Prometheus

di Bael
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Arise Again ***
Capitolo 2: *** Neonato ***
Capitolo 3: *** Crimini ***
Capitolo 4: *** Contatto ***
Capitolo 5: *** La scelta ***
Capitolo 6: *** Prometeo ***
Capitolo 7: *** Puniti ***
Capitolo 8: *** Parto ***
Capitolo 9: *** Complice ***
Capitolo 10: *** Scoperta ***
Capitolo 11: *** Risparmiala ***
Capitolo 12: *** Fuoco ***
Capitolo 13: *** Fuga ***
Capitolo 14: *** Mu - il nulla ***



Capitolo 1
*** Arise Again ***


Prometheus

Arise Again

Il vento non ti tocca, la sabbia solo ti attraversa, ondeggia poco, forse, ma neanche questo è esatto, perché si trascina sfinita indugiando, fuggendo. Il cielo nero e profondo come mare di notte, macchiato di sporcizia e foglie, rifiuta la luce e i suoni, tutti, sono sbadigli, sono grigiore, sono eco.                                                            
Decadenza. Decadenza e crepe. Tutto si sbriciola, tutto scricchiola, tutto vorrebbe aprirsi, dolcemente, per rompersi, crollare e cessare, infine, tutto.                                                                                                  
Forse, un giorno, diventerò polvere a mia volta. Ma non ha importanza. Non ora.                                                                               
Un sospiro, non ho contato quanti ce ne sono stati prima. Troppi, sicuramente. Ma questa volta non c’è pazienza.                                                                             
Quando tutto questo avrà fine?   

***

 “Abbiamo finito”                                                                                     
La mamma guarda il dottore. Ha sempre quel modo di guardare le persone che si occupano di me, come un cagnolino che si aspetta una carezza a rassicurarlo, a dirgli che, sì, andrà tutto bene e che il mondo è semplice, facile, è giocare. Giochiamo.                                
Sembra piccola, sembra una bestiolina che china il capo, docile e sottomessa. Rassegnata. Anche il dispiacere man mano era sfumato e poi: vuoto. La mamma mi aiuta a spostare le gambe oltre il lettino e mi infila i pantaloni. Sono ruvidi e freddi, si sono raffreddati là sullo sgabello nero, poi mi fa indossare la maglietta. Quella è meno fredda ma le cuciture interne sono fastidiose. Col tempo ho imparato a ignorare anche l’umiliazione. Diventa facile, quando non hai scelta. All’inizio camminavo almeno un po’, mi succedeva di parlare, ora invece, con la morte di papà, la morte di Light il mondo mi si era chiuso attorno come un palloncino nero: più cresce più l’apertura a quel che c’era all’esterno si fa piccola, fino a sparire. E un giorno sarebbe successo: il palloncino si annoda. Ma andava bene: nel palloncino nero, almeno, c’era sempre più spazio, più spazio dove accovacciarmi: perché parlare se non avevo nulla da dire? Perché camminare quando non c’era luogo dove volessi andare? Sono morti. Non c’è niente da dire, non c’è posto dove trovarli nuovamente.                                                                             
“Mi spiace signora Yagami, ma Sayu non ha fatto nessun tipo di progresso. In compenso è in perfetta salute fisica” dice il dottore. Si toglie gli occhiali e li infila nel taschino. Il neon gli fa scintillare la pelle umida della fronte e i radi capelli bianchi, mentre si siede dietro la scrivania. Mamma annuisce tende le labbra affossando ancor più le rughe nella pelle morbida, abbassando le palpebre.                                                                            
Il dottore ci accompagna alla porta dello studio, le ruote si muovono sotto la sedia fino a fermarsi davanti all’ingresso, ma invece di aiutare mia madre a sollevare la sedia a rotelle sugli scalini si ferma e la guarda. Poi gli occhi si abbassano e le sopracciglia sembrano vibrare.                                                               
“Signora, come le ho detto non posso fare nulla per aiutare la signorina Sayu, tuttavia le consiglio di rivolgersi una specialista, ecco, ecco…” farfuglia cercando stancamente in una tasca, prende un cartoncino.                                                                                                               
“Si tratta di una psicologa, sono sicuro che si potrebbero ottenere dei miglioramenti” disse.                                    
Il volto di mamma per un attimo si illuminò di speranza, poi la luce si spense e accettò il cartoncino. Comprendevo: nutrirsi di illusioni era doloroso. Dalla psicologa ci andammo per davvero, perché, mi aveva detto mia madre, vanno fatti tutti i tentativi, perché non immaginavo, aveva aggiunto, quanto avrei ottenuto tornando quella di prima. Io, poi, non ero in condizione di protestare. Avevo passato qualche minuto prima di addormentarmi a immaginarmi sul lettino della psicologa che mi mostrava macchie d’inchiostro su carta bianca, ma io non avrei parlato, perché le chiazze scure si sarebbero dischiuse come ali ricoprendomi di buio. Invece quella donna non parlò con me. Non la vidi neppure: volle incontrare solo mia madre e io ascoltai fuori dalla porta dello studio, nella sala d’attesa. Era socchiusa perché non c’era nessun altro.                                                                                                         
“Farla riabilitare in una sede esterna potrebbe farla chiudere ancora di più, per il momento consiglio che i primi passi siano fatti in un ambiente familiare e la ragazza va scossa: le faccia ascoltare della musica, la porti a teatro” aveva detto. E mia madre le aveva creduto perché non esiste vita che quella che si vive, la vita di una persona normale che non si rannicchia dentro un palloncino nero, ma vede amiche, va al bar con un ragazzo di pomeriggio, poi si costruisce una famiglia. Vita non è raggomitolarsi su se stessi. Non per mia madre. Per qualche settimana l’avevo vista fare telefonate davanti all’elenco telefonico chiedendo orari, prezzi e spettacoli e appuntando tutto diligentemente sul squadernino a quadretti dove la psicologa le aveva detto di annotare i passi avanti della sua bambina malata.                                                                                       
“A teatro, tesoro, interpreteranno Medea, penso che potremmo andarci questo sabato” disse con voce dolce e stanca. Più che mai avrei voluto gridare. Mamma, mamma, non ti ricordi? Una volta ero una ragazza, una ragazza normale, che non voleva ascoltare la musica classica che fai esplodere nella mia camera, ma amava i cantanti carini, che non andava a teatro, ma al cinema, una ragazza a cui piaceva, sì, piaceva!, essere guardata con desiderio. Gridare, gridare, gridare. Ma la bocca restava chiusa e la voce bloccata in gola.                                                                                                             
E quel sabato su una poltrona rossa e morbida le luci si spensero e nel buio vidi la donna. Medea. L’attrice aveva i capelli rossi, anzi arancioni e il suo viso era cosparso di lentiggini. Medea.               
Per qualche motivo mi faceva paura: non perché aveva ucciso suo fratello, per amore di Giasone, non perché era una maga, ma per l’odio gelido che aveva nel sapersi diversa e superiore, per la fredda razionalità dei suoi gesti. Per quell’atteggiamento intelligente, ma terribile. Lo vedevo quando muoveva le braccia, quando chinava la testa, quando reprimeva la rabbia mentre il suo uomo la ripudiava per una sposa di rango nobile.                                                                
Il palloncino nero. Il palloncino esplode e il freddo arriva come elettricità. Il mio rifugio! Esploso. E ora. Ho. Paura. Ora ho…

***

Nessun terrore solo sorpresa. Che presto diviene consapevolezza, per mutare ancora. Perché non è più il vuoto asciutto, secco e arido che sento scivolare sinuoso come un serpente dallo stomaco al petto. Non è tensione statica quella che piuttosto esplode lungo la schiena. Non è. Non più.                                                                          
È quello che avevo dimenticato: è euforia. Tale che griderei, mentre il vento sbatte più forte di quanto abbia mai fatto contro il mio viso; mentre il bianco che prima era stata una luce lontana riempie i miei occhi, scotta, li scava, distrugge, grida.                                                          
Sono tornato!
 

***

Medea grida: tutto il suo volto è contorto perché la bocca si apra e un suono terrificante piova in tutto il teatro. Due coni di luce: uno splende su Glauce che si dimena con la veste avvelenata strillando di dolore, l’atro illumina una scalinata e una parete con finestra, Medea grida la sua furia sporgendosi dalla varco rettangolare all’unisono con Glauce, che si irrigidisce, si inarca. Muore. Medea smette di gridare, un movimento spontaneo e rapido come quello di un serpente, quando il collo scivola perché l’attrice volga lo sguardo al pubblico e quello sguardo è di nuovo freddo e fiero e, sono sicura, guarda verso di me. Quegli occhi non sono quelli di una donna, ma di un Dio della morte. Freddi come una colonna di pietra, soffusi come un rimbombo. Medea posa il piede su uno scalino e discende la scale folle e assennata. I passi risuonano appena e terminano con un suono più grave, come se uno strumento musicale stesse accompagnando i suoi piedi e persino l’aria attorno sembra piegarsi.                                                                            
La paura diviene terrore e sento me stessa rantolare. I miei respiri, sono i miei respiri ad assomigliare a dei singhiozzi. “Sayu” dice mia madre. 
“Sayu, amore, è perfetto, è un miglioramento, tesoro”                            
Non capisce, non capisce, Medea è la morte e si sta avvicinando, come acqua che sale finché anneghi. Morta. Annegata.                                                                                       
Lei non capisce che è pericolo: non può sentirmi gridare!                         
Aaaaaah!                                                                                                        
I singhiozzi sono più acuti più forti, una donna si gira a guardarmi e io vedo solo il riflesso bianco del suo sguardo curioso. Medea, invece, ha gli occhi spalancati verso di me.                                  AAAAAAAH!                                                                                         
Potenti e terribili. Poi ci fu il rumore. Le grida degli altri, la gente che si alza in piedi e io che a terra fisso le loro scarpe.                                                
BAM!                                                                                                                              
Anche la mamma sta gridando, il mio sguardo corre per il soffitto, nella mia mente Medea scende le scale con occhi rossi.                                                   
“Yagami bastardi! Dio risorgerà!”                                                       
Attorno a me il panico.                                            
BAM!                                                                                                                    
Non più gli occhi di Medea scintillano di rosso davanti a me, ma gocce che si librano per un istante interminabile fino a cadere sul mio volto. La voce di mamma. Non c’è più.                                                                  
La mandibola trema. Apro la bocca. E grido.                                                                                                                                                                                                                                                                                                         

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Capitolo 2
*** Neonato ***


neonato

Neonato     

 

 Medea ha ucciso mia madre.

Questa frase suona sciocca, mi è stato già spiegato come è andata veramente, tuttavia non riesco a credere a qualcosa di diverso da questo: Medea ha ucciso mia madre.

L’ha uccisa mentre l’aria cambiava colore e diventava inchiostro, mentre le forme si piegavano, il soffitto si abbassava, fino a trasformare il mondo in un cilindro che come uno scivolo ti risucchia a velocità terrificante verso qualcosa.

Occhi rossi.

Ora basta. Non devo pensare. Il poliziotto, il poliziotto mi aveva detto tutto quanto:  Sodatu Saji, ex agente di polizia e membro di una setta che adorava Kira, era il nome dell’uomo che aveva sparato a mia madre. Quando mi fu riferito compresi: mio fratello e mio padre erano morti pur di fermare Kira e c’erano riusciti. Sodatu probabilmente lo sapeva, anzi forse era stato un subordinato di mio padre, a suo tempo, poi, se come mi avevano detto era diventato un fedele fanatico, aveva voluto vendicarsi con i deicidi: gli Yagami. Mia madre.

BAM!

Basta! Scossi la testa annegando i ricordi e le immagini nei miei residui di razionalità.

Il quinto sparo, invece, dalla pistola di Matsuda. Poi Sodatu. Morto.

Dalla scomparsa di Light, Matsuda era diventato così appiccicoso e odiosamente disponibile, da sembrare una guardia del corpo, ma per una volta era servito a qualcosa. Io ero viva.

Viva.

Nonostante tutto.

A questo pensiero qualcosa saltò nel mio petto, rilucendo per un attimo. Ero forse … fiera della mia forza? Altezzosa nella mia disgrazia? Perché poi alla morte di mia madre ero tornata Sayu: Sayu che cammina, Sayu che parla al poliziotto paziente e calvo che le porta il bicchiere di carta bollente col caffè, il caffè che Sayu non beve, perché le fa schifo. Io, l’ultima Yagami dopo quella specie di paralisi mi ero risvegliata solo dopo un nuovo trauma.

I traumi scandiscono sempre, pensai, nascita e morte.

E io con i piedi finalmente sul pavimento a reggere il mio peso ero sulla terra nuovamente neonata.

Il pomeriggio rendeva la mia stanza azzurra, opaca, bigia. Le mie cose disposte in perfetto ordine da mia madre, i vecchi libri di scuola, i peluche di quando ero bambina vicini al cuscino a quadri un vecchio poster piegato in sei nel cassetto e bianco e consumato lungo le pieghe. Finalmente mi decisi a muovermi: riposi le due gomme e le carte di caramella rosse nel cassetto da cui le avevo tirate fuori, uscii dalla stanza ed entrai in bagno, si stava facendo buio. L’azzurro diventava grigiastro, accesi la luce, appoggiai le mani sul lavandino il mio peso lo fece scricchiolare un po’.

BAM!BAM! BAM!

No, maledizione, non così!

Fissai la mia immagine nello specchio. Ero pallida salvo per qualche segno arrossato: brufoli. Colpa dei medicinali, pensai disgustata. Da oggi mai più niente di simile, anche tra i seni ero infestata di bollicine arrossate e i capelli, poi. Troppo lunghi, spettinati, la riga in disordine, le labbra screpolate. 

Non fa niente, mi dissi, sono una neonata, si ricomincia daccapo.

Ma non ancora. Devo aspettare, devo aspettare almeno finché la mamma non sarà sepolta, prima di occuparmi di me.

Devo fare almeno questo, lei ha sacrificato se stessa mille volte. La mia mano sbatte con più violenza di quanto volessi contro l’interruttore, la luce si spegne.

La mamma aveva già scelto la maggior parte delle cose per la sua tomba, previdente com’era se ne era occupata appena superati i cinquanta: il loculo sotto quello di papà, la cornice ovale per la foto, il vaso per i fiori e la lanterna, io invece dovevo sceglierle una frase.

“Amatissima moglie e madre, i tuoi cari ti ricordano con affetto” una banalità, quali cari poi? Ero rimasta solamente io. Qui ci sarebbe voluto Light. Era lui quello bravo. Lui avrebbe trovato le parole giuste.

Invece Light era macinato lentamente dai vermi. Non seppi perché mi venne in mente una cosa del genere, ma appena quel pensiero prese colore vomitai sulle piastrelle del bagno, reggendomi con la mano allo stipite della porta.

“Che schifo” imprecai mentre la torsione dello stomaco si allentava e il collo ghiacciato tornava a intiepidirsi.

Io sono viva! Io sono viva! Io sono …

 

***

 

Vivo.

Era l’aggettivo esatto? Forse. A suo modo.

Il mondo degli Shinigami aveva una sola dimensione: sabbia. Sabbia per terra, sabbia era il cielo, sabbia era il vento, sabbia erano quegli Dei. Sabbia e teschi. Io ne avevo posseduto uno a uso di maschera, ma si era frantumato nel passaggio. Troppo brusco troppo affrettato: l’avevo tolto dal volto e avevo lasciato che si sbriciolasse da solo tra le dita. Per una volta, devo ammetterlo, sono stato eccessivamente emotivo. Eppure mi sto dimostrando recidivo: ho desiderato fin troppo ritrovare questo mondo dopo lungo tempo di apatia sensoriale. Non sapevo se fosse peggio quello degli Shinigami  o ciò che c’era stato prima.

In quel prima c’era stato il buio. Il vuoto.

 

Dopo la morte non c’è nulla

 

Semplicemente l’assenza totale di coscienza. Un fischio perpetuo senza pensiero.

Fiiiiiiiiiiiiiiiii

Neanche la possibilità di soffrirne, nessuna consapevolezza:

Fiiiiiiiiiiiiiiiii

Poi fui richiamato, e il buio si trasformò in grigio e in sabbia e all’essere patetico che ero furono resi i ricordi, la capacità di desiderare e insieme a questa la consapevolezza d’incompletezza.

Perché io

Ero stato

Umano

E quel posto era decomposizione.

L’essere che incontrai subito dopo, colui che mi aveva richiamato mi spiegò tutto e impose le condizioni, le maledette condizioni che mi avevano insospettito da subito, ma questo non è importante, non adesso.

“Torna nel mondo degli umani, segui colui che ha con se il quaderno che hai lasciato” aveva ordinato e io avevo obbedito con gioia furiosa ignorando le risate roche alle mie spalle. Non avevo più pietà per gli uomini. Coloro che avevano tradito il mio sacrificio. Li avrei uccisi senza distinzioni di sorta, naturalmente.

Non adesso.

Inspirai.

Fumo di sigarette e pioggia.

L’olfatto. Mi sembrava un’eternità che non sentivo un odore. In questo caso non era un odore che in vita mi era stato caro, ma in quel momento era la mia nascita.

L’odore dolciastro e ferroso entrò nelle narici risalì in naso e invase la gola riempiendo il petto rilassando i muscoli, affievolendosi vicino alle spalle, provocando una strana tensione sul collo e tra le clavicole. Una tensione estatica e nauseabonda.

In quel momento il cielo degli umani non sembrava tanto diverso da quello di uno Shinigami: polveroso, arrugginito. L’unica differenza era la pioggia. Nel parco dove mi trovavo l’erba a tratti appiattita, come schiacciata, diveniva il letto di qualche pozzanghera, piante dai gambi più solidi si ergevano tempestandosi di gocce, o, spezzate, profumavano appena di linfa le gocce di pioggia, luccicando come smeraldi. Smetterò presto di occuparmi di queste sciocchezze, ma almeno a questa nascita riserverò la dovuta attenzione. Solo adesso, solo per poco ancora.

Le narici si colmano di odore, gli occhi di colore. Il tatto, penso, come illuminato. Voglio sentire sulla pelle.

Resi il mio corpo materiale come se stessi impartendo un ordine alle mie cellule che man mano sento comporsi a catena.

Prima solo formicolio, poi…

PIOGGIA!

Il freddo improvviso come un attacco cardiaco, il bagnato, il gelo, i rivoli, il modo in cui i capelli si attaccano tra di loro e poi alla cute, alla nuca, alla fronte, sugli occhi, non fa niente se fa male. Piacere, estasi.

“Aaah” non vorrei lasciarmi andare! Cazzo!

Al diavolo: l’orgoglio non mi serve a niente.

Gli occhi sono sgranati, la pioggia s’insinua sotto i vestiti e sulla pelle ristagna e si riscalda a poco a poco, mentre nuova acqua fredda mi colpisce impietosa, terribile, splendida. È persino sotto le palpebre, nel naso, tra le labbra. Fa male. Non fa niente.

Il respiro è affannato l’aria è troppo fredda e raschia dentro il petto.

Fiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii

Il corpo si irrigidisce e ritorno in me.

Tutto questo non si verificherà più, mi riprometto. Sono qui per altro adesso. Senza accorgermene sono anche caduto in ginocchio e il fango ha impiastricciato la giubba verde e i pantaloni.

Mi alzai in piedi, poi senza muovere la testa volsi lo sguardo alla mia sinistra. C’erano due umani: due quindicenni, erano loro che fumavano, prima. Guardavano verso di me terrorizzati, così capii: a causa della pioggia che mi toccava loro vedevano la mia sagoma. Lentamente presi il quaderno, scarabocchiai poche righe e abbandonai quel posto e due ragazzi morti: l’una per attacco cardiaco, l’altro per suicidio. Fidanzato si suicida perché la sua ragazza è morta davanti ai suoi occhi, questa combinazione non aveva modo di insospettire nessuno e poi io non dovevo farmi scoprire. Era tra le condizioni.

Resi il mio corpo evanescente e camminai. Nel confine tra parco e marciapiede c’erano lattine e bottigliette, le ignorai. Il travaglio era concluso. Ora dovevo solo riprendermi il vecchio quaderno,  il quaderno che alla fine ero riuscito a salvare. Così mi era stato detto di fare, queste erano le regole del gioco. E io, ancora, facevo da pedina. Ad ogni modo dubitavo che un umano se ne fosse appropriato, dato il luogo in cui l’avevo nascosto; tuttavia se la mia previsione fosse stata giusta avrei ugualmente trovato il modo di affidarlo a qualcuno. Questo mondo doveva ancora ingoiare la mia vendetta e questo mondo io continuavo a desiderarlo.

 

***

 

Via il portapenne, tutti i cassetti, i libri, i pupazzi, la sveglia, le cornici alcune vuote altre con foto di amiche, foto di classe, di mio padre, tutto via, tutto per terra. Tutto perché avrei buttato gran parte di quelle schifezze, per fare spazio, spazio alla nuova Sayu, spazio per me.

Alzai gli occhi. Lo scaffale più alto era ancora pieno mi arrampicai usando le mensole basse come se fossero scalini, sentendole piegarsi un poco sotto i piedi, passai una mano sopra di me facendo cadere tutti gli oggetti lì in alto per terra, scesi ignorando l’asse di legno sformata dal mio piede. Presi una busta della spesa dallo stipetto sopra il piano cottura in cucina e cominciai a buttarci le cose che non mi servivano.

Via le foto, via le penne senza inchiostro, via questi libri che non leggerò mai, chi se ne frega se sono tutti regali di Light, lo sapeva, cavolo, che non leggevo libri! Poi mi fermai: a terra c’era un pacco marrone e con un foglio di carta attaccato con lo scotch. Lo presi, e lessi: era di Light. Dietro con la penna blu c’era una data, anche se non mi sembrava affatto il modo di scrivere di mio fratello: lui era fin troppo preciso, quando scriveva sembrava una stampante, quei numeri invece erano sgangherati. La data risaliva al periodo vicino alla sua morte e io avevo subito una ricaduta e avevo cominciato a mangiare meno, tanto che ero stata in ospedale per breve tempo. Mi chiesi perché mia madre dopo aver riposto il pacco tra le mie cose non mi avesse detto nulla.

Pressai le unghie e strappai la carta, dalla forma sembrava … come volevasi dimostrare: un libro.

“Prometeo, il genio e il sacrificio”

Che roba era? Un saggio? Al diavolo! Lanciai il libro per terra indecisa se buttarlo o no, ma quando cadde notai sporgere un angolo scuro dal fondo del volume. Mi chinai per osservare e sfilai l’angolino nero.

Strano, questo è un …

 

***

 

Lo capii, lo capii immediatamente.  Lo avvertii come una fitta gelida. Qualcuno aveva trovato il quaderno.

 

 

__________________________________________

 

Volevo ringraziare chi ha recensito. Lo farei volentieri più accuratamente ma temo che il mio cervello funzioni molto male al momento dato che sono le 4.10 di notte (o mattina?) semplicemente: grazie di cuore per i complimenti e –mi spiace deludervi- sono un ragazzo. Lieto di scrivere per voi.

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Capitolo 3
*** Crimini ***


Crimini

Crimini

 

“Ti dico che i documenti arriveranno Adam, smettila di seccarmi” sospira Lene O’Brian. Suo marito, anzi il suo ex marito, continuava a parlarle, ma lei aveva smesso di ascoltarlo da dieci minuti più o meno dal momento in cui aveva iniziato a lamentarsi dei documenti che il suo avvocato non gli aveva ancora fatto arrivare e a sostenere che sarebbe stato meglio se lei l’avesse raggiunto in Inghilterra.

“Qui c’è la tomba di mio figlio Adam, non se ne parla” aveva sbuffato in risposta. Doveva smettere di usare il rossetto: le labbra si appiccicavano ogni volta che le chiudeva e le riapriva.

“L’unica cosa che hai saputo fare come madre è stato seppellirlo, Lene”

“Vaffanculo!” e riattacca.

Quel bastardo, pensa, quello stronzo non sa niente di niente.

Si appoggia sulla scrivania con le mani.

Ora calmati, Lene, si dice, respira. Lo ricordava sempre anche a quelle ragazzine che venivano da lei: “Non ti agitare, fa’ un paio di respiri” glielo diceva con voce annoiata subendo ogni volta sguardi scettici, frustrati, stufi. Erano soprattutto ragazze quelle costrette dalle madri a vedere la psicologa O’Brian. Alcune erano omosessuali e lei doveva stare lì a convincerle che in realtà a loro piacevano i ragazzi, i peli sul petto, e l’idea di farsi gonfiare il ventre da una gravidanza. Lene avrebbe preferito mille volte parlare con le loro stupide mamme, perché erano loro, accidenti, ad avere problemi: “Non è che lei, signora, desidera semplicemente vedere in sua figlia realizzare il sogno della famiglia ideale, che con lei, invece, non si è concretizzato, visto che suo marito la riempie di botte e si scopa un’altra?”

Invece da lei venivano solo delle minorenni scorbutiche e scocciate che avrebbero volentieri dato fuoco alle loro compagne di classe più belle, a quello stronzo che, accidenti, le aveva lasciate, alle loro mamme pretenziose e arroganti e, perché no?, a quella scocciatrice di una psicologa truccata come una stronza di diciassette anni, che pretendeva di capirle.

Frustrante in effetti. Avrebbe dovuto cambiare lavoro, ecco infatti. Prende il giornale e lo apre.

“La porti a teatro” aveva detto alla donna con la faccia triste ed ecco che quella decide di morire proprio a teatro.

La signora Yagami, Yagami come il tipo che lavorava come Nate al caso Kira e che, come Nate, era morto.

Suo marito gliel’aveva detto: “Lascia perdere quella cavolo di Wammy House, tieni Nate lontano da queste stronzate, Lene!”

Ma invece no, perché lei pensava che Nate sarebbe stato grande, avrebbe salvato delle vite, perché lui era un genio.

Avrebbe volentieri ucciso la Lene che aveva pensato queste cose mentre suo figlio gridava sul letto di ospedale inarcandosi tanto da rompersi la schiena. Perché la malattia gli era arrivata fino al cervello, l’aveva fatto impazzire e alla fine il bambino conosciuto dagli altri come Near era morto con la schiena spezzata davanti a lei.

Quando, poi, aveva espresso i suoi sospetti su Kira, sul fatto che non fosse affatto morto, ma che operasse ancora, nessuno aveva voluto crederle. Allora, pensava, i suoi crimini erano stati molteplici: aver abbandonato suo figlio, averlo incontrato solo e soltanto il giorno stesso della sua morte e non avergli potuto rendere giustizia.

Lene sentiva bruciare gli occhi verso l’interno, li sentì inumidirsi, ma li chiuse in tempo per non piangere.

Non hai imparato niente, Lene? Autocontrollo! Si disse.

Rialzò le palpebre.

Tuttavia il fatto che fosse morto un componente della famiglia Yagami non faceva che confermare la sua ipotesi: Kira non era scomparso. Da qualche parte. Si stava vendicando.

 

***

 

Death Note

Anche se l’inglese l’avevo studiato abbastanza male riuscivo a tradurre: “Bloc-notes della morte”.

Lo aprii e trovai una sfilza così fitta di nomi da farmi girare la testa. Scorsi le pagine, e poi quella che sembrava la calligrafia di mio fratello cambiò, vidi alcune pagine strappate e il resto erano fogli bianchi.

Ritornai alle prime.

Un nome, incidente. Un altro nome, malattia. Nome, suicidio.

Ma perché questi appunti? Forse Light li ha scritti mentre lavorava al caso Kira.

Che cosa avrà voluto dirmi facendomi avere questo quaderno?

Death Note.

Forse significa “quaderno delle morti”, tutte le morti che Light ha attribuito al serial killer degli assassini. Nome, incidente; nome, malattia.

Torno ancora indietro alle primissime pagine, che, invece, sono nere.

“L’umano” e una parola inglese che non so tradurre, poi “ nome scritto su questo quaderno, morirà”

Chiusi il libretto di scatto.

Ma come? Light usava un quaderno di così cattivo gusto per indagare su Kira? Che aveva in testa?

Va bene. È tutto ok, forse ha semplicemente lasciato perdere la forma-scherzo del quaderno e l’ha usato comunque per prendere appunti. Light è fatto così, ignora le piccolezze e pensa a quello che deve fare.

Mi irrigidii subito. Perché stavo usando il presente per parlare di lui?

No, non importa. Quello che deve fare, doveva, DEVO! Devo.

Io devo mettere in ordine la stanza, buttare i libri, ma non tutti, no, conservare il quaderno, comunque, ma devo riordinare come voglio io, come dico io. Io sono viva.

Presi tutti gli oggetti che non mi piacevano, qualche Barbie di quando ero piccola che sfilava come una regina sulla mensola di legno, tutte le penne e i colori consumati, un tappo blu, il moschettone di una collana che avevo rotto a tredici anni, la carta di una merendina, CD inservibili per i graffi, custodie vuote, una scatoletta con le carte da gioco coi cartoni animati. Poi rimisi in ordine, cambiai la disposizione di alcuni oggetti. Così è più bello, più spazioso, più elegante, con i libri sopra, la mensola che ho sformato col piede sembra dritta come prima, il pavimento è pulito, i cassetti finalmente in ordine. Bene.

