La guerra eterna

di rosatornavolja
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il cimitero era molto più grande di quanto avesse immaginato. Era una lunga ed interminabile coperta che costellava due intere colline di croci, una dopo l'altra, su quelle terre di nessuno. Il cielo era cinereo, ma da quelle nuvole di cenere non era mai nata alcuna fenice.

Beatrice stava in piedi in quell'immensità di croci. Tante spine nel fianco di quella collina, che invece di nutrire bocche di neonati con i frutti dei suoi campi da decine di anni, ormai, accoglieva solo i corpi dei caduti, raggomitolati come dei feti, coperti da quella terra amniotica.

Ma Beatrice sapeva che tutto quello doveva avere fine, voleva che i suoi figli crescessero in un regno sereno, in un regno dove avrebbero potuto scorrazzare gioiosi per le distese di fiori della Valle delle Gemme, senza dover rischiare la propria vita. 

Sotto quel cielo, dunque, trattenendo le lacrime che quel nodo alla gola strizzava nella sua laringe, prese una decisione. Non aveva figli, non aveva nemmeno un marito, ma era la regina di un Regno e questo significava che ogni bambino del suo regno era un po' suo figlio. Era stufa di officiare ai funerali dei caduti, c'era bisogno di un cambiamento. E così, con la sua mano tremante, toccò quell'enorme cassa che si era trascinata dietro dal Palazzo per arrivare fin lì. 

Il legno era certamente esotico, aveva il colore dell'ebano, che creava un meraviglioso contrasto con i cardini argentati e la serratura di diamante che forzava in quel luogo la più grande e potente arma di tutti i tempi.

Per trovarla aveva impiegato anni, aveva girato per quei labirinti sotterranei che solo lei conosceva e che si srotolavano per chilometri e chilometri sotto ai piedi dei suoi servitori a palazzo. Aveva sacrificato i migliori anni della sua vita, proprio come avevano fatto i suoi antenati prima di lei, per trovare l'arma segreta e porre fine alla guerra che da secoli strappava lacrime alle vedove e pugni agli orfani.

Ma finalmente, dopo secoli, tutto questo poteva avere fine.

E Beatrice aveva la chiave nelle sue mani.

Non le restava che trarre un respiro profondo, pregare la Grande Fenice che proteggeva la sua città, scostarsi dal volto i capelli corvini ed infilare la chiave di diamante nella sua serratura, sperando che scattasse.

Si rizzò sullla schiena, facendo scivolare i capelli lunghissimi ed intrecciati dietro alle spalle larghe. Era forte e bella, era una regina responsabile ed audace, ma era comunque giovane e quella storia la spaventava. Aveva sempre preso molto sul serio il suo compito: trovare l'arma segreta era sempre stata la sua priorità e si era dedicata tutta la vita alla ricerca della loro unica salvezza, ma mai avrebbe pensato di riuscire a trovarla. 

Spostò la gonna verde che si confondeva con l'erba cupa e si rimboccò le maniche di velo, scoprendo i Tatuaggi Reali, con i simboli del proprio Regno, una Fenice ed una Rosa, con 5 foglie. Si era sempre chiesta perchè le foglie erano proprio 5, ma nessuno mai aveva avuto la risposta. Era un segreto dimenticato da tempo, da quando la guerra era iniziata.

Non sapeva che la risposta alla sua domanda sarebbe arrivata proprio quel giorno, nel momento in cui avrebbe aperto la scatola.

Beatrice infilò la chiave nella toppa, provocando un rumore meraviglioso, di diamante che sfrega contro altro diamante.

Le nuvole di cenere, in alto nel cielo grigio, si spostarono improvvisamente, si alzò un vento gelido, Beatrice sussultò e rabbrividì: era il momento. La guerra sarebbe finita, nuove fenici sarebbero nate dal cielo per proteggere la città e ristabilire l'ordine. Il nemico sarebbe stato distrutto, il male sarebbe affondato negli abissi ed il cielo sarebbe tornato di nuovo del suo candido colore rosato.

Ma tutto questo solo dopo l'arrivo dell'arma segreta, proprio come dicevano i libri, come narrava la profezia.

Così, con il volto crucciato e continuando dentro di sè a pregare, Beatrice voltò la chiave, la serratura scattò e la scatola si aprì.

L'arma segreta era stata liberata.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Il sole era sceso da poco tempo, i bagliori violacei del tramonto sul Mare dei Sogni baciavano ancora la tela della barca. I remi si muovevano obbedienti con le sue braccia e le gocce di sudore splendevano come piccole perle. 

Kevin alzò una mano, con il dito umido saggiò il vento. Per fortuna s'era alzato un po', perciò poteva riposarsi. Scese sotto coperta, si stese sul letto. Non era molto grande, ma lui ci stava comodo. Sopra la sua testa stava attaccata la carta che suo padre gli aveva regalato prima di lasciarlo partire, dove era rappresentata la parte orientale del Regno di Nessuno e del Mare dei Sogni che lo bagnava dolcemente.

Aveva sognato quel viaggio fin da quando era bambino. Vivere sulla terraferma non gli era mai piaciuto ed aveva a sempre adorato il modo gentile di cullare del mare, anche quando era iracondo e sbatteva alla deriva ogni cosa. Adorava quella furia inarrestabile delle onde della tempesta, non temeva affatto il vento, che invece considerava un suo alleato.

Ma soprattutto, era diventato abilissimo a muovere la sua piccola barca, fabbricata da suo padre, anche contro le piogge ed i fulmini peggiori. Conosceva il Mare dei Sogni tanto quanto il giardino di casa propria, ma nonostante tutto riusciva sempre a trovare qualche nuovo e recondito passaggio tra le costole di scogli di quell'enorme pozza d'acqua multiforme.

Il crepuscolo stava calando su di lui con il suo freddo fastidioso, perciò Kevin si gettò addosso una coperta, sperando che la temperatura non scendesse troppo. Aprì il cassettone sotto il suo letto, spostò le carte sparse delle storie che suo fratello aveva scritto per lui, da leggere per far passare il tempo durante il suo viaggio per scoprire i segreti del mare, e l'occhio gli cadde sullo strano oggetto che aveva trovato in mare.

Lo prese tra le mani, lo rigirò tra le dita. Ma che cosa poteva essere? Era un oggetto molto particolare, piacevole alla vista. Brillava, sembrava una pietra.. ma non poteva essere una pietra  perchè quando lo aveva trovato in mare stava galleggiando. Lo aveva tirato su con la punta del remo, osservato alla luce chiara della luna. Aveva una forma strana, poteva sembrare una goccia, anche perchè era trasparente e filtrava la luce dividendola e proiettandola verso il meraviglioso cielo notturno. 

Osservando quell'oggetto, quella sera, notò che faceva una strana luce. Sembrava la luce che aveva visto molte volte guardando il cielo con il naso all'insù, sperando di rivedere gli occhi di sua madre, di suo padre, dei suoi fratelli, della sua famiglia. Aveva solo diciotto anni ed un destino strano che sembrava portarlo lontano dalle persone che amava, per poi fargli sentire la nostalgia dei suoi cari. La sua curiosità lo spingeva ai confini dei mari e delle terre più lontane, ma il suo cuore lo riportava sempre alla sua dolce e accogliente dimora, dove stavano tutte le persone che amava di più. Tra loro, anche Diana.

La amava così tanto che avrebbe voluto sposarla, ma sentiva che non avrebbe mai avuto il coraggio di chiederle una cosa del genere. La aveva amata anno dopo anno, dal primo giorno in cui si erano incontrati.. ma il segreto del suo amore era rimasto dentro di sè, lo aveva portato lontano, pur di non lasciarlo andare. E così era solo, in mare, ad esplorare le terre vergini e segrete di quelle coste.

Guardando la piccola goccia tra le sue dita scure fu sommerso dai ricordi. Quella luce lo abbagliava, ma stranamente non sentiva caldo. 

Tutto ad un tratto cominciò a sentire freddo ai piedi, uno strano torpore lo prese dagli arti più bassi fino alle mani. Si alzò, spaventato. Mise le mani sul grosso calderone che si scaldava sul fuoco Fatuo, il fuoco che bruciava all'infinito e non incendiava nulla. Ma niente, non riusciva a scaldarsi, non riusciva a scrollarsi quell'intorpidimendo di dosso.

Un forte rumore ruppe l'equilibrato silenzio notturno, facendo sobbalzare Kevin. Sentendo che proveniva da qualche parte alle sue spalle, si girò spaventato, coprendosi il viso con una mano, per proteggersi dalla forte luce che si era posata sul suo letto.

Kevin strizzò gli occhi e si passò una mano sui capelli scuri, nerissimi e riccissimi, sconcertato. Riuscì a scorgere la figura che stava seduta sul suo letto solo dopo poco tempo.

Era una figura esile. Una piccola ragazza, minuta e molto pallida, stava seduta sistemandosi i capelli ricci, disordinati, ingarbugliati, che poco avevano di diverso da un fuoco. Alzò la testa, smuovendo quel grosso casco di ricci rosso cremisi, e scoprì due occhi verdi, brillanti, due piccole gemme. 

"Tu.. tu chi sei?", chiese Kevin, spaventato. La barca era stata creata da suo padre con un legno speciale, che riusciva ad annullare qualsiasi maledizione od incantesimo, ed il fatto che una persona fosse riuscita a materializzarsi  sul suo letto lo rendeva nervoso.

"Calmo, Kevin. Non sono qui per farti del male, nè per portarti brutte notizie."

"Tu sai il mio nome, ma io non so il tuo. Ti prego... presentati... dimmi chi sei, perchè sei qui, da..."

"Silenzio, ogni cosa a suo tempo. Ora prendi il tuo Violoncello, ti spiegherò tutto in seguito."

Kevin era spaventato, ma qualcosa  in quella esile figura lo tranquillizzava. Perciò aprì la cassapanca a lato del letto e prese in mano il suo Violoncello, che produceva note talmente tenere e commoventi da sciogliere e plasmare ogni oggetto di ogni materia.

Prima ancora di riuscire a pronunciare una delle sue tante domande, Kevin sentì un tocco leggero sulla spalla. Il freddo che gli aveva gelato i piedi e le mani lo ibernò completamente in quell'istante e perse conoscenza, tutto attorno a sé parve sciogliersi, liquefarsi in una goccia di oblio.

Buio, nero, silenzio.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Tutti dormivano, era notte fonda, ma una figura sul terrazzo rompeva la quiete del cielo scuro, opaco. Qualche albero ballava con il vento nell'aria fresca, qualche nuvola giocava con la luna ed i suoi scherzi di luce.

Kirstie sedeva sulla ringhiera del terrazzo, contava le stelle e allo stesso tempo contava gli ululati del vento, contava i rumori dei passi furtivi dei diversi animali notturni, contava le diverse sfumature delle foglie su quegli alberi laggiù.

Si sentiva sola, a volte, in mezzo a tutte quelle immensità di numeri. Quando guardava il cielo sentiva sempre voglia di saltare in alto, raggiungere quelle morbide e sagge creature celesti per chiedere loro la verità su tutto. Avrebbe voluto davvero sapere quante stelle c'erano in cielo, quante foglie crescevano su ogni albero, quanti sorrisi venivano elargiti ogni giorno. Era avida di sapere ogni cosa, perciò se ne stava lì, nel silenzio della notte, ad accoccolarsi nei suoi dubbi, a trastullarsi in se stessa nell'unico momento della giornata in cui poteva permettersi di pensare, contare e riempirsi di domande. Se ne stava in silenzio, in equilibrio sul terrazzo, sotto di sè il vuoto, le sue gambe che dondolavano, un sorriso leggermente malinconico. 

Era molto stanca quella sera ma non aveva alcuna voglia di ritirarsi nella sua stanza: la sua Madrina era già andata a coricarsi mentre lei desiderava stare un po' sola. Cominciò, tra tutte le domande della sua mente, a ripensare alla propria giornata. Era dura, da quando suo padre era partito per la guerra. Il re della Terra di Nessuno (o la regina, ancora non era chiaro, dato che nessuno a parte pochissimi eletti aveva avuto il privilegio di vederlo, nemmeno da lontano) aveva bisogno di altri soldati, poichè la guerra contro l'esercito della regina Beatrice si era inasprita. Da quando regnava lei sulle Terre del Silenzio e sulle Grandi Valli, tra cui la Valle delle Gemme, l'esercito della Terra di Nessuno aveva avuto delle difficoltà. E da qui l'editto del re, che aveva costretto anche i più anziani a prendere in mano le armi e a raggiungere i comparioti, pena la morte. Così se ne era andato, lasciando tutto in mano a Kirstie, la sua figlia maggiore e probabilmente anche la prediletta, per alcune affinità di carattere. Le aveva, in poche settimane, insegnato tutto quello che c'era da sapere sui Canut e le aveva lasciato in mano l'allevamento, facendosi promettere da lei che lo avrebbe atteso ogni giorno, accudendo quelle creature e portando avanti l'attivitá che lo aveva reso famoso in tutte le terre di Nessuno. 

Ma allevare Canut non era semplice ed era molto pericoloso; per questo motivo infatti suo padre era l'unico in tutto il regno che era riuscito ad addomesticarli e li affidava ai guerrieri una volta finito l'addestramento. I Canut erano delle bestie incredibilmente feroci, ma potevano essere calmate, aveva scoperto suo padre, da alcuni canti particolari, cantati solo da alcune persone con un peculiare timbro di voce. E Kirstie si era rivelata una perfetta addestratrice, tanto che aveva cominciato anche lei ad amare quelle bestie che avevano una doppia natura di lupo e di Tigre, con un lungo pelo bianchissimo, che diventava nero quando il Canut giungeva in punto di morte.

Quel giorno un Canut, il suo preferito, l'aveva morsa. Una grossa ferita ora era nascosta dai suoi capelli castani, lunghi e mossi. Lei non temeva le ferite dei Canut, aveva imparato che erano pericolose soltanto quando si aveva la mente sporca o troppo vuota. E lei non aveva alcun problema, stando così le cose. Infatti era l'unica che aveva osato prendersi un cucciolo di  quella specie in casa, come animale domestico.

Dormiva proprio ai suoi piedi, in quel momento, proprio mentre lei guardava la sua ferita e ripensava allo strano fatto accaduto quella mattina. Sentiva degli strani brividi percorrerle la schiena, forse per colpa del vento fresco, forse per colpa della ferita, forse per colpa dell'inquietante fatto capitatole. Mentre cantava una delle canzoni per addestrare dei nuovi cuccioli, quel pomeriggio, aveva visto qualcosa brillare tra i fiori. Senza smettere di cantare si era avvicinata, pensando fosse un anello della sua madrina. Ma si era stupita nel trovare uno strano e piccolo oggetto, una sorta di pietra, acuminata da una parte, tondeggiante dall'altra. Poteva sembrare una goccia di sangue, ma non era di colore rosso. Piuttosto era senza colore, trasparente, trapassabile con lo sguardo, rifletteva anche gli acuti occhi di Kirstie.

Proprio mentre rifletteva e si tastava la ferita, Olaf, il suo piccolo Canut, si svegliò e farfugliò ringhiando sommessamente. Kirstie si girò cantando sottovoce per non svegliare la sua Madrina, sicura che il suo Olaf stesse facendo dei brutti sogni, ma una luce abbacinante la colse alla sprovvista, tanto che dovette scendere dalla ringhiera per non cadere dal terrazzo. Oltre la luce vide qualcosa, vide una flebile e piccola figura... si avvicinò circospetta e curiosa, voleva sapere cosa c'era dietro a quella luce. Tese una mano, con un dito toccò qualcosa, era pelle. Toccò la spalla di qualcuno, o qualcosa, fece fatica a capir chi o che cosa fosse, non aveva nemmeno dato il tempo a Fiamma di diminuire l'intensità dei propri riflessi. Così cominciò ad avvertire freddo, delle vertigini, le forme attorno a sé persero significato, fece in tempo solo a sentire la coda pelosa di Olaf che la sfiorava prima di perdere completamente conoscenza.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


La torre di avvistamento era davvero alta, si slanciava verso il cielo come a competere con i rami degli alberi che si contorcevano verso quel cupo cielo notturno. La luna da lassù sembrava molto più vicina, forse era per questo motivo che Scott sedeva lì anche la sera.

Stava sulla torre di avvistamento tutto il giorno, aspettando di vedere il nemico avvicinarsi alle mura della cittá, ordini del caro Re della Terra di Nessuno.

Scott sapeva benissimo che nessun nemico avrebbe mai osato avvicinarsi alle mura di quella tetra e malinconica rocca fortificata; la regina del Regno delle Fenici era troppo in gamba per imitare le mosse del loro incapace condottiero. 

Essendo sempre vissuto in una famiglia di guerrieri, Scott si rendeva conto che il Re del suo Regno stava sprecando sempre più uomini e risorse tentando di assaltare il palazzo reale della regina Beatrice, troppo difeso e, a suo parere, inespugnabile.

Ma allora, perchè sedeva lì tutte le sere? Non gli bastavano tutte le torride giornate passate ad imparare a memoria il paesaggio sotto di sè?

Evidentememte no.

Lui amava stare lì, con i piedi che un poco sporgevano dall'orlo del davanzale, sospeso tra altezza e terrore, in precario equilibrio tra la vita ed una tremenda ed inarrestabile caduta, con il vento che gli scompigliava i capelli biondi, con il sole che gli entrava ed irradiava le iridi turchesi.

Quella notte, tuttavia, qualcosa lo turbava.

Non riusciva ad aprire le braccia in quella estrema posizione e sognare di librarsi nel vento come soleva fare, quella notte persino la luce della luna gli sembrava esagerata, finta, come un sorriso costretto.

Tutto era successo quella mattina, quando il sole e la stella dell'alba erano sorte assieme come al solito oltre alla coltre di cenere e nubi. Era già al lavoro,  soltanto qualche audace mercante si incamminava in quella enorme e sfarzosa via che il Re del Regno di nessuno aveva fatto costruire in tutte le Terre di Nessuno.

All'improvviso, Scott aveva avvertito come un solletico agli occhi: gli accadeva ogni qualvolta si presentasse, sulla via Maestra, una immagine o una figura insolita. 

Quel giorno, accecato un po' dai bagliori nuovi del sole, aveva notato qualcosa brillare, riflettere la luce ed indirizzarla verso di lui. 

Impiegati diversi minuti per comprendere che quello strano danzare di luce non si trovava sulla strada ma sospeso da qualche parte nell'aria, Scott si era sforzato di trovare la provenienza di quella strana pallina di luce. 

Solo sporgendosi un poco dalla torre di vedetta era riuscito a distinguere, proprio davanti al suo naso, una piccola pietra che galleggiava sospesa nel vuoto.

Così, forse sfidando troppo la gravità, sua acerrima nemica, si era allungato con tutto il corpo per riuscire ad afferrarla, rischiando di precipitare nel grande vuoto che aveva sotto do sè.

Ed eccolo lì, quella notte, a rigirarsi quello strano oggetto tra le mani. Poteba sembrare un cristallo, poteva sembrare un diamante, non ne aveva idea. Era semplicemente affascinato dal modo in cui la luce lunare veniva divisa ed amplificata una volta passata attraverso quello strano oggetto appuntito.

Inizialmente aveva pensato che fosse una delle maledette sentinelle che il Re piazzava per controllare che ognuno sbolgesse il auo lavoro e non organizzasse di fuggire dal Regno, ma poi si era dovuto ricredere. Persino una persona come il re non avrebbe mai potuto permettere ad un oggetto di volare, e quella pietra fluttuava.

Dunque, non poteva che essere un oggetto provenoente dal nemico Regno delle Fenici. Solo là si conoscevanole Leggi del Volo, mentre in questa maledetta terra nessuno era stato in grado di tramandarle.

Nonostante capisse quanto pericoloso potesse essere un oggettl del genere, non aveva avuto il coraggio di portarlo all'Armeria, c'era qualcosa che lo aveva bloccato.

Al suo fianco, dormiva Wyatt, il bellissimo Sfinx che sua madre gli aveva donato quando era un bambino. Che animali longevi ed intelligenti, perspicaci ed affettuosi, gli Sfinx. La loro natura felina li rendeva sospettosi, ma una volta conquistata la loro fiducia non ti abbandonavano nemmeno in punto di morte.

Scott lo accarezzò, interrogandolo sull'accaduto, rimpiangendo il fatto gli gli Sfinx non fossero dotati di parola.

Sul pelo argenteo dell'animaletto, d'un tratto, di dipinsero delle strane luci: Scott spostò la pietra, pensando che quei raggi provenissero dalla pietra che teneva nel pugno chiuso.. Ma le luci non svanivano.

Sicchè si voltò verso quel panorama che conosceva a memoria, dettaglio per dettaglio, e rivide quella luce potente, che andava attenuandosi man mano.

Ne emerse una piccola figura: capelli rossi, una nuvola di ricci infuocati, un corpicino piccolo e due occhi pungenti.

"Che Diavolo..."

"Scott, è giunto il momento di volare."

La piccola figura apparsa davanti a lui gli tese la mano, lui la fissò esterrefatto. Cosa doveva fare? Era confuso, voleva correre via, e nonostante tutto non lo fece. Aveva tante domande nella testa (chi era quella ragazza? Come sapeva il suo nome? Cosa voleva da lui?) ma il suo invito a volare gli era entrato dentro, l'entusiasmo di un'avventura lo aveva improvvisamente pervaso, si sentiva libero, entusiasta, dubbioso ma gioioso.

Così tese la mano, ed un lampo di luce avvolse loro, la torre e tutta la notte circostrante.

Lontano, dalla terrazza più alta del palazzo reale che dava sul Regno di Nessuno e su tutte le terre dove continuavano i loro soldati a combattere, la regina Beatrice, con un largo sorriso sul volto, vide un piccolo bagliore provenire dalla lontana e nemica città.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


I respiri di suo padre gli giungevano alle orecchie, un fastidioso ronzio nella notte umida lo infastidiva. Non riusciva a dormire e questo lo irritava alquanto; il suo corpo implorava riposo, dopo aver lavorato tutto il giorno inginocchiato nella terra bagnata, strisciando rapidamente tra i grossi arbusti, tentando di fare il minimo rumore possibile per raccogliere le fragole che crescevano nella Valle del Silenzio.

Prendere sonno quella sera sembrava davvero un'impresa; non era facile lasciare la briglia dei pensieri quando tutti i neuroni erano impegnati nella ricerca della Cura, esaminando formule e composti, uno dopo l'altro. 

Mitch pensava alla Cura da un mese. Era convinto che, con tanto impegno, sarebbe riuscito a trovarla, un giorno, ma quella estenuante e continua successione di prove e fallimenti lo stancavano e scoraggiavano davvero. 

Lavorava con le piante da quando aveva cinque anni: aveva scoperto il suo sensazionale intuito quando, solo e ferito nel bosco dove passavano i guerrieri per raggiungere il campo di battaglia, era riuscito a creare un veloce ed istantaneo medicamento, così efficace che il giorno seguente non aveva più nemmeno lle cicatrici.

La paura, quel giorno, gli era servita per tirare fuori le sue migliori qualità. Per questo lui e suo pade si erano trasferiti lì: non appena aveva compiuto l'età giusta, suo padre ne aveva approfittato per nominarlo suo braccio destro nella cura dei feriti. Si dedicavano giorno e notte alla loro attività, curavano chiunque riuscisse a raggiungere la loro capanna in mezzo agli alberi. Non importava se i pazienti erano nemici o alleati: loro erano stati esiliati dal Regno di Nessuno molti anni prima e non temevano più l'Occhio del Re, quella guardia interna che segnalava al Re i cittadini sospetti di organizzare operazioni sovversive.

In realtà erano stati esiliati con un motivo assurdo, ma Mitch e suo padre non si lamentavano di certo, dato che erano stati fortunati. Se l'Occhio avesse scoperto le loro spedizioni nei Giardini del Re, così rigogliosi e vivaci nonostante la fame dilagasse nel paese da secoli, li avrebbe di certo condannati a morte. Potevano ritenersi molto fortunati, dato che erano solo stati esiliati perchè ritenuti potenziali spie.

Mitch si rigirò di nuovo nella sua coperta di lana, non ne poteva più di stare lì ad ascoltare i rumori fastidiosi dell'insonnia. Così silenzisamente si alzò sui piedi congelati ed uscì trascinandosi dietro la grossa coperta. 

La Cura era la sua più grande ambizione, il suo più alto e importante obbiettivo: trovare un miscuglio di quelle piante che così tanto amava capace di curare ogni male, di salvare dalla morte, di rinvigorire i deboli. 

Trovando la Cura Mitch avrebbe potuto curare ogni ferito in modo molto più veloce, efficace e mirato: quel composto avrebbe significato impiegare un quarto del tempo medio che di solito gli occorreva per cucire ferite e ricostruire ossa, nonchè eliminare gran parte delle sue spedizioni nella Valle del Silenzio a cogliere migliaia di piccole piantine differenti. 

La loro capanna sembrava così vuota durante la notte, quando non giungevano i rumori assordanti delle esplosioni o le urla di coloro che venivano sopraffatti dal fuoco dei draghi nemici. Il tavolo cui sedeva in quel momento di giorno era utilizzato per poggiare le riserve di piante. 

Quella notte erano rimaste solo delle Fragole. Mitch ne aveva raccolte molte di più di proposito: sentiva che erano la base della Cura, viste le loro notevoli e molteplici proprietà. Ma con quale pianta dovevano essere cotte? Ed in quale sostanza dovevano essere lasciate a macerare?

Tutte quelle domande gli corrugavano la fronte bianca, pulita e spaziosa, su cui cadeva continuamente lo spruzzo di capelli scurissimi. Le sue labbra si muovevano a destra e a sinistra, come a massaggiare i denti per favorire l'arrivo delle idee.

Soppesando una fragola tra le dita, il suo colore gli sembrava così convincente, così passionale. Come poteva un frutto del genere non essere quello che da così tanto tempo andava cercando?

Sul tavolo, qualcosa brillò; un riflesso baluginò. Inizialmente non vi fece caso, attribuendolo alla luce insistente di quella grossa e prepotente luna.

Ma poi dovette ricredersi, perchè tra le fragole c'era qualcosa che continuava con il suo riflesso ad interrompere il suo pensiero ed i suoi calcoli.

Spostò qualche foglia di lydia e la vide: sembrava una goccia d'acqua, ma in realtà si trattava di un piccolo oggetto, forse una pietra, forse un cristallo. Il suo occhio esperto esaminò velocemente la goccia trasparente e notò che non era stata modellata o scalfita da una mano umana. Era la sua forma naturale, era quasi sicuro di questo.

Stava avvicinando il proprio naso diritto alla pietra per vederla meglio, quando sentì un calore che gli fece accapponare i capelli sulla nuca, una luce calda, sì, ma così innaturale da farlo rabbrividire.

Si voltò, spostando in avanti tutto il corpo ed immergendo la spalla in quella luce.

Alzò le mani, non capiva più nulla, che cosa stava succedendo?

Sentì un paio di mani, bollenti, quasi ardenti, che strinsero i suoi polsi nei quali si avvertiva il battito accelerato ed agitato del suo cuore.

Una voce, in lontananza, chiamò il suo nome, disse qualcosa, ma ormai non riusciva più a sentire nulla. Ogni cosa era stata mangiata da quella luce, persino i suoi sensi, tanto che fu costretto a chiuderli, senza riuscire a riaprirli, abbandonandosi ad un assoluto e anormale silenzio.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Kirstie aprì gli occhi, mise entrambe le mani sul volto, allungò le gambe inspirò profondamente. Sentiva di aver fatto un sogno bellissimo, ma non riusciva a ricordarselo. Come tutte le mattine, posò una mano accanto a sè per accarezzare Olaf, dormiva ancora, come al solito.

Fece per sollevare la testa dal cuscino, quando si rese conto che il cuscino non c'era. Avvertiva un freddo diretto sotto alla nuca, come quando era distesa a terra. Che strano, non le era mai successo di sentire tutto il suo corpo così intorpidito, così pigro. Allungò una mano accanto a sè, per afferrare il calendario e controllare la data, ma la sua mano non incontrò il meraviglioso comò di cristallo che aveva fabbricato lei stessa quando ancora suo padre non era partito per la guerra.

Avvertì tra le sue dita una strana stoffa, che aveva una consistenza umida, come quella degli abiti che rimangono stesi fuori per tutta la notte.

Che strano, non ricordava di aver messo nulla del genere accanto al letto, la sera prima.

Incuriosita, si decise ad aprire gli occhi e a voltare faticosamente il capo a sinistra.

Spaventata, sobbalzò: si ritrasse con tutto il corpo, tirando la coperta che aveva addosso verso di sè. Schiaffò una mano sulla propria bocca, onde evitare di urlare, facendosi anche del male. Era spaventata, ma non voleva gridare, sapeva che avrebbe soltanto peggiorato la situazione.

Gridando, infatti, avrebbe di sicuro svegliato il ragazzo che dormiva accanto a lei, raggomitolato, avvolto in un mantello nero che odorava di sale.

Chi era quell'uomo? Dove si trovava? Che fine aveva fatto la sua stanza? Strinse a sè Olaf, terrorizzata, sconcertata, impaurita. Poi alzò piano la testa, ignorando il dolore al collo, per cercare di capire dove si trovasse.

La stanza era enorme, le pareti dovevano essere cinque, altissime, sembravano sfuggire verso il cielo, da tanto erano alte. Esattamente sopra la sua testa castana, un enorme soffitto dipinto con un cielo blu notte punteggiato di stelle e di enormi nuvole argentate le mozzava il fiato. Anche le pareti laterali erano completamemte affrescate, con immagini strane, incomprensibili alla sua mente annebbiata dal sonno pesante. Riusciva a distinguere i colori vivacissimi che si rincorrevano e punzecchiavano, riusciva a percepire il movimento delle figure rappresentate, tanta era la perizia di chi le aveva dipinte.

Kirstie non riusciva a credere ai suoi occhi, la stanza era semplicemente surreale, la cosa più bella che avesse mai visto.  Sebbene il fatto di trovarsi lì senza sapere nè dove fosse nè come vi fosse arrivata la inquietasse molto, non riusciva a non sentirsi meravigliata, colpita, incantata. Quella stanza era stupenda, enorme, regale. Ma dove si trovava?

Fece per spostarsi, voleva alzarsi in piedi, voleva camminare e vedere se vi erano porte o finestre per poter comprendere in quale parte del mondo fosse capitata.

Ma si bloccò, terrorizzata, quando il ragazzo accanto a lei mosse un braccio.

Kevin indossava la tunica bianca, le braghe blu notte e il mantello nero. Con una mano scacciò i sogni dal viso, quel viso scuro e tondo, nel quale i suoi occhi ancora più scuri sembravano meravigliose gocce di un mare notturno, un oceano al buio, al fresco servizio della luna e dei suoi effimeri riflessi.

Sentiva il braccio estremamente pesante, il corpo fastidiosamente immobile: capì subito di trovarsi sulla terra ferma. Cosa era successo? La barca si era arenata? Aveva raggiunto una costa sabbiosa e il vento lo aveva spinto fin lì?

Non capiva nulla, la testa era dolorante, i muscoli contratti in maniera innaturale, come se avesse dormito su un pavimento. Che fosse caduto dal letto senza accorgersene? C'era solo un modo per scoprirlo, dunque aprì gli occhi, nonostante si sentisse così stanco e svogliato.

Impiegò qualche istante a distinguere i contorni sfocati della sagoma di fronte a lui: il suo violoncello?... il tavolo?... degli abiti accatastati? ..una ragazza seduta?

Sì, una ragazza seduta.

Spaventato, si rizzò in piedi, chiudendo il mantello come per riprendersi la dignità che sembrava svanire sotto quell'acuto sguardo femminile.

"Chi sei?", chiese Kevin, fissando dall'alto quella ragazza con i capelli castani che riposavano diligenti sulla sua spalla e quell'animale strano che ronfava fastidiosamente con il mento appoggiato sulle ginocchia.

Lei non rispose, se non con uno sguardo accigliato e quasi più interrogativo della domanda che lui le aveva appena rivolto.

Gli occhi castani di lei lo analizzarono, lo trapassarono letteralmente, Kevin si sentì quasi nudo di fronte ad un paio di iridi così loquaci e perspicaci.

"Potrei farti la stessa domanda.", puntualizzò KIrstie.

"No. Si dà il caso che tu ti trovi nella mia barca, perciò sono io quello più autorizzato a fare le domande, qui."

Kirstie scoppiò in una lunga risata, dal rumore simile al vetro che si frantuma sulla pietra.

"Non penso proprio che questa sia una barca. Perdona la mia insolenza, ma ti consiglierei di svegliarti meglio prima di accusarmi. Guardati attorno."

Troppo sorpreso per controbattere, Kevin girò su se stesso, il mantello freddo tra le gambe, gli occhi impastati dalla stanchezza, i pensieri inestricabili.

Che stabza enorme, pensò, avvertendo un improvviso disagio, il solito che lo coglieva quando si trovava sulla terraferma.

"Ma.. dove siamo?", chiese alla ragazza vestita di grigio.

"Non lo so, ma questa storia un po' mi elettrizza. Pensa, e se ci avessero rapito? O se ci fossimo appena svegliati da un sonno eterno? E se fosse questa la prima volta che vediamo la realtà e quella in cui abbiamo vissuto finora fosse un mondo onirico in cui eravamo intrappolati?"

"Calma, frena, ragazza. Stai andando troppo in là con l'immaginazione. Proviamo a ricordare qualcosa di ieri sera, ieri notte, o anche ieri mattina.. la prima cosa che ci viene in mente. Sarà di certo più utile che lavorare di fantasia."

"Forse hai ragione tu. Io però... non ricordo nulla."

Kirstie si sforzò di eliminare pensieri superflui dal cervello, di sgomberare l'intelletto per far spazio alla memoria. Ma era difficile, se non impossibile.

Kevin, dal canto suo, continuava a guardarsi attorno, smmirando anche lui le opere meravigliose su quelle pareti, confondendole un po' con i ricordi. 

"Aspetta- pensò ad alta voce- ricordo qualcosa.."

Dando le spalle a Kirstie, si voltò per cercare il suo Violoncello. Ed infatti stava lì, steso al suo fianco: se fosse stato umano, Kevin avrebbe pensato stesse dormendo, tanto era umana la posizione che aveva, lì adagiato su quelle coperte.

Ricordava il suo Violoncello, ricordava di averlo afferrato mentre una luce lo inondava, ingoiava..

"LA LUCE! IL FREDDO!", urlò a se stesso, ricordando improvvisamente tutto quanto.

Sì, ricordava la ragazza, piccola, magra e rossa, con quel casco di ricci in testa, ricordava anche i suoi occhi speranzosi ed infusori di speranza stessa, riusciva quasi a proiettare lì davanti a sè il suo ricordo, tanto era vivido.

Kirstie parve ricordare. Quello strano oggetto, sì... quella goccia, ecco, e poi quella luce fredda, che sembrava voler assorbire tutto il calore dal suo corpo.

"Sì, ricordo anch'io la luce. È apparsa alle mie spalle all'improvviso, mentre pensavo ad una strana pietra trovata per terra."

Kevin sobbalzò.

"Dici sul serio? È assurdo, anche io ho trovato uno strano oggetto in mano e mentre lo osservavo è arrivata questa luce.. poi ho visto una ragazza, mi ha porto la mano e non appena l'ho sfiorata tutto è svanito, come se la realtà si fosse smaterializzata sotto al mio tocco."

I due si guardarono, tacendo, le menti al lavoro, le fronti corrugate, quella candida di Kirstie verso l'alto, quella scura di Kevin al centro, le sopracciglia quasi a toccarsi.

Il loro sguardo era vuoto ormai di qualsiasi ostilità, capivano di essere colleghi, di essere compagni di sventura, o di avventura. Compresero in un attimo che da quel momento in poi le loro strade si sarebbero unite, percorrendo parallele le stesse distanze. Proprio per questo motivo, forse, entrambi si porsero simultaneamente la mano, pronunciando i propri nomi ad alta voce.

Ora che si conoscevano ufficialmente ed erano meno diffidenti l'uno verso l'altra, cominciarono a ragionare assieme, a formulare ipotesi e a scartarle. Cominciarono a coprire il primetrp della stanza, tentando di scoprire se vi esano finestre porte, e tentando di capire da dove provenisse quella luce che illuminava la stanza e permetteva loro di vedere abbastanza bene ciò che li circondava: erano rinchiusi in una sorta di penombra, abbastanza luminosa da permettere loro di camminare ed osservare le pareti, sulle quali però non riuscivano ad intuire bene le immagini affrescate, ma abbastanza oscura da farli inciampare continuamente sui loro passi.

Sembravano rinchiusi in un limbo spaziale e temporale, diverso da qualsiasi realtà cui erano abituati. 

Così, fianco a fianco, cominciarono a sondare quella strana ed enorme stanza che appariva sempre più grande, sempre più interessante.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Il sole era calato da un pezzo, ma dell'oscurità non v'era traccia. La luce bollente del fuoco si arrampicava sui muri, il caldo scioglieva ogni pensiero ed un vento quasi ustionante muoveva le tende che separavano i locali all'interno dell'enorme casa di pietra.

Avi afferrò lo straccio e si ripulì le mani sporche di fuliggine, gettandolo poi sulla sedia, e si voltò a guardare Ben.

La grossa creatura giaceva immobile, affranta, in quella caldissima casa scavata nella roccia di quella grossa ed introvabile grotta. La bestia era circondata da una dozzina di focolari, accesi da Avi soltanto un'ora prima, con la speranza di scaldare e donare un po' di sollievo al povero drago.

L'unico segno di vita proveniente dal grosso animale era il lento, affaticato, doloroso gonfiarsi e sgonfiarsi del ventre, a ritmo del suo respiro.

Guardando un'ultima volta il drago e chiedendosi se sarebbe sopravvissuto, raccolse i capelli abbastanza lunghi, ricci, scuri ed incolti in un codino sotto la nuca, si passò una mano sul mento ricoperto di barba scura e disordinata, infilò i guanti ormai vecchi e logori e si sedette sulla sedia nella stanza dietro alla grossa tenda.

