Suryan - l'occhio della Strega

di Testechevolano
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***
Capitolo 4: *** III ***
Capitolo 5: *** IV ***
Capitolo 6: *** V ***
Capitolo 7: *** VI ***
Capitolo 8: *** VII ***
Capitolo 9: *** VIII ***
Capitolo 10: *** IX ***
Capitolo 11: *** X ***
Capitolo 12: *** XI ***
Capitolo 13: *** XII ***
Capitolo 14: *** XIII ***
Capitolo 15: *** XIV ***
Capitolo 16: *** XV ***
Capitolo 17: *** XVI ***



Capitolo 1
*** Prologo ***




Suryan
l’occhio della Strega



Era una notte d'inverno, quelle che senti proprio dentro le ossa, quelle che portano il freddo anche dentro le case, nonostante i camini e le stufe accese. Quelle che se ti sporgi dalla finestra con una tazza fumante, ti penti di averlo fatto, perché non senti quella magia, perché c'è troppo freddo e il freddo ti è entrato dentro.
Mentre nevicava una donna era fuori dalla finestra e tra le braccia aveva una bimba avvolta in una coperta rosa; quando camminava lasciava profonde impronte sulla neve, alta e morbida.
A tentoni si appoggiò ad una porta grande e scura, era una chiesa.
Una croce era disegnata e levigata su tutte e due le ante.
Sembrava che un angelo fosse sceso in picchiata e con uno scalpello avesse fatto una linea lunga verticale, e successivamente un artista avesse completato l'opera, in modo più pulito, ma non magico.
Fu allora che le venne l'idea di darle una possibilità, di non ucciderla; la sua piccola e bella bambina.
Non la lasciò davanti al portone come si fa solitamente nei film o nei casi di abbandono, ma la donna bussò freneticamente sul grosso portone.
Sembrava che quella croce le volesse cadere addosso, ma era solo un'incisione, non poteva. Ma la donna sentiva che se avesse potuto, l'avrebbe già schiacciata, sarebbe stata la sua giusta punizione. Se lo meritava.
Una suora aprì, e vide la donna che a stento si reggeva in piedi con un fagotto tra le braccia.
Era minuta e giovane; si intravedeva qualche capello biondo fuori dal velo; gli occhi blu e sgranati, come quando vedi qualcosa che non avresti mai voluto vedere ma che ce l'hai davanti e non puoi scappare, perché vuoi anche rimanere lì ad ammirare.
Una scena che non dimenticherà mai. Gli occhi castani della donna sembravano specchi incolori, abissi trasparenti di disperazione e terrore, terrore puro.
- Prenda la mia bambina, gliene prego, la prenda.
La donna sgomenta da quella visione non fiatò e lentamente sporse le braccia per prendere la bambina troppo silenziosa; non aveva sentito nemmeno un grugnito.
Ebbe la paura di prendere un neonato già morto tra le braccia, ma quando la soppesò sentì il calore e il respiro profondo. Fece un sospiro di sollievo e tornò a guardare la donna.
- La uccideranno se sapranno mai che vive ancora. - La donna tremava e i lunghi capelli neri le scesero sul viso, come ad accarezzarglielo, a rassicurarla.
- Perché non l'ha semplicemente lasciata dietro la porta? - fu la prima volta che la suora parlò, mentre aveva iniziato a dondolare la bambina.
- Perché.. voglio sapere cosa ne farete. Vi prego, ditemelo.
La suora rimase un po' in silenzio, poi si pronunciò in tono solenne: - Probabilmente diventerà una suora, o la adotteranno. Ma l'ultima è poco probabile. Sa, di questi tempi... come si chiama?
La donna iniziò a tremare più forte; trascinando stancamente le vesti, si avvicinò alla suora e la sua bocca sfiorò il suo orecchio pronunciando un bellissimo nome che si perse nel gelo della notte.- Addio, mia piccola bimba. Ti prego di perdonarmi. Non la chiami così, mai.
La suora la guardò disorientata e chiese spiegazioni cullando il caldo fagotto.
-È il nome di mia madre. Sapere che sarà per sempre il suo renderebbe il mio dolore solo più grande.
Fece un ultimo cenno alla suora e scappò velocemente, come se la neve e il freddo non fossero più un problema, come se di problema ne avesse solo uno, e quel problema era tra le braccia di quella suora.
La donna chiuse le grandi porte e con la bimba tra le braccia sentì il mondo pesarle addosso.
Non era la prima volta che qualcuno abbandonasse il proprio figlio in quella chiesa, che comunque in cento anni si era ampliata e diventata un monastero, ma quella volta era diversa.
Non riusciva a dimenticare gli occhi della madre, di quella donna magra, forse pure denutrita, di quella paura. E di quell'atto di incoscienza: perché non l'aveva semplicemente lasciata dietro la porta?
Tutti sapevano che fine facevano i bimbi lì, non poteva essere quella la vera motivazione.
E poi chi la cercava? Il padre non la voleva? Era un uomo sposato che aveva avuto una relazione extraconiugale e aveva minacciato la donna di uccidere la bambina?
- Piccola, buongiorno, hai fatto una bella dormita.
Il fagottino si mosse e puntò i grandi occhi chiari sulla suora e inclinò la testa, come se capisse le sue parole.
Ma non poteva, non aveva più di due o tre mesi.
Aprì la bocca e uscì un gridolino; si rabbuiò e urlacchiò ancora, al quinto urletto rise, rise piena di gioia.
La suora se ne innamorò all'istante e decise che il suo nome sarebbe stato Suryan, nome del Malaya che significa sole.


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Capitolo 2
*** I ***




I


La neve si poggiava leggera sul suolo marmoreo, imbiancandolo nel modo in cui i pasticceri di Osternia solevano glassare la panna sulle gustose opere atte a soddisfare il bisogno di dolci dei tanti abitanti di quella città.
Le ville più lussuose facevano bella mostra di sé per mezzo del materiale modellato con cui i padroni avevano fatto rivestire i muri, allora indice di ricchezza. Quegli stessi nobili, per la verità, non erano trai cittadini più umili e caritatevoli, ma conoscevano il modo di fare per guadagnare appoggio e simpatia dai veri signori di Osternia, coloro che abitavano e gestivano il monastero più antico e grande della valle, situato su un'altura poco distante dai primi centri abitati.
Il monastero suscitava ai più un misto di curiosità ed inquietudine per via del suo vetusto aspetto, destando nei turisti il sospetto che potesse non reggere a lungo. La struttura era tuttavia forte e resistente, costruita su solide basi cento anni prima della fondazione della città, che allora non aveva nome ed era talmente piccola da essere poco popolosa, tanto che gli abitanti potevano dirsi poveri e poco istruiti; si lasciavano infatti trasportare dalla corrente prodotta dalle mille voci che giravano intorno a quei luoghi, identificandoli come tanti, piccoli rifugi di streghe.
La presenza del monastero era fondamentale e il suo ruolo, prima ancora di istruire giovani suore prima che esse venissero mandate nei conventi, era quietare l'animo degli abitanti di quei misteriosi luoghi, tenendo lontano le presenze maligne tanto decantate tramite le suppliche e le preghiere di chi lo abitava.
Suryan aveva provato più e più volte a percorrere tutto il perimetro del monastero in un giorno, crollando ogni volta ad un passo dalla fine. L'arredamento non era stato cambiato dalla fondazione e risentiva ancora di quel poco che metteva a loro agio le giovani: un ambiente caldo e accogliente, con pareti chiare e i divani beige sopra cui giacevano morbidi cuscini. La distrazione è peccato, diceva sempre la Superiora, aspirare ad avere di più di ciò che si ha rende le persone vuote e chiuse, oltre che viziate.
Suryan non aveva mai aspirato a niente né aveva mai pensato ad un cammino diverso da quello tracciato dal Signore per lei; Gli era grata e devota. Un tetto era un lusso che molti non potevano permettersi in tempi di carestia, ragion per cui la mattina, quando sistemava accuratamente i capelli castani nel velo, ringraziava per tutto ciò che aveva e che mai avrebbe voluto perdere.
Un pomeriggio di inverno inoltrato, si ritrovò a passeggiare per il dormitorio in direzione della sua stanza un'ora prima della sua solita entrata.
Natale era vicino e per il monastero iniziavano a diffondersi cori di voci soavi, appartenenti alle suore che si esercitavano prima del tradizionale concerto di Natale. Suryan, nonostante le continue pressioni di Judit, non si era minimamente interessata alle attività del coro, continuando a pregare per conto proprio, chiedendo un felice e sereno Natale.
Quando aprì la porta che dava accesso alla sua camera, vide la suddetta amica sventolare per aria mantelli neri e marroni con la solita aria impacciata. Come ella varcò la soglia, gli occhi grigi della diciottenne Judit si posarono su di lei, supplichevoli.
- Suryan, prendimi il manto nero.
Il suo tono, tuttavia, aveva ben poco di supplichevole. Suryan conosceva bene l'amica e sapeva quanto fosse goffa ed impacciata, difetti che sembravano futili quando iniziava a cantare. Le due condividevano la stessa stanza, sebbene Suryan fosse più piccola di tre anni; si volevano molto bene, contavano l'una sull'altra, pregavano sempre allo stesso orario, si scambiavano rosari e consigli spirituali. Erano cresciute insieme e insieme avevano affrontato quello che era il massimo pericolo all'interno del monastero: l'ammonimento della Superiora, che faceva sentire il suo peso quando Judit ne combinava una delle sue e si trascinava dietro Suryan.
Sorridendo mentre pensava a quanto fosse fortunata ad avere nella sua vita una persona come lei, la bruna si sporse e inclinò la testa verso l'alto per prendere il giaccone dell'amica, facendo cadere il velo scoprendo così i suoi capelli castano scuro. Subito raccolse il velo per coprirsi, si sentì nuda.
- Judit, tieni - le porse il cappotto mentre armeggiava col velo.
Judit, nonostante fosse contro le regole, aiutò Suryan a sistemarsi. Nessuna delle due proferì parola: sapevano che la vera arma per mantenere un segreto era quella di non farne addirittura parola neanche fra di loro.
- Sicura di non voler venire, Suryan? - le chiese appena ebbe finito di sistemarla.
- Ecco, preferirei non varcare le porte del monastero, non mi piace, odio stare fuori da qui - e aprì le braccia goffamente come a voler racchiudere l'intera struttura.
- Lo capisco, ma credo che la nostra presenza per le strade potrebbe spingere altre ragazze a venire da noi, a dichiararsi a Dio.
Suryan soppesò le parole e poi disse: - Hai ragione, Judit. Vengo con te.
Le due si scambiarono un'occhiata complice aggiungendo lo sfregamento di naso. Fuori da quella porta dovevano chiamarsi Suor Judit e Suor Suryan.
Suor Judit e Suor Suryan uscirono con calma dal monastero dopo aver avuto il permesso della Maggiore Elisabeth. Superate le abitazioni modeste che davano accesso alla parte più bella della città, avanzarono in silenzio verso la meta, situata al centro di Osternia, in una piazza ove la statua di un angelo con le braccia aperte come ad abbracciare la chiesa modesta induceva i passanti a fermarsi per ammirarla.
Le due si lasciarono alle spalle un gruppo di fanciulle che esclamava a gran voce quanto la città fosse loro grata.
- Non è a noi che dovete la vostra gratitudine - aveva detto Judit poco prima.
Quando arrivarono di fronte alla statua, Suryan disse: - Hai carisma.
L'altra continuò a guardare avanti, prima di prendere parola: - È un dono lasciatomi dal Signore.
Per la verità, a Suryan quelle erano sempre sembrate parole vuote, non pronunciate con sentimento, come se ogni giorno Judit recitasse una poesia per impararla a memoria e imprimerla a fuoco nella mente. Stava per aprir bocca, ma la venuta di Padre John, il pastore, le impedì di pronunciare quelle parole piene di dubbio.
Il campanile della chiesa dominava la piazza e i suoi rintocchi allo scoccare dell'ora erano sublimi richiami alla vita. Il tempo era la vita stessa e quei rintocchi ne erano i suoi richiami. La piazza si riempì proprio di quei rintocchi, quando egli giunse di fronte a loro. Era un uomo bassino e con qualche ruga al confine del volto ma abbastanza giovane. Era sempre vivace e allegro; egli diceva che era Dio che l'aveva reso felice e lo ringraziava ogni giorno alla fine della Messa, dicendo: "Grazie Dio per me, per essere me". Era un uomo carismatico e sapeva trasportare i presenti con la sua vivacità, non per questo la sua chiesa era una delle più frequentate. Egli organizzava pure viaggi per i ragazzi della chiesa e attività pomeridiane; aveva molto a cuore soprattutto i giovani.
- Padre John! - Suor Judit gli corse incontro felice. Il Padre l'accolse con altrettanto entusiasmo tra le sue braccia. Suryan più cauta e sulle sue gli strinse la mano sorridendo.
- Ragazze mie! Non facevo che pensarvi in questi giorni. Ho un'attività che farebbe al caso vostro: sto organizzando una visita guidata per le cattedrali più grandi del mondo con un sacco di ragazzi della vostra età, che ne pensate? - la sua voce colma di gioia ed entusiasmo fece ridere Suor Judit di cuore.
Suor Suryan la fulminò con lo sguardo e poi si rivolse a Padre John: - Ci dispiace tanto dover dirle di no, dopo aver visto il suo entusiasmo, ma dobbiamo farlo, siamo delle suore troppo giovani per lasciare il monastero, non credo sia conveniente.
Padre John si torturò il mento e poi si illuminò: - Parlerò io con la vostra Superiora, la convincerò. Suor Suryan, in questo viaggio non c'è niente di sconveniente, anzi, potrebbe solo giovare alla vostra cultura cattolica.
Suryan scosse la testa e stava per aprire la bocca quando Suor Judit la interruppe: - Ci faccia sapere la risposta. Noi domani saremo libere da ogni impegno, veda lei. Grazie, Padre. - Lo abbracciò e si tirò Suryan senza aspettare risposta.
Piccoli fiocchi di neve discendevano fino al suolo, tanto da abbassare la temperatura già compromessa dal giorno in cui iniziò a tuonare così rapidamente da non lasciar dubbio alla gente che l'inverno fosse giunto come un angelo vendicativo brucia la Terra senza che gli abitanti abbiano il tempo di realizzare ciò.
- Ma che ti salta per la testa? - la voce di Suryan era stizzita. Passeggiavano per le stradine sotto gli occhi vigili dei paesani, che le guardavano in segno di dispiacere. Pensavano forse che avevano una vita segnata e piena di vuoto?
- Tu non capisci, sarà un'esperienza fantastica!
Suor Judit esclamò a voce troppo alta e delle donne dai capelli corti con delle lunghe gonne colorate sghignazzarono, avevano di fianco dei bambini di circa sei anni che le tiravano e piagnucolavano stanchi. A Suryan non sfuggì lo sguardo divertito di un ragazzo dai capelli rossi in direzione della mano di Judit che stringeva la manica del suo giaccone.
- Non comportarti come una semplice ragazzina stupida! - sbraitò inferocita per le parole dell'amica. Lei non capiva niente? Lei capiva fin troppo, Judit si sarebbe persa con quel viaggio, era già un po' fuori di testa. E non poteva permetterlo.
- Qui la stupida sei solo tu! - la voce di Suor Judit tremò, mentre svoltarono l'angolo quasi davanti al monastero. Le veniva da piangere ma non poteva farlo.
Judit. La ragazzina che aveva insistito, anni prima, che a Suryan venisse assegnata la camera che avrebbe condiviso con lei; e che poi osservava sempre, di nascosto, la notte mentre con un gesto violento si strappava il velo di dosso gettandolo per terra, scoprendo i boccoli mori; che rimirava il paesaggio innevato fuori dalla finestra come se si aspettasse che qualcuno la venisse a prendere.
L'indole ribelle della compagna non era una novità per Suryan, che la studiava spesso, di nascosto. Riteneva che se voleva andare avanti in quel monastero e in quella vita non doveva costruire castelli di sabbia aspettandosi che rimanessero laddove li aveva costruiti per sempre. Perché la sabbia il vento se la porta via e si sgretola alla sua forza.
- Bene, la Superiora non ci concederà nessun permesso, problema risolto.
Judit la guardò con tristezza e con gli occhi lucidi si voltò verso il basso e tra di loro non volò più una parola. Nemmeno al rientro al monastero, la sera, si diedero la buonanotte, come loro abitudine.
Avevano fatto il loro ingresso silenziosamente nella camera che condividevano e si erano semplicemente preparate per la notte.
Suryan non riuscì a chiudere occhio fino all'alba, quando la fioca luce che penetrava dai piccoli squarci di nuvole arrivò a dare colore all'ambiente circostante. Non aveva nemmeno assistito al gesto ricorrente di Judit, che quella notte non si era nemmeno voltata; chiunque avrebbe pensato che fosse placidamente addormentata, chiunque che non fosse Suryan.
Chiuse gli occhi solo quando i pensieri si arrestarono e la mente fu libera di vagare, proiettando immagini di luoghi sconosciuti e permettendo che ella udisse voci poco cristalline, tante in un un'eco lontana, dove solo una, tra due lingue di fuoco, seppe emergere dandole chiara visione.
"Hidden!"
Gli occhi di Suryan si spalancarono sul soffitto bianco e il corpo fu percorso da brividi. Avvertì un lieve dolore alle cosce e ai piedi, si rese conto di respirare affannosamente.
Si tirò a sedere massaggiandosi la fronte, appena sopra le sopracciglia scure, e si sentì strozzare. La schiena fortunatamente non le doleva, ma un leggero mal di testa peggiorava la condizione in cui si trovava. Si tolse rapidamente il velo scoprendo i filami castani sudati ed incollati in parte al collo, dove era situato l'atlante.
Sospirò e si rimise supina, chiudendo gli occhi. Cosa aveva detto, quella voce? Non riusciva a ricordare la parola proferita, ma la disperazione nel tono che il suo possessore aveva messo non l'avrebbe mai scordata. Cadde in un sonno senza sogni.

- Suor Judit, Suor Suryan, svegliatevi - la voce pacata di Suor Caroline svegliò le ragazze che la guardarono con aria interrogativa, erano le sei del mattino.
- È successo forse qualcosa? - Suor Suryan scostò le lenzuola bianche e si alzò in piedi, facendo strisciare la sua lunghissima camicia da notte azzurro chiaro.
Aveva dormito mezz'ora soltanto, brutto proposito per iniziare la giornata.
- Non saprei, Suor Suryan. La Madre Superiora vi vuole nel suo studio.
Le due si vestirono di fretta sotto lo sguardo vigile di Suor Caroline.
Portava l'abito sacro in modo elegante e serio, Suryan ne invidiava la dolce serietà che metteva in tutte le cose. Era stata Suor Caroline a trovarla abbandonata dietro il portone del monastero. L'aveva sentita piangere e l'aveva presa con sé. Questo è quello che le raccontava ogni volta che ella avesse un attimo di curiosità del "prima".
Judit sembrava ben riposata, nonostante Suryan avesse ben capito che non aveva dormito nemmeno la sua compagna. Quella ragazza era piena di misteri.
Arrivarono davanti la porta dello studio, stanza che veniva utilizzata per i colloqui per le adozioni, interazioni varie con il monastero e molto altro.
- Avanti, entrate.
Le due ragazze fecero un cenno col capo in segno di saluto e si accomodarono sulle sedioline poste davanti la scrivania, anch'essa in legno.
La Superiora stava dall'altra parte della scrivania, le mani congiunte e la schiena dritta. Appena poche ciocche bionde sfuggivano dalla gabbia che era il velo.
- Ieri sera, sul tardi, ho ricevuto una chiamata - scrutò le ragazze, in cerca di colpevolezza. Non ne trovò.
Annuì soddisfatta e disse: - Partirete insieme al Padre John.
Suryan aprì la bocca per replicare il suo disappunto ma poi si volse verso l'amica e vide la gioia nei suoi occhi grigi.
- Credo.. sia un'ottima idea. - Suryan si sforzò di esserne entusiasta e nel frattempo mostrando serietà. Era una gita seria, i divertimenti non erano ammessi.
La Superiora annuì e invitò Judit ad esprimere la propria.
- Io.. sì, è un'ottima esperienza. - Tremava ed era disorientata. Chissà per cosa, per la reazione di Suryan o per il permesso accordato dalla Superiora?
- Andrà bene, Suor Judit, stia tranquilla - la Superiora prese la sua reazione per incertezza, equivocandone la stessa.
Suryan annuì ed entrambe si alzarono all'uniscono per poi lasciare la stanza, solo dopo dieci minuti di colloquio.

Il vento aveva smesso di ululare quando Beatrix era entrata, coperta di neve dalle ginocchia al copricapo, mentre l'orologio aveva battuto mezzogiorno.
Si ritrovò seduta dalla parte esposta del bancone con in mano un bicchiere in cui era stato versato, minuti prima, il suo amato e venerato whisky. Liberò i capelli corvini dal cappello di stoffa e lo gettò su uno sgabello poco distante, marcando il territorio. Jalice, dall'altro lato del bancone, osservò quel gesto con espressione curiosa e divertita, puntando gli occhi chiari in quelli scuri di lei. Adorava osservarla. Lo faceva ormai da anni.
- C'è qualcosa che vorresti dirmi, 'Lice? - sorseggiò il whisky in tutta calma, aspettando la sua risposta.
Era la solita domanda che Bea rivolgeva all'amica, quando ella la guardava, era ormai un rituale per loro.
La rossa ridacchiò prima di posare il bicchiere che era intenta a strofinare con un panno umido, dandole non esattamente una risposta: - Dovresti guardarti allo specchio: hai delle occhiaie spaventose!
La corvina, tanto per cambiare, non seguì il suo consiglio e continuò a bere. Jalice era la figlia del proprietario di quello che chiamavano "Pub", sebbene delle volte venissero serviti piatti che in un normale pub gli allegri buongustai si sarebbero sognati e fosse aperto anche di giorno. Quella baracca malmessa stava in piedi grazie a non si sa quale magia e Beatrix non mancava di ricordare all'amica che avrebbe dovuto far pressione al padre che facesse radere al suolo quel postaccio ed infine aprire un'attività più sicura e che prevedesse meno bicchieri frantumati.
Se solo la famiglia di Jalice non fosse stata tanto affezionata a quel discutibile luogo, i suoi consigli sarebbero stati ben accetti.
La padroncina si portò una ciocca rossa dietro i capelli e i suoi occhi azzurri si persero oltre il bicchiere che aveva davanti. - Tuo cugino non è più venuto, sta forse male?
Il bicchiere che Beatrix teneva in mano venne violentemente sbattuto sul legno. L'artefice di quel gesto lanciò uno sguardo iroso all'amica, che tuttavia non cambiò espressione.
I cuoricini e le stelline che penzolavano dal soffitto presero a muoversi, annunciando l'arrivo di un cliente. A conferma della presenza di un nuovo ospite, la porta d'ingresso venne sbattuta violentemente e una voce si levò al di sopra delle altre: - Un altro attacco, questa volta in Migher!
L'intero pub si volse verso l'uomo che aveva gridato, basso e pure brutto, a parer di Jalice.
Beatrix ordinò un altro bicchiere, quando il tipo ricominciò a parlare, seguito da sussurri e mormorii increduli: - Non era un esercito compatto, i soldati erano sparsi intorno ai confini della città. Duecento morti, quarantatre feriti.
A Jalice cadde la caraffa dalle mani. Il pub si riempì di voci alterate, disgustate e terrorizzate.
- Stanno venendo qui!
- Chiameranno anche noi alle armi!
- Noi non siamo come loro, chi ci vuole?!
- Volevano un pretesto per ucciderci, eccolo qua!
- Bea! - esclamò Jalice vedendo l'amica alzarsi ed afferrare cappotto e cappello.
L'altra non si scompose al richiamo dell'amica e avanzò verso la porta facendosi strada trai corpi scossi da brividi d'orrore delle persone presenti.
Chiuse la porta alle spalle e avanzò nella neve, affondando le mani nelle tasche.

- Suryan, non abbiamo tutto il giorno - le ricordò Judit, oltre la soglia della loro stanza.
Suryan era ferma davanti al letto, sembrava incerta. L'idea di uscire dal monastero non le era piaciuta prima e non le sarebbe piaciuta dopo.
Guardò in direzione dell'amica, scoprendo che la sua espressione era quella di una tipica ragazza impaziente. Tirò un sospiro, memore della solita condotta di Judit, e pregò che tenesse un atteggiamento decoroso quantomeno dinanzi i più giovani.
Judit si grattò il naso con le unghie rigorosamente corte, prima di allontanarsi dal luogo ove rischiava di far radici aspettando la fin troppo riflessiva amica. Si fermò di fronte alla grande vetrata che dava sul cortile interno, ammirando il vetro blu e quello rosso che da terra arrivavano a toccare le ali di un angelo dorato.
Quella notte aveva fatto un altro incubo. Era il terzo in una settimana e non prometteva bene. Il primo l'aveva scossa, ma non preoccupata, in quanto aveva creduto che fosse stata la proiezione di un pensiero brutto ma che mai sarebbe divenuto realtà. Ella era in piedi, al centro di una stanza buia, i capelli liberi dal velo e i vestiti stropicciati e rovinati in alcuni punti; la pelle candida era macchiata di sangue e stringeva un pugnale con la mano destra; un'ombra le parlava, dall'angolo della stanza.
"Non tornare."
Si massaggiò la fronte e guardò il viso dell'angelo. Sembrava ridere di lei.
Il secondo sogno l'aveva inquietata maggiormente: premuta contro una parete lurida dal corpo di una donna, la lama di un coltello puntata alla sua gola e il dolore che si spandeva per il corpo.
"Dove sono quella puttana e quel verme?!"
Si lasciò sfuggire un sospiro. Quella notte aveva dormito poco e le era bastato, ma avrebbe di certo preferito stare sveglia alla sorpresa che la notte le aveva preservato.
La statua dell'angelo che si trovava al centro della piazza bruciava trascinando al suolo l'intera città; il cielo notturno era coperto da nubi di fumo ed urla di terrore fracassavano i suoi timpani; un solo corpo di uomo si trovava in piedi di fronte a lei e lo sguardo era fermo sul suo, di corpo, accasciato per terra.
Occhi azzurri e taglienti come lame del cielo, armi del Paradiso in grado di perforare un diamante.
"Vieni con me all'Inferno."
- Andiamo?
Al richiamo di Suryan, Judit sobbalzò, rendendosi conto di aver trattenuto il respiro.
L'amica la guardava con aria interrogativa, gli occhi cangianti che quel giorno avevano abbandonato il grigio scuro, in confronto a quello chiaro dell'amica, e avevano iniziato a luccicare di verde.
- Nel caso te lo stia chiedendo, e so che te lo stai chiedendo, non stavo pensando a nulla di osceno né tantomeno di riprovevole o frivolo!
Suryan in modo un po' ostile rispose: - Io non ti ho chiesto di rivelarmi i tuoi pensieri.
Mossa dall'acidità dell'amica Judit parlò: - Perché l'hai fatto?
Suryan fece finta di non capire. Non voleva mostrare a Judit quanto valesse il loro rapporto per lei, né che cosa era disposta a rinunciare per fare pace. Sembrava un ragionamento così infantile e sentimentale che fece sentire Suryan a disagio.
- Perché non hai detto che non volevi andare? - incalzò Judit, fermandosi in mezzo al corridoio deserto. Era troppo presto per vedere anche solo qualcuno alzato; la sveglia era per tutti alle sette, tranne per la Superiora Elisabeh e la sua fedele suora Caroline, che si svegliavano alle cinque.
- Ho cambiato idea, so poco dei monasteri.
Non la guardò nemmeno e proseguì spedita, iniziando a macinare distanza da Judit. Ma non per questo, girando l'angolo, non vide l'espressione di delusione sul viso pallido della stessa.
Quando Judit si riscosse, tornò a guardare la figura della compagna che si allontanava: il passo deciso che la conduceva verso la meta e il velo sfiorato dai lievi raggi del sole che celava la chioma castana.
"Vieni con me all'Inferno."

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Capitolo 3
*** II ***




II


Suryan e Judit uscirono dal monastero portando con sé due piccole valigie. Suryan si guardava in giro spaesata e subito si sentì malinconica: le mancava già la sua casa. Come avrebbe fatto a resistere lontana dal suo mondo per due settimane?
La preoccupazione le solcava il volto che sembrava più vecchio e stanco di quanto avrebbe dovuto essere.
Aveva quindici anni e sentiva che gliene appartenevano molti di più, avvertiva che portava con sé e dentro di sé anni di lotte e mutamenti, giorni lunghi e notti infinite.
Portava sulle spalle un peso di cui non ne conosceva niente.
In fondo era cresciuta nel monastero e si era subito adattata alla sua tranquillità. Anche i bambini che lo abitavano erano di una tranquillità irreale. Sembrava un posto magico, anche solo con uno sguardo riusciva a trasmetterti serenità che ti rasserenava e faceva volare via tutta la frenesia della vita stessa.
Ricordava che da piccola aveva imparato a camminare nel corridoio principale. Suor Caroline si metteva spesso di fronte a lei e la incitava a correre e, quando cadeva, la obbligava a rialzarsi. Una volta le aveva detto: "no, Suryan, smetti di piangere! Alzati e corri!", e Suryan, come imbambolata dalla sua voce, aveva fatto esattamente ciò che le era stato ordinato.
Era stata una bambina così sveglia e intelligente che aveva messo in soggezione tutti, ma allo stesso tempo era riuscita a farsi amare.
Crescendo i suoi obblighi erano aumentati e di conseguenza la sua indole era andata a sciamare verso qualcosa di più pacato e religioso.
Judit era entrata nel monastero per la prima volta a otto anni. Era stata una bambina fin da subito molto strana, non stava ferma un secondo e non ascoltava nessuna regola, il viso sempre malinconico e gli occhi persi nel vuoto; per questo motivo nessun bambino voleva averla come amica; sarebbero finiti tutti nei guai, per la sua poca disciplina, e allo stesso tempo incuteva timore: era qualcosa di troppo diverso nella solita e uguale normalità.
E quando Judit l'ebbe iniziato ad intuire, aveva cominciato ad avvertire la tristezza di quel posto, ella era stata mandata lì per disgrazia, non ci era mai voluta proprio stare.
La madre di Judit era rimasta incinta di un uomo sposato che le aveva dato dei soldi per abortire e non tornare mai più. La madre di Judit, Nora, nonostante la sua giovane età, aveva preso i soldi e li aveva utilizzati per comprare abbigliamento e accessori per il nuovo bebè in arrivo. Avevano vissuto felici per otto anni, quando Nora venne accidentalmente investita da un camion pesante. Nora, tenendo Judit, era stata costretta a tagliare tutti i rapporti, pure con i familiari. Per loro, antichi e di vecchio stampo, era stato un oltraggio, e quando erano stati informati dello sfortunato accaduto, avevano fatto di tutto per non farsi affidare "quella bambina". Così era stata affidata in quel posto gigante e troppo diverso da lei.
Suryan le si era avvicinata per caso, era inciampata e aveva cercato Suor Caroline per un abbraccio, e Judit l'aveva aiutata nella ricerca. Quando l'ebbero trovata, Suor Caroline aveva abbracciato entrambe e allo stesso tempo aveva ordinato di tornare nella sala comune.
Le due bambine si erano prese per mano e Judit dopo quel gesto aveva esclamato euforica e con tono che non accettava repliche: - Da oggi in poi sei la mia migliore amica!
Suryan non aveva asserito né aveva contraddetto e quel comportamento aveva scosso la piccola Judit nel profondo: doveva essere sua amica per sempre.
- Padre John! - Suryan si ridestò al suono della voce dell'amica. Si guardò nuovamente intorno e si accorse di essere già arrivata davanti la chiesa del Pastore.
L'intera piazzetta brulicava di voci sconnesse e giovanili, di ragazzi che si spintonavano e di altri più piccoli che salutavano i propri genitori. Guardò questi ultimi con insistenza e per la prima volta nella sua vita si chiese cosa sarebbe accaduto se non l'avessero mai abbandonata o se l'avessero adottata. Sarebbe stata comunque Suryan, al cui nome era affiancata la ancora impropria apposizione “Suor”?
Quella riflessione la fece rabbrividire e sentì anche paura.
Che sciocchezze e frivolezze! Non poteva permettersi di pensare a qualcosa di diverso che poteva avere e sarebbe potuta diventare.
Stava bene con quelle vesti, avevano il suo profumo, o forse era la sua pelle che si era adattata ad esse?
- Suryan! - Judit le sventolò una mano in faccia rischiando quasi di colpirla. Si era completamente persa nei suoi pensieri da non essersi accorta dell'amica che stava cercando di parlarle.
- Suor Suryan, Suor Judit. Sono quasi una suora. - Suryan fece un respiro profondo e ci mise tutta la forza e la convinzione che aveva dentro di sé. Si spostò leggermente il velo e toccò il rosario che aveva al collo e con sorpresa notò che scottava.
- Ragazze mie, sono felicissimo nel sapervi qui! - il Pastore John era seriamente compiaciuto dal fatto e lo dimostrò gesticolando in modo frenetico. Era entusiasta nel vedere tutti quei ragazzi che sarebbero partiti insieme a lui e ad altri, pochi, membri della sua chiesa.
Per lui avere Suor Suryan e Suor Judit era fondamentale: significava avere finalmente un punto d'incontro tra la chiesa protestante, la sua, e quella cattolica, la loro. Amava la pace, lo stare insieme, la solidarietà. Era un uomo buono e sempre ottimista in ogni cosa; nonostante i suoi appena quarant'anni, era anche un uomo saggio che sapeva trattare quasi ogni argomento posto con grande destrezza e attenzione.
Suryan si infastidì un po' per il suo modo esuberante di fare, per averle chiamate "ragazze", ma non mise bocca. Sentiva che c'era qualcosa di vero in quelle parole. Ella era un’apprendista, Judit una novizia. Apprendista e novizia ragazze.
Si incamminarono verso la stazione dei treni, tutti vicini, da lontano sembravano una mandria di gente tutta diversa tra loro ma stranamente vicina.
La stazione era un po' vecchia e sporca ma funzionante in tutto. C'era qualche erbaccia che spuntava in mezzo ai binari, le panche che dovevano essere bianche avevano preso col tempo un incerto panna. Qualche crepa era sparsa qua e là, un po' per terra, un po' per i pilastri di cemento. Un grosso orologio era situato su un muro all'aperto, era fermo a mezzogiorno e trentatré.
Il treno che avrebbe fatto il giro delle cattedrali iniziò a vedersi in lontananza. Il suo stridere infastidì i meno abituati e non fece battere ciglio ai soliti pendolari.
Il treno numero seicentoundici delle ore sette e quarantadue era finalmente arrivato al binario tre.
Suryan e Judit, a braccetto, cercando di non far impigliare i loro abiti sacrali, salirono con cautela occupando i primi sedili della carrozza.
I sedili blu erano puliti e lucenti, tutte le carrozze avevano la stessa posizione dei sedili: erano solitamente a gruppi di quattro, due sedili di fronte.
Judit guardò entusiasta il treno, come se esso potesse essere la gioia più grande della sua vita.
Suryan invece era esasperata e il viaggio non era nemmeno iniziato!
- Ma che noioso, suorette! E su, pure in prima fila state? - Una ragazza dai lunghi capelli corvini, occhi scuri come la pece, con al seguito due o tre ragazzi, parlò con supponenza.
Suryan alzò lo sguardo inferocita; come si permetteva quella ragazza?
Mosse le gambe come fossero delle molle per allentare il nervosismo: solitamente funzionava.
- Ti consiglio di farti i fatti tuoi - fu però sorprendentemente Judit a parlare; Suryan la guardò incuriosita. Judit avrebbe amato una tipa come quella ragazza che avevano di fronte.
- Ma le suore possono permettersi di usare questi toni? - la ragazza dai capelli corvini si sedette accanto a Judit, lasciando stare i ragazzi che prima aveva al seguito. Si mise una mano trai capelli leggermente mossi e puntò gli occhi su Suryan che non aveva ancora aperto bocca. Le sorrise come a sfidarla e Suryan stufa alzò gli occhi verso il tetto del vagone, che sarebbe partito entro una mezz'ora.
- Allo stesso modo in cui tu non puoi permetterti di chiamarci a quel modo - Judit storse il naso, visibilmente contrariata. Suryan non sapeva dire se per il tono usato dall'interlocutrice oppure per il fatto che le avesse chiamate..
- Suore? Non mi sembra che voi siate ballerine di un locale a luci rosse - rise la corvina, trascinando, inaspettatamente, Judit in quella risata.
Suryan sgranò gli occhi, prima di dare una gomitata all'amica.
Il viso dolce di Judit si distese con quella risata che solitamente coinvolgeva anche l'amica, ma quella volta non fu così.
- Mi chiamo Beatrix, puoi chiamarmi Bea - porse la mano, piena di bracciali con un ciondolo a forma di occhio, a Judit che puntò i suoi occhi chiari sulla sua mano posta a mezz'aria. Volse un attimo lo sguardo verso Suryan e poi prese la mano di Beatrix.
Fu allora che Suryan parlò: - Judit, cambiamo posto gentilmente.
- Ma perché non lo cambi solo tu? Non dovreste essere amichevoli, voi? - Bea inarcò un sopracciglio e affilò lo sguardo, come a volerla perforare. Effettivamente le venne in mente di usare qualche trucchetto per mettere a posto quella suora, ma si controllò. Doveva essere responsabile una volta tanto.
- Non facciamo amicizia - rispose guardando con insistenza Judit. Lo sapeva! Non avrebbe mai dovuto acconsentire a questa pagliacciata! Che era passato per la testa della Superiora? Era una follia.
- Dai, Suryan, perché no? - Judit la guardò implorante, provava ammirazione per quella ragazza dai capelli corvini, Beatrix. Era quello che aveva sempre desiderato, le piaceva respirare quell'aria, anche solo sotto l'abito che portava con sé mille obblighi. Solo respirare un po', chiedeva solo questo. Suryan però non lo comprese e arrabbiata si alzò per spostarsi lontano ma non abbastanza da non perdere la visuale sull'amica.
Le vide fitte fitte che ridevano e parlavano senza sosta; sentì un nodo allo stomaco. Perché era lontana e Judit non si era girata nemmeno una volta per osservarla? Non le aveva staccato gli occhi da quando si era allontanata!
Scosse la testa amareggiata e sentì come una stretta al cuore.
- Stanno solo parlando, non sta succedendo niente. Suryan, smettila di fare così, va tutto bene. Mica te la porta via - disse a se stessa abbassando gli occhi sul sedile blu. Non se la portava mica via.
La giovane apprendista non riusciva tuttavia a non essere inquieta: semplicemente, non voleva che Judit trovasse una compagnia migliore della sua. Il suo pensiero era sì egoista, ma era dettato da un sentimento molto profondo che le aveva legate negli anni, che non voleva l'amica dimenticasse.
Era strano vederla parlare con un'altra, abbandonare le formalità ed entrare sempre più in confidenza. Le osservò per bene, notando quanto fossero simili. Una strana fitta le tormentò lo stomaco, piegandolo in due, quando formulò quel pensiero.
Judit era forse diversa da lei? Era simile a quella.. Beacosa?
Un moto di rabbia la scosse, un attimo soltanto, per poi essere trascinato insieme al treno, che lasciò la stazione senza che Suryan se ne accorgesse.
- Che significa quella cosa? - domandò Judit a Beatrix, indicando il pendente del bracciale attorcigliato di tante cordicelle nere.
Gli occhi grigi di lei vennero rapiti nuovamente dall'oro - o era rame? - lavorato egregiamente a cui era stata data la forma di un occhio la cui pupilla era stretta e lunga, come quella di un gatto. Le ciglia erano attorcigliate e formavano piccoli cerchi. A chiunque sarebbe parso inquietante, ma trattandosi di Judit, ragazza che trovava affascinante qualsiasi cosa come una bambina curiosa si trova davanti un giocattolo nuovo, l'oggetto assumeva una diversa sfumatura.
Bea sollevò il braccio fino a quando il pendente non fu alla luce del sole mattutino. - Bello, vero? Diciamo che è lo stemma della mia "famiglia".
Un moto di curiosità scosse Judit, che senza star troppo a riflettere, commentò: - Deve essere una famiglia importante, la tua. Siete in molti? - tenendo lo sguardo fisso sull'occhio.
Il sorriso sul volto di Beatrix sfumò poco a poco, lasciando spazio ad un ghigno: - Più di quanto tu possa immaginare.
La suora intuì di dover cambiare discorso. - È d'oro o di rame? - cercò quantomeno una risposta alla sua tacita domanda.
La corvina la guardò come se avesse davanti un alieno. - Ma tu sai distinguere l'oro dal rame?
L'altra scosse la testa, visibilmente irritata.
Beatrix rise, attirando l'attenzione di Suryan, che fino a quel momento non era sembrata presa dalla conversazione, persa com'era nei suoi pensieri. - Non ce lo potremmo mai permettere, del rame, figurati dell'oro! È colorante, niente di più.
Suryan strinse la veste nei pugni per trattenere la stizza che l'aveva messa di pessimo umore nel momento in cui era apparsa quella. Decisamente, quel viaggio non era da fare. Se Beacosa, o come si chiamava, avesse coinvolto a tal punto Judit, l'avrebbe trascinata su una cattiva strada, verso un destino nero e infausto. La cosa peggiore era che non aveva mai visto Judit ridere in quel modo, nemmeno con lei.
Si alzò e si fece strada verso di loro, facendo attenzione al treno in movimento e le raggiunse con uno sguardo a dir poco furente che non sfuggì a Judit, che la guardò con aria interrogativa.
- Judit, dobbiamo parlare.
Bea inarcò un sopracciglio e al contempo incurvò le labbra, movimenti insoliti, che suscitarono nuovamente curiosità in Judit e stizza in Suryan. Un nuovo ghigno accompagnò le sue parole: - Cos'è, ti ho rubato l'amichetta del cuore?
Pugni stretti lungo i fianchi, occhi verdi pronti a far annegare nel loro mare quella ragazza, pazienza che era andata letteralmente a farsi un giro. Suryan aprì bocca per dar voce ai suoi pensieri, per zittire quella vacca, quando una forte scossa le fece perdere l'equilibrio, mandando una sensazione di malessere nel corpo.
Urla spaventate echeggiarono per il vagone, riportandola alla realtà. Era a pochi centimetri da un viso spigoloso e due occhi scuri velati da lieve preoccupazione la osservavano. - Stai bene?
Suryan si ricompose in fretta e si guardò intorno, preoccupata. - Mai stata meglio. Cos'è successo?
Gli occhi di Beatrix guardavano in ogni dove, in cerca di qualcosa o qualcuno. Si soffermarono troppo a lungo dietro Suryan, che impallidì a quello sguardo.
- A terra!
Una luce blu come di un lampo che squarcia la terra quando cade al suolo riempì la visuale di Suryan, che si buttò ai piedi della ragazza urlando di terrore. Tenne le mani intorno le orecchie coperte dal velo e strinse gli occhi come a volersi teletrasportare in qualsiasi altro luogo.
Judit ebbe il tempo di vedere Beatrix che si toccava il dente con un dito e la trascinava verso il suo corpo con l'altra mano che una nube rossa avvolse entrambe. Il fulmine blu scomparve dalla sua visuale nel momento in cui andò a sfiorare la parete gassosa.
Si fece coraggio e guardò oltre la coltre rossastra, mettendo ben a fuoco una figura alta, fasciata da un completo nero e grigio, il petto circondato da una tracolla che dietro teneva insieme una balestra e un'arma da fuoco. Le labbra e il naso erano avvolti in una garza e la testa coperta da un solido copricapo.
Ciò che più colpì Judit fu il pendente a forma di sole tagliato a metà da una linea curva. I raggi di quel sole sembravano avvolgere l'ambiente circostante.
L'uomo sollevò la mano destra, facendo sì che si sollevassero urla. Essa era avvolta di luce fotonica. Sembrava irreale, la mano di un essere non umano. Judit cacciò un urlo e strinse il rosario.
Suryan levò su lo sguardo e guardò Beatrix, oltre la barriera, che gettava per terra l'occhio e lo pestava. Nel momento in cui s'infranse, un fumo giallo l'avvolse. - Mi hanno trovato!
- Non perdiamo tempo: dì a noi ciò che sai e consegnati alla Legge - proferì l’uomo, con voce roca e tetra.
Beatrix lo guardò con astio. - Per far cosa? Compagnia a quel porco di mio cugino?
La mano della figura si levò ancor più su e un urlo fece sussultare tutti. Una ragazzina dai boccoli dorati aveva gli occhi spalancati in una smorfia di puro dolore e un coltello conficcato nella gola. Cadde a terra esanime.
Altri due uomini in nero fecero la loro comparsa sul retro, i corpi attorniati da lampi rossi.
- Bastardi! - urlò Beatrix prima di premere in petto a Judit un pugnale e lanciarsi contro il primo, svanendo dalla sua visuale insieme alla nube rossa.
Nella confusione generale, Judit si buttò accanto a Suryan e le prese il volto sudato tra le mani. Suryan la guardò, ricambiando il suo sguardo atterrito.
In quel preciso istante i vetri delle finestre si ruppero dando accesso ad altri uomini, diversi dai primi. Le loro tenute erano marroni e, con grande sollievo di Judit, al polso avevano legato il bracciale con l'occhio.
- Maledizione, vi sembra l'ora di arrivare?! - sbraitò la corvina, conficcando un coltello che aveva tenuto chissà dove nel petto di un uomo.
Tra le urla e il rumore di lame che affondavano nella carne, Suryan si strinse a Judit, chiedendosi cosa stesse succedendo. Erano lì per un motivo preciso: andare in gita. Una gita dove non v'era nulla di sconveniente, che avrebbe giovato alla loro cultura cattolica.
Judit sollevò lo sguardo e vide un uomo di fronte a loro. Vestito di nero.
Un sedile azzurro fece un volo da dietro e la raggiunse. Judit non poteva voltarsi per vedere lo sguardo incoraggiante di Beatrix, il ginocchio proteso verso di loro reduce dell'incantesimo fluttuante.
La mora fu veloce e afferrò il sedile per spingerlo in petto all'uomo, che fu circondato dai suoi stessi fulmini. Con il cuore in gola e la mente a chiedere perdono per il gesto che avrebbe compiuto, impugnò il pugnale e lo conficcò in grembo al nemico sotto lo sguardo di Suryan.
- Judit - mormorò, gli occhi lucidi e il naso chiuso.
Aveva ucciso.
Judit, la sua migliora amica, la sola presenza che riempisse le sue giornate con i suoi sorrisi, aveva ucciso.
Le mani sporche di sangue e il pugnale grondante dello stesso liquido.
"Ho ucciso. Sei contento?" pensò la mora, rivolgendosi all'uomo del suo sogno. "Volevi che venissi con te all'Inferno, ormai la strada è spianata. In fondo, non ho mai aspirato al Paradiso".
Si sentiva strana, l'euforia muoveva i fili che l'avevano retta per tutti quegli anni, dopo la morte della madre. Era come se tutto il dolore si fosse tramutato in piacere e le venne da ridere. E rise così forte da far indietreggiare Suryan.
Non aveva tuttavia fatto i conti con la realtà che la attorniava, essendosi totalmente staccata da essa per andare in un mondo infuocato.
Un altro si scagliò su di lei e le fece fare un brutto volo. Suryan rimase pietrificata quando vide il corpo di quel tipo schiacciato a quello della sua amica che urlava e si dimenava sotto terribili saette rosse. Il pugnale era proprio davanti a lei, quando un cadavere di ragazzo lo coprì cadendo per terra.
- Judit - la chiamò con voce rotta dal pianto. - Judit.
Si mosse verso di lei, nel bel mezzo della battaglia, senza che si rendesse conto di ciò che stava facendo. Gli arti non rispondevano al suo comando e l'attraevano come un magnete verso una calamita.
Venne strattonata all'improvviso e si ritrovò dov'era prima.
- Che stai facendo?! Allontanati! - Beatrix la stava tenendo stretta a sé e trascinando lontano da Judit.
Suryan le diede una gomitata nello stomaco e la corvina spalancò gli occhi più per la sorpresa che per il dolore, allentando la presa.
Corse come una furia verso le urla agghiaccianti della mora e la vide appena nell'ammasso dei corpi, stava ancora lottando.
Improvvisamente, un uomo in nero si parò tra le due, impedendo a Suryan di raggiungerla. Il terrore la invase.
- Muori!
Un altro lampo sfrecciò in aria e lo colpì. Suryan si girò verso la fante che lo aveva generato, trovandosi davanti Beatrix, la mano avvolta da una luce abbagliante.
Il cure prese a battere ancor più velocemente, ma non disse una parola. Si accasciò per terra e scoppiò a piangere.
Beatrix le fu vicino in un secondo e in un altro accostò la sua bocca all'orecchio di lei, soffiando.
L'ultima cosa che Suryan vide fu la mano di Bea nelle cui dita era posta una serie di anelli. Quello che più la colpì, fu un cerchio con dentro una luna. E la lettera "H".

