Dalla tela de Il caso Mackenzie di lithium (/viewuser.php?uid=23960)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Audrey & Percy - Persino Letale ***
Capitolo 2: *** Estate ***
Capitolo 3: *** Albus Severus ***
Capitolo 4: *** Audrey & Percy - Cléo ***
Capitolo 5: *** Meringa - Fergus & Thabatha ***
Capitolo 6: *** Audrey & Percy - Lacrime ***
Capitolo 7: *** Hannah & Neville - Mandragole e stufato di zucca ***
Capitolo 8: *** Ron & Hermione - Canis Minor ***
Capitolo 9: *** Gretna Green ***
Capitolo 10: *** Memorie - Vignette ***
Capitolo 11: *** Audrey & Percy - Mischief Managed ***
Capitolo 12: *** Un matrimonio - prima parte ***
Capitolo 13: *** Un matrimonio - seconda parte ***
Capitolo 14: *** It was the night before Christmas - Arthur Weasley ***
Capitolo 15: *** Bazzecole (o perché Rednails e Royalsafe si detestano) ***
Capitolo 16: *** Ron & Hermione - Non facile da amare ***
Capitolo 1 *** Audrey & Percy - Persino Letale ***
AUDREY E PERCY
** * **
PERSINO LETALE
** * **
Percy osservò in silenzio i membri del Wizengamot che uscivano dall’aula di Tribunale.
L’ordinata colonna di maghi dalle tuniche color prugna si diresse come un unico fiume fuori dall’enorme sala dei processi fino a dividersi in tre rami per meglio defluire attraverso le tre gigantesche porte di ingresso.
Un rumore di mormorii e chiacchiericci li seguiva, ad incrinare, appena percettibilmente, l’aria di irreprensibilità e solennità di quei maghi e quelle streghe tanto importanti.
Per qualche attimo ancora il Procuratore Weasley rimase seduto al suo posto, apparentemente immerso nei propri pensieri.
Non era così. La sua testa era completamente svuotata di ogni riflessione.
Per un momento, come in un sogno, Percy Weasley si sentì completamente svuotato di emozioni, di pensieri, di sofferenza. In pace con se stesso.
Aveva vinto e un pessimo soggetto, un vero criminale, sarebbe stato punito come Giustizia necessitava.
Senza quasi accorgersene un sorriso si allargò sul volto del giovane mago: avevano vinto.
Ed ora che il caso era concluso, se lei avesse voluto, avrebbe potuto …
Con quel pensiero fisso in testa il Procuratore Weasley raccolse frettolosamente le carte che aveva lasciato sul banco dell’accusa e le ripose all’interno della propria piccola valigetta incantata per contenere un'enorme quantità di scartoffie e si diresse di gran carriera all’Ufficio applicazione della legge sulla Magia.
** * **
Seduta nel suo cubicolo al secondo piano del Ministero della Magia, Audrey Wallace stava tentando di decifrare l’iscrizione su un manufatto oscuro arrivato da una regione dell’Argentina nella quale si sospettava stessero rifugiati alcuni tra gli ultimi Mangiamorte che non avevano ancora subito un processo ed una giusta punizione.
Da quando Tom Riddle era stato definitivamente sconfitto il Dipartimento degli Auror aveva deciso che era prioritario cercare di assicurare alla Giustizia tutti i suoi sostenitori, per evitare che gli errori del passato fossero ripetuti in futuro.
Pareva un lavoro ricco di emozioni. In realtà se avesse dovuto essere assolutamente sincera, il lavoro di tutti i giorni, il minuzioso raccogliere informazioni e dettagli poteva essere estremamente noioso e frustrante, ma la Auror era perfettamente consapevole dell’importanza di tutto quello che facevano. Non a caso quando qualche mese prima, Ronald Weasley le aveva chiesto di collaborare con suo fratello per programmare un processo, anziché continuare a dedicarsi a tempo pieno alle indagini, Audrey era rimasta piuttosto seccata. Benché avesse moltissimo rispetto per Ron, non le era chiaro perché il procuratore Weasley non potesse affidarsi a qualcun altro per quella collaborazione. Ex post era stato chiaro perché Ron e Percy avevano pensato a lei. Audrey non amava vantarsi, ma sapeva esattamente quanto fosse straordinario il suo talento per le lingue e i codici crittografici, era la materia in cui aveva eccelso all’Accademia.
In ogni caso lavorare con Percy Weasley si era rivelato inaspettatamente piacevole: sotto quella scorza che mostrava a tutti, pur rimanendo assolutamente professionale, il procuratore Weasley era un uomo simpatico, seppur con un senso dell’umorismo non comune, instancabile e preciso, meticoloso nel suo lavoro e puntiglioso. Tutte qualità che Audrey aveva imparato ad apprezzare e ammirare in quelle settimane di lavoro. Non guastava che fosse anche molto attratta fisicamente da lui: certo Percy non sarebbe mai finito sulla copertina di un settimanale, ma aveva degli occhi celesti stupendi, il suo naso lungo e magro le ricordava molto quello di certe sculture greche, insieme pronunciato e virile. Sebbene scontasse qualche centimetro di altezza a confronto con il fratello minore, era così alto da camminare un po’ incassato nelle spalle, ma Audrey l’aveva visto recentemente in udienza, quando raddrizzava la schiena e i suoi occhi scintillavano nella passione dell’arringa e, per quanto ne fosse stata tremendamente imbarazzata poi, non aveva potuto fare a meno di chiedersi quanto sarebbe stato bello una volta animato da tutt’altra passione.
Era stato uno di quei pensieri traditori che si infilano nella tua mente da non si sa dove e ti lasciano perplesso ed incantato insieme: da quel giorno Audrey s’era resa conto di essere profondamente attratta da Percy Weasley e di tanto in tanto si era domandata se quell’infatuazione fosse reciproca. Lui non aveva detto nulla, come d’altra parte nemmeno lei aveva fatto, ma qualche volta le era parso che il suo sguardo indugiasse su di lei troppo a lungo, che lui facesse di tutto per evitare di sfiorarla, come se un tocco, per quanto casuale, avesse un significato molto profondo.
Poi altre volte l’Auror si diceva che s’era inventata tutto, si guardava allo specchio e si trovava così banale, poco attraente per un uomo, che rideva della sua stessa ingenuità.
Stava finendo di scrivere una frase, la piuma che disegnava sicura un trattino di una t per appuntare il messaggio contenuto nel manufatto, quando sentì dei passi spediti avvicinarsi al suo cubicolo. Alzò lo sguardo per trovarsi di fronte l’uomo che troppo spesso faceva capolino nei suoi pensieri.
** * **
Percy si avvicinò al cubicolo dell’Auror Wallace, determinato, ma con il cuore che batteva fortissimo.
La vide alzare lo sguardo e quando i loro occhi si incontrarono non poté trattenersi dall’accennare un timido sorriso.
Audrey ricambiò e tutto il suo viso s’illuminò: certo alcuni uomini non l’avrebbero trovata particolarmente attraente, ma quando la guardava il Procuratore Weasley coglieva i piccoli particolari, i tratti che facevano di lei una persona speciale e non poteva che rimanerne affascinato: si sentiva come un fine collezionista d’arte, capace di vedere un capolavoro laddove un altro avrebbe visto solo una tela.
Sarebbe bastato a chiunque vedere Audrey in quel momento, con il sorriso che le rischiarava il volto per capire quanto la donna potesse essere infinitamente bella, se si sapeva come guardarla.
“Abbiamo vinto.” Proclamò seriamente. Senza l’aiuto dell’esperta di messaggi cifrati convincere il Wizengamot della bontà della sua tesi accusatoria sarebbe stato infinitamente più complesso e, per un individualista, un ambizioso come lui, trovarsi ad apprezzare il lavoro di squadra e a rimpiangere che non vi fosse più la necessità di lavorare con qualcuno era un’esperienza inedita ed unica. Era più che normale che volesse renderla partecipe del loro successo e tributarle il ringraziamento dovuto, ma c’era dell’altro.
Sorridendo ancora di più, Audrey si alzò in piedi forse per congratularsi.
Percy non lo seppe mai: prima che il nervosismo e l’agitazione potessero avere la meglio su di lui, fece quello che aveva desiderato per settimane, si avvicinò a lei, prendendola appena tra le braccia, pronto a scostarsi e scusarsi al primo accenno di contrarietà da parte di Audrey e chinandosi su di lei, lasciò che le sue labbra incontrassero quelle della giovane Auror.
Fu un bacio lieve, timido, poco più dello sfiorarsi delle loro bocche. Uno capace di rapirlo ed inebriarlo dalla punta dei capelli alla punta dei piedi.
Sentì Audrey trattenere il respiro per un secondo, prima di rilassarsi nel bacio, le sue labbra morbide e dolci e così velatamente sensuali perfino a quel tocco apparentemente innocente.
Prima che il momento potesse avere la meglio su di lui, costringendolo a un comportamento completamente inadatto a quel luogo di lavoro – lui ed Audrey erano persone assennate e non c’era alcun motivo per essere ulteriormente indiscreti – si scostò da lei.
La osservò riaprire quei suoi meravigliosi occhi azzurri e guardarlo un po’ frastornata e si sentì in obbligo di spiegare quel gesto spontaneo. Meglio essere chiari. Non era mai stato granché a capire persone e sentimenti e non voleva fare supposizioni sbagliate.
“Mi auguro di non averti offeso, ma erano settimane che volevo farlo.”
** * **
Stava guardando Percy come un pesce lesso ne era assolutamente certa, ma non riusciva a parlare per la sorpresa.
La gradita, bellissima sorpresa.
Cosa le aveva domandato?
Ah sì. Non era offesa. No, affatto, ma si sarebbe tremendamente offesa se non avessero riprovato, reiterato, replicato. Repetita iuvant. Doveva smetterla con i sinonimi.
Si accorse che stava scuotendo la testa. Comunicazione non verbale. Meglio di niente.
Oddio, lui le stava sorridendo. Perché era così bello quando sorrideva? Lo faceva apposta. Sapeva che i suoi neuroni finivano in un brodo di giuggiole quando le sorrideva così.
Si morse nervosamente le labbra, trattenendo a stento un sospiro.
“Devo andare. A dopo?” Mormorò Percy.
Assolutamente sì. Sì, sì, per favore.
“A dopo.” Rispose timidamente.
Erano due funzionari del Ministero che trattavano importantissimi casi giudiziari. Sembravano due adolescenti stupidi storditi dal primo bacio e Audrey Wallace non era mai stata tanto contenta di sentirsi deliziosamente stupidamente infatuata.
Seguì Percy con lo sguardo finché sparì dietro la porta del Dipartimento degli Auror, si lasciò il tempo di un altro sospiro e, poi, tornò ad essere Audrey Wallace, Auror esperta di crittografia, messaggi cifrati e lingue straniere del Ministero, tenace, meticolosa, ostinata e, nella giusta situazione, persino letale.
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Capitolo 2 *** Estate ***
Una breve vignetta in un pomeriggio
estivo. Agrodolce.
CAPITOLO II
** * **
ESTATE
** * **
Il
caldo di luglio era quasi
soffocante nella casa cresciuta alla rinfusa in cima alla collina di
Ottery
Saint Catchpole e le voci che provenivano dalle finestre aperte
suggerivano che
la famiglia Weasley aveva saggiamente deciso di spostare il
tradizionale pranzo comune della domenica in una zona più fresca del
salotto della Tana.
Stare
in famiglia era
meraviglioso. Era una di quelle verità che il procuratore Weasley
aveva dovuto
imparare con l’esperienza, nel tempo, le lezioni che la vita
gli aveva
riservato fin troppo dure per trasformare il piccolo prefetto pomposo
in un
uomo capace di sbagliare ed ammettere i propri errori. Erano serviti
una guerra
magica ed un lutto così straziante che si leggeva ancora in
ogni occasione sui
volti dei suoi genitori, come un velo di tristezza al margine di ogni
pensiero
anche il più gioioso. Se la seconda venuta di Voldemort non
fosse stata una
lezione sufficiente, la breve, ma sanguinaria parabola di Diodora
Mackenzie la
primavera dell’anno precedente aveva aggiunto altra
esperienza ed altro dolore
al fardello del terzo dei figli Weasley.
