Where do we draw the line

di visbs88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Humans ***
Capitolo 2: *** The line ***
Capitolo 3: *** Monsters ***



Capitolo 1
*** Humans ***


Spazio autrice: scrivere questa storia è stato molto più impegnativo, complicato e interessante di quanto non avessi previsto. L'avevo progettata, molto tempo fa, come una semplice e veloce one-shot, ma a metà strada ho realizzato che avrebbe funzionato meglio come la mini-long di tre capitoli che in effetti sarà, e dunque eccoci qui. Amo con tutto il mio cuore i meravigliosi personaggi che Easley (rigorosamente scritto così) e Raki sono, e ho sudato venti camicie cercando di crearne un ritratto plausibile e IC senza essere noiosa; e, credetemi, catturare tutto il loro pazzesco spessore psicologico è una gran sfida, in cui non sono sicura di aver avuto successo, ma almeno ho tentato il mio meglio, posso giurarlo. Priscilla è lasciata perlopiù sullo sfondo, ed è stata una scelta consapevole: sono certa che ci sia molto da dire su di lei in questi contesti, ma semplicemente non era né il mio scopo né la mia intenzione. Sono anche ben conscia del fatto che i fan più affezionati coglieranno certi ben precisi paralleli, oltre a riferimenti al finale del manga: prendeteli un po' come tributi, un po' come la mera volontà di rimanere più fedele possibile all'atmosfera e allo stile di Claymore, che tanto adoro. Finito questo sermone, non mi resta altro che augurarmi che apprezziate questo mio lavoro, che ha letteralmente drenato buona parte delle mie energie e del mio tempo XD buona lettura, grazie anche solo per essere passati di qui!

 

 

 

 

Where do we draw the line

 

 

 

 

1. Humans

 

Quello sembrava proprio un giovanotto simpatico, pensò l'uomo.

Un bel viso pulito come se ne vedevano pochi ormai, tra i viandanti; un sorriso cortese e gentile, e occhi grandi, dolci e brillanti. Portava una spada sulla schiena, e pareva abbastanza muscoloso da usarla, ma chi poteva biasimarlo, di quei tempi? Comunque, non erano davvero affari suoi. Lui era solo l'uomo delle mele zuccherate, e ne porse una al ragazzo, ricevendo in cambio un paio di monete e un nuovo sorriso.

– Grazie mille – ebbe anche l'educazione di aggiungere il giovane. Com'erano buffi quei suoi corti ciuffi di capelli castani che andavano un po' in tutte le direzioni.

– Grazie a te – rispose il venditore, ricambiando il sorriso, gioviale. Stava per augurargli un “buon soggiorno in città”, come a tutti i suoi clienti di passaggio, quando notò, per caso e per la prima volta, la piccola figura accanto a lui.

Un mantello scuro, un cappuccio sugli occhi e sul volto. Una manina minuscola in quella grande e forte del ragazzo. Ben poco da cui poter giudicare, ma l'uomo era un buon uomo.

– Oh! – esclamò, un po' sorpreso – La tua sorellina non vuole nulla?

L'espressione gentile vacillò per un istante, mentre quel limpido sguardo si raffreddava.

L'aveva forse offeso? Era la figlia? O magari un maschietto molto gracile?

Poi il ragazzo ridacchiò. Un suono un po' imbarazzato, un po' forzato, ma piacevole.

– No, signore – rispose, una luce garbata e impertinente in quelle pupille allo stesso tempo un poco più serie e distanti di prima – Lei non ama molto i dolci. Sono il fratellone che non dà il giusto esempio.

L'uomo rise, aspettandosi da un momento all'altro l'inizio di un qualche piagnucolare capriccioso della pargola, come quelli che di solito seguivano la scusa di una madre per non spendere denaro – “Siamo di fretta!”, la preferita tra tutte, ma anche il “Non lo vuole davvero” si faceva sentire piuttosto spesso.

Quella piccola, però, non disse una parola.

E il ragazzo ammiccò.

– Molto cortese da parte sua, comunque – sorrise, più spontaneo, più allegro – Buona giornata. Andiamo, Priscilla.

– Buona giornata a te, giovanotto!

Ma quello aveva già fatto un ottimo lavoro a scomparire nella folla del mercato, portando con sé la propria silenziosa sorellina.

Un tipo un po' strano, ma così per bene.

Una fanciulla dalle guance rosee si fece avanti per chiedere delle mele zuccherate, e la curiosa coppia svanì per sempre dai pensieri e dai ricordi di un umano come molti altri.

 

 

Pareva che fossero capitati in città in un giorno particolarmente vivace, rifletté Raki, dando un morso al dolce che si era comprato. Di recente, dopo anni passati a evitarli, Easley sembrava avere una strana preferenza per luoghi simili.

La mano di Priscilla ben stretta nella sua, gli occhi di Raki vagavano calmi su colorate attività che un tempo lo avrebbero entusiasmato un po' di più – che un tempo avrebbero avuto proprio lo stesso sapore di quella mela: piacevole, rassicurante, vivo. Un giocoliere che si esibiva per dei bambini, per esempio. Bancarelle colme di frutta e verdura dalle tinte sgargianti, poi, risate e chiacchiere, simpatiche statuette in vendita per chi volesse abbellire la propria confortevole casa; negozi di vestiti e mercanti di seta solo di passaggio che quasi tutti ignoravano, poiché nessuno era davvero tanto ricco da permettersi vero lusso. C'erano infiniti suoni, movimenti, odori, rumori. Quasi troppi, dopo il profondo silenzio dei boschi.

In passato, i sentimenti di Raki sarebbero stati invertiti al riguardo. Curioso. O forse no, sapendo ciò che lui sapeva.

Con questa folla, Claire potrebbe essere qui e non trovarmi”.

Era vero anche il contrario? Sì, volendo essere realisti. Ma gli piaceva pensare di no – che un prurito alla nuca, un peso sullo stomaco, qualcosa avrebbe avvertito il suo istinto di tenere gli occhi aperti. Comunque, non sentiva nulla del genere, e non gli sembrava il caso di affannarsi, non lì, non quel giorno.

All'improvviso, un uomo che gli stava passando accanto lo urtò con forza contro la spalla, cogliendolo abbastanza di sorpresa da fargli cadere di mano la mela zuccherata, mangiata solo a metà.

Il frutto rotolò nella polvere e sparì in mezzo ai piedi dei cittadini frettolosi e impegnati, mentre Raki si voltava per guardare chi l'avesse colpito: un signore rubicondo che stava ridendo ad alta voce, e che non si fermò per chiedere scusa. Lui e i suoi amici sembravano parecchio allegri, benché fosse solo pomeriggio inoltrato.

C'è forse una festa in corso?”, si chiese Raki, ma poi scrollò le spalle, paziente, e fece per continuare per la propria strada.

Priscilla, però, non si mosse. Per poco lui non perse la presa sulla sua manina, il che forse sarebbe stato problematico, in tutto quel caos.

La guardò, un po' stupito: la figurina nera era rivolta in direzione del gruppo di chiassosi compari che, ignari, si stavano allontanando tra scherzi di cattivo gusto, spintoni e qualche rimprovero da un paio di donne indignate.

Oh, cielo”.

– Ehi – la chiamò, dipingendo con naturalezza un sorriso calmo e rassicurante sul proprio volto prima ancora che lei alzasse il capo per guardarlo da sotto l'oscurità del cappuccio, o così lui poteva supporre – Non è un problema. Sto bene.

Nient'altro che la pura verità; ma l'avrebbe detto anche se avesse dovuto mentire. C'erano i guai che un ragazzo come lui poteva causare iniziando una rissa, e poi c'erano i guai che lei era in grado di scatenare. Quel tipo di guai privi di rimedio, atroci ed estremi che lui non poteva risolvere, e che nemmeno Easley avrebbe apprezzato.