Guardai sulla scrivania. C’era solo il quaderno nero.

Fuori dalla finestra ormai è buio e ha finito di piovere. Ora devo preparare qualcosa.

Però in casa sicuramente non c’è niente: erano passati due anni da quando io e mia madre eravamo andate ad abitare in campagna. Non potevo cucinare, mi sarei dovuta accontentare del panino che avevo comprato fuori.

Mi alzai in piedi e abbassai la maniglia. Le ginocchia mi facevano male per tutto il tempo in cui ero stata inginocchiata a scegliere quali oggetti cestinare e quali no.

Il panino dovevo averlo lasciato nello zainetto sul divano, ora…

“Sayu. Ora non gridare”

Il corpo si gela. Il Dolore. Il dolore al petto.

Mi giro di scatto e …

“AAAAAAAAAAH!”

Tumtumtumtumtumtum

“AAAAAAAAAAH!”

Cado a terra, sbattendo contro la porta socchiusa dietro di me che si spalanca per l’urto, quasi non sento il dolore alla gamba alle caviglie. Solo il petto.

Tumtumtumtumtumtum

“Zitta! Non gridare!”

“AAAAAAAAAAAH!”

L’aria nella gola vibra, taglia, fa a brandelli.

Mio Dio! Mio Dio!

Mi giro e cerco di strisciare, allungo le mani, ma qualcosa preme sulle mie labbra.

“Sayu, calmati, maledizione! Non ti faccio niente, calmati!”

Inspiro, una volta, poi due.

“Mmmmh” un lamento lungo, quasi un ringhio, mentre le lacrime scendono dagli occhi.

No. No! Fuggire, lontano. Ho paura. Paura!

“Calmati!” la sua voce vibra di impazienza, il mio corpo si irrigidisce e la voce sparisce.

La mano si stacca dalla mia bocca. “Sapevo che avresti reagito così. Hai toccato il quaderno?”

La testa trema, ma riesco comunque a fare un cenno di assenso.

Gli davo ancora le spalle e i miei occhi fissavano il battiscopa e la porta della sua camera davanti alla mia.

“Chi l’avrebbe detto. Alla fine persino tu hai aperto un libro”

Mi … mi stava prendendo in giro? Ma allora …

Girai la testa e sollevai la mano fino a toccargli la guancia con la punta delle dita.

Era vero!

La sua espressione all’inizio era stupita, poi accigliata e improvvisamente la mia mano che toccava la sua pelle vi passò attraverso come se fosse aria.

“Non illuderti che io sia vivo. Non lo sono”

Mi uscì dalla bocca una risata simile a un singhiozzo.

“E allora sono impazzita, alla fine”constatai.

Lui si alzò in piedi e mi guardò.

“Non lo sei”

“Ah davvero?! Sto parlando con mio fratello morto! Ora chi arriva? Papà? Mamma? Anche loro mi diranno che sono sana di mente?”

“Sono uno Shinigami, Sayu, non un fantasma”

Chiusi gli occhi e presi un po’ di tempo per respirare. Passò qualche secondo, quando li riaprii Light era ancora lì.

“Adesso mi viene un infarto” dissi.

“Sarebbe ironico. Hai letto le regole del quaderno?”

“No. La prima regola sì, ma poi l’ho chiuso, l’ho trovato di cattivo gusto” dissi.

“Pessimo, mamma è appena morta”

Light sembrò stupirsene.

“Anche lei?”

Non risposi, lo guardai: dai capelli cresciuti agli abiti incrostati di fango secco.

“Quel quaderno è lo strumento con cui gli Shinigami uccidono” disse.

“Questa …”dissi.

“Questa è follia!” mi alzai di scatto e mi diressi al salone.

“Dove vai, Sayu?”

Lo zaino, eccolo, cercai nella tasca esterna. Ecco qui: il biglietto da visita della psicologa, col numero di telefono. Se avevo la lucidità di chiamarla significava che per me c’era ancora speranza.

Composi il numero. Squilla, è libero.

Tuuu, tuuu.

“Pronto?”

“MA CHE FAI?”

Qualcosa mi strappò la cornetta dalle mani sbattendola sul telefono. Non qualcosa: lui, Light.

Indietreggiai spaventata. Light non mi aveva mai trattata con violenza.

“Tu non mi credi, vero? Non credi ancora a tutto questo” mi prese per la spalla trascinandomi ancora in camera mia, mi spinse verso la finestra e poi mi raggiunse e con la mano aperta sulla schiena mi costrinse a rimanere dov’ero.

“Guarda” ordinò.

Vidi i passanti sul marciapiede, lui prese un altro quaderno che aveva fissato alla cintura e scrisse. Ripensai alle sue parole.

“No!” cercai di dimenarmi per spostarmi.

“Guarda!”

“NO!”

Poi accadde: una vecchia signora con i suoi due nipotini oscillò per un attimo, poi cadde a terra.

Stavolta riuscii a liberarmi dalla mano di Light i miei piedi scivolarono e sul pavimento.

“Ma che hai fatto?” gli gridai in lacrime.

“Che hai fatto?”

“Adesso mi credi?”

“NO!” strillai sbattendo un piede a terra furiosa.

“Tu non sei mio fratello, tu sei un diavolo, un mostro con le sembianze di Light!”

La sua bocca si aprì appena per lo stupore poi il suo volto tornò impassibile e senza accorgermene mi ritrovai le sue braccia a circondarmi il corpo.

“Sono Light, Sayu. Lo sai che sono io. Tu non vuoi che me ne vada”

Rimasi zitta e paralizzata.

“Tu non lo vuoi” insistette.

“Io sono uno Shinigami con origini umane, sono più debole e morirò presto”

Soffocai un “No” in un singhiozzo.

“Morirò se non scrivi su quel quaderno, Sayu”

______________________________________________________

 

Questo spazio lo dedico ai ringraziamenti per le recensioni. Vi sono molto grato per i vostri commenti:

Bleus De Methylene: grazie per i complimenti. Anche il primo commento che hai lasciato mi ha fatto molto piacere in quanto hai compreso il senso del titolo e mi ha soddisfatto che questo dettaglio fosse stato colto. Poi: per Sayu sono stato un po’ in ansia, non voglio farla cadere nell’OOC, infatti cerco di renderla plausibile e penso che nessuno sarebbe ancora vivace e spensierato dopo un rapimento e la morte dell’intera famiglia. Sono lieto che ti piaccia.

Darseey: sono felice che non sia solo lo yaoi a essere seguito con interesse. In effetti la cosa mi stava preoccupando. Spero tanto di non creare confusione quando faccio prevalere l’introspezione: ho il brutto vizio di far impazzire i personaggi XD

Francy91: la tua recensione è bella densa, dovrei proprio scriverti una risposta meritevole ;D. E’ molto interessante immaginare che quello che ti piace ti svuoti, davvero. Ora che hai questa bella opinione della storia ho una grande, grande paura di deludere le tue aspettative: se una Sayu che grida e un Light assuefatto dalla pioggia sono immagini efficaci magari quando le cose si faranno più statiche la mia storia ti piacerà meno. Be’ allora farò di tutto per evitarlo. Se anche questo capitolo ti emoziona vado a festeggiare XD.

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Capitolo 4
*** Contatto ***


Contatto

Contatto

 

La prima cosa che vidi quando passai dall’oblio della morte al mondo degli Shinigami fu un corpo rannicchiato, coperto solo da un manto nero logoro e sbiadito, io non ero a terra, invece, e non avevo uno straccio nero addosso, ero nudo all’inizio e trovai dei vestiti vicino ai miei piedi. Una giacca lunga e verde, pantaloni marroni, maglietta dello stesso colore.

Soltanto dopo essermi vestito mi accorsi del quaderno nero nella tasca del cappotto verde.

Un Death Note. Un Death Note mai utilizzato.

Guardai di nuovo l’essere rannicchiato. Era stato richiamato anche lui come me? E allora perché era più debole? Perché non aveva ricevuto anche lui un quaderno?

Mi avvicinai e riuscii a vedergli la testa: capelli lunghi, biondi scarmigliati, con un centimetro di ricrescita scura alle radici.

“Misa?” le mie labbra si aprirono appena per lo stupore.

Lei sembrò sussultare e girò la testa verso di me.

“Light!” mi chiamò sgranando gli occhi che cominciarono a inumidirsi.

Poi lentamente dagli zigomi vidi cadere della polvere argentea, come se la ragazza si stesse sfarinando davanti ai miei occhi.

“Light!” ripeté in tono supplice.

“Ti prego, Light… aiutami!”

Aiutarti?

La polvere aumenta. Sabbia. Come tutto quel mondo era.

No. Misa. Non ti aiuterò, devi morire.

Muori, muori, muori!

“Light…”

Le lacrime si polverizzano subito prima di poter colare.

“Aiu…”

Così le sue mani.

“Ta…”

E il resto del suo corpo.

Mi

Il suono svanisce e diviene sabbia, granelli che si sollevano per un momento, girano piano su loro stessi, mandano bagliori d’argento e poi si disperdono nell’aria; solo in quel momento mi resi conto che la mia espressione era furibonda e che il mio respiro affannato.

Misa era morta. Morta e io l’avevo voluto. Avevo provato gioia.

“E questo è bene” una voce gelida, girai il viso e vidi attraverso l’aria polverosa una sagoma.

“Sei tu che mi hai portato via dalla morte?” riuscii a chiedere, malgrado lo stupore.

“Non credere di essere tanto lontano dalla morte, Light Yagami” rise lui, si avvicinò e i suoi contorni si fecero più nitidi: era un uomo con un mantello di piume nere, occhi scuri e capelli castani, lunghi e fini.

“Il fatto che tu abbia lasciato morire la tua donna è un buon segno per me, significa che sei pronto” disse fissando il punto dove lo straccio nero era appena mosso dal vento.

“Non è mai stata la mia donna” ribattei.

“Non ha importanza. La pietà non ti serve: noi siamo Dei, uccidiamo senza discriminazione. Dopo la morte, Yagami, non c’è nulla”

Rimasi in silenzio, poi mi decisi a riprendere la parola.

“E allora perché sono qui? Che significa?” la mia voce aveva un che di disperato, questo mi innervosì.

“Diciamo che hai attirato la mia attenzione. Non interessarti alle mie motivazioni, tu sei uno Shinigami con origini umane, hai più limiti degli altri della tua specie, questo dovrebbe interessarti”

La vaga impressione che si stesse prendendo gioco di me era insopportabile, ma almeno più accettabile del vuoto di prima, se non altro era qualcosa.

“Continua” lo incitai.

“Se l’umano che possiede il tuo attuale quaderno, o quello che hai lasciato nel mondo degli umani muore, muori anche tu”

Inspirai nervosamente, ma rimasi in silenzio.

“Tu sei legato agli umani, almeno attraverso il quaderno della morte, se il legame si spezza è finita” aggiunse.

“Finita?” ripetei.

Lu alzò la mano puntando l’indice bianco verso il panno nero che il vento stava trascinando per terra.

“Ci sono altre cose?” chiesi.

“Altre? Sì, abbastanza, in effetti. Ti ho detto la prima…”

Volse gli occhi a me e mi sentii gelare quando li vidi rossi.

“Vuoi conoscere la seconda?”

 

***

 

“Non che la cosa non mi vada bene…”

Lene mise le tazzine fumanti sul vassoio, si voltò e portò in tavola.

“ma proprio non mi aspettavo questa visita, Jim”

Jim sorrise e prese la tazza.

“Non riesco a lavorare con una persona che vive così lontano, mi da sui nervi” rise.

Lene tirò indietro la sedia e si sedette davanti a lui, non toccò il tè, ma intrecciò le dita, vi posò il mento e rimase zitta a fissarlo.

“Adam dice che non gli hai ancora fatto arrivare i documenti per il divorzio, è da una settimana che non fa che darmi il tormento”

“Ah giusto!” esclamò quello con voce troppo alta, tanto che Lene sussultò.

“Non ascoltare quell’imbecille, mi ha dato l’indirizzo sbagliato. Ha cambiato albergo. Idiota”

Lene alza gli occhi e sbuffa.

“Tipico!”, poi finalmente prende la tazzina ormai tiepida e sorseggia.

“Tu, piuttosto…” esordisce lui, giocherellando con la tazzina, facendola girare.

“Che storia è questa che vivi in Giappone per non separarti dalla tomba di Nate?”

Lene cerca di ignorare quello che prima era un piccolo semicerchio di tè, che bagnava il piano di legno e che ora Jim stava spargendo per tutto il tavolo, girando la tazza gialla.

“Non fare lo strizzacervelli con me, sai che non lo sopporto”

Lene sperò di intimidirlo con uno sguardo freddo, ma non funzionò dato che Jim continuava imperterrito.

“Certamente, ma so anche due cose, la prima…” cominciò scuotendo il cucchiaino sgocciolando il tè sul tavolo, prendendo proprio il centrino a scacchi verde.

“…è abbastanza chiaro a tutti che come madre te ne sei alquanto infischiata, cara Lene.”

Lene impreca sottovoce.

“La seconda: come psicologa fai abbastanza schifo. È un bene a dire il vero: significa che hai capito tutto del tuo mestiere. Comunque non è una gran mossa visto che devi sforzarti riavere un giro di clientela”

L’ultima goccia di tè le arriva sulla punta del naso.

Lene afferra il cucchiaino, lo avvicina e trascina anche Jim.

Ora cavolo doveva vederlo il suo sguardo furioso, maledizione!

“Ti pago per farmi da avvocato Jim, non costringermi a privarti di una cliente”

“Sul serio, Lene” disse, facendosi serio.

“Perché sei qui? Non tirare fuori balle: perché sei qui, davvero?”

Lene lascia il cucchiaio, non sorseggia la tazzina, butta giù tutto poi guarda ancora Jim.

“Qualcuno ha ammazzato Nate. Non guardarmi così, ho delle prove”

“Prove?” Jim si acciglia.

“Lene non fare stronzate, che fai giochi all’investigatrice adesso? Sei abbastanza cresciutella per queste cazzate”

Ora che faceva, le dava della vecchia?

“Ti è sufficiente non impicciarti Jim Berry. Il tuo lavoro è spillare soldi, vedi di non spingerti oltre questo”

Jim inarca le sopracciglia.

“Tu lo sai che amo i tuoi soldi, tuttavia ti conosco da una vita e non posso che ricordarti che a te non importa un accidenti di Nate”

Schiattate tutti quanti!

“Le uniche cose che devo ricordarmi sono tre: la prima è che ucciderò la prossima persona che mi dirà che non avevo interesse per mio figlio, la seconda è che qualcuno ha ucciso Nate e la terza è che qualcuno presto si ritroverà senza palle”

 

***

 

“Light”

Come al solito si è svegliata tardi: sono le 11.00 di mattina, le vecchie abitudini non spariscono mai.

“Ma sei rimasto sveglio tutta la notte?”

Ma che domande.

“Gli Shinigami non dormono, Sayu”

Lei mi guardò accigliata e ancora seduta sul letto avvicinò le ginocchia al mento e si portò l’indice vicino alle labbra, come sovrappensiero.

Non mi piaceva quella postura: era familiare.

“Non stare così” la rimproverai, guardando altrove. Fuori dalla finestra di Sayu le nuvole del giorno prima non si erano ancora diradate.

Guardai mia sorella che si alzava e si sceglieva i vestiti dall’armadio.

Era inutile negare con insistenza una cosa che sapevo già: io volevo che tutto il mondo temesse ancora Kira, che coloro che mi si erano messi contro sapessero che ero tornato. Non potevo farlo da solo naturalmente: se mi fossi messo a uccidere i criminali avrei influenzato la durata vitale di altre persone, e naturalmente questo mi avrebbe ucciso. Ma Sayu. Sayu poteva essere il mio strumento. Sayu poteva essere Kira.

Naturalmente convincerla non sarebbe stato assolutamente facile conoscendola, tuttavia sarebbe stato peggio indurla a rinunciare al quaderno. In tal caso non ci sarebbe stato tempo per trovare un altro proprietario: sarei dovuto tornare nel mondo degli Dei della Morte. Immediatamente. Questo rientrava nelle condizioni.

La prima cosa che avevo fatto, una volta diventato Shinigami era stato uccidere Nate River, un gesto affrettato, ma non controproducente: Near era fin troppo malaticcio, nessuno, quando era morto per malattia, aveva sospettato di Kira. In compenso non avevo potuto uccidere Matsuda e gli altri. Se proprio loro fossero morti allora si sarebbero sollevati sospetti e chissà che non ci fosse ancora qualcuno in grado di scovarmi. In tal caso avrei dovuto renderne conto a colui che mi aveva richiamato.

Nessuno doveva scoprire dello Shinigami Light. Ma nessun problema con Kira. Ecco perché Sayu doveva usare il quaderno.

“Sayu, ci hai pensato, allora?”

Lei era appena uscita dal bagno lavata e vestita.

“Sì, Light”

Tacqui in attesa di ascoltare.

“Io non potrei mai diventare un’assassina, neanche se ciò significasse salvarti la vita” disse tentando una malriuscita espressione determinata.

“Sayu! Ma come puoi sprecare quel potere? Sei una stupida!”

Maledizione! Maledizione! Maledizione!

“No! Non darmi della stupida Light! Io non ho rovinato la mia famiglia e chissà quante altre vite! Tu sei stato Kira, Light, non capisci? Te ne stavi lì al sicuro ad ammazzare gente che neanche conoscevi senza sporcarti le mani, io non voglio diventare così!” esplose furiosa.

Le mani mi tremavano per la rabbia.

“Tu non sai niente” sibilai.

Sayu scoppiò a ridere e si aggrappò con la mano alla porta, poi alzò gli occhi su di me.

“Non so niente Light? Mi hanno rapita, tutta la mia famiglia è stata sterminata, la verità è che tu non sai niente. La verità è che grazie alle tue bugie tu hai sofferto di tutto questo meno di tutti”

Sayu riprese fiato, poi si voltò e uscì dalla stanza.

“Dove vai?”

“Esco”

“Non abbiamo finito”

Sayu si fermò e girò di poco la testa.

“Fermami Light. Uccidimi, completa l’opera” mi sfidò.

Rimasi in silenzio, lei si mosse e uscì di casa; oltrepassai la porta.

Stupida, stava anche piovendo.

“Ma tu sei la figlia della signora Yagami”

E quella donna chi era?

LENE O’BRIAN

Quelle lettere sopra una testa buna coi capelli crespi per la pioggia.

“Ma lei è…”

“Sono la psicologa che ha parlato con tua madre. Ho saputo. Come stai?”

Sayu non rispose.

“Vuole entrare? Sta piovendo, può aspettare che smetta in casa, non ha neanche l’ombrello”

O'Brian sorride, ma quando Sayu si volta si incupisce un po'. 

"Guarda che posso continuare a parlarti anche se sei in compagnia"

Sayu mi ignorò, invece si rivolse alla donna "Può darmi il cappotto signorina..."

"O'Brian, Lene" disse lei passandole il cappotto. Poi sfilate le scarpe entrò nel salone, fece qualche passo guardandosi intorno e senza volerlo urtò il tavolino.

"Tutto apposto?" chiese Sayu dalla sua camera, dove stava appendendo i soprabiti.

Lene arrossì un po'"Sì scusami ti ho fatto cadere delle cose, le raccolgo subito" rise con un'espressione frustrata. Poi si chinò e con orrore vidi che insieme alla coppa di vetro con le caramelle a terra c'era anche il quaderno.

Lene allunga la mano e lo raccoglie.

 

___________________________________________________

 

Ho sempre preferito Light ad L, tuttavia quest’ultimo è un personaggio veramente ben fatto e non si può non provar pena per lui. Proprio per via della sua morte ho chiamato il capitolo “Contatto” come quello in cui L e Light si incontrano. Ma ora passiamo ai ringraziamenti:

 

Darseey: spero che alcune cose a questo punto comincino a farsi chiare :D Sono molto contento di scrivere una storia che sia imprevedibile, sono contento che la leggi con questa opinione ^^ Ti ringrazio per il sostegno!

Francy91: grazie per le tue considerazioni sulla storia. Su Sayu (oh mio Dio è la prima volta che scrivo con un pov femminile) mi sforzo parecchio di renderla realistica perché lei è sempre stata così… normale. Poverina. Spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo :P

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Capitolo 5
*** La scelta ***


La scelta

La scelta

 

Lene raccolse il quaderno, io ero dietro di lei, distante abbastanza da aprire la porta d’ingresso e chiuderla fingendo di essere appena rientrato.

“Buonasera” salutai quando la porta si chiuse dietro di me; fu in quel momento che O’Brian si girò sobbalzando per il rumore improvviso.

“Sayu, vedo che hai ospiti” mi sfilai le scarpe e mi avvicinai alla donna.

“Lei è un’amica di Sayu?” chiesi avvicinandomi affabile. La donna aggrottò le sopracciglia aveva nelle mani il quaderno e la coppetta di vetro con le caramelle che cadevano di nuovo a terra.

“Ehm non proprio. Deve scusarmi ma ho appena fatto cadere delle cose” rise appoggiando tutto sul tavolo, senza guardare.

Feci attenzione a non sospirare di sollievo e sorrisi.

“Non si preoccupi: Sayu è una gran sbadata, non le dirà niente, in quanto a me sono anche scivolato su una pozzanghera sporcandomi di fango, quindi nessuno la giudicherà” risi.

“Ah sì, vedo” disse guardando la giacca verde ancora sporca.

“Mi scusi, credevo che Sayu vivesse da sola” aggiunse.

Mi gelò per un secondo, poi ripresi il controllo.

“Sono il suo  fidanzato, stiamo insieme da prima del rapimento e tutto il resto. Le dispiace se la lascio per un momento? Vado a cambiarmi”

 

***

 

All’inizio non avevo capito perché la voce di Light al piano di sotto avesse salutato, poi l’avevo sentito parlare con la psicologa. Proprio lei, Lene O’Brian, quella che aveva fatto andare mia madre a teatro, dove era morta. Quella donna coi capelli neri, la frangetta corta, gli occhiali rettangolari senza montatura e il rossetto.

E vedeva Light? Che avesse toccato il quaderno?

A quel punto non ebbi il coraggio di scendere e mi appoggiai al muro della cameretta con le mani sulla faccia.

Adesso cosa faccio. La paura questa volta non è fredda, ma calda, bollente, stringe come un rovo lo stomaco, mi fa tremare.

Plic plic plic

Le gocce scivolano lungo i cappotti appesi al pomello dell’armadio e cadono a terra.

Poi entra lui.

“Mi vede. Stupida. Lasciare il quaderno così. Crede che sia il tuo ragazzo: scendi e reggi il gioco” poi chiude la porta.

Mentre aveva parlato avevo trattenuto il respiro che improvvisamente esce dalle labbra come un singhiozzo strozzato. Mi misi una mano sulla fronte. Umida, calda, sono sudata, appiccicosa. Uno schifo. Passai le unghie sotto l’occhio vicino al naso per spostarmi i capelli.

“Ok” mormorai, come per svegliarmi.

Aprii la porta e scesi le scale.

“Mi scusi se l’ho fatta aspettare” mi sforzai di sorridere.

Lene si era seduta sul divano.

“Posso offrirle qualcosa?” chiesi.

Facevo bene a trattarla con un tutta quella gentilezza? Neanche la conoscevo.

“Non preoccuparti, grazie” mi sorrise.

“Tua madre non mi aveva detto che avevi il ragazzo”

Deglutii e cercai di assumere un’espressione naturale.

“Mi ricordo che le ha illustrato la situazione a grandi linee, l’ha semplicemente omesso sul momento”

Dovevo evitare i gesti nervosi: niente dita tra i capelli, niente morsi sul labbro, non dovevo torturarmi le mani né irrigidire il corpo.

“Capisco. Mi sento in colpa per quello che è successo. In compenso mi sorprende il modo in cui ti sei ripresa”

Annuii imbarazzata, poi Light scese con i sui vecchi vestiti: camicia e pantaloni.

“Eccomi qui”

Ero esterrefatta: sorrideva come un dannato idiota, ma come faceva a fingere così?

“Non mi sono presentato, io sono Heiji” disse sedendosi anche lui.

È un bugiardo! Maledizione. Avrei voluto gridarglielo: ehi! Sono tutte balle, non ti chiami Heiji tu!

“Mi chiamo Lene” rispose lei.

“La signorina è la psicologa che mia madre ha incontrato” spiegai.

Light aggrottò le sopracciglia per un momento.

“L’ho invitata ad aspettare in casa che smettesse di piovere, visto che non ha l’ombrello” aggiunsi.

“Ah. Capisco. Sicuramente smetterà a breve: appena pioviggina” disse lui.

Lene annuì, poi lo guardò seria.

“Posso chiederti dove hai trovato tutto quel fango da sporcarti così tanto prima?”

Light non rispose per qualche secondo la fissò interdetto.

“Scusami, è che voglio evitare le zone così fangose quando torno a casa” si spiegò lei.

“Oh… sono stato in un parco a dire il vero, per quanto riguarda il fango, le pozzanghere ci sono già da ieri. Ha piovuto fino a tarda notte”

Lene sembrò convinta e non disse nulla.

”Bene, ora vado, però. Ho un po’ di lavoro da fare, Sayu ti dispiace se uso il tuo computer?”chiese alzandosi dal divano.

“Caro, sei appena arrivato e già lasci me e la signorina O’Brian?” lo provocai.

Light mi fulminò con lo sguardo.

“Sono certo che mi perdonerete” sorrise. Poi si avvicinò a me.

“Fai sentire benaccolta la signorina, ok?” poi mi prese il viso e posò le labbra sulle mie.

Mi irrigidii. NO!

Sentii il gelo salirmi dallo stomaco fino in gola. Nausea.

Maledizione! Togliti!

Si spostò dopo pochi secondi.

“Ora vado”

Solo dopo che i sui passi si allontanarono il mio corpo si rilassò.

Lene mi guardò.

“Il tuo ragazzo è…”

“Una palla al piede!” esclamai quasi senza accorgermene.

“Però dopo tutto il tempo in cui mi è rimasto accanto non potrei respingerlo” inventai presa dal panico.

Lene sembrò imbarazzata, poi sorrise.

“Che vuoi dire?”

“Non so è che…” dovevo improvvisare.

“È che mi è sempre stato passivamente accanto tutto questo tempo, come per inerzia, in realtà non ha fatto niente per farmi riprendere. Io credo che se se ne fosse andato, se avesse mosso qualcosa non sarei rimasta in quello stato così a lungo. Mi sarei sbloccata”

Stava funzionando: Lene sembrava curiosa.

“Quindi se ti avesse abbandonato nel bel mezzo di quel tuo… ehm… problema, a quest’ora lo ameresti?”chiese.

“No” mormorai, poi arrossii: non ero capace di mentire o di inventare.

Lene sbirciò la finestra e accennò un sorriso.

“Ha smesso di piovere, tolgo il disturbo” si alzò dal divano e io la imitai.

“Le prendo il cappotto” la mia voce era troppo bassa. Non fa niente. Tanto ora se ne va.

Salii ignorando Light in camera mia, seduto sul letto. Tornai da O’Brian.

“Grazie ancora, Sayu. Passa una buona giornata”

“Heiji in questo momento è molto indaffarato, ma mi ha pregato di salutarla”

Lene sorrise, mise le scarpe e uscì. Io chiusi la porta e aspettai Light.

“Tu non sai quello che hai fatto” lo sentii gridare.

“Che bisogno c’era? Che bisogno c’era di baciarmi?”

“Baciarti?” fece lui, aggrottando le sopracciglia.

“Ho appena appoggiato la bocca sulla tua. Non è baciare”

“Ma perché?” insistetti.

“Te lo dico subito perché: le maledette foto di famiglia, cara Sayu, sono in bella mostra sui nostri mobili. Che ci fa il fidanzato di Sayu nelle foto di famiglia? E se mamma avesse detto alla psicologa che la piccola malata Sayu ha perso papà e fratellino, dimmi, caro genio, non credi che vedendo queste foto si potrebbe pensare solo che io sia tuo fratello? Se è così la copertura del fidanzato andrebbe a farsi benedire!”

“Può anche non averle viste”

“CERTO, COME NO!”

“Smettila di gridare” gli intimai.

“Fino a che punto la mamma ha parlato di te alla psicologa eh?”

“Non lo so”

“Che significa che non lo sai?”

“Non me lo ricordo” esclamai frustrata.

“VEDI DI RICORDARTELO!” gridò perdendo il controllo come non l’avevo mai visto fare.

Io incassai la testa nelle spalle e la vista mi si annebbiò.

“Light” sibilai furiosa per quelle lacrime.

“Smettila o ti prendo a schiaffi”

Per un attimo rimase in silenzio e così feci anch’io.

Respirai e tacqui finché gli occhi non si asciugarono.

