2 The Exorcist - La Città degli Spiriti

di Sarah M Gloomy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***
Capitolo 21: *** 21 ***
Capitolo 22: *** 22 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


1
 
 
 
        Mi chiamo Amabel Wright e sono una normale liceale di sedici anni. Quasi. Sono anche la reincarnazione di un’esorcista morta sul rogo nel 1400 che, ultimamente, è ritornata alla sua consueta occupazione. Quindi, per la mia giornata tipo, è tutto nella norma. Ho appena fatto un ruzzolone dalle scale e il mio sedere ha impresso ogni scalino come fosse una cartina della metropolitana. Lie, il bambino fantasma che incarnava il mio vizio, mi guarda con mite sopportazione. «Dalila, ti vuoi alzare?»
La via è deserta, così nessuno è in pericolo e io posso dilungarmi in una serie di epiteti contro quello stronzo che dovrebbe essere mio alleato senza essere scambiata per una persona scurrile. O una pazza. Ad eccezione per me, Lie ha la stessa consistenza e presenza di un fantasma.
Ho ancora dei punti molto nebulosi del mio passato, primo fra tutti il perché sono morta. Non meno importante è con quanti spiriti io debba confrontarmi. Prima della caduta, Lie mi stava dicendo che se i fantasmi non vengono redenti in poco tempo, possono diventare tipo dei Super Sayan del paranormale. Ho evitato accuratamente di descriverli così: Lie non capirebbe. Come li riconosci? Sono dieci volte più grandi di un fantasma normale e hanno delle catene che gli penzolano da caviglie e polsi, che possono usare come armi. Un po’ come quelli di secondo livello, se non fossero giganti. Anche la loro fisionomia è piuttosto animalesca: volto ingrugnito, tratti quasi dipinti in modo grezzo da qualcuno che ha solo una vaga idea di come dovrebbe essere un essere umano. Avendo visto quelli del primo e del secondo esorcismo, posso dire che questi sono piuttosto facili da riconoscere.
Quando mi alzo, Lie è al mio fianco. «Ti ricordi quello che ti ho detto di fare? O eri troppo distratta dall’evitare il colpo?»
Il fantasma davanti a me è ingobbito nella sua altezza. Non ragiona, non parla, sembra solo in grado di muovere più o meno velocemente le catene e cercare di colpire quella pulce, che sarei io. Continua a emettere gemiti a ogni passo, dolorante. Sono certa che mi abbia attaccato più per proteggersi che per vero desiderio di farmi del male. La cosa non mi consola. Scivolo a destra, Lie a sinistra e di nuovo il colpo non va a segno.
Borbotto. «Sì, sì, ho capito.»
Mi alzo in piedi, inducendo lo spirito a scegliere me come avversario. Chiudo gli occhi, sicura di quello che faccio. Per la prima parte dell’evocazione preferisco non avere distrazioni visive. Tendo ancora a sorprendermi del fatto che quelle catene che mi escono dalle mani non sono altro che estensioni del mio potere. Porto la mano destra al petto, stretta in un pugno. «Terzo esorcismo: assoluzione dello spirito.»
Come sempre, sento il calore che comprime la mano e che mi obbliga ad aprirla, come se davvero ci fossero delle fiamme che zampettano al suo interno.
Sento un ruggito di protesta. Il fantasma è avvolto dalle catene rosse che escono dal mio braccio e a ogni movimento, queste si stringono attorno a lui e, specularmente, si allentano da me. Le sento solleticarmi la spalla, protezioni contro qualunque tipo di attacco. A ogni lamento sembra farsi più piccolo e avvizzire. In parte lo compatisco. Il mio sedere, al contrario, approva. Mi ritrovo paralizzata, a fissarlo negli occhi. Dentro di lui, qualcosa si risveglia. Forse il ricordo del suo passato, forse la sua anima mai morta. Mi sta chiedendo qualcosa, anche se non è in grado di parlare. E so cosa vuole, perché è un qualcosa che vorrei sentire anch’io.
   «Lasciati andare. È un po’ come andare a dormire dopo una lunga giornata. Lasciati avvolgere.»
E lo fa. Dannazione se si fida di me. Chiude gli occhi e le catene lo avvolgono in un bozzolo di luce rossa. Quando questa si apre, al suo interno non c’è nessuno. Crollo a terra, ansimante. Il mio potere sembra scomparire, il mio corpo ritorna quello di una normale sedicenne.
Appoggio la testa alle ginocchia, il respiro affannoso mi solleva la frangetta. Ogni osso, muscolo e articolazione si sta chiedendo se sarò in grado di andare a scuola. Me lo sto chiedendo pure io.
Lie si muove a controllare la zona, schioccando la lingua. Nel punto in cui le mie catene hanno esorcizzato, l’aria sembra essere più carica di elettricità. Probabile che sia solo una mia impressione. «Non ci siamo. Ci hai messo troppo tempo a esorcizzarlo. E se qualcuno ti avesse visto? Continui a giocare troppo con gli spiriti. Quando ne vedi uno devi subito capire di che livello è e agire di conseguenza. Devi …»
Si ferma, scrutandomi mentre con tutto il rancore che mi è concesso lo fisso di risposta. Ci ho messo troppo tempo a esorcizzarlo? Addirittura giocavo con lui? Scusami tanto se ho fatto un ruzzolone per le scale per evitare il colpo! E scusami tanto se ho sedici anni e la mia mente, ancora, non ha ricordato il passato. Da quello che rammentavo, Dalila era stata addestrata. Io ho solo Lie e come maestro, per quanto fosse una spina nel culo cui ero pure affezionata, non era un granché.
   «Allora? Non vai a scuola?»
Con un gemito mi appoggio sulle ginocchia, poi in piedi, notando un piccolo taglio sui jeans. Beh, fortunatamente era solo sul polpaccio e avrei finto di non averlo neppure visto. Era il terzo paio di jeans che rompevo nel giro di poco tempo. Quel lavoro mi stava prosciugando l’armadio. Fortuna per me che sono una bugiarda patologica e le sfilze di menzogne non mi finivano mai. Acchiappo lo zaino abbandonato ai piedi delle scale. Dai ricordi che ho di Dalila, sono certa di aver sempre combattuto in luoghi isolati e molto simili a villaggi o foreste. Ora so a miei spese che scale ed esorcisti non vanno molto d’accordo.
   «Per Dio, Lie: non sai quanto ti odio.»
   «Lo so, invece. Smettila di zoppicare. Attiri l’attenzione.»
Cerco di appoggiare il meno peso possibile alla gamba destra. Sarà divertente fare la staffetta al pomeriggio. Già me la vedo, l’allenatrice Lowry, criticare per il mio modo di correre. Emetto un altro gemito prima di sistemarmi lo zaino in spalla e camminare come nulla fosse. Se fossi stata in un cartone animato, avrei avuto il sedere che lampeggiava di rosso!
   «Bene.» Lie di certo si sta segnando qualcosa nel suo elenco personale delle stronzate della giornata. Da quando ho incominciato a prendere sul serio il mio ruolo di esorcista, le mie giornate si sono fatte più frenetiche e meno normali di quanto volessi. E Lie mi ricorda, una volta ogni due giorni, come la situazione sia di per sé strana. Infatti …. «Mi sto ancora chiedendo per quale motivo ci sono così pochi spiriti di terzo livello nella città.»
   «Forse cerchiamo nei posti sbagliati.» Le risposte, ormai, mi vengono spontanee. Se non fosse così logorroico e maniacale, probabilmente inizierei a preoccuparmi pure io della situazione.
Lie sospira, accordando il suo passo con il mio. Mi sembra di nuovo di essere nel passato, per quanto sia felice che la mia igiene e l’aspetto di Lie siano diversi. Non ricordo grandi profumi, ad essere sincera. Né grandi conversazioni. Né tanto meno qualcosa di cui, ora, ne senta la mancanza. «I fantasmi di terzo livello non sono molto razionali. Si muovono in continuazione. E tu sei ritornata alla tua missione da poco. La città dovrebbe pullulare di spiriti che sono bloccati qui da molto tempo. Di certo lo intuisci anche tu, Dalila.»
   «Di che ti preoccupi?» Borbotto piano. «Concordo con te che la mia prestazione non ha brillato, quindi bene che non ci siano altri come lui.»
Mi fermo, massaggiandomi la caviglia. Tiro un attimo giù il calzino, quel tanto da vedere i segni rossastri delle bruciature. Lie mi si avvicina, corrucciando la fronte. Nascondo il tutto, stringendo i denti. Lie non deve sapere che continuo, di notte, a sognare il modo in cui sono morta e che, al mattino, porto i segni del rogo. Quegli incubi segnano la mia vita diurna e notturna. Pare sospettoso. «Hai fatto una brutta caduta dalle scale. Dobbiamo lavorare di più sulle tue reazioni.»
   «Non cadere aiuterebbe.»
Lie mi ignora. Tipico di lui. «Io controllerò se in giro c’è qualche attività sospetta. Non vorrei che qualcuno stesse fagocitando gli spiriti inferiori.»
La colazione della mattina si sta ribellando nel mio stomaco al pensiero di qualcuno che mangia dei fantasmi. Soprattutto sul fatto che … essendo fantasmi, non posso essere messi in un panino così facilmente. Spero che abbia fatto un pessimo uso dei termini moderni, e che effettivamente non ci siano dei fantasmi ghiottoni che si mangiano i loro simili. Già con un singolo fantasma non me la cavo egregiamente, un mix di anime sarebbe per me distruttivo. Mi sistemo meglio lo zaino sulle spalle. «È possibile?»
   «Era una teoria che avevi ipotizzato con i fantasmi di settimo livello.»
Il che significava che, come minimo, avevo almeno quattro tipi di fantasmi che mi potevano far ruzzolare giù dalle scale con estrema facilità. Proprio adesso che ero diventata bravina con il primo e il secondo esorcismo!
 
                                                             † † †
 
            Sono in classe, disattenta come sempre durante la lezione di algebra. Fingo di prendere appunti, alzando di tanto in tanto la testa alla lavagna per controllare il risultato dell’equazione. I numeri non sono mai stati il mio forte e mi distraggo molto facilmente con tutti quei calcoli da fare. La sedia è dura e il mio sedere sta ancora protestando per la caduta, tutt’altro che piacevole, di poche ore prima. La testa è altrove. Un po’ è dovuto alla bomba lanciata da Lie prima di andarsene, la maggior parte è a causa di Mary.
Mi sembra un gioco da ragazzi confrontarmi con un settimo livello e tutto quello che ne consegue, piuttosto che ammette con Mary che sono io la causa di quello che prova. Carlos, suo fratello minore, dopo un tentato suicidio di cui solo io sono a conoscenza, era stato ricoverato in ospedale, in coma farmacologico, neppure un mese prima. Non ne so molto di queste cose, ma so cosa significa avere un familiare che non può risponderti, per quanto tu lo percuota e gli dica di farlo. Non so se si sarebbe più o meno ripreso; se ciò che aveva ingerito era indice di un problema più profondo o se il tentativo era solo una bravata di un tredicenne un po’ stupido. Ne avevo visto lo spirito, mentre lui era ancora in vita attaccato a delle macchine, e mi aveva chiesto di aiutarlo. Gli esorcisti sanno soccorrere solo in un modo, che inevitabilmente porta alla morte la persona viva. Avrei voluto convincerlo a desistere, ma sono un’esorcista: il mio mondo è quello dei morti. Redimere i vivi non è mai stato affare mio. Lie mi aveva rassicurato dicendomi che non lo avevo ucciso, quanto aiutato nel suicidio. Di fatto, però, non cambiava molto. Mi ero macchiata di un crimine legalmente punibile, e non potevo essere condannata per il solo fatto che il danno lo avevo fatto a un’anima.
Giro appena la testa, esaminando lo sguardo vitreo di Mary fisso a qualche centimetro sotto la lavagna. Non ha neppure provato a scrivere. Il foglio davanti a lei è completamente bianco. La pelle del suo viso è pallida, delle occhiaie mostrano che è da molto che non dorme come dovrebbe. Vorrei, e non posso, chiederle scusa per quello che prova.
Sapendo che Julia non mi calcola ancora, dopo quel furioso litigio, cerco un suo gesto. La vedo osservare Mary, preoccupata almeno quanto me. Ha come un brivido e incrocia i miei occhi. In quel momento mi rendo conto che più di Mary, più di Lie, Julia sembra capirmi. E la cosa sembra infastidirla. Si porta un ciuffo nero davanti agli occhi, arricciandolo intorno al dito e scrivendo sul foglio. Devo essere proprio una pessima amica, da tutti i punti di vista.
Ritorno a fissare la lavagna, scrivendo l’ultima riga che mi sono persa. Forse ha ragione Lie, sul fatto che non sono un’assassina. Eppure nella mia strada ho incrociato persone che avrei potuto salvare e non ci sono riuscita. Lo è stato nel passato, lo è nel presente … e di certo non riuscirò a impedirlo nel futuro.
Quando esco da scuola sono sola. Non ho il coraggio di confrontarmi con Mary, Julia non ha l’intenzione di rivolgermi la parola e Lie, l’unico che sembra volere la mia presenza, al momento sta cercando per la città dei fantasmi da redimere. Mi sembra di esistere per lui solo per quello. Verrà un giorno che la mia batteria da esorcista si esaurirà e Lie, deluso, se ne andrà. Mah. Conoscendolo mi starà in ogni modo tra i piedi. Ha aspettato per anni che io mi risvegliassi, di certo non mi lascia solo perché non posso esorcizzare uno spirito. Almeno lo spero. L’unica verità è che da una coppia di bugiardi non ne viene fuori granché.
   «Signorina Wright?»
Alzo lo sguardo alla ricerca di chi mi ha chiamato, scorgendo un ragazzo dai capelli biondi e occhi verdi, sigillato in una camicia su misura, una leggera barba che gli nasconde il mento spigoloso. E mi sta aspettando. Dannazione, Ridley!

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Capitolo 2
*** 2 ***


2
 
 
 
          Sono ancora lì, immobile, gli occhi sbarrati a fissarlo. È appoggiato al cancello della scuola, di conseguenza sono costretta a buttarmi tra le fauci della tigre. Avevo conosciuto Ridley durante il suo periodo da fantasma. A seguito di uno scontro con un suo collega, si era svegliato senza memoria e come spirito. Si era riappropriato del suo corpo dopo che, per sbaglio, avevo ucciso l’uomo. Ero in parte responsabile, seppur avessi usato il primo esorcismo solo per difendermi e non fossi del tutto responsabile della sua scivolata. Ho il sospetto che in un tribunale non sarebbe, però, considerata un attenuante. Tenendo conto il precedente con Carlos.
Ridley non ricordava nulla, se non che la prima persona che aveva visto al risveglio ero io. E non molto lontano dalla sua stanza, un suo collega era caduto dal terrazzo. I calcoli sono piuttosto facili.
Da quando aveva ripreso servizio, mi stava dietro, sospettando un mio coinvolgimento in non so cosa. Ero quasi certa che la morte dell’uomo fosse stata dichiarata un suicidio. I colleghi sapevano solo che stava indagando su un caso di omicidio in cui era morto un bambino, di cui tra l’altro Lie sta usando il corpo, e che prima di morire aveva fatto il nome di quella sospettata. Tutte le prove che avevano era che una ragazza, di nome Dalila, aveva attaccato un uomo che poi si era rivelato essere un assassino. Fortunatamente si era evitato un confronto, perché ero certa che l’uomo mi avesse visto. Lo avevo legato con catene, usate nel primo esorcismo, le uniche visibili dai vivi, che potevano sigillare anche gli esseri umani, dopo aver violato la sua abitazione. Se mi fossi trovata davanti a quel assassino, sono certa che avrebbe indicato me e puntavo sul fatto che nessuno avrebbe mai creduto che una sedicenne, dalla fedina penale immacolata, facesse uscire dal nulla le catene. Chi mai lo crederebbe? Tanto più che nel frigo del suddetto uomo, si trovava un cadavere a pezzi.
Prendo coraggio e mi avvicino. Tremo appena quando mi fermo davanti a lui. È identico a quando mi girava per casa, borbottando sulla mia scarsa collaborazione nella ricerca del suo assalitore. Non che sia cambiato molto, visto che continua a girarmi intorno convinto nella mia malafede. «Salve, detective Scott.»
   «Avrei delle domande da farle.»
Tralascio il fatto che sono minorenne e che, di certo, dovrebbe esserci un adulto o un legale a salvaguardarmi. Ridley sembra leggermi nel pensiero. «Non si preoccupi. È solo una normale conversazione. Nulla di quello che mi dirà potrà essere usato contro di lei.»
   «Per fortuna. Ho come l’impressione di essermi dimenticata il latte nel fuoco e di aver per sbaglio appiccato un incendio.» Troppo tardi mi rendo conto del pessimo utilizzo della parola. Abbozzo un sorriso, mentre Ridley prende dalla tasca della giacca un taccuino. Certo: nulla di quello che dirò sarà usato contro di me. Di risposta, però, ti porti bene avanti con gli appunti!
   «Dove era lunedì sera?»
   «A casa.»
   «Ne è certa?»
Annuisco sicura. Sono certa di essere stata a casa per il fatto che quel pomeriggio avevo esorcizzato due fantasmi di secondo livello ed ero così stanca che alle nove ero già bella che sotto le coperte e partita per un’interessante incontro con la fase REM.
   «Qualcuno può confermarlo?»
   «Mia madre e mio fratello. Perché me lo chiede?»
Ridley prende appunti, minaccioso, e per la prima volta mi sento completamente innocente. E sincera. Un bel passo avanti per me, visto che ho Lie come vizio e a lui non si farà certo un monumento per le buone azioni. Sospira, infilando il taccuino in tasca. «Lunedì sera è stata vista una persona aggirarsi per il quartiere di George Street. Sembra abbia attaccato qualcuno, anche se non sono state trovate le vittime. Un testimone affidabile ha detto di aver visto delle catene uscire dalle mani dell’aggressore. Ne sa qualcosa?»
In giro per la città quante persone con le catene ci possono essere? La mia espressione sembra lo specchio della preoccupazione. «Vuole ritrattare sulle sue dichiarazioni?»
Scuoto la testa. «No. Io lunedì ero a casa. Può chiederlo alla mia famiglia!»
   «Le dichiarazioni dei familiari non sono molto affidabili.»
   «Era con me.» Julia cammina con passo tronfio e indisponente, fermandosi davanti al detective. Anche in quel momento, con un detective davanti, Julia esprime la sua rabbia con un tono di voce sicuro e deciso. Si infila le mani nelle tasche del giubbino, con fare combattivo. «Ha chiesto a Amabel di lunedì sera, giusto? Ho mangiato a casa sua e ci siamo messe a guardare la televisione.»
Non era vero. E non fa parte di Julia mentire così sfacciatamente. Incrociamo lo sguardo e capisco che devo stare zitta. Julia fissa di nuovo il detective, che la guarda sospettoso. «Qualcuno può confermarlo?»
   «Può chiedere ai familiari di Amabel. Confermeranno che siamo rimaste insieme per tutta la serata.»
   «A che ora è tornata a casa?»
   «Non sono tornata a casa. Ho dormito da lei. Può chiederlo anche ai miei, se non si fida della famiglia Wright: non sono rientrata a casa quella notte.»
Ridley mi fissa e, lo so, non si fida di me. Julia non l’ha mai conosciuta, né da vivo né da fantasma, quindi su di lei non può aver di certo delle brutte sensazioni. Continua a guardarmi con i suoi occhi verde, l’ombra dorata sotto al mento. «Quindi lunedì sera eravate insieme? Perché non l’ha detto?»
   «Non si fida della mia famiglia. Che cosa mi faceva credere che fosse affidabile la testimonianza di una mia amica minorenne?» Come sempre, mentire mi riesce sempre piuttosto bene. «Posso sapere di cosa sono accusata, adesso? Di un aggressione? Di nuovo?»
Ridley sposta la sua attenzione da me a Julia. «Ha mai sentito il nome di Dalila?»
Julia, e vicino a lei lo sento, si irrigidisce. Non è brava a mentire e non le piace. È sincera, è leale e di certo il mentire sfacciatamente per me la mette a disagio. Il suo gesto mi mette in allarme. Il nome di Dalila le dovrebbe essere sconosciuto, la reazione è inaspettata. «No. Chi è?»
Questa volta il detective sembra aver abbandonato il campo, annuendo. Si infila le mani in tasca, alzando un sopracciglio nella mia direzione. «Molto bene. Credo di aver concluso con le domande. Credo sarò costretto a chiedere conferma alle vostre famiglie.»
   «Faccia pure.» Il mio tono di voce è calmo, ma dentro di me penso che devo dire a mamma che Julia lunedì era con me. Dovevo convincerla di quello. Posso dirle che l’ho fatta entrare dalla finestra. Mentre lo penso, sono certa che la convincerò che ha dormito nella mia stanza.
Julia fa un piccolo cenno del capo e Ridley decide di crederci. Certo, mi lancia prima uno sguardo carico di sospetto, ma sono fiduciosa che un giorno crederà che non sono così malvagia.
Sospiro, lasciando defluire la tensione. Ridley, ormai, è fuori portata d’orecchio. Che sia fantasma o vivo, quel ragazzo ti sta attaccato alla scarpa come una cicca. «Julia, grazie.»
   «Non mi ringraziare. Di certo non l’ho fatto per te.»
Sbuffo. «Sono sempre felice di parlarti. È da un mese che non mi rivolgi la parola e poi te ne esci senza motivo, con tutto l’intento di aiutarmi. Sappiamo entrambe che lunedì sera non eri con me.»
Julia mi si avvicina al viso, così tanto da sentire il sordo ringhiare prima del bisbiglio. «L’ho fatto per quello che c’è stato, non per quello che sei. Ricordati: non mi fido di te.»
Julia se ne va, altezzosa, lasciandomi guardare la sua camminata, dubbiosa su cosa avevo fatto. Tutto quel casino perché le avevo dato buca al concerto degli Amantine? Neppure fossero chissà quali cantanti!

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Capitolo 3
*** 3 ***


3
 
 
 
          Mi fermo in un bar, a prendere un pacchetto di caramelle. Sono un po’ arrabbiata per come Julia mi tratta. Sono convinta che abbia le sue buone ragioni, in parte. Certo, si è infuriata un po’ troppo per uno stupido concerto. Buttare all’aria un’amicizia di anni solo perché quel giorno non potevo uscire. Probabilmente mi sarei infuriata anch’io, ad essere sincera. A volte devo essere proprio insopportabile.
Ho male alle gambe. L’allenamento con la Lowry è stato peggio di quello che mi aspettavo, unito all’incontro della mattina con lo spirito di terzo livello, sono quasi certa che le mie interiora si stanno frullando da sole. Mi stiracchio sul bancone, mentre scelgo il gusto.
Pago e mi infilo il resto in tasca. Vicino a me un ragazzo prende il mio pacchetto di caramelle. Alzo gli occhi sorpresa, mentre lui mi sorride. Più alto di me di quasi tutta la testa, lo conosco perché è il chitarrista di quel dannato gruppo. E come sempre, Jamar, è bello da paura. Sono sicura che è da più di una settimana che non lo vedo a scuola. Bigiare è una sua virtù. «Grazie per avermi offerto una caramella. L’anice però non mi piace molto.»
Sono ancora lì, a fissarlo con occhi a pesce palla. Jamar ha un viso pulito, niente orecchini al contrario degli altri della band, capelli lunghi fino alle spalle. Se non avesse gli occhi sempre ridotti a fessure, che lo fanno sembrare a un perenne vizioso, e non si movesse sempre con fare lascivo, avrei potuto anche farci un pensierino. Ahn, giusto, e se non mi piacesse già Chase. E, ora che ci penso, anche se non avesse fama di prostituirsi. Insomma, un classico quindicenne moderno!
Mi infila il pacchetto di caramelle sul taschino della giacca, con un sorriso seducente. Se non fossi piatta come una tavola da surf, mi sarei sentita violata. Ritrovo la parola, con un’alzata di spalle. «Figurati. Uno è gentile anche senza saperlo.»
Esco dal bar, controllando il pacchetto di caramelle. Per quanto conoscevo quel ragazzo, poteva avermi infilato nel taschino un pacchetto di droga. Rifletto un attimo: con tutto quello che costa la droga, dimmi tu quale pazzo te la infila con nonchalance in tasca? No, le caramelle sembravano essere solo normali dolcetti. Forse dovrei preoccuparmi più della pazzia che mi assale durante la giornata piuttosto di quella del vedere i fantasmi.
   «La fiducia negli altri non deve essere una delle tue virtù.»
Sorrido a Jamar, ancora indecisa su come comportarmi. Nell’ultimo periodo mi stanno capitando un sacco di cose strane: capisco reincarnarmi e ricordare il mio passato da esorcista; può anche andar bene chiacchierare con Chase; strano che entrambe le mie due amiche mi evitino come la peste, anche se il lutto di Mary la giustifica al cento percento. Di certo a scuola, però, io e Jamar non c’eravamo mai parlati. A parte sapere che è il chitarrista degli Amantine e ascoltarli durante le prove, i miei rapporti con lui erano stati assenti. «Oh, sono fatta così. Non mi piace molto quando qualcuno che non conosco prende senza chiedere qualcosa che mi appartiene. Strano, vero?»
   «Jamar Stewart.» Si presenta.
Scuoto la testa. «Non è quello il problema. So chi sei. Ti ho sentito suonare a scuola.»
   «E tu sei Amabel Wright. Quindi non mi è chiaro il problema. Chi è che non conosce chi?»
Devo fare una chiacchierata con i miei compagni di classe: chi diavolo va in giro a dire il mio nome a tutta la scuola? Abbozzo con non curanza un sorriso. Lo vedo inumidirsi le labbra e sono sicura che non ce le ha secche. «Allora, sei una mia fan? Sei una di quelle che mi scriverà un cartellone dichiarando il suo amore imperituro al concerto di dicembre?»
   «Non sono una tua fan.» Replico con stizza. Perché mi sto arrabbiando con lui? Giusto: perché è un arrapato lussurioso. «Mi piace solo la musica degli Amantine
   «E verrai al concerto di dicembre.»
Mi mordicchio il labbro. La verità è che per quel concerto ho pure due biglietti. Il mistero su chi me li ha mandati è ancora irrisolto. Un giorno mi sono trovata nell’armadietto di scuola semplicemente una lettera con allegati i due biglietti, inviato da qualcuno le cui iniziali erano P.C. Non ho mai capito chi fosse. So solo che prima del concerto, il mittente avrebbe gradito che io espiassi le mie colpe. Quali, non mi è dato sapere. Credo nelle buone azioni? Neanche un po’. Sto aspettando il tiro mancino di questa persona, tanto sono fiduciosa nel mondo.
Lui sorride, appoggiando un dito sotto il mento. Mi obbliga ad alzare lo sguardo, rigirando la faccia in modo da vederla in tutte le angolature. Dire che mi sento usata è un eufemismo. «Non ti preoccupare. Volevo solo guardarti. Sei di Chase. Hai sempre saputo quello che potevi fargli, vero? Sbatti gli occhi e lui ti è appresso senza neppure sapere perché.»
Non sapevo che Jamar fosse amico di Chase, seppur dal tono di voce mi sembri che altro bolle in pentola. Ha, in ogni modo, un’alta considerazione di un rapporto quasi inesistente. È vero che sono uscita per un appuntamento con Chase, ormai un mese prima, ed è vero anche che durante gli allenamenti pomeridiani, mentre impreco con la mia allenatrice, lui ha preso l’abitudine di sedersi vicino a me e di chiacchierare. Da quello che mi risulta, quello è l’unico ascendente che ho su di lui.
   «Che cosa farai? Gli andrai a dire che mi sono comportato male? Che mi sono permesso di toccare il tuo bel faccino?» Avvicina il suo volto al mio. Le sue labbra sono gonfie e piene, seppure le sue parole siano veleno. «Non ti preoccupare, Amabel. Non ti bacerei neppure se fossi l’ultima donna sulla faccia della terra.»
Che vuoi farci? Le ragazze di solito si emozionano a ricevere una dichiarazione d’amore, io ne ho appena avuta una di odio. Il suo atteggiamento mi ricorda un po’ quello di Julia: stessa rabbia cocente, stessa sensazione del non sapere cosa l’ha provocata. Jamar può essere molte cose, credo che neppure lui si definirebbe un santo. So questo, però: non si esprime in crudeltà gratuita. Le canzoni che scrive e che poi un altro della band, Michael, canta, parlano di amore, dell’adolescenza, del crescere. Piacciono perché parlano di noi.
Mi alzo in punta di piedi. Con la sua mano sul mento, il collo si sta allungando. È troppo sperare di crescere un altro po’. «Lasciami o ti sputo in faccia.»
Abbandona la presa, forzandosi di sorridere e facendo sballottare la caramellina da una parte della bocca. Arretro di un passo, prima di voltargli le spalle e di andarmene senza tante cerimonie. Il mistero della lettera sarebbe risolto, se Jamar avesse altre iniziali. Ho la sensazione, e questo ho imparato a chiamarlo “intuito di Dalila”, che qualcosa collega quel ragazzo arrabbiato alla lettera altrettanto indisponente. Giro appena la testa vedendo che il ragazzo alza la mano in un cenno di saluto. E mi sentirei più al sicuro se mi avesse puntato contro una pistola.
 
                                                             † † †
 
          Mi sento sporca. Sto frizionando la testa con ferocia senza eguali, nella speranza che l’esorcismo mattutino e la giornata poco appagante se ne vadano. Se è solo un periodo sfortunato, deve essermi rimasta tanta sfortuna in corpo che sono disposta a scuoiarmi viva. Lascio che lo shampoo faccia presa sui capelli. Mi concentro sul mio corpo. Nell’ultimo periodo sono dimagrita, pur mangiando parecchio. Gli esorcismi, soprattutto il terzo, mi prosciugano delle forze e tutte le energie sono concentrate a recuperare massa. Le costole spiccano tra la carne, la pancia è del tutto assente e le gambe, unica parte in cui ho sviluppato massa muscolare, sono solo muscolose. Non ho praticamente neppure più cosce.
Non che il periodo sia il più adatto a mettermi le gonne. La magrezza e le gambe da scheletro sono niente. Dai piedi, con striature rosso sangue e più scure, sale il risultato del rogo che uccise Dalila. Di notte, ormai parecchie di seguito, mi ritrovo a rivivere gli ultimi istanti di vita. La liberazione dalla prigionia, il dolore dell’annebbiamento, la sentenza e infine l’Inquisitore che appicca il fuoco. Sono così preparata al dolore che mi sveglio subito, senza neppure permettermi di urlare. Mamma mi porterebbe preoccupata al Pronto Soccorso e Lie … beh, non può far nulla. Io che mi tormento della mia salute è un peso abbastanza gravoso senza che il mio vizio mi assilli. Sbircio dalla porta della doccia. Lie non è in vista. Si è arreso docilmente al mio ordine, tornata a casa, che per quella sera me ne volevo stare con la mia famiglia. Quasi lo aspettavo battagliero, perché avevo esorcizzato solo uno spirito. Ha la malsana idea che un giorno senza liberare almeno due fantasmi dalle catene terrene, sia un giorno sprecato.
Scivolo un po’ lungo la parete. Edward mi ha appena chiamato. «Sì?»
Sono insaponata e l’unica cosa che posso fare è chiudere l’acqua. La pelle già protesta a contatto con l’aria più umida del bagno. Edward sembra contrariato. «Ti vogliono al telefono.»
   «Arrivo.» Esco dalla doccia e mi avvolgo un asciugamano lungo la vita. Una veloce occhiata e vedo Marge Simpson in versione bianca. Mi infilo le ciabatte con un’imprecazione: i piedi! Non posso assolutamente uscire dal bagno così. Edward sarà un bambino di sette anni, capace di trovare la replica del suo cartone animato preferito a chilometri di distanza, ma credo che le mie ferite potrebbero attirare la sua attenzione. Mi infilo calzini e pantaloni. Poi rifletto e, vaffanculo, mi rimetto pure la maglia. Esco dal bagno in una versione grottesca di me. Lie se ne sta appoggiato al muro, con un sorriso per nulla confortante in volto. «Chi è al telefono?»
Mio fratello si imbroncia e scuote la testa. «Non ricordo.»
Guardo Lie, che si limita ad alzare una mano. Sociopatico bugiardo covasegreti. Prendo la cornetta con uno sbuffo. «Pronto?»
   «Ciao Amabel.»
   «Chase!»
Edward si avvicina e me, a braccia conserte, il broncio in bella vista. Okay. Credo che mio fratello sia geloso di un ragazzo al telefono. Tra l’isteria di mia mamma alla prima chiamata e l’arrabbiatura di Ed per la seconda, credo che la mia famiglia sia una pessima componente in gioco per mie future relazioni. Chase ridacchia. «Credo che tuo fratello sia arrabbiato con me. Mi ha fatto un po’ il terzo grado, chiedendomi chi sono e perché ti sto chiamando.»
Edward si avvicina di un passo, casomai che da dov’è non sentisse tutto quanto quello che Chase mi dice. Parlo cauta. «Sì, me ne sono accorta. Ho la versione in miniatura di Jack lo Squartatore.»
   «Spero di non metterti troppo nei guai. Avrei potuto dirtelo benissimo domani, ma sono stato troppo impulsivo. Volevo sapere subito se ti andava di uscire con me, domenica.»
Abbandono lo sguardo su Ed, fissando la porta del bagno ancora aperta. Un gran vapore sta uscendo e, lo so, quando entrerò mi sembrerà di essere in un frigorifero. «Certo che mi va.»
   «Amabel.» Piagnucola Ed. Strano. Fa i capricci di rado e di norma sono etichettata come “sorellona”. Mi si aggrappa alla maglia, tirandola piano verso il basso. Gli appoggio una mano sulla testa, abbozzando un sorriso. «Ne parliamo meglio quando ci vediamo. Ho un assassinio da evitare.»
Chase ridacchia prima di interrompere la chiamata. Mi inginocchio davanti a Ed. Ha gli stessi occhi nocciola di mamma, il che non mi aiuta. Per quanto, almeno così dicono, io assomiglio molto alla parte paterna, Ed è la copia maschile in miniatura di mamma. Stessi occhi, stesse piccole labbra, gli stessi capelli nocciola dritti. Mi è difficile gestire la cosa. Ultimamente, ogni volta che vedo mamma mi si presentano le parole di Dalila nel definirla: vulnerabile. Fragile. Edward è proprio così. Un piccolo strappo, e rischio di rovinare un intero vestito. «È solo un amico.»
   «Può essere cattivo.»
Troppo piccolo, eppure abbastanza grande da capire che c’è malvagità nel mondo. «Ti faccio conoscere Chase. E poi mi dirai se è o meno un bravo ragazzo. Ci stai?»
Edward batte il suo pugno sulla mia mano, prima di sgusciare a vedere qualche replica alla televisione. Bisbiglio piano. «Io e te dobbiamo parlare. Se ti guardo e intuisci che ho bisogno di sapere una cosa, tu devi darmi la risposta.»
   «Sono un bugiardo, Dalila. Da me puoi aspettarti solo menzogne. E il tuo ragionamento non fa una piega se sei in pericolo o stai svolgendo le tue mansioni. Una chiamata da un ragazzo per fissare un appuntamento non è nessuna delle due. E sai che sono contrario a ogni atto che ti allontana dagli esorcismi.»
Alzo il dito medio prima di rientrare in bagno e continuare la mia opera di raschiatura dalla sfortuna.
Mamma ci trova tutti e tre seduti sul divano. Lie mi impedisce di seguire la trama del film di animazione, commentando la mancanza di veridicità. Come se l’obiettivo principale fosse quello di far vedere come veramente crescono i cuccioli di leone. Lo vedo proprio, Simba, che mentre canta si mangia la zebra su cui doveva arrampicarsi per fare la piramide di animali. Mamma appoggia la borsa sfinita sul tavolo, aprendo il forno a microonde e scaldando la frugale cena che ho preparato. «Grazie, tesoro.»
Mi alzo, lasciando Lie e mio fratello da soli. È una fortuna che sia l’unica a vedere il fantasma, perché è di una maleducazione senza fine, questa sera. Mi siedo sulla sedia, vicino a mamma.
   «Tutto bene?» Frase in codice per chiedere come sta papà.
   «Sì, tutto bene.» Risposta che significa: rimane in coma. Per lo meno è vivo.
Sospiro. Sto per chiedere a mamma del lavoro, quando una donna entra nella mia visuale. È una donna di mezza età, dagli abiti sgualciti e gli occhi spalancati. Sembra non sapere bene che cosa ci fa lì. O quello, o i suoi capelli arruffati e la pelle diafana in contrasto con le gote rosse me la fanno pensare un’invasata. Mi fissa distratta, si guarda in giro e poi si dirige nella mia camera. Che ci fa un fantasma in casa mia? E chi gli ha detto di andare nella mia camera?
Lie mi bisbiglia piano sull’orecchio. Una delicatezza per evitare di sobbalzare davanti a mamma. «Dimenticavo. Visto che non volevi uscire di casa ti ho portato un po’ di lavoro qui.»
Sbatto gli occhi e Lie si ritrae all’improvviso. È l’unico fantasma che posso toccare e al momento fargli male non mi crea problemi. Mi alzo riluttante, fingendo di cercare qualcosa nelle tasche della tuta. «Ho dimenticato …» Un esorcismo da fare in camera. «… il cellulare. Arrivo tra un minuto.» Facciamo anche cinque, se mi trovo un fantasma riluttante.
Sospiro. Facciamo pure dieci, se in camera ho altri fantasmi!