Ma c'era un motivo, se lui si fidava a lasciare Raki da solo con Priscilla senza battere ciglio: quell'influenza benigna che esercitava su di lei, quel legame fittizio e saldo, quella tranquillità che pareva infonderle e che prese il sopravvento una volta di più, come fu evidente quando lei annuì appena e voltò le spalle alla compagnia di ubriachi che si stava infilando in un ristorante. Raki continuò a sorridere, profondamente sollevato, e si affrettò a condurre se stesso e lei lontano da lì.

Poteva essere abituato a dormire sul filo di una lama; poteva anche avere un piano per spezzarla, in un futuro non troppo lontano.

Ma questo non la rendeva meno affilata.

 

Il sole cominciava a essere vicino alla linea dell'orizzonte. Avevano continuato a camminare insieme per piazze ampie e vicoli stretti, sempre mano nella mano, percorrendo con sguardi distanti bancarelle e volti estranei. Erano ora di nuovo sulla via principale, in mezzo a una folla che ancora faticava a scemare, ma un poco più quieta e silenziosa; forse fu solo per questo che quella voce riuscì a raggiungere il suo orecchio.

– Raki!

Si fermò subito e si voltò, spingendo il proprio sguardo al di là delle persone che lo circondavano – a volte essere diventato così alto era una fortuna. E alla fine lo vide, lì, sulla destra: Easley si trovava sul più alto di tre o quattro gradini che parevano portare all'entrata di un negozio, la sua figura magra e chiara che si stagliava contro la pietra scura degli edifici, nei primi bagliori del tramonto.

Non gli fece nessun cenno visibile, né gridò nient'altro, ma Raki si diresse verso di lui senza esitazione, facendosi largo nella corrente che avanzava nella direzione opposta. Impiegò di più di quanto lui stesso non avrebbe supposto, soprattutto perché non aveva intenzione di perdere Priscilla proprio in quel momento, ma alla fine raggiunse l'altro giovane, salendo sui gradini a propria volta per sottrarsi al flusso delle compere e dei giochi.

Easley aveva un'espressione piuttosto rilassata, su quel suo volto dalle guance appena scavate. Ma, ormai, Raki non riusciva a ignorare quella sfumatura di irraggiungibile, latente, profondo mistero che non mancava mai di velare quelle iridi grigie come ghiaccio. Come gli altri umani potessero non percepire il potere antico di secoli che giaceva in quell'attraente e pallido viandante, il ragazzo non poteva più comprenderlo; dall'altro lato, da bambino era stato magistralmente ingannato a propria volta, dunque non aveva davvero spazio per criticare.

Comunque, era felice di vederlo, di averlo ritrovato. Il che era una sensazione perfino più profonda.

– Lieto che passaste di qui proprio ora – lo salutò Easley, aprendosi in un sorriso gentile, quasi troppo amichevole – Penso di aver appena scelto il tuo regalo di compleanno.

Raki aggrottò la fronte – era nato in autunno, ed era a malapena l'inizio dell'estate, tanto per menzionare la prima delle stranezze –, ma Easley gli lanciò in fretta una breve occhiata molto più sottile ed eloquente, iniziando a voltarsi per entrare nel negozio.

Oh. Stare al gioco. Certo.

Anche il fondo di verità al di sotto della recita e delle farse era strano, comunque: che Easley volesse fare spese non era cosa che accadesse tutti i giorni, quindi Raki non ebbe problemi a mostrarsi curioso e un po' stupefatto mentre lo seguiva all'interno insieme a Priscilla.

Scoprì che si trattava di un ambiente abbastanza buio, ma con un buon profumo – quello di ferro, legno e acciaio. Non troppo difficile capire da dove provenisse: al posto di libri o alimentari, sulle pareti erano allineati spade, asce, pugnali e archi da tiro. Raki sgranò gli occhi, affascinato, non sapendo se doversi meravigliare ancora di più o se considerarlo qualcosa che avrebbe potuto aspettarsi: se c'era un singolo tipo di negozio in cui in effetti Easley non apparisse fuori posto ai suoi occhi, quello di certo era un'armeria, ma cosa di preciso...?

– Ah, già di ritorno?

Una voce matura e profonda, ma gioviale e allegra. Calzava bene l'uomo robusto e baffuto dietro al bancone.

– Sì, ho avuto fortuna – sorrise Easley, avvicinandosi, con un garbo dall'apparenza del tutto naturale – Mio fratello e mia sorella erano giusto qui fuori.

– Ottimo, ottimo! – si congratulò l'altro a gran voce, con una tale spontaneità da fare quasi tenerezza – Salve, giovanotto. Si sta divertendo in città?

– Oh, certo – rispose Raki, ricambiando con prontezza il sorriso, cercando di suonare del tutto leggero e spensierato – C'è così tanto da vedere e da fare.

– Spero ti piacerà anche quello che ho da mostrarti io, allora – replicò Easley, mettendogli una mano su una spalla in un gesto che parve quasi di vero affetto fraterno, e in un tono che sarebbe potuto apparire sinceramente, garbatamente divertito. Poi si voltò verso l'uomo, tornando un poco più serio – Possiamo?

– Sicuro – annuì quello, tutto soddisfatto e professionale, iniziando a muoversi per uscire da dietro al proprio banco – Il giorno è quasi alla fine, eh?

– Ah... dovremmo forse tornare domattina? – si affrettò a chiedere Easley, in un'imitazione composta e tranquilla, ma perfetta, della preoccupata educazione che ogni umano per bene avrebbe mostrato – Non vorrei arrecare troppo...

– No, prego! Per di qua. Nessun disturbo!

Easley, senza più sprecare nulla oltre a qualche ringraziamento e a un pallido sorriso, fece cenno con la testa a Raki di seguirli, e lui obbedì, incamminandosi oltre una serie di scaffali colmi di frecce e coltelli dal lancio in esposizione. Priscilla si mosse in silenzio, sempre accanto a lui.

Si era quasi aspettato che Easley volesse procurargli una nuova spada, magari più affilata e letale. Sarebbe stato un po' imbarazzante, perché Raki si sarebbe trovato costretto a rifiutare, sentimentale o meno che la cosa fosse, ma di certo era la prima ipotesi che saltasse in mente, no? Tuttavia, si erano allontanati dalla zona delle lame per dirigersi verso una stanza sul retro. E quando vi arrivarono, perlomeno le possibilità di indovinare sbagliato una seconda volta calarono fino a quasi toccare lo zero: Raki si trovò circondato da armature, e per un attimo si fermò, guardandosi attorno con genuino stupore.

Ne individuò subito una molto simile a quella di Galk: spessa, pesante, imponente e massiccia; poi vide che essa aveva in realtà parecchie gemelle, con elmi o scudi o ginocchiere leggermente diversi, ma tutte accomunate dalla stessa maestosa e un poco minacciosa apparenza. Poi c'erano i modelli più semplici e leggeri, cotte di maglia, guanti e gambali venduti da soli, in mille materiali e stili differenti. Easley e il proprietario, però, sembravano avere una meta ben precisa, e Raki fu costretto ad affrettarsi per non rimanere indietro.

Finalmente, si fermarono di fronte a un particolare manichino. Easley si voltò verso il ragazzo con uno sguardo eloquente.

– Che te ne pare?

Che gliene pareva? Un po' riduttiva, come domanda. Raki capì subito che, tra tutti i modelli che aveva visto in quel luogo, quello era ciò che senza dubbio riusciva a immaginare con più facilità su di sé.

