Dove il mondo è matto

di Fiore del deserto
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'uomo con la lepre ***
Capitolo 2: *** Cos'è la fantasia ***
Capitolo 3: *** Il padrone di casa del Cappellaio ***
Capitolo 4: *** Frammenti di memoria ***
Capitolo 5: *** Una strana e familiare parola ***
Capitolo 6: *** Cose impossibili da credere ***
Capitolo 7: *** Quel giorno ***
Capitolo 8: *** Nella tana di coniglio ***
Capitolo 9: *** Folle dignità ***
Capitolo 10: *** Alice moltosa ***
Capitolo 11: *** Proteggere Alice ***
Capitolo 12: *** Luna sorridente ***
Capitolo 13: *** Scappiamo, Alice ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** L'uomo con la lepre ***


Rullo di tamburi! Sissignori, sono di nuovo qua con una follia tutta nuova!
Tutta per voi! Tutta particolare!
Questa storia, è bene che lo sappiate, è dedicata ad ognuno di voi. Per la vostra generosità, per il supporto che mi avete sempre dato e, soprattutto, per qualcosa di molto particolare che vi appartiene fortemente: il vostro cuore.  Sì, esatto. Mi avete donato il vostro affetto ed io, giorno per giorno, mi sono sentita veramente apprezzata. E senza di voi, creature speciali, non sarei mai riuscita a credere in me. Grazie a voi non provo alcuna vergogna per mostrare apertamente chi sono in realtà, una giovane adulta ( all’anagrafe ) con una gran voglia di scrivere follie.
Ma basta chiacchierare, passiamo dritti a questa nuova folle avventura.
Come già detto, questa storia sarà molto diversa rispetto a tutte le altre. Quindi, in questa prima parte, per non confondervi, vi darò degli schemi che potranno servirvi.
 
UNO
 
Questa storia non è un AU. Per quanto possa sembrarvi strano, vi assicuro che non lo è per niente. Abbiate solo un po’ di pazienza e capirete.
 
DUE
 
Il Cappellaio avrà un aspetto del tutto identico a come lo abbiamo visto nel film “ALICE ATTRAVERSO LO SPECCHIO”, durante la sua prima ( seriosa ) apparizione: un uomo con un abito grigio scuro, capelli rossi ben pettinati, sopracciglia un po’ sfoltite. Insomma, se vi state chiedendo “E’ lui o non è lui?”, io vi rispondo: CERTO CHE E’ LUI. Lo so, sembrerà un austero banchiere di Londra, ma state sereni che è lui. Perché l’ho ritratto in questo modo? Lo vedrete più in là.
 
TRE
 
Per chi ha letto il libro di Lewis Carroll o il nuovo libro di “ALICE ATTRAVERSO LO SPECCHIO” , partirà già avvantaggiato, poiché lo noterà dal mio modo di esporre la storia. Per chi non lo ha ancora fatto, vi informo che in questa storia mi attengo fortemente ai dettagli di essi, più che per il film ( ma mi riferisco, per lo più, al sequel ).
 
 
QUATTRO
 
Non date nulla per scontato e aspettatevi qualsiasi sorpresa di ogni genere. Le sorprese sono tutte ben nascoste, alcune a pochi centimetri dal vostro nasino.
 
 
CINQUE
 
La storia è ambientata in una Londra simile a quella del film di Sweeney Todd. Ho pensato di farlo per un motivo preciso: il Sopramondo rappresenta la staticità, la costrizione che gli adulti impongono per essere accettati, al contrario del colorito Sottomondo dove tutto è permesso e dove ognuno può sentirsi libero.
 
SEI
 
Quando arriverà il momento, se vi interesserà, naturalmente, vi da dove ho preso l’ispirazione per la creazione di questa nuova follia.
Si parte verso una nuova avventura!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Avvolta nel grigiore delle nubi, Londra era stata inghiottita nuovamente da un violento acquazzone.
Il freddo pungente e i continui sbalzi di temperatura, con un tempo così ballerino e capriccioso, avevano fatto ammalare non poche persone.
La maggior parte erano bambini. Gran parte di loro si erano visti costretti a letto per via di una brutta influenza.
Ma le condizioni meteorologiche non avevano risparmiato nemmeno gli adulti.
I tuoni si alternavano, echeggiando tra la pioggia scrosciante.
Una giovane signorina che aveva contratto l’influenza se ne stava sdraiata tra le calde coperte.
Non era tornata a Londra da nemmeno un giorno e già si era ammalata. Prima di addormentarsi, Alice ricordava come il vento piacevole le scompigliasse dolcemente i capelli, sotto il sole dell’Oceano Indiano durante il suo viaggio di ritorno verso casa.
Il ticchettio della lancetta dei secondi dell’orologio aveva continuato a fare eco per tanto, tanto tempo.
Con il sostegno della stimata compagnia di navigazione Kingsleigh&Kingsleigh per i suoi progetti commerciali, il capitano Alice Kingsleigh e sua madre, il commodoro Helen Kingsleigh, erano riuscite a permettersi una vita più decorosa.
Purtroppo, non tutto era ancora permesso. Nessuno al mondo aveva il diritto di possedere tutto quello che desiderasse.
Ogni cosa, purtroppo, aveva il suo prezzo.
Alice, se voleva andare avanti nella vita, sotto il consiglio della madre, se voleva realmente dare modo di farsi rispettare come donna capitano ( cosa ancora alquanto rara nel luogo in cui lei proveniva ), doveva assolutamente cambiare modo di pensare.
Viaggiare per mari stranieri comportava anche pericoli e, palmo a palmo, Alice doveva ricredersi sul fatto che la sua sete di avventura non era sempre scoperte sensazionali.
Pirati e delinquenti, per mari e per terra, erano tutti dietro l’angolo. Una signorina era una preda facile, soprattutto se non in grado di difendersi.
E i suoi uomini non potevano di certo ritenersi motivati se a comandarli era una signorina che avesse la testa piena di fantasia.
In più, ora Alice si era vista dovere proteggere anche sua madre dai pericoli sempre nascosti dietro l’angolo.
Non è difficile immaginare come, gradualmente, Alice avesse sempre meno tempo per fantasticare e rimanere fedele ai suoi sogni di fanciulla, per fare spazio alle responsabilità e e ai pensieri degli adulti.
Con i soldi ricavati, erano riuscite ad acquistare una casa più grande e più comoda.
Calda e accogliente.
Con il tempo, probabilmente, avrebbero potuto permettersi il lusso di poter assumere uno
o più domestici per poter curare la casa durante la loro assenza dovuta ai viaggi per affari.
Dopo due giorni di influenza, lo stato di salute di Alice aveva avuto un calo vertiginoso.
L’influenza, infatti, si trasformò in febbre alta e questo la costrinse al riposo assoluto.
Il medico assunto da Helen, dopo averla visitata accuratamente, era stato chiarissimo.
Alice doveva stare a casa, niente lavoro, niente mare, niente fatica.
Solo assoluto riposo.
A malincuore, Alice dovette obbedire.
La madre, per cercare di rincuorarla, le aveva fatto vedere il lato positivo della situazione: dopo tanto lavoro, avrebbero dedicato più tempo a loro stesse.
Alice si convinse quasi subito, ma per lo più lo aveva fatto per sua madre: non più nel fiore degli anni, aveva tutto il diritto di un po’ di meritato riposo.
 
Il suo sonno era stato tormentato, forse a causa della stanchezza, forse a causa della febbre.
Pertanto, Alice ebbe l’impressione di avere udito una voce.
« Perché non giochi con me? »
La ragazza riaprì gli occhi. Non c’era nessuno nella sua stanza.
Si passò una mano sulla fronte sudata e, riassunta una posizione più comoda, cercò di riaddormentarsi.
Ma un sogno molto strano le aveva fatto visita.
C’era un uomo davanti a lei. Un uomo dalla stranissima chioma rossa, con folte sopracciglia che gli incorniciavano un paio di spiritati occhi di un verde innaturale, vestito in maniera bizzarra e con un grande e alto cilindro sulla testa.
L’uomo aveva un’espressione basita, quasi rattristita. Le stava parlando.
« Non ti ricordi più niente? » le domandava, ma Alice non gli rispondeva « Avevamo promesso che ci saremmo incontrati nel palazzo dei sogni. »
Alice aveva fatto un passo indietro
«... e laggiù avremmo  continuato a ridere e giocare per tutta la vita. » continuava quello strano uomo.
Alice, colta dallo spavento, si svegliò di soprassalto. Il suo respiro si era fatto pesante e prese a lamentarsi.
Helen, richiamata dai versi della figlia, si precipitò a soccorrerla.
- Va tutto bene, Alice. – le disse poggiandole una mano in fronte per sentirle la temperatura – E’ stato solo un brutto sogno. –
Alice tirò un sospiro di sollievo.
Era stato solo un sogno, niente avrebbe potuto mai farle del male.
 
La sua fantasia si era arrugginita e indebolita drasticamente, ma il suo corpo era abbastanza forte da potersi riprendere in pochi giorni.
Per inaugurare il miglioramento della salute della figlia, Helen le aveva proposto di fare una passeggiata per le vie di Londra.
- Ottima idea. – si entusiasmò Alice.
Fuori c’era il sole e una passeggiata le avrebbe fatto bene. Si mise un cappotto pesante e una sciarpa calda per non avere una ricaduta e, quando fu pronta, uscì a braccetto con la madre.
La grigia Londra non aveva molti paragoni con le colorate città orientali che lei e sua madre avevano visitato.
Era vergognoso dovere ammettere di abitare in una zona compromessa dalla pesante aria di carbone bruciato che fuoriusciva dagli sporchi camini delle case, dal linguaggio scurrile e volgare delle persone, per lo più appartenenti alle classi sociali di rango inferiore al loro e, purtroppo, anche i bambini possedevano un vocabolario piuttosto ricco di oscenità.
Nel loro cammino, Helen e Alice avevano avuto modo di sentire un commento spiacevole nei loro riguardi da parte di un paio di monelli di suppergiù dieci anni.
- Che indecenza! – bisbigliò Helen seccata – Mi chiedo se il mondo potrà mai andare avanti se vi sono bambini che non sappiano cosa sia l’educazione. –
- Sono solo dei bambini. – disse Alice per non fare alterare la madre.
- Ed è questo il punto. Se non imparano sin da subito le buone maniere, finiranno col cadere nell’ignoranza totale. –
Alice sapeva perfettamente che il discorso della madre non facesse una piega.
Davanti a loro, infatti, non vi erano solo persone ben vestite che occupavano un elevato ruolo nella società: in alcuni angoli bui, ma anche alla luce del sole, potevano vedersi mendicanti e straccioni, uomini e donne e anche bambini, dai volti grotteschi che non ispirassero la minima fiducia.
Sembrava che il mondo stesse andando sempre più indietro.
Mentre camminavano, ad un certo punto, madre e figlia intravidero una piccola folla intenta a guardare qualcosa.
Incuriosite, Alice ed Helen si unirono a quella gente che si spintonava per poter vedere meglio. Fendendo la folla, le due donne riuscirono a passare sempre più avanti.
Davanti a loro vi era una bancarella stracolma di cappelli che nessuno, nemmeno Alice e sua madre, avevano mai visto.
C’era una sola parola per poterli descrivere: meravigliosi.
A gestire quella deliziosa bancarella era un giovane uomo dai folti e riccissimi capelli rossi come il fuoco, dalla pelle molto chiara, gli occhi incredibilmente verdi e le labbra un po’ violacee.
Alice ebbe un sussulto quando lo vide: era identico all’uomo che aveva sognato quando era a letto con la febbre.
L’uomo stava servendo un coloratissimo cappello a cloche ad una signorina dall’alto rango sociale. A giudicare dalla R marcata, tutti dedussero che l’uomo fosse di origini scozzesi.
Ad un tratto, qualcosa sbucò fuori dalla bancarella e alcune signore cacciarono un gridolino, attirando l’attenzione del cappellaio ambulante.
Alice si alzò sulle punte per capire cosa stesse accadendo e, in pochi secondi, vide un animale dalla pelliccia grigio bruna, il corpo un po’ tozzo e ricurvo e delle lunghe orecchie.
La lepre si fece strada passando sotto le gambe dei signori e sotto le gonne delle signore e, infine, si fermò proprio davanti ad Alice.
Quest’ultima guardò l’animale incuriosita. La lepre prese a graffiare con le unghiette l’orlo della gonna di Alice, ma senza stracciargliela.
- Scusate. – l’uomo si avvicinò imbarazzato facendosi strada tra la folla.
Si chinò e raccolse la lepre da terra.
- Non dategli retta, signorina. Il mio amico Leprotto è un po’... matto. –
Alice guardò l’uomo negli occhi per un minuto intero.
Il suo cuore ebbe un sussulto. Non era solo per via del sogno precedente, Alice sentiva di avere già visto quell’uomo.
- Thackery, chiedi scusa alla signorina. – ridacchiava l’uomo agitando la lepre in modo scherzoso, ottenendo qualche risata generale.
- Non fa niente. – disse Alice.
L’uomo avvicinò la lepre vicino al proprio orecchio.
- Come dici? Per farci perdonare offriamo un cappello alla signorina? Oh, hai avuto una bella idea. – l’uomo fece cenno ad Alice di avvicinarsi e di seguirlo fino alla bancarella.
Alice, sotto lo sguardo indagatore della madre, accettò. Dopotutto, non era cosa di tutti i giorni farsi offrire un cappello.
L’uomo, una volta poggiato la lepre sotto la bancarella, iniziò il suo lavoro. Le sue mani armeggiavano con un nastro colorato, dei fiori di stoffa e una polvere di porporina uscita dalla tasca sotto il panciotto. Estrasse delle forbici da una fondina che portava su un fianco e tagliò un pezzetto del nastro. Diede un ultimo tocco e porse ad Alice un delizioso cappello beige con due rose color zaffiro tempestate di polvere bianca brillante.
Prese uno specchio dalla bancarella in modo che Alice potesse ammirarsi.
L’uomo ottenne un caloroso applauso sia da Alice sia dalla folla.
Erano rimasti tutti quanti stupefatti.
- Hai visto Thackery com’è graziosa la signorina? – sorrideva l’uomo mettendo in mostra il  diastema un po’ largo che gli estendeva il sorriso.
Alice sentiva che ci fosse qualcosa in quell’uomo e in quella lepre.
In quel modo di lavorare i cappelli così armoniosamente, il suo sorriso.
Alice scavava nella sua memoria per cercare di ricordare.
Ma niente. Non trovò niente.
 
 
 

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Capitolo 2
*** Cos'è la fantasia ***


Ciao a tutti ed eccoci di nuovo qui con un nuovo capitolo!
Mi ha fatto veramente piacere che la prima parte vi sia piaciuta... quindi, perché farvi aspettare tanto?
Vi lascio immediatamente alla lettura perché non me la sento di tenervi ancora sulle spine, non meritate tutta questa ansia.
Grazie davvero di tutto! Siete mitici!
Un BACIONE e BUONA LETTURA!

 
Alice e sua madre avevano assistito meravigliate al lavoro di quel giovane cappellaio di strada. 
Più che essere attratta da quei capolavori, Alice aveva tutta l’intenzione di volere parlare con quell’uomo. Avrebbe voluto farlo quel giorno stesso, ma sua madre le tirò un braccio per poter cambiare strada e proseguire con la loro passeggiata.
Alice, mentre si incamminava, ebbe l’impressione che la lepre la stesse guardando.
No, non era un’impressione: la lepre la stava realmente guardando.
Con un brivido lungo la schiena, Alice si rese conto che anche quell’uomo la stesse osservando come se nutrisse per lei un certo interesse. Alice ne distolse lo sguardo e prese a parlare del più e del meno con sua madre, commentando per lo più il meraviglioso cappello che incorniciava la testa di Alice.
Come se una voce glielo avesse ordinato, Alice si voltò nuovamente presso la bancarella e, con un nuovo sussulto, si accorse che l’uomo la stesse guardando ancora.
Quegli occhi verdi non erano impertinenti, non la stavano fissando come un volgare bavoso che puntava lo sguardo maliziosamente verso una bella ragazza, come un cane dalla lingua a penzoloni di fronte ad una scodella piena di cibo delizioso.
Erano occhi curiosi, forse innocenti.
Alice dischiuse lo sguardo e continuò ad avere la sensazione di avere già visto quello strano tizio dal talento fenomenale nell’arte dei cappelli.
Aveva deciso: il prima possibile sarebbe andata a parlargli.
 
Il giorno dopo, il sole era un po’ birichino. Ogni tanto si nascondeva dietro delle grigie nuvole che non promettessero nulla di buono.
Anche se quei nuvoloni fossero carichi di pioggia, Alice era determinata nella sua idea.
Copertasi con un pesante cappotto e armatasi di sciarpa, si incamminò lungo le vie di Londra per poter incontrare nuovamente quel cappellaio di strada. Per farsi riconoscere, nel caso in cui quell’uomo avesse avuto difficoltà nel riconoscerla immediatamente, Alice aveva indossato il cappello da lui creato.
Per la ragazza non era stato difficile ritrovare la strada.
Pochi metri distanti davanti a lei, Alice intravide la bancarella di quell’uomo.
Il cappellaio ambulante stava sistemando alcuni cappelli esposti e, ogni tanto, pareva dedicare un po’ di carezze alla testa della sua lepre.
A causa del cattivo tempo, questa volta c’era pochissima gente e per lei sarebbe stato più facile potergli parlare.
Un commento poco ortodosso aveva attirato l’attenzione di Alice.
- Buongiorno, bella.  –
Alice ignorò totalmente la voce gracchiante di quello sconosciuto e continuò a camminare a passo veloce, non aveva intenzione di perdere tempo anche se si era sentita disgustata da una simile mancanza di rispetto.
Alice trasalì quando avvertì qualcosa afferrarle il polso.
Si voltò e vide un giovane uomo vestito di stracci, dalla barba sfatta e sdentato, puzzolente di alcool che la guardava con occhi malintenzionati.
- Dai, bella. Perché non saluti? Vieni con me che ti offro da bere. –
Alice provò a liberarsi dalla presa.
- Lasciatemi. – quasi urlò con voce disgustata.
La lepre che se ne stava sulla bancarella, intanto, aveva rizzato un orecchio.
Alice venne bloccata nuovamente da quel losco tizio, il quale le aveva di nuovo afferrato il polso.
- Che caratterino. Mi piacciono le donne piene di carattere. –
A quel punto, la lepre emise un lamento. Il suo padrone, dopo essere sobbalzato per il verso inaspettato, si accorse che il suo animale si era messo a correre a più non posso verso qualcuno.
- Ma cosa? – si fermò immediatamente quando vide la lepre mettersi davanti ad un uomo che pareva stesse creando problemi ad una signorina.
Alice vide la lepre e cercò di liberarsi da quella morsa.
- E tu che diavolo vuoi, bestiaccia? – brontolò l’uomo.
La lepre emise un verso simile ad un piccolo ringhio e, immediatamente, il suo padrone l’aveva raggiunto.
Alice spalancò gli occhi speranzosa quando vide quell’uomo dai capelli rossi pararsi davanti a loro.
I suoi occhi verdi assunsero un’aria minacciosa, non si scollavano da quel poco di buono che stesse tenendo quell’indifesa signorina nelle sue spire.
- Signore, ve lo dico con le buone. – lo avvertì marcando il suo accento scozzese – Mi sembrate sotto l’effetto dei fumi dell’alcool, quindi lasciate in pace la signorina e nessuno si farà male. –
Lo straccione lasciò perdere per un attimo Alice e si avvicinò pericolosamente al cappellaio ambulante.
- Fatti gli affari tuoi, scozzese del... –
- Ve lo ripeto, - disse il cappellaio di strada assumendo un’aria sempre più minacciosa – lasciate in pace la signorina e andatevene. –
- Altrimenti? – stava per colpirlo con un pugno, ma lo scozzese schivò il colpo senza problemi. Sotto lo sguardo basito di Alice, la lepre balzò su quello zoticone e gli morse un orecchio.
L’uomo cacciò un urlo di dolore.
Approfittando della situazione, lo scozzese gli sferrò un pugno alla mascella e lo fece ruzzolare rumorosamente per terra.
- Allora, marrano? – domandò – Vuoi finalmente accettare il mio consiglio? –
A quel punto, lo straccione si alzò a fatica e, massaggiandosi la mandibola, si allontanò con la coda tra le gambe.
La lepre si avvicinò ai piedi di una stupita Alice. Si alzò sugli zamponi posteriori.
Il suo padrone si avvicinò alla ragazza.
- State bene, signorina? – domandò ad Alice.
- Sì, signore. E grazie. –
- E’ tutto merito di Thackery. E’ stato lui a sentire tutto. Se non fosse stato per lui, non vi avrei salvato. –
Alice per poco non dimenticò il motivo per il quale era giunta fin lì.
- Signore, sono la ragazza di ieri... –
- Lo so. – disse l’uomo – Ma non chiamatemi “signore”. Sono Tarrant Hightopp, ma gli amici si rivolgono a me chiamandomi “il Cappellaio”. –
Alice gli porse la mano e si presentò.
- Mi chiamo Alice Kingsleigh. –
- Lo so... – Tarrant venne colpito alla caviglia da una testata da parte di Thackery.
- Prego? – domandò Alice.
Tarrant si morse un labbro e, presa con delicatezza la mano di Alice, sembrò avere assunto un’aria un po’ impacciata.
- Voglio dire... sono assolutamente incantato. – le disse facendole un educato baciamano.
Alice notò qualcosa di strano in quel tono.
Il Cappellaio si diresse nella sua bancarella e Alice non poté fare a meno di accorgersi della camminata tesa dell’uomo.
Ebbe la sensazione di conoscere anche quello strano modo di camminare.
- Signore, sono venuta qui per parlarvi. – Alice sobbalzò quando si vide superata dalla scattante lepre.
- Chiamatemi “Cappellaio” o Tarrant, - ripeté il Cappellaio mentre sistemava alcuni cappelli – e non “signore”. E datemi del tu. Non voglio essere adulato. –
- Cappellaio, - si corresse Alice mettendosi davanti alla bancarella, di fronte a lui – devo parlarti. –
- Non c’è problema. – disse il Cappellaio mentre sollevava la sua lepre da terra per poi poggiarla sulla bancarella – Vi ascolto. –
Alice ebbe l’impressione che quel Cappellaio non la stesse guardando negli occhi per via di uno strano imbarazzo.
Prima che Alice potesse proferire verbo, un tuono squarciò il silenzio.
- Oh, no! – esclamò il Cappellaio e velocemente prese a togliere tutti i cappelli dalla sua bancarella e, per evitare che si bagnassero per via della pioggia, tirò fuori una grossa valigia da sotto il banco.
Alice, senza pensarci, gli diede una mano e prima che la pioggia potesse sorprenderli, tutti i cappelli erano stati conservati dentro la valigia.
Alcune gocce presero a cadere.
Il Cappellaio con una mano afferrò la pesante valigia, con l’altro braccio reggeva la lepre.
- Venite, signorina. – le disse e Alice, senza fare domande, obbedì.
Il Cappellaio la condusse dentro il portone di un palazzo proprio di fronte alla bancarella, in modo da poter cercare riparo dalla pioggia.
La ringraziò per avergli dato una mano a salvare i suoi cappelli.
- Non ringraziatemi. – disse umilmente Alice e si corresse all’istante quando vide il Cappellaio inarcare un sopracciglio – Non ringraziarmi. E’ il minimo che io possa fare dopo che mi hai salvato da quel malfattore. –
- Uh, per così poco. – il Cappellaio venne interrotto da un rombo di tuono assordante.
La pioggia scrosciante prese a cadere e il Cappellaio guardò Alice.
Con timidezza e semplicità la invitò a salire a casa sua. Per quanto non potesse essere educato per un uomo invitare una signorina ad entrare in casa propria, sarebbe stato più scortese lasciarla fuori a bagnarsi sotto la pioggia.
Alice accettò. Dopotutto, non dimenticò di dovergli parlare.
- Vi offro del tè. – le disse – Così potrete scaldarvi. –
Il Cappellaio tirò fuori dalla tasca del panciotto una chiave. La inserì nella serratura della porta e girò.
Con galanteria, fece entrare per prima Alice.
- La casa è un po’ piccola. – spiegò il Cappellaio posando la valigia in un angolo – Ma è sempre casa.  –
Alice non era rimasta impressionata dalla modesta abitazione. Le pareti erano un po’ bruciacchiate e tutto intorno era avvolto nel grigiore.
- Sono tempi duri. – spiegò il Cappellaio mentre rimetteva la lepre per terra – Quando lavori come cappellaio ambulante e il denaro è difficile da guadagnare, accetti qualsiasi casa in affitto pur di avere un tetto sulla testa e un letto dove poter dormire. –
Il Cappellaio si offrì di toglierle il cappotto e la sciarpa e la fece accomodare in cucina.
- Qui si sta meglio. – le aveva offerto una sedia – tra non molto il tè sarà pronto. –
Il Cappellaio, dopo essersi tolto la giacca scura, si apprestò a preparare il tè.
Alice sobbalzò quando sentì la lepre saltarle addosso, finendo sopra le proprie ginocchia.
Tarrant, senza voltarsi e continuando a badare alla teiera, non perse tempo per rimproverarlo.
- Thackery, lascia stare la signorina. – il Cappellaio, stuzzicando la curiosità di Alice, si rivolgeva alla lepre come se stesse parlando ad un bambino di non più di cinque anni – Piuttosto, vai a chiamare Mally. Digli che abbiamo un’ospite molto speciale. –
- Mally? – domandò Alice mentre la lepre sgusciò dalle gambe di lei per dirigersi in un’altra stanza, ignorando il termine che Cappellaio aveva usato su di lei.
- Mally è il nostro amico ghiro. – spiegò Tarrant mentre versava il tè nelle tazze.
-  Hai un ghiro? –
- Ha un carattere un po’ particolare. – il Cappellaio parlava come se si stesse riferendo ad un comune gatto domestico, come se tenere un ghiro ed una lepre in casa fosse una cosa usuale – Ma se lo conosci bene, vedrai che ti piacerà. –
Quando le porse la tazza contenente la bollente bevanda, il Cappellaio si sedette di fronte a lei.
- Dunque, signorina. Di cosa volevate parlarmi? –
Alice portò alle labbra la tazza e dopo avere sorseggiato il tè, riconoscendone l’ottimo sapore, la poggiò sul tavolo.
Era molto difficile trovare un punto d’inizio, ma doveva provarci.
- Io ho la sensazione di averti già visto da qualche parte. – disse infine.
- Ah, sì? –
- Il tuo volto. I tuoi movimenti. La tua voce. C’è qualcosa che mi dice di conoscerti già da tempo. –
- Ma davvero? – sorrideva Tarrant mentre alternava i sorsi.
Avvertendo qualcosa di strano, Alice cercò di cambiare strategia.
- Ho notato che ieri mi stavi guardando, mentre me ne andavo. –
- Mmh... – Tarrant si picchiettò il mento con l’indice – Voi dite? –
- Qualche notte fa ti ho sognato. – disse infine lei a bruciapelo.
Il Cappellaio inclinò la testa di lato, donandole uno sguardo tra l’incuriosito e l’enigmatico. Nel vedere quello sguardo, Alice tirò un sospiro.
- Immagino che non sia una cosa sensata. –
Un fragoroso tuono li aveva fatti sobbalzare. La pioggia picchiava la finestra.
Tarrant le sorrise.
- Chi ha stabilito quali siano le cose sensate e quelle insensate? –
Alice si sentì stuzzicata da quel ragionamento, ma prima di poter parlare venne interrotta da una scena particolarmente insolita.
Non era cosa di tutti i giorni assistere ad una lepre che rimbalzava verso di lei con un animaletto, dalla pelliccia immacolata, in groppa sulla sua schiena.
Tarrant si chinò verso i suoi animali e li fece salire sulla tavola.
- Ecco qui anche Mally. – disse indicando il ghiro – Saluta la nostra nuova amica Alice. -
Alice si era stupita nel sentirlo parlare con tanta spontaneità e leggerezza, in modo confidenziale ma non impertinente.
- Cosa ne direste - chiese il Cappellaio ai suoi piccoli amici – di mostrarle alcuni dei nostri giochetti? Fuori piove a dirotto, dobbiamo cercare di colorare un po’ il tempo che abbiamo a disposizione. –
Alice sorrise. Quel Tarrant era un uomo molto strano, ma a lei non dispiaceva affatto.
Finora, era stata l’unica persona più spontanea che avesse mai conosciuto.
In un certo senso, si rispecchiava un po’ in lui.
- Mi piacerebbe molto. –
- Ho una richiesta da fare, prima di iniziare. – il Cappellaio serrò le labbra – Ho il vostro permesso di darvi del “tu”? –
Alice sorrise di cuore. Se quell’uomo le aveva permesso da subito di rivolgersi a lui in maniera amichevole, non vedeva alcun motivo per continuare a farsi dare del voi.
Alice gli accordò il permesso.
Rincuorato dalla risposta di Alice, il Cappellaio si tolse il cilindro dalla testa, scoprendo interamente la sua chioma rossa.
Quando lo vide inserire una mano all’interno del cappello, Alice si aspettava qualche trucco scontato come quello di tirarvi fuori un coniglietto o un mazzo di carte.
Ma il Cappellaio aveva in mente ben altro.
La lepre e il ghiro si misero ai lati di Tarrant e puntarono i loro occhi su Alice.
Il Cappellaio tirò fuori dal cilindro un foglio di carta blu.
Lo stropicciò e, chiusolo nei palmi delle mani, lo arrotolò fino a formare una piccola pallina.
Alice non ne distoglieva lo sguardo.
Tarrant lo riaprì e, infine, lo piegò fino a formare una specie di origami a forma di farfalla.
Alice aveva notato con grande stupore che il foglio non presentava una sola grinza dovuta allo stropicciamento precedente.
- Apri le mani. – le disse sorridente.
Alice obbedì. Il Cappellaio poggiò la farfalla sui palmi delle mani di lei.
- Adesso soffia. – le disse.
Alice ebbe un ripensamento, ma per non rovinare tutto decise di soffiare.
Incredibilmente, sotto gli occhi stupefatti di lei, la farfalla di carta aveva preso a volare intorno ad Alice come se fosse vera.
Non era spaventata, al contrario, era molto entusiasta. Era rimasta meravigliata. La farfalla di carta continuava a volare con leggiadria per tutta la stanza, poi girò intorno ad Alice.
Il Cappellaio, mantenendo il suo sorriso dolce, avvicinò il suo cilindro alla farfalla di carta blu e, quest’ultima, vi rientrò dentro come per uscire di scena.
Tarrant si rimise il cilindro sulla testa e, subito dopo, lo ritolse. Fece notare ad Alice che la farfalla fosse sparita.
Non era nemmeno dentro il cilindro.
- Dov’è finita la farfallina? – chiedeva giocosamente il Cappellaio, rivolgendosi sia ad Alice sia a Mally e a Thackery – Ma dov’è finita quella birichina? – poi, sotto gli occhi di Alice che si aspettavano un altro giochetto da un momento all’altro, il Cappellaio allungò un indice verso il cappello di lei – Forse si è nascosta lì dentro, quella timidina. –
Alice sbarrò gli occhi. Non era possibile, pensava. Tuttavia, si tolse il cappello dalla testa per poter controllare.
Indescrivibile lo stupore di Alice quando vide quella farfalla di carta blu sbucare proprio fuori dal suo cappello.
La farfalla prese a volare di nuovo, si posò sulle mani di Alice, poi sul tavolo e, infine, il suo volo giunse al termine.
Alice batté le mani, sbalordita e meravigliata come non mai.
- Come hai fatto? – chiese al Cappellaio – Ti prego, insegnami questo trucco. –
Il Cappellaio serrò le labbra.
- Che tu ci creda o no.. non c’è nessun trucco. –
Alice scosse la testa.
- Non capisco. –
Il sorriso di Tarrant si estese.
- Se sai sognare e fantasticare, l’impossibile diventa reale. – rivelò il Cappellaio rimettendosi il cilindro sulla sua chioma rossa.
Quella stranissima frase aveva fatto scattare qualcosa in Alice, ma le sorprese non erano finite.
- Tu pensi che io sia matto? –
Alice continuava a non capire. Il Cappellaio faceva domande molto strane, ma allo stesso tempo curiose e stravaganti. Il suo nuovo conoscente si stava rivelando sempre più interessante.
- Penso che tutti i migliori lo siano. – disse lei con la stessa semplicità usata da lui fino a quel momento. Quella frase le era stata rivelata dall' amato padre e mai le era uscita dal cuore. Alice gliel' aveva detto sorridendogli, quasi fosse un segreto che doveva rimanere dentro quelle mura.
La lepre e il ghiro guardarono alternativamente il Cappellaio ed Alice.
Tarrant sorrideva sempre di più.
- Tu sai fantasticare? – le chiese a bruciapelo – Tu sai sognare? –
A quella domanda, purtroppo, il sorriso di Alice si spense.
- Una volta sapevo farlo. – gli disse confidenzialmente – Una volta avevo tempo per poterlo fare. Ma ora non posso più farlo. –
Dopo una breve pausa, il Cappellaio e Alice si erano messi a discutere su cosa fosse la fantasia.
- Che rapporto c’è tra la realtà e tra i sogni? – domandò il Cappellaio – Sapere che un giorno è formato da ventiquattro ore è come sapere che nei sogni il tempo scorre in maniera alquanto bizzarra? O è qualcosa di diverso? –
Il modo di esprimersi del Cappellaio continuavano a trascinare Alice in una discussione che, per troppo tempo, non le era più venuto in mente di fare.
- La realtà stabilisce un senso pratico. – aveva osservato Alice.
- E qual è il senso pratico della fantasia? Si dice che la fantasia sia per i bambini, per gli irresponsabili, per i matti. Non serve a niente. Non ci permette di guadagnarci il pane, non ci cura dalle malattie. –
- Quindi, - disse Alice – vorresti dire che si potrebbe vivere benissimo anche senza di essa? –
- Ma certo! – nel frattempo, il Cappellaio si era alzato dalla sedia e, lentamente si avvicinava ad Alice – E, forse, si potrebbe vivere meglio anche senza di essa. Guardati intorno. Guarda le fanciulle in età da marito. Tu credi che a loro possa interessare la fantasia per vivere? O piuttosto di un marito ricco e mollaccione da poter spennare come un povero pollo? –
Alice stava bene attenta al suo discorso.
- Guarda i ricchi signori. Pensi davvero che abbiano bisogno della fantasia per cercare di cambiare il mondo... o di calpestare chi sta più in basso di loro, per poter marcare sempre di più il loro potere. – Tarrant si sedette di nuovo e prese a carezzare Mally e Thackery – Queste persone non sapranno mai cosa siano le paure, che cosa siano le incertezze. Vivranno senza dubbio meglio di me e di te. La loro vita sarà senz’altro tranquilla, protetta e salva. Senza sogni. Senza fantasia. – poi, il suo tono si fece strano, come se stesse invocando un aiuto dal Cielo – Ma è davvero vita quella? Una vita da desiderare? Senza colore? Senza orizzonti? Che razza di vita sarebbe senza avere mai provato il brivido di cercare di superare l’inviolabile, senza fare uno strappo ad una regola stabilita? Cos’è la vita senza un po’ di follia, se non un’imitazione della vita stessa? –
Alice non si era accorta di essere rimasta a bocca aperta.
In vita sua, non che lei si ricordasse, non aveva mai sentito nessuno affrontare un argomento del genere. Non con una passione simile.
Il Cappellaio aveva tirato fuori un nuovo lato del suo carattere: quella semplice sensibilità aveva toccato qualcosa dentro Alice, la quale continuava a cercare nella sua memoria altri indizi riguardo lui.
Come un picchio che becca ininterrottamente un tronco d’albero, una strana sensazione picchiettava la mente di Alice. Ebbe un ricordo sbiadito riguardo quello strano, ma dolce e sognante Cappellaio. Ma era solo nebbia che, velocemente, si diradava in un soffio di vento. In un lampo, il ricordo era svanito.
- Ma se la fantasia non serve a niente, - chiese Alice – allora perché esiste? –
Il Cappellaio si era fatto trovare preparato.
- Per aiutarci a ricordare che siamo tutti diversi. A cosa serve l’umiltà? A cosa serve la bontà? A cosa serve l’amicizia? – sorrise dolcemente – Le cose astratte non servono mai a niente. –
Alice rifletté sull’opinione del Cappellaio. Quest’ultimo guardò la farfalla di carta blu adagiata sul tavolo.
- Non è stato meraviglioso poter vedere questa farfalla di carta potersi librare nell’aria come se fosse stata realmente viva? –
Alice annuì.
Il Cappellaio prese la farfalla e la porse tra le mani di Alice.
- Non avresti mai provato interesse verso di essa, se non ci fosse stato un pizzico di fantasia nel tuo cuore. –
Alice osservò la farfalla di carta blu.
Fulmineamente, la sua mente venne punzecchiata da un altro ricordo dovuto alla vista di quella farfalla.
Ma anche stavolta la sua memoria fece cilecca.
- Vorrei che la fantasia ritornasse a fare parte della mia vita. – disse lei tristemente, come un malato che invoca la guarigione.
- Questo dipenderà da te. – il Cappellaio le fece un sorriso confortante e le puntò addosso i suoi occhi verdi luminosi – E dal tempo. –
In quell’istante, i raggi del sole avevano fatto la loro comparsa nella stanza, filtrando dalla finestra.
La pioggia era terminata e Alice si era resa conto che si fosse fatto tardi.
Per lei era giunta l’ora di andare.
- Grazie per l’ospitalità. – disse lei e ammise a sé stessa che le dispiacesse dover interrompere quel momento così intenso, in compagnia di quel misterioso e allettante Cappellaio.
- Il piacere è stato mio. – rispose il Cappellaio, cercando di nascondere il rammarico di dover accettare il fatto che la sua nuova amica se ne stesse andando.
Dopo averla aiutata a rimettersi la giacca e la sciarpa, il Cappellaio le aveva fatto una domanda in tono un po’ intimidito.
- Verrai a trovarmi anche un’altra volta? – senza guardarla negli occhi, le porse la farfalla di carta blu come un nuovo regalo.
Alice osservò la farfalla, poi posò gli occhi sul ghiro e sulla lepre ( che, puntualmente, sembravano la stessero fissando ) e, infine, su Tarrant.
Conservò la farfalla con cura nella propria tasca della giacca.
Si era trovata così bene in sua compagnia e un sorrisetto le era nato tra le labbra.
- Mi piacerebbe molto. – disse infine lei, mentre si dirigeva verso la porta di ingresso e, salutando gli animali con la mano, ringraziò nuovamente il Cappellaio per l’ospitalità e per il tempo trascorso insieme.
- E questo è solo l’inizio... – sussurrò il Cappellaio quando Alice se ne andò via, senza che lei avesse avuto la possibilità di sentirlo – mia cara Alice. –
 
