La mia vita in un secondo

di alexis_92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La sentenza ***
Capitolo 3: *** Ricominciare da zero ***
Capitolo 4: *** Vecchi amici ***
Capitolo 5: *** Quello di cui ho bisogno ***
Capitolo 6: *** Lavoro di coppia ***
Capitolo 7: *** Intervista ***
Capitolo 8: *** A volte quello che serve è solo un abbraccio ***
Capitolo 9: *** Fidarmi o non fidarmi? ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 

Io non sono stata abbandonata.

Nessuno mi ha abbandonato.

 

Ecco cosa ho ripetuto a me stessa per molto tempo.

Ero così ingenua che non capivo che in realtà le cose erano diverse.

È bastato un secondo e tutta la mia vita è svanita come un granello di polvere nel vento.

Com'è possibile questo? Ero così poco importante per gli altri?

Sono passati due anni e ora ho solo due certezze nella mi vita:

 

Sono stata abbandonata.

Tutti mi hanno abbandonata.

 

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Capitolo 2
*** La sentenza ***


CAPITOLO 1

 

Sono le tre del pomeriggio e come tutte le ragazze della mia età dovrei essere in giro per negozi a fare spese oppure ad un appuntamento con il mio ragazzo. Bene, non è così.

Io sono per l'ennesima volta in tribunale. Davanti a me vedo il giudice che dice qualcosa all'avvocato d'ufficio che mi è stato assegnato. Non mi importa di quello che pensano o dicono. Ho capito che tanto non fa alcuna differenza.

Fino a poco tempo fa credevo nella giustizia ma ho imparato sulla mia pelle che alla gente importa solo di se stessi e di nessun altro.

Prendete per esempio il giudice del mio processo: ormai ho perso il conto di quante volte l'ho visto lì seduto, con il suo martelletto a giudicare persone e fatti che ha la presunzione di conoscere. Lui non sa niente, le persone in quest'aula non hanno idea di che cosa è stata la mia vita in questi due anni. “Noi siamo qui per te” mi avevano detto il primo giorno che ci siamo incontrati. Tutte cavolate.

Oggi è diverso però, oggi è il giorno in cui tutto cambierà.

Alzo la testa e dirigo lo sguardo verso il giudice.

“Silenzio prego. Dopo aver meditato a lungo su questo caso, sono arrivato ad una conclusione. Come stabilito per legge, da oggi in poi la sedicenne Doremì Harukaze, avendo richiesto l'emancipazione, non sarà più affidata allo Stato. Per tanto la signorina Harukaze si dovrà occupare del proprio mantenimento a sue spese. Così è stato deciso. L'udienza è tolta”.

Il giudice dicendo questo si alzò e uscì dall'aula.

Ero libera.

 

 

L'udienza era finita da pochi minuti e me ne stavo seduta fuori dal tribunale.

“Doremì pensa..” mi ripetevo.

Non sapevo cosa fare, dove andare. Era da mesi che aspettavo questo giorno e avevo pianificato tutto nei minimi dettagli.

Nel momento in cui il giudice aveva emesso la sua sentenza, però, mi ero dimenticata di tutto.

Ora ero io a decidere e non gli altri per me.

“Signorina Harukaze!”

Appena sentito il mio nome mi girai e vidi il mio avvocato.

“Signorina finalmente l'ho trovata. Non doveva aspettarmi fuori dall'aula?”

“Ha ragione ma volevo prendere una boccata d'aria”

“Prima che vada volevo darle questa” e mi porse una lettera “Questa lettera è sua. Visto che lei ormai ha sedici anni compiuti, è arrivato il momento di spiegarle alcune cose. Da oggi in poi lei ha diritto ad usufruire dei soldi che i suoi genitori le hanno lasciato. Purtroppo la casa in cui ha vissuto da piccola è stata messa all'asta e venduta tempo fa, comunque credo che riuscirà a trovare un nuovo posto dove vivere al più presto. C'è solo una condizione: il giudice ha espressamente richiesto che lei torni a vivere nella sua città natale, a Misora, e concluda lì il suo percorso scolastico fino al compimento dei suoi 18 anni.”

“Che cosa? Non ci penso neanche!”

“Signorina, non è una proposta quella del giudice. A lei è stata concessa un'emancipazione speciale. Il giudice ha deciso di concederle l'emancipazione, per i motivi che lei conosce perfettamente, ma vuole che le sia chiaro che sarà comunque tenuta d'occhio dal tribunale e che se vuole mantenere l'emancipazione deve rispettare quanto il giudice ha deciso. Per tanto per i prossimi due anni lei andrà a vivere a Misora e frequenterà gli ultimi due anni della scuola superiore. Compiuti i suoi 18 anni sarà libera di scegliere se rimanere lì o trasferirsi. Arrivederci.”

Non riuscivo a capire. Due secondi prima assaporavo la mia libertà e ora ero di nuovo fregata.

Con tutti i posti al mondo, proprio a Misora dovevo tornare. Mi ero ripromessa di non tornare mai più in quella città.

Cosa potevo fare, non potevo tornare indietro ma soprattutto non volevo tornare indietro.

Presi la valigia con le mie cose che mi ero portata dietro e andai in stazione.

“Signorina desidera?”

“Vorrei un biglietto del treno”

“ Per dove?”

“ Misora, purtroppo”

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Capitolo 3
*** Ricominciare da zero ***


CAPITOLO 2

 

Il treno sfrecciava veloce verso Misora ed io ammiravo il paesaggio che mi passava davanti.

Non prestavo molta attenzione a quello che c'era fuori dal finestrino perché nella mia mente stavano riaffiorando ricordi che avevo da tempo sepolto nel passato.

Il fischio del treno mi riportò alla realtà e dall'altoparlante della cabina, il capotreno ci informava che il treno stava per fermarsi nella stazione di Misora.

Era ora di scendere. Presi la mia valigia e mi preparai a scendere.

Quando alle mie spalle il treno lasciò la stazione, nella mia mente sapevo già dove dovevo andare.

Camminai per diversi minuti finché arrivai davanti ad una casa che conoscevo perfettamente. Non era cambiato nulla.

Mi sembrava di rivedere, come se fosse ieri, la mia famiglia ed io dentro quelle mura sorridere felici e spensierati.

Mi scappò un sorriso. Erano questi i ricordi che mi piacevano.

“Forza Doremì. Devi darti da fare. Prima cosa: trovare un appartamento” pensai.

Girai per la città per diverse ore ma alla fine riuscii a trovare un monolocale a buon prezzo e poi la padrona di casa era una signora anziana simpaticissima.

Sistemai le poche cose che avevo in valigia e cenai con il cibo spazzatura che mi ero comprata in stazione prima di partire.

Fuori dalla finestra era già buio. Ero stanca. Era stata una giornata lunghissima e domani sarebbe stato peggio.

In base agli accordi con il giudice, domani dovevo presentarmi alla scuola superiore Hikan e iniziare così il mio anno accademico.

Tornare a scuola non mi entusiasmava, nel pomeriggio poi dovevo cercarmi un lavoro. Non potevo vivere solo con i risparmi dei miei genitori. Dove ricominciare la mia vita da zero.

Spensi la luce e mi addormentai.