“Non puoi farmi questo. Non puoi venire qui e avanzare pretese in continuazione” il mio tono questa volta era pacato, freddo.

“Non puoi farlo” ripetei.

Light sospirò.

“Scrivi il nome del criminale che hai visto ieri al telegiornale”

“Cosa?!”

“Scrivilo”

Non riuscivo a crederci!

“Light, hai ascoltato quello che ti ho detto?”

“Allora scrivi il nome di Lene O’Brian” insistette.

“No!”

“Sayu”

“No!” ripetei furiosa.

“Sayu scrivi quei nomi”

“Io non scriverò nessun nome” pestai un piede a terra come una ragazzina, ma me ne infischiai.

“Allora lo scriverò io” Light prese il suo quaderno e la penna.

“NO LIGHT!” gli gridai, cercai di andargli addosso, ma caddi oltre il suo corpo come se mi fossi tuffata nel vuoto.

Poi penna e quaderno caddero e Light gemette per la sorpresa. Io mi alzai in piedi terrorizzata e vidi granelli di sabbia cadere dalla mano di Light.

“N… no!” gridò afferrandosi il polso con l’altra mano.

“Maledizione, non è possibile, no! Non voglio!” cominciò a gridare disperato.

Cadde in ginocchio.

“TU! MI HAI INGANNATO!” a chi si rivolgeva?

Light stava morendo? Per la seconda volta?

Qualcosa scattò in me, come un fulmine, come acqua gelida all’improvviso.

No. Io ho bisogno. Di lui.

Con la stessa disperazione furibonda con cui lui stava imprecando e scongiurando in ginocchio, io corsi al tavolino, afferrai il quaderno, poi la penna di Light e scrissi.

 

***

 

La visita a casa di Sayu Yagami aveva messo Lene a disagio. Un gran brutto disagio, Sayu sembrava quasi troppo perfetta per una appena uscita da una tragedia e il suo fidanzato era sfacciatamente perfetto. Insopportabile davvero. Si era sentita un pesce fuor d’acqua. Era forse per il suo disagio che aveva avuto un atteggiamento inquisitore con quei due fino a spaventarli? Lene se ne vergognò, poi decise di non pensarci. Il suo maggior problema in quel momento era ancora addormentato sul divano, con i calzini che uscivano dalla coperta. Ed era l’1.30!

Lene tira via la coperta, stizzita.

“Dormi ancora, Jim?” lo sveglia, brusca.

“Tu sì che sei una donna dolce”si lamentò lui, alzandosi.

“Puoi sempre tornartene da dove sei venuto”

Lo sa che è acida, cavolo, ma oggi gira così. Accende il computer, inserisce la password e apre il documento di testo dove ha appuntato tutto: centoventicinque morti negli Usa, naturalmente tra gli appunti ha riportato le circostanze e il luogo specifico, ottanta morti in Giappone e poi numeri minori sparsi per il mondo. Tutti morti di arresto cardiaco.

Jim ha acceso sul tg e ora sbircia il documento di Lene.

“Non si tratta di criminali” considera.

“Lo so” risponde Lene.

“Si tratta di gente comune, ma sono un gran numero e tutti loro sono accumunati dalla stessa morte, come dicevano i telegiornali di un paio di anni fa”

“Adesso basta Lene, stai delirando!” il tono di Jim è duro. Sta diventando seccante.

“Come fai a dire che si tratta di Kira? E se fossero semplici infarti?”

“Ho confrontato qualche vecchia statistica che risale ai tempi precedenti a Kira con questi dati. Secondo logica ora che Kira non c’è più il numero di morti per arresto cardiaco dovrebbe essere in calo e questo è vero, ma non del tutto. Siamo ancora molto lontani dai dati pre-Kira” cercò di spiegare Lene.

“Questo non dimostra niente, può trattarsi di un caso: non è che questo genere di salti non si verifichino, dopotutto quelle statistiche risaliranno a parecchi anni fa, non puoi confrontarli con i dati attuali” insistette lui.

“Non finisce qui: come quando Kira era attivo la maggior parte delle sue vittime provengono dall’America e dal Giappone. Non capisci? Ci sono troppe coincidenze”

“Lene tu sei sotto stress e questo ti ucciderà, stai dicendo cose assurde”

Lene vorrebbe ribattere, invece sobbalza e sgrana gli occhi.

“Ma cosa…?”

 

__________________________________________________

 

Premetto che per qualche motivo oggi ero alquanto tentato da una misteriosa vena comica di far dire a Sayu “ti prendo a schiaffi a due a due finché non diventano dispari!” poi ho desistito. XD Bene, passo subito ai ringraziamenti:

 

Bleus De Methylene: le tue recensioni mi sono sempre gradite, sono davvero contento che questa storia ti piaccia e i tuoi commenti sono gratificanti, dunque ti ringrazio.

 

Francy91: Non trovo che la tua sia una polemica, tranquilla :). In realtà l’idea che ho dato della psicologia è limitata ai personaggi e alla loro caratterizzazione nella storia, dunque non intendevo generalizzare. Non ho intenti pedagogici e non mi piace il pensiero di dover convincere il lettore di una determinata idea. Se facessi così mi sentirei artisticamente deluso da me stesso. A parte questo, rinnovo i miei ringraziamenti per i complimenti e per l’incoraggiamento, le tue recensioni sono sempre molto dense e mi danno la soddisfazione di avere delle lettrici/lettori attenti ai particolari. Ancora grazie.

 

INFINE: grazie anche a coloro che leggono senza recensire, tra i quali c’è una persona in particolare a cui va il mio affetto e il mio ringraziamento.

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Capitolo 6
*** Prometeo ***


Prometeo

Prometeo

 

Ero rimasto rannicchiato a terra, anche quando il mio corpo si era risanato e Sayu aveva acceso il computer portatile sulle ginocchia per scrivere con fare quasi isterico.

Ero rimasto. Rannicchiato.

A terra, sul pavimento: parquet. Colui che mi aveva fatto diventare uno Shinigami mi aveva ingannato. Non poteva che essere così.

Ingannato. Bastardo!

Avevo scritto molti nomi sul quaderno prima di scendere nel mondo degli uomini, tuttavia il mio tempo era stato vicino a finire e così sarebbe stato se Sayu non avesse ucciso e se non stesse continuando a uccidere davanti al computer.

Elimina, elimina, elimina, elimina…

Tum tum tum tum

E io vivo.

Tum tum tum tum

Quella detta a Sayu doveva essere una bugia per convincerla: “Morirò se non scrivi su quel quaderno”, menzogne! O almeno era quello che credevo.

Sembrava quasi un beffa che in tutta la mia rete di bugie -la rete che mi manteneva in vita- l’unica verità fosse quella più scomoda.

Ma tutto questo non mi era stato detto. Nessuno mi aveva detto che il mio Death Note non era sufficiente a mantenermi in vita.

Elimina, elimina, elimina…

Tum tum tum tumtumtumtumtum

Ingannato.

Ingannato come un qualunque sprovveduto.

Mi appoggiai sulla mano e cercai di rialzarmi.

“Sayu. Basta così” mormorai. Se avesse esagerato sicuramente i sensi di colpa l’avrebbero distrutta.

Sayu chiuse il computer con le mani che le tremavano, lo appoggiò sul tavolino davanti al divano e sopra il quaderno ancora aperto, poi scoppiò a piangere.

“Sono morti! Sono morti!”

Mi rimisi in piedi e presi il mio quaderno, lo sfogliai. Le prime pagine che avevo scritto mi avevano garantito del tempo, poi improvvisamente il Death Note non aveva funzionato. Probabilmente solo alcune pagine erano autentiche, mentre le altre non erano che comuni fogli. Solo che io non potevo riconoscere quest’alternanza.

Perché quell’inganno?

Dovevo trovarlo. Lo Shinigami che mi aveva tirato fuori dal buio per sbattermi all’inferno.

 

***

 

“Guarda, guarda” Lene era seduta sulla sedia a pochi centimetri  dalla tv, era quasi scattata quando aveva sentito la voce del giornalista. Persino Jim era rimasto in silenzio.

Due morti per arresto cardiaco, due criminali. Aveva ragione lei, si disse.

“Che ne dici adesso, Jim?”

Per lei erano prove sufficienti. Avrebbe fatto qualcosa, pensò.

Sapeva che rivolgersi alla polizia sarebbe stato inutile: non le davano attenzione e ormai la ritenevano troppo coinvolta per essere credibile.

“Jim, non è che sai come si fa un sito web?” Lene si alzò.

Jim aveva ancora la faccia assonnata, la camicia tutta stropicciata.

Be’ avrebbe potuto portarsi un pigiama, quello stupido.

Sbuffò e si alzò dalla sedia.

“Se avessi trovato una colazione in tavola avrei anche potuto pensarci” disse annoiato.

“All’ora di pranzo?”

“Ho capito, ho capito, lascia fare a me!” si alzò dalla sedia e si mise davanti al computer di Lene, ridusse il documento di testo a icona e avviò la connessione.

“Non ti aspettare grandi cose, non sono così esperto” disse grattandosi la testa.

“Non mi interessa” rispose Lene.

“Preparati un testo o qualcosa del genere” l’avvisò lui, poi sbadigliò.

“Ah e un’altra cosa. Per sicurezza ti serve un nuovo account di posta elettronica: nell’indirizzo che hai adesso c’è nome e cognome, non ti conviene… ecco fatto mi serve un nome da scrivere prima della chiocciola”

Lene si avvicinò e vide la pagina per la registrazione.

“Scrivi la mia iniziale: Elle” disse soddisfatta.

Per Nate.

Si sedette sul tavolo e accavallò le gambe soddisfatta.

 

***

 

Il cielo è oro che marcisce.

L’aveva pensato anni prima, quando aveva visto che, no, il tramonto non era un momento dolce, non era un momento di equilibri. Era guerra, era buio che si elevava, divorava, uccideva ogni luce.

Eravamo al cimitero: Sayu l’aveva quasi dimenticato. Il funerale di nostra madre.

Là in piedi con Matsuda che le circondava le spalle con un braccio, mia sorella piangeva, forse più per le morti di cui avevano parlato al tg che per sua madre.

Poi comparve accanto a me. Lo Shinigami che mi aveva richiamato.

“Il cielo è oro che marcisce” rise lui.

“Che vuol dire?”

“Oh, Light, è un tuo stesso pensiero”

“No. Che vuol dire questo inganno?” gli porsi il quaderno.

Lui rise.

“Tu non sei ancora un vero Shinigami, Light. Non perché sei umano, ma perché hai ancora i tuoi demoni”

Sospirai furioso.

“Smetti di farneticare e dimmi quello che mi serve sapere”

“Quello che ti serve” mi fece eco.

Un singhiozzo di Sayu.

Il prete aveva parlato della mamma e della sua tragica morte. Aveva detto che era la ragione e la scienza che portavano alla follia e poi all’omicidio e ora si apprestava a citare Isaia.

“Confidavi nella tua malizia e dicevi –nessuno mi vede-. La tua sapienza e la tua scienza ti hanno fuorviato. Eppure tu pensavi nel tuo cuore –Io e nessun altro-…”

“E quello che ti serve ti sarà detto. Io posseggo tutte le coscienze dei morti. Come biglie”

Girai la testa di scatto. Dove voleva arrivare?

“Incontra i tuoi demoni”

Poi tutto il suo corpo traballò come acqua e il suo volto, i suoi capelli, la sua statura mutarono e davanti a me vidi Misa Amane.

La testa bassa le mani unite con le dita intrecciate, serrate sul grembo.

Non aveva i codini ai lati della testa, ma portava i capelli biondi sciolti.

“Dimmi soltanto” mormorò con la voce che le tremava per il pianto.

“Dimmi soltanto… perché? Ho fatto ciò che volevi”

Alzò gli occhi e sorrise.

“Ora che sono anche morta riesci ad amarmi?”

Tumtumtumtumtumtum

E ora perché… paura?

“Mi ami?”

Poi il corpo cambiò ancora. I capelli sollevati, come se il vento li avesse spostati, non erano più biondi, ma neri, scesero su spalle magre, attorno a un volto delicato.

Misora.

Tumtumtumtumtumtumtum

Paura. Terrore. No! Mi uccide, ora mi…

“Kira” sibilò inferocita.

“BASTARDO” mi corse incontro.

No! No! NO! Tutto sbagliato! È morta! Morta!

Terrorizzato corsi. Davanti a me una croce. Una croce su una base.

Non lì!

Fu proprio contro quella croce che mi trascinarono i miei piedi, le mie gambe frementi dall’orrore, le mani sulla pietra fredda, mi voltai.

Mi puntellai sulla croce.

Naomi era vicina, vicina e fra poco avrebbe potuto toccarmi.

Tirò indietro la mano per poi farla scattare verso di me. I suoi capelli. Lunghi e neri. No, non più lunghi: una zazzera scompigliata sopra un volto pallido.

Poi la mano sul mio collo.

“AAAH” gridai più per la paura che per il dolore.

“Bastardo” un sibilo e quegli occhi grandi neri.

“El… Elle” dissi boccheggiando.

Cercai d’istinto il suo nome a pochi centimetri dalla sua testa. Niente naturalmente.

“L Lawliet” soffiò lui, velenoso.

“… e con la moltitudine dei tuoi sortilegi per i quali ti sei affaticato fin dalla giovinezza: forse te ne potrai giovare, forse ti renderai terribile!” le parole del prete. Ma il prete è lontano, il prete è…

“A causa tua. A causa tua il mio corpo sotto i tuoi piedi nutre la terra e i vermi. Come il tuo. Ora le senti… le campane?”

Campane!

Campane per un funerale, ma non erano i miei quei ricordi, quei bambini, quei vetri.

La neve e le campane!

Poi un’immagine: una lapide. L’immagine si avvicina, anche se non voglio, non voglio vedere: “Light Yagami”

Un gemito terrorizzato riesce a uscire dalla gola pressata.

Un corpo in putrefazione: liquidi, ossa, grasso, qualche ciuffo di capelli castano chiaro.

Gridai. Gridai come quando alla mia prima morte supplicai di rimanere attaccato alla vita. Vita, vita, vita!

“Ognuno erra per conto suo. Non c’è nessuno che ti salvi” le ultime parole del prete, poi la mano mi lascia e io scivolo in ginocchio davanti a quei piedi nudi.

“Lasciami stare. Per favore” implorai.

Lui si accovacciò mettendo le mani aperte sulle ginocchia.

“Prima rispondimi” disse serio e freddo fissandomi con occhi inespressivi.

“In tutta la tua vita hai mai detto la verità?”

“No. Da molto tempo”

“Perché?”

“Perché la mia missione era la sola cosa che avevo. Perché le bugie mi tenevano in vita”

Lui mi fissò senza mutare espressione.

“Ti piaceva uccidere”

“Non uccidevo. Mi vendicavo”

“Per cosa?”

“Perché mi sono sentito immobile, perché la rassegnazione e l’ottimismo erano un’offesa alla mia intelligenza. Io volevo davvero che le cose nel mondo andassero come speravo. Mi vendicavo col mondo per avermi deluso”

“Anche tu sei deludente”

Respirai. Odore di fiori che marciscono. Come il cielo: il cielo è oro che marcisce.

“Perché?”

“Perché ti sei lasciato corrompere”

Lo guardai negli occhi, smarrito.

“Non è ve…” ma lui scomparve e al suo posto c’era lo Shinigami.

“Non è vero!” mormorai.

“Lui non può più sentirti Light” mi disse.

“Non è vero” ripetei guardando in basso. Ero ancora inginocchiato.

“Ora sai perché sei umano” disse.

“E ora saprai altro, perché c’è dell’altro che devi sapere”

Sayu stava lasciando il cimitero. Sarebbe salita nell’auto di Matsuda per andare nella casa in campagna a recuperare le sue cose. Quelle che aveva lasciato lì.

Ci guardammo per un istante. Dovevo seguirla e io non avevo ali.

“Verrò con te e ti dirò tutto”

Se Matsuda avesse visto con lo specchietto retrovisore due Shinigami sui sedili della sua auto gli sarebbe venuto un colpo, pensai.

“Conosci la mitologia?” mi chiese, mentre Matsuda metteva in moto.

“Abbastanza”

Sayu poteva sentire anche lui? In ogni caso faceva finta di niente.

“Prima di Zeus ci sono state lotte generazionali, come saprai” disse.

Annuii.

“Dei e altri Dei si combattevano per il potere”

“E poi arrivò Zeus, lui non avrebbe conosciuto le stesse lotte, se non ci fosse stato Prometeo. Il benefattore degli uomini. Colui che si trovava tra loro e gli Dei, pronto a elevare gli umani all’altezza delle divinità”

“Tutto questo che utilità ha?”

“Ne ha molta. Io sono il re degli Shinigami, ho molti nomi, non chiedermene nessuno. Un tempo gli Dei della morte erano altri, e in tempi più antichi altri ancora”

Rimasi in ascolto.

“Prima erano animali, poi demoni, poi angeli e ancora demoni”

“Lotte tra generazioni” dissi.

“È quello che è avvenuto, è così?”

Lui annuì.

“Quando i giusti tempi trascorrono io scelgo una razza diversa e apro il conflitto tra l’antica e la nuova e così gli Dei della morte si rinnovano”

“Ora la nuova razza sono gli umani?” chiesi.

“Gli umani che hanno posseduto il quaderno. La guerra ora è tra gli antichi Shinigami e te. Il tuo Death Note è fallace perché non serve per uccidere gli uomini. Ti ho mandato in questo mondo per poter combattere. La tua arma è l’umana”

Sayu non reagì, probabilmente non lo sentiva.

“Sayu non sto parlando da solo, poi ti spiego” dissi per rassicurarla. Lei non rispose. Solo girò di poco la testa verso di me.

“Come fanno loro a uccidere me e io a uccidere loro?” chiesi.

“Loro ti uccidono se riescono ad eliminare Sayu. Tranquillo: non possono vedere il suo nome. Questo è il loro svantaggio. Tu li uccidi scrivendo il loro nome sul quaderno che tu hai creduto contraffatto, ma ecco il tuo di svantaggio: non conosci i loro nomi, i loro veri nomi. Li cambiano spesso nei secoli, per noia” spiegò.

“Mi dici come faccio allora!” sibilai nervoso.

“Facendo lo scambio degli occhi con la ragazza, lei potrà vederli”.

Lo scambio? Ma così la sua vita…

“Probabilmente ci sono già molti Shinigami sulla terra. Non potendo vedere il nome di Sayu avranno dato il proprio quaderno a qualche umano affinché questi possa vedere con lo scambio degli occhi il nome di tua sorella ed eliminarla”

“Allora siamo nella medesima situazione” dissi.

“Esatto”

L’auto si ferma e Matsuda e Sayu escono. Davanti a noi la casa in campagna.

“Ancora una cosa”

Lui voltò la testa e mi guardò.

“Come fai a stabilire che la guerra è aperta?”

Lui sorrise.

“Anni fa mi sono accoppiato con un’umana. Più anticamente ho assunto forme diverse per segnalare alla generazione antica che la guerra sarebbe iniziata dopo qualche anno -venti in questo caso- e la specie che avrebbero dovuto combattere”

Ormai è buio, Sayu e Matsuda tornano con borsoni e valige, aprono il cofano e le sistemano.

Il re degli Shinigami scomparve e per un istante ricordai quelle parole ascoltate poco prima durante il funerale della donna che era stata mia madre: “Ognuno erra per conto suo. Non c’è nessuno che ti salvi”

 

_________________________________________________________

 

Capitolo faticoso anche perché sono uno che la Bibbia non la apre per principio. Ma passiamo direttamente ai ringraziamenti:

Darseey: ebbene ecco a te il seguito :) in realtà aggiorno velocemente perché mi sento ispirato e se perdo tempo so già che non concluderò niente, per questo continuo nel lavoro: per non perdere la costanza. Sono contento che si sia notato il mio intento di rendere Lene la degna madre di Near che ha un’intelligenza di tutto rispetto, diciamolo. Per quanto riguarda Light… e sì quel quaderno l’ha senza dubbio cambiato. Io credo che il potere sia la cosa che più distrugge gli uomini e quale potere più grande se non quello di Dio stesso? Naturalmente Sayu fatica parecchio a riconoscere nel nuovo Light suo fratello. Grazie mille per i complimenti e il sostegno ^^

 

Reus: Ma guarda un po’ dove ti ritrovo! Però devo dirti che se inserisci un nik che suona tanto maschile mi fai sentire un po’ gay -.- grazie per la tua recensione, pur non dilungandoti mi sei molto d’aiuto, non farti di questi problemi e sappi anche che se trovi un qualsiasi difetto anche stilistico ne puoi parlare (so che te ne accorgi anche se fai finta di niente). Sulla lunghezza dei capitoli… dipende da me fino a un certo punto: arrivo a un pezzo dove capisco che è così che il capitolo deve chiudersi e lo faccio, spero che questo non tolga troppo alla storia :)

 

Bleus De Methylene: I tuoi commenti mi lusingano e ti ringrazio. Lo so che ci sono spesso fan fiction che inseriscono situazioni amorose/sessuali spesso ambigue. Alcune sono interessanti, altre forzate. In questo caso sto cercando di non cadere nell’OOC, pertanto quella di Light non è stata una perversione, non ama la sorella, è stato un suo modo studiato di calcare un po’ la mano per convincere Lene, visto che la situazione stava per sfuggirgli di mano. Sono felice di far rabbrividire il lettore, sinceramente è una delle cose che più mi soddisfano. Spaventare e far rabbrividire. Spero che la mia storia continui a piacerti!

 

Francy91: Be’ non ho messo molte scene Lene-Jim ma almeno credo di averti dato un bel po’ di occasioni di vedere/pensare a L. Ebbene sì: quei due sono dei derelitti divertenti, a lui il lavoro, a dire il vero va un po’ meglio, e sono anche entrambi ricchi, tuttavia professionalmente frustrati. Su Light sono assolutamente d’accordo: calcola le cose in maniera così fredda e precisa che non può non puzzare di bugia. Povero bugiardo, in effetti. Mio malgrado non posso che immedesimarmi in lui e stare dalla sua, nonostante questo adoro L e mi piace citare la sua presenza e soprattutto il suo ruolo nella storia di Light. Sono felice che la storia ti piaccia. Davvero :)

 

Ultimo ringraziamento anche a coloro che hanno inserito questa fanfiction tra le preferite e a chi legge senza recensire. So che ci siete lettori: vi ringrazio molto per l’interesse alla mia storia.

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Capitolo 7
*** Puniti ***


puniti

Puniti

 

La spada, il drago, l’indovino, il pagano: tutti loro saranno puniti. La spada, il drago, l’indovino, il pagano: tutti loro saranno puniti.

Assassini!

La spada, il drago, l’indovino, il pagano: tutti loro saranno puniti!

Sayu

LA SPADA, IL DRAGO…

Sayu

L’INDOVINO, IL PAGANO…

Sayu

TUTTI LORO

Sayu!

SARANNO

Svegliati

PUNITI!

 

Gli occhi si spalancano, il respiro fugge dalla gola e dalle labbra, affannato, il respiro di una bestia ferita, morente che uggiola.

Sulla nuca prima calore, poi freddo. Sono sudata, alcune piccole ciocche di capelli sono attaccate al collo, si aprono come rami, le sento attorno alla gola. Mi sento. Soffocare.

“Incubi” sentii la voce di Light che spiava il mondo dalla stretta apertura della finestra socchiusa.

“Accadeva anche a me, i primi tempi. Passerà. È nella norma”

Nella norma? C’è almeno qualcosa di normale in tutto quello che sta accadendo, fratello?

Il pigiama è sbottonato per metà: devo essermi agitata nel sonno.

La pelle che vedo è bianca, lucida di sudore.

Mi ammalerò, è il mio pensiero, non sono mai stata così spossata fisicamente.

Non mi abbottonai nemmeno il pigiama a quadri. Celeste e bianco.

Mi piaceva il celeste quando era ancora tutto normale, quando la mia vita era quasi perfetta e non concepivo l’esistenza di altre realtà. C’era gente che non poteva permettersi quello che compravo io? C’erano ragazze emarginate che non avevano le mie amiche? Avevo davvero compagne di classe poco attraenti consapevoli che non sarebbero state desiderate, strette, amate? C’erano.

Non riuscivo a immedesimarmi in loro. Non comprendevo il dolore.

Ora invece. Ora sì.

Ora mi sentivo una veterana del dolore. Presunzione? Non lo so.

Respirai: a scuola ci avevano insegnato durante le lezioni di musica quella respirazione che faceva gonfiare la pancia e non alzare le spalle.

Inspira. Espira.

Non va meglio. Decisi di lasciar perdere e mi alzai in piedi.

Le dita di Light aperte come un ventaglio sul bordo della finestra la spinsero appena, aprendola un po’ di più, il volto gli si illumina.

Luce. E aria: sotto la maglietta del pigiama. Sul collo sudato, il freddo.

Sembra tutto immobile, ovattato, poi la consapevolezza: non ero stata io a uccidere dieci criminali? Elimina, elimina, elimina!

Chiudo gli occhi. La paura la disperazione vibra su tutto il corpo e sulle palpebre.

“Fa molta attenzione…” la mia voce sembra quella di una bambina: bassa, acuta. Quella filastrocca. Quando ero piccola.

“Perché Dio ti sta osservando, non lascia…”

“Sayu, smettila di fare così!” mi rimprovera.

Io aprii gli occhi, lo vidi avvicinarsi, poi mi abbracciò.

Appoggiò la testa sulla mia con fare affettuoso, poi sentii lo schiocco leggerissimo della sua bocca che si apriva per parlare.

“Non lasciare che ti faccia impazzire”

Alzai il viso per guardarlo in faccia.

“Fingi ancora! Fingi guardandomi negli occhi!” lo sfidai.

Lui aprì la bocca per lo stupore.

Qualcuno suona alla porta.

Allontanai Light con un braccio, scesi le scale e aprii.

Era Matsuda.

“Ehm… ciao Sayu”

“Ciao”

Mi fissava imbarazzato: avevo ancora il pigiama semiaperto che mostrava il fascio di pelle tra i seni e metà pancia.

Anche se non sapeva che ero un’assassina perché non poteva vedermi per come ero davvero? Un derelitto. Squallida, sfacciata.

“Dimmi pure” dissi, senza vergognarmi.

“Sayu, ma che fai? Stupida, almeno copriti!”

Era Light. Lui. Non aveva il diritto. Di comandarmi.

“Forse non è un buon orario per fare un’improvvisata” rise Matsuda imbarazzato.

“Già” sbuffò Light dietro di me.

“No, mi fa piacere” gli dissi.

Lui esitò, poi parlò.

“Senti, ho pensato che forse ti andava di distrarti ecco. Forse è troppo presto, ma…”

Mi sforzai di non sbuffare.

“Mi vuoi invitare a uscire?” lo anticipai.

Lui parve sorpreso.

“Be’… wow mi ero preparato un discorso convincente, davvero molto convincente, sai? E…”

“Ci uscirei con te” tagliai corto.

“Sayu te lo puoi scordare!” mi gridò Light.

Matsuda sorrise.

“Ah”

Rimasi zitta.

“Ah, ok, perfetto allora…”

“A stasera” lo salutai.

Lui sorrise e io chiusi la porta.

“Prima gli dai appuntamento e poi gli chiudi la porta in faccia. Per non parlare del fatto che sei uscita… così! Sei impazzita?”

Lo guardai sprezzante.

“Ti preoccupi per le mie tette, Light? Che bravo fratellino” Lo superai abbottonandomi il pigiama.

“Alla fine non mi hai spiegato con chi stavi parlando in macchina. Che dolce non vuoi sovraccaricarmi, bene… “ andai in cucina e tirai indietro la sedia facendola sbattere forte contro il mobile.

BAM

Mi sedetti accavallando le gambe.

“Parlamene adesso che sono calma” sibilai.

 

***

 

“Sono calma” si disse sorridendo.

“Aaah stronzate sono euforica!” Lene scorse con la rotellina del mouse la pagina del suo sito in cui troneggiava una grandissima L, poi gli articoli: le indagini, i dati organizzati in grafici, le segnalazioni degli utenti. Ok la maggior parte erano cazzate, ma adesso Lene poteva considerare dati che le inviava un sacco di gente: sì perché il suo sito aveva già un bel po’ di visitatori che commentavano le sue indagini.

Ok c’era stato anche quel tipo quel “Chris89” che aveva parlato della vendetta di Dio, di Kira verso “quel bastardo, o quella puttana che ha creato questo sito” diceva il messaggio.

Alcuni gli avevano dato addosso, ma lui non aveva risposto più.

A Lene non importava. Lo sapeva che c’era gente che sosteneva Kira, alcuni che lo avevano dimenticato, altri, come lei, che l’avrebbero ucciso con le loro mani.

“Come va, Lene?” Jim si era appoggiato con la mano alla spalliera della sedia di Lene.

“Benissimo” rispose lei.

“Grazie ancora” aggiunse. Aveva passato la notte a preparare un altro articolo alla luce delle segnalazioni.

