Il cuore di un soldato

di Dugongo99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La lettera ***
Capitolo 2: *** Test ***
Capitolo 3: *** La festa ***
Capitolo 4: *** Assedio ***
Capitolo 5: *** Rivelazione ***
Capitolo 6: *** Il rapimento ***
Capitolo 7: *** Il (quasi) bacio ***
Capitolo 8: *** Jon ***
Capitolo 9: *** La Provincia dell'Ovest ***
Capitolo 10: *** La prova ***
Capitolo 11: *** Segreti ***
Capitolo 12: *** Missione ***
Capitolo 13: *** Imprevisto ***
Capitolo 14: *** Spie ***
Capitolo 15: *** Evasione ***
Capitolo 16: *** Salvataggio ***
Capitolo 17: *** Provincia del Sud ***
Capitolo 18: *** La sfida ***
Capitolo 19: *** Giungla ***
Capitolo 20: *** Nuove alleanze ***
Capitolo 21: *** La Porta della Mente ***



Capitolo 1
*** La lettera ***


Il sudore mi cola lungo la schiena, sulla fronte e negli occhi. Le gambe mi tremano, esauste. Sento le mie guance scottare, rosse. Di fronte a me, il ragazzo mi guarda, un sorriso sardonico stampato in faccia: sa che è in vantaggio. Anche lui è stanco, ma non è provato quanto me. È alto, robusto. Il forte torace si muove regolare sotto la maglia zuppa. Le braccia muscolose reggono il suo spadone. I capelli biondicci sono fradici. Un tremito nelle sue mani sudate, mi dà la forza di attaccarlo. Mi lancio in avanti, in un moto quasi disperato, mirando alla clavicola. Il ragazzo intercetta la mia lama senza difficoltà, contraccambiando il colpo con tanta forza da spedirmi per terra. Sento la mia testa pulsare, nel punto in cui mi ha colpita con il pomo dell'arma. Cerco di rialzarmi, ma sono troppo intontita per farlo. Il ragazzo torreggia su di me, soddisfatto. "Stop! Stop! L'allenamento termina qui!" Il nostro allenatore, un uomo sulla cinquantina, panciuto e coi capelli scuri brizzolati si avvicina verso di noi, gli occhi che mandano lampi. Come sempre, del resto. A pensarci bene, solo in pochi casi ha mai mostrato un sorriso, o approvato qualcuno. Non me, comunque, eccetto rarissime occasioni. Comunque sia, ora è arrabbiato. E tanto anche. "Cosa ci fai li per terra? Alzati immediatamente!" La mia testa è annebbiata, mi gira come una trottola. Non ho la forza di fare niente, se non dimenarmi cercando di svegliarmi da quello stato di torpore. L'allenatore spazientito mi afferra bruscamente e mi rimette in piedi, come se fossi un pezzo di legno. Barcollo, mentre mi impongo di ritrovare l'equilibrio. Non so come, ma ci riesco. La testa mi pulsa terribilmente, ma la cosa che più brucia dentro di me in questo momento è l'umiliazione. Muovo un passo e mi accorgo che davanti a me c'è il ragazzo che mi ha appena battuta che sorride, quel sorrisetto odioso che non abbandona mai il suo viso. I suoi occhi color del ghiaccio mi guardano deridendomi. "Fai schifo." Dice soltanto. Poi si gira e se ne va. Ha ragione. Mi sono battuta male, oggi. Non ero concentrata, non abbastanza evidentemente. Raccolgo la mia spada, smussata ai lati e sulla punta per evitare ferite gravi durante le sessioni di addestramento, e abbandono la pedana per il combattimento. Ritorno tra i miei compagni, a testa bassa. Nessuno dice niente. Il nostro allenatore si posiziona al centro dell'enorme palestra, dove quotidianamente combattiamo, ci arrampichiamo, corriamo, lottiamo. È questo il nostro compito. Tra poco più di un giorno, quando compiremo diciassette anni, diventeremo soldati con grado di caporali maggiori della nostra Provincia, quella del Nord. Chi di noi vorrà, ovviamente. Gli altri potranno sempre svolgere un'attività nel settore primario, che dispone di scarsa manodopera, oppure casalingo (per quanto riguarda le donne). Ma a parer mio, non ha senso. Siamo della Provincia del Nord, siamo nati combattenti. Non vedo la necessità di non affrontare la strada più onorevole solo perché più impervia. I miei pensieri vengono interrotti dalle parole del nostro allenatore di scherma. "Il combattimento tra Peter e Andy" inizia "è la prova della vostra incapacità e della vostra debolezza." Con la coda dell'occhio vedo molti sguardi posarsi su di me, altri invece scrutare ammirati Peter. La maggior parte continua a tenere la testa bassa come sto facendo io. "Domani mattina, pretendo un rapporto preciso di 10 pagine sulle regole del combattimento con gli spadoni. È inaccettabile ciò che è appena stato eseguito." Sta urlando ora. Probabilmente avrà la solita vena sul collo pulsante. Quel pensiero mi fa sorridere impercettibilmente, tirandomi un po' su il morale. È ovvio che l'abbia fatto apposta per mettere i miei compagni contro di me. Ovvio, e prevedibile. Sento gente che protesta, che sbuffa e che mi lancia occhiate malevole. Vorrei sparire sotto terra, scendere giù, sempre più in profondità, tra le viscere dell'oblio più nero, fino a non ricordarmi più chi sono. Ma ovviamente questo non è possibile. "Andatevene ora. Odio la vostra vista." E così dicendo, ci congeda. I miei compagni iniziano ad uscire, chi borbottando tra se e sé mezze proteste, chi scuotendo la testa rassegnato. Rimango a guardare in silenzio la stanza che mano a mano si svuota, simile ad un fiume in piena che lentamente si prosciuga al sole. Non posso finire così una giornata di allenamento. Mi rifiuto. Con la rabbia ancora in circolo, mi dirigo verso la sessione di tiro al bersaglio. Per farlo attraverso l'enorme palestra fino ad arrivare in fondo a destra, dove mi attende uno spazioso padiglione largo dieci metri e lungo trenta: la distanza da cui dobbiamo sparare con la postola. Mi piace tirare, me la cavo abbastanza. Svuota la mente e tranquillizza i nervi. Appese al muro a destra mi attendono una fila di pistole nere, lucenti, letali. Ne prendo una, poi mi posiziono al centro del padiglione. Il bersaglio, una sagoma a forma di uomo appeso alla parete, assorbe tutta la mia attenzione. Tendo le braccia, prendendo la mira: il mio obbiettivo, un piccolo cerchio che simboleggia il cuore, mi fissa con aria di sfida. Inspiro. Espiro. Premo il grilletto e sgancio il proiettile, che si posiziona a destra del centro del bersaglio. La seconda volta riesco a centrarlo. Passo un po' di tempo a sparare, lasciando che tutte le mie emozioni mi abbandonino. Fino a quando non mi interrompe una voce, alle mie spalle. "Vedo che qualcuno oggi è nervoso." Il proiettile che ho appena tirato sibila lontano dalla sagoma, conficcandosi nel muro, attorno a tanti altri buchi lasciati da qualche inesperto prima di me. Mi giro, la rabbia che si era appena dissipata, che rinasce nel petto. Tuttavia sparisce di colpo, quando vedo che si tratta del mio migliore amico, James. Ha all'incirca la mia stessa età, forse qualche mese in più. È alto, slanciato e forte. I suoi occhi marroni sono gentili, e i capelli castani arruffati. "Ciao." "Giornata pesante?" Mi chiede, ghignando. Gli tiro uno schiaffo amichevole sulla pancia. "Tu che dici?" Mi passa un braccio intorno alle spalle. La sua stretta calda e forte mi rassicura. "Dai, andiamo a cambiarci, tra poco è ora di cena." Resto un attimo a fissarlo, e dal silenzio che regna intorno a me capisco che è davvero molto tardi: io e James siamo,difatti, gli unici allievi rimasti nella stanza. Così metto a posto la pistola, e mi lascio condurre come una bambola fuori dalla palestra. Quasi tutti gli allenatori se ne sono andati, ma i pochi che sono rimasti ci guardano curiosi o con un lieve disappunto, a causa della nostra vicinanza. Molti pensano che stiamo insieme, per via del molto tempo che passiamo da soli e per il nostro contatto fisico, ma non è così. Non c'è mai stato nulla tra di noi, se non una bella amicizia... Almeno credo. E poi lui da un po' di tempo a questa parte è innamorato di una nostra amica, Rachel. Anche lei si allena con noi per diventare un soldato. È molto più brava di me, più atletica e forte. Capisco perché gli piaccia. "Sei nervosa?" Mi chiede James, guardandomi apprensivo. "Tu non lo sei? Insomma, tra due giorni ci sarà il raduno delle Province dell' Impero!" Al solo pensarci, mi sale una stretta allo stomaco. Il raduno delle Province si svolge ogni vent'anni. Serve soprattutto per trattati politici e rinnovazioni di pace, ora più che mai, in questo momento di tensione con la Provincia del Sud, incline allo staccarsi dalle altre, per motivi apparentemente loschi. Le Province sono in tutto quattro: oltre quest'ultima e noi ci sono quella dell'Ovest e dell' Est. Sono le città principali del nostro Impero, in cui, al centro, v'è la Capitale: noi abbiamo il compito di proteggerle, grazie alle nostre Basi militari costruite all'esterno delle città, per scopo ovviamente difensivo. Siamo comandati dall'imperatore Noah, un uomo giovane ma capace di tenere sotto controllo il regno, con l'aiuto di noi soldati; da molti anni non si vede l'ombra di una guerra. Il Raduno infatti aiuta principalmente a ricordarci le nostre origini e il legame che c'è tra ognuno di noi. Inoltre, serve per incrementare le unioni: molti ragazzi spesso scelgono una donna non appartenente alla loro Provincia. Per noi giovani soprattutto è un evento importante: non ne abbiamo mai vista nessuna, se non la nostra. E io non sto più nella pelle. Per questo ultimamente sono deconcentrata. "Già... Ma stai attenta a non farti più disarmare. Quello stronzo di Aper la prossima volta ci farà saltare la cena." Scherza, alludendo al nostro allenatore di scherma. Gli lancio un'occhiataccia. Proprio in quel momento arriviamo davanti agli spogliatoi. "Ci vediamo a cena." Lo saluto con un bacio amichevole sulla guancia ed entro in quello femminile. "Attenta a non cadere a terra! I pomelli delle porte possono essere molto aggressivi!" mi canzona lui. Gli faccio la linguaccia e chiudo la porta. Lo spogliatoio femminile mi accoglie con un forte odore di disinfettante, di pulito, e di bagnato. Le luci artificiali illuminano con la loro freddezza bianca ogni cosa. Mi dirigo verso gli armadietti metallici situati in fondo alla stanza, ordinati in base allo squadrone a cui si appartiene, e all'età che abbiamo. Di norma, i bambini iniziano ad essere addestrati all'età di dieci anni; si dà loro un'istruzione basica, che poi verrà ripresa ogni giorno dalla mattina presto fino a mezzogiorno, prima di passare il resto del giorno ad esercitarsi, allenandosi con tenacia. Questo fino a sera. Poi ci lasciano un'ora di tempo per fare ciò che vogliamo, prima della cena. Il mio è lo squadrone A, e sono al sesto anno: il mio grado è quello di caporale. Di fronte agli armadietti ci sono i camerini, in cui possiamo cambiarci: durante l'addestramento siamo tutti obbligati a tenere una tenuta uguale per ciascuno: pantaloni sottili che non intralcino nei movimenti, una cintura di materiale sintetico, una maglia aderente a maniche corte e delle scarpe da ginnastica. Tutto il completo è nero. Anche i ragazzi si vestono in ugual modo. Prendo le chiavi, legate alla cintura che ho in vita, e velocemente apro il mio armadietto. Tiro fuori il borsone, in cui tengo i miei vestiti di ricambio, quaderni, asciugamani e lozioni per il corpo e capelli. Afferro questi ultimi e mi dirigo alle docce, situate a destra dei camerini, in un corridoio laterale. Mi spoglio e mi faccio una doccia calda, che mi rilassa e distende i nervi, dopo questa brutta giornata. Quando esco dalla doccia mi accorgo che sono una delle poche ancora nello spogliatoio: le altre saranno giù nel dormitorio, a rilassarsi prima di cena. Devo sbrigarmi. Mi asciugo e mi vesto con un semplice paio di jeans e un maglione caldo. Quando passo davanti a uno specchio, situato nell'ala sinistra dello spogliatoio, vicino agli asciugacapelli, non riesco a fare a meno di lanciare una veloce occhiata alla mia immagine riflessa. Quasi non mi riconosco: i miei capelli lunghi e biondi, sono bagnati e arruffati. I miei occhi verdi mi rilanciano un'occhiata stanca, spenta. Pian piano, la mia vista scivola più in basso mentre esamino il mio corpo, che è affusolato e tonico, grazie agli allenamenti che effettuo ormai da sei anni a questa parte, ma non muscoloso quanto vorrei. Sono alta quanto basta da superare in altezza qualche ragazzo mio coetaneo, ma la cosa non mi crea problema; ciò può tornare utile, specialmente in un combattimento. Sono quasi soddisfatta della mia immagine riflessa: mi sembra che non ci sia nulla di anormale. Tuttavia il mio cuore perde un battito quando mi accorgo di quel livido bluastro che ho in fronte, a destra, sicuramente dovuto al combattimento con Peter. Mi mordo la lingua per non imprecare. Questa non ci voleva proprio. Mi vergogno terribilmente, ma non posso farci niente. Così, mi asciugo in fretta i capelli, riordino le mie cose e schizzo in corridoio. Mentre esco dallo spogliatoio, quasi vado a sbattere contro Philippe. È un mio caro amico ormai da parecchi anni. È stato uno dei primi con cui ho legato qua alla caserma, oltre a James. Ricordo che mi aveva colpito subito per la sua determinazione: è nato senza due costole e una parte di faccia, e gli hanno dovuto fare un intervento di urgenza in ospedale per salvarlo quando era ancora un neonato. Per questo ora ha la faccia un po storta e la camminata traballante, ma questo non gli ha di certo impedito di scegliere la sua strada: si è sempre impegnato duramente, e la sua simpatia e la sua allegria innata hanno subito conquistata me e gli altri del nostro squadrone. "Ciao Andy" mi saluta amichevolmente. "Ehi" farfuglio, mentre mi copro il livido con una ciocca di capelli, pregando che non si sia accorto di nulla. "Dove stai andando?" Gli chiedo poi, disinvolta. La campana che indica l'ora di dirigersi in mensa, mi risponde per lui. "Beh, andiamo allora." Mi posiziono alla sua destra, così da non fargli notare la ferita in fronte, e attacco discorso, cercando di tenerlo il più lontano possibile dalla mia penosa sessione di allenamento. "Allora... Tu hai deciso cosa sceglierai come combattimento all'esame di domani?" Alludo alla massacrante prova che terremo il giorno seguente. In questo periodo, ci stanno facendo effettuare svariati test, uno più duro dell'altro, in modo da portare solo i migliori al grado successivo. Quello di domani sarà la prova finale: ci hanno detto che consisterà in un combattimento contro un allenatore, che non sarà il nostro (in modo da essere il più neutrale possibile) con l'arma scelta da noi; non sono molto preoccupata, ho già affrontato prove più dure. E poi, mi manca così poco per ottenere il grado di caporale maggiore. Una volta avuto quest'ultimo, ognuno è libero di scegliere se continuare qui il proprio addestramento o diventare un'agente segreto dell'Imperatore; in questo caso si dovrà lasciare la nostra Base e andare nella Capitale, dove si verrà addestrati in un campo a parte. Molta gente spesso molla: la tensione, il duro lavoro, tante volte risulta eccessivo. Ma che senso ha? Ormai siamo qui, abbiamo scelto. Lasciare tutto ed andarsene è da perdenti. Non è da combattenti. E noi siamo questo, siamo soldati. "Non ancora. Pensavo o a lotta libera oppure agli spadoni." Philippe mi squadra con un'occhiata divertita ma non canzonatoria, tanto che scoppio a ridere. È questo che mi piace di lui: riesce a tirarmi su di morale con una semplice battuta o sdrammatizzando. "E tu?" Mi chiede poi, curioso. "Avevo pensato al duello col fioretto" Lui annuisce, soddisfatto della mia scelta. In quel momento arriviamo alla mensa, che ci accoglie con un brusio di voci e un tintinnio di posate. É all'ultimo piano; la nostra caserma è abbastanza grande, ha nove piani in tutto: i primi sette sono per noi ragazzi, ed equivalgono al numero di anni che si devono spendere per diventare militari. Nell'ottavo ci sono gli studenti che hanno finito l'addestramento, e sono militari a tutti gli effetti. Nell'ultimo piano, invece, sono situati la mensa, gli alloggi degli allenatori, le docce e le palestre. Ogni piano ha un'unico corridoio, che si piega su quattro lati; la struttura infatti è a forma di parallelepipedo, e circonda il campo di addestramento che vi è fuori all'aperto. Il tutto è circondato da una cinta alta fino a venti metri; siamo ben muniti in caso di attacco. Amo questo edificio, dal primo momento in cui vi ho messo piede; qua ho vissuto un sacco di esperienze bellissime, sono cresciuta, cambiata. I miei pensieri sono interrotti da una voce che mi chiama. Mi giro e scopro che si tratta di Rachel. Un sorriso spontaneo si schiude sul mio viso. È inevitabile, ogni volta che la vedo il mio cuore piroetta su sè stesso. È sempre al mio fianco se vede che sono giù, o sto male, od ho bisogno di un qualsiasi tipo di sostegno. Ricordo che una volta, durante le lezioni del nostro primo anno, mi ero fatta male ad una gamba durante una festa con dei nostri amici, ed avevo paura delle sfuriate che Aper mi avrebbe certamente rivolto alla sessione d'allenamento quotidiano. Così, lei mi aveva condotto in bagno, dopo aver rubato dei dolci alla mensa, e avevamo passato le ore che avrebbero dovuto essere di allenamento lì, a mangiare e a scherzare ricordando la nostra vita precedente, al di fuori di qui. Poi c'eravamo date malate per tutto il giorno. Da allora Aper non mi aveva più fatto paura, e avevo capito che per soddisfarlo avrei dovuto mettere tutto l'impegno possibile nelle mie sessioni di allenamento. "A!" Mi saluta affettuosamente e mi prende per mano, lasciando un Philippe solo, all'ingresso della sala refettorio, perplesso e confuso. "Hey R, cos'è tutta questa fretta?" La apostrofo io ridendo, usando il nostro solito nomignolo con cui ci chiamiamo. "È arrivato un pacco per te!" Mi dice soltanto, trascinandomi tra i tavoli, finché scorgo, nella sesta corsia alla lettera A, il nostro solito gruppo di amici, che fissano con un po' troppa curiosità la tavola che ha di fronte. "Cos'è, oggi hanno finalmente deciso di servirci cibo commestibile?" Scherzo io mentre Rachel mi fa sedere con un po' troppa enfasi su una sedia di fianco a lei. "Purtroppo no" mi risponde Emily, una nuvola di capelli rossi e lentiggini. "Ma è successo qualcosa di meglio" Sogghigna, ammiccandomi con i suoi occhi verdi, un'espressione curiosa stampata in viso. È allora che vedo, al centro della tavola, una scatola bianca larga e lunga mezzo metro. Sopra c'è scritto soltanto "Andy. Squadrone A, sesto anno." Qua è la prassi: chiunque voglia spedire qualcosa, al di fuori della caserma, deve per forza inviare un pacco in cartone, scrivendo solo le informazioni necessarie a recapitarlo. Potrebbe essere qualsiasi cosa. "Su, aprilo!" Mi esorta Paul, il ragazzo robusto dagli enormi occhi chiari e folti capelli scuri di fianco a me, porgendomi con gentilezza il pacco. Mi sento un po' in imbarazzo ad aprirlo davanti a tutti, ma prendo lo stesso il pacco tra le mani leggermente tremanti e lo scarto con decisione: qua, più si è sicuri di sé e lo si fa vedere, meglio è, anche solo se si è tra amici. Così, quando lo apro, tutto mi aspetto di trovarvi all'interno tranne che una busta bianca, ben sigillata; sopra non vi è scritto niente. Tuttavia, quando la giro, riconosco subito la calligrafia: è del mio ragazzo Jon, più grande di me di 3 anni. Lavora nell'avanscoperta, qua alla Base Nord: è uno dei pochi coraggiosi che va a perlustrare le zone militari, una volta nostre nemiche, ora solo confinanti; specie in quelle appartenenti alla Provincia del Sud. Infatti, venti anni fa, quando lo zio di Noah comandava prima di lui, l'impero era diviso a metà: le Provincie del Nord e dell'Ovest da una parte, quelle del Sud e dell'Est dall'altra. Il motivo era semplice: prima della nascita dello zio di Noah, chiamato Caius, le Province vivevano in modo indipendente: non esisteva una capitale, ognuna aveva il proprio centro di controllo, il proprio capo e le proprie regole; tuttavia, esse si facevano molte volte le guerre tra di loro, portando solo distruzione e morte. Fu così che, quando Caius, appartenente alla nostra Provincia, divenne un giovane guerriero e vide le atrocità causate dalla guerra, capì che solo unendo le Province si sarebbe fermato questo scempio. Pertanto, dopo anni di trattative, riuscì a portare dalla propria parte anche la Provincia dell'Ovest, costringendo le due rimanenti ad allearsi tra di loro, per non essere in inferiorità numerica. A capo delle Provincie del Sud e dell'Est salì Mark, un uomo assetato di potere e bramoso di vittorie personali, che convinse le due Province a scatenare una guerra contro quelle del Nord e dell'Ovest, per annientarle e innestare un regime dispotico e tirannico. Tuttavia Caius era più forte e aveva dalla sua parte due Province con cui condivideva le opinioni e il sogno della pace, così fu facile sconfiggere Mark in battaglia, a cui risparmiò la vita, e far passare dalla propria parte le Città nemiche. Da allora, si occupò di restituire l'ordine nelle Province e costruire la capitale. Alla sua morte, scelse come suo erede Noah, che istituì il consiglio degli anziani, 4 per ognuno delle Province, che lo aiutano e consigliano nelle decisioni. Tuttavia da un paio d'anni a questa parte, sono giunte notizie che Mark si trovi nella Provincia del Sud, la quale è sempre stata quella più scontrosa e solitaria. Così un mese fa, hanno mandato i migliori militari in avanscoperta da tutte le Province restanti -in modo da non creare preferenze e unirle ancor più in questo modo- a vedere cosa stia succedendo. Sono felice che mi abbia mandato una lettera: vuol dire che sta bene. Tuttavia, la scritta che leggo sul retro della busta, mi causa una fitta allo stomaco. "Importante: da aprire quando sei sola." "Allora, che cos'è?" mi incalza Rachel, fremente di fianco a me. In tutta risposta, sfoggiando la mia migliore disinvoltura, sollevo la lettera, stando ben attenta a non far vedere la parte posteriore. "Uuh, scommetto che è di Jon!" Esclama Emily, lanciandomi un'occhiata complice. "Il bel militare più grande di noi?" Le fa eco Paul, strizzandomi l'occhio e guadagnandosi un'occhiataccia da parte mia. Tutti si stringono ancora di più intorno a me: è ovvio che vogliono sapere notizie in anteprima, soprattutto perché Jon le ha vissute di prima persona. "Beh che aspetti? Apri la busta!" Mi incoraggia Rachel, che ormai non sta più nella pelle. Non so che fare. Ovviamente non ho nessuna voglia di aprirla di fronte a loro. Non solo perché mi ha avvisato di leggerla esclusivamente da sola, ma anche perché potrebbe contenere cose intime che riguardino solo me e lui. Ma non ho scelta. Sto per aprire la busta, quando in quel momento si sente uno squillo: è il segnale che la cena è servita. Infatti, dal fondo della sala, in cui si trova la cucina, escono i cuochi trasportando carrelli carichi di vassoi fumanti. Dopo essersi posizionati in fila indiana rivolti verso di noi, è il momento di fare la fila per prendere la propria razione di cibo: iniziano a servire la cena dai più piccoli, quelli del primo anno, fino ad arrivare a quelli dell'ottavo. "Ragazzi, è meglio se iniziamo a prendere posto" consiglio io, riponendo velocemente la busta nella scatola e chiudendola innocentemente. Tutti acconsentono, di malavoglia. Tuttavia mentre ci avviamo col piatto in mano in fondo alla fila, Emily mi afferra per il braccio. "Come sta Jon?" Mi chiede apprensiva. È l'unica tra i miei amici che lo conosce di persona, perché è con lei che l'ho incontrato la prima volta durante un piccolo raduno organizzato dagli allenatori per farci socializzare, cinque mesi prima. Da allora quando si vedono si salutano sempre, ma la loro amicizia finisce lì. Però mi rincuora il saperla preoccupata: vuol dire che correrebbe dei rischi per lui, in caso di necessità. "Credo bene." Dico io con scioltezza, fingendomi ignara della sua domanda. "Andiamo, smettila. So che è stato lui a spedirti la lettera; non avresti reagito così se si fosse trattato di qualcun altro" Ha ragione. Mi giro verso di lei, sorpresa; sono così pessima nel mentire? Arrossisco e abbasso lo sguardo, mortificata. Emily mi guarda e mi sorride, con dolcezza. "Stai tranquilla, se ti dà fastidio non leggercela. Ti capisco." La guardo riconoscente, ma prima che possa aprire bocca e ringraziarla, sento qualcuno farmi il solletico sui fianchi. Istintivamente mi giro di scatto, il piatto davanti a me come protezione: una delle prime regole che ci insegnano qua, è lo stare sempre allerta. "Mi arrendo!" Esclama James alzando le mani in alto, ridendo di gusto. "Cretino" bofonchio io, guardandolo male. "Molte grazie" mi risponde cortesemente, facendo un piccolo inchino. "Di che parlate, belle ragazze?" Aggiunge poi, salutando con un cenno Emily e prendendomi sottobraccio. "Di niente" dico in fretta, ma lei è più veloce di me. "Di Jon. Sai, è andato in avanscoperta con i nostri un mese fa, e ci stavamo chiedendo come se la stesse cavando." Le tiro una gomitata, stizzita. Ma che discorsi sta facendo? Con James poi, che è sempre così geloso! Lei mi risponde con uno sguardo obliquo. So cosa sta pensando. Lei non è l'unica fra i nostri amici a sostenere che tra me e il mio migliore amico non ci sia semplice amicizia. Io non mi sono mai fatta domande, perché ho Jon e so che James è innamorato di Rachel. Tuttavia mi inizio a chiedere se non abbiano ragione, visto che questo pensiero lo condividono in molti... "Ah." È la risposta secca di James, che mi desta dai miei pensieri. "Dai non preoccuparti, sicuramente sta bene. Da quello che mi dici sembra un bravo soldato." Aggiunge poi lui, cercando di rincuorami. "Ed è così." Conferma Emily, incoraggiante "Pensa che nel giro di due anni è già riuscito a diventare sergente! È uno dei più giovani che è stato scelto tra i militari per essere mandato in ricognizione." Abbozzo un sorriso, perché so che hanno ragione, ma la stretta allo stomaco che ho da quando ho letto il retro della busta non mi abbandona. Il resto della cena la passo a mangiare qualche boccone di cibo e a scherzare coi miei amici, cercando di ignorare il più possibile il contenuto della lettera. Tuttavia mi sento sollevata quando riesco finalmente a scendere le scale insieme agli altri. Dó velocemente la buonanotte a Philippe, Paul e James, i quali si dirigono verso il dormitorio maschile dall'altra parte del corridoio, mentre io, Rachel ed Emily continuiamo insieme per un altro po'. Poi io e Rachel, che dormiamo nella stessa stanza, salutiamo Emily ed entriamo nella nostra piccola camera. I due letti a castello appoggiati a sinistra della parete, il nostro minuscolo bagno a destra ed un armadio di faggio fissato alla parete ci salutano accoglienti. Mi tolgo le scarpe e mi arrampico velocemente sul mio letto, quello superiore. Aspetto che la mia migliore amica vada in bagno per lavarsi i denti e finalmente riapro la scatola, mentre i miei battiti cardiaci aumentano. Afferro la busta. La guardo ancora per qualche momento, interrogandomi sul possibile contenuto, poi mi decido ad aprirla. Leggo velocemente il contenuto della lettera, angosciata. "Andy, Scusa se non sono riuscito a scriverti prima come avrei voluto, ma ci hanno costretti ad una marcia forzata in mezzo alla foresta che ricopre l'intero tragitto tra i confini della nostra Base e quella del Sud; perciò non ho avuto un attimo di tempo fino ad ora. Sto bene, quindi non preoccuparti per me. Ma devi stare attenta, sia a te che ai tuoi amici: siete tutti in grave pericolo. Oggi abbiamo trovato venti dei nostri perlustratori mensili brutalmente massacrati e legati poi a degli alberi dove sono stati marchiati a sangue: il marchio indica lo stemma della Provincia del Sud. Questo vuol dire che sono vicini, ci osservano, studiano ogni nostra mossa; e probabilmente uno dei loro prossimi piani sarà attaccare noi e la nostra caserma. Il nostro tenente ha deciso, con mio totale disappunto, di non inviare queste informazioni alla Base, perché dice che non dobbiamo correre a conclusioni affrettate e che potrebbe essere una trappola o uno stratagemma. Perciò tieniti pronta. Mi raccomando, stai allerta e non dire al comando quello che ti ho riferito, o finiremmo tutti nei guai. Se dovessero attaccare, non restare lì a difendere la nostra caserma. So che probabilmente ora starai protestando e sarai contraria, ma fidati di me, saranno in tantissimi all'assedio: sanno quello che fanno; rimanere lì è tempo perso. Perciò prendi con te più gente possibile e scappa nella Base della Provincia dell'Ovest, che è la più vicina e la più sicura. Lì scrivimi e io verrò a prenderti, se sarò in grado di farlo. Per recapitare una lettera basta che lo affidi ad uno dei corrieri che va periodicamente in ricognizione, il quale mi troverà. La busta la dovrai indirizzare al mio squadrone, G, al sergente Jon Fysh. Mi manchi molto, spero di rivederti presto. Sappi che sei il mio primo pensiero la mattina e l'ultimo la sera. Ti amo, Jon." Finisco di leggere e mi butto all'indietro sul letto, terrorizzata. Per qualche istante non riesco né a muovermi né a pensare, mentre l'adrenalina che ho in circolo mi pulsa veloce nelle vene. Non riesco a crederci... Venti di noi uccisi senza pietà e marchiati a sangue come bestie, un tenente che si rifiuta di fare rapporto alla Base per non gettare nel panico l'intera caserma e un possibile attacco da parte dei soldati della Provincia del Sud, di cui Jon è talmente sicuro che saranno così spietati e numerosi da ordinarmi di fuggire... Jon! Scatto a sedere, più impanicata di prima. Jon è la fuori, in mezzo a quei barbari feroci. Chissà, magari ora che è notte e sta riposando, ombre scure si stanno calando giù dagli alberi, stanno sgozzando le poche sentinelle messe a fare la guardia all' accampamento dei nostri e... Rachel spalanca la porta del bagno, facendomi sussultare. "Ehi A, tutto bene?" Mi chiede perplessa. "C-certo" farfuglio io mentre caccio la busta sotto le coperte e calcio la scatola lontano, sperando che non si sia accorta di nulla. La mia amica mi guarda sospettosa, poi decide di lasciar stare. Si dirige verso il nostro armadio, prendendo carta e penna da un ripiano dove teniamo diari e quaderni che ci servono durante le lezioni, poi si sdraia sul letto e inizia a scrivere. Giusto, le dieci pagine per Aper. Me ne ero completamente dimenticata. Scendo veloce e prendo anche io i fogli e una penna. Mentre sto per risalire sulla scala del nostro letto a castello, il mio sguardo si sofferma per un istante sull'orologio ticchettante posizionato sul muro di fronte a noi. Sono le nove e mezza. Sospiro rassegnata. Invece di dormire per presentarmi riposata al test finale di domani, mi tocca sprecare il mio tempo così. Non che dopo la lettera di Jon sia in grado di dormire, comunque. Così salgo sul letto e comincio a scrivere. "Regolamento ufficiale per il combattimento con gli spadoni..."

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Capitolo 2
*** Test ***


"Ehi Andy, tutto bene?" La domanda che mi rivolge Paul, preoccupato nel banco di fianco a me, mi riscuote dai miei cupi pensieri. Siamo nell'aula di storia, dove la nostra istruttrice, piuttosto annoiata, ci sta riassumendo le innumerevoli guerre che sono avvenute prima della creazione della Capitale e della nascita di Caius, tra la nostra Provincia e quella del Sud. Quale ironia. "Certo, non preoccuparti" mento io , sfoggiando un sorriso falso. Lui sembra crederci, così si rimette a giocherellare con il bracciale di corda che ha legato al polso, sogghignando. Lo guardo per un po', chiedendomi da quanto tempo siamo bloccati qua dentro. Questa giornata sembra non finire mai. Forse ho questa impressione perché ho passato la notte in bianco. Dopo aver finito il mio trattato per Aper mi sono girata e rigirata nel letto per ore, completamente insonne, cercando di escogitare mille strategie diverse per contraccambiare il possibile assalto da parte dei soldati della Provincia del Sud. E la mia conclusione era stata, giuntami mentre sorgeva il sole, che da sola non sarebbe stato possibile fare niente; ma non ho altra scelta. Tutto quello che posso permettermi, è lo stare nel più alto stato d'allerta costantemente -ho comunque già preparato uno zaino con dentro delle provviste, giacca a vento, fiammiferi, una torcia e un kit di pronto soccorso, di cui ognuno è fornito in caso si facesse male durante una sessione di allenamento - tenendomi pronta in caso d'attacco, e se dovesse esserci questa necessità, schizzare veloce a prendere delle armi in palestra. E dopo... Dopo non saprei davvero che fare. Ho passato diverse ore, stanotte, a cercare di convincermi che Jon ha ragione: che devo scappare, portare via quanta più gente possibile e dirigermi verso la Provincia dell'Ovest. Perché Jon è sergente, uno dei più valorosi militari che io conosca, e sicuramente non me lo avrebbe suggerito se non fosse assolutamente sicuro che sarebbe inutile rimanere a lottare. Eppure... Una parte di me è assolutamente contraria alla cosa: scappare è da vigliacchi, da codardi; insomma, da perdenti. E io non lo sono: ho sputato sangue per dimostrarlo agli altri, e lo sto facendo anche adesso. Fuggire dopo tutti questi anni di addestramento e di duro lavoro che mi hanno preparata ad affrontare questo possibile genere di situazione, sarebbe come rinnegare me stessa e quello in cui credo. E inoltre, chi difenderebbe la nostra Provincia, una volta che i soldati del Sud fossero penetrati nelle nostre terre? D'altra parte sarebbe da pazzi rimanere qui in mezzo a dell'inutile carneficina, tra spietati nemici molto più numerosi di noi. Se penso a quello che hanno fatto ai nostri perlustratori, al modo in cui li hanno torturati ed infine legati agli alberi, mi sale un sordo odio dalla bocca dello stomaco e... "...penso che ce lo possa dire Andy cosa successe quando il nostro capostipite Kruohol, salito al comando, decise di assalire l'intera Provincia del Sud, no? Dato che è così silenziosa e attenta, potrebbe illuminarci."  Sogghigna malevola la nostra insegnante. Tutta la classe si volta a guardarmi, attenta alla mia reazione: sanno bene che mi ha provocata, e che non ha mai spiegato questa parte prima d'ora; ma in tutta risposta io raddrizzo la schiena e mi schiarisco la voce. Amo molto la nostra storia, ci insegna a non commettere errori già fatti in passato; da piccola mia madre mi leggeva sempre le storie degli antenati della nostra Provincia. "Kruohol era giovane, sì, ma non per questo mancava di astuzia: così, comprese che se voleva averla vinta, avrebbe dovuto pazientare. Per questo, una volta giunto sotto le mura dell'enorme città nemica, ordinò ai suoi soldati di costruire due trincee; una davanti a loro, una dietro. Così avrebbero potuto ripararsi e, dopo aver dirottato tutte le fonti da cui provenivano le provviste dei suoi nemici, prese per fame e sete gli abitanti. Fu così che il capo della Provincia del Sud, dopo nemmeno un mese, si inginocchiò ai piedi di Kruohol chiedendogli misericordia. Egli acconsentì a patto di non dover combattere più con la Città avversaria per dieci anni." Finisco, espirando l'aria che solo ora mi accorgo di aver trattenuto mentre parlavo. Nella classe cala un silenzio tombale; tutti mi guardano, sorpresi. Sento James sogghignare, un paio di file più a destra di me. Con la coda dell'occhio gli lancio uno sguardo divertito. "Molto bene." Dice secca la nostra istruttrice. "Continuiamo." E riattacca a parlare a raffica. Tra me e me, sorrido, compiaciuta: non è la prima volta che cerca di mettermi in difficoltà, facendomi domande difficilissime e interrogazioni quasi impossibili. Ma io sono brava nelle sue materie, le adoro: anche studiando poco riesco ad ottenere brillanti risultati, tra i migliori della mia classe. In quel mentre la campanella suona, ricordandoci che è ora di pranzo e che la lezione è terminata. Mentre balzo in piedi, mi rendo conto che questa, forse, potrebbe essere la mia ultima lezione qui, in questa Base. Oggi infatti, è il nostro ultimo giorno lavorativo; da domani ci lasceranno una settimana per decidere se rimanere qui o trasferirci, per diventare spie. E il Raduno delle Province di domani, capita a fagiolo. Me ne ero quasi dimenticata, presa com'ero da tutto il resto. Un'altra fitta mi trafigge lo stomaco ripensando a Jon e alla lettera che mi ha scritto. Sono così persa nei miei pensieri che per poco non vado a sbattere contro a Rachel, che mi sta aspettando insieme agli altri fuori dall'aula. "Attenta A!" Mi dice divertita. "S-scusa." Balbetto io, imbarazzata. "Tranquilla. Ti capisco. Anche io sono preoccupata." Mi rassicura la mia migliore amica, dolcemente. Il mio cuore accellera i battiti, e per poco non urlo. Come cavolo fa a sapere della lettera e di Jon? L'ha letta stamattina quando ero andata in bagno a cambiarmi? "Come... Cosa...?" Riesco solo a dire, rossa in viso, cercando delle spiegazioni. "Per il test." Mi spiega lei, stupita della mia reazione. Una risata isterica mi esce dalle labbra. "Aaah, certo, il test. Che rottura." Dico, passandomi una mano tra i capelli. "Ragazze" interviene James, salvandomi da ulteriore imbarazzo e cambiando discorso. "Che ne dite se voi due fanciulle insieme a qualcun altro, veniste oggi da me e Philippe? Avevamo in mente di fare una piccola festa, per celebrare la fine del nostro sesto anno, sapete, dato che oggi ci concedono di far quel che vogliamo dopo il test." "Oh sì." Sogghigna Philippe "Abbiamo già preparato tutto l'occorrente". "Io ci sto" approva subito R, procurandosi uno sguardo adorante da parte di James. "Non vedo l'ora di togliermi l'ansia di dosso per questo test. E poi potrebbe essere l'ultima volta che ci troviamo tutti insieme a festeggiare!" "Ben detto!" Ride il mio migliore amico, compiaciuto. Poi tutti e tre si girano verso di me, impazienti. Mi cadono le braccia. So qual'è la loro definizione di "festa". Ci saranno fiumi di alcool, musica a palla, e tanta gente. Di norma le adoro, perché ci divertiamo sempre insieme, e normalmente avrei accettato senza pensarci due volte. Ma in questo momento, con un possibile assalto da parte della Provincia del Sud, mi sembra la cosa più inappropriata che si possa fare. Ma purtroppo, non ho molta scelta. Se rifiutassi darei nell'occhio destando sospetti -già oggi mi sto comportando in un modo strano, gliene devo rendere atto- e soprattutto non potrei tenerli sotto controllo , cosa che mi preoccupa di più: non vorrei mai che succedesse loro qualcosa. Così, tutto quello che posso dire è un più allegro possibile "Certo!" che lascia tutti contenti e soddisfatti. "Bene" conclude James. "Ora direi che possiamo andare a mangiare." Mangiare è l'ultima cosa che vorrei fare in questo momento, ma seguo gli altri a malavoglia in mensa. Passiamo il pranzo a chiacchierare del più e del meno, evitando accuratamente il test che stiamo per affrontare e il nostro futuro, se continueremo l'addestramento qui o nella Capitale. Per quanto mi riguarda, la mia scelta l'ho fatta il giorno in cui ho messo piede qui dentro: continuerò a fare il soldato qua, a casa mia. Mi sembrano passati secoli quando finalmente il trillo squillante della campanella ci avverte che dobbiamo lasciare la sala pranzo e affrontare il fatidico test. Scrutando i volti che mi stanno attorno, noto che siamo abbastanza nervosi, -anche se per ora tutti noi siamo promossi con voti abbastanza buoni, chi più chi meno- perché è la prova finale, e dobbiamo assolutamente fare del nostro meglio. Mentre usciamo, dirigendoci nell'ultima aula del corridoio dove avverrà il test, come ci era stato detto precedentemente, nessuno parla. Il silenzio persiste anche quando ci sediamo in ordine alfabetico nella sala gremita di sedie e di nostri compagni, aspettando che ci chiamino uno ad uno per effettuare la prova. Io sono l'ultima: ho la sfortuna di avere l'iniziale del cognome molto in fondo nell'alfabeto. Dopo cinque minuti, iniziano con il primo nome: è il turno di Philippe. Come sempre, è il più calmo. Mentre lo vedo entrare mani in tasca nella stanza adiacente alla nostra, dove avverrà la prova, mi sorprendo di come non faccia mai vedere quando qualcosa lo turbi o lo metta a disagio: vorrei anche io essere come lui, non far vedere cosa provo. Man mano che il tempo passa e il numero di ragazzi che devono ancora affrontare la prova diminuisce, mi ritrovo ad avere le mani tremanti e sudate. Strizzo gli occhi e mi impongo di essere sicura di me; devo solo eseguire una battaglia col fioretto, non è difficile. Basta che rimanga calma e concentrata. Mentre mi uso questa premura, sento qualcuno che mi tocca un braccio, amichevolmente. Mi giro e mi accorgo con sgomento di essere rimasta sola, insieme a Paul, di fianco a me. Lo trovo piuttosto agitato, i capelli scuri arruffati e il viso terreo. "Io vado..." Mi bisbiglia, agitato. Annuisco cercando di essere incoraggiante. "Buona fortuna." Dico, sorridendogli. Di rimando, mi abbozza un lieve sorriso preoccupato, e poi entra nella stanza. Appena rimango sola, attorno a me si crea un pesante silenzio carico di tensione, che mi abbraccia in una stretta soffocante. Il ticchettio snervante dell'orologio appeso alla parete, accresce la mia ansia. Cerco di respirare lentamente per riprendere la calma, mentre un barlume di determinazione si accende in me. Guardo l'orologio, apprensiva: le sei. Paul è li dentro da più di un'ora. Sto iniziando a preoccuparmi quando, finalmente, la porta si apre e un'istruttrice che non ho mai visto prima, mi chiama per nome e mi invita a procedere. Mi alzo lentamente e la seguo. Appena entrata nella stanza, con la coda dell'occhio la vedo chiudere la porta veloce, anche se li fuori non c'è più nessuno. Sto ancora guardando con una certa apprensione l'uscio chiuso alle mie spalle, quando sento la familiare voce di Aper che mi chiama, dall'altra parte dell'immensa stanza vuota, fatta eccezione per il muro dietro di lui, coperto di ogni tipo di arma che usiamo qua. Noto non solo armi da fuoco, ma anche spadoni, la spada per il fioretto, arco e frecce e così via: qua ci insegnano a lottare con qualsiasi arma, in modo da non essere mai in svantaggio, in caso di un combattimento impegnativo. Di fianco ad Aper, seduti compostamente, gli altri istruttori del mio corso. "Caporale, squadrone A, sesto anno." Sono abituata a essere chiamata così, quindi mi metto sull'attenti, la schiena ben dritta e il mento in fuori, ostentando più sicurezza possibile. "Sissignore!" Urlo, e mi sorprendo di quanto suoni decisa la mia voce. "Oggi affronterai il test finale, che ti consentirà ad accedere al grado successivo." "Sissignore!" "Ciò che ti è stato detto riguardo a questo test, è che avresti scelto l'arma della sfida che si sarebbe tenuta, e che un istruttore esterno, che non ti ha mai addestrato, avrebbe lottato con te e giudicato le tue capacità. È esatto?" "Sissignore!" "Bene." Sogghigna Aper "Peccato non sarà così." Rimango zitta, e lotto con tutte le mie forze per rimanere ferma e impassibile, lo sguardo dritto sul mio interlocutore, mentre il mio cuore inizia a martellare contro la gabbia toracica, impazzito. Che diavolo sta succedendo? Cosa vuol dire che non sarà così? Che prova sto per affrontare, allora? Poi mi ricordo di una lezione che ci aveva tenuto una volta un istruttore di psicologia, riguardo alla tattica intimidatoria militare. In pratica consiste nel far credere al nemico una determinata strategia, facendolo illudere di trovarsi in una situazione di vantaggio e di sicurezza nel proprio territorio, per poi indebolirlo e sferrare un attacco. Così, mi impongo di calmarmi e abbozzo un sorriso di sfida. Dal canto suo, Aper sembra deluso, come se si aspettasse che dovessi cadere a terra a piangere da un momento all'altro; oh, chissà quanto si sarà divertito a vedere infrangere le sicurezze dei miei compagni, come assaporava la nostra sconfitta. Bhe, non gli avrei dato questa soddisfazione. Il mio istruttore di combattimento con gli spadoni sembra capire le mie intenzioni, così rompe il silenzio che aveva volutamente dilungato in attesa di un mio crollo, e continua. "Essendo il test finale, che ti porterà ad essere un caporale maggiore, esigiamo molto più di un semplice combattimento con armi scelte da te." Fa una pausa, per studiare le mie reazioni. "Naturalmente, signore!" Rispondo io scattante, la voce stranamente salda. "Perciò" prosegue aspramente Aper, ormai chiaramente deluso dal mio ferreo autocontrollo "abbiamo preparato per tutti voi una bella sorpresa." Si interrompe e fa un cenno all'istruttrice che mi ha chiamata prima, che mi posiziona nelle mani un fucile d'assalto, lucido e pulito. Ammiro l'arma, letale e spietata, e sento crescere dentro di me maggior sicurezza. Il fucile è lungo all'incirca novecento millimetri (la canna sarà sui quattrocento abbondanti), e il calibro di 8 scarsi. Guardando la sicura (che impedisce lo sparo accidentale e pericolosamente rischioso dell'arma) posizionata in basso, capisco che il fucile è semiautomatico: potrò sparare solo un colpo alla volta, e dovrò quindi rilasciare il grilletto per colpire di nuovo. Il mio sguardo si sofferma poi sul caricatore, che noto già inserito e pieno. "È da cento colpi." Mi informa  l'istruttrice, adocchiando poi Aper, che non sembra molto felice che abbia ricevuto l'informazione: probabilmente avrebbe preferito mettermi in ulteriore difficoltà tenendomi all'oscuro. "Oggi" riattacca poi, le labbra leggermente arricciate per il disappunto "ti metteremo alla prova: sarai un soldato di truppa di tre militari esperti, che aspettano qua fuori, nel bosco al di là della cinta che delimita la caserma. Ti daranno determinate istruzioni e ti faranno combattere, e dai tuoi comportamenti e dalle tue azioni, giudicheremo se sei pronta o meno per essere promossa. Tutto chiaro?" "Sissignore!" "Molto bene. Andiamo allora." Mi scortano fuori dalla palestra, facendomi scendere le scale fino al piano terra. Mentre scendo, mi colpisco di non trovare anima viva per i corridoi. Poi mi ricordo che è ancora orario di addestramento, e che i miei compagni probabilmente saranno già saliti ai dormitori, a piangere o a festeggiare. Non vedo l'ora di sapere anche il mio verdetto, e unirmi a loro. Aper la sta tirando incredibilmente per le lunghe. Sono sollevata e al tempo stesso angosciata quando ci inoltriamo fuori dalla cinta, nel folto della foresta: siamo allo scoperto, e se i militari della Provincia del Sud dovessero attaccare ora... No, mi vieto di pensarci. Ora devo affrontare il test. Cerco di distrarmi guardandomi in giro. Il cielo grigio è coperto di nuvole, e il bosco apparentemente silenzioso. Seguo Aper e gli altri istruttori sempre più nel folto del fogliame. Mi piace molto questa foresta: nelle rare giornate di libertà che ci concedono, ho passato un po' di tempo qui, sia da sola che coi miei amici, e a volte anche con Jon. La pace, l'aria fresca, l'odore di resina, di fiori di campo e gli aromi delle piante è un balsamo per il corpo stanco e affaticato dai continui allenamenti. Per non parlare degli animali che si aggirano veloci, sgattaiolando o mimetizzandosi tra gli alberi. Ricordo ancora quella volta che io e Jon, qualche mese addietro, stavamo riposando in un'assolata radura poco distante. Eravamo talmente zitti e immobili, che due giovani caprioli maschi, si erano messi a brucare il prato vicini a noi, noncuranti della nostra presenza. Ne ero rimasta estasiata. Ho sempre adorato gli animali (da piccola, vivevo in un'immensa villa circondata da campi e da un piccolo bosco) e mi piace osservarli e interagire con essi. Anche adesso, mentre cammino, sento lo zampettare di uno scoiattolo su un ramo sopra di me, e, poco distante, il fischio di un picchio verde. Ci siamo ormai abbastanza inoltrati nel folto della foresta, quando finalmente Aper, che guida il gruppo, si ferma. Facendo un rapido esame del luogo, mi rendo conto che siamo in uno spazio non più lungo di una quarantina di metri e largo venti. Al suolo, solo terriccio e massi. Sto iniziando a chiedermi come mai ci siamo fermati, dato che non c'è nulla qui, quando scorgo, al limite dello spiazzo, appoggiato a un albero, un soldato, che imbraccia un'arma uguale alla mia. Guardando meglio, ne scorgo altri due, dietro di lui: mi stanno guardando impassibili, senza emozioni negli occhi. Anche loro hanno le stesse identiche armi. "Soldati!" Li apostrofa Aper. "Sissignore!" Rispondono subito all'unisono, scattando sull'attenti. "Passo avanti e identificazione." Il primo a farsi avanti, un lampo di spavalderia negli occhi, è il soldato che era appoggiato all'albero. È intorno alla ventina, robusto e alto, e non l'ho mai visto prima in vita mia. "Mike, squadrone D!" Dichiara, la voce profonda che riecheggia nella foresta. La seconda a farsi avanti, è una ragazza. È minuta, ma il viso determinato e sicuro di sé compensa la sua ben poco intimidatoria statura. "Lucy, squadrone E!" Trilla con la voce squillante. Mentre l'ultimo fa un passo avanti, uscendo finalmente dal fogliame, mi balza il cuore in gola. Perché quel ragazzo lo conosco, e anche abbastanza bene. È il migliore amico di Jon, e fa parte del suo stesso squadrone. Molte volte sono uscita con lui, Jon, e il loro gruppo di amici. Sono simpaticissimi, e mi diverto molto con loro. Il fatto che, involontariamente, abbiano scelto anche lui, mi rassicura: non sarò completamente sola, come temevo. E quando, con voce sicura, grida un "Fred, squadrone G!", mi accorgo che i suoi gentili occhi verdi sono contenti di vedermi. "Molto bene." Annuisce soddisfatto Aper. Con mia grande sorpresa, quest'ultimo si mette da parte, vicino agli altri istruttori, per far posto all'istruttrice esterna. "Riposo." Comanda quest'ultima. I tre militari accolgono l'ordine con approvazione, rilassando i muscoli. "Oggi, vi divideremo in due squadre formate da due persone. L'obbiettivo è molto semplice: dovete individuare il nemico e sopraffarlo." Tace per un momento, dandoci il tempo di assimilare l'informazione. Sento un brivido di eccitazione attraversarmi la colonna vertebrale e i muscoli sciogliersi dalla tensione. È un compito semplicissimo! Ho già fatto esercitazioni simili in passato e, bene o male, ho sempre ottenuto buoni risultati. Certo, qua è più difficile perché non conosco i miei compagni, ma credo di potermela cavare. "Tuttavia" riprende la nostra istruttrice "non sarà così semplice. Chiunque venga sconfitto nella battaglia, dovrà consegnarsi alla squadra avversaria e aspettare che il suo compagno lo venga a salvare. Per ciò vi consegnamo a ciascuno una corda lunga due metri per legare i vostri avversari.-ci comunica, facendo un gesto ad Aper che si affretta a distribuirle a ognuno di noi, insieme ad una telecamera da legare sulla testa per documentare ogni minimo spostamento o dettaglio-.Avete a disposizione tutta la foresta da qui fino alla nostra Base." Bhe, la prova non sarà semplice, ma penso di potermela cavare. "Ah, un'ultima cosa." Aggiunge alla fine, l'istruttrice "la pistola non è caricata a salve: ma vi ordiniamo di sparare lo stesso." Impallidisco. È una follia. Che cosa stanno cercando di fare, una carneficina tra i loro soldati? Rimango al mio posto, gli occhi vacui. Fingo che la cosa non mi tocchi affatto, mentre studio le reazioni degli altri soldati. Se sono sorpresi, lo nascondono molto bene. Poi ricordo una delle regole iniziali dateci all'inizio del primo anno, quando ancora eravamo inesperti e, devo ammetterlo, un po' smarriti. "Bisogna sempre obbedire agli ordini." Sospiro, rassegnata. Se voglio superare questo test, sarò costretta a sparare. Cercherò di farlo il meno possibile, ma, anche questa volta, non ho molta scelta. Ho fatto enormi sacrifici per arrivare fin qui, e non intendo mollare tutto adesso. "Bene" continua l'istruttrice che, al contrario di Aper, è compiaciuta dal mio controllo. "Ora dobbiamo formare le squadre. Mike, Andy. Voi sarete la prima squadra. Lucy, Fred. Voi la seconda. Avete cinque minuti di tempo per nascondervi nella foresta, a partire da adesso!" Non ho neanche il tempo di protestare dentro di me per non essere finita in squadra con Fred, ma con quello che ha tutta l'aria di essere uno spaccone. "Seguimi" mi ringhia infatti quest'ultimo, correndo davanti a me. Non protesto e mi fido, anche perché lui è un militare abile e ha più esperienza rispetto a me. Dopo dieci minuti che corriamo veloci, il ragazzo si ferma di botto, facendomi quasi inciampare. Una rapida occhiata, e capisco che siamo a metà tra la cinta e lo spiazzo. "Dobbiamo organizzarci in una strategia" abbaio a Mike, usando il suo stesso tono sprezzante. Lui, in tutta risposta, ride. "Non c'è una strategia: spariamo e basta." Lo guardo, strabuzzando gli occhi. Mi sta forse prendendo in giro? "Credevo che fosse anche nel tuo interesse vincere questa esercitazione" Lui scrolla le spalle. No. Mi sbagliavo. Non gliene importa niente. Probabilmente lo hanno obbligato o fa parte di una punizione quest'esercitazione, per lui. O forse lo hanno scelto apposta per mettermi in difficoltà. Fantastico. Davvero fantastico. "Senti" riprovo io, più dolcemente "con tutto il rispetto, per me questo test è molto importante. Quindi, per favore, potremmo ideare una strategia?" Mi fissa, gli occhi che emanano disprezzo. Poi però, incredibilmente, cede. "D'accordo. La cosa migliore sarebbe che uno di noi andasse in avanscoperta, e l'altro lo coprisse a distanza." Annuisco, approvando. "Io vado in avanscoperta" mi informa subito. Acconsento; è già tanto se sono riuscita a convincerlo prima. In quel momento, alla nostra destra, una cinquantina di metri tra il fogliame, si sentono delle voci: sono i nostri avversari. Mike mi fa segno di stare zitta e aspettare, mentre lui va a controllare. Così mi accovaccio dietro un grosso masso muschiato e aspetto la mossa successiva. Punto gli occhi fissi sul mio compagno di squadra, decisa a non perderlo di vista neanche per un istante. Lo vedo nascondersi tra il fogliame scuro, completamente mimetizzato e in silenzio. Ho i nervi così a fior di pelle che quando iniziano gli spari per poco non salto in piedi urlando. Continuo a controllare il mio compagno di squadra, che, sdraiato tra le felci, inizia a sparare a raffica verso i nemici, che però non riesco a scorgere, nascosti come sono dagli alberi. Pensavo che Mike si sarebbe limitato a una breve sparatoria per mettere in guardia i nemici e poi avanzare per catturarli, ma, con mio grande stupore, continua a rimanere accovacciato per terra, immobile, un mezzo ghigno dipinto sul volto. È allora che capisco: ha acconsentito al pianificare una strategia solo perché così avrebbe potuto scegliere di fare tutto quello che voleva lui, in avanscoperta. Un velo rosso scende sopra di me: no. Non permetto che si prenda il merito del mio test. sto per alzarmi e andare insieme a lui a sparare, quando sento qualcuno che mi afferra da dietro, mi tappa la bocca e mi scaraventa a terra, gettando la mia arma lontano. Mi divincolo, menando gomitate e calci alla cieca, fino a quando non riesco a liberarmi, e cado bocconi per terra, ansimando. Davanti a me, inginocchiata per terra, che si tiene il polso slogato, Lucy. Non trovo la sua arma, e allora capisco la loro tattica: ha dato la sua pistola a Fred, in modo che pensassimo che fossero in due a sparare, mentre lei, sgattaiolando dietro di me, mi avrebbe ferita e imprigionata. Ma non gliel'avrei data vinta tanto facilmente. Siamo istruiti anche sulla lotta libera, anche se non la utilizziamo molto: tuttavia, adesso sono contenta di aver seguito anche quel corso. Mentre lei sta ancora riposando cercando di riacquistare le forze, mi slancio in avanti, caricandola, con l'intento di buttarla per terra. Ma lei è più veloce, e, spostandosi di lato, mi assesta un pesante pugno sul collo. La mia vista si fa incerta, mentre barcollo, lottando per mantenere l'equilibrio. Lucy approfitta della situazione per sferrare un'altro attacco: mi tira un calcio sugli stinchi mandandomi distesa per terra, poi balza su di me, e inizia a tempestarmi di pugni in faccia. Il dolore inizia a farsi sentire, sempre più forte è insopportabile, fino a che mi accorgo che mi sta iniziando a uscire sangue dal naso. Credo di star per svenire. A quel punto, sarei catturata, e avrei meno probabilità di superare il test. Questo pensiero mi da la forza di resistere, mentre mi divincolo, ma senza risultati. inizio a guardarmi intorno, cercando qualcosa che mi possa aiutare. A dieci metri di distanza, ecco lì la mia arma; ma è troppo lontana, non ce la farei mai a raggiungerla. Tuttavia, girando lo sguardo dall'altra parte, scorgo un grosso sasso dai bordi seghettati, che può fare al caso mio. Allungo la mano il più possibile, ma non riesco a prenderlo. Riprovo, e questa volta lo afferro. Aspetto ancora un po', sopportando i colpi che Lucy continua ad assestarmi, cercando il momento giusto per colpire. Poi le scaravento la pietra in testa. L'ultima cosa che fa, prima di svenire, è guardarmi con ottuso stupore. "Idiota" le bisbiglio, soddisfatta per la vittoria. Mi libero finalmente dalla sua stretta, la testa che mi gira come una trottola, il naso grondante sangue. Strappo un pezzo di muschio e me lo tampono sul viso, asciugandomi quel tanto che basta per riuscire a respirare agevolmente. Controllandomi il naso, tiro un sospiro di sollievo: miracolosamente, non è rotto. Riprendo l'arma, ma capisco appena la imbraccio che si è inceppata. Grandioso. Ora come farò, in caso di un'altra sparatoria? Mentre mi pongo questa domanda, mi accorgo di una cosa: c'è fin troppo silenzio intorno a me. Preoccupata, mi giro verso il punto in cui Mike dovrebbe essere, a sparare contro Fred; ma non c'è. Impreco, a bassa voce. Com'è possibile che dopo tutte le sue arie si sia fatto catturare con così tanta facilità? Scuoto la testa; non ha importanza ormai. Prima di andare a cercarlo, trascino il corpo esanime di Lucy e lo appoggio contro ad un tronco, con la mia arma tra le sue braccia e i polsi legati strettamente col cordame datomi prima: così gli istruttori, quando perlustreranno la zona, alla fine del test, sapranno che è stata catturata. Poi mi incammino nel punto in cui James stava sparando contro Fred, ma non trovo niente se non una nicchia tra l'erba, nel punto in cui si era accovacciato per colpire. Mi sento nuda senza un'arma tra le braccia, mentre con passo veloce seguo i segni di rami spezzati e terriccio smussato, nei punti in cui probabilmente Mike ha lottato per liberarsi, e mi chiedo cosa farò quando lo troverò, legato da qualche parte. Ad un certo punto mi blocco, di colpo. Un momento. Ma perché Fred non ha sparato a Mike, quando l'ha fatto prigioniero? Perché fare tutta quella fatica, trascinandolo e lottando contro di lui, quando poteva renderlo inoffensivo con un proiettile nella gamba, o in un qualche altro organo non vitale? Veloce come la prima, un'altra rivelazione si abbatte su di me, come un fulmine a ciel sereno. Questo vuol dire anche, che si è impossessato del fucile del mio compagno di squadra: ha la bellezza di tre armi su quattro. Sospiro rassegnata, ricominciando a camminare. sono abbastanza sicura sulla pista da seguire: credo di essere quasi arrivata. Infatti, le tracce per terra si fanno meno visibili, segno che Mike aveva quasi smesso di lottare, ormai debole. Sollevo lo sguardo verso il cielo, sempre più grigio: è abbastanza tardi. Alle sette, col termine dell'addestramento, molto probabilmente finirà anche il nostro tempo a disposizione. Devo sbrigarmi. Mi incammino velocemente, i miei passi silenziosi, grazie ai lunghi anni di addestramento e agli aghi di pino morbidi sul terreno, che ovattano ogni suono. Giro una piccola curva e, finalmente, lo vedo: Mike è seduto, la schiena contro un masso enorme in un piccolo scorcio tra gli alberi, dove l'erba è molto più alta rispetto a qualche centinaio di metri addietro, i polsi legati, e la sua arma di fianco a lui. Mi nascondo dietro ad un tronco per esaminare la situazione, (non si sa mai che ci possa essere qualcuno in agguato), e un dettaglio attira subito la mia attenzione: Mike è rilassato e tranquillo, un sorrisetto malizioso sul volto; se fossi io, al suo posto, sarei furibonda e cercherei di liberarmi. Invece lui non si muove neanche, come se volesse essere legato. Provo una strana sensazione negativa guardandolo: so che c'è qualcosa di strano che non riesco ad afferrare, ma non faccio in tempo a pormi altre domande, perché noto Fred, prima nascosto tra gli alberi, avvicinarsi all'ostaggio. Si aggira guardingo, come se aspettasse che qualcuno si palesasse da un momento all'altro. Mi viene un tuffo al cuore: quel qualcuno sono io. È una trappola. Come faccio a liberare Mike e andarmene senza farmi vedere da Fred, per poi tornare indietro e catturarlo? Gli ordini sono stati chiari: devo sopraffare il nemico, indi anche lui. La cosa però non mi riempie di gioia; ormai Fred lo considero un mio amico... Non mi va di fargli del male. Così mi riprometto che aspetterò faccia lui la prima mossa, prima di colpirlo. Sto ancora domandandomi quale sia la tattica migliore da affrontare, quando una pallottola vola dritta verso di me, mirando al cuore. Scatto di lato, evitandola per un pelo. Ma sono impazziti? Chi è il pazzo che ha mirato per uccidermi? Poi scorgo, in mezzo al fogliame, una ventina di passi davanti a me, una figura che mi corre incontro: Lucy. Si è ripresa più velocemente di quanto pensassi; non mi ero guardata intorno per controllare se ci fossero sentinelle: un gravissimo errore, che avrei imparato a mie spese. Anche perché ora lei ha il fucile, e io invece sono disarmata. La mia avversaria sembra leggermi nel pensiero e sogghigna, sentendosi in vantaggio. Sento volare un altro proiettile nella mia direzione, e rotolo per terra, appiattendomi al suolo. Il mio cuore batte fortissimo, mentre penso a una via di fuga. "Pensa Andy, pensa." Mi dico, agitata. Mi guardo intorno, in cerca di una soluzione, freneticamente. A mezzo metro da me, un grosso bastone di legno robusto mi fa venire in mente un'idea. Lo afferro, nascondendo il braccio tra l'erba alta, e rimango immobile, aspettando che Lucy mi raggiunga. Chiudo gli occhi, facendo finta di essere svenuta. Cerco di regolare il mio respiro affannoso, quando la sento avvicinarsi a passi felpati, studiandomi con attenzione. Si inginocchia di fianco a me, girandomi: vuole vedere in che punto mi abbia colpita; mi domando se sia preoccupata o meno per le mie condizioni. In fondo, avrebbe anche potuto uccidermi, se non avessi schivato i proiettili. Quando la sento appoggiare l'arma per terra, per esaminarmi con maggiore attenzione e, probabilmente per legarmi insieme a Mike, apro gli occhi e balzo in piedi, roteando il bastone in aria a mo' di spadone e assestandogli un forte colpo sulla tempia. Ora é di nuovo il suo turno ad accasciarsi per terra, tramortita. Balzo sull'arma, imbracciandola; sorrido, sentendomi molto più sicura. Una sensazione molto simile al trionfo si diffonde caldo nel mio stomaco, diramandosi poi per le braccia e le gambe. La lego per la seconda volta e adagio dietro a un cespuglio, poi balzo nello scorcio e corro dal mio compagno. Stranamente, Fred è scomparso. Meglio così. Mi affretto a slegare Mike. Lui non dice niente, non si degna nemmeno di dirmi grazie. Anzi, nei suoi occhi scruto qualcosa che assomiglia molto allo scherno. "Lucy!" Sento urlare alle mie spalle. Fred è vicino. Avrà sentito gli spari e si sarà affrettato a portare soccorso alla sua compagna: un bellissimo gesto che dimostra quanto sia un buon militare. Dobbiamo muoverci. Mike si sta ancora sfregando i polsi indolenziti, così afferro l'arma e gliela posiziono te le mani. Ed è allora, mentre esamino il fucile che gli ho appena passato, che il sangue mi si gela nelle vene: Mike sta imbracciando la mia arma. Lo guardo, mentre l'adrenalina mi sale in circolo; ecco perché voleva andare in avanscoperta, perché non era preoccupato mentre era legato, perché Fred non gli ha sparato. Ed ecco cosa c'era di strano, che prima non riuscivo ad afferrare: Mike non è ferito. Com'è possibile, se quando io e Lucy abbiamo combattuto non ci siamo uccise per miracolo? La consapevolezza mi assale, violenta e fredda come una tempesta. Solo ora capisco il vero senso dell'esercitazione. "Devi scovare il nemico." Mi ripete una voce nella mia testa. Sento Fred correre verso di me, ormai è a meno di dieci passi. Ma non mi giro ad affrontarlo: non è lui il nemico più pericoloso, ora. Senza nemmeno pensarci, alzo il fucile all'altezza del petto di Mike, premo il grilletto e sparo, lasciandolo accasciato a terra, morto.