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Capitolo 4
*** III ***




III


Le orecchie le facevano male e un sordo rumore aleggiava ancora in esse, memori del fischio del treno che annunciava partenza, della voce di Judit, dei fulmini che colpivano, dei coltelli che si conficcavano nella carne. Tanti e indistinti suoni che si sovrapponevano creando il caos più totale.
Le immagini erano sfocate e l'unica scena che le era rimasta impressa aveva come protagonista una figura nera che si buttava contro un'altra abbastanza scura.
Nell'incoscienza non fece il minimo sforzo a ricordare, si concentrò piuttosto ad aprire gli occhi. Le palpebre erano pesanti, più di quanto lo fossero state la mattina in cui si era svegliata con dietro solo mezz'ora di sonno.
Suryan si risvegliò su un vecchio e logoro divano e il freddo la pervase. Quanti gradi c'erano? Quattro, cinque?
Si mise di fianco e si rannicchiò e richiuse gli occhi. Si sentiva ancora stanca.
Appena però riuscì a fare mente locale si alzò di scatto, facendo scricchiolare il pavimento malmesso. Si ricordò di Padre John, della Superiora, della piazza brulica di gente, di Beatrix, del treno, delle luci..
- Judit!
La sua voce uscì strozzata e le si chiusero i polmoni, non riusciva più a respirare; arrancò fino ad un tavolo di legno e iniziò a fare un gran chiasso con la bocca, alla ricerca di ossigeno.
Le girava la testa e gli occhi non volevano saperne di star fissi su qualcosa, in quella che pareva una stanza buia.
All'improvviso una porta venne spalancata infastidendo Suryan negli unici due modi in cui poteva essere punzecchiata la mattina presto: facendo riversare la luce esterna nella stanza tutta in una volta e producendo un rumore assordante sbattendo.
La stessa mano che l'aprì la socchiuse e si posò, con tocco gentile, sulla spalla di Suryan, che però divenne ancor più indispettita al contatto della pelle umana.
- Lasciatemi! - sentiva di dover respingere ogni contatto, si dimenò fino quasi a rovesciare la sedia.
La presenza dietro di lei sbuffò, prima di stringerle le spalle con forza e avvicinarsi per poi posarle un bacio sulla guancia. Il contatto le parve strano, inaspettato. Si sentì smarrita per un istante, poi il cuore prese a batterle e il corpo freddo si riscaldò. Era come se una luce fosse stata accesa dinanzi i suoi occhi per illuminarla. Sentì un lieve calore attraversarle il corpo e piacevolmente lo assaporò. Decisamente, era una bella sensazione.
- Stai bene?
La sua voce pareva calma e tranquilla, sicura di ciò che aveva fatto e del suo esito.
- Sì, mi sento.. meglio. Che mi hai fatto?
Suryan indietreggiò e la guardò terrorizzata, non riusciva a stare calma. Non era una super eroina, non era coraggiosa. Era una normalissima ragazzina spaesata e che aveva iniziato a tremare nuovamente di paura. Judit.
- La mia amica? Dov'è Judit?
La figura si allontanò e si alzò in piedi. Fece una cosa che portò Suryan a coprirsi la bocca: schioccò le dita e tre piccole fiammelle si accesero agli angoli della stanza. Come si era immaginata essa era la tipica stanza di una locanda: da un lato un letto a una piazza e dall'altro un piccolo divano la riempivano ed ella era avvinghiata ad una sedia che stava accanto ad un tavolo in legno che fungeva da scrivania. Ma la sua attenzione era tutta sulla ragazza dai capelli rossi e ricci che le stava di fronte e con la mano ancora protesa verso l'alto.
La rossa la guardò con dolcezza e fece spallucce. Non lo sapeva.
- Come fate a non saperlo, voi? Cosa hai appena fatto? Che siete? Mostri?
Fece per toccare il rosario e si accorse in quell'istante di non portare più l'abito sacro. Aveva addosso una semplice camicia da notte che le arrivava sopra le ginocchia. Fortunatamente aveva le maniche rosa e non le spalline.
Era sconvolta e corse alla postazione di prima: il vecchio divano. Si sedette e si accucciò, non tanto più per il freddo ma per protezione.
- Non siamo mostri, Suryan. Io sono Jalice.
Si sedette accanto a lei e i pantaloncini della rossa si alzarono ancora di più. Suryan era sconvolta da tutta quella nudità.
- Siete dei mostri e pure scostumati! Ridatemi il mio abito! E fatemi parlare subito con Beacosa o come si chiama. Me ne andrò via con Judit e vi denunceremo tutti!
Inaspettatamente, Jalice ridacchiò. Suryan capì subito che la mano davanti alla bocca era un tentativo mal celato di nasconderlo, ma i suoi occhi azzurri erano luminosi e ridenti. La stessa luminosità di quelli di una Judit divertita. Il suo volto si rabbuiò.
'Lice, compreso probabilmente il pensiero della suora, smise subito e si fece seria. Parlò guardando per terra e muovendo gli arti inferiori: - Scusa, è che mi ha fatto ridere il modo in cui tu hai chiamato Beatrix. Io e lei siamo amiche, come te e quella ragazza che hai nominato prima. Capisco quello che provi; se Bea si trovasse al suo posto, io morirei dentro.
Suryan osservò il suo profilo illuminato dalla luce delle fiammelle. I suoi lineamenti erano dolci, ma non abbastanza da farle intendere che fossero rilassati. Era sincera.
- Voglio delle risposte. Dimmi chi sei. - Il suo tono era così definitivo che Jalice non si fermò a pensarci su.
Si girò e vide una ragazza distrutta, nel corpo e negli occhi, che si diceva fossero specchio dell'anima.
- Io non ti mentirò. Ti abbiamo portata qui perché tu hai visto tutto ed ora Bea è sotto con gli altri per decidere riguardo il cancellarti la memoria.
Suryan scattò. - Invece di perder tempo in queste sciocchezze, perché non vanno a cercare Judit?!
Jalice sbuffò un'altra volta, ma non era uno sbuffo annoiato. Sembrava impaziente.
- Lasciami finire. Per te, che sei una suora, sarà un grande shock, ma devi saperlo. Noi siamo streghe.
Silenzio.
Suryan trattenne il respiro fino a quando non finì di parlare. - Non siamo cattive, te lo posso assicurare. Io, Bea ed altre nostre amiche non vogliamo il vostro male.
Allungò un braccio per toccarla ma ella si ritrasse. Jalice fortunatamente comprese che era meglio lasciar perdere e chinò il capo.
Il Signore solo sapeva dove avesse trovato la forza di aprir bocca. - Basta, io vi denuncio tutte! Questa è una gabbia di matti ed io non ho nulla a che fare con voi.
Si alzò ma venne seguita da Jalice, che la fermò quando fu al centro della stanza. - Posso provarlo. Ti prego, dammi una possibilità.
Suryan ricambiò lo sguardo. Non aveva la forza di andare avanti né di opporre resistenza. Decise, per una volta, di non fare la testarda. Incrociò le braccia al seno. - Ebbene?
Jalice sorrise, soddisfatta. Schioccò nuovamente le dita e sotto lo sguardo perplesso di Suryan materializzò una radiolina. La afferrò e la sventolò dinanzi i suoi occhi.
- Ora, prendila!
La appoggiò al ginocchio e le diede un calcio. La radiolina fluttuò dolcemente fino a finire nelle mani di Suryan, sempre più sconvolta. La rigirò tra le mani, non notandovi nulla di strano. Guardò 'Lice ed ella scrollò le spalle.
- Non avrai mica pensato che noi usassimo la bacchetta magica per fare incantesimi? La magia ha origine in punti diversi, sparsi per il nostro corpo e fuoriesce da esso quando viene in contatto con oggetti esterni, con la pelle stessa o con determinati pensieri. La materializzazione di un oggetto avviene quando nei hai in mente le fattezze, se le tue dita entrano in contatto. Ho fatto fluttuare quella radio grazie al contatto con il ginocchio. È affascinante, non trovi?
Suryan la guardò basita. Non si sforzava nemmeno di crederle, non aveva la forza di far nulla. Si massaggiò stancamente la fronte. - Perché mi stai raccontando tutto questo?
- Beh, mi hai chiesto tu di farlo e poi, vada come vada, alla fine ti cancelleremo la memoria. - Le rivolse un sorriso.
Suryan non ebbe il tempo necessario di protestare che le mani della giovane furono sull'antennina dell'oggetto che teneva in mano; la drizzò puntandola in una determinata direzione e accese la radio. La bruna non si accorse nemmeno di non tenerla più fra le mani.
"Non ci sono aggiornamenti riguardo il terribile incidente che ha colpito stamane un gruppo di ragazzi sui binari del treno di mezzogiorno..."
La voce che annunciava il fatto avvenuto continuò a descrivere non mancando di riferire dettagli sull'assalto al treno di cui Suryan era stata, seppur contro la sua volontà, protagonista, ma la diretta interessata non stava ascoltando già da un pezzo, precisamente da quando la voce aveva proferito: "incidente".
Quando si apprestò a stilare la lista dei nomi delle vittime, Suryan non potendosi trattenere afferrò con un gesto a tratti violento l'unico punto di contatto con il mondo esterno, il cuore le batté forte in petto. Le sembrò di trattenere il respiro per un tempo lunghissimo, mentre udiva nomi sconosciuti, e tanti. Era stato un vero e proprio massacro, di quelli che non vengono riportati per intero nei film per non turbare l'animo di chi assiste. Si sentì profondamente egoista quando la lista terminò e fu felice che i nomi di Judit e del padre John non fossero riportati tra quelli dei morti.
Era il turno dei superstiti, che erano pochissimi. Il padre John fu nominato per secondo, con sommo conforto di Suryan. La speranza cadde del tutto quando il nome della sua migliore amica non fu nominato. Il cuore le martellò in petto e, sotto lo sguardo pensieroso di Jalice, arrossì e gli occhi si fecero ancor più lucidi. L'inquietudine la portò quasi a smettere di respirare, tanta amarezza provava a quella notizia. Disperse, la novizia Judit e l'apprendista Suryan. Quando le vedevano in città, gli abitanti le chiamavano "suore", apposizione che identificava entrambe, che le metteva sullo stesso piano, le teneva insieme. Sentir marcare le loro reali posizioni, quanto in realtà fossero distanti, non servì ad allentare la pressione, ma ad aumentarla, le mani tremarono a tal punto da farle cadere la radiolina, il cui impatto col suolo rimbombò nelle sue orecchie.
Sentì la mano scottare, segno che Jalice l'aveva presa tra le sue. - Andiamo, non ti faremo alcun male.
Senza che Suryan proferisse parola o desse praticamente segni di vita, la condusse oltre la soglia. La luce che illuminava il corridoio investì in pieno i suoi occhi ed ella fu costretta a coprirli in parte con la mano libera. La scala che conduceva al piano inferiore era a chiocciola e molto lunga, sebbene quel posto non desse l'impressione di essere grande; forse era Suryan ad aver mal calcolato la lunghezza, o addirittura che la scala fosse a chiocciola, tanto le girava la testa.
Quando la sua guida arrestò il passo, azzardò a togliersi la mano dal volto e inquadrò una stanza molto grande. Piccoli tavolini erano sparpagliati da un lato, appesi alle pareti volantini che facevano bella mostra di segni contorti, Suryan pensò che fossero rune. Dall'altro lato vi era un lungo bancone, sul quale erano visibili macchinari per il caffè, le bevande e l'alcool; dietro erano disposte sugli scaffali bottiglie colorate, che la luce filtrante dalle piccole finestrelle metteva in risalto, non solo i colori, anche la consistenza dei liquidi all'interno, che non dovevano essere semplici bevande.
Ciò che più colpì Suryan, fu la vista del tetto, dal quale penzolavano nastri sottili che terminavano con un cuoricino o una stellina. Era una vista davvero insolita, se si teneva in considerazione il fatto che intorno ad essi delle minuscole lucine pulsavano come stelle; i nastri non erano rivestiti di esse, ma attorniati, come se fluttuassero.
Ogni cosa risplendeva in quel posto.
- Beh - esordì Jalice, grattandosi il naso. Si girò verso di lei e alzò le braccia al cielo. - Tra poco arriveranno gli altri; nel frattempo, benvenuta all'Hidden Pub!

Beatrix entrò risoluta e seria in volto, quasi sbattendo la porta, i nastri penzolanti ad annunciare il suo arrivo tintinnando come scaccia spiriti; mosse i capelli da un lato all'altro delle spalle e poi si arrese lasciandoli liberi dietro, sulla schiena.
Vide subito Suryan in compagnia della sua amica, entrambe in silenzio ed assorte, sedute la prima su una sedia le seconda su un tavolino. Beatrix aveva visto Suryan per la prima volta quella mattina ma vederla senza abito era irriconoscibile comunque. I capelli castani erano lunghi e fluidi, lucenti. Senza abito riuscì ad inquadrarla in tutto: era alta, snella e non particolarmente formosa, era normale. Un corpo giusto.
Il suo viso incorniciato dai capelli le dava un aspetto magnifico; e per la prima volta Beatrix ammise a se stessa che quel che vedeva era bellissimo. Suryan lo era.
- Beacosa! Dimmi dov'è la mia amica! Pensi di crederti forte perché sai fare qualche giochetto? Vedi che potrei ucciderti - rantolò su quella parola schifata - se volessi!
La ragazza era scattata alla sua vista e il suo volto si era arrossato, così anche la smorfia che le si dipinse in volto fece bella mostra del suo odio.
Beatrix ripensò alla sua bellezza e la rivalutò orripilante.
- Mi fai ridere, non riesci nemmeno a minacciare che ti senti in peccato!
Beatrix fece un profondo respiro frustrato e guardò la sua amica Helga, che stava appoggiata al bancone, i lunghi capelli ramati raccolti in una treccia, anch'ella aveva l'aria che solitamente è propria di una ragazza curiosa.
Suryan però non fece cessare la sua rabbia. Sicuramente, pensò Beatrix scocciata, le invadeva tutto il corpo, la mente e il cuore. Dalla sua espressione, doveva dedurne che non avesse mai sentito così odio in vita sua.
- Tu curi gente e fai volare cose come l'altra tua amica pazza?
Lo urlò facendo, sorprendentemente, sussultare tutti nella stanza.
Romina, Cladius e Joele furono i primi a rimanerne sorpresi. Essi erano Gli Anziani di quella congrega, Cladius era pure il padre di Jalice, ed era rosso come la figlia. Gli altri due Anziani erano imparentati con streghe della Congrega dell'Occhio del nord.
- In realtà il potere curativo è molto raro, soprattutto fra noi mezzosangue. Quindi non sminuire la specialità della mia 'Lice - e le fece l'occhiolino facendo ridere quest'ultima di cuore.
Suryan andò alla carica e fece cadere la sedia per terra, nel tentativo di alzarsi. Bea la vide scattare nella sua direzione e l'istinto le suggerì di bloccarla utilizzando un incantesimo mentale. Gli occhi verdi di lei non accennarono a gelarsi, come quelli di chi veniva pietrificato.
"Fermati".
Le sue mani erano vicinissime alle sue spalle.
"Merda, FERMATI!"
Il suolo freddo provocò malessere al corpo di Beatrix, che subito si massaggiò la schiena che aveva inarcato non appena era caduta.
Come aveva fatto a non fermarsi?
I Tre Anziani si avvicinarono alle due ragazze per dividerle e guardarono Beatrix con rimprovero.
Romina, bassa e minuta, capelli corti e scuri, incuteva timore e disciplina e quando puntò un dito verso Beatrix ella sgranò gli occhi. Nonostante non fosse la persona più calma e disciplinata del mondo, aveva un forte legame con Romina e per amor suo aveva sempre cercato di evitarle guai a causa sua e Romina amava come se fosse sua figlia quella scalmanata; per questo quel gesto la lasciò di sasso: sembrava un gesto qualunque ma non lo era.
Beatrix si sentì sollevare a mezz'aria e Romina parlò: - Mi spieghi che accidenti ti prende? Non devi minimamente toccare un'ignorante! Se vuoi difenderti non la fai avvicinare.
- Romina! Quella non è un'ignorante!
Romina inarcò un sopracciglio ed esclamò furiosa: - Ti ordino di smettere di dire fandonie o ti finirà male oggi.
Jalice, visibilmente preoccupata dalla piega che stava prendendo la situazione, si mise in mezzo pregando Romina di far scendere Beatrix.
- Anziana Romina! Non è così che risolveremo il problema! - Indicò Suryan messa in un angolo tenuta dagli altri due sotto l'occhio vigile e rassicurante di Helga.
- Io non sono il problema di nessuno di voi! Mostri! - protestò quella, irritata.
Beatrix lentamente scese giù e arrabbiata guardò Romina digrignando i denti. - Ho provato a fermarla con la mente, madre. Non si è fermata neanche per un secondo. Dovevo difendermi!
Romina scosse la testa esausta. - Non può fermare i tuoi attacchi mentali, neanche se fosse una strega.
- Tranne se sia una baciata dal Sole o dalle tenebre, preservante del potere d'Origine!
Tutti si girarono verso la voce che aveva esordito con quelle parole. Helga aveva una mano sulla spalla di Suryan, come a rassicurarla, e quest'ultima non ne era per niente infastidita.
Claudius si rivolse all'apprendista del monastero pensieroso. - Corri verso Romina.
Suryan scosse il capo violentemente e urlò: - Voi non potete decidere cosa devo o non devo fare, non so di cosa voi stiate parlando. Io sono una semplice apprendista e voglio tornare a casa mia!
Suryan agli occhi di tutti aveva così tanta voglia e bisogno di piangere che si sforzò – inutile, agli occhi di Beatrix non sfuggiva nulla! – mantenendo gli occhi bassi concentrandosi sui disegni del tappeto che era sparso per tutta la stanza. Era enorme.
- Ti aiuteremo a cercare Judit se ti lascerai guidare da noi.
Beatrix aveva solo intenzione di far vedere a tutti che non era stata lei a sbagliare, era così orgogliosa!
Suryan alzò lo sguardo e annuì, senza pensarci un secondo di più, si girò verso Romina e corse verso di lei. Quest'ultima si concentrò, sforzò al massimo i suoi poteri, ma nonostante ciò Suryan le arrivò ad un palmo dal suo naso.
- Vedi che dovevi fermarmi con i tuoi poteri diabolici!
Suryan sembrò contrariata e stranita.
- Il fatto è che, ragazza mia, io ci ho provato, ma tu non ti sei fermata.
Calò il silenzio per tutta la stanza e Suryan si sbiancò. Era figlia del diavolo, del demonio!? Era un mostro!? A quel pensiero, Beatrix si sforzò di non riderle in faccia. L’apprendista corse verso la sedia e si sedette, prima di arrivare a faccia in giù da qualche parte.
- Suryan, te ne prego, puoi portarci a parlare con i tuoi genitori?
Joele prese in mano la situazione e le si avvicinò, ma rimase a debita distanza.
Suryan non lo guardò nemmeno. - Io non li conosco, mi hanno lasciata dietro la porta del monastero a pochi mesi. Nessuno li ha mai visti. Mi ha trovata Suor Caroline.

Non le sembrava concepibile, stava parlando lucidamente ma dentro di lei sentiva la confusione totale. Ma era così lei, quando le cose le sfuggivano di mano le evitava, faceva finta di niente, come se non esistessero o non le importasse nulla.
Ma dentro lo sapeva, sapeva che c'era un uragano che stava devastando la sua mente e il suo cuore.
Era come il vento che sbatteva le finestre del convento e che puntualmente cercava di chiudere con metodi fai da te. Correva di qua e di là, rifaceva le stesse cose alle stesse finestre, non si sarebbero chiuse bene fin quando la Superiora non avesse chiamato un fabbro.
Ma la Superiora, il fabbro, non l'aveva mai chiamato.
Così era Suryan ad utilizzare metodi fai da te che impiegavano tempo e fatica per niente, perché non aveva mai avuto il coraggio di alzare la cornetta e chiamarlo lei, il fabbro.
Un inquietante silenzio calò all'interno del pub. Beatrix pareva pensierosa, ma Suryan, in cuor suo, sapeva che in realtà era già arrivata ad una conclusione, lo stesso viso della ragazza sicura di sé sul treno.
- Jalice, falle mettere qualcosa di decente; Helga, tu va a chiamare gli altri. Signori miei, conto che voi siate d'accordo sul fatto che debba testare le sue capacità.
Gli Anziani parvero pensarci su, ma poi, dopo essersi guardati, le fecero un cenno col capo. Helga scomparve all'improvviso, sotto lo sguardo stralunato di Suryan, che non perse tempo a farsi futili domande: - Scordatelo, io non testerò un bel niente!
Beatrix ghignò, segno inequivocabile che conosceva il suo punto debole: - Non vuoi cercare la tua amica? Fuori potresti trovarla.
Gli occhi di Bea le lanciavano una tacita sfida, la stessa che aveva lanciato a Judit sul treno.
"Judit.."
Era combattuta: da un lato non voleva cedere e darla vinta a Beacosa, ma dall'altro voleva trovare Judit e provare una volta per tutti di non essere un mostro.
- Andiamo - cedette, ricambiando lo sguardo di Bea. - Ma non ti assicuro che starò buona buonina.
Gli occhi dell'altra si illuminarono per un istante e Suryan li trovò davvero strani. Occhi scuri che luccicavano, forse un incantesimo?
- Ed io non ti assicuro che ti tratterò bene - disse, prima di afferrare il cappotto ed uscire, facendo tintinnare i nastri incantati.


Ecco i personaggi!

Jalice
Papà Jalice
Suryan
Romina
Nora
Suor Caroline
La Superiora
Beatrix
Mamma Suryan, Anna
Padre John
Terzo Anziano

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Capitolo 5
*** IV ***




IV


Appariva sfocata, ma pur sempre occupava la sua visuale, l'immagine di una stanza dalle pareti ocra e i mobili in mogano; dalle finestre filtrava abbastanza luce da illuminare la sagoma che le stava di fronte, che tuttavia non era identificabile con il resto dell'arredamento.
"Judit, vieni qui" la sua voce era ovattata, a malapena riusciva a comprendere ciò che diceva mentre la figura allungava le braccia verso di lei.
Avanzò non sentendo il suolo sotto i piedi, pensando alla scena e trovò che l'avesse già vissuta. Comprese la dolorosa realtà quando sua madre svanì insieme alla luce e lasciò un vuoto incolmabile, accompagnato ad una morsa dolorosa.
Judit era immobile, sola nel suo dolore ed ingabbiata da vesti nere che le coprivano il corpo e non permettevano allo spettatore di ammirare i suoi capelli, che tanto le bambine della sua età le avevano invidiato a scuola.
Non riusciva a respirare né a guardare lo spazio intorno a sé, che si stava riempiendo di nuovo: sapeva ciò che sarebbe successo, dopo aver visto il passato e il presente. Provò a chiudere le palpebre, ma nei sogni anch'esse erano trasparenti.
Con sua grande sorpresa, l'ambiente non era freddo come si aspettava ma la metteva di buon umore, era quasi felice.
Dinanzi a lei, un cavaliere faceva volteggiare una dama da un lungo abito azzurro e dietro di loro un'altra coppia e un'altra ancora. Il salone dorato era pieno di persone felici, spensierate.
Improvvisamente, si mosse. Le parve dapprima molto strano, dal momento che quando sognava il futuro non aveva né la facoltà di trovare qualcosa molto strana né tantomeno quella di muoversi.
Mosse un piede, poi l'altro, iniziò a volteggiare nella stanza accompagnando il passo di danza con le braccia sollevate, distendendole in seguito e facendo un giro del punto in cui era ferma. Sebbene la musica non fosse udibile come sarebbe dovuta essere, non arrestò il passo e proseguì al centro del salone.
Accarezzò il morbido e lungo tessuto verde e si rese conto di avere il collo scoperto: l'acconciatura era alta e ben elaborata, di quelle che sua madre le faceva d'estate.
Non si era mai sentita così libera, in vita sua, come se avesse ali sulla schiena che le permettessero di librarsi per aria e in quel sogno le sembrò proprio di volare attorniata dall'oro e dallo splendore.
La sua mano divenne calda all'improvviso e subito Judit associò quel calore ad un altro corpo. Un braccio lungo e protettivo le circondò la vita e l'attirò verso il petto della persona che la teneva stretta, indubbiamente quello di un uomo.
La guidò in una danza sconosciuta ed ella si abbandonò a lui completamente, provando un senso di familiarità che raramente nella sua vita aveva preso in considerazione. I loro corpi si muovevano all'unisono come fossero uno.
Era così presa, che quasi non si accorse quanto il volto dell'uomo che la teneva da dietro fosse vicino al suo orecchio. Una voce calda, questa volta ben distinta, le sussurrò: "Non dimenticarti di me, principessa."

Le mani toccavano terra come il resto del suo corpo, freddo e immobile. Judit non riusciva a trovare la forza necessaria per sollevarsi o semplicemente stringere con i pugni la sporcizia che l'attorniava.
La sua teoria era quella di esser stata trascinata in un bosco da pazzi schizzati, ma non udiva alcun rumore, nessun fischio d'uccello o richiamo delle cicale. Era in un luogo chiuso, sotto i palmi polvere, non terra.
Tossì procurandosi conseguenzialmente dolore in gola e allo stomaco, le orecchie che le fischiavano e l'impressione di non avere più gli arti inferiori.
Constatò, nel dolore, di essere a pancia in giù e con le braccia intorno alla testa. Boccheggiò qualcosa, nel tentativo di attirare l'attenzione di qualsivoglia individuo: non le importava di essere uccisa, le avrebbero fatto un favore ponendo fine alla sua sofferenza.
Mentre si dimenava, tanti ed indistinti rumori le fecero intuire di non esser mai stata sola, o che se lo fosse stata, presto avrebbe avuto compagnia.
Tirò un sospiro quando si sentì sollevare da forti braccia. La testa dava l'impressione di essere più pesante di quanto in realtà non fosse e le orecchie le fischiavano, tanto che non riuscì immediatamente a distinguere le voci che le si rivolgevano.
Strinse gli occhi procurandosi ulteriore fastidio, come se le palpebre potessero alleviare il dolore antecedente alla morte: l'avrebbero uccisa, ne era certa.
I passi, che si facevano sempre più distinti, confermarono il suo presagio. Chinò il capo e cominciò a rivivere gli attimi più felici della sua esistenza: il suo quinto compleanno, la puledra della madre, la lode del maestro a scuola, l'amicizia con Suryan..
Qualcosa di morbido sfiorò la sua guancia destra e un profondo respiro diede inizio ad uno stato di benessere che fece rilassare il corpo. Judit aprì gli occhi e fu sorpresa nel costatare che non le bruciassero e che la vista fosse perfetta. Le sue gambe erano fasciate dalla stessa gonna nera, che aveva indossato come il protocollo le imponeva prima di uscire dal monastero -chissà quanto tempo era passato da quella mattina, sentiva fossero giorni ed era quasi convinta fosse così-, sotto di esse vi era un pavimento in pietra scura e un po' trasandata, come quella delle catacombe descritte a lezione e di cui aveva visto sfocate immagini.
Si sforzò e guardò dritta davanti a lei le due figure che si stagliavano sullo sfondo di un enorme portone a sbarre. Judit rimase quasi ammaliata dallo sguardo della più alta delle due; in monastero si parlava tanto di angeli acorporei raffigurati come esseri antropomorfi bellissimi e se a Judit fosse stato chiesto come avesse immaginato un angelo antropomorfo, l'avrebbe descritto come la donna che le si presentava davanti.
I capelli biondi e lisci le arrivavano poco più sotto delle spalle: dovevano essere molto morbidi. Il viso di porcellana era caratterizzato da un paio di occhi pallidi, del colore del cielo dopo l'aurora.
Una luce proveniente da un punto indistinto risaltava il colore acceso delle vesti: un vestito giallo semi coperto da un'ampia giacca rosso fuoco, che faceva proprio a pugni con il viso pallido. Al collo brillava l'oro di un sole dai tanti raggi che si spandevano ancor più all'esterno di quelli che ornavano la collana degli uomini in nero.
Judit quasi non aveva fatto caso alla vecchietta che le stava accanto, il viso segnato dagli anni e le vesti simili a quelle dell'altra donna, tranne forse per le strisce dorate che arricchivano il manto rosso e il grande cilindro dei medesimi colori. In mano reggeva uno scettro dorato che terminava con un grosso smeraldo attorniato da aspidi.
Sebbene la vista delle due l'avesse ammaliata, il volto di Judit non doveva aver trasmesso loro il suo stupore, oppure erano abituate, poiché la loro espressione non era mutata.
Lo sguardo duro della bionda si posò su di lei, come stesse guardando uno scarafaggio. - Qual è il tuo nome?
La voce armoniosa che proveniva dalle labbra rosee di lei fece sorridere Judit, un sorriso sprezzante ed esasperato. - E una volta che te l'ho detto, cosa cambia?
La donna fece un cenno elegante col capo ad una delle guardie che -si era resa conto da poco- tenevano su Judit, immediatamente le diede un calcio nello stomaco e le fece sputare sangue. La mora non si diede per vinta e continuò a sfidare con lo sguardo, una volta ripresasi.
- Eri con Beatrix di Osternia, sei sua complice?
La novizia riconobbe in Beatrix la ragazza del treno: era veramente una malvivente! La rabbia s'impadronì di lei quando constatò che avrebbe potuto evitare tutto questo se non fosse andata dietro alla prima persona che avesse incontrato.
No, l'avrebbero presa comunque.
La disperazione quasi la indusse ad urlare, quando la voce le uscì ferma inaspettatamente: - No, l'ho incontrata lì per caso.
Sembrava una scusa, ma era la pura e semplice verità.
Sembrò pensarci su un attimo, valutare se fosse il caso di crederle o meno, poi si rilassò e si volse dall'altra parte. - Bene, uccidetela.
Judit sgranò gli occhi e iniziò a tremare. Sapeva, in cuor suo, che il momento della resa dei conti sarebbe arrivato, ma viverlo ed in piena coscienza era tutta un'altra cosa. Quando la presa delle guardie si allentò, si preparò mentalmente, ma in realtà davvero non riusciva ad accettare che stava per morire.
- Aspettate!
Venne risollevata ed emise un gemito, forse di sollievo.
A parlare era stata l'anziana signora, la mano protesa verso le guardie. Anche la bionda ritornò sui suoi passi, riaffiancandola.
- Somma Kendra, spero sia importante.
La Somma Kendra annuì e si diresse nella direzione di Judit. La ragazza osservò attentamente la vecchietta poggiare per terra lo scettro dorato, lo smeraldo a pochi centimetri da lei.
La pietra vibrò, poi cominciò a brillare di un verde intenso, che quasi riempì tutta la visuale di una Judit atterrita -o sbalordita.
Gli occhi grandi e grigi della donna anziana si riempirono di soddisfazione, mentre si posavano sullo sguardo incredulo della bionda. - Signorina Carol, i miei poteri percettivi non sono ancora del tutto esauriti. Costei non è una strega, nemmeno un'ignorante: è in grado di vedere il futuro!
Judit deglutì all'istante, comprendendo pienamente di non trovarsi in un posto qualsiasi e in presenza di persone qualsiasi. Non si era mai ritenuta una persona del tutto normale, ma le andava bene finché fosse stata ella soltanto a conoscere quel suo segreto.
Non ebbe il tempo di proseguire il suo soliloquio che subito Carol prese parola: - Mi stai dicendo che potrebbe discendere da una strega che è stata Madre?
Kendra annuì, convinta della sua teoria. La mora non sapeva cosa dire; non che fosse sorpresa, in realtà aveva sempre creduto che esistesse una forza soprannaturale e ne aveva avuto conferma su quel treno, ma sentirlo dire era piuttosto sconcertante.
Da piccola, una sera illuminata da numerose lampade poste sul suo giardino, aveva visto una lucciola cambiare forma, le zampette che erano diventate gambe sottili e la punta luminosa ali. Nora, in quell'occasione, le aveva detto: "Nessuno ha mai potuto affermare con certezza l'inesistenza della magia; essa va ben oltre la scienza e spiega i fenomeni che la seconda non riesce a giustificare. Magia non è ignoranza, è dare un senso a qualcosa."
Si soffermò sul punto in cui la luce diramava. Due palle di fuoco galleggiavano per aria illuminando la prigione scura.
- Non uccidetela, potrebbe tornarci utile. È molto raro, al giorno d'oggi, possedere un dono simile.
La bionda sembrò pensarci su, sotto gli sguardi impazienti di Judit e della Somma Kendra. - E sia, ma per ora starai qui.
Quando le palle di fuoco scomparvero, la novizia rammentò la sfida lanciata a Suryan due mesi prima: "Vince chi guarda più a lungo il sole!", ma Suryan si era allontanata, visibilmente contrariata, lasciandola sola.
In quel momento, era sola.
Quando non sentì più la presa delle guardie, cadde per terra. Si tirò a sedere dolorante e si appoggiò contro una parete fredda. Tentò inutilmente di rimuovere la polvere dai vestiti e dai capelli, ottenendo come unico risultato uno starnuto.
- Che schifo - si lamentò, stufa marcia di quel sudiciume.
- Non dirlo a me!
Sobbalzò, sorpresa e spaventata: qualcuno aveva parlato. Iniziò a tremare e gli occhi, che si stavano già abituando al buio, si spalancarono.
No, non era sola.


Carol amava tre cose: il brodo caldo d'inverno, il colore verde e le persone utili.
Ecco, quella ragazza si sarebbe rivelata una persona utile. Le era sembrata così piccola, non appena l'avevano trascinata nelle segrete, eppure si era risollevata e aveva mostrato uno sguardo da guerriero, quel tipo di guerriero che, non importa quante volte lo si ferisca, sarà sempre in grado lottare con il sangue che esce copioso dalle ferite.
Decisamente, le piaceva. In tutta Ghiran, non una persona aveva osato mai sfidarla con lo sguardo e con le parole. Forse, amava una quarta cosa: le persone che credevano di poterle tener testa. Certo, bisognava mettere in conto che quella ragazza sembrasse ignara della posizione di Carol, ma nonostante ciò ella non era proprio nella posizione di sfidare qualcuno. Chiunque egli fosse.
Sorrise e si fece strada tra gli arazzi dorati raffiguranti soli e ombre scure schiacciate da essi. Passando per i lunghi corridoi si fermò per qualche secondo nell'immenso salone; vide la sua immagine riflessa su un grandissimo specchio dorato con rifiniture rosse. Si chiese se fosse bella come la madre. Alla sua immagine vide solo difetti; come potevano dire gli altri che la sua presenza sembrasse angelica? O che addirittura fosse la ragazza più bella incontrata? Si era sempre risposta che lo facessero per onore alla corona e per paura della sua persona. Mai una volta le sfuggì per la mente che fosse realmente bellissima.
Ogni cosa, in quel luogo, era rossa, arancione o dorata. In verità, tutto quello sfarzo le dava noia da ormai cinque anni, ma farlo notare non l'avrebbe portata a nulla.
Sorpassò l'immenso salone e si ritrovò in un corridoio dai muri pallidi nei quali erano affissi numerosi quadri. C'erano tutti i ritratti di famiglia. La sua era una stirpe lunghissima, ma soprattutto la più antica di tutti. Le legende narravano delle prime streghe verso Occidente, guidate dal Sole, grande Maestro di vita e guida. Tra di esse ne emerse soprattutto una; si chiamava Fiore. Dalle carte si evinceva che ella fosse una sua antichissima parente. Fiore era una donna piena di spirito, di tenacia, forza d'animo, astuzia e ingegno. Era così pure lei?
Oltrepassò il ritratto di una sua trisnonna vestita di rosso e si fermò dinanzi un portone bianco bloccato da una serratura incantata a forma di sole dai raggi a spirale.
Carol sfiorò con un'unghia la superficie dorata e i raggi girarono intorno al sole, facendo scattare la serratura. Il portone si aprì rivelando una stanza simile al resto del palazzo, gli stessi colori, il medesimo mobilio. Un divanetto in pelle era posto al centro, dinanzi una lastra di vetro che galleggiava, con sopra una bottiglia rossa nella quale il liquido scuro della Rhimen -bevanda alcolica di Ghiran- frizzava rumorosamente.
Lanciò uno sguardo fugace all'ingresso delle stanze della madre, non soffermandosi affatto su quello che dava accesso alle camere che un tempo erano state del padre.
Gettò malamente sul parquet la pesante giacca e si sedette sul divano, accavallando le gambe. Sospirò, prima di dar voce ai suoi pensieri: - Somma Kendra, in che modo pensi di usarla?
L'anziana, che l'aveva seguita in silenzio, sembrò osservare con attenzione Carol che versava, in un bicchiere che aveva teletrasportato dalla cucina, il liquido bruno. Come la signorina se lo portò alle labbra, ella rispose: - Devo prima valutare le sue capacità. Lasciate fare a me, il tutto si risolverà in breve tempo!
- E se dovesse fallire?
- Non vi dispiacerebbe tenerla?
A Carol quasi non cadde il bicchiere di mano. Si era aspettata dicesse che avrebbe potuto, in tal caso, farla uccidere, ma mai di porla accanto a sé.
- E di grazia, cosa ci guadagnerei?
L'ombra di un sorriso diede più espressività alla vecchietta. - Vi conosco da quando veniste al modo, signorina. Da piccola, volevate tanto un'amica che si sentisse sul vostro stesso piano e non sottoposta, ricordate?
Gli occhi di Carol si soffermarono su un punto indistinto, la mente persa nel ricordo di una bambina bionda che indossava una corona troppo larga per la sua testolina, attorniata da volti sognanti, più per la presenza della corona che per la sua, di presenza. Ricordava gli estenuanti allenamenti, i suoi fallimenti puniti sempre di più dalla mancanza dell'affetto della madre. Più falliva, meno le voleva bene, mentre Carol gliene aveva sempre voluto infinitamente.
Scacciò quei pensieri. - Mia madre non approverebbe e nemmeno lei: l'ho rapita, interrogata e minacciata di venir uccisa!
L'anziana scosse la testa e mormorò in tono ovvio: - Crede seriamente che preferirebbe morire che stare accanto a lei, principessa?
Posò il bicchiere sul tavolo e si rivolse di nuovo a lei: - Ho sentito delle voci, Kendra.
- Che voci, signorina?
Kendra posò i suoi occhi neri in quelli chiari di Carol, attenta ad ogni sua espressione. Mosse il braccio per sdraiarsi completamente sul divanetto in pelle e, in sequenza, tossì.
- Kendra, dicono che i miei poteri abbiano avuto un calo, uno di questi giorni, e che non è possibile se..
Carol apprese uno sguardo truce ma allo stesso tempo schifato al solo pensiero di sapere quella ragazza viva, quella ragazza che le aveva rubato tutto: l'essere speciale in tutto e per tutto ma soprattutto i suoi genitori. La madre era ossessionata da quella ragazza.
- Sua madre sta provvedendo per capire se sia quel problema o semplicemente qualcos'altro di meno importante.
Kendra si mosse in modo nervoso e aveva la faccia di quella che non voleva più parlare di quell'argomento.
- È questo il punto: mia madre! Mia madre è stanca di correre dietro ai fantasmi ed è costretta dalle circostanze. Io per lei posso fare ben poco. Ammetto che ordinare alle truppe di seguire Beatrix di Osternia ed obbligarla a confessare, chiedendo se è vero o no che quella ragazza sia viva, facendo tutte quelle vittime non è stata la migliore delle mie idee, ma a mali estremi..
Un lieve bussare la interruppe. Il portone si aprì permettendo l'ingresso di un'inserviente. - La signorina Carol Sonya è richiesta dalla Strega Madre, lei sa dove.
Carol sgranò gli occhi. Persino la sua genitrice era sottoposta alla Strega Madre, la più anziana e potente di tutte. Si chiese se la sua bravata non avesse causato troppi danni e se non fosse nei guai.
Guardò la Somma Kendra con rassegnazione, poi l'inserviente: - Fammi portare una giacca nuova, quella è sporca.


