People Grow Apart But Love Doesn't

di teensyears
(/viewuser.php?uid=719494)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Back to work ***
Capitolo 2: *** Could it be? ***
Capitolo 3: *** Past shadows ***
Capitolo 4: *** Again ***
Capitolo 5: *** Here ***
Capitolo 6: *** Make the choice ***
Capitolo 7: *** Learning how to trust again ***
Capitolo 8: *** The offer ***



Capitolo 1
*** Back to work ***


A/N: Questa è la mia prima storia a più capitoli e non vedo l'ora di continuarla! Volevo solo informarvi che questa storia contiene degli SPOILER  inerenti alla 17esima stagione della serie - ovvero la più recente, già andata in onda in America -, al momento stanno girando la 18esima serie, però metà degli episodi sono già andati in onda in Italia, mentre l'altra metà deve essere ancora tradotta. I personaggi principali saranno tutti presenti e la storia non verrà in alcun modo modificata ad eccezione del fatto che Rollins aspetti un bambino. In questa storia la sua gravidanza non è prevista, ma bensì è previsto il ritorno di un personaggio portante della serie. Avrete, probabilmente, capito di chi si tratta o almeno spero. Non mi è andata giù il modo in cui l'abbiano fatto uscire dalla serie, un'uscita di scena veramente povera di scrittura e totalmente OOC. Buona lettura!




12 Settembre 2016


Olivia stava sistemando alcune scartoffie sulla sua scrivania, con l’intento di fare un po’ d’ordine, quando la porta del suo ufficio si spalancò violentemente.
“Carisi, che delicatezza” disse Olivia in direzione del detective, facendo calare i suoi occhiali fino alla punta del naso.
“Scusi tenente, ma abbiamo un’emergenza” rispose l’uomo.
Olivia posò i suoi occhiali sul tavolo e si alzò, dirigendosi verso l’uscita del suo ufficio: “Cosa abbiamo?” chiese lei.
“E’ in corso una sparatoria sulla Fifth Avenue, forse Rollins è stata colpita”.
L’espressione sul volto di Olivia cambiò di colpo e senza battere ciglio, si mosse verso l’uscita dell’Unità con Carisi che si affrettava a seguirla in silenzio.


 
****
 
Arrivati sul posto, l’ambiente era circondato da polizia, persone a terra, sangue ed un gran trambusto.
Il tenente si fece largo tra la folla, mostrando il suo distintivo ed avvicinandosi ad uno dei pochi volti noti che aveva riconosciuto.
“Fin, che cosa è successo?”.
“Un uomo aveva una donna come ostaggio, probabilmente era in stato confusionale e ha iniziato a sparare all’impazzata sulla folla. Il motivo della sparatoria è ancora incerto, la donna è stata portata in ospedale, lui è morto e ci sono 3 feriti” fece un gran respiro Fin, “tra cui Amanda…”.
“Fin, tu e Carisi andate in ospedale e accertatevi delle condizioni di Rollins e delle persone coinvolte” ordinò Olivia “io cerco di dare un senso a questa situazione”.
I due detective annuirono e si avviarono verso l’auto di servizio.
Olivia sorpassò i nastri della polizia e si avvicinò agli uomini della scientifica.
“Olivia, ti stavo aspettando” disse Melinda “i tre feriti per fortuna non sono gravi, è finito tutto piuttosto in fretta”, rialzandosi da terra.
“Sappiamo l’identità di quest’uomo?” domandò la donna.
“Bianco, 40 anni. Il suo nome era Mike Salty, si è sparato con la sua pistola. In molti affermano che non fosse in sé al momento dell’aggressione, ma ti saprò dire di più quando sarà sul mio tavolo” rispose il medico legale.

 

**** 
“Stiamo cercando Amanda Rollins, è stata colpita da un proiettile durante una sparatoria, è una detective dell’Unità Vittime Speciali” disse Fin all’ingresso dell’ospedale.
“E’ stata fortunata” disse la dottoressa, facendo segno ai detective di seguirla “un proiettile è entrato ed uscito, sfiorando i polmoni. Per fortuna niente di grave, gliel’abbiamo appena estratto. Dovrà stare a riposo per un paio di settimane, ma si rimetterà senza alcun dubbio. Potete parlarle”.
Fin e Carisi entrarono nella stanza illuminata dal caldo sole estivo e trovarono Rollins seduta sul letto che stava cercando di convincere l’infermiere accanto a lei di star bene.
“Non si preoccupi” esclamò Fin in lontananza “ce ne occupiamo noi, grazie”.
Amanda si voltò nella loro direzione, lasciandosi sfuggire un lungo sospiro.
“Ti hanno appena estratto un proiettile e sei così testarda da voler andare a casa?” domandò Fin, con un tono eccentrico.
Rollins abbozzò un debole sorriso, rimettendosi sdraiata nel letto; Carisi si accomodò sulla sedia accanto a lei, mentre Fin rimase in piedi.
Amanda Rollins era sempre stata una persona testarda, una detective tenace e piena di energia, pronta a rischiare la sua vita per salvare le persone in difficoltà. Restare in un letto d’ospedale non era propriamente la sua idea di giornata ideale, perché essendo una persona non abituata a restare “in panchina”, non vedeva l’ora di ritornare al lavoro.
“Lo sai come la penso, Fin” rispose sarcasticamente.
Fin si avvicinò lentamente alla sua collega e le raccolse le mani in una forte stretta: “Purtroppo lo so, ma ora devi rimanere qui e rimetterti in forma. Non voglio vedere la mia partner rischiare la vita ancora un’altra volta” le sorrise lui.
Amanda alzò il viso per poter guardare il suo collega negli occhi. Diede una leggera scossa alle sue mani e gli sorrise a sua volta.
La donna era profondamente grata ad avere un collega come Fin. Si preoccupava sempre per lei e si era da sempre rivelato un amico con il quale poteva parlare di tutto, con il quale confidarsi e fidarsi. Si coprivano le spalle a vicenda.
“Ci sono stati dei morti?” chiese la detective in direzione di Carisi.
Il giovane detective scosse la testa: “Solo dei feriti, fortunatamente. Io e Fin stiamo andando ad interrogarli” disse mentre si alzò dalla sedia, “cerca di tornare presto”.
Rollins gli sorrise e salutò i suoi due colleghi.


 
****
I detective passarono circa un’ora in ospedale, sentendo i tre testimoni della sparatoria avvenuta in mattinata.
Tutti e tre raccontavano la stessa storia: un uomo spunta dall’angolo della strada, con una donna al seguito, impaurita e con il volto in lacrime. Nessuna traccia di una potenziale arma inizialmente, ma l’uomo trascina la donna con violenza nei pressi della banca più vicina: è proprio in quel momento che la donna cerca di opporre resistenza e l’uomo estrae la pistola dai pantaloni. Sfortunatamente i 3 innocenti si ritrovano con un proiettile conficcato in diverse parti del corpo, ma quando la situazione sembra star degenerando, si sente il rumore delle sirene delle polizia da lontano e l’uomo in preda alla follia, si spara, cadendo a terra.
Dopo aver raccolto tutti gli appunti inerenti al fatto, finalmente i due si dirigono dall’ultimo testimone, la vittima di tutto il racconto.
Mentre si avvicinavano al corridoio che portava alla sua stanza, notarono delle persone vestite in tiro, che facevano avanti ed indietro con aria sospetta.
“Detective Carisi e Tutuola” si presentò Sonny ad uno degli uomini “dobbiamo parlare con la signora Sherman”.
“Spiacente, la signora Sherman è stata appena dimessa” disse l’uomo di colore, innalzando un sopracciglio “agente Walter dell’FBI”.
“Cosa c’entra l’FBI con la nostra vittima?” domandò Fin, visibilmente confuso.
Un altro uomo si avvicinò al gruppo di persone e con tono serioso rispose: “Non possiamo darvi informazioni ora, sappiate solo che il caso passa a noi ora. Potrete interrogarla in tarda mattinata, alla nostra Unità, vi chiameremo più tardi per tutte le informazioni”.
Dettò ciò, gli agenti federali si allontanarono, lasciando i due detective a mani vuote.
                                                                          
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Could it be? ***


“Come sarebbe a dire che il caso passa nelle mani dell’FBI?” domandò spazientita Olivia, inarcando il sopracciglio destro.
“Dovevamo interrogare la signora Sherman, quando due agenti federali ci hanno comunicato che era stata appena dimessa” rispose Carisi, confuso tanto quanto il suo comandante.
Olivia ritornò nel suo ufficio, aspettando la telefonata che gli agenti le avevano promesso.
I suoi detective si erano subito rimessi al lavoro, ignorando l’avvertimento lasciato dalla squadra dell’FBI.
La Warner aveva informato Olivia che l’aggressore, Mike Salty, era effettivamente sotto effetto di sostanze stupefacenti e non era in grado di controllare le sue azioni, al momento dell’avventato gesto. Il medico legale teneva, inoltre, ad informare il tenente dell’Unità Vittime Speciali che l’uomo aveva un tatuaggio sull’estremità del braccio sinistro, vicino al polso. Il piccolo disegno raffigurava un teschio con due iniziali non facilmente visibili ad occhio nudo: G/C.
Fin aveva scoperto che era il segno di appartenenza ad una gang. Salty aveva dei precedenti penali; era stato due volte in prigione per furto.  Nel periodo di permanenza in carcere, si scoprì che era stato posseduto sessualmente dalla “Group Company”, una banda di trafficanti russi. Scontati i suoi 6 anni in galera, riuscì ad uscire per buona condotta. Le accuse a suo carico, però, non erano finite lì. Durante gli anni successivi, venne accusato di traffico di droga, tentato omicidio e altri furti: i casi si erano conclusi senza nemmeno arrivare in aula ed il che era piuttosto sospetto. Ma qual era il suo legame con la vittima? Perché l’avrebbe presa in ostaggio?.
 


