ancora noi

di Sissy77
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** LA STORIA ***
Capitolo 2: *** IL SOLITO TRAN-TRAN ***
Capitolo 3: *** LO SQUILLO ***
Capitolo 4: *** ANCORA LUI ***
Capitolo 5: *** ANCORA NOI ***
Capitolo 6: *** MARCO ***
Capitolo 7: *** RISVEGLIARSI AL BUIO ***
Capitolo 8: *** Chi sono??? ***



Capitolo 1
*** LA STORIA ***


Questa è una storia.
Quando è iniziata? Molto tempo fa.
Potrebbe essere una di quelle storie che iniziano con: C’era una volta…., ma non è una di quelle storie: è la mia storia.
Mi chiamo Eva: Eva Cudicini.
Dicono che sono nata a Milano.
Lì sono sopravvissuta fino ai 18 anni. Poi il destino mi ha portata a Roma, qui (perché è ancora qui che mi trovo) so di essere rinata e di aver vissuto per davvero.
In questa città ho amato, ho odiato, ho pianto, poi nuovamente amato, nuovamente odiato, nuovamente pianto.
Tutto ruota sempre intorno agli stessi amori; agli stessi odi; alle stesse facce; alle stesse città, ma ora c’è un amore nuovo: lei; un odio nuovo: lei; una faccia nuova: lei; una città nuova: quella di lei.
Questa è anche la storia di lei.
Inevitabilmente, che piaccia o meno, è anche sua.

Sospiro e penso che unico raggio di sole in questa giornata uggiosa fuori e dentro di me è Marta, la mia Marta.
Amo mia figlia. Amo il suo essere foscoliano concreto.
Lei osserva il mondo come suo padre, ma lo affronta come faccio anzi facevo io.
E’ risoluta, testarda, dolce e tenera. Se la osservo vedo in lei molto di suo padre, ecco perché la amo così tanto: perché amo tanto anche lui.
Come potrei non amarli?
Si, lo amo, ma ho di nuovo pianto ed è ora che io smetta.
Non posso passare la vita a rincorrerlo e a farmi rincorrere, poteva andare bene da ragazzini, ma siamo genitori, siamo adulti (si spera).

Lui ha guardato la sua vita, di fronte ad un bivio ha deciso di seguire l’indicazione che lo portava a lei: auguri e figli maschi.
A me non rimane altro da fare che guardare la mia di vita e cercare un bivio, uno qualsiasi: non posso più stare di fronte al cartello che indica Marco Cesaroni.

Eva distrattamente si asciugò una lacrima.
Il pulmino dell’asilo si era fermato di fronte casa Cesaroni, Marta era scesa.
Appena vide Eva andarle incontro, corse verso di lei.
Amava la sua mamma. Amava tutto di lei, non sapeva spiegare cosa voleva dire tutto, sapeva solo che la amava.
Amava anche il suo papà. Ora lui abitava lontano, viveva con un’altra lei: così la chiamava la sua mamma.
Di lui amava soprattutto il suo essere pasticcione. Anche questa volta aveva combinato un pasticcio, ma Marta sapeva che tutto sarebbe tornato a posto, tutto sarebbe tornato come una volta.
Questa era la sua storia, quindi era lei a decidere come doveva andare.
La sua storia iniziava così: C’era una volta, ma ci sarebbe stato ancora……
Marta si tuffò tra le braccia di Eva e si lasciò abbracciare.
Solo sua madre sapeva abbracciarla così e lei la amava anche per questo.

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Capitolo 2
*** IL SOLITO TRAN-TRAN ***


La vita alla Garbatella scorreva veloce.
Eva e Marta vivevano ancora nella grande casa Cesaroni.
Avevano rimodernato la soffitta togliendo il grigio dalle pareti.
Sia madre che figlia dipingendo con i nuovi colori si erano chieste come avesse fatto Marco a dormire, a sognare, ad amare circondato da tutto quel grigiore.
Unite dallo stesso pensiero si erano guardate negli occhi e capite all’istante. Marta dando voce ai propri pensieri chiese alla madre se ancora ora il padre fosse circondato da tanta tristezza.
Eva non seppe cosa risponderle  se non uno sterile: speriamo di no…
Ogni tanto da quella soffitta Eva sgattaiolava sul tetto rimanendo ad osservare il quartiere dall’alto.
Amava soprattutto farlo nelle ore del tramonto.
La luce del sole che moriva sfumata dalle tenebre che avanzavano la ipnotizzava. Le sembrava che in quelle ore il cielo sapesse esattamente cosa lei provasse nel profondo del suo animo.
Aveva avuto la luce dentro di lei, ma ora vedeva solo buio.
 
Tutta la famiglia le era stata vicina: anche Giulio.
Quando lui l’abbracciava, quando lui le sorrideva o le cedeva l’ultima brioche portata da zio Cesare, ma soprattutto quando lui si comportava come il padre che aveva imparato a conoscere in quegli anni, lei si sentiva in colpa.
Giulio non era stupido, aveva intuito con il cuore di padre, che qualcosa turbava quella giovane donna divenuta parte della sua famiglia.
Un giorno in giardino, dopo la solita grigliata organizzata da Cesare ed Ezio, dopo i soliti battibecchi tra i due voluti fortemente da Marta, Giulio si era avvicinato alla ragazza e le aveva chiesto cosa la turbasse.
Una Eva tentennante,  guardando quel padre che doveva dividersi tra l’amore per il proprio figlio e l’affetto sincero che provava per quella figlia caduta dal cielo, gli chiese scusa.
Scusa per aver fatto soffrire il figlio l’anno prima cacciandolo da Parigi,
scusa per aver cercato di mettersi in mezzo alla felicità che finalmente con Maya pareva aver trovato e scusa per essere piombata nuovamente dal cielo a stravolgere la vita famigliare dei Cesaroni.
 