- Chi c'è? - la voce le tremava e, decisamente, non andava bene. La prima regola era non farsi cogliere sorpresa, tantomeno spaventata.
La persona dall'altra parte del muro doveva aver sogghignato. - La tua nonnina, bambina.
Judit s'imbronciò all'istante, trovando alquanto fastidioso il tono scherzoso dell'altro. Era un uomo, non v'erano dubbi.
- Che voce acuta che hai, nonnina! Bisogno di qualcosa? Magari di focaccine? Magari spalmate in faccia?
Al di là del muro, egli rise. Era una risata isterica, divertita solo lievemente, esasperata come quella di un pirata abbandonato su un'isola dalla ciurma.
- Riesci ad essere spiritosa anche in una situazione del genere.. potremmo anche andare d'accordo, io e te.
- In effetti potremmo. Non so il tuo nome.
Non aveva né la forza né la volontà di respingerlo. Si sentiva smarrita, sola in quella cella buia situata chissà dove e attorniata da streghe. Quella voce era così.. umana, calda nel suo tono forte ma amichevole. Per un istante, le era sembrato di averla già sentita, più limpida, più decisa. Anche preoccupata. E piena di desiderio.
- Se te lo dicessi, non credo saresti ugualmente invogliata a discorrere con me: il mio nome porta con sé tante maledizioni.
Judit sbuffò. - Beh, se sei rinchiuso in carcere di sicuro o sei un martire o un malvivente, oppure un povero cristiano che è finito in mezzo ad una faccenda di cui non gliene può importar di meno, come me.
L'uomo rise nuovamente, questa volta di cuore. - Non ho mai incontrato una femmina come te! Diciamo pure che sono un martire, comunque Hector di Osternia.
La ragazza sussultò sorpresa.
Hector. Mai avrebbe potuto pensare di trovare un nome così bello. Forse era l'abitudine a sentire continuamente nomi femminili nel monastero a portarla alla meraviglia.
Le piaceva un ragazzino, da piccola. A scuola, arrivava sempre in ritardo perché si fermava ogni volta a comprare dolciumi di nascosto. Dopo il rimprovero della maestra, c'era sempre il suo sorriso, a confortarla. Aveva i capelli ricci e biondi e gli occhi di un verde intenso indimenticabile. Poi c'era stato l'incidente e successivamente il monastero.
- Anche io sono di Osternia, mi chiamo Judit - rispose semplicemente, in tono nostalgico.
Hector picchiettò qualcosa nel muro, forse una pietra, prima di parlare. - Deduco che tu non sappia chi io sia: meglio così. Ad ogni modo, queste maledette mura sono incantate, non riesco proprio ad usare la magia. Non è che puoi prevedere come fuggiremo, Jude?
A Judit parve davvero strano prima di tutto il modo in cui l'aveva chiamata, soprannome che le veniva affibbiato da Suryan e da nessun altro. Tornò lucida dopo un attimo di smarrimento. - Non è così semplice. Non chiedo io di vedere il futuro. Tra i due, sei tu lo stregone, fa qualcosa tu!
- Noi non veniamo chiamati stregoni.
- Maghi?
- No, non abbiamo un nome. La nostra magia è più debole, siamo come sottomessi. Probabilmente è più una questione mentale che fisica.
Per la prima volta, Judit rise. - Ci credo, voi uomini non avete molto cervello.
L'altro sembrò offeso. - Ehi, bada a come parli. Non so se lo sai, ma stai parlando con l'uomo più desiderabile dei Tre Mondi.
- Tre Mondi?
- Caspita, non sai proprio nulla. Magari in cambio di una predizione ti dò lezioni di geografia.
La ragazza era rassegnata, ma anche più serena. La sua presenza non le faceva poi così male, si ritrovò a pensare. Era un uomo di cui non conosceva nulla se non il nome e la provenienza, poteva anche essere un assassino, ma stava bene, ed era questa la cosa più importante. Dopo anni, stava bene.
- Non ho svelato il trucco a loro e vuoi che lo sveli a te?
- Nessun trucco, è solo magia. Non è nulla di estraneo, impari a conviverci in poco tempo.
Sorrise una seconda volta. - Vedo.. vedo.. che io uscirò da qui, sposerò il principe azzurro e governerò sulle streghe! - rise.
Anche Hector si unì alla risata. - Beh, non dimenticarti di me, principessa.


Carol Sonya
Judit
Somma Kendra

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Capitolo 6
*** V ***




V


Era ormai noto ai più che da un potere ne derivasse una responsabilità più grande del potere stesso; Judit sembrava sempre voler trovare un potere tale da spaccare ogni cosa senza valutarne le conseguenze, come un'anima dannata che tenta di fuggire l'Inferno quando ormai è troppo tardi. Suryan non aveva mai voluto alcun potere né tanto meno si era soffermata a pensare che uno solo esistesse.
Quando, giorni prima, Beatrix l'aveva portata nella prateria a pochi chilometri da Osternia, la convinzione di non voler essere nulla di diverso da ciò che era si era rafforzata incredibilmente vedendola generare fulmini e saette che, in assenza di alberi, avrebbero potuto colpire chiunque. Aveva retto il gioco per non farla innervosire, ma a fatica si era trattenuta dal mollarle un pugno in piena faccia. Non ammetteva la violenza, ma quella ragazza proprio non la reggeva. Non aveva prodotto alcun risultato, come d'altro canto si era aspettata, e se ella era stata felice della propria normalità, l'altra le aveva mostrato più stizza di quanta ne avesse mostrato nei suoi confronti dal loro incontro. Sembrava decisa a confermare la teoria che l'apprendista altri non fosse che uno di quei mostri, ma Suryan non gliel'avrebbe certo data vinta.
Così, a distanza di giorni, era ancora lì a fissare fuori dalla finestra la neve che cadeva e si chiedeva quando avrebbe cessato di scendere giù dal cielo e imbiancare tutto. Non le piaceva molto, a differenza di molta gente, ad essa aveva associato il suo abbandono, particolare che Suor Caroline sottolineava sempre, senza saperne il motivo, quindi la rendeva triste. Non era infelice della sua vita, lei aveva Dio, aveva tante sorelle e fratelli, ma spesso le veniva la malinconia; sarebbe stata comunque Suor Suryan?
- Suryan, dovresti venire in salone, stanno parlando di cose importanti e hanno richiesto la tua presenza.
Una voce ferma, ma non fredda, la distolse dai suoi pensieri e la indusse a voltarsi, riconoscendo i due occhi scuri e grandi che la scrutavano da giorni. Rimase un po' disorientata quando vide i capelli ramati di Helga, un'amica di Beatrix e Jalice, mossi e un po' gonfi, ma subito rammentò che, giorni prima, le aveva confessato di aver provato a lisciarli tramite un incantesimo, di quelli in cui lei era esperta. Le stavano bene anche in quel modo: le incorniciavano in viso rendendolo dolce come quello di una bambola di porcellana.
Helga le sorrideva calorosamente e le si avvicinò mettendole una mano sulla spalla. Suryan si sentì al sicuro a quel tocco, quella ragazza le trasmetteva tranquillità e serenità, forse solo un po’ di inquietudine. Si chiese se fosse a causa di qualche potere o se fosse lei come persona.
Si alzò dalla sediolina di legno, che scricchiolò a causa del suo peso, e le ricambiò il sorriso che era spuntato sulle labbra di Helga.
- Va bene, andiamo.
Le due fecero giusto qualche passo e arrivarono immediatamente nel grande salone, il quale le aveva accolte i giorni precedenti; non avevano fatto lo stesso percorso della volta in cui Suryan era arrivata all'Hidden Pub: ora stava in una stanza al pian terreno, soleggiata quando non nevicava.
Gli anziani si erano riuniti nuovamente e il pub era svuotato dalla clientela. Suryan guardò tutti con diffidenza e si soffermò su Beatrix, seduta su un tavolo con la solita aria saccente. Indossava il solito completo scuro e teneva nelle mani una palla accartocciata di carta.
- Oggi ti spiegheremo qualcosa sul nostro mondo, come domani e così per una settimana. Allo scadere della settimana farai un test per capire ciò che hai appreso e dopo, se sarai in grado, ti unirai a Beatrix e ad altri ragazzi per compiere una piccola missione sul Monte Dargos. Va bene?
A parlare era stata Romina, guardando con decisione Suryan. La ragazza era confusa e sentiva un gran mal di testa, soprattutto negli ultimi giorni. Le sue forze erano al minimo come la sua concentrazione, sicuramente era lo stress degli ultimi giorni.
- Non credo di avere altra scelta. Inizio già da subito? - chiese in direzione di Beatrix, nonostante non fosse lei a prendere le decisioni di quel tipo. Non capiva bene il perché ma sapeva che Beatrix poteva avere tutti i difetti del mondo, ma le sembrava la più umana di tutti. Non era controllata, era sempre agitata e piena di pensieri che le giravano alla velocità della luce. Gli altri sembravano così rilassati, sereni. Sì, lei era cresciuta in un monastero, lì si imparava ad essere così, calmi e docili, ma era un obbligo. Perché invece loro non mostravano sentimenti umani?
- Non ti senti bene? Hai anche oggi mal di testa?
Beatrix la guardò accigliata e incuriosita, alzandosi e venendole incontro rapidamente per lasciarle il posto a sedere. Aveva lasciato la carta sul tavolo.
Suryan si accarezzò i capelli castani e scosse la testa indicando la poltrona.
- Puoi rimanere, non preoccuparti. Comunque, sì, ho mal di testa.
Romina le si avvicinò di rimando e le toccò la testa alla ricerca di temperatura alta. La sua fronte era fredda come il ghiaccio.
- Non capisco da cosa possano essere causati. Chiamate Jalice, per favore.
Dopo pochi minuti Jalice fece capolino nel salone energica, mano nella mano con la sorellina Annabelle. Era una bambina di una dolcezza unica e di un'astuzia arguta e sincera, tralasciando la bellezza; era molto simile alla sorella. Se non fosse stato per i capelli più lunghi che tendevano al rame più che all'arancione, e gli occhi più stretti, da grande sarebbe stata la sua copia esatta.
La bambina si avvicinò a Suryan sorridendole felice e urlò: - Ti va di venire a giocare con me e i miei amici? Stiamo costruendo pupazzi di neve grandissimi!
Suryan sorrise e le accarezzò stancamente i capelli rossi. La sua testa era piena di pensieri e quel dolore le creava fitte incredibilmente dolorose.
- Mi dispiace, piccola 'Belle, oggi Suryan non si sente tanto bene. Ma se vuoi domani mattina ti aiuteremo! Verrò anche io! Parola di Beatrix Dumont!
Bea saltellò intorno ad Annabelle e la bambina rise felice e accettò la proposta con entusiasmo chiedendo a Suryan se fosse d'accordo. Era davvero strano, vedere Beatrix così amichevole nei confronti di qualcuno che non fosse Jalice, ma soprattutto era strano pensare che ci sapesse fare con i bambini: non aveva esattamente l'aria di una persona amichevole.
- Ma certo, 'Belle!
La bambina corse via ridendo per dirlo agli altri.
Le dava così allegria! Perché poi crescendo diventavano così pacati? La domanda le risorse nella mente più irruenta.
- Ehm, ehm! Perché mi avete chiamata?
Jalice batté i tacchi sul pavimento di legno e si schiarì la voce osservandole aspettando le direttive.
Aveva un grembiule giallo che le arrivava fin sotto le ginocchia, effettivamente era un po' buffo.
- Suryan ha mal di testa nuovamente.
Romina sospinse Suryan da dietro verso Jalice, così da affrettare il processo. Era tardi e Suryan doveva obbligatoriamente iniziare quel giorno, ormai erano passate quasi due settimane della sua permanenza lì.
- Ci penso io!
Jalice le prese la mano e il calore entrò dentro Suryan facendola sospirare di piacere. La sua testa si rilassò e il suo corpo si distese.
- Grazie, Jalice.
Le due si guardarono complici ed Helga affiancò Jalice ed uscirono dal solone parlando di ciò che avrebbero dovuto preparare a pranzo per il pub.





Judit si rannicchiò in un angolo della cella respirando rumorosamente. Non aveva il coraggio di guardare il vaso da notte che stava in piedi dall'altra parte della grande stanza scura. Si sentiva sporca fuori e dentro e si vergognava ad essere in quel luogo putrido.
- Quanti giorni sono trascorsi?
Hector, dall'altra parte, sembrò pensarci su, prima di domandarle: - Dal mio o dal tuo, di arrivo?
La sua voce, durante quel tempo, non era mutata mai, nonostante il trascorrere dei giorni, forse dei mesi, li tenesse incatenati lì. - Dal mio.
- Sedici giorni - rispose con sicurezza.
Judit non si aspettava una risposta, men che meno certa. Aveva veramente tutta quella cognizione del tempo, quell'uomo? - Fammi capire: ti basta davvero così poco per calcolare i giorni?
- Sono abituato, mica è la prima volta che vengo sbattuto in carcere. - Prima che la ragazza potesse chiederglielo, aggiunse: - Sarà la quarta o la quinta volta!
Judit fece una smorfia incredula. - Non sei poi così bravo, se ti sei fatto incarcerare così tante volte!
Hector rise: - Permettimi di contraddirti: sono sempre riuscito a fuggire.
La novizia poggiò il mento sul gomito, illuminata da un bel proposito: - Perché allora non ci fai fuggire?
L'uomo si fece aspettare, prima di rispondere: - Se anche avessi un piano, non te lo rivelerei. Nulla mi assicura che i muri non abbiano orecchie, letteralmente intendo.
Judit si lasciò sfuggire un sospiro. - Perché non mi parli mai di te?
Il silenzio che seguì testimoniò l'incredulità dell'altro. Forse si era espressa male, forse la sua agitazione era stata scambiata per emozione. Provvide a rimediare: - È che mi annoio!
Giurò di aver sentito Hector sospirare di sollievo. - Tu invece non mi annoi affatto.
- Non era questa la domanda.
- Beh, semmai dovessi annoiarmi, Jude, solo in quel caso parlerei di me.
Era davvero strano sentirsi dire quelle cose da una persona. Era strano che stesse bene per via di una semplice voce, perché Hector era solo una voce che riempiva il silenzio di quelle segrete. Era abituata ad associare le voci ai volti, e mai era stata bene a vederli o a sentirli insieme. Ecco, con la sola voce di Hector stava bene.





Una donna molto bassa e tozza, con i capelli scuri a caschetto e la pelle altrettanto scura, prese Suryan dal fianco per sospingerla verso un banco, molto simile a quelli trovati nelle scuole. Suryan la superava di ben venti o addirittura venticinque centimetri!
- Io sono la tua insegnante di magia teorica, mi chiamo Juliet De La Courre.
Suryan si sedette preoccupata e intimorita, ormai quelle emozioni le governavano sempre la testa e il cuore; erano forse diventate le sue migliori amiche.
A quel pensiero si soffermò sul ricordo del viso dell'amica, dei suoi bellissimi capelli, sul suo sorriso. La stava pensando anche lei?
Si spaventò chiedendosi se fosse ancora qui, in questa terra, ma la cosa che le fece sentire una stretta al cuore, egoisticamente, fu quello di chiedersi se, essendo viva, la pensasse.
Se non si ricordasse di lei? Se avesse trovato altro?
- Suryan! Per favore, attenzione. Per favore, cara, è un discorso molto complicato.
Suryan alzò lo sguardo e sentirsi chiamare semplicemente "Suryan" non la scosse più come poco meno di tre settimane fa. Non si sentiva più Suor Suryan?
- Scusi, ha tutta la mia attenzione.
La donna accavallò le gambe facendo alzare la gonna azzurra e si spostò gli occhiali prendendo un respiro profondo.
- Devi sapere cara Suryan, che ci fu il Tempo della Creazione. Un gruppo di streghe, si narra fosse composto da quattro di esse, ma non ne siamo certi, si spostarono dal freddo del loro paese. Avevano da poco appreso che esistesse la magia e avevano scoperto che i titolari di questi incredibili e forti poteri erano tutti lì, stipati in quella cittadina anonima. Decisero di partire alla ricerca del posto perfetto per fondare le basi della magia. Tra di loro emerse soprattutto una strega, chiamata Fiore, apparteneva alla stirpe del Sole. Era nata con una voglia a forma di sole sul ventre, e come lei anche le altre tre streghe: una aveva la Luna, un'altra una Foglia e l'altra ancora una Stella.
Suryan interruppe il racconto. - E il vostro stemma? L'Occhio?
La donna rise e scosse la testa con amarezza. - Noi non siamo puri, non eravamo in quella missione, dalle fonti che abbiamo, siamo il prodotto di tante infiltrazioni di umani che hanno diminuito e quasi annullato i nostri poteri. Per questo motivo non sappiamo da chi discendiamo, siamo solamente mischiati.
- È una cosa triste, no?
- Tu avresti mai lasciato l'amore della tua vita solo perché umano e conservare la Stirpe, Suryan?
La ragazza non esitò un istante e rispose di getto: - Certo che no!
- Ecco, quindi fra di noi, chi è veramente triste?
La ragazza sorrise e annuì convinta, le piacque sapere che forse qualcosa di umano c'era, che l'amore indipendentemente da chi o cosa si fosse, colpisse tutti, allo stesso modo. Poi stava alla persona raccoglierlo o meno.
- Bene, continuiamo. Arrivarono in una terra, non quella sperata, piena di ghiaccio e freddo glaciale. Ma ormai vecchie e stanche non avevano la forza di emigrare oltre, e con tenacia fondarono lì i Colossi della magia. Le quattro streghe, o più, costruirono unendo i poteri un tempio, esso conteneva il Sapere di tutto. Esso aveva una stanza magica e rarissima, le streghe una ad una entrarono e generarono la nascita della loro stirpe. Rimasero incinte e da loro nacquero tutte le popolazioni che dovresti conoscere ora. Purtroppo il Sole e la Luna litigarono aspramente e irrimediabilmente, essendo opposti l'odio crebbe e sembrò impossibile da fermare. Iniziarono a farsi guerra e vinse il Sole, poco dopo la morte della grande Fiore, animo buono e tenacia invidiabile, lasciando alla Luna pochissimi esseri magici. Scapparono e finirono in una penisola, dove cercarono di riprendersi. La stirpe Foglia si estinse poco dopo la vittoria del Sole, mentre la stirpe Stella fu solo un miscuglio tra Sole ed essa, fin quando di essa non ne rimase più niente.
- Ma perché si ricorda solo Fiore e non gli altri capi stirpe?
- Lei è stata La Capo Stirpe, da lei nacque tutto ma soprattutto sopravvisse.
Suryan sembrava un po' contrariata ma fece spallucce, era una storia interessante ma non la riguardava più di tanto. - E i poteri? Quali sono?
Era curiosa, era una storia affascinante anche se..
- Innanzitutto si dividono in Poteri neutri, Oscuri e di Luce. I primi sono quelli che abbiamo noi, il nostro destino è essere neutri. Gli Oscuri sono quelli della Luna e di Luce del Sole. I Poteri neutri scaturiscono da varie parti del corpo, come del resto gli altri, tuttavia noi non possediamo particolari poteri e, solitamente, sono rari i casi in cui i poteri Originali si manifestano anche solo in parte. Jalice per esempio ne possiede solo uno: la guarigione, potere rarissimo che è manifesto tra le streghe di Luce. Fantastico, no?
Suryan applaudì d'istinto divertita da quella rivelazione. Era proprio una ragazza speciale!
La paura sembrò lasciare un po' la sua mente e si sentì più leggera.
La donna rise goffamente. - Quelli del Sole, per la maggior parte, anche loro hanno parti del corpo, più vaste, ma ce ne sono alcuni rari che scaturiscono energia da qualsiasi parte del corpo. Pure dalla mente! Quelli della Luna sono Oscuri, quindi tutto parte dalla mente e dal cuore, non hanno parti del corpo in particolare, tranne se non sono puri. Poi alla Luna, al Sole, e all'Occhio, ci sono poteri predisposti; per esempio, il Sole e la Luna sono immuni a qualsiasi attacco mentale dell'Occhio, un po' come è stranamente successo a te.
Suryan riapprese la negatività dentro di sé e sentì irrimediabilmente il suono della neve che cadeva al suolo.
- Bene, per oggi è tutto.





L'ora di cena si faceva sempre più vicina e lo stomaco di Suryan ne dava conferma. L'orologio affisso alla parete non emetteva alcun suono, quasi fosse privo di lancette; non se ne meravigliava, tante erano le cose stupefacenti che aveva visto quei giorni.
Mentre si ostinava a fissarlo, una presenza le si avvicinò e subito la riconobbe in Beatrix per via dei passi pesanti.
- È tutta una cazzata, non darle ascolto.
Il volto dell'apprendista si sformò, mostrando disappunto e disgusto tramite una smorfia, non tanto per ciò che aveva detto, quanto più per quell'unica parola poco educata.
- Parlo dell'insegnante. Quella del Sole e della Luna è una bella favoletta, ma rimane tale - aveva interpretato la sua espressione come dubbiosa. Meglio così, pensò Suryan.
- Quindi quello che ha detto dovrei prenderlo per falso?
Il sorriso che illuminò il volto della corvina fece scattare qualcosa in Suryan. La luce delle palline di fuoco che galleggiavano sopra di loro ne definivano i contorni del volto, tanto spigolosi e marcati. Era davvero bella.
- Non tutto. Però ti avverto: noi tutti siamo diversi ed i nostri poteri si manifestano in diverso modo e in diversi orari. Sai, il diverso fa proprio paura alle streghe!
Anche agli uomini, avrebbe voluto dirle Suryan.
- Tu credi che ci sia differenza tra diverso e speciale?
Beatrix stava per aprir bocca, quando il rumore di una porta che si apriva catturò la sua attenzione.
Dalla porta d'ingresso entrò una figura snella, vestita interamente di nero, che subito si fece riconoscere, una volta tolto il cappuccio.
- Theron, dove hai lasciato Jasper?
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli neri, scompigliandoli, prima di puntare i suoi occhi castani in quelli scuri di Bea. - Aveva una faccenda da sbrigare, ha detto che sarebbe rimasto fuori città fino a domani.
Il suo sguardo abbracciò Suryan, che subito sussultò. Aveva vissuto con altre ragazze, si sentiva un po' a disagio con l'altro sesso.
- Lei è la famosa Suryan? - la indicò.
- Sì, te l'ha detto Jalice per messaggio?
Theron diede risposta affermativa con il capo. Non ebbe il tempo di posare il borsone che si era portato appresso che subito le braccia della suddetta rossa gli circondarono il collo. Suryan non voleva nemmeno chiedersi da dove fosse comparsa.
- Sei vivo! - esclamò, la voce tremante come il suo corpo.
- Sì, 'Lice, siamo sani e salvi, per fortuna - ricambiò l'abbraccio.
Dalla porta che dava accesso alle cucine fece capolino la testa ramata di Helga, i suoi occhi vagarono silenziosi in giro per la stanza in cerca di qualcuno.
- Anche tuo marito è vivo, non ti preoccupare - disse Beatrix, rivolta a lei.
Quel che la corvina non poteva sapere era che Helga, in quel momento, reggeva un cesto colmo di mele verdi, che subito cadde per terra, spargendo il contenuto.
- Smettila, non è divertente - il suo tono pareva alquanto irritato e i suoi capelli, improvvisamente, divennero scuri, dando manifestazione del potere speciale di Helga.
Beatrix parve divertita, ma subito venne ripresa da Suryan tramite una gomitata.
- Allora, vi aggiorno - Theron si mise a cavalcioni su una sedia, poggiando i gomiti stancamente sugli spigoli. - Abbiamo fatto irruzione a Migher e lì abbiamo scovato qualche soldato di Ghiran. Il resto delle milizie ha lasciato il paese ed è rimpatriato. Siamo riusciti a catturarne solo cinque, sono già sotto interrogatorio.
Suryan rabbrividì, stringendosi nel manto. Jalice invece parve entusiasta. - Incredibile, siete stati bravissimi! Due contro cinque!
Il ragazzo abbozzò un sorriso. - Jasper ha fatto tutto, io gli ho solo coperto le spalle. I suoi fulmini viola non sbagliano un colpo.
Beatrix sbuffò. - Neanche i miei blu. Se non fossi stata impegnata con lei sarei venuta con voi e ne avrei catturato cento!
Un senso di disagio attanagliò Suryan, che in un primo momento fece finta di non sentire, ma non seppe trattenersi. - Non mi sembra di averti obbligata!
- Sono troppo buona, io. Proprio non potevo abbandonare un cucciolo indifeso - fece in modo teatrale.
Suryan avvampò. Stava per scagliarsi contro di lei, essendole seduta accanto non avrebbe avuto difficoltà, ma fu trattenuta per un braccio da Helga.
- Ignorala.
Il tono di Helga era basso, Suryan si preoccupò. Quando si voltò, vide gli occhi di lei assottigliati mandare lampi ad una Beatrix sorridente. Un senso di inquietudine la colse quando i capelli ramati si tinsero di un marrone più scuro, tendente al nero, mettendo in risalto la rabbia degli occhi.
Jalice si era lasciata sfuggire, giorni prima, che Helga fosse una persona facilmente irritabile e che tutta la calma che mostrava ogni giorno fosse solo il riflesso di una persona che nella realtà era diversa.
Eppure aveva un sorriso così bello, gentile, una mano calda e una voce suadente. Si chiese, ancora inquieta, quale fosse quella vera.
- Povera Helga, ti sei proprio condannata salvando lui! - la canzonò Beatrix.
La ragazza, sotto lo sguardo preoccupato di Jalice e Theron, lasciò il braccio di Suryan e si avviò verso la porta.
Prima di poggiare la mano sul pomello si voltò, facendo sussultare Suryan. - 'Fanculo, Dumont.

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Capitolo 7
*** VI ***




VI


Carol mal sopportava le esigenze della strega più anziana di tutte, ma doveva essere tipico della sua età. Da giorni, non faceva che entrare ed uscire dalla Grande Stanza senza avere il consenso della vecchia a interloquire con lei - l'aveva pure chiamata!
Era seduta sul bordo di una grande finestra che dava sul giardino reso oscuro agli occhi dalla notte, le mani strette a pugno e la pazienza al limite. Aveva rinunciato a molte cose pur di arrivare a quel traguardo; aveva sacrificato la sua adolescenza per mettersi al suo servizio, ricevendo in cambio vaghe risposte e sorrisetti da pazza. Voleva ucciderla, prendere il suo posto e compensare gli anni di isolamento in quel palazzo. Voleva davvero ucciderla.
- Signorina Carol Sonya, la Grande Signora vuole vederla.
Carol sbuffò, mentre si alzava. Congedò la cameriera e attraversò il corridoio dorato dagli arazzi rossi; uno raffigurava un grande sole senza raggi che schiacciava uno spicchio di luna. "L'Eclipse War" pensò, ricordando le parole del suo testo di storia.
Si trovò dinanzi un grande portone scuro, l'unico portone a non avere incisi soli, soltanto quattro figure sullo sfondo di un tempio. Fiore era la più alta.
Sfiorò il pomello e immediatamente il meccanismo scattò. Fiore si mosse repentinamente e alzò le braccia al cielo. Il portone si aprì altrettanto velocemente e le diede accesso.
L'atmosfera tesa all'interno della stanza era palpabile grazie alla sua grandezza: la prima volta in cui era entrata aveva trattenuto il fiato. Il cielo artificiale era sempre chiaro e pieno di stelle. Non vi erano né sole né luna. C'era solo un lungo corridoio dorato che portava al centro della stanza, sotto c'era il vuoto.
Percorse quel corridoio quasi correndo, fino arrivare alla Grande Clessidra, una clessidra con dentro palle dorate, sopra di essa vi era il più grande orologio astronomico del mondo, galleggiava in aria. Il palchetto era una semplice circonferenza, la clessidra apriva un buco al centro. La Strega Madre sembrava molto piccola a confronto di quell'immensa clessidra.
- Madre di tutte le streghe, desiderate vedermi oggi? - si inginocchiò, come di consuetudine.
La donna si voltò, mostrando un sorriso accennato. Il suo era il volto più vecchio che Carol avesse mai visto, ogni ruga sembrava la conferma di un anno vissuto.
- Alzati, oggi parleremo.
Carol fece come ordinato e quasi si dimenticò ciò che le doveva dire, tanto era certa che l'avrebbe rispedita a casa. - Abbiamo catturato una complice di Beatrix Dumont, a quanto pare è in grado di predire il futuro.
La Strega si dimostrò sorpresa. - Credevo fossero estinte. Ha una discendenza particolare?
- Non siamo in grado di indagare oltre, vogliate scusarmi.
- Vuoi scusarmi tu - sorrise - ultimamente non sono stata in salute, la clessidra sta finendo. Carol divenne confusa. L'altra si voltò verso la clessidra. - Guarda bene. Questa clessidra esaurisce le sue palle dorate ogni volta che avviene un grande cambiamento - tossì - tu mi succederai: sarai tu ad ammirare quel cambiamento.
Carol guardò meglio la clessidra. Le palline stavano raggiungendo il fondo.
- Pensi che questa ragazza sia collegata? - disse, voltandosi - anche i cugini Dumont?
La bionda divenne rigida. - Beatrix, forse.
La Madre sorrise. - Anche il ragazzo, secondo me. È davvero un prodigio.




- Sei davvero un prodigio - disse Judit, addentando l'unica fetta di pane che era riuscita a rubare in mezzo alle sbarre dalla cesta delle guardie.
- Lo so, questo trucchetto è infallibile. Pochi però riescono a non farsi beccare e tu sei una di loro! - udì la voce di Hector, oltre il muro. - Ma scommetto che puoi fare di meglio.
- Alludi al mio potere? - domandò, pur conoscendo la risposta. - Non sogno da quando sono qui. Forse sto proprio sognando. Forse tu non esisti. Pensi che tra poco mi sveglierò nel letto del monastero?
Hector sembrò esitare. - Sei una bella compagnia, mi dispiacerebbe, ma forse sarebbe meglio per te.
Judit sussultò. Davvero desiderava svegliarsi nel monastero, ricominciare la routine, studiare e diventare suora? Senza amici, oltre Suryan. Senza Hector.
Subito si rese conto del pensiero formulato ed arrossì. Credeva di essere arrossita, riconobbe il calore nelle guance e i battiti che andavano ad accelerare. Respirò a fondo.
- Ci sei? - la voce di lui non tradiva alcuna emozione, sperava vivamente che la propria ne fosse altrettanto capace.
- Ho sognato prima della morte di mia madre e prima della gita sul treno - suonò rassegnata, stanca.
- Cosa hai sognato prima di venire qua? - la sua domanda la sorprese, ma si guardò bene dal non farglielo capire.
- La distruzione - l'immagine di un ragazzo dagli occhi ardenti si impossessò della sua mente, rendendo vivo il ricordo. - Forse ho sognato anche te.
Si tappò la bocca. Aveva parlato senza pensare, dando voce ad un presentimento che avrebbe voluto tenere per sé.
Il riso dell'altro suonò stridulo. - Me lo dicono tutte. La cosa strana è che lo fanno dopo avermi visto.
Judit si sentì avvampare e subito si rannicchiò. "Sei una stupida! Aveva ragione, Suryan, quando diceva che parli troppo!"
L'orgoglio precedette ogni altro senso. Si ricompose. - Hai gli occhi azzurri e i capelli castani tendenti al nero?
La risposta tardò ad arrivare, ma arrivò comunque, inquieta. - Sì.
Judit si lasciò sfuggire una risata. - Hai visto, io non ho bisogno di vederti, mica sono come le altre donne.
Hector non parlò più ed ella rimase in silenzio, nell'imbarazzo.
"Sarà il monastero più libero di questa prigione, ma tu mi fai sentire ancora più libera."




Suryan si alzò dal letto come consuetudine e si pettinò i capelli scuri davanti alla specchiera in legno scuro. Non riusciva a capacitarsi dell'essere lì in mezzo a quella strana gente ed essere lì proprio perché obbligata da un vincolo d'amicizia. Aveva accettato tutto, magari a modo suo, per Judit, per cercarla, viva o morta che fosse.
Beatrix varcò la soglia silenziosamente e si sedette sulle comode coperte azzurro cielo. La prima cosa di lei che Suryan vide fu la chioma scura e spettinata che la contraddistingueva dal resto della compagnia.
- Oggi come va?
Suryan scosse la testa e dallo specchio puntò i suoi occhi grigi in quelli scuri della compagna di avventure, oramai.
- Vuoi che chiami 'Lice? - lo sguardo di Beatrix era neutro, nessuna emozione traspariva da esso, o forse era lei a non voler comunicare il suo stato d'animo agli altri; tuttavia l'apprendista poté giurare di aver colto una nota di preoccupazione.
- No, non è ancora necessario - si carezzò gli angoli della fronte e sospirò esausta. Forse tutta quella magia, essendo a lei estranea, le faceva del male?
- Mi sembri preoccupata. È per le lezioni? Andrai bene all'esame!
Beatrix sorrise e fece una smorfia come a dire "se ce l'ho fatta io.."
Suryan si girò e le si mise davanti e le sorrise, non era certamente amica sua ma sentiva che poteva capirla, se solo si sforzasse.
- E Judit?
Beatrix rimase in silenzio per un po', tirò Suryan per un braccio e la fece sedere accanto.
- Ti prometto che la cercheremo. Abbiamo degli infiltrati a palazzo, stiamo carpendo informazioni per sapere qualcosa a riguardo. Tanto dobbiamo pure visitarlo, il castello.
Suryan guardò disorientata Beatrix. Ma se erano nemici come avrebbero fatto ad entrare a palazzo?
- Ma sei stupida? Mica sarà una visita di cortesia né tantomeno entreremo dall'entrata principale. Passeremo da un posto che si trova.. ma che ne sai tu di queste cose!
Suryan si imbronciò e le tirò uno schiaffetto sul braccio.
- Ahia!
- Come faccio a sapere le cose se non me le spiegate?! E poi perché dovremmo entrare nella tana dei nemici?
- Hanno preso mio cugino, devo liberarlo.




Beatrix si accomodò sulla poltrona in velluto verde e fece spazio sui braccioli per Jalice e Suryan. Le loro postazioni erano ormai consolidate.
- Stasera inizierete un percorso fin sopra la valle e lì dovrete andare nella Rocca di Madame Lola, lei vi darà il permesso per attraversarla e cercare le erbe rare che ho già illustrato alla nostra futura erborista Helga.
Helga sorrise stupefatta e compiaciuta, il cammino sarebbe stato lungo ma sapeva che aveva vaste conoscenze e stava imparando dalla migliore maestra erborista mezzosangue, Romina.
- Madre, ma ti sembra il caso di portare Suryan? Non sa niente a riguardo, non ha manifestato alcun cenno magico e sta ancora studiando per sapere almeno le basi della magia.
- Probabilmente il potere di Suryan consiste solo nel riuscire a neutralizzare gli attacchi dei mezzosangue, non cosa da poco. Le servirà questa esperienza come bagaglio culturale, mi corregga se sbaglio, professoressa.
La donna sentitasi chiamata in causa annuì con decisione: - Portatela con voi e spiegatele ciò che c'è da sapere.




Il bosco era popolato da diverse specie di alberi e piante come primule, crisantemi, acanti, malva, fragole, ortensie, lino, pioppi, abeti, querce, castagni, aceri, rose, delie, edere, cardi.
Si incontravano anche alberi da frutto: nespoli, sorbi, fichi, pruni, mandorli, viti e olivi.
Suryan guardava la natura circostante rapita da tale bellezza. Aveva sempre amato la vegetazione, molto spesso da piccola le capitava di sognare gite in montagna dove poteva correre e giocare a palla con Judit.
Il silenzio umano e il rumore della natura la faceva sentire al sicuro e il caldo le stringeva il cuore affettuosamente, come a volerla rincuorare, come a dirle che a volte, il ghiaccio, poteva sciogliersi.
Era vestita completamente di nero e quel colore sentiva le appartenesse, nonostante il suo nome e nonostante non sembrasse il tipo.
Da quello che aveva inteso, era il colore dominante in quel gruppo e Beatrix ne era molto legata. Capì fin da subito il tipo di soggetto e se ne spaventò ma allo stesso tempo sentiva il premente bisogno di allungarle la mano e svegliarla da quel torpore. Scuoterla e dirle di cambiare, di vedere il mondo da un'altra prospettiva, di riuscire a capire che certe cose vanno prese in modo differente. Questo fu il primo pensiero completo che fece su di lei e fu proprio questo pensiero a farla camminare verso di lei chiedendole, come pretesto per parlarle, varie informazioni sulle piante che vedeva in giro. La ragazza ne sapeva ben poco ma Suryan non si arrese trovando un argomento che la coinvolgesse in pieno...
- Sì! Adoro i frutti di bosco. O le fragole. Ne mangerei a quintali! Da piccola me li facevano frullati per paura mi affocassi, non capivano quanto fossi forte, io!
- Da noi qualche volta li mangiavamo, erano omaggi di persone venute da fuori. Judit ne era ghiotta. Io preferisco le more alle fragole.
- Effettivamente sei più tipa da more che da fragole.
- Esistono i tipi con i frutti?
- Esistono i tipi con qualsiasi cosa.
Le ragazze si arrestarono di colpo al gesto di Jalice di fare silenzio. Un mostriciattolo verde e della grandezza di un coniglio adulto si mise a due zampe simulando un girotondo.
- Siamo qui per l'erba Maga, ne abbiamo un disperato bisogno. È davvero importante.
Il mostriciattolo si fermò e poi con veemenza, scosse la testa. Non voleva proprio aiutarli.
- Facciamo uno scambio. Avete bisogno di qualcosa? Io sono Jalice, la figlia dell'Anziano capo del pub Hidden.
Il mostriciattolo la guardò attentamente e con verso strano e petulante fece avvicinare altri due suoi simili, ma di colori differenti. Quello alla sua sinistra era marrone e quello alla sua destra giallo. Si riunirono in un piccolo cerchio e dopo cinque minuti il mostriciattolo verde fece comparire un foglio ed una penna, dove scrisse qualcosa facendolo fluttuale verso la rossa.
- Sappiamo che hai il potere di un guaritore. Uno di noi è stato ferito da un Cipresso Nero e ha bisogno di urgenti cure. Madame Lola è in viaggio. Per questa sua assenza io ne prenderò le veci.
Jalice si illuminò ed entusiasta esclamò: -Portateci da lui!
Varcarono per circa mezz'ora cespugli intricati, alberi attaccati in modo anomalo, Suryan rischiò di essere imprigionata pure da un buca circondata da cavallette aggressive.
Era stanca morta e dolorante. Non era vita che faceva proprio per lei.
Jalice entrò in una grotta buia e alzò il dito facendo spuntare una mini luce che effettivamente non illuminava gran che.
- Ma perché lo fa se non serve a nulla?
Suryan sembrava contrariata. Non capiva nulla.
- Le piace mostrare cose che non sappiamo fare, anche se sono piccolezze. Probabilmente proviene da una Stirpe di Luce. Molto lontana da lei, ovviamente. - parlò Helga sospirando, prendendo per un braccio Suryan. Anche lei se la stava cavando male.
- Oh, capisco.
Poco dopo quindici minuti, Jalice uscì con l'erba che cercavano tutti, in mano.
- Menomale che ci sono io! - urlò contenta di aver raggiunto quel risultato praticamente da sola e consapevole lo sapessero tutti.
- Sì, va bene, brava. Ora basta, Jalice. Abbiamo lavorato tutti duramente. Guarda Helga e Suryan, sono due stracci.
I capelli di Helga erano diventati neri, segno che fosse infastidita.
- Rimaniamo sempre bellissime! - esordì Suryan, abbracciando di lato la povera Helga, che a quelle parole si rilassò diventando più stabile.
- Tu certamente no, Suryan. Forse forse, Helga...
- Basta, è ora di andare!
Jalice saltellando superò tutti gli ostacoli varcati prima senza nessun graffio, trascinandosi Beatrix perfetta e aggraziata come lei.
Suryan ed Helga erano rimaste indietro prendendosi tutte le "trappole" in pieno.




Il sole stava tramontando tra gli alti alberi verdi, di quelli che non perdono mai le proprie foglie incantate, le aveva detto Beatrix.
Il buio crescente impediva a Suryan di riconoscere le piante e i frutti che le ragazze le avevano catalogato, portandola a spostare la sua attenzione al cielo privo di nuvole, che dall'arancione che caratterizzava il tramonto passava al blu più scuro, entro il quale la luna sembrava racchiusa. L'aria era umida, probabilmente poco più in là doveva esserci un fiume.
- Questo bosco è incantato, la neve qui non arriva. Riusciamo a proteggere il suolo tramite incantesimi specifici per far crescere annualmente le erbe curative. Le nostre, crescono solo in questo periodo dell'anno, non possiamo permettere che la neve le soffochi.
Helga spostava lo sguardo di qua e di là, contemplando punti che Suryan non riusciva a distinguere, si disse che la ragazza ormai dovesse conoscere a memoria quel posto.
- Coprire i tuoi capelli è così importante? Io non me ne intendo, ma avendo dei capelli abbastanza crespi, invidio i tuoi, è un peccato che tu li nasconda.
Suryan sfiorò istintivamente il panno che aveva avvolto in sostituzione del velo, abbozzando un sorriso. - Sì, è molto importante. Mi fa sentire me stessa.
Helga la guardò come se avesse confessato di avere una cotta per il padre di Jalice, così Suryan si affrettò ad aggiungere: - Sono lontana dal posto in cui ho trascorso la mia vita fino ad ora, questo panno mi ricorda che quella è casa mia, che sono cresciuta lì, che io sarò Suor Suryan.
Non ne capì il motivo, ma l'ultima frase uscì come un lamento, rimbombante il quel bosco come i borbottii di Beatrix e Jalice.
Helga comprese al volo, o forse aveva già capito tutto e voleva solo spingerla ad aprirsi. Come Beatrix, anche Helga era difficile da leggere, almeno quando i capelli non le si tingevano di un colore assurdo.
- Quando avrai trovato la tua amica, tornerai lì?
Quell'ultima domanda la destabilizzò. Ci pensò, come se realmente ci fossero due opzioni. Scosse la testa. Certo che sì, sarebbe tornata in monastero, con Judit, quello era il suo destino! Il loro destino!
Annuì, debolmente.
- Ehi musone, ho dimenticato di fare due commissioni in paese, tornate indietro o mi accompagnate? - l'urlo stridulo di Bea rimbombò intorno a loro, facendole sussultare.
Helga fu la prima a reagire. - Abbassa quella voce, le nostre orecchie funzionano benissimo!
Beatrix sorrise soddisfatta e si girò, proseguendo come se nulla fosse, accompagnata da Jalice.
Suryan le guardò confusa, ma subito Helga chiarì i suoi dubbi: - Oltre il bosco, c'è la piana di Migher, tra di esse un paesello commerciale, vuoi andarci?
La ragazza annuì nuovamente, questa volta convinta. Se Helga la invitava, mica poteva esserci qualcosa di pericoloso! Magari avrebbe scoperto qualcosa di più su Judit.
Si ritrovò a seguire Helga attraverso cespugli aggrovigliati, cercando di non cascarle addosso, ma del resto anche Helga teneva il passo lento. Quel pomeriggio, Suryan aveva appreso quanto fosse goffa, ma al contempo abbastanza forte da rialzarsi all'istante.
- Siamo arrivati - annunciò la ramata, dando un ultimo calcio ad una pianta che si muoveva da sola. "Muoverella", era il nome di essa, e quasi Suryan non si era strozzata con la saliva quando Bea gliel'aveva detto.
Superò quell'ultimo ostacolo, quando su in cielo ormai la notte aveva vinto il giorno, e finalmente il terreno fangoso venne sostituito da uno piatto.
- Beh, benvenuta nel "paese delle lucciole".
La voce di Helga si mischiò tra le tante che giungevano alle sue orecchie e subito sollevò lo sguardo.
La notte era illuminata da tanti piccoli puntini luminosi che si spostavano da una casetta all'altra alcune lentamente, altre correndo. Le case basse in legno di betulla erano avvolte dall'edera, ma non sembravano affatto vecchie o malmesse, solo più colorate. I tetti erano diversi gli uni gli altri, per forma e colore; alcune case avevano la forma di un fungo. Le persone avvolte in leggeri mantelli passeggiavano tra gli alberi bassi, alcuni dei quali sembravano addobbati da piccole stelle.
- Oh, ma dove sono finite quelle due!
Non appena Helga si mosse, Suryan si ridestò. Avrebbe voluto farle tante domande, ma dalle sue labbra uscì solo: - Quelle sono vere lucciole?
Helga arrestò il passo e fissò gli occhi dorati in quelli verdi di lei: - No, ma noi le chiamiamo così. Sono Globosplendenti, palle luminose fluttuanti, capisci dal nome perché le chiamiamo così?
Giusto in quell'istante, una Globosplendente le passò accanto giusto il tempo di contemplarne la grandezza. Era troppo grossa per essere una lucciola, erano tutte diverse.
Le strade erano acciottolate e ad ogni casa si alternava un negozietto più strambo dell'altro. In una boccia di vetro delle bolle si formavano nell'acqua che assumeva colorazioni diverse, prendendo la forma prima di pesci, poi di meduse.
"È solo un trucchetto, non farti abbindolare!", si ripeteva, cercando di contenere la meraviglia che stava provando nel contemplare delle conchiglie che vorticavano con della sabbia attorno ad un acquario.
Avrebbe voluto chiedere spiegazioni ad Helga, ma la ragazza sembrava troppo impegnata a guardarsi attorno per prestare attenzione. Quasi Suryan non andò a sbatterle contro quando arrestò il passo.
- Avverto la sua presenza.
Suryan sussultò lievemente, trovando strano il tono della ragazza. Presenza? Ma non aveva già un'abilità speciale?
Senza curarsi di lei, Helga corse nella direzione di quella che sembrava una locanda. "Lunar Migher".
Spalancò la porta in legno piena di edera e Suryan fu subito dietro di lei giusto il tempo di sentirla urlare: - JASPER!
Nell'angusta locanda, dalle pareti scure e spoglie, calò il silenzio ed una figura soltanto, tra quelle sedute, si alzò in piedi.
Non era distante da loro, la ragazza poté osservarlo bene. Occhi azzurri - il colore del ghiaccio che si formava sul laghetto che andava a visitare ogni inverno con Judit -, capelli castani e ricci, così ricci che avrebbe voluto passare un dito tra essi solo per vederli intrappolati tra le sue dita.
Il modo in cui guardava Helga era strano.. era come se in quella stanza non ci fosse nessun altro. La ragazza aveva i capelli rossi come il fuoco, il colore che associava alla rabbia, e le sue gote erano in fiamme per lo stesso motivo.
Il volto del ragazzo era bello, il taglio di occhi coperti in parte dai riccioli gli conferiva un'aria misteriosa, complici i lineamenti marcati e la brillantezza di quell'azzurro.
- Come hai fatto a trovarmi? - il tono di voce non lasciava trasparire alcun dubbio, la sua sembrava una domanda posta tanto per dire qualcosa.
A Suryan parve che i capelli di Helga avessero preso fuoco. La ragazza in questione si avvicinò lentamente all'interlocutore, mentre i mormorii richiamavano l'attenzione dell'apprendista. "Quella ragazza..", "Strana..", "Sua madre..".
- Non capisci che così facendo ti farai ammazzare!?
Jasper la guardò con malcelata esasperazione, ma quel tipo di esasperazione che nascondeva un affetto che Suryan riuscì a percepire.
Non rispose, continuò semplicemente a guardarla fino a che lei non girò i tacchi e non sorpassò Suryan, che era rimasta immobile per tutto il tempo, quasi non si accorse della scomparsa della ragazza, fino a quando non sentì la sua spalla sfiorare la propria nella corsa.
Confusa, guardò istintivamente il ragazzo, che da terra sollevò lo sguardo fino a incrociare il suo. Sussultò, scoprendosi profondamente a disagio nel guardarlo. Era come se i suoi occhi la stessero studiando.
Si girò e fece per andarsene, quando si sentì avvolgere da due braccia forti.