Le date ecco: erano curiose. Concentrate nel periodo in cui era morto anche Nate, dopo suddivise con un’organizzazione maggiore, attiravano meno l’attenzione, e poi ecco che ritornano a morire criminali.

Un’organizzazione, ecco, almeno due persone.

Ok magari all’inizio non hanno ucciso criminali per non destare sospetti, ora avevano ripreso, ma Lene dubitava che le morti fossero indipendenti: le persone erano due, ma il flusso e l’intenzione seguiva un unico filone.

Lene controlla il numero all’angolo destro dell’articolo che segnala i commenti.

“Ce n’è uno in più” Lene clicca col mouse, la pagina si carica e scorre all’ultimo.

“ShadeMark scrive: Ti ammazziamo! Ti bruciamo la casa, fottuto stronzo”

Jim dietro di lei sobbalza.

“Lene!”

Lei gira la testa.

“Cosa cavolo vuoi, non l’ho mica scritto io!”

“Lene è pericolosa questa cosa! Almeno potevi tenerti questa roba per te, perché un sito internet?”

“Senti Jim non rompere, tu sei solo il mio avvocato e NON mio marito, ok? E comunque se le cose vanno come ho pianificato sarà lo stesso Kira a farsi avanti, ecco perché ho deciso di essere ben visibile”

Lene sente la sedia che si gira, Jim l’ha afferrata e voltata e si è chinato su di lei.

“A te non servirebbe davvero fare luce su questa faccenda! La verità è che tu vuoi farti uccidere! Questo è… è un maledetto tentato suicidio! Ammettilo!” le urla contro, poi respira.

“Jim questa cosa ti sta spaventando, vorrei che tornassi a Londra, temo che tu stia trascurando il mio divorzio” dice lei, acida. Poi deglutisce. Jim non riesce più a reggere la situazione, lo sa.

“Stupida egoista, io ci torno a Londra, ma tu vieni con me”

“NO! Jim, porca miseria, no! Questa cosa…” Lene si alza in piedi spingendo Jim con la mano.

“Questo è quello che devo fare, capisci?” continua esasperata.

“Siamo amici, ma non vuol dire che devi interferire nella mia vita come se ne facessi così tanto parte. Non è così e non ho bisogno di padroni”

Jim rise.

“Tu non hai bisogno di nessuno, vero Lene?” la schernisce.

“Io basto a me stessa”

 

***

 

Per salvare la vita a Light avrei dovuto rinunciare a metà della mia durata vitale. Se non l’avessi fatto la mia morte sarebbe arrivata prima comunque e questo avrebbe comportato anche la morte di Light.

Così mi aveva detto.

“Nessuno Shinigami conosce il mio nome?” chiesi.

“Soltanto Ryuk, quello che mi ha consegnato il quaderno, lui però…”

“Cosa?” incalzai.

“Lui non parteciperà a questa guerra, credo. L’ultima volta che l’ho visto era completamente disinteressato al suo mondo e credo che lo sarà ancora. E poi il re degli Shinigami se ci fosse una condizione di disparità la livellerebbe. Mi ha fatto capire che la situazione tra me e loro è di assoluta parità” disse.

“Tu vuoi che lo faccia, vero? Vuoi che io ti chieda di farmi vivere la metà?”

Lui sospirò, come a imporsi pazienza.

“Naturalmente non voglio che tu viva meno, ma cerca di capire: se tu non facessi lo scambio finiresti per morire sicuramente prima. E questo, è vero, ucciderebbe anche me. Siamo sulla stessa barca”

Ecco che ricomincia a mentire: è falso. A te non importa se vivo di meno, a te interessa salvarti. Anzi vincere.

“Light” gli dissi.

Mi alzai in piedi, gli presi il viso e lo avvicinai affinché mi guardasse bene.

“Non insultarmi: la verità”

“La verità?” sibila lui arrabbiato.

“La verità è che tengo alla vita più di quanto ci tenga tu”

Incassai. Almeno era sincero.

“Ti importa di me?”

“Sì, ma ho altre priorità”

“È un pezzo che hai altre priorità”

“Così sembra”

Gli lasciai la faccia e mi girai, misi la sedia apposto. Il mobile ha una piccola ammaccatura. Fa niente, non si vede.

“Al cimitero ieri mi sono preoccupata per te e non potevo neanche muovermi per aiutarti” dissi, facendo finta di nulla.

“Che è successo?” chiesi.

“Spettri. Vecchie conoscenze” rispose laconico.

Spettri. Un giorno anche tu…

“Affinché tu viva occorre che io scriva ancora molto sul quaderno della morte, vero?”

“Credo di sì, Sayu”

 

***

 

Kuraji alza gli occhi al cielo. Ci sono le stelle, non le vede quando è nel bel mezzo della città: vedrebbe solo la luce dei lampioni che diventa man mano rossastra, poi viola, poi buio. E niente stelle naturalmente. Ora Kuraji è lontano dal centro, a dire il vero i palazzi non si vedono più, alla strada asfaltata si accostano quadrati di terra e alberi.

Il maglione prude, pensa. Anche quella volta si era vestito a strati: maglione, camicia, altro maglione, giubbotto, affinché nessuno potesse accorgersi del fatto che era così mingherlino, o non avrebbe funzionato, si ripete.

Sentirebbe solo lo stridere delle bestioline tutt’intorno –grilli, pensa- però c’è la donna. La prostituta straniera che ha fatto inginocchiare a terra e che – questo non lo può sopportare- piagnucola.

Dice qualcosa con un accento che a Kuraji sembra russo. Si guarda intorno per quello che permette il buio, se non ha visto male quando è passato con l’auto alla sua sinistra c’era un cumulo di legname. Cercando di non far rumore si abbassa e raccoglie un ramo spesso, ma non troppo: non deve essere pesante, o non ci riuscirà, la settimana precedente ha rischiato grosso, una era quasi scappata.

La donna piagnucola ancora. Non era colpa sua, pensava Kuraji mentre sollevava il bastone. Era colpa della società, della scuola e di tutte quelle stronzate. Chiuso in schemi, pensava. Ingabbiato come una bestia. Fai questo, fai quello, osserva quelle consegne e quelle scadenze e cerca di superare tutti.

Scavalca gli altri.

Così va bene? Pensa mentre colpisce la prostituta sulla nuca, quella cade in avanti e lui la tiene giù premendole un piede sulla schiena.

Va bene se mi creo il vuoto attorno e ammazzo la gente? Mi distinguo, mi vedete?

Mi vedeva il professore di letteratura che ignorava la mano alzata durante le lezioni? Gli avrebbe volentieri spaccato la testa così. Così. Così. E così.

Crak, crak, crak, fanno le ossa.

Kuraji si ferma. È tutto sudato, sente acqua calda sulla piega della pancia, quando si è chinato, ora si raddrizza, una goccia si gonfia come una bolla e scivola fin dentro l’ombelico.

I suoi non si erano neanche accorti che c’era qualcosa che non va, riflette Kuraji annusando il profumo dei ciliegi, sua madre all’inizio l’aveva mandato da una psicologa, poi suo padre l’aveva scoperto e non aveva approvato.

Era la quarta prostituta che ammazzava. Le portava lontano, le uccideva e le seppelliva. Aveva rubato la pala un mese prima dalla campagna di un suo amico e la teneva sempre nel cofano, spostava il cadavere con i piedi per non lasciare impronte.

Kuraji si girò per aprire il cofano, quando sentì un rumore. Qualcosa che cadeva.

Era ancora viva? La stronza, la puttana!

Apre il cofano, cerca tra le buste di plastica con le scarpe da ginnastica, tasta la pala e prende la torcia. Accende.

No. La donna è ancora a terra e non può essere viva.

Che ci sia qualcuno? Si guarda attorno puntando la torcia, poi vede un oggetto a terra, si china e lo raccoglie.

Un quaderno. Da dove è caduto, poi Kuraji alza gli occhi e grida.

 

________________________________________________

 

Questo capitolo mi ha messo ansia, pensavo: “Reggerò il confronto con quello precedente? Annoierà l’inserimento di un nuovo personaggio? Il capitolo sarà statico?”

Gente, vada come vada, questo capitolo mi serviva. Naturalmente se c’è qualcosa che non va potete comunicarmelo se avete voglia.

Passo ai ringraziamenti:

 

Darseey: abbiamo la stessa opinione su Light e il suo carattere. La tua recensione mi ha fatto molto piacere… caspita quanti complimenti, ti ringrazio davvero, per me conta molto sapere di essere così apprezzato. Per quanto riguarda l’incontro coi defunti: ho cercato di realizzare quella che secondo me è la paura più grande di Light, proprio lui che pensava di poter uccidere i problemi piuttosto che risolverli. Spero vivamente che questo capitolo, forse meno intenso, non ti abbia delusa. Ultima cosa allo scopo di non creare equivoci: Jim e Lene non sono marito e moglie, ma lui è l’avvocato che cura il divorzio di lei e sono amici da anni. Ti ringrazio ancora per il sostegno!

 

Bleus De Methylene: mi sa che abbiamo un paio di gusti in comune… Arancia meccanica, Baudelaire (non preoccuparti di come lo scrivi, il fatto che tu legga le sue poesie è sufficiente a farti onore), ci manca che ti piaccia anche Victoria Francés XD Sono felicissimo di averti tra le mie lettrici: scrivi poco ma afferri al volo e questo mi piace :D grazie ancora.

 

Reus: le tue riflessioni… mi piacciono così tanto anche se hai il vizio di avere la mente in perpetua confusione XD Aaah l’umanità di Light! Spero solo di non essere incappato nell’OOC. Sei dolcissima a scrivermi certi bei commenti e a sostenermi. A parole non mi fai capire ciò che pensi come quando me lo scrivi ecco perché poi divento ansioso. Colpa tua! Colpa tua! Grazie mille per sostenermi così!

 

Francy91: Arte, arte, arte. Mi è rimasto in testa tutto il tempo. Ma come mai le tue recensioni sono artistiche? Non so come fai! Ora: io non sono un adulatore, perciò mi fermo qui. Come ho già detto a Darseey ho voluto realizzare l’incubo del caro Light… finché li puoi uccidere è un conto, ma se sono già morti come ti salvi? Eh eh non ti salvi. La Bibbia ha il difetto (ma se strumentalizzato può diventare pregio) di conferire grandezza colossale, quanto vuota alle cose. E poi è sempre letteratura. Come De Sade. Brrr De Sade… O_O

 

Con questo ringrazio i lettori che non recensiscono e coloro che hanno inserito la storia tra i preferiti. Grazie gente!

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Capitolo 8
*** Parto ***


Parto

Parto

 

Jooen, Ader, Liam.

Raccolsi un mazzetto di soffioni. Uno, due, tre, quattro.

Quattro steli con sfere bianche, quasi trasparenti.

Soffiai su uno. Light mi aveva organizzato tutta la giornata: di mattina, dopo la visita di Matsuda mi aveva detto di recuperare il numero di qualche vecchia amica.

“Quanto tempo, sì lo so. Sì, sto bene. Un’amica di famiglia lavora al giornale, lo so che è una vita che non ci sentiamo, ma è un modo anche per incontrarsi, potremmo fare un articolo sulla nuovo museo della nostra città, venite con un block notes, il vostro nome sarà sull’articolo” aggiunsi con più enfasi. Le sue amiche non avrebbero voluto vedere la ragazza sfortunata e traumatizzata, ma l’idea di mettersi in mostra le piaceva. E così ognuna di loro aveva un taccuino e io un pezzetto delle pagine del quaderno, passeggiando avevo visto tre ragazzi e tre dei mostri che li accompagnavano. Mi trovavo nel gruppo e non avevano riconosciuto il mio volto, poi non avevano il quaderno a portata di mano, io sì.

Jooen, Ader, Liam.

Tre dei della morte in cambio di metà della mia vita.

Soffiai: fili bianchi nell’aria.

Poi avevo dovuto passare buona parte del pomeriggio a scrivere i nomi dei criminali. Elimina. Elimina. Elimina.

“Fffff” la sfera dei soffioni si sfalda, si discioglie, vola.

E questa sera, aveva sbuffato Light, “Potrai avere il tuo dannato appuntamento…”

“Fffff”

“… Sayu”

Lasciai cadere i gambi spogli per terra. Avevo passeggiato lungo la strada per il cimitero. Non volevo andare a trovare mia madre.

Sarebbe stato doloroso e non avevo voglia di dolore. Avevo voglia di sole, di un cielo appena schiarito, di cipressi con la loro ombra, di un mazzetto di steli umidi dei soffioni.

Acqua tra una mattonella e l’altra, per terra. Anche questo mi piaceva.

Abbassai la testa. Vento sulla nuca, i capelli si spostano, il pavimento di mattonelle grigie del cimitero è ruvido sotto i piedi, come se fosse cosparso di sassolini fini come sabbia. Era così, in effetti, riflettei.

Dovevo tornare a casa, farmi una doccia, prepararmi. Abbassai gli occhi, raccolsi un altro soffione.

“Ffffff”

 

***

 

“Puoi fare tre cose”

Kuraji rovesciò i vestiti dall’armadio. Caldo. Improvvisamente faceva caldo e lui come avrebbe fatto?

Avrebbero visto le braccia sottili come due pezzi di legno chiari e non avrebbero avuto abbastanza paura. Avrebbero lottato di più. Una di loro sarebbe scappata, poi la polizia, poi…

“Puoi rinunciare subito al quaderno e così io lo porterò a qualcun altro…”

Afferrò la maglietta da basket col numero “6” sulla schiena e la buttò a terra con rabbia.

Stronze!

Anche sua madre è una stronza: una stronza che gli aveva lasciato un piatto di carta con una pesca tagliata a cubetti col succo che si infilava tra i minuscoli quadratini ruvidi, facendo finta di non vedere l’espressione feroce di suo figlio, limitandosi a sorridere come un’idiota. Una stronza sottomessa a suo padre.

“Puoi usarlo facendo solo di testa tua rifiutando sia lo scambio che di restituirmi il quaderno, in tal caso scriverò il tuo nome sul mio quaderno”

Suo padre che la faceva tanto lunga sull’essere il migliore e non aveva che una schifosa fabbrica di cravatte. Patetico.

“La nostra è una famiglia forte Kuraji, cerca di non assomigliare a quella stupida di tua madre, è solo una persona piccola, mentre tu assomigli a me, no?” mi aveva detto un paio di volte.

Poi mamma arrivava e lui sorrideva. Quello che succedeva, poi, Kuraji lo sapeva a memoria.

Lui si sarebbe arrabbiato perché lei non avrebbe creduto che non stava parlando di lei.

“Che prove hai? Sei una vecchia pazza!” avrebbe riso lui.

“Oppure puoi usare il Death Note come vuoi, ma devi vedere il volto di una ragazza e ucciderla”

Kuraji lasciò perdere i vestiti e guardò lo Shinigami.

“Si chiama Sayu Yagami, mi è vietato scrivere il suo nome, ma tu. Tu puoi. Che ne dici, Kuraji? Non sarebbe uno spasso?”

Si passò la mano sulla frangetta scura sudata.

“Va bene, farò come mi chiedi…”

Riaprì stancamente gli occhi.

“…Ryuk”

 

***

 

Lì al parcheggio ci sono delle casse su dei pali e riempiono di musica quel posto.

Lene mette gli occhiali da sole. Si è messo a fare caldo improvvisamente, che rottura. A casa avrebbe acceso il condizionatore, avrebbe preso una lattina di tè freddo. Sì lei lo comprava in lattina e molti giapponesi avrebbero avuto da ridire. Tè con due cubetti di ghiaccio, il bicchiere alla sua sinistra si sarebbe coperto di goccioline perché il tè, nell’immaginazione di Lene, era bello freddo, poi si sarebbe messa al computer e avrebbe aspettato, perché non aveva fatto un sito internet per scrivere articoli e aspettare messaggi di incoraggiamento o minacce. Lei voleva che Kira lo venisse a sapere. Immaginava che si sarebbe spacciato per un qualsiasi utente e avrebbe fatto domande e lei doveva stare attenta ad accorgersi di qualcosa che non andava. Per il momento due utenti avevano attirato la sua attenzione e li teneva d’occhio.

Tenerli d’occhio, certo, invece era lì in uno stupido parcheggio di un maledetto centro commerciale: l’aveva costretta Jim.

“Se non ti distrai almeno un po’ diventerai un vegetale” le aveva detto.

Ora lui era in macchina, aveva ricevuto una telefonata e Lene lo aspettava fuori appoggiata all’auto.

La musica era vecchia, aveva già ascoltato due o tre brani. Erano nello stesso ordine di un cd che aveva avuto in macchina molto tempo prima e che ascoltava fino alla nausea, quando andava al mare col suo ex marito. Di solito mezz’ora di viaggio.

La macchina vibrava piano, allora, scorrendo sull’asfalto, la musica ronzava a volume basso.

“Jim quanto ci metti?” sbuffò Lene bussando con l’indice contro il finestrino.

Prima la costringe a uscire e poi la ignora. Che tipo.

Lui si mise il cellulare in tasca e uscì.

“Era ora” sbuffò Lene.

Lui la guardò serio.

“Come al solito lavoravo per te. Quell’imbecille di Adam River sta cominciando a darmi sui nervi con le sue insinuazioni” disse, cominciò ad avviarsi facendo cenno a Lene di seguirlo. Lei si tolse gli occhiali da sole e li buttò senza attenzione nella borsa.

“Insinuazioni?”

“Vuole spillarti soldi. Oh Lene è una così cattiva moglie” lo scimmiottò Jim nervoso.

Lene cominciò a pensare che il suo non era un comportamento molto professionale.

“Dice che dubita che Nate fosse figlio suo perché aveva i capelli bianchi. Certo, per lui te la sei fatta con un albino”

Lene si fermò indignata.

“Nate era malato! Era malato, maledizione, non ha i miei capelli, non ha i suoi capelli e neanche quelli di un qualsiasi amante, cazzo!”

“Calmati” l’ammonì Jim.

“Non è questo il punto, ovviamente io sosterrò diversamente, ma a me lo devi dire. Possiamo dire molte cazzate, ma a me devi dire la verità” disse lui.

“Lene, mi confermi che non hai avuto Nate con un altro?”

 

***

 

Matsuda era venuto a prendermi molto presto. Forse avrei dovuto dire “prenderci”, visto che Light si era seduto dietro e probabilmente fissava lo schienale del mio sedile e i miei capelli in modo molto contrariato. Certamente, avrebbe preferito che continuassi ad assecondarlo come una servetta senza prestarmi a questo genere di sciocchezze.

“Allora Sayu” iniziò Matsuda.

“Dopo tutto questo tempo avrai sentito qualche amica, no?”

Dopo quella specie di coma hai riallacciato qualche rapporto?

Tradussi mentalmente e mi sforzai di sorridere. Gli angolini della bocca disobbedivano, forse tremavano un po’, ma lui guardava la strada, non l’avrebbe notato.

“Sì. Proprio stamattina” risposi.

“Fantastico Sayu!” sorrise lui, girò la testa per guardarmi.

“Non hai perso tempo, fai bene! Sono contento per te”

“Ehm… la strada” gli ricordai.

Lui fece una faccia buffa e tornò a guardare avanti, imbarazzato.

Io ridacchiai.

“Dove mi porti Matsuda?” cercai di essere gentile, dopotutto era così buono. Light dietro di me sbuffò.

“Dove ti porto? In pizzeria credo. Ma chiamami per nome”

Be’ a dire il vero il suo nome era orrendo.

“Tati” decisi alla fine. Sperai che lui lo prendesse per un nomignolo affettuoso e in effetti sorrise compiaciuto.

“Non  per essere ripetitivo, ma tutto questo è una gran buffonata” sbuffò Light.

“Forse preferisci ristorante, Sayu?” chiese.

“No, troppo formale” risi.

“Oppure potremmo andare in un centro commerciale e mangiare qualcosa lì”

Mi stupii del mio stesso entusiasmo e anche del fatto che Light non avesse fatto qualche commento sprezzante.

Matsuda si girò verso di me.

“Agli ordini!” esclamò felice.

“Matsuda la strada!”

Lui si girò di scatto e continuò a guidare. Mi portò fuori città e per qualche minuto vidi solo autostrada, poi Matsuda svoltò a sinistra. La strada era piena di buche, io ridevo come se la macchina fosse una giostra. Lui stava per parcheggiare davanti al centro commerciale, poi cambiò idea, si allontanò con la macchina e mi portò in una parte vuota del parcheggio: accanto c’era solo una discesa affiancata a due muretti.

Lui si tolse la cintura uscì e aprì il mio sportello.

“Vuoi provare a guidare?” chiese.

Io mi irrigidii: non avevo mai toccato un’auto prima, soltanto una volta un mio amico mi aveva fatto provare il motorino ma aveva fatto praticamente tutto lui dietro di me.

“Ehm…” esitai.

“Dai Sayu, qui è tutto vuoto, sarà divertente, ti aiuto io!”

“Sayu non farlo!” il tono di allarme nella voce di mio fratello mi fece infuriare per l’ennesima volta.

“Ok, Tati”

Lo stavo facendo per sfida, pensai allarmata mentre scendevo e Matsuda prendeva il mio posto.

Entrai anche io e chiusi lo sportello.

“Sayu!” gridò Light.

Matsuda prima girò il volante a destra fino a quando si bloccò, poi girò le chiavi. Io misi le mani sul volante.

“Il pedale a sinistra è la frizione, schiaccialo fino in fondo” mi disse. Io premetti il piede, ma invece del pedale stavo schiacciando solo una parte ancora più a sinistra della macchina, irritata guardai meglio e puntai il piede.

Tak-taaak

“Bene” disse lui soddisfatto.

“Sayu smettila subito, togli il piede, esci, non farlo!”

“A destra invece c’è l’acceleratore schiaccia anche quello ma non molto, ok?”

Le mani sul volante sudavano, avevo una gran voglia di toglierle.

Misi il piede sul pedale a destra.

Bruuum

Deglutii. E ora?

La macchina si mosse con mio orrore.

No! Troppo tardi per alzarmi, troppo tardi!

“Ok calma” disse Matsuda un po’allarmato.

Girare a sinistra? A sinistra c’era l’autostrada. La macchina prese velocità anche se non stavo facendo niente.

Il panico vero e proprio mi prese quando vidi che eravamo vicini alla discesa a quel punto l’auto andava veloce.

Sollevai appena i piedi sperando che almeno uno dei due affari bloccasse l’auto.

“Frena!” mi avvertì Matsuda.

Io guardai davanti a me: avevamo preso la discesa, il muro era vicino.

“Dove sono i freni?”

Veloce, veloce, muro, muro.

BAAAAAAM

Il dolore invase le ginocchia l’urto sembrava non voler smettere di spingermi avanti.

Fermo.

Respirai aspettando che la fitta alle ginocchia si sciogliesse.

Nessun dolore alla testa. Le braccia erano ancora tese come due tronchi contro il volante.

Aprii gli occhi.

Qualcosa teneva le mie spalle attaccate al sedile.

Light.

“Sayu” gemette Matsuda. Io girai la testa e lui mi abbracciò.

“Come stai? Come stai?”

Mi veniva da piangere, ma cercai di trattenermi.

“Sto bene”

“Maledizione!” esclamò.

“Ti chiedo scusa Sayu, sono un idiota”

“Sì che lo sei!” gridò Light dietro di me.

“Stupido! Stupidi! Sayu! Non è solo la tua vita che rischi! Non è solo la tua! Vedi di crepare quando sei solo tu a morire! Hai capito?”

Era furibondo.

A quel punto la tensione si fece così forte che scoppiai a piangere per davvero.

“Scusa Sayu! Ti prego perdonami è colpa mia! Scusa!”

Lasciai il volante e scesi. Anche Matsuda uscì e fuori mi abbracciò ancora. Lo lasciai fare, le braccia mi tremavano troppo per ricambiare o respingerlo.

Scambiammo una seconda volta posto, questa volta fu lui a spostare la macchina, poi uscì a controllare il motore e io rimasi dentro.

Light si sporse verso di me e mi appoggiò una mano sulla guancia.

“Stai bene?”

Feci segno di no con la testa.

“Ti sei rotta qualcosa”

“No ma… le ginocchia fanno… fanno male” sussurrai.

“Alza i pantaloni” disse.

Io tirai su l’orlo fin sopra le ginocchia.

Erano molto arrossate ma non gonfie e c’era uno strato sottile di pelle sollevato.

“Ok” disse.

“Anche se ti sei fatta male, ti è andata bene”

“Non volevo gridarti contro” si scusò.

Matsuda aveva finito di controllare ed era rientrato.

“Posso tornare a casa?” gli chiesi.

“Certo” sussurrò lui, sconsolato.

“Ci mancherebbe”

Mi sentii sola.

Anzi avevo paura, perché sarei rimasta sola con una testa piena di morti, di segnalazioni dai telegiornali, di pagine scritte.

“Matsuda…” aggiunsi.

“Resta a casa con me”

 

***

 

Lene evitava di ripensarci anche se inevitabilmente ricordava: lei e Adam si erano sposati da poco e non c’erano soldi. Si erano appena laureati ed erano senza lavoro, la madre di lui gli aveva passato qualcosa e per un periodo Adam aveva spacciato marijuana a ex compagni di università più giovani di un anno che ancora frequentavano la scuola.

“Per rimanere svegli, per studiare” le aveva spiegato.

I suoi genitori invece non ne sapevano ancora niente, lei voleva trovare il tempo, il momento.

Non c’erano soldi e loro avevano affittato un appartamentino in periferia, poco arieggiato, ricordava.

Adam quel giorno era andato a un colloquio di lavoro, solo successivamente Lene avrebbe scoperto che era andato bene e che i soldi potevano cominciare ad arrivare. Lei era stanca e si era lasciata cadere sul letto rimanendo sdraiata per ore con la finestra del balcone un po’ aperta. Era in canottiera e pantaloncini, per la comodità naturalmente.

Poi cominciò a far caldo, un caldo infernale anche se fuori pioveva,  la sua pancia era bagnata di sudore, e allora si era tolta i vestiti, poi la biancheria e solo dopo si era accorta che il suo corpo non si muoveva.

Dalla portafinestra socchiusa entrò un uomo, un uomo dai capelli lunghi castani e gli occhi scuri, un uomo che  si appoggiò su di lei, sul suo corpo irrigidito.

Lene ricordava che il caldo era intollerabile, doloroso.

Quell’uomo la terrorizzava col suo volto impassibile, il volto di un messaggero di morte, un dio della morte.

Quell’uomo che poi scomparve le aveva dato Nate. A Jim non l’aveva detto naturalmente e lui le aveva creduto. All’uscita dal centro commerciale Lene vide una macchina con la carrozzeria ammaccata uscire frettolosamente dal parcheggio. Per qualche motivo si sentì inquieta.

 

***

 

Sesso è…

La finestra semi aperta dietro di me, il fascio d’aria che si fa strada come una falce, tocca la schiena, la percorre fredda fino al collo, sottile tocco gelido e tagliente come minacciando di calare fino alle ossa.

Hai paura? Hai paura? Hai…

Sesso è…

I capelli davanti agli occhi, come sbarre, che dividono le schegge di immagini davanti a me, la scrivania, capelli neri, non i miei: Matsuda, un mento, labbra.

I capelli sulla schiena, sulla bocca, sulle spalle, sul collo, bagnati, ancorati alla pelle, sottili, taglienti, in fili. Fili. Fili.

Sesso è…

Calore denso: lava sulle gambe, lava sulla pancia, lava e sudore che scendono lenti come un’agonia.

Sesso è…

Le spalle spinte all’indietro tese come se si volessero toccare fra loro dividendo la schiena e il mio corpo che si accartoccia come attorno a un perno. Ecco: separazione. Frammenti che rabbrividiscono, si spezzano, volano. Volano. Volano. Il mio corpo è un puzzle infranto con pezzi indipendenti.

I polmoni premono quasi contro le costole. Ecco che fanno male un male pulsante che vuole freddo. Desidera. Freddo. Desidera. Tagli. E il sudore.

Sesso è…

La mia ombra, una sagoma nera che si inarca e trema, si tende, si contrae.

Hai paura? Hai paura? Hai…

Sesso è…

Un cuore che sembra spezzarsi  al momento dell’orgasmo, il suo poco prima del mio. Perché, perché l’allontanamento dei sessi è un parto. Il più spaventoso.

Dall’oblio al buio io nacqui.

 

***

 

Lo schermo si colorò di grigio davanti agli occhi di Kuraji, la pagina di un sito dove una elle nera macchiava lo sfondo.

Le indagini su Kira lesse.

“Guarda, guarda”

 

____________________________________________________

 

Scusate tanto il ritardo, colpa della gita :) sono stato in Sicilia e ho visto Medea a teatro, proprio rossa come la immaginavo scrivendo il primo capitolo.