Il metallo che avrebbe coperto spalle, braccia, petto e fianchi era scuro e lucido, d'aspetto resistente, ma elegante e asciutto; l'addome, così come gli spazi vuoti tra i vari pezzi, erano invece protetti da una semplice cotta nera. Tutti gli elementi insieme creavano un'impressione molto armonica, ma anche adatta al combattimento, come l'armaiolo iniziò proprio in quel momento a far notare.

– È perfetta per chi desidera essere agile sacrificando il meno possibile la protezione – spiegò, appoggiando una mano su una placca scintillante – Suo fratello mi diceva che questo dovrebbe essere il suo stile, sbaglio? Personalmente, penso che potrebbe permettersi anche qualcosa di più pesante, come...

– No – lo interruppe Easley, con calma decisione – Sono più che sicuro che questo sia sufficiente. Non è vero?

Raki esitò, preso un poco in contropiede. Non che davvero non sapesse cosa rispondere – non poteva fare altro che fidarsi ciecamente del giudizio di Easley in quella materia, per motivi che ben conoscevano entrambi –, ma quella leggerezza che l'altro era capace di fingere era sempre così... disarmante. Più che vedere Claire recitare, talvolta molto più della realtà degli eventi.

Non poteva fare a meno di notare quanto lui, l'essere umano, la persona che avrebbe dovuto sentirsi a casa, rassicurata da quell'assaggio di normalità, fosse quello a esserne più turbato.

– Certo – rispose – È... mi piace tantissimo, in realtà.

Easley gli rivolse un sorriso meno ampio, ma più serio. In qualche strano modo, molto più caldo.

– Penso dovresti provarla, allora.

 

Gli era giusto un pizzico larga, ma loro sapevano che l'avrebbe riempita in fretta. Che doveva riempirla in fretta.

Guardandosi allo specchio, era molto più semplice provare entusiasmo. Quello era un bellissimo modello, davvero, e come se non bastasse sembrava disegnato apposta per lui: trovava pressoché perfetto il modo in cui vestiva le sue spalle e il suo fisico. Lo faceva sembrare più maturo, più pronto a combattere quella guerra segreta a cui non poteva sottrarsi e che il mondo forse non avrebbe mai davvero conosciuto. Più forte, più guerriero.

Ma mentre l'armaiolo si prodigava in complimenti e il metallo scintillava, bellissimo e lucido, in mezzo all'ammirazione e alla meraviglia un pensiero lo colpì all'improvviso – così ovvio e importante che si sentì in colpa a non esservisi soffermato prima.

– Easley – chiamò, voltandosi verso di lui, sincera preoccupazione che si dipingeva sul suo viso – Non... non posso accettarla. Deve costare una fortuna.

Nel vederlo così agitato, Easley aveva sollevato un poco le sopracciglia. Ma rilassò la propria espressione non appena lui ebbe finito di parlare, mentre le sue iridi grigie si riempivano di quella sua ironica, calma, inflessibile gentilezza.

– Non ti preoccupare – rispose, con lo stesso tipo di strano, pallido e contenuto affetto nella propria voce – Non è un sacrificio, per me.

Raki corrugò la fronte, convinto solo a metà, pronto a insistere.

– È ben fortunato ad avere un fratello tanto premuroso, giovanotto – si intromise il proprietario, cordiale – È entrato qui pensando a nient'altro che lei, sa?

Avevo davvero un fratello premuroso, un tempo. Prima che...”.

Fortunato era un aggettivo particolare, molto relativo. Ma scacciò i ricordi in fretta – quanto ingrato poteva essere, nel provare amarezza nel sentire quelle parole, nel trovare il loro lato più oscuro, anziché concentrarsi su chi gli era accanto nel presente?

Easley gli si avvicinò, e lo guardò dritto negli occhi. Non sembrava irritato, e men che meno furioso, ma Raki capì prima ancora che parlasse che ogni ulteriore discussione sarebbe stata inutile.

– Ne hai bisogno e te la meriti. Sono più che lieto di comprarla per te. Un compleanno è un'occasione speciale.

Era bravo a mentire – il migliore, forse. Lo faceva spesso, nei confronti di chiunque, perfino di Priscilla, e la sua esperienza affondava le proprie radici in un tempo così lontano da sembrare eterno. Ma, messinscene a parte, Raki sapeva di essere la sua eccezione, di poter ormai discernere la verità dalle bugie, di conoscere il cuore nascosto da quel mantello.

Ed era davvero felice di potergli credere.

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Capitolo 2
*** The line ***


2. The line

 

Grazie mille, signori! Buona cena!”.

L'ingenuità umana era appiccicosa come miele: molto difficile togliersela dalla mente, una volta che se ne avesse avuto anche solo il più piccolo assaggio.

Easley aveva iniziato a impararlo solo di recente, in verità – Raki, in quanto bambino, non aveva suscitato le stesse impressioni, anni prima; per di più, era stato un caso isolato in un passato lontano, quando una guerra aperta e insanguinata ancora occupava la sua quasi completa attenzione. Ma tutti quegli uomini, tutte quelle donne, tutte quelle persone che avevano vissuto un'intera esistenza nel terrore degli Yoma e nel sospetto l'uno dell'altro nei tempi più bui, come potevano essere tanto ciechi? E riuscire a farsi scappare auguri così ridicoli e infelici – “Buona cena”?

L'avrebbe trovato delicatamente, sottilmente, beffardamente divertente, se solo la fame non fosse stata un tale tormento.

– Ehi – lo chiamò Raki, alle sue spalle, mentre camminavano per una stradina silenziosa ormai quasi buia nell'imbrunire inoltrato. Easley si fermò, ma non si voltò subito.

Abitazioni cittadine ammassate l'una sull'altra, come se la pietra e un focolare fossero davvero sufficienti a sconfiggere l'orrore di un destino bendato; i campi al di fuori del paese; le foreste; il silenzio rotto dal gocciolio di un ruscello e dall'eco delle voci dietro di lui. Il suo sguardo cercò un orizzonte invisibile e vi si aggrappò, i sensi tesi al massimo; ma... no.

Non c'erano. Non vicine, non ancora. Ma lontane abbastanza, oppure...?

Raki lo affiancò – un movimento tradito dal clangore all'interno della pesante borsa che aveva insistito di portare sulle proprie spalle. Easley colse l'espressione felice e insieme timorosa sul suo volto con la coda dell'occhio.

– Io... grazie. Sul serio.

Appiccicoso. Talvolta pungente.

A dire il vero, solo quel ragazzino, per quanto lontano mille miglia dal poterlo eguagliare in un combattimento di scherma malgrado gli anni di esercizi e insegnamenti, era in grado di graffiare davvero il suo petto con parole tanto semplici – “Grazie”. Come se Easley avesse bisogno di quel denaro per sé, come se la sua generosità fosse stata senza pari.

Ma il miele, oltre a essere viscoso, pareva che fosse anche dolce, sebbene lui non ricordasse: c'era qualcosa di piacevole nell'educata, fervente, affettuosa spontaneità di quella sentita gratitudine. Quel sorriso nel vedersi in uno specchio poco prima, quello che un adolescente umano avrebbe dovuto concedersi più spesso, aveva costretto le labbra di Easley a curvarsi a propria volta quasi senza che il loro proprietario se ne accorgesse.

In quel momento, si limitò a scuotere appena la testa.

– Figurati – rispose, calmo – Sai di stare esagerando, vero?

Raki aprì la bocca per ribattere, ma non trovò le parole e la richiuse. Cercò di rivolgergli un'occhiata d'accusa, un po' addolorata, un po' insistente, ma Easley la trovò solo buffa.

Era cresciuto. Era maturato. Ma era ancora così giovane.