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Capitolo 4
*** 4 ***


4
 
 
 
            Non mi piacciono le assemblee di istituto. Di norma, prendo un libro di narrativa, mi nascondo nelle sedie più lontane dalla tavolata dei rappresentanti, e leggo. Di tanto in tanto mi capita di alzare lo sguardo e di fissare Chase. L’ho sempre fatto, incurante di Mary che sospirava per lui e Julia, irritata, che brontolava vicino a lei.
Per la situazione attuale a scuola, sarei stata sotto le coperte fingendomi malata. Sono indietro, di nuovo, con lo studio e ho bisogno di riposarmi. Ho appena chiuso gli occhi questa notte, visto che di tanto in tanto mi entrava in camera un fantasma, mi chiamava, sobbalzavo, lo esorcizzavo e poi mi giravo parte. Più o meno così fino alle cinque di mattina. Poi la sfilata dell’Altro Mondo ha avuto la decenza di chiudere i battenti e io ho dormito due ore scarse. Cerchiamo di essere ottimisti: ho dormito così poco che l’Inquisitore non ha avuto modo di bruciarmi. Si rifarà questa notte.
Alzata dal letto ho valutato di fingermi malata. Le occhiaie sono presenti, i brividi per tutti quei risvegli fuori programma pure. Rimaneva solo Lie. Stare a casa significa avere più tempo per svolgere il mio compito di esorcista: il che significa che per mezzogiorno ho fatto fuori tutto quello che c’è in frigo e sto pure pensando di andare al ristorante. L’assemblea d’istituto è il male minore. Sono uscita anche prima da casa, visto che mamma può portare Ed a scuola e io posso scappare prima da “questo è il tuo compito” Lie.
Mi stiracchio il collo, fissando un punto davanti a me. Se non vedo fantasmi, non possono chiedermi di esorcizzarli. Dopo una notte insonne, questa è la mia verità.
Entro nel cortile della scuola, trattenendo a stento uno sbadiglio. Mi accorgo che qualcosa non va. Niente vociare, niente schiera di ragazzi intorno al loro sole. Socchiudo gli occhi, controllando il cellulare. No, sono puntuale. Non possono essere entrati tutti a scuola. Forse sono arrivata io troppo presto.
Mi gratto la testa, una ciocca mi scivola dalla coda attorcigliandosi sul bottone della giacca. Urge andare dal parrucchiere ma, anche se mi sono sempre piaciuti i capelli corti fino alle spalle, da quando Dalila si è risvegliata ho il desiderio dei capelli lunghi. So che è colpa sua. Per ripicca mi raperei a zero, se non sapessi che io sono Dalila.
   «Mini Jack lo Squartatore ti ha fatto vivere.»
Trattengo a forza uno sbadiglio. «Ciao Chase.»
Nell’ultimo periodo è diventato ancora più carino. Ha perso un po’ di peso, così il volto è più magro e allungato. I suoi occhi verdi hanno acquistato nuove sfumature, o io non ci ho mai fatto caso a quanti tipi di erba può racchiudere al suo interno. I capelli sono arruffati da una notte insonne, ma niente occhiaie e, gentilmente, niente sbadigli di ripicca. Allunga una mano, sciogliendo la ciocca dalla sua prigionia. «Ciao Amabel.»
   «Pensavo di essere in anticipo. Niente schiera di fan per darti il benvenuto?» Alza le sopracciglia, infilandosi le mani in tasca. Okay, ora che è a conoscenza che lo osservi, meglio ritrattare. «Cioè … voglio dire ...»
   «Sono scappato da loro.» Continua a fissarmi, soppesandomi. «Ti crea problemi che preferisca stare con te?»
Avvampo, abbassando lo sguardo. Ora non ho più sonno. Sento lo zaino che mi viene sottratto dalla spalla. «Andiamo nel tuo armadietto? Non sia mai che scegli male i libri da leggere durante l’assemblea.»
Mi incammino, seguendolo proprio come un cagnolino. «Non è molto gentile da dire!»
   «Ma se è vero! Dimmi almeno un argomento di cui parleremo oggi.»
   «Non sono una persona politicamente attiva. Mi faccio trascinare dagli eventi.»
   «Dimmi un argomento della scorsa assemblea, allora.»
Arriccio il naso. «È passato troppo tempo! Come faccio a ricordami quello che è successo l’anno scorso?»
   «Sono più che sicuro che le cose che ti interessano le sai a memoria.»
Entriamo nella scuola. Forse perché è novembre e nessuno sano di mente aspetta gli amici all’aperto, forse perché c’è quel poco di riscaldamento che rende l’aria tiepida, ma all’entrata ci sono degli studenti. Un gruppetto di ragazze corruccia la fronte. Una di loro mi addita e bisbiglia infuriata a quella vicina. Ha la decenza di non farsi sentire, ma se l’altra ti fissa e annuisce con rabbia, parole di zucchero non le sta proprio dicendo.
Chase si avvicina di più a me, il suo gomito sfiora il mio in una scossa silenziosa. Sembra volermi dire che a lui non dà fastidio. Anche se nell’occhio di un ciclone che non mi ero preparata a dover fronteggiare, va bene anche a me.
Apro l’armadietto, infilando la giacca al suo interno. Una foto di me e Edward al parco di divertimenti fa sorridere Chase. Si appoggia agli armadietti vicini, aprendomi lo zaino. Prendo qualche libro a caso, infilandoli senza tanto pensarci. Estraggo quello di letteratura, un tomo di mille pagine, oggetto di compito e interrogazione della prossima settimana. Almeno potrei leggere qualcosa. Essendo la mia materia preferita, non mi costa neppure tanto studiarla. Di cosa stavamo parlando? Giusto. «Il punto è che non mi piacciono le assemblee. Non so neppure perché cerco di spiegartelo.»
   «Forse perché sono un rappresentante d’istituto?»
   «Questo è un motivo per cui non dovrei giustificarmi. Tu sei ciò da cui cerco di fuggire: conformismo, politica e un gruppo di ragazzi che si riunisce perché si salta un’intera giornata di lezioni.»
Ridacchia, estraendo il cellulare dalla tasca. «Ora che siamo in tema di giustificazioni, vorrei evitare la prossima volta di subire un’interrogazione da parte di tuo fratello.»
   «Oh, avanti. Edward è un amore.»
Lo fa dondolare davanti a me. «Solo perché voglio sentirti non posso ascoltare gli urletti di tua madre o tuo fratello che mi chiede chi sono, perché chiamo, cosa voglio da te. Me lo fai questo favore? Se non vuoi ascoltarmi, basta che mi mandi un messaggio e non ti disturberò.»
Voleva sentire me? Il mio orgoglio sguscia fuori festoso e scodinzola felice. Sorrido, pensando che il messaggio di rifiuto della chiamata non lo riceverà mai. Passo il libro di letteratura a Chase, lui mi cede il suo cellulare. Un foglio di carta svolazza e si infila in parte sotto all’armadietto. Chase sospira. «Adesso lo prendo.»
   «Grazie.»
Picchietto piano con il dito sui tasti. Mi sembra che lo schermo sia troppo sensibile e non vorrei scrivere un altro numero al posto del mio. Sono emozionata di essere io a scriverglielo. Mi sembra di avere più contatto diretto con lui. È strano da dire, ma è come se volesse dirmi che si fida di me. Aveva ragione, Jamar, nel dire che basta un niente perché Chase faccia quello che voglio? Sicuramente lo ha detto per farmi arrabbiare. Salvo il numero e gli restituisco il cellulare. Chase è distratto. Sta soppesando la lettera caduta. I due biglietti del concerto sono in parte usciti. È chiaro cosa sono. «Quindi sei una fan degli Amantine. Di Jamar, immagino.»
Sembra deluso. «No, niente del genere. Mi è stata mandata quella lettera con i biglietti. Non so il perché ma ti assicuro che non sono una fan di Jamar.»
   «Ti hanno regalato i biglietti?» Sembra sospettoso.
Perché devo giustificarmi? Certo, perché lui mi ha detto che ieri sera voleva sentirmi. E io voglio mettere un muro tra me e Jamar. Con il suo cellulare in mano, estraggo a fatica la lettera dalla busta che regge e gliela porgo. «Vedi? Me l’ha mandata P.C. Io pensavo fosse una tua spasimante. Sai, per la questione di espiare la colpa. Io non sono una fan di Jamar. Assolutamente non mi piace.»
   «Perché una di loro avrebbe dovuto mandarti una lettera?»
Alzo le spalle. «Non lo so. So solo che poco prima di uscire con te mi è capitata questa lettera. Non capisco cosa ci sia da espiare, altrimenti.»
Chase sistema la busta dentro al mio armadietto, dopo aver osservato per un minuto buono la lettera. Si infila il cellulare in tasca ma rifiuta di ridarmi il libro. Ha capito che ho intenzione di sistemarmi in ultima fila. Sospiro. «Chase, dammi il libro. Per piacere. Non è così pesante.»
   «So cosa vuoi fare. Scegli: o ti do il libro e ti prendo per mano, oppure cammini al mio fianco come adesso. Ti ricordo che tutti ci stanno guardando.»
Mi mordicchio il labbro inferiore. Lo so. Mi sembra di essere una modella a una sfilata, solo che una modella non ha i capelli che le stanno da schifo, le occhiaie per la notte insonne e un paio di pantaloni ingrigiti dai mille lavaggi. I pantaloni buoni erano tutti o a lavare o rotti per gli esorcismi. Mi tiro un po’ più giù la maglia per nascondere il loro colore. Stupida. Ne manca ancora prima di nasconderli!
L’aula proiezioni è la più grande dell’istituto, luogo in cui di norma facciamo le assemblee. Può capitare che, per ragioni a me sconosciute, ci facciano stipare sui materassini in palestra, ma oggi c’è andata bene. Chase mi porta in prima fila e, orrore, davanti a dove di solito si mettono i rappresentanti. Infatti, vedo Natalia, l’altro rappresentante, che sta parlando con i due che scriveranno la relazione da consegnare al preside con gli argomenti trattati. È vero, perdiamo un giorno di scuola, ma a tutti piace di più se lo perdiamo e abbiamo parlato di cose interessanti.
Chase si siede, io mi accoccolo vicino a lui. Schiocco la lingua. «Perché proprio in prima fila?»
Ridacchia. «Oh, non è una delle sofferenze peggiori. Preferisci quando la Lowry ti richiama? Essere in prima fila non regge neppure il confronto.»
   «Ho camminato vicino a te. Tutte le ragazze della scuola mi odieranno. Ci saranno un centinaio di P.C. che chiederanno la gogna. Sedendoti vicino hai appena puntato una grossa freccia su di me.»
Chase si avvicina, appoggiando il libro di letteratura sulle mie gambe. È così vicino che sento il profumo della sua pelle, il luccichio remoto degli occhi, le piccole rughe sulla fronte. Il suo naso sfiora il mio e non mi sembra di essere l’unica a trattenere il respiro.
   «Chase, dobbiamo discutere di un punto del programma!» Natalia mi è sempre stata antipatica, con il suo fare altezzoso e l’aria saccente. Credo che oggi sia una delle persone che più apprezzo. Chase si alza, bisbigliando all’orecchio. «Puoi andare dove vuoi, ma poi ritorni qui.»
Scopro che ho le labbra leggermente aperte, in un’espressione di malcelato stupore. Perché devo rimanere in prima fila? Io non voglio neppure sentire i punti dell’assemblea. Anzi, io all’assemblea sono venuta solo perché a casa Lie mi avrebbe massacrato di esorcismi.
Giro la testa, vedendo Julia due file dietro di me, che alza un sopracciglio. No, non me la sento di andare a subire la sua ira. E Mary non si vede. Un ragazzo attira la mia attenzione. Non è appariscente. Anzi. Lo noti perché ha il classico aspetto di chi non viene mai fissato. Occhiali troppo grandi, maglia che gli cade fin sulle ginocchia, si tormenta nervoso le mani. Lo seguo con lo sguardo, finché un gruppo non gli passa attraverso. Mi alzo in piedi, lasciando il libro ad occupare il mio posto.
Lo seguo a distanza, distratta da una mia compagnia che si congratula con me. Corruccio la fronte: noi non ci parliamo fuori dalla classe. Mi evita, questo lo ricordo. E valutando come sono vestita questa mattina, è straordinario che qualcuno finga pure di conoscermi. «Amabel! Sto parlando di te e Chase! Ti hanno visto tutti mentre parlavi con lui.»
Chissà quando la scuola imparerà a farsi un po’ i fatti suoi. Abbozzo un sorriso. «Sì, siamo amici.»
   «Chase non porta i libri a nessuna delle sue amiche. Devi raccontarmi assolutamente tutto!»
   «Certo!» Quando l’Inferno congelerà, saprai tutto. «Ora scusami, devo andare … in bagno.»
Faccio uno scatto verso il corridoio, evito Jamar che finge (spero) di volermi dare un pugno, scivolo vicino alle porte del bagno e mi guardo in giro. Dove è andato? Stupidamente non ho pensato a guardare ogni stanza che mi trovavo davanti prima di arrivare qui. Nervosamente mi porto le mani alla testa. Ho perso un fantasma. Un’esorcista perde chi deve aiutare. Robe da matti. E solo perché i miei compagni mi hanno visto chiacchierare con Chase. Apro la porta del bagno delle ragazze. Deserto. Nessun tintinnio, nessun sobbalzo da comparsa extracorporea. Mi guardo in giro, prima di aprire la porta della toelette maschile. Nessuno.
Sto per richiuderla ma qualcosa non va. La apro appena, socchiudendo gli occhi. Lo percepisco, più che vedere, un cambiamento nell’aria. È più densa, più carica di elettricità. Più spettrale. È una sensazione conosciuta, la stessa di quando crollo a terra dopo un esorcismo e annuso l’aria. Vedo leggermente anche le scintille blu del primo esorcismo. Solo che non è opera mia. Nella scuola c’è un altro esorcista.

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Capitolo 5
*** 5 ***


5
 
 
 
            Stupidamente non ho mai pensato a un altro esorcista. Già io, a dirla tutta, pensavo di essere un eccezione. Se non fossi stata la reincarnazione di Dalila, la mia vita sarebbe stata normale.
Sono seduta nella prima fila, con il dibattito studentesco in corso. Le parole mi arrivano da qualche parte, lontane, mi raggiungono da ogni direzione e mi lasciano inerme. Riprendo conoscenza quando il ragazzo vicino a me parla di «vergogna». Qualcun altro sbraita che è inaccettabile e mi ostino a cercare di recuperare il filo del discorso. Apro leggermente la bocca quando tutti i tasselli si mettono al loro posto. Mi sono sempre disinteressata di un sacco di notizie scolastiche, quindi ignoravo le battute alle spalle dei docenti, gli ultimi gossip in fatto di amori tra i banchi e, da quello che mi è dato sapere, anche che i fondi della scuola sono stati ridimensionati e che è da un mese che non c’è carta igienica in bagno. Mi chiedo da quando sono diventata così insensibile alla mera materialità. Mi mordicchio il labbro inferiore, guardando Chase che fa da moderatore e passa la parola ai vari studenti. Avrò avuto undici anni. Eravamo al ristorante. Edward mangiava in braccio di papà, anche se più che nutrirsi sembrava rosicchiare un pezzo di pane. Ero andata in bagno, da sola. Solo a opera finita, mi ero accorta che mancava la carta igienica. Con traballante dignità, ero uscita dal bagno per scoprire solo che non c’erano neppure salviettine. E di provare in quello dei maschi non se ne parlava neppure. Mi ero rintanata dentro, dubbiosa. Era poco prima che mi comprassero il cellulare e tutto quello che avevo era un assorbente sporco appena gettato nel cestino e un fazzoletto in tasca. Ignorando che con quel fazzoletto mi ci ero soffiata il naso, mi ero pulita meglio che potevo. Da allora, indipendentemente dal luogo, vado in bagno con un pacchetto di fazzoletti e, prima di tutto, controllo l’eventuale assenza di carta. Già mi vedo, nel bagno della scuola, a controllare e ad alzare le spalle incurante. Sì, più che possibile che ignori la sua assenza.
Un’altra ragazza, una del terzo credo, si lamenta dell’assenza del sapone. Pure! Dove diavolo sono stata nell’ultimo mese? Giusto, a ottobre sono iniziati i miei problemi con i fantasmi. Meglio lavarsi le mani con acqua e disinfettante che spremere senza venir fuori sapone liquido dai contenitori. Quello l’ho sempre dentro lo zaino. Soluzione semplice.
Poi mi distraggo. C’è qualcosa che mi sfugge. Se ci fosse un’esorcista in città mi avrebbe preoccupato meno. Nella scuola, ecco, mi puzza. Significa che un altro ragazzo, possibilmente della mia età, sta facendo quello che faccio io. Cerco di ricordare la prima conversazione vera con Lie, quando mi ha detto che sono Dalila. Ha detto qualcosa che avrebbe dovuto mettermi in allarme. Ha parlato di altri esorcisti? Non credo, me lo ricorderei. Cos’è che ha detto? Ho bisogno di chiederglielo, facendo domande specifiche e obbligandolo a non mentire. C’è altro, però. Che riguardi il mio incubo? Che succede nel sogno? Io in prigione. Perché? Perché sono un’esorcista, quello lo ha detto anche Lie. È per quello che sono stata arsa viva. E poi? Vengo portata alla catasta di legna, mi inumidiscono le labbra e … piango. “Degli altri nomi di cui ho fatto menzione, che Dio posso perdonarmi, proclamo la loro innocenza” … altri nomi. Altri esorcisti? La testa mi scoppia e, come mi capita quando cerco di forzare la memoria, mi manca il fiato. Evitiamo l’autocombustione per oggi, grazie.
Suona la campanella, perché solo questo giustifica la baraonda generale. Guardo l’orologio, scoprendo che il libro di letteratura è stato inutilizzato per tutta la mattina. Ho ascoltato le ultime battute dell’assemblea, le conclusioni e il riepilogo li ho già rimossi, ma per lo meno stare in prima fila ha cancellato il tedio. Mi alzo e Chase è già al mio fianco. Mi prende dalle mani il libro. I vicini sono in silenzio e ci osservano. Mi chiedo se non hanno altro da fare, e poi se non sto diventando paranoica.
Ci avviamo in silenzio al mio armadietto, dove recupero lo zaino e infilo dentro il libro che ha in mano Chase. Mi sembra che il libro sbatacchi troppo allegramente, libero da altre costrizioni.
L’aria all’esterno non è fredda. Fragrante, sì. Credo che sia il termine che più gli si addice. «Hai ascoltato gran poco.»
Vero. E noto pure che si è visto. «So che manca la carta igienica dal bagno.»
   «Come farai l’anno prossimo, quando mancheremo noi del quinto?»
   «Mi aspetto che quelli della quarta vengano promossi.» Da quando sono diventata così spiritosa? Cerco di ignorare che, con il passare degli anni, un bel giorno mi troverò anch’io in quinta. E visto che a malapena riesco a ignorare il fatto che vengo eletta puntualmente rappresentante di classe e mi dimetto nella prima ora, se mi dovesse capitare su larga scala mi sarebbe più difficile svicolare.
Chase mi tira per un braccio, guidandomi verso una moto. Alzo le sopracciglia, quando lui estrae le chiavi. «Amabel, tra due mesi ho diciannove anni.»
   «Lo so!» Mi è pure scappato che si è comprato la moto. Piccolo proposito per l’anno nuovo: interessarsi di più delle persone vive.
Incurante, si appoggia alla moto. La vedo traballare ma stoicamente mantiene la posizione eretta. Il cavalletto è ancora sollevato, l’adesivo di un fantasma stilizzato con tanto di lenzuolo mi fa “Buuu” dalla fiancata. È stata la prima vera conversazione. Mi aveva detto che sembrava avessi visto un fantasma, da quanto correvo. Neppure due ore dopo ero seduta sul divano di casa, a parlare appunto con uno spirito. La moto è rossa e bianca, capisco perché a scuola le ragazze gli girano intorno. La velocità deve essere un’eccitante secondario a stare stretti a lui. «Stai passato un brutto periodo.»
Non è una domanda. Mi chiedo cosa glielo fa dire. Sono impegnata, è vero. Definirlo un brutto periodo, però, mi sembra scorretto. Giusto. La sera prima avevo tentato di scorticarmi viva con la spugna per cancellare la sfortuna. Cosa mi era successo? Ridley fantasma era comparso in casa mia e aveva chiesto il mio aiuto. Avevo svolto il mio compito, risvegliandolo dal coma al prezzo di essere quasi ammazzata dal suo partner. Ero scappata, e ricordo ancora la folata di vento che si era portato via l’anima di quel pazzo. Avevo trovato un bambino fantasma, lo avevo aiutato recuperando il suo cadavere nel frigo. L’assassino, il suo padre adottivo, aveva tentato di uccidermi e per la prima volta Dalila aveva preso il controllo del mio corpo. Ora Ridley mi dava la caccia per questo fatto. Infine, Carlos aveva tentato il suicidio e mi aveva chiesto di aiutarlo. Di fatto, avevo ucciso la sua anima e di conseguenza il corpo non aveva retto. Mary non si era ancora ripresa. Julia non mi parlava. Lie mi ricorda in continuazione quel bambino trovato nel frigorifero. Io sogno come sono morta e ne porto da sveglia i segni. Jamar che mi minaccia, P.C. mi regala i biglietti per un concerto e non penso sia per gentilezza.
Incrocio lo sguardo del ragazzo. «Sì, non è un bel periodo.»
   «Ti va di fare un giro?»
Campanello d’allarme. Chase abbassa lo sguardo, ridacchiando. «Il cellulare, Amabel.»
Impreco sottovoce. Mamma mi chiama. È a lavoro e mio fratello non sta tanto bene. Devo andarlo a prendere a scuola. Ci sono problemi? No. Deve avere un radar per capire quando le sue chiamate mi arrivano inaspettate e poco gradite. Riattacco, sorridendo mio malgrado. «Magari un’altra volta. Mio fratello è ammalato e devo andare a scuola a prenderlo.»
   «Ti accompagno.»
Libera la moto dal cavalletto, la trascina lungo la ghiaia e poi mi aspetta. Non mi ha chiesto perché una minorenne deve andare e prendere suo fratello. Non mi ha chiesto perché mamma ha chiamato me, invece di mio padre. Schiocco la lingua, affiancandolo. Ho la sensazione che Chase mi nasconda qualcosa. Sto per aprire bocca ma mi precede. «Ti è mai capitato di avere dei déjà-vu così forte da non sapere cosa è vero e cosa no? E nonostante tutto, cerchi di indagare perché tutto, in te, ti dice che non è vero?»
Mamma vista come fragile da Dalila, il poliziotto definito Caino, io che cerco di scrivere con pennino e inchiostro, non capendo a che mi serve la penna davanti. Deglutisco a forza, abbassando lo sguardo sulla strada. L’asfalto liscio, senza pieghe, duro a contatto con i miei piedi. Strano come ricordi la terra altrettanto dura, i sassi che ti scorticano le ginocchia quando cadi, il profumo della foresta. Ricordi, non déjà-vu. Dalila tra quella terra, quei sassi e quegli alberi ha vissuto. Mi fermo davanti alla scuola di Ed, senza aver aperto bocca. Mi intrufolo dentro, assalita dai ricordi. C’era un tempo in cui io e Julia correvamo tra quei banchi. Ora sono solo una stronza.
Edward se ne sta moribondo su un banco, imbronciato. La maestra mi vede e accenna un sorriso di compassione. La scuola sa della situazione che abbiamo in famiglia. Hanno acconsentito che io vada a prendere mio fratello durante le emergenze. Quello che non capisco, è perché devono guardarmi così. Faccio passare la mano nella fronte sudaticcia di mio fratello. Non è caldo. Alzo lo sguardo e la donna mi spiega che Edward ha vomitato. Oh, influenza intestinale o si è ingozzato a mensa? Sorriso di convenienza, una firma sul fatto che lo sono venuta a prendere e poi sono trascinata all’esterno da mio fratello. Meglio non indagare su che cosa fanno i suoi compagni al pomeriggio.
Mio fratello si ferma, alzando gli occhi sulla moto. Sono convinta che Chase potesse piacergli di più se fosse arrivato a cavallo di un dinosauro. Anche così, però, credo abbia guadagnato punti e non sia più il cattivo della sera prima. Chase lo fa salire sulla moto spenta, trascinando la moto. Mi sento la terza incomoda. Di certo, Ed sta molto meglio se può sgommare con la moto nei suoi “Brum brum”.
   «Stavo pensando che domenica possiamo andare in un bar del centro, a prenderci qualcosa.»
   «Certo.» Brum brum.
Tentenna un po’. «Così possiamo parlare.»
   «Così finalmente saprò la verità.» Potrei fingere un passo oltre il marciapiede e provare l’ebrezza di camminare sulla strada. Dire inaspettatamente frasi umilianti non mi deprime più come il solito.
Chase annuisce serio. «Sì. Credo che sia proprio il momento di parlarne.»
Ci fermiamo davanti casa. Il ragazzo agguanta mio fratello per la vita, facendolo scendere. Edward gli dice di venirlo a trovare, Chase abbozza un sorriso mentre lo vede correre su per le scale. E io sono andata a prenderlo a scuola perché ammalato.
Sospiro. «Mi dispiace averti fatto arrabbiare.»
   «Anche a me. Ci vediamo domenica. Ti vengo prendere a casa alle quattro.»
Alzi la mano chi non ha capito cosa è successo. Chase accende la moto, si infila il casco e sguscia lontano. Che diavolo sto facendo?
Fisso la via deserta per un po’, poi entro nell’appartamento. Edward è sul divano e sta guardando un Dvd. «Devi star proprio tanto male.» Di tutta risposta, prende dai piedi una coperta e se la mette fino sotto al naso. Tutta scena. Sta meglio di me.
Prendo il telefono e chiamo mamma. Sì, sono andata a prendere Edward. No, adesso sta meglio. Ha vomitato dopo mangiato. Se ha fatto finta di star male perché non voleva fare il pomeriggio? Lo guardo accoccolato sul divano, mentre stringe il cuscino sopra la coperta. Spero che un giorno si ricorderà di come l’ho aiutato e che ricambi il favore. Quindi dico che assolutamente no, lui il pomeriggio voleva farlo a scuola.
Riattacco, portandogli il gelato della salute. Alza lo sguardo e, da come mi fissa, so che siamo in due che sanno la verità. Non serve il mio sesto senso per le menzogne. È mio fratello. Sangue e non sangue sono inutili.
Sospiro, guardando sotto il lavandino. Il secchio del vetro è stracolmo. Lo sfilo, sistemo alla meno peggio le bottiglie e mi incammino. «Ed, esco un attimo a buttare fuori il vetro.» Silenzio. Uno, due, tre. «Un triceratopo sta entrando in casa.»
   «Cosa?»
   «Porto fuori il vetro.»
   «Okay.»
Ridacchio. I bambini. Faccio le scale e svuoto tutto dentro al cassonetto in un assordante scroscio di vetri. Butto il secchio per terra, raccolgo una bottiglia che si è suicidata. Con pollice e indice la invito a far compagnia alle altre.
Mi pulisco la mano sui pantaloni scoloriti. Un corvo gracchia terrorizzato su un ramo. Alzo lo sguardo giusto il tempo per vederlo spiccare il volo. Osservo il secchio. Ho la quasi certezza che si sia spostato di un centimetro, come mosso dal vento. Solo che non spira un filo d’aria.
Stringo la mano sinistra a pugno, mi sporgo oltre il cancello. Silenzio. Ho la sensazione che qualcosa non va. Osservo la porta socchiusa del condominio. Edward sarà impegnato a guardare i cartoni animati e io non ho intenzione di spostarmi da lì. Ho solo bisogno di controllare qualcosa.
Esco per la strada, corro fino all’incrocio con il primo viale, poi scatto dalla parte opposta. Non c’è nessuno. Rifletto. Il corvo si è allontanato per un qualche motivo. Ritorno alle immondizie, giro l’angolo del condominio e il fantasma si gira a fissarmi.
È un primo o un secondo livello. Non sono in grado di distinguerlo. Mi fissa con occhi vacui, quindi immagino che non parli. L’ago pende dignitosamente verso il secondo livello. Alzo le mani prima che possa reagire. I pantaloni mi piacciono così come sono, grazie. Sollevo entrambe le mani. «Secondo esorcismo: ascensione».
Le catene escono dalla mano destra per attorcigliarsi lungo la sinistra. Calde, blu e rassicuranti. Lo avvolgono e lui le spezza. Sento il dolore che mi irradia alle mani. Ho ora la certezza che non è nessuno degli spiriti cui ho avuto a che fare. Grugnisce, avventandosi contro di me. Mi riparo contro l’albero, sentendo l’impatto. Vedo le poche foglie ancora rimaste scuotersi. Ha consistenza. Dannazione, può toccare gli oggetti.
Sguscio di lato, scavalcando il secchio del vetro. «Lie!»
Compare prima ancora che il secondo attacco mi spezzi. Lo vedo osservare lo spirito e intuire il perché le mani mi sanguinano. «Quarto spirito.»
Mi allontano di nuovo, ora le mani si dilettano in una colorata pioggia di scintille di fuoco. «Dalila, prega con la mano sinistra.»
Incurante del dolore, sollevo la mano sinistra ad altezza petto. Lo spirito mi è troppo vicino, mi attaccherà e Lie non avrà il tempo di dirmi cosa fare. Vorrei che Dalila fosse lì. Saprebbe aiutarmi. Lei è in grado di fronteggiare nemici del genere. E poi un’altra illuminazione. La seconda della giornata. Io sono Dalila.
La mano si fa più sicura, una goccia di sangue imbratta la manica della maglia. «Quarto esorcismo: remissione del peccato.»
Mentre termino l’invocazione, sposto la mano davanti allo spirito, come ad invitarlo ad attaccare. La catena grigia mi esce dal palmo, dolorosa, e si conficca dritta nel petto dello spirito. Sono unita a lui in un modo che non avrei ritenuto possibile. Scopro che si chiamava Albert, che è stato ucciso dai suoi complici in una rapina. Vedo la sua anima corrompersi piano piano nel corso della sua esistenza. Il bambino sempre serio diventa il bulletto della scuola, poi incontra cattive compagnie in una escalation continua. Da anima, quella è la sua condanna. Partire dal quarto spirito e raggiungere i vertici della piramide? Possibile? Il mio compito non è giudicare. Eppure non mi sento di dire di esserne insensibile. Mi piego sulle gambe. Fa male. Fa dannatamente male.
“Pentiti”. È una richiesta, da anima ad anima. Il mio corpo non reggerà ancora a lungo e lui, ormai, continua ad urlare. Forse sono io che sbaglio. Alzo lo sguardo e rivedo quel bambino serio. Raggiungere lui è più facile. Non è ancora corrotto, posso piegarlo, posso spiegargli cos’è il male. E lo vedo. Una scintilla di luce nelle tenebre, la mia catena che si rischiara e avvolge lo spirito. Con un ultimo sforzo mi stacco da lui, crollando a terra in un rantolo. Mi fisso le mani. Sono coperte da una patina di sangue densa. È questo il prezzo per un esorcismo sbagliato? Dannazione. Bastava qualcosina in meno.
Lo spirito scompare, lasciando l’aria carica del suo miasma. Lie si avvicina. Si inginocchia e vedo che sta per sfiorare la mia mano. La ritira un attimo, poi mi prende il polso e guarda la ferita. «Come te la sei procurata?»
   «Credevo fosse un secondo livello.»
Scuote la testa. «Anche se fosse, avrebbe rotto la catena. Non può ferirti.»
Mi libero dalla sua presa. Mi alzo dolorante. Ho una fame che pure il secchio di vetro mi sembra un buon cibo. Osservo i pantaloni. Sono sporchi, ma posso recuperarli. La maglia ha le maniche imbrattate di sangue, ma sono salvabili. Io, all’opposto, mi sento un catorcio. Ho l’istinto di passarmi le mani sui pantaloni ma no, mamma avrebbe un infarto nel lavarli. E io non reggerei al dolore.
   «Devi tornare in casa.»
   «Sì.» Confermo. «Di cagate per oggi ne ho fatte abbastanza.»
   «Signorina Wright. Tutto bene?»
Mi alzo in piedi, scossa. Ridley, a mano di una ragazza carina, si è fermato a osservare. Di tutte le case che ci sono in giro, proprio nella mia deve mettere il naso? Spero di non avere l’aspetto troppo sconvolto, così recupero il secchio con una mano e l’altra la nascondo dietro la schiena. «Salve, detective Scott. Sì, mai stata meglio.»
In effetti, negli ultimi cinque minuti ho rischiato di morire attaccata da un fantasma, quindi … è la verità. Quando sei in picchiata libera, ogni cambio di direzione è positivo. La ragazza mi fissa con sguardo incerto. Qualunque cosa abbia in faccia ci deve rimanere, perché mostrare le mani è l’ultima cosa da fare. Abbasso lo sguardo per vedere il fondo del secchio tingersi di sangue. Merda.
Ridley non si deve fidare molto di me. Osserva alle mie spalle. Lo spirito è scomparso nel momento in cui l’ho purificato, Lie è preoccupato e invisibile alle mie spalle, Edward starà ancora guardando la televisione. A meno che non esca una mia vicina di casa, e lo saprei dagli urli visto che la mia mano insanguinata guarda proprio l’ingresso, io sono innocente. Da qualunque accusa.
   «Suo fratello non ha l’aria di stare bene.»
Guardo alle mie spalle. Non c’è Edward. Per la verità non c’è proprio nessuno. La sua ragazza lo pigola piano. «Ridley, no.»
   «Megan, c’è un bambino. Non me lo sto inventando.»
È vero. C’è un bambino. Solo che Ridley non può vederlo. Perché il bambino è Lie.
 

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Capitolo 6
*** 6 ***


6
 
 
 
      Lie si trova seduto sul mio letto. Mi sono medicata le mani alla meno peggio. Ora non sanguinano più, ma sembra che un cane abbia attentato alla mia vita. Cerco di muoverle. Fanno male. Sarà divertente vedere come maneggerò le posate alla sera. Meglio proporre a mamma di prendere il cinese. Sono uno schifo con le bacchette, anche se mi ostino ogni volta a mangiare solo con quelle. La differenza tra adesso con le mani così e di solito è minima. Anzi. Potrei addirittura essere migliorata.
Osservo Lie. Ridley lo ha visto. Ne sono certa. Gli ho dato una veloce occhiata e ha capito. “Vai via”. Si è allontanato, nascondendosi alla vista del ragazzo. Io mi sono limitata a dire che non c’era nessuno e che mio fratello era in casa. Ho urlato a Edward e lui si è affacciato curioso. Vede? Vede, ma non mi crede lo stesso.
Sospiro. «È una fortuna che riesco a muovere le mani.»
   «Fortuna, dici? Ridley mi vede. Per lo meno sembra ancora incerto su cosa siamo. Non cambia molto.»
   «Cerco di vedere il bicchiere mezzo pieno. È positivo pensare che riesco a muovere le mani, piuttosto che mi sono auto-esorcizzata da sola. O che l’abbia fatto un fantasma.»
Riesco pure a strappargli un sorriso. «Già, parliamo di quello. Non è normale che tu abbia quelle ferite solo al quarto esorcismo.» Faccia scettica da parte mia. Soprattutto perché non ha detto che è impossibile che io mi ferisca con gli esorcismi … ha detto che solo al quarto non posso ferirmi. Differenza minima, ma con le mani sbrindellate lo capisco bene. Continua. «Mi sono reso conto, ormai, che il tuo livello è incompleto. Impari velocemente, nulla da eccepire. Sembra che ti manca solo pratica. Però quelle ferite non puoi fartele perché hai sbagliato esorcismo. Lo hai già fatto in passato. Imprigioni uno spirito con un esorcismo di livello inferiore e ti prepari per la giusta invocazione.»
Tutto quello che penso è chissà che fame aveva Dalila dopo tutta quella fatica. «Il quarto è l’esorcismo più debole da compiere con gli spiriti Caini. Sai che significa Caino, quindi immagino che tu possa intuire a cosa mi sto riferendo.» Sta parlando di anime che in vita hanno commesso atti negativi. Ricordo di aver visto sprazzi di vita passata dal fantasma esorcizzato, ma non includeva l’omicidio. Lie continua. «Un quarto livello è uno spirito che in vita ha commesso atti di dubbia moralità, ma non abbastanza da essere completamente corrotto. Si parla di anime che hanno commesso furti, incidenti, … e non ne provano vergogna. Non si pentono dei loro atti. Non sono puri, innocenti, ma neppure corrotti. Il quinto livello sono i Caini veri e propri: omicidio, stupri. Sono corrotti fino al midollo e il loro aspetto non è più umano. Non gli è concesso il volto.»
Mi lascio sprofondare nella sedia. Non vedo proprio l’ora che continui con le belle notizie. «I sesto livello si sono macchiati di crimini con efferata ferocia. Hanno l’aspetto di demoni, nulla di umano. Se li vedi, e con il secolo che corre ne incontrerai, scappa. Non sei ancora in grado di fronteggiarli e un esorcismo potrebbe ferirti molto più di un quarto spirito. Già nel passato li disprezzavi. I settimi sono ancora peggio: hanno un aspetto più umano ma sono subdoli e intelligenti. Ti possono manipolare.»
   «Sono tanti gli esorcismi che non posso ancora fare.»
Annuisce. «La cosa preoccupa più me che te. Sei una bambina, Dalila. E non intendo per l’età. Potresti essere molto più forte di come sei adesso. La tua forza, i tuoi esorcismi sono precisi, anche adesso con la mente che fa le bizze. C’è un qualcosa, che ti tiene a freno. Lo so. Prima non avresti ricordato l’evocazione del quarto esorcismo se non ci fosse stato effettivo pericolo. Eppure era lì, dentro alla tua corazza, la formula c’era. Dobbiamo comprendere perché non è uscita quando doveva.»
Sospiro, passandomi un dito tra le croste secche del palmo. «Pensi che io sia in pericolo?»
   «Tesoro, lo penso da quando ti sei risvegliata.»
 
