Memories from Hell

di valemeo97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Nuova insegnante ***
Capitolo 3: *** Sensazioni ***
Capitolo 4: *** Nuovi incontri ***
Capitolo 5: *** Strane telefonate ***
Capitolo 6: *** Rivelazioni ***
Capitolo 7: *** Allucinazioni ***
Capitolo 8: *** Calore ***
Capitolo 9: *** Attacchi ***
Capitolo 10: *** Primo contatto ***
Capitolo 11: *** Old Night ***
Capitolo 12: *** Dichiarazioni ***
Capitolo 13: *** Storie ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Non sentivo più nulla. Il mio corpo, inerme, giaceva sul ciglio di una strada sterrata. Riuscivo a percepire solo l’umidità  e il fango sotto la mia guancia. Dove mi trovavo? Come ero finita lì? Cos’era quel dolore straziante che mi strappava il respiro? Un’infinità di domande senza risposta mi balenavano in testa.
Così cercai con tutte le mie forze di alzarmi, ma ogni muscolo non rispondeva più al mio volere, come schiacciato da una forza invisibile che impediva qualsiasi movimento. Lentamente allungai una mano verso alcune radici che spuntavano dal sottosuolo, ai piedi di una maestosa quercia. Non potevo rimanere immobile, dovevo reagire, dovevo trovare un modo per tornare a casa. Sì, casa...
In quell’istante decine e decine di immagini affiorarono dai cassetti della mia memoria. L’abbraccio delicato di mia madre prima che io uscissi di casa quella sera, le sue parole di raccomandazione, l’occhiata fugace di mio padre, il suo sguardo sereno e fiducioso, come a dire “so che non farai sciocchezze, non berrai e che ti divertirai con i tuoi amici”. La litigata con Charlie, la mia più cara amica, e la successiva rabbia che scoppiò come un fulmine a ciel sereno, annebbiandomi la vista come mai prima d'ora. 
Poi il buio.
Questi flash erano tutto ciò che riuscivo a ricordare. Cos’era successo in seguito? Possibile che mi fossi spinta così lontana da Philadelphia... 
A denti stretti scacciai via il dolore lancinante che pervadeva ogni mia singola membrana e utilizzai quelle radici come perno per riuscire a capovolgermi, potendo così osservare meglio l’area che mi circondava.
L’oscurità, attanagliando quello che intuii essere il sentiero di un qualche bosco sperduto della Pennsylvania, non consentiva ai miei occhi di perlustrare minuziosamente il terreno circostante. Deglutii rumorosamente, pensando a quante bestie selvatiche si trovassero nei dintorni di quella piccola radura che si estendeva mano a mano che la stradina veniva inghiottita dalle felci e dagli innumerevoli alberi.
Non va affatto bene. 
Pensai. 
Tu ti sei messa in questa situazione di merda e TU devi uscirne... Se solo riuscissi a scacciare via il dolore...
Per prima cosa dovevo assolutamente alzarmi, ero troppo vulnerabile lì distesa. Girando il busto di quel tanto che bastava, protesi le mie braccia attorno al tronco della grande quercia su cui poggiavo, con la speranza di issare il mio corpo in piedi e, soprattutto, di resistere ai tormenti fisici che non accennavano a lasciarmi un attimo di tregua.
Con un ultimo sforzo, mi tirai sù, appendendomi con i polpastrelli sulla superficie irregolare del tronco.
Intorno a me uno strano silenzio, inusuale in un luogo simile. Non il cicaleccio di un insetto, non il cinguettio di un passero. Il nulla.
L’unico suono che udivo era il mio respiro affannato, quasi assordante.
Iniziai lentamente a mettere un piede davanti all'altro, strisciando appoggiata agli alberi, con l’intento di percorrere il sentiero accidentato che si apriva davanti ai miei occhi. 
Non sapevo dove mi trovassi nè tantomeno dove mi stavo dirigendo, avevo solo la sensazione che qualcuno mi stesse osservando, così accelerai il passo temendo di essere seguita.
Improvvisamente le mie ginocchia cedettero, il peso del corpo mi trascinò contro il suolo. E poi, più nulla.

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Capitolo 2
*** Nuova insegnante ***


Lunedì mattina. L’inferno di ogni studente. Il mio inferno.

Il liceo era ormai iniziato da più di un mese e dell’estate rimanevano solo vaghi ricordi. Il mio quarto anno, presto sarebbe tutto finito e finalmente avrei potuto lasciare la cara, vecchia Philadelphia per trasferirmi chissà dove, Miami o Los Angeles, perfino New York. Insomma, tutti gli adolescenti prima o poi crescono e si preparano a lasciare il nido. E così avrei fatto anche io. Ancora due anni, mi ripetevo.

Spensi la sveglia e mi recai in bagno.

Lo specchio rifletteva l’immagine di una diciottenne dalla carnagione pallida, un po’ trasandata,con gli occhi castani ancora assonnati. Complessivamente le persone mi ritenevano una ragazza attraente, anche se tendenzialmente preferivo evitare le folle, la loro stupidità mi irritatava. Ciò non significava che non avessi amici, anzi ne contavo un vasto numero. Per tutti ero l’amica alternativa dai capelli rossi, piercing e tatuaggi. Molti ragazzi avevano già provato a fare il primo passo con me, a corteggiarmi, inutilmente però. Non mi ero mai comportata da stronza, sia chiaro, semplicemente i miei gusti erano leggermente diversi. O forse, dovrei dire,uguali ai loro. Ho sempre detestato etichettare le persone, tantomeno essere etichettata. Avevo tendenze omosessuali? Sì. Ero lesbica? No. Ero solo Ellie.

Dopo un lungo momento di indecisione, finalmente trovai il capo da indossare quel giorno. Maglietta nera, felpa di jeans con il cappuccio e un paio di pantaloni scuri. I miei capelli erano un disastro stamane, così optai per un comodo chignon alto, senza troppe pretese. Mi truccai in fretta e furia consapevole che l’autobus sarebbe passato a breve e, ovviamente, ero già in ritardo come ogni santo lunedì.

Al piano di sotto mia madre, una donna minuta, bionda e sempre sorridente, era già in tailleur, pronta per raggiungere lo studio legale presso il quale lavorava, il DLA Piper. Mi sorrise e chiese di sedermi con lei a fare colazione, dovetti rifiutare, però, la sua richiesta visto che erano già le 7.35. Afferrai al volo una mela, issai lo zaino in spalla e l’abbracciai, uscendo di casa.

Il signor Phil, l’autista dell’autobus 37, aspettò pazientemente il mio arrivo. Quell’uomo era sempre stato assai gentile con tutti i ragazzi che usufruivano della sua linea, me compresa.

“Grazie Phil” accennai, sorridendo a quel simpatico ometto calvo.

Lui rispose con un cenno del capo e diede gas.

Immediatamente cercai con gli occhi una testolina bionda tra quei vecchi sedili e finalmente la vidi. Charlie. Era impossibile non notare il suo caschetto quasi platino. Lei era la mia migliore amica dai tempi dell’asilo, fin da quando un pomeriggio di novembre, nel parco della scuola materna, le chiesi di dividere con me il suo panino con la marmellata, dal momento che la mamma aveva dimenticato il mio a casa. Da allora abbiamo sempre condiviso tutto, giochi, dubbi, curiosità, sofferenze... Non c'era persona più fidata di Charlie.

Non appena incrociò il mio sguardo, sfoderò il suo solito sorriso a trentadue denti, iniziando a sventolare la mano in segno di saluto. Andai così a sedermi nel sedile di fianco al suo.

“Sempre la solita Ellie” disse stampandomi un bacio affettuoso sulla guancia, riferendosi al mio consueto ritardo di inizio settimana.

Il tragitto che separava il luogo in cui vivevo, Westminster Avenue, e la West High School era alquanto breve, così in dieci minuti fummo dinnanzi a quell’imponente edificio in mattoni.

Sfortunatamente dovetti salutare il piccolo elfo biondo, l’avrei rivista solo alla terza ora, biologia.

Charlie si irritava ogni volta che usavo quell’appellativo, dicendo che un giorno la sua statura sarebbe cambiata e che era ancora in fase di sviluppo. Io l’assecondavo sempre ridendo. La verità era che lei sarebbe rimasta quella docile ragazza dagli occhioni blu, di piccola statura.

Corsi al primo piano, nell’aula di storia, preoccupata per la ramanzina che avrebbe fatto Mrs Ford. Quella megera voleva che tutti i suoi studenti sedessero al proprio banco dieci minuti prima del suono della campanella, altrimenti un richiamo dal preside non lo avrebbe tolto a nessuno.

Con mia grande fortuna quella vipera non era ancora appollaiata all’uscio, così mi accomodai in seconda fila, prendendo astuccio e quaderno. Passarono svariati minuti, ma della prof neanche l’ombra.

Magari è malata

Pensai speranzosa.

Tutto d’un tratto, fece il suo ingresso in classe una giovane donna, molto slanciata e dai bei lineamenti. Portava una gonna nera in pelle molto corta, che sottolineava con estrema cura le sue cosce toniche. Una camicetta rossa, sbottonata sino all’attaccatura del seno, metteva ben in risalto la sua figura. Il particolare, però, che attirò maggiormente la mia attenzione fu il rossetto bordeaux acceso, che definiva le sue labbra carnose. Si avvicinò alla cattedra, vi si appoggiò e spostò sulla spalla destra la folta chioma corvina. Questa donna aveva la carnagione più chiara della mia ed io ero solita considerarmi albina.

“Io sono la professoressa Dubois, Dubois Nathalie. Sostituirò Mrs Ford per un tempo indeterminato.” Terminò la frase posando i suoi occhi neri come la pece su di me. Per un istante, sentii il mio corpo fremere e rabbrividire contemporaneamente, pensando che il mio subconscio volesse darmi una sorta di avvertimento.

 

 

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Capitolo 3
*** Sensazioni ***


Un alone di mistero circondava la nuova professoressa. I suoi occhi, i  lineamenti, persino la voce non lasciava presagire nulla di rassicurante. Magari si trattava solo di una mia paranoia, ma non riuscivo a scrollarmi di dosso quello strano brivido che poc’anzi mi percorse la schiena. Non ero mai stata quel tipo di ragazza che sobbalzava al primo cigolio, o rumore imprevisto. Tutt'altro.  Avevo imparato a comportarmi in modo razionale e pacato di fronte a qualsiasi avvenimento, senza mai farmi trovare impreparata. Lo stesso accadeva con le materie scolastiche. Nei pomeriggi liberi, non particolarmente sovraccarichi di studio, sceglievo sempre di portarmi avanti con il programma, così da non accumulare arretrati. 
Ciò non accadde quella mattina.
Non concepivo l’irrequietudine che percorreva ogni fibra del mio corpo, incapace di reagire ragionevolmente. 
Guardai Miss Dubois, la quale stava afferrando il registro così da familiarizzare con i presenti.

“Ellie Harper” disse.
Prima ancora che sollevassi la mano,  il suo sguardo magnetico posava già su di me, come se sapesse perfettamente a quale viso collegare il nome appena pronunciato. Forse era stata solo una banale coincidenza, eppure i suoi occhi mi avevano scrutata attentamente, quasi volessero penetrare nei meandri più reconditi della mia anima. Feci un breve cenno di risposta e lei continuò con l’appello. Sembrava che quel mantra la stesse annoiando, e non poco. La curiosità che avevo percepito nel leggere il mio nome era svanita nel nulla.
L’ora trascorse velocemente e neanche la storia locale distoglieva la mia mente da quanto era successo. I colonizzatori svedesi che giunsero proprio qui, a Philadelphia, nel 1646 non avevano catturato la mia attenzione, la quale si focalizzava soltanto sullo scambio di sguardi avvenuto a inizio lezione.
Il suono della campanella non fu mai così tanto atteso. Appena lo sentii, mi precipitai all’uscio e mi lasciai alle spalle quell’enigmatica donna. 
Mi sarei dovuta recare a inglese, ma quello strano incontro aveva sconvolto la mia persona. Faticavo a riconoscermi, mai e poi mai avrei pensato di vacillare in quel modo di fronte a un presentimento, perché, in fondo, è proprio di questo che si trattava. Un banalissimo presentimento.
Decisi di ricompormi e, a testa alta, percorsi il corridoio del primo piano, ricambiando i saluti di alcuni compagni. Prima che potessi scorgere l’aula segnata da programma, voltai a sinistra, in direzione della biblioteca. Non esisteva un posto migliore per rinfrescarmi le idee, soprattutto in una tale situazione.
La familiare stanza non spiccava di certo per la sua grandezza, ma per lo scaffale più fornito di storia locale della città. Vecchi registri, censimenti, lotti di terreni, insomma documenti assai rari e unici. Optai per la sezione di letteratura straniera, poiché non vi era mai nessuno. Come immaginavo, il tavolino adiacente era deserto. Mi sedetti e misi un paio di cuffiette nelle orecchie. Immediatamente James Blunt coprì l’assordante rumore dei miei pensieri. 
Il tempo volò e quaranta minuti dopo dovetti lasciare quel caldo luogo accogliente. Biologia mi stava aspettando e sicuramente Charlie si sarebbe imbestialita se non fossi andata a tenerle compagnia. Così presi la mia roba e tornai negli affollati corridoi della West High School. Eccola lì, appoggiata al mio armadietto. 
“Ehi bionda” dissi, abbracciandola. “Devo raccontarti un paio di cose” 
“Allora sbrighiamoci e andiamo a prendere gli ultimi banchi” cinguettò come risposta. 
Fortunatamente erano liberi, così sgattaiolammo al fondo. Dai suoi occhioni azzurri traspariva la curiosità di sapere ciò che mi era successo. Appena entrò Mr Rush, decisi di farmi avanti e informarla del bizzarro incontro. 
Le descrissi con precisione l’aspetto, il comportamento tenuto nei miei confronti e le sensazioni che avevano attanagliato la mia mente. 
“Magari hai fatto colpo” sghignazzò lei, sottovalutando la questione. Non avevo neanche pensato a una simile possibilità, tantomeno riuscivo a considerarla in quel momento.
“No non capisci” bisbigliai, “ era come se mi conoscesse, insomma come poteva sapere chi diavolo fossi ancora prima dell’appello?”
“Andiamo Ell, non essere paranoica. Sarà stato un caso... Piuttosto, pensa a questa sera, ti farò conoscere una persona” 
Maledizione. Era da svariati giorni che Charlie progettava di presentarmi la sua nuova vicina di casa, come se avessi bisogno di una consulente di cuore. Sì, non avevo avuto più un’interesse sentimentale da quasi un anno, ma la mia vita mi piaceva e non sentivo il bisogno di condividerla con qualcuno. Smuovere, però, una decisione già presa da quel piccolo elfo era un’impresa impossibile. 
“Dobbiamo proprio stasera?” Chiesi, lasciando trasparire ogni mio dubbio.
“Non fare la guastafeste, ci divertiremo. Poi sai che il lunedì i miei non sono a casa e posso uscire senza problemi”. 
In settimana raramente le concedevano di uscire, nonostante avesse diciott'anni. 
Acconsentii senza obbiettare nuovamente. Il prof aveva già lanciato occhiatacce verso i nostri banchi, quindi preferii rimandare la discussione a pranzo.

La mattinata, finalmente, volgeva al termine. Confermavo la mia ipotesi: il lunedì era infernale.
Fortunatamente, dovevo solo più affrontare due ore di ginnastica dopo la pausa pranzo. Entrai nella mensa e, una volta giunta al bancone, presi alcuni tranci di pizza e  una coca. Dopodiché raggiunsi Charlie al nostro tavolo.
Lei si era riempita il vassoio con pasta, hamburger e patatine, più un budino al cioccolato. Continuavo a chiedermi come potesse divorare una quantità così elevata di cibo senza ingrassare, e, soprattutto, dove lo mettesse. Insomma era uno scricciolo!
“Allora, prima ancora che tu tiri fuori altre polemiche, devo descrivertela” mi anticipò letteralmente e senza lasciarmi  il tempo di rispondere, continuò imperterrita. “È una ragazza davvero dolce, solare e molto, molto intelligente. Poi, udite udite, dice di essere più interessata alle ragazze!” Non riusciva mai a mantenere il controllo, era sempre stata una ragazza esuberante e  sempre allegra, nulla sembrava poterle togliere il sorriso.
“Perché non te la sposi, allora?” la stuzzicai.
“Vedrai che mi ringrazierai.” Borbottò facendo poi una linguaccia. Era proprio impossibile convincerla a lasciar perdere. 
“Non mi hai neanche detto come si chiama” precisai.
“Oh si, che sbadata! Si chiama Madison, ma preferisce Maddy. Vedrai stasera.. A proposito, dove andiamo? ANGEL’S ?” 
“Per me va bene, solo non facciamo tardi”.
L’ ANGEL’S era il pub più in voga in quel periodo e avevamo passato lì la maggior parte delle serate, quest’estate. La conversazione finì così. Ci salutammo e ognuna andò a lezione. 
Ero sempre stata una ragazza molto sportiva e le due ore che mi attendevano sarebbero state alquanto leggere. Mi cambiai, indossai i miei soliti pantaloncini blu e condottiera bianca ed entrai in palestra. 