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Capitolo 8
*** VII ***




VII


Carol uscì dalla stanza della Strega Madre in modo repentino. La sua testa non faceva che pensare. Il tempo della Strega Madre era quasi scaduto, tra poco lo scettro sarebbe passato a lei.
Si sentiva pronta?
Dentro di lei un calore pervase il suo corpo e si sentì giusta, tutto il tempo e i sacrifici spesi in questa missione sarebbero finalmente serviti a qualcosa. Finalmente avrebbe trovato il suo posto, non sarebbe più stata la principessina da evitare. Non avrebbe più fatto parte di due estremi.
Si chiese se, diventando finalmente la Strega Madre, la madre l'avrebbe perdonata. Genevieve sarebbe riuscita ad abbandonare il suo lacerante astio verso tutti e avrebbe finalmente accolto la propria figlia come tale?
Carol rammentava, riflettendo, che neanche da piccola riceveva particolari attenzioni dalla Signora del castello. Era la Somma Kendra a farle da tutrice, cosa ben distinta da quella di madre.
Ricordò però un giorno buio, il temporale era furioso, il vento sbatteva le finestre e le porte, la pioggia sembrava voler penetrare il castello, la neve bloccava i viali d'accesso.
La piccola Carol Sonya si era alzata per cercare conforto in qualcuno. La donna l’aveva vista in corridoio e si era avvicinata con fare minaccioso, pronta ad un rimprovero, quando si era bloccata, l’aveva guardata negli occhi, e l’aveva presa tra le braccia cullandola tutta la notte.
Era l'unica immagine bellissima dell'intera vita di Carol e si era ripromessa che non l'avrebbe mai dimenticata.
La giovane strega corse verso la stanza della madre e spalancò le due ante bianche. La sua stanza era una delle poche ad avere colori diversi dal giallo, rosso e arancione. Era una grandissima stanza luminosa, due enormi porte a finestre di vetro sovrastavano tutto il muro principale. L'armadio porpora era situato nella parete di destra e il letto in quello di sinistra. Un tappeto bianco occupava gran parte del pavimento viola della stanza, finendo verso la specchiera bianca di fronte al letto. Una piccola porticina accanto segnava il bagno privato.
- Madre! Devo parlarti di una cosa importantissima.
Carol scostò le vesti dorate mentre si avvicinava piano, un po' intimorita. Nonostante cercasse di non darlo a vedere, la madre le provocava una cieca paura ed entrare nella sua stanza era un po' come varcare la tana del leone. La donna, prima distesa sul letto con le trapunta viola, fece leggera pressione sui gomiti lasciando cadere i capelli biondi sul cuscino. Era bella, molto. La sua pelle chiara faceva risaltare i suoi occhi blu e i capelli biondissimi davano l'effetto finale di paesaggio marino. Gli occhi erano il mare e i capelli una splendida spiaggia.
Carol Sonya si sedette ad un angolo del letto e le sussurrò: - Il tempo della Strega Madre è quasi finito, tra poco quello sarà il mio posto.
La donna non batté ciglio e si sedette in modo rigido mentre si sistemava l'elegante vestito nero.
- Almeno hai fatto qualcosa di buono. Ora dimmi un po', i tuoi poteri?
La ragazza sentì un pizzico di delusione ma abituata seguì il ragionamento della madre. Cercò di controllare il suo nervosismo e si impose di stare ferma, poiché il suo corpo aveva iniziato a formicolare.
- A volte ho degli indebolimenti, ma non succede da un paio di giorni ormai. Sembra tutto tornato alla normalità.
La voce ferma e pacata diede soddisfazione alla sua mente che, piano piano, fece rilassare i suoi muscoli contratti.
- E se quella puttanella fosse viva da qualche parte?
La donna guardò la figlia negli occhi, mostrando la cieca rabbia che in realtà li abitavano. A Carol parve di vedere perfino, in quel mare bellissimo, un fuoco alto.
- Non possono esserci due Hidden e quella sono io. L'hanno attestato tutti. La profezia narra bene che solo una persona può ricevere quel dono e io ho esattamente il dono di controllare la notte e soprattutto il giorno.
- Tu non sei una buona assicurazione. Sei figlia di due maghi potenti, di buio e luce. Potrebbe essere solo tutta una mera coincidenza.
- Quello che so fare io nessuno sa farlo. Nemmeno tu e nemmeno papà.
La donna sospirò rumorosamente e disse in fine: - Altro, Carol Sonya?
La ragazza si alzò dal morbido letto e guardò negli occhi chiari della madre, notando nuovamente il mare calmo, e sussurrò: - No, signora.
Lanciò uno sguardo alla porta ed uscì. - Somma Kendra?
Carol si guardò in giro, notando l'oscurità del grande salone. Non c'era luce.
- Signorina?
La donna anziana tastò l'aria e i mobili alla ricerca della sua ragazza, preoccupata anch'ella della mancanza di luce.
- Cosa sta succedendo?
Carol aveva una voce fredda e impassibile, una leader, una vera Strega Madre. Nonostante ciò, in cuor suo, sapeva che quella stranezza poteva essere sia una sciocchezza che un avvertimento di attacco. Appena formulò questo pensiero, la luce tornò, le finestre sbarrate si spalancarono e vide davanti a sé la Somma Kendra.
L'anziana accesasi la luce, si fiondò sulla ragazza tenendola stretta, pronta a qualsiasi evenienza. Sapeva che avrebbe dato la vita pur di salvaguardare Hidden.
- È tutto apposto, scendiamo nei sotterranei.



- Ciao, Hector. Sembra tu non sappia stare senza la nostra presenza.
-Solo senza la tua.
Una risatina dolce riempì il sotterraneo, rendendolo meno cupo e soffocante. Uscì una mano dalla fessura tra le sbarre per prendere quella della principessa a 'mo di saluto. La ragazza guardò con falso sdegno la mossa del ragazzo ma non sporse comunque la mano. -Domani salirai nell'aula di giustizia per la lettura del tuo processo ma non c'è bisogno ti spieghi, visto che ormai sai tutto alla perfezione.
La sua voce era autoritaria ma una nota di preoccupazione aleggiava la stanza: se la sarebbe cavata anche questa volta? Hector non rispose e in altrettanto silenzio, Carol Sonya si avvicinò alla cella di Judit, più vicina all'uscita.
La ragazza era a dir poco malconcia, sporca e piena di graffi; era distesa per terra e teneva gli occhi chiusi. Se non fosse stato per l’alzarsi e l’abbassarsi del petto, Carol l’avrebbe creduta morta.
Ormai aveva preso la sua decisione, non avrebbe aspettato più.
Guardò Hector un’ultima volta. Il giovane sembrava trafiggerla con lo sguardo. Quel gesto la provocò inevitabilmente e ad esso rispose con un cenno di superiorità.
- Sei inaspettatamente prevedibile, Hector Dumont.



Genevieve si incamminò verso la stanza della figlia e spalancò la porta sicura di trovarla: in realtà la ragazza era fuori nei giardini.
Incontrata la Somma Kendra, con un elegante e straziante calma si diresse fuori e, arrivata, chiese alle guardie di richiamare a sé la figlia. La giovane si precipitò al cospetto della madre che a sua volta fece un segno ai suoi servitori di allontanarsi.
- Ho udito delle voci poco rassicuranti. Che vorresti fare con quella ragazza?
- Diventerà la mia dama di compagnia, se mi starà simpatica. Ha un potere utile ed è meglio averla dalla nostra parte che contro.
Carol rasserenò il corpo appena finito di rispondere, la tensione era sciamata non aspettandosi un'altra repentina domanda dalla madre. Solitamente chiedeva spiegazioni per poi andare via senza neanche congedarsi educatamente; girava semplicemente le spalle.
- E a cosa potrebbe servirci precisamente, secondo te?
La madre non le aveva mai chiesto una vera e propria opinione e questa la spiazzò; forse qualcosa stava cambiando? Finalmente lei stava diventando all'altezza?
- Potrebbe prevederci cose spiacevoli, ci darebbe un buon margine di tempo per non farle avverare.
La donna voltò le spalle e cambiò aria come solito fare, ogni dolorosa volta.





Le voci dei clienti della locanda riecheggiarono per l'angusta stanza cattive e sogghignanti. Suryan avvertì una presa salda al braccio destro e subito si divincolò, terrea in viso e agitata in petto.
- Lasciatemi! - in quel momento sperò che il suo potere, di qualunque cosa si trattasse, si rendesse manifesto e allontanasse quelle persone, sempre che fossero persone. La mano che la tratteneva era gonfia e rugosa; rabbrividì.
- E tu chi saresti? Perché hai un panno in testa?
Il suddetto panno le scivolò liberando la chioma bruna e liscia dell'apprendista, portandola a sussultare e a mordersi il labbro per trattenere un grido.
Perché Helga l'aveva lasciata lì, da sola? Perché Beatrix non l'aveva aspettata?
Sentì rabbia montarle addosso e il rimorso di non aver corso più velocemente per raggiungere la strega ramata la stava pervadendo quando una voce pulita e ferma zittì gli uomini: - Lasciatela andare, potrei seccarvi in un istante!
Suryan si voltò e osservò la mano di Jasper attorniata da piccoli fulmini viola.
L'uomo che la teneva stretta la lasciò bruscamente e la ragazza quasi cadde a terra; si appoggiò ad un mobile poco distante da lei e lo squadrò, notando quanto fosse basso e muscoloso, i capelli sale e pepe e gli occhi scuri e vecchi.
- Lightland, che affari hai con questa ragazza?
Il viso di Jasper non si scompose, i fulmini al contrario aumentarono di numero. - Ad avere affari con lei, pare sia Helga. Ora, se non ti spiace, leviamo la corda.
Suryan non ebbe il tempo di formulare un pensiero, che subito si ritrovò a correre nell'ambiente esterno, il vento fresco sulla nuca.
Una Globisplendente le passò accanto repentina, o forse era lei a correre velocemente. Non distingueva i negozi e gli oggetti, il paesaggio le passava accanto sotto forma di luci e colori in maniera sfocata.
La stanchezza si fece sentire quando abbassò lo sguardo per osservare colui che la spingeva alla corsa. Vide la mano di lui sulla sua, quella stessa mano che prima avrebbe potuto commettere un omicidio era ora calda attorno alla sua ed era come se la tenesse a terra.
- Lightland! Il conto! - un urlo lontano si distinse tra i mormorii delle persone che li facevano passare, inducendo Suryan a voltarsi.
- Segui me, non distrarti! - il ragazzo parlò nuovamente.
L'apprendista, scossa e confusa, fece come le era stato chiesto senza pensarci e lo seguì fino a quando i boschi presero il posto delle luci del paese. Quando intorno a loro vi erano solo alberi, scuri a quell'ora, Jasper le lasciò la mano e portò la sua all'orecchio, per ascoltare i rumori. Suryan udiva solo strani versi animali, come grilli e uccelli.
- Ma sei impazzito?! Trascinare in quel modo un civile da una malsana locanda a cui non hai nemmeno pagato il conto! Dovrei denunciarti.
Era come se avesse corso per giorni, il cuore le batteva forte in petto e si sentiva sudata e stanca.
Jasper Lightland si voltò, incontrando il suo sguardo. La curiosità si impadronì di lei nello scorgere nuovamente i suoi occhi azzurri, nel buio della sera; le ricordavano quelli di Judit, più azzurri e grandi. Aveva un bel taglio di occhi, i riccioli che li ricoprivano in parte gli conferivano un'aria misteriosa.
- Mi scuso, ma se ti avessi lasciata lì non oso immaginare cosa ti avrebbero fatto - il tono era gentile e carezzevole, dietro esso non sembrava esserci alcun fine.
Suryan riprese nuovamente fiato prima di parlare. - Grazie per la cortesia, ma è stato.. improvviso.
Le sorrise serafico e subito dopo levò lo sguardo al cielo scuro semi coperto dal groviglio di rami. L'apprendista si rese conto solo allora di quanto si stesse facendo buio; la foresta non era più illuminata dai raggi solari e senza che vi fosse luce poté distinguere le cortecce scure degli alberi e alcuni dei frutti che Beatrix le aveva indicato, ma non tutti i fiori che avevano reso luminoso il paesaggio prima che giungesse a destinazione.
Una folata di vento le scompigliò i capelli, scoprendo il collo. I capelli!
- Oh.. no.. - protestò con enorme disagio, rendendosi conto di non avere più il panno a coprire ciò che il protocollo le intimava di nascondere, in modo ancor più certosino davanti ad un uomo.
Jasper la guardò incuriosito, poi fece un gesto che Suryan non si aspettò: in modo repentino si tolse la giacca, scoprendo una porzione di pelle segnata da profonde cicatrici, e la sua testa fu avvolta da essa.
La sfiorò incredula; non si aspettava che qualcuno potesse comprendere la sua situazione, men che meno un ragazzo alquanto sospetto.
L'odore proveniente dalla giacca non lo aveva mai sentito, era un profumo forte, non adatto ad una donna.
- Grazie, ma non prenderai freddo? - si assicurò istintivamente, quasi fosse una priorità per lei.
Jasper fece spallucce, le cicatrici sulle braccia furono più evidenti e Suryan poté immaginare quelle belle braccia trafitte da tanti colpi di frusta. Si sentì male.
- Non sembri preoccupato per te stesso.
- Strano, me lo dice anche Helga - le sue labbra si curvarono in un sorriso.
L'apprendista si sentiva fuori posto, come se avesse violato un territorio inaccessibile a lei. Avrebbe voluto chiedergli di Helga, ma non lo fece, i suoi occhi dicevano già tutto.
- Ho saputo da Theron che sei un'apprendista e, quando ti ho visto alla locanda, ne ho avuto la conferma dal tuo aspetto, non ti senti a tuo agio con i capelli al vento, giusto?
Suryan si sorprese nel sentire che lui l'aveva vista alla locanda. Non sembrava averla notata, nessuno la notava mai. Si ricordò di quegli uomini e rabbrividì. Certo, che l'avevano notata.
- Va tutto bene, vuoi che ti riconduca all'Hidden Pub? Tanto devo tornarci anche io.
La ragazza annuì e fece per ringraziarlo, quando un rumore di passi la fece sussultare e la peggiore delle ipotesi sfiorò la sua mente.
Per fortuna, dalla boscaglia scura uscì una figura femminile dai capelli altrettanto scuri e gli occhi ardenti, fissi su di lei. - Oh, ti ho trovato! Helga mi ha mollato uno schiaffo -- non me lo aspettavo! -- e poi mi ha detto che eri rimasta con un cretino alla locanda, e ho fatto due più due quando ho visto quei tizi setacciare il mercato. Jasper, potresti farti notare di meno?
Il ragazzo si era avvicinato a Suryan e lei non se n'era neanche accorta, almeno fino a quando non sentì la sua risata solleticarle la nuca. - Ripeti a pappagallo quello che ti dico sempre io, sei la solita!
Beatrix fece un'espressione strana. La guardò come se volesse squartarla -- o squartare lui?
- Che hai in testa? Letteralmente, dico, perché non ci provo neanche ad entrare nella tua testolina da suorina.
Rabbrividì, poi Jasper parlò per lei: - Dovresti procurarle un velo invece di attaccarla, lei non è come te.
Un senso di disagio l'attanagliò, ma era ingiustificato, in fondo aveva ragione, loro due erano diverse.
Una testa rossa fece capolino da un ampio cespuglio, che rivelò la figura di Jalice, visibilmente preoccupata. Si avvicinò a Suryan e le prese le mani, strofinandole. - Strano, una delle tue mani è calda, l'altra invece è freddissima.
Arrossì immediatamente, rendendosi conto che una delle sue mani era calda perché Jasper l'aveva stretta. Inspiegabilmente, pregò che Bea non avesse notato il suo disagio.
- Torniamo indietro, è chiaro che non sai cavartela nemmeno in un paese.
Divenne nuovamente rossa, questa volta per la rabbia. - Aspetta un momento. Prima sparisci come se nulla fosse e poi mi fai la predica se Helga mi trascina in una locanda! Come pretendi che io me la sappia cavare con accanto persone del genere, io sono una serva del Signore, non del Diavolo come voi!
Avvenne tutto molto velocemente. Beatrix che si voltava, il pugno diretto verso di lei che si fermava e l'urlo sorpreso di Jalice.
La sua visuale era interamente occupata dalla mano stretta a pugno di Beatrix, vicina al suo naso.
- Sapevo che non l'avresti fatto - fu Jasper a parlare, con tono sereno, ma Suryan non ebbe modo di constatare se stesse sorridendo o meno.
- Affatto, la sta bloccando con la magia, o forse no, Bea? - disse Jalice, ricomposta.
- Ma quale magia - fu l'ultima frase della corvina, prima di incamminarsi nell'oscurità.



Durante il tragitto non si erano parlate.
Il freddo sembrava essere aumentato dopo il loro litigio. Sulla soglia della porta del Pub, l'apprendista starnutì, richiamando l'attenzione di Jasper, che era dietro di lei. - Una volta dentro, dovresti chiedere a 'Lice una minestra, non sembri tollerare il freddo.
La porta si aprì e la luce del pub si diffuse, illuminando il braccio destro del ragazzo.
- Tu piuttosto, sei scoperto! Sicuro di non ammalarti?
- Io sono abituato, non puoi prevedere il tempo con certezza nei boschi incantati, e a me non piace vestirmi pesante.
Le fece cenno di entrare e lei oltrepassò quella soglia, venne inondata dalla luce. Il terreno nevoso si sostituì a quello solido dell'Hidden Pub e fu un sollievo abbandonare il pensiero di lei bloccata nella neve tra le battute di Beatrix. Già, di Beatrix..
- Sarebbe un affare, mia bella Helga, prendi in considerazione la mia proposta.
Jasper si irrigidì e non ci volle molto per capire cosa gli desse fastidio.
Helga, con indosso il grembiule da cameriera, era in piedi di fronte a un tavolo e stava parlando con un ragazzo dai capelli color grano.
I capelli della ragazza erano avvolti in un ordinato chignon e solo due ciocche ricadevano davanti, ai lati del bel viso.
Il ragazzo non era particolarmente bello, aveva un mento sporgente e gli occhi scuri erano grandi tanto da sembrare spalancati.
Fu Beatrix ad avvicinarsi per prima ai due, una nube nera sembrava avvolgerla. - Jonny, mi auguro tu abbia notizie dal palazzo.
Il ragazzo sembrò scocciato alla vista della nuova arrivata e non lo nascose di certo. - Cara signorina Dumont, io sono il figlio del Tesoriere, ho molti impegni e non sto sempre a palazzo. Tuo cugino sta bene, o almeno le cose stavano così due mesi fa.
Beatrix strinse i pugni. - E allora perché sei qui? Sei il figlio del Tesoriere, non dovresti essere immerso nella tua bella vasca dorata?
Jonny le lanciò un'occhiataccia, prima di spostare lo sguardo su Suryan e Jasper. Forse lei nemmeno l'aveva notata, tutta la sua attenzione era per il ragazzo.
- Perché sono qui? Volevo vedere la mia Helga, non è ovvio? Jasper, è raro vederti quando non sei troppo occupato a farti ammazzare, facciamo una partita a Streganera una di queste sere?
Il sorriso che illuminava il volto di Jasper era sparito, non una traccia di contentezza; sembrava una statua di ghiaccio, anche il suo tono improvvisamente era diventato freddo. - Mi 'spiace, sono troppo impegnato "a farmi ammazzare".
Helga guardava per terra, sussultò solo quando Jonny le accarezzò il braccio con la sua mano. - Quindi cara, posso avere una risposta o devo aspettare la vecchiaia?
Jasper si mosse velocemente. Un fulmine viola colpì la mano del biondo e un urlo rimbombò nella grande stanza.
Jonny si contorse sul posto sotto gli occhi stupiti dei presenti, Jasper compreso. Suryan lo guardò fissarsi la mano con uno sguardo incredulo, come a chiedersi: "Sono stato io?"
- Maledetto Lightland, questa me la paghi!
Il ferito uscì dalla stanza correndo, l'unico rumore era quello dei suoi passi. Tutto tacque, quando la porta fu chiusa alle sue spalle.
- Helga.. - Jasper tremava, come la sua voce.
Suryan si aspettava una reazione negativa da parte della ragazza, probabilmente anche Jasper. Il ragazzo strinse gli occhi, come stesse aspettando un sonoro schiaffo, ma non arrivò.
Un rumore di passi per le scale si diffuse, quando Suryan si rese conto che Helga non c'era più. Jasper aprì gli occhi sorpreso.
- Quando si tratta di lei, diventi un'altra persona, più imbecille, s'intende.
Detta la sua, Beatrix mise le mani in tasca e salì le scale.



Theron respirava a pieni polmoni i profumi che lo circondavano, il più insistente e invitante era sicuramente quello di una minestra. L'avrebbe riconosciuto ovunque, l'odore della cucina di Jalice, buono come lei.
Il fiore violaceo dalla forma concava che reggeva in mano per poco non cadde a terra, quando inciampò su un ramo che fuoriusciva dalla neve. "Non posso perderlo, ho faticato molto a trovarlo per lei".
Si liberò con uno strattone e ricominciò a camminare verso il Pub, poco distante, poteva persino vedere delle figure che si muovevano al di là delle finestre.
Si stava avviando verso la porta, quando vide una figura raggomitolata sul tetto. La suddetta abbassò il capo e i due si riconobbero.
- Helga? Che ci fai lì?
Prese la scala che usavano per spingere via la neve dal tetto e salì tenendo stretto il fiore. Quando le fu vicino, si sedette stancamente, come se avesse corso.
- Non sai che cosa ho fatto, sono proprio pazzo, se gli Anziani mi scoprissero credo mi ucciderebbero.
- Non lo faranno, loro non hanno a cuore noi. Se così fosse, ci terrebbero d'occhio come fanno con Dumont e Cherrywine. E anche con la nuova arrivata.
Theron si strinse per non sentire freddo. - Ahi ahi, quando le chiami per cognome non è mai un buon segno. Non essere triste per questo, loro vogliono bene a me, te e Jasper, anche se non abbiamo alcun legame con loro, ci hanno accolti.
Helga poggiò il mento sul gomito. - Perché è il dovere della Congrega, accogliere gli emarginati, mica lo fanno per noi.
Il ragazzo assottigliò gli occhi. - Vorresti essere pedinata, quindi?
- Santo cielo, no! Oggi Jasper è uscito, un'altra volta. Se nessuno pensa a lui, loro lo troveranno, capisci?
Theron la guardò, ammiccante. - Ah, quindi è Jasper il problema. Non dovresti preoccuparti, è uno in gamba.
Sbuffò. - Sono stufa di andargli dietro. Sai che ti dico? Quasi quasi accetto la proposta di matrimonio di Jonny.
Theron quasi si strozzò con la saliva. - La proposta di chi?!
- Mi ha proposto di sposarlo in cambio di una vita agiata nella Capitale e del riconoscimento del mio cognome. Conosci la storia, la mia famiglia ha avuto un ruolo fondamentale nell'Eclipse War, da allora venne cacciata e il titolo nobiliare fu tolto loro.
- Non devi accettare per forza, in fondo è ancora presto per..
- Ha anche proposto di finanziare il Pub.
La guardò, sconsolato. In fondo, Helga voleva bene a Jalice e gli altri e sapeva bene quanto avessero bisogno di denaro.
Rigirò lo stelo tra le dita e la ragazza se ne accorse. - Un'aquilegia? Non crescono vicino alle terre del Sole?
Theron le sorrise e spostò lo sguardo da lei al fiore. - Aquilegia, "amore nascosto". Voglio darglielo, voglio che capisca.
Per la prima volta da quando era arrivato, Helga sorrise. - Beh, buona fortuna.





Il buio che la circondava le pesava come un macigno sul petto, a fatica riusciva a respirare e a controllare le lacrime. Era stesa per terra, le braccia aperte e le gambe congiunte come fosse su una croce.
Pregava come mai aveva fatto in vita sua, quasi fosse una necessità, un modo per tenersi aggrappata alla vita.
Si lasciò sfuggire un singhiozzo, pentendosene immediatamente.
- Stai piangendo? - nel tono di Hector non vi era alcuno scherno, nemmeno curiosità. Era una certezza che espresse sotto forma di domanda per non fargliela pesare ulteriormente, ormai Judit lo conosceva.
Li aveva visti, i suoi occhi, vividi e veri per un istante, prima di venire soffocati dal sogno che lasciava spazio alla buia realtà di quella cella.
Avrebbe voluto vederlo di fronte a sé, in carne ed ossa, e assieme a lui Suryan, il padre John, persino le ragazze del convento. Avrebbe voluto vedere sua madre, la donna che l'aveva messa al mondo, che le aveva raccontato di fate e luoghi incantati, sentirsi amata da lei come una bambina che necessitava di attenzioni.
Invece era lì, in quella prigione, a muoversi, il mondo fermo intorno a lei, mentre il suo cuore lottava per ribellarsi come sempre, da quando era nata.
- Ho fatto un sogno.
Hector non le chiese più niente. Forse non la stava neanche ascoltando.
Judit respirò a pieni polmoni. Voleva che lui le parlasse, aveva il terrore di rimanere sola. - Hector..
Si zittì con la mano un'altra volta. Sembrava disperata, come se il nominarlo fosse un bisogno.
- Jude.
Sussultò, la sorpresa la pervase. La voce di lui era roca, forse per la sete. Qualunque fosse la motivazione, non aveva mai amato il suo nome, mai quanto quel giorno.
Chiuse gli occhi e si assopì, cullata da quella bellissima parola. "Jude, Jude, Jude.."
- Ragazzina.
Spalancò gli occhi e subito fu inondata da una luce fastidiosa. Quando si alzò, tremante, poté distinguere due sagome.
- Vieni immediatamente, la Signorina reclama la tua presenza.


Carol Sonya
Judit
Somma Kendra
Mamma Carol, Genevieve
Helga
Jasper

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Capitolo 9
*** VIII ***




VIII


Carol scortò, in silenzio solenne, Judit per i vari corridoi del piano terra e del primo piano del sinuoso castello; la sua compagna sembrava sbigottita da cotanta bellezza e non si fermava un attimo con le sue numerose e fastidiose domande. Carol non rispose a nessuna e come obbligata da una certa umanità, che credeva di non possedere neanche in minima parte, le svelò parte del suo destino: - Diventerai la mia dama da compagnia, la tua camera sarà lontana dalla mia solo un corridoio e credimi che non è nulla, se conoscessi l'intero castello.- Carol sospirò, la testa iniziava a dolerle in modo insopportabile e si sentiva più pressata del solito.
Una donna sulla quarantina vestita interamente di giallo e coi capelli color oro, chiese assillante a Carol il suo stato di salute. Carol, come di consuetudine, sbuffò e urlacchiò un "sto bene!" e poco dopo la donna si congedò.

Judit trovò la situazione interessante e particolarmente strana tantè che capì immediatamente lo stato di salute della principessa, decisamente non buono in quel momento, e cercò di utilizzarlo a proprio vantaggio, come suo solito fare nelle situazioni più complicate. Mentre la sua testa correva in cerca di migliaia di soluzioni, Carol la portò dentro una camera, completamente arancione e rossa. Non c'era assolutamente niente che avesse finora visto di diverso colore in quel castello, oltre le prigioni. Ammetteva a se stessa che era una buona tattica per essere onnipotenti e onnipresenti, ricordando a tutti la loro esistenza, la loro potenza.
- Io so che non stai bene, se per caso lo dicessi a qualcuno?
La principessa si fermò e girò lentamente verso la ragazza, che si era bloccata poco prima in modo da sottolineare la sua nuova autorità.
- Non ti permetteresti mai..
Judit ebbe un leggero sussulto guardando negli occhi della bionda, tutto di lei sprigionava cattiveria e tanta rabbia.
- Sicura? Perché, beh, se avessi dei dubbi potremmo fare un patto.
Judit si accomodò facendo finta di essere tranquilla sulle coperte gialle. Dentro di lei una tempesta invocava giustizia, libertà ma soprattutto tranquillità. Avrebbe potuto chiedere di scappare, tornare al Monastero, abbracciare la sua amica se ancora viva dall'attacco di quel treno. Sembrava passata un'eternità e invece erano passati solo una manciata di mesi.
- Che patto?

Carol si sentiva con le spalle al muro, non riusciva più a gestire nulla. Tutto stava crollando; i suoi sogni erano ormai quasi in pezzi, ogni sua sicurezza messa in discussione. Poteva andare peggio?
Un ricordo le passò nella mente, il viso di suo padre che piangeva e chiedeva pietà circondato da guardie e sua madre con una spada in mano.
- C'è la bambina! Portatela fuori!
Una piccola bambina vestita di bianco venne tirata via, tra le sue grida e lacrime.
"Papà!" Non faceva altro che gridare, "non fate male al mio papà!"
- Tu liberi Hector e io sarò la dama di compagnia migliore che tu abbia mai conosciuto. Non chiederò nient'altro in cambio, solo questo.
La principessa non capiva l'interesse nel liberare quel delinquente anche se.. le sarebbe piaciuto fosse lasciato andare, era stato il suo unico "amico", se così si potesse definire.
- È una persona molto pericolosa, non sarebbe una scelta saggia. È un assassino.
Judit sentì dentro di sè una morsa allo stomaco. Assassino? Poteva mai essere quel ragazzo una persona orribile?
- È la mia proposta.

Carol vide da lontano la madre, era alle soglie della sala da ballo; i brividi le percorsero la schiena. La odiava e al contempo amava con tutta se stessa.
- Okay, lo farò rilasciare, prega che non si faccia più prendere perché alla prossima sarà morto. Sarò io stessa a trafiggergli il cuore con la Spada Aria.

Judit sorrise, era felice, sentiva di aver fatto qualcosa di buono dopo tanto tempo e in cuor suo sapeva che Hector non l'avrebbe mai lasciata lì dentro. Sarebbe tornato a prenderla. Qualcosa li legava e sapeva che anche a lui la cosa non fosse sfuggita. A quel pensiero non poté fare a meno di arrossire, complice l'immagine di lui che i suoi sogni avevano creato. La realtà le aveva fornito una prova della sua sfacciataggine e noncuranza, ma anche della sua velata dolcezza. In quella prigione, un folle pensiero l'aveva sfiorata, un istante soltanto; si era resa subito conto della pericolosità di esso: "voglio sapere tutto di lui".
"Jude.."
- Spada Aria?

Carol alzò il naso, come suo solito quando si sentiva superiore a livello di conoscenze e con una voce irritante rispose: - Esistono spade speciali con poteri magici, forgiati dai miei antenati. Sono cinque, due sono in nostro possesso, le altre sono state perdute nel tempo. La Spada Aria con un solo taglio di mezzo centimetro di uccide, l'aria entra dentro le vene e le scoppia. Dissanguamento molto veloce e doloroso.

Judit nonostante la crudeltà delle sue parole era curiosa di tutto ciò che riguarda questa parte di mondo che pensava non esistesse.
- E le altre?
- La Spada Drago è l'altra che abbiamo custodito, è in grado di uccidere persino un drago si dice.. e anche di metterne alla luce. Ovviamente sono solo stupide leggende, è solo forgiata con un acciaio molto tagliente e letale, nel tempo è stato aggiunto del veleno molto pericoloso. Le altre tre si chiamano Spada di Fuoco, Terra e Pesci, non ne conosciamo bene le funzioni ma poco importa visto che ormai non esistono più.
- Hai detto che sono state perse, non distrutte.
- A volte perdere qualcosa significa distruggerlo. Devi imparare molto del mondo, ragazzina. Ti aspetto domani alle otto e un quarto in salone, faremo colazione insieme. A domani, Judit.

Carol non aspettò risposta dalla compagna, chiudendo subito la porta alle proprie spalle. Era stata una giornata molto faticosa e doveva ancora scarcerare qualcuno di nascosto.
Sbuffò e si diresse verso la Somma Kendra, unica persona al mondo di cui si fidasse.
La donna anziana era seduta sul divano color sabbia nella propria stanza, assolutamente uguale alle altre: letto con trapunte e lenzuola arancioni, sedie gialle, scrivania color oro.
- Mia piccola bambina, cosa succede? Perché sei da queste parti?
I non reali risiedevano al quarto piano, al confronto delle camere da letto dei reali e delle dame da compagnia che erano situate al secondo livello.
- Ho bisogno del tuo aiuto. Devi aiutarmi a far scappare Hector.
La donna non si scompose e annuì, come se si aspettasse già da tempo questa proposta benché la principessa non avesse mai disubbidito o trasgredito una regola; la figlia di chi faceva le regole doveva essere per prima una buona suddita.
- Andrò in sala di controllo e spegnerò l’elettricità per esattamente tre minuti, corromperò una guardia per farlo uscire dall’edificio durante il blackout, è tutto, mia Grazia?
La principessa annuì e senza neanche ringraziare tornò al suo piano, una come lei non reggeva un secondo di più in mezzo ai civili.

Hector davanti le sbarre parlottava tra sé e sé fino a quando all’improvviso si arrestò alla scomparsa della luce. Le guardie urlarono preoccupate e successivamente silenzio. Vide in lontananza, sporgendosi al massimo un fumo rosa.
- Sonnifero…
Un uomo, una guardia, con una lanterna, aprì la sua cella, urlando un “forza, dannazione, esci, abbiamo tre minuti.”
Hector non se lo fece ripetere due volte per correre su per le scale e dirigersi dietro l’uomo che lo stava scortando verso l’uscita di emergenza, mai utilizzata per quanto ne sapesse lui.
-Aspetta, amico. Devo portare fuori una ragazza con me e poi perché mi stai aiutando?
Hector gli mise una mano sul petto, pronto a colpire per qualsiasi mossa falsa del suo nuovo conoscente.
- Non abbiamo tempo e non è nel piano. È un ordine arrivato dall’alto, dalla principessa, so solo questo e non mi importa altro. Ora sparisci che non voglio morire per te.
Hector tentennò un momento per poi spalancare la porta e scappare.

Judit si sistemò con un abito scialbo arancione e con un nastro giallo che le teneva su i capelli scuri. "Questi colori non mi donano per niente!" pensò guardandosi allo specchio. Sebbene ormai ripulita, niente in lei le piaceva in quel momento.
Aprì la massiccia porta e vide davanti a lei ragazze a donne anziane che andavano avanti e indietro per il corridoio.
- Dio, ma quante sono?
- Esattamente ventidue, piacere Judit, io sono la regina Genevieve.
La ragazza sobbalzò e per la prima volta in tutta la sua vita sentì timore, quella donna le faceva paura e sentiva il bisogno incessante di fuggire dalla sua indesiderata presenza.
- Come sa il mio nome?
Balbettò un po’ abbassando infine lo sguardo: stava forse esagerando o il suo sesto senso aveva ragione nell’avere così tanta paura di lei?
- Io so tutto, ricordalo sempre. Ti va di prendere un tè con me? Voglio solo parlare, non ti mangio mica.
La sua risata le entrò fin dentro le ossa e la paura le toccò tutta la pelle, sentendo freddo.
- Avevo un impegno con sua figlia..
- Tranquilla, non avrà alcun problema. Aisha!
Una ragazzina di colore coi capelli ricci e folti spuntò, con occhi abbassati e labbra piene e tremanti.
Un altro brivido invase Judit, doveva scappare da quella donna.
- Dì alla principessa che la sua nuova dama è impegnata in una felice chiacchierata con la regina.
Aisha balbettò un “certamente, mia signora”, per poi scappare via per i corridoi, sembrava quasi corresse.
Uscirono in un immenso giardino curatissimo, con statue angeliche e con espressioni solari, cespugli ben tagliati e molti di essi anche a forma di Sole. Era un terreno molto vasto per essere un giardino, il fascino la colpì e si chiese cosa ne avrebbe fatto se quel terreno fosse stato suo.
Un tavolino bianco era situato sopra un gazebo coperto da una cupola in acciaio bianco, con forme che richiamavano il cielo di notte: pianeti, stelle, galassie.
- Siediti, sei piuttosto silenziosa ma molto attenta. Hai notato le stelle incise. Ogni persona importante ha una stella che la segue e protegge nel cielo, lo sapevi?
- Lei crede di avere una stella?
- Solo una? - rise di gusto e poi tornò seria.
- Secondo me anche tu ne hai una. Come si chiamavano i tuoi genitori?
Judit non voleva parlare delle sue cose personali ma aveva così paura che rispose senza pensarci due volte, voleva solo andare da Carol; non credeva che l’avrebbe mai pensato ma invece le sembrava ormai evidente che il vero nemico non era la principessa ma la regina.
- Mia madre Nora, mio padre non l’ho mai conosciuto. Non ci ha mai volute.
La regina sussultò impercettibilmente ma Judit notava ogni minima cosa, gliel’aveva insegnato sua madre.
- Tua madre che fine ha fatto?
- È morta.
Judit teneva quei pochi ricordi dentro di sé, come se fossero la cosa più preziosa della sua intera esistenza ed era gelosa che qualcuno potesse saperli, perfino Suryan sapeva poco e nulla.
Poco dopo Judit venne scortata nel salone, dove Carol era seduta su una poltrona di velluto. Alla sua vista balzò verso la bruna, tirandola per le braccia.
- Stai bene? Ti ha fatto qualcosa?
- No… è tutto okay?
La principessa non rispose e ancora preoccupata lasciò la stanza sussurrando prima un “Alle sedici in biblioteca”.
Judit sospirò. Odiava essere comandata a bacchetta, si chiese se Sur se la stesse cavano meglio. Avrebbe recitato un rosario, come le aveva insegnato sua madre quando era piccola, sperando che le sue preghiere venissero accolte, per Suryan ma anche per quella lieve risata che aveva sempre occupato il vuoto della sua cella.
"Non scordarti di me, principessa!"





L’insegnante Juliette De La Courre passeggiava tra i banchi di legno disposti in quattro file da tre; la sua gonna a tubino blu sottolineava le curve molto generose e faceva risaltare la sua tozza statura. Suryan, quel giorno senza velo, si avvicinò alla donna cercando di richiamare la sua attenzione. Ammetteva a se stessa di aver studiato tanto anche se gli argomenti erano davvero pochissimi: doveva solo ricordare i nomi dei Primi e l’inizio delle quattro stirpi. Nonostante ciò, la sua mente si rifiutava di credere a quelle assurdità e continuava a definire la magia e tutto ciò che la riguardava, estremamente eretica e insignificante di fronte alla presenza di Dio.
- Suryan, come mai oggi senza velo?
La donna la fece accomodare al primo banco, mettendole davanti un foglio bianco girato al contrario. L’agitazione la sentiva fin dentro se stessa, anche se non avrebbe dovuto importarle se riuscisse o meno a passare l’esame, tanto da farle sbattere in continuazione il piede, coperto da una ballerina blu, per terra come se fosse una molla.
- Credo sia inutile tenerlo per ora, la mia promessa a Dio non è però cambiata.
- Capisco. Hai un’ora per finire tutto, sto tenendo conto della tua strana situazione, non deludermi.
Suryan annuì e iniziò a leggere le domande:
1. Il Tempo della Creazione è nato grazie a quante streghe?
Quattro. Suryan questo lo ricordava.
2. Facevano parte della stessa città? Cosa decisero di fare?
Abitavano nella stessa cittadina fredda, decisero di andare alla ricerca di un posto migliore e più accogliente così da poter utilizzare la magia senza alcun problema.
3. Chi era il capo del gruppo?
Si chiamava Fiore.
4. In che gruppi si dividevano?
Sole, Luna, Foglia e Stella.
5. Trovarono la città sperata? Cosa fecero?
No, non era per nulla accogliente. Costruirono un Tempio che conteneva il Sapere di tutto e una stanza che diede inizio alle quattro stirpi. Scoppiò una guerra tra Luna e Sole, poiché troppo opposti; vinse il Sole e la Luna scappò lontano. La stirpe Foglia si estinse e Sole e Stella si unirono.
6. Ogni potere fa parte di un gruppo. Elenca quali e spiegane le funzioni.
Poteri neutri, oscuri e luce. Neutri stirpe mista, oscuri di Luna e luce di Sole. Quelli neutri scaturiscono da una parte del corpo e possono attaccare mentalmente solo gli Ignoranti. Quelli di luce da più parti del corpo e raramente dalla mente. Oscuri dalla mente e cuore. Quelli oscuri e di luce possono neutralizzare gli attacchi dei poteri neutri.
Cancellò l’ultima parte stanca di tutto. Mise “Suryan” e lo lasciò sul banco. L’esame era finito.


Sembrava così piccola, rannicchiata in una sedia posta in un angolo buio, dove la luce della candela non arrivava.
Beatrix non aveva lasciato del vuoto soltanto nei suoi occhi, era come se fosse stata svuotata completamente.
- Suryan, ehm.. congratulazioni per il test, te la sei cavata benissimo - provò a scuoterla, ottenendo un'occhiata vaga.
La ragazza sbadigliò, facendo per ridestarsi, quando finalmente lo guardò, veramente. - Oh, grazie, Theron. Scusa se prima non ti ho prestato ascolto, ero distratta - sorrise debolmente, prima di poggiare i piedi per terra. Il pavimento scricchiolò.
- Ora dovrai per forza ascoltarmi - con un movimento fluido, afferrò una sedia e ci si sedette - La partenza è prevista per oggi pomeriggio. Il monte Dargos si trova al confine, oltre ti troverai in territorio nemico. Il nostro compito è incontrare un uomo del Tesoriere, nostra spia, e ricevere da lui informazioni. Ci vorranno due giorni a piedi, noi viaggiamo sempre così. Io e Jasper avanzeremo per primi, tu ed Helga procederete dietro di noi, Bea e 'Lice chiuderanno la fila.
- Questa disposizione è dovuta alla difficoltà mia e di Helga di procedere senza inciampare in un ramo?
Nell'immaginare la scena, Theron non poté fare a meno di sorridere. - Hai capito al volo! Chi è davanti o dietro è sempre più esposto, e non possiamo permetterci di esporre due imbranate - quando strizzò l'occhio, Suryan mise un finto broncio.
- Però potremmo essere utili, dopotutto lo avete detto voi che in me si cela un potere oscuro - disse l'apprendista, anche se Theron sapeva bene che nemmeno lei credeva in ciò.
- Se non lo foste, non vi porteremmo. Helga, in modo particolare, non è una mezzosangue qualunque. Noi tutti siamo frutto dell'unione tra creature magiche e ignoranti, lei lo è tra due stirpi, la Luce e le Tenebre. Discende da due grandi eroi dell'Eclipse War; sentirai i loro nomi a tempo debito.
Quel discorso doveva averla scossa. - Quindi ha due poteri?
- Più che poteri, la chiamerei "doppia natura". I suoi capelli si tingono in base al suo umore, come avrai potuto notare, e questa è una caratteristica fisica, propria di chi detiene poteri diurni. Ma il suo reale potere è un altro..
- Darti bastonate se non ti metti subito a lavoro!
Saltò sulla sedia in men che non si dica, il rumore prodotto dalla sua caduta rimbombò per tutta la stanza.
Jalice stava in piedi sulla soglia della porta, le braccia pericolosamente incrociate sotto il seno e lo sguardo ammonitore.
Theron capì di aver detto troppo. Si grattò disperatamente la nuca, gesto che la fece infuriare di più.
- Ci penso io, a raccontare le cose. Tu va ad aiutare Beatrix e Jasper con le provviste, sai che succede quando quei due vengono lasciati soli e non me ne faccio niente di un pub ridotto a cumuli di polvere.
La luce che tingeva da dietro i suoi ricci di fuoco le conferivano un'aria minacciosa. In altre circostanze l'avrebbe trovata bellissima, ma quella volta una fuga gli sembrava la scelta più giusta.
- A dopo, Suryan!
Corse svelto e uscì, non prima di aver dato un'occhiata a 'Lice.