 

Quando al mattino mi svegliai ero stravolta. Non ero riuscita a chiudere occhio neanche per cinque minuti.

“Bel modo per cominciare la giornata” mi dissi.

Era inutile rimanere a letto e perdere altro tempo. Mi alzai e mi preparai per uscire.

Non avevo ancora la divisa della scuola, quindi indossai quella vecchia.

Ero cambiata rispetto a due anni fa. Non avevo più i capelli raccolti in due chignon. Ora li portavo sciolti e lunghi fino a metà schiena.

Ero anche più alta e non potevo lamentarmi del mio fisico.

In casa non c'era niente da mangiare e io avevo una fame incredibile. Decisi di fare colazione fuori per oggi e poi stasera avrei fatto la spesa.

In centro città trovai un bar carino dove fare colazione. Erano tutti sorridenti in quel locale.

“Benvenuta! Cosa ti porto?” mi chiese la cameriera.

“ Un caffè gigante e un toast grazie”

“ Ok. Ritorno subito” e scomparve dietro al bancone.

Mentre aspettavo la mia ordinazione, osservai il locale. C'era un sacco di gente e sembravano tutti a loro agio. Al bancone c'erano due ragazzi che dovevano avere circa la mia età mentre alla cassa c'era una signora anziana che quasi scompariva dietro alla cassa.

Era tutta rossa poverina ed era tremendamente buffa. In suo soccorso arrivò la cameriera che le diede una mano.

“Ecco la tua ordinazione mia cara”

Mi girai e vidi un signore sulla sessantina sorridente mentre mi versava il caffè nella tazza.

“Grazie mille. Lavora qui anche lei?”

“ In verità questo locale è mio signorina. Mio e di mia moglie – e indicò la buffa signora alla cassa – povera Saki, non è mai stato il suo forte fare i conti”

“Vedo che il locale va bene. Ci sono un sacco di clienti”

“Si ha ragione. Lei vive a Misora?”

“Da oggi si. Mi sono appena trasferita qui”

“Vedrà signorina che Misora le piacerà. È una cittadina molto carina”

“Lo spero. Senta lei sa per caso se da queste parti posso trovare un lavoro?”

“Mmh che io sappia no. Ma non sei troppo giovane per lavorare?”

“ Non sono così giovane come sembra. Comunque se dovesse sentire in giro qualcosa me lo faccia sapere. Io comunque sono Doremì, piacere”

“Certo signorina. Io sono il signor Gota. Spero allora di rivederla”

“A domani, signor Gota”.

Pagai il conto e mi incamminai verso scuola.

 

Per fortuna la scuola non era molto distante dal locale del signor Gota e per questo ci misi davvero poco ad arrivare.

Davanti all'edificio c'erano un sacco di studenti come me che si affrettavano ad entrare.

All'improvviso mi bloccai.

“Dai Doremì! Pochi passi e sei dentro!” mi ripetevo.

La mia mente diceva di entrare ma il mio corpo non voleva.

Sapevo che c'era una piccola possibilità che dentro quella scuola ci fosse qualcuno che conoscevo, ma poteva anche essere il contrario.

Se ero fortunata non avrei incontrato nessuno; con tutte le scuole che ci sono a Misora!

Presi coraggio ed entrai. Nessuno fece caso a me e di questo ero sollevata.

Sbrigate tutte le pratiche amministrative, un professore mi accompagnò verso la mia aula.

Arrivati di fronte all'aula, il professore bussò alla porta ed entrai.

“Professoressa Fujika, le presento la nuova allieva. La affido a lei”

Quando entrai, avevo fissi su di me tutti gli occhi della classe.

“Entra pure. Non essere timida” mi disse la professoressa.

Non ero affatto timida, ero solo nervosa.

“Bene ragazzi. Da oggi avrete una nuova compagna di classe. Vuoi presentarti ai tuoi compagni?”

Mi voltai verso la classe e alzai lo sguardo per presentarmi.

“Ciao a tutti. Io sono...”

“DOREMI??”

Riconobbi quella voce all'istante e immediatamente la rabbia prese il sopravvento su di me.

La rabbia che avevo cercato di sopprimere per tanto tempo, era riaffiorata. Era bastato sentire una semplice voce. La voce di una delle persone che odiavo di più al mondo.

 

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Capitolo 4
*** Vecchi amici ***


CAPITOLO 3

 

Due occhi mi fissavano increduli dall'ultima fila. Un ragazzo che conoscevo fin troppo bene mi fissava in piedi davanti a tutta la classe.

Tutte le emozioni che avevo seppellito in me mi travolsero in pieno come un uragano.

“Voglio andarmene. Non voglio restare qui” pensai.

“Signorina Harukaze vedo dalla sua scheda che lei ha già vissuto qui a Misora quindi sicuramente conoscerà qualche studente in questa scuola. Ci sono dei suoi vecchi amici in questa classe?” mi chiese la professoressa Fujika.

“Amici. Io non ho amici qui a Misora” pensai tra me e me.

Quegli occhi mi stavano ancora fissando, in attesa di una mia risposta.

“No professoressa. In questa classe non ci sono miei amici” dissi.

Notai lo sguardo deluso della persona in ultima fila ma non me ne importava.

“Ah peccato. Beh mi raccomando ragazzi aiutate la vostra nuova compagna ad adattarsi nella nostra scuola. Vediamo puoi andarti a sedere in terzultima fila. Vicino alla finestra c'è un banco vuoto”

“Grazie” e andai a sedermi al mio posto.

La professoressa continuò la sua lezione ed io non prestai molta attenzione, anche perché l'argomento che stava spiegando lo avevo già studiato nella vecchia scuola.

Passai l'ora a guardare fuori, senza fare caso alla persona in fondo all'aula che continuava a fissarmi.

Nelle ore successive alcuni miei compagni di classe si presentarono e parlarono un po' con me. Sembravano simpatici ma da tempo avevo deciso di non legarmi più a nessuno. Non volevo più stare male.

Arrivata l'ora di pranzo venni obbligata a mangiare con la mia classe. Non so perché ma tutti erano super curiosi, volevano sapere tutto di me e mi tempestavano di domande.

“Doremì da quanto tempo ti sei trasferita qui a Misora?” mi chiese una ragazza che se avevo capito bene si chiamava Chika.

“Due giorni”

“La prof ha detto che hai già vissuto qui vero?”

“Si vero. Sono nata qui e ho vissuto qui fino a due anni fa”

“Come mai ti sei dovuta trasferire? Per il lavoro dei tuoi genitori?”

Tutti mi fissavano attendendo che rispondessi. Al diavolo la loro curiosità.

“Sono fatti miei se non vi dispiace. Ora scusate ma devo uscire un attimo”

Avevo bisogno d'aria.

Sapevo che i miei compagni ci erano rimasti male per la mia risposta, lo avevo visto nei loro volti.

Arrivai alla terrazza e finalmente ripresi a respirare in maniera normale.

Era una bella giornata e dalla terrazza si vedeva tutta Misora.

Mi appoggiai alla ringhiera e mi misi a fissare le nuvole.

Da piccola mi piaceva guardare il cielo e indovinare che forme avevano le nuvole.

Sentii la porta della terrazza aprirsi. Una persona si stava dirigendo verso di me. Non avevo bisogno di vedere chi era, lo sapevo già.

