Ser Tor – Storia di un cavaliere di fragolalidia (/viewuser.php?uid=5794)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Come Tor divenne cavaliere. ***
Capitolo 2: *** Come Ser Tor divenne un uomo ***
Capitolo 3: *** Come Ser Tor conobbe l’identità di suo padre ***
Capitolo 4: *** Ser Tor e la Regina di Avalon ***
Capitolo 5: *** Ser Tor parte per la guerra ***
Capitolo 1 *** Come Tor divenne cavaliere. ***
Nel
regno di Camelot c’erano numerosi cavalieri valorosi e,
incredibile ma vero, per
esserlo non era necessario avere un nobile lignaggio: bastava il cuore
al posto
giusto, gambe leste e mani capaci.
E
il Piccolo Tor, figlio di Ars delle Terre Senza Re, questo lo sapeva
bene: se
lo faceva raccontare da sua madre ogni sera prima di addormentarsi e
ogni
mattina appena sveglio, mentre beveva il suo bicchiere di latte di capra.
Sua
madre, a parere non solo di Tor e dei suoi fratelli ma anche di tutte
le
persone della valle, era la più bella donna della regione: i
capelli rossi
sembravano far impallidire anche i raggi del sole al tramonto e i suoi
occhi
erano tanto neri quanto luminosi. La bella Toria, questo era il nome
della
donna da cui Tor stesso prendeva il suo, non solo era bella, ma aveva
la voce
più melodiosa e l’animo più gentile che
si potesse mai incontrare. Tor era
tremendamente felice di essere suo figlio e non poteva non sentirsi
orgoglioso
quando le persone gli dicevano che aveva i suoi stessi begli occhi.
Suo
padre Ars era l’uomo più forte che conoscesse.
Spesso Tor si chiedeva come mai
non fosse mai stato notato dai sovrani di Camelot e non fosse mai
diventato cavaliere,
ma quando lo diceva, Ars si metteva a ridere, buttando indietro la
testa e
quella sua magnifica chioma del colore del grano. Tor invidiava quella
chioma
riccioluta tanto che a volte detestava i suoi fratelli che
l’avevano ereditata,
contrariamente a lui che aveva i capelli scuri come la notte.
Gli
capitò solo una volta di tirar fuori questo
l’argomento per non farlo mai più.
Era
successo quando Tor non aveva che sei anni e avrebbe sempre ricordato
quel
momento come se fosse capitato poco prima.
Era
stato un freddo inverno.
Quel
giorno, mentre suo padre sistemava una vecchia sedia, Tor si
incantò a guardare
sua madre pettinare i lunghi capelli biondi e lucenti della sorella. Fu
allora
che chiese come mai era l’unico ad avere dei capelli
così brutti e neri. La
madre lo guardò quasi inorridita, prima di distogliere lo
sguardo e scappare
fuor di casa, verso le stalle, per scoppiare a piangere così
forte da spaventare
lui e i suoi fratelli. Tor guardò spaventato suo padre in
cerca di risposte e
questi, invece, si limitò a fissarlo per lungo tempo in
silenzio prima di parlare.
<<
Perché dici questo, Tor? >> chiese mettendogli
la grande mano callosa sul
capo, per accarezzarlo.
Tor
si accorse che la sua mano tremava, ma non sarebbe mai riuscito a
capire quale
emozione lo stesse pervadendo e, per la prima volta, ebbe paura di suo
padre.
Fu lì che comprese che c’era qualcosa che non
andava: non era mai stato un
bambino stupido, ingenuo forse, ma non stupido, e aveva subito capito
che il
fatto che non avesse i capelli come il suo papà era un
argomento che non era da
tirare fuori.
<<
Io… perché è vero…
>> riuscì a sussurrare sentendo le gambe
tremargli.
<<
Hai per caso sentito qualcuno fare dei commenti al riguardo?
>>
<<
No… Io… Vorrei solo essere come te…
>>
A
quelle parole, Ars si inginocchiò davanti a lui e lo
abbracciò.
Fu
la prima volta che lo sentì piangere.
<<
Mi dispiace, padre… non volevo… Giuro che non lo
dico più. >>
<<
No, taci. >> lo fermò l’uomo
guardandolo negli occhi con i suoi luminosi
occhi azzurri << Tu non hai fatto nulla di male. Tor, non
hai fatto nulla
di male e impara questo, figlio mio, non chiedere mai scusa per
qualcosa che
sai essere giusta nel tuo cuore, che sia un’idea o una cosa
da fare. È l’unico
insegnamento che potrò mai darti. >>
E
con quelle parole, gli baciò la fronte.
E
con quell’insegnamento, Tor si relazionò sempre,
per tutta la sua vita.
Aveva
in mente quelle parole quando, appena quattordicenne, aveva sentito
delle donne
al mercato commentare la sua somiglianza con quel gigante di suo padre,
così
diverso da quel basso pastore dai capelli biondi. Quella volta lo
avevano
chiamato bastardo e Tor era
abbastanza grande per sapere cosa significasse quella parola. Anche sua
sorella,
di un anno più piccola, ne conosceva il significato, tanto
che stava per andare
a dire loro qualcosa quando lui la fermò: non era giusto che
la sorella desse
spettacolo per qualcosa che lui stesso sapeva essere vera.
La
pregò di tacere e lei ubbidì.
Erano
poco lontano da casa quando Tor, fermandola, le chiese di non
raccontare
dell’accaduto ai suoi genitori.
<<
Perché? >> le chiese lei.
<<
Perché nostra madre ne morirebbe. Credo che sia un ricordo
che non vuole
rivangare… >>
La
sorella aveva acconsentito scuotendo la testa in silenzio.
<<
Ma non vuoi sapere? >>
Tor
la guardò in silenzio: sua sorella sapeva sempre fare le
domande più scomode.
<<
No. Io ho già un padre: si chiama Ars ed è un
uomo migliore anche del Re. Se
quell’uomo non si è preoccupato di venirmi a
cercare, allora non si merita il
mio affetto. >>
Tor
non avrebbe più voluto parlare di quella storia, ma sua
sorella, la cui mente
curiosa era come un fiume in piena, non riusciva ad abbandonare le
domande che
le frullavano in testa.
<<
Tu sei nato dopo che Re Uther era venuto qui…
>> disse una volta mentre
pescavano lontano dagli altri fratelli.
Tor
si guadò attorno prima di rispondere.
<<
E allora? >>
<<
E se fossi suo figlio? Oh, dai! Potrebbe essere! Dicono che Uther
Pendragon
fosse l’uomo più bello mai comparso su queste
terre e tutte le mie amiche sono
innamorate di te, che sei il più bello di tutti. Alle feste
papà viene
rispettato come fosse un re e la mamma è trattata come una
regina! È vero che
abbiamo molte terre, ma non così tante da avere tutto questo
rispetto! E se
fossi il figlio del re… saresti un principe…
>>
<<
E tu una principessa. >> rispose Tor riuscendo a
sorridere solo in quel
momento.
<<
Esatto! >>
Tor
le accarezzò il volto roseo.
<<
Un giorno diverrò cavaliere, sorella. E tu sarai la mia
dama. Ti porterò a
corte e tutti i principi si innamoreranno di te e tutte le principesse
ti
odieranno perché sarai mille volte più bella di
loro. >>
A
quelle parole, Aretha lo abbracciò d’istinto.
<<
Io non voglio che tu sia cavaliere. I cavalieri se ne vanno lontano, a
combattere. E quelli che passano per il villaggio sono volgari e
cattivi. Ho
sentito dire che fanno delle cose orribili alle fanciulle come me, se
sono
tanto sventurate da finire sul loro cammino: è per questo
che quando arrivano
ci rinchiudono in casa. >>
<<
Ti prometto, sorella, che non diverrò mai quel genere di
uomo. Anzi, ti giuro
che impedirò a chiunque di torcere anche solo un capello a
qualunque donna che
essa sia una principessa, una serva, una mungitrice o una fata.
>>
Sua
sorella sorrise.
<<
Lo so. E sarai un grande principe. >> disse per poi
riprendere dopo un
attimo << Mi mancherai. >>
<<
Guarda che per ora non vado da nessuna parte. >>
<<
Ma andrai via, un giorno, perché sei il figlio di un re.
>>
Sua
sorella non toccò più quell’argomento.
La sua bellissima sorella.
Tor
non avrebbe mai dimenticato il sorriso pieno di lacrime con cui
l’aveva
salutato prima che i suoi genitori lo portassero a Camelot, per
partecipare
alla grande fiera dove avrebbe potuto mostrarsi come cavaliere.
Sua
madre e Aretha avevano cucito per mesi un corredo adeguato per quel
giorno, sua
padre aveva venduto il suo montone più bello per procurargli
un cavallo e
un’armatura adeguata.
Solo
quando varcò le porte di Camelot, però, Tor
comprese che tutti i suoi sogni,
finalmente, stavano diventando realtà.
Sarebbe
diventato cavaliere.
Avrebbe
combattuto contro draghi e orchi, salvato donzelle in pericolo e
servito il già
leggendario Re Artù.
Era
così entusiasta che neanche si accorse delle serve, e non
solo quelle, che gli
facevano gli occhi dolci e che facevano scuotere la testa ai suoi
genitori.
Dovette farglielo notare suo padre, con il risultato di metterlo ancor
più in
agitazione.
La
sera prima dell’inizio della giostra, però, Tor
visse l’esperienza più
importante della sua giovane vita, segnando profondamente lui e le
persone che
gli stavano attorno.
Suo
padre gli aveva intimato di andare a letto presto, ma lui, troppo
nervoso per
riuscire a rimanere fermo, sgattaiolò fuori dalla finestra e
cominciò a vagare
per le vie di Camelot. Non aveva mai visto una città
più bella e carica di
vita, non che il paesino presso cui abitavano lui e la sua famiglia
fosse così
grande da definirsi città, ma neanche nel giorno della fiera
del bestiame,
aveva mai visto tanta gente riunita.
Lì
a Camelot si incontravano, Tor ne era sicuro, le genti di tutto il
mondo.
Si
era spostato lungo la piazza centrale, dove si ergevano le mura
interne, quelle
che dividevano il castello dalle case attorno, e dove la chiesa in
costruzione
prometteva di essere poderosa e incombente, a memento della giustizia
divina
che rappresentava.
Tor
continuò a camminare, superando lo spazio che di giorno era
occupato dal mercato,
nel quale si era perso il giorno prima e di cui ora conosceva tutti i
segreti,
fino ad arrivare all’area destinata ai tornei dove
cominciò a guardarsi
attorno, respirando profondamente il silenzio di quel posto.
Lì
l’indomani si sarebbe deciso il suo destino: o cavaliere o
nulla.
Stava
ancora contemplando gli spalti dove si sarebbero seduti il Re e la sua
corte quando
delle urla strozzate attirarono la sua attenzione.
Tor
era sempre stato un ragazzo curioso e quella volta non fu da meno.
C’era
qualcosa di strano in quei rumori soffocati, ma non si sarebbe mai
aspettato di
trovarsi una scena del genere davanti agli occhi, tanto odiosa da far
scattare in
lui l’ira più profonda che avesse mai provato.
Una
fanciulla, così giovane da essere poco più di una
bambina, era strattonata da
tre giovani uomini. Tor li aveva già visti, quei tre, erano
aspiranti cavalieri
come lui: figli di signorotti di qualche regione sperduta,
probabilmente, che
si erano riconosciuti come parte dello stesso mondo e avevano snobbato
gli
altri che, come lui, erano visibilmente figli di nessuno.
Lei
implorava loro di lasciarla andare, che sua madre la stava sicuramente
cercando
e che le facevano male.
Loro
ridevano e le dicevano di non preoccuparsi.
Ma
lei non era così piccola da non sapere che, invece, doveva
preoccuparsi
parecchio.
Tor
non si accorse neanche di aver preso una qualunque decisione, sapeva
solo che
nel momento in cui uno di loro alzava alla giovane la gonna, mentre un
altro
gli strappava un po’ della camicetta, lui aveva afferrato
quest’ultimo e gli
aveva sferrato un pugno tale da sentire le sue ossa rompersi, mentre
questi
cadeva svenuto a terra.
Il
ragazzo che teneva le braccia della giovane costringendola addosso a un
albero
la lasciò, indietreggiando un attimo spaventato prima di
lanciare un ringhiò e
scaraventarsi verso di lui. Tor lo schivò con
facilità (era grosso e troppo
lento per lui) mentre si sporgeva verso il terzo ragazzo per sferragli
una ginocchiata
nello stomaco. Tor perse per un momento l’equilibrio, ma per
sua fortuna lo
recuperò in fretta, tanto da schivare un paio di colpi
avversari.
Guardò
la giovane e le intimò di andare via, ma lei, terrorizzata,
rimaneva immobile
vicino all’albero sui cui volevano immolarla.
Tor
fu costretto a incassare un paio di colpi avversari, ma
riuscì ad assestarne
altrettanti, schivando e contrattaccando come faceva sempre con i figli
dei
vicini o i suoi fratelli, con in più l’intenzione
di colpire seriamente i suoi
avversari. I tre giovani guerrieri combatterono tanto da non accorgersi
di
essersi avvicinati alle strade abitate e Tor continuò a
destreggiarsi tra un
colpo e l’altro fino a quando un dolore acuto lo
colpì alla testa e la vista si
offuscò.
Quando
Tor si riprese, non gli ci volle molto per capire di essere in una
cella.
Si
alzò a stento, sentendo la sua testa pulsargli. Dovevano
averlo colpito alle
spalle, convenne toccando il bernoccolo che gli era spuntato sul capo.
Guardando
fuori dalla finestra, Tor vide che il sole era già alto.
Imprecando,
andò alla porta e chiamò la guardia.
<<
Ehi, fammi uscire! >> gli disse implorante
<< Il torneo! Devo
essere al torneo! >>
<<
Non credo proprio, ragazzo. >> disse l’uomo
prima di aprire la porta. <<
Il torneo è stato rimandato a domani, visto il putiferio che
hai combinato.
Vieni. Il re vuole vederti. >>
Il
primo istinto di Tor fu quello di scappare, ma poi gli insegnamenti di
suo
padre tornarono ad avere la meglio su di lui e, con calma temeraria,
seguì il
soldato lungo gli stretti corridoi delle prigioni, fino a quelli ampi e
luminosi del palazzo di Camelot.
Durante
tutto il tragitto, Tor continuava a pensare alle parole che suo padre
gli aveva
detto quando ancora era un bambino ma che lui non aveva mai
dimenticato: non
chiedere mai scusa per qualcosa che sai essere giusta.
A
qualunque cosa, Tor avrebbe risposto questo.
Aveva
umiliato suo padre facendosi sbattere in prigione, ma si sarebbe
riscattato.
Ars non si sarebbe vergognato ancora per molto.
Quando
aprirono le porte che conducevano alla sala del Torno, però,
Tor sentì la sua
sicurezza vacillare un attimo: stava per incontrare il grande Re
Artù, colui
che aveva salvato la loro isola dal caos e dalla guerra, che aveva
portato pace
e giustizia…
L’uomo
più leggendario di tutte le terre conosciute…
Tor
trattenne il fiato prima di entrare e poggiare lo sguardo sul suo
sovrano.
Poi
lo vide e quasi ci rimase male.
Artù
Pendragon era un uomo nel fiore degli anni, dall’aria
semplice e… normale.
I
suoi capelli, biondi come quelli di suo padre, erano ribelli ed
eleganti e gli
conferivano un’aria ancora vagamente infantile.
I
suoi occhi erano simili a quelli di un bambino che si diverte a
catturare
girini e sarebbe stato facile scambiarlo davvero per un fanciullo, se
non fosse
per la poderosa fisicità che, anche da seduto, riusciva a
incutere un certo
rispetto.
Ma
per il resto, aveva un’aria assolutamente comune. Se non
avesse avuto il
mantello o il diadema, che pure era semplice, sul capo, Tor non avrebbe
mai
detto che quello era un re.
Figuriamoci
Re Artù di Camelot.
<<
Vieni avanti, ragazzo. >> disse il re.
Tor
non se lo fece ripetere, ammaliato da quella voce profonda e regale,
cominciando finalmente a capire da dove venisse parte del fascino del
sovrano:
non era qualcosa che aveva nel suo aspetto, era qualcosa che nasceva da
dentro
e che si vedeva nei gesti e nelle espressioni, non
nell’apparire.
<<
Hai fatto un bel casino ieri notte. >>
Tor
guardò meglio il re, rammaricandosi di non trovare alcuna
somiglianza tra di
loro. Un po’ gli dispiaceva non poter tornare dalla sorella
con la sicurezza di
essere il fratello bastardo di Artù Pendragon. Era
più probabile, piuttosto,
che fosse il re ad essere il figlio illegittimo di Ars anche se
all’epoca della
nascita del re, suo padre probabilmente non era che un ragazzo.
Il
re volse lo sguardo verso una guardia.
<<
Fa entrare gli altri. >> l’uomo scosse la testa
e ubbidì.
Forse,
pensò Tor, quello non era una semplice guardia: i suoi
vestiti erano più simili
a quelli di un cortigiano e zoppicava visibilmente: nessuno avrebbe
tenuto uno
zoppo come soldato, neanche il grande Artù.
L’uomo
fece entrare un gruppo di persone che Tor riconobbe come i tre giovani
aspiranti cavalieri e le loro famiglie. Dietro di loro, Tor
notò con un
sussulto, c’erano suo padre e sua madre.
Sua
madre Toria corse verso di lui per abbracciarlo e lui si
lasciò baciare sulla
fronte, grato di poter sentire quel calore un’ultima volta.
Il
re aspettò un attimo prima di ricominciare a parlare,
zittendo con una mano
alzata il giovane uomo che stava per parlare senza permesso.
<<
Quattro aspiranti cavalieri di Camelot. Sapete quanti sono gli
aspiranti
cavalieri quest’anno? Sedici. Il che vuol dire che una gran
bella porzione
degli aspiranti cavalieri, ieri sera, hanno combattuto tra di loro,
contro ogni
etica di comportamento e ogni regola della giostra. >> il
re sembrava
parlare più a se stesso che al suo pubblico.
Tor
lo vide girarsi, guardano alla sua sinistra.
<<
Sai cosa vuol dire questo? >>
In
quel momento Tor si accorse in un giovane fanciullo, bello ed elegante
come una
notte di luna, fermo in una nicchia.
<<
Sì, sire. Che la scelta quest’anno sarà
più facile. >> disse lui con
pacata semplicità.
Tor
sentì un profondo odio nei confronti di quel fanciullo.
Il
re invece rise.
<<
Hai ragione, figliolo. >> disse prima di tornare a
guardare i convocati. <<
Ragazzo, ho sentito le versioni degli altri e mi manca la tua. Vuoi
dirmi
qualcosa prima che io prosegua in qualunque modo? Vuoi forse scusarti o
giustificarti o… fare ammenda per il tuo comportamento?