                                                             † † †
 
         Domenica. La settimana era stata incerta, tra sole e nuvole a sprazzi. Oggi ha deciso di concederci un bell’acquazzone. La mia giacca riposa decisamente bagnata sulla sedia e la cioccolata calda arriva decisamente agognata. Sorseggio un po’, chiudo gli occhi e assaporo l’aroma. Mi gusto il calore nelle ferite ancora aperte alle mani. Ci sta proprio bene.
Chase sta mescolando il suo caffè, serio. Di tanto guarda fuori dalla vetrata, dove le persone camminano schiacciate dal vento. Appoggio la tazza, in un tintinnio troppo forte che lo riscuote. Prendo una salvietta e mi pulisco le labbra. Sarò anche esorcista, ma non così dark. Chase allunga la mano. «Scusa un attimo.»
Prima che lo impedisca mi prende la mano con la salvietta sporca, me la scosta per vedere le ferite in via di guarigione. Annuisce e lascia la presa. Fissa di nuovo fuori dalla vetrata. Non ha parlato per tutto il pomeriggio. Mi è venuto a prendere a casa, con l’auto di suo padre credo, siamo andati al bar e ora ce ne stiamo come due stupidi, seduti a fissare in punti diversi. Riprendiamo. Cosa gli ho detto da averlo fatto arrabbiare così tanto?
   «Jamar mi ha detto che ha parlato con te.»
Mi sposto nervosamente un ciuffo dietro l’orecchio. Sì, parlare di Jamar non è il mio sogno. Per lo meno adesso mi rivolge la parola. «Sì.»
   «Che cosa pensi significhi quello che ti ha detto?»
Alzo le spalle. «Beh. Mi ha detto che non mi avrebbe baciata neppure se fossi stata l’ultima ragazza sulla faccia della terra e l’unica cosa che ho pensato è: che culo! Tutte le ragazze ricevono dichiarazioni d’amore, ma quante di odio? Ne sono lusingata.»
   «Pensi che lui stia giocando?» Chase mi fissa serio.
Sono di nuovo nuda, davanti a lui. Perché vorrei che lui si fidasse davvero, di me. Non solo che mi passasse il suo cellulare. Passo un dito sul bordo della tazza. «Non so cosa stesse facendo Jamar. So che negli ultimi tempi un sacco di persone sono arrabbiate con me e io non so il perché. C’è P.C., che non conosco e che sicuramente mi odia. Julia mi accusa di qualcosa, e una parte di me dice che probabilmente ha ragione. Se una mia amica vede qualcosa di nero, ci devono essere per forza le tenebre. Poi Jamar mi attacca. E io con lui non c’ho mai parlato! E ora tu.»
   «Io?»
   «Sei arrabbiato, Chase, e non riesco a immaginare il motivo. È per una battuta che ho fatto? Non lo so, se sì l’ho fatto in modo inconsapevole. È per altro? Se non mi dite cosa odiate in me non posso neppure giustificarmi.»
Giustificarmi. Mi porto una mano al petto, senza fiato. Quello che mi ha fatto più male è stato essere torturata senza aver la possibilità di parlare.
Non ora, Dalila.
Ve ne prego. Ditemi di cosa mi accusate.
Non ora.
Mi sono alzata in piedi e sto deglutendo saliva a forza. Chase ha socchiuso gli occhi, una mano vicina alla mia spalla. Mi ha toccato? Voleva farlo? Allontano la tazza da me. Ho caldo e ho male. Essere in mezzo a una visione di fiamme e torture non è il desiderio del mio prossimo futuro. È successo qualcosa al ventre. In quel preciso istante, un dolore mi ha fatto mancare il fiato. Di nuovo. Come in sogno, qualcosa mi ha ferito.
   «Amabel.»
Scosto la sua mano a forza. Sto ansimando. «Devo uscire.»
   «Piove.»
Metto i soldi sul tavolo, afferro la giacca e mi getto nel marciapiede. Sto ansimando. Chiudo gli occhi e sento che oltre alla pioggia il mio viso è bagnato dalle lacrime. Chiudo gli occhi, alzando il volto verso quel vento che mi scompiglia i capelli. Ve ne prego. Ditemi di cosa mi accusate.
Dolore. Profondo dolore.
Chase mi mette sotto il suo ombrello. La pioggia smette di battere sulla mia testa e io lo fisso. Vorrei chiedergli il perché, vorrei dirgli scusa. Ma non sono quelle le parole che escono. «Di cosa sono accusata? Perché è di questo che stiamo parlando. Sono colpevole fino a quando non dimostrerò la mia innocenza, ma non me ne viene data la possibilità. Non ti fidi di me.»
Chase inclina la testa di lato, lentamente. I suoi occhi non sono glaciali. Lo avrei capito. È più che altro dolore. Questo mi distrugge. Perché quello sguardo? È perché l’ho scoperto? Perché non ho confessato? Perché? Appoggio una mano sulla sua, stretta nell’ombrello. Lo sposto verso di lui, facendo un passo verso la pioggia. «Grazie del pomeriggio. Non credo che ci vedremo a scuola.»
   «Amabel.»
Dolore. Come quella volta. Le torture, le percosse che rivivo di notte. La necessità di voler cambiare qualcosa, l’inevitabilità del fatto che è impossibile. La tristezza dell’essere nata solo per morire nello stesso modo in cui sono morta; la certezza che sono io l’artefice di come mi vedono gli altri e, a conti fatti, sto dando una brutta immagine di me. Mi intrufolo in una via, faccio schioccare la zip della giacca bagnata per vedere la maglia umida sotto. Mi fa male. E il dolore non è giustificato. Sollevo per scoprire il ventre, dove una nuova ferita fa capolino tra le altre. Non fiamme. Questa volta è solo una frusta. Una frusta di più di seicento anni fa che taglia la pelle come appena creata. «Quindi sono davvero solo io il vessillo del male, mm?»
Sto piangendo. È più forte di me. Mi lascio scivolare per terra, aggrappandomi alla maglia. Di nuovo. Di nuovo, no. «Signorina … Amabel.»
Alzo lo sguardo. Oltre al danno la beffa. Ridley se ne sta in piedi, coperto dal suo ombrello, e mi fissa. Eccomi qui. Sono Dalila. Quale grande pericolo posso essere per l’umanità! Posso imbrattare con il mio pianto un intero mondo. E lui pare capirlo. Finalmente mi vede come una sedicenne, una stupida ragazzina che piange perché accusata di colpe che non sa, inchiodata a terra da ferite di un’altra vita. Mi porto la mano al naso, cercando di arginare gli angoli. «Detective Scott. Una bella giornata per fare quattro passi.»
Sospira, mentre cerco di alzarmi in piedi. Mi piego, ma non mi spezzo.
Sta fissando alle mie spalle, gli occhi sbarrati e la bocca socchiusa. Capisco che è meglio dare un’occhiata.
Lie mi ha un po’ spiegato gli spiriti e la loro suddivisione. In definitiva, si possono dividere gli esorcismi in due categorie. I primi tre sono per gli spiriti positivi, tutti gli altri per quelli definiti Caini.
Il primo esorcismo è usato per gli spiriti deboli, quelli che sono morti da poco. Semplice.
Il secondo è per spiriti di livello intermedio, che non sono stati esorcizzati in poco tempo. È come se l’anima avesse una data di scadenza. Ecco, questi sono quelli appena scaduti. Usano le catene come armi, ma vedi una scintilla di luce dietro ai loro occhi. Da qualche parte, il vecchio umano c’è ancora. Per gli spiriti scaduti da un bel pezzo, ottimo è il terzo esorcismo. Lavoro pulito, anche se più ostici di quelli di secondo livello. Sanno pure combattere meglio.
Degli spiriti Caini, Lie mi ha accuratamente detto di evitare il sesto e il settimo livello. Mi fido.
Il quarto esorcismo si occupa degli spiriti corrotti, ma che in vita non hanno commesso atti così depravati, seppur manca l’espiazione. Ecco, se hai rubato ma ti sei pentito di quello che hai fatto, non diventi uno di questi. L’anima di questi è corrotta, ma si può redimere attraverso la purificazione, con un esorcismo.
Il quinto, mi è stato detto che è il vero e proprio spirito Caino. È un’anima corrotta, ma non ha forma umana. Senza volto.
Lo spirito che ho davanti non assomiglia nessuno che ho incontrato, ma capisco cosa voleva dire Lie quando diceva che non era umano. Si regge in piedi. Ha due gambe, un busto e delle prominenze che potrebbero essere braccia. E non ha volto. Ho davanti a me un quinto livello e, come tutti gli esorcisti, di fronte a lui sono solo una cosa.
Sono umana. 

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Capitolo 7
*** 7 ***


7
 
 
        Vorrei dire a me stessa che ho poteri che lui non ha. Mentirei. Stringo le mani e sento le ferite del precedente esorcismo. Non ho paura dei danni che il mio corpo subirà, anche se quello so che mi rallenterebbe.
   «Che diavolo …?»
Ridley! Mi sono completamente dimenticata di lui. Azzardo a guardare alle mie spalle e il cuore mi si mozza. Siamo vicini a una via trafficata. Il che significa che in uno scontro, in cui io stessa non posso pretendere il massimo, ho molte probabilità di ferire qualcuno.
Lo spirito ci fissa … beh, ci fisserebbe se avesse un volto da cui spuntano gli occhi. Le sue forme sono abbozzate. Non so neppure se è maschio o femmina. La sua figura è avvolta in una massa nera, una pelliccia che gli riveste l’intero corpo. Non ha neppure le catene: buon per me, sono un disastro a evitarle, ma è il doppio della mia altezza. Gli posso sgusciare via dalle mani facilmente e, una volta presa, sono bella che frittata.
Appoggio una mano su un qualcosa di freddo alle mie spalle, abbassandola. «No, non sparare.»
Lo conosco così bene da prevedere le sue mosse? Buon per me. E io ho una pessima idea di cosa farò. «Allontanati da me.»
Faccio uno scatto. Prima che il cuore rallenti, prima che lo spirito capisca le mie intenzioni, ancor prima che il mio cervello metabolizzi l’idiozia della mia idea, gli passo vicino e mi intrufolo nella via. Lontano dai vivi. Lontano dai vivi. Sento lo sbatacchiare dei cassonetti e, guardando le spalle, vedo che mi fiuta. Si muove come una bestia messa alle strette, dondolando a destra e sinistra. Ed è veloce. Ringhio quando i muscoli ululano dallo sforzo.
È così che mi piace. Il vento tra i capelli, la certezza che puoi fare di più. Io posso fare di più. Mi passa sopra la testa un cassonetto, che si frantuma a una decina di metri da dove sono io. Il lezzo dei sacchi squarciati si propaga, incespico sui miei passi e riprendo la corsa. Ha consistenza corporea. Non è un pericolo solo per me.
Non rallento nel fare la curva, immergendomi con un tonfo in un’altra via deserta. Sono abbastanza lontano? Alle mie spalle, qualcuno spara. Dannazione. Rallento. Mi giro, fissando il quinto livello ingrugnito distogliere l’attenzione da me a Ridley. Il detective ha ancora la pistola puntata contro l’altro, ma quello che sta facendo è inutile quanto il mio tentativo.
Stringo le mani a pugno, poi alzo la mano sinistra. Le ferite non si sono rimarginate dal tutto, quindi so già che non appena lo farò sprizzerò sangue a fontana. «Primo esorcismo: catene della purificazione.»
Le catene si attorcigliano lungo il braccio peloso, tiro appena verso di me per distogliere l’attenzione dal detective. Fa un qualcosa. Muove il braccio libero ma è troppo lontano per colpire Ridley. Eppure la sua pistola sbatte inerme contro la parete. Un giocattolo inutile che non può essere usato. Lo rifà, con il braccio che ho imprigionato, e questa volta lo vedo. Semplice. Non ha bisogno di catene perché le sue estremità sono quasi fatte di gomma. Una gomma molto dura, almeno dal dolore che provo quando vengo colpita. L’ho visto appena, il braccio avvinghiato nelle catene blu, una saetta che si allunga e qualcosa che mi colpisce il ventre. Rotolo all’indietro, finendo di peso contro una pattumiera. Finisco su un qualcosa di soffice nella schiena che non ho intenzione indagare cosa essere. Ansimo, tenendo la mano destra sull’addome. «Merda.»
Stringo la mano sinistra, le catene che si ribellano intorno alle mie dita. Lo sfregamento contro le vecchie ferite è doloroso, una patina vischiosa mi dice che qualcosa si è aperto. Mi sorprenderei del contrario.
Mi alzo a sedere, dolorante. Non è pelo. La massa nera non è pelo. È solo l’anima corrotta. Il che mi pare pure peggio. Il volto è rivolto verso di me. Sento quasi il suo non-naso captare l’odore del mio sangue.
   «Ehi!» Ridley cerca di attirare l’attenzione dello spirito. Idiota. Lui non può fare nulla. Io, con una sfilza di esorcismi, me ne sto decisamente ammaccata per terra. Lui dovrebbe prendere la pistola e andarsene.
Sento gli ingranaggi dello spirito e capisco. Comprendo che siamo morti entrambi. Il calcolo è facile. Io sono un’esorcista, inutile dire che non lo intuisca. Lo spirito sa che io posso redimerlo e questo non è nel suo interesse. Se i primi livelli mi cercano, gli altri mi allontanano come se li volessi ammazzare di nuovo.
Sa che sono un’esorcista, e percepisce che sono ferita. Io sono un bersaglio, per quanto ostico con gli esorcismi, sicuro. Non me ne andrò. Il mio compito termina solo con la sua purificazione.
Ridley, invece, è un bersaglio facile. È inerme, più debole. E può scappare. Chi scegliere? Io rimango lì anche se l’altro viene ucciso. Non scapperò. Sono legata a lui.
Tiro la catena quando vedo che decide di concentrarsi su Ridley. Tiro e lui la spezza. Un fiotto di sangue colpisce il cemento di fronte a me, una striatura zebrata. «No.»
Mi alzo in piedi. Ridley è paralizzato e il quinto livello muove di nuovo il braccio. Scatto, ignorando il dolore, il sangue e la pazzia. Come ignoro gli abiti zuppi e le ferite alle gambe. Come ignoro il lezzo di putrefazione che avvolge lo spirito. Dimentico che ho sedici anni, che non ho la minima idea di cosa sto facendo. Ricordo la paura della fine, il momento in cui la mia anima ha deciso di smettere di lottare contro le fiamme.
E salgo sulle spalle dello spirito. Sono avvinghiata a lui come una scimmietta, le mie gambe gli stringono la vita dura e fredda. Quel poco di calore che regge il mio corpo viene spazzato via dal cubetto di ghiaccio dell’anima. Le mani gli stringono il collo, una gomma ancora più dura che sembra fatta di aculei. Mi sollevo, in modo da fronteggiare la sua nuca. Sono felice, quasi, di non poter vedere il volto sfigurato. Come tutto, in quell’incontro, mi sorprende ancora. Gira il capo e io sono a un centimetro da lui, vita e morte sullo stesso piano.
Metto le mani congiunte, perché una preghiera è tutto quello che posso chiedere per non essere ammazzata. D’istinto, gli anulari si abbassano e io rimango così, in quella strana posa. Pollici, indici, medi e mignoli sono uniti, dritti, gli anulari si piegano nel dorso opposto. Inclino le mani, sfiorando la carta che riveste quell’anima. Un rantolo. Da qualche parte gli rimane qualcosa di umano. «Quinto esorcismo: sincronia dell’anima.»
Dal medio esce una catena grigio scuro, tipo proiettile, che attraversa da parte a parte il cranio. L’impatto mi fa perdere equilibrio, cado all’indietro restia a lasciare la presa. Contemporaneamente, il dolore mi trafigge schiena e ventre, come se la catena che sta distruggendo lo spirito mi avesse attraversato.
Scuoto la testa. Rivivo l’ultimo omicidio, la gioia dell’averlo fatto, la testa della donna che cozzava contro la finestra. La mia stessa anima, se non lascio la presa, si corromperà.
È quello che mi fa dire di no. No, non sarò come lui. No, non cederò. No … no … no. Allontano le mani a forza l’una dall’altra, un grumolo di catene grigie si forma a cerchio all’interno dello spazio vuoto. Una di queste è ancora legata allo spirito. Lo vedo crollare a terra, non c’è redenzione, non c’è pentimento.
E quando ascende, non c’è neppure futuro.
Mi abbandono a terra, le mani vuote, il respiro corto. Pioggia e sangue si sono mescolati. Dolore e sollievo non li distinguo neppure. Lentamente, ogni muscolo mi fa male, mi metto a carponi, mi inginocchio, poi mi alzo in piedi. Ho tutti gli abiti aggiustati, seppur sembra che mi sia divertita a tuffarmi nelle immondizie. La borsetta che ho a tracolla è ancora misteriosamente lì, dimenticata per tutto il tempo, imbrattata di quello penso essere il mio stesso sangue.
Sono caduta.
Mamma non reggerà la menzogna.
Non importa. Sono caduta.
Mi avvicino alla parete, prendo la pistola dalla parte della canna. È ancora calda, ma ho troppo male alle mani per capire se quello è per il calore o l’esito degli esorcismi. Mi avvicino a Ridley, gli tendo la sua arma. Ha una leggera titubanza prima di prenderla.
Spara. Mi incammino lungo la strada che ho fatto di corsa. Zoppico. Se vuoi sparare, spara, Ridley. Incespico sui miei stessi passi, stringo la borsetta al mio petto. Spara. E ormai sono nella via dei vivi.
 
                                                             † † †
 
         A casa mia non sa mai da cibo. È brutto da dire, ma è vero. Ci può essere l’odore degli avanzi della sera prima, dalle finestre aperte arriva il profumo di cibo preparato dai vicini del condominio, ma noi non facciamo da mangiare. Prima di papà, ricordo che quando tornavo a casa da scuola la tavola era sempre imbandita. Niente di che, solo tovaglia pulita, i piatti e le posate. Sapevi che si mangiava. Da dopo l’incidente, molte volte torniamo a casa con i piatti di carta e mangiamo direttamente da lì. Poi buttiamo via tutto. Oppure mamma prepara della pasta fredda, in modo che il giorno dopo possiamo mangiarla di nuovo, ma non apparecchia più la vecchia tavola. C’è una tovaglia di plastica e i piatti, giusti quelli che ci servono. A volte, dimentichiamo pure le forchette e una volta seduti qualcuno si deve alzare per prenderle.
Così, dopo l’allenamento della Lowry che mi ha impegnato per tutto il pomeriggio, torno a casa. Ho ancora la mente inceppata. Chase ha cercato di parlarmi per l’appuntamento disastroso del giorno prima. E io ho rifiutato. Beh. Rifiutato significa che l’ho guardato negli occhi. In verità l’ho visto vicino al mio armadietto e ho deciso che quello che avevo nello zaino era sufficiente per la giornata e poi, con la Lowry, per riprendere fiato mi sono messa in un angolo a fare degli esercizi di allungamento. Lentamente, visto che gambe, addome e mani sono l’apoteosi del dolore. L’ho visto fermo a bordo campo, ho piegato le gambe e mi sono allungata fino a quando il sangue non ha macchiato le bende pulite. Poi ho imprecato e ho cambiato esercizio. La mia mente è molto semplice, a volte.
Così, quando rientro a casa, non mi accorgo del profumo. Chiudo la porta, mi tiro via le scarpe e le appoggio nel tappeto. Mi osservo le crosticine alla mano, pensando che ora anche se mamma le vedesse non direbbe nulla. Come ieri era passata inosservato il mio ritorno a casa, visto che non c’era nessuno. Annuso l’aria, socchiudo gli occhi e mi trascino. Edward mi corre incontro, mi presenta David. Credo si chiami così. Poi il suo amico ha l’ardire di salutarmi con «Ciao signora» e lo congelo con lo sguardo. Ciao signora a chi, brutto marmocchio? Ho sedici anni! Mi scappa di tiro, sghignazza con Ed, si mettono a giocare. Butto lo zaino oltre la porta della mia camera, fissando truce il bambino. Se mi capita a tiro, gli faccio vedere io, il signora! Chiudo la porta, sbuffando.
Comprendo il perché dell’odore di cibo nell’aria. Baby Educazione rimane a cenare da noi, e presentargli la nostra frugale cena è troppo da maleducati. Stronzo. Per quanto mi riguarda, stasera giapponese e il wasabi è tutto suo.
Mamma sta tagliando dei pomodori a dadini. Mi sorride e io ricambio. Lie ridacchia seduto sullo sgabello. È così vicino a mamma che mi chiedo come non possa percepirne la presenza. La televisione sta trasmettendo un servizio sui nuovi volti della moda. Mamma alza di tanto lo sguardo per vedere dei ragazzi che sono stati partoriti direttamente dalle nuvole. Non un capello fuori posto, non uno sbaffo nel trucco.
   «David rimane a cena. È un caro bambino.»
Grugnito per dire sì, o per imprecare per la bella notizia. Dipende dai punti di vista. Mamma prende una gamba di sedano, tagliuzzandola. «Come è andata oggi?»
Sospiro. Non parlo con Chase dopo l’appuntamento disastroso di ieri. Quindi vorrei evitare quel punto, perché richiederebbe una serie di domande che non ho la forza di deviare. Julia non mi rivolge la parola, ignoro ancora il vero motivo. Le menzogne sul perché mi sfinirebbero troppo. Potrei concentrarmi sulla scuola, ma ho la netta sensazione di aver fatto proprio schifo nel compito della mattinata di algebra. Potrei parlare quindi dell’allenamento con la Lowry, ma si finirebbe di parlare di una gara a staffetta che ha intenzione di propinarmi e io di svicolare. Se si parla di scappare, ecco che emerge il fatto che non voglio prendermi le mie responsabilità e fare la rappresentante di classe. Arrivata a quel punto, ho finito tutti gli argomenti possibili di cui parlare. Vorrei evitare di discorrere della mia disastrosa vita, quindi tiro un altro sospiro. «Il solito. Mary è ancora a casa da scuola.»
   «Poverina. Cerca di starle vicino. Non sarà molto, ma era molto legata a Carlos.» E rieccomi di nuovo in campo. L’esorcista che fa ascendere l’anima di un ragazzino di tredici anni e prosciuga la sua migliore amica. Vincerei la coppa con primo, secondo e terzo posto per cattiva condotta nei confronti degli amici. Sono imbattibile.
Mi concentro su un altro argomento meno penoso. Jamar che mi odia. Questo può essere un bell’argomento in cui farsi una bella risata. La fatica di cambiare discorso mi viene risparmiata. Mamma sta guardando la televisione, il coltello in mano. «Guarda che bel figliolo.»
Neppure nonna dice “figliolo”. È da vecchi. Ed è patetico. Alzo gli occhi al cielo, poi vedo quello che mamma trova possa essere suo “figlio”. Lo conosco, nel senso che in tempi migliori Mary me ne ha parlato. È un modello, trent’anni ma portati veramente bene, sguardo penetrante. Vestito in giacca e cravatta fa la sua bella figura. Ha un lieve accenno di barba, le labbra piene e sensuali, i capelli corti cui un ciuffo nocciola fa capolino a sfiorare gli occhi color ambra. Gli hanno coniato il nome di Philippe, il Dannato. Più che parlare di lui per i servizi che fa, è citato in molte notizie mondane. Ha così tante ex da poter fare un reality show, che durano più o meno quanto lui fa un servizio fotografico. Dopo, probabilmente, si stanca e passa a un’altra. Stanno dicendo che si vuole ritirare dalla moda.
Sbuffo. È carino, ma nulla di che. Almeno fino a quando non fanno vedere lui in posa, in costume da bagno. I muscoli scolpiti, le goccioline di acqua che gli scendono lungo il corpo, i capelli bagnati e un dito che si tira verso il mento il labbro inferiore. Mamma sospira, e papà sarebbe geloso, se fosse in quella stanza con noi. Distrattamente inclino la testa per cambiare angolazione.
   «Piace anche a te, Bel?»
Distolgo lo sguardo da Philippe, per vedere mamma che mi guarda sorniona. Deglutisco. «Sì, è carino.»
   «Lo sai che è il nipote della nostra vicina, la signora Collins?»
   «Immagino che il mondo sia piccolo.» Borbotto tra me e me.
Continua a tagliare il sedano, incurante. «E il tuo ragazzo? Se non sbaglio si chiama Chase. Carino anche lui?»
Scacco al re, sacrificio di Regina, scacco matto. «Sì. È carino anche Chase.»
Mamma alza lo sguardo, continuando a tagliare. Sbuffo. «Mi piace più Chase di quel ragazzo. Soddisfatta?»
   «Oh, tesoro.» Mamma sospira.
Un rumore, tipo valanga in montagna, annuncia che i due monelli ne hanno combinata una delle loro. Grugnisco indispettita. Tanto più che l’argomento sta diventando abbastanza ostico. «Lascia. Vado a sistemare io.»
Edward si sta già nascondendo, mentre vedo i piedi del suo amico sbucare da oltre il divano. Mimetizzazione: zero. In salotto è tutto in ordine, o per lo meno la libreria è al suo posto e non devo imprecare per sistemare i vari tomi. L’unica porta della stanza che doveva stare chiusa, e ora è aperta, è la mia. Mi dirigo riottosa da mamma. «Sono entrati nella mia stanza.»
   «Tesoro, sai che tuo fratello ti adora.»
   «Sono entrati nella mia stanza.» Accusarli di violazione della proprietà privata è l’altro passo.
Mamma alza le spalle. «Sono piccoli.»
   «Edward, non entrare nella stanza di tua sorella aiuterebbe!» Mi volto riottosa, scontrandomi quasi con Lie. Se avesse il potere di plagiare le menti, punterei il dito su di lui. Gli sbuffo contro, zigzagando per dirigermi nella stanza. Sbatto la porta della camera, uno scampanellio alle finestre mi allerta che la rabbia è cattiva consigliera.
Per terra, in un puzzle disordinato, ci sono una quarantina di foto che non ricordavo neppure di avere. Vicino una vecchia scatola da scarpe rovesciata, da cui devono essere uscite, dopo che i monelli hanno aperto l’armadio nel tentativo di trafugare chissà che cosa. Mi inginocchio per terra, prendendo una foto. Io sono la bambina con i boccoli biondi e il viso tondo. Vicino a me, con i tratti fanciulleschi ancora più marcati di quanto non li abbia io, Julia. Siamo così simili e allo stesso tempo così diverse da come siamo ora. Inevitabilmente abbiamo gli stessi colori di capelli e occhi. Forse da piccola i miei erano di un biondo più acceso. Ci hanno messo due abiti simili, un vestitino con la maglietta bianca e la gonna, rossa per Julia e blu per me. Non stiamo guardando l’obiettivo, forse per quello è stata scartata. Stesso sguardo, stessa posa. Neppure un fotografo professionista sarebbe riuscito a impressionarci nell’obiettivo in quel modo.
Sto per metterla nella scatola, ma desisto. La guardo meglio. Io e Julia. C’è una terza persona, vicino a noi. Entrambe la stiamo fissando. Socchiudo gli occhi, perché è difficile da vedere. Deve esserci stata vicina, ma la foto non gli ha reso giustizia. La stringo di più, un bordo si arriccia a contatto con le mie dita. Nel palmo, sento la carta che gratta nelle ferite. Un profilo sfocato, occhi spenti, lunghi capelli di fumo, abiti quasi bruciati dal fuoco.
Oddio.
Julia è un’esorcista.

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Capitolo 8
*** 8 ***


8
 
 
 
         Trattengo il fiato. Non basta. Mi alzo in piedi, cammino avanti e indietro. Julia è un’esorcista. Deve essere stata lei a esorcizzare lo spirito a scuola. Me la vedo, entrare nel bagno dei maschi e invocare il primo esorcismo. Sicura, spavalda, non si è neppure guardata in giro per vedere se qualcuno la osservava. Cosa aveva da rischiare? Tutta la scuola era impegnata per l’assemblea di istituto, ci avrebbe messo una manciata di minuti.
Mi siedo sul letto, mordicchiandomi il labbro inferiore. Ecco il punto che mi sfuggiva. Lie lo aveva detto: i vizi capitali sono otto. Otto, come gli esorcisti. Otto, come le persone che non ricordo. Julia è l’ira. Il cuore rallenta il suo battito, la cassa toracica rimbomba di terrore. Il sangue mi si deve essere gelato, piccole trafitture si irradiato dai piedi fino ai polpacci. Lartia. È Lartia. Dalila aveva un’alleata, un’amica, un’altra esorcista che svolgeva la sua stessa missione. Irritabile, nervosa, aggressiva. Quanto Dalila era una bugiarda, tanto Lartia era sincera; tanto una era pragmatica, tanto l’altra era soggetta a pulsioni.
Prendo in mano la foto. Non ricordo quando è stata fatta. Io e Julia siamo vicine e stiamo fissando quella donna, quel fantasma che solo noi possiamo vedere. Le ho mentito già allora? Ne sono certa. Se lei mi avesse chiesto se la vedevo, avrei negato. Non vedo nulla. Butto la fotografia tra le altre, massaggiandomi la fronte.
Poi un altro dubbio mi assale. Il giorno dell’assemblea. Chase mi aveva obbligato a stare in prima fila, io mi giro e incrocio lo sguardo di Julia, due file dietro di me. In mezzo ad altri. Neppure volendo sarebbe riuscita a smuovere tutta la fila, a uscire dalla stanza, precedermi nel bagno, esorcizzare lo spirito e tornare indietro senza che io la vedessi. Poteva farlo, sì, ma non così inosservata. E quando sono rientrata? Mi porto le mani ai capelli. Pensa, Bel, pensa. Ero scioccata. Lo so. Chiudo gli occhi, per ripensare a quel giorno. Ho aperto la porta del bagno, l’ho socchiusa e ho ricontrollato. Lì ho capito che qualcosa non andava. Ci siamo.
Mi lascio tutto alle spalle, ripercorro il corridoio deserto. Nessuno mi ferma. Un ragazzo sta parlando al cellulare fuori dalla porta. Non lo degno di uno sguardo, quindi so solo che è impegnato in una conversazione telefonica. Qualche parola rilevante? Niente. Non ricordo.
Entro nella sala affollata. Chase parla ancora con Natalia, sono mancata per poco. Lui mi fissa per una manciata di secondi, poi lascia il mio volto e si concentra in altro. Cammino, in trance. Prima di sedermi sono certa di averlo fatto. È un qualcosa di innato. Premo di più gli occhi, forzo la mente. Mi sto per sedere e mi guardo intorno. La cerco. So che cerco Julia perché è più forte di me. La vedo? Sì. Sta leggendo un messaggio nel cellulare, con la fronte corrucciata. È imbottigliata da due persone da una parte e tre dall’altra. Non può essersi alzata così facilmente. E io la dovrei aver vista.
Apro gli occhi, la stanza si tinge di puntini color cremisi e neri. Ritorno al letto. Sospiro.
Edward e il suo amichetto stanno giocando. Sento gli scoppi delle loro bombe e le capriole rumorose dei loro guerrieri. “Bang” e “crash” accompagnano i miei pensieri. Il rumore delle pentole smosse da mamma, il leggero profumo di un sugo che si propaga nell’aria.
Abbasso lo sguardo sul disastro. Non cambia nulla. Julia può non aver esorcizzato quel determinato spirito, ma lei è Lartia. E sa di me. Non aveva motivo di confermare il mio alibi, quel giorno. Io non ero con lei. Ero a casa, a letto dopo due esorcismi che mi avevano lasciato spossata. Quella che aveva bisogno di un alibi, forse, era lei. Mi lascio andare in un lungo sospiro, prima di crollare nel letto. Il filo trasparente di una ragnatela penzola dal lampadario. Lo osservo, resistendo l’impulso di combattere la mia battaglia. Mi basta un altro po’. So che sono quasi arrivata.
Andiamo per gradi. Julia è arrabbiata con me. Ora il concerto degli Amantine non regge più come scusa. Caino … vulnerabile. Cosa pensava veramente Dalila di Lartia? Rimango in attesa, senza speranze. Le intuizioni di Dalila mi arrivano un po’ come un fulmine a ciel sereno. Sono inaspettate, quindi so che lei non dirà nulla solo perché io glielo chiedo. Potrei appisolarmi, ma anche quella è un’amara consolazione. Non ho mai sognato la mia vita passata, tranne il giorno del gran falò. No. Bugiarda … menzogne. Le accuse che mi aveva fatto riguardavano il mio vizio e all’inevitabilità che io mentissi. Non ne usciva molto. Dovevo osservare il tutto da un’altra prospettiva.
P.C.? Perché mi era venuto in mente? Lascio vagare la mente a briglie sciolte, nella speranza che da qualche parte qualche intuizione mi arrivi. Avevo pensato a quelle iniziali troppo a lungo. Nulla di nuovo. Cambiamo destinazione. La busta. Un piccolo ragno scende dal filo, equilibrista dispettoso. Devo alzarmi e rompere la sua casa. Devo farlo. Chissà come fanno gli altri ad avere la casa sempre impeccabile. Un giorno senza pulire e il nostro appartamento soccombe all’anarchia dei ragni. A scuola, ad esempio, mi trovo a fissare gli angoli, cercando di trovare quei piccoli esseri dispettosi che fanno fiorire le loro case prigioni.
Scuola. Teatro. Associazione strana, ma lascio che la mente continui. Niente. Silenzio. Teatro, con il palcoscenico dalle enormi tende rosse, come le fanno vedere per la televisione. Teatro e busta. So cosa la mia mente vuole farmi arrivare. Dentro la busta mi sono stati consegnati i due biglietti per un concerto che, guarda caso, si svolgerà proprio in un teatro. Il concerto degli Amantine. Di nuovo loro. La rabbia di Julia, P.C.
Mi alzo di scatto. Esco dall’aula proiezioni, incontro una mia compagnia di classe, evito il pugno di Jamar. Jamar, bagno dei maschi. Jamar, rabbia. «Non ti bacerei neppure se fossi l’ultima donna sulla faccia della terra.»
Sono seduta sul letto, eppure mi sembra di star facendo chilometri con la mente. Alzo lo sguardo, accorgendomi che Lie mi sta fissando. È entrato attraverso la porta chiusa e si è appoggiato. Se ne sta in silenzio, in attesa. Ho la bocca socchiusa, sento le mie labbra muoversi piano. Sto parlando senza far uscire la voce. Riguardo le foto, disposte alla rinfusa per terra. Non ci avevo mai fatto caso, ma tutte hanno almeno un intruso, un intruso che gli occhi dei non esorcisti non noterebbero neppure. Poi fisso lui. Lo vedo aprire di più gli occhi. Non sto comunicando. Devo pensare a una frase finita, un qualcosa di definitivo, ma al momento la mia mente è un’accozzaglia di pezzi disposti alla rinfusa che si stanno sistemando alla meno peggio.
Jamar può essere andato in bagno, è l’unica persona che ho incontrato oltre alla mia compagna di classe. E lei è troppo stupida. Lui, all’opposto, prova rancore nei miei confronti. È intelligente, non passa inosservato ma ha una cattiva reputazione. Ti aspetti qualcosa da lui. Ti aspetti …. Mi ha vista andare nel bagno, sembrava pure soddisfatto. E ho la certezza che quello che voleva darmi fosse solo un buffetto di scherno? Jamar Steward, quindici anni, chitarrista degli Amantine, compositore delle loro musiche. Adottato. Solitario. Ha fama di prostituirsi. Oh, porcamerda. È Damide!
   «I vizi capitali sono otto.» Bisbiglio e la mia voce mi sembra aliena. Troppo soffusa, incerta. Lie inclina la testa di lato. «Ogni esorcista ha un suo vizio. Gli esorcisti, quindi, sono otto.»
Rimango in attesa. Non so di cosa. Forse che Lie mi interrompa, rida del mio sillogismo, neghi la verità a cui sono giunta o che altro ne so. E lui si limita a stare in silenzio. Abbassa lo sguardo per guardare le foto sparse sul pavimento, chiedendosi forse perché non le ho sistemate. Ho detto che sarei andata a farlo. E invece sono ancora lì, seduta sul letto con occhi spiritati, disinteressata che la mia menzogna sia stata scoperta come tale. «Sto sbagliando?»
La mia voce lacrimevole gli fa alzare di nuovo lo sguardo. «No, è giusto. Sono otto.»
Verità. Non ho neppure bisogno di chiederlo una seconda volta. Prendo fiato, pronta per l’apnea. «A scuola ho un’amica. Si chiama Julia White. È la reincarnazione di Lartia?»
Scuote la testa. «Non lo so.»
   «Perché non lo sai?»
   «Dalila, sono il tuo vizio. Come ti sei sentita quando Ridley mi ha visto?» Violata, insicura, desiderosa di nascondere il mio segreto. «Come ti sentiresti se io fossi visto da un altro esorcista?»
Come con Ridley, moltiplicato per dieci. Lie continua. «E in ogni modo, posso anche incontrare questa ragazza, questa Julia. Niente di più. Non posso dirti se è Lartia, seppur in passato so chi era.»
   «Lartia era legata all’ira.»
   «Sì.» Ammette placido. «Il vizio di Lartia è Ire.»
L’ha notato che ha parlato al presente? Mi massaggio il mento. «Quello di Damide è Lust, la lussuria.»
Lie alza un sopracciglio. Ha notato che stiamo parlando di due esorcisti del passato. Mi inumidisco le labbra, passando dal letto al pavimento. Prendo la scatola su cui erano riposte le foto. Edward e il suo amico si devono essere impegnati proprio per acciuffarle tutte e farle cadere.
Le foto, di norma, non sono in camera mia. Né io ricordo di averle messe dentro l’armadio, dentro a una vecchia scatola da scarpe. Guardo la prima foto che mi ha distratta, quella mia con Julia e il fantasma. La faccio scivolare nella scatola e ne prendo una seconda, poi una terza. Deve essere successo prima dell’incontro con Ridley. Dalila deve aver preso il controllo del mio corpo e io l’ho rimosso. Ogni foto, ogni pezzo di carta riprende me con un fantasma. A volte gli stessi si ripresentano su più foto e io guardo da un’altra parte. Ho rifiutato di riconoscerli. Non li volevo vedere. Ne avevo paura? Mi passo un dito sul piede, scivolando piano verso il ginocchio. Poi con il pollice della mano opposta sento il palmo, ferito. Sì, avevo paura.
Dalila ha preso in controllo del mio corpo, ha preso tutte le foto in cui c’erano i fantasmi e le ha nascoste per tempi migliori. L’ho giudicata male. Bugiarda, ma fino ad allora credevo che le similitudini fossero finite lì. Come me, vuole proteggere la famiglia.
Infilo un’altra manciata di foto nella scatola. «A scuola ho trovato uno spirito. L’ho seguito per esorcizzarlo ma sono arrivata troppo tardi. Qualcuno lo aveva fatto al posto mio.»
   «Julia?»
   «Jamar.» Chiudo la scatola con il coperchio, alzandomi in piedi. Infilo il tutto dentro l’armadio, sotto a una pila di tute. «Lui è Damide.»
Chiudo le ante, appoggiandomi per bloccare dentro la valanga di ricordi, di fantasmi ignorati e di spiriti che ho obbligato a evolversi. Quanti secondo o terzo livello ho contribuito a far nascere? Lie riflette. «Questo spiegherebbe il basso numero di spiriti di terzo livello.»
   «Già.» Non uno, ma tre esorcisti si contendono lo stesso territorio. Mi sembra strano che non ci siamo esorcizzati per sbaglio a vicenda. Meglio non mettere in testa idee del genere a Julia. Potrebbe essere capace di farlo.
Alzo la testa. Qualcuno suona la porta. Mamma mi chiama. «Amabel, è per te.»
   «E se è Julia?»
Alzo le spalle. «Meglio per me. Ho proprio il bisogno di parlarle.»
Apro la porta della stanza. Edward sta correndo con la tartaruga ninja e si dilunga in una capriola mortale per atterrare nel mio braccio, usato per aver maggior spinta e catapultarsi proprio sul divano. Il suo amico lo segue, mi fissa, e il suo soldato decide che la porta della mia stanza gli farà seguire il suo amico. Maschi. Io e le mie bambole almeno chiacchieravamo, da piccole. Ignoro la voce nella mia testa. Già, qualche volta le bambole pure mi rispondevano, ma non pensiamo ai fantasmi.
Mamma mi indica la porta socchiusa, con aria interrogativa. Okay, non è Julia. La conosce.
Sbircio allo spioncino, poi la spalanco corrucciata. Ridley è appoggiato al campanello. E sembra aver tutta l’intenzione di arrestarmi.