Giulio la fece parlare.
Avrebbe voluto interromperla al primo scusa, ma cuore di padre aveva intuito che quella giovane donna, che per lui sarebbe sempre rimasta ragazzina, aveva bisogno di sfogarsi, bisogno di togliersi quel sassolino dalla scarpa.
 
Eva concluse il suo monologo con un ultimo: Scusa Giulio, scusa davvero.
Una piccola lacrima scivolò dolcemente dai suoi occhi al suo viso.
Giulio guardò quella ragazza e pensò che il figlio aveva davvero perso tanto, ma si augurò che avesse trovato davvero la felicità con Maya.
 
Padre e figlia si abbracciarono.
Rimasero stretti in quell’abbraccio finché  Marta non volle giocare a bocce con il nonno, spiegò ad entrambi che doveva allenarsi per battere i maschi più grandi dell’asilo: facevano troppo i gradassi.
 
Eva li guardò allontanarsi.
Quanto doveva mancare Marco a Marta?
Non avrebbe dovuto essere lui a giocare con la figlia?
A lui bastava davvero sentirla per telefono una volta ogni due- tre giorni?
Con queste domande rientrò in casa dirigendosi in cucina per aiutare Lucia e le altre donne che avevano iniziato a riassettare il gran casino lasciato da Cesare ed Ezio.

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Capitolo 3
*** LO SQUILLO ***


Aprile dolce dormire.
Era proprio solo un detto popolare pensò.
Eva di dormire poteva scordarselo.
Se durante la settimana le toccava alzarsi per andare a lavorare, la domenica le toccava alzarsi perché a Marta di starsene qualche ora in più a letto proprio non le passava per l’anticamera del cervello.
Men che mai quella domenica: le famiglie Cesaroni/Masetti avevano pensato di andare al mare.
Marta non stava più nella pelle.
Mare per lei voleva dire seconda casa, voleva dire Marco, voleva dire musica, voleva dire famiglia. Tutte cose che aveva imparato ad amare i primissimi anni della sua vita.
 
Togliere le scarpe, appoggiare i piedi sulla fredda sabbia, le aveva dato un brivido alla schiena.
Quanti ricordi aveva su quella spiaggia?
Marta correva felice incontro le onde, la sua risata contagiosa, quando Mimmo la sollevava facendola volare in alto perché l’onda non le bagnasse i piccoli piedini,  risuonava come una dolce musica alle orecchie della madre.
 
Nel pomeriggio erano stati raggiunti da Walter e Carlotta.
Erano rientrati a Roma il giorno prima.
Appena il lavoro di Walter alla Ducati lo permetteva i due piccioncini tornavano alla Garbatella.
La mancanza della famiglia, dei luoghi e dalla gente di Roma si faceva sentire prepotentemente e non importava in che parte del mondo fossero: loro tornavano a casa.
Mentre Carlotta ritrovò la sua amica di sempre, Walter rimase deluso di non poter trascorrere la giornata con il suo miglior amico.
Era cresciuto, il Masetti si era fatto uomo e da uomo aveva imparato che la vita non va sempre come ci si aspetta.
Lui e Marco da ragazzini avevano fatto progetti, avevano avuto sogni, ma pochi si erano avverati, tanti erano rimasti nel cassetto e chissà se mai li avrebbero realizzati.
 
Eva gli sedette accanto: Ti manca vero?
Walter la guardò, pur conoscendola da anni, si sorprendeva sempre del suo intuito.
Quella ragazza aveva la capacità di guardare una persona a cui voleva bene e capire cosa pensasse.
Walter sorrise: Mi spaventi lo sai? Ogni volta di più!!
Entrambi scoppiarono a ridere.
Walter passò il braccio attorno al collo di quella ragazza, a suo modo era stato innamorato di lei, rimasero così: amici per sempre.
 
Lucia osservava la figlia.
Dopo l’iniziale dolore per il no di Marco, l’aveva vista riprendere in mano la propria vita, cercare un lavoro, uscire con alcune amiche di Roma, fare la madre, uscire alle volte anche con alcuni uomini. I mesi passavano e lei pareva stare bene. Pareva.
 
Lucia osservava la figlia abbracciata a Walter.
In entrambi vedeva un pensiero triste.
Walter sentiva la mancanza del suo amico.
Eva di cosa sentiva la mancanza? Di  Marco come persona nella sua vita?
Di Marco come padre nella vita di Marta? O di Marco come amore con la A maiuscola?
 
Erano rimasti  fino al tramonto.
Tutti seduti sulla spiaggia in silenzio, solo Marta ogni tanto si lasciava sfuggire qualche esclamazione di stupore.
I tramonti visti dal mare erano ancora più belli di quelli visti dal tetto di casa pensava Eva mentre teneva stretta sua figlia a se.
Proprio quando il sole baciò il mare, entrambe di alzarono di scatto richiamando l’attenzione di tutti.
Tutti seduti, tutti con la testa rivolta a guardare madre e figlia che osservavano con occhi sbarrati un punto nel mare.
 
Lucia si alzò: Eva cosa succede?
Eva guardò la madre mentre Marta scoppiò a piangere.
Tutti ora si guardavano e nessuno capiva.
Eva prese in braccio Marta avviandosi alla macchina.
Cercò di calmare se stessa e la figlia.
Marta continuava a singhiozzare con la testa affondata nel collo di Eva.
Tra i singhiozzi Eva sentiva la figlia domandare: L’hai visto mamma, l’hai visto???
 
