Prendetemi a sprangate sulle gengive.

di Cocomero_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Jovanotti ***
Capitolo 2: *** Compleanno ***
Capitolo 3: *** Venticello, sole di fine inverno, sonno tremendo. ***
Capitolo 4: *** Tutto Subito ***
Capitolo 5: *** La Fine ***



Capitolo 1
*** Jovanotti ***


E poi tu sparisci e io sparisco, non ci sentiamo per un intero weekend.

Dopo una settimana passata ad ascoltare Jovanotti sull’autobus tu sparisci e io sparisco; che poi a te neanche piace Jovanotti, prima dell’estate conoscevi solo “Mario” ma non per altro, solo perché se la politica entra in qualcosa tu la conosci. Adesso canticchi continuamente “Piove”, non la versione originale, quella più veloce di non so che concerto in America, canticchi “Piove” tutto il giorno infilandoci in mezzo anche la parte strumentale, ma non sai che è una delle mie preferite, sai che amo il cantante, non che “Piove” è una delle mie preferite…

Dicevo, sai quando ormai il cielo è buio perché stiamo ormai a fine ottobre, quando siamo solo io e te a dover prendere l’autobus per tornare a casa tra tutti gli amici, quando alla fermata non c’è nessuno e passa per primo il pulman che ci mette di meno? Ecco, quello è uno dei momenti che preferisco di tutta la giornata. Magari è anche uno di quelli a due piani e saliamo sempre sopra perché io sono capricciosa e te sei un bambino che non vedeva l’ora; i posti ovviamente sono quelli davanti, anche se potremo metterci dove ci pare visto che siamo soli, potremo sdraiarci su cinque sedili, invece ci sediamo vicini in quegli scomodi posti stretti, lo facciamo non perché i gomiti sul appoggiabraccio si toccano né perché se accavalliamo le gambe sfioriamo con il piede il polpaccio dell’altro, lo facciamo perché dopo cinque secondi che siamo seduti te tiri fuori il tuo iPod verde, dopo dieci secondi sei riuscito a districare il filo, arrivati a  dodici mi porgi una cuffietta mormorando “Ok, Jovanotti” non te l’ho chiesto, io ascolto un po’ di tutto, ma te metti sempre quel concerto, forse ormai un po’ piace anche a te.

Quindi parte “Piove” velocizzata, “Bella” più calma e “Mi fido ti te” praticamente identica, io so le parole, tutte, a memoria, e le canticchio a mezza voce, te ne conosci alcune, una frase spezzata e i ritornelli, quelli si; quando arriva il punto in cui chiede al dottore i sintomi della felicità non riesco a non chiedermelo anche io, ma poi, in fondo, la felicità è una malattia? Se si cura, prima o poi finisce?

“DOTTORE CHE SINTOMI HA LA FELICITA’” l’ho scritto in stampatello maiuscolo sul bordo dello schienale della sedia davanti al banco, l’inchiostro nero sul giallognolo del finto legno, adesso che ci penso credo di essermi scordata il punto interrogativo. E dopo tre giorni te ne sei accorto, me lo hai indicato sorridendo e mi hai chiesto se avevo visto quella scritta, si, ti ho dato del cretino e ti ho informato del fatto che eravamo seduti vicino il giorno in cui l’ho messa lì, hai ridacchiato contento per mezz’ora.

E poi tu sparisci e io sparisco, non ci sentiamo per un intero weekend.

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Capitolo 2
*** Compleanno ***


E poi tu mi vizi e io mi faccio viziare, non riesco a non pensarci.

Io odio il mio compleanno, lo sanno tutti, se poi capita il giorno prima di un esonero non è consigliabile neanche farmi gli auguri; è presto, sono sola, mi sono trovata una panchina ben nascosta tra le macchinette e una porta di uscita, il giusto equilibrio tra nicotina e caffeina, peccato che in una mano ho il quaderno da studiare e nell’altra il cellulare per rispondere ai messaggi, mi chiami e mi chiedi dove sono, “Alle macchinette sotto” rispondo “Arrivo” mi informi e chiudi la chiamata.

