Convegno dopo la morte

di Ipermaga_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giro 11 - Oscurità ***
Capitolo 2: *** Giro 6 - Insieme, per sempre ***
Capitolo 3: *** Giro 8 - Piccola Ib cresce ***
Capitolo 4: *** Giro 3 - Invece sì! ***
Capitolo 5: *** Giro 6 - Presa! Ce l'hai tu! ***
Capitolo 6: *** Giro 7 - Le opere collezionate di Guertena (parte 2) ***
Capitolo 7: *** Giro 6 - Perché? ***
Capitolo 8: *** Giro 7 - Sacrificio ***
Capitolo 9: *** Giro 7 - “È la tua storia” ***
Capitolo 10: *** Giro 4 - Paura... ***
Capitolo 11: *** Giro 9 - Il grande progetto di Mary ***
Capitolo 12: *** Giro 11 - Tanto sarai mio! ***
Capitolo 13: *** Giro 10 - Il finale più bello di tutti... ***
Capitolo 14: *** Giro 11 - ...Questa potrebbe essere tua? ***
Capitolo 15: *** Giro 11 - Buonissimo, anzi! ***
Capitolo 16: *** Giro 11 - Si trovava alle mie spalle ***
Capitolo 17: *** Giro 11 - Bastava la presenza di qualcuno ***
Capitolo 18: *** Giro 11 - Be', non succederà! ***
Capitolo 19: *** Giro 9 - ...Un'assassina ***
Capitolo 20: *** Giro 12 - Meriteresti di bruciare all'inferno! ***
Capitolo 21: *** Giro 8 - L'ennesima morte ***
Capitolo 22: *** Giro 4 - “Garry Impiccato” ***
Capitolo 23: *** Giro 4 - La condanna di Garry ***
Capitolo 24: *** Giro 12 - ...Giusto? ***
Capitolo 25: *** Giro 11 - Tutta sola... di proposito ***
Capitolo 26: *** Giro 8 - Una coincidenza interessante ***
Capitolo 27: *** Giro 12 - Se potessero essere soltanto due... ***
Capitolo 28: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Giro 11 - Oscurità ***


Parte Prima: Crescita

Giro 11 – Oscurità

L'oscurità... quest'oscurità... sta avvolgendo tutto quanto.
La mia vista inizia a sbiadire... tutto sta perdendo colore.
Sono paralizzata, non riesco a muovere un solo muscolo, eppure sento un forte dolore... parte dalla pancia, poi sale, stomaco, petto, spalle, braccia, mani, dita... gambe... non riesco a muoverle... sangue alla testa, ho i brividi?
So solo che non è una sensazione piacevole.
Mi piegherei in due, mi sento come se qualcuno mi avesse squartato con le unghie e rimosso a forza il fegato, ma non riesco a far nulla.
Il vuoto allo stomaco è riempito dal dolore, e forse dall'oscurità...
È un incubo? È un incubo, vero?
Sento una voce... cosa sta dicendo? Parla troppo piano...
Ah, ora capisco.
È tutto vero, eh?
Dovevo aspettarmelo...
C'è silenzio, e non lo sopporto, non per il silenzio in sé, ma perché nella mia testa invece c'è solo caos.
Ogni cosa nella mia testa si confonde, immagini, suoni, ricordi, pensieri, fantasie, desideri, paure...
Si mescola tutto, impossibile trovare un equilibrio.
Quanto tempo è passato esattamente?
Da quanto tempo sono qui?
Da quanto tempo esisto?
Sento di voler scomparire, ma allo stesso tempo non voglio, è come se così facendo lasciassi qualcosa o qualcuno indietro.
Qualcuno... chi?
Ho mai incontrato qualcuno, poi?
Non riesco a capire...
Qualcosa mi afferra per la gola.
Sento fastidio agli occhi...
Si sente un tonfo, ho un brivido alla schiena, che cos'era?
Sento una fitta alle ginocchia, mi gira un po' la testa, ma presto passa.
Mi sento oscillare lievemente, avanti e indietro, avanti e indietro...
Vorrei cadere.
Mi abbandono.
Casco all'indietro, ma non incontro il pavimento.
La mia testa e le mie spalle sono appoggiate a qualcosa che era dietro di me... un muro?
Sono quindi chiusa in questa stanza...
Chiusa o chiuso? ...Ci sarebbe qualche differenza?
Il dolore alla testa è più intenso...
Mi sento osservata--
C'è qualcuno qui?
Vorrei dirlo ad alta voce, o forse no? In ogni caso, non riesco a muovermi.
Mi fanno male le braccia... formicola dappertutto.
Il silenzio viene spezzato. Un suono che si ripete regolarmente, basso, sommesso, ma che c'è.
Dovrei averne paura?
Sento di aver provato soltanto paura, e di non conoscere nient'altro.
Solo paura, paura, paura, e ancora paura...
Qualcosa mi afferra di nuovo la gola.
Sento che non doveva andare così, che non doveva essere così...
Quel qualcosa mi spinge all'indietro, sento la mia testa venir schiacciata contro il muro...
E ancora quel suono regolare...
Cos'è?
Non sembra venire da fuori... forse lo sto solo immaginando, come tutto questo, del resto.
Si ripete, ancora...
Socchiudo gli occhi, la stanchezza mi opprime.
Vorrei addormentarmi, ma rischierei di fare qualche brutto sogno, forse... o magari sono già immersa in un brutto sogno.
Perché tutto questo non può finire?
Più che il buio, ciò che mi opprime di più è questa paura insistente.
Non voglio avere più paura... ma non credo che questo desiderio si possa realizzare.
Mi bruciano gli occhi.
Sento le mie dita agitarsi... sto tremando.
Sto tremando, sto tremando...
La mia paura aumenta.
Voglio sparire.
Voglio... morire.
Sento una fitta ai polmoni, non appena penso questa frase.
Sto ancora respirando, però...
Mi concentro sul mio stesso respiro, in qualche modo mi calma, ma so che non appena non ci presterò più attenzione il terrore si impossesserà di me nuovamente, e questo accresce la disperazione con la quale mi concentro sul mio respiro.
Respira, respira...
Sto ancora tremando...
Per qualche motivo inizio a respirare con la bocca.
Ho bisogno di qualcuno che mi tiri fuori di qui.
Ho bisogno di qualcuno.
Qualcuno...
Qui non c'è chiaramente nessuno.
Sono bloccato... qua dentro.
Stringo gli occhi più forte.
Anche se là fuori ci fosse qualcuno, non verrebbe mai a conoscenza della mia situazione.
Sono qui, abbandonata...
Sento qualcosa che si avvicina.
Cos'è...?
Non riesco a respirare.
Quel suono regolare... sta accelerando, ora lo sento allo stomaco.
Cosa sta succedendo?
Non voglio, non voglio, non voglio,
Qualcosa scivola lungo la mia guancia... una lacrima?
Sto piangendo... piangendo di paura.
Non credo sia una cosa tanto positiva.
Sono una fallita.
Voglio andarmene, diavolo...
Mi sento impazzire. Forse sono già impazzita.
Non vedo nulla, che succede?
Sento un altro suono regolare, diverso dall'altro, viene da fuori... l'ho già sentito... il suono delle campane?
Un'altra lacrima.
Bene.
Allora... lascerò che accada ciò che deve accadere.
Sì, farò così.
Smetto di respirare.
Ogni suono scompare.
Percepisco un peso che abbandona i miei polmoni.
È un sollievo.
L'oscurità mi cattura, mi fa diventare parte di sé.
Senza muovermi, mi abbandono a quel caldo abbraccio.
Le mie lacrime si asciugano.
Ogni cosa si zittisce.
Il tempo non scorre più.

**
Sentii il muro alle mie spalle che si agitava.
Chi è?
Qualcuno stava cercando di entrare. Bussavano sul muro. Perché?
Parte della mia coscienza si destò, come se fossi stata sul punto di addormentarmi e soltanto in quel momento fossi stata svegliata.
Detestavo quando succedeva.
Riaprii gli occhi.
Quell'oscurità sembrò ancora più reale... mi faceva male la gola.
Sentivo il suono di una maniglia che viene agitata... ero appoggiata a una porta?
La porta... era stata dietro di me per tutto quel tempo?
Oddio, sono proprio una stupida, eh?
Era così semplice.

Mani e piedi formicolavano, e nonostante - mentre mi alzavo - percepissi degli aghi che mi perforavano tutto il corpo, presi forza e cercai anch'io di aprire la porta.
Qualunque cosa ci fosse stata fuori, sarebbe stata molto meglio di ciò che c'era là dentro. No?
Tentai di aprire, ma la porta era chiusa a chiave.
Qualcosa dentro me iniziò ad agitarsi.
Continuai a muovere la maniglia, con più violenza.
Niente da fare.
Non mi piaceva rivolgere le spalle a quella stanza maledetta.
E voltarmi sarebbe stato ancora peggio.
Che faccio...??
Mi sentii cadere in avanti, appoggiai la fronte alla porta, avvicinai una mano al volto... non ero più in grado di reggermi in piedi.
All'improvviso la porta si aprì.
L'oscurità si spezzò, e scomparve, tutta in una volta.
Soltanto allora capii: si poteva aprire unicamente da fuori, e prima la stavo bloccando.
Secondo dopo secondo, avvertivo che la mia mente riprendeva lucidità.
E mi resi conto di quanto fossero privi di senso i pensieri e la paura di un istante prima.
Scoppiai a piangere.
Qualcuno alla fine era arrivato. Sembrava impossibile.
Mi sorressi al muro, per rialzarmi.
Gli corsi incontro e lo abbracciai, ancora tremante e con il respiro che solo in quel momento ricominciò a essere regolare.
Disse qualcosa, non lo riuscii neanche a sentire.
Dopo un momento di sorpresa, ricambiò l'abbraccio.
Il freddo svanì, fui invasa dal sollievo, la paura scivolò via e venne dimenticata, come un brutto sogno quando ci si risveglia.
« Capisco, non avrei dovuto lasciarti sola. Mi dispiace ».
Feci di no con il capo, la testa ancora immersa nel suo petto.
Per qualche ragione iniziai a singhiozzare, sconvolta, ma le lacrime non c'erano più.
Mi passò una mano tra i capelli, scompigliandoli... lentamente, il mio tremare diminuì.
Perché questa sicurezza non può durare?
Non voglio tornare nel mondo reale.
Non voglio essere costretta ad affrontare la realtà.
Non posso farlo, non dopo aver capito cosa sia vivere senza quella paura costante.
Non potrei sopportarlo.

Avvertii le sue mani allontanarsi; stava sciogliendo l'abbraccio.
Ecco, lo sapevo.
Con un istinto disperato, invece, lo strinsi ancora di più.
Inspirai. Sentivo il suo profumo... mi tranquillizzò.
Pensai che avrei dovuto prendere forza e incominciare a parlare, sfogarmi subito, dato che quello avrebbe potuto essere l'unico momento adatto.
Ma non potevo farlo. Non avevo intenzione di farlo.
Anche perché i ricordi di quella stanza iniziavano già a dissiparsi.
Non avrei potuto raccontare cos'era successo neppure volendo. Sapevo solo che era stato terribile.
E quella porta... quella porta era ancora socchiusa alle mie spalle.
Ritornò il fastidio agli occhi.
Qualcosa mi afferrò la gola di nuovo.
Sentii di star per rimettere.
Spalancai le palpebre dal terrore.
« Chiudila » mormorai. La mia voce... sembrava che avessi un groppo in gola. Ah, già. Era così.
« Cos...? ».
« Chiudila » ripetei, incominciando a vedere tutto sfuocato.
Allungò l'altro braccio. Udii la porta scattare alle mie spalle.
Gli strinsi la mano, forse un po' troppo forte.
Prima che io stessa me ne potessi rendere conto, corsi.
Corsi via, scappai, trascinandolo.
Pronunciò una qualche esclamazione di sorpresa, ma immaginavo che non avrebbe capito. E io non avrei potuto spiegarlo.
Andammo il più lontano possibile.
Appoggiai la schiena al muro per attenuare i brividi rimasti, probabilmente da prima.
Non smettevo di stringere la sua mano, l'altra me la passai tra i capelli, nel tentativo di riprendermi del tutto.
« Senti, se vuoi sfogarti o simili, sentiti libera di... ».
« Ti prego » m'interruppi. Non sapevo nemmeno io come volessi continuare.
Dato che l'avevo fermato, poteva essere un “Ti prego, ho bisogno di un secondo di silenzio”, oppure al contrario poteva essere un'esortazione, “Ti prego, continua a parlare ancora per un po' e resta con me”, altrimenti una palese bugia, del tipo, “Ti prego, sfogarmi? Sto benissimo, non vedi?”.
In qualsiasi caso, non mollai la presa: mi sentivo ancora incerta.
Sembrava piuttosto preoccupato.
Poggiai il capo sulla sua spalla, più che altro come se mi abbandonassi e non riuscissi più a reggere il peso della mia stessa testa.
Socchiusi gli occhi, ma presto li riaprii, non sopportavo la visione dell'oscurità.
Avevo bisogno di luce, di luce, e della presenza di qualcuno...
« Bene. Quando ti sentirai pronta, allora » disse, e io annuii.
Certo.
Era rassicurante sapere di avere qualcuno con cui potersi sfogare in qualunque momento, su qualunque cosa.
Qualcuno sempre al fianco.
Sempre.
Sempre...?
« Rimarrai, vero? Rimarrai, almeno finché non arriverà quel momento... » balbettai, rendendomi conto subito dopo del fatto che ciò che stavo dicendo fosse in qualche maniera penoso.
Mi sfuggì una risatina imbarazzata.
Ripresi a parlare prima che potesse farlo lui: « Niente, ignora quello che ho detto. Dunque, procediamo? Questa porta prima non era aperta... ».
E soltanto in quel momento ebbi il coraggio di lasciarlo andare.
Coraggio... già.
Coraggio.
Ne avevo? E anche se ne avessi avuto, sarebbe stato sufficiente?
Non avevo idea di quanto a lungo avrei potuto continuare... o meglio, avremmo potuto continuare.
Ma finché eravamo insieme, potevamo resistere. Giusto?
Resisteremo.

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Capitolo 2
*** Giro 6 - Insieme, per sempre ***


Giro 6 – Insieme, per sempre

Avevi... avevi detto che saresti rimasto.
Almeno finché... almeno finché non fossimo riusciti a fuggire insieme da qua.
Ero sicura che saremmo resistiti...
Non è affatto giusto tutto questo, sapevo che si trattava di una frase infantile, ma...
Anzi, no: non m'importava minimamente di essere infantile.
« Rimarrò... qui... per sempre... non ti lascerò andare, chiaro? » sussurrai, tra un singhiozzo e l'altro.
Non c'erano lacrime, sebbene desiderassi piangere, disperatamente, così disperatamente... volevo piangere.
Pronunciò il mio nome.
Non volevo smettere di sentire la sua voce, ma capivo anche che se consumava il fiato che gli restava per un'idiota come me... sarebbe finito tutto prima.
Emisi un gemito, gli strinsi la mano. Stava diventando sempre più fredda.
Non voglio, non voglio, non voglio...
Non osare...

« Non osare abbandonarmi » mormorai, senza neanche fare caso a quello che dicevo.
Mi lasciai cadere al suo fianco, lo abbracciai, il suo calore... il suo calore si stava affievolendo, il calore che mi aveva salvato, stava scivolando via, e proprio tra le mie stesse dita.
Non lo potevo permettere...
« Devi andare. Non è... non è troppo tardi » tossì.
Scossi la testa, finalmente il mio volto era bagnato dalle lacrime.
Non riuscivo a respirare, forse per via dei singhiozzi.
« So che puoi farcela, sono certo che mi salverai di nuovo... a che ti servirà restare qua? » continuava a dire, ma non volevo nemmeno ascoltarlo.
« Non rendere tutto questo vano, hai capito? » ripeté, sembrava che si stesse innervosendo.
Desiderava che trovassi la forza e reagissi, che tentassi di salvarlo, e anche se non ci fossi riuscita, di cercare comunque l'uscita da sola.
Sapevo che avrei dovuto farlo, ma... 
Non lo farò mai.
Non ci penso neanche...
Non sono abbastanza coraggiosa.
Il coraggio... io non ce l'ho.

Sentivo che non avrei potuto fare un solo passo, non sapendo che era ridotto in tali condizioni.
Mi detestai per questa debolezza, però... che altro potevo fare?
Percepii le lacrime scorrermi sul viso, cadevano una ad una...
Strizzai gli occhi, perché non potevo svegliarmi?
Sentivo il suo battito cardiaco, il suo respiro, seppur difficoltoso... per un attimo mi calmarono.
Sì, le lacrime si stavano asciugando.
Avrei potuto perfino alzarmi e tentare, in fondo...
Mentre pensavo questo, entrambi si fermarono di botto.
C'era... c'era solo il silenzio.
Non... non respirava più.
Non riuscivo più a sentire il suo cuore battere...
Non è quello che penso, vero?
Restai ferma, non potevo, o meglio, non volevo muovermi.
Perché non ero stata uccisa prima? Magari da quelle donne dei quadri, o da quella bambina con i capelli biondi.
L'avrei preferito.
Stavo ricominciando a piangere, o forse no, non lo so.
Il silenzio, il silenzio... no, no...
La mia mente era come bloccata su queste parole.
Mi strinsi più forte a lui, era freddo come il ghiaccio.
Era... era troppo tardi.
Ed era soltanto colpa mia, mia e della mia viltà...
Non potevo crederci, mi ero arresa prima ancora di provarci perfino stavolta.
Pensavo... pensavo non fossi così stupida da comportarmi così anche in situazioni simili.
E invece... l'avevo appena fatto.
È soltanto uno scherzo, andiamo.
Mi scappò una specie di grugnito, avrebbe dovuto essere una risatina?
Una risatina che si interruppe, consentendo di nuovo a quel dannato silenzio di regnare sovrano.
Sentivo freddo.
Perché non potevo morire anch'io?
Sapevo che pregando così gli stavo facendo un torto.
In fondo, tutto questo era successo perché... perché mi voleva salvare, giusto?
Non avrebbe voluto... che restassi lì.
Ma non potevo fare nient'altro.
Credevo di sapere cosa significasse provare odio per se stessi, ma scoprii che non l'avevo mai davvero saputo, non fino a quel momento.
Sarei rimasta in quell'incubo... per l'eternità.

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Capitolo 3
*** Giro 8 - Piccola Ib cresce ***


Giro 8 – Piccola Ib cresce

[POV Garry]

Passammo davanti al quadro “Fiori di gelosia”, all'apparenza vuoto.
Si sentì un rumore. Sempre più forte.
« Qualcosa si sta avvicinando... » disse Mary, fingendosi preoccupata.
L'enorme corolla si sporse e sbocciò. Sembrava di carta.
Dal terreno fuoriuscirono le radici di pietra.
« Allontanatevi dal quadro! » gridai. All'improvviso, percepii una manina stringersi intorno al mio polso.
Non ebbi il tempo di voltarmi.
Ib esclamò qualcosa, con sorpresa. Cadde per terra, sul lato sinistro del quadro. Io mi sentii trascinare dall'altra parte.
Con l'espressione allibita, fissava le radici che crescevano in mezzo a noi.
Mi ritrovai sul lato destro, insieme a Mary che non aveva ancora mollato la presa sulle mie dita.
Le lanciai un'occhiata, si sbrigò a spegnere un ghigno che per un istante era apparso sul suo volto.
Mi aveva trascinato con lei, spingendo dall'altra parte Ib, che nel frattempo si era rialzata.
Guardò le radici, le sfiorò appena.    
« Sono... sono di pietra » sussurrò.
A malincuore, mi costrinsi a risponderle: « Diamine, hai ragione! Avrei potuto bruciarle, altrimenti... ».
« Ib! Avevi trovato una chiave in quella stanza, giusto? Magari... può aprire quella porta laggiù? » intervenne Mary, volgendosi per indicare una porta chiusa alle nostre spalle: « Potremmo andare là per cercare qualcosa con cui tagliare le radici... no? ».
La bambina si girò a fissarmi, quasi a chiedermi conferma.
Stare solo con questo demone? No, grazie.
« Non ne sono molto sicuro... potrebbe essere pericoloso dividerci e lasciare Ib qui da sola » dissi.
Mary quindi si rivolse a Ib, senza perdersi d'animo: « Tu che ne pensi? ».
Nemmeno lei sembrava molto convinta: « Preferirei non dividerci ».
Solo a quel punto Mary assunse un'espressione seria, se non irritata: « Aah, ma perché? Non vedo altre opzioni! ».
Odiavo ammetterlo, ma eravamo costretti a fare come diceva lei. Come sempre, del resto.
« ...Immagino tu abbia ragione » cedetti infine: « Se non troviamo niente torneremo subito qua, ok? Poi ripenseremo insieme a cosa fare... aspettaci, d'accordo? » guardai Ib, e le sorrisi: « Andrà tutto bene ».
Sollevò lo sguardo. Mi guardò negli occhi, tra gli spazi delle radici. Annuì, cercando di mostrarsi sicura di sé.
Quindi ficcò una mano nella propria tasca: estrasse la chiave viola trovata nella bambola di poco prima. Allungò il braccio, nel tentativo di consegnarcela attraverso le radici.
Distesi il mio, entro poco la raggiunsi. Sfiorando le sue dita con un certo rammarico, presi la chiave.
Ib non aveva smesso neppure per un momento di fissarmi, con quel suo sguardo indecifrabile.
« Torneremo in fretta » ebbi il tempo di dirle, prima che Mary m'afferrasse il braccio per tirarmi via.
Ib annuì di nuovo, continuando a guardarmi finché non sparimmo dietro l'angolo.
**
« Dimmi, Garry, se soltanto due di noi potessero uscire di qui... tu che faresti? » mi domandò, mentre percorrevamo uno stretto corridoio.
Non mi sentivo molto a mio agio, perché da quando avevamo attraversato quella porta viola non sapevo più nulla. La stessa inquietudine che si era impossessata di me la prima volta che avevo girato per queste sale mi s'incastrò in gola.
E peggio ancora, la bambina decisamente poco affidabile che mi stava accompagnando invece conosceva già quel corridoio, così come le stanze che presto ci avrebbero accolto.
« Se soltanto due di noi potessero...? » ripetei, pensandoci un attimo.
Era una presa in giro? Altrimenti cosa?
Se la mia teoria - secondo la quale lei rammentava perfettamente ciò che era accaduto nelle precedenti linee temporali - era vera, allora sì, si stava prendendo gioco di me su qualunque fronte.
Be', si trattava dell'occasione per scoprire se avessi ragione.
Per raggiungere tale scopo, tuttavia, fui costretto a concederle la risposta che, di certo, si aspettava e forse sperava sentirmi dire.
Con la sensazione che qualcuno mi avesse appena riservato un pugno allo stomaco, mormorai: « Credo... credo che mi sacrificherei io ».
Si volse all'improvviso.
A una voce dentro me scappò un urlo.
Del resto, era già armata. Se avesse voluto, avrebbe potuto farmi fuori anche in quel preciso momento.
Mi sorrise, o meglio, mi ghignò in faccia.
« Ma davvero? » esclamò, come se stesse ripetendo una sorta di nenia, già sentita e risentita, detta e ridetta: « Non dire cose del genere, Garry! Usciremo insieme, d'accordo? È una promessa! ».
Finalmente si riprese, e cambiò tono di voce: da melenso divenne intimidatorio. Quasi quasi, a esser sinceri, la preferivo quando si metteva a minacciare.
« Non ci sarà bisogno che tu ti sacrifichi di nuovo » dichiarò, con i suoi grandi occhi azzurri incollati ai miei.
Una specie di brivido.
Ora ne avevo la conferma. Lei ricordava ogni cosa.
Il che implicava, però, che la sua fosse una palese bugia.
Mi aveva ucciso già ben più di una volta. Che cosa avrebbe potuto impedirle di rifarlo?
« Tu dici? » replicai, ostentando ostilità.
« Be', almeno lo spero » ridacchiò. Il suo sorriso mi sembrò più orrendo del solito: « Dipenderà da come mi tratterai ».
Si stava per voltare di nuovo in avanti, quando tornò a fissarmi come se avesse scordato di aggiungere qualcosa.
« ...Ib è parecchio cresciuta, non è vero? » potevo vedere il sogghigno che fingeva di nascondere.
A sentire il suo nome m'innervosii ancora di più.
Perché stava puntando a quell'argomento?
« Cosa intendi? » ribattei.
« Oh, non dirmi che me ne sono accorta solo io » non spegneva il suo sogghigno: « Pensavo lo avresti notato tu per primo... ».
Non aveva tutti i torti.
Ogni volta che il loop si ripeteva, difatti, Ib cresceva di un anno. Veniva qui nella galleria come se fosse passato davvero un anno, ma che io sapessi in quell'universo alternativo il tempo neanche esisteva. E sembrava improbabile che ogni anno lei tornasse, senza portare ricordi delle esperienze passate. Per di più, ricompariva anche se nell'ultimo finale, per qualche ragione... era morta.
Pertanto lei arrivava, convinta di aver continuato a vivere dalla prima volta in cui aveva messo piede qui dentro, quando non era così: Ib era imprigionata in questo mondo da quando aveva nove anni, e mai se n'era andata.
Naturalmente, il tutto accadeva per causa mia.
Io, essendo diventato uno dei quadri di Guertena, ero rimasto lo stesso, e probabilmente lo sarei stato per sempre. Così come Mary, anche se dubitavo fosse venuta a conoscenza della mia vera natura - o almeno, lo speravo.
In mezzo a tutto questo, comunque... dato che il tempo non scorreva, com'era possibile che Ib stesse ancora “crescendo”?
Magari Mary...
« Tu... tu sai perché succede? » dissi.
La bambina si limitò a lanciarmi un'occhiata che sapeva di conferma.
« Io? » ripeté, con falsa aria innocente: « In effetti... credo proprio di sì » si fermò.
Perplesso, la incitai a continuare: « E quindi...? Perché succede? ».
« Pensi che si possa giocare con il tempo senza provocare alcun effetto? » rispose all'improvviso: « Mi auguro che tu non ci abbia davvero creduto. Il loop che stiamo vivendo... per qualche ragione il suo effetto collaterale è ricaduto su Ib: ogni volta che il ciclo si riattiva, essendoci un'interferenza nel normale susseguirsi dello spazio-tempo, lei diventa un anno più grande, e dimentica tutto ciò che è successo nei giri precedenti. Noi, che evidentemente non siamo stati intaccati dall'effetto secondario, ricordiamo e rispettiamo la legge di quest'universo, secondo cui il tempo non dovrebbe scorrere neppure ».
Mi presi qualche secondo per metabolizzare il tutto ed esser certo di non aver perso qualche informazione. Vedere una bambina che dimostrava forse otto anni mettersi a fare discorsi del genere suonava completamente surreale, ma del resto, cosa non lo era in quel mondo?
« Però... » intervenni: « Se qui il tempo non esiste, cioè, può venir comunque interferito? ».
« Non è che non esista » esclamò Mary, nervosa, come se stesse spiegando una cosa elementare a un bimbo di pochi anni. In sostanza, dunque, mi stava insultando: « Semplicemente non scorre. Ti pare che potremmo muoverci con tutta questa tranquillità in un mondo dove il tempo non esiste proprio? Certo che no! ».
« Ah, ecco... » farfugliai, in segno di risposta.
Ci fu un periodo di silenzio, interrotto soltanto dai nostri passi. Svoltammo a sinistra. In fondo si poteva vedere la fine del corridoio.
Mi persi nei miei pensieri, a stento conscio del luogo in cui mi trovavo.
Ib, soltanto poco prima, mi aveva rivelato di avere ormai sedici anni... appena tre più piccola di me.
Se era rimasta bloccata qui sin da quando era piccola, voleva dire che...
Ci trovavamo già al giro otto.
Era l'ottava volta che ripercorrevo quell'incubo, sempre dall'inizio fino alla fine.
Non erano idee che mi mettevano esattamente a mio agio.
Raggiungemmo una grande sala marrone.
Stabilii tra me e me che non avrei mai più ritoccato il tasto riguardante la cosiddetta “numerazione dei giri”.