****
Olivia doveva ammettere che la sede dell’FBI era molto più curata e ben fornita della loro. Apparecchi elettronici di alta qualità, agenti che facevano avanti ed indietro dagli ascensori degli uffici, telecamere ovunque ed un sacco di dispositivi di sicurezza.
“Tenente Benson?” si sentì chiamare da dietro.
Olivia si voltò e annuì: “Sì, piacere” disse, porgendo la sua mano all’uomo.
L’uomo gliela strinse calorosamente.
“E’ un piacere conoscerla! Agente Walter, mi sono già presentato ai suoi detective. Mi dispiace di averle fatto fare tutta questa strada” disse, indicando la direzione verso il suo ufficio.
“Non si preoccupi, non è una novità” rispose Olivia, mantenendo un tono distaccato.
“Suppongo che vorrà interrogare la signora Sherman”.
“Ci può scommettere” ribattè lei.
“La stanno accompagnando in sala interrogatori con i detective che si occupano del caso. La informo che dovrà rimanere con noi e che non sarà possibile trasferirla alla vostra Unità” spiegò l’agente Walter, invitandola a sedere.
“No grazie, rimango in piedi” disse “Salty era vittima di violenze sessuali. Teneva in ostaggio questa donna, una nostra detective è in ospedale… non vedo come il caso possa essere di vostra competenza”, concluse Olivia.
“La signora Sherman è nel programma di protezione. Lei e Salty avevano una storia, probabilmente iniziata nel 2005 e finita poco dopo che lui entrasse in carcere. Venuta a sapere del suo passato, lo lasciò di punto in bianco, senza che lui potesse spiegarsi” iniziò il detective, mentre porse una tazza di caffè ad Olivia.
Olivia lo ringraziò e si mise a sedere, intenta a seguire il discorso dell’agente.
“In cella, entrò a far parte di una banda. Lo possedevano fisicamente e lo sfruttavano ogni volta che potevano. Quando si accorsero di come lui fosse la vittima perfetta, perché non aveva il coraggio di denunciare gli abusi subiti, iniziarono ad infliggergli sempre più dolore. Una volta uscito dal carcere lo ricattarono, perché aveva dei debiti di gioco non ancora estinti. Così incominciarono a fargli fare dei piccoli lavoretti: traffico di droga, piccoli furti per riciclare denaro sporco e così via. In cambio, facevano cadere le accuse contro di lui, qualora venisse beccato dalla polizia. Maria Sherman, sua compagna di giochi d’azzardo, aveva anche lei dei debiti con loro, ma per lo più cose di poco conto. Aveva minacciato di raccontare tutto alla polizia, così quei bastardi ordinarono al povero Salty di ucciderla. Lui non era in grado, perché era ancora innamorato di lei: così pensò che la droga potesse aiutarlo. Questo spiega tutta la messa in scena e il gesto avventato di Salty a puntarsi la pistola contro” disse tutto d’un fiato Walter, scosso dall’intera vicenda.
Olivia sorseggiava lentamente il suo caffè, mentre ascoltava attentamente il racconto agghiacciante.
“Quindi ora la signora Sherman dovrà cambiare identità?” domandò lei, sapendo già la risposta.
L’agente si limitò ad annuire, sedendosi di fronte ad Olivia.
“Sono state coinvolte troppe persone in questa storia e la mia squadra non vuole tirarsi fuori. Fateci collaborare con voi, possiamo aiutarvi” disse il tenente, cercando un contatto visivo.
“Non sono io a prendere queste decisioni, ma il mio supervisore… Comunque ora potrà interrogare la vittima e gli altri agenti le spiegheranno tutto per quanto riguarda la sua nuova identità”.
Olivia diede uno sguardo all’uomo seduto di fronte a sé e fece un cenno di consenso con il capo.
Walter si alzò in piedi, chiedendo ad Olivia di seguirlo nella stanza degli interrogatori, dove avevano fatto accomodare la signora, in attesa di poter essere finalmente interrogata.
Una volta arrivati, Olivia lo ringraziò e si scambiarono un’altra stretta di mano.
Il detective che sostava alla porta la fece entrare e la invitò ad accomodarsi in attesa del suo supervisore.
Passò giusto un minuto, prima che la porta si spalancò di nuovo ed una voce maschile interruppe il silenzio.
“Scusi per il lieve ritardo, ma oggi è una giornata veramente intesa qui in sede… Mi permetta di…” l’uomo non fece in tempo a finire la frase, perché Olivia si alzò di scatto.
Non poteva essere, non era vero. Forse in un universo parallelo, ma non qui, non ora, non adesso.
Olivia ancora girata di schiena, si armò di tutto il coraggio che aveva per riuscire finalmente a voltarsi.
Quando finalmente i loro occhi si incrociarono, Olivia sapeva che non avrebbe potuto resistere.
Resistere a cosa? All’intento di scappare? Di piangere? Di tirare un sospiro di sollievo?.
“Li- Olivia?” un sussurro, quasi impercettibile.
Olivia avvertì un senso di bruciore agli occhi. La visione diventava sfocata, la sua mente si stava annebbiando, ma quella voce l’avrebbe riconosciuta ovunque, anche ad anni di distanza.
“Elliot” disse lei, con un tono di voce basso, affranto, deluso.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Past shadows ***


Erano passati secondi, minuti interi e Olivia continuava a guardare la figura maschile davanti a sé.
Elliot Stabler.
Il suo partner.
Ex-partner.
Collega per 12 anni.
Cosa ci faceva all’FBI? Ma soprattutto da quanto lavorava lì?
“Non sapevo che… che tu ti occupavi del caso” balbettò Elliot, continuando a fissare i bellissimi occhi castani che lo guardavano intensamente.
Elliot era rimasto sempre lo stesso di sempre, certo si facevano evidenti i segni dell’età sotto i suoi occhi ed i suoi capelli stavano acquisendo una leggera sfumatura di colore grigiastro. Era sempre in ottima forma, forse più di quanto lo era in passato. I suoi muscoli erano facilmente notabili anche sotto la camicia e Olivia malediceva se stessa per non riuscire a controllarsi nel divorarlo con gli occhi. I suoi occhi azzurri continuavano a cercare il castano dei suoi, ma Olivia non resistette al contatto. Non sapeva descrivere che emozioni stesse provando in quel momento, ma erano un mix di stupore, felicità, confusione, gioia, rabbia e delusione.
“Già” fu tutto quello che uscì dalla bocca di Olivia.
“Dannazione Olivia, non potevi dire qualcosa di più intelligente?” si chiedeva tra se e sé.
Elliot non potè fare a meno di scrutare il corpo della sua partner: era più bella dell’ultima volta che l’aveva vista. Certo, che Olivia fosse una bella donna, nessuno l’aveva mai messo in discussione. I suoi capelli castani erano divisi da una riga centrale ed erano perfettamente lisci e le cadevano delicatamente sulle spalle. Il suo fisico era accentuato dalle curve sui fianchi che la rendevano ancora più stupenda.
“Puoi interrogare Maria Sherman, io aspetterò fuori” disse Elliot, dopo che lunghi attimi di imbarazzante silenzio facevano da sfondo alla buia stanza.
Olivia annuì e si recò dalla testimone: entrambi dovevano mantenersi professionali perché non erano soli. Avrebbero avuto modo di parlare più tardi. O così almeno speravano.
 

****

“Sono il tenente Benson” si presentò Olivia, porgendole lentamente la mano “mi sto occupando del suo caso”.
Maria Sherman gliela strinse debolmente; il suo sguardo era confuso, probabilmente era ancora sotto shock.
“Così ora il suo nome è Virginia Frost” disse Olivia, cercando di metterla a suo agio “lo trovo carino”.
Le labbra della donna si curvarono, dando origine ad un piccolo sorriso.
“Sa già tutto immagino” parlò finalmente la testimone, alzando lo sguardo dal tavolo.
“Sì” annuì Olivia “ma ho bisogno di sapere i nomi di chi fa parte di questa gang”.
La donna abbassò nuovamente lo sguardo. Le sue mani si intrecciarono le une con le altre ed iniziarono a tremare; un lungo sospiro lasciò la sua gola.
“Il capo dell’organizzazione” iniziò lei con voce tremante “si chiama Riev Dijokovick… è lui che ha ordinato a Mike di farmi fuori”.
Olivia le diede qualche minuto per calmarsi, prima di continuare il racconto. Maria Sherman era spaventata e il suo stato d’animo era facilmente comprensibile.
“Non so chi siano gli altri componenti… Li conosceva solo Mike. Io ho avuto a che fare solo con Riev, che è il più spietato di tutti. Giocavamo tutti i Martedì, Venerdì e Sabato all’hotel vicino alla Fifth Avenue… dove Mike mi ha aggredita” singhiozzò Maria “l’hotel è di proprietà della loro organizzazione ed i controlli erano molto pochi, se non inesistenti. Le partite si svolgevano nello scantinato… era immenso”.
Olivia appoggiò una mano sulla sua spalla: “Non si preoccupi, li prenderemo. Lei ora è al sicuro, l’FBI le ha fornito una nuova identità e non dovrà più avere paura”.
Maria Sherman annuì e ringraziò con lo sguardo il tenente, mentre due agenti la scortavano fuori.
 
****
"E’ spaventata a morte” disse Olivia, guardando fuori dalla finestra.
“Lo so” fu la risposta di Elliot.
Olivia si voltò, per guardare il suo vecchio partner negli occhi.
“Non è una cosa da poco… quelle persone non scherzano”.
“Ci sarà molto da lavorare”.
“Già” sospirò Olivia “beh, io credo di dover andare”, disse passandosi una mano tra i capelli, cercando di smorzare il suo imbarazzo.
“Olivia aspetta” la chiamò Elliot, appena prima che varcò l’uscita “non… non avresti tempo per un caffè?”.
Olivia lo guardò confusa, non aspettandosi quel genere di richiesta.
“Vorrei parlarti… credo che abbiamo un paio di cose da dirci…” la implorò lui.
“Okay, va bene” fu la sua unica risposta.


