomo è solo un pazzo che ama uccidere!”

“Oh, è vero ragazzino.” confermò il pirata dai capelli blu, il sorriso sempre più ampio, cominciando ad estrarre carte dal mazzo, per poi mettersele in tasca. “Io amo uccidere. Ma non siete voi la mia preda oggi...anzi, credo che sia la stessa preda a cui state dando la caccia.”

“Marijoa...” sussurrò Joruri al suo fianco. “Siete diretti lì, non è vero?”

“E...” anche Loock sembrava sorpreso, e teso, da quell'improvvisa apparizione. “Voi come fate a saperlo?”

“Non è difficile.” spiegò il blu, pescando una carta dal mazzo. “L'ammiraglio Furamingo ha catturato una vostra compagna, e dalla rotta che ha preso è quasi certo che la stia portando a Marijoa.” i suoi occhi verde scuro non avevano mai smesso di fissare quelli neri di Kinji. “Non sei certo conosciuto come uno che si arrende alla prima difficoltà. Non è forse vero, Dragone?”

Il volto di Kinji, rimasto fino ad allora inespressivo, si distese, mostrando un sorriso da lupo.

“Anche tu non sembri un tipo mediocre.” replicò. “Hai una nave pronta a salpare?”

“In qualsiasi istante.”

“Va bene.” Kinji si schioccò le nocche delle mani. “Allora abbiamo un accordo. Azzardati ad infrangerlo, o ha fare del male ai miei nakama, e ti farò rimpiangere di essere nato.”

Il sorriso di Harusa divenne più solido e largo, quasi pari ad un ghigno.

“Bene. Benvenuto a bordo, Kinji il Dragone.”

“Kinji!” a parlare fu Milo. “Ma che cosa stai facendo? Sei diventato pazzo?!”

Il capitano fissò il giovane navigatore, perplesso.

“Cosa c'è?”

“C'è che non sappiamo nulla di costui, tranne che è un folle assassino, e tu vuoi accettare il suo aiuto così, su due piedi?!”

“Milo ha ragione.” esordì Kalì. “Dovresti rifletterci bene, prima di accettare un'alleanza con costui.”

“Ora piantatela di piagnucolare.” sbottò Erza, la sigaretta stretta tra le labbra carnose. “Il capitano ha deciso così, e noi obbediremo!”

“Per una volta sono d'accordo con Barbie.” osservò Kuroc. “Se poi si rivelassero dei nemici, potremmo sempre liberarcene successivamente.”

“Ehi, buzzurro, stai cercando rogne?” borbottò la cecchina nei confronti dello spadaccino.

“Tu cosa dici, donna?” replicò quest'ultimo, mettendosi in posizione di guardia.

“Non azzardatevi neanche ad iniziare qui dentro una lotta.” dichiarò minaccioso Milo, mettendosi in mezzo. “Ora non c'è tempo per simili perdite di tempo.”

Successivamente, il navigatore piantò i propri occhi in quelli del suo capitano.

“Voglio fidarmi di te, Kinji.” borbottò a malincuore. “Mi auguro che tu abbia ragione anche questa volta.”

“Stai tranquillo, rilassati!” esclamò il moro, mettendosi le mani dietro la nuca. “Andrà tutto bene!”

“E tu Kalì? Hai qualche obiezione a proposito?” chiese il capitano. La dottoressa si limitò ad un cenno negativo del capo, mentre accarezzava distrattamente Shun, attorcigliato sul suo corpo.

“Allora...vogliamo andare o meno?!” sbottò Loock, stiracchiandosi le immense spalle. “Cosa stiamo aspettando?”

“Giusto!” affermò Kinji, senza smettere di sorridere. “Facci strada, Harusa!”

“Un momento!” li interuppe subito Sanji, soffiando fuori fumo dalle narici. “Voglio venire anch'io.”

“Cosa?!” a parlare fu Nami, sorpresa da quella risposta. “Sanji-kun, ti sei ammattito improvvisamente?!”

“Mi dispiace arrecarti questo dolore, Nami-san.” il cuoco aveva sul volto un'espressione spietata. “Ma non posso rimanere qui con le mani in mano, quando la vita di una fanciulla è in pericolo. Se non andassi con loro...non potrei più considerarmi un uomo.”

La rossa lo fissò a lungo per circa mezzo minuto, poi sospirò.

“Sei sempre il solito.” dichiarò con fare stanco. “Cerca almeno di tornare tutto intero.”

“Non sarà da solo! Verrò anch'io!” esclamò Jimbei, facendo un passo in avanti. “L'impresa che questi ragazzi si accingono a compiere è qualcosa che va al di là di ogni logica e follia. Non posso rimanere qui con le mani in mano.”

“Non dire sciocchezze, Jimbei.” osservò Sanji. “Tu hai una posizione da mantenere, non puoi venire con noi.”

“Bah! Se credi che mi importi qualcosa della mia reputazione, vuol dire che non mi conosci ancora bene dopo tutti questi anni!” replicò l'uomo-pesce. “E poi...è quello che farebbe anche fratello Ti. Lo sai anche tu, Sanji.”

I due ex-pirati rimasero a fissarsi per alcuni secondi, prima che il biondo sorrise spietatamente.

“Sei molto fortunato, Kinji il Dragone.” osservò. “Non è da tutti essere assistiti da due compagni del Re dei Pirati.”

“E non saranno gli unici.” Santoli si alzò dal suo angolo, masticando con la solita flemma il proprio fiammifero. “Verrò anch'io a Marijoa.”

“Tu?” perfino Shaky fu sorpresa di quella candidatura. “Perché Santoli? Non hai nessun dovere nei confronti di questi ragazzi.”

“Non lo faccio per loro.” di nuovo, Kuroc avvertì la rabbia divampare ferocemente dentro il corpo del rivestitore. “Lo faccio per me. E poi, neanche Sanji e Jimbei sono tenuti, eppure partiranno. Proprio come me.”

Il sorriso di Kinji si allargò ancora di più.

“Molto bene!” esclamò. “Allora è deciso: andremo a Marijoa e salveremo Kita! E nessuno riuscirà a fermarci!”

“Corag...” il moro fece per uscire dalla locanda di Shaky quando, all'improvviso, il suo stomaco ruggì con violenza. Di fronte a quel verso, il giovane capitano si bloccò di colpo, per poi girarsi verso i suoi compagni, un'espressione imbarazzata sul volto.

“Beh, magari se facessimo prima uno spuntino...”

 

 

Il sonno agitato di Kita fu interrotto dall'aprirsi della sua cella. Lo sferragliare dei cardini arrugginiti la riportò alla realtà, liberandola dai suoi incubi.

Ronac...Kita...dove siete?

“E' ora di alzarsi!” le ordinò una guardia, strattonandola per le catene. “Su, forza! In piedi!”

Ancora intontita dalla droga che le inibiva l'haki, la bionda si alzò lentamente. La sua mente era più lucida, ma sapeva che ci sarebbero volute ancora ore prima che potesse riacquisire a pieno i suoi poteri.

Uscì dalla cella, dove ad aspettarla c'erano una dozzina di marines, pronti a bloccare ogni suo tentativo di fuga. Anche senza l'haki, e con le manette ai polsi, Kita sapeva che avrebbe avuto discrete possibilità di metterli fuori gioco. Ma dentro di lei non c'era più nessuna forza. Sapere che presto avrebbe rivisto colui che incarnava i suoi incubi più oscuri l'aveva come svuotata, resa incapace di nuocere. Aveva rivisto i suoi ultimi otto anni di vita e li aveva catalogati per quello che erano: un fallimento. Ronac e Kita avevano dato la vita per lei, e come aveva sfruttato quel dono? Lasciandosi trasportare dall'odio, dalla sete di vendetta e dalla rabbia. Era diventata un mostro, l'esatto contrario di ciò a cui aspiravano i due rivoluzionari. Kita vedeva attorno a sé solo macerie, un'esistenza buttata via, sepolta sotto una montagna di cadaveri. Non meritava più la vita, non la desiderava più. Voleva solo la morte, sperando che i suoi compagni, ultimo suo legame con quel mondo, riuscissero a realizzare i propri sogni.

Io non ne ho più alcuno, se non la vostra salvezza.

La luce del giorno l'acceccò. Ci mise alcuni istanti a riacquisire la vista. Ciò che vide la riempì di una paura folle e paralizzante.

La Porta del Paradiso.

Le sembrò di essere catapultata indietro nel tempo. Rivide in un lampo, dentro la sua mente, le immagini che da otto anni a questa parte la tormentavano.

 

Ronac steso a terra sanguinante, le fiamme, le esposioni, le urla disperate dei moribondi e dei feriti.

Poi lui, suo fratello. Che rideva, sempre più forte, fino a diventare un grido.

E gli occhi spenti di Ronac.

 

Chiuse gli occhi di scatto, cadendo in ginocchio, cominciando a tremare in modo irrefrenabile.

Non voglio vedere questo posto...non voglio!

Furamingo le si avvicinò, rimanendo sorpreso di vederla tremare in quel modo. Le sembrò una ragazza come tante in quel frangente, e non la spietata assassina la cui fama si era diffusa in tutti gli oceani.

“Alzati.” disse infine, la voce fredda. “Non possiamo attendere.”

Lei non rispose subito. Le palpebre erano contratte, quasi volesse ricacciare quella visione, ma le sue labbra presero a muoversi.

“Fuoco...” balbettò. “Fuoco...e fiamme. Morte...la morte è ovunque. Ne sento la presenza.” aprì di scatto gli occhi, osservando con le proprie iridi chiare il porto della Terra Santa, là, dove aveva perso colui che amava.

“Alzatelà.” ordinò l'ammiraglio seccamente.

Mani robuste la tirarono in piedi. Lei si lasciò guidare docilmente a terra, mentre l'aria fredda del mattino le baciava il volto. Sbattè le palpebre, mentre il volto di Ronac le apparve davanti agli occhi, sorridente come sempre.

Ricordati...di restare umana, Valencien.

Si morse le labbra, mentre i soldati di Furamingo la trascinavano via, oltre i moli, oltre i ricordi, verso l'oblio.

Ho sbagliato...mi dispiace Ronac. Non ero io la persona che doveva salvarsi quel giorno.

“All'ascensore.” ordinò Kobi, con al fianco Hora. “Sua Santità ci attende.”

 

 

Kinji osservò, piacevolmente stupito, la nave dei pirati di Harusa. Era un vascello di legno scuro, a due alberi, di medie dimensioni. Il ponte era largo, le vele erano rosse ed i fianchi erano corazzati da lamelle d'acciaio. A prua, un grosso cannone, dalle fattezze di un demone ghignante, scrutava il mare. In cima all'albero maestro, sventolava il Jolly Roger dei pirati del Ragno: un grosso ragno nero, su sfondo rosso, con dipinto sul dorso un teschio ghignante, di un bianco spettrale.

“Vi presento 'l'Alcova del Ragno', la nostra nave. Sarà lei a condurci a Marijoa.” dichiarò Harusa.

“Figo! Sembra una nave mitica!” esclamò Kinji, cominciando ad esplorarla da cima a fondo con fare frenetico.

“Sembra veramente la tana di un mostro.” borbottò Milo, per nulla felice di quell'alleanza. Anche perché la ciurma di Harusa gli era parsa tutto tranne che raccomandabile. Oltre alla dark Joruri, all'annoiato Seitaro ed all'enigmatica Mae, erano presenti altre tre membri: due ragazzi ed una donna. Il primo ragazzo era magro, con i capelli color miele ed un'espressione seria sul volto. Indossava una lunga tunica di un blu chiaro, stivali di cuoio consumati ai piedi, ed un medaglione d'oro al collo raffigurante un ragno. L'altro era invece di statura più bassa, ma robusta. Avevi i capelli rasati a zero, occhi attenti coperti da lenti scure, ed una brutta cicatrice sulla fronte a deturpargli i lineamenti. Indossava pantaloni mimetici, stivali militati ed una t-shirt scura, che metteva in risalto i muscoli. Alla vita aveva un cinturone, da cui pendeva una bottiglietta di acciaio ed un lungo coltello.

La donna invece dimostrava circa una trentina d'anni. Era bassa e minuta, con la pelle abbronzata, gli occhi verdi, le labbra carnose e corti capelli neri a caschetto. Indossava una corta gonna bianca, una camicia rossa, che risaltava il suo seno, ed una collana di perle al collo. Ai piedi calzava sandali con il tacco, mentre sulle braccia, e dietro il collo portava arrotolata quella che sembrava una catena di piccole dimensioni. Le spalle erano ricoperte da uno strano tatuaggio, raffigurante un drago in decomposizione.

Tutti i membri della ciurma di Harusa fissavano i pirati del Drago con macabra curiosità, come se non avessero mai visto prima di allora degli altri pirati. Di fronte a quelli sguardi, Milo rabbrividì, chiedendosi di nuovo se fosse stata una buona idea allearsi con quell'equipaggio.

“Allora, ci vogliamo muovere?!” sbuffò Loock. “Abbiamo perso già fin troppo tempo!”

“Concordo.” osservò Harusa. “Joruri, sapete cosa fare.”

“Spiegate le vele, tirate su l'ancora!” ordinò la ragazzi ai restanti membri. “Prendiamo il largo.”

Kinji e gli altri rimasero di stucco nel vedere i pirati del Ragno muoversi a velocità altissima, da una parte all'altra della nave, eseguendo gli ordini con una precisione ed un'abilità fuori dal normale. Nel giro di un minuto, la nave aveva già preso il largo, in direzione della Linea Rossa.

“Non sono pirati comuni.” mormorò Hysperia.

“Già...preferirei tenerli d'occhio.” borbottò Erza, soffiando fuori fumo dalle narici. “Non sappiamo fino a quando rimarranno nostri alleati.”

“State tranquilli.” esordì dietro di loro una voce maschile. Girandosi, le due piratesse videro il ragazzo biondo, con indosso la tunica blu, che porgeva loro una mano, sul volto un sorriso rassicurante. “Il nostro capitano potrà essere anche un tipo...vivace. Ma quando da la propria parola, essa è legge. E lo stesso vale per noi.”

“Io sono Torazo, il navigatore di questa nave.” si presentò successivamente il biondo. “Mentre voi siete...?”

“Erza.”

“Hysperia.”

“Capisco. Sapete, eravamo tutti molto curiosi di conoscere il vostro equipaggio. Ci domandavamo com'è seguire uno come il Dragone.”

“Com'è seguire Kinji?” la cecchina aveva un'espressione divertita sul volto. “Diciamo...che ci sono giornate semplici, ed altre un po' meno.”

“E' imprevedibile.” spiegò Hysperia, abbassando il cappuccio per godersi la brezza marina. “Non sai mai cosa ti riserverà il giorno con lui.”

“Un tipo simpatico.” osservò Torazo, ridendo. “Sapete, assomiglia al nostro capitano. Anche lui è imprevedibile, e sotto alcuni aspetti, molto capriccioso.”

“Mi piacerebbe sapere i nomi dei tuoi compagni che nomini così spesso.” domandò Erza, sistemandosi gli occhiali da sole.

“Beh, ecco...ci sono Seitaro, lo spadaccino, Joruri, la ragazza vestita di nero che è anche il vice-capitano, Mae, quella spilungona con i capelli rossi che è il nostro medico, Elshin, il bestione con gli occhiali da sole il cui ruolo è quello del cecchino, ed infine c'è Varis, la donna abbronzata laggiù, che è la nostra cuoca.”

“Ehi, Torazo!” urlò Joruri in quell'istante. “Vieni qui! Sei o non sei il navigatore?!”

“Scusatemi...il dovere mi chiama!” subito dopo, il ragazzo corse a poppa dal suo superiore, per ricevere istruzioni.

Erza stava per commentare qualcosa, quando vide Kalì, in compagnia di Shun, seduti a pochi metri da loro. La dottoressa stava infilandosi dei bracciali di cuoio, che le ricoprivano quasi interamente gli avambracci.

“Che te ne fai di quelli?” chiese la bionda. “E dove sono finiti i tuoi pugnali?”

La mora si limitò a sorridere con fare feroce, mentre Shun, eccitato per la missione intrapresa, muoveva frenetico la punta della coda al suo fianco.

“D'accordo.” ghignò Erza, buttando via il mozzicone oltre il parapetto della nave. “Del resto, anche io ho un paio di trucchetti nuovi.”

Le tre donne rivolsero i loro sguardi davanti a loro, dove potevano già scorgere l'imponente Linea Rossa, la terra dove dimoravano i feroci e crudeli Draghi Celesti.

“Ci servirà ogni arma possibile, laggiù.” dichiarò Hysperia, la voce eccitata, stringendo la sua pipa tra i denti. “Sarà divertente.”

 

 

Hora osservava, davanti a lei, la schiena della Full Metal Bitch. Era rimasta sorpresa dalla reazione di prima da parte della bionda. In cuor suo, il sergente aveva sempre pensato alla ex marine come a qualcuno di indistruttibile, un'arma incapace di provare qualsiasi sentimento od emozione.

“Mi sembri pensierosa.” osservò Kobi, mentre camminava al suo fianco, in direzione dell'ascensore che li avrebbe condotti a Marijoa.

“Sono solo...perplessa.” spiegò la soldatessa. “Non avrei mai creduto possibile vedere Kita Hirati tremare di paura.”

“Ammetto che anch'io sono rimasto sorpreso.” spiegò l'ammiraglio, lo sguardo perso nei ricordi. “Mi sembra ieri, quando la vidi per la prima volta, poche settimane dopo che aveva ricevuto la promozione a sergente. Mi diede l'idea che non fosse neanche umana. Che dietro quello sguardo di ghiaccio, e quella corazza, non ci fossero altro che ingranaggi ed odio...mi fece pietà.”

“Pietà?” il tono di Hora mostrava sorpresa.

“Non riuscivo ad immaginarmi cosa avesse potuto rendere una ragazza così giovane un simile mostro.” Furamingo vide un brivido lungo la morbida curva della schiena di Kita. Ancora una volta, si chiese cosa, o chi, aveva scavato simili ferite nel cuore della ragazza. “Qualsiasi cosa quella donna abbia fatto, o commesso, non può essere sufficiente a poterla catalogare come un mostro. Credo che sia solo una vittima del fato, costretta a convivere con i capricci di quest'ultimo.”

“Sei troppo buono.” replicò Hora, accendendosi una sigaretta. “Quella donna ha massacrato migliaia di persone. Vallo a spiegare ai parenti di quelle vittime.”

“Noto con disappunto che ti manca ancora una certa elasticità mentale.” borbottò Kobi. “Non sto giustificando i suoi crimini. Voglio solo dire che, molto probabilmente, lei non è felice di ciò che ha compiuto. ”

“Nessuna persona con un minimo di cuore sarebbe felice di simili gesti.”

Gli occhi dell'ammiraglio divennero scuri, quasi si fosse immerso in ricordi torbidi e sgradevoli.

“Già...ma lei sembrava proprio così.”

 

Recluta!”

Il passo pesante dell'addestratore si fece strada tra il fango, avvicinandosi ad un corpo magro, e talmente sporco da non vedere più il colore della pelle.

Recluta! Cosa cazzo stai facendo?!” ringhiò l'uomo, fissando, attraverso la cortina di pioggia, Kita dibattersi nella melma.

Quello che mi ha ordinato di fare, Signore!” rispose subito quest'ultima, senza smettere di fare flessioni. Tuttavia, quando lui le tirò un violento calcio sulle costole, le mancò il fiato nei polmoni. Cadde pesantemente a terra, mentre l'addestratore le metteva uno stivale in testa, in segno di disprezzo.

Non ti ho mai detto di aprire bocca!” ululò lui, sputacchiando saliva dalle labbra. “Sei solo una insulsa merda! Non vali un cazzo, e quando uno stronzo pirata ti fotterà, e poi ti sbudellerà, farà solamente un favore all'umanità, tutto chiaro?!”

Sissignore Signore!” replicò la bionda, la bocca piena di fango.

Rispondi, recluta! Cosa sei tu?!”

Sono solo una merda, Signore! Una puttana incapace che merita solo di essere stuprata e di morire, Signore!” rispose subito Kita.

Brava recluta! Tu sei solo merda, e resterai merda! Non dimenticarlo mai! Ed ora continua con le flessioni, puttana!”

Sissignore Signore!”

 

Kita non aveva un bel ricordo del suo periodo di addestramento. Non aveva mai sperimentato una simile solitudine, una simile fatica, un simile disprezzo nei suoi confronti. Le prime settimane erano servite ad un solo scopo soltanto: cancellare la benché minima traccia di autostima in lei. Isolata dagli altri, a causa del suo odio bruciante, e vittima degli addestratori, che non perdevano occasione per umiliarla, la bionda ad un certo punto credette di impazzire. Cominciò a credere veramente di essere solo un oggetto, un misero scarto dell'umanità che meritava solo il disprezzo degli altri e la morte.

Cominciò ad avere incubi. Visioni di persone, del suo passato e presente, che venivano squartate sotto i suoi occhi. I suoi sogni erano un continuo lamento di dolore, fatica, odio e rabbia. Un'immensa e bruciante rabbia che quando si svegliava, sudata fradicia, avvertiva dentro di sé quella stessa sensazione, quell'oscuro miscuglio di collera ed odio che la spaventavano, perché si sentiva presa da qualcosa di estraneo a lei. Come una voce che dentro la testa le ordinava di odiare, di diventare spietata, di uccidere.

 

Uccidi...ammazza tutti...non è questo che desideri, piccola mia? Non è ciò che hai sempre agognato, desiderato? Lo sterminio di tutti coloro che ti causano dolore...”

Kita si alzò di scatto dal letto, il volto madido di sudore freddo. Davanti a lei c'era lo sporco muro del dormitorio delle reclute. I suoi occhi erano spalancati verso il vuoto, mentre sentiva un rimbombo dentro la sua testa.

Uccidi...uccidili tutti...”

No...” balbettò, piantandosi le unghie delle mani nelle tempie. “Lasciami stare...va via! VIA!”

Uccidili...uccidili...UCCIDILI TUTTI!”

 

Non aveva mai compreso fino in fondo cosa fosse quella voce, ma ben presto divenne parte di lei. I suoi incubi, che le portavano visioni di stragi, morti e lamenti, divennero normalità. Il suo odio ne trasse spunto per ingigantirsi, per diventare più forte. Divenne insensibile. Non c'era più nulla che fosse capace di procurarle dolore, non per lei, non per chi aveva visto e provato sulla pelle l'inferno.

E quella voce, che aveva sempre identificato con la parte più oscura di sé stessa, divenne un mantra, una litania che la perseguitava continuamente, fino a quando non immergeva la sua lama nel sangue.

Era diventata un'arma ormai. E ne era fiera, ne era felice. Mai più avrebbe sofferto, mai più avrebbe dovuto immergersi nel baratro del dolore, vedendo i propri cari morire davanti a lei. Non sarebbe più stata umana, perché esserlo le costava troppo dolore, e lei non voleva più soffrire.

Quanto si era illusa!

 

Immerse con rabbia disumana il proprio spadone nel petto dell'uomo davanti a lei, ringhiando ed urlando come un'ossessa. Sentì l'acciaio rubare la vita del suo avversario, e ne fu contenta, ma non soddisfatta. Subito dopo c'è ne era un altro, ed un altro ancora. Migliaia di uomini che avrebbero alimentato, ma mai soddisfatto, la sua sete di sangue.

Sono un'arma.”

Vide un occhio schizzare via dall'orbita, tranciato dalla sua lama implacabile. Gli schizzi di sangue, gli ennesimi, la imbrattarono, sfigurandole il volto. Era ricoperta di sangue, mentre avanzava con la freddezza e l'implacabilità di una macchina, alla disperata ricerca di obbedire all'ordine che risuonana nella sua testa.

UCCIDILI! UCCIDILI TUTTI!”

Lo farò!” pensò, prima di rubare un'altra vita, l'ennesima, e sorridere nel vedere il sangue ricoprirle il volto.

Morirete tutti.”

 

Divenne ben presto una leggenda vivente. La sua crudeltà, e la sua ferocia, unita alla sua abilità di combattimento la fecero diventare qualcuno. Il suo nome terrorizzava chiunque lo udisse, pirata o marine, mentre le sue stragi diventavano materia di racconti. Stragi che la lasciavano quasi svuotata alla fine, come se avesse riversato tutto il suo essere in quelle azioni. Vagava senza meta tra i cadaveri ancora caldi, gli occhi azzurri persi nel vuoto, mentre il sangue delle sue vittime le si seccava addosso, entrandole dentro come un marchio indelebile.

 

Il risucchio del metallo che veniva estratto dalla carne risuonò nel silenzio, mentre centinaia di avvoltoio ed altri uccelli scendevano per riempirsi lo stomaco di carne ancora calda.

Kita avanzava in mezzo ai corpi dei caduti, marines e pirati, barcollando dalla stanchezza, quasi fosse ubriaca. Ricoperta di sangue dalla testa ai piedi, la soldatessa fissava il vuoto davanti sé, mentre gocce vermiglie scendevano dalla punta dei capelli.

 

Venne promossa a sergente appena un anno dopo essere entrata in Marina. In dodici mesi aveva completato l'addestramento, e combattuto ben dieci scontri navali e cinque di terra, uscendone sempre viva ed illesa. La sua freddezza in combattimento, unita alla sua ferocia, la rendevano praticamente imbattibile sul campo di battaglia. A questo andava poi aggiunto un talento innato nell'arte della scherma, unito alla manipolazione dell'haki dell'armatura, dove divenne una vera maestra in poco tempo. Fare carriera in Marina non le interessava minimamente, ma accettò la promozione perché essa le conferiva alcuni privilegi, come fare fuori coloro con cui aveva un conto in sospeso.

 

Sorrise, sollevando la testa decapitata del suo vecchio addestratore. Il sangue gocciolava dalla carotide recisa, mentre il resto del corpo a terra emetteva le ultime convulsioni.

Ora chi sarebbe la merda?”

L'odore del sangue la inebriava, rendendola euforica, anche per il fatto che, in quei brevi frangenti, la voce si spegneva, lasciandola finalmente libera dalle urla e le visioni di morte.

Avvicinò il capo reciso al proprio, sfiorando le labbra in un macabro bacio. Morse la carne morta con avida passione, mentre ribolliva di una gioia perversa.

Aveva compiuto la sua prima vendetta.

E la sensazione provata era qualcosa di magnifico.

 

I suoi passi le sembravano il lento scandire di un macabro orologio. Quasi stesse contando quanto mancava alla fine della sua vita.

Vita...solo negli ultimi mesi aveva riassaporato il significato della parola vita. Aveva gioito, riso e combattuto affianco a delle meravigliose persone. Compagni che, quasi senza volerlo, aveva iniziato a considerare la cosa più preziosa che possedeva. Poteva fidarsi di loro, poteva affidarsi a loro, poteva amare, soffrire, vivere assieme ad essi.

Era qualcosa che non avrebbe mai dimenticato, e per la quale sarebbe stata sempre in debito con tutti loro. Erano riusciti a renderla di nuovo...umana. Qualcosa che non avrebbe mai ritenuto possibile.

Un triste sorriso si fece strada tra le sue labbra, quando ripensò a come avevano preso a chiamarla: Full Metal Bitch. Un nomignolo nato dal disprezzo, ma anche dalla paura, che era diventato in breve tempo quasi un secondo nome per lei. Da quando le avevano affidato il compito di guidare i Lupi D'acciaio, due anni dopo il suo ingresso in Marina, aveva scelto un'uniforme diversa da qualsiasi altra, che fosse in grado di renderla implacabile e spietata.

E la scelta era stata piuttosto facile, specie se ci si considera un'arma.

 

Infilava il freddo metallo addosso, ricolmo di odori forti: la paura, il sudore, il sangue, la rabbia.

Poi, era la volta dell'elmo, capace di isolarla da tutto, tenendola sola con la sua voce interiore, che le ordinava sempre e solo una cosa: uccidere tutti.

Ed il rosso. Il rosso del sangue, il rosso del fuoco, della rabbia. Bruciava come un tizzone incandescente sul campo di battaglia, incutendo terrore in alleati e nemici.

Lei era un'arma.

Lei era la Full Metal Bitch.

 

Vide l'ascensore di fronte a lei, oscurato dall'imponenza della Linea Rossa.

Sollevò lo sguardo, fissando la lontana cima con paura.

Era un peccato. Aveva finalmente assaporato cosa significava vivere. Aveva compreso veramente cosa voleva dirle Kita. Quale meraviglioso dono aveva. Ed ora, che finalmente avrebbe potuto goderlo fino alla fine, le veniva tolto. Proprio da coloro che le avevano già strappato ogni cosa in passato.

Il sorriso sulle sue labbra divenne più marcato.

Presto sarà tutto finito...

Poi entrò dentro, con la consapevolezza che, oltre le sbarre che si richiudevano dietro di lei, c'erano i suoi compagni. Liberi, indenni, con la possibilità di realizzare i loro sogni.

Una lacrima scese dai suoi occhi, mentre la sua mente veniva invasa dal loro sorriso, e le loro risate.

Kinji, Kuroc, Milo, Erza, Loock, Kalì, Shun, Hysperia...

Grazie...per tutto.

 

Quando aveva incominciato a ritornare umana? Quando aveva iniziato a diventare quello che era ora?

Non lo sapeva con esattezza.

Era tutto iniziato per logorio. La sua mente cominciava a ribellarsi a quell'ordine continuo e martellante. Il suo spirito era ormai provato ed al limite delle forze, nonostante invece il suo fisico diventasse sempre più potente e letale. Dopo anni di uccisioni, di stragi e stermini, la sua anima, e la sua mente, cominciavano a ribellarsi. Gli incubi, che negli anni passati tanto furore le avevano donato, erano tornati ad essere un'agonia orribile, facendola svegliare in preda alla paura, ed al disgusto. La mente diventava sempre meno lucida, contro la sua stessa volontà. Desiderava diventare un'arma, ma la sua anima si ribellava all'idea di essere cancellata per sempre.

Alla fine, aveva ricorso all'unica soluzione possibile: drogarsi.

Non era stato difficile procurarsi della morfina. Rimembrando le lezioni di pronto soccorso impartitele da Kita anni prima, la bionda aveva cominciato a fare un uso frequente di quella sostanza, che le consentiva di scivolare in un sonno privo di qualsiasi incubo, permettendole di tenere a bada i propri sentimenti.

Almeno fino al suo scontro con Kinji.

Chiuse gli occhi, mentre salivano, ricordando ancora il dolore, la rabbia e l'umiliazione per essere stata salvata.

 

Il sangue le bruciava la gola, mentre il suo corpo urlava di dolore. Di fronte lui, i muscoli gonfi e tesi, le fiamme bianche che lo avvolgevano, uno sguardo con dentro tutta la determinazione del mondo.

 

Cosa stai facendo?! Uccidimi!”

Io non sono come te.”

 

Il suo volto si adombrò. Era vero, era tutto maledettamente vero. Lei gli aveva inferto un dolore atroce, uccidendogli il fratello, e lui aveva scelto di risparmiarla.

Digrignò i denti. Ancora a distanza di anni, si vergognava nel vedere l'abisso che c'era nei confronti del suo capitano. Lei aveva buttato via la propria umanità per vendetta, il moro invece l'aveva accolta, redensa e protetta. Aveva visto in lei un barlume di umanità ed aveva deciso di darle una speranza. In confronto a lui, Kita non si sentiva altro che un verme.

Il rumore delle catene si fermò. La bionda capì che erano arrivati a destinazione.

Ci siamo. Con in volto l'espressione più neutra che riuscì a tirare fuori, la piratessa scese, toccando, dopo otto lunghissimi anni, la sua terra natia.

E lo vide.

I suoi occhi azzurri si piantarono in quelli scuri di lui. Li vide così simili ai suoi, in un modo che le mise quasi paura. Anche lui aveva passato quegli anni a consumarsi nell'odio e nel desiderio di vendetta, una vendetta che ora stava per assaporare.

Lei avanzò, fino a trovarsi di fronte. Occhi negli occhi. Fratello e sorella.

Terezon sorrise. Ma non c'era traccia di alcuna gioia in esso, quanto più una macabra soddisfazione.

“Finalmente ti ho trovata...Valencien.”

 

 

“Kinji! Mi vuoi ascoltare una buona volta?!”

La voce di Jimbei, particolarmente irritata, si fece strada tra nel tavolo, andando a svegliare bruscamente il giovane pirata.

“Cosa c'è, Jimbei?” sbadigliò il Dragone. “Stavo dormendo così bene...”

“Appunto!” ringhiò l'uomo-pesce. “Devi prestare attenzione, altrimenti poi rischiamo di mandare a monte il piano!”

“Quale piano?”

“Il piano d'attacco, imbecille.” a parlare stavolta fu Kuroc. “Non ti smentisci mai.”

“Che problema c'è, ragazzi? Andiamo, li prendiamo a calci in culo, salviamo Kita, e scappiamo. Non vedo dove sia il problema.” replicò ingenuamente il moro.

“Lasciamo perdere...” sospirò Jimbei. “Allora? Siamo d'accordo?” proseguì con gli altri.

“Direi di sì.” rispose Joruri. “Noi rimarremo indietro al porto, con l'intento di bloccare le forze della Marina, e di dare il tempo a voi di recuperare la ragazza. Nel caso dovessimo ritirarci prima del previsto, ci rivedremo a Sabaody.”

“Io non ho intenzione di rimanere indietro ad annoiarmi.” mormorò Harusa, ma venne ignorato. Tanto sapevano tutti che sia lui che Kinji avrebbero fatto di testa loro.

“Noi invece saliremo a Marijoa, dove ci apriremo una strada per arrivare a Kita.” proseguì Kuroc. “Kinji, lo so che per te è una cosa quasi impossibile ascoltare gli altri, ma questa volta cerca di fare uno sforzo: l'ammiraglio Furamingo è tuo. Dovrai cercare di tenerlo impegnato il tempo necessario a liberare Kita. Pensi di farcela?”

“Puoi starne sicuro!” replicò il moro, le narici che fumavano. “Ho un conto in sospeso con quel tipo!”

“Bene, direi che allora è tutto.” concluse Jimbei. “Come piano non è molto complesso, e presenta molte incognite, ma non possiamo fare di più, non sapendo come reagirà il nemico alla nostra venuta.”

“In ogni caso, ci sarà da menare le mani.” Loock sogghignò. “Tanto basta per trovarmi d'accordo.”

“Per un assassino non è mai molto sicuro utilizzare piani così avventati.” osservò Hysperia, una sigaretta stretta tra le labbra. “Ma per stavolta potrei anche chiudere un occhio.”

“Io...beh, spero solo di non crepare.” Milo diventava sempre più pallido più si avvicinavano alla loro destinazione, eppure i suoi occhi brillavano di una forte determinazione.

Questa è l'occasione di vedere quanto è forte la mia volontà.

Gli altri non dissero nulla. Sanji si accese una nuova sigaretta, l'espressione impassibile, mentre Santoli terminava di costruire un rudimentale ordigno, il volto una maschera di granito. I pirati del Ragno sembravano vagamente eccitati, ad eccezione di Torazo, che fissava gli altri con sguardo serio.

“Comunque vada, questa sarà una storia che passerà alla storia.” esordì all'improvviso. “Prego gli dei di assisterci.”

“Torazo è fin troppo religioso.” spiegò Elshin ad un perplesso Milo. “Prima di combattere si prende sempre un paio di minuti per pregare.”

In quell'istante Erza, rimasta fuori di vedetta, entrò, fissando i pirati con malcelata eccitazione.

“Siamo arrivati.”

Il sorriso sul volto di Kinji divenne spietato.

“Ottimo!”

“Ehi, Jimbei!” dichiarò, richiamando l'attenzione dell'uomo-pesce. “Ho bisogno che tu mi faccia un favore...”

 

 

Quando le vedette della Marina videro quel vascello pirata veleggiare a poche miglia di distanza credettero di avere le traveggole. Nessun fuorilegge sano di mente si sarebbe avventurato così vicino alla porta di accesso alla capitale del mondo, specie vedendo lo schieramento impressionante di difese.

Per entrare nella 'Porta del Paradiso' infatti, bisognava attraversare un cancello di acciaio purissimo, una porta di accesso di un lungo ed altissimo muro di cinta, che proteggeva il porto da qualsiasi arrivo via mare. Sulle mura erano presenti decine e decine di vedette, oltre a centinaia di lucenti bocche di fuoco, pronte a riversare morte su chiunque fosse stato tanto avventato da avvicinarsi.

Era una costruzione imponente, edificata dopo l'ultima grande fuga di schiavi da Marijoa. Solo una flotta ben armata, e disposta a sacrificare qualsiasi cifra, avrebbe avuto la possibilità di aprirsi un varco in quelle difese. Eppure, l'Alcova del Ragno puntava dritta verso il cancello, con il chiaro intento di tentare di forzarlo.

L'allarme risuonò con forza, espandendosi rapidamente. La sirena ululava, mentre centinaia di marines accorrevano sulle mura, e sui moli, pronti a difendere la fortezza dai pirati. I cannoni vennero caricati e puntati, pronti a ridurre ad un colabrodo il vascello nemico non appena fosse arrivato a tiro.

Ma i pirati agirono per primi.

“Fuoco!” ordinò Santoli, indicando ad Elshin il portone d'acciaio.

“E' troppo distante.” protestò il cecchino. “Non lo colpiremo mai.”

“La mia bomba lo farà. Ora spara!”

Il pirata obbedì. Non appena la miccia incendiata bruciò, un enorme boato risuonò nell'aria, assordando i pirati. Il cannone a prua dell'Alcola si era crepato, a causa dell'enorme pressione subita. Tuttavia, l'ordigno di Santoli si era mutato in un torrente di fuoco, che colpì in pieno la porta, da una distanza assurdamente lontana. Non appena il fuoco sfiorò l'acciaio, esso esplose di nuovo, creando una corrente d'aria così forte da spingere via la nave dei pirati. Quando il fumo si dissolse, i marines videro con orrore che, al posto della porta d'acciaio, ora c'erano solamente pezzi anneriti di metallo, che affondavano velocemente oltre il pelo dell'acqua.

“Ecco risolto il problema.” constato il rivestitore, il volto annerito dalla fuliggine.

“E' stato...spettacolare!” urlò Elshin, anche lui completamente nero. “Quando possiamo fare il bis?!”

“Temo che non sia possibile.” spiegò il rosso. “Un'altra bomba così, e di questa nave non resterebbero che macerie fumanti.”

“Ora tocca a quel folle.” borbottò Kuroc. “Mi auguro che Jimbei sappia quello che fa, assecondando le sue pazzie.”

 

 

“Proiezione della corrente!”

Ancora intontiti dall'esplosione, i marines rimasero scioccati da ciò che videro: un tornado si sollevò dalle acque del porto, assumendo la forma di un grosso drago marino. Per alcuni istanti, esso rimase sospeso in aria, per poi ricadere con violenza sui moli, trascinando via uomini ed armi.

Quando infine l'acqua defluì, i marines che avevano resistito all'urto videro un giovane ragazzo, spada in mano, che recuperava il fiato.

“E...e quello chi diavolo è?!”

Kinji alzò lentamente gli occhi, piantandoli nei volti dei suoi avversari. Era bagnato fradicio, con i vestiti incollati addosso, e l'acqua che gli cadeva dai capelli. Teneva in mano Eiji, la sua fida lama nera, mentre aveva i denti scoperti in un ringhio di pura rabbia.

Riempì d'aria i polmoni, per poi buttare fuori tutta la sua collera.

“VOGLIO SAPERE DOVE SI TROVA KITA!!!! SONO VENUTO A RIPRENDERMELA!!!!”

La sfida agli dei era lanciata.

 

 

CONTINUA

 

 

Note dell'autore:

 

Bene...eccomi qua con il primo capitolo dell'anno nuovo! Sì, lo so, non c'è nulla da festeggiare, visto che fino a giugno la vita sarà grigia, brutta, grama e triste, ma lo si fa per farci forza!

Non ho proprio nulla da dire stavolta, anche perché sono un po' di fretta, quindi mi limito a ricordare, come sempre, che le recensioni sono ben accette, di qualunque tipo!

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 14
*** La vendetta di Terezon ***


Note dell'autore:

 

Salve a tutti! Chiedo scusa per questo immenso ritardo nell'aggiornare, ma oltre al fatto che in questo ultimo mese il mio tempo libero è stato terribilmente scarso, ho anche scelto di dare la precedenza ad alcune storie di un altro fandom, che tenevo incomplete da troppo tempo. Comunque sia, non preoccupatevi (se mai ci sarà qualcuno che lo farà). Non ho la minima intenzione di abbandonare questa storia, anche se forse nel futuro prossimo gli aggiornamenti saranno un po' più radi, cosa di cui colgo l'occasione per scusarmi.

Detto questo, spero che il capitolo vi piaccia. E' leggermente più corto degli scorsi perché ho parecchie cose da scrivere, ed ho preferito non mettere troppa roba in un solo capitolo. Quindi è probabile che il prossimo sia più lungo. Come sempre ricordo che, chiunque voglia lasciarmi un proprio parere è il benvenuto.

Un saluto! E buona lettura!

Giambo

 

 

Capitolo 14

 

 

Kita rimase ferma, impassibile, a fissare dritta negli occhi il fratellastro, colui che le aveva rovinato l'esistenza otto anni fa.

Notò che anche lui era cambiato: era ingrassato, ed il volto rifletteva gli agi a cui era stato abituato fin dalla nascita. Ma l'occhio sinistro era coperto da una benda, mentre una lunga cicatrice biancastra gli sfigurava il lato sinistro del volto, un tempo piacente.

Per circa una decina di secondi Terezon rimase immobile, osservando la sorella con un sorrisetto beffardo sulle labbra. Poi, senza dire nulla, le si avvicinò, afferrandole il volto con una mano e studiandolo, quasi stesse acquistando un capo di bestiame. Kita rimase docile, ma dentro di lei si sollevò un'ondata di disgusto a farsi toccare da quell'uomo che odiava con tutto il suo essere.

Il sorriso sulle labbra di lui si intensificò.

“E' sicuramente lei.” osservò, il tono della voce che tradiva un'immensa soddisfazione. “Ottimo lavoro, Ammiraglio.”

“Dovere, Vostra Santità.” replicò con voce monocorde Kobi.

“Sono otto anni che aspetto questo momento...” proseguì il nobile mondiale, tornando a fissare negli occhi la ragazza. “Un tempo molto lungo...non ti pare, Valencien?”

Kita non disse nulla, proseguendo nel suo mutismo. Il sorriso di Terezon sparì per una frazione di secondo. Successivamente, la colpì con un violento pugno al volto. La bionda accusò il colpo, rimanendo in piedi, ma torcendo la faccia. Quando il moro ritirò la mano, un rivolo di sangue colava dalle narici di lei.

“Quando ti faccio una domanda devi rispondere! Non dimenticarti mai chi sono io!” urlò lui, il volto sfigurato in un'espressione di odio, mescolato con una torbida ira.

Gli occhi glaciali della piratessa si contrassero per una frazione di secondo. Infine, le sue labbra si aprirono, andando a colpire con uno sputo il volto del fratello. I marines fecero per colpirla, ma Terezon li bloccò. Si asciugò la faccia lentamente, il volto di nuovo contratto in un sorriso.

“Sì, ora ho la certezza che sei tu, sciocca Valencien.” sussurrò. “Non dovresti provocarmi. Sappi che ho in mente per te un destino piuttosto breve, se consideriamo tutto quello che mi hai fatto. Ma non costringermi a cambiare piani. Ne va della tua salute mentale, sempre che ne possiedi una...”

I denti di lei scricchiolarono, mentre desiderava con tutto il suo cuore poterlo strozzare in quel preciso istante.

Maledetto bastardo!

“Full Metal Bitch, eh? Proprio un nome azzeccato. Sai, mi sono spesso domandato, in questi giorni, cosa ti abbia spinto ad entrare in Marina. Ma in fondo, tu non sei mai stata logica. Proprio come quello schiavo che ti piaceva così tanto.”

I nervi sul collo della ragazza spiccarono tesi. Non sopportava l'idea che Terezon infangasse in quel modo la memoria di Ronac, non avrebbe retto una sola parola di più nei confronti di colui che aveva amato.

“Vostra Santità, se permettete, scorterei la prigioniera al luogo convenuto.” si intromise Furamingo.

Terezon lo guardò con fare glaciale. Fu palese che per un istante nella sua mente passò l'idea di replicare con veemenza, salvo poi ricordarsi chi aveva davanti.

“La ringrazio per l'offerta, ma i suoi servigi e quelli dei suoi uomini non sono più necessari.” rispose infine, trattenendosi a fatica.

“Vostra Santità, con tutto il dovuto rispetto...non credo sarebbe una cosa saggia.” insistette Kobi, con voce pacata ma decisa.

Per alcuni istanti, tra l'ufficiale ed il nobile ci fu una certa tensione, dovuta principalmente alla fatica di Terezon a trattenersi dal rispondere sgarbatamente. Tuttavia, quando sembrava non riuscisse più a contenersi, quest'ultimo sorrise.

“Mi creda, ammiraglio, non sono uno sciocco. So benissimo che con un individuo esecrabile come mia sorella non bisogna essere avventati, e per questo ho preso le mie precauzioni.”

Con uno schiocco di dita, improvvisamente, a fianco del nobile mondiale comparvero quattro figure, ammantate in mantelli scuri, con una maschera bianca a coprire il volto. Gli uomini della Marina si irrigidirono nel vederli, sbiancando in volto. Perfino Hora prese a sudare, osservando gli occhi glaciali dei nuovi arrivati. L'unico che rimase impassibile fu Kobi, che non sembrava sorpreso di quell'arrivo, oltre a Kita, la quale sembrava volere solamente sapere come avrebbe avuto termine la sua vita.

“La Chiper Pool...” mormorò Furamingo.

Il sorriso di Terezon si allargò.

“Non una Chiper Pool qualunque.” prese a spiegare, il volto che trasudava orgoglio e soddisfazione. “Le presento i migliori agenti della CP0, il corpo di intelligence più potente del pianeta. Come può vedere, ho preso tutte le precauzioni del caso.”

“Lo noto con piacere.” replicò asciutto l'ammiraglio. “Allora, noi ci congediamo.” e dopo aver rivolto un veloce saluto militare, Kobi fece per tornare indietro, assieme ai suoi uomini. Tuttavia, prima di salire sull'ascensore, afferrò Hora per un braccio, portandola vicina a sé.

“Dai ordine ai tre viceammiragli.” le bisbigliò all'orecchio. “Che radunino tutte le truppe, e le dislochino attorno al perimetro del Secondo Livello. Si mantengano in contatto con te.”

Il sergente fece per guardarlo, ma una stretta al braccio di lui la bloccò.

“Non accetto repliche.” proseguì Furamingo, proseguendo successivamente, come se niente fosse, all'ascensore. Mentre Hora, dopo alcuni secondi per assimilare la situazione, mandò istruzioni via lumacofono ai viceammiragli.

Aspetto la tua mossa, Kinji.

 

 

Terezon rimase alcuni secondi a fissare la sorella, la bocca storta in un sorriso di vendicativa soddisfazione. Kita fu afferrata per le braccia da alcune guardie, impedendole qualsiasi tentativo di fuga.

“Bene, ora che siamo soli, direi che possiamo dare inizio a questa piccola 'rimpatriata' di famiglia.” osservò il nobile, leccandosi le labbra. “Non hai idea di quanto abbia atteso e desiderato questo momento, Valencien.”

Fu allora che, per la prima volta da quando era scesa dall'ascensore, la ragazza parlò.

“Io non mi chiamo Valencien.” replicò, la voce fredda e vuota. “Il mio nome è un altro.”

Terezon rimase immobile, il sorriso sparito dal volto, una gelida collera che gli sfigurava i lineamenti.

Poi, senza dare nessun preavviso, colpì con un violento schiaffo il volto della bionda. Quest'ultima incassò pesantemente il colpo, ritrovandosi con il labbro inferiore spaccato.

“Come dicevo, Valencien.” riprese lui, iniziando a camminare verso le mura della cittadella che cingevano le dimore dei nobili, subito seguito dai soldati che la trascinavano, e dalle figure incappucciate della CP0. “Ho atteso molto questo momento. Sai, non ho mai dimenticato che sei stata tu, insieme a quello schifoso schiavo, a causare la morte di mia madre. Senza contare, che a causa tua ho perso un occhio.”

Kita non disse nulla, limitandosi a farsi trasportare docilmente. Ormai aveva capito che la sua stessa volontà sarebbe stata cancellata, distrutta, per sempre. Ribellarsi avrebbe significato solamente umiliazioni e dolore in più. Preferiva lasciarsi trasportare dagli eventi, con la speranza che la morte sopraggiungesse il prima possibile.

Mentre veniva scortata, la ragazza notò come Marijoa fosse cambiata profondamente in quegli ultimi otto anni: le dimore dei nobili, il grande palazzo dei Cinque Astri, e le costruzioni della cittadella erano state rinchiuse in due gigantesche muraglie d'acciaio. Al Primo Livello, il più interno e fortificato, erano presenti il grande palazzo dei Cinque Astri, il luogo dove venivano prese le decisioni che avrebbero influenzato il mondo intero, e le dimore dei nobili. Al Secondo Livello, erano presenti numerosi costruzioni e torri, appartenenti ai collaboratori dei Draghi Celesti, ed alle guardie che sorvegliavano la capitale del mondo. Fuori dalle mura, ad eccezione di un corridoio fortificato che collegava l'ascensore al Secondo Livello, era presente una fatiscente baraccopoli, dove erano reclusi la moltitudine di schiavi al servizio dei Draghi Celesti.