“Se hai finito di fissarmi, ora puoi anche andartene” gli dissi.

“Doremì..”

“ Vedo che ti ricordi il mio nome, Tetsuya. Sono colpita, davvero” dissi in modo sprezzante.

Ogni mia parola voleva ferirlo e dal suo sguardo capii che ci stavo riuscendo.

“Sei tornata”

“Si ma non per mia scelta. Odio tutto di questa città”

“Ma che ti prende Doremì? Smettila di trattarmi così. In classe hai addirittura fatto finta di non conoscermi! Sono due anni che non ci vediamo e questo è quello che vuoi dirmi?”

Mi voltai a guardarlo. Era diventato più alto e muscoloso di come me lo ricordavo. Era diventato un bel ragazzo ma quello che mi colpì furono i suoi occhi. Quelli erano inconfondibili.

Mi avvicinai a lui a tal punto che riuscivo a sentire il suo profumo.

“Per me tu non esisti Tetsuya. Non sono più la Doremì ingenua e credulona che conoscevi. Non mi importa più quello che pensi o dici già da molto tempo.”

“Ma che diavolo dici?- alzando la voce- Eravamo tutti preoccupati per te, le tue amiche, io e gli altri. Sei sparita all'improvviso e non abbiamo più saputo niente di te. E ora sei ricomparsa dal nulla e non vuoi neanche darci una spiegazione??”

Mentre me ne stavo andando, mi afferrò per un braccio e mi voltò verso di lui.

“Doremì, parlami dannazione!”

Senza rendermene conto il mio corpo reagì inconsapevolmente.

In un'unica mossa mi ero liberata dalla stretta di Tetsuya e lo avevo spinto a terra.

Mi resi conto di tremare e non volevo darlo a vedere.

Nella mia mente comparvero immagini confuse. Mani che mi afferravano, dolore, urla.

La testa mi stava scoppiando. “No non voglio ricordare!” ripetevo a me stessa.

“Doremì.. che hai? Che ti succede?”

Si stava avvicinando a me.

“NON TI AVVICINARE! - urlai – vattene!”

Lo vidi sconvolto e confuso.

“Mah..”

“VATTENE HO DETTO!”

Lui, sconvolto, non se lo fece ripetere e corse via.

Crollai a terra, stringendomi in un triste abbraccio. Continuavo a tremare ed il respiro si era fatto affannoso.

Non era la prima volta che mi succedeva. Erano attacchi di panico. Ormai facevano parte della mia vita ma negli ultimi tempi erano scomparsi.

Odiavo sentirmi così vulnerabile davanti agli altri.

Avevo imparato a difendermi dall'esterno, avevo addirittura imparato a difendermi ma era bastata una mano per far tornare tutto a galla.

“Non dovevo tornare a Misora” pensai.

Non volevo affrontare di nuovo tutto da capo. Non ne avevo le forze.

 

Quando suonò la campanella, diversi minuti dopo, stavo meglio. Non tremavo più e potevo tornare in aula.

I miei compagni non dissero niente della conversazione di prima e Tetsuya non si presentò in classe per il resto della giornata.

Finite le lezioni, presi le mie cose e me ne andai dall'aula. Dovevo ancora trovarmi un lavoro e comprarmi da mangiare.

All'uscita di scuola, però, c'era qualcuno che mi aspettava.

Eccole lì: ci mancavano solo loro. Le mie “amiche”.

Non avevo tempo da perdere anche con loro e per questo le oltrepassai.

“Doremì aspettaci!” disse Melody.

“Doremì!” urlarono le altre ma io ero già lontana.

Ero stanca, decisi di fare la spesa e tornare a casa. Avrei cercato un lavoro il giorno dopo.

Appena arrivata a casa buttai la cartella a terra e mi buttai sul letto. Non cenai neanche. Presi una foto da sotto al cuscino.

“Mi mancate” dissi e mi addormentai stringendo a me quella fotografia.




Ciao a tutti!
Volevo solo ringraziare tutti quelli che mi stanno scrivendo, facendomi sapere cosa pensano della storia etc..
Spero che anche questo capitolo non vi deluda!
A presto,

Alexis_92

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Capitolo 5
*** Quello di cui ho bisogno ***


CAPITOLO 4

 

Quando suonò la sveglia alle 7 del mattino, il sole già splendeva fuori dalla finestra.

Era il secondo giorno di scuola e già non volevo alzarmi dal letto. Mi alzai controvoglia e mi preparai per uscire di casa.

Mi diressi verso il locale del signor Gota che, come l'altro giorno, era strapieno di gente.

Entrai e subito il signor Gota mi venne incontro.

“Doremì sono felice di rivederti! Ti serve un tavolo?”

“Salve signor Gota. Le avevo detto che sarei tornata a trovarla. Comunque sono da sola, quindi credo che mi siederò al bancone se non le dispiace”

“Figurati. Accomodati pure e ordina tutto quello che vuoi a Jason – e mi indicò uno dei due ragazzi che avevo già visto ieri dietro al bancone – io torno da te tra cinque minuti che ti devo parlare” e detto questo scomparì tra la gente.

“Cosa vuoi?” mi chiese Jason.

“Non ti hanno insegnato le buone maniere? Comunque voglio una tazza enorme di caffè e quello che sta mangiando quel signore laggiù: non so cosa sia ma mi ispira. Grazie.”

“Ok tra un minuto ti porto l'ordinazione”

Mi schiarii la gola e Jason mi guardò storto.

“Prego” disse e se ne andò.

Risi tra me e me. Che ragazzo strano.

“Doremì eccomi di nuovo qua. Questa è mia moglie, la signora Saki”

“Piacere signora. Io sono Doremì Harukaze”

“ Piacere mio signorina. Avevi ragione caro, è proprio una signorina molto carina ed educata”

Quelle parole mi fecero piacere anche se mi imbarazzarono un po'.

“Sai cara è lei la ragazza di cui ti ho parlato l'altro giorno. Sta cercando un lavoro e ho pensato che potevamo assumerla qui da noi. Ormai siamo troppo vecchi per gestire tutte queste persone e il personale che abbiamo non ci basta più. Che ne pensi?” propose il signor Gota.

La moglie ci pensò un po' su. Mi squadrò per diverso tempo e questo mi rese nervosa.

“Massì caro, per me va bene. Può cominciare già da domani se vuole” e tornò alle sue faccende.

“Perfetto! Visto Doremì, sono riuscito a trovarti un lavoro. Non vedo l'ora che inizi!” disse tutto d'un fiato il signor Gota.

“Signor Gota non so come ringraziarla. Non se ne pentirà. Grazie ancora!”

“Ecco la tua ordinazione” non mi ero accorta dell'arrivo di Jason che nel frattempo mi aveva lasciato sul bancone la mia colazione.

“Jason tratta bene Doremì. Da domani lavoreremo tutti insieme.”

Il ragazzo fece un gesto come segno di aver capito e tornò al suo lavoro.

Guardai l'ora.

“Dannazione sono in ritardo” pensai.

Mangiai in fretta e presi il caffè che avrei bevuto per strada.

“Lascio i soldi sul bancone Jason. A domani!”

