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di Eternally_Missed
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


 

Capitolo 1.


La tristezza che mi assale continuando a spostare leggermente la tenda della camera per vedere il diluvio universale abbattersi all’esterno, mandando a monte tutti i miei progetti. Anzi, il mio progetto, ovvero una stupidissima passeggiata per le strade del paese per poter raggiungere il mio parco e rimanere all’ombra del mio albero per un tempo non quantificabile. Vorrà dire che mi toccherà mettere a posto la casa, controvoglia, ma sempre meglio che restare a fissare la pioggia dietro ad una finestra. Già, perché so bene di esser in grado di rimanere con il naso a due millimetri dal vetro per tutto il pomeriggio. La pioggia ha questo magnetismo nei miei confronti al punto che se dovessi studiare, dovrei rinchiudermi in una stanza senza finestre o perderei ore su ore a fissare il nulla. Che poi è soltanto acqua che scende dal cielo. Gocce che cadono per colpa della forza di gravità. Gocce che somigliano a lacrime, si insomma, mi piace l’idea che a volte anche il cielo abbia delle giornate nere e abbia la necessità di sfogarsi come fanno le persone, piangendo magari sotto forma di pioggia. Vogliamo parlare del profumo che si diffonde nel momento esatto in cui smette di piovere? Sa così tanto di nuovo inizio, di speranza, di pulito. Come un colpo di spugna su una lavagna scritta, tutto da rifare. Questa volta, però, meglio.
Sospiro e accendo lo stereo, fare le pulizie a ritmo di musica mi mette sempre di buon umore. Qualche volta lancio uno sguardo al cellulare, speranzosa di ricevere una telefonata. Ovviamente, mentre finisco di pulire il pavimento, la suoneria risuona nella stanza e mi tocca fare opera di contorsionismo per riuscire a raggiungere il telefono senza lasciare impronte sulle piastrelle.
“Pronto?” rispondo entusiasta, in attesa di sentire quella voce amica all’altro lato della cornetta
“Hello, my dear!” ribatte lei mimando un accento inglese che le appartiene a metà “Ok, scherzo. Sono arrivata sana e salva, il viaggio in aereo è stato un po’ turbolento ma in fin dei conti divertente!”
“Mmm se ti conosco almeno un po’, avrai come minimo abbracciato quel malcapitato che si trovava accanto a te, Giuls!” considero ridacchiando di lei e delle sue reazioni strampalate di fronte alla paura
“Ma sentila. In effetti me la sono fatta sotto. Pareva di stare sulle montagne russe. Comunque, era una gran bel malcapitato, altrochè. Biondino, abbronzato, muscoloso. Insomma mi ha anche sorriso. Temo di averlo traumatizzato.”
“Ah, ecco qual era il lato divertente della situazione. Marpiona che non sei altro!”
“Ilaria!! Cambiando discorso, da domani dovrei avere internet sul portatile, ergo ci vediamo su Skype così ti mimerò le mie disavventure e ti farò vedere la mia casina.” Prosegue lei tutta entusiasta “La adorerai, giuro.”
“Va bene, Giuls, va bene. Sono proprio fiera di te e della tua indipendenza. Poi, se per sbaglio, apri la finestra e mi fai vedere un pezzo di cielo londinese, sai che non mi offendo!”
“Ovviamente! Mia madre invece non è molto contenta di avere una figlia progressista. Credo stia vivendo la sindrome da nido vuoto, ma se ne farà una ragione. Abito a mezz’ora da lei!” fa una pausa, la sento sospirare “Per quanto riguarda il cielo, lo ameresti. Quando verrai da me?”
“Lo sai che prenderei il primo volo, ma proprio mi è impossibile. Mi stai facendo morire d’invidia e di nostalgia. Adesso devo staccare Giuls, ma ti abbraccio da qui in attesa di riderti in faccia su Skype. Non avercela con me, in fondo ti voglio bene!” ribatto seria, smorzando il tutto nel finale
“La mia migliore amica è una cretina patentata. Confermo. Sai che per te, una camera c’è sempre. Ci vediamo domani, pagliaccia.”
Riattacco la chiamata e mi siedo, o meglio sprofondo, sul divano del salotto. Questi sono stati giorni difficili. Accompagnare Giulia all’aeroporto, dopo un’estate passata insieme, è stata dura. Ci siamo conosciute all’università un paio di anni fa, lei ha fatto l’Erasmus in Italia, perché voleva entrare in contatto con la terra in cui è nata sua madre. Inutile dire che il nostro incontro è stato un colpo di fulmine, due metà della mela che si incontrano. Esuberante, divertente, forte, lei. Timida, introversa, ma incline alla follia, io. Un duo letale. Da allora ci siamo sempre tenute in contatto, spesso ha passato le vacanze qui da me, e viceversa l’ho raggiunta in Inghilterra quando mi era possibile. Questa è stata un’estate particolare, lo abbiamo capito entrambe: Giuls ha deciso di trasferirsi a Londra a caccia di indipendenza, lasciando la famiglia che vive in campagna. Ha ottenuto una promozione dopo mesi di sacrifici, adesso lavora stabilmente come fotografa per una rivista. Un lavoro da privilegiata, come lei stessa ama definirlo. Un incubo per la sottoscritta, che per molte volte si è trovata a vestire i panni della modella per provare la nuova macchina fotografica, vedere se le luci erano corrette. Insomma, a me piace un sacco fare foto, ma non esserne il soggetto. Tra le due, ovviamente, lei è la migliore. Riesce a possedere la luce, il colore, lo spazio, l’emozione ed a fermare il tutto in una immagine.
Ho sempre amato la fotografia ed è meraviglioso condividere una passione con un’amica. Ancora più bello è vedere come quello che ami, possa diventare un lavoro: il tuo. Una fatica immensa, soprattutto se inizi da un piccolo paesino, come quello in cui sono nata vicino a Milano. Eppure, con coraggio e determinazione, si può emergere. Per molto tempo mi sono dedicata a dei reportage per guide turistiche sui luoghi italiani da visitare, con l’aiuto del mio ragazzo Gianluca. Passavamo interi weekend in giro per luoghi semisconosciuti, fotografandoli e rendendoli accattivanti allo sguardo dei turisti. Sono stati mesi felici, di amore, amicizia, viaggetti. Poi, la rottura dell’idillio. Gianluca che riceve reportage diversi dai miei, la freddezza che fa capolino nella nostra relazione, le incertezze, le litigate, le sere divisi, i dubbi che si trasformano in certezze. Aveva un’altra e non si è curato nemmeno più di nasconderlo. Non una qualunque, ovviamente, ma l’assistente bionda del capo. Inutile dire che tutto il mio mondo è crollato in un secondo.
Apro gli occhi e sospiro. Ormai è acqua passata, Giuls in questi mesi mi ha ribaltato il morale, dandomi tutto l’affetto e la fiducia di cui necessitavo per ricomporre il puzzle della mia vita. Perché per colpa dell’amore, ho perso pure il lavoro che tanto mi entusiasmava. Quando si dice, oltre il danno pure la beffa.
Riaccendo lo stereo mentre decido cosa preparare per cena.
“Love is foreeeever” canta Matt Bellamy ed io cinicamente sorrido, l’amarezza mi invade. No, Bellamy, ti sbagli: l’amore non è per sempre. L’amore fa schifo. L’amore fa male.
L’amicizia, è per sempre, o almeno è quello che voglio credere.
L’amicizia è Giulia che tiene sempre pronta una camera per me, se mai deciderò di accettare di trasferirmi da lei per cercare lavoro, come se il lavoro ti venisse a cercare poi.
La porta di casa si apre, entra mamma con la busta della spesa ed un sorriso negli occhi, dopo una giornata in ospedale. È il mio orgoglio, è infermiera in pediatria, sempre a contatto con bambini in difficoltà, con famiglie provate dal dolore. Eppure riesce a sorridere, a dare amore con piccoli gesti, sguardi, carezze. Ho molto da imparare da lei.
“La nostra Giulia è arrivata?” domanda a tavola, e mi si apre il cuore ogni volta che parla al plurale riferendosi a lei, proprio come se fosse una di famiglia
“Si, mi ha chiamata prima. Domani ci fa vedere la casa nuova su Skype, se non fa qualche casino. Dice che è molto bella.”
“Lo credo bene, ha molto gusto, sarà un gioiellino immagino. Non vedo l’ora di curiosare allora!”
“Sei sempre la solita, mamma.” scoppio a ridere finendo di lavare i piatti “Ora, Criminal Minds?”
“No, grazie. L’ultimo episodio mi ha fatto venire il batticuore al punto che ho faticato ad addormentarmi.”
“Ok, allora…” cerco di proporre un film, ma vengo bloccata immediatamente
“No, scordati di farmi vedere ancora una volta quegli orchi della Terra di Mezzo.”
“Hobbit, mamma, sono Hobbit!” ribatto stizzita e divertita nel vedere gli occhi di mia madre roteare verso l’alto. Ci sono cose che non cambierei per niente al mondo, come la sua repulsione a tutto ciò che riguarda il fantasy, salvo Harry Potter. “Dai, va bene. Scegli tu.”
E fu così che mi sorbisco per l’ennesima volta Pretty Woman.
Lo vorrei anche io un colpo di culo come quello avuto da Julia Roberts nel film, mannaggia.
Intanto una Giulia, nella mia vita, c’è.
Chissà, magari il futuro mi farà un occhiolino.