In quel momento, Kita stava venendo scortata attraverso il corridoio che collegava l'ascensore ai livelli interni della cittadella. Era un enorme tunnel in acciaio, provvisto di una cupola di vetro fortificata, che permetteva il passaggio della luce.

Terezon notò lo sguardo della sorella, ridacchiando.

“Come vedi, l'ultima fuga di quelle schifose creature inferiori ha lasciato il segno. Ora come ora, nessuno entra od esce senza permesso da Marijoa. Questa volta non ti sarà tanto facile scappare.”

Come se ne avessi voglia... pensò lei, un sorriso macabro sul volto. Trovava buffo che il fratellastro, nonostante tutte le precauzioni che avesse preso, temeva ancora di non riuscire ad attuare la sua vendetta. Si sentiva quasi orgogliosa di avergli instillato una simile paura nell'animo.

Alcuni minuti di cammino dopo, arrivarono davanti ad un portone d'acciaio, alto circa il doppio di un uomo. Bastò un leggero schioccare di dita del nobile mondiale perché esso si aprisse. Tuttavia, prima di entrare, il moro si girò, sfoderando un'espressione che non piacque minimamente alla ragazza.

“Non sarò così bastardo da torturarti per troppo tempo. Del resto, mamma non approverebbe. Tuttavia, per compensare la perdita del mio occhio, ho un paio di regalini da lasciarti prima che tu lasci questo mondo.”

Per la prima volta da quando aveva rivisto suo fratello, Kita ebbe paura. Tentò di nasconderla, ma con scarsi risultati, dato che il sorriso di lui si allargò.

“Sei curiosa, eh? Porta pazienza, ho già preparato ogni cosa dietro a quella porta. Pochi istanti, e capirai.”

Con una risatina, il nobile mondiale la precedette al di là della soglia, seguito subito dopo dalle guardie che trascinavano la ragazza. Una volta di là, quest'ultima venne scossa da tremiti incontrollati, desiderando ardentemente che non fosse vero ciò che stava vedendo.

Non può arrivare a tanto...

I suoi occhi cerulei guizzarono nervosamente tra due oggetti che un uomo vestito da boia teneva in mano. Quest'ultimo li stava aspettando, ed accolse la ragazza con un sorriso sdentato e crudele, ma ciò che più terrorizzava Kita era quello che teneva tra le mani.

Una mannaia sbeccata, ed un ferro rovente con il simbolo dei Draghi Celesti.

 

 

Con un urlo, Kinji roteò Eiji, creando un'onda d'urto che spazzò via gli uomini davanti a sé, permettendogli di correre verso le scale che l'avrebbero condotto a Marijoa.

“Kita!!! Dove sei?! Sono venuto a salvarti!!”

“Fermatelo!! E' il pirata Kinji il Dragone! Non deve sfuggirci!”

Gli ordini si susseguivano in modo frenetico tra le varie postazioni di difesa. I marines si muovevano in modo rapido e caotico da una parte all'altra del porto, cercando di cominciare a difendersi da quell'attacco assurdo ed assolutamente impensabile. Nessuna forza al mondo sarebbe stata così folle da attaccare Marijoa, eppure due ciurme di pirati, piuttosto esigue, l'avevano appena fatto.

“Fermatelo!” in quel momento, davanti al Dragone, comparvero una decina di cannoni che fecero fuoco. Con un ringhio, Kinji distrusse le cannonate con un fendente di energia, spazzando via successivamente l'artiglieria nemica con un'onda d'urto terrificante.

“Sparite!” ululò il moro, gli occhi folli, spiritati, il volto sfigurato, trasformato. Come quello di una belva feroce a cui avevano rapito un cucciolo. “Voglio sapere dove si trova Kita!”

Riprese a correre, distruggendo chiunque osasse porsi davanti alla sua strada, la lama nera Eiji macchiata di sangue scuro. Proseguì ad avvicinarsi come un indemoniato alle scale che l'avrebbero condotto a Marijoa, a compiere una pazzia oltre ogni logica e follia.

Resisti Kita, sto venendo a salvarti!

 

 

“Non starà esagerando?” borbottò Milo, osservando preoccupato i segni della furia del suo capitano.

“Nah, meglio così.” replicò Erza, sistemandosi gli occhiali da sole. “Avremo più possibilità di muoverci indisturbati.”

“Dov'è Harusa?” chiese Seitaro, grattandosi la nuca durante un corposo sbadiglio. “Mi sa che il nostro capitano se ne è andato a combinare qualche disastro, tanto per cambiare.”

“Ignoralo.” fu il secco commento di Joruri. In qualità di vice-capitano, spettava a lei guidare i pirati del Ragno in assenza di Harusa. “Il nostro compito è tenere impegnati questi buoni a nulla per il tempo necessario a salvare la Full Metal Bitch.”

“Sarà una noia mortale!” si lamentò Elshin.

“Noia o no, questo è il nostro compito.” replicò la ragazza. Successivamente, la mora si rivolse a Jinbe. “Fate quello che dovete fare, ed in fretta!”

“Ci puoi giurare!” ringhiò l'uomo-pesce. “Forza seguitemi!” dichiarò ai pirati del Drago, prendendo a correre verso le scale.

“Che cosa?” esclamò Milo, cominciando a seguirlo. “Ci dirigiamo anche noi verso quelle scale?!”

“E' l''unica via d'ingresso che esiste per Marijoa. Ci sarebbe anche un ascensore, ma a quest'ora l'avranno di sicuro già messo fuori uso.” spiegò il vecchio pirata, mentre liberava la strada da un centinaio di marines grazie al suo karate.

“E quindi noi dovremmo farci una simile salita?!” il navigatore si sentiva stanco al solo pensiero. “Ma è...”

“L'unica possibilità! Quindi poche storie e corri!” lo rimproverò Erza. Successivamente, la cecchina si rivolse a Jinbe, uno strano sorriso sul volto.

“Immagino che tu sappia cosa ci attende una volta arrivati lassù, vero Jinbe?”

L'uomo-pesce annuì, il volto scuro.

“Sì, infatti ho già un piano che ci consentirà di guadagnare un po' di tempo.”

“Cosa intendi?” domandò Kuroc.

“Credete che sarà facile trovare la vostra amica? Sono sicuro che faranno il possibile per bloccarci, il che significa perdete tempo, troppo.” cominciò a spiegare Jinbe. “Siamo vicini a Marineford, un tempo quartiere generale della Marina. Da lì possono partire venti corazzate ed arrivare qui in meno di due ore, senza contare che c'è anche l'ammiraglio Furamingo in giro, e questo potrebbe diventare un problema piuttosto grave. Kinji può tenerlo occupato, ma difficilmente riuscirà a batterlo, e comunque non possiamo fare affidamento solo su di lui, ci serve qualcosa che possa permetterci di avere il tempo di trovare la ragazza.”

“E quindi cosa intendi fare? Qual è il tuo piano?” chiese Loock.

“Ora non è il momento. Preferisco tenermi il fiato per la scalata.”l'anziano pirata non sembrava molto entusiasta all'idea. “Una volta arrivati in cima, vi spiegherò tutto.”

“D'accordo! Tieniti pure i tuoi segreti!” rispose Kuroc, mentre usava Doragon no Buresu per liberare la strada. “Spero solo che il tuo piano alla fine abbia successo.”

“E' quello che mi auguro anch'io.” borbottò l'uomo-pesce.

“Ehi, ragazzi! Aspettate!” esordì Milo, guardandosi intorno. “Dove sono finiti Sanji e Santoli?”

“Cosa?”

In effetti, da quando erano sbarcati al porto, Gamba Nera ed il rivestitore erano scomparsi, ma nella confusione dell'attacco se ne erano accorti solo in quel preciso istante.

“Dove sono andati a cacciarsi quei due?” chiese Kalì, la voce piena di ansia e preoccupazione.

“Spero solo che non ci tradiscano.” osservò il samurai.

“No, lo escludo categoricamente.” dichiarò Jinbe. “Se lo hanno fatto, ci sarà una ragione. Quei due hanno cervello, sicuramente hanno anche loro un piano.”

E senza aggiungere altro, il vecchio pirata proseguì nella sua corsa verso le scale, seguito dai pirati del Drago, seguendo la scia di distruzione lasciata da Kinji.

 

 

Sanji guardò, leggermente preoccupato, la cima della Linea Rossa, mentre Santoli trafficava con la porta davanti a loro.

“Sbrigati.” osservò il cuoco. “Non abbiamo tutto questo tempo!”

“Un attimo!” si difese l'altro. Pochi secondi dopo, un sonoro scatto gli fece capire di aver vinto la resistenza della serratura. “Ora possiamo entrare!”

“Perfetto!”

Senza perdere tempo, i due entrarono nel locale buio, venendo assaliti da un odore di polvere e di chiuso. Entrambi accesero un fiammifero per rischiarare l'ambiente, trovandosi davanti ad un immenso schedario.

“Sei sicuro di poterlo trovare?” domandò Gamba Nera.

“Certamente!” Santoli prese subito a svuotare, senza troppa grazia, lo schedario, buttando quaderni, fogli e documenti al suolo. “Dammi una mano anche tu. Cerca la parola che ti ho detto prima, non dovrebbe essere difficile da individuare: è sempre la prima che scrivono in ogni spedizione che lo riguarda.”

“D'accordo, ma sbrighiamoci!” rispose Sanji, mettendosi anche lui a frugare in mezzo a quell'oceano di carta. “Non vorrei lasciarli soli per troppo tempo. Non sono qui per questo.”

“Io invece sì!” replicò con voce fredda l'altro. “E non me ne andrò fino a quando non avrò ottenuto ciò che cerco. È l'unico motivo per cui ho voluto venire con voi: non mi ricapiterà mai più una simile occasione.”

Il cuoco lo guardò con un'occhiata strana, osservando la fredda determinazione sul volto del rivestitore.

“Sei sicuro di quello che dici? Sei sicuro che sia solo per questa ragione?”

L'altro non lo degnò neanche di un sguardo, proseguendo nella sua ricerca.

“Te l'ho dirò solo una volta, Gamba Nera.” disse, la voce carica di minaccia. “Fatti gli affari tuoi. Non hai nessun diritto di impicciarti in questa storia.”

Sanji non replicò, ma le sue labbra si stirarono in un sorriso.

Idiota orgoglioso...

 

 

Kinji sbuffò, mentre cercava di mantenere un'andatura costante. Salire lungo quelle scale si stava rivelando più arduo del previsto. Gli scalini erano infidi, spesso rotti, e scavati all'interno della roccia, costringendolo ad uno sforzo continuo delle ginocchia, ritrovandosi ben presto le gambe in fiamme.

Dove sei, Kita? Pensò, mentre riprendeva fiato, appoggiando la schiena alla dura roccia dietro di sé, in uno dei pochi spiazzi liberi che aveva trovato. L'ombra della Linea Rossa l'aveva ormai sovrastato da parecchio, impedendogli di vedere il sole. Dove sei?

Chiuse gli occhi per alcuni istanti, il sudore che scendeva copioso dalla fronte, rivivendo tutti i momenti passati assieme in quegli ultimi sei mesi. Gli sembrava di averla davanti a sé, tanto vivida e reale era l'immagine che la sua mente gli inviava: i capelli dorati, gli occhi di ghiaccio, il volto serio, il corpo nervoso, magro, muscoloso, con quei tatuaggi così dannatamente sensuali.

Kita!

Riaprì gli occhi di scatto, il respiro irregolare. Non avrebbe mai permesso a nessuno di portagliela via. Lei era una sua compagna, un suo nakama. Non avrebbe permesso che le facessero ciò che avevano fatto ad Eiji, la storia non si sarebbe ripetuta.

Snudò i denti, in un ringhio di pura rabbia. L'avrebbe fatta pagare, anche al mondo intero se fosse stato necessario. Nessuno doveva permettersi di fare del male alle persone a lui care. Neanche coloro che si definivano dei.

E' per questo che mi sono allenato al limite della follia per due anni.

Si alzò di scatto, riprendendo a salire.

Non si sarebbe arreso.

La storia non doveva ripetersi.

Questa volta...questa volta...VINCERO' IO!

 

 

Con un sorriso in volto, Santoli lesse le parole che stava cercando.

Finalmente...riesco a vederlo...il mio obbiettivo!

Erano anni che aveva sperato, creduto in quell'utopia, quel sogno che solo la sua mente, e quella di suo padre, avevano potuto immaginare.

Padre...

Strinse la carta tra le mani con forza, mentre il suo cervello, dopo quell'istante di gioia, riprese la freddezza di sempre. Il lavoro non era finito, aveva ancora molto da fare per vedere il suo sogno realizzarsi.

“L'ho trovato.” dichiarò, dirigendosi verso l'uscita.

“Ottimo!” esclamò Sanji, uscendo da una marea di carta. Spolverandosi, il cuoco uscì assieme al rivestitore, osservando il fuoco e le esplosioni che circondavano il porto.

“Sai dove andare, adesso?” domandò il biondo, accendendosi una sigaretta.

“Ovviamente.” replicò il rivestitore. “Ho trovato anche il luogo dove è custodito ciò che cerco. Temo che sarà un po' complicato trasportarlo, ma non mi sono mai tirato indietro davanti a queste sfide.”

Sanji aspirò una boccata di fumo, buttandola successivamente fuori dalle narici, il volto una maschera impassibile.

“Deduco che mi farai compagnia nella scalata.”

Sotto i baffi rossi, un sorriso si fece strada.

“Ci puoi giurare.”

 

 

Sbuffando ed ansimando, con la sensazione di avere le gambe che andavano a fuoco, Kinji si trascinò stancamente oltre l''ultimo gradino, cadendo sulla cima della Linea Rossa con un profondo respiro. Per alcuni istanti, il pirata rimase immobile, a riprendere fiato, il corpo accaldato e sudato scosso da brividi, a causa di un'aria fredda, che sibilava attorno a lui. Quando si rialzò, però, ciò che vide gli fece riacquistare immediatamente le energie, tramite una scarica di adrenalina.

Ci siamo.

Un enorme portone d'acciaio, alto almeno venti volte lui, gli si stagliava davanti, incuneato in una muraglia ancora più alta, composta dello stesso materiale, e probabilmente sufficientemente spessa per resistere ad un bombardamento continuato. Inciso nel metallo, lo stemma dei Draghi Celesti, rosso come il sangue, si stagliava nitido, quasi come un monito per chiunque osasse profanare la loro terra.

Le labbra del pirata si distesero in un sorriso. Non era stato difficile raggiungere la cima dopotutto. Anche se sapeva che, da lì in poi, avrebbe dovuto affrontare nemici molto più pericolosi di qualche marines.

Fece alcuni passi in avanti, avvicinandosi al cancello, e cominciando a ragionare su come buttarlo giù. Non sarebbe stato facile, ma era convinto che fosse nelle sue possibilità. Doveva solo evitare di disperdere troppo l'energia al momento dell'attacco.

“Molto bene! Allora cominciamo!” esclamò, riponendo Eiji nel fodero dietro la schiena, e schioccandosi le nocche delle mani. “Haki del...” si bloccò, notando solo in quel momento una figura alta e magra davanti al cancello. Una figura a lui fin troppo famigliare.

“Ben arrivato.”

Il sorriso svanì dalle labbra del moro, sostituito da un'espressione rabbiosa.

Questa non ci voleva!

“Guarda chi si vede! L'ammiraglio Rosamingo!”

“Mi chiamo Furamingo.” lo corresse Kobi. Il marine teneva le mani in tasca, ed aveva un sorriso strano sul volto, un misto di gioia e tristezza. “Sai, sono felice di vederti. L'avevo capito subito che non sei un tipo che molla tanto facilmente.”

“Spostati di lì, Rosamingo!” replicò Kinji, le prime fiamme bianche che guizzavano dalle mani. “Devo andare a salvare Kita, non ho tempo da perdere con te!”

“Mi dispiace, ma non credo che sia in mio potere.” replicò sorridente l'ammiraglio. “Forse non hai capito appieno chi stai sfidando. Non credo che ti stia rendendo pienamente conto di cosa stai facendo.”

“Ma di che cosa stai parlando?”

“Questa è Marijoa.” gli spiegò pazientemente Furamingo. “La capitale del mondo. Coloro che attaccano questa terra dichiarano automaticamente guerra al mondo intero. Se anche riuscissi nell'impresa di salvare la tua amica, credi veramente di sopravvivere? Il Governo Mondiale ricoprirebbe di oro ed onori chiunque gli portasse la tua testa. Avresti alle costole i peggiori e più spietati assassini del Nuovo Mondo. Credi veramente di essere più forte di loro?”

“Non mi interessa cosa stai farneticando?!” urlò il pirata, le fiamme che avevano preso ad uscire con più forza dal suo corpo. “Ho giurato che non avrei mai più permesso a qualcuno di fare del male alle persone che amo, e non voglio infrangere quella promessa! Di tutto il resto non me ne importa nulla!”

“Allora dovrai mostrarmi il tuo vero potere stavolta!” vedendo l'espressione sorpresa del pirata, Kobi scoppiò a ridere. “Cosa credi, che non me ne sia accorto che a Sabaody ti eri trattenuto? Sei riuscito a commettere l'errore di sottovalutare un ammiraglio. Non so se definirti un incosciente oppure solamente un povero idiota.”

“E' vero, l'altra volta ho perso perché ti sei rivelato più potente di quanto immaginassi.” replicò Kinji, piegando le gambe come se dovesse scattare. “Ma stavolta andrà diversamente. Ormai ho capito di cosa sei capace, e non mi farò sorprendere una seconda volta!”

“Haki del Drago! Energy Pistol!”

Con un movimento velocissimo della mano, il moro scagliò un proiettile d'aria contro il suo avversario. Quest'ultimo scomparve letteralmente alla sua vista, per ricomparire, un decimo di secondo dopo, alle sue spalle. Kinji però, prevedendolo, parò con irrisoria facilità il calcio diretto al suo collo, rispondendo con una gomitata che colpì l'aria, essendo Kobi scomparso, e riapparso subito dopo, davanti a lui, un sorriso sul volto.

“Sei lento!” lo provocò. Il suo piede sinistro si mosse a velocità inumana, con il chiaro intento di colpire il moro sotto il mento. Tuttavia, il pirata riuscì ad afferrare il piede, bloccando il colpo. Successivamente, Kinji cominciò a roteare su sé stesso, portando con sé l'ammiraglio.

“Sei tu ora quello che mi sta sottovalutando!” urlò il moro, scagliandolo contro la muraglia. Quest'ultimo però, non appena il giovane lo lanciò, riprese il controllo, scalciando verso l'alto, arrivando in quota sopra il ragazzo.

“Dici? Non mi sembri più forte. Sei sicuro di poter fare meglio dell'altra volta?” urlò Furamingo. Successivamente, l'ammiraglio prese a roteare all'indietro, acquistando sempre più velocità. Sfruttando la forza centrifuga, Kobi divenne una sfera rotante imprevedibile e, soprattutto letale.

Vedendolo compiere ciò, il Dragone sorrise, alzando le mani verso il cielo.

“Simili trucchetti non funzionano con me! Sono pronto!” lo sfidò.

Kobi accettò. Si lanciò all'attacco, con il chiaro intento di colpire l'avversario con le sembianze di un proiettile umano. Pochi decimi di secondo prima dell'impatto, l'ammiraglio si spostò lateralmente, colpendo successivamente al fianco il moro. Quest'ultimo, preso alla sprovvista, accusò il colpo, cadendo al suolo, ma replicò immediatamente con un calcio violentissimo, che fece ritornare in cielo l'avversario. Quando Kobi fece per ritornare alla carica, Kinji scomparve alla sua vista, comparendo alle sue spalle.

“Non sei l'unico capace di muoversi rapido, sai?” dichiarò il ragazzo, le mani unite sopra la testa. “Torna giù!”

Calò il colpo con tutta la forza che aveva in corpo, ma Furamingo si spostò di nuovo lateralmente. Questa volta però, Kinji fu preparato. Ricoprendo di fiamme bianche il piede destro, e compiendo una complicata rovesciata in aria, il ragazzo inflisse un calcio dall'alto verso il basso al proprio avversario, riuscendo nell'intento di farlo schiantare al suolo.

“Energy Stamp!”

Tuttavia, Kobi, nonostante il colpo, riuscì ad atterrare in piedi e senza nessun problema. Le mani ancora in tasca, l'ammiraglio scrutò il proprio avversario ancora in cielo con un sorriso sicuro di sé.

“Bravo! Stavolta mi costringi ad usare le mani!” esclamò. Poi, estraendo la destra con un movimento troppo veloce per essere scorto, Furamingo puntò l'indice contro Kinji.

“Shock!”

Subito dopo, il ragazzo fu colpito da un'enorme massa di aria compatta, che lo stordì. Cadde velocemente al suolo, e prima che potesse riacquistare lucidità, si trovò davanti Furamingo, ancora in volo, che gli punto al petto lo stesso indice di prima.

“Shock!”

Ancora una volta, ma in questo caso con una potenza dieci volte superiore, Kinji fu colpito in pieno petto da una durissima massa d'aria. I suoi polmoni si svuotarono, mentre la velocità di caduta si centuplicò. Prima che potesse anche solo formulare un pensiero razionale, il Dragone si schiantò al suolo con un impatto violentissimo.

Kobi ritornò a terra con un movimento fluido ed elegante. Fissò la polvere che si depositava lentamente al suolo, rimanendo leggermente sorpreso di vedere Kinji in piedi, e senza nessun tipo di ferita.

Forse l'ho sottovalutato.

“Non male.” osservò il pirata, sputando un grumo di sangue. “Non conoscevo questa tecnica, lo ammetto.”

Il sorriso di Kobi divenne più marcato. Prese a sgranchirsi il collo, mentre Kinji si scaldava le gambe con qualche esercizio.

“Che ne dici? Possiamo continuare con il riscaldamento? Sai, sono ancora un po' freddino.” osservò l'ammiraglio.

“Certamente!” replicò il Dragone, sorridendo anch'egli. “Non ho molto tempo, ma stai tranquillo che mi basterà per batterti!”

“Allora dire di riprendere.”

“Fatti sotto!” urlò il moro, mettendosi in posizione di guardia.

 

 

Strinse i denti, cercando di trattenere dentro di sé l'urlo che il suo istinto premeva per far uscire. Li strinse sempre più forte, sentendoli scricchiolare, mentre percepiva la propria carne che veniva violentata dal ferro ardente.

Inarcò la schiena, un mugolio strozzato proveniente dalla gola, mentre il ferro si imprimeva con forza sulla sua pelle, tra le scapole, incidendogli con il fuoco la carne. Tese fino alla spasimo le braccia, nel tentativo disperato di liberarsi, ma si accorse di non esserne in grado, di non poter evitare in nessuno modo quella tortura, quell'umiliazione, quel dolore.

Uccidetemi! Pensò, mentre i suoi nervi impazzivano per il dolore. Tutto, ma non questo...uccidetemi!

E poi finì.

Kita respirò in maniera irregolare, con grandi boccate, l'aria, mentre sentiva il dolore scemare lentamente. Chiuse gli occhi, mentre la sua anima appassiva, sapendo benissimo cosa era appena accaduto.

Era stata marchiata. In mezzo alla schiena, brillava malsano, tra la carne viva e pulsante, il marchio dei Draghi Celesti, a testimoniare che lei ormai non era più nessuno. Solo una proprietà.

“Copritele la schiena.” ordinò pigramente Terezon. “E passiamo alla seconda parte del festa.”

Le guardie la rivestirono senza troppi riguardi, facendola sussultare nel sentire lo sfregamento dei tessuti sulla ferita. Tuttavia, il dolore fu nullo, se comparato con quello che provava dentro di sé in quegli istanti, quando aveva compreso il vero obbiettivo di Terezon.

Mentre due agenti della CP0 la tenevano ferma, una guardia le aprì le manette, liberandole il braccio sinistro, mentre il destro fu legato dietro la schiena tramite una catena.

Il sudore sulla fronte della ragazza divenne copioso. Sapeva cosa sarebbe accaduto, e la cosa la terrorizzava.

Ora so cosa provavano le mie vittime. Pensò, in un istante di lucidità, osservando il torturatore avvicinarsi al suo braccio sinistro, con la mannaia sbeccata che gli aveva visto prima.

“Mi ricordo che eri mancina, mia cara.” le spiego Terezon, un sorriso crudele sulle labbra, mentre le veniva posizionato il braccio sopra un'incudine di metallo. “Sai, dovresti essere felice. Finalmente proverai ciò che io ho vissuto sulla mia pelle per otto lunghi anni.”

Kita provò un ultimo, disperato tentativo di liberarsi, prontamente bloccato dalle figure incappucciate. Mentre l'uomo prendeva le misure, le sue labbra si aprirono per la prima volta da quando quella tortura era iniziata.

“Un giorno...” ansimò, fissando con la coda dell'occhio il suo fratellastro. “La pagherai...bastardo!”

Terezon non rispose, limitandosi a dare un cenno con il capo al boia.

Con un sibilo, la lama fendette l'aria. Subito dopo, una miriade di gocce vermiglie si sparsero tutt'attorno, mentre un urlo strozzato di dolore si alzò verso il cielo. Kita osservò il proprio moncherino sanguinante, urlando a pieni polmoni. Il dolore era qualcosa di incalcolabile. Neppure nei suoi peggiori incubi aveva sofferto così tanto. Tutto ciò che restava del suo arto non era che un orrendo moncherino, che si interrompeva brutalmente all'altezza del gomito.

Il sorriso del nobile mondiale divenne una risata ricolma di gioia maligna, mentre le grida di dolore della bionda non accennavano a diminuire.

La Full Metal Bitch non esisteva più. Ora era solo una schiava, priva di qualsiasi volontà, desiderio o speranza.

La vendetta di Terezon si era consumata.

 

 

CONTINUA

 

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Capitolo 15
*** Due ragazzini terribili ***


Capitolo 15

 

 

Joruri squadrò, con fare annoiato, il plotone nemico davanti a sé.

Che manica di incapaci.

“Forza, catturatela!”

Era davvero noioso quel compito. Prendersela con degli individui deboli come quelli era quasi un affronto per una donna come lei, sempre vogliosa di competere contro i migliori. Tuttavia, Harusa le aveva dato l'ordine di tenere occupati quegli smidollati, e lei avrebbe ubbidito.

Mentre lui, ovviamente, va a divertirsi combattendo contro i Draghi Celesti...

Sospirò, ripromettendosi di picchiare il proprio capitano alla prima occasione buona. Almeno avrebbe avuto un senso ciò che stava compiendo in quel luogo.

Vide i marines caricare, con il chiaro intendo di ucciderla. Si limitò ad alzare la mano sinistra, muovendo l'indice e l'anulare di quest'ultima. Immediatamente, i suoi nemici si bloccarono, spesso anche in posizioni grottesche, incapaci di comprendere cosa stava accadendo ai loro corpi.

“Bullet String!” dichiarò, puntando l'indice della mano destra contro i suoi avversari. Immediatamente, dal suo dito uscirono numerosi proiettili lucenti, che misero al tappeto l'intero plotone.

La donna si coprì con una mano la bocca, mentre sbadigliava. Era troppo facile, e non c'era alcun divertimento.

“Attenti! Quella donna deve aver mangiato un Frutto del Diavolo!”

Poveretti... mi fanno una tenerezza...

Quando la seconda carica la puntò, la mora si limitò a tirare un calcio, perfettamente orizzontale, davanti a sé. Il risultato fu un fendente che taglio a metà circa un centinaio di soldati. Urla di dolore disumane si levarono verso il cielo, mentre i superstiti fuggivano terrorizzati.

Joruri avanzò in mezzo ai cadaveri, calpestando i corpi senza vita senza troppi problemi. I suoi occhi scuri vagarono sul campo di battaglia attorno a lei, mentre i braccialetti ai polsi tintinnavano sinistramente ad ogni passo.

Già finito?

In quel preciso istante, udì un sibilo provenire dalla sua sinistra. Non si spostò di un passo. Aveva capito cosa stavano cercando di fare, e le era venuta voglia di impartire loro una lezione indimenticabile.

Sempre che sopravvivano.

Subito dopo, un paio di manette si agganciarono attorno al suo polso sinistro. Dal materiale poteva presumere che fossero di Agalmatolite Marina. Il minerale capace di inibire i poteri dei Frutti del Diavolo.

“Ora è vulnerabile! Uccidetela!”

Siete veramente patetici.

Senza cambiare minimamente la propria espressione, la donna prese a schivare i colpi di fucile e di cannone che le piovvero addosso. Successivamente, con la stessa tecnica di prima, tagliò in due i propri nemici, schizzando sangue dappertutto, e facendo cadere nel panico i propri avversari.

“C-come è possibile?” rantolò un moribondo. “T-t-t... tu...”

Sorridendo, la mora afferrò le manette che le cingevano il polso, distruggendole con irrisoria facilità.

“Idioti.” replicò, le labbra sempre distese in un sorriso. “Io non ho mai mangiato un Frutto del Diavolo.”

“Bullet String!” di nuovo, proiettili luminosi, composti da fili duri come l'acciaio, uscirono dall'indice della sua mano sinistra, ponendo fine alle sofferenze dei feriti.

 

 

Seitaro scattò, muovendosi a velocità inumana in mezzo ai colpi sparati contro di lui. Mosse la sua katana a velocità elevatissima, creando fendenti di energia che guizzavano, come serpenti, in aria. Quando ebbe finito, numerosi corpi senza vita caddero al suolo.

“Si stanno preparando ad un nuovo attacco.” esordì Mae, la voce fredda, quasi inumana. Gli occhi neri della rossa si mossero la sua destra. “Il loro piano è quello di fingere un attacco laterale, per poi chiuderci in una morsa, attaccandoci da dietro con due batterie di cannoni.”

Lo spadaccino snudò i denti in un ghigno feroce, mentre gocce vermiglie cadevano dalla punta della sua arma.

“Sai dirmi di preciso dove sono?” domandò, affiancando la compagna. Per tutta risposta, la donna si limitò ad indicare un punto tra due depositi, a circa duecento metri da loro.

“Uccidi loro, e si ritireranno.” gli suggerì. “Sono nervosi, ed hanno molta paura. Glielo leggo nei pensieri.”

“Come sempre.” Seitaro lanciò alla piratessa uno sguardo complice. “Se li faccio fuori tutti in meno di tre minuti, stasera usciamo assieme?”

“Potrei pensarci...” rispose, impassibile, la rossa, come se la cosa le costasse molto.

“Fa conto che siano già morti!”

 

 

Torazo aprì il libro che teneva in mano, sfogliandolo fino a trovare la pagina giusta. Una volta individuato il brano che desiderava, portò l'indice ed il medio della mano destra davanti al volto, concentrandosi per il richiamo, sotto lo sguardo allibito dei suoi nemici.

“Compari! Io ti convoco, Akuma Neko!”

Immediatamente, un'immensa coltre di fumo comparve davanti al pirata, nascondendolo agli occhi dei marines. Questi ultimi però, videro come il fumo grigiastro prese lentamente a condensarsi, assumendo una forma ben precisa. Nel giro di un paio di minuti, davanti ai loro sguardi si stagliò una strana creatura: una donna bellissima, con le sembianze di un gatto nero. Era alta, formosa e vestita solamente con un provocante intimo rosso, che si stagliava nitido sulla pelliccia scura. Aveva le orecchie piccole, affusolate, gli occhi verdi, canini scintillanti ed affilati, ed artigli minacciosi sulle zampe. A tracolla, sulla schiena, portava una strana arma: una specie di grosso coltello, seghettato solo da un lato, dalla punta piatta.

La donna-gatto, sotto lo sguardo di tutti, si leccò una zampa per alcuni secondi. Subito dopo, puntò i propri occhi smeraldini verso il pirata, ricolmi d'ira.

“Torazo-san!” urlò, con voce calda e sensuale. “Ti sembra questo il modo di comportarti con me?! Sono secoli che non mi richiamavi, non ti senti in colpa?!”

“Ti chiedo perdono, Neko-san.” replicò umilmente il biondo, abbassando la testa. “Comunque, per tua informazione, sono passati appena quattro giorni dall'ultima volta che ti ho chiamata, non secoli.”

“Non osare contraddirmi!” rispose lei, soffiando come un vero felino, il pelo sulla schiena ritto. “Io ti obbedisco sempre, esaudisco ogni tuo desiderio, e tu come mi tratti? Ignorandomi, e convocandomi solo se c'è da ammazzare qualcuno!”

“Neko-san...so che forse apparirò insensibile, ma credo che questo non sia il momento più adatto per discutere.” osservò, con voce umile, Torazo, sperando di riuscire a cavarsela anche quella volta.

“E va bene! Ma questa volta non sperare di cavartela a buon mercato. Se vuoi che li uccida tutti, dovrai passare la bellezza di dieci notti a letto con me! E non tollero contrattazioni!”

Il ragazzo si impietrì, sbiancando, e cominciando a sudare freddo.

“D-dieci notti?” balbettò. “Non...non potremmo...fare...” la voce gli si spense quando notò l'espressione sul volto di lei.

“Dieci...non una di meno!” soffiò Neko. “E se proverai ad imbrogliarmi, giuro che non comparirò più quando mi chiamerai!”

Con un sospiro disperato, il pirata accettò, il volto simile a quello di un condannato a morte. Immediatamente, la donna-gatto corse a strusciarsi contro di lui con fare malizioso, facendolo rabbrividire dall'orrore.

“Grazie...Torazo-chan!” esclamò, con voce acuta e gioiosa. “Ti prometto che non ne lascerò neanche uno in vita!”

“E' quello che spero... con quello che mi costringi a fare...” ansimò il biondo, ancora sconvolto dalle avanches del demone femmina.

“Bene...” Neko spostò il proprio sguardo dal pirata ai marines, mutandolo in un'espressione feroce e sanguinaria. “Siete voi le mie prede? Beh, guadagnerò facilmente le mie dieci notti di sesso con il mio amore...”

“Cos...” prima che gli uomini della Marina potessero capire cosa stava accadendo, la donna-gatto sparì dalla loro vista. Ricomparve, un decimo di secondo dopo, alle loro spalle, dopo avergli tagliati tutti a metà con un singolo colpo della sua arma.

“Beh...non c'è male, come riscaldamento.” osservò, leccando il sangue che gocciolava dalle punte della lama, mentre i corpi cadevano con sinistri tonfi al suolo. “Forse, se mi sbrigo, potrei ottenere anche un antipasto del mio premio da Torazo-chan.”

E scattò, veloce come un lampo, addosso alle sue prede, compiendo una nuova strage, guizzando feroce ed implacabile per il campo di battaglia, il tutto sotto gli occhi sconvolti di Torazo, che si chiese se fosse stata una buona idea richiamare quella sanguinaria assassina, innamorata perdutamente di lui.

“Torazo-chan! Aspettami, che dopo sarò tutta per te!”

Ma anche no!

 

 

Elshin sghignazzò, sgranchendo i propri muscoli, cominciando a battere il piede destro a ritmo.

“Ok, ragazzi! Adesso comincia Disco-Elshin! Siete contenti?!” urlò, rivolto ai propri nemici, ricevendo numerose occhiate perplesse in risposta.

“Oh no! No! NO! Ragazzi, così non va!” replicò il pirata, portandosi le mani davanti al viso, con le dita disposte a triangolo. “Se vi dico di essere pronti, voi dovete esserlo! Allora, cosa siete?!”

Con loro somma sorpresa, i marines sentirono il proprio corpo muoversi contro la loro volontà. Mollarono tutti le armi a terra, sollevando lentamente le mani al cielo.

“Siamo...pronti!” risposero tutti, con voce incolore, un'espressione di orrore dipinta sui loro volti.

“Ok! Allora possiamo cominciare! c'mon!” urlò il bestione. Subito dopo, accendendo uno stereo che teneva in spalla, il pirata prese a ballare a ritmo di una musica allegra, subito seguito a ruota dai soldati.

“Forza! Forza! Così! Vai con le gambe! Guardate che passi, siete dei ballerini nati, ragazzi!” li incitava con fervore Elshin, aumentando sempre più il ritmo della danza.

Dopo circa dieci minuti, i marines erano stravolti dalla fatica. Tuttavia, i poteri del loro nemico li costringeva a proseguire in quella danza sfrenata e sfiancante. Quando i primi soldati presero a cadere incoscienti, incapaci di mantenere quel ritmo, Elshin capì che era il momento di chiudere le danze.

“Ok, ragazzi! Siete stati un pubblico favoloso, e Disco-Elshin vi ringrazia! Ma ora è tempo per voi di morire!”

“Bomb Disco!” urlò, chiudendo le mani a pugno, un sorriso feroce sulle labbra. Immediatamente, i corpi dei marines controllati esplosero in mille pezzi, non dando ai loro proprietari neanche il tempo di accorgersi di essere morti. Il pirata si sistemò gli occhiali da sole, rimettendosi in spalla lo stereo.

“Che peccato...erano un pubblico...esplosivo.”

 

 

Varis camminava lentamente, muovendo con sensuale grazia i propri fianchi. La donna tatuata fissava, con occhi pensierosi, il plotone che le si era parato davanti.

“Prendetela! È una dei pirati del Ragno!” i marines caricarono urlando, mulinando spade e pistole con ferocia, il tutto sotto lo sguardo impassibile della piratessa.

“Che seccatura!” sbuffò. “Ci mancavano questi folli suicidi!”

Prese ad accarezzare la catena che portava attorno alle spalle, mentre aspirava una buona quantità di tabacco dal bocchino della sigaretta. Sotto gli occhi increduli dei soldati, la catena d'acciaio prese vita, srotolandosi dal corpo disegnato di lei, ed assumendo le sembianze di un gigantesco pitone, dalla pelle nera, e con gli occhi rossi come il sangue.

La vista dell'immenso rettile fece cadere nel panico la Marina, che si diede ad una fuga disordinata. Tuttavia, oltre che enorme, la creatura di Varis era anche veloce e letale. Scattò, muovendosi con un'agilità incredibile per un rettile di quelle dimensioni, sbranando i propri nemici, e seminando il caos nel porto.

La donna sorrise. Si avvicinò lentamente ad uno dei moribondi, un ragazzo giovane, con i capelli paglierini fradici di sangue. Quando Varis gli fu davanti, esso prese a tremare dalla paura, consapevole che la sua vita era ormai finita.

“T-ti... prego...” balbettò, disperato. “T-ti sco-scon... ti scongiuro... lasciami andare...”

Il sorriso sulle labbra della mora divenne più marcato. Con un fruscio lento e sensuale, quest'ultima si spogliò, facendosi ammirare in tutta la propria bellezza integrale dal giovane marine, il quale sgranò gli occhi, incredulo di ciò che vedeva.

Fu un errore.

Con un movimento velocissimo, Varis conficcò il tacco della propria scarpa sinistra nell'occhio destro di lui, trafiggendogli il cranio da parte a parte, uccidendolo sul colpo. Senza smettere di sorridere, la mora si rivestì, osservando il mostro creato da lei che banchettava con i soldati del porto, il più delle volte ancora vivi.

Sperò che il mio corpo ti sia piaciuto... potrai ricordarlo con piacere, all'inferno.

 

 

Sul viso di Kinji si dipinse un sorriso, molto simile a quello che aleggiava sul volto dell'ammiraglio Furamingo.

“Hai detto... che ti stai ancora riscaldando, dico bene? Deduco quindi che non hai ancora intenzione di fare sul serio.” osservò il pirata.

“Se è per questo, anche tu finora mi hai deluso.” replicò il marine. “La tua potenza è uguale a quella che mi hai mostrato all'arcipelago Sabaody. Comincio a credere... di averti sopravvalutato.”

L'espressione del giovane divenne folle, mentre un fumo grigiastro prese ad uscire dal suo corpo.

“Non hai idea... della rabbia che mi pervade in questo istante.” dichiarò il moro, la voce bassa e minacciosa, il sorriso pazzo sempre sul volto.

Il volto di Kobi si irrigidì, mentre sentiva l'aria attorno a sé diventare più densa e calda.

“Hai osato fare del male ai miei nakama... rapirne uno...ed ora tenti di ostacolarmi.” sul corpo e sul volto di Kinji presero a stagliarsi, nitide, vene di ogni dimensione, donandogli un aspetto inquietante.

“Mi chiedi perché finora mi sono trattenuto? La verità è che, se dovessi usare tutto il mio potere, probabilmente incenerirei l'intero continente.”

Una goccia di sudore freddo scese lentamente dalla tempia dell'ammiraglio.

“Ohi...non ti sembra di esagerare?” replicò, il sorriso incrinato. “Sei in gamba per essere un novellino, ma credo proprio che ora stai bluffando.”

“Davvero?” il fumo grigio divennero fiamme bianche. “Allora ti dimostro subito cosa posso fare.”

Stringendo i pugni, e digrignando i denti, il ragazzo lanciò un urlo sovrumano. Immediatamente, dal suo corpo fuoriuscì un immenso tornado di fuoco bianco, che si alzò verso il cielo. La terra prese a tremare lievemente, mentre un vento fortissimo e bollente si alzò, costringendo Furamingo a ripararsi il volto con un braccio.

Cosa diavolo sta combinando?!

Il ruggito del giovane pirata durò per circa mezzo minuto, mentre le fiamme divampavano alte nel cielo. Poi, lentamente, esse si condensarono attorno al corpo del moro, che sembrò calmarsi. Il tremito della terra cessò, insieme al vento, mentre Kinji veniva avvolto da un'aura bianca di fiamme.

“Io sono pronto.” dichiarò, il volto divenuto impassibile. “Possiamo riprendere quando vuoi.”

Questa volta, fu Kobi a ridere. Una risata non cattiva, ma che esprimeva pietà, e sicurezza.

“Sai, se prima potevo avere ancora un dubbio, ora ho una certezza.” disse. “Tu non riuscirai mai a battermi.”

Kinji strinse i pugni, mentre le fiamme attorno a lui presero a divampare con più forza.

“Questo lo vedremo, pallone gonfiato!”

“Energy Wave!”

Un'onda di fiamme si diresse verso il marine, quest'ultimo però, si limitò a scattare verso l'alto. Una volta arrivato a circa venti metri dal suolo però, Kinji comparve alle sue spalle.

“Energy Boxing!”

Il moro tirò un violentissimo pugno contro Furamingo, arrivando però a scontrarsi con le nocche della mano sinistra di quest'ultimo. I due presero a scontrarsi in aria, scambiandosi colpi di una violenza inaudita. Le fiamme di Kinji si infrangevano contro la tonalità dell'armatura di Kobi, che a differenza del suo avversario non sembrava impegnarsi completamente.

“Sei meglio di prima, mi tocca ammetterlo.” osservò l'ammiraglio, alzando le braccia per parare un calcio. L'impatto fu così potente, che il contraccolpo arrivò fino al suolo, svariati metri più in basso. “Ma ancora non ci siamo. Sei lento, prevedibile, ed usi troppo gli occhi.”

Il pirata lanciò un nuovo pugno, che fu facilmente bloccato come i precedenti.

“Smettila di parare e basta!” urlò imbufalito quest'ultimo, frustrato per non riuscire a colpire il proprio nemico.

Gli occhi di Furamingo si strinsero minacciosamente.

La prima cosa che percepì il pirata fu dolore. Un dolore atroce, terribile, immenso. Sangue scuro gli uscì dalle labbra, mentre percepiva il proprio corpo che veniva colpito da centinaia di colpi. Li sentiva, ma non riusciva a vederli. L'ultima immagine che aveva impressa nelle retine erano gli occhi spietati del suo avversario, poi il buio.

Kobi portò le mani, unite a pugno, sopra la testa, colpendo con violenza il proprio, ormai incosciente, avversario. Il moro cadde violentemente al suolo, scavando un solco di parecchi metri. Senza indugiare, il marine si diresse a velocità folle dietro al nemico, con l'intento di chiudere subito lo scontro.

Non sei tuo padre... non ti basta la follia per potermi battere!

Richiamò l'haki sul pugno destro, caricandolo all'indietro. Avrebbe usato un ultimo, singolo colpo per chiudere quel duello.

Tuttavia, quando ormai mancavano pochi decimi di secondo all'impatto, Furamingo percepì uno spostamento d'aria, proveniente dalla sua destra. Con un colpo di reni, l'ammiraglio si bloccò, appena in tempo per evitare una carta da gioco che, affilata con un rasoio, puntava dritta alla sua testa.

I suoi occhi scuri si voltarono lentamente, andando a fissarsi su una figura alta e magra con un sorriso folle sul volto.

“H-Harusa!” esclamò Kinji, alzandosi a fatica. I colpi di Furamingo l'avevano debilitato più del previsto. “E' bello vederti!”

Il pirata dalla chioma blu, senza smettere di sorridere, fece un gesto con la mano sinistra, richiamando così la carta lanciata precedentemente verso Furamingo. Quest'ultimo lo fissò con fare impassibile, abbastanza infastidito per l'interruzione del combattimento.

“Immagino tu sia colui che chiamano 'Il Folle'.” esordì, allontanandosi da Kinji. “Posso sapere a cosa devo il piacere di questa visita?”

“Passavo di qui.” rispose il ragazzo, mentre iniziava a mescolare le proprie carte. Ne prese una, constatando, con soddisfazione, di aver appena pescato l'asso di picche, una delle sue carte preferite. “Ho pensato che sarebbe stato simpatico lottare contro di te.”

Kobi sospirò, scuotendo la testa. A quanto pare, ora avrebbe avuto due sbarbatelli da mettere in riga.

“Comincia pure quando vuoi.” osservò, mettendosi in una pigra posizione di guardia.

Harusa non rispose, incamminandosi lentamente verso l'altro pirata, il quale, sputando un grumo di sangue dalla bocca, gli sorrise con fare riconoscente.

“Grazie! Senza di te, ora non sarei capace di restare in piedi.”

“Figurati.” gli occhi verdi dell'azzurro si spostarono verso la figura del loro avversario. “Dunque è quello Furamingo?”

“Già, e ti posso assicurare che è veramente potente.” rispose Kinji, guardando storto il marine. “Non sono ancora riuscito a fargli un graffio. Non credevo che potessero esistere simili mostri.”

“Hai intenzione di ritirarti?” lo provocò, con tono mellifluo, l'altro.

“Mai!” rispose il ragazzo. Digrignò i denti, mentre si conficcava le unghie nei palmi delle mani. “Mi serve un singolo colpo.” mormorò.

“Come?”

“Per batterlo dovrei colpirlo almeno una volta, ma è troppo agile.” una goccia di sudore prese a scendergli dalla fronte. “Però... se tu riuscissi a tenerlo impegnato, io potrei caricare il mio potere in un singolo colpo, ed a quel punto, ammiraglio o meno, sarà spacciato.”

Harusa chiuse gli occhi per un istante, soppesando il piano dell'alleato.

“Quanto?” pronunciò infine.

“Cosa?”

“Quanto tempo ti occorre?” ripeté l'altro, aprendo gli occhi.

“Un paio di minuti.”

Il sorriso folle tornò ad aleggiare sul viso di Harusa.

“Molto bene.”

Kobi non percepì il discorso dei due giovani pirati, e la cosa lo rese leggermente nervoso. Per quanto fossero decisamente inferiori a lui, erano molto più forti di un normale novellino. Unendo le forze, avrebbero potuto metterlo in difficoltà.

Non devo sottovalutarli.

In quell'istante, Harusa gli si avvicinò, con passo tranquillo e rilassato. Teneva una mano in tasca, mentre con l'altra mescolava, con un abile movimento del polso, il proprio mazzo di carte. Quando i suoi occhi smeraldini si piantarono in quelli scuri di lui, Furamingo comprese che il suo primo avversario sarebbe stato il pirata da duecento milioni.

Vogliono combattere uno alla volta? L'appellativo del Folle gli calza a pennello...

Stava per scattare, desideroso di chiudere subito quell'incontro, quando Harusa, estraendo la mano destra dalla tasca, prese a muovere le dita in modo singolare: come un burattinaio che tiene i fili delle marionette. Immediatamente, il mazzo di carte del pirata prese vita, sollevandosi in aria, e dirigendosi a gran velocità contro la figura del marine, il quale osservò scettico il tutto.

Vuole giocare al lancio dei pugnali... con un mazzo di carte?

Un flebile sorriso gli spuntò sulle labbra. Alzò una mano, con il chiaro intento di porre fine a quella buffonata, quando notò uno scintillio sinistro sul bordo delle carte. I suoi occhi si spalancarono, mentre con uno scatto evitava per un soffio i primi colpi.

Le ha ricoperte di haki. Allora anche lui lo sa usare?

Il sorriso di Harusa divenne più intenso. Successivamente, con un movimento circolare dell'anulare destro, il pirata fece cambiare direzione alle proprie carte. Queste ultime presero a vorticare velocemente attorno all'ammiraglio, tentando di colpirlo senza alcuno schema logico, puntando tutto sull'imprevedibilità. Kobi fu costretto, con sua sorpresa, sulla difensiva, limitandosi a schivare i colpi, incapace di attuare una controffensiva.

È in gamba! Riflette amaramente, mentre si muoveva rapido tramite il Soru, udendo i sibili delle carte attorno a lui. Non sta usando alcuno schema logico. In questo modo, non riesco a comprendere come potermi difendere.

Strinse i pugni, irritato. Un ammiraglio non poteva farsi mettere nel sacco in quel modo da un moccioso. Ne andava del suo orgoglio.

In questi casi, l'unica soluzione è colpire alla radice.