“A domani” mi rispose Jason. Mi sorrise anche, forse perchè sembravo una pazza con in bocca una fetta di pane ma non mi importò.

Corsi come una matta e ci mancò poco che non mi strozzassi.

Arrivai a scuola all'ultimo minuto.

Appena aprii la porta dell'aula, la classe si zittì improvvisamente.

“Evvai iniziamo bene” pensai.

Notai che Tetsuya era in classe e anche lui aveva smesso di parlare.

Andai al mio posto e quello che trovai forse doveva sorprendermi ma non fu così. Il mio banco era pieno di scarabocchi, insulti e tanto altro.

Tutti aspettavano una mia reazione. Pensavano che mi sarei messa a piangere o sarei scappata dall'aula, non so. Spostai la sedia e mi sedetti.

Alcuni compagni iniziarono a bisbigliare ma il tutto fu interrotto dall'arrivo dell'insegnante.

Era il secondo giorno e già mi ero fatta dei nemici. “Complimenti Doremì. Credo sia un nuovo record!” pensai.

Le ore passarono velocemente e quando suonò la campanella che segnava l'inizio della pausa pranzo, decisi che sarei andata a mangiare sul tetto.

Ma alcuni miei compagni non erano di quell'idea.

Si avvicinarono alcune ragazze, tra cui riconobbi Chika la ragazza curiosa del giorno prima, e buttarono già dal banco tutte le mie cose.

“Ehi Doremì. Ti sono cadute delle cose” mi disse Chika.

“Davvero? Non me ne ero accorta” risposi sarcastica e mi inginocchiai a terra per raccogliere tutto.

Appena appoggiai le mani a terra, Chika mi pestò la mano destra con il suo piede.

“Ops ti ho fatto per caso male?” e dicendo questo, aumentò la forza sulla mia mano.

“Chika adesso finiscila. Lasciala stare. Le fai male così” intervenne Tetsuya.

“Me la cavo da sola” gli dissi.

Chika tolse il piede dalla mia mano, che nel frattempo era diventata tutta rossa.

“Poverina. Guarda che mano. Vuoi andare dai professori a piangere?” mi disse Chika iniziando a ridere.

Che ragazzina stupida mi ero ritrovata come compagna di classe. Iniziai anche io a ridere.

“Che hai da ridere?” mi urlò la ragazza.

In un attimo le presi il braccio, glielo torsi dietro alla schiena e le sbattei il viso sul mio banco.

Fui così veloce che gli altri si resero conto di quello che avevo fatto solo quando il corpo di Chika aveva fatto rumore sbattendo contro il banco.

“Ehi lasciami pazza!” urlava Chika.

Mi chinai su di lei.

“Sai mi fai quasi pena. Prendersela con la nuova arrivata. Tu e i tuoi amichetti dovete proprio avere una vita patetica. Volevi farmi male pestandomi una mano? Volevi fare la bulla con me? Ahahah povera ragazzina. Con tutto quello che mi hanno fatto, questo è niente. Io non ho voglia di stare dietro a voi ragazzini ok? Quindi da oggi in poi ti conviene starmi alla larga perchè tu non lo sai, ma conosco mille modi per farti male. Posso farti male senza lasciare neanche un segno sul tuo corpo. Io so cosa vuol dire provare il dolore vero e tu non hai la minima idea di che cosa si provi.”

Vidi il terrore nel suo sguardo e in quello dei miei compagni. Mollai la presa sul braccio di Chika e uscii dall'aula.

“Doremì!”

“Si Tetsuya che vuoi ancora? Sono stanca e affamata. Posso andare a mangiare in pace?”

“Che cosa ti hanno fatto in questi due anni?”

Eravamo solo noi due nel corridoio. Lui voleva sapere e da come mi guardava capii che non si sarebbe mosso da lì senza una mia risposta.

Dovevo mordermi la lingua prima. Avevo detto troppo e forse Testuya aveva intuito qualcosa.

Lo guardai e l'unica cosa che gli dissi fu “Niente che ti piacerebbe sentire” e me ne andai, lasciandolo a sé stesso.

 

Sul tetto ripensai alla domanda di Tetsuya. In quel momento avevo avuto l'improvvisa voglia di raccontargli tutto, di abbracciarlo e piangere sulla sua spalla.

Il tono della sua voce era serio e come in passato era stato diretto nel chiedermi quello che voleva sapere.

Avevo deciso da tempo che non avrei raccontato più niente a nessuno. Nessuno mi aveva creduto in passato e nessuno mi avrebbe creduto oggi.

Nella mia testolina però una voce continuava ad assillarmi.

“E se Tetsuya fosse diverso? In fondo lui mi è sempre stato vicino e mi capiva” pensai.

Scossi la testa. Non potevo cascarci di nuovo. Lui non c'era stato in questi due anni. Avrebbe dovuto starmi accanto. Io avevo bisogno di lui ma lui non c'era.

Quando due anni fa ero stata costretta a lasciare Misora, avevo realizzato che la persona che mi sarebbe mancata di più sarebbe stata Tetsuya.

Non l'avrei mai detto. Avevo capito che il rapporto che c'era sempre stato tra noi non era semplice amicizia. Almeno da parte mia.

In due anni però le cose erano cambiate e tutti i sentimenti positivi che avevo provato un tempo, erano stati spazzati via dall'odio e dal rancore per quelle persone che anni prima avevo amato.

“Per anni ho pensato che i miei amici avessero bisogno di me, ma in realtà ero io che avevo bisogno di loro”.

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Capitolo 6
*** Lavoro di coppia ***


CAPITOLO 5

 

Ammettere a me stessa di aver bisogno di qualcun altro per andare avanti, era difficile. Mi ero ripromessa di contare solo su me stessa e per molto tempo lo avevo fatto. Non avevo avuto bisogno di nessuno per affrontare i miei problemi. Perché però mi è bastato rincontrare poche persone e tutte le mie certezze sono svanite come se non fossero mai esistite?

Si stava così bene sulla terrazza. Il vento mi scompigliava i capelli e mi faceva sentire bene, libera.

Il suono della campanella ruppe i miei pensieri.

“E' ora di tornare in classe” presi un bel respiro e mi alzai.

Se prima in classe percepivo tensione, ora c'era solo terrore verso di me. Ero la ragazza nuova e per di più violenta.

Nessuno incrociava il mio sguardo, tranne Tetsuya. Chissà perché non ne ero sorpresa.

Entro la professoressa Fujika e la lezione iniziò.

“Bene ragazzi oggi faremo una lezione un po' diversa dal solito. Vi dividerò in coppie e ad ogni coppia verrà assegnato un argomento che dovrete studiare e poi su di esso preparare una relazione. Il voto di questo lavoro varrà il 70 per cento sul voto finale, quindi fatelo bene. La relazione può anche includere foto, video e tutto quello che riterrete opportuno. Chiaro?”

“Si professoressa” rispondemmo all'unisono.

“Ok allora ora vi dirò le coppie. Premetto che gli accoppiamenti non sono soggetti a cambiamenti. Le coppie sono fatte da me e tali devono rimanere. Cominciamo”

“Chissà con chi finirò a lavorare. Di sicuro tutti staranno pregando di non capitare in coppia con me” pensai.

“Harukaze lei sarà in coppia con...”

In classe era calato il silenzio assoluto.