 

 
Desclaimer: questa storia è frutto della mia fantasia e della mia passione verso i Muse. I personaggi sono inventati.

Ciao a tutt*, questa è la mia prima fan fiction, spero vi possa piacere e far passare il tempo in modo gradevole. Sono pronta a leggere i vostri commenti e le vostre critiche, cercherò di aggiornarla spesso. 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


capitolo 2

2.


Raggio di sole sui miei occhi assonnati. Mano che si muove alla ricerca disperata del lenzuolo per ricoprirmi la testa. Cellulare che si mette a vibrare, interrompendo la mia vana speranza di rimanere a letto ancora cinque minuti. Un messaggio di Giuls dove conferma di avere internet e mi lascia il relativo orario per il nostro appuntamento virtuale.
Super organizzata, come sempre.
Mi alzo svogliatamente, come chi ha una vita momentaneamente in standby, senza un vero e proprio programma. Faccio una doccia rapida per velocizzare il risveglio, mentre mi asciugo i capelli prendo in mano la spazzola e mi atteggio a cantante consumata di fronte allo specchio. Rido come una scema. Mi vesto comoda e mangio colazione coccolata dal profumo di caffè che si diffonde in cucina.
Accendo il pc, speranzosa e ottimista prima di leggere la posta in arrivo della mia casella mail. Nessuna risposta da possibili datori di lavoro. Pare che la mia esperienza sia sempre troppa, oppure troppo poca. Insomma, nemmeno un briciolo di onestà nel rifiutare una persona: non sarebbe meglio dire “al momento non abbiamo bisogno di personale, grazie” piuttosto che prendere in giro la gente? Che rabbia.
Mando ancora qualche curriculum, nonostante tutto. Controllo l’ora e mi collego a Skype.
Tre minuti dopo, parte la videochiamate e mi compare il viso sorridente di Giuls sullo schermo.
“Ciao straniera!” esordisco “Mi hai praticamente buttata giù dal letto stamattina. Ringrazia il fatto che vivi a due ore d’aereo da me.”
“Ops, scusa. Ma l’ho fatto per una buona causa, no?” ribatte facendomi gli occhi da cerbiatta
“Bella, questi sguardi languidi possono aver fatto effetto sul biondino che viaggiava con te, ma non sulla sottoscritta. Comunque, la casa vuoi farmela vedere o no?”
“Ehm. No.” risponde incrociando le braccia al petto “O almeno, non subito. Prima devo raccontarti una cosa successa poco fa.”
“Va che sei strana, eh? Va bene, sono tutta orecchi, spara.”
“Ila, prometti di non arrabbiarti, però.”
“Che hai combinato?!” esclamo sorpresa e sinceramente curiosa di ascoltare le novità di Giuls
“Ecco, ho fatto una cosa che indirettamente ti coinvolge ed è andata in porto.”
“Oh si, ora ho capito tutto proprio!” ridacchio sarcastica sentendo una strana agitazione appropriarsi di me
“Scusami, hai ragione. Ora ti spiego tutto.” sospira per poi riprendere “Ricordi la sera in cui abbiamo visionato i tuoi provini per inserirli nei vari book? Ecco, ne ho inviato uno alla rivista per cui lavoro.”
“Tu COSA?” scatto sulla sedia curiosa “Cavolo, manco me ne sono accorta.”
“Dai, fammi finire. È passato più di un mese da quel giorno, pensavo non l’avessero manco visto. Invece il mio capo, appena rientrata dall’Italia, mi chiama e mi dice di trovare fantastiche le tue fotografie. Vorrebbe incontrarti per discutere di una eventuale collaborazione con la rivista. Che ne pensi?” sorride soddisfatta nel vedere il mio silenzio nello schermo “Ila, ci sei?”
“S-si. Sto elaborando la mole di informazioni che mi hai appena vomitato in faccia.” sussurro per poi sgranare gli occhi “Che tipo di collaborazione? Ma come faccio? Vivo qui, mia madre non posso lasciarla da sola!”
“Magari potresti lavorare in team, non è stato molto chiaro a riguardo. Ila, potremmo vivere insieme, smettila di farti paranoie. Prendi un cavolo di aereo e vieni qui. È la tua grande occasione, vivila. È il salto di qualità che stavi aspettando, la rivoluzione nella tua vita. Avanti, non dirmi che non sei nemmeno un po’ affascinata dalla prospettiva!”
“Io, ci devo pensare, Giuls. Hai ragione su tutto, ma devo rifletterci…”
“Vai.” Sento la voce di mia madre alle spalle, farmi letteralmente venire un colpo “Solo una pazza rinuncerebbe ad una simile opportunità.”
“Sicura?” domandiamo all’unisono Giuls ed io, facendo ridere mia madre
“Certo, tesoro, devi andare. Provaci, almeno!” conferma ancora lei, e qualcosa dentro di me si muove, qualcosa che tanto somiglia alla felicità. Torno a guardare lo schermo sorridendo.
“Allora, questo significa che devo preparare una valigia, giusto?” domando ironica
“Siiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!” esulta Giuls “Grazie seconda mamma per il permesso accordatole!”
“Cretina, poi magari manco mi prendono.” affermo sbuffando
“Mi mancavano i tuoi depression time.” mi prende in giro facendo spallucce “Ti voglio carica e positiva, come la ragazza che ho imparato a conoscere.”
“Ok, metto in valigia anche un paio di palle, non si sa mai, potrebbero servirmi al colloquio.” esclamo facendo andare di traverso il thè a Giuls “Uno pari, cocca.”
“Ragazze, vi lascio alle vostre amabili conversazioni. Datevi una regolata!” ci saluta mia madre prima di uscire di casa per andare a lavorare.
“Se vuoi ti prenoto il volo, sai che sono un asso in queste cose!” propone lei ed io le sono infinitamente grata, per cui accetto volentieri. Finite tutte le discussioni circa spostamenti, volo, orari, prezzi, casa, valigie ecc siamo esauste.
“Finito!” mi congratulo con la mia amica “Grazie, Giuls, per tutto.”
“Non vedo l’ora di venirti a prendere in aeroporto, coinquilina!” mi fa un occhiolino prima di chiudere la videochiamata.
Mi lascio prendere da un raptus di pazzia ed inizio a saltellare per casa come una matta. Sono felice. Sono libera. Sto uscendo dal letargo. Sto tornando in pista.
La sera preparo una super cena per festeggiare la novità. In casa c’è un atmosfera gioiosa, potrei persino convincere mia madre a rivedere Il Signore degli Anelli. Ovviamente scherzo, rimuovendo immediatamente l’idea. Vado a dormire serena e carica di adrenalina, per cui i miei occhi faticano a chiudersi.
Il mattino seguente corre veloce tra un giro nei negozi ed il supermercato. Non ho un momento per me, per riflettere e confermarmi mentalmente la scelta fatta. Nel pomeriggio preparo le mie due valigie, dopo aver fatto un accurato elenco di cosa può servirmi e cosa posso abbandonare in Italia. Ad opera conclusa, ovviamente non riesco a chiuderne una, per cui mi ci siedo letteralmente sopra optando per una manovra alternativa. Poi, mi corico a stella sul letto, sospirando. Guardo il soffitto su cui ho appiccicato da adolescente quelle meravigliose stelle, fluorescenti al buio: mi mancheranno a Londra? Chi lo sa. Ho bisogno di scaricare la tensione, domani ho un volo da prendere, così opto per l’ascolto di Babel dei Mumford and Sons che tanto mi ha fatto compagnia nelle ultime settimane. Canticchio allegramente mentre mi ritrovo ad accarezzare la mia adorata reflex, a smontarla, pulirla, rimetterla a posto. Sarà la mia compagna di viaggio da domani.
Dopo aver cenato, mando un sms a Giuls facendo partire in automatico il nostro countdown. Andare a dormire risulta una vera impresa, anche se non lo voglio ammettere l’idea di partire ha dato il via ad una guerra interiore. Qui è sempre stata casa mia, sono cresciuta, ho i miei amici, la mia famiglia. Londra è un sogno, è Giulia che mi accoglie. Ho paura, ma non una di quelle che ti tolgono vita, fiato e cuore. Una paura buona, come quella che ti attraversa prima di fare un grande passo.
La sveglia del mattino dopo è un vero strazio. Cammino come uno zombie fino al bagno, avrò dormito si e no tre ore, mannaggia all’ansia. Una doccia fredda mi rimette al mondo. In cucina trovo mamma con una fantastica colazione accompagnata dal suo sorriso dolce.
“Buongiorno, ecco il tuo caffè!” mi dice offrendomi la tazzina fumante che accetto super volentieri “Pronta?”
“No, mamma, non esattamente. Sono un po’ agitata, ma allo stesso tempo continuo ad immaginarmi mentre cammino per le strade inglesi. È strano, ma bello!”
“Sono fiera di te, figlia mia. Adesso però muovi le chiappe, Malpensa ci aspetta.” esclama battendo le mani e facendomi ridere di gusto. L’adoro, l’ho già detto?
Mezz’ora dopo, imbarcate le valigie, devo salutarla. Mi abbraccia forte, come solo una madre può fare. L’abbraccio più bello del mondo. Così mezza commossa, mi avvio al terminal in attesa del volo. Un’ora dopo, saluto Milano dall’alto. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