>>
Tor
sentì il suo cuore perdere un battito.
<<
No, Sire. >> rispose lui.
Sentì
sua madre trattenere il respiro, nascondendo il volto dietro il suo
braccio.
<<
No? >> ribatté il re << Ne sei
sicuro? >>
<<
Non chiedere mai scusa per qualcosa che sai essere giusta nel tuo
cuore, che
sia un’idea o una cosa da fare. >> disse lui
pregando che nessuno si
accorgesse del fremito della sua voce.
In
quel momento, Tor lo sapeva, tutti gli occhi erano puntati su di lui.
<<
E’ una frase molto impegnativa. Cos’è?
>>
<<
Mio padre mi ha insegnato molte cose, maestà, e questa
è la più importante. Io
ho fatto quello che dovevo e non mi pento, né
chiederò mai scusa. >>
Il
gruppo dei suoi avversari cominciò a protestare e il re
alzò nuovamente la
mano.
<<
Tuo padre è un uomo saggio e profondo. Anche io sono stato
cresciuto con
insegnamenti molto simili. Però devi capire che in questo
caso non basta che tu
dica di aver fatto la cosa giusta. Beh, forse hai ragione, io ti hi
chiesto se
volevi fare ammenda, ma avrei anche dovuto chiederti come sono andate
le cose.
Anche perché, ragazzo, capirai che le informazioni che ho
io, quelle che mi
sono state date dagli altri aspiranti cavalieri, per lo meno, non ti
fanno
sembrare nel giusto. >>
Tor
guardò i tre giovani uomini che lo guardavano con odio
beffardo.
<<
Mentono. >>
Il
re rise.
<<
Sei un ragazzo di poche parole, vedo. Purtroppo a me serve qualcosa di
più. Io
devo sapere almeno le ragioni che ti hanno spinto a fare quello che hai
fatto,
visto che è indubbio quello che hai fatto. >>
Tor
guardò per un attimo sua madre, prima di tornare a guardare
il suo sovrano.
<<
Non volevo che un’altra giovane vita fosse segnata come mia
madre. >>
disse lui mantenendo lo sguardo fisso verso il re, mentre la sentiva
allontanarsi leggermente.
Il
re passò lo sguardo tra di loro senza capire, prima di
fargli segno di
continuare.
<<
Mia madre… >> Tor abbassò un attimo
lo sguardo per trovare la forza di ferire
sua madre << Diciott’anni fa mia madre
subì violenza da un cavaliere e da
quella violenza nacqui io. >>
Tor
con la coda dell’occhio sua madre trasalire portandosi la
mano alla bocca e
distogliere lo sguardo, mentre la mano si suo padre
l’afferrava per una spalla
e lo costringeva a voltarsi.
<<
Come…? Chi…? >> riuscì a
pronunciare l’uomo.
Tor
gli prese la mano tra le sue e gliela baciò prima di tornare
guardare il re.
<<
Io sono stato fortunato e sono stato cresciuto da un uomo che anche se
non è
mio padre è il padre migliore che potessi desiderare che
come vedete mi ama
come se fossi figlio suo e mia madre, la mia adorata madre, nonostante
sia il
ricordo più vivo di quella violenza non ha mai smesso di
volermi bene. Ma so
che il dolore di quella crudele empietà ancora le lacera
l’anima. E… a cosa
seve essere cavalieri se non possiamo salvare gli indifesi?
C’era una giovane
con loro e le stavano facendo male e lei implorava di essere lasciata
andare.
Non so se per qualcuno una cosa simile sia giusta, ma per me no. Tre
contro uno
è da vili contro un uomo, figuriamoci contro una fanciulla.
Ora, sire, sì, ho
una cosa di cui devo chiedere scusa: non volevo far piangere mia madre,
ma
vostra maestà mi ha chiesto le ragioni che mi hanno spinto
ad agire e quelle
lacrime sono le mie ragioni. Se i miei avversari hanno detto a vostra
maestà
che li ho presi di sorpresa, non posso negarlo, o per lo meno posso
dirlo per
lui, che ha la mandibola rotta, perché è stato il
primo che ho colpito e sul
quale ho scagliato tutta la mia ira. >>
<<
Lo hai colpito… come? >>
Tor
alzò la mano, accorgendosi solo in quel momento di averla
dolorosamente gonfia
e sanguinolenta.
<<
Con questa. Maestà, io non mi sono presentato, non li ho
sfidati e non ho
seguito alcuna regola di cavalleria, ma io non ho agito come cavaliere,
ma come
uomo con una dignità. Forsanche perché piuttosto
che non agire, avrei preferito
impiccarmi. >>
Dopo
quelle parole, nella sala del trono cadde il silenzio.
Il
re guardò per un istante tutti i presenti prima posare
nuovamente lo sguardo
sul giovane dietro di lui e fargli un cenno alla quale lui
ubbidì in silenzio,
sparendo dietro a una tenda.
<<
Hai ragione, ragazzo. Secondo la loro testimonianza, tu ti sei
avventato senza
alcun motivo. Di solito, lo scoprirai crescendo, questo può
accadere, ma di
solito il provocatore è ubriaco, cosa che non si
può dire di te. >>
<<
Sì, Sire. >>
<<
Ora, questa parte riguardante il comportamento dei tuoi…
avversari, non ci è di
certo stato fornito da loro che, secondo la testimonianza che hanno
fatto si
stavano solo divertendo in modo innocente. A dire il vero,
però, >> disse
il re facendo nuovamente il gesti di tacere <<
c’è un modo per sapere se
è quello che dici è vero. Basta trovare i
testimoni. Dimmi, ragazzo, chi
sarebbe la donna che è stata aggredita? >>
<<
Non lo so. >>
<<
Non l’avevi mai vista? Neanche di sfuggita? >>
<<
No, sire. Io e i miei genitori siamo arrivati a Camelot solo
l’altro giorno.
Non conosco nessuno, qui. >>
<<
Un bel dilemma, anche perché, lo saprai bene anche tu,
quando una donna è
vittima dell’ingiustizia del suo sesso, difficilmente lo
racconta. E senza
altri testimoni, temo di non poter dare molto credito al tuo racconto.
>>
Tor
strinse le labbra e asserì con la testa, pronto a subire il
suo destino.
<<
C’è da dire, però, che a volte le
fanciulle in questione sono così assetate di
giustizia che possono anche far sentire la loro voce. Soprattutto, se
hanno un
paladino al loro fianco. >>
Tor
sentì il suo cuore ricominciare a battere, mentre il giovane
valletto del re
tornava con la giovane fanciulla aggredita.
<<
Il tuo nome, ragazza? >>
<<
Rivalen, Sire. Sono la figlia di Fedor, il fabbro. >>
<<
Avevi mai visto quel ragazzo prima di ieri sera? >>
<<
No, Sire. >>
<<
E uno di loro? >>
<<
No, Sire. >>
<<
E dimmi, piccola, come mai sei qui. >>
Lei
fece per parlare ma la voce le morì in gola, allora
abbassò lo sguardo.
<<
Io… >> disse poi con un filo di voce.
<< Io non sono stata attenta…
>>
Il
re gli sorrise e gli mise la mano sulla testa, prima di tornare a
guardare i
presenti.
<<
Sapete, io… beh, non sono un uomo particolarmente aventi
negli anni, ma ho
abbastanza esperienza per capire un ragguardevole numero di cose.
Questa
fanciulla si è presentata all’alba alla
servitù per essere ascoltata, purtroppo
però i preparativi della giostra hanno reso la cosa
impossibile. Ma la piccola
è stata molto caparbia e ha continuato a cercare qualcuno
che la aiutasse tanto
da attirare l’attenzione di Mordred. Lui l’ha
ascoltata e l’ha portata da me.
La piccola era così stravolta da non essersi neanche accorta
di avere la
camicia strappata e di essere stata lei a urlare aiuto, tanto da
richiamare la
ronda. Questa non l’aveva vista, ma come far caso a una
bambina nascosta
nell’ombra? Hanno pensato fosse semplicemente
l’abitante di una delle case che
spaventandosi avesse chiesto aiuto. Capita, certo. Anche se
è piuttosto raro in
quella zona, visto l’assenza di taverne. >>
Uno
dei giovani aggressori fece per parlare ma un sibilo del padre dietro
di lui lo
zittì.
<<
Ho visto io stesso i segno dell’aggressione su di lei. Le
sono state strette
così forte le mani attorno alle braccia che ancora ne tiene
il segno. Le sono
state graffiate le cosce, non so se con le unghie o con altro, ma non
m’importa. Lei vi ha già riconosciuti, mentre
ancora eravate nelle vostre celle
e stavate ricevendo le prime cure e se, come credo, volete insinuare
che la
piccola e il qui presente cavaliere siano in combutta, posso
assicurarvi che ho
indagato anche su questo. Il giovane e i suoi genitori non sono
arrivati che
ieri e un ragazzo di quella stazza non passa inosservato. Ho il resoconto di quasi
tutto il suo tempo
qui a Camelot, per non contare che ho la stessa cosa per la piccola. Ed
il mio
siniscalco, Ser Kay, non ci ha messo che poche ore per scoprire che, in
effetti, vi hanno visto aggirarvi proprio dalle parti dove la piccola
ha
abitudine di passare il suo tempo libero. >> disse il re
prima di girarsi
a guardare nuovamente la fanciulla << Puoi andare. Grazie
per il tuo
aiuto e ringrazia tuo padre per la comprensione. >>
La
giovane sparì da dove era venuta.
Re
Artù aspettò in silenzio per qualche minuto prima
di alzarsi.
Tor
non poté fare a meno di trasalire: il re era un vero
gigante: lui stesso non
era di certo un giunco e spesso veniva paragonato a un toro, ma il re
era più
vicino a un possente orso, un orso che impressionava tanto era maestosa
la sua potenza
mentre scendeva i gradini del trono e andava verso il gruppo di suoi
vassalli.
<<
Bran, spero capitate. >> disse il re, mentre
l’uomo a cui si stava
rivolgendo abbassò la testa asserendo con gravità.
<<
Morcant Bulk, figlio di Bran. >> il re guardò
il ragazzo che per primo
voleva protestare. << Ryon, figlio di Rience. >> il re
guardò il ragazzo con il capo
fasciato e la mascella rotta << Ironside, figlio di
Ruben. >> il re
guardò il terzo e ultimo ragazzo. << Non posso
certo impedirvi di fare
quel che volete nelle terre dei vostri genitori, questo spetta a loro e
alla
vostra coscienza. Ma certo è tutta un’altra cosa
qui a Camelot. Qui non potete
pensare di poter avere tutto quello che volete, solo perché
lo volete. Per
rispetto all’alleanza fedele e sicura dei vostri padri, non
vi infliggo la
punizione che vorrei darvi, con la speranza che un giorno capirete il
vostro
errore e facciate ammenda. Posso però assicurarmi di una
cosa: voi non sarete
mai dei miei cavalieri. Io pretendo di più di saper tirare
di spada o rimanere
su un cavallo durante una battaglia. Io esigo che i miei rappresentanti
nel
regno, i miei cavalieri, infondano fiducia assoluta in qualunque
individuo del
mio regno, che esso sia uomo, donna o bambino. E voi siete abbastanza
grandi
per sapere di aver sbagliato anche perché, altrimenti, non
avreste omesso il
particolare della fanciulla che era oggetto del vostro divertimento.
Non potete
negarlo: sono stato io a chiedervelo. Pagherete un risarcimento: per i
prossimi
sette anni un decimo del ricavato delle vostre terre verrà
dato a Rivalen,
figlia di Fedor, fabbro di Camelot, come risarcimento per
l’onta subita.
Pregate che non ci sia carestia, perché dovrete darle il
decimo del massimo
ricavato possibile. >>
Tor
vide quello che era stato chiamato Ironside dal re fece per parlare ma
il solo
sguardo del re lo zittì.
<<
Ser Bran, Ser Rience, Ser Ruben, spero che gli altri vostri figli
vengano a
ridarvi l’onore che so meritate. Potete andare.
>>
I
vassalli del re e le loro mogli fecero un inchino e se ne andarono in
silenzio.
Quando
le porte si chiusero verso di loro, il re si voltò a
guardare Tor e i suoi
genitori.
<<
Sei avventato e spavaldo. Decisamente. >> gli disse il re
<< Sai,
ragazzo, anche io ero così alla tua età: o non
sarei riuscito a tenermi il
trono… o avere la donna che amo… o sopravvivere.
Ma bisogna esserlo con
parsimonia. >>
Tor
scosse la testa in segno di assenso.
Il
re sorrise lievemente beffardo, prima di rivolgersi a suo padre.
<<
Non credo che vostro figlio se ne sia accorto. >>
<<
Credo anche io, sire. >> disse l’uomo con la
voce carica di emozione.
Il
ragazzo passò lo sguardo tra il suo sovrano e suo padre,
quando la mano di sua
madre si posò sul suo braccio. Tor la guardò:
aveva le lacrime agli occhi, ma
questi erano luminosi come il suo sorriso.
<<
Tor… ti ha chiamato cavaliere. >>
Tor
trasalì, ricordando le parole di Artù Pendragon: volete insinuare che la piccola e il qui presente
cavaliere siano in combutta…
Il
qui presente cavaliere…
<<
Ma io… la giostra… >>
bofonchiò lui.
<<
La vostra giostra l’avete combattuta ragazzo. Un
po’ prima di quanto fosse
necessario ma l’avete combattuta. >> rispose il
re prima di tornare a
guardare suo padre. << Sapete, anche se vostro figlio non
avesse fatto
quello che ha fatto, avete comunque scombinato un po’ la
tranquillità qui a
Camelot, Ars. Non fate quella faccia, molti miei cavalieri erano anche
cavalieri di mio padre. Il mio padre adottivo, ser Hector, quando vi ha
visto è
venuto a parlarmi di voi, entusiasta di rivedervi vivo e in forza,
anche se a
suo dire non si ricordava foste così basso. È
vero che avete battuto ser
Pellinore? >>
<<
Sì, sire. >> disse lui dopo un lungo silenzio
a sguardo basso.
<<
A mani nude, per quanto ricorda ser Hector. >>
<<
Lo eravamo entrambi, sire. >>
<<
Beh, io non ci sono riuscito ed ero armato e molto più
giovane di lui! È anche
vero che ci sono voluti venti uomini per fermarvi? >>
<<
Sì, sire. >>
<<
E per questo avete perso i vostri titoli e le vostre terre.
>>
<<
Sì, sire. Il re vostro padre mi aveva intimato alla resa ma
io non ho ubbidito.
>>
Dopo
un attimo di silenzio, il re mormorò.
<<
Il sovrano della terra senza re… Mio padre ha preferito
l’alleanza con re
Pellinore piuttosto che con voi. Beh, lo capisco: la vostra
è una bella terra,
ma non al pari di quella di Pellinore e voi non avete eseguito un suo
ordine
duretto. Ci sono stato, dalle vostre parti, sapete? Il mio tutore,
Merlino, mi
ha fatto conoscere ogni centimetro del mio regno. Purtroppo
però, capirete che
non posso nominarvi re, ma… avete un figlio, dopo questo,
che può assumere quel
ruolo? Scusate se vi faccio questo affronto, Tor, ma io vi voglio qui
con me,
non nelle terre di tuo padre e, come con mio nipote prima di voi, vi
costringo
a non divenire re. >>
<<
Io non voglio essere re. >> disse Tor stordito.
<< Io… Aretha. Mia
sorella Aretha sarebbe un’ottima regina. Lei è,
dopo mia madre, la donna
migliore che esista sulla faccia della terra. Se vostra
maestà accetta che sia
una donna a governare sul quelle terre… lei è
perfetta per fare la principessa,
figuriamoci una regina. >>
Il
re sorrise.
<<
Uomo o donna, non importa. La madre dei miei figli è la
regina delle sue terre
e il suo sesso di certo non la rende meno idonea a quel ruolo. Dopo
questi
festeggiamenti, tornate a casa e riprendete il viaggio per Camelot con
tutta la
vostra famiglia. Ho una sovrana da nominare. E ora andiamo. Il torneo
ha
aspettato anche troppo e dobbiamo annunciare i cambiamenti effettuati
sul
numero dei partecipati. >>
Tor
era così euforico che si accorse che il giovane valletto del
re, li aveva
raggiunti, quando ormai gli era a fianco. Trasalì, vedendo
che, nonostante
fosse palesemente poco più di un bambino, era già
più alto di lui di una
spanna, tanto fa raggiungere quasi il re.
Mentre
seguiva sua maestà il re, non poté fare a meno di
guardare il modo in cui
dialogava con il suo valletto, comprendendo in fine, che quello non era
solo un
valletto.
Forsanche
perché il giovane Mordred, quello era il suo nome se non
ricordava male, ora lo
stava chiamando padre.
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Capitolo 2 *** Come Ser Tor divenne un uomo ***
Dopo
i festeggiamenti di rito per i nuovi cavalieri, Tor scoprì
in fretta che i suoi
primi doveri erano riprendersi dalla giostra e trovarsi un alloggio al
castello.
Il
giovane cavaliere, però, ebbe solo il tempo di scegliere una
stanza qualunque,
prima di partire ai suoi genitori.
Il
re aveva detto loro di portare Aretha a Camelot e Tor non si sarebbe
mai perso
l’espressione di sua sorella quando le avrebbero detto che
era Regina e per
tutto il viaggio alla volta di casa, aveva continuato a fantasticare
sulla
reazione della sorella.
Come
avrebbe reagito a una notizia così incredibile? Si sarebbe
spaventata? Si
sarebbe arrabbiata? Avrebbe gioito e cantato per una settimana? Avrebbe
cominciato a dare ordini a tutti, capre e cavoli compresi? O forse
sarebbe
stata così felice di rivederlo, da non considerare neanche
la notizia di essere
appena divenuta Regina.
Purtroppo
per lui, la prima reazione della sorella non era stata quella di
saltargli al
collo per salutarlo, ma urlargli contro che, se era tornato indietro
sconfitto
e con la coda tra le gambe, allora lei non avrebbe più avuto
un fratello. E
dietro di le, i loro quattro dei loro fratelli, quelli abbastanza
grandi da
reggersi in piedi quindi, le davano ragione.
<<
No, sorella. >> disse lui nel tono più serio e
formale di quanto non
avesse mai fatto con sua sorella, tentando di nascondere il malumore di
quell’ingiuria << Vi sbagliate. Sono divenuto
cavaliere ormai dieci
giorni fa e sono qui per una missione ufficiale affidatami da Re
Artù Pendragon
in persona. >>
<<
Ah, sì? E quale sarebbe? Fare il pomposo col vostro sangue?
Insegnare l’arte
della giostra alle mucche? O salvare le pecore dalla rasatura annuale?
Ci sono:
fingere di essere un cavaliere e non farsi sbeffeggiare dai vicini! Non
preoccuparti Tor, ti difendo io. >>
<<
No, scortare a Camelot il nuovo Sovrano della Terra senza Re.