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Capitolo 9
*** 9 ***


9
 
 
 
         Il ragazzo fa per aprire bocca, ma io alzo una mano per zittirlo. «Non ora, ti prego. Un attimo.»
Mamma non deve sapere in cosa sono coinvolta. Sarà poco, sarà tanto, ma questo Ridley me lo deve. Lie mi fissa da vicino il divano. Edward gli passa vicino con una macchinina e il mio vizio la colpisce con tanta violenza che finisce sotto la tenda. David corre da mio fratello, bocca leggermente aperta. «Wow! Come hai fatto? Quasi volava!»
Edward avvicina la testa al suo amico, ridacchiando. Lie alza le spalle, come per dirmi «rompevano»! Mamma sta ancora mescolando il sugo. I suoi occhi vigili saettano troppo spesso verso la porta. «Mamma, lui è un cugino di Julia. Mi ha chiamato la scorsa settimana per chiedermi consigli su un regalo da farle. Sai, tra poco è il compleanno di Julia. Te l’ho detto, no?»
No, ma lei ci pensa su. Ha troppe cose cui pensare, si fida troppo di me e poi effettivamente Julia compie gli anni a dicembre! Gli faccio uno dei miei sguardi dispiaciuti, scandalizzati, del tipo “non ricordi mai cosa ti dico!” e lei se lo beve. «Sì, certo che me lo ricordo. Cosa gli hai suggerito di prenderle?»
   «Conoscendo il carattere di Lartia, una pistola sarebbe ben accetta in questo secolo.» Replica implacabile Lie, incamminandosi verso la porta. Abbozza un sorriso a Ridley e io mi irrigidisco d’istinto. Dì la prima cosa che ti passa in mente. «Una borsa.» A un regalo del genere, Julia mi ammazzerebbe di sicuro, ma tanto Ridley non è neppure suo cugino! «Sono qui fuori casa a discuterne.»
   «Mm.»
Lo so, mamma. Ridley non ti piace ma non è come pensi. È solo un poliziotto che mi vuole arrestare, mica un ragazzo che ci prova. Il primo lo posso anche gestire da sola. Chiudo la porta alle spalle, facendo cenno al ragazzo di seguirmi. Lie ci precede, in quella processione strana. Fantasma, esorcista e poliziotto. Neppure nelle mie fantasie più sfrenate avrei mai pensato di essere di nuovo tra loro due.
Mi siedo sul primo scalino, osservando la strada deserta. «Grazie per non aver detto nulla.»
Ridley si limita ad alzare una mano, osservando con sguardo critico Lie. Cammina più o meno dove io ho combattuto con lo spirito di quarto livello. Le mani mi prudono ancora. Dall’ultima volta che l’ho visto ha messo ancora su peso. Il viso è più florido, la maglia è ancora larga ma la massa sotto sta riprendendo consistenza. Se ne sta in silenzio, a osservare il mio vizio che sghignazza. Si sta divertendo, lo so, quanto so che alla prima domanda che Ridley gli farà lui mentirà. Esattamente come farò io. Solo che non ho ben chiaro come girare la frittata. Mi ha visto esorcizzare un quinto livello, quindi il tempo del «non c’è nessun bambino vicino a me» è finito.
Ha visto le catene, negativo anche quello, e quindi sa abbastanza bene che io sono un’ottima candidata per essere Dalila. Tanto più che i sospetti su di me c’erano già.
Tranne menzogne che non reggono, ormai la mia strada è già bella che segnata.
   «Mi ricordo di te.» Ridley sta parlando con Lie. È del tutto impreparato. Esattamente come me. Il detective corruccia la fronte, come se cercasse di ricordare qualcosa. «Ti chiami Lie. E sei il suo vizio.»
Lie schiocca la lingua. Irritato. «Questo è negativo. Vuol dire che quando uno si risveglia dal coma può ricordare ciò che gli è capitato.»
Ridley lo ignora, più o meno come ha sempre fatto da fantasma. Si avvicina a me, sono obbligata ad alzare lo sguardo. «E mi ricordo di te, Ama.»
Il nome con cui mi chiamava. Abbozza un sorriso. Se mi volesse arrestare, sarebbe un po’ meno criptico. L’ultima parola sembra essere tirata via a forza dalle sue labbra. «Grazie.»
Accavallo una gamba, inclinando la testa di lato. I ringraziamenti mi lasciano del tutto insensibile. «Che cosa ricordi di me? Che sei venuto a casa mia, mi hai fatto cagare sotto e mi hai imposto di salvarti? Che mi hai obbligato ad andare a Maiden Street, dove un gruppo di ragazzi mi ha puntato il coltello per gioco? Questo, ricordi? O il fatto che mentre facevi tutto questo eri un fantasma?»
   «Un po’ tutto.»
   «Ah, bene. Fa sempre piacere sapere che altre persone si sono aggiunte al club della pazzia.»
   «Tu non sei pazza.»
Il che rende la mia storia ancora più inverosimile, ora che sembra che Julia e Jamar siano reincarnazioni di esorcisti del passato. Guardo Lie, che scuote la testa. Non gli piace essere visto, è chiaro, ma c’è altro. Ridley gli accenna un’occhiata. «Già, Lie. So benissimo che menti.»
Scacco matto al mio vizio. Ora che sa che non ha ascendente su Ridley, non può far altro che l’altezzoso. Mi fa quasi tenerezza, se non provassi ancora del rancore per lui su come mi fa svolgere la mia missione. Il detective mi fissa. «Vedo che anche tu non demordi con i brutti vizi.»
Alzo le spalle. «Già. Dire a mamma che vado ad aiutare il cugino di una mia amica a scegliere il regalo da farle per il compleanno suona meno strano di “un attimo, che mi devono arrestare”. È una questione di punti di vista.»
   «Non sono venuto qui per arrestarti.»
   «Allora per cosa sei venuto qui, detective Scott?»
Sospira, infilando le mani nelle tasche. Si guarda in giro, ma non c’è nessuno. È novembre, nessuno verrà nel cortile a sistemare l’erba secca, nessun bambino si mette a giocare con il pallone a un passo da noi, le immondizie sono state già raccolte nella mattinata. «Ci sono dei fatti che … sono confusi.»
Aspetto. Non ho fretta e lui lo sa. Deglutisce, poi mi guarda. «Quando mi son svegliato tu eri lì. Cosa è successo?»
Versione lunga o quella breve? «Parlando con Lie abbiamo concordato che qualcosa non andava nella questione e, nonostante il tuo scetticismo, il tuo partner non ci piaceva.» Decido per una versione breve della storia. «Ti ricordi che l’ho definito Caino? Bene, non era un eufemismo. Quando mi sono accorta che non rientravi, ho avuto l’intuizione che ti saresti svegliato dal coma e che l’uomo sarebbe stato lì. Sono venuta all’ospedale e lui è caduto nel tentativo di spingermi.»
Parecchio ritoccata, in effetti. Ridley se ne sta fermo. «È la verità?»
   «Sì.» Sono una bugiarda. Ovvio che ti mento.
   «E se io non ti credessi? Sul fatto della spinta, intendo?»
   «Potrei aver usato il primo esorcismo per difendermi. Non ho mentito sugli effetti. Non l’ho spinto volontariamente giù dalla terrazza, seppur ho aizzato contro di lui tutto quello che avevo.»
   «Poi?»
Alzo le spalle. «Niente. Ho visto che il tuo respiro stava diventando irregolare e ti ho sfiorato con una mano. Hai aperto gli occhi.»
   «E te ne sei andata. Perché non sei rimasta a spiegarmi cosa stava succedendo?»
   «Perché io sono l’arma del trapasso, Ridley. Non eri morto e il mio compito era finito.» Più tutta una serie di imbarazzanti domande a cui non avrei potuto rispondere senza essere rinchiusa in un manicomio. Anche in quel momento, seduta sullo scalino, mi sembra sbagliato parlarne. Lui non è più del mio mondo. Ci sono menzogne che, per quanto sono brava, non reggono.
Ridley sospira. «Io continuo a vedere fantasmi. O almeno credo che lo siano. Nessuno sembra vederli e loro si limitano a fissarmi.»
   «Può essere un qualcosa di passeggero. Solo un mese fa ti sei risvegliato.»
Lie non sembra soddisfatto. «I vivi non possono vedere i morti. È una regola tassativa.»
   «Ma Ama …» Il mio vizio blocca Ridley, con tono duro. «Dalila è diversa. Gli esorcisti sono a metà tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Appartengono al mondo dei vivi per tutte le necessità basilari, ma cantano con l’oltretomba da sempre. Se uno spirito chiedesse il tuo aiuto, tu non potresti aiutarlo. Ti limiteresti a sentire le loro richieste. Uno spirito non accompagnato può essere pericoloso.»
Quanto è vero. Non solo per le loro evoluzioni, ma anche per il solo fatto che sono insistenti come pochi. La notte insonne me lo ha dimostrato. “O mi esorcizzi ora … o ora”. Chissenefrega se il giorno dopo hai scuola o la tua vita. Qualche ora ai fantasmi cambia l’intera esistenza. Non sia mai che si perdono l’appuntamento dalla parrucchiera “All’ultima Morta”.
   «E quindi?»
Lie alza le spalle. «Dimentichi che non sono un essere materiale. Non ho mai avuto esistenza, all’infuori del mondo che ho conosciuto con Dalila. Nel passato non ci è mai capitato. Però magari a qualcun altro sì. Forse gli altri esorcisti hanno avuto esperienze simili.»
Ridley mi fissa. «Ci sono altri esorcisti, oltre a te?»
   «Al momento fingiamo di non conoscerci.» Replico con stizza. Già mi vedo, andare da Julia e Jamar con il cuore in mano a chiedere il loro aiuto e a essere presa a pesci in faccia. Beh, forse non proprio con il cuore in mano. Mi mordicchio le labbra. In ogni modo con loro due ci devo parlare, quindi meglio acchiappare la scusa di Ridley piuttosto di inventarne una al lazo. «Non prometto niente ma ci posso provare. Ti conviene star lontano dai fantasmi. Non concentrarti su di loro, fingi di non vederli e evita di parlargli.»
Ridley alza le mani, mostrando le mani a Lie. «Luccicano?»
   «Ovviamente no. Quello è il potere degli esorcisti.» Nervosetto, il mio vizio.
   «Per il momento non ho altro da dire.» Mi alzo, sgranchendomi le gambe. Ho di nuovo fame. Già il solo parlare di fantasmi mi stimola appetito. Figurarsi a combattere. Ridley continua. «Non posso prometterti altro, ma nessuno verrà più a interrogarti su Dalila.»
   «Che emozione. Sono innocente.»
Ridacchia. «Credo che sia più giusto dire che manipolerò le indagini. In ogni modo, non ci sono mai stati molti sospetti su di te. A parte lunedì scorso che ti hanno visto.»
Peccato che fosse l’unica volta che non facevo un esorcismo. Alzo le spalle, mentre Lie mi fissa. Sì, lo so: sto proteggendo Julia.
Ridley corruccia la fronte. «Come vanno le ferite?»
   «Splendidamente.» Significa che sono pronta per farmene delle altre. Faccio un cenno con la mano. A metà scalinata mi lascio sfuggire un sospiro di sollievo. Innocente. Lie mi segue lungo il percorso. «Gli esseri umani non dovrebbero vedere gli spiriti. È contro natura.»
   «Sì, anche a me da fastidio.»
   «Non è solo fastidio. Lui sa esattamente che cosa sono in grado di fare. Conosce i miei punti deboli.» Li avrebbe scoperti comunque una volta conosciuta meglio me. Sono bugiarda, no? Per emulazione Lie non deve essere tanto meglio. Sorrido alla sua rabbia. Ben gli sta. Mi rode ancora la notte insonne a esorcizzare i fantasmi. Che passi anche lui qualche giorno all’erta.
Lie grugnisce. Immagino che capisca che la sua insoddisfazione mi lascia distaccata. «Hai intenzione di parlare veramente con gli altri esorcisti? In un qualche punto della conversazione hai mentito, ma non ho capito dove.»
   «Ho intenzione di parlare con loro.» Una signora esce dal pianerottolo, velocemente mi porto la mano vuota a coppa sull’orecchio, come se avessi un cellulare. Le sorrido e lei ricambia. Da una scrollatina al tappeto, mi lancia una veloce occhiata e si rintana nella sua cuccetta. Qualcuno inizia ad avere sentore che c’è puzza nell’aria. La mia pazzia, il profumino che ora proviene dal nostro appartamento. Sì, troppe notizie per i condominiali. Mi infilo di nuovo le mani in tasca. «Non so se parlerò espressamente di Ridley. Sia Jamar sia Julia si sono rivelati abbastanza ostili nei miei confronti.»
   «Anche tu dovresti esserlo.» Lancio un’occhiata a Lie, con la mano appoggiata alla porta.
   «Perché dovrei essere arrabbiata con loro?»
Il mio vizio alza gli occhi al cielo. Odio quando fa il saccente con me, anche perché ha tutte le sue ragioni per esserlo. «Riflettici, Dalila. È un po’ strano che dopo secoli tutti e tre vi siete reincarnati, nella stessa città, in un altro continente rispetto a quello passato, che per di più vi conoscevate già prima di risvegliarvi, per essere di nuovo esorcisti. Sembra quasi che il risveglio anche solo parziale di uno risuoni agli altri, obbligando a tornare alla vostra vecchia missione.»
Cioè, fammi capire: uno di noi per sbaglio si è risvegliato e così facendo ha trascinato gli altri in questo delirio? Adesso sento che ho tutto il diritto di arrabbiarmi pure io!

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Capitolo 10
*** 10 ***


10
 
 
 
              Ho appoggiato i libri dentro l’armadietto. In lontananza sento lo sguardo di Chase, ma è circondato da troppi ragazzi. Non farebbe neppure in tempo a muoversi, che io sono già sgusciata via.
Prendo un libro, di nuovo la lettera mi scappa e si infila sotto una suola delle scarpe. Digrigno di denti. Devo decidermi cosa fare, una buona volta. O la tengo in un posto più opportuno, o la butto via. Guardo distrattamente la busta, poi la scarpa si solleva e Mary si accuccia per prenderla. È più pallida del solito. La pelle è quasi grigia e tirata sulle sue guance, seppur da una prima occhiata non mi sembra dimagrita troppo. È un’amara consolazione.
   «Ciao.»
   «Ehi, ciao.» Faccio eco. Un libro mi scivola dentro l’armadietto, con un tonfo. Un vaffanculo mentale, il rumore di un foglio strappato tanto per farmi capire che anche lì qualcuno ha da ridire. Mary allunga la mano, porgendomi la busta. La prendo, cercando di evitare la valanga di libri che da lì a poco mi colpirà. «Grazie.»
La infilo alla meno peggio di lato, in modo che non mi scappi di nuovo ogni volta che prenderò un libro. Osservo Mary, chiudendo l’armadietto. Dal funerale di Carlos mi sembra di averle parlato per pochissimo tempo. Mi inumidisco le labbra, stringendo i libri al petto. «Come stai?»
Mi abbozza un sorriso, pallida imitazione di qualcosa che poteva essere sincero. «Abbastanza bene. Ho il sospetto di aver fatto schifo al compito di ieri di algebra.»
Annuisco. Per lo meno mi parla ancora. Vorrei chiederle scusa, ma sarebbe troppo difficile da spiegare e troppo penoso da capire. Abbozzo un sorriso. «Sì. Non l’ho trovato facile neppure io.»
   «Julia mi ha detto che nel terzo esercizio veniva fuori due. Sono sicura che mi sia venuto fuori un altro risultato. La questione mi preoccupa.»
Stranamente, ho pure il sospetto di averlo fatto giusto, quell’esercizio. Magra consolazione, se pensato con il fatto che per avere la sufficienza bisogna farli corretti almeno tre su cinque. «Speriamo che sia clemente. Se facciamo tutti pietà, ci grazia.»
Mary inclina la testa di lato, gli occhi umidi. Non ho detto nulla per farla piangere. Non ho parlato di Carlos, né di qualcosa che potrebbe impietosirla. «Perché tu e Julia non vi parlate?»
Ahn, di quello. Distrattamente guardo Chase. Sfortunatamente, lui sta guardando me. Distolgo l’attenzione, per trovarmi al centro di quella di Mary. Non mi aiuta. Sono attaccata su più fronti. «Abbiamo litigato.»
   «Voi litigate sempre.» Vero anche questo. «Per quale motivo?»
   «Secondo Julia, …» … io sono l’esorcista il cui risveglio ha richiamato all’attività anche gli altri. E in più sono una bugiarda, ma sospetto che dia fastidio solo perché mi sono reincarnata. Okay, mentalmente sono sincera. Volevo solo provare. «Secondo Julia, dovevo dirle in anticipo del concerto che saltavamo.»
   «Non se l’è presa tanto, con me.» Mi fa notare Mary. Alzo le spalle in un gesto non compromettente. Lei abbassa lo sguardo, sconfitta. «Io devo …. Lo sai che manca il docente della prima ora? Ci hanno dato la possibilità di … studiare, se vogliamo.»
Capisco l’antifona. «Sì, ho sentito. Volevo andare a studiare nell’aula di Chimica.»
Un po’ per la puzza, un po’ perché è appunto l’aula di Chimica, nessuno va a studiare lì. Mary capisce che non mi arrabbio con lei se rifiuta l’invito. Infatti si allontana, senza darmi spiegazioni su dove intende studiare. E anche lì, la mia amicizia con Mary può definirsi complicata. Mi sposto, con un sospiro, pensando che più schifo di come sto non posso stare. Un po’ di puzza mi tirerà, all’opposto, su di morale.
Mi scontro con Julia all’angolo, sbatto contro la parete e lei arretra di un passo, mantenendo la posizione eretta. Da quando mi ha puntato il dito contro il petto, dopo l’interrogazione di biologia, è il contatto più ravvicinato che abbiamo. Si sistema la maglia, mette meglio i libri sotto il braccio. «Julia, ti dovrei parlare.»
Alza un sopracciglio. Uno scontro contro un quinto livello, ora, non mi dispiacerebbe affatto. Mi sistemo meglio i libri, in una sua vaga imitazione. «Non ti preoccupare. Niente testimoni.»
Abbozza un sorriso. «Non credo proprio che ti convenga.»
   «Dopo che avrò parlato, potrai sfogare su di me ogni tua ira, Lartia.»
Ha un sospiro, a metà tra un sorriso di scherno e un moto di rilassamento. Arretra di un passo, incitandomi a precederla. Muovo appena le labbra. «Penso che sia più intimo parlare nell’aula di Chimica. Nessuno ci disturberà.»
   «Potrò farlo passare per un’incidente.» Replica spietata. L’assenza di testimoni mi si ritorcerà contro.
L’aula di Chimica è al primo piano, vicino ai bagni dei laboratori. Sa sempre da disinfettante e forma aldeide, seppur è da parecchio che non viene usata. Sospetto che qualcuno degli ultimi anni venga lì a tagliuzzare i cadaveri delle rane. Solo per sfogare la frustrazione. Nel pensarlo, lancio un’occhiata all’armadio di alluminio che si trova sprangato oltre al lungo tavolo. Se dovessi essere in pericolo, un urlo e i cervelloni del laboratorio di informatica correranno in mio soccorso. Certo, come no.
Appoggio i libri sopra al tavolo, girandomi a fronteggiare Julia. Lei ha sistemato i suoi nella cattedra del docente, ha incrociato le braccia e attende. Non è paziente, lo so, quindi meglio arrivare al punto. No, con lei meglio non avere segreti. Mi si ritorcerebbero contro. «Un mese fa ho esorcizzato Carlos.»
Silenzio. Il poco di colore alle guance è scemato, gli occhi sono dei pozzi neri. Avrei dovuto perquisirla, controllare se ha delle armi addosso. I pantaloni jeans e la maglietta attillata non sembrano, tuttavia, poter nascondere tanto. Vedo pure la carne in sovrappiù che esce dai pantaloni stretti, tipo ciambelline. Meglio tenere questo commento per me. Mi ammazzerebbe solo per averlo pensato. «Era morto.»
Non è una domanda. Ha l’urgenza che io le confermi che non mi sono macchiata di un crimine. «No. Era in coma, quando me l’ha chiesto.»
   «Carlos ti ha chiesto di esorcizzarlo quando era ancora vivo, in coma?»
   «Sì.»
   «E tu hai accettato, ben sapendo che lui sarebbe morto di conseguenza al tuo esorcismo?»
Annuisco. «Sì.»
   «Perché?»
   «Perché non era in overdose, Julia. È stato un tentato suicidio, e neppure uno dei primi. Mi ha minacciato, ha detto che lo avrebbe rifatto fin quanto non ci sarebbe riuscito. Avrebbe distrutto la sua famiglia, nel tentativo. Mary non avrebbe retto.»
   «Ti sembra che Mary l’abbia presa bene?» No, per niente. È quello che mi fa star peggio. Io sono l’artefice del suo destino. Vedo le sue nocche diventare più bianche. Mi appoggio al tavolo, nel tentativo di mettere più spazio tra me e lei. Julia continua. «Hai, quindi, volutamente interrotto una vita? Soddisfatta? Quale dei veti del passato ti sei dimenticata? Quanto puoi essere diventata stupida?»
   «Noi siamo l’arma del trapasso, Julia. Non siamo giudici, non possiamo far cambiare idea alle anime. Carlos me l’ha chiesto.»
   «Aveva tredici anni!» Urla, avvicinandosi di un passo, un pugno sollevato. Si immobilizza, forse perché io non sono arretrata. Forse perché sa che io mi aspetto la sua rabbia. E capisce che in parte ho bisogno che qualcuno mi molli un pugno. Annuisco. «Ho un padre in coma. Mi può chiedere da un giorno all’altro di aiutarlo a trapassare. So cosa ho innescato con Carlos, ne sono consapevole. Se fosse stato mio padre … anche se fosse stato lui, il mio compito da esorcista è chiaro. Siamo dei mediatori.»
Julia scuote la testa. «Continua a essere una gran cazzata. Hai visto Mary? È questo che hai fatto.»
Lo so. E non posso cambiarlo. Se tornassi indietro, sarei costretta a rifarlo. Julia sbuffa, o per lo meno la sento buttare fuori aria dal naso con violenza. Si porta le mani alla bocca. «Che diavolo sei diventata?»
   «Non lo so.»
   «Ti sembra una risposta? Stai negando tutto quello che sei stata!»
Deglutisco. «Perché, tu lo ricordi? Ricordi quello che è successo come Lartia?»
   «Ogni singolo momento, ogni giorno, ogni esorcismo che ho fatto. Ricordo tutto.»
Sono costretta a scuotere la testa. «Perché io non ricordo nulla.»
   «Te l’ho detto, Bel. Sei una bugiarda patologica e io non ho mai capito come ho potuto fidarmi di te. Che tu sia Bel, Dalila o ti sia reincarnata di nuovo, tu mentirai sempre. Anche adesso, ti fronte ai fatti compiuti, sei la solita distaccata. Solo che una volta eri più brava, nel nascondere la verità.»
Socchiudo gli occhi un attimo, inclinando la testa. Sta succedendo qualcosa. Julia sta parlando, fermarsi sembra impossibile. Capisco che è delusa, merito ogni male ma io alzo la mano per fermare il suo monologo. «Ti permetti pure di bloccarmi?»
   «Un attimo.»
Non so cosa obbliga Julia ad avvicinarsi a me. I miei occhi sbarrati, il fatto che sto guardando fuori dalle ampie finestre per vedere lo strano volo degli uccelli, o solo perché anche lei, adesso, lo sta sentendo. Lo definirei rumore, ma sarebbe riduttivo. O forse troppo definitivo. Non è un rumore, seppur un qualcosa io riesca a sentire. Le foglie degli alberi sono immobili, in attesa, gli uccelli si muovono indispettiti. Voli radenti ai rami, appoggiano le zampe, poi di nuovo si devono muovere in una danza senza scopo.
E poi arriva.
Sono appoggiata al tavolo e lo sento scivolare tra le mie mani, il terreno mi scappa dai piedi e il boato di un terremoto fa crepitare i vetri. Cado a terra, imitata da Julia. Ti insegnano fin da piccoli a metterti sotto ai tavoli, a seguire le indicazioni di persone più esperte. Ma noi due, sole in quella stanza, ce ne stiamo immobili, a guardare gli occhi dell’altra come se questo potesse salvarci. Dura molto. I secondi fluttuano veloci, la terra trema sotto l’attacco di bombe. Qualcuno urla, il gracchiare dei tavoli che vengono spostati e noi, di nuovo, a fissarci.
Il pavimento si ferma, quasi all’improvviso. Un quadro appoggiato alla parete cade a terra all’ultimo scossone, spargendo i vetri nell’angolo.
Mi alzo in piedi, tremante. «Non è un terremoto.»
   «Non è un terremoto.» Conferma lei.
Ci fissiamo ancora un attimo, prima di uscire di corsa dall’aula. Sfrecciamo una fianco all’altra lungo il corridoio, passando vicino a un docente che sta mettendo in fila gli studenti per uscire dalla classe. Sentiamo appena i suoi moniti, sfreccio lungo le scale superando Julia e saltando a piè pari gli ultimi dieci scalini. Chiudo gli occhi, sentendo le ferite aprirsi. Vaffanculo. Statevene buone.
Sguscio oltre la porta d’entrata, voltando a sinistra e seguendo una mia particolare sensazione. Julia alle mie spalle sta ansimando piano. Schizzo lungo il parcheggio, dove delle vecchie biciclette dimenticate sono crollate a terra durante le scosse. Quelle più nuove, agganciate meglio o semplicemente meno percosse dal tempo, si reggono traballanti ma ancora appoggiate alla recinzione. Mi fermo, socchiudendo gli occhi e cercando. Julia mi affianca, la mano appoggiata al fianco dolorante. «Dannazione, deve essere un sesto livello.»
Che bella notizia. Uno degli spiriti che Lie mi ha detto di evitare. Spero tanto che Julia si sbagli, perché se non fosse ho due grossi problemi. Il primo e più immediato: come faccio a combattere con uno spirito che il mio stesso vizio mi ha detto di non fronteggiare? Il secondo, più preoccupante nel lungo termine: perché Julia ricorda il passato come Lartia e io, invece, sono imprigionata in un turbine di sensazioni e di dubbi su chi ero?
La sento deglutire a forza, il respiro le si fa un po’ meno rotto. «Questo sarebbe … questo sarebbe il primo sesto livello che combatto in questo secolo.»
Mi scosto con una mano una ciocca di capelli dagli occhi. Non lo vedo. So solo che è qui. «Non ricordo di aver combattuto contro un sesto livello neppure nel passato.»
Vuoto, non ricordo nulla. Neppure la sua possibile forma. Da ciò detto da Lie, dovrebbe avere un aspetto quasi demoniaco. E non mi piace. Con la fortuna che ho, dubito di trovarmi davanti a un criceto.
Julia non si fida. «Eri più brava nel mentire. Quando sapevi che le menzogne non avrebbero retto, eri sincera.»
   «Sono sincera!»
Mi incammino con passo riottoso, sbirciando dietro la scuola. L’erba è alta, sigarette e spinelli sono buttati vicino alla muretta. Il fondo di una bottiglia di plastica racchiude qualcosa di nocciola, dall’aspetto non meglio definito. Mi inumidisco le labbra, sentendo l’aria più pesante. Julia mi si avvicina, all’erta. È qui. Lo so.
Tra l’erba c’è un tremolio, ma le foglie degli alberi sono immobili. Non spira un filo di vento. Sono sudata, nonostante l’aria che mi colpisce il volto sia poco meno che gelida. Un altro tremolio, poi un ringhio e qualcosa si alza.
Non lo vedevamo per il solo fatto che era accucciato, intento a rosicchiare quello che poteva essere un topo. O un coniglio delle serre. Ha le fauci inzuppate di sangue e, mentre continua a ergersi dalla sua posizione, il mio sguardo si concentra sempre più verso il cielo. «Oh, porca … merda
Il sesto livello è enorme, con un aspetto felino seppur non ho mai visto un qualcosa del genere. Gli occhi sono come quelli di un gatto, obliqui e con la pupilla verticale. Non vedo il luccichio di una qualche forma di intelligenza, ma se è per questo io sono la pulce che gli sta poco lontano dalla zampa. Vedere gli occhi meglio di quei puntini sarebbe un glorioso passo avanti. Il suo naso freme l’aria, uno sbuffo e due esorcisti si trovano inumidite da moccio di spirito. Solleva le fauci, una zampa di qualche animale crolla a terra. Okay, è corporeo. Posso dire di più. È molto corporeo e oserei azzardare che ha pure fame. Davanti a lui, adesso, ci sono due ragazze dall’aspetto più appetitoso di quel rimasuglio di carne che non è riuscito a finire.
Dietro, quasi lontana quattro metri, la coda si muove sferzando l’aria. A ogni colpo, il vetro delle finestre vicine sembra crepitare.
A giudicare dall’aspetto, mi trovo davanti a un serial killer. Avanti, uno che ha ammazzato due persone, anche senza poi essersi pentito, non può raggiungere le dimensioni bestiali che ho lì davanti!
Stringo le mani a pugno. Le ferite non si sono ancora rimarginate. Julia se ne sta immobile, se non fosse per il fiotto di imprecazioni che mi giungono allegramente all’orecchio. Sono troppo terrorizzata per urlare e so bene che sarebbe inutile. Siamo due esorciste. Chi mai potrebbe salvarci? Siamo noi, eventualmente, che aiutiamo.
Senza preavviso, lo spirito urla o ruggisce, non mi è chiaro, e la terra ci sfugge di nuovo sotto i piedi. I vetri delle finestre che avevano retto si rompono, io crollo a terra aggrappandomi con le unghie. Fai qualcosa. Alzo gli occhi per fissare quell’anima corrotta che si prepara a combattere. E ho paura. Non di lui, anche se non so come muovermi. Di me. Ho paura che questa volta non me ne uscirò con una piccola ferita alle mani.
Un aiuto, però, sarebbe bloccare il terremoto. Alzo la mano sinistra. «Primo esorcismo: catene della purificazione.»
Le catene si agganciano a una sua zampa, la tiro verso di me con il solo risultato di smuoverlo di un passo. Per lo meno smette di far tremare il terreno e io posso reggermi in piedi. La catena mi scivola dalla mano quando lui tira, punto i piedi nel terreno e vedo il blu macchiarsi di rosso.
Julia sta ansimando. Mi fa piacere che stia andando in iperventilazione. Ringhio, nel tentativo di bloccare la mia inesorabile avanzata. «Dimmi la formula evocativa del sesto esorcismo.»
   «Cosa?»
Lo so, fidarsi di me è difficile. Lo so. Urlo. «Julia!»
   «Sesto esorcismo: profondità del ricordo.»
Lo spirito strattona la catena, allento la presa e sento la catena distruggersi tra la mia mano. Un dolore che so non dovrebbe esserci mi paralizza la mano sinistra. Non ho il coraggio di guardare perché decisamente se ne sta vicino al mio fianco, inerme.
Mi inginocchio, perché so che è giusto. Sento l’alito dello spirito putrefatto che mi solletica il viso. Mi costringo ad alzare le braccia al cielo, qualcosa mi cola dalla mano sinistra e mi inzuppa la manica. Farà male. Farà molto male. Lo so ancor prima di iniziare.
   «Sesto esorcismo.» È proprio questo che voglio? Una parte di me dice che c’è Julia, lì vicino. Può farlo lei. Non rischia così tanto. Ma qualcosa, non so, mi dice che deve andare così. Come Julia non si è mossa per prima, così devo essere io a compiere l’esorcismo. Perché? Sospiro, fissando lo spirito. Il perché mi lascia indifferente. Sono un’esorcista. Eseguo la mia missione. «Sesto esorcismo: profondità del ricordo.»
Mi dico che sono pronta. Le catene si formano sopra la mia testa, nere e rosse, muovendosi come serpi. Le sento calde e mortali, mentre attaccano e avvolgono lo spirito senza difficoltà. Lui, all’opposto, sembra inerme e non può fare nulla.
Continuo a ripetere che sono pronta, ma è una menzogna che non regge. Appena le catene rinchiudono lo spirito in quel bozzolo di nero e cremisi, tutto quello che mi ero aspettata di provare si presenta. Moltiplicato per dieci.
Le mani si spezzano, chiudo gli occhi per evitare che il sangue delle ferite mi bruci, ma non posso evitare di sentirlo. Cola inesorabile sul mio volto, inzuppando le maniche e infilandosi dentro la maglietta.
Dall’altra parte, mi muovo nervosa sulle gambe. Sono inginocchiata. E le ferite si sono riaperte anche lì, inzuppando, garze, calzini e pantaloni. Mi gira la testa e sento qualcosa di vischioso uscirmi pure dal ventre. Ogni ferita di Dalila si apre, si unisce a quelle subite da me in un macabro gioco. Invece di unire i punti con la penna, come nei giochi dell’enigmistica, si deve semplicemente aprire la ferita.
Poi arriva l’esorcismo, perché il dolore fisico non può bastare. Doveva dirmi qualcosa l’evocazione: come posso evocare un ricordo, se poi non posso vederlo? E così mi ritrovo annichilita all’interno di me stessa, con il sangue che mi fuoriesce tipo vomito e la mente dilaniata da azioni che non ho mai commesso. Ogni vittima, ogni rituale per trovarla, il successivo stupro, la prigionia, la tortura, tutto mi viene gettato addosso come acqua. Tra le catene lo spirito si dibatte. Prova quello che hanno provato le vittime. Il dolore. Fatto. La paura. Fatto. La morte.
La vista mi si sta annebbiando, ed è tutto un dire visto che ho gli occhi chiusi. Non posso interrompere il contatto, quindi mi ritrovo ad ansimare sotto tutto quel peso, sperando che abbia fine. Alla prima vittima chiedo già venia. Una seconda mi fa gemere. Alla terza il mio cuore sa che sta combattendo contro l’ipovolemia. Lo spirito smette di dibattersi, apro gli occhi speranzosa. Il viso è ricoperto di sangue, al pari delle mie catene. Sono spossata e più non reggo. Cinque omicidi.
Le catene si dibattono su uno spazio vuoto, io abbasso le mani e crollo. Respiro con piccoli colpetti veloci la terra. È fredda. E io sono sudata. O è il sangue ad essere ancora caldo?
Qualcuno mi gira da un lato, fisso il volto atterrito di Julia. Non sa dove mettere le mani. Beh. Buon per lei. Io non so ancora se ho delle mani. «Che diavolo ti è successo?»
Muovo la mano destra. Bene. La sinistra mi sembra ancora troppo debole per costringerla a squarciarsi. Dovremmo aspettare un pochino, temo. Sto ansimando e, quando apro la bocca, il sangue mi tinge le labbra e si insinua al suo interno. Nella lingua ha un sapore ferroso. «Te l’ho detto. Non ricordo nulla.»
Dallo sguardo di Julia, capisco che forse adesso mi crede.

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Capitolo 11
*** 11 ***


11
 
 
 
              Indosso i pantaloni della tuta e la maglia che avrei usato per l’allenamento con la Lowry. Tanto so che lo salto, quindi non mi costa nulla mettermi un qualcosa di pulito, ben sapendo che ho poche possibilità di sporcarlo. Alzo un sopracciglio, mentre infilo nella borsa gli indumenti della mattina. Beh, in linea di principio anche quelli dovevano rimanere puliti fino al pomeriggio. Le uniche feriti visibili, al momento, sono quelle delle mani. Mi sono messa delle bende alla meno peggio, aiutata da Julia. È rimasta in silenzio per tutto il tempo, fissando le mie mani come se avessero tentata di strangolarla. Avevamo appena parlato, dopo lo scontro. Le avevo solo chiesto perché non aveva combattuto contro il sesto livello. Conoscendola, sapevo che se si era tirata indietro un motivo c’era.
Si era inumidita le labbra. «Dalila aveva più esperienza di Lartia.»
Risposta semplice e concisa. Ora sapevo pure che nel passato Julia era un gradino sotto di me. Ne sarei stata lusingata, se non mi facesse male anche respirare.
Butto la borsa dentro all’armadietto. Arriccio il naso. La giornata sta andando male. Il terremoto ha lasciato la scuola scossa, ma abitabile. Le finestre rotte erano di aule deserte adibite come ripostiglio. Ergo? Tutti in classe per fare lezione. Nell’ora buca ero stata medicata da Julia e poi sono stata costretta a seguire le lezioni. Mi incammino piano verso la classe, certa che qualcosa mi si è rotto.
Traballante mi siedo al mio banco. Intorno a me stanno parlando del terremoto. Alex sta dicendo a dei suoi amici che lui era vicino alle finestre quando è successo. Mi giro appena verso di lui, vedendo che esibisce un piccolo graffio rosato vicino al gomito. Un gattino gli avrebbe lasciato un segno più profondo. Margareth lo fissa rapita. Il ragazzo le strizza l’occhio. «Non dirò nulla a quello di Educazione Fisica. Così posso farla lo stesso.»
Ma porcamerda. Appoggio la testa al banco, in un inconfondibile tonfo. Direi che devo inventarmi una bella balla per non fare ginnastica. Socchiudo gli occhi. Beh, la verità mi farebbe saltare le due ore senza problemi. Però passerei il restante pomeriggio in ospedale, nel tentativo di spiegare come mai fossi ridotta come un manichino dopo un allenamento brutale. Il terremoto le giustificherebbe in parte, ma paragonate a quelle di Alex farebbe capire che uno dei due sta mentendo. E non penso che un terremoto ti squarci il ventre a frustate. Mary mi si avvicina, preoccupata. «Stai bene? Hai per caso le tue cose
Giusto. Alzo la testa, più trionfante di quanto avrei fatto in condizioni normali. Storco un po’ la bocca, facendo capire che ho male alla pancia. «Già. Non sto parecchio bene. Mi sa che salto ginnastica, oggi.»
Mi appoggia una mano sulla spalla, poi l’arrivo del docente la fa tornare al suo posto. La seguo con lo sguardo, finché non incontro l’attenzione di Julia. Mi sta valutando, giochicchiando con una penna.
Torno a fissare il docente, prendendo il quaderno degli appunti. Un’altra bella notizia per questa giornata: domani ricomincia il giro delle interrogazioni. Fa schioccare la bocca, prima che il suo sguardo cada prima su Julia e poi su di me. Immagino che per domani ci sono già due volontarie.
Abbozza un sorriso, mi trattengo dall’alzare il dito medio. Qualche volta sarebbe carino essere risparmiati.
Alle ultime ore mi alzo dalla sedia con gli altri, cogliendo l’occasione per fare una capatina in bagno. In effetti, mancava la carta igienica e il sapone. Bene, sto iniziando a interessarmi del mondo dei comuni mortali. Alzo lo sguardo per fissare il mio aspetto allo specchio, cercando di capire se posso passare per una malaticcia. Sì, sono pallida abbastanza da sembrare una che ha donato il sangue, quindi la questione del ciclo mestruale può anche reggere. Tanto più che sono una di quegli studenti che raramente salta le lezioni di ginnastica.
Il professore mi fissa un attimo, poi mi dice che è meglio se mi siedo. Sono rannicchiata nella giacca della tuta, più per nascondere le mani infortunate che per effettivo dolore. Mi lascio cadere vicino nella panchina, respirando l’aria esterna. Così immobile, mi sembra che sia pure più freddo, anche se il sole accarezza il mio viso tipo velluto. I miei compagni hanno la maglia della tuta aperta, così le maglie sotto sono un pugno contro i blu e neri dei pantaloni. Ascoltano, annuendo di tanto in tanto. Due mie compagnie di classe ridacchiano nelle ultime file. Problemi loro. Non penso che a suon di gossip si può fare salto in alto.
Una di loro, Lisa, mi fissa apertamente. Sono paranoica, o sono io l’argomento di discussione? Accavallo una gamba, osservando il riscaldamento dei miei compagni. Julia corre piano. A lei non piace ginnastica. Non le piace correre, odia stare all’aperto. In effetti, vedo proprio Lartia a inseguire gli spiriti, bofonchiando e inveendo contro di loro. Abbozzo un sorriso. Sì, sono crudele.
Fanno due giri di salto ciascuno, poi altri esercizi singoli per potenziare le gambe e, al quarto richiamo, il docente capisce che è il momento giusto di lasciarli sfogare con una bella partita di Palla Avvelenata.
Il docente si siede vicino a me. Puzza di nicotina e sudore. Beh, neppure io devo proprio profumare quel giorno. Rabbrividisco al pensiero che sento io stessa l’odore del sangue.
Si dividono in due squadre e raccattano tutti i palloni. Più che Palla Avvelenata sembra di assistere a una guerra senza pietà. Con mia somma soddisfazione, Lisa prende un pallone sulla schiena, finendo a terra con uno strillo. Julia, sua alleata, lo raccatta e risponde al fuoco con un colpo diretto all’assalitore. Stringo i denti. Chissà che male!
Ogni tanto il docente si alza dalla panchina, soprattutto quando si rende conto che gli attacchi stanno diventando sempre più crudeli. Guardo l’ora e mi alzo in piedi, stiracchiandomi le gambe. Dai, digli di andarsi a fare la doccia. È ora di tornare a casa.
Come se avesse sentito la richiesta, il professore segna la fine dell’ora. Mi guarda, indicandomi i palloni disseminati per il campo. Problemi nel sistemarli? Faccio cenno di diniego con la testa, acchiappando un pallone che sta sfuggendo sotto alle mie gambe.
La mia classe si allontana chiacchierando. Alex mi mostra il gomito ferito, strizzandomi poi l’occhio. Sì, una ferita degna di Ercole. Tutti si allontanano, lasciandomi quel cimitero di palloni da sistemare. Sbuffo. Meglio fare ginnastica, anche se alcuni esercizi mi avrebbero procurato problemi.
Il sole mi batte sulla schiena, un rivolo di sudore mi scende lungo la tempia, mentre sposto il materassino verso la parete. Ritorno dai palloni, pensando che poi avrei chiesto a qualcuno di aiutarmi a sollevarlo e mettere meglio il materassino.
«Ehi, ciao.»
Calcio il pallone ai piedi con più forza del dovuto, le gambe protestano. Questo si fionda verso la parete e rimbalza, a una manciata di metri dallo sconosciuto socievole. È un ragazzo, non molto alto, con la divisa di un’altra scuola.
   «Ciao.» Mi stanno sfuggendo un sacco di particolari, primo fra tutti che quel ragazzo biondo io non l’ho mai visto.
Lui si avvicina, estraendo le mani dalle tasche con disinvoltura signorile. «Non mi sono ancora del tutto abituato. Voglio dire, è un po’ confuso vivere nel presente quando gli ultimi ricordi del passato non sono tanto confortanti. Ricordo ancora che per spostarmi usavo il cavallo, e ora mi ritrovo le più comode automobili.»
Sono ferma a fissarlo, indecisa se riporre il pallone al suo posto. Il ragazzo ne prende uno da terra, si dilunga in tre rimbalzi e poi lo lancia verso il cesto a sei metri di distanza. «Strike!» Esulta quanto fa centro.
Riprendo la voce. «Tu … tu sei Oppius.»
In effetti, sorprendente che ricordo pure il suo nome. Potrei anche fargli qualche complimento, del tipo che è … ringiovanito? No? L’aspetto di certo è molto diverso da quello del passato. Il ragazzo sorride, alzando le spalle. «In questo secolo mi chiamano Robert, Dalila.»
   «Io sono Amabel.»
   «Amabel.» Annuisce a se stesso, prendendo un altro pallone e cercando di fare di nuovo canestro, mancando il bersaglio di una manciata di centimetri. Arriccia il naso, in un gesto che mi ricorda molto il passato. «Ti stai chiedendo perché sono qui?»
   «Lartia non sembra voler aver nulla a che fare con me.» Ammetto con voce piatta. Mi aveva curato le ferite, vero, e il suo lavoro era stato solo quello. Per tutto quello che riguardava i nostri rapporti, sembravano irrecuperabili.
Robert, o il vecchio Oppius, annuisce. «Già. Anche Sura e Maximus. Sono convinto che lui mi prenderà a calci quando dirò che sono venuto da te.»
Sura … Maximus. Il mio cuore si stringe di gioia al pensiero che non sono sola con Lartia e Damide, ma altri come noi si sono reincarnati. E sorrido al pensiero che ricordo qualcosa di loro. Ricordo il carattere arrogante, rammento i loro vizi e anche se non ho menzione del loro aspetto, un tempo io li conoscevo bene. Corruccio la fronte. L’ultima volta che li ha visti, però, Dalila era ancora in buoni rapporti con loro. «Sura e Maximus non vogliono avere a che fare con me?» Perché mai l’esorcista della gola e quello dell’avarizia ce la dovrebbero avere con me?
   «Già. Non puoi dargli torto. O forse sì. Ci sono degli eventi, nel passato, che non mi sono molto chiari e finché non avrò capito la questione, ho intenzione di andare contro ogni ragionevole dubbio e fidarmi di te. Se poi sarà evidente e non giustificato il tuo tradimento, allora sarò costretto a ritrattare.»
   «Tradimento?» Non ricordo. Dannazione, non ricordo di averli mai traditi. «Io vi ho traditi?»
Robert alza le spalle. «È questo che non convince Julia. Afferma che è impossibile che tu non lo ricorda. Tu ci hai tradito, Amabel. Ci hai tradito e, a causa tua, siamo stati uccisi.»