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Capitolo 3
*** La festa ***


Mi giro verso Fred, il fucile ancora imbracciato, saldamente puntato contro di lui. Tuttavia, meravigliata, noto che getta l'arma a terra, guardandomi colpito. "Mi arrendo" mi bisbiglia, inaspettatamente. Lo scruto con diffidenza; forse è un'altra trappola, forse non è ancora finita. Ma scelgo di fidarmi. Poi, lentamente, abbasso il fucile. Apro la bocca per parlare, ma proprio in quel momento un mugolio alle mie spalle, mi fa balzare in aria e voltare di scatto, tesa. Con mio grande stupore, il rumore viene da Mike. Com'è possibile che sia ancora vivo? Eppure, sotto i miei occhi increduli, lo vedo alzarsi, togliersi con rabbia la maglietta nera obbligatoria durante gli allenamenti, e strapparsi bestemmiando la pallottola da un sospetto pezzo di stoffa resistente, che gli circonda tutto il busto. Non ci posso credere. "Avevate un giubbotto antiproiettile, eppure avete lasciato che io rischiassi la vita per uno stupido test?" Sto urlando, ma non me ne importa nulla. "Stai tranquilla, ci è stato ordinato di non colpirti in punti vitali" mi rassicura Fred con gentilezza. "Ma se per poco Lucy non mi sparava al cuore!" "Bhe, mi pare che tu sia viva, no?" Si intromette Mike, quasi seccato dalle mie perplessità. Lo guardo con odio, la rabbia che si diffonde nel mio stomaco con rapidità. "Già, ma tu lo sei solo per quel giubbotto, vigliacco." "Sai, bionda" mi apostrofa lui, un sorriso ironico stampato in viso "hai più fegato di quanto pensassi." Questo è troppo. Getto l'arma a terra e mi scaravento contro di lui, il pugno destro alzato pronto a colpire quell'odiosa faccia. O meglio, è quello che vorrei fare, perché Fred mi afferra da dietro e mi tiene ferma, mentre mi divincolo, inveendo e urlando contro di loro, l'adrenalina rimastami addosso che si riversa come una slavina su chiunque capiti a tiro. "Va tutto bene, è finito ora" continua a ripetermi, mentre io persisto a strattonarmi dalla sua presa, ma alla fine funziona. Quando Fred è sicuro che mi sia completamente calmata, cautamente, mi lascia andare. In quel mentre, tutti trafelati, arrivano gli istruttori. "Soldati!" Tuona Aper. Subito Mike e Fred scattano in posizione. L'istruttrice esterna, che ha visto tutto ciò che è successo durante la prova grazie alle telecamere che abbiamo addosso, collegate a un piccolo dispositivo che ora tiene in mano, si affretta a recuperare una tramortita Lucy dal fogliame poco distante. Una volta fatto ciò, ritorna insieme agli altri maestri, in fila, di fronte a noi. "Gli istruttori si sono riuniti per la valutazione" inizia, dopo un attimo di silenzio "ed il verdetto è stato quasi assolutamente unanime: penso si possa dire che tu abbia superato il test a pieni voti!" Sorride, incoraggiante. Il nodo che avevo attorno al cuore si allenta un po'. Ce l'ho fatta. Mi sembra impossibile, ma sono un caporale maggiore, ora. "Non è vero!" Protesta Aper, fuori di sè: evidentemente spera fino all'ultimo di potermi bocciare. Lo guardo, una nota di sufficienza nei miei occhi. Lui se ne accorge, e si infuria ancora di più. "Joseph" lo apostrofa l'istruttrice, chiamandolo per nome -facendolo ammutolire all'istante- "è vero: ha capito che a Mike era stato ordinato di allearsi con la squadra avversaria, e in un tempo anche molto breve. Inoltre, ha dimostrato fedeltà agli ordini, e di saper lottare sia con le armi che senza." "Ma... Ma gli ha sparato in pieno petto!" Protesta paonazzo Aper. Guardandolo, mi sembra che assomigli a un grassoccio bambino capriccioso a cui si è rotto il giocattolo, e che ne vuole subito uno nuovo. Manca soltanto che si metta a piangere e pesti i piedi per terra, e la scena sarebbe perfetta. Sogghigno, immaginandomelo. L'istruttrice mi guarda, un silenzioso monito negli occhi, poi, con gentilezza ma decisa, si rivolge al mio istruttore di lotta con lo spadone. "Era quello che pretendevamo da lei. Pur non sapendo del giubbotto antiproiettile di cui erano muniti tutti i suoi avversari, non ha esitato a sparare." Aper apre la bocca per replicare, ma è chiaro che non sa più cosa rispondere. Così se ne va sbuffando, senza nemmeno congedarsi, seguito da tutti gli altri istruttori. L'ultima ad andarsene, è l'istruttrice esterna, che mi lancia un sorriso di approvazione e raccoglie le armi da terra, prima di scomparire nel bosco insieme agli altri. O almeno, quello sarebbe il suo intento. "Signora!" La chiamo all'ultimo, non riuscendomi a trattenere. L'istruttrice si gira lentamente, sorpresa. "Sì, caporale maggiore?" "Signora." Ripeto, sbattendo le palpebre, la rabbia che non mi ha ancora del tutto abbandonata "Perché mettere a rischio la vita di ragazzi che passate la vita ad addestrare?" Dovrei sentirmi pentita per l'impertinente domanda, ma non lo sono. Hanno messo in pericolo la mia vita, per decidere chi selezionare. È un prezzo troppo alto da pagare. "Caporale maggiore, ripone così poca fiducia nei confronti dei nostri militari più esperti?" La sua voce è fredda e piena di rimprovero. Abbasso la testa, mortificata. Ha ragione. Oltre che una prova fisica, questa era anche un test psicologico: per vedere chi non crolla, chi resiste. Io ho resistito. Ma non mi sono fidata. Con questa colpa non espressa, rimango a guardare l'istruttrice che, voltatasi in silenzio, si allontana nel folto della vegetazione. Mentre fisso il punto tra gli alberi dove pochi istanti prima vi erano i miei istruttori, un senso di sollievo sempre più crescente mi pervade, dolce balsamo che lenisce il mio orgoglio ferito e mi infonde sicurezza. È finita, finalmente. Tutte le emozioni e le preoccupazioni che avevo ignorato durante il test, mi si riversano addosso come una secchiata d'acqua gelida. Il mio primo pensiero, va subito a Jon, e alla lettera. E guardando Fred, intento ad aiutare uno sprezzante Mike ad alzarsi da terra, mi chiedo se abbia avvertito anche lui. Devo rimanere da sola e parlarci, almeno per cinque minuti. Così sono sollevata quando Mike raccoglie Lucy da terra e insieme, lanciandomi un'ultima occhiata piena d'odio, si dirigono verso la caserma, un po' zoppicanti. Guardo Fred, a pochi metri da me: mi sembra abbastanza a disagio; continua a passarsi una mano tra i capelli biondo cenere e a guardare dappertutto tranne che me. "Senti... Ti devo delle scuse." Mi dice dopo qualche momento, lo sguardo puntato per terra. "E per cosa?" Gli chiedo stupita. "Beh sai, per il test... È che mi hanno scelto e reclutato tra quelli del mio squadrone, non potevo dire di no." Lo guardo dolcemente. "Stai tranquillo. Se fossi stata al tuo posto, avrei fatto lo stesso." Fred mi lancia un'occhiata riconoscente, abbozzando un sorriso. "Si beh, però è stata una carognata. Se lo sapesse Jon mi ridurrebbe a fettine." Dice, scoccandomi un'occhiata eloquente. Scoppiamo tutti e due a ridere. Sono contenta abbia accennato lui a Jon; così non sembrerò troppo fuori luogo, almeno. Così azzardo, mentre iniziamo a incamminarci anche noi verso la caserma. "Senti... A proposito di Jon. Hai avuto sue notizie, recentemente?" Conosco Fred, è un bravo ragazzo: non è capace di mentire, non è il tipo. Così, quando lo vedo impallidire e indirizzarmi uno sguardo preoccupato, capisco che c'è sotto qualcosa. "In effetti sì." Si limita a dire. Non demordo. "Anche io." Lo informo. "E... E che ti ha detto nella sua lettera?" Riprovo. "Che sta bene... E mi ha chiesto di tenerti d'occhio." Perplessa, mi giro a guardarlo, interrogativa. Notando la sua faccia imbarazzata, scoppio a ridere. "Tenermi d'occhio?" "Già." Sorride Fred, passandosi per l'ennesima volta la mano tra i suoi folti capelli. "Vuole che mi assicuri che tu stia bene. Sai, è molto innamorato di te." Arrossisco, imbarazzata. "Tranquillo, so cavarmela da sola." Gli assicuro, cercando di sviare la conversazione. Fred sogghigna, divertito. "Questo l'ho notato." Ci scambiamo un'occhiata di intesa. "Allora... A parte questo, ti ha scritto nient' altro?" "No, non mi pare." Poi mi scruta, interrogativo. "Perché, avrebbe dovuto?" "No..." Sprofondo ancora di più nello sconforto. Perché Jon ha preferito dire una cosa del genere a me, che non sono nemmeno un soldato a tutti gli effetti, piuttosto che al suo migliore amico, che tra l'altro è molto più esperto? Scuoto la testa, rassegnata. In quel momento, mi accorgo che siamo arrivati alla cinta. Facciamo segno alla sentinella che subito ci fa passare, veloce. A passo rapido, attraversiamo l'enorme complesso di campi d'atletica, d'esercitazione per armi da fuoco e spazi per allenarsi con le spade o per lotta libera. Una volta entrati, saliamo insieme le scale, dirigendoci verso gli spogliatoi. Non diciamo niente nel tragitto, ognuno perso nei propri pensieri. Prima di entrare in quello maschile, Fred si gira a salutarmi. "Ci vediamo." "Già... A presto. E salutami tutti." Dico, alludendo agli amici suoi e di Jon con cui a volte passo del tempo. Mi giro, con l'intento di entrare anche io nello spogliatoio femminile, quando  mi scontro contro James che per poco non mi fa cadere. "Santo cielo Jay, per poco non mi ammazzavo!" "Non te lo avrei mai permesso." Mi risponde sorridendo. Rido, mentre lo esamino. Lui è stato uno dei primi a essere convocato, dopo Philippe; ha avuto quindi il tempo di lavarsi e prepararsi per la festa. Giusto, la festa! Me ne ero quasi dimenticata. "Come sto?" Mi chiede, accortosi che lo sto guardando. "Molto bene." Rispondo. E lo penso davvero. Mi è sempre piaciuto il modo in cui si veste; penso che se fossi un ragazzo vorrei vestirmi come lui. I suoi pantaloni di jeans chiaro, pieni di tasche larghe e profonde, gli ricadono elegantemente sulle gambe muscolose. La camicia nera, abbottonata fino alla clavicola, sottolinea il suo torace snello e le braccia forti, e fa risaltare ancora di più la sua pelle perennemente abbronzata. "Molto bene?! Mi sta divinamente!" Scherza, facendo una piccola giravolta su se stesso, come per farsi vedere meglio. Una volta finito, con molta dignità, fa finta di togliersi un cappello, mentre si china in avanti. Ridacchio, divertita. "Dalla tua gioia e dalla tua straordinaria umiltà devo forse dedurre che hai passato il test, messere?" Chiedo scherzando. "Deduci giusto, madamigella." Esclama gioioso, sollevandomi per i fianchi e facendomi girare, mentre io rido. "Mettimi giù!" Protesto, ma lui non mi ascolta e continua. Quando finalmente mi rimette coi piedi per terra, mi sento un po' rintronata. "E tu?" Mi chiede poi, ansioso. "Avevi forse qualche dubbio?" Spalanca la bocca in un sorriso luminoso, a cui non riesco a non rispondere. "Gli altri?" Domando io poi. "Tutti promossi... Tranne Paul." "Oh." Il mio cuore sprofonda. Mi è già successo in passato di aver legato molto con persone che poi sono state bocciate, ed è una cosa abbastanza triste: anche se si vuole continuare a mantenere i rapporti, molto raramente si riesce. "Già... Pare sia svenuto durante l'esercitazione." Devo avere un'aria davvero affranta, perché James mi abbraccia, accarezzandomi i capelli dolcemente. "Stai tranquilla. In fondo, hai sempre me che sono molto meglio, no?" Gli tiro una gomitata, sentendomi rassicurata. "Uhm, non saprei. Devo pensarci." Jay ride, la testa buttata all'indietro. "Beh, fammi un fischio quando avrai deciso." "Lo farò, non preoccuparti." Ci guardiamo sorridendo ancora un attimo. "Beh, io ora devo andare ad aiutare Philippe a finire di preparare per la festa. Ora che siamo al settimo piano, le stanze sono tutte incredibilmente più grandi!" È vero, devo pure traslocare le poche cose che ho raccolte nella piccola stanza del sesto piano, e portarle al settimo. Di norma, quando si supera la prova decisiva che porterà ad un rango militare più alto, il giorno stesso bisogna trasferire i propri averi  nella stanza avente la stessa posizione nel corridoio in cui si era prima, ma al piano superiore. Così, ognuno sa sempre dove andare e non deve chiedere continuamente aiuto agli istruttori. James pare leggermi nel pensiero, perché mi informa prontamente . "Le vostre cose le ha già portate su Rachel." "E tu come fai a saperlo?" Con sguardo furtivo, lui mi si avvicina silenziosamente. "Ho le mie spie." Mi sussurra, come se mi stesse rivelando un segreto importante. Mentre è così vicino a me, avverto il suo buonissimo profumo al muschio. "Oh, capisco. Devo stare attenta allora." "Molto attenta." Mi fa eco lui, ghignando. "E poiché voi siete soltanto una povera fanciulla indifesa, che deve ancora prepararsi per la festa dopo questa faticosa giornata" aggiunge poi, come se fosse un buon cavaliere e stesse solo svolgendo il suo compito di prestare soccorso a una dama "chiedo il permesso di passarvi a prendere tra un'ora, qua." "Accordato!" Esclamo io, grata. "Fantastico! Ci vediamo tra un' ora, allora" Poi si sporge verso di me, provocandomi una sciocca scarica di farfalle nello stomaco, e mi da un lento bacio sulla guancia. Poi si allontana, con la sua solita camminata molleggiante che mi piace così tanto. Rimango a fissare il punto dove se ne è andato per un po', con quella stupida sensazione alla bocca dello stomaco. Poi entro nello spogliatoio e, dopo essermi lavata e asciugata, devo affrontare un nuovo problema: cosa indossare per la festa di stasera. Frugo tra la mia poca scelta di vestiario, frustrata: non ci sono molte feste da queste parti, ma ci tengo a fare buona figura; altre mie amiche hanno molti più vestiti di me, sicuramente adatti ad occasioni del genere che se chiedessi in prestito mi darebbero con gioia, ma non ho voglia di fare l'elemosina. Così alla fine opto per un tubino di raso nero lungo fino al ginocchio, e un top bianco decorato con dei svolazzanti veli di pizzo, che lascia le spalle scoperte. Ai piedi, un semplice paio di scarpe nere, lucide, con un modesto tacco. Poi prendo quei pochi trucchi che ho, e mi posiziono davanti allo specchio. Di solito non mi trucco, ma oggi sono mossa dallo strano desiderio di colpire in qualche modo James. Passo cinque minuti ad allungare il mio sguardo e a renderlo più profondo, ad infoltire le ciglia e, infine, ad affilare i lineamenti. Alla fine, faccio un passo indietro, ammirandomi. Non sembro nemmeno io. Davanti allo specchio, elegante nel suo abbigliamento, i capelli vaporosi che le incorniciano il volto, una ragazza dal volto enigmatico e dallo sguardo magnetico. Mi giro a guardare l'ora sul l'orologio appeso al muro: Al mio solito, sono in ritardo di cinque minuti buoni. Metto via i trucchi velocemente ed esco dallo spogliatoio, in cerca di James che probabilmente mi sta aspettando. Mentre sto ancora guardando il corridoio vuoto davanti a me, perplessa per l'assenza del mio migliore amico, sento qualcuno fischiare ammirato alle mie spalle. Appoggiato ad un muro, le braccia conserte, ecco lì Jay. "Ciao." Lo saluto, sorridendogli. Lui non dice niente, si limita a fissarmi per lunghi istanti. A disagio, abbasso lo sguardo. "Sei bellissima." Dice poi, incantato. "Grazie. Anche tu non sei male." noto che si è pettinato i capelli all'indietro, dandosi così un'aria più grande e attraente. sorride, compiaciuto. Poi mi si avvicina, ponendomi una mano su un fianco. Uno stupido sfarfallio dentro al mio stomaco mi fa accelerare il battito cardiaco. Ma che mi sta succedendo? Mi impongo di ritrovare autocontrollo, così raddrizzo la schiena e gli sorrido. Lui ricambia, guardandomi dolcemente per lunghi istanti. Poi, come riemerso da un profondo e tormentato pensiero, si riscuote. "Andiamo, ci stanno aspettando." Mentre scendiamo le scale, mi viene in mente che ho lasciato lo zaino già preparato, vitale in caso di attacco da parte dei soldati della Provincia del Sud, nella mia camera; Rachel l'avrà quindi sicuramente portato nella nostra nuova camera. "Senti Jay" inizio, usando un tono dolce "potremmo passare un attimo dalla mia stanza? Ho dimenticato lì... Una cosa." Il mio migliore amico mi guarda con sospetto, un adorabile sorriso sghembo sul viso. "Madamigella, volete forse approfittare di me?" Mi chiede giocoso. Spalanco gli occhi e scoppio a ridere, sorpresa dalla sua spavalderia. "Mio signore, non potrei mai farvi una cosa simile, quanto è vero che sono fidanzata" gli rispondo, a tono. Mi pento subito di quello che ho detto, però, quando lo vedo improvvisamente rabbuiarsi e scostarsi bruscamente da me. "Si, giusto. Capisco. In questo caso, non corro alcun pericolo allora." "Vuoi dire che acconsenti?" Chiedo io, la voce leggermente contrita. Lui si gira a guardarmi e deve percepire il mio turbamento per il suo cambio d'umore, perché lo vedo sorridere, cingermi di nuovo il fianco e sussurrarmi all'orecchio. "Acconsento." In un fievole bisbiglio che mi fa fremere da capo a piedi, mio malgrado. Cerco di distrarmi, sentendomi sempre più stupida per questi miei comportamenti fisici che non riesco a controllare. Così mi accorgo subito quando arriviamo al settimo piano, dove mi faccio condurre da Jay nel corridoio lunghissimo, con un senso di trionfo nel petto. Stiamo svoltando l'angolo, quando ci si para davanti Rachel con un'altra compagna del nostro squadrone, che a volte esce con noi, Friderica. Stanno chiaramente andando alla festa, a giudicare dal loro abbigliamento. Rachel, come sempre, è bellissima: i suoi capelli scuri sono pettinati e lisci tanto da parer liquidi; indossa un vestito nero semplice. Due cordicelle sottili sono legate dietro al collo, per poi sviluppare il resto dell'abito intorno al corpo, risaltando le sue curve. Il trucco è lieve, ma mette in risalto le labbra e gli occhi. Friderica, invece, indossa un lungo vestito blu senza spalline. Non porta trucco -al dire il vero, non l'ho mai vista truccata in vita mia- ma i suoi occhi azzurri risplendono come zaffiri. Appena mi vedono, mi salutano raggianti. Rachel mi getta le braccia intorno al collo. "Siamo state bravissime, A! Ce l'abbiamo fatta!" Rido, felice. Ha ragione. Ora inizia la nostra vera vita: possiamo decidere dove andare, e tra poco diventeremo militari a tutti gli effetti. Una volta sciolte dall'abbraccio, mi domanda dove stiamo andando. "Devo prendere uno zaino nella nostra camera..." Dico soltanto, sperando che non mi domandi nient'altro. "Uno zaino?" Chiedono tutti e tre, guardandomi storto. "Che te ne fai di uno zaino ad una festa?" Mi interroga Friderica, mettendo voce al quesito che tutti si stanno ponendo. Grandioso. Sono in trappola. Se lo portassi, sicuramente vorrebbero vedere cosa c'è dentro, e cosa risponderei io, una volta che lo avessero aperto? Dovrei spiegare tutto, mettendo nei guai sia me che Jon. Così, sono costretta a non portarlo. È una follia, e ogni parte di me mi sta ancora ordinando di non farlo, quando sento uscire dalle mie labbra un sussurrato "Avete ragione, lo prenderò dopo". Così ci incamminiamo fino alla stanza di James e Philippe tutti insieme. Mentre loro chiacchierano del più e del meno, scherzando, io non riesco a levarmi dallo stomaco quella brutta sensazione di aver commesso uno sbaglio enorme. Quasi non mi accorgo quando arriviamo davanti ad una porta, dalla quale si percepisce un lieve rumore di musica e un allegro chiacchiericcio. In teoria, una festa sarebbe vietata, all'interno della caserma. Ma noi approfittiamo di quelle poche volte che "ci concedono di fare quello che vogliamo", interpretando e deformando questa frase a nostro piacimento. Così, se per caso, un istruttore dovesse sorprenderci nel bel mezzo di un nostro momento di ritrovo, non potrebbe sgridarci più di tanto. Comunque, siamo sempre molto attenti a non farci cogliere in flagrante, e soprattutto Jay e Philippe hanno elaborato un così complesso intreccio di trucchi e stratagemmi per camuffare in breve tempo una festa in pieno corso di svolgimento, che non ho mai avuto paura di un possibile scoprimento da parte degli istruttori. La voce di James mi riscuote dalle mie riflessioni. "Ragazze, posso darvi ufficialmente il benvenuto alla notte che sarà la più bella della vostra vita!" Esclama il mio migliore amico, mentre apre teatralmente la porta della sua stanza. Mi guardo intorno, meravigliata. Jay non scherzava quando parlava di spazi molto più grandi. Evidentemente, chi ha ideato questo edificio ha pensato che sarebbe stato più gratificante per un soldato, una volta superate così tante prove, avere un alloggio migliore. E mi trovo assolutamente d'accordo con lui. Ad accoglierci, vi è un salotto, se così si può definire, con dei divani neri in pelle sintetica al centro, a forma circolare, che sembrano abbracciare un tavolo di vetro posizionato al centro, tra essi. Più in là, delle finestre fanno entrare l'accogliente bagliore delle stelle nascenti. A sinistra, una porta aperta fa intravedere due letti, non più a castello, che hanno l'aria di essere molto comodi. Nella porta accanto, deduco ci sia un bagno. L'intera stanza è illuminata sommessamente  di luci rosse, verdi e blu, le quali mi accorgo provengano da una palla a specchi da discoteca, appesa al soffitto. Due piccole casse portatili, vicine al muro, fanno uscire musica squisitamente ritmata, che mi si diffonde subito nelle vene, dandomi un'irresistibile voglia di unirmi ai miei compagni di squadrone e ballare con loro fino allo sfinimento. In quel mentre, esce un Philippe spettinato dalla camera da letto, reggendo tra le braccia due enormi bottiglie di purissimo rum. Strabuzzo gli occhi. Mi sono sempre chiesta come diavolo facciano ad avere sempre così tanto alcool a disposizione -sospetto che questo sia solo un assaggio di quello che hanno in serbo per noi-, ma ogni volta che provo a chiederlo a James, lui mi sorride con malizia e dice soltanto: "Un professionista in questo campo non rivela mai i suoi segreti". Così, ormai ho rinunciato a scoprirlo. "Salve ragazze" ci saluta, posando le bottiglie sul tavolo, che solo ora vedo sommerso da bicchieri di plastica, bibite gassate e vari succhi e sciroppi. "Che ne pensate?" Vedo le mie amiche ancora a bocca aperta, così sono io quella a parlare. "È... Pazzesco. Siete stati bravissimi." Sono sincera, e li vedo annuire e sorridere, compiaciuti. "Bhe, diamo inizio alle danze!" Esclama James, prendendomi per mano e trascinandomi in mezzo alla folla, tra i nostri compagni che si stanno dando alla pazza gioia ballando nel salotto, mentre sul divano alcune coppie si baciano, sorridendo, o gruppi di amici conversano gaiamente. Mentre rido come una pazza, mi rendo conto di quanto sia bello poter avere una persona con cui fare gli scemi e divertirsi, come Jay. Lui inizia a piroettare su se stesso, mentre io, imitandolo, comincio a muovere le braccia e le mani a ritmo di musica, girando e facendo smorfie. "Ti muovi bene." Mi grida lui scherzoso, sovrastando il rumore della musica. "Ho imparato dal migliore!" Gli urlo io di rimando. Lo vedo sorridere, uno scintillio bianco in mezzo alla luce lievemente soffusa. Intanto che piroettiamo tra la gente, dò un'occhiata alle persone che mi circondano; sono lieta che non abbiano invitato Peter, tuttavia mi ritrovo dispiaciuta, quando mi rendo conto che mancano Emily e Paul. "Emily aveva già in programma un'altra festa coi suoi ex compagni." Mi informa Jay, quando gli domando  della loro assenza. Annuisco, comprensiva; Emily è più grande di noi: è stata bocciata il primo anno, ma è molto legata ai suoi vecchi compagni. "Paul invece... Voleva restare solo" azzarda James, scrutando la mia reazione: evidentemente dovevo essere molto dispiaciuta, quando mi ha detto della sua bocciatura. Cerco di mostrarmi indifferente, ma dentro di me il mio stomaco si stringe: ecco, sta già accadendo; la nostra amicizia si allenta. Il mio migliore amico deve accorgersi del mio turbamento, perché mi afferra per un braccio e mi trascina via dalla calca. Mi fa sedere, per poi accomodarsi di fianco a me, su uno dei divani, dove troviamo anche Friderica, Rachel e Philippe. "Già finito di ballare?" Ci chiedono, ghignando, divertiti dalla nostra esibizione. "Si, ma solo perché qui, qualcuno ha bisogno di bere" risponde Jay, prendendo il rum e versandolo in un bicchiere. Poi ci aggiunge del succo di lime e dello sciroppo di zucchero di canna. "Tieni." Mi porge il bicchiere con soddisfazione. "Non mi va." Rifiuto io. Ho già fatto l'errore di non portare lo zaino, non intendo anche offuscare i miei sensi bevendo. "Si che ti va. Su, prendilo, ti farà bene." Insiste Jay. Scuoto la testa sorridendo. "Qualcuno si dovrà pur preoccupare di voi, tra qualche ora. Penso di sapere in che stato sarete." James mi guarda ancora per qualche istante, combattuto tra il suo desiderio di farmi sentire meglio e l'occasione che gli sto offrendo. Ma dal mio sguardo irremovibile, capisce che non c'è molto da fare. "Oh beh. In questo caso..." Non finisce neanche la frase, trangugia tutto in un nano secondo. Quando finisce, scocca la lingua soddisfatto. "Delizioso." Poi, afferra una bottiglia di vodka intera, la stappa e inizia a tracannarla a canna. Sono abituata a vederlo bere così tanto, perciò non sono molto stupita. "Jay, smettila. Non vorrai ubriacarti di già, vero?" Lo ammonisco tuttavia, buttandola sul ridere. "No, hai ragione." Ma nei suoi occhi percepisco già un guizzo di selvaggia euforia, causata sicuramente dall'alcool. Così, a malincuore cede la bottiglia a Rachel, seduta di fianco a lui. Lei non si fa pregare, e butta giù una lunga sorsata. Per lei sono già un po' più preoccupata: non regge molto l'alcool. Combatto contro la mia voglia di strapparle la bottiglia dalle mani e ricordarglielo, ma mi trattengo; tanto so che sarebbe inutile. Questa festa celebra la fine dei test e l'inizio di una nuova era: sono tutti in vena di far baldoria. La cosa si fa ancora più preoccupante, quando Philippe decide che è il momento di farci fare, a noi del nostro gruppo, un gioco alcolico. Acconsentono tutti con grande enfasi. Non posso tirarmi indietro. Così, accetto anche io mio malgrado. Uno dei nostri giochi preferiti, solitamente, è quello di giocare ad "Attacco e Difesa": consiste nel dividersi in coppie -escluso uno che dovrà giudicare le battaglie, le vincite e le perdite- e ideare una strategia: chi gioca in attacco ovviamente dovrà inventarne una per gli assalti, l'altra squadra per le difese. Ad ogni mossa sbagliata, la coppia perdente dovrà bere una sorsata di alcool. Mi piace molto questo gioco, perché consente di affinare le proprie tecniche militari e usare la logica. Inoltre, gioca un ruolo fondamentale la psicologia degli avversari, che bisogna essere capaci di capire e ingannare. Così ci mettiamo in circolo, e mentre Philippe va a prendere dei bastoncini di legno che serviranno per costruire gli accampamenti, e l'alcool necessario, noi creiamo le squadre. Io mi propongo come giudice esterno, in modo da evitare di bere. "Non ci pensare nemmeno!" Esclama Jay, capendo le mie intenzioni. "Ti richiedo ufficialmente come avversaria. E dai, non vorrai farti pregare vero?" Gli lancio un'occhiata torva. Lui corruccia la fronte e sgrana gli occhi, in un'espressione di supplica. Sospiro, non riuscendo a trattenere un sorriso divertito. "E va bene. Però voglio stare in attacco." "Accordato!" Esclama soddisfatto il mio migliore amico. "Chi vuoi come compagno di squadra?" Mi chiede, incoraggiante. "Rachel." Dico senza esitazioni. La ritengo la più brava per quanto riguarda la logica militare. James a quel nome sussulta, e la cosa mi provoca una fitta al cuore. "E tu?" Chiedo, con voce leggermente tremante. "Frederica. Mi sembra scortese lasciare fuori dal gioco una ragazza" le dice, il tono leggermente sardonico. In quel momento ritorna Philippe che, acconsentendo suo malgrado a non giocare in prima linea, si mette a disporre i bastoncini  (dieci a squadra) a suo piacimento (spetta al giudice, infatti, decidere lo scenario iniziale). Quando ha finito, la difesa consiste in una piccola città composta da alte mura, mentre l'attacco in un'unica trincea compatta. "La difesa si trova in una zona sopraelevata rispetto all'attacco." Ci informa poi. "Il numero di soldati è intorno ai sessantamila a testa." Continua. Fa un momento di pausa per accertarsi che tutti abbiamo appreso le condizioni. Noi annuiamo, gli occhi fissi su quei bastoncini, mentre le nostri menti pensano freneticamente ad una strategia. "Che inizino i giochi!" Esordisce Philippe dopo un breve momento. James ci guarda, sorridendoci. "Prima le signore." Ci invita. Osservo quei pezzi di legno, milioni di domande in testa, incapace di prendere una decisione. Diamine, questa volta è davvero difficile. È ovvio che Philippe abbia voluto avvantaggiare Jay e Frederica, perché non solo hanno alte mura su cui contare, ma anche una posizione strategica. Mi giro verso Rachel, e vedo nei suoi occhi il mio stesso smarrimento: è chiaro che anche lei non ha ancora deciso il da farsi. Tuttavia, mentre la guardo, mi folgora un'illuminazione. È così semplice! Basta sfruttare le informazioni che abbiamo a nostro vantaggio: il territorio. E io ho capito come fare. "R" Apostrofo la mia compagna di squadra "usiamo la tattica di Kruohol!" Vedo il volto della mia migliore amica illuminarsi. "Potrebbe funzionare!" La sento bisbigliarmi. In quel momento, Philippe si schiarisce la voce, attirando la nostra attenzione. "Ragazze. Avete deciso che fare?" "Sì." Rispondo io, sicura. "Come prima mossa, decidiamo di scavare una fossa ad occidente della città, e subito dopo una serie di fortificazioni a circa...Mmmh.. Si a circa quattrocento piedi dalla prima. A questo punto, in tre settimane direi, farei costruire una muraglia interna di... Più o meno quindici chilometri, e una esterna della stessa grandezza." Spiego io, indicando i vari punti in cui voglio posizionare le fortezze con un paio di bastoncini ogni volta. Quando ho finito, con la coda dell'occhio vedo James che mi fissa, ammirato. "Molto bene." Giudica Philippe, annuendo. "Fratello" chiama poi Jay "come volete contrattaccare?" James scocca un'occhiata a Frederica (che evidentemente gli ha lasciato carta bianca) e dichiara a voce alta: "Io scelgo di attaccare gli avversari mentre stanno innalzando le loro costruzioni." Astuto. E prevedibile. Sta cercando di impedire a me e Rachel di accerchiarlo, capendo le nostre intenzioni. È di nuovo il nostro turno. Non mi faccio prendere dal panico, e, sicura sul da farsi, controbatto. "Ce lo aspettavamo." Inizio "infatti, come potete vedere, non abbiamo utilizzato tutti i nostri bastoncini a disposizione, che abbiamo tenuto da parte per casi come questi. Quindi noi contro attacchiamo spingendovi fino alle retrovie, dove sarete così assediati e sprovvisti di viveri." Philippe ride, divertito dallo sconcerto di James. "Andy e Rachel hanno vinto la prima battaglia. Difesa: bevete!" James alza le mani in aria, ammettendo la sconfitta. Tuttavia, guardandomi negli occhi, mi bisbiglia "Così mi uccidi." Io rido, e gli porgo la bottiglia di vodka. "Tra qualche minuto starai meglio." Il mio migliore amico sgrana gli occhi, sorpreso dalla mia audacia, e senza staccarmi gli occhi di dosso, butta giù un lungo sorso. Guardandolo, mi accorgo dell'errore che ho appena commesso: ero così concentrata sul gioco, da non rendermi conto di stare incoraggiando Jay a bere. Tuttavia, non ho altra scelta: o mi ubriaco io, o lui. Mi ripropongo così di attuare, d'ora in poi, una tattica di mediazione, in modo da far bere in quantità ridotte sia me che lui. Quando James si stacca dalla bottiglia, scruta per un momento la scena, ragionando. Io e Rachel aspettiamo pazientemente, tranquille e divertite dalla sua difficoltà. "Dunque, che fare" si interroga Jay, frustrato "sono rimasto senza viveri. Diciamo che me ne rimangono.. Per quanto Andy, un mese?" Io annuisco. È una stima accettabile. "Per un mese." Ripete lui. "Vediamo... Io direi di fare tornare ogni mio guerriero al villaggio d'origine a chiedere aiuto... Somministrerei a ciascuno i viveri rimasti e ritirerei tutti i miei militari dietro le mura." Ora è il mio turno fissare concentrata lo scenario che ho di fronte. È di nuovo la storia a salvarmi la pelle: Kruohol nella famosa battaglia studiata stamattina, si era ritrovato infatti in una situazione simile. Ancora una volta ringrazio i miei antenati che mi offrono la salvezza mentre nella mia mente mi balena un'idea. Pero... Però porterebbe di nuovo Jay alla sconfitta. A noi sono rimasti quattro bastoncini. A loro tre. Ciò rappresenta un ulteriore vantaggio per noi. Sto per aprire bocca per attuare una tattica che porterebbe in vantaggio il mio migliore amico, ma Rachel è più veloce. "Per fermarvi" e intanto afferra due bastoncini "costruiamo un'altra fortificazione esterna di ventina chilometri, dove poniamo quattro accampamenti di guardia." Rimaniamo tutti a bocca aperta. È assolutamente geniale. In questo modo, James e Frederica si ritroveranno allo stesso tempo assedianti e assediati. Non era proprio la tattica che avevo in mente io, ma ha funzionato. Mio malgrado, abbiamo ottenuto di nuovo una vittoria schiacciante. Questa volta faccio meno la spavalda, mentre osservo i miei amici bere. Inizio davvero a preoccuparmi per il loro stato. La vittoria è nostra, quando Jay decide di far arrivare i suoi alleati al villaggio; infatti, avendo noi costruito le mura e avendo messo così tanti uomini di vedetta, riusciamo ad avere il vantaggio visivo e ad assaltare i rinforzi, lasciando la città sguarnita e in preda alla fame. Quando Philippe ci dichiara vincitrici, io e Rachel ci abbracciamo. "Ottimo lavoro." Si congratulano gli altri. Passiamo il resto della serata a ballare, chiacchierare e bere. Man mano che il tempo passa, la gente inizia ad andarsene, salutando e ringraziando James e Philippe, finché non rimane solo il nostro gruppo. Io, Frederica e Philippe siamo piuttosto sobri, -alla fine della serata avrò fatto solo un sorso o due dalla bottiglia di vodka- ma Rachel e James sono ubriachi fradici: continuano a ridere, lui che corre in giro per la stanza vuota, lei seduta sul divano che cerca di convincerci a darle da bere ancora. "Per favore. G... Giuro che non so-sono ubriaca" biascica, mentre scivola sul pavimento. Mentre Philippe e Frederica rincorrono Jay, cercando di farlo stare fermo, io mi occupo di Rachel: per prima cosa prendo una bottiglia vuota dal tavolo, vado in bagno e la riempio d'acqua fresca. Poi gliela porgo. "Ok R, mi hai convinta. Bevi." Lei, scambiandolo per alcool, inizia a a trangugiarla. Ne ha bevuta quasi metà quando si gira verso di me. "Ma... Ma è acqua questa." "È rum, non ne riconosci il sapore?" Lei mi guarda, con sospetto. Poi beve qualche altro sorso, poco convinta. "A me sembra proprio acqua." Insiste. "Ma no, è solo perché ormai hai bevuto così tanto che mischi un po' i sapori." Sono così sicura di quello che sto dicendo, che lei mi crede; ho già aiutato amici ubriachi altre volte, e so che la prima regola è conquistarsi la loro fiducia ed essere risoluti, ma non trattarli mai da sbronzi. "Già... Già, deve essere così." Mi risponde infatti lei, finalmente convinta. Dopo aver posato la bottiglia semi vuota, la porto in bagno e, tra mille moine e incoraggiamenti, la convinco a sciacquarsi la faccia e il collo. Quando ha finito, sta già molto meglio. Mentre ritorniamo nella sala, noto che Philippe e Frederica sono riusciti a far sedere Jay, che ora ride di gusto, mezzo sdraiato sul divano. Faccio sedere anche Rachel, che però ora ha perso tutto l'entusiasmo che aveva poco fa -segno positivo: vuol dire che pian piano sta tornando in sè- e riesce solo a fissare un punto di fronte a lei. Mi giro verso i miei amici sobri. Hanno lo sguardo leggermente affranto. "Sentite" li riscuoto io, prendendo in mano la situazione "ecco cosa dobbiamo fare: Frederica, porta R nella nostra nuova stanza e assicurati che stia bene prima di andartene, mentre io rimango qui ad aiutare Philippe a mettere a posto e a occuparci di Jay." Annuiscono, sollevati nell'avere un piano preciso da seguire. Ma mentre Friderica aiuta Rachel ad alzarsi e la scorta fuori, riscontriamo un nuovo problema: James sembra non gradire la sua uscita. "Ti aiuto io!" Le urla, prendendola per le spalle e scuotendola leggermente. "Jay" inizio io "non credo che tu sia in grado di..." "Andy, fidati di me." Mi dice lui, girandosi verso di me, e guardandomi negli occhi. "Ti prego... Ce la posso fare. Lasciami da solo con lei." Questa frase mi ferisce, anche se so che non dovrebbe. Sto per cedere, ma Philippe viene a darmi man forte. "Ascolta fratello, ora tu non stai bene. Ma Frederica sì, e si occuperà lei di Rachel. Ok?" Jay lo guarda, perplesso; poi, pian piano, cede. "Ok... Però la accompagno alla porta!" Così dicendo la prende per un braccio e delicatamente, barcollando, la scorta fin sulla soglia. "Grazie... Grazie..." Continua a farfugliare lei, incapace di dire nient'altro. Poi mi guarda. "A, tu non vieni?" "Tra poco. Aiuto qua Philippe, e poi arrivo." La rassicuro. Poi mi giro verso Frederica. "grazie." Le riesco solo a dire, riconoscente. Ci salutiamo e le guardiamo uscire, un senso di sollievo: almeno una di noi ora sta meglio. Ma mentre penso che forse il peggio è passato, sento un tonfo alle mie spalle e uno scroscio. Mi giro lentamente, perché ho paura di sapere cosa significano quei suoni. E infatti, quando finalmente ho il coraggio di guardare, scopro James per terra, in un mare di rum che si è rovesciato addosso, la bottiglia che ha in mano innocentemente vuota. "Dio santo Jay! Stai scherzando?!" Esclama Philippe, seccato. "Mentre io pulisco qua, tu cerca di dare una ripulita a lui." Mi dice poi, schifato. Poi corre a prendere acqua e fazzoletti. Mi avvicino a Jay, cercando di sollevarlo; non ce la faccio, è troppo pesante. "Hei, non potresti cercare di aiutarmi?" Gli chiedo, boccheggiante. "Rachel..." È il mugolio che emette, in tutta risposta. Fantastico. "Rachel sta bene, però ora tu..." "Rachel..." Ripete lui, affranto. Così ho un'idea. Mi accovaccio di fronte a lui, guardandolo negli occhi. "Senti Jay. Vuoi aiutare Rachel?" "Si." "Allora devi alzarti, e andare in bagno, se vuoi aiutarla." Lui mi guarda, pensieroso. Poi, con un'immensa fatica, si alza e, mentre lo sorreggo aiutandolo, riesco ad aprire la porta del bagno e a farcelo entrare. Quando accendo la luce, capisco che la situazione è abbastanza grave: è completamente zuppo. I bei capelli pettinati, la camicia, perfino i pantaloni... Tutto sporco. Sospiro. "Jay, ora ti dovrò fare la doccia." Mi guarda, gli occhi vacui: non sembra importargliene molto. Così, con delicatezza, gli tolgo le scarpe, i pantaloni e la camicia. Trattengo un attimo il respiro, abbagliata dalla sua bellezza. Il suo bel torace muscoloso rabbrividisce a contatto solo con l'aria. Lo infilo nella doccia con le mutande addosso -preferisco fargliele indossare, non voglio violare la sua intimità- e inizio a lavargli i capelli impiastricciati e il petto. "Rachel..." Continua a sussurrare lui, come in trance. "Sta bene, sta bene..." Gli ripeto io, cercando di rassicurarlo, anche se ogni volta che pronuncia il suo nome sento una fitta nel petto. Quando è pulito, lo faccio uscire e lo asciugo con un asciugamano che trovo lì vicino. Ho appena finito, quando vedo un'espressione strana sul suo volto. "Hai la nausea?" Gli chiedo, temendo di sapere la risposta. Lui annuisce. "Strepitoso." Bisbiglio tra i denti. Così lo accompagno in camera, poi lo faccio sdraiare e corro a prendergli una bacinella, che gli posiziono ai piedi del letto. Poi apro l'armadio, afferro una maglietta e dei pantaloni a caso e glieli faccio indossare. Lui sta ancora mugugnando, quando gli dico "Stai qui. Non alzarti per qualsiasi cosa al mondo, se devi rimettere fallo nella bacinella. Ok?" "Ok." Un po' rincuorata, vado a mettere un po' di ordine nel salotto, mentre Philippe, finito di asciugare il disastro creato da Jay all'ingresso, arriva a darmi una mano. Ho appena finito, quando sento un rumore sordo provenire dal bagno. Corro a vedere preoccupata, e trovo James steso a terra, rantolante. "Perché ti sei alzato?!?" Gli chiedo esasperata, ma so che tanto è inutile. Con uno sforzo immane, lo riporto a peso morto in camera, lo rimetto sotto le coperte e lo scruto con rimprovero. "Questa" gli dico irritata, piazzandogli la bacinella davanti alla faccia "Serve per non farti alzare. Capito?" Lui annuisce stolidamente. "Bene." Sto per riandarmene, quando mi chiama. "Che c'è?" Sbraito. "Resta con me." Esito, ma poi acconsento: almeno lo posso tenere d'occhio. Mi siedo di fianco a lui sul letto. "Ehi... Grazie" mi dice lui. "Ti voglio bene" aggiunge poi. "Anche io" mormoro, una strana tristezza nella voce. "Sai" mugugna lui con un fil di voce "oggi tu e Rachel eravate molto belle." "Grazie..." "Però forse sceglierò Rachel" Bhe, questo si era già capito. Ma fa male lo stesso. Comunque, cerco di sdrammatizzare, scherzando. "Ah, molte grazie." "Beh, ma solo perché tu sei fidanzata! L'hai detto tu stessa stasera, no?" Lo guardo. Non ha tutti i torti. Non ho pensato a Jon per tutta la sera, presa com'ero da Jay, dalla festa e da tutto il resto. Ma ora, nel silenzio della stanza del mio migliore amico, capisco che ha ragione. Io sono fidanzata, e Jon mi piace. In più, è a combattere contro la Provincia del Sud, e l'ultima cosa che dovrei fare è pensare a James . "Si." Dico quindi, alla fine. "Come pensavo." Risponde Jay. Non riesco a capire la sua espressione, nascosto com'è dall'oscurità. Lo sento muoversi di colpo, dimenandosi. Sento la sua mano tremante afferrarmi il polso. "Andy io devo dirtelo." La sua voce è tremula e vacillante, sembra quella di un pazzo. Mi fa quasi paura, e non voglio vederlo cosi. "Andy io... Io..." "Ora dormi." Gli sussurro dolcemente, interrompendo questo suo delirio. Lui si acquieta all'istante poi, mite e obbediente, si sdraia e poco dopo già russa. "Ti voglio bene..." È l'ultima cosa che dice, prima di crollare nel sonno. "Anche io, Jay. Anche io." Bisbiglio, mentre gli accarezzo i capelli umidi, una sensazione di malinconia nel cuore. Rimango li, a vederlo dormire per un po', poi, lentamente, esco dalla stanza. Trovo Philippe in salotto, seduto stancamente sul divano. Appena mi vede, balza in piedi. "Come sta?" Mi chiede, leggermente apprensivo. "Meglio. L'ho messo a letto, sta dormendo ora." Un sospiro di sollievo attraversa il volto del mio amico. "Andy, grazie mille, per tutto." "Figurati." Gli sorrido. "Vuoi fermarti ancora un po'?" Mi invita lui, gentile. Scuoto la testa. "No grazie, Rachel mi sta aspettando." "Ah... Giusto. Buonanotte allora." "Buonanotte." Ci stiamo ancora salutando, quando un boato assordante ci scuote da capo a piedi, facendo vibrare il pavimento, i muri, il soffitto. Cadiamo a terra, braccia in avanti. Un bruttissimo presentimento mi squarcia il cuore, che inizia a bussare alle costole, quasi avesse deciso che non è più quello il suo posto. Passa un intero minuto, silenzioso, quasi più assordante del rumore in sè. Sento brividi squassarmi la schiena, mentre la consapevolezza si fa largo tra le mie membra. Poi, un altro boato si propaga nuovamente, uguale al primo. Phillippe mi guarda, gli occhi dilatati dal terrore. Non l'ho mai visto così, senza la sua spensieratezza e quel cipiglio sicuro. "Che... Che cosa...?" Riesce solo a dire, pieno di paura. Non gli rispondo, mi alzo in piedi e lo scavalco, correndo alla finestra. E quello che vedo, è il mio peggior incubo divenuto realtà: sono i soldati della Provincia del Sud, che ci stanno attaccando. Non ci sarà alcun raduno delle Province dell'Impero.