Si, l’aveva visto.
 
Per calmare Marta, Carlotta e Mimmo  si erano offerti di portarla al parco.
Ezio e Stefania avevano portato a casa Cesare, Pamela e Matilde mentre Lucia, Giulio, Walter ed Eva stavano scaricando la macchina dei Cesaroni.
 
Mentre scaricavano, Giulio sentì per l’ennesima volta squillare il telefono di casa. Da quando erano arrivati era la 5^ volta che lo sentiva suonare.
Decise di lasciare i 3 a finire e di correre a vedere chi li cercava così insistentemente.
Lucia e Walter davanti ad Eva stavano percorrendo la salita che portava alla casa. Avevano finito di  scaricare la macchina e Walter si burlava di Giulio dicendo a Lucia che aveva usato la scusa del telefono per non aiutarli.
 
Giulio era sulla porta di casa.
Quando lo videro Walter smise all’istante di parlare.
Giulio scese, traballando sulle gambe, i gradini di casa.
Lucia lo vide impallidire sempre di più.
Lui continuava ad avanzare e guardava dritto Eva.
Walter e Lucia non capivano cosa succedeva, ma entrambi sentivano che non era nulla di buono.
 
Giulio arrivò davanti ad Eva.
L’unica cosa che riuscì a dire fu: Lui….
Poi si aggrappò a quella figlia e scoppiò a piangere.
Eva lo tenne stretto mentre lacrime rigavano anche il suo di volto. 

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Capitolo 4
*** ANCORA LUI ***


Erano tutti sconvolti.
Walter era corso a casa a preparare la valigia disfatta il giorno prima.
Lucia stava preparando quella di Giulio, mentre Eva in soffitta cercava di far entrare nella sua di valigia più roba possibile.
 
Marta seduta per terra guardava la madre andare avanti indietro dall’armadio al letto.
 
Mamma???!!!???
 
Eva si fermò, guardò gli occhi, rossi dal pianto, della figlia e si sedette per terra di fronte a lei. Aveva imparato nei vari corsi che aveva fatto che bisognava sempre mettersi alla stessa altezza dei bambini perché loro potessero sentirsi capiti e per capire.
 
Le prese le mani ed aspettò che Marta parlasse.
La piccola tirò su col naso: Mamma, il babbo è morto? E’ per quello che è venuto a salutarci in spiaggia???
 
Eva accolse la figlia tra le sue braccia, mentre Marta ricominciava a piangere, lei la tenne stretta e la cullò: No Marta, il babbo non sta bene, ma è vivo.
 
Marta sempre piangendo: Ma era sulla spiaggia mamma, l’hai visto anche tu, solo i fantasmi possono fare così.
 
Eva annuì: si, l’ho visto anche io Marta, ma ti dico che è vivo.
La bambina la guardò: Promettimi mamma che me lo riporti a casa.
E tirò nuovamente su con il naso.
Eva continuò a cullarla: Lo prometto.
 
Marta si era addormentata finalmente.
Mimmo aveva deciso di dormire con la nipote, Eva avrebbe dormito nella sua vecchia stanza per quella notte. Avevano l’aereo presto il mattino dopo, quindi era meglio non dormire con lei per non svegliarla.
 
Era scesa in salotto dove ormai tutta la famiglia era radunata.
Giulio stava raccontando per l’ennesima volta quello che Maya le aveva detto al telefono.
Marco aveva avuto un incidente in moto quella sera rientrando a casa.
Al momento era in coma farmacologico all’ospedale della famiglia reale, era seguito dai migliori medici di Lussemburgo, ma  non si erano ancora sbilanciati sulle sue reali condizioni.
Eva aveva la nausea di sentirlo raccontare, aveva bisogno di aria.
Uscì in giardino e si sedette sul dondolo.
Walter la raggiunse.
Si mise vicino a lei.
 
Eva appoggiò la testa sulla sua spalla:  Ho promesso a Marta di riportarlo a casa da lei, solo ora mi rendo conto di aver promesso l’impossibile.
Walter le prese la mano: Farò di tutto per aiutarti,  a costo di dargli una botta in testa per caricarlo sull’aereo.
 
L’assurdità delle parole  di Walter li fece scoppiare a ridere.
Il suo amico era in coma e lui pensava di dargli una botta in testa per riportarlo a Roma.
Solo Walter aveva sempre le parole giuste al momento giusto.

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Capitolo 5
*** ANCORA NOI ***


Erano in macchina diretti all’aeroporto.        

Lucia guidava.
Giulio seduto vicino appoggiava la mano di uomo forte su quella di lei.
Avevano dormito tutta la notte stretti in un abbraccio.
La sua donna aveva cercato di rassicurarlo tenendolo stretto come si fa con un bambino.

 

Eva e Walter seduti dietro, erano persi ognuno nei propri pensieri.
La ragazza guardava fuori dal finestrino.  
Avrebbe voluto vedere il sole apparire timido, ma a Roma il sole tramontava non sorgeva.
In quel giorno avrebbe pagato qualunque cifra per vedere nascere ogni cosa e non tramontare.