Con uno scatto molto superiore, in termini di velocità, ai precedenti, uscì fuori dalla zona d'attacco delle carte. In meno di un decimo di secondo, il marine fu davanti ad Harusa, il pugno sinistro, ricoperto di haki, caricato all'indietro e pronto a colpire. Il pirata dai capelli blu non poté fare altro che spalancare gli occhi, sorpreso da quella mossa, mentre le labbra di Furamingo si distesero in un sorriso.

Fuori uno!

Calò il colpo, convinto di aver usato sufficiente potenza per renderlo inoffensivo. Tuttavia, un istante prima dell'impatto, il suo pugno fu bloccato da un colpo di Kinji. Per alcuni istanti, le nocche dei due, entrambe ricoperti di haki, emisero scintille, ma poi la tonalità di Kobi si rivelò più forte, spedendo Kinji ed Harusa a parecchi metri di distanza.

“Ahia!” si lamentò il moro, osservando la mano che tremava dal dolore. “Ma quanto è potente l'haki di quel tizio?!”

“Ti ringrazio, ma non era necessario.” rispose Harusa, rialzandosi.

“Come sarebbe a dire?! Stava per farti secco, te ne rendi conto?!” replicò Kinji, massaggiandosi l'arto dolorante.

“Si sta comportando esattamente come volevo che facesse.” rispose il pirata dai capelli blu. “Concentrati sul tuo potere, e lascia fare a me il resto.”

Kinji fece per ribattere, quando un'ombra alle loro spalle li ammutolì.

“Complimenti per i riflessi.” osservò Kobi, la gamba sinistra alzata. “Non avrei mai immaginato che saresti riuscito a starmi dietro, Kinji. Mi hai sorpreso.”

“Ma ora il gioco finisce!”

Subito dopo, l'ammiraglio calò il colpo. I due pirati riuscirono a schivarlo, mentre il terreno della Linea Rossa si crepava e si infossava di decine di metri sotto la pressione del calcio. Increduli per l'immensa potenza del loro avversario, i giovani abbassarono la guardia, permettendo a Furamingo di approfittarne. Prima che Harusa potesse accorgersi di qualcosa, il marine lo colpì con un violentissimo calcio al volto, spedendolo a parecchi metri di distanza. Il pirata rimase immobile a terra, senza muovere più un muscolo, facendo esplodere la rabbia di Kinji.

“Adesso basta!” urlò, i lineamenti del volto sfigurati dalla rabbia. “Porrò fine a questo incontro con un singolo colpo!”

 

 

Kita si muoveva lentamente, il volto inespressivo, scortata dalle guardie del fratello.

Non sono più nulla.

I suoi occhi caddero sul moncherino arrossato alla sua sinistra. Un dolore ben più potente di quello fisico gli dilaniò l'anima, sentendosi rovinata e sfregiata per sempre. Gli sembrava quasi di potere sentire ancora il proprio braccio, ma poi i suoi occhi le mostravano la cruda realtà, vedendo la carne bruciata dalla cauterizzazione che le avevano imposto, per impedirle di morire dissanguata nel giro di qualche minuto.

Strinse le labbra, mentre sentiva gli occhi pizzicare, ma ricacciò indietro con stizza le lacrime. Non avrebbe dato a quel bastardo di Terezon anche quella soddisfazione.

Nonostante tutto quello che aveva passato, Kita era sempre stata orgogliosa del proprio fisico. Della propria bellezza mascolina, sensuale e, sotto un certo aspetto, perversa. Si era sempre reputata una donna bella, affascinante, di una bellezza brutale, come quella che può avere una spada. Non aveva mai ceduto a sentimentalismi o corteggiamenti, mai. Ma questo non significava che riceverli non l'avesse lusingata.

Ma ora... cosa era lei? Una storpia. Una schiava storpia. Della brutale bellezza della Full Metal Bitch non era rimasto più nulla, lasciando spazio ad una creatura debole e patetica.

Il suo orgoglio, ormai in frantumi, stillava lacrime amare dal suo cuore, mentre un groppo doloroso le bloccava la gola, ogni volta che la sua mente sfiorava il pensiero che non sarebbe mai più potuta tornare indietro.

Anche se sopravvivessi a tutto questo, rimarrò storpia. Una schiava storpia.

Comprese in quel preciso istante che era un pensiero insopportabile, e che non desiderava altro che morire il prima possibile. Almeno non avrebbe dovuto più vedere quello spettacolo osceno del proprio moncherino.

Ringraziò gli dei che gli altri non potessero vederla in quello stato. Avrebbero provato solo pietà, e forse disgusto, a quella vista, e lei non poteva tollerarlo.

Pagò così le mie colpe? Pensò, scrutando la propria menomazione con occhi ricolmi di dolore. Subendo le umiliazioni più orribili che possa immaginare?

Terezon, vedendo gli occhi della sorellastra fissi sul proprio moncherino, le si avvicinò, un sorriso untuoso sulle labbra.

“Tranquilla.” le disse. “Anche io all'inizio rimasi sconvolto. Ma con il tempo ci si abitua alle proprie menomazioni. Anche se tu, di tempo, ne hai ben poco.”

Ridacchiò quando la bionda gli lanciò un'occhiata ricolma d'odio.

“Dovresti essermi grata, sai? All'inizio pensavo di tenerti come puttana in qualche bordello di Marijoa, ma poi mi sono detto che nessuno userebbe il proprio cazzo su una storpia, e quindi ho pensato di farti un piacere, giustiziandoti subito.” il sorriso del nobile divenne più marcato. “Come vedi, a differenza tua, io so cosa sia la pietà. Anche se tu ne meriti veramente poca.”

“Ti starai domandando dove siamo diretti ora, non è vero?” proseguì, accarezzando la testa della sorellastra, in un perverso gesto d'affetto. “La nostra destinazione è ormai vicina. Ti porterò in cima alla torre di famiglia. Da lassù, potrai ammirare, per l'ultima volta, tutto quello che tu e nostro padre avete buttato via a causa della vostra sciocca follia.”

Le parole del moro giungevano ovattate alle orecchie di Kita. Un brusio fastidioso, che lei sperava si interrompesse molto presto. Ormai voleva solo morire, e prima sarebbe accaduto, meglio sarebbe stato.

All'improvviso, perse l'equilibrio, facendo fatica a restare in piedi. Notò che anche le guardie e suo fratello presero a soffrire dello stesso problema. Si accorse, con un istante di ritardo, che la terra aveva preso a tremare, mentre un vento molto caldo e forte soffiava alle sue spalle.

Ma che succede?

“Si può sapere cosa diavolo sta accadendo?!” sbraitò Terezon. “Che io sappia, Marijoa non è zona sismica!”

“E' solo l'ammiraglio Furamingo, signore.” rispose uno degli agenti del CP0, con voce fredda ed incolore.

“L'ammiraglio Furamingo? Cosa diavolo sta combinando, quell'imbecille?!”

“Sta combattendo.” rispose lo stesso uomo di prima, gli occhi glaciali che scintillavano tra le pieghe del cappuccio. “A quanto pare, alcuni pirati hanno assalito La Porta del Paradiso, e stanno salendo lungo la Linea Rossa.”

Silenzio.

Alcuni...pirati?!

Non provò nulla all'inizio. I suoi occhi azzurri si spalancarono di botto, mentre sudore gelido prese a scenderle lungo il filo della schiena.

Che...che...

Un tremito incontrollato prese a diffondersi lungo le sue membra. Era assurdo anche solo pensarlo. Non poteva averlo fatto. Sapeva che Kinji era un pazzo, ma anche lui doveva avere dei limiti imposti dalla ragione.

Peccato che il suo capitano non aveva mai saputo ragionare.

Perché...PERCHE'?!

Non riusciva a crederci. Non poteva crederci. Nessun fuorilegge sano di mente avrebbe osato avvicinarsi a Marijoa, men che meno assalirla. Eppure, i suoi compagni, i suoi adorati nakama, erano lì, a combattere per lei, perché la volevano di nuovo al loro fianco.

Pazzi! Moriranno tutti! E per cosa?! Una storpia?!

No, Kita non voleva che la salvassero. Ormai era inutile, un peso morto. Anche se fossero riusciti a trarla in salvo, lei non sarebbe diventato altro che un inutile ingombro. La ragazza preferiva morire lì, in quel posto, piuttosto che diventare un peso per i suoi compagni, e leggerglielo negli occhi.

“D-dei pirati?!” la voce di Terezon tradiva molte sensazioni, apparentemente molto simili: rabbia, collera, odio e paura. Specialmente l'ultima. Aveva trovato una crepa nel suo piano di vendetta, e la cosa lo sconvolgeva.

Volse i propri occhi verso la sorellastra, notandola tremare, i denti scoperti in un ringhio di rabbia. Con un ruggito pari a quello di una bestia selvaggia, il nobile strattonò per i capelli la bionda, portandole il volto vicino al suo.

“Non illuderti, puttana!” sibilò, sputacchiandole addosso. “Nessuno potrà salvarti! Quegli scarti umani che tanto ti stanno a cuore moriranno tutti, e tu assisterai alla loro fine, prima di morire!”

“Alla torre dei Donquixote!” ordinò alle guardie, gettandola con malagrazia a terra. I soldati la sollevarono, accelerando il passo, trascinandola via.

Kinji... ti scongiuro! Vattene! Vattene via!

Le prime lacrime le macchiarono il volto, mentre il pensiero dei suoi amici in pericolo le straziava il cuore, molto di più dell'essere diventata storpia.

Non vale la pena che moriate per un rifiuto come me! Andate via!

Vi scongiuro!

 

 

Kobi fissò Kinji, perplesso da quello che il giovane fuorilegge aveva appena detto.

“Cosa intendi dire?” gli chiese.

“Quello che ho detto!” replicò rabbiosamente il ragazzo. Subito dopo, attorno al suo braccio destro, si condensarono delle fiamme bianche, che presero a vorticare in modo sempre più veloce, mentre lampi azzurri crepitavano tutt'attorno all'arto del moro. “Ti sconfiggerò con il mio prossimo colpo!”

Gli occhi di Furamingo si contrassero impercettibilmente.

“Allora cosa aspetti? Vediamo!” lo sfidò.

Emettendo un ringhio da belva, Kinji scattò, tirando all'indietro il braccio, cominciando a correre verso la figura del marine.

“Haki del Drago...”

Se pensa che lo attenderò...

Fece per muovere le gambe, quando si accorse, con sommo orrore, di non esserne capace. Ci mise alcuni secondi a capire che l'intero suo corpo era paralizzato, alla completa mercé del nemico.

Quando è successo?! Com'è stato possibile?!

Harusa si alzò, un sorriso spietato che brillava sul volto insanguinato.

“Frutto Stick-Stick... stronzo.” mormorò, sputando un grumo di sangue dalla bocca.

Solo allora, Kobi si accorse di avere il corpo ricoperto da leggeri fili azzurri, vischiosi, che lo imprigionavano in una morsa appiccicosa ed indistruttibile. Comprese che averli tenuti invisibili fosse una capacità di quel frutto, grazie alla quale il giovane pirata era riuscito a fregarlo.

Ma quando ha avuto il tempo di attaccarmeli?! Quando... i suoi pensieri si bloccarono di colpo, mentre una rivelazione gli squarciava la mente. Ritornò indietro nel tempo, con il pensiero, di qualche minuto, rivedendo l'attacco con le carte, apparentemente illogico, di Harusa.

Quell'attacco aveva una logica, invece! Muoveva le carte tramite i fili di sostanza appiccicosa, per poi farle ruotare attorno a me, in modo che mi ci invischiassi sempre di più.

Digrignò i denti. Si era fatto mettere nel sacco come un pivello, da parte di un moccioso che giocava a fare il pirata!

Vide Kinji sempre più vicino, ormai pronto a fare la sua mossa. Probabilmente sarebbe riuscito a liberarsi di quella trappola, ma non ne aveva il tempo.

“Energy...”

Va bene! Vediamo chi è il più forte!

Fece per richiamare l'haki, ma si accorse di non avere più tempo neanche per quello. Il moro ormai era di fronte a lui, il volto contratto dalla rabbia, il pugno caricato all'indietro, immerso in un vortice di fiamme e tuoni.

Agì d'istinto.

“Tekkai!”

“Cannon!”

Con un urlo pieno di collera, Kinji colpì allo stomaco il suo nemico, penetrando carne e muscoli. Kobi percepì un dolore mostruoso risalirgli dall'addome, un dolore come non lo provava da anni. Si piegò, vomitando un fiotto di sangue, gli occhi sgranati. Le fiamme di Kinji gli attraversarono il corpo, bruciandolo, mentre i tuoni azzurri scaricarono tutta la loro potenza addosso a lui. Durò una decina di secondi, poi finì, lasciandolo col fiatone ed in preda ad un dolore indicibile.

Bastardo!

Fece per rompere i legacci che lo bloccavano, con l'intento di disintegrare quel moccioso che aveva osato fargli quello, quando si sentì sollevare da terra. Con la coda dell'occhio, vide Harusa afferrare i lembi della sua trappola, sollevandolo e facendolo schiantare al suolo.

“Sticker Hammer!”

L'impatto tra la nuca del marine ed il suolo fu tremendo. Per circa un decimo di secondo, Kobi perse conoscenza, vomitando una nuova ondata di sangue. Cadde disteso al suolo, le braccia aperte, senza più muoversi, il tutto sotto lo sguardo allibito delle sentinelle sopra le mura della cittadella.

L'ammiraglio Furamingo era stato appena messo al tappeto da due pirati novellini.

“Sei proprio un pazzo, Harusa!” osservò Kinji, sorridendo. “Solo tu potevi pensare ad un simile piano.”

“Anche tu sei un folle.” replicò il pirata dai capelli blu, restituendo il sorriso. “L'unico abbastanza folle da attaccare questo posto.”

I due pirati si guardarono negli occhi per alcuni secondi, ritrovando in quelli del compagno di lotta, la stessa rabbia, l'identica follia di voler andare contro ogni limite di quel mondo.

Erano pronti allo scontro finale.

 

 

CONTINUA

 

 

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Capitolo 16
*** Acciaio e fuoco ***


Capitolo 16

 

 

Con un ultimo, disperato sforzo, Jinbe superò il gradino. Sbuffando, l'uomo-pesce si sdraiò sulla fredda e compatta roccia, rabbrividendo nel sentire un vento gelido sul collo sudato.

“Siamo... arrivati. Era ora!” sbottò Kuroc, raggiungendo il vecchio pirata, seguito a ruota da Kalì, Loock ed Erza. Erano tutti con il fiatone per lo sforzo eseguito, senza contare che avevano i vestiti zuppi di sudore.

“Che ne dici di spiegarci il tuo piano, Jinbe?” chiese Hysperia, ultima a raggiungere la cima, sulla spalla destra i corpi sfiniti di Milo e Shun, che avevano mollato a circa metà della salita. A differenza degli altri, l'assassina sembrava fresca e riposata come all'inizio della scalata.

“Sì, hai ragione.” replicò l'altro, estraendo una pergamena da sotto la tunica, e srotolandola a terra. Venne subito circondato dagli altri, che gli rivolsero occhiate incuriosite.

“Questa è una mappa di Marijoa, anche se abbastanza sommaria. Come potete vedere, a circa un miglio alla nostra sinistra c'è l'ingresso dell'ascensore, protetto da un corridoio d'acciaio molto spesso.” iniziò a spiegare, indicando i vari punti sulla mappa. “Il nostro obbiettivo è ciò che si trova dietro quel tunnel.”

“Perché, cosa c'è dall'altra parte?” chiese Loock, mentre Hysperia e Kalì erano impegnate a far riprendere fiato a Milo e Shun.

L'unico occhio dell'uomo-pesce si illuminò.

“La baraccopoli degli schiavi. Lì vengono tenuti tutti i servitori che non vengono impiegati come domestici nelle ville dei Draghi Celesti. Ovviamente sono ben sorvegliati, ma credo che in questo momento, con un attacco in corso, i controlli siano minimi.”

“Intendi liberarli?” osservò Erza.

“Precisamente! Se diamo vita ad una rivolta tra gli schiavi, creeremo abbastanza confusione da potere guadagnare un po' di tempo, senza contare che potrebbero aiutarci anche ad aprirci una via di fuga.”

“Idea brillante.” constatò sarcastico Kuroc. “Ma dimentichi un particolare: abbiamo pochissime armi. Anche sconfiggendo le guardie a difesa della baraccopoli, come pensi di armarli? Senza spade e pistole, saranno solo carne da macello.”

“Qui entrate in gioco voi!” rispose prontamente il pirata, indicando lo spadaccino ed il cuoco. “A due miglia alla nostra destra sono presenti alcuni depositi di armi. Sono ben sorvegliati, e protetti da un muro di cinta a sé, completamente isolato da quello che recinta Marijoa. Il vostro compito sarà espugnarlo, e procurare le armi che servono agli schiavi per combattere.”

“Quindi, mentre noi andiamo ad assaltare i depositi, voi liberate gli schiavi.” borbottò Loock. “E chi va a prendere Kita?”

Un'esplosione poco distante da loro li fece girare di scatto, osservando come il fumo causato da quest'ultima provenisse da davanti i cancelli della cittadella.

“Quello... sarà compito del vostro capitano.” concluse Jinbe, rialzandosi. “Forza, non perdiamo tempo! Ogni minuto che passa, potrebbe essere fatale!”

“Ok!” rispose all'unisono i pirati del Drago. “Facciamolo!”

“Ehi, buzzurro!” dichiarò Erza rivolta al vice-capitano, prima di dividersi. “Sicuro che non te la farai sotto, una volta da solo?”

Lo spadaccino fece un ghigno, mentre si scioglieva le nocche delle mani.

“Pensa alla tua pellaccia, barbie da due soldi!” replicò. “Non vorrei dover perdere tempo a raccogliere i tuoi resti.”

“Cercherò di evitarti questo piacere!” gli occhiali da sole della cecchina brillarono sotto il sole di Marijoa.

Kuroc si allontanò dalla parte opposta, seguito da Loock, scuotendo la testa.

Quella femmina è proprio insopportabile!

 

Milo si rialzò, a fatica, respirando profondamente. Una volta in piedi ebbe un attacco di vertigini, che l'avrebbe fatto ricadere al suolo, se non fosse stato per la mano di Hysperia, che lo afferrò per una spalla.

“Tutto ok?” chiese l'assassina, con tono gentile.

Con un ringhio di collera, il navigatore si liberò dalla presa di lei, recuperando l'equilibrio. Era furioso con sé stesso, molto più di quanto volesse ammettere.

“Sto bene!” sbottò, con fare sgarbato. “Non sono un debole!” sapeva che la compagna voleva solo aiutarlo, ma sentirsi, per l'ennesima volta, debole ed inadatto l'aveva fatto infuriare.

Lei gli lanciò un'occhiata strana: un misto di affetto e comprensione. Poi, con un movimento troppo veloce per essere visto ad occhio nudo, gli tirò un pugno sul volto, mandandolo a schiantarsi al suolo.

“Ma cosa...”

“Me lo restituirai alla fine di questa storia.” replicò lei, cominciando a seguire gli altri. “Dimostrami quello che vali!”

Il moro si rialzò, le vene del collo gonfie di rabbia. Respirò profondamente, mentre si conficcava le unghie nei palmi delle mani, un'onda di furore che gli bruciava il cuore.

“Ci puoi giurare!” sibilò.

 

Non sarà autocommiserandoti in questo letto che realizzerai il tuo sogno!”

 

Le parole che Kita gli aveva detto tempo fa gli ritornarono in mente, ricordandogli il motivo per cui lui era lì, lo scopo di quel viaggio, di quelle fatiche.

Io...

Digrignò i denti, mentre si alzava di scatto, iniziando a seguire i propri compagni, più che mai deciso a lottare e combattere con tutte le sue forze.

Non sono un debole! E te lo dimostrerò, Kita!

 

 

“Forza! Non perdiamo altro tempo! Apriamo questa dannata porta!” esclamò Kinji, sciogliendosi i legamenti delle mani, pronto a richiamare il proprio potere per distruggere l'enorme portello d'acciaio che gli si parava davanti.

“Hai bisogno di una mano?” gli chiese Harusa, mettendosi al suo fianco, curioso di vederlo di nuovo all'opera.

“Ti ringrazio, ma penso di potercela fare.” rispose il moro. Stava per richiamare l'haki quando una risata lo bloccò. Girandosi, vide che la fonte era Kobi, ancora disteso a terra.

Maledizione! Non dirmi che è ancora cosciente?!

“Sai...” in quel momento, Furamingo si alzò, sputando un grumo di sangue dalla bocca, un sorriso ad incorniciargli il volto. “Mi domando quando la smetterai di sottovalutarmi.”

“Sei ancora in piedi?! Quando ti deciderai a lasciarmi andare avanti?!” berciò il giovane pirata.

“Mi dispiace, ma è palese che non hai capito nulla di me.” proseguì il marine, sempre sorridente. “Davvero credi che non me ne sia accorto? Prima non mi hai colpito con tutta la tua forza!”

I denti di Kinji scricchiolarono, mentre una goccia di sudore prese a scendergli dalla tempia destra.

“Vediamo se riesco a spiegarmi...” continuò Kobi, mettendosi le mani in tasca. “Tu ti stai risparmiando, volontariamente, perché sai che, oltre quella porta, ti aspettano altri scontri. Sembri convinto, non si sa come, che riuscirai a battermi usando poco più della metà delle tue forze, ho indovinato?”

Il suo sorriso si intensificò quando vide l'espressione del suo avversario.

“Sei veramente stato sciocco, mio caro. Avresti dovuto approfittare della mia imprudenza di prima, colpendomi con tutto il tuo potere. Invece hai voluto trattenerti, peccando di arroganza. Un errore che rimpiangerai amaramente.”

“Sta zitto!” replicò Kinji. “Posso colpirti quando voglio!”

“Ma davvero? Mi spiace doverti informare che il sottoscritto, fino a questo momento, ha usato circa un quinto della sua forza. Credevo che sarebbe bastata per mettervi al tappeto, ma come ho già detto prima, vi ho sottovalutato. Non succederà più, credetemi.”

Sudore freddo prese a scendere dal volto del Dragone, mentre perfino Harusa sembrò stupito di ciò, spalancando i propri occhi verdi.

“Ha detto... un quinto?!” sussurrò il moro, gli occhi sbarrati.

Le labbra di Kobi ritornarono a formare una piega inespressiva, mentre chiudeva le mani a pugno, in una specie di blanda posizione difensiva.

“Permettetemi, prima di iniziare, di farvi i miei complimenti.” dichiarò, chiudendo lentamente gli occhi. “Era da molto tempo che non ero costretto ad impegnarmi così a fondo in un duello.”

“Ma ora per voi è finita.”

Per alcuni istanti, l'unico rumore fu quello del gelido vento che spazzava l'arida terra rossa. Harusa e Kinji rimasero fermi, immobili, paralizzati dalla paura di quella strana quiete.

Poi, improvvisamente, la terra prese a tremare. All'inizio leggermente, poi sempre più forte, dando vita ben presto ad un vero e proprio terremoto, che rese difficile ai due bucanieri rimanere in equilibrio.

“Cosa diavolo sta combinando?!” urlò Kinji, mentre tentava di non cadere, osservando Furamingo che, sempre tenendo gli occhi sbarrati, cominciò a scavare la terra attorno alla sua figura usando semplicemente la propria forza.

Dunque anche lui lo sa usare... non credevo che fosse capace di tanto. Rifletté Harusa, sudando freddo. Quello che aveva davanti era un vero e proprio mostro, che non sarebbe stato facile buttare giù.

“Sta...” il figlio di Rufy deglutì lentamente, le pupille dilatate. “Sta facendo tremare l'intero continente senza muovere un dito!”

Le scosse proseguirono per circa una trentina di secondi. Poi, lentamente, esse si appianarono, mentre la forza causata dall'ammiraglio aveva creato un enorme cratere attorno a lui, ad eccezione della terra sotto i suoi piedi.

Aprì gli occhi.

Fu l'istinto a salvarlo. Percependo di essere in pericolo, Kinji effettuò un balzo all'indietro. Subito dopo, ancora prima che avesse raggiunto la massima quota, il punto dove si trovava un istante prima venne colpito da un pugno del suo nemico. Sudando freddo, la vista del pirata fece sparire la sagoma precedente di Kobi ferma in una strana posizione di guardia, facendolo comparire a pochi metri da lui.

Come... come riesce a muoversi in questo modo?!

“Te l'ho detto!” esclamò il marine, mentre la terra colpita dal suo pugno si spaccava, dando vita ad un crepaccio senza fondo. “Non puoi sperare di sconfiggermi se rilevi i miei spostamenti con gli occhi.”

Subito dopo, un terrificante dolore invase lo stomaco del moro, ancora sospeso in aria. Stupito, Kinji volse lentamente il proprio sguardo al petto, dove vide un pugno di Furamingo, circondato da una strana fiamma incolore, penetrargli nella carne.

L'impatto fu tremendo. Il bucaniere venne scagliato a svariati metri di distanza, schiantandosi al suolo con violenza, fermandosi solamente dopo altri cento metri circa. Solo allora i suoi sensi gli inviarono una spaventosa sensazione di dolore, attanagliandogli il petto, e diffondendosi velocemente in tutto il suo corpo.

Lanciò un urlo di dolore, prendendo a contorcersi a terra, in preda ad una lancinante sofferenza, mentre Kobi lo fissava sorpreso.

“E' ancora vivo? Eppure l'ho colpito con il Rin.” osservò, incredulo di ciò che vedeva. “E' veramente un ragazzo sorprendente.”

Nello stesso istante, dal terreno, presero ad uscire numerosi filamenti azzurrognoli, che tentarono di imprigionarlo nella morsa vischiosa di prima. Senza smettere di fissare il Dragone, Furamingo circondò il proprio corpo della stessa fiamma incolore che aveva usato per colpire quest'ultimo, distruggendoli senza il minimo sforzo.

Si girò, piantando i propri occhi scuri in quelli verdi del suo secondo avversario, il volto serio ed inespressivo.

“Anche tu lo sai usare?” mormorò. “E' davvero incredibile!” il suo tono sembrava sincero, mentre un sorriso folle si dipinse sulla faccia del pirata.

“Chiudiamo la questione.” dichiarò. “Pillow White!”

Immediatamente, dal terreno presero a sbucare numerose colonne acuminate, bianchissime, di puro acciaio. Senza perdere tempo, esse si diressero verso Furamingo, ma quest'ultimo si limitò ad usare lo stesso potere di prima per distruggerle con minimo sforzo.

“A quanto vedo, tu sei di una categoria differente alla mia.” borbottò, prendendo ad avvicinarsi al bucaniere. “Del resto, si adatta molto di più ai poteri del Paramisha che possiedi.”

Con un balzo, esso si diresse verse Harusa, cogliendolo impreparato. Caricando il pugno sinistro, sempre circondato da quelle strane lingue di fuoco incolore, il marine colpì alla bocca dello stomaco il pirata dai capelli azzurri, facendogli vomitare una notevole quantità di sangue, e scagliandolo a centinaia di metri di distanza.

“Come sospettavo.” osservò, grattandosi le testa, mentre si sistemava gli occhiali da vista sulla fronte. “Il tuo Rin è ancora ad un livello elementare. Non può competere con il mio... e non ho neanche dovuto usare la metà della mia forza.”

In quel preciso istante, percepì una presenza dietro di sé. Girandosi, poté osservare il volto insanguinato di Kinji, che recuperava lentamente fiato.

“Non sei solo vivo... allora.” sussurrò Kobi, guardando il corpo del giovane pirata venire circondato dalle consuete fiamme bianche, che presero a scavare la terra sotto i suoi piedi.

“Levati!” sibilò il moro, squadrandolo con sguardo cattivo. “Devo salvare Kita!”

Per tutta risposta, il corpo di Furamingo venne a sua volta ricoperto da una fiamma senza colore, che scavava la terra attorno a lui con molta più intensità dell'haki del drago.

“Dovrai conquistartelo il passaggio.” replicò, sorridendo. “Mostrami cosa sai fare!”

Incrociando le braccia davanti alla faccia, Kinji estese il proprio fuoco, circondando il terreno attorno a lui. Successivamente, esso si condensò in un'enorme sfera bianchissima, infuocata, quasi accecante, sopra il palmo della sua mano destra.

“Haki del Drago, Energy Solar Sphere!”

Il sorriso sulle labbra dell'ammiraglio divenne più marcato.

“Questo colpo sarà l'ultimo, lo sai?”

Anche Kinji prese a sorridere, ma il suo era più il ghigno di una belva assetata di sangue.

“Diventerò il Re dei Pirati.” annunciò, gli occhi limpidi sul volto ricoperto di sangue. “E lo farò con Kita al mio fianco.”

Poi, con un grido inarticolato, i due si scagliarono l'uno contro l'altro, dando vita ad un'esplosione che scosse la Linea Rossa fino alle fondamenta.

 

 

La terra prese a tremare, facendo perdere nuovamente l'equilibrio al piccolo drappello di persone che si dirigeva, in tutta fretta, alla torre dei Donquixote.

“Si può sapere...” ruggì Terezon, furibondo per essere caduto al suolo. “Cosa diavolo sta accadendo?!”

“L'ammiraglio Furamingo ha deciso di mostrare parte del suo vero potere.” rispose subito, con tono impassibile, uno degli agenti governativi.

“Furamingo! Quanto odio quell'insolente arrogante!” berciò il nobile mondiale, digrignando i denti. “Mi piacerebbe tanto ammazzare pure lui! È inconcepibile che un simile scarto possa mancarmi di rispetto e rimanere vivo.”

“Con tutto rispetto, Vostra Santità.” proseguì lo stesso agente di prima. “Desidererei mandare alcuni miei colleghi in perlustrazione fuori dalle mura.” da dietro la maschera i suoi occhi divennero ancora più freddi. “Non mi fido dei marines.”

Lentamente, il fratello di Kita si calmò, tornando ad essere sicuro di sé.

“Sì, hai perfettamente ragione Shosuke.” esclamò, sorridendo. “Non bisogna fidarsi di quei rifiuti. Mi affido ai tuoi uomini.”

“Yuifum! Bokkai!” ordinò l'uomo chiamato Shosuke a due suoi compagni. “Andate a perlustrare le mura, specie la zona dei depositi di armi. Se siamo sotto attacco, è meglio sapere subito la situazione. Io e Noriaki scorteremo la prigioniera.”

“Ordini particolari?” chiese l'uomo chiamato Bokkai, il più alto e massiccio del gruppo.

“Nessun prigioniero.” replicò seccamente l'altro da dietro la maschera.

I due si limitarono ad annuire, scomparendo un istante dopo.

“Proseguiamo!” ordinò Terezon seccamente. “Abbiamo già perso troppo tempo!”

Kita riprese a camminare, tenendo la testa bassa, il cuore che batteva agitato per il terrore.

Il terrore che qualcosa di orribile accadesse ai suoi compagni. Un'espressione che, non appena venne notata dal fratello, lo indusse a strattonare per i capelli la ragazza.

“Hai paura... non è vero?” le sussurrò maligno all'orecchio, notando il sudore che imperlava il collo di lei. “Sai bene che tutti i tuoi amichetti moriranno. Non hanno nessuna speranza con un ammiraglio della Marina, tre vice-ammiragli del Quartier Generale ed i membri della CP0.”

La piratessa non rispose, proseguendo a fissare il suolo. Quella passività fece nascere un moto di ilarità nel nobile, che la buttò a terra con disprezzo.

“Guardati! Sei debole, sporca, ributtante! Dove è finita tutta la crudeltà e la ferocia che ti hanno reso famosa? Che ne è del sangue dei Donquixote in te? Coloro che si sono sempre distinti per il loro coraggio e la loro violenza?!”

Kita rimase distesa a terra, immobile, passiva, sconfitta. Il suo petto si alzava in modo ritmico e veloce, a causa dell'ansia che la divorava dall'interno, come un gas nocivo.

“E' bastato marchiarti come una schiava, e tagliarti un braccio, per ridurti così? Sei una delusione!” gli sputò addosso, colmo di disprezzo. “Speravo di potermi divertire un po' di più, ma a quanto pare spezzarti non era così difficile come tutti lo dipingevano.”

La riprese per i capelli, tirandola su, piantando i propri occhi scuri in quelli chiari e vuoti di lei.

“Potrei farti succhiare l'uccello di ogni soldato qui presente in questo istante, probabilmente.” ridacchiò, notando come ciò aveva risvegliato un minimo di paura per sé stessa nella sua nemica. “Ti conviene non provocarmi, mia cara. Se persisti in questa passività, va finire che ti faccio violentare fino alla morte, al posto di giustiziarti velocemente.”

Le labbra di lei si tirarono in un ringhio di impotenza, mentre i denti scricchiolavano dalla rabbia. Vedendola finalmente dare segni di vita, Terezon sorrise, ributtandola al suolo.

“Così ti voglio, schiava!” ridacchiò, tirandole un calcio in faccia, godendo nel percepire le ossa degli zigomi di lei scricchiolare. “Alzatela e fatela camminare! Sto cominciando ad annoiarmi. Questo gioco non è divertente come immaginavo.”

Venne rialzata rudemente, facendola camminare in tono sostenuto dalle guardie, mentre i due agenti della CP0 rimasti si misero ai suoi lati, per impedirle qualsiasi tentativo di fuga, cosa che però la sua mente in quel momento non riusciva a contemplare.

Perché?

Non si dava una spiegazione logico per quel gesto. Da quando aveva sentito che i suoi compagni avevano assalito la Terra Sacra, dentro di lei aveva provato un sentimento inusuale: paura. Una semplice, bruciante, fottuta paura, unita ad un profondo disprezzo per se stessa.

Guardava il liscio selciato di pietra scorrere sotto di lei, mentre ripensava a tutto ciò che le era accaduto in quei sei mesi. Lentamente, senza neanche accorgersene fino in fondo, si era abituata ad essere circondata da persone che le volevano bene, a sentirsi parte di qualcosa di molto più profondo e significativo. Un legame che mai prima di allora aveva sperimentato: quello di una famiglia.

Perché?... Perché?... PERCHE'?!

Dolore. Ne stava provando veramente tanto in quel momento, troppo. Ma non per lei, non per la sua mutilazione, o per il destino che l'attendeva. Ciò che più le faceva sanguinare l'anima era il destino che stava attendendo i suoi compagni, la sua famiglia, coloro che più di tutti sentiva intollerabile pensare in pericolo.

 

Non stai proteggendo tuo fratello così, lo sai.”

 

Come preferisci. Vorrà dire che il primo a crepare sarai tu.”

 

La sua mente le inviò, con un lampo maligno, un'immagine che aveva sempre desiderato poter dimenticare. Un qualcosa che le tormentava l'anima da troppo tempo.

 

EIJI!”

 

Se chiudeva gli occhi riusciva ancora a vederlo: un giovane ragazzo, con ricci capelli rossi, che spirava tra le braccia del suo futuro capitano, il cui volto, rivolto al cielo, era sfigurato in un'espressione di puro dolore.

Un dolore che aveva causato lei.

Perché?

Già... perché lo stava facendo? Lui non le doveva nulla, anzi era lei ad essere profondamente in debito, avendole salvato la vita, accolta nel suo equipaggio, dandole la possibilità di redimersi. Perché quindi quel gesto? Perché era venuto laggiù, dove cielo e terra sono un tutt'uno, a rischiare la propria vita e quella dei suoi nakama?

Ti prego... vattene!

Loro avevano un viaggio, un sogno da realizzare. Mentre lei non aveva alcun desiderio ormai, a parte forse quello di vede morire quel bastardo del suo fratellastro.

Digrignò i denti, mentre sentiva l'angoscia dentro il suo petto farsi più forte, liquefacendole le pareti dello stomaco. Pregò ogni divinità, esistente o meno, di salvare i suoi nakama dal triste destino che l'attendeva, perché se fosse morta con quella consapevolezza, probabilmente neanche l'inferno sarebbe bastato a contenere la follia distruttiva che la sua anima martoriata avrebbe sfogato.

Un'ombra la oscurò, facendole alzare il capo per la curiosità. Quando vide un alto e slanciato edificio in pietra, che terminava con eleganti merlature, a centinaia di piedi dal suolo, comprese che il suo viaggio, quel lungo e tormentato vagabondare, iniziato oltre otto anni prima si stava per concludere.

Un sorriso feroce illuminò il volto del fratello, mentre i suoi occhi azzurri brillarono di macabra rassegnazione.

La Torre dei Donquixote, il luogo dove sarebbe stata giustiziata, era davanti a loro.

 

 

Camminava lentamente, in mezzo alla terra arsa e bruciata. Ancora una volta, era rimasto sorpreso dalla forza del suo avversario, oltre che dalla sua tenacia.

Ma ora era proprio finita.

Con un ultimo passo, Kobi si posizionò davanti ad una figura distesa al suolo, ricoperta di sangue, e scossa da tremiti. Mani in tasca, l'ammiraglio constatò come, ormai, il pirata Dragone non fosse più capace neanche di reggersi in piedi.

Sospirò, alzando lentamente una gamba, posizionandola proprio sopra la testa del ragazzo, il figlio del suo più grande benefattore. Rimase immobile lunghi secondi, nei quali l'unico rumore fu quello del vento che soffiava imperterrito, chiedendosi se fosse veramente la cosa giusta da fare.

Rufy... cosa faresti tu? Saresti mai capace di fare del male a qualcuno con cui sei in debito... pur di ottenere ciò che desideri? E se no... cosa faresti?

Domande a cui non sapeva darsi una risposta, per il semplice fatto che lui non era Rufy. Per quanto nella sua vita si fosse impegnato ed allenato, era sempre rimasto una spanna indietro al suo benefattore, uno dei pochi pirati che aveva potuto chiamare amico.

Si morse l'interno della guancia, in preda al dubbio, mentre sentiva che il tempo per decidere stava finendo.

Se non lo finisco ora... potrei pentirmene in futuro.

All'improvviso, vide il ragazzo alzarsi in ginocchio e, molto lentamente, sollevare la testa, tossendo sangue scuro dalla bocca, il respiro corto e frammentato. Rimase stupito di vederlo ancora capace di lottare, di non volersi arrendere. Era così straordinariamente simile a Rufy da dargli, per un singolo, folle istante, l'impressione di avere sotto gli occhi il defunto Re dei Pirati.

Vide la mano di lui muoversi, tremante, verso l'elsa della sua spada dalla lama nera come la notte, e comprese che non era finita per quel giovane fuorilegge, che per lui la parola arrendersi era sconosciuta, e che avrebbe rinunciato al suo obbiettivo solo da morto.

Ricoprì di haki il piede sollevato, mentre piantava i propri occhi in quelli di lui, così straordinariamente vivi e simili al suo amico defunto.

Rufy...

“E' finita.” si limitò a dire, con tono monocorde.

Mi dispiace...

Calò il colpo con tutta la sua forza, con l'intento di spaccare il cranio del suo nemico. Il quale lo fissava immobile, sfinito, incapace di accettare che fosse arrivata la sua ora.

“Diable Jamble...”

Non arrivò mai quel colpo.

Con uno sfavillio di fiamme, rosse come il sangue, una figura si mosse, troppe veloce per essere notata, frapponendosi tra i due.

“Evil Shot!”

L'impatto tra il calcio di Kobi, e quello infuocato del nuovo arrivato creò numerose scintille, che sfociarono ben presto in una forte esplosione. Quando il fumo si diradò, Kinji poté finalmente vedere colui che l'aveva appena salvato.

Un sorriso gli illuminò il volto insanguinato, mentre l'espressione di Furamingo divenne più arcigna.

“Non osare...” esordì Sanji, il volto contorto in una maschera di furore incandescente. “Mai più toccarlo, mi sono spiegato?!”

“Cuoco!” esclamò il moro, alzandosi lentamente, ancora dolorante per i colpi ricevuti. “Sono contento di vederti!”

Un sorriso feroce si delineò sul volto del biondo, mentre le fiamme che circondavano le sue gambe divampavano con più violenza.

“Ohi Kinji!” sbottò subito dopo. “Non perdere altro tempo! Sfonda quella porta e corri a salvare la tua compagna!”

“Gamba Nera...” lo sguardo dell'ammiraglio sembrava sinceramente sorpreso di quella comparsa. “Non sapevo che avessi deciso di tornare ad essere un pirata.”

“Non ho mai smesso di esserlo!” replicò l'altro. “Ora dovrai vedertela con me, Kobi!”

Kinji si rialzò lentamente, mentre il tremito dei muscoli cessava lentamente. Nonostante tutto, era ancora capace di lottare.

“Cuoco... sei sicuro... di potercela fare?” chiese, fissando l'ammiraglio davanti a loro.

Le labbra di Sanji si distesero in un sorriso feroce.

“Ho incontrato di peggio... non sarà un problema eccessivo.”

“Tu dici?” replicò il marine, sfilando le mani dalle tasche. “Mi dispiace deluderti, ma nessuno di voi oltrepasserà quella porta!”

Scattò, scomparendo letteralmente alla vista dei due pirati. Poi, prima che questi ultimi potessero muovere un dito, riapparve davanti al moro, un pugno ricoperto di haki già pronto a colpire.

“Tu sarai il primo, Dragone!” esclamò, conscio di aver preso in contro tempo il giovane bucaniere.

Calò il colpo, ma anche stavolta Sanji si mise in mezzo, respingendo il marine con una sequenza rapidissima di calci.

“Non hai sentito cosa ho appena detto?” mormorò il biondo, accendendosi una sigaretta, mentre le fiamme attorno alle sue gambe scomparivano. “Non è più Kinji il tuo avversario.”

Kobi contrasse i muscoli del volto in un'espressione irosa ed infastidita.

“Cosa significa tutto questo, Gamba Nera?” domandò. “E' la prima volta, in quasi vent'anni, che un pirata della ciurma di Rufy torna a farsi vivo. Posso sapere perché proprio ora, e in questo luogo?”

“Voi della Marina... siete sempre così fastidiosi.” replicò il pirata, sorridendo. “Non avete mai imparato a non impicciarvi degli affari degli altri. Hai firmato la tua condanna nello stesso istante in cui i tuoi occhi si sono posati sulla ciurma di Kinji.”

“Sai bene anche tu che mi limito ad obbedire agli ordini. Cosa succederebbe se la missione di questo ragazzo avesse successo? I Draghi Celesti, la Marina e lo stesso Governo Mondiale perderebbero la faccia d'innanzi al mondo intero. Non permetterò che gli equilibri del mondo vengano rotti per il volere di un novellino!”

“Beh... questo lo vedremo.”

I due uomini rimasero per alcuni secondi a fissarsi, immobili, il volto una maschera di granito.

Poi, con uno scatto, entrambi andarono addosso all'altro, Sanji tentò di colpirlo con un calcio, mentre Kobi respinse l'attacco con un pugno. L'impatto causò una forte corrente d'aria, che rischiò di sbalzare il moro. Tuttavia, un istante dopo, ammiraglio e pirata si alzarono in volo, trasferendo la loro battaglia in cielo. Muovendosi in modo così rapido che agli occhi di Kinji non erano altro che figure sfuocate.

“Grazie Cuoco!” mormorò, mentre rivolgeva il proprio sguardo al grande cancello d'acciaio davanti a lui. “Sono in debito.”

“Ok, cominciamo!” richiamando il proprio potere, il moro ricoprì il proprio corpo di fiamme bianche, prendendo a correre verso il portone.

“Haki del drago...”

“Non ci riuscirai!” allontanando con un calcio Sanji, Furamingo creò, con la gamba destra, un fendente di energia, che andò a colpire il Dragone sulla schiena un secondo prima che partisse all'attacco, bloccandolo.

“Maledetto...” borbottò il biondo, ricoprendo di fiamme rosse le gambe. “Ora stai esagerando.”

Sputando sangue, Kinji si alzò a fatica. Girandosi, si ritrovò davanti l'ammiraglio, già pronto a colpirlo con un pugno ricoperto da una fiamma incolore.

“Prima di occuparmi di Gamba Nera, farò in modo che tu non possa darmi più fastidio, Dragone!” esclamò, mentre il ragazzo tentava, in ritardo, di mettere mano alla propria spada. Tuttavia, prima che il pugno di Kobi potesse andare a segno, un muro di acciaio emerse dal suolo, frapponendosi tra pirata e marine. Irritato da ciò, il rosa abbatté il muro con grande facilità, girando gli occhi, vedendo un sorriso beffardo dipingersi sul volto insanguinato di Harusa.

“Credevi veramente che bastava così poco per mettermi fuori gioco?” lo provocò l'azzurro.

Merda! Devo liberarmi il prima possibile di questi due novellini!

“Energy Bazooka!” approfittando del momento di distrazione del suo avversario, il Dragone lo colpì con un violento colpo allo stomaco, dopo aver portato all'indietro entrambe le braccia. Fuoco e fiamme si scontrarono contro il corpo dell'ammiraglio. Tuttavia, a Kobi bastò richiamare l'haki sul punto mirato un istante prima dell'impatto per neutralizzarlo tranquillamente.

“Sciocco moccioso!” sibilò, mentre osserva il volto stupefatto di Kinji. “Con me lo stesso trucchetto non funziona due volte.”

“Diable Jambe, Flambage Shot!”

Arrivando da dietro, Sanji colpì dritto alla schiena Kobi, mandandolo a schiantarsi contro il muro d'acciaio che recintava Marijoa.

“Muoviti Kinji!” sbottò il biondo. “Non so quanto tempo riuscirò a trattenerlo prima che decida di sfoderare tutta la sua forza!”

“D'accordo!” Richiamando l'Haki del Drago, il pirata creò un gigantesco pugno di fiamme bianche, che indirizzò verso il cancello.

“Haki del drago, Gigant Fire Punch!”

Il colpo fiammeggiante di Kinji si schiantò con violenza contro lo spesso acciaio. Un'esplosione si creò, mentre il ragazzo metteva ogni oncia di forza in quel colpo. Per lunghi secondi la situazione rimase in equilibrio, poi, con un sinistro stridio, il metallo prese ad accartocciarsi.

“Sta cedendo!” urlò il moro. “Ancora una decina di secondi ed è fatta!”

In quell'istante, con un boato, Furamingo uscì dal cratere contorto di acciaio dove era caduto. Era ricoperto dalla solita fiamma trasparente, mentre i suoi denti scricchiolavano di rabbia.

“Non mi piace ripetere le cose.” esordì, con tono minaccioso, sputando un grumo di sangue dalla bocca. “Quando dico che nessuno di voi oltrepasserà quella porta, intendevo che morirete tutti prima di farlo.”

“E sarò io ad uccidervi!”

Subito dopo, il marine partì all'attacco, muovendosi a grande velocità contro il figlio di Rufy. Sanji intervenne, parando il colpo, creando un tornado di scintille.

“Mi sembrava di averti detto che sono io il tuo avversario, Kobi!” sibilò il cuoco.

“Non ti permetterò di far andare avanti quei due novellini!” urlò Kobi, aumentando l'intensità del colpo. “Togliti di mezzo!”

“Dovrai conquistartelo tale diritto!”

Per alcuni istanti, i due contendenti furono in perfetta parità. Tuttavia, con un urlo, il marine aumentò l'intensità del proprio colpo, spedendo il biondo a svariati metri di distanza. Senza perdere tempo, l'ammiraglio prese a correre in direzione del moro, ancora impegnato a vincere la resistenza del cancello.

“Dragone! Non riuscirai a passare!”

“Merda! Non posso neanche difendermi, in queste condizioni!” ansimò quest'ultimo, le forze che si consumavano nel Fire Punch. Non era nelle condizioni di difendersi anche dall'attacco di Furamingo.

“Ti copro io!” esclamò Harusa, mettendosi in mezzo ai due. “Wave Trap!”

Il terreno attorno al rosa si mosse, alzandosi, e coprendolo in una cupola, che veniva rinforzata da continui strati. Per alcuni secondi sembrò funzionare, ma poi la terra rossa, compressa fino a sembrare marmo, venne disintegrata in miriadi di schegge.

“Stai diventando noioso, pirata Folle.” osservò Kobi. “Potresti tirare fuori qualcosa di nuovo.”

Il volto del pirata si contrasse in un'espressione di folle gioia.

“Mi tengo le sorprese per dopo, ammiraglio!”

Prima che Furamingo potesse replicare, si udì un rumore acutissimo. Lentamente, il cancello si inclinò all'indietro per poi, con uno stridio insopportabile, crollare violentemente al suolo, causando un'esplosione terrificante, che spazzò via numerosi edifici all'interno della cinta muraria.

“Perfetto! Finalmente si è aperto!” esclamò Kinji. “Andiamo Harusa!”

Sotto gli occhi stupefatti dell'ammiraglio, il ragazzo spostò le proprie fiamme sotto ai piedi. Immediatamente, quest'ultimo emise uno scatto molto superiore a quelli compiuti precedentemente. Si mosse in modo rapido, troppo, cogliendo impreparati tutti. Senza perdere tempo, Kinji afferrò per il colletto della giacca il compagno, svanendo, letteralmente. Il tutto sotto gli occhi di Kobi.

“Ma come diavolo...”

Dietro di lui udì una risata. Girandosi, vide Sanji accendersi una seconda sigaretta, un sorriso spietato ad illuminargli il volto.

“Hai perso, Furamingo.”

Quest'ultimo non disse nulla, anche se dentro di sé capì che quelle parole erano probabilmente vere.

“Questo lo vedremo.”

 

 

Dopo aver visto, con occhi sgranati, i cancelli della prima cinta muraria crollare al suolo con un boato. Le guardie alle mura videro due figure spiccare il volo, tra la cortina di fumo, due ombre circondate da una cortina di fuoco bianco.