Un piccolo dettaglio: Kuraji è nato pensando agli ikikomori (ci sarà l’acca iniziale? Mistero) cioè ragazzi giapponesi che a causa della competizione che nasce nella scuola e nella società sono spinti a gesti come chiusura totale e rifiuto del mondo esterno o addirittura comportamenti violenti. Ho notato che tutti avete colto questo aspetto. Ne sono lieto.

Passo ai ringraziamenti.

Reus: lo so che sembra strano vedere una Sayu così sfacciata, in effetti trattare il cambiamento è sempre un’operazione delicata per uno scrittore. Il dolore cambia la gente, come la paura, questo è vero, ma come cambia? Probabilmente tu immaginavi una minore forza in Sayu. Tuttavia gli atti di ribellione sono spesso conferma di debolezza in questi casi, infatti nonostante tutto lei si piega alla volontà del fratello. Il tuo parere però mi ha fatto fare più attenzione al riguardo e mi ha giovato a prescindere dall’eventuale torto o ragione del tuo commento. Detto questo ti ringrazio e ti invito a rimanere schietta come in questo caso perché mi serve :D! Grazie disgraziata :-*

 

Darseey: La tua recensione mi ha molto tranquillizzato. Ammetto di essere stato in ansia. Grazie per quel che hai detto sui nuovi personaggi: per chi si inserisce in una storia già bella e formata l’inserimento di creature proprie rappresenta un grande punto interrogativo e motivo di ansia. Per fortuna dissipata in questo caso. Quando scrivo in effetti do molto peso all’elemento introspettivo e spero di rendere i personaggi credibili, con spessore, ma non pesanti… è una fatica ma è bello sapere di riuscirci. Ancora mille grazie.

 

Bleus De Methylene: Vedo che sei tra quelle che hanno riconosciuto il triste fenomeno in Giappone. Naturalmente gli assassini si possono al massimo comprendere :) Sì è vero queste donne vogliono farsi valere e lottare. Una come madre, l’altra proprio come persona. Grazie per il tuo commento.

 

Francy91: Medea è sempre presente, hai ragione è presente in un’indole passionale che crea l’emozione e gli eroi di un racconto. In un certo senso Medea è l’arte: la passione che la gente non si concede, il furore estremo è anche la bellezza estrema. Più una cosa è impossibile più è bella. Non riesco neanche a risponderti perché quello che scrivi nei commenti indovina molto di quello che ci sarebbe da dire.

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Capitolo 9
*** Complice ***


Complice

Complice

 

Tumtumtumtumtum

Dentro di me. Sembrava un accendino la cui fiamma singhiozza scintille inutilmente: piccoli guizzi di rabbia.

Tumtumtumtumtum

Tutti i pezzi che stavo meticolosamente allineando per arrivare dove volevo io si allontanavano alla minima distrazione.

Il piano. I nomi sul quaderno che mi permettevano di continuare a vivere. I nomi degli Shinigami che mi avrebbero salvato. Anche il semplice maledetto fatto che quella stupida doveva rimanere in vita.

E invece no, invece tutto scivola dalle mani, e perché poi? Perché il mio corpo è sabbia, sabbia che soffia, sabbia nel vuoto, un vuoto nero.

Fiiiiiiiiiiiiiiii

Tu fai quello che ti dico io un ringhio nella mia mente rivolto a mia sorella.

Fai quello che voglio, piccola stupida bambina.

I pugni si stringono, le piccole scosse di dolore sui palmi pressati sono così, oh, così ridicole che non le sento.

Fai quello che voglio perché io te l’ho detto, non ti ho detto di vedere Matsuda, di scopare Matsuda, lui, un poliziotto!

La testa era appoggiata alla parete della mia stanza, esausta per quel fumo nero di rabbia che ancora mi investiva.

Vorrei che sentissi, vorrei che capissi cosa significa la morte, prima di cercarla in questo modo per me e per te, vorrei che conoscessi il vortice nauseante di angoscia che sfocia nell’annullamento della coscienza.

Vorrei che sudassi freddo implorando di vivere, che la paura ti facesse venire da vomitare tanto pressa sullo stomaco, come un tamburo, come un battito impazzito.

Tumtumtumtumtumtum

E poi…

E poi io lo sapevo bene: un nodo nel petto si stringe forte, ma niente lo scuote, niente si muove per salvarmi, per pompare sangue. Il mio stesso corpo si rifiuta di mantenermi in vita. L’aria leggera sul collo è come un cappio, ma in quel momento immobile è l’unica cosa che ancora senti, la cosa più dolce che potrebbe toccarti.

Infine semplicemente non sei più nulla.

Lo capisci? Lo capisci? Capisci la paura?

Conosci davvero quel vorticare di coriandoli nel petto e nello stomaco che sfarfalla nelle interiora attecchisce corrodendo come un acido?

Sospirai passandomi le dita sulla fronte sudata.

No, non lo sai, naturalmente, e come potresti?

Il sole dalla finestra punta sui miei occhi, il vetro fra di noi non li fa bruciare ed ecco che una seconda sfera si accosta alla prima come un miraggio o un’impronta. Un’illusione ottica che avevo scoperto alle medie, in gita.

Sbattei le palpebre mio malgrado.

No che non capisci

La porta si apre. C’è Sayu con maglietta e pantaloni della tuta.

“Divertita?” la schernii.

“Light, sono affari miei” il suo tono di voce era dolce.

Si sedette sul mio letto.

Mi guardò dal basso sbattendo le palpebre, sembravano gli occhi di un animaletto: schietti, semplici, guardinghi.

“Sono comunque tua sorella, puoi evitare di sfruttarmi, no?”

Volsi lo sguardo verso di lei: a causa del modo in cui avevo fissato la luce, ora una macchia verdastra oscillava sopra la testa di mia sorella.

“Ah”

Mi avvicinai a lei.

“In che senso ti starei sfruttando?”

La vidi accigliarsi.

“Dovrei essere una ragazza normale e lasciata alla sua vita. Invece per salvare la tua, anche se sei già morto, ho dimezzato i miei anni e sono bloccata in una guerra che… che è una stronzata, di cui non m’importa!” disse.

“Per di più se fosse per te non potrei neanche ritagliarmi degli spazi per me stessa, come se girassi esclusivamente attorno a te”

Sospirai, nervoso.

“Il tuo discorso non regge. Neanche un po’”

Lei mi guardò sorpresa.

“Quando ho nascosto il quaderno non mi aspettavo di certo che tu lo trovassi, quindi non incolpare me se sei finita in questa storia” cominciai.

“E poi forse non ti è ancora chiaro: io muoio solo se muori tu, quindi la vita che salvo è principalmente la tua. Non parlare, non dire una parola” l’anticipai prima che ribattesse.

“Fa come vuoi, fai pure di testa tua, frequenta pure un poliziotto, un poliziotto che mi ha sparato addosso. Esatto, sparato. Non fare quella faccia idiota non mi serve a niente”

Le presi il viso con la mano.

“Guardami” sibilai.

Lei aveva gli occhi spalancati: sorpresa, paura, rimpianto sotto le ciglia nere.

“Sai che significa sacrificio? Quando la morte di altri dipende da te non significa che soffri meno. Anche se vai avanti senza rimorso non significa che vada bene. Anche se lasci che i tuoi cari muoiano senza scrupoli non significa che non faccia male”

Gli occhi di Sayu erano lucidi, non volevo fermarmi: la rabbia montava, si innalzava come una scala. Come una fiamma.

“E il fatto che chiudi gli occhi e vai avanti perché è giusto raddoppia il dolore. Questo è sacrificio. Non è ignorare i propri errori, non è far finta di non sbagliare, non è uccidere gli affetti. È farsi carico di tutto questo. Accettarlo. Soffrirne. Continuare”

Le lasciai il viso.

“Vai a fare compagnia al tuo amante”

Nebbia di stanchezza.

Dopo quello sfogo.

Chiusi gli occhi, l’impronta verde della luce si distese.

Sospirai.

“Dico sul serio, vai via”

Sayu si alzò in piedi, il letto cigolò appena.

“Siamo due ingenui tu e io” la voce era più acuta per il pianto.

“Due ingenui che si sono fatti fregare”

Aspettò qualche secondo per avere un tono normale.

“Sai che ti dico? Il sacrificio non ha niente di eroico”

Uscì dalla stanza sbattendo la porta.

Toccai con le dita la scrivania.

Quello che ho fatto…

Il cielo è sangue che si secca.

 

***

 

“So qualcosa. Le manderò un indirizzo di posta elettronica che esisterà solo per un giorno, mi contatti tramite quello e le manderò l’indirizzo vero. Parleremo in privato”

Kuraji clicca su “invia” e deglutisce.

Si porta le dita alle labbra e morde le unghie, le solleva un po’ coi denti e passa la lingua, poi abbassa le mani di scatto. Sangue. Doveva lavarsi meglio le mani, maledizione.

Ora non erano più prostitute: erano le ragazzine che incontrava nei locali la sera tardi. Tutte loro erano così felici di accettare un drink e lui era gentile, anche carino, così sorridevano, bevevano e il sonnifero faceva effetto solo quando erano in macchina. Lui le portava lontano e aveva preso l’abitudine di aprirle piano a strati, vedere come erano fatte. Prima di farlo le uccideva, naturalmente, perché la prima volta che aveva aperto la pancia a una ragazza, lei si era svegliata e aveva gridato come un’ossessa per un quarto d’ora prima di morire. Lui aveva avuto così tanta paura che non si era avvicinato prima che morisse.

“Non puoi ucciderle col quaderno?” gli aveva chiesto Ryuk.

“Noioso” aveva risposto Kuraji, poi aveva spinto una mela col dito lungo la scrivania facendola rotolare fino allo Shinigami.

Aveva già visto siti simili a quello, pensò guardando lo schermo, quasi tutte cavolate. Tuttavia quegli articoli sembravano scritti da una persona che sapeva il fatto suo.

Sayu Yagami, gli aveva detto Ryuk, era la sorella dell’essere conosciuto come Kira e se questo tipo stava indagando poteva arrivare anche lui alla ragazza.

Sapeva che si sarebbe messo in contatto con lui: era evidentemente quello lo scopo del creatore del sito… Elle.

Altrimenti perché condividere le sue indagini? Per portare Kira a farsi avanti è ovvio. Ecco perché Kuraji contava sulla risposta di Elle e anche in fretta, allora gli avrebbe detto del quaderno, ma sì qualche informazione, aveva bisogno di scuse per non fargli pensare di essere Kira, certo, magari avrebbe scambiato qualche informazione importante, o forse, pensò, era tutta una cavolata. Ad ogni modo quello era un primo passo per arrivare alla ragazza.

Se poi avesse scoperto che quell’Elle non era poi così affidabile, anzi era un intralcio, l’avrebbe ucciso.

Kuraji sbuffò impaziente e cliccò sul tasto “aggiorna”.

“Stupido” sussurrò arrabbiato.

Non aveva ancora risposto.

“Non hai ancora scritto niente sul  quaderno” commentò lo Shinigami.

“Possibile che non ti interessi?”

Kuraji aprì il quaderno.

“Sì che mi interessa. Molto” strappò le prime tre pagine, poi arrivò alla fine e fece lo stesso con le ultime tre per non lasciar traccia dello strappo.

“Però devo fare le cose per bene, dobbiamo trovare quella ragazza, Yagami, giusto?”

Ryuk rise, Kuraji cliccò ancora su “aggiorna”.

Ecco: la risposta!

“lato per lato”

Kuraji sgranò gli occhi.

“Ma mi sta prendendo in giro?”

Lato per lato. L’area del quadrato, pensa Kuraji trovandolo immediatamente stupido.

“Ok” soffia irritato. Preme il tasto destro del mouse e trascina fino a vedere un quadrato tratteggiato.

“Che sciocchezza” dice lasciando il tasto del mouse.

Fissa la pagina web.

I riquadri con i commenti sono rettangolari.

Kuraji riprovò il trucco del tasto destro, stavolta usando come lato e base la grande elle sullo sfondo. Niente da fare! È un maledetto rettangolo, così prova ad allungare la base, una, due, tre, quattro volte.

“Va al diavolo!” ringhia spingendo il mouse in avanti.

Rimase a fissare il monitor con le mani sulla testa e i gomiti appoggiati sulla scrivania.

Poi sgranò gli occhi, prese di nuovo il mouse e seguì i contorni dello sfondo grigio scuro della pagina. Quadrato, pensa entusiasta. E poi lo trova.

Era un link nascosto perché scritto con lo stesso colore dello sfondo, ma passando il mouse sull’angolo in basso a destra era diventato bianco.

L’indirizzo di posta elettronica, pensa Kuraji entusiasta.

“Ti ho trovato Elle!”

 

***

 

“Bill”

Questo era il nome con cui si era firmato il ragazzo che l’aveva contattata.

Aveva trovato il suo indirizzo di posta elettronica, ok era un “indovinello” abbastanza semplice, però lui aveva fatto presto, non dimostrava nulla, ma era sufficiente a incuriosirla.

“Probabilmente lei penserà che io sia Kira. Era quello che si aspettava, non è così? Che uscisse allo scoperto. Tuttavia io posso dimostrarle la mia innocenza e comunicarle ciò che occorre incontrandola” aveva scritto.

Lene aveva aggrottato le sopracciglia.

Il ragazzo capiva troppe cose. Che si trattasse o meno di Kira lei rifiutava di fidarsi.

“Questo, naturalmente, accadrà, sei  giapponese, dico bene? Dimmi la città in cui vivi. Ti raggiungerò io”

Ora doveva solo aspettare la risposta.

“Non dovresti incontrarlo” aveva sospirato Jim.

“Ma ormai so che non mi darai ascolto. Perlomeno permettimi di rimanerti vicino. Non ho nessuna voglia di lasciarti nelle mani di uno sconosciuto nel bel mezzo di una storia così pericolosa”

Lene lo guardò gelida.

“Sono stanca di ripetertelo” disse.

“Torna a Londra a fare quello per cui sei pagato, stai diventando ansioso e non ho voglia di occuparmi anche di questo”

“Gentile” commentò lui.

“Come faccio a lasciarti in queste condizioni? Se anche io non fossi tuo amico, ma un semplice conoscente non ignorerei una persona che sta andando fuori di testa”

“Non sto andando fuori di testa, ma tu non capisci, naturalmente: non sei padre, non hai affetti, non…”

“Lene, basta cazzo. Fa pure quello che vuoi, l’importante è che non mi cacci, tu vuoi decidere per te? Allora decido anch’io!”

“Come ti pare” sbuffò Lene.

Apre il nuovo messaggio di posta.

 

***

 

Sayu aveva congedato Matsuda con gentilezza, tuttavia avevo notato una punta di gelo: era a causa di quello che le avevo detto. Matsuda mi aveva sparato.

Tutto ciò che avevo fatto. Il sogno che avevo coltivato.

Se anche avessi sbagliato quegli errori erano stati la cosa migliore che un uomo, che io, potessi fare. Il dolore che solo un eroe può accettare.

Negli occhi di mia sorella non c’era più sofferenza. C’era consapevolezza.

Io ero dietro di lei.

Il sacrificio non serve a niente. No, non il sacrificio: quello per cui lo compi, Sayu.

Portai avanti la mano e le presi il polso con gentilezza.

Questa volta sarò sincero. Davvero.

“Hai ragione” dissi.

Sayu non si girò, rimase calma a guardare l’ambra triste del sole fuori.

“Sarei stato un giusto solo se avessi vinto e ho ucciso me stesso e molti altri con le mie scelte. Un investimento pericoloso, per un sogno”

“I miei errori, sai Sayu, sono giusti a loro modo”

“Light…”

Non interrompermi: almeno tu devi capire. Almeno tu devi provare il sentimento che ha guidato le mie scelte.

“Ti chiedo di sbagliare con me. Di affondare con me. Perché ho bisogno di un sogno per cui sbagliare”

 

_______________________________

 

Fatica! L’evoluzione di un personaggio. Che cosa dura, non si sa mai se la piega che fai prendere alle cose va bene oppure no, se l’angolazione avrebbe dovuto essere diversa. In questo caso mi sono affidato alla probabile amarezza di Light alla quiete statica a cui è costretto, alle critiche a cui ha dovuto far fronte per fargli considerare alcuni aspetti della sua scelta, senza però fargli fare passi indietro U_U non amo giustificare le mie scelte: se una cosa non arriva al lettore è colpa mia e il capitolo dovrebbe essere esauriente senza la necessità di una spiegazione. Io la inserisco lo stesso ripromettendomi di evitare in futuro. Bene, ora passo ai ringraziamenti.

 

Reus: non solo uno Shinigami, ma il signor capo XD sì che sei una disgraziata, ah non rivolgerti a me come se fossi trans ti ricordo che sono un maschietto, quando cambierò sesso o orientamento te lo dirò :P Ora a parte gli scherzi… l’esperienza non mi serve a niente se non posso scriverne :D sono contento che ti piaccia Kuraji… sì è un personaggio alquanto tragico. Sono curioso di conoscere il tuo punto di vista su questo capitolo in cui, lo ammetto, ho osato molto. Un bacio!

 

Francy91: ho fatto prima che potevo e spero che il risultato sia soddisfacente. Amore per Medea? Uhm no, credo che i maschi ne abbiano una gran paura piuttosto! Fascino, questo sì. Kuraji non è sfigato senza limiti: a suo modo ha avuto la fortuna di non avere la peggiore delle condizioni familiari, è un bel ragazzo, gli viene dato il quaderno, penso che la debolezza e la persistenza dei problemi lo segnino più dei problemi stessi. Per quanto riguarda Sayu… la sofferenza insegna la profondità ringrazio Wilde per avermelo insegnato. Spero che apprezzerai il capitolo.

 

Bleus De Methylene: non mi sono abbattuto, figurati; anzi ti ringrazio perché la tua recensione è stata costruttiva. Essendo io abbastanza presuntuoso e competitivo non ho affatto pensato di buttarmi giù, insomma se tu mi correggi il vantaggio è tutto mio ; ) quindi grazie. Ho riflettuto sul rapporto tra intensità di scene e capacità di emozionare e ho cercato di individuare il modo in cui convergono o i cui si differenziano. Questo capitolo è frutto di un tentativo in tal senso, spero che ti piaccia :) ancora grazie!

 

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Capitolo 10
*** Scoperta ***


Scoperta

Scoperta

 

Un ragazzino.

Chi l’avrebbe detto. Un ragazzino che avrebbe potuto avere al massimo diciotto anni e che l’aveva contattata. Probabilmente era una grande fregatura. Doveva averlo pensato anche Jim, perché appena aveva visto il ragazzino aveva sghignazzato, scettico.

“Lene pensa che bello, farai da baby sitter a un moccioso, non era proprio quello che ti aspettavi, eh?” le avrebbe detto lui, se non ci fosse stato il ragazzo ad ascoltarli.

Lene rimase a guardarlo: si era seduto sul divano. Alla fine era venuto lui da lei, per qualche motivo, e se ne stava là seduto in silenzio, con la frangetta scura sugli occhi.

“Mi scusi” disse all’improvviso.

Lene sobbalzò appena. Jim dietro di lei non disse nulla, immaginava che lui si fosse voltato incuriosito.

“Credo che ora dovremmo parlare, non crede anche lei?” Lene deglutì, si alzò dalla sedia e si mise vicino al divano.

“Devo chiamarla Elle?” le chiese.

“No. Chiamami Lene. Sono Lene Mivan” mentì.

Per qualche motivo il ragazzo sorrise per un secondo.

“Kuraji Maro” si presentò.

Lene si spostò davanti a lui: “Bene. Dimmi quello che sai, Kuraji Maro”

Kuraji alzò lo sguardo verso di lei, poi prese lo zaino che si era portato, lo aprì e prese un quaderno nero.

“Lei non ci crederà, probabilmente, Mivan” disse e guardò Lene negli occhi.

”Se si scrive il nome di una persona di cui si conosce il volto su questo quaderno, questa persona morirà”

Ok, quello stupido la stava prendendo in giro, ora lo cacciava a calci quel piccolo idiota.

“Ascoltami bene io non sto giocando ragazzino. Non sono il personaggio di un videogame, chiaro? Se sei venuto fin qui solo per rifilarmi le tue stupide fantasie penso che dovrai risarcire i soldi della benzina alla mamma e filare prima che mi arrabbi sul serio” Lene chiuse i pugni infuriata, sentì Jim ridacchiare.

Kuraji la paralizzò con lo sguardo.

“Le sto dicendo una cosa importante Mivan, forse avrei ragione di non fidarmi di lei, dato che non so se fa sul serio. Mi ringrazi per la mia pazienza” sibilò irritato.

“Questo quaderno mi è stato consegnato da uno Shinigami, tuttavia sono contrario al suo utilizzo, pertanto non l’ho usato. Anni fa Kira ne ha ottenuto uno uguale. Di qui il suo potere” disse.

Lene sospirò. Doveva essere paziente: se il ragazzo aveva problemi non doveva gridargli contro. Lei avrebbe dovuto saperlo, no?

“Tocchi il quaderno” disse lui con tono spazientito.

“Non mi crederà finché non toccherà lei stessa il quaderno”

A Lene venne da ridere: cosa si aspettava che succedesse quel Kuraji? Che lei percepisse il potere, che ne avvertisse l’essenza maligna e che gli rivelasse di avere super poteri e un robot enorme come nei fumetti?

Lene sospirò, allungò la mano e toccò il quaderno.

Guardò negli occhi Kuraji. Solo dopo qualche secondo si accorse di qualcosa dietro di lui: alzò lo sguardo e gridò.

 

***

 

Hiver, Rodie, Shoudor.

L’ultimo di loro era stato costretto a scrivere a sua volta i pochi nomi di Shinigami che conosceva, prima di morire.

Ora gli Dei della morte che erano stati così sciocchi da rivelare i loro veri nomi erano morti, la cosa che mi infastidiva era non sapere quanti erano.

E Sayu stava riportando i nomi dei criminali sul quaderno. Dieci pagine.

Da quando aveva fatto sesso con Matsuda sembrava diversa: più silenziosa, meno emotiva.

Finalmente andava come volevo. Finalmente Sayu si era decisa ad obbedire.

Pensandoci bene, se quel sesso era stato uno sfogo, un’esplosione liberatoria andava solo a mio vantaggio, certamente.

“Così può bastare” dissi a mia sorella.

Lei lasciò la penna, spense il computer, io mi avvicinai e le misi una mano sulla spalla.

“Tutto bene?” chiesi.

Lei annuì, si alzò in piedi aprì le tende, era buio, ma lei non accendeva la luce.

“Tra un po’ mi troverò un lavoro: non posso vivere solo dei soldi lasciati dai nostri genitori. Credo anche che proverò a vendere la casa in campagna” disse.

“Lavoro?”

La guardai: mi dava le spalle, vedevo solo i suoi capelli nella luce grigia.

“E come farai a continuare col nostro piano?”

Lei rimase ferma e aspettò qualche secondo prima di parlare.

“È ovvio che dividerò la giornata tra le due cose, che altro potrei fare?”

Potresti non lavorare almeno finché non risolviamo la faccenda del quaderno, maledetta idiota! Ma a questo non ci pensi eh? Sei solo un’egoista.

“Non puoi lavorare quando tutto questo sarà finito?” sospirai.

“E perché? Hai tutta questa paura di morire che non vedi l’ora che il pericolo termini? Come se fosse il tempo a minacciarti. Sono gli Shinigami invece e ne abbiamo già uccisi un po’. Cosa può cambiare il tempo? La tua fretta è inutile e mi farà impazzire se non la pianti” disse calma.

Stupida! Il tempo conta! Potrebbero arrivare a te! A me! Come può non contare?Alla minima distrazione…

“Ti capisco. Come vuoi”

Lasciai che la rabbia si inarcasse come impazzita solo dentro di me.

Volevo ucciderla. Ecco la verità: la volevo morta. Morta perché era un maledetto ostacolo.

Qualcuno suonò alla porta ed entrambi sobbalzammo.

Sayu si girò e si avvicinò alla porta, aprì: era Matsuda.

“Ehi” disse lei sorpresa.

“Ciao” sorrise lui.

Si grattò la testa imbarazzato.

“Ti sembrerò un vero stupido ma avevo voglia di vederti, di farti un po’ di compagnia” il sorriso si allargò.

“Caspita, sei molto gentile” rispose lei. Sembrava sinceramente sorpresa.

“Bastardo” imprecai furioso.

Sayu si voltò verso di me per un attimo. Doveva essersi ricordata di quello che le avevo detto.

“Comunque ora ho un po’ da fare” disse lei tornando a un tono freddo.

“Sayu, scusa la mia maleducazione” disse lui, facendosi serio, la prese per le spalle e la costrinse a indietreggiare, entrando in casa.

“Ma che fai?”

Io sgranai gli occhi.

“Sayu il quaderno! È sul tavolo!”

Lei si irrigidì.

“Devi scusarmi Sayu, ma non ho nessuna voglia di lasciarti da sola. So di non averne il diritto, ma se non avrò altra scelta sono pronto a rimanere qui con te anche contro la tua volontà” disse.

“Ascolta, nonostante quello che è successo e il fatto che sono d’accordo sul frequentarci, non vuol dire che debba appartenerti in automatico e che tu possa essere così prepotente” protestò lei, cercando di fermarlo.

“Io questo lo capisco, ma se tu rimani qui da sola sono sicuro che ti farà male” disse lui chiudendo la porta dietro di se.

“Quindi non posso lasciare che tu impazzisca qui dentro” concluse.

Continuò a camminare fino al soggiorno.

“Matsuda!” lo chiamò lei esasperata.

“Matsuda!” lo seguì.

Lui era fermo a pochi centimetri da me.

“Sayu devi ucciderlo” dissi.

“NO!” gridò lei.

Matsuda si girò a guardarla.

“Matsuda tu hai sparato a mio fratello” improvvisò lei.

Lui sobbalzò, io strinsi i pugni.

“Stupida, che stai facendo?” le gridai.

“Ma tu come…?” Matsuda si girò, il suo sguardo mi attraversò e vide sul tavolino il quaderno nero.

“No”

“Sayu, devi ucciderlo! Ora!” gridai.

“Dimmi che non l’hai usato” disse lui senza muoversi.

Sayu non rispose: le mani sulla faccia, immobile.

Lui si girò afferrò il quaderno, mi vide.

“AAAAAAAAAAAH!”

Matsuda cadde per lo spavento, si trascinò indietro.

“Che c’è?” sibilai sprezzante.

“Ora hai paura?”

Mi chinai su di lui e gli sferrai un pugno sulla mandibola.

“Light!”

Rabbia, fuoco, rosso, come elettricità nelle vene: lungo il braccio. Un pugno.

“Light fermati, ti prego!”

“Crepa bastardo”

“LIGHT!”

Sayu cercava di trattenermi con tutte le sue forze. Mi fermai, tremante.

Matsuda era fermo a terra con gli occhi chiusi.

“Maledizione!” esclamò lei, mi spinse via e si chinò su Matsuda.

Io arretrai cercando di restare in equilibrio.

“Svegliati, ti supplico svegliati” gli accarezzò il viso, una macchia di sangue si distese sulla guancia.

Gli prese il polso, aspettò.

Un sospiro.

“È vivo. Grazie al cielo” si passò la mano sul viso.

“Dobbiamo ucciderlo” dissi.

“Piuttosto ammazzo te” ringhiò lei.

Gli accarezzò i capelli, nervosa.

Soppressi l’istinto di aggredirla.

“Lo terremo prigioniero in camera mia. Non possiamo permetterci di lasciarlo in libertà adesso che sa” decisi.

Sayu non disse niente, si alzò, andò in cucina e tornò con un fazzoletto bagnato, tamponò le ferite di Matsuda. Una goccia d’acqua dal panno zuppo indugiò vicino agli occhi, poi scivolò lungo la guancia finendogli nell’orecchio.

“Sayu dobbiamo legarlo con qualcosa prima che si svegli” dissi spazientito.

Lei non fece nulla, così io salii in camera mia, mi guardai intorno, poi presi il cavo del televisore, quello del videoregistratore e scesi.

“Aiutami a portarlo su” le ordinai afferrando Matsuda per il colletto.

“Dovremmo portarlo all’ospedale” ribatté lei.

Lasciai il colletto di Matsuda, mi avvicinai a mia sorella e le afferrai i capelli facendole chinare la testa all’indietro.

“Dì ancora un’altra parola e anche se ciò significherà condannare me stesso io giuro che ti uccido” sibilai, poi la lasciai andare.

“Prendilo per le caviglie” dissi, mi arrotolai i cavi attorno al braccio, poi sollevai Matsuda e lo portai in camera mia. Sayu era rimasta in silenzio.

Avevo legato i suoi polsi alla sponda del letto e Sayu l’aveva coperto con le lenzuola.

Io le presi il viso costringendola a sollevarlo, le spostai i capelli e la guardai.

Il suo sguardo era deciso, senza paure, l’espressione contratta, ma non avrei saputo indovinarla. Rabbia? Risentimento? Gli occhi erano cerchiati appena di rosso, come se non avesse dormito.