****
 
 Seduti ad uno dei tanti bar nei pressi di Manhattan, la tensione era palpabile in aria. Avevano da poco ordinato e non una singola parola era stata pronunciata. Il silenzio si faceva sempre più imbarazzante e stavolta fu Olivia a smorzarlo.
“Così lavori all’FBI adesso, eh?” chiese lei, mentre giocherellava con una bustina di zucchero.
“Sì, da un paio d’anni ormai” rispose lui.
I due si guardarono negli occhi; c’erano molte cose da dire, molte cose di cui parlare, ma nessuno dei due aveva il coraggio di farlo.
Nel frattempo le loro ordinazioni erano arrivate e la tensione si fece meno insistente.
“Dopo che ho sparato a Jenna” iniziò Elliot, mentre Olivia notò i gesti convulsi delle sue mani, che non passarono certo inosservati “gli Affari Interni mi stavano con il fiato sul collo. Io non ero psicologicamente in grado di riprendere a lavorare come se nulla fosse e loro l’avevano intuito. Mi dissero che la scelta migliore era quella di ritirarmi, altrimenti avrebbero incominciato a valutare anche i casi di tutta la squadra ed io non volevo darvi problemi. Tucker poi mi disse che non c’era alcuna possibilità di rimettermi in mano una pistola. Così l’ho fatto, ho preso la mia decisione”.
Olivia sorseggiava il suo caffè in completo silenzio, aspettando che fosse lui a continuare.
“Avevo bisogno di tempo per me stesso… Quel fatto mi ha scosso profondamente. Ma il tempo per me diventò lungo settimane, mesi, fino ad arrivare quasi ad un anno e mezzo. Decisi di consultare un terapista e di rimettermi in piedi a fare qualcosa: non ero più la stessa persona. Qualcosa in me era cambiato e senza un supporto non ce l’avrei mai fatta. Ho rimesso in ordine la mia vita e finalmente, due anni dopo la sparatoria, sono riuscito a conviverci. Ho tagliato i ponti con quasi tutte le persone al mio fianco…”.
La bocca di Olivia si aprì per dire qualcosa, ma si richiuse subito.
“Anche con me” avrebbe voluto dire, ma le parole le morivano in gola.
“So di non aver risposto alle tue chiamate e nemmeno ai tuoi messaggi… ma credevo che dopo due anni tu avessi ormai la tua vita e non ci sarebbe stata alcuna possibilità di rientrare” disse Elliot a bassa voce.
“Ti sbagli” rispose lei, posando la tazza di caffè e guardando per la prima volta Elliot negli occhi “ti sbagli di grosso”.
Stavolta fu Elliot ad abbassare lo sguardo; le sue dita si intrecciarono intorno alla tazzina, incapace di esprimersi.
“Mi dispiace che tu abbia lasciato tutti senza una parola, mi dispiace che tu abbia preso questa decisione senza consultarmi. All’inizio ho pensato che tu avessi bisogno di tempo, ma poi gli anni incominciavano a passare e…” la voce di Olivia si spezzò “pensavo che tu non volessi più avere a che fare con me… o che addirittura mi odiassi” concluse, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime che cercava di respingere.
Istintivamente, le mani di Elliot si racchiusero sopra le sue, scuotendole leggermente.
“Non potrei mai odiarti” sussurrò lui, guardandola negli occhi.
Olivia rimosse in fretta le mani, spaventata da quel gesto avventato.
“Mi dispiace Olivia, mi dispiace tanto. Scusami. Avrei dovuto parlarti, avrei potuto risponderti… ma con gli Affari Interni che minacciavano di innalzare polveroni di Stato e tutto… Mi dispiace, davvero” disse lui, con la sincerità più profonda che si rifletteva nei suoi occhi.
“Lo so che ti dispiace” aggiunse Olivia a bassa voce “ma resta il fatto che ti sei comportato come se fossi l’ultima persona rimasta sulla faccia della Terra”.
Olivia ora lo guardava negli occhi, mentre combatteva una guerra interiore con se stessa. In cuor suo l’aveva già perdonato, ma la sua mente era ancora arrabbiata e delusa.
Elliot alzò gli occhi al cielo e fece un lungo respiro, prima di parlare.
“Sono profondamente dispiaciuto e vorrei davvero risistemare le cose, soprattutto ora che dovremmo lavorare insieme” fece un ultimo tentativo lui.
“Questo è il mio numero” disse Olivia, porgendogli il cartellino dell’Unità, mentre afferrava la sua borsa “chiamami se hai bisogno”.
Detto questo se ne andò, lasciando Elliot confuso, ma con un barlume di speranza in più.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Again ***


La giornata era stata piuttosto pesate per Olivia. Ritrovarsi faccia a faccia con il suo ex collega, dopo 5 anni di assenza, le aveva provocato un certo effetto e Olivia non aveva intenzione di negarlo.
L’idea di lavorare di nuovo assieme la elettrizzava, ma allo stesso modo la spaventava a morte. Praticamente erano due estranei ora… non sapevano più niente l’uno dell’altro.
Se le avessero chiesto la sua canzone preferita, probabilmente non avrebbe saputo rispondere: ma se le avessero chiesto le sue paure più grandi, i suoi dubbi ed incertezze, i suoi punti di forza o a cosa tenesse di più al mondo, avrebbe risposto senza la minima esitazione. Tante cose erano cambiate nel corso degli anni, la vita di Olivia non era più la stessa di prima. Ora aveva un figlio, Noah, che illuminava le sue giornate e le bastava un solo attimo con il suo bambino, per ritrovarsi carica di energia.
“Allora Noah, ti è mancata la tua mamma?” chiese, mentre lo prese in braccio.
Il bimbo annuì e alzò subito le braccia in direzione della sua mamma, mentre un sorriso faceva da sfondo al suo volto.
Olivia trascorse la serata tranquillamente giocando con Noah e poi lo mise a letto, leggendogli la sua favola della buonanotte. Lo stava osservando dormire, quando il suo cellulare iniziò a squillare. 22:30. Chi poteva chiamarla a quell’ora? Afferrò il telefono all’estremità del comodino, ma non riconobbe il numero sulla schermata del suo iPhone.
“Pronto?”
“Olivia? Sono Elliot” si sentì dall’altra parte.
Sorpresa. Olivia non si aspettava una chiamata da Elliot e non certo a quell’ora.
“Hey” disse piano lei.
“Hey” fece eco lui, timidamente.
Ci risiamo. Imbarazzo. Di nuovo.
“Ti disturbo?” chiese.
“No” rispose lei, dando un’ultima occhiata a Noah, mentre chiuse la porta della sua stanza “stavo giusto cercando qualcosa da fare”.
Olivia abbozzò un lieve sorriso, la telefonata di Elliot non le dispiaceva affatto.
“Io sono riuscito ad evitare i discorsi femminili di Maureen e Kathleen per fortuna” disse Elliot divertito.
“Anche loro sono a New York?” domandò curiosa Olivia.
“Sì, ma solo di passaggio, restano pochi giorni”
“Come stanno a proposito? I tuoi figli, Kathy…” chiese Olivia, mentre si accomodava sul divano della sala, insicura di dove questa domanda potesse portare la loro conversazione.
“Oh stanno tutti bene” rispose lui un po’ stupito “Elizabeth e Dickie stanno finendo l’università, mentre Maureen e Kathleen lavorano da un po’”.
“Sono contenta” disse Olivia sorridendo, era genuinamente felice per loro.
“Anch’io” rispose Elliot “tu come stai?”.
“Me la cavo” sospirò Olivia “tu?”.
“Mi manchi” disse tutto d’un fiato lui.
“Mi manchi anche tu” rispose dopo una breve pausa lei, mentre avvertiva un forte nodo alla gola.
“E’ bello sentire la tua voce” disse piano.
“Anche per me è bello sentire la tua voce” sussurrò al telefono; le sue mani avvinghiate al cellulare.
“E’… strano…vero?” chiese lui, alludendo alla loro situazione.
“Già” respirò lei, con il telefono sempre più vicino a sé.
“Mi dispiace Olivia” si scusò nuovamente lui.
Olivia rimase in silenzio: non sapeva cosa dire. Anche a lei dispiaceva. Sarebbe dovuta essere furente con lui, ma la verità è che ora che l’aveva rivisto, non voleva lasciarsi fuggire l’occasione di poter costruire di nuovo un’amicizia.
“Olivia? Sei ancora lì?”
“Sì” sussurrò lei.
“Stavo pensando che dovremmo controllare quell’hotel sulla Fifth Avenue” cambiò discorso Elliot.
“Lo pensavo anche io” concordò lei “ma credo che sia troppo rischioso”.
“Pensavo di infiltrarmi nella loro compagnia di gioco” disse lui non curante.
Olivia si alzò di scatto dal divano: “Che cosa? Sei pazzo?” domandò lei ad alta voce, rischiando di svegliare Noah.
Dall’altra parte del telefono si sentì ridere.
“Ti stai prendendo gioco di me?” chiese Olivia, in un tono non molto scherzoso.
“No, no” si affrettò a chiarire lui “immaginavo la tua reazione”, sorrise.
Olivia prese a camminare avanti ed indietro per la stanza.
“Che non ti passi neanche per la mente l’idea di avventurarti là dentro, da solo” disse Olivia, enfatizzando la parola “solo”.
“D’accordo tenente, ai suoi ordini” scherzò lui.
“Non è divertente”
“Si che lo è”
“Buonanotte Elliot” disse, alzando gli occhi al cielo.
“Olivia, aspetta dai” tentò lui, sperando che non se la fosse presa troppo a cuore “domani decideremo insieme, okay?”.
“Ora si inizia a ragionare” rispose lei.
“Mi dimenticavo di avere a che fare con il tenente dell’Unità Vittime Speciali” la prese in giro lui.
Olivia rise piano e si accomodò nuovamente sul divano.
“Allora ci vediamo domani?” chiese lei, speranzosa.
“A domani, Liv” promise lui.
“A domani” ripetè lei, prima di riattaccare.