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Capitolo 4
*** Assedio ***


La consapevolezza di essere in trappola mi assale, come una preda che, dopo essere scappata a lungo e pensando di essere finalmente al sicuro, viene brutalmente catturata, a sorpresa. Il mio sguardo analizza rapidamente la situazione, gli occhi che si muovo frenetici. La luce non è molta, ma la cinta illuminata a tratti mi consente di vedere l'enorme orda di soldati che si sta arrampicando senza sforzi sulle nostre mura. Sono in tantissimi, e sono feroci. E, in un lampo di lucidità, comprendo che non potevano scegliere momento migliore, per attaccarci: siamo stanchi, i più felici di aver passato i test, soprattutto noi del settimo anno; non siamo sull'attenti, come dovremmo essere. Mi ritornano in mente le parole che ci ripete sempre Aper, durante le nostre abituali sessioni di allenamento: "Mai abbassare la guardia. Chi lo fa, sicuramente si ritroverà in situazioni molto spiacevoli". Aveva ragione. E lo sto imparando a mie spese. I miei cupi pensieri vengono bruscamente interrotti da un sordo rumore che si diffonde in tutta la caserma: il segnale d'allarme. Giusto. So cosa fare, ho ripassato il piano nella mente molte volte: corro a prendere il mio zaino, poi conduco i miei amici in palestra, prendiamo le armi e ce la filiamo. Non ero molto sicura su quest'ultima parte, ma in questa situazione, tutti i miei dubbi mi abbandonano. I miei amici stanno male, e l'unico modo per metterli al sicuro è fuggire; sono praticamente la famiglia che mi sono costruita qui, e se gli succedesse qualcosa non potrei mai perdonarmelo. Sicura su quello che devo fare, mi giro, e con sorpresa trovo Philippe attaccato alla finestra di fianco a me; aggrotto la fronte, perplessa: ero così persa nelle mie riflessioni, da non essermi accorta dei suoi movimenti. Non deve ripetersi, soprattutto ora. Mi stacco senza esitazioni dal telaio della finestra, a cui ero appoggiata. Quando poso nuovamente lo sguardo sul mio amico al mio fianco, noto che mi sta guardando. "Muoviti. Prendiamo Jay e andiamo." Gli abbaio, più sicura di quanto lo sia in realtà. Vedo nei suoi occhi un lampo di lieve sollievo, ora che sa che cosa deve fare. Ci dirigiamo veloci nella stanza del mio migliore amico: lui sta ancora dormendo, ignaro degli ultimi avvenimenti. "Jay. Svegliati." Gli dico io il più dolcemente possibile, anche se dal mio tono mi scopro stranamente decisa. Lui in tutta risposta mugugna. "Per amor del cielo, Alzati immediatamente!" Gli urlo  nell'orecchio, questa volta profondamente irritata. L'effetto è immediato. Con un grande, lentissimo sforzo si tira su, socchiudendo gli occhi, i capelli arruffati. "Ciao." Mi bisbiglia dolcemente quando mi vede, facendomi sentire in colpa per averlo trattato così duramente. "Cosa sta succedendo?" Ci chiede poi, smarrito. "Ci attaccano. Andiamo. È scattato l'allarme." Dico io sbrigativa, prendendolo per un braccio, mentre Philippe fa lo stesso con l'altro. Lo alziamo, e in due riusciamo bene o male a portarlo fuori, in corridoio. Mentre ci dirigiamo verso la palestra -il protocollo indica di correre lì, in caso di attacco nemico- lancio un'occhiata apprensiva alla mia stanza; lì c'è il mio zaino, con tutte le cose più necessarie in questo momento... Ma non posso andare a prenderlo perché come noi, tutti i nostri compagni si stanno accalcando in corridoio, bloccandomi la strada verso la mia camera. Un altro devastante boato riecheggia fin dentro ai muri della caserma, attraversandoci tutto il corpo, dalla testa ai piedi. Stringo i denti. "Muoviamoci" sibilo ad Philippe, che si affretta ad allungare il passo. Dopo quella che sembra un'eternità, arriviamo alla palestra. Quando entro, sono sollevata a vedere che Friderica e Rachel  sono già qui, e che quest'ultima si sia ristabilita del tutto. Noto anche che si sono riuscite a cambiare d'abito, indossando l'uniforme d'allenamento. Ah, come vorrei averla anche io, al posto di questi tacchi e della gonna che impacciano terribilmente i movimenti! Appena ci vedono, si dirigono verso di noi, facendo a gomitate con tutti i soldati presenti nella stanza. Non sono solo quelli del nostro squadrone, in quanto tutti i militari della caserma si stanno raggruppando in ognuna delle palestre, a seconda della loro sezione e del loro anno. Mentre ci raggiungono, non riesco a non notare il loro terrore negli occhi. Quasi mi sembra di stare vivendo un sogno quando Rachel mi stringe forte il braccio. "Che cosa facciamo, adesso?" Nella sua voce sento solo pura apprensione. E guardandola, capisco che come me ha intuito che nel nostro stato (più loro che mio), non potremmo resistere a lungo. "Prendiamo le armi. E ce la filiamo." So che sto facendo la cosa giusta, ma mentre le parole mi escono dalla bocca, suonano mostruosamente vigliacche e sbagliate. "E dove andremo?" Mi interroga Rachel. Al contrario di me, non mi sembra così riluttante all'idea di scappare. Forse perché è più logica, e sa che è la scelta più saggia. Ma non più onorevole. Così, mi sento quasi disgustata quando rispondo. "Alla Provincia dell'Ovest. Sono i nostri alleati da sempre. Lì ci accoglieranno sicuramente." La mia migliore amica mi fissa per un lungo momento, poi annuisce, convinta. "Ma sarebbe disertare." Sento rantolare. Mi volto. Il mugugno proviene da Jay. Stranamente, nonostante le sue condizioni, ha ascoltato la nostra conversazione. "Non abbiamo altra scelta." Ribatto, dura. Il mio migliore amico mi fissa, con quegli occhi grandi e innocenti, ambrati, che mi penetrano ogni volta nel profondo, come se mi conoscessero da sempre, come se fossero parte di me. Mi stanno lanciando un avvertimento. So che tra poco scaglieranno quelle parole inevitabili, i miei peggiori dubbi che mi hanno assillata negli ultimi due giorni. "C'è sempre una scelta." Mi risponde. Rimango a fissarlo, quelle parole che mi hanno investita a tutta velocità, che bruciano più della nostra ultima conversazione, più di un incendio, dentro di me. Apro la bocca, anche se non so nemmeno io cosa controbattere, quando in quel momento sento un sonoro battito di mani che riporta tutti sull'attenti, dal grande vociare e ammasso informe di corpi  che c'era fino a un attimo fa. Girandomi verso la sorgente di quel rumore, scopro Aper sulla pedana dei combattimenti con gli spadoni. Non sembra minimamente turbato per l'assalto dei soldati del Sud. Bene. Almeno uno di noi è tranquillo. "Soldati!" Tuona, la voce cupa e profonda. Fa una pausa, mentre il silenzio dilaga, simile ad una tempesta che si abbatte all'improvviso dove poco prima c'era il sereno. "Come avrete di certo intuiti, siamo stati attaccati. Le nostre sentinelle ci hanno confermato che i nemici sono i soldati della Provincia del Sud. So che è una situazione imprevista e del tutto inattesa. Ma ricordatevi che siete stati addestrati per questo." Continua poi. Fa una pausa per essere sicuro di avere l'attenzione di tutti. "Sapete bene che il vostro è il compito più importante: siete tra i più preparati, voi del settimo anno, quindi combatterete in seconda linea assieme a quelli dell'ottavo anno e a noi istruttori, che saremo una linea davanti a voi. Il vostro scopo è annientare il nemico, dal primo all'ultimo. Non lasciate superstiti. Questo è un ordine. Sono stato chiaro?" "Sissignore!" È il coro che si sente in risposta. "Molto bene. Ora prendete ciascuno un revolver da quindici colpi e due caricatori a testa e muovetevi. Sapete dove trovarle. Là fuori c'è bisogno di voi. Condurrò io questa legione. Idioti, che fate ancora lì? Scattare!" Appena Aper sbraita l'ordine, mi tuffo a prendere la mia arma da difesa, situata nell'armadio di fianco alla sessione di tiro. Sono soddisfatta della scelta, perché è maneggevole e precisa. Sono una delle prime a mettere mano sulla pistola così decido di sfruttare il vantaggio prendendo qualche arma e i rispettivi caricatori anche per i miei amici. Ne riesco ad afferrare un paio prima che la folla mi travolga. È facile individuare Philippe, che sorregge ancora un debolissimo James, nell'angolo della palestra, riparato da eventuali sguardi di Aper, che lo manderebbero su tutte le furie se li vedesse in quello stato e, soprattutto, con le mani in mano. Quando gli porgo il revolver, Philippe mi ringrazia riconoscente. Non è difficile capire che anche lui è d'accordo con me e Rachel sul da farsi. Ma spostando lo sguardo su James, capisco che con lui non sarà altrettanto facile. Se ne sta lì, accasciato sul suo migliore amico, la faccia in un espressione cocciuta. Quando gli porgo la pistola, Lui rimane a fissarla, interdetto. Poi, lentamente, la afferra. Sta ancora guardando la sua presa sull'arma, quando finalmente parla. "Io non vengo con voi." Sbatto le palpebre. Mi è sempre piaciuta la sua testardaggine, ma in questo momento la sto iniziando davvero ad odiare. Philippe deve aver compreso la situazione delicata, così si affretta a bisbigliare un "Io ehm... Vado a cercare Rachel e Frederica, non le vedo più. Ci vediamo dopo". Quasi non me ne accorgo, mentre si allontana. "Jay" gli dico dura "se rimani qui, morirai." Lo scruto, per vedere la sua reazione. Niente. Con mio grande stupore, continua a fissare l'arma che ha in mano. "Te ne rendi conto?" Non posso credere che voglia veramente restare. Non può essere vero. "Si."  I suoi occhi continuano a rimanere abbassati. La cosa inizia davvero a darmi sui nervi. "Guardami." Ringhio, la rabbia, la paura e la preoccupazione che continuano a riversarsi e a unirsi in una danza insopportabile dentro il mio petto. Jay, finalmente, sposta il suo sguardo sul mio. Ed è vedendo i suoi occhi, che sento i miei inumidirsi. "Non ti importa, di morire?" Sento la mia voce incrinarsi pericolosamente. Non può farmi una cosa del genere. Non a me. Non ora. James abbozza un sorriso, mentre con le nocche della mano destra, quella che non impugna l'arma, mi accarezza dolcemente il viso. Quel tocco così delicato e dolce, simile ad una brezza leggera, sembra quasi un tormentato addio da parte sua. "Forse, è meglio così." Questo è il colpo di grazia. Le mie preoccupazioni, le mie paure, la rabbia, la stanchezza, l'ansia per questa lunga giornata, i miei travagliati sentimenti, tutto mi scivola addosso. Sento calde lacrime scendermi dolcemente giù per il viso, e me le asciugo subito con rabbia. "Jay." Non oserei mai fare un gesto del genere in altre circostanze, ma ora lo sento scivolare via da me, distante, preso da una folle sbronza che altera le sue emozioni e le trasforma. O almeno spero, spero che sia per questo motivo che parla così. "Jay." Gli prendo la testa tra le mani, premendo la mia fronte contro la sua, chiudendo gli occhi. Sento il suo buonissimo profumo, e il suo respiro spezzarsi. "Ti prego. Ho bisogno di te." Riesco solo a dire, tra le lacrime che mio malgrado, continuano la loro dolce discesa, imperterrite. Mi rendo conto che forse questa è la prima volta che mi vede piangere. Ma non m'importa. Rimango in attesa di una sua reazione, una qualsiasi. Dopo un lungo momento, sento le sue braccia stringermi, il mio corpo che si adatta perfettamente al suo, facendomi sentire completa. Sento il suo dolce respiro sui miei capelli. "D'accordo." Lo sento dire, quasi fosse un giuramento. "D'accordo." Ripete, rassicurandomi. Quando mi stacco da lui, lo vedo in preda ad un profondo tormento, lo stesso che aveva avuto stasera, quando stavamo andando alla festa. "Ti prego, non piangere mai più." Mi sussurra, come se stesse male anche lui per questo. Poi si china verso di me e mi bacia lo zigomo sinistro, proprio nel punto in cui mi sta scendendo una lacrima. "Va bene." Gli sussurro io di rimando. "Però... Tu non dire mai più una cosa del genere." Aggiungo poi. Jay avvicina il suo viso al mio, le punte dei nostri nasi che si sfiorano lievemente. "Va bene." Mi risponde in un soffio "Promettimelo." Il cuore inizia a bussarmi nel petto all'impazzata, sento le mie guance arrossarsi, come un avvertimento per quella vicinanza, forse proibita. "Te lo prometto." Mi sussurra, i suoi occhi che frugano i miei come a cercare di leggere la mia anima. Le sue labbra ora sono pericolosamente vicino alle mie, sempre di più. "Jay..." Bisbiglio io, e non so se sia una supplica, un lamento o un avvertimento. I nostri respiri si fanno più affannosi, l' uno che respira il sospiro dell'altra, mentre il desiderio ci pervade, bramoso e crudele, ci rende vigili e sensibili, ci fa muovere a suo piacimento, misere marionette in suo volere. Sento le sue mani prendere le mie, stringerle a sé... Un boato molto più vicino e potente dei precedenti, mi squassa la testa, facendo a brandelli ogni singola membra del mio corpo, mentre sotto di me il pavimento trema come impazzito. Il rumore è assordante, infinito, e ad un certo punto mi convinco che non smetterà più. Chiudo gli occhi, miliardi di puntini neri che galoppano come cavalli selvaggi dentro le mie palpebre. Quasi non me ne accorgo, quando ritorna il silenzio. Le orecchie mi fischiano terribilmente, e la mia mente è appannata. Solo dopo aver aperto cautamente gli occhi, mi accorgo che sono finita per terra, e che Jay mi stringe a sé. La luce è saltata, ed ora siamo tutti immersi in una flebile oscurità. Scuoto la testa, intontita. Quest'ultimo attacco, provocato sicuramente da una bomba a mano, era terribilmente vicino. Il che significa che dobbiamo sbrigarci. Balzo in piedi, forse un po' troppo in fretta -la mia testa infatti, inizia a girare come una trottola- e mi affretto ad aiutare il mio migliore amico ad alzarsi. In quel momento, mi rendo conto che Aper ha già fatto uscire la maggior parte dei soldati, guidandoli all'attacco. Solo noi e pochi altri siamo rimasti nella stanza. La cosa tuttavia non sembra importare al nostro istruttore, in quanto è già uscito a combattere. In altre circostanze mi sarei infuriata, insultando lui e il suo sciocco egoismo, ma in questo momento ciò gioca a nostro favore: ci offre un'inattesa possibilità di fuga. Ed è in quel momento, che con un colpo al cuore mi rendo conto di una cosa. "Dove sono finiti Philippe, Rachel e Frederica?" Ed Emily e Paul? Mi sento sprofondare. Come farò a portarli via tutti? "Non lo so." Jay sembra leggermi nel pensiero. "Ma dobbiamo muoverci. Iniziamo a uscire di qui." Ha ragione. Lo Sento afferrarmi la mano, per farmi sentire che non sono sola, e io l'afferro con forza, timorosa di perdere anche lui. Poi, come in una tacita intesa, iniziamo a correre. Fortunatamente, il mio migliore amico si sta riprendendo, così riusciamo a scendere i primi tre piani abbastanza velocemente. Mentre corriamo, non troviamo anima viva, tranne qualche sporadico soldato che si sta preparando a combattere, rimasto indietro, oppure ragazzi del primo o secondo anno troppo impauriti per riuscire a fare qualcosa. Anche nel resto della caserma la luce è saltata, e l'unica illuminazione è quella delle stelle nel cielo e quella prodotta dalle armi da fuoco, giù in cortile. Stiamo già per attaccare con la quarta rampa di scale, quando sento dei rumori di spari alle mie spalle, molto vicini a me. Mi giro di scatto, l'adrenalina che si è impossessata del mio corpo, prendendone il controllo. Sento la mia mano lasciare quella di Jay e impugnare saldamente il revolver, mentre al mio fianco Il mio migliore amico fare lo stesso. Nella semioscurità, vediamo un'ombra che avanza verso di noi, implacabile, come un messaggero di morte. È ancora lontano, una ventina di metri, ed il suo viso è oscurato dall'ombra che cela ogni cosa. Ho solo un attimo per chiedermi come hanno fatto i nostri nemici a riuscire a salire fino al quinto piano indisturbati, poi sento James afferrarmi per un braccio e portarmi giù per le scale. Il cuore mi balza in gola quando sento dei colpi di pistola proprio dietro di noi. Tutti questi anni di addestramento, tutti i test, in questo momento svanisce ogni cosa dalla mia testa: ci siamo io, James e il nostro nemico. Un altro boato, un altro scossone. Non faccio nemmeno tempo a rendermene conto: scivolo e cado giù per i gradini, rotolando, senza riuscire a frenare. Mi fermo soltanto quando finiscono le scale, e sento due mani salde tirarmi su, come un penso morto. È Jay. "Stai bene?" Mi chiede in un fil di voce, apprensivo. Apro la bocca per parlare, ma nel farlo sento la mia guancia destra scottare. probabilmente mi sono ferita cadendo. Dannate scarpe. In tutta risposta, quindi, mi sfilo i tacchi e li lancio con rabbia sul pavimento. Percepisco un'ombra di sorriso sfiorare il viso di James, che scuote la testa divertito. Proprio in quel momento sentiamo i passi del nostro inseguitore dietro di noi. Deve essersi fermato durante l'esplosione, facendoci guadagnare un lieve vantaggio. James si mette un dito davanti alla bocca per farmi segno di non parlare, poi mi fa cenno di seguirlo. Ci posizioniamo dietro alla rampa delle scale, ad attendere quel maledetto soldato. Aspettiamo. Nel silenzio della caserma, si sentono solo i nostri respiri affannati, seguiti da qualche sporadico sparo o urla, di sotto. I passi del militare della Provincia del Sud rimbombano nel corridoio vuoto, dilagando il loro lento e inesorabile ritmo per tutta la caserma. Aspettiamo. In cortile, un ragazzo urla di dolore. Non so neanche se sia un mio alleato o un nemico, ma quell'urlo è talmente disumano da farmi accapponare la pelle dall'orrore. Finalmente, accovacciata dietro le scale, vedo i piedi del soldato scendere l'ultimo gradino. Le scarpe sono nere, e assomigliano terribilmente a quelle che indossiamo noi durante le nostre sessioni di allenamento. Scintillano come diamanti, illuminati dal pallido chiarore della luna. La mano di Jay che mi stringe il braccio mi riscuote dai miei turpi pensieri. "Ora." Sillaba, senza emettere un suono. Contemporaneamente balziamo fuori dal nostro nascondiglio, le braccia tese, il dito sul grilletto pronto a sparare. Non so cosa sia a trattenermi, dal sganciare il colpo; infatti, sento James di fianco a me premere con forza il sottoscatto, mancando il bersaglio di un soffio. Forse è perché quei capelli chiari li ho già visti da qualche parte. Forse è perché avverto qualcosa di familiare, in quel soldato che ci sta dando le spalle. Tuttavia, quando si volta, il mio cuore perde un battito. Nella mia testa, una domanda trova finalmente una risposta, come due pezzi di puzzle che vengono uniti. Ecco perché Jon non ha avvertito il suo migliore amico dell'attacco della Provincia del Sud. Ecco perché quest'ultimi sono riusciti ad assalirci con così tanta facilità. Ecco perché mi sembrava strano che uno di loro fosse nella nostra caserma, al quinto piano. Perché il soldato che mi sta di fronte, il revolver identico al mio che punta dritto al mio cuore, è Fred.

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Capitolo 5
*** Rivelazione ***


Avverto il mio cuore fermarsi nel petto, come se quest'ultima sorpresa fosse troppo per lui. Il mio stomaco diventa come di granito, la gola mi si asciuga. Sento come se migliaia di aghi mi bucassero la pelle contemporaneamente, quasi che anche il mio corpo non ci potesse credere alla vista che ho di fronte. Apro la bocca per parlare, ma non mi esce nessun suono dalle labbra, se non un leggero sussulto. "Tu..." Riesco solo a dire, dopo un lungo momento. Sento James di fianco a me irrigidirsi, mentre allenta la presa sul grilletto, la pistola saldamente puntata verso Fred. "Lo conosci?" La sua voce ha una punta di stizza, mista a stupore. E a disgusto. Riesco solo ad annuire, un'unica e meccanica volta, incapace di fare altro. Fred di rimando, arriccia le labbra in un ghigno spaventoso, una smorfia orribile che non gli avevo mai vista fare. "Sorpresa?" Mi chiede, la voce grondante disprezzo. In tutta risposta, istintivamente tendo ancor di più le braccia, mentre il dito scivola sul grilletto dell'arma che ho stretta tra le mani tremanti. Vedo Fred spostare impercettibilmente la canna della pistola, cambiando il suo bersaglio dal mio petto a quello di James. Solo ora mi accorgo che ha un revolver per mano, e che ne tiene puntato uno su ciascuno di noi due. Probabilmente questo privilegio è dovuto al fatto che appartiene ad un rango militare più alto di noi. Come se tutto il resto non bastasse. Le mie elucubrazioni vengono interrotte da Fred. "Sparami, e lui muore." Dice soltanto. Poi si gira verso James, che avverto esitare. "Per te vale lo stesso." Lo avvisa. Sento il sangue defluire dalle mie guance. Ha scoperto il mio punto debole, forse il nostro: le persone che ci stanno più a cuore. Il che mi rende ancora più furiosa. "Mi fidavo di te." Sputo tra i denti, nauseata dalla sua vista. Come si può tradire la propria famiglia, la propria tradizione, l'onore, per schierarsi con avversari di cui non si conosce nulla? Come si può solo vivere con questo peso nel petto? Sento Fred ridere, ma lontano, come se fosse solo un ricordo. "La fiducia. Che ne sai tu di cos'è questa parola? Proprio stamattina, non hai esitato a sparare ad un ragazzo che è un militare della tua stessa caserma solo per uno sciocco ordine e per scopi personali, e hai il coraggio di puntare il dito contro di me? Tu non sei migliore di quanto lo sia io, e se sei così sciocca da pensarlo solo minimamente, non potrai andare molto lontano, perché la tua stupidità ti ammazzerà prima." Le sue parole mi fanno vacillare, l'involucro indissolubile e resistente di sicurezze che possedevo ora fragili e inclini all'andare in frantumi. Le mie mani tremano lievemente, mentre una voce nella mia testa mi suggerisce che Fred non ha tutti i torti. Sento il mio mondo propenso al crollo, mentre ogni mia certezza viene lentamente risucchiata da un'oscuro oblio mai esplorato, che mi attira, mi attira sempre di più... "Non ascoltarlo." La voce del mio migliore amico, forse è proprio quella a salvarmi dal profondo baratro cui sto andando incontro. Quelle due parole quasi urlate con rabbia, contrarie e ribelli. Gridano libertà, la promessa di non incrinarsi mai ai dubbi insinuati dal nemico. Mi offrono una salvezza, una fune in mezzo alla tempesta, e io scelgo di afferrarla e trarmi in salvo. Verso posti sicuri. "Tu stai zitto." Intima Fred a Jay. Il cuore mi si stringe alla vista di questa scena. "Fiata un'altra volta e sei morto." Lo avverte poi. James in tutta risposta sputa per terra. I capelli mi si rizzano in testa, chiedendomi se con questo atto non si sia messo ancora di più in pericolo. Fred gli rivolge un'altra di quelle sue smorfie orrende. "La tua sfacciataggine verrà presto ripagata con la stessa moneta." Gli dice soltanto, poi si gira verso di me. "Ma non facciamo gli sgarbati: prima le signore." Nei suoi occhi, vedo solo disgusto."Getta l'arma a terra." Mi intima. Sento la rabbia montare dentro di me, mentre esplora il mio stomaco, espandendosi sempre di più,  fino agli estremi del mio corpo. Vorrei premere quel grilletto, vorrei togliergli dalla faccia quel sorriso odioso e cattivo, vorrei fargli capire che pagherà per quello che ha fatto. Ma c'è James. Mi volto a guardarlo con la coda dell'occhio: anche in questo momento, anche con le occhiaia e i capelli arruffati, anche con il viso provato dalla lunga giornata e dalla sbronza, è bellissimo. Ed è guardandolo che so cosa devo fare. Butto il revolver ai miei piedi, alzando le mani in aria. "Va bene." Dico con un fil di voce "Mi arrendo." Fred ghigna, evidentemente compiaciuto. "No!" Sento Jay urlare. Mi giro a guardarlo, mentre sento di nuovo le lacrime riaffiorare. So che è sbagliato quello che ho fatto, che ho fallito alla mia prima occasione di poter dimostrare quanto valgo al di fuori dei test e degli addestramenti, e so che dovrei vergognarmi. Ma non è così. Ho scelto di salvare la vita del ragazzo che ora capisco ho sempre amato. E vorrei dirglielo. Vorrei prendergli il viso tra le mani, guardarlo in quegli occhi così dolci e decisi al tempo stesso e dirgli che ho scelto lui, che sceglierò sempre lui. Che ogni giorno senza la sua presenza sarebbe vuoto e senza un senso. Che se ora decidessi di combattere, lui morirebbe e io sarei persa. Ma non posso. Forse, a dire il vero, non lo potrò mai più fare. "Forza, ragazzo." La voce fredda di Fred mi fa accapponare la pelle, tanto suona crudele in questo momento. "Fai anche tu la scelta giusta: getta la pistola." James a quelle parole stringe ancora di più la presa sull'arma. So che vuole combattere, che vuole dimostrare a se stesso e a Fred quanto vale. Perché lo vorrei anche io. Ma non qui, non con lui. "Muoviti!" Ringhia Fred, decisamente seccato. Non ho nemmeno il tempo di rendermene conto. Fred mette via una pistola, mi raggiunge, mi afferra per i capelli e mi punta il secondo revolver alla tempia, facendomi girare in modo che James mi veda in faccia. Il braccio di Fred che mi soffoca mi provoca una fitta di disgusto, ma non di paura. Provo solo ribrezzo nei suoi confronti. "Altrimenti la uccido." Cerco di divincolarmi, ma Fred mi afferra ancora più saldamente i capelli, tirandomi la testa all'indietro. Il dolore si propaga sordo, lentamente e pulsante. "Sbrigati!" Lo incalza Fred. "Jay.." Riesco solo a sussurrare, le mie emozioni concentrate in quell'unico, bellissimo suono. Lo sento sussultare, quando lo chiamo per nome. Lo vedo tremare, il dito che indugia sul grilletto, il dovere che lotta contro le emozioni. Poi, lentamente, abbassa il revolver. I suoi occhi incontrano i miei, tormentati, tristi e supplici. A quella vista, mi sale un groppo alla gola. Vorrei cullarlo tra le mie braccia e dirgli che andrà tutto bene. Se solo potessi... "Bene. Ora spingi le pistole coi piedi verso di me." Intima Fred, pienamente soddisfatto dall'aver vinto la sfida psicologica che era in corso tra lui e James. Il mio migliore amico, senza esitazioni calcia i revolver, scintillanti al buio, verso di noi. "Ora lasciala andare immediatamente." Scandisce Jay, un una minaccia pericolosa nella voce. Scioccamente mi sento quasi compiaciuta dal suo tono allarmato. Perché quell'angoscia è per le mie condizioni. "Uhm, non credo che lo farò." La voce di Fred mi riscuote dai miei pensieri, provocandomi un brivido. Cosa vuol dire che non lo farà? James non ha forse fatto quello che gli aveva ordinato? Poi mi gira verso di se, e sembrerebbe quasi un abbraccio se non avessi il revolver puntato alla tempia. Sento il suo fiato sul viso, orribilmente vicino al mio. Lo vedo sorridere, un sorriso divertito e cattivo. "In fondo, non stai mica così male vestita così." Il suo tono si fa disgustosamente oleoso, mentre con la mano libera scende lungo la schiena, esplorando il mio corpo, fino alle cosce. Mi divincolo disgustata, cercando di scappare dalla sua presa. "Sta ferma" mi intima freddamente. "Ferma." Ripete. "Lasciala stare!" La voce di James suona disperata e terribilmente lontana da me. "Zitto!" Tuona Fred, gli occhi che mandano lampi. No. No, non prendertela con James, per favore. "Fred." Il mio tono è disperato e dolce. Il ragazzo distoglie gli occhi da Jay, per posarli perplessi su di me. "Non pensi a Jon?" Spero che si ricordi di tutti i momenti che abbiamo trascorso insieme con lui e i suoi amici, che si ricordi delle nostre risate e delle battute. Ma quando lo vedo ridere sprezzante, capisco che per lui eravamo solo una copertura. forse è un infiltrato della Provincia del Sud da sempre. Ma mi si accappona la pelle ugualmente quando avvicina le labbra al mio orecchio e mi sussurra "E tu, ci pensi a Jon?" Sei parole, e le mie gambe iniziano a tremare. Il tempo si dilata, la mia anima sembra uscire dal mio corpo. Non mi rendo nemmeno conto di quello che mi accade intorno. Sento degli spari di fronte a me, il corpo di Fred accasciarmisi addosso, morto, e un Philippe alle sue spalle che tiene in mano una pistola fumante. Poi cado a terra. "Andy!" Sento urlare. Battiti del cuore, lenti. Altre urla, che forse chiamano il mio nome, mentre le ultime parole di Fred mi rimbombano nella testa. "E tu, ci pensi a Jon?" Sono caduta per terra, ma non sono in grado di rialzarmi. Braccia forti mi stringono a sé. Quasi sembra un sogno. Non riesco a fare niente, solo la consapevolezza di quanto io sia spregevole, continua ad assillarmi. Jon è lì fuori. Sta combattendo per la nostra Provincia, per la libertà. Per me. E io non lo amo. Non più,almeno. Solo ora afferro la situazione nel suo insieme. Ci ho messo molto, ma ce l'ho fatta. "Per amor del cielo, Andy! Andiamo, ritorna in te!" Sono tra le braccia di James, il volto trasfigurato dalla preoccupazione, mentre mi scuote. Sbatto le palpebre, mentre riprendo conoscenza del mondo intorno a me. Vedo il sollievo dilagare sul volto di Jay, mentre mi abbraccia forte, le mani che mi cingono la testa e la stringono al suo petto. Rimango immobile, desiderando con tutta me stessa di ricambiare quell'abbraccio, di sentirlo sulla mia pelle, di poter stare così per sempre. Invece, gli dico addio. Per Jon. Perché  è giusto così. Perché probabilmente, Jay ama Rachel. Me l'ha detto lui stesso, in fondo, qualche ora prima nella sua stanza. Sembrano passati secoli. Ho voglia di piangere, ma mi impongo di rimanere forte. Di combattere. Ho già fallito con Fred, non succederà di nuovo. "Sbrighiamoci" La voce di Philippe mi riporta alla realtà. Solo ora mi rendo conto che probabilmente è grazie a lui se io e James siamo salvi. Gli devo la vita. Un debito che spero con tutto il cuore di poter ricambiare, un giorno. Che forse, non è poi così lontano. Mentre mi alzo in piedi, non posso fare a meno che ringraziarlo. "Ehi, a cosa serve un amico se non in momenti come questi?" Scherza lui giocosamente, come se non fosse successo niente di eclatante e ci avesse fatto solo un piccolo favore. Ma in fondo, è proprio questa innata allegria che caratterizza il mio amico. "Ma tu cosa ci fai qui? Non ti abbiamo visto in palestra e pensavamo avessi seguito Aper e gli altri in cortile. Dove sono Rachel e Frederica?" James mette voce alle domande che mi assillano. Quando vedo il sorriso di Philippe abbandonargli il volto, ho un tuffo al cuore. "Non sono riuscito a trovarle. Quando..." La voce gli trema, come se fosse sul punto di spezzarsi. "Quando c'è stata l'esplosione e Aper ha condotto i soldati fuori, loro non c'erano già più". Il mio cuore accelera i battiti, temendo le parole che Philippe sta per pronunciare. "Sono giù, a combattere." Mi sento sprofondare. Questa non ci voleva. Come faremo a trovarle? E se, per via dell'alcol, le fosse successo qualcosa? "Dobbiamo trovarle." Non sono mai stata così sicura in tutta la mia vita sul da farsi. Vedo James annuire fortemente, mentre Philippe esita. "Non ce la faremo mai. Dobbiamo scappare." Cosa? Ma che sta dicendo? Ci abbandonerebbe qui tutti, se fosse per lui? tiene così poco a noi? Sono disgustata e arrabbiata al tempo stesso per la sua codardia, ma non posso costringere nessuno. "Se vuoi, vai. Io resto." La mia voce suona decisa, e anche molto irritata. Sento James avvicinarsi a me e darmi la mano. Sussulto a quella stretta inaspettata. "Anche io." Mi volto a guardare il volto di quel bellissimo e coraggioso ragazzo, non potendo fare a meno di rivolgergli un sorriso raggiante. Lui sembra stupito, poi sorride a sua volta. Philippe ci guarda, passando lo sguardo da me a Jay. Poi scuote la testa, quasi rassegnato. "Diamine, mi farete diventare una brava persona così. Rimango pure io." Il nodo che ho allo stomaco si allenta. Ha fatto la scelta giusta. Così faccio un passo in direzione delle scale e nel farlo mi accorgo di essere a piedi nudi. E vestita in modo del tutto inappropriato. Mi sento quasi nauseata a farlo, ma non ho altra scelta: mi dirigo verso il cadavere di Fred e gli prendo pantaloni, maglietta e scarpe. Poi mi nascondo dietro alle scale. "Aspettate un attimo." Abbaio ai miei amici, che mi guardano con un sorriso divertito stampato stupidamente sul volto, mentre mi cambio. I vestiti mi stanno leggermente larghi, ma sono alta circa quanto lo è... Era Fred, perciò riesco più a meno ad adattarli alla forma del mio corpo. Quando esco dal mio nascondiglio, Philippe e Jay soffocano una risata. "Stai.. Bene." Mi dice il mio migliore amico. "Il sangue sulla maglietta -gli fa Philippe, e qui indica il punto sulla maglia in cui ha sparato a Fred- è un tocco di classe." "Cretini." Bofonchio io fingendo di offendermi, anche se non riesco a trattenere un sorriso. Poi faccio cadere teatralmente i miei vecchi vestiti di fianco al corpo mezzo nudo di Fred, in gesto di spregio. Guardandolo, mi rendo conto che è la prima volta che vedo un corpo morto. Forse dovrei essere impressionata o disgustata, ma osservando gli occhi vacui di quel ragazzo, non riesco a pensare ad altro se non al fatto che morendo ci ha liberati da un peso. Scuoto la testa, cercando di cacciare via queste idee dalla mia mente. Devo concentrarmi ed essere lucida, ora più che mai. Così, raccolgo le pistole mie e di Jay più quelle di Fred, che fisso alla mia cintura, e porgo al primo una di queste. "Molte grazie." Mi ringrazia con un inchino. "Si figuri." Mi inchino a mia volta, ridendo. Mi chiedo se non siamo fuori di testa, a scherzare in un momento del genere. Forse è l'adrenalina. Forse è isteria per ciò che è appena successo. Forse, siamo semplicemente pazzi. Il pensiero di Frederica, ma soprattutto Rachel in pericolo mi riporta alla realtà e a quello stato di preoccupazione costante che ormai fa parte di me. "Andiamo." Ordino agli altri, e senza aspettare risposte mi dirigo giù per le scale. Mentre scendiamo, mi accorgo che le esplosioni sono cessate, ma le urla in cortile sono più forti di prima, e più numerose. Non troviamo nessuno al nostro passaggio, i nostri respiri leggermente tremanti e il rumore dei nostri passi fugaci sono la nostra unica compagnia. Quando finalmente scendiamo l'ultima rampa di scale, mi sembra sia passata un'eternità. L'atrio della caserma è vuota, buia e silenziosa. I soldati del Sud non sono ancora riusciti ad entrare. Questo è un fatto positivo: finché non entrano, vorrà dire che non staremo perdendo. "Cosa facciamo adesso?" Ci chiede Philippe. Nella sua voce avverto una nota di timore, che non gli avevo mai sentito prima. "Dobbiamo trovarle. Restiamo uniti. E poi scavalchiamo la cinta e scappiamo." Rispondo, anche se non sono del tutto convinta che sarà una passeggiata come invece il mio tono di voce vuole far credere. Faccio un lungo respiro, per calmarmi, l'adrenalina che ricomincia a scorrere nelle mie vene come acqua in un torrente tortuoso. Vedo con la coda dell'occhio Jay avvicinarsi. "Tutto bene?" La sua voce è leggermente allarmata. I suoi occhi riempiono i miei, inghiottendo tutta quella paura che si stava creando dentro di me. Si, ora sto benissimo. Annuisco, e lui mi abbozza un sorriso. "Non ti lascerò mai più, stai tranquilla." Mi sussurra lui, e il cuore inizia a martellarmi nel petto. Calma, stai calma. Pensa a Jon. Così sto zitta, ricambiando il suo sorriso. "Beh, muoviamoci." Sbotto poi, forse un po' troppo bruscamente. Mi assicuro che i miei due amici siano di fianco a me, prima di aprire la porta della caserma. E quello che troviamo fuori ad attenderci, so che non ce lo scorderemo mai più dalla mente. Il nostro bellissimo cortile, una volta curato e ordinato, ora è lo scenario di una sanguinosa lotta tra i nostri e i soldati della Provincia del Sud. Corpi morti, o feriti, sono sparpagliati dappertutto come sciami di insetti, venendo calpestati dai soldati ancora in vita. Fuoco, luci rosse e abbaglianti, dovute alle armi utilizzate, con la loro spietata violenza, oscurano le stelle del cielo, facendo assomigliare tutto questo a una bolgia infernale. Urla. Disumane, animalesche, che perforano i timpani e scuotono da capo a piedi, sono quasi più assordanti degli spari. Sono ovunque, lanciate per il dolore o come grido di battaglia, quasi fossero un branco di bestie selvagge che ha bisogno di comunicare tramite latrati. Sono queste a darmi la forza di andare avanti e non bloccarmi dall'orrore: quelle grida potrebbero essere di Rachel, o di Frederica, o di altri miei amici. E non posso permettere che questo accada. Così, aguzzo la vista, cercando di individuarli tra i nostri soldati. C'è una spessa fila di militari della nostra caserma a guardia di quest'ultima, e tra le prime file scorgo anche Aper, la bocca grondante bestemmie, che spara a raffica. È una follia. Siamo bestie da macello, che sperano di sopraffare il nemico prima di morire. Ma dove sono finite tutte le loro belle parole, le promesse che ci hanno fatto? Tutte le loro lezioni sulle tattiche militari, sui diversi modi di attaccare e difendersi? In questo momento, la realtà mi scivola addosso come una secchiata d' acqua gelida. Non sanno nemmeno loro cosa fare: colti alla sprovvista, ci hanno radunati qui soltanto per fare numero e uccidere più nemici possibili. Ma sanno bene che perderemo presto. È inevitabile. I nemici Continuano a scendere dalle mura, simile ad uno sciame infinito di insetti velenosi, che pungono e uccidono senza pietà chiunque si trovi sul loro cammino. Per la seconda volta nel giro di mezz'ora nella mia vita, mi sento in trappola. E la cosa mi fa infuriare, perché ho passato metà della mia vita a prepararmi per questo genere di situazioni. Un soldato vicino a me viene colpito. I miei pensieri turbinano. Chissà se lo conoscevo. Non riesco nemmeno a riconoscerlo, la sua faccia coperta da spesso sangue scuro. Siamo nelle ultime linee, e mi chiedo come abbiano fatto a colpirlo. Solo guardando in alto, capisco. I nostri nemici si sono appostati sulle mura, dove le nostre sentinelle stavano di guardia, e da lì ci sparano. È da pazzi. Se rimaniamo qui, finiremo uccisi. So quello che devo fare. Corro in avanti, spingendomi tra i nostri soldati, cercando di arrivare alle prime linee. Sento James che mi chiama, ma non posso voltarmi a dare risposte. So che quello che sto facendo è estremamente pericoloso, ma non posso accettare l'idea che qualcuno che amo muoia. Soprattutto se è innocente. La folla mi schiaccia, quasi non riesco a respirare, soffocata come sono da quella moltitudine di braccia e corpi compattati. Mi divincolo, mi contorco, mi dimeno, mentre lotto con tutte le mie forze per riuscire ad attraversare questa calca infinita. Finalmente, riesco a raggiungere l'avanguardia. Scruto febbrilmente le persone che occupano questa posizione, l'ansia che si espande nel mio petto, cercando tra la folla una chioma castana e liscia, o una folta e bionda. Ma non ci sono. Inizio a sudare freddo, mentre il mio cuore bussa impazzito alle costole, cercando una via di fuga, di scappare, per non affrontare tutto questo. No. Non possono, non possono essere morte. Un soldato della Provincia del Sud si scaglia contro di me. È vestito di bianco, il cappuccio svolazzante che gli copre metà del volto scuro. Urla, un urlo acuto e crudele, una promessa di morte. Non ho nemmeno il tempo di pensare. Alzo la pistola, miro, sparo. Il soldato cade a terra, morto. Ho ucciso un uomo. E non provo nulla. Qualcuno mi afferra da dietro e io scalcio, cercando disperatamente di liberarmi. Lasciami stare, lasciami! "Calmati!" È Jay. Mi gira verso di lui, gli occhi che mandano lampi. "Avevamo detto di rimanere uniti!" Mi ringhia, e solo adesso colgo una punta di apprensione nella sua voce. Non riesco a dire niente, la gola mi si è sigillata, come se fosse di marmo. "Cosa diavolo ti è preso!?" Sta urlando, alzando la voce per contrastare il rumore che c'è ora sul campo. Apro la bocca per parlare, ma non riesco a emettere nessun suono. Le mani di Jay mi stringono troppo forte le braccia, mi fanno male. "Potevi morire!" Nella sua voce sento solo disperazione. "Jay." Riesco a dire, la voce un sussurro. "Frederica e Rachel non sono qui." Le mani del mio migliore amico smettono di stringermi, i suoi occhi mi implorano. Lo sto ancora guardando, quando sento qualcosa colpirmi forte in testa, poi cado a terra e tutto intorno a me si fa buio. L'ultima cosa a cui mi aggrappo, prima di svenire, è l'immagine di James a terra, come me, che mi tiene la mano.

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Capitolo 6
*** Il rapimento ***


Buio. Silenzioso, caldo e tranquillo, mi avvolge come una morbida coperta. Il sonno, suo inseparabile compagno, mi trasporta in lungo e in largo, avanti e indietro, cullandomi in uno stato di torpore da cui sono troppo debole per svegliarmi. O troppo stanca. Che senso ha aprire gli occhi e ricominciare a soffrire? quante persone che conoscevo e con cui sono cresciuta sono morte questa notte? E Rachel e Frederica? Sono state uccise anche loro? Troppe domande  difficili, che richiedono risposte spietate. A cui non voglio pensare, da cui voglio fuggire.Altrimenti impazzirei. Lo so. Così, preferisco indugiare in questo calmo riparo, nel quale posso sottrarmi alla verità e alla realtà. Verità. Realtà. Che strane parole. Ho sempre pensato che fossero portatrici di giustizia, e di lieto fine. Solo ora mi rendo conto scioccamente che non è così. Il mondo non è come lo raccontano gli istruttori o gli insegnamenti: è spietato e crudele, e uccide chi è troppo debole. Forse Fred aveva ragione. O forse, era troppo debole. Forse, la sua arroganza l'ha ucciso. Forse. Quante volte ho basato il mio futuro su probabilità, calcoli, aspettative. Dopo quello che è successo stanotte, è come se fosse tutto sfumato dalla mia mente. Non lascerò mai più la mia vita affidata a statistiche, al caso. Deciderò io che piega avrà e dove mi porterà. E il prossimo passo, giuro a me stessa, è quello di vendicare i miei compagni caduti. Ucciderò qualsiasi soldato della Provincia del Sud che mi si parerà davanti. Per Rachel. Per Frederica. Per Jon. Per me stessa. Ma non ora. Non ancora. Non sono pronta per tornare alla dura e crudele realtà. Voglio solo rimanere qua, al buio. Dove non può accadermi niente di male. Sento un bisbiglio indistinto, che si propaga crepando di luce questo limbo oscuro in cui vago. Il mio inconscio cerca di schermarsi, girandosi dall'altra parte. Quel ronzio luminoso si propaga nuovamente, questa volta più forte e più fastidioso della precedente. La mia mente si piega su se stessa, cercando di scappare da quello scintillio. Ma ormai è troppo tardi. La luce mi circonda, mi avvolge fino quasi a farmi soffocare. Cerco di ribellarmi, ma sono ancora troppo debole per riuscire a liberarmi dalla stretta. Sento una voce bisbigliare qualcosa, ma in questo momento non mi importa. Non mi importa di nulla, in effetti. Mi muovo, mugolando. Cerco in tutti i modi di aggrapparmi a quella fievole ombra che rimane del mio pacifico riparo. Ma ormai è troppo tardi. La realtà mi attira a sé, mi risucchia, facendomi perdere la presa sull'incoscienza. Lo stacco è doloroso, sento tutte le emozioni e i pensieri che mi assillavano da sveglia turbinarmi in testa e ritornare a me. Percepisco lacrime gelide cadermi sulle guance. Poi sono sveglia. Il mio respiro si fa più forte, inalando aria fredda e tagliente. Avverto anche odore di aghi di pino, resina e terriccio. Sono in un bosco, probabilmente la foresta che circonda la nostra caserma. La caserma! Chissà se abbiamo vinto. E perché io mi trovo qui. Gli ultimi avvenimenti mi scivolano addosso, svegliandomi completamente. Ero in prima linea, parlavo con James e poi... Jay! E' qui con me anche lui? Mi muovo impercettibilmente, turbata. Facendolo mi accorgo che sono sdraiata su un fianco, i polsi legati dietro alla schiena con una corda. Li fletto, cercando di capire quanto sono stretti insieme. Il mio cuore fa una piroetta per la gioia: la corda non è tanto robusta. Ringrazio mentalmente Aper per averci insegnato una tecnica per liberarci in caso di prigionia, mentre il mio subconscio sogghigna. Quello stronzo alla fine qualcosa di utile è riuscita a farla. "Genn, smettila con questa assurda idea di tornare indietro a combattere, è folle!" La voce che interrompe il flusso dei miei pensieri è di una ragazza. Ha un accento diverso dal nostro, le vocali sono più aperte e marcate e le consonanti più calcate. E' evidente che sono della Provincia del Sud. Dal tono di voce capisco che è abbastanza agitata, e il mio cuore fa una piroetta. Questo potrebbe significare che i nostri hanno vinto. "Questa missione è folle. Tra poco si sveglieranno, e ci procureranno solo casini. Riflettici Raja! La mia idea è sensata." La seconda voce é maschile, l'accento uguale a quello della compagna. A giudicare dal volume, sono molto vicini a me, qualche metro alla mia sinistra. Il sangue mi ribolle nelle vene dalla voglia di balzare loro addosso e ucciderli, il cuore inizia a danzare un ballo di guerra nel petto, preparandosi alla vendetta. Ma la mia mente lo ferma. No. Sarebbe una pazzia. Meglio aspettare, e si presenterà un momento migliore. Ha ragione. Il mio cuore si acquieta, convinto. Così, Lentamente, inizio a tendere i polsi, mettendo in pratica gli insegnamenti di Aper. "Non mi interessano le tue preoccupazioni! La Base ci ha ordinato di rapire gli ufficiali medi dei Plotoni della Provincia del Nord e portarli da loro e così faremo! Se ti manca il fegato non sono affari miei, sei libero di andartene all'istante." Quasi scoppio a ridere. Io un ufficiale medio? Cioè un capitano? Ma come gli è saltata in mente un'idea simile? Io sono un caporale maggiore, sono solamente un membro, nemmeno quello più importante, di una delle nostre squadre!  Figuriamoci di un Plotone! A quanto pare i nostri nemici, oltre che a essere dei traditori sono anche incredibilmente stupidi. E codardi, a giudicare dalla paura che assilla il ragazzo. Che evidentemente non sa cosa ribattere alle parole della compagna, in quanto non lo sento più fiatare. Una brezza profumata accarezza i rami degli alberi che rispondono con fusa delicate. Un fringuello cinguetta in lontananza. Continuo a tenere gli occhi chiusi, cercando di sfruttare questo vantaggio per appropriarmi di quante più informazioni possibili, mentre i miei polsi lavorano febbrilmente. "D'accordo." Sbotta alla fine quello che la compagna ha chiamato Genn. "Ma rischiamo di incappare in guai grossi, credimi." Aggiunge poi. "Sei il solito paranoico." Gli risponde la ragazza, il tono più dolce rispetto a prima. "Ora aiutami a raccogliere delle provviste, sarà un lungo viaggio." Ordina. In quel momento, riesco a liberarmi. Il mio cuore esulta, trionfante. Ce l'ho fatta. Mi sfrego i polsi indolenziti, digrignando i denti per il dolore. Poi, lentamente, apro gli occhi. La luce quasi mi acceca, a causa del mio lungo tempo passato tra le tenebre. Sono sdraiata sul terriccio, che è lievemente umido: è quasi finito l'inverno, ma essendo a Nord la mattina è sempre accompagnata da morbida brina. Ci impiego qualche istante a mettere a fuoco, ma quando lo faccio vedo solo abeti e alberi secolari. I miei rapitori non rientrano nella mia visuale, il che è un bene: finché sarà così, loro non potranno accorgersi del mio risveglio. Rimango sdraiata a terra ancora qualche istante, il silenzio che mi avvolge, il cuore a mille, l'adrenalina che, come una vecchia amica, mi ritorna a fare visita all'improvviso. Ho una voglia matta di alzarmi e correre via, ma non ho idea di dove siano i due della Provincia del sud. Inspiro. Espiro. Il rombo del mio cuore diventa quasi insopportabile. La brezza che scompiglia gli alberi mi sussurra di scappare. Silenzio. Lentamente, Poggio i gomiti a terra e mi tiro su, pregando, sperando che vada tutto bene. Non succede niente. Mi alzo in piedi, i miei occhi che iniziano a scrutare febbrilmente tutto ciò che mi circonda, i miei nervi tesi come le corde di un violino. Ma stranamente, non vedo nessun soldato. Il mio corpo intero si rilassa di colpo, e mi sorprendo di quanto fossi in tensione. Tuttavia c'è qualcosa di sovrannaturale, quasi di inquietante in questa pace. Sento un mugolio alle spalle e mi giro di scatto, la mano destra che va istintivamente alla cintura dove durante le esercitazioni teniamo la pistola. Ma non c'è nessun arma a rassicurarmi. Sicuramente i miei rapitori me l'avranno sequestrata mentre ero svenuta. Deglutisco, l'adrenalina che inizia nuovamente a scorrermi in corpo, mentre cautamente mi avvicino verso il rumore. È lontano, tra il fogliame, almeno una quindicina di metri. Un passo, due, tre. Nessun rumore. Continuo ad avvicinarmi, la mia mente in bianco. Un passo, due, tre. Il mio respiro è il mio unico compagno. Un altro mugolio. Ora sono vicina, forse troppo. Mi scorgo lentamente, il cuore che mi martella nel petto. Ma quando capisco, non riesco a non trattenere un urlo. "Jay!" Mi butto su di lui, le mie mani che corrono a sciogliere le corde che lo legano. Jay è vivo, è qui con me! "Oh Jay..." Non dovrei farlo, ma la mia mente è troppo lenta e non riesce a fermarmi. Gli getto le braccia intorno al collo, mentre sento una tristezza incolmabile farsi strada dentro di me. Non so neanche io perché, ma inizio a piangere, a dirotto, le lacrime che si accavallano a vicenda sulle mie guance, facendo a gara. Sento le braccia di James circondarmi, e per la prima volta dopo giorni mi sento completamente al sicuro, perché so che li dentro, tra le sue mani e il suo petto non potrà mai accadermi nulla di male. "Sono morte... Sono morte tutte" Singhiozzo, la consapevolezza del dolore che si propaga nel mio petto. Non ci sono più. Non erano nelle prime file, non erano in campo. Non erano tra i vivi. Percepisco Jay accarezzarmi piano i capelli, assaporando il mio odore, unica cosa di familiare rimasto. "Lo so... Lo so..." Sento che anche lui ha la voce rotta, ma non capisco se stia piangendo o sia solo stanco. "Li hanno uccisi loro, sono stati loro!" Urlo, ma non mi interessa adesso. Un'odio cieco, scuro e tagliente mi trapassa da parte a parte il cuore. È tutta colpa loro, solo loro. Sento le labbra di James sfiorare il mio orecchio. "Un motivo in più per ucciderli tutti." Mi stacco da lui, che però mi trattiene a se. Lo guardo negli occhi, sicura di avere la sua stessa espressione selvaggia sul volto. Dunque è così. Solo quando sarà finita riusciremo ad uscirne. Sono stati loro ad attaccarci, ad incominciare tutto. Loro e loro solo sono gli unici responsabili per quello che è successo. Annuisco. E così sia. James mi sorride tristemente, il suo viso mi appare invecchiato di anni. Lentamente mi accarezza il viso con la mano destra, l'altra che è ancora aggrappata, quasi disperatamente, tra i mie capelli. "Pensavo fossi morta anche tu" dice in un fil di voce, e sento la sua voce incrinarsi. Mi si spezza il cuore a vederlo così. Scuoto la testa, cercando di rassicurarlo. "Ho intenzione di rimanere ancora per un po qui a darti fastidio" sussurro, cercando di sdrammatizzare. L'ombra di un sorriso accarezza le labbra di James. "Ti assicuro, tu non potrai mai darmi fastidio." Il mio cuore accelera scioccamente i battiti. Il mio migliore amico sembra stia per aggiungere qualcosa, ma in quel momento il rumore di passi pesanti ci blocca. Jay si mette il dito indice sulle labbra, in segno di fare silenzio, poi mi tira giù, tra i cespugli. Percepisco le sue braccia circondarmi, una promessa che non sono più sola. Dalla mia posizione riesco soltanto a scorgere il terreno dove poco prima ero sdraiata. Vedo delle scarpe entrare nella mia visuale, marroni e diverse da qualsiasi   altra calzatura abbia mai visto. Sono come delle ciabatte, e sulla punta hanno un ricciolo che ricade all'insù. "Raja! Vieni a vedere." È il ragazzo. Probabilmente si è accorto della mia scomparsa, e mi avrà sentito urlare. D'altronde sono stati così stupidi da non lasciare nessuno di guardia, mentre andavano a rifornirsi. Sento dei passi affrettati, poi delle seconde scarpe, identiche alla precedenza, compaiono. "Dannazione!" "Te l'avevo detto che ci avrebbero procurato soltanto scocciature." "Stai zitto, e aiutami a cercarla piuttosto." Mi faccio ancora più piccola tra le braccia di James, mentre il fruscio dei passi dei nostri rapitori sul terreno si fanno viscidi come un serpente strisciante. Se ci trovano, sicuramente ci separeranno. Il mio cuore perde un battito. È un'alternativa ancora peggiore alla morte. Mi giro verso Jay, che ha un'espressione indecifrabile. Dobbiamo scappare. Andare alla Provincia dell'Ovest, com'era in programma già dall'inizio. Sento lo sguardo del mio migliore amico su di me e so che ha capito. Lentamente, cercando di fare il minor rumore possibile, ci alziamo. Per fortuna i soldati si sono leggermente allontanati, così riusciamo a strisciare all'indietro, il respiro soffocato, lo stomaco un blocco di ghiaccio. Sento il sangue affluire alle guance, la consapevolezza del rischio che stiamo correndo che mi è stretta addosso come un'ombra invisibile. Sussulto impercettibilmente quando Jay mi afferra la mano, una morsa quasi disperata, la sua paura che diventa la mia, in una danza vorticosa. Mi inizia a girare la testa, sento di stare di nuovo per crollare a terra. Forse è l'adrenalina. Un passo dopo l'altro, il morbido tappeto di aghi di pino a ovattare ogni suono, retrocediamo sempre più nel folto della boscaglia. Uno scoiattolo che compare all'improvviso su un tronco di un albero poco distante, quasi mi provoca un infarto. La mano di Jay attorno al mio polso è l'unica cosa che mi da la forza di continuare a camminare, impietrita come sono. Una folata di vento improvvisa ci scompiglia i capelli. Forse ce l'abbiamo fatta. Piano piano, iniziamo a girarci verso la nostra via di fuga, i nemici lasciati ormai alle spalle. Una parte di me vorrebbe tornare indietro e ucciderli, ma so che in questo momento non è possibile. Non abbiamo nessun arma, ed è quindi di vitale importanza raggiungere al più presto possibile la Provincia dell'Ovest. Non avrebbe senso tornare indietro, perché se la nostra caserma ora fosse nelle mani del nemico, io e Jay non ne usciremo vivi. No, meglio scappare e tornare, semmai, armati e con un esercito. Sempre che riusciremo a trovare la Provincia dell'Ovest: orientarsi nel mezzo di questa foresta non mi sembra impresa facile. "Fermi!" Una voce alle mie spalle mi fa accapponare la pelle. Perché io conosco quella voce. È la ragazza della Provincia del Sud. Il mio cuore si ferma, atterrito, e per un momento credo di essere sul punto di perdere i sensi. "Mettete le mani sopra la testa e arrendetevi. Altrimenti sparo." Non riesco a fare nulla, solo tenere lo sguardo fisso sul fogliame di fronte a me, crudele promessa di libertà, che mi invitano accattivanti ad andare da loro. La mano di James non molla il mio polso. All'improvviso, come uscite da un baratro, mi risalgono alla mente le sue parole di stanotte. "Forse, è meglio così". Forse lo è davvero. Forse dovremmo farci uccidere qui, ora. Se lo facessimo, è come se non ci fossimo mai arresi. Come se fosse una protesta silenziosa. Ma un momento. Durante la conversazione che ho origliato prima i nostri rapitori dicevano che dovevano portarci vivi come ostaggi alla Provincia del Sud. Come mai ora la ragazza ci sta minacciando di morte? 'Sta bluffando!' Mi suggerisce una vocina nella mia testa. Ma certo. Non hanno nessuna intenzione reale di ucciderci. Non al momento, almeno. Ed è in questo momento, che mi balena nella testa un piano. È folle, sciocco e mi rivolta soltanto pensarlo, ma forse è la nostra unica speranza. Mi giro verso Jay, che scopro tormentato quanto me. Ma guardando la mia espressione, si tranquillizza. Pongo una mano su quella di lui che mi afferra, quasi in un gesto di saluto. Poi sciolgo la sua presa dal mio braccio, e alzo le mani in aria, sopra la testa. Vedo Jay con la coda dell'occhio fare la stessa cosa. Sento la ragazza mettere via la pistola, poi due mani robuste mi afferrano i polsi, li traggono e li rilegano, questa volta più stretti della volta precedente. Non faccio nessun gesto per divincolarmi, e per fortuna neanche James: evidentemente si fida di me. Spero con tutto il cuore di non deluderlo. "Ora che li abbiamo presi, vedi di non farli scappare di nuovo. Vado a prendere le provviste che abbiamo raccolto, così possiamo subito metterci in marcia."  Sbraita la ragazza, che è bassa, gli occhi a mandorla che fanno capolino sotto una folta chioma ramata. Entrambi hanno la pelle color del caffè. Sono vestiti come i soldati di stanotte: tutto l'abbigliamento è bianco, i pantaloni larghi, ampi e a sbuffo che cascano morbidamente sulle caviglie, la maglietta larga e semplice. Sulle spalle, un mantello. La ragazza fa sedere James per terra, prima di andarsene. "Se al mio ritorno non ti ritrovo qui, incapperai in guai seri." Lo avverte. Poi, a passo veloce, si allontana. Percepisco il ragazzo che mi ha legata girarmi verso di lui. È basso e incredibilmente muscoloso, i capelli marroni che schizzano in tutte le direzioni, gli occhi piccoli e a mandorla che mi scrutano con soddisfazione. "Oramai non puoi più sfuggire, ufficiale. Credevo foste più svegli." Avverto James soffocare una risata, evidentemente divertito quanto me dal colossale fraintendimento dei nostri gradi, probabilmente dovuta al fatto che eravamo (per puro caso) in prima linea quando ci hanno avvistati. Il ragazzo si volta indispettito a guardarlo. "Tu che hai da ridere?" Gli sbraita addosso. No Jay, non rovinare tutto! Mi faccio più vicina al corpo del ragazzo, socchiudo gli occhi mentre gli parlo e in un sussurro gli dico: "Lascialo perdere, è solo un' idiota." Sia James che il ragazzo rimangono stupiti da questa mia risposta. Sento il mio migliore amico, dietro di me, che borbotta qualcosa come "Andiamo bene..." 'Stai zitto Jay. Pensa a slegarti da quella maledetta corda.' Vorrei urlargli, ma non posso. Spero solo con tutto il cuore che lo faccia. Il nostro rapitore lo fulmina con lo sguardo. "Hai visto?" Mi affretto a rispondere, un abbozzo di un sorriso sulle labbra. Il ragazzo mi guarda, sembra spiazzato dal mio comportamento. Poi, lentamente, apre la bocca, getta indietro la testa e inizia a ridere di gusto. Funziona. Ha abboccato. Mentre lo fa, lancio uno sguardo al mio obbiettivo: la pistola alla sua cintura, che probabilmente è quella che mi ha sequestrato quando ho perso i sensi. "Sai, non sei poi così male." Mi apostrofa il ragazzo, che non ha ancora finito di ridere del tutto. La mia mente lavora febbrilmente cercando di ricordarsi cosa fa James quando cerca di sedurre qualcuno: gli si avvicina, sussurra, dice frasi provocanti. Così mi faccio ancora più vicina a lui, ormai solo pochi centimetri ci separano, e gli bisbiglio all'orecchio: "Anche tu non sei male." Il ragazzo spalanca gli occhi, poi vedo fiorirgli sulle labbra un sorriso perverso. Come pensavo. Lurido verme. Sento le sue oleose mani afferrarmi la vita e attrarmi verso di lui. Reprimo a stento il ribrezzo e la pelle d'oca. Fortunatamente lui non se ne accorge. Probabilmente perché è scemo. "E allora, cosa vogliamo fare?" Mi bisbiglia a sua volta, le nostre labbra troppo, disgustosamente vicine. Cerco di non pensare a quello che sto per fare, mentre la mia bocca copre quei pochi centimetri che ci separano. È un bacio sporco, sbagliato, e mentre lo do ho solo in mente l'immagine di Rachel Frederica Emily Paul e, forse Philippe, morti. Ma non mi fermo, anzi cerco di essere il più sensuale possibile, perché solo così possiamo avere una vera possibilità di scappare. Sento le sue mani scendermi lungo i fianchi e un brivido mi percuote da capo a piedi. Quando ho finito, mi stacco da lui, ma di poco. "Il prossimo passo potrebbe essere quello di slegarmi." Gli sussurro sulle labbra, piano. Vedo il ragazzo combattuto, il desiderio che combatte contro il dovere. "Stai tranquillo." Lo rassicuro. "Non ho nessuna intenzione di scappare insieme a quello sciocco." E dicendo ciò indico James, che mi lancia un'occhiata torva. Finalmente convinto, il rapitore mi gira. Mentre inizia a slegarmi, il suo viso si fa vicino al mio collo, che inizia a baciare, fino alla clavicola. La mia pelle rabbrividisce. Cerco di non guardare Jay negli occhi, perché so che crollerei, così inizio a fissare un punto qualsiasi del cielo grigio, desiderando di poter volare via. "Hai un buon sapore..." Sento dirgli. Rimango immobile e non aggiungo altro, sperando che si sbrighi con quella maledetta corda. Quando finalmente sento i lacci abbandonare i miei polsi, so che ce l'ho fatta. "E ora, quale sarà la prossima mossa?" Mi gorgoglia nell'orecchio. Mi giro verso di lui, mentre con le braccia gli circondo la vita, le mie labbra a un soffio dalle sue. Sento la pistola sotto la mia mano che mi saluta, come se fossi una sua vecchia amica. Avverto l'odio sprigionarsi in tutta la sua vastità dentro di me, ormai senza freni, oscura presenza che mi incoraggia. Afferro l'impugnatura della pistola, sicura. Il ragazzo si scosta da me, l'espressione sul suo viso che emana solo sorpresa. "La prossima mossa è uccidere te." Sgancio il revolver dalla sua cintura, mentre il mio rapitore mi spinge all'indietro. Rotolo per terra, la presa ben salda sull'arma che ho in mano, mentre il ragazzo inizia a correre. Questa volta è il suo turno scappare. Ma non gli lascerò questo privilegio. Chissà quanti dei nostri ha ucciso, quel verme. Non mi concedo nemmeno il tempo di alzarmi da terra, rimango sdraiata su un fianco, il braccio che ha la pistola teso e letale. Il mio occhio sinistra si chiude, per prendere meglio la mira. Non gli sparerò nel petto, potrebbe avere il giubbotto anti proiettile. No. Mirerò alla testa, così tutti quei pensieri cattivi smetteranno presto di esistere. Il tempo si dilata mentre ogni cosa sembra fermarsi, la corsa del ragazzo, il mio respiro, il vento che mi accarezza il viso. Il rombo del battito del mio cuore è l'unica cosa che sento. Poi uno sparo. Il ragazzo cade a terra, morto. Ce l'ho fatta. Il mio cuore inizia a ballare una danza di vittoria, esultante. Questo è per Rachel. Per Frederica. Per Philippe. Per tutti i miei compagni caduti. Poi tutto mi ripiomba addosso come una secchiata d'acqua gelida, ed il tempo inizia nuovamente a scorrere implacabile. Dobbiamo fare in fretta. La ragazza arriverà presto. Mi volto verso Jay, che per fortuna si è slegato, nel frattempo. "E così" inizia, mentre mi afferra per le spalle e mi tira su "sono un idiota". La sua voce è tra il divertito e l'ironico. "Oh smettila, lo sai che ho dovuto farlo." Ridacchio, divertita dal suo disappunto. "Lo so, lo so. Ma non credere che me ne dimenticherò in fretta." Dice, mentre fa finta di essere indignato. Gli tiro una pacca sul braccio, divertita. "Genn!" L'urlo straziante della ragazza alle nostre spalle mi riporta alla realtà.  È seduta di fianco al corpo del ragazzo, singhiozzante, incapace di fare nient'altro se non invocare il suo nome. "Dobbiamo ucciderla." Mi intima Jay, la voce terribilmente dura. Ha ragione. Dobbiamo. Alzo le braccia, il grilletto impaziente di sputare un altro colpo. Vedo la ragazza guardarmi, il viso devastato dal dolore, che forse brama la morte anche lei, dopo aver perso il compagno. No. Non posso farlo. Abbasso la pistola. "Andiamocene." Borbotto, girandomi verso il folto della boscaglia. So che non ci inseguirà. Non ne è in grado al momento. "Ma cosa stai facendo? Ammazzala!" James mi raggiunge, afferrandomi per un braccio. "Lasciami!" Urlo, e il mio grido lo fa sobbalzare. Ci guardiamo negli occhi, ambra contro smeraldo, odio contro pietà. Alla fine, James capisce che non cambierò idea. E decide di lasciar stare. Scelta giusta. "Va bene. D'accordo. Andiamo." Sbraita poi, e inizia a correre. In pochi secondi, è già sparito nella vegetazione. Lo seguo anche io dopo qualche istante. Mentre corro, l'unica cosa che sento è l'urlo straziante della ragazza. "Oh, Genn..."