__________
Angolo autore:
Allora, finalmente si entra il vivo del racconto... credo, :')
Se soltanto ora avete iniziato a capirci qualcosa, è perfetto! Era così che doveva essere. C:
In pratica, sì, l'ho segnata come "Raccolta di one-shot", ma tecnicamente ha una sottospecie di trama generale. Be'... molto vaga, lol: insomma, i capitoli sono strettamente legati tra loro (anche se non sembra!). Sì, si viaggia di continuo nel tempo, perfino tra una linea temporale e l'altra, da un punto di vista all'altro... ho fatto di tutto per renderlo caotico, vabbè. I capitoli potrebbero avere senso anche da soli, nel senso che sarebbero delle scenette "What if" separate, riguardanti direttamente il gioco. Tuttavia... diciamo che si perdono più dei tre quarti della storia se non si arriva almeno fino a qui. Andando avanti, il racconto - almeno mi auguro - si spiegherà da sé, fino a raggiungere la sua completezza totale alla fine. Però, appunto, l'ho messo nella categoria "Raccolta" perché ogni capitolo è abbastanza autonomo, a parte alcuni riferimenti a quelli precedenti sparsi qua e là.
Bene, dopo avervi confuso le idee, vi saluto. Bai °-°

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Capitolo 4
*** Giro 3 - Invece sì! ***


Giro 3 – Invece sì!

[POV Garry]

Sì. Dovevo dirglielo. Era troppo rischioso.
L'ultima volta avevo evitato, sperando si trattasse di una coincidenza, ma a questo punto... non dovevo più permetterle di ingannarci, se avevo la possibilità di evitarlo.
Per cui rallentai un po', fino a fermarmi, in modo da porre una certa distanza tra Mary e noi. Poggiai una mano sulla spalla di Ib, rimasta davanti a me.
« Ib... non sono sicuro che dovremmo fidarci tanto di quella bambina ».
Si volse e mi fissò, allibita: « Perché no? ».
Eh, bella domanda. Come spiegarlo?
« ...Non credo ci porterà a nulla di buono ».
Restò un attimo in silenzio. Quindi disse: « La tua è solo una supposizione, però ».
Distolsi lo sguardo.
« ...Be', sì, ma comunque... ».
« Non puoi giudicare una persona se l'hai appena conosciuta » rispose, con le sopracciglia aggrottate.
Il problema era quello: non l'avevo appena conosciuta.
Sebbene non fossi sicuro del come o del perché, quella bimba bionda e vivace l'avevo già incontrata. La scusa del “sogno premonitore” poteva passare una volta... non due.
Come potevo dirle tutto senza sembrare pazzo?
Serrando la presa sulla sua spalla, decisi che avrei corso tale pericolo. La nostra salvezza era più importante.
« Forse avresti ragione » dichiarai: « Se io l'avessi appena conosciuta. Tuttavia, vedi, io l'ho già incontrata. Non è ciò che sembra. Ci impedirà di scappare, Ib... cercherà di ucciderci ».
Malgrado non me ne fossi accorto, avevo rafforzato la stretta. Sentivo il sangue scorrermi nelle vene, su e giù, su e giù...
Lei sgranò le palpebre, si discostò di qualche passo.
Abbandonai la mano lungo il fianco.
« Perché dovrebbe fare qualcosa del genere? » biascicò.
« Perché lei è un altro dei dipinti di Guertena! Proprio come le donne che poco fa ci inseguivano! » esclamai, con un nodo allo stomaco e una sorta di speranza nel petto. La stavo davvero...?
Trasalì: « Come puoi dire una cosa simile?? ».
« È la verità... » mi venne un'illuminazione: « L'ho vista in una raccolta di opere, prima che perdessi la rosa... ».
« Ma tu mi hai detto che dopo aver sceso le scale nel muro eri subito finito nel corridoio rosso » ribatté, accigliandosi di nuovo.
« ...Sì, e quindi? ».
« Be', là non c'era alcun libro. Ce n'erano alcuni in una stanza prima, ma da quanto ho capito non ci sei mai arrivato. E anche se fosse, io li ho guardati: non ho trovato nessun libro che parlava delle opere di Guertena in particolare » disse, letale. Con la velocità di una mitragliatrice aveva appena confutato le misere “prove” che avevo.
E purtroppo la sua spiegazione era esatta.
...Tuttavia, doveva essere per forza come dicevo io.
Giusto?
Senza sapere più a cosa aggrapparmi, ribadii: « In ogni caso, Ib, non fare affidamento su di lei. Fidati di me ».
Mi lanciò un'occhiata nervosa, forse irritata, se non addirittura... delusa.
« Garry » declamò. Non mi piacque per nulla la maniera in cui pronunciò il mio nome: « Avevamo stabilito di aiutare qualunque altra persona della galleria avremmo incontrato. Tu stesso l'avevi detto, tu per primo ».
« Vero, ma... ».
« Non c'è bisogno che ti preoccupi per me. Me la so cavare anch'io, sai? ».
« Non lo metto in dubbio... ».
« Invece sì! » il volume della sua voce era un crescendo. Mi guardava negli occhi. Fu la prima volta in cui vidi nei suoi una luce riconducibile alla rabbia.
« Ib... » borbottai, tentando di calmarla.
« No! Niente Ib! Non dirmi che devo fare! » si fermò per un secondo, come a trovare le parole adatte: « Non ho bisogno di un secondo padre! ».
Mi tolse le parole di bocca. Sbigottito.
Stava stringendo i pugni. Fissava verso il basso.
Era ancora Ib?
« Ehi, ragazzi, che combinate? Più avanti ci sono delle porte! Quale prendiamo? » l'arrivo di Mary interruppe quel silenzio teso. In qualche modo controverso, le fui grato.
S'avvicinava, saltellando: « Dai, andiamo! ».
Ib si voltò verso di lei con un rinnovato sorriso. 
Ero certo che, prima di girarsi, mi avesse riservato un'ultima occhiata offesa.
**
Petali blu ovunque.
Una voce soffocata.
« Avrei dovuto crederti sin dall'inizio... perdonami, ti prego... ».

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Capitolo 5
*** Giro 6 - Presa! Ce l'hai tu! ***


Giro 6 – Presa! Ce l'hai tu!

[POV Garry]

« Stai bene? » esclamò Ib, non appena si accorse di essersi scontrata e aver fatto cadere una bambina ai nostri piedi.
L'aiutò a rialzarsi.
Quella ostentò un sorriso intimidito.
Ib lo ricambiò.
Rimasi muto, dimenticando di iniziare a recitare la mia parte. Ne ero costretto, per evitare di attirarmi la diffidenza di Ib.
Dunque dipinsi sul mio volto un sorriso, indossai la maschera, ripetei il copione di sempre.
Nonostante i miei sforzi, Mary mi considerò a malapena. Chissà se lei conosceva la verità.
Al termine della sceneggiata, il demonietto procedette. Ib stava per seguirla. Tentai di fermarla chiamando il suo nome.
Stavolta avrei fatto sì che mi credesse. Potevo ancora cambiare la storia... avevo già una mezza idea sul come fare.
Una vocina sovrastò la mia. Pronunciò lo stesso nome, ma con tono più squillante, forse affabile.
Ib andò verso di lei. Temo non mi avesse neppure sentito.
« Giochiamo a “ce l'hai”? » propose Mary, mentre piroettava su se stessa. Ib ridacchiò, disse qualcosa come “Non credo di essere molto veloce...”.
« Oh, non importa! Voglio giocare, voglio giocare! » l'afferrò per una mano. Ib non si oppose.
« Allora facciamo così: ti do un po' di vantaggio, va bene? » sgattaiolò alle sue spalle, quindi la spinse in avanti.
« Ah, ma, Mary...! ».
La trascinò via, girarono l'angolo.
« Preparati! Sto arrivando! ».
Mi imposi di riprendere a camminare, quando - un attimo prima che svoltassi anch'io - quella bambina matta sporse il proprio faccino dal corridoio seguente.
Un ghignetto largo da un orecchio all'altro.
« Se volessi, potrei uccidervi entrambi in qualsiasi momento, anche adesso. Sta' attento a non farmi arrabbiare; e soprattutto, non osare mettere mai più Ib contro di me. È chiaro? ».
Colto di sorpresa, non provai nemmeno a replicare.
« Ho delle amiche, sai... sorridono sempre, vogliono fare amicizia! Adorano la caccia al tesoro. Le posso invitare anche ora... ti andrebbe?! ».
Mi congelai sul posto.
Parlava... parlava delle bambole blu.
Sogghignando, scomparve dalla mia vista.
« Presa! Ce l'hai tu, Ib! ».

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Capitolo 6
*** Giro 7 - Le opere collezionate di Guertena (parte 2) ***


Giro 7 – Le opere collezionate di Guertena (parte 2)

[POV Garry]

Gli enormi scaffali si erano finalmente spostati.
Li superai, la pallina di vernice rosa scomparve.
Decisi di ricontrollare il libro grazie a cui, la prima volta, avevo scoperto il segreto di Mary.
Non credevo che ci fosse un motivo preciso, o almeno così ritenevo consciamente.
Con fare piuttosto nostalgico, estrassi il volume dallo scaffale: “Le opere collezionate di Guertena (parte 2)”.
Non lessi le altre pagine, intenzionato ad andare direttamente nella sezione “M”.
Cercavo ciò che non c'era.
La sezione “M” era assente.
Notai, invece, che era stata aggiunta la sezione “R”. Le altre volte mancava, probabilmente - avevo pensato - faceva parte di una terza raccolta delle opere dell'artista.
Però in quel momento era lì.
Sfogliai immediatamente.
“Ritratto dimenticato”.
Nient'altro.
Nessuna descrizione, nessuna immagine. Niente di niente.
Solo il titolo, e uno specchietto nella pagina a lato, affisso alla carta.
Più per caso che altro, venni riflesso nello specchio.
Il mio cervello si riempiva di domande, ed ero sul punto di chiudere il libro con nervosismo, quando lo realizzai.
Se c'era uno specchio, e io ero probabilmente l'unico ad aver visto quella pagina prima d'allora...
Guardai di nuovo lo specchietto. Sul vetro era apparsa una scritta, segnata con della vernice blu.
“Sei tu il ritratto dimenticato”.
Mi venne da indietreggiare, quando m'accorsi che lo spazio riservato alla descrizione dell'opera era stato finalmente riempito, sempre da parole scritte con inchiostro blu.
“Tale opera raffigura una persona apparentemente addormentata, circondata da rose blu (il cui significato è detto essere “mistero”). L'artista ha messo particolare attenzione nel dipingere l'orologio da polso, dal quadrante rotto ed entrambe le lancette fisse sul 12. Si ritiene che si tratti di una metafora: per il soggetto - ovviamente non basato su qualcuno di reale, dal momento che serve solo come puro simbolo - il tempo si è fermato o ha perso di senso a partire dal momento in cui, per via di un evento particolare, è stato dimenticato.”
Staccai lo sguardo dalla pagina, sempre più sconcertato, oltre che irrequieto. Cosa voleva dire...?
Era strano anche che mancasse una stampa del dipinto, ed era invece presente solo lo specchio... nonostante non impazzissi di gioia, mi costrinsi a controllare il mio orologio da polso: sapevo che si era bloccato da quando ero entrato nella galleria, però forse non proprio sul dodici...
Invece sì. E il vetro era pure scheggiato, proprio come diceva il libro.
Riguardai la pagina.
La descrizione era cambiata.
“Tale opera raffigura una persona apparentemente addormentata, circondata da rose blu (il cui significato è detto essere “mistero”). In un angolo del quadro, vicino alla cornice, si può notare una citazione segnata da Guertena stesso: “Non c'è un'uscita. Non c'è un motivo”. 
Si è discusso molto su tale affermazione, di cui si parla di più nel saggio “Teoremi di questo mondo”, scritto da un autore anonimo. Alcuni critici hanno ipotizzato che, non essendoci un'uscita - ovvero un modo per poter essere ricordati - la situazione o si sarebbe bloccata o si sarebbe ripetuta; poiché niente è mai in completa stasi, bensì sempre in continuo cambiamento...”
Il testo terminava lì, forse perché non c'era più spazio nella pagina.
Comunque, era facile immaginare la conclusione della frase: se niente è mai in stasi ma allo stesso tempo non può proseguire, allora si sarebbe ripetuto tutto.
...Ma di cosa si parla esattamente? mi chiedevo.
La frase che doveva essere scritta in fondo al “mio” dipinto l'avevo già letta, alcune stanze prima. Non mi aveva messo particolarmente di buon umore...
E poi, si citava “Teoremi di questo mondo”. Ero certo di aver già sentito quel titolo da qualche parte, e con ogni probabilità era stato proprio nella libreria stessa.
Perplesso, controllai un po' i vari scaffali per controllare se ci fosse qualcosa di almeno simile.
Lo trovai.
Solitamente c'erano segnate frasi senza senso, o comunque che io non avevo mai del tutto compreso.
Non che quella volta ci fosse scritto qualcosa di molto differente, da questo punto di vista...
“Guertena aveva una personalità indubbiamente molto forte, tuttavia talvolta sfociava in un carattere da sognatore. L'unico modo che trovò per realizzare i suoi desideri e i suoi sogni fu immergersi nel suo lavoro, restando anche parecchi giorni di fila chiuso nel suo studio, senza mai incrociare un raggio di sole, specialmente nei suoi ultimi anni di vita.
Talmente preso dalle opere che, ai suoi occhi, il solo sistema per vivere e sopportare il dolore era diventato dipingere, dipingere e dipingere, senza fermarsi mai. Si trattava dell'unica maniera in cui poteva sentirsi, se non felice, a suo agio, nella sua vera casa, nel suo vero mondo.
Tutto ciò che l'artista desiderava era di continuare a vivere in quella sorta di universo alternativo creato da lui stesso.
Anche a costo di ripetere sempre le stesse opere, a quanto sembra: un esempio sono le infinite varianti de “La Donna in Rosso”, o di “Morte dell'Individuo”. Di alcuni quadri e statue sono state ritrovate più versioni, tutte all'apparenza simili l'una alle altre, con soltanto alcuni miglioramenti e/o differenze.
Probabilmente Guertena non si rendeva del tutto conto di questo suo irrefrenabile desiderio, ma ciò influì comunque sulla sua esistenza. Il pittore, difatti, morì a causa di un incendio avvenuto nella sua stessa abitazione. Sebbene potesse scappare in tempo, Guertena nemmeno si accorse dell'avvenimento, non tentò di fuggire, sempre chiuso nella stessa stanza, nella quale rimase rinchiuso.
Alcune delle opere conservate nel suo studio si salvarono dall'incendio, altre, purtroppo, no. Quando giunsero i soccorsi, per Guertena era ormai troppo tardi.”
Volsi pagina, incuriosito da tutte quelle informazioni: nessun libro della galleria aveva mai parlato così tanto e approfonditamente su Guertena e sui suoi lavori.
Tuttavia, le due facciate seguenti non presentavano lettere stampate. Si trovavano invece altri due specchietti, come quello presente nel libro di prima. 
Di nuovo, su quello posto a sinistra, apparve una scritta in tempera blu.
“È la tua storia”.

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Capitolo 7
*** Giro 6 - Perché? ***


Giro 6 – Perché?

[POV Mary]


Le spine di quella rosa mi punzecchiavano le dita.
Era rimasto un solo petalo, dello stesso colore del mare, o almeno... somigliava al colore che mio papà aveva usato nel dipinto ”Pescatore”.
Riluttante, decisi di tornare nel corridoio scuro.
Sapevo che, ormai, non sarebbero riusciti a fermarmi comunque.
C'era un motivo esatto per fare dietrofront? Probabilmente no.
...Ero solo curiosa.
Tornai indietro, la rosa in mano, fissando la scena.
Scoprii di aver fatto un errore.
Ib era stretta al suo fianco... lo stava abbracciando. Sulle sue guance continuavano a scorrere le lacrime, una dopo l'altra.
...Non avrei voluto che piangesse. Non avrei voluto che soffrisse.
Ma non poteva essere altrimenti, finché rimaneva attaccata a lui.
Perché non la smetteva, allora?
Perché l'effetto del loop era ricaduto su di lei?!
Perché non era più entusiasta dei nostri giochi? Perché, quando ci incontravamo, non si presentava più?
...Perché continuava a bruciare il mio quadro?
Inizialmente, ero certa che fosse stato lui, lui, che le aveva detto qualcosa per convincerla. Che se fosse ricapitato, di certo non l'avrebbe fatto.
Invece ero rimasta delusa; lei mi uccideva comunque, sempre, non appena ne aveva l'occasione. E non capivo il motivo. Perché mi odiava così tanto...?
Pensavo di aver trovato un'amica con cui stare, per annullare questa solitudine...
Mi sbagliavo.
Eccola lì, che piangeva per lui.
Ma aveva mai pianto per me?
No, ovviamente no, visto che mi bruciava di continuo.
A ogni giro, gli somigliava di più. Col tempo, era diventata molto più alta di me. Più seria. Più adulta. Avevo paura che un giorno o l'altro diventasse la sua esatta copia al femminile.
Strinsi i denti, gli occhi che... bruciavano.
Eccola lì, che piangeva per lui.
Per l'ennesima volta.
E quasi sicuramente, entro poco, non avrebbe avuto alcun rimorso a farmi fuori con quel dannato coso che sputava fuoco.
...Era così ingiusto.
« Non rendere tutto questo vano, hai capito? » sussurrò Garry, già con gli occhi chiusi. Era vivo? Ah, certo. L'ultimo petalo era ancora lì.
Stavo per tirarlo via, quando un singhiozzo, per un istante, mi bloccò.
Era di Ib. Non gli aveva risposto, l'aveva stretto più forte.
Strappai via il petalo blu.
Mi accorsi solo in quel momento di avere i polpastrelli macchiati di rosso. Ero stata ferita dalle sue spine.
Con un urlo in gola, gettai a terra lo stelo, desiderando fuggire, pur essendo incapace di muovermi.
Ib restò al suo fianco, a piangere, a gemere, anche quando lui non parlava più, anche quando la sua rosa non aveva più petali, anche quando il suo respiro sempre più difficoltoso si era interrotto.
« Rimarrò... qui... per sempre... non ti lascerò andare, chiaro? ».
Quelle parole... gliele aveva rivolte, poco prima, mentre correvo via da loro.
Ib gli aveva rivolto quelle parole.
E non ero stata in grado di togliermele dalla testa.
Perché prometteva il ”per sempre” a lui, e non a me?
Cos'aveva lui che io non avevo?
Perché lui sì e io no?
Perché loro potevano ricevere tutte quelle attenzioni, e invece a me erano negate?
...Perché mi hai fatto questo, padre?
Perché sono solo un dipinto?
Perché, padre, mi hai creato...?
**
Rimase veramente là, per un tempo assimilabile al ”per sempre”.
Aveva smesso di piangere, aveva smesso di singhiozzare.
Si stringeva a lui, come se fosse ancora vivo, come se potesse ancora proteggerla, proteggerla da me.
Come se fosse ancora vivo! Ma era morto! MORTO!
Per qualche ragione, non riuscivo a far altro che restare lì, in piedi, a osservare quella scena che, a ogni secondo che passava, diventava sempre più insopportabile.
Che stupida, eh, a farmi del male in tal modo...
Non avevo nemmeno io cura di me stessa, chi altro avrebbe dovuto averne? Chi avrebbe dovuto preoccuparsi per un essere inutile come me?
Strinsi i pugni, per un attimo volli assassinare pure lei. Sarebbero stati proprio belli, insieme nella morte, cadaveri abbracciati l'uno all'altro, uccisi entrambi per mano della stessa pazza... sarebbero stati proprio belli, proprio belli...
Mi sfuggì un lamento.
E un altro.
Stavo cercando di non piangere.
Solo in quel momento, Ib aprì appena le palpebre. Non le servì altro per guardarmi, seppur a distanza.
Immaginavo cosa stava per accadere.
« Mary... » bisbigliò.
Strizzai gli occhi. Non volevo ascoltarla.
« Mary... » ripeté.
Non mi mossi.
« Mary... perché... » la sua voce si strozzò: « Perché l'hai fatto...? ».
Non avevo intenzione di risponderle. Non le avrei risposto.
Potevo vedere i suoi occhi tornare a riempirsi di lucciconi, anche senza guardarla.
Perché me lo stava chiedendo?
Perché soltanto adesso, e non, magari, nei giri precedenti?
Perché si stava preoccupando di domandarmelo?
« Mary... » doveva smettere di dire il mio nome. Doveva finirla, immediatamente.
Pur di zittirla...
Le mie dita fremettero. Erano sul punto di dirigersi verso quella tasca, per riafferrare la spatola, il mio solo sostegno, l'unica cosa a cui potevo aggrapparmi per salvarmi dalla tristezza.
« Sarai pure un quadro, ma... sei diversa dagli altri, non è vero? ».
Una specie di scossa: mi paralizzai, dolorante, il fiato mozzato.
...Cosa stava facendo?
Perché parlava in quella maniera?
Perché si divertiva tanto a vedermi stare male?
Sì, le sue parole mi ferivano.
Mi ferivano, proprio perché così comprensive.
« Non l'hai fatto solo perché sei un dipinto, vero...? ».
Ero sicura che si trattava della stessa sceneggiata di sempre.
« Ti prego, dimmi che non è così...! » disse, alzando leggermente il volume di voce.
Le sarebbe cambiato qualcosa?
« Ti prego, dimmi... » prese un profondo respiro: « Dimmi... dimmi che non... non è morto per questo! ».
Seguì una sorta di grido strozzato, acuto, un verso privo di senso.
Sembrava avesse il fiatone.
Sfinita, solo per averlo definito ”morto”.
Mi venne quasi da ridere, nonostante l'umido negli occhi.
Ora si spiegava tutto.
Si trattava della sceneggiata di sempre.
Si era preoccupata per me... si era preoccupata di domandarmelo, semplicemente poiché non riusciva ad accettare l'idea che quell'uomo fosse morto perché noi quadri facevamo così.
Non riusciva ad accettare l'idea che quell'uomo fosse morto per via dell'ennesimo dipinto affamato di rose.
Pretendeva una ragione degna di essere chiamata tale, per tentare di alleviare la sua sofferenza.
Tutto qui.
« Ti prego, Mary... » mormorò.
Non le interessava proprio niente di me.
Mi voltai di spalle. Avevo deciso di andarmene.
« Ti prego, Mary, guardami! » esclamò.
« No! » mi scappò.
« Guardami! Solo un momento... ti prego... ».
Con l'astio e la rabbia che ribollivano in tutto il mio corpo, a malavoglia mi girai, alzando lo sguardo su di lei.
Il mio odio crebbe.
Un viso bagnato dalle lacrime, un sorriso forzato.
Singhiozzò.
« A me puoi dirlo... perché l'hai fatto? ».
La mia mano corse nella tasca.
Estrassi la spatola.
Il suo stupido sorriso, per un meraviglioso attimo, si spense. Tuttavia ritornò subito dopo.
« Mary... potrai farmi quello che vuoi, sul serio... imprigionarmi qui dentro, uccidermi, qualunque cosa. Ma almeno, ti prego... rispondimi...! ».
Non volevo ascoltare le sue ridicole preghiere.
Io... io l'avrei uccisa. Sì, esatto.
Il mio polso tremava.
Non riuscivo a fare un solo passo avanti.
Non riuscivo a sollevare la mia arma.
Serrai la presa intorno al manico.
Non... non riuscivo a ucciderla.
Dopo tutto ciò che mi aveva fatto patire, non riuscivo nemmeno a vendicarmi.
Non ci riuscivo.
Una lacrima scivolò lungo il mio zigomo.
Spalancai le palpebre, terrificata.
Brividi.
Lentamente, con le dita congelate, mi sfiorai la guancia.
Stavo... stavo piangendo.
Di nuovo.
Per lei.
Lei, la persona che più di tutte mi aveva fatto del male.
Stavo piangendo... per lei. Davanti ai suoi occhi.
Come accettarlo?
Non potevo accettarlo.
Ma... non ero in grado di ucciderla.
Mentre percepivo le altre lacrime sgorgare, con un misero piagnucolio scappai via.
Sapevo che da lì a poco sarei stata bruciata, al solito.
Piansi più forte, proprio come una bambina.
**
Non venni bruciata.
Non prese il suo accendino.
Alla ricerca di una motivazione, m'inseguì.
Quindi uscimmo dalla galleria.
Finimmo entrambe nel mondo reale.
Per la prima volta, lo visitavo.
Lei non ricordava nulla, io sì.
Eravamo diventate sorelle.
Andammo dai suoi... dai nostri genitori.
Ci accordammo per andare al bar a mangiare qualcosa.
Poco dopo, Ib trovò in tasca una caramella gialla.
Gliela strappai di mano, ficcandomela in bocca con nervosismo.
Non doveva ricordare.
Altrimenti... altrimenti si sarebbe allontanata da me, no?
Mi sorrideva, gentile, onesta, ignara di ciò che era appena successo.
Ridevamo insieme.
Il mio obiettivo era stato raggiunto.
Ero una bambina reale. Vivevo insieme a lei.
E allora perché non mi sentivo felice?
Non era solo perché non voleva giocare a nascondino con me, giusto?
L'odio che avevo provato... era troppo tardi, non poteva più essere cancellato.
Non dopo sei giri che continuavo a venir ammazzata dalla stessa persona.
Era un legame impossibile, il nostro.
Io ai suoi occhi ero la cattiva, e lei lo era ai miei.
Per una volta, sì, vissi il mio finale ideale.
Come un bel sogno.
Da rincorrere.
Impossibile da raggiungere veramente.
E ciò faceva male.
No, non era più il mio finale ideale.