“Su ragazzi non vi sembra di esagerare? Non sono mica una serial killer” continuai a pensare.

“Trovato. Signorina Harukaze lei farà coppia con Kotake Tetsuya”

Sospirai rassegnata. Non mi potevo lamentare. Avrei preferito fare il lavoro da sola ma almeno Tetsuya era l'unico della classe che si degnava di guardarmi e parlarmi.

“Ora passiamo agli argomenti da assegnarvi. Questa scuola ha deciso di far affrontare ai propri alunni tematiche molto delicate che purtroppo sono assai frequenti ai giorni nostri. Tutto questo per sensibilizzare tutti su questi argomenti. Ora chiamerò un membro per ogni coppia e verrà ad estrarre da questa scatola il tema che dovrà affrontare”

“Doremì vuoi andare tu a scegliere?” mi bisbigliò Tetsuya.

“Ok va bene”

Arrivato il mio turno andai davanti alla cattedra.

“Speriamo almeno un po' di fortuna nell'argomento” pensai.

Estrassi il foglietto e non mi piacque per niente quello che c'era scritto.

“Allora Harukaze e Kotake il vostro compito sarà sulle adozioni e sui maltrattamenti sui minori. Questa era l'ultima coppia. La consegna del lavoro è tra due settimane. Ora disponetevi a coppie e iniziate a discutere del lavoro. Buon lavoro”.

Nelle mie mani stringevo ancora il foglietto. Con tutti gli argomenti proprio questo doveva capitarmi.

“Signorina Karukaze ora può tornare a posto” mi disse la professoressa.

Solo allora mi resi conto di essere ancora in piedi davanti a tutta la classe.

“Si mi scusi” e andai a sedermi vicino a Tetsuya.

“Ehi Doremì lo so che questo lavoro in coppia con me non ti va a genio, ma dobbiamo darci da fare se vogliamo passare il corso della professoressa Fujika”

“ Non hai idea di quanto non mi piaccia questo lavoro. Ma hai ragione, dobbiamo impegnarci. Hai già pensato a qualcosa?”

“Pensavo che potremmo vederci un paio di volte in queste settimane per fare il lavoro. Potremmo intervistare delle persone che hanno avuto queste esperienze e fare la relazione su questo. Magari facendo dei filmati o delle foto alle persone intervistate e poi scrivere una relazione. Che ne dici?”

“Si sono d'accordo. Però io dopo scuola non posso perché lavoro. Dovremmo incontrarci dalle sei in poi”

“Lavori? Come fai a lavorare e andare a scuola nello stesso tempo? I tuoi genitori te lo lasciano fare?”

“I miei dici? Non mi dicono niente”

“Ah ok.. beh se per te va bene possiamo vederci stasera per decidere le persone da intervistare e contattarle. Dove lavori? Posso raggiungerti lì quando hai finito”

“Lavoro al Pit Cafè. Lo conosci?”

“Si certo che lo conosco. Allora ci vediamo li per le sei” sembrava un bambino che ha appena ricevuto un bellissimo regalo. Sfoggiava un sorriso a trentadue denti. Gli sorrisi anche io, stranamente felice della cosa.

La lezione si concluse velocemente e io dovetti scappare perché quel giorno avrei iniziato il lavoro al bar.

Avevo già lavorato come cameriera e quindi mi adattai molto velocemente.

Il locale era talmente pieno che non mi fermai neanche un attimo. Tutti furono molto gentili con me, anche Jason.

Il signor Gota e la signora Saki erano una coppia straordinaria. Lei un po' goffa ma allo stesso tempo rigida e severa e il marito divertente e sempre sorridente. Si completavano in qualche modo.

“Chissà se un giorno anche io troverò qualcuno così” pensai.

Il campanello della porta mi riportò alla realtà.

“Benvenuto al Pit Cafè” dissi.

“Come siamo gentili. Ti fa proprio bene questo lavoro”

“Tetsuya non sapevo fossi tu. Che ci fai qui? Non sono ancora le sei.”

“Tetsuya caro che bello vederti!” - la signora Saki gli saltò letteralmente al collo.

“Nonna, dai, staccati. Così mi soffochi!!”.

Tetsuya era diventato terribilmente rosso e cercava in tutti i modi si scollarsi la donna di dosso.

“Tetsuya hai detto per caso nonna???” gli chiesi perplessa.

“Doremì conosci il mio bel nipotino?”

“Si nonna ci conosciamo da tempo”

La signora Saki ci fissò per un attimo come se avesse intuito qualcosa che alle altre persone era sfuggito.

“Quando ti ho detto che lavoravo qui, potevi dirmi che il locale era dei tuoi nonni!”

“E perché? Così saresti scappata a gambe levate anche da qui? Poi non mi sarei mai perso la faccia che hai appena fatto quando hai scoperto che sono miei parenti”

“Su Tetsuya lascia tranquilla Doremì. Vai a sederti laggiù così ti porto subito qualcosa da bere. Anzi Doremì portagli un bel caffè e poi per oggi hai finito. Così avete più tempo per fare quello che dovete fare. Ciao.” e detto questo se ne andò.

“Bene. Dove pensi di andare a studiare?” gli chiesi.

“A casa mia non si può perché i miei hanno organizzato una cena tra amici e ci sarebbe troppo casino per lavorare. Casa tua? Ai tuoi diamo fastidio? Poi è un sacco che non vedo loro e tua sorella. Così ne approfitto per salutarli!”

“Beh ecco.. non è possibile..”

“Ok allora che ne dici se per oggi rimaniamo qua. Tanto il lavoro da fare non è molto”

Optammo per rimanere nel bar e dopo diverse ore, riuscimmo a decidere quali persone intervistare e ci mettemmo d'accordo con loro per incontrarci. La professoressa ci aveva dato una lista di alcune persone che si erano rese disponibili per essere intervistate da noi.

Avevamo scelto quattro persone e la prima l'avremmo incontrata l'indomani a casa sua.

“Allora si è fatto tardi. Ti accompagno a casa su vuoi”

“Non ce n'è bisogno. Ci vediamo domani. Ciao” e mi dileguai il più in fretta possibile.

Se Tetsuya mi avesse accompagnato a casa avrebbe capito tutto.

Avrebbe visto che abito in un'altra casa, da sola. Mi avrebbe fatto un sacco di domande scomode. Come mai vivi qui? Come mai vivi da sola? Dove sono i tuoi genitori?

Ed io gli avrei semplicemente risposto dicendogli: “Sono tutti morti”.

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Capitolo 7
*** Intervista ***


CAPITOLO 6

 

Il giorno successivo passò velocemente e le sei arrivarono in un attimo.

Testuya mi aspettava fuori dal locale e insieme prendemmo un autobus per giungere all'appuntamento.

Il tragitto fu breve e trovammo facilmente la casa.

“Bene siamo arrivati. Non so perchè ma sono agitato. Tu?” disse Tetsuya rompendo il silenzio.

“E perchè dovrei essere agitata? Dai prima facciamo questa cosa e prima ce ne andiamo”

“Ah va bene. Che sciocco! Non c'è motivo per essere nervosi.”