>> ribatté
lui alzando il mento con beffarda superiorità.
<<
Ti rendi conto che è assurdo che una regione che per
definizione è “senza Re”
ne abbia uno, vero? Non sarebbe molto logico. Temo che il re, se quello
era
davvero il re, ma temo che tu sia stato circuito da un viandante in una
taverna,
ti abbia preso in giro, fratello. E ora dimmi, come ti hanno sconfitto?
Ti
hanno fatto piangere perché ti hanno detto che hai il naso
grosso. >>
<<
Non ho il naso grosso. >>
<<
Oh, sì che lo hai. >>
<<
Non… Non voglio litigare con voi… mia
signora.>> disse lui, inchinandosi
davanti, seguito dai suoi genitori che nel frattempo avevano seguito la
loro
discussione nel più completo dei silenzi, permettendosi solo
di lanciarsi
qualche occhiata eloquente.
Lei
di rimando li guardò male.
<<
Oh, padre, madre! Come vi ha convinto a reggere questa buffonata?
>>
<<
Il fatto che non lo è. >> rispose Ars.
Tor
tornò a guardarla, sorridendole.
<<
E’ un peccato che tu non possa fare la principessa, sorella,
ma sarai anche
meglio come regina. Perché è vero, la nostra
è ancora la Terra Senza Re, ma
perché noi non abbiamo ancora un re e neanche ci serve. Ci
bastate voi, maestà.
>>
Per
risposta, Aretha diede loro le spalle e con passo sicuro
entrò in casa chiudendola
alle sue spalle. Tor comprese che le ci sarebbe voluto del tempo per
riprendersi. E come darle torto? Quella sera l’avrebbe
portata a guardare le
stelle e le avrebbe raccontato tutto. Come facevano quando erano
bambini.
C’erano
volute altre due settimane prima di riuscire partire nuovamente alla
volta di
Camelot: era servita una riunione straordinaria del gran consiglio
anziano e,
soprattutto, riuscire a convincere Aretha che, comunque, necessitava di
qualcosa di più del corredo di una mungitrice. Tor non fu
particolarmente
sorpreso nel vedere il circondario esultare per questa nomina e
proporsi di
aiutarli per non far sfigurare Aretha davanti agli arricchiti
cortigiani di
Camelot: sapeva che la sua gente era composta per lo più da
persone semplici e
altruiste che si amavano e sostenevano l’un l’altro
sia nei dolori che nelle
gioie. Se poi era vero quello che aveva detto il re, suo padre Ars era
stato
l’effettivo re di quelle terre e restituire la corona alla
famiglia, era come
restituire identità al loro popolo.
Un
popolo degno di avere Aretha come regina.
Fu
soprattutto per loro che sua sorella, alla fine, cedette alla
volontà popolare
(la maggior parte degli abitanti della regione infatti si erano
presentati a
casa loro per renderle omaggio), e accettò la nomina di loro
Regina.
Tor
si chiese spesso del perché di tutte quelle remore, ma non
osò mai farne
domanda a sua sorella, per paura della risposta.
Poteva
davvero esserci qualcosa che la sua intelligente e coraggiosa sorella
temeva?
Tornare
a Camelot fu più arduo di quanto sembrava, visto la
predilezione alla fuga dei
suoi i fratelli minori, ma quando Tor varcò le porte di
Camelot, si sentì
finalmente a casa.
Il
soggiorno della sua famiglia fu breve e intenso. Il re rimase incantato
dall’acuta intelligenza e dalla sincera modestia di Aretha e
i cortigiani
furono affascinati dalla sua soave bellezza. Suo padre era spesso
sparito in
lunghe passeggiate con i cavalieri più anziani e sua madre
aveva intrattenuto
la corte con delle canzoni popolari affascinando tutti con la sua voce
melodiosa, accompagnata egregiamente dal menestrello di corte, un certo
Talesin.
L’unica
nota stonata fu Mordred che, a detta di Aretha, era immensamente
più bello di
lui e che per i suoi gusti, si era intrattenuto troppo con sua sorella.
Non che
avessero passato molto tempo da soli, tutt’altro, ma Mordred
le aveva fatto da
cicerone per tutto il tempo e lei, a conclusione di tutte le giornate
di quel
soggiorno, non aveva che lodi da tessere su di lui.
Tor
pensò per un momento di spezzare il bel naso dritto del
figlio del re e si
compiacque con se stesso per il proprio autocontrollo.
In
quei giorni, poi, Tor si era accorto che gli altri quattro
neo-cavalieri
avessero già fatto amicizia tra di loro, mentre lui a mala
pena ricordava i
loro nomi.
C’erano
Agravaine, figlio di Lot, un ragazzo dall’aria troppo
intelligente e lasciva
per dargli sicurezza, Carradoc, figlio di Carradoc, elegante e
dall’aria
selvaggia, e Yvain, che come lui era ufficialmente figlio di nessuno
d’importante
e che, per quanto avesse capito, aveva passato l’infanzia con
un arco in mano.
La
sera dei festeggiamenti per l’incoronazione di Aretha,
Agravaine si era
avvicinato a lui solo per poter corteggiare sua sorella, ma
l’istinto di Tor di
prenderlo a pugni fu fermato dall’arrivo di Mordred che
catalizzò la loro attenzione.
<<
Il mio bel cugino… >> gli disse Agravaine
alzando il calice a mo’ di
saluto << Bello come sua madre e ingenuo come suo padre.
>>
Mordred
fece per ribattere ma poi tacque, facendo sogghignare l’altro
cavaliere.
<<
Vorrei invitare vostra maestà a un ballo, se lei me lo
permette. >> disse
poi Mordred porgendo la mano con un leggero inchino alla neo regina.
Lei
non se lo fece ripetere due volte e Tor dovette trattenersi dal
prenderlo a
calci.
Fu
allora che cominciò a parlare con un suo commilitone, che
sembrava intenzionato
sia a distrarlo dall’idea di uccidere il figlio del re che
scoprire qualcosa su
di lui. Tor seppe così che Agravaine era il figlio della
sorella del Re, e che suo
padre Lot era il re delle Orcadi. Aveva sentito parlare delle Orcadi da
suo
padre, gli disse, come un regno sulle rocce e sul mare dove il popolo
di
pescatori raccoglieva le perle più belle del regno.
Agravaine confermò con una
grassa risata, alzando il calice al cielo. Mordred, gli
raccontò allora
Agravaine, era sì il figlio del Re e di quella che lui
stesso definiva come sua
moglie, ma secondo il nuovo ordinamento legislativo non ne era che il
figlio
illegittimo. La regina Morgana, sua madre, era l’amazzone
regina di Avalon, la
donna più bella di ambo i mondi e che a suo tempo si era
rifiutata di sposare
Artù secondo il nuovo ordinamento rendendo così
illegittima tutta la loro
progenie di cui, a quanto si diceva, Mordred non era che il primo di
una lunga
serie.
Agravaine
poi si fece serio, nonostante il troppo alcol in corpo.
<<
Mordred è un bravo ragazzo, sul serio. Io personalmente lo
adoro, forsanche
perché è la mia cavia preferita... ah…
mi mancano i miei fratelli… anche se ne
ho uno qui, ma con lui non ho mai legato molto: è troppo
serio… Ieri si è
sentito in dovere di punirmi per aver rubato i vestiti di
Mordred… sciagurato. I
fratelli maggiori sono dei gran prepotenti, eh? >>
<<
Oh… non saprei. Sono io il fratello maggiore.
>>
Agravaine
lo fissò per un lungo istante.
<<
Oh… già… >>
Tor
cominciò a provare compassione per Mordred: un parente come
Agravaine non
doveva essere particolarmente rilassante e anche lui si sarebbe
aggrappato alla
diplomazia dell’ospite e sarebbe rimasto al fianco di
chiunque gli permettesse
di non rimanere solo e alla mercé di un cugino simile.
La
conversazione con l’altro cavaliere non era durata ancora per
molto: Agravaine
si era defilato presto in cerca di un altro bicchiere e Mordred aveva
riaccompagnato sua sorella poco dopo.
Col
tempo, Tor avrebbe imparato a fare attenzione ad Agravaine, al modo in
cui si
defilava e alle intonazioni che usava: non solo sarebbero stati il modo
più
sicuro per evitare qualunque burla da parte sua, ma anche per capire
quali
erano gli umori del regno. Agravaine aveva quella naturale dote di
intercettare
gli umori della moltitudine attorno a sé e il terribile
qualità di manipolarlo
per umiliare e non per difendere. Non che Agravaine lo facesse con vera
cattiveria, ma – cosa anche peggiore visto che con Agravaine
capitava fin
troppo spesso – per noia.
Tor,
però, lo avrebbe capito solo col tempo.
Quando
la sua famiglia se ne andò, Tor sentì per la
prima volta un forte senso di
solitudine.
Era
pronto a molte cose, ma non al dover pranzare da solo o a discutere con
le
persone solo per lo stretto necessario. Tor, certo, non era mai stato
troppo
loquace, ma col passare dei giorni la cosa gli era sembrata sempre
più
difficile.
Quando
Agravaine gli propose di andare a pescare con lui ed altri cavalieri,
non se lo
fece ripetere due volte: l’ultimo consiglio di suo padre fu
quello di
instaurare un senso di cameratismo con i suoi compagni che sarebbe
divenuto la
base dell’amicizia tra cavalieri e quello era un buon modo
per iniziare. Senza
contare che sapeva benissimo di aver bisogno di qualche svago e andava
bene
anche discutere sull’intelligenza dei pesci, dopo tanti
giorni di allenamento e
studio.
In
quell’occasione aveva conosciuto Gawain, il fratello di
Agravaine, un uomo
serio e integerrimo, nonché braccio destro del re, che gli
si rivolse come si
fa a un fratello minore. Aveva lo stesso modo di scrutare di Agravaine,
ma
senza tutta quella malizia.
La
sua maggiore scoperta, però, fu il figlio del re. Mordred
era proprio come
diceva suo cugino: ingenuo. Era stato coattivamente portato con loro da
Gawaine, con un altro cavaliere che gli aveva impedito la fuga e per
tutto il
tempo aveva risposto alle battute di Agravaine come solo un bambino di
tre anni
avrebbe potuto rispondere, scatenando l’ilarità
dei più, con il risultato che
per la maggior parte del tempo era rimasto fermo immobile a fissare la
sua
canna da pesca senza rivolgere parola a nessuno se non strettamente
interpellato.
<<
E’ inutile, ragazzo, non ti faccio entrare in acqua da solo.
Non fuggirai.
>> gli disse uno dei cavalieri più anziani
scompigliandogli i capelli con
la grossa mano callosa.
<<
Dai, lascialo in pace, Bendivere! >> lo
richiamò Gawain << Lo sai
che Mordred è timido. Deve prima acclimatarsi come tutti gli
animali selvatici.
>>
<<
Non sono timido, non ho molto da condividere. >>
<<
E hai paura di Agravaine. >> lo canzonò
Bendivere
<<
Infatti sono intelligente. >> disse lui arricciando il
naso in segno di
lieve stizza.
Un
attimo dopo era stato buttato in acqua dal cugino più
giovane.
Bendivere
urlò irato.
<<
No, stupido idiota! Fuori! Uscite fuori! >>
Le
risate di Agravaine però coprivano quelle urla. E con lui
quelle di tutti gli
altri.
<<
Dov’è Mordred? >> chiese poi Gawaine.
Tutti
smisero di ridere, guardando lo specchio d’acqua.
Del
figlio del re non c’era traccia.
Tutti
i cavalieri presenti di radunarono a guardare lo specchio
d’acqua.
<<
Oh, Dio… >> sussurrò Agravaine
guardandosi attorno sinceramente
spaventato << Mordred! >>
<<
Non sarà annegato, vero? >> chiese Ser Yvain
guardando gli altri, mentre
Agravaine continuava a chiamare preoccupato il nome del cugino e si
immergeva
per cercarlo.
<<
Non dire sciocchezze! >> esclamò Ser Bendivere
<< Mordred ha
imparato prima a nuotare e poi a camminare ed ha passato gli ultimi
dieci anni
a pescare nelle terre di sua madre! È scappato! Quella
maledetta anguilla!
>>
<<
Bisogna trovarlo. >> sentenziò Ser Gawaine con
un ringhio << Se il
re scopre che lo abbiamo perso di vista ci metterà agli
arresti. >>
<<
O peggio, metterà lui. >> disse Ser Bendivere
scuotendo la testa.
Il
gruppo si separò e Tor si ritrovò a camminare con
Ser Yvain lungo la sponda del
lago.
<<
Tu ci hai mai parlato? >> gli chiese ad un tratto.
<<
Con chi? Mordred? >>
<<
Sì. >>
<<
Solo qualche parola di rito. Non mangia con noi e…
sinceramente non so cosa
faccia tutto il giorno. >>
<<
Io sono abituato a svegliarmi prima dell’alba, mio padre
pretendeva che
lavorassi assieme ai nostri braccianti e il vizio mi è
rimasto. >> disse
Ser Yvain << Lo vedo allenarsi da solo e sembra anche
molto bravo.
Carradoc mi ha raccontato che il re chiede sempre
dov’è, quasi avesse paura di
perderlo e che mentre noi siamo ad allenarci, lui lo accompagna nelle
udienze. >>
<<
Non vuole fare il cavaliere? >>
<<
Credo di sì… Se no perché allenarsi?
Ma quanti anni ha? Tu lo sai? Sembra un
ragazzino da un lato e un uomo dall’altro…
>>
<<
Non lo so. E’ così… alto.
>>
<<
Già… Persino più alto di
te… O Gawain. E’ difficile essere più
alto di Gawain.
Quando ero piccolo pensavo fosse impossibile. >>
<<
Sei delle Orcadi? >> chiese Tor d’istinto.
<<
No, mio padre è un proprietario terriero a sud, ma mia madre
è una figlia
illeggittima di Re Lot. Quando Gawain ha deciso di andare a combattere
per il
re, lei lo ha seguito per essere presentata a corte e fare un buon
matrimonio,
solo che ha conosciuto mio padre alla festa dei raccolti e sono
scappati per
sposarsi, non essendo lui un nobile. Credo ci sia una taglia sulle loro
teste,
nelle terre di mio nonno, ma Gawain e mia madre sono sempre rimasti in
buoni
rapporti. >>
Tor
non poteva fare a meno di pensare a quanto piccolo fosse quel mondo,
quando
alzando lo sguardo verso la sponda opposta del lago non vide,
appoggiato a un
albero, Mordred a torso nudo che riposava con i vestiti
sull’erba ad asciugare.
<<
Torniamo indietro. >> disse << Mordred
tornerà quando vorrà andare
a casa. >>
<<
Dici? >>
<<
Sì, è là che riposa. Probabilmente si
sente a disagio a essere l’unico non
cavaliere e Agravaine non gli rende la vita facile. Se è
vero che il re poi se
lo vuole portare ovunque, avrà voglia di starsene per un
po’ per i fatti suoi,
non credi? >>
<<
Probabilmente hai ragione. >> concordò Yvain
guardando verso Mordred <<
In fondo lo capisco: con tutto quello che dicono alle sue spalle certi
cortigiani, anche io avrei voglia di starmene per i fatti miei.
>>
<<
Parlano di lui? >>
<<
Non sei stato qui molto tempo, ma ti ci vorrà poco per
sentirli. Credo che se
il re lo scoprisse, li farebbe frustare e non credo di potrei dargli
torto.
>>
<<
Ma è solo un bastardo come altri, non mi sembra che la vita
sia particolarmente
difficile per i figli illegittimi dei re. >>
<<
Di solito, ma lui è il primogenito maschio di un re senza
eredi legittimi, in
fondo. E non un re qualsiasi, ma Artù Pendragon. Sua madre,
poi, è anche più
leggendaria di suo padre e… >>
<<
E’ una regina, no? >>
<<
Non è una regina qualsiasi. È la regina Morgana
di Avalon, dell’Antico Popolo. Si
dice che in un campo di battaglia, Morgana porti più
distruzione di cento
soldati. Mia madre mi raccontò che aveva sconfitto con una
mano sola Re Lot e
con l’altra Re Pellinore e che non li aveva uccisi solo per
fare un piacere ad
Artù che le chiese di risparmiare loro la vita. È
anche la figlia di Merlino,
l’istitutore del re, consigliere personale del precedente re,
nonché padre di
Re Merlino il Pazzo, il cui regno è il più ricco
tra quelli dell’ovest.
>>
<<
Addirittura? >>
L’amicizia
tra Tor, ser Yvain e Ser Agravaine si fece più salda nelle
settimane
successive, e col tempo cominciò a conoscere ed apprezzare
anche Ser Carradoc,
primogenito di un re dell’Ovest dal carattere umile e aperto.
Non riusciva,
però, a comprendere il funzionamento delle relazioni con gli
altri personaggi
della corte.
La
servitù, ad esempio, era cordiale e distaccata, come se
temesse una qualunque
slealtà da parte di un cortigiano e per loro, anche Tor lo
era; le serve, ad
esempio, non si azzardavano di entrare da sole in una qualunque camera
da letto
se dentro c’era qualcuno.
I cortigiani, poi, erano
anche più ambigui
pronti a cambiare versione e atteggiamento in meno di una giornata. Si
era
ritrovato così sconcertato dal comportamento di due
tesorieri delle terre del
nord che non riuscì a dormire tanto che decise di fare un
giro quando ormai era
l’alba. Tor sapeva che più c’era
ricchezza, più c’era il rischio di corruzione,
ma pensava che a Camelot lavorassero personalità
più auguste dei ladruncoli che
suo padre Ars faceva scappare il giorno del mercato.
Era
appena uscito dal castello quando decise si ricordò delle
parole di Yvain sul
principe illegittimo e d’istinto si diresse verso la Piazza
d’Armi dove
immaginava di trovare Mordred. Aveva appena svoltato l’angolo
quando lo vide,
fermo immobile al centro del campo con gli occhi coperti da una benda.
Lo vide
voltarsi nella sua direzione.
<<
Ser Tor? >>
Tor
sobbalzò.
Era
distante più di cento passi e non aveva fatto alcun rumore,
ma Mordred,
bendato, lo aveva comunque scoperto e riconosciuto.
<<
Sì, Ser Mordred. >>
Mordred
si tolse la benda e lo guardò stranito, prima di avvicinarsi.
<<
Non sono ancora Cavaliere. Come mia siete qui? >>
<<
Non riuscivo a dormire. E voi? >>
<<
Mi allenavo un po’. Di giorno non posso mai farlo e la notte
dormo sempre molto
poco. >>
<<
Strani pensieri? >>
<<
No, solo metabolismo materno. Come lei, mi basta dormire quattro ore
per riposarmi
e riprendermi da qualunque fatica. >>
<<
Qui a Camelot ho sentito parlare molto di vostra madre. >>
Mordred
abbozzò un sorriso ironico che lo avvicinò a
Agravaine più di quanto non mai
successo prima e Tor non poté non pensare che quello era
praticamente il primo
sorriso che gli aveva visto fare.