“Scendi, mangia qualcosa, prova a calmarti. Non mi servi a niente se ti viene un esaurimento nervoso”

Lei sbuffò, allontanò la testa da me e non si mosse da lì.

 

***

 

C’era voluto molto più tempo a calmare l’uomo che era con quella Lene, quando aveva visto lo Shinigami, che la donna stessa.

La donna che aveva mentito.

Lene Mivan aveva detto? Ma lui con gli occhi dello Shinigami aveva subito visto il suo vero nome: Lene O’Brian. Ora doveva solo accertarsi che la sua decisione di collaborare con Elle fosse davvero utile, altrimenti avrebbe ucciso entrambi: Lene O’Brian e James Berry.

Per il momento la sua scelta si stava rivelando buona: Lene aveva molti indizi utili. Tanto per cominciare un suo stretto parente aveva lavorato nell’SPK l’associazione contro Kira. Lei in realtà non sapeva nulla di quelle indagini, se non che questo Kira che a suo tempo terrorizzò il mondo era ricercato anche da un piccolo gruppo di agenti giapponesi, che era morto per “cause non imputabili agli agenti presenti” dopo lo smascheramento e una fuga disastrosa. Il capo del quartier generale giapponese era morto in quella circostanza.

Secondo lei, poi, Kira era tornato e non solo dal momento in cui erano cominciati a morire criminali, ma da molto tempo prima, quando quel suo parente era morto per malattia. Questa tesi era confermata dalla regola del quaderno secondo cui si possono specificare le condizioni della morte. Come due anni prima questo Kira, sempre secondo Elle, si trovava in Giappone.

“Gli agenti sopravvissuti” aveva detto Kuraji.

“Bisognerebbe interrogarli: questi dati non sono sufficienti”

“Naturalmente non ne faranno parola con noi, inoltre non sappiamo neanche chi siano” aveva risposto Lene.

“Non conosciamo neanche i parenti stretti del capo? Almeno lui dovrebbe essere stato reso noto. Forse loro possono dirci il nome di almeno uno degli agenti giapponesi” suggerì.

“In questo caso” rifletté Lene.

“Trovato almeno uno di quei collaboratori potremmo mostrargli il quaderno. È probabile che ne fossero venuti a conoscenza se hanno davvero fermato Kira per breve tempo. E poi dovremmo convincerlo che questo oggetto è la prova che il potere di Kira è nuovamente nelle mani di qualcuno. In tal caso non potrà rifiutarci informazioni” concluse Lene.

“Be’ e se invece lo facesse? Potrebbe accettare il quaderno come prova e buttarci fuori dalle indagini” considerò Kuraji.

“Non credo: ho denunciato il ritorno di Kira da parecchio tempo, ho avuto più intuito di loro e per quanto riguarda te vorranno sapere nel dettaglio il modo in cui ti è stato affidato il quaderno. Almeno come testimoni non ci allontaneranno così in fretta”

Kuraji intrecciò le dita davanti al volto e rimase in silenzio.

Certo questa era un’idea, ma collaborare col gruppo di giapponesi sarebbe stato poco utile, anche col quaderno come prova. Tanto per cominciare avrebbero sospettato pesantemente di lui, poi probabilmente avrebbero mantenuto segreti così come avevano fatto fino ad allora circa il caso Kira.

Come erano andate veramente le cose?

Kira venne fermato con la morte di uno solo degli agenti giapponesi: il modo in cui era stato smascherato gli avrà sicuramente impedito di accedere al quaderno se non nel momento dell’omicidio del poliziotto. Non a caso a morire era stato il capo del gruppo d’indagini giapponese. Però perché, invece, Kira non aveva ucciso il membro a capo dell’SPK? Sarebbe stato più logico temere quel genere di associazione.

Ok, in un simile momento di smarrimento non avrà pensato a questo. Dopo la sua morte per un anno circa non si erano più verificate morti imputabili all’operato di Kira, salvo il decesso del capo dell’SPK. Stando a quello che Ryuk gli aveva detto Kira era già diventato uno Shinigami e in qualche modo aveva continuato a uccidere, questa volta nessun criminale però. Trascorso l’anno ecco che i criminali cominciano a morire nuovamente, anche se i telegiornali negano con fermezza il ritorno del serial killer dei criminali.

Ovviamente il vecchio Kira si sarà rivolto come Shinigami a un essere umano: Sayu Yagami. Morta lei, morto anche Kira e lui avrebbe vissuto lontano dalle minacce di Ryuk e con la possibilità di usare il quaderno senza costrizioni.

Dove era finito il corpo di Kira? Perché Kira era stato un uomo, questo era chiaro.

“Mivan” disse Kuraji.

“Ascolti: la morte dell’agente e la cessazione del lavoro di Kira sono molto sospetti. Lei non crede che ci sia la possibilità che quell’uomo sia proprio Kira?”

Lene rimase immobile, lo guardò.

“Questa è una sciocchezza!” esclamò lui, l’uomo che si trovava con Elle: Jim Berry.

“Secondo me il fatto che un agente sia morto nel tentativo di fermare un assassino con un simile potere è più che plausibile. Perché sospettare di quel poliziotto solo perché nessuno ha lasciato trapelare nulla della morte e del corpo di Kira?” disse.

“Questo è vero” rispose Lene.

“Però non mi sento di bocciare la tesi di Maro, indagheremo tenendo conto di entrambe le piste, per quanto improbabili” decise.

“Mivan conosce il nome del giapponese morto?” chiese Kuraji con fin troppa ansia, alzandosi in piedi.

Lene lo guardò per un secondo.

“Sì: il suo nome è Soichiro Yagami, sono sicura che fosse lui il capo”

Yagami!

Ryuk ridacchiò senza trattenersi.

Kuraji si sedette sperando di riuscire a non far trapelare la sua soddisfazione.

Ormai ne era certo: quell’uomo era Kira e ora era solo questione di tempo.

Mia cara Sayu, ora è davvero finita.

 

_______________________________________________

 

È faticoso reggere il confronto con la genialità dei personaggi di Death Note, tuttavia mi sto impegnando per costruire una vicenda che sappia di partita a scacchi, non ho nessuna voglia di andare fuori tema. Sto maltrattando Matsuda e Jim, me ne rendo conto, perdonate la mia insensibilità ^^ Passo ai ringraziamenti.

 

Reus: con te basta pronunciare la parola “sogno” che riesci a capire quello di cui si parla, so che è una parola che fa scattare qualcosa in te. Le tue recensioni non sono inutili, sono sinceramente soddisfatto delle recensioni che ho ricevuto fino ad ora: so che sono state sempre acute e costruttive e le tue nella loro semplicità mi dicono comunque ciò che mi serve sapere: se e cosa ti è piaciuto, cosa non ti convince. Sei molto utile ^^ Per quanto riguarda Kuraji: ma quello è cretino, neanche l’ha fatto apposta!

 

Bleus De Methylene: dal primo momento in cui ho conosciuto Death Note ho condiviso e compreso la rabbia di Light ecco perché mi è facile l’approfondimento di questo personaggio e mi piace in effetti cercare di dare una spiegazione psicologica a quello che è successo nel manga. Mi piace essere capito quando scrivo, mi sembra di avertelo già detto, con te penso proprio che ciò che scrivo arrivi esattamente come desidero al destinatario. Per quanto riguarda la mia presunzione… è una questione puramente artistica: quando scrivi e lasci che tutto ciò che inserisci e su cui lavori ti esalti ed esalti anche il lettore, sei pervaso da una sensazione di potere, di euforia, di grandezza tale che la presunzione è inevitabile ;-)

 

Francy91: Sono contento che ti sia piaciuto il capitolo e che tu abbia notato determinati dettagli. Hai visto giusto su tutto: i contrasti di Light, la sua voglia di vivere contro la sua immobilità e tutto il resto. È sempre difficile scriverti una risposta. Certo è che sei una lettrice così attenta che mi lasci a bocca aperta ;-P

 

 

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Capitolo 11
*** Risparmiala ***


Risparmiala

Risparmiala

 

Tota Matsuda era stato uno di quei ragazzini che si adattano al loro ambiente in maniera immediata, cercando, per lo meno, di non essere a disagio con gli altri, così poteva essere silenzioso se i suoi amici lo erano, frivolo, se lo erano le sue compagnie. Curava l’abbigliamento, aveva il tipico egoismo godereccio che si sviluppa durante l’adolescenza, quando si comincia a bere e a fingersi ubriachi solo per fare stranezze, a godere delle luci artificiali della città di sera che oscillano dorate e calde lungo i marciapiedi, delle minigonne delle ragazze che passavano. Egoismo che si raffina più tardi, nell’età adulta, quando si finge sobrietà nei gesti, nelle risate, quando si fuma mentre si passeggia con i vecchi compagni di scuola e si cerca di ricordare dove si è parcheggiata la macchina, quella che si finge che sia nuova, per fare colpo, naturalmente. Quando era entrato nella polizia si era adattato, e aveva, a modo suo, cercato di fare la cosa giusta rimanendo con i colleghi che persistevano pur nel rischio nella lotta contro Kira. L’aveva fatto per coraggio? Se ci avesse riflettuto abbastanza avrebbe capito che, no, non era così. Non era un eroe, era uno che voleva risaltare, era uno che si conformava nella maniera che riteneva giusta, senza rinunciare a essere schietto e a mantenere la sua posizione; rimaneva ugualmente influenzabile.

Capiva le cose essenziali ma non era una mente che comprendeva se stessa. Quando si svegliò rimase con gli occhi chiusi. Ci ripensava. A quelle luci calde della sua adolescenza, nelle insegne, nei pali della luce, quando si bruciava gli occhi per guardarle. Ripensava alle gambe delle ragazze, sì, e alla sensazione di soddisfazione, quando la serata era fresca e divertente, al calore rimastogli in gola di qualcosa che aveva bevuto. Una bella vita. Un buon divertimento.

Cosa avrebbe dovuto pensare, invece, sollevando a fatica le palpebre, della ragazza con gli occhi arrossati, quasi cerchiati da una nitida linea rossa, i capelli un po’ in disordine e l’espressione assente?

Come avrebbe capito cosa fare se non aveva modelli, un qualcosa che gli dicesse come reagire? I suoi polsi erano bloccati. Ancora non sapeva bene da cosa, ma lo erano, sì. E lui era sul letto.

“Come stai?” la voce di Sayu era un po’ roca, come se il pianto le avesse raschiato la gola.

“Bene” rispose stupidamente Matsuda.

Certo bene. Che razza di sciocchezze diceva? Pensò.

“Non mi aspetto che mi perdonerai mai le cose terribili che verrai a sapere di me” disse lei sorridendo appena, con rassegnazione.

Matsuda se ne sarebbe dovuto accorgere molto prima. Lo sguardo di Sayu. Aveva perso innocenza, si era incupito di maggiore profondità.

Invalicabile, pensò Matsuda.

“Ti ha fatto il lavaggio del cervello” disse lui.

Cercò di muoversi, ma la roba che lo teneva legato –cavi? Sembravano cavi- sfregò contro i suoi polsi e lui si arrese, docile.

“In parte è così” aveva risposto lei.

“Ma non proprio: se anche non si trattasse di lavaggio del cervello non avrei avuto scelta. Non ci riesco, ho provato” disse.

Naturale, pensò lui, certo, era sempre suo fratello.

Suo fratello.

Come poteva essere lì? Come…?

“Come fa a…?”

“È uno Shinigami. Sai di cosa parlo?”

Uno Shinigami. Come quello bianco, come l’altro custode del quaderno. Quello che mangiava mele.

“Devo tenerti qui in questa camera. Capisci, no? Sei un testimone e poi come potrei pretendere che tu faccia parte di questo inferno?” sorrise ancora, con amarezza.

“Già, non puoi” disse lui. D'altronde, considerò, se fosse diventato complice non se lo sarebbe mai perdonato.

Però. Però poteva perdonarlo a lei. Lei era in crisi, scioccata, ferita, e avrà passato chissà quanto tempo con suo fratello morto. Naturalmente era con le spalle al muro. Costretta.

Costretta, vero piccola? Quanto sei bella. Bellissima. Fai venire voglia di proteggerti.

Probabilmente, però, non è quello che vuoi.

“Sayu” la voce di Light. Di certo Matsuda non si sarebbe mai aspettato di sentirla di nuovo.

“Sayu, vieni via, forza” ordinò.

Lei si alzò senza dire una parola e uscì dalla porta. Light rimase sulla soglia fissando Matsuda sprezzante.

“Idiota” disse.

“Hai rovinato tutto. Ma sarà peggio per te. Molto peggio” concluse.

Se Matsuda avesse potuto muovere le mani probabilmente avrebbe fatto due cose. La prima -per sé stesso- avrebbe picchiato Light fino a ucciderlo, la seconda: avrebbe stretto le mani, supplice, in preghiera.

“Light” disse, sperando che lui l’ascoltasse prima di chiudere la porta dietro di sé.

“Risparmiala dal dolore! Ti prego!”

La porta si chiude.

Il silenzio.

Il silenzio e più nulla.

Risparmiala dal dolore!

 

***

 

Jim osservava Lene. Lei aveva ragione, certo: avrebbe dovuto pensare al suo lavoro. Con distacco, ecco. Uno stupido divorzio. Invece non se ne stava occupando: si era limitato a seguire una donna cinica, cocciuta, sbadata in quella che definirebbe follia.

Perché come altro avrebbe dovuto chiamarla l’ossessione di Lene? Era vero: le morti erano ricominciate, tutti i telegiornali parlavano del ritorno di Kira, però quello non era il suo lavoro, insomma, non era un poliziotto lei.

“E tu non sei il mio psicologo!” aveva ribattuto Lene, quando lui gliel’aveva detto.

Certo, ragazza, ma io non rischio la vita, tu sì. Ecco la differenza.

E poi… questo Kuraji che spuntava dal nulla e veniva proprio da lei per portarle una prova così importante. Non c’era motivo, naturalmente, di dubitare che ci fosse del vero in quella storia: il mostro, ecco, lui l’aveva visto, l’aveva anche toccato, e non era forse vera la mela che aveva ingurgitato davanti ai suoi occhi? Non era vera nelle mani di Kuraji?

Sì, sì, sì, maledizione!, tutto vero!

E Lene che era lì con un ragazzino che aveva qualcosa di inquietante, con il mostro col sorriso e i denti aguzzi. Sembravano gli artigli di un gatto, sì, esattamente.

No, non voleva vederla con quei due mostri, non la voleva vedere alle prese con Kira, per vendicare un ragazzino a cui non aveva mai davvero dedicato molte attenzioni.

Jim osservava Lene. Lene che guidava, diretta a casa di quella ragazza: la figlia, aveva detto, di quel Soichiro Yagami. Non aveva voluto che Kuraji venisse con loro.

“È una ragazza con problemi, preferisco incontrarla solo con Jim” gli aveva spiegato. Allora lui aveva fatto una faccia strana, rigida, quasi offesa, poi però aveva sorriso.

“Come vuole”

Lene parcheggiò e scese.

Non era un’improvvisata: aveva avvisato della visita e aveva anche portato dei dolci.

Sembrava un pesce fuor d’acqua, Lene, quando aveva a che fare con la gente.

Suonò il campanello; la ragazza che aprì la porta aveva un sorriso tirato,  gli occhi stanchi e un volto pallido chiazzato di rosso: sotto gli occhi, vicino agli angoli della bocca.

“Salve” li salutò.

“Ho portato un amico” disse Lene.

“Lui è Jim”

Represse l’istinto di porgerle la mano. Giusto, pensò, questi qui si inchinano.

La ragazza chinò educatamente la testa.

“Io sono Sayu” si presentò.

Li lascò entrare e prese il pacco con i dolci ringraziando e inchinandosi ancora. Era bella casa sua, si ritrovò a pensare Jim. Strano, però, neanche una foto di famiglia.

Quando Sayu prese il cappotto dalle mani di Jim gli sfiorò il polso.

“Il mio ragazzo scenderà molto presto, porto su i cappotti, nel frattempo accomodatevi” disse, poi salì le scale.

A scenderle non fu lei, ma un ragazzo castano, coi capelli un po’ lunghi.

“Buonasera”

Jim e Lene risposero al saluto.

“Lieto di rivederla” aggiunse rivolto a Lene.

“Puoi darmi del tu e chiamarmi per nome” rise lei.

“Lui è Jim” aggiunse.

“Heiji” si presentò il ragazzo.

Anche Sayu scese le scale.

“Volevo ringraziarvi per la visita” disse sorridendo.

“Ha detto che…”

“Dammi del tu” si affretto a correggerla.

“Ok” Sayu sembrò imbarazzata.

“Hai detto di volermi dire delle cose” disse sedendosi sul divano davanti a Lene.

“Sì” rispose.

“Ascolta, vorrei andare subito al sodo, quindi perdonami se sarò brutale, mio marito…” cominciò.

“Il mio ex marito, è poliziotto e so che sta indagando sulle morti che si stanno verificando di recente, simili a quelle attribuite a Kira qualche anno fa”

Sayu si irrigidì.

“Perché mi dici questo?” chiese a Lene.

Lei aspettò qualche secondo.

“Lui sospetta di uno dei tuoi parenti deceduti, Sayu” disse.

Sayu rimase in silenzio, anche Heiji.

“Si tratta di tuo padre. Io ho voluto parlartene perché conosco la tua situazione, non voglio che arrivi gente in casa tua senza che tu sappia il perché di tutto questo” concluse.

Jim si accigliò.

Lene era bugiarda. E spregevole. Fingeva di essere andata da Sayu come un’amica e invece voleva informazioni. La gente in casa? Quella gente erano proprio loro.

Che ti succede, Lene?

“Questo è assurdo!” Sayu stava alzando la voce.

“Mio padre è stato un uomo esemplare! Non posso permettere che venga sospettato in questo modo!” protestò.

“Sayu” la richiamò Heiji.

“Sayu ascoltami attentamente” riprese Lene.

“Lui era il capo del gruppo d’indagini giapponese che lavorava sul caso Kira. Con la sconfitta e la scomparsa di Kira stesso corrisponde la morte del capo di quel gruppo. Questo ha portato a pensare alla colpevolezza di tuo padre” spiegò.

“Allora hanno fatto un grave errore” ribatté la ragazza.

“Mio padre è morto prima della cattura di Kira. Il giorno della sua scomparsa c’era un altro agente a capo dei poliziotti, e Soichiro Yagami era già morto allora. Controllate, fate tutte le ricerche che volete!” esclamò la ragazza

Lene sembrava perplessa.

“Sei sicura?”

“Certo!” gridò Sayu. Heiji, il suo ragazzo, cercò di calmarla, le afferrò il polso.

“Chi ha preso il suo posto?” chiese Lene.

“Io non lo so! E non so i nomi degli agenti, non me li chiedere, non ne so niente. Voglio solo dimenticare, ok?”

Lene restò in silenzio. Forse, pensò Jim, finalmente capiva, finalmente si sentiva un po’ in colpa ora.

“E poi… se cercano Kira non dovrebbero dar la caccia a un morto, visto che è sicuramente qualcuno di vivo a continuare la strage adesso” disse.

“La ragazza ha ragione, dovresti dirlo a tuo marito” disse Jim sperando che Lene non se la prendesse troppo. Solo una piccola presa in giro.

“Lo so anche io, ma vedi non ci sono punti di partenza, non ce ne sono affatto, e così mio marito e gli altri si sono attaccati a quest’unico indizio: il vecchio Kira” spiegò Lene addolcendo il tono, sperando che Sayu si calmasse.

“Be’ mio padre non c’entra e poi per una questione di segretezza non ha mai portato colleghi in casa, perciò non posso aiutarti Lene”

Jim sospirò e chiuse gli occhi. Ora dovrebbe aver capito Lene, no?

Jim le mise una mano sulla spalla.

“Lene, adesso dobbiamo andare”

 

***

 

Quando la porta si chiuse, mi avvicinai a mia sorella, le presi le mani.

Erano gelide e umide, sentivo le unghie corte pungere sotto i polpastrelli.

“Ascolta Sayu” dissi.

Per una volta avrebbe dovuto capire, ascoltare, fare come dicevo. C’era urgenza, urgenza che eseguisse. Doveva.

“Sa troppo. Uccidila. Devi uccidere O’Brian e quel Berry, capito? Ascolta: l’affare del marito è sicuramente una bugia, ne sono certo, quindi nessuno a parte quel suo amico saprà di questa vita. Uccidili e siamo fuori dai guai, se non lo fai capiranno, capiranno tutto”

Sayu alzò lo sguardo fino al mio.

“Ma non hanno il quaderno: come potrebbero capire…”

“Andiamo Sayu!” esclamai, strinsi un po’ di più le sue mani.

“L’hanno capito tutti che intorno a Kira gira un potere sovrannaturale, o non avrebbe potuto fare ciò che ha fatto. Nonostante tutta la razionalità che si vorrebbe conservare non credo che si stupirebbero di scoprire di aver parlato con una persona morta, se si tratta di Kira. E anche se non sanno del quaderno capiranno quello che gli serve sapere” dissi.

Sayu staccò le mani.

“E va bene” si arrese.

Io sospirai, sollevato, la seguii fino in camera entrai e mi sentii gelare prima per la sorpresa, poi per l’orrore.

“Il quaderno!”

 

***

 

Non aveva avuto intenzione neanche per un secondo di starsene lì ad obbedire a quella stupida di Lene O’Brian.

Quando lei e Jim erano partiti, Kuraji aveva scritto il nome di un signore che aveva parcheggiato lì vicino, aveva specificato le azioni da eseguire prima della morte: doveva farlo salire in auto e seguire Lene e Jim, lui, naturalmente, si sarebbe abbassato per non farsi vedere, casomai uno dei due l’avesse scorto dallo specchietto retrovisore, dopodiché, appena Lene e Jim fossero scesi, l’autista avrebbe dovuto proseguire di poco, fingendo di voler uscire dal quartiere. Si sarebbe fermato quando quei due sarebbero entrati in casa e sceso Kuraji, l’uomo avrebbe proseguito, fino ad andare fuori città e avere un incidente.

Kuraji aveva osservato la casa dall’esterno. Solo la finestra che dava sul retro era socchiusa, così si era guardato intorno, in effetti una scala c’era, ma era troppo bassa, pensò.

Ok, rifletté, non fa niente, vediamo che si può fare.

La scala era appoggiata contro il muro del garage, Kuraji la prese e l’appoggiò sotto la finestra.

Troppo corta.

Non importa.

Kuraji salì e provò ad alzarsi sulle punte, ma per poco non cadde.

Niente da fare.

Appoggiò il piede sinistro sul muro. Era ruvido, faceva presa anche se poco. Bene.

Cercò di spingersi col piede, si sollevò di poco e allungò la mano verso il davanzale.

È piccolo, porca puttana!

La scala cade, lui manca il davanzale ma afferra l’anta della finestra.

Il piede scivola, lui alza l’altra mano e stavolta riesce ad appoggiarsi al davanzale.

Ok, ok. Calma, va bene.

Le dita fanno malissimo, non ce la farà. Prova a puntare di nuovo i piedi. Ci riesce, la pressione sulle dita si allenta.

Meglio, ok.

Ora è un po’ più in alto, prova a salire col piede fino al davanzale, si spinge con le braccia, sale, l’altro piede, apre di più la finestra e si lascia cadere all’interno. Le gambe gli fanno male e anche le mani, ma sorvola. Si trova nel bagno, sente parlare al piano di sotto.

Esce dal bagno. Ci sono due porte, una è chiusa a chiave, l’altra è aperta.

Entra: deve essere la camera della ragazza. Una foto. Se soltanto ci fosse una foto.

Niente. Apre i cassetti e invece della foto trova un quaderno nero. È simile al suo. Sorride.

“Ma bene”

Lo prende. Ryuk gli aveva detto che il quaderno dello Shinigami era inservibile, quindi se portava via il Death Note della ragazza entrambi sarebbero stati privi di difese.

La ragazza.

Sente la sua voce, il suo tono agitato. Potrebbe scendere, si dice, potrebbe sbirciare il suo viso e così avrebbe vinto, pensa.

Però…

Però lui non sa come è fatta quella casa, non sa dove si trovano e se da dove sono possono vederlo scendere le scale e scoprirlo.

“Ok” decide, infine.

Questa volta lascerò perdere, ma tanto, Sayu Yagami, so dove abiti. È solo questione di tempo.

Stringe tra i denti il dorso del quaderno, si affaccia alla finestra per scendere.

E nessuno ti salverà dal dolore.

 

_____________________________________

 

La fan fiction a questo punto comincia ad avvicinarsi alla fine. Vi avviserò quando mi preparerò a giocare a scacchi con l’ultimo capitolo.

A forza di fare ragionamenti complicati comincio a sentire la mancanza di una bella descrizione fatta per il gusto di mostrare qualcosa di bello. Prometto che mi rifarò. Chissà magari già dal prossimo capitolo. Passo ai ringraziamenti

 

Reus: sono piacevolmente sorpreso dal fatto che apprezzi i miei capitoli senza individuare difetti. Certo ho tanto bisogno di migliorare, perché se non l’avessi capito ho tanta voglia di riuscire addirittura ad emozionarti. Magari ce la farò un bel giorno a scrivere come la Rice XD comunque smetto di divagare. Matsuda non teme che a Sayu piaccia il sadomaso se era questo che intendevi XD e poi… sì Light è un po’ isterico, fai un po’ tu: è morto XD be’ che dire? Grazie per la recensione. Sei adorabile.

 

Bleus De Methylene: Il fatto che ti piaccia Lene mi soddisfa. Volevo che fosse una donna forte anche perché non mi piacciono le storie in cui le donne sembrano esistere solo per innamorarsi, sposarsi e procreare. Mi sembra un’idea un po’ maschilistica dei personaggi letterari femminili. Insomma una donna non è solo un’innamorata, può essere molto altro. Per quanto riguarda la rabbia: mi piace dare ai capitoli una carica emotiva che cerco di rendere quasi estrema, penso che sia funzionale ad emozionare il pubblico… anche perché la scrittura serve anche a far provare al lettore cose che non conosce. Il pubblico non conosce la morte e forse non conosce il modo in cui si avverte la rabbia quando non si vuole contenerla. Grazie per la recensione! (A proposito… io ti ho aggiunta, ma tu non sbuchi mai XD)

 

Francy91: Tranquilla: sei comunque esauriente. Sono lieto che ti siano piaciute le parti in cui Matsuda scopre tutto e viene aggredito da quello Shinigami isterico :D. Di fan fiction su Death Note non ne ho lette nemmeno io a dire il vero, sia perché sono non nuovo ma quasi del sito, sia perché preferisco non essere condizionato finché non concludo Prometheus… quindi non saprei rispondere al tuo commento in proposito. Cerco di mettere un ragionamento che sia in linea con la storia originale perché anche se conservo il mio stile e il mio approccio con la storia so che non sto scrivendo un AU ma una specie di sequel quindi andare fuori dalla linea principale toglierebbe, forse, qualità e coerenza. Ti ringrazio per il commento e per le tue osservazioni. :D ciao!

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Capitolo 12
*** Fuoco ***


Fuoco

Fuoco

 

“Cerca meglio”

Era la quinta volta che Sayu rovesciava i cassetti e il loro contenuto, eppure niente: tra le penne e i fogli e quanto mia sorella aveva conservato in quella stanza non c’era il quaderno. Eppure l’avevo visto con i miei occhi, mentre Sayu lo nascondeva nel secondo cassetto insieme alle cornici con le foto di famiglia.

Rubato.

Volevo nasconderlo a me stesso, però era così.

“Continua a cercare!” il tono diventa più duro e non è, forse, paura, quella che si può leggere?

Il quaderno non era più in casa, era stato preso da qualcuno. Un complice di quei due bastardi.

Ma certo avevo ragione: quella del marito poliziotto era una stupida scusa. Chi stava indagando era lei, Lene. E qualcuno aveva approfittato di questo. Era stato qui. Aveva preso…

“Light, non c’è!” esclamò mia sorella lasciando cadere a terra i fogli ormai accartocciati nelle sue mani.

“Ok” dissi.

“Ok , non cercare più”

Lei si fermò.

“E non alzare la voce: Matsuda sentirà tutto. Abbiamo bisogno che ci creda in possesso del quaderno”

Che faccio? Che faccio, maledizione!

“È chiaro che la visita di oggi è stata  una distrazione grazie alla quale la tua cara psicologa è riuscita a prendere il Death Note…”

Inspirai cercando di mantenere il controllo.

“Mandando qualcuno qui, naturalmente”

Sayu si alzò, mi venne incontro e mi abbracciò.

“Light!” disse stringendo le braccia attorno alla mia vita.

“Adesso cosa facciamo?”

Guardai la stanza oltre la sua testa.

“Non ci resta che andare via. Per il momento ci toccherà scappare: se Lene ha il quaderno, quella è una prova schiacciante contro di noi”

Sayu alzò la faccia per guardarmi.

“Prepara le tue cose: dobbiamo muoverci immediatamente” dissi.

Lei si staccò.

“E Matsuda?” chiese.

Io le voltai le spalle e tamburellai con le dita sulla scrivania.