Conclusa l’attività fisica, presi lo zaino e andai alla fermata del pullman. Fu proprio allora che la vidi. La professoressa Dubois era sul ciglio opposto della strada, sulla sua Mustang rossa, sicuramente ultimo modello. Si  voltò e accennò un sorriso, prima di dare gas e sparire. Da dove veniva quella donna? Come era possibile che mi ‘spaventasse’ in quel modo? Tornai coi piedi per terra grazie all’arrivo del bus. Presi la mia roba e salii ancora scossa.

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Capitolo 4
*** Nuovi incontri ***


Non appena il pullman accostò, presi la mia roba, salutai Phil e scesi dirigendomi verso casa. Quando imboccai il vialetto notai immediatamente un’ Impala nera, molto familiare. Non poteva essere vero... Mi precipitai all’uscio e, dalla frenesia, faticai persino a far scattare la serratura.

“Papà!?” Chiamai a squarciagola.

Un uomo molto alto, con una divisa militare apparve dalla cucina. Il suo viso, sempre dolce e apprensivo, non era cambiato minimamente. Le stesse labbra sorridenti, gli stessi occhi marroni, gli stessi zigomi pronunciati. Solamente i capelli corvini erano più folti e trasandati di quanto ricordassi.

Gli corsi addosso e, come se niente fosse, mi sollevò da terra con le sue possenti braccia.

“Sono tornato Ell” annunciò, stringendomi al suo petto. Non riuscivo ancora a smettere di pensare che questo fosse un sogno. Non era in programma il suo ritorno.

“Ti hanno congedato prima?” Chiesi dopo essere staccata a malincuore.

“Un premesso di due settimane”.

Ecco la fregatura. Solo due settimane. La gioia appena provata stava lasciando lentamente posto alla tristezza abitudinaria che avvertivo ogni volta che varcava quella porta per tornare in Iraq. Ogni saluto aveva l’amaro sapore di un addio.

“Sorridi, Ell. Pensiamo a stare insieme questi giorni”. E così dicendo, mi diede un piccolo buffetto sulla guancia.

Il pomeriggio passò piacevolmente in sua compagnia. Mio padre voleva sapere qualsiasi dettaglio sulla scuola, sugli amici, su possibili ragazze. Per lui,infatti, la mia tendenza omosessuale era paragonabile al mio amore verso la carne. Una semplice preferenza.

Gli accennai l’uscita di stasera con Charlie e la sua nuova vicina e poi mi congedai per andare a prepararmi proprio in vista dell’imminente serata.

Mamma sarebbe rincasata tardi quindi non avrei fatto sicuramente in tempo a salutarla.

Salii in camera mia, aprii l’armadio ed esaminai qualsiasi possibile abbinamento. Alla fine scelsi un paio di jeans neri strappati, maglietta bianca con teschio messicano e il mio adorato chiodo in pelle nera. Prima di tutto, la doccia. Avevo la necessità di crogiolarmi sotto l’acqua calda almeno mezz'ora, così da sciogliere i miei poveri muscoli tesi. Era stata una giornata piena di forti emozioni e il tepore del getto sulla pelle era ciò che mi serviva per accantonare quanto successo in sole dodici ore.

Quasi completamente rinata, andai a prepararmi. Misi rossetto, eye-liner e giusto un po' di blush per non sembrare cadaverica. Infilai con cura i capi e vi abbinai un paio di comode Converse bianche.

Forza, facciamolo per Charlie.

Mi ripetevo questo mantra per acquisire un minimo di allegria, così da trascorrere una piacevole uscita a tre.

Presi la borsa, schioccai un bacio a mio padre e uscii di casa.

Il pub era situato a neanche un km rispetto dove abitavo. Era la serata ideale per passeggiare: la luna era crescente, quasi piena anche se mancava una minuscola fetta; per giunta il cielo era cosparso di stelle. Uno spettacolo mozzafiato.

Come immaginavo, di Charlie e dell'amica Maddy neanche l’ombra. La puntualità per quel mostriciattolo era un concetto davvero astratto. Mi sedetti, così,su una panchina adiacente all’ANGEL’S e tirai fuori una Camel, giusto per far passare il tempo. Ogni tanto, soprattutto quando il nervoso mi attanagliava, avevo il brutto vizio di fumare una sigaretta, anche se non ne ero dipendente. Aspettai pazientemente dieci minuti, finché non vidi una testina bionda farsi avanti tra la folla che aspettava di entrare. Charlie aveva optato per la solita felpa verde aperta e un paio di jeans.

Appena si distaccò dalla massa notai la ragazza che si portava appresso. In effetti era impossibile non notarla. Era bellissima. Il suo fisico slanciato era perfettamente sottolineato dalla grigia gonna scozzese che indossava e a cui aveva abbinato un paio di collant. Vidi quasi subito come fossimo vestite in modo simile, fatta a eccezione del gonnellino, ovviamente. Anche lei portava una maglietta bianca e un giubbotto di pelle nera. La quadrai da capo a piedi e quando arrivai al viso ne rimasi ammaliata. Aveva la carnagione più scura della mia, ancora un po’ abbronzata direi, e un magnifico sorriso le illuminava il volto, il quale era contornato da una folta chioma di capelli castani, leggermente mossi. Poi i suoi occhi... Profondi come il mare, di un acceso marrone chiaro.

“Ellie!!! Scusa il ritardo, colpa mia” Charlie sorrideva come una bambina, mentre mi porgeva le sue scuse.

“Stai tranquilla, sono appena arrivata” mentii. “Piacere, Ellie” continuai, guardando quella meravigliosa ragazza.

“Maddy” rispose lei, ancora più radiante di poco fa.

Charlie era esaltata, lo avrebbe notato anche un cieco, e, senza attendere oltre, ci spinse nel locale, dove trovammo posto in un tavolino poco distante dal bancone.

“Vado a prendere tre birre” urlò il piccolo elfo, sgattaiolando via e lasciandoci sole.

La situazione era alquanto imbarazzante, così cercai di iniziare la conversazione nel modo più banale possibile. “Sei mai venuta qui?”

“No, mi sono appena trasferita. Devo ancora iniziare la scuola, immagina”. Era difficile concentrarsi sulle sue parole, quando queste venivano pronunciate da labbra come le sue, così carnose e provocanti.

“Dove ti sei iscritta?” Chiesi, ignorando quei pensieri.

“Alla West High School. Anche tu vai lì, giusto?”

“Ehm, sì. Ti troverai bene”. Sorrisi, pensando a quante volte l’avrei incrociata nei corridoi di scuola.

“Charlie ha detto che te la cavi molto bene in trigonometria” esordì la ragazza, cercando di continuare la chiacchierata. Evidentemente non le dispiaceva conversare con me.

“Sì, ma lei esagera sempre”

“Potresti darmi una mano allora. Io sono proprio negata” disse, ridendo. Maledizione se era bella. Prima che potessi rispondere, arrivò Charlie con l’ordinazione e iniziò immediatamente a ironizzare su quanto io fossi sempre presa dallo studio e costantemente organizzata sotto ogni piccolo aspetto della mia vita. “Sono una maniaca del controllo” sottolineai, scherzandoci sopra. Maddy era una sorpresa continua. Amava il jazz, le Harley, le passeggiate di sera, lo sport. Era davvero una ragazza loquace e molto intelligente, una persona squisita con cui discorrere.

Non appena finimmo di bere le nostre bibite, uscimmo dal locale sotto incitazione di Charlie.

“Ragazze io devo proprio scappare. I miei torneranno fra meno di mezz'ora. Ell perché non fai vedere a Maddy qualche bel posto della zona?” Si stava proprio impegnando come consulente di cuore. Annuii ed entrambe la salutammo.

“Hai qualche preferenza? Pub,discoteca, parco?” Le chiesi.

“Perché non ci limitiamo a una passeggiata?” Propose senza mai smettere di sorridermi. Ci incamminammo allora senza meta.

“Sai, a Lancaster, dove abitavo, non avevo molte amicizie. La maggior parte delle persone mi derideva a causa della mia.. Ehm..”

“Omosessualità?” Chiesi forse un po' troppo direttamente

“Sì... Invece Charlie è stata subito carina con me. È davvero una ragazza speciale.”

“Lei riesce sempre a trovare del buono nelle persone.” Sottolineai, pensando a quanto il nostro rapporto fosse maturato col tempo, anche dopo che le dissi le mie tendenze sessuali.

“Ti sei mai innamorata?” Domandò di punto in bianco. Non sapevo precisamente come rispondere, l’amore mi confondeva.

“Ho avuto qualche esperienza con alcune coetanee, ma amore... Non so, l’amore è qualcosa di irrazionale e ancora non credo di essere riuscita a inquadrarlo” dissi ridendo, mentre ripensavo a quanto successo con la mia ex, se così può essere chiamata dopo solo due settimane di frequentazione.

“Certo che l’amore è irrazionale. Come può essere diversamente? Non è mica il cervello a percepirlo, ma il cuore. Io voglio trovare quella persona che mi faccia scordare persino il mio nome, capisci? L’amore con la A maiuscola.” La guardavo ammaliata, mentre pronunciava così chiaramente le sue fantasie, i suoi sogni.

“Un’inguaribile romantica, a quanto pare”

“Tu no? Non sogni un amore da toglierti il fiato?” Mi chiese, bloccandomi con il suo dolce sguardo.

“Beh, è una concezione un po' utopica. Non saprei risponderti.” Ammisi con tutta sincerità.

“Io credo che ogni uomo sulla faccia della terra, se potesse, pagherebbe oro, pur di trovare la propria anima gemella. Non puoi dirmi che tu rimarresti indifferente se un giorno ti imbattessi negli occhi della persona destinata a completarti.”

“Hai già provato questo sentimento sulla tua pelle?” Ero curiosa di sentire la sua risposta, visto come ne parlava.

“No, purtroppo. Mai” ammiccò, piazzandosi di fronte a me. Eravamo giunte all’interno di un piccolo parco giochi, circondato da panchine e giostre per bambini.

Improvvisamente mi afferrò la mano e mi trascinò sul manto erboso, incurante degli sguardi indiscreti di altri ragazzi.

Riuscì a scaraventarmi a terra, ridendo come una fanciulla ancora in tenera età. Scoppiai a ridere anch'io e, distese sul prato, guardammo le stelle per quello che mi sembrò essere un tempo infinito. Mi aiutò a individuare l’orsa minore e quella maggiore, raccontandomi poi le loro leggende. La sua voce, così vellutata, cullava la mia mente, trascinandola in luoghi mitologici.

“Così, hai studiato astrologia?” Le domandai affascinata.

“Mio padre era un astrologo. Mi ha insegnato molto” disse quasi malinconicamente.

“Era?”

“È deceduto l’anno scorso a causa di un incidente stradale... Si è fatto tardi e io devo proprio tornare a casa”

“Mi dispiace.. Ti accompagno." Quelle parole portavano una profonda tristezza, sebbene lei avesse tentato di mascherarla, e quell'aria spensierata aveva lasciato il posto a una maschera indecifrabile, una corazza dietro cui chissà quale dolore si celava. Senza indagare oltre, preoccupata di poter essere sgarbata e inappropriata feci cadere il discorso, non volevo insistere dato che, in fondo, ci conoscevamo a malapena. Così cii alzammo e tornammo alla realtà, incamminandoci sulla strada del ritorno.

In quell’istante sentii un brivido percorrermi l’interno delle scapole, proprio come avvenuto nell’ora di storia. Mi guardai attorno ma non vidi nessuno. Strano, era come se qualcuno mi stesse osservando e la sensazione non era affatto piacevole. Accelerai il passo e, in men che non si dica, arrivammo di fronte casa di Maddy.

“È stata davvero una serata splendida, potremmo organizzare qualcos'altro in futuro. Ecco..” Così dicendo prese una biro dalla sua borsa e, afferrandomi la mano, scrisse una serie di numeri.

“Ci sentiamo” mi congedò, posandosi un lieve bacio sulla guancia destra.

“A presto” sussurrai appena varcò il cancelletto di casa.

Il cuore batteva ancora all’impazzata dopo quel breve contatto, così rimasi lì, imbambolata per altri cinque minuti prima di riprendermi e dirigermi verso la mia abitazione. Cosa mi stava facendo questa ragazzina? Guardai la mano con su scritto il suo contatto telefonico. Decisi di salvarlo immediatamente e di scriverle non appena varcai la porta di casa.

“Buonanotte”

Una semplice parola, un semplice augurio.

 

 

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Capitolo 5
*** Strane telefonate ***


Faceva freddo. 
Sentivo il gelo pungere sulla mia pelle, come se vi fossero confiscati centinaia e centinaia di minuscoli aghi. La sensazione di essere seguita ora era più viva che mai. La paura che qualcosa stesse per attaccarmi nell'oscurità spingeva il mio corpo a vagare senza meta in quella strana radura.
Poi un urlo agghiacciante ruppe il silenzio. Quella voce aveva qualcosa di familiare. Iniziai, allora, a correre nella direzione in cui proveniva il raccapricciante ululato umano e fu allora che la vidi. Una sagoma indistinta, sdraiata sul ciglio del bosco, senza vita, ricoperta di sangue. Mi avvicinai tremante e capii con uno sguardo di chi si trattava. Il suo viso, seppur martoriato, rimaneva ugualmente meraviglioso anche in punto di morte. Maddy era lì e giaceva morente.
Cercai di allungare una mano verso di lei ma ciò che notai paralizzò ogni mio muscolo. Le dita e il palmo erano completamente ricoperte di quella sostanza viscosa rossa cremisi che fuoriusciva dalle spoglie esanime della fanciulla. 
Sentii un cigolio dietro di me e, ancora prima che potessi voltarmi, un'ombra indefinita mi si scagliò addosso.

Mi svegliai di soprassalto nel mio letto, colma di sudore e ancora sconvolta dall'incubo appena vissuto. Cercai di respirare profondamente, in modo da calmarmi e riprendere sonno. Guardai la sveglia, indicava le 4.16, così mi girai e rigirai sotto le lenzuola finchè non caddi nelle braccia di Morfeo.