Walter ogni tanto si girava a guardarla, avrebbe voluto farlo di nascosto, ma si ritrovava a fissarla.
Sapeva che lei non si sarebbe accorta di nulla, presa com'era dai pensieri che le agitavano l’anima.
Spesso si domandava perché i suoi due migliori amici dovevano sempre complicare le cose più semplici.
Quante volte si erano lasciati e poi ripresi in quegli anni?
Quante volte li aveva visti escogitare cose assurde per potersi ritrovare?
Quante volte?? Infinite, ma questa le batteva veramente tutte.
Avrebbe fatto un discorsetto al bel Cesaroni. 
Non importava fosse in coma, anzi meglio, non avrebbe potuto replicare.
Lo avrebbe guardato dritto negli occhi chiusi e gli avrebbe detto: 
- Ma se la volevi vedere dovevi proprio andare a sbattere contro una macchina e per di più in moto???? -
Si, gli avrebbe detto proprio così.
Walter sapeva che tutto quel pasticcio era capitato perché i suoi due migliori amici erano destinati a stare insieme.
L’unica cosa che lo preoccupava era il fatto che questa volta avrebbe potuto essere l’ultima loro occasione.

Atterrati a Lussemburgo avevano trovato ad attenderli l’autista della famiglia reale.

Visto gli orari rigidi del reparto di terapia intensiva dell’ospedale, l’autista aveva prima accompagnato i tre in albergo.
Giulio su questo era stato irremovibile con Maya: non aveva intenzione di alloggiare a palazzo.
Lui aveva bisogno di sentirsi libero in quella circostanza e alla reggia non lo sarebbe stato.

Maya aveva capito ed era stata tanto gentile da prenotare per loro un albergo.
Era 
abbastanza vicino all’ospedale, sarebbero stati liberi di andare e venire a piacimento. 
Giulio aveva apprezzato il gesto della ragazza che amava suo figlio.

- Ci siamo – disse l’uomo ai due ragazzi.
Erano davanti alle porte scorrevoli dell’ospedale. 
Le porte continuavano ad aprirsi e chiudersi, ma loro rimanevano fermi li davanti.
Tutti quelli che entravano ed uscivano li osservavano, ma a loro poco importava.
Stavano cercando dentro di se la forza giusta per andare incontro a quel letto di ospedale.

Le porte si aprirono ancora una volta.

Maya li stava guardando dall’androne. 
Non vedendoli arrivare era scesa per aspettarli all’ingresso. 
Li aveva trovati ancora fuori a guardare le grandi porte.

Quando li aveva visti aveva avuto un mancamento: non aveva capito che ci sarebbe stata anche Eva. 
Vederla  le mise agitazione.
Poteva capire la presenza di Walter, ma perché era venuta anche lei? Perché?

Eva la stava scrutando. 
L’aveva vista sorgere in mezzo alla folla. 
Le leggeva in volto la preoccupazione per Marco.
Quando i loro sguardi si erano incrociati, l’aveva vista impallidire ancora di più.
Aveva pensato stesse per svenire, era stato un attimo.

Si stava avvicinando e Giulio le stava andando incontro.
La vide abbracciare il padre del suo uomo. 
La vide stringere la mano a Walter.
La sentì dire: - Ciao Eva. -
Il tutto senza mai staccare gli occhi dai suoi.

- Ci siamo – pensò Eva – eccoci qui, ancora noi.-

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Capitolo 6
*** MARCO ***


I dottori avevano parlato tanto.
Loro poco avevano capito.
Tanti paroloni, ma alla fine cosa avevano detto: non sapevano se si sarebbe svegliato e se lo faceva non sapevano che danni poteva riportare.

Quando erano entrati nella stanza di Marco, la prima cosa che Eva aveva notato era il grigiore di quella stanza: sembrava la soffitta di casa prima che lei e Marta ci mettessero mano.
Lei proprio a varcare quella soglia non c’era riuscita.
Era rimasta sulla porta, lo vedeva steso in quel letto e non riusciva ad avvicinarsi: quel grigiore la stava soffocando.

Walter la guardò.  – Eva, stai bene??? –
- Devo prendere una boccata d’aria – disse lei allontanandosi.
Scese nel giardino dell’ospedale e si mise seduta su una panchina.
- Ha fatto effetto anche a me la prima volta che dovevo entrare –
disse Maya sedendole accanto.
Si guardarono.
- Non avevo capito saresti venuta anche tu – disse la principessa alla giornalista.
- Sono qui per il padre di mia figlia – disse Eva – Marta è molto preoccupata –
- Certo – disse Maya alzandosi  - che altro motivo potrebbe esserci? – si allontanò tornando da dove era venuta.

 

Giulio teneva la mano di Marco e gli parlava.
Walter guardava fuori dalla finestra ed ogni tanto una mano saliva al viso.
Eva era convinta si asciugasse qualche lacrima.
Lei li osservava dalla grande vetrata che dava vita al corridoio da cui poi nascevano tante stanze: una per ogni paziente.
- Bisogna sperare – le disse un’infermiera alle sue spalle
- Loro capiscono,  ci sentono anche se sembrano addormentati. 
Non possono risponderci, ma percepiscono il mondo attorno.
E’ importante parlargli, raccontargli di noi, di cosa capita.
Ricordargli chi sono, chi siamo, chi li aspetta a casa. Serve a mantenere un contatto –
La ragazza le sorrise e si allontanò.

Era finito l’orario di visita e dovettero andarsene.
Camminarono a lungo.
Non avevano voglia di rientrare in Hotel anche se visibilmente stanchi.
Eva si scusò con Giulio per non essere entrata in stanza.
L’uomo le disse di non preoccuparsi, lo avrebbe fatto al momento giusto, lui di quello ne era sicuro.