 
   

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Capitolo 3
*** Il padrone di casa del Cappellaio ***


Ciao a tutti!
Non so come descrivervi la mia felicità nel sapere che questa storia vi stia piacendo, sono davvero lusingata. GRAZIE DI CUORE!
Devo farvi una piccola premessa: questo capitolo, forse, potrà rivelarsi un pochettino barboso, ma vedrò di rifarmi nel prossimo.
Abbiate pietà  ( detta alla Ugo Fantozzi  ).
Un BACIONE e BUONA LETTURA!

 
Il Cappellaio tornò indietro con la memoria e, con aria malinconica, guardò i suoi amici animali.
Ripensò a quanto fosse diversa la vita a Londra, rispetto allo stile che aveva effettuato durante la propria esistenza nel luogo in cui egli provenisse. Da dove veniva lui, la vita era come un prato fiorito, pieno di profumi e colore, mentre a Londra e dintorni la vita sembrava essere vissuta “per caso”, come se sospesa tra la noia e la staticità.
Non vi erano state persone che gli avessero accennato manco un mezzo sorriso fatto di sincerità. C’era più onestà nelle code scodinzolanti dei cani che nei sorrisi forzati delle persone. Nemmeno ai bambini era permessa la libertà di sognare e di poter essere felici.
Tarrant carezzò la testa di Mally e di Thackery, confortandoli con un sorriso dolce.
- E’ solo questione di tempo. –
Mally gli puntò i suoi occhi grandi e profondi, come se avesse voluto dirgli con voce implorante di volersene andare il prima possibile.
Come se fosse riuscito a captarne il messaggio, il Cappellaio riprese a parlargli.
- Questo dipenderà da Alice. –
I suoi pensieri si erano bloccati quando aveva sentito qualcuno bussare alla porta.
A giudicare da quel modo di picchiare, il Cappellaio capì subito di chi si trattasse e sbuffò davanti alla lepre e al ghiro e, come per divertirli, effettuò una buffa smorfia.
- Un momento. – il Cappellaio cercò di mantenersi misurato quando i pugni alla porta iniziavano a farsi impazientemente più frequenti.
Quando il Cappellaio aprì la porta, cercò di apparire il più serio e composto possibile alla vista di quell’individuo ben vestito e curato nell’aspetto.
Salutò l’uomo chiamandolo con il titolo di cortesia, ma, a causa della sua natura spontanea, Tarrant non riuscì a non sogghignare alla vista di quei buffissimi baffetti arricciati.
- Cosa c’è di tanto divertente? – brontolò l’uomo.
Tarrant si morse le labbra per soffocare le risate e fu una dura lotta dover reprimere la propria natura.
In segno di educazione, invitò l’uomo ad entrare.
- Volete accomodarvi, Lord Ascot? –
- Non ne ho il tempo. – disse Hamish guardandosi intorno con la puzza sotto il naso – Sapete bene perché sono qui, signor Hightopp. Quindi, datevi una mossa. Il tempo è denaro. –
Il Cappellaio guardò i suoi amici animali con aria di intesa e, successivamente, fece un lievissimo inchino ad Hamish.
- Certamente, signore. – solo chi conosceva bene il Cappellaio sapeva che quel tono era sempre da lui usato per ingannare qualcuno.
Infatti, guardò nuovamente Mally e Thackery e, come per parlar loro telepaticamente, pensò “adesso ci divertiamo”. 
Lord Hamish Ascot era il padrone di casa del Cappellaio e quel giorno era venuto da lui per riscuotere i soldi dell’affitto.
Tarrant, in buona parte, era lieto che Hamish avesse deciso di rimanersene impalato fuori dalla porta come uno stoccafisso. Canticchiando, il Cappellaio cercò qualcosa tra gli stipetti. Sembrava molto nervoso, ma in realtà stava solo giocando.
Hamish si stava impazientendo e non faceva altro che mettere fretta al povero Cappellaio.
- Insomma? Volete sbrigarvi? –
Il Cappellaio ignorò totalmente le provocazioni di Hamish e continuava a cercare tra gli stipetti e cassetti.
- Ma dove l’ho messo? – controllava in ogni dove, ma non trovava un bel niente.
Era divertente sapere che quell’arrogante di Hamish se ne stesse fermo lì fuori ad aspettare come uno sciocco. Per provocarlo, Thackery e Mally presero a rincorrersi e giunsero ai piedi di Hamish.
Come si aspettavano, Hamish cacciò un urlo stridulo.
- Signor Hightopp! Controllate le vostre bestie! –
Nel sentire di essere stati definiti in quel modo, Thackery emise un suono simile ad un grugnito e diede una testata alle lucidissime scarpe di Hamish, mentre Mally prese ad intrufolarsi dentro l’orlo dei suoi pantaloni.
Hamish prese ad urlare e strillare e, a quel punto, il Cappellaio si vide costretto ad intervenire.
Afferrò la lepre mettendolo sottobraccio e chiamò Mally a gran voce.
- Forza, Mally. Basta, ora. – non c’era tanta aria di rimprovero nella sua voce.
Il ghiro obbedì e salì sulla mano del Cappellaio. Quest’ultimo li rimise sopra la tavola e finse di rimproverarli, agitando l’indice.
- Questo non si fa. –
Hamish si scosse i vestiti e cercò di ricomporsi, sbuffando e sistemandosi i capelli.
Tarrant, a quel punto, nel sentirlo brontolare con un po’ di più decisione, si vide costretto a finire di giocare.
Sotto gli occhi innervositi di Hamish, il Cappellaio tirò fuori dalla tasca del panciotto un borsellino.
- Quanto sono distratto. – disse il Cappellaio con finta colpevolezza – Ecco dov’era finito. –
Finalmente, pagò il conto dell’affitto ed Hamish bofonchiò nuovamente.
- Vedete di tenere a bada quelle bestiacce, signor Hightopp. Se si ripeteranno episodi analoghi, farò in modo che vengano gettati per strada. –
Tarrant avrebbe voluto difendere i suoi amici, ma la parte più sobria di lui gli imponeva di tacere davanti ad un lord di quel rango e, soprattutto, suo padrone di casa. Ci avrebbe messo pochissimo a scacciarlo via senza pietà.
Con rammarico, annuì.
- Sì, signore. –
A quel punto, Hamish girò i tacchi e chiuse la porta alle sue spalle senza curarsi di salutare. Dopotutto, non si sentiva obbligato a salutare uno straniero di rango decisamente inferiore al proprio.
Tarrant tirò un sospiro di sollievo. Finalmente, quel seccatore se n’era andato.
Poi guardò Mally e Thackery. Sembravano essersi adombrati.
- E allora? Che cosa sono quei musi lunghi? – si avvicinò a loro e si sedette allegramente sopra il tavolo – Coraggio, vi sollevo io il morale. Adesso vi racconto una bella storia. –
Mally e Thackery, nell’udire quel tono di voce ricco di allegria, sembravano avere dimenticato quanto fosse accaduto.
A dimostrazione della sua intenzione di rallegrarli, il Cappellaio prese i due amici animali e se li mise sopra le ginocchia come si faceva con i fanciulli. La storiella era appena iniziata.
 
 
- Dove sei stata? – domandò Helen preoccupata quando vide Alice ritornare a casa, togliendosi la giacca inzuppata.
Per tutta risposta, Alice le disse la verità.
Dato che possedeva un carattere testardo e, su certi aspetti, sicuro di poter andare controcorrente rispetto alle decisioni della madre, Alice aveva ammesso tutto con un sorriso.
Era andata dal quel cappellaio di strada di origini scozzesi e, in più, era stata ospitata da lui nella propria abitazione. E allora? Cosa c’era di tanto scandaloso?
Come da copione, Helen era rimasta basita.
- Ma, Alice... –
- Mi ha salvata da un ubriacone malintenzionato. – spiegò lei – Poi la pioggia ci ha colto di sorpresa. Non volendo lasciarmi fuori per prendermi un malanno, mi ha invitata in casa sua per ripararmi. –
Helen iniziò a ricredersi quando Alice lo descrisse come persona gentile ed educata, tuttavia non si scompose più di tanto.
D’altro canto, però, la gentilezza descritta da Alice nei confronti di quell’uomo le aveva riscosso la coscienza. Dopotutto, l’aveva  salvata da uno zotico dalle brutte intenzioni. Chi altro lo avrebbe fatto?
Più lo descriveva, più Alice ripensava al bel momento passato con il Cappellaio. Ammise a sé stessa di essersi divertita molto con lui, le piaceva moltissimo il suo modo di pensare, il suo modo di ragionare. Era un tipo un po’ strano, forse troppo, ma chi era lei per poter riconoscere chi fosse realmente del tutto a posto con la testa?
Inoltre, il mistero della conoscenza del Cappellaio continuava a tormentarlo.
E in quel momento le venne un’idea.
- Penso che dovremmo invitarlo per un tè. – disse lei sicura.
Helen sgranò gli occhi. Invitare in casa uno sconosciuto? Un cappellaio ambulante?
Stava per replicare, ma il ricordo del salvataggio della figlia e tutte le gentilezze a lei ricavate, le avevano fatto cambiare idea.
- Mi sembra corretto. – disse Helen mentre osservava fuori dalla finestra alcune gocce di pioggia rimaste attaccate che, pian piano, scivolavano dal vetro.
Alice sorrise e si emozionò all’idea che presto avrebbe rivisto quell’uomo così interessante.
Ricordò che la farfalla di carta blu fosse ancora dentro la tasca della sua giacca.
Alice aveva in mente qualcosa di maggiore importanza: capire chi fosse in realtà quel Tarrant Hightopp e sciogliere il mistero che le tormentava la memoria.
 
 
La mattina seguente, il sole aveva preso a brillare. Il cielo pronosticava una tanto desiderata giornata solare.
Alice ne aveva approfittato per dirigersi dal Cappellaio, dove era solito lavorare.
Come i giorni precedenti, lo vide intento a lavorare nella sua bancarella con la compagnia di Thackery.
La lepre aveva alzato un orecchio e si girò di scatto nella direzione di Alice. Si era accorto della sua presenza.
Per richiamare l’attenzione di Tarrant, la lepre batté il piedone facendo prendere un bell’accidente al Cappellaio che, in quel momento, stava controllando meticolosamente le cuciture di una cappello a ventaglio.
Alice portò una mano alle labbra per trattenere una risata.
Il Cappellaio la accolse con un sorriso lieto non appena la vide.
- Hai mantenuto la tua parola. – disse lui allegramente – Ieri mi avevi promesso che saresti venuta a trovarmi un’altra volta. – spiegò – Ma non immaginavo che avresti fatto così presto. – posò il cappello a ventaglio e la sua voce si era fatta più... folle – Ti sono forse... mancato? –
Alice si sorprese nel sentirlo parlare con così tanta confidenza, ma non le dispiaceva affatto. Al contrario, aveva ricambiato il sorriso.
L’idea che esistesse una persona che, come lei, pensasse che non bisognava provare vergogna di mettere a nudo la propria personalità, soprattutto se piena di vita e di armonia, l’attraeva a dismisura.
Alice rimase incantata da quei meravigliosi occhi verdi e continuò a cercare e cercare nella sua testa ogni possibile ricordo. Purtroppo, non ottenne alcun risultato.
Ma ad attirarla maggiormente, era quella spontaneità mai vista. Era come un bambino, dall’animo semplice e ricco di colore.
- Sì, Cappellaio. – disse lei, infine – Te l’avevo promesso. –
Per Tarrant, quelle parole furono come un tuffo al cuore.
« Non è vero. Non sei mai ritornata sul serio. » diceva la parte più folle di lui nella sua testa « Sono stato io a venire da te... » scacciò via quel pensiero il più velocemente che potesse.
- A cosa devo l’onore della tua nuova visita? – le disse come da diversivo – Desideri un altro cappello? –
- Veramente, - lo aveva interrotto Alice – sono qui per dirti che mi piacerebbe molto se oggi venissi a casa mia per un tè. Volevo ringraziarti per quello che hai fatto ieri per me. –
Il Cappellaio era rimasto a bocca aperta quando Alice completò la frase.
- Mia madre ci terrebbe molto. – aggiunse lei.
Tarrant deglutì e sorrise.
- Mia cara amica Alice, sono lusingato... –
- Ci terrei molto anche io. – aveva detto Alice e per il Cappellaio fu più che sufficiente per ricredersi.
Tarrant stava per ringraziarla, ma in quel momento si era avvicinata una persona alla bancarella.
Purtroppo, per loro, non era un cliente.
- Signor Hightopp. Mi domando come facciate a guadagnare il denaro per pagarmi l’affitto, se perdete il vostro tempo pavoneggiandovi con le signorine... –
Per replicare, Thackery gli grugnì contro per manifestare la propria disapprovazione.
Il Cappellaio rimase seccato da quella provocazione, ma si trattenne nel migliore dei modi.
Alice rimase di sasso quando vide Hamish comparirle davanti.
Lo stesso stupore valeva per Hamish quando la riconobbe.  
- Che cosa ci fate voi qui, signorina Kingsleigh? –
Alice sapeva bene come atteggiarsi con Hamish che, ai suoi occhi, rimaneva un povero pollo.
- Ammiravo la meraviglia di questi capolavori, frutto delle mani di questo artista, Hamish. – disse lei con tanta sicurezza – Sono certa che con un talento del genere, i clienti non potranno mai mancargli. –
Hamish rimase in silenzio, come al solito Alice era riuscita a metterlo a tacere.
Tarrant lottava per soffocare le risate. Non doveva essere una bella sensazione per un uomo essere messo in ridicolo da una signorina.
Per non peggiorare la propria posizione, Hamish si rivolse al Cappellaio.
- Vedete di essere sempre preciso e puntuale, signor Hightopp. Seguite queste due regole e andremo molto d’accordo. –
- Naturalmente, signore. – disse Tarrant, indubbiamente prendendosi gioco di lui.
Alice se n’era accorta, lo stesso non poteva dirsi di Hamish.
- Bene. – disse Hamish sistemandosi la giacca – Buon lavoro, signor Hightopp. –
E, per non apparire un burbero, anche se per lui costasse un grosso sacrificio, fece un lievissimo inchino ad Alice per salutarla prima di andarsene per la propria strada.
Alice e il Cappellaio sogghignarono.
- Qualcosa mi dice – scherzò il Cappellaio – che non andrò mai d’accordo con uno come lui. –
- Mi auguro di no. – lo incalzò Alice – Dunque, è lui il tuo padrone di casa? –
- Lo conosci? –
- E’ una lunga storia. – senza molti giri di parole, Alice disse solo che Hamish fosse il suo ex fidanzato.
La mascella di Tarrant si aprì in una grande “o”.
- Tu stavi con quel... quel... ?-
- E’ pazzesco, lo so. – Alice gli sorrise – Ti rivelo un segreto: ancora adesso lo chiamo “faccia-molle-Hamish”. –
Il Cappellaio rise di gusto e si asciugò una lacrima dagli occhi. Non avrebbe saputo trovare un nomignolo migliore per descriverlo.
Dopo aver ripreso fiato, il Cappellaio era ancora rimasto stupefatto.
- Non credo proprio che quel tipo impomatato sia adatto a te. –
Alice lo squadrò e non perse l’occasione per stuzzicarlo.
- E come dovrebbe essere un uomo per essere adatto a me? –
Il Cappellaio, per poco, non cascò nella follia. Prese un respiro e, assumendo una posa naturale, sorrise con gentilezza.
- Questo non può dirlo nessuno, all’infuori di te. – fece una pausa – Una cosa è certa. Sicuramente, non potrà mai esserlo faccia-molle-Hamish. –
Alice prese a ridere seguita dal Cappellaio.
Più passava del tempo con lui, più si sentiva attratta dalla sua personalità.
Quando i due si ripresero dalle risate, Alice gli aveva fatto un sorriso.
- Ti vedrò per il tè? –
- Sarò puntuale... – promise il Cappellaio e, con una spina nell’anima, pronunciò un frase che Alice le aveva detto tanto, tanto tempo fa, modificandola di poco –...prima che tu te ne accorga. –
Quella frase ebbe un effetto consequenziale in Alice.
Ebbe la sensazione di averla già sentita. Per non lasciarsi tormentare dai nodi sempre più fitti di quel mistero che si celasse nel Cappellaio, Alice gli disse quale fosse il suo indirizzo di casa.
Dopo aver salutato Thackery dandogli un buffetto sulla testa, Alice salutò calorosamente il Cappellaio.
Alice non lo sapeva, ma nel cuore del Cappellaio nacque il desiderio che l’ora del tè scoccasse il prima possibile.
 

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Capitolo 4
*** Frammenti di memoria ***


Ciao a tutti quanti!
E siamo già a Settembre, la vita ricomincia daccapo.
Avete trascorso delle belle vacanze? Cosa provate con la chiusura di essa? Rimpianti o voglia di ricominciare?
Spero che abbiate avuto un sacco di momenti speciali che vi abbiano fatto mantenere il vostro sorriso più bello.
E come regalo settembrino... vi aggiorno la storia con un nuovo capitolo.
Spero di poter concludere la storia il prima possibile, poiché i mesi a venire saranno impegnativi per tutti noi.
Un BACIONE e BUONA LETTURA!
 

 
Per un’ora di fila, non aveva fatto altro che provare vari abiti e  guardarsi in continuazione allo specchio.
Va bene che era stato invitato ad un tè da Alice, ma la sua reazione era esagerata.
Per avere un aiuto, il Cappellaio chiedeva consiglio ai suoi amici.
Si presentò a Mally e a Thackery con indosso un completo dai colori tenui, statici e senza dinamicità. La testa rossa sarebbe stata ben pettinata per bene, ogni ricciolo al suo posto, senza apparire trasandato. Un elegante cilindro nero avrebbe aggiunto un tocco di eleganza in più.
Gli faceva male dover assumere un’aria troppo austera e rigida nel vestire, ma l’etichetta di Londra glielo imponeva.
- Allora? – deglutiva il Cappellaio – Come vi sembra? –
Se Mally e Thackery avessero avuto il dono della parola, entrambi non avrebbero fatto altro che ridergli in faccia.
La lepre emise un grido. Il ghiro soffiò col nasino.
- Che c’è? – domandò il Cappellaio, come se avesse capito che, in verità, quei versi corrispondessero a delle risate.
Solo dopo si accorse che, nella fretta, si fosse dimenticato di indossare i pantaloni.
Inimmaginabile l’imbarazzo provato dal povero Cappellaio quando si era reso conto di essersi mostrato davanti ai suoi amici con addosso la biancheria intima.
Nell’imbarazzo e nel nervosismo che tra non molto sarebbe scoccata l’ora dell’appuntamento, il Cappellaio si mise alla ricerca dei pantaloni da indossare.
- Non osate farne parola con nessuno! – imprecò il Cappellaio ai suoi amici.
Thackery e Mally entrarono nella stanza dove vi era il Cappellaio e videro una marea di vestiti volare via fino a finire malamente per terra, mentre Tarrant cercava disperatamente gli indumenti inferiori da poter abbinare.
- Orrendi! – diceva gettando via un paio di pantaloni dopo l’altro – Vecchi! Brutti! Non ne parliamo! –
Il ghiro e la lepre si augurarono che il Cappellaio sarebbe riuscito a trovare il paio di pantaloni adatto il prima possibile, anche perché mancava sempre meno tempo.
 