Theron era corso via come una lepre. Jalice arrabbiata doveva essere difficile da gestire, si era detta.
Parlando del diavolo, chiuse la porta alle sue spalle e si avviò verso la sedia in cui prima sedeva il ragazzo. Non appena si sedette, Suryan si premurò di controllarle il viso: era tornata serena.
- Theron ha la lingua lunga, Helga non vuole che certe cose si sappiano, perdonaci.
- Perdonatemi voi, questi non sono affari che mi riguardano!
Jalice sorrise. - Invece ti riguardano. Sei praticamente in mezzo a degli sconosciuti. Dobbiamo conoscerci meglio.
Quella ragazza dai capelli rossi le piaceva parecchio, era simpatica e sempre solare, un po' di sole serviva alle sue giornate buie. - Beh, su di me avete indagato. Io sono cresciuta nel monastero, raramente uscivo di lì.
- Lo so, lo so. Quello su cui stiamo indagando però è il prima. Ma ne parleremo più avanti, quando sapremo qualcosa.
Suryan era consapevole di essere di dubbia origine, il solo pensiero la inquietava. Decise di abbandonarlo per un istante e concentrarsi di nuovo su Jalice.
- Dunque, su me e Theron non ci sono storie interessanti, le nostre famiglie sono parte della Congrega, siamo praticamente cresciuti insieme qui al pub. Io ho il potere della guarigione, mia nonna prima di unirsi alla Congrega era un'infermiera alla corte della Strega Madre, poi si innamorò di mio nonno, un infiltrato, e lo seguì.
- È davvero una bella storia, ma non è stato irresponsabile lasciare posto di lavoro e famiglia per lui?
La rossa sospirò. - Se per amore, è sempre irresponsabile.
Suryan arricciò il naso. Il suo amore per Dio non era concepito in quel modo.
- Ad ogni modo - continuò la strega - abbiamo parlato della mia famiglia, adesso è il turno di quello zuccone. Theron non ha alcun potere, credimi. La sua famiglia è originaria di Osternia, è in piedi da secoli. Il sangue delle creature magiche ha avuto la peggio nelle generazioni, e lui è completamente umano; ma è forte ed è abile nel combattimento corpo a corpo. Io sono convita che in lui qualcosa di magico sia presente, un po' come un carattere recessivo, si manifesterà tra qualche generazione, magari potrebbe ereditarlo suo figlio!
Suryan era presa dal fiume di parole che dalla bocca di Jalice investiva lei, fresche come chi le pronunciava.
- Con Jasper ed Helga ho le mani legate, mi spiace, sai com'è..
- Non preoccuparti - si alzò adagio, imitata da lei - Non sono un'inquisitrice - sorrise.
Si rese conto che Jalice era più alta di lei di qualche centimetro, nonostante ciò non la guardava dall'alto al basso, i suoi occhi si mantenevano luminosi e allegri.
Ricordò quelli di Judit, meno azzurri e luccicanti, che non sembrava trovassero conforto in nulla, all'interno del monastero. Una leggera fitta la indusse ad abbassare lo sguardo.
Jalice doveva aver male interpretato quel gesto, considerando le successive parole: - Oh capisco, Bea. Anche lei ha un passato buio, non mi ha mai chiesto di nasconderlo o parlarne, ma posso assicurarti che non è una cattiva persona. Il passato l'ha forgiata così com'è, è un diamante nascosto nella roccia, scavarci intorno è difficile, ma la sua vista ti ricompensa pienamente.
Alzò lo sguardo e gli occhi di Judit sparirono dal suo immaginario per lasciar spazio alla realtà di quella stanza e di quelle parole.
Jalice conosceva bene Beatrix, aveva visto risplendere quella vera; in un primo momento fu tentata di chiederle come avesse fatto a trovare il diamante che era in lei, ma si rese subito conto della stupidità e ineguatezza della domanda. Che importava a lei, dopotutto?
- Si è fatto tardi, scendiamo?
Suryan si riscosse e annuì.

La mattinata si preannunciava fresca. La neve accumulatasi di notte avrebbe reso loro il cammino più difficile da percorrere, ma ormai poteva dirsi abituata a quel clima. A preoccuparla era l'imbranata del gruppo, che se ne stava seduta imbronciata su una panchina a pochi passi da lei. I fiocchi di neve le ricadevano sui capelli castani, il suo colore naturale. "Finalmente", aggiunse la sua voce interiore. Il rame che annunciava preoccupazione che aveva messo su dalla partenza di Jasper l'aveva irritata a tal punto che, qualche giorno prima dell'arrivo di Suryan, glieli aveva persino tirati.
Il caro Jasper se ne stava immusolito appoggiato ad una carcassa, braccia incrociate e sguardo rivolto verso un punto indefinito. Quanto avrebbe voluto spaccarglielo, quel bel faccino. Quella mattina era stata vicinissima dal compiere quell'impresa, se solo Theron ed Helga non si fossero precipitati a dividerli.
Per stuzzicarlo gli aveva detto di aver fatto un sogno erotico su Helga, lei che la portava nel bosco, lontano dalla neve, in mezzo alla vegetazione, e guardandola lasciva si sbottonava la camicia, molto lentamente. Non si era risparmiata dall'imitare il gesto, non mancando di sottolineare quanto morbida fosse la sua pelle, affamata la sua bocca, avida la sua lingua.
Il deficiente ci aveva creduto e, in un primo momento, in cui il suo volto era stato indecifrabile, una piccola ruga sulla fronte aveva tradito le sue emozioni e un lampo viola per poco non l'aveva colpita, ammazzandola.
Era tuttavia compiaciuta nel ricordare il rossore sulle sue gote un momento prima del lampo, e Bea sapeva bene che Jasper non arrossiva mai per la rabbia.
I suoi pensieri vennero interrotti da passi timidi e lenti che si facevano strada nella neve verso di lei.
Vide Suryan a pochi centimetri da lei, lo sguardo insicuro di chi non sapeva che pesci pigliare durante un litigio.
Gli angoli della bocca di Beatrix si curvarono: lei sapeva perfettamente cosa fare.
Le si avvicinò, facendola improvvisamente sussultare.
- Vieni - puntò gli occhi nei suoi - ti devo parlare.





Anticipazioni:

• Sur e Bea faccia a faccia, cosa ha in mente Beatrix?

• Chi incontra Hector in città? Quale sarà il suo ruolo nella vita di Judit?

• Judit sogna.. chi? Un invito a cena improvviso..


Al prossimo capitolo!

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Capitolo 10
*** IX ***




IX


I civili si apprestavano a lasciare libera la piazza per l'ora di cena; piano piano la folla accalcata ad alcune bancarelle cominciava a sciamare, lasciando un silenzio interrotto talvolta dai borbottii dei negozianti o dal miagolio di alcuni gattini. Accarezzò il pelo di uno di quei gatti, morbido come lo ricordava.
Hector avrebbe trascorso la vita intera ad accarezzare quei morbidi felini, non si curava assolutamente dell'immagine di lui che poteva crollare agli occhi dei delinquenti con cui aveva a che fare.
Il micio miagolò entusiasta, prima di chiudere gli occhi verdissimi. Se prima non avesse scorto quelle gemme luminose, non avrebbe identificato la presenza felina: il pelo nero lo nascondeva agli occhi.
Lo sollevò pian piano ed osservò una parte del suo corpicino. - Sei una femminuccia, eh? Vorresti venire con me? Non ho molte ladies intorno al momento.
Con le zampette finalmente al suolo, la gattina strofinò una di esse sul musetto. Era un sì?
Hector strinse le spalle e la sollevò di nuovo, la avvolse nel mantello e proseguì, diretto in un posto a lui familiare. Sperò che i compagni non l'avessero abbandonato, di nuovo.
La mocciosetta aveva ceduto e l'aveva fatto rilasciare, o meglio scappare, e ancora non riusciva a trovare il perché del suo gesto.
La prima volta che l'aveva vista, l'aveva trovata semplicemente bella nella sua aura di arroganza. Lo aveva squadrato dall'alto al basso al di là delle sbarre più di una volta, o almeno era quella l'impressione che gli aveva dato inizialmente. Si era accorto, con l'aumentare delle visite, che quello sguardo tradiva pietà. E sofferenza. Un mondo a cui lui non avrebbe potuto, in nessun modo, avere accesso.
Ascoltò il miagolio della gatta, che non sembrava trovarsi a disagio, e guardando quegli occhi verdi e quel pelo nero un nome gli sovvenne. - Sai, credo proprio che dovresti chiamarti così.
Chissà se Judit, in qualche modo, aveva avuto a che fare con quella scenata della fuga.
Non ebbe il tempo di proseguire oltre con i suoi pensieri che si ritrovò davanti la sua meta. L'insegna di un pub abbandonato da anni, recava l'incisione di un sole tagliato quasi a metà. Leggendo il titolo - Sole di Mezzanotte - non v'erano dubbi circa il motivo della chiusura. Per chiamare un pub in quel modo, il coraggio non doveva di certo mancare al proprietario.
Poggiò la gatta per terra e le parlò, come se potesse comprendere ogni sua parola: - Resta qui, ora un deficiente mi attaccherà.
Bussò e, come di previsione, una figura scattò nella sua direzione. Prontamente Hector la schivò e sfruttò l'incredulità di quest'ultimo per afferrargli il braccio teso in avanti e immobilizzarlo dietro la schiena. Il secondo pugno era pronto per essere assestato, ma Hector, conoscendo la forza dell'amico, giocò la carta delle parole. - Ciao Kirkretino, sono felice che voi non mi abbiate abbandonato.
Il pugno rimase fermo a mezz'aria. Kirk si voltò di scatto ed Hector poté scorgere i suoi occhi neri come la pece, dopo tanti mesi.
- Sei.. sei tu?! Cielo, entra!
Lo afferrò dal mantello, ma il maggiore oppose resistenza. - Aspetta, devo scortare la mia lady.
Kirk capì al volo, Hector glielo lesse negli occhi esasperati, prima di riprendersi la gatta.
Entrarono immediatamente nel pub, non prima di essersi guardati attorno, nessuno li aveva visti.
Una volta dentro, Kirk non si curò più della discrezione e subito i suoi passi pesanti risuonarono per tutto il pub. Una Globisplendente galleggiava sopra un bancone abbandonato al suo destino, i gomiti di un ragazzo magrolino erano poggiati su di esso. Hector ne vedeva il profilo: un volto scavato, graffiato sulla guancia, ciocche color pesca.
- E questo qui chi è?
Il ragazzo si voltò lentamente. Non sembrava sorpreso di vedere lì un estraneo. Hector notò che gli occhi erano di un azzurro intenso e le orecchie a punta. Capì immediatamente.
- È una fata sopravvissuta alle incursioni degli uomini di Genevieve, i suoi poteri sono stati sigillati durante l'attacco, l'abbiamo recuperato dopo la tua cattura. È più intelligente di te!
Dumont accigliò lo sguardo. Le fate vivevano nei boschi della Luna, erano autonome e raramente si intromettevano nella vita delle streghe; preferivano stuzzicare gli ignoranti. Quegli esseri, se prima non si domavano, erano capaci di incantare i viventi, eccezion fatta per le streghe di tenebra, che potevano arrestare i loro poteri con i propri.
Quella fata, in quel momento, gli sembrava impotente, come se gli avessero strappato via le ali. E chi gli assicurava che non fosse proprio così? - Come ti chiami?
- Daraen - rispose, con assoluta calma.
Non ebbe il tempo di fare altre domande che Olivia entrò noncurante nella stanza. Aveva tinto i capelli di una scura tonalità di verde, ben si adattavano agli occhi scuri. Lanciò uno sguardo veloce in direzione di Hector, poi borbottò: - Toh, alla fine sei evaso.
L'uomo mise la sua migliore espressione sarcastica. - Toh, che accoglienza. Potreste fingere di essere contenti? - si fece serio - Piuttosto, che ci fate qui se non per me?
Kirk si sedette vicino a Daraen, che continuava a guardare Hector con curiosità. I due compagni di avventure non avevano perso tempo a sostituirlo quando lui era stato catturato, con che personaggio, poi!
Con i loro vent'anni suonati, Hector e Olivia erano i membri più grandi del loro gruppetto. Kirk, diciassette anni, era quello piccolo e coccolato, Dumont l'aveva incontrato anni prima insieme a Olivia: erano amici d'infanzia, scampati ad un assalto improvviso, entrambi venivano dalla Luna. Hector si era preso cura delle loro ferite e quei due lo avevano seguito. "Tanto non abbiamo un posto in cui tornare".
- Con il tuo misero piano, avevamo perso l'occasione di prendere quei soldi. Dopo aver arruolato Daraen, ci abbiamo riprovato. Abbiamo impiegato mesi, ma il piano non ha fatto acqua da nessuna parte ed ora abbiamo un bel gruzzoletto - asserì Olivia.
- E poi siamo stanchi di doverti sempre tirare fuori, solo perché tu ami il rischio e ti fai sempre prendere come un salame - continuò Kirk.
Hector si arrese. - Okay, okay, da oggi si farà sul serio. Ottimo lavoro Dar, ma ancora ci serve denaro, dopotutto arrivare al Tempio richiederà tempo e morire di fame o di freddo non è nei miei piani.
Olivia sbuffò. - Sempre che il Tempio esista. Dumont si avviò verso la porta che conduceva alle camere, fingendo di non aver sentito. - Io vado a farmi un bagno e poi dritto a letto. Voi prendetevi cura della mia principessina - indicò la gatta.
- Come si chiama? - gli chiese Kirk. Hector sorrise nuovamente, furbo. - Judit, si chiama Judit.





Beatrix si fermò al confine tra la neve e il bosco incantato, privo di essa. Voltandosi, vide che Suryan si era fermata di colpo, quasi fosse stata distratta fino a quel momento. Quando i loro occhi si incontrarono, la suorina sussultò, reazione che fece scaturire un sorrisetto da parte della corvina.
- Niente velo oggi? Ti senti forse una ribelle?
L'espressione sul volto della ragazza si corrucciò immediatamente, ma non le diede il tempo di ribattere. - Potrai ostentare tutta la sicurezza di questo mondo, ma davanti a me è assai difficile, lo sai? Hai ancora bisogno di una balia, il fortunato sembrerebbe Jasperino... - si rese conto che quelle parole non avevano esattamente un senso e si meravigliò. Solitamente sapeva sempre cosa dire, non era solita lasciarsi guidare dalla sua bocca senza interpellare prima il cervello.
Quella ragazza doveva sicuramente avere un potere straordinario per stordirla in quel modo.
- Che cosa vuoi da me?
L'espressione di Suryan era mutata. Lanciava lampi dagli occhi verdi, quelli magici a confronto facevano meno male, pensò mentre un'idea attraversava la sua mente.
- Voglio capire che razza di potere hai, una volta per tutte.
Senza aspettare risposta, si gettò su di lei e le afferrò le braccia. La spinta fece cadere entrambe per terra, sull'erba fresca. I mugolii di protesta di Suryan si persero nel rumore dei loro corpi, l'uno sopra l'altro, che rotolavano per terra.
Rallentarono e poi si fermarono. Suryan non l'aveva fermata con il suo potere, non ne era stata in grado e adesso Beatrix si trovava con il grosso seno schiacciato a quello piccolo di lei e con le labbra a pochi centimetri dalle sue; probabilmente, durante la ruzzolata, le aveva sfiorate.
Non appena gli occhi dell'apprendista si spalancarono, Beatrix venne respinta malamente, atterrando accanto a lei.
Si alzò a fatica giusto il tempo di vedere le guance dell'altra tingersi lievemente di rosso. - Ma che ti è saltato in mente, Santo Cielo!
Riprese il fiato e, con un po' di amarezza, girò i tacchi. - Niente, eh? - si guardò in giro, poi riprese a guardare lei: - prima di arrivare al monte Dargos ci recheremo dalle Ninfe per ritirare una cosuccia che potrebbe servirci. Mettiamoci in marcia, adesso.
Suryan non mancò di risponderle male, ma Bea non l'ascoltava più. Pensò che l'unico potere che per il momento era certa fosse in possesso di quella ragazza, altro non poteva essere che la capacità di attirare la sua attenzione, qualunque cosa facesse.





- Una cena a corte? - sibilò Judit, che non si premurava di fingersi interessata.
Aveva trascorso tutto il pomeriggio nella stanza di Carol a guardarla leggere, sbuffando di tanto in tanto nella speranza di essere cacciata. I capelli biondi di quella ragazza le rammentavano una biondina conosciuta quando ancora frequentava l'istituto pubblico, una bambina altezzosa e antipatica.
Alle campane del vespro, per poco non si era alzata per tirarle i capelli, quando la signorina se ne era uscita con un "Domani sera presenzieremo ad una cena qui a corte" senza distogliere lo sguardo dal tomo verde. Il fastidio che aveva provato fino a quel momento mutò in curiosità.
- Saranno presenti il Tesoriere, il figlio e alcuni nobili del Paese. Domattina ti dedicherai alla memorizzazione dei loro nomi e di pomeriggio ti allenerai sulla postura e il comportamento a tavola. Prima ci sarà un ballo, mi auguro tu sappia ballare. È tutto, puoi ritirarti.
Judit non se lo fece ripetere. Scappò da quella stanza di corsa, senza inchinarsi, troppo presa da un pensiero che si faceva largo nella sua mente. Il suo sogno: lei che ballava fasciata da un bellissimo vestito, Hector che la guidava in quella danza.
Se era vero che i suoi sogni erano profetici, allora non aveva nulla da temere: lui sarebbe venuto, l'avrebbe visto!
Si gettò sul letto, ancora euforica si strappò il nastro dai capelli e si coprì gli occhi con le mani. Magari l'avrebbe fatta evadere, sarebbero tornati a Osternia e si sarebbe ricongiunta con Suryan!
- Ah, ma che sto dicendo?
Si alzò aiutandosi con entrambi i gomiti, una volta ricompostasi. Si avvicinò alla finestra e osservò l'immenso panorama che si stagliava oltre il giardino. Tante piccole luci illuminavano la città, che doveva essere molto grande. Hector doveva essere ancora lì, da qualche parte, per qualche ragione lo immaginò nascosto in uno dei tanti punti scuri lontani dalle luci.
Si chiese quanto fosse lontana dal monastero, dalla vita che era stata sua per molti anni. In quel palazzo, nulla le apparteneva, neanche la sua vita. Era costretta a pendere dalle labbra di altre persone, come del resto faceva al monastero. Sembrava una condanna, la sua.
Pensò ad Hector, a quanto si fosse sentita libera parlando con lui. Avrebbe dato qualsiasi cosa per riassaporare quella libertà.





In mezzo al verde e agli alberi, Suryan guardava sbigottita cotanta bellezza. Fin da piccola adorava i boschi, le campagne; purtroppo però poteva visitare solo il piccolo spiazzale del monastero che non aveva alcuna vegetazione; raramente era salita da piccola con Judit in montagna. Vide poco più avanti un cespuglio di rose rosse, dietro un albero. Erano così belle.
- Ti piace molto qui?
Jalice le si avvicinò prendendola a braccetto, ridendo di gusto quando vide la reazione spaventata di Suryan.
- Ti spaventi proprio di tutto, tu!
Suryan fece un respiro profondo e rispose stizzita: - Vorrei vedere te nella mia situazione. Sono arrivata qui e mi hai fatto vedere come sapevi far fluttuale una radio e la mia amica è ancora dispersa, dopo aver ucciso un uomo..
- L'ha fatto per difendersi, non era una brava persona, fa parte dei seguaci del Sole.
- Magari aveva famiglia ed era solo obbligato nell'essere parte di tutto ciò. Non credo gli abbiano dato scelta, esattamente come tutti voi. Se aveste potuto scegliere non apparterreste alla Congrega dell'Occhio ma a qualcosa di più rilevante. Sbaglio?
Jalice non fiatò, lì intervenne Helga. - Non puoi parlare di cose che non sai.
- Ha il diritto di farlo, la stiamo trattenendo quasi contro la sua volontà in un posto speciale che non conosce, con persone che non le dicono nulla e che ancora non hanno mosso un dito per lei se non farle dare delle lezioni generali sulla nostra storia. Mi sbaglio, Suryan? Dove vorresti essere ora?
Beatrix guardò dritta negli occhi di Suryan, benché non fu lei a parlare. Jasper aveva espresso quel pensiero che aveva riscaldato il cuore di Suryan. Aveva così tanto bisogno di comprensione, di qualcosa di umano e Jasper, senza che lei glielo chiedesse, l'aveva appena fatto.
Dopo attimi di un silenzio pesante, Suryan guardò Beatrix ma seguì poi il suo cuore, tornando su Jasper.
- Mi sento così incompresa qui. Tu, Jalice, quando ci siamo conosciute mi hai detto "io morirei se al posto di Judit ci fosse stata Beatrix", nonostante ciò nessuno mi ha proposto un piano per ritrovarla, se ancora viva! Avete solo pensato che so neutralizzare i vostri attacchi, di trovare la mia famiglia, parlare con le suore che mi hanno cresciuta... non sono una macchina da guerra, non credo di aver alcun potere perché penso si sarebbe mostrato, ma non è mai uscito fuori nulla se non neutralizzare voi! Io voglio trovare la mia amica, non partire in missioni che non mi interessano. Mi avete ospitata, è vero - fece un respiro profondo e poi continuò, stringendo attorno al suo pugno il Crocifisso situato attorno al collo - ma nessuno di voi ha cercato di aiutarmi.
Un rumore fece girare tutti verso Beatrix, che aveva appena lanciato una pietra contro un albero, che magicamente si era aperto mostrando una porta.
- Ne parleremo più tardi a casa. Siamo appena arrivati dove dovevamo arrivare. Jasper, visto che sei l'unico a capire le esigenze di questa ragazza, riportala a casa. Chiama mia madre e parlale di questa sua amica. Gli altri per favore, con me.
Suryan stava per obiettare quando Beatrix la fulminò: - È meglio se non dici altro.
Dopo di che si avvicinò alla porta-albero, entrando seguita da tutti gli altri a parte Jasper, che delicatamente aveva preso con sé Suryan avvolgendo un braccio intorno alle sue spalle.
- Non preoccuparti per lei, le passerà. Hai detto cose vere, ed è per questo che se l'è presa così tanto, credo tenga un po' a te e sapere di essere una cattiva amica le ha fatto del male.
Suryan annuì e tornò verso il Pub Hidden guardando per terra, non ascoltando tutte le chiacchiere di Jasper. Aveva bisogno di piangere, era frustata e triste. Stava andando tutto male e dopo mesi di silenzio a inghiottire sempre il boccone amaro che era diventato la sua vita, voleva solo tornare a casa.
Salì le scale di legno scricchiolanti entrando poi nella sua camera, si sedette davanti alla specchiera e iniziò a pettinarsi i lunghi e scuri capelli. I suoi occhi, quel giorno grigi, sembravano spenti. Come se davanti a sé non vedesse altro che disperazione e neanche una via d'uscita.
Chiuse gli occhi e immaginò una bellissima rosa rossa, vista quel pomeriggio nel bosco. Il profumo, il colore accentuato dalle gocce d'acqua sui petali...
Aprì gli occhi sbarrandoli dopo aver visto davanti a sé uno stelo. Una rosa era poggiata sulla sua specchiera.


Beatrix vide davanti e attorno a sé legno di cedro. Quel posto faceva puzza di muffa e il silenzio non prometteva nulla di buono.
- Che puzza, ragazzi.
Jalice si copriva il naso con la manica del suo maglione verde.
- Sembra che qualcuno sia morto qui dentro.
Helga ansiosa si avvicinò a Beatrix; quest'ultima cautamente uscì un coltellino con l'impugnatura in argento a forma di occhio.
- Siamo della Congrega dell'Occhio. Vorremmo parlare con Ursola. Abbiamo con noi l'erba Maga.
Una donna apparve dal nulla davanti a Beatrix. Aveva i capelli azzurri fin sopra le caviglie ed aveva un vestito altrettanto lungo bianco.
- Ursola è malata. Con cosa volete scambiare le erbe?
La sua dolce voce fece rilassare tutto il gruppo che poco prima era in allarme.
Avevano letto di queste Ninfee solo nei libri, vederne una dal vivo era fantastico.
Gli occhi azzurri della Ninfa incitarono Jalice a parlare.
- La pozione dell'esplosione silenziosa.
La Ninfa scosse la testa: - Non creiamo più pozioni da guerra. Non distruggiamo più nulla. Tempo fa vi abbiamo già dato le nostre ultime pozioni di teletrasporto.
- Siamo noi i buoni. Ma va bene, sicuramente non avete così tanto bisogno dell'erba Maga, se ne avrete bisogno chiederete voi a quei Conigli aggressivi. O alla loro padrona.
Jalice fece per andarsene quando la risposta della Ninfa le diede una speranza.
- Sai benissimo che non abbiamo buoni rapporti.
Beatrix prese parola con il suo solito tono aggressivo e arrogante: - So anche che Ursola sta per partorire un mezzosangue. Una cosa davvero disonorevole e pericolosa, probabilmente avete trovato una soluzione all'erba Maga, create forza con qualche vostro intruglio?
- Basta così, uscite dalla mia casa.
All'improvviso un fumo rosa rivelò un'altra ninfa con in mano una pozione dal liquido giallo.
- Andate via e datemi le erbe.
- Rosy, cosa fai?!
- È mia sorella, quella. Mia sorella.
La Ninfa Rosy mise tra le mani di Beatrix la pozione, continuando a discutere con la ninfa azzurra.
Jalice approfittò della situazione e diede subito l'erba a Rosy, i ragazzi uscirono velocemente prima di un cambio di programma.





Il nero dei suoi capelli sembrava essersi adattato allo sfondo, o forse era il contrario. La sua veste aveva assunto tonalità bianche e grigie, spiccava in quel mare oscuro.
Judit camminava, ogni passo le gambe si appesantivano, rendendole quasi impossibile procedere. Stanca, si era fermata in un punto da cui era visibile una sfumatura violacea all'orizzonte, da cui una debole scia di fumo si era alzata. Era rimasta ferma, a contemplarla. Un odore familiare la pervadeva, non sapeva dire se si fosse diramato da quella scia o da dietro. Il fumo si era condensato ed una figura indistinta aveva allungato una mano, verso di lei.
- HIDDEN!


Saltò letteralmente sul lenzuolo, l'orecchio le fischiava ancora. Si portò una mano sul viso sudato e, ancora ansante, sospirò: - Oh, Signore.





- Vuoi una cioccolata calda?
Jasper si sedette accanto a Suryan, sul divano al piano inferiore. I pantaloni marroni del ragazzo erano piuttosto carini come il maglione blu. I capelli erano composti e lucenti, chissà come li lavava, si chiese un attimo la bruna, prima di tornare alla sua preoccupazione.
- Mi sembri piuttosto turbata. Cosa c'è che non va? Farai pace con gli altri, stai tranquilla.
Suryan non rispose e guardò incessantemente la rosa tra le sue mani.
- Questa dove l'hai presa? Non ricordavo ne avessi presa una dal bosco.
- Se ti dico un segreto... resterà tra noi per sempre?
Jasper si alzò dal divano e urlò: - Mano sul cuore! Guarda, ogni volta che ci facciamo una promessa o ci riveliamo qualcosa possiamo poggiare il nostro indice sul cuore. Vieni, dammi il tuo dito.
Suryan rise per la sua risposta e avvicinò la mano. Jasper prese l'indice facendole chiudere le altre dita, per poggiarselo poi sul cuore.
Suryan sentì i suoi battiti accelerati e arrossì per la loro vicinanza.
- Posso anche io?
Suryan stranamente annuì e Jasper fece lo stesso. Prese il suo indice e lo premette sul petto di Suryan che stava morendo di vergogna. Una suora poteva tenere un comportamento simile? Era consueto?
- Prima ero arrabbiata e ho chiuso gli occhi.
Si fermò perché la voce iniziò a tremarle. Non riusciva più in nulla, prima era così fredda e controllata; da quando era arrivata alla locanda il suo modo di essere era stato per metà oscurato, sentiva di non riconoscersi più pienamente.
- Sur, ti ascolto.
Jasper prese la sua mano tra le sue e le sorrise, facendo cenno di continuare.
La sua mano era così calda che Suryan quasi quasi sentiva di doversi staccare. Ma non lo fece.
- Ho immaginato il colore delle rose, lo stelo, i petali e...
Alzò con la mano libera la rosa.
Jasper rimase in silenzio e in modo serio e deciso iniziò a parlare: - Non devi dirlo a nessuno. Né agli Anziani, né alla tua insegnante, né a Helga, Jalice e Theron. Soprattutto a Beatrix. Devi tenerlo per te o ti useranno e faranno di te uno stupido oggetto, non ti ci senti già un po', ora? Figurati dopo. Questo deve rimanere il nostro segreto.
Suryan annuì convinta e si sentì felice di averne parlato con Jasper. Era però così stanca. Il ragazzo la fece appoggiare alla sua spalla e ancora con le mani unite, Suryan si addormentò.
Dei passi nell'atrio la ridestarono dal suo sonno e non ebbe il tempo di realizzare il tutto che vide davanti a sé Beatrix ed Helga. Quest'ultima aveva i capelli color fuoco e corse al piano di sopra, quasi singhiozzante di rabbia. Beatrix con i suoi occhi scuri guardò dritta negli occhi chiari della ragazza per poi andarsene via, urlando in sala: - Non passate dal salone, c'è un momento romantico e nessuno dovrebbe rovinarlo!
Suryan però sapeva che più che agli altri ragazzi, quella frase urlata, era per lei.





Hector si svegliò di soprassalto, per poco non finì ai piedi del letto. Si alzò a fatica e andò a rovistare tra le scorte che i suoi compagni gli avevano passato, in cerca del suo amato aceto di mele.
Voleva distrarsi, cercare di non pensare a quanto aveva visto in sogno. Una ragazzina, in lontananza, vestita di bianco, avanzava a fatica sospirando, e quel sospiro Hector l'avrebbe riconosciuto tra mille. Ascoltandolo, si era addormentato con serenità ogni singola notte in quella cella buia.
La bottiglia gli cadde di mano.
Judit era Hidden.
Se si fosse trattato di qualsiasi altra, avrebbe riso divertito e avrebbe additato quello come un semplice sogno. Judit non poteva tuttavia essere considerata un semplice sogno: era una discendente della Prima, colei che poteva considerarsi la Madre della Luna, ne era certo, nessuno all'infuori della sua stirpe poteva permettersi di possedere la preveggenza, gliel’aveva detto Olivia: era un segreto degli abitanti della Luna.
Si fiondò nel pub e vi trovò Kirk e Daraen, il secondo stava parlando a bassa voce di chissà cosa. Fu ovviamente la fata scaltra ad accorgersi di lui.
- Hector, qual buon vento? - esordì Kirk. - Stavo giusto pensando di rinomarci: "Il Sole di Mezzanotte". Non male per una banda!
Dumont sospirò. - Devo parlarvi, idiota.





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Capitolo 11
*** X ***




X


Carol aprì l'armadio in legno. La sua stanza, a parte quella della madre, era l'unica ad avere varianti di colore. Il legno regnava in quella camera, le aveva sempre messo tranquillità e calore.
- Potrei mettere la gonna gialla con un top bianco con la stampa a forma di sole.
- Cosa devi fare oggi?
La Somma Kendra era seduta sul letto dalla trapunta viola. Esso era a baldacchino, la struttura di legno sovrastava la stanza.
- Volevo portare Judit in giardino, nella parte Ovest. Le insegnerò qualcosa per la cena in imminente arrivo.
La principessa aveva ancora lo sguardo indeciso verso i vestiti, tutto quel giallo, arancione, oro, le facevano girare la testa. Aveva rari capi bianchi, con stampe gialle e arancioni e due o tre abiti rossi, non aveva ancora però l'età per indossarli. Erano le regole. - Credo possano andare benissimo. Hai già preparato un vestito per Judit? Parleranno anche di lei e sarà qualche volta al centro dell'attenzione, e deve saperci stare. È la tua dama di compagnia, ne risentiresti pure tu di una brutta figura.
La bionda annuì consapevole. Ci pensava da quando le avevano annunciato della cena e del ballo.
- Vedrò cosa fare.
Un improvviso mal di testa la fece piegare dal dolore, la Somma Kendra si precipitò verso la regnante, preoccupata.
- Carol, Carol? Mi senti?
Nonostante la veneranda età, tirò di peso la ragazza sul letto. Era la cosa a cui teneva più al mondo.
- Sto bene, sto bene. È passato. Santo cielo, non mi è mai successo in questo modo.
La ragazza si massaggiò le tempie, nonostante il dolore fosse cessato del tutto.
Si concentrò immaginando un bicchiere di acqua, la consistenza, il liquido trasparente; notò con disappunto di non essere riuscita nel suo intento.
L'acqua era arrivata senza bicchiere sulla sua veste.
- Te ne prendo uno io, sei ancora agitata, non preoccuparti, non pensare cose strane, va bene?
La vecchia accarezzava con delicatezza i capelli della ragazza sconvolta.
- Non dirlo a nessuno, ti prego.
Stava quasi singhiozzando dalla paura; se solo sua madre avesse scoperto una cosa simile...
- Non c'è neanche bisogno di dirlo, Carol.
La donna si sentiva offesa da quella precisazione.
- Non potrei mai tradirti, mai.
La principessa annuì impercettibilmente facendo uscire la sua allevatrice.
Cosa mi sta succedendo?
Stava forse morendo? Era malata? Qualcuno le aveva fatto un incantesimo? I suoi poteri stavano scomparendo?
Non riuscì a rispondere a nessuna e arrabbiata, si coricò chiudendo gli occhi.
Judit avrebbe aspettato, aveva bisogno di stare sola.





Suryan si alzò di scatto dal letto, un brutto sogno l'aveva spaventata tanto da svegliarla. Suor Caroline era per terra esanime con una pozza di sangue, che gocciolava al piano inferiore dal pavimento.
Respirò affannosamente fino a quando si decise di alzarsi; Jalice le aveva comprato molti vestiti adatti ad un'apprendista. La sua camicia da notte arrivava all'altezza delle ginocchia, si sentiva però stranamente a disagio. In quel posto nessuno credeva al suo Dio e non poteva certo biasimare il perché; nonostante ciò quello che la turbava di più era che sentiva di starsene allontanando pure lei. Ed era la cosa più brutta che avrebbe mai potuto pensare succedesse.
Scese le scale di legno scricchiolanti e sopra la camicia indossò un giubbotto imbottito. La neve iniziava ormai a sciogliersi del tutto, era stata una stagione lunghissima. Aveva iniziato a cadere ad ottobre e stava finendo solo a metà marzo. Non aveva mai assistito a nulla di simile, o almeno da quando ne avesse memoria.
- Cosa fai qui fuori?
Beatrix stava bevendo qualcosa dal liquido di colore marrone. La sua testa continuava a stare immobile, senza degnarsi di guardare l'amica negli occhi. Il maglione di lana nero la faceva sembrare il doppio di quello che era e questo era davvero buffo. Aveva una forma splendida, Suryan sapeva che ogni mattina si allenava, lei non ce l'avrebbe mai fatta.
- Ho bisogno di aria. Se ti disturbo esco dal retro.
Suryan non si mosse fino a quando Beatrix non si voltò di scatto, porgendole il bicchiere dal liquido insolito.
- Cos'è?
- Vodka. La mia preferita, assaggia.
Suryan prese il bicchiere tra le mani e quasi le cadde dalla preoccupazione! Poteva farcela, solo un sorso. Con la lingua toccò la bevanda e iniziò a tossire e a sputare.
Beatrix scoppiò in una risata piena e così gioiosa che Suryan la seguì poco dopo, anche se un po' a fatica.
- Sei davvero unica, Suryan.
La ragazza dagli occhi verdi si avvicinò alla corvina; di rimando Beatrix le prese le mani fredde.
- Ti va di salire sul tetto? Io lì penso meglio e si vedono bene le stelle.
Suryan annuì e Beatrix prendendola per mano la fece salire tre rampe di scale, cercando di fare meno rumore possibile.
Le due ragazze si distesero sul tetto.
- Ma tu non metti mai il pigiama?
Beatrix sorrise.
- Dormo con una canottiera nera e un paio di mutande che metto esclusivamente cinque secondi prima di addormentarmi, Sur.
Suryan la guardò sbigottita per poi ridestarsi. Insomma, non tutti potevano essere come lei, no?
- Avvicinati, non senti freddo?
Suryan non ci pensò due volte ad appoggiare la testa sul braccio disteso della corvina. Si sentiva così bene! Non pensava a nulla se non a quel momento, a quell'istante che dopo mesi, se non forse anni, se non forse da sempre, la fece sentire viva. Non un numero qualunque dietro le file di qualcuno, ma speciale, con un valore personale.
Le stelle riempivano il cielo scuro, sembravano un disegno meraviglioso su uno sfondo nero che però in quel momento non le incuteva timore o mistero, ma solo serenità e voglia di assaporarlo tutto.
Con gli occhi cercò le stelle più grandi e luminose, sapendo già in realtà fossero pianeti.
Sentiva di dirle della rosa, di come l'aveva fatta apparire sulla sua specchiera, di come si fosse sentita. Prima però, voleva sapere qualcosa di importante di lei.
- Hai sofferto molto, Bea?
La ribelle si sentì strana sentendosi chiamata così dalla quasi suora ma scacciò quel pensiero irrilevante. Le stelle stavano scaldando anche lei, il suo corpo era così rilassato che le sembrava di essere distesa sul materasso più comodo del mondo e non su dei mattoni.
- Ho avuto tanti motivi per farlo.
- Puoi... vuoi dirmi uno di questi?
Beatrix si mise su un fianco, con il fiato sul collo di Suryan.
- Ero innamorata di una persona che si è presa gioco di me. Avevo fatto di tutto pur di far funzionare le cose, avrei dato anche la mia vita per starci bene, per essere felice con quella persona che mi faceva sentire viva e... qualcosa di indescrivibile.
- Come si chiamava? Era un ragazzo del gruppo?
Beatrix rise amaramente per poi sfilare il braccio dal collo di Suryan, sedendosi.
- Era una ragazza, si chiama Eileen.
Suryan rimase così sorpresa che non riuscì più a dire nulla.
Il silenzio durò per interi minuti fino a quando non fu Beatrix a riparlare, non aspettandosi più una risposta dalla compagna accanto a lei.
- Forse è meglio rientrare, ci aspetta una giornata pesante ed è già tardissimo. Quattro ore e albeggia il sole.
Non aspettò nessuna risposta e scese giù, girandosi solo una volta per vedere se la ragazza la seguisse. Lo stava facendo con lo sguardo basso.





Judit era stremata. Era il vespro e i piedi le dolevano; il castello a breve avrebbe aperto i battenti in occasione del Ballo dei civili, o come le cameriere l'avevano chiamato, e lei sembrava sospesa tra la vita e la morte.
Quella mattina era stata quasi buttata dal letto da una cameriera piuttosto robusta, neanche il tempo di realizzare di esser stata svegliata con un urlo in faccia che subito venne trascinata in bagno. Fu condotta in un'ampia sala dalle grandi vetrate che davano sul giardino, la luce solare filtrando aveva accompagnato ogni suo passo tra torce dorate appese e sfavillanti diamanti. Il suo maestro di ballo non era stato affatto paziente con lei: non aveva fatto altro che riprenderla al minimo sbaglio. Judit era perfettamente in grado di ballare, dopotutto i passi di danza di quei luoghi non differivano molto da quelli mondani, solo che quel giorno il maestro doveva essersi alzato col piede sbagliato.
Durante le prove all'ora di pranzo, aveva azzardato a domandare dove diamine fosse finita la biondina, ma ciò che aveva ottenuto era stato un ghigno da parte dell'insegnante di galateo. "Non c'è niente da fare, sei carente di buone maniere, non sei neanche al corrente dell'importanza dell'ordine in cui è opportuno prendere le posate, dall'esterno, mai iniziare dall'interno! Le buone maniere a tavola prima di tutto!"
Sembrava che la sua voce civettuola si fosse insinuata nella sua mente per non uscirne più, aveva ancora mal di testa. Si massaggiò le tempie, esasperata. Il piedi le facevano ancora male per via dell'allenamento pomeridiano e a breve avrebbe dovuto affrontare un ballo. L'unica cosa buona che aveva ottenuto era stata un'informazione sulla sua posizione. Era stata Aisha, la cameriera dalla pelle scura, a donargliela, gentilmente. "Osternia? Non è molto lontana, ma è davvero difficile oltrepassare il confine. Un incantesimo ci tiene separati dai territori della Luna, che sono davvero vasti, sebbene vi regni la più totale anarchia. Dicono che, quando attraversi il confine, il giorno diventa notte e viceversa. Adesso starà per fare mattina ad Osternia" le aveva detto circa mezz'ora prima, mentre era intenta a versare dell'acqua in una bacinella per alleviarle il dolore ai piedi. Si era messa a pregare, in un sussurro, quasi fosse gelosa di Quelle Sante Parole. Aveva imparato ad amare Dio grazie alla madre, la cui fede era incrollabile, non certo in monastero. Avrebbe voluto continuare ad amarLo in quel modo per sempre, senza bisogno di una veste a dimostrarlo.
I suoi pensieri furono interrotti dalla porta che man mano veniva aperta. Una fronte rugosa, prima appena visibile, poi totalmente, introdusse la figura della Somma Kendra, un'anziana molto vicina a Carol Sonya. Vedendola seduta con i piedi in una bacinella, doveva aver convenuto fosse meglio non farla alzare. Poggiò un pacchetto glicine sulle sue ginocchia e Judit capì.
- La signorina Carol non si è affatto dimenticata di te. Ha scelto personalmente l'abito, a breve alcune cameriere ti aiuteranno a indossarlo. Speriamo sia di tuo gradimento.
Fece per uscire, quando Judit la fermò. Era esausta, ma la sua curiosità era più forte della stanchezza.
- Aspetti! Lei ha scoperto il mio potere, mi dica di più, la prego!
La Somma Kendra si voltò. Non aveva un'espressione sorpresa. - Io sono solo una sensitiva, percepisco le presenze, i poteri. Come me, anche tu hai dei poteri derivanti dalle streghe della Luna, ma ahimè, sono una vecchia, in gioventù ho raccolto la mia energia spirituale racchiudendola in questo bastone - lo alzò da terra - prevedendo questi tempi. Ora dipendo da esso. Non sono in grado di fare altro, te lo dico con il cuore pieno di sincerità.
Judit sgranò gli occhi. - Perché mi dice tutto questo?
La Somma Kendra le mostrò un sorriso amaro. - Perché anche io sono stata una prigioniera.