“E quello cosa diavolo è?!”

Emergendo dall'inferno da lui stesso creato, Kinji, sempre trascinando per il bavero della giacca Harusa, riempì i polmoni d'aria, per poi urlare al cielo la propria rabbia.

“KITA!!!! STO VENENDO A SALVARTI!!!!!”

Il pirata Boa D. Kinji avevano appena violato la Sacra Terra di Marijoa.

 

 

CONTINUA

 

Mi scuso per il ritardo, ma in questo periodo sono stato piuttosto impegnato. Anche questo capitolo, come il precedente, è un po' breve, ma spero che l'azione presente all'interno possa compensare. Ho preferito dedicarmi alla chiusura dello scontro con Furamingo prima di occuparmi delle altre sotto trame di questo assalto a Marijoa.

Beh, penso di avere detto tutto. Come sempre, chiunque vorrà darmi un parere sul capitolo, positivo o negativo che sia, sarà ben accetto.

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 17
*** Ricordi: il baleniere ***


Capitolo 17

 

 

East Blue, cinque mesi prima, pressi dell'isola Satalos.

 

 

Con uno scatto metallico, Erza si portò il fucile davanti all'occhio destro, osservando con soddisfazione la perfetta calibratura dell'arma.

“Niente male.” osservò, soffiando fuori fumo dalle narici. “Proprio niente male, quattrocchi.”

“Ehm... non vorrei sembrare sgarbato, ma mi chiamo Milo.” ripeté per la centesima volta, leggermente esasperato, il navigatore.

“Questo fucile è proprio una bomba!” proseguì, imperterrita, la cecchina. “I tuoi potenziamenti saranno molto utili.”

“Oh, non c'è di che, troppo gentile! Del resto, mi sono solo limitato ad usare le informazioni contenute nel diario di mio nonno...”

“Quando voi due avrete finito di scambiarvi convenevoli.” li interruppe Kuroc, fissando trucemente la bionda. “Gradirei ricordarvi che siamo in una situazione di emergenza.”

“Non prendo ordini da te, buzzurro!” replicò subito Erza, ricambiando l'occhiata omicida. Da quando era entrata a far parte della ciurma, non era passato giorno che i due non si fossero beccati, dando vita ad una serie di risse che sulla Kuin stavano diventando la quotidianità.

“In assenza del capitano, sono io l'autorità maggiore!” sputò fuori il samurai, avvicinandosi alla cecchina. “Mostrami rispetto, donna!”

“Cosa hai detto, lurido figlio di...”

“La volete piantare?!” sbraitò Kita, dividendo i due con un pugno a ciascuno. “Sono stufa dei vostri comportamenti infantili, è chiaro?!”

“Sissignora!” risposero, con voce dolorante, i due compagni, un enorme bernoccolo fumante in testa di ciascuno.

“Bene!” sbuffò la Full Metal Bitch. “Quanto manca a Satalos, Milo?” chiese successivamente al navigatore, già preso dai suoi calcoli riguardanti la rotta.

“Se spostiamo la barra di dodici gradi, con questo vento, direi che entro domani mattina saremo là.”

“Che dite, l'avranno già giustiziato?” domandò Erza, alzandosi da terra.

“Spero proprio di no.” rispose Kuroc, massaggiando l'ultimo regalino lasciatogli da Kita. “Sarebbe un bel guaio!”

Il primo ufficiale non disse nulla, limitandosi a stringere le mani con forza.

“Quell'imbecille...” ringhiò. “Non imparerà mai!”

 

 

Una goccia cadde, rompendo il silenzio assoluto che serpeggiava nell'oscurità. Dopo alcuni attimi di eco, una seconda seguì la prima, riproponendo lo stesso suono di prima.

Kinji aprì gli occhi, ma fu assolutamente inutile dato che attorno a lui l'oscurità regnava sovrana. Con uno sbadiglio, il giovane pirata si alzò a sedere, grattandosi la testa. Nel fare ciò, udì un peso inusuale attorno ai polsi. Ci mise alcuni istanti a capire di essere incatenato.

“Dove diavolo mi trovo?!” borbottò. “Ohi, ragazzi! Se questo è uno scherzo, non è di mio gusto!”

Si innervosì quando udì solo il suo eco attorno a sé.

“Erza, se è come l'altra volta, che hai dato fuoco a tutte le mie mutande, giuro che...”

“Vuoi darci un taglio?!”

Una voce nuova, maschile, irruppe nell'oscurità, infrangendosi tutt'attorno a lui. Perplesso, il giovane pirata voltò la testa verso destra, cercando di intravedere qualcosa.

“Chi ha parlato?”

“Un uomo che si è rotto il cazzo di starti a sentire!” sbottò la voce di prima.

“Chi sei tu? E dove mi trovo?”

Udì una fievole risata, che venne amplificata a dismisura.

“Sei proprio strano, moccioso. Non hai ancora capito che sei finito in prigione?”

“Che cosa?! Sono stato catturato?!” esclamò, sconvolto il moro. “E quando?!”

“Smettila con queste manfrine da idiota! Tanto perché tu lo sappia, ti trovi nella base militare di Satalos.”

“Satalos?” borbottò il moro, grattandosi la testa. “Questo nome non mi è nuovo...”

“Non mi sorprende: qui a Satalos è presente il Quartier Generale della Marina nell'East Blue. Ogni direttiva militare in questo oceano nasce da qui. Ti annuncio che sei finito nella fogna meglio sorvegliata di questo misero mare!” una risata amara seguì quelle parole.

“Ora ricordo! A Satalos ho sentito che hanno una magnifica cucina a base di carne di balena! Non vedo l'ora di assaggiarla! Anche se mi domando per quale motivo gli altri non mi abbiano seguito...”

“Ohi, moccioso!” un ringhio interruppe lo sproloquio di Kinji. “Ti ho detto di tenere quella boccaccia chiusa! Mi stai innervosendo!”

“Uffa!” borbottò il Dragone, sbadigliando di nuovo. “Potresti anche farmi vedere dove sei, non ti pare?”

“Non mi va di fare luce. Al buio sto bene, e ti conviene fartelo stare bene anche tu!”

“Voglio la luce, voglio la luce, voglio la luce!!!”

“Dannato pidocchio! Se non fossi incatenato ti strozzerei sull'istante!”

Un ghigno mefistofelico si delineò sulle labbra del giovane pirata.

“Ma visto che non puoi, ti conviene mettere un po' di luce, altrimenti continuo ad urlare fino a quando ho voce.”

Per alcuni secondi l'unico rumore fu quello delle gocce di umidità che cadevano. Infine, con un ringhio assai poco umano, una lieve fiammella brillò nell'oscurità, rischiarando in pochi istanti buona parte di quella che si rivelò essere una segreta di origine naturale. Dopo alcuni istanti per adattarsi alla nuova illuminazione, Kinji poté vedere, in fondo alla cella, il suo compagno di prigionia.

Ciò che vide fu un uomo, sulla trentina, pesantemente incatenato ai polsi ed alle caviglie. Era imponente, alto, con fasci di muscoli che sembravano scoppiare sotto la pelle, sfregiata da numerose cicatrici. A parte per un paio di lerci pantaloni di tela era privo di vestiti. Aveva lunghi capelli neri, una brizzolata barba scura, un naso storto, ed occhi torbidi, di un nero sporco, come se avessero fin troppe cose da voler nascondere.

Kinji lo fissò per alcuni istanti, perplesso. Successivamente, con una rapida occhiata, comprese che quel tipo non aveva mentito: erano proprio dentro una cella.

“Ah, finalmente riesco a vederti! Grazie mille!” esclamò il ragazzo, sorridendo.

“Il piacere è solo tuo.” borbottò l'uomo, squadrandolo. “Diavolo, dalla voce ti facevo giovane, ma tu sei proprio un moccioso! Quanti anni hai? Venti?”

“Ne ho circa diciotto.”

“Diciotto! Cosa ci fa un microbo come te in prigione? Hai rubato la torta del capitano?”

“Sono un pirata!” replicò Kinji, grattandosi la testa. “Ma non ho idea di come ho fatto a finire qui. Mi ricordo di essermi addormentato su una nave sconosciuta, durante un abbordaggio, ma poi non ho memoria di altro.”

“Tu un pirata?! Da quando i bambocci giocano a fare i pirati?!” esclamò sarcastico il moro, scuotendo la testa.

“Non sei divertente.” borbottò il Dragone, sbadigliando. “Piuttosto, cosa ci fai tu qui?”

A quella domanda l'uomo si incupì. Rimase per alcuni secondi in silenzio, mentre il giovane bucaniere lo fissava perplesso.

“Allora? Che cosa fai qui?” insistette il moro.

“Ora smettila, moccioso!” replicò l'altro. “Quello che ci faccio qui sono affari miei!”

“Io però ti ho parlato di me...” borbottò Kinii, facendogli la linguaccia.

“Sta zitto!”

Nella cella ritornò il silenzio. I due si fissarono per alcuni istanti, in cagnesco l'uomo, mentre il figlio di Rufy teneva un'espressione impassibile. Poi, all'improvviso, quest'ultimo sorrise.

“Fa come credi!” disse, ridendo di gusto. “Del resto, io ho un sogno da portare a termine. Non ho tempo da perdere con uno come te.”

L'altro spalancò gli occhi, sorpreso ed indignato da quella risposta, mentre quel sorriso gli riportava alla luce ricordi sanguinolenti.

 

Capitano! Non mi lasci solo, la prego! Lei deve vivere!!”

 

Le catene tintinnarono quando strinse i pugni, digrignando i denti. Kinji lo fissò, perplesso da quella reazione, attendendo una spiegazione a tale atteggiamento.

“Hai un sogno, dici?” mormorò infine, gli occhi scuri persi nel magma dei propri pensieri. “Sai... anche io ne ho uno. Ma ormai, per me è finita.”

“Perché dici così?”

Le labbra spaccate si distesero in un sorriso macabro.

“Mi avevi chiesto chi sono, moccioso? Se proprio vuoi saperlo io sono, anzi forse è più corretto dire ero, un baleniere.”

“Un baleniere?”

“Già... il mio nome è Loock, ed ero il cuoco della Mirolos, la baleniera più famosa di tutta Satalos.”

 

 

Rigirandosi la sigaretta tra le labbra carnose, Erza mise a fuoco le lenti del binocolo, osservando le mura difensive della base militare di Satalos dalla coffa della Kuin.

“Non mi sembra proprio una passeggiata!” borbottò. “Anche perché avranno sicuramente notato la nostra bandiera.”

“Ohi, Erza!” esclamò Kita dal ponte. “Vedi qualche punto debole?”

“Il cervello dello spadaccino idiota vale come risposta?” vedendo il primo ufficiale rispondere tirandole un pugnale, la cecchina ridacchiò “Se speri di trovare punti deboli in quella fortezza stai fresca! È la base meglio fortificata di tutto l'East Blue.”

“Capisco.” borbottò la Full Metal Bitch. “Milo!” ordinò successivamente. “Punta la barra verso l'ingresso principale! Ci apriremo la strada con la forza!”

“Che cosa?! Sei impazzita?!” ribatté il navigatore, impallidendo. “Ci saranno migliaia di soldati armati fino ai denti laggiù!”

“Bene!” replicò la bionda, sguainando il proprio spadone, un sorriso mefistofelico sulle labbra. “Avevo propria voglia di sgranchirmi i muscoli!”

“Per una volta sono d'accordo con te, Kita.” osservò Kuroc, tirando fuori alcuni pollici della propria lama, per poi rimetterla dentro il fodero. “E' da troppo tempo che non affronto un combattimento come si deve.”

Milo deglutì, sentendosi la schiena ricoperta di sudore freddo.

“Allora Milo, vuoi obbedire? Oppure devo prenderti a calci, affinché tu lo faccia?”

“N-no... no!” rispose il moro, correndo al timone. “D'accordo, farò come dici.”

Corse a sistemare il timone. La Kuin voltò bruscamente la propria direzione, puntando la sirena della polena contro il cancello fortificato della base militare. Pochi secondi dopo, da quest'ultima, un ululato prese a diffondersi nell'aria, dando il segnale di allarme.

Kita sorrise, mentre si scioglieva i legamenti delle nocche.

“Arrivano i pirati!” sussurrò maligna, sghignazzando.

 

 

“Tu sei un cuoco?”

Loock distolse lo sguardo, piantando le proprie iride scure sul muro sopra di lui.

“Sì, un tempo lo ero.” rispose, con voce atona. “Ero il cuoco della migliore nave di tutta l'isola.”

“E sei bravo?”

“Bravo?” l'uomo ridacchiò, ma la sua era una risata amara. “Il migliore! All'epoca io avevo un unico scopo: sfamare i miei compagni che davano la caccia alle balene.”

“Voi davate la caccia alle balene? E come?” borbottò Kinji, ormai preso completamente da quella storia.

“Te l'ho detto, no? Ero a bordo della Mirolos, la baleniera più famosa di tutta Satalos!” l'uomo si guardò le mani, stringendole a pugno, per poi riaprirle lentamente. “Eravamo veramente i migliori...”

Per alcuni minuti il silenzio tornò ad essere padrone della piccola cella.

“Ehi, Cuoco.” esclamò improvvisamente il giovane pirata, sorridendo. “Non ti aspetterai che mi accontenti di così poco, vero? Voglio la storia completa ora!”

Il baleniere lo fissò a lungo, squadrando quel sorriso allegro e privo di spensieratezza.

Ha lo sguardo di chi sa che cosa vuole nella vita.

Sogghignò, mentre si sistemava meglio con la schiena contro la parete.

“D'accordo. In fondo, tu tra poco verrai giustiziato, mentre io dovrò rimanere qui sotto chissà ancora quanto!”

“Non preoccuparti per me!” replicò il moro senza smettere di sorridere. “Sono sicuro che i miei nakama verranno a salvarmi!”

“Salvarti? Sei ottimista!” lo schernì Loock. “Nessuno esce da questo posto, se non per il patibolo, o il cimitero.”

“Smettila di tergiversare! Raccontami la tua storia!”

“Va bene, come sei frettoloso!” replicò l'altro. “Ma non aspettarti un lieto fine.”

“Iniziò tutto cinque anni fa.” prese a raccontare, con sguardo perso nel passato, il gigantesco cuoco. “All'epoca io avevo venticinque anni, e stavo per imbarcarmi nel mio quarto viaggio. Ormai potevo considerarmi un baleniere di tutto rispetto. Anche se ero il cuoco, più di una volta mi era capitato di uccidere una balena, o di scavare all'interno del suo cranio per estrarne il prezioso olio.”

“Satalos è un'isola che basa la propria ricchezza, e quindi la propria importanza nell'East Blue, al commercio di olio di balena. Le flotte dell'isola sono composte dai migliori balenieri di tutto l'oceano, perché chiunque da la caccia ai cetacei brama di essere ingaggiato da un armatore di quest'isola, a causa della nostra ricchezza e della presenza della Marina, che ci protegge da pirati e banditi. Ovviamente tutto questo non è nato per caso, ma grazie all'abbondanza delle acque che circondano questa terra, dove le balene hanno vissuto per migliaia di anni.”

“Da che io ho ricordo, le balene avevano abbandonato queste acque da tempo immemore, fuggendo alla nostra caccia sempre più sfrenata. Tutto questo ovviamente non ha fermato il commercio, solo ne ha aumentato i rischi. Adesso una nave può impiegare anche più di un anno per riempirsi la stiva di olio e fare ritorno, e non tutti sono disposti a restare in mare così a lungo. È un mestiere duro e pericoloso, che spesso da poche soddisfazioni in termini economici.”

“Perché hai scelto di diventare un baleniere, Cuoco?” chiese Kinji, mentre si stiracchiava i muscoli della schiena. “Da come lo dipingi non sembra particolarmente allettante come lavoro.”

Loock ci mise tempo a rispondere a quella domanda.

“Non c'è un vero perché.” dichiarò infine, passandosi una mano sul volto. “Ho sempre studiato cucina, perché amavo potere fare qualcosa di utile per gli altri, come sfamarli. Eppure, restare a terra non era un'ipotesi che contemplavo. La gente di Satalos ha navigato per centinaia di anni in queste acque, e molti nostri consanguinei hanno preso la via della Grand Line, anche se non tutti hanno fatto ritorno. Comunque sia, all'età di diciotto anni era stanco di restare a terra, e mi misi alla ricerca di un impiego come cuoco a bordo di una nave. Anzi, per essere precisi, un'idea su quale nave salire l'avevo da molto tempo.”

 

Gerko si asciugò il sudore dalla fronte, mentre passava il cencio sul ponte di legno lucido della nave.

Merda!” borbottò, mentre tentava, con scarso successo, di eliminare vecchie macchie di sangue di balena. “Quelle dannate bestiacce hanno più sangue di un reggimento!”

Ohi!” una giovane voce maschile si infranse sopra la nave, superando il chiacchiericcio dei passati ed il lamento acuto dei gabbiani. “Ohi, voi della nave!”

Perplesso, il giovane mozzo si avvicinò al parapetto che dava verso terra, notando sulla banchina più vicina un ragazzo. Era alto, robusto di costituzione, con lunghi capelli neri ed un sorriso sicuro che illuminava un volto dai tratti piacevoli. Era vestito con abiti poveri ma lindi, mentre in una mano teneva una voluminosa valigia di pelle.

Ohi, della nave!” urlò di nuovo il moro dalla terraferma. “Rispondete!”

Ehi, ragazzo! Cos'è tutto questo baccano?” replicò Gerko, infastidito per essere stato interrotto. “Sta andando a fuoco la città per caso?!”

Il sorriso sul viso del nuovo arrivato si intensificò.

Mi chiamo Loock, e sono un cuoco!” si presentò. ”Voglio entrare a far parte dell'equipaggio della Mirolos, la baleniera più famosa di tutti gli oceani!”

 

“Ci misi un po' di tempo a convincerli a prendermi. Il più dubbioso di tutti era Stevens, il primo ufficiale di bordo. Diceva che non avrebbe mai accettato di mettere la sua vita nelle mie mani, una volta in mare aperto. Tuttavia, dopo molti tentennamenti, il Capitano mi prese. Ero al settimo cielo, ero diventato l'aiutante cuoco della Mirolos, una nave che da noi era qualcosa di molto più di una semplice nave.”

“Come mai è così famosa?”

“La Mirolos era una delle navi più belle che abbiano mai costruito. Era stata progettata molte generazioni fa, quanto l'arte della carpenteria era ancora fiorente nella nostra isola. La Mirolos era tutto ciò che restava del nostro periodo più florido e ricco. Di solito era proprietà dei comandanti più esperti e bravi, coloro che sapevano trovare l'olio anche alla fine del mondo.”

“Quando ci salì io, il comandante era un uomo di nome Wright, Ederen Wright per essere precisi. Era una persona straordinaria, la migliore che avessi mai conosciuto. Sapeva farsi rispettare, ma allo stesso tempo non era severo, o crudele, con i suoi sottoposti. Riusciva sempre a trovare le parole giuste per incoraggiare ognuno di noi. Con il tempo diventò qualcosa di più di un semplice capitano. Era nostro padre, e noi eravamo i suoi figli.”

“Figli?”

Loock sorrise amaramente, ricordando la sua solitaria infanzia.

“Chi prende il mare non ha mai un bel ricordo di sé da bambino.” osservò semplicemente. “Lui riuscì a darci qualcosa che nessuno aveva mai fatto prima: una famiglia.”

Chiuse gli occhi, mentre il sole del passato gli scaldava il cuore, colmo di amarezza.

 

 

Capitano!” urlò la vedetta dalla coffa. “Soffia!!!”

Immediatamente, tutti i membri dell'equipaggio corsero ai parapetti, osservando, in lontananza, spruzzi d'acqua sollevarsi verso il cielo.

Wright sorrise. Era un uomo alto, muscoloso, con corti capelli grigi, nascosti da un cappello da capitano, ed un pizzetto curato attorno alle labbra e sul mento. I suoi occhi azzurri brillavano, eccitati per la caccia.

Uomini, alle lance!” urlò, mentre i marinai urlavano, felici di stare mettendo le mani sulla loro futura ricchezza.

Loock!” ordinò il capitano, guardando il ragazzo che fissava affascinato i soffi. “Tu sarai il mio attendente sulla lancia uno!”

L'aiutante cuoco, dopo un attimo di sorpresa, sorrise.

Sissignore!”

 

Uno spruzzo di acqua rossastro si alzò verso il cielo, mentre il capodoglio morente si rigirava su

un fianco.

Ciminiera in fiamme!!!” urlò Stevens, mentre tutti i marinai si levavano il berretto, in segno di rispetto per la bestia che aveva lottato con tanto vigore.

Wright afferrò per una spalla Loock, fissandolo dritto in faccia.

Oggi ti sei comportato bene, ragazzo.” esordì l'uomo, con espressione seria. “Sei in gamba.”

Signore... io...”

Il capitano scoppiò a ridere.

Da oggi tu sei un baleniere!” dichiarò, sollevando il braccio dell'aiuto cuoco. “Da oggi lui diventa mio figlio!”

 

 

Li riaprì lentamente, rimembrando il senso di gioia, di appartenere ad una famiglia, che l'aveva pervaso in quel lontano passato.

“Passarono sette anni. Feci altri due viaggi, diventando cuoco ufficiale della nave. Ormai ero uno di famiglia, e c'era un clima di forte fratellanza tra noi. Di solito le baleniere sono piene di gente che si conosce a malapena, che si scruta diffidente, limitando ad aiutarsi nelle difficoltà estreme. Ma noi non eravamo un equipaggio normale.”

“Comunque sia, quando ebbi venticinque anni, e tre viaggi alle spalle, mi imbarcai per il quarto. Non sarebbe stato un viaggio banale, lo avevamo capito fin dal principio. Il Capitano Wright desiderava andare in pensione, ormai aveva quasi sessant'anni, ma per farlo avrebbe dovuto portare al suo ritorno qualcosa come duemila barili di olio, un bottino immenso, che raramente si vedeva. Il nostro capitano accettò, convinto di stare vivendo l'ultima avventura della sua carriera assieme ai suoi figli, la sua famiglia.”

“Però... non fu un viaggio facile. Le prede scarseggiavano, i luoghi dove di solito le balene si riunivano erano vuote e piatte, ed il nostro malumore aumentava. Dopo quasi sei mesi di viaggio, avevano in stiva poco più di duecento barili, un decimo di quanto ci serviva per tornare a casa.”

“Com'è possibile? Dove erano finite le balene?”

“Si erano andate a nascondere.” rispose il cuoco, serio in volto. Ricordare il suo ultimo viaggio gli dava un senso di oppressione al cuore. Probabilmente, se avesse avuto la consapevolezza che possedeva ora, avrebbe fatto l''impossibile per convincere suo padre a tornare indietro.

“Si erano nascoste... ma noi le trovammo.”

 

 

Siete sicuro?”

Wright, con ai lati Stevens e Loock, fissava dritto in volto, dall'altra parte del tavolo, un uomo. Era magro, quasi scheletrico, con il volto emaciato e ricoperto da una incolta barba nera. Indossava abiti logori, mentre il braccio sinistro era fasciato e portato al collo.

Sì, non posso sbagliarmi.” rispose quest'ultimo, con voce tremante. “C'erano... centinaia di balene! Così tante... che avremmo potuto raccogliere tremila barili in meno di due giorni!”

I tre compagni si fissarono in volto. Stevens e Loock sembravano eccitati, e già pronti a prendere il mare, ma Wright rimase immobile, apparentemente indifferente alla scoperta di quell'eldorado.

Non mi sembrate un uomo che ha raccolto tremila barili di olio.” rispose il capitano della Mirolos, mentre passava una bottiglia di rum al loro ospite. “Cosa vi è accaduto?”

L'altro non rispose subito. Si verso del liquore con il braccio sano, tremando, mentre si mordeva più volte le labbra.

Ho visto... il dio del mare.”

Le sopracciglia di Wright si strinsero.

Ho visto... una balena. Una balena enorme, lunga più di cento piedi, completamente nera. Ha attaccato ed affondato tutte le nostre lance.” si indicò il braccio rotto. “Questo è opera sua. Sono vivo per pura fortuna. Quel demonio ha ucciso cinque uomini e ne ha feriti altri dieci.”

Una balena che attacca le navi?” il tono del primo ufficiale era ironico. “Dite la verità, non è che vi ha anche rubato il borsello?!”

L'uomo non disse nulla, squadrandolo con odio.

Grazie per il rum.” si congedò gelidamente, alzandosi ed uscendo dalla locanda, lasciando i tre marinai da soli.

Babbo... non crederai alle fandonie di quell'uomo? È solo un ubriacone!” osservò Stevens, sghignazzando. “Ci pensate? Se trovassimo quel luogo altro che duemila barili! Potremmo tornare a Satalos e vivere da nababbi!”

Stai calmo, non siamo ancora in possesso di quell'olio.” osservò Wright, il volto impassibile. “Dite agli uomini di prepararsi. Salpiamo tra due ore.” ordinò, versandosi dell'altro rum.

Sissignore!” esclamarono i due, felici ed eccitati.

La caccia stava diventando interessante.

 

 

“Trovammo le balene, spingendoci verso le distese del Diavolo, una landa desolata di acqua che si estende per miglia e miglia, senza neanche uno scoglio. Le balene si erano rifugiate laggiù, ma noi le avevamo trovate, ed eravamo pronti a prenderci il nostro tesoro, anche navigando oltre il concetto stesso di follia.”

“E come andò? C'erano veramente dove diceva quel tipo?” ormai il pirata era stato catturato da quella storia, che ascoltava con vivo interesse.

“Dire che le trovammo forse non è il termine esatto...” borbottò il cuoco, mentre la luce della lanterna giocava con le ombre sul suo volto. “Fu Lei a trovare noi.”

 

 

Capitano! Soffia!!!!”

Wright si affacciò al parapetto, puntando il proprio cannocchiale in direzione est.

Le vedo! Sono decine!” si voltò, guardando l'equipaggio, fremente all'idea di mettere le mani su quel tesoro. “Uomini, preparate le lance!” ordinò.

La nave divenne movimentata, mentre i marinai correvano in tutte le direzioni, preparandosi alla caccia. Loock stava finendo di arrotare gli arpioni, quando un improvviso urto lo sbalzò lontano.

Ma cos...” prima che il cuoco potesse pensare a qualcosa, un nuovo colpo lo sollevò in aria, per poi farlo cadere a terra con un violento urto, svuotandogli i polmoni d'aria. Ci mise alcuni istanti a rialzarsi, tremante, osservando come i suoi compagni fossero nella stessa identica situazione.

Babbo!” corse ad aiutare suo padre ad alzarsi, mentre a poche decine di metri dalla fiancata destra della nave, il mare ribolliva, agitato da un'enorme coda nera come la pece.

Che cos'è?!” ansimò Stevens, alzandosi a fatica. Ci mise alcuni istanti a collegare quella coda nera con il racconto da lui udito alcune settimane prima.

Mai vista una balena comportarsi così...” sussurrò un uomo, mentre sul ponte della nave cadde il silenzio.

Poi, con un rumore che mise in loro un folle terrore, il capodoglio scattò all'attacco, puntando deciso verso la Mirolos.

Tenetevi!!!” urlò Wright, mentre si aggrappava disperato al parapetto. Loock tentò di imitarlo, ma prima che le sue dita potessero afferrare il legno, un'onda d'urto terribile lo sbalzò via, facendolo cadere in mare.

E fu lì, mentre si agitava, tentando disperatamente di raggiungere la superficie, che vide il dio del mare, i suoi occhi folli e selvaggi, e le sue fauci immense, da cui fuoriuscivano versi striduli e colmi di odio.

E ne ebbe una paura immensa.

 

 

Per alcuni istanti nella cella ci fu un silenzio di tomba. Il baleniere sembrava faticare a rimembrare quei momenti colmi di orrore, dove aveva visto così tanti suoi fratelli perire.

“La Mirolos venne colpita ripetutamente, venendo danneggiata così gravemente che colò a picco in meno di due ore. Il capitano Wright diede ordine di abbandonare la nave, caricando le lance con tutta l'acqua ed il cibo che possedevamo. La balena non ci attaccò più, una volta appurato che la nostra nave sarebbe affondata. Ma quella notte udimmo più volte il suo stridulo verso: ci sorvegliava, era palese.”

Nella cella tornò il silenzio, ma questa volta Loock ci mise meno tempo di prima a trovare la forza di riprendere a raccontare.

“Decidemmo di tornare sui nostri passi, ma fu chiaro fin dall'inizio che la nostra era un'impresa disperata: la terra più vicina distava duemila miglia, e le correnti in quel deserto d'acqua salata ci spingevano ancora più lontano. Razionammo i viveri, in quattro diverse lance. Poi, una volta montati degli alberi di fortuna, ci dirigemmo verso sud, alla disperata ricerca di terra.”

 

 

Con mano tremante, Stevens distribuì una galletta e mezza ad ogni uomo della lancia, insieme ad una piccola ciotola contente dell'acqua. Affamato, e con le labbra spaccate dal sole, Loock divorò avidamente la propria razione, sentendo come fosse terribilmente inadatta a saziare la sua sete e la sua fame.

Non... ce la faremo... mai!” ansimò Gerko, il volto stravolto dalla sete e dal caldo. “Moriremo... moriremo tutti... divorati dal dio... il dio del mare.”

Il cuoco si rannicchiò, stringendosi le ginocchia al petto. Non aveva la forza di controbattere, anche perché pensava le stesse identiche cose.

Cosa starà pensando di fare il Babbo?” sussurrò un secondo marinaio, piantando il proprio sguardo nella barca affianco, dove Wright fissava il sole incandescente con occhio spento.

A... niente. Non sta pensando... a nulla.” replicò Stevens, accasciandosi nel proprio angolino. “Il Babbo... non può aiutarci. Non qui.”

Nessuna voce si alzò più, mentre il sole, impietoso, proseguiva a scaldare le loro teste, e ad alimentare la loro sete.

Lontano, un sinistro verso echeggiò nell'aria.

Il dio del mare era in caccia.

 

 

“Arrancammo per settimane in quelle acque. Le nostre riserve di cibo si assottigliarono, così come la nostra speranza di salvezza. Il sole e la sete ci sfibrarono, mentre accresceva in noi la consapevolezza che non ce l'avremmo mai fatta.”

“Poi, un giorno, la balena si fece viva di nuovo. Assaltò e divelse due lance, uccidendo numerosi miei fratelli. Noi sulle restanti non potemmo fare altro che raccogliere i superstiti, mentre quel demonio ci nuotava attorno, come uno squalo con la sua preda. Eravamo terrorizzati, sfiniti, e convinti che saremmo morti tutti.”

Nella cella nessuno parlò più per molti minuti. Kinji vide il volto del baleniere contorto in un'espressione strana: un misto di angoscia ed indicibile dolore, come se avesse appena toccato una sbarra di ferro incandescente a mani nude. Rimase rispettosamente in silenzio, mentre attendeva che il cuoco trovasse la forza di andare avanti con il suo tragico racconto.

“Poi...” ansimò, con voce rotta dal dolore, pericolosamente vicino alle lacrime. “Un giorno, quando ormai non eravamo rimasti che in una decina scarsa, decidemmo di fare la cosa più abietta ed inumana di tutte.”

I suoi occhi erano spalancati, come se avesse davanti ai suoi occhi le orribili immagini che gli martoriavano l'anima.

“Decidemmo di sopravvivere ad ogni costo.”

 

 

Con il volto sfigurato dal dolore, Loock afferrò il corpo di Gerko, morto nel sonno durante la notte. Gli stracciò le vesti, facendone una fune, a cui legò un pezzo di ferro. Fece per buttarlo fuoribordo, quando Stevens lo bloccò.

Cosa... ” il primo ufficiale aveva la gola troppo secca per parlare chiaramente. “Cosa... stai facendo... Loock?”

Lo butto fuori bordo... signore...” rispose con un roco sussurro il cuoco, le mani tremanti.

Non gli piacque minimamente l'espressione rassegnata che fece il compagno.

Loock... guardaci...” sussurrò, le labbra spaccate distorte in un ghigno macabro. “Nessun marinaio saggio... butta via... ciò che lo potrebbe salvare.”

Il baleniere lo guardò per alcuni istanti, incredulo, mentre le sue labbra tremavano per il dolore, il dolore di accettare quell'orrenda, terribile verità.

Si girò, cercando conforto nel volto di suo padre, ma Wright teneva gli occhi bassi, perso nei suoi incubi.

La sua gola emise dei singhiozzi, mentre lasciava il corpo del fratello, lasciandolo al coltello famelico del primo ufficiale. Probabilmente avrebbe pianto, se solo i suoi occhi secchi glielo avessero concesso.

La mia anima è morta...” singhiozzò, stringendosi le ginocchia al petto con disperata forza.

Fu solo allora che il capitano alzò gli occhi, mentre vedeva i propri figli scannare un loro fratello morto.

L'abbiamo persa tutti...”

 

 

Kinji spalancò gli occhi, mentre sudore freddo prese a scendergli lungo il filo della schiena.

“Gli togliemmo le interiora... mettendo da parte tutta la carne possibile, affumicandola con un piccolo fuoco.” le parole uscivano a fatica dalla bocca del cuoco, come se ogni singola sillaba fosse per lui una coltellata nel cuore. Aveva gli occhi lucidi, e sembrava in procinto di crollare da un momento all'altro. “Poi... una volta finito... ricucimmo come potemmo i resti... e li gettammo in mare.” i suoi occhi divennero gelidi, privi di compassione. “Fu il cuore ad essere mangiato per primo.”

Il pirata rimase a fissarlo in silenzio, mentre la sua espressione tornava ad essere impassibile.

“Vuoi... giudicarmi, pirata?” chiese con voce rotta l'altro prigioniero, stringendo le mani a pugno. “Questa è... la prima volta che lo racconto, sappilo.”

“No, non ti giudicherò.” rispose il figlio di Rufy. “Non c'era cattiveria in tutto questo... solo il desiderio di vivere.”

“Vivere o morire... vivere o morire...” Loock si afferrò la testa fra le mani, mentre le catene sferragliavano con fare stridulo. “Fosse stato solo quello...”

“Cosa intendi dire?”

Il respiro del baleniere divenne corto, frammentato. Ricordare stava diventando più doloroso di quanto immaginasse.

“Le settimane si succedevano, le nostre speranze svanivano.” riprese a narrare, con voce spenta, rassegnata. “Arrivammo al punto di dovere... tirare a sorte, decidendo chi sarebbe morto... per la sopravvivenza degli altri.”

 

 

Con mano tremante, il capitano Wright tirò fuori il legnetto più corto, sancendo, di fatto, la sua condanna a morte.

Capitano... padre...” ansimò Stevens, con voce tremante. Ormai dell'equipaggio della Mirolos erano rimasti solo lui, Wright e Loock, che fissava sconvolto il volto sorridente di suo padre.

Babbo... non oserai...” sussurrò il cuoco.

Erano le regole, no?” rispose il capitano, sempre con un sorriso triste tra le labbra spaccate. “E poi... voi non avete bisogno di uno come me. Un padre che ha solo saputo portare alla morte i propri figli.”

Babbo, certe cose non dirle neanche per scherzo!” replicò urlando Stevens.

Per tutta risposta, il capitano prese l'ultima pistola rimasta, mettendola in mano al primo ufficiale.

Fallo... vivete anche per me.” sussurrò, il volto sereno, benché amareggiato dagli eventi recenti.

Stevens respirò profondamente, due volte. Guardò il suo capitano dritto negli occhi, mentre aveva le labbra che tremavano. Infine, con un gesto improvviso, si puntò l'arma alla tempia, premendo il grilletto.

Il sorriso sul volto di Wright sparì di colpo, sostituito da un'espressione di orrido stupore. I suoi occhi erano troppo irritati per piangere, ma probabilmente il suo stato d'animo l'avrebbe portato alle lacrime.

Loock guardò il proprio padre per un istante, stringendo i pugni. Infine, con un gesto improvviso, gettò in acqua il corpo di un suo fratello, l'ennesimo. Preferiva la fame al cannibalismo.

Ed ora erano rimasti in due.

 

 

“Passarono altri giorni, altre settimane. Eravamo senza cibo, senza speranza, senza niente. I minuti ci apparivano lunghi come anni, mentre l'unico nostro desiderio era la morte.”

Loock alzò lo sguardo, piantando i suoi occhi in quelli del pirata.

“Ma essa decise di prendere solo uno di noi.”

 

 

Debole, emaciato, con la pelle ustionata dal sole, Wright ansimò, il respiro sempre più debole. Loock si trascinò stancamente verso di lui, non avendo più la forza di alzarsi in piedi.

Capitano...” sussurrò, sfiorandogli i capelli incrostati dal sale. “Capitano... vi prego, non fatemi questo... non lasciatemi solo...”

L'uomo più anziano contorse le proprie labbra in un sorriso amaro. Lentamente, afferrò una mano del cuoco, l'ultimo dei suoi figli, portandola sopra un cofanetto che aveva custodito per tutto quel tempo.

Tienilo... tu...”

Loock fissò a lungo quell'oggetto. In tutte quelle settimane, si era spesso chiesto cosa contenesse, ma di fronte alla loro tragedia tutto era passato in secondo piano.

Può aiutarti... farti andare... avanti ancora per un po'.”

Il baleniere aprì il piccolo forziere, vedendo, con sommo stupore, al suo interno un grosso frutto, dall'aspetto strano, con disegni contorti sulla buccia.

Capitano... ma... perché?” sussurrò, chiedendosi il motivo di custodire un simile tesoro così a lungo. Nella loro situazione, avrebbe potuto salvare qualcuno, forse addirittura più di una persona, se razionato con criterio.

Perché esso... ti maledirà. Ma riuscirai a vivere... ”

No, Babbo! Non potete lasciarmi solo, vi prego! Voi dovete vivere, capito?! Vivete capitano! Vi prego!!” urlò con il poco fiato che aveva ancora in corpo il cuoco, mentre si mordeva le labbra martoriate dal sole e dal sale.

Wright volse i propri occhi verso il cielo, scrutando l'astro incandescente.

Sai... non so con quale coraggio... potrò vedere i tuoi fratelli in faccia, quando giungerò anch'io nel Cimitero delle Balene.”

Il... il Cimitero delle Balene?” ripeté confuso il baleniere.

Sì... è lì che vanno a finire le anime di coloro che muoiono in mare.” spiegò, con le ultime forze, il capitano della Mirolos. “Dicono che sia un luogo meraviglioso, posto alla fine della Grand Line... con cibo, bevande, musica... e la gente non fa altro che festa.”

Beh... allora i miei fratelli saranno felici, no?” provò a consolarlo Loock, mentre, con grande fatica, alcune lacrime presero a solcargli il volto.

Un sorriso apparve sul volto di Wright, mentre il suo respiro diventava sempre più debole.

Loock... figlio mio adorato.” ansimò. “Vivi! Vivi e non dimenticarci! Fino a quando tu solcherai questi mari, noi saremo ancora liberi di vedere il sole assieme a te, mentre... le nostre... anime... festeggeranno nel... Cimitero delle Balene.”

Con il volto ormai inondato di lacrime, il cuoco afferrò la mano di suo padre, stringendola con la forza della disperazione.

Capitano! Io... io giuro sulla mia anima che mai vi potrò dimenticare, mai! Troverò questo posto, il Cimitero delle Balene, e vi raggiungerò laggiù. Dovessi anche cercarlo per mille anni di fila! È una promessa!”

Il volto di Wright si distese in un sorriso pacifico.

Sono... felice...”

Poi, con pochi rantoli secchi, l'ultimo capitano della Mirolos spirò, tra le braccia di suo figlio.

Capitano!!!!!”

 

 

Nella cella ritornò a lungo il silenzio.

“Mangiai il frutto. Seppi solo dopo che era un Frutto del Diavolo, con la quale avevo perso la capacità di nuotare. Gettai il corpo di mio padre in acqua, non avendo la forza di commettere un ulteriore abominio. Rimasi solo, in quella scialuppa alla deriva. Solo con i miei dubbi, il mio dolore, la mia disperazione.” ora le parole del baleniere erano scarne, brevi, veloci, come se non desiderasse altro che arrivare alla fine della storia.

“Poi, circa una settimana dopo, accadde qualcosa di nuovo... di inaspettato.”

 

 

Sollevando stancamente le palpebre, Loock vide, in lontananza, una vaga macchia indistinta. All'inizio credette che si trattasse di un miraggio, ma con il passare delle ore essa divenne più nitida, facendogli capire che, alla fine, era finita, l'incubo era finito: aveva trovato un'isola, era salvo.

O almeno così credeva.

Subito dopo, un violento soffio di acqua si sollevò poco distante dalla lancia. Girando lentamente la testa, il cuoco poté vedere avvicinarsi Lei, la grande balena nera, il dio del mare che li aveva sterminati.

Un sorriso amaro si dipinse sulle sue labbra. Proprio ora che stava per salvarsi, lei ritornava fuori per terminare l'opera.

Se vuoi... uccidermi...” sussurrò, tremando. “Fallo in fretta... per favore...”

Quest'ultima però si comportò in modo strano. Si avvicinò lentamente alla piccola imbarcazione, girandosi più volte di lato. Quando, infine, fu davanti al volto del baleniere, esso poté specchiarsi in uno dei grandi occhi della creatura, proprio come era accaduto durante il primo attacco. Rimase sorpreso di non vederci collera ed odio, ma una grande forza di volontà, unita ad una silente tristezza.

Le sue labbra si distesero ancora di più, mentre l'occhio del cetaceo si chiuse lentamente una volta, per poi riaprirsi.

Un sopravvissuto... per ricordare, non è vero?”

Lei lo guardò ancora per qualche istante. Poi, con un movimento lento ed elegante, si immerse, sparendo per sempre negli abissi.

Loock comprese che non l'avrebbe mai più rivista.

 

 

“Venni trovato da alcuni pescatori a poche miglia di distanza dalla costa, ormai sull'orlo della morte. Mi curarono, mi diedero dei vestiti, mi sfamarono.” uno sbuffo uscì dalle sue labbra. “All'inizio fu dura tornare a mangiare e bere... strano, no?”

“Ci misi due mesi a guarire. Fu allora che ripresi il conto del tempo, comprendendo che ero andato alla deriva per oltre novanta giorni. Poi, una volta di nuovo in forze, decisi di tornare a Satalos, per raccontare a tutti quello che ci era capitato. Nessuna nave sarebbe più dovuta andare incontro alla morte come avevamo fatto noi. La campana di Satalos avrebbe dovuto suonare, in onore di mio padre e dei miei fratelli, caduti a causa della follia del nostro popolo.”

“Ma non fu così...”

 

 

Loock entrò nella stanza, con passo pesante. Vide davanti a lui un lungo tavolo, dietro il quale erano sedute una decina di persone, in abiti civili, più un uomo con l'uniforme della Marina. Il baleniere sapeva chi fosse: il capitano Stukov, comandante del Quartier Generale della Marina nell'East Blue.

Benvenuto signore.” esordì un uomo, sulla sessantina, indicandogli una sedia di fronte a loro. “Si segga, la prego.”

Il cuoco si sedette, scrutandoli perplesso.

Signor Loock...” esordì lo stesso uomo di prima. “Io e gli altri armatori di Satalos abbiamo riflettuto a lungo sulle sue parole, riguardo l'incidente che è accaduto alla Mirolos.” i suoi occhi erano freddi, calcolatori. “Siamo dell'idea che... potremmo giungere ad un accordo.”

Loock li fissò in silenzio, perplesso da quelle parole.

Se si venisse a sapere che le balene attaccano le nostre navi, nessuno sarebbe più disposto ad investire nel nostro commercio, e la nostra ricchezza, che è anche la vostra, sparirebbe.” gli spiegò un secondo uomo, un tipo grasso, con lunghi capelli bianchi. “Ovviamente, saremmo pronti a ricompensarla profumatamente, anche con il comando di una nave, in cambio del suo silenzio.”

Diventerebbe un uomo importante, all'interno della nostra comunità.” insistette un terzo armatore. “Il suo nome sarebbe rispettato ed omaggiato da tutti qui a Satalos.”

Il cuoco strinse le mani con forza, conficcandosi le unghie nella carne. Ripensò a tutte le sofferenze patite in mare, all'aver visto morire tutti i suoi compagni, persino suo padre. Rivide la fame, la sete, il terrore e la disperazione vissute. Sentì tutto quello sulla sua pelle con un'intensità mostruosa, mentre la sua anima ribolliva di rabbia per quell'indecente proposta.

Mi domando... con quale coraggio vi guardate allo specchio, quando mi proponete simili stronzate?!”

 

 

Loock digrignò i denti, mentre Kinji proseguiva a fissarlo, impassibile.

“Per puro interesse economico, gli armatori dell'isola diffusero la voce che il capitano Wright e gli altri si fossero dati alla pirateria, tradendo così la loro patria. Quanto a me, si sono limitati a darmi del folle e del bugiardo, rinchiudendomi in questa cella, rifiutandosi di suonare la campana della città.”

“Quale campana?”

“Nella nostra isola c'è la tradizione di suonare un'antica campana in onore di coloro che muoiono in mare. È qualcosa che va avanti da secoli, che incarna il vero spirito della nostra terra.” i suoi occhi si inumidirono. “Il pensiero che tale omaggio sia stato negato ai miei fratelli per puro e semplice opportunismo mi dilania il cuore. Ormai sono oltre tre anni che sono rinchiuso qui dentro, e dubito che qualcosa cambierà.” chiuse gli occhi, sorridendo amaramente. “Ma è un peso che sopporto con gioia. Perché so che, fino a quando io sarò vivo, esisterà sempre una possibilità di vedere la verità venire alla luce, così come il mio sogno di realizzarsi.” scoppiò a ridere, una risata colma di tristezza. “Non riesco neanche a capire perché mi sono confidato con te, lo sai? Ma sono felice di averlo fatto, nonostante tutto.”

“Già, anche io sono contento che tu l'abbia fatto.” rispose Kinji, sfoderando un sorriso allegro e sincero. “Hai detto che ti chiami Loock, giusto? Che ne dici di entrare a far parte della mia ciurma?”

“EH?!” il cuoco spalancò gli occhi, stupefatto da ciò che aveva udito. Rimase per alcuni secondi in silenzio, mentre tentava di comprendere l'enorme sciocchezza che aveva appena udito. “Io... diventare un pirata?!”

“Hai detto di essere un cuoco diretto alla Grand Line, no? Io sto giusto cercando un tipo come te.” spiegò il ragazzo, senza smettere di sorridere.

“Ohi, moccioso... cosa stai dicendo? Tu tra poco salirai su un patibolo.” replicò il baleniere, sudando freddo. “Smettila di dire cazzate.”

Per tutta risposta, senza smettere di sorridere, Kinji ruppe, con estrema facilità, le catene che lo imprigionavano, sotto lo sguardo allibito del cuoco.

“Ah, finalmente! Sai, la tua storia mi aveva così preso che mi ero addirittura dimenticato di queste fastidiose catene!” esclamò il giovane pirata, massaggiandosi i polsi.

“Ma...” Loock sembrava aver perso la voce, mentre fissava sconvolto il ragazzo che, con estrema facilità, sfondava le sbarre all'ingresso della cella. “Ma tu... chi diavolo sei?!”

“Io?” senza smettere di sorridere, Kinji si sgranchì le spalle, avvicinandosi alle catene che imprigionavano il baleniere.

“Io sono Boa D. Kinji, l'uomo che diventerà il re dei pirati!” esclamò, liberandolo dall'agalmatolite che lo imprigionava. “E adesso, noi due c'è ne andremo da qui!”

 

 

CONTINUA

 

 

Sì, lo so cosa state pensando. Cosa diavolo metto un flashback nel ben mezzo dell'attacco a Marijoa? La risposta è che, avendo concluso la parte iniziale dell'assalto, ho optato per ricominciare a narrare del passato dei vari membri della ciurma, in modo da poter analizzare meglio i futuri combattimenti.

Ammetto che, fino ad adesso, il passato di Loock è stato il più difficile da immaginare e descrivere, perché desideravo qualcosa di diverso dall'infanzia di Sanji. La sua storia mi è venuta in mente prendendo spunto dal romanzo di Moby Dick, anche se ho preferito rendere la balena di colore nero piuttosto che bianco. In ogni caso, nonostante qualche scena piuttosto pesante, come quelle di cannibalismo, spero che, per ora, il flashback del gigantesco cuoco vi sia piaciuto, un ricordo che avrà termine con il prossimo capitolo.

Bene, anche questo capitolo è terminato. Come sempre ricordo che qualsiasi recensione, sia negativa che positiva, sarà ben accetta.

Un saluto!

Giambo

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Capitolo 18
*** Ricordi: suonare la campana! Il nuovo Nakama Loock ***


Capitolo 18

 

 

Kuine rimase ferma, immobile di fronte alla porta, stringendosi con le mani l'orlo del proprio abito. Aveva paura, anche perché non sapeva se tutto quello sarebbe servito ad ottenere il suo scopo.

Mi sto sacrificando senza neanche sapere se è vivo.

Si morse le labbra, ricacciando indietro le lacrime con stizza. Ormai era stanca di piangere. Lo faceva da più di tre anni, e non era cambiato nulla. Il suo cuore era spezzato, ma la cosa non le importava più: se tutto andava come doveva, presto avrebbe desiderato con tutta sé stessa non avere più un cuore.