Di tanto in tanto, in momenti come quello, il vento sussurrava quanto la vita fosse stata ingiusta con lui – e Easley non si era opposto, anzi, forse lo aveva e lo stava ancora trascinando più in basso. Ma d'altra parte la vita non era mai giusta, e malgrado questo quegli occhi limpidi come un cielo in primavera non si erano ancora offuscati: erano diventati più consapevoli, più profondi, più calmi, ma non oscuri. E non c'era stata molta scelta – non dopo che Priscilla lo aveva assegnato a quel suo greve ruolo, senza rendersene davvero conto.

Easley sospirò, per sgombrare la propria mente.

– Andiamo. È ora di trovare un posto per la notte.

 

Tale luogo si rivelò essere un'ampia camera all'ultimo piano di una locanda nel cuore della città. L'edificio era più alto della media, e dalla finestra aperta spirava una brezza fresca che Easley apprezzò fin dal primo istante, insieme alla vista di montagne lontane. Per il resto, poco la distingueva da locali in cui fossero stati in passato: c'erano solo un largo letto, mobili di legno, semplici vasi di fiori, un paio di divani, un armadio, e un tavolo per la cena, che fu servita poco dopo il loro arrivo.

L'oste era un altro di quegli uomini gentili e cortesi di cui quel paese sembrava colmo. Nel bussare alla loro porta ed entrare nella stanza, portò con sé un vassoio con tre piatti carichi di cibo fumante e una caraffa d'acqua.

Easley non poteva impedirsi di trovare quei momenti un poco irritanti, specie da quando aveva smesso di nutrirsi, ma, allo stesso tempo, vedere genuino sollievo ed entusiasmo apparire sul volto di Raki rendeva la pena molto più leggera.

– A voi, signori – stava dicendo l'uomo stempiato, con allegra educazione, mentre distribuiva i piatti di fronte ai propri tre ospiti. Priscilla non alzò nemmeno quel suo sguardo vuoto, mentre Easley forzava un perfetto sorriso di circostanza, ignorando l'aria appena confusa che l'umano aveva quando lo guardava. Probabilmente per quelli della sua specie non era ancora abbastanza caldo per rimanere a torso nudo, ma lui aveva deciso di non curarsene, e non sarebbe tornato indietro.

Perlomeno, Raki adempì il maniera impeccabile al proprio naturale compito.

– Grazie mille! – esclamò, impugnando già la forchetta, gli occhi pieni di quella sua brillante, chiara, tipica gioia di quando era davvero rilassato – Sembra delizioso!

– Oh, grazie a voi, grazie a voi – ribatté subito il locandiere, con modestia, prima di lanciare un'altra occhiata a Easley e assumere un'aria... preoccupata? Cosa...? – Pare che abbiate davvero bisogno di un buon pasto, figlioli. Chiamatemi, se desiderate di più.

Oh, quello.

Il ventre scavato, le costole troppo evidenti.

Se solo quell'umano avesse saputo la verità. Se solo fosse stato a conoscenza del perché Priscilla era così minuta, di cosa fosse stata prima di rimpicciolirsi a quel punto. Se solo avesse sospettato di essere decisamente più invitante di qualsiasi poltiglia di patate o bicchiere di vino.

Anche il sorriso di Raki aveva vacillato, e Easley era spiacente, per questo – per averlo portato a raffreddare quella sua espressione gentile. Per doverlo costringere a parlare con quella vaga tensione nella voce.

– Lo faremo – stava rispondendo, con cortesia, ma un poco più distaccato – Grazie ancora di cuore.

– Di nulla, giovanotto, di nulla. Buon appetito.

Easley si sentì sollevato quando l'uomo se ne andò. Si appoggiò allo schienale della sedia, incrociando le braccia sul petto. Aveva abbastanza preoccupazioni anche senza ficcanaso altruisti; per di più, anziché iniziare a mangiare di buon gusto come al solito, Raki parve inghiottire il primo boccone di malavoglia. E nell'istante in cui si lasciò sfuggire un'occhiata ferita e colpevole verso di lui, si smascherò.

Easley piegò la testa un poco di lato, una molle, stanca curiosità nello sguardo. Un'altra caratteristica decisamente peculiare degli esseri umani era quella loro incrollabile testardaggine. O determinazione, comunque la si volesse chiamare.

Non che Raki facesse complimenti in continuazione, o che non fosse capace di accettare la natura delle creature a cui si accompagnava. Ma rimaneva qualcosa di difficile con cui vivere – un dilemma. Era bravo a ignorarlo, o così Easley pensava, ma bastava poco a riportare mille incertezze in superficie.

– Il problema è qualcosa che non abbiamo mai discusso, o dovrò ripetermi?

Raki gli lanciò un'occhiata quasi storta, ma Easley non se la prese. Sapeva che la propria leggerezza, la propria indifferenza, la propria ironia ferivano il ragazzo; allo stesso tempo, però, non sapeva come altro cercare di rassicurarlo – senza intristirlo, senza assumere un'aria grave che non gli apparteneva.

Il silenzio e l'immobilità che erano calati nella stanza furono rotti dal tintinnio della forchetta che Raki abbandonò sul piatto. Easley dovette fare del proprio meglio per non alzare gli occhi al cielo, mentre quelle iridi un po' sofferenti, un po' dolci e un po' serie si fissavano su di lui in una sorta di dolente accusa.

– Prova ancora – disse il giovane, a bassa voce – Per favore.

Easley scosse la testa.

C'era dello straordinario, in quella forza di volontà, ma non era sufficiente a piegare la natura.

Aveva tentato, l'aveva fatto davvero – non aveva mai osato toccare verdure o pane, ma perlomeno aveva chiesto bistecche poco cotte, carne al sangue: rivoltanti. Un singolo, piccolo boccone bruciava nel suo stomaco con più furia della fame stessa, e dell'orgoglio insultato. L'aveva spiegato, ma Raki non voleva rassegnarsi; curioso come non mettesse la stessa pressione su Priscilla. C'erano ovvie ragioni di timore e pericolo, certo, ma Easley ne sospettava di più profonde, ed esse mettevano il suo petto a disagio: il cuore di Raki era così gentile. La sua natura umana, la pietà nel vedere un fisico assottigliarsi a poco a poco, pur sapendolo essere quello di un demone, erano così intense. La taglia di Priscilla non faceva la stessa impressione.

Il legame tra di loro era un inganno, un'illusione. A cui entrambi si aggrappavano con troppa forza.

– È come se stessi svanendo, Easley. Devi davvero mandare giù qualcosa.

Così tanta angoscia. Ma un mostro non sarebbe stato tale se non fosse stato in grado di sorridervi di rimando.

– Cominciando da chi? – chiese, con amara, delicata ironia – Da te?

Raki non mostrò paura nemmeno per un singolo istante. Solo il tormento di una questione assolutamente irrisolvibile, per la sua coscienza.

Era coraggioso. Era eccezionale, a ben pensarci.

In realtà, la sola idea di alzare un dito su di lui metteva a Easley i brividi e la nausea. Non avrebbe mai potuto. Ma la beffarda, apparente crudeltà di quelle parole non era stata priva di scopo, ed entrambi ne erano consapevoli.

Volere il bene di un Risvegliato era augurarsi che massacrasse innocenti. Eppure, quel Risvegliato era un maestro, una guida, un protettore – qualcuno che, nelle più fredde notti d'inverno, aveva lasciato che un ragazzino trovasse riparo al di sotto del suo mantello, scaldandolo nel suo sonno. Dal momento in cui avevano donato la propria fiducia l'uno all'altro, avevano dovuto accettare un compromesso eternamente bruciante, l'unica soluzione, che tuttavia implicava che entrambi rinunciassero a qualcosa – al cibo da una parte e alla generosità dall'altra, ed Easley cercava solo di spingere Raki ad adempire alla propria parte, perché quel suo animo troppo prezioso non soffrisse. Ferirlo per portarlo ad affrontare la verità e a piegarvisi: cos'altro poteva funzionare?