Gli avevo risposto male di nuovo e lui c'era rimasto male per l'ennesima volta. Cercava di non darlo a vedere ma per me era come un libro aperto. Non volevo essere scontrosa ma in quel momento nella mia mente c'era una tale confusione che non sapevo che dire. Mi aveva chiesto se ero agitata. No non ero agitata, ero terrorizzata.

Vidi Testuya suonare il campanello e la porta si aprì.

“Buongiorno ragazzi.”

Ad aprirci la porta era venuta una signora intorno ai quarant'anni.

“Buongiorno signora. Siamo gli studenti che le hanno telefonato ieri. Lei è la Signora Mizuko giusto?” a parlare era stato Testuya.

“Si si certo sono io. Mi ricordo. Tu devi essere Tetsuya e questa signorina deve essere Doremì. Entrate pure, prego” e ci accompagnò in cucina.

“Prego ragazzi accomodatevi. Volete del tè caldo? Lo stavo preparando proprio adesso”

“Si grazie. Molto gentile.” rispondemmo.

Mentre la signora ci stava preparando il tè, Tetsuya si avvicinò.

“Tutto bene Doremì? Mi sembri strana” mi bisbigliò.

“Si sto bene tranquillo!”

“Da quello che mi avete detto al telefono mi pare di capire che dovete farmi alcune domande” disse la signora tornando con due tazze fumanti.

“Si esatto. Come le abbiamo spiegato ieri, noi siamo qui perché vorremmo intervistarla. Dobbiamo svolgere un lavoro sul tema delle adozioni e maltrattamenti sui minori e l'abbiamo contattata per avere delle informazioni a riguardo. Giusto Doremì?”

“Si giusto. Se non le dispiace vorremmo registrare il tutto”

“Oh si certo cari, fate pure. Non ho problemi”

“Allora che ne dice di iniziare a raccontare la sua storia?” propose Tetsuya.

“Beh da dove cominciare. Mi chiamo Nagisa Mizuko e venni adottata all'età di dodici anni. Mia madre morì dandomi alla luce e mio padre morì tempo dopo a causa della droga. Non avevo nonni o parenti e per questo venni affidata alla stato, il quale mi affidò alla mia prima famiglia.

Dovete sapere ragazzi che molte delle persone che decidono di prendersi in casa un orfano non lo fanno per il bambino o bambina ma lo fanno per i soldi. Ogni famiglia che decide di adottare un figlio riceve mensilmente un aiuto economico per il mantenimento del ragazzo in questione.

Quello fu il mio caso. Da quella famiglia non ricevetti neanche un briciolo di affetto. Solo indifferenza e cattiveria.”

“Cosa intende per cattiveria e indifferenza?” chiese Tetsuya.

“Prova a pensare alla tua infanzia. La tua famiglia ti ha amato, coccolato e sempre stata al tuo fianco. Io non ho avuto niente di tutto questo. Per loro era come se non esistevo. Mi davano il minimo necessario per vivere.”

“Ma io so che ogni ragazzo è seguito da un assistente sociale”

“Si vero. Io avevo il mio. Ma quando le persone che dovrebbero essere la tua famiglia ti minacciano e di obbligano a mentire alle persone che potrebbero aiutarti, cosa puoi fare? Io ero solo una ragazzina e dovetti crescere in fretta. Doremì hai delle domande anche tu?”

Avevo ascoltato parola per parola quello che la signora Mizuko ci aveva raccontato. Era tutto vero quello che aveva detto.

Avevo puntati su di me gli occhi della donna e questo mi spaventava.

“Cosa è successo dopo?” le chiesi.

“Passarono diversi mesi prima che succedesse davvero qualcosa. Il mio padre adottivo non era un ottimo esempio di padre. Era ubriaco tutto il giorno e quando gli eri tra i piedi sapeva come punirti. Sapete basta poco per far male ad un bambino. I miei genitori adottivi erano soliti spegnere le loro sigarette su di me, lasciarmi lividi sul corpo e non darmi da mangiare.

Ancora oggi, dopo tanti anni ho ancora i segni che mi ricordano quello che ho passato” e dicendo questo si tirò su le maniche della camicetta.

Potemmo notare i segni dove dove un tempo c'erano state le bruciature. Istintivamente mi toccai il braccio sinistro e questo destò l'attenzione della signora Mizuko.

“Cavolo. E nessuno non si è mai accorto di niente?” chiese Tetsuya.

“Ragazzo mio. Non hai idea di quante cose le persone non notino anche se le ritrovano davanti agli occhi. Nel mio caso è stata l'infermiera della mia scuola che si è accorta di tutto. Grazie a lei sono riuscita a denunciare la mia famiglia adottiva e ad andarmene da loro.”

“E poi? È stata affidata ad un'altra famiglia?”

“Si sono stata adottata da altri. In effetti sono stata adottata proprio dalla stessa infermiera che mi aveva aiutato. Ora lei è mia madre e ringrazio il cielo per averla incontrata.”

“Sono contenta per lei, davvero. Ha dovuto però affrontare momenti terribili. Doremì?”

“Si cosa c'è?”

“Non hai domande o qualcosa da dire? Non hai detto una parola per tutto il tempo”

Aveva ragione ma cosa voleva che dicessi. Io non avevo domande da fare. Io sapevo già tutto di quello che la signora aveva passato perché l'avevo passato sulla mia pelle.

Sentire quel racconto aveva riaperto vecchie ferite. Improvvisamente mi venne la nausea.

“Scusi mi può dire dov'è il bagno? Non mi sento molto bene” chiesi.

“Certo. In fondo al corridoio, l'ultima porta sulla destra”

Mi alzai di scatto e corsi verso il bagno.

Mi sentivo mancare.

Dopo qualche minuto qualcuno bussò alla porta.

“Doremì tutto bene?” era la signora Mizuko.

No non stavo bene.

“Si stia tranquilla. Non avrò digerito qualcosa che ho mangiato oggi. Arrivo tra un minuto”

Sentivo il mio cuore battere all'impazzata e respiravo a fatica. Proprio adesso doveva venirmi un attacco di panico?!

“Doremì posso entrare?”

“Davvero non ce n'è bisogno. Mi lasci stare!” senza rendermene conto le avevo appena urlato contro. Non volevo essere maleducata ma in quel momento volevo solo stare da sola.

“Non riesci a respirare vero?”

Silenzio.

Come faceva a saperlo? Io non avevo detto niente.

“Fai come ti dico. Fai piccoli respiri e butta fuori l'aria. Vedi che andrà meglio, poi risciacquati il viso con dell'acqua fredda. Io ti aspetto qui”

Feci come mi aveva detto e mi sentii meglio.

“Come faceva a..?”

“Non sai quanti attacchi di panico ho avuto in vita mia.”

Silenzio.

“Vuoi parlarne?”

“Parlare, di cosa?”

“Avanti Doremì. So riconoscere quelli come me.”

“Non so di cosa sta parlando”

“Quando la gente viene a sapere del mio passato, hanno tutti la stessa reazione. Sono dispiaciuti, provano pena per me e reagiscono proprio come ha fatto il tuo amico Tetsuya. Tu invece mi hai a malapena ascoltato come se sapessi già di costa stavo parlando. I tuoi occhi poi..”

“Cosa hanno i miei occhi adesso?”