Grazie mille a tutti per le visite a questa fan fiction, vi chiedo scusa per i cambi di formattazione (devo imparare a gestire il codice html!).
Buona lettura!
 


 
3.
 

 
La fase di atterraggio mi inquieta sempre un po’, penso di aver trattenuto il respiro fino a quando ho percepito il tocco con la pista, che la paura di Giuls sia contagiosa? Mah. Saluto la mia vicina, scendo e recupero i bagagli, cosa che mi è sempre piaciuta particolarmente. Tutti in fila vicino a questo rullo che si muove. La cosa tragica è che ogni volta devo riconoscere la mia valigia, in mezzo alle altre pare così improvvisamente anonima. Mi avvio all’uscita e nel frattempo mi guardo intorno. Gente che corre, gente che si siede, gente con il naso all’insù intenta a leggere i cartelloni, gente in attesa, gente che come me guarda da tutte le parti. Che meraviglia, Heathrow.
Immediatamente scorre nella mia mente l’inizio del film Love Actually e sorrido immaginando il bambino che rincorre la sua amata per mezzo terminal, quanta tenerezza. Alzo lo sguardo tra tutta la gente che si è accalcata all’uscita e noto due braccia che tengono tra le mani un cartello con su scritto “Ginger”. Il soprannome che affettuosamente mi ha rifilato Giuls per via della mia passione per Geri Halliwell e per la mania di tingermi i capelli di rosso. Scoppio a ridere, avvicinandomi a lei.
“Solo tu, potevi mettere su questo teatrino.” le dico abbracciandola “Guai a te se provi a prendermi la valigia.”
“Benvenuta a Londra, amica mia. Viaggiato bene?” domanda curiosa e immagino dove voglia andare a parare
“Nessun biondino belloccio, mi spiace. In compenso avevo una signora che mi ha gentilmente offerto delle caramelle.” ribatto facendola ridere “Non ho opposto alcuna resistenza, sai che sono golosa!”
“Avanti, usciamo di qui!” mi prende sotto braccio euforica e mi trascina letteralmente vicina alla sua macchina. Ha una Mini Cooper con gli specchietti colorati rigorosamente di rosa sgargiante, cosa che mi ha sempre fatto storcere il naso per via della mia repulsione verso quel colore. In un attimo le mie valigie spariscono nel cofano, mentre io per la prima volta mi soffermo a guardare il cielo sopra la mia testa. È un di un colore indescrivibile, azzurro con qualche nuvola bianca sparsa. Un evento.
“Pare che Londra si sia tirata a lucido per te, oggi.” ammicca Giuls intercettando in pieno i miei pensieri “Un cielo così è una rarità! Adesso sali in macchina e se puoi..”
“Eviterò i commenti sulla tua guida all’inglese, cercherò di non spaventarti urlando per il timore di un frontale all’interno di una rotatoria, va bene così?” la blocco immediatamente “Però posso dirti di dare gas quando il semaforo diventa verde?” ironizzo subito dopo
“Acconsentito.” ridacchia mettendo le mani sul volante e premendo volutamente troppo forte sull’acceleratore per farmi sbattere contro il sedile. Idiota patentata. Accende l’autoradio facendomi l’occhiolino. Sento i passi iniziali di una delle nostre ‘canzoni da urlare in auto’: Wannabe delle Spice Girls.
“In tuo onore, Ginger” sghignazza prima di attaccare a cantare insieme a me, con tanto di balletto di accompagnamento. Mentre stiamo dando il meglio di noi, ferme ad un semaforo, non ci accorgiamo dell’auto che sta al nostro fianco su cui viaggiano due giovani ragazzi: inutile dire che si sono spanciati dalle risate di fronte al nostro show.
“Guarda che ormai è inutile che cerchi di nasconderti nel sedile, ci hanno viste!” ride tra l’imbarazzo e il divertimento
“Zitta tu, ci penso io!” rispondo mentre tiro giù il finestrino facendo il dito medio, con un sorriso a trentadue denti, rivolto ai ragazzi accanto a noi. “Giuls, è verde! CORRI!”
“Ma tu sei pazza!”
“Forse, ma…è stato troppo divertente!”
“Fortuna che siamo arrivate, penso non sarei riuscita a guidare e ridere contemporaneamente, ancora per molto.”
Esco a razzo dalla macchina, inginocchiandomi sul marciapiede e fingendo di baciare terra in maniera teatrale per fare un dispetto a Giulia. Mi rialzo e osservo la casa di fronte a me.
“Colpo di fulmine.” esulto rivolgendo lo sguardo alla mia amica che sta trafficando con la porta d’ingresso. È fantastica. Su due piani, indipendente con un po’ di giardino intorno: come le tipiche case inglesi ha i muri con i mattoni a vista e ampie finestre. Ovviamente la cosa che adoro immediatamente è il colore della porta, un rosso acceso. Una volta all’interno mi faccio guidare da Giulia verso quella che sarà la mia camera per i prossimi tempi, se ovviamente il lavoro dovesse effettivamente andare in porto. Si trova al piano superiore, ha una finestra che si affaccia sui tetti che mi toglie letteralmente il respiro.
“Sembra la camera di Wendy in Peter Pan, è stupenda!!” esclamo entusiasta della novità
“Sono contenta ti piaccia! La mia camera è quella accanto alla tua, mentre in fondo al corridoio c’è il bagno.” illustra lei come una perfetta padrona di casa “Adesso ti lascio sistemare le tue cose nell’armadio, ci vediamo di sotto quando avrai finito.”
Esce chiudendo dietro di sé la porta, lasciandomi da sola per fare conoscenza con l’ambiente che mi circonda. La camera è bellissima, il letto ha una testiera in ferro battuto che ho sempre sognato di avere. Ovviamente non vedo l’ora di personalizzarla e renderla ancora più mia.
Dopo aver disfatto velocemente le valigie, apro la finestra e mi affaccio osservando il quartiere dove mi trovo. Sono curiosa, lo sono sempre stata. Respiro a fondo l’aria fresca e sorrido.
Poco dopo scendo al piano di sotto seguendo un profumo dolce che si diffonde per la casa. Mi affaccio alla cucina e mi scappa un urletto gioioso vedendo l’arredamento: cucina ampia con isola centrale, la mia preferita in assoluto.