Non sapeva bene che ora fosse, lui ed il tempo vivevano in due diverse dimensioni, ma aveva fame, una incredibile e inspiegabile fame. Riempì il bicchiere di ferro sul tavolo ed infilò in bocca il tozzo di pane caldo. Non vedeva l'ora che quella maledetta guerra finisse: si era stufato di mangiare pane e selvaggina, non ne poteva più. Non essendo inoltre cittadino del Regno di Nessuno o del Regno delle Fenici non poteva nemmeno permettersi di recarsi in città a comperare vivande. Non aveva alcun diritto, non aveva alcun Re o Regina cui obbedire, non aveva nemmeno una moglie o dei figli: era un giovane apolide scappato alla guerra che non lo riguardava, viveva solo in quella grotta dalla quale usciva soltanto per occuparsi dei suoi draghi.

Non vedeva l'ora che quella guerra finisse anche per loro: i draghi venivano sfruttati dal Re delle Terre di Nessuno. Dopo essere stati catturati nelle foreste dove vivevano in libertà, venivano allevati brutalmente ed abituati alla violenza: per questo risultavano così potenti ed efficaci. Avi si era sempre indignato per questa ingiustizia: se volevano combattere, i due regnanti, era un problema loro.. ma che colpa ne avevano i draghi?

Per questo motivo Avi aveva trasformato quella enorme grotta ai confini del Regno delle Fenici in un ricovero ed allevamento di draghi feriti, che poi liberava.

Chissà se Ben sarebbe guarito, pensò. La sua ferita era profonda, aveva sfiorato la morte, ma per ora sembrava stabile. Sperava che, come alcuni degli altri draghi che aveva salvato, decidesse di rimanere con lui nella grotta. Ben era un bellissimo esemplare: squame verdi, corna blu, artigli lunghi e grande capacità di sputare fuoco. 

Un rumore familiare lo costrinse a tornare alla realtà: Jamin era entrato nella stanza, scostando goffamente la grande tenda che separava il dormitorio dalla sala operatoria.

"Che succede, Jamin?", chiese Avi, con la sua profonda e baritonale voce, che tanto tranquillizzava i suoi draghi.

Il meraviglioso esemplare di draco regius dalle squame indaco e dalle corna grigie si avvicinò a lui, allungando il suo alto e snello collo per salutarlo. Avi lo carezzò sul muso, come piaceva a Jamin, che lo fissò con i suoi occhi verdi e chiarissimi, grandi e sinceri. Sembrava volergli dire qualcosa, tanto che Avi pensò avesse fame.

Ma era strano che un drago della sua specie venisse da lui a chiedergli del cibo: i draghi regali erano estremamente orgogliosi, preferivano morire piuttosto che piegarsi a chiedere aiuto. Difatti, non era stato facile curarlo: si era dibattuto fino allo sfinimento. Al suo risveglio, però, Jamin lo aveva scelto come guida ed era rimasto con lui, forse sentendosi in debito.

"Devi dirmi qualcosa?", ripetè, pur non aspettandosi alcuna risposta.

Il drago si svincolò dalla sua mano e stese ancora di più il collo, finchè la sua testa non fu esattamente sopra al tavolaccio sporco su cui lavorava Avi. A quel punto aprì l'enorme e spaventosa ma innocua bocca e lasciò cadere qualcosa. Scosse la coda e produsse un basso e grottesco ringhio dalla pancia, che, come Avi ben sapeva, rappresentava un invito.

Leggermente stupito ed estremamente incuriosito, Avi ingoiò il boccone di pane e guardò ciò che gli aveva portato la bestia.

Era qualcosa di luccicante, capace di catturare la luce della stanza, di dividerla e di riprodurla in modo più forte. Che strano oggetto, pensò Avi, sembrava una piccola foglia di pietra, o forse una goccia, non riusciva a capirlo. Era trasparente, pulita, così limpida che quando Avi la prese tra le dita annerite per stringerla e studiarla più da vicino non si sporcò nemmeno.

Al tatto risultava fresca, nonostante l'alta temperatura della stanza. Che cosa poteva significare questo piccolo oggetto? Da dove era spuntato? Nessuno entrava mai nella grotta, nessuno ne conosceva l'esistenza. Qualcuno era entrato mentre lui lavorava? Una grossa rabbia ed inquietudine cominciarono a rincorrersi nel suo petto.

Si alzò in piedi: se qualcuno era entrato, doveva pagarla cara. Non aveva intenzione di mandare all'aria tutto il suo lavoro per un malcapitato caduto per caso nella sua grotta. Non se ne parlava nemmeno.

Scostò irato la tenda del dormitorio, ma nessuno dei cinque draghi che dormivano beati sul pavimento caldo si svegliò. Con passo spedito oltrepassò i corpi ronfanti e scostò l'altra tenda, per entrare nell'anticamera della grotta, dove stavano i viveri che trovava nei suoi giri tra le linee dei due schieramenti. La stanza era vuota: il poco cibo stava tutto addossato al muro, la lunghissima scala a pioli che conduceva al grande buco sopra di sè era esattamente dove l'aveva lasciata. Piano con cautela, si avvicinò al buco da cui entrava solo l'oscurità della notte filtrata dai rami e dalla sterpaglia che Avi aveva sistemato lì per nascondere l'ingresso alla grotta; ma anche lì tutto regolare, nulla di anomalo, le foglie erano sistemate come le aveva lasciate lui. E allora da dove veniva quella pietra?

Interdetto e perplesso, girò su se stesso, ma quando i suoi occhi furoni di nuovo rivolti alla tenda sobbalzò. 

Una ragazza si guardava attorno leggermente spaventata, un po' disorientata. Aveva dei grossi boccoli rossi che si allungavano come molle infuocate verso il pavimento per poi riaccorciarsi, quasi disgustati dalla banalità del suolo. I suoi occhi confusi e verdi si muovevano veloci, analitici, sconcertati: il suo sguardo serpeggiava lungo le mura della grotta, ma lei sembrava non essersi accorta della presenza di Avi.

"Ehi, tu!", fece lui, con un tono perentorio, con un timbro così basso che il suono della sua voce rimbalzò ovunque tra le pareti della grotta.

Lei, balzando ritta per la paura, si voltò verso di lui, come colta alla sprovvista.

"Avi, non..", tentò di dire lei, con una voce flebile, prima di essere interrotta da lui.

"Chi sei e cosa ci fai nella mia grotta? E come sai il mio nome?"

Fiamma non sapeva cosa rispondere, le cose non erano andate come sperava, forse per colpa del fuoco nella grotta. Produceva così tanta luce, che lei non era in grado di superare con i suoi raggi quel chiarore bollente. 

Non riuscendo a stordire Avi con la sua luce, doveva trovare un diversivo per avvicinarsi e sfiorarlo, solo così avrebbe potuto portare a termine la sua missione.

Ma come poteva fare? Lui era così imponente e poco aperto agli estranei.. insomma, viveva solo in una grotta, non era molto abituato a ricevere visite.

Avi la fissò, un po' incerto sul da farsi. Era una ragazza molto fragile, quella che aveva davanti. Magra ed esile, sembrva poter crollare a pezzi soltanto con un tocco, ma il fatto che sapesse il suo nome la rendeva un potenziale pericolo, nonostante il suo aspetto innocuo. Che cosa doveva fare, come poteva costringerla ad andarsene senza fare mai menzione a nessuno del suo nascondiglio? Non aveva il coraggio di farle del male, sembrava così indifesa, anche se aveva quello sguardo perforante...

Fiamma doveva farsi venire in fretta un'idea: temeva che lui potesse cacciarla via soltanto scagliandole contro il suo grosso drago. Doveva fare in modo che lui toccasse il suo braccio: non serviva altro..

D'un tratto si illuminò, lo guardò negli occhi ancora una volta e poi li chiuse.

Avi guardò la ragazza, rilassando per un attimo le braccia larghe di coloro che sono colti alla sprovvista e si mettono in allerta, la scrutò, attendendo la sua risposta.

La vide esitare, la vide sul punto di aprire bocca, per poi bloccarsi e chiudere gli occhi. Non fece in tempo ad accorgersi di cosa stesse succedendo, che la ragazza si accasciò a terra, svenuta.

Lui, ancora più esterrefatto, attese un secondo, ma poi si avvicinò a lei, troppo abituato a prendersi cura di creature indifese da poter ignorare un fatto del genere.

Così si avvicinò, la osservò da vicino, inginocchiandosi accanto a lei. Respirava ancora, per fortuna, e così distesa era bellissima, pericolosa ma bellissima. Facendosi coraggio, prese il braccio della ragazza per sentire il battito, ma uno strano freddo lo colse, salendo dai piedi fino alla testa. Vosa stava succedendo?

Lottò fino all'ultimo per riuscire a fermare la stanza intorno a sè che continuava a traballare, a muoversi. Fece in tempo solo a vedere Jamin avvicinarsi e struscoate il muso contro la sua schiena, poi non vide più nulla.

Buio, freddo.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Mitch si raggomitolò, con le braccia legò le gambe: aveva freddo, non sentiva più la coperta sopra di sè. Forse gli era caduta dal letto.

Un rumore insistente lo tolse dal suo dormiveglia: era una sorta di ronzio, una specie di lieve ruggito. Non riusciva a capire da cosa fosse prodotto, ma intuì che proveniva da dietro la sua testa. Tentò di alzare un braccio, ma inutilmente. Qualcosa lo teneva fermo, qualcosa impediva ai suoi arti di obbedire ai comandi che la mente impartiva. Socchiudendo gli occhi, si rese conto che l'oscurità che lo circondava era diversa da quella che di solito usava contemplare dal suo letto, nelle notti di insonnia. Che suo padre avesse acceso una candela, da qualche parte in lontananza? Che sua madre fosse passata a trovarlo, dato che a causa dell'esilio si vedevano così poco?

Non riuscì a resistere all'idea di rivedere il volto semplice e morbido di sua madre, tanto che si alzò in fretta, avvertendo dei brividi in tutto il corpo. Comprese che nulla gli impediva di muoversi, ma che i suoi muscoli non rispondevano perchè addormentati e intorpiditi. Era come se avesse dormito per una notte intera su un pavimento ghiacciato... Ma dove era finita la sua coperta?

Scosso e confuso, aprì gli occhi scurissimi incollati dal sonno. Nonostante la sua vista fosse quasi completamente offuscata, gli apparve chiaro fin da subito che il luogo in cui si trovava, qualunque esso fosse, non era di certo la sua capanna-ospitale.

Era enorme, cinque altissime pareti completamente offuscate e prive di qualsiasi apertura si chiudevano attorno a lui, in una stanza grandissima, dal tetto completamente trapunto di stelle dipinte, dal pavimento freddo ricoperto interamente da un grosso tappeto.

Si guardò meglio intorno, frastornato, ancora incredulo, inseguendo con le orecchie il bizzarro ed irritante ronzio che lo aveva svegliato. Dove diavolo si trovava? Cos'era quel rumore seccante? Come era arrivato in quella stanza semi-oscura?

Come se il terremoto di domande non fosse già abbastanza turbolento, notò che accanto a sè, proprio dal punto in cui proveniva il rumore, qualcosa si muoveva. Abbassò lo sguardo e non riuscì a credere ai propri occhi. Un gatto dal pelo corto stava giocando con la sua fragola, quella che aveva colto nella Valle del Silenzio due giorni prima. Lo Sfinx allungava pacato e facendo le fusa una delle sue due magrissime zampette, leggermente colpiva la fragola; questa rorolava, come a crogiolarsi nelle attenzioni che quest'ultimo le prestava, per poi ricadere immobile nello stesso identico posto, in modo che il raffinato e sostenuto gatto potesse ripetere allo sfinimento il suo giocherello.

"Sciò! Non toccare la mia fragola, vattene!", bisbigliò Mitch, sperando che il gatto gli obbedisse.

Ma lo Sfinx fraintese le sue parole per un invito, infatti abbandonò la fragola, ormai passatempo obsoleto, per avvicinarsi alle gambe di Mitch ed strofinarcisi, allungando la coda, arcuando la schiena, con un fare allo stesso tempo tenero, ruffiano e altezzoso.

Incerto, Mitch allungò una mano per carezzarlo, ma il gatto non apprezzò e si ritrasse indignato per tutta quella confidenza che si era arrogato, miagolando forte.

Scott conosceva quel miagolio, avrebbe potuto riconoscerlo ovunque, anche in mezzo ad un bombardamento. Wyatt lo stava chiamando, ne era sicuro. Aprì gli occhi ma rimase deluso nel sorprendere ancora l'oscurità: era quasi convinto che fosse mattino.

"Wyatt?", chiamò, ancora assonnato e titubante, anche a causa di un insolito dolore al collo.

"È tuo questo gatto?"

Scattò di lato, balzando in piedi a gambe aperte e pugni sotto al mento, sul chi va là.

"E tu chi sei? FUORI dalla mia torre. Subito!"

Così dicendo, fece un giro completo su se stesso, cercando la voce di chi aveva parlato. Ma non solo non riuscì a scovare l'intruso in quell'oscurita, non trovò nemmeno la sua torre, la sua meravigliosa dimora di vetro da cui poteva osservare il cielo.

Accanto a lui, disteso a terra, stava un ragazzo di media statura, un po' esile, gracile, avrebbe osato dire, ma che nel contesto emanava un sentimento di stabilità, sicurezza. Aveva dei capelli scuri e corti, con un ciuffo più lungo che cadeva e spazzava la fronte, dalla quale partiva un dritto, ordinato e chiaro naso. La poca barba che gli incorniciava la bocca arricciata suggeriva che la sua età non superava i 23 anni. Il ragazzo lo squadrava e dal movimento rapido delle sue sopracciglia molto sottili e definite si intuiva il suo sconcerto nel vedere Scott.

Si ritrovarono entrambi zitti, incapaci di pronunciare parola, incapaci di capire come fossero finiti in quella specie di sogno. Scott capì subito, dal movimento indeciso delle spalle di quel ragazzo, che nemmeno lui aveva idea di dove si trovasse o almeno di come fosse arrivato lì.

"Scusami- riuscì a balbettare dopo aver raccolto i propri pensieri- ero spaventato. Penso che nemmeno tu sappia come siamo finiti qui... dico bene?"

"Esatto", rispose Mitch, rassicurato dal tono rassicurante di quel giovane che fino a qualche secondo fa era stato sul punto di picchiarlo.

"Beh.. scusami per Wyatt, è un gatto curioso. Non so nemmeno perchè sia anche lui qui, di certo non l'ho portato io."

"Non preoccuparti, è proprio un bell'esemplare. Che ne dici se cerchiamo di capire cosa sta succedendo? È frustrante, la situazione."

Scott sorrise, massaggiandosi i muscoli del collo proprio dove cominciava l'attaccatura dei capelli biondi e folti. Era contento di aver trovato una persona nelle sue stesse condizioni: due cervelli al lavoro erano di certo meglio di uno solo.

"Assolutamente. Intanto, piacere: Scott."

"Mitch, piacere mio."

Decisi entrambi a trovare risposte, si riassettarono, Mitch si sollevò da terra, Wyatt si infilò tra le gambe di Scott, che a sua volta gettò il capo all'indietro e, ora più avvezzo alla oscurità del luogo, si rese conto dello spazio attorno e sopra a sè. Entrambi, infine, scorsero qualcosa, in quel danzare di immagini, che cstturò la loro attenzione. Due figure, che fino a quel momento avevano scambiato per disegni sulle pareti a causa della poca luce in quel locale, stavano in silenzio, come in ascolto, come a studiarli da lontano. Erano ad una decina di metri, stimò Mitch, ma si capiva benissimo che si trattava di un uomo ed una donna.

"Che faccio, dico qualcosa?", chiese insicuro Kevin.

"No, zitto, è pericoloso. Aspettiamo che si sveglino, aspettiamo che si accorgano loro di noi. In questo modo possiamo prederci il tempo di studiarli; non si sa mai."

Più Kevin si sforzava di guardare e capire, più una cosa gli era chiara. Quei due tipi ad una dozzina di metri da loro non potevano rappresentare alcun pericolo, prima di tutto perchè erano entrambi disarmati, secondo per il loro modo pacato di conversare. L'aspetto fisico, invece, lo traeva un po' in inganno. Se il ragazzo moro, che indossava una maglia bianca e dei pantaloni azzurri sbiaditi, poteva apparire innocuo per il colore rassicurante dei suoi abiti, l'altro giovane gli incuteva un po' di timore. Indossava una blusa marrone, dei calzoni scuri fino al ginocchio e gli inconfondibili stivali fino al polpaccio delle guardie del Regno di Nessuno. Le guardie erano famose per la loro stupidità e brutalità, perciò Kevin non potè non avvertire un senso di irrequietudine. Se solo pensava a quello che avevano fatto al nonno di Diana, la sua amata...

Kirstie comprese subito quanto poco fossero pericolosi i due individui. Si convinse della tenerezza dell'animo del ragazzo moro non appena lo vide stendersi per carezzare il gatto, mentre le era occorso qualche minuto in più per il biondo. Era possente e le sue braccia pesanti di muscoli, la fronte alta e poco limata tipica dei guerrieri, i capelli arruffati di chi è sicuro di sè, ma aveva qualcosa di innocente, come un bambino chiuso nel corpo di un gigante... Riuscì subito a confermsre ogni sua ipotesi quando vide il guerriero abbassare la guardia e porgere la mano al ragazzo gracile.

In quel momento fu perfettamente sicura della sua analisi, tanto che senza troppe cerimonie e senza timore balzò in piedi, sotto gli occhi stupiti e preoccupati di Kevin.

"Cosa stai facendo?! Sei pazza? E se sono ostili?"

"Impossibile", tagliò corto lei raccogliendo la lunga sottana del suo abito grigio fermato in vita dalla cintura da lavoro.

Con passo deciso, seguita dal suo Olaf che si muoveva in modo buffo ed esilarante, si incamminò verso i due ragazzi mentre Kevin, incredulo per il temperamento di quella strana giovane donna, la seguiva un po' incerto.

Mitch e Scott notarono che le due figure, via via sempre più nitide, si stavano avvicinando al luogo in cui loro stavano diritti con le loro schiene ammaccate.

La giovane che camminava davanti sembrava incredibilmente acuta: entrambi si sentirono come nudi di fronte ad uno sguardo così perspicace, che sembrava intuire ogni loro pensiero. Scott notò che dietro di lei, dietro quelle gambe tra cui si ingarbugliava la lunga e pesante gonna della ragazza, spuntava una sorta di cespuglio di pelo, una grande palla bianca, poco diversa da una palla di neve, buffissima nel suo candore. Scott conosceva bene quell'animale. Era un Canut, lo avrebbe riconosciuto ovunque. Li aveva visti una volta in una battaglia infuriata poco fuori delle mura della rocca: aveva assistito al combattimento dalla sua torre e i Canut gli erano sembrati davvero feroci.

Quando i due si fermarono a uno o due metri di distanza da loro, Scott non potè fare a meno di sorridere. Quell'animaletto era cosi divertente; probabilmente in modo direttamente proporzionale alla ferocia di cui era capace.

Mitch, dal canto suo, non riusciva a staccare gli occhi dall'uomo dalla pelle scura che camminava circospetto poco dietro la ragazza. Aveva qualcosa di familiare, gli sembrava quasi di riconoscerlo. Dentro di sè qualcosa gli suggeriva che lui e quel ragazzo un giorno forse erano stati amici, ma al tempo stesso non era sicuro di poter distinguere i volti un quella penombra scherzosa. Perciò tacque, continuando ad osservare l'uomo avvolto in un grande mantello sporco di sale, con il cappuccio abbassato. 

Si trovarono tutti e quattro in silenzio, ammutoliti dalle troppe vicende verificatesi in così poco tempo, annebbiati da una sorta di anormale fiacchezza, incapaci di rompere quella quiete. Si fissavano, ed ad un tratto ebbero tutti quanti l'impressione che quello era soltanto l'inizio di un lungo, interminabile viaggio. Nessuno riusciva, in cuor suo, e spiegarsi quella strana sensazione, ma nessuno si lasciò scappare quel vago sentore che qualcosa stesse per accadere, come d'inverno il vento felpato che precede la neve e d'estate il brontolio e il silenzio di ogni creatura che precedono una burrasca.

Fu Kirstie a rompere quella surreale tregua di parole, ben consapevole delle sue azioni e sicura che uniti, tutti e quattro, avrebbero potuto capire dove si trovassero.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Fiamma con grande sollievo riprese a respirare. Non le era mai successo di compiere un viaggio così difficile: di solito la procedura era molto semplice. Chiunque la toccasse prendeva fuoco immediatamente assieme a lei e in questo modo lei riusciva a trasportare le persone in tempi brevissimi da una parte all'altra del regno. Il viaggio con Avi, però, le era risultato molto più complicato rispetto a quello di tutti gli altri. Prima di tutto, la sua luce distrattrice non aveva funzionato ed in più il volo le era parso mille volte più lungo. Non riusciva a capire come mai: non le era mai successo e di conseguenza si sentiva un po' inquietata.

Per fortuna, però, era riuscita a raccoglierli tutti quanti e a radunarli, proprio come la regina le aveva chiesto, proprio come la Profezia narrava.

Con estrema agilità balzò in piedi e spolverò la gonna nera, aggiustò i capelli rossi e si voltò a controllare che il suo ultimo passeggero fosse atterrato sano e salvo. Avi sedeva sveglio e sull'attenti in quella mezza oscurità, cercando di ricordare, tentando di comprendere il senso di tutto quanto. Accanto a lui il suo drago, accasciato a terra e sconvolto dalla straordinaria esperienza appena vissuta.

"Dove siamo, ragazzina?"

Fiamma, affrontando il suo perforante sguardo, borbottò qualche parola come "aspetta" o "vedrai", giusto per tranquillizzarlo ma rimanendo sul vago. Era necessario che tutti fossero presenti: solo allora lei avrebbe rivelato il motivo della sua missione.

"Seguimi", gli intimò.

Avi, dal canto suo, era allibito per la velocità con cui gli eventi si erano concatenati, tuttavia non riusciva ad essere impaurito. Certo, era chissà dove e c'era arrivato chissà come, ma con lui c' era Jamin, il suo possente drago, nulla era in grado di minacciare la sua sicurezza. E poi quella ragazza, quella specie di strana bambina adulta, in qualche modo lo rasserenava; forse perchè i loro modi di fare scostanti e un po' avventati si assomigliavano.

Perciò si alzò in piedi, con una mano carezzando Jamin per svegliarlo, con l'altra reggendosi la schiena dolorante per l'atterraggio, diede un'occhiata veloce e seguì quella strana figura vestita di nero, che sembrava emanare una strana luce, via via più potente man mano che avanzava verso il centro di quella enorme stanza a cinque pareti.

"Non ci conosciamo, ma già so che nemmeno voi abbiate idea di dove ci troviamo. Inutile essere ostili l'un l'altro, inutile avere timore: non ci aiuterà a scoprire nulla. Mi chiamo Kirstie, vengo dal Regno di Nessuno e propongo di cercare tutti assieme una soluzione."

Kirstie guardò i volti dei tre personaggi che la circondavano, percependo una sorta di muta approvazione per le parole che ancora riecheggiavano nell'ambiente scuro e chiuso.

"Sono assolutamente d'accordo. Mi chiamo Kevin, sono un'esploratore dei mare e non vedo l'ora di rimettere i piedi sulla mia barca, perciò sono disposto a collaborare"

Scott e Mitch si scambiarono un'occhiata incerti, non sapendo cosa rispondere, cercando l'uno il sostegno dell'altro. Tutta questa storia era inquietante, ma sentivano di potersi fidare, d'altronde da soli non avrebbero risolto un granché. 

Con un accenno di sorriso si presentarono, entrambi omettendo le informazioni riguardanti la loro provenienza, Scott perchè lo riteneva superfluo, dato il suo inconfondibile abbigliamento da Guardia, mentre Mitch perchè lo riteneva più prudente; gli esiliati non erano visti con molta stima, soprattutto nel Regno di Nessuno.

Il ghiaccio tra i loro corpi imbarazzati andava sciogliendosi, qualche sorriso si distendeva dopo tutta quella tensione, insomma: cominciavano a sentirsi a prorpio agio.

Giusto in quel momento, un rumore inaspettato li colse impreparati: sussultarono quasi simultaneamente al tonfo secco che tutti quanti udirono benissimo.

Un silenzio avvolse l'intera stanza... poi delle voci fioche, quasi in lontananza, lo strusciare di qualche abito... e poi un bagliore, uno strano calore luminoso che si diffondeva per la stanza e al tempo stesso si dirigeva verso di loro. Avanzava in modo strano, quasi ballonzolante, quasi scherzoso.

Solo quando la luce fu abbastanza forte, tutti guardarono bene nella stessa direzione, al centro della grossa sala, tutti distinsero nel medesimo istante la stessa figura e tutti quanti esclamarono quasi all'unisono, improvvisamente ricordando. Era lei, era quella ragazza, pensava ognuno in modo differente.

Fiamma aprì le braccia e contrasse tutti i muscoli: dalla sua pelle uscirono tantissimi raggi di luce, che con incredibile velocità lambirono tutti gli angoli e gli altri di quella grossa sala. Il brusio di voci concitate si spense immediatamente, abbacinato da quella luminosità, così Fiamma ebbe la possibilità di fissare ad uno ad uno quegli sguardi increduli: Mitch, con le sopracciglia eloquenti, Kirstie, con gli occhi strizzati come per capire meglio, Kevin, le cui braccia stavano stette come a bloccare il barcollio involontario di coloro che vivono in mare aperto, Scott, che teneva i suoi potenti arti conserti in posizione disciplinata, e Avi, sull'attenti, le mani intrecciate dietro alla schiena.

Si assicurò che tutti le prestassero estrema attenzione, poi, con la sua voce calda, acuta, frenetica e vivace cominciò a parlare.

"Tanti secoli fa, questa terra era abitata soltanto da Fenici e Uomini, che vivevano in armonia, gli uni donando ciò che serviva agli altri. Le Fenici il fuoco agli uomini, gli uomini il cibo alle Fenici. La pace regnò per millenni, le stirpi di uomini si sostituivano, le fenici ardevano, le loro ceneri volavano nel cielo e da lì rinascevano. Per ogni nuova fenice nasceva un uomo, per ogni uomo nasceva una fenice. Il ciclo era infinito ed infinitamente perfetto. 

Successe che un giorno, il giorno della Discordia, un uomo uccise un altro uomo. Non lo fece per vendetta, non lo fece per orgoglio ferito, non lo fece nemmeno per invidia. Successe tutto così, durante una notte piovosa, come narrano gli antichi scritti, quell'uomo brandì la spada per il semplice e macabro gusto di farlo, per l'odio ingiustificato, per quell'assurdo turbamento che lo piegava, che lo svegliava nel bel mezzo della notte.

Niente di simile era mai accaduto prima. Gli uomini avevano combattuto, certo, avevano sempre litigato, era scritto nella natura irascibile dell'uomo. Ma nessuno mai era stato capace di uccidere un proprio simile, nè tra gli uomini nè tra le fenici. Le persone, in quei tempi d'oro, si addormentavano alla sera schiacciati soltanto dalla vecchiaia, con il sorriso, per non svegliarsi più e per lasciare il posto ad un altro uomo o donna con la sua nuova fenice, nata dalle ceneri della propria che moriva accanto al padrone per il dolore della perdita.

Ma quella notte la morte non era arrivata come al solito, morì un uomo ed una fenice, morirono due anime e nessuna delle due rinacque. Le polveri della fenice si dispersero nel cielo, ma da esse non si formò più alcuna creatura.

L'odio, come una malattia, si sa, dilaga in poco tempo e si attacca alle pareti delle anime, attecchisce, si innesta, si radica, si sviluppa, si diffonde. E così successe: questo sentimento attaccò una persona dopo l'altra, si aggrappò alle loro gambe e si infilò come un insetto nella loro pelle. Cominciò una guerra inarrestabile, il sangue sgorgava a fiotti e si seccava sulla terra, il cielo si copriva di polvere, le anime rimanevano imprigionate nelle nuvole e non nascevano più fenici. E così si crearono due distinte terre: una abitata da coloro che ancora possedevano delle fenici, l'altra da coloro che nella foga del loro odio le avevano fatte scappare. Uno divenne il Regno delle Fenici, l'altro il Regno di Nessuno, perchè nessuno vegliava sui cuori di quei dannati.

Tristi furono gli anni a seguire: la guerra si raffreddò, ma non finì mai. Le fenici morivano ad una ad una, ma nessuna riusciva più a ricrearsi. Gli uomini cadevano inanimati sui campi di battaglia come frutta troppo acerba, bagnati in seguito dalle lacrime dei loro cari.

Un giorno, uno strano martedì, durante il quale alcuni giurarono di aver visto un raggio di sole, un uomo, nella sua stamberga oltre la Valle delle Gemme, riuscì a concepire l'arma segreta, a rinchiuderla in un grosso forziere, a nasconderla dove soltanto chi avesse avuto l'intelletto sufficientemente alto da riuscire a portare a termine questa missione sarebbe riuscito a trovarlo.

L'arma segreta era così potente che avrebbe potuto porre fine alla guerra, a patto che non capitasse nelle mani sbagliate. 

Dopo essersi guardato intorno aveva compreso quanto fosse impossinile fidarsi, poter lasciare l'arma nelle mani di qualcuno... perciò decise il nascondiglio più difficile, impensabile, irraggiungibile dell'intero Regno delle Fenici: il labirinto Reale, dal quale pochi fanno ritorno.

Per secoli e secoli re e regine avevano cercato quell'arma... ma nessuno era mai riuscito a raggiungerla."

"Questa storia è interessante... ma per quale motivo la racconti a noi?", la interruppe Kirstie, vagamente agitata da un tremendo presentimento.

"Ve la racconto perchè ne fate parte, tutti quanti voi. Ve lo dimostro subito: avete con voi il vostro Petalo?"

Scott e Mitch si voltarono quasi contemporaneamente, mentre Avi continuava a fissare quei ragazzi che non aveva mai visto prima ma che in qualche modo gli sembrava quasi di ricordare. Kevin dondolava sulle sue gambe a disagio, nessuno sembrava capire... ma Kirstie no: finalmente aveva capito. Dunque quello strano oggetto di cristallo era un petalo!

Infilò la mano in tasca, avvertendo gli occhi di tutti puntati sulla testa mora, sulle ciocche di capelli che scivolavano davanti al suo volto mentre guardava nella tasca. Non appena l'ebbe trovata, la poggiò sul palmo della mano e questa parve prendere vita, illuminandosi come la sera prima.

Tutti la imitarono, come se improvvisamente avessero cominciato a capire. Ora cinque diverse mani stringevano lo stesso identico petalo di cristallo.

Fiamma sorrise, il suo momento era arrivato. Avvertì un moto di energia dentro di sè, un calore, come un antico ed eterno richiamo...

"Come dicevo, l'arma segreta non era mai stata trovata. Ma la profezia era stata chiara, prima o poi doveva succedere.. ed è successo. Scott, Kirstie, Kevin, Mitch, Avi... l'arma segreta siete voi."

Un surreale silenzio calò nella sala. Kirstie calcolò la possibilità che tutto quello fosse un sogno, ma la scartò subito perchè era tutto così reale, così intenso, quella luce che le faceva male agli occhi, quelle parole sconvolgenti... Kevin, invece, sembrava estasiato, in quanto il suo spirito di avventura e il suo grande animo lo rassicuravano, gli suggerivano quanto importante fosse questo compito, quanto valorosa fosse quella missione.

Scott tossì, incredulo. Lui, guardia del Regno di Nessuno a combattere per la regina del Regno delle Fenici? Che strano scherzo del destino era mai quello? Doveva fidarsi?

Mitch aggrottò le sopracciglia e si portò una mano alla bocca, non riusciva a pensare, non riusciva a credere che tutto questo fosse vero. Se realmente loro erano un'arma segreta, allora la guerra sarebbe finita... e lui avrebbe potuto rivedere sua madre e tornare a vivere con lei e i suoi fratelli.

Avi, leggermente seccato, si passò una mano sulla barba. Non aveva intenzione di combattere e uccidere persone per porre fine ad una guerra che non aveva nemmeno iniziato lui.

"Non so chi siate, ma se pensate che io accetterò di impugnare la spada per ferire altri uomini che non mi hanno mai coperto di alcuna ingiuria vi sbagliate. Non combatto nè per voi nè per il Re del Regno di Nessuno."

Fiamma spostò leggermente il volto, e con degli occhi così intensi ed autoritari rimproverò Avi, senza il bisogno di dire nulla. La sua espressione era antica, di millenni quasi, era surreale, incomprensibile. Tutto questo smosse qualcosa dentro di lui, che decise di tacere e lasciare che lei terminasse la frase. Niente lo aveva mai ammutolito in così poco tempo.

"Non si tratta di combattere. Non si tratta di uccidere, non si tratta di prendere le parti di nessuno. La vostra missione è più nobile, il vostro compito è il più alto: porre fine a questa guerra. Non so come e non so nemmeno quando, ma è scritto nel destino.", concluse lei.

Nessuno osava fiatare, forse per le parole che ancora risuonavano, forse per la meraviglia delle pareti che ora erano rese visibili dalla luce.

I cinque diversi affreschi rompevano ogni regola della prospettiva, ed erano stati eseguiti con tale perizia che gli oggetti parevano uscire dal marmo su cui erano dipinti. I colori erano talmente vivi che era diventato difficile smettere di contemplarli. Ogni parete era dipinta in uno stile distinto e con migliaia di sfumature di colori diversi, ma c'era qualcosa che le univa tutte, sembrava parlassero la stessa lingua. La prima raffigurava un enorme prato, infinito, costellato di fiori di ogni genere, su cui regnava un cielo terso, come mai nessuno di loro aveva mai visto. Quello stesso cielo sembrava trasformarsi in acqua e versarsi nella seconda parete, dove un mare mosso faceva girare la testa a tutti quanti, poichè sembrava reale, avrebbero quasi potuto immergere una mano in quelle onde furibonde... Le cui gocce si vaporizzavano, unendosi tutte nella terza parete, un cielo serale, con quella luce ocra che serpeggia lungo le cose allungandone le ombre. Ed infine quel caldo colore si infiammava, prendeva vita, si infuriava, e si trasformava in potentissime fiamme nella quarta parete.

La quinta sembrava separata da tutte le altre, ma forse era proprio quella che le univa. Tutti i colori convergevano su quel muro variopinto, dove si mescolavano migliaia e migliaia di parole, minuscole, grandi, in lingue sconosciute, dimenticate...

"Questa, ragazzi, è una sala speciale, è il pensatoio della Regina Beatrice. Ci troviamo a quasi cento metri di altezza sopra al cortile del Palazzo Reale."

Scott e Kevin, contemporaneamente e senza saperlo, furono percorsi da brividi. Scott era emozionato: non era mai arrivato a quell'altezza e si sentiva in paradiso. Era ad un passo dalle nuvole, lo sapeva e ne gioiva. Kevin, invece, sentì una tremenda instabilità nelle gambe: se solo l'idea di trovarsi sulla terraferma non gli andava molto a genio, trovarsi ad un centinaio di metri da terra lo fece sentire terrorizzato, spaventato, intimidito: non osava guardare nemmeno il pavimento a terra.

"Scusami", interruppe Scott, a suo agio, "ma che senso ha fare una stanza così in alto se non ci sono finestre?"

Fiamma scoppiò a ridere, divertita, continuando a tenere d'occhio Avi ed il suo grosso drago. C'era qualcosa di strano in lui, qualcosa che non andava... le sue reazioni, il suo atteggiamento, le sue strane occhiate, non riusciva a comprendere cosa.

"Aspetta prima di parlare", gli rispose e con un movimento velocissimo toccò il prezioso tappeto a terra. Questo prese immediatamente fuoco non lasciando polvere nè cenere, scoprendo in un attimo un enorme, impensabile, incredibile pavimento di cristallo, attraverso il quale tutto il regno era visibile. Un'escamazione di sorpresa generale precedette un religioso ed affascinato silenzio. Proprio sotto i loro piedi si esteneva tutto il Regno delle Fenici, con tutte le sue terre. Ad Est la Valle delle Gemme, ad ovest la Valle del Silenzio. A Nord stavano le coste sul mare di mezzo, a sud si intravedeva il grosso promontorio innevato che sosteneva le mura della cittadella fortificata del Regno delle Fenici. In mare, notò Kevin, dei grossi vascelli da battaglia stavano preparandosi per affrontare un attacco di alcune navi del Re delle Terre di Nessuno, che si intravedevano da lontano. Era mozzafiato, incredibile ed anche astuto, notò poi Kirstie. La regina, da lassù, poteva osservare l'andamento della guerra senza essere vista, per sviluppare tattiche militari.

"Ora, ascoltatemi bene tutti. Dobbiamo incontrare la Regina Beatrice, ci aspetta nella sala di Lettura."

Nessuno osò aprire bocca, tutti troppo estasiati dalla bellezza della stanza e della vista, per poter chiedere qualsiasi cosa. Avi, che non aveva conosciuto nessuno, si avvicinò a Kevin, che gli dava l'impressione di essere il più affidabile.

"Piacere, Avi", disse senza troppi preamboli, aspettandosi uno sguardo circospetto o sospettoso. Ma Kevin, per sua natura aperto, gli offrì la mano e il più affabile sorriso. 

Pur non sapendo come sarebbero usciti da quella stanza, quasi per una tacita e misteriosa intesa, si strinsero tutti verso il centro della stanza, attorno a Fiamma. Mentre Jamin, il drago di Avi, si avvicinava lentissimo a Wayatt, il gatto di Scott, il cucciolo di Kirstie ringhiava atterrito. La ragazza dai capelli rossi si strinse nel suo strampalato abito nero, per poi aprire velocemente le braccia.

Una grande luce avvolse tutti quanti, compresi gli animali, rendendoli insensibili a qualsiasi cosa, compresi i pensieri.
    
     
  

Una grossa sedia a dondolo era rivolta verso l'enorme finestra da cui filtrava la poca luce del grigio cielo fuligginoso. Beatrice osservava inquieta il viavai sulla costa, il passaggio ed i preparativi frenetici al porto. Con una mano lisciava i lunghissimi capelli scuri, i suoi occhi apprensivi riconoscevano tutte le figure dei marinai e li seguivano dal lido fino all'ingresso del grosso vascello.

Stava aspettando da ore, ormai; la notte era andata, la luna era ritornata nel suo nascondiglio tra le ceneri in cielo, mentre il sole, troppo debole, riusciva a trapassare quella coltre soltanto con qualche timido raggio. Aspettava, incapace di leggere, troppo curiosa, troppo preoccupata e troppo emozionata per riuscire a concentrarsi su un libro, per riuscire a non pensare ai giorni felici dopo la fine della guerra. Non era prudente illudersi e lei ne era cosciente, ma non poteva farne a meno. L'entusiasmo la colse, immaginò i volti felici dei suoi abitanti, le risate allegre delle bambine del Regno, le campane di nuovo nella valle del Silenzio, niente più linee di combattimento lungo la valle delle Gemme...