<<
Immagino. >>
<<
No, sul serio. Dicono che sia un’amazzone
bellissima… >>
<<
… e che abbia sedotto il re per avere il suo regno.
>>
Tor
tacque per un momento pensandoci su.
<<
Sì, anche quello. >>
<<
Siete un uomo onesto, Ser Tor. Una bella qualità, spero non
la perdiate.
>>
Tor
guardò l’altro mentre recuperava i guanti ed il
mantello lasciati a terra in
qualche modo.
<<
Grazie. >>
Mordred
gli fece segno di seguirlo.
<<
Sapete, anche io quando mi sono trasferito qui a Camelot ho subito
molto il
distacco da Avalon. La società di mia madre è
molto più semplice e tranquilla.
A Camelot la vita è più dinamica, senza dubbio,
ma spesso sembra che ai suoi
abitanti sfugga qualcosa, non credete anche voi? >>
Tor
meditò un attimo sulla risposta.
<<
Non a tutti. Diciamo che a molti di loro manca qualcosa. Forse un
po’ della
tranquillità che invece hanno da altre parti. Probabilmente
servirebbe un po’
di vita frenetica e un po’ di vita appartata. >>
<<
Un bel pensiero. Ne parlerò al re, magari prende la
decisione di andare qualche
giorno a caccia. È da un po’ di tempo che non si
distrae e lo vedo stanco.
>>
Mordred
cominciò poi a dare un paio di direttive su come comportarsi
a corte: gli aveva
consigliato, ad esempio, di trattare con cortesia, ma non servilismo
qualunque
servo, ma non chiedere aiuto sempre agli stessi, perché
questi non pensino che
avesse delle preferenze. Sarebbero stati loro, poi, a decidere se
servire
preferibilmente lui o lasciare quel posto ad altri. A quanto pareva,
era una
libertà che la servitù del castello gradiva
molto. Del resto, dalle sue gesta
in difesa della piccola Rivalem, molti servi della corte erano
già ben disposti
nei suoi confronti e quindi non doveva preoccuparsi di acquisire la
loro fiducia,
quanto vedere di non perderla. Con i cortigiani che chiedevano
un’opinione su
un’altra persona o su un fatto doveva rispondere in maniera
vaga e pacata per
poi cambiare argomento o defilarsi: le sue parole sarebbero potute
diventare
armi contro di lui o lo avrebbero potuto coinvolgere in una faida di
cui
neanche sapeva l’esistenza. Ce n’erano molti, di
cortigiani, degni della
massima fiducia e ai quali dare tutti gli onori possibili, ma li
avrebbe
riconosciuti solo con l’allenamento. Lui stesso, spesso,
dubitava delle sue
stesse opinioni.
Quando
Mordred aveva finito di parlare, Tor si era accorto di essere arrivato
nelle
cucine, dove una grassa e anziana signora abbracciò il
figlio del re con
affetto e guardò Tor con sorpresa cortesia. Fu
così che Tor conobbe la cuoca
del palazzo, la creatrice dei magnifici manicaretti che aveva gustato
durante
le giornate di festa e, per la prima volta dopo tanto tempo, Tor
sentì di aver
trovato un nuovo eroe che, al posto della spada, teneva un mestolo in
mano.
Mordred sorrideva felice e sembrava quasi un bambino, mentre faceva
servire
loro la colazione e mangiava con gusto. A quella vita, Tor rivide il
sorriso
aperto e sincero del re e ne fu lieto.
<<
Posso chiedervi una cosa? >> disse Tor maledicendosi per
tanta curiosità <<
E’ qui che mangiate? >>
<<
Solo se non sono con il re. >>
<<
Come mai? Non vi sentite solo? >>
<<
Non mi piace mangiare nelle mie stanze e non sono un cavaliere, quindi
non mi
sembrerebbe giusto nei confronti di tutti gli altri aspiranti cavalieri
condividere
i pasti e i luoghi che sono accessibili solo a voi. Il re poi
è il mio unico
parente che non pranza con i cavalieri e che risiede a Camelot e poi
qui
nessuno si mette a fissarmi: tra i nobili, i cortigiani, i cavalieri e
la
stessa servitù da sfamare, qui non hanno tempo da perdere.
Ogni tanto, poi, la
signora Aislin mi permette di esserle utile e a me fa piacere.
È una gran donna
Aislin, non sono qui da molto, ma da quando la conosco è
riuscita a farmi
sentire a casa. Mio padre è molto fortunato ad averla al suo
servizio e per me
è l’amica più sincera che potrei mai
trovare a Camelot. >>
<<
Non avete molti amici qui. >>
<<
Non credo che li avrò mai. >> rispose lui con
un sorriso sincero.
Tor
vide che non c’era ombra di rassegnazione o rancore e se ne
sorprese.
<<
Perché dite così? >>
Mordred
abbozzò una leggera risata, ma non rispose.
Per
la prima volta, Tor sentì di provare simpatia verso quel
giovane ragazzo che
come lui era solo e che come lui tentava di ritagliarsi il suo posto in
quel
mondo.
<<
Perché non sei ancora cavaliere? >>
<<
Sono ancora troppo piccolo e credo che mio padre non sia entusiasta
all’idea
che io rischi la vita in un duello, come se servisse la nomina per
comportarsi
in maniera così stupida. Oh, non fraintendete, ser Tor, io
rispetto enormemente
la vostra avventura contro quei tre avventurieri e ho di voi la massima
stima,
semplicemente, come avete ben detto voi quel giorno al re, non
è la nomina che
fa decidere a un uomo se e quando difendere il prossimo. Mia madre poi
mi ha
sempre insegnato che l’utilizzo della violenza gratuita
è segno di infinita
debolezza mentale e morale, piuttosto che spessore caratteriale e la
cosa è
condivisa da mio padre. Perché io dovrei giostrare con
sconosciuti solo perché
sono cavaliere? Sapete che molti uomini si credono cavalieri solo
perché hanno
un cavallo? E che esistono individui che sono infinite volte di
più meritevoli
di quel titolo di qualunque signorotto, ma non hanno mai avuto il
denaro per
avere neanche un asio? Nelle contrade minori ci sono cavalieri, parlo
di
guerrieri nominati tali dai vassalli della zona e che quindi possono
davvero
definirsi tali per diritto, che quando si annoiano si fermano a un
bivio e
sfidano a duello chiunque gli passi davanti, che esso sia un cavaliere,
un
bambino, una donna o un prete e quando li hanno battuti li derubano
solo perché
in tempo di guerra questo è il diritto del vincitore.
>>
Tor
scosse la testa in segno di assenso, colpito di essere stato oggetto di
riflessioni per il figlio del re, così maturo e serio da
domandarsi il senso
dell’essere o no cavaliere per poter agire come uomini
d’onore.
<<
Quando potrò diventare cavaliere, se il re mi
permetterà mai di esserlo, farò
in modo che questo ruolo ritorni ad avere il suo senso primigenio e se
non me
lo permetterà, voglio che si comprenda che non è
la nomina che fa essere degni
di quel ruolo, ma che tutti possiamo essere cavalieri di noi stessi,
come voi
quella sera. Questo sarà il mio contributo al regno di mio
padre. >>
Mordred,
comprese Tor ascoltandolo, era un uomo degno e augusto. Un uomo degno
di ogni
stima.
Poi
un dubbio lo pervase.
<<
Scusate, Mordred, ma quanti anni avete? >>
<<
Ne ho fatti quattordici la scorsa primavera. >>
Tor
lo fissò intensamente, decretando che avrebbe odiato quel
moccioso per il resto
della sua vita.
L’anno
ormai stava volgendo al termine, quando Mordred partì alla
volta di Avalon
promettendo al re di tornare prima dell’anno nuovo e di
mandargli continue
missive. Il re aveva provato a trattenerlo, ma per la prima volta,
Mordred fu
intransigente e lasciò suo padre da solo, a Camelot.
Artù
Pendragon divenne malinconico e silenzioso e Tor si dispiacque di non
vederlo
socievole come suo solito, ma le feste invernali furono un motivo di
distrazione tale, da non preoccuparsi della tristezza del re.
Con
l’arrivo della neve, arrivarono anche molti altri cavalieri a
Camelot.
Ser
Hector spiegò a lui e agli altri neocavalieri che per
capodanno,
all’anniversario dell’incoronazione ufficiale del
re, avvenuta ormai quattordici
anni prima, i signori di tutte le terre del regno venivano a rendergli
omaggio
e tutti i cavalieri di Camelot facevano ritorno per omaggiare il loro
re. In
quell’occasione si sarebbe tenuta una giostra di mirabolante
meraviglia, dove
il vincitore avrebbe ricevuto una borsa di cento monete d’oro.
Loro
però non avrebbero ancora potuto gareggiare, ma avrebbero
partecipato alla
parata iniziale e fatto parte del servizio d’ordine.
Tor
chiese come mai tutta quella gavetta, composta da servizi di vigilanza,
studio
e allenamento, senza però fare dei veri combattimenti.
<<
Il re era un ragazzo della vostra età quando è
divenuto re. >> disse
allora Gawain, avvicinandosi al gruppo << Dovette
combattere sin da
subito per poter affermare il proprio potere e, seguendo gli
insegnamenti del
suo Maestro, dare la pace alla sua terra. Io stesso non ero che un
ragazzino, quando
mio padre si rifiutò di giurargli fedeltà e io
disertai dall’esercito delle
Orcadi per mettermi al servizio del nostro re. Non eravamo preparati a
tutto
quello che abbiamo affrontato. Non lo si è mai, a dire il
vero, e non si può
dire che noi fossimo tecnicamente inesperti.
>>
Gawain
tacque per un momento, alzando lo sguardo triste verso
l’orizzonte.
<<
Abbiamo perso degli amici, perché l’età
ci ha fatto essere superficiali.
Eravamo come dei bambini che giocavano alla guerra e poi abbiamo
scoperto che
non era un gioco. >>
Il
primogenito di Re Lot si volse a guardarli.
<<
Voi avete talento. Il re l’ha visto e vi ha scelto. Ma il
talento deve essere
raffinato dall’umiltà e dalla conoscenza e non
possiamo rischiare di perdervi
perché siete poco più di fanciulli e come tali vi
comportate. La ronda serve per
non dare per scontato il lavoro delle guardie e non pretendere troppo
da
qualcuno che dipende da noi quanto noi dipendiamo la lui. Lo studio
delle leggi
poi è fondamentale per il re: noi siamo i suoi emissari
più fidati nel regno.
Noi dobbiamo garantire che le sue leggi vengano rispettate. Abbiamo il
diritto
e il dovere di infliggere le punizioni più adeguate ai
nemici della legge,
perché questi sono anche nemici di Camelot. Dobbiamo
conoscerla per poterla
rispettare e farla rispettare a nostra volta. >>
Ser
Hector scosse la testa in segno di assenso.
<<
Tutto vero. >>
Tor
guardò i suoi quattro compagni. Come loro, non pensava di
essere solo un
fanciullo e avrebbe voluto essere considerato come tutti gli altri
cavalieri,
ma sapeva che era impossibile trasgredire a questa direttiva reale:
pena la
scomunica regale.
Addio
titoli, addio sogni.
A
Tor non restò che camminare per le vie della
città, sperando di trovare
qualcosa da mettere sotto il suo gambessone per essere sicuro di
rimanere al
caldo: le ultime ronde erano state più fredde di quanto si
era immaginato.
<<
Signor cavaliere! >>
Tor
si ridestò dai suoi pensieri e volse lo sguardo verso la
voce che sembrava
chiamarlo.
Una
giovane fanciulla, coperta da un pesante mantello di panno, lo guardava
sorridendo.
<<
Signor cavaliere, siete davvero voi! >>
Dopo
un attimo Tor la riconobbe. Era la fanciulla alla quale doveva la sua
nomina a
cavaliere.
<<
Sono Rivalem, figlia di Fedor. Vi ricordate di me? >>
<<
Sì, mai signora. Felice di vedervi in salute.
>>
<<
Grazie. State facendo compere? >>
<<
Sì. >> disse lui notando che dietro alla
giovane c’era un gruppetto di
ragazze che li guardava << Anche voi? >>
<<
Oh, no! >> disse lei ridendo << Io e le mie
amiche stiamo andando a
lezione. Perché quella faccia? Anche dalle vostre parti
c’è la scuola, no?
>>
<<
No. >> ammise lui comprendendo di aver assunto
un’espressione suo
malgrado sorpresa << Io e i miei fratelli abbiamo
imparato a leggere e
fare di conto da mia madre. >>
Accompagnando
la figlia del fabbro e le sue amiche, Tor scoprì che con la
sua salita al trono,
il Re aveva istituito anche una scuola per le classi meno abbienti. La
sera,
una o due volte a settimana, i figli del popolo potevano riunirsi e
imparare a
leggere e scrivere.
<<
Il vostro re non fa di queste cose? >> chiese con aria
maliziosa una
delle sue amiche di Rivalem.
<<
Io sono della Terra Senza Re. >> disse allora Tor
<< Avevamo un
consiglio di anziani che decideva le cose importanti, ma non molto
altro. Solo
di recente abbiamo avuto l’elezione da parte del re di una
sovrana. Penso che
gliene parlerò: troverà questa idea molto
interessante. >>
<<
Esisteva davvero una terra senza re? >>
<<
Non c’è neanche ora, in verità: abbiamo
una Regina. >> rispose allora Tor
con un moto di orgoglio.
Le
fanciulle lo guardarono sbalordita.
<<
Oh, no! State mentendo! >>
<<
No, mie signore. Il re ha nominato Lady Aretha, figlia di Ars, regina
della
Terre senza Re. Non conosco dama più degna di quel ruolo.
>>
Rivalem
gli sorrise.
<<
Siete innamorato di lei? >>
<<
No! >> disse lui in una risata <<
E’ vero, però, che dopo mia
madre, lei è la donna a cui sono più affezionato.
Ora scusate, mie signore. Ma
ho una maglia di lana da comprare. >>
Detto
questo tornò al mercato per completare i suoi acquisti per
poi correre al suo
turno di ronda sentendo vivida per la prima volta dopo tanto tempo la
mancanza
della sua famiglia.
Quel
giorno, sarebbe stato particolarmente freddo per lui.
Era
sulle mura superiori e stava ancora pensando all’ultimo
inverno passato a casa,
quando aveva aiutato suo padre a far nascere un vitello e sua sorella
lo aveva
preso in giro dandogli della levatrice di
buoi, quando una voce bassa e profonda attirò la
sua attenzione.
Tor
guardò in basso.
Un
cavaliere più si stava avvicinando a Ser Gawain con fare
marziale e l’armatura
indosso. Ser Gawain, da parte sua, lo stava aspettando in piedi a
braccia
conserte. Il nipote del re sembrava calmo, con le spalle rilassate e il
mezzo
sorriso divertito, mentre l’altro toglieva l’elmo
scoprendo il volto di un
cavaliere suo coetaneo.
<<
Aglovale! Vecchio vagabondo che non sei altro!
Cos’è? Sei tornato perché hai
bisogno di soldi? >> disse infine Ser Gawain aprendo le
braccia e
abbracciando l’altro cavaliere.
<<
E cosa dovremmo dire di te, eh, Gawain? Cosa ci fate ancora qui, al
capezzale
del vostro bravo zietto? Siete proprio un uomo pigro, lo sapete? Mai
una
missione, mai un’avventura… >>
<<
Ci sono altre avventure oltre a quelle che affrontate voi, amico mio.
Se le
vostre si possono chiamare tali. >> ribatté
l’altro con l’aria di chi la
sa lunga.
<<
Taci o comincerò a pensare di star parlando con mio padre.
>>
Ser
Gawain scoppiò ridere.
<<
Non è così divertente. Piuttosto, notizie dal
nord? >>
I
due cavalieri continuarono a conversare, allontanandosi da lui e Tor
non poté
fare a meno di seguirli incuriositi con lo sguardo.
<<
Che fai? >> lo richiamò la voce di Agravaine.
<< C’è qualche bella
donzella? >>
<<
No. C’erano Ser Gawain e un altro cavaliere qui sotto.
Sembravano amici.
>>
Agravaine
alzò un sopracciglio.
<<
Mio fratello non ha amici. Hai sentito come si chiamava?
>>
<<
Aglovale, se non ho capito male. >>
Agravaine
tacque un momento fissandolo per un istante.
<<
Non è un amico. È Aglovale, figlio di Pellinore.
>>
<<
E allora? >>
<<
Pellinore confina con il regno di nostro padre. Quando re
Artù è salito al
trono, Pellinore lo affrontò in duello e sconfisse, prima di
decretare di accettarlo
come re. E questo solo perché re mio zio riuscì a
resistere tre giorni. Mio
padre, invece, che sperava che col matrimonio con mia madre sarebbe
diventato
lui l’erede di Uther, si rifiutò di giurargli
fedeltà. Il risultato fu che Gawain
disertò, il nostro sovrano vinse e mio padre perse molte
terre a favore di
Pellinore. Non è stato deposto o ucciso solo
perché mio fratello è intervenuto
in suo favore. Gawain non può più tornare a casa
da allora: mio padre ha compreso
cosa ha portato Gawain a ribellarsi a lui, ma non gli
perdonerà mai di avergli
salvato la vita. Ma entrambi concordano nel dire che dei vicini non
bisogna
fidarsi ed entrambi si danno da fare in tal senso. >>
<<
Non capisco. >>
<<
Pellinore è un bastardo approfittatore. Non si è
alleato con il re perché anche
nella sconfitta si è dimostrato superiore, ma
perché sapeva, come tutti del
resto, delle mire di mio padre ed era lui quello che Pellinore voleva
sconfiggere. E infatti ha guadagnato delle terre ricche e un affaccio
sulla
baia del sale. Certo, sperava di avere tutte le Orcadi, ma il nostro
sovrano è
comunque il fratello della regina di quelle terre. Senza contare che
un’azione
simile avrebbe provocato una guerra nella regione, sarebbe stato da
stupidi
sfidare così la fedeltà di un popolo.
>>
Tor
notò per la prima volta in Agravaine della sincera stizza
nei confronti di
qualcosa.
<<
A Gawain manca la nostra terra. Rimane a Camelot perché
ormai questa è casa
sua. C’è di buono che mia madre
arriverà a Camelot tra pochi giorni e se
c’è
Aglovale, re Pellinore non farà la sua comparsa.
>>
E
così fu.
La
regina Anna di Lothian arrivò l’indomani con una
corte ricca e chiassosa.
Il
re, dopo molto tempo, sorrise nuovamente, salutando la donna
magnificamente
vestita e dai lunghi capelli ramati.