Quella notte Eva non dormì.
Dalla valigia tirò fuori alcune fotografie di Marta; il vecchio taccuino dove Marco annotava pensieri e parole per le canzoni che dovevano nascere, lo aveva trovato in soffitta un giorno per caso.
Sfogliandolo vide cadere qualcosa.
Erano le fotografie scattate alla macchinetta la sera del loro primo bacio.
Ti amo da sempre. Leggere quelle parole la fece sorridere: erano un bel ricordo.

 

Quando tutti ancora dormivano, Eva si vesti e si diresse da sola verso quella stanza grigia.
Aveva con se le fotografie, il taccuino ed altre cose: basta con quel grigio.
Sapeva che l’orario non era quello giusto, ma ci doveva provare lo stesso.
Si intrufolò furtivamente aspettando l’uscita di un’infermiera del reparto.
Qualcuno dall’alto la stava aiutando pensò quando riuscì a bloccare la porta prima che si richiudesse.

In corridoio si trovò faccia a faccia con l’infermiera che la sera prima le aveva parlato. 
– Ecco io… - cercò di inventarsi in fretta una scusa prima che la sbattesse fuori
- Credo ti stia aspettando, credo abbia capito che tu sei qui. Lo vedo meno grigio… - 
L’infermiera la superò diretta verso un’altra stanza.
Eva tremava, non poteva essere, non poteva essere punto e basta.

Prese un respiro profondo e si avvicinò all’uomo steso in quel letto.
Marco dormiva.
Aveva un piccolo ematoma sulla parte sinistra del volto, si estendeva fin dietro l’orecchio.
Eva appese le foto di Marta su una grande lampada che stava proprio sopra di lui,
se avesse aperto gli occhi la prima cosa che avrebbe visto sarebbe stata sua figlia.

Gli sfiorò una mano
- Ciao Marco – disse appoggiando l’mp3 sul petto dell’uomo.
Si sedette sul letto accanto a lui.
Mise un auricolare all’orecchio di lui ed uno lo sistemò al suo di orecchio.
Scelse la canzone e schiaccio play.
- Sono venuta per riportarti a casa da Marta – gli sussurrò all’orecchio dandogli poi un bacio in fronte.

Rimasero così per ore.
Ad ogni cambio canzone gli sussurrava qualcosa all’orecchio.
Nessuno osò disturbarli.
Tutti potevano vedere che quella stanza non era più così grigia.

Quando Maya arrivò, trovò Walter e Giulio in camera con Marco, di Eva nessuna traccia.
Solo le foto di Marta erano segno tangibile che la donna era stata li.

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Capitolo 7
*** RISVEGLIARSI AL BUIO ***


Era passata una settimana.

Tutti i giorni Eva andava in ospedale prima degli altri.

Raccontava a Marco di Marta, della Roma, della famiglia, di Rudi ed Alice che aveva beccato in atteggiamenti amorosi, gli stessi che avevano avuto loro due. Gli leggeva parti di pensieri e parole che lui aveva annotato sulle pagine che lei aveva ritrovato, gli faceva ascoltare le canzoni che lui aveva composto e quelle degli artisti che più amava.

Andava via sempre in tempo.

Nessuno mai l’aveva sorpresa in quella stanza.

Era certa che sia Giulio che Maya ne avessero il sospetto.

Era certa che Walter invece lo sapesse.

 

Anche quella mattina Eva era seduta sul letto di Marco a leggere.

- Ho sete – disse il ragazzo.

Eva si alzò, andò al tavolino in fondo alla stanza e dopo aver riempito il bicchiere si rese conto di cosa stava succedendo.

Si girò verso il letto.

Marco era lì, semi seduto grazie allo schienale del letto che lei aveva sollevato quando era arrivata.

Aveva gli occhi aperti. Li sbatteva cercando di mettere a fuoco il mondo intorno a loro.

Eva fece cadere il bicchiere per terra.

L’infermiera che passava di lì, entrò in stanza chiedendole cosa fosse accaduto, l’unica cosa che la ragazza riuscì a fare fu di indicare il letto.

All’improvviso la stanza si riempì di medici ed infermieri.

Lei venne fatta uscire e la  pregarono di avvisare gli altri.

Come poteva??? Come sarebbe riuscita a parlare???

Andò giù nel giardino e rimase seduta su una panchina per un tempo che le parve infinito.

 

Giulio, Walter e Maya stavano attraversando l’androne quando Giulio notò dalle vetrate la ragazza.

Un tuffo al cuore si impadronì dell’uomo: fino ad allora Eva non li aveva mai aspettati.

Anche Maya e Walter si accorsero di Eva e si guardarono impallidendo.

-Eva?!?- disse Giulio raggiungendo la ragazza –Eva?!?- la chiamò nuovamente.

Eva si girò a guardare quel padre che lei aveva imparato ad amare come se fosse anche suo.

Alcune lacrime scivolarono dai suoi occhi, Giulio deglutì.

Eva cercò di parlare, ma non ci riuscì, Giulio deglutì nuovamente mentre Walter e Maya erano come impietriti.

- Si è svegliato – disse Eva con un filo di voce – Si è svegliato – ripeté cercando di emettere un suono più forte.

Giulio scoppiò a piangere, l’abbracciò. 

Abbracciò tutti e corse su da suo figlio. Walter lo seguì.

Maya si sedette vicino ad Eva e rimasero così: due donne innamorate dello stesso uomo sedute sulla stessa panchina.

 

I dottori spiegarono che in quell’ultima settimana avevano diminuito di giorno in giorno i farmaci che tenevano Marco in coma.

Avevano bisogno di sapere come il ragazzo reagiva e lo potevano fare solo in quel modo. Non avevano detto nulla ai famigliari per non illuderli di un risveglio che nemmeno loro sapevano se ci sarebbe stato.