Tuttavia
certe abitudini muoiono
difficilmente e c’erano momenti in cui Percy Weasley aveva
bisogno di
ritagliarsi un momento di solitudine, lontano dalla sua chiassosa e
numerosissima
famiglia. Era questo il motivo per cui, sfidando il caldo asfissiante,
egli si
era allontanato dai fratelli e dai genitori per rifugiarsi a pensare
nel
salotto della Tana: era bellissimo vedere che la sua famiglia aveva
ritrovato
un proprio equilibrio e una certa serenità e Percy non era
del tutto privo di
un certo gusto perverso che lo spingeva ad osservare incantato il
Salvatore del
Mondo magico, l’Auror straordinario, Harry Potter, inseguire
inutilmente un mocciosetto
di tre anni che aveva tutta l’intenzione di far ammattire i
suoi genitori.
Eppure era in quei momenti che il sordo dolore che egli percepiva
sempre per l’assenza
di Audrey si faceva più acuto.
Per
lungo tempo egli aveva
sperato che le condizioni della ragazza potessero migliorare e che
l’Auror si
riprendesse dallo stato di coma in cui era piombata a seguito del
duello finale
tra il Ministero e Diodora Mackenzie. Purtroppo per quanto la speranza
di Percy
fosse stata forte, ultimamente anche lui stava cominciando a
rassegnarsi all’eventualità
di non poter più riabbracciare la donna che amava.
Cercando
di non indugiare troppo
su quel terribile pensiero, l’uomo attraversò il
salotto dirigendosi verso la
cucina della Tana. Il caldo era veramente intenso e, se conosceva bene
sua
madre, ci sarebbe sicuramente stata una caraffa di limonata preservata
da un
incantesimo refrigerante da qualche parte in cucina.
Varcando
la soglia, Percy si
stupì grandemente di trovare sua cognata, accoccolata su una
sedia intenta ad
allattare la piccola Rosie.
“Oh
Hermione, scusami, pensavo
fossi … Me ne vado subito!” disse arrossendo un
poco.
Alzando
gli occhi dalla bimba,
lunghi ciuffi cespugliosi che scappavano alla coda nel quale li aveva
costretti,
Hermione sorrise con aria stanca “Figurati, non è
affatto necessario. Volevo
solo tentare di far dormire un po’ Rosie, dopo la poppata, e
là fuori c’è un po’
troppo rumore. E’ proprio una Weasley, il caos la eccita da
morire e farle fare
un riposino pomeridiano diventa un’impresa. Resta pure,
checché ne pensi tuo
fratello, non c’è nulla di allettante o sensuale
in me in questo periodo, mi
sento piuttosto una latteria ambulante.”
Percy
tossicchiò, guardando il
pavimento. No, non
c’era nulla di
erotico in una donna carina e improvvisamente prosperosa, seduta mezza
nuda in
cucina, infatti, specie per un uomo che non faceva sesso da
più di un anno.
Avrebbe dovuto ricordarselo, specie se il predetto fratello avesse
deciso di
avventurarsi in cucina.
“Cercavo
la … Ah eccola!” Finì
lui, afferrando la brocca della limonata e versandosene un bicchiere.
“Ne vuoi
un po’?” domandò.
“Sì,
ma più tardi, ho le mani un
po’ impegnate ora.” Rispose Hermione sorridendo
magnanima alla sua domanda.
Sua
nipote era un vero
spettacolo, così meravigliosamente rosa e paffuta e con quei
piccoli capelli
così morbidi e fini. Il colore, una sorta di biondo fragola,
che con il tempo
si sarebbe scurito, non deponeva bene per la povera piccola: rosso
Weasley.
Percy ricordava chiaramente quando i capelli di Ginny avevano quella
sfumatura,
su una donna potevano essere meravigliosi, ma su un uomo …
Ci voleva personalità
per saperli portare e con Audrey che era una rossa, i loro di bambini
non
avrebbero avuto …
Sorpreso
dalla piega che avevano
preso i suoi pensieri, Percy focalizzò nuovamente la sua
attenzione sul bicchiere
di limonata che stava riempiendo, ma non abbastanza velocemente
perché Hermione
non lo notasse.
“Novità
dal San Mungo?” chiese
lei.
Scosse
la testa, sospirando.
“Non
devi arrenderti, Percy. Le
cose miglioreranno, ne sono certa. Guarda cosa è successo a
Rose e me quando l’aspettavo
ed ora, guardala, non è il ritratto della salute?”
L’uomo
guardò gli occhi scuri
della cognata pieni di certezza e determinazione. Era stanca. La
bambina non
dormiva molto e lei e Ron passavano in bianco molte notti, lo sapevano
tutti in
famiglia. Eppure in quel momento stava cercando di consolare lui. Il
suo
fratellino aveva scelto davvero una gran donna. Forse non esattamente
una
bellezza convenzionale, ma qualcuno con un cuore d’oro, oltre
che un talento ed
un intelletto straordinario.
Annuì.
La
porta della cucina si aprì
rumorosamente
“Hermione,
cara, vuoi che … Ah
Percy ecco dov’eri finito. I tuoi fratelli stanno andando a
giocare a Marco
Polo giù alla Pozza e George si stava giusto chiedendo
dov’eri. Penso che non
possa divertirsi a sufficienza se lui e uno dei piccoli non cercano di
affogarti…”
Percy
sorrise.
“Sembra
che io abbia un invito
che non posso rifiutare. Hermione … Grazie.” Disse
avviandosi verso la porta.
“Sta
attento, caro.” Aggiunse sua
madre, mentre Hermione lo salutava.
Percy
sorrise. “Certo, mamma, mi
farò annegare con giudizio.”
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Capitolo 3 *** Albus Severus ***
Una
nuova Slice of Life, nella speranza di farvi sorridere. Ispirata
a una recente nascita in famiglia. Buone ferie!
CAPITOLO
3
RON
– HERMIONE
“ALBUS
SEVERUS”
“Albus
Severus!” Ron Weasley pronunciò quei due nomi con
il tono di chi tenta di digerire
un piatto particolarmente indigesto. Invano.
Accanto
a lui sua moglie continuò a camminare in silenzio, cercando
di mascherare
l’accenno di sorriso che si disegnava sulle labbra
all’indignazione di Ron, con
scarsissimo successo.
“La
mia unica sorella si fa otto ore di travaglio e … E lui
… Lui … Che, poi, posso
anche provare a capire Harry … Voglio dire …
E’ cresciuto con quei Babbani e
quel bullo per cugino … E poi quel paio di volte che
è morto per mano del
vecchio Voldy, sono cose che ti segnano, Hermione … Qualche
danno celebrale
dovrai pur riportarlo, ma mia sorella? Ginny sa tutto di nomi ridicoli!
La mia
famiglia sa tutto di nomi ridicoli! Ah!” Concluse con un
mugulio di
frustrazione che all’orecchio di Hermione Granger-Weasley
suonò tremendamente
simile a “Bilius”.
Lei
lo guardò di sottecchi, decidendo che era il caso di lasciar
correre e non
intervenire a metà tirata. In realtà la strega
aveva trovato molto più
preoccupante che Ginny avesse deciso di avere anche questo bambino in
casa,
anziché al San Mungo. In realtà non era
così inconsueto nel Mondo Magico. La
signora Weasley aveva avuto tutti e sette i suoi figli in casa per
esempio.
Tutti, compreso quel mezzo gigante tanto indignato che le camminava
accanto:
per certe donne la maternità era la cosa più
naturale del mondo. E poi c’erano
quelle come lei.
Ignaro
della piega non troppo lieta che avevano preso i suoi pensieri, Ron
continuò. “
Aspetta solo che gli vengano
le lentiggini e gli spuntino i capelli rossi, come a James!”
“La
nostra Rose ha i capelli rossi e le lentiggini, Ron!”
osservò Hermione, un po’
piccata.
“Che
c’entra?” Domandò suo marito
completamente sincero. “Lei è assolutamente
meravigliosa, stupenda, intelligente come sua madre.”
Osservò, guadagnandosi un
sorriso indulgente da parte di Hermione. La cecità paterna
di Ron era una delle
qualità che aveva scoperto solo di recente, ma la trovava
assolutamente
adorabile.
“Albus
Severus! Oh sì, già me l’immagino
… Sarà davvero una passeggiata quando il
soldo di cacio andrà ad Hogwarts … Speriamo solo
che il piccoletto prenda da
suo zio…”.
“E
padrino.” Concluse per lui Hermione.
“Charlie?
E chi stava parlando di Charlie?” Chiese Ron prima di notare
il sorriso
divertito sul volto della moglie, mentre svoltavano a destra superando
un
negozio di giocattoli.
“Ah
non era a lui che ti riferivi?” Osservò lei,
guardando il marciapiede con un
certo interesse per camuffare il brillio divertito nei suoi occhi.
“Beh, in
ogni caso sarà sufficiente che tua sorella gli insegni una
delle sue fatture
Orcovolanti.”
“Già!”
Concordò Ron che più di qualche volta si era
trovato dall’altro lato del
celeberrimo incantesimo di Ginny.
“Albus
Severus! Si può sapere chi nel pieno delle sue
facoltà mentali chiama un figlio
così? Un gatto, forse, ma un bambino?”
“Oh,
non saprei, Albus è un bel nome …”
Ron
si fermò a metà passo, il piede leggermente
sollevato dal terreno, fissandola
come se le fossero spuntate vibrisse e orecchie da gatto. Di nuovo
“Sì, certo,
tesoro, per uno stregone di cento anni che dirige una Scuola di Magia
… Non per
un neonato!”
Hermione
decise di tener per sé il fatto, piuttosto ovvio, che anche
il Professor
Silente era stato un bambino un tempo.
“Che
Potter abbia zero fantasia in fatto di nomi è un dato di
fatto, il nostro
figlioccio ne è la prova vivente … Ma il nome di
Piton? Questo si chiama
raschiare il fondo del barile, Hermione!”
“Beh,
Ron, abbiamo scoperto che il Professor Piton era un uomo
incredibilmente
coraggioso …” Tentò lei.
Il
marito la guardò male. “Piton era un essere
sgradevole e non c'è dose di eroismo o
coraggio o shampoo che mi possa far dimenticare come si è comportato con
noi …
Con te a scuola.” Sentenziò con un tono che non
ammetteva repliche.
Hermione
non si fece scoraggiare. “Sai Ron se solo il suo amore fosse
stato corrisposto,
magari…”
Lui
sbuffò. “ Sì, sì, ok
… Ha avuto una vita di mer…” Lo sguardo
di lei lo fermò a
metà parola “Difficile e ha fatto una fine
orribile, ma ciò non toglie che … O
miseriaccia, e se il povero piccolo prendesse qualcosa da lui? Non
potrei
sopportarlo!” Ron
assunse una
espressione visibilmente preoccupata.
“Oh,
sono sicura che Ginny
gli insegnerà l’igiene
personale…”
Ron
la ignorò, ingoiando il vuoto. “Sento che
… Mi ci vuole … C’è bisogno
di un
palloncino, Hermione. Quel poveretto ha decisamente bisogno di un
palloncino!”
**
* **
Provvidenzialmente,
come nelle migliori storie, c’era uno stand che vendeva
palloncini solo qualche
incrocio più in là, in una piazzetta a pochi
passi dal numero 5 di Grimmauld
Place. La coppia si fermò per acquistarne al nipote uno con
un bel orsetto
disegnato.
“È
sicuro di non volerne uno con il nome di suo nipote?” Chiese
il venditore
collaborativo quando Ron gli spiegò qual’era
l’occasione.
Per
tutta risposta, lui strabuzzò gli occhi allontanandosi di
qualche passo, come se
il pover’uomo l’avesse canzonato.
“Non
badi a mio marito.” Lo rassicurò Hermione,
salutandolo. “È l’emozione di essere
di nuovo zio … Gli gioca sempre brutti scherzi.”
**
* **
Il
numero 5 emerse scenograficamente sotto gli occhi della coppia,
incuneandosi
tra il 6 ed il 4 con la stessa prepotenza di sempre.
Dopo
la Seconda Guerra Magica il ritratto della Signora Black
s’era finalmente
arreso all’evidenza ed aveva lasciato che Harry lo rimuovesse
dalla parete, al
suo posto troneggiava un imponente ritratto della famiglia Potter, uno
in le
cui figure sorridenti e salutanti avrebbero al più presto
necessitato dell’ultima
addizione.