Un rumore la riportò alla realtà: un tonfo secco, proprio dietro di lei. Con la prontezza e l'eleganza di una giovane regina, si alzò dalla sedia strusciando il lungo abito verde contro i braccioli di questa. Allungò il collo per vedere cosa fosse successo, una ciocca dei lunghissimi capelli le cadde in avanti.

Steso a terra, accanto alla vastissima libreria con i registri della città, era accovacciato un giovane dalle spalle larghe, la pelle chiara e una folta chioma bionda; indossava la divisa delle guerdie nemiche, perciò Beatrice sussultò. 

"Che senso ha questo modo di viaggiare? Scomparire, ricomparire, precipitare a terra senza un minimo di preavviso... ahh se solo sapessi volare, non avrei tutti questi problemi..", borbottava seccato Scott. Non riusciva a comprendere per quale motivo fosse necessario che quella ragazza li sbattesse di qua e di là facendoli cadere sempre sul pavimento. Ma che modi erano?

Senza fare troppo caso a dove si trovasse si massaggiò le spalle, tentando di alleviare quel fastidioso dolore. 

Una voce che lo chiamava, un soave "ehilà?" lo costrinse a voltarsi. Non sapeva chi fosse quella donna, ma senz'altro era la più bella che avesse mai visto: non poteva che essere la regina. Aveva provato ad immaginarsela, quando Fiamma ne aveva parlato loro, ma mai avrebbe osato pensarla così bella. Con quelle trame incantate di capelli tra le dita, con quegli occhi scuri e liquidi, con quella fronte alta e nobile, quelle sopracciglia sottili e sfuggenti.. non poteva che essere la regina.

Lentamente, senza infrangere quella strana chiacchierata di sguardi, Scott si sollevò da terra, spolverò i vestiti e pulì la mano sulla maglia. La regina, troppo sorpresa e rapita allo stesso tempo, non disse nulla. Tacque, lasciò che quegli spostamenti d'aria, quelle vibrazioni nei respiri continuassero a vagare senza essere interrotte o molestate dalle parole.

Purtroppo i momenti magici non durano per sempre, si dileguano come un crepuscolo troppo veloce, splendido nei suoi ultimi ed effimeri riflessi di luce purpurea... e così si dileguò ben presto la loro magia, poichè altri quattro disordinati tonfi li distrassero.

La Regina sorrise, finalmente comprendendo.

L'arma segreta era arrivata.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Fino a quel momento, sommersa dalle sue responsabilità, si era completamente dimemticata di ogni dolcezza legata alla sua giovane età. Aveva passato la sua infanzia, quando ancora suo padre era vivo, ad esplorare il Labirinto Reale, la sua adolescenza a studiare i comportamenti e le competenze di una regina, la sua giovinezza sul trono a ricevere i suoi sudditi e nel suo pensatoio a sviluppare tattiche militari.
Perciò quel tremore, quello strano calore svolazzante nel suo ventre le parve nuovo, incredibile, assolutamente bizzarro. Le sembrava di volare: un momento di gioia così intensa non era mai capitato a Beatrice. Era estasiata per l'arrivo dei cinque tanto attesi guerrieri, per la luce di speranza che questi involontariamente emanavano, per l'idea di essere la Rrgina destinata a porre fine a quella guerra. Ma c'era anche qualcosa di nuovo nei suoi più interiori nascondigli: un nuovo sentimento, un tepore confortante diffuso in tutte le vene, che probabilmente partiva dal cuore.
Una lacrima di gioia sfuggì al suo controllo, mentre con le mani inferme sistemò una ciocca di morbido ebano. In piedi, fiera, felice, finalmente sollevata, si presentò.
La voce della regina aveva un ritmo costante e una sorta di matura vibrazione di sottofondo, bonostante la sua giovane età. Scott capì immediatamente che quella giovane donna era cresciuta in fretta, aveva le spalle cariche di esperienze e vecchiaia che non aveva nemmeno vissuto. Per un attimo provò tenerezza, desiderò prendere tra le braccia quella piccola creatura e farle rivivere quell'infanzia sfuggita che ora si intravedeva nella sua piccola ed infantile lacrima.
"Benvenuti nel mio Regno, Guerrieri. Vi ho aspettato tanto ed ora non posso che piangere di gioia per il vostro arrivo. Siete l'unico barlume di questa ormai tetra storia: potreste mettere a freno le lacrime di donne innocenti, potreste permettere alle Fenici di rinascere. Sono la Regina Beatrice e spero che accettiate di unirvi a me per riportare la pace in questa città."
Beatrice appariva calma, posata, le sue parole uscivano chiare e leggermente perentorie, ma dentro fremeva ed esultava saltava, si contorceva per l'entusiasmo. Guardava decisa gli occhi della sua speranza, uno ad uno, tentando di trasmettere con lo sguardo la fiducia, la sincerità e la gioia che aveva dentro.
Senza esitare un attimo, Kevin, pur sempre con una certa riverenza nei confronti di una regina così bella, fece un passo avanti e con la fronte alta ed il mento all'insù si offrì alla regina. Se il destino aveva scelto lui, di certo non si sarebbe tirato indietro. Per di più, pensò fra sè, la fine di quella guerra avrebbe significato pace per entrambi i regni, crescita, futuro: tutti avrebbero ricominciato a vivere, a sognare... persino Diana. Se non altro, doveva tentare questa impresa per lei. Si immaginò il suo sorriso, immaginò quella risata cristallina che non sentiva da anni risuonare e scrosciare come l'acqua di una fontana...
Gli altri lo guardarono, non sapendo come muoversi, cosa pensare. Mitch non riusciva a pensare ad altro che alla fine della guerra: era conveniente per tutti, e per lui soprattutto. Avrebbe potuto tornare a casa, con sua madre, suo padre e tutta la sua famiglia. Tuttavia, qualcosa non lo convinceva.
"Combattere per voi significa combattere contro la gente del Regno di Nessuno? Significa ferire persone che potrebbero essere i tuoi amici d'infanzia, ferire persone che..."
La regina fece per bloccarlo, ma intervenne Fiamma, che stava dietro tutti loro, attenta, accorta.
"Il vostro compito è porre fine alla guerra, non necesariamente combattere. Non avete chissà quali doti fisiche, dunque se ul destino ha scelto voi di sicuro c'è un motivo che di certo non sta nella vostra forza fisica."
Mitch sorrise, perciò, sollevato. Ed anche lui si avvicinò a Kevin, carico di nuove aspettative che sperava di non distruggere.
Scott sembrava perplesso, qualcosa non tornava.
"Se la regina destinata a sconfiggere il re del Regno di Nessuno è quella del Regno delle Fenici, per quale motivo la sua arma segreta sono degli abitanti del Regno di Nessuno? Io ero una guardia, mai avrei pensato di combattere per voi. Questa cosa non ha assolutamente senso."
Fiamma parve un po' confusa, seccata quasi da questa reticenza, ma decise di calmarsi e di lasciare la parola a Beatrice, facendole un cenno con il capo e scuotendo il casco di boccoli rossi.
"Tutto questo non ha senso per coloro che non conoscono la profezia o non l'hanno studiata fino in fondo. La leggenda narra che nella notte dei tempi, quando ancora la guerra era cominciata da poco tempo, il Re Piro del Regno delle Fenici aveva deciso di radunare i più potenti guerrieri della città, di donare loro armi speciali e di inviarli ad espugnare la Rocca di Nessuno. 
Ma quando, in quella notte oscura, arrivarono alla Rocca, qualcosa andò storto e loro vennero catturati. Vennero uccisi, vennero torturati. Si trattò di un tradimento e nessuno mai scoprì di chi fu la colpa. Tuttavia, le anime di questi forti guerrieri rimasero tra le mura della Rocca, attendendo il momento e la persona giusta per incarnarsi. Voi avete le loro anime, di generazione in generazione sono arrivate fino a voi. Questo è il motivo per cui non vi sentite a vostro agio nel regno."
Soddisfatto dalla risposta, anche Scott si aggiunse ai due. Aveva sempre saputo, in fondo al suo ttmido cuore, di far parte di qualcosa di più grande, proprio per questo si era rinchiuso in solitudine su quella torre di veetta. Ora, accanto a quella regina meravigliosa, sentiva di poter fare qualsiasi cosa.
Avi taceva, ombroso e spiando la ragazza dai capelli castani che diceva di chiamarsi Kirstie. Che cosa avrebbe fatto lei? Sembravabragionare, analizzare, decomporre ogni singola possibilità per essere sicura di averle vagliate tutte. Avrebbe anche lei deciso di aggiungersi a quella stramba compagnia? Si fidava pure lei? Era anche lei così ingenua?
"Se il nostro compito non è combattere brandendo una soada, io sono con voi... il nostro nome però è "Guerrieri", perciò come combatteremo, se non con la forza?"
La regina e Fiamma si guardarono, come se non sapessero cosa rispondere, o forse per consultarsi prima di dare una risposta. La regina parve voler cere il discorso a Fiamma, la quale approfittò.
"Sarete sottoposti ad uno speciale addestramento, ma questo è il massimo che posso svelarvi finora. Se non accettate tutti quanti la squadra non sarà creata e di conseguenza le informazioni che posso darvi per ora sono poche."
Il piccolo mostriciattolo di Kirstie le strusciò il volto contro la gamba e lei lo prese come un incoraggiamento. Con il cuore che batteva il doppio delle normali volte, Kirstie si avvicinò ai tre ragazzi, dentro la sua testa invece si avvicinò all'immagine di suo padre a casa dalla guerra e della sua famiglia felice, riunita.

Soltanto Avi pareva poco convinto, poco entusiasta di trovarsi lì. Si massaggiava la barba con un'aria enigmatica che irritava Fiamma. Per colpa sua il piano avrebbe potuto saltare in aria e anche l'ultima fiammella di quel lumino di speranza avrebbe potuto spegnersi, se esposta ad un alito di vento. Che cosa lo turbava? Perchè non si fidava? Forse era un cavernicolo, un troglodito. Forse si era imbruttito nella sua grotta tra tutti quegli intrattabili draghi? Non lo sapeva. Perchè con lui doveva essere tutto così difficile?
"Non è nel mio interesse combattere nè la vostra nè la loro guerra. Vi uccidete tra voi, è un problema vostro. Io ed i miei draghi non entreremo nelle vostre scaramucce."
Beatrice sembrò sbiancare, pareva non essere in grado di reggere un solore così grande.
Fiamma fu presa da un impeto di pietà per quella giovane donna, che tutto faceva fuorchè uccidere uomini in "scaramucce". Le parole le uscirono come lingue di fuoco, infammate, pungenti, irrefrenabili. 
"Come puoi essere così egoista? Non si tratta di combattere, non si tratta di uccidere. Si tratta di fermare una guerra, si tratta di salvare delle vite. Se tu sei troppo debole o pusillanime da poter accettare questa responsabilità, non ci interessa. Ma non ti permetto di insultare la Regina."
Come era testarda, quella ragazza. Era stata capace di trovare il suo punto debole, era stata capace di colpirlo nel punto giusto. Non potè fare a meno di reafire con altrettanto vigore.
"Non sono debole, non sono pusillanime! Ma come puoi pensare che io accetti questo compito se non so nemmeno quello che sarò obbligato a fare?"
"Non posso dirtelo, capisci? Se te lo dico e tu non accetti, il segreto è libero nell'aria, più che raggiungibile."
Avi non disse nulla, non trovando nulla da ribattere. Non c'era soluzione a questo scontro. Qualcuno doveva cedere ed entrambi lo sapevano, ma nessuno ne era in grado.. un silenzio agghiacciante impietrì tutri gli altri: il sogno di una liberazione sembrava affievolirsi come la fiammella di una candela sotto ad un bicchiere.
"Ti chiedo di fidarti di me", aggiunse infine Fiamma, implorante, senza sperare troppo. Era impossibile che dopo meno di un giorno si fidasse di lei, soprattutto dopo gli scontri che avevano avuto.
Quella strana e supplice richiesta vibrò ancora un po' nell'aria, gocce di un profumo che, vaporizzate, minacciavano di depositarsi a terra.
Avi intrecciò le dita dietro la schiena e le strinse tentando di fermare l'agitazione che ribolliva nella sua pancia. Quegli occhi verdi sembravano un veleno dolcissimo, un nettare meraviglioso quanto fatale, mortale. Lui lo sentiva, sapeva che quegli occhi erano teneramente avvelenati, ma non riusciva a staccarsi da loro. Così, contro ogni sua legge interiore, per la prima bolta nella sua vita, dopo un'ultima e violenta battaglia, Avi si lasciò andare e cedette, affranto. Non gli era mai successo che uno sguardo riuscisse a sostenere il suo, così fulminante.
"E va bene... lo farò. Ma se riterrò qualcosa ingiusto, mi rifiuterò di farlo."
Beatrice tentò di controbattere, ma Fiamma si intromise: conosceva i caratteri come quelli di Avi e sapeva quanto fosse importante accettare subito le condizioni da lui imposte. Se non l'avessero fatto non avrebbero ottenuto più nulla; inoltre lei sapeva bene che, come era riuscita a convincerlo in quel momento, avrebbe potuto piegarlo al suo volere sempre.
"Ti accorgerai da solo di quanto giusta sia la tua scelta. Te lo assicuro."

I respiri ripresero, i sorrisi si rilassarono, gli sguardi si sciolsero. La Regina socchiuse gli occhi ed un'altra lacrima di sollievo sigillò finalmente il loro patto. L'arma segreta, ore, era finalmente in azione.

La stanza in cui i cinque guerrieri potevano sistemarsi durante la loro permanenza era piacevolmente oscurata, per evitare che il sole scaldasse troppo i loro corpi stanchi. Una tenda divideva in due la grande stanza circolare, per permettere all'unica ragazza la sua intimità. Chiacchierando, Scott e Mitch tentavano di sciogliere quello strano ghiaccio, quel particolare imbarazzo che bloccava e intimidiva tutti quanti. Si trovavano bene assieme, compresero subito che sarebbero diventati amici. A volte non serve conoscersi troppo per capire quanto si può andare d'accordo. Certe amicizie cominciano all'improvviso, senza che nessuno se ne accorga, e durano per tutta la vita, legando i due amici più che il sangue simile che scorre tra le vene dei parenti. 
Kevin si spaparanzò scomposto sul letto, il mantello sulla sua faccia, stranito dall'immobilità della terra ferma cui non era più abituato, mentre Kirstie sorrideva e volteggiando studiava gli affreschu semplici ed essenziali alle pareti. Avi era silenzioso, ombroso e cupo, stizzito e leggermente affranto. Finchè Fiamma non fu uscita dalla stanza al fianco della Regina con un volto raggiante, non volle pronunciare una parola. Poi si avvicinò alla finestra dal vetro curvo, spiando dietro alla tenda. Un mattino afoso e incredibilmente appiccicoso andava stiracchiandosi, stendendo i suoi serpeggianti raggi arancioni e surreali sulla città. Lontano, oltre le alte mura, Avi intravide il mare, e dentro di sè si chiese se tutto quello che aveva vissuto non fosse soltanto un brutto sogno.

Il silenzio che tanto amava sembrava un crudele scherzo del destino in quel momento. Il lago splendeva sotto i raggi meschini di quel mattino, una papera galleggiava indisturbata ed ignara di ciò che si preparava nascosto tra quegli alberi taciturni. L'atmosfera era irrespirabile a causa dell'attesa, dietro di lei i suoi soldati stringevano le labbra, socchiudevano impazienti agli occhi. Nessuno rumore oltre al placato chiacchierare della natura si muoveva in quel bosco, cosi Tori riusciva quasi a sentire il rumore dei muscoli che si contraevano fino a provocare fitte di dolore, il tonfo sordo delle gocce di sudore che scivolavano lungo i nasi arrossati dal calore quando atterravano sull'erba fresca ancora della notte. Tori riusciva quasi ad origliare i pensieri nelle menti dei suoi soldati: alcuni parlavano con se stessi, alcuni si rivolgevano all'amata che li aspettava sulla soglia di casa, altri cantavano antiche storie ai propri figli che a quell'ora di quel mattino di certo dormivano. L'agitazione scuoteva i pensieri di tutti, ma quelli di Tori erano ancora più tormentati. Sapeva di essere adatta alla missione, perchè se Beatrice l'aveva scelta un motivo c'era, ma la pressione di quel momento stava logorando i suoi nervi sempre così saldi. Stavano saltando, ad uno ad uno.
Il segnale non era ancora stato lanciato, Tori teneva stretto tra le sue dita l'arco testo. La corda avrebbe potuto produrre una nota, tanto forte era la vibrazione agitata che il suo animo produceva. Che cosa ne era di Lucio? La aveva abbandonata? Era successo qualcosa? Erano caduti in un'imboscata? 
Un uomo sbucò dall'altra parte del lago, che era abbastanza piccolo da permetterle di distinguere perfettamente la sagoma dell'uomo che si avvicinava alla riva opposta a quellamsu cui si trovavano loro. Vide, con estremo disgusto, che l'uomo portava un grosso mantello, che lo copriva dalla testa ai piedi. Era uno dei sicari del Re di Nessuno: ormai aveva imparato a distinguerli anche se i loro tratti erano nascosti, studiando le loro camminate. Dietro di lui un capannello di persone, pure loro incappucciate, circondava qualcosa che sembrava muoversi, infilato in un grosso sacco.
Il corpo che si dimenava nella iuta produsse un suono di ossa malmesse quando lo gettarono con forza a terra. Tori, da lontano, rabbrividì: fu percorsa dalla paura che dentro quel sacco ci fosse un uomo, o peggio: un suo uomo. L'incappucciato estrasse una mano dal proprio mantello e brandendo un pugnale strappò il telo scoprendo il corpo dentro il sacco. Come Tori temeva, un uomo legato e malconcio giaceva ora a terra, pesante di lividi e di ferite infette.
"Romeo!", urlò dentro di sè Tori, inquietata, spaventata. Erano mesi che era scomparso, lo avevano catturato probabilmente di notte durante un giorno di guardia alla postazione nella Valle delle Gemme. Lo avevano torturato, a giudicare dal suo misero aspetto, lo avevano spremuto fino a ridurlo nudo e agonizzante, allo stremo delle sue forze. Indifeso e dolorante, Romeo tossì, sputando sangue e soffrendo per le fitte che quello sforzo involontario gli provocava in tutto il corpo ammaccato e percosso.
Tori non sapeva come muoversi, cosa fare. Il segnale non arrivava, forse l'operazione era stata sabotata; nnostante tutto sentiva di non poter rimanere cosi ferma ad assistere a quel pietoso spettacolo molto a lungo. Si voltò lentamente verso la propria squadra, gli aguardi dlla sua squadra la guardavano speranzosi di ricevere un ordine, quatti dietro ai tronchi ombreggiati. Mentre un alito di vento muoveva le maniche della sua camicia sotto alla corazza leggera ma resistente, Tori pensava e tentava di non farsi prendere dal panico nello stesso momento. Un suo soldato ed amico stava per essere ucciso, ne era più che sicura: era questa la fine che facevano i progionieri di guerra se non fornivano informazioni sufficienti. Dunque si sentiva in dovere di salvargli la vita. Ma al temoo stesso sapeva che questa mossa avrebbe messo a repentaglio quella di tutti gli altri. Il cuore le batteva cosi incontrollatamente che ebbe paura gli altri potessero udirlo: la sua fronte poi era così corrucciata e tesa che le riuscì difficile tenere nascosta la sua paura.
Con un movimento leggerissimo e veloce del capo ordinò ai suoi soldati di guardare ciò che c'era dall'altra parte del laghetto, sotto l'ombra di alcuni grossi tigli. .e ombre erano proiettate verso ovest, galleggiavani tra le canne che spuntavano dall'acqua. I sicari parlavano tra loro, chiusi in cerchio, mentre Rimeo si contorceva sotto ai calci del suo aguzzino. Gli stava dicendo qualcosa, con volto distorto e contratto dall'odio e voce graffiante, ma nè Tori è i soldati riuscivano a intuire cosa.
Tutti, tesi e con i respiri difficilmente controllati, si scambiarono delle occhiate di intesa. Romeo non poteva morire, quella storia doveva finire lì. Tuttavia, non sapevano che fare: quegli uomini erano tanti e armati, loro erano in inque e non possedevano altro che un pugnale a testa e un arco per Tori. Come avrebbero fatto ad avere la meglio? Colpire l'uomo con il pugnale sembrava la soluzione più semplice, ma anche la più rischiosa. Avrebbe potuto colpire Romeo invece che il sicario, e questo non andava bene. Ma soprattutto, lanciando una freccia avrebbe attirato l'attenzione, mentre loro dovevano evitare scontri aperti, dato il piccolo numero di uomini di cui disponeva la sua squadra.
Era quasi decisa ad ordinare ai suoi di non attaccare, quando il bagliore del riflesso del coltello del sicario la bloccò. I secondi sembrarono fermarsi, il braccio di quel maledetto assassino si fermò a mezz'aria, il suo cuore cominciò a pulsare così forte da assordare ogni suo pensiero, tanto che lei, ormai priva di ogni freno razionale, tese l'arco e lo puntò verso il sicario.
Qualche istante passò tra quelle immagini bloccate dall'adrenalina, la vista le si fece più difficile tra le ciglia strette mentre prendeva la mira. Il braccio era teso e dolorante, i suoi muscoli bruciavano ma non erano intenzionati a cedere. Una foglia davanti a lei le permise di misurare meglio la distanza... ed un attimo dopo, senza che nemmeno Tori se ne potesse accorgere, la freccia fu scoccata, si tuffò in avanti sicura e perfetta nel suo movimento parabolico , provocando uno spostamento d'aria all'altezza del suo zigomo, restituendo, con la sua velocità, il tempo rimasto indietro in quei pochi secondi di adrenalina allo stato puro.
Soltanto dopo aver compiuto l'azione Tori si rese conto delle conseguenze che questa avrebbe portato. La sua mente razionale scacciò sdegnata il panico e riprese in mano la situazione. 
Intanto la freccia andava, segnava la propria traiettoria con un sibilo mortale, suo urlo di guerra. Il sicario era ormai accovacciato su Romeo, il pugnale distava di un solo metro dal petto del povero ragazzo. Una fitta prese lo stomaco di Tori. Pregò con tutta l'anima e tutto il bene che aveva dentro che la freccia arrivasse in tempo, ma soprattutto che arrivasse nel punto giusto.
Un urlo così forte e macabro fece volare via la papera e tutti gli uccelli nascosti sugli alberi, creando un'incredibile confusione. Gli uomini in cerchio che fino ad un momento prima parlavano tra loro si ammutolirono e si voltarono sorpresi. Non si aspettavano un urlo così acuto dal prigioniero che ormai doveva essere privo anche della forza di lamentarsi per il dolore. Voltatisi, con delle facce esterrefatte, riuscirono ad assistere alla penosa scena in cui il loro compagno, piegato in due dall'inaspettato dolore, si accasciava pesantemente sul corpo del prigioniero. Conficcata nel suo petto una freccia, che spuntava dal dorso bucando anche il mantello.
Ci fu un attimo di stupore generale, nel quale il fattore sorpresa giocò a favore di Tori. In fretta ordinò con un gesto della mano alla squadra di partire all'attacco, anche se il segnale non era arrivato e anche se le truppe ausiliarie probabilmente non sarebbero arrivate. Correva più veloce di quanto fosse capace, spinta dall'agitazione e dal terrore di inciamparsi e finire sotto alle gambe forti dei suoi soldati. Dietro di sè riusciva a sentire i passi giovani e forti e rapidi dei suoi compagni, che calpestavano l'erba così velocemente da non produrre che un lieve fruscio. Per questo venivano chiamati "Guerrieri del Vento", per questo venivano scelti per le imboscate.
Oltrepassato il lago dopo aver affiancato la sua breve riva irta dei canneti oscillanti, i guerrieri del Vento giunsero alla parte opposta del lago, proprio dietro alle schiene di tutti quegli incappucciati che cominciavano ad avvicinarsi al loro compagno in fin di vita, comprendendo l'accaduto. 
Si voltarono in tempo, gli incappucciati del Regno di Nessuno, e la battaglia ebbe inizio. Tori si scagliò contro un uomo basso ma tarchiato, tentando di buttarlo a terra e pugnalarlo. Lui la schivò spostandosi appena in tempo e le sferrò un fortissimo colpo sulla testa con la mano disarmata. Tori cadde a terra, urtando la faccia, con le orecchie che ronzavano... avvertì uno spostamento d'aria e d'istinto rotolò sul fianco, giusto in tempo per vedere una grossa mazza conficcarsi a terra accanto a sè. I suoi occhi caddero su Romeo, che si rialzava lemtamente, dirigendosi verso il bosco, mentre nessuno gli prestava attenzione. Nello stesso istante lei balzò in piedi, conficcando il pugnale nella schiena di quell'uomo piegato. Dove era finito Lucio? Avrbbe mai lanciato il segnale? Temeva che non sarebbe mai arrivato: sapeva perfettamente che non ce l'avrebbero mai fatta senza l'aiuto delle altre truppe, data la loro inferiorità numerica.
"Attento!", urlò isterica a Giulio, che scansò per poco il colpo di spada che un grosso bestione stava per calargli sulla testa.
Improvvisamente e con un moto di panico, Tori comprese di essere accerchiata. Due uomini avanzavano alle sue spalle, li vedeva con la coda dell'occhio, mentre un altro si faceva strada velocemente davanti a lei. Cosa poteva fare?
Senza ragionare troppo, cominciò ad indietreggiare, fingendo di non accorgersi dei due armadi che minacciosi si avvicinavano. L'uomo, vedendola arretrare, parve prendere ancora più coraggio, tanto da scagliarsi con tutta la violenza possibile su di lei. Quando fu ad un metro di distanza, Tori si buttò a terra e rotolò di lato, cogliendo di sorpresa lo stupido incappucciato che non riuscì a frenare la sua corsa e conficcò involontariamente la spada nel petto di uno dei due grossi sicari alle sue spalle.
Coperta dagli schizzi di sangue, continuò a rotolare, riparandosi dai calci che le venivano sganciati dai combattenti già impegnati in altre lotte. Un calcagno le colpì violentemente il naso, non fece in tempo a coprirsi il volto, non fece in tempo a schivare il piede. Urlò con tutta la sua forza, ma non smise di rotolare. Sapeva che prima o poi sarebbe giunta fuori dalla massa, sempre che qualcuno non la uccidesse prima conficcandole una spada nel collo. L'erba le pungeva il viso, dei rami secchi graffiavano tutte le parti scoperte del suo corpo, la terra le si infilava nel naso che pulsava per il dolore lancinante.
D'un tratto udì un grosso boato, e intravide nel cielo turchese e pacifico delle tremende fiammate: era il segnale! Fece in tempo a sorridere, mentre la terra tremava in quel grottesco e gutturale urlo di battaglia. Poi la terra le cadde da sotto il corpo... o meglio, lei scivolò dalla terra e precipitò per qualche metro fino dentro l'acqua del lago. Aveva raggiunto la riva ed era caduta, ora l'acqua la abbracciava, la coccolava e le donava un po' di sollievo: se era nell'acqua voleva dire che non era più in mezzo al campo di battaglia. Il sollievo, tuttavia, durò poco... e quel dolce abbraccio dell'acqua si trasformò in una stretta mortale, che non le permetteva di respirare. Le mani di quel pacato mostro blu le si infilarono nella bocca, poi nelle narici, poi nella gola e nei polmoni... l'aria uscì dalle sue labbra e salì in mille bollicine. Infine l'acqua finì anche nei suoi pensieri, annebbiandoli, per poi filtrare nei più nascosti antri del suo inconscio... e Tori non vide nè pensò più nulla. Il buio si impossessò della sua mente.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


"Adoro questi giardini", confessò Mitch guardandosi attorno, mentre si beava del verde che lo circondava. Nonostante i segni della guerra fossero arrivati anche in quel paradiso, accatastati in un angolo del chiostro, il giardino del Palazzo Reale era semplicemente meraviglioso. Mai aveva visto una tale lussuria di vegetazione, mai aveva calpestato con tanto piacere dell'erba, mai aveva inalato con tanta gioia e soddisfazione gli aromi della natura. I fiori crescevano spontaneamente, a dispetto delle guerre là fuori. La Regina ovviamente non aveva tempo di prendersi cura delle piante, nè aveva intenzione di pagare uomini che lo facessero... eppure i boccioli spuntavano da un giorno all'altro senza essere sollecitati, aprendosi alla mattina in tutto il loro fascino.
Mitch ebbe come l'impressione di trovarsi solo: accanto a lui camminava Scott, ma si percepiva benissimo quanto la sua testa fosse altrove. Il suo sguardo seguiva la Regina, intenta a parlare con Fiamma poco distante, e tutti i suoi pensieri erano stati raccolti e concentrati in quella scena. Comprendendo perciò di non essere considerato, Mitch continuò a guardarsi intorno soddisfatto.
Beatrice guardava Fiamma con un velo di preoccupazione sul volto, notò Scott. Che cosa mai potevano essersi dette? Temevano forse che i cinque Guerrieri non fossero in grado di adempire al proprio compito? Scott giurò su se stesso che avrebbe dato la sua vita, se necessario. La regina si era data da fare fin troppo per questa faccenda ed ora toccava a loro fare qualcosa. Ma cosa? Non lo sapeva. Fiamma non era intenzionata a dir loro nulla e probabilmente sarebbe stato così per un bel po'. Era una ragazza decisa e nulla l'avrebbe sciolta, perciò abbandonò fin da subito l'idea che per un attimo aveva considerato, e cioè di provare a estrapolarle qualche informazione. Non sapendo cosa aspettarsi, Scott avrebbe dovuto essere preoccupato. Invece la sua mente vagava felice ed entusiasta. Quella regina gli ispirava tanta fiducia, ogni volta che la guardava percepiva sempre più forte dentro di lui un sentimemto di dovere, di protezione nei suoi confronti. E questo lo sconcertava: insomma, lui era nato nel Regno di Nessuno, aveva sempre svolto diligentemente il suo compito di vedetta... ma mai aveva desiderato conoscere il proprio re. Per quale motivo? Era forse davvero destinato a qualcosa di differente? Aveva così tante domande, alle quali non poteva rispondere. Avrebbe tanto voluto prendere per mano la Regina e portarla con sè a fare una passeggiata per quei sentieri che si infilavano sotto archi di rose e rami di magnolie, soltanto per sentirsi raccontare da quella voce matura e solida tutto quello che non sapeva. Era incredibile l'effetto di venerazione che lei aveva avuto su di lui fin dal primo istante in cui l'aveva vista, qualche ora prima.

Kevin e Kirstie, l'uno al fianco dell'altra, chiacchierando amabilmente, si infilavano nei tortuosi e complicati, labirintici corridoi del Palazzo. Avevano ricevuto il permesso di girovagare e dare un occhiata, dunque si erano incamminati subito dopo che Fiamma e la Regina li avevano lasciati tutti nella stanza Comune. Parlavano del più e del meno, lasciando che l'uno conoscesse le cose dell'altra da racconti di spezzoni di vita. Non erano ancora certi di potersi affidare al cento per cento, ma di una cosa potevano essere certi: avrebbero trascorso molto tempo assieme e chiudersi in se stessi non avrebbe giovato a nessuno di loro. Da quanto avevano capito, li aspettava un duro addestramento a qualcosa, anche se non erano stati concessi loro altri dettagli più specifici.
"E quindi te ne sei andato per conoscere il mare?", chiese lei con i suoi occhi intelligenti puntati sul viso attento di lui.
"Esattamente, proprio così. Non volevo rimanere a terra, la mia vita doveva per forza essere diversa da quella di tutti i miei parenti, lo sentivo."
Le sue mani si cercarono l'un l'altra, stringendosi davanti alla pancia. Kirstie non potè fare a meno di notare il suo più che evidente nervosismo e spinta dalla sua innata curiosità lo guardò con aria interrogativa.
"Non hai l'aria di uno che abbandona la famiglia per un'avventura."
Kevin ingoiò l'imbarazzo che gli rendeva difficile guardarla negli occhi. Intuì fin da subito che non avrebbe mai potuto avere segreti, se fossero diventati amici. Lei era troppo sveglia, lui troppo limpido nel suo carattere: era proprio come l'acqua che tanto amava, inquieto ma sincero, semplice, altruista e carico di vita.
"Come puoi dire così? Non mi conosci. Abbiamo parlato sì e no un'ora."
Lei scoprì teneramente i suoi denti bianchi in un sorriso.
"Semplice, i conti non mi tornano. Insomma ti presenti parlando prima di tutto della tua famiglia, mi racconti di tua madre, dei suoi occhi che sono come i tuoi, di tuo padre e dei suoi campi coltivati, dei tuoi fratelli e della nostalgia che provi per loro... e poi dici che sentivi di voler vivere diversamente e lontano da tutti loro? Non può essere. Una delle due cose che mi racconti deve essere falsa ed il mio intuito mi dice che la prima è quella vera."
Kevin tacque, incapace di dire qualsiasi cosa. Si sentiva vulnerabile, si sentiva come acqua trapassata da una freccia: non vedeva alcun pericolo nella freccia, che era impotente nei suoi confronti, ma aveva l'impressione di essere vulnerabile comunque.
"Allora? Perchè hai deciso di andartene?"
Di nuovo, Kevin era in difficoltà. Quegli occhi castani ed estremamente profondi lo turbavano e parevano vedere tutto quello che lui teneva nascosto nei suoi intimi abissi.
"Niente, la motivazione è solo quella, davvero."
Dentro di sè si maledisse: lo sapeva, il suo volto era sempre più eloquente della sua bocca. Dallo sgaurdo di Kirstie vide che lei non gli credeva, ma preferiva non proseguire oltre nelle sue indagini. Perciò Kevin sospirò, ben sapendo che prima o poi quella ragazza, con quegli zigomi alti che le sostenevano uno sguardo fiero ed intrigante, gli avrebbe estratto facilmente tutta la verità ed il suo segreto su Nadia sarebbe uscito per la prima volta nella sua vita.
Dei passi affannosi li raggiunsero e li distolsero dal loro imbarazzato dialogo: dei passi pesanti ed ineguali, seguiti da un fruscio di avampiedi e vesti che si arrotolavano. 
"Di qua!", urlò la voce solitamente morbida e vellutata, in quel momento ferma ed autoritaria
Kirstie e Kevin si voltarono, udendo una tale confusione: Mitch e Scott, seguiti dalla Regina, si precipitavano verso una stanza nella quale i due dovevano ancora gettare un'occhiata. Sulla porta era stata dipinta una scritta in lettere gotiche, "infermeria".
Tutta quella agitazione, tuttavia, li rendeva incapaci di apprezzare le meraviglie architettoniche di quei locali, che sembrarono all'improvviso fastidiosamente smisurati. Con grande curiosità e molto sorpresi, non comprendendo tutta quella fretta ma intuendo che sotto ci fosse qualcosa di grave, entrarono nella stanza seguendo il movimento ondulato della sottana di Beatrice assieme agli altri.
Data la fretta e l'aria sconsolata della regina, Kirstie si aspettava di vedere qualcosa di importante o di tragico all'interno della stanza... ma fu sorpresa nel trovare soltanto un diffuso odore di menta ed una quiete tipica dei luoghi che sono testimoni di grandi dolori. La stanza era grande, come tutte quelle del palazzo, ma era essenziale e luminosissima, pulita, ordinata e sistemata in modo che tutto fosse facilmente a portata di mano. La mente che aveva ideato l'organizzazione di quegli spazi doveva essere estremamemte razionale, la mente di un calcolatore. Tuttavia, ciò che lasciava perplessa Kirstie, era l'incedibile silenzio e tranquillità. Soltanto le tende sospinte dalla brezza fresca creavano un sottofondo, come un timidissimo respiro: i letti riposavano vuoti e le caraffe vuote bevevano i riflessi della luce che filtrava e rimbalzava sulle pareti bianchissime.
Pure Kevin non sembrava afferrare il senso di tutta quella scena: erano entrati correndo in una stanza vuota. Che cosa stava succedendo? 
Scott lesse i loro pensieri confusi dalle loro espressioni incerte, perciò decise di prendere in mano la situazione in modo che la Regina potesse dedicarsi al problema completamente, senza dover per forza caricarsi anche di altri piccoli ed inutili problemi. Con tono chiaro e leggermente graffiato dalla corsa affannosa diede loro delle risposte.
"È arrivato un messaggero dal campo di battaglia. Il Generale è stato ferito gravemente durante un'imboscata al Lago delle Gemme. Non c'è nessun medico nel regno, sono tutti partiti sulla flotta per la prossima spedizione. Il Generale è di vitale importanza per tutta la guerra: ne va della vita di altri cento uomini, è necessario salvarlo. Mitch si è offerto di tentare, speriamo solo che ci riesca.."
I due fecero per chiedere dove si trovasse questo generale e per quale motivo fossero tutti lì radunati ad aspettare se la cosa era così urgente, ma una sensazione di freddo seguita da una potente luce che ormai conoscevano fin troppo bene li mise a tacere. 
Mitch lasciò che la luce di Fiamma si affievolisse, liberò un letto delle inutili coperte e fece spazio alla piccola ma forte ragazza dai capelli rossi, che teneva tra le braccia un corpo insanguinato. Era stata geniale la sua idea di offrirsi come mezzo di trasporto per andare a recuperare il generale. A giudicare dalle condizioni del corpo, per quanto riuscisse a vedere attraverso gli abiti insanguinati, senza l'aiuto di Fiamma avrebbe rischiato di perdere la vita lungo il tragitto. Mentre la ragazza posava il corpo sul letto tentando di non farlo cadere troppo pesantemente, Mitch corse al lavatoio e si sciacquò le mani sporche nella catinella pronta e le asciugò velocemente ma accuratamente con il candido panno posato proprio accanto a lui. Sentiva la pressione psicologica più forte ogni secondo che passava, avvertiva l'ansia da prestazione. E se non fosse riuscito a curare il generale? E se questo non ce l'avesse fatta? Gli tremavano un po' le mani; la sua prima prova era già arrivata, nemmeno un giorno dopo il suo arrivo. Sperò con tutto il cuore di riuscire a bloccare quel fastidioso tremore alle mani, quella snervante goccia di sudore che continuava a scivolargli sul naso drittissimo ed il ciuffo di capelli scurissimi che la seguiva imperterrito.
Si voltò con un passo leggermente tremante, mentre la Regina, con estrema cautela, tentava di togliere la corazza del generale, fabbricata con quel legno leggerissimo e indistruttibile che solo i migliori carpentieri del regno riuscivano a modellare. Beatrice slegava le cinghie di cuoio sul fianco, che purtroppo era rimasto scoperto e vulnerabile al pugnale dei nemici, Mitch prese dunque in mano l'elmo da soldato e fece per estrarlo dalla testa, ma quacosa lo bloccava. Che cosa c'era infilato nell'elmo? Mitch esercitò una forza leggermente maggiore, ma il corpo del generale fu percosso dai brividi. Pur compatendo i dolori del povero ferito, fu costretto a tirare con forza, cosicchè l'elmo sgusciò dalla testa e finalmente Mitch potè capire che cosa lo bloccasse.
Una cascata di sottili ciocche di capelli intrecciati tra loro si srotolò sul cuscino, riversando sopra esso un'incredibile varietà di colori. Una parte di tutte quelle lunghe e sottili treccine raccolte da un nastro in cima alla testa erano tinte di una grande varietà di colori, mentre l'altra metà era di una tonalità chiara e cremosa, poco diversa dal miele. L'insieme pareva un'opera d'arte, una pennellata d'oro morbido su un arcobaleno, un bacio di colori su una tela dorata.
Mitch rimase un istante interdetto: non tanto per l'originalissima acconciatura, quanto per l'intero corpo del guerriero che doveva salvare e che ora riusciva a vedere meglio, tolta la corazza. Davanti a lui stava steso sul letto il generale, un generale che doveva essere molto giovane, forte, veloce, abile... e donna.
Stupito, forse anche destabilizzato dalla sorpresa, sentiva gli occhi di tutti puntati sulla nuca e sulle mani... udiva i respiri attenti ed in apprensione delle persone che lo circondavano, aveva paura, aveva il terrore di commettere errori. E se avesse sbagliato? Avvertì una pressione psicologica tale che gli sfuggì un gemito di sconforto che soltanto Fiamma, che lo stava osserando, riuscì a cogliere. Lei lo vide, provò empatia per quel povero, giovane e imbarazzato curatore, perciò decise di prendere in mano la situazione, dato che anche lei si sarebbe trovata a disagio in una situazione del genere.
"Tutti fuori, lasciamolo lavorare. Qui dentro siamo solo d'impiccio.", disse con fermezza.
Nessuno osò controbattere e lei con un sorriso fiducioso ripose tutte le sue speranze in Mitch. Ce la farai, sembrava dirgli con quegli occhi intensi e verdi. Alle volte basta un sorriso elargito da una persona carismatica nel momento giusto e tutto sembra affrontabile. Perciò il giovane moro, cogliendo al volo e senza aver bisogno di tradurre in parole i pensieri di lei, carico per una nuova ondata di coraggio da lei instillatagli, si concentrò di nuovo sulla giovane donna, aspettando che tutti fossero condotti fuori dall'infermeria.