“L’ideale sarebbe ucciderlo. Con uno dei coltelli grandi della mamma. Non ci sarebbe alternativa, dato che non abbiamo il quaderno e il mio è praticamente inutile. Però so che non lo farai” dissi rassegnato.

Sayu rimase in silenzio per un momento.

“Non… non ce la farei”

“Lo so”

Girai la testa e la spiai con la coda sell’occhio.

“Prendi l’essenziale, riempi al massimo uno zaino, più che altro portati da mangiare così faremo meno soste. Fa in fretta” uscii dalla sua stanza.

Avremmo lasciato Matsuda qui. Avrei preferito non lasciare tutte quelle prove, ma tanto ormai avrebbero capito tutto comunque.

Matsuda l’avrebbe pagata, a suo tempo.

Io dovevo solo pensare a vincere la mia battaglia personale con gli altri Shinigami. Che qualcuno sospettasse di Sayu era irrilevante ormai.

E di lei che ne sarà quando io avrò ottenuto ciò che voglio?

Scacciai quelle preoccupazioni, con nervosismo.

Una volta persa la memoria comprenderanno che è stata praticamente costretta. La lasceranno vivere in pace. La sua vita è dimezzata, certo, probabilmente sarebbe morta al massimo a cinquant’anni, ma dopotutto quel sacrificio l’aveva semplicemente salvata.

Grazie a me Sayu poteva vivere.

La porta si aprì, lei scese. Probabilmente stava andando in cucina.

Entrai in camera mia, dove era legato Matsuda.

“Noi andiamo via. Probabilmente morirai di fame in questo posto”

Ma sì. Spaventiamolo.

Matsuda sgranò gli occhi, terrorizzato.

“Ti prego Light! No! Sayu non lo permetterebbe mai” quasi gridò lui.

“Infatti a lei ho detto che ti avrei liberato, ma non sono sicuro di volerlo fare” mentii.

Avevo bisogno della sua paura; prima di allora quando l’avevamo slegato – solo due volte, il giorno prima – per permettergli di mangiare e di andare in bagno lo avevamo avvertito: il suo nome era quasi completamente scritto sul quaderno, bastava un segno con la penna e lui era morto, perciò niente passi falsi. Adesso, anche se lui non sapeva dello smarrimento del quaderno, volevo assicurarmi di tenerlo a bada tramite la paura.

“Light! Light! Maledizione, ma cosa sei diventato?” gridò lui, in preda al panico.

Ghignai, quando il terrore lo colmò fino alle lacrime.

Chiusi la porta ignorandolo, mia sorella salì con lo zaino in spalla.

“Perché grida?” chiese.

Matsuda in effetti stava gridando il suo nome.

“L’ho spaventato. Per tenerlo sotto controllo”

“Non mi sembra sotto controllo, mi sembra in preda al panico!” ribatté lei, mi spinse con braccio e aprì la porta.

“Che volete fare? Che ne sarà di me adesso?” gemette lui, lei si sedette sul materasso.

“Andrà tutto bene” disse a bassa voce.

“Presto qualcuno verrà qui e ti libererà, non chiuderemo neanche a chiave. Andrà bene. Promesso” spiegò.

Lui aveva ancora gli occhi spalancati per il terrore, ma non gridava più.

“Magari un giorno mi perdonerai, vero?” poi abbassò la testa e lo baciò velocemente.

“Sayu: puoi scegliere. Non andare! Non devi lasciarti convincere” tentò lui.

Lei si era già alzata e mi guardava con occhi lucidi, ma ero sicuro che non avrebbe pianto.

“Adesso è troppo tardi” disse, uscì dalla stanza e chiuse la porta.

“Brava” sussurrai, per incoraggiarla. Non volevo che all’ultimo si tirasse indietro.

“Sì, sono brava” ghignò lei sarcastica.

Scese le scale, io la seguii.

“Chiamo un amico, qualcuno mi darà un passaggio alla stazione” disse. Dopo circa venti minuti eravamo nella macchina di una sua compagna di scuola e dieci minuti più tardi in stazione. Avremmo dovuto aspettare un’ora e mezza per il treno.

La sua amica Hatsue aveva chiesto controvoglia se Sayu desiderava che restasse, ma lei la ringraziò e rispose che poteva andare, se credeva.

Hatsue parve sollevata, improvvisamente divenne meno fredda, la salutò come se stesse dicendo addio a una sorella, con centinaia di raccomandazioni e abbracci, poi finalmente si levò dai piedi.

Era buio e l’aria fredda e secca, da qualche parte, non lontano da lì, probabilmente, proveniva odore di frittura e di gamberi. Non mi ero accorto che c’era un chioschetto vicino alla stazione? No, probabilmente era quel ristorante vicino con la porta aperta, con il personale e il proprietario che si preparavano a finire le ultime faccende e chiudere tutto.

Che pensieri inutili: era perché dopo anni di nulla stavo ancora una volta annusando, come in quell’occasione. Nel parco. Fumo e pioggia.

Questa volta erano gamberi fritti col loro odore forte che si addolciva nei polmoni e mi faceva pensare a code rosa e arancio sul bordo di un piatto bianco e alle luci del ristorante che presto si sarebbero spente. Se avessi voluto far caso al tatto, forse avrei notato l’aria leggera ma fredda che appiattiva gli abiti contro il corpo, che sfiorava la pelle, ma mi costrinsi a non farvi caso. Ricordai: non volevo lasciarmi andare a quel bisogno di umanità, di vita. Sarebbe venuto il momento anche per quello, ma non ora, non adesso che avrei dovuto concentrarmi sui miei veri problemi, piuttosto che sul profumo di un ristorante o quello di shampoo e sudore di mia sorella, davanti a me.

 

***

 

Quando era tornata a casa, Lene aveva trovato un fazzoletto di carta con un messaggio: “Comincio a non sentirmi più sicuro. Ho troppa paura, continuate pure da soli, io torno a casa. Kuraji Maro”

“C’era da aspettarselo” commentò Lene appallottolando il fazzoletto.

Si sentiva in colpa. In colpa per quel ragazzo spaventato, per Sayu che era rimasta, naturalmente, indignata per l’accusa rivolta a suo padre e infine per suo figlio, perché non era stata utile a nessuno.

“Non so cosa fare” si arrese infine.

 Jim dietro di lei sospirò.

“Dammi il tuo computer, voglio vedere una cosa” sbuffò, rassegnato.

Lene prese il portatile, lo mise sulle ginocchia e l’accese.

“Che hai in mente?” chiese mentre inseriva la password: ottofebbraio, il giorno del suo compleanno.

“Voglio vedere cosa trovo se scrivo il cognome di Kuraji e quello della ragazza. Anche perché quel Maro non mi convince neanche un po’”

Lene passa il computer a Jim. La connessione almeno è veloce.

“Ok” dice.

Apre il motore di ricerca e comincia.

“Kuraji Maro” scrive.

Sotto appaiono diversi siti di anime, perlopiù con in evidenza il nome “Maro”, alcuni blog e forum, un fan club di un personaggio dal nome vagamente somigliante, poi Jim si accorge che il motore di ricerca non è giapponese.

Lene, tu di computer non capisci niente.

Trova un sito giapponese e scrive nuovamente il nome.

Compaiono pagine di alcune scuole.

Hanno partecipato al progetto “Scuola e ambiente” sovvenzionato dalla regione gli studenti: Maro Arata, Atsutane Hachiro, Hayato Kuraji,…

Be’ magari quel Kuraji aveva dato loro un cognome falso, come aveva fatto Lene. Meglio tenere l’ipotesi in considerazione. Continua a leggere.

Vendo: collezione completa dei dvd della prima serie di Nana, ottime condizioni, privi di graffi, di seguito le foto… per informazioni contattatemi: KurajiMaro88@...

Ottantotto, no, non ci siamo con l’età.

Jim continuò, Lene si avvicinò con una lattina di tè freddo e gliela offrì.

 Giusto, pensò lui, ridendo tra se e se, lei lo beve in lattina.

Jim bevve un sorso, poi ignorò altri tre siti identici al precedente.

Cercò sulla seconda pagina, aspettò che si caricasse.

Famiglia muore in un incidente stradale. Trovati i corpi dei due coniugi.

Nanto, prefettura di Toyama, 15 maggio… trovati i corpi di Munoto Maro e della consorte Yuriko Maro, nessun terzo rimasto coinvolto… figlio Kuraji Maro, il quale…

Jim deglutisce.

“Cazzo, Lene, vieni a vedere” la chiamò.

Aprì il sito per leggere l’articolo.

Su uno sfondo celeste appare una scritta gialla.

La redazione di Hanamomo, il giornale online, porge i suoi ringraziamenti per la visualizzazione.

“Ma muoviti, porca miseria” impreca Jim. Lene è seduta vicino a lui e rimane zitta e attenta, mentre una barra di caricamento mostra le percentuali: ottantotto, novanta, novantadue, novantasei…

Finalmente l’articolo si apre.

Jim legge.

Morti marito e moglie, il figlio non si trova, cinque maggio e Kuraji appare il giorno seguente.

“Lene questo significa che Kuraji ha usato il quaderno”

Lene si alzò di scatto dalla sedia, aprì il cassetto di un vecchio mobile chiuso a chiave e prese il quaderno.

Jim intanto cancellò il nome di Kuraji e scrisse “Sayu Yagami”.

Il nome di Sayu comparve in due siti: uno che attestava la sua partecipazione ad un progetto, il secondo era un articolo del giornalino scolastico a cui aveva collaborato, che parlava di un concorso di haiku indetto nella sua scuola.

“Jim guarda” disse Lene, allarmata, gli avvicinò il quaderno mostrandogli piccolissimi pezzetti di carta.

“Ha strappato le pagine” disse chiudendolo di scatto.

Jim guardò lo schermo del computer. In molti più siti trovò il nome di Yagami Light.

“Come si chiamava il padre di Sayu?” chiese.

“Soichiro”

Chi cavolo era questo Light?

Non c’erano altri nomi nei siti in evidenza che potessero far pensare a una varietà credibile di omonimi, c’erano solo Sayu e Light.

“Sai di un certo Light?”

“No”

Ecco, il ragazzo è morto. Uno dei suoi ex compagni di università era l’amministratore di un sito su Kira, che non veniva aggiornato da circa due anni.

L’ultimo post diceva: “Io credevo nel Dio Kira, ma allora perché ha ucciso persone buone come Chinatsu Hanako (scrittrice e giornalista), Yagami Light (polizia giapponese) e Midori Eriko (disoccupata)?

Io non credo che sia giusto sopprimere coloro che non sono socialmente attivi, come Eriko, o coloro la cui intelligenza può essere considerata un pericolo, come gli onorati  Hanako e Light che ho conosciuto personalmente…”

Jim esce, scende un po’.

Clicca sulla scheda del sito dell’università di Tokyo con la presentazione dello studente.

La foto ancora non compare, il sito la sta caricando.

Il mostro, Ryuk, dietro di loro, sghignazza.

Light Yagami, eccellente media scolastica. Genitori: Soichiro e Sachiko Yagami.

“Lene, Sayu aveva un fratello che lavorava nella polizia giapponese” disse.

“Cosa?!”

Lene tornò a sedersi vicino a Jim.

“Perché non ce l’ha detto?”

“Be’ tanto per cominciare avevamo accusato suo padre. Comunque anche suo fratello è morto”

Lene annuì.

“Capisco”

“Sta caricando la foto”

E la foto apparve.

“MERDA!” Jim scattò in piedi, Lene era rimasta ferma, pallida con gli occhi sgranati.

“Non può essere” la voce le tremava.

“Questo è uno… uno scherzo? Come cazzo è possibile?”

Ryuk rise ancora.

“È possibile…”

Jim si voltò a guardarlo.

“ Perché quell’uomo è uno Shinigami” disse il mostro.

“Shinigami?” Lene si era voltata con gli occhi sgranati.

“Ora capisco tutto: quella ragazza, suo fratello… ma Kuraji, Kuraji cosa ha a che fare con tutto questo? Non importa, ho capito. Devo tornare in quella casa” Lene si era girata e aveva raggiunto con passo veloce l’ingresso, aprì la porta.

“Ferma!”

La mano di Jim le afferra il polso.

“Non farlo! Porta le tue informazioni alla polizia ma smettila di affrontare la cosa in prima persona, ora basta Lene! Ti prego. Potresti morire”

Lene si girò furiosa, fulminandolo con lo sguardo, poi si bloccò come se avesse pensato a qualcosa, portò la mano sinistra  sulla nuca di Jim, chinò la testa e si avvicinò piano, aprì un po’ la bocca e poi toccò la sua.

Jim era rigido ma non si spostava, rispose al bacio chiudendo le labbra su quelle di Lene, riaprendole; lei si scostò di scatto.

“Allora avevo ragione” disse gelida.

“Era come immaginavo. Non ho bisogno di questo Jim”

Lui parve non capire, sbatté le palpebre un paio di volte.

“Cosa?”

“Il tuo interesse per me è decisamente eccessivo. E io non voglio. In questo caso non mi servi a niente e continuerò da sola” rispose lei gelida, si voltò di nuovo.

Lo sentì sghignazzare dietro di lei, lo guardò girando la testa.

Anche se rideva la sua espressione era delusa e mortificata.

“Da quando sei diventata una stronza tale da baciare il primo povero idiota per capire se ti è utile o meno?”

Lei riprese a guardare davanti a se. La strada era buia e silenziosa.

“Forse hai ragione sul mio conto. Però adesso le mie priorità sono altre” e Lene esce chiudendo la porta dietro di se. Mentre cammina è consapevole che né il rimorso, né il dolore la turbano, sente che il suo spirito è pulito e libero da qualsivoglia debolezza e che questo la rende forte.

 

***

 

Il treno sembra ronzare, mentre prosegue. La luce è spenta nel vagone. Io ero sdraiato sui sedili allineati che fungevano da letto, con mia sorella con la testa appoggiata sulla mia pancia. Avevo deciso di farla dormire vicino a me, di darle attenzioni. Non potevo permettere che la sua obbedienza e la sua fedeltà vacillassero neanche per un momento, ora che la situazione era così critica.

E poi dovevo assicurarmi che non perdesse la testa, che si rilassasse, suo malgrado.

Eravamo in viaggio da tre ore, ma io sapevo che non stava dormendo.

“Dormi” sussurrai.

Lei non rispose.

“Dico sul serio: non devi lasciarti andare, devi cercare di non buttarti giù. Nessuno giudicherà quello che hai fatto e nessuno ti farà del male, questo posso assicurartelo”

Lei aspettò qualche secondo.

“È con la mia coscienza che dovrò fare i conti” disse.

Io sospirai, la costrinsi con delicatezza ad alzare la testa.

Cercai di guardarla in faccia, malgrado il buio: all’inizio vedevo solo il bianco degli occhi, poi i contorni del naso e delle labbra.

“Non devi. Tutto quello che ho fatto è stato per salvaguardare la gente come te. Sayu tu sei buona… tu sei…”

Improvvisamente mi sentii intontito, come se mi trovassi in una bolla di sapone, i colori si appannarono, i suoni scomparvero, come se stessi sognando. Mi sentii scivolare, come se una forza mi guidasse nella cecità e io la seguii indulgente.

La mia consapevolezza tornò lentamente.

Prima i suoni: un mugolio di protesta. La vista: il buio e qualche forma di cui ancora non comprendevo l’entità.

E infine il tatto: la mia bocca, con la cui pressione costringevo un’altra a dischiudersi a sua volta.

Mi staccai inorridito. Sayu ansava terrorizzata e sconvolta.

“Merda!” imprecai immediatamente. Incredulo. Io… questo era un inganno! Quello non ero stato io, perché mi ero sentito, e ne ero sicuro, come in preda a uno svenimento, a un’incoscienza intollerabile.

“Ti giuro. Non ero cosciente” cercai di giustificarmi.

Sayu aveva le mani sulla bocca e gli occhi spalancati.

“Maledizione devi credermi!”

E poi una risata roca non lontano da me. Mi voltai e vidi il demone dai capelli castani e gli occhi scuri. Il re degli Shinigami.

“Sayu” dissi, guardandolo con odio.

“Come ti ho detto ciò che è accaduto non è dipeso da me. Qui c’è lo Shinigami di cui ti ho parlato e questa ne è la prova, se mi senti parlare con lui non preoccuparti”

Scesi dai sedili e mi alzai in piedi davanti a lui.

“Spiegati” soffiai.

“Cosa c’è da spiegare? Le tue perversioni non mi riguardano” rise lui.

“Smettila di dire sciocchezze, voglio la verità. Spiegati” ripetei trascinando le sillabe, con tono minaccioso.

“Ma in un certo senso quello che ti ho detto è vero: ciò che è accaduto viene da te e non dipende da me” disse lui, senza abbandonare il suo ghigno divertito.

“Dato che sei uno Shinigami che deve la sua esistenza unicamente all’umanità hai per essa un interesse che in effetti dubito che tu abbia avuto in vita. Un’attrazione completamente inconscia e rifiutata, ovviamente, ma non dirmi che non hai avuto avvisaglie prima d’ora, ciononostante non hai lasciato che ti allarmassero…”

Rimasi in silenzio e ricordai: i due adolescenti nel parco, il tocco di Sayu al nostro primo incontro, gli abbracci, i momenti in cui eravamo vicini, l’incontro con Lene, persino i miei scatti di rabbia con Matsuda. In tutti quei momenti avevo sentito scattare qualcosa nel mio corpo, come una scossa e scie di brividi, che mi costringevano a cessare il contatto, prima che il mio cervello rischiasse di perdere il controllo.

“Vedo che hai capito” disse lo Shinigami, soddisfatto.

“La tua passione per l’umanità è terribile e può esprimersi con la violenza o con l’attrazione, penso che tu abbia molti riscontri, se ci pensi, con quello che ti sto dicendo. In fondo Light, che ti aspettavi? Sei solo un essere umano” aggiunse sorridendo.

Io alzai uno sguardo carico d’odio fino al suo viso.

“Io non sono un qualunque essere umano” ringhiai, feci per scattare contro di lui, ma prima ancora di muovermi mi trovai scaraventato indietro contro i sedili, attraversai le pareti sottili che dividevano i vagoni e rotolai in uno dove riposavano due signori anziani che russavano piano, uno mosse di scatto il piede col calzino verde scuro.

Lo Shinigami fu immediatamente davanti a me.

“Ti rifiuti di crederlo, Light? Credevi di essere un Dio? Tu sei un figlio delle coincidenze, come tutti gli umani, e pertanto, come essi, privo di senso. Ma la morte è regolare, programmata, sensata e ciclica. Ha uno scopo e ha un senso. Questo è essere Dei”

Io cercai di alzarmi. Possibile che il mio corpo già morto potesse provare… dolore?

“Il motivo per cui l’uomo è suddito e la morte è Dea è che il Dio ritorna, il Dio ha uno scopo ulteriore, il Dio si ripete, il Dio è essenziale. Mentre l’uomo è utile e tuttavia finito”

Odio. Odio e rabbia che bruciava dal profondo.

“Torna ad arrancare, come per tua natura. E chissà che non diventerai anche tu, un giorno, un Dio”

Lo Shinigami sparì. Io mi alzai, uscii dallo scompartimento e camminai lungo il corridoio appoggiandomi con le mani sui vetri dei finestrini, cercando il vagone dove avevo lasciato Sayu. Lei era già fuori, con un’espressione ansiosa.

L’attesa nei suoi occhi fece nascere una consapevolezza che avvampò come fuoco: io non ero un essere finito. Io tornavo, qualora fosse rimasto qualcuno ad aspettarmi.

 

____________________________________________

 

Se tutto va come previsto questo, signori, è il penultimo capitolo. I baci possono essere rognosi da trattare: diciamo che ho corso il rischio di cadere nel romantico (con Jim) e nel perverso inopportuno (con Light), tuttavia ho cercato di dare un senso a quello che è accaduto e spero di esserci riuscito.

I ringraziamenti, ora.

Reus: ma io non mi sto allarmando! XD O meglio diciamo che è una cosa un po’ ad alti e bassi e anche i capitoli fanno i capricci. Comunque il Matsuda che ho immaginato sul momento vedeva ancora le stelline quindi non era tanto in vena di protestare… tieni conto che nel manga anche alla fine dopo la morte di Light considera la grande utilità che aveva avuto Kira, quindi la sua posizione non è esattamente netta… Jim, invece, è molto sfortunato ecco tutto :) e Lene è una persona difficile e complessa. (comunque quella della Rice era una battuta XDDD maledettissima fan sfegatata!) Che dirti? Spero che questo capitolo, coi suoi eccessi, col suo gran disordine ti piaccia. Ciao!

 

Infine ringrazio coloro che leggono pur senza recensire e quelli che hanno inserito la ff tra i preferiti e le seguite. Sono soddisfazioni. Vi ringrazio.

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Capitolo 13
*** Fuga ***


Fuga

Fuga

 

Cari lettori, questo è l’ultimo capitolo, anche se per ragioni di comodità ho preferito dividerlo in due, e posto qui tutti i commenti da fare perché voglio che il finale rimanga nel silenzio. Tanto per cominciare ringrazio con affetto le persone che hanno recensito la storia. Reus, che è stata incredibilmente positiva nei suoi commenti e che mi ha incoraggiato davvero tanto; Bleus de Methylene che ho trovato molto riflessiva e che in poche parole mi faceva comprendere di aver colto le cose più importanti della storia; Darseey che ha recensito in modo ragionato e mi ha dato molta soddisfazione come autore; Francy91 che è straordinariamente accurata e riflessiva. Poi: verso la fine a imitazione del manga che conclude la storia con delle pagine nere ci sono dei segmenti neri che se evidenziati illustrano un testo nascosto. La frase è incompleta e per completarla bisogna andare al secondo capitolo che ha a sua volta una piccola frase oscurata. Ringrazio coloro che hanno anche solo letto, perché è davvero una gioia sapere di qualcuno che pur nel silenzio si interessa a quello che fai e infine grazie a chi ha inserito la fan fiction tra le preferite e le seguite. Sono onorato di avere scritto per tutti voi.

_____________________________________________________________________

Aveva conosciuto Lene ai tempi dell’università, quando Adam River l’aveva convinto ad andare fuori città insieme a lui, per incontrare un paio di amiche.

Quando l’aveva vista non aveva trovato nulla di particolarmente interessante in quei capelli lunghi, neri, la frangetta corta e quegli occhiali rettangolari con la montatura grigia, neanche il rossetto scuro riusciva a renderla appariscente.

Adam River la corteggiava sfacciatamente, il suo modo era goffo e Lene aveva inarcato le sopracciglia più di una volta, ma non aveva commentato.

Forse avrebbe trovato più interessante Grace Lee. La ragazza bionda con i capelli ricci legati con un foulard arancione e rosa. Avevano parlato per circa mezz’ora di musica e lei aveva iniziato una noiosa conversazione sui prezzi dei biglietti per qualche concerto.

Poi era successo: erano andati a bere e Lene era un po’ brilla, così era corsa davanti agli altri e canticchiava un motivetto, aveva preso il foulard dai capelli di Grace e col braccio teso lasciava che il vento lo arricciasse.

“Tan tan taan…” la voce di Lene non era troppo alta ma era felice.

Sincera, pensò Jim, la cosa più sincera che avesse sentito.

Grace Lee forse sperava che lui le facesse qualche complimento sui suoi capelli sciolti, ed era bella, certo, Jim gliel’avrebbe detto.

Ma nessuna in quel momento era bella come Lene. Lene O’Brian.

Un mesetto dopo, a casa di un suo amico, avrebbe riascoltato il motivo cantato da Lene: era uno dei notturni di Chopin.

“Tan tan tan taaan…” faceva Lene nei suoi ricordi e lui capì che quella stronza avrebbe anche potuto sposarsi, ma lui avrebbe fatto di tutto per continuare a vederla.

Sempre.

Ora invece Lene non era la ragazza che cantava e se ne infischiava della gente brontolona per le strade. Quella che sembrava camminare lungo uno scivolo di nebbia, come se si trovasse in una fiaba. E con lo stesso scintillio negli occhi di uno sguardo fanciullesco: frivolo nella sua ombra di capriccio e profondo in quella luce fissa di colui che scoperto qualcosa di segreto.

Era diventata una donna senza fantasia, senza immaginazione e senza libertà, una donna insensibile e quella era la morte della bellezza.

Jim aveva sempre creduto che il suo amore per Lene sarebbe morto solo quando lei avrebbe ucciso la sua fantasia e la capacità di fare cazzate come una bambina. E allora perché? Perché, maledizione, l’amava come un coglione anche ora che era diventata un’asciutta calcolatrice?

Jim si coprì gli occhi con la mano. Aprì l’agenda per controllare qualche numero e vide una frase scarabocchiata a matita nell’angolo di una pagina.

Gli uomini vogliono sempre essere il primo amore di una donna, è una loro grossolana vanità, la donna, invece ha un intuito più sottile, preferisce essere l’ultima avventura di un uomo. Oscar Wilde

Sembrava una minaccia di morte.

 

***

 

Lene suonò a lungo il campanello, poi abbassò la mano, stizzita; salì in macchina, sbattendo forte lo sportello, girò la chiave. Retromarcia e piede sull’acceleratore.

Vede la porta avvicinarsi, la macchina sobbalza sugli scalini, ma riesce a salire e infine l’urto, Lene si sente spingere forte in avanti, ma ha calcolato bene il momento in cui fermarsi e poi il dolore non lo sente, scende ancora e poi ripete, premendo più forte sull’acceleratore.

Torna indietro e accosta alla meglio, scende. Ora la porta ha una grossa apertura verticale, Lene tira via il legno che non si è staccato bene, mette la mano nel varco. Le schegge le graffiano il braccio, ma lei non ci pensa, non deve pensarci adesso.

Sente il pomello della porta, spera che non sia chiusa a chiave, lo gira e finalmente sente l’anta scorrere avanti.

Lene entra senza troppi complimenti, senza neanche guardare i rivoli sottili di sangue che scendono dalle ferite.

Cerca nella casa. Non c’è nessuno. Sale e perquisisce la stanza di Sayu: sfila completamente i cassetti, li rovescia, poi esce. C’è un’altra stanza, apre la porta e vede un uomo legato per i polsi alla sponda del letto con due cavi, le mani quasi blu per la stretta e l’espressione sconvolta.

“Cazzo!” esclama Lene, corre fino al letto e scioglie i nodi.

“Tu chi sei?” chiede all’uomo.

Lui non rispose, la sua espressione rimaneva vuota.

“Senti devi dirmi dove sono andati, devi dirmi tutto. Loro due sono… il vecchio e il nuovo Kira, non è così?”

Il ragazzo si girò a guardarla.

“Ascolta non voglio far loro del male, voglio aiutare Sayu” mentì Lene, cercando un modo per convincerlo.

“Ho bisogno di informazioni” insistette.

“Sei della polizia?” chiese lui.

“Sì, sono a capo dei poliziotti che indagano sul nuovo Kira” inventò lei di sana pianta.

“Sono la madre del detective che risolse il caso del vecchio Kira” continuò per essere più convincente.

“Sei la madre di Near?” chiese l’uomo incredulo.

Bene, pensò Lene, questo tizio lo conosceva, sarà più facile.

“Sì Near, Nate River. Mi hanno scelta per mandare avanti le indagini su Kira. Adesso, ti prego, dimmi ciò che sai”

Lui abbassò la testa sconsolato.

“Sì sono i due Kira, lui era morto, io non so come è possibile tutto questo. Sono partiti ore fa, hanno lasciato qui tutto”

Ovvio, pensò Lene, sanno di essere stati scoperti. Alla stazione.

“Ok, tu torna a casa, o dove cavolo vuoi, io devo correre alla stazione” disse.

Non aspettò la risposta, scese gli scalini di corsa rischiando di cadere due o tre volte, uscì di casa e salì in auto, guidò fino alla stazione, appena svoltò vide un’ambulanza che aveva accostato lì.

Lene parcheggiò e scese, corse verso l’ambulanza.

“Mi scusi!” gridò all’infermiere che stava per salire sulla vettura.

“Aspetti!” cercò di fermarlo.

“Un secondo maledizione!” afferrò il braccio all’infermiere.

“Che è successo?” chiese quando quello si girò seccato.

“Signora non posso dare informazioni su…”

“Lì lavora un mio amico, la prego!” inventò lei.

“Attacco cardiaco” disse quello, seccato.

Lene aspettò che l’ambulanza se ne andasse.

Light e Sayu dovevano essere partiti molto prima… quella era opera di Kuraji.

Strinse i pugni.

“Kuraji!” cominciò a gridare fuori di sé, correndo a cercarlo.

 

***

 

Quando era sceso dalla finestra, scivolando con le suole delle scarpe lungo il muro, si era accorto che Jim e Lene stavano uscendo ed era stato costretto a rimanere lì, pregando di non essere scoperto.

Finalmente, poi quei due erano andati via.

Kuraji era rimasto seduto per terra con le mani che stringevano la gamba sinistra.