La mattina seguente i postumi della terribile nottata trascorsa erano in bella mostra sul mio viso. Le occhiaie sotto gli occhi, infatti, non potevano essere più evidenti. Mi feci coraggio e iniziai meticolosamente a nascondere quei fastidiosi segni violacei con un'abbondante quantità di correttore. Ovviamente i risultati non furono dei migliori, ma mi dovetti accontentare. 
Quel giorno decisi di indossare una t-shirt rossa e un comodo paio di jeans. 
Improvvisamente, però, iniziarono a riaffiorare le immagini sanguinolente che avevano infestato il mio subconsio quella notte. Il suo corpo freddo ed esanime, le mie mani insanguinate...
Ora basta.
Non potevo crucciarmi per un'insignificante sogno, sarà stato uno strano scherzo dell'immaginazione, ecco tutto. Dimenticando quelle macabre visioni, afferrai il cellulare e lo accesi. Immediatamente vibrò e sulla schermata comparva l'avviso di un nuovo messaggio: ''Buongiorno Ell''. Madison. Di punto in bianco, sorrisi come un'ebete nel leggere quelle due semplici parole che riuscirono, chissà come, ad allietare una mattinata cominciata nel peggiore dei modi.
Sollevai lo zaino da terra e scesi al piano di sotto dove i miei genitori stavano amabilmente facendo colazione insieme. Era da parecchio tempo che non assistevo a una scena simile. Mio padre era stato via più di sei mesi e da allora mia madre si era sentita infinitamente sola. Lei capiva benissimo la dedizione del marito a servire e onorare la patria ma c'erano state alcune giornate in cui la speranza di vederlo tornare a casa svaniva, lasciando spazio a un'amara tristezza. Quando questo accadeva, sprofondava nei ricordi e si isolava nel lavoro, dimenticandosi di avere una figlia che l'aspettava. Non le avevo,però, mai fatto pesare la situazione, anzi, tentavo in tutti i modi di farla sorridere, incoraggiandola in un nuovo passatempo, o proponendole un'uscita con me. 
Eccola qua, invece, più solare che mai, mentre sorseggiava una tazza di caffè con la persona amata. Chi può dire quanto sarebbe durata quell'atmosfera gioiosa.
Li salutai affettuasamente, scranocchiai un paio di biscotti e mi avviai verso l'uscio.
Ad attandermi, però, fuori dal vialetto c'era una Maggiolino Volkswagen nero. Non capii immediatamente di chi si trattasse, ma, non appena scese dal lato del passeggero una testolina bionda, misi immediatamente a fuoco il conducente del veicolo. Un'avvenente mora mi fissava con il suo ammaliante sorriso stampato in volto. Maddy era davvero incantevole quella mattina: indossava un paio di Ray-ban neri, alquanto spessi, che le celavano i grandi occhioni marroni; un top giallo metteva particolarmente in risalto la carnagione abbronzata e il giubotto nero della sera precedente era poggiato sullo schienale.
Sanza aspettare oltre, mi avvicinai al veicolo.
"Sorpresa Ell?" domandò Charlie, saltellando sul sedile posteriore così da spingermi ad accomodare di fianco al posto di guida.
"Indovina, da oggi sono ufficialmente una studentessa della West High School" annunciò elettrizzata Madison. 
Prima che potessi commentare, la ragazza diede gas e si immise nella carreggiata. Non potevo fare a meno di notare l'allegria che emanava, anche solo nel cambiare le marce, e quanta riusciva a trasmettermene. Con lei sembrava tutto così naturale, quasi banale. Aveva il grande dono di irradiare buonumore a chiunque le stesse vicino, me compresa.
"Ieri pomeriggio sono arrivate le autorizzazioni, così devo solo più ufficializzare l'iscrizione e prendere il modulo" continuò, senza smettere di sorridere. 
"Allora ti accompagnamo in segreteria a ritirare il tuo orario" rispose Chiarlie di tutta fretta, appollaiando la testa tra i sedili anteriori.
"Sarà fantastico questo nuovo anno scolastico, me lo sento". La sua felicità era incontenibile, persino frequentare noiose lezioni tenute da bisbetici insegnanti ormai pronti al pensionamento era, per lei, una fantastica nuova, avventura.
In meno di dieci minuti arrivammo nel parcheggio di fronte all'imponente edificio didattico. 
"Ell, accompagnala tu, io ho il test di francese alla prima, me n'ero quasi scordata" e così dicendo, sgattaiolò via. Cominciavo davvero a credere che lo facesse di proposito.
Non appena mi voltai in direzione del portone d'ingresso, notai un paio di occhi neri che mi fissavano tensamente. Era lei, la professoressa Dubois. Un tailleur nero vestiva la sua slanciata figura, risaltando la pelle diafana. Appena incontrò il mio sguardo, increspò le labbra in uno strano sorriso sghembo, poi sparì tra la folla. Non era stato un caso, lei mi stava proprio squadrando, come se cercasse di proposito quel contatto visivo. La situazione stava prendendo decisamente una piega alquanto bizzarra.
"Ell? Mi hai sentita?" la voce di Maddy mi riportò coi piedi per terra. 
"No, scusa, ero... distratta" farfugliai.
"Ho detto che ci conviene sbrigarci, o faremo tardi".
"Oh, sì. Hai ragione, è meglio andare."
Cercai di non scompormi troppo, ma aveva capito che era successo qualcosa che mi aveva turbata, rimase, però, silenziosa, senza aggiungere altro, senza fare domande indiscrete. Mi lasciò, semplicemente, sola con i miei pensieri. Questa volta ero sicura, il mio sesto senso non sbagliava: quella donna voleva me. E ciò mi rendeva assai nervosa perchè era come se il subconscio volesse mandarmi una sorta di avvertimento, sta lontana da lei.
Senza che me ne rendessi conto, mi trovai di fronte la segreteria. 
"Ti aspetto qua fuori Maddy" le comunicai distrattamente. Non proferendo parola, entrò a ritirare le scartoffie.
"Quanto deve continuare questa farsa?" una voce a me terribilmente nota si stava alterando con qualcuno. Di soppiatto provai a rintracciare il punto in cui proveniva, trovando poco distante da me la professoressa di storia intenta in una vivace conversazione telefonica. Mi protesi, allora, con lo scopo di origliare quale fosse il motivo di tale discordia.
"No, non capisci. La ragazza non ha mostrato nessun segnale... Magari non è la persona che stiamo cercando... So cosa ha detto Lauraine, ma sono ormai giorni che osservo... Sì, ho capito" e staccò il telefono. 

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Capitolo 6
*** Rivelazioni ***


La lezione di goniometria sembrava non voler proprio passare. La mia mente era rimasta alla conversazione tenuta dalla professoressa Dubois e non riuscivo a coglierne il senso. Di quale ragazza stava parlando? E chi stava cercando? Una cosa era certa: lei non era entusiasta del nuovo posto di lavoro. Oserei addirittura affermare che la persona con cui stava discutendo l'avesse obbligata a farsi assumere come insegnante. Certo, le mie erano tutte supposizioni campate in aria, eppure avevo la convinzione che ci fossero parecchi misteri che ruotavano attorno a quella donna senza passato. Nessuno, infatti, aveva mai avuto l'occasione di vederla prima di allora, nè si sapeva molto sul suo conto. Nemmeno un alunno, infatti, mi diede conferma di conoscere qualche aneddoto della sua vita. Nelle tre ore che seguirono quanto accaduto, chiesi a svariati compagni informazioni su di lei, ma senza trovare riscontri positivi. Avrei indagato ancora, finchè non avessi trovato del materiale soddisfacente.
Quando anche quella campanella suonò, mi trascinai nell'aula successiva, francese. Con mia grande sorpresa lì trovai Madison, che sedeva sola all'ultimo banco, un po' impacciata, forse frastornata dal nuovo ambiente in cui si trovava. Non ero stata molto carina con lei quella mattina, per cui decisi di rimediare. Scaccia i sospetti che mi frullavano in testa e senza indugiare, andai a sistemarmi nel banco di fianco al suo. "Ti dispiace?" chiesi educatamente.
Lei scosse la testa, senza proferire parola.
La situazione era alquanto imbarazzante. Effettivamente non sarei dovuta scappare via dalla segreteria, lasciandola in balia di quel misterioso mondo scolastico, senza neanche darle una spiegazione. Il fatto era che non sapevo come comportarmi in sua presenza. Era da quasi un anno ormai che il mio cuore giaceva dormiente in fondo al petto, senza mai essere svegliato. Fino ad allora, almeno. Non ero mai stata quel tipo di persona che esternava i propri sentimenti nè, tanto meno, ero un asso a "rimorchiare", ma con lei sarebbe stato diverso. Sentivo la necessità di conoscerla meglio.
"Ascolta, mi dispiace davvero tanto per poco fa. Insomma, non è proprio da me un comportamento simile... ecco, io sono mortificata e..." smisi di parlare quando le uniche sillabe che uscivano erano degli imbarazzanti balbettii. 
"Tranquilla Ell, non devi darmi spiegazioni" rispose freddamente.
Non riuscivo a sopportare quella tensione che si stava creando.
"Se ti spiegassi cosa mi ha fatta scattare così?" le proposi speranzosa e, quando lei annuì, iniziai a raccontarle gli avvenimenti recenti che avevano portato così tanti cambiamenti. Appena finii, lei rimase qualche secondo in silenzio, riflettendo sulle mie parole.
"Così... pensi che quella professoressa nasconda qualcosa di grosso?" mi domandò pensierosa.
"So cosa può sembrare, una completa pazzia. Magari è così e io mi sto fondendo il cervello con stupide congetture. Eppure il mio sesto senso mi sta mettendo in guardia..."
"Ehi, io ti credo. Anzi, vorrei aiutarti a scoprire qualcosa di più su di lei"
La sua risposta mi spiazzò. Lei, una ragazza che conoscevo da un paio di giorni, mi stava spalleggiando, quando nemmeno Charlie sembrava prendermi sul serio.
"Grazie mille Maddy" le sorrisi amichevolmente.
"Che ne dici se oggi pomeriggio prendo il computer e andiamo a cercare informazioni su Miss Mistero?" propose, facendo riaffiorare quel sorriso che tanto adoravo.
"Dove pensavi di andare?"
"Conosco un posto davvero carino, un piccolo bar dietro la Avenue 37. Il posto ideale per qualche ricerca." Sembrava essere tornata la solare Madison di sempre. Non appena le lezioni finirono ci dirigemmo verso il Maggiolino, aspettando l'arrivo di Charlie, la quale non si fece attendere molto.
Il viaggio fu piacevole e, lasciato a casa il piccolo elfo, andammo dove Maddy aveva proposto. Charlie avevo declinato gentilmente l'invito poichè avrebbe dovuto studiare tutto il pomeriggio a causa di un'imminente interrogazione.
Non appena varcammo la porta d'ingresso, il barista ci fece accomodare in un discreto tavolino, non troppo vicino al bancone.
Ordinammo due caffè e congedammo il ragazzo, che dava l'impressione di fissare più del necessario la mia compagna di ''studio''. Non capivo il motivo, ma questo comportamento mi irritava profondamente, sentii addirittura i denti digrignarsi, quasi autonomamente. Madison notò il mio cambiamento d'umore e, senza che me lo aspettassi, posò la sua mano sulla mia, nel tentativo di tranquillizzarmi. Il suo gesto così spontaneo riuscì a rilassarmi, oltre ogni mia più rosea aspettativa.
Tolse, però, immediatamente la mano appena il cameriere portò la nostra ordinazione, come se se ne vergognasse. Non viveva serenamente la sua omosessualità, impossibile non notarlo.
"Sai, non tutte le persone sono così ottuse. Non dovresti avere paura di mostrare al mondo chi sei in realtà..."
"Non sai come sono stata trattata, quanti insulti ho sentito" mi interruppe così bruscamente che lasciai cadere il discorso. Sì, non sapevo nulla di quello che aveva dovuto affrontare, non sapevo l'inferno che le avevano fatto passare.
"Allora, da dove cominciamo?" chiese come se nulla fosse, destandomi dai miei pensieri.
"Prova a cercare nome e cognome e vediamo cosa esce fuori" le proposi.
Iniziò a battere velocemente le dita sulla tastiera e, in un lampo, il motore di ricerca mostrò i risultati trovati. Girò il PC e, facendo scorrere il mouse, passava da una notizia all'altra. Sfortunatamente nessun link rimandava alla persona in questione, sembrava addirittura non esistere nessuna Nathalie Dubois.
"Strano... l'unico riscontro positivo è questo" disse indicando un breve articolo di giornale del '71. 
"Giovane uomo dilaniato da un animale, la fidanzata sotto shock" così citava il titolo. La donna portava lo stesso nome della professoressa, ma non vi era, purtroppo, neanche una foto.
"Non può essere lei" sospirai. "Nel '71 non era neanche nata..."
"Sì, infatti. Quella del trafiletto adesso ha più di cinquant'anni."
Come era possibile che nemmeno uno staccio di indizio saltasse fuori sul suo passato, non una multa, un elogio didattico, un iscrizione a un sito online! Niente.
"Magari è una persona riservata" obbiettò Maddy.
Doveva esserci qualcosa, qualsiasi cosa che mi convincesse a non essere pazza. In fondo era proprio questo che cercavo, una conferma sul fatto che non mi fossi immaginata tutto. Mi stava sfuggendo un particolare, ma quale? 
La Mustang!
"La sua macchina! Scommetto che se riuscissimo a prenderle la targa, potremmo risalire ai suoi dati!" esclamai entusiasta.
"Può funzionare, Ell!" anche lei sembrava crederci. "Solo, ci tocca pazientare fino a domani..." 
Maledizione. Non avevo tenuto in considerazaione questo dettaglio, ma, d'altronde, non avevamo altre soluzioni. Così, spense il computer e riprese a gustarsi la sua calda bevanda. Seguii il suo esempio.
"Cosa fa tua madre?" le domandai per attaccare bottone.
"L'infermiera" rispose un po' sorpresa. 
"Deve lavorare parecchio... Cioè, voglio dire, i turni sono pesanti... almeno è quello che mi hanno detto" sembravo una perfetta idiota, spiaccicavo parole a caso, senza senso.
"Dipende dalle giornata. Lei odia particolarmente i notturni, insomma non è il massimo passare la notte in ospedale" precisò, senza smettere di fissarsi le mani. " E tua madre?"
"Lavora come avvocato. Anche lei ha i turni piuttosto pesanti. Delle volte finisce per portarsi a casa gli arretrati."
"Charlie mi ha raccontato che tuo padre è appena tornato da una missione in Iraq... Non deve essere piacevole aspettare in ansia il ritorno di una persona amata".
"Io ci ho fatto l'abitudine ormai, ma la paura che possa non tornare..." la mia voce si spense, pensando a tutte le volte in cui desideravo avere il mio papà vicino. Non era mai stato facile o meno doloroso lasciarlo andare, nonostante mi fossi rassegnata.
"Mio padre morì in un incidente autostradale l'anno scorso. Stava venendo a prendermi dopo una festa, era tardi ma lo implorai di raggiungermi. Volevo tornare a casa e così lo svegliai in piena notte, dicendogli di venirmi a prendere. Non arrivò mai. La sua auto si era schiantata contro un albero e il suo corpo era volato dieci metri fuori dal parabrezza. Ancora adesso continuo a ripetermi che se solo non avessi fatto i capricci lui sarebbe ancora vivo..."
"Non puoi incolparti per quanto è successo." cercai di alleviare la sofferenza che si ostinava a nascondere, guardando altrove ed evitando il mio sguardo. I sensi di colpa non sarebbero svaniti tanto facilmente, questo lo sapevo. Continuare, però, ad accusarsi incessantemente non lo avrebbe riportato indietro, anzi, le avrebbe solo procurato altro dolore.
Il sole stava calando e le strade cominciavano a essere illuminate solamente dai lampioni posti sui cigli dei marciapiedi, per cui decidemmo di tornare nelle nostre abitazioni. Il tragitto di ritorno fu particolarmente silenzioso, Maddy era persa nei suoi pensieri. Probabilmente tutte quelle rivelazioni non erano state programmate e aprirsi così con una perfetta sconosciuta, perchè in fondo questo eravamo, doveva averla destabilizzata. Io, del resto, continuavo a guardarla di nascosto, rifugiandomi dietro alla mia massa informe di capelli, evitando il contatto visivo. Quella ragazza non era come le altre, ormai lo avevo intuito. Trasmetteva gioia e tristezza, allegria e dolore. Un mix letale che cominciava a fluire dentro di me, catapultandomi nel suo mondo. Un mondo oscuro a volte, ma terribilmente intrigante. Sentivo che ormai una parte di me si era legata al suo essere e separarla sarebbe stato atroce, mi avrebbe portato solo sofferenza. 
Accostò e spense il motore. Casa mia era proprio di fronte.
"Ascolta, adesso sembrerò una completa idiota, lo so, ma volevo dirti che sono stata davvero bene con te questo pomeriggio ed era da tanto tempo che non mi capitava. Quello che ti ho raccontato... mio padre, l'incidente... ecco, non ne avevo fatto parola con nessuno in questa città. Parlarne con te, mi è sembrata la cosa più naturale di questo mondo. Quindi, grazie per avermi ascoltata." non l'avevo mai vista così emozionata, impacciata quasi nel porgermi i suoi ringraziamenti. Senza pensarci troppo, mi avvicinai e l'abbracciai, stringendola forte così da farle capire che con me poteva sentirsi al sicuro e parlarmi sinceramente di qualsiasi cosa. Mentre ancora eravamo aggrappate l'una all'altra, le sussurrai "Ti prometto che sarai felice".