 

Eva e Maya erano in corridoio, guardavano Walter fare il giullare, Giulio piangere e ogni tanto baciare Marco in fronte o dove capitava e Marco portarsi la mano alla testa come si fa quando si ha dolore.

Giulio vide le ragazze fuori ed uscì a prenderle.

Le  fece entrare e quando Marco le guardò, vide il buio negli occhi di suo figlio.

- Marco?? -  disse il padre – non dici niente? Non le saluti??-

Marco guardava il padre e guardava quelle due donne.

Nella sua mente solo una domanda si affacciava: chi erano???

-Buongiorno- disse il ragazzo in evidente imbarazzo

Maya corse da lui, fece per abbracciarlo e baciarlo, ma lo vide irrigidirsi e tirarsi indietro sprofondando ancora più nel letto.

- Marco sono io, Maya - disse la ragazza preoccupata

- Maya??? - disse Marco – Ci conosciamo? –

Maya indietreggiò impallidendo.

Marco guardò suo padre implorando con gli occhi aiuto.

- Tranquilla Maya – disse Giulio – i medici hanno detto che è normale che abbia momenti di black-out.-

- Si certo – rispose lei sedendosi sulla poltrona in fondo alla stanza.

Giulio guardò Eva.

- Ciao Marco – disse Eva avvicinandosi al letto

Marco la guardava, non sapeva perché, ma quella voce lo tranquillizzava

- Ciao – disse abbozzando un mezzo sorriso timido – ci conosciamo???- chiese lui abbassando lo sguardo.

Quegli occhi parevano trapassargli l’anima e lui non era abituato ad essere osservato, di solito era lui l’osservatore.

- Si – rispose Eva cercando di non urlare – sono Eva –

Marco la guardò, ma i suoi occhi rimasero vuoti, nessun ricordo si affacciò.

- Si – continuò lei – tuo padre ha sposato mia madre Lucia. Sono la figlia più grande e poi c’è Alice, ha la stessa età di tuo fratello Rudy –

Marco la guardava ed ad ogni parola impallidiva.

-Papà?? – disse guardando suo padre con il terrore negli occhi – Ti sei risposato???-

Calò un velo di silenzio accompagnato dal gelo.

Tutti si guardarono e capirono che forse il black-out descritto dai medici era qualcosa di più grave.

 

Marco passò buona parte della notte a guardare le fotografie appese alla lampada sopra di lui.

Erano di una bambina, assomigliava molto a sua madre Marta.

Chissà, forse suo padre le aveva appese per fare in modo che la madre lo proteggesse.

Si sentiva stanco anche se in realtà aveva sempre dormito in tutti quei giorni: in fondo il coma è dormire profondamente pensò.

 

Ormai era quasi mattina, vedeva in lontananza qualche raggio di sole .

Cosa ci faceva a Lussemburgo? Come mai non era a Roma con la sua famiglia? Si era allontanato a causa del matrimonio del padre? Non aveva approvato che si fosse risposato?

Queste le domande che lo avevano tenuto sveglio l’altra parte della notte in cui non aveva fissato le fotografie.

Era stufo di stare a letto.

Si sentiva inquieto, come se fosse sulle spine, come se stesse aspettando qualcuno o qualcosa.

Decise di sgranchirsi le gambe e di andare in bagno.

La sera prima si era fatto togliere il catetere anche se gli infermieri non erano d’accordo, ma lui era stato irremovibile ed aveva fatto ridere tutti affermando che non voleva nulla che entrasse nei suoi gioielli di famiglia.

Aveva fatto qualche passo verso la porta del bagno quando si bloccò.

Rimase così, non riusciva né ad avanzare né a girarsi.

Perché il cuore gli batteva così forte?

- Dove credi di andare Cesaroni??? – disse una voce alle sue spalle

Marco si girò lentamente.

La ragazza che aveva conosciuto la sera prima era lì, se non ricordava male si chiamava Eva.

La ragazza si avvicinò e ripeté la domanda.

- Io… io…. – deglutì il ragazzo davanti a lei.

Eva non riuscì a non sorridere.

Marco si sentiva imbambolato, non riusciva a muovere nessuna parte del suo corpo.

Lei lo prese sotto braccio e lo accompagnò dove credeva stesse andando

- Non devi alzarti da solo – disse sgridandolo bonariamente

 – Hai sentito i dottori, dopo tanti giorni di letto devi alzarti con cautela –

Marco continuava a guardarla come se fosse la prima volta che la vedeva e questo la agitava.

- Non vorrai stare in bagno con me spero – disse finalmente l’ammalato cercando di tornare padrone di se stesso

Eva rispose di no, anche se era abituata a condividere il bagno con lui, non ci teneva a godersi lo spettacolo. A casa di solito  sentiva solo rumori ed odori. Entrambi scoppiarono a ridere

- Ti aspetto fuori dalla porta così sento se ti sfracelli al suolo – disse Eva accostando la porta del bagno e rimanendo appoggiata al muro.

 

Marco era tornato a letto, effettivamente qualche capogiro si era presentato e forse era meglio al momento non cadere.

Mentre Eva sistemava un po’ la stanza, Marco continuava a guardare le foto di sua figlia.

- E’ Marta vero? – chiese ad Eva

- Si, ti ricordi di lei? – chiese Eva speranzosa

- Certo – sorrise Marco – come puoi pensare che non mi ricordi di mia madre? –

Marco vide delusione negli occhi di Eva e la guardò interrogativo

- Si, è Marta, ma è …. – stava per dire nostra figlia, ma si fermò – è mia figlia – disse

Marco rimase sorpreso, tornò a guardare le foto, ne staccò una e tenne in mano continuando a fissarla.