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Capitolo 8
*** Giro 7 - Sacrificio ***


Giro 7 – Sacrificio

[POV Mary]

« Ehi... psst, Mary! ».
Udii quel bisbiglio.
Volgendomi, vidi le labbra di ”Pettegola” che mi chiamavano.
Mi avvicinai, ignorando Ib.
« Che c'è? » chiesi, a voce bassa.
« ”Orecchio sforzato” ha sentito qualcosa dal piano di sotto...! ♪ ».
Ero certa che si trattasse di qualcosa di estremamente importante.
Mi raccontò tutta la storia di Garry.
« Ooh! Davvero davvero? » esclamai, con una specie di gioia che mi rendeva leggera.
Mi sentivo come se un raggio di speranza avesse finalmente spezzato la coltre di nuvole grigie che, da troppo tempo, offuscava la luce del sole.
Da quando il loop era ricominciato, non sapevo come comportarmi.
Non sapevo più quale fosse il mio obiettivo.
Sola, ero stata dimenticata ancora una volta.
Sola, non valeva nemmeno più la pena ucciderli.
Sola, non avevo idea di cosa fare. Avrei dovuto tentare di uscire, sì... ma se la linea temporale si ripeteva comunque, a cosa sarebbe servito?
Perciò avevo scelto di andare a caccia di informazioni riguardo a quell'assurdo ciclo infinito.
E ”Pettegola” mi aveva appena dato tutte le notizie a proposito.
« Intendi dire che anche lui... anche lui ricorda ogni cosa? » dissi, mentre la sensazione di speranza e leggerezza si intensificava.
« Certo che sì! » esclamarono le labbra.
« ...Non mi ha mai dimenticata? ».
« Assolutamente no! Non era sicuro che tu fosti al corrente della situazione, pertanto ha taciuto tutto... come te, in fondo, no? ».
Pensierosa, annuii.
Questo stravolgeva le carte in tavola.
Quindi non ero sola, in quell'inferno di ”lotta-per-i-tuoi-scopi,-fallire-o-vincere-è-completamente-indifferente,-vieni-dimenticato,-ripeti”.
Una simile consapevolezza... be', era tutto ciò di cui avessi bisogno.
Dovevo vederlo, al più presto, e parlagliene in prima persona.
Di sicuro non sarebbe stato contento di fare una chiacchierata con me, se davvero ricordava gli scorsi giri.
Tuttavia, era l'ultimo dei miei problemi.
Mi bastava aver trovato delle risposte, e un nuovo obiettivo. 
Un nuovo motivo per proseguire.
**
Mentre parlavo con ”Pettegola”, Ib si era allontanata.
Con la chiave marrone finalmente disponibile, stava andando nella sala seguente, infischiandosene di me.
Non mi sorprese neppure. Non mi offesi.
Docile come un agnellino, mi avvicinai.
« Aspetta, Ib... ».
Si voltò. Pareva preoccupata.
Proprio come immaginavo.
« Ci sono delle scale anche qui... vengo con te » dissi.
Esibì un sorrisino compiaciuto. Dopodiché scendemmo le scale assieme.
Giunte nell'area viola, ci affrettammo - o almeno, io volevo affrettarmi: Ib invece mostrava una calma snervante - verso la Stanza delle Bambole.
Come spesso accadeva, avevano fatto un ottimo lavoro.
Peccato solo che, fondamentalmente, non fosse più neppure necessario.
La porta fu spalancata.
Ib, ovviamente, corse da lui.
Si bloccò quando prese a ripetere le solite frasi senza senso.
Rallentò il passo e, una volta davanti a lui, si chinò al suo livello.
Per qualche ragione, non me la sentivo di restare là a guardare.
Piano piano, di nascosto, mi sedetti di fronte a una delle bamboline blu sparse per la stanza.
« Sì... siete state grandi, però... è abbastanza » bisbigliai.
Alzò lo sguardo su di me, perplessa.
« Davvero, non... non serve » dissi.
Piegò la testa di lato.
« Insomma, devo parlargli ».
Se la squagliò: poco dopo la intravidi confabulare con le altre. Ebbi la loro conferma.
Una di loro zampettò verso di me.
Le porsi le mani a coppa. Ci salì sopra, e io la portai davanti al mio viso. Imitò il gesto dello schiaffo.
« Ci penserai tu? Perfetto, allora » approvai l'idea.
Intanto Ib aveva tentato di dire qualcosa per risvegliarlo, senza successo; Garry continuava a parlare tra sé e sé.
Indispettita, stava già per sollevare la mano aperta.
Sperai con tutto il cuore di essere più veloce.
A mo' di catapulta, lanciai la bambola in avanti.
Mentre volava, con il braccino teso gli riservò la sberla che era solita dargli Ib. Dunque il pupazzetto cascò a terra.
Mi domandai se fosse stato sufficiente.
Più che altro, sembrava disorientato.
« Garry! » lo chiamai, avvicinandomi in fretta.
Sbatté le palpebre, quindi si portò una mano dove la bambola l'aveva colpito.
« Cosa... ».
Si era ripreso! ...Come mai ne ero tanto contenta?
« Cosa è successo...? » il suo sguardo vagò per la stanza, passò dai pupazzi, a lei, a me.
Ib pareva ancora più incredula.
Si volse un secondo a guardarmi, poi tornò su di lui: « Mary... Mary ti ha risvegliato! ».
« Come? ».
Scossa, forse commossa, lo strinse a sé.
Ancora confuso, Garry non ricambiò l'abbraccio: « ...Aspetta, che cosa intendi? ».
« Eri impazzito » intervenni, ora fissandolo, ora abbassando la testa: « E... be', adesso ti sei ripreso » avrei dovuto ancora fingere di essere la bambina gentile e carina? Probabile, ogni volta che dava di matto dopo non ricordava granché... però magari le linee temporali sì.
Per potermene assicurare, avevo bisogno che Ib se ne andasse.
Guardò le bambole che lo circondavano. Sembrò incantarsi per qualche istante. Infine si riscosse: « Ah, capisco ».
Ib ci invitò a uscire e proseguire, accompagnata da un sorriso.
Sorriso avvelenato, pensai.
**
« È stata Mary! » ribadì Ib: « Ha lanciato... cosa hai fatto? Ha lanciato uno dei coniglietti a terra, e credo che con il fracasso dei cocci tu ti sia svegliato ».
« Cocci?? » esclamò Garry.
« Sì ».
Stavamo lasciando la zona viola. Lei lo teneva per una mano, e io, un po' timorosa, per l'altra.
Se, da lì a poco, Garry avesse tentato di svelarle la mia natura... avrei ancora reagito nel modo di sempre?
Garry non rispose, forse ricordandosi che Ib aveva le allucinazioni.
« Be', allora... ti ringrazio, Mary » farfugliò, un po' spaesato.
Seppur stranita per la singolarità delle circostanze, annuii con decisione, sorridendo.
« Prego! ».
**
Avevamo imboccato le scale per il piano superiore.
Non ero ancora riuscita a parlargli in privato.
E non ci sarei riuscita. Non per quel giro.
Poco dopo, distratta dai miei pensieri, rischiai di inciampare.
Avvertii la mano di Garry stringersi intorno alla mia e sollevarsi, per farmi rimanere su.
Ritrovai l'equilibrio, ma la mia rosa cadde.
« Oh, Mary » esclamò Ib, venendo verso di me: « Ti è caduto qualcosa! ».
Si abbassò a terra, per raccoglierla.
Che avrei dovuto fare...?
Quando si risollevò in piedi e fissò la mia rosa, concentrata, agii prima di quanto intendessi fare.
Se era vero che Garry aveva cancellato tutto per via delle bambole, almeno aveva cancellato anche ciò che riguardava la mia natura.
E se avesse continuato a rimanergli ignara... sentivo che sarebbe stato meglio. Non mi avrebbe detestato, e magari non avrei rischiato di finire bruciata.
Il coltellino in pugno.
Mi lanciai su di lei.
Alzò gli occhi con un istante di ritardo.
Era sul punto di gridare, quando percepii una mano avvolgersi intorno al mio polso.
Venni bloccata.
Lo guardai. Era Garry, e pareva irritato.
...Aveva ricordato ogni cosa, vero?
Non sapevo neanche se considerarla una notizia del tutto negativa.
« Ferma, Mary! » pronunciò il mio nome... anche se con rabbia, non mi dispiacque.
Non ci volle molto purché mi buttasse a terra.
Battei la testa contro il pavimento.
È colpa di Ib. 
Se non fosse stato per lei, non avrebbe mai reagito così.

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Capitolo 9
*** Giro 7 - “È la tua storia” ***


Giro 7 – “È la tua storia”

[POV Garry]

Tutte quelle frasi in codice iniziavano a innervosirmi, insieme a quei dannati specchi.
Tornai alla pagina precedente, notando con piacere che niente di ciò che c'era scritto era cambiato.
Nel rileggere, però, non potei fare a meno di comparare la storia di Guertena... alla mia, come consigliavano gli specchietti.
A essere sincero, non trovai proprio nessuna similitudine.
La mia storia... a cosa si riferiva, esattamente? Alla mia vita in generale o alle esperienze della galleria?
Solo allora lo realizzai.
Possibile... che stesse parlando di quello strano ciclo temporale nel quale ero coinvolto?
Iniziavo a scordare da quanto fosse iniziata, ma l'avventura della galleria, una volta giunta alla fine, da forse un po' troppo tempo ricominciava sempre, si ripeteva... più versioni, tutte all'apparenza simili l'una alle altre, con soltanto alcuni miglioramenti e/o differenze.
...E per quale motivo succedeva?
Tutto ciò che l'artista desiderava era di continuare a vivere in quella sorta di universo alternativo creato da lui stesso.
Sì, però Guertena era morto da tempo. Giusto?
O forse... magari lo spirito che aveva inciso nelle sue mostruose opere aveva fatto sì che, in qualche maniera, potesse manifestarsi di nuovo...?
Avvertii una sorta di brivido. Il creatore di quest'inferno... ancora vivo, vagante per la galleria...
Tentai di rassicurarmi, facendola passare per un'ipotesi azzardata.
La scritta sullo specchio, tra l'altro, non si riferiva a questo mondo, ma a me.
L'artista... si parlava ancora di Guertena?
Non è che forse il soggetto sottinteso... ero io?
Scartai l'idea. Di certo, l'ultima cosa che volevo era restare lì dentro per l'eternità.
...non si rendeva del tutto conto di questo suo irrefrenabile desiderio, ma ciò influì comunque sulla sua esistenza.
Sempre più confuso, voltai di nuovo pagina, tornando a quella dei due specchi.
La scritta era ancora lì, in qualche modo intatta.
A quella se n'era aggiunta un'altra, posta sullo specchio di destra.
“Il tuo desiderio è lei, no?”.
Suonava tremendamente ironica, quasi quel libro si stesse facendo beffe di me.
Alzai lo sguardo sul vetro.
Sullo specchio a destra, anziché la mia immagine... era riflessa Ib.
Esterrefatto, mi girai, credendo che - per uno strano miracolo - fosse apparsa alle mie spalle; non c'era.
Abbassai lo sguardo nuovamente sul libro.
C'era solo il suo riflesso, immobile, l'espressione pensierosa, indecifrabile, espressione che spesso mostrava, per via del suo carattere così schivo.
Rilessi la scritta: mi ero già scordato cosa diceva.
“Il tuo desiderio è lei, no?”.
« Che diavolo...?! » mi sfuggì.
Tornai alla pagina precedente, riguardando con un impeto che non mi spiegavo la storia della fine di Guertena.
“Guertena aveva una personalità indubbiamente molto forte, tuttavia talvolta sfociava in un carattere da sognatore. L'unico modo che trovò per realizzare i suoi desideri e i suoi sogni fu immergersi nel suo lavoro, restando anche parecchi giorni di fila chiuso nel suo studio, senza mai incrociare un raggio di sole, specialmente nei suoi ultimi anni di vita.
Talmente preso dalle opere che, ai suoi occhi, il solo sistema per vivere e sopportare il dolore era diventato dipingere, dipingere e dipingere, senza fermarsi mai. Si trattava dell'unica maniera in cui poteva sentirsi, se non felice, a suo agio, nella sua vera casa, nel suo vero mondo.
Tutto ciò che l'artista desiderava era di continuare a vivere in quella sorta di universo alternativo creato da lui stesso.
Anche a costo di ripetere sempre le stesse opere, a quanto sembra: un esempio sono le infinite varianti de “La Donna in Rosso”, o di “Morte dell'Individuo”. Di alcuni quadri e statue sono state ritrovate più versioni, tutte all'apparenza simili l'una alle altre, con soltanto alcuni miglioramenti e/o differenze.
Probabilmente Guertena non si rendeva del tutto conto di questo suo irrefrenabile desiderio, ma ciò influì comunque sulla sua esistenza. Il pittore, difatti, morì a causa di un incendio avvenuto nella sua stessa abitazione. Sebbene potesse scappare in tempo, Guertena nemmeno si accorse dell'avvenimento, non tentò di fuggire, sempre chiuso nella stessa stanza, nella quale rimase rinchiuso.
Alcune delle opere conservate nel suo studio si salvarono dall'incendio, altre, purtroppo, no. Quando giunsero i soccorsi, per Guertena era ormai troppo tardi.”                                                                                                                                         ...Finalmente incominciai a capire.
Tutto questo si ripeteva per colpa di un desiderio... un desiderio mio, un desiderio inconscio: il desiderio di restare con lei.
Per un lasso di tempo indefinito rimasi con lo sguardo perso nel vuoto, nel tentativo di dare un senso a quella scoperta.
Chiusi il tomo, rimettendolo sullo scaffale.
Ripensai al libro che avevo letto prima, a quello che doveva essere il mio dipinto.
Alla ricerca di certezze, tornai davanti allo scaffale in cui sapevo che l'avrei trovato.
Sezione “R”.
Ritratto Dimenticato.
Stavolta, c'era l'immagine del quadro.
Rappresentava con esattezza ciò che poco prima avevo visto scritto nella descrizione, adesso sostituita da una grande freccia blu che puntava verso la figura.
E sì, la persona “addormentata”, con la schiena appoggiata a un muro, mi somigliava molto.
Un po' a disagio, controllai più da vicino, ricordandomi della citazione che doveva essere presente a un angolo del dipinto.
La scovai, seppur diversa da quella che mi aspettavo.
“Da quando sei stato dimenticato, fai parte del nostro mondo”.
Da quando ero stato dimenticato. 
All'inizio di ogni linea temporale, Ib cancellava tutto ciò che era accaduto in quella precedente, compreso me.
Presumibilmente, si riferiva a quando ero stato dimenticato per la prima volta, ovvero al termine del primo giro.
In quell'occasione, avevo offerto la mia rosa per il bene di Ib.
Dopodiché... be', ero morto, in teoria.
Ma poi tutto si era ripetuto.
Si era ripetuto... perché non le dicessi addio?
E avevo avuto il potere di fare una cosa del genere perché ormai parte di questo mondo infernale, giusto?
Facevo parte di quest'universo.
Sostanzialmente, ero un dipinto anch'io.
Non ero più umano, da molto tempo. Da quando ero morto qui dentro.
Ed essendo tale, per qualche ragione, avevo ricevuto il potere di far avverare un desiderio... del tutto inconscio.
...Perché era capitato proprio a me?
Significava che sia io che lei eravamo condannati a rimanere in quel posto, facendo ripetere sempre tutto daccapo, almeno finché non fossimo riusciti a fuggire insieme.
Intendeva questo?
Ib sarebbe stata... come mia succube per l'eternità, a meno che...?
A meno che non avvenisse l'impossibile?
...Mary è nulla, in confronto a come mi sono ridotto io.

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Capitolo 10
*** Giro 4 - Paura... ***


Giro 4 – Paura...

No.
Non voglio.
Ho troppa paura.
C'è troppo buio qui dentro.

E ancora:
Non lo sopporto più.
Non riesco a muovermi.
Non posso fare un solo passo.
Non valgo proprio niente... non sono niente, ora che lui non c'è.

Continuavo a ripetermi pensieri del genere, inconsapevole e allo stesso tempo perfettamente conscia di quanto fossero stupidi e autodistruttivi.
Le sagome non meglio identificate di quel dipinto... mi stavano fissando.
Volevano me.
Ora che ero rimasta da sola, mi sentivo come se fossi una preda facile.
Avevo completamente dimenticato com'era stato vivere fino a quel momento e affrontare le paure senza averlo mai neppure conosciuto.
Mi odiavo.
Oh, quanto mi odiavo.
Ci fu un lampo improvviso.
La cornice.
Scattai all'indietro, immaginando già quelle forme incomprensibili assalirmi all'improvviso, come era appena successo nei sotterranei.
“Il tuo tempo qui sarà perduto... salterai ancora dentro?”
No. No che non ci salterò. Nemmeno per idea, scherziamo?

Ne avevo abbastanza.
Quante altre stranezze avrei dovuto incontrare?
E quante altre scelte avrei dovuto affrontare?
Non ero mai stata brava a compiere le scelte.
Indietreggiai.
Quando riaprii le palpebre, la cornice era tornata.
Non sapevo se doverne essere sollevata o meno.
Dopodiché non ricordo più nulla.
Buio improvviso, come se qualcuno avesse spento la luce, la lampadina che illuminava il mio cervello.

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Capitolo 11
*** Giro 9 - Il grande progetto di Mary ***


Giro 9 – Il grande progetto di Mary

[POV Mary]

« Che diavolo stai dicendo, Mary?! » esclamò, irata. Poi sospirò, compassionevole, parlando quasi in falsetto: « Hai davvero molta fantasia, eh? Continua così, mi raccomando, e vedrai che andrai lontano ».
Mi stava per accarezzare la testa, quando d'istinto colpii la sua mano: « Ti sbagli, è la verità! ».
« Ahah, certo Mary, certo » concluse, spalancando la porta marrone davanti a noi.
« Guarda, questa stanza sembra aver perso i colori... » commentò. Aveva appena cambiato argomento, il che non mi faceva piacere.
« Già, che strano » sputai.
Eravamo giunte da poco nella grande sala marrone. Più i giri passavano, più sentivo di detestarla. Mi trattava neanche fossi una bambina piccola, e non mi prendeva mai sul serio, se non quando tiravo fuori la mia spatola. Anzi, neppure: in quelle occasioni cercava sempre di scendere a compromessi, ripetendo che se l'avessi messa via avremmo giocato insieme. Che odio...
« Be', non sembra che qui ci sia granché. Vediamo le altre stanze » propose.
Dopo non molto, ci trovammo nella stanza con il dipinto della donna senza ombrello.
Rintronata com'era, le bastò un passo per combinare un disastro: fece cascare una delle teste di manichino appoggiate sui tavoli, tagliandosi con i cocci.
« Ah, ma che diamine » borbottò: « Anche se... dici che se rompiamo le altre succede qualcosa? » lanciò un'occhiata alle altre due teste rimanenti.
Mi limitai a fare spallucce.
Optò per buttarle tutte a terra. Con quella più in fondo si ferì di nuovo, mentre l'altra provocò una crepa sul pavimento, da cui prese a fuoriuscire una piccola colonna di gas.
« Mi sa che è tossico. Sarà meglio starci alla larga... oh, guarda! Secondo te cos'è? » riprese, afferrando la Chiave ad Albero.
Sbuffai: « È una chiave, no? ».
« Sì, era evidente » ribatté: « Mi chiedo più che altro a cosa possa servire... magari apre quella porta rimasta chiusa ».
Perché devi dire una cosa se ne intendi un'altra??
In breve stabilimmo di uscire e di fare un tentativo. Naturalmente non funzionò; la porta della quale parlava sarebbe stata accessibile solo quando Garry fosse stato nella Stanza delle Bambole. Avevo consigliato loro di finirla, però non mi avevano prestato ascolto, dicevano che si divertivano. Sebbene non mi sentissi esattamente a mio agio, non c'era stato altro che potessi fare.
« Non va » bofonchiò Ib: « Proviamo in giro ».
Avevo lasciato che le radici di pietra ci allontanassero da Garry, stavolta: a essere onesta, iniziavo a pentirmene. Dopo un po' era proprio una noia rifare sempre le stesse cose e dover aspettare che arrivasse lei alle varie soluzioni, potendo dare al massimo qualche suggerimento. Fossi stata con Garry, come nel giro precedente, sarebbe stato tutto mille volte più  semplice.
Per quanto adorassi stare con Garry, tuttavia, avevo scelto di tornare nell'area marrone con lei poiché era necessario che le parlassi faccia a faccia.
Avevo escogitato un progetto, un progetto per far sì che finalmente Ib si scollasse da lui. Tutto ciò che dovevo fare era dirle che Garry era un quadro, e, se riuscivo, spiegarle la faccenda delle linee temporali, di come quel ragazzo ne fosse la causa; Ib allora avrebbe incominciato a detestarlo, forse a temerlo, lasciandolo solo.
A tal punto sarebbe stato lui stesso a venire da me, in cerca di conforto. E io lo avrei accolto a braccia aperte.
Malgrado la genialità del mio piano, pareva fosse fallito. Avevo già cercato di svelare la verità di Garry, ma la risposta di Ib era stata, appunto, ”Che bella fantasia che hai!”.
Alla fine quella stupida fece scattare la Serratura Tutta Sola con la chiave.
« Chissà a cosa è servito... ah, vabbè » disse, incominciando a sfogliare alcuni libri degli scaffali.
Sì, spiegarglielo era stato proprio inutile.
Pensai di tentarci nuovamente nel prossimo giro; nel caso in cui avessi fallito ancora, avrei ideato un altro sistema.
Magari avrei potuto persino sfruttare il loro attaccamento. Ib non mi credeva non soltanto perché ai suoi occhi ero una bambinetta sperduta, bensì soprattutto per via della sconfinata fiducia che riservava a Garry. Ci avrebbe creduto solo qualora fosse stato lui stesso a confessarlo.
Mi scappò un piccolo sogghigno. Era perfetto! Dovevo solo...
« Ehi, Mary, cos'hai da ridere? Hai trovato qualcosa di buffo? ».
Mi girai di scatto. Ib aveva riposto sulla mensola il volume che fino a un attimo prima aveva in mano.
Finsi di ridacchiare: « Ahaha, sì...! Guarda questo! » esclamai, porgendole una raccolta delle opere di mio padre pescata a caso.
Perplessa, la scorse un po', quindi rispose: « Ah, ho capito, ti piace il ”Giocoliere”? ».
« Eh? Ehm, cioè, sì, esatto, quello! » Di che cavolo sta parlando?.
« In effetti è carino » ostentò un sorriso.
Il mio fantastico piano aveva un unico difetto: come potevo convincere Garry a raccontarle tutta la verità?

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Capitolo 12
*** Giro 11 - Tanto sarai mio! ***


Giro 11 – Tanto sarai mio!

[POV Garry]

Mi si gelò il sangue nelle vene nel momento in cui udii la sua voce, deformata in un tono acuto e oserei dire disturbante.
« Garry...? ».
Dopo che ebbe pronunciato il mio nome, nella mia testa questo si ripeté più volte, così come qualsiasi cosa che da quel momento in poi le uscì di bocca.
« Dove stai andando...? ».
Nonostante volessi correre via e allontanarla, tutto ciò che riuscii a fare fu voltarmi con estrema lentezza.
« Non avevi detto che ce ne saremmo andati tutti insieme? ».
Si stava avvicinando, ogni sua frase corrispondeva a un passo in avanti. Nella mano stringeva la sua inseparabile spatola.
Aveva un sorriso stampato sul volto, un sorriso che mi ricordava con fin troppa chiarezza quelle bambole disturbanti, o peggio ancora il sorriso con cui, tempo prima, si era messa a strappare i petali della mia rosa.
Per quanto tutto si fosse ripetuto un centinaio di volte, portandoci sempre a un nuovo finale, il primo è stato quello che ha condotto a tutti gli altri.
« Non avevi detto che non avremmo dovuto dividerci? ».
Non potei far altro che indietreggiare; dovevo trovare il momento giusto per assalirla e buttarla a terra.
Cercavo di ripetermi che non stavo agendo perché quel momento non era ancora giunto, tuttavia una parte di me conosceva la verità.
« Andiamo, Garry... ormai sai come andrà a finire, no? ».
Cosa voleva dire? Che sarei morto di nuovo?
Poco m'importava, in fondo, dato che tutto sarebbe ricominciato di nuovo. L'unica mia preoccupazione poteva essere la reazione di Ib all'accaduto, e fui stranamente contento che in quel momento non fosse presente.
...Se era così che la pensavo, allora perché percepivo comunque un sottile tremore percorrermi la colonna vertebrale?
« Resta qui con me... fermiamoci, in modo che non avvenga nessun'altra tragedia... resta qui ».
Deglutii: « Di cosa... ».
« Oh, coraggio, dovresti saperlo meglio di me » esclamò.
Prima che me ne potessi accorgere, scattò in avanti.
Si aggrappò alla mia maglietta, con l'intento di spingermi a terra, senza riuscirci.
Non ebbi modo di buttarla sul comico, ovviamente; Mary emise un verso di frustrazione mista a rabbia, esclamò “Ah sì?!” e si chinò per un istante a terra, come se le fosse caduto qualcosa.
Di colpo avvertii un dolore lancinante alla caviglia.
Colto di sorpresa, bastò una spinta ben calcolata per farmi inciampare nei miei stessi piedi.
Un po' disorientato, mi ritrovai disteso a terra, con una bambina seduta sui miei polmoni, protesa verso di me, armata di spatola insanguinata.
Alcune gocce rosse caddero sul mio viso, percepii un brivido scuotermi le membra.
Quel sangue... era il mio? Mi aveva ficcato quell'aggeggio infernale nella caviglia, perché cadessi più facilmente?
Le scappò una risatina divertita, più simile a uno sghignazzare che si finge trattenuto anche se non lo è affatto.
« Chiudi gli occhi... e poi riaprili! » sibilò, senza smettere di fissarmi con una per nulla rassicurante luce nelle pupille, mentre allargava il sogghigno dipinto sul suo volto.
Naturalmente l'ultima cosa che avrei voluto era proprio seguire i suoi ordini, ma uno sbattere delle palpebre fu sufficiente per far accadere ciò che evidentemente aveva previsto.
Colsi qualcosa salirmi alla gola, come se stessi per avere un attacco di vomito... una sostanza viscida, densa, bruciante come veleno. Quando iniziò a pizzicarmi la laringe, tuttavia, realizzai che c'era qualcosa di differente dal normale.
Improvvisamente sentii la mia bocca venire invasa dall'intruglio, in tale quantità e consistenza che non riuscivo a muovere le mascelle; somigliava a una specie di colla. Sebbene fossi oramai sul punto di rimettere quella cosa, di qualunque si trattasse, altre ondate occuparono la mia gola, rendendomi pertanto difficoltosa, se non impossibile, la respirazione.
Incapace di mettere in moto anche un solo muscolo, fitte dilanianti alla testa e alla bocca dello stomaco, da cui sembrava derivare quella colla.
Alla fine, non avendo altra scelta, lasciai che quella sostanza fuoriuscisse dalle mie labbra.
Al contrario di quanto mi aspettassi, in un primo momento si limitò a colare lentamente lungo il mio viso, lungo il mio mento. Ma ben presto ulteriori fiotti si aggiunsero ai primi, e il liquido uscì più rapidamente, dandomi un'illusione di sollievo prima di riprendere, con più irruenza di prima.
Sentivo la terribile sensazione di dover tossire, pur essendo impossibilitato dal farlo.
Mi era concesso solamente di strizzare le palpebre, in preda agli spasmi e ai conati, ma per alcuni istanti fui comunque in grado di vederla, vedere la sua espressione farsi sempre più soddisfatta: si stava davvero godendo lo spettacolo, quasi stesse aspettando da tempo quest'occasione.
La colla ben presto mi ricoprì interamente il mento, macchiò la maglia, forse ne colò un po' sul braccio, perfino sul pavimento. Entro poco lei stessa se ne era sporcata, incurante.
Nella mia testa distinguevo solo dolore e confusione, dolore, confusione e la speranza che Ib comparisse magicamente per fermare una simile follia...
« Perché stai sputando pittura? Non si fa! » mi rimproverò Mary, tanto per spargere sale su una ferita aperta.
Un momento, pensai, che significa “pittura”?
E soltanto in quel momento me ne accorsi.
Stavo vomitando tempera blu.
Litri, litri e litri di tempera blu.
Tale scoperta non migliorò la situazione, al contrario, percepii ogni parte di me cominciare a tremare, tremare, sempre di più, con sempre maggiore violenza, indebolendomi, fisicamente e psicologicamente...
L'unica colpevole che riuscii a identificare fu proprio lei, quel demone che al momento mi si era seduto a cavalcioni sul petto, per impedirmi di scappare.
Anche se dubito sarei riuscito a reagire in ogni caso.
« Non ti preoccupare... » sussurrò, senza spegnere neanche per un secondo il suo assurdo sorrisino: « Non ti farò del male. Ho solo bisogno che venga qui Ib, e lo farà di certo presto, non ho ragione? Ovviamente... pur di salvare il suo ADORATO Garry...! ».
Per qualche contorto motivo, mise particolare enfasi in quell'”adorato”, la sua voce divenne ancora più acuta, mi dolevano le orecchie.
All'improvviso sentii quasi i sensi di colpa per aver pregato che Ib ci raggiungesse in fretta.
« Dimmi un po', Garry... » proseguì. Ogni volta che si zittiva speravo non avrebbe più ripreso a parlare, benché non abbia idea del come avrei sopportato il silenzio che ne sarebbe conseguito: « Perché non vuoi raccontare a Ib la verità? ».
La verità...?
« Sì, quella riguardo al ciclo temporale, quella riguardo al fatto che è tua prigioniera qua dentro da ormai molto, anzi, troppo tempo... ».
Sussultai impercettibilmente.
Lei... lei sapeva. Sapeva tutto. Da quanto? Da sempre? Era probabile, del resto... era un'opera di Guertena anche lei.
Per un attimo mi tornò in mente il lontano giorno in cui avevo scoperto il suo segreto, di come ne ero rimasto scioccato: non avrei mai pensato che mi sarei ritrovato a dover nascondere lo stesso segreto, soprattutto che sarei stato tanto terrorizzato all'idea che qualcuno lo avesse scoperto.
« Ha-ha! Ne ero sicura! » esclamò, come se mi avesse beccato nel commettere qualcosa che a lei avevo raccomandato di non fare - e in certo terribile senso, le cose stavano in quel modo.
Ib, mia prigioniera?
...Era da ritenere una definizione appropriata.
« Allora? Perché non glielo dici? Hai per caso paura? » continuò, inarrestabile.
Anche se avessi voluto parlare non avrei potuto farlo, considerando come stavo soffocando in tutta quella pittura.
« Sei troooppo carino ridotto così! Lo sapevi?? ».
Che cos'era successo? Mi ero perso un pezzo della discussione?
Anche possibile, dato il mal di testa che da un po' mi trapanava il cervello.
« Daiii, perché non vuoi restare con me? Mi odi? ».
Perché non smetteva di farmi domande inutili, dal momento che non potevo rispondere?
Malgrado questo pensiero, presto percepii la tempera blu diminuire il suo flusso, sebbene ancora non cessasse.
« Tanto sarai mio! » esclamò, con rabbia.
Ebbi a malapena il tempo di realizzare ciò che aveva detto. 
Non aveva capito che non ero in grado di parlare, poiché presto iniziò a innervosirsi: lasciò cadere la spatola a pochi centimetri dal mio collo, quindi m'agguantò per la giacca e prese ad agitarla, impazzita, facendomi sbattere ripetutamente la nuca contro il terreno.
« Allora?? Perché non mi rispondi?! » gridava, mentre una sensazione di bruciore mi punse la scapola.
Il coltellino mi aveva tagliato.
Preso da uno scatto di qualche tipo, sollevai la mano, poggiai a terra la spatola e afferrai le sue braccia, bloccandola e togliendomela di dosso.
Ricominciai un po' a respirare, nonostante ansimassi per via dello choc e quella schifosa tempera.
Prima che potessi rendermene conto avevo fatto svenire una bambina. Mi ritrovai seduto, a rimettere ciò che restava di quella vernice.
Ancora con i nervi che tremavano, tentai di alzarmi in piedi, invano.
Mi risedetti, con un nuovo conato che mi coglieva alla sprovvista.