 
Quando l’orologio scoccò le cinque in punto, Alice scostò le tende della finestra della propria camera.
Il Cappellaio aveva detto che sarebbe stato puntuale e, per la sorpresa di lei, Alice lo vide passare proprio in quel sentiero che lo conduceva dritto nella sua abitazione.
Era stato fedele alla propria promessa.
Alice sorrise di cuore quando lo vide, ma il Cappellaio non poteva accorgersi di lei che lo stava guardando dalla propria finestra.
Agendo d’istinto, seguendo la sua natura entusiastica, Alice si sporse dalla finestra e lo salutò con la mano con un bellissimo sorriso stampato in volto.
Il Cappellaio alzò la testa e si sorprese nel vedere Alice che lo stava salutando.
Era graziosa e il cuore gli si gonfiò di gioia. Lieto di quell’accoglienza, ricambiò il saluto con la mano.
Qualunque persona adulta non avrebbe mai pensato di fare un gesto così spontaneo, un gesto che non era permesso nemmeno ai fanciulli appartenenti ad un’alta classe sociale.
Ma Alice sentiva di potersi sentire più libera con il Cappellaio e questo la faceva sentire bene.
In poco tempo si era accorta di sentirsi a suo agio con lui.
Proprio in quel momento, Helen era entrata nella stanza di Alice e, purtroppo, non aveva gradito il comportamento della figlia.
- Che maniere sono mai queste? – disse la madre – Piuttosto, non farlo aspettare. Vai ad aprirgli la porta. –
Alice avrebbe voluto ribattere. Infondo, non c’era nulla di male su quanto avesse fatto. Ma per non rovinare tutto, aveva preferito recarsi alla porta per accogliere il suo ospite.
Tarrant si presentò a lei con un dolce sorriso stampato in volto.
Ma prima di accomodarsi, il Cappellaio le fece una domanda strana.
- Che cos’hai dietro il collo? –
Alice si portò una mano nel punto indicato dal Cappellaio, ma non vi trovò nulla.
Tarrant, mantenendo il suo sorriso, allungò la mano al collo di lei e, come lo ritirò, tra le sue dita spuntò un fazzoletto colorato.
Alice, ricambiando il sorriso, era pronta ad assistere ad un nuovo gioco di prestigio.
Il Cappellaio rinchiuse il fazzoletto dentro la propria mano inguantata. Schioccò un bacio sul palmo della mano.
Guardò Alice come per dirle di aspettarsi l’inaspettato.
Aprì la mano velocemente e, come per magia, il fazzoletto era sparito e al suo posto sbocciò una margherita con i petali tempestati da polvere di diamanti.
Alice apprezzò moltissimo quel regalo, non finiva mai di stancarsi delle sorprese che il Cappellaio celasse.
Lo fece accomodare in cucina, dove ad attenderli vi era Helen.
- Prego, signore. Tra non molto il tè sarà pronto. –
Il Cappellaio, prima di sedersi, aveva in serbo un’altra sorpresa.
- Non ci si presenta mai a mani vuote, madame. – disse il Cappellaio togliendosi il cilindro dalla testa.
Vi mise una mano nell’estremità vuota e ne tirò fuori uno scellino. Lo ributtò all’interno, bloccò con una mano l’apertura del cappello, mentre con l’altra reggeva la tesa.
Agitò lievemente, mentre Alice ed Helen lo guardarono sorprese.
La prima era entusiasta all’idea di dover ammirare un nuovo trucchetto.
Infine, il Cappellaio rimise una mano all’interno del cilindro e, magicamente, ne tirò fuori un coloratissimo dolce dall’aspetto invitante.
Helen sgranò gli occhi. Alice sorrideva.
Grazie a quel simpatico trucco, il Cappellaio era riuscito a guadagnarsi un pezzetto di fiducia da parte di Helen. 
Successivamente, Tarrant si sedette ma cercò di non incrociare lo sguardo della signora Kingsleigh.
Era di certo una bella signora, ma si sentiva un po’ intimidito davanti a quello sguardo un po’ severo.
- Alice mi ha detto che le avete salvato la vita da un manigoldo. – disse Helen – Non vi ringrazierò abbastanza. –
- Dovere, madame. – disse il Cappellaio cercando di mantenere una voce misurata.
Sotto gli occhi vigili della madre, Alice prese posto innocentemente accanto al Cappellaio.
Helen stava per parlare, ma un fischiare del bollitore aveva attirato la sua attenzione.
Servì il tè verde e il tutto venne accompagnato dalla squisitezza del dolce del Cappellaio.
Le papille gustative di Helen presero a saltare dalla gioia nel sentire quella glassa di sciogliersi nella sua bocca, mentre il pan di spagna era soffice e spumoso. Era così buona che dimenticò le buone maniere e, in barba all’etichetta e al contegno, Helen non riuscì a trattenere il suo apprezzamento.
- E’ paradisiaco. –
Il Cappellaio sorrise di cuore.
- Molto gentile madame. –
Alice, al contrario, provò una sensazione molto diversa.
Come addentò il dolce, il suo cuore si era come bloccato. La sua mente focalizzò qualcosa. Il sapore di quel pezzo di dolce le aveva fatto tornare nella memoria un minuscolo frammento di ricordo.
Il profumo del tè e di dolci, il sapore di quella marmellata di lamponi. C’era qualcosa di molto particolare.
Un ricordo improvviso l’aveva come catapultata in un nuovo mondo: per un istante, le era sembrato di vedere una fila di tavoli apparecchiati con tovaglie dai colori vivaci, sotto un albero davanti ad un vecchio mulino.
La voce di sua madre l’aveva risvegliata.
- Va tutto bene? –
Alice scosse il capo per riprendersi e cercò un diversivo.
- Sì. Questo dolce è fantastico. –
Il Cappellaio ringraziò nuovamente. Era stata grande la sorpresa negli occhi delle due donne quando Tarrant ammise, con una certa timidezza, di avere preparato lui stesso quella delizia per il palato.
- Direi che oltre che ad essere un maestro con i cappelli, – commentò Helen – siete anche abile in cucina. –
Il Cappellaio arrossì vistosamente.
L’ora del tè era passata molto velocemente. Alice si era accorta che il sole era ancora presente e non voleva consumare l’occasione di poter passare ancora del tempo con il Cappellaio. A dirla tutta, non voleva che se ne andasse così presto.
Senza chiedere il consenso della madre, senza preoccuparsi di un rifiuto, Alice chiese al Cappellaio se avesse voluto fare una passeggiata insieme a lei.
Helen, come Alice si aspettava, rimase basita.
Il Cappellaio, seppure sorpreso, si era sentito lieto nel sentire quella proposta.
Alice, nonostante tutto, non voleva mancare di rispetto alla madre.
Con dolcezza, le promise che non avrebbe fatto tardi.
Helen rimase per un attimo in silenzio.
Dopotutto, pensava, quel giovane cappellaio era stato gentile ed educato, quindi perché negare alla figlia di poter passeggiare insieme a lui.
Non le sembrò cortese rifiutare, quindi acconsentì. Riponeva tutta la sua fiducia nella figlia, sapeva di potersi fidare di lei.
 
Per proteggersi dalla penetrante umidità, Alice aveva indossato il mantello beige e, per omaggiare il Cappellaio, si era curata di indossare il cappello da lui creato.
A braccetto, i due percorsero il sentiero chiazzato da piccole pozzanghere dovute alle piogge precedenti.
Il freddo era tale da fare battere i denti, ma i due parevano non sentirlo.
Durante la loro passeggiata, Alice gli aveva sogghignato.
- Se faccia-molle-Hamish dovesse darti fastidio, non esitare a dirmelo. Ci penserò io a rinfrescargli le idee. –
Il Cappellaio ridacchiò.
- Non temere. Thackery e Mally fanno il loro dovere. Pensa che quando li vede, se la fa nelle braghette regolarmente. –
Alice non trattenne una risata.
Per farla ridere di più, il Cappellaio le raccontò l’episodio in cui la lepre e il ghiro, per fargli un dispetto, gli si erano intrufolati dentro i pantaloni.
Alice rise fino alle lacrime.
Quel faccia-molle-Hamish non si sarebbe mai smentito, pensava Alice.
« Non riesce a difendersi nemmeno da una lepre e da un ghiro. »
Nel vederla così allegra, Tarrant ebbe in serbo per lei una nuova sorpresa.
Ma questa volta non si trattava di un gioco di prestigio.
Le indicò una panchina e si sedettero insieme.
- Pensi mai ad un mondo diverso da questo? – le chiese il Cappellaio di punto in bianco.
- Ho girato il mondo. – rispose lei, riferendosi ai suoi meravigliosi viaggi effettuati navigando sull’adorato vascello di suo padre.
Il Cappellaio le aveva risposto con un’irrefrenabile risata.
- Non ti ho chiesto questo. – pian piano, smise di ridere e assunse un timbro di voce da sognatore – Non ti sei mai domandata se, oltre a questo mondo, possa esisterne un altro? Non ti interroghi se la tua fantasia possa suggerirti che ci possa essere qualcosa di più, al di là della realtà stessa? –
Alice aveva assunto un’espressione sbigottita. Sapeva che esistessero altri luoghi da esplorare, era stata lei stessa ad affermare che fosse più che giusto aprirsi al mondo e trattarlo come un nuovo posto da scoprire, ma mai si era domandata se esistesse “ un altro mondo”.
O, forse, lo aveva fatto? Forse, non ricordava di averlo fatto?
Il Cappellaio insisteva.
- Da bambina, non credevi che potesse esistere un qualche passaggio tra due mondi? – la guardò come per scrutarle l’anima – Per esempio... una tana di coniglio? –
Il cuore di Alice perse un battito.
Tarrant, a giudicare da quello sguardo, sentiva di avere toccato il tasto giusto.
- O uno specchio? –
Come un improvviso mal di testa, la mente di Alice prese ad affollarsi.
La tana di coniglio.
Nella sua memoria, in effetti, vide qualcosa.
Inspiegabilmente, si vide cascare da un precipizio che le parve infinito.
Un suono simile ad un ticchettio di un orologio picchiettava nella sua testa.
Una melodia storpiata di un grammofono in condizioni poco buone.
Poi, voci. Tantissime voci.
“E’ la vera Alice.” diceva quella che sembrava essere una voce maschile.
“Non ne sono convinto.” replicava un’altra, più acuta.
Come un lampo, le sembrò di stare in un castello immacolato, appoggiata ad un balcone mentre ammirava delle lunghe cascate scintillanti come l’argento.
“ E’ assolutamente Alice.” Alice giurò che quella voce appartenesse al Cappellaio “La riconoscerei tra mille.”
Un altro ricordo la catapultò in una rocca dove il rosso ne era il colore predominante.
“Tagliatele la testa!” gridò una voce di donna.
Un altro luogo le si presentò. Si rivide sopra una gigantesca scacchiera, sembrava un campo di battaglia.
Fulmineamente, le si presentò davanti una creatura ripugnante dai grossi e aguzzi denti, simile ad un grosso e striminzito drago, che sputava fuoco dalle fauci nella sua direzione.
Alice si mise le mani alle tempie, cercando di bloccare quella tempesta di ricordi assurdi e illogici.
Era come avere delle visioni orrende. Si stava sentendo malissimo.
Il Cappellaio la guardò senza capire. Cosa stava succedendo?
- Alice? – allungò una mano verso di lei per cercare di aiutarla.
Ma Alice parve non sentirlo.
Intanto, scene di altri ricordi si stavano presentando a lei.
Lo specchio.
Una gigantesca farfalla blu svolazzava davanti a lei.
“Saprai tutto a tempo debito.” l’apostrofò la farfalla con voce bassa e profonda.
Di nuovo, senza nessuna spiegazione logica, si rivide precipitare nel vuoto.
Venne inghiottita da una luce dorata e, in seguito, le parve di assistere ad un cielo luminoso pieno di orologi da taschino luccicanti e ticchettanti.
“Il passato non si può cambiare.” disse qualcuno.
Una scena straziante le fece vedere un uomo del tutto simile al Cappellaio, il quale se ne stava adagiato sopra un letto. No, non era un uomo che gli somigliasse. Era proprio il Cappellaio. Era cianotico, era moribondo.
- No, no! – si agitava Alice, continuando a lottare per togliersi dalla testa quei ricordi.
Non ci riuscì, poiché vide qualcosa di rosso bruno percorrere un sentiero, fino a raggiungerla. Sembrava ruggine.
Il Cappellaio cercò di aiutarla. La afferrò per le spalle.
- Va tutto bene. – le disse – Alice, ascoltami. –
Nella sua mente, Alice vide la ruggine salire sopra la sua gamba, facendosi largo fino alla vita.
 - No! – urlava lei disperata.
- Alice, ascoltami. – ripeté il Cappellaio.
Prima che la ruggine potesse raggiungerla al collo, Alice riuscì a tornare alla realtà.
Il cuore le batteva esageratamente veloce, la fronte le si era imperlata di sudore.
Era molto scossa. Cosa le era appena accaduto.
Il Cappellaio le mise le mani alle spalle e la costrinse a guardarlo negli occhi.
- Cosa ti è successo? –
Alice era solo confusa. Non sapeva nemmeno lei che cosa fosse accaduto. Non trovava le parole adatte. Si sentiva solo spaventata.
Era stato come vivere in un incubo.
Il Cappellaio si morse un labbro.
- Forse non è ancora il momento. – sussurrò lui.
Alice, seppure sconvolta, riuscì a sentirlo.
- Che cosa vuoi dire? –
Il Cappellaio si era reso conto che non sarebbe stato saggio sforzare ancora di più la mente di Alice. I ricordi, in tutta probabilità, non l’avevano trovata ancora pronta.
Gli occhi di Tarrant si spostarono verso il sole che, pian piano, stava scomparendo.
- E’ tardi, Alice. Ti accompagno a casa. –
Alice si ribellò.
- Per favore, dimmi che cosa sta succedendo. So che tu sai qualcosa! – lo additò lei, ma il Cappellaio era stato paziente.
Dopotutto, era ovvio aspettarsi una reazione del genere.
- Non sei ancora pronta. – disse lui, alzandosi dalla panchina e offrendole una mano per aiutarla a fare altrettanto.
- Che cosa significa? Sono stanca di tutti questi misteri! – replicò Alice – Ho appena visto delle cose assurde. Se dovessi raccontarlo a qualcuno, mi daranno un biglietto di sola andata verso il manicomio! – si mise le mani alla testa, come per reggerla, la sua voce si incrinò – Io non ce la faccio più. E’ da quando ti ho incontrato che sento che ci sia qualcosa che non vada nella mia testa. –
Il Cappellaio si dispiacque di vederla in quel modo.
- So che tu sei coinvolto. – singhiozzava Alice, ormai stanca – Perché ho anche sentito la tua voce e ti ho visto nei miei flashback improvvisi. Se tu non c’entrassi niente, non ti avrei né visto né sentito. –
Il Cappellaio si risedette accanto a lei, non sopportava di vederla in quel modo.
- Perché mi sta accadendo questo? Cosa mi sta succedendo? Cosa c’è che non va in me? –
Tarrant le scacciò una lacrima dagli occhi con l’ausilio del dito indice.
- Il problema non sei tu. – disse lui e Alice gli puntò il suo sguardo umido – Il problema è... che qui sono tutti normali. –
Alice inclinò la testa di lato.
Il Cappellaio le sistemò gentilmente il cappello che lui stesso le aveva creato.
Le offrì un fazzoletto e Alice ebbe modo di asciugarsi il volto.
- Se qui sono tutti normali – osservò lei – mentre io non lo sono, allora il problema sono io: sono io che sto andando controcorrente. –
- E cosa te lo fa pensare? –
- Non è normale avere delle visioni. –
- Dipende dal punto di vista. – sorrise il Cappellaio – Ogni cosa assume un significato diverso a seconda della prospettiva in cui la si vuole vedere. – fece una pausa – Per esempio. Io, in questo momento, davanti a me non vedo nessuna ragazza che ha avuto delle visioni. Vedo solo una meravigliosa creatura un po’ spaventata che ha bisogno di essere ascoltata. –
Ancora una volta, il Cappellaio era riuscita a sorprenderla. Erano bastate pochissime parole ed era riuscito a tranquillizzarla, anche solo per un po’.
Ma per Alice era stato più che sufficiente.
Ebbe un tuffo al cuore.
Perché, domandava a sé stessa, sentiva di potersi fidare di lui? Cosa la spingeva a nutrire nei suoi riguardi un’incondizionata fiducia? Era come se lo conoscesse da tempo. Non solo, era come se il Cappellaio l’avesse già conosciuta già da prima che si incontrassero per strada, mentre lui lavorava nella sua bancarella.
Per Alice, il Cappellaio era una specie di mago buono che riuscisse a trascinarla in prospettive diverse, che nutrisse come lei un’insaziabile fame di nuove scoperte, che non avesse paura di condividere pensieri che, per gli altri, non avessero un senso logico.
Con lui rideva, si sentiva sé stessa. Le sue angosce erano sparite.
- Con te è come trovarsi davanti ad un paesaggio dalla prospettiva multipla. – gli aveva detto mentre le sue labbra si stiravano in un sorriso -  Io vedo cosa mi si presenta davanti agli occhi, vedo le montagne, gli alberi, il fiume che scorre. Mentre tu sei sempre pronto a farmi notare anche il più piccolo e grazioso fiore variopinto nascosto in mezzo ad un fitto campo di rovi. –
Il Cappellaio si sentì inorgoglire, ma non per il complimento ricevuto, ma per aver sentito quelle parole pronunciate proprio da Alice. Fino a prima, era sconvolta e afflitta ed ora aveva ritrovato la forza di tornare a sorridere.
Tarrant le regalò un sorriso pieno di conforto.
Notarono che il sole stesse tramontando. Con un filo di tristezza nel cuore, realizzarono che il loro appuntamento si stesse per concludere.
Con la stessa gentilezza usata in precedenza, il Cappellaio le offrì una mano per aiutarla ad alzarsi.
Insieme a braccetto ripercorsero la strada di casa di lei.
 
 

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Capitolo 5
*** Una strana e familiare parola ***


Ciao!
Finalmente sono ritornata qui a scrivere per voi! Mi dispiace essermi fatta attendere, purtroppo ho avuto dei problemi abbastanza pesantucci.
Ma non datevi pena, ora va tutto bene.
Come ho detto sempre, cerco sempre di non arrendermi e di essere sempre presente per voi.
Dopotutto, vi ho promesso che avrei scritto questa storia solo per voi. Quindi, niente e nessuno può fermarmi.
A proposito, colgo l’occasione per dirvi una cosa che mi esce dal cuore: non vi fermate mai! Non abbiate mai paura di niente e di nessuno, affrontate i vostri problemi e i vostri dubbi con dignità. Non vergognatevi mai nemmeno di chiedere aiuto e vi invito a non chiudervi MAI in voi stessi. Ricordatevi, ogni problema va sempre risolto.
Ok, basta con le lagne. Non voglio angosciarvi.
Vi lascio al capitolo. Spero di finire la storia entro la fine del mese.
Grazie ancora per la vostra pazienza.
Un BACIONE e BUONA LETTURA!


 
Nessun sonno per quella notte.
Si sentiva ammattire. Quell’esperienza era stata spaventosa. Dopo tanto tempo, Alice ebbe paura di stare cadendo nel precipizio della follia.
La testa le scoppiava, le tempie le pulsavano.
La notte era giovane, ma sua madre stava già dormendo da un pezzo.
Alice si sentiva morire a furia di aggrovigliare la mente con tutti quegli enigmi, quei ricordi che l’avevano investita come una gigantesca onda anomala, travolgendola in un oscuro abisso.
Prese un respiro, strinse le mani a pugno.
Il Cappellaio sapeva qualcosa, ne era certa. Doveva fare chiarezza.
In assoluto, doveva parlargli e sciogliere tutti quei misteri.
 
Le oscure strade di Londra erano umide e l’aria era appestata di un disgustoso olezzo di carbone bruciato e qualcosa che il naso di Alice non sapeva definire.
Per il disgusto, Alice si era incamminava a passo veloce coprendosi le narici.
Non le bastava essere sgattaiolata di casa di nascosto, ma ora doveva fare i conti con il terribile fetore di quelle vie.
Doveva anche tenere gli occhi aperti, visto che dietro gli angoli più oscuri avrebbe potuto nascondersi qualche ubriacone o malintenzionato, pronto a farle del male.
Aveva già provato un’esperienza del genere e, per fortuna, era stata salvata dal Cappellaio.
Questa volta, si sentiva più preparata e non abbassava la guardia.
Per fortuna, Alice era riuscita a raggiungere la zona in cui lavorasse il Cappellaio senza intoppi.
La lepre Thackery non c’era.
Lo vide armeggiare con i suoi meravigliosi cappelli lavorati a mano, cercando di soddisfare una cliente dai modi altezzosi e dai gusti troppo complicati, con accanto altre persone prese ad ammirare i lavori del Cappellaio, altre, invece, erano semplicemente piantati lì per gustarsi la scena, colti dalla maleducata e insaziabile curiosità di assistere ad una cliente insoddisfatta.
Ci sono persone che evidenziano il proprio carattere a partire dal timbro della voce, e Alice lo sapeva molto bene. Per questo motivo, non trovò gradevole il carattere di quella signora ( poteva vederla solo di spalle ) dai modi di fare superbi e arroganti e si domandava come facesse il Cappellaio a mostrarsi cauto, educato, compito e paziente, sempre pronto a mostrarle altri cappelli, uno dopo l’altro.
A giudicare dal modo in cui erano acconciati quei capelli dorati e dal vestito ben lavorato e dall’aria di essere molto costoso, Alice intuì che si trattasse di una signora appartenente ad un rango elevato.
Ricordando le parole del Cappellaio, Alice la giudicò come una donna estranea alla fantasia, alla quale interessasse avere accanto “un marito ricco e mollaccione da poter spennare come un povero pollo” per poter vivere.
La donna non faceva altro che dargli ordini ininterrottamente, elencando ogni cosa che non la soddisfacesse ogni volta che il Cappellaio le metteva davanti uno specchio, in modo da potersi contemplare, ad ogni cappello provato.
- Questo cappello è troppo largo. Questo non mi fa risaltare gli zigomi. Questo sembra fatto apposta per mettermi in ridicolo. –
Alice trattenne il respiro a furia di sentire quelle critiche immeritate.
I lavori del Cappellaio erano tutti meravigliosi, come faceva quella donna a trovare un difetto in ognuno di loro? Ma, soprattutto, come faceva Tarrant a non spazientirsi?
Soprattutto se c’erano altre persone ad assistere a quella scena pietosa.
- Dicono che siete un artista dei cappelli, ma a me non risulta. – continuava la donna con accento borioso, tentando di mortificarlo – Cosa vi prende? Per caso, non guadagnate abbastanza denaro da potervi permettere il materiale adatto per creare altri lavori? Se fosse così, mi chiedo come facciate a pagare l’affitto a mio marito. –
Dopo aver ascoltato quelle parole, Alice capì immediatamente che la donna altri non era che la moglie di Hamish.
Ci mancava solo lei a provare a mettere i bastoni tra le ruote al povero Cappellaio. Non bastava vederlo lavorare con dedizione, adesso doveva portarsi sulle spalle il peso delle critiche di Lady Ascot.
Ma Alice intuì che Alexandra stesse facendo quella farsa solo per poter riprendersi una rivincita: quello stupido di faccia-molle-Hamish, pensava Alice, doveva averle raccontato che, il giorno precedente, il Cappellaio era stato difeso da lei, mettendolo un’altra volta in ridicolo.
« Possibile che Hamish non si smentisca mai? » si domandò Alice, reprimendo l’ira di dover vedere il suo amico in quella situazione.
Il Cappellaio non c’entrava niente, Hamish ce l’aveva con lei.
Alexandra era un fiume in piena di critiche.
- E’ tipico scozzese! Vi danno un dito e vi prendete il braccio. –
Il Cappellaio non guardava Alexandra negli occhi, preferendo ignorarla e mettere in ordine i suoi cappelli.
- Mio marito vi offre una casa e voi non vi impegnate abbastanza per guadagnarvi il pane. – continuava trionfante Alexandra – Vi consiglio di mettervi sotto con l’impegno se non volete ritrovarvi la bancarella piena di cappelli e le tasche vuote, signor Hayscott! –
- Si chiama “Hightopp”. – disse Alice in tono di difesa, intervenendo in aiuto del Cappellaio. Non ne poteva più di doverlo vedere incassare gratuitamente tutte quelle angherie.
Quest’ultimo aveva alzato lo sguardo non appena ne riconobbe la voce.
Alexandra raggelò quando vide Alice di fronte a lei. La riconobbe ed ebbe la sensazione che la bocca dello stomaco le si chiudesse. Provava ancora rancore nei suoi riguardi ed era stato proprio il rancore stesso a non averle fatto perdere la propria arroganza.
Per le persone che assistevano fu un vero colpo di scena, non era roba di tutti i giorni assistere a due donne che litigassero.
Per il Cappellaio, invece, era stata un’umiliazione.
- Dunque, - iniziò Alexandra – mio marito non si sbagliava. La signorina Kingsleigh non solo si diletta ad esercitare incarichi che vadano contro la natura di una donna, ma preferisce circondarsi di amicizie bizzarre. – avvelenava la donna, cercando di schernirla – Del resto, non mi intrometto sulle amicizie altrui. Quindi, vi consiglio di tenere presente al vostro amico che se non guadagnerà abbastanza, non ci assicurerà nessuno per quanto tempo potrà alloggiare nella casa che gli abbiamo affittato, cosa che abbiamo fatto per pura bontà del nostro cuore. –
Per quanto fastidio provasse, Alice non si scompose minimamente.
- Il mio amico non né sordo. -  sapeva già come agire – E non è nemmeno uno stupido. Esercita il suo lavoro con grande sacrificio e passione, quindi non saranno le lamentele di una cliente inesaudita e senza immaginazione a fargli mancare i soldi necessari e, soprattutto, il talento naturale. – le parole le uscivano da sole, persino lei si meravigliava di così tanta sicurezza - Sono veramente orgogliosa di circondarmi dell’affetto di persone come lui, piene di speranza e...moltezza. –
Quell’ultima parola ebbe degli effetti diversi: per la gente, Alexandra compresa, era stata una parola molto strana, ma che comunque possedesse un bel suono.
Per Alice era stato come aver cercato nella sua mente una qualsiasi parola adatta per quella circostanza e, oltretutto, le suonava un po’ familiare.
Per il Cappellaio, infine, fu una vera sorpresa.
Alexandra assorbì quelle parole come se stesse ricevendo delle pugnalate.
Alcune persone soffocarono delle risate, Alexandra e Alice se ne accorsero. Altre guardavano Alice con occhi sorpresi: non era di certo da tutti tenere testa ad una signora di alta classe sociale, limitandosi all’uso di parole semplici e il tutto accompagnato dall’educazione.
Alexandra tremava di rabbia, tuttavia cercò di controllarsi. Per cercare di salvarsi da quella circostanza, si rivolse nuovamente al Cappellaio.
- Ebbene, signore. Cercate di fare del vostro meglio. Oggi vi ho dato una lezione preziosa: cercate di essere sempre pronto a realizzare tutte le esigenze dei vostri clienti. – tirando su il mento e assunse la sua aria più distinta – Buona giornata. –
Prima di andarsene, Alexandra lanciò una frecciatina ad Alice.
Lei, tuttavia, non si lasciò intimorire.
Alexandra si allontanò, cercando di assumere l’atteggiamento più signorile che possedesse. Ma la sua frustrazione era piuttosto evidente.
Alice guardò il Cappellaio con aria trionfante, ma con inaspettato stupore si accorse che in quegli occhi verdi non ci fosse nessuna traccia di allegria.
Sembrava essere infastidito, offeso e accigliato. Alice non capiva.
Ad interrompere quell’atmosfera tesa, fu l’arrivo di un nuovo cliente. Si trattava di un uomo che teneva una bambina per la mano. Anche loro, visto il modo in cui erano vestiti, dovevano appartenere ad una classe sociale elevata.
Tarrant si occupò immediatamente di loro.
- Non datevi pena, signore. - disse l’uomo – Non tutte le persone sono in grado di guardare un’opera d’arte come si deve. –
Alice si sentì lieta nel sentirlo parlare in quel modo.
- Oserei dire – continuò lui – che una critica, a volte, è meglio di un complimento: possono servirvi per poter migliorare le vostre abilità. –
Anche se aveva apprezzato quella gentilezza,  i sentimenti del Cappellaio non erano mutati.
Sorrise al cliente con educazione e lo ringraziò.
- In cosa posso esservi utile? – domandò.
- Cercavo un cappello per mia nipote. – disse l’uomo guardando amorevolmente la bambina – E’ il suo compleanno. –
Tarrant sfoggiò uno dei suoi sorrisi migliori e si rivolse alla bambina, tuttavia, Alice percepì qualcosa: immaginò che dietro quel sorriso fosse solo una maschera.
- E quanti anni avete, mademoiselle? –
Con fierezza e timidezza, la bambina ammise di avere compiuto sette anni.
Il Cappellaio portò un indice al mento, come per pensare.
- Allora, visto che ora siete una signorina, direi che ci vuole un cappello adatto a voi. – muovendo le mani, prese a prendere le misure della testa della bambina ad occhio nudo.
Tirò fuori dalla bancarella una cloche dalle misure adeguate.
Davanti agli occhi stupiti dei clienti e di tutti i presenti, il Cappellaio si diede da fare con forbici, nastri, stoffe e lustrini. In pochissimo tempo, il cappello per la bambina fu pronto.
La piccola cliente si ritenne soddisfatta nel vedere la cloche grigia con un nastro di seta rosa chiaro alla base, decorata da quella che sembrava essere una camelia celeste.
Nonostante il successo ottenuto, il Cappellaio continuò a guardare Alice con occhi senza armonia.
 
Quando tutti i clienti se ne andarono, Alice si avvicinò alla bancarella e provò a parlargli.
Ma il Cappellaio l’aveva già anticipata.
- Dici che posseggo moltezza,– disse lui con un tono che Alice non capiva se fosse adirato, malinconico oppure indignato – quando dentro di te mi giudichi un mollaccione che non è in grado di difendersi?
- Ma Cappellaio... –
- Non c’è bisogno che continui a difendermi. – la bloccò lui, con decisione ma con gentilezza – Non devi lottare per me. –
Anche se grato di essere stato difeso, il Cappellaio venne colto da un forte senso di orgoglio maschile: non poteva permettere che Alice continuasse a combattere per lui ogni volta che si trovasse in difficoltà. Soprattutto se, come in quel caso, a consumarlo di angherie era stata una donna.
- Non stavo solo prendendo le tue difese. – disse Alice, non accettando l’ingratitudine del Cappellaio – Stavo anche lottando per me stessa, se proprio vuoi saperlo. Non sopporto di vedere una persona di alto ragno provare gusto nel schiacciare chi è economicamente inferiore a loro. –
Il Cappellaio le lanciò uno sguardo che Alice non si seppe spiegare.
- Ma non sei anche tu una di loro? – le domandò a bruciapelo.
- No. Cioè, sì. – Alice si sentì confusa – Tecnicamente, sono una di loro. Ma in realtà, non sento di essere come loro. -
Tarrant la guardò nel profondo degli occhi e, inspiegabilmente, cambiò atteggiamento.
Una traccia di follia si avvertì nella sua voce.
– E allora, Alice, la vera domanda è... tu sai chi sei? –
Alice ebbe un sussulto al cuore davanti a quella misteriosa domanda. Si tirò di poco indietro e abbassò lo sguardo.
Non era stata capace di rispondergli.
Il Cappellaio fece una smorfia simile ad un sorrisetto.
- Vieni da me, stasera. – disse solamente.
Alice sgranò gli occhi e non capì il perché di quell’invito.
- Cappellaio... –
- Qualunque orario tu voglia, io ti aspetto. – disse solamente.
Alice non ebbe il tempo di replicare, poiché davanti alla bancarella era già arrivato un’altra fila di clienti.
Il Cappellaio si limitò a lanciarle uno sguardo come per dirle che l’avrebbe aspettata.
Alice tirò un sospiro.
Perché mai il Cappellaio voleva vederla quella sera? Cosa aveva in mente?
Come un flash improvviso, la nuova e strana parola usata da lei in precedenza ( e ripetuta successivamente dal Cappellaio ), le risuonò nel cervello come i ricordi che le erano balenati il giorno prima.
“Moltezza”sussurrava una voce, forse la sua.
In seguito, venne colta da un altro sbiadito e offuscato ricordo.
Le parve di udire la voce del Cappellaio.
“Non sei più la ragazza di prima.”
“Prima eri molto più... moltosa.”
“Hai perso la tua moltezza.”
“ La mia moltezza?” pronunciava una voce femminile, chiedendosi se fosse la propria.
Alice fermò quella serie di voci mettendosi una mano alla tempia, come per bloccare un improvviso mal di testa.
Guardò un’ultima volta il Cappellaio con occhi confusi.
Prese un respiro e decise di tornare a casa.
Si augurò che quella sera tutti quei misteri si sarebbero risolti.
 