Harry
scese le scale raggiante, i capelli scompigliati e gli occhiali un
po’ storti
sul naso, andando incontro agli amici di sempre.
“Oh,
siete arrivati! E avete anche portato un palloncino, che pensiero
gentile!
Venite, venite, Ginny e vostra madre sono di sopra con i bambini!
Dovete vedere
quanto è bellino! E James si sente già un
perfetto fratello maggiore.” Spiegò
Harry, facendogli strada su per le scale.
Molly
li aspettava sulla soglia della camera da letto.
“Oh
cari, siete arrivati, finalmente … Venite,
Venite … È veramente un bambino
grazioso e con un nome così … Così
…
S-P-E-C-I-A-L-E.” Scandì la matriarca con una
certa enfasi tutta rivolta al suo
ultimo figlio maschio, pronta a fulminarlo con lo sguardo e non solo
con quello
al minimo accenno di dissenso.
Hermione
e Ron entrarono nella camera, salutando e captarono subito il piccolo
volto
rosa sotto un berretto azzurro tra le braccia di una Ginny sorridente,
benché
stanca. Eccola lì, l’ultima addizione alla
famiglia. James se ne stava
appollaiato sul letto accanto alla madre con l’espressione di
chi si era già
stufato della novità e avrebbe volentieri giocato con un
nuovo giocattolo.
“Lo
stavo giusto dicendo ad Hermione, mentre venivamo qui!”
Rispose Ron a sua
madre. Riuscendo con infinita abilità a parere della moglie
a pronunciare quell’enorme
bugia senza strozzarsi e colorandosi appena di rosso sulle orecchie.
Quanto
a lei, nascondendo una risata in un singhiozzo non troppo credibile,
Hermione
Granger – Weasley afferrò il palloncino dal palmo
rilassato del marito e
porgendolo a Ginny esclamò “Noi … Ecco,
abbiamo portato un regalino per Albus
Severus!”.
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Capitolo 4 *** Audrey & Percy - Cléo ***
Vi
avviso è un capitolo molto triste, ma spero Vi piaccia
comunque.
L.
AUDREY
E PERCY
**
* **
CLÉO
**
* **
Cléo
lavorava al San Mungo da molti, moltissimi anni, ma non era
né un Medimago, né una
Guaritrice. Da che ricordava la sua casa era stata quella, con
l’odore pungente
di solventi e disinfettanti che alcuni trovavano spiacevole a
caratterizzarne i
lunghi corridoi puliti ed igienizzati alla perfezione. Non molti
l’avrebbero
notata, ma in tutti gli anni che era stata in quel luogo aveva visto
molte cose
e molte avevano cominciato a divenire parte della sua vita.
Così
Cléo sapeva che tra poco sarebbe arrivato. Veniva sempre
alla stessa ora,
quando l’orario di visita era già terminato da un
bel po’ ed i corridoi del San
Mungo erano vuoti salvo per Guaritori e Medimaghi. Talvolta era
impeccabile,
vestito come un mago estremamente importante, pulito, ordinato. Altre
volte i
suoi capelli erano spettinati, la veste che indossava aveva visto tempi
migliori,
gli occhi rossi quasi quanto le ciocche arruffate sulla sua testa. Era
in
quelle notti che Cléo sapeva che, se si fosse intrufolata
silenziosamente nella
stanza della donna, avrebbe sentito la sua voce rompersi, mentre
raccontava la
sua giornata. Era in quelle notti, in cui il monologo
dell’uomo si faceva un po’
più difficile ad ogni parola, che Cléo sapeva
l’odore pungente del
disinfettante, non avrebbe coperto del tutto quello di whisky e
stanchezza
sulla sua pelle.
Cléo
alzò gli occhi e lo vide passare. Silenziosamente lo
seguì, chiedendosi che
tipo di serata sarebbe stata quella.
La
voce dell’uomo era poco più di un sussurro nel
silenzio della stanza.
“Sai
Audrey, domani la piccola Rosie compirà sei mesi. Pensavo
che … Ma mi hanno
detto … Sì, ho letto … Non avrei
dovuto, ma ho visto le carte. Devono passare
dall’Ufficio per la applicazione della legge sulla Magia.
Sono i tuoi genitori
e so che soffrono molto a vederti così, ma vogliono chiedere
ai Medimaghi di
far cessare gli incanti di sostentamento … Io non posso
… Mi devi aiutare,
tesoro mio. Non posso fare nulla. Non ho alcun diritto. Ti prego, ti
prego…”
Le
parole dell’uomo si spezzarono e per un attimo il suo intero
corpo fu scosso da
un singhiozzo.
Gli
enormi occhi di Cléo si riempirono di lacrime e la piccola
elfa domestica si
ritrasse dalla stanza.
Molti
maghi pensavano agli elfi domestici come creature fatte per servire e,
da che
ricordava, il compito di Cléo era stato di pulire e rendere
lindo ed ordinato,
asettico, il Grande Ospedale dei Maghi, eppure nessuno dava mai
importanza ai
loro sentimenti.
La
loro magia era grande ed il loro cuore era grande e guardando quel mago
così
importante piangere per la donna dai capelli rossi immobile nel letto,
la
piccola elfa aveva sentito il suo grande cuore stringersi.
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Capitolo 5 *** Meringa - Fergus & Thabatha ***
NDA Quasi una drabble. Solo per rompere questo silenzio che avvolge da un po’ le mie storie e ricordarmi che scrivere mi piace. Le recensioni fanno scrivere di più gli autori di fanfiction.
Meringa – Fergus e Thabatha
Fergus controllò freneticamente l’orologio sul muro della cucina.
La lancetta con il nome di Thabatha si era spostata da “A spasso” a “In viaggio verso casa”.
Sapeva di avere pochi minuti e la cucina era un vero e proprio disastro. Non sapeva esattamente cosa l’avesse posseduto quando aveva deciso che, per il compleanno della sua ragazza, avrebbe preparato personalmente un dolce. Non sapeva esattamente cosa l’avesse spinto a farlo alla maniera babbana.
Fatto sta che la meringa era appiccicata sul paraspruzzi, la gelatina al limone non si era addensata e stava colando lungo i mobili e c’erano briciole di biscotti ovunque.
Pensare che aveva immaginato che quando Thabatha fosse tornata, sarebbe rimasta impressionata dalla sua grandiosa creazione, gli avrebbe fatto i complimenti nell’assaggiare il dolce e lui avrebbe finito per mangiare un ottimo dolce ed aver una giovane Auror grata e divertita con cui passare una serata fantastica, possibilmente sotto le lenzuola. Peccato che certi piani, che si rivelavano apparentemente perfetti per il Capitano Weasley, non avevano lo stesso effetto per lui.
Certo, Ronald Weasley era un eroe del mondo magico ed aveva aiutato di recente a sconfiggere Diodora Mackenzie, ma anche il povero Fergus gli aveva dato una mano, possibile che il karma non fosse un po’ riconoscente?
Sentì il caratteristico rumore del focolare del salotto che annunciava l’arrivo della sua ragazza, proprio nel momento in cui impugnava la bacchetta per tentare di dare una ripulita a quel disastro.
I passi di Thabatha dal salotto si avvicinavano, mentre Fergus dava colpetti di bacchetta a destra e manca, cercando contro ogni speranza, di dedicare tutto il suo talento di Auror a bandire gli ultimi indizi della debaclé alla gelatina di limone e meringa.
“Fergus, tesoro, dove …”
Le parole di Thabatha morirono sulle sue labbra all’uscio della cucina.
Fergus se ne stava al centro della stanza bacchetta in pugno con l’aria del gatto che è stato scoperto con il canarino in bocca.
“Oh… Io … No, nulla … Ho pensato che … Sai … E’ il tuo compleanno e … Sì pensavo di aiutarti nelle pulizie.”
Guardandosi in giro poco convinta, la giovane Auror dissimulò i suoi sospetti. “Oh, davvero che pensiero carino.” Disse avvicinandosi a Fergus. “Però pensavo che avremmo potuto uscire un po’ stasera …”
Fergus la guardò ancora trasecolato dalla fretta di nascondere gli indizi del misfatto “Oh … Sì … Sì, suppongo di sì.” Mormorò, allungando il collo per vedere se la gelatina fosse ancora presente in quel punto vicino alla porta in cui l’aveva notata poco prima.
Thabatha sorrise. “Perfetto, allora vado a farmi una doccia e mi preparo…” Disse, facendo l’occhiolino prima di uscire dalla porta.
“Ottimo, comincia a prepararti io ti raggiungo tra poco.” Soggiunse lui con un mezzo sospiro di sollievo.
Era quasi a metà corridoio, ce l’aveva fatta.
Sorrise tra sé. Andando ad asciugare la gelatina che effettivamente era ancora là dove l’aveva vista.
La voce di Thabatha dal corridoio lo gelò a metà movimento.
“Ah Fergus …”
“Dimmi, amore”
“Sarà meglio che cambi la maglietta, credo tu abbia della meringa sulla schiena, tesoro.” Soggiunse Thabatha, scoppiando a ridere a crepapelle.
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Capitolo 6 *** Audrey & Percy - Lacrime ***
AUDREY E PERCY
** * **
LACRIME
** * **
Il ticchettio dell’orologio sopra la sua testa stava facendo impazzire Percy Weasley.
Si spostò lievemente sulla sedia, cercando, senza fortuna, di trovare una posizione un po’ più comoda. Si era trascinato nel suo ufficio quella mattina, con la velleitaria speranza che, seppellendosi nel lavoro, avrebbe potuto in qualche modo alleviare il suo dolore. Si era naturalmente illuso. E come avrebbe potuto essere altrimenti? Si sentiva come se il cuore gli fosse stato strappato dal petto.
Nessuno avrebbe dovuto sapere esattamente il momento in cui una persona cara avrebbe esalato l’ultimo respiro. Era innaturale. Era una situazione rispetto alla quale nessuna dose di razionalità e logica può prepararti.
La morte è per definizione un enorme mistero. Non dovrebbe trasformarsi in qualcosa di impersonale ed asettico come lo scorrere dei minuti su un orologio.
Una parte di Percy poteva capire lo sgomento dei genitori Babbani di Audrey, la loro diffidenza ed incapacità di comprendere cosa fosse successo alla figlia. Per Merlino, Percy era un mago purosangue, cresciuta in una delle famiglie magiche più antiche del Devon, eppure aveva difficoltà a capire cosa stesse succedendo esattamente alla donna che amava.
I Medimaghi avevano confessato di essere perplessi dai sintomi della donna, incapaci di formulare una vera propria diagnosi o una prognosi su una sua eventuale possibilità di recupero. Da ultimo parevano essersi arresi di fronte all’assenza di progresso alcuno da parte dell’Auror.
L’altra parte di Percy, quella che di norma se ne stava ordinatamente imbrigliata nelle sue dorate catene di forza di volontà e pensiero razionale, era furiosa di una collera così profonda che, a momenti, rischiava di sopraffarlo e travolgerlo. Era furente con il destino che pareva prendersi di nuovo gioco di lui, privandolo della gioia più grande della sua vita, quella che l’aveva reso un uomo migliore, dopo gli errori commessi durante la guerra magica. Era in collera con sé per la sua incapacità, impossibilità a fare alcunché per salvare la donna della sua vita.
La sua rabbia non risparmiava nessuno: non la defunta, odiata, Diodora Mackenzie che aveva rapito e ferito Audrey così profondamente, non il Ministero della Magia che, con la sua cecità di fronte alla minaccia aveva costretto un pugno di Auror ad agire da soli, non i genitori di Audrey che, travolti dal loro dolore immenso, erano incapaci di empatia con qualcuno come lui, la cui sofferenza non poteva sicuramente paragonarsi alla loro, a loro avviso, considerato che Percy era entrato solo recentemente nella vita della loro adorata figlia.
Percy s’era volontariamente rinchiuso nel suo ufficio perché quello era l’unico luogo in grado di presentargli uno spiraglio di normalità in un giorno che nulla aveva d’ordinario. Non si sarebbe trascinato al San Mungo quella mattina. Non l’avrebbe osservata morire. L’aveva salutata per l’ultima volta e per sempre la notte precedente, pallida, fredda e silenziosa come lo era stata negli ultimi sei mesi.
Se solo avesse potuto concentrarsi ed ignorare i tremendi secondi che scorrevano inesorabili.