Ora che era solo, poteva guardare meglio e studiare il corpo con tranquillità. Osservò le caratteristiche fisiche di quest'ultimo. Il fisico della ragazza pareva incredibilmente forte, coperto da muscoli resistenti ma flessibili ed affusolati. Neppure con tutte quelle abrasioni causate dalla corazza, neppure con quella profonda e sanguinante ferita e neppure con tutti quei lividi e quelle botte sarebbe sembrata debole, fragile o indifesa. Il suo corpo era quello di un leone che, seppur sconfitto in un duello e dunque accasciato pesantemente a terra, appariva comunque terribilmente forte, pronto a scattare in piedi da un momento all'altro. Dal volto, invece, trapelava tutto il dolore che il corpo voleva nascondere: le sopracciglia folte quasi si toccavano tanto era corrucciata la fronte dalla sofferenza, il naso appuntito e molto sagomato era coperto da un ematoma viola che non prometteva nulla di buono, la bocca carnosa era tagliata e sporca di sague e terriccio... e nonostante tutto, Mitch non potè fare a meno di notare quanto fosse bella. Non era una bellezza normale, canonica. Era una bellezza selvatica, cresciuta da sè, abbandonata a se stessa, che gli incuteva timore e lo attirava al tempo stesso.
Si riscosse, tornò con la mente al suo compito, ma con gli occhi rimase sul volto di quella sorta di dea-guerriera, che teneva gli occhi serrati ed i pugni stretti: aveva perso molto sangue e si trovava in una sorta di dormiveglia. Mitch prese dunque in mano i suoi strumenti e ancora con maggiore attenzione alzò la camicia bagnata di Tori, nel punto in cui, sul fianco destro, era piena di sangue, rabbrividendo ogni volta in cui lei veniva percorsa da tremori come reazione al dolore. I suoi occhi non riuscivano a staccarsi da quella luminosa bellezza, che al collo portava una piccola collana con un ciondolo che raffigurava il sole.

Avi camminava da solo, come al solito. Il suo drago era in giardino asseme agli altri animali, dopotutto era una novità per Jamin poter girare all'aperto senza rischiare di essere catturato e portato in battaglia come macchina da guerra. Lui invece si sentiva vagamente a disagio, un po' fuori luogo in quel Palazzo di gente buona e meritevole. Lui era un'erba selvatica, cresciuta da sola e senza che nessuno glielo chiedesse, senza una città e senza alcun ricordo della propria famiglia, che lo aveva abbandonato in mano al proprio destino. I suoi grossi stivali calpestavano l'erba e le sue spalle proiettavano un'ombra grandissima davanti a lui grazie alla luce del sole filtrato dallo strato di cenere del cielo. Guardando quel suo unico compagno di passeggiate, comprese di essere incredibilmente solo, incredibilmente vuoto. Nessuno che si preoccupasse della sua salute, nessuno di cui prendersi cura, a parte i suoi draghi, che però gli offrivano ben poca compagnia, essendo loro per natura animali poco sociali.
Camminava dunque in quella brezza, non sapendo bene dove si trovasse. Il Palazzo era davvero enorme e i sentieri da percorrere per fare una passeggiata erano infiniti. Ad un tratto, condotto da una grossa siepe che lo proteggeva da ciò che c'era fuori delle mura, si ritrovò in uno strano ed ameno giardinetto, piccolo abbastanza da poter essere percorso tutto in qualche minuto.
Al centro stava una grande fontana, la cui acqua produceva dei suoni così piacevoli e freschi che ad Avi venne voglia di immergervi le mani. Era davvero enorme, quella grande struttura, pareva occupare tutto il giardino con il suo corpo e con la sua ombra. Man mano che vi si avvicinava, lo scroscio dell'acqua diventava sempre più forte, il grido di una miriade di gocce in caduta libera.
Giunto vicino alla fontana alta quanto lui, così tanto da farsi pizzicare il naso dalle gocce fuggiasche, Avi notò la figura che si intravederva attraverso la piccola cascata davantia sè: qualcosa che si muoveva, qualcosa di rosso... Curioso, spostando la testa fu in grado di scorgere l'esile corpicino che stava dall'altra parte della fontana. 
Fiamma lavava intenta le proprie braccia nell'acqua. Tremava, puliva del sangue che le macchiava la pelle pallida e l'abito nero. Sembrava particolarmente turbata, nonostante il sangue che aveva addosso non fosse il suo: era scossa da tutta l'emozione, dall'adrenalina che erano nate dalla paura di sbagliare, di far crollare tutto. 
Avi guardò quel piccolo leoncino, quella fiammella di un grandissimo incendio; per la prima volta avvertì una fitta alla pancia, un misto di soddisfazione e pena. Sentiva che la giustizia era stata ristabilta (non aveva dimenticato la battaglIa persa proprio quel mattino) ma percepì come un vago sentimento di pena, o forse preoccupazione. Non fu in grado di decifrarlo nemmeno a se stesso, perciò tentò di non pensarci e continuò a guardare in silenzio, troppo incuriosito per tornarsene indietro senza far rumore, troppo stupito per poter dire qualsiasi cosa.
Fiamma si sentì ad un tratto osservata e sempre con un viso confuso alzò la testa. Lo vide attraverso l'acqua, per un attimo non lo riconobbe e quindi sussultò. Ma poi, sempre continuando a grattare il sangue dalle proprie braccia, non fu in grado di trattenersi e sbottò.
"Ma tu dove sei quando servi? Te ne stai sempre per i fatti tuoi e quando succede qualcosa di importante te ne freghi, tanto non è un problema tuo!"
Avi non capiva. Cosa poteva essere successo di così grave in un'ora? La fissò con aria interrogativa, facendo apparire su quella fronte spaziosa, su cui cascava sempre qualche ciocca scura dei capelli raccolti in un codino, qualche piega incerta, carezzandosi la barba un po' incolta.
"Come posso io sapere se succederà qualcosa di importante o no? Non sono mica veggente. E poi sei tu quella dotata di tutti i poteri, io sono un semplice allevatore di draghi."
Una lacrima parve scintillare negli occhi verdi di Fiamma, ma fu vaporizzata dalla rabbia che la scaldava dentro.
"Siamo una squadra, ora, dovremo lavorare assieme ed esserci l'uno per l'altro. Tu non puoi cominciare così, sparendo tra i corridoi a meditare su te stesso. Siamo coinvolti in qualcosa che va oltre, perciò ti consiglio di cambiare un po' il tuo atteggiamento."
Lui era scocciato, avrebbe voluto ribattere e urlare a quella arrogante ragazza che se volevano il suo aiuto doveva smetterla di fargli la predica... ma si bloccò: non fu capace di riversare su di lei, che improvvisamente gi sembrava fragile, tutte le lingue di fuoco che erano alimentate nel suo cuore.
Rimase in silenzio, lo scroscio assordante stemperò la sua ira. A quel punto, più padrone di sè, strappò dalla propria gola delle parole che mai avrebbe pensato di essere capace di pronunciare.
"Mi dispiace, scusami", sussurrò piano, mentre tutto il suo orgoglio si squagliava lasciandolo nudo, sperando che Fiamma non udisse quelle parole.
"Troppo tardi per chiedere scusa. Ora vieni e cerca di rimediare, c'è bisogno anche del tuo aiuto."
Carica di indignazione, Fiamma, ancora vibrante per l'agitazione di qualche minuto prima, tolse le mani dall'acqua schizzando in faccia ad Avi qualche goccia per dispetto, poi fece strada mentre il suo vestito lungo e nero si incastrava tra quelle gambe sottili e veloci. Avi la seguì, stizzito ma curioso di sapere cosa fosse successo durante la sua breve assenza.
Dietro di loro il sole, oscurato dalle ceneri, fu per un attimo quasi più brillante, trapassando la coltre di nubi con un timido raggio... ma non un raggio qualunque: era un raggio puro, di quelli che non passavano attraverso i cumuli di cenere, caldo e speranzoso. Questo illuminò le spalle dei due, quasi volesse accarezzarli, e loro si voltarono spaventati, non comprendendo il motivo di tutto quel calore. Videro una parte del sole, assieme, strizzando gli occhi in quella dolce e strana luce che mai avevano visto così bene...
Durò poco, ed i due rimasero incantati a guardarsi, ancora accecati dal riflesso di quel potente sovrano del cielo. Quando la vista tornò chiara, i due si trovarono a fissarsi negli occhi. Lo sguardo affilatissimo di lui, di un castano che volge al verde, quello avvelenato dolcemente di lei, smeraldo, liquido e brillante.
Entrambi non ressero e con aria tra il permaloso e l'imbarazzato ripresero il proprio cammino, lei davanti a lui dietro.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Tori sentiva uno strano sapore in bocca. Le ricordava quello della menta ma era più aspro, metallico: forse era il sapore del sangue.
Tentò di aprire gli occhi, ma una luce troppo forte ed un dolore lancinante la costrinsero a richiuderli e a farle scivolare qualche lacrima. Cercò allora di intuire dove si trovasse, ma le fu piuttosto difficile. Non vibrava alcun suono nella stanza se non un lontanissimo e regolare respiro; il suo naso dolorante non le permetteva di distinguere il profumo di quella stanza, del quale percepiva soltanto qualche nota. Aprì dunque la bocca ed inalò una boccata di quell'aria pulita e serena; dovunque si trovasse, le pareva un luogo tranquillo, vagamente familiare. Non si agitò, perchè sentiva, dentro di sè, di essere al sicuro.
Mosse un braccio, con cautela, per poter tastare il letto su cui sapeva di essere stata adagiata ed una lama di dolore si conficcò nel suo fiaco destro e la bloccò. Un bruciore avvampò in quella parte del corpo e le parve di sentire del sangue scorrere fuori da una ferita. Con quel sangue scivolarono anche aluni frammenti di ricordi. Udì nella propria testa degli urli, risentì il sapore di terra in bocca, percepì nuovamente quella scossa di dolore, mentre la lama affilata le strappava la pelle del fianco. Evidentemente, si trovava lì perchè qualcuno doveva averla ferita durante un combattimento e qualcun altro doveva averle salvato la vita. In pochi secondi, improvvisamente, riprese in mano la propria esistenza, finalmemte cosciente dei propri ricordi, finalmente in grado di rimettere in ordine quelle immagini disconnesse e confuse.
Si ricordò di essere un generale, ma prima di generale anche soldato: un bravo soldato, le avevano insegnato da sempre, ha sempre perfettamente presente le condizioni del proprio corpo. Ignorando il dolore alzò il braccio destro e poi anche quello sinistro, che sembrava meno ammaccato. Sulle gambe sentiva alcune pesanti botte, ma le giudicò poco gravi. Il suo corpo era interamente graffiato, un po' qui e un po' là, mentre il suo volto era stravolto da una grosso ematoma sul naso. Non sapeva cosa pensare, ricordava poco, non abbastanza. La sua guancia fu sfiorata nuovamente dallo spostamento d'aria di una freccia che partiva dal suo arco, l'adrenalina percosse di nuovo il suo corpo. Poi, come tutti i ricordi, dopo soltanto qualche istante cadde sul pavimento e si vaporizzò, riportando Tori a quella silenziosa e tranquilla stanza, con quell'ordinato respiro che la cullava, lontano. Si accorse di essere sotto l'effetto di alcuni forti medicinali, perchè il suo corpo reagiva in modo strano ai suoi comandi; in ogni caso non aveva intenzione di rimanersene lì distesa ad aspettare che succedesse qualcosa. Il vero soldato non aspetta gli eventi, le dicevano sempre, ma li precede. Sarebbe stata in grado di alzarsi, se ci avesse provato? O sarebbe caduta sul letto, sfinita o svenuta? Non ne aveva idea, mai aveva sperimentato un medicinale così particolare. Non le restava che provare, sforzarsi un po' e mettersi seduta sul letto. Evitando di piegare troppo il fianco destro sfregiato dalla ferita, si voltò sul fianco sinistro e facendo leva con il braccio si mise seduta, le gambe le scivolarono giù da sole, penzolando dal lettino. A quel punto, Tori, trattenendo un gemito di dolore, sussurrò a se stessa che tutto andava bene, come usava fare nelle situazioni di difficoltà.
"Non mi importa nulla di questo dolore. Sono viva e basta. Questo è l'importante."
Dopo essersi incoraggiata, si sentì più forte, il bruciore era meno sfiancante; aprì gli occhi, lasciando che la luce le penetrasse le iridi azzurre e si infilasse nelle su grandi pupille nere. La vista delle mura bianche, spoglie, semplici e pulite dell'infermeria la rasserenarono. Ringraziò il cielo di trovarsi in un posto non sconosciuto, ringraziò di avere ancora il cuore pulsante nel petto, le vene cariche di sangue e l'animo di entusiasmo. Si trovava nel Palazzo Reale, si trovava tra le mura di casa propria. Che sollievo, che dolcezza quella sensazione che scorreva nel suo corpo, fluida e tiepida... un sorriso le sfuggì, e nonostante lo sforzo che questa semplice azione implicò, non potè evitare di bearsi per qualche istante nella dolcezza del proprio respiro. 
Si stupì della propria reazione, dato che in quell'infermeria c'era stata molte volte, ma mai aveva provato un tale piacere nel risvegliarsi. Qualcuno l'aveva curata e le aveva somministrato qualcosa di davvero potente, perchè la benda che ora poteva vedere sul suo fianco copriva un grande sfregio nella carne che, senza di essa, le avrebbe sicuramente impedito di stare in quella posizione.
Il suo sguardo finì lungo gli scaffali lindi e chiari, fino ad accarezzare i profili sinuosi delle tende bianche, svolazzanti con l'arietta fresca che entrava dalla finestra aperta. Il pomeriggio era inoltrato, il cielo tendeva pacatamente alla sera.
Fuori, il giardino della regina era pieno di vita, rigoglioso, verde... e soprattutto, pieno di gente. Tori notò dei ragazzi che non conosceva confabulare, chiacchierare concitati. Due ragazze e tre ragazzi, intenti a passeggiare su quell'erba incolta e madida del sudore della terra o a scambiare parole con la Regina, che si lisciava i lunghi e maestosi capelli corvini. 
Capì immediatamente che per sapere cosa le fosse successo doveva raggiungere la regina... quindi, facendo forza sulle braccia e tentando di trasferire il dolore causato da questo movimento nel materasso stringendolo forte tra le dita, fece scivolare le proprie gambe in basso finchè non si trovarono a terra, sul pavimento di pietra. Era scalza e il contatto con il suolo freddo la fece rabbrividire: indossava una veste bianca, leggerissima, tanto da non riuscire nemmeno a sentirla passare sulla pelle. Le gambe graffiate erano state lavate e disinfettate, le braccia pure. Il suo naso pulsava leggermente, ma il dolore piano piano, quasi per miracolo, sembrava scivolare via.
Quando caricò tutto il suo peso sulle gambe, avvertì un leggero senso si squilibrio ed instabilità, nonchè un ronzio nelle orecchie... ma tutto svanì dopo poco, quando un po' di aria serale le deterse il sudore che aveva sulla fronte. Era in piedi, ora, doveva camminare.
Un passo, una fitta lancinante al fianco, un respiro profondo ed un altro passo, meno doloroso. Uno sguardo alla finestra di nuovo, poi un passo, dolore, respiro e passo... con questo ritmo avanzò per qualche metro, fino a riuscire a trovarsi oltre il letto, in direzione della porta. Era molto concentrata e determinata ad uscire in piedi da quella stanza senza cadre a terra, quando qualcosa la distrasse e catturò la sua attenzione. Il respiro che fino ad allora la aveva accompagnata senza farla pensare troppo e che ora era forte e vicino proveniva da qualche parte alla sua destra. Sulla sedia del medico, infatti, stava accovacciato un giovane ragazzo. Pareva un mucchio di gentili ossa unite con dolcezza e ricoperte con altrettanta delicatezza e cura da un artista: dei capelli castani scuri si arrampicavano sulla nuca di quel collo chiaro e si intravedevano la linea e le curve della sua spina dorsale. Il viso del ragazzo era sporcato di una barba leggerissima che si disponeva accuratamente su una mascella regolare e raffinata, sopra ad essa un naso dritto e perfetto, due sopracciglia molto definite ed una fronte pulita. Due occhi gentili chiusi suggerivano il fatto che l'uomo dormisse, le sue dita intrecciate sulle ginocchia, così sottili ed affusolate, pulitissime e curate invece suggerivano il fatto che fosse stato lui a curarla, molto probabilente.
Chiedendosi chi fosse, Tori paragonò il tipo addormentato ad un piccolo miracolo, così piccolo ma che era stato in grado di salvarle la vita. Lo ringraziò in cuor suo e, troppo confusa e troppo stanca per poter indagare di più, si incitò da sola per aiutarsi a portare a termine la sua minuscola ma faticosa impresa.
Camminò pesantemente e strascicando i piedi per tutto il corridoio, poi finalmente giunse al grande ingresso del palazzo che dava sull'immenso giardino. Il vento era dalla sua parte quella sera e ristorò un po' il suo respiro affannato per lo sforzo eccessivo. Vide Beatrice seduta su una sedia, il volto rivolto in alto, mentre interloquiva con un grosso soldato... un soldato nemico, che stava in piedi accanto a lei. Chi era quella guardia del regno di Nessuno? Che diavolo voleva fare alla sua regina? Che cosa stava succedendo, come poteva Beatrice, donna così saggia, non rendersi conto del pericolo cui era andata incontro facendo entrare uno di quegli stupidi armadi armati?
Raccolse tutte le forze che le rimanevano e tentò di urlare, anche se tutto ciò che uscì fu un lungo e incomprensibile lamento. Tuttavia, seppur incapace di comunicare, era riuscita a farsi sentire e notare dalla Regina e da tutto il gruppo di ragazzi, che stupiti si voltarono e la osservarono.
"Tori!", urlò la regina, balzando improvvisamente in piedi e correndo verso di lei. Il guerriero biondo la seguì, tutti gli altri rimasero impalati.
Uno strano torpore attaccò la mente della generalessa rendendole impossibili i pensieri sensati, storgendo le immagini che la sua mente astraeva. Le mancò un sostegno sotto le gambe, le sembrò per un attimo di non riuscire più a sorreggere il peso del proprio corpo. Stava accasciandosi a terra, quando qualcosa di instabile eppure forte e vigoroso la fermò a mezz'aria. Una stretta decisa la teneva in piedi, due braccia la sorreggevano sotto alle ascelle. Tori non capiva, il nero stava mangiando ogni suo istante di lucidità... l'ultima cosa che vide, prima di abbandonarsi rassegnata alla tremenda stanchezza che il suo organismo le imponeva, fu un paio di mani, magre e con una pelle così trasparente e morbida che era possibile seguire i percorsi delle vene che vi erano nascoste sotto.

Avi e Scott sedevano sulla stessa panchina, seminascosta nell'ombra di un grande albero anziano. Kevin e Kirstie sedevano poco distante, studiandoli. Avi riusciva a sentire il pesante sguardo analitico di quella ragazza su di sè, perciò si constringeva a non voltarsi. Non voleva permetterle di entrare nella sua mente: aveva capito bene quanto lei fosse perspicace ed intuitiva, quindi lo reputava un grosso ed inutile rischio.
"Secondo te di cosa stanno parlando?", gli domandò Scott, sollevandolo dalle sue considerazioni.
"Intendi Fiamma e la regina?"
"Sì. Sembrano preoccupate. Non credevo di poter mai vedere il viso di Fiamma così in apprensione... e la regina ha bisogno davvero di un periodo di riposo."
Avi seguì lo sguardo di Scott e non potè che trovarsi d'accordo. Sopra quei due femminili ed originali corpi si era abbassato un velo di cattivo presagio, nonostante la bellissima sera primaverile che esplodeva in quel giardino.
"Non ne ho idea, ma di certo riguarda il generale. Prima ho incontrato Fiamma e sembrava fuori di sè..."
Scott voleva sapere di più. Forse sarebbe sembrato un ficcanaso, ma non gli interessava, almeno non quanto scoprire qualcosa di più sulla vicenda. 
"Vado a vedere. Non si sa mai: magari mi dicono qualcosa di più."
"Continua a sognare", gli urlò Avi mente si allontanava, "in questo posto non si può sapere mai nulla. È tutto un grande mistero".

Fiamma vide il guerriero incamminarsi verso di loro, perciò le sembrò giusto troncare il discorso immediatamente. Nessuno doveva sapere, altrimenti sarebbe stata una catastrofe. Il segreto doveva rimanere tale e non poteva andare oltre in quel discorso. Tutto sommato, pensò, Scott la stava salvando. Aveva interrotto il discorso proprio nel punto critico, perciò Fiamma non doveva nemmeno confessare tutto per intero. 
"Scusatemi", interruppe Scott, e la regina si riscosse da un torpore preoccupato.
Fiamma notò una strana reazione sul volto di Beatrice, il colore le tornò sulle gote quasi come se qualcuno gliele avesse dipinte con un pennello invisibile. Colse l'occasione al volo e si defilò dalla scena, veloce ed inosservata. Si rese conto che nemmeno se se ne fosse andata saltando e strillando loro si sarebbero accorti di ciò, dato che erano troppo concentrati l'uno sull'altro. Non sapeva cosa pensarne, ma aveva come l'impressione che qualcosa di forte, come una lunga ed interminabile scossa, legasse gli occhi di entrambi.

Scott si era intromesso nel loro discorso in modo abbastanza irruente, deciso a far valere le proprie ragioni, ma non riuscì a non intenerirsi quando la regina, con quei suoi grandi ed espliciti occhi grigi, che sembravano quelli di una bimba stanca per una crescita troppo veloce, si girò e gli sorrise. Perse per un attimo la concezione del tempo e dello spazio, poi si riprese, raccogliendo la sua determinazione caduta a pezzi in meno di un istante.
"Io ed Avi ci chiedevamo..."
Beatrice lo fissava, muovendo un sorriso di lato, senza tuttavia abbandonare quella matura malinconia che incorniciava tutta la sua persona. Si era dimenticato ciò che avrebbe voluto sapere, si era dimenticato come parlare... i capelli della regina erano cosi lunghi che toccavano la sedia su cui era seduta e la carezzavano seguendo il ritmo del suo respiro regolare e leggermente trattenuto. Scott sentiva di dover dire qualcosa, non voleva apparire un incapace agli occhi di quella giovane donna... per aiutarsi prese a gesticolare, tentando di far uscire le parole con il movimento delle braccia.
Si bloccarono improvvisamente, spaventati da un urlo inaspettato. Successe tutto in fretta, non ebbero nemmeno il tempo di realizzare esattamente ciò che accadeva. Videro soltanto una ragazza dai capelli tinti, vestita di un leggerissimo abito bianco, sospinto contro il suo corpo forte e saldo dal venticello. D'un tratto, poi, non videro più nemmeno lei...

Mitch fece per poco in tempo ad afferrare il generale e a sperare di riuscire ad evitarle una rovinosa caduta. Si era svegliato qualche secondo prima, i sogni ancora lo assillavano, infuriati per il suo improvviso e brusco risveglio. Aveva sentito uno strano rumore di passi; lo aveva attribuito, nel sogno, ad un esercito in marcia contro di lui. Ma poi si era reso conto che il rumore era reale e non una creazione onirica, dunque aveva aperto di scatto gli occhi, il respiro corto e i battiti a mille. Istintivamente si era diretto verso il letto della sua paziente addormentata... e quando non l'aveva trovata distesa supina come l'aveva lasciata, si era lanciato in una corsa immediata. La medicina che aveva creato aveva un effetto immediato ed alcuni feriti reagivano incredibilmente presto: soprattutto quelli più forti e resistenti, come d'altronde era anche lei. Perciò doveva essersi alzata, pensando di essere guarita... ma in realtà non lo era. Doveva passare una notte intera a riposo, il giorno seguente sarebbe stata meglio; ma lei si era mossa e questo poteva portare bruttissime conseguenze. Se fosse svenuta ed avesse urtato la testa lui non avrebbe potuto fare nulla e lei avrebbe potuto passare momenti terribili. Dunque si precipitò per i corridoi ed in un attimo fu all'ingresso. Giusto in tempo per vederla perdere ogni forza ed accasciarsi.
La teneva stretta tra le sue braccia, chiamandola, tentando di non lasciarsela sfuggire. Non era aprticolarmente forzuto e temeva di non reggere.
"Svegliati, svegliati!", le urlava.
Lei non rispondeva, ed il suo corpo si abbandonava sempre di più agli effetti di intorpidimento del medicinale di Mitch. Lui con uno sforzo la sollevò per le braccia, ma si rese conto di non poterla sollevare da terra perchè altrimenti la ferita si sarebbe riaperta, spaccando i punti con cui lui stesso l'aveva ricucita. Per fortuna, Scott riuscì a reagire all'istante nonostante la sorpresa e accorse in suo aiuto. Assieme riuscirono a portarla in ingermeria di nuovo, riadagiandola poi sul letto ancora caldo del suo corpo.
"Perchè si è alzata?", chiese Scott, aggiustandosi i capelli che gli scivolavano sulla fronte spaziosa e sulle sopracciglia chiare e poco evidenti.
Mitch lo guardò con un'aria colpevole e sconsolata al tempo stesso, confessandogli di essersi addormentato memtre la sorvegliava. Si sentiva in colpa e sperava soltanto che lei non avesse subito troppi danni: non se lo sarebbe mai perdonato.
"Mitch, non devi avercela con te stesso. Può succedere, d'altronde hai lavorato in questa camera tutto il pomeriggio, è sera ora e ovviamente sei stanco per tutta questa tensione. Ora non preoccuparti, andrà tutto bene."
Si scambiarono una veloce occhiata e questo bastò a rendere Mitch più sereno. Scott era una di quelle persone capaci di farti sentire protetto e sicuro anche nella più difficile situazione, e lui era uno di quegli amici che non riescono a non fidarsi completamente di chi gli sta intorno. Una voce dal corridoio concluse il loro piccolo scambio, come a sigillare un patto di amicizia che mai si sarebbe infranto.

"Ragazzi, è l'ora della cena! Stiamo andando nella Sala delle Rose, voi fate pure con comodo."
Fiamma non capiva quali fossero le intenzioni della regina. Insomma, uno dei cinque Guerrieri, che in teoria avrebbero dovuto porre fine al grande conflitto, si era appena fatto scappare una paziente malata, per chissà quale motivo. E la regina voleva mangiare? Che cosa le stava accadendo?
"Ma Beatrice... non pensi che dovremmo dire loro qualcosa? Se questo è l'inizio di questa impresa, come possiamo essere certe che la porteranno a termine?"
Beatrice ascoltò con attenzione il bisbiglio di Fiamma, anche se sapeva perfettamente ciò che avrebbe detto.
"Fiamma, è scritto. Loro vinceranno la guerra, riporteranno la pace. In un modo o nell'altro, tutto ciò deve accadere. Se così non fosse, penso che tu non saresti nemmeno qui."
Su quello Beatrice aveva assolutamente ragione. Il fatto che a lei fosse stato permesso respirare in quel mondo era soltanto per loro. Ma questo non significava che avrebbero vinto... soprattutto se non riuscivano nemmeno a tenere a bada un ferito. Fiamma rabbrividì: non sapeva nemmeno da dove cominciare con il loro addestramento.
I due amici uscirono dall'infermeria immediatamente, Scott davanti e Mitch al seguito, e si aggiunsero a tutti gli altri, diretti verso la grande sala.

La tavola circolare cui si accomodarono era apparecchiata con poche ma raffinatissime posate, dei bicchieri di cristallo ed una semplice ma pulitissima tovaglia di lino. Non si trattava di certo di quello che Kirstie si sarebbe aspettata: un enorme banchetto stracolmo di cibo e vini a fiumi. Invece quello che si trovò davanti fu il pasto ben fornito ma moderato di una regina rispettosa dei propri cittadini che pativano la fame e che combattevano anche per lei. Kirstie si rese conto di quanto la regina fosse degna della piccola corona che indossava e di quanto la stimasse. Era sicura, avrebbe apprezzato la regina ancora di più, una volta passato un po' di tempo. Era una donna così posata e al tempo stesso autoritaria. Faceva rispettare il proprio volere grazie al suo atteggiamento, dal quale chiunque si sarebbe sentito rassicurato. Non era di certo un caso il fatto che fosse lei la regina scelta dal destino...
Mentre un silenzio accompagnato soltanto dal ticchettio delle posate e dei pensieri masticati assieme al cibo riempiva quella sala disadorna ma luminosa, Kirstie studiò i suoi commensali, nonchè i compagni con i quali avrebbe dovuto condividere molto. Proprio davanti a lei sedeva Avi, con il solito volto diffidente e freddo. Nonostante la sua tipica espressione, quella sera infilava il cibo tra le labbra con un paio di occhi quasi nuovi. Era certamente più disteso, meno ostile. Chissà che cosa gli vagava per la mente... Scott invece non riusciva ad uscire da una lotta interiore. Mangiava con il capo chino, gli occhi bassi... e poi improvvisamente si alzava, sbirciava la regina, il suo piatto, i suoi capelli, finchè non si rendeva conto di dove fosse finito il suo sguardo. Quindi riabbassava la testa e tutto ricominciava daccapo. Era incredibile, tra i due c'era un'intesa incredibile, un'energia quasi palpabile. Kirstie pensò che non si sarebbe mai stupita se fra i due, prima o poi, fosse nato qualcosa. Mitch, dal canto suo, mangiava malvolentieri, i suoi pensieri erano rimasti in infermeria. Si sentiva colpevole, lei lo immaginava e glielo leggeva neglio occhi. Fiamma, accanto a Mitch, era protetta dallo scudo dei suoi enormi boccoli rossi, che le coprivano gli occhi arrossati. Sembrava incredibilmente ed inspiegabilmente nervosa, agitata, indecisa. Kirstie notò che la traiettoria dello sguardo infuocato di Fiamma era incastrata proprio nel punto in cui sedeva Avi. Lo guardava con uno sguardo indecifrabile. Era infuriata? Perplessa? Quasi sconvolta... ogni tanto abbozzava qualche sospiro, che soltanto kirstie riusci ad intendere. Che cosa significavano quei sospiri? Incertezza? Rassegnazione? O forse ineffabilità?
"Che cosa guardi, Kirstie?", le domandò Kevin, seduto accanto a lei, facendola sobbalzare
"Nulla, nulla. Ero persa nei miei viaggi mentali."
Doveva stare attenta, quel ragazzo era più perspicace di quanto lei avesse immaginato. Se un giorno fossero diventati buoni amici, immaginò, non avrebbe mai potuto nascondergli un segreto. Con la sua bianca ingenuità Kevin si insinuava negli antri più reconditi della sua ine0teriorità e la studiava senza che nemmeno lei se ne accorgesse.
Il silenzio ormai era stato rotto, perciò Beatrice ne approfittò per prendere parola.
"Domani comincia il vostro addestramento. Non possiamo dirvi che cosa vi aspetta, ma vi consigliomdi prepararvi a tutto, sia psicologicamente che fisicamente."
Fiamma si sentì chiamata in causa e sollevò il capo, fingendo una decisione che in quel momento non aveva.
"Sì, la regina ha ragione. Domani mattina sarete sottoposti ad una prova da me preparata, studiata per capire i vostri punti deboli e i vostri punti di forza. E non solo fisici."
I cinque guerrieri si scambiarono delle veloci occhiate, cercando gli uni l'appoggio negli altri. Non sapevano cosa aspettarsi, ma per un attimo compresero che avrebbero avuto bisogno di rimanere uniti, compatti e lavorare assieme. Soltanto con la collaborazione avrebbero superato la prova, perciò ognuno in cuor suo, percependo tutto ciò dall'atmosfera della Sala delle Rose, fu costretto a porre fiducia negli altri, pur avendo trascorso con loro così poco tempo.
Un campanello trillò inaspettatamente, sciacquando definitivamente quell'imbarazzo che si era creato.
Beatrice fece scattare la testa, ricordò qualcosa che aveva forse scordato e si alzò in piedi scuotendo la gonna verde per far scivolare via le briciole. Sistemò una ciocca di capelli nella lunga treccia e li guardò con i suoi grandi ed equilibrati occhi grigi, a momenti infantili, a momenti estremamente vissuti.
"Ragazzi, ora c'è la Riunione Regia. Ogni settimana tutti i cittadini si riuniscono in giardino, le porte della sala del trono vengono spalancate ed io ho il dovere di raccontare loro tutti gli avvenimenti della settimana. Se volete rimanere a mangiare, non c'è alcun problema."
Con grande entusiasmo, posarono tutti le forchette e si alzarono dal tavolo quasi simultaneamente. Erano agitati, la fame era stata placata con quel poco di cibo. Mitch notò che tutti parevano lieti di poter assistere a quella riunione. Ed in effetti, il motivo era facilmente deducibile; tutti e cinque i guerrieri, o perchè erano apolidi, o perchè erano stati esiliati, o perchè erano cittadini del regno di Nessuno, non avevano mai ricevuto notizie sulla situazione della guerra. In particolare, nel regno di Nessuno le notizie di false e memorabili vittorie non mancavano di certo, affisse qua e là in tutta la città, ma i cittadini avevano ormai imparato a diffidare di queste. Sapere dunque a che punto si fossero spinti fino ad allora i due schieramenti li incuriosiva moltissimo, non vedevano l'ora.

La regina sedette sul grande trono, Mitch, Scott e Kevin si disposero alla sua sinistra sul grande basamento rialzato, Avi, Kirstie e Fiamma alla destra. Le porte della sala furono aperte, una leggera brezza si infilò tra le cuciture dei loro abiti, la vista del giardino si aprì ai loro occhi. La gente aveva già cominciato ad affluire ed in quel momento donne, uomini e bambini si avvicinavano al grande basamento, accalcandosi per permettere a tutti di entrare. Una parte delle persone rimase nel giardino, nella sera che profumava di fresco ed era dipinta di un buio pastoso ed omogeneo.
Avi non aveva mai visto così tanta gente tutta assieme, il giardino era gremito, i volti si accavalcavano e si sorridevano l'un l'altro, altri si voltavano dall'altra parte... tutti in generale avevano le gote dipinte di rosso per il calore dei corpi ammassati ed una generale curiosità animava le chiacchiere. Chi erano quei ragazzi? Erano forse delle spie del regno di Nessuno? O erano degli infiltrati? Le voci circolavano, si ingrandivano, venivano smentite, si riabbassavano. Poi, il solito campanello suonò e ristabilì l'ordine. Avi riuscì a respirare, pur sempre nervoso. Si sentì uno stupido: le persone, nonostante fossero tantissime per lui, erano sì e no cinquecento. Da un brigante, nel bosco, aveva sentito parlare, qualche anno prima, della popolazione del regno delle Fenici, che vantava qualche migliaio di persone. Vederne solo cinquecento lo fece rabbrividire, pensando al numero di persone che venivano ferite o uccise, e ricordando la sua reticenza nell'accettare di entrare in quella squadra. In un istante, tenendo strette le grosse mani callose, giurò a se stesso che avrebbe dato il meglio di sè, che sarebbe uscito vittorioso da quella difficilissima impresa. Non doveva essere versata più alcuna goccia di sangue innocente.