Suryan aveva dormito davvero poco, non solo perché aveva avuto solo quattro ore per riposarsi, principalmente perché non faceva altro che pensare a quello che aveva scoperto.
Beatrix stava con una ragazza. Nella sua visione cattolica doveva sembrare ai suoi occhi un abominio ma in realtà non ci riusciva. Non vedeva una Beatrix diversa da quello che era sempre stata ai suoi occhi, anzi si sentiva più sicura. Qualcosa dentro di lei le aveva fatto sorgere il dubbio ma non ci aveva fatto caso più di tanto, nonostante ciò era rimasta la notte precedente sbigottita, così tanto da non riuscire a pronunciare una sola sillaba.
Si mise un maglione bordeaux di lana, una sciarpa nera di cotone e dei pantaloni imbottiti neri, accompagnati da degli stivali verde scuro di vernice.
Non riusciva a credere di aver cambiato il suo abito consacrato da ormai mesi con questi nuovi vestiti. Per carità, Jalice aveva scelto benissimo, non erano per nulla sconvenienti, ma non credeva che sarebbe mai riuscita ad indossare qualcosa di diverso, che avrebbe mai voluto farlo.
- Buongiorno, Sur! Stavamo giusto parlando di una cosa che sicuramente ti farà piacere sapere.
Jalice con un grembiule verde faceva volare frittele e bicchieri pieni di latte per ogni commensale.
Helga era seduta a capotavola, la testa abbassata e completamente vestita di nero, cosa mai vista da Suryan. Ai suoi due lati vi erano Claudius e Romina.
Poco più avanti, disposte in entrambe le file vi erano Jasper, Beatrix, Theron, un bambino che non aveva mai visto e la piccola Annabelle, la sorellina di Jalice.
La bambina rossa saltò addosso a Suryan, era appena tornata da un campeggio per bambini.
La ragazza sorrise, sinceramente felice di rivederla, le metteva così umanità.
- Bentornata, 'Belle!
- Mi siete mancati tutti! Anche se un po' di più la mia sorellona.
Scappò da Suryan a Jalice, attaccandosi al suo grembiule.
Le due sorelle si abbracciarono e si sedettero vicino a tavola, erano davvero molto unite nonostante la rilevante differenza d'età.
Suryan si volse verso Beatrix che non aveva alzato lo sguardo nemmeno una volta dalle sue frittelle con sciroppo d'acero, e fu però obbligata a farlo quando Suryan si fece posto accanto a lei.
- Buongiorno, Beacosa. Hai dormito bene?
La corvina, a dir poco sorpresa, non riuscì a contenere lo stupore urlando, fin troppo, un: - Ma che cazzo...
Suryan si mise le mani alle orecchie, cosa che faceva puntualmente perché tutti lì dentro accompagnavano quasi sempre una frase da una parola scurrile.
- Per favore, usa termini più adeguati! Quante volte devo dirlo?
Beatrix continuava a guardarla con occhi sgranati con il silenzio degli altri come spettatori. Più sorpresi della reazione di Beatrix che di Suryan, essendo all'oscuro delle circostanze.
- Buongiorno anche a te, Suryan! Dormito bene? Grazie, Beatrix, ho dormito bene anche io!
L'apprendista prendendo in giro la -secondo lei- maleducazione della compagna, impersonò un dialogo con se stessa interpretando anche Beatrix.
- Sì sì, okay. Buongiorno, Suryan.
La corvina ritornò al suo piatto lasciando gli altri un po' confusi.
- Ti sei alzata col piede storto, vedo.
Jalice porse un po' di vino all'amica, accentuando la sua frase.
Beatrix prese il vino e iniziò a bere, offuscando un po' del suo malessere.
- Qual era la bella notizia?
Suryan riprese a parlare poco dopo che la situazione si fosse ristabilizzata, sperando in una novità su Judit.
Romina si scostò i capelli mossi dal viso e iniziò a parlare riempendosi un bicchiere di latte.
- Abbiamo pensato di fare una visita al Monastero. E se senti di dover tornare lì, ritornerai senza problemi. I tuoi poteri consistono semplicemente nel neutralizzare gli attacchi della nostra Congrega, non ci sono di elevata utilità visto che noi mezzosangue siamo tutti dalla stessa parte.
Jasper e Suryan si scambiarono un'occhiata di intesa sapendo che in realtà non era propriamente così.
La donna bevve un sorso di latte e poco dopo riprese: - Ovviamente non dovrai dire a nessuno di ciò che hai iniziato a studiare e che hai visto. Ormai fai parte del nostro gruppo e saresti sempre la benvenuta se volessi rimanere con noi.
Suryan sentì il suo cuore battere forte e la felicità le fece inumidire gli occhi, cosa che non sfuggì a Jalice che le mise una mano sulla spalla. Sarebbe finalmente tornata a casa?
Con voce tremante di emozione iniziò a parlare: - Mi trovo davvero bene con voi ma credo sia giusto dirvi che vorrei tornare a casa e visto che saremo lì, potrete parlare con la suora che mi ha trovata, Caroline. È una donna molto dolce e comprensiva, non si farà problemi a riguardo.
Si chiese se Judit fosse già a casa; nonostante ciò l'emozione lasciò un piccolo spazio di incertezza. I suoi sentimenti sembravano così confusi e così contorti!
Claudius annuì convinto, toccandosi la barba incolta rossa.
- Penso sia un buon compromesso, ormai ti vogliamo tutti bene e speriamo il meglio per te.
Suryan si sentì compiaciuta da quelle parole; ci teneva anche lei, più di quanto riuscisse ad ammettere a se stessa.
- Farai l'ultimo viaggio al Monte Dargos insieme a tutti i tuoi amici e poi andremo al Monastero. Ti va?
- Sì, con piacere.
Jasper prese parola invitando Suryan ad alzarsi per uscire un po'.
- Prendiamo un po' d'aria, credo tu ora ne abbia bisogno.
Suryan annuì e guardò Beatrix che aveva posato lo sguardo sull'apprendista. La corvina le sorrise e Suryan si sentì più tranquilla. Era felice anche lei per il suo ritorno? O forse semplicemente non vedeva l'ora se ne andasse?
Dopo le confidenze della notte prima sentì dentro di lei che la verità si celasse nella sua prima domanda.
Si alzò e raggiunse Jasper ormai alla porta, lanciando un'occhiata ad Helga, che aveva appena lasciato la tavola.
Forse qualcosa stava andando bene.





Quando era piccola, sua madre le faceva indossare i vestiti nuovi senza che lei li vedesse se non prima fosse stata pronta. Nora era una sarta, entrambe vivevano discretamente grazie al suo lavoro, dal momento che era l'unica sarta in tutta Osternia. Lavorava sempre, fino a tarda notte, e Judit la osservava, incantata dalle sue abili mani, capaci di creare capolavori.
Quella sera, si era fatta vestire e acconciare i capelli lontano dallo specchio. Non aveva dato alcuno sguardo al vestito, aveva tenuto gli occhi chiusi, non mancando di ascoltare i pettegolezzi delle cameriere. "Questa sera verrà anche Jonny; sembra che ultimamente abbia la testa tra le nuvole, si sarà innamorato?"; "È un ragazzo così nella media, ma ha tanti soldi!"; "Chissà chi è la fortunata!".
Le chiacchiere si erano quietate quando la cameriera addetta alle acconciature aveva ultimato il suo lavoro.
Dopo un po', la stanza si era vuotata: Judit era la ancora ferma in quel punto. Avanzò a passo lento verso l'ampia specchiera bordata d'oro, facendo attenzione a non guardare la stoffa che l'avvolgeva.
Dato l'ambiente e le usanze del posto, nelle sue aspettative si era fatta largo l'idea dell'ennesimo vestito giallo canarino che non le avrebbe donato. Odiava il giallo, addosso in modo particolare.
Quello che vide la spiazzò.
I capelli erano legati dietro la nuca in un'acconciatura elaborata, erano intrecciati fino a formare una stella a molte punte, una sola ciocca le incorniciava il viso.
Nell'argento della collana, che riempiva la porzione di pelle lasciata scoperta dallo scollo a barca, erano incastonate pietre verdi, non luminose come smeraldi, ma più scure e opache, lo stesso dicasi degli orecchini.
L'ampio e morbido vestito che la fasciava era anch'esso di un verde scuro. Per constatarne la morbidezza, affondò le mani tra le balze. Era bello. Era bella. L'ultima volta che si era sentita bella la ricordava chiaramente, ma non pensava che avrebbe potuto rivivere quel ricordo. L'ultimo vestito che la madre le aveva confezionato era del medesimo colore. "Sei come la tua mamma, ti donano i colori scuri" le aveva detto mentre era intenta a legare un nastro ai suoi capelli.
Una lacrima minacciò di solcare il suo viso, ma decise di ricacciarla, tenendo che il trucco si rovinasse.
Si sentiva pronta a rivivere il suo sogno.
- Hector, sto arrivando.


- Vorresti agire nella stanza da ballo?
Ormai Daraen aveva monopolizzato la sua banda, c'era poco da fare.
Se ne stava con le mani poggiate sotto il mento a scrutarlo quasi fosse un criminale - anche se, effettivamente, era un criminale.
Hector era intento a sistemare la sua vecchia giacca blu bordata d'oro davanti allo specchio, scocciato dal tono saccente della fata.
- Genevieve e figlia si intrattengono sempre poco nella sala da ballo, sono sempre fuori a salutare gli invitati o nella sala da pranzo a dare disposizioni. Vedrete, non correrò alcun rischio.
Kirk poggiò una ciotola di latte per terra. - L'ultima volta che hai detto così, e anche quella prima, sei stato sbattuto come un prosciutto in gattabuia. Capito, piccola Judit, gattabuia!
La gattina accorse per immergere il musetto nella ciotola, noncurante del moro.
Hector gli lanciò uno sguardo torvo.
- E fategli fare quello che vuole, tanto è lui a finire in prigione! - sbottò Olivia, intenta a limarsi le unghie.
- Dovrei dirti grazie?
Daraen sospirò. - E va bene, ma voialtri mi seguirete.
Kirk e Olivia annuirono.
- Obbedienti come cagnolini, non posso proprio abbandonarvi per qualche mese! E, Kirkretino, giù le mani dalla mia ragazza! - indicando la mano del moro che accarezzava la gatta.
Sbuffò e tornò a guardarsi. Era pronto.
- Principessa, sto arrivando.



Hector (E NON POTEVA CHE ESSERE IL SOMMO)
Olivia
Kirk


Anticipazioni:

- Si aprono le danze! Una sorpresa è in serbo per Hector!

- Kirk e Daraen: nuovi e misteriosi passaggi segreti si apriranno nel palazzo reale.

- Sussurri a cena.. chi è veramente Hidden?

- E Olivia? Dove mai potrebbe essere andata?

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Capitolo 12
*** XI ***




XI


Carol Sonya era chiusa nella propria camera e seduta sul letto a baldacchino ammirava il tramonto. La sua veranda dava su una parte non recintata dei grandi giardini e amava tremendamente questa cosa. Sapere che ci fosse qualcosa di non recintato vicino a lei la faceva sentire serena, quasi compiaciuta.
Delle volte, però, quella stessa sensazione si tramutava in dolore. Un dolore puro e accecante, così profondo e devastante che tutto intorno a lei sembrava essere il buio più assoluto.
Nonostante il castello fosse della stirpe del Sole, nonostante i colori, le luci, lei avvertiva l’oscurità dentro e fuori di lei.
-Ma sei ancora in vestaglia?
La Somma Kendra si avvicinò alla ragazza spingendo sul suo scettro. La stanchezza aveva segnato sul suo viso quasi una costellazione di rughe.
-Non sono molto dell’umore. Puoi prepararmi tu?
Senza aspettare risposta si sedette davanti alla specchiera; i capelli le ricadevano sulla schiena e il dorato sembrava quasi luccicare.
L’anziana donna prese la spazzola dal cassetto e iniziò a pettinarle i capelli, con dolcezza. Da quasi 16 anni a questa parte aveva dato tutta se stessa per quella ragazza: all’inizio era un obbligo, dopo divenne un bisogno.




La stanza delle cerimonie era agghindata ed elegante, la ringhiera delle scale era costernata da pietre luminose e il pavimento era rivestito di luci dorate. Le tende erano ben ricamate e rosse, come il tappeto che cadeva fluente sulla scala. Un grosso lampadario di cristalli si ergeva in mezzo alla sala e i tulipani erano disposti in ogni angolo della sala, sopra dei grossi vasi antichi.
Tutto sembrava perfetto e magnificente.
Carol sbirciava dall’alto gli invitati. Quel giorno era la prima volta che indossava un lungo e vaporoso abito rosso. La principessa si fermò davanti ad un lungo specchio e osservò i ricami elaborati del vestito, il trucco sul suo volto e i lunghi orecchini di cristallo che le sfioravano le guance.
Non era in ansia per il ricevimento, si sentiva solo stremata: sapeva già che varcata quella soglia tutti l’avrebbero squadrata. Doveva risultare perfetta come quello che la circondava.
Sapeva di avere molte qualità ma riconosceva dentro di lei anche quella parte oscura che a volte sembrava prendere il sopravvento, come se delle volte le mancasse l’aria e le piacesse sentirsi soffocare.
Si girò verso la dama di compagnia e la guardò dritta negli occhi:
-Sei pronta?
L’altra sorrise:
-Sono nata pronta.
Per questo le piaceva, aveva la sicurezza che a lei mancava.
Carol scese le sontuose scale. Il silenzio era sceso nella stanza; tutti gli ospiti, con buon gusto agghindati a festa, la osservavano in rigoroso silenzio. Si udiva solo il tintinnio dei gioielli indossati dalla ragazza.
La principessa si fermo sull’ultimo scalino, cercò per un attimo la madre con lo sguardo e, quando si rese conto che era assente, si vestì di un elegante e sicuro sorriso:
- Per me, Principessa Carol Sonya discendente diretta di Fiore e tesoriera dei grandi poteri... come Hidden vi dò il mio più caloroso saluto. Spero possiate apprezzare la magnificenza di questo evento.
Un fragoroso applauso riempì la sala, i più illustri e potenti guardavano con incontrollata devozione Hidden; le donne ben vestite e curate muovevano le loro mani in modo ritmico e perfetto; i ragazzi della sua età la guardavano come se fosse la creatura più bella, maestosa e potente della terra. E, forse, era proprio così.
Mentre Carol si faceva spazio tra la gente più influente, la sua mente sembrava quasi vorticare: tutto le apparve confuso e lontano.
La sua entrata in società sembrava segnare la nascita di una nuova epoca e di un nuovo regno, un nuovo e prezioso tempo da assaporare.
-Ha già dei piani per le organizzazioni criminali che ci fanno perdere uomini e soldi?
L’uomo sulla quarantina la guardava con un fare arrogante: voleva carpire tutte le informazioni necessarie per sapere se fosse adatta per i suoi piani.
Carol conosceva bene quel nobile, era una delle persone più potenti della famiglia reale, esclusa sua madre. Era stato comandante e lo spirito da capo investito dal potere sembrava non averlo mai lasciato.
Nonostante la sua età era un bell’uomo, alto, in forma e profondamente affascinante, non tanto forse per una spiccata bellezza quanto per il suo charme.
-Io e i miei consiglieri stiamo proponendo qualche soluzione ad un tale problema, tralasciato per troppi anni. Si ricordi, conte Maximo Ferres, che davanti a lei non c’è una semplice ragazzina.
Carol lo guardò dritto negli occhi. Come diceva sempre sua madre, l’arma per prendere il sopravvento su qualcuno che cerca le tue debolezze è sottolinearne le stesse.
Gli occhi azzurri della ragazza incontrarono quelli nocciola del conte, che abbassò, fingendo di doversi togliere un ricciolo corvino da davanti gli occhi.
- Non potrei mai dimenticarlo. Davanti a me vedo Hidden, una donna stupenda.
La principessa sentì le proprie gote arrossarsi e con un ingenuo sorriso si congedò.




Scalino dopo scalino, la tensione e l'eccitazione aumentavano insieme, dando a Judit sempre più l'impressione di essere fuori posto, ma di esserne contenta.
Si sentiva una di quelle principesse di cui la madre leggeva le vicende quando lei era piccola, con le mani guantate strette attorno ai meravigliosi abiti e il passo delicato e titubante. Certo, se non fosse inciampata quattro volte la sua visione sarebbe stata più credibile, ma i piedi ancora chiedevano riposo e il corpo un'altra doccia, fredda o calda poco le importava; avrebbe preferito un bagno, ma nei suoi appartamenti era chiedere troppo, doveva rimanere al suo posto con i piedi doloranti per terra.
Sceso l'ultimo scalino, si ritrovò in un ampio corridoio poco illuminato, la fioca luce delle Globisplendente gettava ombre ovunque, rendendo l'atmosfera quasi romantica. Se non fosse stata così stanca, sarebbe rimasta a godersi la piacevole aria che entrava dalle porte aperte, ma decise di incamminarsi verso la sala, poiché correva il rischio di addormentarsi.
La luce che della porta d'ingresso illuminava il muro opposto lasciava all'immaginazione le decorazioni della sala.
Quando entrò, dovette sbattere le palpebre più volte per abituarsi alla luce che inondava il luogo della festa.

La sala, gremita di persone, la abbracciava nella sua interezza, tra colori d'oro e d'argento, cristalli fluttuanti e arazzi le cui immagini prendevano vita.
Eppure, niente di tutto ciò le importava. Ciò che vedeva, che bramava, era lui. Il principe dei suoi sogni, il prigioniero che aveva rubato il suo cuore, che in quel momento le batteva forte.
Era così bello, nel suo abito elegante, che non poté fare a meno di fissarlo. Quando Hector se ne accorse, iniziò a dirigersi verso di lei. L'incantesimo che legava i loro sguardi accompagnò i suoi passi fin quando non arrivò a di fronte a lei.
-Buonasera, principessa.




-DOVE CAZZO È HECTOR QUANDO SERVE?!- sbottó Olivia, in preda ad una crisi isterica.
Kirk la guardò spaventato dalle azioni che avrebbe potuto compiere se non l'avessero calmata. -'Livia, Hector ha un altro ruolo in questa faccenda..-
-Non me ne frega un cazzo!
Daraen stava perdendo la pazienza. Erano travestiti da guardie del palazzo, eppure Olivia non voleva smettere di attirare l'attenzione su di loro.
-Siamo qui per liberare una ragazza, non per farci arrestare. Vi chiedo di collaborare-.
La giovane donna sbuffò, testarda nel suo malumore: - Siamo sicuri che questa ragazza sia Hidden?-
Kirk ci pensò su: - Secondo me Hector è solo uscito di senno-.
-Allora mi spiegate cosa stiamo a fare qui? Oh..-
-Olivia, basta così, dobbiamo...- quando si voltò, constatò che lei non c'era più e Kirk, con una faccia da ebete, stava facendo spallucce.
-Porca puttana-.




Suor Caroline era intenta a pulire la sala ricreativa quando sentì bussare all’ingresso. Aprì il massiccio portone in legno e sorrise all’uomo davanti a sé.
-Salve, desidera..?
L’uomo porse la mano verso la donna. La stretta era vigorosa e sicura. Le vene erano evidenti per tutto l’avambraccio.
-Piacere, sono Hugo. Con chi ho il piacere di parlare?
La donna arrossì per la gentilezza e premura del ragazzo davanti a lei. I capelli erano nascosti dal velo e un crocifisso sporgeva dalla scollatura della veste.
-Suor Caroline. Si accomodi nella stanza della ricreazione, ha la faccia di una persona che deve chiedere molte cose!
Hugo sorrise malizioso e seguì la donna fin dentro la sala appena lucidata, chiudendosi poi la porta alle spalle.





Suryan aveva appena finito di preparare un piccolo borsone, quando Beatrix varcò la sua, ormai, camera.
Con le dita attorcigliava i capelli mossi, segno di indecisione e agitazione.
-Tutto bene? Se sei arrabbiata per ieri mi dispiace, mi hai presa alla sprovvista…
Beatrix si sedette sul letto accanto al borsone nero, sembrava colmo di roba, nonostante all’arrivo dell’amica, quest’ultima non possedeva nulla.
-No, non voglio parlare di ieri. Volevo solo dirti che nonostante il tuo carattere, questi tuoi modi abbastanza discutibili…
Suryan inarcò un sopracciglio, pronta a rispondere a tono.
-Scusami, è l’abitudine. Non sono brava in questi tipi di cose, gli addii mi mettono abbastanza angoscia addosso. Ti volevo semplicemente dire che qui, come hanno detto gli Anziani, sarai sempre la benvenuta.
- Tutto qui?
Suryan sapeva che dietro tutta quella incertezza si celava ben altro che formule quasi di cortesia. Si avvicinò a Bea e appoggiò istintivamente la sua testa sulla sua spalla, come la notte prima, sul tetto, mentre le stelle dall’alto illuminavano quegli istanti.
- Mi mancherai.
Fu sempre Suryan a parlare, dandosi finalmente il permesso di lasciarsi andare e comunicare apertamente i suoi sentimenti. In quel momento si sentiva dentro una bolla appena scoppiata, tutto quello che vi era stato all’interno sentiva la necessità di uscire, mostrarsi e farsi capire.
Beatrix sospirò e cinse le spalle della ragazza con un braccio. Quel gesto valeva più di mille parole.
Tra di loro funzionava così: le parole le allontanavano, i gesti le rendevano estremamente vicine e vulnerabili.

Claudius fu incaricato di portare Suryan al monastero e di parlare con la suora che l’aveva trovata.
La ragazza guardò il gruppo di amici riunito attorno all’auto e le scappò una lacrima: li voleva realmente lasciare?
Jalice, Annabelle ed Helga si avvicinarono all’unisono, stringendola in un caloroso abbraccio. Annabelle le regalò un bracciale dorato con il ciondolo a forma di occhio, Jalice le porse un portapranzo stracolmo di cibo da un ottimo odore, ed Helga, che sembrava si fosse quasi dimenticata dei comportamenti ambigui che le aveva riservato negli ultimi giorni, le porse un libro dal titolo “Conoscere le piante che ci circondano”.
-Non si sa mai un giorno dovessi trovarti sola in montagna e…
Suryan non le fece finire la frase che le stampò un bacio sulla guancia.
Con gli occhi cercò Beatrix, Jasper e Theron. Nessuno di loro era presente.
Jalice capì dalla sua espressione i suoi pensieri e, districando i riccioli rossi con le dita, le mise l’altra mano sulla spalla:
-Bea odia questi momenti, i due uomini non so dove siano finiti ma sono sicura che ti mandano un caloroso saluto!
Un sorriso genuino le coprì il volto, infondendo la solita tranquillità che era in grado di trasmettere.
-Ora è il momento di andare, Sur?
Cludius aprì la portiera dell’auto e mise in moto. Suryan guardò per l’ultima volta i suoi amici ed entrò dalla portiera posteriore.
Appoggiò la testa sul vetro, i capelli le cadevano delicatamente sotto il seno, e per un attimo alzò lo sguardo verso il tetto. Beatrix era lì.

Il viaggio le sembrò durasse un’eternità, tutte le stradine percorse erano completamente nuove per lei, che non si era mai avventurata fuori dal monastero prima di quel momento. Claudius era piuttosto silenzioso e a lei non andava di parlare, si sentiva particolarmente giù di corda. Sapere che Beatrix non fosse scesa per salutarla la rammaricava, nonostante si fosse presentata nella sua stanza poche ore prima.
Non capiva perché stesse pensando particolarmente a lei, in realtà non riusciva a rendersi conto di quando si era così effettivamente legata a lei.
Sentiva un sincero affetto e ammirazione nei suoi riguardi, nonostante le differenze, i modi di fare, il suo orientamento sessuale che alle sue orecchie l’aveva lasciata così perplessa. Dentro di lei aveva già percepito questo suo aspetto ma non ci aveva mai realmente riflettuto. Era un problema? Era qualcosa da condannare?
Se glielo avessero chiesto sei mesi prima avrebbe risposto meccanicamente un sì. Ora però non ne era poi così convinta. Tutte le costruzioni che erano state erette attorno a lei, fin da piccola, sembrano solo, appunto, costruzioni. Ora sentiva la necessità di concretezza e apertura, non solo per tutto quello che aveva vissuto fino a quel momento, non per Judit o per la magia, ma per se stessa. Sentiva di essersi alzata una mattina e, guardandosi allo specchio, non essersi riconosciuta.





Le note musicali riempirono la sala da ballo. Judit diede uno sguardo a Carol scoprendola intenta a dialogare con un uomo. Tirò un sospiro di sollievo e si rivolse nuovamente al suo interlocutore, che sapeva essere Hector, ma decise di non rivelare la sua identità: voleva giocare con lui, essere per lui una dama di alta società per una notte.
-Visto che siete timida, vi andrebbe di comunicare con me nel linguaggio della danza?
Come un vero cavaliere, Hector le offrì una mano guantata che Judit accettò senza fiatare.
Rimembrò quando, da bambina, ballava con la madre a suon di musica. Poteva avvertire sulla sua pelle i tiepidi raggi del sole che illuminavano la loro piccola stanza, che ora venivano sostituiti da meravigliose luci artificiali che aumentavano o dimuivano la loro luminosità a ritmo di danza.
Incantata dagli occhi di Hector, li osservava illuminarsi ogni volta che la luce aumentava. Di un azzurro così intenso, come immaginava le fiamme del Purgatorio.
Fu un istante, lo scandire dei rintocchi di mezzanotte accompagnò Hector, che si avvicinò al suo orecchio per sussurrarle: -Non dimenticarti di me, principessa-.
Judit rimase paralizzata da quella richiesta, da quella voce, da quella situazione che aveva già vissuto in sogno.
Hector era entrato nei suoi sogni ancor prima di entrare nella sua vita.
Fu con quei pensieri che rimase a fissare, al centro della sala, il punto in cui lui s'è n'era andato. Quando realizzò di essersi separata da lui senza avergli rivelato la sua identità, iniziò a correre rischiando di inciampare, cosa che avvenne al portone d'ingresso.
"Stupida, STUPIDA!"






-Carol Sonya è al ricevimento, mentre la madre sembra essere assente. Cazzo, per poco non mi ha scoperto! Credevo fosse all'ingresso a salutare gli ospiti. Un momento, dov'è Olivia?
Daraen e Kirk si scambiarono uno sguardo preoccupato ed esasperato insieme. Si trovavano all'ingresso delle prigioni, Daraen teneva le chiavi in mano, dopo averle ottenute da una guardia che Kirk aveva talmente esasperato da indurla a scappare.
-Ehm, ci raggiungerà. Perché non andiamo a cercare la ragazza?- disse Kirk, tentando di sviare il discorso.
Hector non sembrò tanto contento di come stessero andando le cose. Il suo piano iniziale prevedeva di rubare alcuni artefatti in sala mentre gli altri tre avrebbero dovuto liberare Judit. Invece Carol era in sala, Olivia si era persa e Kirk aveva molestato una guardia.
Di quel passo, al tempio, forse, sarebbero arrivate le loro ossa.
-Forza, andiamo-.
L'ultima cosa che Hector si sarebbe aspettato era una cella vuota.





La cena era servita. Judit osservava in silenzio gli ospiti che armeggiavano con le posate e chiacchieravano animatamente.
Carol era a capotavola, tra lei vi erano Judit e un posto vuoto. Tutti gli invitati non potevano fare a meno di osservare il vuoto che aleggiava attorno alla sontuosa sedia che sarebbe dovuta essere occupata dalla madre di Carol. Judit era grata della sua assenza, Carol invece sembrava impassibile.
-Come ti sembra la vita a corte?- domandò la bionda all'improvviso, facendola ridestare.
-Niente male- mentì, ancora seccata dal fatto che avesse perso di vista Hector. In realtà era tutto splendido, una perfetta gabbia dorata che ti proteggeva dalle ingiustizie del mondo esterno. Eppure, Judit non era sicura che di ingiustizie non ve ne fossero anche all'interno della gabbia.
-Vivi ancora un po' in questa realtà e vedrai come cambierai idea- sbuffò Carol.
Judit avrebbe preferito ritrovare Suryan ed Hector piuttosto che farsi prendere in giro a vita da quella strega, ma non poteva certo lamentarsi degli abiti e dei gioielli.
-La nostra Hidden è stupenda!
A quelle parole, Judit trasalì. Per un attimo pensava si stessero riferendo a lei, ma poi, quando scorse gli occhi di chi aveva parlato guardare Carol, tirò un sospiro di sollievo.
-Cos'è un'Hidden?- le domandò sottovoce.
Carol fece una smorfia prima di parlare: -Vivi davvero fuori dal mondo. Hidden è la ragazza della profezia, colei che racchiude i poteri delle due stirpi, discendente di Fiore la fondatrice, colei che unirà e porterà a prosperare il mondo delle streghe!
L'inquietudine dovuta al ricordo del suo sogno non volle lasciarla in pace. Qualcuno l'aveva chiamata proprio in quel modo, possibile fosse una coincidenza?
-Che hai adesso?
La guardò abbozzando un mezzo sorriso. -Nulla, mi sento solo fuori posto.
Carol distolse lo sguardo. -E lo sei, fidati.






Helga era intenta a disegnare un bocciolo di rosa, quando Jalice aprì la porta della sua stanza con un sorriso a trentadue denti.
-Non pensavo fossi così felice della partenza della suora.
-Ti sbagli, non avere Suryan con me mi rattrista, ma mi ha reso molto felice il tuo gesto! Se solo ci fosse stato Jasper..
Helga stropicciò il foglio. Non capiva perché Jalice fosse così interessata al suo rapporto con Jasper. Anzi, non capiva perché tutti fossero interessati. D'altro canto, c'era la questione Jonny che prendeva gran parte del suo tempo trascorso a rimuginare su quale fosse la scelta migliore per lei e per gli altri. Soprattutto per gli altri.
-A proposito, dove sono finiti quei due? Credevo che Jasper tenesse a Suryan.
Jalice la guardò ammiccando. -Certo e la cosa ti intriga.
La guardò male e i capelli si tinsero di nero. -Vuoi smetterla?
Jalice ridacchiò. -Comunque Suryan è troppo simpatica, l'avrei voluta qui con noi al pub.
Helga ci pensò su. Ogni volta che pensava a Suryan, le veniva meccanicamente in mente il suo rapporto con Jasper. Eppure, accantonando Jasper, era una brava ragazza.
-Chissà se la rivedremo.
Jalice sorrise. -La rivedremo, me lo sento.

Beatrix salì sul tetto, preferiva non scendere a salutare Suryan, non davanti a tutti. Odiava queste situazioni e allo stesso tempo quella volta non provava semplice fastidio ma anche tristezza. Vederla salire in macchina, sentire il rumore dell’auto sempre più lontana…
-Com’è possibile che le voglia già così bene?
La domanda sembrò quasi fluttuare nell’aria, come i globisplendenti di quel villaggio vicino al bosco.
La strega scese dal tetto e tornò in camera, senza neanche cenare.





-Non so voi, ma io questo lo chiamo un fiasco totale, in più Olivia è dispersa!
Mentre Kirk parlava, Hector sembrava pensieroso. Gli era parso stupito vedendo la cella vuota, ma forse era solo sollevato. O spaventato.
Daraen si chiedeva che cosa rappresentasse quella ragazza per lui. Era davvero solo la ragazza della profezia?
Mentre ci rimuginava, Hector si alzò di scatto e si avviò verso la sua camera, senza dire una parola.
-Ecco, ora è arrabbiato con noi!- tuonò Kirk.
Daraen lo guardò attentamente. Era il solito impacciato, dai grandi occhi marroni e i capelli disordinati, che tanto lo avevano colpito quando lo aveva salvato.
Ricordò le urla, gli incantesimi, la disperazione. E poi c'era stato Kirk, un raggio di sole in una tempesta.
-Non essere così serio, mi preoccupi.
Daraen sorrise. -Allora dovrai preoccuparti per me sempre.
Sbattè le palpebre e si diresse dietro il bancone. Versò un po' di aceto di mele nel boccale e lo tirò giù tutto in un sorso.
-So che per voi streghe è una bevanda alcolica. Vuoi ubriacarti adesso?
-Perché, non è un buon momento? Ho bisogno di riprendermi. Ne vuoi un po'?
-No, grazie. A noialtri fa male bere aceto.
Kirk fece spallucce e se ne versò dell'altro. Divenne rosso come un pomodoro in men che non si dica.
-Sai, sei carino- iniziò a farfugliare.
Daraen si portò due dita alla fronte, come per reggerla. -Sai, non dovresti dire queste cose ad un maschio.
-Ma sei carino- insistette.
Quella situazione iniziava a metterlo un po' a disagio. Fu quando Kirk si avvicinò al suo viso che arrossì, in preda ad un'emozione che non riusciva a giustificare.
-E non mi rimangio quel che ho detto- soffiò, vicino a lui.
I battiti del cuore di Daraen stavano diventando irregolari, quando la porta si spalancò rivelando la figura di Olivia con una sciabola dorata in mano.
-Oh, ho interrotto qualcosa?
Daraen riprese a respirare.





Il motore si spense e finalmente scese dalla macchina, che nonostante tutto aveva macinato chilometri senza farli sentire minimamente.
-Entriamo dall’ingresso principale.
Suryan fece strada verso la sua casa e per un attimo tutto attorno a lei sembrò sconosciuto. Ricordava ogni angolo di quel posto ma allo stesso tempo provava distacco.
Battè i pugni sul massiccio portone, sotto lo sguardo quasi severo dell’angelo, e subito si ritrovò davanti gente estranea agghindata in modo strambo: delle tute fluorescenti ricoprivano i loro corpi ed uno stemma a croce era posto in alto a sinistra delle loro giacche.
-Non potete entrare, nessuno può varcare questo edificio per adesso. Vi suggeriamo di passare nei prossimi giorni.
-Perchè? Che succede?
Claudius leggermente allarmato e stizzito si avvicinò all’uomo che aveva appena parlato.
-C’è stato un omicidio.

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Capitolo 13
*** XII ***




XII



Suryan sentì dentro di sé come uno scoppio, forse il rumore di una bomba appena detonata. Suor Caroline sicuramente non poteva essere definita una madre o un’amica, ma è sempre stata l’unica ad avere avuto un occhio di riguardo verso di lei. Sapeva di essere speciale per lei, la sua preferita. Forse perché l’aveva trovata lei?
Claudius aveva tirato via Suryan dall’ingresso del monastero, convinto di trovare davanti a sé una ragazzina impazzita. In realtà, non dovette utilizzare molta forza per allontanarla da quel posto. La quasi suora era ammutolita.
-Non può essere una coincidenza.
Fu la sua prima frase, detta con una freddezza agghiacciante.
Claudius si girò d’impulso verso la ragazza sgranando gli occhi…
Claudius, non può essere una coincidenza, credimi… Claudius…
-Claudius? Che succede? Ti senti male?
La ragazza vide l’Anziano rantolare e sbandare, come se stesse per svenire.
L’uomo fece cenno alla sua tasca e Suryan sfilò da lì il telefono, chiamò Jalice:
"Vieni qui, Claudius sta male, Suor Caroline… vieni".
Ripose il telefono senza dare indicazioni su dove fossero, senza spiegare che stava succedendo. Ora il vuoto lo sentiva e sapeva che era il momento di stare in silenzio.

Claudius, steso per terra, chiuse gli occhi. Ancora una volta il ricordo di sua sorella Anna era emerso, come i pesci quando muoiono. Erano anni che il ricordo di lei era accompagnato da morte e sensi di colpa.
Era stata uccisa per colpa sua.

Carol entrò nella sua camera, già preparata da notte. Era stata una lunga giornata: si era appena fatta conoscere ufficialmente dai suoi sudditi.
Sul letto trovò un pacchetto; la Somma Kendra stava prendendo un libro dallo scaffale della principessa.
-Cos’è?
L’anziana guardò la ragazza interrogativa:
-Guarda il biglietto, no?
-E se fosse qualcosa di pericoloso?
L’anziana sospirò, poteva mai essere così pessimista?
Carol tirò lentamente il biglietto da sotto il fiocco verde e lesse, ad alta voce:
-Per la principessa più bella di tutte le epoche, il Conte Max.
I suoi occhi si illuminarono e scartò il regalo in fretta: una collana con uno smeraldo ovale la osservava.
-È stupenda…
L’anziana guardò con preoccupazione la ragazza, che sembrava già persa in un altro mondo lontano.


Beatrix era in macchina e sfrecciava per le strade a tutta velocità, non sapeva bene cosa fosse successo né tanto meno che cosa dovesse fare, era solo al corrente di dover raggiungere Suryan al più presto.
-Mamma, stai seguendo le tracce di Claudius?
Romina annuì, senza proferire parola. Lei e Claudius avevano fatto il patto Unio, per questo era in grado di rintracciarlo.
Era un patto molto complesso ed estremamente vincolante: non potevano uccidersi a vicenda né tanto meno tradirsi. Erano sempre collegati e potevano anche comunicare telepaticamente. Ma c’è sempre un prezzo da pagare per poter fare un incantesimo così potente ed oscuro…
-È qui, siamo arrivati!
Beatrix spense il motore e a 100 metri trovò Suryan e Claudius per terra; quest’ultimo aveva la testa appoggiata sulle gambe della ragazza.
Jalice si avvicinò subito all’uomo, che si svegliò appena sentì le mani miracolose della figlia.
-Papà, tutto bene?
Jalice non mostrava mai molto affetto nei suoi confronti perché, benchè fosse suo padre, era pur sempre un Anziano. Le sembrava fuori luogo parlargli e comportarsi da figlia davanti a tutti, al confronto di Beatrix con Romina che, nonostante non fosse neanche la madre naturale, non si poneva alcun problema e spesso aveva anche approfittato del suo ruolo privilegiato.
Claudius si ridestò e con lo sguardo cercò Romina, per parlarle in privato.
-Suryan, vieni con noi, torniamo alla locanda, non voglio discussioni o spiegazioni, siamo tutti abbastanza stanchi e provati. Chiaro?
La ragazza annuì e silenziosamente seguì gli stregoni fin dentro l’auto.

-Puoi ripetere la tua teoria?
Romina, seduta sul divano, guardava Suryan poco convinta. La donna si staccò i capelli neri, che arrivavano fino alle spalle, dal collo sudato. Non c’era caldo ma il legame con Claudius le provocava fastidi: lui stava male, lei stava male.
-Suor Caroline non ha mai avuto nemici, era una semplice suora in un convento situato ad Osternia, città sconosciuta ai più. Com’è possibile che quando abbiamo intenzione di parlarle, chiederle informazioni, venga uccisa?
Suryan pronunciò quelle parole con veemenza ma allo stesso tempo quel lutto non sembrava gravarle più di tanto. Si sentiva in colpa per questa mancanza di empatia e sentimento ma allo stesso tempo si sentiva sollevata: qualcosa in meno da sopportare.
Poteva essere diventata insensibile? Quel mondo la stava corrodendo inevitabilmente?
-Ragazza mia, capisco che stai cercando una spiegazione ad una cosa così tremenda, ma chi dovrebbe interessarsi di te? Ti conosciamo solo noi. La polizia parla di un Serial killer o di una persona profondamente disturbata che ha dato libero sfogo alle sue pazzie.
-Guarda caso proprio quando ci eravamo decisi a parlarle…
-La vita è davvero ingiusta, Suryan, cresci e fattene una ragione. Basta con queste sciocchezze, concentriamoci sulle cose che hanno realmente importanza e senso. Io non ho mai conosciuto quella donna e per quanto mi possa dispiacere, non posso farci nulla né mi importa farci qualcosa. Mi dispiace tu abbia perso un punto di riferimento ma noi siamo qui per te, okay?
-Io non mi sento dispiaciuta, non capisco perché…
Romina si alzò dal divano e porse la mano alla ragazza, che ricambiò la stretta. La donna strinse forte la ragazza e le sussurrò all’orecchio:
-Non sentirti in colpa, non sei una cattiva ragazza. Hai solo capito che era una persona superflua nella tua vita.

Suryan pensò tutta la sera alla crudeltà di quelle parole e capì che, nonostante i modi, Romina aveva ragione. Avrebbe voluto con tutto il suo cuore che non fosse così ma dentro di lei sapeva che se al posto di Suor Caroline ci fosse stata Judit, sarebbe stato tutto molto diverso, probabilmente avrebbe smesso di vivere.
Nonostante la presa di coscienza, la ragazza non chiuse occhio tutta la notte, perché era sicuro che quell’orrendo crimine fosse collegato a lei.

La mattina preferì non scendere per colazione e rimanere in camera a guardare il soffitto, magari sperando le cadesse una lacrima o in attesa del sonno. Non sapeva realmente come comportarsi e cosa pensare.
Il rumore di qualcuno che stava bussando alla sua porta la ridestò dai suoi pensieri:
-Sì?
-Sono Beatrix, posso entrare?
-Entra.
La corvina entrò e si sedette sulla sedia con le rotelle posta davanti al letto in legno e alla scrivania.
-Ti senti giù? Vuoi parlarne?
La suora scosse la testa. Non voleva dire a Beatrix cosa non sentiva.
-Preparati e usciamo, io e te!
-Così ci ammazzeremo per strada e tornerà a casa solo la vincitrice?
Scoppiò una fragorosa risata e Beatrix si soffermò a guardarla.
-Ho qualcosa sul viso?
Scalciò la coperta per correre davanti allo specchio.
-No, hai solo chiamato la locanda “casa”. Mi piace. Abbiamo finalmente una cosa in comune.
Suryan le sorrise dolcemente; come poteva farla sentire così bene?

Le due scesero le scale parlottando quando Jasper venne verso di loro.
-Sur! Sei tornata!
Abbracciò stretta la ragazza, come a non volere mai più lasciarla andare.
Suryan si scostò imbarazzata e annuì, facendo un mezzo sorriso.
-Possiamo passare oltre i convenevoli? Abbiamo da fare.
Beatrix scocciata si rivolse a Suryan, ignorando totalmente Jasper.
-Ce l’hai per caso con me?
-No, assolutamente. Oggi semplicemente mi dai fastidio. Okay?
Jasper la guardò sconvolto e girò i tacchi, furioso.
-Ma perché ti sei comportata…
-Dobbiamo litigare? Se è così me ne torno in camera mia.
Suryan inarcò un sopracciglio ma non rispose a tono alla frase stizzita. Sentiva che non era il momento e che, forse, per una volta, poteva farne a meno.
-Dove mi porti?
Beatrix prese la sua sciarpa marrone dall’attaccapanni e la mise a Suryan:
-In un posto bellissimo quanto freddo.
Le due uscirono mano nella mano, come se non fosse la prima volta. Come se le loro dita avessero finalmente trovato l’incastro perfetto, come gli ingranaggi di un orologio.


Il sole era alto in cielo quando Judit si era incamminata, nel suo bel vestito azzurro, verso la biblioteca. Vi aveva trovato la Somma Kendra mentre era intenta a borbottare qualcosa a proposito di collane e tipi sospetti. Per qualche motivo, ora erano entrambe sedute a un tavolo davanti ad un servizio da tè.
-Perchè mi avete portato via dalle segrete?- domandò, non sapendo che altro dire.
La Somma Kendra rigirò il cucchiaino in senso antiorario nella tazzina, poi si decise a rispondere: -Perchè sei come me: necessaria ad Hidden.
Judit aggrottò un sopracciglio: cosa aveva in mente quella donna? Sembrò leggerle nel pensiero, perché rispose: - Sei, probabilmente, una discendente di una stirpe creduta estinta, come lo sono io. Ho profetizzato il tuo arrivo anni ed anni or sono. È il mio potere, in quanto discendente di Mikani, la signora del Vento, la genitrice della stirpe dei profeti. Tu, invece, potresti essere una discendente di Unelma, il signore dei Sogni, padre della stirpe che possiede l'abilità di vedere passato e futuro attraverso i sogni.
Judit digerì quelle informazioni. Tutti gli incubi e i bei sogni che avevano accompagnato le sue notti si erano in parte realizzati, prova schiacciante di quanto detto dalla Somma Kendra. Eppure era difficile da mandar giù questa realtà.
-Quindi sono... una strega?
-Esattamente- fu la risposta secca dell'anziana.
-Mi dica di più- la curiosità un giorno l'avrebbe inghiottita.
La Somma Kendra bevve un sorso prima di narrare la sua storia: -Le leggende, sai, sono facilmente manipolabili. Anni fa diffusi una versione totalmente inventata di questa storia per evitare che i discendenti delle due stirpi scomparse, tra cui io, venissero perseguitati. Ora tutti credono che i fondatori siano tre streghe, di cui una della Foglia. Della Foglia, capito! Quanto sono spiritosa.
Judit forzò un sorriso.
-Non potevo parlare loro di Mikani e Unelma, nemmeno di Thanos, il signore della Luna. La leggenda vuole che Fiore, la signora del Sole, e Thanos avessero una relazione e, da quella relazione, sarebbe nata un giorno Hidden, una fanciulla dai poteri immensi. Però, per evitare che la Luna mettesse mani sulla famiglia reale, diretta discendente di Fiore e forse anche di Thanos, ho voluto evitare di narrare questa parte della leggenda, altrimenti l'avrebbero reclamata per loro.
Judit mise ordine nella sua mente e, ancora una volta, assimilò ciò che aveva detto. Tutta quella storia aveva un fascino irresistibile. E pensare che, fino a poco tempo prima, era costretta a credere ai dogmi che la Sacra Bibbia le presentava. Invece c'era molto di più, un mondo che i vangeli omettevano.
Eppure... qualcosa ancora non quadrava...
"Hidden... HIDDEN!"
-Grazie per il tè- saltò letteralmente dalla sedia, prima di correre verso la sua stanza.


-CAZZO, DOBBIAMO ANDARE!
-NOI NON ANDREMO DA NESSUNA PARTE!
Olivia ed Hector stavano litigando da ore. Kirk e Daraen erano immobili, uno intento a fissare una mosca, l'altro con il viso su un gomito probabilmente intento a lanciare maledizioni su quei due.
-È da una vita che vogliamo mettere le mani su quel fottuto tempio, ed ora che abbiamo abbastanza soldi per il viaggio mi dici che dobbiamo restare?!
-Solo finché non libereremo Judit!
Olivia, stanca di combattere, si lasciò cadere su una sedia e si toccò la fronte con due dita.
-Ti sei fottutamente innamorato, in questo momento delicato per giunta!
-Io non mi sono affatto innamorato! Quella ragazza è Hidden, tu non capisci, lei potrebbe condurci al tempio, secondo la leggenda!
Kirk alzò timidamente la mano, attirando su di sé lo sguardo di tutti: -Veramente, quando abbiamo rubato da palazzo quei manoscritti sul tempio, Hidden era solo citata come colei che avrebbe ottenuto grandi poteri dal tempio, non come colei che lo avrebbe trovato.
Hector si fece rosso in viso: -Portare Hidden al tempio, quale onore potrebbe essere! Vogliamo passare alla storia? Questo è quel che dovremo fare.
-Tu stai campando scuse per aria solo perché ti sei innamorato- fu la conclusione di Olivia.
Hector non volle sentir ragione: -Fate come vi pare, domani vado a chiedere rinforzi all'Hidden pub!
Detto questo, sbattè violentemente la porta dietro di sé, facendo miagolare la gatta Judit per il troppo frastuono.
-È perso, non possiamo farci niente.
Kirk ignorò Olivia e guardò Daraen, che sembrava pensieroso.
-Cosa dovremmo fare, secondo te?
Daraen incontrò i suoi occhi castani. -Forse dovremmo dare una possibilità a questa Hidden.
Olivia saltò dalla sedia. -Sei impazzito anche tu?!
Daraen la fissò, per nulla intimorito. -C'è sempre da perdere o da guadagnare dalle persone con immensi poteri. Essendo amica di Hector, noi potremmo guadagnarci qualcosa.
Kirk guardò Daraen compiaciuto, con una strana luce negli occhi. Era proprio carino.