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Capitolo 7
*** Allucinazioni ***


Varcata la soglia di casa, mi recai silenziosa verso la cucina, dove i miei erano già intenti a preparare cena. Il profumo di Maddy era sublime, un'aroma dolce, simile a vaniglia mescolata ad arancia. Senza accorgemene mi ritrovai con la maglietta premuta sul naso, ad aspirare a pieni polmoni i residui lasciati da quel dolce odore.
"Ehi Ell!" la voce di mio padre mi fece sobbalzare, riportandomi con i piedi per terra.
"Ciao papà, vado a cambiarmi e poi scendo a dare una mano" replicai in fretta e furia, sfuggendo al suo sguardo indagatore. Non volevo essere vista in quello stato, esaltata e felice, combinazione assai rara ultimamente, poichè sarei stata sormontata di domande e, ora come ora, non avevo la testa per raccontare gli ultimi avvenimenti. Anche perchè cosa c'era da raccontare? Non era successo nulla, eppure sentivo che sarebbe stata una questione di tempo. Il legame che stava nascendo andava oltre ogni mia previsione. Appena entrai in camera mia, sentii una fitta lancinante al capo, come se qualcuno mi stesse trapanando il cervello. Il dolore era talmente intenso da farmi tremare le ginocchia e, in un lampo, mi ritrovai con la faccia pigiata al suolo. Immagini vive mi balzavano davanti agli occhi, ma era una sequenza talmente rapida che decifrarle singolarmente era a dir poco impossibile. L'unica sensazione che riuscivo a cogliere era un intenso sapore metallico sul palato, così pungente e, soprattutto, reale. Il mio corpo tremava, scosso da violenti spasmi muscolari. A ogni sussulto i fotogrammi proiettati nella mia testa rallentavano, dandomi l'opportunità di metterle a fuoco. Riuscii a intravedere delle mura imponenti, forse appartenute a una sorta di ciclopico maniero medioevale. La costruzione interamente in mattoni era costeggiata da due torri altrettanto mastodontiche, entrambe fornite di finestre squadrate alquanto luminose. L'intero complesso affacciava su un vasto cortile, nel cui centro era posta una fontana in marmo. Questa dava l'impressione di essere stata ideata in un periodo diverso rispetto allo stabile; infatti l'impianto era ornato di statue rinascimentali, raffiguranti divinità elleniche, tra cui risaltavano particolarmente i busti levigati di alcune donne. Fu proprio lì davanti che la vidi: una figura ben vestita mi dava le spalle, senz'ombra di dubbio si trattava di un profilo maschile. Lo sfarzoso abito che indossava questo individuo risaliva all'epoca cinquecentesca, per via della giacca accollata di pesanti broccati, ricamata in pietre preziose, e dei calzoni corti e sbuffati. Quell'uomo si accingeva a girarsi verso di me ma, prima che riuscissi a scorgere il suo volto, un velo nero cadde sui miei occhi.

Mi risvegliai in una stanza poco familiare, le cui pareti bianche e ornamentari del medesimo colore non potevano che appartenere ad una stanza ospedaliera. Il letto su cui giacevo era comodo, forse un po' troppo alto, con il classico telecomando per la regolazione dello schienale. Tentai di sollevarmi per mettermi seduta, ma una voce severa mi riprese dicendo di non muovermi o avrei staccato le flebo conficcate nei miei avambracci. Mi voltai per capire chi fosse e, con mio grande stupore, vidi il volto corrucciato di Maddy. Non era, però, stata lei a parlare, bensì una donna minuta, dai capelli scuri, che indossava un camice da infermiera. La somiglianza era impressionante, non poteva che trattarsi della madre. Anche gli occhi avevano lo stesso taglio e colore.
"Stai ferma e pensa a riposarti. Hai avuto delle violenti crisi epilettiche." mi informò, sistemando gli aghi al loro posto; dopodichè uscì dalla stanza compilando una cartellina medica.
"Come ti senti?" mi chiese Madison, osservandomi minuziosamente nel tentativo di scorgere un segno qualsiasi di malessere. "Sto bene... Quanto tempo ho dormito?" Non ricordavo molto, solo il violento capogiro... e il dolore. Quello era rimasto impresso nella mia memoria in maniera così vivida che, al solo pensiero, il mio corpo tendeva a contrarsi autonomamente in modo da respingere quella nauseante sensazione.
"Tre giorni" rispose. "Tuo padre ti ha trovata distesa sul pavimento, in preda alle convulsioni. Ti hanno ricoverata immediatamente. Mia madre mi ha parlato di una ragazza che si era sentita male e, appena mi ha detto il nome, mi sono precipitata qui... Charlie è andata via mezz'ora fa, anche lei ti è rimasta vicina." aggiunse frettolosamente, cercando di nascondere l'imbarazzo e, oserei dire, la preoccupazione. I suoi occhi ora fissavano il pavimento e le sue mani giocavano timidamente con una ciocca ribelle, come se volesse evitare di far trapelare le sue apprensioni. Sì, ne ero certa, non voleva che leggessi nei suoi occhi l'inquietudine nei miei confronti.
"Grazie" sussurrai, "per essere rimasta qui." Fu allora che riuscii a vedere il suo sguardo. Delle pesanti occhiai le segnavano volto, sembrava non avesse dormito nell'ultimo periodo. Ora che ci facevo caso, anche i vestiti erano parecchio stropicciati, particolare alquanto strano visto che Maddy non era quel tipo di ragazza, trasandata e non curante.
"Da quanto sei qui?" le parole uscirono senza accorgemene dalle mie labbra, quasi di getto.
"Ehm, da ieri pomeriggio, più o meno... I tuoi sono stati sempre nei paraggi, non ti hanno lasciata sola neanche un attimo" il suo tentativo di cambiare argomento era alquanto goffo, ma tenero. Notai anche un leggero arrossamento sulle sue gote non appena mi rivelò quanto aveva fatto e ciò mi riempii il cuore di gioia, pensando che, dopotutto, il mio interesse per lei poteva essere ricambato.
"Comunque ho preso la targa" continuò lei, destandomi dalle mie fervide immaginazioni. "e ho fatto altre ricerche. Ho scoperto che la macchina è sta comprata in contanti, capisci? Sai quanti soldi ci vogliono per quel genere di auto? Parecchi."
Giusto, le nostre "indagini".
"Quindi la nostra cara prof ha da parte un tesoruccio niente male" conclusi. Altro che stipendio da insegnante... per racimolare una tale cifra non basterebbero i risparmi di una vita, soprattutto con la bustapaga che le veniva retribuita.
"Un'eredità?" propose.
"Se io avessi un'eredità così alle spalle, di certo non lavorerei in un liceo" obbiettai pensierosa. Certamente esistevano quelle persone dedite alla propria professione ma lei non faceva parte di questa categoria, lo si intuiva da come si approcciava con gli studenti.
"Ascolta, adesso pensa a riprenderti e quando sarai in piedi vedremo cosa fare." E così dicendo, si alzò e mi venne a salutare con un caloroso abbraccio. Trascorsi i restanti giorni della settimana bloccata nel letto d'ospedale, allietata fortunatamente dalle consuete visite di Chiarlie e, soprattutto, di Maddy. La sua presenza era stata indispensabile in quei lunghi pomeriggi e le chiacchierate intrattenute con lei avevano lo straordinario dono di sollevarmi il morale. Parlavamo molto, mi raccontava delle lezioni, dei professori che mandavano i loro auguri di guarigione, del cibo spazzatura che la mensa continuava a servire. Ogni argomento uscito dalle sue labbra mi incuriosiva, anche il più insignificante.
Domenica mattina i medici mi diedero il via libera per tornare a casa, visto che tutti gli esami e gli accertamenti erano risultati positivi. Finalmente potevo abbandonare quel maledettissimo letto e riprendere la solita routine. In più avrei rivisto Maddy. L'avrei invitata a cena o qualcosa di simile, dovevo solo trovare il coraggio per proporglielo. Non ero mai stata quel tipo di ragazza intraprendente, avevo sempre aspettato gli altri, ma con lei avrei fatto un'eccezione.
Passai tutto il giorno sdraiata sul divano, pensando e ripensando a come avanzare la mia proposta, valutando i pro e i contro. Un rifiuto da parte sua, ero certa, mi avrebbe fatto crollare il mondo sotto i piedi; d'altronde non volevo omettere il sentimento che stava nascendo nè affrettare le cose.
Ero davvero combattuta, quando mia madre entrò in salotto dicendo che avevo visite. L'ultima persona che immaginavo di vedere in una situazione simile era propio di fronte ai miei occhi. Teneva i folti capelli corvini legati in una coda morbida, che cadeva delicata sulle spalle coperte da una giacca nera. Indossava un completo distinto e formale, abbinato a un paio di décolleté del medesimo colore. La professoressa Dubois era lì, sorridente, sulla soglia del salotto.
"La tua insegnante è venuta a portarti il programma fatto nei giorni in cui eri assente. Vi lascio lavorare, se avete bisogno io sono in cucina" mia madre sparì nella stanza adiacente alla nostra in un batter d'occhio, dopo averci congedate. Passò un lasso di tempo che parve interminabile, in cui quella donna non fece altro che fissarmi intensamente con i suoi gelidi occhi scuri. L'atmosfera era così densa che sarebbe stato possibile tagliarla con un coltello.
Senza togliermi lo sguardo di dosso si avvicinò e si mise a sedere sulla poltroncina dinanzi al divano su cui stavo riposando poc'anzi. "Hai avuto un malore, giusto?" chiese muovendo velocemente le sue labbra.
"Si" risposi in modo freddo, distaccato, senza lasciar trapelare l'irrequietezza che cominciava a percorrere il mio corpo.
"Fammi indovinare, spasmi seguiti da strane allucinazioni, erro?" Come poteva essere a conoscenza di quei dettagli? Dettagli che non avevo rivelato ad anima viva, neppure ai medici. "Sono curiosa. Cosa hai visto?" domandò, intravedendo il mio stupore. A quella domanda mi irrigidii, ripensando alle immagini che erano state proiettate nella mia mente giorni orsono. Indispettita dal mio silenzio, continuò dicendo "Adesso ti starai sicuramente chiedendo come possa io sapere queste cose. La verità è che tu non sei la prima ragazza che vedo in queste.. condizioni." sottolineò in maniera forse un po' troppo marcata l'ultima parola, come se dietro vi nascondesse chissà quale realtà a me ancora oscura.
"C'è qualcosa che dovrei sapere?" obbiettai.
Inaspettatamente lei scoppiò a ridere, divertita, a quanto pare, dal mio quesito.
"Perdonami, non sono riuscita a trattenermi. Ci sono molte cose che dovresti sapere, ma non oggi ragazza. Prima devo essere sicura che sia proprio tu la persona che stiamo cercando. Per questo ti chiedo di pazientare e, soprattutto, di non rivelare a nessuno quanto accaduto, neanche la mia visita. So molto bene qual è lo scopo tuo e della tua amica, ricercare informazioni su di me, ma, fidati, non ne troverete. Per cui, dammi retta, tieni per te la nostra breve chiacchierata. Al momento opportuno, verrai tu a cercarmi, ne sono certa. Non fare sciocchezze."
Senza aggiungere altro si alzò e depositò sul tavolo di fianco alla poltrona un biglietto da visita, dopodiché si diresse all'uscita, salutando cortesemente mia madre. Quell'incontro aveva portato con sè un baule enorme di domande senza risposta e quella donna era la chiave. Decisi di tenere con me il foglietto lasciato, così da poterla contattare "al momento opportuno", come aveva suggerito lei. Le sorprese quel giorno non finirono lì.
Pochi istanti dopo, il campanello suonò. Questa volta andai io ad aprire e, caduta dal cielo, Maddy aspettava sorridente sull'uscio di casa.
"Preparati. Stasera vieni a cena da me" disse.