Scosse la testa. No, non avrebbe pianto, non avrebbe smesso di crederci. Lui era vivo, doveva essere vivo. E lei lo avrebbe salvato, anche a costo di dannarsi il resto dell'esistenza.

Papà avrebbe desiderato questo.

Fece un profondo respiro. Poi, con la sensazione di cadere in un baratro senza fine, aprì la porta.

La stanza in cui entrò era un ricco ufficio della Marina. Le pareti erano coperte da una tappezzeria colore giallo crema, mentre sul pavimento sfoggiavano morbidi tappeti rossi. L'arredamento era composto da numerose librerie, che fungevano da archivi, una grande e voluminosa scrivania, ricolma di fogli e documenti, dietro alla quale era seduto un uomo. Era alto, magro, con corti capelli grigi. Indossava l'uniforme della Marina in modo impeccabile, mentre rivolgeva la schiena alla giovane, scrutando attraverso le arcate che illuminavano l'ambiente. Quest'ultima poteva scorgere, stretto tra le labbra dell'ufficiale, un grosso sigaro, che diffondeva un odore acre in tutta la stanza.

Kuine rimase ferma all'ingresso, attendendo pazientemente che il suo anfitrione facesse la prima mossa. Dopo alcuni secondi, quest'ultimo si voltò, rivelando un volto magro ed abbronzato, contornato da due occhi scuri e severi.

“Benvenuta.” si limitò a soffiare, rigirandosi il sigaro tra le labbra.

“Capitano Stukov.” rispose gelida la ragazza. Era di statura media, magra, con un volto grazioso adornato da due occhi chiari e gentili, labbra morbide ed una massa di vaporosi capelli biondi. Nonostante i vestiti che indossasse fossero di modesta fattura, era molto bella.

“Sedetevi pure.” il capitano le indicò la sedia di fronte a lui. Una volta che la sua ospite si fu accomodata, le porse un calice colmo di vino, che però venne prontamente rifiutato.

“Non mi piacciono gli alcolici.” spiegò. E non mi piaci neanche tu, viscido approfittatore!

“Capisco. Siete una ragazza dai gusti semplici.” Stukov appoggiò la schiena, intrecciando le dita davanti al volto. “Cosa siete venuta a fare qui, Kuine?”

La bionda deglutì un paio di volte, mentre le sue labbra ripresero a tremare. Compiere quel passo non era semplice come se lo era immaginato.

“Devo forse dedurre che avete deciso di accettare la mia proposta?” azzardò, con voce bassa, il marine, senza smettere di fissarla dritto negli occhi.

La ragazza annuì lentamente, scura in volto, con gli occhi lucidi.

Un sorriso si dipinse sulle labbra sottili dell'uomo. Era il sorriso di un guerriero che riesce finalmente ad imporsi dopo un lungo scontro.

“Sapevo che, sotto tutta la vostra sciocca cocciutaggine, si nascondeva dell'intelligenza. Avete fatto la cosa migliore.”

“Voglio vederlo.”

Stukov inarcò un sopracciglio.

“Come?”

“Prima di assecondare... la vostra richiesta, desidero vederlo. Voglio avere la certezza che sia ancora vivo!” dichiarò, con voce fredda, la ragazza, squadrandolo con odio.

Il marine appoggiò il proprio sigaro su un posacenere in avorio, mentre prendeva a sorseggiare il vino rifiutato precedentemente da Kuine.

“Sarebbe contro ogni regola.”

“Al diavolo i vostri regolamenti!” replicò lei, le prime lacrime che presero a scenderle dal volto. “Acconsentirò a sposarvi solo se Loock sarà vivo, e dovrà essere liberato oggi stesso!”

Stukov terminò di bere il vino con un ultimo sorso, appoggiando in silenzio il calice sul tavolo. Quando alzò il proprio sguardo, nei suoi occhi era presente una luce divertita.

“Siete una donna affascinante Kuine, con un carattere più forte di quello che pensate.” dichiarò, incurvando le labbra in un sorriso freddo. “Ma non dimenticate mai che io comando la Marina in tutto l'East Blue. Il vostro fascino non è sufficiente per potermi dare ordini.”

“Tutto il vostro potere non basterà ad avere ciò che desiderate, se prima non libererete mio fratello!” sibilò la bionda, facendosi per alzare, a dimostrazione che per lei la discussione era finita.

“Siete veramente una donna coraggiosa, forse è questo che più mi piace di voi.” rispose Stukov ridacchiando. “Ma cosa accadrebbe al vostro coraggio se il piccolo Marihito diventasse... un corpo in fondo al mare?”

I chiari occhi della ragazza si spalancarono di colpo, mentre il suo corpo si bloccò, paralizzato dall'orrore.

“Voi...” balbettò, sconvolta al solo pensiero di cosa sarebbe potuto accadere al suo fratellino. “Voi... non oserete.”

“Perché? È solo un piccolo mentecatto. Se sparisse... a chi importerebbe?” la provocò l'ufficiale, sorridendo con crudele divertimento. “Se non sbaglio si trova fuori dal mio ufficio in questo momento, vero? Del resto, non si può lasciare solo un bambino simile...”

“NON DOVETE NEANCHE TORCERGLI UN CAPELLO, SONO STATA CHIARA?!”

Stukov si alzò, scuro in volto. Poi, con un movimento veloce della mano, la colpì con violenza al volto, spaccandole il labbro superiore e facendola cadere pesantemente a terra. Prima che potesse rialzarsi, lui le fu sopra, afferrandola per la gola.

“Io faccio quello che voglio, chiaro?!” sibilò, il sorriso crudele sempre stampato in faccia. “Se voglio uccidere Loock, quel mentecatto che ti porti appresso, o qualsiasi abitante di questo oceano lo faccio e basta! Tu mi sposerai e dopo, forse, quello schifoso bugiardo rimarrà in vita. Dopo tre anni di attesa, sono stanco di perdere tempo con te... capito?”

Lacrime presero ad uscire dal volto di lei. Digrignò i denti, mentre vedeva i suoi peggiori incubi prendere vita.

“Siete un vigliacco!” sibilò, singhiozzando con rabbia. “Se mio padre fosse vivo, voi...”

“Tuo padre era un misero baleniere!” replicò il marine, scaraventandola contro una parete. Il colpo fu violento e le svuotò i polmoni. Si accasciò tremante, mentre il suo nemico le si avvicinava, il sorriso ora scomparso dal volto. “Fosse ancora vivo si sarebbe piegato al mio volere, come tutti!”

“Allora... lo vedete che siete uno schifoso?” osservò lei, alzandosi con il fiatone, la tempia sinistra insanguinata. “Negate da oltre tre anni che lui sia morto per mano di una balena, ma non vi fate scrupolo di ammettere che quella è solo la verità!”

Stukov la guardò per un lungo minuto, ritornando a sorridere.

“La verità... è un concetto molto volubile, mia cara Kuine.” rispose infine, ridacchiando. “Non è importante che Wright sia morto per mano di una balena o che sia diventato un pirata. Ciò che conta, è che il mio dominio su Satalos e l'East Blue non cambi.”

La bionda rimase in silenzio, mentre lacrime di rabbia presero a scorrerle lungo il volto.

“Del resto, tutto questo è colpa solo di vostro padre.” riprese il marine. “Se Wright non vi avesse inculcato in testa la storiella della famigliola felice, ora voi non avreste così a cuore la vita di quel cuoco, e di un bambino mentecatto.” le si avvicinò, accarezzandole le guance bagnate. “Siete debole per colpa di lui. Non fosse stato così fissato con la storia della famiglia, ora voi sareste libera di vivere la vostra vita come preferite!”

Kuine rimase in silenzio, lasciandolo ridacchiare per alcuni minuti. Infine, alzò la testa di scatto, squadrandolo con profondo ribrezzo.

“Sarò anche debole.” replicò, piantandosi le unghie nei palmi delle mani. “Ma ho potuto ricevere in cambio qualcosa che vale più di tutto ciò che possedete!”

 

Kuine-san... non ci riesco!”

Kuine si voltò, vedendo il volto in lacrime di Marihito, mentre tentava di allacciarsi le scarpe.

Sorrise, asciugandogli i lacrimoni, mentre gli si affiancava, spiegando di nuovo il modo corretto di infilarsi le scarpe. Sapeva che, la volta dopo, lui non sarebbe stato capace comunque, ma vederlo felice per qualche minuto, quei pochi istanti in cui sentiva di essere capace di fare qualcosa, valeva tanto, troppo.

Visto? Non è difficile, fratellino!” esclamò, regalandogli un soffice bacio sulla fronte.

Grazie, sorellona!” dichiarò lui, con la sua voce lievemente nasale, ma che suonava incredibilmente bella alle sue orecchie.

 

Digrignò i denti, mentre ripensava ai nomignoli disprezzanti che suo fratello, quel piccolo bambino con gravi problemi fisici, aveva dovuto subire nella sua breve esistenza.

 

Sorellona! Un bambino mi ha chiamato handicappato!” Marihito aveva gli occhi pieni di lacrime, mentre entrava nella casetta con la sua camminata barcollante. “Cosa significa? Perché tutti gli altri bambini ridevano di me?”

Kuine lo abbraccio, sorridendo con tutta la forza che possedeva, mentre il suo cuore si spezzava in mille pezzi.

E' una parola stupida, che solo le persone sciocche dicono.” gli spiegò, accarezzandolo. “Tu non sei stupido, sei un bambino intelligentissimo, non è vero, fratellino?”

Un sorriso tremulo si delineò sulle labbra del piccolo.

Sì!”

 

“Fin da quando è nato... Marihito non ha avuto nessuna colpa, se non quella di vivere in un mondo crudele.” mormorò tremando, squassata dalle proprie emozioni. “Solo io... ho voluto vedere oltre i difetti fisici di quel bambino. L'ho fatto perché mio padre mi ha insegnato che la famiglia va oltre i legami di sangue, che se avessi deciso di diventare la sorella di Marihito lo potevo fare.” riprese a piangere, questa volta a dirotto. “Sarò anche debole, ma io sono umana!”

Stukov smise di ridere. Indietreggiò, avvicinandosi alla scrivania, dove riprese in mano il sigaro.

“Allora non dovresti lamentarti della tua scelta.” la fissò dritta negli occhi, squadrandola con fare impassibile. “Tu domani diverrai mia moglie. Se lo farai, verrà risparmiata la vita sia al tuo fratellino che al cuoco.”

Kuine non disse nulla, limitandosi a tirare su con il naso. Il capitano fece per congedarla quando, all'improvviso, la porta del suo ufficio si aprì, facendo entrare trafelato un sergente.

“Capitano! Capitano! È successa una cosa terribile!”

“Di cosa stai parlando, sergente?”

“Il Pirata Kinji il Dragone ed il prigioniero Loock sono evasi! Stanno seminando il panico in tutta la base!”

Il sigaro cadde a terra, sfuggendo alle labbra di Stukov, mentre la ragazza spalancò la bocca, incredula.

“Che cosa hai detto?!” urlò, con voce quasi stridula, il comandante della Marina nell'East Blue. “Raduna tutti gli uomini! Voglio che li riprendiate subito!”

E per la prima volta da quando lo conosceva, Kuine poté sentire nel tono di voce di quell'uomo che disprezzava della paura. Fu un'informazione che accolse in modo quasi secondario, mentre un'ondata di sollievo le rese le gambe molli.

Loock! Sei vivo!

 

 

“Allora, qual è il piano?” chiese un trafelato Loock, mentre correva dietro al suo salvatore, lungo i corridoi umidi delle segrete.

“Piano?” ripeté Kinji, mentre una decina di marines urlanti veniva loro addosso. Ci mise pochi istanti a liberarsi di loro. “Recuperiamo la mia spada, prendiamo a calci in culo tutta l'isola e poi salpiamo per la Grand Line, alla ricerca del One Piece!”

“Come sarebbe a dire che vuoi prendere a calci l'intera isola?! Che razza di mostro sei?!”

“Uh?” il giovane pirata fissò perplesso il baleniere. “Ma non era questo il tuo sogno?”

“Idiota! Non ho mai detto di voler fare una cosa del genere!”

“Ah no? Ok, allora recuperiamo la mia spada e poi salpiamo per la Grand Line, alla ricerca del One Piece!”

“Smettila di farla tanto semplice!” ribatté il cuoco. “Ma tu guarda con che razza di babbeo mi sono messo assieme!”

Svoltarono a sinistra, ritrovandosi davanti un intero plotone di marines. Prima ancora che questi ultimi potessero puntarli contro i fucili, i due fuggiaschi si buttarono nella mischia, liquidandoli in pochi secondi.

“Però! Sei forte!” esclamò Kinji, ammirando la forza del suo nuovo compagno.

“Ho passato la mia vita a combattere balene. In confronto alla forza di un cetaceo, un uomo è come una formica per me.” replicò, sgranchendosi le spalle. “Comunque sia, anch'io ho interesse a venire con te nell'armeria. Avrò bisogno di un'arma per battere Stukov.”

“Stukov?” il moro inclinò la testa, fissando perplesso il cuoco. “Chi sarebbe?”

“E' il capitano che comanda questa base. Si dice che sia l'uomo più potente di tutto l'East Blue.” spiegò con voce truce Loock. “Quando tre anni fa venni imprigionato, fu lui a catturarmi, sconfiggendomi con un singolo colpo.”

“Un singolo colpo?!” il pirata parve stupito. “Urca! Deve essere proprio forte questo tizio!”

Il baleniere non replicò. Si avvicinò ad uno dei soldati sconfitti, un giovane con corti capelli scuri ed un paio di spaventati occhi chiari. Ignorando i rantoli di dolore di quest'ultimo, il cuoco lo afferrò per il collo, portandoselo a pochi centimetri dal volto.

“Ohi, bamboccio.” fece, con voce bassa. “ Dimmi dove si trova l'armeria.”

Il marine rimase in silenzio. Dopo alcuni secondi, Loock strinse la presa, bloccando le vie respiratorie del nemico.

“Dov'è l'armeria?” domando di nuovo. Intensificò nuovamente la stretta, fino a quando, con un urlo, il marine confessò.

“Parlo, parlo! Ti prego, risparmiami!”

Il baleniere lo scaraventò al suolo, fissandolo con sguardo truce.

“Vedi di condurci all'armeria.” borbottò, incrociando le braccia. “Poi vedrò se lasciarti vivo.”

E il prossimo sarai tu, Stukov!

 

 

Stukov era sempre più nervoso nell'apprendere come le cose stessero precipitando velocemente.

“Capitano! Qui è il centro di controllo delle segrete. I due fuggiaschi stanno prendendo la via delle armerie, dopo aver sbaragliato metà delle nostre forze. Chiediamo rinforzi immediati!”

“Capitano Stukov! Parla la torre di controllo del cancello principale. Siamo sotto attacco da parte di una nave pirata! Hanno sfondato i cancelli, e stanno facendo irruzione nel porto! Ci servono rinforzi, e subito!”

“Pirati?!” il comandante sbuffava fumo dalle narici ad intervalli sempre più brevi. Pareva una caldaia pronta ad esplodere. “Da quando i pirati assaltano le basi della Marina?!”

“Sull'albero maestro sventola il Jolly Roger dei Pirati del Drago. È la ciurma di Kinji il Dragone, Signore!”

“Tratteneteli più che potete! Ora abbiamo un altro problema da sistemare!” replicò il marine, digrignando i denti.

“Signore, non riusciamo a trattenerli. Abbiamo bisogno di aiut...” la comunicazione venne interrotta di colpo, sotto gli occhi furiosi di Stukov.

“Cosa diavolo sta accadendo?! Rispondete subito!”

“Capitano! I due fuggiaschi hanno raggiunto le armerie! Hanno eliminato le guardie, e sono penetrati all'interno dell'ambiente. Cosa dobbiamo fare?”

“Mandateli contro ogni singolo fottuto marine della base, idiota!” ruggì al lumacofono, sbattendo successivamente un pugno sul tavolo. “Maledizione!” imprecò.

I suoi occhi si posizionarono sul volto di Kuine. Quest'ultima lo stava fissando con espressione di sfida. Con un ringhio, l'ufficiale la colpì al volto, mandandola a terra.

“Non credere che ciò cambierà il tuo destino!” borbottò, ritrovando un minimo di lucidità. “Se pensi che mi farò battere da un pirata e da un baleniere allora significa che non hai capito un bel niente!”

La bionda si rialzò lentamente, tenendosi premuta una mano sul naso sanguinante, fissando con odio il proprio aguzzino.

“Loock mi salverà.” sussurrò. “Salverà me e Marihito dalla tua follia, Stukov.”

“Tre anni fa era solo un buono a nulla.” replicò il marine, riaccendendosi il proprio sigaro. “Dopo tutto questo tempo passato a marcire in una segreta sarà uno scherzo metterlo fuori combattimento.” le sue labbra si distesero in un sorriso maligno.

“So dove è diretto.” sussurrò. “Vorrà dire che gli faremo una sorpresa.”

 

 

Kita si sgranchì i muscoli del collo, mentre il fumo delle esplosioni si diradava attorno a lei, svelando così le fortificazioni del porto di Satalos, ormai ridotte ad un cumulo di macerie.

“Beh, per essere la fortezza meglio difesa di quest'oceano, non valete poi molto.” borbottò la Full Metal Bitch, cominciando ad avanzare in mezzo alle rovine fumanti ed ai corpi del marines caduti.

“Io vado a cercare quell'imbecille. Voi date un'occhiata alla nave, ok?”

Accendendosi una nuova sigaretta, Erza sogghignò. Aveva le pistole ancora fumanti, le mani che odoravano di polvere da sparo, e le orecchie assordate dal frastuono dei cannoni. Per una come lei, quella sensazione era godimento puro.

“Ehi, spadaccino.” dichiarò, mentre aspirava una corposa boccata di fumo, rilasciandola dalle narici. “Accompagna il nostro adorabile primo ufficiale. Qui sulla nave bastiamo io e Milo.”

“Non prendo ordini da te, donna!” sbottò il samurai, squadrandola con profondo fastidio.

Da dietro le lenti scure dei propri occhiali, gli occhi azzurri della cecchina mandarono fiamme.

“Hai forse voglia che ti uccida, buzzurro?” mormorò minacciosa.

Kuroc sogghignò, rivelando alcuni pollici della propria katana.

“Sarei proprio curioso di vedere cosa è capace di fare una barbie da due soldi come te.”

“Ragazzi, smettetela! Questo non è il momento più a...” il navigatore tentò di bloccare l'inevitabile, ma fu troppo tardi. Dopo alcuni secondi carichi di tensione, i due pirati scattarono all'attacco. La lama di Kuroc venne bloccata dal calcio di Erza, scatenando un'onda d'urto che spazzò via il povero Milo, il quale atterrò con pesantezza sul ponte della Kuin.

“Se proprio volete litigare... fatelo giù dalla nave... per favore.” esalò, ormai rassegnato ad essere circondato da folli amanti del sangue.

Nello stesso istante, notando come a bordo della nave i pirati avessero iniziato ad azzuffarsi tra di loro, i superstiti dei plotoni sconfitti precedentemente decisero di attaccare una seconda volta, irritando profondamente i due contendenti.

“Ohi Ohi...” borbottò Erza, schioccandosi le nocche delle mani. “Vi pare questo il modo di interrompere un duello?!”

“Non conoscono il minimo rispetto.” aggiunse Kuroc, osservando il graffio sulla guancia procuratogli da un proiettile vagante. “Questa me la pagate.”

Subito dopo, di comune accordo, i due scesero a terra, scatenando il panico tra i marines. Il tutto sotto lo sguardo sconfortato di Milo.

“Perché devono essere sempre così irruenti?” mormorò sconfortato, osservando l'ennesima esplosione dilagare tra le banchine del porto.

 

 

Con un sorriso di pura gioia, Kinji imbracciò la propria spada, roteandola in aria, urlando di felicità per essersi riunito con lei.

“Temevo di non ritrovarti più.” sussurrò, accarezzando la lama nera con affetto. “Eiji... mi sei mancata da morire.”

Un rumore alle sue spalle lo costrinse a girarsi. In mezzo alle armi e le casse piene di munizioni emerse la figura di Loock, che soppesava in mano un gigantesco martello da guerra, fissando stupefatto l'impugnatura in pelle.

Questo è...

“Che hai?” gli chiese il moro, inclinando perplesso la testa. “Sembra che hai visto un fantasma.”

“Sotto un certo aspetto...” replicò il baleniere. Roteò, con estrema facilità, la pesante arma per qualche istante, trovandola adatta al proprio scopo. Annuì, fermamente deciso a compiere la propria vendetta, ed il proprio sogno, con essa al suo fianco.

“Ho fatto la mia scelta.” dichiarò, incamminandosi verso l'uscita.

“Quel coso sembra bello pesante.” osservò il giovane capitano.

“Pesa circa trecento chili.” gli spiegò il cuoco, mentre teneva appoggiata alla spalla destra la nuova arma. “E' un cimelio piuttosto famoso della nostra isola. Non credevo neanche che esistesse ancora.”

“Cosa?! Tremila chili?!” gli occhi di Kinji divennero grandi quanto piattini da tè. “Come fa a pesare tre tonnellate?!”

“Ho detto trecento, non tremila!” borbottò Loock. Lo conosceva da poco, ma stava già cominciando ad abituarsi all'estrema ingenuità del pirata. Sotto un certo aspetto, si intonava perfettamente con il suo sorriso allegro, ed i suoi occhi vivaci. “Si dice che Gaurcios, il fondatore di Satalos, maneggiasse un enorme martello in battaglia, con su inciso nel metallo che forgiava la testa dell'arma una sirena, proprio come questa.” gli occhi scuri del capitano notarono come, nel metallo, fosse incisa una splendida sirena in miniatura, così perfetta da sembrare quasi viva.

“Uao! E così questa sarebbe l'arma del fondatore dell'isola!” gli occhi del pirata brillavano come lanterne. “Che figata!”

“Così pare.” rispose il baleniere. “Sapevo che era andata smarrita secoli fa. Non avevo idea che fosse sepolta qui, in mezzo ai polverosi cimeli della Marina.” strinse con forza l'impugnatura, facendo scricchiolare il cuoio. “Non permetterò che tengano loro un cimelio del mio popolo!”

Il suo volto divenne duro, teso, con i lineamenti contratti. Un'enorme collera ardeva dentro di lui, un sentimento che da oltre tre anni gli dilaniava il cuore, rendendo le sue giornate cupe e dolorose.

“Io... non perderò, di nuovo!” esclamò, tremando per la rabbia. “Io suonerò la campana di Satalos, rendendo onore a tutti i miei fratelli caduti in mare! Niente e nessuno mi impedirà di partire alla volta della Grand Line, dove si trova il Cimitero delle Balene!”

Kinji lo affiancò, mettendogli una mano sulla spalla, anche se a fatica essendo quest'ultimo molto più alto di lui. Quando il baleniere abbassò lo sguardo lo vide sorridere.

“Andiamo Loock!” esclamò il pirata. “Esaudiamo i nostri sogni assieme!”

In quell'istante, la porta sbarrata precedentemente dai due fuggiaschi saltò in aria con una forte esplosione. Dal fumo uscirono centinaia di soldati urlanti, che caricarono, sciabole in mano, i due evasi, con il chiaro intento di catturarli. Kinji fece per mettere mano alla sua spada, ma prima che potesse muovere un solo muscolo, un'onda d'urto, dalla potenza inimmaginabile investì i loro nemici, sbalzandoli via, e demolendo buona parte del edificio. Calcinacci e mattoni crollarono con violenza per alcuni minuti, sollevando un'intensa cortina di fumo. Quando quest'ultimo si dissolse, il pirata poté constatare che a creare quello sfacelo era stato il cuoco.

“Sì, hai ragione.” esclamò quest'ultimo, sorridendo. Un sorriso feroce e spietato. “E' tempo di andare!”

 

 

Kita sbadigliò sonoramente, grattandosi la testa. Si stava annoiando a cercare il suo capitano in quell'enorme base. Quest'ultima era formata da una grande torre, circondata da un muro di pietra, che si affacciava sul mare. Dietro a tale fortificazione si estendeva la città di Satalos, brulicante di vita. In quel momento, la piratessa era intenta a terminare il giro della grande piazza di fronte all'edificio principale, chiedendosi se fosse il caso di entrare o meno.

Fino ad ora non ho trovato nessuno che abbia voluto darmi un'indicazione precisa. Non so però quanto mi convenga andare a tentoni.

Sollevò lo sguardo, osservando il cielo coperto dal fumo delle esplosioni. Si chiese cosa l'avesse spinta a trovarsi lì, in quel luogo, a rischiare la vita per un dannato imbecille con sogni infantili.

Chissà... forse anch'io sto diventando una sciocca sognatrice.

In quel momento, dalla porta principale, uscì un plotone, che le si avvicinò a passo di marcia. La Full Metal Bitch sospirò, chiedendosi perché quegli sciocchi non capivano che non avevano possibilità di batterla.

Idioti ligi al dovere. Morirete senza che nessuno vi ricordi per questo.

Sollevò la propria lama, pronta a spazzare via quegli ostacoli con un singolo colpo, quando i suoi nemici si divisero in due ali, lasciando passare una figura alta e magra. Osservando i gradi che portava, Kita abbassò lentamente il proprio spadone, sogghignando.

“Noto con piacere che finalmente posso fare a pezzi qualcosa di più degli scarafaggi di prima!” esordì, ridacchiando.

Stukov sorrise freddamente, mentre osservava i resti della furia attuata dalla bionda.

“Finalmente ho modo di conoscerti.” replicò, con voce tranquilla. “Kita Hirati, la Full Metal Bitch, ex ufficiale della Marina.”

“Non mi serve una presentazione.” osservò la ragazza, sgranchendosi i muscoli del collo. “Dimmi dove si trova Kinji, e potrei anche non conciarti troppo male.”

“Intendi il Dragone? Beh, non so dirti con precisione dove si trovi in questo istante.” rispose tranquillo il capitano.

“Poco male, vorrà dire che farò fuori anche te.” rispose la Full Metal Bitch. Successivamente, senza aggiungere altro, la ragazza scattò contro l'ufficiale, brandendo con violenza lo spadone, con l'unico scopo di tagliargli di netto la testa. Stukov però, non si fece trovare impreparato: con un movimento velocissimo, esso parò il fendendo con il piede destro, senza alcuno sforzo apparente, sotto gli occhi increduli della fuorilegge.

“Non dovresti sottovalutarmi!” ridacchiò il marine. Subito dopo, con una mossa fulminea, esso ruotò sul posto, andando a colpire con il piede sinistro la ragazza in volto, spedendola a svariati metri di distanza.

“Scusami, ora sono interessato a raggiungere un determinato posto.” spiegò Stukov, superandola. “Tornerò a prendermi la tua testa più tardi. Ti saluto!”

Fece per andare avanti ma una mano lo bloccò, quando si volto si trovò davanti Kita, con un pugno già pronto a colpire.

“Cos...”

“E così ti piace usare le Rokushiki, eh?!” sghignazzò la ragazza. “Bene, ricambio subito il favore!” usando il Tekkai, la bionda colpì al volto il proprio nemico, spedendolo a svariati metri di distanza, sotto lo sguardo allibito dei marines. Mentre la polvere sollevata dall'impatto si depositava lentamente, la Full Metal Bitch sputò un grumo di sangue, rimettendo nel fodero lo spadone. Contro un avversario capace di muoversi tramite il Soru, una lama di quelle dimensioni le sarebbe stata solamente d'impiccio.

Stukov ci mise alcuni istanti a rialzarsi. Aveva il naso che sanguinava, ma per il resto era illeso. Scrutò la propria avversaria con macabra curiosità, mentre le proprie labbra si incurvavano in un sorriso feroce.

“Immagino che non mi lascerai andare tanto facilmente, dico bene?”

“Che perspicace!” sghignazzò lei di rimando.

“Capisco... beh, questo rende le cose più complesse.”

Subito dopo, i due sfidanti si scagliarono l'uno contro l'altro, usando entrambi il Soru. Il pugno destro di Stukov si scontrò con lo stinco sinistro di Kita, dando vita ad un impatto così violento da sbalzare lontano i restanti soldati del plotone.

“Non credere di potermi battere così facilmente, Full Metal Bitch!” ringhiò il moro, sforzandosi di avere la meglio. “Non permetterò a te, ed ai tuoi compagni, di riottenere il vostro capitano!”

“Prova a fermarmi se ci riesci!” replicò ridacchiando la ragazza.

Poi, i due si divisero, mentre il colpo da entrambi sferrato esplodeva in tutto il suo fragore, schizzando terra e pietre ovunque.

“Soru!” con movimenti abilissimi, Stukov si sollevò in aria, nel tentativo di colpire dall'alto la sua rivale. “Tekkai!” il pugno, irrigidito dalla tecnica, penetrò con disarmante facilità nel cemento, mancando però il bersaglio. Kita replicò con un violento Storm Leg, che tagliò in due circa un quarto della piazza, senza tuttavia colpire il proprio avversario.

“Non pensavo che un capitano dell'East Blue potesse conoscere così bene le Rokushiki.” osservò lei. La cosa stava cominciando ad irritarla, e desiderava finire quello scontro il prima possibile.

“Prima di essere mandato in questo misero mare, ho servito per anni a Marineford come ufficiale.” spiegò l'uomo, ridacchiando. “Fui spedito qui a causa delle mie azioni. Dicevano che ero troppo violento e brutale con i miei sottoposti.” i suoi occhi brillavano di luce maligna, omicida. “Penso che tu sappia cosa questo significhi: sono di un livello decisamente superiore rispetto a chiunque altro in questo oceano. Neanche tu, la famosa e sanguinaria Full Metal Bitch, puoi reggere il confronto.” il suo sorriso acquisto una parvenza folle. “Quindi vedi di sparire, perché non ho tempo da perdere con una come te!”

“Hai finito?” replicò, con indifferenza, Kita, sfoderando un'espressione gelida. “I palloni gonfiati non li ho mai tollerati.”

Riprese l'attacco. Scattò, tramite il Soru, addosso al suo rivale, richiamando questa volta anche l'haki dell'armatura. Stukov, nonostante l'utilizzo del Tekkai, parve in difficoltà. La ragazza lo colpì con tutta la forza che aveva allo stomaco, tramite un pugno, facendolo indietreggiare di parecchio prima di costringerlo a cadere in ginocchio, con il fiatone. Quando il capitano rialzò lo sguardo, i suoi occhi erano assetati di vendetta.

“Questa... me la paghi, lurida sgualdrina!” sussurrò.

“Davvero?” la Full Metal Bitch sogghignò. “Me la sto facendo sotto, palle mosce.”

Tornarono di nuovo all'attacco, pugno contro pugno, calcio contro calcio, gomito contro fronte. Il loro duello rimase in parità per circa una trentina di secondi, ma poi, dal turbine di colpi, fu evidente come la piratessa stesse prendendo sempre più vantaggio. Il suo haki respingeva senza troppi problemi il Tekkai di Stukov, mentre i suoi pugni affondavano senza pietà alcuna nelle carni dell'uomo.

“Sarebbe tutto qui?” chiese, dopo aver respinto, usando l'haki della percezione, una numerosa raffica di colpi, “Sono delusa!” un suo pugno mise in ginocchio, per la seconda volta il marine. Quest'ultimo tentò di reagire, ma la bionda lo colpì al collo con un calcio, mettendolo in condizione di non nuocere. Sorridendo, Kita mise mano al suo spadone, con l'intento di tagliare di netto la testa al nemico.

“E' finita... pidocchio!”

Subito dopo, molti avvenimenti accadero in pochi secondi.

Il portone della torre principale esplose, spargendo schegge e pezzi di acciaio tutt'attorno. Il fumo scaturito avvolse la piazza, mentre si udì distintamente la voce di un giovane ragazzo, una voce colma di gioia. Con il cuore che fece un balzo per il sollievo, Kita si voltò di scatto, urlando il nome del suo capitano, un sorriso appena accennato sulle labbra.

Fu un errore.

Il ringhio di rabbia di Stukov mutò in un ghigno. Capì che quella era l'occasione giusta per modificare a suo vantaggio le sorti di quello scontro.

“Shigan!”

Il sorriso della piratessa divenne una smorfia. Sangue vermiglio le uscì dalle labbra, mentre l'indice sinistro del marine penetrò ripetutamente nel suo petto, lasciandole numerosi fori sanguinanti.

“Non avresti dovuto abbassare la guardia... pidocchio.” ridacchiò l'uomo, rialzandosi. La bionda invece, dopo qualche secondo di lotta, cadde in ginocchio, ansimando pesantemente. Le ferite, per quanto fossero poco estese, erano profonde, e ben presto un liquido denso e rosso prese a gocciolarle dalle mani.

Merda! Mi sono fatta fregare come una novellina!

Sentì la risata immonda di lui. La stava denigrando, mentre si accingeva ad infliggerle il colpo di grazia.

Io non morirò qui... non sarà per mano di questo rifiuto che lascerò questo mondo!

Digrignò i denti, stringendo con forza le mani. I suoi occhi erano freddi come il ghiaccio, mentre tentava di rialzarsi, e riprendere così il combattimento.

“Io e te...” ansimò, mentre ricadeva in ginocchio, bestemmiando per la propria debolezza. “Non abbiamo finito di comba...” la voce le mancò di colpo.

“Goshigan!” con un movimento rapidissimo della mano destra, il capitano le conficcò tutte e cinque le dita nel petto, frantumandole costole, e danneggiando polmoni e stomaco. Le gambe di lei cedettero di schianto, mentre sangue rosso le fuoruscì dalle labbra.

“Kita!!!!”

Un urlo si sollevò sopra la piazza. Kinji, vedendo il proprio primo ufficiale gravemente ferito, caricò con rabbia. Avvolto in una tornado di fuoco bianco, il ragazzo si avventò furiosamente contro Stukov. Quest'ultimo, per evitare di essere investito dalle fiamme, fu costretto ad allontanarsi dalla Full Metal Bitch, permettendo al pirata di soccorrerla.

“Kita!” urlò il moro, osservando con orrore i numerosi fori circolari sul petto di lei, da cui fuoriusciva sangue. “C-cosa ci fai qui? Dove sono gli altri?!”

“Fi...” la ragazza fu costretta a tossire un grumo di sangue per parlare. “Finalmente ti fai vivo... idiota!”

“Chi è stato a ridurti così?! È stato lui?!” i suoi occhi neri si indirizzarono contro il marine, brucianti di collera. “Gliela faccio pagare! Si pentirà di averti messo le mani addosso!”

Un sorriso strano contornò il volto insanguinato della piratessa mentre udiva quelle parole.

“Stupido... non pensare a me...” ansimò. “Raggiungi la nave... io arriverò subito. Non appena avrò finito di sistemare quello stronzetto...”

“Non dire assurdità!” esclamò il Dragone. “Non sei nelle condizioni di combattere.”

Sentì le dita di lei stringersi con forza mostruosa attorno alla sua spalla, mentre le iridi chiare mandavano bagliori.

“Non portarmi pietà!” urlò. “Ricordati che sarò io ad ucciderti! Quindi smettila di trattarmi in questo modo!”

“Kita...” Kinji sembrava a disagio. Incapace di capire i sentimenti della compagna. Tuttavia, prima che i due pirati potessero aggiungere altro, Loock comparve davanti a Stukov, il martello saldamente in mano.

“Guarda guarda...” esclamò quest'ultimo, ritornando a sorridere. Era rimasto perplesso dall'attacco usato prima da Kinji, ma ora che il suo obbiettivo primario era comparso, la cosa non aveva più alcuna importanza ai suoi occhi. “Ne è passato di tempo, vero?” ridacchiò.

“Stukov.” fu la secca risposta del cuoco, gli occhi colmi di rabbia.

“Cosa sei venuto a fare in questo luogo, Loock?” domandò, sempre sorridente, il marine. “Sei venuto per suonare la campana?”

Il volto del baleniere si contrasse impercettibilmente, ma fu sufficiente per l'ufficiale.

“Capisco... dopotutto, era la tua famiglia, no?” la risata sommessa dell'uomo divenne ancora più irrispettosa. “Certi legami sono difficili da dimenticare, non è vero?”

Spalancando gli occhi, Loock scattò all'attacco, mulinando la propria arma con furia devastatrice.

“Stai zitto!” urlò. Calò il martello con rabbia, ma Stukov lo schivò facilmente, rimando sollevato in aria sopra l'evaso.

“Cosa vuoi fare, Loock?” chiese, il volto sempre contornato da un sorriso maligno. “Vuoi uccidermi?”

“Ho un conto in sospeso da tre anni con te, e quei vermi schifosi degli armatori di quest'isola!” ululò il cuoco. Con un salto raggiunse il suo nemico, tentando di colpirlo con un fendente. Anche stavolta però, il colpo non raggiunse il bersaglio, a causa dell'alta rapidità del capitano, il quale non faceva altro che ridergli in faccia.

“N-non ce la farà mai.” osservò Kita, dopo che si era seduta a fatica. “Un'arma del genere è troppo lenta per poter avere speranze di colpire qualcuno che padroneggia il Soru.”

Kinji non disse nulla, limitandosi ad osservare con espressione impassibile lo svolgersi del duello.

“Sono quasi spaventato da tanto furore.” osservò il marine, mentre eseguiva una complicata rotazione in aria, schivando le onde d'urto che il martello del suo nemico creava. “Dopotutto, ormai ti manca poco per raggiungere il tuo obbiettivo.”

Il cuoco si fermò, ansimando leggermente, mentre i suoi occhi si spostavano lentamente dalla figura del suo avversario, dirigendosi verso la fine della piazza.

“La vuoi suonare, non è vero?” lo provocò ancora una volta Stukov, ridacchiando.

In cima ad un alto piedistallo di pietra, sorretta da una trave portante in ferro battuto, c'era un'enorme campana, completamente in argento. Era enorme, grande tre volte un uomo normale, con il metallo ricoperto di antichi fregi, che si diceva narrassero le origini di Satalos. Le colonne che sorreggevano la struttura erano in acciaio, impreziosite però da bassorilievi in oro e gemme preziose.

“Dunque è quella... la campana che Loock vuole suonare.” borbottò Kinji, grattandosi la testa. “Sembra parecchio antica.”

Kita non disse nulla. La ragazza era impegnata a tentare di tamponare il sangue delle proprie ferite, ma gli occhi chiari di lei non perdevano una singola battuta dello scontro.

“Sei sempre stato un idiota sentimentale, proprio come quel vecchio sciocco di Wright.” proseguì Stukov, ritornando a terra con un'agile piroetta. “Sono sicuro che non rinuncerai tanto facilmente a suonare quella campana, giusto?”

“Infatti.” rispose il baleniere, roteando con abilità il martello in una mano. “Ma in questo momento, la cosa che più mi preme... è fartela pagare!”

“E per cosa? Per averti imprigionato?”

“No!”

La risata del capitano si spense, mentre fissava, con sguardo impassibile, il cuoco.

“So benissimo il perché tu hai voluto ostacolarmi tre anni fa.” dichiarò con voce lenta Loock. “A te non è mai interessato nulla se mio padre ed i miei fratelli fossero stati uccisi da una balena o meno. Tu avevi, ed hai tutt'ora, paura. Paura di me!”

“Eh?”

“Hai sentito benissimo, Stukov!” proseguì, con un sorriso, il cuoco. “Se la gente venisse a sapere che le balene attaccano le navi, nessuno avrebbe più interesse ad investire in questo commercio. E quindi la ricchezza di quest'isola, che è anche la tua ricchezza, svanirebbe. Finiresti a governare un'isola moribonda, diventando lo zimbello della Marina!”

Per alcuni istanti sulla piazza scese silenzio. Poi, sul volto del marine, ritornò il sorriso maligno di prima.

“Perché dovresti condannare tante persone per un capriccio?” domandò, tornando a ridacchiare. “Hai mai pensato a cosa accadrebbe alla gente di Satalos? Molte famiglie finirebbero in miseria, a dover mendicare per le strade, solo perché tu possa avere la tua verità.” con uno scatto, Stukov attaccò il moro, costringendolo a parare, a fatica, un potente calcio tramite l'uso del martello. “E poi sarei io il mostro?” la risata indisponente del marine divenne quasi assordante. “Sei solo un piccolo egoista bastardo. Non saresti mai dovuto tornare qui, una volta sopravvissuto al naufragio della Mirolos. Illuderti che ti avrei permesso di rovinarmi la vita è stato un grave errore.”

Intensificò la potenza del colpo, scagliando a svariati metri di distanza Loock. Quest'ultimo si rialzò quasi subito, il volto una maschera di nervi e sangue.

“La gente di quest'isola è forte.” rispose, avvicinandosi al suo nemico. “Saprà costruire un nuovo futuro, un futuro dove non avremo bisogno di tingere le acque dell'oceano di sangue per sopravvivere. Ma i vermi come te e gli armatori di quest'isola non potranno mai cambiare, perché non ne avete la forza.” la sua voce si alzò di tono, fino ad urlare. “Siete dei deboli che non volete accettare il cambiamento di quest'isola!”

“Allora forza! Mostrami la tua potenza! Quella che cambierà questo paese!” Stukov alzò l'indice destro, in segno di ammonimento. “Io se fossi in te, però, non lo farei...”

Loock inarcò un sopracciglio, perplesso da quella frase. Senza smettere di ridere, il capitano gli indicò uno dei piloni che sorreggevano la campana. Fu con orrore che il baleniere ci vide Kuine e Marihito, stretto tra le sue braccia. Erano in ginocchio, con le gambe legate, sotto il tiro di un plotone di marine pronti a far fuoco in qualsiasi momento.

“Prova solo ad attaccarmi un'altra volta, e la figlia di Wright farà una brutta fine.”

“Kuine! Marihito!” il moro strinse le mani fino a farsele sanguinare. “Lurido schifoso!”

“Ha preso in ostaggio una donna ed un bambino?” il tono del Dragone era incredulo. “Ma che razza di uomo farebbe una cosa così sporca per vincere?!”

“Uno che non ha nessun riguardo nei confronti della vita altrui.” spiegò freddamente la Full Metal Bitch. “Questo scontro è ormai finito. Ed a vincerlo è stato il marine.”

“Ti due possibilità, Loock.” proseguì Stukov. “Se ti arrenderai, tornando in prigione, io lascerò in vita la ragazza, che diventerà mia moglie, mentre il moccioso handicappato diventerà cibo per i pesci.”

Il cuoco non disse nulla, limitandosi a digrignare i denti.

“Se invece ti lascerai uccidere qui, sul momento, io li lascerò in pace.” il soldato rise di gusto nell'osservare il volto del suo nemico. “Qual è la tua risposta?”

“Loock! Lasciaci perdere!” urlò la ragazza, il volto contorto in un'espressione di paura. “Devi eliminare quel bastardo!”

Il baleniere rimase in silenzio per alcuni minuti, gli occhi bassi, le mani strette a pugno lungo i fianchi. Il tempo trascorse lentamente, mentre tutti attendevano la decisione dell'uomo.

Infine, quando alzò di nuovo lo sguardo, tutti capirono quale sarebbe stata la sua risposta.

Il martello cadde pesantemente al suolo, mentre il moro spalancava le braccia, in segno di resa.

“Quindi hai deciso di tornarne in prigione, eh?” Stukov prese ad avvicinarsi, ridendo senza freni. “Una scelta saggia.”

“Attaccami.” il marine si fermò, guardandolo perplesso.

“Colpiscimi pure, usando tutta la tua forza.” un sorriso folle si dipinse sulla faccia di Loock. “Io riuscirò a sopravvivere ad ogni tuo attacco, è una promessa!”

“Loock! No!!” urlò Kuine, il volto inondato di lacrime, mentre il piccolo Marihito fissava, impassibile, lo svolgersi degli eventi.

I denti bianchi del capitano della Marina brillarono come perle.

“Come desideri.”

“Shigan Madara!” tramite il Soru, il marine fu davanti al cuoco in meno di un secondo, cominciando a penetrare il suo petto con centinaia di colpi, danneggiando gravemente gli organi di quest'ultimo.

“LOOCK!!!!” nel vedere il suo nuovo nakama cadere a terra, vomitando sangue rosso dalla bocca, il petto martoriato da decine e decine di fori sanguinanti, il giovane pirata Dragone esplose la sua rabbia. Richiamando l'haki sul pugno destro, e circondandolo di fiamme bianche, Kinji scattò verso Stukov, cogliendolo in contropiede. Quest'ultimo infatti, riuscì solo a cogliere il movimento che il pirata, urlando, fece contro di lui.

“Haki del Drago, Energy Rifle!!”

E' troppo veloce!

Poi, il pugno del moro colpì in pieno volto il marine. Dall'impatto che si scaturì nacque un'enorme onda d'urto fiammeggiante, che spedì il corpo di Stukov contro la campana, dove si abbatte con violenza inaudita, scaraventando via i marines pronti a giustiziare la giovane Kuine ed il piccolo Marihito. Mentre il capitano cadeva a terra, ormai privo di sensi, il volto distrutto e martoriato, nell'aria si udì un suono limpido, armonioso, argentino, che fece vibrare di energia positiva l'intera isola.

“Ma cosa...?” la figlia di Wright si guardò attorno, incredula di ciò che vedeva: a pochi metri da lei, c'era il corpo privo di sensi del capitano Stukov, il sanguinario marine, l'uomo più potente di tutto l'East Blue.

“Lo ha sconfitto... con un colpo solo?!” bisbigliò stupefatta, osservando la bocca, ormai sdentata, dell'uomo che per anni aveva reso la sua vita un inferno.

“Sorellona! Kuina-san!” sentendosi chiamare, la ragazza abbassò il proprio sguardo, fissando il volto sorridente del suo fratellino.

“Mi piace questo suono, Sorellona!” spiegò lui, ridendo. “E' bello!”

Fu vedendo suo fratello ridere, che finalmente comprese cosa era accaduto: la campana aveva suonato, e ciò significava che, d'ora in avanti, il destino suo, di Marihito, di Loock e di tutti gli abitanti di Satalos sarebbe cambiato, per sempre.

“Sì, piace molto anche a me.” rispose, abbracciandolo forte, mentre i rintocchi limpidi e puri della campana risuonavano con forza in tutta l'isola, purificandola dal dolore e dall'angoscia degli ultimi anni.

Chiunque tu sia... grazie infinite!

 

“Ecco fatto!” sbuffò Kinji, soffiando fumo dalle narici. “Quel bastardo ha avuto quello che si meritava.”

“Ohi!” Con uno sforzo, Kita si rialzò. La testa le girava a causa del sangue perso, ma non era niente di impossibile da sopportare. “Mi vuoi spiegare... perché hai reagito in quel modo? Tu e questo... bestione vi conoscete?”

“Certamente! Lui è Loock, e d'ora in avanti sarà il nostro cuoco di bordo!” rispose il moro, sorridendo allegramente.

“Che cosa? Il nostro... cuoco di bordo?” la bionda fissò l'enorme uomo a terra. Loock aveva il respiro irregolare, mentre teneva le braccia aperte, fissando il cielo grigio sopra di lui, i rintocchi della campana che gli risuonavano in testa.

Padre... fratelli miei...

 

Soffia!!!”

Ehi, Loock!” esclamò Wright, sorridendo al figlio. “Tu questa volta rimani a bordo, ok?”

Cosa?! Ma Babbo, perché? Lo sai che sono il migliore!”

Ma sei anche il nostro cuoco. Prepara un bel pranzetto per i tuoi fratelli, che dopo saranno più affamati del solito! Ahahahaha!”

 

Prese a fare lunghi respiri, lenti e regolari, mentre il sangue fluiva sempre più lentamente dalle ferite. Il dolore stava diventando un sordo pulsare, che lo accompagnava dolcemente verso l'incoscienza.

 

Loock!” Stevens sorrise, mentre dava una forte pacca al fratello. “Dovresti smetterla di essere così sicuro di te stesso, un giorno di questi finirai nello stomaco di un capodoglio!”

Andiamo, Stevens!” replicò il cuoco, sorridendo. “Lo sai anche tu che, in quel caso, potreste sempre tirarmi fuori una volta uccisa quella bestiaccia!”

I due scoppiarono a ridere, tornando a bere rum.

 

Si accorse con qualche istante di ritardo che stava piangendo. Le lacrime avevano iniziato ad uscire dai suoi occhi in modo incontrollato, mentre singhiozzi secchi lo scuotevano fin nel profondo.

 

Fate festa, ragazzi! Noi siamo l'equipaggio della Mirolos, e diamo la caccia alle balene fino in capo al mondo!”

Sììììì!!!!!”

 

“Padre... fratelli...” ansimò, mentre ormai le lacrime avevano ricoperto il suo volto. “Ora il mondo sa del vostro destino.”

Ora posso partire... per raggiungervi... al Cimitero delle Balene.

“Ricordatevi della Mirolos!!!” urlò, scoppiando definitivamente in un pianto disperato, mentre i rintocchi risuonavano, chiari ed argentei, nell'aria fresca del mattino.

Finalmente la campana ha suonato!

 

 

Una settimana dopo, isola Satalos.

 

 

“La vuoi piantare?!”

La voce di Kita risuonò esasperata, nell'ambiente, richiamando l'attenzione del resto della ciurma, compreso Kinji. Quest'ultimo, sollevando il viso dal piatto, fissò perplesso il proprio primo ufficiale, chiedendosi cosa stesse accadendo.

“Cofa f'è?” sputacchiò.

“Sono due ore che mastichi cibo a bocca aperta! Piantala di essere così ingordo!” dichiarò la Full Metal Bitch. Ormai si era completamente ripresa dalle sue ferite, ed era tornata quella di prima, anzi forse addirittura peggio: l'essere stata sconfitta da un combattente più debole di lei l'aveva lasciata di pessimo umore.