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Capitolo 13
*** Giro 10 - Il finale più bello di tutti... ***


Giro 10 – Il finale più bello di tutti...

[POV Garry]

Fummo costretti a correre, correre via, come al solito.
La trascinai tirandola per una manica. Il mio obiettivo era sempre più vicino.
Il quadro mezzo distrutto s'ingrandiva davanti ai nostri occhi. Avevo già l'accendino stretto in mano.
Alle mie spalle sentivo Ib che cercava di starmi dietro e i passi frettolosi di quel piccolo demone, oltre che il suo grido furioso.
C'eravamo quasi. Eccolo.
Il momento giusto...
Accesi la fiamma. L'accostai al dipinto.
Non dissi nulla.
Il quadro prese fuoco all'istante.
Solo allora mi fermai, con Ib ancora ansante al fianco.
Una strana scarica di adrenalina mi faceva desiderare di guardare ancora una volta quel volto terrorizzato e il suo corpo falso andare in fiamme.
Me lo meritavo, in fondo, dopo tutto il fardello che avevo dovuto sopportare per innumerevoli giri.
Sì, lo desideravo. Bramavo il suo viso sfigurato dall'orrore.
...Non venni completamente appagato.
Il suo vestito s'incendiò, ovvio, e il fuoco si alimentava secondo dopo secondo.
Tuttavia non sembrava affatto impaurita.
Anzi, la vidi abbozzare un sorriso. Perché?
Non un sorriso infami dei suoi, un sorriso sincero, quasi intimidito, se non dispiaciuto, a dire “Ahah, scusa, ho fatto una stupidaggine...”.
Il suo sguardo - fu evidente - non era rivolto in generale a noi due, o a Ib: era chiaramente diretto a me.
Mi guardava, mantenendo la stessa espressione.
Le fiamme intanto salivano e crescevano, sempre più rapide.
I suoi capelli da perfetta riccioli d'oro iniziarono a bruciare.
Un attimo prima che il fuoco s'appiccasse anche alla sua pelle, mi sorpresi nel sentirla confessare: « Sei bellissimo, e malato come me... ».
L'istante seguente Mary non era nulla più di un mucchietto di polvere nera, che forse non meritava neppure un nome da quanto appariva insignificante.
Sebbene cercassi di convincermi che aveva detto quella frase con cattiveria, che mi dovevo esser perso il suo sogghigno finale... dentro me sapevo che non era così.
A Ib scappò uno strillo quando vide la pila di cenere.
« Cosa... l'abbiamo... uccisa?? ».
Abbassai il capo, mesto.
« Mi dispiace... non avevamo altra scelta ».
Seguì un momento di silenzio.
Si voltò a osservare il dipinto, ormai ridotto a una tela annerita.
« Davvero, non era umana, dopotutto... » dissi, nel tentativo di fargliela pesare di meno.
Ripetei le frasi che avevo usato per calmarla già dalla prima volta che era accaduto in poi. Nel mentre la mia mente era altrove.
“Sei bellissimo, e malato come me...”.
Quale menzogna. Non ero assolutamente come lei.
Tra l'altro, su che basi mi dava del malato? Magari si ricordava ciò che era avvenuto nelle linee temporali precedenti, però non poteva sapere che ne ero io la causa, né tantomeno che in verità fossi anch'io un quadro...
Giusto?
Alla fine Ib parve tranquillizzarsi.
« Comunque, tu come stai? È bruciato abbastanza violentemente... » disse, interrompendo il filo dei miei pensieri.
Per un attimo credo di averla guardata con una faccia da idiota.
E chi non avrebbe avuto una reazione del genere, nel sentire le proprie parole venire pronunciate da un altro?
« ...Tutto bene, tu, piuttosto? » risposi, ripreso contegno.
« Meglio, grazie » si sforzò di esporre un sorriso.
La guardai, ancora un po' stupito per l'assurdità della situazione.
Sospirai, dunque consigliai di tornare a casa, mentre superavamo i disegni e i pupazzi che Mary aveva lasciato sparpagliati in giro.
« Speriamo... » borbottò, prima di interrompersi: « Aspetta... ma tu sei ferito! ».
« Cosa...? ».
« Sì, alla mano! » controllando, notai che aveva ragione. Del sangue spillava lento da un taglio sul dorso del mio palmo.
« Ah, sarà successo adesso con le schegge di vetro. Vabbè, non è niente di grave, andia... » mi bloccò.
« No, no! Tieni, ho questo » disse, estraendo dalla tasca un fazzoletto candido, adornato da alcuni merletti, con il suo nome cucito sopra. Di certo appena uscito dalla fabbrica, ricordava uno di quei vecchi film in cui le donne fanno apparire dal nulla dei foulard e prendono ad agitarli al vento, per salutare conoscenti, familiari, amici, fidanzati, mariti...
« Sei sicura? Dev'essere pregiato e non vorrei rovinarlo così » continuava a tenderlo, fissandomi: « Non ne vale la pena, sul serio... ».
Per tutta risposta, allora, mi afferrò il polso e appoggiò il fazzoletto sopra la ferita. Non contenta, legò i due lembi dal lato opposto rispetto al taglio, in modo da improvvisare una fasciatura.
Non le piaceva un granché, forse perché le sembrava troppo grossolana; mugugnò per la frustrazione. Stava per provarci di nuovo, quando intervenni: « È perfetto, ok? ».
Mi lanciò un'occhiata, a metà tra l'esasperato e il “Ne sei convinto?”.
Perciò annuii, sorridendole.
A tal punto si arrese e accennò qualcosa sul proseguire.
Ad altri occhi, magari, il suo sarebbe apparso come un atteggiamento strambo, addirittura infantile, per una ragazza ormai maggiorenne.
Per un secondo o due chinai lo sguardo sulla mano fasciata. Niente da fare, per me sarebbe sempre rimasta la bambina di nove anni con cui tutto questo era incominciato, pertanto mi andava benissimo così.
Raggiunto il murale “Mondo Fabbricato”, mi stupii nell'accorgermi che... ce la stavamo davvero facendo.
Di nuovo.
In uno dei giri più recenti, eravamo riusciti per puro miracolo a fuggire assieme, tuttavia... odio ammetterlo, ma ci eravamo scordati entrambi di tutto quanto.
Avevo ricordato solo quando il loop si era riattivato, rimanendo profondamente deluso. Non eravamo mai stati tanto vicini alla libertà, e mentre stavamo uscendo avevo creduto che il ciclo infernale si sarebbe concluso una volta per tutte. Mi ero sbagliato.
Nonostante sperassi che andasse a finire in modo diverso, c'erano ben poche possibilità che ciò accadesse, se non nessuna.
La cornice nel frattempo era scomparsa.
« Cosa significa...? » farfugliò Ib, non del tutto rassicurata dal cambiamento improvviso.
« Non so... guardando meglio, non ti sembra la galleria originale? » consigliai.
« Oh... è vero! » esclamò, colpita.
Mi imposi di recitare, ancora: « Forse, se ci entriamo dentro, potrebbe riportarci a casa... ».
« Dici? » non ne era proprio convinta.
« Non vedo alternative » ribattei: « E adesso non c'è neppure la cornice, potrebbe essere la nostra unica occasione ».
Alzò il capo, fissò il quadro per qualche istante.
« D'accordo » accettò infine, con più certezza.
Entrai nel dipinto.
« Ci sono! » esclamai: « Sali anche t... » mi zittii.
Per qualche ragione, si era voltata verso il corridoio dal quale eravamo venuti.
Perché quei ripensamenti??
« Ib? » balbettai. M'ignorava: « Che hai? » mi stavo innervosendo.
Pensandoci, comunque, non era la prima volta che una cosa del genere accadeva.
Pure l'altra volta si era comportata così, prima di seguirmi.
Se scavavo nella mente, inoltre, ero certo che era successo già prima ancora... in una linea temporale più lontana rispetto alle altre.
E, allora, ero stato l'unico ad aver attraversato “Mondo Fabbricato”.
Spaventato all'idea, tesi una mano verso di lei: « Avanti, Ib! Ti tiro su io! ».
Mi guardò per un attimo, senza dire nulla. I suoi occhi rossi erano fissi sui miei, silenziosi.
Si girò nuovamente, come se una voce le stesse parlando... di chi o che cosa poteva trattarsi?
Possibile... possibile che fosse un'altra allucinazione?
Non ebbi bisogno di avvertirla, poiché subito dopo percepii la sua mano stringere la mia.
Mi sfuggì un sorriso di sollievo: « Grande! » la sollevai.
Insieme, uscimmo da quel mondo folle. O almeno così sembrò per un incredibile istante.
I colori del quadro ci travolsero, perdetti coscienza della presenza di Ib, di me, del mio stesso corpo. Non vedevo niente, eravamo circondati da un'intensa luce bianca, quasi la luce fosse un liquido in cui potersi immergere.
Ogni cosa, ogni pensiero, ogni ricordo sbiadiva...
**
Controllando nella tasca, mi ritrovai in mano quello che sembrava un fazzoletto dall'aria raffinata, anche se sporco di sangue.
Lo rivoltai un po', fino a trovare su uno dei lati un nome, cucito con del filo color scarlatto.
« Ib... » mormorai. Mi volsi.
Dietro di me c'era la ragazza di un attimo prima, con la quale avevo scambiato due parole su una statua del museo, la statua di una rosa.
Mi guardò, senza capire.
Quelle intense pupille cremisi... le avevo già viste. Sì, le avevo già viste, proprio come quei lunghi capelli castani, quell'espressione, quel volto, quel modo di fare...
Si avvicinò e guardò il fazzoletto.
« Ah, già, è mio... se ben ricordo, me l'aveva regalato mia madre qualche tempo fa... però non capisco » rispose, non meno perplessa di me.
« Perché è nella mia tasca? » chiesi, lanciando un'occhiata al fazzoletto che tenevo ancora in mano. All'improvviso nella mia mente comparve una scena: un taglio, della stoffa che si macchiava a contatto con il sangue, un nodo bianco, una ragazza che lo stringeva...
« Ero... » biascicai, mi stavo sorprendendo da solo: « Ero ferito. Sulla mano. E una ragazza... una ragazza mi ha dato il suo fazzoletto » ripetevo, mentre cercavo di richiamare qualcosa di più: « Una ragazza di nome Ib! ».
La fissai, sconcertato, il fiato corto.
« Ib! Ricordo adesso, eravamo insieme lì dentro... » le immagini del mondo di Guertena riaffioravano uno dopo l'altra. Pian piano l'intera galleria apparve nel mio cervello, più chiara che mai, come se ci fossi stato ben più di una volta...
Continuai a guardare Ib, e tutte le esperienze che avevamo condiviso mi ritornavano alla mente.
« Come posso averlo dimenticato? Era così importante! Eravamo bloccati in quella bizzarra galleria, inseguiti da strane statue... c'era anche Mary, giusto? » proseguii.
Il suo viso... era lo stesso che era comparso nello specchio, lo specchio grazie al quale avevo compreso la verità... sulla mia natura, e sul segreto delle linee temporali!
Significava... che dovevo essere già morto? Ma se mi trovavo lì, voleva dire che ero ancora vivo, no?
Nonostante tutto, la sua espressione era ancora persa. Non sembrava star capendo un granché di ciò che dicevo.
« Ib... te lo ricordi? » domandai, in tensione per la risposta.
Abbassò gli occhi. Non voleva parlare. Scosse lentamente il capo.
Pur sentendo il panico avvicinarsi, provai a insistere: « Ah! Ricordi quando mi hai riportato la mia rosa, Ib?! E il pavimento coperto di occhi, e la stanza piena di manichini... e anche... ».
Sollevò lo sguardo, attenta, un po' confusa.
« ...Quando sei svenuta, Ib! Ti ho dato una caramella! » cercai di sorriderle.
Sì, lo confesso: benché fosse cresciuta, avevo continuato a regalarle la caramella, come una sorta di rito, una tradizione a cui ero affezionato. In quel momento scoprii che era stata la scelta giusta.
Frugò nella propria tasca. Sul suo palmo apparve un piccolo confetto avvolto da carta gialla. Lo fissò per pochi secondi, quindi il suo viso s'illuminò di comprensione.
Mi guardò negli occhi, spalancando le palpebre.
Sembrava tentasse di dir qualcosa, senza trovare le parole.
« È difficile da credere anche ora... ma dev'essere successo, vero? » proseguii, per aiutarla.
Non rispose, ancora sconvolta. Non la biasimai.
Pazzesco, pensavo.
Ed ero perfino riuscito a svignarmela. Insieme a lei.
« Ib... siamo tornati sani e salvi! Ce l'abbiamo fatta! » esclamai, quasi ridendo per il sollievo.
Pure lei sorrise di gioia. Un sorriso spensierato, un sorriso pieno, non il mezzo sorriso intimidito che mi aveva rivolto fino ad allora.
Avrebbe dovuto sorridere più spesso.
Stavo per restituirle il fazzoletto; mi bloccai quando mi resi conto che era rimasto macchiato di sangue. 
Quindi dissi: « Ehm, Ib, ti sta bene se lo tengo per un altro po'? Non vorrei ridartelo in questo stato... » era sul punto di replicare, però io l'anticipai: « Dovrò farlo pulire, prima di ridartelo ».
Rimisi il fazzoletto in tasca.
La guardai.
« Perché... io e te ci rivedremo ancora! » sorrisi.
Ricambiò, senza più timore.

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Capitolo 14
*** Giro 11 - ...Questa potrebbe essere tua? ***


Parte Seconda: Disperazione

Giro 11 – ...Questa potrebbe essere tua?

[POV Garry]

Ci eravamo promessi di rivederci. Glielo avevo promesso, e lei mi aveva sorriso in risposta.
Purtroppo ci eravamo dovuti dividere subito dopo, entrambi costretti a proseguire le vite di sempre, in teoria, vite che con tanta disperazione avevamo cercato di riuscire a riprendere.
Tuttavia, io non raggiunsi mai quell'obiettivo. Nel momento stesso in cui la salutai e svoltai l'angolo, il ciclo ricominciò.
Non eravamo fuggiti. Non eravamo liberi. Non era finita.
Non era servito a nulla, di nuovo.
Fissando con sguardo vacuo il pavimento rosso su cui ero disteso, mi domandai se valesse la pena insistere.
In fondo, tutto si ripeteva di continuo non per darmi la possibilità di scappare, ma - almeno da quanto avevo capito - per fare in modo che io e Ib non smettissimo di vederci e di stare assieme.
...Ciò significava che la promessa che ci eravamo scambiati non sarebbe stata mantenuta?
Se fossimo rimasti in quella linea temporale, in quel lieto fine... ci saremmo rivisti veramente di nuovo?
Evidentemente no, altrimenti non sarebbe servito far ricominciare tutto daccapo.
L'unico modo per stare con lei era far rivivere a entrambi un simile inferno, ancora, ancora e ancora.
Imbottendola di menzogne e ricordi falsi per l'eternità.
...Ne valeva sul serio la pena?
Ero talmente perso nei miei pensieri che non provavo neppure il dolore che, di norma, avrei dovuto provare a questo punto della storia.
La porta poco lontana da me si socchiuse.
Non ebbi il coraggio di alzare il capo, sebbene le fitte fossero passate.
Come avrei potuto continuare a vederla e restarle vicino, dirle che presto saremmo usciti, che tutto sarebbe andato bene, sapendo che, per colpa mia, non era possibile?
Mi ero sforzato, durante ogni secondo di quegli infiniti giri, di proseguire ripetendomi che un giorno, per quanto lontano, saremmo riusciti a raggiungere il nostro finale. Un giorno, saremmo riusciti a raggiungere un finale in cui avremmo potuto stare insieme, senza la costante paura di venir attaccati, o uccisi.
Tuttavia, questo sembrava essere l'unico finale concesso. Un finale in cui tutto si ripeteva, all'infinito.
E il colpevole di ciò non era Mary, non era la galleria, non era Guertena: si trattava di me.
Come avrei potuto mentirle di nuovo, per sempre, sapendo che il vero cattivo della vicenda ero io?
Sentii una porta chiudersi, dei passi avanzare.
Qualcuno si chinò davanti a me.
Una voce riecheggiò nella stanza immersa nel silenzio.
« Ehm... questa potrebbe essere tua? » non diceva nient'altro.
Alla fine, in verità, la promessa era stata mantenuta. Ci eravamo rivisti.
Allontanando alla meglio i miei pensieri, mi costrinsi ad alzare il capo, e a guardarla.
Non era cambiata per niente, malgrado oramai avrebbe dovuto avere diciannove anni, come me.
Mi tendeva una delicata rosa blu in fiore, quasi fosse appena sbocciata.
Pensai che non fosse vero: la rosa non rifletteva la nostra anima.
Ogni secondo in cui ero costretto a rimanere in quel posto danneggiava la mia mente, ogni secondo in cui ero costretto a mentirle mi faceva appassire, mi faceva sentire come se stessi perdendo, uno dopo l'altro, i petali della mia anima, senza, però, poterli mai perdere veramente tutti, cosicché il girone infernale nel quale mi ero cacciato non mi lasciasse mai andare.
Se all'interno ero così avvizzito, perché quella rosa blu era tanto rigogliosa e splendente?

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Capitolo 15
*** Giro 11 - Buonissimo, anzi! ***


Giro 11 – Buonissimo, anzi!

[POV Garry]

« Sembri piuttosto pallida... sicura di stare bene? » replicai. Le avevo già rivolto simili parole, in passato.
Inizialmente non intendeva rispondermi, non ricambiava neanche il mio sguardo, gli occhi incollati il terreno.
« Ib... dov'è la tua rosa? » chiesi, immaginando già la risposta.
« D'accordo » esclamò, senza sollevare la testa: « Non so dove sia. Credo sia caduta quando lei ci ha spinto ».
Una qualche parte di me fu colpita da una specie di scossa. Sapevo che sarebbe andata così, ma... ogni volta che tornavamo a tal punto, non potevo fare a meno di andare nel panico, proprio come la prima volta, se non peggio, dal momento che conoscevo già il possibile - e oramai probabile - finale.
Per un istante quasi la invidiai. Sperava ancora in un futuro, nel poter uscire da questo posto infernale, era preoccupata perché non sapeva cosa sarebbe successo, e non il contrario, come nel mio caso.
« Be', dev'essere per forza qui in giro, allora. Cerchiamola...! ».
Dopo un breve girovagare trovammo uno stelo, con un solo petalo color vermiglio rimasto attaccato.
Gli altri erano sparsi intorno, già mezzi appassiti.
Una parte di me sospirò di sollievo.
In lontananza, d'improvviso, si poté udire un risolino.
Il fiato mi venne meno.
Ci voltammo verso l'origine del suono.
« Oooh, è per me?? Che gentile! E che bella! Grazie! » la vocina acuta di Mary ci spinse a raggiungerla.
Ridacchiò. Una risata diversa da quella di prima, più umana, forse.
Davanti ai suoi piedi saltellava un'altra di quelle stupide bambole: probabilmente il ridacchiare inumano di prima era suo.
Mary stringeva una rosa blu tra le dita. Un sogghigno stampato sul viso.
« Oh, Ib, Garry, che bello vedervi! Guardate cos'ho trovato, non è bellissima?? » esclamò, esplodendo in una nuova risatina.
La mia rosa...?
Non mi ero neppure accorto di averla persa.
E dopo aver controllato nelle tasche, fu chiaro che sì, quella che teneva in mano Mary era la mia rosa.
Nonostante fossi sorpreso, immaginai che sarebbe finita allo stesso modo.
A meno che...
« Mary... quella... » farfugliò Ib, lo sguardo fisso su Mary e sulla rosa che avvicinava al proprio volto. L'annusò.
« Ha proprio un buon profumo! » sorrise, e riprese a odorarla: « Buonissimo, anzi! ».
« Basta, Mary, quella... » balbettò Ib. Poi si costrinse a mostrare un sorriso: « Non dicevi di voler restare con noi? Giocheremo insieme, te lo prometto, basta che tu restituisca a Garry la sua rosa... ».
La bambina indugiò prima su Ib, poi su di me. Quindi tornò a guardare la rosa.
Ero piuttosto sicuro che la sua fosse falsa indecisione.
« Va bene... » cantilenò infine: « Ma solo se mi darai la tua rosa in cambio, Ib! ».
Scattai prima ancora di rendermene conto: « No...! Ib, non farlo, non importa, sul serio ».
Mi ero ripromesso che avrei fatto di tutto perché il suo viso non venisse sciupato da nuove lacrime, lacrime causate dal mio sacrificio.
Tuttavia, il terrore di vederla stesa a terra, inerme, nuovamente, in quell'istante superò ogni ragione.
« Certo che importa! È la tua rosa dopotutto, no...? » estrasse dalla tasca la sua, dall'aspetto trascurato.
Aveva già fatto un passo avanti, stava per tenderla...
Le strinsi il polso.
« Non ci provare neppure » affermai.
« Ma... ».
« No » rafforzai la presa, non curante del fatto che potessi farle male.
Si voltò a guardarmi.
Aveva gli occhi lucidi, sembrava star reprimendo con grave sconforto i singhiozzi.
« Ti scongiuro... lasciami » sussurrò.
Un peso allo stomaco.
Ciò che temevo di più stava succedendo, e il peggio era che stava succedendo sotto i miei occhi.
Era davvero sul punto di piangere per me.
Essendo inghiottito dalle tenebre, mi ero risparmiato quasi sempre il brutto spettacolo che conseguiva la mia morte: non volevo essere costretto a divenirne lo spettatore, era sufficiente sapere di esserne il regista.
Ero in procinto di risponderle, quando una fitta inaspettata al petto strozzò le mie parole sul nascere.
« Oops! Che maldestra, se n'è andato un petalo! » esclamò Mary: « Perdonami, Garry, dico davvero! » il suo sorrisino non era più convincente. Naturalmente non lo era neppure prima, però adesso ricordava più una smorfia.
Più che sorridente, la sua espressione era proprio infuriata.
Non tentava nemmeno più di fare la carina, né con il volto, né con il tono della voce.
Prese con l'indice e il pollice un altro petalo.
« Non volevo, credimi! » dichiarò, sempre con quell'espressione assurda, furibonda, che si alternava a sogghigni forzati, in modo ininterrotto, rendendo il tutto ancora più orribile.
Ib cominciò a strattonare il braccio, per sciogliere la mia presa.
Irrigidii le dita intorno al suo polso.
Un altro petalo blu volteggiò fino a toccare terra.
Avvertii un fastidioso pizzicorino percorrermi le ossa, niente più.
Un altro.
« L... lasciami... LASCIAMI ANDARE! » strillò Ib.
Tirai il suo braccio, allontanandola da quella bambina, a stento conscio di ciò che facevo.
Aveva staccato un altro petalo?
Strinsi Ib a me, bloccandola, tappandole la bocca.
A ogni secondo che passava sentivo di star perdendo ogni contatto con la realtà.
Forse era perfino positivo. Non avrei potuto sopportare le sue grida o la sua espressione neanche per un altro istante.
« Sta' zitta, ti prego » mormorai.
Cercò di divincolarsi, invano.
Le fitte iniziavano a essere più intense.
Le strappai di mano ciò che rimaneva della sua rosa, riponendola con cura nella tasca del mio cappotto.
Provò a dire qualcosa, nessuno la comprese.
Tutto stava iniziando a offuscarsi, a convertirsi nei colori più vicini al nero.
Buio, buio, buio senza fine.
La lasciai andare, privo di forze, mi abbandonai sul pavimento.
Crollai in un sonno profondo.
Sì, esatto, sebbene non mi piacesse l'idea che soffrisse a causa di un idiota quale io ero, mi piaceva molto meno l'idea di assistere alla sua morte di nuovo. Perciò mi ero sacrificato ancora una volta, e di certo avrei continuato a farlo.
Che codardo, eh?