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Capitolo 12
*** 12 ***


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         Ho sollevato il materasso appoggiandolo alla parete della palestra con l’aiuto di Oppius … di Robert, dannazione. Robert. Ragazzino socievole, per la verità. Se non fosse che il suo vizio è l’accidia, avrei quasi detto che sembra un ragazzino di quindici anni come gli altri. Ma noi non siamo dei ragazzini, seppur l’aspetto è quello.
La scuola è deserta. La mia classe è uscita dopo il suono della campanella e io non sono più in buoni rapporti con qualcuno. Nessuno mi aspetta vicino al cancello. Lo so già prima di uscire. Mi mordicchio le labbra, aprendo l’armadietto. Lo sguardo mi cade sulla lettera che ho lasciato lì. Ho il mezzo sospetto che gli esorcisti che si sono risvegliati sono proprio tutti. Non è più una questione tra me, Damide e Lartia. Jamar e Julia possono pure incolparmi di tante cose, ma di certo sono innocente per quanto riguarda il risveglio. Per il tradimento, invece, è un altro paio di maniche. Potrei dire che sono innocente, e a mio favore non subentra quell’amnesia sul mio passato.
Sfilo la lettera dal suo giaciglio, rigirandomela tra le dita. Sura, l’esorcista della gola; Maximus, l’esorcista dell’avarizia; Oppius, l’esorcista dell’accidia. Nessuno di loro tre mi avrebbe mandato una lettera. E di certo non con quei toni. La soppeso, mordicchiandomi il labbro inferiore. Pensa, Dalila, pensa. Chi altro c’era con te nel passato?
Vuoto.
È sempre confortante quanto aiuto ti arrivi dalla tua vita passata. In effetti, Dalila è intervenuta solo in un’occasione. Abbasso una mano per recuperare lo zaino lì vicino. Afferro l’aria, stringendola a vuoto prima di corrucciare la fronte. Non ho più la mia borsa. Alzo lo sguardo dal pavimento, vedendo Chase che la solleva con un dito, facendo sbatacchiare un quaderno che ho infilato dentro.
Allungo la mano, lui lascia che gli sfili la mia borsa, con sguardo indifferente. Acchiappo dei libri, li infilo dentro e poi, presa dall’ispirazione, ficco dentro anche la busta. Iniziano a pesare troppo, quegli stupidi biglietti e quel foglio.
Chase continua a guardarmi, il che non mi piace. So che non si fida di me, so che ci sono tante cose che lui mi dovrebbe dire ma non vuole … oppure che mi vorrebbe dire ma non dovrebbe. Girate un po’ voi la frase, il senso non cambia: io so che lui non si fida di me e lui non mi dà alcuna spiegazione in merito. Nel silenzio della scuola sento il metallo che scricchiola quando si appoggia agli armadietti. «Julia mi ha detto quello che è successo.»
L’anta mi scivola dalle dita, il metallo sbatacchia senza ritegno davanti a me. È lui. Lui per la prima volta mi ha detto che i vizi sono otto. Lui mi ha parlato dei fantasmi ancora prima che io incontrassi Ridley. Mi infilo un ciuffo dietro all’orecchio. «Ovvio. Titus.»
Mi esce un mezzo sbuffo, a metà tra un’imprecazione e una maledizione. Mi inumidisco le labbra. Ecco perché è interessato a me. Di certo non puoi interessarti di una ragazzina anonima che fa la staffetta. Se però cerchi di avvicinarti a un’esorcista, ecco, la questione si fa più piccante. Il vecchio capo degli esorcisti, Titus, deve per forza proteggere il nostro mondo. Guardo lo zaino che tengo su una spalla. Ora, incrociare lo sguardo, mi sembra troppo al di là delle mie capacità. «La lettera. Chi me l’ha mandata?»
   «P. C. sta per Philippe Collins.»
   «Il modello?»
   «È Daulus.»
L’esorcista dell’invidia è, in questo secolo, un modello che di sicuro sarà invidiato da tutti i ragazzi sulla faccia della terra. Probabilmente riderei, se Chase non fosse così vicino a me e Robert non avesse ammesso che sono accusata di tradimento nei confronti dei miei vecchi compagni. Questo non mi impedisce di fare uno sbuffo. «Sei qui per uccidermi?»
   «Se fosse questo il motivo lo avrei già fatto.»
Mi sistemo meglio lo zaino, infilando la mano per controllare il cellulare. Ecco, mamma, se vuoi chiamarmi puoi farlo pure. Ma so già che non capiterà, vero? Il telefono rimarrà silenzioso e Chase avrà tutto il tempo di questo mondo per interrogarmi su cose che non so, arrabbiarsi per le mie non risposte e accertarsi che sono esattamente come la bugiarda del mio passato. Per un poco mi ero pure sentita solidale con Dalila: una che cerca di proteggere la sua famiglia, non può essere tanto male, no? E invece aveva tradito tutti. Brutta stronza.
   «Cosa vuoi?»
   «La verità. Julia ha detto che non ricordi nulla del tuo passato.»
Sospiro. «Ho solo scorci. Mi dici un nome e lo aggancio a un qualcosa che conosco. O che conoscevo. È un casino.»
   «Parlami degli esorcismi. Cosa è successo oggi?»
Mi mordicchio un labbro. Pessima abitudine che ho preso. Mi staccherei il labbro pur di non farmi vedere così debole. Fisso Chase, ancora appoggiato agli armadietti. Di nuovo, datemi un esercito di spiriti e non mi tirerò indietro. Sospiro. «Riesco a fare i primi tre esorcismi senza problemi. Se, però, li uso per distrarre o imprigionare per un poco qualche spirito che non corrisponde a quel livello, mi si ritorcono contro. Quando ho usato il primo esorcismo per distrarre lo spirito di sesto livello … beh.»
Apro le mani, mostrando la fasciatura. Qualche macchiolina rosata ha invaso quelle bende, altrimenti bianche. Continuo. «Dal quarto esorcismo in poi, invece, le catene mi si rivoltano contro. Parte di quello che prova lo spirito lo subisce il mio corpo. Lie ammette che non è normale.»
   «Ovvio che non lo sia.»
   «Ha parlato di una maledizione.» In realtà, in quell’occasione, si riferiva agli incubi e al fatto che patissi ciò che avevo subito in vita. Sono brava a riciclare frasi.
   «Stai pensando a noi.» Intuisce che il dubbio si sta insinuando anche a me. Loro mi accusano di qualcosa, io di altro. Ovunque ci muoviamo, non si è rotta solo la mia amicizia con Julia. La fiducia è un qualcosa che vale da entrambe le parti. Loro non si fidano di me. E anch’io non mi fido di loro. Chase sbuffa. «Non siamo così grezzi, Bel.»
   «Io lo sono così tanto, però, da essere accusata senza poter fare nulla. È vero, e dannazione se so che non vi fidate di me, … ma è vero che io non ricordo nulla del passato. Dalila potrebbe avervi tradito, mi dispiace. Mi dispiace che sia stata una stronza, mi dispiace che per causa sua siate morti.»
   «Causa tua. Sei tu Dalila.»
   «Io non lo ricordo.» Sto quasi piangendo. Con una mano fasciata ricaccio le lacrime dentro, tirando su con il naso. «Non ricordo e trovo crudele quello che fate. Potete odiarmi, ma ditemelo. Questi silenzi, queste …» Sfilo la lettera dallo zaino, cacciandola in mano di Chase. «… minacce sono insopportabili. Mi dispiace se sono stata una stronza, mi dispiace di avervi tradito. Mi dispiace e vorrei che mi credeste. Ma sto chiedendo scusa di un qualcosa che non ho ricordo di aver commesso!»
   «Perché dovrei crederti?»
Scuoto la testa. «Giusto. Non ne hai motivo. Quindi … basta. Finiamola qui. Se non vuoi uccidermi, lasciami stare.»
Chase annuisce, guardando il contenuto della lettera. «Sta lontano da Oppius.»
È per questo che è venuto. Non per salvare la pecorella smarrita, non per chiedere spiegazioni. Sono inutili. Io sono persa. Ci deve essere un girone dell’Inferno tutto per me, Dante mi attende stringendo la mano a Virgilio e insieme … che cosa possono farmi? Devo rivivere come sono morta? Dannazione, lo faccio già adesso. Chase continua con tono perentorio. «Sta lontano da lui, Dalila. È sotto la mia protezione e sai bene cosa sono in grado di fare per proteggere ciò che è mio.»
Socchiudo la bocca. Vorrei rispondere ma sono svuotata. Un tempo anch’io ero tra le persone che Chase avrebbe protetto, tra la schiera del suo esercito. Ora non avevo la protezione di nessuno. Fino a questo momento non ho mai pensato a come potesse essere la mia vita da esorcista. Una piccola parte, credo, ha sperato che il muro tra me e Julia si appianasse, tornasse come prima. O forse anche meglio. Senza più segreti, senza più menzogne. Due esorciste che studiavano nella stessa classe.
Ora, Chase, mi nega tutto questo. Potevo capire Julia e Jamar, Robert mi aveva fatto sperare che qualcuno in me ancora credesse. Un ordine di Chase, però, decretava la fine di tutto.
Annuisco, e non so bene a cosa. Passo una mano sull’armadietto, fisso la busta tra le mani di Chase e capisco che tutto quello che mi rimane di quella giornata sono ferite che non comprendo, uno zaino sbrindellato con i compiti per il pomeriggio e un vizio sociopatico che non mi darà spiegazioni, perché anche lui è confuso. Ottimo.
Mi incammino. I miei passi sono inseguiti da quelli di Chase. Deve anche lui uscire da scuola, lo so. Dannazione, non può lasciarmi due minuti di vantaggio, così evito di asciugarmi di nascosto le lacrime con il bavero della tuta? Mi sembra più che gentile.
Spalanco la porta d’entrata, socchiudendo gli occhi alla luce. Appoggiato al cancello, con l’espressione di essersi trovato lì per caso, c’è Philippe. La televisione non gli rende giustizia, o non l’ho mai guardato fino in fondo. Al sole, gli occhi assumono una tonalità più che ambrata, quasi dorata. E gli occhi sono la parte che attira di più l’attenzione, in quel mezzo cipiglio misterioso e indagatore. Indossa una semplice giacca in pelle, strappata in più punti, e dei comuni jeans … e dannazione se è più carino di quando l’ho visto alla sfilata in boxer! I capelli sono arruffati e, intanto che valuto se è meglio subire l’invidia o la superbia, una mano si passa tra la sua chioma, scompigliando di più i ciuffi ribelli. Sì, non c’è ombra di dubbio. Meglio l’invidia.
Mi incammino, sapendo che possono attaccarmi su più fronti. Chase mi segue come una scia, Philippe non si scosta dal portone. Ho stretto la mano a sinistra a pugno, pur sapendo che il primo esorcismo non avrà effetto. Non sono peccatori e, quel che è peggio, non sono pure del tutto umani.
Philippe allunga una gamba, appoggiandosi meglio. Posso scavalcarlo, vero, e lui mi attaccherebbe con più facilità. Mi blocco, Chase si affianca. Pericolo, da tutti i fronti.
Philippe mi guarda velocemente, un sorriso molto simile a quello di Jamar. Non so se gli faccio schifo o se mi vuole spogliare. Entrambe le opzioni mi terrorizzano. «Ciao bellezza.»
   «Non dovresti essere qui.» Rimbrotta la voce vicino a me.
Philippe alza incurante una spalla. Lancia solo una veloce occhiata a Chase, come per vedere quanto in là si può spingere nello stuzzicarmi. A seconda della sua espressione, penso che a me andrà più o meno bene. Incrocio le dita, sperando che il mio ex capo sia arrabbiato. «Solo curiosità.»
Sposta la gamba, traballante mi incammino. Mi sfiora con una mano, d’istinto mi sposto, urtando Chase. Il cuore mi batte all’impazzata e Philippe mi sta solo porgendo un pezzo di carta. Avrei voluto dire qualche frase intelligente, mostrare come mi disinteressassi di tutto. Invece, quello che riesco a dire, probabilmente con voce atterrita, è: «Eh?»
Philippe fa dondolare il biglietto, lo prendo perplessa. «Se vuoi morire …» No, grazie. Vivere mi piace. «… noi siamo lì.»
   «Non ne hai il diritto.» Replica Chase, con tono tagliente.
Mi infilo il biglietto in tasca. «Non c’è problema.»
Do un’ultima occhiata ai ragazzi, facendo un passo all’indietro. Chase ha le braccia incrociate, sta cercando di capire cosa voglio fare. Dall’altra parte, Philippe ha un aspetto più che rilassato. Accenno a un altro passo, Chase intuisce. «No, Bel.»
Mi giro, partendo in uno scatto. Probabilmente nella lunga distanza vengo battuta da Chase, ma sulla breve distanza so di essere veloce. È per quello che la Lowry insiste tanto con me. Quello che non ho calcolato sono le mie gambe. Nei primi cento metri volo, poi sento il rivolo di sangue e le ferite che si aprono. Troppo tardi, ormai.
Al primo bivio mi infilo in una strada a sinistra, poi a destra per due volte, fino a quando quasi investo due vecchietti che si tengono per mano. Sfilo sotto i loro sguardi atterriti, corro per un altri po’ di metri e mi infilo dentro a una via. Mi getto dietro a un cassonetto delle immondizie, con il cuore nel petto.
Sbircio la strada. Non li vedo. Mi hanno lasciato andare.
Prendo a pugni un sacchetto. Dannazione!

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Capitolo 13
*** 13 ***


13
 
 
 
            Mi sveglio con un pigolio. Lie alza la testa. Deve essere stato tutta la notte a fissare fuori, perché la prima cosa che vedo sono i suoi occhi azzurri. C’è una tempesta in avvicinamento. Muovo una mano per allontanarlo, lui ride di rimando. No, nessuna tempesta. Ha solo voglia di rompermi le scatole.
Mi drizzo a sedere, socchiudendo gli occhi. L’incubo è stato peggio del solito. Arrivare al bagno e fare la pipì mi sembra un’impresa titanica. Con un altro sospiro, prendo il coraggio e mi alzo in piedi. Okay, il sangue che avevo deve essere uscito. Sollevo un poco i pantaloni del pigiama, scorgendo del bianco in mezzo a tutto quel sangue.
   «Che diavolo è successo?» La voce di Lie è tagliente e, prima che possa negare, si avvicina sollevandomi i bordi del pigiama. Chissà cosa vedrebbe mamma se entrasse in questo momento. Io in piedi con i pantaloni sollevati fino al polpaccio da una mano invisibile. Riderei, se di per sé non mi facesse schifo come mi sento.
Lascia la presa, alzandosi in piedi con sguardo minaccioso. Parlavo di tempesta? C’è aria da tornado. «Non mi avevi detto che le tue ferite erano peggiorate.»
   «Non me l’hai chiesto.»
Pessimo modo per iniziare una discussione. Mi incammino verso il bagno. Lie mi blocca. «Ti cambi davanti a me, ragazzina. E se avessi qualche dubbio, è un ordine.»
Il fatto è che Lie non è proprio un bambino. Né un maschio. Se ho sempre preferito avere la mia intimità è solo per nascondere le ferite e quel poco di dignità che mi era ancora rimasta. Mi passo la lingua sulle labbra, sapendo che se anche andassi in bagno, Lie mi seguirebbe. Con un lamento mi tiro via prima la maglia, poi la canottiera. Agguanto il reggiseno sulla sedia, infilandomelo senza battere ciglio. Il contatto con la stoffa sopra la ferita da frusta è un inferno. E Lie lo capisce. «Ti hanno torturata.»
   «Una frustatina qua e là.» Mi tolgo con un rantolo in pantaloni. Le ferite sono peggiorate. Come un ragno mi si stanno avviluppando lungo la gamba. Le ho ad altezza ginocchio. Al momento vedo solo l’arrossamento, come se fossi stata troppo vicina a una sorgente di calore, e poi? Con l’andare del tempo cosa accadrà? Arriveranno fino ai polmoni? Collasserò prima?
Ignoro gli abiti che mi sono preparata la sera prima, preferendo un paio di pantaloni più larghi e una felpa. Tanto non devo andare a una sfilata di moda. Lascio agli altri questo onore. Mi siedo sul letto, togliendo lo strato di garze con mani tremanti. Bene. Prendo delle altre bende, mettendomi a lavorare con mano esperta. È un’operazione che faccio tutte le mattine, quindi non mi lascia impreparata. Prima avvolgo il piede, lasciando fuori solo le dita. Sanguinano anche quelle, ma è un supplizio dover camminare con bende, calzini e scarpe. Mi sembra di bruciare sul rogo, e ne so qualcosa. Poi avvolgo la caviglie e con qualche giro arrivo fino a sotto il ginocchio. Allungo la mano per prendere le forbicine da unghie … che ho lasciato in bagno. Lie sospira, con un cigolio apre la porta e si infila in bagno. Sospiro. Fortunatamente mamma ha la mattina e Edward dorme ancora. Altrimenti spiega tu come mai un oggetto si sposta per casa.
Dopo la rifinitura, osservo il letto. Ho macchiato le lenzuola. Dannazione. Se non avessi sanguinato in zona gambe, e questo si nota, avrei anche potuto farlo passare per un ciclo abbondante. Dura da spiegare a mamma come mai mi reggo ancora in piedi. Con un veloce movimento prendo le lenzuola, faccio una palla e le porto dalla lavatrice. Apro lo sportello con un calcio, infilo tutto dentro alla meno peggio, giro qualche manopola. Direi cotone … faccio lampeggiare la freccia sulla maglia sporca, perché direi che le lenzuola sono decisamente sporche, e lascio quello che si è impostata la lavatrice in autonomia. Mi fido. Torno in camera per controllare il materasso, ma sono riuscita a fare solo una macchiolina. Già con spugna e smacchiatore non si vede più nulla.
Questo mi ha portato via più tempo del dovuto, quindi corro da Edward, lo sveglio, e poi sfreccio in cucina a preparargli la colazione. Lie mi si affianca, mentre accendo la televisione e gli preparo la merenda. «Dalila non puoi evitare l’argomento. Stanno peggiorando.»
   «Lo so.»
   «Hai detto che anche gli altri si sono risvegliati. Ti devono aiutare.»
Chiudo gli occhi. È difficile. Prendo il telefonino, infilando la merenda di Ed dentro allo zainetto. Lui arriva con uno sbadiglio e poi con un sorriso sonnacchioso. Lie mi fissa, curioso. «Ciao mami. Puoi parlare un attimo? Ti ricordi il lavoro di gruppo di cui ti ho parlato?» Se non te lo ricordi non ti preoccupare, mamma, perché non te ne ho mai parlato. È la menzogna della giornata. «Ecco, ti ricordi che oggi pomeriggio io e quelli del gruppo ci troviamo.»
   «Ah … non ricordavo.» La sento trafficare con qualcosa, poi la voce di una donna, probabilmente di una paziente, si insinua dentro al ricevitore. Aspetto un attimo. «Scusa, tesoro. È un brutto momento.»
Lo so, è appunto per questo che ti chiamo alla mattina mentre sei a lavoro. Troppo facile, altrimenti. Continuo imperterrita, rigirandomi tra le dita un biscotto. «Niente, te lo volevo solo ricordare. Quindi oggi pomeriggio non so a che ora torno a casa.»
Mamma borbotta qualcosa a qualcuno, sento un po’ di rumore. La saluto e mi infilo il cellulare in tasca. Ho il sospetto che oggi sarà una giornata interessante. Sono già pronta a usare il foglietto di Philippe e a confrontarmi con sette esorcisti arrabbiati.
 
                                                             † † †
 
Controllo il nome sul biglietto, poi l’indirizzo in cui mi trovo. Mi alzo il bavero della giacca, osservando la porta con la vernice rossa scrostata. Un bel posticino, davvero. Il corridoio puzza di nicotina e di peli di gatto. Delle tre lampade, solo una funziona, lasciando l’ambiente in bzz oscuro. Attaccato al campanello c’è il nome di una certa “Jones Eliza”. A occhio e croce è il nome di Sura. Controllo ancora il biglietto di Philippe, tanto per essere certa che questa Eliza sia chi cerco e non un essere umano innocente.
Busso alla porta. Mi sembra più discreto dello scampanellio. Un occhio mi osserva dalla fessura della porta, guardingo. Io proprio non ci riesco a stare lontana da quartieri tipo Maiden Street, eh?
La porta mi viene aperta da una ragazza. È una donna, sui trent’anni, dai lunghi capelli nocciola. Sono così scuri che gli occhi neri, al confronto, sembrano chiari. Ha delle labbra molto carnose e un mento quadrato. È truccata in maniera impeccabile, e vestita ancora meglio. Indossa una semplice camicia bianca che le evidenzia il seno prominente e che le assottiglia la vita, una gonna nero a tubino con uno spacco fino alla coscia. Per concludere il paragone con il modo in cui sono vestita, è a casa e indossa scarponcini con il tacco.
Alzo le sopracciglia, imbarazzata. Alla mattina potevo anche pensare di vestirmi meglio! «Sura.»
Sobbalza un attimo, poi si concentra meglio su di me. Si appoggia alla porta e dallo sguardo sprezzante mi ha riconosciuta. «Dalila.»
Sento dei passi e una nuova figura mi si presenta. Lo fisso un attimo, cercando di ricordare perché il suo viso mi è noto. Dire grande riferendosi a un ragazzo è brutto, ma non c’era migliore descrizione. Ha una corporatura massiccia: i muscoli sbucano fuori dal maglioncino come tanti palloncini, la vita si assottiglia in zona bacino, il petto è gonfio e, come se non bastasse, sarà stato alto almeno un metro e novanta. Arrivo al volto, vedendo che è un biondo palestrato dallo sguardo duro. Io con lui ho avuto uno scontro. Gli sono praticamente finita addosso scappando … beh, praticamente passo la mia vita scappando, quindi basta sapere che è una delle mie vittime. «Dalila.»
In tutti i sensi. «Maximus.»
Sura incrocia le braccia. «Chi diavolo ti ha dato il mio indirizzo?»
   «Philippe.» D’istinto mostro le mani vuote. Entrambi si concentrano di più sulle ferite, quindi sono costretta ad abbassarle. «Non sono armata.»
   «Sei minuscola.»
Sì, beh, non è bello dire i difetti altrui. Entrambi sono molto più grandi di me, sia di età che di altezza. E si vede il loro genere. A confronto, io sono una di quei bambini dall’aspetto molto androgino che li distingui solo perché “un maschietto non può avere i capelli così lunghi”.
Fisso la porta lungo il corridoio, dove l’occhio continua a scrutare. Deve passare proprio un bel pomeriggio alla Detective Conan. «Posso entrare? Credo che qui stiamo attirando un po’ troppo l’attenzione.»
Sura si scosta, io mi intrufolo dentro. Il suo appartamento è piccolo. Dall’entrata vedo la cucina minuscola, dove sotto al microonde la lavatrice sta centrifugando qualcosa di viola, il tavolo da quattro posti e il salotto. Da lì, la cosa più grande è il divano a penisola. Il telegiornale, muto, sta trasmettendo un servizio su un qualche incidente ferroviario. Dalla faccia preoccupata del giornalista, intuisco che ci sono vittime.
Prendo fiato, perché quel silenzio innaturale piace a loro almeno quanto a me. «Avrei bisogno del vostro aiuto.»
Eliza abbozza un sorriso. Alzo una mano, continuando a parlare. «In questa situazione siamo dannatamente mal distribuiti. Voi ricordate tutto, mentre io praticamente niente. Non vi fidate di me e lo capisco. Avrei solo bisogno che voi chiamaste gli altri e … diceste di incontrarci qui. Quando arriveranno ve lo spiegherò.»
Eliza fissa il ragazzo, la reincarnazione di Maximus ma di cui non so ancora il nome. Lui annuisce con la testa. La vedo prendere il cellulare e avvicinarsi a una delle due finestre dell’appartamento.
Il ragazzo mi fissa. «Dalila.»
   «Mi chiamo Amabel.»
   «Io sono Warren.» Appoggia il peso prima su un piede, poi sull’altro. «Ti aspettavo un po’ più grande.»
Gentile. «Ci siamo già incontrati, Warren. Circa un mese fa ti sono finita addosso. E so perfettamente che mi hai riconosciuto.» Mi ha lasciato il polso, quel maleducato, e io sono caduta di sedere senza sapere il perché.
   «E continui ancora a dire che non ricordi nulla di noi.»
   «È complicato.» Borbotto.
Eliza è appoggiata alla parete e mi fissa con la stessa espressione che ha un predatore davanti alla sua cena. Il paragone calza a pennello, visto che il suo vizio è la gola. «Hai sete?»
   «Sì.»
   «Cosa ti offro?»
Sicura di voler bere? Faccio cenno di no con la testa, tradita dalle mie stesse emozioni. Eliza ghigna. «Non ti avveleno.»
   «Per quello che vi sto chiedendo di fare, credo che qualunque bibita non vada bene.»
Warren si muove a disagio. «Che cosa vuoi fare?»
Sospiro. «Voi mi farete tornare nel passato.»
 
                                                             † † †
 
Eliza mi guarda. Ha la mano appoggiata alla mia spalla, pronta a sospingermi in acqua. Dannazione. Non so come faccio a fidarmi di lei, quando tutto mi fa capire che godrebbe proprio nel farmi annegare. Le ferite pizzicano a contatto con l’acqua. «Sei sicura?»
Sicura di voler rivivere il passato, con una buona possibilità di ritrovarmi esattamente nel momento in cui mi bruciarono sul rogo? Eliza mi sta chiedendo quello? Perché, ovviamente, la mia risposta è semplice. Stringo le labbra, iniziando a tremare. L’acqua a contatto con la mia pelle è calda. Il vestito di Eliza mi sta decisamente largo in punti che lo avrei gradito stretto, e il fatto che ci siano tutte quelle persone a fissarmi non mi aiuta. D’istinto alzo gli occhi, incrociando lo sguardo di Chase. Qualcosa, dentro al suo sguardo, si spezza, indicandomi che anche lui sta provando qualcosa. Alzo il mento, cercando di convincermi. «Sì.»
Non voglio morire bruciata. Non voglio morire bruciata. Eppure con la stessa intensità voglio scoprire qualcosa di più. Voglio capire perché sono l’unica ad avere vuoti di memoria, perché con gli spiriti il mio corpo si sta ribellando agli esorcismi, perché mi accusano di averli traditi quando so che loro erano la mia famiglia. Sospiro, sentendo la presa di Eliza allentarsi.
L’unico modo per farlo è quello di creare un collegamento con il passato. Ci sono due cose che rimangono immutate nel tempo: la terra e l’acqua. Visto che non si conoscono rituali con la terra, e razionalmente sarebbe anche assurdo pensarli, quello che mi rimane è di agganciare un ricordo con l’acqua. Te lo insegnano a scuola che l’acqua che bevi ha un centinaio di anni? Che mai saranno seicento?
Mi muovo nervosamente nella vasca, traendo un ultimo profondo respiro. Chase, appoggiato al mobile, si alza nervosamente facendo un cenno di avvicinarsi. Annuisco, a me, a lui, agli altri esorcisti. Sono sicura, non li ho traditi. E, che l’inferno mi inghiotta di nuovo, lo dimostrerò.

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Capitolo 14
*** 14 ***


14
 
 
 