“Non serve che litighiate. C'è cibo per tutti!” esclamò Kuine, porgendo un vassoio di biscotti ai pirati con un sorriso. Questi ultimi accettarono con gioia i dolcetti, specie perché sapevano che, in caso di rifiuto, ci avrebbe pensato il loro capitano a ripulire tutto.

“Non è quello il punto...” borbottò la bionda, incrociando di malumore le braccia.

“Sei molto gentile ad ospitarci a casa tua.” osservò Erza, mentre teneva in braccio Mirahito, il quale sembrava trovare di suo gradimento il seno morbido e prosperoso di lei, dato che ci aveva affondato la faccia con gioia, e non sembrava volersene staccare mai più. “Dopo quello che abbiamo combinato alla base di quest'isola, la Marina ci darà sicuramente una caccia più spietata di prima.”

“Nessun ringraziamento!” replicò la bionda, mentre serviva la quindicesima porzione di carne a Kinji. “Avete liberato Loock, salvato me e Mirahito, e permesso a quest'isola di cambiare per sempre.” i suoi occhi divennero lucidi. “Non potremo mai ringraziarvi abbastanza!”

“E' stato un piacere! Dopotutto, a noi piacciono queste sfide!” si pavoneggiò Milo, sorridendo con fare sicuro.

“Ma se non hai fatto niente.” borbottò Kuroc, mentre tracannava l'ennesima bottiglia di saké.

“Che cosa hai detto?” iniziò subito il navigatore, squadrandolo con astio.

“Io? Niente.”

“Come niente! Hai anche una bella faccia tosta a negare le cose!”

“Senti chi parla...”

“Che cosa vorresti dire? Guarda che io...”

Sospirando, la Full Metal Bitch distolse lo sguardo dai due, che presero a bisticciare verbalmente. Ormai stava perdendo le speranze di vedere i propri compagni comportarsi in modo adulto e maturo almeno una volta.

“Ascolta.” dichiarò rivolta verso la figlia di Wright. “Sai dirci dove si trova Loock? Non lo vediamo da giorni, e presto dovremo salpare. Se vuole unirsi a noi deve dircelo il prima possibile.”

“Come se vuole?!” esclamò Kinji. “Lui è il nostro cuoco, certo che salpa con noi!”

“Non ci ha ancora dato una risposta, idiota!” replicò il primo ufficiale, tornando poi a rivolgere la propria attenzione alla giovane proprietaria, la quale stava fissando con un sorriso i pirati seduti attorno al suo tavolo.

“Beh... lui in questo momento è...”

 

 

Camminava per le strade della città, la sua città, dopo tanto, troppo tempo, godendosi il sole sul volto. Un viso che non vedeva l'astro incandescente da oltre tre anni.

Era felice. Certo, molto probabilmente, quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe potuto camminare in quei luoghi per molto tempo. Ma era giusto così, e non aveva alcun rimpianto.

Questo posto rinascerà. I vostri sacrifici non saranno dimenticati, fratelli miei.

Era ormai passata una settimana dalla sconfitta di Stukov e dal suono della campana. Le autorità cittadine, una volta saputo che Loock era libero, avevano tentato di incarcerarlo di nuovo, sotto la pressione degli armatori della città. Tuttavia, Kinji ed i suoi compagni avevano impedito tutto questo, mentre Kuine aveva sobillato la città, raccontando agli abitanti la verità di tutto ciò che era accaduto alla Mirolos, e di come gli armatori avevano tentato di insabbiare l'accaduto. Infuriati, i cittadini avevano rovesciato il governo dell'isola, cacciando via le vecchie autorità ed i ricchi padroni delle navi, il tutto con la complicità della Marina. I soldati della base infatti, memori del lungo regno del terrore di Stukov, avevano preferito chiudere tutti e due gli occhi, limitandosi a mandare un laconico messaggio al Quartier Generale, dove si dichiarava che il capitano Stukov era stato sconfitto da un pirata di passaggio. Per evitare che potesse tornare a compiere danni, l'ex ufficiale era stato incarcerato, con l'accusa di omissione e corruzione, venendo rinchiuso proprio nella segreta dove per anni era rimasto il giovane baleniere, in attesa che la verità venisse alla luce.

Nonostante le proprie ferite, Loock non aveva voluto rimanere fermo a letto per molto. Dopo che la verità era venuta a galla, i suoi concittadini avevano iniziato a vederlo come un eroe, e gli avevano chiesto più volte di partecipare alla costruzione del nuovo governo dell'isola. Il cuoco però si era sempre sottratto a tale richiesta, preferendo osservare le cose da spettatore. Ciò che vedeva gli piaceva: la gente del posto sembrava animata dalle migliori intenzioni per cambiare l'isola. Si era parlato di molte soluzioni alternative per sostituire il commercio di olio di balena. Alcune erano buone, altre meno, ma era palese la volontà della gente di Satalos di fare pace con i signori del mare, mutando per sempre l'isola e coloro che ci vivevano.

Quando partirò, lascerò questo posto in buone mani, lo sento. Mai più la vita delle persone dovrà valere meno del denaro.

Sì, ormai era pronto a partire per il Cimitero delle Balene.

Padre, fratelli... aspettatemi. Molto presto io vi troverò.

Ed allora torneremo ad essere una cosa sola.

 

 

La prua della Kuin era fissata verso l'orizzonte e sembrava impaziente di partire.

Loock squadrò la nave con curiosità. Era diversa dalla Mirolos, più piccola e veloce, ma gli piaceva. Gli dava l'aria di essere molto confortevole.

“Dunque... partite?” chiese Kuine al suo fianco, tenendo per una mano il piccolo Marihito.

“Sì.” rispose il cuoco, sorridendole. “Ho un sogno, che potrò esaudire soltanto sulla Rotta Maggiore.”

La ragazza annuì, anche se il suo volto era inondato di lacrime.

“Ci mancherai.” sussurrò con voce rotta. “Sarebbe stato bello se tu fossi rimasto qui con noi... come una vera famiglia.”

Il moro le si avvicinò, abbracciandola forte, cercando in quel modo di trasmetterle tutto l'affetto e la riconoscenza che aveva nei suoi confronti.

“Non vi dimenticherò mai.” mormorò, una volta staccatosi da lei. “Sarete sempre nel mio cuore.”

Kuine sorrise, cercando di asciugare le lacrime con la mano destra.

“Anche tu.”

“Ciao, campione!” esclamò Loock, abbracciando il piccolo Marihito, il quale ricambiò con gioia. “Prometti che baderai a nostra sorella?” gli chiese, arruffandoli i capelli neri.

“Lo prometto, fratellone!” rispose il bambino. “Da grande mi piacerebbe molto essere un grande guerriero, per proteggere la sorellona e tutte le persone dell'isola. È il mio sogno!”

Il moro sorrise, dandogli un bacio sulla fronte.

“Ci riuscirai.” gli disse, guardandolo fisso negli occhi. “Ne sono sicuro!”

 

 

“Si salpa!!!!”

“Un giorno ci rivedremo!” urlò Loock, agitando il braccio destro verso terra, mentre vedeva la propria patria scomparire all'orizzonte, assieme alla sua famiglia, fino a diventare una linea scura.

Abbassò il braccio. Non era triste, perché era convinto di aver fatto la scelta giusta, e che un giorno li avrebbe rivisti tutte e due, Kuine e Mirahito.

Vi voglio bene.

“Allora ragazzi, chi ha voglia di uno spuntino?”

“Io! Io! Muoio letteralmente di fame!” esclamò Kinji, salivando in maniera inquietante, mentre mordeva il parapetto di legno della nave.

“Bene! Sapete, ho inventato una nuova ricetta, e sono convinto che sia favolosa!”

“Una nuova ricetta?! La cosa diventa interessante!”

“Già! Voi che dite... la carne ai ferri, condita con salsa di caramello e mandorle è una buona idea?”

“E che razza di ricetta sarebbe?!” chiese Milo.

“Non ne ho idea! L'ho appena inventata!”

“Ho come il sospetto che mangiare i suoi piatti non sarà una passeggiata...” mormorò sconsolato il navigatore, mentre Loock e Kinji scoppiavano a ridere di fronte alla sua faccia.

Aveva lasciato a terra una famiglia.

Ma ora ne aveva trovata un'altra.

E certamente non era meno importante.

 

 

CONTINUA

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Capitolo 19
*** La rivolta ***


Capitolo 19

 

 

Con un boato, il cancello cadde al suolo, sollevando un'enorme nuvola di polvere. Le guardie dietro le mura rimasero accecate per alcuni, lunghissimi, istanti. Quando i detriti iniziarono a depositarsi, i soldati videro due figure davanti alle rovine contorte del cancello.

“Era ora!” sbottò Kinji, spazzolandosi la polvere dalla maglia. “Non ne potevo più di quel fastidioso Rosamingo!”

“Dragone...” il tono di voce di Harusa non era propriamente amichevole in quel momento. “Se non desideri morire, non osare mai più afferrarmi in quel modo.”

Kinji non diede ascolto a quella minaccia. Quest'ultimo stava già osservando l'ambiente attorno a loro, cercando la via più veloce per raggiungere Kita.

“E adesso dove diavolo andiamo?” sbottò. “Questo posto è un labirinto!”

Davanti a loro si ergeva quella che, a tutti gli effetti, era una ricca e lussuosa cittadina. Piccole ville, abitazioni lussuose, e case di lindo marmo si estendevano davanti a loro, una affianco all'altra, creando una moltitudine di brevi viuzze contorte che si arrampicavano verso il secondo livello di mura, dando vita a larghe piazze squadrate, regalando a chiunque avesse visionato il tutto dall'alto l'idea di una complicata via d'acqua, con tanto di laghi e sbarramenti.

“Dove sarà Kita?” chiese il moro, guardando con speranza il proprio compagno.

“Lo ignoro.” mormorò Harusa. “Forse l'hanno già portata all'interno del Secondo Anello.” indicò la cinta muraria che si estendeva innanzi a loro, ancora più imponente di quella che avevano appena superato. Dietro di essa, quasi come un'ombra minacciosa, si stagliava un immenso palazzo, cuore e sede del Governo Mondiale, oltre che dimora dei Draghi Celesti e dei Cinque Astri.

“Potrebbe essere.” rifletté a voce alta Kinji, accarezzandosi la rada barba sul mento. “Se però anche quel muro è difeso da un ammiraglio ho paura che non la spunteremmo tanto facilmente.”

“Da quando sei così pessimista?” lo provocò il Folle, sorridendo in modo mellifluo. Veloce come era apparso, quel sorriso sparì, sostituito da un'espressione di vaga preoccupazione.

“Non credo che ci sia un altro ammiraglio in circolazione.” rifletté. “Nessuno avrebbe potuto immaginare un simile attacco da parte nostra. Deduco che, d'ora in avanti, avremo a che fare solamente con le forze sotto il diretto controllo dei Draghi Celesti.”

“Il che è un vantaggio!” esclamò Kinji, sorridendo. “Sono sicuro che insieme non ci sia nessuno capace di metterci in difficoltà, a parte un ammiraglio.”

Harusa stava per ribattere quando si accorsero di un gran numero di passi in avvicinamento. Il pirata dai capelli blu comprese subito che le forze dietro le mura, dopo un istante di sbandamento, si erano riprese, ed avevano tutta l'intenzione di opporre una strenua resistenza al loro attacco.

“Ora non è il momento delle chiacchiere.” osservò, preparandosi a scattare. “Presto questo luogo brulicherà di nemici.” i suoi occhi scintillavano di malsana eccitazione. Si leccò le labbra con fare osceno, il corpo vibrante di eccitazione.

“Sai cosa fare, no?” domandò.

L'altro pirata scoppiò a ridere.

“Certo!” replicò il moro, sguainando Eiji, la propria fedele lama. “Ci rivediamo davanti alle mura tra pochi minuti.”

Poi, con uno scatto fulmineo, i due si diressero verso due vie diverse, inoltrandosi a grande velocità nella città di Marijoa.

 

 

Il rumore dei suoi passi lo assordava. Avanzava lentamente, tenendo la lanterna davanti a lui, illuminando appena pochi piedi davanti ai suoi occhi, lasciando il resto del corridoio nell'ombra. Mentre percorreva le oscure vie lastricate, il suo udito percepì più volte lo zampettare frenetico dei topi, disturbati dalla luce, oltre che il sinistro gocciolare dell'umidità. Eppure, quei suoni gli arrivavano ovattati al cervello, quasi inesistenti, sommersi dalle sensazioni che gli opprimevano lo stomaco.

Capì subito di essere arrivato a destinazione. Davanti a lui non c'era più niente, se non delle fredde grate di agalmatolite. Non era mai stato in quel luogo, ma comprese che doveva essere quello il posto che cercava; non c'erano vie che portavano più in basso.

Avvicinò la lanterna alla cella. La luce della fiamma illuminò un ambiente umido, freddo e spartano. Un pagliericcio, marcio a causa dell'umidità, componeva l'arredamento della stanza, mentre un uomo sedeva su di esso, la schiena appoggiata al muro. Sembrava essere profondamente addormentato.

Il nuovo arrivato rimase fermo a lungo, osservando quei lineamenti in ombra con sguardo impassibile. Non riusciva a capire come sentirsi. Dolore, incredulità e rassegnazione gli ribollivano nello stomaco, come birra rancida, dandogli l'idea di poter vomitare da un momento all'altro.

Sei arrivato, infine.”

Sussultò. Era rimasto così a lungo immerso nei suoi pensieri da non accorgersi che il prigioniero si era svegliato. Quest'ultimo si mosse lentamente, come se anche quei semplici gesti gli costassero una grande fatica.

Sai, ormai mi aspettavo solo la tua visita. Mi sorprende che tu ci abbia messo così tanto, viceammiraglio Kobi.”

Quando la luce della lanterna illuminò il volto del carcerato, Kobi dovette ricorrere a tutto il proprio autocontrollo per rimanere impassibile.

Il volto del Re dei Pirati era profondamente diverso da come se lo ricordava: scavato, magro, pallido, sporco. Una tenue barba gli copriva le guance, mentre le labbra era quasi bianche, come quelle di un cadavere. L'unico segno di vita in quel volto inumano erano gli occhi: neri e scintillanti di vita. Il resto del corpo tradiva la profonda debolezza del grande pirata: era così magro che gli si contava ogni vena e tendine delle braccia, mentre i capelli, lunghi ed incrostati di sporcizia, gli ricadevano unti sulle spalle.

Un'ombra, ecco cosa era. Tutto quello che era rimasto di Rufy Cappello di Paglia, il Re dei Pirati, non era che uno spettro. Un orribile fantasma che sembrava attendere quasi con ansia la fine della propria esistenza. Nessuno avrebbe detto che non aveva neanche trent'anni.

Qualche tempo fa è venuto anche Smoker, sai? Non saprei dirti di preciso quando però, ormai ho perso la cognizione del tempo quaggiù.”

Kobi proseguì a rimanere immobile, fissando il suo più caro amico come se lo vedesse per la prima volta. Rufy sembrò capirlo, perché sfoderò un sorriso allegro, donando una parvenza di vita al proprio viso.

Non preoccuparti per me. Io sto bene.” osservò con tono noncurante. “Sai è passato anche mio nonno un po' di tempo fa. Non ha detto molto...”

Perché?” lo interruppe il marine, appoggiando il lume per terra. “Perché ti sei fatto catturare?”

Il Re dei Pirati non rispose subito, osservando l'amico attraverso le sbarre con sguardo penetrante.

Beh, come vedi non sono proprio il ritratto della salute.” rispose infine, con un sorriso amaro sulle labbra. “Non sono più capace di reggere una vita da fuggiasco.”

Non mentire!” sibilò Kobi, il volto congestionato dal dolore. “Non prendermi per stupido, Rufy. Tu ti sei lasciato catturare di tua spontanea volontà. Perché, dannazione? Perché?!”

Di nuovo il silenzio cadde tra di loro, rotto solo dal gocciolio dell'umidità. Rufy rimase impassibile, ad osservare il volto sfigurato dalla rabbia del suo amico.

Tu sei arrabbiato, Kobi.” mormorò infine il pirata, tirando le labbra in un sorriso sghembo. “Sei arrabbiato perché sai che non potrò mantenere la nostra promessa.”

Il marine afferrò le sbarre della cella con tanta forza che le sue nocche sbiancarono.

Per te non sono mai stato degno di attenzione, vero?” sibilò con tono cattivo. “Quante volte ci siamo scontrati in questi anni? Quante volte mi hai trattato con sufficienza, quasi non meritassi le tue attenzioni? Non importa quante ore mi allenassi, tu eri sempre un passo davanti, non è vero Rufy?”

Tu ti lamenti che io abbia messo i miei nakama davanti ai tuoi capricci?” replicò freddamente Rufy. “Mi deludi Kobi. Pensavo che tu fossi cambiato, ma solo ora mi accorgo che sei ancora un moccioso piagnucolone e petulante, che pensa solo a lamentarsi e piangersi addosso.”

Per il marine fu come ricevere un pugno in faccia. Si allontanò di scatto dalla cella, fissandone l'abitante con sguardo sorpreso, come se lo vedesse per la prima volta.

Io non...” scosse la testa, agitando i capelli rosa, ferito dalle parole taglienti di colui che più di tutti considerava come un modello da seguire. “Non posso accettare queste tue parole. Sai anche tu che io sono cambiato.”

Allora dimostralo!” sbottò Rufy, avvicinandosi alle sbarre, scuotendole con la poca forza che aveva. “Smettila di piagnucolare su ciò che è stato. Noi due non ci batteremo mai in un vero duello ad armi pari! Se lo accetti e prosegui per la tua strada si apriranno nuove possibilità per te, altrimenti fallirai come un miserabile!”

Kobi rimase in silenzio,mordendosi il labbro inferiore con rabbia. Le parole del pirata erano state dure e ruvide, ferendolo nel profondo, ma c'era un fondo di verità in esse: Kobi stava riprendendo vecchie abitudini, come piangersi addosso e lamentarsi del destino avverso. Doveva reagire, e subito, altrimenti tutta la fatica che aveva fatto sarebbe stata totalmente inutile.

Devo andare.” borbottò, girandosi di scatto. I suoi passi suonavano veloci ed affrettati, anche a lui.

Non sentì nessun rumore alle proprie spalle, e non sapeva come interpretare le proprie reazioni di fronte a quella notizia: avrebbe forse desiderato udire ancora una volta la voce del suo più caro amico? Oppure l'idea che lui lo rimproverasse di nuovo lo terrorizzava? Non seppe darsi una risposta, ma accelerò, se possibile, ancora di più il proprio passo.

Fu l'ultima volta che si parlarono.

Tre giorni dopo, il Re dei Pirati Rufy Cappello di Paglia venne giustiziato.

 

Kobi rimase fermo a lungo, davanti a quella porta in lucido legno, con la mente in subbuglio. Si morse le labbra, cercando di trovare dentro di sé la forza per compiere ciò che si era prefissato.

Tre mesi. Erano passati tre mesi dalla fine della Guerra delle Innumerevoli Lacrime. Quell'orribile mattatoio dove centinaia di migliaia di uomini, donne e famiglie erano state distrutte, spazzate via dalla follia distruttiva degli esseri umani. Eppure, la cosa che più faceva male al giovane viceammiraglio era vedere come tutte quelle morti fossero cadute nell'oblio così in fretta. Da quando l'ammiraglio Smoker, un mese prima, era tornato al Quartier Generale con la testa di Eustass Kid, ponendo fine di fatto all'era della pirateria, il Governo Mondiale non aveva fatto altro che glorificare la propria vittoria, puntualizzando come i meriti di quest'ultima fossero dovuti essenzialmente al valore ed agli ideali saldi dei propri condottieri. In quei giorni Kobi preferì non leggere i giornali. L'unica volta che ci aveva provato aveva sentito l'impulso fortissimo di strapparsi di dosso la divisa della Marina.

Sospirò, scuotendo la testa, mentre alzava un pugno per annunciare la propria presenza. Tuttavia, prima che potesse muovere un muscolo, la porta si aprì facendolo rimanere immobile per la sorpresa. Davanti a lui c'era il comandante supremo delle forze celesti: Sengoku il Buddha.

Oh, siete tu, Kobi.” borbottò il vecchio ufficiale, scrutandolo velocemente

S-Sengoku-san.” rispose con un rapido saluto militare il marine. “Non mi aspettavo di trovarvi qui.”

Beh, ho pensato fosse meglio passare.” replicò Sengoku, indicando con un dito la stanza alle sue spalle.

Capisco.” rispose con fare asciutto Kobi.

Io lascerei perdere se fossi in te. Sono rimasto chiuso con lui per due ore, e non mi ha degnato neanche di uno sguardo.” senza aspettare una risposta, l'anziano ufficiale si incamminò per il corridoio vuoto, lasciandolo il giovane viceammiraglio solo con i propri pensieri. Quest'ultimo si morse le labbra per qualche istante. Poi, infine, decise di entrare lo stesso.

La stanza in cui entrò era ampia, spaziosa e ricca di luce, con ampie vetrate che davano una vista mozzafiato sul porto del Quartier Generale. In piedi davanti alle finestre, girato di spalle, c'era una figura imponente e muscolosa che indossava una divisa linda della Marina.

Kobi si mosse con cautela, mentre udiva le proprie scarpe appoggiarsi sulla morbida moquette dell'ufficio. Non era la prima volta che entrava lì, ma si accorse subito di come l'ambiente era molto cambiato dalla sua ultima visita: la scrivania, di solito ingombra di carte, tazze da tè, pacchi di biscotti e dolcetti era vuota, linda ed in ordine. Ogni traccia di allegro disordine che aveva caratterizzato quell'ambiente negli ultimi anni era scomparsa, lasciando spazio ad un ambiente grigio e freddo. A Kobi ricordava molto una stanza d'ospedale.

Si schiarì la gola, nel tentativo di attirare l'attenzione della figura che, al suo arrivo, era rimasta immobile, quasi non si fosse accorta della sua presenza. Fu solo dopo alcuni minuti di pesante silenzio, che il giovane ufficiale parlò.

Signore...” sussurrò, quasi avesse paura di disturbare l'uomo di fronte a sé. “Signore, la prego... mi parli.”

Fu solo davanti a quella frase che il viceammiraglio Garp si girò. Il suo volto sembrava invecchiato di dieci anni dall'ultima volta che Kobi l'aveva visto. Era magro, scavato, con la barba che cresceva incolta. Ma la cosa che più di tutte lo lasciò esterrefatto furono gli occhi: spenti, vuoti, privi della fiamma che per tanti anni aveva visto bruciare in essi.

Kobi...” la voce di Garp era roca, gracchiante, come se provenisse da un dial difettoso. “Promettimi una cosa.”

Il viceammiraglio rimase in silenzio, aspettando che il suo mentore proseguisse.

Promettimi che rimarrai sempre integro.” colui che un tempo veniva chiamato l'Eroe della Marina si voltò di nuovo, tornando a guardare il mare fuori dalla finestra. “Promettimi che non diverrai come me.”

Per Kobi i successivi istanti furono i più lunghi della sua vita.

Glielo giuro, Signore.” sussurrò, gli occhi colmi di lacrime. Lui poteva aver perso un amico, ma Garp aveva perso un nipote, oltre che un figlio.

Grazie, figliolo.”

 

 

Il vento gli soffiò in faccia, facendolo uscire dai suoi pensieri.

Kobi trasalì, ritornando bruscamente alla realtà. Davanti a lui Sanji Vinsmoke, detto Gambanera, sorrideva beffardo, mentre si accendeva l'ennesima sigaretta.

“Allora, ammiraglio.” esordì il pirata. “Che ti succede? Perché hai smesso di attaccare?”

Furamingo non rispose. Con i capelli scompigliati dal vento, il marine si girò, osservando i resti del cancello distrutto alle sue spalle. Il suo volto divenne di ghiaccio, mentre ripensava alla sua promessa.

Garp-san...

“Non pensarci nemmeno.” osservò il biondo con tono minaccioso. “Il tuo avversario ora sono io. Kinji non è più una faccenda che ti riguarda.”

Kobi ritornò a fronteggiare Gambanera, con sguardo impassibile.

“Ti sei mai chiesto.” dichiarò infine. “Che cosa accadrebbe al mondo se l'equilibrio mondiale che è stato costruito con tanta sofferenza vent'anni fa dovesse crollare?”

“Non sono affari miei.” rispose serafico il cuoco, soffiando fuori fumo dalle narici. “Sono secoli che fate i vostri schifosi comodi sulla pelle degli altri. Dimentichi che io ho visto e scoperto, assieme ai miei compagni, gli oscuri segreti che il Governo Mondiale nasconde alla gente. Credi che possa importarmene qualcosa di salvaguardare il vostro equilibrio?”

“Dunque tu preferiresti una nuova guerra, con migliaia di morti, solo per colpe e ripicche avvenute secoli fa?” replicò il rosa. “Davvero saresti così cinico nei confronti del valore della vita?”

Un sorriso spuntò sulle labbra del pirata.

“Perché, che cosa accade oggi? Davvero pensi che in tutto il mondo regni la pace e la gente non muoia?” il sorriso di Sanji divenne un ghigno. “Mi deluderesti profondamente se credi realmente alle bugie che usa il Governo Mondiale per coprire le proprie colpe.”

“Mi pare di capire che non c'è modo di convincerti a farti da parte.” Kobi chiuse per un attimo gli occhi, riaprendoli pochi istanti dopo, quasi avesse preso una decisione difficile. “E' un peccato.”

Per la prima volta da quando si trovava in quel posto, Sanji rimase sorpreso.

“Ti rincresce lottare contro un pirata?”

“Di dover lottare contro un nakama di Rufy.” lo corresse l'altro. “Eppure non potrò fare altrimenti. Il tempo delle esitazioni e dei discorsi è finito. Non smetterò di combattere fino a quando non sarete tutti catturati o morti.”

Garp-san aveva ragione. Non posso continuare a lottare diviso in due.

Una violenta fiamma senza colore lo avvolse, mentre la terra tutt'attorno ricominciò a tremare. Digrignò i denti, mentre scintille di energia crepitavano nell'aria. Si stava concentrando per sfoderare la sua vera forza.

Questa volta non mi fermerò!

Sanji non rimase fermo. Fiamme rosse come l'inferno presero a divampare attorno alle sue gambe, il volto sfigurato in un'espressione terrificante.

“Questa volta la tua tecnica della gamba infuocata non ti basterà!” lo avvisò Kobi. “Ora si combatte sul serio!”

Con un movimento rapidissimo, l'ammiraglio colpì con due pugni contemporaneamente il terreno sotto di sé. Immediatamente, l'intero continente tremò, mentre un violenta onda d'energia si diresse verso il cuoco, che però la schivò con relativa facilità.

“Diable Jamble...”

“Storm Leg...”

I due contendenti si diressero uno verso l'altro. L'impatto che scaturì dai loro primi colpi fu così violento da far crepare l'acciaio delle mura dietro di loro.

“Poele a Frire Spectrum!”

“Maelstrom!”

La sfida era iniziata.

E sarebbe finita solo con la morte di uno dei due.

 

 

Con un tonfo assordante, le pareti del corridoio di acciaio crollarono. Hysperia rimise le katane nei foderi, mentre Jinbe guidava la ciurma del Drago oltre il tunnel, in direzione della gigantesca e fatiscente baraccopoli degli schiavi.

“Benissimo!” ringhiò Jinbe. “Conoscete tutti il piano, giusto? Nessuna pietà verso le guardie, liberate ogni schiavo che trovate, li armate e li spedite verso le scale. Se siamo fortunati entro un'ora scoppierà un simile pandemonio che ci sembrerà di essere all'inferno!”

“Ricevuto!” esclamarono tutti, ad eccezione di Milo.

“Ehm... non per fare il guastafeste.” esordì. “Ma non sarebbe meglio muoversi in coppie?” Il suo suggerimento però cadde nel vuoto, dato che quando terminò di parlare la ciurma si era già divisa, addentratasi tra le fangose vie della città degli schiavi.

“Lo sapevo!” gemette il navigatore, tirando fuori la propria canna tremando. “Perché non ho dato retta al mio oroscopo? Lo diceva chiaramente che oggi dovevo restare sotto le coperte!”

Rimase lì per alcuni istanti, indeciso su come proseguire, mentre già udiva le prime esplosioni degli scontri tra i suoi compagni e le guardie.

“Ragiona Milo, usa la testa.” mormorò, respirando profondamente. “Non sei un folle con poteri mostruosi. Quindi non puoi sperare di gettarti a testa bassa in mezzo alla mischia e pensare di cavartela. Come procediamo?”

Si guardò attorno, cercando qualcosa che catturasse la sua attenzione. A poche decine di metri di distanza iniziavano le prime costruzioni di legno e fango che si estendeva davanti a lui per miglia e miglia, rendendo impossibile aggirarla.

Certo che ne usano di schiavi queste orride person... i suoi pensieri si interruppero di colpo, mentre veniva raggiunto da un'illuminazione: come facevano gli schiavi ogni giorno ad essere trasportati dalle loro prigioni ai livelli più interni della cittadella? Non certo dal tunnel che Hysperia aveva appena distrutto, ne poteva essere un'alternativa valida il cancello principale, dato che distava parecchio da quella zona.

Devono esserci degli altri ingressi. Porte camuffate, che permettono alle guardie di prelevare velocemente un gran numero di schiavi in caso di necessità.

Il suo sguardo si posò alla sua destra, dove troneggiava sopra di lui l'enorme cinta muraria che racchiudeva la città dei Draghi Celesti. Se fosse riuscito a trovare uno di quegli ingressi avrebbero potuto fare irruzione al Primo Livello, dando così una mano a Kinji per ritrovare Kita.

Se sto attento posso farcela. Nessuno mi noterà in mezzo alla confusione della rivolta.

Sorrise, sentendosi sollevato all'idea di avere un piano e di poterlo realizzare; era una sensazione decisamente piacevole.

Diamoci da fare!

E senza perdere altro tempo si inoltrò nella baraccopoli, cercando di raggiungere i piedi delle mura.

 

 

Il piano di Jinbe funzionò. Le guardie poste a sorvegliare le celle degli schiavi erano poche, mal armate ed impreparate a respingere un attacco. Erza e gli altri ebbero facile gioco nel sopraffarle, liberando gli schiavi e dando loro tutte le armi sottratte in precedenza ai marines. Rimasero stupiti delle migliaia di persone, di ogni razza e sesso, rinchiuse in quel luogo, sottoposte a regimi di vita orribili e disumani.

“Che razza di creature oserebbero definirsi 'umani' mentre commettono simili azioni?!” osservò Erza. Nonostante non fosse una persona impressionabile, vedere simili orrori era difficile anche per lei.

“Loro non sono umani, infatti.” borbottò un gigante da lei appena liberato. “Sono mostri che godono nell'infliggere dolore a chiunque capiti tra le loro grinfie.” i suoi occhi penetranti la fissavano con sguardo duro seppure riconoscente. “Dimmi, umana, qual è il tuo nome? A chi devo la mia liberazione?”

La cecchina non disse nulla, ma i suoi denti morsero con più forza il mozzicone stretto tra le labbra.

“Il mio nome non ha alcuna importanza.” rispose infine. “Siamo i Pirati del Drago e rispondiamo unicamente al volere di Kinji il Dragone, il futuro Re dei Pirati.”

“Kinji il Dragone.” ripeté lentamente il colossale essere. “Molto bene. So a chi donare i miei servigi, ora e per sempre.”

“Non ci interessano i tuoi servigi.” replicò la bionda. “Raduna tutti i tuoi compagni, raggiungi le scale, e vendicati di ogni giorno di soprusi che hai dovuto subire.”

“Lo farò con immenso piacere!” ringhiò il gigante. Successivamente, egli alzò la testa al cielo lanciando un urlo di guerra che risuonò con potenza in ogni anfratto di quelle terre. Nel sentirlo ululare la cielo la sua sete di vendetta, l'animo di Erza prese a ribollire, come se potesse percepire anche lei la rabbia di quell'orgoglioso guerriero, costretto alla schiavitù per troppo tempo.

Se potessi avere la forza per impedire tutto questo... se avessi Gan Heiwa...

Fu questione di un attimo. Con la coda dell'occhio vide un'ombra avvicinarsi rapidamente, troppo rapidamente. Subito dopo, il gigante venne colpito in faccia da qualcosa che sembrava un gigantesco palazzo fatto interamente d'acciaio. L'urlo di quest'ultimo terminò bruscamente; ondeggiò pericolosamente per alcuni istanti, per poi sfracellarsi al suono con violenza, distruggendo intere costruzioni e facendo tremare la terra.

Erza, che con uno scatto era riuscita ad evitare di rimanere schiacciata salendo su un tetto vicino, guardò perplessa l'immenso edificio che aveva stordito il colosso, domandandosi quale essere poteva avere avuto la forza di lanciare con tale forza un simile blocco di metallo.

“Carino vero? È un peccato averlo dovuto sprecare così, ma quel coso si stava scaldando un po' troppo per i miei gusti.”

La cecchina si girò di scatto. Su un tetto vicino, seduta a gambe incrociate, c'era una giovane donna. Aveva i capelli biondi raccolti in due brevi codini, una sigaretta stretta tra le labbra, occhiali da sole a coprirle gli occhi ed un gigantesco bazooka appoggiato sulla spalla, ancora fumante.

“Sei stata tu a lanciare quella cosa?” domandò Erza.

Il sergente Hora sorrise, ma il suo era un sorriso freddo, che ghiacciava il sangue solo a fissarlo.

“'Lanciare' non è il termine esatto. Preferisco che usi il termine 'sparare'.” osservò, alzandosi in piedi e fissando da dietro le lenti la piratessa.

“Sai che ora tocca a te, vero? Erza, la Ninfa Demoniaca...”

Erza rispose al sorriso sistemandosi meglio gli occhiali da sole, mentre una sordida rabbia cominciava a prendere possesso della sua mente.

“Hai avuto un ottimo tempismo.” dichiarò. “Avevo proprio voglia di fare a pezzi qualcosa.”

 

 

Due colpi di arma da fuoco risuonarono, seguiti successivamente da un urlo di dolore.

Hysperia ricaricò le proprie balestre, mentre si muoveva rapidamente tra le strette vie ricoperte di fango. Quel posto non le piaceva, le ricordava troppo la sua vecchia vita, la sua orribile routine di un passato fin troppo recente.

E' come se fossi ancora nelle segrete... a compiere atti disumani e contro ogni divinità.

Scosse la testa, chiudendo per un attimo gli occhi. Non doveva lasciarsi andare ai ricordi, non in quel posto, non in quel momento. Ogni istante poteva fare la differenza tra la vittoria e la sconfitta per loro. Doveva rimanere lucida e concentrata, tenendo ben presente l'obiettivo che avevano.

Ricordi di questo genere possono andare a farsi fottere per quanto mi riguarda!

Dopo un po' rallentò il ritmo della propria corsa. Sembrava essere giunta in un luogo disabitato, come un antico quartiere non più utilizzato. Le case non erano più di fango e paglia ma di legno e pietra, le strade portavano traccie di una cura maggiore in passato, mentre i suoni della battaglia alle sue spalle diminuirono progressivamente.

Dove mi trovo?

Volse più volte la testa attorno a sé, alla ricerca di un indizio sul luogo in cui era capitata. L'assenza di nemici e schiavi la insospettiva, così come i rumori che percepiva: le grida e le esplosioni della rivolta erano state sostituite da un silenzio denso di paura e pericolo, rotto solo dal rumore dei suoi stivali sulla terra.

Questo posto non mi piace. È palese che sia una trappola di qualche tipo.

Per un attimo fu tentata di andare avanti, l'idea di affrontare colui che aveva creato un simile agguato la affascinava, ma poi si ricordò che non era lì per sfiancarsi in inutili scontri. Doveva liberare gli schiavi, tutto il resto andava in secondo piano.

Fece per girarsi e ritornare sui propri passi, ma quando si voltò rimase perplessa. Dove prima c'era una strada dritta ora era presente un bivio, con una casa in mezzo ad esso di cui, ne era certa, non aveva notato prima la presenza.

Che sta succedendo?

Rimanere sulla strada non le parve una buona idea. Se colui che l'aveva portata in quel luogo era capace di manipolare a suo piacimento la via era meglio prendere una scorciatoia. Con un agile balzo, dopo aver riposto le balestre, raggiunse metà della casa davanti a lei, preparandosi a darsi la spinta necessaria a raggiungere il tetto della costruzione. Aveva già teso le mani in avanti quando accaddero molte cose in rapida successione.

Sentì qualcosa di viscoso attorcigliarsi attorno alla gamba destra. Poi, prima di poter formulare un singolo pensiero, una forza spaventosa la spinse verso il basso con violenza. L'aria le uscì fin troppo rapida dai polmoni, quando entrò a contatto con il duro terreno, prima che venisse scaraventata con forza ancora maggiore contro una parete di solida pietra, sfondandola. Intontita dal dolore, percepì corde viscose iniziare a legarla strettamente, impedendole qualsiasi movimento, mentre uno zampettare sinistro si faceva sempre più vicino.

Devo liberarmi!

Con la vista ancora appannata dai due precedenti urti, l'assassina si trasformò in acqua, liberandosi così della stretta di prima. Si ricompose ad alcuni metri di distanza, appena in tempo perché la assalisse il primo ragno.

Non era un ragno comune. Era completamente nero, ricoperto da una fitta peluria dura come l'acciaio, con due lunghe ed affilate tenaglie sotto quattro paia di occhi malevoli. Tuttavia, la cosa che più sorprendeva erano le sue dimensioni: Hysperia non ebbe tempo di valutarle con accuratezza, ma ad occhio e croce doveva essere grande come un cane di grossa taglia, sufficiente per uccidere e mangiare senza troppi problemi un essere umano adulto.

L'aracnide le corse addosso, muovendo con rapidità inaudita le proprie gambe, ma la mora si fece trovare pronta. Richiamando l'haki sulle mani, essa lo colpì con tutta la propria forza. Il ragno accusò il colpo, indietreggiando di parecchi metri, ma con suo sommo stupore, dopo essersi scrollato, ritornò all'attacco, seguito da numerosi suoi compagni, alcuni anche molto più grandi di lui.

Da dove sono sbucati fuori questi mostri?

Decise di accantonare quella domanda, dato che in quel momento era più importante evitare di diventare lo spuntino di quelle creature. Con un movimento rapido, Hysperia afferrò le proprie balestre, iniziando ad aprire un fuoco serrato contro i ragni. Ancora una volta, la robustezza di quelle creature la sorprese: i suoi dardi d'acqua, capaci di oltrepassare qualsiasi armatura, venivano respinti dalle setole dure delle creature. Solo gli occhi si rivelarono vulnerabili ai suoi colpi, ma renderli ciechi non l'aiutava molto, dato che possedevano un udito tattile eccezionale.

E va bene! Rimise a posto le balestre, sguainando le katane. “Volete la guerra? Vi accontento subito!”

Si lanciò contro il primo aracnide, evitando facilmente le tenaglie di quest'ultimo e conficcandogli una delle sue spade tra gli occhi. Il ragno, dopo aver lanciato uno strillo acuto di dolore, si rovesciò sulla schiena, mentre la piratessa era già passato al prossimo.

Ne uccise altri dieci rapidamente, senza molto sforzo. Comprese ben presto però che entro poco sarebbe stata soverchiata dal puro e semplice numero. I ragni era decine e decine, e la assalivano da ogni parte, scendendo con ingordigia anche dai tetti tutt'attorno. Stufa di quello scontro, la ragazza decise di metterci la parola fine rapidamente.

“Water Tornado!” appoggiando una mano a terra, la ragazza diede vita ad un immenso tornado d'acqua che avvolse tra i suoi flutti i ragni, affogandoli. La violenza dell'impatto fu così forte che quando, dopo alcuni minuti, Hysperia fece defluire l'acqua, degli edifici che la circondavano erano rimaste solo macerie.

L'assassina diede uno sguardo alle decine di cadaveri che erano sparpagliati attorno a lei. Doveva stare più attenta. Quei ragni avevano attaccato nel preciso istante in cui lei aveva abbassato la guardia. Hysperia non sapeva se fosse stata una casualità o meno, ma avrebbe preferito decisamente la prima ipotesi.

Riprese a camminare, nel tentativo di uscire da quel luogo. Aveva fatto non più di una decina di passi però, che una risata gutturale giunse alle sue orecchie. Era un suono stridulo e sgradevole, che sembrava avere ben poco di umano.

“Chi sssssei tu? Come hai osssssato uccidere i miei adorati figli?” una voce cavernosa, dallo stridulo tono femminile la raggiunse, facendola mettere in posizione di guardia, le balestre già cariche.

“Dove sei?” mormorò, più a sé stessa che alla voce.

“Oh, io sssssono ovunque.” riprese a parlare quest'ultima, e pareva veramente così. Per quanto si sforzasse, Hysperia non riusciva a comprendere da dove provenisse quella voce. “Hai i poteri di un frutto del Diavolo. Bene, quesssssto rende tutto molto più interessssante.”

L'assassina cominciò a sentire i rumori di una creatura davanti a lei. Come se qualcosa di molto grosso si muovesse con cautela, senza alcuna fretta.

Sta arrivando.

Quando, infine, il proprietario della voce venne fuori, i suoi occhi si spalancarono di botto.

Ma è...

Era qualcosa che andava oltre la sua più fervida immaginazione.

Forse non sarà semplice come prima.

 

 

Con un movimento fluido, Kalì tese la corda, portando il pennacchio della freccia a sfiorarle l'occhio. Non appena comprese che Shun era giunto alla tensione massima, l'amazzone liberò la freccia, lasciandola libera di esplodere tutta la propria potenza distruttiva.

Sorrise. Era sempre andata molto fiera del proprio haki, un'abilità che con il tempo aveva affinato a lungo, permettendole di rendere le proprie frecce un'arma temibile.

“Andiamo Shun!” incitò il boa, mentre superavano i corpi svenuti dei marines e delle guardie. A differenza di Kita, Hysperia ed Erza, Kalì non amava uccidere e cercava di evitarlo in ogni modo se le era possibile.

Ripresero a muoversi rapidamente tra le capanne di fango, mentre attorno a loro le grida e le lotte della neonata rivolta prendevano sempre più vigore. Al medico piangeva il cuore nel pensare a tutte quelle persone che sarebbero morte per riprendersi la libertà, ma capiva che era un prezzo necessario. Il mondo era un luogo ingiusto, ormai l'aveva compreso da molto tempo.

Eppure, non fu per niente preparata a ciò che vide, una volta arrivata in una grande piazza di terra battuta.

Doveva essere in origine la caserma della guardie che tenevano sotto controllo gli schiavi. Un grande edificio, in pietra, si stagliava innanzi a lei, davanti ad una larga piazza, dalla forma rettangolare. Tuttavia, più che l'edificio, ciò che la colpì fu l'enorme moltitudine di cadaveri sparsi per lo spiazzo, tutti decapitati.

“C-chi può essere...” le labbra le tremarono di fronte a tanta crudeltà. Dagli abiti era facile dedurre che i malcapitati erano tutti schiavi che avevano tentato la fuga, per la quale erano stati duramente puniti dal pugno di ferro dei Draghi Celesti.

Chi è il mostro che ha commesso tutto questo?!

Mosse alcuni passi, sentendo le proprie scarpe di tela inzupparsi nell'orrido pantano che si era creato mescolando sangue e terra. Il fango rossiccio le avviluppava i piedi come una colla viscosa, rendendole difficile muoversi con la sua consueta agilità.

“Tieni gli occhi aperti, Shun.” soffiò, mentre i suoi occhi si muovevano rapidamente, studiando più volte il territorio attorno. Il serpente si muoveva goffamente nel fango, e più volte dovette essere preso in braccio dalla ragazza per superare un tratto particolarmente ostico. Erano ormai a metà della traversata quando Kalì percepì uno spostamento d'aria sospetto sulla sua sinistra.

Un attacco!

Ci mise più del previsto a reagire, a causa del fango che la inchiodava al suolo. Si spostò all'indietro, portando con sé Shun. Appena un istante dopo sul dove si trovavano passò un fendente d'aria, che tagliò in due gli edifici in fondo alla piazza con incredibile facilità.

Quel colpo era veramente potente. Analizzò la dottoressa, rialzandosi a fatica, mentre tentava di liberarsi i capelli dal fango. Voltò i propri occhi verso il punto di origine dell'attacco. A circa un centinaio di metri, seduto su una montagnola di corpi, un uomo, avvolto in un mantello bianco, affilava con una pietra la lama di un grosso falcione.

“Hai ottimi riflessi.” osservò, con voce morbida l'uomo. “Sei riuscita dove queste povere anime hanno fallito.”

L'amazzone si mise in posizione di guardia: sfoderò una freccia, incoccandola su Shun con un movimento fluido. Aveva visto un simbolo sul mantello dell'uomo che non gli piaceva.

Il simbolo della Marina.

“Sei un marine?” domandò, tendendo il più possibile il proprio arco, pronta a scoccare.

Il suo avversario si alzò, lasciando che il mantello scoprisse un corpo minuto ed agile, vestito da abili di stoffa neri. Anche il volto era coperto, tranne gli occhi, due pozzi scuri e senza fondo, che la fissavano con pietà.

“Proprio così.” rispose. “Ed ora dovrò uccidere anche te piratessa, per porre fine alle tue sofferenze.”

Kalì digrignò i denti, pronta a lottare per la propria vita.

Non ci scommetterei troppo, lurido assassino!

 

 

Correva, correva con tutto il fiato che aveva in corpo.

Milo si fermò un attimo, piegandosi sulle ginocchia, i polmoni in fiamme. Da quando erano sbarcati non aveva fatto altro che correre, ed era ormai sfinito. Sentiva la necessità di riposarsi un istante.

Non immaginavo che fosse così grande. Ragionò, mentre recuperava fiato. Quel posto era veramente immenso. Ormai era quasi mezzora che correva lungo il ciglio delle mura, ed ancora non aveva trovato la benché minima traccia di un passaggio. Il navigatore cominciava a pensare che se c'era, quest'ultimo era di sicuro nascosto da un meccanismo. Un qualcosa che lui non aveva il tempo di cercare.

Non devo demordere! Alzò lo sguardo, il volto sudato, mentre fissava le gigantesche mura che troneggiavano su di lui. Da vicino erano più alte ed imponenti che mai. Una volta calmato il proprio battito cardiaco, il moro riprese la propria esplorazione, cercando di assimilare più particolari possibili di ciò che vedeva nel minor tempo possibile.

Dopo altri dieci minuti di ricerca, i suoi occhi vennero colpiti da una stranezza: inciso sulle mura c'era il simbolo dei Draghi Celesti.

Il pirata si bloccò, fissando quel simbolo con curiosità. Fino a quel momento non aveva visto nulla se non lucido acciaio, perché proprio in quel punto avevano inciso il simbolo dei Nobili Mondiali?

Vuoi vedere che... eccitato per la scoperta, Milo si avvicinò al simbolo. Non fece che tre passi però, che qualcosa di violentò lo scaraventò contro una capanna, lontano dalle mura e dal simbolo.

“Storm Leg.”

Intontito dal dolore, il navigatore si rialzò, stringendo con fare convulso la propria canna. Rimase stupito, quando la polvere si abbassò, di trovarsi davanti un uomo alto, muscoloso, con lunghi capelli neri raccolti in una coda che lo fissava con sguardo annoiato.

“Era ora che qualcuno arrivasse!” sbottò, mentre si spazzolava il lungo mantello della Marina dalla polvere. “Temevo di avervi sopravvalutati, feccia dei mari!”

Deglutendo, le mani colte da un tremore incontrollato, Milo fece un passo avanti, catturando subito l'attenzione del suo nemico.

“Dunque solo tu hai capito che c'era un secondo ingresso, dico bene? Ed io che pensavo che questa rivolta fosse solo una copertura per trovarlo!”

“Chi sei tu?” domandò il moro, asciugandosi il sudore dalla fronte con un gesto nervoso.

“Viceammiraglio Tanyu.” si presentò l'altro. Aveva un volto giovane, coperto da un curato pizzetto, mentre gli occhi erano verdi, e lo stavano fissando con palese ironia. “Dico, non vorrai veramente affrontarmi con un misero bastoncino? Sarebbe estremamente umiliante per me uccidere un ragazzino che tenta di difendersi con una canna da pesca!”

Nell'udire quel nome, il navigatore comprese di essersi cacciato in un grosso guaio.

E adesso cosa faccio?!

 

 

Sangue.

Kinji si fermò di colpo. La sua attenzione era stata catturata da un piccola pozza di sangue, in direzione della zona est della città. Si avvicinò lentamente, studiando quella macchia irregolare. Con il passare dei secondi il suo volto divenne sempre più duro.

C'erano un'infinità di motivi per giustificare la presenza di quel sangue: un nemico ferito, un vecchio incidente le cui tracce non erano ancora state cancellate, una trappola oppure anche un diversivo. Tutto poteva essere quella piccola e scura macchia sulla curata strada acciottolata.

Ma il suo istinto gli diceva altro, e Kinji sapeva che raramente quest'ultimo si sbagliava.

Kita...

Strinse i pugni, alzando lo sguardo. Davanti a lui, ad alcune centinaia di metri, svettava una torre squadrata, di pietra rossa, in mezzo ad una larga piazza quadrata di marmo.

Si alzò di scatto, iniziando a correre all'impazzata.

Resisti Kita! Sto venendo a salvarti!