Tor
rimase incantato nel guardare la sorella del re. Sapeva fosse
più vecchia del
re, ma sembrava Più giovane del suo primogenito: la pelle
era dello stesso
colore delle perle grosse come noci che le circondavano la gola e tutto
in lei
sembrava alludere a piaceri sublimi. Tor si sentì in
imbarazzo a rivolgerle la
parola, tanto che lei stessa se ne accorse e, mettendogli la mano sulla
gamba a
una cena, gli disse:
<<
Rilassatevi, Ser Tor, o i miei figli non smetteranno più di
prendervi in giro
quando me ne sarò andata. >>
La
sua voce era di miele, come la risata che fece subito dopo.
La
vide guardarsi attorno come in cerca di qualcuno, ma senza trovarlo.
<<
Cercate qualcuno in particolare, regina? >> gli chiese
dopo essersi
dissetato con l’ennesimo bicchiere di vino, al momento unico
alleato del suo
coraggio.
<<
Sì. Mio nipote per lo più. >>
<<
Ser Mordred? >>
Lady
Anna lo guardò allibita.
<<
Mio fratello l’ha fatto cavaliere? >>
<<
No, non ancora. >>
<<
Allora chiamatelo Principe, piuttosto. Anche se in molti non vogliono
definirlo
principe di Camelot, lo è sicuramente di Avalon.
>> lo redarguì lei con
un sorriso << Comunque sì, lui. E Ser Yvain.
È stato reso cavaliere
assieme a voi e al mio Agravaine, se non erro. >>
<<
Sì signora. Ma nessuno dei due è presente in
sala. Il principe Mordred si è allontanato
da Camelot a novembre, promettendo al re di essere qui per Capodanno.
Ser Yvain
invece è di ronda. >>
<<
E sareste così cortese da accompagnarmi da lui?
>>
Tor
non se lo fece ripetere due volte.
La
notte era fredda ed il giovane cavaliere cedette volentieri la sua
casacca a
favore della Regina delle Orcadi.
Yvain
stava sonnecchiando sotto un arco quando lo raggiunsero.
Tor
rimase sbigottito dai pochi convenevoli della regina che lo
abbracciò, riservandogli
lo stesso caldo sorriso che aveva donato al re e ai suoi figli. A suo
dire, la
madre di Yvain era nata l’anno in cui era andata in sposa al
re e lei l’aveva
allevata come fosse stata figlia sua e la sua fuga d’amore le
era costata tante
lacrime di solitudine consolate solo dal saperla felice con un
brav’uomo.
Yvain,
felice e imbarazzato, rispondeva alle domande della matrigna della
madre,
rassicurandola sul fatto che lady Soredamor, questo era il suo nome,
aveva
davvero avuto una vita felice al fianco di un uomo giusto e molto
innamorato di
lei. La donna stava inoltre per arrivare a Camelot col consorte in
occasione
dell’anniversario dell’inaugurazione del re e che
in quest’occasione, se la
regina avesse voluto, avrebbero potuto riunirsi, anche se per poco
tempo.
I
due stavano ancora parlando quando Tor si accorse di una presenza
nascosta poco
lontana da loro.
Lentamente,
prese la sua spada e gli si avvicinò, ritrovandosi con sua
gran sorpresa
Agravaine, disarmato, fermo ad ascoltarli.
<<
Siete impazzito, Agravaine? Avrei potuto uccidervi! >>
<<
Non l’avete fatto, mi sembra. >> rispose lui
con un sorriso sardonico,
prima di lasciare che la luce di una torcia lo illuminasse del tutto.
<<
Volevo solo essere sicuro che steste bene. >>
La
regina Anna e Ser Yvain si erano nel frattempo ammutoliti per poi
avvicinarsi
ai due cavalieri.
<<
Agravaine, che succede? >> gli chiese la madre scorgendo
il figlio dietro
le spalle larghe di Tor.
<<
Nulla, madre. Ero solo curioso di sapere dove vi stava portando ser
Tor.
Sinceramente non immaginavo da ser Yvain. >> rispose lui
con un inchino
ironico e un leggero inchino.
La
donna rispose con un sorriso altrettanto provocatorio e una carezza al
figlio.
<<
Oh, caro Agravaine, potevate dirmelo che eravate così
possessivo nei confronti
dei vostri compagni. >> ribatté la donna.
Agravaine
dovette mordersi la lingua.
<<
Ser Tor ha risposto alla mia richiesta di conoscere vostro nipote e
così mi ha
portato da lui. Non pensavo di scatenare la vostra gelosia.
>>
Tor
e Ser Yvain si fissarono chiedendosi come defilarsi da quella
situazione.
Agravaine,
dal canto suo, si avvicinò alla madre e le baciò
la guancia prima di
ricominciare a parlare.
<<
E chi sarebbe mio nipote? >>
<<
Ser Yvain, mio caro. È il figlio di Lady Soredamor.
>>
<<
La bastarda di mio padre? >> chiese lui alzando il
sopracciglio, senza
notare il moto di stizza del compagno << Quella che
infischiandosene
delle sue direttive è scappata con un mercante di pelli?
>>
<<
Di lane. >> lo corresse Yvain.
Tor
si chiese come aveva fatto a trattenersi dal prenderlo a pugni.
Agravaine
lo fissò un attimo prima di indicarlo e rivolgersi
nuovamente verso sua madre.
<<
Lo è davvero? >> chiese lui guardandola
scettico.
<<
Sì, certo caro. >>
L’espressione
di Agravaine cambiò, diventando più rilassata e
aperta tanto da rendere quasi
sincero il suo mezzo sorriso.
<<
Ora capisco perché mi sembrava che ser Yvain avesse qualcosa
di famigliare. Mi
ricordava Morgouse! >>
<<
Oh! Avete ragione, caro. Ser Yvain ha la stessa bella bocca della
nostra cara
Morgouse e oserei dire pure il nasino. >> disse la regina
della Orcadi
prendendo sottobraccio il figlio. << Fa freddo e sono
stanca, figliolo.
Mi accompagnereste nelle mie stanze? O devo farmi accompagnare da Ser
Tor?
>>
Il
giorno dopo, Tor venne svegliato da un delicato bussare alla porta
delle sue
stanze.
Una
cameriera sconosciuta gli stava restituendo la casacca data alla Regina
delle
Orcadi.
Appena
ebbe chiuso la porta dietro di sé, Tor aspirò
profondamente il suo indumento,
scoprendo con sui grande piacere che ne aveva carpito l’aroma
di lavanda.
Fu
solo quando lo indossò, che si accorse di avere qualcosa
nella sua tasca.
Una
chiave.
Ser
Tor la osservò per un momento. Non l’aveva mai
vista.
Solo
quel pomeriggio, incontrando la regina Anna che camminava nel giardino
del
palazzo con ser Gawain, che scoprì che era sua.
Mentre
ser Gawain lasciava la madre per adempiere ai suoi doveri di cavaliere,
lady
Anna gli si avvicinò.
<<
Spero che la mia serva non vi abbai svegliato, quando vi ha restituito
la
vostra casacca. >>
<<
No, affatto, mia signora. >> mentì lui.
La
regina delle Orcadi lo osservò per un lungo istante, prima
di sorridergli
nuovamente, inclinando la testa da un lato.
<<
E ditemi, avete trovato il mio dono? >>
<<
Io… sì, mia signora. >> rispose
intuendo si trattasse della chiave.
<<
E, dite, pensate di usarla? >>
<<
Io… non so cosa apre, mia signora. >>
A
quelle parole, la regina scoppiò a ridere. Quando si
calmò, scuotendo la testa,
fece per superarlo, prima di sussurragli:
<<
Le mie stanze. >>
Le
due notti successive, chiuso in camera sua, Tor non riuscì a
dormire, fissando
il soffitto con in pungo il dono fattogli dalla Regina Anna. Lei, dal
canto
suo, si era fatta devotamente osservare da lontano, come una sacra
reliquia,
mentre intratteneva il re e la corte con storie che Tor non avrebbe mai
ascoltato.
La
terza notte, si fece coraggio e uscì dalle sue stanze.
Non
sapeva esattamente a cosa stesse andando incontro e per tutto il
tragitto che
fece nel silenzio di quella notte, continuò a immaginare gli
scenari possibili
e non: dal trovare lei con i figli a prenderlo in giro, o Agravaine (o
peggio
Gawain) pronto a trafiggerlo con la spada, incurante che fosse
disarmato. Solo
quando arrivò davanti alle stanze della regina ed
infilò la chiave nella serratura,
che smise di pensare a qualunque cosa.
Quando
aprì la porta, vide Lady Anna seduta davanti alla sua
toletta, intenta a
pettinarsi i capelli alla luce di tre candele. La donna si
girò e gli sorrise,
come una fanciulla il giorno delle sue nozze.
Quella
notte, Tor non l’avrebbe mai scordata e l’avrebbe
accompagnato per tutto il
resto della sua vita.
In
quella notte, come le altre passate con la Regina delle Orcadi, Tor
imparò
l’arte di amare e di dar piacere. Lady Anna, bella ed
elegante come la luna
invernale che illuminava il suo corpo immacolato, fu una maestra
generosa e
paziente che gli insegnò a fare e a lasciarsi fare. Si
lasciò baciare la
candida pelle centimetro per centimetro, come un devoto bacia una
reliquia, non
lo redarguì per la fretta e ne apprezzò la foga,
gli insegnò l’arte della calma
e quella della delicata potenza.
Tor
non aveva coscienza del domani, in quelle notti.
Non
sapeva cosa gli sarebbe accaduto o come sarebbe andata a finire.
Sperava
solo che l’alba non arrivasse mai.
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Capitolo 3 *** Come Ser Tor conobbe l’identità di suo padre ***
Ser
Tor amava le giostre. Ne apprezzava il rituale, la simbologia e il
chiasso.
Il
re e i membri più alti della nobiltà presente
stavano seduti su un piccolo
palco su uno dei lati più corti dello spiazzo adibito ai
combattimenti. Anche
la sorella del re, la regina Anna, era lì: seduta al fianco
del fratello,
commentava i cavalieri venuti a giostrare con un dolce sorriso sulle
labbra.
Tor
si fermò a guardarla in silenzio per parecchie volte, nei
primi giorni,
decidendo di essere più discreto dopo aver ricevuto uno
scappellotto di
rimprovero da Gawain che lo aveva riportato al suo ruolo di
sorveglianza.
Ser
Tor si chiese se il braccio destro del re avesse intuito quali fossero
i
pensieri verso la donna che ne era la madre, ma preferì non
indagare e per quanto
si sforzasse, la regina Anna era così bella, che non poteva
non rimanere
ammutolito, incantato quando il suo sguardo si posava su di lei, anche
quando
non la cercava volontariamente con lo sguardo.
Era
proprio in uno di quei momenti di ammirazione devota in cui tutto
accadde.
Ser
Tor avrebbe dovuto ammettere che se non fosse per
l’espressione terrorizzata
della regina delle Orcadi.
Il
cavaliere si voltò verso la giostra e lì lo vide:
Ser Yvain a terra faceva
scudo a qualcosa che doveva essere un bambino, mentre su di lui si
stava per
abbattere un toro, così grosso da sembrare un mostro degli
inferi.
Ser
Tor corse d’istinto verso di lui, sentendo al suo fianco
Agravaine che correva
in aiuto del compagno d’armi. Davanti a loro,
dall’altra parte della giostra,
Ser Gawaine correva affiancato da altri due cavalieri sfoderando le
possenti
spade.
Ma
nessuno di loro arrivò in tempo.
Un’enorme
ombra, tanto possente da coprire il debole sole invernale, si
abbatté fulminea su
di loro inghiottendo il toro e di lui Ser Tor non vide più
nulla, sentendo solo
il muggito straziato dell’animale.
Ci
mise un attimo a capire che quella non era un’ombra ma un
uomo.
Un
uomo grande e possente come un gigante, con i vestiti scuri e
l’armatura nera. Un
enorme guerriero che abbatteva senza pietà la sua ascia
contro l’animale ormai
morto, senza che la sua furia omicida trovasse pace.
Anche
ser Yvain ormai guardava ammutolito la scena, tenendo ancora stretto il
ragazzino per il quale aveva appena rischiato la vita.
D’istinto,
Ser Tor si frappose fra di loro e il mastodontico sconosciuto, seguito
da
Agravanie, pallido come non lo era mai stato.
<<
Padre… >> sussurrò Agravaine.
Ser
Tor lo fissò per un istante prima di tornare a guardare il
nuovo venuto.
Quello
era Re Loth?
Cercò
con gli occhi Ser Gawain che sembrava dire qualcosa, allungando la mano
senza
osare avvicinarsi, ma i rumori dell’ascia sulla carcassa e i
ruggiti che
venivano dal re delle Orcadi coprivano ogni sua parola.
Anche
il re, con arco e frecce in mano, li aveva intanto raggiunti e stava
per
avvicinarsi al suo regale suddito quando questi si fermò,
voltandosi con
sguardo assassino verso le sue spalle.
Fu
allora che Ser Tor capì che dietro a quella montagna,
qualcuno aveva avuto il
coraggio di avvicinarsi tanto da prenderne il braccio; qualcuno con una
forza
tale da riuscire a fermarlo nonostante la colossale forza necessaria.
<<
È morto, zio. E vostro nipote è salvo. Placate la
vostra preoccupazione: non
avete bisogno di altra vendetta. >>
Ser
Tor rabbrividì.
Quella
voce calma era inconfondibile: Mordred.
Re
Loth abbassò il braccio e si voltò verso il
figlio di Artù.
Il
silenzio che era sceso era palpabile e carico di tensione.
Il
figlio bastardo del re e l’ultimo sottoposto che gli aveva
giurato fedeltà si
osservarono in silenzio, quasi fossero due cervi che stavano per
combattere
l’uno contro l’altro.
Infine
il re delle Orcadi disse qualcosa di incomprensibile e Mordred sorrise
in
risposta, lasciandolo andare. Re Loth si voltò un momento a
guardarli e Ser
Agravaine si inchinò d’istinto, poi
l’uomo se ne andò.
Ser
Tor lo vide fermarsi un momento prima di ricominciare il suo cammino e
uscire
dalla piazza, seguito da un’eterea figura bianca. Fu allora
che vide due figure
riccamente vestite in mezzo a dove prima di stavano svolgendo i duelli
e che,
dopo essersi cerimoniosamente inchinati al re delle Orcadi quando
questi si era
fermato davanti a loro e lo avevano visto andare via con la coda
dell’occhio,
si erano precipitati da ser Yvain per assicurarsi che stesse bene,
raggiunti
anche dai principi delle Orcadi e dalla loro madre. Non gli
servì osservare i
lineamenti dei due per sapere che quelli erano i suoi genitori di Ser
Yvain. Ser
Tor cerco d’istinto il suo sovrano e d il principe bastardo
che si stavano
scambiando qualche parola con un sussurro e mentre li guardava non
poteva fare
a meno di chiedersi una cosa: come aveva fatto Mordred, da solo, a
fermare
tutta quella forza distruttrice con un solo braccio?
<<
Yvain, siete stato molto fortunato. >> lo
rimproverò ser Bendivere
appoggiato al muro della stanza del giovane cavaliere.
<<
Se non fosse stato per Re Loth, saresti sul letto di morte. E invece,
solo
qualche graffio. >>
Il
ragazzo scosse la testa in segno di assenso, senza riuscire a
trattenere un
mezzo sorriso.
<<
Beh? Che fai? Sorridi all’idea di morire? >>
<<
No, che dite. >> replicò lui <<
Ma non posso fare a meno di pensare
che il re delle Orcadi sapesse chi ero. >>
<<
Certo che lo sapeva. >> gli disse Ser Agravaine seduto
comodamente sull’unica
sedia del locale mentre, annoiato, si sosteneva la testa con una mano.
<<
Sono passate due settimane da quando mia madre è giunta qui
a Camelot ed il suo
arrivo stava a significare che mio padre rimaneva nelle nostre terre. E
invece
non solo si è scomodato, ma si è portato dietro
anche Morgause, nonostante la
sua salute cagionevole. Volevano conoscerti. Poco ma sicuro. Certo, non
hai
fatto una figura particolarmente brillante, ma almeno hai scosso un
po’ il
vecchio. >>
Ser
Tor scosse la testa in una mezza risata. Il suo commilitone era
incapace di
dire qualcosa di gentile senza evitare il solito accenno
d’insulto.
A
Ser Yvain, però, sembrava che la cosa non interessasse.
<<
Dite dunque che ha perdonato mia madre? >> chiese infine
passando lo
sguardo tra lui e Ser Gawain.
I
due risero prima di rispondere all’unisono divertiti:
<<
No! >>
Fu
quindi il momento di Gawain.
<<
Tua madre è la sua primogenita, le ha dato il nome di sua
madre. È sempre stata
la figlia che qualunque uomo potrebbe avere: bella, intelligente,
devota… Come
nostra nonna, appunto, che però morì quando era
molto piccolo partorendo un suo
fratello. L’avrebbe voluta sempre vicina, a curargli gli
acciacchi della
vecchiaia, ma ha preferito tuo padre e lui si è sentito
abbandonato. Il re
delle Orcadi è un bambinone viziato e nessuno lo
può abbandonare se non è lui a
volerlo. Mia madre mi ha raccontato che nei mesi che hanno preceduto la
tua
nascita e quella di Agravaine, il vecchio fosse diventato
più ansioso e
irritabile che nelle precedenti gravidanze e la cara Morgause
l’ha sentito
pregare gli dei più disparati perché salvassero
la vita delle… com’era? Ah, sì!
Le sue due principesse e dei cuccioli che
portavano in grembo! >>
A
quelle parole, Ser Bendivere scoppiò a ridere.
<<
Sì, sarebbe da Loth! Fa tanto il gradasso, ma è
solo un agnellino troppo
cresciuto! >>
Ser
Tor notò che i due figli delle Orcadi non sembravano
concordare molto con
quella frase, ma avevano preferito soprassedere.
Fu
in quel momento che, dopo aver bussato alla porta, entrò
nella stanza Owain
mab Urie, il padre di Ser
Yvain, seguito da un’eterea donna
bionda. Quando la vide, Ser Agravaine si alzò dalla sedia e
la fece accomodare
con devota deferenza.
L’uomo,
elegante nelle movenze e dallo sguardo aperto, salutò con
composta deferenza i
presenti, prima di andare a sedersi vicino al figlio ed abbracciarlo.
Ser Tor
non potè non notare come i sui tratti somatici somigliassero
ai figli
dimenticati dei romani, piuttosto che dagli originali abitanti delle
loro
terre.
<<
Dov’è mia madre? >>
<<
Quella è più pazza di te. È voluta
andare in prima persona dal re delle Orcadi
per ringraziarlo e per portargli in dono un unguento che allevi le
articolazioni
infiammate. Io non ho tanto coraggio, lo ammetto. E poi mi sono fatto
convincere da questa signora a portarla qui, visto che voleva
conoscerti.
>>
Ser
Yvain si girò allora verso la donna che, con trepidante
attesa e le lacrime
agli occhi, aspettava di rivolgere la parola al giovane miracolato.