“ Sono gli occhi di una ragazza che ha dovuto vedere e sopportare cose terribili. Sono gli occhi di chi ha sofferto”

Quella donna, appena conosciuta, aveva capito tutto quello che le altre persone non avevano mai visto dentro di me.

Perchè solo lei sapeva?

Aprì la porta e mi gettai tra le sue braccia. La signora Mizuko mi abbracciò. Da quanto tempo una persona non mi abbracciava così. Scoppiai a piangere come una bambina e non riuscivo a fermarmi.

“Non lo dica a Tetsuya la prego. Non voglio che lo sappia.”

“Tranquilla. L'ho mandato a comprarti delle medicine qui vicino.”

“Grazie.”

“Dovrai parlarne prima o poi con qualcuno Doremì”

“Lo so. Ma non sono ancora pronta”.

Quando Tetsuya tornò dalla farmacia salutammo la signora e ce ne andammo.

“Ehi Doremì sicura di stare bene adesso?”

“Si sto bene adesso. Non vedo l'ora di andare a casa e farmi una bella dormita”

“Si anche io. Quello che abbiamo sentito oggi mi ha colpito sai”

“Non sono cose belle da sentire”

“Lo so. Sono cose che uno non si immaginerebbe mai e sentirle raccontarle da chi le ha vissute è sconvolgente. Pensa se fossero successe a qualcuno che conosciamo. Non so come avrei reagito”

“Come tutti gli altri. Difficilmente la gente crede a queste cose e se lo fa cambia. Inizia a compatirti e a trattarti come se fossi una malata.. almeno così ho sentito. Ora è meglio che vada”

Faccio per andarmene ma mi accorgo di una cosa. Non ho le chiavi di casa. Le avevo messe in tasca e ora non c'erano più.

“Cavolo mi saranno cadute nel bagno della signora Mizuko!” pensai.

“Tetsuya!”

“Si che c'è?”

“Ho dimenticato le chiavi di casa a casa della signora Mizuko e ora non posso entrare in casa”

“Accidenti. Beh domani passiamo a prenderle. Ormai siamo lontani per poter tornare indietro. Chiama i tuoi e fatti aprire da loro quando sei a casa.”

Già, i miei. E ora cosa faccio?

“Non possono Tetsuya.”

“Perchè? Sono via?”

“Si non tornano stasera. Adesso lo so che ti chiedo troppo ma..”

“Ma cosa?”

“Posso stare da te per stanotte?” gli chiesi tutto d'un fiato.

 

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Capitolo 8
*** A volte quello che serve è solo un abbraccio ***


CAPITOLO 7

 

“Posso stare da te per stanotte?” gli chiesi tutto d'un fiato.

Ecco cosa avevo appena chiesto a Tetsuya.

“Che cavolo mi è passato in mente di chiedergli?” pensai immediatamente.

Le parole erano uscite dalla mia bocca come se niente fosse e vedevo che Tetsuya era rimasto sorpreso quanto me dalla mia richiesta.

Fu proprio lui a rompere il silenzio per primo.

“A casa mia? I tuoi genitori non ti staranno aspettando a casa?” mi chiese.

“Già.. - dovevo inventarmi qualcosa- ma adesso che ci penso mi avevano detto che avrebbero passato la notte fuori e senza le chiavi non posso entrare in casa” dentro di me speravo credesse alla mia storia.

“Ah ok. Si per me non c'è problema. I miei saranno contenti di rivederti. Dai andiamo”

Per fortuna ero riuscita a cavarmela stavolta ma dovevo stare più attenta.

 

Quando arrivammo a casa di Tetsuya però trovammo un biglietto dei suoi genitori che lo informavano che per un paio di giorni sarebbero stati dalla zia di Tetsuya che si era ammalata.

“A quanto pare vedrai i miei un'altra volta Doremì. Stasera siamo solo noi.”

“Ok ancora grazie comunque”

“Figurati. Ordino da mangiare, vuoi qualcosa in particolare? Una bistecca?” disse sogghignando.

“E' ironia quella che sento? Comunque qualsiasi cosa va bene per me” - Tetsuya non poteva sapere da quanto tempo era che non mangiavo una bistecca.

Dopo cena guardammo per un po' la televisione ma non resistemmo a lungo perché eravamo stanchissimi.

“Doremì ti ho messo sul letto dei miei vestiti puliti . Per il resto fai come se fossi a casa tua. Puoi dormire in camera degli ospiti; se hai bisogno di qualcosa io sono nella camera affianco.”

“Grazie. Allora notte”

“Notte”

Tetsuya rimase sulla porta per un paio di secondi come se volesse dirmi qualcosa ma poi sembrò cambiare idea e andò nella sua stanza.

 

Ero a letto ormai da un paio d'ore e non ero ancora riuscita ad addormentarmi. Continuavo a pensare alla storia della signora Mizuko e a quante cose avessimo in comune. Non riuscivo a smettere di pensarci.

Improvvisamente sentii un rumore fuori dalla stanza e scattai come una molla.

“Doremì respira. Non c'è nessuno in casa a parte Tetsuya e te. E' solo la tua immaginazione.” pensavo tra me e me.

Ancora quel rumore.

Ogni fibra del mio corpo era in allerta. Cominciai a sudare freddo.

Mi alzai dal letto e quando aprii la porta vidi il colpevole.

Un gatto. C'era una maledettissimo gatto che giocava nel corridoio.

“Al diavolo anche il gatto” pensai.

Mi era bastato un rumore ed ero andata in tilt.

“E' meglio tornare a letto” mi dissi.

O almeno avrei voluto tornare a dormire ma quando mi girai a guardare la stanza, qualcosa cambiò.

La stanza era buia, silenziosa.

La mano che attimi prima era appoggiata sul pomello della porta, ora tremava.

Buio, urla, dolore.

I ricordi dolorosi del mio passato riaffiorarono violentemente nella mia mente.

Non volevo stare lì da sola, di nuovo.

Il mio corpo si mosse da solo. Dovevo allontanarmi da quella stanza.

Entrai nella stanza di Tetsuya. Stava dormendo nel suo letto quando, sentendomi entrare, si svegliò.

“Doremì.. che succede? “ mi chiese ancora assonnato.

“Io..non..”

“ Cosa? Non capisco quello che dici Doremì”- si stava preoccupando.

Alzai la testa e quando incrociai il suo sguardo, crollai.

Sentivo le lacrime bagnarmi il viso e non riuscivo a smettere.

“Ti prego non mi chiedere niente, ti prego. Ho solo bisogno di te, adesso. Non te ne andare anche tu” - era quasi una supplica la mia.

“Vieni qui” - è l'unica cosa che mi disse e io non me la feci ripetere due volte.

Corsi verso il letto e lui mi strinse forte a sé.

Piansi, piansi tanto. Ogni lacrima che scendeva dal mio viso racchiudeva parte del dolore che da tempo avevo nascosto dentro di me.

“Tranquilla Doremì. Non vado da nessuna parte senza di te”- fu l'ultima cosa che sentii prima di perdermi nel suo caldo abbraccio.

 

 

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Capitolo 9
*** Fidarmi o non fidarmi? ***


CAPITOLO 8

 

La mattina fui svegliata dai raggi del sole che entravano dalla finestra. Era una sensazione gradevole e rilassante. Sentivo il cinguettare degli uccellini e il brusio delle persone per strada.