Il suo istinto gli suggeriva che Kita era in quella torre.

E sapeva fin troppo bene che quest'ultimo non si sbagliava facilmente.

 

 

Il vento le scompigliava i capelli, mentre l'aria le portava alle narici l'odore della sua terra natia.

Stupidi sentimenti. Avrebbe preferito morire senza provare niente, ma era palese che la sua anima non era d'accordo con quell'idea.

“Mettetele i ceppi.” ordinò pigramente Terezon.

Kita fu fatta inginocchiare, il volto in direzione dell'oceano, mentre grosse catene le vennero legate attorno alla sua unica mano ed alle gambe. Essendo ancora sotto l'effetto della droga impartitele dalla Marina, le era impossibile richiamare l'haki per liberarsi.

Il suo fratellastro le venne affianco, aspirando a pieni polmoni l'aria di Marijoa. Dall'alto della torre si poteva vedere le ricche abitazioni della cittadella protette dalle imponenti mura. Fuori da esse, un tenue fumo si innalzava dalla baraccopoli degli schiavi, mentre il vento portava loro urla e grida.

“Che succede?” chiese bruscamente Terezon, insospettito dal fumo.

“Deve essere andata a fuoco qualche abitazione degli schiavi.” osservò uno della CP0. “In ogni caso, abbiamo ricevuto notizie che soldati di Furamingo sono stati mandati laggiù. Se ne occuperanno loro.”

Il Nobile Mondiale ridacchiò.

“Furamingo, quell'idiota. Sempre a pensare alla vita di simili esseri inferiori. È una vergogna che un simili individuo sia diventato ammiraglio.”

Rivolse il suo sguardo alla sorellastra, che fissava, con sguardo assente, le proprie gambe.

“Sai bene che morirai, giusto?” lei non rispose, ma questa volta il moro non si arrabbiò per quel silenzio. Si limitò a ridacchiare di gusto.

“Sai, in fondo mi sono divertito con te in quest'ultima ora.” il suo unico occhio si illuminò malignamente. “Ti do una possibilità di salvezza, mia cara Valencien: baciami i piedi, implorando il mio perdono, ed io ti permetterò di servire come schiava nella mia magione. Mi sembra una proposta generosa, non trovi?”

“Falla finita!” gracchiò la bionda, senza smettere di fissare le proprie ginocchia. “Fammi fuori e finiamola! È fin troppo sgradevole continuare a sentire la tua voce.”

Per un attimo Terezon fu sul punto di esplodere ma poi si calmò, sfoderando un sorriso untuoso e maligno.

“Come desideri, sorella.” con un rapido cenno, diede ordine a due delle sue guardie di posizionarsi ai lati della ragazza, le armi in pugno. Sarebbe morta decapitata, la morte riservata ai pirati.

Dunque... finisce qui. Aveva paura, inutile negarlo. Il suo spirito desiderava vivere ancora, ma senza un braccio non c'era nulla che poteva fare per raggiungere i propri traguardi. Era quasi riconoscente al proprio fratellastro di averle regalato una morte rapida. Conoscendolo, non era stata così sicura che gliela avrebbe concessa.

Chiuse gli occhi, sentendo le armi dei soldati alzarsi al cielo, pronti a tagliarle la testa di netto. In quegli ultimi secondi di vita, le immagini dei suoi compagni le sfrecciarono nella mente, scaldandole il cuore.

Un fievole sorriso le incurvò le labbra.

Sono pronta a morire.

Le armi calarono, acquisendo velocità.

Poi, a pochi centimetri dal collo indifeso della bionda, si bloccarono.

“KITAAAAAA!!!!!!”

Un urlò risuonò con forza e rabbia sopra la piazza, raggiungendo la cima della torre. Kita aprì gli occhi. Incredula, sbigottita, incapace di comprendere come tutto quello fosse stato possibile.

No...

Alzò lo sguardo. Sotto di lei, in fondo alla torre, insanguinato ma furente, Kinji il Dragone la fissava con sguardo ricolmo di rabbia e gioia mescolate insieme.

“KITA! SONO VENUTO A SALVARTI!!!”

In quegli istanti, per Kita Hirati non contò più niente. Non fece caso alla voce spaventata di suo fratello e non fece neanche caso ai passi dei due agenti della CP0, pronti ad impedirle qualsiasi tentativo di fuga. Nulla era importante per lei, tranne una cosa.

Lui, il suo capitano.

Che era venuto a salvarla.

Perché sei qui... Kinji...

Ora aveva un nuovo motivo per provare paura.

 

 

CONTINUA

 

 

Bene, dopo oltre due mesi di ingiustificato silenzio torno con un nuovo capitolo. Vi dico subito che scriverlo è stato un autentico parto. In questi mesi, preso da mille impegni, trovare l'ispirazione per scrivere è stato difficile, e spesso sono passate intere settimane in cui non riuscivo a buttare giù una singola frase. In ogni caso, ora che sono tornato, spero di riprendere un certo ritmo durante l'estate (che non sarà tutta pizza e fichi purtroppo :/)

Bene, dopo la mia inutile lamentela vi lascio! Come sempre, chiunque volesse lasciare una recensione lo apprezzerei moltissimo, sia negativa che positiva.

Un saluto!

 

Giambo

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Capitolo 20
*** Richiesta di aiuto! La determinazione di un navigatore ***


Capitolo 20

 

 

Nella piazza scese il silenzio. A parte Kinji, che fissava la cima della torre con sguardo furente, tutti gli altri non sembravano aver compreso bene cosa era successo. Le guardie alternavano i propri sguardi da Terezon, il quale era sbiancato di colpo, ai membri della CP0, impassibili nei loro mantelli bianchi. Kita invece non riusciva a staccare gli occhi dal proprio capitano, incredula, incapace di accettare fino in fondo l'enormità di ciò che stava accadendo.

E' venuto fino a qui per salvare... me?

Non riusciva ad accettarlo. Gli aveva ucciso il fratello, aveva promesso di ucciderlo un giorno, aveva tentato già di farlo una volta. Lei, così scorbutica, così violenta, così... storpia, senza un braccio; inutile, debole, senza più motivi per voler vivere.

No.

“Si può sapere quello chi diavolo è?!” gracchiò infine Terezon, fissando con disgusto il volto insanguinato del giovane, oltre che i suoi vestiti sporchi e laceri.

“Boa D. Kinji.” rispose prontamente Shosuke, che sembrava essere il capo degli agenti della CP0. “E' un pirata con una taglia di 95 milioni sulla testa.”

“Un pirata?! Come diavolo ha fatto una simile feccia ad entrare a Marijoa?! Cosa sta facendo quell'incapace di Furamingo?!”

“Mi sembra abbastanza ovvio: deve essere stato sconfitto dal pirata in questione... per quanto la cosa mi lasci sorpreso.” aggiunse Noriaki, il secondo agente.

“Furamingo... sconfitto da un pirata?” il colore del volto del nobile divenne, se possibile, ancora più latteo. Sembrava non riuscire a credere alle proprie orecchie.

“Non si dia pensiero per questo, Vostra Santità.” si affrettò a rassicurarlo Shosuke. “Ci penseremo noi ad eliminare questo fastidio.”

“Sì... sì, molto bene!” nell'udire quelle parole Terezon parve riacquistare un minimo di autocontrollo. “Allora andate! Provvedete subito! Eliminatelo! Non voglio più vederlo davanti ai miei occhi!”

“NO!” Kita aprì bocca per la prima volta, terrorizzata all'idea di vedere Kinji soccombere per colpa sua. “Kinji, non preoccuparti per me! Vattene, vattene subito da...” le sue parole vennero bloccate da un calcio del fratellastro.

“Zitta!” ringhiò quest'ultimo, sferrandole un violento colpo sui denti, riempiendole la bocca di sangue. “Cosa pensi, che questo possa cambiare il tuo destino?! Tu sei carne morta ormai, tientelo bene in testa!”

“NON OSARE COLPIRE UNA MIA NAKAMA!!” Kinji, vedendo l'amica sputare sangue dalla bocca, perse il controllo. Fiamme bianche gli uscirono con violenza dalle mani, mentre lui le convogliava verso la cima della torre. Tuttavia Noriaki, con un salto in aria, spedì con un semplice calcio le lingue di fuoco lontane da Terezon, dove esplosero con un violento frastuono.

“Mi dispiace.” osservò l'agente. “Ma qui i tuoi trucchi non funzionano.”

Il pirata lo fissò con sguardo impassibile. Noriaki atterrò davanti a lui con leggerezza, subito seguito da Shosuke.

“Che dici?” propose Noriaki. “Lo uccidiamo assieme oppure ce lo giochiamo?”

“Sarebbe fatica sprecata.” replicò l'altro, gli occhi che brillavano sinistri da dietro la maschera. “Unire le nostre forze per un microbo del genere... non diciamo assurdità per favore.”

Noriaki alzò le mani.

“D'accordo, allora è tutto tuo. Lo sai che detesto gli scontri già decisi in partenza.”

Shosaku fece un breve cenno al compagno, poi fece un passo avanti, in direzione di Kinji. Quest'ultimo si stava sgranchendo i muscoli del collo, fissando con sguardo ribollente di collera il suo avversario.

“Non vi consiglio di sottovalutarmi.” mormorò, cominciando a fare qualche esercizio di riscaldamento alle gambe.

“Fossi in voi, lo ascolterei.” i due agenti si voltarono sorpresi: seduto davanti alle porte della torre dei Donquixote c'era Harusa, sorridente come sempre.

“Harusa!” esclamò sorpreso il Dragone. “Come hai fatto a trovarmi?”

“Andiamo!” lo prese in giro il Folle, mentre mischiava le proprie carte. “Hai urlato come un pazzo. Non sei molto bravo a muoverti senza farti notare, sai?”

“Harusa il Folle...” mormorò Noriaki. “Con una taglia di 200 milioni.”

“Vedo che mi conosci.” replicò il bucaniere, il sorriso ora incrinato. “La cosa non è reciproca, CP0.”

“Lo lascio a te quello, ok?” domandò Kinji, estraendo la propria lama. “Io mi occupo del suo compare.”

“Se proprio devo...” esclamò con fare teatrale l'azzurro, alzandosi in piedi e mettendosi in una pigra posizione di attesa.

“No! Fermatevi!” urlò Kita, facendo risuonare la sua voce per tutta la piazza. L'attenzione di tutti andò alla ragazza, la quale fissava Kinji con uno sguardo strano, un misto di rabbia e disperazione.

“Cosa stai dicendo, Kita?” mormorò il Dragone, fissandola. “Sono venuto a salvarti. Perché mi dici di fermarmi?”

La Full Metal Bitch si morse le labbra per alcuni istanti. Quando parlò decise di usare il tono più sprezzante ed offensivo che possedeva.

“Per quale diavolo di motivo sei venuto fin qua?! Non ho chiesto il tuo aiuto! Non ho chiesto l'aiuto di nessuno! Tu non puoi capire... io sono una persona maledetta! Ho sterminato migliaia di persone per il puro gusto di farlo! Smettila di perdere tempo e vattene!”

Ti prego... ti scongiuro... non morire per me, non ne vale la pena!

Kinji rimase in silenzio, proseguendo a fissare la ragazza che gli intimava di voltarle le spalle. I suoi occhi scuri mostravano un tenue stupore, che però venne ben presto sostituito da qualcosa di più oscuro e indecifrabile.

“Vattene! Vattene, dannazione! Non lo vedi cosa sono diventata?! Ho perso un braccio, sono una storpia! Un relitto che non vale nulla! Lasciami perdere e tornatene alla tua avventura!”

“Ora basta, Kita!” replicò Kinji, un'espressione seria sul volto. “Siamo venuti qui a salvarti, noi tutti. I tuoi compagni ed io stiamo rischiando tutto per te, perché ti comporti così?”

“Idiota, non vedi che ho perso un braccio?! Cosa ve ne fareste di una storpia come me?!”

Gli occhi di Kinji si spostarono sul moncherino della bionda, realizzando solo in quel momento la terribile mutilazione della sua nakama.

“Cosa...” gli mancarono le parole. Era troppo furioso. “Cosa hanno osato farti, questi maledetti bastardi?!” lingue di fuoco presero ad uscire dal suo corpo, mentre l'aria attorno a lui diventava più calda.

“Piantala!” la voce di Kita lo distrasse dalla propria collera. “Smettila di fare il grande eroe e sparisci dalla mia vista!”

“Smettila tu!” replicò l'altro, innervosito dall'atteggiamento dell'amica. “Non capisco per quale diavolo di motivo ti comporti così! È per via del tuo braccio? Troveremo una soluzione a tutto, non ti preoccupare, ma dobbiamo restare uniti!”

“Maledizione, Kinji! Come te lo devo dire che non devi salvarmi? Dannazione, ho ucciso tuo fratello! Perché rischi la vita per l'assassina di tuo fratello?!”

“ORA BASTA!” urlò il moro con forza. “SMETTILA DI MENTIRE!”

“E' LA PURA VERITA'! TI POSSO ASSICURARE CHE HO GODUTO A FARLO FUORI! E GODREI ANCHE NEL MASSACRARE TE!”

“NON TI CREDO! STAI MENTENDO!”

Di fronte alla veemenza con cui Kinji urlò quelle parole, Kita si ammutolì, fissando con occhi sbarrati il proprio capitano.

“Avevamo fatto una promessa, ricordi? Quando abbiamo intrapreso questo viaggio ci eravamo scambiati una promessa!” proseguì furente il Dragone. “Come puoi chiedermi di voltare la spalle a colei che ha riposto così tanta fiducia in me?! Come puoi pensare che io volti le spalle ad una mia nakama?!”

La Full Metal Bitch non disse nulla. Rimase in silenzio, le labbra tremanti, gli occhi sbarrati, mentre frasi e ricordi che aveva tentato di seppellire per sempre ritornavano con prepotenza.

 

Ricordati... tu... sei molto di più... di tutti loro... sei... umana, Valencien. Non dimenticarlo mai.

 

Tu sei stata... la figlia che avevo sempre desiderato. Spero che avrai un buon ricordo... di me.”

 

Troveremo una soluzione a tutto, non ti preoccupare, ma dobbiamo restare uniti!”

 

“IO NON TI ABBANDONERO' MAI, KITA! PERCHE' NOI SIAMO AMICI!!”

Amici...

Rimase per lunghi, interminabili secondi a fissarlo. A fissare quel volto furente e ricolmo di ardore. Un ardore speso per lei, solo e soltanto per lei. Un flash le abbagliò la mente, portandola a rivivere tutti i meravigliosi ricordi degli ultimi mesi. I momenti belli, brutti, difficili, divertenti e tristi passati assieme ai suoi nakama, alla sua famiglia, assieme a lui.

Davvero io posso essere salvata? Davvero ci può essere un futuro per me là fuori?

Non si accorse delle lacrime, non subito. Erano anni che non piangeva, anni che non esprimeva il suo dolore in modo così genuino. Le accolse con gioia indescrivibile, perché sentiva il bisogno disperato di farlo. Piangeva per Ronac, per Kita, per tutte le sue vittime, per i suoi amici, per il fatto che era viva e che era incredibilmente felice di esserlo. Piangeva perché voleva continuare a sognare, amare, ridere, piangere. Piangeva perché voleva vivere.

Kinji... ti prego... ti scongiuro...

“CAPITANO!!!!” l'urlò le uscì dalle labbra con forza. Una forza nata dal dolore che da oltre otto anni si portava dentro. Probabilmente, nonostante le lacrime ed il pianto che la squassavano, Kita non era mai stata così bella ed umana in tutta la sua vita.

“SALVAMI, TI PREGO!!!! TI SCONGIURO, PORTAMI VIA CON TE!! VOI SIETE LA MIA FAMIGLIA!!!”

Kinji sorrise; un sorriso nato dal rivedere finalmente la persona a cui voleva bene, un sorriso che nasceva nel sapere che Kita, la sua Kita, era tornata tra loro.

“CI PUOI GIURARE!!!” rispose, urlando al cielo la sua sfida. Una sfida contro il Governo Mondiali, la Marina, i Draghi Celesti, la CP0.

Una sfida contro tutti.

Per salvare la sua Kita.

“Sto arrivando, Kita!”

E quando ti avrò salvata... nessuno ci separerà mai più!

 

 

Kuroc si grattò la nuca, osservando le mura che circondavano i depositi di armi.

“Tu che dici?” borbottò il samurai in direzione del compagno. “Non sembra un po' troppo... semplice?”

Loock si sistemò meglio il martello sulla spalla, mentre osservava i corpi delle guardie a terra, sconfitti in poco meno di dieci minuti da i due pirati.

“Mah!” rispose. “Magari sono stati presi di sorpresa.”

Il vicecapitano si avvicinò al cancello, osservando le mura deserte. Quella difesa blanda lo preoccupava, molto di più che trovarsi un esercito agguerrito contro. Gli sembrava impossibile che la Marina lasciasse incustodite, di fatto, tutte quelle armi, specie con una rivolta di schiavi in corso.

La faccenda mi puzza. Nessuno sarebbe così sciocco da pensare che avremmo ignorato un sito fondamentale come questo.

Lo percepì, più che vederlo.

“Santoryu...”

Un tornado di energia lo colpì, provenendo dalla sua sinistra. Kuroc fece appena in tempo a sguainare la katana per difendersi. La potenza dell'attacco era così intensa che indietreggiò di parecchi metri, le suole degli stivali incandescenti, prima che quest'ultimo si dissolvesse.

“Tornado del Drago!”

“Kuroc!” lo spadaccino udì la voce di Loock chiamarlo, preoccupato per la sua salute.

“Sto bene.” gracchiò, mentre sentiva le braccia tremare ancora per lo sforzo appena compiuto. Il colpo che aveva parato possedeva una potenza devastante, qualcosa che aveva visto solo una volta in azione.

Quel nome... quella tecnica. Prese a sudare freddo. Era impossibile che Lui si trovasse lì, in quel posto. Era qualcosa che andava contro ogni logica.

Eppure...

Diresse lo sguardo verso l'origine dell'onda d'urto. Nugoli di polvere si erano alzati, a causa di quest'ultima, rendendo difficile vedere. Tuttavia, gli parve di scorgere una figura. Una figura che avrebbe riconosciuto anche in mezzo ad un milione di persone.

Non può essere...

Udì un nuovo rumore alle sue spalle, unito ad una potente imprecazione da parte di Loock. Il suo cervello registrò quella notizia con scarso interessa. Capiva che il compagno doveva essere stato attaccato ma non riusciva a muoversi, pensare, reagire. Il suo intero essere era immobile, diviso tra lo sperare che fosse Lui, e la consapevolezza di non essere ancora al suo livello.

Sono più forte di quella volta... ma non abbastanza.

Deglutì, sentendo la gola secca. Aveva paura? Difficile dirlo. Di sicuro, vederlo era un colpo inatteso. Tutto si sarebbe aspettato di vedere a Marijoa, tranne quello.

D'accordo. Se deve essere qui... darò tutto me stesso. Strinse Doragon no buresu, pronto a lottare fino alla morte.

Feci un giuramento. È giunta l'ora di onorarlo!

Mentre la polvere si depositava, lui si erse in tutta la sua altezza, preparandosi allo scontro più duro della sua vita.

Sono pronto.

Ma era una menzogna.

Perché non fu pronto a ciò che vide una volta che la polvere cadde a terra, permettendogli di vedere in faccia il suo avversario.

 

 

Milo si appoggiò alla parete di fango, tremando.

Cazzo!

Il navigatore era in una brutta posizione, e non riusciva a capire come uscirne. Ad essere onesti, non riusciva neanche a comprendere come ci era finito dentro.

Avrei dovuto immaginarlo che gli ingressi sarebbero stati protetti da degli ufficiali di alto livello! Idiota che non sono altro!

Sentiva il silenzio premergli sulle tempie, mentre il cuore gli pompava in un punto imprecisato del collo. Aveva paura, una fottuta paura, e questo era un ulteriore fattore negativo: sembrava che il terrore gli avesse paralizzato il cervello, oltre che le gambe, dato che non gli veniva in mente uno straccio di idea che potesse farlo uscire da quella situazione.

Pensa Milo, pensa! Dovrà pure avere un punto debole quel bestione!

Le sue frenetiche riflessioni vennero interrotte di colpo. La capanna dietro cui si riparava crollò, lasciandolo inerme di fronte a Tanyu. Quest'ultimo lo fissò con un'espressione carica di disprezzo. Era il più forte, e non nascondeva il proprio orgoglio per la forza che possedeva.

“Storm Leg!”

Il fendente di energia venne indirizzato verso il navigatore, ma quest'ultimo era pronto: con un balzo riuscì a schivarlo, rotolando a distanza di sicurezza. Il viceammiraglio però, non sembrava aver voglia di giocare.

“Soru!” con uno scatto, Tanyu si portò davanti al moro, il pugno destro, ricoperto di haki, già carico. Prima che Milo potesse formulare un singolo pensiero, quest'ultimo lo aveva già colpito con violenza allo stomaco scaraventandolo contro un secondo edificio, il quale crollò addosso al ragazzo.

“Sei davvero patetico, pirata!” lo schernì Tanyu, osservandolo uscire a fatica dalle macerie. “Mi domando come ha fatto un individuo debole come te ad arrivare a metà della Grand Line.”

Già. A volte me lo domando anch'io. Rifletté amaramente Milo, sputando sangue dalla bocca. Quel colpo gli aveva lasciato la sensazione di avere le viscere in fiamme. Strinse con forza la canna, mentre paura e rabbia si mescolavano dentro di lui.

Ho intrapreso questo viaggio perché volevo riscattare il nome di mio nonno e della mia famiglia. Ma cosa ho fatto in questi mesi? Cosa sono riuscito a fare per i miei compagni? Nulla. Mi sono limitato al mio compitino sulla nave, nascondendomi dietro alle loro schiene ogni volta che c'era un pericolo. Davvero pensavo di arrivare in fondo alla Rotta Maggiore in questo modo? Nascondendomi e tremando di paura ogni volta che si profila un pericolo?

Era stanco. Stanco di avere paura, stanco di essere debole, stanco di essere protetto e di non poter proteggere. Non sarebbe fuggito, non questa volta. Avrebbe lottato, con tutto se stesso. Per i suoi compagni, per il suo onore di pirata e per quello della sua famiglia.

No, non scapperò. Non questa volta.

Si mise in posizione di guardia, roteando la propria arma, sotto lo sguardo ironico del viceammiraglio.

“Dunque vuoi davvero lottare con quel ridicolo bastoncino? Sarebbe da ammirare il tuo coraggio, se questo non fosse solo la disperazione di un vigliacco.”

“Non ho intenzione di continuare a scappare!” replicò Milo. “Preparati, ora faccio sul serio.”

“Overhito!” con una mossa fulminea, il navigatore lanciò la lenza in direzione del marine. Quest'ultimo rimase fermo, un sorrisetto di commiserazione sulle labbra. Ma quando mancavano pochi istanti all'impatto il suo sorriso sparì, lasciando spazio ad incredulità: la lenza aveva appena preso fuoco.

“Ma cos...” usando il Soru, Tanyu riuscì a schivare il colpo, il quale andò a schiantarsi contro un'abitazione, distruggendola tramite un'esplosione a contatto. Milo imprecò mentalmente.

Merda! Pensavo che la combinazione tra il Dial infuocato e l'Impact Dial fosse buona, ma avevo sottovalutato la sua abilità nei movimenti.

“Riproviamoci.” dichiarò a denti stretti. Con un'abile torsione del polso richiamò la lenza, per indirizzarla subito verso la nuova posizione di Tanyu, il quale osservava l'amo ed il galleggiante, che si muovevano ad alta velocità, con uno sguardo tra il perplesso ed il sorpreso.

“Che razza di canna è?” borbottò, mentre schivava i ripetuti colpi tramite il Soru. “Mai visto una lenza muoversi in questo modo.”

Milo, nel frattempo, mentre tentava di tenere impegnato l'avversario con quei ripetuti colpi, lavorava a pieno regime con il cervello. Aveva capito che doveva rendere i propri attacchi il più imprevedibili possibile se voleva rendere inefficace l'agilità del nemico.

Sarei uno sciocco a pensare di poter essere più veloce di lui. L'unica speranza che ho è impedirgli di comprendere le mie prossime mosse.

“Bella mossa!” lo prese in giro il viceammiraglio, mentre si muoveva rapidissimo, quasi invisibile all'occhio umano. “Ma simili trucchetti possono funzionare contro i ladri di galline, non contro un ufficiale della Marina!”

“Storm Leg!” il fendente, capace di tagliare l'acciaio, colpì la lenza nel tentativo di tagliarla. Tuttavia, con somma sorpresa del marine, quest'ultima rimase intatta, respingendo il colpo.

“Com'è possibile?” mormorò, gli occhi sgranati. “Nessun materiale al mondo sarebbe capace di resistere a quel fendente. Neppure l'agalmatolite marina!”

Milo si sistemò gli occhiali, trattenendo a stento un sorriso: andava molto orgoglioso della propria arma, che aveva costruito e potenziato pezzo dopo pezzo.

“Credevo l'avessi capito.” dichiarò, fissando con un sorriso Tanyu, quest'ultimo non più sorridente. “Questa non è una comune canna da pesca. E quelli di prima non erano dei veri attacchi, ma un diversivo.”

“Un diversivo?”

“Già... Fisher Trap!” con una torsione complicata della mano sinistra, Milo mosse la canna, dando l'idea che la lenza avesse vita propria. Quest'ultima si mosse rapidamente in più direzioni, circondando ben presto il viceammiraglio. Quest'ultimo fece per scappare tramite il Soru, ma prima che potesse muovere un muscolo la trappola scattò. Chiudendo la mano, Milo fece serrare la lenza attorno al corpo del marine, sorpreso di essere stato intrappolato con una simile facilità.

“Cosa?! Come diavolo ci sei riuscito?!”

“E non è finita! Dial Infuocato!” come prima, la lenza prese fuoco, ustionando il corpo di Tanyu. Quest'ultimo digrignò i denti, cercando di liberarsi. Sentiva la pressione sul suo corpo diminuire quando vide Milo mettergli davanti al volto una conchiglia circolare, con numerosi fori.

“Impatc!” subito dopo, un'onda d'urto sbalzò via i due contendenti. Milo cadde a terra, reggendosi il braccio con la quale aveva appena usato il Dial Impact. Tanyu invece cadde sul posto, immobile, con un rivolo di sangue che gli colava dal naso.

Merda! Il dolore al braccio era più forte di quanto ricordasse. Il navigatore digrignò i denti, sperando che quest'ultimo diminuisse. Tuttavia, mentre riavvolgeva la propria lenza con il braccio sano, il viceammiraglio scoppiò a ridere.

“Davvero pensavi... insomma, credevi davvero di mettermi al tappeto con simili trucchi?” Tanyu si rialzò, pulendosi il sangue con una mano, il sorriso di sufficienza di nuovo presente sul volto. “Una canna che sputa fiamme ed una conchiglia che lancia onde d'urto. Molto divertente, ma i trucchetti da bambini, anche se fatti bene, restano trucchetti da bambini.”

Milo digrignò i denti. Fin dall'inizio era stato consapevole dell'abisso che c'era tra lui ed il suo avversario, ma vederlo con i propri occhi non gli piaceva neanche un po'.

Batterlo con un Impact Dial era pura utopia, solo ora me ne accorgo. Così non va! I miei attacchi non hanno effetto su di lui! Devo aumentare la potenza. Sapeva cosa fare, ma l'idea delle possibili conseguenze lo terrorizzavano.

“Ora, se non ti dispiace, ti mostro una vera sequenza d'attacco. Soru!” con uno scattò, Tanyu si portò davanti a Milo. Prima che il moro potesse difendersi, egli lo colpì ripetutamente.

“Shigan Madara!” l'indice destro del viceammiraglio si muoveva rapido come una serpe, affondando sadicamente nella carne del pirata. Milo accusò il colpo, indietreggiando, ma fu troppo lento. Prima di accorgersene, Tanyu gli fu dietro, colpendolo sul volto con un pugno ricoperto di haki che lo mandò a schiantarsi contro un muro.

“Storm Leg!” un ultimo fendente colpì il ragazzo sul petto, distruggendo la casa dietro di lui. Milo cadde al suolo, sull'orlo dell'incoscienza, il fisico che bruciava dal dolore. In un lampo di lucidità però, lanciò la propria canna. La lenza si attorcigliò attorno alla gamba sinistra del marine, sorpreso da quella reazione dopo la sua scarica di colpi. Con un ringhio, Milo attirò a sé il nemico, tenendo ben stretta nella mano sinistra una conchiglia rossa, con numerosi fori sul guscio.

“Di nuovo lo stesso trucco di prima?” lo prese in giro Tanyu. “Non funzionerà, dovresti saperlo orm...”

“Dial Reject!” Milo indirizzò il milite verso il petto del marine. L'onda d'urto che si liberò questa volta fu molto più potente di quella precedente, almeno dieci volte superiore. Tanyu, colto di sorpresa, vomitò sangue rosso, mentre il colpo lo spediva ad alta velocità contro un muro, sfondandolo violentemente. Subito dopo, nell'aria si udì un orrendo schiocco, seguito da un grido di dolore. Tenendosi il braccio sinistro con un tremito convulso, il navigatore si accasciò al suolo.

Il Dial Reject lancia onde d'urto dieci volte più potenti del normale Impact Dial. Spero di essere riuscito a metterlo fuori gioco... un altro contraccolpo del genere mi frantumerebbe tutte le ossa del braccio.

Fu con sommo orrore però, che Milo vide il viceammiraglio rialzarsi. Aveva il volto insanguinato, ed il sorriso gli era sparito definitivamente dalla faccia, lasciando spazio ad un'espressione furiosa.

“Bravo!” ringhiò. “Sei riuscito a sorprendermi! Chi avrebbe mai immaginato che quei giocattoli fossero così potenti? Sei riuscito a farmi provare dolore, e non è cosa da poco.”

Milo digrignò i denti, mentre un senso di impotenza si faceva strada dentro di lui.

Dolore?! Soltanto un po' di dolore gli ho inferto?! Il ragazzo si sentiva uno straccio: aveva male ovunque, numerosi fori sanguinanti sul petto ed il braccio sinistro praticamente fuori uso. Probabilmente, sarebbe bastata una semplice spinta a mandarlo al tappetto in quelle condizioni.

Se muoio qua giurò che perseguiterò Kita per il resto dei miei giorni! Che almeno abbia sulla coscienza la mia dipartita!

“Tuttavia l'idea che un pidocchio come te sia riuscito a ferirmi è insopportabile. Ti farò a pezzi mentre sei ancora vivo. È la giusta punizione per la tua arroganza!”

Farmi... a pezzi? Milo immaginò una propria gamba, assieme ad un suo occhio, abbandonati per terra, con attorno i suoi compagni a pregare singhiozzanti. La cosa sarebbe potuta sembrare anche buffa, se non fosse che Tanyu non sembrava in vena di scherzare.

“Di le tue ultime preghiere!” con un sorriso folle, il marine scattò. Milo fu troppo lento e venne colpito sotto il mento da un calcio del suo avversario, che lo spedì in aria. Tramite il Geppo, Tanyu lo raggiunse subito, lanciando una scarica di fendenti con le gambe che gli lacerarono la carne.

Dunque... finisce così. Milo ormai non sentiva neanche più il dolore. Comprese che quando sarebbe precipitato l'avrebbe fatto da morto.

Ma prima... un'idea gli squarciò la mente. Era talmente folle che dubitava di riuscire a realizzarla, ma lasciò da parte le sue incertezze. Non aveva tempo per verificarne la fattibilità.

Tanto... ormai sono spacciato.

Per attuare il proprio piano sfrutto una forza così banale da essere spesso ignorata in quei contesti frenetici: la forza di gravità. Quando la spinta ricevuta da Tanyu terminò, Milo iniziò a precipitare al suolo. Dietro di sé, con la coda dell'occhio, vide il viceammiraglio che lo seguiva da vicino. Probabilmente, voleva dargli il colpo di grazia una volta che si fosse schiantato a terra. La vicinanza giocò un ruolo fondamentale.

Ora!

Con un colpo di reni, Milo si voltò, fissando dritto negli occhi il suo avversario. Non aveva più la canna in mano, gli era sfuggita dopo il suo attacco con il Dial Reject, ma aveva ancora quest'ultimo, stretto nella mano sinistra. Senza perdere tempo, il navigatore tirò fuori una seconda lenza, che teneva di riserva, dalla tasca dei pantaloni. Sotto lo sguardo stupito di Tanyu, Milo usò la lenza come un lazo, stringendola attorno al piede del marine.

“Che cosa speri di fare, si può sapere?!” lo apostrofò quest'ultimo. “Cadi e muori, pirata!”

“Non ci sperare troppo!” ringhiò il moro. Usando tutte le sue forze, Milo attirò verso di sé il nemico. Il soldato capì il suo piano: voleva farlo schiantare al suolo prima di lui. Scoppiò a ridere, mentre iniziava a scalciare l'aria per rimanere in equilibrio.

“Che piano originale!” lo schernì. “Ma ti sei dimenticato di un piccolo dettaglio: io posso restare in aria quanto voglio!”

“Sai, mi sorprende che un simile idiota sia diventato viceammiraglio.” replicò Milo. “Non ti sei accorto che così facendo hai fermato anche la mia caduta?”

Era vero. Ora che Tanyu era fermo a mezz'aria, anche Milo aveva terminato la propria spinta motoria, aggrappato con forza alla lenza che lo legava al suo nemico. Il viceammiraglio tentò di scrollarselo, ma con scarsi risultati. Alla fine esasperato, afferrò la lenza con una mano, tirando su il pirata.

“Se non ti stacchi con le buone, lo farò con le cattive!”

Complimenti. Hai appena vinto il titolo di marine più babbeo dell'anno.

Fu questione di un attimo: non appena furono a distanza di un braccio, Milo appoggiò il Dial Reject sul petto dell'avversario, azionandolo.

“Dial Reject!”

L'impatto, come pochi minuti prima, fu devastante. Tanyu venne scagliato lontano dal navigatore, il quale sentì distintamente la propria spalla sinistra slogarsi. Entrambi caddero al suolo con violenza. Milo però, nonostante la testa annebbiata ed il dolore lancinante alla spalla sinistra, si rialzò subito, avvicinandosi lentamente, ma con decisione, a Tanyu. Quest'ultimo era cosciente, ma intontito dal colpo. Prima che potesse muovere un dito, il pirata gli appoggiò un piede sul petto, mettendogli il Dial Reject, ancora fumante, davanti al viso.

“Dial...” Milo tremava. Sia dal dolore che dalla paura di cosa sarebbe accaduto al suo braccio una volta ricevuto il terzo contraccolpo in pochi minuti. Si afferrò il gomito sinistro con l'altra mano, sperando che fosse sufficiente ad evitare grossi danni. “Reject!”

L'impatto crepò il pavimento sotto i due, scavando una piccola buca. Tanyu vomitò sangue, inarcando la schiena per il colpo ricevuto. Milo invece sentì meno male di quanto si aspettasse: la spalla aveva incassato la maggior parte del contraccolpo, ma essendo già slogata non aveva inviato eccessivo dolore al suo cervello.

Il corpo del marine non rimase fermo a lungo. Non passarono più di dieci secondi che Tanyu si rialzò, facendo indietreggiare Milo, il quale barcollava, ubriaco di dolore.

“Sciocco moccioso!” urlò il viceammiraglio, furioso per l'umiliazione subita. “Ora mi hai fatto davvero arrabbiare! Soru!”

Si scagliò con rabbia addosso al navigatore, tempestandolo di pugni e calci ricoperti di haki. Milo incassò uno dopo l'altro i colpi, la mente ottenebrata dal dolore. Tuttavia, una parte del suo cervello rimase lucida, cercando la maniera di azionare la seconda parte del suo piano.

Il Dial Reject, se usato per tre volte in meno di dieci minuti, subisce un potenziamento curioso: il corpo che custodisce la potenza del colpo si surriscalda, rendendo molto più leggera, e quindi potenzialmente letale, l'aria al suo interno, anche se solamente per un periodo non superiore ai tre minuti. Se in un simile lasso di tempo si usasse il Dial per una quarta volta, la portata dell'impatto sarebbe cento volte superiore a quella standard, vale a dire mille volte più potente di un'onda d'urto lanciata con un normale Dial Impact. Un colpo simile non lascerebbe scampo neanche ad un Re del Mare.

Con un ennesimo, rabbioso, calcio Tanyu spedì Milo al suolo, dove ci rimase. Il navigatore non si preoccupava più della propria salute fisica, aveva accettato l'eventualità di morire quando aveva deciso di affrontare il viceammiraglio, ma stava riflettendo in modo frenetico su come utilizzare di nuovo il Dial Reject. Ormai era già passato un minuto, quindi ne aveva appena due per riuscire ad avvicinarsi abbastanza a Tanyu da lanciargli contro un'onda d'urto dalla potenza devastante.

Ho bisogno... della mia canna. Se fosse riuscito a mettere le mani sulla sua fedele arma, era abbastanza sicuro di riuscire a immobilizzare l'avversario, per usare così la sua ultima carta.

Si rialzò molto lentamente, la vista annebbiata. Con mano tremante si sistemò i propri occhiali, aguzzando la vista in cerca della sua compagna di avventura, l'unico ricordo che aveva di suo nonno. Rimase sorpreso di vederla ad un centinaio di passi da dove era stato schiantato.

Non è ancora finita.

Prese a muoversi lentamente in quella direzione. Tuttavia, quando era ormai a metà strada, Tanyu ricomparve davanti a lui, sorridente come sempre.

“Dove stai andando di bello?”

Merda!

“Non mi dirai che stai pensando di dartela a gambe. Mi dispiace, ma non credo che andresti lontano, ridotto in quelle condizioni.”

Ormai manca solo un minuto e mezzo. Prese a sudare freddo: era già passato metà del tempo a sua disposizione. Tentò di pensare a qualcosa per distrarre il suo avversario ma non gli venne nulla in mente. Successivamente, i suoi pensieri vennero interrotti da un violento pugno allo stomaco, che lo mandò in ginocchio.

“Ritengo che tu ti sia divertito abbastanza alle mie spalle.” sussurrò il marine, caricando l'indice destro. “Ora ti farò un bel buchetto nella gola. Sono convinto che ti donerà un sacco.”

Ancora una volta, Milo precedette Tanyu. Mentre quest'ultimo calava lo Shigan, il pirata estrasse dalla tasca una conchiglia, rivolgendola contro di lui.

“Flash Dial!” una luce accecante colpì in pieno volto il marine, lasciandolo cieco e disorientato per alcuni istanti. Sufficienti a Milo per recuperare la propria canna.

Finalmente! Il ragazzo sentì un'ondata di euforia montare dentro di lui, sufficiente a non sentire più dolore. Quando il soldato recuperò la vista, dopo un'abbondante dose di imprecazioni, si girò a cercarlo, rimanendo stupido di vedere come non se la fosse data a gambe ma, al contrario, stesse sorridendo.

“Che cos'hai da sorridere? Ti diverte sapere che stai per morire?” gli chiese sprezzante Tanyu.

“No.” rispose l'altro, sempre sorridendo. “Ormai chi ha i minuti contati sei tu.”

Un minuto.

“Preparati... Ragnatela!” urlò il ragazzo, muovendo con velocità la canna. Sotto la sua abile direzione di mano, la lenza prese a muoversi come se avesse vita propria. Tanyu osservò quest'ultima muoversi attorno agli edifici, sopra i tetti, sulle strade, serpeggiando impazzita. Sembrava di vedere un bozzolo prendere vita dall'interno. Quando la lenza fu totalmente esaurita, il marine vide di essere stato rinchiuso dentro una specie di cupola, composta dai fili della canna sovrapposti uno sopra l'altro.

“E questo cosa significa?” domandò, sprezzante. “Un altro dei tuoi trucchetti da bambini?”

Quaranta secondi.

“Questa è una ragnatela.” spiegò Milo, il volto insanguinato ancora contorto in un sorriso. “Ma ti consiglio di fare attenzione. A differenza di una ragnatela classica questa è viva.”

“Viva? Di cosa stai parlando?”

“Osserva.” Milo afferrò il filo collegato alla propria canna. Con un dito lo torse, facendolo vibrare. L'intera struttura tremò, mentre i fili prendevano direzioni diverse.

Trenta secondi.

“Ora capisci?” proseguì Milo. Aveva poco tempo ormai, ma capì che continuare a parlare avrebbe distratto il suo nemico fino al momento giusto per agire. “Qua dentro posso decidere io come muovere le cose. Potremmo dire che sono io a condurre la partita, ora.”

“Condurre la partita?” il sorriso di derisione non era sparito dal volto del viceammiraglio. “Sei un ingenuo se pensi che possano preoccuparmi due fili. Mi basta toglierti quella canna dalle mani e sarai inerme. Tuttavia,” gli occhi gli si illuminarono di un luccichio sinistro. “Sei stato un avversario interessante: fisicamente vali meno di zero, ma sei un buon incassatore. Probabilmente, se fossi rimasto nascosto nel tuo buco assieme alla feccia tua amica saresti vissuto più a lungo.”

“Sì, immagino che hai ragione.” concordò pacatamente Milo, il volto sempre contorto in un sorriso nervoso. “Ma anche tu hai commesso troppi errori: mi hai sottovalutato più volte di quelle che avresti dovuto, ed ora ne paghi le conseguenze.”

Venti secondi.

Quella frase sembro colpire molto il viceammiraglio. Quest'ultimo iniziò a muoversi lentamente, in cerchio, subito seguito da Milo. Entrambi stavano aspettando l'occasione giusta per sferrare il loro attacco.

“Sei davvero così sicuro di poter vincere?” sussurrò Tanyu, il volto serio, spaventoso, con gli occhi verdi illuminati dalla voglia di uccidere. “Credi davvero che i tuoi trucchi ti permetteranno di avere la meglio su un viceammiraglio di Marineford?”

Quindici secondi.

“Io ho già vinto.” rispose il navigatore. “Anche se dovessi perdere contro di te, ti ho indebolito abbastanza. Tu ormai non sei più una minaccia per i miei compagni.”

Il soldato scoppiò a ridere. Una risata fredda, che non contagiò il suo volto.

“Sei davvero patetico. Ti sacrifichi in nome dei tuoi sciocchi compagni? Credi veramente che a qualcuno importa qualcosa se tu morirai come un cane in questo posto?”

Dieci secondi.

“Io dico di sì.” sussurrò il moro. “Anche perché io, per ora, sono ancora vivo. Quello già morto sei tu.”

Entrambi rimasero in silenzio per alcuni secondi. Poi, all'unisono, sferrarono il loro attacco.

Cinque.

“Shigan Madara!”

“Morsa del ragno!”

Con uno scatto, Tanyu tentò di avvicinarsi al pirata, con l''obbiettivo di forargli la gola. Non appena si mosse, nugoli di fili lo bloccarono, rallentandolo, ma non fermandolo. Il marine prese a dibattersi selvaggiamente, ringhiando ed utilizzando l'haki. Eppure, per un filo da cui si districava c'è ne erano altri due pronti a serrarlo ed immobilizzarlo.

Quattro.

Era la sua occasione.

Prese a muoversi contro di lui. Era lento, e certo non scattante, ma colmò la distanza che c'era tra loro in non più di due secondi, mentre Tanyu era ormai totalmente immobilizzato.

Due.

Lo afferrò per il bavero della camicia, appoggiandogli il Dial, ancora bollente, sul petto. Non penso a nulla, anche perché non aveva più tempo, e quindi ignorò la fitta lancinante che gli inviò l'addome.

Uno.

ORA!

“Dial Gamma Reject!”

I suoni sembrarono fermarsi. Un'onda d'urto immensa si frappose tra i due, scaraventandoli in direzioni opposte. I fili della ragnatela si dissolsero sotto la sua potenza, mentre Milo percepiva le ossa del braccio sinistro andare in pezzi. Tuttavia, il colpo che ricevette fu minimo in confronto a quello incassato da Tanyu. L'onda distrusse tutto quello che incontrava per decine e decine di metri, scaraventando il marine lontano. Il tutto durò non più di una decina di secondi, ma al navigatore sembrarono anni; aveva fuoco liquido nelle vene, il braccio sinistro in mille pezzi, l'aria usciva dai polmoni senza ritornarci più...

E poi finì.

L'ossigeno ritornò con violenza e dolore nei polmoni del pirata. Aspirando brusche e rapide sorsate di aria fredda, Milo rimase sdraiato a lungo, o almeno così parve a lui, tentando di assimilare dove fosse ed in che condizioni il suo fisico era ridotto. Il fatto di provare pochissimo dolore lo inquietò molto, ancora di più di sentire le proprie membra urlare disperate.

Sono morto?

Ci mise molto a trovare la forza di alzarsi. Quando si mise in ginocchio, percepì una fitta di dolore al braccio sinistro. Volse gli occhi verso di esso ma li ritrasse subito, trattenendo un conato di vomito: aveva uno squarcio che partiva dal polso fino al gomito, con la carne viva che pulsava attorno ad ossa e tendini rotti.

Non credo che tornerà più come prima. Anche se spero che Kalì possa ridargli una parvenza umana.

Volse gli occhi al paesaggio attorno a lui, rimanendo stupito da ciò che vide: dove prima sorgevano baracche e capanne ora c'era solo nuda terra. Sembrava che fosse passato un tornado. Milo individuo, a poca distanza, l'autore di quel disastro: il Dial Reject, ormai freddo. Visto così sembrava solo un'innocua conchiglia, un po' bizzarra forse, ma niente che potesse rivelare la potenza racchiusa al suo interno.

A poca distanza da Dial, il navigatore fu sollevato di vedere la propria canna da pesca, intatta. Un'ondata di sollievo lo sommerse, alleviandogli dolore e fatica; senza di lei, il pirata si sentiva nudo. Di Tanyu, invece, non vide alcuna traccia.

Forse l'ho polverizzato. Era un pensiero orribile, che lo fece rabbrividire, ma allo stesso tempo lo rese euforico: aveva battuto un viceammiraglio, aveva vinto la sua grande battaglia contro le sue paure e le sue debolezze.

Forse non sono così male nella lotta... anche se dovrò trovare un modo per evitare che quel Dial mi distrugga le braccia.

Fece per alzarsi, doveva pur sempre capire come fare per aprire il passaggio che Tanyu stava proteggendo, quando una fitta lancinante all'addome gli mozzò il fiato. Portando gli occhi verso il basso, Milo vide un piccolo stiletto conficcato dentro la sua pancia, dalla cui elsa gocciolava sangue vermiglio.

Deve avermelo conficcato appena prima che attivassi il Dial. Il navigatore fece una smorfia quando percepì una seconda ondata di dolore ma non toccò l'arma: se l'avesse estratta sarebbe morto dissanguato in poco tempo, doveva sperare di rintracciare il prima possibile Kalì.

E sperare che abbia con sé qualcosa per rimettermi a posto. Sono ridotto peggio di uno straccio.

In quell'istante percepì il rumore di alcuni passi alle sue spalle. Il navigatore si girò, ma quando vide chi era l'autore si impietrì.

Non può essere.

Lacero e sanguinante, il viceammiraglio Tanyu stava avvicinandosi lentamente al pirata. Si muoveva cauto, come se possedesse qualche costola rotta. Il suo volto era una maschera di gelida collera: sembrava che avesse sviluppato un odio nei confronti di Milo non quantificabile con una semplice espressione facciale.

Milo non fece nulla né disse qualcosa. Rimase lì, seduto, immobile, ad aspettare che il marine lo finisse. Anche se avesse voluto, non poteva fare nient'altro: il suo fisico era allo stremo, e non aveva più idee, né armi e neanche tecniche da sfoderare. Aveva dato fondo a tutte le sue capacità ed aveva perso.

Ho fallito.

“Sei veramente sfortunato, lo sai?” dichiarò Tanyu, con il fiatone, mentre ormai distava non più di venti passi dal pirata. “Sono riuscito appena in tempo a ricoprire di haki la zona da te colpita. Ancora un secondo più tardi e di me non sarebbe rimasto che qualche pezzetto spappolato.”

“Con i se non si vince.” replicò il pirata, la voce ormai non più di un roco sussurro. Ormai sembrava che non possedesse più energia vitale da mettere in campo.

“Hai perfettamente ragione. Sei stato uno sciocco a volermi affrontare, debole come sei, anche se devo riconoscerti una discreta determinazione.” ormai il soldato era davanti a Milo, troneggiandolo con odio. “Ma per te il tempo è veramente finito.”

La velocità con cui gli tirò il calcio fu elevatissima. Milo strabuzzò gli occhi, lasciandosi sfuggire un gemito di dolore, mentre la punta del piede di Tanyu si conficcava in una delle sue numerose ferite, scaraventandolo lontano.

“Sei veramente patetico, pirata.” lo derise l'altro. “Sei così debole che non riesci neanche ad alzarti, eh? Perché non provi a scappare, come hai sempre fatto? Magari hai fortuna e ti riesce a vivere ancora un po' della tua vile esistenza.”

Milo non si mosse. Rimase a terra, nella posizione in cui era atterrato, mentre pensieri lugubri gli invadevano la mente. Aveva fallito, aveva perso; aveva deluso non solo i suoi nakama, ma anche suo nonno, il suo mentore, la sua guida. Colui che gli aveva regalato quel desiderio d'avventura che l'aveva spinto a viaggiare per mare.