            Sono in una prigione. La mia guancia comprime contro il freddo pavimento e un filo di paglia è a un dito dal naso. Respiro, le costole mi fanno male dove sono stata percossa. Vicino le sbarre vedo la schiena di due sentinelle che fanno la guardia. Uno ha velocemente distolto l’attenzione da me, come se potessi entrare dentro la sua testa e controllarlo. Le mie budella si ribellano e la mia mente, la sento, si sta lasciando trasportare in quel profondo oblio. Mi sollevo a sedere, a fatica, strisciando verso la parete. Le catene mi bloccano mani e piedi. Sono pesanti o io sono troppo debole. Chiudo gli occhi. Vi prego, non venite da me.
So che la mia richiesta sarà esaudita. Ho molte ossa rotte, il solo respirare è un inferno e Lie non verrà da me. È una certezza. Per quanto lo voglia, lui sarà fedele al mio desiderio. Per quanto lo desideri, sono messa così male per donargli quell’energia che gli occorre per avvicinarsi alla prigione.
Vicino alla parete c’è una ciotola con dell’acqua, in cui un topo si sta abbeverando. Con una mano lo allontano e lui, indispettito, ubbidisce. Bevo a piccoli sorsi, ma qualcosa non va. Mi trovo a vomitare acqua mista a sangue. La sete, se possibile, mi sembra più acuta. Mi lascio crogiolare nel mio dolore, con una certezza che quel ritmo di tosse e sangue, prima o poi, cesserà.
   «Ve ne prego. Ditemi almeno di cosa mi accusate.»
   «State zitta, strega!»
L’urlo di rabbia mi blocca alla parete, sfiorando con il dito la ciotola sbeccata. Strega era come dire “sostenitrice del Diavolo”. Che strano uso di parole, visto da quando ne ho memoria lavoro per conto della Chiesa e nel nome di Dio. Bisbiglio a me stessa la mia condanna. «Strega … sarò giustiziata.»
Mi alzo in piedi, ingobbita dai pesi delle braccia, guardando fuori attraverso il piccolo spioncino. Sono nelle segrete di un qualche luogo a me sconosciuto. Il pezzo di ponte e il laghetto sono stranieri. Gli altri, ne sono certa, mi verranno ad aiutare. Anche se questo fosse la loro ultima missione. Siamo sempre stati insieme. Ci siamo sorretti nel bene e nel male, nella malattia e nell’isolamento. Gli esorcisti sono una faccia della stessa medaglia. Cerco di toccare una sbarra con la mano, ma le catene sono troppo pesanti. E io non ho la forza di ribellarmi, di invocare il primo esorcismo e di sopperire a quella prigionia.
Sento il rumore di un chiavistello che si apre, seguito dall’echeggiare di passi di una persona in salute. Sono passi pesanti e un po’ impacciati di chi non è avvezzo a quel tipo di indumenti. Le guardie si mettono in difesa, mentre io scivolo lungo la parete, stanca della mia audacia.
Una terza guardia, più minuta e dagli abiti che le stanno larghi, chiede una conferenza con me. Vedo il sigillo del nostro Ordine, prima che questo sia spezzato dalla guardia per la lettura della missiva. Non so se arrischiarmi ad avere una qualche speranza. La sentenza di stregoneria mi sembra una certezza. L’altro soldato mi fissa, in attesa. Sono certa che nessuno dei due sappia leggere ma che siano costretti a quel teatrino. Dalla semiluna di spazio tra spalle e busto vedo due righe appena accennate.
La guardia ripone la lettera tra le mani del nuovo arrivato, lanciandomi una bieca occhiata. «Fate attenzione. Incanta con lo sguardo.»
Abbozzo un sorriso. Non sono una strega, ma un’esorcista. Immagino che per loro sia la stessa cosa. E se potessi incantare i vivi, in ogni modo, una prigione sarebbe l’ultimo posto che vorrei visitare.
La guardia accompagna le altre all’uscita, chiudendo la porta alle sue spalle. Fa scattare la serratura e io mi preparo a un’altra giornata di tortura.
La guardia apre la porta della prigione, guardandomi con strani occhi neri liquidi. Mi volta le spalle, togliendosi l’elmo e facendo scivolare lungo le spalle i lunghi capelli corvini. Abbozzo un sorriso, appoggiando la testa alla parete di pietra. «Vi ho salvato la vita. Ricambiate il favore?»
La mia copia mi fissa. Malachite, nata dai miei stessi genitori il mio stesso giorno, mi fissa con degli occhi che avevo giurato di non voler più vedere. Al suo interno c’è un luccichio di perdizione e corruzione che, ricordo, aveva trovato anche nostra madre. Avevo sempre sperato di poterla, un giorno, redimere.
Malachite mi si avvicina, sfiorandomi il volto con il guanto di metallo. «Mia sciagurata sorella.»
Scosto la testa. Mi fa male ogni membra del corpo. Un confronto con lei non è auspicabile. Ne emergerei sconfitta. «Siete venuta a gongolare?»
   «Strano uso delle parole, sorella. Voi, che avete sempre finto che io non esistessi, ora mi state supplicando.»
   «Non vi supplico.» Rantolo. Anche il respiro, ora, mi sembra essere trafittivo. «Né ho mai finto con voi. Vi avevo detto che eravate crudele per questo mondo. Vi ho solo protetta.»
Malachite ride, una risata senza gioia. «Protetta? L’unica da salvaguardare eravate voi. Come potevate essere un’esorcista se nel vostro passato c’era una macchia? Come potevate, voi, essere vessillo di Dio quando dal vostro sangue è nato qualcuno che non poteva neppure camminare tra gli uomini?»
   «Cosa avete fatto?»
   «Che intendete dire?»
Malachite è in difesa, cosa che mi dà un certo vantaggio. «L’Ordine degli Esorcisti è un ordine segreto. Nessuno sa della nostra esistenza. Voi come fate a sapere che ne faccio parte?»
E poi tutto è chiaro. La prigione, la schiavitù, le ossa rotte e pure il soldato che mi chiama strega. Tutto si lega in quel telaio che era la mia prigione. «Siete stata voi. Mi avete venduta.»
   «Come voi avete fatto con me.»
   «Malachite, non vi ho mai venduta. Ho cercato solo di proteggervi.»
   «Proteggermi?» Di nuovo quella voce sprezzante e lo sguardo carico di odio. «Proteggermi da cosa, Dalila? Da voi? Da quella famiglia che mi teneva segregata in quella sudicia abitazione, senza poter mai vedere la luce del sole? Come volevate proteggermi?»
Ansimo, stringendo vicino a me la ciotola. «Avete ucciso. Siete un’assassina e il prezzo per quelle morti era l’impiccagione. Preferivate morire? Ho dovuto barattare la vostra vita con la prigionia e ho fatto in modo che foste sempre in salute. Vi hanno tenuto al sicuro, vi hanno nascosto per il vostro bene.»
   «Preferivo essere libera. E a proposito di quella famiglia: l’ho uccisa. Siete soddisfatta di portarvi con voi altre morti?»
Morti. Ogni volta che la incontro si trascina dietro solo cadaveri che avrei potuto salvare. Apro le dita della mano sinistra, bisbigliando con tutta la forza che mi è rimasta. «Primo esorcismo: catene della purificazione.»
La catena si lega alla mano destra di mia sorella, ma sono troppo debole e le posso lasciare solo un marchio della sua depravazione, con la certezza che avevo salvato qualcuno che dovevo uccidere.
Malachite mi sferra un calcio nelle costole già incrinate, e l’osso si conficca di più tra i miei visceri. Tossisco sangue e liquido bianco. Morirò, e non potranno né uomini né Dio perdonare ciò che ho fatto.
Malachite si massaggia il polso: l’ustione sfrigola ancora. Vedo il segno lasciato dal primo esorcismo marchiarle la pelle. Possa Dio segnare la sua anima in eterno. È l’unica richiesta che la mia anima può fare. Alza la testa, in segno di sfida. «Nessuno sa della mia esistenza, Dalila. Siete stata molto furba a nascondere il vostro peccato. Tuttavia, questo vi ha portato alla morte. Avete confessato di essere un’esorcista e di esservi macchiata di molti crimini.»
   «Quanto odio può nascere da una persona? Vi sentireste meglio se io morissi? Placherei la vostra sete di sangue?»
Lei continua, incurante. «Ho confessato al posto vostro. Sono entrati nel vostro Ordine e hanno catturato quelli che vi erano al loro interno. È iniziata una caccia che porterà alla vostra estinzione.»
   «Titus … Lartia …»
   «E tutti gli altri, Dalila. Voi li avete traditi.»
Scossi la testa. «No. Posso ritrattare, posso dire di aver mentito.»
   «Potete, ma chi vi crederebbe. I loro nomi sono stati trovati, annotati con gli omicidi commessi.»
Omicidi? No, esorcismi. Tutte quelle anime salvate, tutte le vite restituite al volere di Dio ed essere accusati di averli in realtà uccisi. E le nostre vite, distrutte, senza mai poter amare o soffrire, per sempre destinati a salvare e placare degli spiriti, nella certezza di essere noi stessi incompleti. Malachite si inginocchia. La divisa militare gracchia sul pavimento. I suoi occhi sono più dolci, ora che mi può fronteggiare senza una mia reazione. «Vedete? Siete davanti a me, morente, e quello che pensate è di incolpare voi stessa di tutto. Cercate ancora di salvare la vita a quelle persone che, in realtà, avete portato a morte certa. Non pensate neppure di fare il mio nome.»
   «Per i registi voi non esistete.» Ammetto. «E come potrei, poi, uccidere mia sorella. Non lo feci neppure quando nostra madre morì di peste e voi staccaste gli occhi a quel gatto. Dovevo capirlo da allora che voi … voi siete nera come gli spiriti che combatto.»
   «Vi dico una certezza, Dalila. Quando le fiamme inizieranno a lambirvi, e il fumo vi annebbierà la mente, alzate gli occhi e guardate davanti a voi. È lì che mi troverete, a guardarvi morire come voi faceste con me. Vi priverò della vostra vita allo stesso modo in cui voi mi toglieste la libertà, con la certezza che a voi seguiranno altri innocenti. Le nostre terre pulluleranno di qualunque essere voi cacciate e la vostra congrega avrà doppiamente fallito.»
Malachite mi sorride, chiudendo la porta delle sbarre. Li ho uccisi io. Ho ucciso e tradito i miei compagni perché non ho avuto abbastanza fiducia di loro. Ansimo, bisbigliando piano. «Lie … Lie.»
Sono troppo debole. Molto probabilmente le energie di Lie si sono consumate e non gli rimane altro che la sua volontà, alla ricerca di un perché si senta morente. Una lacrima mi scende sulla guancia, chiedendo scusa a chi mi aveva protetto fino a quel momento. Io, all’opposto, non c’ero riuscita.
Non so quanto rimasi lì, con la lacrima secca sulla pelle. Mi fa male muovermi, sto male solo a respirare. I miei compagni non mi verranno a salvare perché, se è giusto ciò che ha detto Malachite, ai loro occhi io sono la traditrice. Non sono io. Perdonatemi, ma non sono io. Una guardia entra nella cella, il mio sguardo si snebbia e il topo, unico compagno di quelle mie ultime ore, si allontana nuovamente. Mi fa alzare in piedi, con gesti irruenti. Vomito sangue ai suoi piedi, obbligandolo a tirarmi i capelli e a ingerire il mio stesso liquido.
Ciondolo, più che camminare, e mai strada mi sembrò più lunga. Quando tutto sarà finito, mi dicevo, potrò riposarmi. Vedrò il luogo in cui tutte quelle anime aspiravano. Se Dio lo vorrà, potrò andare con loro. La guardia mi getta a terra e non ho la forza di alzarmi a sedere. Altri uomini mi sollevano e mi legano. Qualcuno mi getta del liquido sui piedi scalzi. L’odore mi fa rinvenire, movendo la testa e sentendo il palo dietro la mia schiena che mi tiene in piedi. La mia testa ciondola sulle spalle. Ho paura. Sto morendo e so che mi seguiranno i miei compagni. Al mio posto dovrebbe esserci Malachite. Se quel giorno avessi visto la sua vera natura, forse sarebbe cambiato tutto.
Sorrido. «Piccola dannata. Ancora adesso non posso tradirvi.»
Il prete mi alza la testa, bagnandomi le labbra aride. L’Inquisitore mi si avvicina. Lo riconosco, perché è grazie a lui che non posso bere acqua senza vomitarla. Vorrei fronteggiarlo e chiedergli se ha intenzione di torturarmi di nuovo. «Come vi dichiarate?»
Guardo alle sue spalle. Cerco di mostrarmi più dura di come sono, con l’intento di indispettire Malachite. È così che muore un’esorcista. In piedi, gli occhi aperti e la voce ferma. Tratterrò il dolore finché il mio corpo non potrà più sopportarlo. «Colpevole. Degli altri nomi di cui ho fatto menzione, che Dio possa perdonarmi, proclamo la loro innocenza. Solo io sono un vessillo del male.»
L’Inquisitore sorride e l’oro scintilla tra i denti marci. «Tentativo inutile. Saranno giustiziati come voi.»
Gettano una fiamma tra la catasta di legno in cui io, come una regina, mi trovo avvinghiata. Chiudo gli occhi e piango. Piango per Titus, Lartia, Sura, Damide, Maximus, Daulus e Oppius. Piango per la mia debolezza e le mie menzogne. Piango perché il fuoco ha iniziato a ustionarmi i piedi e mi corrode, mi sta distruggendo. Prego perché non siano torturati, perché la loro morte sia veloce almeno quanto la mia è lenta. Sono costretta a urlare, sentendo qualcosa dentro di me collassare e la tosse, ora, è l’unico modo che mi rimane di respirare.
E urlo, urlo di nuovo mentre una mano cerca di tenermi salda. Qualcosa brucia, dentro di me, in opposizione con l’acqua gelida.
   «Dannazione, sta andando in autocombustione.»
La voce di Titus, di Chase, è preoccupata. Inizio a respirare con colpi veloci, sentendo i polmoni intatti e compressi nella gabbia toracica. I colpi si fanno più lenti, la mano di Chase è appoggiata alla mia vita. Il pavimento umido sotto di me sembra essere l’unico punto di salvezza che mi rimane.
Apro gli occhi, bagnata fradicia. Gli prendo il polso, stringendolo. Come Dalila, continuo a tossire come immersa in quella nube di fumo. «Non vi ho tradito. Io … io non vi ho tradito.»
 
                                                             † † †
 
            Sto tremando. Eliza mi ha avvolto in un asciugamano, in attesa. È seduta sul divano e mi fissa sospettosa. Tra le mani reggo una tazza di the caldo. Il liquido al suo interno vortica a ogni scossa, tanto che sembra ancora dentro al pentolino sul fornello. Sono indecisa se sorseggiare o meno. In effetti, quell’ultimo viaggio nel mio passato non so cosa mi ha lasciato. Dalila potrebbe avermi regalato i suoi polmoni.
Chase ha appena scostato la tenda, guardando il paesaggio fuori. Il cielo rossastro mi ricorda le fiamme da cui mi hanno appena salvato, riportandomi al presente. Ormai non posso più nascondere i segni dei miei sogni. Le bruciature stanno salendo lungo la gamba, lasciando dei solchi rossastri che mi è difficile non notare. Attraverso la veste di Eliza, sembrano proprio dei graffi di fuoco. E le torture … beh, le merito tutto solo per non essermi fidata di loro.
Chase sospira. «Ero presente. Il giorno in cui ci hai traditi, ero presente. Ti ho visto.»
Scuoto la testa, battendo forte i denti. «Non puoi avermi visto.»
   «Ti avrei riconosciuta in mezzo a mille, Amabel.»
La cosa bella, dell’essersi reincarnata, è che quello che era importante nel passato ora ha perso senso. Sono morta portandomi con me il più grande segreto della mia vita. Ora non mi importa. Posso dichiararmi libera da ogni catena. «Avevo una sorella gemella, di nome Malachite. È … era sadica come poche persone di quel tempo e … e non riuscivo a capire che era insalvabile. Dopo la morte dei miei genitori, mi presi cura di lei. Ti ricordi il giorno in cui sei venuto nel villaggio, Chase? Perché io adesso lo ricordo. So che mi sono detta che sarei riuscita a scappare, che avrei visto qualcosa che non fosse la pazzia di mia sorella. Malachite strappava gli occhi agli animali, torturava le bestie e uccise delle persone. Dei bambini al villaggio furono trovati morti e ne riconobbi il marchio di Malachite. Quando mi dicesti di partire, andai da una famiglia, amica di mia madre, e chiesi di occuparsi di mia sorella. Lasciata a se stessa, si sarebbe fatta impiccare. Non potevo permetterlo. Decisi di nascondervi la verità perché avreste visto come era veramente. Avevo la speranza che lei, lei fosse salvabile. Mi sbagliavo. Ogni volta che tornavo al villaggio, fingevo di non sentire le lamentele di quelle persone, di come Malachite si facesse più violenta, di come il suo odio fosse indomabile.»
Ora che stavo parlando, mi sembrava di aver aspettato troppo tempo per cancellare i miei peccati. Doveva essere per quel motivo, quel tacito silenzio della mia anima, il motivo per cui non potevo ricordare il mio passato. Perché gli esorcismi superiori mi si rivolgevano contro? Sempre per quel tacito tradimento? «Ricordo che mi catturarono e fui torturata, senza apparente motivo. Non dissi nulla, ve lo giuro. Non feci i vostri nomi. Malachite, però, mi venne a trovare in carcere. Si era liberata, aveva ucciso i suoi carcerieri e, nonostante non avessi mai fatto menzione dell’Ordine, sapeva di noi.»
   «Quindi stai dicendo che questa … Malachite, ci ha venduto alla Chiesa? Non ha senso. Noi lavoravamo per loro.» Julia mi guarda scettica.
   «Non è esatto.» Replica Chase, osservando il paesaggio. «Eravamo un Ordine segreto. Ero presente quando fu dichiarata la nostra esistenza. C’era Johannes … ed era presente il vescovo. Lui di certo non poteva sapere di noi.»
Warren sprofonda meglio sul divano. «Che stai pensando?»
Chase appoggia il gomito alla finestra. «Non ci avevo fatto caso. Pensavo fosse perché era agitata …»
   «Cosa?»
   «Dalila non mi riconobbe … o pensai fingesse di non avermi visto. Sono certo che mi guardò, ma si girò parte come se non sapesse chi ero. Spiattellò tutta la verità a Johannes e al vescovo, fece il mio nome nonostante fosse più facile per lei indicarmi. Lei doveva sapere che Johannes non glielo avrebbe mai perdonato. E Dalila lo aveva sempre trattato come un padre. Era stato lui a iniziarla all’Ordine. E c’ero io.»
Appoggio la tazza intatta sulla tavola, stringendomi l’asciugamano intorno alle spalle. «Malachite non è mai stata registrata. Già allora sarebbe stato difficile identificarla come mia sorella. Sono passati secoli e posso capire che fidarmi di me sia difficile.»
Philippe sbuffa. Non mi era mai piaciuto, né in passato né per quel poco che ci eravamo visti. Mi brucia ancora la lettera, dannazione! Ho sempre pensato che l’invidia e la menzogna non potessero essere alleati. Siamo sempre stati agli opposti. O forse eravamo troppo simili per poterci apprezzare. Ha incrociato le braccia ed è l’unico che mi fissa apertamente. «Mi sto chiedendo per quale motivo potresti mentire su una storia tanto assurda. E, che io sia dannato, credo a ogni parola che mi hai detto.»
La sua affermazione mi lascia di stucco. Ho la bocca arida e necessito di conferme. «Ti fidi di me?»
   «Sfortunatamente sì.»
   «Credi … credi veramente che sia stata Malachite, e non io, a tradirvi?»
Alza le spalle. «Per quale motivo saresti dovuta ritornare nel passato e rivivere il momento della tua morte, se non perché eri certa di essere innocente?»
   «Però è strana anche la storia che ci ha propinato.» Ammette Jamar. Si passa una mano sui capelli, stendendo le gambe sul pavimento. «Senza offesa, ma di te mi fidavo nel passato. E non è andata a finire granché bene.»
Robert è piegato su una sedia, concentrato sul pavimento. «Eravamo una famiglia. Anch’io ti credo, Bel.»
   «Mi dispiace.» Replica Eliza, con calma. «Concordo con Jamar. Ci sono ancora punti che non mi convincono. Puoi avere avuto una sorella psicopatica, nel passato, e potrebbe averti voluta morta. Noi, però, non gli avevamo fatto nulla. Perché avrebbe voluto vedermi impiccata?»
   «Non è quello il problema.» Replica Chase, continuando a voltarci le spalle. Mi mette a disagio la sua indifferenza. Più di chiunque altro, il giudizio di Titus ha sempre avuto più valore: perché era il capo, perché era stato lui a trovarmi, perché era Titus. Il solo fatto che non mi fronteggiasse era come dichiarare che sapeva che mentivo.
Eliza ridacchia. «Scusami tanto, ma ti assicuro che morire impiccata è stato poco piacevole.»
   «Il problema non è che siamo morti, o come lo siamo. In effetti non è importante neppure se siamo stati traditi da Dalila o da questa Malachite. Però in parte hai centrato il problema. Malachite deve aver odiato Dalila. E forse per distruggerla ha deciso di metterci contro di lei. Lei, però, non poteva sapere di noi. Se Dalila non ne ha mai parlato, chi potrebbe averlo fatto?»
   «Oltre a noi?» Chiede Julia. «Oltre a noi nessuno avrebbe mai parlato dell’Ordine. Noi o Johannes, ma è assurdo solo a pensarlo. Eravamo i suoi pupilli, i suoi esorcisti personali. Aveva potere illimitato.»
Chase finalmente si gira a fronteggiarci, appoggiandosi al vetro. «E c’è anche qualcos’altro non chiaro. Noi. Perché ci siamo reincarnati, dopo seicento anni, tutti insieme, in questa città, dall’altra parte del nostro mondo conosciuto?»
Maximus, o per meglio dire Warren, alza le spalle. «Forse il mondo ha ancora bisogno di noi.»
   «No.» Lo contraddice Chase. «Qualcuno ha ancora bisogno di noi.»

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Capitolo 15
*** 15 ***


15
 
 
 
              Mi infilo i miei abiti, prendendo in prestito il phon di Eliza. Il mio riflesso, allo specchio, è in un qualche modo diverso. Il mio doppione mi sorride e, per la prima volta, vi scorgo qualcuno al mio fianco. O in questo caso dentro. «Bentornata, Dalila.»
Di nuovo mi ritrovo a fissarmi, certa che i miei vuoti nel passato si andranno pian piano a riempire. Chase ha ragione. Ci sono molti punti non chiari. Malachite non sapeva di nessuno dell’Ordine: in verità non avrebbe neppure dovuto sapere degli esorcisti. La stessa posizione di Johannes era ambigua. Era sempre stato molto riservato, un uomo di Chiesa che gestiva un ordine a se stante. Eppure Chase aveva detto che quel giorno c’era il vescovo. Se Malachite fosse arrivata poco prima, o anche il giorno dopo, avrebbe evitato il vescovo e la nostra vita sarebbe rimasta immutata. Perché proprio in quel momento? Pensare male di qualcuno, dopo che è morto, è disdicevole … ma dannazione se mi faceva sentire bene incolpare Johannes di qualcosa!
Ho indossato la mia felpa, appoggiando la veste fradicia nella cesta della biancheria. Educatamente, avrei portato la veste di Eliza a casa per lavarla. Certo, spiegare a mamma che cavolo ci facevo con un indumento fradicio non mio era un po’ un problema. Era preferibile farsi odiare ancora un po’ dalla cara e vecchia Sura: in passato ne avevamo passate di peggio.
Qualcuno bussa la porta e, quando mi giro, Julia entra in silenzio. Si appoggia al legno, isolandoci dagli altri di noi. In passato, lei era stata la mia migliore amica. Avrei voluto dire che era la mia confidente ma, come era ormai chiaro, non sono mai stata brava a dire i miei segreti. Mi ero sempre limitata ad ascoltare i suoi. Si passa la lingua sulle labbra, schioccandole. «Ti farò alcune domande. Fingerò che tu sia sincera.»
Molto lusinghiero. Spengo il phon, appoggiandolo al lavandino.
   «Ci avresti tradito?»
   «No.»
   «E avresti mai rivelato qualcosa di noi, se questo ti avrebbe permesso di salvare la tua vita e quella di tua sorella?»
È una domanda che mi mette in difficoltà. Per una volta, posso essere sincera. Sono ancora indecisa come Julia prenderà ogni mia affermazione. Ho molto di cui farmi perdonare. «Ho sempre voluto proteggere Malachite. A dispetto della sua crudeltà, di quello che mi dicevano i sensi e le persone che mi circondavano. Ho sempre voluto salvarla. Se potevo … sì, penso che avrei fatto di tutto per lei. Però, quella volta, in prigione, ho visto una parte di lei che non ho riconosciuto. Ho visto l’esito concreto di tutto quello che noi combattevamo, ho visto gli anni di sacrificio, il dolore, le privazioni annullate davanti a lei. Non le importava nulla. Non era mia sorella. O per lo meno non era quella persona che avrei chiamato sorella. Era uno spirito corrotto, anche se viva.»
   «Un sesto livello.» Biascica piano Julia.
Annuisco. «Sì. Probabilmente lo sarebbe diventato … o lo è. Forse è per questo che sono felice che siamo in America. Non potremmo mai incontrare i fantasmi di chi abbiamo conosciuto nel nostro passato. … Mi hai chiesto se avrei rivelato di voi per salvare lei. Prima dell’incontro in prigione sì, senza pentirmene. Dopo quel giorno … no, mi pento di averle salvato la vita dall’impiccagione. Avrei protetto voi.»
   «Capisci perché non possiamo fidarci di te?»
   «Sì.» Per l’amor di Dio, io stessa non mi sarei fidata. «Julia, ho fatto molti errori.»
   «Non serve che lo giuri. Hai esorcizzato pure una persona viva.»
   «E ho utilizzato due volte il primo esorcismo per difendermi da degli attacchi. Lo so, non sono azioni che in passato avrei compiuto. Vorrei dire che ci sono delle scusanti, che non sapevo cosa facevo, ma in verità in almeno un’occasione era Dalila a guidare le mie mosse.» Deglutisco. Ho un dannato bisogno di bere e so con certezza che non avrò altre occasioni per chiarirmi con lei. «Puoi non fidarti, ne hai tutto il diritto.»
Abbozza un sorriso, distogliendo lo sguardo. «Credi che sia stato così semplice? Cosa pensi che abbiamo fatto, quando abbiamo capito che ci davano la caccia? Chase era presente quanto … quella che adesso sappiamo essere tua sorella ha spiattellato di noi al vescovo. E solo Jamar era presente, all’ordine di giustiziarci. Fu il primo ad essere catturato e fu lui che ci disse di scappare, tramite Lust. Hai idea di cosa significa mandare il proprio vizio ad avvertirci?»
Doveva essere stato come morire una seconda volta. Nessuno mostra il suo vizio agli altri: per protezione, per vergogna. Forse un sacco di motivi e nessuno in particolare. Troppo tardi avevo deciso di usare il mio, senza successo perché mi mancavano le forze.
   «Abbiamo tutti abbandonato le nostre missioni, abbiamo cercato di ricongiungerci a Titus e quando ci ha riferito quello che avevi fatto, non gli abbiamo creduto. Lui stesso sembrava dubitare delle sue parole. Abbiamo sperato, Bel, sperato che ci fosse una valida spiegazione di quello che stava succedendo. Volevamo aspettarti, perché di certo avevi le tue buone ragioni. Ma ci catturavano. Ci prendevano come nulla e alla fine siamo stati tutti imprigionati. Ancora adesso non so se vuoi proteggere lei o se sei sincera.»
   «Sono sincera, ma sono una bugiarda così brava che non cambia nulla, giusto?»
   «Qual è il primo nome che hai pensato, quando stavi per morire?»
Sbuffo, passandomi poi nervosamente il dito sul naso. Bastarda. «Titus. Ho pensato a Titus.»
   «Già.» Ammette Julia. «Potrei credere nella tua sincerità. Davvero: potrei crederti.»
 
                                                             † † †
 
              Dopo il viaggio nel mio passato, dormire non mi è mai sembrato più pericoloso. Mi infilo a letto, controllando la fasciatura. Cerco di rimandare il più possibile l’inevitabile. La casa è immersa in quel silenzio sonnacchioso che annuncia la notte. Lie mi osserva cauto dalla finestra. Ormai è diventato il suo posto preferito.
Mi stendo, spegnendo la luce. Vedo le pupille di Lie che mi scrutano dalla sua postazione. Uno strano bagliore sembra provenire dalla città. Fingo di non notarlo. Mi giro su un fianco. Gli occhi mi si chiudono. Ho sonno e ho paura di quello che succederà. Malachite mi ha tradito, e ormai il rancore ha fatto posto a qualcos’altro. Forse aveva ragione lei. Io l’avevo imprigionata per proteggerla, ma era lei quella che non aveva potuto crescere. Quanto aveva visto del mondo esterno? Era una psicopatica assassina, ma era solo per quello che l’avevo affidata a quella famiglia? Era solo per quello?
No. Io mi vergognavo di lei. Sapevo che era malvagia, anche se non fino al punto di giustiziarci tutti. È quello che mi lascia perplessa. Gli altri. Lei non poteva sapere degli esorcisti. Non poteva. Quello è il punto della questione.
Mi rannicchio nel tepore delle lenzuola, annusando il profumo dell’ammorbidente. La mano sotto il cuscino accarezza un angolo umido, ma è meglio di niente. Il lavaggio e il conseguente mascheramento del sangue sono passati inosservati. Sì, sono proprio brava a mentire e a nascondermi. Lo sono stata nel passato … e nel presente me la cavo piuttosto bene.
Sono ferma, in piedi, con le mani dietro la schiena. È poco prima che le fiamme divampino, in quel poco di tregua che mi è stata concessa. I piedi sono solleticati, pizzicati, ustionati. Chiudo gli occhi, poi li riapro. Sono colpevole e quello è un qualcosa che non posso modificare. Li ho uccisi io. Vorrei vedere Titus, per dirgli la verità. Lui mi capirebbe. O forse no. Forse mi disprezzerebbe, come sto facendo io.
Le fiamme mi graffiano le gambe, si arrampicano come serpi e ansimo piano. Qualcosa mi disturba. Scuoto la testa. Dalla folla, un bambino batte su un pezzo di legno con un bastoncino. Toc … toc … toc.
Dannazione, smettila. Toc … toc. «Dalila.»
   «Smettila.»
   «Dalila, credo sia Titus.»
Apro gli occhi. Lie è vicino a me e mi scosta con una mano i capelli dal viso. Per quanto lui sia una spina nel fianco, mi rendo conto che è quello che più si avvicina a un mio vecchio familiare. Un nonno, forse. Un nonno di dieci anni, in effetti. Che brutta immagine! Mi aiuta a sollevarmi, ben conscio che mi ha svegliato dal mio incubo. Forse mi sono anche lamentata nel sonno.
Biascico piano. «Titus?»
Toc … toc. Fisso la finestra, continuando a sentire quel bussare a intermittenza. Lie si scosta. «Così sembra. C’è un ragazzo che butta sassi contro il vetro.»
Mi alzo a sedere, poi zampetto verso la finestra e scosto la tenda. Un ultimo sasso batte sul vetro e allungo il collo. È Chase. Regge in una mano una manciata di sassolini. Appena mi vede li lascia cadere a terra, facendo un cenno di saluto con la mano.
Appoggio la testa alla finestra. Lie si avvicina, osservando anche lui il ragazzo. «È Titus, no? Mi ha sempre fatto rabbrividire.»
   «Già. È Titus.»
Chase mi sta aspettando. Si indica i sassi ai piedi. È chiaro: o vieni giù o continuo a romperti le balle per tutta la notte. Lascio cadere la tenda davanti al vetro, prendendo la vestaglia. Quando nonna me l’ha regalata, ho giurato a me stessa che non l’avrei mai indossata. Quando si dice ritrattare su prese di posizione.
Accosto la porta per sentire i rumori della casa. Il frigorifero brontola piano, per il resto il silenzio è quello di un cimitero.
Esco di casa, avvolgendomi in quell’indumento un po’ troppo grande per me. Mi sembra di essere una sorta di Conte Dracula con il mantello rosa. E io odio il rosa. L’aria è gelida e ti fa capire subito che siamo proprio a novembre. Scendo gli scalini e Chase è davanti al cancello. Lo scavalca con un agile salto, appiattendosi all’ombra dell’albero. Per la strada non passa anima viva. E neanche morti. Buon per noi.
Socchiudo la porta del condominio, inoltrandomi nel buio. Si è appoggiato a un albero e giochicchia con la catena di una collana. L’ha sempre indossata, ma non avevo mai fatto caso al fatto che avesse quel tic. È nervoso.
   «Come va?»
Sono le quattro del mattino. Un po’ strano svegliare qualcuno solo per informarsi sul suo stato di salute. Mi stringo le braccia al petto. Tradotto significa “brr, che freddo” e contemporaneamente “che cosa c’è sotto?”. «Abbastanza bene.»
Chase abbassa lo sguardo, annuendo. Controllo i miei piedi, accorgendomi che ho dimenticato in casa i calzini. E che le mie babbucce di stoffa sono inzaccherate di sangue. «Oh, porcamerda
Devo ricordarmi di controllare le mie condizioni di salute prima di indossare qualcosa. Sto facendo fuori un po’ tutti gli abiti e gli accessori del mio guardaroba. Di norma il sangue viene via, ma anche sulle ciabatte? E poi è inverno. Sta diventando difficile asciugare la biancheria di nascosto.
   «Ho pensato alla conversazione di oggi.»
   «Sì.» Il mio tono è cauto.
Chase si sfila la collana dal collo. È una semplice collana, forse d’argento dal modo in cui luccica, con una croce all’estremità. Carina, ma decisamente non è il mio stile. Per quanto ne so, neppure il suo. Si avvicina, allacciandola al collo e infilando la croce sotto la maglia del pigiama. È calda per il lungo contatto con la sua pelle. «Qualcosa non va nel tuo corpo. Tutti noi portiamo ancora i segni di quando ci giustiziarono, ma nessuno viene ferito dagli esorcismi. Forse hai ragione sul fatto che c’è una maledizione su di te. Solo che non siamo stati noi a scagliarla.»
Accarezzo con una mano l’estremità della catena, sfiorando inavvertitamente la mano di Chase. La ritira, come se l’avessi ustionato. «Non ho bisogno di una collana, Chase.»
   «È stata benedetta. Ho il sospetto che potrebbe aiutarti con … con tutto.»
Le benedizioni sono un po’ superate, in questo secolo, ma nel passato so che ci credevo molto. Annuisco senza molta convinzione, combattuta da dentro su quello che provo. Ci credo o no? Boh.
Chase si arruffa i capelli. È vestito come al pomeriggio, con un paio di jeans e un maglioncino dal collo alto, che si vede appena sopra la giacca in pelle. Mi chiedo se è da molto che aspetta. Ha l’aria di aver dormito molto poco. «La situazione è difficile. Ne sei consapevole, quindi …» Ti fidi o non ti fidi di me? È questo che vorrei chiedergli. L’opinione di Titus ha avuto sempre un’enorme importanza, per me. Lui mi ha trovata, mi ha portato via da quel villaggio appestato, mi ha spiegato che quello che vedevo, tutti gli spiriti che mi inseguivano e mi facevano urlare, avevano solo bisogno del mio aiuto. Mi aveva dato delle armi, mi aveva insegnato a combattere e, al momento giusto, mi aveva eletta il suo secondo. In un tempo in cui la donna aveva meno importanza del bestiame, lui mi aveva dichiarata sua pari. Glielo sto chiedendo con il pensiero, timorosa di dirlo a voce. Perché se lui dicesse di no … io mi ritroverei di nuovo senza niente. Al pomeriggio Philippe, Robert e Julia avevano detto che mi credevano. Si potevano fidare di me. Eliza, Jamar e Warren, per quanto non completamente ostili, avevano le loro perplessità. E tu? Sospira. «Bel, vedi … è …»
Lo vedo perdere l’attenzione e qualcosa mi si struscia sulla pelle. Mi irrigidisco, guardando la notte. Un piccolo bagliore si è alzato all’orizzonte, come dei fuochi d’artificio che aspettano di liberare la loro foga. Mi si accappona la pelle, un brutto presentimento mi secca la gola. Un bruttissimo presentimento.
Quale che sia l’origine della luce, si affievolisce piano, lasciando la città immersa in uno strano silenzio. «Devo andare.» Biascica piano. Mi sfiora il collo. «Non so se funzionerà, ma cerca di tenerlo sempre. Potresti subire ancora delle ferite, solo che non dovrebbero essere così dolorose.»
Annuisco. Confortante. Mi farà male lo stesso, ma non così male. Non vedo l’ora! Chase si gira e salta il cancello con un balzo, lasciandomi immersa in quel buio. Alzo lo sguardo, l’occhio di un rapace mi fissa. È terrorizzato e, quando spicca il volo, so che qualcosa di pericoloso sta per inghiottire la città.

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Capitolo 16
*** 16 ***


16
 
 
 
           Reprimo a stento uno sbadiglio. Le ferite sembrerebbero sotto controllo. Stamattina ho trovato solo qualche macchiolina di sangue e un paio di ciabatte completamente da buttare, ma rispetto al solito sono convinta che la giornata possa essere piacevole.
Lo sto ancora pensando, quando entra la professoressa di Letteratura. La classe viene inghiottita da un silenzio carico di tensione e io sobbalzo sul banco. Un momento. Letteratura. Assemblea d’istituto. Mi sembra che sia passata una vita, ma in realtà è appena una settimana, da quando ho preso il tomo per studiare durante l’assemblea. E sono certa di non aver aperto il libro, perché non ho la minima idea su cosa verterà l’interrogazione. Che dal silenzio preoccupato deve essere proprio oggi. E ieri pomeriggio, ultimo giorno utile per studiare, la mia mente non ha toccato libro.
Distrattamente giro la testa, per guardare Julia. Bene. Devo dire che non sono l’unica messa gran male. La mia amica sta fissando la docente a bocca aperta, come se si fosse appena ricordata qualcosa. Immagino che non sia una possibile domanda. Gira piano la testa, una tacita richiesta. «Studiato?»
Vigoroso cenno di no. Vicino a me si stanno dedicando alla manicure. Gli presterei anche la mia mano, se le mie unghie non fossero già a livello carne. Prendo il libro di Letteratura, aprendolo in trance. Mi fermo all’ultima pagina sottolineata. Non ho la più pallida idea dell’argomento. Deglutisco, leggendo il nome di Dante. Che cosa so di Dante? Qualcosa sull’Inferno, ma nulla di utile. Ai miei tempi, e dannazione come è brutto dirlo, lo avevo letto. Però non è che ricordo parola per parola tutto quello che c’è scritto. A grande linee, sì. Un altro nome è Petrarca. No, di lui non so proprio nulla. Andrà male. Sbircio ancora Julia, che fissa il tomo chiuso, come se per osmosi potesse imparare qualcosa.
La docente tossisce e richiama al silenzio. La mosca che ronzava si ferma e aspetta la sentenza. Non so cosa studiare. E se ci fosse la possibilità di giustificarsi, in modo da risparmiare l’ardua pena, lo farei. La professoressa dice un cognome e sobbalzo. È dannatamente simile al mio, ma non so se è il mio o quello di Julia. Maledico il fatto che sono simili tra di loro.
Poi l’ultima torturata viene chiamata. «Wright.»
Vaffanculo. Io e Julia. Di nuovo interrogate insieme. Con un’imprecazione tutt’altro che silenziosa mi alzo. Julia mi si affianca, con espressione tetra.
Una a fianco dell’altra, in silenzio, fissiamo la classe. I bastardi ci sorridono. Julia ringhia contro. La penna della docente ruzzola giù dalla cattedra, io la fisso e stringo i pugni. No. E invece sì! Il pavimento si muove dispettoso, il vetro di una finestra si stacca dal telaio, cadendo a pochi centimetri di distanza dal banco di Mary. Lei si alza terrorizzata, mentre io mi sento sobbalzare tipo giostra di divertimento.
Sì, un sesto livello. Grazie. La parte più giudiziosa di me, molto esorcista, dice che non è normale incontrare due sesti livelli, in uno stesso luogo, in così poco tempo. Ma chissenefrega! Non mi interroga, e questo è positivo.
Il pavimento si dilunga in una gincana e cado a terra, sbattendo dolorosamente il sedere. Julia si appoggia alla lavagna, che si stacca dalla parete. Se non fosse per lei, avrei avuto un bernoccolo in testa e la mia morte sotto la cultura sarebbe stata pure divertente.
La docente ci intima di metterci sotto i banchi, io non riesco a muovermi. Julia mi guarda un attimo, sillabando piano il nome di Chase. Sì, credo anch’io che lui stia combattendo. C’è anche Jamar, ma sono più che convinta che abbia bigiato scuola.
Il terreno si quieta, ma è troppo pericoloso stare in classe. Non solo per il vetro rotto, ma anche per le crepe che si sono create nella parete. La scuola non sembra essere messa granché bene. Da brava studentessa delle superiori, riesco solo a pensare che ho dei giorni in più per studiare. Yuppy!
Ci fanno uscire da scuola, in fila indiana. Tutti sono scossi e io allungo il collo per vedere qualcosa di sospetto. Un luccichio, una catena che gli altri non vedono. Niente, ma Chase è assente. Vedo la sua classe, Natalia sta parlando con un insegnante e il suo tono sembra adirato. Mi avvicino un attimo, quel tanto da sentire l’ultima parte della conversazione. «Le dico che Chase non c’è!»
   «Sciocchezze.» Liquida il professore. «In classe non è rimasto nessuno. È possibile che il signor Lopez sia andato a controllare se la sua fidanzata sta bene.»
Con orrore, Natalia allunga il collo e mi individua, socchiudendo gli occhi. Mi scosto e scompaio dalla sua visuale. Meglio non far vedere che Chase è andato via. Mi avvicino a Mary, che ha la bocca aperta e sembra preoccupata per un qualcosa alle mie spalle. Mi giro, solo per scoprire che non c’è nulla. Solo il portone della scuola. Forse, se fossi stata un po’ più attenta, lo avrei potuto notare. Solo che non stavo cercando nulla di particolare.
 