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Capitolo 7
*** Il (quasi) bacio ***


"Dovremmo fermarci e risposare." Sono le prime parole che James mi rivolge dopo il nostro scontro per decidere se uccidere o no la ragazza della Provincia del Sud. So che è arrabbiato, e come dargli torto del resto: ciò che ho fatto è stato irrazionale e inconcepibile. L'ho anche trattato duramente, e questo non ricade certo a mio favore. Annuisco, ansante. È da tutto il giorno che corriamo tra il folto della boscaglia, senza una meta precisa: il nostro unico obbiettivo era mettere quanta più distanza possibile tra noi e i nostri rapitori, senza badare a dove stessimo andando. Ma ora, dovremmo cercare di capire come fare ad arrivare alla Provincia dell'Ovest. Non sappiamo neanche dove siamo, per non parlare del rischio che stiamo correndo: potrebbero esserci altre pattuglie di soldati della Provincia del Sud, nelle vicinanze. Un soffio di vento gelido mi spezza il respiro e mi provoca un brivido. Inspiro l'aria tagliente della sera, i miei polmoni in fiamme dopo la lunga corsa. Il fischio di una civetta, da qualche parte su un ramo sopra di noi mi fa capire che è davvero tardi: tra poco spunteranno le prime stelle nel cielo. La luce sta lentamente scemando, il tramonto ormai svanito, una luna nascente che lentamente si aggrappa al seno della volta celeste, avida di vita. Chissà se Rachel è lassù. Chissà se mi sta guardando, se ha capito perché non ho ucciso quella ragazza. Se si ricorda di me. La tristezza mi pervade come una dolce marea, gonfiandosi in tutto il mio corpo. Sento una lacrima scendermi lungo una guancia, quasi in un saluto per la mia migliore amica. La asciugo velocemente, il mio orgoglio che prega che James non mi abbia visto. Ma girandomi, mi accorgo che mi sta guardando, un'espressione indecifrabile sul viso. Pietà mista a rabbia, credo. È qualcosa di orribile, comunque. Rimane in silenzio, senza dire una parola, forse non sapendo bene cosa fare. Ed è proprio questo che mi fa arrabbiare, probabilmente scioccamente. "Vado a cercare delle provviste." Dico seccamente, e prima che lui abbia il tempo di rispondere sono già corsa via. Le mie gambe protestano, i miei polmoni sembrano sul punto di scoppiare. Ma non mi fermo, non posso. Se lo facessi crollerei. Ed è un lusso che non posso permettermi. Sento James urlare il mio nome, ma a quel suono accelero ancora di più, perché non voglio che mi veda così, perché è arrabbiato con me, perché non capisce. Forse sono pazza. Forse gli ultimi avvenimenti mi hanno portato via il senno, riducendo il mio corpo ad un guscio vuoto. L'urlo della ragazza della Provincia del Sud mi ritorna in mente, vivido, come se io stessa avessi provato quel dolore squassante. Quasi non mi accorgo di essere dentro ad un torrente, le ginocchia che faticano per lottare contro la limpida corrente. Rimango a fissare l'acqua lucente alla luce delle stelle, le onde scure che giocano tra di loro, schizzandosi con spuma candida. Chissà quanto ho corso. E dove sono. Non lo so, e non mi interessa. Sono sola, e questo mi basta. Chiudo gli occhi, mentre il mio respiro ritorna regolare. Le mie orecchie, prima sorde, ora colgono l'immensità dei suoni che pullulano la foresta, lo scrosciare dell'acqua, l'ululato del vento che mi accarezza, simile ad una madre affettuosa, i capelli. Mi inginocchio nel torrente, rendendomi conto solamente ora che muoio di sete. È da un giorno che non tocco né cibo né acqua, e mentre la mia gola si rinfresca, il mio stomaco si risveglia brontolando. Con la mente, rivado al mio amato zaino pieno di viveri che mi ero preparata in caso di attacchi, alla caserma. Quanto vorrei averlo preso, ora. Scrollo le spalle. Non sarà difficile procurarsi del cibo, in ogni caso. Ho una pistola, so prendere bene la mira e la notte mi consente di mimetizzarmi meglio. Così esco dall'acqua, avvicinandomi alla boscaglia. Faccio un lungo respiro, prima di rientrare. La foresta intorno a me, ora che ho la mente lucida, mi appare pulsante e piena di vita. Appoggio i piedi a terra con cautela, senza fare alcun rumore. Il mio respiro è più lieve di un fruscio di vento. Il colore della mia ombra è identico a quello del bosco intorno a me. Qua nel folto della boscaglia l'aria è più fresca, e gli alberi alti non fanno passare la luce dolce delle stelle chiare. L'odore intenso e pulito degli aghi di pino riempie l' aria. La tranquillità di questo posto mi riempie il cuore, prima affannato, di pace. Mi inginocchio sul terreno morbido, cosparso di pigne e felci, per esaminare le tracce. Vedo impronte di conigli, una di un cinghiale solitario e quella di una lepre. Decido di scartare sia i primi, poiché sono troppo piccoli e dovrei ucciderne più di uno per sfamarci, sia il secondo: dalla profondità delle orme lasciate capisco che è un maschio adulto, troppo pesante da trasportare nel caso lo uccidessi, e comunque pericoloso; Un rischio che non voglio correre in questo momento. Così opto per la lepre. Mi rialzo e inizio a seguirla. È da tanto che non caccio, ma credo di riuscire ancora a cavarmela: nelle fasi iniziali di addestramento, alla caserma, la prima cosa che ci hanno insegnato è stato come sopravvivere in casi simili a questo, incluso il saper cacciare, riconoscere le piante commestibili, quelle curative e così via. Scuoto la testa, cacciando via da me questi pensieri. Non è né il momento né il luogo adatto a loro. I miei occhi aguzzano la vista, per trovare eventuali impronte o segni che mi facciano verificare la giusta direzione che ho intrapreso. Le tracce che trovo in seguito, un ciuffo di pelliccia candida e dei fori sul terreno -chiaro segno che la lepre si è fermata a scavare il suolo alla ricerca di qualche germoglio- mi confermano che sono quasi arrivata dalla mia preda. Infatti, poco più avanti, la vedo. In un piccolo spazio aperto, si sta abbeverando con la rugiada delle foglie. Mi inginocchio nascondendomi dietro a un fitto cespuglio di ginepro, e scruto la mia preda. È bella in carne: nonostante il rigido inverno se la deve essere cavata bene. È anche di una media stazza. Guardarla mi fa venire l' acquolina in bocca. Mi sfilo dalla cintura il revolver silenziosamente. Poso il dito sul grilletto, che ormai mi accoglie come un vecchio compagno. La fisso per un istante. So che non sbaglierò la mira. Mi sposto con cautela per avere maggior spazio di manovra. Noto che, tra gli appuntiti rami del ginepro, vi è un buco, probabilmente causato dal peso eccessivo della neve di qualche mese fa. Per me è perfetto. Mi metto vicino al pertugio, dove faccio affacciare la canna della pistola. Tendo le braccia, sentendo l'arma viva e vibrante tra le mie mani: come se fossi con essa una cosa unica. Fisso la mia preda. Inspiro. Espiro. Premo il grilletto. Un secondo dopo, la lepre è stesa a terra. Esco dal cespuglio e vado nella radura. prendo in mano il corpo della lepre, ancora caldo, un senso di soddisfazione che mi pervade. Sono ancora brava. "Tu" sussurro al corpo ancora pieno di vita della mia preda "mi sfamerai ben bene". Prendo una boccata d'aria. No, non sono ancora pronta per tornare indietro e affrontare James. Così decido che forse posso cercare qualche erba per aromatizzare la lepre. Mentre, nella semioscurità, frugo con lo sguardo ogni più piccola superficie, inizio lentamente a tornare verso la direzione da cui sono fuggita. Lo zampettio di uno scoiattolo sopra un abete, alle mie spalle, mi accompagna. Il bramito di un cervo, in lontananza, sembra quasi un saluto. L'ululato di un lupo, da qualche parte sulle montagne del Nord, alle spalle della nostra Provincia, si intreccia con quello del vento, in un canto melanconico e struggente. Mentre passeggio, a volte trovo una sporadica ortica, o qualche pianta di alliaria, che raccolgo: daranno sapore alla lepre. Quando ritorno nel punto in cui ho lasciato James, vedo che ha acceso un fuoco, ormai spentosi, e le ultime braci scintillano ancora, un addio lucente prima della loro morte, ormai prossima. É seduto, la testa fra le mani, le spalle appoggiate ad un pino. Quando mi vede, mi corre incontro. La luna gli illumina il volto bellissimo, in questo momento trasfigurato dalla rabbia. Ahi. Guai in vista. Ho una mezza idea di fare retromarcia e tornarmene indietro da dove sono venuta, ma lui sembra capire le mie intenzioni e mi afferra saldamente per gli avambracci, in una stretta un po' troppo energica. "Ma si può sapere dove ti eri cacciata?" Mi urla in faccia. Non l'ho mai visto così, e per un momento mi fa quasi paura. "Sono... Sono stata ad un ruscello che c'è qui poco distante e ho cacciato questa." E dicendo ciò alzo la mano destra, quella che regge la lepre e le poche erbe trovate. Noto il suo viso rilassarsi di un poco, la sua stretta si allenta. "Quindi... Quindi sei stata tu a sparare?" La sua voce è piena di apprensione, e mi sento quasi lusingata. Annuisco, guardandolo negli occhi. Lui rimane lì, fermo, a fissarmi per lunghi istanti. Poi mi attira a sé e mi abbraccia, e lo fa in una maniera tale che solo adesso avverto quanto abbia bisogno di me in questo momento. "Jay..." Sussurro, cercando di tranquillizzarlo, e a queste parole lo sento stringermi ancora di più, sollevandomi alla sua stessa altezza. "Credevo ti avessero trovata, credevo..." La sua voce si incrina, e per la prima volta in tutta la sua vita lo sento singhiozzare, piano. È un suono bellissimo, ma così triste che mi si stringe il cuore. "Smettila..." Gli sussurro. "Appena ho sentito lo sparo sono morto di paura, ti ho cercata dappertutto e non ti ho trovata..." "Stai zitto, ti prego..." "Allora sono tornato qui, sperando, pregando in un miracolo..." Un altro singhiozzo, e ho voglia di piangere anche io. Lascio cadere a terra la lepre che, mi accorgo solo ora, avevo ancora in mano. Lentamente, gli passo una mano tra i folti capelli, piano, dolcemente. Sento il suo respiro spezzarsi, per poi continuare più delicatamente. "Stai tranquillo, sono qui, va tutto bene" gli sussurro. Rimaniamo così, stretti in quell'abbraccio per quello che mi sembra un'eternità, felici di essere lì, di godere l'uno dell'altra. Quando mi sembra che si sia calmato del tutto, mi scosto da lui. "Credo che sia arrivato il momento di mangiare." Dico, e dal suo sorriso capisco che è ritornato il mio solito Jay. Con il fuoco acceso abbiamo più possibilità di essere trovati dai soldati del Sud, ma abbiamo fame e non molta altra scelta, comunque. La lepre ci mette poco più di mezz'ora a cuocere, e quando finalmente la togliamo dallo spiedo (improvvisato con dei rami secchi) ci avventiamo sulla carne, famelici. Il sapore non è dei migliori, ma tutto sommato é meglio di niente. "Sai, non sei male a cucinare." Mi canzona il mio migliore amico con la bocca piena, seduto vicino a me, accanto al fuoco scoppiettante. Gli dò una spallata, ridendo. "Attento a quello che dici, se non vuoi finire anche tu su uno spiedino." Lo minaccio, mentre lancio nel fuoco il rametto ormai spolpato che ho in mano, per rendere il tutto più teatrale. Jay rimane a guardarlo mentre brucia nel fuoco, una stupida espressione sul viso che credo sia finta paura. "No sul serio. Dovresti fare la cuoca." È troppo. Mi giro, con l'intento di tirargli un pugno scherzoso, ma James è più veloce e mi blocca la mano. Cerco di liberarmi dalla stretta, ma lui non mi lascia andare, un ghigno divertito sulle labbra perfette. "Lasciami!" Rido, divincolandomi. "Perché dovrei?" Mi risponde, negli occhi un lampo di divertimento. "Perché rivorrei indietro il mio braccio!" Jay ride, ma non allenta la presa. "Ad una condizione." Mi propone poi. "E cioè? Che ti prepari il dessert?" Il mio migliore amico mi sorride, scuotendo lievemente la testa. "Che mi spieghi perché diavolo non hai ucciso quella maledetta ragazza." Il suo tono è dolce, ma le sue parole mi trafiggono il cuore. Tutta l'angoscia che durante la caccia era svanita, ritorna a me, implacabile. Sento il mio corpo irrigidirsi, e quel terribile urlo si propaga nuovamente in tutto il mio essere, come un canto struggente. Mi scosto bruscamente da James che mi lascia andare, e mi avvicino al fuoco per ravvivarlo. La danza ammaliante delle fiamme mi riscalda, infondendomi coraggio. Rivedo il volto della ragazza, disperata, che invoca la morte, sapendo che forse sarebbe stata l'unica cosa che le avrebbe dato sollievo. Scuoto la testa, cercando di scollarmi di dosso quell'immagine. Dietro di me, sento James alzarsi, venendo ad accovacciarsi davanti al fuoco, vicino a me. "Non sono arrabbiato... Non più. Quando..." Sento la sua voce affievolirsi, ma non trovo l'energia sufficiente per girarmi a guardarlo, ora "quando sono venuto a cercarti, dopo aver sentito lo sparo, lo ero eccome." Ricomincia. Il suo tono è dolce, rassicurante. "Ma dopo averti chiamata a lungo, e non trovandoti, mi sono spaventato. Ho iniziato a pensare a te, e ho capito che c'è una buona ragione se non l' hai uccisa." Il mio cuore perde un battito. Pensava a me? "Voglio solo capire." Sento che prende le mie mani tra le sue. La sua stretta mi dà la certezza che con lui posso confidarmi. Che è qui per me. Continuo a guardare il ballo sempre più intenso del fuoco, come se tante piccole danzatrici dorate, rosse e blu stessero ballando per il cielo. Mi danno la forza di parlare. "Non l'ho fatto perché..." La voce mi muore in gola. No, devo dirlo. Altrimenti il fantasma di quella ragazza mi perseguiterà per sempre. "Quando ho alzato la canna della pistola e l'ho puntata su di lei" ricomincio, più sicura "volevo solamente ucciderla. Non credere che avessi sentimenti diversi da quelli che avevi tu." Le sue mani stringono ancora di più le mie. Continuo a fissare il fuoco. Mi ricorda molto il mio stato emotivo. Ardente e selvaggio, ma basta un soffio di vento a spegnerlo. "Ma... Ma poi..." Sbatto gli occhi, le mie guance non possono fare a meno di arrossire. "Mi... Mi sono riconosciuta in lei. Ho... Ho pensato che se tu.. Se tu dovessi..." Credo di avere il volto dello stesso colore del fuoco accanto a noi. "Bhe ecco, io credo che mi sentirei come si è sentita quella ragazza guardando il compagno morto." Ecco, l'ho detto. Tutto il turbamento che avevo, è come se si fosse dissolto nel nulla, volandosene via trasportato dal vento. Mi sento rinata. Avverto James lasciare le mie mani e un terribile imbarazzo investe tutto il mio corpo. Ma quando mi prende il viso tra le mani e lo gira verso di sé, ho già dimenticato tutto. Solo ora ho la forza di alzare gli occhi verso di lui, che scopro grandi e pieni di dolcezza. Pieni di me. È la cosa più bella che abbia mai visto in tutta la mia vita. "Andy." La sua voce è delicata come la nascita di un fiore. "Io ti prometto che non ti lascerò mai sola." Sento il terreno mancarmi sotto i piedi. Il suo viso si avvicina al mio, come se avesse bisogno della mia vicinanza per continuare a vivere. "Promesso?" Sussurro. Le nostre labbra sono ormai a un soffio l'una dall'altra. Lo vedo sorridere, e nel farlo il suo respiro profumato si propaga dentro di me. "Lo prometto." Le sue mani mi iniziano ad accarezzare il viso, mentre quella destra scivola delicatamente tra i miei capelli, avvicinandomi ancora di più a lui. Il mio cuore è impazzito dentro al mio petto, e prego con tutta me stessa che non si senta. I nostri respiri si fanno più affannosi, l'uno che brama l'altro, simile a due amanti. "Sei proprio un idiota." Gli bisbiglio sulle labbra. Lo vedo ridere, in memoria della nostra conversazione di stamattina, le labbra che si schiudono lievemente, facendo intravedere i suoi denti candidi. "Un idiota carino." Sussurra lui, provocante. Poi mi attira ancora di più a sé, i nostri corpi che si modellano perfettamente l'uno all'altro, come due pezzi di uno stesso, bellissimo insieme. Sento il mio corpo fremere ad ogni suo tocco, il desiderio di lui che mi assale, mi rende sua schiava. La mano che era ancora sul mio viso scivola sulla mia vita, accompagnandomi a lui. "No non lo sei." Gli rispondo in un soffio. Ormai i nostri nasi si sfiorano, e questo contatto proibito è così bello che vorrei rimanere qui, così, per sempre. Lentamente, gli passo una mano tra i suoi bellissimi capelli, e quel contatto lo fa sussultare. L'altra la appoggio lievemente sul suo viso, mentre assaporo i suoi tratti, scendendo giù per lo zigomo perfettamente scolpito, fino ad arrivare alle labbra piene. Mi fermo, l'indice posato su di esse, felice di poter assaporare così tanto di lui. James mi bacia la punta del dito, ed il mio cuore sobbalza. I suoi occhi sono puntati sui miei, ardono come due pezzi di carbone, frugano dentro me stessa come se fossi un enigma irrisolvibile. I nostri visi si avvicinano ancora di più, ormai solo un battito di cuore ci separa. James piega leggermente la testa di lato, mentre le sue labbra sfiorano le mie, esitanti. Tutto il mio essere si crepa di luce, calda e buona, che mi infonde sicurezza e coraggio, e non posso fare a meno di non ricambiare. O almeno è quello che sto per fare, perché in quel momento sento una voce alle mie spalle che mi fa sussultare. "Ed ecco a voi, gente, come muore il romanticismo." Mi giro di scatto, il mio cuore galoppante. Perché io conosco questa voce. Davanti a me, con un ghigno divertito stampato sul viso, torreggia Philippe.

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Capitolo 8
*** Jon ***


Subito dopo Philippe, vedo sbucare dalla boscaglia un'altra ventina di persone. Sono armate, ma guardando meglio noto che hanno la nostra stessa uniforme: appartengono alla Provincia del Nord. Il mio cuore esulta, gioioso. Sono qui per noi, sono venuti a prenderci! Balzo in piedi, mentre sento James di fianco a me fare lo stesso. La sua mano stringe la mia un'ultima volta, prima di lasciarla. Sembra quasi un addio, silenzioso e dolce. Ma non capisco perché. Mi giro a guardarlo, cercando il suo sguardo. Tuttavia lui mi evita, continua a guardare i soldati davanti a noi. "Accidenti, sono felice di vedervi." Philippe mi riscuote dai miei pensieri. Sento un sorriso schiudersi sul mio viso, mentre lo vedo avanzare, sano come un pesce, verso di noi. Gli getto le braccia al collo, il bisogno di assicurarmi che è veramente reale, che è qui con noi. "Credevamo che fossi..." Il mio amico non mi lascia finire la frase, mi stringe ancora di più. "Va tutto bene, siamo al sicuro adesso." Annuisco, perché so che dice la verità. Credo di avere un sorriso abbastanza stupido stampato in faccia mentre guardo i miei due amici salutarsi con una stretta di mano. "Ben tornato tra noi, fratello." Lo apostrofa Jay, il viso raggiante. "Loro chi sono?" Chiedo poi, indicando i militari alle spalle di Philippe, che per tutto il tempo sono rimasti fermi e zitti, a esaminarci. "Ragazzi, sono lieto di presentarvi ufficialmente la squadra di perlustratori della nostra Provincia." Vedo James guardarmi preoccupato con la coda dell'occhio, ma io non sono in grado nemmeno di muovermi. Sento le mie gambe sul punto di cedere, mentre vacillo. Questo vuol dire che... Scruto febbrilmente tra i soldati, ma non lo trovo. "Dov'è Jon?" Chiedo, la voce tremante. James sussulta, Philippe mi guarda, esitante. Ha un'espressione sul viso che mi fa accelerare i battiti del cuore. Per favore, fa che stia bene... "All'accampamento, poco distante da qui." Mi informa poi. "Andy... È gravemente ferito." No. Non anche lui. Non può morire. "Cos'è successo?" La mia voce è un soffio fievole. "Un'imboscata della Provincia del Sud. Mi dispiace..." La mia mente è in bianco, il mio stomaco un blocco di marmo. Mi dirigo barcollante verso i militari, il mio cuore che trema, incredulo. La mia voce però è decisa quando parlo. "Vi prego. Portatemi da lui." Li vedo annuire, poi fanno segno di seguirli. Tutte le domande che avevo in mente di rivolgere a Philippe, tutti i miei dubbi svaniscono dalla mente. C'è solo la paura, accecante, fredda e tagliente, di perdere un'altra persona a me cara. Non posso accettarlo. Mentre camminiamo, la foresta che prima mi sembrava un luogo di pace e tranquillità, ora mi appare solamente mostruosa. Gli alberi per terra proiettano ombre scarne, somiglianti a corpi deformi, occhi gialli e diabolici fanno capolino da dietro i rovi. Ululati lontani sembrano presagire messaggi di morte. Vorrei ricominciare a correre, fuggire lontano, dove non può accadermi niente di male. Dove non conosco nessuno. Sento qualcuno prendermi la mano. Mi giro, i miei nervi tesi, e scopro che è James. Ha uno sguardo affranto, e mi si stringe il cuore a vederlo così, perché so che sta soffrendo per colpa mia. Vorrei potergli dire che lo amo, che se dipendesse da me sceglierei sempre lui. Ma come potrei lasciare Jon in un momento del genere? Sarebbe crudele. Così non posso fare altro che ricambiare la sua stretta, mentre la mia mente ed il mio cuore combattono furiosamente dentro di me. "Vedrai che andrà tutto bene." Mi consola Philippe, riscuotendomi dai miei pensieri, anche se dal suo tono capisco che non ne è molto convinto nemmeno lui. Quando finalmente scorgo delle luci in lontananza, credo di star per avere un infarto. L'accampamento non è tanto grande, è disposto su cinque file di cinque tende ciascuno, a formare un perfetto quadrato. Ai lati vi sono quattro fiaccole a illuminare il perimetro, probabilmente per le sentinelle. Quest'ultime sono quattro, ognuna per un lato, e appena ci vedono arrivare si precipitano verso di noi. Credo che in principio pensino si tratti di prigionieri della Provincia del Sud a giudicare dai loro sguardi guardinghi, tuttavia quando capiscono che siamo dei loro si tranquillizzano visibilmente. Quando ci raggiungono scattano sull'attenti. "In che tenda è Jon?" Chiedo, la voce che è sul punto di spezzarsi. "Io non credo che sia il caso..." Inizia una delle sentinelle. Tuttavia con la coda dell'occhio vedo uno dei soldati, probabilmente il tenente, alzare la mano a interromperlo. "È tutto a posto. Accompagnala." Mi giro verso di lui, grata, poi seguo impaziente la vedetta che, lanciatami un'ultima occhiata di disapprovazione, mi fa cenno di seguirla. La tenda di Jon si trova nella prima fila, la quarta a partire da destra. Probabilmente la posizione ha a che fare con il grado militare a cui si appartiene. Noto che ogni tenda è illuminata sia dentro che fuori tramite apposite fiaccole, ed è grande circa quattro metri sia in lunghezza che in larghezza. Mi ci fiondo dentro prima che la sentinella abbia il tempo di dirmi qualcosa, un groppo alla gola. Appena lo vedo, mi investono così tante emozioni che per un attimo mi ritrovo a boccheggiare, senza fiato. Gioia, tristezza, rabbia, pietà... Tutto concentrato in un unico, ingarbugliato bozzolo al centro del petto. Ma il sentimento che prevale maggiormente è la preoccupazione: sta davvero male. Il viso squadrato è pallido, i capelli mori sono completamente fradici. La cosa che più mi riempie d'orrore è la ferita che ha sul torace, probabilmente dovuta ad un'arma da fuoco; il proiettile è stato estratto e la ferita bruciata al fine di farla cicatrizzare, tuttavia è sanguinolenta e gonfia.  "Andy..." Al sentire la sua voce sobbalzo: è roca e fievole, leggera come la fiamma di un tizzone quasi spento. "Sono qui." Rispondo in un sussurro, avvicinandomi al sacco a pelo dove è stato adagiato delicatamente. A vedere il mio viso, un sorriso dolce nasce sul suo. "Mi sei tanto mancata." Alza una mano per accarezzarmi il volto, ma nel farlo la ferita deve fargli male, perché il braccio casca di nuovo per terra, di fianco al suo corpo snello. "Non fare sforzi." Bisbiglio piano, mentre gli appoggio una mano sulla fronte. Dannazione. Scotta terribilmente. Una pena immensa per il suo stato mi schiaccia il cuore rendendolo incredibilmente pesante. "Oh Jon, che ti hanno fatto..." Inizio ad accarezzargli i capelli spettinati, e al mio tocco il suo viso si rilassa visibilmente. Mi sento male a guardarlo ridotto in questo stato, e il mio primo impulso è quello di scappare, ma so che lui ha bisogno di me in questo momento; così gli rimango vicino. "Sapevo che eri tu, nella foresta." Mi bisbiglia, la sua voce è così dolce e sofferente al tempo stesso che non posso fare a meno di sentirmi in colpa per come mi sto comportando nei suoi confronti. Io non lo amo, lo so. Lo capisco appena lo guardo, che è così. Però Jon è innamorato, tanto anche, e so che standogli vicino posso dargli quella speranza speciale e il desiderio di farcela, di combattere questa malattia. Perché io mi sento così quando guardo negli il ragazzo che amo. Che non è lui. "Come facevate a sapere la nostra posizione?" Chiedo, cercando di sviare l'argomento. "Abbiamo sentito uno sparo e pensavamo si trattasse di un manipolo di soldati della Provincia del Sud, così per evitare un altro attacco a sorpresa il tenente ha organizzato una squadra. Avrei voluto esserci anche io." A quest'ultima frase, sobbalzo. Forse è stato un bene che non ci fosse, dato che stavo per baciare James. Solo ora mi rendo conto di quanto io sia orribile e spregevole, e capisco che c'è un'unica soluzione possibile. Dire addio a James. Mi viene da piangere, sento i miei occhi inumidirsi. Per fortuna Jon non se ne accorge. "È stato il tuo amico a ipotizzare per primo che avrebbe potuto trattarsi di compagni scappati dalla caserma. È in gamba." Continua poi.Nella sua voce noto una punta di stima, e se Jon ripone rispetto in Philippe so che è davvero degno di fiducia. "Da quanto si è unito a voi?" "Circa due giorni. Ci ha raccontato che dopo che la nostra caserma è stata presa è riuscito a scappare in un momento di confusione. Lo abbiamo trovato che cercava di raggiungere la Provincia dell'Ovest. Cosa che stavamo facendo anche noi, prima di sentire il vostro sparo." Qualcosa dentro di me, si spezza all'improvviso. La mia mente brancola, al buio, incapace di aggrapparsi ai muri della realtà, perché sono crollati tutti. La nostra caserma non c'è più. La mia casa, il luogo dove sono cresciuta, ho imparato, mi sono fortificata. È in mano a loro. Quegli esseri insensibili, quei mostri armati. Continuano a seminare odio e a uccidere, senza fermarsi mai, ingordi. Più ammazzano e più sono assetati di sangue; il nostro. Per cosa poi? In nome di cosa combattono? Un regime dittatoriale che vedrà solo la distruzione del nostro Impero e il ritorno del caos più totale? Non lo posso accettare. Nessuno sano di mente potrebbe mai farlo. In quel momento Jon inizia a tossire, forte, riportandomi alla realtà. Quando ha finito la ferita spurga parecchio sangue. Devo fare qualcosa. Scatto in piedi, sicura. "Vado a cercarti qualcosa che ti faccia stare meglio." Gli abbaio, poi corro fuori dalla tenda, afferrando la fiaccola esterna. La sentinella, che è stata fuori di guardia tutto il tempo, mi urla di tornare indietro. Non lo ascolto, dirigendomi sempre di più nel cuore della foresta. La luna pallida è ormai alta nel cielo, e  illumina con la sua luce tagliente sprazzi di foresta, facendo sembrare ogni cosa in perpetuo conflitto con l'oscurità. Più mi addentro nel folto della vegetazione più tutto intorno a me sembra ricordarmi il mio animo. Ogni cosa è nera, oscura, sembra essere caduta nell'oblio più tetro. Solo sporadici raggi argentei interrompono quest'agonia. Zampettii sinistri mi accompagnano in questa folle corsa, mentre con lo sguardo scruto il fogliame, alla ricerca di erbe curative, che possano far star meglio Jon. Lui non deve morire, non può... Il mio piede inciampa in una radice, e mi ritrovo distesa sul terreno, faccia in giù. I palmi mi bruciano, probabilmente me li sono scorticati cadendo, ma in questo momento non mi importa. Devo alzarmi, devo farcela. Le forze mi stanno abbandonando, sento la stanchezza insinuarsi tra le mie membra. No, non adesso, ti prego... Mi dibatto, simile ad un pesce su una riva che lotta disperatamente per carpire aria, ma invano. Quando capisco che è inutile, mi lascio cadere con la testa per terra. Aspetto che le lacrime arrivino, ma non succede niente. Forse le ho esaurite. Forse sono sotto shock. Tutte le mie certezze crollano, mi sento come in balia della corrente, senza niente a cui aggrapparmi. Un marinaio senza barca, un cavaliere senza dama. Un cacciatore senza preda. Mi domando cosa ci faccio qui. La mia vita sembra diventata un incubo, non capisco più che senso abbia. Improvvisamente, come trasportate da un eco lontano, mi ritornano in mente le parole di James. "Un motivo in più per ucciderli tutti." La mia mano destra affonda nel terriccio, stringendolo a sé. Sembra una promessa. Il mio migliore amico ha ragione, l'ha sempre avuta. Non ha senso arrendersi, sarebbe come ammettere la sconfitta. Dobbiamo lottare, combattere con tutte le nostre forze, perché solo sconfiggendoli riusciremo a trovare nuovamente la pace. Lo giuro a me stessa, non sarò mai più così debole. D'ora in poi mi rialzerò sempre, non crollerò. Come in un tacito accordo, richiamate da chissà quale abisso, le forze tornano a me. Lentamente, riesco a rimettermi in piedi. Quando mi chino per raccogliere la torcia, mi accorgo che di fianco ad essa, c'e una manciata di piante di acetosella. Andrà benissimo per Jon. Ne strappo qualcuna, poi torno svelta all'accampamento. È facile ritrovare la strada: nella mia impetuosa corsa ho lasciato parecchie tracce sul terreno, o sul fogliame ora leggermente schiacciato. Quando vedo le luci in lontananza, affretto il passo. Sto quasi per uscire dalla vegetazione, quando davanti a me appare l'ombra di un ragazzo. È immobile, mi fissa e basta. Di riflesso, tiro fuori il revolver, puntandola su di lui. Quest'ultimo fa un passo avanti, la luna gli illumina il volto. Sussulto. È James. Lentamente abbasso la canna della pistola. Lui avanza verso di me, bello da togliere il fiato. Rimango immobile a fissarlo, sapendo che è tutto ciò che potrò mai avere da lui. James si avvicina, forse troppo. Mi prende delicatamente la mano che tiene ancora salda l'arma. Il suo tocco mi provoca un brivido. Lui non si ferma, e mi accompagna fino alla cintura che ho in vita, facendomi agganciare la pistola. Alza lo sguardo verso di me, i suoi occhi mi scrutano nel profondo, sondando tutta me stessa. No. So cosa succederebbe, se continuassi a fissarli. Mi scioglierebbero il cuore, e non posso permetterlo. Così abbasso il mio sguardo, cercando di sfuggirli. Sento la sua mano sfiorarmi il viso e alzarmi il mento. Dannazione. Ha intrappolato la sua preda. No, non posso. Mi scosto da lui, il mio cuore che mi odia per questo. "Dovremmo rientrare." Gli dico, la mia voce che suona quasi come un rimprovero. Sto per oltrepassarlo, ma lui mi afferra il braccio. Mi giro a guardarlo, sorpresa. Avverto che mi sta scrutando la mano che tiene la torcia, e deve notare solo ora che ho preso anche l'acetosella, perché lo sento sobbalzare. Cerco di liberarmi dalla sua stretta, ma lui mi attira verso di se. Il mio viso è a pochi centimetri dal suo. Tutto il mio corpo freme, involontariamente. Devo scappare, devo andarmene... "Jay, ti prego." La mia è una supplica. Lo scruto nel profondo, sapendo che capirà. I suoi occhi mi trafiggono, ambra dorata e dolce, mi chiamano. "Dimmi solo una cosa. Tu lo ami?" La sua voce sembra uscita dall'oltretomba. È roca e profonda, dolce e amara al tempo stesso. È bellissima. Ma non potrà mai essere mia. Sento i miei occhi inumidirsi. So che c'è un'unica cosa da fare. "Sì." La sua mano lascia la presa, e in questo preciso momento so di averlo perso. Sento che sto per mettermi a piangere, ma non voglio che lui mi veda. Così mi metto a correre, mentre le lacrime iniziano a rigarmi il viso, il mio cuore che sanguina, riempiendo tutto il mio essere di dolore, assordante e cieco. Sono spregevole, un mostro, un essere senza cuore. Ma so di star facendo la cosa giusta, dopo tanti casini. Il mio ultimo pensiero, prima di entrare nell'accampamento, è per James.

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Capitolo 9
*** La Provincia dell'Ovest ***


Quando finalmente scorgiamo in lontananza la Base della Provincia dell'Ovest è quasi spuntata l'alba: per arrivarci abbiamo impiegato una settimana di marcia forzata, interrotta solamente per accamparci per la notte e riposare. Io ho sempre dormito nella tenda di Jon, per controllarlo e medicarlo di tanto in tanto; sta ancora molto male, ma ogni volta che mi vede il suo viso si illumina. Per questo mi sono sempre più convinta di aver fatto la scelta giusta, anche se la notte non riesco mai ad addormentarmi e quando lo faccio sogno sempre James. Lui, da quella notte nel bosco in cui l'ho respinto, mi ha sempre evitato, e in quelle rare occasioni dove ci siamo trovati a stretto contatto non ci siamo rivolti nemmeno una parola. Con Philippe invece ho chiacchierato molto, durante la marcia: mi ha raccontato di quando i soldati della Provincia del Sud hanno preso la nostra caserma, di come è fuggito e il suo incontro con la squadra di perlustrazione. Mi ha anche detto che ha visto Emily e Paul tra le file di soldati quando i nostri hanno perso, e che non gli sembravano feriti. Il nodo che avevo al petto, a quelle parole si è un po' allentato. Sento il mio amico fischiare di fianco a me, riscuotendomi dai miei pensieri. "Certo che non è mica male qui." Commenta, ammirato. Effettivamente non ha tutti i torti; il bosco che circonda la nostra caserma, man mano che andavamo verso Ovest si è ritirato sempre di più, lasciando spazio ad ampi campi erbosi colorati che diffondono per tutta l'aria il profumo dei fiori. Ciò consente un vantaggio di non poco conto, in quanto permette di vedere il nemico arrivare anche da grandi distanze: forse è per questo che hanno deciso di attaccare noi e non loro, i nostri nemici. "Avanti, ancora un ultimo sforzo e siamo arrivati!" Il tenente è in cima alla fila, e vedo che regge ancora in mano la cartina che ci ha permesso di arrivare fino a qui. Sento un vociare concitato tra i militari che mi stanno attorno, i più felici, altri che sbuffano per la stanchezza. Prima di rimettermi in marcia, lancio uno sguardo preoccupato alla lettiga dove è stato depositato Jon durante il tragitto, sorretto da due sentinelle, in fondo alla fila. Da quando l'ho iniziato a medicare anche con l'acetosella, che permette il blocco dell'emorragia, è leggermente migliorato, ma è ancora lontano dalla guarigione: il suo viso è contratto dal dolore, tuttavia quando si accorge che lo sto guardando stringe i denti e mi sorride. Alzo la mano per salutarlo, mentre il mio stomaco si stringe in una morsa d'acciaio. Sospiro, riprendendo a camminare. L'aria pulita della mattina vergine mi incoraggia a proseguire, mentre il cielo chiaro saluta il sole nascente all'orizzonte. Deve aver piovuto questa notte, perché il suolo è terribilmente viscido, e ogni odore che intorno a me è molto più forte: l'erba smeraldina dei campi, il terriccio, i fiori. Il fischio di un falco mi saluta, e alzando la testa verso l'alto riesco a vedere un paio di ali dorate che si stagliano nettamente nel cielo bluastro. "Ciao." Quella voce di fianco a me. Sono così sorpresa di sentirla che non mi accorgo di un sasso sul terreno, e inciampo. Sento due mani afferrarmi per i fianchi prima che finisca carponi per terra. Mi giro, a guardare in volto James. Noto che sta cercando di soffocare un sorriso, e questo mi fa arrossire involontariamente. "Grazie." Bofonchio, allontanandomi dalla sua stretta. Riprendo a camminare, imbarazzata, e con la coda dell'occhio vedo Jay fare lo stesso. "Senti... Mi volevo scusare per come mi sono comportato." Sgrano gli occhi e mi volto a guardarlo, sbalordita. "Tu ti scusi con me?" La mia voce è stridula, e mi vorrei prendere a schiaffi per questo. "Beh, sì. Sono stato uno stupido e... Sì insomma volevo chiederti... Amici come prima?" La sua voce è sicura, ma avverto una punta di apprensione. Forse perché non sa bene come reagirò alla sua richiesta. Non posso fare a meno di rivolgergli un sorriso raggiante. Non potevo desiderare di meglio. "Ma certo." Riesco solo a dire, sopraffatta dalla contentezza. Se non posso averlo come ragazzo, potrò sempre averlo come amico. Ed è più di quanto io potessi sperare. James si passa una mano tra i folti capelli, evidentemente sollevato; ma dai, pensava davvero che lo avrei respinto anche come amico? Vorrei così tanto potergli prendere il viso tra le mani e dirgli quello che provo per lui che al solo pensarci sto male. In quel momento, arriviamo davanti alla cinta della caserma. Le due vedette ai lati della grande porta in cemento armato ci lasciano passare non appena riconoscono le nostre uniformi. Entrando, noto che anche la Provincia dell'Ovest possiede un enorme spazio aperto composto da piste d'atletica, pedane per i combattimenti o per il tiro, tuttavia al contrario di noi padroneggiano un'enorme prato, dove probabilmente i pivellini imparano ad allenarsi in preparazione alle escursioni militari. Abbozzo un sorriso involontario mentre con la mente ritorno a quando per la prima volta ho preso in mano un'arma e fatto la mia prima esercitazione di questo tipo. Man mano che attraversiamo il campo i soldati della caserma si raggruppano intorno a noi, i visi guardinghi. Mentre li scruto mi rendo conto di quanto siamo simili a loro rispetto ai nostri nemici; l'unica cosa in cui differiscono da noi sono le uniformi: hanno pantaloni e camice leggere, di color verde-grigiastro. Probabilmente gli sono utili durante gli appostamenti, in mezzo a tutti quei campi. "Benvenuti!" Una voce squillante davanti a me interrompe il flusso dei miei pensieri. Ha un accento strano, arrotonda molto la erre e la esse, schiacciando le vocali. L'uomo che appare davanti a noi è biondo chiarissimo, i capelli rasati quasi a zero: due occhi azzurri e scintillanti ci scrutano freddi. È anche lui vestito come tutti gli altri, ma noto che ha appuntato al petto la targa del grado a cui appartiene; usanza che noi non possediamo, per comodità credo. È un colonnello comunque. Probabilmente è lui che comanda, qui dentro. Scattiamo tutti sull'attenti, salutando con rispetto il capo dei battaglioni della Provincia dell'Ovest. Lui sembra apprezzare, perché gli vedo nascere sul viso un sorrisetto compiaciuto: molto probabilmente è carezzevole alle lusinghe. "Siamo stati informati dai nostri esploratori della terribile disgrazia che ha ammorbato la vostra Base al Nord: a nome di tutti posso dire che mi si è spezzato il cuore ad una simile notizia." La sua voce è tutto tranne che addolorata, mentre parla. Il mio cuore cade nei profondi abissi del mio petto, sconfortato. Ah, quanto mi manca la mia bellissima caserma, dove a capo vi erano degli istruttori e non uno solo a comando di battaglioni... Abbiamo a che fare con l'ennesimo stronzo? Mi giro a guardare James, che sembra scocciato quanto me dal modo oleoso del colonnello. "Dì un po', Aper per caso ha un fratello?" Gli sussurro all'orecchio, il mio tono grondante sarcasmo. Vedo gli angoli della bocca del mio migliore amico piegarsi in un ghigno divertito. "Comunque volevo mettervi al corrente del fatto che siete i primi della vostra caserma ad arrivare qui, ma che la nostra base è aperta a qualsiasi vostro superstite. D'ora in poi risponderete ai miei ordini, continuando a essere addestrati in base al grado cui appartenete senza alcuna differenza da noi: il primo passo per sconfiggere i nostri avversari, è il restare uniti." Riprende. Beh, diciamo che ora va meglio. Sono d'accordo con lui, almeno su quest'ultima parte. E se per sconfiggere quei mostri dovrò sottostare agli ordini di una serpe, ebbene così farò: il nostro obbiettivo, in fin dei conti, è lo stesso. "Per oggi siete esentati dagli allenamenti, a meno che non lo vogliate: prendete pure degli alloggi all'ultimo piano; sono vuoti. Ho fatto trasferire tutti i miei militari nei piani inferiori, quando sono stato avvisato del vostro arrivo." Conclude. Io e James ci scambiamo un'occhiata eloquente; forse ci siamo sbagliati sul suo conto. Insomma, mi sembra che ci stia riservando molte attenzioni. Il colonnello sembra confermare la mia teoria appena vede Jon ferito. "Non sapevo ci fossero degli infermi. Che venga subito portato nelle nostre infermerie! Forza, seguite il mio tenente." Apostrofa alle nostre vedette, che si affrettano a seguire un'irsuto individuo all'interno della caserma. Tiro un sospiro di sollievo: ora verrà curato da dei medici professionisti; speriamo guarisca. "Tutti gli altri mi seguano, vi mostrerò dove alloggerete." E così dicendo, sparisce dentro alle mura. Entrando mi accorgo che l'interno è molto simile a quello della nostra caserma, il che mi mette tristezza e allegria al tempo stesso. Quando arriviamo al settimo piano inizia ad aprire le stanze a cui siamo stati assegnati, ovvero due persone per tredici stanze. Non sapendo quante ragazze e ragazzi saremo stati, non si è preso la briga di dividerci per sesso; forse non lo fanno mai, qui. Per fortuna oltre a me c'è un'altra ragazza, così opto per stare in camera con lei. Vedo nei suoi occhi un lampo di sollievo quando glielo propongo. Prima di entrare nella mia stanza, mi dirigo verso James. "Che programmi hai?" Gli chiedo. "Penso che mi farò una doccia." Dice ridendo. "E poi andrò giù ad allenarmi, credo. Ho idea che vogliano testarci ben bene, sotto quest'aria da benefattori." Un lampo di consapevolezza mi attraversa. Jay ha assolutamente ragione. È tutto un enorme test, alla fine del quale probabilmente ci assegneranno una missione specifica. E se è così, allora è un'ottima idea far subito vedere che non esitiamo ad allenarci e a metterci in gioco. "È un buon programma. Credo farò lo stesso anche io." Gli rispondo. Se dobbiamo fare questa cosa, tanto vale farla insieme. Vedo il suo volto illuminarsi, raggiante. "Ti passo a prendere tra un'ora?" Sobbalzo a questa domanda. L'ultima volta che me l'ha fatta era prima della festa, prima dell' attacco... No, non devo pensarci, altrimenti impazzisco. "Accordato." Rispondo io, abbozzando un sorriso. Quando entro nella mia stanza, composta da due brande e un bagno microscopico, rimpiango il bell'alloggio che avevo appena ottenuto nella mia caserma. Quelle belle vetrate, le poltrone in pelle... Il russo della mia compagna di stanza, che dorme scompostamente sul letto di destra, mi riporta bruscamente alla realtà. Sorrido divertita, mentre mi dirigo verso la mia postazione. Noto che sul letto è stata piegata un'uniforme a taglia unica, sopra cui è stato adagiato uno spazzolino da denti, una spazzola e un flacone per il corpo e i capelli. Afferro questi ultimi e mi dirigo in bagno. Appena l'acqua calda mi avvolge nel suo abbraccio non posso fare a meno che sospirare di contentezza; mi crogiolo in questo stato di beatitudine per un po', estraniandomi da quel senso di ansia e affanno in cui negli ultimi tempi vivevo. Quando esco dalla doccia una ragazza dall'aspetto selvaggio, leggermente sottopeso e con gli occhi di fuoco mi fissa di fronte a me. Impiego qualche secondo per rendermi conto che è la mia immagine riflessa sullo specchio: aggrotto la fronte; non mi riconosco più. Scrollo le spalle, cercando di non pensarci. Poi mi lavo i denti, mi vesto coi nuovi vestiti e mi asciugo i capelli in fretta e furia, impaziente di scendere ad allenarmi e mettermi alla prova. Quando esco dalla stanza James è già lì ad aspettarmi. Anche lui indossa la nuova uniforme. Inutile dire che gli sta d'incanto: la camicia gli ricade perfettamente sulla vita snella, mettendogli in evidenza i bei muscoli delle braccia, le maniche arrotolate fino al gomito. Noto che il corridoio intorno a noi è vuoto e silenzioso. Probabilmente stanno dormendo tutti, stremati come sono dalla lunga marcia. Mi sento quasi trionfante mentre scendo le scale: io e Jay siamo gli unici ad aver capito come stanno veramente le cose. Quando usciamo in cortile il sole è ormai spuntato, illuminando ogni cosa col suo lucente splendore. Intorno a noi, ragazzi e ragazze corrono, fanno flessioni, sparano o lottano. Solamente un manipolo di soldati, in fondo al campo, sono seduti gambe incrociate attorno a un istruttore. "Andiamo a vedere che fanno." Suggerisco a James. Lui acconsente, curioso quanto me. Appena ci vede arrivare, l'allenatore si ferma. "Buongiorno. Voi siete...?" "Caporali maggiori della Provincia del Nord, Signore." Scattiamo io e Jay, all'unisono. Quella che ora mi rendo conto essere un'istruttrice, donna sulla quarantina con i capelli castani raccolti in una coda, ci sorride accomodante. "Riposo, soldati. Siete capitati nel posto giusto allora: qua sono tutti del vostro stesso rango. Stavo per spiegare ai vostri nuovi compagni di cosa si tratterà la lezione di oggi; sedetevi." Io e James obbediamo. "Oggi affronteremo un argomento che è fondamentale per un buon soldato: testare la vostra capacità logica, che vi permetterà di usare bene gli indizi che vengono messi a disposizione in una determinata situazione. Questa sarà solo una delle tante esercitazioni che faremo a proposito; inizieremo trattando un tema molto importante: ritrovare un soldato che è stato preso in ostaggio." Beh, questa sì che è una lezione interessante. Se non altro, imparerò qualcosa di molto utile. "Verrete divisi in gruppi da quattro persone, ad ognuno di essi verrà assegnata la stessa missione: ritrovare una vostra ipotetica compagna di squadra. Agirete nelle stanze al piano terreno, che sono state preparate apposta per voi, quest'oggi. Tutto chiaro?" "Sissignora!" Il mio cuore martella esaltato nel petto, mentre rispondo. Voglio dimostrare agli altri e soprattutto a quel viscido serpente del colonnello le mie capacità. Il corpo fremente di James accanto a me mi conferma che è pervaso dalle mie stesse emozioni. "Molto bene. Ora ascoltate attentamente, perché sto per darvi le informazioni necessarie per iniziare le ricerche: la vostra compagna di squadra stava tornando ai dormitori, tuttavia non è più stata trovata. L'unico testimone giura di averla vista in compagnia di uno strano individuo che, probabilmente dopo averla drogata, la stava portando nel seminterrato della nostra caserma. Il vostro obbiettivo è riportarla indietro viva. Avete un ora di tempo per vincere ed evitare che venga uccisa. Ah, un'ultima cosa: tutta questa esperienza sarà molto... Reale. Non adatta ai deboli di stomaco. E ora, formate delle squadre, e seguitemi." Io e James ci lanciamo un'occhiata d'intesa. "vossignoria mi farebbe lo straordinario onore di avermi al suo fianco durante codesta missione?" Mi chiede giocoso, inchinandosi lievemente. Rido divertita, i ricordi di tutte le nostre battute nella nostra amata caserma così vividi che fanno quasi male. "Ma certamente." Dico, inchinandomi a mia volta. I suoi occhi mi sorridono, ed è uno spettacolo così bello che vorrei rimanere a guardarli per sempre. Ci stiamo ancora guardando come due idioti quando sentiamo qualcuno schiarirsi la gola per attirare la nostra attenzione. Ci voltiamo a guardare la persona che ci sta di fronte, leggermente imbarazzati. È una ragazza, e dal primo sguardo capisco subito che potrebbe diventare mia amica molto facilmente: i suoi occhi grandi sono del colore dell'erba chiara, i folti capelli sono biondi-ramati. Il suo sorriso è sincero e dolce, amichevole. "Ciao." Ci dice. La sua voce è squillante e sicura. "Io sono Sarah. Vedo che vi mancano ancora due compagni di squadra. Odio vedere i nuovi arrivati esclusi, così volevo chiedervi se io e Richard possiamo unirci a voi." Richard dev'essere il ragazzo che solo ora noto che Sarah tiene per un braccio e che probabilmente è stato piuttosto che convinto a socializzare con noi, trascinato. Guardandolo, non posso fare a meno di chiedermi perché diavolo ha deciso di fare il soldato: è basso e smilzo, sulla faccia aguzza porta un paio di occhiali che gli ingrandiscono gli occhi chiari. Per di più deve essere maledettamente timido, perché non si presenta nemmeno e ci apostrofa soltanto con un "Ciao" strozzato. Sento James di fianco a me soffocare una risata, divertito dalla goffaggine del nuovo arrivato, così gli tiro una gomitata mentre rispondo al sorriso di Sarah. "Ma certo, ci farebbe molto piacere. Io sono Andy, e lui è James." Per fortuna il mio migliore amico è riuscito a ricomporsi, così non ha nessun problema a salutare spigliato i nostri compagni di squadra. Mentre seguiamo l'istruttrice al piano terreno, cerco di sfruttare quest'occasione per trovare risposte ad alcuni interrogativi che ho in testa. "Avete novità sugli spostamenti dei soldati della Provincia del Sud?" Chiedo a Sarah. Vedo che mi lancia uno sguardo carico di apprensione, mista forse a dispiacere per la fine della nostra caserma. "Non molte, o almeno a noi dicono solo il minimo indispensabile. So soltanto che dopo aver preso la vostra caserma -a proposito, mi dispiace tanto- hanno razziato il territorio circostante, ma non hanno toccato la città. La Provincia dell'Est in tutto questo non ha preso nessun provvedimento, né a favore né a sfavore dei nostri nemici." Annuisco, confortata dal sapere che almeno la nostra gente è salva. Vado col pensiero alla mia famiglia, chiedendomi come stanno. È da più di sei anni che non li vedo, e mi chiedo ,per la prima volta, come abbiano preso la notizia della presa della caserma. Saranno in pensiero? O ormai non si ricordano neanche più della loro figlia ribelle che disobbedendo ad ogni ordine imposto era fuggita senza dire niente a nessuno, per essere addestrata come militare? Quasi non mi accorgo di essere arrivata in un lungo corridoio buio, alla fine del quale una porta scura, con i cardini cigolanti e un'inquietante disegno che raffigura un demone sullo stipite, ci fissa. "Qualcosa mi dice che quella è la nostra." Mi bisbiglia James all'orecchio. Un brivido di inquietudine mi percuote da capo a piedi. Non mi piace questo posto. Ma forse, mi bisbiglia una vocina nella mia testa, chi ha ideato questo luogo l'ha fatto così lugubre e tetro apposta. Per vedere chi è troppo sensibile e si blocca per la paura, forse. Noi siamo il secondo gruppo ad arrivare, il che forse è un bene: non siamo i primi, così possiamo vedere come reagiranno gli altri e farci un'idea di che cosa ci attende, ma non siamo nemmeno ultimi che- e lo dico per esperienza- rende l'attesa snervante. Come Jay aveva immaginato, è proprio l'ultima stanza quella riservata a noi. L'istruttrice fa segno al primo gruppo di entrare, e, una volta che quest'ultimo ha oltrepassato la porta e chiusasela alle spalle, inizia a cronometrare il tempo. Mi domando perché non tenga anche una telecamera per vedere le mosse dei suoi alunni. Forse perché si sentirebbe ciò che direbbero e non vuole darci questo vantaggio. Forse ci sono delle telecamere all'interno della stanza, che filmeranno tutto. I minuti scorrono, lenti e inesorabili, facendomi impazzire. Qualche volta, dall'interno della stanza, si sentono delle urla che mi fanno accapponare la pelle da quanto sono impregnate di terrore. Mi sembra passata un'eternità, quando vedo l'istruttrice aprire la porta ai nostri nuovi compagni. Loro escono correndo, bianchi in volto come se fossero appena scesi agli Inferi e ritornati tra i vivi. Una ragazza barcolla fino all'angolo del corridoio, poi inizia a vomitare. Lo stomaco mi si stringe, la mia pelle rabbrividisce. Dagli sguardi preoccupati di Sarah, Richard e James capisco che probabilmente sono terrorizzati quanto me. L'allenatrice sgattaiola furtivamente nella stanza, forse per rimettere a posto gli indizi. Quando riappare, ha un'espressione enigmatica stampata in volto. "Il primo gruppo ha fallito miseramente. Spero non mi deludiate così anche voi." La sua voce appare inquietantemente sinistra, mentre ci parla, una minaccia velata nella voce. Come a sottolineare ciò, la porta di fronte a noi si apre con un sordo cigolio, che mi fa accapponare la pelle. Sento James afferrarmi la mano, e ricambio la sua stretta con tutta me stessa, facendomi avvolgere dal coraggio. Tiro un lungo sospiro carico di tensione, poi entro senza ulteriori indugi nella porta di fronte a me.