“Questo è un paradiso!” affermo allargando le braccia e facendo una giravolta
“In effetti, si. L’ho lasciata per ultima sapendo fosse il pezzo forte!” mi fa un occhiolino d’intesa invitandomi a sedere al tavolo mentre lei finisce di preparare delle crepes dolci “Un momento e si mangia. Così abbiamo tempo per parlare del colloquio di domani con calma. Che ne pensi?”
“Ottima idea!” concordo iniziando a preparare il tavolo sotto lo sguardo inquisitore di Giuls “Lo sai che non mi piace restare a guardare! Devo esser d’aiuto.” affermo facendo spallucce in modo innocente.
Poco dopo, di fronte a frutta e crepes al cioccolato, affrontiamo il discorso che mi preme di più. Giuls mi fa vedere il book che ha inviato al suo capo, mi spiega nel dettaglio di cosa si occupa, pregi, difetti, facciamo prove su prove per il colloquio. Poi definiamo il tipo di abbigliamento più consono, formale ma non troppo. Una semplice camicia azzurra con sopra una giacchetta corta blu abbinata a pantaloni blu scuro. Tutto ciò calma notevolmente i miei nervi e fa scorrere l’intera giornata.
Il mattino dopo mi alzo di buon ora, faccio rapidamente una doccia, mi vesto come concordato e mi ripeto “Io valgo quel lavoro” almeno venti volte prima di uscire di casa. Prendo un taxi emozionatissima e fornisco l’indirizzo della rivista. Un quarto d’ora dopo, entro in un palazzo grigio molto elegante, dirigendomi verso una giovane donna che mi accoglie con un sorriso.
“Sono Ilaria Marchetti, ho un appuntamento con il signor Jones.” le spiego mentre lei annuisce per poi prendere la cornetta del telefono in mano e avvisare il capo
“Prego signorina Marchetti, si può accomodare nello studio. Il signor Jones la sta aspettando.”
Qualche secondo dopo, entro nell’accogliente studio dove trovo un uomo brizzolato sulla cinquantina che mi sorride alzandosi in piedi. Ha uno sguardo giovane che trapela dai suoi occhi azzurri e vivaci. Mi stringe cordialmente la mano, pregandomi subito dopo di sedermi.
“Sarò breve, signorina. Alcune sue fotografie sono finite tra le mie mani e mi hanno folgorato. Altre decisamente meno. In ogni caso, ho insistito con la signorina Davies per poter organizzare un incontro insieme a lei. Sono felice che lei abbia accettato e preso un aereo nel minor tempo possibile.” inizia a spiegarmi in modo serio, appoggiando la schiena contro la poltrona su cui è seduto “Sono curioso di capire meglio il suo modo di lavorare e vorrei proporle alcune idee, se lei è interessata.”
“Certamente, la curiosità è reciproca e la ringrazio anticipatamente per la fiducia che mi sta dimostrando.”
“Bene. Ovviamente mi sono informato sui suoi precedenti lavori e reportage. Ne sono rimasto piacevolmente colpito per l’accuratezza, la precisione, la capacità di creare magia. Vorrei affidarle un compito simile, ma per l’Inghilterra chiaramente. Pensa di poterlo fare?” domanda a bruciapelo appoggiando i gomiti sulla scrivania e fissandomi negli occhi, cosa che mi mette leggermente a disagio “Ovviamente, non lavorerà da sola, ma verrà affiancata da due altri professionisti.”
“Va bene.” rispondo decisa e felice nel vedere una luce diversa negli occhi di Jones, simile alla soddisfazione “Una sola domanda, però.”
“Mi dica.” afferma sollevando di un po’ il sopracciglio destro
“Cosa l’ha colpito delle mie fotografie?” chiedo curiosa di capire la sua prospettiva
“Ho visto l’araba fenice.” ribatte sorridendo “Adesso, se per lei va bene, vorrei che d’ora in avanti smettessimo di darci del lei. Lo trovo così formale e freddo. Chiamami Simon, per favore.” conclude alzandosi nuovamente in piedi. Lo imito immediatamente, ancora turbata dalla sua risposta per nulla banale e mezza inconsapevole di aver trovato veramente lavoro. Gli stringo ancora la mano per congedarmi, mentre nella mia testa sta partendo il trenino di Capodanno.
“Grazie per l’opportunità, Simon. Spero di essere all’altezza delle tue aspettative.”
“Ci vediamo tra qualche giorno, Ilaria. Adesso passa dalla mia segretaria, ti fornirà tutti i documenti necessari. Benvenuta e buona giornata”
Esco dall’ufficio e se non fossi di fronte alla segretaria, effettivamente mi metterei a saltare e gridare di gioia. Mi trattengo, avrò tutto il tempo di farlo a casa con Giuls.
Mentre sono sul taxi rifletto sulle parole dette da Simon. L’araba fenice. Che strano, le fotografie che ha visto sono state le ultime fatte con Gianluca e per la rivista per cui lavoravo prima. La fine di un ciclo, in effetti. Credo fossero tra le più brutte che abbia mai fatto, piene di rancore e rabbia. Eppure, lui ci ha visto dentro la mia rinascita. Incredibile quanto agli occhi degli altri le cose cambino. Mi fermo per prendere qualche dolcetto per festeggiare la novità e torno a casa trionfante.
“Giuuuuuuuls! Sono tornata!” urlo chiudendo la porta e avvicinandomi alla cucina. Un rumore di passi mi raggiunge.
“Allora, dimmi com’è andata? Ti stavo dando per dispersa. Avevo paura che Simon ti avesse mangiato in un sol boccone. Ti hanno presa?” mi travolge con la sua ansia e le sue domande
“Saremo colleghe! Mi ha affidato un lavoro. Sono troppo felice!” manco il tempo di finire che mi ritrovo avvolta dalle sue braccia.
“Uh, che cretina sono. Hai pure preso una torta, mica poteva esser andato male!” afferma ridendo, mentre apro la torta e le racconto per filo e per segno il colloquio, i miei pensieri. Mi rendo conto di essere felice.
Quella felicità che è dietro l’angolo e non sapevo esistesse per me.
O avevo paura di cercare ancora.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