"Benvenuti, uomini e donne, ragazze e ragazzi, bambini e bambine, alla Riunione Regia. Vi ringrazio per l'attenzione che presterete alle notizie che vi darò e vi auguro una felice serata. Le notizie di questa settimana sono in parte spiacevoli, in parte confortanti: partirò da quelle più recenti. Come ben sapete, tra ieri e oggi luogo la più grande offensiva di questo mese. Le truppe del regno di Nessuno avevano conquistato le nostre Valli delle Gemme. Ieri i nostri soldati le hanno riconquistate, gettandosi in un attacco simultaneo su tutti i fronti. Tuttavia, le grandi imprese comportano spesso grossi rischi e talvolta persino molte perdite. Sono morti cinque valorosissimi ukmini in questa battaglia, i loro illustri nomi saranno comunicati domani sul Libro delle Ceneri. Pure il nostro generale, Tori, è rimasto gravemente ferito e ci aspettiamo che guarisca al più presyo, dato il suo fondamentale ruolo in ogni battaglia.
Proprio ieri, per di più, è salpata la grande flotta, convocata a seguito dell'avvistamento di una enorme flotta nemica. Le loro navi sono state avvistate sulle nostre coste e ci sono giunte richieste d'aiuto dalla Rocca sugli Scogli, assediata da alcuni soldati scesi a terra da hna nave. I nostri soldati combatteranno tra qualche giotno, salvo imprevisti."
Kevin rabbrividì. Non poteva pensare al mare, la sua culla, la sua dolce e incomparabile amante blu, richiudersi sopra ai volti e ai corpi e alle membra ferite di quei poveri soldati... sperò più che mqi che quella guerra finisse. 
Fiamma invece si torturava le dita, accuratamente nascoste dietro la schiena. Sperava che nessuno notasse il suo nervosismo, sperava che nessuno si rendesse conto di quanto grave fosse quella situazione. Le persone morivano, lei aveva in mano il destino di una intera città. Si sentiva un punto prkvo i dimensioni, si sentiva un sospiro tropoo inutile ed un respiro troppo corto per poter prendere ossigeno. Era tutto cosi strano, era tutto così assurdo...
"Ed ora, le notizie più confortanti."
La folla parve colta di sorpresa, un silenzio carico di attesa calò sulle teste degli abitanti del regno. Nei loro occhi si leggeva un'estrema fiducia verso quella donna che li trattava con rispetto e che offriva loro semore il meglio di sè.
"Mi nominarono regina molto tempo fa, ancora adolescente, con l'appellativo di "prescelta". Nonostante ciò, nè io nè voi siamo mai stati capaci di crederci. Dopo tutti questi anni di guerra, il fatto che una regina giovane riuscisse a porre fine ad una guerra pareva un lontanissimo sogno. Un obbiettivo irraggiungibile, una falsa illusione creata dalla tradizione.
Tuttavia, mia amata gente, in questa fresca sera, sono fiera di annunciarvi che qualcosa è cambiato: una luce di speranza si è accesa."
Fiamma rabbrividì. La regina stava facendo una mossa molto avventata, forse avrebbe dovuto fermarla.. non era sicura che quei ragazzi fossero in grado di portare a termine la loro missione. Le cose fino a quel momento non erano andate proprio come si era sperato.. e Tori era rimasta ferita gravemente in battaglia. Soltanto la prova del giorno successivo le avrebbe permesso di constatare quali fossero le doti dei cinque guerrieri. Ma fino a quel momento, illudere il popolo in quel modo era da incoscienti. Anche perchè le spie del regno di Nessuno potevano essre ovunque e sarebbe bastato un solo infiltrato, tra tutta quella brava gente, che riferisse questo fatto al re di Nessuno, ed il piano sarebbe salvato. Il re di Nessuno poteva rafforzare le sue truppe in ogni momento, soprattutto se gli fosse giunta voce dei cinque guerrieri.
"Esattamente quattro giorni fa, girando per gli antri bui del labirinto reale, mi ritrovai in uno strano locale, che mai avevo visitato prima. Entrai senza troppi problemi. Nella stanza stava una grossa e resistente cassa, chiusa e sigillata da una serratura di cristallo. D'improvviso, capii: la chiave che mio nonno aveva passato a mio padre e che mio padre aveva donato a me prima di morire, quella che portavo sempre appesa al braccio, era simile in fattura a quella serratura. Immediatamente, decisi di portar fuori il grande forziere, trascinandolo con fatica fino al Cimitero. A quel punto, carica di sperianza, di curiosità ed anche di timore, la aprii."
La folla era ammutolita, gli sguardi pendevano dalle labbra di Beatrice, una tensione surreale vibrava tra le teste accaldate degli uomini, dei ragazzi, delle donne e delle ragazze che portavano altri bambini in braccio. Salvezza? Speranza? Quegli strani sostantivi riecheggiavano ancora nell'aria e il loro significato inondava i pensieri di tutti i cittadini del Regno delle Fenici. Come narravano le Scritture, Beatrice avrebbe portato loro la pace. Era dunque vero? Ma chi erano quei ragazzi?
"Ciò che uscì fu una luce fortissima, poi una nube di polvere, una nube di ceneri... finchè non scorsi Fiamma, capelli rossi di fuoco e sguardo di smeraldo. La ragazza nata per creare una squadra invincibile, un'arma segreta la cui potenza avrebbe posto fine alla guerra.
E questa sera, finalmente, l'arma è qui con noi."

Pochi secondi di comprensione, poi la folla esplose in un boato di schiamazzi, applausi, urla di gioia. Gli uomini, o almeno i pochi che non erano partiti per la guerra, sollevavano in aria i propri figli, le donne si abbracciavano tra loro. Una notizia così bella non si sentiva da anni ed anche i ragazzini capivano quanto decisiva fosse quella surreale serata della loro vita. 
Il campanello suonò nuovamente oer annunciare la fine della Riunione Regia ma il chiacchiericcio non si placò. Il popolo iniziò a fluire fuori dalla stanza del trono, per recarsi alla corte della Grande Fontana, dove Avi si era già accidentalmente avventurato, e nel grande, rigoglioso giardino, dove dei tavoli con vivande e brocche di vino e di sidro erano già state preparate.
Quando anche l'ultimo dei cittadini, portandosi dietro tutta l'allegria della era, se ne fu andato, un pensieroso silenzio calò sui guerrieri, su Fiamma e silla regina.
Mitch era preoccupato, batteva il piede a terra. Non aveva ancora nemmeno osato pensare che cosa lo aspettasse in tutta quella storia, perchè un pensiero più urgente lo costringeva a rivolgere la mente altrove. Indeciso se rompere o no quella imbarazzante atmosfera, si fece vicino all'abito verde che era adagiato con estrema grazia e signorilità sul maestoso trono di legno. Infine vinse la propria titubanza e parlò.
"Beatrice, posso andae in Infermeria a controllare le condizioni della ragazza?"
La giovane sovrana gli elargì un sorriso rilassato che stonava un po' con l'atmosfera bollente, ma che riuscì a sciogliere Scott, ancora in piedi con le braccia dietro alla schiena ritta.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Se qualcuno avesse visto la Rocca del Regno di Nessuno, in quel momento, avrebbe potuto quasi scambiarla per una città abbandonata. Uno spesso velo di cenere pesava sui tetti, un inquietante silenzio dominava la torre di vedetta. Il palazzo del Re di Nessuno, una struttura essenziale, un parallelepipedo di pietra e calcestruzzo, si manteneva in equilibrio precario sull'altura su cui era stato eretto e proiettava un'ombra tremolante sull'erba bagnata dal calore neonato del sole. Le case si nascondevano una dietro l'altra, ammassate, quasi fossero spaventate dal grande edificio reale. 

L'uomo incappucciato si strinse nel suo mantello e maledisse il vento che si stava alzando, infilandosi tra le cuciture della sua divisa. La scogliera da cui osservava la propria città cadeva a picco sul mare, gettandosi con i suoi piedi rocciosi nell'acqua scura ed agitata. Le onde là in fondo producevano una leggera schiuma, il vento la schiacciava contro le pareti degli scogli; l'uomo si sentiva poco sicuro. Non tanto per la sua vicinanza al grande dirupo, nemmeno per la forza con cui l'aria minacciava di spingerlo giù... la sua angoscia cresceva, invece, quando osservava il profilo austero della propria città e le vele dei galeoni che, al largo, contro la linea dell'orizzonte, si allontanavano arroganti. Le truppe ausiliarie erano state radunate pochi secondi prima, a seguito di un messaggio recapitato dai soldati sulle coste che avevano assediato il Golfo di Eutalassa. La città era stata presa, occupata ed i cittadini imprigionati, le case saccheggiate, i tesori della colonia trafugati. Ma erano in arrivo due flotte armate dal Regno delle Fenici e questo non andava assolutamente bene. Le cose erano comunque sotto il suo controllo e ciò lo rassicurava un po'. Tuttavia, un fastidioso prurito di presentimento gli scombussolava lo stomaco, gli stringeva il respiro.
Quei maledetti bastardi non dovevano, non potevano vincere: aveva armato i suoi soldati fino al collo, non badando alle spese per le quali aveva attinto addirittura dal proprio tesoretto personale. Gli ordini giunti dal Re quella mattina erano stati chiari: il Golfo di Eutalassa doveva rimanere tra le loro mani. Era una piccola ed insignificante colonia della Regina Beatrice, certo, ma avrebbe potuto trasformarsi in un trampolino di lancio per una grande, violentissima e (forse) finale offensiva.
Il giorno della Grande Battaglia di cui parlava il Re si stava avvicinando. Forse l'ora decisiva si stava avvicinando, forse quei tempi stavano finendo. Una nuova era grattava alle porte della loro storia come un cane abbandonato che torna a casa. Forse era solo un'impressione, amplificata dai rumori incerti dell'alba, dagli sbadigli di quel mare inviperito... ma sentiva sempre più potente la presenza di un avvenimento (bello o brutto?) che avrebbe cambiato per sempre la sua vita, quella della sua città, che in quel momento ancora dormiva.

  

Se la notte era stata agitata, quel mattino lo era ancora di più. I rumori degli assistenti della regina che si spostavano silenziosi e quasi invisibili per il Palazzo Reale giungevano fino alla loro stanza. Uno strano tramestio, una frenesia mattutina, un frettoloso rimestare si spostava avanti ed indietro sopra la loro testa.
Kirstie pensò che sarebbe stato davvero bello conoscere l'organizzazione di quella rete di uomini o donne che si muovevano qua e là, svolgendo i loro compiti ed aiutando la regina. Erano talmente abili e veloci che lei non era mai riuscita a vederne nemmeno uno, nonostante ne avesse avvertito la presenza, grazie anche all'ordine e alla precisione che si lasciavano dietro in ogni stanza del Palazzo.
La porta si aprì con un sinistro cigolio, spezzando delle ragnatele che vi erano attaccate. Fiamma passò le mani sudate sul vestito nero e poi sui capelli rossi. Le strofinò tra loro, li osservò per un'ultima volta.
"Potete andare", disse, facendosi infine da parte.
I Guerrieri si scrutarono, ma capirono tutti immediatamente la stessa cosa. Se volevano uscirne vivi, dovevano stare uniti e contare gli uni sugli altri. Erano tutti dei lupi solitari, nelle loro intimità, ma quella non era questione di carattere. Si metteva in gioco la loro sppravvivenza e
Il muso di Olaf si infilò sotto la coperta che stava adagiata sulle sue gambe bianche, solleticandole i piedi.
"Sei sveglio pure tu, allora", sussurrò al piccolo Canut che tanto amava. Poi diede un'occhiata all'ambiente circostante e non potè fare a meno di sentirsi un po' a disagio. Le mancavano le pareti candide della propria casa, i tendaggi semplici ma raffinati tra i quali si avvolgeva quando si affacciava alla finestra, i rumori confortanti delle posate lucenti tra le sue dita. Non che le cose che aveva lì fossero da meno.. ma non erano sue, non erano pregne della sua presenza, i vetri non erano mai stati appannati dal suo respiro. E soprattutto, quelle piastrelle erano linde, ordinate e pregiate, ma sopra non vi aveva mai camminato suo padre nè la sua balia.
La tenda che divideva in due la stanza si mosse leggermente: qualcuno era sveglio, proprio come lei. Si alzò in piedi e, tentando di non pensare troppo alla nostalgia di casa, si infilò l'abito dalla testa, facendolo scivolare lungo le braccia ed i fianchi. 

Mitch si era svegliato per ultimo, quel mattino, e questo fatto non gli piaceva. Era rimasto solo nel dormitorio. Tutti i letti dei suoi compagni erano vuoti e sfatti, si avvertiva ancora qualche rimasuglio di sogni agitati e sconnessi. Si diede una sciacquata al viso attingendo dalla bacinella che stava su un mobile addpssato alla parete e si infilò i propri vestiti, immerso nella propria meditazione mattutina. 
La tenda si scostò in modo brusco e Kirstie apparve dall'altra parte della grande stanza, facendolo sobbalzare. Da un lato avrebbe preferito rimanere solo ancora un po', dall'altro le fu grato perchè almeno lui non era l'ultimo ad essersi svegliato.
"Buongiorno. Dormito bene?"
"Fin troppo", rispose lui, assonnato. Era il giorno della grande prova, non sapevano cosa aspettarsi, non avevano idea di come cavarsela. Tutto stava succedendo così in fretta...
"Io ho come un vago presentimento - cominciò lei - riguardo al luogo della prova."
Si bloccò, attendendo la piena attenzione di Mitch.
"Quale sarebbe?"
"Ho sentito parlare di un Labirinto Reale. Penso che ci porteranno lì a fare la prova... insomma, è la cosa più logica."
Pur un po' scettico, Mitch non osò darle torto. Lui non era così acuto, o almeno non quanto lo era Kirstie. Sperò con tutto il suo cuore che si sbagliasse: i labirinti non gli erano mai piaciuti.

    

Il Pensatoio era stata un'idea sua e l'aveva fatta realizzare soltanto qualche anno prima, eppure Beatrice si sentiva più a casa lì che in tutto il Palazzo. Da lì vedeva tutto il cortile, tutta la Valle delle Gemme, una piccola parte del cimitero, il Regno di Nessuno in lontananza e buona parte delle coste che appartenevano al suo regno. Riusciva a scorgere persino Eutalassa, la sua colonia preferita, e le grosse navi ed i galeoni che vi si avvicinavano. Alcuni spiegavano fieramente delle grosse e imponenti vele bianche con lo stemma della Fenice, altri invece si servivano di stranissime vele viola e nere. L'esercito di Nessuno, grande e potente nemico. 
Sperando con tutta se stessa in un futuro felice, la regina si ricordo il motivo per cui era salita nel Pensatoio: la grande prova. Doveva assistere dall'alto alla competizione dei Cinque Guerrieri. Sinceramente, non aveva idea del motivo per cui fosse necessaria una cosa del genere. Era una trovata di Fiamma alla quale lei aveva dovuto acconsentire ed ora era in apprensione. Non aveva ben compreso l'utilità di tutto ciò e soprattutto, non riusciva a capire quale fosse il piano di Fiamma. Parlando, era riuscita ad estrapolarle qualcosina, ma le era sembrato tutto così incerto e vago che non era nemmeno sicura che Fiamma avesse un progetto, una strategia. Pregò che andasse tutto per il meglio e con il suo cannocchiale dorato guardò meglio la fontana del giardino, accanto alla quale si ergeva la figura autoritaria e pungente di Fiamma, al di sopra di quelle dei Cinque.

   

"Non so quanti di voi se ne siano accorti, ma questa mattina, ad ognuno di voi, è scomparso il petalo di cristallo che vi ha permesso di arrivare qui al Palazzo."
Fiamma faceva uscire la sua voce in modo da sovrastare lo scroscio dell'acqua alle sue spalle. Puntava i propri occhi in quelli stupiti dei cinque ragazzi, che in quel momento, un po' per la paura forse, un po' per la sorpresa, parevano dei bambini nei corpi di adulti.
"Il vostro compito è molto semplice: riuscire a trovarli."
Nessuno osò fiatare od alzare la mano. Era tutto chiaro, molto semplice. Ma tutti sapevano che di lì a poco sarebbe giunta una notizia che non sarebbe piaciuta a nessuno di loro.
"Sono stati nascosti nel Labirinto Reale. Dato che questo è enorme e che nessuno, eccetto la regina e tutta la stirpe reale, è mai riuscito ad uscirne vivo, non pretendo che abbiate successo nel trovarne l'uscita. Tuttavia, essendo il Labirinto diviso in due parti, una interrata, sotto il palazzo, ed una all'aperto che porta al cimitero, ho pensato che, per testare le vostre capacità, fosse sufficiente chiedervi di riuscire a raggiungerne la parte all'aperto."
Scott sghignazzava per il nervosismo, Kirstie era vagamente soddisfatta per aver intivato tutto in anticipo, Mitch maledisse per un attimo il proprio destino. Kevin non sapeva come esprimersi nè tantomento come escogitare qualcosa per cavarsela. Avi rimase impassibile, pur lasciando intuire la rabbia e il risentimento che gli bollivano nel petto, proprio sotto la camicia sbruciacchiata che indossava.
"Vi ho chiesto di portare con voi tutto ciò che pensate possa esservi d'aiuto. Avrete bisogno di tutte le voste forze per uscirne vivi: voglio che mi dimostriate di essere i Guerrieri che cerco. Ora seguitemi."
Se Avi avesse potuto parlare e dire la sua, avrebbe potuto almeno distendere i nervi, che erano a fior di pelle. Il suo temperamento non gli era d'aiuto in situazioni simili, di conseguenza doveva trovare un sistema per darsi una calmata. Guardò gli altri accordarsi e li seguì mentre questi a loro volta si lasciavano guidare tra i corridoi stretti del palazzo. 
In cuor suo, Kevin non riusciva a capacitarsi. Se già i corridoi erano simili ad un labirinto, non osava immaginare come fosse il Labirinto vero e proprio. Il suo senso dell'orientamento funzionava solo tra le onde e tra le luci delle stelle. Non in dei puzzolenti e umidi viottoli sotterranei. Si sentiva già male.
Kirstie, dal canto suo, era la più tranquilla. Si era portata dietro Olaf, il suo Canut, perchè sapeva che le sarebbe stato utile in qualche modo. Dando un'occhiata agli altri, si chiese quanto questi fossero incoscienti. Quattro maschi grandi e grossi, e nessuno di loro aveva avuto la prudenza, nonostante le raccomandazioni di Fiamma, di portarsi dietro qualcosa. Sperò che almeno avessero il buon senso di rimanere tutti uniti.
Giunsero, dopo essersi inoltrati nei più bui e dimenticati sentieri di marmo del palazzo, all'ingresso del Labirinto. Era una imponente e decadente porta, segnata da alcune scritte oramai incomprensibili. Fiamma era più agitata di tutti quanti e si vedeva. Temeva di mandare al macello dei giovani innocenti, temeva che loro non fossero i veri guerrieri. Eppure, quello era il suo dovere e così doveva fare. Si premurò di ripetere per l'ennesima vo,ta di fare attenzione.
"Non fate mosse avventate, ragazzi. È pericoloso lì dentro, è una cosa seria. Vi riposano mostri secolari, o almeno così dicono. Non ci sono mai stata, ma vi prego, VI PREGO. Usate la testa, non solo le braccia. E non mi riferisco a te, Kirstie."
La porta si aprì con un sinistro cigolio, spezzando delle ragnatele che vi erano attaccate. Fiamma passò le mani sudate sul vestito nero e poi sui capelli rossi. Le strofinò tra loro, li osservò per un'ultima volta.
"Potete andare", disse, facendosi infine da parte.
I Guerrieri si scrutarono, ma capirono tutti immediatamente la stessa cosa. Se volevano uscirne vivi, dovevano stare uniti e contare gli uni sugli altri. Erano tutti dei lupi solitari, nelle loro intimità, ma quella non era questione di carattere. Si metteva in gioco la loro sppravvivenza e dovevano andare oltre i loro desideri, le loro forti personalità.
I primi ad entrare furono Scott e Mitch, seguiti a ruota da Kirstie e Kevin, con il piccolo Canut alle spalle. Soltanto Avi esitava.
Non che avesse chissà cosa da perdere: era vissuto solo per tutta la vita. A casa sua lo aspettavano soltanto dei draghi, che forse non si erano curati della sua assenza se non per la mancanza di cibo. Però qualcosa lo bloccava, lo inducevaad una certa reticenza: forse il fatto di eseguire dei compiti, fprse il fatto di dover obbedire a delle regole. Non aveva paura, era solo infuriato nero, come sempre. Si spinse con forza vicino alla porta, borbottanto, stringendo forte i pugni per levare il fumo nero dell'ira dalla mente e lasciare liberi i pensieri.
Una mano lo trattenne, proprio mentre varcava la soglia.
"Non fare stupidate, ti prego", lo ammonì lei.
Fece per girarsi e riversarle addosso la rabbia, ma tacque quando incontrò il suo guardo. Era quasi raddolcito, gli occhi erano dighe che celavano fiumi di lacrime. Fu preso da una paura indicibile: capì tutto. Capì ogni cosa, vide tutto in quello sguardo messo a nudo.
Fiamma non sapeva nulla. Fiamma non aveva la minima idea di come agire, di cosa inventarsi. Probabilmente non sapeva nemmeno se loro fossero o no i veri guerrieri. Non aveva un piano, un'idea di come vincere la guerra. Li stava solo mandando nel Labirinto, aspettando che fossero loro a dare speranza a lei per poter vincere la guerra, e non il contrario. Quelle lacrime erano senso di colpa, terrore e indecisione allo stato puro. Lui era atterrito, aveva paura. Per quanto ne sapeva lui, poteva benissimo essere in quel momento in procinto di suicidarsi, tentando un'impresa impossibile. Ma che diavolo le saltava in mente? Rischiare di sacrificare cinque ragazzi per colpa della sua incapacità?
"Tu non hai idea di quello che ci stai facendo fare, dico bene?", sussurrò lui sottovoce, per non allarmare gli altri e per rendere più sprezzante il proprio tono.
Fiamma stava per piangere, lui lo sentiva e avrebbe voluto consolarla, anche se lo stava mandando al macello.
"Esci vivo dal Labirinto, te lo scongiuro. Se lo fai, ti racconterò tutta la verità. Ora non è il momento giusto."
Scomparve prima che lui potesse ribattere qualsiasi cosa o anche solo andarsene mostrandole le spalle. Allibito, decise che gli atri non avfebbero scoperto nulla, almeno non quel giorno. Si augurò di uscire vivo, soltanto per poter fare una sfuriata a quella ragazza che, in un modo o nell'altro, riusciva sempre a sfuggirgli.

Camminavano da qualche minuto nella più totale oscurità, in un corridoio nel quale a malapena riuscivano a muoversi. Scott, che era il più alto e che si trovava davanti a tutto, in capo alla fila, si faceva strada a tentoni, tastando il pavimento di piastrelle viscide di umidità con il piede e il soffitto troppo basso con le mani. Nessuno aveva coraggio di dire nulla, o forse nessuno aveva nulla da dire. Erano tutti concentrati alla ricerca di una soluzione, di uno stratagemma per uscire illesi da aurlla trappola. Mitch era inquietato dalla presenza dei mostri, Kevin soffriva per le piccole dimensioni dl cunicolo in cui avanzavano, le quali sembravano diminuire man mano che avanzavano.
"Ragazzi! Una stanza, finalmente!", esclamò ansante Scott dall'avanguardia.
Gli altri si sparsero nella stanza subito dopo di lui sospirando di sollievo. 
Abituatisi un po' al buio, riuscirono a distinguere i contorni dell'ambiente in cui erano giunti. Un silenzio sovrannaturale rendeva fastidiosi i loro respiri. La pressione della terra sopra la loro testa li sconcertava e li disorientava. L'antro era ancora più buio del corridoio e la luce filtrava fin lì soltanto grazie alla porta d'ingresso lasciata aperta alle loro spalle.
C'erano quattro porte, tutte della stessa fattura e con i battenti identici. Scott fece per aprirne una, ma Kirstie lo bloccò.
"Prima di fare mosse avventate, dobbiamo mettere in chiaro alcune cose. Speravo di non doverlo dire, ma non mi fido troppo di questa situazione, perciò ve lo dico. Prima di tutto, dobbimao rimanere uniti fino all'ultimo, se vogliamo uscire di qui. Siete d'accordo?"
Vi fu un segno di generale assenso, nell'assoluto silenzio. 
"Secondo, scegliamo una strategia. In un labirinto bisogna tenere dei punti di riferimento, per poter tornare sui propri passi ogni volta che si sbaglia, senza smarrirsi. Dobbiamo muoverci a piccoli gruppi, alcuni avanzano e ad ogni bivio ci si ricongiunge. Ci state?"
Non sembrava un'idea così sbagliata, perciò si trovarono tutti d'accordo. Rimaneva però il problema. Quale porta dovevano aprire? E chi doveva farlo?
Discussero qualche secondo, poi a Kirstie venne un'idea geniale, che avrebbe permesso loro di avanzae per un bel po' nel labirinto.
"Qualcuno resti qui con Olaf, gli altri vadano a due a due in una delle due porte. Se sono vicoli ciechi, si torna indietro fin qui. Altrimenti si aspetta e si fischia. Olaf comincerà ad abbaiare, a scalpitare. A quel punto, tutti quelli che sono in esplorazione torneranno qui e quando ci saranno tutti si sguinzaglierà olaf, il quale farà strada fino alla persona che ha fischiato. Dovrebbe funzionare, sperando che questo sia un labirinto con una struttura abbastanza lineare. Se i bivi saranno due, si tornerà tutti al punto di origine e si deciderà il da farsi."
Sconvolti dalla capacità analitica e dalla soluzione razionale e sistematica di quella ragazza all'apparenza così delicata, coi suoi capelli lunghi e mori, i maschi si diedero da fare per compensare la genialità di lei con la loro forza. Decisero di far rimanere lei a quella che chiamarono "base" per comodità, e cominciò il loro viaggio nelle intestina di cemento del megagalattico edificio.

Le prime cinque basi furono semplici da affrontare con il metodo di Kirstie. Nonostante ci fosse buio, erano riusciti a constatare che il labirinto seguiva proprio la logica che Kirstie aveva trovato. Ad ogni antro venivano presentate loro quattro porte, tre delle quali davano l'accesso a tre vicoli ciechi. Il cane di Kirstie era obbediente e seguiva le indicazioni della padroncina.
In quel momento, il Canut sedeva con tutti i nervi tesi sul suolo, che ormai non era più di mattonelle ma di terriccio. Lei attendeva ansiosa il segnale. Era sola, soddisfatta ma esausta ed i suoi nervi erano a fior di pelle. Stava pensando a quanto fosse brutto il buio, a quanto fosse spaventoso.. cercava di calmarsi, carezzando il pelo candido del suo animale per alleviare la tensione.
D'improvviso, udì uno spacco, come uno strappo nella terra. Un urlo, e poi un tonfo secco.
In seguito, solo silenzio.
"Tutto a posto?", si azzardò a chiedere, con un brutto presentimento attaccaro proprio sulla nuca.
Nessuna risposta.
Il Canut alzò le orecchie, sull'attenti. Qualcosa non andava, lo percepiva nell'aria ed in quel silenzio che non doveva esserci in verità.
"Mi sentite?", ripetè più forte, a qurl punto temendo il peggio. Tremava, quel silenzio e quel buio la stavano ingoiando. Era sola, gli alt4i non la sentivano.
Intanto, nessuna risposta.
Il panico le si arrampicava su per le gambe, saltando su dal terreno umidiccio. La sua voce si fece più fioca, quando in un sospiro ripetè disperata la domanda...

Avi e Kevin si trovarono immediatamente a loro agio, in quella piccola missione. Avi voleva stare davanti, Kevin voleva parargli le spalle. I loro interessi combaciarono fin dal primo istante.
Era il quinto cunicolo che battevano, quello. Ormai si ritenevano degli esperti in materia, e nonostante la solita prudenza e la costante preoccupazione, trovavano quasi il coraggio di sperare di riuscire in quella pazzia.
Forse fu quello il loro errore.
Avi avanzava più spedito del solito, cercando a tentoni di seguire l'andamento curvilineo del corridoietto senza urtarne le pareti. Kevin tastava le pareti laterali per essere sicuro di non lasciarsi indietro degli sbocchi ad altri cunicoli. Stava procedendo tutto per il meglio, erano quasi sicuri che quello non fosse un vicolo cieco, quando Avi avvertì una stranissima sensazione.
Era come se sotto di lui ci fosse qualcosa, un bizzarro e leggerissimo ronzio, un ribollire... forse erano soltanto delle falde acquifere, forse erano soltanto degli acquedotti. O forse erano soltanto finiti così in profondità che si sentiva il rumore del mare.
Accelerò il passo, era impaziente di sbucare nell'antro. Cominciava a dargli noia la schiena, a forza di stare ricurvo, e sentiva un forte dolore agli occhi. Pensò a quanto desiderasse una di quelle zuppe che si preparava da solo nella sua grotta e si chiese pure che ora fosse. Insomma, si distrasse soltanto un attimo... ma un attimo fu abbastanza.
Sotto di lui il terreno cedette e si sgretolò, sovraccaricato per il peso di Avi e di tutti i suoi possenti muscoli. Non fece in tempo ad accorgersi dell'accaduto, che sentì un forte rumore, un forte botto alle sue spalle.
O forse erano state le sue spalle a fare il botto.
Un istante dopo, ne fu più che sicuro, perchè fu preso da un dolore indicibile alla testa, alle spalle, alla schiena e alle gambe. Negli occhi, soltanto buio, lo stesso buio di prima ma più profondo; nelle orecchie soltanto quel lento, costante ed insidioso ronzio.

Kevin non vide avi cadere per colpa dell'oscurità in cui erano immersi, ma lo sentì forte e chiaro. Si bloccò immediatamente, lasciandosi sfuggire un urlo di sorpresa. Davanti a lui doveva essere crollato il pavimento. Taceva, incapace di formulae un pensiero che fosse perlomeno decente o sensato.
Non ci riusci, era più forte di lui. Il panico ebbe la meglio su di lui, costringendolo a lottare per un bel po' con una paralisi totale. Stava fermo lì, impalato, respirando velocissimo. Doveva indieteggiare, doveva farlo subito. Uno scricchiolio sinistro lo convinse: si trovava su un'asse di legno ricoperta di terra in bilico. Il rumore riuscì a scuoterlo dal suo intorpidimento, così si mosse.
Un passo indietro, peso tutto spostato indietro. Respiro. Un secondo passo indietro, mantieni la calma, respiro. Questo diceva a se stesso mentre arretrava. Quando poi fu abbastanza lontano da potersi permettere di pensare di essere in salvo, ricominciò a ragionare.
L'aveva scamoata bella.
Ma avi dov'era finito?
Nel frattempo gli era giunta ben due volte la flebile voce di Kirstie che doveva aver sentito il tonfo, ma non aveva avuto le facoltà di risponderle.
"Avi, mi senti?", domandò lui in un sussuro dapprima, per poi ripeterlo più forte.
Avi non gli rispose. Tutto ciò che sentì fu soltanto un paurosissimo ronzio, quasi un ringhio... tanto che si convinse che doveva andarsene da lì. Non poteva aiutare Avi, il quale probabilmente giaceva da qualche parte privo di sensi. Doveva prima chiamae aiuto, anche perchè aveva udito uno strano ringhio.
A gattoni, tornò lui propri passi e ansimando e sbattendo la testa contro il muro e graffiandosi i palmi dellemani finalmente giunse alla base.
Intravide Kirstie nella penombra, accovacciata, le ginocchia tra le braccia, il respiro ansante. Era spaventata quasi più di lui.
"Kirstie...", fece lui riprenendo fiato, e lei sobbalzò terrorizzata.
"KEVIN! Sei tu? Ti prego aiutami, portami via di qui. Ho sentito un tonfo. Dove sono gli altri?"
Kevin si calmò improvvisamente, perchè il suo istinto di protettore ebbe la meglio e antepose le preoccupazioni di Kirstie a qualsiasi suo problema.
"Tranquilla, va tutto bene. Non è nulla", mentì, abbracciandola e carezzandole la testa finchè non si fu calmata. Olaf aveva una zampa sopra il muso, spaventato.
"Grazie", sussurrò lei, facendogli però intendere di voler sapere la verità con un'alzata di sopracciglio.
Lui le raccontò sottovoce (non sapeva nemmeno lui perchè sottovoce) tutta la vicenda, con dovizia di particolari e tentando di non lasciar trasparire il panico che invece gli stava attaccato alle caviglie.
Di Mitch e Scott, intanto, nessuna notizia.

Avi si rinvenne e fu grato di essere vivo inizialmente, ma poi il dolore alla testa riprese e pensò di morire.
Dove era finito? Che cosa era successo?
Ah, giusto, pensò, ricollegando il cervello e rivedendo i propri ricordi. Era caduto nel vuoto, era precipitato da qualche parte. Il pavimento aveva ceduto, lui era stato un incosciente. Si ricordò le ultime parole di Fiamma e si adirò ancor più con se stesso. Doveva uscire vivo da lì: se non per se stesso, almeno per Fiamma.
Un ronzio, che prima aveva attribuito alle proprie orecchie a seguito della caduta, si fece più insistente. Da dove veniva? Che cosa era? Dove si trovava lui?
Sotto di sè Avi percepiva un po' di pagliericcio umido e puzzolente gettato sul suolo roccioso di quella cbe sembrava... una grotta.
Sì, era quasi sicuro di trovarsi in una grotta. Le conosceva meglio delle sue tasche ed avrebbe riconosciuto quella pietra calcarea ovunque. Insomma, ci viveva in una grotta!
Il ronzio però perseverava, ora più forte, ora meno. Ora veniva da destra, ora da sinistra. 
D'improvviso, Avi sentì la necessità di aprire gli occhi e di guardare sopra di sè, perciò lo fece e rimase pietrificato.
Due grossi, luminosi e bestiali occhi lo fissavano intensamente. Erano occhi davvero grandi, rossi, con delle sfumature violacee e delle pupille verticali come quelle dei serpenti. Erano gli occhi più grandi che avesse mai visto, ed erano senz'altro gli occhi di un drago.
Erano gli occhi del drago più grande che avesse mai visto.
La gigantesca creatura emise un ruggito che fece tremare le pareti e crollare qualche sasso sul suo corpo disteso. Poi alzò l'imponente muso e sputò una fiammata degna di un intero falò, che incendiò le travi su cui aveva camminato Avi poco prima. 
La luce abbagliò il ragazzo che si coprì il volto dolorante, ma gli permise di osservare da vicino la meravigliosa bestia che lo stava minacciando.
Era il più grande, il più maestoso, il più eccezionale, sensazionale e bel drago che avesse mai visto. Era una figura mitologica, forse. Non pensava esistessero draghi di quelle dimensioni. Tremò di paura, ma aprì gli occhi stupefatto.
La pelle del drago era squamosa ed argentea, rifletteva la luce del fuoco e sembrava quasi dividerla e creare una diffrazione... le corna erano di vero cristallo, si vedevano i nervi e le vene all'interno di esso.
"Per la miseria!", urlò Avi.
Il drago sembrò in soggezione per la voce baritonale e penetrante di quell'uomo, ma soltanto per un istante. Sembrava affamato. Sembrava molto affamato.
Avi non sapeva come fare, aveva paura ma non riusciva ad alzarsi e scappare. Primo per il dolore, secondo per la bellezza di quell'esemplare.
Decise di buttarsi. Cosa aveva da perdere? Al massimo lo avrebbe mangiato prima.
Contrasse tutti i muscoli e balzò in piedi, sorprendendo il drago e anche se stesso. Con le mani alzate, fece capire all'animale che non voleva aggredirlo ma che non era debole. Di solito funzionava, con tutti i draghi... ma quello non era un drago qualunque. 
Ci fu un lasso di tempo, della durata di pochi eterni secondi, in cui non successe nulla. La creatura aveva aperto i suoi giganteschi e spaventosi occhi e lo fissava, lo scrutava, forse studiava le sue intenzioni. Avi non riusciva a staccarsi da quelle due gocce di sangue venate di porpora. Le narici della bestia si igrossarono: stava annusando il suo odore.
L'olfatto di un drago, come sapeva bene anche Avi, era capace di identificare una grandissima serie di informazioni... lui lo annusò e le sue pupille verticali si dilatarono; che avesse sentito l'odore di Jamin che lui aveva addosso?
Il cuore gli batteva a mille, tentava di respirare regolarmente ma gli riusciva difficile. Tranquillo, disse a se stesso. Se hai ammansito i draghi addestrati per la guerra, puoi domare pure questo.
Ed infatti, la bestia abbassò il capo, porgendogli il corno di cristallo. Era un gesto di sottomissione, di servilità. Avi sorrise, e per poco non si accasciò a terra dal sollievo. Quel drago era stato ammaestrato, forse migliaia di anni prima, forse soltanto qualche secolo... e sapeva riconoscere la figura autoritaria che lui rappresentava. Con la mano ancora sporca di terra, Avi passò le dita affusolate su quella meraviglia di esemplare.
Forse qualche speranza ora ce l'aveva.

    

Kirstie ascoltava e si torturava le dita per il nervosismo, sobbalzando ad ogni rumore sospetto. Scott e Mitch non si facevano sentire, Avi neppure. Non potevano pensare di tornare indietro a salvarlo, non avevano alcuna speranza di riuscita. Potevano soltanto tentare di uscire al più presto dal labirinto, per poi correre a chiedere aiuto alla Regina. Lei sapeva muoversi per quelle stanze, sarebbe stato di certo più utile. Nonostante tutto, non potevano fare a meno di sentirsi in pensiero per lui... dovevano muoversi. Decisero di prendere la strada di Scott e Mitch, che evidentemente avevano trovato un corridoio lunghissimo. Magari era quello giusto, magari li avrebbe portati nel labirinto all'aperto...
Si alzarono, ma caddero immediatamente poco dopo, terrorizzati. Un potente, viscerale, gutturale ruggito si era levato terrorizzandoli.
"Che cos'è?"
Kirstie era fuori di sè per la paura. Non riusciva a ragionare; Kevin aveva bisogno che lei si riprendesse. Lei era la mente del gruppo e senza la sua razionalità non sarebbero andati da nessuna parte.
"Non lo so, ma dobbiamo andarcene subito. Qualunque cosa sia"
Così dicendo, Kevin la afferrò per mano e cominciò a correre, lontano, immergendosi nel buio più totale. Poi, chissà come, furono investiti da un'onda di calore e da una luce inaspettata.