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Capitolo 10
*** La prova ***


La prima cosa che mi colpisce è il freddo: l'interno della camera è terribilmente gelata, e brividi involontari mi attraversano tutto il corpo. La seconda cosa è il buio: la luce è fioca e illumina solamente sprazzi di pavimento, a causa di poche luci a neon situate sul soffitto. Non appena i miei occhi si sono abituati alla nuova luminosità, mi guardo intorno, analizzando la stanza. È piccola, una decina di metri in lunghezza e due o tre in larghezza. Sulle pareti laterali vi sono tre porte: due su quella destra e una su quella sinistra. Sono lunghe e scure, e su ognuna, sulle facciate frontali, c'è scritto un numero con delle pennellate rosse, che ricordano molto il sangue: su quella a sinistra c'è scritto "uno, sulla prima a destra "tre" e sull'ultima "due". "Ragazzi, venite a vedere." Dico, indicando ciò che ho appena scoperto. Quando parlo, nuvolette bianche mi escono dalla bocca, il mio respiro caldo in confronto al gelo intorno a noi. "Uno due e tre? Ma che significa?" Dalla voce di James, capisco che è confuso quanto me. "Forse indica l' ordine per il quale dobbiamo entrare nelle determinate stanze." Ci giriamo a guardare Richard, che ha appena parlato. È immobile, e in mezzo all'oscurità sembra ancora più mingherlino. Imbarazzato per essere al centro dell'attenzione, si sistema nervosamente gli occhiali. Mentre lo guardo, forse ho capito perché è arrivato fin qui, nonostante la sua struttura fisica: deve essere una specie di genio. "Hai ragione!" Esclamo, ancora sbalordita. Tuttavia quando cerchiamo di aprire la porta a sinistra, non ci riusciamo. "Dannazione. È chiusa." Sbraita Jay a denti stretti. "Forse possiamo provare a sfondarla." Suggerisco. Richard, di fianco a me, scuote la testa. "No, impossibile: guarda quanto sono spessi i cardini, direi che sono stati battuti col ferro, per renderli molto resistenti. E se noti, il legno usato è il caccamo: è anche più duro della pietra. Sebbene il tuo ragazzo sia di statura forte e sana, non riuscirebbe mai a tirarla giù." Per la seconda volta nel giro di due minuti, sia io che James rimaniamo a fissarlo a bocca aperta. "Non è il mio ragazzo" borbotto, lievemente irritata dal tono saccente usato dal nostro compagno di squadra. "Ragazzi! Ho trovato qualcosa." La voce proviene da Sarah, e devo aguzzare non poco la vista per riuscire a vederla; è inginocchiata nell'angolo destro della stanza, e tiene in mano qualcosa. Solo ora mi accorgo che il pavimento è acciottolato e che in fondo allo stretto corridoio vi sono delle foglie lunghe e strette sparse a casaccio, dei secchi e delle bottiglie. Mi avvicino alla mia compagna, curiosa. Noto che tiene in mano una bottiglia di rum vuota, con all'interno un pezzo di stoffa arrotolato. "Probabilmente c'è dentro la chiave per aprire la prima porta." Ipotizzo. Questa volta, per fortuna, Richard dev'essere d'accordo con me, perché non ribatte. Tuttavia, quando Sarah cerca di far uscire la chiave, capovolgendo la bottiglia, non riesce a tirarla fuori. "Grandioso." Sussurra James tra i denti, frustrato quanto me. I miei occhi scrutano febbrilmente gli oggetti che mi stanno intorno: i secchi e le bottiglie restanti devono già essere state esaminate dalla nostra compagna, perché sono rovesciati per terra. Cos'è che aveva detto l'allenatrice? "Usate gli indizi che avete a disposizione." Ma certo! "Prova con una foglia." Perfino Richard, a questa mia proposta rimane sorpreso. Lo interpreto come un buon segno. La foglia è abbastanza stretta da poter passare per il collo della bottiglia, ma è anche sufficientemente lunga per riuscire a raggiungere il pezzo di stoffa. Con fatica, Sarah riesce a far presa su di essa e tirare fuori l'involucro. Una volta srotolato, a salutarci scintillante, è una chiave d'ottone. Sul manico è disegnato un teschio. Tanto per rimanere in tema con l'atmosfera allegra che ci circonda. "Muoviamoci." Ci incita Richard, ricordandoci che abbiamo poco tempo a disposizione. Beh, devo dire che per ora ce la stiamo cavando piuttosto bene. Sarah si affretta a raggiungere il primo portone. La chiave entra perfettamente nella serratura. Con un colpo secco, la prima porta si apre. Il secondo ambiente in cui ci troviamo è molto più caldo rispetto al precedente, ma la luce è ancora scarsa. La stanza è quadrata, ampia circa dieci piedi sia in lunghezza che larghezza, a occhio e croce. Sulla parete a destra un' imponente libreria in legno scuro copre tutto il perimetro. Su di essa sono appoggiati vari libri, cofanetti, valige e perfino un modellino di un treno in legno con dei binari riposto in una teca. Al centro della stanza c'è un tavolo rotondo anch'esso in legno, sulla cui superficie vi sono vari graffi, come se la vittima stesse cercando di aggrapparsi alla tavola per sfuggire alle torture del suo rapitore. Con un senso di nausea sempre più crescente nello stomaco, lancio uno sguardo al muro di sinistra. È vuoto, tranne per un piccolo soprammobile nell'angolo della stanza, e sulla parete vi sono varie scritte col sangue come "Non uscirò mai viva da qui" o "L'inferno mi chiama". Il tutto è accompagnato dalla presenza di maschere mostruose scolpite sul soffitto, che grondano sangue dalle zanne aguzze o sorridono con inquietudine a chiunque le guardi. Quando si diffonde per tutta la stanza la musica di un carillon stonato sopra al quale sono state registrate delle urla, credo di essere vicina al rimettere la mia colazione. Mi giro verso la fonte di questo suono infernale, e mi accorgo che proviene dalla libreria, dove un affannato James cerca di spegnere quel rumore. Deve averlo fatto scattare non appena ha toccato lo scrigno. "Per favore, spegni quel maledetto affare!" Urlo, ormai vicina ad un crollo nervoso. "Ci sto provando!" Mi urla lui di rimando, e dalla sua voce capisco che anche lui è agitato. "Credo sia impossibile disattivarlo. Toccandolo, James ha attivato un sistema che andrà avanti ancora per un po'. Stanno cercando di manipolarci psicologicamente mandandoci tanti segnali inquietanti che ci possano bloccare. Ma ricordatevi che è tutta finzione. Piuttosto cercate la chiave che ci possa fare aprire la seconda porta." Credo di voler prendere a ceffoni Richard in questo momento, ma so che ha ragione. Così incasso a denti stretti, cercando di ignorare quella nenia infernale. "Io mi occupo della libreria." Avviso, mentre mi avvicino all'imponente mobile. È divisa in due parti, ciascuna delle quali ha cinque mensole. "Io prendo quella a destra" informo James, che annuisce di rimando. Inizio a esaminare ogni ripiano, meticolosamente. Sul primo, a partire dall'alto, vi è una valigetta verde scura, sul cui lato c'è scritto a caratteri bianchi "590". Mi alzo sulla punta dei piedi per afferrarla, e una volta deposta per terra mi accorgo che l'apertura è bloccata da un lucchetto. 'Ma che cavolo!' Frustrata, afferro l'odiato oggetto tra le mani. Per sbloccarlo devo inserire tre numeri. Di colpo, ho una folgorazione. Digito freneticamente la cifra letta sul lato della valigetta, pregando che funzioni. Uno scatto deciso mi avvisa del mio successo. Apro velocemente la valigia, un senso di trionfo nel petto. A salutarmi come una vecchia amica, un'altra chiave. È diversa da quella utilizzata precedentemente: è piccola, grigia e lucente; non ho bisogno della conferma di Richard per sapere che non è quella che stiamo cercando. Rimango per un momento a fissare il piccolo oggetto scintillante, un senso di sconforto nel petto. No, non posso arrendermi così facilmente: ce la devo fare. Così mi infilo la chiave nella tasca destra dei pantaloni, e ricomincio a cercare. Sul secondo ripiano c'è una marea di libri, dall'aspetto così vecchio e rovinato che credo debbano essere almeno di due secoli fa. Leggendo i titoli scritti in una grafia molto curata, rabbrividisco. Sono tutti saggi sull'esorcizzazione di eretici, torture medievali e canti satanici. Il mio stomaco si rivolta disgustato, ma la mia mente mi impone di sfogliarli uno a uno, in cerca di indizi. Le immagini che trovo all'interno dei libri sono così raccapriccianti che dopo una breve occhiata li ripongo subito al loro posto. Tuttavia l'ultimo volume, molto più grande rispetto agli altri, e ad una prima occhiata più antico, attira la mia attenzione. Prendendolo in mano noto che è stranamente leggero, e aprendolo capisco perché: al posto delle pagine ingiallite, v'è un contenitore grigiastro che si adatta perfettamente alla forma del libro, e che ha una serratura piccola e stretta sulla faccia frontale. 'Bingo!' La mia mente fa una capriola, orgogliosa. Mi affretto a tirare fuori dalla tasca la chiave, sicura. Il cofanetto si apre all'istante. Quando prendo in mano il contenuto del libro, rimango per un attimo interdetta: in mano ho un pezzo di vetro lavorato grezzamente, a forma di goccia ma, al posto di avere un'aggraziata curva sul lato sinistro, presenta un fianco tagliente, interrotto qua e là da varie sporgenze dentellate. Al centro della goccia un cerchio approssimativo di colore rosso sangue, sopra al quale è stato inciso un simbolo. È una specie di "u" rovesciata, dove alle estremità presenta una sorta di ricciolo. Aggrotto la fronte, perplessa; sinceramente, non ho assolutamente idea di cosa possa essere. Provo a voltare lo strano oggetto, ma lo scopro uguale identica alla faccia superiore. Mi ritornano in mente le parole di Aper durante le nostre esercitazioni: "Se non riuscite a risolvere un enigma che avete davanti, non diventate matti a cercare ad ogni costo una soluzione: lasciatelo da parte e concentratevi su altro, vedrete che prima o poi troverete una logica." Decido di ascoltare gli insegnamenti del mio istruttore, così appoggio la goccia sul ripiano più in basso e continuo la mia ricerca. Sul terzo ripiano vari cofanetti fanno la loro comparsa in ordine sparso: sono tutti di stoffa e pizzi, in perfetta armonia con l'epoca ottocentesca che regna nella stanza. Aprendoli, capisco che non c'è nulla di rilevante in essi: una collana di perle, una molletta d'argento, qualche spilla. Quello più interessante è forse il contenitore di cristallo: è più grande degli altri, il bel coperchio è finemente lavorato e i lati sfaccettati lasciano intravedere delle biglie blu, al suo interno. Contandole scopro che sono cinque. Non mi sembra rilevante, comunque. La penultima mensola presenta degli spartiti ingialliti per pianoforti; sono arrotolati e molti strappati qua e là, come se qualcuno avesse cercato di afferrarli prima di essere trascinato via. Deglutisco, tenendo a mente quello che Richard ha detto poco fa: è solo finzione, cercano di influenzarci. Continuo a ripetermelo, mentre arrivo all'ultimo ripiano. Questo presenta il modellino di un treno lungo circa mezzo metro, in legno, appoggiato su dei binari. Il tutto è racchiuso in una teca polverosa, così devo avvicinarmi non poco per riuscire ad analizzare maggiormente l'oggetto. Esaminandolo meglio mi accorgo che su uno dei vagoni presenta uno strano aggeggio di circa due centimetri in larghezza e uno in lunghezza, nero con delle striature bianche. Il binario su cui è posizionato il trenino arriva da una parte all'altra della teca, lunga tutto il ripiano, dove noto che, al suo interno, di fronte al modellino, c'è un piccolo pulsante che solo riuscendo a muovere il treno si potrà schiacciare. Ma come riesco a spostarlo? Non posso in nessun modo caricarlo, dato che la teca lo circonda completamente, né ci sono degli ingranaggi esterni che ne consentono il movimento. Un senso di irritazione sempre più schiacciante mi opprime il petto. Sbuffo, frustrata: e con questo sono due gli enigmi che non sono in grado di risolvere. Scrollo le spalle, cercando di non pensarci; decido che darò un'occhiata anche agli sportelli alla base della libreria, e poi condividerò con gli altri quello che ho trovato. Immersa com'ero nei miei pensieri non mi sono accorta che la musica inquietante ha smesso di suonare, facendo piombare la stanza in un silenzio di tomba, forse quasi più sinistro della nenia stessa. Dando una rapida occhiata ai miei compagni di squadra li trovo tutti e tre concentrati su quello che hanno di fronte: James con l'ultima mensola sinistra della libreria, Sarah con il mobile sulla sinistra e Richard con il tavolo. Guardarli mi ricorda che non abbiamo molto tempo, così mi rimetto al lavoro. Nello sportello alla base della libreria non trovo niente, se non un cofanetto di cristallo identico a quello del terzo ripiano, con all'interno sette biglie, questa volta di colore giallo. Inizio a chiedermi se non ci sia un nesso o siano solamente indizi di nessun valore come gli spartiti dei pianoforti, quando la voce di Sarah mi fa sussultare, riportandomi alla realtà. "Secondo voi che cos'è?" Mentre parla si avvicina al tavolo, dove depone una goccia identica a quella trovata da me, ma con il lato seghettato destro ed il cerchio al centro giallo. In più, anche il simbolo è diverso, somigliante a una "y" avente la gamba inferiore chiusa in quella superiore sinistra. Una domanda mi fulmina all'improvviso: e se combaciassero? Corro a prendere la mia goccia, posandola sul tavolo di fianco a quella di Sarah. Non riesco a trattenere un sorriso trionfante; i due pezzi coincidono. Tuttavia noto che formano un buco, non aderendo l'un l'altra, sulla parte superiore. Manca un altro pezzo. "Forse vi posso aiutare io." Sento James alle mie spalle sorridere soddisfatto, mentre adagia una terza goccia, questa volta avente due fianchi dentellati e un cerchio blu con una specie di "o" disegnato sopra, vicino alle altre due. Quando toglie la mano, al centro del tavolo abbiamo un triangolo con le estremità arrotondate. Non ho la minima idea di come possa servirci. "Qualcuno ha trovato qualcos'altro?" Chiedo, sperando di trovare altre informazioni utili. "Io questo." Mi informa Richard, mettendo sul tavolo un contenitore di cristallo avente all'interno due biglie vermiglie, probabilmente estratto da uno dei cassetti di quest'ultimo. "Scoperto niente di simile?" Ci chiede poi. Corro a prendere i due cofanetti identici a quello, posizionando anch'essi sulla tavolata. Solo ora noto che le biglie sono dello stesso colore di una rispettiva goccia. "Potrebbe trattarsi di un codice con cui sbloccare un lucchetto." Suggerisce Sarah, mettendo voce ai miei stessi pensieri. A quelle parole James tira fuori dallo sportello della libreria una piccola valigia, avente un codice da tre cifre. Guardando meglio vedo che per ognuno di essi v'è contrassegnato uno dei simboli delle gocce: probabilmente l'ordine in cui vanno messi i numeri. La sequenza indica: rosso, blu, giallo. Il mio migliore amico digita velocemente i numeri, e quando la valigetta si apre ho voglia di gettargli le braccia al collo e gioire: all'interno di essa, c'è una piccola chiave d'ottone. Come in un tacito accordo, ci scapicolliamo verso la porta numero 2: un rapido scatto e siamo dentro. Quando tuttavia scruto la stanza, sento di stare per svenire: su tutte le pareti fanno capolino impronte di sangue, sul pavimento forbici lorde e coltelli sono un tacito messaggio di un maniaco che ha torturato sadicamente la propria vittima. Catene spesse e arrugginite sono ancorate ai muri e pendono crudelmente fino al pavimento, dove si attorcigliano come serpenti. A parte questo, la piccola camera è vuota. Sono così frustrata in questo momento che ho solo voglia di tirare un pugno a quei muri terribili, ma mi fanno così senso che rimango immobile. Scruto James avvicinarsi nella stanza e inginocchiarsi. Sia Sarah che Richard sono impietriti dall'orrore come me. Quando Jay si rialza, tiene in mano una torcia. "Ehi cervellone, hai idea a cosa possa servire?" Apostrofa Richard. Quest'ultimo scuote leggermente la testa, e questo mi fa preoccupare non poco. Se nemmeno lui non sa da che parte girarsi, come faremo ad uscirne? Mi faccio più vicina a James, per esaminare meglio l'oggetto. La mia mente è in bianco. Come comparso da un abisso, mi ritorna in mente la viscida faccia del colonnello. Sicuramente userà ogni mia disfatta per darmi una missione infida. Non lo posso permettere. Là fuori la mia gente ha bisogno di me. Devo fare qualcosa. Ed è mentre scelgo di non arrendermi, che un pezzo dell'insieme si unisce agli altri nella mia testa. Ma certo, è ovvio. "Venite!" Urlo, mentre corro nella stanza 1. Mi precipito vicino al trenino, che ormai non ha più segreti per me. "Accendi la torcia e illumina il vagone trascinandola fino alla fine del binario." Istruisco il mio migliore amico. Lui è ancora leggermente confuso, ma sceglie di fidarsi. Funziona. Il trenino inizia a muoversi. "È un pannello a energia solare! Probabilmente è ancorato al trenino, consentendogli di muoversi." Esclama meravigliato Richard. Annuisco, un mezzo sorriso di trionfo sulle labbra. Quando il modellino urta il pulsante, tutta la stanza e il corridoio cadono nell'oscurità più totale. Credo di stare per avere un attacco di panico: il mio cuore inizia a martellarmi nel petto, sudore freddo mi cola lungo la schiena. Devo stare calma, calma. Inizio a inspirare lunghe boccate d'aria, cercando di regolarizzare il respiro. Sento James cingermi i fianchi con un braccio. Ora credo di stare in paradiso. Strizzo gli occhi, guardandomi in torno. Non vedo assolutamente nulla, è buio pesto. Tuttavia, con la coda dell'occhio intravedo un barlume verdastro in corridoio. Mi alzo in piedi, barcollando leggermente. Mentre riprendo l'equilibrio mi accorgo che sia le maschere che le scritte sulle pareti sono illuminate con luci verdi, blu o gialle. Il tutto dà un'atmosfera spettrale. "Lampade a lumen." Ci spiega Richard. Mi dirigo verso il corridoio, e sento James lasciare la sua stretta su di me. "No." Mi giro verso il punto dove credo che sia. "Ti prego, non lasciarmi." La mia voce è disperata, e so che se non ho la certezza di averlo al mio fianco crollerei. Sono contenta che siamo immersi nell'oscurità, perché avverto il sangue affluire alle mie guance violentemente. Sento che mi stringe la mano, poi siamo nel corridoio. La parete di fronte a noi illumina varie scritte prima invisibili, una più raccapricciante dell'altra. Cerco di non pensarci, mentre stringo ancora di più la mano di James. "Guardate." Ci apostrofa Sarah, che sento girata verso l'altra parete. Qua v'è solo una scritta, più grande delle altre: il colore è rosso. Dice: "Bussate tre volte per scoprire la verità." Questa volta non abbiamo bisogno di riflettere, sappiamo quello che dobbiamo fare: sento Jay trascinarmi fino alla porta 3. Credo stia per bussare, poi si ferma. "Fallo tu. Te lo meriti." Mi dice dolcemente. Gli rivolgo un sorriso anche se so benissimo che non può vedermi. Poi colpisco la porta tre volte, leggermente esitante. Questa si apre, cigolando piano. Forse ce l'abbiamo fatta. Forse abbiamo vinto. Forse abbiamo trovato la ragazza, forse siamo riusciti a salvarla... Ma quello che ci troviamo di fronte, so che non ce lo leveremo mai più dalla mente. A fissarci con occhi vacui, la testa della nostra compagna di squadra che dovevamo salvare, decapitata. Abbiamo perso la sfida.

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Capitolo 11
*** Segreti ***


Le mie gambe non sono più in grado di reggermi, e cascherei a terra come un peso morto se non ci fosse James a sostenermi. Il mio corpo è mosso da spasmi incontrollabili, la mia mente è in bianco. Non posso credere che abbiano fatto una cosa simile. Non posso credere che abbiano veramente ucciso una persona solo per una stupida esercitazione. Un pensiero ancora più orribile mi passa per la mente: e se anche il resto fosse vero? Se le scritte fossero veramente state fatte col sangue, se quelle terribili urla appartenessero davvero alla ragazza? Sento di voler piangere, ma credo di essere ancora sotto shock. Le braccia di James mi stringono a sé, e io affondo il viso nel suo petto. Non voglio più vedere niente, solo stare stretta a lui per sempre. Le sue braccia mi avvolgono, infondendomi sicurezza. Lentamente, sento il mio respiro regolarizzarsi. Inspiro il dolce profumo di James, e penso che sia l'odore più buono che abbia mai sentito. Ed è in questo senso di pace, che capisco. Non abbiamo perso la sfida, non ancora. E Quella ragazza non è vera, probabilmente è fatta di cera o non so quale altro materiale. Credo che fosse la ciliegina sulla torta: un'ultima prova psicologica da affrontare, prima di poter dire di aver superato la prova. Così non sono affatto stupita quando sento un Richard spaventato sussurrare: "È finta." Ora so che è questo che volevano da noi: che reagissimo agli imprevisti, non rimanendo spaventati ma analizzando anche le situazioni più difficili fino in fondo. In quel momento, sento la porta dalla quale siamo entrati, aprirsi. È finita. A malincuore mi stacco da Jay, mentre usciamo da quella stanza infernale. Il volto dell'istruttrice è raggiante. "Ottimo lavoro, soldati! Avete battuto tutti i precedenti record! Siete usciti con venti minuti di anticipo." Ci informa. Sgrano gli occhi, incredula. Davvero siamo rimasti là dentro solo per quaranta minuti? Mi sembra che sia passato un secolo. Ad ogni modo, sento un sorriso stirarmi le labbra. Ce l'ho fatta. Alla faccia del colonnello. "Per voi, la lezione è finita: il resto della giornata è libera, dato che dovrò rimanere qui a testare le prossime tre squadre." E detto questo, ci congeda. È quasi con sollievo che usciamo dal pianoterra, abbracciando con meraviglia la luce del sole ormai allo Zenit. "Siamo stati bravissimi!" La voce squillante di Sarah mi risveglia dai miei pensieri. Rido, mentre con sorpresa la vedo abbracciarmi. In quel momento, capisco che è nata una bella amicizia fra noi. Non ho ancora avuto il tempo di rispondere del tutto al suo abbraccio, che sento James alzarmi alla sua altezza e farmi saltare in aria per poi riacchiapparmi al volo, come una bambina. Urlo divertita, mentre un'involontaria e cristallina risata si propaga in tutto il mio corpo. Quando mi rimette per terra, vorrei che mi riprendesse di nuovo tra le sue braccia. Mi gira leggermente la testa mentre Richard si congratula con me. "Ottimo lavoro. Siete svegli." Dice a me e a Jay, e credo che detto da lui sia un grande complimento. Quando mi tende la mano io la stringo energicamente, un sorriso raggiante sul volto. "E ora che si fa?" La voce di James è spensierata come non lo era da un pezzo. Sono talmente felice di sentirla così raggiante che la sua allegria mi contagia. "Passeggiata tra i campi?" Propongo. Tecnicamente non credo che si potrebbe, e la faccia leggermente contrariata di Richard è una conferma. Sarah invece, accetta con entusiasmo. "Oh, sì! È da tanto che non esco dalla caserma!" "Non credo che sia il caso..." Ribatte il suo amico. Effettivamente non ha tutti i torti, ma sinceramente non ho nessuna voglia di allenarmi dopo questa estenuante esperienza, e l'unica cosa che mi andrebbe di fare è rilassarmi. E poi, l'istruttrice ci ha lasciato il resto della giornata libera. Sarebbe così tremendo se scappassimo per un'oretta via da qua? "Andiamo cervellone, non hai mai trasgredito ad una regola?" La voce di James è accattivante, e offre una sfida così allettante che Richard accetterà sicuramente. Cosa che, infatti, fa subito dopo. "D'accordo. Seguitemi e reggetemi il gioco." "Così ti voglio!" Ribatte il mio migliore amico, trionfante. "Ragazzi... Solo per un'ora, d'accordo?" La voce di Richard è leggermente apprensiva. "D'accordo." rispondiamo all'unisono. Visibilmente tranquillizzato, il nostro nuovo amico ci fa segno di seguirlo. Poi, contrariamente a quello che mi sarei aspettata, si dirige verso l'entrata principale. Ma non hanno un'uscita secondaria dove possono sgattaiolare fuori indisturbati? Comincio a pentirmi di aver lasciato la situazione in mano a Richard, quando i miei pensieri vengono interrotti dalle vedette, una per lato della caserma, che al vederci avvicinare ci sbarrano la strada. "Che intenzioni avete?" Ci chiede quella che ci sta di fronte, dall'alto delle mura. "Uscire per un'ora, signore! Breve ricognizione del territorio. L'istruttrice Hadams l'ha ordinato personalmente." La voce del nostro amico suona così sicura e decisa che devo fare uno sforzo per apparire seria e rilassata,  reprimendo il mio stupore. Anche la vedetta sembra crederci, perché apre la porta davanti a noi, lasciandoci passare. Una volta fuori, non riesco a fare a meno di trattenere una risata. Era da tanto che non mi divertivo così. L'erba verde dei campi di fronte a noi ci invitano ad attraversarli, dolce promessa di libertà. "E adesso, tanti cari saluti all'istruttrice Hadams!" Esclama Jay. Non ho nemmeno il tempo di rendermene conto. Mi afferra la vita e dopo un attimo sono aggrappata alla sua schiena. "Per chi mi hai presa, un koala?" Gli chiedo ridendo, mentre le mie braccia scivolano attorno alle sue spalle, per non scivolare. La sua pelle ha un fremito, quando la sfioro. Sembra quasi un saluto, e sorrido scioccamente tra me e me. "Un koala terribilmente pesante." Mi canzona, la voce fintamente affaticata. Gli tiro i capelli per gioco, fingendo di essermi offesa. Il suo respiro si spezza, ma fingo di non accorgermene. Appoggio il mento sulla sua spalla, per guardarlo meglio in viso. Il suo sorriso scintillante mi contagia immediatamente, provocandomene a mia volta uno. "Mi sa che oggi qualcuno è di buonumore." Commento. Lui mi guarda raggiante. "Ragazzi, ma vi rendete conto? Abbiamo battuto ogni record d'istituto! Siamo i secchioni!" Sta ancora ridendo, quando inizia a correre. Urlo, colta alla sprovvista, ma vedendo Richard e Sarah tenergli dietro divertiti, ho voglia solo di ridere. "Seguitemi, so io dove andare!" Sento gridare a Sarah alla nostra destra, e Jay annuisce di rimando. Mi aggrappo ancora più saldamente a lui, che mi trasporta come se pesassi meno di una piuma. Merito di tutti quegli esercizi ideati da Aper. Il vento che mi accarezza il viso profuma di primavera, mentre il sole mi scalda deliziosamente la schiena. Intorno a noi, campi traboccanti fiori, sporadici alberi e la caserma sempre più piccola alle nostre spalle. Non ho la minima idea di dove stiamo andando, ma è così meraviglioso che sono sicura sarà un posto fantastico. Lo stomaco si riempie di farfalle svolazzanti quando James accelera. Non riesco a trattenere una risata, sentendomi piena di calda e meravigliosa vita come non lo ero da un pezzo. Tutti i test, le sparatorie, le fughe, enigmi da risolvere... È tutto finito. Ho vinto, ce l'ho fatta. Ce l'abbiamo fatta. Ora ci daranno una missione importante, e potremo finalmente sopprimere i nostri nemici. Una folata di brezza improvvisa mi libera i capelli da dietro le orecchie, facendoli galoppare liberi in aria, stalloni dorati nelle praterie dei cieli. Il canto di una cincia è più delicato dei colori dei fiori. Quasi non mi accorgo quando ci fermiamo; i miei occhi si spalancano involontariamente, colpiti. È il posto più bello che io abbia mai visto: una distesa infinita di erba alta e scintillante, si muove a ritmo della danza del vento. Un ruscello, poco più in là sulla sinistra, gorgoglia canticchiando motivetti senza senso. Sulla sponda destra un enorme salice piangente sfiora con le foglie la superficie dell'acqua. Fiori viola e gialli sono disseminati dappertutto, impregnando l'aria di un delicato profumo. "È... Stupendo." Sento sussurrare a James, e dal suo tono di voce capisco che è incredulo quanto me. Richard dev'esserci già stato, perché non appare visibilmente colpito, ma piuttosto orgoglioso per questo posto: ha disegnato sulle labbra un sorriso fiero. Scivolo lentamente giù dalla schiena di James, avvicinandomi a Sarah. "Grazie per avere condiviso con noi questo posto. So cosa vuol dire amare un luogo con tutto sé stessi." Sento di stare per commuovermi, e mi sento abbastanza sciocca. Abbasso lo sguardo mentre sento affluire il sangue alle guance, imbarazzata, ma lei mi prende le mie mani tra le sue. Nella sua stretta percepisco gratitudine, comprensione e rispetto. So che ha capito. Un tonfo alle mie spalle mi fa voltare di scatto. James è sdraiato tra l'erba folta, le braccia incrociate dietro la schiena, il viso ad assaporare le carezze del sole, gli occhi socchiusi dietro le folte ciglia. Vorrei rimanere lì a guardarlo, per sempre. Lui si accorge che lo sto fissando, e un'espressione strana gli nasce sul volto, ma non ho ancora fatto in tempo a decifrarla che è già sparita. "Vieni qui, tu!" Mi apostrofa. È un invito troppo bello per poterlo rifiutare. Così mi sdraio di fianco a lui, e sento il suo braccio circondarmi le spalle. Non dovrei farlo, ma in fondo non penso ci sia nulla di male. Così mi faccio più vicina a lui, appoggiando il viso e il braccio destro sul suo petto, mettendomi su un fianco. Il battito regolare del suo cuore mi culla. Sento Sarah e Richard di fianco a noi imitarci, adagiandosi sull'erba morbida. Il sole che mi attraversa la pelle è una sensazione bellissima. Non so per quanto tempo rimaniamo così, zitti a prendere il sole e a riposarci dopo questa lunga giornata, so solo che è bellissimo. Mentre sono immersa in questa meravigliosa pace mi vengono in mente immagini di giornate felici, passate coi miei amici alla nostra caserma. Il mio cuore sorride, malinconico: forse è il momento di svoltare pagina.   A un certo punto, mi accorgo di avere una sete incredibile. Mi scosto dolcemente da James, che si è addormentato. "Dove vai?" Mi mugugna, accortosi della mia assenza di fianco a lui. "Torno subito, vado a bere al ruscello e arrivo. Tu continua a dormire." Gli sussurro rassicurante. Lui, convinto, richiude gli occhi. Il suo viso è molto più rilassato mentre sogna. Vorrei tanto accarezzargli i capelli e cullarlo tra le mie braccia, e una parte di me mi sussurra che non ci sarebbe niente di male. Tendo una mano verso di lui. No. Lo farei solo soffrire. Farei soffrire  anche me. Così la ritraggo, alzandomi. Mi sento quasi in colpa a rovinare con i miei passi il morbido manto di erba intorno a me, così Affretto il passo. L'acqua gelida del torrente è una gioia per la mia gola riarsa. Sto ancora bevendo quando sento dei passi alle mie spalle. Non faccio in tempo a girarmi, vedo Sarah inginocchiarsi di fianco a me e imitarmi. Prego con tutta me stessa che non abbia assistito alla mia patetica lotta interiore, perché potrebbe essere molto imbarazzante. "Tu lo ami?" La sua domanda mi fa sussultare, improvvisa e diretta come il volo di una freccia. È lo stesso quesito che mi ha posto Jay, una settimana fa. Solo che adesso posso anche non mentire. Devo parlarne con qualcuno, altrimenti impazzisco. E con Sarah, mi sento come se la conoscessi da anni. Forse, mi ricorda scioccamente Rachel. Rimango zitta, a guardare gli scintillii sull'acqua che si infrange sulle mie mani. Non ho il coraggio di guardarla negli occhi. "Sì." La mia voce è piena di rimpianto. "È così evidente?" Le domando, riuscendo finalmente ad alzare lo sguardo. Il suo volto è amichevole e gentile. "Direi proprio di sì." Mi risponde. Non so cosa ribattere, mentre il mio cuore inizia a correre nel mio petto, confuso. "Anche lui ti ama." Dice Sarah dopo un po'. Un sorriso mi nasce involontariamente sul mio viso, mente tutto il mio corpo si riempie di felicità. Lui mi ama... Non riesco a credere di essere così fortunata. Ma cosa potrà mai trovarci uno come lui in me? "Ma perché non state insieme?" Ecco. È questo il nocciolo della questione. E fa così male che spezza il fiato. "Perché sono una stronza." Riesco solo a dire, la mia voce spezzata. Sento che sto per mettermi a piangere. Le braccia di Sarah mi avvolgono, infondendomi conforto. Mi mancava un'amica con cui parlare. Così mi viene voglia di continuare, perché so che lei non mi chiederà più niente per non essere invadente. Ma io devo sfogarmi. Non ce la faccio più. "Io ho un ragazzo." Le dico. Stranamente da quello che mi sarei aspettata, non si irrigidisce, né mi dice che sto sbagliando. Non mi giudica. Un dono rarissimo. "È gravemente ferito." Continuo. "Non posso fargli questo, se lui dovesse..." La voce mi muore in gola. "È il ragazzo che è stato trasportato in infermeria stamattina?" "Sì." "È molto carino." Mi dice, la sua voce leggermente giocosa. Forse per sdrammatizzare. "Si... Ma non é James." Rispondo. Mi sento incredibilmente patetica. E credo che la mia amica lo sappia. "Beh, io credo che mentendo a tutti e due non risolverai niente." Le sue parole mi colpiscono. È una prospettiva a cui non avevo mai fatto caso. "Ma..." Inizio a dire, cercando di spiegarle le mie motivazioni. "Ascolta il tuo cuore, Andy. È la scelta migliore."  Il suo tono è dolce, ma deciso. Mi spiazza completamente. Tutti i miei ragionamenti crollano come un castello fatto di carta. Ha ragione. Ora so cosa fare. Sto per aprire la bocca per ringraziarla, ma in quel momento sento un rumore di passi. Mi giro a guardare nella direzione dove abbiamo lasciato James e Richard, e con mia grande sorpresa noto che sono ancora lì. C'è qualcun altro, qui. Adesso rimpiango di non essermi portata dietro la pistola, a dispetto dell'ordine del colonnello di vestirsi con la sua uniforme e basta. Se fossero dei soldati della Provincia del Sud, ancora in ricognizione dopo la presa della nostra caserma? No, impossibile. È troppo lontana da qui, non si sarebbero mai spinti fino alla Provincia dell'Ovest. Ma allora chi è? Il rumore si fa più intenso, da qualche parte sull'altra sponda vicino a noi. Guardo negli occhi Sarah, e capisco cosa fare. Lentamente, retrocediamo fino all'erba alta, che vicino al torrente si era fatta più rada. Abbasso la testa, il cuore che mi martella impazzito dentro al mio petto, tutta la mia pelle si fa d'oca. Quando vedo dall'altra parte del fiume i due individui, sta per venirmi un'infarto. Sono il colonnello e il nostro tenente che parlano. Perché si sono spinti fin qui? Per essere sicuri di parlare indisturbati senza essere sentiti? Non lo so, ma la cosa non mi piace. Aguzzo le orecchie per cercare di cogliere la loro conversazione. Il ruscello vicino a noi copre alcune parti. "...riusciti a prendere la base del Nord. Non me lo sarei mai aspettato da quei selvaggi." È il nostro tenente che sta parlando. "Bisogna giocare d'astuzia e coglierli alla sprovvista. Alla fine, è una tecnica che ha sempre funzionato." Tecnica che ha sempre funzionato? Ma di che diavolo sta parlando? "Dobbiamo essere cauti. Se qualcuno venisse a sapere delle nostre operazioni..." "Ti preoccupi troppo. Nessuno sospetta niente, e finché sarà così non c'è da temere." Sento qualcuno stringermi la mano e ci manca poco che io inizi a urlare. È Sarah. Fa segno di tornare indietro e scappare. No. Voglio rimanere qui ad ascoltare le due persone che ripudio di più, tra i nostri alleati. L'uomo falso e colui che grazie alla sua brillante pensata non ha avvisato la nostra Base del pericolo imminente. "Andy, muoviti!" Il suo bisbiglio è quasi impercettibile. Solo altri due secondi, solo... Il piede di Sarah urta involontariamente un ciottolo sul terreno. Il tenente e il colonnello si fermano, di scatto. L'adrenalina mi riempie le vene, mentre il mio respiro si fa sempre più affannoso. "Che cos'è stato?" Chiede il tenente. Sento dei passi avvicinarsi. Non c'è un minuto da perdere. Iniziamo a retrocedere più in fretta che possiamo, strisciando come serpenti. Il tenente e il colonnello sono ancora distanti, così riusciamo ad arrivare da Richard e James abbastanza rapidamente e ad avere un buon vantaggio. Il primo ci vede subito arrivare e scatta in piedi. James dorme ancora, ignaro di tutto. Lo prendo per una mano, scrollandolo lievemente. "Dobbiamo andare, subito!" La mia voce è allarmata. Lui lo capisce. In un secondo, è in piedi anche lui. "State bassi!" Raccomando, poi iniziamo a correre tra l'erba alta. Il mio cuore è in gola. Le mie gambe si muovono da sole, unica mia speranza di salvezza. C'era qualcosa nella voce di quei due che non mi convince per niente. Quali segreti nascondono da essere così allarmati all'idea che qualcuno li scopra? La caserma in lontananza mi fa accelerare la mia corsa. Appena le vedette ci riconoscono ci fanno passare, allarmati dalle nostre espressioni. Il sole sta ormai tramontando all'orizzonte, rosso sangue. Sembra una promessa di guerra. Una volta dentro, sento gli sguardi di tutta la caserma su di noi. Il silenzio scende su tutti i soldati, interrotto solamente dai nostri respiri spezzati. La nostra istruttrice ci si avvicina, un'espressione di rimprovero stampato in faccia. La sua voce è lugubre mentre parla. "Voi quattro." Inizia, mentre con l'indice della mano destra ci indica uno a uno "Siete nei guai."

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Capitolo 12
*** Missione ***


La porta dell'ufficio del tenente della Provincia dell'Ovest, all'entrata di quest'ultimo, sbatte violentemente facendomi sussultare. Siamo all'ultimo piano e dalla lunga finestra alla mia destra si possono scorgere i pochi ragazzi ancora in cortile che si stanno affrettando a rimettere a posto gli attrezzi utilizzati durante il giorno: l'addestramento, per oggi, si è concluso. Mi passo una mano tra i capelli, soprappensiero: l'abbiamo combinata proprio grossa. Lo intuisco dal volto rosso di rabbia del tenente, che una volta sedutosi dietro l'imponente scrivania di tasso pieno di scartoffie da compilare, continua a passare i piccoli occhi leggermente strabici su di noi, incessantemente. Le sue grandi mani irsute sono intrecciate tra loro, e tremano lievemente. Probabilmente l'ultima cosa che vuole è perdere tempo con reclute che non conosce neanche, provenienti da un'altra caserma. Soprattutto se, come fa intuire l'interminabile catasta di documenti, ha parecchio lavoro arretrato. Ho solo un attimo per pensare che nessuno dei nostri istruttori aveva un ufficio, poiché ogni decisone veniva scelta insieme, poi finalmente il tenente si decide a parlare. "Siete stati trasferiti. Alla Provincia del Sud." La sua voce è fastidiosamente nasale, e credo scoppierei a ridere se non avesse appena pronunciato queste parole. Cosa significa trasferiti al Sud? Dai nemici? Ma sono completamente impazziti? Sento di fianco a me James schiarirsi la voce. "Signore, se posso permettermi di chiedere..." Il tenente batte la mano sulla scrivania che ha di fronte, facendoci sobbalzare. "Non interrompermi quando parlo!" Il suo timbro quando urla è ancora più ridicolo, e non riesco a fare a meno di soffocare una risata, nonostante la situazione. I suoi occhi saettano verso di me pieni d'odio. Credo che se non fosse per il suo grado, mi prenderebbe volentieri a ceffoni. "Siete stati mandati in missione. Il vostro compito è infiltrarvi nelle schiere nemiche per carpire più informazioni possibili e, ovviamente, riferirci le loro mosse. Comunicherete con noi tramite intermediari. Riusciranno a trovarvi loro, non preoccupatevi a cercarli. Partite domani mattina all'alba. Il nostro elicottero vi porterà fino al nostro confine, dovrete fare solo un giorno di marcia per arrivare alla Base del Sud. Ordini del colonnello." Rimane un attimo in silenzio, per darci il tempo di assimilare le informazioni che ci ha appena fornito. Nella mia mente turbinano una miriade di domande, ma ho paura che aprendo bocca possa riversarmi addosso tutta la sua furia. Così, aspetto che ci dia lui il permesso di parlare. "Avete domande?" Ci chiede infatti, poco dopo. "Signore." Mi giro a guardare Sarah, la sua voce che trema leggermente. Evidentemente è turbata quanto me, dalla nostra missione. "Come faremo a ingannarli? Si accorgeranno subito della nostra presenza." "Vi fingerete disertori, desiderosi di allearvi col nemico in quanto scontenti dei nostri metodi. Probabilmente vi chiederanno di provarlo, ma voi fate quello che vi diranno. Appena inizieranno a fidarsi di voi, faremo in modo di contattarvi." Non oso immaginare come faranno a capire quando ci daranno fiducia, ma non glielo chiedo. Probabilmente useranno la rete di spionaggio della Capitale. La cosa non mi sorprende più di tanto: in fin dei conti la Capitale è con noi, contro i ribelli dell' Impero. "Non credo, almeno parlando per me e per il mio compagno della Provincia del Nord, che sia una scelta saggia." La mia voce è così piena d'odio mentre parlo, che anche il tenente sgrana per un istante i minuscoli occhietti neri, colpito. Stringo i pugni tremanti di rabbia, mentre comprendo appieno quello che mi stanno chiedendo di fare. Mi hanno ordinato di infiltrarmi tra il nemico, tra quegli esseri così selvaggi e orribili, tra coloro che più di ogni altra cosa desidero uccidere. No, non posso farlo. Non sarebbe giusto. "Caporale maggiore, non è ammessa nessun tipo di replica. Il nostro è un ordine, una punizione per quello che avete fatto. Il colonnello ha ordinato che chi non obbedirà, verrà sbattuto in carcere a vita." Il tenente sta urlando, e in questo momento vorrei solo saltargli addosso e colpirlo. Abbasso la testa, cercando di calmarmi, il sangue che mi pulsa a tutta velocità nelle vene. Non è giusto. Non possono costringerci a fare una cosa del genere. James mi stringe la mano, e capisco che anche lui è furente quanto me. "In più, avete dimostrato controllo e capacità logica eccezionale, nel test che avete eseguito oggi. Sappiamo che ce la potete fare." Il suo tono è leggermente meno aspro, ma comunque pieno di rancore. Bhe, James aveva ragione. Alla fine, tutto questo trattarci bene era solo un modo per esaminarci da vicino, testare le nostre capacità. Mi sento presa in giro. So che se rimango un altro secondo in questa stanza esploderei, devo andarmene. "C'è altro?" La mia voce è tagliente come la lama di un coltello. Il tenente annuisce, forse gode nel vedermi così. "Entro domani mattina, dovrete sapere a memoria tutti i nomi e le caratteristiche principali dei capi della Provincia del Sud. Nelle vostre camere troverete le schede." Questo è troppo. Avverto i miei piedi trascinarmi fuori dalla stanza senza neanche concedermi il tempo di congedarmi. Sento le urla del tenente alle mie spalle che mi ordina di tornare indietro, ma a quelle parole affretto il passo. Non so nemmeno io dove sto andando, voglio solo mettere quanta più distanza possibile tra me e quell'ometto così odioso e insensibile. Quasi non me ne accorgo, quando arrivo in cortile. Il sole sanguigno sta accarezzando il pallido cielo con gli ultimi raggi, mentre sua sorella, la luna, si sta preparando per la sua entrata in scena. Intorno a me regna un silenzio di tomba, ormai sono l'unica ancora fuori. Inspiro l'aria fresca della sera, profumata di primavera, mentre sento le lacrime affiorare tra le mie ciglia. Deve essere un incubo, uno spaventoso incubo. È per questo che mi sono allenata così duramente, per essere mandata tra la gente che più odio al mondo? E perché il colonnello lo ha ordinato espressamente? Scuoto la testa, un gelo infinito dentro al mio cuore. Come sempre, so solo pormi domande di cui non conosco la risposta. Mi inginocchio per terra, il peso di tutti i miei dubbi che mi schiaccia, impedendomi di stare in piedi. Chiudo gli occhi, cercando di emarginare questa angoscia infinita. È incredibile come solo poche ore prima io fossi così felice coi miei amici, e adesso... Nella mia mente scatta qualcosa, risvegliata da un'improvvisa illuminazione. È questa la parola chiave: amici. Le persone che amo di più al mondo, che mi conoscono forse meglio di me stessa, che ogni volta che sono triste trovano sempre il modo di risollevarmi il morale. Che hanno condiviso insieme a me i momenti più belli della mia vita. Alcuni sono morti, altri li ho appena incontrati. Ed è per questo che devo andare laggiù. Per difenderli, per proteggerli. Perché facendo questo sacrificio, riusciremo a finire questa folle guerra. A sconfiggere quei mostri. "È finita." La voce di James alle mie spalle mi fa sobbalzare, lugubre e improvvisa. Non promette niente di buono. Mi alzo in piedi, girandomi a guardarlo. I suoi occhi sono decisi e pieni di tristezza, il bel miele bruciato ora scuro come ebano. "Cosa è finita?" La mia voce trema, come se avesse un terribile presentimento. "La mia carriera da soldato. Sono pronto ad accettare la prigione." Credo di essere sul punto di svenire. Il mio cuore perde un battito, tutto il mio mondo si ferma. Non può dire sul serio. Non posso farlo, se non ho lui al mio fianco. In questo momento, come quando ero minacciata da Fred, come nel bosco con la ragazza della Provincia del Sud, come questa mattina nella camera durante il test, capisco quanto sia importante per me. E mi rendo conto che è per lui che ogni giorno ho la forza di svegliarmi, aprire gli occhi e ricominciare a lottare. È lui che mi dà quella speranza di vincere, di un mondo migliore. Un mondo dove lui è mio. Cerco di deglutire, ma ho un blocco di marmo in gola. "Come.. Perché...?" Non riesco nemmeno a mettere insieme una frase, sento solo calde lacrime iniziare a scendermi lungo il viso. Lo scruto, cercando di leggere i suoi pensieri. Di solito ci riesco, è uno dei miei passatempi preferiti. Ma questa volta è inaccessibile, i suoi occhi, ora terribilmente duri, mi guardano impenetrabili. "Non ce la faccio ad andare là. È troppo per me, io non posso..." La sua voce si incrina pericolosamente. "Ti prego non guardarmi così." La sua è una supplica, il suo dolore palpabile. Sta cedendo. Sia io che lui lo sappiamo, e credo che sia per questo che abbassi lo sguardo. "Jay, dobbiamo farlo. Solo così sarà finita, solo così riusciremo..." "A far cosa Andy? Dimenticare? Credi che tutto quello che hanno fatto quei mostri verrà cancellato? Che tutti i nostri ritorneranno magicamente in vita, che la nostra caserma riapparirà da sé, come se non fosse mai stata presa?" Sta urlando, e mi fa paura. Il suo viso è trasfigurato dall'odio, bellissimo e pericoloso. Letale e irraggiungibile. "Abbandonare l'impresa non ti aiuterà certo a stare meglio." Nella mia voce avverto una punta di disprezzo, e mi odio per questo. Lui la percepisce, e inchioda i miei occhi ai suoi. Trattengo il respiro, mentre quell'ambra penetra dentro ogni parte di me. Ne sono pervasa, ed è così bella che non posso fare a meno di continuare a guardarla. Così tagliente, così spietata. Così splendente. "Non puoi arrenderti così." La mia è una preghiera, il mio tono un lamento. Le lacrime continuano a scendere inesorabili sulle mie guance, e vorrei tanto che lui me le accarezzasse via. Ma lui rimane immobile, sondandomi nel profondo. Mi chiedo cosa stia cercando di capire. "Perché non dovrei?" Le sue labbra si piegano in un sorriso amaro. Non posso continuare a fissarlo negli occhi, non ne ho il coraggio. Lo sto perdendo, sta scivolando via da me, inesorabilmente. No. Quei mostri non riusciranno a portarmi via anche lui. La mia mente è in bianco, sento tutto il mio corpo tremare. Mi avvicino a lui, non riuscendo a pronunciare nemmeno una parola. Gli afferro la maglietta prima che lui abbia il tempo di dire o fare qualsiasi cosa, poi sento solo le mie labbra sulle sue. Ha un sapore buonissimo. Lui sussulta, colto alla sprovvista, e io mi scosto, temendo di aver osato troppo. Ma James mi trattiene, ricambiando il mio bacio con una passione tale da lasciarmi senza fiato. Sento la sua mano scivolare lungo la mia schiena, attirandomi ancora di più a lui, l'altra che affonda nei miei capelli, l'uno che assapora ogni parte dell'altra. Le mie mani si staccano dalla sua maglietta mentre si avvinghiano alla vita, il bisogno di assicurarmi che tutto questo sia reale, che non sia solo un meraviglioso sogno. Non riesco a crederci, sta succedendo davvero, siamo qui, io e lui, sono i nostri i corpi che si modellano l'uno all'altro, le nostre le labbra che danzano in un ballo che è solo nostro e che solo noi potemmo mai replicare. Sento il mio cuore piroettare entusiasta dentro di me, mentre un fuoco divampa dentro al mio ventre, inaspettato e sconosciuto. La mia pelle freme ad ogni suo tocco, facendo riverberare dentro di me ogni sua carezza. Le nostre mani si cercano, le nostre bocche si intrecciano, la consapevolezza di essere finalmente una cosa sola che ci riveste come uno splendido manto. Le fiamme dentro di me divampano, ormai inarrestabili, il mio corpo ridotto ad un guscio vuoto desideroso solamente di essere sua, per sempre. Sento James staccarsi da me troppo presto, il suo viso leggermente rosso e affannoso, pieno di felice stupore. "Perché questo?" Il suo tono non è più duro come prima. Il mio cuore accelera i battiti nel petto, il mio stomaco si annoda su sé stesso. Sento che sto sorridendo. "Perché io ti amo." Ecco, l'ho detto. Magari non avrei dovuto, magari è sbagliato. Ma è così, e vorrei gridarlo al mondo intero, fino alla fine dei miei giorni. Che forse non sarà poi così lontana. Ma non mi importa, perché finché avrò lui sarò felice. Gli prendo il viso tra le mani prima che lui abbia il tempo di dire qualsiasi cosa, la mia fronte che si appoggia alla sua. "Resta qui con me. Ti prego." Sento le sue labbra baciarmi dolcemente, poi le sue braccia circondarmi. "Va bene." La sua voce è cristallina e serena, non c'è traccia alcuna di rimorso. Appoggio il mio viso al suo petto, il suo cuore che mi culla col suo ritmo profondo e lento. "Promesso?" Sento un sorriso stirarmi le labbra, in memoria della nostra conversazione nel bosco, prima che Philippe ci interrompesse. Lo sento ridere piano, ed è un suono meraviglioso. "Promesso." Tiro un sospiro di sollievo, accorgendomi solo ora di avere trattenuto il fiato fino a questo momento. Lui se ne accorge, e lo sento stringermi ancora di più. "Ti amo." Sono le due parole più belle che gli abbia mai sentito pronunciare. Le uniche di cui ho bisogno. Di cui avrò sempre bisogno. Chiudo gli occhi, una dolce calma che si impossessa di tutta me stessa, come il mare che si placa dopo una tempesta. Il profumo di James mi avvolge, buonissimo e mio. A questo pensiero non posso fare a meno che sorridere, piena di gioia. Lui è mio. Mi ama. Questo bellissimo, coraggioso ragazzo mi ama. Non riesco a capacitarmene, ma è così. "Ti posso fare una domanda?" La sua voce è calda e dolce. "Mmmh" riesco solo a rispondere. Lo sento sorridere, divertito. "Non ti stai addormentando, vero?" Questa volta è il mio turno sorridere. "Non saprei, è una sfida?" "Non direi proprio. Dai, che ti devo chiedere una cosa importante." "Va bene, va bene. Spara." "Perché mi hai detto che amavi lui?" Queste parole mi fanno spalancare gli occhi di colpo, mentre sento le mie gambe vacillare. Il mio cuore viene trapassato da parte a parte, mentre la mia mente vola da un ragazzo in ospedale, gravemente ferito. Che ho tradito. Solo ora capisco che cos'ho fatto. E ne sono disgustata. Alla fine, ho commesso tutto quello che mi ero ripromessa avrei evitato di fare a tutti i costi. Sento James scostarsi da me. Deve aver capito il mio turbamento, perché mi solleva il mento in modo che lo guardi negli occhi. Al contrario di quello che avrei mai immaginato, il suo sguardo è sereno e dolce. "Andy." Il mio nome. Lo pronuncia in un modo che mi fa sussultare il cuore nel petto. "Io ti amo. E so che anche tu mi ami." Mi sta parlando come si fa con una preda spaventata, che sta per essere catturata. Il suo tocco è lieve come un fruscio di vento. "Smettila di scappare." Le sue parole mi colpiscono, e capisco di essere stata presa. Ha ragione. Ormai ho fatto la mia scelta, e sono felice di averla fatta. Abbozzo un sorriso, mentre annuisco lievemente. Lo vedo sorridere, e solamente ora mi lascia andare. "Allora credo proprio che io debba andare a fare due chiacchiere col colonnello e comunicargli il mio cambiamento d'idea." No, non voglio che se ne vada, lasciandomi sola. È stupido e insensato, lo so, ma vorrei rimanere al suo fianco per sempre. Gli afferro la mano che lui aveva già ritirato, come una bambina che non vuole lasciare il suo genitore, la sua ancora di salvezza. Lui mi sorride, poi mi bacia lentamente. Uno sfarfallio mi nasce nello stomaco. "Farò in fretta. Te lo giuro." So che dice la verità, così lascio la presa su di lui. Rimango imbambolata a guardarlo andare via, la sua bellissima camminata che rimbalza dentro il mio cuore. Credo di avere uno stupido sorriso stampato in faccia, ma non posso farci niente. Per la prima volta dopo tanto, sono assolutamente, totalmente felice. "Dunque è così." Una voce alle mie spalle mi fa rabbrividire di colpo, il mio cuore si ferma. Mi giro nella sua direzione, un groppo in gola che mi pare di pietra. "Jon..." Riesco solo a dire, incapace di aggiungere altro. I suoi occhi sono carboni ardenti, i suoi lineamenti marcati stretti in una morsa di acciaio. Il suo viso è bianco come un lenzuolo, e solo ora mi chiedo perché sia uscito dall'infermeria. "Cosa ci fai qui?" La mia voce è ridotta ad un soffio. "Mi hanno detto di andarmi a prendere una boccata d'aria e così ho fatto." La sua voce è dura e fredda, e in questo momento so di averlo ferito. Un pensiero ancora più orribile mi passa per la testa: da quanto è qui fuori? Quanto ha visto o sentito? Un dolore che assomiglia molto al senso di colpa mi trafigge il petto come un coltello, da parte a parte. "Jon mi dispiace io..." "Da quanto tempo va avanti così?" Le sue parole mi feriscono, e mi chiedo che genere di persona pensa di trovarsi davanti. Io sono sempre la stessa! "Da questo pomeriggio." La mia voce suona più dura di quanto volessi, e mi pento subito di quello che ho fatto. Lo sento sussultare e vorrei prendermi a ceffoni. "Ma certo." Riesce solo a dire. "Jon." Il mio tono è deciso e lo fa sobbalzare. Mi avvicino verso di lui, e forse sbaglio, ma gli prendo la mano. Siamo io e lui, come lo siamo stati per un sacco di tempo. Sempre gli stessi. "Io ti ho amato veramente." Riesco a dirgli, i miei occhi che cercano i suoi, che però sono sfuggenti. Sono lontani. Vedo la sua bocca piegarsi in una risata amara che mi fa arrabbiare e mi ferisce al tempo stesso. Finalmente i suoi occhi scuri si fissano sui miei. L'ultima cosa che dice prima di andarsene, liberandosi con rabbia dalla mia stretta mi fa sussultare. "Non abbastanza."