** * **
Faceva caldo. Un caldo così intenso e fastidioso che il primo pensiero che la travolse fu quello che avrebbe dovuto chiedere a Percy di spostarsi. Il più delle volte era piacevole avere un compagno in grado di sviluppare un calore corporeo che sarebbe stato in grado di preparare un toast. Al momento, però, Audrey si sentiva completamente riarsa.
Cercò di muoversi e richiamare l’attenzione di Percy perché s’allontanasse. Si accorse con particolare sorpresa che l’uomo non era accanto a lei e che quel gesto, di scostarsi, le era impossibile.
Il calore che sentiva addosso continuava a crescere.
Audrey si rese conto che la sensazione che la stava circondando era qualcosa di più che sgradevole, era come se l’aria che le attraversava i polmoni fosse improvvisamente rovente.
Cercò, disperatamente, di sottrarsi a quel fuoco, sentiva il sudore colarle lungo la schiena e le tempie. Era come se fosse tutto in fiamme, come se il suo stesso corpo ne fosse avvolto, ne fosse esso medesimo parte. Il fiato le sfuggiva in piccoli sbuffi concitati, le mancava il respiro. Con enorme sorpresa, Audrey si rese conto di non aver più la forza di lottare, la lava che le correva nelle vene era insopportabile, il dolore di combattere per il successivo respiro le toglieva ogni pensiero coerente. Sentì quel poco che le restava di coscienza farsi piccolo ed insignificante.
Si rassegnò all’inevitabile.
** * **
Percy guardò di nuovo l’orologio. Una sorte di cupa ansia, la sensazione di non poter in alcun modo salvare Audrey lo avvolse. Si accorse che era così furioso che il suo stesso corpo sembrava avvolto nelle fiamme cocenti di quella rabbia.
In un momento di rese conto che quella sensazione era qualcosa di ben più concreto di un pensiero: il sudore gli imperlò la fronte, la piuma che stringeva gli scivolò tra le dita.
Si trovò ad asciugarsi la fronte con un fazzoletto ed ad alzarsi per andarsi a sciacquare il viso.
Mentre si affrettava verso il bagno, la sensazione di caldo e soffocamento si fece ancor più insopportabile, quasi incandescente . Un respiro cocente gli attraversò le labbra. Cosa stava succedendo? Infilò i polsi sotto il rubinetto e, subito dopo, si bagnò il viso con le mani.
Quando, poco dopo, si osservò riflesso nello specchio rischiò seriamente di cadere in ginocchio.
In luogo dei suoi occhi azzurri dietro le lenti degli occhiali di corno, il volto che lo guardava dallo specchio era quello di Audrey. I suoi grandi occhi erano vivi e belli come l’ultima volta che li aveva guardati prima che la sua ragazza fosse rapita da Diodora Mackenzie.
Percy fissò quello sguardo nello specchio e, con tutto ciò che gli rimaneva in corpo, la pregò di non lasciarlo. Il volto della donna sorrise amaro e triste.
Con l’ultimo fiato che gli rimaneva, Percy ripeté la sua preghiera.
** * **
Il piccolo corpo nel letto tremava e sbatteva in preda a tali convulsioni che i tre Medimaghi accorsi si guardarono negli occhi, assolutamente sgomenti.
Non avrebbe dovuto accadere.
Avevano sollevato gli incantesimi che fino a quel momento avevano mantenuto la paziente in uno stato di stasi su richiesta della famiglia. La strega avrebbe dovuto addormentarsi per sempre circondata dai suoi genitori, pacificamente, piano piano.
Non era andata così ed ora impietriti a qualche passo da loro, due genitori Babbani guardavano increduli il povero corpo della loro figlia soffrire e lottare con un nemico invisibile.
** * **
Audrey sentì un suono flebile e, poi, appena più forte finché la voce cessò di essere tale per divenire una sorta di comando che attraversa direttamente le sue sinapsi, senza passare per il suo udito.
“Ti prego, Audrey, non lasciarmi solo.”
Il suo corpo esausto ed arreso fu scosso da quel richiamo. L’immagine dell’uomo che amava la avvolse come un balsamo fresco sulle sue ferite bollenti e la donna Auror si rese conto che non poteva lasciarsi andare a quell’irresistibile oblio.
Il dolore era incredibile, il calore le bruciava come acido nelle vene, ma Audrey lottò. Accolse la sofferenza coraggiosamente dentro di sé. Affrontò il fuoco da cui solo secondi prima voleva sfuggire finché un flebile respiro le sconquassò i polmoni e le ferì le labbra.
** * **
Percy si accasciò in ginocchio, sfiatato, tenendosi al lavandino perché le gambe erano, ormai, incapaci di sostenerlo, un pensiero fisso, doveva correre al San Mungo.
** * **
I Medimaghi si guardarono tra loro, increduli.
La temperatura della paziente era ancora altissima, ma, dopo quella spaventosa crisi quando gli incantesimi erano stati sollevati, contro ogni logica, contro ogni scienza medica e magica, la paziente aveva aperto gli occhi.
Non parlava.
Il suo respiro era ancora terribilmente sottile ed affannoso, ma aveva gli occhi aperti e vigili.
Uno dei Medimaghi accompagnò fuori i genitori di Audrey, cercando di spiegare loro perché sebbene la ragazza avrebbe dovuto essere morta in quel momento, era, invece, sveglia.
** * **
L’infermiera lo guardò stupita, ma di fronte al volto quasi spiritato di Percy non ebbe la forza o la volontà di opporsi e lo condusse nella stanza di Audrey.
Vi entrò con passo esitante, quasi incapace di riconciliare la realtà con le sensazioni terribili provate quella mattina.
Audrey non disse nulla, né si mosse, ma i suoi bei occhi vigili e pieni di vita si fissarono sul viso di Percy. Il cuore dell’uomo saltò un battito.
La speranza lo avvolse di nuovo per la prima volta in molti mesi. Improvvisamente il mago si sentiva rinato ed invincibile. Sarebbe stato un lungo cammino, ma l’avrebbe potuto compiere al fianco della donna che amava.
Più tardi avrebbe parlato con i Medimaghi, avrebbe cercato il come ed il perché, visto i genitori di Audrey. Per ora, però, non si sarebbe mosso di un passo da quella stanza dove aveva versato così tante lacrime amare ed, oggi, per la prima volta, sentiva lacrime di gioia e speranza, formarsi agli angoli dei suoi occhi.
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Capitolo 7 *** Hannah & Neville - Mandragole e stufato di zucca ***
MANDRAGOLE E STUFATO DI ZUCCA
** * **
Neville Paciock si levò il paraorecchie di pelo e ripulì con il guanto da giardinaggio un baffo di terra che aveva sul volto. Era il periodo ideale per reinvasare le mandragole e l’indomani mattina gli studenti del secondo anno avrebbero avuto il loro primo incontro con quelle curiose piante dalle radici a forma di bruttissimi neonati.
Neville ricordava ancora la prima volta in cui aveva avuto a che fare con uno di quei bambinetti combattivi, proprio qui nella serra due sotto l’occhio vigile della Professoressa Sprite. Ne era passato di tempo, ne erano cambiate di cose, ma soprattutto era cambiato lui: quel bambino impacciato ed insicuro era cresciuto e maturato sino a diventare a sua volta un Professore di Erbologia, a guadagnarsi un Ordine di Merlino. E per questo Neville non poteva che ringraziare le persone che avevano creduto in lui finché non aveva capito di poter credere a se stesso: la professoressa Sprite, Hermione Granger, Luna Lovegood, la sua splendida Hannah e sì, persino sua nonna, la formidabile Augusta Paciock.
Sorrise e ripose i guanti da lavoro in un cassetto. Sperava che domani nessuno degli studenti svenisse per il canto delle mandragole. L’anno precedente una piccola Tassorosso non aveva sistemato bene il paraorecchie e bum! aveva passato mezza giornata in infermeria. Madama Chips non era stata per niente contenta di lui. Eppure pensava di essere stato chiaro nelle istruzioni agli studenti. Evidentemente la notoria laboriosità dei Tassorosso doveva aver avuto la meglio sulla loro prudenza. Quanto era stato complicato spiegare per lettera a dei genitori babbani cosa fosse successo alla loro figliola. Neville sapeva che anche i Babbani avevano una pianta che chiamavano mandragola: l’aveva letto su un erbario babbano che Hermione e Ron gli avevano regalato per Natale qualche anno prima. Era stato uno dei libri più affascinanti ed assurdi che avesse mai letto. La mandragola babbana aveva proprietà anestetiche e, se fioriva d’autunno, era tossica. C’erano persino accenni misteriosi a non meglio spiegabili proprietà afrodisiache: non esattamente qualcosa che Neville avrebbe presentato ad un’aula di dodicenni ancora in gran parte ignari dell’imminente crisi ormonale che li avrebbe colti di lì a poco. Era stranamente rassicurante poter osservare l’adolescenza altrui sapendo di essere scampati a quel periodo. Nel suo caso in maniera più letterale che in altri.
Neville scosse la testa per allontanare i pensieri cupi che si stagliavano come nuvole a margine del sole e cercò nelle tasche le pesanti chiavi della serra. Aveva fame. Sperava intensamente che quella sera Hannah avesse proposto lo stufato di zucca nel menù del paiolo magico, il suo piatto favorito. Aveva appositamente lavorato sino a tardi e saltato la cena in sala comune. Si guardò le unghie, mentre camminava verso il castello e verso il focolare dell’ufficio della Preside dal quale avrebbe potuto raggiungere Diagon Alley. Alla luce della bacchetta si vedeva chiaramente che per quanto spazzolasse, un po’ di terriccio rimaneva sempre incastrato sotto le unghie. Avrebbe dovuto nuovamente lavarsi le mani, ma… Non voleva aspettare. Hannah non aveva mai badato troppo a certe cose, Hannah con il suo sorriso gentile e l’atteggiamento incoraggiante dal primo giorno in cui l’aveva conosciuto. Maneggiò distrattamente la scatolina che aveva in tasca, mentre saliva le scale. Bussò alla porta aperta dell’Ufficio della Preside, McGranitt.
“Ah, Professor Paciock … Neville entra. Serata fuori?”
Neville arrossì, suo malgrado.
“E sì, è una sera d’autunno tanto bella. Il vento ha spazzato via quasi tutte le nuvole e la luna è così limpida. Volevo usare il vostro camino.”
Minerva McGranitt sorrise, nonostante l’espressione arcigna che le rimaneva sempre sul volto anche nei momenti più rilassati, allungò la mano verso una scatola di shortbread che aveva sulla scrivania.
“Fa pure. Solo ricorda di fare piano se tornerai molto tardi. Non vogliamo svegliare gli studenti, ovviamente. Buonanotte Neville e … Buonanotte alla Signorina Abbott, immagino.” Disse, raddrizzandosi gli occhiali ed addentando il biscotto.
Imbarazzato Neville salutò, afferrò il barattolo della metropolvere dal camino, ne tirò una manciata nel focolare e scandì bene la sua destinazione. Qualche secondo dopo comparse nel camino del Paiolo Magico. Un odorino confortante di stufato di zucca lo avvolse come un abbraccio e, dietro il bancone, osservò Hannah sorridere ad un cliente, mentre gli porgeva un boccale di Burrobirra. Il suo sorriso si fece più ampio quando la giovane si accorse che Neville si stava spazzolando la fuliggine di dosso e avvicinando al bancone. Indossava un vestito a fiorellini rossi con maniche arrotolate sino ai gomiti che secondo Neville le donava un sacco. Ma Neville non sapeva niente di moda. Eppure aveva la certezza che ad Hannah sarebbe donato qualsiasi vestito o nessun vestito, se è per questo. Il palmo delle mani gli sudava un po’. Si spostò lungo il bancone finché non trovò uno sgabello vuoto.
“Buonanotte, Neville.”
“Buonanotte, Hannah.”
“Abbiamo lo stufato di zucca. So che è il tuo preferito! Un piatto? E’ ancora bollente.”
“Sì, grazie, ed una Burrobirra per favore.”
Hannah si allontanò un secondo, mosse la bacchetta verso la cucina, mentre con la sinistra spillava un boccale spumoso di Burrobirra. Il piatto, colmo e fumante, arrivò fluttuando gentilmente dalla cucina, evitando gli ostacoli, e posandosi davanti a Neville con perfetto sincronismo con il bicchiere che Hannah gli poneva di fronte.