****

13 settembre 2016
 
Mettere di nuovo piede a Manhattan era strano, parecchio strano.
Per Elliot non fu facile varcare di nuovo quella porta, entrare in quell’edificio che aveva lasciato anni fa. Rimase alcuni minuti sulla porta d’entrata, camminando velocemente avanti ed indietro, insicuro della sua decisione. “Entra Elliot, entra” continuava a ripetersi tra se e sé. Il ritorno alla sua vecchia unità si rivelò più difficile del previsto, ma d’altronde se lo aspettava.
Dopo lunghi attimi di esitazione, si decise finalmente a varcare la soglia ed entrò, passando gli agenti che uscivano ed entravano e cercando in giro qualche faccia conosciuta.
Prese l’ascensore e non appena uscì, violenti flashback affioravano la sua mente.
Lui che puntava la pistola contro Jenna, i proiettili che invadevano la stanza, il colpo partito dalla sua pistola e Jenna che moriva tra le sue braccia. Scosse immediatamente la testa, cercando di ricomporsi. La mente di Elliot era affollata da pensieri confusi, da ricordi che cominciavano a ritornare insistenti nella sua testa.
Il primo volto che vide era quello di Olivia e si sentì immediatamente sollevato nel vederla e non doverla aspettare in mezzo a persone sconosciute.
Elliot si avvicinò a lei, fino a quando Olivia non lo adocchiò. Un enorme sorriso si disegnò sulle sue labbra e per la prima volta anche i suoi occhi sorridevano.
“Andiamo nel mio ufficio” propose lei, mentre Elliot la seguiva.
“Però, carino” commentò lui, mentre Olivia chiudeva la porta.
“Ho dato una sistemata” sorrise lei, guardandosi attorno.
“Ho notato” rispose lui.
“Vuoi un caffè?” domandò Olivia.
Elliot scosse la testa ringraziandola.
“I miei detective hanno fatto alcune ricerche e a quanto pare sul sito dell’hotel è menzionato il gioco d’azzardo, ma non le scommesse clandestine” spiegò Olivia “quindi credo proprio che un’irruzione sarebbe inutile” continuò, dando un’occhiata ad Elliot che la seguiva con lo sguardo.
“Allora credo che la mia idea sia la più plausibile” disse Elliot, con aria di sfida.
Olivia lo guardò dritto negli occhi, respirando profondamente.
“Non esiste” rispose lei, scuotendo la testa “non vai là dentro da solo”.
“Allora vieni con me” disse lui, sorridendo maliziosamente.
Olivia inarcò un sopracciglio.
“Non credo sia possibile” si spiegò lei, gesticolando con le mani “Noah non può stare da solo…”
Olivia si fermò di colpo, realizzando di aver detto più del dovuto. Guardò Elliot, che la guardava a sua volta confuso. “Dannazione” disse Olivia.
“Noah?” ripetè lui.
“Sì… Noah è… mio figlio” balbettò lei, abbassando lo sguardo.
Per poco Elliot mancò un respiro. Il suo sguardo era visibilmente confuso ed i suoi occhi sgranati.
Olivia Benson aveva un figlio? Si era forse sposata? Stava con qualcuno?.
“Oh” si limitò a dire lui, muovendo la testa.
Olivia si passò una mano tra i capelli: non doveva dirlo, non doveva proprio dirlo.
“Allora congratulazioni” cercò di mostrarsi felice lui “chi è il fortunato?”.
“Veramente Noah è stato adottato… Un anno fa… Lavoravamo ad un caso e ci siamo imbattuti in lui, era poco più di un neonato” disse Olivia, mentre i suoi occhi si illuminarono.
Improvvisamente tutta la paura e la rabbia di Elliot, lasciarono il suo corpo. L’aveva adottato. Olivia Benson era una mamma. Anche gli occhi di Elliot si illuminarono; sapeva quanto Olivia desiderasse avere un figlio ed ora che era finalmente riuscita a compiere il suo desiderio, si sentiva immensamente orgoglioso e felice per lei.
“Se c’è una persona che se lo merita, quella sei tu” sorrise Elliot.
Olivia lo ringraziò in silenzio, le sue parole erano importanti per lei. I loro occhi si incrociarono e quel contatto visivo causò una scintilla nel corpo di entrambi.
Elliot si avvicinò alla scrivania di Olivia e notò delle foto di un bambino castano, che sorrideva in braccio alla sua mamma.
“E’ lui Noah? Ti assomiglia” disse scrutando attentamente i dettagli del piccolo.
“Sì, è lui” rispose Olivia, sorridendo.
“Suppongo che mi dovrò guardare le spalle da solo, allora” disse lui, con un tono giocosamente mesto.
Olivi alzò gli occhi al cielo e si avvicinò lentamente a lui.
“Mi sa che sta volta ti toccherà avermi tra i piedi” rispose lei, guardandolo negli occhi.
“Che disgrazia” scherzò lui.
“Eh già” disse ridendo lei, mentre il suo corpo lottava con la sua mente per respingere il desiderio di buttarsi fra le sue braccia e farsi stringere forte; per colmare l’assenza di questi anni.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Here ***


19 settembre 2016

Era passata all’incirca quasi una settimana da quando Olivia ed Elliot si videro per l’ultima volta: entrambi avevano donato corpo ed anima ai rispettivi lavori, ritrovandosi senza un briciolo di tempo libero.
Durante le poche ore di tranquillità in centrale, si scambiavano messaggini al telefono; parlavano del più e del meno e si tenevano aggiornati sul caso che stavano seguendo assieme. Avevano concordato di recarsi all’hotel sulla Fifth Avenue insieme, per poter esaminare la situazione con i loro occhi.
Erano da poco passate le 20:30 ed Olivia era nel panico più totale. Continuava a guardarsi allo specchio, non soddisfatta dei suoi capelli, mentre cercava di mettersi del mascara sulle ciglia. Elliot le aveva promesso che sarebbe passato a prenderla e la cosa la rendeva più agitata del solito: “stai lavorando Olivia” continuava a ripetersi tra se e sé. Lavoro. Era puro lavoro, nient’altro. Il ciò non la tranquillizzava per niente, anzi il suo cuore continuava a correre sempre più veloce al solo pensiero.
I capelli mossi di Olivia le cadevano delicatamente sulle spalle ed emanavano un delicato odore di vaniglia; il suo trucco era semplice, matita nera e mascara, mentre le sue labbra erano colorate di rosso fuoco. Il vestito nero decorato con pizzo che stava indossando le accarezzava dolcemente le forme, mettendo in evidenza i fianchi e dando slancio alle sue lunghe gambe scoperte.
Mentre si dava un’ultima toccata ai capelli, sentì il campanello suonare.
“Deve essere Elliot” pensò, facendo un grande respiro.
“Vado io!” urlò Lucy, la babysitter, dall’altra stanza.
Olivia sentì la porta d’ingresso che si apriva e le voci di Elliot e Lucy che riempivano la stanza. Era tremendamente nervosa e aveva quasi paura di uscire dal bagno. “Sei una donna adulta” diceva nella sua mente.
“Tu devi essere Noah?” chiese Elliot al bambino in braccio a Lucy.
Il bambino annuì e allungò la mano per afferrare quella di Elliot: lui sorrise nella sua direzione.
“Io sono Elliot, un amico della mamma” si presentò lui.
“Ciao El- El- liot” disse piano il bambino, osservando con lo sguardo la figura maschile davanti a lui.
Olivia emerse finalmente dal corridoio, mostrandosi in tutta la sua bellezza. Non appena Elliot la vide, non potè fare a meno di osservarla da cima a fondo, non perdendosi neanche un singolo dettaglio del suo corpo. D’altra parte, Olivia fece lo stesso. Elliot indossava una camicia nera e blu, con dei pantaloni abbastanza attillati in pendant con il sopra ed i residui della barba che aveva nei giorni scorsi, erano spariti.
“Hey” disse Olivia, mentre si avvicinò.
“Hey” ripetè Elliot, sorridendole.
“Vedo che Noah ti ha già preso in simpatia” disse Olivia, intenta a guardare Lucy che cercava di tenere Noah in braccio, quando lui alzava le mani in direzione di Elliot.
“La prossima volta giochiamo con i blocchi?” propose Elliot, avvicinandosi al bimbo.
“Sì, sì sì!” esclamò contento Noah.
“Ok, ok, la prossima volta però” disse Olivia, mentre diede un bacio sulla fronte a Noah.
“La mamma torna presto, mi raccomando fai il bravo” disse, mentre gli accarezzò la testa “buonanotte Noah” gli diede ancora un altro bacio “buonanotte Lucy”, disse infine, prese la borsa e andò via con Elliot.
 

****
 Il tragitto in macchina fu silenzioso, quasi troppo silenzioso.
Elliot avrebbe voluto dirle “sei bellissima” ogni volta che i suoi occhi incontravano quelli di lei, ma la loro relazione non aveva mai permesso commenti troppo intimi.
Olivia di tanto in tanto, gli lanciava un’occhiata mentre guidava: stava dannatamente bene quella sera, più del solito e non riusciva a staccargli gli occhi di dosso.
“Stavo pensando…” iniziò Elliot, rompendo il silenzio “sai giocare a poker?”.
Olivia si voltò nella sua direzione e si mise a ridere. Che razza di domanda era?
“Più o meno” rispose lei, guardandolo.
“Cosa c’è di così divertente?”
“Niente”
“Era una domanda lecita”
“Non mi ci vedi a giocare a poker?” domandò lei divertita.
Elliot le lanciò un breve sguardo, mentre continuava a guidare: “Non proprio”.
 