Ecco a voi il quarto capitolo.
Spero vi piaccia, se avete critiche o suggerimenti sono ben felice di accoglierli!
Buona domenica…
 

 

 
4.
 
 
 
Tre giorni dopo, insieme a Giuls varco la soglia di quello che sarà il mio studio d’ora in poi. Ampio, pieno di luce, con la giusta atmosfera, poster sparpagliati, insomma un po’ incasinato ma proprio per questo perfetto per me. Sono disordinata da sempre e sempre ribadisco che nel mio disordine c’è ordine. La mia camera da letto penso sia sopravvissuta ad ogni sorta di fase adolescenziale, dalla boyband del cuore, passando per l’attore fino ad arrivare alle serie tv. Un disastro, per la gioia di mia madre che pregava il cielo chiedendosi il perché di una figlia tanto disordinata. Bei tempi.
Sento bussare alla porta, mentre Giuls mi saluta dandomi appuntamento per pranzo. Poco dopo entra Simon con due persone al seguito. Sono i due terzi del team di cui faccio parte.
“Ilaria, ti presento Alex e Leslie.” mi spiega Simon brevemente “Lavorerete insieme per i progetti che ho in mente.”
“Perfetto, piacere mio. Non vedo l’ora di iniziare!” affermo osservando le tre persone nella stanza
“Mi piace questo entusiasmo, è quello di cui abbiamo bisogno. Adesso vi lascio alle vostre conoscenze.” si congeda lui per poi uscire. Non mi resta che familiarizzare con gli altri due, sperando di non farmi qualche figuraccia con l’inglese.
“Bene, eccoci qui. Chi di voi è il mago della grafica?” chiedo sapendo benissimo si tratti di Alex, grazie agli spoiler avuti da Giuls
“Oddio, mago mi sembra eccessivo. Diciamo che me la cavo, comunque.” afferma lui iniziando a grattarsi la nuca con la mano, gesto che trovo di una tenerezza infinita se accompagnato ad un lieve rossore sul viso
“Macchè, ho visto un paio di tuoi lavori e come fotografa non posso che ritenermi estremamente fortunata a lavorare nel tuo stesso team. Sarà fantastico! Invece Leslie, che dire, tu ed io saremo mente e braccio?” domando guardandola e invidiando i suoi ricci perfetti
“Esattamente, sono super eccitata. Ho visto le tue foto e credo saremo un’ottima squadra noi tre insieme.” ribatte avvicinandosi e alzando un palmo a mezz’aria “High five, ragazza!” esclama prima di battermi un cinque sulla mano destra. Sono fuori dal comune, originali e preparati. Già mi piacciono.
I giorni seguenti sono un susseguirsi di riunioni, visite a diversi uffici, strette di mano a persone nuove. Sto imparando a conoscere i luoghi in cui lavoro e mi stupisco di quanta gente possa esserci dietro un servizio del genere. Con Leslie ed Alex stiamo affrontando il primo incarico di squadra. Simon ha pensato ad un report di un musical, tanto per iniziare a farci le ossa. Si tratta di uno spettacolo itinerante, con ambientazione negli anni 20. Ci siamo divisi i compiti di fronte ad una fantastica tazza di tè: Leslie si occuperà della stesura dell’articolo, mentre alla parte grafica penseremo Alex ed io.
La sera, quando torno a casa, Giulia non è ancora rientrata. Così decido di preparare qualcosa di veloce e buono nell’attesa. Mezz’ora dopo, la mia amica chiude la porta dell’ingresso parlando animatamente al cellulare, alternando “mmm” a degli “ok, ci può stare”. Intuisco immediatamente si tratti di lavoro.
“Meno male, questa giornata è finita.” esclama subito dopo aver lanciato il telefono sul divano della sala “Sai, Ila, ti invidio. Non hai ancora a che fare con lo stress causato da dive e dalle loro assurde pretese.” prosegue lasciandosi letteralmente cadere sulla sedia di fronte a me.
“Che ti è successo?” domando ormai incuriosita
“Succede che devo andare ad un concerto e non ne ho voglia.” sbuffa
“Perché mai non ci vuoi andare?!” ribatto sempre più perplessa “Giuls, è il tuo lavoro!”
Già, lei è nel settore per cui venderei un rene pur di poterci lavorare: musica live. Ciò significa che vieni pagato per fotografare i concerti dei più grandi artisti che passano per Londra. Uno schifo, vero, assistere a dei live gratis?
“Hai ragione. È solo che si tratta di una band con cui ho lavorato già in precedenza.” si ferma facendo una smorfia di disgusto “Pessima esperienza. Li avevo dovuti intervistare prima del concerto. Il cantante non conosceva la parola sapone.” conclude facendomi morire dal ridere “Ma adesso, passiamo alle cose serie. Venerdì sera c’è una mega festa a tema, credo si debba andare mascherati o qualcosa del genere. Sono invitata e posso portare una persona…”
“Se pensi di portare me, quella è la porta.” affermo seria bloccando la sua malsana idea sul nascere, cosa che la fa infervorare ancora di più. Brava me, proprio.
“Guarda che è una fantastica occasione per conoscere gente!”
“Hai presente Mercoledì della famiglia Addams?” annuisce lei “Ecco, Giuls, mettile i capelli rossi come i miei ed otterrai il mio clone perfetto. Odio le feste, odio le maschere. Non sono mai andata al carnevale dalle scuole medie in poi, perché potevo finalmente scegliere di non indossare gli abiti rosa da principessa che mi venivano imposti da mia madre.”
“Che infanzia infelice hai avuto.” ride prendendomi in giro ed iniziando a fare gli occhioni come il gatto di Shrek
“Non funziona.”
“Ma non vorrai lasciarmi andare da sola spero! Pensaci bene, saresti mascherata, nessuno sarebbe a conoscenza del tuo viso. Su, coraggio. Ti concio per le feste!” cerca di persuadermi a cambiare opinione
“Mmm il tema sarebbe?” sondo un pochino il terreno “Giusto per capire di che morte devo morire a causa tua.”
“Il fantasy!” mi informa “Allora?”
“Solo perché si tratta di un argomento che mi sta molto a cuore, potrei cedere.” concludo scoppiando a ridere “E poi, perché sono contro l’abbandono di amiche.”
Giuls si mette a saltare di gioia correndo ad abbracciarmi.
“Shopping, necessitiamo di shopping. Volevo vestirmi da Cat woman, che ne pensi?” chiede a bruciapelo ed io come reazione allungo le braccia, sciogliendo l’abbraccio con lei per fissarla negli occhi e capire se sia ironica o meno. Purtroppo l’opzione è la seconda.
Così comincio a scuoterla dalle spalle, ripetendo in modo melodrammatico “Esci da questo corpo! Esci da questo corpo!”
“Ok, recepito il messaggio.”
“Giuls, per me puoi andarci in pigiama. Volevo solo prenderti in giro. Uno pari.” e subito mi becco un pugnetto sul braccio come ricompensa.
Il giorno dopo, mi butta giù dal letto tutta eccitata dalla prospettiva di una mattinata (e temo pure un pomeriggio) tra negozi vari. Ho il panico in ogni fibra del corpo al pensiero.
Non è esattamente il mio passatempo preferito fare acquisti nei settori abbigliamento. So cosa mi piace e che cosa no, quindi non mi soffermo generalmente sulle mode del momento. Vado a colpo sicuro, cercando di non snaturarmi. Non che non mi sappia vestire, sia chiaro: però se devo scegliere tra abbigliamento e libreria, scelgo la seconda opzione. La stessa cosa vale per i negozi musicali. Decidiamo di fare colazione al bar, con mia somma gioia. A pancia piena sono sempre più malleabile. Dopo il mio caffè con pasta dolce annessa, parte la caccia al costume. Non ho idea di come vestirmi in effetti, poi passando accanto ad una vetrina improvvisamente me fermo. Giuls non se ne accorge subito per cui è costretta ad indietreggiare di qualche passo.
“Uh, ma è perfetto per te! Entra a provarlo, su.” mi impone dopo aver visto l’oggetto dei miei desideri. Non me lo faccio ripetere due volte, entro in camerino e mi guardo allo specchio. Quello che vedo non mi disgusta, il che è già tantissimo. Mi è sufficiente per decidermi ad acquistarlo. Vado diretta alla cassa sotto lo sguardo divertito della mia amica, a suo dire incredula per la mia velocità nella scelta. Un quarto d’ora dopo, è il turno di Giuls, che sfortunatamente ha cambiato idea ogni momento passando da Cat woman a Wonder Woman e su mia insistenza, facendo un pensiero per i Teletubbies. Il disagio. Tuttavia entrando in un negozio di sua conoscenza, rimango affascinata dal reparto maschile che inizio a setacciare mentre lei si spreme le meningi nella ricerca del costume. Adocchio una felpa fantastica, va sempre a finire così. Un rapido sguardo a destra e sinistra, non vedo nessuno: allungo la mano e l’afferro, poi me l’appoggio addosso dondolando di fronte ad uno specchio verticale. Forse il colore non si abbina ai miei capelli: rosso su rosso, peccato.
“Ha bisogno di aiuto?” sento una voce maschile provenire dalla mia destra, facendomi fare un salto per lo spavento, mi volto lentamente e sorrido al commesso rifiutando gentilmente con la scusa di dare solo un’occhiata. Ho la tachicardia. Un momento dopo, sento una mezza risata provenire da uno dei camerini maschili posti accanto allo specchio in cui mi rimiravo. Mi sento spiata, un’infiltrata e mi innervosisco. Esce un ragazzo con una maglietta particolarmente vistosa per via di una tigre stampata sul petto. Non gli do peso, mi volto e rimetto la felpa al suo posto, tentando di svignarmela nel modo più dignitoso possibile.
“Serve un’opinione?” domanda lui alle mie spalle, frenando i miei propositi di fuga. Lancio un occhio al reparto donna, vedendo Giuls nei paraggi della cassa. Ottimo. Mi volto dando un rapido sguardo al giovane che mi osserva con un mezzo sorriso impertinente, in attesa di una mia risposta.
“Da un ragazzo che indossa i Rayban in un negozio con scarsa illuminazione, credo di non volere un’opinione.” ribatto facendogli una smorfia e lasciandolo di stucco, prima di uscire di corsa dal negozio con una strana sensazione.
Una volta fuori, vengo raggiunta da Giulia con uno sguardo indagatore.
“Nulla, Giuls. Mi stavo ammirando con una felpa da uomo, un ragazzo ha visto tutto e si stava prendendo gioco di me. L’ho chiuso malamente e sono uscita.” le spiego
“Almeno era carino?” domanda curiosa
“Aveva una maglia orribile. Per il resto, non so come dirti, ma ho avuto la stranissima sensazione di averlo già visto da qualche parte. Portava degli occhiali da sole, non c’era molto da vedere!” rispondo soddisfacendo la sua curiosità.
“Mmm sarà. Comunque, qui abbiamo finito. Pizza?” propone lei entusiasta ed io sono ben felice di acconsentire. Alla pizza non si dice mai di no.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


Ringrazio di cuore per le visite e le recensioni ricevute. Siete veramente gentilissime!!!
Ecco a voi il prossimo capitolo. Buona lettura!

 

 
5.
 