Era sceso male e ora non riusciva a muoverla.

Non è niente, non è niente!

Non poteva rimanere lì. L’avrebbero ucciso come un animale. Come un…

Kuraji ripensa ai volti umidi delle donne che aveva fatto a pezzi, umiliate, impotenti.

No, a lui non succederà questo!

Mosse un po’ la caviglia. Ok, ci riusciva.

Piegò il ginocchio, il dolore stava scemando. E se una volta scoperto il furto del quaderno la ragazza fosse uscita a cercare il ladro? Magari con un coltello, lui non avrebbe fatto in tempo a scrivere.

Rabbrividì e senza aspettare provò ad alzarsi in piedi.

Faceva male, proprio male, ma avrebbe potuto sopportare. Che avrebbero fatto adesso quei due? Penseranno che sia stato tutto un piano di Lene probabilmente.

Quindi che faranno? Non possono provare a ucciderla, non hanno il quaderno. Quindi è probabile che tentino la fuga.

Magari avrebbe potuto aspettare lì, aspettare che quella ragazza uscisse per guardarle il viso. Ucciderla.

Sì. Certo. Avrebbe aspettato al massimo un’ora, se invece non fosse uscita sarebbe tornato indietro. Al come ci avrebbe pensato dopo, anche perché non sarebbe riuscito ad arrivare da nessuna parte con quella gamba rotta.

Attese. Passò un quarto d’ora. Poi due.

Finalmente la porta si aprì, si sporse dall’angolo della casa, sperando che lo Shinigami non lo vedesse.

Fissò lo sguardo sulla ragazza, ma gli dava le spalle. Di lei vedeva soltanto i capelli scuri un po’ mossi dal vento, vide che aveva preso il cellulare e aveva chiamato una sua amica per farsi venire a prendere.

Maledizione, ma perché non si girava? Perché non si decideva a girarsi?

La sua amica arrivò dopo altri minuti. Kuraji l’aveva vista in faccia e ne aveva letto il nome grazie agli occhi degli Shinigami: Hatsue Nitta.

Avrebbe potuto scrivere, forse, il suo nome imponendole di ammazzare Sayu prima di morire.

Anzi.

Anzi no. Ricordava: non si poteva provocare la morte di un secondo scrivendo il nome di qualcuno sul quaderno.

Kuraji osservò impotente la partenza della ragazza.

Doveva andare alla stazione: manipolare le azioni di qualcuno affinché lo accompagnasse, perché la gamba stava diventando un inferno di dolore.

Qui non avrebbe visto nessun passante. Allora doveva scrivere il nome di qualcuno che già conosceva.

Kuraji sentì un tuffo al cuore: rimorso. Avrebbe scritto il nome di suo zio. Un caro zio. Il fratello di suo padre, un brav’uomo: uno che lo lasciava venire in campagna, quando non sopportava più i suoi genitori e faceva qualche battuta stupida per tirarlo su. Una persona dolce. Era poliziotto in una città vicina, ci avrebbe messo un po’, qualche ora, ecco. Però magari anche il treno che avrebbero preso quei due sarebbe arrivato tardi.

Prese il quaderno da terra, sfogliò fino alle pagine bianche, sfilò la penna dalla tasca. Scivolava. Aveva le mani tutte sudate.

Tolse il tappo che cadde a terra. Chi se ne frega. Troveranno le sue impronte se verranno qui. Non fa niente.

Scrisse il nome di suo zio e precisò le azioni da compiere prima della morte.

“E ora…” mormorò.

“Speriamo che non sia troppo lontano”

In effetti suo zio doveva essere stato fuori città perché aveva impiegato ore ad arrivare, ma almeno aveva portato la pistola, come Kuraji aveva scritto. Quando partì da casa della ragazza vide dietro di se una macchina che arrivava.

Era Lene.

Per fortuna non l’aveva visto. Alla stazione costrinse il bigliettaio a dirgli di una ragazza castana che aveva preso il treno attorno a quell’orario. Sapeva l’ora in cui era partita, sapeva quella del prossimo treno e soprattutto sapeva dove era andata. Dopodiché il bigliettaio era morto d’infarto.

Solo dopo qualche minuto il tizio che doveva dargli il cambio aveva chiamato l’ambulanza. Non importa.

Il treno sarebbe arrivato presto, sentiva già il rumore.

Poi la voce di quella Lene aveva preso a chiamare il suo nome. La vide entrare in stazione come una furia, la porta del treno si aprì, lui letteralmente saltò dentro e corse per i vagoni per non farsi vedere.

“KURAJI!”

Come aveva scoperto di lui? Come sapeva?

Un poliziotto che era rimasto lì dopo l’infarto del bigliettaio accorse per cercare di calmarla.

Bene.

“Mi lasci andare cazzo!” sbottò lei cercando di spingerlo.

Il treno stava per ripartire, io la guardavo dal finestrino e lei mi scorse dietro la testa dell’agente.

“Kuraji! Scendi piccolo bastardo” strillò.

Il treno partì, lei si divincolò dalla presa del poliziotto e cominciò a rincorrere il treno.

Sciocca.

 

***

 

I pali della luce erano ancora accesi quando quella mattina arrivammo a Narita, nella prefettura di Chiba. Da lì nel caso le cose si fossero messe male avremmo potuto prendere l’aereo e andare a rifugiarci all’estero.

Sayu aveva preso una stanza in un albergo. Saremmo rimasti lì. Io però davvero non sapevo come fare.

Dovevamo vederci ecco. Vederci col quaderno. Lene non avrebbe avuto il coraggio di usarlo, se avevo intuito bene il suo carattere.

E gliel’avrebbero strappato dalle mani. A costo di ammazzarla a mani nude Sayu avrebbe dovuto prenderle il quaderno.

Quella stupida. Che aveva in testa? Non era un poliziotto, era una psicologa. Eppure per qualche ragione aveva indagato tutta sola. Molto bene. Meglio così.

Il cellulare di Sayu squillò. Era Lene! Sicuramente.

“Rispondi e metti il vivavoce” risposi all’occhiata interrogativa di mia sorella.

Lei obbedì.

“Pronto?”

“Stronza! Maledetta bugiarda, ti rinchiuderanno in manicomio, assassina! Bugiarda!”

Avevo ragione! Era lei.

“Non riattaccare” suggerii a Sayu che mi fissava, terrorizzata.

“Dille che ci incontreremo, ma lei dovrà portare con se il quaderno”

Sayu ripeté le mie parole.

“Ma certo, volete prendermi in giro? È soltanto una trappola! Una trappola! Magari mi spedirete dalla parte opposta del Giappone, ma ormai so tutto e…”

“Ma come?” dissi prendendo il telefono dalle mani di Sayu.

“Lene..” sorrisi.

“Questa è la tua grande occasione. Poi anche noi abbiamo motivo di desiderare questo incontro, dato che siamo stati privati del nostro quaderno dai tuoi complici” dissi.

“… e dato che il mio di quaderno non funziona affatto. Ne è la prova il fatto che in questo momento tu sia ancora viva” Sayu sgranò gli occhi. Le avrei spiegato, certo. Avevo un piano.

Lene tacque per un secondo.

“Bene. Dove vi trovate?”

“Narita. Domani. Farai in modo di trovarti a mezzanotte in un vecchio campo da calcio. Chiedi in giro indicazioni: lo conoscono tutti. Un ragazzino è morto lì” dissi.

Non volevo fare nomi di vie. La chiamata poteva essere stata intercettata. Almeno con quel metodo ci avrebbero messo molto prima di arrivare a me.

“Ok” mi rispose lei. Poi riattaccò.

 

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Capitolo 14
*** Mu - il nulla ***


Mu L'ultimo capitolo è stato diviso in due, perciò se avete aperto direttamente questo, vi avviso che dovreste leggere prima il precedente. Buona lettura.

MU – Il nulla

 

“Stranamente immaginavo di vederti in un momento come questo…” sospirai allontanando le dita dalle tende.

“Ryuzaki”

Mi sentivo preso in giro da quello Shinigami. Ma non importava. In un certo senso speravo di parlare una seconda volta con Elle.

“Non mi sono lasciato corrompere” ripetei spiandolo con la coda dell’occhio. Lui era in piedi e giocherellava con la lampada della scrivania spingendone il gambo snodabile con l’indice, mentre questo si piegava nuovamente.

Scricchiolava.

“Mi stai ascoltando?” chiesi irritato.

“Io ascolto sempre Yagami” rispose lui, pacato.

“Pensala come vuoi ad ogni modo” concluse, annoiato.

Rimase in silenzio per un po’.

“Mi incuriosisce il fatto di essere tornato proprio in questo momento. Che succede esattamente Light?” chiese.

“Succede…” mormorai alzando la testa e fissando il soffitto.

“… succede che è la resa dei conti, devo cercare di sopravvivere. Ecco tutto”

Lui girò la testa.

“Oh…” fece lui.

“Capisco. Questo significa che presto sarai come me” disse asciutto.

Io sobbalzai appena.

“Ma che stai dicendo?”

“Mi sembra chiaro…” si spiegò lui.

“Se no io non sarei qui non ti sembra?”

Lo guardai in silenzio per qualche secondo.

“Queste sono sciocchezze. Semplicemente tu sei una specie di tortura psicologica. Non sei neanche reale” considerai.

“Se è quello che credi non ti impedirò di pensarlo”

Guardai le nuvole addensarsi fuori e soffocare il sole.

Stava finendo.

Che fosse la mia vita o altro non avrei saputo dirlo. Ma qualcosa stava giungendo al termine.

 

***

 

Il treno si era fermato prima, per un problema sulle rotaie e alla fine era stato costretto ad alloggiare in una città vicina a Narita.

Non importava.

Stava per prendere la metro. Li avrebbe trovati.

Qualsiasi cosa lo aspettasse a breve sarebbe stata la morte. La sua forse.

Si sorprese a ridacchiare. Importava forse? Era stato divertente. Vero?

Kuraji salì. Fortunatamente c’era posto. Scomodo ma c’era.

Accanto a lui sedeva una vecchietta bianca e opaca con una sciarpa verde e l’espressione stanca.

Davanti a lui, invece, c’era una ragazza. Non giapponese, credeva, bionda. Con i capelli lunghi, un maglione con qualche bruciatura di sigaretta e la fronte un po’ alta.

Lo stava fissando in effetti.

“Maro?” disse con una vocina sottile.

Kuraji sobbalzò.

“Mi conosci?”

Lei prima esitò, poi sorrise.

“Sono in classe con te” disse e con la mano gli fece cenno di sedersi accanto a lei.

Lui si alzò un po’ a disagio e si sedette.

Puzzava di fumo di sigaretta. I suoi capelli, ecco. L’odore era forte.

“Sono Kaede, non ti ricordi Maro? Mio padre è giapponese, mia madre turca” disse  sorridendo.

Prese dalla tasca un pacco tutto schiacciato di sigarette, ne estrasse una e se l’accese.

“Ti da fastidio?” chiese.

Kuraji fece segno di no con la testa.

“Mi spiace che non ti ricordi di me” sorrise lei, stringendo gli occhi tondi. Occhi da occidentale.

“Cosa fai qui Kaede?” chiese lui per cambiare discorso.

“Devo vedere una persona. Sai lavoro alla radio. Viaggio abbastanza” rispose lei.

“Ci si annoia” aggiunse.

Lei lo guardò con attenzione.

“E ora perché sghignazzi?” rise lei.

Kuraji non se n’era neanche accorto. Prese la sigaretta dalle dita di Kaede e se la portò alla bocca.

“Non concepisco l’idea della noia” spiegò.

Lei riprese la sigaretta.

“È una buona vita. Sai. Equilibrata, penso a me”

Lui gliela sfilò ancora dalle dita dopo che lei soffiò piano una piccola scia di fumo.

“Non mi piace l’equilibrio” rispose lui, sempre più divertito.

“Allora sei destinato a vivere poco”

“Non fa niente”

“E perché la pensi così?”

Inspirò dalla sigaretta.

“Non si può interrompere il sesso prima dell’orgasmo”

Kaede rimase per un secondo interdetta con un sorriso sorpreso e divertito.

“È una lezione da imparare”

Lo stava prendendo in giro? Non importava. Era quello che pensava: la vita non si vive a metà, né nell’equilibrio. Bisognerebbe viverla ad estremi.

La sigaretta era ancora nelle mani di Kaede.

“Questa è la mia fermata” disse Kuraji.  

 

***

 

Erano le Dieci meno venti quando Jim buttò a terra il cellulare da cui Adam River stava gridando come un forsennato. Quando salì in macchina e guidò come un pazzo fino a casa di Sayu Yagami.

La porta era sfondata, c’era una striscia rossa e bianca che circondava la casa, ma nessuno sembrava essere di guardia, così Jim passò oltre.

Lene era entrata lì, la casa era vuota. Cucina, salone, bagni, camere da letto. Ecco però in una di quelle c’erano due cavi a terra, vicini al lembo della coperta. Forse significava qualcosa.

Jim fece per girarsi.

“E tu che ci fai qui?”

Jim quasi cadde in avanti per lo spavento, si girò di scatto e vide tre uomini che lo fissavano severi.

Non rispose.

“Questa è zona di indagini signore, non può entrare”

Zona di indagini.

Non era sicuro, ma doveva parlare. Era l’unico modo.

“Su Kira? Anche voi avete scoperto che era qui!” tentò.

I tre uomini parvero stupiti.

“Cosa sai?” chiese quello con la barba.

“Ho indagato con un’amica. Suo figlio aveva combattuto Kira. È morto dopo la sua sconfitta. Lei ha voluto indagare. Ha scoperto… abbiamo scoperto”

“Ok calma” lo interruppe l’uomo. Gli altri erano rimasti con un’espressione sorpresa.

“Ora ci racconti tutto. Puoi fidarti facciamo parte dei poliziotti che catturarono il vecchio Kira”

“Aizawa, ma non…”

“No, sentite” s’intromise Jim.

C’era l’urgenza, l’urgenza di salvarla.

“Niente spiegazioni: il nuovo Kira è Sayu Yagami, sono partiti, non so per dove, ma la mia amica li ha seguiti, è in pericolo, bisogna aiutarla!”

Jim li superò e scese le scale.

“E dove? Dove sono andati?”

Non lo sapeva, ma avrebbero chiesto. Avrebbero chiesto in biglietteria chi e per dove era partito la notte prima.

Narita, avrebbero scoperto. Sessantasei chilometri dal centro di Tokyo: circa due ore di treno. Avrebbero deciso di permettere a Jim di andare con loro, per trattare con Lene. Lui avrebbe scoperto, poi, che Aizawa, Mogi e Ide lavoravano a quel caso fin dalle prime morti per attacco cardiaco, che avevano anche loro sospettato che qualcosa non andasse nella casa del vecchio Kira e che alla scomparsa di un certo Matsuda ne avevano avuto conferma. Che erano arrivati col primo volo da Los Angeles, dopo esser stati spinti lì da una pista sbagliata.

“La donna preferisce essere l’ultima avventura di un uomo”

Sembra una minaccia di morte.

 

***

 

Mezzanotte. Il buio.

Il buio è uno stomaco vuoto. È uno stomaco famelico.

È bisogno scuro.

Anzi. Cazzate.

Il bisogno non è la notte, o il buio, o il silenzio. È dentro di me, bisogno di qualcosa.

Cosa darei. Per vivere.

Sayu è immobile al mio fianco: le prenderemo il quaderno. Sicuro.

Mancavano ormai pochi Shinigami, secondo i miei calcoli. Io sarei rimasto in vita, avrei affidato il quaderno a qualcuno senza imporgli di usarlo. Avrei vissuto sulla terra per la durata di vita di quell’uomo, avrei imitato la mia antica esistenza. E Sayu.

Sayu sarebbe sopravvissuta, perdonata, scagionata. Ecco.

Il campo da calcio era recintato, lei aveva scavalcato il muretto e poi la ringhiera bianca arrugginita a tratti, era saltata oltre, tremando appena sulle gambe per lo sforzo.

L’erba era piena di foglie secche e morbida sotto i miei passi. Uno davanti all’altro, ignorando il gelo nella gola. Ignorando il bisogno fiacco sotto le ossa.

Un’auto si avvicina dietro la recinzione, la luce sembra a scacchi sull’erba del campetto.

La macchina si ferma, uno sportello si chiude, dei passi. Lene è ferma dietro le sbarre.

“Non girarti” dissi a Sayu. “Vado avanti io”

Lei non si mosse, come le avevo detto.

Lene mi guardava accigliata, mentre mi avvicinavo. Mi fermai.

Non sapeva che potevo attraversare le pareti, mi sarei mosso all’improvviso e mi sarei ripreso il quaderno. Sarebbe bastato un attimo.

Lei indietreggiò di un passo.

“Non ti muovere!”

Prese il quaderno dalla borsa a tracolla, c’era una penna tra le pagine, mi guardò.

“L’altro Shinigami” disse.

“L’altro Shinigami mi ha detto che se uccido lei muori anche tu, quindi non fare mosse strane” mi minacciò.

Sentii una scossa gelida nel petto.

“Cosa?”

Lene mi fissò.

“Quale Shinigami? Di che parli? Sono io il proprietario di quel quaderno! Quello che hai fatto rubare da casa nostra!” ribattei arrabbiato.

Perché è così non è vero? È sicuro, no?

Lene si arrampicò sul  muretto e scavalcò come aveva fatto Sayu.

“Stronzate! Io non ho rubato niente, questo quaderno era di…” poi si bloccò come se avesse appena capito qualcosa.

“Light!” mi chiamò Sayu.

“STA’ ZITTA E COPRITI IL VISO!” esplosi. Le braccia mi tremavano per il nervosismo, le scosse arrivavano fino alle dita, facevano male, sudavo. Questo non era previsto. Chi altro c’era in quella storia?

Maledizione! Maledizione!

“Sei tu che hai ucciso Nate River, mio figlio” sibilò lei tremando di rabbia.

Near! No! Non era previsto! No no no no no no! Maledizionemaledizionemaledizione!

“Perciò non mi perdonerai se ti rendo il favore”

Scattai prima che posasse la penna, l’afferrai per un polso senza accorgermi di quanto forte stessi stringendo e la scaraventai a terra, lei scivolò sull’erba fino a sbattere contro il muretto.

Cercò di puntare il piede per rialzarsi, ma scivolò con un suono simile a un fischio, prima di potersi sollevare sulle ginocchia.

Aveva ancora in mano il quaderno, non aspettai che si muovesse, mi scagliai contro di lei, per strapparle il Death Note dalle mani; nel buio, mentre le afferravo i polsi, vedevo solo sfarfallare schegge di immagini. Braccia, gomiti che si opponevano jeans bianchi sporchi di erba e di terra. Una mano sul mio viso, unghie. Dolore.

“AAAAH!”

Premetti la mano sulla guancia. Sentivo tre strisce bruciare e gonfiarsi; arretrai basito, guardai il sangue sulle mie mani.

Fino a questo punto.

Fino a questo punto mi hanno ingannato. Che Shinigami ero se sanguinavo e rimanevo ferito come un uomo?

Sentivo il dolore gonfiarmi come di un umore caldo la carne attorno ai graffi e sotto l’occhio.

“LIGHT”

Imprevisto! Maledetta! Ti uccido! Ti ammazzo, sei morta, non ti opporre, maledizione, togli quelle braccia prima che te le strappi!

Cercavo alla cieca di spostare la sua difesa di braccia e calci, storcendomi le dita, piegandole il polso, poi lei lanciò il quaderno per impedirmi di afferrarlo.

Mi voltai.

Dove cazzo era finito?

Mi sentii afferrare per i capelli e spingere contro il muro, inginocchiato com’ero mi sbilanciai subito e sbattei la testa sul blocco intonacato.

“LIGHT! LIGHT! NO!”

Aprii gli occhi intontito.

Era solo una donna cazzo.

L’erba era immobile e piatta davanti a me, poi arrivò il colpo. Forte, insopportabile, sulla schiena. Sentii le costole appiattirsi sul terreno, i polmoni svuotarsi, i denti affondarono nella terra e serrai la mascella per il dolore.

Non ebbi il tempo neanche per tossire e sputare, quando arrivò il secondo colpo.

“AAAAH”

Che cazzo era? Un tubo? Un piede di porco? Quella maledetta doveva averlo portato con se.

Aspettai che continuasse quasi tremando, quando invece la sentii gridare, mi girai: Sayu l’aveva attaccata alle spalle, ma era stata subito spinta a terra da Lene.

Io cercavo di respirare, ma era come ingoiare lava.

Lene lasciò cadere con un tonfo sordo la cosa che aveva avuto in mano fino a quel momento. Fece qualche passo fino al quaderno. Guardò Sayu e impugnò la penna.

Poi esitò fissandola con odio.

Non ne aveva il coraggio. Naturalmente. Tale e quale a quello stupido del figlio.

Cercai di rialzarmi, poggiandomi sulle mani, poi mi bloccai. Un rumore. Come un rombo, le luci. Anzi una luce, forte, bianca contro gli occhi. Niente più rombo.

Silenzio.

BANG

BANG

BANG

Sbattei le palpebre per vedere.

Qualcuno con un casco aveva sparato al catenaccio blu del cancello, stava entrando.

“SAYU COPRITI IL VISO!” gridai.

“Kuraji” sibilò Lene.

Questo ragazzo. Chi era?

Lui si tolse il casco e lo lasciò rotolare a terra.

Dalla mia posizione vedevo solo i riflessi della luce sull’erba, le scarpe e i pantaloni del tizio appena arrivato.

“Sta’ zitta, puttana” disse lui, calmo.

Le puntò la pistola contro e prima che potesse muoversi sparò.

Lene gridò e cadde in ginocchio tenendosi forte la spalla con le mani, mentre le dita non trattenevano le gonfie scie di sangue.

“Peccato, ho sbagliato mira” disse lui con tono ancora apatico.

Non mi stava guardando, forse potevo…

Resi il mio corpo immateriale e rotolai a sinistra uscendo dal recinto. Gattonai fino al cancello. Il ragazzo mi dava le spalle, mi alzai in piedi.

Mia sorella era inginocchiata di spalle davanti a quel Kuraji, con le mani premute sul viso.

“E così tu sei Sayu Yagami” disse, puntò la pistola senza aggiungere altro, io lo spinsi, facendolo cadere, l’arma gli sfuggì dalle mani, Sayu si alzò in piedi e cercò di scappare dal campetto.

“CHE FAI!” gridai.

Quando passò davanti a noi Kuraji le afferrò la caviglia facendola cadere, si alzò in ginocchio, l’avvicino e la guardò in faccia.

“CAZZO!” imprecai, afferrai Kuraji per gli abiti, lo girai a pancia in su.

Il quaderno! Era nella tasca della felpa, glielo sfilai, lui cercò di impedirmelo e riuscì a strappare un pezzo di carta. Troppo piccolo, ghignai. Sayu stava strisciando verso l’arnese di ferro con cui Lene mi aveva colpito.

Strinsi i pugni e colpii Kuraji sul viso, lui piegò la testa all’indietro, ma riuscì a divincolarsi.

Lene era appoggiata al palo della porta, stringendosi la spalla e boccheggiando.

Kuraji corse in avanti, ma Sayu lo colpì col tubo sulla nuca. Lui cadde supino.

Avevo il quaderno. Dovevamo scappare.

“SAYU” la chiamai.

Uscii di corsa dal cancello, lei correva ma era indietro rispetto a me.

Sentii un rumore. Sirene. Polizia, luci, troppe! Girai dalla parte opposta, tra recinzione e palazzo c’era troppo poco spazio per essere seguiti facilmente dalla polizia. Un uomo: quel Jim stava correndo verso Lene, che era uscita zoppicando dal campetto. Kuraji era ancora dentro. Aveva preso la pistola. Sparò alla cieca oltre le sbarre della recinzione.

Un colpo, due, tre, quattro.

“JIM!” un urlo, aprii gli occhi e mentre correvo vidi Lene sorreggere il corpo dell’uomo.

“JIM! NO!”

Le luci nei palazzi si accendevano, un cane abbaiava sporgendo il muso dal cancello, io pensavo solo a correre. Sayu dietro di me.

I poliziotti gridavano contro Kuraji, altri spari, ma lui era riuscito a infilarsi nella strada stretta.

Alle mie spalle c’erano mia sorella, ancora dietro Kuraji e prima di lui tre poliziotti che lo inseguivano, lui provò a sparare, ma i proiettili erano finiti, si fermò, prese la penna dalla tasca e un foglio intero piegato in due.

Io mi fermai.

NO! Aveva con se se una pagina del quaderno! L’avrebbe uccisa e io…

Però se avessi scritto il nome di Kuraji salvando Sayu… sarebbe stata comunque la fine.

Mia sorella era ancora distante da me e correva come una disperata nella mia direzione. I poliziotti erano caduti a terra morti. Kuraji aveva la penna in mano.

Alzai gli occhi.

Il sole stava sorgendo.

Ryuk in volo e distante mi osservava.

Sarei morto comunque, era finita. Era valsa la pena vivere per una speranza inutile?

Scrissi il nome di Kuraji Maro sul quaderno. Il sole ora mi bruciava gli occhi, fino a passare dal rosso al bianco, fino a sovrastarmi e a costringermi a piegare la testa. A gemere quasi. Potevo vedere i pensieri di Kuraji mentre moriva. Capelli biondi. Odore di fumo. “È una lezione da imparare”

Nei miei occhi: solo la luce.

 

***

***

***

Erano passati tre anni.

Lene aveva venduto la casa in Giappone ed era andata a vivere in America. Voleva vederla da anni, dopotutto. Aveva divorziato da suo marito Adam River due anni prima, ricordava ancora la sua ultima telefonata.

“Porti solo disgrazie”

“Vaffanculo”

“Fai morire la gente”

“Sto aspettando il tuo turno”

“Lo amavi, vero puttana che lo amavi?”

A Lene venne da ridere per il tono di Adam.

“Già” disse divertita.

“Vedrai come ti rovino” e aveva riattaccato.

Adam non aveva rovinato nessuno, alla fine, se non se stesso. Di lui non aveva saputo più niente da quando gli avevano fatto causa per qualcosa. Chissà. Non ricordava.

Aveva una casa in campagna Lene, con i fiori sul balcone. Non era da lei. Le piaceva.

In fondo le cose che odiava erano quelle a cui si affezionava di più.

Già.

 

***

 

Le tazze da tè sono ancora sul tavolino, con i cucchiaini e lo zucchero appiccicato sul tavolo insieme a qualche goccia.

Dovrei ripulire. Secondo Tota sono una ragazza disordinata, me lo dice ridendo. È molto buono con me. Lo sarò anche io con lui.

Ho cominciato a fumare un anno fa. Fuori al balcone, per non disturbare il caro Matsuda.

Come ora.

L’aria è ferrosa, il cielo è polvere bagnata.

Light non credo che tu volessi davvero sacrificare la tua vita per salvare la mia. Credo che desiderassi davvero tornare a vivere.

In questo momento sono soltanto svuotata. Senza scopo, né voglia di uno scopo. La vita di noi uomini non è avventurosa, vero Light?

Una settimana dopo tutto quello che è accaduto ho ascoltato la radio. C’era una ragazza che ha parlato della morte di un suo amico. Molto poco professionale a dire il vero. C’era una canzone come sottofondo, una canzone tratta da un telefilm. Quella mi è piaciuta.

L’ho cercata su internet scrivendo il testo e ho trovato il titolo: Gaeta’s lament

Ecco che piove. Non ti piaceva la pioggia in vita, vero, Light?

 

Alone she sleeps in the shirt of man
With my three wishes clutched in her hand

 

Fumo di sigaretta e pioggia. Dovrei ripulire quelle tazze.

The first that she be spared the pain
That comes from a dark and laughing rain

 

Ora è tardi. Non posso fantasticare, vedi, alla fine sono solo un’umana.

When she finds love may it always true
This I beg for the second wish I made too
But wish no more

 

E non ho desideri. Solo bisogni.

My life you can take
To have her please just one day wake

 

Solo il mio egoismo, perché in fondo mi sono sentita sollevata per essere sopravvissuta al tuo posto.

To have her please
To have her please just one day awake
To have her please just one day

 

“Non si può interrompere il sesso prima dell’orgasmo” aveva pianto la voce alla radio.

“È una lezione da imparare”

 

awake

 

 

 

 

Voi uomini che vivete nella perenne incertezza, nel perenne bisogno non sarete mai simili a noi neanche se acquistaste i nostri poteri. Neanche se riusciste a ucciderci.                         

 

Tu non eri un Dio. Eri solo un uomo sconclusionato e in sospeso, che per la seconda volta ha visto la sua fine, che si è fermato un attimo prima di arrivare al culmine.

 Gli umani che hai lasciato andranno avanti nella loro miseria.

 

Né tu potrai mai più toccare il loro mondo. Il loro è il mondo dell’egoismo, della fame della propria carne. Tu stesso hai desiderato la tua e di questo ti sei consumato. Ma questa è davvero la fine perché…

 

 

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