<<
Sono così felice di conoscerti! >> disse lei
non riuscendo ad aspettare
oltre << Non ho fatto riposare i cavalli per due giorni,
pur di arrivare
il prima possibile. Re Loth ha dovuto sopportare ogni mia
lamentela… oh, ma
ringrazio gli dei per averlo fatto! Se fossimo arrivati anche solo
pochi minuti
dopo… oh! Non so cosa sarebbe potuto accadere!
>>
La
donna scoppiò a piangere, prontamente abbracciata da Ser
Agravaine che sembrava
aver perso ogni atteggiamento strafottente per trasformarsi
nell’ uomo
premuroso che nessuno avrebbe mai pensato che potesse essere.
Ser
Yvain, dal canto suo, sembrava interdetto.
<<
Chiedo scusa, mia signora… ma voi chi siete? >>
La
donna lo guardò stranita, prima di guardare Agravaine. Il
cavaliere, di
rimando, lo guardò indignato.
<<
Come non sapete chi è? Vi ho anche detto che avete il suo
bel nasino, bifolco!
Va tu a fare i complimenti agli amici! >>
<<
Lei è Morgause. >> disse con
ovvietà Gawaine.
Quando
compresero che il giovane uomo non aveva capito, fu lei a parlare.
<<
Sono la favorita di re Loth. >>
<<
È tua nonna. >> disse infine Owain
mab Urie vedendo lo sguardo
spaesato del figlio e comprendendo che quello che per gli abitanti
delle Orcadi
era ovvio, non lo era invece per suo figlio.
Il giovane
cavaliere e Ser Tor si guardarono allibiti, tornando a guardare la
donna.
Ser Bendivere
scoppiò a ridere, seguito a ruota da Ser Gawain.
<<
Impossibile. Siete troppo giovane. >> disse lui.
Lei
sorrise deliziata, arrossendo come una fanciulla.
In
quel momento, Ser Tor poté vedere qualche ruga sul suo volto
candido.
<<
Non penserete davvero che ci sono nata con questi capelli bianchi. Ho
avuto
vostra madre quando avevo quindici anni e re Loth era appena divenuto
re. Lui
ne aveva ventiquattro. È da allora che mi fa
l’onore di rimanere al suo fianco
e a quello della regina Anna. >> disse lei con un tono
tanto melodioso da
sviare qualunque maldicenza. << Fate voi i conti di
quante primavere ho
visto nella mia vita… anche se oggi ho temuto di non poterne
vedere un’altra.
>>
La
donna si fece seria, posando lo sguardo sui principi delle Orcadi e sul
nipote.
<<
Siete uomini, ormai. >> disse con un sussurro
<< Io sono donna e
debole, non sono potente come la regina Morgana, o tenace e
irriducibile come
la cara Anna… Io non posso più
proteggervi… >>
<<
Madre carissima, cosa dite. >> disse Ser Agravaine
inginocchiandosi
davanti a lei e baciandogli le mani con sincero trasporto.
<<
Il vostro stesso sorriso ci protegge da qualunque tristezza.
>> disse Ser
Gawain avvicinandosi a lei e poggiandole la mano sulla spalla.
<< Non c’è
nulla di più potente per ristorarci e darci forza.
>>
Ser
Tor e Ser Bendivere si intesero senza guardarsi e, in silenzio,
lasciarono la
stanza e quando il vecchio cavaliere salutò con una pacca
sulla spalla il suo
compagno, questi non poté che sentire una fitta al cuore.
Sapeva
cosa fosse: invidia.
La
sua famiglia era lontana e gli mancava l’affetto di sua
famiglia, la risata
cristallina di sua madre, la mano calda di sua sorella stretta nella
sua. Non
aveva mai visto Ser Agravaine così premuroso nei confronti
di qualcuno, se non
per la sua stessa madre. Certo, aveva chiamato anche quella donna
madre, ma
spesso le concubine dei re facevano da madre anche ai figli legittimi,
anche
più di quanto potessero fare quelle effettive.
Era
preso da quei pensieri quando la voce di Ser Carradoc attirò
la sua attenzione.
<<
Signori, lady Seredamor vuole solo dare un omaggio al re di Lothian per
ringraziarlo, non credo sia il caso di tanta rudezza. Anzi, sono sicuro
che il
re sarà più che lieto di avere i ringraziamenti
di una madre a cui ha appena
salvato così eroicamente il figlio. >>
La
voce sicura del suo commilitone fece incuriosire Ser Tor che,
avvicinatosi, lo
vide fronteggiare quattro guardie vestite di pesante pelle di montone e
dall’aria
selvaggia come solo i giganti potevano essere.
La
donna dietro il compagno, altera e alta, non sembrava scomporsi davanti
a quei
guerrieri. Si girò un momento a guardarlo e Ser Tor ebbe un
sussulto: il
profilo elegante, il piccolo naso a patata e gli occhi
verdi… quella era la
madre di Ser Yvain che aveva visto qualche ora prima correre al
capezzale del
figlio.
In
silenzio, il giovane cavaliere si affiancò a Ser Carradoc.
Si
guardò attorno.
Quella
era l’ala del castello concessa alla regina delle Orcadi. A
quel pensiero, ebbe
un sussulto: d’istinto si era riversato in quei lidi? Quanto
era sciocco e
inopportuno quel suo comportamento?
<<
Signori, gli ordini del nostro re sono chiari: solo gli abitanti delle
Orcadi,
il re di Camelot e i suoi figli possono superare questo blocco.
>>
<<
Ma lady Seredamor è delle Orcadi. >> disse
allora Tor.
I
quattro uomini abbozzarono un sorriso di scherno.
<<
Ecco a voi certa gente che vuole ancora venire a casa nostra a dare
ordini. Il
naso grosso, ragazzo, non implica intelligenza e ora lo confermi.
Qualcuno
dovrebbe smettere di sfornare bastardi, più va avanti,
più li sforna stupidi.
Lady Seredamor ha rinunciato alla cittadinanza con cui è
nata a favore di un
matrimonio sgradito il re. >>
Ser
Tor sentì la mano di Ser Carradoc poggiarsi sulla sua,
permettendogli di capire
quanto fosse stretta l’impugnatura alla sua elsa.
Furioso…
Ser Tor sentiva il sangue
ribollirgli nelle vene.
<<
Cosa succede? >>
La
voce apatica, quasi fredda, della regina delle Orcadi
richiamò l’attenzione di
tutti.
I quattro
guerrieri delle Orcadi si inchinarono al suo cospetto.
<<
Lady Seredamor voleva fare un dono al re delle Orcadi,
maestà. >> disse
Ser Carradoc con un inchino.
La
donna lo guardò con apatica noia, prima di passare lo
sguardo verso l’altra
donna che, contrariamente a qualche istante prima, manteneva lo sguardo
basso,
quasi colpevole. Ser Tor sentì una stretta al cuore carica
di filiale tenerezza
nel vedere la donna tremare e mordersi le labbra in attesa di una
reazione
positiva della regina delle Orcadi. Se era vero che lady Seredamor era
la
figlia illegittima del re delle Orcadi e questi avesse tenuto con se la
madre
fino ad allora, forse la regina provava del rancore verso di lei.
Eppure
aveva parlato di lei con tale
affetto…
<<
Cos’è? >> chiese la regina con voce
fredda, quasi metallica.
<<
Un unguento a base di Arnica, mia signora. >> disse
l’altra con un filo
di voce. << Dopo la dimostrazione di forza di sua
maestà, ho pensato
potesse dargli giovamento. >>
<<
Arnica? Sul serio? >> chiese la regina in tono quasi
ironico.
<<
Sì, mia signora. >>
<<
E dove l’avresti ma i recuperata? >>
<<
E’ una pianta che viene dal continente, mia signora. Al sud,
a Curnow,
c’è un mercato molto importante ed è
lì
che l’ho presa. La vecchia balia di mio marito e una
galla… è lei che mi ha
insegnato come usarla. >> disse lei tutto d’un
fiato alzando lo sguardo
per un momento prima di riabbassarlo e continuare: <<
L’ho portata per
farne dono a mio figlio, ma se non fosse per il buon re di Lothian, non
avrei
più un figlio, quindi… >>
La
regina piegò la testa da un lato prima di girarmi.
<<
Seguitemi. Tutti e tre. >> disse infine.
Ser
Carradoc e Ser Tor si guardarono un attimo mentre si incamminavano
dentro
quello che era quasi un territorio nemico, mentre i quattro guerrieri
ancora
rimanevano inginocchiati e a sguardo basso.
Lei
li condusse davanti alla porta che Ser Tor conosceva bene: quella che
fino alla
sera prima era della regina. Luogo di infinite delizie.
Quando
entrarono nella stanza, videro la corpulenta figura del re di Lothian,
con
tanto di barba e capelli spettinati, che, in silenzio, si massaggiava
la spalla
sinistra.
Quando
l’uomo li vide, ser Tor sentì il suo coraggio
venire meno.
Il
re delle Orcadi era un uomo immenso. Alto e corpulento, sembrava una
montagna
che aveva preso vita. Se i quattro uomini massicci che facevano la
guardia
potevano essere paragonati a dei tori, a cosa poteva essere paragonato
un uomo
tanto immenso?
D’istinto,
il giovane guerriero guardò il suo compagno per poi seguire
lo sguardo di
questi e osservare lady Seredamor. La donna, dal canto suo, osservava
il re Loth
con gli occhi carichi di emozioni.
La
donna si inchinò e i due uomini fecero lo stesso.
<<
Maestà, >> cominciò la regina Anna
<< Seredamor mab Urie è
venuta a porvi un dono di ringraziamento per l’eroica impresa
di oggi.
>>
Il
re ruggì distogliendo lo sguardo, prima di tornare a
guardare la donna carico
di sentimenti che combattevano tra di loro, forti come il loro padrone.
Ser Tor
notò che era lo stesso sguardo lucente del colore del cielo
della donna che gli
si inginocchiava davanti.
Lo
stesso di Ser Yvain.
Lo
stesso di Ser Agravaine.
<<
Un unguento a base di Arnica. >> disse la regina con fare
annoiato, dando
loro le spalle per versarsi un bicchiere di vino. <<
Conosco il
medicinale, l’ho visto usare da mia cognata Morgana di
Avalon, aiuta per i
dolori muscolari. >>
L’uomo
non rispose, immobile.
<<
Su, Loth, spogliatevi. O avete bisogno che i cavalieri di mio fratello
vi diano
una mano? >>
L’uomo
lo guardò con furia oltraggiata prima di spogliarsi.
<<
Seredamor, pensate voi a spalmarlo al re, vero? Io tra poco
dovrò raggiungere
il mio regale fratello, non posso di certo presentarmi puzzolente, non
credete?
E voi due, sedetevi. >>
I
tre ospiti non se lo fecero ripetere due volte.
Lady
Seredamor corse in silenzio al capezzale del re e aprì
l’unguento, versandosene
un po’ tra le mani. Stava per toccare il sovrano quando
questi si scostò come se
lo stesse per bruciare. L’uomo poi tornò a farsi
avvicinare dalla donna sotto
lo sguardo furioso della consorte.
<<
Marito caro? Questi sono Ser Carradoc e Ser Tor, sono stati nominati
cavalieri
insieme a nostro figlio e nostro nipote.
>>
L’uomo
grugnì in risposta.
La
regina Anna si volse quindi a guardare i due giovani guerrieri.
<<
Ser Carradoc, voi siete il primogenito di re Carradoc, giusto?
>>
<<
Sì, maestà. >> disse lui con
naturalezza, come se quello che stava succedendo
davanti ai suoi occhi non lo toccasse minimente.
<<
E dite, avremo il piacere di rivedere i vostri genitori per i
festeggiamenti di
mio fratello il re? >>
<<
No, mia signora. Mio padre il mese scorso ha preso
l’influenza e anche se è
guarito del tutto, non è ancora in grado di partire.
>>
<<
È da un po’ che non vedo quel Sil…
>>
commentò il re << Ho voglia di farmi un paio
di bevute con quel
vecchiaccio! Ditegli di farsi vivo la prossima volta! O
verrò a stanarlo io
stesso! >>
<<
Lo farò, maestà. >>
<<
E la sua devota moglie non se la sente di lasciarlo, vero?
>> concluse
lei con un mezzo sorriso prima di voltarsi verso il consorte
<< E invece
il mio povero Loth si ritrova spesso senza di me. A volte mi dispiace,
ma poi
penso che se non lo facessi, non sentirebbe mai la mia mancanza e si
stuferebbe
in fretta di me… >>
La
regina rise di gusto nel vedere il marito arricciare il naso e
distogliere lo
sguardo.
<<
E voi, Seredamor? Vi separate spesso da vostro marito? >>
La
donna la guardò sorpresa un momento prima di abbassare lo
sguardo.
<<
Solo durante le fiere del solstizio d’estate, mia signora.
>> rispose poi
con un filo di voce << Per me c’è
troppo caldo e troppa afa e preferisco
rimanere nelle terre di mio marito dove il clima è
più mite. >>
Il
re fece una smorfia prima di guardare i due cavalieri.
<<
Questa volta quasi tutti uomini del nord, eh? >> disse
l’uomo per poi
zittirsi davanti allo sguardo furioso della moglie.
<<
No signore, siamo divisi perfettamente tra quelli provenienti dalle
terre dell’ovest
e quelle del nord. Io sono del Gwent, signore. Come Ser Carradoc.
>>
rispose allora Ser Tor << Vengo dalle terre senza re.
>>
<<
Oh! >> disse allora il re con sincero interesse
<< Quindi voi
conoscete il vecchio Ars, suppongo. >>
<<
È mio padre. >> disse il giovane senza
riuscire a nascondere il moto
d’orgoglio.
Persino
il re delle Orcadi conosceva suo padre.
Il
re socchiuse un attimo gli occhi.
<<
Come hai detto che ti chiami? >>
<<
Tor, signore. >>
Lo
sguardo del re cominciò a vagare tra i ricordi.
<<
Toria. >> disse in fine tornando a guardarlo
<< Come sta? È ancora
bella come me la ricordo? >>
<<
Sì, signore. Ma forse sono un po’ di parte. Ai
miei occhi non c’è donna che
possa essere definita più bella. >> disse il
cavaliere con sincero
stupore nel sapere che anche sua madre non gli era sconosciuta
<< Solo mia
sorella Aretha, ora regina delle terre senza re, può
concedersi un paragone con
lei. >>
La
regina delle Orcadi sorrise facendo spallucce e alzando gli occhi al
cielo,
mentre il consorte ricominciava a scrutarla.
<<
E com’è che noi non lo sapevamo? Tuo fratello si
è scordato di avvisarci?
>> disse lui con un tono che a Ser Tor sembrò
più simile a quello di un
bambino che faceva il broncio, piuttosto che a un re oltraggiato.
<<
No, mio re. >> rispose paziente la donna <<
Il mio caro fratello ci
ha avvisato e lo stesso hanno fatto i nostri due figli presenti
all’incoronazione.
Infatti, abbiamo fatto dei doni a omaggio della nuova sovrana sia qui a
Camelot
che nelle sue terre. >>
<<
Spero siano adeguati al nostro
nome.
>>
<<
E alle nostre possibilità caro. >> disse lei
sedendosi al fianco del
marito. << Quaranta sacchi di sale grosso, venticinque
fili di perle e
ventiquattro pelli d’orso. Il minimo per omaggiare la figlia
di un uomo a cui
devo la vostra vita. >>
Lady
Seredamor nel frattempo aveva smesso di massaggiare il possente braccio
del re
e aveva tirato fuori dalla borsa di stoffa che teneva a tracolla una
lunga
sciarpa di lino bianco.
Ser
Tor la vide fasciare con estrema delicatezza il braccio virile del re.
<<
Ho finito… >> disse in fine con un sussurro e
lo sguardo basso <<
Permettetemi di venire anche domani… sarebbe un onore per
me… >>
<<
Oh, figlia mia… >> esclamò la
regina baciandole la fronte con le lacrime
agli occhi. << Non preoccupatevi. Dirò io alle
guardie di farvi passare.
>>
<<
Non ne avrò bisogno. >> disse l’uomo
arricciando il naso.
<<
Sì, invece. >> si oppose la regina
<< Non potete negare la presenza
di quei lividi sul vostro polso. Né le lamentele che avete
continuato a fare
appena entrato in queste stanze. Fino a quando non lo dirò
io, voi vi farete
assistere da Seredamor. >>
<<
Prima di tutto, quei lividi non me li sono procurati uccidendo quella
bestia,
ma me li ha fatti vostro nipote. Tse! Quel Mordred! Degno figlio di sua
madre.
Se avesse stretto poco più forte mi avrebbe sicuramente
spezzato il polso. Ma
almeno sua madre sapeva darsi una regolata! Te lo dico io, quello ha il
destino
di suo zio! Hai visto con che sguardo mi fissava? Ha il seme della
pazzia degli
occhi. >>
<<
Ha il seme dell’orrore che avete compiuto macellando quella
bestia. Potevate
anche avere un po’ di pietà e invece…
>>
<<
Attenta a quello che dici, donna! >> tuonò il
re alzandosi di scatto e
puntandole il dito contro << Come osi dirmi una cosa
simile? >>
Lei
lo guardò altera e fredda senza scomporsi.
<<
Nessuno, e bada bene, dico nessuno!,
può osare attaccare un membro della mia famiglia
impunemente! La … >>
l’uomo si bloccò, arrossendo furiosamente mentre
lady Seredamor si allungava
per baciargli la mano bendata.
<<
Oh, mio re! >> disse lei tra le lacrime. <<
Mio amatissimo re! Mio
sole! Sapevo che il vostro cuore buono era colmo di amore anche per il
mio
piccolo Yvain! Non ne dubitavo! Oh, maestà…
>>
L’uomo
la guardò per un lungo istante indeciso sul da farsi, prima
di poggiarle la
mano sul capo.
La
regina delle Orcadi, sotto lo sguardo di fuoco del marito, si
alzò con un
sorriso beffardo.
<<
Cavalieri, sareste così gentili da accompagnarmi dal re mio
fratello? >>
I
due non se lo fecero ripetere due volte.
<<
Cornica… >>
sibilò il re mentre
questa usciva seguita dai cavalieri di Camelot.
Chiusa
la porta dietro di sé, la regina delle Orcadi
cominciò a ridere, camminando con
la consueta eleganza e superando con noncuranza le guardie del marito.
<<
Non c’è maggior vittoria, contro il re mio marito,
che mostrare agli occhi
degli estranei come un uomo dal cuore tenero. >> disse in
fine la donna
guardandoli divertita.