Easley gli lanciò un'ultima occhiata eloquente, e quindi si alzò dal tavolo e si allontanò verso la finestra. Forse così la pressione sarebbe diminuita un poco, sperava mentre si sedeva sul davanzale, appoggiando la schiena allo stipite, incurante di quanto lo spazio fosse stretto, puntando lo sguardo nel cielo ormai buio.

In effetti, la situazione si alleggerì: sentì Raki riprendere a mangiare, con quello che pareva un appetito rassegnato, ma appetito nondimeno. Era certo che quella stessa scena avrebbe potuto ripetersi mille e mille volte, senza che il ragazzo potesse mai essere convinto del tutto, ma almeno per una serata fare leva sul peso della realtà aveva ancora funzionato.

Comunque, la verità era che tutto quello sarebbe finito in fretta. Molto in fretta.

Le sentiva.

Strisciavano in lontananza.

Venivano per lui.

Raki era pronto, ormai. E lui non poteva rischiare di metterlo in pericolo per un proprio capriccio.

Era tempo.

Tempo: un'altra parola interessante. Languire per secoli per poi riassaporare la battaglia e la vita, avere un tocco di calore che mai avrebbe sospettato di poter provare di nuovo – tutto in quelli che alla fine non erano che pochi attimi, in confronto a quanto a lungo aveva vissuto. Lasciare andare aveva un sapore spiacevole, ma era inevitabile. Si chiese se dovesse avvisare Raki quella sera, ma scelse di non farlo: il ragazzo già sapeva che il momento era vicino, benché non fosse a conoscenza del vero perché, del vero pericolo.

Per un'ultima notte potevano ancora fingere, si disse Easley, mentre il vento accarezzava i suoi capelli bianchi come neve, sciolti sulle sue spalle e sul suo petto. Poteva aspettare che Raki finisse, che l'oste comparisse per sparecchiare e augurasse loro la buonanotte; lasciarlo coricarsi nel letto insieme a Priscilla, avvolgendola nelle coperte come un vero fratello maggiore; sorridergli appena dalla finestra e invitarlo a dormire senza preoccuparsi di lui; donargli la gioia di addormentarsi privo almeno del timore di essere abbandonato, sperando che nessun incubo turbasse quel suo cuore gentile.

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Capitolo 3
*** Monsters ***


3. Monsters

 

Easley ricordava i loro primi viaggi insieme – al di sotto del cielo plumbeo del Nord, pallido e grigio anche in estate inoltrata. Nel pieno delle proprie forze – nel pieno di una vittoria quasi perfetta –, nelle terre in cui aveva vagato per un'eterna esistenza, un mantello sulle spalle e neve tra i capelli, aveva camminato al fianco di un ragazzino debole, ignaro e pieno di sogni, e aveva cominciato a costruire il suo intero fato nella propria mente; Priscilla li aveva scortati silenziosa, una fanciulla dalla pelle candida come ghiaccio a cui i viandanti sorridevano con galante cortesia. L'ultima volta, invece, avvenne quando il tredicenne di allora era ormai più alto e muscoloso di lui, e teneva per mano una bambina in nero a cui gli umani, per qualche strana ragione, non volevano più avvicinarsi; fu sotto lo sguardo di un cielo azzurro appena velato, nel sole di quella che sembrava tarda primavera, il silenzio rotto solo dallo scricchiolio dei loro passi sulla strada costellata di sassi, e dal piacevole tintinnare dell'armatura che Raki aveva deciso di indossare. C'era pace, su quei campi verde chiaro punteggiati di fiori e rocce, nel vento tiepido del Sud, nel volo pigro degli uccelli.

E un bivio improvviso, come in ogni storia di scelte e di eroi, quando Easley si fermò, gli occhi fissi sull'orizzonte.

– Da che parte? – chiese Raki, in un tono calmo e leggero, al suo fianco.

Una domanda come tante altre. Per una delle ultime risposte.

Easley incrociò il suo sguardo sincero e tranquillo. Mantenne la propria espressione più pratica e più eloquente, e parlò con voce ferma.

– Lungo questa via, a pochi giorni di cammino di distanza, dovrebbe esserci un piccolo paese – iniziò, indicando la strada che serpeggiava alla loro sinistra perdendosi nella foschia di un paesaggio troppo vasto perfino per i suoi occhi – Suggerisco che lo raggiungiate, prima di stabilire dove desideriate dirigervi in seguito. Io andrò a destra.

Come si era aspettato, bastarono pochi attimi prima che sorpresa e sgomento riempissero quegli occhi castani così brillanti; insieme a una traccia di dolore, forse.

– C-cosa...? Easley...

Non poté trattenere un lieve sorriso: il cuore umano era così prevedibile. E così caldo.

– Non comportarti come se non ne avessimo già parlato.

Un rimprovero moderato, ironico, quasi morbido. Ma Raki si voltò per fronteggiarlo un poco più bruscamente del previsto – una tristezza così acuta e improvvisa su quel volto, in quelle iridi sempre pronte a prendere fuoco, che per un momento fece quasi male.

– Lo so, ma... – si interruppe, la voce un po' incrinata, e distolse lo sguardo dal suo solo per fissare con aria persa quelle placche di metallo scintillanti sulle proprie braccia, sulle proprie spalle; una consapevolezza ferita, agitata, tradita si dipinse sui suoi lineamenti, mentre i loro occhi si incrociavano di nuovo – Quest'armatura...

Il sorriso di Easley divenne più lieve, ma questo fu solo per rendere la propria espressione più seria, e più gentile.

– Già – annuì, calmo – Consideralo il mio ultimo dono. Dovrebbe servirti bene, durante il tuo viaggio.

Quando finì di parlare, un poco di controllo riuscì a tornare su quell'animo fragile e fiero: Raki serrò le labbra e raddrizzò la propria schiena, in una posa più matura, per quanto tesa. Il turbamento non era scomparso, ma perlomeno ora sembrava pronto ad ascoltare – ad accettare un ordine, se gli fosse stato impartito.

E dunque Easley parlò con cautela, e fermezza.

– Ricorda le mie parole. Fidati di me. Il destino non può essere piegato; solo costruito, ed è ciò che tu hai fatto. Non dimenticare. Mai.

Quella nuova luce, così bella e profonda. Quella determinazione pura e brillante, seria e commossa.

Un ragazzo eccezionale.

– Un giorno... – iniziò, con un leggero tremito nelle membra – Ti rivedrò?

Forse Easley non poté nascondere il lampo di tristezza che attraversò il suo viso; allargò il proprio sorriso per impedire che esso svanisse, un'ombra stretta attorno al cuore.

– Costruirlo – ripeté, sperando che l'enigma nascondesse il peso nel suo animo – Non piegarlo. Ma abbi sempre coraggio.

Una nuova ondata di sentimenti si dipinse su quel volto pallido, e non allenato abbastanza a mentire.

Ed Easley provò per la prima volta stupore, quando lacrime d'argento riempirono quegli occhi ancora fissi nei suoi, e scivolarono in fretta lungo quelle guance lisce e innocenti; mai, tuttavia, quanto quando Raki lasciò la presa sulla mano di Priscilla per avvicinarsi a lui di slancio, e per avvolgerlo in quell'abbraccio che si impresse sul suo cuore come un marchio di fuoco.

Fu stretto, e caldo. Easley rimase immobile, sgranando appena gli occhi, lasciando che le lacrime di Raki bagnassero la sua spalla e poi corressero lungo il suo braccio, più brucianti del tocco del sangue, a cui la sua pelle era abituata fin troppo; ascoltò i singhiozzi di un petto più ampio del suo senza muovere un muscolo; non reagì alle mani aggrappate alla stoffa dei suoi abiti come a un'ancora di salvezza, o di dannazione.