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Capitolo 13
*** Imprevisto ***


Il rombo tagliente del motore dell'elicottero di fronte a me, mi distoglie dai miei turpi pensieri. Siamo sul tetto della caserma ed è poco dopo l'alba. tutto intorno a noi è assopito in una così dolce quiete che mi sento quasi arrabbiata nei confronti di quell'aggeggio metallico, che la turba così tanto. Deglutisco, un blocco di marmo nello stomaco. Sto per farlo. Sto per andare nella tana del lupo, tra i nostri nemici. Sospiro, ripassando nella mente il nostro saluto appena dato a Philippe. Glielo abbiamo detto stamattina, dato che abbiamo passato tutta la notte a studiare quella stupida lista, dataci dal tenente, sui principali capi della Provincia del Sud, in modo da sapere chi avremo davanti una volta arrivati a destinazione. A ripensarci lo stomaco mi si stringe in una morsa dolorosa: eravamo appena riusciti a ricongiungerci, e adesso... siamo costretti a separarci di nuovo. "Ehi, state tranquilli. È lavoro, no?" Ci aveva detto, una strana malinconia sul viso. Aveva cercato di sdrammatizzare, com'era tipico del nostro amico, ma sapevamo tutti e tre, anche se nessuno osava dirlo, che forse sarebbe stata l'ultima occasione per stare tutti insieme. Avverto qualcuno cingermi la vita, riportandomi alla realtà, e girandomi di scatto il mio cuore piroetta. È James. Almeno, avrò lui al mio fianco. E finché sarà così, so di potercela fare. Sento il suo sguardo su di me, e non riesco a fare a meno di ricambiarlo. Quell'ambra infinita mi allenta il nodo che ho allo stomaco, strappandomi un sorriso malinconico. Lui mi sorride a sua volta, i suoi denti splendenti che mi lasciano senza fiato. Guardandolo meglio noto che si è rasato la barba che gli era iniziata a crescere incolta sul bel viso. Gli dà un'aria più fresca, più pulita. È semplicemente bellissimo. "Finché starò insieme a te, non mi importa quel che accadrà." Il suo bisbiglio tra i miei capelli è un bacio delicato. So che ha ragione. Perché per me è lo stesso. Ora capisco di essere pronta a salire sull'elicottero. Questo è appena atterrato, e dal posto di comando vedo il pilota attendere la nostra salita a bordo. Il tenente, prima vicino a noi, fa un passo avanti. È ora di andare. "Buona fortuna, soldati. Attendete nostri ordini." La sua voce è ancora più stridula mentre urla, per sovrastare il rumore provocato dalle eliche. Mi mordo la lingua per rimanere seria, non riuscendo a non trovare ridicolo il suo petulante trillo, mentre scatto sull'attenti in segno di saluto. Almeno, c'è un lato comico in tutto questo mare di dolore. Anche se, stanotte, mentre continuavo a studiare quei volti scuri dei miei nemici, ci sono arrivata. Non è solo una questione personale, che mi spinge ad andare laggiù. È perché il solo pensiero di poter determinare la vittoria dei nostri in pochi mesi, mi spinge a farlo. Ne sento quasi un bisogno fisico. Forse è per questa ragione che avanzo a passo deciso nella pancia dell'enorme veicolo. Sento dietro di me i miei compagni fare lo stesso. Poi siamo in volo. Rimango quasi incantata di fronte al meraviglioso panorama pieno di prati e fiumi sotto di me, e non posso fare a meno di fissarlo meravigliata. È per queste belle cose che vale la pena combattere. Andare avanti. Fino alla fine. Il rumore di qualcuno che tira su col naso, mi fa girare. Lo stomaco mi si contrae in una morsa di pietà. Di fianco a me, Sarah sta piangendo sommessamente. So che è più difficile per lei, perché deve lasciare tutti i suoi amici, la sua casa. Noi non abbiamo più un punto di riferimento, per fortuna o per sfortuna. Ma lei, lei ha dovuto abbandonare tutti. Forse per sempre. So che è stupido. Siamo soldati, siamo stati addestrati per questo. Ma finché non lo si prova sulla pelle è impossibile capire. Sento le mie mani sciogliersi da quelle di James, seduto accanto a me, e afferrare con delicatezza quelle di Sarah. La scorgo arrossire, forse per l'imbarazzo di essere stata colta a piagnucolare. "Va tutto bene." Le sussurro sommessamente, con dolcezza. Poi sento le sue braccia stringermi, la sua testa appoggiata alla mia spalla, i suoi singhiozzi più celati. "Va tutto bene..." Le ripeto, come in trance, lievemente a disagio per quella manifestazione di affetto così improvvisa. Il mio cuore si stringe dolorosamente, rendendomi conto di quanto follemente quella ragazza mi ricordi Rachel. La sua dolcezza, la sua intraprendenza... "E se non li dovessi più rivedere? Se... Se dovessimo..." Le impedisco di dire altro, la stringo ancora di più a me. No. Non lascerò che anche lei mi scivoli via. Se continua a essere così fragile, avrà più possibilità di cadere. Non lo posso permettere. Mi stacco da lei, piantandole lo sguardo nei suoi occhi verde prato. "Tu li rivedrai. Noi vinceremo. E tornerai a casa. Te lo prometto." La mia voce è salda, il mio cuore pronto alla battaglia. So cosa mi aspetta, e sono più che decisa ad affrontarlo. Vedo Sarah asciugarsi le lacrime, e so che anche lei ora sa cosa è giusto fare. Passiamo il resto del viaggio in silenzio, dormicchiando o guardando fuori. Le enormi distese di campi, mano a mano che ci spostiamo verso sud, si fanno molto più rarefatte e aride, fino a che sotto i nostri occhi non appare altro che deserto. Di tanto in tanto, si scorge qualche sporadico e rigoglioso oasi, ma ad eccezione di questi non v'è altro che desolazione. Quanto è diverso questo paesaggio dai nostri fitti boschi, dal freddo pungente che mi fa sentire così viva, dalla neve che si imperla tra i capelli accarezzandoli con grazia... Uno scossone improvviso mi riporta alla realtà, presa così com'ero dai ricordi. Sento di fianco a me James sbadigliare, i capelli spettinati e la maglia stropicciata. Guardandolo non riesco a trattenere un sorriso. Sembra così sereno quando dorme, così rilassato... Tutt'altro a che vedere rispetto al James tenebroso e tormentato che spesso vive durante il giorno. Lui deve essersi accorto del mio divertimento, perché mi guarda con un'espressione tra l'imbronciata e il comico. "Buongiorno, bell'addormentato." Lo canzono, ridacchiando. "Che fai, ti burli di me?" Il suo tono è giocoso. Adoro quando è così. Sento le mie labbra schiudersi in un altro sorriso. "Forse." "Piccola insolente..." Con un balzo mi afferra e mi deposita sulle sue gambe, mentre inizia a farmi il solletico. Una risata involontaria mi esce dalla gola, mentre cerco di divincolarmi. "James smettila!" Protesto, ma a quell'affermazione lui continua ancora più insistentemente. Sento i miei occhi lacrimare per il troppo ridere, e in quel momento mi chiedo se non siamo completamente pazzi a scherzare così durante un momento del genere. Stiamo per affrontare quei mostri, gli stessi che la notte mi tengono sveglia fino a tardi e non riescono a farmi chiudere gli occhi, gli stessi che hanno ucciso Rachel e Frederica, gli stessi che hanno preso la nostra caserma. E poi, capisco. Noi abbiamo qualcosa che nessuno potrà mai portarci via, anche se dovessimo morire: l'amore. Profondo, indissolubile, tormentato. Ci ha sempre uniti, ci ha salvato, ci ha fatto ritrovare. Quasi non mi rendo conto che ha smesso di farmi il solletico, e che mi sta fissando. Quegli occhi. Avrei voglia di baciarli, di mangiare quel miele caldo e dolce, di essere riempita da quell'oro, prezioso quanto lui. Non riesco a dire niente, non riesco a muovere nemmeno un dito. È questo l'effetto che mi fa. Il suo viso si avvicina al mio, e il suo profumo muschiato mi avvolge come un mantello. Il mio cuore mi schizza in gola, il mio stomaco si fa di marmo, il mio ventre è in subbuglio. Sono davvero così ridicola? Deglutisco, o almeno tento, perché mi rendo conto di avere la bocca asciutta. "Sei adorabile, Andy." Mi sussurra. Le mie gambe tremano, e so per certo che cadrei se fossi in piedi. Poi le sue labbra sono sulle mie, morbide, calde, profumate. Sono buonissime. E come alla caserma dell'Ovest, quando ci eravamo baciati per la prima volta, sento un fuoco accendersi dentro al mio ventre. Prima piano, lentamente, poi sempre più insistentemente, pulsante. Il mio bacino si stringe di più a lui, bramando il suo tocco su ogni angolo della mia pelle. I miei baci si fanno più ardenti, le fiamme dentro di me che ormai divampano, incendiando ogni cosa... L'elicottero che si ferma mi fa sobbalzare. Siamo davvero atterrati? E come ho fatto a non accorgermene? Di scatto mi libero da James, mentre sento le mie guance avvampare sotto gli sguardi imbarazzati di Sarah e Richard, che mi fanno intuire di non essere passati inosservati. Credo di voler scomparire sotto terra, e per un attimo ritorno la ragazza nella palestra dei combattimenti con Aper. Scrollo le spalle. Non devo pensarci. "Muoviamoci." Borbotto, cercando di riprendere un minimo di autocontrollo. Non attendo nemmeno una risposta, balzo giù dall'elicottero senza neanche aver salutato il pilota. Il panorama che ci attende è dannatamente caldo e secco, afoso. Non un alito di vento scompiglia le dune dorate, il silenzio rotto solamente dalle eliche dell'elicottero. Il cielo è di un azzurro intenso, terso, senza nemmeno una nuvola a giocare con lui. Questo posto non mi piace, per niente. Mi fa sentire scoperta, in pericolo. Niente a che vedere con i nostri verdi boschi, che offrono una rassicurante sensazione di protezione continua. Istintivamente la mia mano corre alla pistola assicurata alla cintura. Quello è stato uno dei pochi punti su cui mi sono trovata d'accordo col colonnello. Le armi ci sarebbero servite, mandarci senza sarebbe stata una follia. Tre tonfi per terra mi avvisano che anche gli altri sono scesi. Poi l'elicottero vola via, sollevando immense nubi di sabbia. Il silenzio che si crea è quasi inquietante. Mi mordo il labbro, soprappensiero. Il tenente ci ha informati del fatto che ci avrebbero depositati in una zona abbastanza lontana per non correre il rischio di essere scoperti, ma ciò aumenterà la durata del viaggio. Per non parlare del caldo che già mi sta penetrando nella pelle, mandandomela a fuoco. Inoltre, non ci hanno consentito di portare alcuna mappa con noi, cosi se ci dovessero perquisire non desteremo sospetti: abbiamo dovuto imparare il percorso a memoria. Tuttavia, so già a chi di noi toccherà il compito di ricordarsela. "Richard." Lo apostrofo, la voce involontariamente autoritaria. "Te la senti di guidarci?" Vedo il nostro compagno di squadra sistemarsi gli occhiali, nervoso. Probabilmente non è a suo agio a stare al centro dell'attenzione. Tuttavia annuisce, i lineamenti fini contratti. Poi ci indica con un dito la traiettoria che dobbiamo intraprendere, circa verso sud-est, iniziando a camminare. In breve tempo sono bagnata fradicia. Rivoli caldi di sudore mi imperlano la fronte, i capelli lunghi appiccicati sulla schiena. Il sole sempre più alto nel cielo mi sta uccidendo, la mia pelle chiara che quasi sembra riflettere i bagliori dei suoi raggi. Digrigno i denti, più accaldata che mai. Il tenente ci aveva avvisato del tremendo caldo che avremo subito durante il giorno e del crudele freddo durante la notte. Perciò ci aveva fornito di una canottiera e di una giacca termica, all'apparenza normalissima. Che, decido con stizza, è arrivato il momento di togliere. Con rabbia, me la strappo di dosso, legandomela in vita e rimanendo vestita solamente di una leggera canotta di cotone. No, non è ancora abbastanza. Devo fare qualcosa per tenermi al fresco o morirò per un' insolazione. Così lacero una lunga striscia della mia canottiera, legandomela a mo' di bandana in testa e con un'altra parte raccogliendo i capelli. Non riesco a fare a meno di sospirare, lievemente sollevata. Uno strappo di fianco a me mi conferma che anche James ha fatto lo stesso. Guardandolo, con la pelle abbronzata, la bandana in fronte che gli svolazza sulle spalle, bellissimo e per nulla affaticato, mi viene quasi da chiedermi se non sia anche lui un soldato proveniente dalla Provincia del Sud. In quel momento lui si accorge che lo sto fissando, così mi affretto a spostare lo sguardo, imbarazzata. Credo che stia per dire qualcosa, ma in quel momento delle urla belluine molto vicine a noi mi fanno accapponare la pelle. Sono loro, sono i mostri. Cosa ci fanno qui? Che motivo avrebbero? Non lo so, so solo che se ci scoprono qui, così vicini al confine con la Provincia dell'Ovest, siamo morti. Una scarica elettrica mi attraversa tutto il corpo, l'adrenalina mi trapassa le vene. Il mio respiro si fa affannoso, mentre cerco un modo disperato per salvarci. Quelle urla sono vicine, maledettamente vicine... Mostruose, disumane, fanno accapponare la pelle. Non riesco a muovermi, sono impietrita dal terrore, e se non fosse per James che mi afferra per un braccio credo che sarei persa. "Andiamo!" Mi ringhia, agitato, mentre con la coda dell'occhio vedo Sarah e Richard seguirci. Il mio migliore amico mi trascina dietro una duna enorme, in un punto più alto rispetto a quello dove eravamo prima.  L'unica speranza per noi è che non ci vedano, perché se li uccidessimo manderemo in fumo il nostro piano di infiltrazione. Il mio corpo trema, mosso da brividi incontrollabili. Non ho mai avuta tanta paura in tutta la mia vita. Il cuore mi martella nel petto, terrorizzato, la consapevolezza di non poter fare nulla per salvarci che mi perseguita. Le urla sono ormai a pochi passi da noi, sotto la nostra duna, bellicose, pronte all'attacco. Strizzo gli occhi così tanto da vedere miliardi di puntini rossi nelle mie palpebre, il sudore che mi cola copioso lungo la schiena, il respiro sempre più affannoso. Ma non succede niente. Passano oltre, ignare, come uno sciame di insetti velenosi. Poi, di nuovo il silenzio. Solo ora noto di essere accasciata a terra, abbracciata stretta tra le braccia di James. Il mio corpo si rilassa di botto, come se fosse stato tutto solo un terribile incubo. "Per... Perché non ci hanno attaccato?" La voce di Sarah è tremante, scossa quanto me. Nessuno le risponde, perché nessuno lo sa. Nessuno sa cosa sta succedendo. "Forza, rimettiamoci in marcia." Ci esorta James. Mi bacia delicatamente su una guancia, poi mi tira su. Ed è in quel momento che lo vedo, alle sue spalle. Un uomo in nero, tutto avvolto in una tuta sintetica, il passamontagna sul viso. Ed è armato. Succede tutto come se fosse al rallentatore. Ho solo un attimo per spingere per terra James, mentre la mia mano vola alla pistola che ho legata alla cintura. Da qualche parte nella mia mente mi accorgo di averla impugnata e di stare mirando contro quell'uomo. Poi sento uno sparo. Lo vedo accasciarsi a terra, morto. Ce l'ho fatta. O almeno, è quello che credo, fino a quando non vedo un rivolo di sangue uscire dal ventre di James. È stato colpito.

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Capitolo 14
*** Spie ***


Il sangue mi si congela nelle vene, mentre capisco che il mio cuore sta per infrangersi in mille pezzi. Apro la bocca per urlare, ma dalla gola non mi esce alcun suono. Riesco solo ad accasciarmi a terra, come se la mia anima stesse abbandonando il mio corpo. Non può essere vero. Sto vivendo un incubo, uno spaventoso incubo, e tra poco mi risveglierò e James mi cullerà tra le sue braccia, per calmarmi. Sento qualcuno afferrarmi da dietro, ma non mi importa. Non ho neanche la forza di urlare, cerco solo di scalciare debolmente ma anche questo tentativo di fuga non è lontanamente convincente. Sto smettendo di vivere, lo sento, avverto il mio cuore spegnersi come una stella al sorgere del sole. Mi giro, distrattamente, e vedo un altro uomo col passamontagna tirarmi su, come un peso morto. Con la coda dell'occhio vedo che hanno riservato lo stesso trattamento a Sarah e a Richard. Sono tantissimi, sbucano da dietro ogni duna. Non mi chiedo nemmeno chi siano, non mi interessa. Voglio solo sapere se James è ancora vivo, se ce l'ho fatta a proteggerlo. O se sono un completo fallimento. Lui non si muove, è steso per terra, esangue, una macchia scarlatta che si allarga sempre di più vicino al suo ventre. Devo tirarlo su, devo vedere se ancora respira... Una rabbia immensa si sprigiona dalle mie viscere, primitiva e selvaggia. Sento il mio bacino roteare su me stessa e liberarsi dalla presa del primo uomo, mentre con le braccia prendo a gomitate il secondo. Non so come, ma riesco a liberarmi. "James!" Qualcuno urla il suo nome, e solo quando mi butto su di lui capisco che a gridare sono stata io. Lo afferro per le spalle, girandolo, il mio stomaco che si attorciglia, scariche elettriche che mi torturano il corpo. Il suo volto è cereo, le sue folte ciglia chiuse. Appoggio il mio viso al suo sperando, pregando in un miracolo. Passano i secondi, ogni rumore attorno a me sparisce. Non ci sono più le urla di Sarah, le minacce di quegli uomini, niente. Solo il battito martellante del mio cuore nel petto, che squarcia il silenzio. E poi lo sento. Un soffio flebile, sottile, tenue, ma pur sempre vitale. James è vivo. Il mondo riacquista colore, sento le mie labbra schiudersi in un sorriso folle. Poi mani nere mi ritirano su, ammanettandomi i polsi. Cerco di divincolarmi, ma appena lo faccio mi stringono ancora di più i polsi. "Chi siete? Cosa volete da noi?" Sibilo, un velo di rossa rabbia che mi acceca. Nessuno si degna di rispondermi, mentre due uomini sollevano il corpo di James. "No! Non toccatelo!" Urlo, il mio cuore che piange, mentre mi divincolo come un'ossessa. Le manette mi penetrano nella carne, fitte di dolore lancinanti mi fanno lacrimare gli occhi. Ma la cosa al momento non mi tocca. "Lasciatelo stare!" È una supplica, e mi odio per questo, ma l'unica mia preoccupazione è la sua salute al momento. Un uomo mi si avvicina, forse mi ha ascoltato. Non lo sento neanche arrivare. Lo schiaffo mi colpisce in pieno volto, duro e forte, mi sbatte a terra. Cerco di rialzarmi, ma non ci riesco. Sono troppo stordita. La mia vista non riesce più a mettere fuoco, vedo solo due scarpe nere nella mia visuale. Scioccamente, mi ricordano quelle di Fred. Poi il mondo sparisce, e io precipito in un oblio nero. Quando mi risveglio, la prima cosa che percepisco è il fresco: non sono nell'infernale e afoso deserto, bensì in un posto riparato e oscuro. E silenzioso. Guardandomi attorno mi accorgo di essere seduta su una sedia, ammanettata, e una luce artificiale mi illumina il volto. Sono sola. La botta che ho ricevuto deve essere stata davvero forte, perché faccio ancora fatica a risvegliarmi del tutto. Un mugolio mi esce dalle labbra secche, e solo ora mi accordo di averle tumefatte. "Maledetti bastardi..." In quel momento un pensiero mi lacera, svegliandomi completamente. "James!" Dov'è? Cosa gli hanno fatto? Inizio a divincolarmi. Devo riuscire a liberarmi, devo... Una porta alle mie spalle si apre con un tonfo. Sento dei passi profondi camminare lentamente. Poi una voce, altrettanto bassa, mi fa sussultare. "Smettila di agitarti, non servirà a niente. Le manette sono studiate in maniera tale da stringere ancora di più la morsa sui polsi." Lo so, lo so benissimo. Ma non per questo smetto. "Dove sono i miei compagni? Chi siete?" La mia voce è impastata, devo essere svenuta per un lungo tempo. L'uomo continua a rimanere dietro di me, e neanche girando la testa verso la fonte da cui proviene la sua voce riesco a scorgerlo. "Sono qui, soldati ben addestrati li stanno sorvegliando. Per ora sono vivi, ma la loro salute dipende da quanto esaudenti saranno le tue risposte. Per rispondere alla seconda domanda, i miei uomini si fanno chiamare in molti modi. Servi Silenziosi, Sussurratori di Ombre... Ma forse tu ci avrai sentiti nominare come Servizi Segreti Imperiali." Nella mia mente qualcosa si unisce. Si, so chi sono. Alla caserma mi avevano anche dato la possibilità di scegliere, una volta superati i test, se continuare come soldato oppure diventare una spia, una di loro. Eppure... "Che cosa vuole l'imperatore da noi? Siamo in missione per conto della Provincia dell'Ovest. Dovremmo essere dalla stessa parte!" Sto urlando, e quasi non me ne accorgo. Non capisco, non ha un minimo di senso. Non dovremmo essere alleati con loro, con l'Impero? Non stiamo sedando una rivolta folle? "Vero. Ma avete anche assistito allo spostamento di soldati appartenenti alla Provincia del Sud. I miei uomini erano lì da mesi in attesa di informazioni, ma hanno dovuto allontanarsi quando siete arrivati voi, per evitare di essere scoperti. Non hanno assistito a ciò per cui si erano preparati da mesi, per cui io li avevo preparati. Ora voi dovete dirci che cosa avete visto, in nome di sua maestà imperiale!" Ora è il suo turno urlare. Non mi intimidisce per niente, comunque. "Noi non abbiamo visto niente." L'uomo alle mie spalle ride. "E io dovrei bermela?" "Perché mai dovrei mentirvi? A che pro?" Dei passi, poi finalmente riesco a scorgere il capo delle spie imperiali. È alto e magro, ossuto, la fronte larga e capelli scuri e oleosi pettinati all'indietro. Spruzza crudeltà da tutti i pori. "Forse perché state per infiltrarvi nella loro base e non volete che vi scoprano, forse dovete fingere di essergli leali." Sto per aprire bocca, ma non mi dà il tempo di farlo. Le sue dita affusolate si sporgono sui braccioli della sedia, tirandomi verso di lui. I suoi occhi piccoli e chiari mi scrutano con disprezzo. "Ma a me non interessa. Io voglio sapere che cosa avete visto." Scandisce. È assurdo. "Stavamo camminando verso la loro caserma, quando abbiamo sentito delle urla di assalto. Ci siamo nascosti e loro sono corsi nella direzione da cui stavamo venendo, ignorandoci. Non abbiamo visto altro, lo giuro!" L'uomo mi rimane a guardare per diversi istanti. Sembra uno squalo, brutale e spietato, che fissa la preda. Poi spinge la mia sedia lontano. "Tu menti!" "Non è vero!" Lo vedo girarmi intorno, furioso, i piccoli occhi che mi scrutano con cattiveria. Poi di colpo si ferma, voltandosi verso di me. "Ho cercato di chiedertelo con le buone. Ora userò le cattive." Sento le mie labbra tirarsi in un sorriso doloroso. Io sono un soldato. Crede davvero di farmi paura? "Torturami quanto vuoi, ma sarà inutile. Io non so niente. E non ho paura di te." L'uomo ride, una risata isterica e crudele. "Oh lo so, lo so bene. Ma non è su te che useremo le cattive maniere." Sento il mio cuore lacerarsi, mentre un'orribile presentimento mi attraversa come una scarica elettrica. Ecco perché si stanno accanendo su di me e non sugli altri. Perché sanno qual'è il mio punto debole. O meglio, chi. "No..." Bisbiglio senza fiato, mentre il capo dei servizi segreti mi fa alzare dalla sedia. La sua stretta è d'acciaio. Cerco di sfuggire alla sua morsa ma invano, le manette che mi penetrano nei polsi, le lacrime che mi offuscano la vista. "No, no!" Sto strillando, non sembra neanche mia la voce che mi esce dalla gola. Mi dimeno, anche se so che è inutile, poi sento altre braccia tenermi ferma e immobilizzarmi. Continuo a urlare e a scalciare, anche quando capisco che è del tutto inutile. A un certo punto smetto di lottare, mentre quei maledetti uomini continuano a trascinarmi verso un luogo sconosciuto, oscuro e freddo come la stanza in cui mi hanno imprigionata. Non riesco a scorgere nulla, le lacrime mi impediscono di vedere quello che ho intorno, e a me non interessa. Tutto il mio essere, ogni mia emozione è un involucro al centro del mio cuore, pulsante, sul punto di andare in frantumi. Tortureranno James... Il mio coraggioso, buono, tenebroso, bellissimo James. Per cosa poi? Niente. Informazioni che non possediamo, una stupida paranoia di un uomo che detiene le marionette di un immenso teatro segreto. Come posso convincerlo che non sappiamo nulla? Che non siamo altro che soldati che eseguono ordini, pedine di un gioco molto più grande di noi? "Vi prego, non fate del male a James. Io vi ho detto tutto quello che so, chiedete anche agli altri miei compagni, vi diranno le stesse cose che vi ho raccontato io!" Sto singhiozzando. Sento il capo mormorare di fermarsi, poi mi si para davanti. Il mio cuore guizza speranzoso. Mi ha ascoltata. Ma quando vedo il suo sguardo sprezzante, capisco che mi sono solo illusa. Le sue mani bianche come ossa mi stringono il viso. Rabbrividisco a quel contatto. Quando parla, la sua voce mi schernisce. "E tu pensi che io sia arrivato a ricoprire questa carica facendomi raggirare così dal primo soldatino che passa?" La sua stretta si fa più forte, e io reprimo un rantolo. "È la prima regola che insegniamo: raccontare la stessa cosa, esporre i fatti in maniera identica per non far destare sospetti al nemico." Fortunatamente mi lascia andare, poi gli uomini riprendono a trascinarmi. Devo riuscire a escogitare qualcosa, devo riuscire a portarci tutti fuori di qui prima che... In quel momento quegli uomini mi lasciano andare. Percepisco di essere stata sbattuta contro qualcosa di duro e freddo. Strizzo gli occhi e poi li apro, un senso di gelo infinito alla bocca dello stomaco. Quando finalmente metto a fuoco quello che mi sta intorno sento di stare per svenire. Mi trovo su un piano rialzato, attaccata ad una ringhiera. Nello spazio sottostante, illuminato solo da un fascio di luce artificiale molto simile a quella della stanza dove mi avevano imprigionato, c'è James. È appeso per le braccia a una catena ancorata al soffitto, gli occhi socchiusi. Forse è svenuto. Lo spero per lui. Magari soffre di meno. È a petto nudo, la profonda ferita al ventre sanguinolenta. Il mio stomaco si attorciglia. È infetta. E anche molto profonda. Bisogna assolutamente rimuovergli il proiettile e cicatrizzarla, altrimenti l'infezione si estenderà e rischierà di andare in cancrena. "Vi prego, lasciatelo stare..." Sento lacrime rigarmi il viso. In un altro momento mi odierei per questo, ma l'unica mia preoccupazione ora è James. Il suo volto è esangue, le labbra carnose semiaperte in un respiro faticoso. "Lo faremo. Solo se ti deciderai a parlare." La voce dell'uomo che ci ha fatto imprigionare è affilata come la lama di un coltello. "Ve l'ho già detto, non so niente! Ciò che ho visto ve l'ho raccontato!" Gli occhi del capo del servizio segreto sono implacabili. "Quand'è così... Procedete." Fa segno a due uomini al di sotto di noi, che solo ora riesco a vedere, di fianco a James. Anch'essi sono vestiti di nero e col passamontagna. Di fianco a loro, un'intera parete tappezzata di strumenti di tortura. Ma loro non hanno niente in mano. Per un attimo il sollievo mi pervade... Poi uno di quegli uomini assesta un pesante pugno al ventre di James, proprio al centro della ferita. Lo sento mugolare qualcosa di incomprensibile, gli occhi gli si rovesciano. "No!" Urlo a pieni polmoni, le lacrime che iniziano a scendermi nuovamente. Non posso sopportarlo, è una pazzia. In un lampo mi attraversa un'idea folle. Soppeso la distanza che separa la ringhiera dal suolo. Saranno almeno dieci metri. Forse... Forse se morissi lo risparmierebbero. Non saprebbero come ricattarli, non avrebbero più niente per soggiogarli. I soldati non hanno paura della morte. Continuo a ripetermelo, mentre mi sporgo sempre di più sulla ringhiera. Io non ho paura. Ignoro il cuore martellante nel petto a mille, ignoro il mio respiro mozzato, ignoro l'adrenalina che, come una madre apprensiva, mi abbraccia stretta per l'ultima volta. Come per magia, come se avesse avvertito le mie intenzioni, vedo James aprire gli occhi e puntarli su di me. È pazzesco... Nonostante sia legato, ferito gravemente e febbricitante è bellissimo. "Ti amo." Sussurro. In quel mare di ambra noto un guizzo di paura. E di consapevolezza. Poi, come richiamata dal dolce canto dell'oblio, chiudo gli occhi e mi lascio cadere nel vuoto.

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Capitolo 15
*** Evasione ***


L'urlo di dolore di James mi attraversa tutto il corpo, seguito da quello pieno di rabbia da parte del capo dei servizi segreti, ma ormai è troppo tardi. Sono avvolta da un mantello invisibile che mi sta dolcemente portando giù, sempre più giù, fino al centro della terra. È quasi confortante sapere che sta per finire tutto. Niente più dolore, niente più sofferenza... Solo silenzio. Mi ritrovo a sorridere, un ghigno folle di una pazza suicida. Suicida... Che strano umorismo che ha la vita. Sono un soldato, anche se ancora per poco, ho sempre pensato che la mia morte se la sarebbero presa i miei nemici, nei casi più probabili. Che sarei morta combattendo, con onore. Rispettando gli ordini. Ma non è quello che, in un certo senso sto cercando di fare? Non è per salvare la vita di chi amo che mi sono buttata giù da quella ringhiera? Sì, ne sono sicura. Ma allora cosa c'è che mi tormenta tanto, perché non sono fiera di morire così? "Andy!" Quella voce. Apro gli occhi e lo cerco, ed è la mia rovina. Lui è lì, mi sta invocando con tutto sé stesso, le braccia forti che si divincolano come matte dalle catene, il petto muscoloso che si muove su e giù affannoso, la ferita al ventre che pulsa. Cerca il mio viso, i nostri sguardi si incatenano l'un l'altro, si frugano l'anima, un legame eterno che ci unisce e ci lega. Vedo una lacrima solcargli una guancia. Un'unica, scintillante lacrima. Il mio cuore perde un battito. Non ha mai pianto in tutta la sua vita. Le sue labbra stanno scandendo qualcosa. Cerco di frenare la mia discesa, ormai mancheranno pochi metri al suolo. Concentro tutta me stessa, ogni parte del mio essere per captare le sue parole. Voglio sia la mia ultima immagine prima di morire, voglio imprimermi questo momento per sempre nella memoria, così lo porterò con me, ovunque io sarò, una volta morta. "Resta con me." La mia caduta d'un tratto si fa molto più lenta, così come il rombo del sangue nelle mie orecchie e ogni cosa intorno a me. Sento qualcosa intrecciarsi nella mia mente, unirsi in un nodo indissolubile. Ecco perché non sono fiera di morire così. Perché sto rinunciando a combattere, perché mi sto arrendendo. Perché sto voltando le spalle all'amore e alla vita. Quando ero là sopra, sulla balaustra, mi sembrava di non avere altra scelta. Ma mi sbagliavo. C'è sempre una scelta. E io ho preso la mia. Quella di restare e combattere al fianco del ragazzo che amo. In quel momento vengo catapultata nuovamente alla realtà, e solo ora mi accorgo che mancano pochi piedi allo scontro col terreno. No, questa volta mi impongo di non aver paura. Devo portarci via di qua, devo reagire. Solo dopo potrò piagnucolare. Chiudo gli occhi e lascio che l'istinto e gli insegnamenti degli istruttori alla nostra caserma, mi attraversino. Sgombro la mente da qualsiasi cosa, e capisco di non essere mai stata così lucida. Mancheranno ormai pochi centimetri all'impatto. 'Ora!' Di scatto ruoto su me stessa, al fine di arrivare a terra a pancia in giù, la testa alta, le gambe e le braccia piegate. Poi, appena sfioro la superficie del pavimento, mi lascio rotolare a sinistra. Quando vado a sbattere con il gomito contro il muro che delimita la stanza impreco. Un dolore sordo e lancinante si sprigiona in tutto il mio braccio sinistro, ma non è questo il momento adatto a piagnistei. Con un balzo sono in piedi. Non ho nemmeno il tempo di ragionare, corro verso l'uomo più vicino a James e gli assesto un forte calcio in mezzo alle gambe. Ho solo un secondo per guardarlo accasciarsi agonizzante a terra, poi uno spostamento d'aria alle mie spalle mi fa voltare di scatto, facendomi schivare un pugno ben mirato alla giugulare, dal secondo uomo che voleva torturare James. Ho i polsi legati, ma questo non basterà a fermarmi. Schivo un altro colpo del mio avversario, poi contrattacco con un calcio al ventre. L'uomo barcolla, ma non è ancora sufficiente a fermarlo. Con una rabbia sempre più crescente che mi attanaglia lo stomaco, roteo il bacino su me stessa, colpendo il mio nemico in pieno petto, facendogli perdere tutta l'aria che aveva nei polmoni e mandandolo disteso per terra, svenuto. Sospiro, il mio cuore in subbuglio, il respiro affannoso. Poi mi dirigo senza alcun indugio verso gli strumenti di tortura attaccati alla parete. Devo liberarmi da queste infernali manette. I miei occhi scivolano velocemente sulle varie armi. Devo sbrigarmi, tra poco ne arriveranno altri e senza mani libere sarei ben presto sopraffatta. Poi la vedo. Una specie di mazza chiodata, piena di sottili sporgenze rettangolari spesse quanto un foglio di carta ma resistenti, fatte probabilmente in acciaio. L'arma è all'altezza della mia testa, così devo allungare le braccia per raggiungerla. Inserisco una di queste lamelle nel meccanismo di chiusura in modo che scorra contro il dente, stringendo la manetta di una tacca. Delle urla alle mie spalle mi fanno saltare il cuore in gola. Devo muovermi. Gocce di sudore mi scivolano lungo il collo e la schiena, il mio corpo è un fascio di nervi. Spingo con tutta me stessa la lamella contro le manette, poi le apro. Ma non succede nulla. In un lungo, interminabile minuto capisco di essere rimasta incastrata. Le grida dietro di me si fanno sempre più forti. Forse hanno raggiunto James... No. Non lo permetterò. Un rosso velo di rabbia scende sopra di me, rendendomi più forte, più furiosa. Inizio a divincolarmi come una matta, imprecando a denti stretti. Poi, finalmente, quell'oggetto infernale mi lascia andare. I miei polsi sono sanguinanti e scorticati, ma in questo momento non sento nemmeno il dolore. Inspiro, rendendomi conto che ho bisogno di un'arma. Scorgo una pistola corta semiautomatica e me la allaccio alla cintura. Poi prendo un'ascia. È lunga, la falce è larga e spessa. Non oso neppure immaginare quali tipi di torture possa aver causato, so solo che mi serve. Mi giro di scatto, appena in tempo per vedere altri cinque uomini entrare di corsa nella stanza. Sollevo la testa: il capo dei servizi segreti è sparito. Maledetto. Poi non ho tempo di pensare a nient'altro. L'uomo più vicino ha quasi raggiunto James. Succede tutto in un nano secondo: sento il mio braccio destro, quello che regge l'ascia, scagliarla contro le catene che imprigionano James, che si accascia a terra con un leggero tonfo. Un secondo più tardi, lo segue anche il suo assalitore, l'arma conficcata nel cranio. "James!" Le mie gambe gli corrono incontro, la paura per le sue condizioni che si fa strada dentro il mio petto. Lui alza la testa verso di me. "Andy..." La sua voce esprime solo sollievo. Vorrei con tutte le mie forze tuffarmi tra le sue braccia e farmi cullare fino ad addormentarmi. Ma non posso. Mi inginocchio vicino a lui, che mi sfiora una guancia con dolcezza. La sua voce è un bisbiglio tra i miei capelli. "Credevo che ti avrei persa per sempre..." Scuoto il capo, lacrime calde mi scavano solchi profondi sul viso sporco di sabbia. "No, no. Sono qui. Non ti lascerò mai." Altre grida, altre voci. Dobbiamo andarcene. "Ce la fai a camminare?" Lo vedo alzarsi in piedi, un sorriso scintillante sulle labbra. "Con te al mio fianco potrei anche volare." Sento le mie labbra schiudersi a mia volta in un sorriso, poi ritorno alla realtà. Con rapidità stacco l'ascia dal corpo senza vita dell'uomo per terra, mentre porgo la pistola a James. Sarà più facile per lui da maneggiare. "Te la senti di sparar..." Non ho nemmeno il tempo di finire la mia domanda, che tre soldati cadono a terra, morti. Mi giro a guardare l'arma che James tiene tra le dita, fumante. "Te l'ho detto, piccola. Con te al mio fianco sono in grado di fare qualsiasi cosa." Il mio cuore accelera i battiti, impazzito, poi mi avvento contro l'ultimo uomo rimasto. Dalla bocca mi esce un urlo di battaglia atroce, che fa accapponare la pelle anche a me stessa. Poi mulino l'ascia in aria, come se fosse l'estensione del mio braccio, come se fosse parte di me. Il mio avversario non ha nemmeno il tempo di aprir bocca. In un secondo l'arma è conficcata nel suo petto. Dalle sue labbra sgorga un caldo fiotto di sangue. "Dove tenete rinchiusi gli altri prigionieri?" Gli ringhio, incurante di avere rivoli del suo sangue sul viso. L'uomo non risponde, si limita a fissarmi, il respiro debole. Lascio andare l'ascia, posizionando un piede sul petto del mio nemico. Lo vedo contorcersi dal dolore ma non mollo, anzi, aumento la pressione. "Posso ancora farti soffrire, finché la morte non verrà a interrompere la tua stupida, schifosa, miserabile vita." Gli occhi dell'uomo roteano impazziti, schiuma gialla gli fuoriesce dalla bocca. Non demordo. So che è vicino a cedere. "D'accordo." Sputa infatti lui dopo qualche istante. "Sono nel corridoio superiore, in fondo nelle prime due stanze a destra." Annuisco, ma non lascio la presa sulla sua ferita. "Dove si trova l'uscita?" L'uomo sogghigna, e non capisco perché. Il suo respiro si fa più difficile. Devo avergli bucato un polmone. "Sul tetto. L'unica uscita possibile è... Sul tetto." Un terribile dubbio si insinua nella mia mente, ma prima che possa fargli altre domande lui inizia a tossire sangue, fino a reclinare il capo all'indietro. È morto. Mi stacco da lui, afferrando l'ascia. Dobbiamo sbrigarci. Per ora non ci sono altri uomini in vista, ma il capo dei servizi segreti avrà in mente qualcosa di certo. Dove potrà essere andato? Scuoto la testa, correndo verso James. Non abbiamo il tempo per ipotizzare piani nemici. "Muoviamoci!" Gli urlo, poi mi dirigo verso le scale che portano al piano da dove poco prima mi sono buttata. Quando sono in cima, dò una rapida occhiata in giro, ma non vedo nessuno. Mi volto a guardare James. Cerca di andare il più veloce possibile, ma gli mancano ancora una decina di gradini. Esortarlo ad avanzare sarebbe una cattiveria, così mi affretto ad andare ad aiutarlo. O almeno sto per farlo, perché in quel mentre da tutti i lati veniamo circondati da uomini. Saranno almeno una trentina, e in quel momento capisco la tattica del loro capo: indebolirci il più possibile all'inizio con pochi uomini, per poi darci il colpo di grazia. Probabilmente lui sarà al sicuro in una stanza riservata a godersi lo spettacolo da qualche telecamera. Digrigno i denti, la stessa cieca furia che mi aveva accecato poco fa che riprende il sopravvento. Io non morirò qui, in una prigione buia e claustrofobica. Non lascerò soccombere il ragazzo che amo. Non è oggi il nostro momento. In quel mentre vedo James schierarsi al mio fianco, scrutando impassibile l'orda di soldati sempre più vicina a noi. "Insieme possiamo farcela." Dice soltanto, tenendo gli occhi fissi sul nemico. Annuisco, facendo lo stesso. Poi mi volto, facendoci finire schiena contro schiena. "Io prendo quelli dietro e tu davanti." Gli grido. Lo sento annuire impercettibilmente. Gli uomini si avvicinano, solo pochi metri ci separano. Tendo le gambe, ancorandomi maggiormente al suolo. "Qualunque cosa accada, sappi che ti amo." Mi urla James. Sto per rispondergli, il mio cuore che si scioglie e l'adrenalina in circolo che mi rendono quasi ubriaca, ma in quel momento un soldato mi si para davanti. Pochi secondi dopo la sua testa sta rotolando per terra. Mi concedo solamente un attimo per chiedermi come mai nessuno dei nostri avversari sia armato, mentre invece i loro compagni nel deserto lo erano, poi un secondo uomo mi si para davanti. Mi ci scaglio sopra urlando come un'ossessa. Un lampo di paura nei suoi occhi e poi è tutto finito. Dietro di me iniziano gli spari, poi sento solo tonfi ovattati che indicano la vittoria di James. Non so quanto tempo passi. Secondi, minuti, forse ore intere. Trascorro quel tempo a tranciare, mutilare, uccidere qualsiasi essere vivente mi si pari davanti. Poi, non c'è più nessuno dinanzi a me. Li ho uccisi tutti. Solo ora mi accorgo che c'è il silenzio, e che James non sta più sparando. Con il cuore in gola mi giro di scatto. Appena lo vedo, tutto il mio corpo si scioglie dalla tensione accumulata. È vivo. Ce l'abbiamo fatta. Gli corro incontro, euforica, dimenticandomi di dove siamo, del pericolo che stiamo correndo, della sua ferita, del fatto che siamo armati. Lo bacio come se fosse la prima volta, come se non lo vedessi da mesi, come se non avessimo un futuro. Le sue labbra sono calde, segno della febbre che lo attanaglia, la sua lingua è un balsamo per il mio cuore martellante. Poi lui si stacca da me, troppo presto. Lo vedo sorridere. "Rimarrei qui con te molto volentieri, ma credo che dovremmo rimandare." Ha ragione. Ci rimettiamo a correre, imboccando lo stretto corridoio per il quale poco tempo prima il capo dei servizi segreti mi aveva trascinato. Il soldato morto aveva detto in fondo, le prime due porte a destra. Non appena ci arriviamo, assesto un bel colpo d'ascia ad entrambe le serrature, che si aprono come se fossero fatte di burro. Il sorriso raggiante di Sarah mi infonde rinnovato coraggio, lo sguardo sollevato di Richard sicurezza. Sento la mia amica abbracciarmi. "Ho sentito dei rumori, credevo che foste..." Non le dò il tempo di finire la frase. "Siamo una squadra. E siamo bravi. Riusciremo sempre a trovare un modo per salvarci." La vedo annuire, gli occhi scintillanti, e le dò un buffetto affettuoso sulla guancia. Poi mi volto verso Richard. "L'unica uscita possibile è uscendo dal tetto. Ciò vuol dire..." "...che o chi ti ha dato l'informazione ha mentito, oppure che siamo sott'acqua." Conclude il nostro compagno di squadra per me. Annuisco. Era quello che avevo ipotizzato anche io. "Ma come può essere? Eravamo nel deserto quando ci hanno attaccato, come hanno potuto in così poco tempo portarci in un ambiente pieno d'acqua? Alla provincia dell'est, magari?" La voce di Sarah è dubbiosa. Alle mie spalle, sento James ridere. "Non è così. Siamo ancora nella Provincia del Sud." Sono d'accordo con lui. Non c'è altra spiegazione possibile. Ma allora come... Ed è in quel momento che capisco. "Siamo in un oasi. O meglio... Sotto." Dico. James annuisce. "Quindi nuotando dovremmo riuscire senza sforzi a raggiungere la superficie. Senza bombole o altro. Non potrà mai essere tanto profondo." Mi giro verso Richard, in cerca di risposta. Lui si sistema gli occhiali, in un tic nervoso al quale mi sto man mano abituando. "Dovrebbe essere esatto. C'è da dire che un'oasi non è mai del tutto naturale, ossia che, come in questo caso, potrebbe esserci voluta una mano da parte dell'uomo per apportare maggiore quantità d'acqua e rendere il fondo più... Profondo." Ha ragione. Ma non abbiamo molte altre scelte. "Vale la pena provare." Sento dire a James, alle mie spalle. Gli scocco un'occhiata d'intesa. "Muoviamoci. Abbiamo già perso abbastanza tempo." Esorto gli altri. Poi lascio posto a Richard. È lui il più adatto a guidarci, ora. Sono pronta a giocarmi la testa che sa esattamente come è strutturato l'impianto architettonico di ogni edificio in cui si sia mai trovato. In fondo, lo ha già dimostrato nella prova che abbiamo fatto alla Provincia dell'Ovest, quando è riuscito a dirci come era stata fabbricata e di che tipo di materiale era la porta che ci stava davanti. Infatti, poco dopo lo vedo muoversi deciso in direzione di un corridoio laterale. Tutto intorno a noi è immerso nel buio quasi totale, il silenzio che non prelude a nulla di buono. Che fine hanno fatto i soldati? Li abbiamo davvero uccisi tutti? Un altro cunicolo, nessun rumore sospetto. Delle scale, un ennesimo tunnel oscuro. Il respiro di James accanto a me inizia a farsi sempre più affannoso. Guardandolo, il mio cuore sprofonda. È pallido, sudato, le labbra esangui, la ferita sempre più infetta. "Ci siamo quasi! In fondo a questo corridoio c'è l'uscita!" Sento dire a Richard, poco più avanti di noi. Sto quasi per abbozzare un sorriso di gioia, quando un sibilo raccapricciante mi fa accapponare la pelle. Non faccio in tempo a fare un'altro passo che tutta l'aria intorno a noi si riempie di fischi inquietanti. Poi, una strana puzza di marcio inizia a diffondersi intorno a noi. C'è qualcosa che non torna, qualcosa... In un lampo di lucidità capisco che cosa sta succedendo. Ecco qual è l'asso nella manica del capo dei servizi segreti. Le spie mandate a combatterci avevano gli indumenti, o loro stessi avevano ingerito veleno, che ora sta reagendo con l'ambiente circostante producendo sostanze tossiche. Per questo non erano armati: dovevano morire. Probabilmente il capo delle spie è ormai lontano da qui. E quella stessa sostanza tossica ora ci insegue, ci brama, desiderosa di averci nella sua presa. "Correte! È veleno!" Urlo. Vedo Sarah e Richard scattare avanti, verso la salvezza. Inizio a farlo anche io, poi vedo James dietro di me che arranca, stremato. No. Non lo lascerò mai qui. Torno indietro, e solo raggiungendolo vedo alle nostre spalle una nube verdastra avvicinarsi rapidamente. "Metti il braccio intorno alla mia spalla!" Gli grido. Lui cerca di replicare, ma poi fa come dico. Grugnisco sotto al suo peso, ma non demordo. Mi rimbombano in testa le parole che mi ha detto poco fa, quando stavamo per combattere. "Qualunque cosa accada, sappi che ti amo." "Ti amo anche io." Sussurro. A dieci passi da noi, Richard e Sarah sono arrivati alla porta. Ha una valvola, che stanno cercando di aprire. Il peso di James è troppo e crollo per terra, senza più forze. Richard sta lottando contro la maniglia, che non ne vuole saperne di aprirsi. Un sibilo dietro di noi mi dà la forza di rialzarmi. Con un urlo viscerale mi rimetto in piedi, le mie mani che si aggrappano disperatamente al corpo quasi incosciente di James, sbucciandogli la pelle. Anche dall'altra parte del corridoio una nube verdastra fa la sua comparsa. Sento Sarah battere le mani, segno che sono riusciti ad aprire la valvola, poi Richard si volta verso di noi. Ci mancano poco più di due metri, ce l'abbiamo quasi fatta... "Quando aprirò la porta, l'acqua sommergerà l'intero edificio. Questa è un uscita di emergenza. Probabilmente l'uomo che ti ha dato questa informazione non si aspettava che tu arrivassi qui viva." Mi urla Richard. Annuisco. So che è un modo velato per dirmi che sta aspettando me e James per aprirla. Un metro e siamo liberi. La nube ormai è alle nostre spalle, ci circonda, la puzza acre che si infila dappertutto. Non c'è più tempo. "Apri la botola!" Grido, proprio quando io e James siamo arrivati, lasciando cadere per terra l'ascia che fino a quel momento avevo tenuto tra le mani. Richard non se lo fa ripetere due volte. Ho solo il tempo di dare una rapida occhiata al veleno dietro di noi e a trattenere il fiato, poi l'acqua gelida e dolce ci trascina verso di lei, trasportandoci fuori da quel dannato edificio e lavando via quella nube infernale. Poi inizio a nuotare, trascinando per una mano il corpo esanime di James, sperando di riuscire ad arrivare viva in superficie.