-Quanto manca?
Beatrix sbuffò. Erano in macchina da meno di 25 minuti e già l’amica le aveva fatto la stessa domanda una dozzina di volte. Era davvero insopportabile ma allo stesso tempo la sua impazienza la rendeva felice: sembrava una bambina.
-Puoi smettere di chiedermelo in continuazione? Mi distrai dalla guida. Ti ricordo che ancora non sono molto pratica e sto guidando un pick up, il primo vero viaggio l’ho fatto per venire da te ad Osternia.
Suryan la guardò storta e alla fine decise di giocare abbassando ed alzando il finestrino a ritmo di musica.
-LO CAPISCI CHE MI DISTRAI?
-Scusa ma cosa dovrei fare? Non posso parlarti perché ti distraggo, non posso giocare con il…
-Siamo arrivate, cerca di stare un attimo zitta, okay?
La corvina spense il motore. Dalle loro bocche usciva la condensa, faceva davvero freddo.
Suryan aprì lo sportello della macchina e si trovò immersa in una radura. Gli alberi erano secolari e altissimi, le loro chiome sembravano quasi un tetto. I fiori erano ovunque, di qualsiasi colore. Il profumo della natura era come un tocca sana.
-Ti piace?
Beatrix osservò attentamente l’espressione della ragazza, a dir poco stupefatta.
-È meraviglioso. Grazie.
Beatrix prese la mano di Suryan e la fece salire sul parabrezza.
-Guarda in alto, sembra un cielo verde.
Suryan era senza parole, non aveva mai visto qualcosa di così armonioso e bello.
-Ho un po’ di freddo.
La corvina si stringeva la giacca, tremante. Suryan si appoggiò alla sua spalla e con il braccio sinistro le cinse il corpo.
-Vorrei che questo momento non finisse mai.
-Anche se è con me?
Beatrix la punzecchiò e, anche se Suryan non poteva vederla, sorrise.
-Soprattutto se è con te.
-Cosa?
Suryan avvampò all’improvviso e nella sua mente una vocina le urlava: EMERGENZA, DÌ QUALCOSAAA!
-Beh, ormai siamo amiche, no?
Si tirò su e forzò un sorriso, cercando di non pensare a ciò che istintivamente le aveva detto. Che stupida!
Beatrix rise di gusto: -Amiche? Io e te? Naaaah
Suryan la guardò sgranando gli occhi, non sapendo se frignare o prenderla a schiaffi.
Beatrix notò l’espressione della ragazza e con la mano le sistemò un ciuffo di capelli da davanti gli occhi:
-Sto scherzando! Certo che non sai stare agli scherzi!
-Voglio tornare a casa.
-Dai, Sur.
-A CASA.
Salirono entrambe in macchina e in silenzio tornarono alla locanda.
Suryan non capiva perché se la fosse presa tanto, stava scherzando… dentro di lei, però, l’attimo prima di sapere fosse uno scherzo, aveva sentito una fitta così dolorosa da non riuscire a tornare serena. A ridere dello scherzo. E la frase che le aveva detto? “Soprattutto se è con te”, ma come le era venuta?
Entrarono nel pub e Jalice le accolse raggiante come sempre, istruendole sul menù della cena. Entrambe però non le dissero una parola e salirono nelle proprie camere.
-Posso entrare?
-Sì.
Beatrix con in mano una scatola nera rimase davanti la soglia, con la porta aperta.
-Questa è per te. È una penna particolare. Serve per quando ti metti nei guai. Puoi scrivere per aria un messaggio, basta che figuri nella mente il destinatario. È possibile rintracciare anche la tua posizione. Va bene?
Suryan prese la scatola e borbottò un “grazie”. Si chiuse la porta alle spalle e aprì la scatola: una penna di legno scuro, con un taglio elegante e un’incisione.
Per Suryan, con affetto Beatrix Dumont”.
Sorrise. Beatrix aveva il potere di rattristarla e rovinarle la giornata ma, allo stesso tempo, renderla la ragazza più felice del mondo. Se tutto questo significava volere bene a qualcuno, Suryan aveva iniziato a volergliene infinitamente.


Il silenzio regnava incontrastato attorno a Jalice, intenta a pulire con una pezza il bancone. I cuoricini appesi al soffitto erano immobili e le Globisplendente fluttuavano donandole una luce fioca. Quella calma apparente celava turbamento, che Jalice aveva imparato a nascondere molto bene.
Quando vide Theron sulla soglia, capì tuttavia che a lui la sua malinconia non sarebbe sfuggita. Era sempre stato così tra di loro, nessuna parola particolare, eppure riuscivano a leggere l'uno lo sguardo dell'altra, nonostante i falsi sorrisi.
Theron le si avvicinò con cautela, come se temesse di farla fuggire, e posò una mano sulla sua. Quella di Theron era calda e grande, abbracciava completamente la sua.
-Come sta tuo padre?
Jalice lo guardò. - Molto meglio, grazie- abozzò un sorriso.
Theron non sembrava convinto. -Ti sei spaventata. Te lo si legge in faccia. Lascia che ti consoli.
Si avvicinò alla sua guancia e delicatamente la baciò. Jalice si lasciò trasportare da quella tenerezza che solo lui era in grado di trasmetterle. Non lo avrebbe sostituito con nessun altro al mondo: era il suo migliore amico, il suo braccio destro, la sua persona speciale.
-Grazie, Theron- ridacchiò, più sollevata.
Theron la guardò sorridendo.
-Cosa ne pensi di questa faccenda?- gli domandò, curiosa di avere un suo parere.
-Francamente non so che pensare. Sembra tutto così assurdo: portiamo Sur al monastero e qualcuno muore. Mi dispiace ancora di più non esserci stato a salutarla.
-Tranquillo- gli accarezzò una guancia, - Suryan non se la prenderebbe mai per una cosa del genere.
Theron sembrò sollevato dalle sue parole. Finiva sempre così: quando uno doveva risollevare l'altro, entrambi si risollevavano.


Claudius assistette a quella scena da dietro la porta che conduceva alle stanze, alle sue spalle Romina.
-Ora vuoi dirmi che ti è preso?- insistette lei, sottovoce.
Claudius chiuse la porta, delicatamente, e la guardò negli occhi.
-Ho ricordato, 'Mina, quel giorno. Le parole di Suryan mi hanno riportato alla mente le sue.
Lo sguardo di Romina si addolcì, come sempre, quando parlava con lui dei suoi tormenti.
Senza dire nulla, lo abbracciò, nel silenzio del corridoio.

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Capitolo 14
*** XIII ***




XIII



Suryan si svegliò angosciata, sentiva addosso un cattivo presagio. Come a conferma del suo stato d’animo, il tempo era grigio e le nuvole cariche. L’umidità era alle stelle.
Scese le scale scricchiolanti per andare nella sala da pranzo, pronta a fare colazione con tutti, come ogni mattina.
-Buongiorno, Sur.
-E gli altri?
Jasper fece spallucce e fece cenno a Suryan di sedersi vicino a lui.
Il ragazzo abbassò la voce e le disse:
-Per quanto riguarda quella cosa che mi hai rivelato.. è successo altro?
Suryan aveva completamente rimosso quell’avvenimento. Com’era possibile dimenticarsi una cosa simile? Stava forse impazzendo?
Era una strega, questo era sicuro. L’avevano già intuito quando è riuscita a fermare gli attacchi di Bea. Ma far comparire degli oggetti? Era possibile?
-No, niente. Sinceramente neanche mi interessa.. non parliamone più.
-Certo, va bene. Volevo scusarmi per non essere stato presente per salutarti…
-Non ti preoccupare, sicuramente avevi da fare.
-No, in realtà non avevo niente da fare.
Suryan si voltò verso l’amico confusa. Non gli interessava essere presente al suo addio? Va bene, ma avere almeno la decenza di tenerlo per sé…
-Aspetta, non fare quella faccia. Lasciami spiegare. Sinceramente non riuscivo a dirti addio, pensare di non vederti più… non me la sono sentita, tutto qui. Probabilmente penserai che sono uno stupido sentimentale ma è realmente ciò che ho provato.
Suryan lo guardò imbambolata, sapeva di avere le gote rosse. Il suo cuore sembrava un treno in corsa e non sapeva cosa dire. Tutto in quel momento le sembrava fuori luogo e nessuno in monastero le aveva insegnato ad affrontare situazioni così imbarazzanti.
Le faceva piacere? Decisamente sì.
Jasper le sorrise e le passò un braccio sulle spalle, a ‘mo di rassicurazione, sapeva e comprendeva la timidezza e la riservatezza della fanciulla.
Ma ne aveva davvero bisogno?
Helga entrò e si arrestò vedendo Jasper e Suryan vicini. Non mostrò alcun fastidio nonostante dentro di sé sentisse il bisogno di prendere a pugni entrambi.
-Mi dispiace interrompervi ma vi aspettano tutti fuori, siate veloci.
Girò i tacchi senza aspettare risposta.

Carol aveva organizzato tutta la mattinata in compagnia della sua nuova dama ed era intenzionata a passare una giornata diversa, non stare rinchiusa in quelle mura.
Il vestito giallo canarino sfiorava il pavimento, nascondendo le sue scarpe.
-Judit?
-Sì, principessa?
Nonostante Judit odiasse i convenevoli e tutti quei fronzoli, Carol era una vera reale e per quanto potesse essere odiosa e insopportabile doveva stare al suo gioco. O per lei sarebbe stata la fine.
-Sai andare a cavallo?
-No ma imparo in fretta.
-Perfetto. Kendra, fai preparare i miei due cavalli, oggi si passeggia.
La principessa si girò e si chiuse in camera, senza degnarsi di salutare o spiegare il programma della mattinata.
-Non è difficile. Sono giumente e, quindi, abbastanza domabili. Sali e Esrael farà da sola.
Judit, indecisa, guardò Carol. Cavalcare col vestito?
Sospirò e con l’aiuto dello stalliere, un certo Lucas, salì.
Carol abilmente montò su un cavallo tapezzato, a lei aveva lasciato il cavallo bianco, Esrael.
-Lei è India, bella, vero?
-Sì, lo è.
Il pensiero di Judit però era quello di poter scrutare al meglio quello che vi era fuori dal palazzo, magari trovare una via d’uscita, riuscire finalmente a scappare. Tornare da Suryan e cercare Hector…
Carol partì al trotto ed Esrael la seguì, senza che Judit facesse alcunchè.
-Come mai sei così brava?
La principessa sospirò, si sentiva così libera quando poteva uscire in sella ad uno dei suoi cavalli, correre nella radura, senza alcun occhio indiscreto.
-Da piccola ho avuto un buon insegnante.
-Immagino… qualche inglese super rinomato?
Judit la prese un po’ in giro ma avendo le stesse possibilità economiche della fanciulla, anche lei avrebbe scelto il meglio. Non c’era alcun dubbio.
-No, mio padre.
Carol guardò verso l’orizzonte e fece cenno a Judit di seguirla. Quest’ultima aveva così tante domande ma sapeva che era ancora presto per poter entrare nelle grazie di Carol.
Le due ragazze passarono una mattinata piacevole anche se per lo più in silenzio: entrambe perse nei propri pensieri.
Quando la principessa si ritirò nelle sue stanze, si chiuse nel bagno, aprì l’acqua della vasca e, appena essa fosse al massimo della sua capienza, si immerse.
Con la spugna strofinò tutto il corpo, non tanto per togliere lo sporco, che non era presente, quanto per districare quella sensazione di amarezza che sentiva strisciare sulla pelle.
Aveva passato tanti anni della sua vita nella speranza di avere qualcuno, una sorella, un’amica, una vera madre, ma non c’era mai stato nessuno. La Somma Kendra e la madre le avevano impedito di legarsi a qualcuno o semplicemente avere la possibilità di farlo. Tutti potevano essere un pericolo e farle del male. Forse, però, quelle che le avevano fatto più male erano state proprio loro: avevano cresciuto una ragazza calcolatrice e insicura.
Una bomba ad orologeria. Quando sarebbe scoppiata non avrebbe avuto pietà di nessuno perché neanche sapeva che sentimento fosse.


Più trascorreva del tempo con Carol Sonya, più le veniva la nausea. Qualcosa non quadrava in quella ragazza ed era certa che lei non l'avrebbe mai potuta capire.
Si gettò sul letto, angosciata e stanca, pensando un po' a Suryan, un po' ad Hector. Tutto il lusso da cui era circondata non avrebbe mai potuto competere con la loro compagnia.
Eppure c'era un'altra questione da affrontare, prima di ritrovarli... i suoi sogni. Se la Somma Kendra aveva detto il vero, allora Judit non solo era una strega, ma una strega speciale. Nulla sembrava quadrare in quel momento, non era nemmeno certa sulla questione Hidden. Era davvero Carol? Il suo intuito le diceva di no. Quel 'forse' che la Somma Kendra aveva proferito a proposito della sua discendenza da Fiore e Thanos la portava a pensare che nemmeno lei ne fosse convinta.
Allora chi poteva essere la ragazza della profezia? Lei, cui la donna del suo sogno si era rivolta? Ma lei era una strega del Sogno, non c'entrava nulla col Sole e con la Luna. Anche se... forse la Somma Kendra si era sbagliata ed i sogni erano parte del suo immenso potere.
Abbandonò le scarpe scomode e si svestì. Non aveva voglia di vedere nessuno e se quella principessa insopportabile avesse osato disturbarla le avrebbe tirato una scarpa in faccia.
Voleva addormentarsi il più in fretta possibile, sognare Hector o Suryan, ottenere indizi sulla loro posizione.
Peccato che non avesse il controllo sui suoi sogni.

La mattinata sembrava delle più belle, il sole splendeva, Claudius sorrideva accanto a Romina, Jalice raccoglieva fiori, Beatrix provava i suoi incantesimi su degli animali innocenti e Theron tagliava la legna.
Quella tranquillità sarebbe presto stata spezzata dal suo arrivo, Hector ne era certo.
Nonostante la riluttanza iniziale, il suo gruppo lo aveva seguito. Kirk e Daraen si scambiavano sguardi come piccioncini innamorati e Olivia sbuffava ad ogni metro. Insomma, tutto nella norma.
Si avvicinò a Jalice, che non si accorse immediatamente del suo arrivo, e le si paró davanti, calpestando un fiore.
-Buongiorno, bellezza.
Jalice fece letteralmente un salto e avvampò. Hector sentì l'ascia di Theron cadere per terra e il silenzio dalle parti della cugina.
Guardò Beatrix per un lungo istante, ricevendo in cambio uno sguardo sorpreso e schifato al tempo stesso ed un: -Ma dai, campi ancora!
-B..buongiorno Hector! Ciao anche a voi ragazzi.
Kirk la salutò con la mano, Olivia fece un cenno e Daraen sgranò gli occhi.
-Vedo che avete una nuova recluta- si avvicinò Theron, guardando Daraen, sempre più al centro dell'attenzione; ovviamente ad Hector non andava bene: solitamente era lui ad esserlo!
-Credevo fossi stato arrestato- non aveva notato l'inquietante presenza di Helga dietro Claudius e Romina, entrambi in silenzio.
-Ciao anche a te, Helga. Sei diventata più bella.
I capelli le si tinsero di un rosa pallido, segno che aveva apprezzato il complimento.
-Non ci provare, è già persa per quel coglione di Jasper, peccato che ultimamente stia facendo un po’ il farfallone...- s'intromise Beatrix.
Prima che Helga potesse replicare ed Hector istruirsi sui nuovi avvenimenti, Claudius gli si avvicinò: -Voglio che tu sappia che noi della Congrega non apprezziamo il vostro modus operandi. Cosa vi porta qui da noi?
Hector mise su uno sguardo serio che Helga intercettò immediatamente. - Vado a chiamare gli altri.
Quando tornò con Jasper ed una nuova ragazza, Hector iniziò a parlare. -Durante il mio periodo di segregazione, ho conosciuto questa ragazza. Mi è capitato, una notte, di sognare una donna che la chiamava Hidden. Lo so che è stato solo un sogno, ma ci hanno sempre insegnato a non sminuire i nostri sogni ed io sono convinto di questo. D'altro canto, non può essere stata una coincidenza che questa ragazza, che ha tutt'altro nome, sia stata bollata dal mio inconscio come Hidden, perché mai avrebbe dovuto.
La ragazza nuova gli si avvicinò, tutta tremante, le sue parole furono un sussurro incerto: -Posso... Posso sapere il suo nome?
La guardò interrogativo: -Judit.
Accadde tutto in un istante: la ragazza si accasciò per terra, copiose lacrime sgorgarono dai suoi occhi, rivolti per terra, e disse, tra i singhiozzi: -Dio Misericordioso.. Grazie...

Hector la osservò per un lungo istante. Erano seduti ad un tavolo dentro al pub, mentre gli altri erano fuori a discutere circa il da farsi. Jasper la reggeva per le spalle, nonostante fosse seduta.
Le raccontò tutto, stando attento ai cambiamenti di umore di quella che gli era stato spiegato essere la migliore amica di Judit, Suryan. Quando le riferì che la sua cella era stata rinvenuta vuota, Suryan spalancò gli occhi e giunse le mani come in preghiera, una sorta di gesto istintivo, intuì Hector.
-Ho dei sospetti- tentò di rassicurarla. -Potevo sentire la Somma Kendra, mentre parlava con lei, dalla mia cella. È una ragazza speciale, e tutte le persone speciali sono obbligate a circondare la famiglia reale. Forse ho ballato con lei al ballo.
-Che vuol dire forse?!- proruppe Suryan, come fosse in preda ad una crisi.
Hector si massaggiò la nuca con la mano, imbarazzato. -Beh, non l'ho mai vista in volto, però se era lei è davvero molto bella.
-Non parlare di Judit in quel modo!
-Ehi ehi, calmati, dolcezza. Ho solo espresso una mia opinione.
Sembrava un'indifesa, a prima vista, eppure se le toccavano l'amica era in grado di tirar fuori gli artigli.
Jasper sembrava voler dire qualcosa, quando Claudius irruppe nella stanza a suon di cuoricini appesi al soffitto.
-Ho inviato un messaggio alla Congrega, invieranno un piccolo contingente. Non ho detto loro che la posizione di Hidden mi è stata suggerita da un criminale, perciò badate bene a quello che direte. Abbiamo due settimane di tempo per allenarci, se vogliamo formare un bel gruppo dobbiamo andare tutti. È tutto, buon allenamento.
Così come era entrato se ne andò, lasciando tutti e tre a bocca aperta.


La missione era abbastanza pericolosa e tutti dovevano dare il proprio contributo. Suryan sapeva di essere l’anello debole del team e voleva mettere tutta se stessa in quelle due settimane di addestramento intensivo. Voleva partire consapevole di potersela cavare, ora come ora non avrebbe saputo fare niente.
Se non fare apparire una rosa…
Non riusciva a capire come fosse possibile una cosa simile. E, soprattutto, era una cosa davvero così importante? Non ne aveva idea e preferiva continuare ad ignorare le sue domande a riguardo.
Lei ed Helga avrebbero avuto la supervisione di Hector e Beatrix. Non sapeva come catalogare il cugino, non aveva capito che tipo fosse. Qualcosa, però, le diceva che sarebbe stato molto utile. In fondo, grazie a lui, stavano partendo per la liberazione di Judit. Hector aveva detto di aver scoperto che Judit fosse Hidden, Suryan ha sempre pensato fosse speciale. Non pensava in questo modo ma l’ha sempre percepito.
-Posso farti una domanda?
Helga camminava di fianco la ragazza e con lo sguardo vacuo le chiese delucidazioni.
-Certo, puoi chiedermi tutto quello che vuoi.
Più o meno…
-Ti piace Jasper?
Suryan rimase in silenzio. Quel ragazzo la faceva sentire come mai nessuno prima d’allora e aveva la capacità di farla sempre imbarazzare. Il suo essere così schietto e sincero l’affascinavano… ma piacergli? Nella sua vita non ha mai pensato di poter permettersi qualcuno affianco e, nonostante tutto, ancora non ci riusciva. Se mai un giorno fosse riuscita ad abbattere questo muro, Jasper avrebbe potuto essere una possibilità? Non lo sapeva.
-Io… no. È sicuramente molto gentile ma io non riesco a vedermi con nessuno. È da tanto che sto con voi e vivo come una ragazza normale, si fa per dire…. Insomma, voglio dire che non riesco ad immaginare il mio domani, figurati un futuro amoroso. Io ho capito che provi dei sentimenti per lui…
Helga fece per ribattere ma Suryan la fulminò con lo sguardo. Il sole stava tramontando e gli ultimi raggi filtravano dalle foglie e solleticavano la loro pelle.
-Non mentire, non con me. Non dopo che sei venuta a chiedermi cosa provo per lui.
-Scusami, è difficile per me.
-Ammettere di amare qualcuno? Perché dovrebbe esserlo? Per voi è semplice uccidere una persona, buona o cattiva che sia, parlare con esseri fatati e fare magie strabilianti, ma è difficile ammettere agli altri e a se stessi di sentirsi così intimamente e profondamente legati a qualcuno?
Helga sgranò gli occhi di fronte la ramanzina dell’amica, che sembrava essere cresciuta tutta in un colpo. Non si sentiva toccata solo per aver conosciuto un nuovo e maturo lato di Suryan, che probabilmente ignoravano in molti, ma anche perché ogni singola parola era vera. Come poteva vergognarsi e provare timore per un sentimento così bello e forte e non per tutte le cose strane e talvolta cattive che la circondavano quotidianamente?
Pensò a Jhonny, alla sua proposta. Al pub, a Jalice. Non c'era tempo né spazio per i suoi sentimenti.

Anche quel giorno il tempo era un po’ incerto ma i ragazzi dell’Hidden Pub non potevano mica badargli. Avevano meno di due settimane di preparazione e poi si sarebbero dovuti introdurre nella tana del nemico. Una tana efficacemente controllata e piena di uomini che avrebbero dato la vita per proteggere la famiglia reale.
Suryan la mattina aveva deciso di indossare degli scarponi neri, dei pantaloni militari e una canottiera nera. Non aveva pensato al problema freddo ed era uscita senza vestito di supplemento.
-Non pensi che sentirai freddo?
Helga la guardava interrogativa, consigliandole di tornare al Pub per prendersi una giacca.
-Ma che freddo? Io e mio cugino vi faremo sudare! Pronte?
Suryan vide Beatrix piena di entusiasmo, probabilmente perché quel pomeriggio avrebbe dimostrato a tutti i suoi talenti. Una caratteristica dei Dumont era sicuramente l’esibizionismo, pensò Suryan osservandoli attentamente.
-Suryan, tieni questo bastone di legno. Sarà la tua arma nel combattimento con me.
-Con te? Non so neanche come si tiene in mano e tu pensi che sia equo combattere con te?
-Non è equo ma sicuramente divertente.
Beatrix le fece l’occhiolino. Suryan sarebbe tornata viva a casa? Aveva i suoi dubbi.
Suryan prese il bastone di legno, rivolse la parte appuntita verso Beatrix, aspettando un comando.
Tutto il pomeriggio si svolse tra urla e isterismi, sia Helga che l’amica erano delle vere incapaci e gli istruttori non peccavano di comprensione e pazienza.
-Va bene, basta. Sei un ammasso di sporco, sudore e lividi.
Beatrix guardò schifata Suryan che, effettivamente, era a dir poco stremata.
-Chissà perché. Non le hai dato neanche la possibilità di utilizzare quel suo potere strano per evitare e fermare gli attacchi.
Helga prese le difese dell’amica, anche se pure lei era abbastanza ridotta male. Forse leggermente meno malconcia.
-Sarebbe stato ingiusto. Deve imparare ad attaccare e a difendersi senza questa sua dote, se con i Puri non funzionasse?
Suryan non riusciva a pensare a niente, l’unica cosa che aveva imparato era stata quella di controllare quando e se utilizzare la sua difesa. Era qualcosa, no?
-Prima di rientrare proviamo a lottare in un terreno fangoso e abbastanza lontano dai possibili aiuti. Quando ci si trova a Palazzo sicuramente non possiamo correre verso il Pub, vero, Suryan?
Beatrix apostrofò l’amica, che la maggior parte delle volte scappava dentro casa.
-Va bene, tanto la mia opinione non importa gran che.
-Bingo!
Camminarono per mezz’ora in una radura abbastanza vicina a casa ed iniziarono a combattere in mezzo al fango. Suryan era scivolata un miliardo di volte ed ora aveva appena battuto la testa.
-Ti sei fatta male?
Beatrix si avvicinò alla ragazza, che aveva un bernoccolo a sinistra, sotto l’attaccatura dei capelli.
-Abbastanza… ma sta piovendo?
Delle gocce, all’inizio lente e quasi piacevoli, iniziarono a scendere dal cielo. Le ragazze non ebbero neanche il tempo di accorgersi del cambiamento climatico quando la grandine atterrò in picchiata sulle loro teste.
-Vieni, corri! Qui dentro!
Le due ragazze, per mano, corsero sotto uno strapiombo, qualcosa di simile ad una grotta.
-Sbaglio o i gradi stanno scendendo vorticosamente? Ma è innaturale!
-Mi stai davvero chiedendo se è possibile qualcosa di così strano?
Suryan riflettè ed effettivamente era inutile stupirsi più di qualcosa. Sentiva il suo corpo ghiacciarsi. Non sentiva più le dita delle mani.
Beatrix si tolse la felpa e la porse a Suryan.
-No, poi moriresti tu. Non possiamo correre fino a casa?
Beatrix aveva un’espressione molto preoccupata, Suryan non l’aveva vista mai così seria e … spaventata?
-No. Mettila e basta.
Suryan prese la felpa e a forza la rimise all’amica. Il freddo sembrava entrarle dentro le ossa. Sembrava non sentire più nulla, come quando sei lì lì per svenire.
Beatrix sembrava non riuscire a tenere gli occhi aperti e i capelli neri sembravano uno straccio ancora da strizzare.
Suryan si avvicinò alla ragazza e si strinsero in un abbraccio. Stavano per morire? Sicuramente.
-S..tai tranquilla. Ora il tempo...rale passa.
Un tuono interruppe la loro “discussione”.
Qualcosa dentro Suryan premeva. Come una forza sconosciuta, qualcosa di opprimente e indomabile. Raccolse le sue ultime forze e prese i due bastoni di legno utilizzati poco prima per l’allenamento. Le gambe le cedettero e guardò, in ginocchio, i due bastoni attentamente. Poi, senza forze, chiuse gli occhi.
Un calore sembrò pervaderla. Spalancò gli occhi e il fuoco era a 5 centimetri dal suo corpo.
I bastoni si erano accesi.
Strisciò verso l’amica per avvicinarle il calore. Quest’ultima aprì a fatica gli occhi: vide Suryan pervasa da una luce strana e due bastoni infuocati. Poi svenne.
Beatrix non sapeva quanto tempo fosse passato fino al suo risveglio, si ritrovò tra le braccia dell’amica e con un fuoco ad un metro da loro.
-Suryan?
-Mh.
La testa le doleva, forse per il bernoccolo o lo spavento, forse per il fuoco.
-Come diamine…
Alzò la testa e vide l’amica stremata. Forse non era il momento.
-Non chiedermi nulla, sono così stanca che non riuscirei a rispondere a nulla, anche se lo sapessi. E, per la cronaca, non so niente.
-è la prima volta che lo fai?
-No, ho fatto comparire una rosa dal nulla qualche giorno fa.
-Cosa? Intendevo accendere un fuoco. Non puoi far comparire gli oggetti e saper manipolare un elemento.
Suryan si passò una mano sul viso, nero e stremato, e fece spallucce. Era successo e basta. Ma che le importava, erano vive grazie a lei, fine.
Beatrix rimase in silenzio, la sua mente era un turbinio di emozioni e pensieri. Stava per morire e Suryan l’aveva salvata. Aveva salvato entrambe. Aveva acceso un fuoco e ora veniva a scoprire che tempo prima aveva fatto apparire un fiore. Non era possibile.
Per un attimo pensò a cosa potesse pensare l’amica e sentì il bisogno di consolarla. Aveva gli occhi chiusi e sembrava imperturbabile ma, se aveva imparato a conoscerla, si sentiva a pezzi.
Non ebbe neanche il tempo di finire di formulare il pensiero che Suryan la guardò dritta negli occhi:
-Sono un mostro?
Una lacrima scese dal suo viso e un’espressione impaurita fece posto alla freddezza iniziale. La maschera era caduta.
-No, sei Suryan e nient’altro.
La ragazza si buttò tra le braccia dell’amica e mentre la pioggia continuava a scrosciare, vennero cullate da quel rumore.
Si addormentarono.

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Capitolo 15
*** XIV ***




XIV


 

I

l cielo plumbeo la sovrastava mentre era intenta a calpestare l'erba bagnata. Non faceva realmente freddo, eppure lo scenario che le si presentava davanti le faceva venire i brividi.

Judit avanzò verso quella che sembrava una grotta, da cui provenivano rantoli e sospiri. Per qualche ragione, sentiva che la sua destinazione sarebbe stata quella.

Quando arrivò in prossimità, la vide. Suryan. La sua Suryan, senza il velo, stretta alla ragazza del treno, entrambe inermi nel gelo.

-SUR!- provò a chiamarla, senza ottenere nessuna reazione.

Il vento ululava forte e le mani di Suryan erano piene di rughe dal freddo.

Provò ad avvicinarsi, a toccarla, trapassandola come se fosse un fantasma.

Si portò le mani alla bocca. Finalmente era lì, con lei, eppure non poteva parlarle né toccarla.

Una lacrima le sgorgò dall'occhio destro, quando accadde qualcosa di inspiegabile.

Suryan allungò le mani e, improvvisamente, una fiammella apparve dal nulla. Divampò fino a diventare grande e a illuminare tutte e due le ragazze semicongelate.

Si svegliò, stupita e spaventata. Cosa aveva appena visto?

 

 

Il temporale infuriava fuori dalle grate della finestra del pub, dove tutti si erano rifugiati.
Helga contemplava la catastrofe al di là della finestra, preoccupata per le sorti di Suryan e Beatrix, che non erano ancora tornate.
-Helga, fa freddo, vieni a bere una tazza di the- le propose Jalice con un mezzo sorriso. Anche lei doveva essere preoccupata.
-No grazie, sto bene così- si strinse nello scialle per non rabbrividire davanti a lei.
Era difficile contemplare il paesaggio con la pioggia che batteva violentemente sui vetri e sulle grate, solo i fulmini illuminavano lo scenario.
-Credevo le odiassi, invece ti trovo preoccupata per loro- Jasper le si affiancò.
Helga continuò a guardare fuori dalla finestra, evitando il contatto visivo con lui. - Io non odio proprio nessuno. Si vede che non mi conosci abbastanza.
-Neanche me?
-Neanche te.
-Nemmeno se ti dicessi che mi piace Suryan?
Un fulmine squarciò il cielo e il tuono rimbombò per tutto il pub.
-Questi non sono affari miei- fu la risposta di Helga, ragionata, il risultato della sua sofferenza interiore.
-Allora mi darai la tua benedizione?
Finalmente si decise a guardarlo. Si immerse in quegli occhi color ghiaccio, mentre cambiava il colore dei capelli in rosa pallido.
Sorrise. - Strano l'amore, eh? A volte vorresti prendere a pugni la persona che ami, altre volte stringerla così forte per non lasciarla più andare. Eppure, quando non è corrotto dall'ossessione, è un sentimento così puro e giusto, forse il sentimento più giusto che si possa provare. Anche per la persona sbagliata. Tutti noi meritiamo di provarlo ed io sono contenta per te, sii felice.
Detto questo, prese a camminare verso gli alloggi, incurante di aver lasciato tutto il pub scioccato dalle sue parole.
-Sei proprio un coglione- furono le ultime parole che sentì dire ad Hector, prima di chiudersi la porta alle spalle.
Un nano molto saggio disse, un tempo, che l'amore era la morte del dovere e il dovere la morte dell'amore. Questo sarebbe stato il funerale dei suoi sentimenti per Jasper, in favore dei suoi amici, del pub, del suo cognome. Avrebbe sposato Jhonny.
Guardò un'ultima volta dalla finestra della sua stanza. - Suryan, tornate presto.
 
 
Era mezzanotte e Jalice era ferma, immobile, al centro della cucina. Beatrix e Suryan mancavano da una manciata d’ore e fuori sembrava ci fosse l’apocalisse. Come potevano proteggersi da una simile ondata di maltempo?
Ricordava ancora quando lei e Beatrix erano piccole: erano inseparabili.
Rammentò di quando, in terza elementare, Beatrix l’aveva protetta a suon di parole dai soliti bulletti che avevano appena ricevuto in pasto l’ultimo gossip della giornata: suo padre aveva tradito la madre.
Aveva pianto così tanto, non sapeva se per la madre, il padre o gli scherni.
Beatrix però era lì:
- Ti proteggerò sempre. Quando cresceremo faremo il patto Unio e saremo per sempre inseparabili!
Il patto, alla fine, non lo fecero mai ma il loro legame era così vero e profondo che non aveva bisogno di nessun’altra dimostrazione.
-Sei preoccupata?
Hector si avvicinò alla rossa, vedendo la paura pura nei suoi occhi.
-Lo sai che Beatrix è in gamba, sa sempre cosa fare. Ricordati che siamo Dumont!
Jalice forzò un sorriso, qualcosa, però, le diceva che non andava.
-Se uscissimo a cercarle?
Hector la guardò stralunato:
-Con questo tempo? È meglio aspettare. Appena passa la bufera sarà qui. Credimi.
Dumont le diede un bacio sulla testa e sparì nel corridoio, Jalice rimase ad aspettare davanti alla finestra tutta la notte.
 
 
Carol era stravaccata sul letto come sempre e, annoiata, leggeva un libro. Quelle giornate prive di stimoli la facevano scocciare da morire.
Aveva pensato di passare il tempo ad insegnare qualcosa a Judit ma alla fine aveva accantonato l’idea: troppo stancante.
Quella ragazza era una bestia da domare, rozza e cocciuta.
-Principessa?
-Sì?
La Somma Kendra le comunicò di dover far visita alla Strega Madre. Effettivamente era da un po’ che non andava a far visita a quella vecchia pazza.
 
-Buon pomeriggio, Carol.
La donna fece cenno alla ragazza di avvicinarsi.
-Salve, è un onore essere qui.
L’anziana sorrise: sapeva benissimo cosa realmente pensava la ragazza.
La stanza era scura ma illuminata da globisplendenti e sul tetto era proiettata la costellazione, di colore viola. Sembrava una stanza poco accogliente nonostante le caratteristiche così speciali che la componevano.
-Fra due settimane tu ed io andremo al castello del Conte Massimo. Abbiamo molto da fare con lui. Inizia a preparare i bagagli. Ricordati che non potrà venire nessun altro, oltre te.
La ragazza si sentiva un po’ intimorita: sola, con una vecchia pazza in un castello mai visitato?
-La Somma Kendra…
L’anziana sorrise maliziosamente:
-Kendra resterà a casa. Puoi andare.
La principessa girò i tacchi e tornò in camera. Non era per niente convinta, l’unica nota positiva era che avrebbe rivisto il conte. Avrebbe potuto così ringraziarlo per il regalo.
Davanti lo specchio iniziò a pettinarsi i lunghi e fluenti capelli color oro, quando, all’improvviso, accusò un mal di testa fortissimo. Si sedette a stento sul letto e rimase ferma, inerme, per mezz’ora. Sentiva di stare per morire. Tutto ad un tratto riuscì a ripristinare le sue capacità, si alzò titubante e si riguardò allo specchio: dal naso colava del sangue.
Fuori un temporale stava seminando il panico. Se Carol avesse avuto la capacità di scatenare una catastrofe metereologica, sarebbe stata sicuramente opera sua. I suoi sentimenti erano un miscuglio di rabbia, paura e odio.
 
SUR!
Si svegliò così, con la voce preoccupata di Judit che le rimbombava in testa ed una pesantezza che la stremò appena sveglia.
Si guardò intorno, spaesata, facendo scorrere lo sguardo sui muri di roccia, il fumo di un fuoco appena spento aleggiava nell'aria. Tastò il terreno con le mani ruvide e sporche, mentre riordinava i pensieri. Le era sembrato di sentire Judit, eppure con lei c'era solo Beatrix. Un momento, BEATRIX!
Si alzò in tutta fretta per ricadere rovinosamente per terra, le gambe doloranti.
Fu in quel momento che la vide, attorniata da un'aureola di luce, mentre era intenta ad entrare nella grotta, un fascio di erbe in mano.
-Che stai facendo?- fu l'unica cosa che Bea le disse, prima di tamponare con le erbe le ferite di Suryan.
Non sapeva cosa pensare. Beatrix l'aveva vista, l'aveva ascoltata mentre le diceva di aver fatto comparire una rosa dal nulla. Una parte di lei sperava che se lo fosse dimenticato, dato lo stato in cui versava la notte prima, ma l'altra parte desiderava ardentemente che non dimenticasse nulla di lei, nemmeno le verità scomode.
Il silenzio la opprimeva. Andò avanti in quel modo fin quando non riuscì a reggersi in piedi. L'allenamento del giorno prima iniziava a farsi sentire e le sue gambe per poco non cedettero una seconda volta.
-Andiamo- disse Bea, abbassandosi. -Sali, ti porto io. E non dire di no, mi rallenteresti ancora di più!-
Un po' scocciata, un po' amareggiata da quella situazione, accettò l'offerta dell'amica.
Beatrix era forte e robusta. In quella posizione non si trovava male, anzi, si sentiva bene, protetta, rassicurata.
Camminarono per un po', fino a quando non seppe più trattenersi. Alle sue parole, Bea si fermò: - Non dire a nessuno di quello che è successo ieri, per favore!
Si fidava di lei, ma voleva anche parlarle e quello era l'unico argomento di cui parlare.
-Sarà un segreto tra me e te.
-E Jasper- aggiunse, senza pensarci.
Beatrix fece una smorfia e proseguì. -Ad ogni modo, dobbiamo capire il perché. Non è normale quel che sai fare, per nessun tipo di strega.
-Lo so- si strinse di più a lei. -Voglio capire. Cosa sono veramente? Non lo so più.
-Io lo so- sorrise Beatrix. - Sei una gran pasticciona e imbranata!
Suryan fece per replicare, rossa in viso, quando avvistò il pub.
Vide Jalice venire incontro loro e, quando Beatrix la lasciò andare, le abbracciò entrambe. Dietro vide anche Helga, Jasper e Theron che sorridevano, più il gruppo di Hector radunato.
Il ragazzo che doveva chiamarsi Kirk disse, a gran voce: -Prevedo una bella giornata di sole, oggi!
 
Erano trascorsi tre giorni dal temporale, giorni in cui Suryan, l'amica di Judit, si era riposata e quel giorno avrebbe ripreso l'allenamento.
Hector ed Helga avevano cominciato presto, quella mattina, e per qualche ragione la ragazza gli sembrava più determinata del solito, nonostante la brutta batosta con Jasper. Il giorno dopo la discussione con Helga, Hector gli aveva fatto trovare le mutande appese in bella mostra all'entrata, una bravata che non invecchiava mai.
Dopo aver schivato agilmente i fulmini e i lampi del Lightland, Helga era venuta da lui, visibilmente impressionata, e gli aveva chiesto: -Puoi mostrarmi come hai fatto?
Si trovavano poco distanti dal pub, intenti ad allenarsi a schivare i colpi. Per chi, come loro, non poteva contrattaccare, era fondamentale quantomeno riuscire ad evitare gli attacchi della stirpe del Sole. Hector non aveva poi dubbi sul fatto che sarebbe stata in grado di fermare quelli mentali della Luna, era una ragazza promettente, animata da una profonda determinazione, emersa forse dopo il rifiuto.
Beatrix lanciava lampi nella sua direzione ed Helga li schivava agilmente, decisamente un notevole progresso. La cugina l'aveva solo presa di striscio qualche volta, sempre e comunque meglio dell'essere presi in pieno.
Hector batté le mani: -Ottimo lavoro, dolcezza, vai pure a riposarti.
-Finalmente- mormorò Helga, massaggiandosi la schiena.
Come si diresse verso il pub, Beatrix gli si avvicinò, seria in viso.
-Possiamo parlare?
 
 
Il grande albero gettava ombre ove si erano seduti, proprio sotto i suoi piedi. In lontananza potevano udire le voci di Jalice e Theron che si allenavano nel combattimento, un allenamento un po' strano, considerato che ridevano come matti.

-Hai mai pensato di partire? Andare via?
Jalice guardò interrogativa Theron. Partire? Andare via?
-No, non potrei mai allontanarmi della mia famiglia. Neanche per poco. 
Theron la osservò assorto. Quanto avrebbe voluto fare una valigia alla rinfusa e partire con la sua migliore amica. Magari in un posto migliore, più pacifico. Un posto solo per loro. 
-A volte penso di andare via. Mi piacerebbe allontanarmi da tutto questo, iniziare tutto daccapo in un posto lontano. 
Dentro di lui, nonostante gli anni al servizio della Congrega, sentiva che non era la sua strada. Odiava dover combattere un nemico, odiava cercare in modo estenuante Hidden e ancor di più non avere la possibilità di pensare al proprio futuro, perché era tutto così incerto. Oggi era qui, vigile, vivo, ma domani? 
-Non vorrai mica lasciarmi da sola! 
Jalice si avvicinò al ragazzo, mettendogli una mano sul braccio teso, mentre stringeva il bastone appuntito. 
-No, è solo un pensiero. 
Non potrei mai andarmene senza di te.
 
 
Hector osservò per lunghi istanti la cugina, aspettandosi una bella battuta alla Dumont, invece arrivò un incerto: -Sei sicuro al cento per cento che quella ragazza sia Hidden?
-Sì- fu la sua risposta secca.
L'aveva visto in sogno, sì, e non poteva essere un caso, perché mai la sua mente avrebbe dovuto associarla ad Hidden? Poi c'erano stati i discorsi della Somma Kendra... Sentiva che era speciale, doveva solo capire se per tutti o solo per lui.
-Perché ti ostini a salvarla allora, la cosa non ti porterà tutto questo profitto. Ti sei innamorato?
Hector non rispose immediatamente.
-Vorrei avere una famiglia, un giorno- sussurrò Judit.
-Anche io- le rispose flebilmente. -Una bella moglie con cui darci talmente dentro da fare tanti pargoli.
Judit rise appena.

-Vorrei avere una famiglia, un giorno- disse senza riflettere.
Beatrix lo guardò torvo, probabilmente pensava fosse impazzito. E lo era.
-Comunque, era questo che volevi dirmi?-
-Non solo- la cugina guardò per terra. -Voglio che tu sappia che non ti abbiamo dimenticato. Anche se la Congrega non ti ha particolarmente in simpatia, prima che arrivasse Suryan stavamo pianificando, noi del pub, di venirti a salvare, insieme a Kirkretino e gli altri.
Hector sorrise flebilmente. -Ah, il senso del dovere!
Stettero in quel modo, in silenzio, sotto le fronde, prima che Suryan chiamasse Beatrix.
Stava bene con la cugina, Hector, un po' come quando era con Judit. Due sensi di calore così simili eppure così diversi che lo portavano in uno stato di benessere tale da indurlo a volerli provare ogni giorno della sua vita.
 