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Capitolo 8
*** Calore ***


Quell'affermazione mi lasciò attonita e rimasi lì, imbambolata, per alcuni secondi.
"Mia madre ha il turno di notte e così ho pensato che sarebbe stato carino ordinare due pizze. Poi tu hai mangiato pappette da ospedale per una settimana, quindi dobbiamo rimediare" disse, incantandomi con il suo sorriso mozzafiato. 
"Perchè no" abbozzai, divertita. Si notava chiaramente che quell'invito le era costato uno sforzo enorme visto la sua timidezza.
"Forza entra, io tanto devo prepararmi".
Le feci strada, indicando le stanze, senza soffermarmi troppo sui particolari. Entrate in camera mia, lei si mise a sedere sul letto, osservando attentamente le pareti e le foto sul comodino.
"Assomigli molto a tuo padre." Maddy indicava una delle tre cornici. Era stata scattata l'estate scorsa, quando papà aveva passato con noi il 4 luglio. Il giorno dopo, ovviamente, era ripartito. Ricordavo molto bene quella giornata, una delle rare occasioni in cui la famiglia Harper festeggiava al completo.
"Mamma dice che da lei ho preso solo il carattere, fortunatamente. Per il resto sono la fotocopia di suo marito" scherzai, ripensando a quante volte avevamo battibeccato a causa dei nostri temperamenti troppo simili. 
"Lei ironizza sempre che io sia nata già vecchia, con la testa sul collo. Pronta per essere imballata e spedita in qualche ufficio." Lo ripeteva sempre, secondo lei avrei dovuto godermi di più la mia adolescenza, senza pensare troppo alle conseguenze. Anzi, senza pensare troppo, punto. 
"Allora rimedieremo anche a questo" le si illuminò il viso non appena pronunciò quelle parole, che sapevano tanto di una promessa. Sorrisi anche io, allettata da questa proposta. 
Decisi di darmi una mossa e, in men che non si dica, rovistai nell'armadio in cerca di qualche indumento carino per la serata. Il meglio che riuscii a trovare fu un top nero e una camicia in jeans, abbinati a un semplice pantalone scuro. Presi tutti i capi e mi recai in bagno.
L'immagine riflessa nello specchio non prometteva bene. Per prima cosa, sciolsi i capelli, lasciandoli cadere morbidi sulle spalle; successivamente frugai nel beauty case finché non agguantai il correttore tanto amato in quelle situazioni. Blush, ombretto nero e matita per definire il contorno occhi. Il risultato finale era abbastanza soddisfacente, contando che ero reduce da un ricovero. Respirai a fondo nel tentativo di calmarmi, ero un fascio di nervi. Buttai fuori l'aria un'ultima volta e raggiunsi Madison. Lei non curante giocava con una ciocca dei suoi capelli, ma, non appena sentii il cigolio della porta, alzò lo sguardo. La sua espressione sembrava meravigliata, quasi stregata da quel che vide. 
"Possiamo andare, adesso." dissi cercando di spezzare l'atmosfera carica di imbarazzo. Lei annuì e mi seguì fuori casa. 
Il Maggiolino era parcheggiato di fronte all'edificio. 
Salimmo in auto, mise in moto e accese la radio, sintonizzando la prima stazione che trovò. La musica era piacevole, forse un po' troppo da discoteca, ma la cosa non mi dispiaceva.
Maddy seguiva il tempo picchiettando con le dita sul volante, trasportata dalle note. 
Il tragitto era davvero breve e, in un lampo, arrivammo a destinazione. 
Viveva in una villetta a schiera, assai graziosa. La facciata di un rosso mattone acceso risaltava molto sulle altre, le quali erano più sobrie e anonime. Sembrava spaziosa anche da fuori, probabilmente perché era stata costruita su due piani.
Varcammo il cancelletto d'ingresso e, percorso il piccolo cortile, Maddy fece scattare la serratura e mi invitò ad entrare.
Il corridoio dinnanzi all'uscio era abbastanza stretto, ma molto colorato; le pareti, infatti, erano state dipinte d'arancio. Chissà quanta luce riflettevano quando batteva il sole...
Mi indicò il salotto sulla destra, dove notai subito l'imponente camino in muratura posto tra due divani. Anche la cucina era molto grande: il piano cottura era completamente in marmo chiaro e i mobili adiacenti erano stati scelti di un panna opaco, quasi bianco. Al centro della stanza vi era un tavolo in legno d'acero rettangolare, per sei persone e nell'estremità del soggiorno, sotto l'unica finestra presente, vi era un divano ad angolo beige, ideale per guardare la tv riposta su un mobiletto di fronte.
"Ti va di ordinare? Sicuramente ci vorrà più di un'ora prima che arrivino con le pizze" sospirò come a scusarsi. 
"Per me va benissimo una pizza con le patatine fritte"
"Due allora" disse abbozzando quel suo sorriso mozzafiato. Senza indugiare oltre, afferrò il suo cellulare e chiamò la pizzeria d'asporto, comunicando ordine e recapito.
"Posso offrirti una coca nel frattempo?" chiese garbatamente dopo aver concluso la conversazione telefonica.
"Sì grazie"
Non avevo ancora fatto caso all'abbigliamento di Maddy, stregata com'ero dal suo viso. Indossava una minigonna rossa, molto mini, e una camicetta bianca senza maniche che aveva nascosto sotto il suo consueto giubbotto in pelle. Con una falcata aggraziata mi raggiunse con le bibite sul divano, dove mi ero lasciata cadere comodamente.
Si sedette esattamente come avrebbe fatto una bambina, a gambe incrociate e rivolta verso di me invece che poggiata allo schienale. Era adorabile.
"Allora, vuoi parlare d'affari?" alzò la testa con un gesto di sfida mentre pronunciava queste parole.
"Affari?"
"Potrei aver seguito la nostra cara prof l'altro giorno" aggiunse soddisfatta. La sua espressione era cambiata, adesso oserei dire fosse ammiccante. "Purtroppo mi ha seminata appena fuori città. Quella donna ama andare veloce! Impressionante... Comunque almeno sappiamo che non vive in centro."
Questa notizia non fece altro che ricordarmi il consiglio che Miss Dubois mi aveva dato quel pomeriggio. Più che consiglio era stato un vero e proprio avvertimento. Dovevamo smettere con queste 'indagini'.
"Ascolta, forse è il caso di lasciar perdere. Mi sono fatta prendere troppo la mano con questa storia, e penso che le nostre siano congetture campate in aria. Lei è solo una comunissima insegnante." Cercai di essere il più convincente possibile, anche se non credevo neanche io a ciò che avevo detto. Avevo la convinzione, però, che Madison doveva rimanerne fuori. 
"Ma come mai hai cambiato idea?" Sembrava amareggiata, le stava davvero a cuore quella faccenda.
"Non so, ho avuto tempo di riflettere in ospedale e sono arrivata a questa conclusione..." non sapevo più a dove aggrapparmi, non potevo rivelarle la verità. "Questo vuol dire che dovremmo trovare altro da fare insieme" le proposi, cercando di deviare l'argomento. E sembrò funzionare visto che immediatamente il suo volto si illuminò.
"Questa mi pare una splendida proposta" abbozzò entusiasta. "Non vorrei essere invadente ma mi chiedevo... insomma... Ti ricordi la prima sera che ci siamo conosciute?" annuii meccanicamente - come potrei dimenticarmene, è stata la prima volta che vidi quest'angelo- e lei, inspirando profondamente, proseguì. "Ti avevo chiesto se eri mai stata innamora e tu dicesti di no, ma non hai più aggiunto nulla. Quindi, mi chiedevo cosa fosse successo alla tua relazione precedente. Se non ti va, non rispondermi, non sei obbligata" stava ormai balbettando e le sue gote si erano leggermente arrossate. Cosa avrei potuto raccontarle? Mi ero comportata da perfetta stronza con la mia ex e non volevo che pensasse a me in quel modo. Sospirai e otpai per la verità, le parole uscirono quasi di getto. 
"Lei, Claire si chiamava, era una ragazza davvero forte, esuberante e molto intlligente. Ma non c'era sintonia, non c'era..."
"Passione?" suggerì lei, arrossando ancora di più.
"Sì, esatto, non c'era passione. Dopo qualche settimana capii che tra noi non poteva che esserci una semplice amicizia, solo che avevo paura di perderla e così decisi di tenere tutto per me, illudendola. Mi piaceva Claire come persona ma non era scattato nulla, mi sentii una vera merda perchè lei si stava innamorando. E questo peggiorò la situazione, alla fine mi decisi e le confessai tutto. Quel giorno presi un bel ceffone" ironizzai per alleggerire l'atmosfera. "Dopodiché lei non volle più avere niente a che fare con me. Ogni tanto la vedo nei corridoi ma, semplicemente, si gira dall'altra parte. Ho seriamente pensato che ci fosse qualcosa che non andava in me, insomma chiunque si sarebbe innamorato di lei. Sai, è il classico tipo di ragazza che, quando cammina per strada, attira l'attenzione dei passanti. Eppure..." non sapevo cos'altro aggiungere, mi vergognavo terribilmente per quello che avevo fatto a Claire, ma, d'altronde, non si può obbligare qualcuno ad innamorarsi, succede e basta. 
"Io penso che tu sia stata sincera con lei e che non lo abbia gradito. Non puoi decidere di chi innamorarti." sfoderò il suo sorriso sghembo, che tanto adoravo. 
"E tu?"
Non appena formulai la domanda, guardò altrove, evitando il mio sguardo curioso.
"Non sono mai stata con nessuno" sussurrò così flebilmente che faticai a udire chiaro e tondo ciò che disse. Possibile che una ragazza così non avesse mai avuto una relazione? 
"MAI?"
"No, mai"
"Avrei scommesso che tu avessi dovuto rifiutare chissà quanti pretendenti indesiderati." La mia affermazione sembrò sorprenderla, come se non si rendesse conto di quanto fosse affascinante. Insomma se solo volesse, potrebbe avere il mondo ai suoi piedi.
"Guardami, non sono esattamente lo stereotipo di riviste di bellezza..." quelle parole furono come una secchiata di acqua gelida. Era seria? Lei era la bellezza. 
"Ti guardo. E credimi, tu hai un'idea assolutamente sbagliata di te." Come mi era saltato in mente? Stavo davvero facendo un complimento esplicito a Maddy? 
"E tu che idea avresti di me?" domandò curiosa  scandendo in maniera quasi provocante quel quesito. Era nei guai adesso. Cosa avrei dovuto rispondere? Avevo fantasticato su di lei almeno un migliaio di volte, soffermandomi sulle sue labbra così carnose, sugli occhi tanto profondi e sul suo meraviglioso corpo formoso. Ma ora? Non riuscivo a mentire, non con lei.
"Io ti considero una bellissima ragazza, in grado di ammaliare chiunque."
"Ammalio anche te?" Da quando era così sfrontata? Non che mi dispiacesse, ma in questa situazione sembrava che i ruoli si fossero invertiti e che io fossi quella imbarazzata. Mi protesi verso il tavolino adiacente al divano e, seguendo l'esempio di Maddy vi poggiai sopra la mia bibita, troppo nervosa per sorseggiare ancora.
"Sì" confessai spudoratamente, senza pensare alle conseguenze. Fu allora che successe l'inaspettato. Si mosse verso di me e, in men che non si dica, mi ritrovai le sue braccia attorno al collo e la sua bocca adagiata delicatamente sulla mia. Sentii quell'inebriante profumo di vaniglia avvolgermi e, dopo il primo momento di sorpresa, ricambiai il bacio. Posai la mia mano sul suo viso, avvicinandola a me con passione e premendo le mie labbra sulle sue, forse con troppa foga, dischiudendole. Lei inarcò il busto, lasciandosi sfuggire un lieve gemito e, in un lampo, mi ritrovai Maddy a cavalcioni su di me. Era così calda, così eccitante da scatenare ogni mia più perversa fantasia. Le cinsi la vita in modo che i nostri corpi fossero un tutt'uno, percependo ogni sua curva. Presa dalla frenesia, lasciai scivolare le mie mani sotto la sua camicetta, accarezzando la sua pelle morbida. La volevo. 
Il suono del campanello fece sobbalzare entrambe. Maledizione, le pizze.
"Forse dovremmo..."
"Si" concordò lei mordendosi il labbro superiore. I suoi occhi ardevano, capii che anche lei aveva sentito il mio stesso irrefrenabile impulso.
A malincuore ci staccammo e lei si precipitò alla porta.
Ma che mi era saltato in mente? Non era proprio da me lasciarmi travolgere così. Certo lei non era stata molto d'aiuto, la sua reazione mi aveva completamente destabilizzata, eppure quel desiderio di farla mia era implacabile.
Non appena Maddy arrivò con le ordinazioni, smisi di pensare al suo corpo sopra il mio e andai a raggiungerla a tavola.

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Capitolo 9
*** Attacchi ***


Durante la cena non ci fu molto dialogo tra noi due, ognuna era persa nei propri pensieri. Io non potevo fare a meno di ripensare a quel bacio, così passionale e anche inaspettato. Le sue labbra erano la cosa più morbida che avessi mai tastato. E la sua pelle... 
Lentamente finii l'ultimo trancio di pizza, senza distogliere lo sguardo dalla mia Coca-cola. Maddy, invece, aveva letteralmente divorato la sua e ora giocava con la linguetta della bibita. Era davvero meravigliosa. 
"A cosa pensi?" Domandai curiosa. Quel silenzio era snervante, soprattutto dopo quello che era successo. Lei vacillò una frazione di secondo, per poi ricomporsi immediatamente. "A tante cose. Non mi era mai successo di lasciarmi andare così con una persona... non sono esattamente il prototipo di persona intraprendente. Ma con te.." era come se stesse cercando le parole giuste "è diverso." Scossi la testa pensando a quanto aveva ancora da dire, ma che per paura non avrebbe mai ammesso. 
"Dovresti lasciar cadere quella maschera. La persona che ho visto io stasera era l'esatto opposto di come ti descriveresti. Sei molto più forte di quanto pensi." Era vero.
Confidavo che quella ragazza, se solo se ne fosse convinta, avrebbe potuto essere chi voleva; insomma era grintosa, intelligente, affascinante, caparbia... tutte doti che ogni comune essere mortale si sarebbe fatto in quattro per possedere. 
"Come puoi farmi quest'effetto, Ellie Harper?" la sua voce così vellutata riuscì, per l'ennesima volta, a spiazzarmi. 
"Come puoi farmi quest'effetto, Madison Wetmon?" ripetei, cercando istintivamente i suoi occhi. La sua espressione era quasi corrucciata, pensierosa. Avrei passato ore e ore intrappolata in quelle iridi marroni, ma anche allora il suo mondo avrebbe celato ancora dei segreti. 
"Credi nel destino?" pronunciò quelle parole velocemente, prima che potesse pentirsene.
"Non molto" ammisi sinceramente. Siamo noi gli artefici del nostro destino, questo era un po' il mio mantra. 
"Io sì. Credo ci sia un disegno dietro ognuno di noi e che ci siano alcune persone destinate... Insomma che dovevi incontrare per forza, prima o poi." 
"Ma far entrare quelle persone nella nostra vita è una scelta che spetta solo a noi. Quindi il destino come può interagire con questo?"
"Spingendoci a scegliere la via prestabilita."
"Abbiamo opinioni diverse a quanto pare..." 
"Probabilmente mia nonna mi ha inculcato queste idee così bene che liberarmene è ormai impossibile" disse ridendo.
"Tua nonna?" 
"Sì... quando ero piccola mi raccontava tante storie. Diceva ci fossero delle congreghe di... streghe" virgolettò la parola, mostrando quanto poco ci credesse "che proteggevano l'equilibrio naturale delle cose e il suo giusto scorrere. Una sorta di Parche. Poi buttava giù un altro sorso di Bourbon..." 
Si alzò, lasciando cadere il discorso, come a scusarsi per quei bizzarri racconti. L'aiutai a sparecchiare e a pulire, dopodiché mi fece cenno di seguirla al piano di sopra. La scala che percorremmo era in marmo. Entrammo in una stanza color prugna, con un letto matrimoniale a baldacchino posizionato nella parete occidentale. Lenzuola e copriletto erano del medesimo colore dell'intonaco. Sulla parete opposta era stata collocata una televisione al plasma, incastrata nel mobile a più ripiani, provvisto di mensole piene zeppe di libri.
La sua camera da letto.
Si andò a sedere sul materasso, chiedendomi di raggiungerla. Non me lo feci ripetere e mi adagiai di fianco a lei.
"Scusa per quelle stupidaggini... La mia famiglia è un po' strana".
"Veramente era interessante" cercai di non farla sentire a disagio e, senza riflettere, allungai la mia mano verso la sua, accarezzandole il dorso levigato. 
Lei sospirò, rilassandosi al contatto.
Decisi a quel punto di avvicinarmi, poggiando delicatamente le mie labbra sulle sue. A differenza del primo bacio, questo fu più casto, più puro. Assaporai la sua essenza ad agio, giocando prima con il labbro inferiore e dopo con quello superiore, lasciando infine lievi tocchi sui lati della sua bocca. Avrei prolungato volentieri quell'attimo, ma, a malincuore, mi staccai, ricordando quello che ci eravamo promesse dopo che il fattorino suonò il campanello.
"Vuoi che accenda la tv?" chiese Maddy goffamente, probabilmente nel tentativo di spezzare quell'atmosfera carica di eccitazione che ci avvolgeva. Annuii gentilmente senza lasciar trapelare nessuna emozione.
Non appena lo schermo prese vita, una donnina sulla cinquantina seduta dietro una scrivania annunciava un raccapricciante fatto di cronaca: una ragazza era stata aggredita da un animale, probabilmente un puma suggeriva la giornalista. Il macabro attacco era stato segnalato nella contea di Delawere, a ovest di Philadelphia. Era spaventosamente vicino.
"Cavolo... un altro attacco... è il terzo in una settimana" 
Il terzo? Durante la mia degenza in ospedale non avevo avuto modo di seguire gli ultimi avvenimenti e questa serie di incidenti mi era del tutto estranea. Non avevo mai sentito di così tanti casi.
"Non hanno ancora preso la bestia responsabile. Non pensavo che i puma potessero essere così aggressivi, né tanto meno avvicinarsi ad una città" Maddy aveva ragione. Neanche io immaginavo potessero spingersi fino a quel punto.
"Le guardie forestali risolveranno la questione presto" bofonchiai. Distrattamente mi cadde l'occhio sulla sveglia poggiata sul comodino. Le 23! Maledizione. Il tempo era davvero volato. Non avevo voglia di subirmi la paternale dai miei, dovevo rincasare.
Così Maddy mi accompagnò all'uscita.
"Allora ci vediamo domani" 
Domani. La scuola, la solita routine.
"Sì, ci vediamo domani" la congedai con un lieve bacio sulla guancia, augurandole la buonanotte. Dopodiché sparii inghiottita dal buio di Philadelphia.