 

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Capitolo 6
*** Cose impossibili da credere ***


Ciao!
Signorini e signorine, eccoci qua! Forse il capitolo sarà breve, non vi nascondo che ho dovuto fare MOLTI tagli: è stato il capitolo più complicato mai affrontato finora in questa storia.
Spero sia di vostro gradimento! VI ADORO!!!
Ma vi assicuro che le sorprese non sono finite!
Vi lascio qui :D
Un BACIONE e BUONA LETTURA!



Alice sapeva benissimo che chiedere il permesso alla madre per poter andare a casa del Cappellaio quella sera fosse una chimera.
Non le avrebbe nemmeno lasciato il tempo di darle delle spiegazioni, molto probabilmente.
Anzi, era più che probabile che avrebbe fatto la figura della snaturata.
Per questo motivo, Alice aveva preferito raggiungere la casa del Cappellaio in piena oscurità, mentre sua madre dormiva.
Aveva solcato mari tempestosi, affrontato sanguinari pirati, quindi per lei sgattaiolare fuori dalla finestra della propria camera doveva essere uno scherzetto.
Mentre si incamminava per le strade a ciottoli, ermeticamente illuminate dalle luci dei lampioni, un tarlo pizzicava Alice.
Cosa doveva dirle il Cappellaio? Perché le aveva detto di raggiungerlo in casa sua?
Si augurava solo che tutti quegli enigmi si sbrogliassero il prima possibile, ormai non ne poteva più.
Finalmente, era giunta all’abitazione di Tarrant. Il cuore iniziava a rimbombarle.
Per l’angoscia preliminare, non si era resa conto di avere bussato velocemente.
Ma la porta, per lo stupore di Alice, si aprì da sola.
- Cappellaio? – chiamò Alice, ma il silenzio era stata la risposta ottenuta – Sono io. Sono Alice. –
Nel non sentirlo rispondere, Alice entrò comunque in casa e cercò il Cappellaio.
Alice avanzava a passi incerti. Si domandò come mai non vi fossero nemmeno la lepre Thackery e il ghiro Mally.
Alice si guardò intorno. Tutto era al proprio posto, come lo aveva lasciato l’ultima volta.
Guardò il tavolo della cucina e ricordò la prima volta che il Cappellaio l’avesse ospitata, per proteggerla dalla pioggia che li aveva colti di sorpresa.
Era stato molto gentile e caloroso con lei, offrendole del tè e facendola divertire con dei giochi di prestigio.
La farfalla di carta blu, come ricordo, era rimasta adagiata sul comodino della propria camera da letto e ogni volta che le posava gli occhi, non poteva fare a meno di ricordare quel giorno così pieno di magie.
Improvvisamente, la luce si spense e Alice, insieme alla stanza, venne inghiottita dal buio totale.
Alice sussultò.
« Che cosa significa? » pensava.
Rimase ferma sul posto. Il buio era tremendo.
Proprio in quell’istante, Alice udì una voce che già conosceva bene.
- Non avere paura. – sussurrava la voce del Cappellaio – A volte, le tenebre sono luci. Dipende dal punto di vista. –
Alice si voltò, ma l’oscurità non le permetteva di vedere il Cappellaio.
- Cappellaio? –
- Hai paura? – domandò lui con voce rassicurante – E’ normale avere paura. Bisogna essere matti per non avere paura. – marcò giocosamente l’aggettivo.
Alice non rispose immediatamente. E anche se il Cappellaio non poteva vederla – forse – Alice sorrise.
- No. Non ho paura. –
Dopo pochi secondi, tutto intorno ad Alice iniziava ad illuminarsi e il buio si sbiadiva.
Ma, misteriosamente, magicamente, Alice si ritrovò catapultata in una stanza del tutto nuova.
Era tutto fatiscente, grigio e oscuro, una debolissima luce simile a quella di una lampada fiacca filtrava da una finestra.
Alice si guardava intorno sempre più confusa. Era come trovarsi dentro una stanza riaperta dopo tantissimi anni, intasata da spesse e fittissime ragnatele. Era sparito il tavolo da cucina e al suo posto vi erano una lunga fila di tavoli imbanditi, coperti da quelle che sembravano essere delle colorate tovaglie da tavola. Le loro condizioni non erano del tutto buone: il legno dei tavoli e delle sedie era un po’ rovinato, come se divorato dalle termiti; la polvere aveva ingrigito i colori delle tovaglie e dei merletti.
Teiere e tazze sparse ovunque, così come le piccole posate e tanti dolci. Le prime erano coperti di qualcosa di appiccicoso e unto che parevano essere residui di tè e di zucchero, i cucchiaini, coltelli e forchette avevano perso il loro luccichio a causa della polvere. Infine, le torte e i pasticcini erano afflosciati e in stato di avanzo.
Alice ebbe una fitta al cuore, le sembrava di assistere ad un momento, forse allegro, di vita quotidiana interrotta bruscamente. 
- E’ triste, non è vero? -  disse una voce calda alle sue spalle.
Alice trasalì, ma poi si tranquillizzò quando si rese conto che si trattasse del Cappellaio.
Ma a colpirla maggiormente era il suo abbigliamento molto, molto bizzarro.
Un maestoso cilindro decorato, con uno shantung rosato che ne avvolgeva la base, ornato di spilli e con un biglietto con inciso un numero decimale, se ne stava in elegante equilibrio sopra la testa, così disordinata e spettinata da avere perso la bellezza dei riccioli; una giacca blu come l’oceano gli copriva il panciotto rosso e, anche se un po’ sgualcita, non perdeva la sua eleganza; un grande foulard dalla base nera e tempestata di pois colorati gli fasciavano il collo, mentre una fila di bobine variopinte gli cingevano dolcemente lungo la giacca; i pantaloni scuri erano decorati da finissimi, quasi invisibili, strisce verticali che andavano sul violetto e, infine, un paio di scarpe color ocra risaltavano fortemente tra tutti quei colori.
Alice sgranò gli occhi quando lo vide vestito in quel modo, quasi non lo riconobbe.
Come se le avesse letto nel pensiero, il Cappellaio le fece un sorriso.
- Sorpresa? -  allargò le braccia come per sfoggiare il suo abbigliamento.
Le sue mani erano coperte da mezziguanti in stile tartan che andavano sul marroncino, con dei leggeri e finissimi merletti color lillà che partivano dalle maniche della giacca.
Alice per poco non si confuse a furia di vedere tutta quella vastità di colori messi insieme.
Era sorpresa, ma non volle sembrargli scortese.
- Sì, molto. –
Il Cappellaio grattò nervosamente la nuca.
 – Non ti piaccio così ? –
Alice studiò la figura stravagante del Cappellaio.
Anche il suo aspetto aveva assunto dei mutamenti: oltre ai capelli disordinati e follemente ribelli, Alice si accorse che quei grandi occhi verdi erano incorniciati da sopracciglia un po’ più folte di prima, in più, le parve di vedergli delle sfumature intorno alle palpebre.
Non lo trovava affatto ridicolo. Era strano, ma ammise a sé stessa che la cosa non la disturbasse affatto.
- Buffo... – sussurrò – Che buffo... che buffissimo... –
Tarrant sapeva che Alice pronunciasse quella frase quando si sorprendeva.
Solo allora Alice ritornò al presente. Perché si trovava in una stanza diversa?
- E’ uno dei tuoi trucchi, Cappellaio? – domandò Alice.
Tarrant scosse la testa in segno di negazione.
- Non esattamente. –
Allungò un braccio, come per accennare ad Alice di avanzare e di guardarsi intorno.
Alice obbedì e studiò ogni cosa, cercando di vincere il disgusto di tutta quella fitta polvere che le entrava facilmente nelle narici.
- Perché questa stanza è in questo stato? –
Il Cappellaio non fece alcun giro di parole e arrivò direttamente al sodo.
- E’ ciò che resta del mio mondo, Alice. –
Quella bizzarra risposta fece sussultare la ragazza e quest’ultima si voltò, guardandolo stranita.
- Il “tuo mondo”? –
- Da quando hai deciso di dimenticare tutto, questo è ciò che rimane del mio mondo. – spiegò lui come se stesse dando una fluente informazione logica.
Ma Alice continuava a non capire.
Ma il Cappellaio non si tirava indietro.
- Penso che ora tu sia pronta, Alice. – ottenne uno sguardo incuriosito e basito di lei – Anzi, ne sono certo. –
Alice si mise le mani alla testa, come per reggerla.
- Io non ce la faccio più, Cappellaio. – disse lei in tono quasi disperato – Non so più che cosa mi sta accadendo. Da quando sei arrivato, non fanno altro che accadere cose molto strane. Trucchi di magia, visioni che non so distinguere tra allucinazioni o ricordi perduti.- il suo tono si trasformò in una sorta di supplica – Voglio solo che tutto questo finisca. Ti prego. –
Tarrant le fece un sorriso.
- Tu sai chi sei, Alice? –
Alice non rispose e, per bloccare una lacrima di nervosismo, tirò un sospiro e arricciò di poco il naso.
Il Cappellaio si allontanò da Alice e, mantenendo il suo sorriso, si accomodò con calma alla tavola. Alice lo seguiva con lo sguardo.
 Sembrava che non si fosse accorto di tutto quel disordine, di quello pessimo stato di degrado.
Avvicinò una teiera e una tazza e fece finta di versare del tè.
- Anche se qui ci si sente soli, sono contento di potermi sedere qui. – la guardò con occhi sorridenti – Tu non vorresti essere contenta? –
Alice, anche se continuava a non capirci un bel niente, annuì.
- Solo che – continuò il Cappellaio – non ti ricordi come si fa. –
Lei emise un sospiro e si rese conto che quella sentenza le avesse un po’ scosso il cuore.
In effetti, non ricordava più da quanto tempo non si sentisse contenta.
Di sicuro, si sentiva bene quando navigava ed esplorava il mondo, ma sentiva di non sentirsi del tutto completa. Sentiva che, in effetti, mancasse qualcosa.
E da quanto tempo provava quella sensazione di vuoto da dover colmare?
- Credi che tutto questo sia insensato? – chiese il Cappellaio, mentre con una mano sfiorava la tazza da tè.
Alice non rispose e guardava il Cappellaio sempre più confusa: anziché darle delle risposte, le stava offrendo solo altre domande.
Tarrant giocherellava con la tazza.
- Ora ti darò io qualcosa in cui credere. Io ho centocinquanta anni, sette mesi, due settimane e tre giorni. –
Alice si accigliò.
- Ma non è possibile. Non potrò mai crederci! –
- Davvero? – disse il Cappellaio in tono di commiserazione – Allora, facciamo così: chiudi gli occhi e inspira profondamente. –
Alice scosse la testa.
- Anche se dovessi farlo non cambierebbe niente. – fece un passo indietro – Non si possono credere alle cose impossibili. –
Allora, il Cappellaio increspò le labbra ed emise un leggero mugolio.
- Uhm, ho capito. Qui ci vuole una terapia d’urto. – disse velocemente, così velocemente che Alice non riuscì ad azzeccarne una parola.
Tarrant la invitò gentilmente a sedersi accanto a lui.
In principio, Alice si era rifiutata ma poi superò il disgusto riguardo la polvere e accettò di sedersi.
Il Cappellaio prese a tamburellare le dita sulla tavola. Decise di trattare un argomento già affrontato durante la loro passeggiata del giorno prima.
- Pensi mai ad un mondo diverso da questo? – le chiese il Cappellaio, ripetendo le stesse parole usate quel giorno - Non ti interroghi se la tua fantasia possa suggerirti che ci possa essere qualcosa di più, al di là della realtà stessa? –
Alice abbassò lo sguardo.
- Comincio a pensare che tutto questo sia solo il frutto di una pazzia. –
- E’ già qualcosa. – ridacchiò il Cappellaio, prendendo quella risposta come un gioco di parole, anche se sapeva benissimo che Alice fosse molto seria.
C’era stata una breve pausa.
Tarrant cambiò argomento.
- Mally e Thackery non si perdono mai un tè, ma per ora preferisco lasciarli riposare. –
Un’altra cosa impossibile da credere, pensò Alice.
Non era possibile che una lepre e un ghiro potessero mai bere del tè.
- Anche questa è una cosa impossibile da credere. – protestò lei.
Il Cappellaio non si scomponeva e continuava a fare il suo gioco di prendere il tè.
- E ancora una volta, lo dici con così tanta sicurezza. – la guardò negli occhi - Eppure, ricordo che un tempo mi dicesti che, a volte, arrivavi a credere a sei cose impossibili prima di fare colazione. –
Alice avvertì qualcosa.
Era stato come ricevere una scossa.
La familiarità di quella frase le riportò alla mente suo padre. Era stato lui ad insegnarle quell’eccellente esercizio che le tenesse impegnata il cervello.
- Sei cose impossibili... – sussurrò Alice – Sei cose impossibili... –
Tarrant smise di giocare e guardò Alice speranzoso.
Alice si alzò dalla sedia e diede le spalle al Cappellaio, gli occhi puntati sul pavimento.
All’improvviso, tutti i ricordi che in principio le erano balzati nella memoria come dei terribili incubi avevano iniziato a prendere forma.
Piano piano, ricordo dopo ricordo, tutto stava iniziando ad avere un senso.
- Un mondo diverso da questo... – sussurrava senza voltarsi.
Il Cappellaio continuava a guardarla, implorando dentro di sé che Alice non lo deludesse.
Alice si girò di scatto, ma il Cappellaio rimase fermo nella sua posizione.
- Mally adorava dormire nella teiera! – esclamò Alice indicando, appunto, la teiera.
- Sì... – sussurrò il Cappellaio con il cuore che aveva iniziato a palpitare.
- Thackery non stava mai composto a tavola! – i ricordi di Alice si stavano formando sempre di più e lei era sempre più emozionata – Gli piaceva lanciare oggetti e dolci addosso a tutti! – era come se si trovasse proprio davanti alle scene a lei descritte.
Gli occhi verdissimi del Cappellaio continuavano a brillare e il suo sorriso si allargava.
- Lo Stregatto, a volte, appariva d’improvviso e adorava farvi i dispet... – si fermò di colpo non appena le tornò in mente la figura del felino dalle qualità evaporative.
- Continua, Alice. – disse il Cappellaio alzandosi dalla sedia – Non fermarti. –
- Lo Stregatto... Sì! Sì! Mi ricordo! Lui spariva e riappariva a comando. Ma non c’era solo lui... – continuava a cercare nella sua memoria ormai sempre più limpida – C’era anche il coniglio... McTwisp... E i gemelli Pinchi... la Regina Bianca... –
Come un preparato psicanalista, il Cappellaio la fermò all’istante.
- Qual è il regno della Regina Bianca? –
- Marmorea! – disse lei sicura.
- Chi ti condusse da lei ? –
- Bayard... No, no... ero in compagnia di Bayard! Io ero in groppa al Grafobrancio! – scavava sempre più a fondo – Stavo scappando dalla Regina Rossa! –
- La capocciona maledetta... – si lasciò sfuggire il Cappellaio, ma per Alice quella frase era risultata preziosa per poter ricordare dell’altro.
- Avevo sconfitto il suo Jabberwocky! E poi, abbiamo scoperto che teneva prigioniera la tua famiglia! – si bloccò istantaneamente, sgranò gli occhi – Ricordo ogni cosa! Sottomondo! Le meraviglie di Sottomondo! Avevo dimenticato! – poi guardò il Cappellaio con aria estremamente colpevole – Oh, Cappellaio!  Ricordo anche te! – con grande sorpresa di Tarrant, Alice gli buttò le braccia al collo – Oh, Cappellaio! Mi dispiace! Ho mancato alla mia promessa! –
Il Cappellaio ricambiò l’abbraccio e affondò il viso sui capelli di lei.
-  Avevamo promesso – singhiozzò Alice – che ci saremmo incontrati nel palazzo dei sogni... e lì avremmo potuto continuare a ridere e giocare per sempre... ed io ho dimenticato... –
- Shh... – il Cappellaio tentava di fermare quella pioggia di singhiozzi.
- E’ tutta colpa mia! Ho mancato... –
- Ora sei qui, Alice. Questo è importante... –
Guardò Alice dolcemente, come per regalarle ogni forma di armonia e calore dal più profondo del cuore.
Le sorrideva e con un dito le asciugò le lacrime, raccogliendone ogni goccia.

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Capitolo 7
*** Quel giorno ***


« ALLORA MI LASCI PARLARE O NO? HAI CAPITO? E NON NE POSSO PIÙ DI ASCOLTARTI, STAI PARLANDO SOLO TU! E MI HAI ROTTO I CO***ONI, MI HAI ROTTO I CO***ONI, HAI CAPITO? PERCHÉ NON SONO UN AUTOMA, SONO UNA PERSONA, E A UN CERTO PUNTO TE LO DEVO PROPRIO DIRE: VAFF****LO! VA-FFA-N****LO! VI, A, EFFE, EFFE, NC***LO! TU, IL TUO NEGOZIO, LA TUA VILLA DI ME*DA, MI FAI SCHIFO, STRO***ZOO! »
O, questo è, più o meno, quello che il Cappellaio avrebbe dovuto dire...
Cosa ne pensate? XD
Beh, ho pensato di farvi ridere un po’, visto che in questo capitolo ci ho messo una grande matassa di tristezza XD spero di non avere esagerato ( mi riferisco a tutto! ).
Un BACIONE e BUONA LETTURA!
P.s.  Buon rientro scolastico a tutti quanti e buon nuovo inizio verso una nuova vita piena di progetti!
 

 
Finalmente tutto aveva avuto un senso. Finalmente, Alice era riuscita a ricordare ogni cosa.
Sentimenti contrastanti l’avevano investita come un treno in corsa. Da una parte, si sentiva serena ora che la sua mente, dapprima gremita di confusione, avesse rimesso ogni ricordo al proprio posto. Ma dall’altra parte, il senso di colpa la attanagliava.
Aveva dimenticato tutto. Aveva dimenticato cosa significasse essere felici nel Paese delle Meraviglie, aveva dimenticato che l’impossibile fosse da considerare una parolaccia.
Ma nonostante tutto, il Cappellaio non aveva smesso di credere in lei.
Come aveva sempre fatto, del resto.
Alice, tuffandosi in quegli occhi verdi pieni di gioia, non poté fare a meno di ricordare quanto il Cappellaio avesse sempre fatto per lei. Era stato lui il primo fra tutti, nel Sottomondo, ad avere la certezza che lei fosse l’Alice che avevano tanto aspettato.
Ed ora era lì, nel Sopramondo.
Per lei.
E proprio allora Alice il perché di tutto ciò, come fosse possibile che il Cappellaio fosse riuscito ad entrare nel Sopramondo insieme a Mally e al Leprotto.
Il Cappellaio, prima di iniziare a spiegare, le fece un bel sorriso.
- Credevi davvero che, dopo il tuo ultimo addio, io mi sarei arreso alla tua lontananza? No, Alice. Non dopo la promessa che ti avevo fatto. – le prese le mani e le strofinò dolcemente con i polpastrelli – La notte ti aspettavo. Aspettavo che tu ti addormentassi. Lì, nel palazzo dei sogni, ti attendevo per ridere e giocare insieme a te. – la sua voce divenne improvvisamente molto triste – Ma non arrivavi. Tu non c’eri. –
Il senso di colpa di Alice aumentava.
Il Cappellaio tornò indietro con la memoria e, con un velo di malinconia, prese a raccontare ad Alice cosa fosse accaduto.
 
 
SOTTOMONDO
Qualche tempo prima
 
- Su, su. Coraggio. Un po’ di vita: è l’ora del tè. – diceva allegramente il Cappellaio, mentre se ne stava seduto al capotavola.
Il Leprotto e Mally, sempre al suo fianco, sembravano un po’ spazientiti. Mally in particolar modo.
- Peccato che per te lo sia sempre! – replicava.
A giudicare dai suoi occhi, sembrava molto stanco. E, in effetti, lo era. Così come lo era per il Leprotto.
- Voglio andare a dormire! – si lagnava il povero Thackery.
Ma il Cappellaio non sembrava affatto avere sonno.
- Un po’ di pazienza. – tirò fuori dalla tasca il suo orologio da taschino e prese a guardare la lancetta dei secondi, seguendone il movimento – Aspetto. – diceva con un evidente follia nella voce.
Mally, per la troppa stanchezza, aveva perso la pazienza.
- Vuoi capirlo o no? Alice non verrà! – il ghiro si pentì immediatamente delle proprie parole e, infatti, si coprì la bocca con le zampe.
Il Leprotto iniziò a tremare.
E avevano fatto bene a preoccuparsi: il volto del Cappellaio mutò negativamente e assunse il tipico aspetto di quando era di pessimo umore.
Il Cappellaio batté rumorosamente un pugno sul tavolo, facendo saltare tazze, teiere e posate.
- LEI VERRA’! – tuonò il Cappellaio – Ha promesso! –
Per fortuna, ricordandosi di stare parlando ai suoi amici più cari, ritrovò subito la calma.
Si scusò e si ricompose.
- Alice tornerà. Abbiamo promesso che ci saremmo rivisti. Devo solo aspettare che si addormenti. –
Poi vide gli occhi spossati dei suoi amici e non ebbe il cuore di trattenerli ancora.
- Potete andare, se volete. Io aspetto qui. –
E il Cappellaio, rimasto solo, seduto al capotavola, attendeva con un bel sorriso l’arrivo della sua ospite speciale.
Ma quello non era stata l’unica volta che il Cappellaio attendesse – invano – il ritorno della sua cara amica Alice.
Ogni giorno, si recava al vecchio mulino e attendeva fino a tarda notte l’arrivo di Alice.
Ma Alice non si presentava.
Nonostante tutto, il Cappellaio continuava ad aspettarla.
Continuò a farlo anche nei giorni successivi, sempre con il suo sorriso.
Senza mai perdere la speranza.
Con il passare dei giorni, Mally e il Leprotto si preoccuparono per il loro amico.
Sparsero la voce e  tutti i loro amici vennero a conoscenza del fatto che il Cappellaio attendesse il tanto desiderato ritorno di Alice.
Alcuni di loro, come Stregatto, Pinco Panco e Panco Pinco, Mally e il Leprotto, iniziavano ad andare da lui per potergli dare un po’ di compagnia durante la sua attesa.
McTwisp, Bayard e persino la Regina Bianca e i genitori del Cappellaio si recavano al vecchio mulino per tentare di farlo ragionare.
Non era necessario che attendesse ogni giorno e ogni notte l’arrivo di Alice.
Ma il Cappellaio li ignorava. Sapeva che prima o poi Alice sarebbe tornata.
Più il tempo passava, più il Cappellaio si incupiva così come la tavola imbandita.
Tutto attorno a lui venne trascurato, il cibo marciva, la sporcizia infettava le tazze e le teiere, fittissima polvere comprometteva ogni cosa.
Come un pipistrello rannicchiato nell’oscurità per sfuggire alla luce, il Cappellaio se ne stava seduto sulla sua poltrona, come coperto da un invisibile involucro protettivo di una farfalla alla quale erano state strappate le ali.
La sua mente e il suo corpo soffrivano, ma il suo cuore pazientava.
Tutto fino a che non venne quel giorno.
C’era Mirana.
C’erano i suoi amici.
Ma Alice non c’era. Erano tutti quanti preoccupati.
Erano giunti fin lì per dargli una notizia spiacevole. Nessuno aveva il coraggio di parlare, tutti si guardavano negli occhi per darsi coraggio l’un l’altro.
Era stata Mirana a rompere il silenzio.
Aveva gli occhi molto, molto tristi.
- Temiamo che Alice non verrà mai più. –
Il Cappellaio alzò lo sguardo verso la Regina Bianca. Si augurava di avere sentito male.
Mally e abbassò lo sguardo verso terra e, a seguire, anche gli altri fecero ugualmente.
Ma Mirana lo guardava dritto negli occhi.
- Ha dimenticato. – disse lei tristemente – Ha deciso di dimenticare ogni cosa. –
Il Cappellaio scuoteva la testa, non accettando quell’orribile verità.
- No, non può essere... – si mise una mano al petto, i suoi occhi assunsero una tremenda espressione di puro dolore – No, non la mia Alice... –
Mirana fermò le proprie lacrime.
- Purtroppo, nel mondo di Alice, è più facile dimenticare di essere felici. –
Il Cappellaio era il ritratto della sofferenza.
Non poteva sopravvivere a quel dolore. La sua vita era triste prima del ritorno di Alice.
- Lei è il raggio di luce che mi ha scaldato il cuore... – rivelò senza vergogna, davanti a tutti, snudando i suoi sentimenti – Io l’ho aspettata per tutto questo tempo... non può avermi dimenticato. Me lo disse tanto tempo fa... lei non potrebbe mai dimenticarmi... –
- Forse è stata colta da un orrendo attacco di Dimentichella. – osservò il Leprotto.
Tutti guardarono il Leprotto come se avesse dato loro la risposta che cercassero.
A quel punto, Mirana chiese a tutti di seguirla. Dovevano capire come mai Alice avesse dimenticato ogni cosa.
Si fermarono vicino ad una fontana e la Regina Bianca vi immerse una mano nell’acqua.
In quel momento apparve l’immagine di Alice che navigava per i vasti oceani, nel Sopramondo. Sembrava felice.
Il Cappellaio sorrise lievemente come la vide, ma il sorriso gli morì sulle labbra quando le increspature dell’acqua passarono ad un’altra immagine.
Alice stava litigando con sua madre e anche pesantemente.
- Con il lavoro che fai non puoi permetterti il lusso di fantasticare e di sognare. –
Alice voleva replicare, ma la madre era molto decisa.
- E’ già difficile per una signorina ricoprire il ruolo di Capitano di vascello. Se i tuoi uomini scoprissero che nella tua testa vivono ancora pensieri infantili, non credi che la loro fiducia nei tuoi confronti possa sparire in un soffio? Se dovessero sapere che a comandarli è un capitano incline alla fantasia, il loro rispetto nei tuoi confronti sparirebbe. –
Purtroppo, Alice non aveva risposto alla madre difendendo i propri principi, come si augurava il Cappellaio.
Con un tuffo al cuore, Tarrant la vide addormentarsi. Alice dormiva, ma allora perché non era mai arrivata da lui?
Il Cappellaio avvicinò il viso verso l’acqua, come per farsi sentire da lei.
- Perché non giochi con me? – domandò il Cappellaio - Non ti ricordi più niente? Avevamo promesso che ci saremmo incontrati nel palazzo dei sogni... e laggiù avremmo  continuato a ridere e giocare per tutta la vita. –
Ma Alice non poteva sentirlo.
Le immagini si sbiadirono, l’acqua ritornò al suo stato naturale.
Il Cappellaio tremava di tristezza.
La Dimentichella non c’entrava niente. Alice aveva scelto di dimenticare.
Come aveva detto Mirana, nel mondo di Alice era più facile dimenticare di essere felici.
Per il mondo di Alice, l’apparenza era più importante dei sogni.
- Perché non vai da lei? – domandò il Leprotto con semplicità.
- E’ l’unica cosa che vorrei fare. – disse il Cappellaio stringendosi il petto con una mano, come per fermare il dolore al cuore – Ma non posso. –
D’improvviso, come colta da un accecante lampo, Mirana ebbe un’idea.
- Certo che puoi, invece. –
Tutti la guardarono speranzosi, il Cappellaio si mise sull’attenti.
Esisteva davvero un modo per poter andare nel Sopramondo? Per andare da Alice?
- C’è un modo. – disse Mirana al Cappellaio – Ma non sarà facile per te. Il Sopramondo è totalmente diverso dal Sottomondo. –
- Assolutamente. – confermò McTwisp, poiché, fra tutti, era stato l’unico ad avere avuto il modo di potere entrare nel Sopramondo e iniziò ad elencare tutte le cose negative che ricordasse – E’ un mondo che va al contrario: la gente sorride per mascherare le proprie angosce, cammina a braccetto con chi non sopporta per puro interesse egoistico, le persone si sposano senza amore. – dopo una vasta landa di critiche, il Cappellaio alzò gli occhi al cielo.
- Andrò nel Sopramondo e farò in modo che Alice possa ricordarsi di me e del Sottomondo. – aveva a malapena accennato un sorriso, non voleva tirarsi indietro – Andrò lì, dove il mondo è matto! –
Mirana sorrise e ammirò il suo coraggio.
Assetato di avventura, Mally si avvicinò al Cappellaio.
- Voglio venire con te! – disse lui arditamente.
Era deciso più che mai, non voleva lasciare il suo amico più leale da solo in un mondo diverso dal loro.
Thackery si tirò le orecchie.
- Voglio venire anch’io! Non lasciatemi qui da solo! Chi preparerà il tè? –
Il Cappellaio sorrideva all’idea che i suoi amici non volessero abbandonarlo.
Ma McTwisp rivelò un altro problema: nessuno nel Sopramondo – all’infuori di Alice – era abituato alla presenza di animali parlanti e con abiti addosso.
Per fortuna, la regina aveva in mente una soluzione.
 