****
L’hotel era pieno di gente quella sera. Alla reception c’era la coda e persone di un certo calibro continuavano ad entrare dentro all’edificio, causando una forte confusione all’interno.
Olivia afferrò istintivamente il braccio di Elliot, per non perdersi.
Elliot fu colto alla sprovvista, quel semplice gesto, così innocente, era qualcosa di nuovo per loro.
I loro sguardi si incrociarono: era tutto okay.
Si avvicinarono alla reception e domandarono informazioni per la sala gioco. L’uomo che stava dall’altra parte del bancone, li informò che la sala era piena e che avrebbero dovuto prenotare una camera per partecipare, perché solo gli ospiti dell’hotel erano ammessi.
Elliot e Olivia si guardarono immediatamente negli occhi, di certo non era questo il loro programma per la serata.
“Ecco, veramente noi…” iniziò Olivia, ma Elliot la interruppe.
“Va bene, ci assegni una camera” disse lui.
Olivia aprì immediatamente la bocca, cercando di protestare, mentre lanciava un’occhiata di fuoco ad Elliot, che le diede una leggera spinta con la spalla, facendole capire che non c’era altro modo.
Arrivati in camera, Olivia lanciò la sua borsa sulla sedia accanto al letto e si affrettò a chiamare Lucy, facendole sapere che non sarebbe rincasata quella notte.
Il tono della sua voce non era tranquillo, anzi, era piuttosto arrabbiato ed Elliot la guardava gesticolare al telefono, domandandosi il perché di tanto scetticismo.
Quando la telefonata finì, Olivia si sedette sul letto, facendosi sfuggire un sospiro.
“Olivia che c’è?” domandò Elliot, da dietro.
“Niente” rispose lei.
“Olivia…” disse, mentre la sua mano si appoggiava sulla sua spalla.
Olivia si alzò di scatto e si ritrovò faccia a faccia con Elliot.
“Non toccarmi” disse, mentre lo guardava fisso negli occhi.
“Si può sapere che cos’hai?” chiese nuovamente lui, incominciando a spazientirsi.
“Non ho niente” rispose lei sgarbatamente, mentre scuoteva la testa.
“Un attimo prima sei tranquilla e l’attimo dopo sei così… questo sarebbe non avere niente?”.
“Dovrei essere a casa in questo momento, ad occuparmi di Noah. Invece sono qui, a fare questa stupida messa in scena” sentenziò Olivia alzando il tono di voce.
Elliot la guardava confuso: che cosa stava cercando di insinuare?
“Nessuno ti ha obbligata Olivia, è stata una tua scelta” rispose Elliot, guardandola dritta negli occhi.
“Non avevo intenzione di ritrovarmi in una camera d’albergo con te e a dover dormire in un letto matrimoniale… con te” disse prepotente, con aria di sfida.
“Qual è il tuo problema Olivia? Sono io?” chiese Elliot, quasi urlando.
“Sì!” urlò lei, scostandosi da lui “sei tu, sei sempre tu!”.
Elliot si voltò e la afferrò per un braccio, costringendola a guardarlo.
“Levami le mani di dosso” urlò Olivia, visibilmente a disagio.
“Ora ti siedi” disse Elliot, spingendola delicatamente sulla sedia “e mi spieghi che cos’hai”.
Olivia si rialzò di nuovo e si avvicinò a lui.
“Tu pensi di poter abbandonare le persone per 5 anni e dopo di chè rientrare così… nella loro vita?” domandò lei, con l’adrenalina che le pulsava nelle vene.
Elliot si lasciò scappare un sospiro, abbozzando un sorriso di sfida sul suo volto.
“Credevo che avessimo già affrontato questo argomento!” urlò indietro lui.
“Non abbiamo affrontato un bel niente Elliot” gridò lei, spingendolo indietro “io non ce la faccio, non riesco a perdonarti” disse, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime.
“Olivia” disse, cercando di avvicinarsi, ma lei si scostò, mantenendo una distanza ben chiara.
“No” sussurrò lei, mentre i suoi occhi diventarono rossi e la sua visione sempre meno chiara, perché le lacrime erano sul punto di uscire.
“Olivia mi dispiace, ti prego, guardami” disse prendendole le mani e costringendola ad alzare il viso “mi dispiace davvero tanto. Scusami, avrei dovuto dirtelo, avrei dovuto richiamarti, avrei dovuto rispondere… ma non ero io… non c’ero in quel momento” disse con voce spezzata.
Lacrime lente e calde, solcavano il volto di Olivia, facendole sbavare il trucco. Non riusciva a controllare il suo respiro e nemmeno le sue emozioni represse. Non sapeva il perché di quella scenata, ma sapeva che ne aveva bisogno: aveva bisogno di sfogarsi, di affrontare quella situazione che non andava né avanti né indietro, ma rimaneva ferma, come un limbo.
Nonostante la sua visione fosse offuscata, giurava di aver intravisto gli occhi di Elliot lucidi, forse anche per lui era difficile affrontare quel discorso.
“Sono responsabile delle mie azioni” sussurrò piano Elliot, mentre cercava di ricomporsi “e sono profondamente dispiaciuto per come siano andate le cose. Mi dispiace, cavolo, mi dispiace! Quante volte dovrò ripetertelo? Lo so che un mi dispiace non migliorerà le cose… ma sono qui per provarti il contrario Olivia”.
“Non hai avuto neanche il coraggio di salutarmi” singhiozzò Olivia, la sua voce quasi impercettibile, flebile.
“Non ho avuto neanche il coraggio di tornare a casa” rispose Elliot guardandola negli occhi “non ho avuto il coraggio di parlarne con Kathy e neanche con i miei figli. E’ per questo che io e Kathy ci siamo lasciati” disse, mentre abbassava lo sguardo. Il suo divorzio era un argomento difficile e avrebbe desiderato che le cose fossero andate diversamente con Kathy. Nel corso degli anni si era reso conto di non amarla più o per lo meno di non amarla come prima o forse come meritava. Tornava a casa e faceva il padre, cercando di mantenere la famiglia unita, per i suoi figli. Dopo la sparatoria all’Unità, però, tutto era cambiato. Si era rinchiuso in se stesso, non parlava con nessuno ed evitava qualsiasi contatto con la specie umana. Kathy aveva provato più volte a cercare di sbrogliare la situazione, ad aiutarlo. Lui, invece, da egoista se ne andò per quasi due settimane. Non aveva il coraggio di rimettere piede a casa. Non aveva il coraggio di affrontare Kathy. Nonostante ciò, lei gli era sempre rimasta vicino e più che mai aveva cercato di comprendere i motivi che lo avevano costretto a fare ciò che aveva fatto. Elliot non voleva parlarne con nessuno, non ne aveva le forze. Ed è stato in quel momento che decise che Kathy meritava di meglio: meritava un uomo che l’amava e una vita più serena, senza la preoccupazione di non vedersi tornare il marito a casa. Per questo ne discussero a lungo e insieme decisero di firmare per il divorzio, cercando di assicurare all’altro un futuro migliore. Dopo 20 anni non era certo facile riprendere in mano la propria vita e intraprendere strade separate; fu un processo lungo e non indolore. Nonostante non fossero più innamorati l’uno dell’altro, il loro amore era sempre presente. Il bene infinito che si volevano c’era e resterà per sempre, nonostante non siano più una coppia. Si sono aiutati a vicenda e hanno condiviso insieme tanti momenti gioiosi e anche dolorosi, per questo non fu facile per nessuno dei due.

Elliot spiegò tutto questo ad Olivia, introducendo anche i flashback giornalieri di quanto avvenuto cinque anni fa. Le raccontò del suo trauma e di come si ritrovò impotente nel riavere indietro la sua vita.
Anche Elliot stava piangendo ora e la sua voce era rotta dalle lacrime, mentre Olivia lo guardava con uno sguardo assorto, stranito.

Kathy ed Elliot si erano lasciati. Elliot è single. E’ stato in terapia. Aveva paura di affrontare le persone che gli volevano bene.