 
La mia scarsa voglia di vivere, oggi, mi sta imponendo di non scendere dal letto, nonostante la sveglia sia suonata da un po’. Santo tasto ‘posponi’.
La mia pigrizia però viene interrotta dal suono del mio cellulare. Probabilmente sarà mia madre per la consueta chiamata mattutina. Sono così costretta ad alzarmi e rispondere. Dieci minuti dopo sono in cucina, perfettamente spettinata e desiderosa di un caffè.
Giuls al contrario è tutta pimpante, sprizza energia da tutti i pori. L’effetto festa si sta facendo vedere.
“Ma buongiorno carissima!”
“Giuls, ti prego, anche meno.” borbotto tra un sorso e l’altro “Sono appena sveglia, non la reggo tutta questa vitalità!”
“Zitta. Oggi comando io, tu devi solo eseguire. In più ho una sorpresa che sono certa ti piacerà!” afferma sibillina sparendo al piano di sopra in camera sua. Inutile dire che posso ribellarmi quanto voglio, renderle la giornata un inferno e quant’altro, ma non cambierà il fatto che farò esattamente ciò che vuole lei. È incredibile come riesca a manipolare chi le ronza intorno. Con coraggio affronto la scalata dell’Everest che altro non è se non la scala per raggiungere camera mia. Faccio rapidamente la doccia, non ho tempo da perdere. Ho del lavoro da sbrigare che mi ha inviato Alex e ho giusto i minuti contati se conosco almeno un po’ Giulia.
Due ore dopo, infatti, sfonda la porta della camera obbligandomi a spegnere computer e stereo, scendere al piano di sotto, pranzare e poi iniziare il processo di preparazione alla festa in maschera. I miei neuroni stanno tentando di suicidarsi.
Seduta a gambe incrociate sul divano, osservo la mia amica aprire un cofanetto con ogni sorta di smalto all’interno. Riprendo immediatamente vita.
“Quello blu elettrico è uno spettacolo!” esulto ma vengo bloccata dalla sua mano che mi offre un botticino trasparente con qualche brillantino
“Avanti, per quello blu c’è tempo. Questa sera invece è perfetto quello bianco con sopra i glitter.” ribatte prontamente, ma vedendo il mio sguardo di sfida riformula “Ok, senza glitter.” facendomi ridere di gusto. Appena lo smalto risulta asciutto, faccio per alzarmi e andarmi a sistemare i capelli, quando le mi ferma.
“Ti devo dare una cosa, Ginger.” dice allungando una mano per prendere una borsa di carta che era sfuggita al mio sguardo. La apro curiosa e trovo una splendida parrucca bionda. Non di quelle oscene quasi bianche, ma di un bel biondo dorato. Sono stupita.
“Per il costume ho pensato che il biondo fosse migliore. In più ha il vantaggio che ti renderà irriconoscibile. Che ne pensi?”
“Grazie Giuls, è un pensiero molto dolce.” rispondo abbracciandola di slancio “Dovrai solo aiutarmi ad indossarla nel modo giusto. Sai che sono una casinara!”
Con gesti semplici e sicuri, ci aiutiamo a vicenda.
Una volta terminato, mi guardo allo specchio. Sorrido. Il vestito è fantastico. Sembro realmente uscita dalla Terra di Mezzo. È semplice, un corpetto sul grigio chiaro dritto in vita che si allarga in una gonna a campana che raggiunge terra. Il pezzo forte per me sono le maniche: lunghissime e larghe come se fossero di una tunica. Tutto estremamente bianco, etereo. Sono una perfetta elfa. Il tutto unito ai lunghi capelli biondi legati con un fermaglio sulla nuca che lascia le ciocche libere. Un trucco leggero, le unghie anch’esse candide.
Sono ufficialmente pronta per uscire a farmi travolgere dalla festa. Forse.
Giulia è wow. Ha un abito turchese con profondo scollo a V e fascia dorata in vita, ispirandosi al personaggio di Daenerys Targaryen di Games of Thrones. Bionda lo è di suo, bellissima.
Saliamo sulla sua auto dirigendoci al locale in cui si terrà l’evento. È un palazzo enorme vicino al centro. Imponente, elegante, grigio. Incute rispetto.
Credo di tremare, perché Giulia mi prende una mano sorridendomi.
“Divertiti, non pensare a cosa può andare male e cosa no. Balla, parla, bevi, conosci gente. Fidati di te stessa e passerai una bella serata.”
Annuisco leggermente, ha ragione. Devo imparare a lasciarmi andare, ma non è facile. La ferita causata da Gianluca, brucia ancora fortissima. Mai più permetterò ad un uomo di entrarmi così sotto la pelle. Mai più.
Entriamo e ci vengono consegnate delle semplici maschere bianche. Identiche per tutti i partecipanti. Per raggiungere la pista da ballo bisogna scendere una rampa di scale piuttosto ampia. Un cerchio in cui sono già ammassate delle persone con vestiti sgargianti. In alto, tutto intorno alla pista, c’è una lunga balconata. In basso invece ci sono numerosi divanetti con tavolini neri. È un viavai di camerieri, rigorosamente senza maschera, e musica crescente. Giulia si guarda intorno come se stesse cercando qualcosa o qualcuno. Intravede un divanetto libero e mi trascina con lei giù per la scala per non perdere il posto. Prendiamo da bere e iniziamo a chiacchierare con degli amici di Giuls. Sono simpatici e fanno un lavoro impegnativo e gratificante come quello dell’ingegnere del suono per uno studio musicale prestigioso. All’improvviso in mezzo a tutte quelle persone, mi sento Miss Nessuno.
Scaccio rapidamente il pensiero dalla mente, mentre mi accorgo di un ragazzo che non toglie gli occhi di dosso alla mia amica.
“Giuls, ore tre.” le sussurro facendole intendere che deve girarsi in modo discreto, cosa che ovviamente non fa scattando di colpo in piedi
“Ah, niente. Vado a salutarlo, ci ho lavorato per un report l’anno scorso.” afferma muovendosi verso il moro riccio che ha preso a salutarla. Osservo la scena, rimanendo incollata al divano, anche quando i due si spostano nella mischia di persone. Sostanzialmente tra un ballo e l’altro perdo totalmente di vista Giulia.
Non sapendo che fare, mi controllo il vestito, lo piego giocando con le mani. Un cameriere si affianca porgendomi un altro drink. Rosa pallido con qualche fogliolina verde, un sapore fruttato e fresco. Lo gusto per metà, perché mentre bevo una ragazza involontariamente mi colpisce il braccio con un movimento per nulla aggraziato, probabilmente dovuto ai trampoli su cui tenta di camminare. Sprofonda letteralmente sul divanetto accanto a me, mentre il resto del mio drink inesorabilmente finisce sul mio vestito, che da candido diventa rosa. Orrore.
“Ti sei fatta male?” domando per educazione all’attentatrice, ricevendo per risposta una risata mista a grugnito, deduco sia tutto a posto quindi. Non è l’unica a ridere, però: c’è un ragazzo, probabilmente era con lei ma non l’avevo notato, che è piegato in due dal ridere per via della scena vista. Poi si avvicina e allunga una mano verso di lei, che prontamente l’afferra tornando seduta composta.
“Scusami, mi sono inciampata in quel cavolo di tavolino.” risponde finalmente “Comunque, tutto ok, grazie per avermelo chiesto.”
“Almeno sei atterrata sul morbido, dai.”
“Adoro il tuo costume!” afferma poi osservandomi attentamente “Peccato per la macchia rosa, sono desolata. Sono una casinista, perdonami.”
“Non ti preoccupare, così ho la scusa per andarmene prima dalla festa. Mi hai fatto un favore!” ribatto sorridendo alla prospettiva che ho appena esposto
“Oh mio dio, Tom!” urla alzandosi di scatto e lasciandomi da sola per correre da un uomo all’altro lato della stanza. Che agitazione questa ragazza. Poso il bicchiere ormai vuoto sul tavolino, sbuffando senza rendermene conto.
“Scusala, è fatta così, iperattiva.” metto a fuoco il ragazzo di prima che evidentemente ha scelto di non seguirla “Posso?” domanda fissando il posto vuoto accanto al mio sul divano. Annuisco spostandomi di poco di lato per permettergli di passare con più facilità.
“Così sei un elfo, eh?” chiede ancora fissandomi, cosa che mi infastidisce moltissimo
“Già.” rispondo a monosillabi pensando a come svignarmela
“Se posso, vorrei pagare le spese per il danno fatto dalla mia amica.” riferendosi al mio abito
“Oddio, no. Sei gentile, ma no.” dico trattenendo le risate “Non credo lo indosserò ancora.”
“Non ti piacciono le maschere?” chiede divertito
“Non mi piacciono le feste, è diverso.” preciso “E nemmeno parlare agli sconosciuti.”
“Touchè. Piacere, Dominic.” afferma con un movimento circolare della mano come se stesse per fare una riverenza “Ora non sono più uno sconosciuto.”
“Ilaria, piacere tuo.” ribatto provando ad alzarmi per congedarmi da lui. Una sua mano però ferma il mio movimento, appoggiandosi delicatamente al mio braccio.
“Che fai, scappi?” domanda stupito
“Era quello che volevo fare, in effetti. E poi, tu devi tornare dalla tua amica.” rivelo profondamente imbarazzata, mentre scorgo Giulia camminare finalmente verso di me. Sono salva.
“Balla con me, poi sparisco. Promesso.” propone lui con enfasi ed io tentenno quel tanto da permettergli di trascinarmi in pista sotto lo sguardo sorpreso della mia amica. Finiscono le note di ‘Undisclosed desires’ dei Muse e sono dispiaciuta, mi avrebbero aiutata a ballare con più energia. Lui mi guarda interrogativo, avvicinandosi a me per prendermi le mani e farmi fare una giravolta.
“Non ridere, ma adoro i Muse.” gli spiego mentre mi accorgo dei suoi occhi, dal colore indefinibile, con una luce diversa. Scoppia a ridere di gusto ed io stizzita faccio per voltargli le spalle, ma lui con un rapido movimento mi cinge la vita con un braccio.
“Scusami.” sussurra dolcemente al mio orecchio, pietrificandomi “Comunque, anche a me piacciono un sacco.” prosegue mentre la canzone di Lady Gaga termina con mio immenso sollievo
“Ti ho concesso il ballo, adesso sono libera.” affermo sciogliendo la presa
“…e non vuoi concedermi altro?” domanda allusivo in un modo estremamente sensuale, non ci penso due volte: mi giro e gli mollo un ceffone in piena guancia.
“Una cinquina, va bene?!” esclamo per poi allontanarmi furiosa, lasciandolo nel mezzo della pista sotto gli sguardi curiosi della gente intorno. Torno da Giulia che sta chiacchierando con un altro ragazzo. Non dice una parola, ha visto tutto: si alza, saluta il suo interlocutore e mi segue fuori. Saliamo in auto e appena entro in casa, esplodo.
“Quel deficiente, ma come si permette? Ma per chi mi ha presa? Una che la da via come il pane?! Oh come si sbaglia.” gesticolo mentre Giulia risponde ad un sms “A chi scrivi?”
“A quel ragazzo che mi hai costretta a piantare in asso. Ti fossi fermata un secondo, te l’avrei presentato e fidati, ti sarebbe piaciuto.” ammicca lei calma. La fulmino con lo sguardo, zittendola. “Ok, meglio dormirci su.”
“Già. Buonanotte!” le dico prima di chiudermi la porta alle spalle.
E dire che per un attimo gli occhi di quel Dominic mi avevano catturata.
Fortuna che non lo rivedrò mai più.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. ***