Deciso più che mai, il Cappellaio guardò la tana di coniglio davanti ai suoi occhi.
McTwisp gliela indicò: era quello il passaggio che li avrebbe condotti nel Sopramondo.
Mirana fece bere a Mally e al Leprotto una pozione dal colore verdognolo. Il sapore era orribile.
- Sa di... – il Leprotto non fece in tempo a completare la frase che, immediatamente, il suo corpo si era mutato.
Il suo corpo si restrinse e assunse l’aspetto di una lepre grigio bruna. La cosa peggiore era che gli mancasse la parola.
La stessa sorte toccò a Mally.
Lo stupore si era impossessato di tutti quanti, Cappellaio compreso. Ma non dovevano perdere tempo.
Tarrant prese i suoi amici tra le braccia e, senza guardarsi indietro, avanzò verso la tana di coniglio. Verso un mondo tutto nuovo. Verso la sua Alice.
Ebbe il tempo di sentire Stregatto augurargli “Buonviaggiavederci”.
 
 
 
SOPRAMONDO
 
Alice aveva ascoltato ogni parola con una grande tristezza nel cuore.
Il Cappellaio l’aveva aspettata senza mai perdere la speranza.
E lei? Lei aveva avuto il coraggio di dimenticarlo.
Capì anche il perché le avesse mostrato quella tavola in pessime condizioni: era il simbolo della sofferta attesa del Cappellaio.
E anche Mally e il Leprotto erano giunti da lei. Avevano fatto questo enorme sacrificio solo per lei.
Gli occhi le si inumidirono.
Tarrant riuscì a leggere la colpa che si annidava negli occhi di lei.
- Vieni qui. – l’accolse tra le sue braccia un’altra volta e la strinse al petto.
Alice stava per parlare, ma il frenetico bussare alla porta li aveva interrotti.
Magicamente, la tavola fatiscente era sparita e la stanza ritornò ad essere quella di prima.
Era tutto tornato alla normalità, come se quel tremendo bussare avesse spezzato l’incantesimo.
Ma l’aspetto del Cappellaio non era cambiato.
Chi poteva mai essere a quell’ora.
Tarrant fece cenno ad Alice di rimanere ferma.
- Aspetta qui. – si allontanò da lei e non ebbe timore di presentarsi alla porta con quell’aspetto bizzarro agli occhi dei Sopramondiani.
Il cuore di Alice ebbe un sussulto quando il Cappellaio aprì la porta.
- Desiderate? – disse lui in tono misurato.
- Signor... Ma come diavolo vi siete conciato? –
Alice avrebbe riconosciuto l’insopportabile voce di faccia-molle-Hamish anche in mezzo ad una folla di gente impazzita che gridasse a squarciagola.
Gli occhi di Hamish si puntarono verso Alice.
- Signorina Kingsleigh? Che cosa ci fate voi qui? –
Cosa diavolo ci fai tu qui? Avrebbe voluto e dovuto dire lei.
Il Cappellaio continuava a mantenere la calma, nonostante Hamish avesse fatto irruzione in casa.
Il suo sguardo altezzoso e con la perenne puzza sotto il naso non prometteva niente di confortante.
Alice aveva una gran voglia di saltargli addosso e di ridurgli la faccia in modo da renderlo irriconoscibile. Continuava a domandarsi come facesse il Cappellaio a controllarsi.

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Capitolo 8
*** Nella tana di coniglio ***


Eccoci qua!
Come va? Avete iniziato la scuola? Nuovi progetti?
Io sto ancora aspettando l’inizio di Ottobre per poter cominciare. Quindi, mi impegno affinché io possa concludere questa follia.
Detto questo, vi lascio leggere ( e mi scuso in anticipo se troverete degli errori di battitura ).
Vi abbraccio forte e grazie per il tempo che riuscite a trovare per leggere questa storia.
Un BACIONE e BUONA LETTURA!
 

 
Hamish si rivolse a Tarrant e fece come se Alice non esistesse.
- Ho saputo che oggi avete osato beffeggiarvi della mia signora. – disse in tono minaccioso o, meglio, si sforzava a renderlo tale.
Alice sbarrò gli occhi. Se già non riusciva a credere che Hamish potesse essere così stupido, ora stentava a credere che lo fosse anche Alexandra.
Davvero una bella accoppiata, avrà senz’altro pensato Alice.
Capì che questo fosse solo un tiro mancino a discapito del Cappellaio: era stata Alice a rispondere a tono ad Alexandra per difenderlo, mettendola a tacere davanti agli sguardi della gente, facendole fare una ridicola quanto pessima figura.
Intuì che, non potendo fare nulla per metterle i bastoni tra le ruote, aveva ben pensato di farla pagare al povero Tarrant: era lui il bersaglio perfetto da poter prendere per il collo.
Il Cappellaio manteneva una calma glaciale.
- Io ho fatto cosa? – Tarrant inclinò la testa e guardava Hamish con aria innocente.
- Non prendetemi in giro. – lo additò Hamish.
Alice sentì doveroso dovergli sferrare un pugno in volto quando lo sentì dire, con fare smielato, che la sua “cara e innocente” Alexandra fosse tornata in casa piangendo: quel “cappellaio ambulante” ( come lo aveva definito Lady Ascot ), “quel villano” aveva osato scacciarla dalla sua bancarella solo perché tra i suoi lavori non vi fosse un cappello adatto alle sue esigenze. E l’ha fatto davanti agli occhi di molte persone. Oltraggioso!
- Un conto è osare prendervi gioco di me. – aggiunse Hamish ostilmente, mentre il Cappellaio non proferiva verbo – Un altro è osare fare sfigurare la mia signora! –
Sebbene il Cappellaio le avesse detto di non dovere mai più lottare per lui, Alice si sentì in dovere di disobbedirgli.
Solo lei sapeva fronteggiare quello stupido bavoso e pappamolle di Hamish. Solo lei riusciva a tenergli testa.
- Se tua moglie si è messa a piangere, la responsabile sono io. – disse Alice a testa alta.
Pensò che fosse inutile dover dare delle spiegazioni ad uno come Hamish.
Di sicuro, per nulla al mondo avrebbe creduto che Alice stesse solo difendendo il Cappellaio dalle angherie di sua moglie.
Ma ad Alice non importava essere creduta, voleva che Hamish lasciasse in pace il Cappellaio.
Quest’ultimo, la guardava come fece la prima volta quando lei prese le sue difese.
Alice non ci fece caso. Sapeva di stare ferendo nuovamente l’orgoglio del Cappellaio, ma non sopportava che egli venisse umiliato. Soprattutto, se ad umiliarlo fosse stato qualcuno degli Ascot.
Soprattutto, se fosse stato Hamish.
- Quale insolenza! – sprezzava Hamish – Dovrei credere a te, che a mia moglie? Alexandra espressamente detto che la colpa è tutta di questo ingrato! – indicò malevolo il Cappellaio – Sì, signore. Voi siete solo un ingrato. Vi offro un lavoro e un tetto sulla testa ed è così che mi ripagate? Burlandovi di mia moglie, schernendola in pubblico? –
Alice si mise nuovamente in mezzo.
- Non è la verità. E tu lo sai. –
Hamish continuava a parlare con il Cappellaio, come se Alice non fosse mai stata presente.
- Tipico scozzese. – Hamish stava ripetendo le stesse offese che aveva già usato Alexandra, usando, però, un tono più disgustato – Approfittatori, opportunisti e gaglioffi. Ma questa volta avete superato tutti i limiti, signor Hightopp. –
Tarrant assorbiva quelle parole piene di cattiveria con una serenità fuori dal comune.
Lo stesso non poteva dirsi di Alice, la quale era sempre più adirata.
Adirato da tanta compostezza e dalla calma mantenuta dal Cappellaio, Hamish diede la sua sentenza finale.
- Ne ho abbastanza di voi. Siete licenziato. Vi voglio fuori da casa mia. –
Ad Alice si fermò il respiro. No, Hamish non poteva arrivare a tanto.
Non doveva.
Finalmente, il Cappellaio si decise a parlare.
Fece un respiro ed assunse un’aria ben composta.
- Non temete, Lord Ascot. – disse il Cappellaio a testa alta – Io e i miei amici ce ne andremo il prima possibile. –
Quella serenità irritava sempre di più Hamish.
- Vi voglio fuori da casa mia entro domani mattina. Sono stufo di voi e delle vostre bestie. -
Alice stava per rispondergli nuovamente a tono, ma proprio allora nella stanza fecero irruzione Mally e il Leprotto.
Il Leprotto emise un suono simile ad un ringhio minaccioso, Mally soffiava.
Avevano assunto un’aria minacciosa e spavalda, puntando verso l’intruso che aveva osato additare ingiustamente il loro amico Cappellaio.
Tarrant assunse un’espressione preoccupata.
Nel vederli, Hamish non si tirò indietro nel sprezzare anche loro.
- Ancora queste bestiacce. Signor Hightopp, vi consiglio di tenerle a bada... –
Il Leprotto e il ghiro partirono in quarta verso Hamish, senza dargli il tempo di completare.
La preoccupazione del Cappellaio si erano rivelate veritiere.  
Alice iniziò ad allarmarsi.
Thackery balzò sul braccio di Hamish e vi affondò i lunghi e affilati denti.
Hamish cacciò un urlo di dolore.
Mally si era arrampicato fino al suo collo e prese a morderlo con tutte le sue forze.
La situazione non divenne per niente buffa: sia Alice, sia il Cappellaio temerono il peggio per i loro amici.
Un uomo arrabbiato, soprattutto uno come Hamish, sarebbe stato capace di fare di tutto.
Infatti, Hamish afferrò Thackery per le orecchie e lo gettò al suolo.
Lo stesso toccò a Mally.
Il Cappellaio ed Alice prestarono soccorso ai loro amici animali.
Mally, essendo più leggero, per fortuna non si era fatto nulla e si era ripreso all’istante nel sentire il tocco delle mani di Alice.
Il Leprotto, purtroppo, non sembrava dare segni di coscienza.
- Thackery... – il Cappellaio tentava di rianimarlo, la sua voce era compromessa dall’afflizione – Thackery, svegliati... –
Ma il Leprotto non rispondeva.
Hamish si sistemò la giacca e assunse un’aria del tutto soddisfatta.
Alice era pronta a fargliela pagare.
- Sei un bruto! – gli urlò.
Tuttavia, Alice non fece in tempo nemmeno a realizzare poiché, come una luce accecante improvvisa, vide il Cappellaio scagliarsi contro Hamish.
Tarrant era su tutte le furie, aveva perso le staffe.
Quel maledetto aveva fatto del male al suo carissimo amico Leprotto. Lo aveva scagliato al suolo con tanta malvagità, con tanta violenza.
Non gliel’avrebbe fatta passare liscia per nessun motivo.
Alice non lo riconobbe più. Non aveva mai visto il Cappellaio così arrabbiato, così fuori di sé.
Né mai lo aveva visto agire con violenza verso un’altra persona.
Solo nel giorno Gioiglorioso lo aveva visto combattere contro Stayne, ma quella violenza era giustificata. Era pur sempre una guerra.
Ma questa volta era diverso.
Il Cappellaio stava malmenando Hamish per pura vendetta. Gli stava riducendo la faccia in modo da rendergliela irriconoscibile.
Alice pensò che quel mucchio di viscidume meritasse tutte quelle botte, anche lei in precedenza avrebbe voluto riservargli lo stesso trattamento, ma in quel momento si era resa conto che cosa comportasse agire con l’ausilio della violenza.
Tarrant si stava abbassando all’infimo livello di Hamish.
Prendere a pugni quel lord senza valori, sarebbe stato d’aiuto per il Leprotto?
Hamish ebbe la sensazione di trovarsi catapultato in un incubo: un uomo dai folti e disordinati capelli rosso fuoco, dalla pelle di un bianco innaturale, occhi orribilmente segnati dall’oscurità, sguardo colmo di ira.
Era come assistere alla follia in persona.
Hamish urlava di paura. Urlava e implorava pietà.
Ma Tarrant non si fermava.
Una folle, malata e incontrollata sete di rivalsa aveva accecato la ragione del Cappellaio.
Alice sentì una morsa dentro di sé: nel vedere Hamish gridare pietà al Cappellaio, in quel momento ebbe molta pena per lui.
No, non era quello il modo giusto per affrontare quella disastrosa circostanza.
Anche se Hamish avesse sbagliato, quello non era la sua giusta punizione.
E quando il Cappellaio stava per lanciare un altro colpo al viso di Hamish, Alice lo afferrò per le spalle.
- Basta! Fermati! Lascialo, Cappellaio! –
Nella sua testa aggrovigliata dalla follia, il Cappellaio riuscì a sentire la voce di Alice.
Come una freccia che squarciava le tenebre, la voce di Alice era riuscita a fare tornare la ragione al Cappellaio.
Finalmente, si era reso conto di quanto avesse fatto.  Si riprese dalla follia.
Osservò Hamish sotto di lui, tremante e piagnucolante. Poi guardò le proprie nocche insanguinate.
Cosa aveva fatto? Non era da lui.
Guardò Alice con occhi colpevoli e dispiaciuti.
- Cosa ho fatto? –
Alice, seppure rasserenata nell’essere riuscita a fermarlo, era ancora allarmata.
Ora, tutto aveva preso una pessima piega.
Il Cappellaio aveva aggredito un lord.
E non un lord qualsiasi. Lord Hamish Ascot non era solo a capo di una compagnia navale, ma aveva anche vaste conoscenze molto potenti e non avrebbe di certo atteso per farla pagare a chiunque osasse comprometterlo.
Ma al Cappellaio non importava affatto: aveva la testa occupata solo per il suo amico Leprotto.
Lo ritrovò accasciato per terra, con Mally accanto a lui.
E quando Tarrant lo afferrò tra le braccia, il Leprotto aveva agitato un orecchio.
Un barlume di speranza nacque nei cuori di Alice e del Cappellaio.
Il Leprotto era ancora vivo. Un sorriso di gioia nacque nei loro volti.
Ma la felicità durò poco.
Hamish si alzò in piedi a fatica e puntò il dito contro il Cappellaio, il quale teneva ancora il Leprotto tra le braccia.
- Voi... – sputò sangue per terra – Ve la farò pagare! Ve la farò pagare molto cara! Sporco scozzese! Maledettissimo... –
- Mi dispiace... – ebbe l’umiltà di dire il Cappellaio.
Quell’umiltà fece sciogliere il cuore di Alice.
L’effetto su Hamish fu nullo.
- Vi dispiace? Non me ne faccio un bel niente delle vostre scuse! – barcollava e tentò di assumere un aspetto vigoroso, cercando di riacquistare tutta la dignità perduta quando implorava pietà – Ve la farò pagare carissima! Vi farò rinchiudere in prigione... -
Alice, stufa di  sentirlo parlare, senza che nessuno se lo aspettasse, sferrò un fortissimo pugno sul volto di Hamish.
- Stai zitto! – urlò lei.
Hamish cadde per terra come un frutto maturo. Il Cappellaio la guardò impressionato.
Alice si sentì meglio.
Ma non c’era un minuto da perdere. Il povero Thackery necessitava di cure.
- Devo portarlo dalla Regina Bianca. – disse il Cappellaio.
- Io vengo con te. – affermò Alice, non avrebbe accettato nessuna obiezione.
Il Cappellaio la guardò intenerito all’idea di riportarla nel Sottomondo, tuttavia dovettero fare alla svelta: Hamish si stava riprendendo.
Con il Leprotto tra le braccia, Mally aggrappato sul cilindro, il Cappellaio scappò insieme ad Alice fuori da quella casa.
Non appena furono fuori, sentirono la voce fastidiosa di Hamish che allarmava fortemente.
- Polizia! Aiuto! Chiamate la polizia! –
Si voltarono e lo videro scendere dalla casa dove alloggiava il Cappellaio.
Non faceva altro che agitarsi e dare l’allarme e Alice e Tarrant furono costretti a correre più velocemente.
Il Cappellaio assicurò ad Alice che non sarebbe stato difficile per loro poter ritornare nel Sottomondo.
L’avrebbe condotta verso l’abitazione degli Ascot, come Alice pensava, verso la tana di coniglio.
Era lì che lui, Mally e Thackery erano giunti non appena misero piede nel Sopramondo, aveva spiegato il Cappellaio: era uscito da quella tana di coniglio e fu lì che vide Hamish per la prima volta.
In principio, quando lo vide girovagare per il suo immenso giardino, lo aveva scambiato per un furfante. Per fortuna, Tarrant era riuscito a convincerlo che fosse solo un cappellaio in cerca di un mestiere e di una casa come ricovero. Non era stato difficile convincerlo, dato il suo spiccato talento.
Se doveva restare nel Sopramondo a lungo per ritrovare Alice, gli serviva un alloggio.
Ma mai e poi mai il Cappellaio avrebbe pensato che Hamish conoscesse Alice.
Alice trattenne una risata.
Le urla di Hamish non cessavano. In quel momento, purtroppo, Alice e il Cappellaio incrociarono un agente di polizia.
Brutto affare.
L’agente venne immediatamente richiamato da Hamish, il quale non fece altro che urlargli di fermarli.
- Mi hanno aggredito! Arrestateli! –
Il Cappellaio iniziò a preoccuparsi. Alice, al contrario, mantenne il sangue freddo.
- Sbrighiamoci, Cappellaio. –
Cambiarono strada e fecero di tutto per sviarli.
L’agente soffiò sul fischietto e richiamò i propri colleghi per aiutarlo nell’inseguimento dei due malfattori.
Ci mancava solo essere inseguiti dalla polizia, pensava Alice.
Hamish li vide dirigersi verso la sua abitazione.
- Che diavolo hanno in mente di fare? –
Il Cappellaio e Alice correvano a più non posso, Mally faticava a reggersi.
Infatti, scivolò e cadde per terra.
Alice e il Cappellaio si fermarono. Fu lei ad afferrarlo, ma questo diede agli agenti – se ne erano aggiunti altri tre - e ad Hamish la possibilità di raggiungerli.
Non potevano più fermarsi.
Correvano più veloce che potessero.
Il buio si era rivelato un punto a sfavore, poiché non riuscivano a vedere quasi nulla, ma allo stesso tempo un prezioso alleato poiché avrebbero potuto per un po’ nascondersi dagli agenti e da Hamish.
Per fortuna, raggiunsero la tana di coniglio che li avrebbero condotti nel Sottomondo.
- Presto! Presto! – disse il Cappellaio.
Il Cappellaio si guardò indietro. Poi guardò il Leprotto che teneva tra le braccia e il ghiro che se ne stava ben protetto tra le mani di Alice.
Infine, guardò lei.
Serrò gli occhi. Alice percepì qualcosa. Non si sbagliava.
Il Cappellaio aveva preso una decisione. Porse il Leprotto ad Alice.
- Andate. – disse – Io vi raggiungerò dopo. –
Alice sbarrò gli occhi. Il Cappellaio aveva deciso di sacrificarsi?
- Non se ne parla. – replicò Alice – Andremo insieme nel Sottomondo. - non avrebbe permesso che il Cappellaio sarebbe capitato tra le grinfie di Hamish.
Già una volta lo aveva visto compiere un sacrificio analogo, quando volle salvarla da Stayne e dal suo esercito di carte. Per nulla al mondo avrebbe voluto che la storia si fosse ripetuta.
Il Cappellaio le donò un sorriso confortante.
- Non temere, Alice. Andrà tutto bene. –
Alice era molto preoccupata per la sorte del Cappellaio. Tentò di convincerlo, ma fu tutto vano.
- Non preoccuparti per me. – sorrideva il Cappellaio e trovò il tempo per fare un utlimo regalo ad Alice - La vita ogni tanto è una favola che merita un lieto fine. -
Alice aprì ermeticamente le labbra.
Che cosa voleva dire il Cappellaio con quelle parole?
In quell’istante, Hamish riuscì ad individuarli. Li indicò e gli agenti lo seguirono.
Tarrant, a quel punto, spinse Alice nella tana di coniglio.
Nonostante le sue repliche, Alice precipitò nella tana tenendo il Leprotto tra le braccia, mentre Mally si aggrappava saldamente ai capelli di lei.
Per loro fortuna, non ebbero modo di vedere il Cappellaio quando venne raggiunto.
Tarrant si mostrò agli agenti con aria follemente trionfante, allargò le braccia e sorrise con evidenze marcatura di follia.
Sembrava volesse dire con matta arroganza “sono qui, venite a prendermi”.
Quando gli agenti lo raggiunsero, lo immobilizzarono senza nessuna forma di delicatezza.
Hamish gli si avvicinò pericolosamente.
- Dov’è Alice? –
Il Cappellaio sogghignava.
- E’ caduta laggiù. – disse lui indicando con la testa la tana del coniglio.
Hamish lo colpì al volto con uno schiaffo.
- Ho detto: dov’è Alice? –
Il Cappellaio mantenne il proprio atteggiamento, nonostante il dolore dello schiaffo ricevuto.
- Ve l’ho detto. E’ caduta nella tana di coniglio. –
Irritato, Hamish stava per colpirlo di nuovo ma decise di fermarsi.
- Non fa niente. A lei penseremo dopo. Arrestatelo! – disse con trionfo.
Il Cappellaio, mentre veniva ammanettato, continuava a guardare Hamish con un sorriso di sfida.
Non gli importava nulla della propria sorte: aveva fatto il suo dovere.
Era riuscito a fare ricordare ad Alice ogni cosa.
Ora, lei, il Leprotto e Mally erano al sicuro nel Sottomondo e presto Thackery sarebbe guarito.
I suoi amici erano molto, molto più importanti più di qualsiasi altra cosa.
La loro salvezza veniva prima della propria vita.
Non gli pesò nulla. Non furono le catene a fargli pentire della sua decisione.
Né lo furono gli insulti umilianti usciti dalla bocca di Hamish.
E non lo furono nemmeno gli schiaffi ricevuti da quest’ultimo per vendicarsi di lui.
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** Folle dignità ***


Ciao a tutti quanti! Come vedete, non posso sparire quando ci si trova nel bel mezzo di una parte cruciale ( anche se vi confesso che mi sto trovando in serie difficoltà ).
Colgo l’occasione per dirvi che se avete dei suggerimenti da darmi, saranno sempre bene accetti .
Naturalmente, ho già una mezza idea di come proseguire, ma ascoltare anche i vostri suggerimenti è una gran bella cosa :D
Basta con le chiacchiere, vi lascio al capitolo.
Un BACIONE e BUONA LETTURA!

 
 
SOTTOMONDO
 
Alice avvertì una stranissima sensazione, come se qualcuno le avesse appena tirato un doloroso ceffone al viso.
Davanti ai suoi occhi, il verde di Sottomondo si estendeva in tutta la sua meraviglia, tutto come – finalmente – ricordava.
Si guardò all’indietro. Il Cappellaio ancora non c’era.
- Cappellaio... – sussurrò.
Mally le tirò una ciocca di capelli con l’ausilio della bocca, suggerendole di non dimenticarsi di Thackery.
Alice si pentì di essersene scordata, anche se solo per qualche istante.
Dovevano immediatamente correre dalla Regina Bianca, Thackery non poteva aspettare.
Piena di risorse, Alice convocò il Grafobrancio con un gran fischio.
In groppa alla grande bestia avrebbero di certo guadagnato tempo.
Il Grafobrancio sbucò davanti a lei in tutta la sua possente mole, mostrando i denti e ansimando per la gioia di rivederla.
Riconobbe Mally ed guaì non appena vide il triste stato del Leprotto.
Alice gli diede un buffetto e si arrampicò sopra di lui.
- A Marmorea! – esclamò, spronandolo ad andare il più veloce che potesse.
Il Grafobrancio non se lo fece ripetere due volte e partì al galoppo verso il castello della Regina Bianca.
In poco tempo, raggiunsero la destinazione e Alice, dopo avere ringraziato il gigantesco amico, corse dritta nel castello.
Percorse il candido e aureo corridoio, gremito di nobiluomini e nobildonne dalle caratteristiche analoghe a quelle della loro regina.
Mirana, come vide Alice, fu colta da una piacevole sorpresa. Ma il sorriso le morì non appena si accorse dello sguardo intristito dell’amica e della creatura che reggesse delicatamente tra le braccia.
- C’è stato un incidente. – disse Alice mostrandole il povero Thackery.
Mirana assunse un’aria colma di preoccupazione per la povera bestiola, ma mantenne i nervi saldi.
- Da questa parte. – li condusse nella sala delle pozioni, dove avrebbe potuto guarire il Leprotto.
Mirana fece cenno ad Alice di poggiare il Leprotto sopra il tavolo e quest’ultima lo sdraiò con delicatezza.
Mally guardava il povero amico con occhi speranzosi e basiti insieme.
Era stranissimo per lui doverlo vedere in quel modo: era abituato a vederlo rimbalzare di qua e là, come se le energie non gli finissero mai.
La Regina Bianca poggiò le mani con delicatezza sopra il Leprotto per constatare se avesse contratto delle fratture interne.
Tastava piano e meticolosamente.
Stava attenta ad ogni dettaglio. Infine, Mirana fece un sorriso confortante.
- Non è nulla di grave. – disse lei con dolcezza.
Si diresse verso i suoi stipetti e cercò una pozione color verdognola. La stessa che aveva trasformato Mally e Thackery in animali selvatici, privati della parola e della posizione eretta.
Mally la riconobbe e i suoi occhi si spalancarono per la gioia. Mirana si accorse della sua espressione e sorrise ampiamente.
Il ghiro scese dalla spalla di Alice e balzò sul tavolo, come per invocare quella desiderata pozione, tralasciando l’orrendo sapore.
Si avvicinò al Leprotto e lo aiutò ad ingoiarne le dosi necessarie.
Fece lo stesso anche con Mally.
Pochissimi secondi e Mally e Thackery ritornarono al loro stato naturale.
- Evvivaaaa! – esclamò Mally in preda alla gioia, guardandosi le zampette per sincerarsi di essere ritornato quello di prima.
Solo dopo si ricordò di non avere nessun vestito indosso e arrossì sotto la pelliccia.
Per fortuna, la Regina Bianca tirò fuori anche due camici di dimensioni ridotte.
Mally si vestì velocemente.
Dopodiché, Mirana passò al Leprotto e fece la sua diagnosi.
- Ha solo picchiato la testa, adesso è un po’ stordito. La zampa posteriore ha subito una lieve frattura, ma non è nulla di grave. –
Alice e Mally tirarono un sospiro di sollievo.
Il Leprotto stava bene. Non avevano nessun motivo per preoccuparsi.
Prese delle garze per avvolgerle intorno alla testa del Leprotto e delle stecche per la zampa lussata.
Si sarebbe ripreso dopo tanto riposo.
Mirana si accorse di un dettaglio che le era balzato all’occhio solo in quel momento.
- Non capisco. Dov’è il Cappellaio? Perché non è con voi? –
Alice e Mally si guardarono tristemente negli occhi.
- E’ rimasto indietro. – disse il ghiro – Ma ha detto che ci avrebbe raggiunti. –
Mirana accolse quella notizia con sentimenti contrastanti.
Alice venne ghermita da un brutto presentimento.
Perché il Cappellaio aveva fatto quella scelta azzardata?
Un brivido freddo le percorse la schiena.
 
 
SOPRAMONDO
 
Già una volta aveva subito sulla propria pelle l’esperienza di una fredda e umida cella.
Ma entrare in una prigione, soprattutto se di un luogo diverso, non è qualcosa da farci l’abitudine.
In special modo se a condurlo era l’uomo più odioso che tanto bramava vederlo sprofondare, agonizzare e soffrire atrocemente.
Hamish, infatti, dopo il suo successo e il suo titolo nobiliare, non era difficile per lui poter corrompere membri del Consiglio che coprissero un ruolo molto potente.
Purtroppo, per avere osato puntare il dito contro un lord come lui, il prezzo da pagare per il Cappellaio si sarebbe rivelato molto caro.
Se la prima volta che venne condotto dietro le sbarre dalla Regina Rossa con l’accusa di cospirazione – per avere aiutato Alice a scappare – gli fosse costato un passo verso l’esecuzione, questa volta il rischio di una prossima condanna era ben calcolata.
Condotto nella squallida cella di pietra, Hamish non si era perso nemmeno un’occasione.
Era stato con gli agenti per tutta la durata dell’arresto e non perdeva di vista quell’uomo che tanto odiava.
Data la sua alta posizione, ebbe modo di poterlo schernire a suo piacimento. Non era stato difficile per lui comprarsi il silenzio delle guardie: un po’ di soldi o, in alternativa, una semplice minaccia di un biglietto di sola andata verso il grado di lavoro più umile o, nel peggiore dei casi, per la strada a chiedere l’elemosina.
Il Cappellaio capì all’istante la propria posizione non appena fu costretto ad entrare nella cella con un violento spintone da parte di Hamish.
Cadde per terra violentemente e urtò una spalla con ferocia, la quale non si lussò per puro miracolo.
Il Cappellaio si rialzò velocemente e ma non fece in tempo a raggiungere Hamish, poiché le guardie avevano appena chiuso le sbarre di ferro.
Hamish lo guardava trionfante.
- Te la farò pagare molto cara. – lo minacciò – Sarà solo questione di tempo. –
Il Cappellaio mantenne la testa alta e, coraggiosamente, fece un gesto con l’indice ad Hamish, invitandolo ad avvicinarsi.
Hamish, ben sapendo di essere protetto dalle guardie – anche se, sotto sotto, moriva di paura all’idea di doversi avvicinare allo scozzese che fino a prima lo aveva preso a suon di cazzotti – eseguì.
Il Cappellaio gli fece un sorriso beffardo.
- Mi domandavo... Uscite di casa con quella faccia anche la domenica? –
Hamish non riuscì a nascondere il proprio disappunto.
Una guardia compì uno sforzo sovrumano per trattenere una risata.
- Forse non ti è chiara una cosa. – disse Hamish a denti stretti – Presto ti ritroverai a penzolare sulla forca! –
Per tutta risposta, il Cappellaio sghignazzò follemente e non si mostrò per nulla intimorito. Tale reazione fece ribollire il sangue ad Hamish. A causa di quell’ennesimo beffeggiamento verso la propria persona, il suo desiderio di farla pagare al Cappellaio incrementò pericolosamente.
- Come osate? – successivamente, gli occhi presero a brillargli poiché aveva appena avuto un’idea su come vendicarsi di lui.
Assunse un’aria cerimoniosa e si rivolse sia al Cappellaio, sia alle guardie.
– Sapete? Nell’antica Atene, i filosofi avevano un’idea ben precisa circa l’educazione dei fanciulli per indirizzarli verso la retta via del rispetto. La crescita dei fanciulli veniva paragonata a quello degli alberi. – sorrise malignamente sotto i baffi – Se il busto dovesse crescere in maniera non naturale, si può procedere con le buone: vale a dire, legandolo accanto ad un’asticella dritta, per aiutarlo a crescere come la natura comanda. – i suoi occhi si infiammarono non appena pronunciò la seconda alternativa – Altrimenti, se il busto non ne vuole proprio sapere di crescere come si deve, allora si può ricorrere ad una procedura un po’ più drastica, anche a costo di percuoterlo, fino a che l’albero non arriverà a raggiungere la posizione stabilita. –
Le guardie risero insieme ad Hamish, ben capendo a cosa si riferisse.
Anche al Cappellaio non sfuggì quell’analogia, ma non si scompose minimamente.
Hamish gli si avvicinò e provò a riprendersi la propria rivalsa, per fargli capire chi comandasse.
- E voi che albero siete, signor Hightopp? –
Il Cappellaio non perse l’occasione per farsi beffa di lui.
- BOO! –
Come calcolato, Hamish fece un balzo all’indietro, spaventandosi per quell’inaspettato gesto.  
Hamish si adirò non poco.
Lo maledisse aspramente e, prima di andarsene, spronò le guardie a dare al Cappellaio la punizione che meritasse donando a ciascuno di loro una discreta somma di denaro.
Le guardie, incitate dalle ricompensa, guardarono il Cappellaio come dei leoni affamati davanti ad una grassa preda appena catturata.
Il Cappellaio li accolse a testa alta, non si sarebbe piegato per nessuna ragione al mondo.
 