Olivia stava cercando di assimilare tutte le informazioni che Elliot le aveva appena comunicato, troppe in una sola volta ed il suo cuore le disse che c’era una sola cosa da fare.
Istintivamente si avvicinò ad Elliot e aggrappò le sue mani al suo collo, stringendolo in un forte abbraccio.
Le mani di Elliot restavano ferme sulla schiena di Olivia, mentre le lacrime continuavano a bagnare il suo viso.
Olivia strinse ancora di più la presa e sussurrò “va tutto bene” nell’orecchio di Elliot, mentre chiudeva gli occhi.
I loro corpi erano praticamente appiccicati ed il caldo attorno al loro era quasi soffocante. Entrambi avevano gli occhi chiusi e non facevano altro che godersi la presenza dell’altro, tenendosi a vicenda.
Le forti braccia di Elliot la strinsero ancora più forte a sé ed OIivia si lasciò cullare da quel gesto, rendendosi conto che era tutto ciò di cui aveva bisogno in quel momento. Elliot aveva sofferto tanto quanto lei, se non persino di più. Non aveva intenzione di mandare al diavolo le cose anche questa volta. Il suo cuore era leggero; finalmente si era tolta un peso dallo stomaco ed ora tutto quello che desiderava era rimanere tra le braccia di Elliot, perché era lì che si sentiva a casa

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Make the choice ***


N/A: So di non aver aggiornato questa storia da... mesi?! Però ho delle buone scuse. Gli ultimi mesi sono stati per me molto difficili ed impegnativi. Avevo tante idee da realizzare e tanti progetti nuovi da mettere in pratica, ma, purtroppo, la maggior parte delle mie aspettative è andata via sfumando. Il tempo materiale per scrivere mi è mancato, perchè ho avuto questioni famigliari da risolvere e soprattutto l'inizio della scuola che mi sta letteralmente sfiancando :(
Spero che tutti voi siate ancora interessati a leggere.
Un grazie infinito a tutte le persone che hanno recensito, troverò il tempo di rispondervi ad uno ad uno, promesso!
Inoltre, ora che molte cose sono ritornate al loro posto, avrò il tempo di continuare a scrivere.
Buona lettura, spero che questo capitolo vi piaccia! :)





Olivia stava controllando nervosamente lo schermo del suo telefono, in caso ricevesse aggiornamenti sul caso di cui lei e la sua squadra si stavano occupando.
Elliot, seduto sulla soffice poltrona accanto al letto, la osservava da lontano, domandandosi ancora il perché della sua precedente reazione.
Dopo una buona mezz’oretta, decisero di recarsi alla hall dell’hotel per vedere se, finalmente, la sala giochi fosse aperta al pubblico; al piano terra era ancora visibile un gran via vai di persone che entravano ed uscivano da una porta laterale.
Elliot si fece largo e Olivia si affrettò a seguirlo, cercando di non perdersi in mezzo a quel grande trambusto.
Una volta entrati, una scia di fumo li investì: l’odore di sigarette era piuttosto forte e la sala da gioco era immensa, si estendeva per un lungo tratto e sembrava addirittura quasi più grande dell’hotel stesso.
Le persone presenti nella stanza erano tutte indaffarate a fare qualcosa, tanto che nessuno notò la presenza dei due poliziotti; erano tutti intenti a giocare, scommettere, bere oppure ad inveire gli uni sugli altri per la perdita di gioco appena subita.
Elliot scrutò a pieno la sala, sperando di vedere il volto di Riev Dijokovick, il capo dell’organizzazione della Group Company, ovvero il mandate che aveva commissionato l’omicidio del povero Mike Salty ed il tentato omicidio di Maria Sherman, ormai diventata Virginia Frost, costretta a cambiare la sua identità in seguito ad i fatti recentemente accaduti.
Probabilmente era il suo giorno fortunato, pensò Elliot, perché notò Dijokovick seduto ad un tavolo da poker, con la sigaretta in mano ed un bicchiere di birra nell’altra, mentre rideva con altre persone dalle facce parecchio sospette.
Elliot si girò indietro verso Olivia e con un cenno di capo le fece capire che avevano avvistato il loro uomo.
Olivia allungò la testa, per capire se si trattasse effettivamente di lui: non c’era alcun dubbio.
I due discussero per una buona manciata di minuti su come approcciarlo senza destare alcun sospetto e la soluzione più ovvia era quella di partecipare alla partita di poker, cercando di suscitare le simpatie dell’uomo.


****
 
Olivia si recò al bar ed ordinò un drink, senza perdere mai di vista Elliot.
Elliot si avvicinò con cautela al tavolo, chiedendo se ci fosse posto per un altro giocatore.
Fu sorpreso quando gli uomini lo accolsero con una certa calorosità, aggiungendo una sedia in più.
“Hey new guy, come ti chiami?” domandò uno dei signori seduto accanto a lui.
“Il mio nome è Marcus, piacere” disse Elliot, stringendogli la mano.
Dijokovick lo fissò per tutta la durata del gioco, mentre Elliot si sentiva abbastanza a disagio, cercando di non fare una mossa sbagliata.
La partita non andò a buon fine, infatti Elliot perse 500 bigliettoni, ma di certo andò meglio a lui che al poveraccio a cui avevano strappato via quasi cinquemila dollari.
Tra una bevuta e l’altra, passarono circa 40 minuti da quando Elliot si sedette al tavolo con loro e la tensione iniziale, fu ben presto dimenticata.
Dijokovick non parlò molto quella sera, fatta eccezione di commenti esclusivamente sarcastici, di cui si poteva sentire il marcato accento straniero.
“Non è stata la mia partita migliore” disse Elliot lasciando i soldi sul banco.
“C’è sempre la rivincita” disse uno degli uomini, dandogli una pacca sulla spalla.
“Beh, non stasera, mai ritentare due volte dopo aver fallito” rispose Elliot “meglio aspettare domani”.
Elliot fece per alzarsi, quando Dijokovick si alzò a sua volta.
L’improvviso movimento dell’uomo causò in Elliot uno strano presentimento, ma decise di far finta di niente.
“Non ti ho mai visto qui” disse l’uomo avvicinandosi ad Elliot.
“In effetti è la prima volta” rispose.
“Non te la cavi male a carte, Marcus”.
“Insomma… so fare di meglio. Congratulazioni per la vincita comunque” disse Elliot, stringendogli la mano.
“Perché non ritorni domani? Hai una buona mano, mi piacerebbe vederti ancora sul campo” propose Dijokovick, guardandolo dritto negli occhi.
“Domani?” chiese Elliot esitante “a dire il vero non saprei…”.
“Dai Marcus, non mi sembri uno che non accetta una rivincita”.
“Okay… forse domani potrei fare un salto”.
“Buona idea, allora ci si vede intorno” fu l’ultima cosa che uscì dalla bocca dell’uomo.
Elliot non ebbe neanche il tempo di rispondere che Dijokovick si risedette al tavolo e continuò a giocare senza degnarlo più di uno sguardo.
Olivia si alzò dallo sgabello a cui era rimasta rilegata tutta la sera, rifiutando durante tutta la serata, le avances di alcuni uomini che cercavano di corteggiarla.
Elliot annuì con il capo, facendole capire che avevano agganciato il loro sospetto.
 

****
 
“Non pensavo che riuscissi a farti prendere dopo solo una partita” disse Olivia visibilmente sorpresa, mentre chiudeva la porta della camera.
“Che vuoi farci… ho le mani magiche!” scherzò Elliot.
“Sì, certo” rispose Olivia, alzando gli occhi al cielo.
“Domani sera vuole che giochi di nuovo con loro” disse Elliot sedendosi sul letto “gli ho fatto intendere che probabilmente ci sarò”.
“Mi sembra una buona idea” rispose Olivia, accomodandosi di fronte a lui.
“Già… ma non c’è da fidarsi, continuava a guardarmi come se fossi un intruso per tutta la serata”.
“Beh, è normale, era la prima volta che invadevi il suo territorio, come si suol dire”.
Elliot annuì lentamente, lasciandosi andare all’indietro per cadere sul letto.
“Qualcosa che non va?” domandò Olivia perplessa.
“No, niente” rispose piano Elliot.
Gli occhi di Elliot si incatenarono con gli occhi di lei: era davvero bellissima quella sera.
“Non dovresti andare a casa?” domandò.
“Se ti ricordi, abbiamo discusso quasi un’ora fa di questo” rispose Olivia, non volendo rientrare nel merito della loro precedente discussione.
“Lo so, ma siccome devo giocare io domani sera… puoi andare a casa se vuoi” disse Elliot, abbassando lo sguardo.
“Non voglio rischiare che la sala giochi sia piena per farti entrare da solo e poi aspettare fuori” rispose Olivia “non mi fido a lasciarti con certi tipi”.
“Sono un uomo adulto, Olivia” disse sorridendo Elliot.
“Ed io una donna adulta, ciò non fa differenza” sentenziò lei.
Elliot si rimise di nuovo seduto e alzando le mani al cielo disse: “Okay, okay, hai ragione tu”.
Olivia abbozzò un sorriso e levò lo sguardo da Elliot.

****
“Spero che tu possa perdonarmi un giorno” ruppe il silenzio Elliot, lasciando che le sue parole echeggiassero nell’aria.
Olivia alzò immediatamente gli occhi e lo guardò senza riuscire a dire una parola.
Quella frase era del tutto inaspettata e, soprattutto, loro non parlavano di queste cose. Non erano soliti farlo, almeno. Evidentemente molte cose erano cambiate da quando Elliot se ne era andato. Essere brutalmente onesti con se stessi non era mai stato il loro forte, tant’è che i discorsi profondi che avevano affrontato erano finiti sempre in modo brusco.
Percependo il lieve disagio di Olivia, Elliot aggiunse: “Non c’è bisogno che tu dica niente”.
Detto ciò si alzò e si recò in bagno.
Ancora non era chiaro se Olivia avesse deciso di restare o di ritornare a casa, ma ciò che lo turbava di più era il fatto che la tensione tra loro era diventata persino più forte degli anni in cui erano colleghi. Ora era tutto diverso. Loro due erano diversi. Le loro vite erano diverse.
Olivia rimase immobile, ripensando ancora a ciò che aveva udito poco fa.
Non vi erano dubbi sul fatto che lo avesse già perdonato, ma non poteva nascondere di essere ancora distrutta e arrabbiata dal suo abbandono senza preavviso. Non che lui dovesse qualcosa lei. O forse sì.
Olivia fece l’unica scelta che le sembrò più corretta in quel momento: si tolse le scarpe e decise di allungarsi sul letto.
Aveva bisogno di abituarsi a questa nuova situazione, al rientro di Elliot nella sua vita, ma soprattutto doveva imparare a conoscerlo di nuovo. Era rimasto più o meno lo stesso, ma non poteva negare di aver notato alcuni cambiamenti sostanziali nel suo carattere: era molto più calmo e rilassato degli anni scorsi, sicuramente più aperto al dialogo e non aveva paura di calarsi la maschera costruita gli anni precedenti, per mostrare il suo vero volto.
Olivia lo ammirava molto, da sempre, ma questi suoi nuovi atteggiamenti la lasciarono quasi perplessa.
Ora che Elliot era tornato, non voleva perdere l’occasione di ricostruire un rapporto. Non voleva essere abbandonata di nuovo. Non voleva e aveva la sensazione che lui non l’avrebbe delusa.
Ripensando alle ultime settimane frenetiche, si addormentò e prima che lei potesse accorgersene, sul suo volto si intravedeva l’abbozzo di un lieve sorriso e per la prima volta dopo mesi, dormì finalmente serena.
 