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Capitolo 16
*** Giro 11 - Si trovava alle mie spalle ***


Giro 11 – Si trovava alle mie spalle

A ogni suo lamento, lei rideva.
Rideva sempre più prepotentemente. Rideva con sempre più forza.
Quando vide le sue mani mollarmi, impotenti, si buttò sulle ginocchia per il troppo ridere.
Non era rimasto neppure un petalo.
Si portò lo stelo davanti agli occhi, come se stesse aspettando quel momento da sempre.
Lo strinse tra le dita, indifferente alle spine che la ferirono.
Una goccia di pittura rossa, suo sangue, sporcò uno dei petali blu che la circondavano.
Non ricordavo da quanto, ma avevo smesso di respirare.
Non vedevo nulla, tranne il suo viso illuminato da una gioia incontenibile.
Con un gesto teatrale, lasciò cadere lo stelo, sempre sghignazzando.
Guardò i resti della sua rosa sparpagliati per il pavimento, e si portò le mani al volto.
Le sue gote rosee, infantili, si macchiarono di rosso.
Rise ancora, con isteria a ogni istante maggiore.
Qualcosa di umido mi bagnò la mano, dolorante dopo essere stata afferrata con tanta violenza, nel suo ultimo slancio di vita...
Non me n'ero neanche accorta.
Infinite lacrime, bollenti, scorrevano lungo il mio volto.
Fissai i palmi delle mie mani venire inumiditi dalle lacrime.
Ci affondai il viso, abbandonandomi ai singhiozzi. Ogni gemito corrispondeva a una fitta ai polmoni.
Perché non si trattava delle fitte necessarie a salvarlo?
Un tale dolore... era il prezzo da pagare, perché non mi ero sacrificata?
E nel frattempo, confusamente, potevo ancora sentire quelle risate pazze frastornarmi il cervello.
Spiai il mondo esterno tra le dita e i capelli; Mary non era più davanti a me.
Si trovava alle mie spalle. Aveva smesso di ridere, e si era chinata sul suo corpo, ispezionandolo.
Mi costrinsi a voltarmi, con estrema lentezza.
Lo stava accarezzando, piano, gli occhi incollati al suo volto, pallido nell'immobilità della morte.
Non riuscii a identificare l'espressione di Mary.
Lo baciò con delicatezza sulla fronte.
Mi lanciò un'occhiata, con il capo appoggiato sul suo.
Quel sogghigno ritornò, più affilato di prima.
« Brucia, eh? » sibilò, come se potessi capire cosa intendeva.
Tornò a carezzargli i capelli, quasi dimentica della mia presenza.

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Capitolo 17
*** Giro 11 - Bastava la presenza di qualcuno ***


Giro 11 – Bastava la presenza di qualcuno

[POV Garry]

Dopo essermi assicurato di aver vomitato tutto ciò che c'era da vomitare, procedetti - presumibilmente avvicinandomi a Ib.
Mentre scendevo le scale, nonostante fosse l'ultima cosa su cui mi volevo soffermare, non potei fare a meno di ragionare su quanto era appena avvenuto.
Una situazione del genere non era mai venuta a crearsi, prima.
Da dove poteva venire quella sostanza blu che aveva rischiato di strozzarmi? Continuavo a dirmi che con ogni probabilità era stata Mary, con uno dei suoi trucchetti... ma dentro di me non potevo fare a meno di chiedermi se invece quella tempera non fosse mia e basta.
...Insomma, ormai ero anch'io un quadro, no? E per un quadro, specialmente da certe parti, non sarebbe stato così strano perdere vernice colorata.
Mi tornò in mente quando, in una delle linee temporali, Mary si era ferita, e anziché sangue aveva perso pittura rossa. Anche quello che avevo creduto fosse il mio sangue in verità era tempera...?
Il solo pensarci mi metteva a disagio, per cui cercai di accantonare l'idea, per il più a lungo possibile.
Una voce mi risuonò nelle orecchie.
“Sei troooppo carino ridotto così!!”.
Mi guardai un paio di volte intorno, piuttosto preoccupato, prima di accorgermi che quella voce veniva dalla mia stessa testa, in ricordo dell'esperienza vissuta.
Sospirai, nel tentativo di darmi una calmata.
Sebbene avessi ripetuto tutto questo fino a perdere il conto dei giri, ogni volta non la rendeva più simile a un'abitudine, anzi, ogni volta sentivo di essere sempre più vicino alla pazzia.
Ignorando il groppo alla gola, mi chiesi perché mai Mary si fosse messa a dire cose del genere.
Cosa mi avrebbe dovuto rappresentare “Tanto sarai mio!”??
Senza volere, accelerai il passo. Chissà come stava Ib. Se il piano di sotto era lo stesso in cui ero stato spesso io, allora di sicuro non bene. Da quanto avevo capito, finalmente aveva incominciato pure lei a vedere le bambole, al posto dei coniglietti... e avrebbe fatto meglio a rimanere nelle allucinazioni di quando era bambina.
O era il contrario... possibile che fossero le bambole l'allucinazione?
Per fortuna, pensai, ancora non le avevo incontrate: anche se ciò significava che probabilmente sarebbe successo presto.
Raggiunsi una porta viola. Dal lato dove mi trovavo, si poteva aprire con facilità.
Fu strano entrare in quella sala tramite la porta al capo opposto dell'entrata solita, ma orientarsi non fu affatto difficile. L'avevo visitata troppe volte...
Quasi senza rendermene conto, sapevo già dove dirigermi. Ben presto fui davanti alla porta che conduceva alla Stanza delle Bambole.
Presi coraggio e tentai di aprirla, invano: non sembrava chiusa, era più che altro come se qualcuno dall'altra parte la bloccasse...
Tentai di nuovo, con più violenza. All'improvviso l'uscio si spalancò e qualcosa o qualcuno si aggrappò a me, gemendo e tremando.
La porta si socchiuse da sé, cigolante. Non avevo fatto in tempo a vedere nulla, oltre che il buio. Tanto bastava.
Abbassai lo sguardo.
Una Ib piangente si era stretta a me, forse con un po' troppa forza. Aveva affondato la faccia nella mia spalla, e tra i vari lamenti la sentii balbettare parole incomprensibili.
Malgrado tutto, provai una sensazione di disorientamento nel ritrovarmela di botto così grande e così alta. Oramai doveva aver persino raggiunto la mia età. Pazzesco...
Mi venne quasi da sorridere - credo spiacevolmente - alla sua reazione, poiché comprendevo come si sentiva meglio di quanto lei stessa potesse immaginare.
Per offrirle conforto, ricambiai l'abbraccio, e dissi: « Capisco. Non avrei dovuto lasciarti sola, mi dispiace ».
Presi ad accarezzarle il capo, tanto per aiutarla a calmarsi.
Scosse la testa, a dire che non dovevo scusarmi.
Mi strinse ancora più forte, sembrava temesse che potessi scomparire nel nulla, svanire nell'aria, per poi non tornare mai più.
Tirò alcuni sospiri profondi, in modo da far tornare la respirazione nella norma. 
Smise di singhiozzare, dunque farfugliò: « Chiudila ».
« Cos...? ».
« Chiudila » ripeté, con una fermezza che non mi sarei aspettato.
Allungai un braccio, così da chiudere definitivamente quella dannata porta con un sonoro *clack*.
Di colpo, afferratomi per una mano, iniziò a correre, trascinandomi con sé, per allontanarsi il più possibile da quella stanza. Si fermò poco dopo, quindi appoggiò le spalle al muro, senza lasciare la mia mano.
Si passò le dita tra i capelli, quasi all'improvviso la sua testa fosse diventata troppo pesante per reggersi da sola.
« Senti » intervenni, non curandomi del fiatone: « Se vuoi sfogarti o simili, sentiti libera di... » venni zittito.
« Ti prego » incominciò a dire, come se volesse proseguire: però non proseguì.
Si avvicinò un po' a me, aggrappandosi al mio braccio, non aggiunse nient'altro.
Era sempre stata così. Un po' silenziosa, un po' timida. Credo mi sentissi rassicurato nel sapere che nonostante “gli anni” questo aspetto di lei era rimasto invariato.
« Bene. Quando ti sentirai pronta, allora » dissi, nel tentativo di essere incoraggiante.
Ib annuì, con gli occhi ancora un po' persi. Da quando era uscita dalla stanza non mi aveva mai guardato direttamente, magari non si era nemmeno accorta che ero io, magari le bastava soltanto la presenza di qualcuno.
Non ero sicuro di come dover considerare tale pensiero, ma in fondo ero contento di essere stato io quel qualcuno.
« Rimarrai, vero? Rimarrai, almeno finché non arriverà quel momento... » mormorò, lo sguardo fisso al pavimento. 
Mi sorprese e, mentre nel mio cervello desolato cercavo una qualche risposta, le scappò una specie di risata.
« Niente, ignora quello che ho detto » disse, mollando il mio braccio, senza guardarmi neppure di sfuggita.
Stavo per dire qualcosa, ma fui interrotto di nuovo: « Dunque, procediamo? Questa porta prima non era aperta... ».
Si stava staccando dalla parete.
Riafferrai la sua mano, per fermarla.
“Rimarrai, vero?”.
Quella frase...
Si girò verso di me. Vedere il suo viso, i suoi occhi, i capelli che le corniciavano con delicatezza l'espressione un po' confusa... d'improvviso mi sembrò la cosa più bella che mi potesse capitare.
Per quell'istante, sarei stato disposto a rivivere un tale inferno centinaia di volte, solamente per poter rivedere il suo volto.
E... sorpresa! Il mio desiderio si era già realizzato.
Fu la prima volta in cui mi sentii felice e grato per il potere che mi era stato concesso.
« Perché dovrei ignorare ciò che dici? » dichiarai.
Abbassò in fretta il capo, colta dalla vergogna.
Mi avvicinai, piano, quasi stessi aspettando che me lo permettesse.
« P-perché non era importante » biascicò, evitando ancora il mio sguardo.
« A me sembrava che lo fosse » replicai.
Sollevò la testa.
Alla fine si degnò di guardarmi negli occhi.
Aveva le gote leggermente arrossate, la mano che stringevo iniziava a fremere.
« Sì, te lo prometto. Rimarrò » sussurrai, pur sapendo quanto fosse difficile, se non improbabile, mantenere una promessa simile.
I ricordi del passato inondarono la mia mente.
Il suo viso terrificato quando Mary annunciava la condizione dello scambio... nonostante crescesse, era sempre lo stesso.
L'espressione intimorita che mi rivolgeva, la paura che la sbiancava, l'orrore e gli occhi lucidi quando era costretta ad avanzare da sé, mentre i petali blu cadevano a terra, uno dopo l'altro, l'oscurità che, grazie al cielo, mi circondava prima che potessi vederla scoppiare in lacrime...
Tra quei ricordi tutti uguali a loro stessi, ne comparve uno, uno che avevo tentato di rinchiudere nei cassetti della mia testa, per abbandonarlo là, al buio.
Si era seduta al mio fianco, mentre il mondo, per me, si faceva confuso e si riempiva di macchie colorate. L'ultima cosa che avevo visto, quella volta, era stato il suo viso ricoperto di lacrime. Tante, lacrime. Avevo sentito i suoi singhiozzi, avevo sentito che mi stringeva tra le braccia, l'avevo sentita ripetere il mio nome in infiniti bisbigli, di continuo...
Era stato troppo doloroso.
Nonostante tutto ciò, io avevo ancora la capacità di far ripetere ogni cosa dal principio.
Di conseguenza, in un certo senso, la promessa di rimanere sarebbe stata mantenuta, anche se lei... lei avrebbe comunque sofferto.
...Come avrei potuto spiegarglielo?
Cercando di rimediare, aggiunsi: « Ci sarò, perfino quando tutto farà sembrare che non ci sia più, va bene? Dovrai soltanto pazientare un po' e proseguire, non fermarti per me, perché io... tornerò da te, ogni volta, più presto di quanto tu creda ».
Sì, suonavano cose dette e stradette, smielate, forse.
Ma mai erano state più vere come in quel momento.
In che altra maniera avrei potuto rivelarle la verità sulle linee temporali? Nessuna. Negli scorsi giri ci avevo già provato, ovviamente senza alcun successo.
Quelle parole... se solo fosse riuscita a crederci pure quando avesse visto la mia rosa rinsecchita e priva di vita...
Scappò anche a me quella specie di risata imbarazzata: « Credimi, d'accordo? Credimi, fino alla fine » conclusi.
Rafforzai la stretta intorno alle sue dita, reso irrequieto da quei pensieri, da quelle immagini, dal ricordo del suo dolore.
La guardai, soffermandomi su ogni dettaglio del suo volto come mai avevo osato fare prima d'allora.
Debolmente, annuì.
Preferivo vedere un'espressione del genere prima di morire, rispetto alla solita, prossima al pianto. Non sarei stato in grado di sopportarla.
Percepii la sua mano avvolgere con più certezza la mia, come se volesse rassicurarmi, come se volesse dirmi: “Non importa il passato, io ci sono, qui e adesso”.
Una creatura così nobile e pura... non avrei permesso che si sciupasse in tal modo, sebbene fosse ormai di regola.
Piegai la testa, chinandomi su di lei, non mi domandai il perché.
Sentivo il suo respiro, il suo battito cardiaco sotto i miei stessi polpastrelli. Sembrava vagamente agitata.
Malgrado ciò, si alzò in punta di piedi, appoggiando, insicura, l'altra mano sulla mia spalla.
Le circondai la vita con il braccio, per sostenerla.
Socchiuse gli occhi.
Li socchiusi anch'io.
Uno sfioramento di labbra.
Mi baciò. O io la baciai?
In ogni caso, a meno che non mi sbagli di grosso, quello fu il suo primo bacio.
Per qualche strambo motivo, tale consapevolezza mi donò una meravigliosa sensazione di sollievo.
**
All'improvviso si staccò, tornando con i piedi per terra. 
La sua mano, però, rimase sulla mia spalla.
Mi fissava, sconcertata, come se si fosse appena accorta di quel che era successo. Le sue guance erano più rosse di prima.
Il suo sguardo vagò per un istante sulle nostre mani intrecciate, quindi tornò su di me.
Non avevo idea del come dovermi comportare.
« S... scusa, io... magari tu non volev... cioè... » farfugliò, ingarbugliandosi.
Era questo il problema? Sul serio?
« Di che ti stai scusando? » quasi risi, ma mi contenni con un sorriso.
Mi guardò con una sorta di trattenuta, incredula gioia. 
« Vieni qua » dissi, e per non farla stancare inutilmente mi abbassai io su di lei.
Chiuse di nuovo gli occhi, rapita almeno quanto me.
**
« Ah, ora che ci penso, perché sei tutto sporco di blu? » esclamò. Era tornata la stessa di sempre, come se non fosse successo niente, come se non fosse mai nemmeno stata in quella stanza maledetta, come se non ci fosse stato nulla tra noi.
Immaginai fosse per via dell'imbarazzo.
« Beh... sai » borbottai: « I quadri... eheh ».
Non seppi mai se avesse creduto alla mia balla o meno, poiché proprio in quel momento il corpo inerme di Mary apparve davanti ai nostri occhi. La spatolina si trovava poco più avanti, interamente macchiata di rosso e blu, vicina ad alcune chiazze di colore.
« Oh, santo cielo! Che è successo qui? ».
« Ehm, vedi... » stavo per iniziare a spiegare, però Ib mi anticipò.
« Ah, caspita... quindi ti ha attaccato? » si voltò a fissarmi, con l'aria preoccupata: « Sarai rimasto scioccato. Sai, in una di quelle stanze ho trovato un libro sulle opere di Guertena... e tra le altre, c'era anche lei. Non è umana... è proprio come gli altri dipinti. Mi dispiace non averti potuto avvisare prima, non ti ha fatto nulla di male, vero? ».
Oh, giusto.
Non essendo mai stato nella libreria del piano inferiore, in teoria prima di questo momento non avrei dovuto sapere niente della vera natura di Mary.
« Io... no, sto bene » mentii, balbettando: « E così è un quadro, eh? Assurdo... ora si spiegano molte cose ».
« Già. Per quanto mi dispiaccia, temo che la cosa migliore sia lasciarla qui... » sembrava veramente in pena per lei.
Non sapevo se ridere o piangere, l'ultima cosa che avrei provato per quel diavoletto era, di certo, la compassione.
« Penso tu abbia ragione » commentai, facendo finta di nulla.
« Comunque, perlomeno, sei riuscito a cavartela. Meno male, altrimenti a quest'ora sarei... » si zittì. Non voleva ritoccare il tasto “Stanza delle Bambole”, ed era più che comprensibile.
« Andiamo avanti » cambiai in fretta discorso: « Mi sa che dall'altra parte c'è una strada per continuare ».
Si limitò ad annuire e seguirmi.

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Capitolo 18
*** Giro 11 - Be', non succederà! ***


Giro 11 – Be', non succederà!

[POV Mary]

« Oooh, è per me? Che gentile! E che bella! Grazie! » esclamai.
La bambolina ai miei piedi ridacchiò, porgendomi la bella rosa blu.
...Le avevo chiesto io di prendere quella al posto della rosa rossa.
In primo luogo, perché era più bella.
E poi, tanto per variare... per una volta anziché lui avrebbe potuto sacrificarsi lei. Così me la sarei tolta di torno, quell'antipatica.
La bambola davanti a me si mise a saltellare, come se conoscesse i miei pensieri e mi approvasse.
Sollevai la testa, notando che si erano avvicinati.
« Oh, Ib, Garry, che bello vedervi! Guardate cos'ho trovato, non è bellissima?? » li salutai, mentre mostravo la rosa con un sorriso.
« Mary... quella... » farfugliò Ib, lo sguardo fisso su di me. 
Sapendo quanto l'avrebbe irritata, accostai la rosa al mio volto, e l'annusai.
« Ha proprio un buon profumo! » risi, riprendendo a odorarla: « Buonissimo, anzi! ».
Ed era vero.
Non avevo mai sentito un profumo talmente dolce e intenso. Mi ricordava tanto il profumo di Garry. Avevo avuto modo di sentirlo per bene, infatti, non troppo prima, quando nel corridoio marrone aveva iniziato a sputare vernice blu.
Sì, magari era stata colpa mia, però... era un dipinto, che potevo farci?
Quel pensiero m'innervosì un po'. Perché continuava a detestare me e i miei fratelli, se era uno di noi?
Perché non apriva gli occhi e non lasciava perdere quella stupida Ib, come avevo fatto io da tempo?
Avrebbe dovuto rendersene conto presto. Altrimenti, mi sarei occupata io di farglielo notare.
« Basta, Mary, quella... » balbettò Ib. Poi ostentò un sorriso: « Non dicevi di voler restare con noi? Giocheremo insieme, te lo prometto, basta che tu restituisca a Garry la sua rosa... ».
Bugiarda, pensai.
Tutto ciò che vuoi è Garry. Te lo vuoi tenere tutto per te.
Be', non succederà.

Finsi indecisione, fissandoli uno alla volta, tanto per metterli sulle spine.
Ib era preoccupata, quasi più di Garry. Era ora, lui stava iniziando a capire, forse.
Mi soffermai un istante sulla sua rosa, splendente e in fiore nonostante il buio di questi luoghi...
Era proprio bella.
Non volevo staccarmene, a meno che in cambio non raggiungessi il mio obiettivo.
« Va bene... » concessi infine. Ecco. Il momento era giunto: « Ma solo se mi darai la tua rosa in cambio, Ib! ».
Garry scattò d'improvviso, spaventandomi: « No...! Ib, non farlo, non importa, sul serio ».
Visto? Neppure gli importava. Anche lui voleva rimanere qui.
« Certo che importa! È la tua rosa dopotutto, no...? » estrasse dalla tasca la sua, dall'aspetto trascurato.
Sorrisi. Sarebbe stato perfino più facile.
Aveva già fatto un passo avanti, la stava tendendo verso di me... ero sul punto di alzare una mano per raggiungerla... finalmente mi sarei liberata di Ib, e avrei fatto sì che venisse dimenticata.
Invece lui le strinse il polso.
« Non ci provare neppure » affermò.
« Ma... ».
Cosa...?
Dai retta a Ib, stupido!
« No » rafforzò la presa.
Ib aveva gli occhi lucidi, sembrava che stesse per piangere.
Non riuscivo ad aspettare di vedere il suo visino, falsamente innocente, che veniva sommerso dalle lacrime.
Si voltò a guardarlo.
Ricambiò lo sguardo, in un misto di paura e determinazione.
I suoi occhi, tanto belli e profondi... immersi in quelli spaventosi di Ib.
Garry... 
Lui... 
Non si sarebbe mai preoccupato in una simile maniera per me. Mai. 
Non per un'assassina, la sua assassina.
Di colpo, percepii il dolore di una spada perforarmi i polmoni.
« Ti scongiuro... lasciami » sussurrò lei.
Li fissai per un momento, paralizzata.
Garry la guardava con rinnovata risolutezza. Dal modo in cui le stringeva la mano, si capiva che era deciso a non mollare.
La fronte aggrottata... l'espressione seria...
Era perfetto anche così.
Dolorosamente perfetto.
Lo realizzai.
Realizzai che... che avrei potuto provarci quanto volevo, non sarei riuscita a fargli cambiare idea, a fargli abbandonare Ib, figurarsi a dimenticarla.
Era già troppo tardi.
...Se non posso averlo io, non l'avrà nessun altro.
Abbassai lo sguardo sulla rosa blu che avevo ancora in mano.
Temo proprio che torneremo al finale di sempre, eh, Garry?
In fondo, tutto sarebbe ricominciato di nuovo, dato che lui era il vero nipote di papà.
E in tal modo avrei potuto stare con lui ancora... e avrei avuto un'altra possibilità per farli allontanare, per convincere Ib della sua natura mostruosa...
...E poi era bellissimo da morto.
Sembrava dolcemente addormentato, con le palpebre socchiuse e le mani abbandonate a terra... addormentato, per sempre, insieme a me, nel mio regno.
Con questo pensiero in mente, risi di gioia, di speranza, e staccai il primo petalo.
Garry emise un gemito di dolore.
Oh, quanto lo adoravo quando faceva così!
« Oops! Che maldestra, se n'è andato un petalo! » esclamai, cercando di farlo passare come un errore: « Perdonami, Garry, dico davvero! ».
Tornai a guardarli.
Erano ancora vicini, l'uno accanto all'altra, e mi fissavano, sconvolti.
Un moto di rabbia improvvisa.
L'avrei fatta finire in fretta.
Presi con l'indice e il pollice un altro petalo.
« Non volevo, credimi! » dichiarai, tentando di sorridere, senza riuscirci un granché.
Ib cominciò a strattonare, per sciogliere la presa.
Garry strinse più forte.
Avvertii gli occhi andare a fuoco.
Un altro petalo volteggiò fino a toccare terra, come se potesse aiutarmi a sentirmi meglio.
Ne rimossi un altro. Mi mancava la sua faccia da morto. Non vedevo l'ora.
« L... lasciami... LASCIAMI ANDARE! » strillò Ib.
Garry tirò il suo braccio, allontanandola da me, neanche fossi una qualche specie di mostro.
...Oppure aveva ragione?
Be', in questo caso, anche lui lo era.
Sì, lo era.
E allora perché non lo voleva capire? Perché continuava a comportarsi come se fosse ancora come lei?!
Presa da un'ira incontrollabile, strappai via un altro petalo.
Garry... Garry l'avvicinò a sé.
L'abbracciò. Le tappò la bocca.
A ogni secondo che passava sentivo di star perdendo ogni contatto con la realtà.
Non riuscivo a respirare, mi facevano male le costole.
« Sta' zitta, ti prego » mormorò.
Avrei dovuto prenderlo come un segno positivo?
Del resto, la stava trattando male.
Ma solo per trascinarla via da me, e per acconsentire al venir ucciso. Per il bene di quella maledetta.
Nonostante sapesse che non sarebbe mai davvero morta, continuava a volersi sacrificare per lei. Perché?!
Mi davano fastidio gli occhi, mi dissi e ridissi che stavolta non avrei pianto.
Lei cercò di divincolarsi, però Garry era più forte.
Fu in grado di tenerla ferma nonostante la smorfia di sofferenza che aveva stampata sul volto.
Mi accorsi di aver rimosso altri petali.
Bene, molto bene. Risi ancora più forte. In fondo, io ero la cattiva.
Garry afferrò ciò che rimaneva della rosa di Ib, riponendola con fin troppa cura nella tasca del proprio cappotto. 
Il suo cappotto... doveva essere mio.
Il profumo della rosa blu era scomparso.
Garry la lasciò andare, privo di forze, e si abbandonò sul pavimento.
Crollò in un sonno profondo.
Lo fissai.
Eccola! Eccola l'espressione che desideravo!
Un volto disteso, rilassato, tranquillo... ora non soffriva più.
Non soffriva più per colpa di Ib, che voleva portarlo fuori di qui.
Se non ci fosse stata lei, ero sicura che avrebbe accettato senza problemi questo mondo e sarebbe rimasto insieme a me sin dall'inizio. Invece per colpa sua eravamo costretti a fare la sceneggiata ogni volta.
Il suo cappotto lo rivestiva come una calda coperta, i suoi capelli gli ricadevano sugli occhi, ancora più disordinati del solito...
La carnagione pallida, tra l'altro, gli stava benissimo.
**
Scoppiai a ridere dalla gioia, ammirandolo, ammirata, ogni secondo di più.
Caddi sulle ginocchia, le risate erano irrefrenabili.
Non era rimasto neanche un petalo.
Mi portai la rosa davanti agli occhi.
Un vero peccato che avesse perso il suo splendore. Tuttavia, ciò significava che era morto. E si trattava di una delle migliori notizie che potessi sperare di ricevere.
Così avrebbe imparato a difendere in tal modo quell'inutile Ib.
Non mi sentivo male. Per niente.
Strinsi lo stelo tra le dita, incurante delle spine che mi ferirono i palmi.
Una goccia di pittura rossa sporcò uno dei petali blu che mi circondavano.
Per qualche ragione, percepii una serie di fitte convogliarsi tutte nel mio petto.
Sebbene non fosse la prima volta che accadeva, ogni volta diventava una sfida personale, una sfida affrontarle e passare oltre il dolore che mi procuravano.
Con una sorta di rabbia, lanciai via lo stelo, ormai... vuoto.
Avvertii dei singhiozzi salirmi in gola.
Con maestria, li trasformai in sghignazzi.
Sghignazzai, e presto non mi dovetti neppure sforzare.
Non serviva, poiché io stavo ridendo veramente. Ero veramente divertita.
Divertita da me stessa, e dal mio atteggiamento così contradditorio.
Facevo proprio ridere, non è vero...?
Ero uno spettacolo comico, per esempio con le marionette sorridenti, controllate da un qualche essere là fuori, qualcuno che le comanda e fa fare loro ciò che vuole...
E io sapevo chi era quel qualcuno, nel mio caso. Il qualcuno che, da un po' di tempo, mi manovrava e mi faceva agire a suo piacimento, senza neppure rendersene conto...
Si trattava del corpo disteso poco lontano da me.
Guardai i resti della sua rosa sparpagliati per il pavimento.
Avevo finalmente ucciso il mio marionettista.
Non m'importava che sarebbe comunque ritornato: intanto, potevo vantarmi di averlo fatto fuori con le mie mani, ben più di una volta. Non me ne stancavo mai.
Risi ancora, sempre più isterica.
Ripensai alla vernice che fuoriusciva dalla sua bocca, a come lui si sentisse male, alla mia spatola sporca del suo sangue.
Mi portai le mani al volto. Mi facevano male le mascelle, a forza di ridere.
Era tutto talmente meraviglioso, proprio come lui.
Le mie gote rosee, infantili, si macchiarono di rosso.
Non mi ero sentita tanto bene da un pezzo.
Alla fine, abbassai di slancio le braccia.
Ib stava piagnucolando, il viso affondato nei palmi, il suo corpo scosso dai continui singhiozzi. 
Risi di nuovo.
Se uno di loro due moriva e l'altro ci restava male, era assolutamente certo che il ciclo si sarebbe ripetuto di nuovo.
Ed era proprio il mio obiettivo.
Finalmente ero con qualcuno. Garry non avrebbe mai potuto abbandonare questo mondo, doveva soltanto comprenderlo.
E anche quando l'avesse compreso, tutto si sarebbe ripetuto ancora, con l'eccezione che noi saremmo stati per sempre insieme, io sarei diventata il desiderio che l'avrebbe spinto a mandare avanti il loop, mentre Ib veniva uccisa da qualche donna dei quadri, o magari da me, o ancora meglio... da lui stesso!
Sghignazzai, mentre mi alzavo in piedi.
Ignorai le lacrime di Ib. Per quanto soddisfacenti, niente avrebbe potuto eguagliare lui, soprattutto quando era morto.
Senza che la stupida se ne accorgesse, mi lasciai cadere davanti al suo volto.
Mi chinai su di lui, lo sguardo perso sul suo profilo, sui dettagli del suo viso... era meraviglioso, proprio come se fosse un quadro di papà. 
Anzi, lo era.
Sorrisi. Sapevo che non era un ghigno, stavolta, ma un vero sorriso, un sorriso più morbido, come i suoi... come quelli che rivolgeva sempre a Ib.
Il mio sorriso si spense.
Mi consolai, pensando che questo sarebbe stato un punto di svolta; la prossima volta sarei riuscita a dividerli, e a far passare Garry dalla mia parte, o a costringere Ib a respingerlo, a seconda della situazione.
Nel frattempo, era tutto mio.
Presi ad accarezzarlo, inizialmente insicura, quasi stessi sfiorando un'opera fragile e preziosa, quale lui era.
La sua pelle era così liscia... con il dito percorsi le sue sopracciglia, i suoi zigomi, il suo mento, le sue labbra.
Lo baciai con delicatezza sulla fronte.
Mi sentivo tanto felice. 
Non vedevo l'ora che Ib sloggiasse, a bruciare il mio quadro o fuori di qui, qualunque cosa, era indifferente. Bastava che fosse altrove.
Invece subito dopo mi accorsi che mi stava fissando, con un'aria vagamente disgustata.
Non mi allontanai da lui. Non ora che finalmente non poteva sfuggirmi.
« Brucia, eh? » ghignai. Ora avrebbe capito come mi sentivo.
Tornai a carezzargli i capelli, incredibilmente morbidi, dimentica della sua presenza.
Garry era decisamente più importante, e meritava tutta la mia attenzione.
Sognavo con sempre maggiore intensità il giorno, il fantastico giorno in cui lui avrebbe ricambiato quella carezza.
Ero sicurissima che sarebbe giunto, presto o tardi, perché lui stesso me l'aveva confessato, me l'aveva assicurato. Non dovevo far altro che pazientare.