SOTTOMONDO
 
Alice continuava a non darsi pace.
Perché non era ancora arrivato? Dov’era il Cappellaio? Cosa gli stava capitando?
Era nei giardini della Regina Bianca, attendendo la ripresa del Leprotto.
Seduta davanti ad una grande fontana di avorio, scolpita con meravigliosi bassorilievi che richiamavano fortemente il tema di una scacchiera.
Guardava l’acqua che scintillava, scorrendo come una piccola cascata.
Seguiva il suo percorso, contemplandola in silenzio.
Improvvisamente, Alice notò qualcosa di molto strano. Se la vista non la stesse ingannando, nell’acqua si stava formando qualcosa.
Alice si sporse di più per poter vedere meglio.
Realizzò che i suoi occhi non la stessero ingannando affatto.
Il Cappellaio.
C’era il Cappellaio lì dentro. Ma Alice ebbe una sorpresa. Una brutta sorpresa.
Con sommo orrore, Alice si rese conto che ciò che l’acqua le stesse mostrando fosse peggiore di qualsiasi incubo che avesse avuto modo di vedere.
 
 
SOPRAMONDO
 
All’interno di una cella, delle guardie privarono il Cappellaio dei vestiti.
Lo legarono ai polsi e alle caviglie con delle pesanti catene di ferro.
Uno di loro lo colpì allo stomaco e Tarrant cadde per terra. Una delle guardie gli schiacciava la testa sotto gli stivali, mentre le altre presero a prenderlo a calci.
Tarrant venne afferrato per i capelli e fu costretto a rialzarsi. Venne immobilizzato da due guardie, mentre la terza iniziava a dilettarsi percuotendolo come un sacco da pugile.
Il Cappellaio venne colpito al volto da un pugno, poi un calcio lo raggiunse all’addome, un manganello lo picchiò allo stomaco.
Sentì un pugno colpirgli una tempia, poi la guancia, poi ancora la mascella, un orecchio e un occhio.
La testa gli esplodeva per il troppo male.
Quando la guardia si stancò, il Cappellaio venne rigettato per terra.
Tremava visibilmente per il troppo dolore.
Impietosamente, venne legato a testa in giù e le botte dolorose ripresero.
Tarrant subiva e si sforzava con tutte le sue forze per resistere. Non emise un solo urlo di dolore.
E le guardie se ne accorsero.
- Ma di che cosa è fatto questo qua? – domandò uno con un tremendo fiatone.
In effetti, nessun essere umano sarebbe stato in grado di reggere quella tremenda circostanza.
Doveva avere avuto sì e no qualche lussatura, le ferita e gli ematomi erano piuttosto evidenti. Ma il Cappellaio resisteva.
Il Cappellaio sorprese le guardie con un sorriso che non avesse nulla di normale.
- Tutto qui? – disse mentre dei rivoli di sangue gli macchiavano i denti.
Il messaggio era stato abbastanza chiaro: la follia lo stava salvando.
Irritati da quella provocazione, le botte incrementarono ma il Cappellaio non demordeva.
Strinse i denti e non si piegava. Affrontava tutto quel dolore con folle dignità.
 
 
SOTTOMONDO
 
Alice si era coperta la bocca per quello spettacolo raccapricciante.
Grosse e amare lacrime le rigarono il volto, si sentì immediatamente debole e impotente.
Si chinò sulla fontana e prese a singhiozzare fortemente.
Il suo lamento richiamò l’attenzione di un amico particolare.
Un suono simile a delle fusa feline avevano di poco interrotto i singhiozzi dell’affranta Alice.
La ragazza si girò, ma non ebbe la forza di sorridere.
- Oh, Stregatto. Sei tu? –
Il felino dalle qualità evaporative fu costretto a ricambiare reciprocamente la triste espressione.
- Davvero un’orrenda faccenda. – disse Stregatto. Evidentemente, anche lui aveva assistito alle immagini della fontana, alle torture inflitte dal Cappellaio.
Alice si asciugò le lacrime, tentando di darsi un contegno davanti al suo amico.
In quel momento, vennero raggiunti anche da Mally, la Regina Bianca e dal Leprotto.
Quest’ultimo si mostrò allegro e sprizzante ora che era ritornato ad essere quello di un tempo, anche se con una zampa fasciata e con la testa coperta di garze.
Ignari di quanto fosse accaduto, i tre si domandarono il motivo delle espressioni intristiti di Alice e dello Stregatto.
- Beh? Che cos’è quest’aria da funerale? – domandò Mally.
Il Leprotto si esibiva in tutta la sua allegria, ma quella vivacità non sfiorò minimamente la povera Alice.
Prese un respiro profondo e tentò di non vacillare.
- Il Cappellaio... Oh... – non riuscendo a vincere la debolezza, Alice si coprì il volto con ambo le mani.
La vivacità del Leprotto svanì in un istante, Mally rimase sbigottito al solo pensiero che il suo amico si trovasse nei guai.
Mirana avvertì qualcosa di negativo e, colta dall’istinto di protezione, si avvicinò ad Alice per tentare di consolarla.
 

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Capitolo 10
*** Alice moltosa ***


Ciao a tutti voi!
Piano piano, la storia sta prendendo sempre più forma e, lentamente, ci stiamo avvicinando verso il finale.
Certo, mancano ancora alcuni capitoli, ma pian piano ce la si può fare.
Come state andando con la scuola? Dai, che vi sono vicina.
Ma basta con le ciance, vi lascio immergere in questa nuova parte.
Secondo voi... cosa sta tramando il Cappellaio? Il vincitore o vincitrice, in premio riceverà... NON VE LO DICO XD
Un BACIONE e BUONA LETTURA!
 

 
SOTTOMONDO
 
La colpa la attanagliava.
Ogni battito di cuore era una pulsazione di dolore e sofferenza.
I secondi che passavano non furono che un orrendo gorgo oscuro.
Alice trovò solo la forza di piangere.
I suoi occhi si erano arrossati drasticamente, Mirana tentava di placare il suo pianto.
Ma invano.
Il Leprotto tirò su col naso.
- E’ stata tutta colpa mia. – disse con occhi molto colpevoli, attirando l’attenzione di tutti – Se non avessi attaccato quell’omuncolo coi baffi, lui non mi avrebbe sbattuto per terra... e il Cappellaio non lo avrebbe preso a botte... –
Mally consolò il Leprotto.
- No, la colpa è tutta mia: sono stato io a dirti di andare a controllare insieme a me cosa volesse quel furfante. Se ce ne fossimo rimasti nella nostra stanza, non sarebbe accaduto niente di tutto questo. –
Alice si asciugò le lacrime con le dita.
La colpa non era di nessuno di loro, era solo Hamish il responsabile delle sofferenze del Cappellaio.
Alla vista delle torture subite dal Cappellaio, Alice aveva iniziato a perdere il suo spirito combattivo.
Era come se la propria coscienza fosse sprofondata nel grigiore, in una morsa di gelo che non le permetteva di tirare fuori la propria moltezza.
Mirana le carezzò il viso sofferente.
- Le lacrime non ti potranno aiutare, mia cara. Devi affrontare la situazione, se vuoi salvare il Cappellaio. –
Alice guardò la Regina Bianca con occhi gonfi di dolore.
Mally si adirò come non mai, deciso com’era di vendicare il suo amico Cappellaio.
- Dobbiamo tornare nel Sopramondo! Voglio infilzare quel vigliacco con la mia spada! –
Il Leprotto lo spalleggiò.
- Ed io voglio prenderlo a calci  e pugni...Ohi! – nell’agitare le zampe, avvertì un forte dolore alla zampa anteriore fasciata.
Solo Alice non trovava la forza di reagire.
Come se il tempo si fosse fermato, i ricordi le apparvero davanti come una serie di fotogrammi.
La presenza del Cappellaio, che da subito si era dimostrato un amico affettuoso e premuroso, aveva rallegrato le giornate di Alice. Ed era stato proprio grazie a lui se ad Alice era ritornata la fame di fantasia, la voglia di vivere senza vergognarsi di sognare, la sete incolmabile di avventure impossibili.
Proprio nel giorno in cui era riuscita a ricordare quel meraviglioso mondo delle meraviglie che le avevano rubato il cuore, lo stesso giorno in cui si era ricordata dei suoi amici, Hamish era riuscito a strapparle quel momento molto speciale, arrivando a ferire il Leprotto e a condurre il Cappellaio in un’umida e maleodorante cella per essere schernito e umiliato.
C’era un’ultima frase pronunciata dal Cappellaio che le risuonava nella mente. Una frase che non riusciva a spiegarsi: “La vita ogni tanto è una favola che merita un lieto fine.”
Se quella vita era da considerarsi una favola, di certo, quello non era affatto il finale che si sarebbe aspettata.
Prese un bel respiro ed ebbe la forza di smettere di piangere, come le aveva consigliato Mirana.
Guardò alle sue spalle l’acqua della fontana e ripensò alle violenze inflitte al Cappellaio.
No, non doveva assolutamente finire in quel modo.
In un momento di lucidità, Alice guardò i suoi amici.
Se non fosse stato per gli occhi arrossati, avrebbe avuto un’aria davvero minacciosa.
- Tornerò nel Sopramondo e vi riporterò il Cappellaio. –
Con il sostegno di Mirana, Alice disse a Mally e al Leprotto di non seguirla. Avevano già avuto abbastanza guai e la ragazza non se la sarebbe sentita di mettere nuovamente a repentaglio l’incolumità dei due.
Anche se con grande rammarico, Mally e il Leprotto obbedirono.
L’idea di poter fare qualcosa per salvare il Cappellaio, le aveva fatto ritornare la propria moltezza.
Ma non doveva perdere assolutamente tempo, Alice doveva correre.
 
 
SOPRAMONDO
 
Non si sarebbe mai abituata al bizzarro scorrere del tempo tra i due mondi.
Era mattina quando Alice sbucò dalla tana di coniglio, sotto l’albero nodoso.
Qualcosa per terra aveva attirato la sua attenzione: il cilindro del Cappellaio se ne stava adagiato al suolo, dimenticato e abbandonato.
Il Cappellaio doveva averlo perduto mentre veniva trascinato via da Hamish e dagli agenti.
Lo strinse al petto e inspirò intensamente, sentendosi in qualche modo vicina al suo amico.
Poi, ripresasi, con il cilindro tra le mani, Alice proseguì il suo cammino.
Quando Alice tornò nella propria abitazione, l’accoglienza non fu una delle migliori.
Non appena entrò in casa, Alice notò che in compagnia della madre vi era un uomo ben distinto.
Lo riconobbe: era lo stesso uomo che aveva rincuorato il Cappellaio dopo che era stato umiliato dalla moglie di Hamish, l’uomo con la bambina.
Quel signore si presentò come l’avvocato Nathan Clifford.
Alice, inizialmente, non capì il motivo della presenza di quell’uomo.
Proprio quando Alice stava per chiedere spiegazioni, la madre le mostrò una lettera dal Tribunale di Londra indirizzato proprio a lei. Alla signorina Alice Kingsleigh.
In quel foglio, le veniva comunicato in linguaggio glacialmente giuridico di essere accusata di aver coadiuvato con Tarrant Hightopp ad attentare alla vita di Lord Hamish Ascot.
- Che cosa significa tutto questo, Alice? – quasi urlò la madre guardandola con desolazione e frustrazione.
Alice, nonostante tutto, non perse la propria sicurezza.
Non si preoccupò di dirle che quella sera si trovasse in casa del Cappellaio e aggiunse che la colpa fosse solo di Hamish, in quanto lo avesse provocato.
- Hanno detto che ti hanno vista scappare con quell’uomo. – replicò Helen – Vuoi capirlo che non sei in una buona posizione? Ti hanno accusata di complicità. Lo sai cosa significa questo per noi? Hamish sarà in grado di farti perdere ogni cosa. –
Di certo, Helen non aveva rinunciato al suo vecchio stile di vita per poi farsi togliere ogni cosa sudata e sacrificata per colpa di Hamish, non di nuovo.
Alice non si perse d’animo. Per sua fortuna, ci pensò l’avvocato Clifford a placare Helen.
Quest’ultimo, si rivolse alla ragazza con voce calda e rassicurante.
- Signorina Kingsleigh, se le cose stanno come dite voi, allora dovreste fare causa per violazione dei diritti umani. Per non parlare delle minacce. –
Alice si sentì lieta nel sentirlo parlare in quel modo.
- E avrete comunque bisogno di un avvocato. – aggiunse Clifford – Anche perché avete già un processo in corso. –
Nel sapere che si potesse fare qualcosa per salvare giuridicamente il Cappellaio, la moltezza di Alice non fece che incrementare: avrebbe lottato fino alla fine per aiutarlo e sarebbe stata pronta ad affrontare ogni battaglia.
L’Alice moltosa – come il Cappellaio l’aveva definita un tempo – stava ricominciando a vivere.
Clifford le comunicò che fosse possibile andare a trovare il Cappellaio negli orari e nei giorni stabiliti.
Apprese che il Cappellaio fosse stato rinchiuso al Sombergate, un penitenziario al centro di Londra, e Alice era disposta ad andarci al più presto possibile.
Non si dimenticò, di certo, di portarsi dietro il cappello.
 
 
In genere, nel cuore di un recluso vi sono dei forti sentimenti che richiamano la voglia di libertà, la tristezza, la desolazione, soprattutto dopo aver subito orrende torture.
Eppure, niente di tutto questo risiedeva nel cuore e nella mente del Cappellaio.
Era sereno, come se nessun tipo di violenza, fisica e psicologica, lo avessero mai sfiorato.
A farlo sentire bene, era l’idea di sapere che Alice, Mally e il Leprotto fossero fuori pericolo.
Solo questo lo faceva sentire con il cuore in pace.
Grazie a ciò, non aveva paura né del presente, né del seguito.
Le minacce di Hamish gli scivolavano via come pioggia sopra un cappotto impermeabile.
Era così tranquillo da volersi permettere di rimanere sdraiato per terra, disteso a guardare il nudo soffitto, come se si trovasse sopra un tappeto di un verdissimo prato fiorito per contemplare un cielo sereno.
Le ferite gli facevano male, ma la sua voglia di serenità era molto più forte di qualsiasi dolore fisico.
Sanguinanti,e violacee e dolorose ferite si nascondevano sotto i suoi indumenti e se non fosse stato per l’espressione tranquilla dipinta sul suo, si poteva dire che non fossero mai esistite.
Il rumore dei passi di qualcuno avevano attirato il suo udito, ma non la sua attenzione.
Non si scompose minimamente, né si prese la briga di alzarsi in piedi per sapere di chi si trattasse.
- Vedo che non avete ancora imparato l’educazione. – disse la fastidiosissima voce di Hamish – Non si salutano, adesso, i superiori? -
Il Cappellaio, proprio per educazione, non rispose nemmeno.
Hamish lo guardava con aria compiaciuta e, allo stesso tempo, inasprita.
- Mi hanno detto, che ve le hanno suonate come si deve. – Hamish non sopportava il fatto di vederlo così calmo e fece di tutto per punzecchiarlo – Se vi comporterete bene, forse, potreste anche convincermi a mettere per voi una buona parola. - 
Il Cappellaio continuava a rimanersene disteso per terra e, a dimostrazione dell’indifferenza nei riguardi di Hamish, incrociò le gambe e portò le braccia sotto la nuca, simulando di prendere il sole in spiaggia.
In più, per beffeggiarlo, si mise a fischiettare una canzoncina infantile.
Hamish stava per imprecare quando ad un tratto, udendo arrivare qualcuno, frenò la lingua.
Di sicuro, gli parve controproducente per un illustrissimo lord come lui farsi sentire con un linguaggio scurrile davanti ad altre persone. 
Un’espressione inebetita si dipinse sul suo viso quando vide di chi si trattasse.
- V-voi? Signorina Kingsleigh? –
Come una lepre che avverte il pericolo, il Cappellaio si scosse nel sentire quel cognome.
Signorina Kingsleigh? Hamish si riferiva proprio a “quella” signorina Kingsleigh?
Balzò immediatamente in piedi e, con una spina nel cuore, si accorse di avere davanti ai suoi occhi, oltre quelle oscure sbarre di ferro, proprio Alice.
- In persona. – affermò Alice, scortata dall’avvocato Clifford e da una guardia, sicura e combattiva più che mai, senza scollare gli occhi di sfida su quelli di Hamish.
Il Cappellaio, al contrario, assunse uno sguardo colmo di sgomento, come se avesse assistito a qualcosa di molto spiacevole.
Perché Alice era lì? Non doveva essere nel Sottomondo, al sicuro?
- Ed ora vi sarei grata se mi lasciaste da sola con il mio amico. – era molto difficile per lei doversi rivolgere ad Hamish così educatamente, tanta era la voglia di spaccargli il muso, ma il suo avvocato era stato molto chiaro.
Hamish alzò il capo, assumendo i suoi modi cerimoniosi e altezzosi.
Con falsa educazione fece quanto Alice gli avesse chiesto, non scordandosi di lanciare una frecciatina odiosa al Cappellaio.
Gli occhi dischiusi di Tarrant si fecero più sempre più sbigottiti, non accettando il fatto che Alice fosse proprio lì.
Le labbra iniziarono a tremargli e farfugliò parole incomprensibili, evidenziando il suo accento talmente era forte la confusione in lui.
- Alice? Tu... –
Alice non sapeva se sorridergli o se piangere, era confusa quanto lui.
Strinse la tesa del cappello, evitando di sgualcirlo.
Prima di tutto, raccogliendo tutta la ragione che fosse riuscita a trovare, chiese all’avvocato  e alla guardia di lasciarla per un po’ da sola con il Cappellaio.
La guardia, inizialmente, si era rifiutata ma ci aveva pensato Clifford a fargli cambiare idea. Non potevano negare alla sua cliente il diritto di parlare assolo con il recluso.
- Molto bene, signorina. – disse la guardia – Avete solo cinque minuti. Non di più. – detto ciò, si allontanò insieme all’avvocato.
Una volta soli, Alice allungò una mano oltre le sbarre per poter quantomeno carezzare il volto del Cappellaio, come per consolarlo dopo avergli visto subire quelle atrocità.
Ma Tarrant si ritrasse scuotendo disperatamente la testa in senso di negazione, non accettando l’idea che Alice non fosse nel Sottomondo lontana da ogni pericolo.
Il suo sguardo era colmo di sgomento, era come se si trovasse di fronte ad un brutto sogno.
- Cappellaio. – Alice tentava di calmarlo, non sapendosi spiegare cosa gli stesse accadendo – Sono qui per aiutarti. –
Tarrant continuava ad agitare la testa in segno di negazione.
- No, no... – sussurrava come se stesse singhiozzando – Questo non va bene. –
Alice non capiva.
- Tu non dovresti essere qui. – disse tristemente, incurvando le labbra tremanti verso il basso – Ora faccia-molle-Hamish si vendicherà su di te. –
- Non lo farà. – Alice, finalmente, aveva capito la preoccupazione del Cappellaio – Andrà tutto bene, vedrai. Ti tirerò fuori da questa brutta faccenda ad ogni costo. – la sua voce era colma di moltezza, ma il Cappellaio era troppo impensierito per rendersene conto – Non può finire così, Cappellaio. Me l’hai detto tu stesso: “la vita ogni tanto è una favola che merita un lieto fine”. Ed io non permetterò che quel lieto fine ci venga negato. –
Il Cappellaio si era passato un dito alle labbra, come per bloccarne il tremore. Lo sguardo si fece pensieroso.
Rivolse i suoi occhi verdi ad Alice.
- Come sta Thackery? – le domandò a bruciapelo.
- Sta bene. – rispose lei – Ha solo riportato una lieve frattura alla zampa e ha picchiato la testa, ma non è nulla di grave. –
Il Cappellaio ridacchiò appena nel sentirle dire che il Leprotto avesse picchiato la testa, gli pareva una barzelletta. Come se non fosse stato già abbastanza matto, pensò Tarrant.
Alice fece un lieve sorriso quando lo vide ridere, anche se brevemente.
Tarrant tentò di ricomporsi e di riacquistare la propria serenità. Finalmente, si accorse che Alice tenesse tra le mani il proprio cilindro.
- Sei venuta fin qui per aiutarmi... o per riportarmi il cappello? – domandò con fare giocoso.
Alice ammise a sé stessa di riconoscerlo e si sentì placata.
- Tutti e due. – rispose reggendogli il gioco, poi si fece un po’ seria – Cappellaio, io so cosa ti hanno fatto... –
Tarrant raggelò nell’udirglielo dire.
- Ma cosa dici? – scherzava lui, tentando di ingannarla – Non mi hanno fatto proprio niente. Anzi, sai che ti dico? Sto meglio qui che in casa mia: mi danno da mangiare, ho un letto dove dormire e non devo lavorare per vivere, ogni tanto si vedono delle facce nuove... -
Alice non ne voleva sapere di quella falsa consolazione e gli confermò di avere assistito ad ogni cosa tramite la fontana della Regina Bianca.
A quel punto, il Cappellaio dovette arrendersi all’evidenza.
- Stai tranquilla, non è niente. Non fanno male. -
Era un’altra bugia, ma Alice sapeva che glielo avesse detto solo per non allarmarla.
Questo infiammò la sua combattività.
-  Io te lo giuro, Cappellaio: ti tirerò fuori di qui e ti riporterò da Mally e dal Leprotto. Tutti ti stanno aspettando -
Tarrant sorrise.
Purtroppo, il tempo era scaduto e la guardia e l’avvocato Clifford ritornarono.
- La visita è terminata. – disse la guardia con crudezza.
Alice e il Cappellaio provarono una morsa al petto nell’apprendere che non avessero avuto un altro solo minuto a disposizione.
Tuttavia, prima di andarsene, Alice si rivolse alla guardia con estrema educazione.
- Vorrei dare al mio amico il suo cappello... –
Prima che la guardia potesse risponderle, il Cappellaio prese la parola.
- No, Alice. Tienilo tu. – sorrideva lui.
Alice spalancò gli occhi: aveva sentito bene? Il Cappellaio, che lei ricordasse, era molto geloso del proprio cappello. Non avrebbe mai permesso a nessuno di averlo al suo posto.
Perché mai, questa volta, il Cappellaio le aveva dato un permesso simile? Questo era troppo strano.
- Me lo ridarai dopo. – disse Tarrant mantenendo il suo sorriso.
Non sapendosi dare delle risposte, Alice accettò.
Non le sfuggiva niente, per questo, prima di andarsene insieme all’avvocato, Alice ebbe l’impressione che dietro quei grandi ed espressivi occhi verdi del Cappellaio si stesse celando qualcosa.
Che fosse qualcosa di piacevole o no, questo non lo sapeva.
Una cosa era certa: quell’impressione si sarebbe presto rivelata fondata.
 
 

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Capitolo 11
*** Proteggere Alice ***


Ciao a tutti quanti e scusate per essermi fatta attendere così a lungo.
Purtroppo, ho dovuto affrontare un sacco di cose e non ho avuto tempo di niente.
In più, nella testa avevo solo idee confuse, ma alla fine sono riuscita a scrivere questa nuova parte. Mi auguro di non avere fatto un fiasco.
Lo so, potrà sembrare ripetitivo, ma vi assicuro che non è come sembra: badate, non sottovalutate le sorprese che tengo sempre in serbo per voi.
Detto ciò, vi lascio leggere.
Un BACIONE e BUONA LETTURA!
 