Pechè alle ore nove di mattina sei all’università? Non ha senso, tra l’altro io sono venuta a posta per non vedere nessuno, ho l’angoscia per l’esonero e odio il mio compleanno, tutti si aspettano che tu sia felice, ma io non lo sono, è solo un giorno in cui l’attenzione è concentrata su di me e io odio l’attenzione concentrata su di me.

Non è giusto, io odio il mio compleanno, lo sanno tutti, non puoi farmi cambiare idea, non puoi porgermi un sacchetto bianco da forno con dentro quattro biscotti di pastafrolla e nutella per fare colazione insieme. Non puoi, non te lo permetto, non puoi essere vestito in quel modo tremendamente figo e avere ancora il segno del cuscino stampato sulla guancia, non puoi, non te lo permetto. E il caffè alle macchinette è ancora più schifoso del solito, ma sinceramente non ci importa perché i biscotti sono buonissimi.

L’università è praticamente vuota, quei pochi che si sono riusciti a svegliare stanno a lezione o chiusi in biblioteca con l’ansia dello studio, siamo gli unici in quel cortiletto, sigaretta in mano, caffè nell’altra e bustina bianca da forno in mezzo tra noi seduti sul muretto, sono lenta a masticare, me li voglio gustare, non riesco a crederci, mi hai portato i biscotti il giorno del mio compleanno, con la nutella…

I tuoi li hai finiti in un boccone, letteralmente e, mentre io tento di prolungare il più possibile il piacere del caffè, della sigaretta e dei dolcetti tutti insieme, mi prendi il quaderno dalle gambe iniziando a sfogliarlo, “Le sai già tutte queste cose?”, scuoto la testa in silenzio, anche perché ora come ora l’unica cosa che so è che mi hai portato i biscotti il giorno del mio compleanno, credo che d’ora in avanti odierò tutti quelli che non lo faranno, visto che mi hai fatto notare che è una possibile sorpresa. “Troviamo un tavolo che ti risento”, mi ordini senza lasciarmi possibilità di ribellione, ma sorridendomi divertito.

E poi tu mi vizi e io mi faccio viziare, non riesco a non pensarci.

E poi tu fai il cretino e io mi irrito, ci punzecchiamo per quattro giorni.

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Capitolo 3
*** Venticello, sole di fine inverno, sonno tremendo. ***


Venticello, sole di fine inverno, sonno tremendo.
 

Venticello, sole di fine inverno, sonno tremendo, lezione fino all’una.

Ti avrei voluto strozzare quando hai detto che saresti andato a mensa, non facciamo lezione insieme, concedimi almeno il pranzo!


Venticello, sole di fine inverno, sonno tremendo, prato con tanto di margherite.

Molti mi hanno guardato male quando mi sono sdraiata sulla giacca a pancia in sotto e ho incrociato le braccia sotto alla testa, altri invece mi hanno guardata invidiosi passando velocemente sul vialetto, io potevo, loro no!


Venticello, sole di fine inverno, sonno tremendo, pace dei sensi.

Svegliarmi facendomi prender un colpo non è un modo efficace per continuare a vivere, ho ucciso per molto meno, e dopo il salto ho alzato la testa, sapevo che eri te, ho riconosciuto le scarpe!


Venticello, sole di fine inverno, sonno tremendo, visuale perfetta.

"Caffè?" Mi hai chiesto.

Devo aver mugugnato qualcosa stropicciandomi l’occhio destro, perchè non ho dovuto neanche risponderti.

"Ti porto un caffè!" Hai continuato muovendoti leggermente.

"Davvero?" Ti ho chiesto perplessa.

"Si." Hai risposto con un’alzata di spalle.