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Capitolo 19
*** Giro 9 - ...Un'assassina ***


Giro 9 – ...Un'assassina

[POV Garry]

Nel buio della stanza, percepii qualcosa muoversi alle mie spalle, qualcosa avvicinarsi.
Strizzando tra le dita i frammenti della bambola - piena di capelli -, intuii il mio destino.
Con la pelle d'oca, lentamente, lentamente mi volsi indietro.
Quel mostro mi riservò il più largo dei suoi sorrisi.
Le sue pupille sembravano seguire ogni mio minimo movimento, ogni mio tremore, ogni mio pensiero. Le sue pupille, incollate alle mie... desiderava me, agognava la mia compagnia, pretendeva che rimanessi lì per l'eternità.
E, ormai, avevo perso l'occasione di sfuggirle.
Avevo la sensazione di aver pensato molte altre volte una frase del genere, seppur non ricordassi né quando né perché.
Mentre i brividi mi scuotevano le membra, mentre avvertivo il mio stesso corpo pulsare al ritmo del mio battito accelerato... mi scappò un sorriso amaro.
Non le passò inosservato.
**

[POV Ib]

« Dici sul serio...? Eheheh... ».
Udimmo qualcuno, in lontananza, biascicare parole simili.
Guardai Mary. A giudicare dalla sua espressione, doveva aver sentito.
Non ero del tutto tranquilla nello scoprirne di più, ma, data la situazione, sembrava fosse l'unica cosa da fare.
« Ahahahah... oh, sicuro. A volte, sì, sì... ».
Mi sentii come se non fossi riuscita a ingoiare bene qualcosa.
Rallentammo.
« Non si vede ogni giorno, vero? ...No, no! Credo di essere solo un po' stanco, capisci... ».
Un solo altro passo che la strana voce farfugliò: « Oh, l'adoro. Ma ci vuole un po' di tempo... ».
Davanti a noi comparve una porta socchiusa. Si intravedeva solo buio.
« Oh, anche tu? Diamine, io e te andiamo d'accordo... non è così? ».
Susseguì un ridacchiare.
Ne ero sempre meno convinta, tuttavia, a quel punto...
Anche Mary pareva a disagio.
Malgrado ciò, spalancò la porta.
Il mio cuore smise di battere per alcuni secondi quando, in mezzo alla stanza, vidi Garry, seduto, la testa abbassata, i capelli che gli oscuravano completamente gli occhi e il viso.
Era circondato da delle bamboline blu, abbastanza inquietanti.
La sala era illuminata a malapena.
A parte lui, non sembrava esserci nessun altro.
Chi poteva aver parlato, allora...?
...Non Garry. Vero?
« Ohoh! È proprio bello stare con te, sai? ».
Avvertii un intenso dolore da qualche parte nel cervello. Era come se qualcuno avesse deciso di conficcare un chiodo nel mio cranio.
Non volevo crederci.
« Sento di poterti parlare di ogni mia preoccupazione... ».
Ghignò.
O meglio, sorrise.
Per quanto fosse in parte coperta, infatti, quell'espressione non sembrava negativa. Quel sorriso era... sereno. Sincero. Limpido. Forse un po' più largo del solito, ma, volendo, avrebbe potuto essere uno dei sorrisi che fino a poco prima mi aveva rivolto per tranquillizzarmi.
Avevo perso la capacità di muovermi.
Non sembrava che stesse parlando con le bambole.
...Non avrebbe avuto senso, giusto?
Di botto, scoppiò in una risata.
Neanche questa era sarcastica, non del tutto, almeno.
Tenevo gli occhi spalancati da troppo tempo, il mio campo visivo iniziò a sfuocarsi. Battei le palpebre alcune volte.
Provai l'istinto di indietreggiare.
Al contrario, Mary compii alcuni passi in avanti, incerta, dunque si lanciò di corsa su di lui.
« La storia del bambino frignone? No, non ne avevo mai sentito parlare... puoi darmi i dettagli? ».
Mary crollò a terra, accanto a lui, piagnucolando.
Garry la ignorò.
« No, no, non lo dirò a nessuno! Il tuo segreto è al sicuro con me! » disse: « Come? Prima devo dirti un segreto io? Ah, andiamo... ».
Si interruppe per pochi secondi.
Mary sollevò leggermente il capo, perplessa.
« D'accordo, d'accordo! Mmh... » ci rifletté su: « Vedi... è da un po' che... temo di essermi innamorato di un'assassina ».
La bambina scattò sulle ginocchia.
« D... davvero? » esclamò, incredula.
Qualche attimo dopo ricominciò a gemere, più forte di prima.
...Stava impazzendo pure lei?
« Davvero, davvero! Allora, adesso mi racconti? » continuò Garry. 
Era evidente che non le stava rispondendo, anche se, magari, la sua voce in qualche modo lo aveva raggiunto...
Ci fu un breve periodo di silenzio, durante il quale Garry annuiva, sorrideva, diceva qualcosa come “Ah, sul serio?” e annuiva di nuovo.
Dopodiché parve che avesse cambiato argomento.
« In trappola? Capisco ciò che intendi. A volte ti senti proprio senza via d'uscita ».
Nonostante fossi troppo distante per notarlo bene, intravidi Mary stringere i denti, quasi con rabbia. Quindi emise un singhiozzo.
« Sai che non puoi fuggire, ma niente va bene comunque... mi chiedo perché ».
...Che cosa gli era accaduto mentre eravamo via?
Dividerci era stato un errore madornale, vero? Lo immaginavo.
Per un attimo mi detestai. Mi volevo avvicinare anch'io, volevo piagnucolare insieme a Mary, però... non riuscivo a reagire.
I pensieri non arrivavano direttamente alla mia coscienza, un po' come succede durante il dormiveglia. Immagini scorrono per la mente, senza che si possa dare loro un senso compiuto, e la maggior parte delle volte tali pensieri vengono dimenticati l'istante subito seguente.
Lo sguardo perso nel vuoto, lo fissavo da lontano.
« Sì, funziona anche così. È bello non dover pensare... ».
Tra tutte le frasi senza senso, quest'ultima, per paradosso, mi sembrò di poterla comprendere.
...Mi resi conto che, seppur dette con un sorriso, quelle parole in verità erano piuttosto tristi.
E di certo lo erano state anche le frasi prima, semplicemente non ne avevo colto per intero il significato.
« Dimenticare tutte le cose negative... ahahah, sì, sono con te! ».
Mary si era zittita, immobile, in ascolto, sebbene Garry avesse smesso di parlare.
Mi sedetti a mia volta, pur restando nell'angolino.
Silenzio.
Silenzio, continuo.
Garry non si risvegliò mai.
Mary non si separò mai da lui.
Io non uscii mai da quella stanza.
**
« Ho letto in un libro che gli amici si trattano bene... ecco perché sarò sempre con te, Garry ».
Una flebile risata.
« ...Che possiamo fare qui? » rispose, spensierato.
« Alloora... giocare a nascondino, disegnare, o... un sacco di cose! Possiamo divertirci qui insieme! ».
« Oh, è fantastico...! Voglio esserci! ».
« Veramente, Garry? Ci sarai? ...Con me? ».
« Ahah, certo! Mi fa piacere! ».
Si sollevò a sedere, felice.
« Ib, ci sarai anche tu? ».
« ...Perché no ».
Un sorriso.
« Pare che io abbia due amici! ».
Si alzò in piedi.
« Facciamo un party di benvenuto! ».

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Capitolo 20
*** Giro 12 - Meriteresti di bruciare all'inferno! ***


Giro 12 – Meriteresti di bruciare all'inferno!

[POV Garry]

Udii una porta venir aperta alle mie spalle.
Mi voltai in quella direzione.
Mary si trovava davanti a me.
« Allora? Cosa farai stavolta? » annunciai, in tono di sfida.
Non stava impugnando la spatola. Doveva averla ancora in tasca.
Guardava verso il basso.
« Che senso avrebbe attaccarti? Se è davvero inutile, tanto vale non sporcarsi le mani » rispose.
Risi.
« Stai mentendo. Come sempre. Non hai fatto altro che mentire, sin dall'inizio ».
« Be', tu non sei da me... ».
La fermai bruscamente.
« Non interrompermi! » sbottai: « La cosa che più mi fa arrabbiare è il tuo atteggiamento da vittima. Non riesco a credere quanto tu possa essere egoista. Ti comporti come se fosse colpa nostra, o meglio, mia... ».
« E non è così?! » gridò, senza alzare la testa.
« No che non lo è! » replicai: « È tutta colpa tua, soltanto tua, se adesso sono diventato ciò che sono! ...Meriteresti di bruciare all'inferno! » quindi sogghignai appena. Bruciare...
Sollevò il capo, sbigottita.
Proseguii, senza spegnere il ghignetto: « Oh, un giorno la pagherai! Sarebbe stato tutto diverso, io e Ib saremmo già fuggiti da molto tempo, se solo tu non fossi mai stata creata! ».
C'era qualcosa di estremamente divertente e appagante nell'insultarla in tale maniera.
Lucciconi che pendevano dalle sue ciglia.
« Lo so... » disse: « Lo so, lo so, lo so, LO SO! » strillò, con voce stridula.
Mi guardò dritto negli occhi.
« Lo so benissimo » ribadì: « Credi che io sia contenta di tutto questo? Credi che io sia contenta di essere ciò che sono? Credi che io sia contenta di essere stata creata da mio padre?! ».
Zittito.
« No, non lo sono! » urlò: « Non ho mai chiesto di essere creata, né tanto meno di essere un quadro! Non ne sono contenta! Proprio come neppure tu sei contento di esserlo! ».
Serrò i pugni.
Senza scollare i suoi occhi turchesi dai miei, abbassò il tono.
« Perché non lo capisci? Io e te siamo uguali, siamo nella stessa condizione... non ha senso odiarci ».
Paralizzato dallo sgomento.
Per un attimo mi ricordai di quando, nel giro decimo, io e Ib avevamo ridotto il suo dipinto in cenere; prima di venir inghiottita dalle fiamme, Mary mi aveva riservato una frase in particolare.
”Sei bellissimo, e malato come me...”.
Al momento, ovviamente, avevo inventato qualsiasi scusa pur di negarlo.
Non ero come lei. In che modo avrei potuto?
Compì un passo in avanti.
« Siamo entrambi quadri maledetti... entrambi abbiamo degli obiettivi da raggiungere, e per raggiungerli siamo disposti a fare qualunque cosa, anche uccidere le persone che ci circondano... ».
Sorrise. Non era un ghigno. Era un sorriso vero.
« E tu, dato che ne hai la possibilità, sei disposto perfino ad alterare il normale percorso dello spazio-tempo! Capisci, ora? Capisci perché non posso fare altro che ammirarti, idolatrarti? ».
Non ero in grado di rispondere. Indietreggiai, scosso, rischiando di scontrarmi contro la parete alle mie spalle.
Se ne accorse.
Il suo sorriso si spense.
Le sue lacrime si erano asciugate, senza mai essere cadute.
« Hai ancora paura di me...? » domandò.
Non sapevo come ribattere, perché, immagino, nemmeno io ero certo della risposta.
« Perché hai fatto un passo indietro? » continuò.
Decisi di essere sincero.
« Non so se abbia davvero paura di te... quel che è certo, è che non mi piace ciò che hai detto ».
« Non ti piace l'idea di essere malato come me? » disse, quasi con sorpresa.
Una sorta di sussulto.
Un nodo allo stomaco.
Proseguì prima che potessi rispondere: « Ah, ma non ti devi preoccupare di questo! » il suo piccolo sorriso tornò. 
Si avvicinò ancora: « È meglio essere malati in due che da soli, no? E poi, riflettici... non è meglio avere qualcuno che è nella tua stessa situazione? Che, perlomeno, ti ricorda sempre? ».
La fissai, smarrito.
« Perché io ho sempre ricordato. Nei primi giri non conoscevo la verità. Ero convinta di venir dimenticata di continuo. Costretta ogni volta a ricominciare la commedia da capo, per ottenere la vostra fiducia. Costretta sempre, alla fine, a entrare nel ruolo della cattiva. Non poter far niente mentre il mio quadro veniva bruciato da quella Ib, la stessa a cui tu sei tanto affezionato... ».
La sua espressione s'intristì.
Dunque era questo che succedeva dopo la mia morte?
Ib incendiava il dipinto di Mary? Presumo, prendendo il mio accendino?
Non ero sicuro del come dover digerire tale informazione.
Il che non aveva senso, dal momento che, certamente, io avrei fatto lo stesso.
« Tutto questo mi faceva soffrire. Però poi, quando ho scoperto che tu non mi avevi mai dimenticata, che anche tu eri costretto a recitare la tua parte, che eri un quadro proprio come me... mi sono sentita bene. In quel giro, forse adesso ti sfugge, ti avevo salvato io dalle bambole. Non Ib.
...Te lo ricordi? ».
Scavai nella memoria.
Sì, a pensarci bene, avevo un'immagine del genere.
Ib che, entusiasta, spiegava che era stata Mary a risvegliarmi, facendo cascare uno dei ”coniglietti di ceramica”.
E io che, per non fare una strana impressione su Ib, ringraziavo Mary.
« Già, hai ragione... ti è bastato davvero far cadere una delle bambole? ».
Ridacchiò: « No, no. Ho detto loro che era abbastanza, che potevano smetterla. Alla fine ho mandato una di loro a darti lo schiaffo al posto di Ib ».
Lo disse in modo pacifico e sereno, tanto da lasciar pensare che lo considerasse un bel ricordo, su cui magari ripassava spesso.
Quindi mi sorse un dubbio.
« Ma... perché l'avresti fatto? ».
Un altro passo in avanti. Senza che me ne rendessi conto, si era avvicinata di parecchio.
« Be', mi chiedi perché? » il colore acceso delle sue gote... stava arrossendo? 
« Mi sembrava fosse chiaro, ormai. Garry... è perché ti amo ».
Volevo scoppiare a ridere.
« Ehm, mi sa che stai esagerando, Mary... ».
« No » replicò, cocciuta: « Ti amo. E non mi stancherò di ripeterlo ».
Non potevo aspettarmi nulla di diverso, da una pazzoide simile.
« Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo! » canticchiò, mentre girava su se stessa. La sua rosa finta cadde per terra, senza che né io né lei lo notassimo.
Dopodiché dichiarò: « Ehi, ti abbassi un attimo? ».
Non mi rassicurava come richiesta.
« Er, per quale motivo...? ».
Con un sorriso smagliante, disse: « Voglio darti un bacino sulla guancia! ».
Temo fossi più inquietato in quel momento che nella Stanza delle Bambole.
« Ecco, no, aspetta... ».
Aggrottò la fronte.
La mano infilata in tasca, dove conservava ancora la spatola.
« No, un attimo! Intendevo solo... ».
« Abbassati » ripeté.
« Vedi... ».
« Abbassati ».
Con un sospiro, rassegnato, mi inginocchiai al suo livello.
Lasciò perdere l'arma e, sorridente, mi prese il viso tra le sue manine.
Percepii un moto di... ribrezzo?
Mi schioccò un bacio sulla guancia, con tanto di onomatopea.
Rialzandomi in fretta, un po' nervoso, chiesi: « Però, ecco, se ti piaccio così... ».
« ”Se mi ami” ».
A disagio, l'accontentai: « Se... mi ami, così tanto... perché, nello scorso giro, mi hai ammazzato comunque? ».
Mi fissò, interrogativa, come se lo ritenesse ovvio.
« Non volevo ammazzare te, all'inizio » confessò: « Volevo ammazzare Ib. Mi dà sui nervi. Tanto voi non volevate fare lo scambio, e dopo c'è stata tutta quella scenetta tenera in cui tu impedivi che lei offrisse la sua stupida rosa... ero irritata, perciò, be', ti ho ucciso ».
Giusto. La gelosia. Avrei dovuto immaginarlo.
« Tra l'altro sei bellissimo da morto, lo sapevi? ».
Questo invece credo non avrei potuto immaginarlo.
« Ah... sul serio? » biascicai.
Annuì, allegra.
Solamente allora, mentre saltellava, calpestò la rosa gialla rimasta sul pavimento. La vide e la raccolse, cominciando a giocherellare con i petali di plastica.
Quindi pensai di porre la domanda più... bruciante. Almeno per me.
« E Ib... Ib ha pianto? ».
Con noncuranza, disse: « Oh, sì. Tanto. Mi sa che la sopporto solo quando piange in quella maniera ».
Mi rabbuiai.
Non avevo mantenuto la promessa. Non ai suoi occhi. 
Non avevo mantenuto nemmeno la promessa che avevo fatto a me stesso, ovvero di non fare più il vigliacco e di impedire che soffrisse ancora per causa mia.
L'alternativa, per lei, sarebbe stata di morire... avrebbe veramente patito di meno? Era probabile, del resto.
Chiaro che la persona che ci avrebbe rimesso, in tal caso, ero io. Infatti era da questo che più ero spaventato.
Vederla morire una volta per me, per noi, era stato più che sufficiente. Non volevo riaccadesse. Avevo il terrore che riaccadesse.
E per via di questa paura, ogni volta permettevo che lei si tormentasse per la mia morte, che tutto era fuorché definitiva.
Il solito codardo, eh.
« Non capisco proprio cosa ci trovi, in lei » la voce d'improvviso grave di Mary spezzò il filo dei miei pensieri: « In una delle linee temporali, avevi ammesso di esserti innamorato di un'assassina; e io lo sono. Sono la tua assassina. Perché, allora, continui a parlare di Ib? Prima di adesso non sapevi neppure quante volte mi avesse ucciso, per quale ragione avresti dovuto chiamarla così? ».
Continuava a rigirarsi la rosellina tra le mani, senza guardarmi.
Non capivo.
Quando avevo detto una cosa del genere?
Possibile che intendesse...
« ...Intendi nella Stanza delle Bambole, quando do di matto? ».
« Sì » rispose: « Quando dai di matto borbotti cose strane, ma dovrebbero essere ciò che pensi davvero, no? ».
Ostentai una risata.
« Assolutamente no! Dico solo cose a vanvera, non farci caso, non devi farci caso ».
Assassina?
Innamorato?
Di sicuro non mi riferivo a Mary.
A chi, dunque?
Dato che il ciclo continuava per fare in modo che rivedessi Ib, c'era da pensare che si trattasse di lei.
Però perché definirla assassina?
...In fondo, riflettendoci, conoscevo la risposta.
Indirettamente, forse, ero finito per reputare lei la causa delle mie innumerevoli morti.
In fin dei conti, non facevo ripetere tutto quanto per lei? Non mi sacrificavo, ogni volta, per lei?
Mi ero davvero ritrovato a considerarla in una maniera così orribile...?
« Ehi, Garry, Mary! » esclamò una voce familiare.
Veniva dalle scale che portavano al piano di sotto.
Ib apparve, trafelata per la corsa.
« Vi ho trovati, finalmente! Era or... Mary, che stai facendo con la tua rosa? ».
Turbata, la bambina se la nascose dietro la schiena: « Di che parli? ».
« Non fingere! Stavi cercando di staccarne i petali! ».
« Non... non è vero! ».
Ib la osservò, sospettosa, sull'orlo di infuriarsi sul serio.
« Mary... dammela ».
« No! » esclamò, digrignando i denti.
« Dammela, o la vengo a prendere io ».
Mi stupii. Il suo volto non aveva mai espresso una decisione neanche lontanamente simile. Così determinata... faceva quasi paura.
Mary, per tutta risposta, sogghignò: « Provaci, allora ».
Seria, non ricambiò il sorriso: « Con piacere ».
Ero troppo sbalordito per intromettermi.
Ib l'assalì, e in seguito a una breve lotta le strappò il fiore di mano.
Mary, essendo stata spintonata, batté la testa contro il muro e svenne.
Per quanto dispiaciuta, Ib si concentrò sulla rosa. Constatò che era falsa.
« Come mi aspettavo » disse: « Garry, non ti ha fatto nulla di male, vero? ».
Un po' perplesso, risposi: « No, nulla. Perché avrebbe dovuto? ».

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Capitolo 21
*** Giro 8 - L'ennesima morte ***


Giro 8 – L'ennesima morte

[POV Garry]

Ib... cosa...
Senza neppure rivolgermi lo sguardo, strappò via alcuni petali blu, proprio come faceva Mary quando si giungeva al dunque, quando si giungeva al finale che quasi sempre mi aspettava.
L'unica differenza era il suo volto. Pacato, spento, smorto.
Avvertii una serie di proiettili perforarmi i polmoni, dolore fisico e dolore emotivo si mescolavano, si mischiavano, impossibile distinguerli.
La mente stava venendo annebbiata. Le tenebre che circondavano la stanza si stavano intensificando, o forse era solo la mia immaginazione...
Mi sentivo più solo rispetto al solito. Il motivo era che la mia assassina, stavolta, era Ib? O perché stavo morendo senza apparente pretesto? Oppure, magari, era unicamente poiché non c'era nessuno al mio fianco a soffrire, per me e con me...?
Per un momento mi domandai dove fosse finita Mary. Andava bene persino la sua presenza, perché chiunque sarebbe stato in grado di alleviare una sofferenza che non avevo più intenzione di sopportare.
Tuttavia, non c'era nessuno.
Nessuno, tranne Ib, che mi fissava con il suo sguardo impassibile, con rigidità, del tutto indifferente.
Ed era quell'indifferenza così brutale che mi stava uccidendo, molto più della perdita dei petali.
Stavo per reclamare una qualsiasi ragione per il suo comportamento, ma Ib, con delicatezza, staccò un altro petalo.
Malgrado la fitta che ne seguì, volli provarci di nuovo.
Parlai. Non si udì nulla. Urlai. Consumavo fiato, non emettevo un suono. Non riuscivo a sentirmi neanche io stesso.
Avvertendo il vuoto sotto i piedi, cercai di arrancare verso di lei. Più mi sforzavo di tentare, più lei sembrava distante, disinteressata.
Ero sul punto di crollare, a terra, sulle ginocchia, ai suoi piedi, le mani tra i capelli, piangendo, tremando, gridando, pregandola di rivolgermi una battuta di scherno, di sghignazzarmi in faccia, di umiliarmi nella maniera peggiore che le venisse in mente, di torturarmi con un sorriso, di godersi lo spettacolo della mia morte, di divertirsi grazie ai miei gemiti.
Si limitò a mantenere quell'espressione inespressiva, ininterrottamente, fino alla fine.
I pensieri cominciavano a confondersi.
Mi ritrovai a chiedermi perché sprecassi tanta fatica nel tentativo di parlarle, di fermarla.
Che cosa c'era di male, in fondo, nella morte?
Un morto non soffriva più, non pensava più, non era più conscio di ciò che accadeva nel mondo esterno, non era più responsabile di niente. Era morto e basta. In eterno, immerso nel silenzioso regno del buio.
Socchiusi le palpebre.
Lasciai che l'oscurità mi facesse diventare parte di sé.
**
In mezzo alle tenebre, un'improvvisa falce di luce ferì i miei occhi.
Davanti a me si estese la libreria azzurra dei sotterranei.