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Capitolo 10
*** Primo contatto ***


La mattina seguente alzarmi dal letto non fu affatto facile, probabilmente per via degli incubi che sempre più spesso popolavano le mie notti. Il sogno era lo stesso, il castello immenso e lo strano individuo di spalle. Stava fermo, immobile, poi, come se mi avesse sentita arrivare, lentamente voltava il busto, ma il suo volto mi rimaneva oscuro dal momento che finivo per svegliarmi esattamente nell'istante in cui la sua identità stava per essermi rivelata. Ormai quella visione mi perseguitava dal giorno dell'incidente in camera mia e ogni notte quell'individuo camminava nel mio subconscio senza mai, però, mostrarmi il suo viso. Mi ci vollero alcuni istanti per comprendere che quello era l'inizio di una nuova settimana, il lunedì tanto odiato. 
Una miriade di pensieri fecero capolinea nella mia testa. Innanzitutto avrei rivisto Maddy e la situazione sarebbe stata strana dopo gli avvenimenti della sera precedente. Questa era la classica situazione di stallo, in cui non si sapeva esattamente quale fosse la vera natura del rapporto e, tanto meno, come si sarebbe evoluta. Di una cosa però ero sicura, quel calore che mi inondò il petto nel momento esatto in cui lei era stata tra le mie braccia non era scomparso, anzi mi cullava, consapevole del fatto che tra pochi minuti la fonte di tale benessere sarebbe stata di nuovo alla mia portata, inebriandomi del suo essere. D'altra parte però un chiodo fisso continuava a tormentarmi e cioè il fatto che quella mattina sarei stata a contatto con Miss Dubois per la prima volta dopo le rivelazioni del giorno precedente. Mi turbava non poter rivelare ad anima viva le parole agghiaccianti di quella conversazione ma d'altro canto non sapevo neanche io il loro significato. Tutto sembrava troppo strano e la mia razionalità stava vacillando di fronte a tali incertezze. 
Cercai di scacciare via quei dubbi e quelle preoccupazioni che ormai stavano divagando dentro di me, convincendomi ad affrontare la nuova giornata che l'alba aveva portato con sé. 
Jeans e camicia nera erano già pronti sulla sedia e quindi li indossai senza troppa convinzione. Ellie e il ritardo del lunedì, che sorpresa!
Presa com'ero dall'affanno dell'ultimo minuti non mi accorsi che mia madre era salita in camera mia e che ora sostava sull'uscio.
"C'è qualcuno che ti sta aspettando fuori" esordì, non riuscendo a nascondere un tenero sorriso. "Sai non mi hai ancora presentato ufficialmente questa misteriosa ragazza. Un incontro all'ospedale non è sufficiente" aggiunse con aria ironica. Era evidente che quell'affermazione era carica ancora di preoccupazione per quanto successo la settimana scorsa.
"Mamma, non so neanche io cosa sta succedendo tra noi..." ed era la verità. "Meglio che scappi o sarò in ritardo per la prima ora." Non mi sembrava una buona idea irritare l'insegnante del mese, Miss Dubois. Così presi tutta la mia roba e mi precipitai al piano di sotto, lanciai un bacio a mio padre e corsi alla porta d'ingresso. Quando voleva mia madre sapeva essere davvero invadente. 
Appoggiata sulla portiera dell'auto c'era lei. Ancora non mi capacitavo di quanto fosse meravigliosa, la sua figura era la cosa più simile alla Venere di Botticelli che avessi mai visto. 
"Ehi" salutai, avvinghiandola in un abbraccio. Lei di tutta risposta spostò il suo viso, posando delicatamente le sue labbra sulle mie. In quell'istante la mia testa si svuotò, inebriata da quel suo dolce profumo. Quel lieve e fugace contatto alleviò i miei timori, in fondo lei era qui e tutto il resto aveva perso di importanza. Si staccò malvolentieri, continuando però a cingermi la vita con le sue mani. 
"Ehi anche a te. Charlie oggi non c'è, ha preso l'influenza e sua madre ha preferito tenerla a casa, quindi siamo solo noi due stamane." Presa com'ero da Maddy non avevo fatto caso che quel mostriciattolo non era presente. Dovevo chiamarla e aggiornarla sulle ultime novità, magari quel pomeriggio stesso. Non volevo essere una di quelle persone che appena si sistemava mandava al diavolo gli amici di una vita, soprattutto se l'amica in questione era Charlie.
Il tragitto fu piacevole. Tutta quell’agitazione che avevo provato poc’anzi si era ormai dissolta, forse per quella inspiegabile dote che possedeva Madison. Lei, infatti, riusciva a diffondere quiete e sicurezza intorno a sé, risollevando gli animi delle persone che la circondavano.
“A quanto pare la nostra insegnante preferita è già arrivata” esordì Maddy non appena parcheggiò il veicolo. Il mio sguardo seguì la direzione in cui lei aveva posato gli occhi. Una Mustang rossa svettava tra una serie di utilitarie decadenti. Mi ero quasi scordata che fra meno di dieci minuti sarei stata alla mercé di quella enigmatica donna dall’aspetto così seducente. Ogni fibra del mio corpo fremeva al solo pensiero di dover trascorrere un’intera ora nella sua stessa stanza.
“In fondo è solo un’insegnante… un’insegnante che mi metterà un bel richiamo se non mi sbrigo” farfugliai cercando di non lasciar presagire la tensione che ormai si stava diffondendo a macchia d’olio. Non potevo coinvolgerla, non dopo le parole inquietanti che Miss Dubois aveva avuto tanta premura di recapitare.
“Come vuoi...” 
La sua risposta fredda mi fece intuire che ancora una volta mi ero comportata come se volessi liquidarla, senza preoccuparmi di attenuare quel tono gelido che già in precedenza l’avevano ferita. Senza pensarci le diedi un buffetto affettuoso sulla guancia, cercando di diffonderle le mie più sincere scuse. Lei sorrise, poggiando il suo viso sul palmo della mia mano. 
“Vai, o ti spedisco io a lezione!” 
Scoppiamo a ridere e il clima si attenuò. A malincuore scesi dall’auto e mi fiondai verso la classe di storia, sperando di arrivare in tempo. Non avevo nessuna voglia di beccarmi un richiamo da quella docente. 
Non appena svoltai l’angolo del corridoio in cui era situata l’aula designata, una figura snella si parò davanti a me, non curante del caos che la circondava. Per un caso del tutto fortuito riuscii a evitarne lo scontro ma proprio mentre pensavo di aver scampato una rovinosa caduta, andai a urtare una schiena che, all’impatto, sembrò più simile al granito per consistenza che a  carne umana. 
Il contatto mi fece rimbalzare quasi come una molla dritta contro il pavimento. La testa pulsava e un ronzio fastidioso risiedeva nelle mie orecchie.  
La botta fu tale che per un paio di secondi non fui in grado di mettere a fuoco la sagoma che mi scaraventò a terra con tanta facilità. Mentre ancora stavo rielaborando l’accaduto, una mano sinuosa si protese davanti ai miei occhi; istintivamente alzai lo sguardo e la vidi. Immobile come una statua l’insegnante dai lunghi capelli corvini, accuratamente raccolti in una coda di cavallo, mi fissava divertita, porgendomi il suo aiuto. Titubante accettai. Il contatto provocò una scarica di adrenalina di cui non mi capacitai e inoltre il suo palmo era estremamente liscio e… gelido. Anche un pupazzo di neve avrebbe avuto una temperatura corporea più elevata. Indolenzita mi issai in piedi. 
“Dovrebbe prestare più attenzione signorina Harper, soprattutto dopo i precedenti avvenimenti che l’hanno costretta al riposo forzato” Il suo tono era scherzoso, quasi irriverente. 
“Me ne ricorderò.” Volevo solo sgattaiolare via da quegli occhi più neri della pece. 
“Ha battuto la testa e credo che lei possa rischiare una commozione cerebrale. Forse è meglio se la accompagni in infermeria. Ormai ha familiarità con quel genere di luoghi, giusto?”
Sentii montare una collera improvvisa, come si permetteva di deridermi in quel modo? I nostri sguardi continuavano imperterriti a mantenere un contatto visivo in una sorta di sfida di nervi in cui non era concesso indietreggiare. 
“Non ho bisogno della sua supervisione né tanto meno di farmi visitare, di nuovo.” Non sapevo quanto potessi essere credibile dato che sentivo chiaramente la testa intorpidita e gli occhi tutt'altro che vigili, ma non gliela avrei  data vinta, non questa volta.
“Forse non hai capito, la mia non era una richiesta.” Detto ciò, superò le due spanne che ci dividevano e mi afferrò per il braccio trascinandomi di peso verso lo stanzino medico. La sua presa era salda e, non curante degli sguardi indiscreti, continuava a strattonarmi per i corridoi.
“D’accordo, siamo arrivate! Ora mi lasci” Mi sbalordii dal tono squillante con cui scandii queste poche parole. Senza aspettare oltre, lei aprì la porta dell’infermeria e mi spinse dentro. L’incaricata all’assistenza medica sedeva dietro a una scrivania, intenta a leggere una stupida rivista di gossip. Non appena ci vide scattò in piedi, allarmata probabilmente dal mio aspetto malfermo. Prima che potesse avvicinarsi, la mia accompagnatrice le lanciò un’occhiataccia torva, paralizzandola sul posto.
“Perché non va a fumarsi una sigaretta in cortile, qua ci penso io.” 
Le stava ordinando cosa? Dov’era finito il bisogno ossessivo di farmi visitare? Come se non avesse avuto altra scelta l’esile donna uscì, evitando qualsiasi forma di contatto, semplicemente obbedì agli ordini, senza replicare o domandare il perché. 
“Bene, ora che siamo sole” la professoressa ruppe immediatamente il silenzio, non appena la porta si chiuse alle spalle dell’inerme assistente “ posso finalmente avere la tua attenzione. Innanzitutto pensavo fossi un pochino più sveglia. Con tutte le persone che ci sono in questi luridi corridoi vai a urtare l’unica che avresti dovuto evitare. Ma almeno mi hai fornito l’occasione di cui avevo bisogno.” Le sue parole fluttuavano veloci e la mia testa faticava a rimanere lucida.
“Pensavo che sarebbe stato molto più difficile riuscire a isolarti, soprattutto ora che sei diventata così… intima con la signorina Wetmon. Anche se questo non mi sorprende affatto, chiamalo intuito.  
Fossi in te non mi lascerei troppo prendere da queste faccende umane, scoprirai tu stessa quanto siano effimere. Forse è giunta l’ora che ti dia alcune informazioni che ti permetteranno di non dare di matto nei prossimi giorni. Innanzitutto evita ti uscire questa sera o ci saranno delle conseguenze di cui potrai incolpare solo te stessa e il senso di colpa non s'addice a questo bel visino” disse afferrandomi il mento tra il pollice e l’indice. Istintivamente indietreggiai svincolandomi dalla sua mano. Lei rise di gusto e continuò “Seconda cosa, non sono io quella che devi temere di più, preoccupati di te stessa piuttosto. E per oggi può bastare, ti vedo già abbastanza confusa, ma tieni bene a mente quanto ti ho riferito.” Con queste ultime parole, mi sorpassò, uscendo dalla stanza. Prima, però, che voltasse l’angolo ero certa che stesse ancora sogghignando per qualche arcano motivo.

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Capitolo 11
*** Old Night ***


Rimasi imbambolata per alcuni minuti davanti all’uscio. Il dolore che si era impadronito della mia testa stava svanendo, lasciando spazio solo a un fastidioso ronzio  nelle orecchie. Ma non me ne preoccupavo eccessivamente, infatti la mia mente stava ancora cercando di decifrare il messaggio che Miss Dubois in modo alquanto criptico mi aveva appena comunicato. Non aveva senso! Nulla di quello che mi aveva detto seguiva un filo logico… eppure non riuscivo semplicemente ad accantonare quanto successo. 
Alcuni punti non tornavano. Innanzitutto ripercorrendo ora la mia rovinosa caduta, constatai che l’impatto con la sua schiena era stato doloroso quanto schiantarsi contro un muro di mattoni che implacabile mi aveva respinta al suolo. Lei, ripensandoci, non si era minimamente smossa dalla sua posizione nonostante l’urto. Alquanto strano per una donna della sua corporatura… ma c’era dell’altro. Quei brividi che sentii percorrere l’interno scapola erano identici a quella strana sensazione che avvertii il giorno del nostro primo incontro. Non potevo di certo scordare l’irrequietezza che mi aveva perseguitata quella mattina né tanto meno il disagio che i suoi occhi mi infondevano. 
Ormai era tardi per seguire la prima ora e di certo tornare da quell’insegnante a dir poco inquietante non era nelle mie prerogative. Dunque decisi di sostare ancora nello stanzino, almeno fino al suono della campanella. I minuti passavano incredibilmente a rilento, la lancetta dell’orologio non accennava ad arrivare all’ora x e l’attesa si stava facendo snervante. 
Evita di uscire questa sera.
Cosa poteva succedere di tanto grave se avessi ignorato quell’avvertimento? Al solo pensiero le mie viscere si contorsero, provocandomi un’inaspettata nausea. 
Il suono della campanella mi fece tornare con i piedi per terra e in un lampo mi precipitai fuori da quell’angusta stanza, lasciandomi alle spalle quanto era appena successo.
Il resto della mattinata passo lentamente, senza particolari complicazioni. 

Appena entrai in mensa notai immediatamente Maddy che mi aspettava con il suo solito sorriso amichevole seduta in un tavolino appartato, lontano da occhi indiscreti. Presi quanto servivano e la raggiunsi, ammaliata da quella pace che solo con lei riuscivo a provare. Il suo cardigan nero lasciava in mostra un top rosso che segnava al punto giusto le sue seducenti curve. Non avevo fatto caso a quanto fosse particolarmente provocante quel giorno. 
“Allora, come è andata la mattinata?” chiesi nel modo più innocente possibile, prendendo posto di fronte a lei e, soprattutto, accantonando quelle fantasie che ormai stavano divagando. In fondo ero umana anch’io e il suo corpo mi attraeva non poco, però mi ero ripromessa di non affrettare le cose e di lasciarle tutto il tempo di questo mondo. No, non avrei fatto gli stessi errori che avevo commesso con Claire.
“Noiosa” rispose lei, ridendo di gusto. “La tua?”
Decisi di omettere molti dettagli. “Normale, le ore sembravano non passare più”. Il che era vero, quella mattina il tempo era trascorso a rilento.
“Però è successa una cosa che ti lascerà di stucco” disse lei strozzandomi l’occhiolino. “Alla seconda avevo il corso di storia con Miss Tacchi a Spillo. Cavolo quella donna sa come attirare l’attenzione e tutti, a quanto pare, le sbavano dietro.” Avrei giurato che dietro a quell’affermazione ci fosse una nota aspra, come se non le piacesse l’idea che la nostra cara insegnante esercitasse un enigmatico fascino verso ogni studente o docente nei paraggi. “Comunque, appena finita la lezione, mi adopero a mettere tutto in borsa quando all’improvviso sento picchiettare sul mio banco. Era lei. Mi ha quasi spaventata! Se ne stava lì, a fissarmi, e… non so era come se mi stesse psicanalizzando o qualcosa del genere. Ero come paralizzata sulla sedia e poi lei, tutto ad un tratto, inizia a farmi strane domande sulla mia vita nell’altra città, sulla mia famiglia, sul perché del mio trasferimento…e come se nulla fosse mi lascia questo” posò sul tavolo un bigliettino identico a quello che aveva lasciato a casa mia la domenica precedente, il suo biglietto da visita. 
“Magari hai fatto colpo” ironizzai, tentando di tenere a freno l’agitazione che trapelava dalla mia voce e sperando che lei si bevesse il mio goffo tentativo di nascondere la verità.
“Ma non dire fesserie… mi ha anche dato il nome di un pub qua in zona, l’Old Night. Per distrarti un po’ ha detto. Potremmo andare questa sera” 
Conoscevo quel posto, aveva aperto da meno di un mese eppure correva già voce che i proprietari intrattenessero giri loschi di droga o di chissà cos’altro. Ogni giorno, infatti, le dicerie cambiavano, una volta erano spacciatori, un’altra membri di qualche clan malfamato. Insomma era un locale sulla bocca di tutti, che affascinava e spaventava al tempo stesso.
“Non so, è un po’ lontano…”Qualcosa mi tratteneva, qualcosa mi spingeva a non prendere sotto gamba l’avvertimento di Miss Dubois riguardo allo stare in casa quella sera.
“Se non vuoi andare lì, potremmo comunque trovare qualcos’altro da fare”. Era adorabile il modo in cui progettava di passare con me la serata. D’altro canto anch’io sentivo crescere in me il bisogno costante di stare con lei quanto più possibile, per conoscerla, per addentrarmi nel suo mondo. Quella  ragazza mi era entrata dentro in un modo che non pensavo neanche fosse possibile, eppure lo sentivo. Sì, questa volta sentivo qualcosa di nuovo, qualcosa che mi era stato solo raccontato dai libri o dai film e che avevo sempre considerato estraneo a me. Qualcosa di spaventosamente irrazionale.
Volevo davvero seguire il consiglio dettato da una persona che non sapeva nulla di me e di cui IO non sapevo nulla? No, quello che volevo era stare con Maddy.
“Ascolta, che dici se andiamo al bowling? All’Old Night potremmo fare un salto nel week-end.” La decisione era presa e nulla mi avrebbe tenuta lontana da quella fanciulla. 
Vidi i suoi occhi illuminarsi e, annuendo ancora con il volto felice, finì il suo pranzo. Io seguii il suo esempio e in men che non si dica fummo costrette a salutarci. Lei mi avrebbe aspettata nel parcheggio, una volta finite le due ore di educazione fisica che avevo da programma.