Strinsi a me il cuscino per non far scappare quel poco di tepore che era rimasto nel letto, quando improvvisamene mi resi conto di dov’ero.

Mi alzai di scatto e mi guardai intorno. Ero in camera di Tetsuya, nel suo letto. Lui non c’era. Ripensai alla sera prima, alle lacrime che avevo versato. Povero Tetsuya. L’ultima cosa che ricordo sono le sue braccia strette intorno a me e la sua voce rassicurante.

“Accidenti Doremì che diavolo ti è preso!” pensai.

Ad un tratto vidi la porta della stanza aprirsi e Tetsuya entrare. Non si era accorto che mi ero svegliata, anche perché era intento a non far rovesciare il vassoio che aveva tra le mani.

“Buongiorno” gli dissi.

Preso alla sprovvista per poco Tetsuya non fece cadere l’intero vassoio e tutte le leccornie che c’erano sopra.

“Cavolo Doremì, c’è mancato poco!”

Non potei non ridere. E lui rise con me.

“Pensavo dormissi ancora. Quando me ne sono andato dormivi beata” mi disse.

“Mi sono svegliata da poco. Cosa c’è di buono sul quel vassoio? E per me?”

“Beh diciamo che dopo ieri sera pensavo avessi bisogno di una colazione sostanziosa e così ecco le mie specialità: pancakes con gocce di cioccolato e infine una buonissima tazza di caffè bollente”

“Non dovevi, davvero. Ti chiedo scusa per ieri sera, non so cosa mi sia preso, per di più non dovevo venire qui da te e farti passare una nottataccia. Conoscendomi ti avrò stritolato tutta la notte”

“Ad essere sincero quella parte non mi è dispiaciuta affatto” mi rispose con un sorriso sornione.

Non mi aspettavo una risposta del genere e mi spiazzò.

Tetsuya penso notò il mio leggero imbarazzo e deviò la conversazione sui pancakes.

“Per scusarti allora non puoi non assaggiare i miei pancakes. Sono buonissimi fidati!”

“Va bene, va bene. Li assaggio.”

Diedi un morso.

“Allora? Ti piacciono?”

“Mmh...”

“Mmh cosa?”

“Sono… sono buonissimi!! Non ne ho mai mangiati di così buoni!”

“Ahaha te l’avevo detto io. Questa è la ricetta segreta di mio nonno.”

“È bravo il signor Gota”

Finito di mangiare, decidemmo di tornare dalla signora Mizuko e riprendermi le chiavi di casa.

Durante il tragitto Tetsuya non menzionò minimamente quello che era successo prime e per questo gliene fui grata.

Quando arrivammo davanti la casa di Mizuko suonammo ma nessuno venne ad aprirci. Le telefonammo e la signora ci disse che sarebbe arrivata tra una mezz’oretta e così decidemmo di andare a sederci in un parco che avevamo visto durante il tragitto.

Il parco era stupendo. Non era molto affollato e forse era meglio così perché il rumore della gente avrebbe interferito con il fruscio delle foglie degli alberi e l’armonia della natura.

Gli alberi che circondavano il parco erano ciliegi in fiore, i quali rendevano quel luogo incantato e sublime.

Mi sedetti su una panchina e Tetsuya mi imitò.

“È proprio un bel posto” disse Tetsuya rompendo il silenzio.

“Si davvero magnifico. Mi sono sempre piaciuti i ciliegi”

Sapevo che questo silenzio sarebbe durato poco ma dentro di me speravo non finisse tanto presto.

“Doremì…”

“Si dimmi”

“Che cosa è successo stanotte? Non ti ho mai visto in quello stato. È vero che forse non ho il diritto di chiedertelo ma…”

“Non ho voglia di parlare di quello che è successo” dissi interrompendolo.

“Vedo come ogni volta cambi umore quando tocco certi argomenti e non capisco. Aiutami a capire Doremì. Dimmi cosa posso fare per aiutarti. Fidati di me.”

“Perché?” sentivo salirmi le lacrime agli occhi ma non volevo piangere.

“Perché cosa?” insistette il ragazzo.

“Perché insisti nel voler sapere tutto! Che diritto hai di chiedermi di fidarmi te! Dov’eri quando avevo più bisogno di te! Ho passato l’inferno negli ultimi due anni e con me non c’era nessuno! Sono dovuta crescere troppo in fretta e imparare a cavarmela da sola. I miei amici, le persone a me care mi hanno abbandonato come se niente fosse. Come puoi chiedermi di fidarmi ancora di qualcuno?”

“Io…”

“Smettila! Sono stufa di sentire le scuse delle altre persone. Ci sono stati momenti in cui ho voluto davvero farla finita. Il mio unico pensiero era che se me ne fossi andata per sempre, nessuno se ne sarebbe accorto!”

“Non ti azzardare a dire un’altra volta una cosa del genere! Ci sono io! IO mi sarei accorto della tua assenza! Doremì... puoi urlarmi addosso quanto vuoi. Vuoi picchiarmi? Fallo! Se sfogarti così ti servirà allora sono qui. Mi dispiace di non esserci stato quando avevi bisogno di me. Se solo avessi saputo… Sei sparita all’improvviso e non avevo modo di contattarti. Non immagini per quanto tempo ti abbia cercato. Ma ero solo un ragazzino che cosa potevo fare?”

Le parole di Tetsuya mi arrivarono come uno schiaffo in faccia. In tutto questo tempo non avevo mai pensato a quello che avevano sofferto le altre persone. Avevo sempre dato per scontato che tutti mi avessero dimenticato con facilità e invece qualcuno mi aveva cercato. Qualcuno aveva pensato a me e non si era scordato della mia esistenza. C’era Tetsuya.

“Mi dispiace…” non avevo mai visto Tetsuya in quello stato e capii che in questi anni il rimorso di non avermi trovato e di non sapere dove fossi lo aveva consumato da dentro.

“Tetsuya guardami.”

Alzò lo sguardo e mi guardò.

“Non scusarti con me. Non è stata colpa tua. Non dovevo incolparti di quello che mi è successo. Ho sofferto così tanto che il dolore pian piano si è trasformato in odio verso gli altri e verso me stessa. Quindi ti chiedo scusa Tetsuya. Scusa per aver riversato su di te tutto questo odio. Sono così piena di rancore verso tutto e tutti che ora ho paura di non riuscire più a tornare indietro. Non sai cosa darei per tornare a quando vivevo spensierata e non conoscevo i mali del mondo. Vorrei tornare a scherzare e ridere con te come se fosse la cosa più naturale possibile. Ma ho paura. E se non ce la facessi?”

“Ce la faremo insieme. Io e te. Doremì e Tetsuya.”

E mi abbracciò. Mi strinsi forte a lui e capii che avevo trovato la mia persona. La persona a cui raccontare tutto, la persona di cui fidarmi.

“Non sono più sola” pensai.

 

Più tardi riuscii a recuperare le chiavi di casa mia e appena ci tornai, crollai esausta nel letto.

La giornata era stata lunga e il giorno dopo sarebbe stato ancora peggio perché dopo tanto tempo avrei rivelato per la prima volta a qualcuno il mio doloroso passato.

 

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