<<
Mia signora… >> disse in fine Ser Carradoc con
incertezza << Per
caso prima che uscissimo, re Loth vi ha insultato? >>
<<
Oh… oh, no caro! Cornica è la definizione tipica
delle donne della mia regione
d’origine! >> disse lei ridendo
<< Mio padre era signore della
regione del Curnow,
a sud
ovest del regno. Anche mia madre era di
quella regione. Una caratteristica tipica delle donne della mia gente
è lo
spirito
da commerciante. L’aveva anche mia madre
e fu proprio questo spirito combattivo
e diplomatico assieme che, assieme alla sua innegabile bellezza,
piacque così
tanto a re Uther da fargli uccidere mio
padre…>>
Il
bel volto della regina si fece freddo.
<<
Non sapevo che vostro padre conoscesse il mio. >> disse
Ser Tor al
compagno Agravaine durante un turno di ronda.
Il
giovane cavaliere lo guardò strofinandosi le mani per
riscaldarsi dal freddo.
Ser
Agravaine lo guardò in silenzio per un lungo momento prima
di parlare.
<<
Non saprei. Chi è vostro padre? >>
<<
Ars delle terre senza Re. >>
Il
principe delle Orcadi fece spallucce.
<<
Non ricordo di averlo mai sentito. Ma se devo essere sincero, quando
ero
piccolo di raccontavano di così tanti cavalieri che ho perso
il conto. Sapete
in che occasione si sono incontrati? >>
<<
No. Ma so che il re vostro padre consce anche il nome di mia madre.
>>
Ser
Agravaine lo guardò con sincero stupore.
<<
È una donna di Avalon, per caso? >>
<<
No, affatto. >>
<<
Mio padre ha sempre e solo parlato di donne di Avalon nei suoi
racconti. In
primis la regina Morgana e poi anche la regina Ginevra di Cameliard, la
defunta
consorte di re Leodegrance. A proposito, non ha mandato nessuno, vero?
Strano
che non si sia fatto vedere. È un re estremamente mondano,
adora pavoneggiarsi
e adora le grandi feste… Almeno così mi hanno
detto. Ha solo figlie femmine, è
strano che non sia venuto per qualche matrimonio conveniente.
>>
Ser
Tor scosse la testa sconsolato: Agravaine aveva ancora cambiato
argomento.
Forse
avrebbe dovuto parlarne con ser Gawain, per ricevere una degna risposta.
Come
richiamato dai suoi pensieri, ser Gawain fece la sua comparsa,
affiancato dal
cavaliere che, se non ricordava male, rispondeva al nome di Aglovale.
<<
Buonasera. >> disse Ser Gawain con un sorriso aperto,
seguito da Ser
Aglovale.
Il
giovane cavaliere era alto e virile. Il viso quadrato era aperto e
sincero. Ser
Tor si chiese d’istinto come mai ser Agravaine diffidasse di
lui, ma sapeva che
i rapporti tra le famiglie reali erano spesso controverse.
<<
Come procede la ronda? >> chiese Ser Aglovale.
Ser
Agravaine alzò le spalle.
<<
Fredda. >>
A
quelle parole Ser Aglovale rise.
<<
Dio solo sa quanto hai ragione! Ricordi quando è toccato a
noi, Gawain? Non
c’erano abbastanza soldati e allora il re ha deciso che
l’avremmo dovuta fare
tutti! >>
A
quel ricordo, Ser Gawain rise di gusto.
<<
Già! >> continuò <<
Ma nessuno si è mai lamentato tanto quanto il
re per il freddo! >>
<<
Così aveva una scusa in più per passare
più ore a letto con Morgana! >>
A
quel pensiero i due risero.
<<
A proposito di Morgana! >> chiese Ser Aglovale
<< Visto che è
tornato Mordred, avete visto qualcun altro della corte di Avalon, per
caso?
>>
<<
Solo una giovane donna con un bambino. >> disse Ser
Agravaine
sbadigliando.
<<
No, ma quella fanciulla è bionda e non somiglia per niente
alla regina ed è
troppo grande per essere una dei loro figli. >> disse Ser
Gawain
scuotendo la testa.
<<
Quindi niente rampolli reali… >>
mugugnò Ser Aglovale << Domani al
banchetto il re sarà di cattivo umore…
>>
<<
Non credo. >> ribatté il più
giovane dei principi delle Orcadi <<
Il re sembrava entusiasta mentre parlava con la forestiera.
L’ho visto cullarsi
il bambino che si portava appresso con molto trasporto. Vedrete che
sarà meno
ossessivo del solito anche con Mordred. >>
<<
O-Ohh….! Allora il nostro Agravaine si preoccupa per
Mordred!! >> lo
canzonò il fratello << Chissà come
reagirebbe il nostro piccolo cuginetto
nello scoprire una cosa simile! >>
Ser
Agravaine fece per rispondere quando una voce li raggiunse.
<<
Scusate, sapete dirmi dove sono le stanze che mi sono state assegnate?
>>
I
tre si voltarono di scatto sobbalzando.
Sopra
di loro, seduto a piedi scalzi sul cornicione di una garitta di
vedetta, un
uomo dai capelli biondo cenere lo osservava con lo sguardo impassibile.
Set
Tor sobbalzò.
Non
si era neanche accorto del suo arrivo e non lo consolava sapere che
neanche i
suoi commilitoni non se ne fossero accorti.
Ser
Aglovale e Ser Gawain si avvicinarono facendo da scudo ai cavalieri
più
giovani.
<<
Se avete la cortesia di dirci chi siete, signore, potremmo darvi una
mano.
>> disse con tranquillità Ser Gawain.
In
risposta, l’uomo alzò il sopracciglio e si
lanciò di sotto, atterrando di
fronte a loro.
<<
Ser Gawain, non preoccupatevi, non è necessario che
estraiate il coltello
nascosto nel vostro mantello. Senza contare che il taglio che vi siete
fatto
stamani è ben lontana dal guarire e che quindi non potete
certo essere un
avversario temibile. Almeno per me. >>
Ser
Gawain sussultò.
<<
Sono Merlino Willt, cognato del re. >>
Ser
Aglovale allora si avvicinò al nuovo venuto per osservarlo
meglio.
<<
Re Merlino… >> sussurrò in fine
<< Siete davvero voi… >>
<<
Certo che sono io. Chi altri dovrei essere? È vero, il mondo
è cambiato
abbastanza da vedere i figli di re Pellinore e quelli di Re Loth fare
ronda
assieme senza scaramucce, >> disse l’uomo
indicando Ser Tor e Ser
Agravaine ancora dietro di loro << Ma non lo è
abbastanza perché io non
sia più io… ancora per un po’, per lo
meno. Allora? Queste stanze? Vorrei sistemarmi
prima che arrivino i miei nipoti e distruggano tutto. >>
A
quelle parole Ser Aglovale rise di gusto.
<<
Siete un burlone! >> sentenziò
<< Venite! Andiamo a cercare
qualcuno che può darci una mano e magari offrirci un
bicchiere di vino!
>>
I
due uomini si diressero allora verso l’interno del castello.
Ser
Gawain si trattene un momento, prima di seguirli.
Stava
per superare i due cavalieri di ronda quando, visto lo sguardo ferito
di Ser
Tor, gli appoggiò la mano sulla spalla.
Quando
rimasero soli, Ser Tor guardò il suo commilitone.
<<
Scherzava vero? >>
<<
Re Merlino è soprannominato il pazzo, non lo sai?
>>
<<
A me sembrava assolutamente lucido. >> sibilò
l’altro. << Allora?
>>
<<
Dici che se ci prendiamo qualcosa da bere qualcuno se ne accorge? Sto
morendo
di freddo. >>
<<
Agravaine. Non cambiare argomento. Questa volta non te lo permetto.
>>
Ser
Agravaine storse la bocca.
<<
Diciamo che la tua somiglianza con re Pellinore è piuttosto
inquietante. Hai
ancge il suo stesso naso, che poi è lo stesso di Ser
Aglovale. >>
<<
Cos’altro sai? >>
<<
Non molto. >>
<<
Parla. >>
<<
Tuo padre era il re delle terre dove ora governa tua sorella.
>> disse
una voce dietro di loro.
I
due si girarono. La regina Anna si stava avvicinando a loro avvolta da
una
calda pelliccia d’orso.
Ser
Tor si sentì destabilizzato dalla bellezza fatta di
contrasti di quella
visione, ma riuscì a rimanere calmo. << Vedi,
figliolo, sono pochi i
reali che hanno davvero uno spirito nobile. Soprattutto se si parla
della
generazione precedente a quella del re mio fratello. Uther, ad esempio,
ora è
considerato un grande uomo e in molti hanno dimenticato quando
tradì mio padre
per poter soddisfare la sua brama di lussuria con mia madre. Pellinore
è dello
stesso stampo. Non gli è mai interessato né se
una donna fosse libera o
impegnata, né se questa era consensuale o no. È
innegabile, certo, che come
padre è un buon padre: che siano legittimi o illegittimi,
lui ama tutti i suoi
figli e li mantiene senza tante cerimonie, ma per quello che riguarda
le loro
madri… beh, è un’altra storia.
>>
La
regina tacque per un lungo momento, incantandosi a guardare il cielo
terso.
<<
Il regno del mio patrigno volgeva al termine. C’erano delle
invasioni al sud e
dei tafferugli in qualche terra dell’est, vista
l’inettitudine dei fratelli di
mio padre. Uther aveva bisogno di più aiuto possibile e tra
i suoi fedelissimi
più ricchi e potenti c’erano Pellinore e mio
marito, ovviamente. Tra i meno
importanti, almeno secondo Uther, c’erano quelli dei regni
come quello di mio
padre e Re Ars era uno di loro: la fedeltà non era
così importante per lui,
bastava quanti introiti potevano dargli momento per momento. Per mia
fortuna,
sposando Loth ho potuto trovare un uomo con lo stesso senso
dell’onore di mio
padre... Loth, infatti, nonostante tutto rimase fedele a Uther come
aveva
promesso durante il nostro matrimonio. Era sotto il suo comando che
ebbe spesso
a che fare con tuo padre che, come già sai, gli
salvò anche la vita. Re Loth
non dimenticò mai il coraggio e l’ardimento
mostrato da tuo padre tanto che lo
riconobbe come suo simile. E di certo non è cosa da tutti.
Comunque, il tuo
concepimento avvenne in occasione del soggiorno di re Uther e dei suoi
fedelissimi
nelle terre di tuo padre, dove lui, da fedele servitore,
ospitò la corte reale.
Fu in quest’occasione che tua madre venne presentata al re e
ai suoi. E piacque
a Pellinore. Non dubito dell’innocenza di tua madre in quel
rapporto, ma non
era che una donna. E non aveva nemmeno una famiglia nobile a
proteggerla. Era
la figlia di un mugnaio o qualcosa di simile e tuo padre non aveva
nemmeno una
sorella o un fratello su cui fare affidamento. Chiese vendetta ma Uther
preferì
sorvolare e non lo ascoltò neanche: in primis,
perché Pellinore ai suoi occhi era
un alleato più importante e poi perché per lui
l’onore di una donna non era
così importante, o non avrebbe mai fatto quello che ha fatto
a mia madre, che
per colpa sua fu considerata alla stregua di una prostituta da tutta la
corte.
Comunque, tuo padre sfidò Pellinore e quando, sconfitto,
poteva finalmente
reclamare la sua vendetta, Uther lo fermò e lo
condannò a perdere ogni titolo e
ogni avere. Punì anche vostra madre, se non sbaglio,
togliendole le terre che
erano sue di diritto e mettendole all’asta.
>>
La
donna si girò a guardare i due cavalieri.
<<
Mio marito, allora, comprò i terreni e li rivendette per un
soldo a vostro
padre. So che questo fece infuriare Uther, ma non poteva fare niente
contro al
marito della sua figliastra il cui esercito non solo costituiva un
terzo di
quello del regno, ma i suoi guerrieri erano anche i meglio addestrati e
i più
fedeli al loro re. In vero, se prima di chiedere giustizia, Re Ars
avesse
aspettato l’arrivo di Loth, avrebbe avuto un alleato di
importanza superiore a
Pellinore. Neanche Pellinore accettò mai l’azione
di Loth, ma non è stato che
uno dei tanti motivi di screzio tra i due. E non poteva di certo
lagnarsi di mio
marito davanti al vecchio re. Che comunque morì poco dopo,
come il cane che
era. >>
La
regina sorrise beffarda.
Lo
stesso sorriso che la univa al principe suo figlio.
Ser
Tor ascoltò le sue parole in silenzio e spettò
molto prima di parlare.
<<
Potrei sapere chi altri lo sa? >>
<<
Tutti quelli abbastanza vecchi da avervi assistito. Per quel che
riguarda la
generazione di mio fratello… in pochi. Giusto mio figlio
Gawain ma,
conoscendolo, non deve averne parlato a nessuno. Ser Agravaine aveva
sempre
mostrato di aver inteso la tua parentela con re Pellinore, ma ha sempre
preferito tenerselo per sé. Per il resto, Ser Aglovale
farà i suoi conti e
comprenderà le parole di Merlino il Pazzo solo tra un paio
di giorni. Te ne
accorgerai. Ma se non volete che si sappia, non si saprà. I
miei figli sanno
essere discreti e vista la mentalità di
Artù… beh, nessuno ammetterà di aver
assistito al disonore di una donna impunemente. Non sembra, ma ha
sempre
sofferto molto per la condizione di nostra madre…
è anche per questo che non lo
disprezzo. >>
<<
Allora posso continuare ad esserlo? >>
<<
Che cosa? >>
<<
Figlio di mio padre… >>
<<
Certo, ragazzo. Non dubitarne mai. >>
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Capitolo 4 *** Ser Tor e la Regina di Avalon ***
Erano passato qualche giorno da quando Ser
Tor avesse scoperto il nome
dell’uomo che aveva disonorato sua madre e provocato la
caduta in disgrazia di
suo padre e ancora non era riuscito a digerirlo.
Era un re, un fedele servitore di
Artù Pendragon.
Pellinore delle isole del Nord.
L’uomo da cui sapeva di aver
ereditato l’altezza, il naso grosso e i
capelli neri.
Sapeva che era un valente guerriero, ma nel
suo cuore esultava al pensiero
che suo padre Ars l’avesse sconfitto a mani nude. Quando
l’aveva sentito
raccontare dal re, aveva pensato che suo padre avesse agito per
orgoglio
maschile e non per l’onore di sua madre. Scoprire la
verità lo aveva reso
ancora più onorato di averlo avuto come genitore, ma in
fondo lo aveva sempre
saputo: suo padre, il suo vero padre, quello che lo aveva abbracciato
tante
volte da piccolo per colpa degli incubi, non avrebbe mai agito con ira
se non
per una buona ragione. E sua madre era sempre stata una buona ragione.
Era immerso da quei pensieri quando,
camminando per i corridoi del palazzo,
si scontrò con Ser Aglovale. Il cavaliere del re stava
mangiando con gusto una
mela camminando a passo spedito lungo i corridoi del palazzo e quando
lo vide,
sorridendo, gli offrì quella che teneva nell’altra
mano. Tor lo ringraziò, ma
declinò.
<< Sicuro? >>
chiese Ser Aglovale << Vengono da Avalon.
Lì crescono tutto l’anno e sono le mele
più buone che tu possa mai mangiare. Le
ho prese dalle stanze di Merlino: sua sorella è appena
arrivata senza
acclamazioni e si è messa lì con la prole.
>>
<< Parlate della regina
Morgana? >> chiese lui sorpreso.
<< Sì.
Nessun’altra signora di Avalon verrebbe mai a Camelot.
Allora?
Vuoi assaggiare? >>
<< Come se lo avessi fatto,
Ser Aglovale. Ora, però, proprio non ho
fame. >>
L’uomo scosse la testa in segno
di assenso e sorrise.
<< Come vuoi ragazzo.
>> disse in fine Ser Aglovale con un
sorriso cordiale. << Sto andando dal re a dirgli la buona
notizia. Vuoi
farmi compagnia? >>
<< Che buona notizia?
>>
<< Dell’arrivo
della sua famiglia. Voglio arrivarci prima di Gawain.
>> disse lui strizzando l’occhio.
<< Un po’ di sana rivalità:
è
sempre il favorito del re, ma chi si sottrae alla bellezza della regina
per
avvisare il nostro sovrano della lieta novella, ha per una settimana
una doppia
razione di arrosto la sera. >>
A quel pensiero, Ser Tor rise.
<< Allora non possiamo che
precipitarci dal re. La cuoca Aislin in
questo periodo supera se stessa. >>
Ser Aglovale lo guardò stupito.
<< Conoscete il nome della
cuoca? >>
<< L’ho incontrata.
Una volta. >> ammise Ser Tor quasi in
imbarazzo.
Stava parlando al figlio di un re, gente
come lui non sprecava il suo tempo
nelle cucine.
Non era Mordred. Aglovale era… normale.
<< Strano. E come siete
riuscito a entrare lì? >>
<< Con il principe Mordred.
>> disse lui con ovvietà per poi
comprendere che non era molto usuale.
Ser Aglovale infatti lo guardava con un
misto di sorpresa e sollievo.
<< Sono felice che il piccolo
Mordred abbia trovato in voi un amico.
>>
<< Non so se è
possibile definirmi un suo amico. >> dovette
ammettere allora l’altro cavaliere <<
È un uomo molto schivo. >>
<< Uomo è una
parola grossa: è poco più di un bambino. Certo,
il re
aveva quindici anni quando suo padre è morto e a sedici ha
cominciato a
combattere. Io avevo la sua stessa età, ma non ero io a
scendere in campo, ma
infatti era mio padre, re Pellinore, il campione del regno. Solo Gawain
era più
giovane del re nel suo esercito, ma fisicamente non era molto diverso
da come
lo vedi ora, quindi era riuscito a trarre in inganno il nostro
sovrano.>>
Aglovale scoppiò a ridere << Quando lo
scoprì chiuse il nipote nelle sue
stanze per un mese! Giusto per fargli compiere sedici anni e
riammetterlo come
cavaliere. >>
Ser Aglovale parlava con una certa
malinconia e Ser Tor non
riusciva a non chiedersi come sarebbe stato stare al fianco del sovrano
in quel
periodo così importante per il suo regno.
Poi Ser Aglovale tornò a
guardarlo.
<< Mordred è nato
qui a Camelot, lo sai? Poi, quando aveva quattro
anni, Morgana se lo portò via decidendo di voler crescere lui, il
fratellino più
piccolo e quello che ancora doveva nascere ad Avalon, dove secondo lei
la
corruzione di questo regno non sarebbe arrivata. Il re non ha parlato
per due
mesi. Si ridestò soltanto quando arrivò Merlino,
intendo il tutore del nostro
sovrano e non il re pazzo dell'altra sera, ad annunciargli la nascita del suo terzo
figlio
maschio. >>
A quel pensiero Ser Aglovale rise tanto
forte da doversi fermare.
<< Oh, Numi del Cielo! Dovevi
vederlo, il vecchio! Lo guardava
arcigno, infuriato come pochi: avere tre nipoti maschi e nemmeno una
femmina!
Inaudito per un uomo di Avalon! >>
Ser Tor lo guardò stranito.