Non che mi dispiacesse la pallavolo, ma quel pomeriggio la mia testa era altrove e concentrarmi su una stupida partitella era proprio l’ultimo dei miei pensieri. L’idea di passare l’intera serata con Madison mi riempiva lo stomaco di agitazione. Sebbene fossi riuscita a convincerla a rimandare la nostra uscita all’Old Night, qualcosa mi lasciava presupporre che in quel pub non dovevamo proprio metterci piede. Il fatto solo che fosse stata quell’inquietante insegnante a suggerirlo non faceva presagire nulla di buono. Magari le mie erano solo congetture eppure tutto sembrava così surreale che ignorare anche la più flebile sensazione sarebbe stato un errore. 
Insomma trascorsi le due ore di lezione a corrucciarmi, in attesa del suono dell’ultima campanella. Quando questo arrivò, mi diressi impaziente negli spogliatoi e mi cambiai in fretta, non volendo far aspettare Maddy troppo a lungo.
Il cielo era limpido, terso, senza nemmeno l’ombra di qualche nuvola passeggera. Nonostante ormai novembre fosse alle porte la temperatura era ancora autunnale, il che non faceva che rendermi di buonumore. Non ho mai avuto simpatia per il freddo. L’inverno portava con sé il grigiore di giornate fugaci e la tristezza dell’isolamento; la primavera era la mia stagione preferita. Non si sentiva quel caldo torbido e arido e la natura si risvegliava portando con sé allegria e vita. 
Madison era già dentro l’abitacolo, intenta a giocherellare con la radio quando aprii la portiera. Vidi che sobbalzò leggermente sentendomi far scattare la maniglia.
“Scusa il ritardo” dissi educatamente. La palestra era alquanto distante dal parcheggio e neppure la mia maratona era stata sufficiente.
“Tranquilla, io sono appena arrivata” mi rassicurò. “Allora, per quanto riguarda stasera, pensavo che sarebbe carino mangiare schifezze insieme mentre ti straccio a bowling!” Sembrava particolarmente solare. 
“Ti avverto che sono molto brava a bowling” la provocai. In fondo era vero, avevo sempre spiccato in qualunque attività sportiva. Lei rise di gusto, dando gas. Durante il tragitto mi tempestò di domande: quale fosse il mio genere preferito di musica, a cui risposi semplicemente che prediligevo melodie soft, a volte fin troppo retrò; se avessi già pensato a quale strada intraprendere una volta finito il liceo e io senza esitare dissi che il mio sogno era quello di assistere i malati e che, dunque, avrei tentato la carriera sanitaria. Quando però ribaltai il quesito lei si limitò a dire “Non ho idea di quello che accadrà domani, figurati se vado a pensare cosa ha in serbo per me il destino!” E poi ricominciò con il suo interrogatorio: se amassi gli animali, quale era il mio cibo preferito, se avessi mai avuto un ragazzo. Quando annuii, lei volle saperne di più. 
“Si chiama Samuel ed era il mio migliore amico. Quando mi confessò di provare attrazione nei miei confronti ne rimasi colpita e allora decisi di provare a tramutare il nostro rapporto in qualcosa di più intimo… La conclusione fu che dopo un paio di mesi mi accorsi che quello che sentivo per lui era solo affetto e così, ferito e incazzato, ha chiuso i ponti. Non lo sento da due anni ormai.” Quel paragrafo della mia vita lasciava ancora l’amaro in bocca. A quindici anni non sai cosa vuoi e inizi a sperimentare, le prime birre, i primi baci, le prime cotte. Io sapevo già che gli uomini non erano fatti per me, chiamiamolo istinto. Con Sam però c’era sempre stata complicità e così ci addentrammo in quella storia, ma il risultato fu disastroso. Charlie mi ripeteva che se non era scattato nulla con lui allora mai nessun ragazzo sarebbe stato adatto a me. Come darle torto. Samuel era il classico teenager che avrebbe fatto perdere la testa a qualunque sua coetanea; il suo fisico si stava plasmando grazie al football e la sua carnagione costantemente abbronzata era una calamita. Insomma, il classico moro dagli occhi chiari a cui il fato aveva donato mani invidiabili da quarterback.
Quando la macchina accostò sul ciglio di casa mia, Maddy aveva concluso con le sue curiosità. Almeno per oggi pomeriggio aveva precisato. 
“Allora ti vengo a prendere più tardi? Facciamo 19.30?” chiede garbata.
Io accettai e, prima che potessi pensare di avvicinarmi per salutarla, lei si protese verso di me. Con fare possessivo mi afferrò la vita con una mano e con l’altra il collo, in un attimo, così, sentii le sue labbra poggiarsi bramose sulle mie. Il bacio fu molto passionale, spinte da un irrefrenabile desiderio di possederci, dimenticando momentaneamente il mondo circostante. Esistevamo solo noi, solo i nostri corpi che si cercavano, si toccavano, incapaci di placare la frenesia del momento che pulsava nelle vene. Le mie dita iniziarono a tastare ogni centimetro della sua pelle calda, ripercorrendo le curve dei fianchi e del ventre fino all’inguine. Incurante delle conseguenze le afferrai una coscia e la issai su di me. L’abitacolo era angusto ma ciò non la fermò. Aderì il suo bacino contro il mio e, una volta a cavalcioni sul sedile del passeggero, si avventò sui bottoni della mia camicia. Uno, due… 
Un suono molesto fece sussultare entrambe. Lo schermo del suo telefono poggiato sullo scompartimento adiacente al posto di guida si illuminò e la suoneria insistette rumorosamente. A denti stretti si ricompose, anche se i suoi occhi erano ancora accesi di passione. Si spostò delicatamente nel lato del conducente e rispose secca, cercando di tenere a bada i respiri.
“Dimmi mamma… Sì, sto tornando. No stasera ceno fuori, non preoccuparti non faccio tardi… Sì, ne riparliamo a casa, ora non posso.” e chiuse la conversazione.
Ancora frastornata, decisi che era giunto il momento di rincasare, mio padre doveva essere dentro e non mi sembrava il caso di rischiare di attirare la sua attenzione o quella di un passante. Certo, l’idea di riprendere da dove la chiamata ci aveva interrotte era allettante e, sicuramente, Maddy non aiutava. 
“Forse è meglio che ti lasci andare a casa…” balbettai.
“Sì, mia madre è paranoica e… inappropriata.” Riuscivo a scorgere lo sforzo che quelle parole le costarono. 
Le semplificai il tutto schioccandole un bacio sulla guancia anche se entrambe desideravamo ben altro, ma per il momento ci accontentammo. “A più tardi” dissi scendendo dall'auto. 
“A più tardi” ribadì lei e in pochi secondi vidi il Maggiolino sparire nel traffico di Philadelphia.

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Capitolo 12
*** Dichiarazioni ***


“Ell?” Una voce profonda scandì il mio nome. Mio padre, come sospettavo, era appollaiato sulla poltrona in salotto; sorseggiando una bibita fresca, posava lo sguardo concentrato  sul televisore al plasma su cui stava andando in onda una partita di football.

“Ciao papà.”  
Purtroppo la sua permanenza era ormai agli sgoccioli e fra due giorni sarebbe tornato in Iraq per un altro chissà quanto lungo periodo. Il pensiero di vederlo sparire a bordo di un taxi mi provocava ogni volta un insostenibile nodo alla gola. Misi le mie preoccupazioni in un cassetto e lo raggiunsi lasciandomi sprofondare sul divano. 
“Come è andata la giornata tesoro?”chiese premuroso.
Gli raccontai i corsi che avevo seguito, il comportamento degli insegnanti e il loro modo sapiente di spiegare argomenti complessi a ragazzi annoiati, omettendo ovviamente l’accaduto con Miss Dubois. Ogni dettaglio sembrava interessarlo ma in fondo mio padre era fatto così, prestava la massima attenzione a tutto ciò che riguardasse la mia vita, forse perché provava una sorta di rimorso costante per non essere presente quanto avrebbe voluto. Io avevo imparato ad essere paziente e mai avevo azzardato un commento inopportuno riguardo alla nostra situazione familiare. Andava bene così, non avrei potuto chiedere genitori diversi perché loro mi avevano dato tutto ciò che una figlia potesse desiderare, comprensione, affetto, libertà. Certo non era stato tutto rose e fiori in passato ma gli alti e bassi fanno parte della routine domestica. 
“Sai tua madre a colazione, prima che si fiondasse in ufficio, non ha smesso un attimo di parlare di… Madison giusto? Conosci tua madre, ti inonderà di domande finché non asseconderai la sua richiesta di presentargliela. E se devo essere onesto anche io sono molto curioso!” Esordì mio padre. Sicuramente mia madre lo aveva spinto a prendere in mano la situazione, spronandomi ad aprirmi e a confidarmi con lui. Il nostro rapporto, infatti, si era sempre basato su una fiducia reciproca, coltivata con il tempo grazie all’onestà e al confronto verbale, spesso particolarmente acceso, ma indubbiamente efficace.
“Preferirei aspettare… ci frequentiamo da poco, a mala pena due settimane. E puoi dire alla mamma di non essere la solita ficcanaso! Ah, la mossa di metterti in messo, inoltre, era scontata.” Lui sorrise ripensando a come la moglie era riuscita a incastrarlo, costringendolo a interpretare il ruolo del padre molesto. In realtà lui era solo il portavoce, il gioco sporco era suo compito. 
Mi dileguai al piano di sopra visto che la partita stava attraversando la sua fase calda e, inoltre, avevo una miriade di compiti e troppo poco tempo. 


Prima di entrare in doccia scrissi un messaggio a Charlie, giusto per sentire se le sue condizioni di salute stavano migliorando. 
Ehi mostriciattolo! Non ti sei fatta vedere oggi, Maddy mi ha accennato che stavi male… fammi sapere come ti senti. Io ho da raccontarti un paio di cose.
Poggiai il cellulare sul letto e mi immersi sotto il tanto amato getto d’acqua calda. Sentivo ancora la testa un po’ pesante per via della contusione subita al mattino, però il tepore della gronda alleggerì il fastidio e rigenerò ogni fibra del mio corpo. 
Afferrai l’asciugamano e mi diressi in camera. Ora arrivava la parte difficile, cosa indossare quella sera. 
Maddy ormai aveva intuito che non fossi esattamente il prototipo di ragazza fine o comunque a cui piace sfoggiare gonne e vestiti. Tutt’altro. Jeans, camicie, felpe, t-shirt… ecco, questo era il mio genere. Dunque optai per un pantalone khaki a tubo con la vita rigorosamente bassa e una camicia blu. Certo, il mo look quella sera sarebbe stato discreto, sobrio, e anche con il trucco scelsi di non esagerare: eye-liner nero e, ovviamente, l’amato fondotinta.
Quando finii di prepararmi l’orologio segnava già le 19.20. Un occhiata fugace allo specchio del bagno e via a rotta di collo giù per le scale. I miei chiacchieravano beati in salotto quando mi videro affannarmi a infilare le Converse marroni. Agguantai dopodiché il mio chiodo del medesimo colore e rianimai i capelli con le mani. 
“Esco, non faccio tardi!” annunciai aprendo la porta. Un risolino accompagnò il cigolio dell’uscio che lentamente si richiudeva alle mie spalle.
Quella sera soffiava una lieve brezza invernale. I primi sintomi dell’autunno che indispettito si mette da parte, facendo subentrare l’inverno. Un’aria spettrale aleggiava tra le strade deserte e un’insolita quiete si respirava in quelle vie. La luna piena svettava in cielo in tutta la sua maestosità. Il plenilunio illuminava indifferente la vita terrena, osteggiando la sua potenza. 
Mi guardai in torno in cerca del Maggiolino di Madison, ma senza scorgerne nessuna traccia. Ai piedi, però, del marciapiede opposto a dove sostavo io, vicino a una panca, notai un uomo distinto, dal bel portamento. Un completo blu notte sottolineava palesemente la  carnagione diafana del volto. Un volto arcigno, dai lineamenti ben marcati e dagli zigomi alti. Il dettaglio su cui mi soffermai maggiormente furono sicuramente gli occhi, due iceberg  su cui si scontrò il mio sguardo. Per una frazione di secondo rimasi imbrigliata dalla severità delle sue gelide iridi grigie. Durante quel breve contatto avrei giurato che la sua espressione fosse mutata, trapelando curiosità e indiscrezione, e che le sue labbra sottili si fossero inarcate lievemente in una sorta di provocante sorriso sghembo, scandendo con assoluta precisione una parola, Lilith. Quel nome mi fece trasalire.
Il suono familiare del motore di un auto destò la mia attenzione. Maddy. In un lampo mi precipitai nell’abitacolo, divincolandomi dalla presa ipnotica di quell’individuo. 
“Tutto bene?” la voce preoccupata di Madison irruppe nei miei pensieri, chissà quanto disperata sembrasse la mia faccia. Cercai di reprimere quell’angoscia irrazionale che aveva rotto le dighe del mio subconscio, inondandomi con violenza. 
“Tutto bene” mentii. 
Non del tutto convinta, partì, lasciandosi alle spalle il vialetto di casa mia. Non ebbi il coraggio di voltarmi per accertarmi se quell’uomo fosse rimasto ancora immobile a fissarci, speravo solo che, abbandonando quella strada, avrei abbandonato anche l’irrequietezza che sentivo dentro.


Il Pep Bowl distava poco più di dieci minuti dal centro. Nel complesso l’edificio non spiccava certo per le sue dimensioni, le quali era considerevolmente insignificanti in confronto al Lucky Strike, ad esempio. La facciata, però, costituita interamente da lastre di vetro, attirava non poco l’attenzione. Inoltre le piste erano state ristrutturate recentemente e anche la gestione del bar al suo interno era cambiata. 
Quella sera il parcheggio non era particolarmente affollato. 
Meglio così, pensai, almeno Maddy sarebbe stata più a suo agio.
Non appena varcammo la soglia sentii il telefono vibrare attraverso i pantaloni. Con noncuranza accesi lo schermo e ravvisai un sms di Charlie.

Ehi Ell! Credo che starò ancora domani a casa, giusto per sicurezza. Più tardi ti chiamo, non preoccuparti Maddy mi ha accennato della vostra uscita quindi ti lascerò tutte le mie domande per dopo ahaha Divertitevi belle ;)

Sorrisi leggendo quelle due righe. Sicuramente non mi avrebbe lasciata respirare per i prossimi giorni. 
Senza indugiare oltre, decidemmo di occupare la pedana 3. 
Fu soltanto quando vidi Madison accingersi a selezionare una palla da bowling della misura adeguata che notai il grazioso vestito bianco che stringeva la sua figura, mettendo in mostra le sue gambe slanciate. Un dettaglio su cui non potei fare a meno di soffermarmi furono le mezze maniche in pizzo che davano un tocco alquanto elegante all’abito.
“Adesso guarda e impara” disse lei, strizzandomi l’occhiolino. 
Il tiro fu perfetto, nessun birillo rimase in piedi dinanzi al suo effetto. 
Sbalordita, mi avvicinai alla postazione, sperando di non fare una figuraccia. 
Forza.
La buona sorte accompagnò il mio lancio, mantenendomi al pari della mia avversaria.
Maddy rise, applaudendo le mani. “Sarà proprio una bella sfida!”
E in effetti così fu. Per i primi quattro turni il punteggio si mantenne in perfetto equilibrio. Quella ragazza non perdeva colpi e, in men che non si dica, mi distanziò di un paio di punti. Era da parecchio tempo che qualcuno non prendeva il sopravvento con me in quello sport, forse perché ormai mi ero abituata al livello di Charlie e degli altri nostri coetanei. 
Alla fine vinse Maddy, così decisi di offrire io la cena, cosa che comunque avrei fatto in ogni caso. 
Con i nostri due hamburger andammo a prendere posto in un tavolino adiacente alla zona biliardo.
“Sai non pensavo di perdere”, ammisi sinceramente.
“Beh forse mi sono dimenticata di dirti che nella vecchia scuola c’era una squadra di bowling e che io ne facevo parte” rispose lei, addentando una patatina. La guardai, sgranando gli occhi di fronte a quell’affermazione.
“Ecco scoperto il mistero!” 
“Comunque non te la sei cavata male” ammiccò, mordendosi il labbro inferiore. 
Diedi un morso alla mia pietanza, cercando un altro argomento di conversazione.
“Quando ti sono passata a prendere sembravi essere turbata… è successo qualcosa?”
Maledizione. Mi sentivo una stupida per la reazione del tutto irrazionale in cui Maddy mi aveva trovata quella sera.
“Ah, mio padre riparte a breve per l’Iraq… Sono solo preoccupata.” Mentii.
“Mi dispiace molto… vedrai che il suo ritorno avverrà in un lampo”.
Nel tentativo di sviare il sviare il discorso, ripensai al suo invito a casa sua, dopo il mio ricovero, ricordando quanto aveva accennato a sua nonna.
“Perchè non mi racconti altre storie che tua nonna ti ha raccontato. Sai, sono molto curiosa”.
Lei mi guardò con aria interrogativa, aggrottando la fronte, probabilmente nel tenativo di trovare le parole adatte.
“Lei si considera un’esperta di folklore… è una disciplina che l’affascina molto. Letale quando la mischia con un bicchiere di alcool. Addirittura si definisce una wicca. Non so se hai presente..” Io feci cenno di no con il capo e lei continuò.
“È una specie di religione o setta i cui si riuniscono quelle che noi comunemente chiamiamo streghe. Loro venerano la natura e la proteggono da squilibri che potrebbero turbarne l’armonia… Dio, sono cose assurde lo so.” 
“No, no! È affascinante in realtà”, cercai di rassicurarla dal momento che notavo il suo evidente disagio.
“Pensa che ha addirittura un libro che sembra uscito da chissà quale fiaba, pieno zeppo di disegni strani e segni incomprensibili. Lei lo chiama Grimorio e non vuole che nessuno si avvicini. Una volta provai a leggerne qualche riga ma niente, non ci capii nulla. Dopodiché lei mi ha beccata e sgridata, dicendomi che non potevo ancora sfogliarne le pagine.”
“Lei non si è trasferita con voi, giusto?”
“Non ho più un vero è proprio rapporto con lei da prima dell’incidente. Semplicemente se n’è andata, farfugliando un’altra delle sue scuse. Non è mai stata molto presente nella mia vita, veniva a trovarmi ogni tanto, giusto per le feste. Ma forse è meglio così...”
La serata trascorse in modo tranquillo, discorrendo del più e del meno il tempo volò e fummo costrette a lasciare il Pep Bowl. 
Non appena Maddy accostò l’auto in prossimità del mio vialetto e spense il motore, calò il silenzio. Nessuna delle due sapeva come approcciarsi all’imminente saluto. 
In effetti c’era una cosa che avrei voluto domandarle, qualcosa che mi frullava nella testa da dopo il nostro primo bacio. Respirai profondamente e prima che potessi ripensarci, lasciai che le parole uscissero spontanee e autonome.
“Maddy, che tipo di rapporto è il nostro? Vorrei sapere quello che pensi, vorrei sapere se anche tu senti quello che sento io… insomma sei diventata in pochissimo tempo un tassello imprescindibile della mia vita. Io mi sveglio euforica al mattino pensando che, varcata la porta, ci sia il tuo sorriso ad aspettarmi...”.
Il suo sguardo emanava tenerezza ed emozione e, lentamente, le sue labbra scandirono con precisione poche parole. 
“Ellie, non immagini quanto tempo ho aspettato una persona come te.” Si prese una ciocca di capelli tra le dita e continuò. “Io sento di non riuscire a immaginare un domani senza la tua presenza, sento di voler buttarmi con tutta me stessa in questa relazione. Sì, relazione.” 
Non occorreva aggiungere altro, mi avvicinai e la baciai dolcemente, sentendomi, per la prima volta dopo un letargo che avrei detto essere stato eterno, viva.