                                                             † † †
 
            È da un po’ che non vado a trovare papà. La mattinata è passata benissimo, tenendo conto che ci hanno dato il permesso di tornare a casa prima. Il telegiornale non parla del terremoto, anche se è stato sentito distintamente in tutta la città. Gli esseri umani vedono solo quello che vogliono, quindi il terremoto è solo il movimento tellurico della Terra. È positivo che la Terra dia segni di vita, perché così sappiamo che non siamo su un pianeta morto. Certo. Vallo tu a dire al morto che ha fatto scuotere la terra!
Nonna mi accoglie con un cipiglio tenebroso. Lo so. È da una settimana che non la vado a trovare. Lo so. Però davvero, la mia settimana ha fatto veramente, ma veramente schifo! Ho tutte le giustificazioni di questo mondo per non essere potuta arrivare prima.
Vado da papà. Le sue condizioni sono stabili. Vorrei dire che mi rende felice. E non è così. Ogni giorno che passa nel suo stato comatoso, sempre più si avvicina il momento in cui il suo spirito si staccherà e mi chiederà di esorcizzarlo. Proprio come con Carlos. E allora non potrò tirarmi indietro. Sfioro con le labbra la sua fronte sudaticcia. Profuma di bagnoschiuma. «Apri gli occhi, papà.»
Potrei parlare con il comodino. Mi siedo sul letto, accarezzandogli la mano. Fa dei piccoli scatti nervosi. Posso sperare? O è un altro di quello che chiamano risposta fisiologica?
Penso al passato, alla mia volontà nell’urlare il fatto che non ho tradito la mia famiglia. Ma è vero? Mi sembra di tradire un sacco di persone. Sto tradendo mamma, nonna e Ed con le mie menzogne, sto tradendo papà perché gli stringo la mano, aspettando il suo spirito e la sua richiesta. Ho tradito gli esorcisti, non raccontando di Malachite. L’unico che non ho ingannato è Lie, e solo perché lui è parte di me.
Mi alzo dal letto, abbraccio papà e poi esco dalla stanza. Nonna sta preparando una tazza di the. Dei biscotti sono stati mutilati nella ciotola. Ne prendo uno. Buone, le gocce di cioccolato. Nonna mi guarda con disapprovazione. «Amabel, dovresti mangiare di più.»
Ho appena infilato in bocca altro cibo, così la mia voce è proprio impastata. «Guarda che io mangio.»
   «Stai dimagrendo troppo.»
Il punto è che io mangio. Davvero! Non ho mai mangiato così tanto in vita mia. Solo che gli esorcismi mi prosciugano tutta la energia e tutta la ciccia che potrei mettere su. In effetti, mi chiedo come Warren possa essere così muscoloso. Se fossi come lui, i miei muscoli sarebbero tipo dei palloncini sgonfi. Sospiro. Lasciamo perdere. «Sì, nonna.»
Per sottolineare che non si fida di me, mi porge una manciata di biscotti. Ho fame e me li infilo tutti in bocca. Il telefonino inizia a suonare, lo prendo dalla tasca della giacca. Ingoio il boccone, bevo un sorso di the bollente che mi lascia la lingua a bolle e osservo il numero sconosciuto. Mah. «Sì, pronto.»
   «Ciao Bel, sono Chase.»
Mi alzo in piedi, mostrando a nonna il dito indice. Mi occorre un minuto da sola. Esco dalla porta di casa, sedendomi sugli scalini. «Ciao Chase.»
   «Avrei una domanda da farti.» Il suo tono sembra preoccupato e sta dosando le parole. Alzo lo sguardo, osservando una madre con un bambino che camminano. Il bambino sta trascinando la donna, solo che non lo fa perché vuole andare da qualche parte. Sembra più terrorizzato. «Mamma, per piacere … andiamo più veloci.»
La madre cammina impettita, ma vedo che è scettica. Mi alzo dallo scalino, camminando per l’erba secca. Le foglie scricchiolano sotto ai miei piedi, mentre mi avvicino al cancello. «Certo, dimmi pure.»
Non serve neppure che allungo il collo, perché un fantasma, un primo livello, mi passa davanti al naso, inseguendo madre e figlio. Il bambino guarda alle sue spalle, di certo vede me, e squittisce. «Ti prego mamma. C’è ancora quell’uomo.»
Uomo? La voce di Chase diventa un sibilo. «Hai per caso notato qualcosa di strano?»
Fisso i due che stanno scappando dallo spirito e un brivido mi scuote. «Strano, dici? Un bambino che vede uno spirito potrebbe essere definito strano.»
   «Ah.»
Oddio. Chiudo gli occhi, appoggiandomi alla muretta. «No. No. Ti prego, dimmi che non l’hai visto.»
   «Gli esseri umani vedono gli spiriti.»
Tamburello con un dito. L’espressione di Mary, alla mattina, era simile a quella del bambino. Deve aver visto qualcosa. Dannazione. «Chase?»
   «Lo so.» Biascica piano.
Molto prima che fossimo giustiziati, Johannes ci disse che aveva trovato un villaggio strano. Era il nostro mentore, un chierico che non aveva preso tutti i voti anche se si dedicava alla Chiesa. Ci aveva trovato lui e, anche se non poteva vedere gli spiriti, tra i suoi consigli e gli ordini di Titus eravamo emersi come l’Ordine degli Esorcisti. Per noi era normale essere chiamati da Johannes per indagare su fatti strani. Poteva trattarsi di uno spirito che perseguitava i vivi, strane scosse, sparizioni sospette. In quel caso, il villaggio si stava isolando dal mondo dei vivi. Era a un giorno di viaggio da noi e eravamo stati chiamati dal villaggio confinante, con cui aveva interrotto i rapporti di punto in bianco. Alla mattina, i commercianti si erano recati alla piazza ed erano stati cacciati via. Avevano solo detto che la città puzzava di morte. Era un motivo sufficiente per indagare. Ci recammo al villaggio. Non ricordo il nome e non perché lo ignorassi. Dopo quel fatto, ricordo che pensavo sempre meno a quegli avvenimenti. Avrei potuto far di più.
Andai con Maximus. Mi piaceva viaggiare con lui, perché non dovevi riempire i lunghi silenzi. Sentivi solo i nostri passi lungo il sentiero, sorseggiavi l’acqua dalla borraccia, poi di nuovo camminavi. Aveva il mio stesso passo, il mio stesso ritmo. Mi piaceva camminare, quindi chiedevo di riposarmi molto di rado. E lui con me.
Il villaggio era simile e diverso da tutti quelli che avevamo già incontrato. Un agglomerato di casupole dai tetti sbilenchi, con i porci che zampettavano nel letame vicino alle piccole finestre oscurate. Mi spostai, lasciando correre un bambino lungo il sentiero. Dietro di lui, uno spirito fanciullo correva nel tentativo di inseguirlo. Ridevano, quindi era solo un gioco. Gli occhi di Maximus incontrarono i miei. «Vivet et mortuum.»
Si riferiva al fatto che un vivo giocasse con un morto. Fino a quel giorno, solo gli esorcisti avevano potuto vedere gli spiriti. Incamminandoci, vedemmo altre scene del genere. I fantasmi, tutti di primo livello, si muovevano con apparente semplicità. Per loro era normale camminare lì. Capimmo cosa dicevano i commercianti. La città puzzava di morte. Tutto era anormale. Quel villaggio era portatore di sciagura.
Chiedemmo cosa fosse successo. Ci dissero che tre giorni prima avevano iniziato a vedere i morti e che, ora, essi camminavano tra loro. Lo vedevano come un segno benevolo di Dio, perché alcuni erano morti lasciando molti dubbi sulle eredità. Chiedemmo udienza. Il Capo Villaggio ci accolse e dovevo capire che sarebbe stato infruttuoso. Vicino a lui, gentile, si trovava una giovane donna dagli abiti da lutto. Appoggiava la mano sulla spalla del signore, facendo attenzione a non toccarlo. Un gesto di amore umano.
La donna, come venni a sapere poi, era la moglie deceduta del Capo Villaggio, morta di stenti e partorendo un figlio morto. Ci guardava con mite sopportazione ma, almeno lei, sapeva cosa eravamo. Come per tutti gli spiriti, noi eravamo pericolosi. Usai Maximus come mediatore. Parlavo bene in pubblico, ma rimanevo una donna. Seppur Titus mi parlasse come pari, al di fuori dell’Ordine tutti storcevano la bocca. Maximus detestava parlare, ancora più ribrezzo se era in pubblico, quindi parlai piano e bisbigliando, lui espresse tutto a voce alta. Dicemmo che eravamo venuti a portare la normalità: i vivi e i morti appartengono a due mondi distinti. Non potevano convivere. Le nostre parole erano rispettose e calme, parlavamo piano e non dicemmo mai che dovevamo esorcizzare e distruggere i loro cari. La donna, però, si avvicinò al marito. Bisbigliò qualcosa e delle armi ci furono puntate contro. Sapevano di noi. Dovevamo andarcene. Chiedemmo solo due cavalli per velocizzare il cammino. Acconsentirono.
Spronammo i destrieri a portarci all’Ordine e, nonostante tutto, arrivammo solo il giorno dopo. Spiegammo la situazione e ci preparammo ad andare nel villaggio. A forza avremmo esorcizzato gli spiriti. La mattina dopo partimmo tutti e otto. Da quando tutto era iniziato, calcolai essere passati cinque giorni. E del villaggio non c’era traccia. Un cratere dove prima si ergeva la piazza, polvere e ossa corniciavano il terreno. Titus calmò il cavallo, passando poi a me le redini mentre ispezionava. L’aria era carica di morte. Fu facile capire cosa era successo. La città era stata spazzata via da uno spirito di livello superiore, comparso in chissà quale modo. Nessun sopravvissuto, né vivo né spirito. Era presumibile, tuttavia, che la sua comparsa fosse collegata al fatto che i vivi vedessero i fantasmi. Noi la chiamammo ….
   «La Città degli Spiriti.» Lo bisbiglio piano, a labbra secche.
Sento Chase sospirare. Tra cinque giorni, saremmo tutti morti.

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Capitolo 17
*** 17 ***


17
 
 
 
           È strano come tutto mi torni in mente. L’inadeguatezza di quella situazione, la donna che sfiorava la spalla del marito ancora in vita, le rovine di un villaggio distrutto. Da sempre, quello è stato il mio eterno “se”. Se fossi rimasta lì, se avessi forzato di più, se avessi fatto dire a Maximus altre frasi, se avessi esorcizzato a forza tutti gli spiriti, se … se. Un villaggio era stato annientato e ora anche la mia città rischia la stessa sorte.
   «Ci sei ancora?»
Sbuffo. «Sì, anche se tra cinque giorni direi che non ci sarà nessuno.»
Chase rimane un attimo in silenzio. «Non è mai stata colpa tua.»
   «Avrei dovuto seguire il mio intuito ed esorcizzare a forza tutti gli spiriti di quel dannato villaggio.»
   «Non sai il perché è successo.»
   «Ha importanza? Sta succedendo di nuovo.»
Chase sospira di nuovo. «Dobbiamo trovarci tutti e otto. Direi al parco vicino alla scuola. Credi di riuscire ad arrivarci?»
   «Sì. Invento una scusa con nonna.»
   «Non intendevo questo. Ricorda che siamo degli esorcisti. È presumibile pensare che ci attaccheranno. Stamattina c’era uno spirito di sesto livello a scuola. Ne sento altri nelle vicinanze.»
Abbasso lo sguardo, vedendo un sassolino scostarsi dal selciato. La mia solita botta di culo. Un sesto livello nelle vicinanze. Okay, ho saltato l’interrogazione di Letteratura, ma incazzarsi così tanto mi sembra un po’ da stronzi. Alzo lo sguardo al cielo, per vedere le nuvole plumbee caricarsi di pioggia. «Vedrò di esserci.»
Mi giro per tornare in casa. La voce di Chase mi richiama. «Ehi. Fa attenzione.»
Mugugno qualcosa alla porta. Entro in casa. Sono un po’ sconvolta. So che sto facendo qualcosa di sbagliato, ma non capisco come mai la giacca non entra dentro al cellulare. Intanto parlo. «Era Julia. Incazzata.» Tanto Julia lo è sempre. Nonna la conosce da quando era piccola. Dubito che l’abbia vista sorridere per più di due minuti di seguito. Non commenta neppure l’uso scorretto delle parole, né stringe le labbra sillabando la parola “arrabbiata, non incazzata”. «Dovevo trovarmi con lei per fare una ricerca, ma mi sono completamente dimenticata.»
Mi accorgo di quello che sto facendo, e finalmente il cellulare entra dentro la tasca. Mi infilo la giacca, abbozzando un sorriso. Allungo la mano e, con l’aspettativa di un fantasmagorico pomeriggio, agguanto una manciata di biscotti. Me li infilo in bocca, per avere un’ottima ragione per non rispondere a domande troppo perspicaci. Bevo il the, dannazione è ancora troppo caldo, mi infilo in bocca altri biscotti, e appoggio la tazza ormai vuota, certa che quello che non mi distrugge negli incubi lo avrà fatto la bevanda bollente.
Saluto nonna, promettendole che sarei passata a trovarla e sarei stata lì di più. Certo, se sopravvivo alla giornata, ma suona pessimista anche per me. Sorriso di convenienza. Già che ci sono, tocco il ferro di un soprammobile. Almeno spero sia ferro, altrimenti ho toccato un pezzo di alluminio inutilmente.
Mi chiudo la porta alle spalle, esco con calma dal cancello e, appena so che nonna non mi può vedere, inizio a correre. E a dilungarmi in una serie di imprecazioni degne di me. Dannazione. Di nuovo la Città degli Spiriti. Sarebbe stato niente affrontare uno spirito di livello superiore. Ammesso che la croce benedetta faccia il suo effetto. Al momento, la sento sbatacchiare inerme dentro alla maglietta. Dannazione.
Mi accorgo che sto andando a “fare una ricerca” senza lo zaino. Spero che nonna pensi vada a casa a prenderlo. Davvero nonna, pensalo. Dovrei chiamare mamma, e non mi viene in mente nulla da dirle. Sto mentendo un po’ troppo e ormai le scuse si affollano nella mia testa. Il cellulare mi sbatacchia sulla tasca, scivolo giù dal marciapiede per avere più aderenza con le scarpe sulla strada. Okay. Devo solo andare alla parco e incontrarmi con gli altri. Poi verrà tutto il resto. «Lie, muovi subito il tuo culo spettrale e vieni da me.»
Una signora mi sente rimbrottare, mi guarda sconvolta ma l’ho già superata. Visto il futuro, la mia sanità mentale non è un grosso problema.
Una coppia urla e la mia destinazione vira. Mi blocco lungo la strada, ansimando. Devo andare al parco, ma qualcuno ha dei problemi. Una ragazza urla di nuovo e io mando all’aria ogni remora. Mi muovo, sentendo il terreno muoversi sotto di me. No, dannazione, non di nuovo un sesto livello! E non in una strada così trafficata!
Scivolo letteralmente sulla strada, il sedere fa una pattinata mostruosa e sento che ho rotto di nuovo i pantaloni. Mi do una veloce occhiata, per vedere il taglio a metà ginocchio. Benissimo.
I due ragazzi mi guardano terrorizzati e io impreco. C’è una giraffa nella via. Sarebbe buffa la questione, se definirla giraffa rendesse chiaro quello che ho davanti. È un bestione enorme, leggermente più piccolo di quello visto con Julia. Per lo meno vedo la coda come un qualcosa di raggiungibile. Però, all’opposto, il suo collo svetta imponente e mi sento piccola piccola. Ringhia, i denti superiori che penzolano più giù della mascella. Direi che non è erbivoro.
   «È un sesto livello.»
Do una veloce occhiata a Lie alle mie spalle, annuendo. Beh, il livello lo avevo capito bene anche da sola. La ragazza sta piagnucolando. Il mio vizio si avvicina al pericolo con calma. «Lie, mandali via.»
Lie muove una mano, una folata di vento si alza da lui e colpisce in pieno i due, che ruzzolano fino alla fine della strada. La cosa positiva è che di sicuro sono fuori pericolo; quella negativa è che di certo si saranno rotti le ossa. Ringhio piano. «Con delicatezza.»
Ruggisce, abbaia, brontola … fate un po’ voi. Un getto umido di saliva putrida mi colpisce in pieno, il terreno si muove e un lampione si stacca dal terreno, cadendo alle mie spalle. Che schifo.
Alzo la mano sinistra. «Primo esorcismo: catene della purificazione.»
Tanto per capire che la giornata va male: la catena si aggancia al collo dell’animale. Bello. Benissimo, posso obbligare lo spirito ad allontanarsi da lì e a smettere di creare quel terremoto. Solo che io peso quarantacinque chili bagnata. Lo spirito alza il muso indispettito e io mi ritrovo a fare qualcosa tipo Bungee Jumping attaccata su una mano. Vorrei dire che sono preparata, ma è più per caso che urto il ventre dello spirito e mi arrampico sulla sua groppa. Ho il sedere congelato, ma la morte non può di certo essere calda. Faccio passare la catena attorno al collo, ancora convinta di poterlo scostare. Non si muove di un millimetro. Anzi, si muove. Ha il collo così lungo che gira il capo e mi torreggia. Vedo l’assenza del bianco degli occhi, un pozzo nero senza fine. Il suo alito putrito mi colpisce di nuovo, odeur du fumier, muove le fauci come per collaudare se saranno efficaci sulla mia carne. Una catena blu lo colpisce all’occhio, si dimena e io scivolo dalla groppa. Sono agganciata alle catene, ma non è una posizione che vorrei rifare. Urto con un fianco il pelo nero e duro della sua anima, a circa tre metri da terra.
Philippe attacca con il primo esorcismo, sciabolando la catena come una frusta. Mollo un calcio allo spirito, riappropriandomi della sua groppa. Alzo la mano destra. «Secondo esorcismo: ascensione.»
Una nuova schiera di catene si annodano intorno al collo, e ciò che non ha fatto il mio esorcismo … beh, sì, non fa neppure quello di Philippe e il mio.
Il sesto livello si muove, ma è più per cercare di farci fuori che per altro. I nostri attacchi non gli fanno neppure il solletico. Vicino a Philippe, Endive, il suo vizio, mi guarda con mite sopportazione. Me lo ricordo. Dannazione se mi dava fastidio anche allora. A differenza di Lie, i vizi hanno un aspetto particolare. Non li puoi confondere con fantasmi veri e propri. Nel particolare, Endive ha il volto di una donna dalle palpebre pesanti e dal corpo longilineo. Solo che estremità come gli arti e i capelli sono … serpenti. Già. Immaginati di essere svegliata da lei, di notte, dopo esserti addormentata alla luce del fuoco in una foresta.
Lie osserva la scena. Ma è strano. Sembra che stia aspettando qualcosa.
Sdrucciolo di qualche centimetro, forzando la presa con le catene. L’aiuto di Philippe è inesistente. Tanto vale che se ne vada in un bar a prendersi un caffè. E che io vada con lui. Lo spirito è solo arrabbiato delle costrizioni, ma si può liberare di noi da un momento all’altro.
Un attimo, noi dobbiamo allontanare lo spirito dalla strada. Non serve l’esorcismo, per quello. Richiamo le catene. «Philippe, coprimi!»
Scivolo lungo il dorso dell’animale, atterrando con un tonfo a terra. Mi rialzo come una molla, schivando le fauci. La catena di Philippe lo colpisce in pieno il muso. Allungo una mano, Lie fa altrettanto. C’è un motivo per cui non posso toccare la mano di Lie. Ed è semplice.
La sua piccola mano si stringe sulla mia, fuoco e ghiaccio si mescolano mentre scaglio Lie contro lo spirito. Dove gli esorcismi hanno fallito, il mio vizio ha successo.
Nella mano destra reggo la Falce degli esorcisti, che riverbera di fuoco. Philippe arretra e un nuovo colpo verso il sesto livello gli fa uscire un getto di acido. Ci scostiamo dalla traiettoria, lasciando una scia di terreno fumante. Puzza di morte.
Agguanto l’asta anche con la mano sinistra, il colpo si fa più sicuro e forte. Sento lo spirito sfrigolare la sua indignazione e arretrare. Di norma, raramente permettiamo ai nostri vizi di assumere la loro forma di arma, la Falce. È più che altro un oggetto dalle dubbie capacità. Potrei rimanere ore a colpire lo spirito, lui ne uscirebbe di certo malconcio ma pur sempre vivo. Ci aveva provato Lartia. Torturare uno spirito in quel modo era inumano.
Però svolgeva il suo ruolo nel mettere un po’ di strizza spettrale. Apro le mani, Lie ritorna alla sua forma di fianco a me, un po’ scarmigliato. Mi inginocchio a terra, aprendo le mani al cielo. «Sesto esorcismo: profondità del ricordo.»
D’istinto chiudo gli occhi e mi preparo al dolore. Le ferite alle mani si sono già aperte per lo sfregolare delle catene sulla carne già mutilata, ma non arriva. Apro un occhio, vedendo lo spirito di sesto livello che combatte e cerca di impedire che le catene lo avvolgano. Muove il lungo collo e fende l’aria con le fauci. Ormai l’ho circondato. Viene racchiuso in un bozzolo di catene nere e rosse. Philippe ansima al mio fianco. «Sei ferita?»
Ne sono sorpresa pure io. «No.»
Alza un sopracciglio alle mie mani insanguinate. Davvero, è niente in confronto a quello che ho subito la volta scorsa. Vengo colpita dai ricordi della vita passata, ai vari omicidi e ciò che mi colpisce è che lo spirito non è di questa città. Abbasso le mani, fissando l’aria elettrica che si innalza dalla strada. La via trafficata alle mie spalle sembra essere stata immune alla nostra guerra.
Lie è al mio fianco, i suoi occhi sono puntati sul mio viso. Perché uno spirito che non è morto qui, ha deciso di invadere la città? Gli spiriti non possono muoversi. Hanno dei confini da mantenere. Se io morissi a New York, da spirito potrei solo ripercorrere le strade di quella città. Andare a Los Angeles sarebbe impossibile.
Guardo Philippe. Sta ansimando e un taglio ha rotto la maglia. Un rivolo di sangue gli gocciola dalla manica. «Dobbiamo …»
Un nuovo ringhio, più umano, interrompe la mia frase. Lungo la via emerge dal nulla un nuovo spirito, mai visto. Ha un aspetto quasi umano, quindi stupidamente penso a uno spirito positivo. Si muove con calma, a parte l’incazzatura non lo direi un quarto livello. Le mie mani sono pesanti ai miei fianchi, fisso quell’anima chiedendomi perché mi sembra di averla già vista. Ha i capelli rossicci, gli occhi verde e una spruzzata di lentiggini sulla pelle diafana. Indossa abiti di altri tempi, un ammasso di vestiti alla meno peggio attaccati con un filo da una mano imprecisa. Bofonchia qualcosa e, mentre si avvicina di qualche passo, capisco che sta dicendo «Tu mi hai abbandonata.»
Philippe richiama le catene, che scompaiono nelle sue mani. Ha un’espressione perplessa. «Non è un primo livello.»
Mi manca la voce. «E se non è un primo livello significa che è un settimo.»
Settimo livello: spiriti dall’aspetto umano, tanto è vero che parlano, con la tremenda differenza che sono intelligenti, stilano piani e hanno un odio feroce verso gli esorcisti. Non sono proprio degli spiriti Caini, perché in vita potrebbero non aver ammazzato nessuno (l’omicidio non è la loro principale caratteristica), ma in un certo senso lo sono. Per diventare quello che sono, ho sempre sospettato che uccidessero, per poi fagocitare, più spiriti Caini. Abbiamo davanti un concentrato di malvagità pura. Il terreno sotto ai suoi pieni sfrigola e a ogni passo un pezzo di pelle macilenta le si stacca. Inclina la testa da un lato. La sua voce è carica di emozione. «Tu mi hai abbandonato.»
   «Non è che per caso è tua figlia?» Butta lì Philippe.
   «No! Io …» Un attimo. Ecco a chi assomiglia. Ed ecco perché pensa che io l’abbia abbandonata. Apro la bocca, deglutendo un groppo di saliva secco.
Lo spirito continua, ringhiando. «Ti ricordi? Ricordi quando mi hai abbandonato in quella chiesa?»
   «Sicura? Perché ti odia proprio.»
Mi attacco al braccio di Philippe per alzarmi in piedi. I capelli rossi, lo sguardo adirato. «No … Lei …. Lei è la figlia di Damide.»

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Capitolo 18
*** 18 ***


18
 
 
           Il braccio di Philippe si muove nervoso sotto le mie dita, lascio la presa e guardo quella creatura che in passato ho abbandonato davanti a quella chiesa, con la speranza che il suo futuro potesse essere migliore.
Eravamo in Italia, a quel tempo. Che cosa ci fa in America? E come fa a riconoscere ancora la mia anima? Soprattutto, perché è arrabbiata con me? Eseguivo solo degli ordini, a quel tempo!
Lo spirito si avvicina sempre di più. La sua mano sfiora una parete che marcisce al tocco. Okay. Non voglio essere toccata da quella cosa. La morte, a quel punto, sospetto che sia una liberazione. «Damide non ha avuto figli!»
Scuoto la testa. «Non l’ha mai saputo.»
   «Un attimo.» Philippe è Daulus, il miglior amico di Damide. E sta cercando di ricordare informazioni sulla donna dell’amico. Solo che anch’io non l’avevo mai saputo nulla. Nulla, finché non mi ero trovata a fare da levatrice e ad abbandonare quella bambina appena nata nella dimora di una chiesa. Beh, vediamo il lato positivo: è abbastanza grande, quindi direi che quando è morta ha vissuto almeno una parte della sua vita.
La mano di Philippe aggancia la mia giacca, tirandomi qualche passo indietro. «Non mi dire che è quello che penso. Quanto cazzo è stata via Lartia?»
Non so se c’è arrivato perché per un certo periodo Damide e Lartia svolgevano delle missioni insieme, o solo perché se lo spirito ce l’ha con me significa che io in qualche modo ero legata a sua madre. Io sono un’esorcista e a chi dovessi la mia fedeltà è un po’ troppo chiaro.
   «Non mi pare il momento.»
   «È la figlia di Lartia e Damide!»
   «Sì, beh, non penso che allo spirito piaccia tanto sentir parlare di mamma e papà.» A conferma, la ragazza urla e siamo costretti ad abbassarci. Un getto di fiamme mi passa sopra la testa, colpendo un cassonetto alle mie spalle. Okay, stesso problema di prima ma quintuplicato. Continuiamo a rimanere vicini a persone vive, siamo in inferiorità numerica, siamo feriti … ho pure parecchia fame, il che non mi rende del tutto coerente con le mie azioni e, come se non bastasse, devo riaffrontare lo spirito della figlia della mia migliore amica del passato. Ora che ci penso, dovrei essere io quella sempre incazzata con Lartia.
Philippe arretra di qualche passo, fissando le immondizie che bruciano alle nostre spalle. «Endive, non far venire da questa parte i mortali.»
Il suo vizio lo fissa con malcelata contrarietà, voltandosi e scivolando all’imboccatura della via. Ho una pessima sensazione su cosa farà per non farli arrivare a noi. Visto che siamo in una Città degli Spiriti, i mortali iniziano a vedere gli spiriti e se il suo aspetto è rivoltante …. Sì sì, sento il primo urlo a conferma della mia tesi.
Il ragazzo richiama di nuovo la mia attenzione. «Dobbiamo essere sinceri.» Pff … invidia e menzogna che sono sinceri tra loro? Chissà che discorsoni faremo. «In che condizioni sei?»
   «Ho eseguito tre esorcismi, ho fame, mi pizzicano le mani ma posso combattere. Non sono del tutto convinta di riuscire a eseguire il settimo esorcismo.» Guardo la giacca attillata di Philippe, che di certo non nasconde nulla. «A meno che non abbia un pollo nelle tasche.»
Abbozza un sorriso. «Ho eseguito due esorcismi, ma non sono in grado di eseguire il settimo. A malapena ho esorcizzato un quinto livello senza svenire.»
Benissimo. Il fantasma davanti è tutto mio. Sia perché ho più esperienza sia perché materialmente ho più forza. Questa rientra nella Top 10 delle giornate peggiori dell’anno. Ho dei leggeri giramenti di testa da mancanza di cibo. Davanti a me ho uno spirito con secoli di addestramento e che già nelle sue caratteristiche primordiali viene definito “intelligente”. Oggi sono tutto, tranne che una persona sapiente. Siamo nella merda, è chiaro.
Okay, è inutile rimanere qui e contare le cazzate della giornata. Metto le mani una di fronte all’altra, congiungendo le dita fino a formare un triangolo. «Settimo esorcismo: imposizione.»
Le mani mi pizzicano, ma il fatto che il mio corpo non sanguini mi pare un buon vantaggio. Le catene fuoriescono dal triangolo che ho fatto, in un arcobaleno di colori. Attaccano lo spirito e, ovviamente, le devia. Sono troppo debole, quindi le catene si limitano a strisciare in un modo poco pericoloso. Lo spirito potrebbe sbranare l’intera via e io sarei ancora lì, con il mio debole esorcismo che cerca di raggiungere il punto in cui stava lo spirito venti minuti prima! Ogni secondo che passa, perdo sempre più energia. Lie è al mio fianco. «Che ti aspettavi? Che facesse effetto senza averla indebolita?»
Se non avessi già problemi a mantenere l’esorcismo, avrei dato un calcio in culo a Lie. Sì, mi aspettavo che almeno le catene si avvicinassero al settimo livello. Invece mi ritrovo con le catene che si muovono in una danza, con lo spirito che …. Philippe mi trascina per terra appena in tempo. Un ciuffo bruciacchiato mi cade davanti agli occhi, lasciando che respiri quel profumino di rogo passato.
Sto ancora mantenendo l’esorcismo, gli occhi di Philippe a un centimetro dai miei. «Quanto riesci a resistere con l’esorcismo.»
   «Muoviti.»
Philippe mi aiuta ad alzarmi, lo sento chiamare Endive mentre Lie si dirige verso l’imboccatura della via. Bene, adesso il mio vizio spiegherà alle persone che non possono avvicinarsi alla strada. Oh, lo so già. Nel creare caos è un maestro quindi, forse per la prima volta in vita sua, dirà esattamente la verità. E nessuno gli crederà.
Philippe aggancia la mano di Endive, la Falce gli compare in mano e il colpo spezza in due lo spirito. Urla di dolore, rabbia e qualcos’altro. Mi muovo alla sua destra, evitando un’altra ondata di fiamme. Dovrei avvicinarmi di più, ma essere toccata e marcire sotto la sua presa non mi pare una buona idea. Un’occhiata all’altro esorcista e capisco che non ho scelta. Mantenendo l’esorcismo, mi avvicino e finalmente una catena sfiora lo spirito. Un colpo di Philippe la fa avvicinare di più a me e la sua essenza viene inghiottita.
Dannazione.
Chiudo gli occhi. Un’infinità di anime si sono aggregate, facendo un collage di insulti, vite e desideri. L’anima più tenebrosa è di quella donna, bambina, figlia. Cresciuta nell’abbandono, sapendo di non essere mai stata desiderata, che nessuno avrebbe mai potuto amarla. Ha odiato in vita i suoi genitori, buttata da un villaggio all’altro, con la speranza di vederli. Non poteva sapere che Lartia e Damide erano già morti, quando lei ha iniziato la ricerca.
Sei stata amata.
Lei urla la sua rabbia, che cozza contro la mia. Brutta stupida, continuo, sei stata amata. E non mi crede. Le catene la avvolgono, tenebre contro luce. Non c’è redenzione. La sua anima, anche se pura al momento della morte, si è corrotta nei secoli. Posso esorcizzarla. La liberazione dai suoi peccati, però, è un altro paio di maniche.
Stacco le mani, l’aria si increspa e un bagliore nero ingloba quell’agglomerato di spiriti. È finita. Quello che mi lascia l’esorcismo è qualcosa di più di un semplice vuoto. Endive si muove per il terreno, ispezionando l’aria.
Il cellulare di Philippe suona. Con un rantolo risponde.
Sono crollata a terra. So che devo dirlo a Julia. Non è una delle conversazioni che desidero fare. “Ciao Julia, ti ricordi tua figlia, quella che hai partorito? Ecco, ricordi anche che mi hai detto di abbandonarla davanti una chiesa? Benissimo. Niente, volevo solo dirti che … ecco, era un settimo livello e ho dovuto esorcizzarla. Amiche come prima?”
C’erano, e visto il tempo immagino ci siano ancora, delle regole per noi. Noi non possiamo amare. Fisicamente siamo esseri umani e la ricerca di una persona con cui condividere pene e gioie è normale. Noi non possiamo. È chiaro il perché. Tornare a casa dai propri compagni, abbracciarli, raccontare che la giornata è andata bene e che si è vivi per miracolo. Dire che abbiamo esorcizzato degli spiriti, abbiamo aiutato a varcare le porte dell’aldilà ai cari di altre persone. Vivere in continuazione sul chi va là, sapendo che la priorità l’avrà sempre lo spirito. Combattere, sanguinare, piangere. Nascondersi e ricercare gli altri esorcisti, perché solo loro sanno quanto pesano queste catene che ci portiamo appresso. Sapere che non potrai mai avere figli, non perché fisiologicamente ci è negato, ma solo perché un bambino nel nostro mondo rischierebbe di morire nei modi peggiori. Per questi motivi, e per tanti altri, noi non possiamo amare.
Lartia, dopo il parto, piangeva. Quando mi ha chiesto di abbandonare sua figlia, aveva la voce di una madre che cerca di dare un futuro migliore a chi ama. Essere esorcista è per sempre. Grazie a Dio, non è una pena che si trasmette geneticamente. Solo Lartia è l’esorcista dell’ira … solo io sono quella della menzogna. Lo spirito non ha capito nulla. Lartia l’ha amata. E anche se Damide non lo ha mai saputo, anche lui avrebbe voluto per sua figlia un futuro migliore. Secoli di rancore per cosa? Per una madre che ti abbandona per darti anni da vivere?
Sento Philippe spiegare quello che è successo. Io e lui abbiamo combattuto contro uno spirito di quinto, sesto e settimo livello. Siamo indenni. Sbuffo. Alla faccia dell’essere illesi. Ho una fame pazzesca e lui mi lancia con la mano libera un pacchetto di caramelle. E con quelle che ci faccio? Tutte non riuscirebbero neppure a lenire i giramenti di testa. Ne prendo una manciata, buttandole in bocca come se fossero pastiglie.
Annuisce. «Sì … certo.» Poi silenzio e sembra sbiancare sotto una nuova rivelazione. «Certo. Va bene.»
Interrompe la chiamata. Con chiunque abbia parlato, e io sospetto essere Chase, gli ha dato una pessima notizia. Si rigira il cellulare in mano, poi se lo infila nella tasca dei pantaloni. Infine alza lo sguardo per incrociare il mio. «Chase ha detto che dobbiamo proteggere la città.»
Mi alzo in piedi, prendo un’ultima manciata di caramelle prima di scuotere la scatola vuota. Zero. Mi gira ancora la testa. Per non parlare della fame. E il pollo post esorcismo neppure si vede. «Proteggere una città così grande? Con cosa? Veniamo da un epoca di spade, preghiere e magia.»
   «Ha detto che noi abbiamo qualcosa che loro non hanno.»
   «Abbiamo una gran dose di pazzia e dei vizi che ci saranno molto utili, in una situazione del genere.» Amabel in versione ironica: on.
Il mio compagno alza le spalle. «Dichiarati fortunata di essere una bugiarda. All’opposto, in uno scontro che mai potrei fare? Guardare il mio avversario e dire “anch’io lo voglio”
… L’invidia è una brutta bestia. In tutti i sensi!

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Capitolo 19
*** 19 ***


19
 
 
 