Neville rise. “Non ho mai capito come tu ci riesca!”
Hannah si strinse nelle spalle. “Pratica.” Lo osservò intenta mentre intingeva il cucchiaio nel sugo ed assaggiava. “Allora?”
“Mmm… Una meraviglia, come al solito.”
Il sorriso della ragazza si fece, se possibile, più ampio e brillante, prima che lei si spostasse per dar retta ad un altro avventore.
Neville la fermò. “Hannah, aspetta, ho una domanda da farti.”
La strega fece cenno al cliente di attendere un momento.
Neville si umettò le labbra. Certo lei avrebbe meritato ben altro, ma… Insomma lui era un tipo così e lei lo sapeva… E non avrebbe saputo come, altrimenti. E si stava agitando e se si fosse messo a pensare troppo, avrebbe perso il coraggio, proprio ora che aveva deciso. Spostò la destra verso la scatola e cercò d’aprirla con una mano sola, senza fortuna. Lottò per un attimo con il contenitore, mentre gli occhi di Hannah si sgranavano. Infine ebbe la meglio: la scatola s’aprì. Il piccolo anello scintillò alla luce artificiale del pub.
“Sposami.” Le disse con tutta la voce che gli restava. La salivazione completamente scomparsa.
Hannah s’asciugò le mani nello strofinaccio che aveva sulla spalla e lo appoggiò sul bancone. Lo guardò un momento, improvvisamente seria. “Rimetti in tasca la scatola. L’indosserò più tardi. Ti sposerò, Neville Paciock.” Aveva un sorriso quasi imperscrutabile su quelle labbra adorabili.
Neville le sorrise a sua volta, riprese in mano il cucchiaio e lo intinse di nuovo con gusto nello stufato.
Hannah raggiunse il suo cliente.
Neville adorava la semplicità delle notti ventose d’autunno, il sapore dello stufato di zucca di Hannah, la confortante ripetitività delle lezioni di Erbologia.
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Capitolo 8 *** Ron & Hermione - Canis Minor ***
**
* **
HERMIONE
E RON
**
* **
CANIS
MINOR
Ron
si accomodò meglio sul guanciale, guardando
il soffitto. Il cielo stellato che Hermione aveva messo
lassù a colpi sapienti
di bacchetta, lo fissava invitandolo ad esplorare i misteri
dell’esistenza. Anche
qualcuno che non avesse passato numerose ore della propria adolescenza
a
scrutare la volta celeste dalla Torre di Astronomia avrebbe
riconosciuto le
costellazioni che troneggiavano nella loro stanza. Eppure non era una
scelta
banale, né tantomeno casuale. Hermione non faceva mai le
cose a casaccio e quel
frammento di cielo era lì per ricordar loro che ogni
circostanza, ogni
avvenimento, ogni percezione non è solo ciò che
appare a prima vista. Qualcuno
avrebbe visto Orione, il cacciatore astrale con la sua muta di cani.
Harry
avrebbe notato subito Sirius, la
stella più splendente dell’intera galassia,
appropriatamente situata in Canis Maior.
Per Hermione, invece, aveva
tutto a che vedere con un gruppo di stelle che stava un poco
più in là, il Cane
Minore. In un certo senso, in quel modo tutto particolare con cui
sapeva
capirlo più di chiunque altro, quella pazza, esasperante,
adorabile strega
aveva fatto del soffitto della loro camera un altare per lui.
“Hai
freddo?” le chiese, continuando a ruminare
silenziosamente sulla domanda che gli aveva posto.
La
sentì scuotere la testa, i suoi riccioli
cespugliosi che solleticavano la pelle.
“Nessuno
può avere freddo accanto a te, Ron …
Sei una stufa vivente!” rispose lei con un pizzico di
sfottò nella voce.
Il
ragazzo sorrise amaramente nel buio.
Ricordava molte volte in cui aveva avuto freddo accanto a lui. Glielo
fece
notare sottovoce. La sentì immediatamente irrigidirsi e si
pentì per averne
parlato. Certi ricordi è meglio lasciarli sepolti.
“Non
è la stessa cosa e lo sai.” Osservò lei.
Herminone
aveva
ragione. Tanto per cambiare. E se il suo io di oggi avesse potuto
spiegare al
suo io di allora un paio di cosucce, non se ne sarebbe andato
lasciandola sola
come un voltagabbana…
“Non
farlo.” Mormorò piano la ragazza.
“Che
cosa?”
Sbuffò.
“Sai benissimo di cosa sto parlando.
Non andare in quel maledetto posto della tua testa dove pensi di non
meritarmi
e mi chiudi fuori per proteggermi da te".
Odiava
quando riusciva a leggergli i pensieri
senza alcun bisogno di legimanzia.
“Mi
dà ai nervi. Non devi proteggermi da te.
Voglio tutto di te. Il bello. Il brutto. Il dolore. Ne abbiamo
già parlato
altre volte. Non c’è niente che mi faccia
altrettanto paura di essere chiusa
fuori da te. Non voglio passare la vita a dover abbattere muri che non
hanno
ragion d’essere.”
Ron
annuì nel buio.
“E,
poi, non mi fa sentire all’altezza.” Aggiunse
lei a voce più bassa.
Ron
girò il collo così velocemente per
guardarla da farsi quasi male.
“Cosa?
Tu?”
“Oh
non essere ottuso, Ron. Non solo tu soffri
della sindrome dell’impostore di tanto in tanto. E’
così evidente. Per quanto
mi sforzi non potrò mai essere la persona che tu vedi quando
mi guardi. Mi
piacerebbe. Oh, se mi piacerebbe. E’ un dato di fatto. La
vera me sarà sempre
due spanne sotto la Tua Hermione.”
“Cosa
… Cosa te lo fa pensare?” Era
genuinamente perplesso.
“Non
mi aveva mai colpito così forte come
qualche tempo fa. Stavo parlando con Harry. Non ricordo
perché siamo finiti in
argomento, ma ad un certo punto mi ha detto: sarebbe tutto molto
più semplice
se ti ricordassi il potere che hai su quell'uomo. Che
assurdità, ho pensato.
Sono più le volte che Ron non mi ascolta, che fa esattamente
il contrario … Che
mi fa infuriare, ma … Riflettendoci, ha ragione.”
Ron
riappoggiò la testa sul cuscino. “Hermione,
tu hai sempre fatto parte dell’equazione. Anche quando non
capivo perché, anche
quando mi terrorizzava, mi
faceva sentire
sbagliato, un essere orribile …”
“Non
essere così severo, eravamo solo dei
ragazzini confusi.” Osservò lei, conciliante.
“Confuso
…” Si rigirò la parola nella testa,
sulla lingua, come per provarla. No, non
era la parola adatta. Il suo io tredicenne non era confuso. Sapeva
benissimo
cosa aveva. I bollori per uno dei suoi migliori amici. In negazione,
certo.
Confuso, affatto. Glielo fece notare.
Hermione
rise. “Beh, immagino che avrebbe
potuto andarti peggio, allora."
“Che
vuoi dire … Oh … Hermione, miseriaccia!
Ecco, dovevi proprio … Bleah.” Non aveva nulla
contro chi aveva altri gusti, ma
non era un’immagine che voleva nella testa.
Le
risate della ragazza aumentarono leggermente di volume.
“Beh, in fondo sappiamo che ad Harry piacciono le teste
rosse!” Lo prese in
giro.
“Per
Merlino, donna! Piantala! Mi passerà la
voglia per tre giorni, ora.”
“Questa
sì che sarebbe una novità!” La
sentì
aggiungere sottovoce. Tirò verso di sé la
coperta. “Ehi, stai forse insinuando
che ho una libido…”
“Hai
fatto tutto da solo, Weasley!” Lo
interruppe.
“Hermione,
ti ho mai presentato i miei fratelli?
Hanno avuto più conquiste loro singolarmente di certe
squadre di Quidditch
messe insieme. Io sposerò la seconda ragazza che abbia mai
baciato! Dovrò
tenere il passo in qualche modo.” Disse serio.
“Ti
dimentichi che anche Percy è tuo fratello.”
“Eugh!
Hai deciso di non farmi dormire stasera?
Anche se … A pensarci bene… Statisticamente
è probabile che Perce … Questa
conversazione non è un bene per la mia autostima!”
“Oh,
non fare lo stupido, Ron. Quante persone
pensi conoscano la propria futura sposa ad undici anni?”
Eccola
là la sua Hermione. Quella che vedeva il
lato logico di ogni problema.
Le
stelle pulsavano sulla volta celeste sopra
le loro teste, silenti testimoni delle loro parole. E Ron
ricordò la domanda
che lei gli aveva fatto. Quella alla quale aveva cercato di non
rispondere nell’ultimo
quarto d’ora.
“E’
molto importante per te?”
Non
ci fu bisogno per Hermione di chiedergli di
cosa parlasse. La serietà del suo tono tradiva che erano
tornati all’argomento
principale.
Annuì.
“Ma se non vuoi … Se vuoi che sia come
per …” Le parole della donna si stavano per
accavallare, stava per andare in
affanno nel tentativo di spiegare, di non essere fraintesa.
“Ehi
‘Mione, siamo solo io e te. Il resto del
mondo non importa.” La rassicurò.
“Ma
lo sai che diranno … E’ inevitabile ne
parlino, finirà sui giornali e …”
“E
diranno che mi comandi a bacchetta, che sei
un’ammaliatrice tirannica che mi tiene per le
palle.” Terminò lui per lei,
facendo spallucce. “Dove sarebbe la novità? Noi
sappiamo che non è vero.”
“Sì,
ma sei sicuro di poterlo sopportare? Non
andrai su tutte le furie, comprerai decine di copie della Gazzetta del
Profeta
solo per farle a coriandoli con la bacchetta?”
Come
se la
ragazza che aveva tenuto Rita Skeeter chiusa in un barattolo per mesi
non
avesse una cosa o due da imparare sulla libertà di stampa.
“Non voglio
farti soffrire per il mio orgoglio, Ron.”
“Non
è orgoglio. E’ chi sei, è parte della
tua
identità.”
“Sai
che ti amo più della mia stessa vita?” Gli
chiese Hermione.
Guardò
più a fondo la volta celeste sul
soffitto. Sì, in qualche modo, in una maniera viscerale che
non aveva nulla a
che vedere con la conoscenza intellettuale di un fatto, Ron lo sapeva.
“E’ solo
un nome.” Mormorò “Sei mia in modi molto
più profondi di quanto un nome possa
dimostrare.”
“Fino
a quando tu vorrai.” Sussurrò Hermione.
Era
il modo
tutto particolare di Hermione di dire per sempre. Pensare di stancarsi
di lei
era come pensare di stancarsi di respirare. E per sempre sarebbe stato.
“E
sia, Hermione Granger-Weasley.” Era uno
stramaledetto scioglilingua. Ci avrebbero fatto l’abitudine.
Lo
strinse così forte che per un momento si
chiese dove trovasse la forza.
“Ti
amo anch’io, Ron.” Espirò nel suo collo.
Al
suo posto in Canis Minor, Procione
brillò magicamente sulla volta del soffitto,
tanto da oscurare persino Sirio e in quel momento Ron Weasley non ebbe
alcun
dubbio in merito a cosa avrebbe pensato la prossima volta che un
piccolo cane
argentato avesse danzato evocato dalla sua bacchetta.
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Capitolo 9 *** Gretna Green ***
Aveva
freddo. Un freddo
di quelli che penetra nelle ossa e ti si attacca alla carne, che ha
niente o
ben poco a che vedere con la temperatura esterna. Di quelli che partono
dall’anima
e dalla testa. Si strinse nelle spalle sin troppo larghe per un uomo tanto
dimagrito.
Cosa
l’aveva portato lì?
Non avrebbe saputo dire, forse il bisogno di confidare un segreto. Uno
di
quelli che, al momento, non voleva confidare ad anima viva.
Guardò di nuovo il
viso incastonato nel marmo. L’immagine, che rifletteva la
sua, meno un piccolo,
novello particolare, gli fece l’occhiolino.
Sospirò, umettandosi le labbra.
“Abbiamo
fatto la
cazzata, Fred, e non sapevo come dirtelo… Probabilmente
già lo sai … Ti starai
facendo una risata alle mie spalle!”
Infilò
le mani più in
fondo alle tasche dei jeans.
“Mamma
sarà furiosa … O,
forse, no. Non lo so. Che importanza vuoi che abbia, ormai?”