 

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Learning how to trust again ***


Elliot ritrovò Olivia che dormiva tranquillamente e non aveva alcuna intenzione di svegliarla, anzi, si avvicinò e le rimboccò le coperte, cercando di fare il più piano possibile.
Il suo viso emanava un’espressione serena, che non vedeva da anni.
Elliot era contento che avesse accettato di rimanere, sperava che questo potesse portarla a perdonarlo il più presto possibile: se c’era una cosa che non poteva sopportare, era quella di deludere le persone. Odiava da sempre ferire le persone a lui care, ma più di tutto non avrebbe mai voluto deludere Olivia… però ci era riuscito.
Malediceva se stesso ogni giorno, per essere stato un codardo, per aver abbandonato tutto e tutti. Voleva davvero sistemare le cose, ma sapeva che non sarebbe stato facile.
Elliot scosse debolmente la testa, mandando via tutti quei pensieri che gli ingombravano la testa.
Non aveva il coraggio di mettersi di fianco alla donna che da sempre guardava con qualcosa in più di semplice affetto; doveva solo distendersi nel letto e dormire, ma con Olivia Benson al suo fianco? Non si sarebbe saputo controllare e lui lo sapeva. Optò, allora, per la scelta meno conveniente e, malgrado il malcontento, si accomodò sulla poltrona di fronte al letto, ripensando a tutto ciò che era avvenuto in queste settimane, fino a quando non si addormentò.


***
L’orologio accanto al comodino segnava le 08:45 della mattina, la luce della stanza era ancora fioca quando Olivia Benson si svegliò.
Aprì piano gli occhi, cercando di trovare un punto di riferimento nella camera da letto a lei non famigliare.
Fece un grande sbadigliò e si stiracchiò piano, strofinandosi gli occhi. Si mise a sedere sul letto, mentre i ricordi della notte scorsa cominciavano a ritornare nella sua mente.
“Sono in una camera d’albergo” mormorò tra sé, ricordandosi finalmente di dove si trovasse.
Si alzò dal letto, prese il telefono e controllò se ci fossero chiamate perse o qualche messaggio che non aveva letto. Niente. Tutto tranquillo.
Cercò con lo sguardo Elliot, ma non lo vide da nessuna parte. La piazza del letto accanto a lei era ancora perfettamente in ordine, il che voleva dire che non aveva dormito con lei quella sera.
Iniziò a preoccuparsi quando si ricordò di non averlo sentito uscire dal bagno, però decise di non saltare a conclusioni affrettate, così si avviò verso il bagno.
Dopo circa una ventina di minuti, Elliot entrò in stanza, trovando Olivia seduta sul letto.
“Buongiorno” la salutò lui, chiudendo la porta della camera.
“Giorno” bofonchiò lei, alzando lo sguardo.
“Hai dormito bene?”.
“Sì, ho letteralmente dormito tutta la notte”.
Elliot avanzò lentamente e si mise a sedere di fianco a lei.
“Tu hai dormito?” chiese Olivia, evitando il contatto visivo, “non ti ho sentito”.
Elliot annuì, indicando la poltrona su cui aveva dormito tutta la notte.
“Non so quanto possa essere stata comoda” commentò Olivia guardandolo.
“Il giusto” rispose Elliot, abbozzando un sorriso.
Olivia abbassò di nuovo lo sguardo, incrociò le braccia e si lasciò scappare un lungo sospiro.
Elliot si voltò per guardarla: non capiva il suo atteggiamento. Un momento prima era normale ed aperta ed il secondo dopo si chiudeva in se stessa.
“E’ tutto okay?” chiese lui.
“Sì” rispose lei, non molto convinta.

***

I due decisero di evitare altre discussioni nascenti, per questo decisero entrambi di andare a fare colazione fuori.
Una volta usciti, l’aria di Settembre si faceva un po’ più fredda. La strada era piena di gente ed il sole nascosto fra nuvole, emanava poca luce. Il verde della natura attorno a loro, riscaldava l’ambiente, ricordando gli aspetti di un’aria estiva, che stava lentamente facendo spazio a temperature meno calde.
Elliot ed Olivia si recarono ad un bar a 2 isolati dall’hotel, che emanava un dolce profumo di pasticceria.
Una volta entrati si accomodarono ed ordinarono entrambi un caffè e due brioches.
“A che ora ci dovremmo recare in sala stasera, secondo te?” domandò Olivia, mentre posava il telefonino sul tavolo.
“Penso verso l’ora di ieri sera, più o meno” rispose Elliot, senza darci troppa importanza.
Olivia annuì, senza chiedere più niente.
 
***
Elliot ed Olivia fecero colazione in relativo silenzio, scambiando qualche parola di tanto in tanto.
Non appena finirono la loro colazione, stettero ancora una quindicina di minuti seduti a chiaccherare del più e del meno: una volta finito, Elliot pagò per entrambi, accompagnato dalle ampie proteste di Olivia.
“Non c’era bisogno che pagassi anche per me” disse Olivia, una volta usciti.
“In passato, non te la sei mai presa così tanto” rispose Elliot guardandola.
“In passato” ripetè Olivia, affrettando il passo.
“Olivia, si può sapere cos’hai?” urlò Elliot, più di quanto volesse di fatto farlo, seguendo Olivia.
“Non ho niente Elliot, questa cosa mi sta stressando più del dovuto” rispose Olivia con tono seccato, continuando a camminare.
Questa cosa? Intendi il nostro lavoro oppure la mia presenza?” domandò Elliot, fermandosi a dieci passi prima di lei.
Olivia interruppe la sua camminata bruscamente, chiudendo debolmente gli occhi e portandosi una mano in prossimità della fronte.
Questa situazione era un disastro, un completo disastro. Non vedeva Elliot da anni, lui era cambiato, lei era cambiata. Le loro vite erano cambiate.
Forse le loro strade non erano destinate a percorrere la stessa via, non lo erano mai state.
Erano sempre state due rette parallele, che ogni tanto arrivavano quasi a sfiorarsi, ma non si incrociavano mai.
Olivia trovò finalmente il coraggio di girarsi e si incamminò verso la sua direzione.
“Elliot…” sussurrò lei, cercando di trovare le parole giuste, “non voglio rendere tutto questo un inferno, credimi” continuò, alzando finalmente gli occhi, “è solo che… c-… ch-… che”.
“Cosa?” domandò lui, trafiggendo quegli occhi castani che mai prima d’ora gli erano sembrati così impauriti.
“Cosa succederebbe se non fossimo più in sintonia? Cosa succederebbe se io, o magari tu, interpretassi male un’indicazione e uno di noi due rischiasse…” si interruppe Olivia, abbassando lo sguardo per un secondo.
Elliot capiva benissimo dove volesse arrivare: non era la sola ad averci pensato.
“Devo riabituarti a questo, a tutto questo” disse, senza alludere al soggetto, “è tutto così strano. Io sto imparando di nuovo a fidarmi di te, alla tua presenza, ma non puoi pretendere che sia tutto come prima. Sei stato tu a voler andare via e non devi niente a nessuno, ma questa scelta ha comportato a dei cambiamenti Elliot e tu lo sai” concluse, guardandolo dritto negli occhi.
Ora era il turno di Elliot ad abbassare gli occhi. Non si era mai sentito così insignificante in vita sua.
Aveva distrutto la sua collega, la donna con cui aveva speso più di 12 anni al suo fianco.
“Non voglio essere la stronza di turno” confessò Olivia piano “voglio solo assicurarmi che tutto andrà bene, che riusciremo a risolvere questo caso insieme, come abbiamo sempre fatto”, continuò la donna, “non voglio sentirmi come se stessi lavorando con un estraneo…”.
Elliot si avvicinò un po’ di più alla donna, cercando di formulare una frase di senso compiuto.
“Hai ragione, hai ragione” disse Elliot, alzando gli occhi al cielo, “come potrei darti torto? Sto cercando di dimostrarti il contrario Olivia, che puoi ancora continuare a fidarti di me. Sono sempre io, un sacco di cose sono cambiate, ma la sostanza è sempre la stessa. Mi dispiace veramente tanto, davvero” disse lui, con un nodo alla gola, “ti chiedo solo di fidarti del tuo istinto. Capisco se tu non voglia perdonarmi, ne hai tutte le ragioni del mondo e non posso biasimarti, ma Olivia, non ti deluderò anche questa volta”.
L’unica cosa che Olivia vedeva nei suoi occhi, era il riflesso di se stessa e la sincerità più disarmante. L’uomo che le stava parlando, le aveva letteralmente strappato il cuore e lo aveva distrutto in mille pezzi: quei pezzi che lei stessa aveva cercato di raccogliere inutilmente. Ora sentiva che quei frammenti stavano ritornando piano piano al loro posto, perché si sentiva viva, come non si sentiva da anni. Sentiva che il suo cuore aveva ripreso a battere, forte, le parole le morivano in gola e quello strano sentimento stava ritornando in superficie.
Elliot, non ricevendo nessuna risposta da parte di Olivia che continuava a fissarlo immobile, le prese delicatamente le mani e le portò all’altezza dello stomaco.
“Olivia, credimi, non ho intenzione di commettere lo stesso sbaglio due volte… Fidati” sussurrò lui dolcemente.
Olivia congelò all’immediato gesto senza preavviso. Osservò le loro mani e poi rivolse il suo sguardo ad Elliot.
Il suo primo istintò sarebbe stato quello di togliere immediatamente la sua mano dalla sua, ma lei non era più la stessa. Lui neanche. Così fece l’unica cosa che non avrebbe mai fatto in passato; strinse ancora di più la presa, senza rispondere.
D’altra parte Elliot non aveva bisogno di risposte, perché quel gesto era l’unica cosa che lo rassicurò: Olivia, in realtà, non aveva mai smesso di fidarsi di lui e non aveva intenzione di farlo ora.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** The offer ***