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Capitolo 16
*** Salvataggio ***


Tutto intorno a me è scuro e freddo. Gelide stilettate mi trafiggono ogni centimetro di pelle, gli occhi mi pizzicano. Ma non posso permettermi di chiuderli. Devo capire da che parte è la superficie, altrimenti rischierei di nuotare nel verso sbagliato, finendo nelle profondità abissali dell'oasi. Non vedo niente, né l'edificio dal quale ci siamo buttati, né Sarah, né Richard. La mano che ho stretta intorno al polso di James è la mia unica certezza, e anche se la presa è scivolosa, mi impongo di non lasciarlo andare. Il mio cuore batte impazzito, sussurrandomi a ogni battito che anche se riuscissi a capire da che parte nuotare, forse sarebbe inutile, se bloccati troppo in profondità. Scuoto la testa, ordinandomi di restare calma. Ignoro la mia stretta allo stomaco e il panico che minaccia di impossessarsi di me a ogni secondo che passa. Chiudo gli occhi, cercando di riordinare le idee. Pensa Andy, pensa. Cosa farebbe Aper se fosse qui? Cosa ci diceva sempre? "Se vi trovate in acqua e c'è una tempesta o è troppo buio per capire da che parte sia la superficie, liberate un po' di aria che avete nei polmoni. Le bollicine vengono sempre attratte verso l'alto, e così saprete da che parte nuotare." Si! Apro gli occhi, la mia vista che man mano si abitua a questa inquietante oscurità. Con estrema cautela, libero un soffio di aria. Le bollicine, come richiamati da un canto irresistibile, si librano serene verso il basso. Sogghigno. Ora so da che parte andare. Con una capriola mi giro, trascinando il corpo semi svenuto di James con me. Ho solo un momento per chiedermi se ha trattenuto l'aria o se l'acqua si sta impossessando dei suoi polmoni, poi inizio a nuotare con tutte le forze che mi rimangono. Man mano che saliamo, l'acqua intorno a noi si fa sempre più calda e chiara, ed inizio a scorgere il bagliore del sole che illumina la superficie. Attorno a noi né pesci né alghe fluttuano colorati. Forse il capo dei servizi segreti aveva dato ordine di bonificare la zona, prima di edificare. Un bruciore sempre più insistente in fondo alla gola mi distoglie dai miei pensieri: non resisterò ancora a lungo in apnea. Guardo verso l'alto, e mi accorgo che mancano almeno una quindicina di metri alla nostra salvezza. La disperazione si impossessa di me, mentre inizio a nuotare ancora più fortemente di prima. I miei polmoni stanno per scoppiare, i miei occhi bruciano come se fossero sul punto di andare in frantumi, la lotta per la sopravvivenza che si fa strada dentro di me, riducendo il mio corpo a un involucro troppo piccolo per contenere la mia anima. Mancano cinque metri... La mia bocca non resiste, e si spalanca, facendo fuoriuscire tutta l'aria che ho trattenuto, bramando ossigeno, puro e fresco, che però non arriva. Tre metri... Mi impongo di serrare le labbra per non ingoiare acqua, probabilmente avvelenata dai gas tossici fuoriusciti dall'edificio, i miei polmoni che pulsano e scalpitano, chiedendo di essere riempiti. Due metri... La vista mi si annebbia, le mie orecchie fischiano rendendo ogni cosa un rumore ovattato, mentre alzo una mano per fendere la superficie con un dito. Un metro... Con un ultimo, disperato residuo di forze dò una spinta finale con le gambe, mentre strattono James di fianco a me per farlo risalire. Poi il mio viso infrange quella maledetta barriera, il sole cocente che mi saluta riscaldandomi, la mia bocca spalancata che inspira grandi quantità di aria secca e calda. Il mio petto continua a muoversi affannoso su e giù, mentre strizzo gli occhi doloranti, la luce accecante che tinge l'interno delle mie palpebre di un rosso acceso. Solo dopo aver ripreso completamente le forze riesco di nuovo a mettere a fuoco. Mi giro di scatto, cercando James, e vedo che ha ripreso conoscenza; l'acqua gelida e l'aria pulita devono avergli ridato un po' di forze. Mi avvicino a lui, guardandolo respirare con sollievo. I suoi occhi sono spalancati, le pupille dilatate che non riescono a vedere niente. Con delicatezza lo lascio andare dalla stretta della mia mano, mentre gli scosto alcune ciocche di capelli dalla fronte. "È finita. Ce l'abbiamo fatta." Gli sussurro. Il suo sguardo si posa su di me, strizzando gli occhi. E quando finalmente riesce a vedermi, il sollievo dilaga sul suo volto. Poi mi attira a sé, baciandomi con così tanta foga che per un attimo mi domando se non sia io il suo ossigeno. Sorrido a quel pensiero, poi mi stacco da lui. Ho paura che sia troppo debole, voglio lasciargli spazio. Gli poso una mano sullo zigomo alto e abbronzato. È caldo. "Come ti senti?" Lui mi attira nuovamente a sé, e io gli attorciglio le gambe intorno alla vita. "Come se mi stessero estraendo le interiora." Sogghigna. Lo guardo, la mia mente confusa, chiedendomi se stia scherzando o se parli così per colpa della febbre. Poi la sua voce calda interrompe il flusso dei miei pensieri. "E tu?" Mi mordo le labbra. Sono stata meglio. I miei polsi pulsano terribilmente, profonde escoriazioni sanguinolente dovute alle manette mi provocano fitte dolorose. Il gomito sinistro, che ho sbattuto durante la caduta, deve essersi slogato. Ma per il resto sto bene. "Diciamo che sono viva." Sorrido. "Oh, io ho una ferita al ventre che mi sta uccidendo e tu mi vuoi far credere di stare peggio? Brutta piccola..." Io balzo all'indietro gridando, facendo finta di essere terrorizzata, poi inizio a scappare per gioco, uscendo dall'acqua. Sento dietro di me James inseguirmi, fino a che non riesce a prendermi. Rotoliamo ridendo in mezzo alla sabbia fresca, riparata dall'ombra delle palme che circondano per intero l'oasi, fino a quando James non mi immobilizza, il suo corpo sopra il mio che mi impedisce ogni via di fuga. Rimango in silenzio ad assaporare il suo viso, i ciuffi spettinati che gli ricadono sulla fronte, l'accenno di barba che gli ricopre il mento e le guance, i denti bianchi scintillanti. Poi il suo sorriso si trasforma in una smorfia di dolore, e ricade sulla sabbia di fianco a me. Il suo respiro si fa affannoso. No! Mi butto al suo fianco, trascinandolo all'ombra. In quel momento riemergono anche Richard e Sarah. Il primo nuotando ha perso gli occhiali, ed il suo viso senza di essi è ancora più spigoloso e appuntito. Appena ci vedono nuotano fino alla riva. "Che è successo?" Sento gridare a Sarah. "Gli si è infettata la ferita! Dobbiamo estrargli il proiettile!"  Gli rispondo, un moto di paura che mi assale la bocca dello stomaco. Ma come? Non abbiamo né pinze né alcun strumento da poter usare per cicatrizzarla. Sento Richard inginocchiarsi di fianco a me, esaminando lo squarcio sul ventre di James. Rimango in silenzio a fissare ogni sua mossa, il sangue che mi pulsa freddo nelle vene. So già cosa sta per dirmi. "È molto grave." Annuisco, stringendo le labbra. Lo so, diamine. Lo so bene. E so anche qual'è la sua unica possibilità per salvarsi. "Dobbiamo portarlo subito alla caserma del Sud." Mi ritrovo a dire. Che ironia. Ciò che odio di più al mondo, è anche quello che può salvare la vita al ragazzo che amo. Scuoto la testa, un mezzo ghigno sul viso nonostante il terrore che ho dentro. Sento Sarah prendermi delicatamente una mano. "Andy, siamo nel cuore del deserto e non abbiamo la benché minima idea di dove ci troviamo. Come faremo a raggiungerla?" Il mio cuore perde un battito. Ha ragione. Non possiamo fare nulla. Il mio sguardo scivola su James, il mio petto attanagliato dalla preoccupazione. Come farò a salvarlo? Ed è guardando il suo viso, che trovo la risposta. "Ci sposteremo di notte. Ci orienteremo con le stelle." Avverto Richard annuire di fianco a me, d'accordo. "Ma in che modo? James non riesce nemmeno a stare in piedi, non riusciremo mai a muoverci velocemente!" Riattacca Sarah. Mi conficco le unghie nel palmo della mano, digrignando i denti per la frustrazione. Siamo bloccati qui sotto il sole cocente, rischiando di essere nuovamente attaccati, in uno stupido oasi privo di qualsiasi cosa che possa tornare lontanamente utile. L'unico modo per arrivare in tempo per salvare James sarebbe avere un mezzo di trasporto... "Struzzi." Le mie labbra si piegano in un sorriso trionfante. A questa affermazione persino Richard sgrana gli occhi, fissandomi stupito. "Quindi... Che..." Inizia, sfregandosi il naso nel punto in cui di solito si sistemerebbe gli occhiali. "Siamo in un oasi, giusto?" Lo interrompo io, un guizzo di folle euforia che mi fa scintillare gli occhi come una pazza. "Negli oasi gli animali cercano cibo, e soprattutto acqua. A noi serve un mezzo di trasporto veloce, e cosa c'è di più veloce di uno struzzo?" La mia voce è eccessivamente squillante. Per un attimo mi godo gli sguardi sbalorditi dei miei compagni di squadra. Sono riuscita a far rimanere perfino Richard senza parole. Lo prendo come un buon segno. Oppure crede che io sia pazza. Ma non mi importa. Sento Sarah di fianco a me schiarirsi la voce, vagamente attonita. "Ma... Come... Come facciamo a catturarlo?" "Catturarli." La correggo. Ce ne serviranno almeno due, uno per coppia, forse tre: James ovviamente non può cavalcare, quindi dovrà stare sullo stesso pennuto di qualcun altro. Non è un problema, comunque. Gli struzzi si muovono in gruppo, specie durante il periodo di riproduzione, che coincide con questa stagione; non sarà difficoltoso intrappolarne più di uno. "Catturarli." Ripete la mia compagna di squadra, come intontita. La squadro lievemente divertita dalla sua confusione, poi mi schiarisco la voce e inizio a spiegare. "Per generazioni, prima della fondazione dell'Impero e dello sviluppo delle tecnologie, le varie tribù si cibavano o cavalcavano struzzi." Mi prendo una pausa per assicurarmi di avere la loro attenzione, grata più che mai per aver seguito durante le lezioni di storia, alla caserma. Poi riprendo: "Per farlo, utilizzavano uno strumento chiamato bolas: si tratta di tre o più cordicelle legate insieme, che alla base hanno delle sfere di pietra o di legno di circa dieci centimetri come diametro. Funziona come un lazo: bisogna farlo roteare in aria fino a che non acquisisce una buona velocità, poi lo si lancia verso la preda. Noi non vogliamo ucciderli ma solo immobilizzarli, quindi punteremo alle zampe." Mi fermo, in modo che abbiano il tempo di assimilare tutte le informazioni. Vedo Sarah passarsi una mano tra i capelli, dubbiosa. "Noi però non abbiamo corde... E nemmeno pietre o legno." Mi guardo intorno, veloce, poi mi alzo e vado vicino alla riva. Bingo. "Useremo questi sassi. Sono grandi abbastanza, andranno bene." Dico, sollevandoli in aria per farli vedere anche a loro, che mi guardano perplessi. "Per quanto riguarda le corde..." Inizio, riandando a sedermi di nuovo di fianco a loro, all'ombra "...possiamo tranquillamente usare le stringhe dei nostri scarponi." Questa volta è il turno di Richard schiarirsi la voce. "Catturarli sarà la parte più semplice. Ma riuscire ad ammaestrarli, a farsi cavalcare... Come pensi di farcela?" Effettivamente, a questo non avevo pensato. "Io so come fare." La voce di Sarah mi distoglie dalle mie elucubrazioni. "Mio padre aveva... Ha un maneggio, e quando ero piccola passava ore intere a raccontarmi come ammaestrare un cavallo." Continua, un sorriso sicuro sul volto. Annuisco, non potendo trattenere una risata di gioia. "È così che si ragiona!" Le dico, contagiando il riso anche a lei. "Ma questi sono struzzi." Ci interrompe Richard. "Quanto mai potrà essere diverso?" Ribatto, un velo di irritazione nella voce. Non capisco perché debba sempre puntualizzare tutto. Noi abbiamo bisogno di quei dannati pennuti. Un modo lo troveremo. Di questo sono sicura. Passiamo il resto del pomeriggio a costruire le nostre armi, una per ciascuno. Ci impieghiamo all'incirca due ore buone, calcolando lo spostamento del sole nel cielo. In compenso abbiamo fatto un ottimo lavoro: non pensavo sarebbero venute così bene. Quando finiamo, ci rendiamo conto che è da praticamente un giorno che non tocchiamo cibo. Così ci arrampichiamo sopra le palme, prendendo grandi manciate di datteri. Il sapore è davvero buonissimo: dolce, esotico, non smetterei più di assaggiarli. Una volta finito di mangiare, non ci resta che aspettare. Mano a mano che passa il tempo il sole si tinge di rosso, prossimo al tramonto, il cielo rosa e dorato che lo accarezza dolcemente. "E se non dovesse arrivarne nessuno?" Mi tiro su a sedere, guardando gli occhi verdi di Sarah colmi di preoccupazione. "Arriveranno, non preoccuparti. Ogni gruppo deve sempre muoversi in zone dove acqua e cibo non manca, e quest'oasi è perfetto per loro." La vedo annuire, più serena. Soddisfatta ritorno a sdraiarmi di fianco a James. Ho cercato di non pensare tanto alle sue condizioni, in queste ore di attesa, ma ripetutamente lo sguardo mi scivola sul suo viso pallido, l'espressione contratta, il respiro affannoso. Tutte le volte che guardo quella profonda ferita il mio cuore sprofonda. Sospiro, una brezza morbida che mi scompiglia i capelli. Non gli rimane molto tempo. Un fischio basso di Richard mi fa voltare di scatto, riscuotendomi dai miei pensieri. Sta indicando qualcosa con l'indice della mano sinistra, e solo strizzando gli occhi riesco a vederli. Un sorriso trionfante mi attraversa il volto, mentre faccio segno a lui e Sarah di appiattirsi per terra. Per fortuna siamo sottovento, così non fiuteranno il nostro odore. Rimango per un attimo a guardare quei cinque pennuti che si stanno abbeverando tranquillamente nell'oasi, a qualche decina di metri di distanza da noi. Non avevo mai visto in vita mia uno struzzo, e la prima impressione che mi suscitano è ostilità e goffaggine. Non sono certo aggraziati, con quei colli e quelle zampe lunghe e spennate, il piumaggio nero e bianco e gli occhi grandi e lucidi. Anzi, per certi versi sono proprio buffi. Esaminandoli meglio riesco a distinguere un maschio e quattro femmine, che rispetto al primo sono più piccole e hanno le penne marroni. Decido che dovremo catturare queste ultime, in quanto meno aggressive e, inoltre, per non alterare l'equilibrio naturale: prendendo il maschio, infatti, lasceremmo un gruppo di esemplari solo di sesso femminile, mentre nel periodo di riproduzione è essenziale che in esso ci sia anche la presenza, appunto, maschile. Con estrema cautela ruoto impercettibilmente la testa, sussurrando la mia decisione anche agli altri, che in risposta annuiscono. Il mio cuore martella agitato nel mio petto, consapevole del fatto che quei maledetti uccelli sono la nostra unica possibilità per salvare James. Chiudo gli occhi e inspiro, lasciando che tutte le mie preoccupazioni si estranino dalla mia mente, mentre il mio istinto da cacciatrice prende il sopravvento. Poi, di colpo, so che quello è il momento giusto. Mi giro e dò il segnale agli altri, mentre iniziò a far roteare la mia bolas con decisione. Gli animali alzano i lunghi colli dalla pozza d'acqua, avvertendo il pericolo, e iniziano a dirigersi a gran velocità verso il deserto. Ma è troppo tardi. Mirando alla femmina più lontana dal gruppo, individuandola come la più debole e quindi la più facile da catturare, lascio andare la mia arma, che rotea in aria come una vera e propria ruota. Poi, con uno schiocco, immobilizza la mia preda. Lascio che il sollievo mi scivoli addosso come una secchiata d'acqua gelida. Ce l'ho fatta. Un'altro schiocco, e il secondo struzzo cade a terra. Mi giro e vedo una Sarah trionfante che mi sorride, elettrizzata. Attendo con impazienza l'arrivo dell'ultimo. Che però non sento. Mentre lo stomaco mi si attorciglia, guardo impotente il gruppo spaventato e chiassoso dei pennuti che si dirige impazzito fuori dall'oasi. Mi mordo la lingua per non imprecare. Voltandomi verso Richard, lo trovo steso per terra, la bolas attorcigliata malamente intorno al braccio destro. "Ma vorrai scherzare? Ci siamo allenati tutto il giorno!" Urlo, il sangue che mi rimbomba nelle orecchie con boati mostruosi. Com'è possibile che abbia deciso di fare il soldato? È smilzo, incapace di maneggiare un'arma come si deve nonostante un lungo allenamento. E guardando la sua corporatura non riesco a fare a meno di pensare che probabilmente non è in grado né di correre per lungo tempo né di combattere. "Mi dispiace, io..." La sua voce è flebile e, per la prima volta da quando l'ho incontrato, umile. Forse quel fare strafottente è solo una maschera per non far vedere quanto in realtà sia debole dentro. Sospiro, passandomi una mano tra i capelli. Tutta la rabbia che avevo dentro se ne è andata, lasciando spazio a un irritante e sgradevole senso di colpa. Scuoto la testa, mentre lo aiuto bruscamente ad alzarsi. "Non fa niente. Cavalcherai con Sarah." Borbotto. Lo vedo annuire, poi ritorno a fissare i due struzzi imprigionati. Ora inizia la parte più complicata. Mi mordo un labbro soprappensiero, mentre ripasso mentalmente quello che Sarah ci ha spiegato questo pomeriggio, sotto gli sguardi assorti miei e di Richard. "Prima di tutto" aveva esordito con sicurezza, "bisogna avvicinarsi all'animale con lentezza e calma. È necessario, infatti, approcciarsi ad esso con gentilezza, altrimenti si verrà individuati come una minaccia o un predatore, facendolo agitare." Mentre mi ripeto in testa queste parole come un mantra, inizio a muovermi verso lo struzzo. So che gli animali sono molto sensibili alle nostre emozioni e a ciò che li circonda, così cerco di tranquillizzarmi e trasmettere serenità. Lo struzzo mi guarda, gli occhi grandi e lucidi inespressivi. Tuttavia né emette suono né inizia a scalpitare, il che lo interpreto come un segnale positivo. Quando sono distante da esso di circa un metro, decido di passare alla parte successiva. "A questo punto" aveva infatti ripreso Sarah "Bisognerà bendare l'animale: il buio lo tranquillizzerà. Togliendogli in questo modo l'arma dalle zampe, esso assocerà il gesto a uno stato di quiete, che permetterà di salire sulla groppa senza troppe complicazioni. Una volta sopra, esso scalcerà e si dimenerà. Bisogna stare aggrappati e non cadere per nessun motivo. Quand'egli si placherà gli si potrà rimuovere la benda dagli occhi." Mi mordo un labbro, dando sfogo con quel gesto a tutta la tensione, ben nascosta, che ho dentro, mentre con estrema lentezza inizio a slacciarmi la giacca che ho legata in vita. Poi, con delicatezza, mi accuccio a terra e gliela appoggio dolcemente davanti agli occhi, annodandogliela dietro la testa. Il buffo pennuto protesta per un attimo, debolmente, poi, a poco a poco, si placa. Sospiro, il sudore che inizia ad imperlarmi la fronte, mentre con lentezza infinita mi porto al fianco dell'animale. Deglutisco, cercando di rimanere serena, iniziando a sciogliere l'arma dalle grosse zampe dell'uccello. In un baleno mi rendo conto che un calcio ben assestato da parte dello struzzo potrebbe anche spezzarmi la schiena. Scuoto la testa, scacciando via da me questi pensieri. Poi sfilo l'arma dal corpo dell'animale. Quest'ultimo rimane per un attimo interdetto, ma infine lentamente si rialza. Una scarica elettrica mi attraversa tutto il corpo e in un lampo capisco che è il momento di agire. Piego le gambe, il mio respiro stranamente calmo, mentre con un balzo gli sono in groppa. Lo struzzo inizia a dimenarsi come un pazzo, producendo delle grida stridenti e insopportabili, cominciando a correre con velocità inaudita in direzione del deserto. Digrigno i denti, cercando di non pensare all'oasi che diventa sempre più piccolo alle mie spalle. Non permetterò che uno stupido uccello abbia la meglio su di me. Così stringo ancora di più le gambe sui suoi fianchi, per evitare di cadere in mezzo alla sabbia, bilanciando il mio peso sulla sua groppa. Quando l'uccello fa dietro front, per destabilizzarmi, annaspo, perdendo l'equilibrio. Scivolo sul fianco sinistro dello struzzo, l'adrenalina che mi pervade, il sudore che mi scorre lungo la schiena, freddo ed elettrico sulla mia pelle. Istintivamente afferro il suo collo per tenermi, mentre con tutta la forza che possiedo, mi dò uno slancio col bacino per rimettermi in groppa a quell'indemoniato affare. Non so come, ma ce la faccio. Questa volta, per non scivolare nuovamente, oltre a tenermi con le gambe metto anche i piedi sotto la parte anteriore dello struzzo, in modo da bilanciarmi. Funziona. Nonostante il pennuto continui a cambiare direzione, aumentare o decelerare la velocità a scatti e lanciare grida assordanti, riesco a rimanere ancorata alla sua schiena. Alla fine, consapevole di essere stato battuto, quel maledettissimo animale si ferma. Rimango per un attimo a boccheggiare, il fiato corto e il mio corpo stremato. Poi, appena recuperato l'autocontrollo, decido che è il momento di sfilargli la giacca. Con cautela tolgo le mani dal suo collo, riallacciandomela ai fianchi. Stranamente, l'uccello rimane fermo. Sogghigno, trionfante. Ce l'ho fatta. Con una spinta decisa ai fianchi rimetto lo struzzo in moto, indicandogli con le gambe e con la mente la direzione che voglio che segua. In un baleno, l'oasi ricompare davanti a me. Mentre ci avviciniamo non posso fare a meno di urlare euforica. Il vento mi accarezza i capelli dolcemente, donandomi freschezza dopo questa giornata afosa, il cielo lilla, triste per la scomparsa del sole all'orizzonte, mi saluta al mio passaggio, la sabbia dorata sotto di me che compone nubi dalle forme più strane, una volta calpestata dallo struzzo. Malgrado io odi le persone che vivano qui, devo ammettere che questo posto è fantastico. Ovunque io volti gli occhi vedo solo libertà, selvaggia e indomabile. Quando finalmente arrivo all'oasi ho gli occhi lucidi. Sbatto le palpebre per non darlo a vedere, concentrandomi sulla figura di Sarah, già in groppa al suo struzzo. Guardandola non riesco a fare a meno di pensare che è veramente bellissima: i capelli castani, mossi dalla morbida brezza della sera, le incorniciano il viso dai bei lineamenti, gli occhi verdi sono grandi e pieni di vita. Appena mi vede mi sorride raggiante, facendo segno a Richard di sbrigarsi. Quest'ultimo sta trasportando il corpo esangue di James fino a me. A quella vista una stretta involontaria mi tortura il cuore. Con un groppo alla gola, lo afferro per i fianchi quando Richard me lo porge, adagiandolo con cura dietro di me e legando la mia giacca anche al suo busto, per non farlo cadere. Poi, con un cenno a Richard e Sarah, sprono il mio struzzo a partire. Il cielo ormai è pieno di stelle, consentendoci di poterci orientare. Lascio alla guida Richard, molto più esperto di me, abbandonandomi al flusso dei miei pensieri, mentre la magica notte del deserto ci culla, tra le morbide dune.

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Capitolo 17
*** Provincia del Sud ***


Le stelle del cielo non sono ancora sbiadite del tutto quando riesco finalmente a intravedere un edificio che tutto sembra tranne che una caserma: la bianca struttura non è squadrata e a forma di parallelepipedo come quelle che ho incontrato finora, ma piena di piccole cupole tutte decorate a mano con intarsi dorati. La giungla lussureggiante che la avvolge protettiva non ha nulla a che vedere con i nostri campi esterni di allenamento o i prati curati della Provincia dell'Ovest. L'unica somiglianza che scorgo con le altre caserme, è quella di avere sentinelle ben addestrate ai bordi delle mura. E quando quest'ultime ci vedono, iniziano a segnalare l'allarme. Il mio cuore sta già per sprofondare quando mi accorgo che le guardie hanno fermato il segnale a metà, abbastanza interdette dalla vista che mano a mano gli si para sempre più nitidamente davanti. Come darle torto: siamo quattro ragazzi bianchi che cavalcano due struzzi, di cui uno svenuto e gli altri tre malconci. Non dobbiamo sembrare molto spaventosi, bensì piuttosto strani. Quando siamo praticamente sotto le mura dell'edificio, sono ritornate ai loro posti e ci fissano, in silenzio. Dal basso di quelle enormi mura, molto più spesse e alte rispetto alle nostre, non riesco a capire se stanno aspettando che facciamo qualcosa noi per sapere come agire o semplicemente hanno deciso di ignorarci. Deglutisco, pregando con tutto il cuore che sia vera la prima. Non ho fatto così tanta strada per nulla. James ha bisogno di loro. E loro lo salveranno. Raddrizzo la schiena, mentre con i fianchi dò una spinta al mio struzzo per farlo ripartire. Alle mie spalle, scorgo con la coda dell'occhio Richard e Sarah lanciarsi un'occhiata dubbiosa. Sospiro, chiedendomi quando è stato esattamente il momento in cui hanno deciso di seguirmi ciecamente, di farmi diventare il leader. Scrollo le spalle, mentre cerco di scacciare via da me la stanchezza che mi assale prepotentemente, facendomi rischiare di cadere. Non chiudo occhio da un giorno, e il sonno mi chiama a sé con un canto che ad ogni minuto che passa diventa sempre più invitante. Quando sono praticamente arrivata sotto l'enorme porta di legno massiccio alzo lo sguardo per rivolgermi alle sentinelle. "Siamo disertori della Provincia dell'Ovest e del Nord e desideriamo asilo qui da voi! Vi prego, un nostro compagno è ferito!" Sto urlando con quanto fiato mi rimane, mentre reprimo un brivido di disgusto. Non sono abituata a supplicare qualcuno. Se voglio qualcosa, vado e me la prendo. Ma ora non ho altra scelta. La vita di James è nelle loro disgustose mani. L'eco della mia voce si propaga per tutte le mura, distorcendo il mio tono fino a renderlo, se possibile, ancora più disperato. Poi anche quello sparisce. Rimane solo un silenzio di tomba, letale quanto la lama di un coltello. Perché non ci aprono? Hanno veramente deciso di ignorarci? Una stilettata al cuore mi trafigge gelida, mentre capisco che è proprio così. Se non dovessero ospitarci, se ci ignorassero non ritenendoci nemmeno degni di essere una minaccia... Sarebbe la fine. Ci impiegheremmo troppo per tornare indietro, e anche se nel più fortuito dei casi riuscissimo ad arrivare all'oasi, non potremmo bere perché l'acqua è avvelenata. E James sarebbe già morto. No. James non deve, non può morire. Cerco di spronare di nuovo la mia cavalcatura ma sono troppo debole e cado in mezzo alla polvere, trascinando con me James. "No!" Urlo, inginocchiandomi di fianco a lui. Il suo viso è una maschera di cera. I suoi occhi sono chiusi. Sento delle lacrime solcarmi il viso, il dolore che ho cercato di assopire dentro di me che si riversa come un fiume in piena. Inizio a tempestare di pugni il muro che ho di fronte, noncurante delle nocche che mi iniziano a sanguinare. "Vi prego! Vi prego, aiutateci! Lui... Lui sta morendo!" Ormai parlo più a me stessa che a loro. "Lui sta morendo..." La mia voce è solo un flebile sussurro, adesso. Non ho nemmeno più la forza di gridare, e quando mi accascio a terra in ginocchio quasi non me ne rendo conto. Chiudo gli occhi, gonfi di lacrime. Se lui muore, muoio anche io. Sento qualcosa sfiorarmi i capelli. Mi giro lentamente, ormai prossima a perdere conoscenza. E quello che vedo mi sveglia di un poco. Lo struzzo da cui sono caduta non è scappato. È rimasto lì, vicino a me, e ora sta giocando con il becco con i miei capelli, come se fossi un suo simile. Come se provasse del rispetto per me. Come se capisse il mio dolore. Rimango a guardarlo per un attimo come in trance, poi gli accarezzo il collo, un groppo alla gola. La sua pelle è ruvida e resistente. Quasi non mi accorgo dell'immensa porta davanti a me che si spalanca, promettendomi salvezza. Da dietro di essa vedo arrivare un uomo avvolto in un sontuoso abito tipico della loro Provincia: una tunica gialla, simbolo di intelletto e bontà, gli ricade elegantemente su morbidi pantaloni a balze. Ha il capo scoperto, a differenza dei soldati che hanno attaccato la nostra caserma, ma le babbucce che ha ai piedi sono uguali. Probabilmente è il capo, in quanto solo ora mi accorgo che è seguito da un immenso numero di militari, vestiti nel medesimo modo in cui li avevo veduti la prima volta. Avvicinandosi, noto con stupore che il primo ha la pelle bianca, e non scura come mi sarei immaginata. Quando è arrivato meno da un metro da me si ferma. Sollevo lentamente la testa, le mie palpebre socchiuse per la troppa luce che solo ora mi rendo conto essere fastidiosamente accecante. Il sole è ormai sorto nel cielo. Ordino a me stessa di alzarmi, ma non riesco a mettermi in piedi. Sono troppo debole. Solo ora capisco che se volessero potrebbero ucciderci tutti quanti e gettare i nostri corpi ai cani. Un gelido brivido mi attraversa la schiena, mentre comprendo di essere completamente inerme di fronte al nemico. "Vi prego... Aiutatelo." La mia voce è un rantolo confuso. Un ultima lacrima solitaria mi scivola sulla guancia, accarezzandomi. Non riesco a vedere l'espressione dell'uomo che ho di fronte, perché è in controluce, così aspetto che faccia qualcosa. Quest'ultimo rimane a fissarmi in silenzio, fermo, finché io non perdo le speranze e chino il capo. "Aiutatelo..." La mia è una preghiera. Il mio respiro rotto è assordante in mezzo a tutto questo deserto di silenzio. Le ferite ai polsi sono diventate insopportabili, forse si sono infettate. L'oblio dell'incoscienza mi cerca con le sue morbide braccia scure, bramose di cullarmi. Digrigno i denti, estraniandomi da tutto questo. Devo resistere, distrarmi. Concentro tutto il mio essere sulla sensazione della mia mano contro il collo rugoso dello struzzo. Il battito pulsante del cuore che riverbera in tutto il suo corpo mi conforta. Poi una voce calda e profonda spezza il flusso dei miei pensieri. "E così voi sareste disertori provenienti dalla Provincia del Nord e dell'Ovest?" Non c'è traccia di disprezzo nella sua voce, solo di diffidenza. Il suo accento è lieve quanto il fruscio della neve, la sua cadenza aggraziata. Annuisco una volta, lentamente. "E come mai provate così disgusto nei confronti della vostra patria? Non vi hanno addestrati a difenderla?" Si, è così. E ci hanno mandati qui apposta per questo. Prendo una boccata d'aria, ripassando nella mente il discorso che il tenente della Provincia dell'Ovest ci aveva detto di raccontare loro per convincerli a darci asilo. Sinceramente lo trovo abbastanza strano, ma gli ordini sono ordini. Espiro l'aria che ho nei polmoni, pregando con tutto il cuore che funzioni. "Perché loro non sono quello che sembrano." Sussurro lugubre. Un bisbiglio stupito dilaga tra i soldati alle spalle dell'uomo che mi sta di fronte. Solo quest'ultimo mi squadra in silenzio. Un brivido di paura mi attanaglia le viscere, mentre degli aghi invisibili mi penetrano la pelle. E se non l'avessi convinto? Passa ancora qualche istante, poi il capo parla di nuovo. "Perché mai dovremmo fidarci di voi? Potrebbe essere tutto un trucco." Sento Sarah dietro di me cercare di aiutarmi, ma Richard la ferma. Ottima scelta. Se devono prendersela con qualcuno, che lo facciano con me. Sono io che li ho portati fino a qui; se solo non avessero cercato di integrarci al gruppo di soldati durante l'esercitazione nella loro caserma, ora non si troverebbero a sperare nella misericordia del nemico. Noto che il capo ha notato il movimento dei miei compagni, alle mie spalle, tuttavia continua a concentrarsi su di me. Sento i suoi occhi penetrarmi dentro la carne, sorpassando pelle e ossa, fino ad arrivare a colpire il centro del mio essere. Percepisco il suo carisma, il suo amore per il popolo che guida, il sospetto nei miei confronti. E qualcos altro, che non riesco a decifrare. Qualcosa di familiare e al tempo stesso sconosciuto. Qualcosa che mi impedisce di odiarlo, mio malgrado. Mi schiarisco la gola secca, cercando di concentrarmi. So qual è l'unico modo per convincerlo. È molto pericoloso ma... "Possiamo dirvi le coordinate della base delle spie del servizio imperiale che operano nel vostro territorio. Sono stati loro a fare... A farci questo." Questa volta il silenzio è tombale. L'uomo si inginocchia di fronte a me, permettendomi per la prima volta di fissarlo in volto. Appena lo vedo, il mio intero essere sobbalza. È sulla quarantina, i capelli mossi e corvini gli ricadono con grazia sulle spalle, la barba curata gli incornicia il volto dai tratti decisi e al contempo delicati. E quegli occhi... Verdi, un mare infinito di smeraldi. Mi inchiodano al suo sguardo, qualcosa negli abissi del mio essere che si smuove un poco, una bestia assopita che cambia posizione mentre dorme. Io l'ho già visto quest'uomo. Da qualche parte, forse in un'altra vita... Ma io lo conosco. Lo so, ne sono sicura. Ed è in quel momento che noto in quel bosco liquido un lampo scintillante. Non ho nemmeno il tempo di chiedermi a che cosa sia dovuto, che è già sparito. Forse me lo sono solo immaginata. Forse è la stanchezza... "Come avete fatto a fuggire da lì? Ho perso tutti gli uomini che abbiano mai tentato di trovare la loro base." La sua voce è sicura, ma il suo tono si è addolcito. Non perdo nemmeno tempo a chiedermi il perché di ciò. "L'abbiamo distrutta. Il capo dei servizi segreti è scappato, ma tutti i suoi uomini sono morti." Il suono che mi esce dalla bocca è deciso e crudo, ma sicuro di sé. E fa colpo sui soldati. Ora non è solo un bisbiglio concitato, la gente si volta a scambiare idee col proprio compagno vicino, violenti sussurri che vanno dall'ammirato al sorpreso. Questo è quello che sento, mentre il mio sguardo rimane incollato a quello dell'uomo che mi sta di fronte. Il suo odore di erba appena tagliata e menta mi suscita un debole ricordo nella memoria, ma troppo fievole per illuminarmi la mente. Questa volta anche lui sembra sorpreso, sebbene lo nasconda subito calandosi sul viso la solita espressione neutra. "Avremo modo di sentire tutta la storia un' altra volta. Ora voglio solo sapere dove è ubicata la base." Mi mordo le labbra d'istinto, tradendo la mia preoccupazione. So perché desidera venirne a conoscenza: probabilmente il capo delle spie imperiali farà prima o poi ritorno all'oasi, e loro sperano di catturarlo ed estorcergli informazioni sul conto dei nostri. Ciò consentirebbe loro un vantaggio immenso. Il solito sordo odio alla bocca dello stomaco si riversa a fuori su tutti quei soldati a pochi metri da me. Come vorrei avere la forza di mille uomini e ucciderli tutti, uno ad uno, fino a non far rimanere più nessuno vivo tra loro... I miei denti affondano ancora di più in profondità tra le mie labbra, provocandomi una fitta di dolore. Non ho altra scelta. Se voglio salvarci, se voglio salvare James, se voglio carpire loro informazioni... Devo farlo. "Sott'acqua. Nelle profondità del primo oasi che incontrerete, proseguendo a nord-ovest per circa mezzo giorno di marcia." Gli occhi dell'uomo di fronte a me sono due pozzi senza fine. Poi egli distoglie lo sguardo dal mio viso. Appena lo fa tutta la sicurezza che avevo ostentato si dissipa come fumo. Il capo dei soldati della Provincia del Sud si alza lentamente in piedi, voltandosi in direzione dei suoi uomini e dandomi le spalle. Il mio stomaco si aggroviglia su se stesso, le mie tempie pulsano. L'ansia mi opprime il petto con così tanta forza che per un attimo sono convinta che andrà in mille pezzi. Manterrà la sua parola? O dopo aver avuto le informazioni che cercava ci lascerà a morire? "Fratelli miei, oggi strane circostanze sono giunte a noi. Quattro soldati nemici sono arrivati sin qui, sottomettendo con la violenza le creature pacifiche che abitano le nostre terre." Sentendo il suo discorso sussulto. Cosa? Ci sta veramente condannando solo perché abbiamo cavalcato un paio di struzzi? Erano la nostra unica possibilità per arrivare in tempo fin qui! Sto per aprire bocca, quando l'uomo continua. "Ma ora vedo qualcosa di inaspettato. Quegli animali si fidano di loro, tanto da rimanere al loro fianco nel momento del bisogno." A quelle parole fa un cenno nella mia direzione, e solo ora mi accorgo di avere ancora una mano posata sul dorso dell'animale. Sbigottita, la ritraggo. Il capo mi lancia uno sguardo indecifrabile, poi riprende. "Se gli spiriti del deserto si fidano di questa ragazza e di coloro che lei guida, sono pronto a dare anche io la mia fiducia a loro." Sgrano gli occhi, sempre più allibita dal suo discorso. Ma sta scherzando? Sta mettendo a repentaglio la sicurezza della sua caserma basandosi sul gesto di uno struzzo? Se non fosse per la situazione così drammatica credo che scoppierei a ridere. "Inoltre ci hanno dimostrato lealtà rivelandoci l'ubicazione dei Sussurratori di Ombre. Quindi vi ordino di scortarli fino alle infermerie e di accoglierli ufficialmente come soldati della Provincia del Sud!" Sospiro, rendendomi conto soltanto ora di aver trattenuto il fiato fino a questo momento. Ci siamo riusciti. Salveranno James. Mi volto a guardarlo con una strana sensazione nel petto. Gioia mista a preoccupazione, credo. Alle mie spalle, i soldati esultano acclamandoci a gran voce. Sbatto le palpebre, perplessa. Hanno talmente fiducia nel loro capo da addirittura esultare alla nostra vista? Un pallido ghigno mi attraversa il viso. Poveri scemi. Se soltanto sapessero... Non ho la forza di alzarmi, così rimango distesa a terra come un idiota fino a che braccia forti non mi tirano su. "Prima James! Prima lui!" Urlo, ma mi calmo subito non appena vedo, un poco più lontano da me, due militari sollevarlo da terra e scortarlo dentro. Solo adesso mi concedo il lusso di sprofondare nell'incoscienza. L'ultima cosa che sento prima di svenire, è qualcuno che acclama il proprio capo chiamandolo per nome. E quel nome è Mark. L'uomo che ho già visto da qualche parte, forse nei miei sogni, è la causa per cui tutta questa guerra è iniziata.

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Capitolo 18
*** La sfida ***


Nel mio sogno mi trovo a casa, o meglio quella che io ritenevo tale fino al raggiungimento dei miei sei anni. Prima di fuggire per arruolarmi. Prima che tutto questo dolore incominciasse. Nell'oscurità dell'incoscienza non appaiono né mia madre né mio padre: entrambi non si sono mai curati tanto di me. La prima era sempre indaffarata a dirigere le faccende domestiche dell'enorme abitazione in cui abitavamo, il secondo troppo occupato a fare affari con ricche famiglie come la nostra... Come la loro. Non li ho mai considerati i miei genitori, anche se so che fu per il mio bene che decisero che non avrei mai potuto diventare un soldato. Ma io non ero d'accordo. Non mi sono mai pentita di quella scelta. Fino ad ora. Adesso, nei recessi della mia mente, mi sale a galla il meraviglioso paesaggio che dominava la scena da sopra l'alta scogliera dove abitavamo: la distesa infinita di campagna dove adoravo giocare, il mare freddo e scuro che mi sfiorava il viso col suo bacio salato, la sensazione di eterna sicurezza che provavo quando mi trovavo lì. Non potrò mai ritornarci. E una parte di me mi sussurra che non potrò neanche mai più sentirmi al sicuro. Poi l'immagine cambia, si trasforma fino ad arrivare a formare l'oleosa faccia del colonnello. Ma è una versione inquietante, che mi terrorizza. "Che cosa hai sentito quella sera, nel campo?" La sua voce è gelida e terrificante. Mi fa rabbrividire da capo a piedi. Un ricordo lontano, di me e Sarah accucciate nell'erba alta, mi rischiara la memoria. "Rispondimi. Cos'hai sentito?" Questa volta urla, e forse per la prima volta in vita mia ho paura per me stessa. "Non lo so, lasciami stare!" Urlo, iniziando a piangere. Le mani fredde di quell'essere disgustoso mi afferrano, immobilizzandomi. In un attimo mi ritrovo nella base dei servizi segreti imperiali. "Non ti credo! Tu sai la verità!" "No, io non so niente, lasciami! Sono solo un soldato che sta obbedendo ai tuoi ordini! Sono alla Provincia del Sud, mi hai mandata tu qui!" Il mio corpo è un mare di sudore e lacrime. Il viso del colonnello è mostruoso, non sembra nemmeno il suo. La sua faccia è completamente trasfigurata, un demone rosso sangue con denti affilati e la lingua biforcuta. Ed è a un palmo di distanza da me. I suoi occhi fiammeggianti mi fissano deridendomi. Poi apre bocca, un sibilo raccapricciante che accompagna il movimento. "Piccola sciocca ragazza, credi veramente che ti avrei mandato sin qui solo per un futile risultato di un test?" Apro gli occhi e scatto a sedere, il mio corpo fradicio. Le parole del mostro mi rimbombano nelle orecchie, gelandomi il cuore. Inspiro una boccata di aria fresca, imponendomi di calmarmi. La mia mente lavora, febbricitante, i postumi dell'incubo che aleggiano dentro di me rendendomi nervosa. È veramente possibile che il colonnello abbia deciso di allontanarci dalla Provincia dell'Ovest, dopo aver compreso che eravamo proprio noi ad aver origliato la sua conversazione col nostro tenente? Il loro discorso era strano, certo, ma ne ho sentito solo una parte e non mi sembrava così importante da mandarci immediatamente via dalla caserma. Scuoto la testa, cercando di estraniare da me questi pensieri. Le mie mani stringono con foga il lenzuolo sotto di me, e solo ora mi accorgo di essere distesa su un letto. Sbatto le palpebre, guardandomi attorno. Mi trovo sicuramente nell'infermeria della caserma: la stanza in penombra ospita un centinaio di letti bianchi, al momento vuoti ad esclusione di quattro: Di fianco a me scorgo Richard e Sarah, e, in fondo, James. Sobbalzo, scendendo dal mio giaciglio. Rabbrividisco al contatto con le piastrelle di ceramica. Sorpresa noto che sono a piedi nudi, e con un brivido di orrore mi accorgo di essere vestita con gli abiti tradizionali dei soldati della Provincia del Sud: candidi pantaloni mi ricadono morbidi sulle gambe, mentre una tunica aderente sul petto e sulla vita mi scende fino al bacino. Sul capo, un velo pesante mi copre il viso, lasciando scoperti solo gli occhi e donandomi un certo senso di freschezza. Anch'essi sono di colore bianco. Una strana malinconia mi attanaglia il cuore quando ripenso ai miei abiti alla Provincia del Nord, così nettamente in contrasto con questi. Ai piedi del letto trovo anche le babbucce, che mi infilo. Devo ammettere che sono maledettamente comode. Sorpassando i giacigli di Sarah e Richard, mi accorgo che anche loro sono stati vestiti nel medesimo modo. James invece no: il torace muscoloso è scoperto e bendato, una flebo gli è stata attaccata al braccio. Con sollievo noto che la sua pelle ha ripreso colore, e il suo respiro è profondo e regolare. Rimango per un attimo a fissarlo imbambolata, mentre penso a quanto sono fortunata ad averlo nella mia vita. Ancora vivo. Soprappensiero, inizio ad accarezzargli la fronte abbronzata, fino a delineare il profilo del suo naso così dritto e proporzionato, soffermandomi sulle sue labbra. Quelle labbra. Le mie labbra. Istintivamente, mi chino su di lui e gli lascio un morbido bacio. Chiudo gli occhi, il desiderio di averlo che è quasi insopportabile. "Torna da me. Io ti amo." Gli sussurro. Come se avesse udito le mie parole, il suo corpo si muove un poco. Un sorriso solitario affiora sul mio viso. Gli lascio un'ultima carezza sulla guancia, poi mi dirigo fuori dall'infermeria. Il sole e l'aria calda mi tramortiscono. Deve essere circa pomeriggio, a giudicare dalla luce. Mi guardo intorno, cercando di capire in che strano posto sono finita; alla mia destra, a circa venti metri di distanza, la folta giungla lussureggiante è mossa dalla lieve brezza. Ho solo un momento per chiedermi quali strane esercitazioni possano mai fare lì dentro, poi riprendo a esaminare la zona. Di fronte a me, un folto gruppo di soldati è riunito in cerchio, e acclama a gran voce qualcuno. Stranamente mi accorgo che non si tratta del capo, in quanto è posizionato a lato, insieme agli altri. Appena lo vedo il mio cuore ha un tuffo, mentre quella strana sensazione che avverto alla bocca dello stomaco ogni volta che lo vedo si impossessa di me. Stamattina, fuori dalle mura, ho pensato fosse perché lo avevo già visto, ma solo ora capisco che è assurdo. Ero stanca e non pensavo certo lucidamente. Credo che sia paura di essere scoperta, più che altro. Poi, come se fosse un fantasma palesatosi dagli angoli più bui e tenebrosi della mia mente, mi ricordo che quell'uomo è Mark. Il tiranno, il dispotico, la causa del motivo per cui io sono qui. È solo colpa sua. Stringo i pugni, una voglia di balzargli alla gola e ucciderlo con le mie stesse mani che prende possesso di me. Ma quando si gira a guardarmi, inchiodando i suoi occhi ai miei, ogni cosa svanisce. Mi fa segno di raggiungerlo, e le mie gambe si muovono automaticamente. È incredibile quanto carisma trasudi quest'uomo. Non so come faccia, ma mi viene naturale obbedirgli. Man mano che mi avvicino, sento delle grida bellicose e dei colpi secchi. Quando sono a un paio di passi da Mark, vedo che al centro del cerchio due figure ammantate di bianco stanno combattendo. In un modo incredibile. Il loro stile è completamente diverso dal nostro: è una danza sinuosa. I bastoni che hanno in mano compiono archi nel cielo, i corpi dei due combattenti che si avvicinano e, proprio quando stanno per toccarsi, si allontanano nuovamente. È un ballo  bellissimo e letale, animalesco e pericoloso. "Voi non combattete così, vero?" La voce del capo dei soldati della Provincia del Sud mi riporta alla realtà. Solamente adesso mi rendo conto di essere rimasta a bocca aperta. Scuoto la testa, schiarendomi la voce. "Non... Non proprio." I miei occhi rimangono fissi sui due soldati che si stanno sfidando: ora è ben visibile la superiorità di uno sull'altro. Il primo è più veloce, più scattante. Schiva senza difficoltà i colpi dell'avversario, mentre continua a piroettare da una parte all'altra del campo, facendo diventare il combattimento sempre più frenetico. Sogghigno, capendo le sue intenzioni: lo vuole far stancare il più possibile, per poi dargli il colpo di grazia. Che si manifesta poco dopo sotto forma di un colpo ben assestato al ventre. Il silenzio cala su tutti i militari, mentre un'onda di energia elettrica inizia a radunarsi sopra di noi: è la realizzazione di avere un vinto, e un vincitore. Aspetto che Mark si infuri con il primo, che il secondo lo schernisca con disprezzo. L'immagine di due occhi glaciali pieni di disprezzo e capelli biondi alla Provincia del Nord mi attraversa la mente. Ma non succede nulla di tutto ciò. Sento un movimento alla mia sinistra, poi Mark si fa strada tra i soldati fino a raggiungere il militare sconfitto, ancora rannicchiato per terra. Con dolcezza lo tira su, rimettendogli in mano il suo bastone. "Devi cercare di non spendere energie inutilmente: in un combattimento dove non si utilizzano armi da fuoco, è molto importante calcolare bene le proprie mosse; è come una caccia. Devi avvicinarti furtivo e silenzioso al tuo avversario, per poi colpirlo quando meno se lo aspetta." Stringo i pugni. È la stessa tattica che hanno usato con noi. Sbatto le palpebre, imponendomi di non pensarci. Ma è impossibile, ovunque mi volti vedo solo il viso di Rachel e la mia caserma avvolta dalle fiamme. No, il tenente ha sbagliato a mandarmi qui. Non posso farlo. Diventerei pazza. Devo andare via di qui, scappare, andare il più lontano possibile e tornare con un esercito. "Voglio provare anche io." La mia stessa voce mi coglie di sorpresa. Ho veramente parlato io? Tutti si girano a guardarmi, stupiti. Mark si volta lentamente, una strana espressione sul viso. Forse è diffidenza. Forse è sorpresa. Passa un lungo momento, dove la tensione si fa pesante e spessa come una coperta di lana. Solo ora mi accorgo che potrebbe essere una buona occasione per estorcere informazioni sul loro metodo di combattimento. E so che lo sa anche lui. Serro la mascella, ricordandomi di tutte le riflessioni che mi hanno spinto ad accettare la missione. Devo rimanere e captare quanti più dati possibili sui miei nemici. Solo così avremo un vero vantaggio. Per Rachel. Per Frederica. Per il Nord. "Molto bene." La voce del capo della Provincia del Sud è piatta. Lentamente mi avvicino al centro del cerchio. Il soldato che era stato sconfitto, prima di ritornare tra i compagni, mi porge il suo bastone. Lo esamino, soppesandolo. È liscio e scuro, lungo circa un metro e mezzo e di un diametro di circa cinque centimetri. Non è tanto pesante, quando ci si abitua a tenerlo in mano. Mi concedo un momento per esaminare il mio avversario di sottecchi, mentre fingo di essere ancora concentrata sull'arma che ho in mano: è più basso di me di parecchi centimetri, è scattante e snello. Per batterlo non dovrò puntare né sulla velocità né sulla resistenza; bensì sulla forza fisica. "Mettetevi in posizione." Comanda Mark. Eseguo, roteando il bastone che ho in mano, rendendolo parte di me, del mio corpo. Un'estensione del mio braccio. Sto ancora aspettando il segnale del capo, quando un lampo bianco si scaglia su di me. Ho solo un attimo per vederlo arrivare, poi mi tuffo di lato, schivandolo per un soffio. Rimango un attimo boccheggiante, mentre sento alle mie spalle Mark stringere i pugni, infastidito: il suo soldato non ha atteso l'ordine. Poi il mio avversario mi è di nuovo addosso, il bastone in mano che cerca in tutti i modi un varco, uno spiraglio per colpirmi. Non mi concedo nemmeno il lusso di pensare, il mio istinto mi guida, addestrato e scattante, mentre paro tre affondi di seguito. Il mio corpo inizia a sudare, ma i vestiti sembrano progettati apposta per continuare a donare una sensazione di freschezza. Lieta per questo, questa volta sono io a lanciarmi sull'avversario, lanciando un urlo di guerra. Quest'ultimo sembra sorpreso, e rimane fermo un secondo di troppo. Trionfante, balzo su di lui facendolo cadere nella polvere, il mio bastone che gli immobilizza ogni possibilità di movimento, ben posizionato all'altezza della clavicola. "Questa è la punizione per non aver giocato pulito." Gli sussurro trionfante. Sento il suo corpo irrigidirsi sotto di me, poi inizia a dimenarsi ancor di più, arrabbiato per le mie parole. Sogghigno, sapendo che è completamente inerme, mentre le sue mani artigliano l'aria intorno a me. Poi qualcosa va storto. Le sue dita afferrano il velo che ho sul viso e lo lanciano a terra, mentre io indietreggio di riflesso, il mio cuore che ha un sobbalzo. Avverto ogni muscolo del mio avversario irrigidirsi, un brivido che gli attraversa tutto il corpo. Non mi interessa e non voglio saperne il motivo. So solo che una sorda rabbia mi attraversa tutto lo stomaco, riversandosi in ogni parte di me, mentre scaglio lontano la mia arma e mi getto di nuovo sul mio avversario. In un nano secondo gli sono addosso. Il suo tentativo di fermarmi con il bastone è completamente inutile. Abbassandomi, schivo il colpo che stava per colpirmi alla tempia, mentre aspetto che cerchi di attaccarmi di nuovo. Il velo rosso che ho davanti agli occhi mi impedisce di pensare a qualsiasi cosa, se non a obbedire a quello che mi comanda. Poi so che è il momento giusto. Mi aggrappo al bastone con due mani, tenendolo orizzontalmente. Sento il soldato di fronte a me tirare con tutte le proprie forze, ma è inutile. Con una furia che non credevo potessi provare, strappo dalle mani il bastone dell'avversario e lo lancio lontano. Il calcio che lo stende nella sabbia, un secondo più tardi, non lo sento neanche partire. Poi, con lentezza infinita, ripago il mio avversario della stessa moneta. Lo privo del suo anonimato. Ed è in quel momento, mentre gli strappo il copricapo, che la mia vittoria si trasforma in un incubo. Il velo sanguigno che mi copriva gli occhi si dissipa, nebbia pesante al sorgere del sole. Un urlo di assoluto dolore riecheggia nella mia testa, come una ninna nanna infernale. L'avversario che ho davanti, non è un ragazzo come avevo pensato fino ad ora. È una ragazza. "Tu..." La mia voce è un flebile bisbiglio. Sento che si toglie dalla mia ormai debole stretta con rabbia, alzandosi in piedi. Davanti a me, gli occhi che sono un mare infinito di odio, c'è Raja.