Ciao a tutti, chiedo scusa per il ritardo, ma con l’inizio dell’università è un casino far quadrare tutto. Grazie per le numerose visite!
Buona lettura!
 
 
       6.
 
 
 
La settimana corre veloce, sono presa dal lavoro ed inizio a vederne alcuni frutti. Ormai con Alex siamo un ottimo duo, ma il vero divertimento è la telepatia che si è creata con Leslie. Molte volte a farne le spese è proprio l’elemento maschile del trio.
“Ma chi me l’ha fatto fare di lavorare con due donne” è la frase che ci ripete più spesso dopo l’ennesimo scherzo. In genere tutto si conclude con un pessimo caffè alle macchinette dello studio.
Verso pomeriggio, mi giunge un messaggio da Giulia, con su scritto ‘Emergenza. Dobbiamo parlare.’. Così, una mezz’ora dopo le dico di venire da me in studio, dato che sono libera. Non devo aspettare molto prima di vedere la sua chioma bionda entrare come un fulmine chiudendo la porta dietro di sé. Qui c’è aria di cospirazione.
“Premessa: non odiarmi.” esordisce lei “Non sapevo che fare, ho agito d’impulso e ho fatto un casino.”
Mi siedo meglio sulla poltrona con le rotelle e già inizio a sudare freddo. Non so quante volte mi sono trovata in questa situazione, con lei che si infila in qualche strano casino che mi tocca e coinvolge. Chiamatela amicizia. Non parlo, le faccio un semplice cenno d’intesa per permetterle di raccogliere i pensieri ed esporre al meglio la situazione.
“Ricordi la festa in maschera e il ragazzo che ho sentito in questi giorni?” inizia ed annuisco “Ecco, non sono stata del tutto sincera con te. Quel ragazzo è Tom Kirk, lavora con i Muse. Anzi, potrei dire che è sostanzialmente il quarto membro della band.”
“Mmm ok. E quindi?” domando percependo un leggero tremore all’altezza dello stomaco
“Sono stata invitata alla festa proprio per cercare un aggancio con lui, per avere la possibilità di fare un report sulla band. Capisci? Mi sono messa in gioco, ci ho parlato e lui è stato veramente gentile con me. In questo momento poi, so che sono in pausa per prepararsi alla stesura del nuovo disco, per cui poteva essere interessante saperne qualcosa in più. Tom mi ha assicurato che ne avrebbe parlato con i ragazzi. Quasi non ci speravo più, ma questa mattina mi ha chiamata dicendomi che si poteva organizzare una cena per giovedì sera, sperando in qualcosa di informale. Così, dal nulla gli ho spiegato che sono un’ottima cuoca e che potevano venire a casa mia, offrendomi di preparargli una cena all’italiana.” fa una pausa, torturandosi le dita delle mani, non sapendo bene dove posare lo sguardo per il terrore di incrociare il mio.
“Ma tu sei completamente uscita fuori di testa! A parte che non sai cucinare, ma poi credi veramente che una band del calibro dei Muse, venga a cena a casa nostra?!” inizio a ridere come una cretina, dimenandomi sulla poltrona e finendo per coinvolgere anche lei
“Tom, mezz’ora fa, mi ha detto che è un’ottima idea. Gli ho dato l’indirizzo.” prosegue lei scandendo ogni parola facendo una fatica enorme.
“Oh cazzo.” riesco solamente a dire, pietrificata “Sicura di non avergli offerto anche uno scambio in natura?! No perché altrimenti non me lo spiego.”
“Zitta che ancora non ho finito.”
“C’è dell’altro?! Che agonia.”
“Non so cucinare, l’hai appena detto. Mi puoi aiutare?” domanda in un sussurro insinuando in me un moto di tenerezza mista a rabbia “Ti prego, ti prego, ti prego!”
“Giuls, credo di odiarti in questo momento. Lo sai benissimo che non potrei mai lasciarti in un casino del genere. Però, cazzo, non puoi prendere queste iniziative così. Usa la testa, ragiona!!” sbotto per poi tornare a respirare con maggior calma “Avanti, adesso pensiamo a cosa fare. Tiriamo giù una lista e poi valutiamo il tutto.”
“Sei un angelo!” corre ad abbracciarmi stringendo le braccia attorno al mio collo “Mi salvi. E poi, non credere di svignartela. Ho detto a Tom di avere una coinquilina che lavora nel mio stesso studio, per cui non ci sono problemi.”
“Sei assolutamente e completamente pazza.” confermo e per un momento sorrido, i Muse sanno che esisto e la fan che è in me ha un moto di trionfo. Ma è solo un attimo. “Pensa se li avveleno, che macello.” rifletto mentre Giulia trasforma l’abbraccio in un tentato soffocamento. Ci mettiamo inesorabilmente a ridere.
Di sera, dopo cena, casa nostra sembra un quartier generale. Fogli sparsi sul divano, pc e cellulari a portata di mano. Dopo due ore di concentrazione, abbiamo stilato uno pseudo menù. Domani ci toccherà svaligiare un supermercato.   
Vado a letto, mi corico e rimango a fissare il soffitto. L’ansia sta salendo. Sono assolutamente combattuta tra il terrore di fare un casino, l’ansia che mi attanaglia lo stomaco e l’eccitazione dovuta alla consapevolezza che incontrerò una delle band che amo. Voglio dormire, ma più mi impongo di farlo, meno ci riesco. Domani, sarà una lunghissima giornata, oltre che una serata eterna.
Il mattino dopo, brancolo come uno zombie insieme a Giuls per le corsie del supermercato. Ci siamo svegliate presto per poter fare tutto con calma.
“Ok, c’è tutto!” afferma agitata la mia amica dopo aver ricontrollato per la terza volta il contenuto del carrello
“Giulia, keep calm! Non è ora il momento di andare in panico.” rido sciogliendo immediatamente la sua tensione.
Una volta rientrate in casa, ci dividiamo i compiti: grandi manovre in sala per rendere la giusta atmosfera per i nostri ospiti speciali per Giulia, mentre io mi diletto in cucina. Niente mi rilassa di più del cucinare, forse solo suonare la mia chitarra. Potrebbe esserci una battaglia nella stanza accanto e non me ne accorgerei minimamente. Una volta concluse le grandi pulizie del piano terra, Giulia si offre come aiutante. Lo so che si sente terribilmente in colpa per avermi messa in difficoltà, glielo leggo in ogni sguardo che mi rivolge. Inesorabilmente le sorrido, tranquillizzandola.
Un paio d’ore dopo, ammiriamo soddisfatte il frutto del nostro lavoro sorseggiando una birra, per distendere i nervi. A turno facciamo una rapida doccia. Una volta asciugati i capelli, mi ritrovo seduta sul letto di fronte all’armadio con le ante aperte, in trance: che cazzo metto?!