Il tunnel portava sempre più in basso, lo sentivano dalla pressione atmosferica: cominciava a dare davvero fastidio ed erano costretti a premere con le mani sulle orecchie per alleviare il dolore. Ma dove erqno finiti Scott e Mitch? Ormai era un bel po' che non si facevano sentire e Kirstie cominciava a preoccuparsi. Adesso riusciva a vedere un po' del tunnel che stavano percorrendo, inclinato verso il basso, che portava nelle profondità di quella Reggia. La luce veniva da dietro le loro spalle e si era scaturita dopo un tremendo ruggito. A questo punto, erano ancora più preoccupati per Avi. Era chiaro a quel punto che le belve ed i mostri di cui aveva parlato Fiamma non erano solo leggende. E Kirstie ebbe il sentore di essere finita in una tana di un mostro. Non voleva darlo a vedere, ma era molto preoccupata per questo motivo.

"Che cos'è questo odore?", chiese poi ad un tratto, non potendo più fare finta di nulla.
Kevin alzò il viso per odorare meglio, poi gli occhi gli si illuminarono. Kirstie rimase sbalordita da quel bagliore nei suoi occhi... era come la luce di lontani ricordi, come le fiamme di un fuoco passato... era la luce dell'amore.
"Questo è l'odore del mare", disse lui, quasi sorridendo.
Il mare, finalmente. Era troppo  he non lo vedeva: lo aveva sognato tutte le notti, cullato da quel barcollio naturale che lo seguiva sempre sulla terra ferma.
"Questo è l'odore che ha il mare quando ristagna nelle grotte, soprattutto se le grotte si trovano in questo territorio. Il regno delle Fenici ha un terreno carico di zolfo, di conseguenza l'odore può essere soltanto questo."
Kirstie non sapeva se essere contenta o terrorizzata. Aveva un cattivissimo presagio che nemmeno Kevin con i suoi dolci occhi innamorati del mare poteva fargli passare. Se per caso avessero dovuto nuotare, lei ne sarebbe stata in grado... il problema era un altro, ma Kevin non sembrava più ragionare.
"Arriviamo fino al mare e poi nuotiamo fuori dalla grotta (perchè se qui c'è il mare e c'è una grotta come penso io questa grotta deve per forza avere un'apertura)"
Kirstie invece era più propensa a tornare indietro... se Scott e Mitch non erano tornati un motivo c'era. Nonostante tutto, tacque ed andò avanti. Il terreno cominciò dopo poco ad essere davvero inclinato e sdrucciolevole. Kirstie tentava di mantenere l'equilibrio aggrappandosi come poteva alle pareti rocciose ed umide, ma lo trovava sempre più difficile. Kevin passò avanti, per rendere le cose più semplici a Kirstie e per assicurarsi che non le succedesse come era successo ad Avi. Procedeva con sicurezza ma tastava il terreno prima di poggiarvi il piede con tutto il peso. Voleva arrivare al mare, non ne poteva più di quella schifosa terra umida che gli si infilava negli stivali. Forza, si disse, e accelerò un pochetto. O forse troppo?

Non riuscì a bloccarsi, camminavano su un piano troppo inclinato e la scivolata fu fatale; sbatté il sedere a terra violentemente e cominciò la sua inarrestabile discesa negli abissi. Nonostante tutto, ciò che più lo preoccupava era il fatto che cadendo si fosse trascinato dietro pure Kirstie, la quale urlava terrorizzata, tentando invano di aggrapparsi alle pareti sdrucciolevoli per rallentare la caduta. Tutto inutile: scivolarono sempre più in basso, per un tempo che ad entrambi sembrò eterno. A mano a mano che si infilavano sempre di più nell'oscurità, era sempre più forte il rumore dell'acqua, uno sciabordio tranquillo e vagamente rassicurante. "Se non altro, cadremo in acqua", disse Kevin, tentando di rassicurare Kirstie: non si sarebbero fatti del male. Le raccomandò di chiudersi il naso un istante prima di entrare in acqua: l'impatto sarebbe stato sicuramente molto forte. dovevano essere preparati al peggio e non farsi prendere dal panico ma nemmeno illudersi con false speranze.

L'acqua arrivò, e l'impatto fu violentissimo, tanto che per poco Kirstie non credette di affogare. Sentiva l'acqua nel naso, dato che la sua mano era stata sbalzata al suo ingresso in acqua, avvertiva tutto il peso della pressione sulle sue orecchie, muoveva le gambe senza sapere bene il perchè. Il suo pensiero per un attimo prese il via, se ne andò lontano, tornando a tempi passati non molto felici. Rivide suo padre ed il suo più caldo abbraccio, la sua barba che si sfregava contro la sua guancia bambina. Riprese per un attimo la mano alla sua balia, come faceva da bambina, la guardò bene, con le sue vene sporgenti. vide persino il viso tondo e gioviale di sua madre, che non vedeva da una decina d'anni... poi tutto quanto scomparve, ma soltanto per un secondo. O almeno, così le parve; quando tornò in sè comprese che era passato almeno qualche minuto. Kevin le stava tirando i capelli via dal viso, la aveva distesa su un terriccio bagnato e le teneva in su i piedi. Quando vide che lei riapriva gli occhi, ringraziò il cielo. Poi sorrise, e Kirstie penso che quel sorriso, così bianco a contrasto con la pelle scura, bagnato dall'acqua, fosse la cosa più bella e naturale del mondo.

La grotta era pervasa da una luce irreale. Kirstie era tornata in sè, poteva ragionare con più calma e forse l'acqua le aveva anche schiarito le idee. poteva concentrarsi su ciò che la circondava. Si trovavano in una grotta davvero enorme, non ne aveva mai viste di così spaziose. non riusciva bene a vedere cosa ci fosse addossato alla parete di fondo, essendo essa così lontana, ma le pareva di distinguere due grosse figure, una luminosa ed una in ombra. Era dalla prima che veniva sprigionata tutta quella luce: era così potente che arrivava fino a lei. Inoltre, una delle prime cose che la colpì fu il rumore di quella grotta. Vi era il solito sciabordare, le carezze dell'acqua alla roccia, ma c'era anche un costante e ripetitivo gocciolio. Dal soffitto precipitava un centinaio di gocce ogni secondo: una pioggia al chiuso. Non aveva mai visto nulla di simile, forse perchè mai era stata in un posto con così tanta umidità; faticava a respirare e non riusciva a chiudere la bocca per lo stupore. Era un luogo meraviglioso, ed anche Kevin lo pensava, a giudicare dal suo sguardo esterrefatto ed affascinato. decisero di muoversi verso la luce, magari era luce dell'esterno e avrebbero potuto trovare l'uscita dal labirinto. Kirstie non voleva essere la solita guastafeste, ma non si trovava d'accordo, anzi si rendeva conto di quanto fosse improponibile tale ipotesi. Anche ammesso che quella fosse luce del sole (impossibile a giudicare dalla tonalità chiara ed eterea), non era possibile che a quelle profondità vi fosse un'uscita. Certo, il palazzo era situato su una altura, ma per raggiungere quel luogo erano scesi davvero molto in profondità. Tacque comunque e seguì Kevin, che si era messo a nuotare in un perfetto e svelto stile verso la misteriosa fonte di luce.

Era così tanto che non nuotava, Kevin. Finalmente poteva lasciarsi avvolgere dalla sua più grande amica, dal suo più grande amore... dopo Diana, ovviamente. Ogni volta che immergeva il naso e ne faceva uscire qualche bolla d'aria, sentiva le carezze della sua dolce amante che si prendeva cura di lui e si immaginava un matrimonio con quell'elemento vitale. Controllò che Kirstie reggesse la velocità con la quale attraversava la gigantesca grotta e continuò a nuotare per un bel pezzo, tanto che ad un certo punto, abbassando la testa sott'acqua ed aprendo gli occhi malgrado il bruciore, realizzò quanto profonda fosse l'acqua. Cento metri?, stimò sul momento. Non ne aveva idea, ma ne era davvero colpito: in una grotta così tanta acqua non s'era mai vista. Si fermò soltanto quando fu abbastanza vicino alla figura luminosa da poterne distinguere la natura, da poterne ammirare la stazza e da potersi stupire per non aver compreso tutto all'inizio. Un'Udor. Come poteva essere stato così stupido da non capirlo subito?

"Che... razza di bestia è quella?", chiese Kirstie aggrappandosi con una mano alla spalla di Kevin, il quale non sembrava stanco quanto lei per la lunga nuotata. Kevin le rispose facendole segno di abbassare la voce e le raccontò tutto nell'orecchio, tenendo sotto controllo la creatura con un'occhio. "Sono le più antiche abitanti del mare. Sono delle creature nobilissime, forse le più pure della terra e del mare.. ma al tempo stesso sono le più pericolose. Amano chiunque in un modo così incondizionato che chiunque si sia sentito abbandonato almeno una volta nella sua vita ne rimane affascinato. Fatalmente affascinato: non è più in grado di fare altro che dondolarsi felicemente e fissare la creatura. E' davvero un triste destino il loro: portano alla morte tutto ciò che amano. Vivono nelle profondità, proprio per non incontrare nessuno. Se sai di esserti sentita abbandonata, ti prego di non guardarla negli occhi, le Udor hanno degli occhi meravigliosi e non riesci più a staccartene. Io ne ho già vista una un tempo, su di me non hanno effetto. Sono stato io ad abbandonare la mia famiglia, di conseguenza non ho mai provato quel sentimento. Un'ultima cosa: vedi quella luce? viene dall'interno del loro corpo: è la luce irraggiata dal loro cuore puro". Quando furono abbastanza vicini, Kirstie aprì gli occhi per guardarla, e non potè fare a meno di piangere. 

Era così bella, l'Udor. Se ne stava a gambe incrociate, stringendo i piedi tra le mani. La sua pelle era trasparente, tanto che le si potevano vedere le vene, i nervi, i capillari, le ossa sottili ed anch'esse trasparenti (probabilmente di cristallo)... ed il cuore. Una palla luminosa, un piccolo fuoco rotondo.. somigliava al sole, o almeno a quello che raccontavano del sole, dato che lei non sapeva com'era fatto, non avendolo mai visto. Era leggermente ricurva la sua schiena e le mani erano palmate, proprio quelle di una creatura che vive nel mare. I suoi capelli erano lunghissimi e le ricadevano sulla spalla sinistra, per arrivare fino a terra e coprire lo scoglio su cui era seduta. il naso non c'era, nemmeno la bocca ma si vedevano dei denti, di cristallo. Non aveva organi interni, nè polmoni nè intestino nè niente: per vivere evidentemente le bastava amare, e per amare le bastava un cuore. Kirstie fu tentata di guardarle gli occhi, ma si costrinse a posarsi delle mani sulle palpebre. Non era prudente rischiare. Strinse a sè il suo Canut, proteggendo anche lui dalla bestia così bella. Fu Kevin, però, a farle notare Scott e Mitch.

Sedevano imbambolati sullo scoglio accanto a quello dell'Udor, osservando entrambi un punto che pareva contenere l'intero universo. Kirstie voleva correre ad abbracciarli, le veniva da piangere: i due le sembravano davvero sinceramente ed incredibilmente felici. Appagati, bisognosi di nulla. Non sapeva come descrivere il sorriso di Scott, che poco aveva di diverso da quello di Mitch, incantato, affascinato, con tutti i denti fuori, proprio come quello di un bambino cui si racconta la storia più bella della sua vita. Ondeggiavano a tempo, si dondolavano avanti, indieto, indietro, avanti. Kirstie voleva la loro malinconica felicità, subito. Voleva anche lei sentirsi così avvolta e così amata... così seguì la traiettoria dello sguardo dei due e non potè credere a quello che vide.

Un mare così profondo non l'aveva mai visto. Un universo così cremoso, così avvolgente, così impastato, così incredibile... Un milione.. ma cosa diceva? Un miliardo di sfumature di blu convergevano verso la pupilla, del nero più scuro del buio della notte, più scuro del nulla... Ed un amore, così pieno ed a senso unico, così immenso ed intangibile nella sua altezza da investirla in pieno, da farla cadere in un limbo, dal quale non sarebbe più riuscita ad uscire.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Dal suo pensatoio, la Regina osservava ogni cosa. Oltre le mura della città, lontano, vicino alla linea dell'orizzonte, riusciva a scorgere le navi che si allontanavano trascinandosi dietro un presagio di morte, dirette al Regno di Nessuno. Sotto di lei, il giardino del Palazzo e la parte esterna del Labirinto Reale, che circondava i Giardini, nel quale non c'era ancora nessuno. Non vi era traccia dei Guerrieri, i quali evidentemente faticavano ad uscire dall'intricato e pericoloso Labirinto.
"Sei sicura di ciò che hai fatto?", chiese infine a Fiamma, lasciando intendere tutta la propria preoccupazione.
La ragazza di fuoco stava distesa su quel cristallo magico e fresco, tenendo i palmi delle mani sugli occhi. No, non era sicura di ciò che aveva fatto ed era più che evidente. 
"È l'unico modo per scoprire se sono davvero i Guerrieri. Non possiamo fidarci di loro senza avere una prova concreta della loro abilità."
Beatrice sapeva fin troppo bene che Fiamma aveva ragione... ma ciò non bastava a calmarla. Il colloquio che aveva avuto con la misteriosa ragazza dai capelli rossi il giorno prima l'aveva inquietata e non molto. Fiamma non aveva un piano, Fiamma non sapeva cosa fare. I Guerrieri erano rinchiusi in quella trappola pericolosissima, dalla quale soltanto lei sapeva uscire.

"Se non escono entro due ore, vado a cercarli". Non riusciva a crederci: si era fidata di quella ragazza, che aveva messo in pericolo tutti quanti, facendo credere di avere un piano, quando in realtà sapeva meno di tutti cosa fosse necessario fare. Beatrice era diversa, lei non avrebbe mai corso dei rischi così grossi. Essere regina significava anche quello: prendeva decisioni soltanto quando era sicura che i danni sarebbero stati meno dei vantaggi...

"Forse hai ragione", disse Fiamma, e nascose di nuovo il viso tra le mani. Si sentiva un'assassina e quella sensazione orribile l'avrebbe accompagnata per sempre, nel peggiore dei casi.

   

I cunicoli si facevano sempre più stretti in quel punto, ma il grosso drago sembrava ignorare questo fatto. Quando gli si presentavano degli ostacoli, la bestia emetteva un ruggito che faceva tremare la terra e crollare le pareti, sputava una fiammata in grado di incenerire un muro e proseguiva nel suo cammino. Dal canto suo, Avi lo guidava sicuro e fiducioso: il drago stava seguendo l'odore di uomo che li avrebbe portati fino agli altri ragazzi. In realtà, Avi aveva dovuto fare una decisione difficile, ma alla fine aveva deciso di cercare i suoi amici... Amici? Era davvero sicuro di poterli definire tali? Non lo sapeva... ma sentiva che il suo destino era legato a quello dei ragazzi e questo gli bastava. In più, se gli altri non fossero usciti da lì, sapeva che Fiamma si sarebbe sentita in colpa per sempre e lui non voleva che questo accadesse.  Il terreno era sempre più sdrucciolevole ed era illuminato da riflessi blu e verdi. Sentiva l'odore del mare e dello zolfo solleticargli il naso, una brezza strana pettinargli i capelli scuri, ormai sciolti nel vento. Sotto di sè sentiva il respiro leggermente affannato del maestoso drago, che si muoveva velocemente per quei cunicoli, facendosi strada come se li avesse già percorsi molte volte.

Kevin guardò Kirstie sconsolato: anche lei era caduta nella trappola involontaria dell'Udor. Che cosa poteva fare? Non avrebbe mai potuto liberare i ragazzi da quello sguardo incatenante. Se si erano sentiti in qualche momento della loro vita abbandonati, non c'erano speranze. Nessuno si era mai salvato dall'amore di un'Udor e Kevin si sentiva agghiacciato,incapace di agire. Come poteva salvare i suoi amici? Si sforzò di pensare. Se fosse stato al posto loro, nulla lo avrebbe scollato da quegli occhi che contenevano un universo d'amore, se non un altro universo d'amore, più grande.

Un'idea balenò nella sua mente. Sperò con tutto se stesso che funzionasse...

Si spostò nell'acqua con facilità, avvicinandosi a Kirstie, la quale si teneva ad uno scoglio e dondolava la testa imbambolata, con un viso quasi rotto dal pianto, commosso. I suoi capelli castani bagnati si erano incollati ai suoi zigomi leggermente sporgenti. Si concentrò, svuotò la mente da ogni altro pensiero. Per la prima volta, Kevin la guardò negli occhi da vicino. Il castano liquido delle sue iridi era un vulcano in eruzione: passione, intelligenza e calore uscivano in un flusso continuo. Kevin sentì un movimento negli abissi della propria anima... con una mano carezzò una guancia di Kirstie e spostò da lì una ciocca appiccicata. Con quella carezza, volle farle sentire tutto l'amore di cui era capace, tutto l'affetto possibile... Doveva sforzarsi di essere spontaneo, anche se quella era una situazione pianificata. Le sue dita tremavano, forse per l'agitazione, forse per l'emozione. Tra le mani, ora, aveva il viso di quella ragazza. Teneva tra le dita il volto di un angelo? No, era più simile a quello di una Dea della Saggezza. Doveva ammetterlo, Kirstie era davvero splendida. Si frappose tra lo sguardo di lei e quello dell'Udor, sperando di poterla superare nell'affetto. Kirstie lo guardava ma era come se il suo sguardo lo trapassasse ed arrivasse comunque a quello della creatura in adorazione... 

A quel punto, qualcosa di non pianificato avvenne. Una sorta di ciclone lo travolse, una mano invisibile lo spinse, i suoi occhi si chiusero. Ritrovò tra le sue labbra quelle di Kirstie... Fredde ed immobili, che non rispondevano. Poi... tutto ad un tratto, una scossa percorse il corpo di Kirstie e Kevin lo percepì. Lei sembrò travolta dalla passione, socchiuse le labbra e si lasciò inondare dalla passione di quel bacio. Le loro anime combaciarono, i loro pensieri entrarono in connessione, riuscirono a sentirsi senza dover parlare. Respiravano l'uno nel respiro dell'altro e volavano in quell'acqua, ormai ignari di qualsiasi altra cosa.

Kirstie aprì gli occhi, si attaccò con una mano alla pietra scivolosa ed umida dello scoglio. Che cosa stava succedendo? Il loro bacio si sciolse, un silenzio imbarazzato calò nella grotta. Nemmeno la pioggia al chiuso poteva interrompere quella situazione imbarazzante. Nessuno dei due sapeva esattamente come spiegare quella cosa. Kevin l'aveva baciata, Kirstie aveva risposto al bacio. Lo guardò con sguardo incerto ed interrogativo; aspettava spiegazioni.

"Io.. volevo soltanto salvarti. Scusami, mi sembrava l'unico modo per farlo"

Non sapeva cosa rispondere, non aveva idea di cosa dire... la sua mente era impazzita, le idee balzavano da una parte all'altra e non era in grado di pensare. Incredula, confusa, leggermente imbarazzata. Kevin era riuscito a salvarla, donandole più amore di quello che l'Udor era capace di darle. 

Ma come era possibile? Come aveva fatto?

Era stato sincero quel bacio? Era stato vero quell'amore?

Quelle stesse identiche domande stavano frullando nella testa di Kevin allo stesso modo, quando una grande luce irruppe  nella scena, distraendo tutti ed illuminando la grande grotta completamente. 

Avi apparve come un cavaliere a cavallo di un meraviglioso e potentissimo destriero. Le ali della bestia si spiegarono ed Avi si abbassò, fino a toccare con la barba il collo squamoso. Il drago strusciò con la schiena contro le pareti umide e prima che chiunque potesse rendersi conto di ciò che stava succedendo. 

"VAI!", urlò Avi, ed il drago allargò ancora di più le ali, per poter prendere di peso i due ragazzi imbambolati. Questi, scossi dallo stacco improvviso ed inaspettato, si ripresero. Non capivano dove fossero finiti, ma d'istinto si aggrapparono all'ala potente e maestosa dell'animale, tentando di raggiungerne il busto. Kirstie, spaventata e sfinita, si appese a Kevin: le gambe gli si irrigidirono per i crampi, era sfinita, non era sicura di poter affrontare uno sforzo finale. 

Kevin strinse il busto di Kirstie per sorreggerla con un braccio ed alzò la mano dell'altro, pronto a prendere quella di Avi, che si stava sporgendo per salvarli. Per un attimo, il tempo sembrò incespicare, quasi inciamparsi. Quel secondo durò più di un'eternità, il tempo di un respiro durò più di una vita... E la mano di Kevin afferrò con forza quella di Avi, si strinsero la mano come per sigillare un patto eterno. E forse era davvero così.

Il corpo dei due ragazzi immersi nell'acqua vennero sollevati dalla grande creatura e furono trasportati, in volo, fino ad un'imboccatura della grotta opposta a quella da cui erano entrati.

    

Dall'alto del Pensatoio, quando la Regina li vide uscire, non potè credere ai suoi occhi. Li vide emergere dalla grotta uno dopo l'altro, a ruota continua: Avi per primo, seguito da Scott e Mitch, Kevin e Kirstie a braccetto. Lei si teneva stretta un polpaccio: qualcosa non andava, si era fatta del male, ma sorrideva. Era felice, soddisfatta di essere uscita dalle viscere del Labirinto. Avi, invece, appariva ancora preoccupato. Il Labirinto non era ancora terminato: le grosse siepi non permettevano loro di intravedere l'uscita.

Beatrice dovette annunciare ad alta voce la loro uscita, perchè Fiamma stava ancora distesa a terra, in preda all'ansia ed ai sensi di colpa, gli occhi coperti dalle mani.

"Sono usciti!!"

Fiamma balzò in piedi, le mani nei capelli, gli occhi rossi ma luminosi.

"SONO VIVI! SONO GUERRIERI! SONO I GUERRIERI!"

Senza lasciare a Beatrice il tempo di dire altro, Fiamma produsse una luce enorme e sparì. Beatrice era colma di gioia. Ora per i Guerrieri uscire dal Labirinto sarebbe stato un gioco da ragazzi. Ciò che più però la rendeva soddisfatta e speranzosa era la consapevolezza di aver trovato i Guerrieri. Quei ragazzi avevano la stoffa, erano riusciti a cavarsela nel Labirinto senza mai averci messo piede prima.

Forse avrebbero davvero posto fine alla grande guerra. Forse avrebbero davvero riportato la Pace nel Regno delle Fenici. Si asciugò le lacrime e con il mento alto ed il sorriso fiducioso si infilò nella apertura quasi invisibile nel cristallo e cominciò a scendere le scale invisibili per tornare al Palazzo Reale. Una grande festa l'aspettava, una nuova e ancor più potente speranza le disegnava un'espressione dolce, soddisfatta e felice su quel volto da regina.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Il cielo non era mai parso loro più chiaro, pur essendo grigio e cupo. Erano tutti e cinque accasciati a terra, troppo stanchi per poter dire qualsiasi cosa, ma non abbastanza da non poter sorridere per la gioia.

In quel momento, tutti insieme, vicini e sollevati per essere riusciti a venire fuori dal labirinto, si resero conto di qualcosa che ancora nessuno di loro aveva mai realizzato.

Erano davvero i Guerrieri. Avevano avuto successo in quell'impresa ed orali aspettava una battaglia. Il loro destino era quello di far deporre le armi ai guerrieri di entrambi i fronti. Provenivano dal Regno di Nessuno, tutti quanti, eppure sentirono nella loro intimità di voler combattere, di dover combattere per la regina del Regno delle Fenici.

Assieme erano usciti dal Labirinto, assieme ce l'avrebbero fatta ad uscire dalla guerra.

Tutti avevano lo stesso sorriso soddisfatto e questo pensiero ballava nelle menti di ognuno di loro allo stesso modo. Tuttavia, ognuno covava le sue tenere ed intime speranze... o preoccupazioni.

Scott si chiedeva già come avrebbero fatto a ritrovare i petali di cristallo,impaziente di rivedere il sorriso compiaciuto della sua regina; Mitch rivolse un pensiero a Tori. Era guarita? Era ancora nel suo letto? Voleva soltanto tornare in Infermeria ed accoccolarsi in una poltrona. Avi carezzò il dorso del drago bellissimo e lo salutò per un'ultima volta, prima che, ubbidiente si rinfilasse nella grotta e tornasse a fare la guardia agli abissi del Palazzo Reale. Nella sua mente vorticava solo un pensiero: Fiamma sapeva che erano usciti? Li aveva visti? Con la testa si guardava intorno, ma non vedeva punti di osservazione, soltanto i volti sconvolti ed esausti degli altri. Lo colpirono particolarmente le espressioni di Kirstie e Kevin. Sembravano meno felici di tutti gli altri; o almeno, più pensierosi. Probabilmente, erano ancora perplessi. Sembrava difficile credere al fatto che quello non fosse tutto un meraviglioso e glorioso sogno.


Il tempo della lotta era arrivato. Le navi di entrambi i fronti avevano raggiunto il luogo prefissato per la battaglia. I due schierament ierano stati disposti secondo i piani. La colonia di Eutalassa, un tempo un mosaico di casette e piccoli castelli che si versava per la vallata verso il mare, era più simile ad un inferno che ad una città ora. Le strade erano deserte, tutti erano fuggiti o divenuti prigionieri. Altri erano ancora nascosti nella parte sotterranea della città, costruita dagli antenati fondatori, altri invece giacevano morti sui pavimenti neri di fuliggine delle case, in pozze di sangue. I tetti in fiamme delle abitazioni più vicine alla spiaggia gettavano delle ombre lunghissime sui velieri del Regno di Nessuno, le cui vele si gonfiavano leggermente per il vento contrario.

La flotta ausiliaria del Regno delle Fenici attendeva soltanto che il nemico attaccasse. Generalmente, i capitani feniciani preferivano aspettare che i nemici attaccassero, per poter studiare la loro strategia e decidere in modo astuto quella migliore da adottare per batterli.

Quel giorno, però, l'attesa era snervante. I nemici sembravano esitare,non parevano pronti ad attaccare... eppure l'atmosfera era tesissima.Un fiammifero, se posto in un qualsiasi punto dello spazio tra i due schieramenti, avrebbe potuto accendersi da solo. Sembrava che i soldati del Regno di Nessuno fossero acquattati ovunque, non solo nelle navi... era come se un'imboscata fosse stata predisposta. Evidentemente, aspettavano soltanto il segnale di inizio.

I soldati cominciavano a percepire la tensione, che sembrava strizzarsi nelle loro menti e far cadere dalla loro fronte tante gocce di sudore. La paura li costringeva a rimanere con i muscoli contratti, a non perdere la concentrazione nemmeno un attimo.

Tra le file degli arcieri di Tori, sistemati strategicamente sul ponte,nascosti all'occhio del nemico, l'assenza del generale si faceva sentire. Tori era sempre in grado, con il suo fisico forte ed atletico, di infondere una certa sicurezza, che quel giorno indubbiamente mancava. I loro archi erano tesi, le braccia dolevano,ma nessuno cedeva. Erano stati addestrati a rimanere anche delle ore in quella posizione di tensione; il loro compito era quello di colpire con le frecce i nemici quando meno se lo aspettavano, nel momento in cui il nemico compiva mosse incaute o azzardate.

Quella mattina erano giunte notizie del generale: stava bene e si sarebbe ripresa in breve tempo. Nonostante ciò, i combattenti non erano in grado di sentirsi del tutto sicuri. Stavano per combattere una battaglia molto significativa, che avrebbe potuto segnare una svolta nella guerra eterna... Non erano certi di poter vincere quello scontro, senza la loro amata guida.


Scott fu il primo a rialzarsi, animato dall'impazienza.

"Amici miei, ce l'abbiamo quasi fatta. Ora dobbiamo trovare i petali di cristallo.. oppure l'uscita del Labirinto"

Kirstie fece notare che il metodo che avevano applicato nei meandri bui del Palazzo non poteva funzionare in quella prigione di siepi. Bisognava avere prima una vaga idea di dove si trovassero. O almeno dovevano riuscire a comprendere in che modo funzionasse quell'intrico di sentieri erbosi.

"Le siepi sono altissime", evidenziò Avi. Rimpianse di non aver fermato il drago, per un attimo, ma poi si rese conto che, anche se avesse tentato di trattenerlo, quello sarebbe tornato nella sua grotta comunque, dato che era stato addestrato per proteggere quella parte delle terre reali.

"Non si riesce a vedere nulla a parte il cielo e le nuvole", aggiunse infine Kevin, condividendo la preoccupazione dell'addestratore di draghi, che cominciava a guardare con occhi diversi. Se prima aveva pensato fosse egoista, la sua idea, dopo il salvataggio con il drago,era cambiata drasticamente.

"Potrei provare ad arrampicarmi", suggerì a quel punto Scott. Tutti si voltarono con la stessa espressione interdetta sul volto. Era davvero convinto di voler tentare qualcosa di così pericoloso?

"Sei sicuro di volerlo fare? Fino a prova contraria, tu non conosci le Leggi del Volo. E, soprattutto, se cadi ti spacchi la testa in due."

Kirstie era sempre molto schietta e se sentiva il dovere di dire il proprio pensiero lo faceva in modo molto crudo ed essenziale. Nonostante ciò,Scott sembrò intenzionato a non demordere. Aveva passato l'infanzia ad arrampicarsi ovunque nel Regno di Nessuno ed era entrato nel corpo di guardia soltanto perchè sapeva che lo avrebbero obbligato a stare tutto il giorno sulla Torre di Vedetta. Era innamorato dell'altezza,amava vedere tutte le cose dall'alto e, più di tutto, desiderava con tutto il cuore imparare a volare.

Fin da bambino aveva sempre tenuto nascoste delle ali segrete che non aveva mai imparato a spiegare. Ora che era nel Regno delle Fenici,sperava di imparare le Leggi del Volo, dato che vi erano ancora alcuni veterani tra i guerrieri che sapevano come usarle.

"Ne sono più che sicuro e fidati: non cadrò"

Senza esitare ulteriormente, infilò le mani nelle foglie delle siepi,trovò i rami più grossi e solidi e cominciò la sua scalata verso il cielo, che sembrava allo stesso tempo vicinissimo ed irraggiungibile. Sentiva gli occhi di tutti quanti addosso e sperò di poter contare sulla forza delle sue braccia e delle sue gambe. Effettivamente, cominciava a sentirsi un pelo stanco. Ciononostante continuò a salire e man mano che l'altezza aumentava si sentì,come al solito, sempre più libero e leggero.

Lo videro raggiungere la sommità di quel muro di siepi e non riuscirono a trattenere un'esclamazione di ammirazione. Erano stupiti: nessuno di loro aveva mai visto una cosa simile. Era troppo alto per poter leggere la sua espressione, ma percepirono tutti la sua esultanza.Poi, lo videro fare qualcosa di imprevisto ed estremamente pericoloso... sistemando i piedi nei punti giusti e tenendosi con le mani ai rami più alti, il guerriero cominciò a camminare sulla sommità del muro frondoso.

"Che diavolo sta facendo?", chiese Avi, sconvolto. Temeva potesse cadere e farsi del male, mandando all'aria tutta la fatica che avevano fatto fino a quel momento.

"Non lo so, ma non mi piace per nulla", rispose Kirstie, tenendosi la gamba con le mani. Il dolore cominciava a farsi sentire e non poco... Non sapeva come avrebbe fatto ad uscire da quel labirinto con una gamba fuori uso. Mitch se ne accorse immediatamente e le si avvicinò per controllarle il polpaccio, ignorando le sue lamentele.

"Il muscolo è contratto e non riesce a rilassarsi - disse lui tastando in modo esperto - quindi ti fa malissimo. Mi lasci fare una cosa alla tua gamba?"

Kirstie accettò, rassegnata, comprendendo di non poter pensare di arrangiarsi da sola in quella situazione. Chiuse gli occhi e si morse il labbro,quando il ragazzo massaggiò con forza il suo polpaccio, causandole un dolore bruciante che mai aveva provato... un ultimo,fastidiosissimo movimento, ed il dolore sparì, con la stessa velocità con cui era arrivato.

"Mitch, sei magico. Come hai fatto?"

Non fece in tempo a risponderle, che un rumore lontanissimo li distrasse.Sembrava molto alto e molto lontano, un rumore acuto... forse un fischio? Olaf, che fino a quel momento era rimasto accovacciato,impaurito e tremante, si risvegliò di scatto. Alzò le orecchie, le girò in avanti... poi sollevò il muso bianco nonostante il pelo bagnato e cominciò ad abbaiare, ringhiando, scuotendo la cosa e piegando le zampe davanti.

"Che succede Olaf? Cosa hai sentito?", domandò Kirstie interdetta, come se il Canut potesse risponderle. Kevin suggerì di lasciarlo andare e di seguirlo: secondo lui li avrebbe portati sulla strada giusta.

Seguirono il loro amico candido, che correva fin troppo velocemente.Cominciarono tutti ad ansimare dopo poco tempo, ma nessuno osò rallentare: se avessero mollato, avrebbero perso il gruppo e avrebbero potuto non ritrovarlo più...

I sentieri del Labirinto erano sempre più stretti ed articolati, si intrecciavano tra loro e si avvolgevano in loro stessi. Nella testa di tutti vorticava lo stesso pensiero; speravano di uscire da quel maledetto labirinto il prima possibile. Avi stava davanti a tutti,essendo il più allenato tra tutti quanti nella corsa. Non doveva perdere di vista l'animale e sentiva una grandissima responsabilità gravargli sulle spalle. Il sudore gli scendeva fastidiosamente dalla fronte sul naso e il suo respiro tentava invano di stabilizzarsi. Se avesse mollato, non avrebbe mai trovato il coraggio di perdonarsi o,peggio, di guardare in faccia Fiamma di nuovo.

Kirstie correva, tenendo stretta la mano che Mitch le aveva porto. Questi,infatti, temeva che il dolore alla gamba potesse coglierla da un momento all'altro: nessuno doveva essere lasciato indietro,altrimenti sarebbe stato impossibile ritrovarlo.

Kevin stava in fondo al gruppo, tentando di tenere sotto controllo tutta la situazione. Stava con i sensi all'erta: temeva potesse succedere qualcosa. Dopo la caduta di Avi nella parte interna del Labirinto,aveva giurato a se stesso di non abbassare mai la guardia, in nessuna occasione, per nulla al mondo.

L'animale, affannato, si bloccò di colpo dopo almeno una decina di minuti di instancabile corsa. Avi riuscì a scavalcarlo e a non travolgerlo soltanto per miracolo. Si bloccarono tutti, senza fiato, incapaci di pronunciare una sola parola. Olaf abbaiava impazzito: evidentemente vedeva qualcosa di cui loro non si erano ancora accorti, e che non fecero nemmeno in tempo a notare. Sentirono una voce familiare sopra le loro teste: Scott stava in piedi su due rami che sembravano non spezzarsi soltanto per miracolo.



"Ragazzi, al volo!", urlò con tutto il fiato che aveva in gola, e nonostante ciò la voce arrivò molto debole. Senza che loro se ne fossero accorti, un vento forte si era alzato ed aveva cominciato a sibilare passando tra le foglie delle folte ed altissime siepi. Che diavolo stava succedendo? Una pioggia di riflessi cadde su di loro, come migliaia di scintille lucenti. Poi, la terra che avevano sotto i piedi cominciò a girare su se stessa, roteare, sollevarsi; minacciava d'aprirsi. Infine, come se un'onda li avesse travolti, si sentirono senza fiato, il respiro morì loro in gola. Dopodiché, di loro nel labirinto non rimase traccia, se non le orme dei loro piedi sull'erba morbida e fresca.

Il segnale dell'inizio della battaglia fu chiaro ad entrambi gli schieramenti. La flotta del Regno di Nessuno fece squillare le trombe tre volte. Le frecce scoccarono assieme alle sonore, fendendo l'aria ed il tempo. L'ennesima battaglia era cominciata. La storia sembrava ripetersi: le stesse dinamiche di ogni maledetta volta. Il segnale aveva dato il via alla battaglia, i due schieramenti si sarebbero fronteggiati senza alcuna vittoria nè sconfitta vera e propria. Poi, si sarebbero ritirate trascinando via quei pochi feriti le cui vite potevano ancora essere salvate e rimesse a nuovo, per una nuova, sanguinolenta battaglia.



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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


La sabbia tra le sue mani era piacevolmente fresca. Un'atmosfera di tranquillità la avvolgeva: la spiaggia bianca sotto i suoi piedi nudi la abbacinava con i suoi riflessi, il mare produceva una ninna nanna al sapore di sale. L'aria era pervasa dal profumo di vegetazione bagnata, appena uscita dalla doccia di rugiada del mattino. Il cielo era grigio come al solito, ma c'era qualcosa tra quegli addensamenti di cenere che mai aveva visto prima. Sotto la coperta di nubi brillava più forte la luce del sole, forte e calda come mai lo era stata prima d'allora. Lei era serena, sentiva una strana sensazione di calma scorrerle nelle vene assieme al sangue ed al coraggio. Sembrava una droga estremamente salutare e piacevole. Una droga della quale le era stata somministrata soltanto una piccola drose ma che, immaginava, di lì a poco le avrebbe creato una fortissima crisi di astinenza. Quella droga era la pace. Era il meraviglioso senso di pace.

Tori si svegliò e la prima cosa che fece fu sorridere a quei meravigliosi rimasugli di sogno che ancora brillavano nella sua mente. Non sapeva per quale motivo, ma sentiva una dolcezza inspiegabile dentro di sè. Sentiva il battito del proprio cuore, pacato e senza fretta, sentiva un aroma di menta. Era in Infermeria ed il suo corpo godeva del pieno vigore, ora. Si alzò e con gioia si rese conto che qualcuno le aveva lasciato degli abiti puliti sulla sedia, piegati per bene. Chiunque fosse stato, doveva conoscerla bene: si trattava di un paio di pantaloni scuri, comodi ed una blusa bianca da uomo. L'abbigliamento perfetto per il generale Tori.

Non sapendo bene dove dirigersi, decise di andare direttamente nelle stanze della Regina, alle quali aveva sempre accesso, essendo lei incaricata di informarla sulle dinamiche di ogni battaglia, in ogni ora del giorno e della notte. Percorrendo i corridoi del Palazzo tentò di ricostruire ciò che aveva vissuto. Si ricordava un'onda, una battaglia con l'acqua, un respiro mancato. Dalle finestre dell'edificio osservò la luce purpurea del tramonto soppresso dalle ceneri del cielo. Chissà se era vero quello che dicevano del sole: alcuni sostenevano fosse così brillante da poter accecare chiunque tentasse di sostenere lo sguardo al suo cospetto. Era davvero curiosa.