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Capitolo 13
*** Storie ***


Non saprei dire con precisione quanto rimasi priva di coscienza, un paio d'ore o un paio di giorni. Ricordavo solo lo strano sogno che mi aveva tormentata durante il mio, si fa per dire, riposo. Il bosco, la sensazione di essere seguita e poi, come se non bastasse, persino la professoressa Dubois era stata oggetto della mia immaginazione. 
Nello stato di dormiveglia in cui mi trovavo, tentavo ora di mettere un po' d'ordine nei miei pensieri, in modo da tornare con la mente lucida all'ultimo ricordo di quando ero sveglia. La testa girava, in balia di un fastidioso ronzio che non accennava a lasciarmi in pace. 
Quel dolore. Ecco qual era l'ultima cosa che ricordavo. Quello era reale. 
Gli spasmi, le fitte lancinanti alla tempia e l'impossibilità di controllare il mio corpo. Ma se quello era reale allora anche il resto non poteva essere solamente frutto del mio subconscio...
Deglutii rumorosamente, schiudendo gli occhi. 
Uno sconfinato soffitto ad arco in mattoni svettava sopra di me, imponente, che lasciava presagire le effettive dimensioni della stanza in cui alloggiavo. 
"Finalmente ti sei svegliata". 
No, non era un sogno, avrei riconosciuto quella voce ovunque. Quel tono piatto, lineare e distaccato poteva appartenere solo a una persona.
Nathalie Dubois.
Mi misi a sedere, poggiandomi allo schienale di quello che sembrava essere un letto a dir poco reale, scrutando meglio l'ambiente circostante in modo da vedere con i miei occhi la presenza effettiva di quella donna.
Ed eccola lì, seduta in una posa del tutto naturale, con un libro poggiato sulle gambe, poco distante da me su un divanetto in pelle nera, adiacente a una vetrata che occupava quasi un'intera parete della stanza. Delle enormi tende in velluto rosso erano state saggiamente accostate in modo da impedire ai raggi del sole di filtrare all'interno, sebbene riuscivo a intravedere che ormai fosse sera inoltrata e che esse fossero superflue in quel tangente.
Il suo viso sembrava divertito. Non l'avevo mai vista sotto quella luce, così rilassata e serena. 
"Dove mi trovo?" chiesi non appena riuscii a sciogliere il fastidioso nodo alla gola, dettato probabilmente dallo straniamento e, soprattutto, dalla paura di essere finita in una pessima situazione. 
"Questa è una curiosità più che lecita, anche se ormai credevo ti fosse chiaro. Evidentemente è ancora troppo presto, o forse ti serve qualche incentivo... Vediamo di rimediare." Le sue parole non erano mai state tanto criptiche e lei lo notò dalla mia espressione al quanto smarrita. "Hai idea di come tu sia arrivata qui?" domandò pazientemente.
"No... l'ultima cosa che ricordo è di essere svenuta sul ciglio della strada di fronte al vialetto di casa mia."
"Tutto qui!?" incredula tamburellava con le unghie sul bracciolo del sofà. "Beh, in tal caso sarà opportuno un chiarimento da parte mia. Quello che mi hai appena raccontato è accaduto tre giorni fa." 
Tre giorni? Possibile che avessi avuto un vuoto di un lasso di tempo così vasto? I miei genitori, Maddy, Charlie... qualcuno mi starà cercando, conoscendo i miei avranno sicuramente avvertito tutte le forze dell'ordine impegnandole nella mia ricerca.
"Devo tornare a casa..." balbettai, cercando di mantenere un minimo di controllo, mascherando l'agitazione che a poco a poco sarebbe divagata a macchia d'olio.
"Mi dispiace ma questo non è possibile. Anche volessi scappare e, fidati, ti ritroverei prima che tu possa anche solo provare a mettere un piede fuori dalla porta, ti perderesti. Ora sei spaventata, lo leggo nei tuoi occhi, ma credimi se ti dico che sono l'unica in grado di poterti aiutare. Se ora tornassi a casa la situazione potrebbe sfuggirti di mano. Tutto ti sarà spiegato a tempo debito, non temere."
"Voglio delle spiegazioni ora. Come può pretendere che io mantenga la calma dal momento che lei mi ha rapita!"
"Innanzitutto, non sono io quella che ti ha rapita. C'era un uomo che ti stava seguendo da svariati giorni. E scommetto anche che tu sai di chi sto parlando".
L'individuo di fronte casa mia. 
Dal momento che non accennavo nessuna risposta, la professoressa continuò.
"Dopo che sei svenuta, sono intervenuta appena in tempo prima che ti portasse via con sé. Poi ti sei svegliata e hai iniziato a correre per il bosco che circonda il maniero finché non ti sei accasciata a terra. Ti ho trovata e portata dentro. Gli altri stanno ancora cercando quell'uomo, ma non siamo riusciti a vedere il suo volto anche se qualche sospetto lo abbiamo."
Gli altri? 
"Siamo?"
"Oh, conoscerai tutti a breve. Anzi perché non ti alzi e vieni con me in sala da pranzo, sarai affamata e, inoltre, sarà soddisfatto ogni tuo dubbio."
Detto ciò, ripose il libro sul divanetto e andò ad aspettarmi all'uscio.
Titubante, scostai il lenzuolo e la raggiunsi, incapace di proferire parola. Una cosa positiva c'era: avevo riacquistato la sensibilità del mio corpo.
Se la stanza in cui mi trovavo era maestosa, il resto del maniero era a dir poco immenso. L'intera struttura trasudava un'epoca passata con i suoi archi e i suoi arazzi che pendevano lungo svariate pareti massicce. 
Percorremmo una scalinata in marmo e ci addentrammo in quella che doveva essere la sala da pranzo. 
Una lunga tavolata occupava il centro della stanza. Rimasi a bocca aperta dalla quantità di cibo con cui era stata imbandita e dalla cura con cui erano stati disposti i piatti. 
"Serviti pure" annunciò Miss Dubois.
Senza pensarci troppo mi fiondai sul banchetto. Pollo, maiale, salmone e un'altra miriade di leccornie mi attendevano. Assaggiai quasi tutto, sorpresa dall'appetito furente che non credevo di avere. 
In silenzio anche la mia insegnante, o forse dovrei dire ex insegnante, prese posto accanto a me, limitandosi a versarsi un bicchiere di vino in un calice.
Quando fui completamente sazia, respirai profondamente e dissi: "Ho bisogno di risposte. Chi era quell'uomo che voleva rapirmi? E perché lei ha messo gli occhi su di me fin dal primo giorno in cui ha cominciato a insegnare? Quando ha fatto l'appello quella mattina lei sapeva esattamente chi fossi, ancora prima che io alzassi la mano sentendo pronunciare il mio nome... sbaglio?" Volevo apparire sicura di me, in modo da dimostrare la veridicità di quanto appena affermato, ma il mio tentativo risultò solamente goffo e disperato.
"Partiamo dalla seconda domanda. Non sbagli, io ero a conoscenza della tua identità ormai da tempo, anzi tu sei stata il motivo per cui mi hanno mandato in quello squallido liceo. Ma ti avverto. Quello che stai per apprendere supera di gran lungo quanto la tua mente umana possa comprendere." si portò la coppa alle labbra e ne bevve un piccolo sorso, poi proseguì. 
"Come penso tu abbia già constatato, non sono un'insegnante, benché senz'ombra di dubbio sappia più cose di tutti loro messi insieme. So anche che tu e Madison avete tentato invano di carpire qualche informazione su di me dal web."
"Solo un articolo del '71". La corressi.
Il suo sguardo si incupì, rivelando per la prima volta un lato quasi animalesco nelle sue iridi, facendomi sussultare sulla sedia.
"Una piccola mancanza." Non osai controbattere, terrorizzata dal suo atteggiamento furente, ma aspettai che si placasse e che proseguisse. 
"Da dove iniziare..." si domandò una volta ripreso il controllo.
"Perché cercava me?" chiesi, non riuscendo a trattenere lo sbigottimento.
"Smettila di darmi del lei, mi fai sentire a disagio" non immaginavo neanche lontanamente  che qualcuno potesse mettere a disagio proprio lei. Lei che sembrava uscita da chissà quale rivista di top model. 
"Devi sapere che quella che hai vissuto fino ad ora non è la tua vita. Tu sei destinata a qualcosa di molto più grande e io, beh, ho il compito di farti ricordare chi sei. Quei sogni, quel dolore che ti ha assillato erano solo i campanelli d'allarme. Dovrai affrontare prove molto più dure."
"Tu sei pazza..." bofonchiai. Mi stava riempiendo la testa di assurdità per giustificare un vero e proprio rapimento! Ecco, questo era. Un rapimento in piena regola.
"Quando i ricordi inizieranno a fluire, tutto ti sarà più chiaro. Credi nel sovrannaturale?"
"Certo che no" che domanda era? 
"Allora dimmi, come faccio a sapere che la sera in cui sei stata ricoverata hai avuto delle visioni?"
Questo me lo aveva già detto il giorno in cui era venuta a trovarmi inaspettatamente, non appena ero stata dimessa. Da allora non ero riuscita a darmi una risposta. Scossi il capo, incapace di spiaccicare una sillaba.
"Sembri un cucciolo smarrito" disse scoppiando poi in una risata cristallina. "Perdonami. Devi sapere che un tempo esisteva una donna incredibilmente bella, a cui il destino aveva riservato una sorte atroce. Ella viveva in Grecia."
"Non voglio che mi racconti favole, voglio la verità" esordii interrompendo la sua narrazione.
"Abbi pazienza e non interrompermi" disse irritata. "Dunque, lei e la sua famiglia risiedevano a Megara. Di umili origini, il padre commerciava in lungo e in largo per poter provvedere alla felicità dei suoi familiari e, soprattutto, per poter accontentare ogni desiderio della figlia tanto amata. La fanciulla, però, non era certo nota per la sua bontà d'animo, anzi era egoista e pretendeva per sé quanto di più regale potesse esistere. Il suo cuore era offuscato dalla avarizia e dalla lussuria più sfrenata, tanto che in più di un'occasione rischiò di mandare in rovina la propria famiglia, scialacquando i pochi soldi che possedevano in beni superflui. Iniziò così a intrattenersi con uomini potenti, allietando le loro notti. Fu proprio uno di questi, Kyros, che si invaghì di lei. La ricoprì di attenzioni degne di una regina, sperando così di poter far breccia in quella gelida corazza che abitualmente ella indossava in sua presenza. Saltuariamente lei respingeva le sue assidue proposte di trascorrere il resto della vita insieme e questo fece infuriare la madre di Kyros, che assisteva impotente alla rovina del figlio. Anthia, questo era il suo nome. Su una collinetta, Caria, svettava in tutta la sua maestosità il tempio di Dioniso, di cui Anthia era sacerdotessa. Quello che molti non sapevano era che la donna si dilettava anche in riti occulti, sacrifici umani e orge dionisiache, tutto rivolto ad accaparrarsi i favori del Dio. Una notte drogò la fanciulla, dopo che aveva consumato il suo rapporto con Kyros, e la rapì. Fu seviziata e violentata più volte da uomini e donne completamente in balia di allucinogeni, grazie ai quali tutte le inibizioni svanivano, proprio secondo usanza a Dioniso. Lei non fu l'unica vittima di quel terribile massacro, molti altri innocenti subirono gli stessi trattamenti. I suoi carnefici credevano di averla uccisa o che comunque le bestie avrebbe finito il lavoro al posto loro, non potevano certo immaginare che in quel lago di sangue lei avesse ancora le forze per rimanere aggrappata alla vita. Alle prime luci dell'alba un giovane discepolo dell'ordine comandato da Anthia trovò il suo corpo martoriato, sorpreso del fatto che avesse superato il rituale. Lui voleva porre fine alle sue sofferenze ma vide qualcosa nei suoi occhi che gli impedì di compiere quello che andava fatto. Si narra che egli, inesperto, ruppe l'equilibrio naturale delle cose salvando colei che ormai era destinata a perire; fece ricorso a quella che i Greci chiamano αρχέγονη μαγεία, la magia primordiale nata da Chaos in persona, oscura entità originaria a cui si riconduce la nascita del mondo. Quella fanciulla rinacque, rinvigorita di forza nuova. Ma non era più umana. L’ignaro benefattore creò il primo essere immortale.”
Miss Dubois interruppe il suo racconto, pensierosa. I suoi occhi, intenti poc’anzi a scrutarmi meticolosamente, ora danzavano tra me e l’uscio della stanza, come se stessero aspettando la comparsa di qualcuno. 
Immobile, riflettevo sulle ultime parole che avevo udito, incapace di trattenere lo sgomento e l’incredulità. No, non riuscivo a etichettare quella storia come veritiera, per me era un semplice mito, appartenente a chissà quale tradizione popolare. Una donna immortale, che sciocchezza. Certo, il suo destino era stato a dir poco macabro e ingiusto, questo non lo mettevo in discussione, e magari quella sorte era toccata a molti innocenti. Ricavarci sopra, però, una favoletta per spaventare i bambini era eccessivo.
Tra di noi era calato il silenzio, quando tutto a un tratto un giovane uomo fece il suo ingresso in sala. Emanava sicurezza, il suo passo fermo non lasciava trapelare alcun segno di sorpresa nel vedere un’estranea seduta a banchettare in casa.  Il suo aspetto era molto simile a quello di Nathalie, sotto svariati punti di vista sembravano appartenere alla stessa famiglia, tanto che ipotizzai subito che fossero fratelli. La stessa carnagione diafana, lo stesso portamento fiero e la stessa, ineguagliabile, bellezza. Solamente gli occhi si differenziavano. L’uomo infatti vantava due imperscrutabili iridi  nocciola.
“Sei già arrivata alla parte divertente.” Esordì con tono divertito. La sua voce era calda, profonda. 
“Ivan, tempismo impeccabile”. Sogghignò Nathalie. 

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