Si
morse il labbro e,
con il retro della manica del maglione che proprio sua madre aveva
realizzato
asciugò una goccia fedifraga che gli scendeva sul viso. Non
era una lacrima.
Oh, no. Non poteva esserlo. Le lacrime, dopotutto, le aveva finite per
il resto
dei suoi giorni.
“Vabbè
penso che andrò.
Angelina mi aspetta. Andiamo a Gretna Green, stasera. Con un
po’ di fortuna suo
padre non mi staccherà la testa.”
Fece
per girarsi e
allontanarsi, ma si fermò.
“E
sì, lo so che usciva
con te, Fred, ma...” Si interruppe.
La
foto sulla lapide gli
fece nuovamente l’occhiolino ed il groppo in gola che George
combatteva da un
quarto d’ora si fece esponenzialmente più grosso.
Double the trouble, twice the
fun!
Osservò
la voce di Fred
nella sua testa.
George
rise tra sé,
nonostante l’amarezza. Cosa avrebbe dato per riavere Fred con
sé, anche solo un
minuto, anziché sentire la sua voce nella sua immaginazione.
Sarebbe bastato un
attimo per dire tutto quello che avrebbe voluto dire e non aveva
potuto.
Invece, poteva solo sperare che, ovunque stesse, il suo gemello lo
perdonasse
per averlo lasciato solo-
“Ci
vediamo, Fred”
sussurrò.
Non
c’è bisogno; io sono sempre con te e tu con me. Rispose
la voce. Ed ora andiamo a fare di Miss
Johnson una donna onesta.
George
seguì il
consiglio del suo gemello o, forse, della sua voce interiore. In fondo
se era
vero che i piccoli Weasley spesso avevano la cattiva abitudine di
arrivare un
po’ prima del previsto, nessuno di loro era mai nato senza
che la madre
avesse un anello al dito.
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Capitolo 10 *** Memorie - Vignette ***
MEMORIE - VIGNETTE
A volte, prima di svegliarsi del tutto, quei momenti, quegli odori si presentavano alla sua mente con una presenza così viva, viscerale che, forse, mai l'avrebbe abbandonato. Allora, in quel dormiveglia che non è coscienza e non è sogno, sentiva di nuovo quell'odore di umido, di stantio, di polvere rimasta a depositare per troppo e, poi, come un lampo nel buio, quel dolore così vivo, come se qualcuno gli stesse strappando il cuore dal petto. Allora ricordava quella sensazione di impotenza, le unghie rotte contro pietre e legno che nemmeno un ariete avrebbe scalfito, la sua gola asciutta per il troppo gridare.
In quei momenti, ancor prima che la coscienza lo investisse con la realizzazione che quella era solo l'immagine del dolore, non il dolore stesso, allungava la mano e soltanto il contatto con quella pelle, calda o gelata a seconda delle stagioni, era in grado di placare quel tormento, quell'insopportabile senso di colpa che ancora lo umiliava a quel pensiero. Due volte l'aveva lasciata sola ed infinite volte non se lo sarebbe perdonato. A nulla rilevava che lei, Hermione, l'avesse già assolto a parole e a fatti innumerevoli volte.
Solo nell'oblio del suo corpo, in una nebbia dove il desiderio cancellava il dolore, per istanti infiniti e fuggevoli, la sua coscienza, vigliacca ed implacabile, poteva tacere. Allora un uomo ormai adulto inghiottiva le lacrime che un adolescente non aveva mai versato del tutto e, nel corpo che il destino gli aveva messo a fianco, per non sapeva quale fortuito getto di dadi, Ron Weasley riversava, in gesti urgenti e delicati insieme, quell'amore sconfinato che le parole non sapevano dire.
Definizione da wikipedia - Vignette (letteratura) : è una breve scena impressionistica che si concentra su un momento o un carattere e dà un'impressione tagliente su quel personaggio, un'idea, ambiente o un oggetto
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Capitolo 11 *** Audrey & Percy - Mischief Managed ***
MISCHIEF
MANAGED
**
* **
Erano
mani troppo lunghe e
macchiate d’inchiostro.
Mani
che c'avevano sempre saputo
fare con la bacchetta.
Eppure,
mentre massaggiavano
quella pelle così chiara da essere quasi opalescente, per
la prima volta gli
parevano perfette.
Doveva
avergli dato di volta il
cervello.
Percy
Weasley studiava tomi di legge
magica, aridi come il deserto, sbiaditi come le pagine su cui erano
scritti.
Non si perdeva nelle sensazioni sotto i polpastrelli delle sue dita.
No,
non avrebbe dovuto.
Ma
quella pelle morbida e calda
era un invito troppo allettante. Anche per uno che si supponeva fosse
tutto d’un
pezzo. Arido. Riflessivo.
Audrey
spostò il collo ossuto, lasciandogli maggiore accesso a una
parte
particolarmente tesa della sua schiena.
George
aveva ragione, quell'olio per massaggi era veramente magico e
il fratello gli
aveva dato un nome alquanto azzeccato.
Non
che fosse servito. Loro due erano più che sufficienti.
Gettò un’occhiata all'orologio
appeso alla parete. Le loro lancette si stavano per sovrapporre sul punto del
quadrante che proclamava Bliss.
Mischief
managed.
Azzeccato, davvero..
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Capitolo 12 *** Un matrimonio - prima parte ***
UN MATRIMONIO
– PRIMA PARTE
Thabatha
Goldielocks non era il tipo di
strega che amava indiscriminatamente tutti i matrimoni, tanto
più che negli
ultimi anni anche la sua iniziale curiosità in merito alle
differenze tra una
cerimonia babbana ed una magica era stata ampiamente appagata; dopo la
Seconda
Guerra Magica si poteva dire ci fosse stata una vera e propria epidemia
di
coppie che convolavano a nozze.
Tuttavia la
giovane Auror doveva
ammettere che Seamus Finnegan e la fidanzata Roswitha avevano fatto le
cose per
bene. Il giardino era un tripudio di fiori primaverili e, grazie al
cielo, il
tempo era clemente. Era stato un azzardo celebrare un matrimonio a
giugno all’aperto
in Gran Bretagna, ma, per fortuna, gli addetti del Ministero non erano
stati
costretti ad ergere i teloni che avrebbero tolto gran parte della bellezza a
quell’angolo verde. Certo, forse
Thabatha era un po’ di parte dato che lo sposo era cugino del
suo ragazzo e fisicamente
gli somigliava un po’, ma Shay sembrava veramente raggiante
in quel vestito blu
che metteva in risalto i suoi capelli color sabbia e il sorriso
impertinente
sul suo volto.
Roswitha dal
canto suo sembrava
avvolta in un sogno di chiffon azzurro polvere e
la coroncina di fiori
che le cingeva i capelli era perfettamente abbinata al tema Boho Chic
che
avevano scelto per il matrimonio.
Accanto a lei,
Fergus tirò su con il
naso, rompendo la sua fantasticheria e riportandola terra terra.
Scrutò il
ragazzo, aveva gli occhi sospettosamente rossi.
“Non
ti starai commuovendo, Fergus Finnigan?”
Domandò in sussurro scherzoso, cercando un fazzoletto nella
minuscola borsetta
sulla sua spalla. Lui scosse la testa, ma afferrò con una
certa riconoscenza il
fazzoletto che gli porgeva. Thabatha sorrise tra sé. Era un
tenerone. Qualche
fila più avanti la madre dello sposo, Kathleen Finnigan, si
lasciò andare ad un
singhiozzo particolarmente rumoroso. Doveva essere un tratto di
famiglia.
Thabatha riprese
a guardarsi attorno:
c’erano davvero molte persone a quel matrimonio, ma come
sempre tutti i fotografi
sarebbero stati interessati, più che altro, al Trio Magico che
faceva bella mostra da
un gruppo di sedie, adornate come le altre di tulle e ortensie azzurre,
a metà
del gruppo di invitati. I fotografi avrebbero fatto a gara per rubare
qualche loro
foto, senza certamente dimenticare la moglie del Capitano Potter che
era una
famosa giocatrice di quidditch per le Holyhead Harpies:
sembrava fosse
inevitabile e, di solito, le due coppie prendevano la cosa con
filosofia.
Seduta
dall’altro lato dello stretto
corridoio dal quale era arrivata la sposa, Thabatha li
osservò attentamente.
Persino ora che
erano tutti seduti la
testa rossa del Capitano Weasley spuntava di un buon dieci centimetri
sopra
quella della moglie, della sorella e del capo di Thabatha, il Capitano
Potter. Harry
Potter indossava un vestito grigio scuro, fin troppo compito e
l’Auror pensò
che in quella scelta doveva esserci lo zampino di sua moglie. Dal canto
suo,
Ginny Potter smessi i panni da sportiva, era avvolta in un vestito
floreale a
base verde che si sposava perfettamente con il tema delle nozze:
possedeva una
grazia innata e Thabatha ne era un poco invidiosa. Hermione Granger-
Weasley e
suo marito avevano scelto entrambi abiti blu cobalto che, se faceva a
pugni con
la capigliatura del secondo, dava alla prima un’aria
sofisticata. I
capelli cespugliosi della bruna si stavano tuttavia già
ribellando alla
complessa architettura, fatta di forcine e barrette, in cui li aveva
costretti.
Thabatha
ricordava di aver sentito
dire dal Capitano Potter che per loro quattro il momento delle nozze
era stato
un bel rompicapo: la scelta era tra stata un bagno di folla senza pari,
senza
alcuna privacy e scappare a sposarsi in segreto. Ginny ed Harry avevano
optato
per la prima alternativa, regalando al Mondo Magico il matrimonio del
secolo, Hermione
e Ron aveva finito per sposarsi in una cerimonia quasi del tutto
babbana di cui
nessuno sapeva i dettagli reali se non i pochissimi presenti e la
Gazzetta del Profeta
non li aveva mai più perdonati per aver perso lo scoop:
ancor oggi, a
cadenza più o meno settimanale, si poteva leggere come il
loro matrimonio fosse
ad un passo dal collasso, dilaniato da reciproche infedeltà,
figli illegittimi
e improbabili intrighi. La coppia pareva prendere la circostanza con
filosofia
e spesso a Thabatha era capitato di sentire Ron chiedere ad un Harry
nascosto
dietro le pagine della gazzetta del profeta “Con chi tradisco
mia moglie questa
settimana?”.
La cerimonia
sembrava essere arrivata
al momento clou tra poco i nubendi si sarebbero
scambiati le bacchette ed
avrebbero espresso i voti nuziali, poi il celebrante avrebbe eseguito
l’incantesimo
che li avrebbe legati l’uno all’altro.
Fergus
cercò silenziosamente la sua
mano senza alzare lo sguardo dal cugino. Un po’ emozionata e
commossa Thabatha
strinse la mano del suo ragazzo.
Forse un giorno
sarebbe toccato a
loro, forse no. Non era troppo importante, la vita da Auror aveva
insegnato a
Thabatha Goldielocks che l’importante era il momento.
Si concentro sui
gesti di Seamus e
Roswitha ed il celebrante. La coppia optò per i voti
classici e la voce di Seamus
si ruppe un po’ mentre pronunciava “per
amarti e rispettarti”. Le parole
di Roswitha Baumgarten furono leggere come una
brezza d’estate, il suo
tono sommesso di commozione, tanto che parecchi presenti si spostarono
in
avanti sulla sedia per sentirla meglio.
Il celebrante,
un mago arcigno con
indosso una toga formale con lo stemma del Ministero eseguì
i complessi
movimenti dell’incantesimo nuziale.
Stelline rosa si
sollevarono sopra le
mani dove gli sposi avevano reciprocamente scambiato le loro bacchette.
Ci fu
un commosso momento di silenzio, poi i presenti si alzarono e gli sposi
ripresero ciascuno la propria bacchetta.
“Nel
nome del Ministero della Magia,
vi dichiaro marito e moglie. Mr. Finnegan può baciare la
sposa.” Concluse il celebrante.
Seamus non se lo
fece ripetere due
volte e piegando in maniera decisamente troppo plateale la sua novella
sposa
all’indietro, le diede un bacio che sicuramente sarebbe
piaciuto ai fotografi
della Gazzetta del Profeta.
Gli invitati
proruppero in applausi e
catcalls.