- Sei sposata? – continuò a chiederle sempre guardando la foto.

- No – Eva si avvicinò al letto e si mise seduta accanto a lui.

- Assomiglia in modo incredibile a mia madre – spostò il suo sguardo dalla foto ad Eva.

Sospirò, appoggiò la testa sul cuscino e chiuse gli occhi.

Perché la sua sorellastra aveva una figlia che assomigliava e si chiamava come sua madre?

Gli pareva di avere la risposta sulla punta della lingua, ma non sapeva rispondere.

Eva lo guardava, non sapeva come fare.

Le era sembrato giusto non mettere troppa carne al fuoco, infondo sembrava che lui avesse rimosso tutto quello che riguardava la sua vita degli ultimi anni.

Forse era bene che se ne riappropriasse poco alla volta.

- Mi sembra di essermi risvegliato al buio – disse Marco riaprendo gli occhi.

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Capitolo 8
*** Chi sono??? ***


Nelle settimane a venire, Marco ebbe la sensazione di esser un topo di laboratorio.

I medici lo sottoposero ad infiniti esami, test e chi più ne ha più ne metta.

Avevano stabilito che il ragazzo aveva una perdita di memoria sugli ultimi anni della sua vita. Ricordava perfettamente avvenimenti di molti anni prima, ma gli ultimi 7 anni erano come scomparsi, volatilizzati nei meandri del suo cervello.

Fisicamente stava bene, non aveva riportato traumi quindi poteva tornare a casa.

Ecco il pensiero che lo tormentò nelle ultime notti passate in ospedale.

Quale era la sua casa?

Maya gli aveva raccontato di essere la sua ragazza, di essere la principessa del Lussemburgo e che erano alcuni mesi che convivevano nel suo paese.

Ovviamente la ragazza era stata molto attenta a non parlare di Eva, di Marta e di quello che erano state per Marco.

Gli aveva fatto vedere le loro foto, gli aveva fatto leggere le lettere che lui le aveva scritto, i messaggini che le  lasciava sparsi per casa.

Marco aveva ascoltato il tutto privo di emozioni, privo di ricordi.

Ora guardava il soffitto di quella stanza di ospedale e pensava che si sentiva più a casa in quella stanza che altrove.

Prese la foto che Eva gli aveva lasciato di Marta.

La ragazza era ripartita qualche giorno prima.

Doveva tornare da sua figlia, così gli aveva detto. Marco era stato sul punto di dirle: vengo anche io, ma non l’aveva fatto.

Come al suo solito aveva abbassato lo sguardo ed aveva risposto qualcosa di banale che manco ricordava.

Il giorno dopo la partenza di Eva, Marco aveva parlato con il padre.

Non che il loro rapporto fosse basato sulle confidenze, a parte cose eccezionali, ma in quella situazione era forse l’unico, a parte Walter con cui sapeva di poter parlare.

 

- Sai pa, mi è mancata oggi la visita di Eva alle prime luci del giorno. Anche se non mi ricordo nulla di lei, mi sembra di conoscerla da sempre. –

Detto questo tornò a guardare la foto di Marta.

Giulio osservava il figlio cercare di uscire da quel buio, i dottori si erano raccomandati di andare per gradi e di non forzare la memoria del ragazzo per non provocare danni maggiori.

- Beh sai Marco, tu ed Eva siete molto uniti. Avete un legame molto forte – disse il padre sedendosi accanto al figlio – Diciamo che vi siete capiti da subito.-

- Sua figlia assomiglia molto a mamma non trovi?- Marco non riusciva a smettere di guardare la foto di Marta

- Dov’è il padre? – chiese d’improvviso

Giulio si alzò e tornò a sistemare il borsone che Maya aveva portato da casa con gli effetti personali del figlio.

- Beh ecco, è una situazione particolare. – cercò di cavarsela Giulio

- Perché non vive con loro? Come ha fatto a lasciare sua figlia? Come ha fatto a lasciare una ragazza come Eva? – incalzò Marco

- Perché non l’amava più – disse Maya entrando in stanza

Giulio e Marco la guardarono.

- Beh ecco è un po’ più complicato di così.. – rispose Giulio serafico.

Marco notò il cambiamento di umore del padre, qualcosa diceva a Marco che tutto era molto strano.

- Lo difendi pa? – chiese Marco al padre – Eva e Marta devono aver sofferto molto, come fai a difendere la persona che ha fatto loro del male??-

Giulio guardò suo figlio dritto negli occhi.

- Anche lui ha sofferto e tanto. Sono sicuro che andarsene per lui non è stato facile, ma la vita alle volte ci obbliga a fare delle scelte. Lui vuole molto bene sia a Marta che ad Eva, ed anche se ora non è con loro, sono certo che per loro ci sarà sempre. – detto questo guardò Maya come a sfidarla a ribattere.

- Certo, sicuramente hai ragione Giulio, ma ciò non toglie che lui s’è né andato perché non amava più Eva. –

Detto ciò Maya si avvicinò al suo uomo e lo baciò.

Marco rimase impassibile , lui che scriveva e viveva di emozioni  non provò nulla.

 

Seduto nel giardino della reggia della sua fidanzata, Marco ricordava la conversazione avuta con il padre qualche giorno prima.

Perché suo padre giustificava l’ex di Eva?

Conosceva suo padre.

Si domandava perché non avesse ingaggiato Ezio e zio Cesare per andare a prendere a sberle quel damerino, sentiva che qualcosa gli sfuggiva, ma non ricordava cosa.