            Stiamo correndo. Sì, devo dire a mamma di regalarmi uno scooter. O, visto l’età e i soldi che di certo Philippe guadagna, di farsi una macchina. Non occorre che sia una costosa: basta che abbia quattro ruote e che mi liberi dal peso di correre come una scema. Siamo diretti ancora al parco, con la speranza di trovare anche gli altri. E soprattutto di non trovare altri spiriti, ma quello sappiamo già che sarà infranto. Al momento mi sembra ridicolo trovarci tutti e otto. Nel passato, e voglio dire eravamo un po’ più allenati, eravamo stati inutili.
I nostri vizi sono scomparsi e, almeno per quanto mi riguarda, sono felice che non ci sia Lie. Da un’occhiata che gli ho dato, ho un terribile sospetto che lui sappia dalla sera prima che la città è dimora degli spiriti. Il che significa che i cinque giorni che ci eravamo dati stanno diventando tremendamente quattro. Non che cambia molto. Siamo in alto mare su come salvare la città da un’eventuale distruzione. Nelle condizioni attuali, siamo ottimi stuzzicadenti per gli spiriti.
Il telefonino suona, con enorme fatica lo estraggo dalla tasca per fissare un numero sconosciuto. Ansimo un «Pronto.»
   «Come sei messa?»
Correre e parlare, Chase, non mi rende particolarmente felice. Fisso Philippe, che arranca piano dietro di me. Direi che per lo meno sono più allenata di lui. «Nessuna ferita per gli esorcismi. La croce funziona.»
   «Quindi riusciresti a fare altri esorcismi di livelli superiori?»
Biascico piano. «Oddio, no. Perché non hai chiesto se riesco a fare un esorcismo a uno spirito di settimo livello?»
   «Ci stiamo muovendo verso uno di ottavo.»
Porcamerda. «Chase, non ce la faccio. E poi tu sei più preparato.»
   «Ora come ora, solo io e te possiamo sperare qualcosa contro uno di quel livello. E sono messo abbastanza male.» Impreco mentalmente. Se Chase dice di essere messo male, la nostra situazione si sta complicando a vista d’occhio. Non che avrei scommesso su di noi un centesimo, sia chiaro. Per il momento sono molto pro spiriti! Il ragazzo continua. Vicino a lui mi sembra di sentire la voce di Robert. «Ci vediamo.»
Fisso il cellulare con uno sbuffo, prima di inserirmelo in tasca. Capisco perché ha preferito chiamare me, piuttosto che Philippe. In passato, Titus era a capo dell’Ordine. Io ero il suo secondo. Eravamo gli esorcisti più forti e preparati. Se io e Chase, nel presente, siamo in difficoltà, gli altri non ne saranno particolarmente felici. Presto o tardi questa conversazione verrà fuori. Neppure io ho il potere di mentire sulla questione.
Sbuchiamo dalla via, inoltrandoci in una strada trafficata. Le auto ci passano a fianco del marciapiede, alcune con una guida briosa. Tutte sembrano intenzionate ad allontanarsi dal centro. Vorrei tanto credere che quello servirà a salvarli. Mi sembra che sempre più persone vedano gli spiriti e, se nel passato eravamo stati allontanati, dubito che troveremo tanti che facciano resistenza se compiamo gli esorcismi.
Alzo lo sguardo dal marciapiede, per poco non cado a terra per lo sgomento. Stiamo correndo in bocca alla morte. Di fronte a noi, una nube grigia e nera avvolge un grattacielo. Sembra di assistere alla comparsa di un gigante di fumo che cerca di percuotere il grattacielo che si innalza al suo fianco. Lampi continui spezzano a metà la volta, lampi rossastri danzano. È comparso un ottavo livello. L’aria è carica elettricamente e anche chi ha la fortuna di non vedere gli spiriti, ormai ha compreso che è meglio allontanarsi da quella bufera. Dietro di me, Philippe impreca.
Una macchina sgomma e suona con il clacson. Taglia la strada, invadendo la corsia opposta che si dirige verso la città. Qualche auto sterza, mentre con la gomma invade il marciapiede a una decina di passi da noi. È una Ford Fiesta dalla carrozzeria grigio metallizzata, con una bella ammaccatura sopra alla targa. Dal lato del passeggero, nei sedili davanti, si apre la portiera e dei lunghi capelli neri si sporgono. È Eliza. «Vi muovete?»
Philippe mi trascina per il polso, aprendo la portiera e buttandomi senza tante cerimonie dentro. Sarei stata comoda, se i sedili posteriori non fossero già occupati. Faccio appena in tempo a vedere Julia vicino al finestrino, e Philippe mi ha già spinto in braccio a Jamar, che se ne stava tranquillamente seduto al centro. Lo sento imprecare. Tranquillo, la situazione non piace a nessuno dei due.
Viene chiusa la portiera e l’auto riprende la sua folle corsa. Attacca la corsia in contromano, vedo letteralmente la morte in faccia con uno scontro frontale, e poi giunge nella corsia giusta, con sobbalzi. Warren, alla guida, mi fa fortemente dubitare che conosca il codice stradale.
Il ginocchio di Jamar scatta nervoso e io sbatto la testa. Julia ridacchia, mentre io rimbrotto contrariata. «Non sei l’unico a non apprezzare la scelta dei posti!»
Philippe si tiene un fianco, pallido e sudato. Andare avanti e indietro in passerella non è uno sport. Invidiami pure! Deglutisco, sporgendomi verso i sedili davanti. Eliza sta picchiettando nervosamente al finestrino, Warren è concentrato sulla guida. Spero con tutto il cuore che abbia la patente, perché ha un modo di tenere il volante molto da sala giochi. Non è confortante.
Alle mie spalle, Jamar sta parlando. «Siete stati fortunati. Vi abbiamo visto correre.»
   «Voi che ci fate qui?» Domanda stupida di Philippe. Forse non si è ancora accorto che stiamo puntando proprio verso la tempesta.
Eliza si volta appena, incrociando il mio sguardo. «Chase ci ha dato appuntamento.»
   «Lo so, ma ha detto anche di non attirare l’attenzione.»
Julia sbuffa. «Io non corro come una gazzella per mezza città.»
Ecco, mi sento offesa per l’allusione. Storco la bocca fissando la mia amica, accorgendomi che ha la stessa espressione dello spirito di settimo livello. Non mi aiuta. Dannazione, non mi aiuta per niente pensare che ho esorcizzato sua figlia.
Eliza continua, come se non fosse stata interrotta. «E voi come siete messi?»
Mollo una gomitata a Philippe, che schiva il colpo. «Io ho esorcizzato uno spirito di quinto livello. Poi ho incontrato Dalila …» Cinque persone dicono in coro «Amabel», attirando solo un suo sbuffo. «Sì, è lo stesso. Comunque ho incontrato Bel che esorcizzava un sesto, e subito dopo è stata costretta a confrontarsi con un settimo livello. Direi che ci reggiamo in piedi a fatica.»
Giro appena la testa, sillabando un “grazie”. Devo essere io a parlare con Julia. E il fatto che sia sulle ginocchia di Jamar mi induce a credere che sia un pessimo modo di sapere di sua figlia. Tanto più che dovrebbe essere Julia a dirglielo.
Eliza si accuccia per prendere qualcosa appoggiato a terra, e quando emerge regge tra le mani un sacchetto della spesa piuttosto voluminoso. Infila dentro la mano, estraendo due panini particolarmente unti con la carta del McDonald’s. Ne passa uno a me e uno a Philippe. Vuole che mangiamo per recuperare le forze. Chi sono io per lamentami? Addento un pezzo di pane, sentendo che dall’altra parte anche Philippe non fa tanto lo schizzinoso. Con una mano controllo una lettera infilata vicino al freno a mano. Fisso Warren scuotendo la testa: credo proprio che la signora Suzanne Hill non sappia che le abbiamo preso l’auto. E io sono un’ingenua, se pensavo che l’avidità avesse qualche scrupolo sui furti.
Inghiotto un grosso boccone, prendendo la coca cola che Eliza ha in mano. Ne sorseggio un po’, poi la passo a Philippe. La guida di Warren non aiuta la digestione, io sbatacchio da una parte all’altra e Jamar sembra godersela un mondo a vedermi imprecare. Una curva a novanta gradi mi getta da una parte e, grazie a Dio, Jamar capisce che mettermi una mano sui fianchi per impedirmi di morire non è poi così male.
Mi pulisco la bocca con un pezzo di salviettina pulita. «Ero convinta che non voleste più avere a che fare con me. Per il fatto che non vi fidate.»
Eliza abbozza un sorriso, allungando la mano e prendendo un altro panino. Me lo passa con calma e, vedendo che sono restia a prenderlo, mi pungola con la salviettina la mano. «Non te l’ha detto Philippe? Sei stato un motivo di discussione.»
Warren ridacchia. «Oh, così la preoccupi.»
Eliza alza una spalla, mentre io divido a metà il panino e lo passo a Philippe. «Abbiamo concordato che ci sono faccende poco chiare sul nostro passato e sui nostri decessi. Su una cosa, però, durante la discussione abbiamo iniziato a concordare.»
   «Ovvero che sei sempre stata stronza, ma non una traditrice.» Mi rabbonisce Jamar. Grazie per il complimento sull’essere stronza, comunque.
   «Non possiamo confermare la questione di tua sorella Malachite, ma se ci fosse stata, siamo tutti certi che ti saresti comportata come dici. Avresti difeso lei da noi, e noi da lei. Sei morta sul rogo per prima, quindi non potevi sapere di noi. E è un modo stupido di morire. Perché diavolo avresti dovuto accusarti di una colpa, solo per uccidere noi?»
Appoggio la testa vicino al suo sedile. «Stai dicendo che siamo esorcisti come prima?»
Eliza allunga una mano, sfiorandomi la fronte. «Esorcisti come prima. Mangia quel panino. Abbiamo bisogno della tua forza e di quella di Chase se dobbiamo confrontarci con un ottavo livello.»
Quello che immaginavo. Chase non gli ha ancora dato la novella. Eliza continua. «Passami il cellulare.»
Con la mano libera estraggo dalla tasca il cellulare, passandoglielo sopra la spalla. In passato mi sono fidata di lei per richieste più assurde di un telefonino. Lo prende in mano, confrontandolo con il suo. «Ti sto scrivendo solo i nostri numeri. Può esserci d’aiuto contattarti.»
Sospiro, fissando il ketchup del mio hamburger. Anche se Chase non ha riferito loro della situazione, devono in qualche modo sapere che non siamo messi poi tanto bene da auspicare un qualche scontro futuro. «Ho ricevuto una chiamata da Chase. Né io né lui, adesso, siamo in grado di affrontare uno spirito di ottavo livello.»
L’auto sterza un attimo, Warren riprende il controllo e non mi sfuggono i suoi occhi puntati dallo specchietto retrovisore. Lo so. Avevano tutto puntato su noi due. Jamar si muove nervoso. «Cazzo.»
Lo spirito è davanti a noi. Invulnerabile, maestoso e terrificante. La nostra città sarà distrutta da un ottavo livello? Eliza continua a battere sul cellulare, apparentemente disinteressata. Un suo piede batte nervoso sulla carrozzeria. Gli occhi di Warren hanno abbandonato lo specchietto e fissano la strada. Le sue nocche sono bianche dalla tensione.
Addento il panino, fissando ancora quello spirito che troneggia. Potrei riuscire a fare l’ottavo esorcismo? Ne dubito profondamente. Il settimo mi ha lasciato spossata e la fame non è stata domata dai panini. Sono piena come un uovo, eppure dentro di me sento che manca qualcosa. In mancanza di altro potrei definirlo … gola.
Passo il panino con un morso a Jamar, sporgendomi di più. Sarebbe assurdo, neppure in passato lo abbiamo fatto, ma non è detto che sia inutile. Dove non arriva un esorcismo, perché non dovrebbero arrivarne otto contemporaneamente? Potrebbe essere. Sono sazia, eppure ho fame. E ho fame, perché il vizio di Eliza è la gola, la necessità di avere sempre qualcosa in più. O forse è l’avidità. Sono arrabbiata con Julia per avermi costretto ad esorcizzare sua figlia, per la sua decisione di averla abbandonata, e contemporaneamente la invidio per il fatto che per poco tempo è stata madre, ha potuto essere pienamente donna. Ha amato. Siamo in auto, tutti e sei, e io non sono solo l’esorcista della menzogna. Sono anche loro. Forse c’è una speranza.
   «Un attimo.» Sento dire Jamar. Muove un ginocchio, come se volesse controllare lo spirito e io mi giro appena per vedere il suo sguardo serio incrociarsi con il mio. Rimane immobile per una ventina di secondi, dove il tempo si dilata e si comprime, con Warren impegnato alla guida, gli esseri viventi che fuggono nella corsia opposta. E poi, inaspettatamente, Jamar sorride. «Lo puoi affrontare.»
Corruccio la fronte. «No.»
   «Oh sì. Hai l’espressione di Dalila quando pensava a un piano folle.»
Il volto di Julia compare da sopra la sua spalla, le labbra leggermente socchiuse in una domanda che non può essere espressa. Sospiro, picchiettando con un dito sul sedile. È folle, ma quando la follia si trasforma in genialità? «Non l’abbiamo mai fatto. Potrebbe solo essere un sogno.»
Warren emette una risata simile a un latrato. «Parla del sogno.»
Indico con un dito davanti a me. «Gli spiriti non sono altro che energia pura di un’altra dimensione, una reminiscenza che è rimasta aggrappata alla materialità quando il corpo è deceduto. Quando esorcizziamo noi in parte ci aggrappiamo alla loro energia, in parte alla nostra vitalità e in parte ad altro. Lie ha detto una volta … ha detto che noi cantiamo per l’oltretomba. Ecco, io stavo pensando a un qualcosa del genere.»
Eliza mi passa il cellulare, le labbra strette in un ghigno. «Il tuo piano è di metterti a cantare con uno spirito di ottavo livello?»
   «Noi cantiamo esorcizzando gli spiriti. Ma c’è altro, in noi. È quello che ci distingue dagli esseri viventi veri e propri. Noi non siamo spiriti e, allo stesso tempo, non siamo neppure esseri umani semplici.»
Philippe scuote la testa. «No, non capisco. Prima stavi parlando di energia, poi di canti e adesso dei nostri vizi. Dove vuoi arrivare?»
   «Come ti senti adesso?»
La domanda gli fa sollevare un sopracciglio, sorpreso. «Ancora? Ho già risposto a Eliza.»
   «No. Come ti senti adesso dentro. Non sei solo invidioso. Hai altre emozioni. Hai fame nonostante la sazietà? Hai desideri nonostante non ti manchi nulla? Sei arrabbiato e non comprendi il motivo? Stai dicendo veramente la verità o menti?»
Alle mie spalle Julia bisbiglia. «Risonanza.»
Volto la mia attenzione allo spirito. «Esatto. Uno di fianco all’altro siamo l’eco dei vizi altrui. E se lo siamo dei vizi, che io sia dannata, possiamo decuplicare la potenza di un esorcismo di basso livello e far ascendere pure un ottavo.»

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Capitolo 20
*** 20 ***


20
 
 
 
             Sarei troppo ingenua se dicessi che ho la speranza di arrivare fin sotto allo spirito. Eppure, con un po’ di stizza scendo dall’auto. La macchina è decisamente morta, nonostante il serbatoio sia pieno. Prima di decidere che proprio su uno dei ponti che attraversavano il fiume Hudston avrebbe schiacciato un pisolino, aveva iniziato a lamentarsi. Non me ne intendo di auto, ma quando senti un sob sob continuo, questo non ispira grande fiducia. Così ci troviamo quasi a destinazione, in un luogo che sembra l’anticamera dell’inferno, con la speranza che chiunque essere vivo sia ancora dentro a quel miasma elettrico abbia perso i sensi. Davvero, perché spiegargli la situazione sarebbe gran difficile!
Julia sospira, sbattendo la portiera con malagrazia. «Iniziamo a camminare.»
Warren ha preso con sé una pistola, piccola postilla nell’eventualità che sopravviviamo per sapere che razza di lavoro fa, Eliza ha agguantato il sacchetto con i panini e Jamar, sollevato, si sgranchisce le gambe. Maleducato. Per quanto sia io sia Eliza siamo insensibili al suo fascino, ha ritenuto un affronto solo nel mio caso il fatto che non cedessi alla lussuria. Continuo a dire che è solo per quello che mi mal sopporta. Sono, al momento, stranamente immune a lui. Philippe tamburella una mano sul fianco, prima di lanciarmi una penetrante occhiata. Chissà a cosa pensa. È improbabile che ci siano spiriti di livello superiore, quando nelle vicinanze uno di ottavo sta richiamando così tanta energia da tramortire tutto il resto.
Faccio un piccolo sobbalzo. Ecco cosa aspettano. Mi incammino piano, un passo dietro l’altro. Julia mi affianca, alle mie spalle sento gli altri che si muovono. Stupida. Quante volte l’ho ripetuto, nell’ultima ora, che Dalila era il secondo al comando dopo Titus? E io cosa sono adesso, se non di nuovo il suo secondo? Ovvio che si aspettano ordini da me. La cosa mi piace almeno quanto la gradivo nel passato.
Warren si infila la pistola dentro al giubbino. Intercetto una sua occhiata. «È un’idea di Chase. Per tutto questo casino.»
Corruccio la fronte, mentre Eliza trattiene a stento una risata. «Secondo Chase, tutto questo casino ha una spiegazione che non ha nulla a che fare con gli spiriti. Ti ricordi che lo ha detto? Qualcuno ci vuole in questa città e ha fatto in modo che noi ci reincarnassimo, tutti insieme, dall’altra parte del nostro mondo conosciuto. Anche il fatto che la Città degli Spiriti sia comparsa è un qualcosa di molto strano. Per ogni evenienza, gli spiriti possiamo fronteggiarli senza problemi. Gli esseri viventi, al momento, sono più avvantaggiati di noi.»
Philippe alza una spalla. «Per fortuna nessuno di noi è morto per un colpo d’arma da fuoco. Sarebbe abbastanza imbarazzante.»
E il tuo commento, Invidia, è assai poco lusinghiero. Fisso un attimo Julia, che fino a un momento prima era spavalda. Nel momento in cui abbiamo messo il piede sul ponte, è sbiancata e ormai l’abbiamo superata. Respira piano e ha chiuso gli occhi. Fisso Jamar un attimo, prima che capisca. Lo vedo prenderle la mano e attirarla a sé, prima di appoggiarle una mano sulla spalla. È più alto di lei, rabbia abbracciata alla potenza dirompente della lussuria, e per la prima volta la vedo inerme. Jamar scuote la testa, fingiamo di non esserci accorti della sua debolezza. Perché Julia ha cambiato così tanto atteggiamento? Al momento, però, le paure di un esorcista sono la nostra ultima preoccupazione.
Siamo a metà ponte, quando la terra traballa e una crepa inizia a formarsi esattamente a dieci metri da noi. Rimanere in piedi è come stare su una giostra che si muove. E ci ho provato con il risultato di cadere in braccio a un perfetto sconosciuto! «Un sesto livello?» Chiede Warren, aggrappandosi alla muretta.
Anche lì si formano piccole crepe e quando lascia la presa un calcinaccio finisce dritto nel fiume. Di certo non è un normale terremoto. Scatto. «Correte!»
Non ho il tempo di guardare se eseguono gli ordini. Lo spirito è vicino e il suo lamento spezza tutto quello che ci tiene sospesi dalle acque gelide. Un sesto livello vicino a un ottavo? È assurdo. Gli spiriti non vanno di certo famosi per la loro convivenza. L’ultima esperienza avuta, con Ridley e Lie, aveva dimostrato quanto due fantasmi mal apprezzassero la compagnia dell’altro, e voglio dire: Lie non è neppure un fantasma al cento percento!
Appoggio il piede, sotto di esso crolla qualcosa. Guardare mi porterebbe via troppo tempo. Qualcuno alle mie spalle urla. Mi dispiace, davvero. Mi dispiace. Con un ultimo scatto riesco a trovare un appiglio saldo, una crepa che non mi porterà nello Hudston. Mi giro, vedendo Eliza che appoggia le mani alle ginocchia per riprendere fiato, il sugo dei panini che le lascia un rivolo lungo i pantaloni. Philippe è steso a terra, con Jamar e Julia lì vicini a lui. Deve aver aiutato Jamar a portare lì la ragazza, perché lei è pallida e le labbra le tremano appena sotto degli occhi più grandi del normale. Warren fissa il ponte, che si sgretola come una costruzione di carte a un soffio di vento. Pezzi di cemento ruzzolano dall’asfalto fino all’acqua, con continui spruzzi. Una continua grandinata che ci ricorda che potevamo finirci anche noi, lì dentro.
Appoggio una mano sulla spalla di Julia, rassicurante, e la sua mano gelida stringe la mia. Possiamo esserci odiate in un’infinità di modi, ma ci siamo sempre state. Mentre alza lo sguardo, capisco che più di Mary lei mi mancava. Sa cosa sono, sa quello che l’aspetta ad avermi come amica.
L’aiuto ad alzarsi. Bisbiglia al mio orecchio. «Posso combattere.»
   «Lo so.» Non ne sono tanto sicura.
Mi incammino. Ogni passo sembra di attraversare un campo elettrostatico, che ti pizzica la pelle e te la lascia tutta informicolata. E siamo arrivati al parco vicino alla scuola. Non ci sono animali che si aggirano indisturbati. Siamo circondati da un silenzio di morte. Direi che abbiamo un problema in più. Fino a poco prima avevamo puntato tutto sulla presenza di un sesto livello: direi che l’ottavo se l’è già bello che pappato. Tralasciando i termini tecnici da esorcisti.
   «Ragazzi.»
Warren è così veloce che estrae la pistola prima ancora che Robert ha mosso un passo. Veloce, il ragazzo alza le mani. «Calma! Calma! Sono solo io.»
Warren impreca, infilandosi la pistola nella tasca. «Dannazione, ragazzino. Non devi sbucarmi così alle spalle.»
   «Scusa, ma chi ti aspettavi che fosse?» Robert ha la classica tenuta di uno che se l’è passata male nell’ultimo periodo. I capelli biondi sono tutti impolverati, la maglia ha qualche segno di bruciatura da esorcismo di lato. Per il resto, lui sembra essere indenne.
Chase si muove con apparente calma, sbucando fuori da un sentiero vicino a una fontana la cui acqua ormai si è seccata. La natura si sta ribellando a tutta quell’energia, a tutta quella morte. Poetico il fatto che noi ci muoviamo senza apparente difficoltà. Abbiamo una ics grande come una casa puntata esattamente sulla testa.
Philippe appoggia una mano sulla spalla di Robert, in un gesto rassicurante. «Tutto bene. Warren è un po’ nervoso. Abbiamo rischiato di cadere nel Hudston per colpa di uno spirito di sesto livello.»
   «Non è più un sesto livello.» Proprio in quel momento, un altro ruggito fa tremare la terra e io crollo senza dignità sul sedere, vicino alla sabbia in cui giocano i bambini. Chase alza lo sguardo, immobile, i piedi ben puntati mentre anche gli altri fanno fatica a stare eretti. Robert si è inginocchiato per non crollare e Warren, appoggiato all’altalena, fa la sua macabra figura. Poi, come è iniziato, tutto tace. Il mio sedere si lamenta. Chase continua, con apparente calma. «Come vi dicevo, non è più un sesto livello.»
   «Ti va di scherzare? Non può essere l’ottavo!» Rimbrotta Julia. Sta riprendendo piano il colore.
   «Sta diventando sempre più forte.»
   «A proposito di questo.» Interviene Jamar, mentre io mi alzo in piedi e mi tiro via dai pantaloni sabbia e pezzi di cemento che si sono attaccati alla giacca. «Amabel ha un piano in mente. Secondo lei, tutti e otto possiamo affrontare uno spirito di quel livello.»
Chase mi fissa un attimo, prima di annuire pensieroso. «Credo che quello sia un punto che analizzeremo a suo tempo. Al momento abbiamo altre priorità. Dobbiamo trovare il luogo esatto in cui vivi e morti si sono incontrati per far nascere questo scempio.»
   «Un cimitero?» Chiede Warren, non molto fiducioso. Sono io a rispondere, scuotendo la testa. D’istinto mi avvicino a Chase, per vedere se c’è altro che sta nascondendo. «Non è detto che sia un cimitero. È un linguaggio metaforico. Di fatto questo luogo è il punto in cui il primo essere vivente ha visto il primo fantasma. Nessuno vivente è qui. Chi mai può dircelo?»
Chase alza le spalle. «Quello è uno dei problemi che dobbiamo risolvere.»
   «Possiamo intanto affrontare lo spirito di ottavo livello, no?» Eliza fissa gli altri, prima Jamar, Julia, Robert, Warren, Philippe e, per finire, me e Chase. Continua. «Lo spirito ci rallenterà, quindi dobbiamo esorcizzarlo e poi trovare questo luogo, no?»
C’è dell’altro. La questione non è solo quella. Sospiro. «Secondo te, quanti giorni ci mancano?»
   «Giorni?» Fa eco Chase.
Annuisco. «Sì, certo. Siamo in una Città degli Spiriti, di quello siamo certi. Quanti giorni ci rimangono prima che la città scopaia completamente?»
   «Non utilizzerei quei termini.»
   «Quali, allora?»
Lo vedo sospirare. I suoi occhi verdi sono sinceri, ma c’è altro sotto. Dolore, paura, rassegnazione. «Bel, la città non resisterà per più di qualche ora.»
Oh, merda.

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Capitolo 21
*** 21 ***


21
 
 
 
           Ore, non giorni. Con quell’aspettativa, il mio piano sembra solo un gioco per ritardare di poco l’inevitabile. Che assurdità, usare otto esorcismi per esorcizzare uno spirito di ottavo, solo perché non siamo ancora in grado di usare appieno la nostra forza. E trovare quel luogo in cui il primo essere umano ha visto il primo fantasma, in cui il mondo dei vivi si è incontrato con quello dei morti è esattamente quello: trovare un ago in un pagliaio grande quanto uno stadio. Come può esserci scappato così? Siamo stati disattenti. Il countdown è iniziato. Se fossimo in un film, ecco, in questo momento avrebbero messo la musica a palla e i protagonisti, pronti a morire, si sarebbero guardati per lunghi istanti. Solo che non siamo in un film, in cui uno degli attori se ne esce con una battuta di spirito. No, per niente. Noi però abbiamo Jamar. «Che cazzo … Chase, ci stai pigliando per il culo?»
La speranza è l’ultima a morire. Lo vedo nello sguardo di Warren che, non ancora rassegnato, fissa lo spirito e l’elettricità che ci pungola. Però qualcosa sta scavando dentro. Eliza mi fissa in cerca di qualcosa, una menzogna che fingerà essere vera; Julia non ha più la forza neppure di arrabbiarsi.
Sento Philippe dire «Ehi», poi il lamento di Robert «No».
Arretra di un passo, fissando Chase. È combattuto: il suo mentore traditore che gli ha nascosto la verità, nel tentativo di proteggerlo. Non tutte le favole finiscono con un lieto fine. Qualche volta il cacciatore non arriva in tempo e la piccola Cappuccetto Rosso viene mangiata; Biancaneve viene davvero uccisa dalla Regina Malvagia e il principe Filippo si stanca di affrontare le spine per arrivare al palazzo e salvare la sua Bella Addormentata. Non tutte le storie hanno il loro lieto fine.
Muovo un passo verso Robert, che alza un braccio per sfuggire alla mia presa. «No.»
   «Smettila di fare il bambino.» Il tono è duro anche per la mia voce. Fisso il ragazzino, ha solo un anno in meno di me, e mi chiedo quante volte nel passato si è ripresentata quella scena. Io, nonostante la paura, affronto la realtà e cerco di farla accettare anche agli altri. Robert continua a scuotere la testa, ma riesco ad appoggiare la mano rassicurante sul suo braccio. Trema.
   «Robert, ascoltami. Abbiamo vissuto di peggio, lo sai.» La mia è una sorta di nenia, a metà tra verità e menzogna. Il confine tra le due è così labile che fingo di crederci anch’io. «Abbiamo già affrontato situazioni del genere. Dobbiamo avere solo il sangue freddo di analizzare la situazione dalla giusta posizione.»
   «Io non …»
   «Lo so. So cosa significa combattere contro la tua natura. Per Dio, Robert, non farti influenzare. Sei l’esorcista dell’accidia, non l’accidia stessa. Adesso troveremo una soluzione. Devi darci un minuto.»
Lascio la presa, indicando con il mento il ragazzo. Philippe gli appoggia una mano sulla spalla, e questa volta non viene allontanato. Arretro di un passo, Chase alza una mano e fa cenno agli altri di aspettare lì. Lo seguo, fino all’albero in cui ci siamo incontrati per un incontro di più bella natura. Appoggia la schiena al fusto, fissandomi. Se non dagli occhi, la sua postura è tranquilla. Non c’è rassegnazione, ma solo desiderio di dare di più.
Allontano un ciuffo dalla fronte e Chase inizia senza tanti preamboli. «Se non troviamo quel luogo, la situazione non migliorerà. La città collasserà e esorcizzare un ottavo livello non avrà l’effetto dovuto.»
   «Lo so.»
   «Capisco tu voglia proteggere Robert, ma deve imparare ad accettare la verità.»
   «Quale verità, Chase? Abbiamo ripreso contatto della nostra vita passata giusto in tempo per morire in quella presente. È questa la verità di cui parli? Non è un modo dignitoso di morire. Quanto abbiamo perso del nostro passato, quanto abbiamo sacrificato per essere uccisi come animali? Non posso accettare questo destino!»
   «Stai parlando come Dalila.»
   «E tu come Titus.» Rimbrotto senza pensarci. Lui alza la testa, un vecchio gesto per ricordarmi che è lui quello che comanda. Non l’ho mai dimenticato. È quello il punto. Mi massaggio la testa con una mano. Ho la sensazione di aver dimenticato qualcosa. Qualcosa di importante. «Hai la minima idea di dove possa essere questo luogo?»
   «No. Se ce l’avessi sarei stato lì e avrei esorcizzato lo spirito che lo proteggeva.»
   «Può essere che il luogo, in realtà, sia dove si trova quello di ottavo?»
   «Certo. Però gli ottavi livelli non pianificano un attacco.»
Mi mordicchio un labbro. «Io però ho affrontato un settimo livello. Credi che avrebbe potuto controllare uno di ottavo?»
   «Come prima. Tutto è possibile. Ma te la senti di attaccare senza averne la certezza del risultato?»
No, ovviamente. Se avessimo esorcizzato l’ottavo livello, insieme, saremmo stati otto esorcisti stanchi. La città sarebbe stata in balia di qualunque spirito e noi, inermi, non avremmo potuto far nulla. Però io ho affrontato un settimo livello. Se avesse pianificato tutto, se non avesse valutato di essere esorcizzato da noi, allora forse potrebbe aver difeso quel luogo con un ottavo livello. Forse. Basterebbe solo un umano, il primo che ha visto gli spiriti, che ci indicasse il punto in cui si trova l’ottavo livello. Chase continua. «Quale piano avevi pensato per l’ottavo livello?»
Alzo le spalle. «Penso sia la cultura dei cartoni animati che mi ritrovo. Dove non arriva un attacco forte, possono arrivare tanti deboli. Se noi unissimo le nostre forze, con gli esorcismi più potenti in nostro possesso, in questo momento, potremmo arrivare dove solo un ottavo esorcismo avrebbe successo. Io e te possiamo arrivare tranquillamente a un settimo esorcismo. Philippe solo al quinto. Robert, immagino, a malapena al quarto. Julia, se si impegna, non dovrebbe aver difficoltà con un sesto …. Ma tutti noi insieme, concentrati, potremmo farcelo. … O avremmo potuto.»
   «Lo faremo.»
Sbuffo. «È per questo che ho pensato all’attacco. Quando siamo nervosi, i nostri vizi hanno effetto eco sugli altri esorcisti. Solo che io sono l’esorcista della menzogna … mentire mi è abbastanza facile.»
   «Io ci credo.»
   «In cosa? In noi? A malapena ci sopportiamo. Puoi dare l’ordine di fidarsi, ma abbiamo perso quello che eravamo secoli fa. Siamo solo otto persone che condividono qualcosa di più di un passato in comune.»
   «Credo nelle capacità di ognuno di voi. Abbiamo camminato per questa città, abbiamo esorcizzato e parlato con la gente. Sono convinto che uno di noi abbia visto qualcosa che non doveva essere così. Ne sono certo.» Qualcosa che non doveva essere così. Suona come una minaccia. «Tu parli di fiducia persa. Io vedo solo una seconda possibilità.» Seconda possibilità. Oddio.
Appoggio una mano sul braccio di Chase, per fermarlo. Con l’altra mano prendo il telefono e, tremando, scorro le ultime chiamate, conversazioni che avevo cercato di dimenticare quando ancora Dalila era indagata. Sento i suoi occhi su di me. Mi porto l’auricolare all’orecchio, bisbiglio piano qualche domanda, deglutisco per le risposte. Attacco.
Guardo Chase, la mano sul suo avambraccio caldo. «Devo dirti una cosa.» Come sempre, confessare i miei peccati è dura. Soprattutto con lui. È come camminare in bilico su un filo sospeso nel vuoto, continuamente attaccata da un furioso vento. «Io … io non sono stata consapevole di chi ero, di questo te l’ho detto, fino a quando non ho rivissuto il mio passato. Credo che Julia non abbia detto che ho … incontrato lo spirito di un ragazzo, in coma. Il fratello di una mia amica. Era vivo, eppure vedevo il suo spirito.»
Stringo la mano, Chase abbassa lo sguardo per fissare le mie dita, poi di nuovo si concentra sul mio volto. «Mi ha chiesto di salvarlo, di esorcizzarlo. E così ho fatto. Ma prima di lui un altro spirito, né vivo né morto, mi ha chiesto aiuto. Un uomo, un detective, mi ha chiesto di aiutarlo, solo che lui voleva vivere. Sono riuscita a risvegliarlo dal coma.»
Rimane in silenzio, in attesa. Né il fatto che abbia esorcizzato un vivo, né che abbia risvegliato una persona che doveva morire lo agita. Eppure di certo io ho modificato qualcosa che di certo non doveva andare così. «Il detective si è risvegliato e, seppur non ricordava nulla del periodo come spirito, ad un certo punto ha iniziato a vedere. Vedeva gli spiriti, comprendeva cosa fossero gli esorcismi e gli esorcisti.» Ricordo il volto della ragazza di Ridley, come lei fosse preoccupata delle sue parole. Lui doveva aver già iniziato a vedere qualcosa che non c’era. Lie non era stato il suo primo spirito.
   «Il luogo in cui i vivi e i morti si sono incontrati.»
   «Non ricorda esattamente, ma non più di una settimana fa ha iniziato a vedere gli spiriti. Una settimana, Chase. Può essere lui.»
Chase apre la bocca, io lascio il suo braccio e annuisco, più a me stessa che a altri. «Il primo spirito lo ha visto nella nostra scuola.»
Sì, è chiaro adesso. È colpa di Ridley se è nata la Città degli Spiriti. Ed è colpa mia, che l’ho permesso.

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Capitolo 22
*** 22 ***


22
 
 
 
      Chase mi da un colpo alla schiena, come una pacca per complimentarsi. «Chase, io …»
   «Non sapevi quello che facevi. E in ogni modo, già prima quel ragazzo aveva caratteristiche strane, no?»
Sì. Quello che mi avevano impedito di esorcizzarlo a suo tempo lo rendevano particolare: non ricordava nulla del suo passato, piccoli scorci solo quando io mi avvicinavo alla verità. E quando è tornato in vita, anche allora la sua era stata un’esistenza strana. Era ossessionato da Dalila.
Seguo Chase, chiedendomi quanto possa dire agli altri. Sono certa che la verità mi porterebbe di nuovo a essere discriminata, e non so proprio dargli torto! Gli altri se ne stanno fermi, dove li abbiamo lasciati. Warren calcia l’altalena, a ogni colpo il cemento che la tiene affissa sembra intenzionato a cedere. Eliza sta mangiucchiando un panino, più per nervosismo che per vera fame. O forse è il contrario. Ho difficoltà a comprendere quanto il suo vizio influenza il suo comportamento. Robert, pallido, è accucciato a terra, osservato a vista da Philippe. Julia è la prima a vedere il nostro avanzare, gli occhi una fossa nera di pura rabbia.
Chase fa un cenno con la mano, tutti istintivamente ci muoviamo a seguirlo. «Abbiamo un indizio. Il primo fantasma è stato visto in una scuola.»
Jamar corruccia la fronte. «In una scuola? Stai parlando della nostra, di scuola?»
Le spalle di Chase sono rigide. Di nuovo, torniamo in un luogo in cui almeno quattro di noi passano la maggior parte del tempo. Anche Robert, probabilmente, per una questione o per l’altra ha avuto l’onore di passeggiare per le nostre aule. Dal risveglio, lui deve essersi avvicinato a Chase. Dannazione. Se è quello, dal risveglio tutti noi siamo stati almeno una volta lì!
Chase inizia a correre. Sono certa che anche lui sta pensando. Tutte le strade puntano a noi. Forse non è per colpa di Ridley che la città si è trasformata. Forse siamo noi che non dovevamo tornare. Sento Philippe imprecare e lamentarsi per la ginnastica non voluta, mentre supero gli altri. Affianco Chase, prima di superarlo con uno scatto. Merda merda merda.
Il terreno si scuote ancora, penso solo ai piedi che sfiorano l’asfalto e poi si alzano, pronti per un nuovo attacco. La scuola è lì, a un passo da noi, e lo vedo. Lo spirito di ottavo livello è enorme, e l’averlo visto da lontano non mi prepara. È un agglomerato di nulla, di tenebre e sangue che stanno attaccate con qualcosa di non meglio definito, forse paura e rabbia. È un enorme lenzuolo nero, senza forma, se non per delle stilizzate braccia e gambe. Il volto, una sorta di salsicciotto, mostra solo un tunnel da cui sgorga quell’urlo silenzioso che fa vibrare il mondo.
Quelle che sono le sue gambe, sono esattamente nel cancello d’ingresso. Beh, per lo meno avevamo supposto bene sul fatto che lo spirito che protegge il luogo dove vivi e morti si sono incontrati è in realtà l’ottavo livello.
Mi blocco con un gemito, alzando la testa per vedere il cielo. A malapena riesco a vedere il volto dello spirito. Mi sento pigolare. «Mi sento così …»
   «… piccolo.» Conclude Warren. E lui è almeno trenta centimetri più alto di me e Julia!
Philippe impreca nuovamente, Robert è ammutolito, con la bocca aperta. Jamar mi affianca, schioccando la lingua. «Bene. La buona notizia è che sappiamo dov’è quel fottuto luogo.»
   «La cattiva …» Interviene Eliza. «… è che comunque siamo morti.»
Lo spirito si muove a disagio, strisciando e dondolandosi per controllare meglio le pulci degli esorcisti. Per quanto fossimo piccoli, in confronto a lui, di certo ha paura.
Chase urla, per farsi sentire. Il continuo strisciare dello spirito gli fa toccare il cancello, che trepida e si fonde come se invaso da una lava. Ammetto di aver pensato che il modo migliore fosse quello di attraversare lo spirito e fregarsene dell’odore di morte. Ho dovuto ricredermi. Toccarlo, e sarei morta bruciata all’istante. Di nuovo. «Fate gli esorcismi più potenti che siete in grado di fare!»
   «E io che pensavo di dover sobillare lo spirito per ricercare una bella spiritella da fottere.»
Le nostre sette voci si uniscono. «Jamar!»
Mi posiziono, con le mani a triangolo davanti a me. Il punto più alto che riesco a inquadrare è il basso ventre, ma se non ho di meglio mi fa bene anche così. Deglutisco. Sono pronta a compiere un settimo esorcismo? Dannazione, no. Non mi sono ancora del tutto ripresa, e non è certo che il piano funzioni. Se non abbiamo mai usato otto esorcismi diversi per combattere contro uno spirito superiore, un motivo ci deve essere. Solo perché in Dragon Ball gli amici di Goku gli danno la sua energia, questo non significa per forza che noi possiamo fare lo stesso. Devo smetterla di sbirciare i cartoni animati di Edward.
È per lui, però, che sono lì, ferma. Non ho la certezza che l’esorcismo funzioni, ma ho la necessità che qualcosa faccia. Non sarà un’altra Città degli Spiriti, non sarò ossessionata da una miriade di “se”. La croce al collo brucia a contatto con la pelle. Non ho neppure la certezza che, con tutti gli esorcismi fatti, la benedizione sia ancora attiva.
Ha importanza? Come voglio morire? Di nuovo da sola, con la certezza che è a causa mia se verranno catturati, torturati, processati per stregoneria? Di nuovo voglio sentirmi in colpa? O preferisco farlo al loro fianco, con la certezza di aver fatto tutto quello che era nelle mie possibilità?
In fondo, non è male morire per qualcun altro. Non è male sacrificarsi insieme a degli amici. Glielo devo. Lo devo a loro e all’infinità di scelte sbagliate che ho fatto fino a questo momento, a partire da Malachite per finire con Carlos.
Respiro a fondo, alzando le mani. «Settimo esorcismo: imposizione.»
Le catene sibilano, si agganciano al ventre e, altre simili con il colore dell’arcobaleno, si uniscono alle mie. Vedo Chase, vicino a me, nella mia stessa posizione. Le catene dei due esorcismi quasi si fondono, formando una catena più grossa che strizza lo spirito come un canovaccio.
Robert, come mi aspettavo, a fatica regge il quarto esorcismo. Il suo volto è pallido e sudato, la mano sinistra sollevata in preghiera è scossa da piccoli tremiti. Tuttavia, le catene grigie che ne fuoriescono sono salde quando agganciano le gambe dello spirito. Il sesto esorcismo di Julia si aggancia a quello di Robert, con la creazione di un altro strumento di morte. Una catena color oro sventra lo spirito dalla gambe, e per un attimo quel fantasma rimane sospeso nel vuoto, con le gambe che pian piano si polverizzano per andare in altri luoghi. Lì arriva il quinto esorcismo di Eliza, Jamar e Philippe, lo spirito viene letteralmente sollevato. Le catene si uniscono a quelle mie e di Chase, dilaniando lo spirito. Il sesto esorcismo di Warren arriva, lentamente, a unirsi ai nostri e anche quelli di Robert e Philippe.
Lo spirito urla e lo sappiamo non dal suono, poiché è senza voce, ma dai tremori. Mi reggo a malapena in piedi, rivoli di sudore mi scendono dalle tempie e lungo la schiena. Sto per perdere il contatto, quando alle mie spalle sento il petto muscoloso di Warren che mi regge. Vorrei dirgli grazie, ma mi manca voce e forza.
Le catene fanno qualcosa di strano. Come una sola mente, abbandonano lo spirito e avvolgono lui e la scuola in una cupola di speranza.
Oh, Dio mio. Ci stiamo riuscendo. Non stiamo solo esorcizzando un ottavo livello, ma stiamo purificando l’intero luogo. Scosse elettriche percorrono l’aria, piccoli fulmini del tutto visibili attaccano come tante zanzare lo spirito, la scuola, lo stesso cancello dove siamo noi. Il metallo fuso si aggiusta, l’aria carica di morte si fa respirabile, il peso al petto si fa più sopportabile.
Un altro urlo, un tremendo urlo di Munch fa scuotere lo spirito, ma non la terra. E poi, finalmente, ascende. Inizia a scomparire piano, proprio come le sue gambe, in un continuo dibattersi. Non vedo il suo passato, non sento il suo dolore, ma so che qualcosa di lui è rimasto in questo mondo.
Attendiamo ancora, agganciati dai nostri esorcismi. Poi i nostri corpi sobbalzano e il legame è rotto. Scivolo a terra, Warren alle mie spalle ansima come dopo una corsa. Sono presa da mille dolori, le ferite alle mani sono inguardabili e, lo sento, alle gambe le garze si sono inzuppate. Lo supponevo. Troppi esorcismi per una semplice collana.
Julia si regge un fianco, il suo corpo scosso da singulti. Philippe ansima e lo vedo ridere. Poi scoppia. E non è il solo. Prima ridacchio, poi si trasforma di qualcosa di più isterico e sento che anche gli altri, abbandonata la tensione, trovano il tutto divertente.
Abbiamo fottuto un ottavo livello. Mentre lo penso, lancio un’occhiata a Jamar, piegato in due in una risata. Sì, meglio non stargli troppo vicino.
Robert, seduto, alza una mano e mi ritrovo a dargli una pacca, un cinque parecchio debole. Warren scuote la testa. «Ragazzi, siamo forti.»
Eliza si porta le mani al volto, non so se piange dalla felicità o che altro. Il sacchetto di panini è mezzo bruciacchiato al suo fianco. Per lo meno gli spiriti hanno la loro utilità nella cottura del cibo.
Un uccellino plana piano, becchetta il terreno, e poi riparte. È quello il segnale che non siamo più una Città degli Spiriti.
Giro la testa, per vedere la strada che sarà deserta ancora per poco. Sarà dura per la gente spiegare tutto quello che è successo, ma avranno altro cui pensare, monumenti da riparare, spiegazioni razionali da trovare. Non mi accorgo subito che qualcuno sta camminando. La mia risata si spegne piano, obbligandomi a corrucciare la fronte. La persona, dalla stanchezza la mia vista è appannata, sta camminando piano, la sua ombra si allunga nel terreno come lo spirito appena sconfitto.
L’uomo che ci apparve davanti ci sorride, con fare paterno.
Chase trattiene il respiro, io rimango rannicchiata nella mia posizione. Philippe corruccia la fronte e bisbiglia al vento l’impossibile. «Jo … Johannes!»

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