 
Si era sentito profondamente dispiaciuto all’idea che Hamish avrebbe potuto compromettere la sua adorata amica Alice.
Lei aveva deciso di ritornare indietro solo per lui, per salvarlo, ma così facendo Alice stava rischiando pesantemente.
L’ultima delle cose che voleva, era quella che ad Alice fosse stato fatto del male.
Non avrebbe mai voluto coinvolgerla.
Era stato condotto nell’aula di tribunale, trascinato senza alcuna cortesia, di mattina presto. Ad accoglierlo, una folla che, più che paragonabili a delle persone, sembrava essere costituita da una massa di pecore sparse: non ci voleva molto per capire che la maggior parte dei presenti si trovasse lì solo per invadente curiosità.
Un brivido freddo gli percosse la schiena, le ferite iniziavano a fargli male.
Quando l’idea che Alice avrebbe potuto subire i suoi stessi trattamenti, il suo dolore aumentò vertiginosamente.
Mai e poi mai avrebbe voluto che le accedesse nemmeno la metà di quanto avesse subito sulla propria pelle.
Dietro di lui vi erano gli Ascot, ma il Cappellaio non si voltava. Tuttavia, immaginava che razza di malefiche facce avrebbero dovuto avere.
Seduta in aula, coprendosi le piccole spalle con il mantello come per nascondersi, c’era anche la madre di Alice e il Cappellaio non si voltò nemmeno per lei, ma nel suo caso fu solo per la vergogna: per colpa sua, aveva coinvolto Alice.
Helen era stata gentile con lui, lo aveva persino invitato in casa sua per un tè e lui l’aveva ricambiata facendo beccare alla figlia una querela.
La confusione era immensa, sia nella testa del Cappellaio sia nell’aula.
La notizia dell’aggressione di un lord ben conosciuto come Hamish aveva fatto scalpore e quegli invadenti erano venuti lì per assistere allo spettacolo, come spettatori romani nell’immenso Colosseo dell’Antica Roma durante una lotta tra gladiatori.
Il giudice si vide costretto a battere il martello per richiamare l’ordine, ammonendo tutti quanti di fare sgomberare l’aula se non avessero assunto un comportamento ortodosso.
La porta si era aperta di nuovo. Il Cappellaio si voltò e la vide.
Alice era in compagnia dell’avvocato Clifford.
Era in ritardo.
Helen guardò la figlia con aria affranta, augurandosi che tutto si sarebbe svolto per il meglio.
Hamish ed Alexandra parevano soddisfatti di vederla di sedersi al banco degli accusati, accanto al Cappellaio, e già pronosticavano la condanna di entrambi.
Con assoluta dignità, Alice non si fece intimorire.
Il processo ebbe inizio.
Tarrant Hightopp era accusato di avere aggredito senza alcun movente Lord Ascot, per poi fuggire in compagnia della signorina Alice Kingsleigh, noto capitano della compagnia navale Kingsleigh&Kingsleigh, e per resistenza verso pubblico ufficiale.
L’accusa lo additava come un elemento molto pericoloso per la pubblica sicurezza.
La gente non faceva che sibilare chiacchiericci poco gentili nei riguardi del Cappellaio: come si era permesso un umile cappellaio di strada alzare un dito verso un illustre lord?
Alice, sotto il consiglio di Clifford, difese sé stessa e il Cappellaio additando Hamish come un provocatore.
- E’ vero, il signor Hightopp viveva in una casa di Lord Ascot che egli gli aveva affittato, ma tra i due non scorreva buon sangue. – era più determinata che mai e, come aveva da sempre suggerito il suo avvocato, giocò la carte dello sfruttamento e della violazione dei diritti umani – Lord Ascot non faceva altro che opprimerlo: il signor Hightopp lavorava sodo per guadagnarsi da vivere e per pagare i suoi debiti, tuttavia i suoi sacrifici non sono mai stati ripagati. –
Naturalmente, Hamish obiettò. Alice lo stava diffamando e, oltretutto, secondo lui, stava anche andando fuori tema.
Alice, tuttavia, non voleva arrendersi.
Le cose peggiorarono quando il giudice disse ad Hamish di esporre come andarono i fatti nel giorno dell’aggressione.
Non ci volle molto per Alice intuire che Hamish avrebbe mentito anche quella volta.
- Mi recai dal signor Hightopp per lamentarmi riguardo il suo comportamento nei confronti della mia signora. – disse lui cerimoniosamente, suscitando lo scandalo tra i presenti nel sentire quell’informazione – Senza peli sulla lingua, Vostro Onore, quella sera mia moglie era molto sconvolta. Mi si era spezzato il cuore nel sentirle dire che il signor Hightopp le avesse creato delle noie, deridendola in pubblico. Le sue lacrime erano un vero anatema per me. Offendendo mia moglie, quell’uomo aveva di conseguenza offeso anche la mia persona. –
Alice stringeva i denti davanti a tutte quelle insopportabili bugie, ma il Cappellaio sembrava impassibile. Alice se ne accorse e si chiese il motivo di tale atteggiamento, cercando, intanto, di ignorare le persone che non facevano altro che coprire il Cappellaio con parole offensive nei suoi riguardi.
“Che vergogna!” “Ma come si fa? Offendere una signora?”
Hamish continuava la sua versione.
- Così, non accettando quel comportamento, avevo deciso di recarmi da lui per prendere provvedimenti. Inizialmente, avevo intenzione di ammonirlo, ma data la sua sfrontatezza  avevo deciso di licenziarlo e di sfrattarlo. Forse, sarò stato anche impulsivo, ma non potevo sopportare l’idea che un uomo al quale avessi offerto un lavoro e una casa si prendesse la briga di offendere la mia signora. Avevo cercato di andarci civilmente, tuttavia, il signor Hightopp aveva pensato bene prima di scagliarmi contro le sue bestie e, successivamente, di attentare alla mia incolumità con le sue stesse mani. Evidentemente, il comportamento civile non è da tutti. –
Nell’aula si infuocarono gli animi.
Alice obiettò.
Il giudice richiamò l’ordine.
- Silenzio! O faccio sgomberare l’aula! –
Il Cappellaio rimaneva zitto, sembrava totalmente assente. Alice gli picchiettò la spalla per richiamarne l’attenzione, ma il Cappellaio non le aveva prestato ascolto.
Quando ritornò il silenzio, il giudice permise all’accusato, Tarrant Hightopp, di esporre la propria versione.
Quest’ultimo, tuttavia, rimase ancora in silenzio. Alice non capiva.
Nonostante ciò, non poteva permettersi di perdere tempo: chiese al giudice se poteva esporre lei la versione dei fatti al posto del Cappellaio.
Il giudice accolse la richiesta.
- Se Lord Ascot non sa difendersi da un ghiro e da una lepre, è un conto. – quella rivelazione provocò alcune risate – Ma che accusi il signor Hightopp di averlo aggredito per vendetta personale, questo è inaccettabile. –
Era decisa più che mai di dimostrare che il suo amico fosse una persona buona, che non attaccasse mai nessuno se non pesantemente provocato. Difatti, a dimostrazione della falsità di Hamish, Alice aggiunse che quest’ultimo avesse fatto del male proprio alla lepre del Cappellaio, animale domestico al quale era molto affezionato. Era stata questa la goccia che avesse fatto traboccare il vaso.
- Era solo una lepre... – disse Hamish con crudezza.
Il Cappellaio non reagì, ma Alice cascò, purtroppo, alla sua provocazione.
- La vita di una lepre vale mille volte di più di un uomo meschino come voi! –
Incerto il fatto se Alice si fosse pentita delle proprie parole, sicuro, invece, che per colpa di esse si stesse per creare un putiferio.
Hamish, per ripicca, non perse l’occasione per schernirla.
- Sono desolato, signorina Kingsleigh, del fatto che siate una persona misera di valori. Posso solo compatirvi. -  
A quel punto, qualcosa era scattato nel Cappellaio: Hamish aveva dato ad Alice della poco di buono pubblicamente?
Sotto gli occhi atterriti di tutti i presenti, il suo volto si tramutò nella sua tipica natura di quando si adirava e, con uno sguardo pieno di ira,  più veloce di un lampo, si scagliò contro Hamish.
- Cappellaio, no! – gridò Alice nel tentativo di fermarlo con l’aiuto di Clifford.
Alexandra, dal suo posto, urlò istericamente.
Troppo tardi. Il Cappellaio si trovava sopra Hamish, massacrandolo nuovamente a suon di pugni.
- La mia Alice non va toccata nemmeno con una vostra volgare parola! – urlò malamente contro Hamish.
Grave errore.
Sorvolando le parole “mia Alice”, dal proprio posto, Helen si coprì la bocca con una mano, sentendosi sconvolta.
Clifford e Alice cercarono di placarlo, mentre la confusione si fece strada tra la gente.
- Aiuto! – urlava Hamish – Levatemelo di dosso! Polizia! -
Due agenti intervennero e scollarono l’inferocito Cappellaio da Hamish, mentre quest’ultimo venne aiutato da altri due agenti a rialzarsi.
Il Cappellaio si agitava terribilmente, imprecando e desideroso di voler infierire contro Hamish per punirlo a dovere per avere osato infangare Alice.
- Ordine! Ordine! – il giudice martellava fortemente e si rivolse al Cappellaio, ruggendo contro di lui – Signor Hightopp! Non tollero questi disgustosi episodi nella mia Corte! Se non vi darete una calmata, sarò costretto a farvi rinchiudere nuovamente in cella! –
Alice, seppure l’avvocato Clifford glielo avesse impedito, si avvicinò al Cappellaio e lo scongiurò di calmarsi.
Solo grazie a lei il Cappellaio riuscì ad acquietarsi e, sempre sotto gli sguardi sbigottiti di tutti quanti – fatta eccezione per Alice, la quale era già abituata a vederlo in quel modo – il suo aspetto ritornò al suo stato naturale.
Accertatisi che si fosse placato, gli agenti lo ricondussero al suo posto, nel banco degli accusati.
Quando ritornò la calma, Hamish puntò il dito indice contro il Cappellaio.
- Avete visto, Vostro Onore? Ve l’avevo detto che non ci si può fidare di uno come lui. Basta un nonnulla perché possa perdere il controllo della propria emotività. Come ci si può sentire al sicuro se un uomo come lui cammina libero nella società. –
Il Cappellaio digrignò i denti, Alice lo pregava di controllarsi.
- Mi rammarico per la signorina Kingsleigh. – continuava Hamish, ma in verità non si rammaricava affatto – Conosco la sua famiglia, distinta e ben disposta. E’ proprio un peccato che una persona come lei, del suo calibro, si sia lasciata coinvolgere mettendo da parte le proprie responsabilità per seguire un uomo dalle mediocre risorse come quelli del signor Hightopp. -
Quando il Cappellaio finalmente riprese totalmente il controllo di sé, guardò Alice dritto negli occhi per molti secondi. Poi si voltò e contemplò Helen.
La situazione stava prendendo una brutta piega: capì che Hamish si sarebbe spinto ovunque pur di vedere Alice rovinata.
No, questo non voleva né doveva permetterlo. Ad ogni costo, lui l’avrebbe protetta come aveva sempre fatto.
Si morse un labbro e, alla fine, rizzata la schiena e alzata la testa, il Cappellaio prese la parola.
- Vostro Onore, la signorina Kingsleigh non c’entra niente. Lasciatela andare, la colpa è solo mia. –
C’era stato un colpo di scena collettivo.
Il giudice dovette nuovamente richiamare l’ordine.
Alice aprì la bocca per lo stupore e il disappunto.
- No, Cappellaio... – non avrebbe mai accettato che il Cappellaio si assumesse una così grande quanto ingiusta responsabilità.
Il Cappellaio la ignorò totalmente e riprese a rivolgersi al giudice assumendo l’aria più misurata che potesse.
- Lord Ascot ha ragione sul mio conto, Vostro Onore: io non sono un uomo dai grandi valori.  Anzi,  io non sono nemmeno completamente sano di mente. – si voltò verso un inebetito Hamish – Io non ce l’ho con voi, Lord Ascot, ma non voglio che Alice venga coinvolta per causa mia. Sono molto dispiaciuto per i guai che vi ho causato. Le mie scuse non basteranno per avere compromesso vostra moglie, né per avervi aggredito anche troppe volte. – Alice era sconvolta, il Cappellaio stava dicendo delle cose assurde – Per cui, sono disposto ad affrontare la punizione che mi spetta. –
Alice era incredula, i suoi occhi si spalancarono in una smorfia di sgomento.
Non avrebbe permesso che si sacrificasse un’altra volta. Era stanca di vederlo soffrire al suo posto.
- Vostro Onore – replicò Alice – non ascoltatelo... –
Ma il giudice non le diede retta: Tarrant Hightopp stava fornendo una confessione gratuita.
Hamish e Alexandra non potevano chiedere di meglio.
- Dunque, signor Hightopp, - disse il giudice – confermate che quanto ha detto Lord Ascot e le accuse che gravano su di voi corrispondano a verità? –
- Lo confermo. – ammise il Cappellaio con un tono che non si capiva se fosse triste o sereno.
- Avete aggredito Lord Ascot agendo d’impulso la sera di venerdì? –
- Sì, Vostro Onore. –
- Confermate di avere posto resistenza ai danni degli agenti? –
- Sì, Vostro Onore. -
- La signorina Alice Kingsleigh risulta estranea ai fatti? –
- Sì, Vostro Onore. –
Hamish si stava gustando ogni cosa, attimo per attimo, mentre Alice, al contrario, rimaneva sempre più sbigottita.
- Molto bene. – il giudice impugnò il martello – La Corte ha elementi sufficienti per decidere: date le circostanze, questo giudice ha deciso di assolvere la signorina Alice Kingsleigh. –
Il Cappellaio sorrise beatamente, mentre, allo stesso tempo, Helen si mise una mano al petto. Hamish, invece, lottava per nascondere il proprio dissenso.
Alice, al contrario di chiunque altro, non si sentiva affatto serena: era angosciata per il Cappellaio, al punto di non importarle nulla per la propria assoluzione.
Ma il giudice non aveva finito.
- Osserva la Corte, dopo avere ascoltato la versione di Lord Hamish Ascot, assistito alla violenta reazione dell’imputato il quale, infine, ha deciso di fornire una confessione spontanea, che Tarrant Hightopp risulta suscettibile di alterare la sfera intellettiva o volitiva in modo tale da escludere o, addirittura, gravemente scemare la capacità di intendere e di volere. Date le circostanze, questo giudice non riconosce valore di malattia, e perciò come causa di esclusione della responsabilità ai disturbi della personalità. In definitiva, questo giudice ritiene che al momento dei fatti in Tarrant Hightopp erano integre le capacità di cognizione, previsione, decisione, esecuzione e giudizio delle proprie azioni. In altre parole, si riconosce nell’imputato l’integrità della capacità di intendere e di volere.
La sentenza fu un colpo dritto al cuore: Tarrant Highopp, giudicato troppo pericoloso per la pubblica incolumità, venne condannato a morire tramite impiccagione.
– La Corte si aggiorna. – disse infine il giudice.
Una folata di gelo si era librato nell’anima di Alice.
Una cieca e immensa soddisfazione si era dipinta nel volto di Hamish e di sua moglie.
Una morsa al cuore di Helen, la quale si era coperta le labbra con una mano.
Sì, Tarrant Hightopp era colpevole, pensava, aveva sbagliato, ma condannarlo a morte era troppo.
Il Cappellaio rimase inebetito o, forse, non si era ancora reso conto di quanto fosse accaduto. Non aveva, forse, idea del destino che avrebbe dovuto affrontare.
Con ancora la nebbia nella mente, il Cappellaio si sentì afferrare le braccia da qualcuno: due agenti lo stavano portando via.
Alice cercò di raggiungerlo, ma venne tenuta lontana sia da alcuni agenti, sia da Clifford.
Disperata, allungò una mano in direzione del Cappellaio, chiamandolo a gran voce.
Quest’ultimo, infine, mentre veniva trascinato sempre più lontano, ebbe il tempo di guardare Alice: le sorrideva.
E i suoi occhi verdi non sembravano provare paura. A renderlo sereno era il fatto di aver realizzato ciò che veramente contasse per lui: proteggere Alice.
Qualunque fosse stato il prezzo da pagare, Alice andava protetta.
« Vivi, Alice. » pensava « Almeno tu, resta al sicuro. »
Vide Helen che lo guardava tristemente, dispiaciuta per tutto. Le rivolse un lieve sorriso che la fece commuovere.
Infine, notò Alexandra che correva tra le braccia di suo marito, entrambi con i volti pieni di malefico appagamento.
Quando fu definitivamente portato via, Alice, al colmo dell’ira, se la prese ferocemente con l’avvocato Clifford: quest’ultimo non aveva fatto per niente bene il proprio mestiere, non aveva mosso un dito per difendere il Cappellaio.
Helen, alzatasi dal suo posto per avvicinarsi alla figlia visibilmente frustrata, cercò di calmarla.
Alice, tuttavia, non l’aveva minimamente ascoltata e, senza pensarci due volte, licenziò il suo avvocato.
- E’ tutta colpa vostra! – gli urlò contro, sputandogli addosso tutto il veleno della collera che avesse addosso.
Senza aggiungere altro, Alice girò i tacchi e si dileguò. Non si voltò nemmeno indietro, non avendo, quindi, la  possibilità di poter vedere sua madre con gli occhi pieni di lacrime.  
 
 
 
 

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Capitolo 12
*** Luna sorridente ***


Ciao a tutti quanti.
Come al solito, voglio scusarmi per il ritardo, ma per fortuna sono riuscita a creare questa nuova parte.
Posso solo dirvi che siamo arrivati quasi alla fine.
Come vedete, non vi abbandono. Vi voglio troppo bene per poterlo fare.
Siete nel mio cuore. Grazie per la vostra pazienza.
Un BACIONE e BUONA LETTURA.


 
Alice uscì dal tribunale  e venne accolta da un soffio di vento molto freddo.
Con il sangue che le ribolliva, vagò a passi pesanti fino ad arrivare al marciapiede. Sebbene non fosse educato per una signorina, Alice vi si sedette sopra e si coprì il viso con ambo le mani.
La sua mente navigò verso un unico pensiero: il Cappellaio.  Ancora una volta, si era sacrificato per lei senza pretendere nulla in cambio, senza pensare alle conseguenze.
Lo avevano portato via e, forse, non lo avrebbe rivisto mai più.
Sospirò frustrata, trattenne un pianto dirotto.
- Perché l’hai fatto? – mormorò tra sé riferendosi al Cappellaio.
Pensò quando le aveva lasciato il permesso di tenere il proprio cappello ed ora Alice ne aveva capito il senso: il Cappellaio aveva già avuto in mente sin da subito di salvarla da una condanna.
Per questo motivo, aggiunse ai propri conti, inizialmente, era rimasto in silenzio davanti al giudice: molto probabilmente, il Cappellaio stava escogitando un modo per poterla tirare fuori dai guai.
E lei glielo aveva permesso. Non aveva fatto niente per aiutarlo. Clifford, certo, era stato un incompetente, ma Alice si auto considerò peggiore di quest’ultimo. Difatti, non proteggendolo a dovere, Alice aveva mancato alla promessa che aveva fatto al Cappellaio: non era riuscita a tirarlo fuori da quell’orribile faccenda.
Ed ora lo avevano condannato a morte.
« La vita ogni tanto è una favola che merita un lieto fine. » pensava tristemente.
Si sentì profondamente in colpa.
 
 
SOTTOMONDO
 
L’immagine mostrata svanì in uno scintillante getto d’acqua della fontana.
La Regina Bianca rabbrividì e si voltò verso i suoi amici.
Gli occhi luminosi dello Stregatto apparvero sopra di lei.
Il Bianconiglio era troppo nervoso per poter proferire verbo, Bayard guardava la regina con occhi spalancati ed espressivi, i Pinchi si rattristirono esageratamente, il Leprotto Marzolino storceva i baffi zigzagati e Mally si fece irrequieto.
- Non lo permetterò! – strillò Mally afferrando la piccola spada – Il Cappellaio non sarà dipartitodefunto! –
- Dobbiamo salvarlo! – lo spalleggiava il Leprotto.
Mirana, dal canto suo, cercò di fare calmare gli animi.
Non avrebbero di certo potuto salvare il Cappellaio ritornando con le sembianze di animali che si reggevano su tutte e quattro le zampe, in più il Leprotto doveva ancora guarire dalle sue ferite.
- Ma io sto benissimo. – replicò il Leprotto, e nel dirlo venne colto da una fitta di dolore alla testa, tuttavia tentò di non mostrarlo – Mai...sentito...meglio... –
Mally era più deciso che mai, anche se questo significava andare contro la volontà della loro regina.
- Se quella testona e piagnucolona di Alice pensa di risolvere tutto con le lacrime, allora ci penserò io a salvare il Cappellaio. – assunse un’aria molto minacciosa e agitò la spadina – Ma prima, voglio farla pagare a quel furfante rompiscatole di faccia-molle-Hamish! – era stato il Cappellaio a dir loro quel buffo soprannome che Alice gli avesse affibbiato.
- Sì, sì. – disse il Leprotto – E questa volta, voglio essere io a prenderlo a calcioni. –
Mirana dovette metterci molto impegno per farli quietare, invano.
- E’ molto pericoloso. – aggiunse la Regina Bianca con la pazienza di una dolce mamma.
- Io non ho paura di niente e di nessuno. – assicurava Mally. Non avrebbe accettato nessun tipo di respinta, specie se vi era in gioco la vita del suo carissimo amico Cappellaio.
 
 
SOPRAMONDO
 
 
Le ore successive nel carcere di Sombergate erano state molto lente.
La luna crescente era alta e il suo splendore faceva invidia alle stelle.
Il Cappellaio ebbe modo di ammirarla attraverso la piccola finestra, nonostante le grosse sbarre gli impedissero di contemplarla per bene.
Avrebbe tanto voluto tirare fuori una mano per poterla afferrare o, in alternativa, immaginare di poterlo fare.
Si sedette sul nudo e logoro pavimento e provò a distrarsi.
Si sentì angoscioso, dopotutto l’idea di una condanna a morte non era di certo una festa. Allo stesso tempo, tuttavia, si sentiva lieto: Alice era salva.
Questo pensiero gli fece serrare le labbra in un sorriso: cosa c’era di più importante se non quello di salvare la vita della sua cara Alice?
Probabilmente, gli dispiaceva dover dire definitivamente Buonviaggiavederci ai suoi amici, lasciandoli soli per sempre, ma a cosa sarebbe servito vivere altri anni con la consapevolezza che ad Alice fosse accaduto qualcosa?
Nonostante tutto, pensò a quanto alla propria sorte: non era sicuramente il finale migliore per poter concludere la propria vita, ma si sentì felice all’idea che faccia-molle-Hamish non avrebbe potuto fare nulla per poter dare il tormento ad Alice.
Per scacciare tutti i pensieri negativi, il Cappellaio prese a canticchiare una filastrocca assumendo l’aria più allegra e giocosa che sapesse assumere.
 
 
Seduta ai piedi del letto, osservava la farfalla in carta blu che il Cappellaio le aveva regalato.
Per l’eccessiva inquietudine, Alice non aveva cenato. Inutili i tentativi di Helen per convincerla a toccare cibo: ne aveva ottenuto solo uno sguardo cupo da parte della figlia.
- Non ho fame. – le aveva detto Alice, cercando di controllarsi.
Sua madre non c’entrava niente, per cui non le parve corretto prendersela con lei.
- Vi dispiace? – chiese lei con garbo.
Helen guardò la figlia negli occhi e ne percepì l’immensa tristezza. Erano arrossati e corrotti da chissà quanti pianti.
- No, a patto che poi noi due facciamo due chiacchiere. – disse Helen con dolcezza.
Helen chiuse piano la porta e lasciò Alice sola nella propria camera.
Alice strinse con delicatezza la farfalla di carta e la portò al petto. Aveva sciupato tutte le proprie lacrime.
Poggiò la farfalla sul piccolo comò vicino al letto e si alzò per poter guardare fuori dalla finestra.
Osservando la luna, Alice continuava a pensare alla frase detta dal Cappellaio.
La vita ogni tanto è una favola che merita un lieto fine, e quanto stava accadendo si stava rivelando un finale degno di un fiasco totale.
Se quella storia fosse stata scritta su carta, Alice l’avrebbe stracciata in tanti pezzettini.
Guardò oltre la finestra. Oltre quel vetro c’era la strada. Oltre la strada c’era il carcere di Sombergate. Lì dentro, vi era il Cappellaio.
Aprì le ante e venne accolta dal gelo. Ad ogni costo, lei lo avrebbe salvato. Anche uscendo dalla finestra.
I suoi occhi si alzarono verso la luna e sospirò.
In quel momento, accadde qualcosa di molto, molto strano.
O lei aveva le visioni, o la luna si era capovolta?
O la stanchezza le aveva giocato un brutto scherzo, o sopra di essa erano spuntati un paio di grandi occhi verdemare dalle pupille verticali, alludendo ad un largo sorriso?
Come l’illusione era iniziata, quegli occhi e la luna capovolta in un ghigno sfumarono come le nuvole dissolte.
Alice fece un passo indietro e le labbra si aprirono in una grande “o”.
Era sicura di stare bene? La memoria le bussò nel cervello: c’era una sola creatura in grado di sorridere in quel modo.
Ma come poteva essere che lo Stregatto le si fosse mostrato sul cielo del Sopramondo?
Non ebbe il tempo di rispondersi poiché le parve di sentire delle vocine provenienti da sotto casa sua.
- E’ qui, è qui... – diceva la prima voce.
- Shhh! Stai zitto, razza di zuccone. – mormorò la seconda.
- Ahi! Mi hai fatto male! –
- Ti ho detto zitto! –
Alice si sarebbe giocata gli occhi; fosse rimasta cieca, era sicura che quelle voci appartenessero a Mally e al Leprotto Marzolino.
Senza perdere altro tempo, Alice li chiamò cercando di non fare baccano.
- Aiuto! Pericolo! Ci hanno scoperti! – urlava il Leprotto.
Mally per farlo tacere gli aveva riservato un altro pugno sulla testa.
- E’ Alice. – disse il ghiro riconoscendo la voce della ragazza. Mally gli indicò la finestra proprio dove Alice era affacciata. Il Leprotto, nel vederla, si tranquillizzò.
A causa dell’oscurità, non avevano modo di poter vedere alla perfezione il sorriso che aveva stampato in volto. Era felicissima di poterli rivedere.
- Aspettate un momento, vi faccio salire. – disse lei allontanandosi per un attimo. Dopo pochi secondi, Alice fece scorrere dalla finestra un lungo lenzuolo bianco e invitò i suoi amici ad arrampicarvisi per poterla raggiungere.
Per Mally fu un gioco da ragazzi, ma lo stesso non poteva dirsi per il povero Leprotto.
Era difficile, infatti, doversi arrampicare con un braccio fasciato. Per fortuna, erano riusciti a raggiungere la camera di Alice senza altri intoppi.
- Cosa ci fate qui? – domandò Alice.
- Siamo venuti a salvare il Cappellaio, ovvio. – disse Mally.
Alice li aveva avvertiti di non alzare la voce, poiché non era sola in casa.
Quando domandò loro come facessero a sapere cosa fosse accaduto al Cappellaio, Mally e il Leprotto spiegarono che avevano visto tutto tramite la fontana della Regina Bianca.
- Dato che tu non hai intenzione di muovere un dito, – disse Mally in tono di sfida – ci penseremo noi a salvare il Cappellaio. –
- Cosa vi fa pensare che io non voglia salvare il Cappellaio? – domandò Alice seccata e offesa.
- Se davvero avresti voluto farlo, lo avresti fatto sin dall’inizio. Ma tu, no. Tu hai pensato bene di piangerti addosso. – la rimproverò Mally.
Nonostante il fastidioso commento del ghiro, Alice non ebbe il coraggio di replicare: aveva ragione su tutto.
Se davvero avesse voluto, avrebbe fatto di tutto pur di salvare il Cappellaio, fuorché abbattersi.
- Moltosa un accidente. – aggiunse Mally – Mi domando cosa abbia spinto il Cappellaio a venire qui quando ti dimenticasti di noi! –
- Taci! – ordinò Alice.
Mally stava esagerando. D’accordo, Alice aveva sbagliato ad arrendersi, ma Mally non aveva nessun diritto di parlarle in quel modo.
- Il Cappellaio è venuto qui per Alice. – disse il Leprotto con voce smielata – Perché le vuole tanto, tanto, tanto bene. –
Gli occhi di Alice si spostarono sul Leprotto, regalandogli un dolce sguardo di intesa.
Alice prese un respiro.
- Sì, Mally. Hai ragione: ho sbagliato sin dal principio. Ma adesso voglio rimediare. –
Il Leprotto la guardò speranzosa, mentre Mally le riservò uno sguardo da ramanzina, con tanto di zampe conserte.
- Aiuteremo insieme il Cappellaio. – aggiunse, infine, Alice con aria trionfante e con tanta sicurezza.
Finalmente, anche Mally la guardò con complicità.
- Avremo bisogno di questo. L’ha fatta la Regina Bianca. – disse il Leprotto, tirando fuori dalla tasca del panciotto un sacchetto con una targhetta con scritto “SOFFIAMI” e porgendolo ad Alice.
Lei vi mise una mano dentro e tastò una strana sabbia finissima argentata.
- Cos’è? – domandò Alice.
- Renarifera. – spiegò Mally – E’ un potentissimo sonnifero. –
Il Leprotto aprì la giacca e mostrò ad Alice di conservare delle discrete scorte di quella sabbia argentata dagli effetti soporiferi.
Alice ebbe uno scatto. Immediatamente, seppe che cosa fare per poter aiutare il Cappellaio.
Mally e il Leprotto erano pronti ad offrirle lealtà e moltezza, avrebbero fatto gioco di squadra se avessero voluto salvare il loro amico dalla forca.
- Prima che tu ci sveli il piano... – disse il Leprotto – avrei un graaaaaaaande favore da chiederti. –
Alice gli prestò ascolto, pronta a sapere che cosa il Leprotto Marzolino avesse da chiederle.
 
 
 
La notte era troppo giovane e il freddo gli penetrava nelle ossa.
Il corpo del Cappellaio, già compromesso dalle ferite inflitte dalle torture da parte delle guardie, tremava come una foglia pronta a staccarsi da un ramo.
Cercò di scaldarsi frizionandosi la pelle con l’ausilio delle mani.
Rannicchiato in una specie di branda, scomoda e dura come il legno, il Cappellaio cercava di trovare il sonno nella speranza di potersi rifugiare nei propri sogni.
A distrarlo, erano i rumorosi passi delle guardie notturne che sembravano trovare divertente disturbare il riposo dei detenuti.
Una guardia massiccia, alta, dall’aria tutt’altro che rassicurante, si faceva strada lungo il corridoio.
Camminava pesantemente e lentamente si avvicinò ad un collega, il quale era preso a giocherellare con un mazzo di chiavi.
La guardia robusta prese un sacchetto dalla propria tasca, vi mise una mano dentro e la strinse a pugno. Richiamò l’attenzione del collega e, quando egli fu abbastanza vicino, la guardia gli soffiò in faccia una stranissima polvere argentata. In pochi millisecondi, la guardia massiccia si lasciò alle spalle il proprio collega accasciato al suolo, caduto in un pesantissimo sonno.
Il Cappellaio sperava di sognare qualcosa che lo facesse sorridere, qualcosa come prendere il tè insieme al Leprotto e a Mally, là nel vecchio mulino.
Già immaginava la fila di tavoli coperti dalle tovaglie variopinte, tempestate di dolciumi, tazze colorate e teiere di ogni forma e colore. Quante risate insieme a loro, con il profumo del dolce e caldo tè che li rilassava, li riuniva, li divertiva, scaldando i loro cuori uniti in un solido legame di amicizia sincera disinteressata.
Cosa non avrebbe dato per poter rivedere quel pazzerello del suo amico Leprotto poter saltellare sui tavoli, facendo un gran baccano, o lanciare tazzine colme di tè o dolcetti qua e là. Gli sarebbe bastato anche una sola ora per poter rivivere quell’immensa gioia.
E la felicità avrebbe raggiunto le stelle se con loro si fosse aggiunta la sua cara amica Alice.
Magari avesse potuto vederla seduta vicino a lui, mentre beveva il tè con un accento di timidezza nel vedere quei matti fare discorsi privi di senso, senza un vero e proprio significato, ma con un grande senso di amore e gratitudine dietro quello sguardo pieno di moltezza.
Quando i suoi pensieri sembravano averlo rilassato abbastanza, il Cappellaio venne colto di sorpresa da un cigolio fragoroso.
Si alzò di scatto dal letto e osservò confuso la guardia che si presentò davanti a lui.
Era un uomo possente, alto e robusto. Incuteva timore, ma il Cappellaio non si volle fare intimidire.
Tirando fuori la sua follia, il Cappellaio gli fece un sorriso beffardo.
Senza dire una parola, la guardia gli afferrò una spalla. Se avesse usato maggiore forza, il Cappellaio pensò che avrebbe potuto lussargliela in una sola mossa.
- Andiamo. – disse la guardia con voce bassa e sinistra.
- Dove? – domandò il Cappellaio sconnesso.
- Zitto e cammina. – era stata la gentile risposta della guardia.
Lo afferrò per un braccio, coprendoglielo interamente con una sola e grossa mano, e fece per condurlo fuori dalla cella.
Il Cappellaio non capiva. Volevano già condurlo verso la morte? Nel cuore della notte?
Provò a ribellarsi, ma la guardia gli cinse il braccio con più forza e il Cappellaio si vide costretto a non reagire.
Solo che non poteva accettare il fatto di dovere essere giustiziato in quel modo, non era ancora preparato.
- Ditemi dove mi state portando. –
A quel punto, a qualche passo verso la soglia, la guardia si fermò e lo guardò negli occhi.
Il Cappellaio si impressionò quando si accorse che la guardia gli stesse sorridendo.
I suoi occhi si spalancarono, insieme alla sua bocca, non appena vide gli occhi della guardia mutarsi in grandi iridi verdemare.
Quegli occhi, quel sorriso, per il Cappellaio erano inconfondibili.
- Stregatto... –
La guardia sfumò, letteralmente, e assunse la forma originale del felino dalle qualità evaporative.
-Ti ho spaventato, non è vero? – ghignava Stregatto.
- Ma cosa ci fai qui? E tu...nel Sopramondo...e le guardie... – era così pieno di emozione da non riuscire a completare una sola frase.   
Stregatto svolazzava leggiadramente intorno al Cappellaio.
- Credevi davvero che ti avremmo abbandonato, Tarrant? Sul serio, credi che ti avremmo lasciato morire appeso come un salame? – terminò la frase con un sorriso divertito per la propria battuta.
- Avrei affrontato la mia dipartita con estrema dignità. -  disse il Cappellaio a testa alta,  sentendosi offeso nell’essere stato indecorosamente paragonato ad un salame.
- Certo... – disse Stregatto – Ma non avresti di certo sfoggiato un aspetto dignitoso senza il tuo cappello. –
Il Cappellaio non rispose e continuò a mantenere la sua aria fiera.
- Certo che non potevi, - continuava il felino fluttuante – non hai qui con te il tuo cappello. Ce l’ha Alice in questo momento. - 
Quando udì quel nome, il Cappellaio si era come risvegliato come se fosse stato colpito da una scarica elettrica.
Stregatto se ne accorse.
- E’ così impaziente di restituirtelo. – continuò sorridendo – Credo che ti trovi più adorabile con indosso il tuo cappello. Vuoi davvero farla attendere ancora? –
Il Cappellaio gli serbò un sorrisetto di favoreggiamento.
Era chiaro che non avrebbe fatto attendere Alice un solo minuto di più, ma voleva sapere come avrebbe fatto a scappare visto che Sombergate era ben controllato.
- Spero che tu abbia un piano per farmi andare via di qui. -
Stregatto ghignò.
- A dire il vero, io non ne ho la più pallida idea. Contavo di uscire da qui in tutta tranquillità. –
Il Cappellaio sgranò gli occhi e, per poco, non si adirò.
- Mi prendi in giro? Ci sono guardie ovunque. –
- Quali guardie, Tarrant? –
Il felino fluttuò attraverso le sbarre e il Cappellaio fece per fermarlo.
« Che razza di incosciente! » pensò. Voleva farsi notare dalle guardie?
- Qui dormono tutti. – disse Stregatto, ma il Cappellaio non capiva – I soli svegli qui siamo tu... io... Mally...il Leprotto... –
E prima che il Cappellaio potesse rispondere, proprio in quel momento, come se Stregatto avesse annunciato un’entrata in scena, Mally e il Leprotto entrarono nella cella del Cappellaio.
Incredulo, il Cappellaio li accolse con immenso calore e Mally dovette fare di tutto per reprimere le lacrime. Lo stesso non poteva dirsi per il Leprotto. Era una fortuna che avessero fatto addormentare le guardie con la Renarifera.
Stregatto, infine, annunciò l’arrivo anche di Alice. Stranamente, nascondeva le mani dietro la schiena.
Al colmo dell’emozione, il Cappellaio si sentì svenire e rimase immobile.
Alice tirò col naso per soffocare la commozione. Avvicinandosi sempre di più, gli mostrò cosa stesse nascondendo dietro la schiena: come aveva detto Stregatto, gli aveva riportato il suo cappello.
Sorridendogli, Alice glielo mise sulla testa e quando ebbe finito gli regalò uno sguardo pieno di dolcezza. Con il cuore che le esplodeva per l’emozione, Alice gli buttò le braccia al collo.
- Te l' avevo promesso. – disse lei affondando il viso sul petto del Cappellaio, il quale la stringeva con affetto - Ti avevo giurato che ti avrei tirato fuori da questo guaio - .
Il Cappellaio strinse le labbra e chiuse gli occhi per la forte gioia. Erano venuti a salvarlo. E anche Alice era lì per lui.
Le emozioni erano così tante che per un secondo il Cappellaio si sentì impazzire, questa volta per la felicità.
- Avanti, andiamo via. – disse il Leprotto trionfante – E poi, Alice mi aveva promesso che mi avrebbe fatto un favore. –
Il Cappellaio, dopo essersi sciolto da Alice, guardò il Leprotto.
- Che genere di favore? –
Per tutta risposta, Alice gli fece un sorrisetto, mentre il Leprotto effettuò una risatina canagliesca.
 