20 settembre 2016

Era il momento della verità: da lì a pochi minuti, Elliot si sarebbe dovuto recare nuovamente nella sala da gioco, per la seconda volta consecutiva. Quella sera era parecchio nervoso e nonostante cercasse di mostrarsi il più indifferente possibile, non riusciva a mascherare il suo disagio.
La cosa non passò di certo inosservata agli occhi di Olivia, la quale gli lanciava sguardi divertiti da un paio di minuti.
“Non ti ho mai visto così preoccupato” smorzò l’atmosfera lei.
Elliot si voltò verso la sua direzione, fissandola per qualche istante, per poi scuotere la testa.
“Divertente”.
Olivia annuì, affermando che di fatto, lo era sul serio.
“Se non te la senti, posso chiamare uno dei miei colleghi eh” disse Olivia sarcasticamente, mentre si avvicinava allo specchio davanti al quale Elliot era immobile da più di venti minuti.
Elliot guardò il riflesso della donna allo specchio, sbuffando lievemente e facendole presente con chi stesse parlando.
“Sei pronta?” gli chiese infine.
Olivia si limitò ad annuire semplicemente, chiuse a chiave la camera e seguì silenziosamente l’uomo.


***

Per loro fortuna, la sala non era affollata come la sera precedente; la presenza femminile era del tutto ridotta, se non persino inesistente. Olivia aveva adocchiato solo sei o sette ragazze che si limitavano a parlare sedute al bancone.
Elliot le disse di aspettarlo seduta lì, ma questa volta Olivia si oppose: infatti, insistette per accompagnarlo al tavolo dei giocatori e, non appena notò lo sguardo scettico e poco convinto di Elliot, lo assicurò che non avrebbe destato sospetti. Elliot cercò di persuaderla, ma i suoi tentativi non andarono a buon fine; se la testardaggine fosse personificata, prenderebbe sicuramente le sembianze di Olivia Benson.
Proprio mentre i due discutevano, un uomo sbucò dietro le spalle di Elliot.
“Marcus” iniziò, facendo sobbalzare Elliot, “sei venuto, allora”.
Elliot ed Olivia smisero di parlare all’istante.
“Dijokovick” disse Elliot senza perdere un colpo.
“Pronto per la rivincita?”.
“Sono nato pronto”.
Riev Dijokovick  lo guardò con aria di sfida, invitandolo ad accomodarsi al tavolo.
Elliot eseguì gli ordini, ma prima che potesse sedersi, Dijokovick parlò di nuovo.
“Ma come…” esordì Dijokovick, voltandosi verso Olivia “non mi presenti questa bella signora?”
Elliot lanciò uno sguardo nella sua direzione, per poi riguardare di nuovo l’uomo.
“Oh” disse Elliot non curante “lei è Donna, la mia compagna in affari” finì la frase, serrando le labbra.
“Molto piacere” disse Dijokovick, allungando la mano verso Olivia: un sorriso spavaldo sul suo volto.
Olivia si passò una mano tra i capelli e finse un sorriso compiaciuto prima di stringergliela.
“Piacere mio!” rispose lei, guardando attentamente i lineamenti dell’uomo.
Elliot non era particolarmente di buon umore quella sera, infatti, si mise in mezzo tra i due e, scherzando, intimò che era tempo di arrivare alle questioni serie.
Olivia era seduta al fianco di Elliot e non fece molti commenti quella sera, per lo più si limitò a guardare, lasciando concentrare Elliot.
Per quel che ne capiva, non aveva giocato male fino ad ora, anzi se la stava proprio cavando.
“Altri dieci bigliettoni che se ne vanno” commentò un uomo seduto dall’altra estremità del tavolo, mentre allungava i soldi sul bancone.
Riev Dijokovick li afferrò velocemente ed un ghigno meschino si materializzò immediatamente sul suo volto.
L’ultima mossa toccava ad Elliot, o vinceva o perdeva. Aveva un’occasione che non poteva sprecare: ma in quei momenti era questione di fortuna.
Dijokovick lanciò un occhiata nella sua direzione; era così dannamente sicuro di vincere che il  solo pensiero di una possibile sconfitta non adombrava neanche per scherzo la sua mente.
Elliot ricambiò lo sguardo a sua volta, per poi ritornare a fissare la sua ultima carta in mano.
Quando finalmente si decise a scoprirla, la faccia di Riev subì un brusco cambiamento di immagine: proprio in quel momento, il volto di Elliot si illuminò. Intuì di aver vinto e la reazione del suo avversario era senza prezzo.
“Cavolo, complimenti Marcus!” disse Charles, l’uomo affianco a lui, il quale aveva conosciuto un’ora fa.
Elliot gli sorrise e mano a mano, anche gli altri giocatori gli fecero i complimenti; solo due rimasero in disparte.
Dijokovick non apparve molto contento della sconfitta, infatti non aprì bocca, continuò a fumare il suo sigaro imperterrito, senza dare alcun segnale di vita.
“Beh, grazie signori” esordì Elliot, prendendo scaltramente i soldi e voltandosi verso Olivia. Lei gli sorrise ampiamente.
Dopo la fine della partita, alcuni dei giocatori andarono a bere qualcosa, altri uscirono dalla sala e qualcuno rimase ancora seduto a giocare; Elliot e Olivia si alzarono e decisero di non aspettare di vedere la reazione del capo banda, per non dare troppo nell’occhio.
Proprio mentre stavano per avviarsi verso l’uscita, Dijokovick si alzò e si diresse verso la loro direzione.
Olivia scambiò un’occhiata veloce con Elliot, la confusione le si poteva leggere sul volto.
“Bella partita stasera, Marcus” disse Dijokovick, una volta abbastanza vicino ad Elliot, senza però troppo entusiasmo.
Elliot annuì semplicemente.
“Grazie, Riev” si limitò a dire.
“Mi piace il tuo stile” commento Dijokovick mentre lo fissava dritto negli occhi “che ne dici di incontrarci domani sera?”.
Elliot corrucciò leggermente le sopracciglia, non intuendo cosa gli stesse realmente chiedendo il suo interlocutore.
“Per un’altra partita?” chiese Elliot esitante “a dire il vero non gioco tutte le sere…”.
Riev alzò entrambi le mani al cielo e rise sarcasticamente.
“Mi sembri uno interessato ai soldi, no?” domandò.
“Beh, chi non lo è?”.
Olivia rimase in silenzio a guardare lo scambio di battute tra i due, per ora le sembrava tutto sotto controllo e decise di non intervenire.
“Giusto” commentò l’uomo “volevo parlarti di affari” concluse dopo una breve pausa.
“Affari?” domandò Elliot, piuttosto scettico.
“Sì, affari” si ripetette Dijokovick.
“Che tipo di affari?”.
“Diciamo… su come fare soldi facili”.
“Cioè?” chiese spiegazioni Elliot.
“Andiamo Marcus! Mi sembravi uno che accettava le proposte al volo” disse Riev, guardandolo con un’aria di sfida.
“Dipende” rispose a tono Elliot “cosa dovrei fare?”.
“Mi interesserebbe che tu ti unissi al nostro gruppo… Ci chiamiamo Group Company e possediamo grandi catene di hotel, distributori e chi più ne ha più ne metta” rispose Riev, accendendosi un altro sigaro, “stavamo cercando una persona che potesse fare da tramite tra la merce ed il cliente”.
Elliot lo guardò a lungo e dopodichè prese il portafoglio nella tasca destra dei jeans e lo avvicinò all’uomo.
“Intendi questa merce?” domandò Elliot con un sorriso spavaldo sul volto, mentre mostrava a Dijokovick delle piccole bustine di polvere bianca nascoste all’interno delle tasche.
Olivia si avvicinò ad Elliot per capire se ciò che aveva appena visto e sentito fosse davvero giusto. La sua bocca si aprì automaticamente ed i suoi occhi erano confuso. Elliot non le aveva detto niente, non gliel’aveva neanche accennato. Come gli saltava in mente di portare della droga in giro? Lo guardò con aria poco contenta, ma cercò di contenersi per non far saltare la copertura.
Dijokovick lo guardò ed annuì sorridendo meschinamente.
“Proprio quella” ammise l’uomo “lo sapevo che non mi avresti deluso”.
Elliot ripose il portafoglio in tasca e scambiò un’altra occhiata veloce con l’uomo.
“Vediamoci qui, domani sera alle 23” disse Dijokovick, mentre poneva ad Elliot un bigliettino con scritto a mano il luogo dell’incontro. Detto ciò guardò i due un’ultima volta e se ne andò.
Elliot si voltò immediatamente verso Olivia: il viso che lo stava fissando a sua volta, come si aspettava, non era per niente contento.
“Okay bella mossa” disse Olivia senza troppa euforia “ma sei ufficialmente fuori di testa”.
Elliot rise piano e scosse la testa.
“Hai ragione, però l’abbiamo agganciato” rispose lui.
Olivia inarcò le sopracciglia, non approvava il metodo, ma non poteva che dargli ragione.
“E’ bello lavorare di nuovo con te” disse lei sorridente; i suoi occhi si illuminarono leggermente.
“Anche per me lo è” ammise lui, regalandole uno di quei sorrisi che le fece sciogliere il cuore per la prima volta quasi diciotto anni fa.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3502986