Tutto si sarebbe aspettata dal suo ingresso nella stanza della Regina tranne quello che vide.

La Regina, innanzitutto, aveva gli occhi lucidi ma cercava di mantenere un contegno e trattenere le lacrime di gioia. Il suo volto era talmente illuminato che avrebbe potuto illuminare la strada ad un viaggiatore errante di notte. Attorno a lei, cinque ragazzi si scambiavano occhiate di orgoglio, intesa, migliaia di parole sottintese riecheggiavano nel silenzio commosso di quella stanza. Fiamma osservava tutto da un angolo, con un'espressione a metà tra il sollievo e la disperazione. Tori continuava a non capire... finchè un ragazzo moro e leggermente esile non la notò.

"Tori, come stai?"

Mitch la abbracciò felice, nonostante lei non riuscisse a capire. Sembrava vagamente scocciata e perplessa: chi era tutta quella gente? Che diavolo stavano festeggiando tutti quanti? Si sentì gli occhi di tutti addosso: era una cosa che la metteva a disagio. Odiava essere studiata, odiava dover affrontare l'analisi di persone che non conosceva. 

Poi, per un attimo, vide i suoi occhi e il tempo sembrò inciampare su un sasso del suo passato.

Il colore di quelle iridi era complicato ma piacevole. Un verde maturo, che tendeva al castano. Dello stesso colore delle foglie che, d'autunno, dal verde vigoroso virano all'oro e poi al castano più maturo. E quella luce, quella fiamma sommessa, sempre sul punto di incendiare quelle foglie... Quello sguardo la colpì come uno schiaffo inaspettato da un amico che ti sorride. Quella mascella sporca di barba fece sussultare il suo cuore, facendo balzare fuori dal suo petto una sensazione che mai aveva provato nella sua vita. Quel viso le era irrimediabilmente familiare. Sentiva il peso di ricordi che non aveva mai visto nel cuore e detestava la propria incapacità di decodificare o di decifrare quelle emozioni,quelle immagini mai viste ed al tempo stesso conosciute che insistevano nella sua mente.

Durò tutto meno di un attimo. Beatrice pensò bene di prenderla da parte e di spiegarle tutto l'accaduto. La prese sottobraccio e la condusse verso una delle poltrone accomodate di fronte al camino. Scott e Mitch le seguirono. Avrebbero potuto fornire alcuni dettagli in più ed avrebbero ascoltato la storia che Tori aveva da raccontare. Lei,dal canto suo, troppo sconvolta da quegli occhi per potersi opporre,si lasciò trascinare davanti al fuoco acceso e immergere in chiacchiere e racconti. 

Avi non sapeva cosa pensare. Era scosso, agitato. Che diavolo gli era successo? Gli era bastato incontrare gli occhi penetranti di Tori per sentire un destabilizzante vortice di emozioni dentro di sé. Un fiume di immagini si era riversato dentro di lui. Sentiva l'anima bagnata di ricordi di devastante tristezza che riguardavano un passato del quale ricordava poco o niente. Ma chi era quella ragazza?La risposta non era facile, dal momento che in realtà non sapeva nemmeno la propria identità. I suoi ricordi arrivavano fino agli undici anni. Poi, nella sua memoria stava una sconcertante nuvola di incertezza, vuoto.

Eppure,in quegli attimi, aveva sentito la presenza di un passato.

Senza dire nulla, scrollò le spalle e sperò di tornare in sé... ma, non riuscendoci, sentì un forte bisogno di aria. Lasciò alle sue spalle la gioiosa stanza ed uscì nella sera fresca.

 

Il mondo gli era sempre sembrato troppo grande per lui. C'erano troppe cose che non conosceva, tanti pericoli in agguato, ma anche tante meraviglie che non riusciva nemmeno ad immaginare. In tutta quell'immensità si sentiva piccolo e sperduto, soprattutto se ripensava al suo inesistente passato. Era come una pianta cresciuta troppo e senza radici. Avi si sentiva vulnerabile. Avrebbe potuto cedere per un colpo di vento, se questo avesse tirato dal lato giusto. Era in equilibrio precario sulla propria vita, solo.

Uno spostamento d'aria catturò la sua attenzione e poco dopo, accanto a sé, con i gomiti poggiati sul parapetto del piccolo balcone, apparve Fiamma. I suoi ricci, alla luce del tramonto, parevano infuocati.   I suoi occhi erano smeraldi gettati in un fuoco, scintillanti, ardenti.

"Dovresti essere contento, ora. Sei uscito vivo dal Labirinto, sei un Guerriero. Il tuo destino è la gloria."

Avi,poiché non conosceva modestia, avendo lui sempre vissuto da solo in tutti quegli anni, non esitò a darle ragione in cuor suo.

"Se è per questo, ho pure ammansito il drago più grande e maestoso che io abbia mai visto finora. Ed ho salvato la vita dei ragazzi."

Fiamma sorrise. Il suo approccio estremamente realista e senza troppe false modestie o ipocrisie le piaceva. Era molto simile a lei in questo.

"E allora, perchè hai il volto di uno che ha appena visto un morto?"

Lui carezzò la barba ispida e le guance sporche di fuliggine. Aveva indubbiamente bisogno di un bagno, ma quello era l'ultimo dei suoi pensieri.

"Perchè ho visto un morto, in realtà."

Interdetta dalla risposta, gli rivolse un'espressione interrogativa. Non comprendeva bene che cosa gli passasse per la mente, ma Fiamma lo capiva. Lei si sentiva sempre così: esclusa dal mondo, rifiutata dalla natura, reclusa dalla verità. Era come se sentisse di appartenere ad un'altra stirpe, ad un popolo che ormai non esisteva più...

"Ho visto il cadavere del mio passato. Non ho una storia, non ho radici.Non ricordo nulla di ciò che è successo prima dei miei undici anni... mi sono svegliato, un giorno, in un bosco. Quella è stata lamia nascita. Sapevo solo il mio nome, la mia età e null'altro. Sapevo soltanto di non avere più né una famiglia, né dei ricordi,né un futuro. Poi ho affrontato il mio primo drago, da solo nel bosco. L'ho battuto, lui si è piegato in segno di rispetto. E da lì comincia la mia vita."

Fiamma non sapeva cosa dire. Qualcosa in lui, evidentemente, era stato smosso e i ricordi avevano sollevato una sottile polvere in lui. Più che curiosa, si chiese cosa fosse accaduto all'Avi di undici anni per finire solo in un bosco.

Non riusciva a trovare risposte, perciò fece ciò che più le sembrò opportuno.

Gli posò una mano sulla spalla e, senza dire nulla, gli fece sapere che ogni cosa , in questo universo, ha una spiegazione. E come tutti,anche lui, a tempo debito, avrebbe ricevuto le risposte che cercava.









 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Sembravano i volti di due guerrieri pronti a fronteggiarsi in un duello epico, i due schieramenti di navi. La disposizione iniziale non era cambiata di molto: nessuna delle due parti aveva ottenuto un vantaggio significativo rispetto all'altra. La sera aveva gradualmente allungato le ombre degli uomini a bordo dei vascelli da guerra, offrendo loro qualche riparo in più agli occhi degli arcieri. 
La situazione di stallo appesantiva l'aria e tutti sentivano il bisogno di una svolta, positiva o negativa che fosse. 
L'uomo incappucciato si fece spazio nella cabina sottocoperta della nave più grande e terrificante della flotta di Nessuno. Calciò le cianfrusaglie cadute a terra e si avvicinò al comandante. Lo prese per il collo della divisa che portava e lo sollevò di peso. 
"Razza di incompetente, avevi detto che in meno di un'ora avremmo avuto la vittoria in pugno!"
L'uomo era stato colto alla sprovvista e lasciò cadere la matita che teneva in mano e che aveva usato per scrivere il piano di salvataggio dell'azione.
"Generale, ho fatto del mio meglio... il problema è che la regina ha cambiato tattica e noi..."
Le labbra sottili e nascoste dalla barba grigia si strinsero e la mascella dell'uomo si serrò. I suoi occhi presero fuoco per l'ira e urlò più forte che mai, sputando la sua rabbia assieme alla saliva.
"Se osi chiamarla di nuovo regina ti ammazzo! Cane, vedi di risolvere questo problema o finirai per pregare di essere trattato come un animale, tanto dura sarà la punizione che ti aspetta. Sono stato chiaro?"
Tremando, l'uomo indietreggiò fino a toccare la parete con la schiena. Poi scappò a gambe levate verso la stiva, dove ordinò freneticamente alla guardia di liberare i draghi. 


Un temporale di ruggiti fece tremare le case e crollare le macerie di quelle in fiamme. Un'onda di terrore invase il giovane Arthem: quella battaglia gli era capitata quasi per sbaglio. Non si sentiva pronto, non sapeva che fare ed i suoi guerrieri (o meglio, i guerrieri del generale Tori che lui si era trovato a dirigere in attesa della sua guarigione) percepivano il suo terrore. Quando vide i draghi il suo cuore smise di battere ed il suo respiro gli si spense in gola. I draghi non erano nei suoi piani. Non aveva previsto nulla del genere ed il panico gli paralizzò gli arti quando vide le meravigliose e spaventose bestie innalzarsi nel cielo cinereo e sbattere le possenti ali con dei colpi talmente forti da poter smuovere le nubi bigie. 
"E ora?", chiese qualcuno dei guerrieri. Non aveva la risposta pronta, aveva solo un forte senso di impotenza che avrebbe volentieri buttato fuori sotto forma di lacrime.
Ma i guerrieri non piangono, tanto meno sul campo di battaglia... perciò si riscosse e prese a pensare freneticamente. Le frecce non sarebbero servite a nulla contro le squame impenetrabili delle bestie; quelle infuocate poi erano altrettanto inutili in confronto alle loro fiammate poderose e bollenti. Che cosa doveva fare? La catapulta avrebbe potuto abbatterne uno, ma non avrebbero mai avuto abbastanza tempo per ricaricarla e colpire gli altri prima che li attaccassero. Intanto, le loro ombre incombevano minacciose come quelle di corvi giganti. Un presagio di morte e sconfitta si sollevò con le ceneri delle case incendiate. 

 

Il generale Tori sedeva con la compagnia in tranquillità. Soltanto una inquietudine di fondo dovuta a quel ragazzo, Avi, la disturbava... ma non abbastanza da non potersi godere quel pasto meraviglioso. Le bevande dolci e il cibo squisito, le posate luccicanti, le gote colorite dei commensali, quei cinque ragazzi meravigliosi... Li aveva conosciuti soltanto poche ore prima eppure si sentiva a suo agio tra quelle chiacchiere simpatiche. 
Mitch, il ragazzo che l'aveva salvata, le sembrava particolarmente simpatico e ascoltava rapita la sua storia, il cui racconto stava deliziando tutti quanti. Era in cerca della Cura, la combinazione perfetta di tutte le essenze, il medicinale per tutti i mali, sia dell'anima sia del corpo. Era estasiata: una cosa del genere avrebbe potuto salvare tantissimi dei suoi guerrieri... 
I suoi guerrieri.
D'un tratto mollò le posate e spostò la sedia dal tavolo.
"Con permesso", sussurrò, ed uscì dalla stanza. 
Beatrice, bella come il sole anche quella sera, si alzò nello stesso identico modo e la seguì. 
Fuori dalla sala da pranzo, Tori sembrò prendere vigore improvvisamente. Certamente il farmaco che le aveva somministrato Mitch era potente: dopo così poco tempo pareva quasi pronta a combattere...
"Dove sono i miei guerrieri?"
Beatrice esitò, poi decise di darle la notizia. 
"A liberare Eutalassa."
Tori fu presa da un moto di impazienza, difficilmente riusciva a controllarsi. 
"Devo andare da loro", disse infine con un tono che poco celava la sua urgenza.
"Ma... ti sei appena ripresa. Sei sicura di voler già tornare in campo?"
"Devo. E al più presto... ho un bruttissimo presentimento. E, per di più, ho paura per Arthem... È la prima volta che va in campo come comandante e ho paura si trovi in pericolo."
Beatrice non ne era così convinta eppure non poteva rinchiuderla nel castello.
"Sei sicura di non voler aspettare che i Guerrieri siano addestrati? Non ci vorrà molto. Stimo più o meno due giorni..."
Tori inorridì: era troppo.
"Potrebbero essere già tutti morti"
Beatrice tentò nuovamente di supplicarla, ma invano.
"Devo andare. Hanno bisogno di me, ho paura che possa succedere qualcosa di grave.. e non riuscirei a perdonarmi se questo dovesse accadere."
Così disse, e la regina non poté far altro che accompagnarla al porto, ordinando che lei fosse scortata fino ad Eutalassa immediatamente. Partendo subito, sarebbe arrivata alla colonia il mattino seguente, con il vento favorevole. Si salutarono nell'oscurità e Beatrice seguì la sagoma elegante della nave finché di questa non fu altro che un puntino...


Nella sala si chiesero tutti cosa fosse successo, ma prima che i ragazzi cominciassero a fare confusione Fiamma prese in mano la situazione. 
"Scusate", disse. 
Nessuno si curò di ascoltarla... 
"Silenzio!!", sbottò. 
Allora tutti tacquero, per sentire cosa volesse dire, un po' intimiditi. È tanto dolce nell'aspetto, pensò Avi, ma dentro può esplodere.
"Questa sera dopo cena siete liberi, ma sarà l'ultima sera libera che avrete, per un bel po'. Da domattina all'alba comincia il vostro addestramento. Vi aspetto nella Sala delle Rose al sorgere del sole. Ho ordinato di portare nel vostro dormitorio le divise dei guerrieri del Regno delle Fenici: se girate con questi abiti in città potrebbero scambiarvi per nemici".


Il giardino di notte era illuminato da alcune lanterne posizionate in punti strategici. Il buio era pesantissimo e non si vedevano le stelle oltre la coltre di cenere nel cielo. Tuttavia, la magia della notte era percepibile anche nel Regno delle Fenici. L'oscurità più assoluta faceva sentire gli individui soli in una realtà immensamente più grande. Il silenzio della natura, con il concerto degli uccelli notturni e gli ululati straziati dei lupi alla luna, era rotto soltanto dai rumori lontani di qualche battaglia. Per il resto, regnava una quieta e assorta inquietudine: anche un paradiso come il Regno delle Fenici poteva diventare un inferno, una volta calate le tenebre.
I Cinque Guerrieri erano lì, assieme: per la prima volta, si trovavano uniti senza la necessità di esserlo. 
"Strano essere qui, non pensate?", domandò Mitch.
"Lo è eccome - rispose Scott - considerando quello che eravamo prima".
Kirstie si massaggiava la caviglia, pensando agli strani avvenimenti di quei due giorni. Sembrava trascorsa un'eternità, invece si trovavano lì soltanto da meno di una settimana. 
"Vi siete mai chiesti come sia possibile che proprio noi siamo i famosi Guerrieri? Insomma... l'unica cosa che ci accomuna è la nostra origine: nessuno di noi è nato in questo regno. Eppure, siamo destinati a salvarlo. Non sembra uno scherzo del destino?"
Avi scosse la testa con un sorriso cinico. 
"Il destino non esiste. O, se esiste, non segue alcuna logica."
Kevin era d'accordo con lui. La sua vita gli aveva imposto di rinunciare alle cose che più amava.
"Ho passato la mia vita in mare per tenere lontano dalla ragazza che amo un mio segreto. Ed il mio segreto è che la amo. Se ci fosse un destino sensato, ora forse non sarei qui..."
Kirstie alzò gli occhi al cielo, facendo ondeggiare i suoi capelli castani. 
"È proprio questo il tuo errore! Forse se il tuo destino fosse stato rimanere con lei, ora non saresti qui."
Nessuno riusciva a trovare una spiegazione logica, e forse quell'essere vicini ed indifesi li rendeva ancora più uniti.
"Ragazzi, non importa che cosa succederà. L'importante è cercare di farcela insieme". La voce di Scott risuonò come una promessa. Ci sarò per voi, sembrava dire.
"Anche se non vi conosco... non siete male".
All'affermazione di Avi, tutti scoppiarono a ridere.
"Lo prenderemo come un complimento", disse Kevin, che aveva cominciato a capire il modo di ragionare dell'allevatore di draghi. 
"E dopo questi sentimentalismi, se non vi dispiace, io mi ritirerei".
Seguirono tutti l'esempio di Mitch e si diressero verso il dormitorio.
Prima di entrare nel palazzo, Avi si voltò per guardare ancora una volta la notte e l'oscurità... l'occhio gli cadde su una finestra del palazzo, in alto: l'ultima dell'ultimo piano, accanto alla torre. L'unica con la luce ancora accesa; si intravedeva una figura affaccendata muoversi avanti ed indietro. Avi era sicuro che fosse Fiamma ed in cuor suo si augurò che pure lei dormisse un po' quella notte.

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


C'era un solo dato di fatto: i draghi erano sopra di loro e avrebbero attaccato. Non avevano un piano di difesa, né una via di salvezza. Come potevano combattere delle bestie del genere? A terra avrebbero potuto sfruttare le catapulte, ma a bordo di una nave era impossibile. 
Dovevano scappare, e in fretta.
Arthem avrebbe preferito combattere ed abbattere i draghi ma capiva comprendeva di non avere speranze e il dovere di un comandate era anche quello di saper distinguere il coraggio dalle azioni sconsiderate. 
Dunque non rimaneva che scappare. Ma come?
Se fossero scappati con la nave, i draghi avrebbero impiegato pochi secondi a sputare una fiammata e a far bruciare il vascello. E se fossero scappati dalla nave sarebbero stati il bersaglio perfetto per gli arcieri di Nessuno. 
"Che cosa facciamo, Arthem? Pensavamo avessero mandato a morire tutti i draghi nell'ultima battaglia"
Arthem passò una mano sui capelli cortissimi e tentò di non perdere la concentrazione. Aveva un corpo robusto e controllato, un viso deciso e segnato dalle battaglie ma in realtà il suo cuore era quello di un giovane non del tutto cresciuto. Non era pronto per una cosa del genere e stava sull'orlo di una crisi di nervi. 
L'unica soluzione era scappare.
Senza perdere il controllo e cercando di sfruttare al meglio tutto il tempo che aveva, Arthem ordinò di spegnere le lanterne che illuminavano la nave.
Ordinò ai suoi soldati di radunare tutta la ciurma sottocoperta e nella stiva... aveva un'idea: folle, ma pur sempre un'idea.

La Residenza del Re di Nessuno era un luogo su cui si era fantasticato molto. Alcuni dicevano fosse il luogo dove venivano nascosti tutti quelli che si ribellavano o non rispettavano le leggi ed erano costretti a lavorare come schiavi per il Re. Altri invece pensavano fosse vuoto e che il re fosse un'invenzione di un gruppo di persone per indirizzare tutto il malcontento verso qualcuno che in realtà non esisteva. Le fonti più esagerate e meno accreditate ritenevano addirittura che il Re di Nessuno fosse una creatura mostruosa, non umana, che stava nascosta da mille anni per celare la sua vera natura e fingere di essere un uomo.
La realtà era che nessuno era mai entrato in quella residenza se non pochi eletti, e nessuno sapeva alcunché. L'uomo incappucciato era uno di quei pochi privilegiati che avevano avuto accesso alla residenza, ma nemmeno lui aveva mai visto il volto del suo Re. Eseguiva gli ordini con un atteggiamento determinato e disciplinato perché sperava di acquisire, assieme alle grazie del Re, un po' quel potere che dentro di sé non riusciva a trovare. 
Ed era potente, infatti: dalle sue parole dipendevano molte vite. Gli era capitato più di qualche volta di distruggere intere famiglie. Il suo unico ordine era mantenere l'ordine ed il giusto livello di terrore nella gente, in modo da scoraggiarli se avessero voluto ribellarsi. Allo stesso tempo, la paura non doveva raggiungere livelli troppo elevati altrimenti sarebbe e entrato in gioco l'istinto di sopravvivenza e lì i guai sarebbero stati grossi. 
L'uomo camminava ripetendo ciò che doveva dire nei corridoi loschi e bui, mentre si avvicinava alle stanze private del Re. Il silenzio era terrificante: nessuno osava avvicinarsi a quel lato del palazzo.
Il Re poi sembrava detestare la luce, tanto che teneva tutte le luci spente. Nemmeno quando parlava con lui le accendeva: l'uomo non aveva mai visto nemmeno la sua faccia. 
Bussò, forse più forte di quanto avesse pensato, e attese che la porta si aprisse.
Sulla soglia della stanza buia, prese una boccata d'aria e si tuffò nella più completa oscurità. 
"Mio Re, mi inchino"
Vi fu un attimo di silenzio. Questi erano i momenti peggiori per l'uomo: temeva sempre che il Re sguainasse una sciabola e gli staccasse, con un colpo veloce e ben assestato, la testa dal collo. La solita fitta di panico lo travolse. 
Ma non fu ucciso. Si alzò in piedi di nuovo e spiegò a voce bassa quello che era successo.
"Abbiamo liberato i draghi. Volevamo riservarli per lo scontro finale, ma è stato necessario ricorrere ad ogni nostra risorsa per dare una svolta decisiva alla battaglia. La prima nave è stata abbattuta con successo."
Attese. Desiderava sentire il pensiero del Re prima di continuare con le notizie. Almeno poteva prepararsi alla sua reazione e modulare il tono di voce per limitare i danni.
La voce sottile e suadente del Re lo spinse a continuare il suo racconto. Parlava sempre sottovoce e l'uomo incappucciato si sentiva estremamente a disagio per questo.
"Mio Re... il vascello ha preso fuoco, le sue vele sono state incendiate e presumibilmente pure coloro che vi erano a bordo."
Di nuovo silenzio. Stava diventando insopportabile. In quell'oscurità la mancanza di una risposta pesava ancora di più. Il suo giudizio era un grosso macigno sospeso sopra la sua testa, pronto a cadere da un istante all'altro.
Il Re aveva notato l'uso della parola "presumibilmente" nel racconto dell' accaduto... E non gli era piaciuto.
"Mi stai dicendo che non sapete se i soldati a bordo sono morti o no?", sussurrò e lasciò trapelare una certa irritazione.
"Mio Re... abbiamo attaccato la nave di punta, la più grossa, quella con i guerrieri migliori. Mentre i nostri draghi la facevano a pezzi, l'intera flotta del Regno delle Fenici si è ritirata."
"Non hai risposto alla domanda". Il tono del Re era diventato insistente.
"In realtà... in realtà la faccenda non è chiara. I cadaveri non sono emersi. È come se fossero sprofondati negli abissi. O peggio, come se non fossero morti sulla nave. Non possiamo essere sicuri perché non abbiamo avuto la possibilità di assistere alla battaglia, dal momento che quei bastardi avevano spento tutte le lanterne."
Il Re tacque. L'uomo incappucciato mai aveva visto il suo viso, ma dentro di sé sapeva che in quel momento il sovrano stava ribollendo di ira. Odiava quando gli ordini non erano eseguiti alla perfezione ed ancora di più detestava gli imprevisti. L'uomo lo aveva imparato a sue spese.
"Voi...", cominciò il Re, per poi fermarsi un attimo e arginare il moto di violenza che lo stava rivoltando dall'interno.
"Voi siete un branco di incompetenti. Avete attaccato una nave sola, imbecilli! Avete affondato una sola maledetta nave, che era addirittura vuota".
Pronunciava le parole sottovoce, inserendo e pesando ogni parola in modo tale da ferire sempre più in profondità. Urlare non era mai servito a nessuno. Frustrare sottovoce invece provocava delle profonde ferite all'orgoglio che erano difficili da curare, e questo il Re lo sapeva fin troppo bene.
L'uomo si sentiva talmente stupido e colpevole da non riuscire più a sopportare quel colloquio. Tuttavia, non riuscì a reprimere un movimento di autodifesa.
"Ma mio Re... Eutalassa ora è nostra..."
"Allora proprio non capisci, razza di minorato mentale"
L'uomo con il cappuccio abbassò il capo e subì il violento colpo senza aggiungere altro.
"Pensi che ti lasceranno la colonia? Pensi che, una volta scappati con tutte le navi e quasi nessun ferito non torneranno mai più a riprendersi la città? Ora smettila di essere così stupido e recati immediatamente sul campo. Prepara una truppa di controllo e disponi che controllino la colonia. Prima o poi toneranno a prendersela... ma poco importa, sarà un diversivo. Anche se dovessero riconquistarla, poco importerebbe. Perché ho in mente qualcosa di più grande. Ordina che i draghi siano incattiviti: togliete loro il cibo per due giorni. Poi prepara cento - anzi, mille bombe incendiare. Trova i fanti migliori, i più esperti domatori di draghi e i più abili marinai. Faremo l'attacco più violento che sia mai stato compiuto... E vinceremo questa maledetta Guerra una volta per tutte."

Il giorno era spuntato da poco ma i cinque ragazzi erano già fuori dal letto. Si erano rinfrescati e lavati con una doccia fredda nei bagni Reali (un complesso di docce e vasche da bagno dall'acqua colorata e profumata dai sali) e in quel momento attendevano nervosi l'arrivo di Fiamma. Era un giorno importante, quello: l'addestramento prometteva grandi cose. Nessuno di loro, tuttavia, era in grado di indovinare in cosa consiste se questo... tranne Kirstie, naturalmente. La divisa da soldato le stava larga, pur essendo della taglia giusta. Era molto raffinata come portamento e non aveva mai indossato degli abiti del genere... Tuttavia riusciva a sentirsi a suo agio in ogni caso. A maggior ragione, dopo aver capito che cosa avrebbe dovuto aspettarsi, era ancora più tranquilla. Forse l'unica, tra i presenti nella splendida Sala delle Rose. 
"A cosa pensi?", le chiese Kevin. Ormai aveva imparato a riconoscere le sue espressioni; quella piega sulla fronte era sintomo di un veloce e dinamico pensiero.
"Mah, niente... o meglio, sto cercando di capire cosa ci aspetti. Probabilmente dovranno portare al massimo una delle nostre più grandi abilità, che è sicuramente emersa tra le difficoltà laggiù nel Labirinto. Sto semplicemente cercando di capire quale sia la mia."
Kevin si fermò a riflettere carezzandosi il mento scuro.
"Non saprei. Ognuno è stato utile per qualcosa di diverso, senza dubbio."
Kirstie li esamino ad uno ad uno, riportando alla memoria gli avvenimenti della giornata precedente. Guardò Mitch parlare affabilmente con Scott e sfregarsi le mani. Scott teneva le mani dietro la schiena in posizione elegante e disciplinata. Avi sedeva a terra, in disparte, in compagnia di chissà quali pensieri.
Prima che potesse cominciare la frase, il familiare senso di freddo li pervase e, emergendo dalla potente luce, Fiamma apparve.
"Non potresti usare un modo più convenzionale di irrompere in una stanza? Che ne so, usare la porta?", disse Avi strofinandosi gli occhi.
"Non mi piace fare quello che fanno tutti."
Fiamma indossava una sorta di divisa, braghe e maglia cucite insieme, maniche lunghe rimboccate fino abito gomito, interamente nero. I capelli rossi erano la fiamma di quel carbone e gli occhi verdi rilucevano di una speranzosa energia.
Senza perdere tempo, cominciò ad impartire ordini.
"Scott, ti sei dimostrato particolarmente a tuo agio con le altezze. Hai camminato sulla siepe del Labirinto senza cadere... ti verranno insegnate le Leggi del Volo. La Regina ti affiancherà in questo percorso."
Tutti guardarono la Guardia, che sfoggiava il suo sorriso migliore. Quella notizia gli aveva migliorato la giornata e tutti lo avevano notato... ma soltanto Kirstie si era resa conto che il vero motivo della sua gioia era la Regina piuttosto che le Leggi del Volo. 
"Mitch, tu hai il dono di saper curare e fare magie con le erbe curative. Sarai affiancato dal Mastro Medico. Ha una dispensa fornitissima e tanti segreti da insegnarti, e molti invece li imparerà da te. Voglio che mettiate su una vera e propria squadra di soccorso, efficiente e veloce, unendo i vostri saperi. E se vorrai, dopo potrai dedicarti alla Cura."
Mitch si rimboccò le maniche e scostò il ciuffo dal volto. Era entusiasta dell'incarico e sapeva di poter dare il meglio di sé. Aveva temuto volessero affidargli compiti al di sopra delle sue capacità, invece era andata meglio di quanto avesse previsto.
"Tu Kevin hai dimostrato di avere grande familiarità con l'acqua e le creature marine. Ti porterò dal nostro stratega navale. Parlare con lui ti sarà utile. E poi, non appena sarà possibile, la Regina ti porterà dall'Udor nel Labirinto. Là imparerai da quella creatura a dominare l'elemento... E da quel momento in poi sarai di grande aiuto."
"Tu, Kirstie, hai un intuito magico, grandi capacità di risolvere i problemi, flessibilità nel pensiero e abilità direttive... in poche parole, hai la stoffa del capo. Sarai tu a dirigere, una volta pronta, la squadra dei quattro. E il tuo compito è coordinare le loro forze in modo da vincere questa guerra con la strategia vincente, una volta per tutte. Ti mostrerò le cartine dei nostri territori e ti metterò al corrente di tutte le nostre risorse."
Avi parve interdetto. Sperava di essere lui il capo: non amava obbedire a nessuno fuorché se stesso.
"Non ti preoccupare, Avi. C'è posto anche per te. Ora avrai un colloquio con uno stratega di terra e spiegherai lui tutto quello che sai sui draghi. Vorremmo che fossero bene informati sulle modalità di difesa dagli attacchi dei draghi e saremmo lieti se insegnassi loro come fare ad ammansirli. Poi, quando avrai finito, ti insegnerò io stessa a dominare il fuoco: hai un temperamento così pungente che nemmeno il fuoco ti brucia."
Avi la squadrò. 
"E se io non volessi farlo?"
Kirstie scoppiò a ridere.
"Ah, smettila. Sappiamo tutti che lo farai."

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Arthem ancora non poteva crederci. Erano salvi! Avevano abbandonato silenziosamente il vascello, tuffandosi in acqua senza destare troppi sospetti ed erano giunti, aiutati dall'oscurità, alle navi della seconda fila. Avevano nuotato in apnea ed in profondità per un bel po', ma erano addestrati anche a quello. Si erano arrampicati e, aiutandosi con le funi gettate dai loro compagni, erano riusciti a salire a bordo, tutti sani e salvi. Prima che si potessero accorgere dell'accaduto, l'intera flotta invertì la rotta e si diressero verso la loro patria. Il vento era stato dalla loro parte e, come una mano amica, li aveva accompagnati fuori dalla portata dei nemici. 
Il giovane capitano si passò entrambe le mani sui capelli corti (un tempo lunghi e fluenti, prima della ferita alla testa) e si sfilò gli abiti fradici. Aveva freddo, sul suo corpo muscoloso si poteva vedere la pelle d'oca. Aveva una costituzione abbastanza robusta, era alto e la sua schiena portava i segni delle battaglie. Il suo volto era quello di un bambino privato della sua innocenza... E sulla testa, la grande e indelebile cicatrice. Una linea che divideva diagonalmente quasi a metà il suo cranio e finiva sulla sua tempia sinistra. Quando sorrideva, la cicatrice si infilava tra le pieghe ai lati degli occhi. 
Pensò a ciò che avevano fatto: si erano salvati ma avevano perso la colonia... che cosa sarebbe successo a quel punto? Era stata una perdita grave? Sarebbero tornati indietro a riprendersela? 
Udì un tramestio sul ponte. Era sottocoperta nella cabina del capitano, ma riusciva a sentire i passi agitati e gli schiamazzi dei suoi soldati. Prese distrattamente il mantello e lo mise sulle spalle nude, avvolgendosi in esso come fosse una coperta. Pura illusione: non dormiva in un letto con delle vere coperte da molto tempo.

Sul ponte vi era un caos incredibile, ma Arthem riuscì ad identificare l'oggetto di tante chiacchiere. Una nave si stava avvicinando nella direzione opposta alla loro... le sue vele portavano fiere lo stemma del Regno delle Fenici.
Chi mai poteva essere? Qualcuno che gli avrebbe migliorato la giornata, se lo sentiva. Qualcuno che aveva intenzione di raggiungerli e che aveva scelto la stessa rotta che loro ora stavano ripercorrendo per tornare al regno. Ma chi poteva essere?
La nave si avvicinò sempre di più e le due imbarcazioni quasi si toccarono. Lucio, che solitamente stava al timone, saltò dall'albero di vedetta. 
"Quale onore, generale!", gridò sinceramente sorpreso per farsi sentire.
Arthem non poteva credere alle sue orecchie. Generale? Stava parlando di Tori? Come mai era lì?
Corse immediatamente vicino a Lucio e si sporse dal parapetto. 
La vide, mentre Lucio le raccontava l'accaduto; quel viso squadrato e deciso. Quei capelli variopinti raccolti in centinaia di trecce sottili... E quell'aria e quella postura sempre dignitosa ed eretta. Un vero e proprio generale, una vera e propria guerriera.
"Tori!"
"Arthem, amico mio", rispose lei con un sorriso.
Sembrava esausta ma in qualche modo grintosa e sana. Non che Tori fosse mai apparsa debole o sfiancata dalle numerose battaglie in cui aveva combattuto in prima linea, quello no. Solo che quella volta aveva sfiorato i confini con la morte e nei suoi occhi vi era uno sguardo diverso, più consapevole, più posato. Come se d'un tratto avesse preso coscienza di molte cose che prima non considerava... Arthem si domandò come avesse fatto a guarire così in fretta. E non trovando una risposta, lo chiese pure a lei. 
"Sono arrivati i guerrieri... quelli di cui parlava la Regina. E uno di loro è un medico bravissimo. Il medicamento che ha usato agisce su ogni tipo di ferita e ha un effetto quasi istantaneo."
Arthem era felice che lei fosse salva e grintosa come al solito.
"E cura anche le ferite d'amore?", scherzò il giovane. Sapeva che Tori apprezzava il suo umorismo nonostante tentasse sempre di nasconderlo.
"Ah, smettila con queste ferite d'amore. Sappiamo tutti benissimo che non saresti capace di gestire una donna, se ce l'avessi. Perciò tieniti le tue ferite e sta' zitto"
Lui finse una serietà estrema.
"Così mi ferisci, Tori! So bene come sono fatte le donne. Sono come le battaglie... devi impegnarti al massimo, perché ti danno sempre filo da torcere. E se non stai attento possono anche ucciderti... ma poi la vinci, e a quel punto puoi scegliere se fermarti e goderti la gloria eterna per l'impresa compiuta o andare subito a vincerne una più grande."
Tori scoppiò in una fragorosa risata. 
"A quanto pare tu hai scelto la seconda opzione, dico bene Arthem?"
Lui sorrise e la vide allontanarsi.
"Te lo svelerò a casa, ci vediamo là!"
Anche se avevano perso Eutalassa e il suo morale non era dei migliori, ritenne che aver salvato la propria vita e quella dei suoi compagni ed aver rivisto Tori in forma fossero delle motivazioni più che sufficienti per cominciare la giornata con un bel sorriso ottimista.

Mitch bussò alla porta.
"C'è nessuno?", domandò, poi spinse e con un cigolio fu introdotto nella dispensa.
Il buio impastava i contorni dei grandi armadi e delle polverose dispense. I raggi di luce provenienti dall'esterno fendevano in due l'oscurità e grattavano il pavimento di marmo. Il corpuscolo atmosferico pareva una polvere magica, capace di infilarsi nelle narici e far entrare nei polmoni boccate di quell'odore inebriante di menta e segreti. Mitch amava i posti solitari e poco frequentati. Essere fuori dalla ressa quotidiana per accaparrarsi il miglior pezzetto di vita lo rendeva più tranquillo. Aveva una grande intimità con se stesso e questo lo portava a cercare posti isolati o silenziosi. Se quello era il luogo in cui avrebbe dovuto lavorare, ne era entusiasta e affascinato.
"Chi c'è?" 
Una voce frantumò la magia del momento. 
Il ragazzo fu colpito dal tono di questa: era la voce di qualcuno che non parlava da molto. Si percepiva un certo sforzo nello spingere le parole fuori dalle labbra e nel porle una di seguito all'altra. 
"Medico Mastro, è lei?"
Mitch non riusciva a vederlo né a capire dove fosse.
"So bene chi sono io. Ho chiesto chi sia tu, piuttosto."
Facendo attenzione a non urtare nulla, Mitch seguì il sono della voce roca. L'odore di menta lo faceva impazzire: gli ricordava la dispensa dove lui e suo padre tenevano le erbe che lui stesso procurava per entrambi nella valle delle gemme, strisciando per non essere colpito dalle frecce nei giorni di battaglia.
Abituatosi all'oscurità, cominciò a distinguere meglio i contorni della stanza. Era polverosa ma ordinata, tipico delle dispense delle persone come lui: il Medico Mastro evidentemente non si fidava e non lasciava che le stanze venissero spolverate se non saltuariamente; il che era comprensibile. Ogni erba aveva bisogno di un particolare trattamento per conservare al meglio le sue proprietà curative, di conseguenza era meglio evitare che persone non del mestiere vi mettessero mano.
D'un tratto si trovò di fronte il Medico Mastro. Se l'era aspettato minuto ed ingobbito, con la barba lunga e gli occhi consumati dal lavoro e le mani minute e affusolate. Magari con un paio di occhiali e un naso appuntito... invece si sorprese quando davanti a lui si presentò la sua imponente figura. Aveva delle spalle larghe ed era molto alto. Le gambe erano ancora robuste e forti nonostante l'età suggerita dalla lieve calvizie e dalla barba bianca. Le sue mani erano grandi e callose: Mitch si chiese come fosse possibile per lui lavorare con precisione. Ma ciò che lo stupì di più fu lo sguardo vispo e acuto; i grandi occhi azzurri, ormai indossati nelle rughe, rendevano visibile ogni suo singolo pensiero.
"Sono Mitch, mi manda Fiamma. Sono venuto per imparare a muovermi in questi spazi... il mio compito è quello di creare, assieme a lei, una squadra di medici pronta a curare sul campo."
Il Medico poggiò la spalla alla credenza di legno. Il mobile traballò ma non cadde, come abituato a quel gesto.
"Ne sono al corrente. E vorrei cominciare subito a lavorare. Ti mostrerò la mia dispensa ma devi promettermi di prestare la massima attenzione. Queste erbe sono rare e difficili da trovare, non vorrei correre rischi inutili."
Il ragazzo era entusiasta: non aveva mai visto una quantità di erbe così grande tutta nello stesso posto. Pensò che forse avrebbe potuto chiederne in prestito qualcuna per tentare di nuovo di creare la Cura... ma voleva aspettare di acquisire la fiducia dell'uomo, dunque lo seguì mentre lui gli elencava i nomi delle piante, uno dopo l'altro.