Quale splendida immagine di illusione.

Si costrinse ad accennare un nuovo sorriso, benché Raki non potesse vederlo.

– Ricordi quale creatura stai abbracciando, vero?

Ma quella volta, la ragione non avrebbe prevalso.

Raki scosse la testa e lo strinse più forte, piangendo sul suo collo.

E fu allora che quello spettro di anima nel petto di Easley tremò davvero. Era giusto chiamarlo anima? O era un inganno a se stesso? Quale importanza aveva, quando il morso di una sofferenza inquieta e quasi dimenticata si stringeva sulle sue viscere?

Fissò il blu del cielo, tentando di svuotare la propria mente.

Era un mostro. Nulla – né la morte di Priscilla, né il crollo dell'Organizzazione, né lo svanire delle guerriere – avrebbe potuto cambiare quel fatto così semplice, e così insovvertibile.

Aveva giocato troppo a lungo, si disse.

Gli dispiaceva.

Fu perfino più difficile accettarlo quando Raki si sollevò, quando fu possibile vedere il suo viso rovinato da lacrime e pianto – troppo vicino, e troppo umano.

– Grazie – mormorò il ragazzo, la voce rotta – Grazie.

Easley lasciò che un velo di tristezza attraversasse i propri occhi.

– Dovresti attendere la fine, per ringraziarmi o meno.

Ma Raki scosse la testa di nuovo. Si allontanò un poco da lui, lasciò la presa sulle sue spalle, si asciugò le guance con una mano; lo fissò di nuovo, con un coraggio così intenso, così colmo di speranza e forza, che mai sarebbe stato possibile scambiarlo per disperazione.

– Sono felice di aver viaggiato con te. Non ti dimenticherò mai. Io... combatterò. Come so che tu farai.

La dolcezza e l'amarezza. L'ingenuità e il fato. Un'umanità troppo profonda.

Ed Easley tornò ad ammorbidirsi – curvò le labbra di qualche invisibile millimetro.

Combattere. Un suono dal sapore più familiare, più sicuro.

– Sei saggio, per la tua età – osservò, riprendendo in fretta il controllo della propria ironia, del proprio sguardo affilato, di un animo forgiato dai secoli – Bene così, dunque.

Raki rimase a fissarlo, mentre troppe parole non dette sembravano vibrare nell'aria; ma Easley abbassò lo sguardo, scoprendo che il viso in ombra di Priscilla era rivolto verso di loro, in alto. In ascolto.

– Prenditi cura di lei.

Era strano, come nulla di quella frase avesse avuto il tono del sarcasmo. Ma, in fondo, il mondo non era tutto ciò che Raki avrebbe salvato.

Una volta che il ragazzo ebbe annuito, serio, Easley si allontanò di un passo, muovendosi verso la propria strada, sulla destra. Ma decise di voltarsi un'ultima volta, con il proprio sorriso più moderato e più vero – quello che voleva che quel giovane portasse con sé nel proprio cuore d'oro. Guardò i suoi occhi commossi, il suo volto rigido d'emozione, l'armatura scintillante.

Un fugace lampo di orgoglio, per il guerriero di cui più si fidava in quel mondo sull'orlo del baratro.

– Buon viaggio, Raki.

E con quelle ultime parole se ne andò, lasciandosi alle spalle per sempre l'inganno che gli aveva portato ciò che più di vicino alla gioia un mostro potesse provare.

Appena in tempo.

 

 

Le aveva già affrontate tre volte.

Quando cominciarono a correre, distanti, ma non abbastanza, lui si fermò, nel cuore della foresta buia in cui si era inoltrato – sentimenti altrettanto oscuri che si annodavano nelle sue viscere, mentre i suoi occhi si trasformavano in ghiaccio.

Anche l'Organizzazione si era impegnata a costruire il destino, pareva; possibilità che lui aveva sottovalutato troppo a lungo, poiché piani più grandi avevano occupato la sua mente mentre quei bastardi continuavano a strisciare sottoterra, aspettando solo il momento migliore per emergere dal fango e afferrare le sue caviglie con mani di scheletri.

Costruire, non piegare”, aveva detto. Lo credeva. Ma ciò non significava che lui non potesse scalciare e rompere quei teschi ghignanti che cercavano di morderlo. Se non fosse stato per loro, l'addio che gravava sul suo petto, l'odore di lacrime e quello della fine non avrebbero avuto motivo di esistere, ancora. Il tempo gocciolava, la fame lo corrodeva, ma l'onore e l'orgoglio bruciavano: forse il tempo per costruire non era terminato. Forse, battaglia dopo battaglia, fuga dopo fuga, ferita dopo ferita, sarebbe stato possibile formulare un piano, e schiacciare quei cani rabbiosi che osavano braccarlo, le pulci sul mantello di un Re.

Fino ad allora, tuttavia, i giorni sarebbero stati correre e combattere, benché, a parte se stesso, non ci fosse più nulla da proteggere.

 

Infine, arrivarono, trascinando i loro piedi sul suolo muschioso e irto di rami del sottobosco; scricchiolando, annusando, ansimando attraverso i loro denti fetidi, graffiando la corteccia degli alberi mentre vi si aggrappavano con i loro artigli. Scivolavano, ombre ruvide nel buio verdastro, coi loro suoni rivoltanti, con la loro angosciante e ingannevole lentezza – la preda raggiunta, un bersaglio quasi troppo facile.

Strisciarono fino a circondarlo, serrando il perimetro della larga radura in cui lui aveva scelto di attenderle, una dopo l'altra, passo dopo passo, mentre una nuvola oscurava il sole già incapace di farsi strada fino a terra. Forse si sentivano astute, ma Easley non vi trovò motivo di turbarsi: se avesse voluto scappare, avrebbe tentato con risultati migliori, non credevano? No: sapeva che lo avrebbero raggiunto. Sapeva che lo avevano trovato. Sapeva che nulla ormai le avrebbe fermate, eccetto lui stesso.

Rabbia. Disgusto. Disprezzo.

Vedeva i loro occhi orrendamente cuciti, udiva i loro respiri incerti e affamati.

Facciamola finita, puttane”.

Sollevò un braccio di lato, di scatto; e, come le bestie assetate di sangue che erano, le divoratrici balzarono fuori dai loro rifugi d'ombra e d'orrore, figure grigie che nulla più avevano di donna, e tutto dei mostri osceni che gli umani erano soliti fabbricare nei propri incubi, le zanne gialle e marce in mostra in un ghigno vuoto e insaziabile; ma Easley era pronto a dimostrare il valore di una creatura sorta davvero dal più nero degli Abissi.

La battaglia doveva finire in fretta – poco importava se avrebbe consumato le ultime briciole della sua energia: c'erano soluzioni migliori nel futuro, e doveva solo sopravvivere abbastanza a lungo da raggiungerle. E così, in un lampo che abbagliò perfino quelle orbite così orribilmente serrate, in un'esplosione che scosse il terreno e le radici stesse degli alberi, in un momento di caos e perfetto controllo, il centauro apparve.

La più pura e profonda forza dello Yoma riempì ogni suo nervo. Un istante, e le sue braccia erano un arco; quello successivo, le cervella bianche e ottuse della bestia di fronte a lui erano sparse sull'erba verde scuro, come neve caduta da un lurido cielo.

Tentò di dirigere gli altri dardi verso alcune delle sue compagne, ma esse si erano già riprese dal loro piatto, istintivo stupore, e schivarono – così veloci, troppo veloci.

Ed il primo morso già stringeva una delle sue caviglie.

Maledizione”.