Il non ricordare nulla degli ultimi anni lo stava mettendo a dura prova, si sentiva stressato, demoralizzato e depresso.

Suo padre e Walter erano tornati a Roma, lui era rimasto lì, ma si sentiva fuori luogo in tutto.

Maya era gentile, era anche una bella ragazza, ma lui si sentiva arido dentro.

Una sera la ragazza gli si era avvicinata, aveva iniziato a sfiorarlo e a baciarlo. Da principio lui aveva pensato: beh, conviviamo!! ed era stato sul punto di provare a lasciarsi andare e vedere  cosa succedeva.

D’un tratto però il cuore si era fatto strada superando tutti gli ostacoli, ed il cervello che in quel momento risiedeva nei suoi “gioielli di famiglia” si era visto costretto a fare dietrofront.

Sapeva che Maya ci era rimasta male, ma davvero non era riuscito a mettere in secondo piano il suo essere foscoliano.

- Foscolo???- Marco si chiese da dove gli era venuto quel pensiero.

- Parli da solo? – chiese Maya alle sue spalle.

Si sedette vicino al suo uomo ed aspettò la risposta.

- Beh se parlare tra me e me è sinonimo di parlare da solo allora si – abbozzò un sorriso – Continuo a vedermi e a definirmi un foscoliano, mi chiedevo da dove ho preso questa definizione, tutto qui –

Maya sospirò.

Cercava di far ricordare al suo uomo momenti di loro, ma lui se ne usciva sempre con ricordi sfuocati che lo riconducevano ad Eva.

- Credo sia stata Eva a definirti così – disse ormai rassegnata – se non sbaglio mi raccontasti che lo fece durante gli anni del liceo descrivendoti ad un professoressa –

- Davvero??? –  rispose il ragazzo sorpreso, ma non troppo.

- Come se non lo sapessi – rise istericamente Maya

– Certo non te lo ricordi, ma sicuramente dentro lo sai – si alzò.

- Maya aspetta – la bloccò Marco – lo so che è difficile anche per te, mi ricordo chi ero, ma non so chi sono diventato. Giro per questo immenso palazzo ed il buio non diventa luce. Vedo gli sforzi che fai per aiutarmi, vedo la frustrazione nei tuoi occhi quando non ricordo pezzi di noi.  Credo di aver capito che se non ricordo chi sono, difficilmente ricorderò chi siamo. –

Aveva cercato di essere sincero, senza farle troppo male.

- Vuoi tornare a Roma vero? – disse lei abbracciandolo.

- Ho bisogno di tornarci capisci? Ho bisogno di tornare a casa mia per ritrovare la strada che mi ha portato a te-

- E se ti accorgi che quella strada non ti porta da me, ma altrove?- Chiese Maya guardandolo negli occhi.

- Perché dovrebbe portarmi altrove? Ci amiamo giusto? Stiamo insieme da mesi, dove mai potrebbe portarmi Roma? – chiese Marco perplesso

Maya non rispose e tornò ad abbracciarlo, ma avrebbe tanto voluto urlare: da lei.

 

Era atterrato.

Non aveva detto nulla ai suoi,  o meglio aveva detto loro che sarebbe arrivato in giornata, ma non quando.

Quando uscì dall’aeroporto, l’aria di Roma lo investì.

Rise pensando che lo smog della città gli era mancato.

Stava assaporando la sua città, quando si sentì letteralmente investito da un tornado.

Tutti lo stavano abbracciando.

Non avevano potuto fare a meno di telefonare a Maya costringendola a rivelare l’ora di arrivo del volo.

Lucia era stata la più determinata: doveva preparargli tutti i suoi piatti preferiti per vedere se almeno quelli se li ricordava.

Le donne erano rimaste a casa a preparare il pranzo, a prenderlo erano venuti tutti gli uomini.

Zio Cesare non faceva altro che piangere e baciarlo.

Ezio continuava a chiedergli se si ricordava di essere romanista e non laziale.

Mimmo e Rudi lo abbracciavano e chiedevano se si ricordava dello scopettone del bagno di casa Cesaroni.

Marco si guardò un po’ in giro, ma non la vide.

- Non c’è – disse Walter abbracciandolo – è inutile che la cerchi. Ti aspetta a casa con Marta –

Come faceva Walter a sapere che lui stava cercando Eva nel marasma di quelle braccia che lo abbracciavano?

- Io vi conosco – disse Walter all’amico di sempre – Tu non ti ricordi, ma io si –

Salirono in macchina e si avviarono alla Garbatella.

Quando scese dalla macchina e vide il vecchio cancello di casa una lacrima lo colse impreparato.

Giulio aveva preso il borsone dal bagagliaio.

-Vieni Marcolì, vieni a casa – disse il padre con voce roca

- Arrivo – qualcosa gli impediva di muoversi.

Era bloccato come quella volta in ospedale quando si era alzato per la prima volta dal letto.

Il cuore gli batteva forte.

Alzò lo sguardo verso la grande casa.

Là, alla finestra del corridoio due occhi lo stavano guardando.

Si sentì nuovamente messo a nudo da quello sguardo.

Alzò una mano ed abbozzò un cenno di saluto.

Eva gli sorrise ed appoggiò la mano al vetro.

Marco capì che non solo doveva capire chi era lui, chi erano lui e Maya.

Aveva la sensazione di dover scoprire anche chi erano lui ed Eva.

Riuscì finalmente a muoversi e si avviò verso casa.

- Andiamo a scoprire chi sono – disse chiudendo dietro di se il vecchio cancello.

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