Il profumo dei suoi capelli lo accolse nella Sala delle Rose come un vento caldo. Il sorriso della regina era un raggio di sole, una carezza del cielo. Scott non riusciva a toglierle gli occhi di dosso: era ammaliato dalla naturalezza con cui indossava l'abito verde ed incantato dalla sua capacità di portare anni in più che ancora non aveva vissuto. La risata con cui si presentò nella stanza era lo scroscio di una cascata, il rumore della brezza autunnale tra le foglie. Fiamma lo aveva spedito nella sala pochi secondi prima, dopo che lui aveva atteso in trepidazione per una mezz'oretta, fuori dall'infermeria con Mitch, che lei gli dicesse dove andare. Imparare a volare era sempre stato il suo sogno e l'idea di impararlo dalla regina lo faceva impazzire ancora di più. Non conosceva da molto quella ragazza ma era come se fossero sempre stati grandi amici: lui capiva lei e lei capiva lui... per non parlare poi di quell'onda di emozioni che lo travolgeva ogni volta che lei gli si presentava davanti. Il mare di sensazioni minacciava sempre di affogarlo, anche se in realtà, passato il primo momento di impatto con la bellezza di Beatrice, lui si sentiva rinato quando la vedeva. Era sempre carico di un'inspiegabile voglia di vivere e sentiva il bisogno di cominciare quell'avventura. 
"Tutto bene, caro?"
Il suono della sua voce fece traballare ogni sua più intima convinzione. Se prima era stato sicuro di qualcosa, al fianco suo si sentiva un naufrago della vita, e lei era la sua isola, il suo ristoro, la sua pace. Proprio la notte prima aveva sognato la regina ed aveva ancora le immagini di quel sogno stupendo impresse vivide nella memoria... Eppure, nonostante fino ad un momento prima gli fossero sembrate la cosa più bella del mondo, di fronte al viso, al corpo e agli occhi veri della regina i ricordi del sogno appassivano come la bellezza di un fiore in un tramonto.
"Tutto bene, sono solo ansioso di cominciare, tutto qui. Non so bene cosa aspettarmi"
La regina gli donò un sorriso per fargli capire che lo capiva.
"Ho imparato a volare a dieci anni ed è ancora il ricordo più piacevole di tutta la mia vita."
"Speriamo che sia così anche per me."
Senza sprecare tempo prezioso, Beatrice lo condusse in un posto che lui non aveva mai visto. Era una sorta di collina poco fuori dalle mura del palazzo reale, al sicuro dagli occhi del nemico... quello che in tempi normali e non di guerra avrebbe avuto il nome di "fetta di paradiso". Nonostante la apparente tranquillità e amenità del luogo, aperto e armonizzato alla sottostante vegetazione che si srotolava nella vallata, quella collina era pervasa da un inquietante senso di morte. Scott si accorse di ciò quando, voltandosi verso la vallata, notò che al posto dei fiori ormai spuntavano soltanto croci. Avrebbe voluto correre in mezzo a quel cimitero di innocenti vittime ed urlare la sua indignazione. L'odio aveva avuto la meglio sulla vita e questo fatto era inammissibile. Giurò a se stesso di vincere quella guerra per poter rivendicare la vita di chi aveva dato anima e corpo per la libertà e per la giustizia. 
La Regina percepì il suo disagio e gli posò una mano sulla spalla. 
"Provo le stesse cose ogni volta che vengo qui. Ma poi mi ripeto il mio destino e reagisco. Piangersi addosso non serve a nulla, anche se dispiacersi è d'obbligo. Ma abbiamo un destino e il nostro compito è portarlo a termine, perciò mettiamoci al lavoro."
Scott le diede ragione e la seguì. Si posizionarono esattamente sotto il Pensatoio della regina, che era direttamente sopra la loro testa centinaia di metri più in alto. Il ragazzo era emozionato e non poté fare a meno di sorridere. Tra qualche secondo il suo più grande sogno sarebbe diventato realtà.
"Distenditi qui", gli ordinò lei.
Interdetto, la guardò con un'espressione interrogativa sul volto. Si era immaginato tutto molto diverso... qualcosa come fare un salto da una torre e prendere il volo.
"Cosa aspetti?", chiese la regina sedendosi a terra ed accomodando l'abito verde sulle gambe incrociate.
Lui obbedì ed istintivamente chiuse gli occhi. Lungo la schiena partì un brivido e lui serrò la mascella per contenere l'agitazione.
"Ora rilassati e ascolta il battito del tuo cuore. Lo sentirai nel petto... poi anche sulle punte delle dita, lungo le gambe fino ai piedi. Quando lo sentirai sulle palpebre, vorrà dire che avrai un controllo completo del tuo corpo."
La regina attese e Scott eseguì: dopo poco sentiva di essere il padrone di ogni angolo della sua essenza fisica e psicologica. Ogni battito del suo cuore, ogni respiro, ogni pensiero era sotto il suo controllo. Teneva strette tra le labbra tutte le sue convinzioni e tra le dita tutti i possibili movimenti del suo corpo. Mai si era sentito più padrone di sé e sentiva la mente espandersi all'inverosimile. In qualche modo misterioso Beatrice percepì che quello era il momento giusto... E proprio quando Scott ebbe raggiunto una padronanza assoluta di sé, lei gli chiese di abbandonare tutto quello che aveva lì su quel terreno fresco del mattino.
"Devi lasciare tutto a terra, se vuoi volare. I tuoi sensi, le tue percezioni, i tuoi muscoli, il tuo corpo e tutto il resto. Devi essere solo anima, pura e senza pensieri, un soffio di vita, un piccolo bacio di universo. E lascia a terra anche i pensieri: sono la cosa più pesante. Se te li porti in cielo rischi che ti ritrascinino violentemente a terra. Solo gli uomini che sanno spogliare la propria essenza della ragione possono toccare le nuvole e librarsi nel vento."
Scott seguì le sue parole e lasciando uscire un ultimo respiro cosciente si abbandonò al suono della sua voce, ascoltando i salti e le piroette che le vibrazioni delle sue corde vocali facevano, senza davvero preoccuparsi di cosa quei suoni significassero. Tutto perse senso e acquisì una nuova, dolce e leggera realtà. Non era più corpo ma molecole di vita, non era più uomo ma umanità, non era più cosciente ma conosceva più di chiunque altro. Era aria, vita e silenzio di nuvole...
D'un tratto sentì un tocco sulla spalla e si riprese, anche se non del tutto. Si era addormentato? Si era svegliato in un sogno? Non sentiva il proprio corpo ma solo il proprio pensiero. No, non era pensiero... Era qualcosa di viscoso e fluido, una corrente incontrollabile di emozioni, miele che si attaccava al suo spirito. Come se gli avessero messo il cuore al posto del cervello e stesse pensando con quello.
Davanti a lui (era davanti o sopra o sotto? Non esistevano direzioni nè posti né luoghi) stava lei. Occhi grigi come il cielo in cui stava galleggiano. Un'altra anima, nuda di ogni voce umana. Un silenzioso e meraviglioso gatto, passo felpato e luce negli occhi.
Scott non pensava a nulla ma sapeva e sentiva tutto, sentiva di amare e di possedere ma al tempo stesso di non essere legato a nulla. Seguiva tutto quello che le perturbazioni della sua anima gli intimavano di fare.
Lo fece e basta, non appena un sorriso si allargò sul volto di lei. Voleva che quel sorriso si scolpisse in eterno su quel pezzo di paradiso che stava sul volto di Beatrice, quindi lo fece. La strinse nell'aria rarefatta che sosteneva i loro corpi di spirito e incastrò il suo sguardo in quello della sua regina. Regina, dea, angelo, cenere di fenice l'attimo prima di rinascere, senso della sua esistenza ed essenza... le sue dita sfiorarono la sua guancia e nulla più li divise. Erano messaggio e mittente, il loro bacio uno scarlatto sigillo di ceralacca, un patto d'amore infrangibile. In quel bacio le loro anime si sciolsero l'una nell'altra e furono ossa, carne e tempo, spirito e coscienza, ignoto e tutto ciò che è chiaro.
Da sotto nessuno vide il loro bacio, ma nell'intera stratosfera una bolla d'amore esplose, e per un istante il sole fu sul punto di uscire dalla coltre di nubi.

Fiamma uscì dall'infermeria e si diresse con passo molto deciso verso il porto, dove aveva spedito Kevin con il compito di cercare Axel, il cosiddetto Pescatore. In realtà, Axel incaricato di gestire tutte le navi da guerra nel porto ed era una sorta di generale quando si parlava della flotta, ma aveva mantenuto il soprannome di suo padre, che proveniva da una stirpe di pescatori. Era importante che Kevin fosse istruito al meglio; doveva avere ben chiara la situazione del Regno in modo da sapere a quali risorse attingere nel momento del bisogno e il Pescatore Axel (per quanto scorbutico ed autoritario) era la persona più adatta. 
Arrivò al porto e gettò un'occhiata veloce all'ambiente circostante. Carpentieri e falegnami stavano lavorando sodo per costruire una grande nave che sarebbe presto stata aggiunta a tutte le altre; Fiamma era più che sicura che in due giorni sarebbe stata pronta. Mancavano solo le ultime rifiniture: dei mozzi stavano cucendo lo stemma del Regno delle Fenici sulla grande vela poco distanti dalla quasi pronta imbarcazione. 
C'erano delle donne con dei grossi cesti pieni di pesce che si muovevano veloci attraverso la piazza, scuotendo le sottane scure e sorridendo ai marinai. Fiamma notò con gioia che nonostante fossero in guerra un bel sorriso non veniva mai negato a nessuno in quel regno. 
Kevin stava proprio in cima al molo ed ascoltava attento le istruzioni del robusto Axel. Questi gli indicava una baia più in là con un dito, e agitava l'altra mano cadenzando il ritmo trascinato della sua parlata. La pelle era abbronzata all'inverosimile ed i capelli erano brizzolato. Sarebbe stato un bell'uomo di mezz'età se non avesse avuto le mani callose e la pelle abbrustolita di chi lavora incessantemente sotto il sole tutto il giorno.
"Salve, Axel"
Lui si girò con il broncio e la barba di tre giorni poco curata.
"Ho detto tutto al novellino. Ora smammate, ho del lavoro da fare. Stanno arrivando."
Kevin la guardò con uno sguardo perplesso: era un ragazzo raffinato e gli pareva oltraggioso rivolgersi così ad una ragazza.
"Non ti preoccupare, leviamo le tende. Vieni, Kevin. Hai capito tutto?"
Prima che lui potesse rispondere, si intromise il Pescatore.
"Certo che ha capito tutto. È un po' troppo signorino per i miei gusti, ma è in gamba il giovane. E ora fuori dai piedi".
Non appena si furono allontanati, Fiamma gli posò una mano sulla spalla.
"Gli piaci, non c'è dubbio. È il suo modo di fare i complimenti. È molto diretto e non conosce le mezze misure, ma è un uomo buono ed onesto. È uno dei più fedeli amici di Beatrice... sembra essere l'unica capace di mettergli un po' di soggezione".
Kevin rise: non era l'unico cui la regina faceva questo effetto. "Anche a me sembra un tipo sveglio. Mi ha spiegato tutto nei minimi dettagli"
Sì avviarono verso l'edificio del Palazzo Reale e non appena furono dentro Fiamma decise che non aveva senso perdere tempo: era in trepidazione perché di lì a poco avrebbe insegnato a Kirstie a comandare... E poi ad Avi a dominare il fuoco. L'idea la agitava e la situazione non sarebbe cambiata per un bel po'. Perciò si operò subito di far arrivare prima il momento più difficile che aveva apposta lasciato per ultimo.
"Vieni, facciamo una cosa che la regina non apprezzerebbe. Prendimi la mano"
Kevin non fece in tempo a realizzare che cosa avesse in mente, che sentì il proprio calore vitale scivolare via dai suoi arti e il suo corpo riempirsi di un freddo familiare.
Si svegliò confuso e un po' stanco in un luogo bagnato: fece fatica a riconoscerlo inizialmente, ma poi prese coscienza velocemente e cominciò a sentirsi inquietato. Era di nuovo nel Labirinto... se non avesse dovuto dimostrare a Fiamma di essere un Guerriero, avrebbe cominciato a tremare. Ma si trattenne.
"Perché siamo qui?"
Fiamma guardò la sua faccia sconcertata e decise di confortarlo, pentendosi di non averlo portato lì a piedi.
"Ti ho portato nel Labirinto perché voglio che tu stringa un patto con le Udor e chieda loro di darci una mano in questa guerra. Mi dispiace di averti portato qui così... Beatrice non sarebbe molto d'accordo perché è convinta che questo modo di apparire e sparire vi strappi energia vitale. Quindi per favore non dirglielo, non ha bisogno di questa ulteriore preoccupazione. Volevo solo guadagnare un po' di tempo utile. Vengo a prenderti quando ho finito con Kirstie... sono sicura che a quell'ora avrai finito tutto."
Così disse e sparì velocemente avvolta in una bolla di luce.

Kevin era solo e non sapeva cosa fare nè come comportarsi. Primo: dov'erano le Udor? Avrebbero accettato di collaborare con lui? 
Per calmarsi un po' decise di mettersi a nuotare nell'acqua e di lasciare che quell'elemento vitale lo massaggiasse e lo tranquillizzasse. Se c'erano delle Udor in quella grotta, si sarebbero presentate da sole.
Si era assopito a pancia in su, l'acqua lo cullava e sospingeva avanti ed indietro nella grotta. Sentiva solo il proprio respiro ed il proprio pensiero... E quello volò lontano, si immerse nei suoi abissi e rotolò nella sua immaginazione. 
Dopo un lasso di tempo che a lui parve un'indefinibile manciata di eterni secondi, Kevin ebbe la netta sensazione di essere osservato. Ma non era un'impressione fastidiosa... Era quasi una certezza; qualcuno stava vegliando su di lui.
Aprì gli occhi e si spaventò quando davanti al suo naso trovò quegli enormi universi che stavano nelle iridi di un'Udor. 
"Mi hai spaventato", disse lui agitando le mani nell'acqua per tenersi a galla.
L'Udor alzò una mano come per chiedergli cosa ci facesse lì. 
Kevin ne aveva incontrate di diverse nella sua vita da esploratore dei mari... ma ogni volta che ne vedeva una se ne innamorava come la prima volta. Le sue dita erano così belle, trasparenti e sincere. Delle mani vere, luminose e cristalline.
"Sono venuto per te", disse lui, e la creatura si illuminò di gioia, tingendo le pareti della grotta con una luce ancora più chiara. Quando un'Udor sentiva di essere amata, provava una gioia così grande e sincera da risultare commovente.
"Sono contento che tu sia felice, piccola", disse Kevin, carezzando il braccio della meravigliosa creatura. I suoi occhi colmi di sfumature blu lo ipnotizzavano ma riusciva ad avere un controllo su di sé. Durante tutti quegli anni di navigazione solitaria le Udor gli avevano fatto compagnia. Aveva imparato a parlare e a giocare con loro, ed ogni volta era una gioia sentirsi amati fino alla follia da quell'amore incondizionato. Lo aiutava a sentirsi meno solo, ma non aveva mai avuto bisogno di rimanere con loro, perché il suo cuore apparteneva a Diana.
Quella pelle liscia gli ricordò subito quella della sua amata: capelli colore del grano, un sorriso degno del fascino di una dea, una voce leggera e quasi sommessa. Chissà come stava in quel momento.
La rivide, tutto ad un tratto, come quando l'aveva lasciata: un abito color pastello ed un sorriso mesto sul volto. Chissà se dopo tutti quegli anni aveva ancora la chioma così ordinata e raccolta in una crocchia sulla nuca. Chissà se aveva ancora quel profumo di zucchero, se parlava ancora storcendo di lato la bocca, chissà se il suo sguardo amoroso si era appassito. L'aveva venerata in tutti quegli anni ed era l'unica persona della quale riuscisse ancora a ricordarsi perfettamente il volto. Gli anni avevano cominciato a deformare i visi di sua madre, suo padre e suo fratello. Ma Diana no: lei era rimasta intatta e bellissima, intangibile persino per il tempo.
"Ah, cara. Sapessi in che guaio mi sono cacciato"
La creatura alzò le sopracciglia e allargò ancora di più quegli occhioni immensi. 
"Mi sono messo in un casino. Tutti sono convinti che io sia un Guerriero, che io salverò questo regno dalla guerra. Ma io non sono altro che un marinaio innamorato, tutto qui"
Inizialmente si sentì subdolo: stava usando una tecnica molto astuta per fare in modo che fosse l'Udor stessa, mossa da compassione, ad offrirgli il suo aiuto. Ma poi si rese conto di non essere per nulla astuto: stava soltanto ammettendo a lei e a se stesso la dura, amara verità.
Lei lo guardò ancora più intensamente (se è possibile) e con la sua bellissima mano gli alzò il mento per infondergli coraggio.
"No, Udor. Io non sono forte e non salverò nessuno. L'unico problema è che in ballo ci sono tutti gli altri..."
A questo punto lei si preoccupò. Altri? Sembrava dire, in un tono indignato e spaventato.
"Ah, se solo potessi trovare un aiuto, un sostegno... almeno, sapendo di poter contare su qualcuno potrei dare il massimo. Ma mi tocca fare tutto da solo, e questo porterà molti guai anche ai miei amici."
L'Udor si sollevò in piedi sulla roccia e il suo cuore mandò fuori sempre più luce. Era ancora più bella, ora che tutte le vene e tutti i capillari si vedevano di meno. Una lucciola in una grotta; uno spettacolo meraviglioso. Con le braccia sollevate in aria la creatura marina urlò senza dire nulla che lei ci sarebbe stata e gli avrebbe dato il suo sostegno.
"Mi aiuterai? Davvero?"
Kevin ricominciò a respirare. Era stato quasi fin troppo facile ed era immensamente grato alla sua amica. Tuttavia, aveva davvero temuto di non ottenere ciò che voleva... La sua carnagione scura brillava per i riflessi dell'acqua e i suoi capelli riccissimi parevano asciutti nonostante fossero zuppi. Il suo sorriso era largo e sincero... ma c'era ancora qualcosa in lui che non era stata risolta. Una questione che stava lì nel suo petto da quando era nato, una sorta di richiamo ancestrale; dentro di lui sciabordavano le acque del mare e in quel momento le udì per la prima volta. Quiete, tiepide e ripetitive, come quelle che lambivano le spiagge d'estate; talvolta torbide, gelide ed increspate, come una grande espressione corrucciata, quelle del mare impietoso ed invernale. Insomma, il suo cuore galleggiava in un mare vero e proprio, e lui voleva portare la potenza di quei cavalloni anche fuori dal suo petto.
"Udor, amica mia... ti prego, insegnami i segreti dell'acqua. Così potrò nuotare senza bisogno di respirare, immergermi negli abissi più profondi senza temere che la pressione distrugga i miei timpani. Per favore, se mi ami, fammi questo dono"
L'Udor si illuminò talmente tanto che Kevin fu costretto a pararsi gli occhi con una mano e gli fece capire che lo avrebbe aiutato. Poi gli prese la mano, quella creaturina degli abissi di carne, ossa ed amore, e lo condusse in fondo alla grotta, nella sua dimora, per svelargli i più grandi misteri di quel grande, maestoso e regale fratello blu.
 

Kirstie sedeva sul prato ed osservava i fili d'erba con l'aria di non fare nulla di importante. In realtà, la sua mente macinava pensieri elaborati che le avrebbero cambiato senza dubbio la vita.
Era tutto successo così in fretta... Eppure era successo. Da un giorno all'altro si era trovata in un posto che non conosceva con gente che, per quanto buona, non aveva niente a che fare con lei. Poi, sempre da un giorno all'altro, si era ritrovata legata a queste persone da un legame indissolubile e da un destino ineluttabile. Nel giro di pochissimo tempo si era ritrovata nelle vesti di Guerriera con il compito di salvare un regno che non era il suo... E si era trovata innamorata.
Una cosa che non le era mai successa prima. Aveva sempre evitato la compagnia maschile perché aveva da fare, lei: un allevamento di Canut non era una cosa facile da gestire, per di più senza alcun aiuto. Inoltre, non ne aveva mai sentito il bisogno. Era completa anche da sola.
O almeno, lo era stata fino a quel bacio. 
Kevin, da quel momento, era stato nei suoi pensieri come una costante universale. La sua vita ora era divisa in "pre-kevin" e "post-kevin". Che razza di scherzo, l'amore. Una faccia tosta non da poco, aveva avuto, per farla innamorare di un ragazzo che non avrebbe mai potuto ricambiare. Sopratutto perché era già follemente innamorato di un'altra donna, che non vedeva da anni. Kirstie odiava l'amore, in quel momento... ma non sapeva cosa fare per contrastarlo. Ciò avrebbe procurato solo dolore, calcolò, e non sarebbe riuscita a togliersi dalla testa Kevin per tutto il tempo in cui lui sarebbe stato al suo fianco in quella battaglia.
A quel punto non le restava che assecondare i propri sentimenti. Odiare non avrebbe portato nessun risultato... se non altro, avrebbe fatto qualcosa di bello per Kevin. D'un tratto, le venne in mente la voce di suo padre ed un discorso che aveva sentito tanti anni prima.
"Ama, senza aspettarti nulla", le diceva sempre lui.
"Se ami per sentirti amato, l'amore perde il suo significato. Se ami pretendendo di essere ricambiato, allora non ami veramente. Ama in silenzio, scivolando nella vita del prescelto con la stessa eleganza di un polline nell'aria. Agisci senza chiedere il permesso, prenditi cura di lui senza aspettare che sia lui a darti il permesso di farlo. Proteggilo dal dolore e dai colpi della vita e, se puoi, fallo sorridendo. Sii sempre pronta a raccogliere i cocci frantumati della sua sfera di speranze e ad asciugare le sue lacrime. 
Fai tutto questo con l'anima e il cuore, perché non c'è nulla di più bello di amare... ma fallo in punta di piedi, fallo interamente per lui e mai per te e soltanto se senti di essere disposta a farlo. E non aspettarti mai che le attenzioni che elargisci siano ricambiate con la stessa intensità. Se amerai davvero, i tuoi sforzi saranno ricambiati da null'altro che la sua felicità. E sarai piena di gioia, e ti brilleranno gli occhi, e la tua bocca sarà un bocciolo... E proprio in quel momento, lui si accorgerà di te e della tua bellezza. Ricorda, ama solo per amare."
Kisrtie si rese conto che suo padre, come sempre, aveva ragione. Sul momento, quando le aveva fatto quel discorso, lei non vi aveva dato troppo peso. Aveva pensato che ci fosse del vero, ma che in realtà l'amore non potesse essere qualcosa di univoco. Doveva dimostrarsi equilibrato da entrambe le parti, altrimenti era ossessione.
In quel momento soltanto capì che il suo vecchio ci aveva visto giusto. Quando ami, indipendentemente da ciò che prova l'altro, tutto quello che ti interessa è che stia bene, che sorrida, che il suo cuore batta forte e i suoi pensieri scorrano sereni. Ed era proprio questo che stava provando. Certo, se Kevin avesse ricambiato il suo sentimento lei si sarebbe sentita più che onorata, ma non era la cosa più importante. Lì, seduta sull'erba, andava interrogandosi sulla vita e sull'amore... ma al centro di tutti questi pensieri stava soltanto lui, con la sua anima che richiedeva attenzioni, con il suo carattere meraviglioso, con i suoi difetti e le sue esigenze, adorabili anch'esse. Insomma, lo amava. Ed avrebbe fatto tutto per renderlo felice. E se renderlo felice significava sacrificarsi, lei avrebbe accettato. Lui le aveva salvato la vita con un bacio stupendo, l'aveva fatta sentire una principessa anche se era innamorato di un'altra donna. Non era stato sicuramente facile per lui, se quello che provava per Diana era esattamente quello che Kirstie provava per lui. Gli doveva un favore, e a se stessa promise di dedicargli tutto l'amore che aveva in sè.
Mentre rimuginava, fu interrotta da un tocco leggero sulla spalla.
"Fiamma!"
La ragazza l'accolse con un sorriso stanco. 
"Bene, manchi solo tu e la parte facile è fatta..."
Kirstie, facendo un calcolo veloce, si rese conto che solo Avi mancava all'appello. E doveva essere necessariamente lui la parte difficile. Chissà dove si trovava in quel momento. Era sempre in giro da solo a pensare ai fatti suoi. Kirstie immaginò che in quella testa dura ci fossero tanti, tanti pensieri. La maggior parte dei quali estremamente dolci... anche se ovviamente lui non l'avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura.
"Che cosa mi aspetta?", le chiese. Non era spaventata. Da quello che aveva capito, il suo compito era elaborare una strategia vincente, il che implicava puro ragionamento logico. La cosa non la intimoriva, dal momento che pensare era ciò che le riusciva meglio.
"Dovrei portarti direttamente dalla Regina, la quale saprà sicuramente metterti al corrente di tutte le nostre risorse. Prima però vorrei darti qualche dritta per la guerra. Sei una ragazza intelligente e non hai bisogno di sentirti ripetere da me una serie di inutili consigli su come si faccia il capo o come si diriga un gruppo di persone."
E allora in che cosa consistono i tuoi suggerimenti?, pensò Kirstie, senza riuscire ad indovinare dove Fiamma volesse andare a parare.
"Voglio solo insegnarti una cosa... una cosa che la Regina non vuole che io insegni perchè ha paura che il segreto arrivi al nemico. E per di più la ritiene una cosa pericolosa. Su questo non ci troviamo d'accordo. Io penso che, usata nel modo giusto, questa abilità possa essere estremamente utile. Soptattutto per una come te: avrai bisogno di essere in molti luoghi quasi contemporaneamente. Penso tu abbia capito di cosa stiamo parlando."
Kirstie era eccitatatissima all'idea di imparare a scomparire e ricomparire in un luogo lontanissimo, ma volle rifletterci su comunque. Per quale motivo Beatrice lo riteneva pericoloso? Ci ragionò su, ma non trovò motivazioni valide per negarsi questo piccolo sfizio personale che, per di più, sarebbe stato utile per risparmiare tempo prezioso. In guerra anche un secondo poteva fare la differenza.
"Sì, ti prego. Insegnamelo... potrebbe servirci nei momenti più difficili."
Fiamma la guardò con aria soddisfatta e la condusse con sè in una sala mai vista prima, nascosta nel labirintico palazzo. Una stanza piuttosto piccola rispetto alle altre e dall'aspetto un po' trascurato. C'era un leggero odore di muffa e dalla finestra filtravano dei raggi che illuminavano la polvere sottile sospesa nell'aria di quell'ambiente dimenticato. Era chiaramente una parte del palazzo frequentata forse soltanto dal personale di servizio.
Nel silenzio quieto si sistemarono sedute sul pavimento freddo e polveroso. Fiamma espresse il suo timore di essere scoperta e le chiese di parlare sottovoce.
"Meglio essere prudenti, sempre."
Kirstie cercò di leggere i pensieri di quella ragazza dai capelli di fuoco davanti a lei. C'era qualcosa in lei che non la convinceva. I suoi atteggiamenti, il suo modo di fare schietto ed essenziale le facevano sospettare che nascondesse un segreto. Tuttavia non erano fatti suoi e decise di ignorare le domande che le sorgevano nella mente. D'altronde era abituata agli interrogativi senza risposta.
"Non è difficile. Il tuo unico pensiero deve essere il luogo dove vuoi arrivare... poi devi pensare di rubare tutta l'energia delle persone e delle fonti di calore che ti circondano e di canalizzarla tutta nel tuo cervello. Il tuo corpo ci penserà da solo ad eseguire gli ordini e a disgregarsi. In pochi istanti ti ritroverai nel luogo che vuoi raggiungere. Mi raccomando: mantieni un grande controllo, perché se non padroneggi i tuoi pensieri consumi la tua stessa energia vitale."
Ecco perché la regina lo riteneva pericoloso, pensò tra sè. Valeva comunque la pena tentare.
Si concentrò sul porto, dove si immaginò le barche dondolare al ritmo della ninna nanna marina. Vide Kevin seduto sulla passerella del porto, le mani sulle ginocchia, come faceva lui. Cominciò a sentire l'energia fluire dentro di sé come un calore sottile sotto la pelle, strisciando via dal corpo di Fiamma e dalla finestra in alto nella stanza. Il suo corpo si disgregò, fu calore ed affetto ed in un attimo non fu più nulla, si sentì un luogo e le venne da vomitare. Doveva mantenere la calma: non poteva permettersi di perdere le forze perché le sarebbero state indispensabili. 
Sentì le sue membra bollire, la sua testa esplodere, i suoi occhi quasi sciogliersi... E pensò a quel porto che in quel momento era immerso nella luce sanguinolenta di un tramonto.
Atterrò violentemente sul legno umido della banchina, senza avere nemmeno la forza di aprire gli occhi.

"Kirstie?! Ma da dove spunti?"
Al suono della voce di Kevin, la ragazza sentì il suo corpo pieno, rifocillato e vivo per un attimo, poi le forze la abbandonarono e si accoccolò in un dolce sonno.



Baluginavano ormai gli ultimi bagliori di un crepuscolo cupo. Regnava un'ombra inquietante sui giardini della regina. La luce andava ormai spegnendosi ma di Fiamma nom c'era traccia. Avi sapeva di essere in anticipo, ma non gli importava. Era curioso di sapere che cosa lo avrebbe aspettato; non che amasse molto l'idea di dover imparare qualcosa da qualcuno... ma se non altro era eccitato all'idea di poter dominare il fuoco. Quell'elemento lo aveva sempre affascinato ma aveva provato nei suoi confronti una sorta di timore riverenziale. Aveva vissuto per anni con dei draghi come unici compagni di vita eppure avere familiarità con un elemento così pericoloso lo metteva un po' in agitazione. 
D'un tratto udì un passo familiare e si voltò sempre più incuriosito. Fiamma era sola.
"Tutto avrei immaginato, tranne che arrivassi in anticipo. Mi immaginavo di doverti aspettare per ore. Di solito non obbedisci mai agli ordini: cosa ti è successo? Hai sbattuto la testa da qualche parte?"
Avi non voleva darle la soddisfazione perciò decise di mentire e dirle di essere arrivato in anticipo per sbaglio. Era davvero agitato e temeva di fare una figuraccia davanti a lei... Allo stesso tempo però non capiva il motivo della sua ansia: di cosa doveva avere paura?
Il silenzio della notte era tale che nemmeno le creature notturne con il loro concerto riuscivano a rompere quell'imbarazzo. Avi non era in grado di pronunciare una sola parola e sentiva il battito del suo cuore e pure quello della ragazza. L'erba era leggermente luccicante per le luci delle lanterne che entrambi si erano portati dietro. Gli occhi di Fiamma, bagnati dai riflessi del fuoco, luccicavano come non mai. Senza dire una parola lei si diresse verso una parte del giardino che Avi non aveva mai esplorato, e lui la seguì senza proferire parola. Camminarono per qualche minuto finché non giunsero ad una sorta di collinetta che si immergeva nel cielo addormentato come il dito di un bambino si infila in una torta.
"Perché hai aspettato che fosse notte per farmi l'addestramento? Non sarebbe stato più comodo farlo alla luce del giorno?"
La ragazza dai capelli rossi rispose con tono seccato.
"Non sei l'unico ad avere bisogno di un addestramento. Sono stata piuttosto impegnata questa mattina. Tuttavia non ti nascondo di aver calcolato tutto prima di decidere: ho scelto di tenerti per ultimo perché sei il carattere più difficile da affrontare e poi... E poi il fuoco è molto più bello di notte."
Lo sguardo della sua maestra non ammetteva repliche ed Avi decise di non ribattere. Prevedeva che di lì a poco avrebbero cominciato con l'addestramento e non voleva rimandare quel momento ulteriormente.
Lei si posizionò di fronte a lui, a due metri di distanza, e fissò il suo sguardo in quello del giovane. Una scarica elettrica percorse il corpo di Avi; Fiamma era una ragazza incredibilmente energica, perciò attribuì a questo il motivo della sua reazione.
Cominciò a parlare con voce sottile e suadente, flebile e delicata ma che non ammetteva di essere ignorata.
"Fin dalla notte dei tempi, il fuoco ci accompagna nella nostra missione su questo mondo. Ce ne serviamo fino al punto di morte, tanto che spiriamo al tremolare di una candela. Per questo motivo il fuoco fa parte di noi. È nascosto negli altri bui della nostra essenza; talvolta è già come un rogo in fiamme, talvolta invece è una fiammella. Il tuo è un incendio implacabile, che ribolle di orgoglio, indignazione, superbia e passione. So che lo senti, so che riesci a percepire gli scoppi di ira dentro di te, come un gas troppi compresso, come un botto improvviso. Ti chiedo ora di prendere la potenza di quelle lingue di fuoco e di farle uscire da te, dalle tue mani, dai tuoi occhi. VAI!"
Avi sentiva il suo orgoglio ferito bruciare, sentiva la sua rabbia esplodere. Rivide tutti i suoi ricordi peggiori ed appiccò loro il fuoco. Anni di solitudine, di impossibilità di ricordare la propria origine; anni di pugni contro il muro, di graffi di draghi e di scottature sul corpo. Anni senza che nessuno si curasse di lui o sapesse almeno che esisteva. Furioso perché non poteva sapere chi era, aveva detestato se stesso ed il mondo... ed ora era lì, con quel calore bruciante che risaliva dai suoi piedi e lo sopraffaceva. Era lì,con i pensieri sporchi di rabbia, e le sue mani diventavano bollenti, i suoi polmoni scoppiavano e moriva dalla voglia di urlare. Il grido di ribellione era là, rinchiuso nella sua trachea, era diventato pesante, insopportabile, spinoso.
Tutto d'un colpo, come un colpo di fionda, non ce la fece più a trattenersi ed urlò. La sua voce era bassa e graffiata, come una caverna, come tanti anni di solitudine.
Assieme con il suo grido, qualcosa sulle sue mani si incendiò, producendo due grandi e scottanti vampate.
"Grande!", esultò Fiamma. "È tutto qui quello che sai fare?"
Avi colse il guanto della sfida e la sorpassò con il fuoco tra le mani. In quel momento avrebbe potuto vincere una guerra.
Si posizionò perfettamente in cima alla collinetta e con un gesto delle mani in avanti indirizzò due pareti di fuoco lungo il pendio erboso fino alla vallata in fondo. 
"Dilettante", gli disse lei, nel momento in cui lui si girò con uno sguardo soddisfatto.
"Ora vediamo chi è il dilettante tra i due."
Tenendo i muscoli tesi al massimo e le braccia diritte davanti a sé, aprì le mani verso l'esterno, e le pareti che fino a quel momento erano avanzate parallelamente si distanziatorono, una da una parte ed una dall'altra. Poi Avi richiuse gradualmente le mani, finché le pareti, dopo aver creato un cerchio, non si incontrarono di nuovo. Infine, non ancora soddisfatto, il domatore di draghi sollevò le braccia e un tetto di fuoco creò un corridoio di fuoco che immetteva in una stanza rotonda in fondo alla vallata.
"Niente male!"
Avi era soddisfatto del suo lavoro. Tutte quelle fiamme facevano evaporare le gocce d'acqua sul prato e producevano un fumo bianco e fine, sovrannaturale. La luce poi era rossastra e in qualche momento blu, perciò Avi rimase esterrefatto dall'effetto che quei riflessi facevano assieme ai cavalli di fumo... e dal modo in cui lambivano la pelle eburnea di Fiamma. Era una statua meravigliosa, la vaporosa chioma era un incendio essa stessa.
Forse accorgendosi di essere osservata, lei si infilò nel tunnel di fuoco e scomparve nella luce violenta. Avi fu colto alla sprovvista e non poté fare a meno di urlare, preoccupato:
"Fiamma, no!"
Fu ingoiato anche lui dal tunnel di fuoco ma non vide nessuno finché non giunse nella stanza che aveva creato, perché la luce era troppo forte ed il calore era opprimente.
Nella stanza, tuttavia, si poteva stare: il fumo era stupendo, saliva dal terreno bagnato come per magia e creava ricci, cavalli, onde, cavalloni, nodi e poi spariva. In mezzo a quella nuvola, Avi rivide Fiamma.
Non ebbe il coraggio di dirle nulla, anche se voleva sgridarla e rimproverarla per essere fuggita così ed avergli fatto prendere un colpo, ma non disse nulla. Si avvicinò a lei e basta, come trascinato da un filo invisibile che lentamente, silenziosamente lo tirava in quella direzione.
Lei era immobile; i suoi smeraldi fissi nei suoi occhi. Si creò una connessione, il filo che lo aveva portato lì ora si era avvoltolato attorno a loro, e pian piano li stringeva più vicini, più vicini. I loro corpi quasi si sfiorarono, nel magico silenzio del fuoco scoppiettante, quando Avi fu invaso dalla voglia di lei e le cinse la vita con le braccia. La strinse a sè e lei abbandonò le braccia bianche sul suo collo... le loro labbra si sfiorarono per un secondo, ma poi lei si irrigidì. Avi la strinse di più, tentò di baciarla, di unire le loro anime... ma ben presto tra le sue braccia strinse solo il vuoto. Fiamma produsse una luce che annientò quella del fuoco, gli rubò ogni goccia di calore vitale ed evaporò. 
Avi non capiva. Tutte le sue energie erano state sottratte e dal proprio fuoco e dalla luce di Fiamma, sicchè crollò. Collassò sul pavimento ed il fuoco si spense inghiottito dal buio della notte senza stelle. 
Che cosa aveva fatto di male?
Perché si era meritato un destino così amaro?
In quel momento non poté che ammettere a se stesso la verità ed abbandonarsi al prato umido, nella speranza che la notte lavasse via il suo dolore.
Lui era innamorato di Fiamma.
E stringendola al suo petto lei gli era sgusciata via dalle braccia.
Forse per sempre.


 

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