Si liberò della creatura con un calcio, ma tre di loro stavano tentando di aggrapparsi alle sue braccia, arrampicandosi come ragni osceni. L'arco mutò in lame che troncarono quei corpi in due, lasciandoli precipitare sul terreno; ed Easley non si fermò a osservare il loro disgustoso riformarsi, le gambe ricrescere dal torso putrido – non mentre alcune delle bastarde avevano saltato abbastanza in alto da raggiungere il suo ventre, e le altre graffiavano e azzannavano le sue gambe, iniziando a strappare la carne.

Con un balzo di furia, con la velocità straordinaria di quel corpo immenso ma perfetto, Easley tentò di scrollarsele di dosso, tutte loro, fino all'ultima; non c'era spazio a sufficienza per non scontrarsi contro i tronchi neri degli alberi con un fianco, con un urto così poderoso da sradicarne tre con il proprio peso e spezzarne due con il movimento brusco di un braccio e delle sua coda. La foresta era troppo fitta perché cadessero, almeno fino a quando le altre file avrebbero retto, ma la terra fu scossa come se volesse ruggire, e le pulci furono costrette a lasciare la presa – cinque nuovi dardi furono incoccati in un battito di ciglia: tre andarono a vuoto, uno trapassò uno stomaco in pieno, solo il quinto centrò una testa.

Quattro in più. Solo quattro”.

E le sue gambe già dolevano, e la fame era più lancinante che mai. Ma un'idea prese forma nella sua mente, mentre già nuove mani strisciavano sul suo corpo – e doveva solo sperare di sfruttarla al meglio.

Prima che potesse anche solo tentare, quei denti penetrarono la sua pelle cento, mille, infinite volte. Arrivavano da troppe direzioni, troppo agili, troppo mostruose – le mutilò, le fece a pezzi, si torse con tutta la propria rabbia, e loro tornavano, come se inarrestabili, le labbra livide gocciolanti di saliva dall'odore di fiele. Non un solo sentimento di paura, in quei petti privi di cuore; niente dell'esitazione, dei piani, del coraggio e del fuoco delle guerriere d'argento; non un attimo di requie, non un singolo pensiero che non fosse di bestia.

Le odiava. Le odiava con tutto il furore di un orso legato a un palo e attaccato da meticci per il divertimento di chi piazzava le scommesse, e con lo sdegno di un principe in catene morso dai ratti di una prigione umida e marcia; odiava l'impotenza, odiava l'angoscia di essere la preda quando per secoli non aveva che cacciato, odiava scalciare come un qualsiasi puledro spaventato da una serpe o domato da una briglia; odiava perfino quell'odio, quei veleni che lo corrodevano, che offuscavano la sua mente e che mescolavano le aure impure che si agitavano attorno a lui.

Pochi dei suoi colpi mancavano, ora che la battaglia infuriava davvero, ora che più e più schegge di legno riempivano l'aria; ma nessuno funzionava, se non a rallentarle. Le sue energie si affievolivano a ogni dardo sprecato, a ogni morso che tentava di strappare la sua stessa carne dalle sue ossa; ma la rabbia continuò a bruciare, di minuto in minuto, fino a quando la sorte non decise di sorridergli, fino a quando non fu abbastanza veloce da calpestare la testa lurida di una divoratrice già priva di braccia e gambe con uno dei suoi zoccoli: una scintilla di sanguinosa speranza, la decisione di valere mille volte più di loro, la nuova fortuna di sentirne tre aggrappate insieme al proprio fianco, tentando di scavare nel suo ventre per trovare le sue viscere – tutte dalle medesima parte alla giusta distanza l'una dall'altra, nell'istante in cui lui prese coscienza che la fame e la confusione erano quasi al punto da essere insopportabili, nel secondo che lo trovò pronto ad agire per un'ultima, fatale volta.

Ignorò le altre sei, troppo disperse attorno a lui, per quanto ferocemente lo azzannassero; e con tutto il potere dell'Abisso, con la propria forza più brutale, con lo sforzo più immenso che potesse chiedere ai propri muscoli e ai propri nervi straordinari, con la velocità del più impercettibile battito di ciglia, Easley saltò di lato, scagliando il proprio intero corpo e il proprio peso contro gli alberi più larghi e robusti, costringendoli a crollare sui loro compagni – dolore lancinante sulla sua carne ferita, e il suono di tre mosche schiacciate contro tronchi neri antichi quanto il mondo.

Le lunghe gambe del centauro si piegarono nell'urto, le ginocchia raggiunsero il suolo senza che lui potesse fare nulla per evitarlo: il Re del Nord si accasciò, sconfitto dalla propria stessa potenza, ma un braccio ancora sollevato per proteggersi da coloro che avrebbero potuto attaccarlo dalla radura invasa da rami e foglie e polvere.

Ma le vide fermarsi, come raggelate, per istanti in cui perfino il cadere dei detriti dal cielo parve rallentare, come la prima neve d'inverno.

Sangue grondava dalle loro bocche di belve. I loro corpi nudi e grigi ricadevano flosci sulle loro ossa d'acciaio.

E poi andarono via.

Sei lampi, sei diverse strade in una foresta ancora scossa dal capitolare di un gigante.

Easley si alzò d'istinto su gambe deboli che a malapena riuscirono a reggerlo; barcollò fino al centro della radura, guardandosi attorno, sentendole sparire con una velocità troppo ampia per i suoi sensi stremati; si arrese prima ancora di tentare.

Non c'era modo di poterle seguire e distruggere per sempre. Non ancora. Non quella volta.

E così, come nel più squallido dei sogni, come nella più triste delle feste, come nei più vividi e spietati banchetti di morte, dopo il caos del sangue e delle mute grida, dopo il rombare di ogni ferita e di ogni pugno, e dopo lo scuotersi della natura e delle creature al di sopra di essa, non rimasero né vittoria né sconfitta.

Solo il bianco, nudo, emaciato corpo di un giovane dai capelli di neve, disteso su un fianco nella polvere di una pace presagio di sola guerra.

 

Non si prese il disturbo di misurare il tempo.

Non contò i propri lenti, silenziosi respiri; non ascoltò i battiti sordi del proprio cuore. Lasciò che una brezza inquieta lo accarezzasse con mani fredde, e che le schegge sotto di lui lo pungessero: poco aveva importanza.

Infine si sarebbe alzato, certo. Non era quello il luogo in cui sarebbe morto, né il momento – non dopo aver lottato così poco; ma quel riposo era inevitabile e necessario, per quanto lui lo detestasse, per quanto l'orgoglio gli impedisse di dormire. Le forze ritornavano a poco a poco, da recessi di energia che nemmeno era mai stato conscio di possedere, ma non era così sciocco da volerle sprecare troppo in fretta. Avrebbe atteso, gli occhi chiusi per non vedere le ombre né calare né svanire, senza pensare, ricordare o sperare; solo atteso, fino a quando alzarsi e rimettersi in viaggio non fosse stato semplice come impugnare una spada.

O tali erano state le sue intenzioni, prima che il fato decidesse di porgergli con garbo un quanto mai gradito aiuto.

Il trotto di tre cavalli. Odore di carne e tintinnio di staffe. Voci.

– Che diamine è successo, qui?

– Non avevo idea che il sentiero si interrompesse, oggigiorno...

– Nemmeno io.

– Ora dovremo aggirare questo disastro. Non possiamo certo tornare indietro!

– Dovrebbe esserci una radura qui attorno, ma dubito che esista ancora...

– Ma come è mai possibile che alberi come questi crollino?

– Non ne ho idea. Non ne sapevo nulla.

Il suono ritmico degli zoccoli ferrati sul terreno duro cominciò a farsi più vicino, seppur seguendo un percorso lento, strano, irregolare, su pietre, radici e rocce.