"Grazie." Ho sorriso riappoggiandomi con la guancia sulla giacca usata come materasso.

"Macchiato tre di zucchero giusto?" Hai chiesto allontanandoti.

"Yess!" Ho risposto alzando un po’ la voce per farmi sentire e richiudendo gli occhi.


Venticello, sole di fine inverno, sonno tremendo, risveglio perfetto.

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Capitolo 4
*** Tutto Subito ***


Dopo quasi due anni potrei disegnarti a occhi chiusi, se sapessi disegnare.

Gli occhiali sulla punta del naso, l’indice che li tira su, il bacino stretto, le spalle più larghe di quella che potrebbe essere definita una giusta proporzione, le braccia muscolose, gli occhi piccoli e scuri, l’incisivo di destra leggermente più in fuori dell’altro, le labbra strane, la maglietta sgualcita, i jeans larghi.

Sono convinta, con un buon 98% di possibilità di avere ragione, di essere innamorata di te, l’innamoramento quello ingiustificato, con il cuore che batte e l’attenzione ai dettagli stupidi e insignificanti. Ho anche per la prima volta nella mia vita la sensazione di avere una possibilità, non frequenti nessuno, anzi, diciamo che frequenti solo me per lo studio, poi agosto è quasi finito e fra poche settimane riiniziano le lezioni, nessuna storia estiva strascicante, nessun sospiro per qualche bella romana.

Ma te sei un dio greco e io posso al massimo essere una delle muse sul vaso di Hercules, la prima da sinistra, quella tonda con il ciuffetto in testa; te parli con chiunque, io come minimo devo sapere il gruppo sanguigno di una persona prima di considerarla amica; te cammini dritto per i corridoi io ti trotterello dietro tentando, invano, di nascondermi.

Quindi permettimi di non capire subito cosa intendi quando mi dici: “Sono una persona che vuole tutto subito” ; permettimi di aver bisogno di sentirtelo dire per la seconda volta, con più o meno una settimana di distanza, prima di intuire che forse vuoi dirmi qualcosa. Permettimi di aver bisogno di due ore sdraiata sul divano dell’amica, che mi fa ormai da anni da psicologa, per arrivare alla conclusione che forse vogliamo tutti e due subito la stessa cosa; permettimi di giocare al tuo stesso gioco e, mentre aspettiamo i risultati dell’ultimo esame, lamentarmi sbuffando: “Odio aspettare, voglio tutto subito!”

Lo so che ti è arrivato il messaggio, hai sorriso divertito.

E poi sparisci di nuovo e torni solo quando dobbiamo ricominciare a studiare obbligandomi a prendere in mano dei libri: “Lo vuoi passare o no questo esame?” sbotti.

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Capitolo 5
*** La Fine ***


LA FINE

 
E poi mi sono persa.
E poi ti sei perso.
E poi ci siamo persi.

Dall’ultimo racconto ne è passata di acqua sotto ai ponti…lo studio, gli esami preparati insieme in balcone da te, il crepuscolo, la pizza comprata su justeat e la pasta scolata al volo, i tuoi periodi di silenzio, le donne usate per il sesso e lasciate in bilico pronte a essere ricontattate, amicizie nuove, gruppi di conoscenze che si allargano, restringono, ritornano, si mischiano, spariscono e cambiano, ma noi no, noi sempre in due.

Chiacchierate rubate tra una sigaretta e l’altra, mezzi chili di gelato con i gusti prestabiliti, il tuo, il mio e quello del padrone di casa, sensazioni contrastanti, pomeriggi non più da raccontare come romanzi, ma da vivere veramente.