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Capitolo 22
*** Giro 4 - “Garry Impiccato” ***


Giro 4 – “Garry Impiccato”

[POV Garry]

Fu questo che lessi.
Sebbene fossi ormai certo che non era la prima volta che finivo in quella galleria degli orrori, non avevo mai notato prima tale scritta.
Rimasi immobile per alcuni secondi.
« Che c'è, Garry? » chiese Ib, ancora alla porta.
« N-niente » risposi, mentre mi sbrigavo a cancellare la vernice con il pezzo di carta che stringevo in mano. 
Per qualche motivo, non volevo assolutamente che Ib lo leggesse.
Sul foglio che stavo passando di fretta sul muro c'era stampato: “Uno dei nostri visitatori ha danneggiato una delle esposizioni. Se lo trovate, segnalatelo subito”.
Ed era, purtroppo, del tutto evidente il fatto che si riferisse a me.
« Perché c'è scritto “Garry”? ».
Balzai all'indietro.
Mi era apparsa alle spalle di colpo.
Avevo fatto in tempo a ridurre la parola “Impiccato” a una macchia di colore grigio, però il mio nome era rimasto.
« E perché accanto c'è una chiazza? ».
Buttai in fretta la cartaccia a terra, nella speranza di far sembrare che fosse stata là per tutto il tempo.
« Non... non lo so » risposi, con il fiato pesante.
Ib lanciò un'occhiata al pavimento, per puro caso in direzione del foglio, sporco di tempera.
« Garry... che cosa c'era scritto qui? » dichiarò, indicando il muro.
Deglutii, per temporeggiare: « Non era ben chiaro... andiamo via, Ib » mi stavo già allontanando.
Il rumore di una goccia che cade dall'alto.
Sussultai, mi girai di scatto, con la convinzione di aver perso almeno dieci anni di vita.
Il manichino appeso al soffitto aveva fatto colare dagli occhi un'altra goccia di pittura rossa, che era andata ad aggiungersi alle altre presenti nel vaso posto con precisione subito sotto. Il liquido fluiva fuori dal contenitore, ormai troppo ricolmo, e cominciava a gocciolare pure sul pavimento.
Sentii Ib ridere, divertita dalla mia reazione.
Mi imposi di esibire un sorriso a mia volta, per quanto percepissi ancora il mio povero cuore martellare più prepotentemente del normale.
Nella mia mente ricomparve la solita domanda priva di risposta. Perché rivivevo quell'incubo e sembravo l'unico a essersene accorto?
Perché quando ero morto la prima volta non ero morto? L'avrei quasi preferito, piuttosto che ripetere scenate del genere.
Benché avessi visto di tutto, continuavo a spaventarmi senza motivo. 
Che fifone. Che coniglio.
Ib se la sarebbe cavata meglio da sola.
Proprio così, ormai io ero la reincarnazione dell'inutilità.
Senza smettere di tremare, uscii dalla stanza, con Ib al seguito. Ogni tanto mi lanciava un sguardo, tornando a ridacchiare.
Mi costringevo a stare al gioco.
Sì, il mio compito era quello. Stare al gioco, sopportare gli scherzi di un orribile mondo, e per quanto tempo? Probabilmente per sempre.
**
Scappai via, i polpacci mi dolevano.
Ero fermamente sicuro che - un attimo prima che uscissi - le bambole si erano voltate tutte insieme nella mia direzione, allo stesso tempo, con le pupille incandescenti fisse su di me.
Finii con le spalle al muro, nel punto della sala più lontano da quella maledetta stanza, una delle poche pareti davanti a cui non avevo ancora trovato la... testa della bambola.
Tiravo lunghi sospiri con la bocca, respirare non mi aveva mai fatto così male, l'aria gelida attraversava il mio corpo come una lama.
Il terrore crebbe di più quando mi resi conto di avere gli occhi in fiamme, brucianti, le lacrime già sulle ciglia.
Mi portai una mano alla testa. Pulsava ancora, mi stava frastornando il cervello, non avevo mai detestato con tanta esasperazione il mio stesso battito cardiaco.
Le gambe cedettero.
Crollai a terra, scivolando lungo il muro.
Per fortuna, presto mi si asciugarono gli occhi.
Ne... ne ero uscito.
Ero riuscito a fuggire prima... prima che scadesse il tempo.
Avevo scovato la bambola giusta ed ero scappato, per la prima volta.
Iniziavo a credere che la caccia al tesoro fosse una presa in giro, che in verità non ci fosse alcuna chiave.
E invece era lì, che mi pungeva il palmo. Avevo tenuto i pugni serrati.
Come risvegliato da un sogno, distesi le dita, piano.
Con disagio mi ricordai perché avevo stretto i pugni con esagerata forza: era per impedire alle mie mani di fremere e congelarsi.
Sopra il palmo più bianco della norma, la vidi. Una semplice chiave, mezza arrugginita.
La prova che ero riuscito davvero a superare quella stanza.
I polmoni stavano riprendendo a funzionare correttamente, la testa cominciava a pulsare di meno.
Mi sfuggì una smorfia a metà tra un sorriso di sollievo e un ghigno di soddisfazione.
Rimasi là seduto un altro po', il capo appoggiato alla parete.
Decisi di riposarmi un secondo, socchiudendo gli occhi.
Non appena il mio campo visivo si scurì, tuttavia, riaprii all'istante le palpebre, percorso da una specie di brivido.
Ci riprovai. 
Vidi la bambola gigante con il braccio teso verso di me, il suono della campana mi stordiva di nuovo.
Mi alzai di scatto in piedi, con gli occhi ben aperti.
« D'accordo, d'accordo... » balbettai tra me e me: « Vado avanti, sarà meglio ».

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Capitolo 23
*** Giro 4 - La condanna di Garry ***


Giro 4 – La condanna di Garry

[POV Garry]

Mi svegliai all'improvviso.
Disorientato, vagai con lo sguardo per la stanza, mentre pezzo dopo pezzo ricordavo dov'ero e perché.
Le pareti azzurre, le librerie, un quadro di una donna con un occhio solo steso a terra...
No, un momento.
Quel quadro prima non c'era.
Quand'era finito lì?
E ancora più urgente, dove si era andata a cacciare Ib...?!
Con tutte le ossa che scrocchiavano, fui di nuovo in piedi.
Mi guardai un po' intorno, come se potesse per magia apparire da dietro gli scaffali.
E così me ne accorsi.
Il dipinto che, quando mi ero appisolato, era coperto da un panno...  non lo era più.
Raffigurava una bambina, rossa dalla testa ai piedi - letteralmente: capelli, vestito, occhi. Perfino la tenda da dietro la quale sbucava era color scarlatto. 
Il titolo era “Sbirciata”. Non metteva con esattezza a proprio agio.
Dentro di me rimproverai Ib per aver rimosso il telo; nonostante tutto, doveva aver mantenuto la curiosità che aveva anche da più piccola.
All'improvviso, mi parve di udire un ridacchiare.
Mi paralizzai, il cuore si fermò per alcuni istanti.
Quella risatina l'avevo già sentita.
Oh, eccome se l'avevo sentita.
Incapace di muovermi, buttai qualche occhiata in giro per la stanza, nel tentativo di capire da dove provenisse.
Eccola di nuovo.
Pareva che venisse dal dipinto davanti a me.
A quel punto lo vidi chiaramente: la bambina della cornice si portò una mano alla bocca, ridendo, prima di scomparire dietro la tenda.
Provai uno strano senso di déjà vu, sebbene fossi sicuro che prima d'allora non ero mai stato nei sotterranei della galleria.
Non potei trattenermi dall'avvicinarmi al quadro. Magari avrei potuto scoprire dov'era andata a finire Ib...
Fissavo con attenzione la stanza vuota lasciata dalla bambina, anche se, a dire il vero, sembrava che in fondo ci fosse ammassato qualcosa...
Di colpo mi sentii come se qualcuno mi avesse versato una secchiata d'acqua gelida in testa.
Colto alla sprovvista, mi guardai alle spalle.
Non c'era niente, ed era questo il problema.
Alle mie spalle si trovava soltanto una porta viola.
La stanza in cui mi trovavo prima era svanita nel nulla.
Decisi che sarei rimasto vicino all'uscio, tanto per svignarmela nel caso ci fosse stato bisogno.
Voltandomi in avanti, mi accorsi che, in qualche maniera... dovevo essere entrato nel dipinto.
Sotto i miei occhi si estendeva una stanza simile a quella di “Sbirciata”, con l'eccezione che mancavano sia la bambina sia la tenda.
In lontananza si vedevano ancora alcune robacce ammucchiate l'una sull'altra, non riuscivo a capire di che si trattasse.
Compii alcuni passi.
Anche il pavimento era viola, così come le pareti... mi ricordava qualcosa.
Improvvisamente, udii il rumore di una tenda che viene tirata.
Mi girai.
La porta era stata coperta da una tendina rossa.
Incerto, allungai una mano per rivelare la porta.
Quando spostai la tenda, tuttavia, trovai soltanto il muro.
Con un nodo allo stomaco, fui costretto a rivolgermi di nuovo alla stanza.
Era apparsa una sedia di legno, collocata al centro della stanza. Inoltre...
Gli oggetti ammassati sulla parete non erano più ammassati sulla parete.
Non c'erano, al loro posto... la sala era stata invasa da bambole blu.
Bambole blu sorridenti, o meglio sogghignanti, disposte più o meno ordinatamente per terra e sui mobili, tranne appunto sulla sedia.
Con la coda dell'occhio, ne intravidi una che finiva di mettersi in posizione, come se niente fosse, come se fossero sempre state là a... sbirciarmi.
In quell'istante compresi: le cose che si trovavano in fondo alla stanza... erano sempre state proprio le bambole, e ora si erano risistemate.
Un grande dipinto bianco era affisso alla parete opposta a me.
Incominciai a cercare con disperazione una maniglia alle mie spalle, dimenticandomi che la porta era scomparsa.
Mi volsi, quasi sperassi di vederla riapparire da un momento all'altro. E d'altronde, era l'unica speranza alla quale mi potessi aggrappare.
Ciò che comparve, invece, fu l'ennesima frase, scritta con vernice lilla.
Stavo iniziando a sudare freddo. Il cuore allo stomaco...
“Basta con le caccie al tesoro!
Stavolta faremo una bella festa di bentornato...
Ci sei mancato tanto, sai?”.
Non ero più in grado di muovermi.
Non mi dovevo voltare. Non mi volevo voltare, preferivo permetterle di prendermi alle spalle.
Appoggiai la fronte e le mani al muro, già sfinito, sognando quella dannata porta, chiedendomi cosa sarebbe successo a Ib, dove fosse... avrebbe potuto tranquillamente trovarsi in una situazione simile alla mia.
In qualsiasi caso, era difficile che avrei scoperto più di ciò che sapevo.
Ero bloccato là dentro. Non c'era un'uscita.
Strinsi i pugni, mentre un disgustoso miscuglio di rabbia e tristezza mi saliva in gola.
I miei pensieri, con ogni probabilità tra gli ultimi sani, s'interruppero quando avvertii qualcosa o qualcuno alla mia caviglia.
Abbassai lo sguardo.
Una bambolina si era aggrappata a me e, malgrado fosse (o dovesse essere) del tutto inanimata, mi stringeva con forza i pantaloni.
Tentai di scrollarmela di dosso, invano.
Anzi, d'improvviso alcune sue amiche si unirono a lei, afferrandomi anche l'altra gamba.
Seppure apparissero ancora immobili, era certo che mi stavano trascinando via dalla parete.
Lottai per liberarmi, ma ottenni solo di cadere sulle ginocchia.
Provare a rialzarsi fu inutile.
Altre bambole si erano agganciate alle mie dita, alle mie braccia, le sentivo salirmi sulle spalle, sulla schiena, iniziavano a tirarmi di qua e di là, mi manovravano quasi fossi una marionetta.
Nonostante quegli spostamenti, non ne notai nemmeno una che si muoveva.
L'unica cosa che pareva viva era il loro ghignetto cucito a mano, e soprattutto quei maledetti occhi rossi...
Prima che potessi rendermene conto, mi avevano costretto a sedere.
Tra le dita avvertii delle cordicelle. Si trattava dei capelli di una di loro, che si era messa sotto la mia mano per qualche contorta ragione.
Era la sola a indossare un vestitino scarlatto. Che fosse la vera forma della bimba di “Sbirciata”?
Cercavo di allontanarmi, tuttavia un altro pupazzetto mi strinse il polso, e mi costringeva a spostare la mano a destra e a sinistra, a destra e a sinistra: sembrava che la bambola di “Sbirciata” desiderasse venir accarezzata sul capo. 
E io stavo esaudendo il suo desiderio.
Le altre, intanto, avevano preso a salirmi addosso, scalando ginocchia e fianchi, in modo da ricoprirmi per intero; percepivo le loro manine afferrare il mio cappotto e la mia maglia, percepivo i loro piedini agitarsi sopra la mia pancia, sopra il mio petto.
Eppure erano tutte dannatamente ferme...!
Vagando con lo sguardo - tenere gli occhi chiusi rendeva il tutto più tremendo -, riconobbi le bambole a cui, nella prima stanza, avevo dovuto strappare alcune cuciture per ritrovare la chiave dell'uscita.
Fu facile riconoscerle: sassolini che rotolavano per terra, insetti che mi zampettavano sulle braccia, capelli dispersi in giro, macchie di tempera blu sui vestiti.
Avevo la sensazione che si stessero vendicando, dato che prima ero riuscito a fuggire. E, poiché sembravano essere tanto amiche di Mary, di certo si stavano vendicando anche di lei.
Il rintocco delle campane tornò.
Probabilmente, quello del mio funerale sarebbe stato lo stesso. Ah, no. Non ci sarebbe stato alcun funerale, alcuna sepoltura, alcuna tomba, nemmeno qualcosa di simile: nessuno avrebbe mai trovato il mio corpo.
Sarei rimasto lì dentro, a marcire, per l'eternità.
Venni colto da un senso di nausea.
Che razza di fine... una fine pietosa per un fifone pietoso, del resto. Era anche giusto.
Poco lontano da me, notai che si stendeva una mano blu, una mano grande quattro volte una persona. Proveniva dal quadro in fondo alla stanza, dal quale il mostro di “Occhi Rossi” si stava già sporgendo.
Le sue fauci spalancate... perdevano litri e litri di pittura vermiglia, colante sul pavimento, proprio come nella stanza in cui avevo letto “Garry Impiccato”.
Quelle enormi fauci... volevano me.
Tutto si fece buio, in una volta.
Delle manine di stoffa erano premute sulle mie palpebre, e le avevano fatte abbassare.
Non tentai neppure di reagire.
L'ultima campana risuonò.
**

[POV Ib]

Premetti l'interruttore sul muro in basso a destra, quindi di botto finii nella stanza in cui avevo lasciato Garry.
Soltanto che Garry non c'era.
Temendo potesse essersi ficcato in qualche guaio, stavo per uscire dalla libreria, prima di accorgermi che al posto del quadro “Sbirciata” era comparsa una porta.
Mi avvicinai con cautela.
**

[POV Garry]

Il mio corpo si risollevò in piedi.
Il mio corpo compì alcuni passi in avanti.
Il mio corpo si stava dirigendo verso una sedia di legno collocata al centro della stanza.
Era molto bella. Lo schienale aveva decorazioni di ogni tipo.
Risatine e incitamenti spingevano il mio corpo ad avanzare.
« ...Ahahahah... è così, quindi? Ne sei proprio sicuro? ».
Un altro passo verso quella sedia.
« No, no, se lo dici tu, mi fido! Vediamo un po'... ».
Il mio corpo si fermò davanti a quella sedia.
« Come dovrei fare? Oh, così? ».
Il mio corpo mise i piedi su quella sedia. 
Il mio corpo era in piedi su quella sedia.
« Ahahahah, ma allora è facile! ».
Il mio corpo prese il cerchio di corda rossa che pendeva dal soffitto.
« Ah, bello il rosso! Hai proprio degli ottimi gusti, lo sapevi? ».
« E ora così, giusto? ».
Il mio corpo fece infilare la mia testa nel cerchio.
Il mio corpo fece stringere alle mie mani il nodo.
« Sai, è davvero una bella idea! Ahahahah... ».
« Non vedo l'ora! ».
Il mio corpo calciò via la sedia.
« Ahahahah, avrei dovuto immaginarlo, tu mi conosci troppo bene! ».
**

[POV Ib]

Alla fine, aprii la porta.
Congelata.
Un'ampia stanza ripiena di coniglietti di ceramica. Una sedia di legno rovesciata a terra.
Dall'altro capo della stanza si trovava un dipinto che ero certa di aver già visto prima... ah, sì.
Si trattava del quadro raffigurante il coniglio che Garry pensava fosse inquietante.
Già, Garry.
L'avevo ritrovato.
Impiccato.
I piedi a penzoloni nel vuoto, le braccia abbandonate lungo i fianchi, l'espressione vacua, la testa piegata di lato.
Avrei urlato a pieni polmoni, se solo avessi trovato aria in gola. 
Non ne trovavo nemmeno per respirare, quasi stessi venendo soffocata anch'io.
Il mio corpo si mise a tremare. Tremare, tremare e ancora tremare.
Nel tentativo di frenare il tremore, affondai le mani nei capelli, schiacciando la testa.
Anche le labbra tremavano, perciò le nascosi tra i denti.
Come... come diavolo era successo?
Lì dentro... lì dentro non c'era nessuno, nessuno, a parte i coniglietti.
Perché erano in quella stanza, tra l'altro?
Se non c'era nessuno... nessuno avrebbe potuto fargli una cosa del genere... no?
Nessuno, tranne...
Nodo in gola.
Ero caduta sulle ginocchia e non me n'ero neanche accorta.
Le mani ancora in testa.
Strizzai le palpebre, ficcai i denti nel labbro con più forza.
Nessuno, tranne... tranne... tranne se stesso.
Terrificata, mi alzai di scatto in piedi.
Accompagnata da un dolore intenso allo stomaco, indietreggiai un po'.
Gli lanciai un ultimo sguardo.
Avvertii gli occhi bruciare pericolosamente, il terrore che non smetteva di crescere nelle vene.
Appoggiai una mano sulla porta che avevo lasciato spalancata.
Volevo fare in fretta.
Invece la chiusi con lentezza, come se in qualche modo non volessi andarmene, non volessi abbandonarlo... anzi, no: era così.
Mentre la porta scattava, lungo il mio viso scivolò la prima lacrima.
L'ultima cosa che gli avevo detto era stata:
“Sempre a dormire, eh?
Di' la verità... hai paura di proseguire!
Ahah! Coniglio!”.

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Capitolo 24
*** Giro 12 - ...Giusto? ***


Giro 12 –­­ ...Giusto?

[POV Garry]

Mi calmai soltanto ricordandomi che l'avrei rivista. Entro poco.
Tutto si spense, come se mi fossi addormentato.
Mi risvegliai disteso su un terreno color cremisi... proprio di una tonalità simile ai suoi occhi.
Ignorai il dolore incessante che mi percorreva i muscoli; mi costrinsi a tenere le palpebre perlomeno semiaperte, in modo da poter continuare a guardare il rosso del pavimento, pensando a lei, alle esperienze che avevamo condiviso...
È vero, ero contento che presto l'avrei incontrata di nuovo.
E che non sarebbe stata assolutamente l'ultima volta. 
Mi sentii sollevato e rallegrato, sebbene da sempre fossi stato divorato dai sensi di colpa per essere la causa di tutto.
...Comunque, in fondo, lei non ricordava nulla, giusto?
Non era a conoscenza della mia natura, del mio segreto, neppure delle linee temporali.
Non poteva soffrirne.
Non dovevo temere che ce l'avesse con me.
Riflettendoci... già, era perfetto.
Ormai, essendo la dodicesima volta che il ciclo si ripeteva, non avevo più paura della galleria, né di Mary, né di morire, né di perdere Ib.
Perché io avrei fatto sì che la fine non fosse mai la fine.
**
La guardavo, la ammiravo, mentre dormiva dolcemente, coperta dal mio cappotto.
Fingevo di sfogliare un libro, osservando di tanto in tanto il suo corpo che si alzava e si abbassava, seguendo il respiro rallentato dal sonno.
I capelli disordinati attorno al suo volto, era rannicchiata su se stessa... faceva davvero pensare a una bambina, a un angioletto di bambina. Nonostante non lo fosse più da tempo.
Tuttavia, non sembrava che i suoi sogni fossero altrettanto sereni: a volte la sua espressione rilassata si trasformava in una di sofferenza, aggrottava la fronte, serrava i denti, non smetteva di rigirarsi nel sonno.
L'avrei anche svegliata, ma per qualche ragione non avevo il coraggio di muovermi rispetto a dove mi trovavo, ovvero seduto, appena sotto il dipinto “Senza Titolo”.
Proprio in quel momento, aprì gli occhi di colpo, ansante.
Osservò un po' la stanza intorno a sé con lo sguardo, senza capire dove fosse. Pareva spaventata da qualcosa.
Ed ero certo di sapere da che cosa.
« Ehi » incominciai, chiudendo il libro e sorridendole: « Ben svegliata, Ib. Come ti senti? » mi alzai, solo per avvicinarmi e chinarmi al suo livello, di fronte a lei.
Si concesse qualche secondo per rispondere, nel tentativo di orientarsi. Si strofinò le palpebre, per poi mettersi seduta.
« Bene, credo... ».
**
Rise.
Risi a mia volta.
Com'era bella quando rideva così spensieratamente.
Ci guardammo negli occhi, senza parlare.
Perché non potevamo restare in quella stanza e fregarcene del resto?
Mi soffermai sul suo viso, sui suoi lineamenti... sulle sue labbra.
Prima di riuscirmi a controllare, mi stavo già abbassando su di lei, con stampato nella testa ciò che era avvenuto nel giro appena precedente, quando l'avevo tirata fuori dalla Stanza delle Bambole.
Con stampato nella testa come quel bacio fosse stato la realizzazione di qualcosa che prima era indefinito e incompleto. Forse il qualcosa ero io stesso, o magari semplicemente noi.
Malgrado tutto, però, lei mi lanciò un'occhiata disgustata, oltre che piuttosto preoccupata. Indietreggiò in fretta, la rabbia deformò addirittura il suo volto, che era stato sempre - o quasi - estraneo a tale emozione.
« Cosa... cosa credi di fare? » esclamò, cercava di darsi tono, invano. Stava balbettando, e le tremavano un po' le gambe.
Mi riscossi, quasi fossi uscito solo allora da un sogno a occhi aperti.
Divenni consapevole di quello che stava accadendo, di quello che ero sul punto di fare.
Dovevo trovare al più presto una scusa.
« A che pensi? » esibii una risata: « Hai qualcosa tra i capelli. Ecco » conclusi, sfiorandole il capo.
« Ah... » avvampò all'istante: « Perdonami. E... mh, grazie ».
Mi agitai anch'io stando a guardarla; il rosso le stava troppo bene, perfino sulle guance.
Distolsi subito lo sguardo, con l'intenzione di far finta che non fosse successo nulla.
Lei parve decidere lo stesso.
Un silenzio imbarazzato s'impossessò della stanza.
Avevo pure lasciato che si prendesse la colpa... che razza di persona orribile sono?