<< E perché mai?
>>
<< Avalon è una
società matriarcale, ragazzo. Sono loro le custodi
della conoscenza antica. Probabilmente, Mordred ha deciso di venire qui
a fare
compagnia al padre anche per questo: per sua madre non è
particolarmente
utile, non potendo essere un erede di questa conoscenza, mentre
poteva
essere più utile facendo compagnia a suo padre che qui, da
solo, moriva di
malinconia. >>
Ser Tor ascoltò con sincero
interesse le informazioni dategli dal cavaliere
del nord. Parlava con genuino affetto verso il re, con lo stesso
trasporto
fraterno che dimostrava Ser Gawain. Quasi se li immaginava, tutti e
tre,
giovani e pieni di vita, affrontare fianco a fianco i nemici che li
ostacolavano e uscirne vittoriosi.
Per la prima volta, il giovane cavaliere
sentì un moto di affetto verso
quello che da poco aveva scoperto essere suo fratello maggiore. Un uomo
che non
conosceva, ma che sembrava poter essere per lui un esempio.
Davanti alle sale del trono, Ser Tor
bussò con solenne gravità tre possenti
colpi, prima di guardarlo e strizzargli l’occhio con
cameratismo.
Ad aprire arrivò il siniscalco
del re.
<< Buon giorno, Ser Kay.
>> disse Ser Aglovale << Vorremmo
parlare con il re. È forse qui? >>
L’uomo scosse la testa in segno
di assenso e li fece entrare.
Seduto sul trono, il re leggeva con
attenzione un lungo papiro che sembrava
essere il resoconto di un suo messaggero. Quando alzò lo
sguardo e li vide,
sorrise.
<< Ser Aglovale, Ser Tor! Non
siete a riposare fuori dal castello?
>>
<< Fa troppo freddo, mio
Signore. Stanotte ha nevicato copiosamente.
>> rispose il cavaliere avvicinandosi con un mezzo
sorriso << Ho
pensato, maestà, che poteva farvi piacere mangiare una di
queste mele. Non
potranno farvi che bene. >>
Detto questo, lanciò la mela
ancora sana verso il re che la prese con
entrambe le mani.
Ser Tor vide il re guardarla con sorpresa.
<< Non è stagione
delle mele. >> commentò il re <<
Non
quest’anno per lo meno. I raccolti sono stati scarsi per
colpa del mal tempo
che ha rovinato molte colture. >>
<< Non da dove viene quella,
maestà. Lì il clima è tale che in ogni
stagione dell’anno le si possono trovare in abbondanza.
>>
Il re guardò il suo suddito con
sincera sorpresa. Ser Tor non poté non
sorridere alla vista del suo sovrano: sembrava un bambino che stava per
ricevere il regalo più desiderato. Come il suo fratellino
quando il loro amato padre
aveva deciso di portare a casa il bastardino che avevano visto
abbandonato al
fiume e al quale si era subito affezionato.
<< Mi prendi in giro?
>>
<< Non potrei mai, Sire.
>> rispose Ser Aglovale con un
sorriso sincero.
Il re guardò il siniscalco.
<< Kay, ne sapevi qualcosa?
>>
<< No.>>
rispose il siniscalco con un mezzo sorriso << Ma
conoscendo la Regina, sarà arrivata durante la notte senza
far chiasso e senza
farsi riconoscere. Suo fratello è qui, magari è
andata da lui a riposare.
>>
<< Sagace come sempre, Kay.
Ero nei pressi delle stanze di quel
pazzo, quando ho visto una mocciosa dai capelli biondi, identica in
tutto e per
tutto alla Regina, che correva agitando un frustino. Di lì a
poco è uscito un
giovanotto molto somigliante al principe Mordred e… beh, le
urla di rimprovero
di Morgana sono inconfondibili! Credo che vostra figlia abbia rotto
qualcosa
allo zio. >>
Artù si alzò,
lasciando cadere la pergamena che aveva appoggiato sulle ginocchia, e corse fuori dalla stanza per
fermarsi sull’uscio e girarsi.
<< Grazie, amici miei!
>>
In quel momento arrivò Ser
Gawain alle spalle del re.
Questi fece per parlare, ma il sovrano lo
anticipò.
<< Sono arrivati Morgana e i
bambini! >> disse con giubilo,
mettendogli al mano sulla spalla.
<< Sono venuto proprio per
dirvi questo, maestà… >>
Ma il re non stava più
ascoltando, correndo via, verso la sua personale felicità.
Ser Gawain si girò.
<< Glielo hai detto tu?
>> chiese con tono acido al
commilitone, mentre Ser Kay scoppiava a ridere << Non
ridere Kay, è una
cosa seria! >>
<< E che vuoi fare?
>> chiese il siniscalco con un mezzo
sorriso << Azzopparmi? L’ha già
fatto tuo padre. >>
<< Non era stato il mio?
>> chiese grattandosi la testa Ser
Aglovale.
<< No, lo fece re Loth nel
tentativo di accoppare tuo padre.
Quindi, sì. È anche colpa sua,
che non aveva le palle di stare in prima linea. >>
rispose l’altro con
ovvietà. << E ora vedete di non bisticciare
per chi avrà i favori del re
o vi dovrò mettere in punizione. >>
I due cavalieri si scrutarono in silenzio.
<< Bene, allora credo proprio
che uno di voi striglierà il mio
cavallo e l’altro quello del re. E magari puliranno le loro
stalle. In questo
periodo il servitore che lo fa è ammalato, povero diavolo, e
sicuramente
bisogna spalare un po’ di letame. Non possiamo certo
fargliene trovare troppo
al suo rientro, no? >>
Ser Tor lo osservò ammutolito,
senza comprendere se il tono mellifluo fosse
da prendere in considerazione. Nei mesi che aveva vissuto
lì, aveva appreso ben
poco su Ser Kay e quella era la prima volta che lo aveva sentito
parlare tanto
a lungo. Com’era possibile che un uomo come lui, alto e magro
come una betulla
e zoppo potesse far paura a due giganti come Ser Aglovale e Ser Gawain?
A quanto pare, però, era
così.
<< Bene, ci siamo capiti.
>> disse infine l’uomo. << Ora
scusatemi, ho una regina da salutare. Tu, vieni con me. Lasciamo i due
galletti
preoccuparsi dei loro nuovi compiti. O vuoi fare loro compagnia?
>>
Il siniscalco non lo aspettò e
uscì dalla stanza. Ser Tor ebbe il coraggio
di seguirlo solo quando i suoi due compagni gli fecero cenno di andare.
***
<< Cosa sapete dirmi di Ser
Kay? >> chiese Ser Tor a Ser
Carradoc che, dal canto suo, era più intento a scambiarsi
occhiate languide con
la figlia di un signorotto di Londinium che al suo pranzo.
<< Chi? >>
<< Ser Kay, il siniscalco.
>>
<< E perché ti
interessa? >> chiese l’altro stranito,
addentando una coscia del pollo che aveva davanti.
<< Ser Aglovale e Ser Gawain
sembrano intimoriti da lui. Mi chiedevo
come mai. >>
Il suo compagno si strinse nelle spalle.
<< Per quel che ne so, Ser
Kay era un valente guerriero un tempo.
Prima che si scoprisse che il re fosse… beh, il re, gli
faceva da scudiero.
Credo lo considerasse una sorta di fratello bastardo. Non so molto
altro. A
parte che è l’unico che urla contro il re ed
è l’unico a cui il re si rivolge
in tono sgradevole. Sai chi mi ricordano? Ser Gawaine e
Agravaine… solo che al
posto di Ser Gawaine dovete mettere un altro Agravaine. >>
A quel pensiero, Ser Tor scoppiò
a ridere, seguito a ruota dal commilitone
che riprese poi a guardare la giovane ospite di Camelot.
Ser Tor tornò invece a guardare
verso il tavolo reale dove il re era con la
sua famiglia.
La regina Morgana era talmente bella da
lasciare inebetiti. I lunghi e
morbidi capelli neri sembravano brillare nonostante
l’oscurità del loro colore
e ogni sua movenza era di una tale grazia da incantare. La pelle era
ancora
fresca come quella di una fanciulla, tanto che persino la regina Anna
sembrava
un’anziana signora se messa a confronto.
Per un attimo, il giovane si chiese quanti
anni potesse avere la Regina si
Avalon.
<< Ne ha due in
più del tuo re. >> disse una voce dietro di
lui.
Ser Tor sussultò, girandosi di
scatto.
Lì, alto e scalzo, re Merlino
Willt lo guardava quasi annoiato.
<< Quel bardo è
mediocre, non credete anche voi? >> chiese lui
cambiando argomento e cominciando a fissare l’angolo della
sala dove i
musicanti stavano suonando. << Non pensavo che Talesin si
trattenesse
così tanto nell’Ovest. No, aspetta… ora
è a Sud, vero? >>
<< Non saprei,
maestà. >> rispose con sincerità
Ser Tor
ricordando a mala pena il bardo reale.
Re Merlino si strinse nelle spalle, prima
di tornare a guardarli.
<< Io non ve la consiglio.
>> disse infine re Merlino << Suo
padre la vuole far fidanzare con un signore delle terre oltre il mare e
lei…
senza conoscerlo gli sta già per dare un erede.
>>
A quelle parole Ser Carradoc smise di
sorridere e guardò il re pazzo.
<< O volete per caso che
quello sia il vostro? >>
Ser Carradoc scosse la testa.
***
Ser Tor respirò profondamente
l’aria frizzante della notte nella
speranza di riprendersi, sperando con poca convinzione che la luce della luna crescente lo aiutasse a tenersi reattivo. Era il suo turno per la ronda e
l’aver fatto compagnia
a Ser Carradoc a bere non lo aveva aiutato.
Stava raggiungendo la sua postazione,
quando sentì Mordred ridere.
Con sua grande sorpresa, invece,
scoprì che a ridere non era il figlio del
re, ma lo stesso sovrano.
Pendragon, abbracciato alla bellissima
regina di Avalon sotto il calore
della luna invernale, stava ridendo di qualche misteriosa battuta detta
dalla
donna.
Fu lei ad accorgersi del suo arrivo,
salutandolo con un sorriso.
<< Oh, Ser Tor! Come mai da
queste parti? >> chiese il re senza
riuscire a smettere di sorridere.
<< Ho il turno di ronda,
sire. >> rispose lui con un inchino.
<< Bravo. Mia cara, hai
già conosciuto Ser Tor, delle terre senza re?
>>
<< Quando sono arrivata.
>> rispose lei sorridendo. << Mio
figlio Arm l’altro giorno mi ha detto che avete proposto
vostra sorella come
regina, un pensiero insolito per un uomo di queste terre.
>>
<< Morgana…
>> la riprede bonariamente il re.
Lei però lo ignorò.
<< In vero, mia signora, se
voi conosceste mia sorella comprendereste
che era l’unica possibile. >>
A quelle parole lei sorrise, scrutandolo
con i profondi occhi verdi.
<< E dite, siete sposato, Ser
Tor? >>
<< No mia signora.
>>
<< Promesso? >>
<< Nemmeno. >>
<< Morgana… Ser
Tor non è che un ragazzo, non bada a queste cose.
>>
<< Tu eri più
piccolo di lui quando hai incontrato me. >>
<< Io avevo te.
>>
<< E lui è il
fratello di una regina, un buon partito. Permettimi di
notare la stranezza della cosa: qui a Camelot dev’essere
nelle mire di molti. Vi hanno già infilato un paio di figlie nel vostro letto? Ricordo che l'hanno fatto anche con Gawaine... e Bendivere... o il cugino ti cuo cognato... O... Owi...?
>>
<< Non credo di essere nelle mire di nessuno, mia signora.
>> disse lui tagliando cordo quello che temeva essere un'infinita lista di nomi << Non ho terre,
non ho soldi, non ho… nulla, solo la mia spada che
è al servizio del re.
>>
La regina lo guardò sorpreso per
un attimo.
<< Sapete, somigliate molto
ad Artù quando aveva la tua età. Vostro
padre deve essere un uomo buono come ser Hector. >>
<< O tuo padre.
>>
<< Mio padre non è
un uomo buono. E’ un visionario. Se non avessi
avuto Ser Hector avresti una mente più fragile di quella di
Merlino. >>
A quelle parole, il re si mise a ridere e
si avvicinò a lei per baciarle la
guancia.
<< Potete smetterla, per
favore? Gradirei non avere un altro
fratello. >>
Ser Tor si girò: il principe
Mordred era comparso con un fagotto in mano
che sembrava molto simile a un neonato.
Il re gli si avvicinò e prese
quello che era davvero un bambino tra le sue
braccia.
<< Fa troppo freddo. Non
vorrai farla ammalare. >>
Detto questo, il re rientrò con
passo felpato dentro il castello, seguito
da un Mordred dall’aria apprensiva.
Ser Tor e la Regina Morgana rimasero dunque
soli.
<< Stavamo dicendo?
>> gli chiese lei << Oh! Giusto! Sei di
guardia. Posso farla con voi? Ho bisogno di prendere un po’
d’aria. >>
<< Sarà un onore,
mia regina. >>
Per il resto del tempo, i due non
proferirono parola e col passare delle
ore Ser Tor avrebbe giurato che al fianco non ci fosse una leggiadra
creatura
dalla bellezza irreale, ma un guerriero di lungo corso. La Regina di
Avalon era
semplicemente affascinante, ma non come lo era la regina Anne, lei
era… come Re
Artù. O forse no, era ancora altro.
<< Posso farle una domanda?
>> chiese con tutti il coraggio che
aveva in corpo quando smontò di guardia e la Regina con lui.
<< Chiedete pure, non vi
ricorderò di avermene appena fatta una.
>> rispose lei con un mezzo sorriso.
Ser Tor si chiese per un momento se lo
stava prendendo in giro, ma decise di soprassedere.
<< Mi chiedevo…
che… differenza c’è tra… le
genti di Avalon e quelle
di… Camelot. >>
Lei lo guardò con sorpresa.
<< In che senso?
>>
<< Beh… ho sentito
dire… delle cose sugli abitanti di Avalon e…
>>
<< Non sono tutte vere,
questo è certo. In primis, dovete sapere che
bisogna fare distinzione tra gli abitanti di Avalon: ci sono quelli
dell’Antico
Popolo, come me, e altri che sono nè più ne meno come gli abitanti della vostra gente. Noi
dell’Antico Popolo
siamo identici a voi in tutto e per tutto nell’aspetto
fisico, ma sono le
prestazioni, ma differiamo nelle prestazioni. >>
<< Non capisco.
>> ammise sinceramente il cavaliere.
<< Vedete, io in apparenza
non sembro molto diversa da una donna di
Camelot. Sono alta, ma voi lo siete più di me, ho i muscoli
tonici, ma non sono
più grossi dei vostri… i miei occhi non sono
più grandi di quelli di un altro individuo che conoscete, ma… i miei muscoli rendono molto più di
quelli di un qualunque cittadino
di Camelot, i miei occhi vedono meglio dei vostri, al buio, il mio
udito riesce
a cogliere un sussurro… là, guardate vicino al
protone laterale del bastione. Cosa
vedere? >>
<< Io… nulla.
>>
<< Nulla? In vero, ora nemmeno io,
ma so che c’è una guardia con la sua
giovane sposa. Lei è arrivata mezz’ora fa
perché non resisteva alla lontananza.
Devono essersi sposati da poco. Ora si stanno salutando. Ecco, guarda.
Vedi la
figura col cappuccio che si sta allontanando? È lei. Spera
di non farsi
scoprire o il marito prenderà un ammonimento. È
molto dolce: solo ora ha
focalizzato del rischio che hanno corso. >>
Ser Tor rimase interdetto.
<< Ho un ottimo udito.
Così come la vista: potrei dirvi il colore dei
suoi capelli. La mia forza fisica è superiore
perché i miei muscoli sono più
reattivi. Noi dell’Antico Popolo abbiamo
più… connessione con l’energia del
Creato, si può dire…? Sì, diciamo
così che va bene. >>
Il giovane uomo rimase in silenzio, senza
riuscire a mettere del tutto a
fuoco quello che gli era appena stato detto. Se avesse dovuto essere
sincero,
non aveva capito molto.
La Regina si congedò con un
sorriso e Ser Tor tornò nelle sue stanze pieno
di pensieri.
Non ebbe più occasione di
parlare con la consorte del suo sovrano e quando
se ne andarono non poté non notare lo sguardo carico di
tristezza di Re Artù e
il sorriso tirato di Mordred che fino all’ultimo sembrava non
voler lasciare
andare il fratellino più piccolo ancora in fasce. Ser Tor
non poté fare a meno
di pensare che fossero tutti una famiglia molto unita e che solo le
circostanze
e i rispettivi ruoli regali impedivano ai due genitori di rimanere
l’uno al
fianco all’altro assieme ai figli.
***
<< Mi spiace che se ne siano
andati. >> disse il giovane
cavaliere al figlio del Re quando lo vide camminare da solo per le mura
del
castello un paio di giorni dopo la partenza dei suoi familiari.
Mordred si girò a guardarlo.
<< Grazie, Ser Tor. So che le
vostre parole sono sincere. Immagino che
anche a voi manchi la vostra di famiglia. >>
<< Sì. Siamo anche
noi un bel numero, tra fratelli e sorelle. Pagherei tutto l'oro che non ho per una sola ora di quel caos familiare. Anche perchè... dopo un'ora credo che ormai impazzirei
>>
<< Davvero? >>
<< Sì, le ultime
notizie che ho dalla mia terra, mi dicono che mia
madre sta per dare alla luce un altro figlio. Avrà la stessa
età del vostro fratellino, magari diventeranno cavalieri di Camelot assieme.
>>
Mordred aggrottò la fronte senza
capire, come di solito faceva per le
battute di Agravaine.
<< Scusate, ma non capisco.
>>
<< Il bambino che tenevate
sempre in braccio, non è vostro fratello?
>>
<< No. Quella era mia figlia,
Coventina. >>
<< Come? >>
<< Sì,
io… >> Mordred sembrò indeciso
sulle parole da usare <<
Quando sono partito sono tornato ad Avalon in occasione della sua
nascita. Poi con
sua madre, abbiamo deciso di partire per mostrare al re mio padre sua
nipote e
con noi si è mossa tutta la corte, essendo… beh,
bisognosa di attenzioni. Ora però
sua madre deve riprendere il suo ruolo come sacerdotessa ad Avalon
e… non
poteva certo rimanere qui. >>
<< Tua figlia.
>>
<< Sì, mia figlia.
>>
Ser Tor rimase in silenzio per qualche
istante.
<< Tua figlia.
>>
<< Tutto bene…?
Ser Tor? >>
Sì, Ser Tor sapeva che sarebbe
andato tutto bene. Ma in quel momento aveva
una gran voglia di prendere a calci il figlio del re. Non sapeva
esattamente perché,
ma sapeva che lo avrebbe reso incredibilmente soddisfatto.
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