Siamo cresciuti, 12 esami preparati in un anno…

Un anno in cui io ho scelto l’altro, l’amico di sempre, la sicurezza di essere amata, la sicurezza di amare, perché diciamocelo, tu da amare sei veramente difficile e io non sono brava, non sono brava a vivere con il dubbio di stare a chiedere troppo o che gli altri, l’altro, mi chieda troppo; ho quindi fatto la scelta migliore, ho scelto l’unico “lui” per cui sarei stata disposta a tutto, un misto di abitudine, fiducia e amore, si perché lo amo nonostante tutto, nonostante quello che saremmo potuti essere noi, un incendio di breve durata a parer mio.

E nella confusione di quei dodici esami non ci siamo accorti di niente, lo studio continuava, i pomeriggi passati insieme anche, le chiacchierate un po’ di meno…

E poi ho fatto la scelta che mi sembrava più giusta, a uno come te non potevo che servire su un piatto d’argento la mia migliore amica, il meglio per il meglio.

E passa l’estate, non ci sentiamo, ma io so tutto di te attraverso i suoi racconti, e probabilmente, allo stesso modo tu sai tutto di me.

Torna settembre, l’ultimo esame, giorni passati in simbiosi, e poi la tesi, pizze portate a casa da voi due, insieme, per me; e io non posso che essere la persona più felice del mondo, vi guardo e sono contenta, soddisfatta, giuro, neanche per un attimo ho mai pensato a noi, sicura della mia scelta, delle mie scelte.

E poi sarebbe stata una storia bellissima se non ci fossero stati i soliti intoppi che ci ricordano che non viviamo in un film: specialistiche diverse, studio separato, ma che importa, ormai siamo diventati amici, amici di quelli veri, che escono la sera e vanno a prendersi una birra, peccato per le corna, non mie, tue.

Ho tentato di farti passare un bel compleanno nonostante il bacio di troppo dato da lei, non a te, ti ho trascinato in giro per amici, prima gelato e poi pizza, hai messo in ballo tutto te stesso per quella storia, hai provato e sei stato il ragazzo che io avevo sempre sperato, ma purtroppo, dicevo, la vita non è un film, quindi anche se provi a perdonare, se il giorno della laurea lei è lì tra i tuoi, non i miei, invitati, l’amaro rimane sul fondo della gola.

Vi ho lasciato perdere, il dolore e la rabbia di una coppia non possono essere condivisi con gli altri, io ne sto fuori e spero veramente che riusciate a risolvere, perché mi piacete, potreste veramente farvi del bene a vicenda.

E poi una sessione andata male, problemi in famiglia, rodimento di culo e la lasci…

La lasci, dopo che ti ho dato la persona migliore, nonostante tutto, del mondo, dopo che passi tre mesi dicendo di averle perdonato uno stupido bacio la lasci, lo so che la colpa non è tua, è lei la stronza, lo so e gliel’ho anche detto come sempre e come tutto, ma la zappa sui piedi te la sei data tu, e io non posso assolutamente e non voglio assolutamente scegliere te, io ho lei, la mia Persona è lei, non la abbandonerei neanche se rapinasse una banca, figurati se la  tradisco dopo che tu l’hai lasciata per telefono.

E dopo sei mesi di tentativi di conversazione, di birre con rassicurazioni, di chiamate all’ultimo per trascinarti a studiare con me e i miei nuovi compagni di corso, non c’è più niente tra noi, neanche l’ombra di quella che era una flebile amicizia, due giorni di vacanza insieme da amici in comune e neanche ci siamo scambiati mezza parola, siamo conoscenti, a tratti nemici, in fondo come si può sopportare la persona che sei diventato, in 48 ore ti ho sentito dire e fare solo cattiverie, non vali più nulla, non ho più neanche la speranza di riuscire a trascinarti fuori dalla fossa di tristezza e autocommiserazione che ti sei scavato ancora di più sotto ai piedi.

Ogni tanto ci penso e mi sembra assurdo, esattamente un anno fa eravamo gli amici più felici del mondo, c’era da preparare l’ultimo esame e mangiavamo gelato seduti in balcone da te.

E poi mi sono persa.
E poi ti sei perso.
E poi ci siamo persi.

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