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Capitolo 25
*** Giro 11 - Tutta sola... di proposito ***


Giro 11 – Tutta sola... di proposito

Lentamente, lentamente, allungai una mano per controllare che nella tasca della sua giacca ci fosse ancora la mia rosa.
Non me la sarei mai ripresa, ma temevo che Mary, essendoci così vicina, decidesse di agguantarla e far fuori anche me, rendendo così vano il... il suo...
Insieme alla rosa trovai il suo accendino.
Pensierosa, scelsi di tenermelo.
« Riprenditela pure » esclamò Mary, cogliendomi di sorpresa: « A me non serve più. Ciò che volevo l'ho già ottenuto ».
Per qualche motivo, il suo tono di voce suonava quasi intristito.
**
Il crepitio delle fiamme era l'unico suono presente, l'ultimo rumore che udii.
Osservai per pochi momenti il dipinto ridotto oramai in cenere.
Mi voltai verso il corridoio vuoto, chiedendomi se avesse avuto effetto, se la mia disperata vendetta avesse avuto luogo.
Era strano: Mary non si era resa conto che ero entrata nella stanza in cui c'era il suo quadro. 
Non mi aveva seguita, era rimasta là, incatenata al suo corpo, non aveva staccato nemmeno per un secondo gli occhi dal suo viso.
Tornai indietro, con il cuore pesante, tanto per accettarmi che la mia idea avesse funzionato e non rischiassi inseguimenti indesiderati.
Bastò un'occhiata.
Lui, il suo viso, il pavimento circostante... era tutto ricoperto da un letto di cenere.
La spatola era lì, poco lontana, ancora macchiata di colore, in mezzo ai petali avvizziti della rosa blu.
Mi allontanai immediatamente. Non ero in grado di sopportare oltre una simile visione.
Me ne andai, m'incamminai, o forse corsi via, scappai, lontano, lontano, lontano dall'incubo.
I miei passi, che magari mi stavano portando addirittura fuori dalla galleria, avevano perso ogni suono per le mie orecchie, così come qualsiasi altra cosa.
Cercavo di non ripensare a quell'immagine, cercavo di cancellare dalla mia testa l'esperienza di cui ero appena stata partecipe, cercavo di scordare il suo volto e il suo sorriso, cercavo di eliminare qualunque ricordo - qualunque, qualunque, soprattutto se era legato a lui - che potesse riportarmi a ciò che era appena accaduto sotto i miei occhi.
Tuttavia quei ricordi riapparivano, e insistevano a riapparire quando meno me l'aspettavo, come una specie di predatore in agguato, in attesa del momento perfetto per colpire la propria vittima, mentre io fuggivo, zoppicando come un animale ferito, prima di venire ringhiottita dagli artigli dei ricordi.
Prima di poterci anche solo fare caso, mi ritrovai davanti al murale “Mondo Fabbricato”.
Vagai con lo sguardo sulle varie figure colorate dell'opera, all'apparenza del tutto sconnesse e fuori dalla realtà. Guardando con più attenzione, però, mi risultò evidente... rappresentava in modo contorto la galleria, la vera galleria da cui venivo.
Ci fu un lampo improvviso, la cornice dorata scomparve.
Mi stavo avvicinando al quadro con circospezione, quando una voce mi fermò.
« Ib! ».
Non ebbi bisogno di girarmi per riconoscerla.
Non riuscivo a muovermi, non riuscivo a respirare, non riuscivo a sbattere neanche le palpebre, lo sguardo fisso nel vuoto, pur essendo rivolto al murale.
L'unica cosa che sentivo era il suono dei suoi passi che si avvicinavano.
« Ib! Eccoti, finalmente! Ti stavo cercando... » disse.
Percepii gli occhi bruciare, inesorabili.
Non volevo piangere davanti a lui, ma non sembrava che sarebbe andata in maniera diversa.
« Che c'è, Ib? » chiese.
La sua voce...
Avrei potuto perdermi senza problemi in quell'istante, quel magico e infinito istante in cui udii di nuovo la sua voce, dopo aver cercato con tanta angoscia di ignorare il fatto che non l'avrei mai più sentita.
Con uno sforzo immane, percependo ogni singolo muscolo della mia testa entrare in movimento, mi voltai.
Nel mio campo visivo entrò davvero la sua immagine, la sua figura, un po' scossa per il fiatone, evidentemente si era messo a correre.
« Ib, cosa fai? Non avevamo detto che saremmo usciti di qui insieme? ».
Lo fissai.
Per un motivo a me sconosciuto, il semplice vederlo muoversi, sano e salvo, mi procurava una felicità immensa, una felicità che cancellava qualsiasi altra emozione, qualsiasi altro pensiero.
« Ho trovato un'uscita! Non è qui, è di là » continuò.
Un fulmine a ciel sereno.
La felicità annebbiante in cui mi ero immersa scivolò via, in parte, mentre il sospetto si faceva strada in me.
Com'era possibile che fosse vivo...? L'avevo visto morire con i miei occhi, il suo stelo non aveva più alcun petalo.
Come faceva a sapere che mi trovavo proprio là?
Perché parlava di un'altra uscita? Non avevo visto niente, anche se, in effetti, ero stata abbastanza distratta.
Dentro di me maledissi quel momento e quei pensieri. Stavo talmente bene, alla fine era tornato, perché la mia felicità doveva essere rovinata così?
« Dai, andiamo! » mi sorrise.
E fu proprio in quel momento che tutto iniziò a collassare su se stesso, ai miei occhi.
Un dolce tepore mi invase il petto, come succede un attimo prima di addormentarsi.
Desideravo sconsolatamente mandare al vento tutto quanto e tuffarmi tra le braccia dell'Uomo del Sonno, tuffarmi senza alcuna preoccupazione in quel sogno impossibile, pur sapendo quanto fosse impossibile.
Desideravo sconsolatamente correre incontro all'onda e lasciarmi travolgere, soltanto per sentire da vicino il soave suono del mare.
Lo desideravo, volevo tuffarmici, immergermici, affogarmici.
La coscienza, la stessa che volevo scordare, mi risvegliò per un attimo.
Tentai per l'ultima volta di biascicare qualcosa sul quadro e sulla galleria originale, sollevai appena un dito per indicare il “Mondo Fabbricato”; lui ne sembrò confuso, se non irritato.
« Che cosa intendi? Come puoi sapere che ci porterà a casa? ».
Poi il suo sguardo s'addolcì, quasi si dispiacesse e temesse di essere stato un po' troppo diretto.
Allargò il suo sorriso, tendendo una mano verso di me.
« Non sei contenta di vedermi? ».
Alzai la testa.
Per un lasso di tempo imprecisato, non riuscii a far altro che guardarlo negli occhi.
Del resto, pensandoci, se fossi tornata indietro da sola lo avrei abbandonato là, e sarebbe stato lo stesso che se non fosse sopravvissuto comunque, almeno per me.
Continuai a osservare la sua espressione sorridente, continuai ad ascoltare le sue parole gentili e rassicuranti, come sempre erano state, pregando che né l'una né le altre mai svanissero.
Perché stavo ancora esitando?
Compii qualche passo avanti.
« Esatto, così... vieni con me! » esclamò, senza spegnere il suo sorriso.
Nell'esatto istante in cui parlò, seppi di star seguendo la strada più sbagliata che potessi scegliere, ma forse l'unica che mi avrebbe permesso di sprofondare nell'abisso senza rendermene consapevole, l'unica che avrebbe permesso a un sogno impossibile di diventare possibile, seppur per pochi, meravigliosi, eterni secondi.
Strinsi la sua mano.
La sua presa... era proprio come la ricordavo, la stessa che mi aveva guidato per quei corridoi immensi, la stessa che mi aveva confortato e non smetteva di farlo, la stessa grazie a cui ero riuscita a mantenere la lucidità in qualunque situazione, la stessa con cui mi ero sostenuta, in punta di piedi, durante il mio primo bacio, la stessa che mi aveva impedito di salvarlo, la stessa che mi aveva impedito, perciò, di salvare me stessa.
Nei miei ultimi istanti registrai unicamente il mio battito cardiaco, il suono dei nostri passi, il calore della sua mano e il fruscio del suo cappotto mosso dall'aria.
Era il miglior modo di morire che potessi sperare.

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Capitolo 26
*** Giro 8 - Una coincidenza interessante ***


Giro 8 – Una coincidenza interessante

Non appena la vidi, seppi di avere i brividi lungo la schiena.
Mi paralizzai per un istante, e lui mi guardò, come a chiedere se andasse tutto bene.
Mi sforzai di fare un sorriso, riprendendo a camminare.
Anche se avessi voluto farlo preoccupare per niente, non sarei stata in grado di spiegare quella strana vertigine, nemmeno di spiegare perché l'inquietudine non si fosse ancora del tutto spenta - malgrado mi ripetessi “In un posto del genere è facile avere le allucinazioni, ora passa”.
Provai a distrarmi lanciando qualche sbirciata incuriosita alle altre sculture, sempre augurandomi che non si animassero...
Più cercavo di evitare di guardare quell'opera, comunque, più la sensazione di timore cresceva: nel tentativo di oscurare parte della visuale per non adocchiare anche solo per caso la statua, capivo di star in automatico alimentando quella strana “paura” insensata.
Avrei dovuto prendere coraggio e, al contrario, mettermi lì a fissarla: sì, avrebbe potuto funzionare.
Inizialmente, a dispetto della decisione, non riuscii a convincere la mia testa a voltarsi.
Alla fine lo feci.
Mi sembrò più abnorme di prima.
Pure più inquietante, temo. Trattenni il respiro alcuni secondi. Perciò tentai, in ogni caso, di abituarmi a tale immagine.
Quella scultura... magari era solo una mia impressione, ma la donna che stava venendo abbracciata - credo? - dallo scheletro/re, mi somigliava fin troppo...
Non sarebbe stata la prima volta che per un motivo o per l'altro io e la mia vita venivamo citate dalle opere, però... mai così.
Come aveva fatto Guertena a scolpirla, poi? Pareva dannatamente complessa e colossale...
Notando la direzione del mio sguardo, finì anche lui per osservare la gigantesca statua.
Rimase un attimo in silenzio, stava aspettando che dicessi qualcosa?
« Non so perché... » disse invece all'improvviso: « Oltre che in ansia, ti fa sentire un po' triste, vero? ».
Mi limitai ad annuire, assorta, facendo un “mhm” di conferma.
Non c'era nulla di precisamente triste... non che gli altri lavori mettessero molta più allegria. Probabile che fosse per via dello scheletro: sebbene fosse tale, infatti, lasciava immaginare una persona che aveva perduto tutto in poco tempo, compreso onore, dignità, vita, e a questo punto persino l'amore... guardando meglio, in effetti, la donna portava una specie di diadema sul capo.
« Siete molto simili » esclamò lui, cogliendomi alla sprovvista. Si girò e mi regalò un sorriso quasi sereno (quasi perché essere sereni là dentro dubito che fosse del tutto possibile), come se non si trattasse di nulla più che una coincidenza interessante.
...Che in fondo doveva essere, no?
« Già » risposi, senza far trapelare la mia preoccupazione.
« La mantella dello scheletro... secondo te perché è tanto rovinata? » continuò, rivolgendo di nuovo lo sguardo alla statua.
Mi accostai un po' per osservare meglio, notando che aveva ragione.
Immersa nelle mie riflessioni, lasciai che la mia immaginazione andasse a ruota libera: « Non so... forse perché tutto ciò di cui si sentiva orgoglioso o comunque soddisfatto - tipo il mantello regale e la corona - è andato in rovina, con la sua morte... » mi ripresi di colpo: « Ah, scusami, sto dicendo cose a vanvera ».
« No, avrebbe un senso... hai una bella fantasia, te l'hanno mai detto? ».
Mi scappò una sottospecie di risata.
« È capitato » dissi, vaga.
Si abbassò sulla targa della scultura, per leggere il titolo.
Al suo posto non sarei stata così fiduciosa, per due motivi: primo, quando si è troppo appresso alle opere succede sempre qualcosa di pericoloso, neanche si attivasse un meccanismo di trappole letali; secondo, pure in una situazione normale mettermi proprio sotto a qualcosa di talmente smisurato mi incuteva spesso disagio.
Il mio filo di pensieri fu interrotto da un suo mormorio, che però non riuscii a comprendere.
« Come? ».
« Convegno dopo la morte » ripeté, a voce più alta: « Non che mi debba stupire molto, dopo tutto quello che abbiamo visto finora... ahah ».
« Immagino di sì » risposi. A essere sincera, mi sentivo ancora... non solo inquietata, bensì oserei dire in soggezione, come se ci trovassimo davanti a qualcosa di più grande di quanto apparisse... ovviamente non in senso letterale.
Si voltò di scatto, all'improvviso un po' preoccupato, forse dal mio tono di voce.
« Ehi, tutto bene? ».
Ecco, perfetto.
Ero obbligata a fingere.
Benché ormai avessi dovuto esserci abituata, continuava a non piacermi.
« Certo, certo » farfugliai, con lo sguardo basso: « È solo che... » per qualche ragione, mi ritrovai a voler proseguire. Tanto meglio, almeno così non sarebbe stata l'ennesima bugia: « Quella scultura... mi fa un effetto strano ».
Dopo un attimo di perplessità, si aprì in un sorriso comprensivo.
« Allora non sono soltanto io ».
Alzai il capo, sorpresa.
« È da quando siamo arrivati che non posso far a meno di pensare a che diavolo di significato possa nascondersi dietro questa cosa... so che ormai è piuttosto inutile soffermarsi su un punto simile, tuttavia... ».
Stavolta annuii con più convinzione, sollevata, avvicinandomi a lui e alla statua.
« Gli abiti sono fin troppo realistici » notai, colpita: « Sembrano essere reali. Possibile che sia arrivato a procurarsene di veri? ».
« Sul serio? » esclamò, alzando nuovamente lo sguardo all'opera: « Be', potrebbe esserci riuscito. Anche se, da quel che abbiamo letto, era piuttosto povero, giusto? ».
« Infatti » commentai, senza poter aggiungere altro, un po' confusa.
« Chissà quanto tempo c'avrà messo per farla... » rincarò lui.
Provai un assurdo senso di déjà vu.
Pensandoci... non era la prima volta che capitava, da quando eravamo nella galleria.
Non avrei dovuto meravigliarmi, tra tutte le cose fuori dal mondo che erano successe avere un déjà vu era il minimo.
Ma, più ogni secondo passava, più divenivo cosciente del fatto che stavo solamente mentendo a me stessa.
Perché dovrei mentirmi? E mentire su cosa? ...Quale dovrebbe essere la verità a proposito?
Smisi di pormi domande stupide quando lui riprese a parlare.
« Comunque alla fin fine a me piace. E a te? ».
Scossa come risvegliata da un sogno, annuii di nuovo, accompagnata da un sorriso.
Eppure lui mi fissò, cercando il mio sguardo.
Nonostante mi mettesse sempre in imbarazzo quando mi guardava, ricambiai l'occhiata.
« Sei taciturna » disse, mentre mi osservava neanche avessi la risposta alla sua domanda scritta sulla fronte: « Sicura di stare bene? ».
« Certo! » esclamai, sorpresa: « Forse sono solo stanca, ecco tutto... » buttai là.
Restò muto un paio di secondi, per poi commentare: « D'accordo. Allora appena scoveremo un posticino tranquillo ci riposeremo un po', che ne dici? ».
« N-no! Non ce n'è bisogno, sto bene... » tentai di ribattere, inutilmente. Le mie repliche si spensero quando dichiarò che se non avessi voluto fermarmi mi avrebbe costretta a forza.
Sbuffai, a metà tra l'offeso e il divertito.

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Capitolo 27
*** Giro 12 - Se potessero essere soltanto due... ***


Giro 12 – Se potessero essere soltanto due...

Mi zittii per qualche istante.
Non ero sicura di poter rispondere a una domanda tanto diretta, sebbene in cuor mio conoscessi già da tempo la risposta.
« Io non ti capisco... » singhiozzava, in lacrime. Come potevo risponderle?
« Una volta... una volta non eri così » continuò, piangendo sempre più forte.
Ci trovavamo tutti e tre di fronte al dipinto ”Mondo Fabbricato”. Per essere precisi, in realtà, all'inizio eravamo io e Garry: Mary ci aveva appena raggiunto, e mi aveva posto quella domanda scomoda.
La guardai, senza capire cosa intendesse.
« Che vuol dire, una volt... ».
« Tu non lo sai, Ib, ma sei rinchiusa qui dentro da dodici anni! » strillò, rossa di rabbia.
In seguito al suo grido, ci fu silenzio, silenzio rotto soltanto dai suoi piagnucolii.
Si voltò nella mia direzione, tirando su con il naso.
Con enorme sforzo, schiodai lo sguardo da lei e lanciai un'occhiata a Garry, sperando di trasformare presto la mia espressione sconcertata in una da “Questa è pazza”.
Sembrava più sconvolto di me.
Senza neanche accorgermene, scoppiai a ridere.
Entrambi mi fissarono come se fossi io la pazza.
« Che cosa dovrebbe significare, dodici anni? » esclamai, più per convincere me stessa che loro: « Non ha senso, io sono arrivata qui stamattina, e... ».
« Ti sbagli! » strepitò Mary, con voce ormai stridula: « E vuoi sapere di chi è la colpa? » proseguì, rivolgendo uno sguardo omicida a qualcosa sopra la mia spalla. « Sì, è così » annunciò, con il tono di chi sta per piangere, eppure con gli occhi pieni di fiamme: « Meritavi di sapere la verità, Ib. È colpa sua, colpa di Garry e nessun altro ».
« Ma che diamine stai... » fui presto interrotta.
« È vero ».
Senza fiato, mi voltai lentamente verso di lui.
Evitava quasi con disperazione il mio sguardo.
« Tuttavia... » mormorò, piatto: « Non credo cambi qualcosa, Mary. Il ciclo ricomincerà ancora, e lei cancellerà ogni cosa » lanciò un rapido sguardo alla bambina in lacrime davanti a noi, prima di tornare a fissare il terreno.
« Cosa... non parlate come se non ci fossi! » aggrottai le sopracciglia, le tempie che vibravano: « Cosa dovrei cancellare?? » replicai, con la netta sensazione di essere al limite. Quante altre cose assurde dovevano capitare?
I miei occhi vagavano da Mary a Garry, da Garry a Mary, ma nessuno dei due era in grado di rispondermi.
« Di cosa stavi parlando? » ribadii, bloccandomi su Mary. In fondo, era lei ad aver cominciato questo battibecco; apparentemente, però, non era intenzionata a continuare.
Trasse un sospiro. Alzò lo sguardo. Aveva smesso di piangere.
« Cosa ricordi del mondo là fuori? Sapresti parlarci degli ultimi anni della tua vita? ».
« Certo. È molto semplice. Io... » mi fermai un istante.
Non mi veniva in mente niente.
Perché non mi veniva in mente niente?
« I miei genitori... mi avevano fatto iscrivere a una scuola prestigiosa » balbettai, mentre una specie di speranza nasceva dentro di me. Se avessi ricordato, la sua folle ipotesi sarebbe stata confutata: « Una scuola completa, con elementari, medie e liceo... e sono sempre stata lì, da quando ero piccola. E ora... presto entrerò all'università. Non mi vengono i nomi dei vari istituti, comunque... ».
Mi interruppi.
La mia ingenua speranza si sgonfiò, come un palloncino quando viene bucato.
Com'era possibile che fino ad allora non mi fossi accorta di aver scordato tutto ciò che riguardava la mia stessa vita?
Tutto ciò che mi era successo... avevo qualche lampo riguardo la mia infanzia, nient'altro.
Più scavavo tra i miei ricordi, più mi tornavano alla mente le esperienze vissute in questa galleria.
Non capivo il perché.
D'accordo che qui il tempo non scorre, però...
« Non possono essere passati dodici anni » dichiarai, con un'illuminazione venutami in quello stesso momento: « Qui il tempo non scorre ».
« Per te invece dovrebbe essere così » intervenne prontamente Garry, sempre guardando altrove: « Sei cresciuta... come se fossero trascorsi dodici anni. Anche se nemmeno io potrei assicurarti quanto tempo sia passato nel nostro mondo. Non so fino a che punto possa importare, comunque ».
« Cosa intendi, non importa? Certo che importa! I nostri familiari, i nostri amici... ».
« Non li rivedremo più » ribatté, tentando di mantenere un tono di voce pacato: « È questa la verità. Ma - e sorrise - non ti preoccupare. Presto dimenticherai tutto di nuovo. Credo proprio che sia la cosa migliore, per il tuo bene ».
« ...Perché dovrei dimenticare? Cosa significa ”di nuovo”? ».
Si prese un attimo per rispondere: « Be', vedi... » guardò Mary, a chiedere una qualche conferma.
La bambina, con una sorta di sorriso sulle labbra, acconsentì.
Garry sospirò.
« Molto bene, allora. Vuoi sapere la storia completa? ».
Finalmente era tornato a rivolgermi lo sguardo.
Lo fissai per pochi secondi. Annuii.
**
Rimasi in silenzio.
Sentivo di non avere il permesso di parlare. Non io, povera ignorante, davanti a coloro che avevano attraversato sempre le stesse, dolorose esperienze infinite volte.
Com'è ovvio, la domanda sorse spontanea.
« E... non ci sarebbe un sistema per fermare il loop? ».
Garry si ammutolì, distogliendo gli occhi da me.
Più che intristito, pareva imbarazzato.
« Finché avrà questo desiderio inconscio, no » rispose Mary con semplicità: « E mica può controllarlo. Altrimenti avremmo risolto la cosa molto tempo fa, non credi? ».
Percepii qualcosa a livello del fegato mettersi a tremare in maniera fastidiosa.
« Capisco... » borbottai a una delle mattonelle del pavimento.
Uno, due, tre, quattro.
Quattro atroci secondi di silenzio, prima che Garry farfugliasse tra sé e sé: « Però, forse... un modo ci sarebbe... ».
Ci voltammo verso di lui.
D'improvviso, i suoi occhi si rabbuiarono.
« Cosa? » insistei.
Scosse rapido il capo: « No, niente. Mi sono sbagliato ».
« Ah... ».
Anche se fosse stata una bugia, doveva avere i suoi motivi per aver evitato la verità. Giusto?
Mi misi un po' a ragionare.
Tra i volumi di una delle librerie... avevo letto qualcosa sull'”immaginario può essere reso realtà”, riferito, secondo quanto c'era scritto, proprio alle opere di Guertena.
Se veramente era diventato un dipinto, avrebbe potuto tornare a essere una persona reale, qualora...
« L'unico sistema sarebbe far sì che tu perda i suoi poteri da quadro » annunciai.
Mi guardarono interrogativi, mentre cercavo di richiamare alla mente ciò che era segnato in quel libro.
« Fare sì che tu non sia più un quadro. Ovvero... rendere l'immaginario realtà ».
Garry parve comprendere, a dispetto della sua frase: « Cosa intendi dire...?! ».
« ...È l'unica » risposi.
Scoppiò in una specie di risata, quasi isterica: « No, no, non dirlo neppure ».
Ignorai la sua richiesta: « Se qualcuno proveniente dal mondo esterno si sostituisse a uno dei dipinti che vivono qui, l'immaginario sarebbe reso realtà: la persona di un'opera qualsiasi potrebbe aspirare a divenire un essere reale, con una vita reale, nel mondo reale... ».
Garry mi fissava, sconvolto, impallidito, senza respirare.
Per qualche motivo, la faccia di Mary si era arrossata dalla collera: « Come fai a...?! ».
« Lo sapevate già, non è vero? » esclamai: « Perché non l'avete detto subito? ».
Anche Garry sembrò innervosirsi. Serrò i pugni fino a farsi sbiancare le nocche. Disse, serio: « Sostituirsi... sai almeno di cosa stai parlando? ».
« Sostituirsi » ripetei: « Sostituirei la tua vita in questo universo. Prenderemmo l'uno il posto dell'altro, in pratica » stava per ribattere, tuttavia non avevo ancora finito: « Per farlo, dovrò rinunciare alla mia rosa. Alla rosa e a tutti i suoi petali ».
Il prezzo della sua libertà era la mia vita. Ormai era chiaro.
Mi aprii in un sorriso: « Non è perfetto? ».
« No, non lo è! » urlò Garry.
Con un piccolo groppo in gola, continuai: « Be', e allora? Lo farò comunque ».
Estrassi la mia rosa color del sangue, maneggiandola con cura.
Mi volsi verso la bimba bionda che, da tal giorno in poi, forse sarebbe stata la mia unica compagna tra quelle tetre mura.
« Mary... so di starti chiedendo molto, ma ti prego di restare qua. Insieme a me. Immagino che pure tu vorresti uscire... » sussurrai, concentrandomi sulle sue pupille celesti. Se non l'avessi fatto, probabilmente sarei crollata.
La sua furia parve sgonfiarsi tutta in una volta.
« Lo vuoi fare sul serio, Ib...? » biascicò.
Dopo un momento, annuii.
Raccolse il suo coltellino da terra.
« Non puoi! » gridò: « Te lo impedirò! Non me lo porterai via, non porterai via la sola gioia... » si zittì, i lucciconi che tornavano a brillare nei suoi occhi.
Corse verso di me.
Le agguantai le braccia, frenandola.
All'improvviso, sentii una mano poggiarmisi sulla spalla.
« Ha ragione. Non devi farlo » era Garry.
Mi rifiutai agitando la testa, piano.
« Invece sì » risposi.
« No!! » squittì la bambina.
« Mary » affermò Garry: « Mollala, per una volta. Per favore ».
Sollevò lo sguardo su di lui, tentennando. Dunque abbandonò ogni aggressività e, ubbidiente come un cagnolino, abbassò l'arma.
Presi un bel respiro, alzai il capo per guardarlo negli occhi.
Un'ultima volta.
« Lo farò ».
E questa sarebbe stata davvero l'ultima.
« Per salvarti, Garry » mi imposi di mostrare un sorriso.
Strinse i denti, strinse le dita intorno alla mia spalla.
« No, non osare parlare così. Non devi farlo. Non... non riesco più a ricordare una sola ragione per cui valga la pena rivivere ».
Finsi una risatina: « È solo perché sei qua da troppo tempo ».
« Non scherzare! » sbottò: « Non si torna indietro, Ib ».
« Be', me lo auguro » commentai: « Ci mancherebbe di doverlo rifare ».
« Ib...! » lo interruppi.
« No. Non preoccuparti. Quando uscirai da questa galleria, scorderai ogni cosa. Non temere. Non soffrirai ».
« Ma io non voglio scordare! » sbraitò: « Non voglio dimenticare tutto ciò che è successo, non voglio dimenticarti, Ib ».
« È necessario, Garry » dissi: « Lo faccio per te. Non accetto che tu soffra ancora. Ti prego, permettimi di salvarti ».
Mi afferrò per le braccia, guardandomi negli occhi.
Nei suoi leggevo l'orrore.
Quasi a voler fermare il tremito che lo percorreva, avvicinò le sue labbra alle mie.
Stavolta non mi opposi.
Mi baciò, con una delicatezza inaspettata.
Potevo avvertire la sua paura perfino in quel bacio, da quale angoscia fosse stato spinto a compiere un simile gesto.
Si allontanò appena, mi abbracciò a sé, sgomento. Riuscivo a sentire i brividi che scorrevano attraverso le sue membra, e credo sia stato questo a provocare i miei, di brividi.
La sua stretta diventava sempre più salda.
Di nuovo, non mi opposi.
« Ib... non farlo » implorò, il mento sopra la mia spalla.
Mi passò le mani sulla schiena, affondò le dita nei miei capelli, facendo appoggiare la mia fronte sulla sua scapola. Non vidi più nulla.
Non osai ricambiare la stretta. Temevo per il suo e il mio dolore.
« Non voglio... non voglio essere salvato ».
Tentavo di ignorare le sue parole, di ignorare il suo affetto, di ignorare lui.
Lasciai scivolare quella rosa davanti ai miei piedi.
« Io invece voglio che tu lo sia, Garry. Salvato, sì, da me » risposi in un bisbiglio. Non ero in grado di parlare a voce più alta.
La calpestai con tutta la forza che raccattai in me. Presi ad agitare il piede sopra i petali. Li percepivo mentre si staccavano, uno dopo l'altro.
Mi colse un'improvvisa stanchezza.
Socchiusi gli occhi, venendo cullata dalle sue braccia, così da trovare l'energia di cui avevo bisogno per non smettere di logorare la mia rosa.
Puntai tutta la mia attenzione sul suo profumo, sul suo tepore, su di lui, per mantenere sempre a mente la ragione del mio atto suicida.
Sì, era assolutamente una ragione valida.
Mi addormentai, ancora appoggiata alla sua spalla.
**

[POV Mary]

Strizzavo le palpebre, cercando di sostenere la mia cecità, le mani premute contro le orecchie.
Mi inginocchiai a terra, davanti al murale che rappresentava la chiave per la libertà e la mia condanna.
Avevo le lacrime agli occhi. Ripetevo, dentro di me, che non avrei pianto per lei. Mai più. Non dovevo tradire la mia promessa.
Riuscii a trattenerle.
Un simile successo, comunque, non alleviò il dolore - emotivo ma in qualche modo anche fisico - che si stava impossessando di me.
Mi facevano male tutte le parti del corpo. Il cervello pulsava, insopportabile.
Digrignai i denti.
...Nemmeno questo è il mio finale ideale.
In ogni caso, non ce ne saranno altri.
Il nostro carosello finisce così.

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Capitolo 28
*** Epilogo ***


Epilogo:

Giro 12 – ...Ciò che avevo desiderato

[POV Garry]

Provai la sensazione di precipitare.
La mia stessa stanza comparve di colpo sotto i miei occhi.
Mi sentivo come se fossi appena atterrato sul letto dopo una caduta senza fine.
Invece ero rimasto là tutto il tempo.
Mi resi conto di essere sudato, con il battito cardiaco più rapido e frastornante del normale.
Avevo le palpebre spalancate, come sconvolto da qualcosa.
Chiusi e aprii gli occhi alcune volte, prendendo mentalmente coscienza del fatto che si era trattato soltanto di un sogno, di un incubo, di immagini prive di senso create dalla mia testa.
Malgrado di senso, in verità, ne avessero persino troppo.
Dopo essere rimasto immobile per un tempo incalcolabile, spostai di scatto il piumone. Lasciai che l'aria fresca della camera mi investisse.
Guardavo il vuoto, inghiottito dai pensieri.
Mi sfuggì un lamento.
Si era sbagliata.
Non avevo mai dimenticato.
Ricordavo.
Ricordavo tutto quanto.
E in fin dei conti, non era proprio ciò che avevo desiderato?

(True End)

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