In fin dei
conti, Thabatha
Goldielocks non era il genere di strega che amava indiscriminatamente i
matrimoni, ma, scambiandosi un’occhiata complice con Fergus,
si disse che
quello del cugino le era piaciuto.
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Capitolo 13 *** Un matrimonio - seconda parte ***
UN
MATRIMONIO
SECONDA
PARTE
Era
uno degli aspetti più tradizionali del wandlore
e dopo un matrimonio
babbano avrebbe potuto sembrare un po’ comico, se non fosse
stato per il fatto
che il groppo alla gola di Ron Weasley era della dimensione di
un’acromantula.
Certo
tutto era stato in un certo qual modo commovente quella giornata: per
quanto
non ne capisse pressoché nulla di riti non magici, nessuno
avrebbe potuto
dubitare che il ristrettissimo numero di amici e parenti che avevano
assistito
allo scambio dei voti matrimoniali tra lui ed Hermione non fosse felice
per
loro. Né si poteva negare che la voce di sua moglie che
tremava leggermente di
emozione, mentre pronunciava il suo sì, non gli avesse
strappato una piccola
lacrima.
Era
strano
giurare amore eterno a qualcuno che hai conosciuto ad undici anni, ma
Ron aveva
sentito, ben prima di una firma su una linea tratteggiata, che quella
era la
realtà dei fatti. Avrebbero dovuto strappargli il cuore dal
petto per negare
quella verità.
Il
che, in un certo senso, rendeva ancora più ridicolo che ora
un uomo alto e
massiccio come lui stesse tremando di nervosismo davanti a uno
scricciolo come
lei.
Certo,
non era mai una cosa rassicurante avere Hermione Granger, la strega
più
brillante della sua generazione, di fronte a te con in mano una
bacchetta
magica.
Ma
la
tensione che attraversava ogni minuscola cellula del corpo del giovane
Auror
non aveva nulla a che vedere con la paura di essere affatturato.
Non
era una bacchetta di vite, quella che Hermione stringeva nel suo
piccolo palmo
grazioso.
No,
il
legno era diverso, il cuore era differente e, notò, quella
bacchetta non gli
era mai sembrata così lunga come ora che era racchiusa nella
sua minuscola
mano.
Salice,
crine di unicorno, 14’’.
La
sua.
Quasi
estranea ed oscena in una mano così diversa da quella
callosa e piena di
lentiggini che l’usava di solito.
Hermione
accarezzò il legno e Ron sentì quella carezza
sulla sua pelle, nel suo cuore,
nella sua testa.
Gli
occhi scuri di lei brillavano di meraviglia e gioia e per
l’ennesima volta,
quel giorno, Ron sentì il cuore balzare nel petto e
pensò che non c’era nulla
di più meraviglioso della sua novella sposa.
Hermione
rigirò la sua bacchetta tra le dita in un movimento ad otto,
quasi che chi
aveva inventato quell’incantesimo nella notte dei tempi
sapesse che
rappresentava l’infinito.
Le
sue
labbra si schiusero a pronunciare sottovoce, come una preghiera, quelle
parole
antiche come l’amore tra uomo e donna.
Vinculus
amoris.
Il
corpo di Ron si riempì di pelle d’oca e quando,
sorridendo, Hermione aprì il
palmo e gli restituì la sua bacchetta una sensazione di
calore gli si formò ai
piedi dello stomaco.
“L’hai
sentito?” Sussurrò.
Hermione
annuì, negli occhi l’espressione della scolara
precoce che è di fronte ad un
mistero di cui non conosce esattamente la portata, fu immediatamente
sostituito
da un tale calore ed affetto che il groppo nella gola di Ron si fece
quasi
insopportabile.
Riprese
la sua bacchetta nello stesso movimento in cui se la tirava addosso
per
divorarle le labbra.
E
quel
contatto catturò la mente dei giovani sposi troppo per
pensieri razionali, ma
se qualcuno avesse interrogato Mr. Ollivander sul punto avrebbe
scoperto cose
misteriose e fantastiche.
Era
una tradizione vecchia come il matrimonio magico. Solo con lo scambio
delle
bacchette i voti matrimoniali erano completi e quando entrambi gli
sposi
avessero pronunciato l’incantesimo, allora le loro magie e le
loro anime
sarebbero state una.
Le
bacchette sono strumenti affascinanti: la bacchetta sceglie il mago ed,
altrimenti, per essere efficace nelle mani altrui deve essere vinta o
… Donata
in pegno d’amore. Più forte il vincolo,
più forte l’incantesimo.
Una
nebbia dorata avvolse i giovani sposi, una bacchetta di vite lunga 10
pollici e
¾ rimase appoggiata di fianco a una bacchetta di salice ben
più imponente,
mentre i loro proprietari si dedicavano a ricordarsi reciprocamente di
essere
fatti di anima, corpo e magia.
Se
Mr.
Ollivander avesse assistito alla forza dell’incantesimo
scagliato dalla coppia,
avrebbe esultato, ma la stanza era chiusa a chiave e nessuno avrebbe
saputo.
Almeno
finché il mattino seguente Hermione Granger-Weasley
non si fosse
sepolta in tomi polverosi di wandlore e ne fosse
emersa qualche ora più
tardi rossa in viso e commossa a dismisura.
A
Ron
non sarebbero serviti manoscritti o minuziose spiegazioni, il calore
nel suo
corpo era la conferma di quanto già sapeva.
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Capitolo 14 *** It was the night before Christmas - Arthur Weasley ***
IT WAS THE NIGHT BEFORE CHRISTMAS
Era la notte prima di Natale. Tutto nell’aria suggeriva un’atmosfera festiva.
Il vischio se ne stava appeso sulla porta, esattamente dove avrebbe dovuto essere per accogliere i visitatori con una scusa per abbracci ed effusioni che rammentavano buoni sentimenti.
Le calze erano appese vicino al camino e, tra qualche ora, uno stuolo di nipoti le avrebbe apprezzate.
Eppure era in momenti come questi che, seduto sulla sua sedia a dondolo, nascosto sotto una coperta che Molly aveva sapientemente sferruzzato con la magia, Arthur Weasley sentiva la pesantezza degli anni passati. Ciò che era stato perso, mentre molto altro era stato guadagnato.
Avrebbe voluto non ci fosse quella tristezza ad anticipare i giorni festivi.
Per lungo tempo era stato difficile capire completamente come sua moglie avesse potuto essere triste e felice insieme. Come in ogni momento di caos ed eccitazione, in una casa troppo piccola per troppi bambini ed adulti, Molly potesse sentire ancora la mancanza dei suoi fratelli.
Fabian e Gideon Prewett erano stati eroi della prima guerra magica. Arthur li aveva conosciuti così brevemente che non aveva potuto apprezzare pienamente la loro vita, prima di commemorarne la morte, il sacrificio.
E, poi, tanti anni era passati e, per un attimo, perso nel cercare di sfamare troppe bocche, il capofamiglia Weasley aveva dimenticato, quasi, il pericolo che avevano corso e, per un po’, aveva pensato che alcuni fossero eccessivamente allarmisti.
Ma non lo erano stati.
Non si deve mai sottovalutare la calma prima della tempesta.
L’attesa del giorno che verrà.
Ed era in giorni come questi, la vigilia di un giorno a venire che Arthur, scrutando nel fuoco, non poteva che sentirsi in attesa.
Avrebbe voluto dirsi che era semplicemente l’eccitazione del Natale a venire.
Ma un uomo che ha perso un figlio ed una quantità eccessiva di amici deve avere il coraggio di non mentire a se stesso.
Fra un po’ sarebbe tornato a letto. Avrebbe trovato Molly sveglia a scrutare il soffitto, in attesa di affrontare con occhi rossi e stanchi una maratona di cibo, figli e nipoti che non sarebbe bastata, certo, a cancellare il grande vuoto a forma di Fred che tutti tentavano di ignorare.
Ciò che non uccide … Lascia con traumi da trasportare in giro e meccanismi di difesa del tutto disfunzionali.
Ognuno in famiglia aveva i suoi.
E l’indomani Arthur Weasley avrebbe indossato il maglione che Molly aveva sferruzzato ed avrebbe cercato l’anello nel dolce, come ogni Natale, avrebbe sorriso a nipoti e figli e, sì, avrebbe ossessionato i genitori di Hermione con bizzarre domande sui babbani.
Ma stasera, nel caldo abbraccio di una coperta di lana, davanti al focolare, Arthur Weasley lasciò che quella palese inquietudine, quel senso di non essere mai, veramente, al sicuro lo avvolgesse.
Prima o poi un’altra scarpa sarebbe caduta, prima o poi ci sarebbero state altre lacrime da asciugare. Era inevitabile e non poteva che guardare in faccia quella sconfortante verità.
E no, stavolta Arthur non sarebbe caduto dalle nuvole. Nessuno l’avrebbe potuto accusare di non aver visto le nubi all’orizzonte.
In fondo il mondo era tutto in attesa.
Era la notte prima di Natale… |
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Capitolo 15 *** Bazzecole (o perché Rednails e Royalsafe si detestano) ***
BAZZECOLE
A
volte profonde incomprensioni possono nascere da fatti
che, messi in giusta prospettiva, costituiscono delle enormi
baggianate. Talora
rancori intensi e duraturi trovano la propria genesi in bazzecole.
Altre
volte, invece, rivalità ed antipatie s’originano
in azioni
reprensibili che feriscono profondamente e rendono lampante il
tradimento di una
fiducia malriposta.
**
* **
Quella
mattina era uno dei giorni più importanti della sua
giovane vita.
Quella
mattina Hector Rednails avrebbe pronunciato il giuramento
e si sarebbe arruolato definitivamente come Auror del Ministero della
magia; avrebbe, inoltre ricevuto il medaglione che veniva consegnato ai
diplomati dell’Accademia quando entravano al servizio del
Ministero. Hector in particolare avrebbe anche ricevuta una coccarda
per essersi particolarmente distinto all’Accademia per
qualità
atletiche.
Una
buona parte dei suoi sogni di adolescente si sarebbe
avverata quel giorno.
S’era
svegliato prestissimo e vestito di tutto punto con la
divisa cerimoniale. Tutta la sua famiglia e la sua dolcissima Adelina
sarebbero
stati presenti e solo il pensiero lo rendeva leggermente nauseato e
tachicardico. Non amava essere al centro dell’attenzione,
aveva tanto faticato
per raggiungere quell’obiettivo. Lacrime, sudore e sangue, si
sarebbe potuto
dire. In senso meno figurato e molto più letterale che per
altre professioni.
Avrebbe
dovuto essere il giorno perfetto, invece, c’era una
nota di tristezza nei suoi occhi scuri come caffè.
Quel
giorno avrebbe potuto essere letteralmente perfetto se
non fosse stato per quanto era successo tre settimane prima.
**
* **
Erano
stati grandi amici sin da Hogwarts, lui, suo cugino
Agravaine e Darcy Royalsafe per quanto avessero caratteri differenti.
Ne
avevano fatte di marachelle insieme, nonostante fossero di ambienti
sociali
molto diversi: Royalsafe di famiglia antica e benestante, se non
proprio
purosangue, lui ed Agravaine babbani di nascita e abitanti con troppi
familiari
in una council house.
Non
era mai stato semplice essere neri e giamaicani d’origine
negli anni settanta nel nord dell’Inghilterra, non era stato
semplice, nemmeno, essere
dei ragazzi babbani che ad undici anni si scoprono magici, ma Royalsafe
non
aveva mai badato a queste cose ed era stato per loro un grande amico.
Quando
erano usciti da Hogwarts si erano iscritti tutti e
tre all’Accademia Auror e, per un po’, era sembrato
che tutto continuasse ad
andare a gonfie vele nei loro rapporti, ma, poi, un giorno Agravaine
gli aveva
confidato d’avere l’impressione che Darcy Royalsafe
stesse cambiando, che
stesse subendo troppe pressioni in famiglia e cominciasse ad accusarne
il peso.
In fondo lui proveniva da una stirpe di Auror da almeno tre generazioni
e
sicuramente, al contrario di loro due, aveva scelto quella carriera
più perché
era l’unica strada che gli era stata prospettata come quella
“giusta” che per
reale desiderio di essere utile al prossimo.
Non
aiutava che Hector grazie alla sua prestanza fisica
eccellesse nella corsa e nell’atletismo e Agravaine nelle
conquiste
intellettuali.