In tarda serata, tutti si erano ritirati nel pub a bere qualcosa, stanchi dell'allenamento estenuante.
Theron guardava Jalice che sorseggiava una bevanda calda dietro al bancone, beata del suo calore.
Hector le si avvicinò a passo deciso e si sedette di fronte a lei, che quasi non fece cadere la tazza sul pavimento dalla sorpresa. Theron assottigliò gli occhi.
-Come va, bellezza?
Jalice arrossì di colpo e si affrettò a versare dell'aceto di mele nel bicchiere che servì ad Hector con mano tremante dall'emozione. Uno spettacolo adorabile, a detta di Theron.
-Bene, grazie! E tu come stai?
-Alla perfezione!
Non ne poté più. Si alzò di fretta e si diresse verso il posto a sedersi accanto ad Hector. Aveva voglia di parlare con Jalice, era certo di averne più di Hector.
-Sarai stanca, perché non vai a riposarti?- esordì.
Jalice, ancora incantata da Hector, posò lo strofinaccio con cui stava pulendo e gli disse una cosa che si era aspettato: - Non ti preoccupare, sono carica di energia!
Era così, la sua Jalice, pimpante e sorridente, di buon cuore, una ragazza sveglia e decisa.
-Theron, vecchio mio, che ne diresti di un bicchierino?- s'intromise Hector.
Theron accettò la sfida. Jalice, non molto convinta, gli versò dell'aceto, che Theron bevve tutto d'un sorso.
-Così ti voglio! Dolcezza, un altro per il nostro amico!
-Theron, ne sei sicuro? Ti sentirai male dopo- si preoccupò Jalice.
Theron non resistette ai suoi occhioni. - Solo qualche bicchierino, non preoccuparti.
Il problema venne in seguito, quando, spinto da Hector, qualche bicchierino divennero troppi bicchierini.
Jalice andò a prendere dell'acqua, preoccupata, e a quel punto anche Kirk, pure lui ubriaco, si avvicinò.
-Non trovate che Daraen sia il più grazioso di tutti?
Theron non era decisamente di quel parere: - Non è vero, Jalice è la più graziosa del mondo!
Hector, in mezzo, sembrava divertirsi e Theron non capiva il perché.
All'improvviso, scese anche Jasper, che lo guardò sbalordito. - Non ci credo, sei ubriaco!
Theron, tutto rosso, aveva da ridire a riguardo: - Certo che no, ho solo bevuto qualche bicchiere.
-E hai anche detto che Jalice è la più graziosa del mondo- disse Hector, poggiando un gomito sul viso.
Quando Theron realizzò che Jalice era entrata in quel momento e aveva assistito alla scena, sfogò i suoi istinti prendendolo per il bavero della camicia che lui stesso, quella mattina, gli aveva prestato.
-Theron, no!- urlò Jalice, abbracciandolo da dietro.
Quell'abbraccio lo calmò, tanto che lasciò andare Hector.
-Vieni, ti accompagno in stanza.
I fischi di Hector furono l'ultima cosa che sentì prima di salire le scale, sorretto da Jalice. In stanza, lei gli versò dell'acqua e lo fece bere, prima di rimboccargli le coperte.
-Non fare più cose stupide come oggi- sussurrò, accarezzandogli la guancia, - non voglio perderti.
 
Helga era intenta a scendere le scale quando, sulla soglia della porta, vide Hector a petto nudo, Kirk disteso per terra e Jasper che li guardava disinteressato dal bancone. Ignorò quest'ultimo e si rivolse ad Hector: - Perchè sei nudo? E quell'altro che ci fa sul pavimento?
Hector ammiccò, visibilmente ubriaco: -Non ti eccita vedermi così? Se solo potesse vedermi lei!
Helga si portò una mano alla fronte, consapevole di avere a che fare con un branco di idioti.
-Devo andare, quindi fatemi cortesemente passare.
Passó accanto a Jasper sfiorandolo, un brivido la attraversò per un istante.
-Dove vai di bello?- chiese Hector.
-Ad incontrarmi con un amico.
Jasper che la guardava fu l'ultima cosa che vide prima di chiudere la porta.
 
La regina Genevieve sembrava essersi svegliata dal torpore che l’aveva colpita negli ultimi mesi. Un torpore che aveva una natura antica. Si avvicinava il compleanno della figlia e dell’altra.
Ricordava ancora quando, quella notte tremenda, con i lampi che sembravano immortalare ogni momento, era sola. Sua figlia aveva appena lasciato il suo ventre e lui non era lì. Lui era dall’altra.
-Mamma, come mai oggi ci fai l’onore della tua presenza?
Una nota di sarcasmo riempì la sala da pranzo, sempre piuttosto vuota. Judit e la Somma Kendra sentivano di poter quasi toccare l’imbarazzo e la rabbia che aleggiava fin dalle prime ore della giornata.
-Perché non pensi a mangiare? Fai qualcosa di più utile invece di brontolare sempre.
Genevieve scandì le parole con calma e freddezza. Judit sentì quasi un brivido salirle su per la schiena.
-Se ci fossi stata alla mia festa di benvenuto forse sapresti cosa ho o non ho fatto.
Genevieve lanciò uno sguardo omicida verso la figlia, si soffermò un attimo su Judit e mormorò:
-Ricordati di fare gli auguri a tua sorella.
Si alzò e si richiuse in camera, sicura che quell’anno ci sarebbe stata una festa coi botti.

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Capitolo 16
*** XV ***




XV


 

S

uryan aveva passato tutta la notte a pensare. La sua mente sembrava un treno in corsa senza una meta: andava avanti, senza mai fermarsi. Dentro di lei albergavano mille emozioni: paura, sorpresa, speranza, tristezza.

Avrebbe finalmente rivisto la sua migliore amica, la sua famiglia, dopo mesi avrebbe potuto riabbracciare Judit. Il tempo era trascorso così velocemente che sembrava ieri il disastro del treno, il viaggio imminente, il rapimento, la magia… però, allo stesso tempo, si sentiva vecchia di un secolo. Era entrata in quel Pub che era una ragazzina, anagraficamente lo era ancora, ma qualcosa dentro di lei era maturato. Non aveva a che fare con la decisione di abbandonare il suo percorso di fede, bensì con l’acquisire consapevolezza del mondo circostante.

Tutto fuori e dentro di lei aveva subito una trasformazione, un cambiamento irreversibile.
Qualcuno bussò alla sua porta, facendo finalmente arrestare il treno in corsa:
-Vuoi prendere un po’ d’aria con me?
 
Il buio era tutto ciò che circondava il suo corpicino, stretto nel piccolo armadio. Le manine tremavano, l'urina spingeva per uscire, gli occhioni azzurri assottigliati come a volersi proteggere dal mondo.
-BASTARDO!
Le ante si spalancarono e venne preso violentemente per un braccio, che la donna spinse a terra assieme al corpo tremante.
Teneva ancora gli occhi chiusi, sperava di aprirli e di svegliarsi nella stalla in cui dormiva, insieme ai suoi amati cavalli di cui sembrava sentire il nitrito ad ogni colpo che la donna gli infliggeva alla testa.
Era un incubo.

-Sono orfano- le raccontò, seduto insieme a lei su una tovaglia stesa sul prato.
Suryan lo guardò impietosita. Era sempre la stessa storia. La stessa pietà.
Sentiva di stare per perdere i sensi, il dolore alla testa era troppo forte, le orecchie gli fischiavano.
-Giselle, smettila di prendertela col bambino!
La sua voce fu l'ultima cosa che sentì, prima di ricadere nel buio.
-Sono scappato, quando ho raggiunto i quattordici anni, ho rischiato di morire, poi, un angelo mi ha salvato.
Mise a fuoco lentamente l'ambiente circostante fino a riuscire a scorgere una ragazza. Una ragazza molto carina.
-Ti sei svegliato, finalmente.
Gli toccò la guancia, bagnata dal sangue e dalle lacrime. Non ebbe paura di sporcarsi.
-E come ti ha trovato questo angelo?
-Io ho trovato lei. Era notte, tarda notte. Vagavo ricoperto di terra e sangue, finché non l'ho vista. I nostri occhi si sono incontrati...
...E la vita sembrò finire lì per lui. Collassò, privo di forze, non prima di averla vista piegarsi su di lui, gli occhi brillanti, i capelli sembrarono tingersi di un altro colore. Quella ragazza non ebbe paura di sporcarsi.
Helga non aveva mai avuto paura di sporcarsi con lui, di sporcarsi per lui.
-Deve essere stato difficile per te...
La solita frase fatta. Era insopportabile.
-Beh, sono qui, l'importante è questo!
Suryan allungò un braccio verso di lui e dalla sua mano comparve una rosa. Dapprima fu stupito di quel gesto, ma poi si concentrò sulla magia, un tipo a lui sconosciuto. Non poteva che essere una sola cosa.
-Sei speciale, Sur.
Come da copione, lei arrossì. Era davvero ingenua.. - Quel che puoi fare tu, non può farlo nessun altro.
-Beh, sai, è successo di nuovo.
Jasper la guardò, incuriosito. Tirò un vento caldo su di loro.
-Ho acceso un fuoco, quella notte, nella tempesta, ho manipolato un elemento.
-Dovremmo bruciarlo vivo! E tu, che hai da guardare?!
Un altro colpo ben assestato. Un altro fiotto di sangue. 
-Il fuoco? Sur, è incredibile!- finse, ignorando il fiume di ricordi che quel giorno aveva deciso di scorrere in pieno.
Suryan si alzò, sistemandosi il vestito.
Beatrix lo sapeva. Sapeva che Suryan possedeva quei poteri. Gli ostacoli sembravano non finire mai.
-Torniamo dentro, vorrei bere qualcosa.
 
 
Bussò, poco convinta di ciò che stava facendo. Sapeva che, accettando l'invito di Claudius nel suo studio, sarebbe finita con un rimprovero.
Infatti era serio e composto, le mani giunte a sorreggere il capo, lo sguardo fisso sulle carte.
Helga si accomodò con un peso sulle spalle più grande di lei.
-Voleva vedermi?
Claudius la squadrò, prima di parlare. - Gli introiti sono magicamente aumentati e, guarda caso, il nostro benefattore è Jhonny. È successo quel che penso? Vorrei tanto sentirti dire di no.
Mentire non avrebbe portato alcun frutto, in ogni caso Claudius lo avrebbe capito.
-Ho accettato la sua proposta di matrimonio.
Silenzio. Un silenzio pesante.
Quella mattina, Helga aveva provato ad acconciarsi i capelli come una donna adulta, legati fin sopra le spalle. Sentiva ora il bisogno di scioglierli e di toccarli per stemperare la tensione.
-Non avresti dovuto. Non avresti decisamente dovuto.
Sbattè violentemente le mani sulla scrivania. Helga ebbe un sussulto. Quello studio era molto piccolo e arrivava poca luce, decisamente ciò non contribuiva a farla sentire meno assoggettata dalla presenza imponente di Claudius.
-Come ti sentirai adesso, legata per tutta la vita ad un uomo che non ami, eh? Come vivrai al suo fianco?
-C'è sempre tempo per imparare ad amarlo.
-Ma a che scopo? Per finanziare un pub che comunque prima o poi avrebbe chiuso?
-Non solo per questo! Jhonny ha detto che avrebbe riabilitato il mio cognome, i nostri figli lo porteranno insieme al suo.
-Non voglio crederci- Claudius si fece rigido sulla sedia. -Ti ho cresciuta io, con quali valori?
Helga sentiva le lacrime premere per uscire. Del suo cognome le importava ben poco, a quel punto, era di Jalice, di Claudius, che realmente le importava. Non avrebbe permesso la chiusura del pub, a qualunque costo.
-Grazie di tutto, Claudius, ma ormai è arrivato il momento che io decida da me cosa farmene della mia insulsa vita.
Come si alzò, Claudius si decise a guardarla, il suo sguardo tradiva tristezza. -La tua vita è preziosa, non trattarla in questo modo.
Le lacrime sgorgarono copiose, a quel punto. Non era, in fondo, così preziosa quanto quella dei suoi amici. Non era riuscita ad esserlo per la persona che amava, con che faccia avrebbe sostenuto di essere importante davanti agli altri, che non trascorrevano le proprie vite nell'autocommiserazione, che non si lasciavano vincere dalle proprie emozioni, che affrontavano le difficoltà con un sorriso. Lei non era nulla di tutto ciò, poteva essere utile soltanto sposandosi.
-Grazie di tutto.
Sfrecciò verso la porta senza dire altro, il cuore colmo di tristezza e gli occhi di lacrime.
Quando si diresse verso la porta d'ingresso, quasi non si accorse di essere andata a sbattere contro qualcosa. Contro qualcuno.
Quando avvertì sul suo petto lo scandire dei battiti del cuore di qualcun altro, oltre ai suoi, alzò appena il capo e vide Jasper molto vicino a lei.
Corse immediatamente via, per poco non urtò anche Suryan.
Corse più veloce che poté, come l'aveva abituata Hector, tra i rovi della foresta, che le strapparono dai capelli il fermaglio, facendoli ricadere sulle spalle, ormai tinti di un nero inchiostro.
Si abbandonò sulla terra, stanca della corsa e ferita dai rovi. Le lacrime si mescolavano col sangue sul suo viso.
 
Quando Theron era tornato con in braccio una Helga incosciente e ferita, Jasper si era chiuso nella sua stanza con foga, sbattendo la porta.
Aveva sentito le voci di Suryan, di Jalice e Theron chiamarlo per la cena, ma non ne aveva voluto sentire.
Non voleva sentire niente, nessuno.
Aveva cercato di sopprimere una parte di lui che stava pericolosamente pian piano emergendo negli anni, ma che avrebbe rappresentato un ostacolo insormontabile se le avesse permesso di manifestarsi.
Ed era Helga la causa di tutto. Doveva rinunciare, sopprimere. In una vita di rinunce, sarebbe stata soltanto l'ennesima, allora perché gli importava tanto?
Dopotutto, l'amore è la morte del dovere e il dovere la morte dell'amore.
 
Hector si guardava intorno, alla ricerca della sua dama. Eccola lì, nel suo vestito verde, i capelli scuri legati, i guanti a coprire le sue delicate mani. Era lei, non aveva alcun dubbio. Al ballo non l'aveva riconosciuta, dal momento che non l'aveva mai vista, eppure in quell'istante capì.
-Hector, sei davvero tu?
La musica cessò improvvisamente e i due si trovarono soli nella sala da ballo.
Le figure negli arazzi sembravano guardarli dall'alto in basso.
Hector non disse niente, continuò a guardarla, provocandola.
-Oh, insomma, ci rivediamo e tu non dici niente. Che c'è, ti aspettavi qualcun'altra?!
-Sì, una bella biondona.
Judit arricciò il naso, mettendo su un'espressione davvero adorabile. In realtà, non era mai stato così felice di rivedere qualcuno in vita sua.
-Bah, tanto questo è un sogno e tra poco mi sveglierò in quel castello di pazzi.
Hector sorrise. Per la verità, per la prima volta in vita sua, non sapeva cosa dire. Forse non voleva proprio dire nulla, il suo desiderio consisteva nel guardarla, scorgere ogni parte del suo viso, toccarla come aveva fatto quella sera al ballo.
Ti sei innamorato?
Le parole di Beatrix rimbombarono prepotentemente nella sua testa. No, non c'era tempo per pensarci, Judit stava correndo un grosso rischio.
-Judit, ascoltami. Sei in pericolo, dobbiamo portarti via da quel castello!
Judit incontrò i suoi occhi, ricambiando il suo sguardo preoccupato.
-Vuol dire che mi porterete via da qui?
-Sì, e la tua amica, Suryan, sarà dei nostri.
Gli occhi di Judit, a quel punto, si riempirono di lacrime. Anche il lampadario, con le sue cascate di cristalli, sembrava piangere con lei.
-Sono così sollevata, grazie Hector, GRAZIE!
Stava per avvicinarsi, le braccia protese per abbracciarlo. Il cuore di Hector iniziò a battere forte; protese anche lui le braccia, quando il buio lo avvolse e di quel calore che Judit gli faceva provare non rimase alcuna traccia.

 
 
Quella sera era delle più belle: i raggi lunari illuminavano la foresta circostante ed Helga, dalle finestre della sua stanza, poteva ammirarne la bellezza.
La sua stanza era piccola, il letto accanto alle finestre, un armadio ed una scrivania l'uno di fronte all'altra nelle altre due pareti.
Dalla porta entrò Jalice: aveva gli occhi lucidi.
-Oh, ti sei svegliata finalmente.
Quasi non fece cadere la bacinella contenente acqua dalle mani. Reggeva anche una pezza, probabilmente voleva posizionargliela sulla fronte.
La testa prese a girarle improvvisamente. Si toccò la fronte con una mano.
-Sdraiati, hai la febbre molto alta.
Helga fece come le aveva consigliato l'amica.
Jalice doveva aver pianto, non c'erano dubbi. La causa era sicuramente lei, sempre lei. Non faceva che recare problemi da quando era stata accolta da Claudius, una ragazzina i cui genitori si erano suicidati a causa dei troppi debiti accumulati; non solo Claudius li aveva pagati per lei, lui che non era molto ricco, ma le aveva offerto un tetto e del cibo. Sposare Jhonny e risolvere tutti i loro problemi finanziari era il minimo che potesse fare. Eppure Claudius era triste, Jalice era triste...
-Sono un fallimento.
Jalice la guardò, gli occhi si stavano riempiendo nuovamente di lacrime. -Non dire così, Helga...
Era la verità. Era un'incapace, una persona inutile.
-Perchè mi tenete ancora con voi, non merito nulla.
-Non è vero! Tu sei importante per noi, l'ultima cosa che vorremmo è vederti in questo stato..
Helga girò il capo verso la finestra. Non riusciva a piangere.
 
-Basta, io non ne posso più!
Olivia sbuffava da un quarto d'ora a quella parte. Sembrava non fosse capace di fare altro.
-Zitta, sto cercando di pensare!
Quel mattino Hector era andato a dare da mangiare alla gatta Judit e verso pomeriggio si era addormentato dalla noia. Quel che aveva sognato aveva dell'incredibile. Non sognava spesso, eppure in quel periodo non faceva altro. Che Judit l'avesse sconvolto così nel profondo?
Ti sei innamorato?
-Ora basta!
Sbattè le mani sul tavolo, facendo sussultare Kirk che, come al solito, stava bevendo.
Intravide sulla soglia della porta una figura inerme, che riconobbe come Suryan.
-Oh, guarda un po' chi abbiamo qui!
Come tutti quella sera nel pub, Suryan aveva una faccia da funerale. Olivia le si avvicinò e le sussurrò: - Scappa finché puoi, questi sono matti da legare!
-Ti ho sentito!- esclamò Kirk, rosso come un pomodoro. -Vieni qui, bambina, non ti facciamo niente!
-Ti consiglio vivamente di seguire il consiglio di Olivia- le suggerì Daraen, in disparte.
-Volevo parlare con te- disse Suryan, rivolgendosi ad Hector.
-Sentiamo.
Spalle dritte, petto in fuori, sembrava una bambina che voleva fare l'adulta.
-Se Judit non fosse Hidden, tu l'andresti a salvare lo stesso?
Rimase spiazzato. Era una domanda che, in realtà, aleggiava nella sua mente da molto tempo, solo che non voleva darvi una risposta.
Solo i rantoli di Kirk spezzavano un silenzio che, altrimenti, sarebbe stato opprimente per tutti. Per Hector lo era a prescindere.
-Cerca di capirmi, non vedo la mia amica da molto tempo e voglio sapere se la persona con cui è stata è affidabile.
-E chi ti dice che io non menta?
-So riconoscere le bugie.
Hector stette in silenzio. Se le avesse raccontato del sogno, l'avrebbe preso per pazzo. Quelle due erano inguaribili, avevano così bisogno l'una dell'altra da mettersi contro il mondo intero pur di ritrovarsi. Era quasi geloso.
-Non ha importanza adesso.
-Ha importanza per me.
-L'andremo a salvare, questo deve bastarti. Ora ho altro a cui pensare, sayonara!
Suryan lo guardò male. -Questa per te allora è stata una domanda scomoda. Vedremo, Hector Dumont.
 
Carol, dopo mille indecisioni, si convinse a tirar fuori dal suo astuccio la sua penna.
L’oggetto magico era laccato in oro e luccicava in ogni sua angolazione. La principessa fece un profondo respiro e scrisse, leggiadramente, in aria:
-Grazie per l’invito. Io e la Madre delle Streghe saremo lì tra pochi giorni. A presto.-
Si osservò dallo specchio posto davanti ai piedi del letto. Aveva fatto bene? Era stata troppo sintetica e formale?
Neanche il tempo di formulare altri dubbi che la risposta non tardò ad arrivare:
-Sapere che verrai nella mia dimora mi riempie il cuore di gioia. Spero che riusciremo a passare più tempo insieme. Per sempre , il tuo conte Max.
Arrossì all’improvviso e si buttò sul letto con un sorriso ebete che sembrava incorniciare tutto il suo volto.
Forse questo compleanno sarebbe stato diverso.
 
-Sur? - Beatrix si mosse velocemente verso la ragazza, un po' preoccupata.
Suryan notò subito lo stato d'animo dell'amica e in silenzio assecondò il suo passo, fin dentro la libreria dove venivano custodite fotocopie di vecchi manoscritti magici.
-Cosa facciamo qui?
-Scopriamo chi sei.
Beatrix sorrise rassicurante verso la ragazza; quest'ultima però non era convinta. Qualcosa dentro di lei le diceva che non era il momento per scoprire la verità sulle sue origini.
Passarono tutto il pomeriggio a cercare e a leggere libri interminabili ma niente descriveva la situazione di Suryan.
Le due, stanche e confuse, uscirono dalla grande stanza per dirigersi verso Jalice e le sue prelibate pietanze, che stavano per essere messe a tavola.
-Non so se voglio realmente sapere.
-Sei sicura?
-Sì.
Le due si scambiarono un ultimo sguardo di fronte lo stipite della porta e Beatrix capì di dover cercare da sola le risposte di questo mistero che affliggeva l'amica.
 
-Ragazzi manca davvero poco alla partenza, ci rimangono due giorni. Spero che abbiate lavorato abbastanza e messo in chiaro gli ultimi dettagli del piano. La priorità è salvaguardare e portare qui Hidden. Nonostante siamo tutti a conoscenza del legame che ha con Suryan, state attenti. Non sappiamo cosa le è successo in questi mesi a Palazzo e soprattutto ha un enorme e pericoloso potere. Tutto chiaro?
Romina guardò negli occhi di tutti i ragazzi presenti, uno per uno. Erano la sua famiglia e stavano per fare qualcosa di estremamente pericoloso. Si soffermò su Beatrix e Jalice. Avrebbe dato la vita per loro e se solo avesse avuto la possibilità di essere totalmente sincera con sua figlia…
Tesoro, stai tranquilla.
La voce di Claudius le rimbombò nelle orecchie e sorrise, furtiva. Sarebbe andato tutto bene.

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Capitolo 17
*** XVI ***




XVI


Q
uella notte era piovuto. Le piante erano coperte di rugiada e l'aria era umida.
Per mantenere una copertura, l'Hidden pub era rimasto aperto tutti i giorni e, con fatica, i ragazzi lo avevano gestito tra un allenamento e l'altro.
Hector come cameriere era stato il pezzo forte delle loro giornate. Vestito di tutto punto: una stretta camicia bianca, un panciotto nero ed un papillon avevano contribuito a renderlo attraente agli occhi della clientela. In realtà, non era necessaria un'uniforme, ma Jalice, per qualche motivo, aveva insistito.
Theron osservava il gruppo di Hector starnazzare tra un bicchiere e l'altro. Lui ne avrebbe decisamente fatto a meno, dopo l'altra sera.
Guardò Helga, i cerotti applicati sul viso spiccavano sulla pelle martoriata. Teneva ancora i capelli legati dietro la nuca, come una donna adulta, chissà per quale motivo... Forse il fidanzamento con Jhonny l'aveva fatta sentire più adulta. Dopo la fuga di Helga, Claudius aveva spiegato a tutti il motivo del suo cattivo umore e Theron fu forse l'unico a non esserne stato sorpreso. Conosceva i modi di fare di Helga e sentiva che prima o poi avrebbe ceduto.
Quello che non capiva era Jasper. Si era rintanato nelle sue stanze, quella notte, e si era fatto vedere la mattina dopo, comportandosi come se nulla fosse successo. Faceva gli occhi dolci a Suryan e intanto stava male per Helga. Che fosse caduto in un dilemma?
Guardò Jalice. Anche lui era caduto in un dilemma. Non capiva cosa fosse successo quella notte e, da un lato, voleva chiederlo a Jalice, dall'altro si vergognava a farlo.
Era proprio complicato, l'amore!
 
Hector, stanco di fare il cameriere acchiappa femmine, si era stravaccato su una poltrona sul fondo del locale, sotto gli occhi incuriositi del suo gruppo.
Mentre la ragazza di nome Helga era intenta a prendere le ordinazioni al posto suo, Daraen si chiedeva per quale motivo Kirk si scolasse ogni santo giorno quintali di aceto di mele.
Era così da quando lo aveva conosciuto, si chiese se lo fosse stato anche prima.
Dopotutto, la guerra nei boschi della Luna aveva visibilmente traumatizzato Olivia, che non voleva mai parlarne; nemmeno Kirk osava accennare all'argomento.
-Un brindisi al culo di Daraen!
Il suddetto si schiaffeggiò la mano sul viso. Per qualche motivo, quando era ubriaco, Kirk parlava sempre di lui. Di quanto fosse carino, del suo didietro... Mantenne la mano sul viso per evitare di farsi vedere rosso da Olivia. Tutto ciò lo imbarazzava, in fondo era un maschio, non una donzella cui fare apprezzamenti.
-Uh uh, interessante.
La cugina di Hector sbucò dal nulla dietro Daraen, facendolo sussultare.
-Come sarebbe il suo culo?
-Ha una forma così bella.. e secondo me è anche sodo!
-Basta!- non ne poté più.
Si alzò in tutta fretta e si diresse verso l'uscita. Sentiva ancora odore di pioggia all'aperto.
-Daraen, perché te ne sei andato?
Il cretino l'aveva seguito.
Fece un bel respiro, prima di parlare: - Vuoi smetterla?! Non sono una ragazza! Non voglio essere trattato in quel mod...
Kirk lo prese da un braccio e lo fece voltare. I loro occhi si incontrarono ed entrambi si specchiarono in essi, constatando quanto i loro volti fossero in fiamme.
-Io ti vedo come un uomo, sappilo.
Fu con quelle parole che se ne andò, lasciando che Daraen si afflosciasse per terra, più confuso e rosso di prima.
 
 
Era mezzogiorno e come di consueto erano tutti a tavola, Jalice aveva appena chiuso il pub per la pausa pranzo, Helga aveva finito di lavare i tavoli e Beatrix scherzava animatamente con il cugino.
Tutto sembrava normale; Suryan, però, osservava la scena con preoccupazione. E se tutta quella quotidianità a cui era abituata stesse per sgretolarsi per sempre?
-Sur, passa il pane appena sfornato!
Un grido di esultanza riempì la stanza, Hector e il suo gruppo erano i più rumorosi di tutti. Adoravano il cibo di Jalice e ogni piccola prelibatezza era accompagnata dalle recensioni di Kirk, Daraen e Olivia. Quest’ultima sembrava particolarmente burbera, molto chiusa e riservata. Per questo aveva colpito fin da subito Suryan, nonostante da tre settimane a questa parte tra le due non ci sia mai stato alcun dialogo.
-Eccolo!
La ragazza sorrise, cercando di allontanare dalla sua mente quelle nuvole minacciose. Qualcosa però la costringeva a pensare. Che fosse un presentimento? Suryan non se ne sarebbe stupita, ormai non si concedeva più nessun limite, soprattutto se riguardava se stessa.
Finito di mangiare decise di uscire fuori, per prendere un po’ d’aria pulita. La primavera era alle porte e gli alberi sembravano già pronti a sbocciare, a vestirsi di colori affascinanti. I rami ormai agghindati, quasi a festa, cadevano pesanti verso la terra. Il prato verde sembrava una distesa infinita e rilassante, quasi celestiale, quasi più bella e infinita del cielo. Gli uccellini cinguettavano da un albero all’altro, i mille insetti sembravano percorrere strade di mille colori e le globisplendenti erano accompagnate da quell’irresistibile profumo di fiori.
Quel profumo di vita le ricordava l’allegria di Suor Caroline. Chissà se da qualche parte, ovunque fosse, potesse vedere tutto quello che circondava Suryan.
La morte di Suor Caroline riecheggiava nelle sue orecchie, non tanto quanto dolore bensì come allarme. Era convinta che non fosse stata una casualità e sentiva il bisogno di salvaguardare se stessa, i suoi amici e fare giustizia per la donna che l’aveva allevata.
-Quando tornerò dalla missione…
-Quando tornerai dalla missione, cosa?
La ragazza sussultò e spaventata si girò verso l’amica corvina.
-Ma sei forse impazzita? Non si arriva MAI alle spalle!
Beatrix rise di gusto e fece cenno a Suryan di sedersi in una panchina poco più avanti.
-Sei preoccupata?
La corvina guardò con attenzione l’amica: sapeva quanto fosse importante per lei quella missione.
-Tu no?
Suryan incrociò il suo sguardo. Gli occhi nocciola dell’amica infondevano forza e sicurezza, pensò sospirando.
Chissà cosa pensa dei miei…
-Sì, un po’. So che è una missione abbastanza complicata però ci siamo impegnati tanto per questo momento. Io da quando ne ho memoria.
-Perché è così importante Hidden, per voi?
-È la nostra regina. Noi tutti abbiamo giurato di dare la vita per lei. Il nostro compito ora è trovarla, metterla al corrente del suo ruolo ed essere sempre a sua disposizione.
Suryan osservò e comprese la serietà delle parole di Beatrix, l’importanza data a quella ragazza, la sua Judit, era impossibile da misurare. Tutta quella devozione, per qualcuno che non si conosce, che non si sa come sia fatto, quale siano i suoi obiettivi, i suoi pensieri… e se veramente Hidden fosse stata la principessa che sta a quel palazzo, e di cui tutti parlano male, l’avrebbero comunque seguita ciecamente?
Tutto le sembrava così assurdo, probabilmente, anche sforzandosi, non sarebbe mai riuscita ad essere così devota verso qualcuno. L’aveva capito da come aveva allontanato la fede dalla sua vita. La sua è sempre stata falsa devozione, un obbligo necessario per la sua sopravvivenza. Ma ora?
-Ti ricordi quando mi hai rivelato di quella ragazza di cui ti eri innamorata? Non mi hai mai detto più niente su di lei.
Beatrix l’osservò, attentamente, per carpire il reale sentimento dell’amica. A volte le veniva difficile riconoscere il cambiamento che aveva stravolto Suryan.
-Non è per niente una bella storia. Si chiama July, faceva parte di questa congrega. Per lei avrei fatto di tutto, lei forse un po’ meno.
-Ora dov’è?
-Fa sempre parte della Congrega dell’Occhio ma è in un altro villaggio, si chiama Mercury, è a quattro ore da Osternia. Si è trasferita con la famiglia e il fidanzato.
-Fidanzato?
-Già. Ai suoi genitori non andava bene e, probabilmente, stava con me solo per la mia posizione sociale. O forse era troppo immatura come il sentimento che diceva di provare.
Suryan non sapeva come rispondere, cosa dire su quell’argomento così delicato. Vedeva negli occhi di Beatrix il sentimento che provava per July. Era ancora lì, quasi palpabile. Effettivamente, era da lei: quando Beatrix si lasciava andare, dava senza misura.
-Grazie per avermelo raccontato. Ora dovrebbe toccare a me, ma se vuoi posso raccontarti di quei cori in monastero che letteralmente odiavo!
Tra le due si levò una risata, sincera. Sembrava quasi aver scrollato le nuvole che sopra di loro si facevano sempre più fitte.
-E Judit? Ti piace?
Suryan sgranò gli occhi esterrefatta. Come poteva insinuare che le piacesse una ragazza, per di più la sua migliore amica?
-Non mi piacciono le donne né tantomeno Judit, è come una sorella!
Beatrix la guardò in silenzio, sembrò quasi che volesse, con qualche assurdo potere, spogliarla da tutti quegli strati di superficialità.
-Sicura?
-Sì.
Era sicura?
 
 
Theron faceva avanti e indietro nel salone, in preda all’ansia e al timore. Doveva buttarsi e aprire il suo cuore per paura di non avere una possibilità in futuro, o lasciare che tutto facesse il suo corso?
-Dovresti dirglielo.
Jasper si avvicinò all’amico, mettendogli una mano sulla spalla. La serietà di quelle parole sembravano provenire da un sentimento di rimorso e di rimpianto.
-Non lo so, amico. Lei mi vede come un fratello. Glielo direi per cosa? Darle un pensiero in più?
Theron si stravaccò sul divano e lo sguardo vacuo sembrava sottolineare il suo stato confusionale.
Jasper prese una sedia e si sedette, a cavallo, verso l’amico.
-Ti ricordi di quando hai preso quell’aquilegia per lei?
Theron sgranò gli occhi: Jasper sapeva del fiore raccolto nella Terra del Sole.
-Come fai a saperlo?
-Helga era convinta che da un momento all’altro l’avresti dato a Jalice, per questo me l’ha raccontato. Sono passati mesi, però. Perché non lo hai fatto?
Ricordava ancora quanto valore aveva dato a quel fiore, amore nascosto, sembrava quasi una reliquia. La paura aveva preso il sopravvento anche quella volta, non gli concedeva la possibilità di esternare quell’amore che lo infuocava tutti i giorni, soprattutto di notte, quando sognava di averla a fianco.
-Ho avuto paura. Ce l’ho ancora, conservato. L’inverno è passato e si è appassito, ma è ancora nel mio cassetto.
-Che stai aspettando?
Effettivamente, cosa stava aspettando?
 
 
Jasper stava osservando fuori dalla finestra, il paesaggio era maestoso, le foglie verdi trattenevano la rugiada che ancora qualche volta si divertiva a cadere dal cielo. Il profumo di primavera ed erba bagnata era un connubio irresistibile, avrebbe fatto ritrovare la pace anche a persone come lui, che avevano sofferto tanto.
Sulla panchina, da sola, Suryan si guardava intorno, affascinata.
Era una bella ragazza, sicuramente affascinante, sembrava attirare a sé tutto quello che le stava intorno. Jasper si chiese il motivo di questo suo ascendente, che fosse per la sua natura?
Se il suo cuore non fosse stato così oscuro, probabilmente anche lui avrebbe abboccato.
Con ai piedi i grossi scarponi militari, ancora sporchi di fango, si avvicinò alla ragazza. Era arrivato il momento di spingersi oltre, l’occasione per la sua rivincita era alle porte e ancora non era riuscito a fare breccia nel suo cuore, come se fosse protetto da dei muri.
-Hei, ciao. Come mai tutta sola?
La ragazza si slegò i capelli scuri e puntò i suoi occhi verdi sull’amico. Erano davvero particolari, un contorno dorato girava la pupilla. Questi occhi li aveva già visti, parecchie volte.
Era lei, non c’era alcun dubbio.
-Mi godevo un po’ questa ultima giornata di serenità. Ho un cattivo presagio ma non riesco a capire se possa essere affidabile.
Jasper si spostò un ricciolo che gli era caduto davanti l’occhio.
-Credo sia normale, l’ansia, la preoccupazione, sapere che riabbraccerai la tua amica… ti sembra poco?
Le fece l’occhiolino e ammiccò, accorgendosi subito di aver raggiunto l’effetto sperato: si era rasserenata.
-Non so come farei senza di te.
Appoggiò la testa sulla sua spalla e chiuse gli occhi. Sentiva la tranquillità avvolgerla come una coperta.
Delle labbra sfiorarono le sue, la seconda volta in modo più deciso. Aprì velocemente gli occhi e rimase a fissare esterrefatta Jasper, che sorrideva. L’aveva baciata, con delicatezza ma con una punta di soddisfazione.
-Scusami ma mi ero ripromesso di farlo. Non mi sarei mai perdonato di essere partito senza averti rivelato e dimostrato cosa provo per te.
Suryan non riusciva a capire cosa provasse e cosa pensasse. Doveva dare esito positivo alla proposta del ragazzo o dimostrare apertamente la sua confusione?
Ti piace Judit?
Abbozzò mezzo sorriso e si riavvicinò alla bocca del ragazzo.
Passarono le restanti ore del pomeriggio a baciarsi, senza dire alcuna parola di troppo.
Stava baciando il ragazzo di cui era innamorata la sua amica, questo la definiva pessima?
Alla fine sta per sposarsi con un altro…
 
Jalice armeggiava con la spazzola specchiandosi nella sua toilette, quando il rumore prodotto da una mano che picchiava il legno la indusse ad alzarsi per vedere chi stava bussando.
Dapprima non vide nessuno oltre la porta, poi una scatolina ai piedi di essa entrò nella sua visuale, quando abbassò lo sguardo.
C'era un foglio piegato con su scritto: "Per Jalice, con affetto, Theron" poggiato su di essa.
La scatola era in legno, non vi era nessuna incisione o segno particolare.
Sorrise e rientrò, dirigendosi verso il letto.
Non sapeva che aspettarsi. Quando la aprì, vide l'ultima cosa che si aspettava di trovare: un fiore appassito.
Lo fissò per qualche minuto con aria interrogativa. Perché mai Theron le avrebbe dovuto regalare un fiore nel momento della sua decadenza?
Lo squadrò bene, cercando di capire che tipo di fiore fosse.
-Un'aquilegia...
-Toc toc, hai dimenticato la porta aperta.
L'ingresso di Beatrix la distrasse dal fiore. L'amica richiuse la porta alle spalle e si sedette accanto a lei. -Per quale ragione hai in mano un fiore appassito?
-Me l'ha regalato Theron- a Bea poteva dirlo, si fidava di lei ciecamente. - Nel linguaggio dei fiori significa: "amore nascosto". 
Lo sguardo di Jalice si incupì. Cosa voleva dire Theron con quel fiore? Che provava qualcosa per lei? Poteva dire lo stesso? No, lei..
-A te piace quel troglodita di mio cugino- l'anticipò Beatrix.
Jalice annuì, sempre più cupa in viso. Non si era mai mostrata in quello stato a qualcuno, se non a Bea ed Helga.
-E hai paura che, ora che sai di Theron, la vostra amicizia..
-È ROVINATA- scoppiò Jalice.
Poco ci mancava che si mettesse a piangere. Capiva perché Theron lo avesse fatto: stavano andando in missione, una missione pericolosa e lui aveva voluto dirglielo prima di partire. Perché lei, tra tutte? La sua migliore amica!
-Però, se ci fai caso- disse Bea, -il fiore è appassito, magari vuol dire che quel sentimento è sciamato col tempo.
-Che senso avrebbe allora? No, Theron non mi turberebbe mai inutilmente...
Strinse la scatola contenente il fiore. La paura che la loro amicizia sarebbe stata rovinata la invase. Erano cresciuti insieme, insieme avevano affrontato le difficoltà, avevano riso, pianto... non poteva finire tutto in quel modo. Avrebbe lottato perché tutto andasse per il meglio.
Prese in mano il fiore, da cui cadde un petalo che fluttuò lentamente fino a cadere per terra. Si confuse con il pavimento, entrambi erano consunti.
 
Suryan era appena rientrata al Pub, la testa sembrava un tornado e tutto le sembrava confuso. Troppe emozioni quel giorno, aveva bisogno di mettersi in pausa.
-Devo andare da Beatrix-
Cercò la ragazza per tutta la locanda ma sembrava sparita, un unico posto era rimasto.
Mentre la ragazza saliva le scale scricchiolanti avvertì i sentimenti che l’avevano pervasa l’ultima volta in cui era stata in quel luogo. La prima volta in cui aveva conosciuto la vera Beatrix.
Sorrise, era lì.
-Ti ho cercata ovunque!
Beatrix si girò di scatto e inarcò un sopracciglio. I capelli neri, lunghi e mossi si muovevano col vento, sembravano quasi danzare.
-Vieni qui, dai.
Suryan si sedette sulle tegole, vicino l’amica. Il vento le risultava piacevole, nonostante fosse piuttosto forte.
-Mi mancherà tutto questo. Ho paura, sento, che non tornerò presto.
Beatrix strinse la mano di Suryan, cercando di confortarla. Dentro di sé, però, iniziava a dare più peso alle sensazioni dell’amica, soprattutto dopo le ultime scoperte sul suo conto.
-Andrà tutto bene, ci sarò sempre io a coprirti le spalle.
-Jasper oggi mi ha rivelato i suoi sentimenti e ci siamo baciati.
Lo disse di getto, come a voler togliersi un peso.
-Immaginavo.
Suryan rimase perplessa dalla reazione di Beatrix, si aspettava fuoco e fiamme o domande a riguardo. La ragazza, invece, era imperturbabile.
-L’importante è che tu sia felice.
Aggiunse, accorgendosi del silenzio che era calato fra le due. In quel momento voleva solo che Suryan le parlasse all’infinito, che fra di loro non ci fosse più quella sensazione di inadeguatezza e confusione. Le dava fastidio avvertire sensazioni così negative.
-Ed Helga?
-Helga ha preso la sua decisione e se Jasper è interessato a te, forse è meglio che sia andata così.
Suryan annuì anche se qualcosa in tutta quella storia così confusa, non le tornava. Quella sensazione negativa era come uno spettro che le girava intorno.
-BEATRIX? SURYAN? SCENDETE, SI PARTE!
 
Carol era appena salita nel suo lussuoso SUV ed era già annoiata. Era certa che sarebbe stato un viaggio lunghissimo e che la stregaccia accanto a lei non sarebbe stata di alcuna compagnia.
L’odore di fiori e di nascita delle piante circostanti le dava il voltastomaco, quel profumo dolciastro la irritava.
Era però interessante osservare il paesaggio, guardare oltre la finestra della sua camera. I palazzi sembravano correre, così come gli alberi. Tutto passava così veloce che fece quasi fatica a mettere a fuoco gli oggetti, imprimerli nella sua memoria.
Il cielo era così luminoso, le nuvole sembravano appena accarezzarlo di qua e di là; le infondeva sicurezza e tranquillità, sensazioni quasi sconosciute per lei.
-Ha degli affari in sospeso col conte?- chiese Carol, mentre si lisciava i capelli dorati.
-Può darsi.
La vecchia si voltò verso il finestrino e per le restanti ore rimase ferma come una mummia. Chissà se fosse un suo potere, si chiese la principessa sovrappensiero.
Chiuse gli occhi e quando li riaprì vide davanti a sé una collina: sembrava artificiale. Era così perfetta ché riusciva a contenere perfettamente l’imponente castello che vi era sopra. Da lontano sembrava un po’ cupo ma certamente incantevole.
-Ci siamo quasi.
La mummia sembrò ridestarsi dal suo torpore quasi eterno.
Il SUV si fermò davanti le grandi inferriate nere, ad aspettarla c’era il conte, con un grande e luminoso sorriso. Il sole sembrava baciarlo, rendendolo ancora più affascinante del solito. Quell’aria da generale non sembrava abbandonarlo mai.
-Benvenuta, principessa.
Max le porse la mano, per aiutarla e farle strada verso la sua dimora.
Carol la strinse e dentro di sé sentì un’esplosione di emozioni. Sentiva quasi del calore come se, il conte, con i suoi raggi, riuscisse a riscaldare il suo cuore di ghiaccio.
 
Il gruppo di Hector stava riorganizzando i grossi zaini con le poche provviste che avevano deciso di comune accordo di portare. Sarebbero andati a piedi, ciascun gruppo per la sua strada, con le proprie provviste, per non dare troppo nell’occhio. Per la verità, Claudius aveva pensato che la sua macchina o quella di Romina avrebbero potuto attirare l’attenzione, ed andare e tornare per le strade affollate durante il periodo dell’incursione avrebbe significato dare certezza della loro colpevolezza alle autorità del luogo.
Suryan guardava Helga mentre comunicava con la penna magica. Jhonny aveva fornito loro istruzioni circa la struttura del palazzo ed ora la ragazza lo stava ringraziando con parole fredde e distaccate. Jalice la guardava con aria triste, lo stesso Claudius. Jasper sembrava evitarla.
Non ebbe il tempo di formulare un pensiero a riguardo che Hector l’approcciò circondandola con il suo lungo braccio.
-Dimmi un po’, Suryan, come ti senti? Stiamo andando a salvare Judit, finalmente!
Suryan lo guardò con aria interrogativa. L’ansia che provava in vista della spedizione non era nulla a confronto della gioia che l’idea di rivederla le infondeva. Hector doveva saperlo benissimo, quella le sembrava una scusa per parlare di Judit. E non le piaceva.
-Lasciala stare, è ovvio che è un brodo di giuggiole!- si intromise Olivia.
-Che noia, volevo parlare con lei!- Hector la lasciò andare.
-Sono felice, grazie dell’opportunità. Se non fosse stato per voi, a quest’ora non avrei saputo nemmeno dove trovarla!
Hector sorrise e raggiunse Kirk e Daraen. Olivia le si avvicinò.
-Tutto bene?
Suryan fu sorpresa da quella domanda. Decise di ringraziarla rispondendole con sincerità. -In realtà sono preoccupata. Nonostante l’allenamento, non mi sento pronta. Ho paura per Judit, se non riuscissimo a salvarla?
-Stai tranquilla- la rassicurò, -hai con te i migliori taccheggiatori di tutto il mondo delle streghe. Beh, a eccezione di quell’idiota che si è fatto imprigionare.
Non seppe se quelle parole la avessero rassicurata o gettata ancora di più nello sconforto.
Ad ogni modo, ormai vi era poco tempo a disposizione per chiacchierare. I preparativi sembravano ultimati.
Tutti uscirono dal pub e si misero vicino ad Hector, capo del gruppo Sole di mezzanotte, come Kirk sosteneva si facessero chiamare. Hector e il suo gruppo iniziarono a mettere in spalla gli zaini e a dirigersi verso sinistra, gli altri sarebbero andati a destra, percorrendo la strada più lunga, ma più libera dai controlli.
Prima di incamminarsi, guardarono un’ultima volta il pub. Suryan promise a se stessa di tornare a quei giorni pieni di allegria, tristezza, risate e pianti. Il pub l’avrebbe sempre accolta, ne era sicura.

 

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