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Capitolo 19
*** Giungla ***


In un attimo sono di nuovo lì, nel bosco che circonda la mia caserma. Sono libera, di fianco a me c'è anche James, bellissimo e in forma. "Dobbiamo ucciderla." Mi bisbiglia, il suo fiato mi solletica il collo. Lo so, so che dovrei premere quel grilletto, ma non riesco. Due occhi enormi a mandorla mi fissano, lacrime lucide le ingioiellano il viso. Le sue mani stringono convulsamente la maglietta del ragazzo, morto, un proiettile nel petto. "Oh, Genn..." Le mie gambe vacillano, come se fossi io ad essere appena stata colpita. Le mie braccia sono molli, inconsistenti, la mia gola brucia. "Per oggi è sufficiente." La voce di Mark alle mie spalle è tombale, e so di aver deluso le sue aspettative. Non mi importa. Tutta la mia attenzione è concentrata sulla ragazza che ho di fronte. I suoi occhi scuri mi fissano con disprezzo al di sopra degli zigomi alti. Rimango a fissarla, mentre con rabbia si riappropria del velo. "Non avresti dovuto permetterle di entrare." Sibila. Credo di non aver mai sentito così tanto odio in una sola frase. Sento passi pesanti avanzare verso di noi, poi Mark è al centro del cerchio. Solo adesso mi rendo conto che si era rivolta a lui. Sobbalzo, chiedendomi perché non l'abbia già sgridata per la sua mancanza di rispetto. Forse perché ha capito quanto sta soffrendo. Quanto ha sofferto. A questo pensiero, il mio stomaco si contorce. "Si è dimostrata degna di fiducia." Ribatte, prendendo le mie difese. Batto le palpebre, stupita. Avverto Raja fare lo stesso, infastidita. "Fiducia? Ho visto questa ragazza uccidere a sangue freddo Genn, mio fratello, nostro fratello, e tu mi vieni a dire che è degna della nostra fiducia?" Sta urlando, mossa da spasmi incontrollabili, il dolore che si sprigiona in ogni angolo delle sue membra. "Ci avreste catturati, se non lo avessi fermato." Un silenzio tombale cade intorno a noi, o forse c'era già. Non lo so. So solamente che se gli sguardi potessero uccidere, io a quest'ora mi troverei morta per terra. Raja si avvicina a me, il viso contratto dalla rabbia, fino a che non siamo solo a pochi passi di distanza. Raddrizzo la schiena, mentre avverto che anche lei fa lo stesso. I nostri corpi si sfidano. "Erano ordini." La sua voce è glaciale. Poi si volta verso Mark. "Ordini che siamo ancora in tempo a rispettare. Sono lei e il suo ragazzo gli ufficiali medi della Provincia del Nord." Un brusio si leva dai soldati attorno a me. So che non è assolutamente il momento, ma non riesco a trattenere una risata. È isterica, suona quasi folle, si libera dalla mia gola come un urlo di un pazzo. "Se sei così stupida da pensare che una ragazza così giovane possa essere un capitano, mi chiedo come tu possa essere sopravvissuta all'assedio che ci avete teso, alla caserma del Nord." Gli occhi di Raja si spalancano di colpo. Questa volta capto della sorpresa, oltre che al solito disgusto. "Quindi tu non sai..." Vedo Mark alle sue spalle irrigidirsi. Raja si fa sempre più vicina. Ora posso sentire il suo profumo esotico, scrutare le pagliuzze dorate in quegli occhi d'ebano. "Non so cosa?" La mia voce suona come una sfida. "Raja, basta così." Il tono del capo della Provincia del Sud è un avvertimento. La ragazza continua a scrutarmi ancora per qualche istante. Credo sia sul punto di aprire le sue labbra carnose, poi decide di aver già sfidato abbastanza il suo capo. "Sei solo una sciocca e arrogante ragazza che pensa di valere qualcosa." Mi sputa, velenosa, prima di girarsi. "Ti ricordo che ti ho appena battuta." La vedo fermarsi e irrigidirsi, mentre lentamente si volta nuovamente verso di me. "Ti credi tanto in gamba? E va bene, ti accontento. Non sarà un problema per te partecipare ad Aikhtibar Lilqalab." Cerco di rimanere impassibile, anche se un guizzo di curiosità mi attraversa le membra. A cosa mi ha appena sfidata? Non conosco la lingua che usa il Popolo del Sud, molto più musicale e fluida rispetto a quella imposta dall'Impero, parlata nelle terre dell'Ovest e del Nord da prima che io nascessi. "Infatti non lo è." Ribatto. Lo scintillio sinistro negli occhi di Raja, però, mi fa rabbrividire. "Non sai nemmeno cosa stai per affrontare." "Qualsiasi cosa sia sono più che certa di essere in grado di fronteggiarla." Squadrando di sottecchi gli sguardi delle persone intorno a me, capisco di aver giocato le carte giuste. Dimostrandomi sicura di me mi sono mostrata forte. Ma soffermandomi sugli occhi pieni di pericolosa malizia della ragazza che mi sta di fronte, so per certo di non aver suscitato nessun giudizio positivo in lei. "Aikhtibar Lilqalab vuol dire Prova del Cuore, nella vostra volgare lingua." Il tono con cui assapora queste parole mi fa riscaldare lo stomaco di rabbia. "Credi che io non abbia un cuore?" "No. Altrimenti non avresti ucciso mio fratello." "Voi ne avete uccisi un migliaio di noi!" Sto urlando, e so che non dovrei. Sto rischiando di mettere a repentaglio la nostra copertura. Il silenzio intorno a me si fa elettrico. Gli occhi di Raja sono due buchi di nero odio. Poi scuote la testa, come se fossi solo un bambino che non capisce. Per un attimo, mi instilla un dubbio pungente nella mente. Scuoto la testa, stringendo i pugni. Mi sta manipolando. Non glielo permetterò mai. Mi schiarisco la voce, cercando di cambiare discorso nonostante la furia pulsante che mi scorre nelle vene e mi rende impulsiva, scattante. "In cosa consiste questa prova?" "È molto semplice: la prima parte si baserà su una caccia al tesoro; bisogna riuscire a trovare per primo il luogo in cui sono stati posizionati tre scrigni, detti alssanadiq. Ad aspettarci ci sarà il Gran Maestro. Davanti a lui bisognerà scegliere quale tra i tre scrigni contiene il tesoro più prezioso. In base al loro aspetto prenderai una decisone. Hai domande?" Il suo sorriso che lascia scoprire una fila di denti bianchi e candidi ha un non so che di ironico. È ovvio che pensa che perderò. Mi faccio più vicina di un passo, anche se questa vicinanza mi disgusta, anche se ora sento il suo fiato sul viso. "Quando cominciamo?" Il suo ghigno si fa ancora più tagliente. "Anche subito." Detto ciò si volta verso Mark, in segno di approvazione. La sua espressione è impassibile, non un emozione gli attraversa il viso. Il silenzio che ci circonda si fa ancora più grave, interrotto soltanto dal respiro selvaggio della giungla accanto a noi. "È troppo presto. Non è ancora pronta." La voce del capo mi fa sobbalzare. Non sono pronta per fare una stupida caccia al tesoro? L'ha definita così perfino Raja, perché non dovrei riuscirci io? Ed è in questo momento che un lampo di consapevolezza mi colpisce in pieno. Raja ha già fatto questa prova, come qualsiasi altro soldato qua dentro. È un iniziazione, per far valutare ai superiori se l'allievo è veramente pronto ad agire. Se ha capito l'insegnamento. Una specie di caserma dentro la caserma. E quell'odiosa ragazza l'ha fatto per dimostrare a Mark che non valgo nulla. "No, voglio farlo." Sibilo. Questa volta è il mio turno mancare di rispetto a Mark. I suoi occhi verdi mi trafiggono come stilettate. Mi scavano dentro l'anima, fanno sanguinare tutto il mio essere interiore. Deglutisco e abbasso la testa, non riuscendo a sopportare quel contatto. Lui non ha bisogno di urlare o di insultare, per farsi obbedire. Riesce a farsi portare rispetto con il solo utilizzo dello sguardo. Perché una cosa è certa, non lo contraddirò mai più. Non apertamente, almeno. "Se sei così sicura di farcela, fai pure. Ma ricorda: peccare di tracotanza è una colpa gravissima." Il suo è un cupo monito. Mi mordo l'interno di una guancia, finché non sgorga una goccia di sangue. Il sapore metallico mi riempie la bocca. Non posso tirarmi indietro, ormai, anche se volessi. Anche se le parole del loro capo mi avessero fatto rabbrividire. Così annuisco, piano, le labbra contratte in una stretta sottile. Per Raja è il giorno più bello della sua vita. Con un sorriso raggiante, dà il capo all'enorme giungla lussureggiante. "Tu partirai da qui." Dice, indicandomi con l'indice dell'affusolata mano destra un punto non ben definito a qualche metro di fronte a me. "Io farò il giro." Mi annuncia poi. Faccio un cenno di assenso, mentre inizio ad avvicinarmi con passo furtivo fino all'inizio della foresta tropicale. Quando sento il timbro basso di Mark alle mie spalle, il mio cuore ha un sobbalzo. "Puoi andare." Mi dice soltanto. Mi giro ancora per un attimo a fissarlo, i miei occhi nei suoi, erba contro bosco. Poi, prima che il suo sguardo riesca in qualche modo a incatenarsi al mio, ordino alle mie gambe di muoversi. In un secondo, la sabbia accecante intorno a me sparisce, mentre un verde sempre più intenso spazza via qualsiasi altro colore. L'aria secca del deserto si tramuta ben presto in un respiro caldo e umido, pulsante, che ricopre ogni cosa intorno a me. Il sibilo del vento, man mano che mi addentro nel folto della vegetazione, sbiadisce a poco a poco, fino a lasciare il posto a una miriade di fruscii, fischi e zampettii che accompagnano ogni mio passo. Il terriccio sotto ai miei piedi si fa sempre più scuro e bagnato, facendomi leggermente affondare ogni volta che faccio un passo. Uno spesso odore di erba bagnata e umido mi avvolge completamente, rendendomi incapace di avvertire nient'altro. Ben presto tutto il mio corpo si bagna di sudore e acqua, il mio respiro che diventa affannoso, incapace di respirare aria fresca. Deglutisco, stringendo i denti, la mia mente che mi sbatte in faccia il ricordo del sorriso scintillante della mia avversaria. Probabilmente lei sarà in vantaggio, conoscendo quest'infernale giungla ed essendo abituata al clima. Ma non per questo le renderò le cose facili. Un sibilo velenoso mi gela il sangue nelle vene, spazzando via ogni mia riflessione. Faccio ancora qualche passo, prima di vederlo. Il mio cuore perde un colpo, aghi invisibili mi trafiggono ogni centimetro di pelle. Un enorme serpente scuro sta strisciando per terra, a pochi passi da me. Le sue squame sono lucenti, quasi mi accecano. Mi impongo di rimanere ferma e immobile, anche se il mio istinto più primitivo mi grida di scappare con tutte le forze che ho in corpo. Non conosco i rettili, non ce ne sono tanti al Nord, tranne qualche biscia che comunque è innocua. Quindi non ho assolutamente idea di che cosa mi trovi davanti. E se fosse velenoso? E come gli è venuto in mente a questi pazzi di tenere una giungla selvaggia all'interno della propria caserma, piena di animali pericolosi che possono da un momento all'altro sgattaiolare fuori e ucciderli? Ma poi, come fa la giungla a crescere, con questo clima secco del deserto? Ogni mio pensiero si congela, mentre il serpente mi passa accanto. Un brivido freddo mi attraversa il corpo, mentre l'immagine di due zanne traboccanti veleno che affondano nel mio piede, mi paralizza. Solo dopo un po' mi accorgo di avere gli occhi chiusi. Lentamente ne apro uno, guardandomi freneticamente intorno, alla ricerca di qualche minaccia. Che non arriva. Col fiato corto, mi giro. Il rettile se n'è andato, lasciando un'ombra strisciante sul terreno, di fianco alle mie impronte. Espiro l'aria che solamente ora mi rendo conto di aver trattenuto nei polmoni, e sto per proseguire quando una folgorazione mi attraversa. Le mie impronte! Solo adesso mi accorgo di quanto siano profonde e visibili. Raja potrebbe usarle per localizzarmi, e questo comporterebbe un ulteriore vantaggio a suo favore. Che non ho alcuna intenzione di concederle. A passo deciso, mi dirigo verso il primo albero che vedo. È molto alto, il tronco scuro è cosparso da licheni. Ma i rami sono grossi, e fanno al caso mio. Da lassù potrò anche avere una maggiore visuale, e forse riuscirò ad individuare l'ubicazione dei tre scrigni. Soprappensiero mi mordo il labbro inferiore, mentre il mio corpo si flette e le mie braccia si appendono al ramo più vicino. Non posso darmi la spinta con le gambe, a causa delle piante parassitarie che ricoprono tutto il fusto rendendolo scivoloso, così mi dò una spinta col bacino, ruotando il mio busto verso l'alto, in modo da potermi mettere in equilibrio sull'ampio tralcio. Le mie mani non mollano per un attimo la presa, decise. Poi sono in piedi. Ora l'aria è meno afosa, ma la vegetazione dalle larghe foglie verdi mi copre ancora la visuale, così decido di salire più in alto. Mentre mi arrampico, mi ordino di esaminare attentamente ogni pertugio dove decido di appoggiarmi, per evitare altri incontri ravvicinati con le creature di questo posto. Di solito adoro stare al contatto con la natura, ma questa è strana e sconosciuta, e più ci sto lontana meglio è. Capisco che è il momento di fermarmi quando le fronde si sono fatte troppo sottili per permettermi di scalare ancora, e la luce si è fatta più abbagliante. Quando guardo giù, per poco non cado. Prontamente mi aggrappo al ramo cui sono sopra, boccheggiante. È uno spettacolo incredibile. Sotto di me l'intera giungla si sviluppa in un reticolo di piste aggrovigliate e piante di ogni tipo. Gli alberi sono molto diversi da quelli dei boschi cui sono abituata: sono più grossi, cascate di fiori dai colori e le forme più strane fanno capolino dalle foglie verdi e lucenti. Di Raja nessuna traccia. E poi, li vedo. In una sottospecie di radura, accanto a quello che a prima vista mi sembra un pozzo, brillano come gioielli, illuminati dalla luce del sole. Sono i miei obbiettivi. Il mio cuore piroetta trionfante, mentre per un attimo l'idea di poter veramente vincere questa sfida si fa euforicamente largo tra le mie membra. Posso farcela. Poi, come motivata da questa possibilità, un'altra idea mi balena nella mente. È folle, avventata. È come me. Con attenzione, volto la testa nella direzione dell'albero più vicino a quello su cui sono io. Sarà distante un paio di metri. I miei occhi perlustrano ogni suo centimetro, esaminandolo attentamente. Finché non lo trovo. Il ramo perfetto. È mezzo metro al di sotto di dove mi trovo io ora, ma è ben sporgente e largo abbastanza da assicurarmi una buona solidità. Fa al caso mio. Sospiro, imponendomi di rimanere calma. So di potercela fare. Con cautela, tolgo la presa che ho sull'albero con le mani, distendendole in orizzontale, come se fossi sul punto di spiccare il volo. Una volta assicuratami di aver raggiunto l'equilibrio, faccio un passo. Il mio piede scivola su un lichene, e per un soffio non precipito di sotto. Il mio cuore ha un balzo, il sudore inizia a scivolarmi copioso lungo la schiena. Un altro passo. Questa volta riesco a rimanere eretta. Mi impongo di non guardare giù, fino a che non sono sicura di essere abbastanza vicina al ramo sottostante. Solo ora abbasso lo sguardo. Non concedo al mio corpo il lusso di farsi prendere dal panico, così mi ordino di buttarmi. Per un attimo sono convinta di volare. Il mondo si ferma, le mie braccia planano come ali, il mio cuore sussulta. E io sono leggera, leggera e libera, non penso a niente. Poi la realtà mi attira nuovamente a sè, e mi sento precipitare. Il ramo mi accoglie con uno spaventoso schiocco secco, ma fortunatamente resiste. Tirandomi su, mi accorgo di essermi scorticata le mani. Impreco a denti stretti, mentre cerco di ignorare il bruciore pulsante. "Idiota." Mi sussurro a bassa voce, rimproverandomi. Sono stata una stupida. Non mi sono concentrata su quello che stavo facendo, troppo ammaliata dall'essere completamente avvolta dal vuoto. Ma non succederà più. Man mano che continuo a spostarmi  riesco ad acquisire sempre più agilità e destrezza, fino a che buttarmi nel vuoto non mi fa più alcun effetto. E quando finalmente riesco a intravedere la radura, sento di essere sul punto di scoppiare a ridere. Con un po troppa velocità mi calo giù dall'albero su cui mi trovo. Quando sono praticamente a poco più di metà strada, una vocina nella mia testa inizia a sussurrarmi che forse sto andando troppo lenta. In risposta, mi lascio cadere per terra. Rotolo su un fianco, poi balzo in piedi. Le mie gambe vacillano, per un attimo destabilizzate dall'improvviso cambiamento di suolo su cui posano, poi le sento correre fino a che non esco da quell'infernale giungla. L'aria secca mi investe, rigenerandomi, un pallido sole sta iniziando la sua discesa personale agli inferi: il tramonto è ormai prossimo. L'odore di sabbia e secco mi invade le narici, disinfettandomi da quella morbosa umidità che mi era attaccata addosso come un parassita. Solo quando i miei occhi si sono abituati del tutto alla nuova luce, mi accorgo che di fronte a me c'è quello che riconosco subito essere il Gran Maestro. La sua fotografia compariva negli album consegnatici dal tenente per memorizzare le facce e i nomi dei nostri nemici, qua al Sud. Tuttavia ancora una volta rimango colpita da quanto sia vecchio: i lunghi capelli argentati sono legati in una treccia che gli ricade sulla schiena, baffi bianchi gli scendono lungo il mento, simili a due aculei. La sua tunica è di un blu acceso, probabilmente a significare la sua calma interiore. Egli è infatti un istruttore, e con una grande esperienza alle spalle, si presume. Appena mi vede mi fa cenno di avvicinarmi, ed io obbedisco. Solo quando sono a circa un metro di distanza da lui, noto che dietro a quest'ultimo v'è una specie di tempio aperto, formato da una serie di mattonelle di pietra bianca purissima, anche se non ne identifico il materiale. Sulla sua sommità si sprigiona una piccola cupola colorata da diverse pietre, alcune verdi, altre rosse, altre ancora blu. In base alla luce del sole riflettono un determinato tipo di bagliore, rendendo il prato intorno a sè pieno di straordinarie sfumature di colori diversi. È uno spettacolo meraviglioso. Rimango per un attimo a fissarlo, incantata, chiedendomi come gente tanto ignobile possa realizzare qualcosa di così bello. Poi la voce del vecchio mi riporta alla realtà. "Non ti manca né l'astuzia né il buon gusto." Si complimenta, gentile. La sua voce è un soffio affaticato, il suo tono soffice e graffiante insieme. Sorrido, non potendo fare a meno di comprendere il significato delle sue parole. Mi sta dicendo che sono arrivata per prima qui, nella radura, e che ha apprezzato la mia ammirazione nei confronti del tempio. "Ma la prova non è ancora finita." Mi ammonisce, poi. "L'intelligenza è importante, sì, ma non è la qualità più preziosa. Infatti, quello che oggi ti farà vincere la prova, sarà il tuo cuore." Aggrottò la fronte, perplessa. Cosa sta dicendo? Ma che razza di prove fanno fare, qui? Certo, Raja aveva detto qualcosa a proposito della prova del cuore, ma pensavo fosse soltanto il titolo di questo esercizio, un modo simbolico per riferirsi ad esso. Il Gran Maestro deve avvertire il mio turbamento, perché l'ombra di un sorriso gli attraversa il volto, prima di iniziare nuovamente a parlare. "Sarà il tuo cuore a farci capire quanto è puro, e quanto ha compreso o deve ancora comprendere. E ciò avverrà con una scelta. Ti trovi davanti a questi tre scrigni; al loro interno contengono tutti un anello di legno, tranne uno che è stato forgiato con un metallo prezioso. In quale si trova quest'ultimo? Fai la tua scelta." Il mio sguardo scivola immediatamente sui tre contenitori. In ordine, da destra a sinistra, v'è uno scrigno dorato, uno d'argento e uno di bronzo. Ognuno è stato decorato con degli intarsi delicati, che si intrecciano tra loro fino ad intrecciarsi al centro, dove è localizzata la serratura. Mi inginocchio a fissarla, sperando mi possa aiutare a prendere una decisione, ma scopro ben presto che è inutile. Inizio a puntellarmi le unghie della mano destra sul mento, cercando di svelare l'enigma. È strano, non mi hanno mai chiesto nulla del genere. Persino quella tremenda prova alla Provincia dell'Ovest era basata su intuizione, lavoro di squadra e psicologia. Ma mai, prima d'ora, ho dovuto affrontare un test dove mi si richiedeva la purezza del mio cuore. Sono un soldato cazzo, ho ucciso delle persone, e loro più di me. Hanno preso la nostra caserma. E hanno il coraggio di venirmi a parlare del mio cuore? Stringo i pugni, una rabbia incontrollabile che inizia a pervadermi. Ed è proprio in quel momento, che ho l'illuminazione. È lo scrigno d'argento. Quello d'oro non potrà mai essere, sarebbe troppo facile. Quello di bronzo neppure, e poi perché mai dovrebbe esserci un tesoro prezioso in un contenitore di così poco valore? L'argento, invece, è una via di mezzo, non troppo pregiato ma neanche troppo poco. E in come tutte le cose, c'è bisogno della giusta misura. Quasi non sento arrivare Raja, alle mie spalle. Mi giro a guardarla, gustandomi la sua espressione sorpresa. "Non pensavi ti avrei battuto?" Non riesco a trattenermi dal canzonarla. Ma il suo viso in un attimo cambia colori, mentre sul suo viso si dipinge un sorriso di sfida. "Non è ancora detto." Mi ghigna. Sto per risponderle, ma la voce del vecchio mi anticipa. "Hai preso la tua decisione?" Annuisco, piano. "Ho scelto l'argento." Trattengo il respiro, rendendomi conto soltanto ora di quanto io ci tenga a vincere questo stupido test. A dimostrare a Raja, a Mark, a me stessa che posso farcela. Il silenzio si fa teso intorno a noi, mentre i secondi passano, lenti e implacabili. In quel momento, come richiamato da una forza oscura, vedo apparire dalla vegetazione il capo dei soldati della Provincia del Sud. Il suo viso è austero e inespressivo, mentre si posiziona al fianco del Gran Maestro. Passano minuti che sembrano ore, il mio cuore che batte all'impazzata, mentre mi convinco di essere sul punto di perdere conoscenza. "Allora? Qual'è il verdetto?" La voce di Mark è dura e profonda, ma avverto una nota indecifrabile. Non ho nemmeno il tempo di chiedermi che cosa sia, perché l'anziano si sta voltando verso di lui. Sta chinando il capo, forse in segno di rispetto. Ma quando parla, capisco che è solo amarezza. "Ha fallito." Sembra quasi un sentore di morte.

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Capitolo 20
*** Nuove alleanze ***


Le parole del Gran Maestro rimbombano nella mia testa, prendendosi gioco di me. Il mio stomaco si contrae in una morsa dolorosa, mentre cerco di deglutire, inutilmente. La mia gola è un blocco di marmo, impenetrabile. Non è possibile. Ci deve essere un errore. Come può essere sbagliato? Il mio ragionamento fila alla perfezione, ne ero sicura, ne sono sicura. Come se mi avesse letto nel pensiero, sento la voce rauca dell'anziano precettore innalzarsi nell'aria come un canto funebre. "L'argento non è lo scrigno giusto; quest'ultimo infatti è quello di bronzo. La ricchezza più grande è quella interiore, che non va assolutamente giudicata dalla preziosità esteriore." Incasso tutto senza dire una parola, serrando la mascella e annuendo piano. Mio malgrado, devo ammettere di essere d'accordo. Alle mie spalle avverto Raja ghignare, soddisfatta. Alla fine ce l'ha fatta, ad umiliarmi. Era quello che voleva fin dall'inizio. Mi volto verso di lei, il sangue che mi ribolle nelle vene. "Sei contenta, adesso?" Il mio è un ringhio. Lei mi ignora. La sua attenzione ora è tutta rivolta a Mark. "Te l'avevo detto. Non è degna di stare qui, con noi." I lunghi capelli corvini di Mark sono mossi da una leggera brezza, come se anche il vento si inchinasse davanti al suo cospetto. "E io ti avevo detto che non era ancora pronta." La sua voce risuona come un basso tamburo, nel silenzio della radura. "Pronta? Dovrebbe già essere pronta da un pezzo! Ha pressappoco la mia età, il tempo degli addestramenti è finito!" "Ha ricevuto gli addestramenti sbagliati, e tu lo sai." Il timbro di Mark è violento, e interrompe le obiezioni della ragazza. Rabbrividisco, indispettita dai loro commenti e impaurita dal repentino cambiamento di umore del loro capo. Assomiglia al tuono, prima del temporale. A cui non ho voglia di assistere. "Chiedo il permesso di ritirarmi." Istintivamente scatto sull'attenti, come è solito fare alla Provincia del Nord. Ma evidentemente qua non si usa, perché vedo i volti dei presenti contorcersi in un irritante smorfia di perplessità. "Accordato." Risponde tuttavia Mark, in segno di congedo. Chino impercettibilmente il capo in gesto di saluto, poi inizio a dirigermi verso la giungla, in direzione della caserma, di cui si intravede solo la cupola candida, ora baciata dal tramonto. "Voltare le spalle alla tua sconfitta, dimostra soltanto quello che io continuo a sostenere." Il grido di Raja è acuto e insopportabile. Mi fermo, irrigidendomi. Chiudo gli occhi, cercando di estraniarmi da questo senso di rabbia che inizia ad avvolgere tutte le mie viscere, riscaldandomi, espandendo i suoi tentacoli ovunque. Stringo i palmi delle mani, ignorando le fitte lancinanti dovute alle ferite che mi sono fatta saltando da un albero all'altro. Lentamente mi giro verso di lei. "Tu potrai pure continuare a ripetere che sono senza cuore, ma ricordati che quando avevo quella fottuta pistola in mano e la puntavo contro di te, potevo ucciderti. E ho scelto di non farlo." La vedo ammutolire, incapace di dire qualcosa. La continuo a fissare per lunghi istanti, poi scatto in direzione della giungla. L'afa infernale mi assale, famelica, le fronde viscide mi graffiano il viso, le braccia e le gambe, ma io non diminuisco la mia andatura. Solo quando sono in prossimità dell'edificio della caserma, rallento. Il vento fresco mi accoglie come un cane che fa le feste al padrone che è appena rincasato. Il sole sta ormai scivolando tra le braccia della notte, mentre le prime stelle iniziano ad affacciarsi nel cielo. Lo spiazzo, prima gremito di soldati, ora è deserto. Probabilmente saranno alla mensa, a cenare. A questo pensiero il mio stomaco gorgoglia, ricordandomi che il mio ultimo vero pasto sono stati i datteri, nell'oasi. Forse, mentre ero incosciente, in infermeria mi hanno iniettato qualche diavoleria per rimettermi in sesto. Ma evidentemente non è bastato. Decido che prima di andare alla ricerca di cibo, farò un salto in astanteria, per medicarmi le mani e vedere come sta James. Mentre ripercorro a ritroso il percorso fatto questo pomeriggio, scorgo un manipolo di ragazzi di fianco al muro della caserma. Avvicinandomi meglio riesco a scorgere un ragazzo, al centro, appoggiato al muro con le braccia incrociate sul petto, che parla con un mezzo sorriso sul volto. Intorno a lui, un gruppetto di ragazze ridacchianti lo circondano a ventaglio. Non posso trattenermi dall'alzare gli occhi al cielo. Ma come possono essere attratte da uno spaccone arrogante del genere? Non me ne capacito, ma d'altronde non sono affari miei. Tuttavia possono comunque tornarmi utili. Mi passo una mano tra i capelli, mentre mi accosto senza troppi complimenti a loro, guadagnandomi un'occhiataccia da tutte le presenti. "Sapreste dirmi dove si trova la mensa?" Mi sforzo di usare il tono più gentile possibile, sebbene sia arrabbiata, affamata e ferita. Una bestia in trappola, per certi versi. Un gelo implacabile mi investe in pieno, mentre nessuno ha la decenza di rispondermi. Sto quasi per rinunciare, quando il ragazzo si alza dalla parete da cui era appoggiato, i raggi lunari che gli illuminano il viso, prima coperto quasi per intero dall'ombra del tetto. E, con una punta di stizza, capisco perché piace così tanto a queste smorfiosette. È alto, molto alto, e muscoloso. La tunica aderente gli ricade in modo impeccabile sulle spalle larghe, il petto grosso che si muove ritmicamente. Le braccia sono toniche e guizzanti, emanano un non so che di protettivo. E il suo viso. Sembra stato scolpito dagli angeli. I lineamenti sono fini ma non femminili, gli zigomi marcati accompagnano dolcemente il naso perfetto, fino ad arrivare alle labbra piene. Ma la cosa più sorprendente sono gli occhi. Blu, di un celeste intenso, due zaffiri incastonati in un volto umano, lievemente coperti da ciuffi biondi e mossi, ribelli. La sua pelle è chiara, ma in questo momento non sono mentalmente capace di chiedermi il perché. Dolcemente mi si avvicina, come se fossi il gioiello più raro di tutti e lui fosse un cercatore scapestrato che da anni è alla mia ricerca. I suoi occhi sono socchiusi, mi esplorano tutto il corpo, dietro le ciglia scure. Il mio fisico freme involontariamente. Scioccamente, non riesco a distogliere gli occhi dalle sue labbra. Così belle, delicate e letali. Sono schiuse, come una rosa che non è ancora sbocciata del tutto. "E così tu saresti la ragazza degli struzzi?" La sua voce è vellutata, rende ogni parola magica. Ci metto un po' a comprendere quello che mi ha detto, troppo concentrata ad ascoltare quella dolce musica. E quando capisco, abbozzo un sorriso. Almeno, come soprannome è originale. Sempre meglio di "perdente senza cuore", come tra poco inizierà a chiamarmi la gente quanto Raja spargerà la voce riguardo la nostra sfida. Il ragazzo avanza ancora di un passo, e io perdo la concentrazione. Continua a esaminarmi, come se ora fosse riuscito a tirarmi fuori dalla miniera e a portarmi alla luce del sole. Solo dopo qualche secondo capisco che sta aspettando una mia risposta. "Sì." Riesco solamente a dire, leggermente in imbarazzo. "E avrei fame." Aggiungo, più decisa. Ancora un suo passo, e capisco di essere vicina a perdere l'equilibrio. "Dall'infermeria prosegui lungo il corridoio, l'ultima porta in fondo a destra." Il suo profumo mi avvolge, esotico e sconosciuto, mentre si fa sempre più vicino, implacabile. Un predatore a caccia. Si ferma a un soffio dalle mie labbra. Il suo sguardo è indecifrabile, l'oceano dei suoi occhi è mosso, le onde si rincorrono l'un l'altra vogliose, desiderose di amarsi. "Se vuoi, posso accompagnarti io." La sua voce fa sussultare ogni angolo del mio corpo, la mia pelle che si ricopre di un velo involontario di dolci brividi. Poi, la parte razionale del mio cervello riprende finalmente il controllo su di me e mi ricordo di odiare quelli come lui. Donnaiolo, presuntuoso. E un soldato del Sud. Chissà se ha ucciso lui, Rachel. Il mio primo istinto è quello di prenderlo a calci, ma decido di stare al suo gioco. Probabilmente devo essere la prima ragazza a non essere cascata nel suo stupido e volgare tranello. Così è il mio turno accostarmi a lui, il mio inconscio che ghigna, sfregandosi le mani. Le nostre ciglia si sfiorano, le punte dei nostri nasi si baciano lievemente. "Grazie." Gli bisbiglio suadente. Apro leggermente la bocca, e anche se lui rimane impassibile so di fargli un certo effetto. "Ma no, grazie." Poi mi allontano di colpo, voltando le spalle all'allegra, beh forse non tanto, combriccola, un senso di trionfo che mi copre le spalle come uno scialle pregiato. Ho fatto solo una falcata, che sento qualcuno afferrarmi per un polso. Mi giro, stupita e irritata, e vedo che è lui. Cerco di ribellarmi, ma la sua presa è decisa. Con una delicatezza di cui non lo credevo capace, mi sfiora le ferite sui palmi, allontanandomi per un attimo dal dolore. Sussulto, il mio cuore che per un secondo smette di battere, colpito. "Sei ferita." La sua affermazione mi fa inarcare un sopracciglio. "Ottimo spirito di osservazione, come hanno fatto a non averti ancora promosso?" Poi mi libero dalla sua stretta, disgustata da tanta spavalderia. "Ci vediamo a cena." Mi urla lui, quando sono già lontana. "Contaci." È la mia risposta, gridata a mia volta. Il senso di nausea che mi ha provocato la conversazione non mi è ancora passata del tutto, quando entro in infermeria. La stanza è deserta, fatta ad eccezione per il lettino di James. Lui è ancora incosciente, e guardarlo mi provoca una dolorosa stretta al cuore, così decido di bendarmi velocemente le mani con della garza che trovo lì, per poi uscire subito. Seguendo le istruzioni dello Spaccone, così decido di soprannominarlo, riesco in poco tempo a raggiungere la mensa. Stranamente, però, nessuno parla, nonostante siano presenti tutti i soldati. A pensarci bene, nessuno sta neppure mangiando. Tutti hanno la testa china, le gambe incrociate sulle lunghe panche che accompagnano le tre tavolate per tutta la lunghezza della stanza. La luce di un'unica lampada pendente, decorata a formare come ali, illumina i loro visi scuri. Immediatamente scorgo Spaccone e il suo stuolo di ammiratrici nella tavolata più a sinistra, che scarto subito. Poi, con la coda dell'occhio, mi accorgo di Sarah e Richard nell'angolo della prima a destra, in disparte. Meglio così. Velocemente li raggiungo, notando con piacere che mi hanno tenuto il posto e anche un piatto di cibo. "Ma cosa diavolo stanno facendo?" Sussurro, mentre mi siedo. Ovviamente è Richard a rispondermi, non prima di essersi sistemato gli occhiali. Evidentemente devono avergliene dato un paio nuovo. Questi sono leggermente più grandi rispetto a quelli che aveva in precedenza, e gli ingigantiscono gli occhi, facendoli risaltare ancora di più sul viso magro. "Pregano gli spiriti di ciò che hanno sacrificato per questa cena, ringraziandoli." Aggrotto involontariamente la fronte, guardando nel piatto. È una specie di cous cous: intravedo riso, pesce e verdure. Stanno veramente pregando tutti lo spirito della zucchina? Questi sono matti. Mi mordo le labbra per non ridere, mentre mi accorgo con piacere che Mark, in fondo alla tavolata centrale, ha dato il segnale di procedere con il pasto. Non me lo faccio ripetere due volte. Mi fiondo sul mio piatto, famelica, il mio stomaco che gorgoglia sonoramente. Il cibo non è male: forse un po' più speziato a quello a cui sono abituata, però saporito. O forse mi fa pensare così la fame. Quando ho spazzolato la mia razione, mi giro verso i miei due compagni. "Allora" esordisco, curiosa "che avete fatto oggi?" Noto subito il viso di Sarah illuminarsi. "Io ho conosciuto un ragazzo!" Dal modo in cui lo dice, è impossibile non intuire che le piaccia. E ho un terribile presentimento. "Ti prego, non dirmi che è biondo." "Cosa? No, affatto... È moro con gli occhi scuri... Si chiama Quasim." Tiro un sospiro di sollievo, grata che non si tratti di Spaccone. Ora rimane solo da capire una cosa. "Non è che ti sei presa una cotta?" A quel punto la mia amica arrossisce fino alla punta dei piedi, firmando la sua condanna. "Ma non dire sciocchezze..." "Santo Cielo Sarah, lo sai che queste persone sono il nemico? Che siamo in guerra con loro?" "Certo, ma..." "Io proprio non riesco a crederci." "Ma io..." "Almeno gli hai estorto qualche informazione?" "Veramente no..." Mi mordo la lingua per non imprecare, mentre cerco di calmarmi. Lei non ha vissuto quello che abbiamo vissuto io e James, lei non ha visto gli orrori della guerra causati da loro. Non può capire. Probabilmente si sente sola, e quel ragazzo non l'ha più fatta sentire così. Se non altro, questa cosa potrà tornarci utile. "Devi cercare di farlo, d'ora in poi. Siamo qui per questo, no?" La mia voce è più dolce, e mi complimento mentalmente. Vedo Sarah annuire, e decido che è meglio se chiudiamo qui il discorso. Poi mi volto verso Richard. "Io ho indagato su quel manipolo di soldati che avevamo visto nel deserto... Quello per cui tra poco i servizi segreti imperiali non ci ammazzavano." Finalmente, qualcuno che ragiona. "Scoperto qualcosa?" Mi accorgo con un balzo al cuore che il suo sguardo si è incupito terribilmente. "La cosa strana è che tutti affermano di non avere mai ricevuto questi ordini. In pratica, che nessuno sia mai uscito dalla caserma." Rabbrividisco, il ricordo di una camera buia e una sedia a cui ero incatenata che mi rischiara vivida la memoria. Non è possibile. Siamo stati quasi uccisi per quello, noi quei soldati li abbiamo visti. Come possono non essere mai usciti da queste mura? "Ti sei fatto un'idea?" La mia voce è un flebile bisbiglio. Richard annuisce, piano. "Secondo me non si fidano di noi, nonostante tutto. Siamo arrivati qui solo da un giorno, non ci conoscono ancora." Possibile. Mi basta pensare agli incontri che ho fatto oggi, per sentirmi d'accordo con lui. Eppure... Per loro noi ci siamo esposti, ho persino rivelato la localizzazione della base del servizio segreto Imperiale... "Oppure." Continua il nostro compagno "Quelli che abbiamo visto erano degli impostori." Deglutisco. Ora credo che stanotte avrò gli incubi. "Impo... Impostori?" Riesce a chiedere Sarah, sconvolta. "Ma chi?" Le faccio eco. A queste domande evidentemente Richard non sa rispondere, perché lo vedo rimanere zitto e stringersi nelle esili spalle. Tutto d'un tratto, il senso di pericolo e allerta che ho da quando sono qui si intensifica, il mio cuore che martella nel petto, una musica inquietante che inizia ad aleggiare nella mia mente, come se fosse un disco inceppato. Non siamo mai stati al sicuro. Se Richard ha ragione, vuol dire che qualcuno ci vuole morti. Sin dall'inizio di questa missione. Qualcuno folle, con molto potere... Sento un tocco sulla mia spalla, e in un baleno mi ritrovo con il coltello in mano, in piedi, la mano dello sconosciuto stretta in una morsa. Batto le palpebre, rendendomi conto di star puntando la mia posata contro il volto di Raja. Abbasso la mia arma improvvisata, rimettendola senza troppi complimenti sul tavolo. Solo adesso mi rendo conto che è calato un imbarazzante silenzio intorno a noi, mentre tutti mi fissano. Di nuovo. Scrollo le spalle, ormai è abitudine. Così decido di concentrarmi sulla ragazza che ho di fronte. "Che cosa vuoi?" Il mio tono è brusco. Lei stringe le labbra, come a trattenersi. O a mantenere la calma. "Vorrei parlarti. In privato." La sua voce non è tagliente come al solito, anche se intuisco che si sta sforzando di essere gentile. "Per cosa? Piantarmi un pugnale tra le scapole?" A questa provocazione lei non risponde, limitandosi a passarsi una mano tra i lunghi capelli scuri. "No. Le tue parole di oggi mi hanno colpita e..." Per la prima volta la vedo in difficoltà. Forse è imbarazzo. "Beh, ecco, forse non ho considerato il fatto che se sono viva ora è perché tu mi hai risparmiata." Le sue parole mi colpiscono. Credo che sia per questo, che mi convinco a seguirla fuori, senza dire più una parola, annuendo soltanto. Il fresco della notte è una stilettata per i miei polmoni. Il vento è aumentato, e gioca a scompigliarmi i capelli. Quasi non sento la voce di Raja, che urla per superare l'ululato del vento. "Vieni, voglio mostrarti una cosa." Credo di essere uscita di senno, mentre mi affido alla persona che penso mi odi di più al mondo, seguendola come un animale ammaestrato. Quando arriviamo davanti a una scala che porta sul tetto dell'edificio, la cosa inizia a inquietarmi e incuriosirmi al tempo stesso. Sto facendo bene a fidarmi? Le mie mani sussultano sotto le bende mentre mi aggrappo ai pioli, ma le ignoro. Una volta in cima, mi dò una rapida occhiata intorno, chiedendomi perché mi ha portata fin quassù. A nord, l'edificio dà al deserto, ora blu come la notte. Al centro, la cupola svetta in tutta la sua eleganza, snodandosi verso il cielo, desiderosa di carezzare la luna. Chissà cosa contiene al suo interno. Mi riprometto di scoprirlo. A ovest, la giungla dorme placida; solo qualche volta il suo russare prorompe sotto forma di qualche ululato o strido di animali notturni. Girandomi verso est, noto che gradualmente il deserto si ritira, lasciando il passo a una pianura di grossi massi, candidi e puri. E poi, lo vedo. A sud, dove pensavo ci fosse altro deserto, c'è il mare. Vivo, splendente grazie al riflesso delle stelle che si riflettono in esso. È come un secondo cielo, solo che questo respira, e dai suoi sbuffi si libera spuma, che si increspa fino a formare selvaggi cavalloni, che si rincorrono gioiosi in quella prateria blu. Non una nave rovina questo meraviglioso paesaggio. Anzi, ora che ci penso non scorgo nemmeno un porto. Come se Raja fosse nella mia testa con me, la vedo sorridere dolcemente, forse felice del mio stupore. "Noi non inquiniamo. La natura è nostra madre, e come tale la rispettiamo. Per questo non abbiamo abbattuto la giungla, ma anzi l'abbiamo resa un nostro punto di forza, dove poterci allenare e temprare." La giungla. Ecco perché può esserci, qui. Grazie al clima umido che proviene dall'oceano. "È..." La mia voce trema, e sono costretta a schiarirmela. "È per questo che mi hai portata qui?" Solo ora mi giro verso di lei, che scorgo essere seduta sul bordo, le gambe penzoloni, in direzione del mare. Mi siedo di fianco a lei, abbracciandomi le ginocchia al petto. "Sì." Forse lo ha fatto per mettermi alla prova. Dalla mia reazione avrebbe capito come sono realmente. Se uno sporco soldato del Nord, una macchina per uccidere, o una ragazza con ancora del buono, nonostante tutto. E la cosa strana, è che inizio a chiedermelo anche io di lei. Con la coda dell'occhio la osservo, i suoi occhi scuri incorniciati da lunghe ciglia che guardano l'orizzonte, i capelli mossi che le volano intorno, facendola sembrare avvolta da una bruna nuvola. Gli zigomi alti le danno un'espressione quasi regale, il naso leggermente all'insù un tocco di originalità. Sembra una regina, una regina molto triste. Per causa mia. E per la prima volta in tutta la mia vita, mi sento in colpa. Per quello che ho fatto, per il mio lavoro. Per la mia vita. Sono stata io a farle così male. Sono stata io a portarle via la persona che amava. Vorrei tanto dirle che mi dispiace, che me ne rendo conto, che non le ho sparato perché forse una parte di me, in modo superficiale, già provava quello che provo ora. Ma non ci riesco. Forse è il mio stupido orgoglio, forse è perché so che comunque non cambierei le cose. Sento che sto per piangere, e mi ritrovo a non sapere il perché. "Dimmi di nuovo una cosa." La sua voce mi coglie alla sprovvista. La vedo girarsi verso di me, e mi affretto a distogliere lo sguardo. "Perché hai deciso di unirti a noi? Dimmelo guardandomi negli occhi." Deglutisco, una paura folle di essere stata scoperta, di non poter sopportare di dire un'altra bugia. Mi giro a fissarla, e i suoi occhi incatenano i miei. Ma che cazzo ha questa gente? Perché mi sento così legata a loro, quando li odio così tanto? E perché più li conosco più mi sento in colpa? "Perché i loro metodi sono brutali. Non ce la facevo più a stare lì." La mia voce esce dalla gola come un fiume gelido, e mi chiedo se potrà convincere Raja. La vedo socchiudere gli occhi e serrare le labbra. Rabbrividisco, pregando che abbia funzionato. Poi, sento come se dei tentacoli invisibili stessero scivolando nella mia testa, in una morsa che si fa sempre più oppressiva, soffocante, mentre le mie tempie esplodono. Aggrotto la fronte, cercando di respingere quest'improvviso assalto. Non so come, ma la mia mente innalza una barriera protettiva, sottile ma dura, mentre quella sconosciuta minaccia preme contro di essa, dolorosamente. Credo che il mio cervello sia sul punto di andare in frantumi. Ma proprio quando sono sul punto di crollare, improvvisi come sono venuti, velocemente si ritirano. Solo ora mi accorgo di avere gli occhi chiusi, il sudore che mi imperla la fronte, il mio respiro affannoso. Le unghie delle mie mani si sono conficcate nelle gambe, che ora sanguinano. "Che... Cos'è stato?" Ho solo la forza di dire, ansimando. In tutta risposta sento le onde del mare infrangersi sulla spiaggia rocciosa. I miei occhi saettano verso Raja, allarmati. E vedo che mi sta scrutando, una strana sorpresa sul viso. Al contrario di me lei non è per nulla provata, e in un lampo di panico mi chiedo se non è stata tutta una mia allucinazione. "È interessante." La sua risposta mi colpisce, e capisco che quei tentacoli me li ha mandati lei, in qualche modo. "Perché l'hai fatto?" La mia domanda è un grumo di rabbia. "Per vedere se stavi dicendo la verità. Ma non sono riuscita a leggere i tuoi pensieri, perché mi hai chiusa fuori. Non sapevo che voi ne foste capaci." Ho solamente un attimo per notare con quanto disprezzo abbia calcato quel "voi", poi una domanda mi trafigge. "Capaci? Capaci di usare la telepatia?" In tutta risposta, la vedo annuire. È strano. Nè i soldati che hanno attaccato la nostra caserma, né quelli visti nel deserto l'hanno usata. Forse perché i primi non ne avevano bisogno, visto l'incredibile vantaggio, e i secondi non si erano accorti della nostra presenza. Sempre che non siano impostori... "Insegnami. Voglio essere capace anche io. Voglio combattere come voi, voglio essere un vero soldato del Sud." Non sono mai stata tanto sicura in vita mia. Sarebbe un vantaggio enorme per i nostri sapere come ragionano e che armi, non solo fisiche, hanno i nostri nemici. E poi, una parte di me è curiosa. Ma non solo, è qualcosa di più profondo. Voglio essere parte di loro, fare tutto quello che sanno fare loro. Avere il cuore puro ed essere finalmente capace di non fallire una sfida. Forse è lo spirito da soldato che ho sempre avuto dentro di me. Forse è qualcos' altro, su cui ho paura di interrogarmi. "Mi stai dicendo che tu non hai mai fatto nulla del genere? Che è stata la tua prima volta?" Ora è il mio turno annuire. La vedo sobbalzare, sconvolta. I suoi occhi mi scrutano come se mi vedessero per la prima volta. "Chi sei tu, veramente?" Questa domanda mi fa paura, anche se non so perché. Poi, come riemersa da un lungo sogno, si riscuote. "Molto bene. Ci vediamo domani all'alba, nella radura in mezzo alla giungla."

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Capitolo 21
*** La Porta della Mente ***


"Concentrati. Apri la mente, ascolta tutto quello che è intorno a te." Da dietro i miei occhi chiusi, in un punto non ben definito davanti a me, la voce di Raja mi guida. È strano sentirla morbida e vellutata, e non più rabbiosa e violenta. Sembra quasi un canto di una madre, così sereno e dolce, il suo accento marcato che dà una cadenza ritmata a tutto quello che dice. Ora che ci penso bene, è da quando ci siamo viste stamattina, che si sta comportando in modo gentile con me. Mi chiedo se la conversazione di ieri sera possa averla influenzata in qualche modo. È come se avesse messo da parte tutto il risentimento che nutre nei miei confronti per iniziare ad addestrarmi, per farmi diventare una di loro. Cosa che, a quanto pare, a Mark non piace. A ripensarci, un sobbalzo spontaneo mi sbuffa nel petto. È strano, ma pensavo che in qualche modo lui mi approvasse. Forse per come si era esposto per me, difendendomi dalla furia a dir poco omicida di Raja. O forse, era per difendere più lei, che me. Senza volerlo, la mia mente vola a ricordare i suoi tratti decisi e austeri, i lunghi capelli neri mossi dal vento, e due occhi di un verde scuro, che con un solo sguardo sono capaci di far fare all'interlocutore tutto quello che vogliono. Incutono timore, e rispetto. Carisma. E sì, devo ammetterlo, nonostante l'età, anche un certo fascino. Deve essere arrivato a ricoprire la sua posizione per questi motivi. Anche se, pur non conoscendone la ragione, mi rendo conto che non dà assolutamente l'aria del soldato. E chissà per qual motivo, ma i libri di storia non dicono quasi nulla di lui. Parlano soltanto di un tiranno che voleva... Che vuole istituire un regime dispotico e violento, far cadere l'Impero. Un brivido involontario mi attraversa la schiena. È stato lui a ordinare di prendere la nostra caserma, Rachel è morta per colpa sua. Ma allora perché, perché non riesco a odiarlo? Perché non riesco a immaginarmi un uomo come lui, a ordinare di compiere una tale carneficina? C'è anche da dire, però, che non tutto quello che fa è come appare. Come quando ha finto di fidarsi di me, per poi opporsi alla richiesta del mio addestramento. Mossa che, col senno di poi, avrei dovuto aspettarmi. "Ho dovuto insistere non poco per persuaderlo." Mi aveva raccontato Raja, appena mi aveva visto. Aveva uno strano sorriso soddisfatto stampato sul bel volto. Era la prima volta che la vedevo così, con quell'espressione che le illuminava il viso facendola sembrare una fata, e non con quel mezzo ringhio arcigno che la rendeva somigliante più a un lupo, che ad una ragazza. Guardandola farsi largo con delicatezza tra le fronde della giungla, mi ero resa conto di preferire di gran lunga la nuova Raja. "E come sei riuscita a convincerlo?" Le avevo chiesto, cercando di scacciare quella stupida sensazione di essere stata in qualche modo tradita. Tutta l'agitazione che mi aveva tenuta sveglia gran parte della notte, e che mi aveva fatto schizzare alle prime luci dell'alba nel folto della vegetazione, uno strano groviglio nello stomaco, mi aveva abbandonata non appena avevo sentito quelle parole. "Credo che lo abbia colpito il fatto che tu avessi cambiato idea. Che volessi allenarti a modo nostro." Avevo annuito, mentre avevo iniziato distrattamente a mordicchiarmi le unghie, cercando di mantenere un'espressione neutrale nonostante la sciocca tempesta che stava avendo luogo dentro di me. "E poi" aveva aggiunto Raja, lievemente a disagio "Quando ha saputo cosa sei in grado di fare senza nessuna preparazione, non ha più potuto opporsi." A quell'affermazione avevo smesso di torturarmi le mani, bloccandomi a guardarla. Perché, sia lei che Mark, pensano che io sia speciale solo per quello che ho fatto, per di più involontariamente? Certo, è un fatto strano. Ma addirittura decidere di addestrarmi solamente per questo... Quali segreti nasconde questa gente? Un balzo del mio cuore nel petto mi sussurra che forse sto iniziando a scoprirlo. "Non distrarti. Espandi i tuoi sensi, focalizza la tua attenzione su quello che ti sta intorno." Il tono di Raja, ora più irritato, mi riporta in superficie, immersa com'ero nel mare dei miei pensieri. Arrossisco involontariamente, mentre per un attimo temo scioccamente che mi possa leggere nel cervello. Mi maledico, rassicurandomi e dicendomi che è impossibile. "Come fai a sapere che sto pensando ad altro?" Nella mia voce scorgo una traccia di curiosità e una nota tremolante di dubbio, che prego non abbia percepito. "Muovi le palpebre. E ti stai mordendo le labbra." A quelle parole mi accorgo che ha ragione, e mi affretto a serrarle. Dannazione. Mi ha fregata. Inspiro una lunga boccata d'aria, che spazza via le mie riflessioni. Se veramente voglio imparare qualcosa, devo concentrarmi. Non credevo fosse così difficile, non pensare a niente. Certo, quando si è nel mezzo dell'azione, o in una sparatoria, o in un'esercitazione, allora è tutta un'altra storia. L'istinto prende il sopravvento, e solo se si è un buon soldato si riesce a domarlo, lasciando che tutti gli anni di insegnamento che si ha alle spalle guidino saggiamente. È in quelle situazioni, che si capisce veramente chi è un bravo militare e chi no. Ecco, lo sto rifacendo. Sto di nuovo pensando ad altro. Espiro, lasciando con riluttanza alle spalle anche quelle considerazioni, decidendo di concentrarmi sull'oscurità, che mi circonda. Essendo con gli occhi chiusi, l'unica cosa che riesco a vedere è un rosso scuro che lava via qualsiasi altra cosa, dovuto alla luce che filtra pigramente attraverso le mie palpebre. A causa del sole, a volte si formano delle chiazze di luci colorate, che danzano sinuosamente cambiando continuamente forma, cullandomi in un ritmo sconosciuto e dolce. Man mano che mi concentro sul loro movimento, inizio ad abbandonare quel familiare stato di allerta che ormai indosso sempre, rinchiudendo in una gabbia dorata tutti i miei pensieri, fino a che la mia mente non rimane completamente sgombra. Come se il mio corpo non aspettasse altro, sento scattare dentro di me qualcosa, come se avessi messo la chiave giusta nella serratura di una porta situata nella mia testa. Progressivamente, inizio a percepire tutti i movimenti che il mio corpo sta compiendo, di cui ero all'oscuro fino a un attimo fa. Il respiro regolare che cattura un'aria profumata di mattina e di sabbia, il battito calmo del mio cuore che fa risplendere di vita tutto il mio corpo, la luce calda del sole giovane che mi accarezza la pelle affettuosamente, il fruscio delle creature che si muovono zampettando nel folto della giungla, qualche metro più in là. E ancora, la sensazione delle mie gambe incrociate e appoggiate sull'erba asciutta, le mie mani poste morbidamente sulle ginocchia, aperte e con il dorso all'insù, che catturano la morbidezza del tessuto della tenuta che indosso... Come se fossi appena salita su una giostra, sento la mia mente venire risucchiata in un vortice, ma un vortice buono, carico di speranze, mentre la porta che ho appena fatto scattare, permettendomi di assaporare tutto questo, lentamente si apre, e io so che al suo interno ci sarà qualcosa di ancora più grande, di ancora più sorprendente. Il turbinio si fa sempre più veloce, permettendo all'uscio di aprirsi leggermente di più, facendomi intravedere uno spiraglio di luce abbagliante... Un dolore lancinante alla parte sinistra della faccia mi fa aprire gli occhi di scatto, il fiato corto, mentre il tornado che mi stava trasportando si ritira, la porta piena di luce che si richiude di colpo, i miei pensieri, prima in gabbia, che riescono a liberarsi, frullando nella mia testa in un fruscio scomposto d'ali. Che cosa diavolo è stato? Chi mi ha colpita? Me lo sono immaginato o è successo veramente? Il dolore pulsante che mi riscalda il volto, mandandomelo in fiamme, sembra rispondermi per me. Passano alcuni secondi dove la mia vista è appannata e non riesco a mettere a fuoco niente, le mie orecchie che fischiano. Poi mi rendo conto di essere accasciata per terra, una figura alta che torreggia su di me, un'arma in mano. In un baleno, mi ritrovo proiettata nella nostra palestra, sulla pedana del combattimento con gli spadoni, e un Peter soddisfatto che mi schernisce. Ma davanti a me, non c'è Peter. C'è Raja. Ha in mano il bastone degli allenamenti con cui ci siamo sfidate ieri, nello spiazzo dedicato agli addestramenti di fianco alla caserma. "Ma si può sapere che cazzo ti è saltato in mente? Perché mi hai colpita?" Il mio tono è furioso, la mia mano che scatta in direzione della tempia dolorante, mentre a poco a poco le fitte passano. Stranamente, non la vedo dispiaciuta, ma piuttosto divertita. Cosa che, ovviamente, mi fa arrabbiare ancora di più. In un balzo sono in piedi, e la fronteggio. Solo ora mi rendo conto di essere molto più alta e, in questo momento, più minacciosa di lei, ma la cosa non sembra in alcun modo intimorirla. "Bisogna sempre mantenere tutti i sensi attenti. Tu non lo stavi facendo. Eri talmente concentrata sulla meditazione, su te stessa, che non ti sei accorta nemmeno di quello che accadeva intorno a te. In battaglia, dovrai tenere la mente aperta ma, al tempo stesso, combattere. E come pensi di riuscirci se non ti rendi nemmeno conto di un tuo avversario che ti si avvicina e colpisce?" Rimango in silenzio, assimilando le sue parole. Effettivamente, non ha tutti i torti. Però, se solo mi avesse lasciata stare qualche altro minuto... "Tecnicamente mi sono accorta che mi colpivi. E poi, se avessi aspettato qualche altro istante, forse sarei riuscita davvero a sentire quello che succedeva intorno a me." Mi ritrovo a borbottare a bassa voce. In tutta risposta Raja inclina la testa di lato, scettica. "Ne dubito fortemente. Ci si impiegano mesi, per non dire anni, a rendersi conto, nel corso di una meditazione, di quello che accade intorno a sé e avere al contempo il controllo di tutti i sensi." "Non sto parlando di controllo." La interrompo, il mio stomaco contratto per una brezza di euforia improvvisa. "Sto parlando del fatto che..." Mi fermo, le vene che mi pulsano fredde, mentre cerco le parole giuste da dire. "Prima ero deconcentrata, avevo un sacco di pensieri per la testa... Poi mi sono focalizzata sul buio intorno a me, e allora sono riuscita a rinchiudere i miei pensieri. E allora ho percepito tutto il mio corpo agire, non mi era mai capitato prima... Lentamente tutto ha iniziato a girare, sembrava quasi che fossi sul punto di aprire una porta da dove usciva un sacco di luce e..." Mi blocco, vedendo la sua espressione. È divertita e vagamente soddisfatta, sembra quasi una madre che vede suo figlio camminare per la prima volta. Lentamente si siede, passandosi una mano tra il mare d'ebano dei suoi capelli. "Sai, per un momento ho avuto quasi la paura che fossi troppo... Nordica. Che ti avessero ridotto la mente a un vegetale." Mi accovaccio a terra di fianco a lei, cercando di camuffare alla bell'e meglio la mia faccia carica di occhiate malevole e rancore. "Ah sì?" La mia voce suona leggermente acida. La vedo inarcare un sopracciglio e lanciarmi un'occhiata di sottecchi, da dietro le folte ciglia. "Sì. Non riuscivi a concentrati, la tua mente vagava. Per noi non è così. Certo, non dico che sia facile, ma siamo abituati sin da piccoli a meditare. Tu sei stata ben due ore seduta a pensare ad altro." Reprimo l'impulso di alzare gli occhi al cielo, mentre fisso con un po' troppa insistenza la punta delle mie babbucce. "Il fatto è che non sono abituata a rendere cieco un senso per far dischiudere tutti gli altri. Mi hanno sempre ripetuto che la vista è quello più importante, senza il quale un soldato non può combattere. Per questo per me era... È così difficile." Sento Raja ridere, ed è un suono così inaspettato che per un momento mi chiedo da dove possa provenire. È amaro, leggermente intriso di rabbia. "La vista il senso più importante? Ma com'è possibile che tu sia ancora viva?" La sento trattenere un'altra risata. "L'udito. È l'unica cosa che conta. Ti permette di sentire tutto quello che è intorno a te. È la chiave per La Porta della Mente. O come la chiamiamo noi, Bab Aleayn. Quella che tu hai visto per un attimo aprirsi." Trattengo il respiro, una miriade di domande inespresse condensate in quell'unico gesto. Lei pare capirlo, perché sorride e prosegue. "Diciamo che è come un occhio mentale, che permette di vedere tutto quello che si ha intorno. Se si riesce a dischiuderlo, non si percepirà più soltanto sé stessi, ma ogni cosa che è nei dintorni." Annuisco, il senso di euforia che torna a inondarmi di pura elettricità. Non mi era mai successa una cosa del genere prima d'ora. "Quindi attraverso La Porta della Mente si riesce anche a entrare in quella degli altri? A controllarli?" "Sì, ma non solo. Si percepisce ogni cosa che il Controllato, così lo definiamo, sta provando o ha provato. Ogni suo ricordo, ogni suo pensiero. È bellissimo, e pericoloso. Ovviamente questo succede fino a quando si esercita il controllo mentale. Una volta ritiratisi, l'individuo ritorna a possedere pienamente il suo corpo." Deglutisco, un freddo brivido che mi attraversa la schiena. Era quello che voleva fare ieri sera con me? Voleva rendermi una Controllata? "Per questo è importante meditare. È la chiave per riuscire ad aprire Bab Aleayn. Con l'allenamento, poi non servirà più. Riuscirai ad aprirla ogni volta che vuoi." "Ma allora perché tu non sei riuscita a soggiogarmi? Perché non ha funzionato?" Raja si gira a guardarmi, un'espressione ironica stampata in faccia. "Soggiogarti? Addirittura?" Scuote lievemente la testa, riccioli di morbide ciocche che le ricadono dolcemente sul viso ambrato. "Te l'ho già detto. Tu mi hai chiusa fuori. Si riesce a soggiogare, come dici tu, l'avversario solo se esso non oppone resistenza, oppure se si penetra nelle difese che esso innalza per schermarsi." Rimango zitta, rimuginando su quello che mi ha appena detto. Quindi io, in qualche modo, sono riuscita a innalzare una barriera di difesa mentale senza nemmeno accorgermene. Ma perché? Come diavolo ho fatto? Ora capisco perché Raja e Mark erano così stupiti. Ci vogliono anni di addestramento per poter fare una cosa del genere... E loro iniziano ad allenarsi che sono ancora bambini. Ma allora... "Voglio riprovare." La mia voce è decisa e ostinata. Un lampo di compiacimento le attraversa il volto, e mi chiedo se non stia iniziando a sbocciare del rispetto reciproco tra di noi. "Non così in fretta. Meditare è innocuo, ma per quanto riguarda La Porta della Mente è tutta un'altra storia. Richiede molta energia aprirla, e soprattutto controllarla. Quindi..." La vedo alzarsi in piedi, afferrare saldamente il bastone di addestramento e lanciarmelo. Lo prendo al volo senza alcuna difficoltà, con una mano sola, mentre questa volta è il mio turno inarcare un sopracciglio. Raja si gira e prende un' altra asta, che non sapevo avesse portato. Non ce li aveva in mano, quando è arrivata questa mattina. Forse li aveva preparati ieri sera. "...Ora ci concentreremo sul combattimento. La nostra tecnica è molto diversa dalla vostra. Sebbene tu ti sia mostrata piena di risorse durante il nostro scontro" e detto questo mi scocca un'occhiata eloquente che mi fa accapponare la pelle "non conosci affatto i nostri metodi, molto più efficaci e senza dubbio più aggraziati dei vostri." Stringo i denti in una morsa ferrea, una voglia matta di risponderle per le rime che si impossessa di me e mi solletica le labbra. Il venire continuamente insultata, non solo me ma anche le mie origini, inizia a darmi sui nervi. Solo il ricordo del fatto che sono sotto copertura e, mio malgrado sono costretta ad ammetterlo, un certo interesse mi convincono a tenere a freno la lingua. Così mi alzo, posizionandomi a qualche metro di distanza da Raja, alle spalle il tempio e davanti a me la giungla. "La prima regola" inizia Raja, roteando l'arma che ha in mano "è fondersi con la natura che ti sta intorno." Ok, questa proprio non me la sarei mai aspettata. Neanche da dei fanatici come loro. "Scusa, come?" Non riesco a trattenere un sorriso sghembo. Lei mi fulmina con lo sguardo, e per un attimo mi sfiora il dubbio che stia per scagliarmisi addosso. Poi fa un lungo respiro, come per trattenersi. "Hai capito bene. Tutto quello che è intorno a noi è sacro. Noi siamo nati dalla terra dove proprio ora tu stai posando i piedi, e quando moriremo il nostro corpo verrà buttato in mare, le nostri ceneri saranno trasportate dal vento e ridiventeremo terra. Poi arriverà un cervo, che mangerà l'erba che è cresciuta grazie a noi. Il cervo verrà catturato da un cacciatore, che si ciberà della sua preda. E così noi fungeremo da energia per i nostri fratelli futuri. Ancora non capisci? Siamo tutti connessi, gli uni con gli altri. Noi esistiamo grazie quello che ci circonda, grazie al mare, grazie al vento, grazie alla terra. E così come da morti, gli spiriti primordiali ci aiutano anche da vivi. In ogni nostra azione, loro ci sono. E in combattimento, dovremo essere implacabili come il mare, aggraziati come il vento e solidi come la terra." Aggrotto la fronte, lievemente impressionata. Avevo dimenticato la loro fissazione per gli spiriti, come li chiamano loro. "Tu non mi credi, non è così?" Il suo tono è indecifrabile, lontano. Forse teme di stare solo perdendo tempo, con una sporca e ottusa Nordica come me. Soprappensiero, inizio a puntellare il bastone che ho in mano sul terreno soffice, lasciando dei cerchi di erba appiattita. Devo dire quello che penso? O trattenermi? Ma poi, conta davvero quello che penso? Che senso ha non dire la verità? "Non penso sia questione di credere. Questa cosa degli spiriti... È molto poetica certo, ma mi sembra leggermente arretrata come ideologia. La terra, il vento, perfino il mare... Sono solo elementi naturali. Non sono vivi. E, onestamente, ritengo che l'unica cosa che conti, sul campo di battaglia, sia una pistola carica e una buona mira." Mi mordicchio le labbra, interrogandomi se sia il caso di alzare gli occhi e incrociare il suo sguardo. E quando lo faccio, me ne pento amaramente. Credo che nemmeno se gli dicessi che sono innamorata del Gran Maestro avrebbe una faccia così sconvolta. "Una... Una pistola?" Sputa fuori le parole come fossero veleno, disgustata. Eppure, non si sono fatti molti problemi ad imbracciare delle armi da fuoco, durante l'assedio alla nostra caserma. Ora che ci penso, non ne ho ancora vista una da quando sono qui. Tutti i militari sono muniti di bastoni simili a quello che tengo in mano ora e, a quanto pare, molte volte compiono delle prove all'interno della giungla. "Scusa, ma la tua gente non le ha?" Con cosa combattereste in battaglia, se non con quelle? Ma questa domanda, scelgo di mantenerla inespressa. Un tonfo davanti a me, mi distoglie dai miei pensieri. Raja ha gettato a terra la sua arma da allenamento, e si sta dirigendo verso la vegetazione. "Ma dove stai andando?" È tutto quello che riesco a chiederle. La vedo sbuffare e girarsi verso di me. E dal suo sguardo, capisco che ogni riuscita a farla infuriare. La sento sussurrare tra i denti qualcosa di molto simile a un'imprecazione nella sua lingua. Poi mi rivolge il sorriso più freddo che abbia mai visto, per nulla divertito. "Vieni. Ti mostro come è la mia gente."

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