Era
come se del loro terzetto, quello tra loro che più subiva
pressioni per essere l’Auror perfetto, fosse un passo
indietro agli altri due candidati e la cosa si stesse facendo
insostenibile.
Soggetti
con più personalità di Royalsafe avevano accusato
il colpo in circostanze simili: la frustrazione del paragone, la
pressione
delle aspettative altrui, il timore di essere creduti un fallimento
poteva
mettere in crisi le persone migliori.
Col
senno di poi sarebbe stato facile dire che Hector aveva sottovalutato
il problema o sopravvalutato il buon carattere di Darcy.
Se
solo avesse saputo quanto Agravaine aveva ragione nell’essere
preoccupato per l’amico, mentre lui lo rassicurava che erano
timori infondati.
Peccato
che ormai fosse troppo tardi per rimettere insieme i
cocci.
Agravaine
non si sarebbe mai diplomato Auror e Hector non
avrebbe mai più potuto guardare in viso Darcy Royalsafe
senza provare un
profondo disgusto.
Qualche
settimana prima degli esami era girata voce che
qualcuno avesse sottratto il testo degli esami finali.
Le
voci all’accademia erano state insistenti e ben presto
era stata aperta un’inchiesta ufficiale.
Nessun
sapeva cosa fosse successo realmente, tutti avevano
le loro teorie e nemmeno Hector ed Agravaine erano esenti da
speculazioni di
ogni genere.
Era
stato un colpo al cuore di entrambi, perciò, quando un
mattino piovoso, Agravaine Rednails era stato chiamato dal direttore ed
era
tornato nella camerata tre quarti d’ora dopo così
sconvolto da non avere parole
per esprimere la sua disperazione.
Senza
approfondimenti ulteriori, il Direttore dell’Accademia
Auror, Hersey Robards, gli aveva comunicato che, a seguito di
rivelazione di un
altro studente, egli era stato individuato come il soggetto che aveva
sottratto
il testo degli esami, che la notizia era da ritenersi certa data la
fonte assolutamente
attendibile da cui proveniva e che non aveva altra scelta che
comminargli la
sanzione massima: l’espulsione dall’Accademia.
Per
un attimo Hector era stato indignato e disperato quasi
quanto il cugino.
Sapeva
benissimo che l’accusa non poteva essere vero.
Agravaine era sempre stato il più bravo accademicamente
anche ad Hogwarts, non
avrebbe avuto alcun senso per lui sottrarre il testo di esami che
avrebbe
superato ad occhi chiusi e con risultati brillanti senza fatica. Chi
aveva
potuto avere una sfacciataggine tale da averlo accusato di
ciò?
Per
un po’ i cugini si erano confrontati, avevano
confabulato, avevano cercato ogni via di appello per quella ingiusta
decisione,
ma, infine, nonostante tutto, Agravaine Rednails aveva dovuto fare
ritorno a
casa con quel marchio di infamia addosso.
Erano
stati i giorni più difficili della giovane vita di
Hector e del cugino, mai aveva sentito un tale disprezzo per
l’Accademia e per
i suoi superiori, per un po’ aveva meditato di rinunciare
anche lui a
diplomarsi. Se gli Auror non riuscivano a scovare il responsabile reale
di una
frode sotto i loro occhi, come potevano pensare di tenere al sicuro il
mondo
magico.
Era
stato Darcy Royalsafe ad indurlo a riflettere ed a
incoraggiarlo a continuare, ragionando che alla sua famiglia sarebbe
bastato un
solo soggetto non diplomato, che doveva pensare a tutto quanto speso
per la sua
educazione, ecc. ecc. Tutti argomenti molto meritevoli ed egoisti.
In
quei giorni aveva persino pensato che Darcy fosse il
migliore degli amici perché, parlando con lui, aveva ammesso
di avere la
certezza che nessuna malefatta fosse stata commessa da Agravaine.
Ed
era andato tutto per il meglio finché non aveva avuto
modo di confidarsi con Adelina in una lunga passeggiata romantica.
La
madre di Adelina lavorava come segretaria nell’ufficio di
Hersey Robards ed era stata chiamata a stenografare i verbali delle
audizioni
di soggetti informati sui fatti che erano stati ascoltati
nell’inchiesta sul
furto dei testi d’esami.
Era
così che Hector Rednails era venuto a sapere che il
primo soggetto ad aver fatto il nome del cugino
nell’inchiesta era stato
proprio Darcy Royalsafe.
Da
lì la questione era diventata come una palla di neve che
si trasforma in valanga.
Tutti
sapevano che Agravaine Rednails era stato un asso
negli esami accademici sostenuti sin lì, doveva aver
già rubato i test
precedenti, solo che nessuno se n’era reso conto prima,
avevano ragionato quei
burocrati. E naturalmente una fonte così autorevole come
Darcy Royalsafe non
poteva essere messa in dubbio. Un auror di terza generazione, amico
dell’incolpato
per giunta!
Per
un po’ Hector era stato così sconvolto che Adelina
non
sapeva più che dirgli, s’era persino scusata per
aver risposto alle sue
domande.
Tornando
al presente da quei pensieri cupi, Hector aggiustò
la cravatta e uscì dal bagno: era ora di andare verso il
Ministero ed il suo futuro.
**
* **
“Congratulazioni
Hector”
Hector,
che stava già scendendo le scale per raggiungere i
propri parenti che l’aspettavano all’altra uscita
della sala, si irrigidì alla
voce di Royalsafe.
Si
girò lentamente verso il compagno di corso e, nonostante
tutto, pronunziò “Anche a te, Darcy” a
denti stretti, cercando di non guardare
la coccarda blu appuntata sul petto dell’altro. La stessa
che, se le cose
fossero andate diversamente qualche settimana orsono, sarebbe stata
appuntata
alla veste di Agravaine Rednails.
Qualcosa
nel suo volto non dovette convincere pienamente
Darcy Royalsafe perché, lasciata immediatamente cadere la
maschera di cordialità indossata nelle ultime settimane,
nonostante la sua freddezza, il suo viso si contrasse in un sogghigno
per niente
gradevole.
“E’
proprio vero che alcuni non sanno perdere con
grazia…” Osservò.
Gli
occhi scuri di Hector scrutarono il suo interlocutore.
“Perdere ? E’
questo che era per te? Un gioco?”
Darcy
si aggiustò meglio la coccarda sulla veste. “Oh,
non essere ridicolo, nè
fare il risentito. E' per voi due che non è mai stato
importante come per me. Per voi era
un gioco. Per me, invece ... Non potevo certo deludere i miei
… E, poi, avreste fatto la stessa
cosa, se fossimo stati a parti invertite.”
Hector
lo fissò con sdegno come se fosse la prima volta che
lo vedeva veramente. “Se pensare questa cosa ti fa star
meglio, per quello che
hai fatto…Pensalo pure. T’assicuro che noi non
avremmo mai lanciato accuse infondate
solo per renderci belli con i pezzi grossi
dell’Accademia.”
Darcy
strinse gli occhi in un’espressione di sdegno,
replicando con un filo di voce. “A voi non ne è
mai importato nulla, per voi
era tutto facile. Nessun sforzo, nessuna pressione, tutto naturale. Non
potevo
certo lasciare che scoprissero la verità.”
Hector
ci mise un momento a capire ciò che quella frase
implicava.
“Cioè
tu sai chi è stato ed hai accusato ingiustamente
Agravaine?”
Per
un momento il compagno di corso lo guardò in silenzio.
“Oh
Hector, sei ancora più tonto di quanto pensassi. E non
farti venire strane idee, nessuno crederebbe ad un parente di un
espulso quando
hanno un Auror di quarta generazione e moltissimi testimoni di
riscontro.”
Detto
questo girò sui tacchi, lasciando Rednails a contemplare
l’abietto egoismo di quella riflessione.
Solo
l’arrivo di Adelina e dei suoi genitori impedì ad
Hector di rincorrerlo e passare la sua prima notte da Auror ad Azkaban.
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Capitolo 16 *** Ron & Hermione - Non facile da amare ***
NON
FACILE
DA AMARE
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*
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Che
amare qualcuno, amare veramente qualcuno, fosse tutt’altro
che semplice, Ron Weasley
l’aveva scoperto tanto tempo prima.
Ed
accidenti se aveva reagito male! Ora, come allora!
Ma
chi poteva biasimarlo. Non era semplice ammettere quello che si
è cercato di
evitare, sopprimere, allontanare.
Eppure
s’era trovato nel mezzo di questo imponderabile mistero prima
di sapere dove si
stava cacciando, prima di avere i mezzi per capirlo, prima di essere
pronto.
C’erano
così tanti argomenti, razionali, che Lei avrebbe apprezzato,
sicuramente, per
cercare in tutti i modi di negare quel sentimento.
Chi
si innamorava di qualcuno conosciuto a 11 anni e ci passava il resto
della vita?
E, poi, Lei avrebbe potuto avere chiunque volesse! Per l’amor
del cielo, poteva
avere Victor Krum, se solo avesse voluto.
Non
era un uomo facile d’amare, Ron Weasley.
Era
cocciuto, permaloso, impulsivo. Parlava prima di pensare. La guerra
l’aveva
reso ombroso, risentito, talora scostante.
Eppure
Lei l’aveva rincorso, allora. Se lo ricordava bene quel primo
anno di loro,
solo loro e non del Trio Magico, in cui tutto era troppo nuovo. Strano.
Avrebbe
dovuto essere pazzo amore e spensieratezza. Era stato più
passione travolgente
ed elaborazione del lutto. Sesso bollente e ostilità
sottotraccia.
Quante
volte aveva pensato di averne fatte abbastanza per farle cambiare idea,
per allontanarla
per sempre? Quante volte aveva pensato di averne avuto abbastanza?
Era
stato un meccanismo di difesa? Forse. Quelle litigate furiose di un
tempo erano
ancora tutte lì, come aveva dimostrato la sera precedente.
Era ancora in grado
di farlo impazzire di collera come nessun altro mai. Le sue parole
erano ancora
le uniche che veramente avevano il potere di distruggerlo.
La
capacità emotiva di un cucchiaino. Se mai Hermione si era
sbagliata in vita sua
era stata quando aveva pronunciato quelle parole!
Ron
sentiva.
Eccome.
Nel
profondo. Talvolta troppo a fondo.
Che,
poi, avesse la capacità di esprimerlo a parole o fosse
abbastanza a suo agio
per dimostrarlo, era tutt’altro paio di maniche.
Ma
lei era stata lì con lui. Nonostante tutto.
Nonostante
i musi, le parole non dette, le porte sbattute.
C’erano
stati momenti in cui aveva pensato che non c’era via
d’uscita, che erano come l’olio
e l’acqua, che l’amore non sarebbe stato abbastanza.
In
momenti come questi ci pensava.
Oh,
sì, c’erano modi in cui erano terribilmente
compatibili loro due. Nel letto,
per esempio. Dopo quei primi mesi a prendere le misure l’uno
dell’altra, era
stato tutto in discesa. La passione non era mai mancata loro. Anche
quand’erano
due ragazzini e non sapevano proprio che farci, salvo che stufare nel
loro
brodo e sublimarla in discussioni. No, quello non era un problema.
Il
problema era lasciarla avvicinare quanto lei voleva e quanto lui,
talvolta,
trovava intollerabile. Perché il terrore che se ne sarebbe
andata, se si fosse
resa conto di chi aveva scelto realmente, era lì. Sempre.
Covava. Come un
serpente velenoso alla base della sua spina dorsale. Come fuoco sotto
la
cenere.
Hermione
era cocciuta. Quanto lui, talora più di lui. Hermione voleva
capire, analizzare,
sviscerare. Sempre.
Ed
a
volte, miseriaccia, non c’era proprio niente che lui aveva
voglia di
sviscerare. Aveva solo voglia di sferrare un pugno nel muro o di volare
a tutta
velocità fino a non sentire più le dita dal
freddo.
Ma
non si poteva!
E
no, la signorina prendeva la parola relazione dannatamente sul serio.
Donna
esasperante!
Non
era semplice amare qualcuno.
Non
era semplice lasciarsi amare.
Osservò
nel buio il sole che stava facendo capolino, oltre la collina.
Era
il momento di tornare a casa.
E
sì,
forse era il freddo nelle dita che gliel’aveva fatta passare.
O
forse
era il fatto che l’amava da matti quella donna che gli
toglieva il sonno.
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