A cosa serve vivere un'avventura, pensò, stringendo le mani. Se poi non ho il coraggio di andare fino in fondo? Quella che ho vissuto fino ad ora non è un'avventura. Io non ho vissuto un'avventura. Io non sono ancora degno di essere tuo nipote, nonno!

Era vero. Non era ancora pronto a vivere la sua avventura, perché fino a quel momento non aveva messo in gioco tutto se stesso. Sarebbe morto? Non gli importava, non più. Avrebbe perso? Non finché aveva fiato in corpo. Avrebbe combattuto fino alla fine, anche oltre i limiti del suo corpo, per la realizzazione del suo sogno e di quelli dei suoi nakama?

Sì, lo farò.

Fu con sguardo sorpreso che Tanyu vide, all'improvviso, Milo alzarsi. Si mosse lentamente, ma con decisione, senza mai tremare, senza mai indietreggiare, senza nessun rimpianto. Il navigatore si alzò, ergendosi in tutta la sua altezza. Era ferito gravemente, ricoperto di sangue e tremava da capo a piedi.

Ma era vivo.

“Io... ” la sua voce era potente, più forte di quanto lui stesso potesse immaginare. “Io sono Milo Stich! Milo, l'Esploratore Pirata!” il suo sguardo divenne più duro dell'acciaio. “Sappi che io non mi arrenderò mai. PERCHE' QUANDO SI LOTTA PER I PROPRI NAKAMA NON SI PUO' PERDERE!”

Tanyu si ricompose. Il suo volto divenne impassibile, mentre i suoi occhi verdi divennero di ghiaccio.

“Hai finito molto bene.” mormorò. “Ora recita le tue ultime preghiere.”

Scattò, in direzione del pirata. Quest'ultimo non si mosse, attendendo il colpo del suo nemico con sguardo colmo di furore. Stava per morire, ne era consapevole, ma l'idea di fuggire non lo sfiorò neanche per un istante.

È così che desideravo morire...

Chiuse gli occhi, preparandosi a sentire le dita del marine che gli squarciavano la gola.

SENZA ALCUN RIMPIANTO!

Ma fu un altro senso a reagire prima.

Un'esplosione, pari a quella di una bomba o di una mina, risuonò nell'aria, assordandolo, mentre un turbine di polvere lo sommerse, costringendolo a tenere gli occhi chiusi. Quando li riaprì, dopo alcuni secondi, vide Tanyu immobile, a pochi metri da lui, sul fondo di un piccolo cratere fumante, gli occhi che fissavano, seccati, un punto alla loro destra.

“E tu chi saresti?”

Nell'aria si udì un piccolo sfregamento, seguito dall'odore di zolfo bruciato. Subito dopo, una voce strascicata e tranquilla raggiunse le orecchie di Milo.

“Hai proprio un gran coraggio.” dichiarò la voce. “Sei più forte di quello che sembri, Milo Stich.”

Seduto a gambe incrociate, a pochi metri dai due contendenti, c'era un uomo. Indossava pantaloni con numerose tasche laterali, una felpa da lavoro e guanti di pelle. A tracolla portava una borsa, mentre lunghi baffi rossicci incorniciavano un volto impassibile.

“Non hai risposto alla mia domanda: tu chi diavolo sei?” dichiarò nuovamente il marine.

“Quando un ragazzo mostra un simile coraggio, un vero uomo non può restare con le mani in mano.” Santoli spezzò il fiammifero acceso precedentemente, mentre se ne portava un secondo tra le labbra.

“Io sono il vero uomo.”

 

 

CONTINUA

 

 

 

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Capitolo 21
*** Il triello ***


Chiedo scusa per il mio ritardo. Purtroppo in questi ultimi due mesi, tra impegni, vacanze e studio, si è aggiunto un orribile blocco dello scrittore, che mi ha reso incapace di scrivere più di una frase al giorno. Se aggiungiamo il fatto che la mia idea su come sviluppare questo capitolo non mi ha mai convinto fino in fondo, ecco che arriviamo a questo ritardo.

Il capitolo, come ho già scritto, non mi convince fino in fondo, specie il modo in cui ho concluso lo scontro contro Tanyu. Tuttavia, sperando che i prossimi capitoli siano più snelli, ecco qui il capitolo più duro, difficile da scrivere che ho affrontato da quando ho iniziato questa storia.

Sperando che possa piacervi, vi auguro buona lettura.
Un saluto!

Giambo

 

 

Capitolo 21

 

 

L'urlo di sfida di Kinji donò a Kita una sensazione meravigliosa. Si sentiva leggera, come se si fosse tolta un peso dal cuore. Non smise di piangere mentre osservava il sorriso del suo capitano. Le aveva promesso che l'avrebbe salvata, e sapeva che lui manteneva sempre le promesse.

Poi arrivò il dolore.

Un colpo forte, violento, secco sulla nuca la stordì, facendole vedere migliaia di puntini rossi, mentre percepiva un sapore di sangue sulla lingua. Dopo qualche istante si girò, vedendo il suo fratellastro che la fissava con odio: era livido.

“Che cosa credi di fare?!” strillò il nobile, afferrandola per i capelli e scuotendola con forza. “Pensi veramente che io ti lascerò andare via?! Credi di riuscire a farmela, dopo l'affronto che hai commesso otto anni fa?!”

Kita non disse nulla. Si limitò a fissarlo con sguardo ricolmo di rabbia, il volto ancora coperto dalle lacrime. Non le importava più niente di lui, né delle sue minacce. Kinji le aveva fatto una promessa, e lei sapeva che l'avrebbe mantenuta ad ogni costo.

Mi salverà, mi porterà via con lui, ritornerò con la mia vera famiglia... me l'ha promesso...

“Sei veramente patetica!” la schernì Terezon. “Credi veramente che due straccioni come quelli possano battere la CP0?” un sorriso crudele si fece strada sul volto del giovane nobile. “Pensavo di ucciderti subito, ma credo che sarà più divertente lasciarti vedere il tuo amichetto fatto a pezzi dai miei fedeli agenti. Solo dopo, quando avrai visto la sua lenta e dolorosa morte, ti concederò di morire.” scoppiando a ridere, il Drago Celeste la ributtò rudemente a terra.

“Uccideteli!” ordinò seccamente a Noriaki e Shosuke. “Liberatevi di loro, e fatelo in fretta! Mi disgusta solo vederli!”

“Harusa.” Kinji non aveva smesso di guardare con odio il fratellastro di Kita. “Va a combattere da un'altra parte. Qui ci intralceremmo soltanto.”

Il Folle fissò con sguardo impassibile l'altro pirata, un sorrisetto sulle labbra.

“Dragone,” rispose con voce vellutata. “Non ti avevo detto che devi smetterla di darmi ordini?”

“Non è il momento di giocare, Harusa!” replicò il Dragone con voce dura.

Per un attimo si ebbe l'impressione che Harusa avrebbe attaccato Kinji, ma durò solo un istante. Senza smettere di sorridere, Harusa indirizzò il proprio sguardo verso Noriaki, i freddi occhi verdi sembravano ridere dell'agente della CP0.

“Andiamo a combattere da un'altra parte?” propose con voce morbida. “Sembra che io qui sia di troppo.”

“Fai strada.” fu la secca replica dell'agente governativo.

Subito dopo, Harusa sembrò scomparire, subito imitato da Noriaki. I loro spostamenti erano così rapidi da non essere visibili ad occhio nudo. La loro velocità non sembrò scalfire minimamente Kinji e Shosuke, che proseguirono a fissarsi.

“Dunque,” esordì il pirata, estraendo la fida lama Eiji dal fodero che teneva sulla schiena. “A quanto pare sarai tu il mio avversario.”

“Così sembra.” l'agente governativo non si mosse, proseguendo a fissare il bucaniere, il mantello bianco che si gonfiava sotto la spinta del vento. “Ero impaziente di conoscerti, Kinji il Dragone.”

“E perché?” domandò quest'ultimo, mentre tentava qualche rapido affondo per scaldarsi meglio.

“Sei un pirata di cui si discute molto.” la voce di Shosuke era poco più di un sussurro. “Dopo quello che hai fatto alla base navale del G6 molti si sono fatti delle domande. Quella che però mi incuriosisce di più riguarda il tuo cognome.”

“Il mio cognome?”

“E' palesemente falso.” gli occhi della spia, azzurri come il ghiaccio, lo fissavano con aggressiva ingordigia. “Non è mai esistita nessuna famiglia che possedesse questo cognome. Quindi, la mia domanda è... qual è il tuo vero nome, Dragone?”

“Questi sono affari miei.” fu la secca risposta di Kinji. “Non sono venuto fino a qui per parlare con te. Tutto quello che mi preme ora è sconfiggerti e portare via Kita.”

“Temo di doverti contraddire.” la voce di Shosuke non cambiò di tonalità. Era come se stesse conversando del tempo con un conoscente. “Vedi, tu parti da un presupposto che è totalmente errato: che noi due siamo due combattenti posti sullo stesso piano. Mi dispiace dirti che sei completamente fuoristrada: un bamboccio che gioca a fare il pirata non potrà mai essere al mio stesso livello.”

“Bla bla bla!” gli fece il verso Kinji. “Certo che chiacchieri un sacco! Non mi sembra che fino ad ora hai fatto molto, oltre a vantarti di essere Mister Universo!”

“Quelle che tu chiami chiacchiere è semplicemente la realtà dei fatti.” subito dopo, da sotto il mantello, sbucarono due mani racchiuse in guanti neri, che fecero un cenno di incoraggiamento. “Ma se non mi credi sei libero di farti avanti. Ti accorgerai ben presto che le mie non sono solo parole.”

Kinji non si fece pregare. Senza perdere altro tempo, il ragazzo lanciò un fendente di energia contro il suo nemico. Shosuke si limitò a piegarsi all'indietro, creando un angolo perfetto di novanta gradi con la schiena, spedendo con un calcio il colpo in aria per evitare danni alla torre dietro di sé. Senza perdere altro tempo, Kinji gli corse incontro, ad altissima velocità, mulinando con rabbia Eiji. Questa volta, l'agente non rimase fermo, ma si mosse, anche lui a grande velocità, subito seguito da Kinji. Tuttavia, per quanto si sforzasse di colpirlo, il pirata rimaneva frustrato nei suoi tentavi, arrivando sempre con un attimo di ritardo. Dopo circa un paio di minuti, il moro si bloccò di colpo, subito imitato, a distanza di sicurezza, da Shosuke.

“Tutto qui?” lo provocò quest'ultimo. “Beh, non è certo molto.”

Subito dopo, il fendente che Kinji gli inviò contro fu così potente che distrusse tutto ciò sopra cui passava. Non avendo più la torre alle spalle, Shosuke si limitò a compiere un rapidissimo movimento laterale. Quando, un istante dopo, il pirata comparve alle sue spalle, la spia si limitò ad evitare il colpo in arrivo con un rapido salto in alto. Quello che non riuscì a prevedere fu il colpo infuocato che Kinji produsse, tramite una gamba, riuscendo così a colpirlo sulla schiena. L'agente incassò senza problemi l'attacco, atterrando davanti ad uno sghignazzante Kinji.

“Lo vedi?” dichiarò il pirata. “Non sei imbattibile!”

Shosuke non disse nulla. Tutto quello che fece fu di togliersi lentamente la maschera che gli copriva il viso, lasciandola cadere a terra. Successivamente, da sotto il mantello, sguainò due katane scintillanti.

“Fossi in te non sorriderei.” ora che poteva vederlo in faccia, il moro rimase sorpreso di notare la giovane età del suo avversario. Shosuke non dimostrava più di venticinque anni. Aveva un volto piacevole, da bravo ragazzo, perfettamente rasato, e con corti e curati capelli neri. Il naso era dritto, le labbra sottili e contratte in una piega informale. La cosa che colpiva di più erano gli occhi: di un azzurro chiarissimo, quasi bianco, che stonavano con il colore dei suoi capelli.

“E perché mai non dovrei sorridere?” gli chiese, sinceramente perplesso, il figlio di Rufy.

“Quella di prima era solo una prova.” rispose Shosuke, gli occhi freddi e vigili. “Dovevo vedere se eri degno di morire per mano mia.”

“Sono lieto di dirti che hai superato la prova: quindi, se non hai nulla in contrario, ti consiglio di prepararti a morire, perché ora ti ucciderò.”

 

 

Kuroc ansimò, mentre riprendeva fiato dopo l'ultima, difficile parata. Successivamente si mosse di lato, per evitare l'ennesimo fendente, il quale lasciò un profondo solco sul terreno.

Non male...

Il suo umore era mutato più volte in quegli ultimi minuti. Dalla paura era passato alla rassegnazione, poi alla sorpresa, al dubbio ed infine ad una malsana eccitazione, che lo pervadeva tutt'ora. In passato gli era già capitato di sentire il sangue ribollire in quel modo, ma mai con quell'intensità. Non sapeva se fosse una novità positiva per il suo avversario, oppure per lui.

“Santoryu...”

Ci risiamo!

“Taglio dell'Orco!”

Una figura si mosse contro di lui, troppo rapida per essere notata ad occhio nudo. Il pirata mosse rapidamente la propria katana, riuscendo così ad intercettare le tre spade che puntavano al suo petto. Per alcuni istanti, una volta che l'onda d'urto si dissolse, i due spadaccini si fissarono dritti negli occhi, entrambi con un sorriso folle stampato sul volto.

“Curioso,” osservò Kuroc, mentre il braccio destro tremava per la tensione. “Ho già visto queste tecniche, ma non eri tu a padroneggiarle.”

Il sorriso di Yuifum divenne più ampio. Era un uomo giovane, sulla trentina, con corti capelli biondi, occhi di un verde cupo, e un volto incredibilmente affascinante. Indossava un elegante completo da uomo scuro, con tanto di cravatta blu notte. Alla vita gli pendevano tre foderi.

Lo stallo si ruppe all'improvviso quando Yuifum ruotò il polso sinistro, creando con la katana stretta in mano un tornado di energia, che sollevò in volo il pirata. Kuroc replicò subito con un fendente dalla potenza devastante, che distrusse in centinaia di schegge lucenti l'attacco dell'agente governativo. Senza attendere di toccare terra, il samurai mosse la propria katana con la punta. Si creò una linea energetica azzurrognola, sottile, che si diresse verso il suolo. Yuifum la schivò con un balzo, giusto un secondo prima che questa, toccando terra, esplodesse con violenza incredibile, creando una profonda buca.

“Non sei male, per essere un pirata.” osservò l'agente governativo, mentre il bucaniere tornava al suolo. “Non maneggi quella spada come farebbe un qualsiasi spadaccino. Da dove provieni?”

“Potrei farti la stessa domanda.” replicò il corsaro. “Perché il tuo stile di battaglia è così simile a quello dell'uomo conosciuto con il nome di Ronoroa Zoro?”

La katana stretta tra i denti di Yuifum si contrasse quando il suo sorriso si intensificò.

“Hai incontrato Ronoroa Zoro?” mormorò. “Sei un uomo molto fortunato, davvero molto fortunato. Non tutti possono incontrare il Cacciatore di Pirati e vivere per raccontarlo.”

“Vorresti forse dire che il tuo modo di combattere è un omaggio al più forte spadaccino del mondo? Ad un pirata?!” nella voce del samurai c'era una nota di sarcasmo.

“Cosa importa come uno sfrutta le proprie abilità, se poi risulta il migliore? I più forti saranno sempre nel giusto.” rispose la spia. “Il mio non è un omaggio. È qualcosa di molto più profondo, una cosa che uno scarto abietto come te non potrebbe mai capire.”

Il volto di Kuroc si irrigidì impercettibilmente.

Uno scarto?

“Uno scarto...” ripeté, la voce bassa. Subito dopo, il samurai scattò addosso al suo avversario. Mulinò Doragon no Buresu con abilità, andando ad impattare però con le tre spade di Yuifum. Senza perdere tempo, il pirata si mosse con grande rapidità alle spalle dell'agente governativo, tentando di coglierlo di sorpresa. Quest'ultimo però aveva previsto una simile mossa. Ricorrendo di nuovo al Tornado del Drago, il biondo fu convinto di aver interrotto la pressione avversario.

“Samuraisutairu...”

Yuifum fece appena in tempo a girarsi, quando percepì il freddo acciaio che gli bruciava la carne.

“Affondo del cobra!” con una rapida stoccata, pari al morso di un serpente, Doragon no Buresu sfregiò la guancia sinistra di Yuifum. Quest'ultimo si allontanò con uno scatto, toccandosi il taglio con una smorfia. Era superficiale, ma bruciava.

“Uno scarto...” la voce di Kuroc non era aumentata di intensità, ma era perfettamente percepibile la rabbia che lo dilaniava.

Tara... I suoi occhi bruciavano come magma al pensiero della sorella defunta.

“Vedi di portarmi rispetto, lurido fasullo!” dichiarò, sempre con voce minacciosamente bassa. “Una singola goccia del mio sangue è più antica e preziosa di tutta Marijoa!”

Yuifum alzò le sopracciglia, sorpreso da quella affermazione.

“Cosa credi, che io sia un uomo senza storia e senza onore alle spalle?!” la voce di Kuroc si intensificò mentre l'orgoglio ribolliva in lui. “Per millenni i miei antenati hanno combattuto, ucciso, amato e perso ai confini del nostro regno. Nessun abitante di Wa avrebbe dormito sonni tranquilli, senza il nostro incessante lavoro di guardia! Noi siamo i Watsani, più antichi degli Shogun stessi! Esiste un detto, che è anche diventato il motto del nostro clan.”

“Tra la morte ed un Watsani, scegli sempre la prima.”

L'orgoglio del samurai era stato risvegliato.

E quest'ultimo aveva lanciato la propria sfida.

I Watsani non sono ancora morti.

E scriveranno la storia di questo mondo, di nuovo.

 

 

Santoli buttò via il fiammifero, ormai spento, osservando flemmatico il viceammiraglio Tanyu, mentre Milo si reggeva a stento in piedi.

“Siediti ragazzo.” gli ordinò il carpentiere, gli occhi verdi fissi sul marine. Quest'ultimo, i cui occhi erano dello stesso colore, seppure di una tonalità più scura, ricambiavano lo sguardo, beffardi, attendendo la prossima mossa dell'avversario.

Milo non diede segno di volersi sedere. In effetti, sembrava che il suo corpo non fosse più in grado di compiere qualsiasi movimento. Rimaneva fermo, in piedi, tremante, il respiro frammentato, gli occhi scuri piantanti sulla figura di Tanyu.

Santoli si alzò, avvicinandosi al giovane navigatore. Senza degnare di uno sguardo il viceammiraglio, il rosso aiutò il pirata a sedersi a terra. Milo non disse nulla, ma rivolse uno sguardo strano al carpentiere: un incrocio tra sollievo e paura.

“Non preoccuparti, piccolo pirata.” sussurrò il rosso. “Ora ci penso io a terminare ciò che hai iniziato.”

Si udì un lento battimani. Girandosi, Santoli poté vedere Tanyu che lo applaudiva con fare ironico.

“Che scena commovente.” osservò, sorridendo. “Davvero, che nessuno osi dire, d'ora in avanti, che i pirati sono esseri privi di compassione.” il sorriso gli sparì dal volto, lasciando spazio ad un'espressione gelida. “Faresti meglio a preoccuparti per te stesso, piuttosto per quell'ammasso di carne morta.”

“Oh, non credo che sia io quello che si deve preoccupare.” replicò Santoli, serafico. L'uomo aveva messo una mano nella borsa che teneva a tracolla, mentre fissava il marine con la stessa flemma con cui avrebbe fissato un progetto particolarmente interessante per la costruzione di una nave.

“Noto come anche a te l'arroganza non manca.” Tanyu scosse la testa. “Non c'è niente da fare. Voi pirati siete tutti uguali. Credete che qualche favoletta del passato, riguardante mitologici fuorilegge dalla dubbia esistenza, possa darvi il permesso di fare qualsiasi cosa. Solo morendo imparate il rispetto che dovete alle autorità, non è vero?”

“Io non sono un pirata.” replicò il carpentiere. “Sono qui per un solo motivo, e credo che esso si trovi alle tue spalle.” gli smeraldi del rosso scintillarono freddamente, ma dietro quella cortina di ghiaccio si poteva intravedere un fuoco violento e terribile. “Pertanto, se non vuoi avere troppi guai, ti consiglio vivamente di... come si dice? Ah, sì. Di non opporre resistenza.”

“Stiamo perdendo tempo.” il tono del soldato era annoiato. “Fai la tua mossa, così posso eliminarvi subito. Soru!”

Con uno scatto, Tanyu attaccò, dirigendosi a grande velocità contro Santoli. Quest'ultimo non si fece trovare impreparato. Mostrando ottimi riflessi, il carpentiere scartò di lato, lanciando contro il marine una manciata di sassolini scuri. Una volta a contatto con il corpo del soldato, essi esplosero con violenza, creando un'onda d'urto così forte da far volare via il corpo esangue di Milo. Quando il fumo dell'esplosione si diradò, gli occhi del carpentiere poterono notare come il suo colpo era stato totalmente inefficace. Tanyu infatti, utilizzando nuovamente il Soru, si era portato alle spalle del suo avversario, colpendolo con un violento calcio alle scapole, e scaraventandolo via. Tuttavia, non appena ebbe scalciato via il corpo di Santoli, numerose bombe attorno a lui, disposte furbescamente dal carpentiere, esplosero.

“Sei davvero fastidioso, lo sai?” dichiarò Tanyu, scrollandosi la polvere dai vestiti. “I tuoi fuochi d'artificio non funzionano con me, mi sembra di avertelo già dimostrato.”

“Lo vedo.” ammise Santoli. “Sembra proprio che i miei colpi non abbiano sortito alcun effetto.”

Subito dopo, quest'ultimo sfilò dal cinturone che portava alla vita un martello di medie dimensioni. A quella vista Tanyu scoppiò a ridere.

“Pensi davvero che tirarmi un paio di martellate possa permetterti di battermi?” lo canzonò. “Ti sei bevuto completamente il cervello.”

“No, semplicemente credo di aver trovato due punti deboli nel tuo stile di lotta.” replicò il rosso.

Questa volta il marine sembrò sorpreso. Il sorriso gli morì sulle labbra, mentre i suoi occhi verdi diventavano freddi come il ghiaccio.

“Due difetti?” mormorò. “Mi chiedo da dove hai tirato fuori una simile stupidaggine.”

“Oh, in realtà è stato facile.” spiegò il carpentiere con tono amabile. “E' bastato avere un discreto spirito di osservazione.”

“E quali sarebbero, sempre che esistano?” mormorò minacciosamente il soldato.

“Detesto fare la parte del saputello, ma se proprio insisti...” successivamente, Santoli si sedette a terra, le gambe incrociate, con il martello appoggiato su di esse. Poi, il carpentiere estrasse dalla propria borsa una piccola carica esplosiva, mostrandola apertamente al suo avversario.

“Per rispondere dovrò iniziare il mio show.” spiegò. “Lo spettacolo di magia del carpentiere migliore del mondo.”

“Magia?” Tanyu sembrava sinceramente perplesso.

“Perdonami, forse il termine magia non è il più corretto.” negli occhi del rosso brillava una luce minacciosa. “Ma tu non saprai definirlo con nessun altro termine ciò che sta per accadere.”

Schiacciò la carica. Quest'ultima, invece di esplodere, rilasciò una grande quantità di fumo, che circondò i due contendenti. Il viceammiraglio rimase perplesso da quella mossa, che aveva ben pochi effetti pratici: se lui non poteva vedere il suo avversario, neanche quest'ultimo poteva scorgerlo.

“Credi forse che nasconderti alla mia vista ti aiuterà?” borbottò. “Esistono altri sensi che posso sfruttare per rintracciarti.”

“Sicuramente.” ora la voce di Santoli proveniva da una zona differente, come se si fosse spostato molto rapidamente. “Ma ti stai preoccupando per nulla. Questo fumo non serve per nascondermi.”

“Ed allora a cosa ti serve?”

“Che razza di spettacolo di magia sarebbe senza neanche del fumo? Dove starebbe la magia, senza il piacere dell'attesa?”

Tanyu tentò più volte di comprendere da dove provenisse la voce del carpentiere, ma quest'ultimo sembrava capace di muoversi come un'ombra. Nessun suono, nessun rumore, nessun fruscio. I minuti passarono lenti, mentre il fumo si diradava, permettendo al marine di osservare il rosso esattamente dove l'aveva lasciato, in piedi, tranquillo e rilassato come sempre.

“Possiamo cominciare.” dichiarò quest'ultimo.

“Cominciare?” la voce di Tanyu risuonava perplessa, ma in essa si poteva notare una goccia di rabbia, crescente. “Cominciare che cosa? Immagino che tu abbia posto qualche trappola, qui e là, ma dubito che ti potranno servire.”

Santoli non disse nulla. Continuò a rimanere impassibile, mentre attendeva.

Una magia può avere successo solo che calcolata in ogni minimo dettaglio.

“Allora... quando avrà inizio... la tua magia?” provocò il marine, avvicinandosi al suo avversario. “Non mi avevi promesso uno spettacolo?”

“Lo avrai.” replicò freddo il carpentiere. “Conosci la chimica, viceammiraglio?”

“Abbastanza per sapere che sono solo giochetti per uomini codardi e meschini.”

“Oh, no.” dissentì pacatamente Santoli. “La chimica non è un gioco, è un mezzo. Alcuni lo usano per conoscenza, altri per il progresso ed altri ancora... per vendetta.”

Ora!

Accadde tutto molto rapidamente. Dal terreno attorno a Tanyu emerse del fumo giallastro, che lo colpì in pieno volto. Con un ululato di dolore, quest'ultimo si portò le mani al volto, barcollando all'indietro.

“Il primo passo, è renderti incapace di usare la vista.” spiegò il carpentiere. “La soluzione gassosa che ti ha investito va a colpire i nervi ottici, rendendoli inutilizzabili per alcuni minuti.”

“Maledetto... bastardo.” con uno scattò, il viceammiraglio sollevò di scattò il volto, girandolo più volte. I suoi occhi, da verdi, erano diventati completamente bianchi. Di un bianco sporco, giallastro, con le arterie che si stagliavano nitide sul bulbo.

“Cosa credi... che basta togliermi la vista per sconfiggermi?! Fatti avanti, FATTI AVANTI LURIDO VERME! COSI' LA FINIAMO UNA VOLTA PER TUTTE!” sputacchiando insulti, Tanyu avanzò a casaccio, verso un punto alla sinistra di Santoli, ma così facendo azionò una seconda trappola.

Il gas questa volta fu blu, di un blu scuro come le profondità marine. Quest'ultimo sembrò causare violenti conati di vomito al soldato, che presto si accasciò a terra, mezzo soffocato dai colpi di tosse e rigurgiti.

“Questa soluzione va invece a colpire il tuo sistema faringeo.” il rosso iniziò ad avanzare lentamente verso il marine, il martello che scintillava minaccioso in mano sua. “Ammetto di non essere un medico, ma ho sempre trovato affascinante il rapporto che esiste tra la chimica ed il corpo umano. Rimarresti sorpreso di cosa potrei fare al tuo corpo, limitandomi a mescolare pochi ingredienti apparentemente innocui.”

Tanyu riuscì, con uno sforzo sovrumano, ad alzarsi, portando gli occhi vuoti ed infiammati nella direzione da cui proveniva la voce del carpentiere.

“Vigliacco!” sibilò. “Affrontami da uomo, invece di usare simili trucchetti.”

Avvenne tutto in un istante. Con uno scatto, Santoli colpì dritto sul volto il marine, usando il martello. Non appena la testa d'acciaio toccò il volto di Tanyu, si udì una tremenda esplosione, che scaraventò a decine di metri di distanza il marine. Con il volto adombrato, ed il martello ancora fumante, Santoli si portò un fiammifero alla bocca.

“Parli di vigliacchi...” mormorò. “Ne hai di fegato, visto che servi quei bastardi del Governo.”

Volevi la magia. Ti ho sconfitto usando un singolo colpo, se non è magia questa...

“I tuoi punti deboli sono l'arroganza e la troppa sicurezza nelle tue capacità.” concluse il rosso. “Eri convinto di avere davanti a te un debole, ma alla fine sei caduto a terra tu.”

Il corpo del viceammiraglio rimase immobile a terra, fumante, mentre il carpentiere si stiracchiava le spalle, convinto di aver concluso l'incontro.

Forse dovrei andare a cercare il piccolo pirata. Non aveva l'aria di stare troppo bene.

Fu questione di un attimo, o forse poco più. Non appena il rosse ebbe girato la testa, il suo udito percepì una specie di fruscio. Si girò di scatto, giusto in tempo per vedere Tanyu, ricoperto completamente dall'haki dell'armatura, colpirlo violentemente allo stomaco con un pugno. Sangue scarlatto uscì dalle labbra del carpentiere, mentre il colpo lo scagliava a parecchi metri di distanza. Prima che potesse rialzarsi, il viceammiraglio lo bloccò a terra con entrambe le gambe.

“Finalmente ti ho trovato!” ansimò. Aveva il fiatone, mentre aveva riacquistato la vista, seppure entrambi gli occhi erano ancora irritati. “Come vedi la tua magia è riuscita solamente a farmi incazzare.” sollevò un pugno, ancora ricoperto di haki. “E adesso la pagherai molto cara.”

Il primo pugno fu rivolto sul volto. Il sangue scorse scarlatto sul viso di Santoli, mentre percepiva i propri zigomi scricchiolare, con il naso che si frantumava in mille dolorosi pezzi. Subito dopo il primo ne segui un secondo, ed un terzo. Una sequenza di colpi furiosi, atti al solo scopo di fare il maggior danno possibile al suo avversario. Il quale li incassò in silenzio, con il cervello che faceva sempre più fatica a ragionare per trovare una via d'uscita.

Ho abbassato la guardia come un pivello... sono stato un vero idiota.

Duro alcuni minuti, i più lunghi della sua vita. Quando finalmente la furia omicida di Tanyu sembrò placarsi, il volto di Santoli era ridotto ad una grottesca maschera sanguinolenta.

Il viceammiraglio rimase fermo per un po', ansante. I colpi subiti durante gli scontri con Milo e Santoli stava iniziando a sentirli, e l'utilizzo dell'haki su tutto il corpo richiedeva un grande quantitativo di energia. Il marine poteva percepire facilmente le proprie riserve energetiche assottigliarsi di minuto in minuto.

Devo finirla subito. Ho usato più energie del previsto.

Fu proprio quando alzò nuovamente la mano destra, per spaccare definitivamente il cranio del suo avversario, che un rumore lo fece bloccare. Girandosi verso destra, verso l'origine di quest'ultimo, vide qualcosa che lo sorprese profondamente.

“Non ti sarai mica dimenticato del sottoscritto, vero?” le labbra esangui di Milo si stiracchiarono in un sorriso, mentre si avvicinava lentamente verso il soldato. Nella mano sana teneva saldamente la propria canna da pesca. A quella vista, i denti bianchi di Tanyu scintillarono sotto il sole di Marijoa.

“Vedo che sei ancora vivo, Morto.” esclamò con voce beffarda. “Cosa ti riporta qui da me? Credevo che avresti approfittato della situazione per dartela a gambe levate.”

Il sorriso di Milo divenne una smorfia, percependo l'acciaio della stilletto pulsare dolorosamente dentro il suo addome. Nella sua mente, ottenebrata dal dolore, faceva fatica a creare un piano. L'unica cosa che sapeva è che doveva tentare di guadagnare tempo, se voleva salvare Santoli.

Lui prima ha fatto lo stesso per me. Sarei un vigliacco a non tentare quantomeno di ricambiare il favore.

“Sono venuto...” esordì, con voce affaticata. “Perché io e te non abbiamo ancora finito il nostro duello.”

Il sorriso di Tanyu divenne più marcato. Si alzò lentamente, dopo essersi premurato di calpestare il volto tumefatto di Santoli, avvicinandosi al navigatore.

“Hai perfettamente ragione!” rispose con voce affabile il marine. “Dopotutto, un vero uomo non lascia mai dei conti in sospeso, giusto?”

“Precisamente!” convenne Milo. “Lo sai? Mi stai diventando quasi simpatico.”

Tanyu si limitò a sorridere. Tuttavia, vedendo che il pirata non si muoveva, allargò le braccia.

“Dunque? Non mi attacchi? Credevo che volessi chiudere questo nostro incontro...” osservò, il sorrisetto beffardo sempre dipinto sul volto. “A te la prima mossa, pirata.”

Milo però proseguì a rimanere fermo, limitandosi a fissare il suo avversario. Per alcuni secondi il silenzio regnò sovrano, rotto solo dall'ululare del vento. Poi, all'improvviso, Tanyu lanciò un grido di dolore: senza compiere alcun rumore, Santoli si era rialzato, colpendolo alla nuca con il proprio martello esplosivo.

“Lurida canaglia!” berciò il soldato, rialzandosi subito, senza alcun danno di sorta. Si voltò verso il carpentiere, il quale si reggeva in piedi a fatica. Non appena vide le sue condizioni, il viceammiraglio scoppiò a ridere.

“Guardati!” esclamò. “Pensavi veramente che i tuoi giochini potessero mettermi fuorigioco? Il mio haki può neutralizzare ogni tuo attacco, fattene una ragione!”

“Hai ragione, i miei attacchi non hanno avuto l'effetto che speravo.” ammise Santoli, la voce impastata a causa del sangue che gli scendeva in gola dal naso. “Ma i suoi invece sì.” osservò, indicando Milo.

Tanyu rimase perplesso da quell'affermazione, osservando prima il navigatore e poi il carpentiere. Lo stesso Milo pareva non capire il senso della frase del rosso.

Cosa avrà in mente? Pensa sul serio che i miei attacchi possano aver avuto successo?

“I suoi attacchi?” ripeté perplesso il marine. “Ma che cosa stai farneticando?”

Le labbra spaccate del carpentiere si piegarono in un sorriso.

“Lo vedrai.” subito dopo, quest'ultimo scatto all'attacco, roteando il proprio martello contro Tanyu, il quale però lo schivò usando il Soru.

“Dovresti arrenderti.” lo schernì il soldato. “Non sei alla mia altezza. Storm Leg!”

Il fendente colpì in pieno petto il rosso, facendolo crollare al suolo. Tuttavia, un secondo dopo, Santoli era di nuovo in piedi, che tornava all'attacco, sorprendendo ogni aspettativa.

Come fa? Si domandò Milo, osservandolo incassare i colpi di Tanyu senza un singolo gemito di dolore, ogni volta rialzandosi con più foga di prima. Come riesce a superare i propri limiti fisici con così tanta facilità? Gli occhi del carpentiere bruciavano in quegli istanti, mentre lottava per qualcosa di cui il pirata era all'oscuro. Eppure, per spingerlo a tirare fuori una simile determinazione, doveva rappresentare per lui il motivo più importante di tutti.

Ha preso la via del mare, e sta lottando a tutti i costi per difenderla. A ripensare al proprio viaggio, Milo si sentì inutile, piccolo, meschino. Un vigliacco che si era nascosto alle spalle di gente più in gamba per troppo tempo, e che quando era venuto il suo momento di scendere in campo, a difesa della propria ciurma, aveva fallito.

Non sono degno di essere chiamato pirata. Strinse con rabbia la propria canna, mentre sentiva un profondo disprezzo verso se stesso scaturire dentro di lui. Un pirata che si rispetti, non perderebbe mai quando si stratta di difendere un proprio compagno! Non finché ha ancora fiato in corpo.

Ed io ne ho ancora molto!

In quello stesso istante Santoli cadde al suolo. Il suo fisico era allo stremo, e gocce vermiglie gocciolavano dai suoi baffi e dalle mani. Tanyu gli si avvicinò lentamente, con il fiatone, anche lui era a corto di energie, deciso a chiudere definitivamente la partita. Quando fu a pochi passi dal corpo esangue del carpentiere però, percepì il proprio corpo bloccarsi.

“Morso del Ragno!”

Abbassando lo sguardo, vide il proprio braccio sinistro avvolto in un filo trasparente, che si stagliava nitido sul nero dell'haki. Girando lentamente la faccia, il marine poté vedere Milo, la canna salda nella mano destra, che lo fissava con un'espressione feroce.

“Levati.” gli ordinò seccamente il viceammiraglio. “Con te chiudo la questione dopo.”

“Invece la chiudiamo adesso!” replicò Milo. “Vediamo chi è più forte! La tua forza bruta, o la mia arma?”

“Piantala, sei ridicolo.” osservò Tanyu con voce annoiata. “Sai anche tu che non sei al mio livello.”

Milo non rispose. Con un colpo secco, il navigatore fece roteare la canna, sollevando in aria un disattento Tanyu, che venne scaraventato a terra dopo un volo di alcuni secondi. Una volta che la polvere dell'impatto si depositò, il pirata richiamò la propria lenza.

“Non sempre vince il più forte, te l'hanno mai detto?” esclamò il moro. “In battaglia ci vuole anche cervello, e tanto!”

Il marine si alzò lentamente, il volto una maschera di odio.

“Adesso hai finito di dire stupidaggini.” osservò, iniziando a correre in direzione del pirata. “Ti spaccherò la testa con un singolo colpo!”

Milo si mise in posizione di guardia. Sapeva che non aveva alcuna speranza di fermare quella carica, ma non si diede per vinto. Strinse con la mano sana la canna. Avrebbe tentato di immobilizzarlo alle gambe, per bloccare rapidamente l'attacco. Grande fu la sua sorpresa però, quando vide lo stesso Tanyu fermarsi di colpo, il volto sudato e dolorante, cadendo successivamente a terra.

Cosa diavolo...

In quell'istante, Santoli si rialzò, sfoderando un sorriso feroce sul volto tumefatto.

“Vedo che anche tu accusi i colpi, alla fine. L'ultimo attacco che ti ha inflitto il piccolo pirata non poteva certo restare senza conseguenze.”

Milo comprese solo in quell'istante che il suo ultimo colpo con il Dial Reject, il Dial Gamma Reject, doveva aver lasciato danni interni piuttosto gravi al fisico del viceammiraglio. Danni che, puntualmente, erano venuti fuori dopo i ripetuti sforzi compiuti nello scontro con Santoli. Quando Tanyu si rialzò, ansimante, il suo corpo era ritornato del colore normale. Nelle sue condizioni non era più in grado di mantenere un simile sforzo.

Per alcuni istanti ci fu silenzio. Tutti e tre i combattenti erano ridotti in condizioni pietose: Milo aveva il braccio sinistro maciullato ed uno stilletto conficcato nell'addome, Tanyu sembrava compiere uno sforzo enorme solo per restare in piedi, sotto le scarpe di Santoli si stava creando una pozza di sangue vermiglia, il suo.

“Beh, direi che siamo giunti ad un punto di stallo.” osservò il carpentiere. “Siamo tutti e tre ridotti male.”

“Ridotti... male?” ansimò il viceammiraglio. “Parla per te!”

“Finiscila con la commedia.” proseguì il rosso, mettendosi un fiammifero in bocca. “Non inganni nessuno: sei ridotto ad uno straccio.”

Il militare digrignò i denti ma non ribatté.

“Ti propongo... una soluzione.” lentamente, senza compiere gesti bruschi, Santoli mise una mano nella borsa a tracolla, estraendone due pistole.

Tanyu lo guardò per alcuni istanti, fissando alternativamente le pistole ed il volto tumefatto del suo avversario.

“E questo cosa verrebbe a significare?”

“Che ti sto dando la possibilità di liquidarmi.” il rosso si rigirò il fiammifero in bocca. “Solo una di queste due pistole è carica.” i suoi occhi verdi scintillarono. “Scegline una.”

L'altro lo fissò, un sorriso beffardo sul volto, avvicinandosi lentamente.

“Un duello?”

“Lasceremo al destino scegliere chi deve vivere e chi no.” proseguì il carpentiere, senza smettere di fissare negli occhi il soldato.

“No!”

I due si voltarono verso Milo, il quale si stava facendo avanti, il volto contorto in una maschera di folle determinazione.

“Prenderò io una delle due pistole.” dichiarò con voce convinta. “Sosterrò io il duello. Ho cominciato io questo scontro, e lo porterò a termine io.”

Gli altri due non ebbero nulla da obiettare. Dopo una lunga pausa di riflessione, Tanyu afferrò la pistola che Santoli teneva nella mano destra.

“Infilala nella cintura.” ordinò con voce bassa il rosso. Il viceammiraglio lo guardò storto, ma obbedì. Successivamente, Santoli diede la pistola restante al navigatore, allontanandosi dai due contendenti, i quali a loro volta si allontanarono lentamente, andando così a formare una specie di triangolo allungato.

E poi ci fu il silenzio.

Milo teneva lo sguardo fisso verso Tanyu, il quale lo fissava con volto di ghiaccio. Il navigatore era terrorizzato, ma deciso ad andare in fondo a quella storia.

Se ho preso la pistola scarica...

Decise di non pensarci. Doveva credere con tutte le sue forze di avere lui l'arma giusta. Solo così poteva sperare di vincere.

Nella radura non si udiva volare una mosca. Anche il vento si era calmato, lasciando spazio ad un silenzio denso di tensione. Santoli volgeva lentamente il proprio sguardo da Milo a Tanyu, e viceversa. Il viceammiraglio non toglieva gli occhi dal navigatore, anche se ogni tanto lanciava veloci frecciatine al carpentiere, Milo muoveva così rapidamente gli occhi sugli altri due da rendere le sue pupille come impazzite.

Si può sapere cosa diavolo sto facendo?! Il navigatore sentì solo in quell'istante l'enormità del rischio che si era preso. La pistola bruciava come fuoco dalla sua cintura, mentre la mano destra fremeva a pochi centimetri dal calcio. Sarebbe bastato un movimento semplice per estrarla, peccato che lui non avesse mai imparato a sparare. Contro un viceammiraglio della Marina non aveva alcuna possibilità.

Sono come uno che vuole imparare a nuotare in pieno oceano.

Si morse il labbro inferiore, mentre gocce di sudore scendevano pigramente dalla sua fronte. Da quando il suo cuore aveva preso a battere così forte? Che fosse cosciente che quelli erano i suoi ultimi battiti? Era debole, ferito, stanco ed inesperto. Non proprio la combinazione migliore.

Chissà cosa farebbe il nonno in una situazione come questa. Si sorprese di non sapere se suo nonno fosse capace di sparare o meno. C'erano così tante cose che non gli aveva mai chiesto, così tanti racconti che non erano mai stati narrati, così tanti bei momenti assieme mai trascorsi.

Tutto per colpa di un folle bastardo... proprio come quello che ho davanti ai miei occhi...

Gli sembrò quasi di vederlo: un pirata grosso, scuro e ghignante, che decapitava suo nonno con un'enorme scure. Solo per il gusto di farlo.

Quante persone come mio nonno sono morte per colpa di simili ingiustizie? Quanti nipoti non hanno più avuto nonni al loro fianco? Quante altre morti ingiuste questo mondo dovrà vedere?

Non lo sapeva. Lui era solo un piccolo pirata, ma un pirata deciso a dare un po' di giustizia a suo nonno. Aveva giurato con tutte le sue forze di farlo, sul suo stesso onore.

E l'avrebbe fatto.

Doveva solo estrarre la pistola e sparare.

Il silenzio era opprimente. Ormai erano parecchi minuti che i tre contendenti si fissavano impassibili, i volti sudati e sfatti per la tensione. Milo volse un attimo gli occhi dal volto di Tanyu, fissando quelli di Santoli. Rimase sorpreso da ciò che vide in essi. Il carpentiere sembrava cercare di convincerlo in ogni modo di non staccare gli occhi dai suoi. Era una richiesta muta, ma tangibile.

Guardami.

Perché?

Fallo.

Passarono altri secondi, mentre lui proseguiva a fissarlo, il respiro affannoso e veloce, il cuore che esplodeva nel petto.

D'accordo.

Era tutto immobile, cristallizzato. Loro tre, una radura, il sole sopra di loro, e gli occhi scuri di Milo fissi su quelli verdi di Santoli.

Vada come deve andare.

Sembrò quasi naturale capire cosa sarebbe accaduto. Per un velocissimo istante l'aria divenne più densa e pesante del solito, mentre il pirata sentì dentro di sé una voce che gli urlò “Ora, maledizione! Fallo ora! ORA!”

ORA!

Afferrò rapidamente la sua pistola, la estrasse e premette il grilletto.

Nell'aria si udì uno sparo.

Milo premette più volte il suo grilletto, ma quest'ultimo batté a vuoto. Con il cuore in gola, il navigatore portò lo sguardo verso il suo avversario, stupendosi di non aver ancora provato dolore.

Forse quando si sta per morire non si percepisce più nulla.

Tanyu, pistola in mano, lo fissava con espressione di ghiaccio. Per un lungo istante non accadde nulla. Poi, con una smorfia di dolore, il viceammiraglio si portò la mano sinistra al petto, crollando al suolo subito dopo.

Da dietro una pistola fumante, Santoli si rigirò il fiammifero tra i denti. Fece un passo in direzione del navigatore, mentre sparava altri tre colpi contro il corpo esanime del marine, il quale non si mosse più.

“Puoi pure buttarla via.” consigliò il rosso, sorpassando il pirata, dirigendosi verso la cinta muraria. “Comunque si vede che non avevi mai maneggiato una pistola prima d'ora.”

“Come hai fatto ad essere più veloce di lui?” chiese il navigatore, mentre l'arma gli scivolava dalle dita.

“Le pistole erano scariche. Tutte e due.” Santoli sputò via il fiammifero, mentre riponeva la terza pistola nella borsa.

“Hai giocato sporco fin dall'inizio!” lo accusò Milo, mentre lo seguiva.

“Non ho mai detto che non avessi una terza pistola, né che tutte e due fossero scariche.” replicò serafico l'altro. “E comunque io non sono un marine e neanche un pirata. Non devo dare retta a signorili discorsi sull'onore e cose simili.”

Il pirata lo guardò scontroso. Non gli piaceva come era finito quello scontro. Ci vedeva del marcio, del sbagliato nell'imbroglio ordito dal rosso ai danni di Tanyu. Rivolse un ultimo sguardo al corpo riverso a terra alle loro spalle, provando una goccia di pietà per colui che, fino a pochi istanti prima, aveva tentato di ucciderlo.

“Non preoccuparti per lui.” osservò Santoli, mettendosi un nuovo fiammifero tra le labbra. “E' un viceammiraglio. Se la caverà.”

“E noi?”

“Tu sei ridotto uno schifo.” il carpentiere lo squadrò con occhio attento. “Ho degli affari che mi aspettano dentro le mura, ma temo che non posso lasciarti qui a morire. C'era un medico nella vostra ciurma, giusto?”

“Sì...” improvvisamente, Milo percepì un'immensa stanchezza dentro le membra. Fino a quel momento era stata l'adrenalina a sorreggerlo, ora che la tensione stava svanendo gli sforzi sostenuti durante la lotta vennero fuori con prepotenza. “Kalì...”

“Allora ti do una mano a cercarla.” con una rapida mossa, Santoli afferrò per la spalla buona il pirata, impedendogli di cadere. “Ma facciamo in fretta.”

Milo, aiutato dal carpentiere, cadde presto in un torpore profondo. Si sentiva stanchissimo, e si meravigliò di essere ancora capace di camminare. Eppure, poco a poco, nel profondo del suo animo venne fuori una sensazione nuova, strana. Qualcosa che aveva sentito raramente prima di allora.

Orgoglio.

Guarda Nonno... non mi sono tirato indietro.

Un sorriso leggero come il vento gli illuminò il volto. Nonostante il modo in cui era finito il duello, tutte le sofferenze patite, tutte le sconfitte subite, Milo era felice.

Aveva preso la propria via del mare, e l'aveva difesa.

Ora sono... un vero pirata.

 

 

Kalì indietreggiò rapidamente. Il piede destro però la tradì, facendola scivolare sull'infido pantano sotto di lei.

Maledizione!

Il suo avversario, l'uomo avvolto nel mantello bianco, tentò di trafiggerle il petto con il suo spadone. Non avendo tempo per usare l'arco, l'amazzone fu costretta a parare il colpo con le braccia, tramite l'haki. L'impatto causò scintille, mentre la piratessa tremava per lo sforzo di resistere.

E'... molto forte.

Fu questione di un attimo: con un rapido colpo di reni, la mora sferrò un calcio al proprio rivale. Quest'ultimo però svanì in una nuvola di fumo, ricomparendo ad alcuni metri di distanza.

Kalì si alzò lentamente, il volto sporco di fango. Aveva il fiatone, e si trovava in difficoltà. L'agilità e la forza di quell'uomo sembravano decisamente superiori alle sue. I suoi occhi caddero verso il corpo di Shun, svenuto e ferito, prima vittima della grossa lama a forma di falce del marine davanti a lei.

Digrignò i denti, mentre percepiva lo stomaco ribollire di rabbia. Shun era al suo fianco da tantissimi anni, praticamente da quando aveva memoria di sé. Vederlo ferito le provocava una rabbia cieca e sorda, qualcosa di profondamente estraneo alla sua natura di ragazza gentile.

“Non devi soffrire per lui.” osservò il marine, roteando la propria arma con abilità sovrumana. “Presto tornerete insieme.”

Il ringhio di rabbia della dottoressa divenne un verso stridulo, che le si bloccava nella gola, contratta dalla rabbia.

Mi avete già portato via una volta qualcosa...

Si conficcò le unghie nelle mani, mentre percepiva un odio immenso verso coloro che osavano fare del male alle persone a lei care.

Non capiterà di nuovo, non farete del male a Shun!

LO GIURO!

Era pronta alla sua battaglia.

 

 

CONTINUA

 

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