Easley non mosse un muscolo; non sorrise, né si agitò. Rimase immobile, senza coprirsi, senza nemmeno pensare ad alzarsi e ad andare loro incontro – non finché le sue prede, infine, si muovevano verso di lui con tale amabile, docile indole. Il fatto che non smettessero di parlare, di scambiarsi quei loro commenti vuoti e privi di qualsiasi scopo che non fosse produrre rumore, di lamentarsi delle loro effimere fatiche rendeva ancora più facile il compito di seguirli nei loro passi, senza che nemmeno un singolo sforzo di vera concentrazione gli fosse richiesto.

Il suo cuore era vuoto tanto quanto il suo stomaco.

Quando gli umani raggiunsero il limitare della radura, si fermarono, in un momento di stupito, profondo silenzio. Easley conosceva la ragione dello strano orientamento dei tronchi piegati e vinti, di come lo spiazzo nella foresta potesse ancora essere libero da ciò che non fossero modesti rami o piccoli, fastidiosi detriti, di ogni singolo dettaglio di ciò che era accaduto; ma non aveva certo alcune intenzione di condividere con chi il destino aveva designato come ignaro.

– Cosa diavolo...?

– Questo è... assurdo!

– Ehi! È un ragazzo, quello?

Una nuova pausa, dei sussulti, il nitrito di un cavallo.

– Una persona, senza dubbio...

– È... morto?

– Non lo so. Dobbiamo controllare. Potrebbe essere svenuto.

– Sei impazzito? Vuoi avvicinarti a qualcosa del genere?

– Cosa dovrei fare? Abbandonarlo lì?

– Non mi piace. Non mi piace per niente.

– Potrebbe essere un mostro che fa il morto.

– Potrebbe essere un umano ferito!

– In questo posto? In una foresta deserta? Senza vestiti? Non essere un idiota.

– Non perde nemmeno sangue.

– Andiamocene di qui, in fretta.

– Sono d'accordo.

– Voi fate come più vi aggrada. Ma dimenticate i briganti che si aggirano in questi luoghi. Non posso lasciarlo lì.

Un cavallo iniziò a dirigersi con cautela verso il centro della radura, mentre gli altri due si ritraevano appena, anche se con evidente esitazione.

Curiosità, presumibilmente. E la classica, tipica ingenuità umana. Appiccicosa? Dolce? Amara? No: in quel momento, solo ridicolmente patetica.

Né la generosità né la saggezza vi salveranno, oggi”.

– Ehi... mi senti? – piovve dall'alto la voce giovane e gentile, alta e sicura, nel momento in cui la presenza del cavallo divenne incombente sopra di lui.

Easley sollevò le palpebre. Guardò l'ombra dell'umano con la coda dell'occhio, senza nemmeno metterne a fuoco i lineamenti. Scomparve, o così sembrò.

Aveva abbastanza forze, per quello.

Per prima cosa, era utile assicurarsi che i due intelligenti codardi non cercassero di fuggire al galoppo. Non che lui non sarebbe stato in grado di catturarli in qualsiasi scenario, ma davvero non era in vena di cacciare o di muoversi più di quanto non fosse necessario. E così spezzò i loro colli fragili uno alla volta, con una sola mano, trascinando i corpi a terra, tra le gambe dei cavalli già in preda al terrore.

Non si curò dell'urlo di orrore che il loro cortese e altruista compagno lanciò.

Perlomeno non dovrai convivere con l'idea di averli condannati. Sbagliata, peraltro”.

Un dono estremamente magnanimo, lasciare cadere i due cadaveri al centro della radura e trapassargli il petto con un braccio. O così poteva essere piacevole pensare.

Gli animali fuggirono, scalpitando, nella foresta in cui i loro predatori li avrebbero prima o poi abbattuti, specie perché la notte era vicina a cadere. E dunque rimase solo il tonfo delle ginocchia di Easley di nuovo sul terreno, e il primo strapparsi delle vesti e delle carni.

Si nutrì. Mangiò fino a lasciare solo le ossa e le teste dagli occhi vuoti. Usò le mani per aprire i loro ventri e vi affondò il volto, ingoiando frammenti di organi masticando a malapena. Erano caldi, e bruciavano lungo la sua gola e nel suo stomaco, intestini, cuori, muscoli, pelle: sapori mai dimenticati, e agognati troppo a lungo. Si ricoprì di rosso vischioso, l'odore minacciò di stordirlo come il liquore annebbiava le menti degli uomini, il gusto ferreo si fece più intenso a ogni morso. Spezzò tendini e giunture, sfondò costole e bacini e nervi, non lasciò neppure un lembo di carne attaccato alla più piccola delle falangi. Si immerse nell'ebbrezza, e la fame pareva crescere anziché soddisfarsi; si ritrovò in compagnia di quelli che nemmeno potevano essere chiamati relitti, e sapeva di necessitare di più, di più, di più, benché già si sentisse più forte del se stesso che ancora non aveva affrontato le divoratrici quel giorno. Ma era così insaziabile, così bramoso di quella dolcezza tiepida vicina al più puro dei piaceri, che nel fissare una goccia di sangue un poco più scura scorrere dal palmo della sua mano sul polso e poi lungo l'avambraccio, non poté che leccarla per poterla bere; e fu in quell'attimo che un brivido corse lungo la sua schiena, così intenso da farlo tremare, i denti ancora premuti sulla propria stessa carne.

L'odore. Quell'immagine di se stesso.

Misto a un innaturale disgusto, quell'inspiegabile sollievo, più nero dell'Abisso.

Essere così grato a un destino beffardo, solo perché mai Raki l'aveva visto così, e mai sarebbe accaduto.

 

Avrebbe trovato un fiume in cui ripulirsi; avrebbe portato con sé uno dei mantelli da viaggio di quegli uomini, fino a quando non fosse riuscito a procurarsi abiti migliori; avrebbe vagato nel Sud, un principe esiliato. Avrebbe continuato ad affrontare qualsiasi arma l'Organizzazione avesse deciso di scagliargli contro, e forse avrebbe perfino pregato, perché quel ragazzo sopravvivesse e trovasse colei che stava cercando, prima di scendere nella propria ultima battaglia.

Una memoria era stata abbastanza per schiarire la sua mente, per strapparlo dall'apatia di uno scontro appena concluso e dalla folle euforia di un pasto mostruoso: era molto più di tutto ciò.

Era un guerriero, era un Re. Era piani e vivere nell'ombra. Era vendetta, forse, ed era la solitudine dei ghiacci di montagne troppo lontane perché gli uomini le conoscessero.

Se Raki avrebbe combattuto, se una singola speranza di rimettere insieme i cocci già appassiti del miraggio di una famiglia effimera esisteva, non c'era ragione perché Easley si fermasse. Quel ragazzo aveva già abbracciato fin troppo in fondo il confine tra umano e Yoma, trascinando l'Abisso con sé. Divisi da guerra e condanna, forse entrambi avrebbero dimenticato, ritornando alla sicurezza di ciò che avevano sempre conosciuto; o forse lo sguardo e il sorriso di un giovane eroe erano ciò che Easley doveva desiderare di rivedere, attraverso le spade e le divoratrici affamate della sua carne.

Forse, nella maniera di un mostro, pronto a distruggere per non essere distrutto, e a usare la crudeltà e la rabbia degli incubi, a non lasciarsi schiacciare, forse un futuro era ancora possibile.

Nella maniera di un mostro, forse non era così sciocco sperare.

 

 

 

Spazio autrice: per chi si stesse chiedendo come Easley sia sopravvissuto per un paio di anni alle divoratrici quando qui è dipinto così relativamente debole, l'unica risposta che darò è: mangiando. Chi vuole intendere intenda. :P

E con questo si conclude il nostro breve viaggio insieme. Spero una volta di più che abbiate trovato la mia fanfiction apprezzabile! Un bacione, e grazie per aver letto.

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