 
 

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Capitolo 13
*** Scappiamo, Alice ***


Ed eccoci qui! Grazie al Cielo, sono riuscita a pubblicare questo capitolo.
Purtroppo, ci stiamo avvicinando sempre di più al finale. Eh, già, siamo agli sgoccioli. Ma non disperate, lo sapete che non voglio vedervi tristi.
Coraggio, non perdiamo altro tempo e immergiamoci in questo nuovo capitolo.
Un BACIONE e BUONA LETTURA.
 

 
Grazie alla magica sabbia argentata dagli effetti soporiferi, Alice, il Cappellaio e i loro amici erano riusciti a sgattaiolare via da quell’orrido luogo senza alcun tipo di problema.
Tutte le guardie se la dormivano beatamente, ignari di ogni cosa.
Il Cappellaio rideva come un matto e quando si trovò fuori dalle mura di Sombergate rimase per un attimo immobile, contemplò il cielo notturno illuminato dalla luna.
Spalancò le braccia più che poté e per quel momento non avvertì minimamente il dolore alle ferite.
Respirò a pieni polmoni e dentro di lui si intersecò una nuova e meravigliosa sensazione: la libertà.
Non avrebbe mai più dimenticato quella gioia di potere fare una cosa così semplice come ammirare il cielo senza nessun intoppo, senza che vi fosse stato qualcuno che glielo impedisse, probabilmente riservandogli un sacco di botte.
Alice per un attimo si era sentita confusa, ma poi capì i sentimenti del Cappellaio. Sorrise lieta nel vederlo finalmente felice.
Il Leprotto, al contrario, interruppe quel momento così magico per il Cappellaio.
- Dai, dai, dai. – lo afferrò per una manica – Andiamoooo! –
Sembrava un bambino che non voleva perdersi uno spettacolo da circo tanto desiderato.
Il Cappellaio ritornò in sé.
- Oh, hai ragione. – prese il Leprotto per la mano e, come un maschio alfa di un branco ( per lo più, con atteggiamenti giocherelloni ), spronò i suoi amici a mettersi in marcia.
Alice si unì a lui.
Mally agitò la spadina, il Leprotto saltellava non stando più nella pelle, Stregatto ghignava largamente, il Cappellaio guardò Alice con simpatica intesa.
- Ci sarà da divertirsi. – le disse.
Alice guardava il Leprotto, con la zampa nella mano del Cappellaio, che incitava quest’ultimo e tutti gli altri ad aumentare il passo.
 
 
In fondo ad un viale illuminato dalle lanterne, in cima ad una collina si ergeva l’immenso e lussuoso maniero degli Ascot.
L’unico ancora sveglio era Hamish, seduto sulla sua costosissima ed elegante poltrona in legno dorato e intarsiato con perfetta imbottitura in tessuto fiorato e cuscini di piuma.
Quella poltrona, per lui era come un trono e la occupava stabilmente quando era a casa.
Spesso vi si appisolava sopra russando con la bocca aperta, oppure teneva delle carte in grembo facendo finta di lavorare.
Quella volta, come al solito, se ne stava lì addormentato pesantemente con le medesime carte poggiate sulle ginocchia.
Nel vederlo in quel modo e sentendolo russare fortemente, il Cappellaio tentava di soffocare le risate.
- Shh! – lo ammonì Alice sussurrando – Non svegliamolo. –
In un’altra occasione, Alice non avrebbe mai e poi mai pensato di introdursi furtivamente nell’abitazione altrui, forzando una finestra con l’aiuto della spadina di Mally, per poter aiutare il Leprotto a vendicarsi.
Ma questa volta era diverso: Hamish aveva osato fare del male al Leprotto ed era quasi riuscito a fare condannare il Cappellaio. Gesti così meschini non potevano andare ignorati e quella notte gliel’avrebbero fatta pagare... ma con i giusti modi.
Alice era stata chiara: dovevano dargli una lezione, ma senza esagerare. Non voleva che i suoi amici scendessero all’infimo livello di Hamish.
Il Cappellaio le assicurò che si sarebbero solo divertiti.
Con una manciata di Renarifera nelle tasche, per Alice e gli altri era stato uno scherzo fare addormentare i residenti del maniero e ora avrebbero potuto divertirsi con Hamish a loro piacimento.
Hamish continuava a russare e il Cappellaio non riuscì a resistere alla comicità della situazione. Scoppiò a ridere apertamente e Alice si sentì raggelare.
Di conseguenza, Hamish si svegliò di soprassalto e per lui fu un vero e proprio shock ritrovarsi quella stranissima visita.
Il Cappellaio placò le risate e si rese conto di quanto avesse fatto.
- Chi? Cosa? – Hamish si guardò intorno e non credeva a quanto stesse vedendo.
Riconobbe all’istante Alice e il Cappellaio.
- Voi! – strillò – Cosa ci fate in casa mia? Oh, Cielo! Un evaso! –
A quel punto, Alice e il Cappellaio lo bloccarono.
- Piano B! – disse il Cappellaio e Mally e il Leprotto saltellarono dalla gioia.
Per la paura cacciò un urlo e poi i suoi occhi si spostarono uno ad uno verso tutti i presenti.
- Cielo! Degli animali vestiti! Un gatto volante! –
Stregatto sogghignava, incutendogli maggiore timore.
- Non una parola, Hamish. – lo avvertì Alice – O lascerò che i miei amici ti facciano quello che vogliano. –
Hamish guardò lo Stregatto e tremò visibilmente alla vista di quel ghigno. Il felino svolazzava sopra di lui e per pochissimo Hamish non se la fece, letteralmente, nei pantaloni.
- Va bene, va bene, ma allontanatemi quel gatto! – implorò Hamish.
Alice guardò lo Stregatto e con un cenno della testa lo invitò a fare quanto il lord avesse detto.
Mally e il Leprotto si sganasciavano dalle risate.
- Che cosa volete da me? – piagnucolava Hamish.
A quel punto, il Leprotto balzò sopra il grembo di Hamish e lo guardò follemente dritto negli occhi.
- Ciao. – gli disse ed Hamish strillò.
- Buon Dio! Sa parlare! –
- Sì. – disse Mally con aria fiera – E, sicuramente, meglio di te. –
Hamish urlò ancora nell’apprendere che anche il ghiro parlasse.
Alice pensò che fosse stata una vera fortuna che la Regina Bianca avesse preparato delle quantità sufficienti di Renarifera.
Conoscendo Hamish, sapeva che avrebbe reagito nel più vigliacco dei modi e Alice era stata previdente nel fare addormentare tutti i residenti dell’abitazione degli Ascot.
Il Leprotto si sgranchì l’osso del collo e, come un pugile, si scrollò le zampe.
- Che cosa volete farmi? – strillava il povero Hamish.
Il Cappellaio assunse un tono giocoso.
- Lord Ascot, voi avete fatto del male al mio povero amico Leprotto quando non aveva alcuna possibilità di difendersi. - schioccò la lingua in segno di negazione e scosse la testa – Questo non si fa, no, no. Perciò, questa sera siamo qui per aiutare il nostro amico a rendervi quel che vi spetta. –
Alice lo spalleggiò.
- Ogni cosa ha il suo prezzo, Hamish. Ed è tempo che tu venga ripagato con la stessa moneta. –
Hamish stava per chiedere spiegazioni e pietà, ma il Leprotto, impaziente, prese a colpirlo con una zampata al volto.
Mally, allo stesso tempo, si arrampicò su Hamish e lo minacciò con la piccola spada.
- Se oserai reagire, ti infilzo per bene. –
Per fortuna, Hamish era troppo codardo per potersi ribellare anche davanti ad una creatura minuta armata di una spada non più lunga di uno stuzzicadenti.
Il Leprotto continuò a prenderlo a calci e pugni in faccia e rideva beatamente.
Il Cappellaio si unì alle risate e lottava per impegnarsi a non lasciare andare Hamish.
Alice si sentì soddisfatta e non lo lasciava per nessuna ragione: quel faccia-molle-Hamish stava avendo quello che meritava.
Il Leprotto continuava a prenderlo a cazzotti ed Hamish perse la sua dignità a furia di chiedere pietà ad una lepre.
Alice, alla fine, ordinò amichevolmente al Leprotto di smettere.
- Basta così, è più che sufficiente. –
- Noooo! – si lamentò il Leprotto – Voglio suonargliele ancora e ancora. –
Alice si fece un po’ più severa.
- I patti erano chiari: si trattava di dargli una lezione, nient’altro. –
Il Cappellaio intervenne a suo favore.
- Non fare i capricci. Fai il bravo. –
Il Leprotto si fece mogio, ma ritornò di buonumore quando vide la faccia di Hamish.
- Come sei buffo! – si sganasciò ridendogli in faccia e realizzò che, dopotutto, aveva fatto un buon lavoro e poteva ritenersi soddisfatto.
Prese il sacchetto di Renarifera dalla tasca del panciotto, era pronto a soffiarla su Hamish.
Quest’ultimo, non sapendo cosa contenesse quel sacchetto, continuava ad implorare.
- Vi prego, vi prego! Non fatemi più del male! Prometto che farò tutto quello che volete! –
Alice e il Cappellaio fecero cenno al Leprotto di soffiare la Renarifera e il Leprotto obbedì.
In un secondo, Hamish crollò in un sonno profondo.
Il Leprotto ringraziò Alice con tutto il suo cuore per avergli fatto quell’enorme favore, finalmente si era preso la sua rivincita.
Si mise a saltellare, ma nel farlo urtò contro un preziosissimo vaso in porcellana.
Per gran colpo di fortuna, Alice lo afferrò appena in tempo e riuscì a salvarlo. Mally diede uno scappellotto al Leprotto.
- Vuoi stare attento? Non dobbiamo creare disordini. Ti ricordi com’era il piano? –
Il Leprotto si scusò e successivamente uscirono dalla porta con molta tranquillità.
Tutto era al suo posto, Hamish se ne stava appisolato nella sua poltrona.
Il piano di Alice sarebbe funzionato. Ne era sicura.
Alla fine, i cinque amici sgattaiolarono verso il luogo che li avrebbe ricondotti nel Sottomondo, nella tana di coniglio sotto l’albero ricurvo.
Mally e il Leprotto erano entusiasti di ritornare a casa tutti insieme. Il Cappellaio era al limite della gioia e non riuscì a resistere alla voglia di effettuare una Deliranza.
Alice sorrise, ma i suoi pensieri erano rivolti a qualcos’altro.
Quando il Cappellaio smise di ballare, si avvicinò allegramente verso Alice e non riuscì a notare il suo sguardo malinconico.
- Andiamo. Vieni con noi. – le disse speranzoso afferrandole le mani – Scappiamo, Alice. Qui sono tutti normali. –
Alice sorrise e si morse un labbro.
Quando il Cappellaio si rese conto della tristezza negli occhi di Alice, iniziò a farsi serio.
- Oh, capisco. – senza lasciare le mani dell’amica, il Cappellaio si rivolse ai suoi amici – Andate, intanto. Devo parlare con Alice. –
Mally, il Leprotto e Stregatto non se lo fecero ripetere. Non sapevano cosa avesse avuto in mente il Cappellaio, ma a giudicare dalla sua voce ne avvertirono un senso di fiducia.
Una volta entrati nella tana di coniglio che li avrebbe ricondotti nel Sottomondo, il Cappellaio la guardò dritta negli occhi.
L’erba oscurata danzava nel vento, illuminata di pochissimo dalla luce della luna e delle stelle. Il Cappellaio toccò un argomento che Alice già conosceva.
- Che cos’è per te la fantasia? –
Alice lo aveva guardato a lungo prima di rispondergli.
- Per me, è credere che ci sia un posto diverso da questo. Un posto dove mi sento libera di poter sognare. – i suoi occhi presero a luccicare e si inumidirono quando vide il sorriso dolce del Cappellaio.
Era stato lui a farle ritornare la voglia di sognare anche quando si trovava nel grigiore del Sopramondo, dove ognuno veniva guardato con pregiudizio e i sorrisi erano molto difficili da distinguere da quelli veri e da quelli falsi.
Il Cappellaio annuì, erano le esatte parole che avrebbe voluto sentire.
- So che ti procuro un dolore, - disse Alice tristemente – ma non posso seguirti nel Sottomondo. –
Il Cappellaio intrecciò le dita su quelle di Alice.
- I nostri mondi sono diversi, ma la nostra voglia di sognare è la stessa. – la sua voce si era fatta rassicurante – E tu, Alice, hai ritrovato la voglia di sognare. Non potrei chiedere di meglio. –
Alice ebbe un nodo alla gola.
- Cappellaio, questo è un altro addio? –
Lui le sorrise.
- Tu non mi hai mai veramente dimenticato. Ecco perché noi due non potremmo mai dirci addio. –
Alice lo guardava confusa.
- Finché mi terrai nei tuoi ricordi, - spiegò lui in un dolce mormorio – io e te continueremo a vederci. In un modo o nell’altro, continueremo a giocare insieme. –
Alice soffocò le lacrime e le sue iridi splendevano come le stelle.
- Non ti dimenticherò mai più. – gli giurò.
- Lo so. – assicurò il Cappellaio guardandola con dolce intesa, portandole una ciocca di capelli dietro un orecchio.
Alice affondò il volto sul petto del Cappellaio, cingendolo in un caldo abbraccio. Si sentì esplodere il cuore dalla gioia quando sentì le braccia di lui stringerla con affetto.
Si guardarono nuovamente negli occhi e questa volta ad Alice sfuggì una lacrima la quale si face strada attraverso uno zigomo.
Il Cappellaio, per confortarla, le donò un breve e timido bacio sulla guancia, raccogliendo quella goccia di tristezza.
Quando si sciolsero, il Cappellaio avanzò verso la tana del coniglio. Prima di passarvi attraverso, donò ad Alice un ultimo dolce sguardo con tanto di sorriso rassicurante.
Mentre lo vedeva allontanarsi e svanire nella notte, Alice ripensò alla frase del Cappellaio. E se la vita era davvero una favola, forse quello si era rivelato un finale triste, ma senza dubbio era meglio un allontanamento, piuttosto che sapere che il Cappellaio sarebbe stato ucciso ingiustamente.
Deglutì e raccolse tutta la sua moltezza. Guardò la luna che somigliava al sorriso dello Stregatto.
A passi quasi veloci, si lasciò alle spalle la tana di coniglio e si diresse verso casa.
 
 
 
 

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Capitolo 14
*** Epilogo ***


 
Sissignori... purtroppo anche questa avventura è giunta al termine.
Sappiate che, sebbene ci abbia messo troppo tempo per completarla, mi sono veramente divertita a doverla condividere con ognuno di voi.
Ma le nostre avventure non finiranno mai.
E non è una promessa, è una certezza.
Grazie per tutto quello che avete fatto per me.
Siete meravigliosi!
Un BACIONE e BUONA LETTURA!

 
Il salotto degli Ascot era sempre stata molto accogliente, ma quella mattina Hamish, sua madre e Alexandra avevano i brividi.
Erano state svegliate alle prime luci dell’alba dalle urla isteriche di Hamish, il quale non faceva altro che urlare di paura.
Erano seduti sul divano e le due donne tentavano di consolarlo.
Un commissario di polizia si massaggiò nervosamente una tempia, mentre un agente tamburellava le dita mentre osservava Lord Ascot visibilmente scosso.
- Vi dico che è tutto vero! – esclamò Hamish, tremando come una preda braccata – Hightopp e la signorina Kingsleigh sono venuti qui, stanotte. E con loro c’era un gatto volante che sorrideva in una maniera disgustosa! La loro lepre mi ha attaccato con ferocia! –
Alexandra tossicchiò per vincere l’imbarazzo nel sentire quel delirio di assurdità del marito.
Lady Ascot guardò altrove, anche lei inebetita.
Hamish era un illustrissimo lord di alto livello e non poteva scendere così in basso da raccontare di avere visto delle creature parlanti, vestite come degli esseri umani, in compagnia di Alice e del signor Hightopp.
Il commissario tentò di andargli incontro.
- Lord Ascot, sappiamo che il detenuto Tarrant Hightopp sia riuscito ad evadere questa notte da Sombergate e i miei uomini stanno facendo di tutto per ritrovarlo. Tuttavia, non ci risulta che egli si sia intrufolato qui nella notte. –
Hamish divenne paonazzo.
- Mi state dando del bugiardo? –
- Sto solo dicendo, - disse pazientemente il commissario – che non abbiamo trovato segni di forzatura né alla serratura della porta né alle finestre. –
Tutto, in effetti, era al proprio posto. In perfetto ordine.
Lady Ascot cercò di fare ragionare suo figlio.
- Hamish, in effetti questa notte non abbiamo sentito niente di strano. –
Dopotutto, era privo di senso pensare che un evaso si presentasse in casa sua solo per poterlo immobilizzare con l’aiuto di Alice e per farlo malmenare da degli animali antropomorfi, senza nemmeno rubare nulla.
Per non cadere nella vergogna, Lady Ascot trovò un’alternativa.
- Probabilmente,  mio figlio deve essere molto stanco per via del troppo lavoro. –
Alexandra, finora rimasta lì zitta e mosca, tanto bella quanto insignificante, aveva cercato di placare suo marito.
- Forse, è stato un brutto sogno che hai scambiato per realtà... –
Hamish le ordinò di tacere, non sopportando l’idea di essere considerato un uomo che aveva avuto un esaurimento nervoso.
Non un lord del suo carico.
Come una matriarca ben composta e sicura della propria posizione, Lady Ascot con fermezza ma con garbo lo invitò a calmarsi.
Successivamente si rivolse al commissario.
- Ho fiducia che riuscirete a trovare quel delinquente, commissario. Intanto, vi prego di scusare mio figlio. Permettetemi di offrirvi del tè per il disturbo che vi abbiamo recato. –
Nonostante il gentile invito, il commissario e l’agente si videro costretti a rifiutare poiché erano ancora in servizio.
In verità, non vedevano l’ora di filare via non potendone più di sentire quella pioggia di assurdità dette da Hamish. Era solo per la sua alta carica se avevano deciso di non dargli un biglietto di sola andata verso il manicomio.
- Certamente, signora. Buona giornata. – li salutò educatamente il commissario e, insieme all’agente, abbandonarono il salotto degli Ascot.
Per il forte impaccio, Alexandra non ebbe la forza né la voglia di guardare Hamish negli occhi, chiedendosi continuamente se l’idea di sposarlo si fosse davvero rivelata una buona idea.
Lady Ascot indietreggiò, chiedendosi come fosse possibile che suo figlio abbia perduto la testa e scosse la testa nel tentativo di scacciare l’imbarazzo per la pessima figura.
 
 
Alice era seduta dietro la scrivania, intenta a compilare un registro con la sua penna d’oca.
Guardò l’orologio appeso al muro, si accorse che segnasse le nove di sera.
La porta di fronte a lei si aprì ed entrò Helen.
- Hai preparato ogni cosa? – le domandò.
Alice annuì. Chiuse il registro e si massaggiò una tempia. Fece un respiro profondo e l’idea che il giorno dopo avrebbe salpato insieme a sua madre la fece sentire bene.
Si girò alla sua destra e vide la sua valigia. Aveva preparato ogni cosa.
- Faresti meglio ad andare a dormire. – le consigliò dolcemente sua madre – Domani dovremmo prendere il largo molto presto. –
Con un sorriso, Alice annuì di nuovo. Si alzò dalla scrivania e si avvicinò alla finestra per poter guardare oltre il vetro un po’ appannato a causa del freddo.
Helen si avvicinò alla figlia e le mise delicatamente una mano sulla spalla.
- E’ un vero peccato che sia andata a finire così per il signor Hightopp. – disse sinceramente rattristita – Non sono mai stata d’accordo sul fatto che lo abbiano giudicato come un delinquente. –
Alice, senza voltarsi, aveva sorriso lievemente.
- Ed ora ha deciso di scappare. – continuò Helen – Beh, dovunque si trovi adesso... gli auguro il meglio. –
- Sì, anche io. – disse infine Alice.
Per non cadere nella tristezza, Alice disse alla madre che si sarebbe ritirata. Come aveva detto lei, l’indomani mattina avrebbero salpato molto presto e di certo non avrebbe voluto perdere delle preziose ore di sonno.
Helen, sorridendole, le diede la buonanotte.
Quando fu di nuovo sola, Alice posò gli occhi sulla farfalla di carta blu. L’unico ricordo che le fosse rimasto del Cappellaio. La carezzò con delicatezza e, dopo avere spento il paralume, si intrufolò dentro le calde coperte.
I suoi pensieri volavano verso il ricordo di quando vide il Cappellaio vendere i cappelli per la strada di Londra, con quegli austeri abiti che non si addicevano al suo carattere festaiolo. Poi ricordò quando la difese da un manigoldo, con l’aiuto del Leprotto, per poi invitarla a prendere il tè insieme. Era sempre stato molto buono con lei, aveva sempre avuto una grande pazienza nel farle ricordare chi fosse e per farle riemergere nella memoria tutti i ricordi del Sottomondo.
E alla fine ce l’aveva fatta.
Quando Alice chiuse gli occhi, quando il sonno l’avvolse, come per magia le ali della farfalla azzurra iniziarono a prendere vita. Si scotevano e ad un tratto sembrò che la farfalla fosse viva.
Magicamente volò sopra la fronte di Alice, la quale non si era accorta di nulla. La farfalla si illuminò emanando una bellissima luce color zaffiro.
 
Nel suo sogno, Alice si trovò all’interno di una folta foresta composta da alberi ricurvi e dai rami intrecciati, funghi variopinti arrivavano a superare la sua altezza, alcuni di essi erano alti quasi quanto gli alberi.
Si guardò intorno ed ebbe l’impressione di sapere come muoversi, anche se non vi era un sentiero che le indirizzasse una via. Era quasi buio, ma riusciva a distinguere le forme e i colori di ogni cosa.
La sua marcia continuava fino a che non vide una luce che filtrasse da due grandi cespugli.
Alice li scostò e venne accolta da un luminoso cielo limpido sopra un immenso prato verde tempestato di fiori di tutti i colori, gli uccellini cinguettavano allegramente e il ronzio degli insetti non era affatto fastidioso.
L’odore dell’erba bagnata, dei fiori, del miele erano meravigliosi.
Ancora una volta, Alice ebbe l’impressione di conoscere quel posto. E la sua deduzione si rivelò fondata quando vide un grande e vecchio mulino.
Il suo cuore sussultò.
Davanti a lei, apparve lo Stregatto. Le sorrise lieto.
- Stregatto... –
- Ben tornata, Alice. – le disse il felino e senza dirle un’altra sola parola le fece un inchino e la invitò a seguire la direzione della sua zampa.
Alice obbedì e guardò là dove Stregatto le stesse indicando.
Una farfalla blu svolazzò leggera davanti ai suoi occhi. Alice la riconobbe.
Il Brucaliffo, proprio lui, volò verso una fila di tavoli allineati, preparati e decorati per una festicciola, con una lunga fila di sedie ai lati e una sola grande poltrona, stranamente girata, al capotavola. La fila di tavoli che Alice avrebbe riconosciuto anche se fossero passati innumerevoli anni.
E come ad una festa a sorpresa, Alice venne accolta da tutti i suoi amici con estremo calore.
Alice li guardava con il cuore che le scoppiava dalla gioia e si sentì allegramente confusa.
C’erano tutti. Proprio tutti. Non mancava nessuno.
McTwisp, Mally e il Leprotto le fecero un amichevole e piccolo inchino, Bayard scodinzolava e il Grafobrancio soffiava per la gioia di rivederla, i gemelli Pinchi la salutavano amichevolmente con la mano.
Tempo per una volta aveva lasciato la Torre del Grande Orologio solo per quel momento. Le fece l’occhiolino per augurarle il bentornata con Iracebeth al suo fianco, la quale le aveva fatto una piccola smorfia per non scendere alle smancerie, e il fidato Wilkins che si inchinò lievemente.
Gli occhi di Alice si posarono su una famiglia che si distingueva per la loro folta chioma rossa e ricordò ognuno di loro: Zanik Hightopp e sua moglie Tyva, suo fratello Poomally con la moglie Bumalig e i figli Pimlick, Paloo e il giovane Bim. Tutti e sette la guardavano con immensa gioia.
Mirana, per finire, la salutò con un lieve inchino soave: una regina si stava inchinando davanti a lei, un umile Sopramondiana?
Mirana fece a tutti cenno di allontanarsi per mostrare nuovamente ad Alice la fila di tavoli imbanditi.
Con un grande stupore negli occhi, Alice vide la poltrona girarsi nella sua direzione. Sopra di essa, vi era seduto in tutta la sua colorata fierezza il Cappellaio Matto.
Alice lottò disperatamente per reprimere la commozione.
Il Cappellaio balzò sui tavoli, sotto lo sguardo stupito ma senza malizia dei presenti nel vederlo effettuare quei gesti bizzarri.
Afferrò il cilindro e, con classe, lo tolse dalla propria testa e fece un inchino molto formale ad Alice.
Infine, le porse una mano invitandola a salire sui tavoli. Alice non perse tempo e si fece largo tra i vassoi e le posate.
Afferrò la mano del Cappellaio e, ignorando di essere in pubblico, si tuffò tra le braccia del Cappellaio bagnandogli la giacca di lacrime di gioia.
Il Cappellaio rideva allegro e ricambiò il gesto, mentre cercava di calmarla alternando le risate.
- Te l’avevo detto che in un modo o nell’altro saremmo tornati a giocare insieme. – le disse.
Quando Alice si riprese, prese un sospiro.
- Questo è un sogno? – domandò lei.
- Ma certo. – rispose il Cappellaio – Ricordi? E’ nel palazzo dei sogni dove io te ci incontreremo. E ora possiamo giocare finché non ti sveglierai. E sarà per sempre così. Finché lo vorrai. –
Alice, con il cuore gonfio dalla gioia, si asciugò le lacrime.
Il Cappellaio le afferrò le mani.
- Vuoi unirti a noi per il tè? –
Alice annuì mentre le lacrime non volevano saperne di fermarsi.
La vita è una favola che meritava il lieto fine. E Alice non poteva sperarne in uno migliore.
E come ogni finale degno di una favola, Alice si ritrovò le mani del Cappellaio sul proprio viso. Lentamente, il Cappellaio si avvicinò sempre di più fino a che, per la prima volta, le loro labbra riuscirono ad incontrarsi.
Quell’abbraccio, quel bacio, quella gioia di essersi ritrovati. Il tutto con il suono di un caloroso applauso di tutti i loro amici come una musica d’orchestra.
Mani e zampe battevano tra loro per acclamare Alice e il Cappellaio Matto, finalmente ritrovatisi in un luogo dove potevano realmente sentirsi liberi di sognare e giocare fino a che ne avrebbero avuto la volontà: nel Paese delle Meraviglie.
 
 
FINE
 
 
 
 
 
 
 

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