Giulia percepisce il mio disagio e tira fuori un paio di jeans scuri con una maglia grigia con scollo morbido davanti e dietro. Semplice, come piace a me. Indosso il mio anello portafortuna, perché ne ho veramente, veramente bisogno e le mie amate converse nere (anche se Giuls me le ha bocciate). Scendiamo al piano di sotto, iniziando a contare i minuti che ci separano dall’evento.
“Giulia, sto per avere un attacco di panico al pensiero che tra poco da quella porta entreranno delle rockstar e che la cena è stata fatta da queste mani” dico sollevando in aria le braccia nervosamente “Però, non lo farò. Ora riprenderò a respirare e tu, tirerai fuori la positività di cui ho bisogno.” proseguo cercando di convincere più me stessa, di lei. Suonano il campanello.
“Ila, niente potrà andare storto. Ci abbiamo messo il cuore.” afferma serissima mentre si avvicina alla porta d’ingresso per aprirla. Loro sono qui.
Giulia li accoglie facendo gli onori di casa, entrano uno dopo l’altro, stringendole cordialmente la mano presentandosi. Quando anche l’ultimo è dentro, mi prende un colpo. Il biondino è identico al ragazzo che ho incontrato al negozio dove Giulia ha acquistato il costume per la festa in maschera. Non può essere, dai. Mi starò sbagliando, sicuro. Scaccio il pensiero dalla mente, avvicinandomi per presentarmi.
“Piacere, Ilaria.” dico rivolgendomi a Matt, l’unico che ho riconosciuto in modo immediato. Mi sorride di rimando e mi stringe calorosamente la mano.
“Matt, piacere mio. Italiana?” chiede velocissimo ed io annuisco sorridendo.
“Tu devi essere la sua coinquilina, vero?” si intromette quello che presumo essere Tom “Piacere, Tom.”
“Piacere mio, ho sentito molto parlare di te in questi giorni.” ribatto “In modo positivo, ovviamente.” proseguo mentre lui in modo drammatico tira un sospiro di sollievo, facendoci ridere.
Dopo è il turno di Chris, il quale genera in me una malsana voglia di essere abbracciata. È come un orso buono. Infine, con immenso terrore, devo presentarmi al biondino che mi sta squadrando curioso, sollevando un sopracciglio.
“Piacere, Dom.” mi dice avvicinandosi
“Piacere, Ilaria.” concludo stringendogli rapidamente la mano e voltandomi per accompagnarli nella sala dove mangeremo cena.
Tiro un sospiro di sollievo, mi sono confusa. Sarà lo stress per questa cena ad avermi mandata in tilt. Ci sediamo a tavola e mi ritrovo accanto a Matt e di fronte a Dom. Sarà una serata eterna, come avevo previsto. Ogni tanto becco lo sguardo di Dom su di me e non capisco se ho scritto ‘loser’ sulla fronte. Quando mi alzo per prendere da bere, lui si offre di darmi una mano prendendo la bottiglia di vino vuoto dal tavolo. Non potendo rifiutare, gli dico di seguirmi in cucina.
“Sai, devo ammettere che ti preferisco con indosso questa maglia.” esordisce non appena siamo dentro, facendomi prendere un infarto.
“Merda. Lo sapevo che eri tu!” esclamo a voce più alta di quanto in realtà non voglia, generando la sua spontanea risata
“Mi credi uno stupido?” domanda curioso prendendo una bottiglia e leggendone l’etichette
“No, stupido no. Speravo non godessi di buona memoria, quello si.” gli dico guardandolo imbarazzata “O almeno, non pensavo di esser così difficile da dimenticare!” concludo scoppiando a ridere
“Già, non è facile dimenticare una ragazza che rifiuta una mia opinione.” afferma incrociando le braccia sul petto e facendo il finto offeso
“Oh te ne farai una ragione.” ribatto “Adesso, usa quelle manine per prendere quel vassoio. Grazie!”
“E che comanda pure.” borbotta in modo esilarante per poi fare ciò che gli ho chiesto.
Una volta a tavola, mangiamo in un clima surreale, quasi familiare e mi stupisco di tutto ciò. Quando portiamo le lasagne credo di vedere degli occhi a cuoricino nel mio vicino di posto. Mi fa troppo ridere anche se parla veloce come un treno e fatico a volte a seguire un discorso completo. “Ila, tu di cosa ti occupi?” mi domanda Chris “Tom ci ha detto che lavori nella stessa rivista di Giulia.”
“Si, mi sono trasferita dall’Italia un mesetto fa. Mi occupo di live report al momento con altri due collaboratori. In queste settimane abbiamo lavorato sui musical in zona. È stato affascinante.” gli spiego serenamente e lui annuisce soddisfatto della mia risposta
“Ti trovi bene qui?” mi chiede Matt ed io inizio a sentirmi al centro dell’attenzione
“Molto. Certo, Londra non è come casa mia. Sono abituata al casino che solo noi italiani riusciamo a fare, ma mi piace. Ho sempre pensato che il cielo qui avesse qualcosa di speciale. E poi, Giulia è un ottimo cicerone, mi trascina in ogni luogo per farmi ambientare al meglio!” rispondo sinceramente
“Già, trascinare è il termine più adatto con te!” si intromette lei mentre io faccio spallucce
“Come dice Snoopy: amo l’umanità, sono le persone che non sopporto.” ribatto facendo ridere tutti
“Ho dovuto supplicarla di venire con me alla festa in maschera la settimana scorsa. Un incubo.”
“Quindi eri a caccia del vestito nel reparto uomini quando ci siamo incontrati?” domanda divertito Dom, a bruciapelo, mentre Giulia mi guarda sorpresa.
“Spiritoso. Chiaramente mi sono persa mentre aspettavo che lei scegliesse il vestito.” spiego con una vena di sarcasmo che non passa inosservata
“Comunque, quella festa è stata uno spettacolo. Tra i dieci momenti più divertenti che coinvolgono Dommeh. Vero?” espone Matt mentre gli altri annuiscono, tutti tranne Dom che ha uno sguardo di sfida che il cantante non nota
“Perché?” chiede curiosa la mia amica “Se posso, ovviamente, eh!”
“Ero mezzo brillo, Matt.” inizia a dire il batterista a mo di scusa
“Sarà, ma la sberla che quella ragazza ti ha mollato, la ricordiamo tutti.” lo interrompe prontamente il frontman.
In un attimo nella mia testa c’è il caos, infatti per poco non mi strozzo con l’acqua e Matt è costretto a darmi qualche pacca sulla spalla per farmi riprendere. Giulia nel frattempo è diventata viola dal ridere.
Dominic.
Festa in maschera.
Sberla.
Oh porca puttana: ho preso a sberle una rockstar.
I ragazzi osservano le nostre reazioni in modo curioso.
“Dom, quella ragazza era vestita da elfa, per caso?” domanda Giulia mentre in ogni modo cerco di farle capire di starsene zitta.
“Si, perché?” annuisce lui sorpreso, poi segue lo sguardo di Giulia fino a me, che istintivamente lo abbasso fissando la forchetta, che situazione di merda. “Non ci credo, ancora tu?!” esplode poi all’improvviso facendomi saltare sulla sedia.
“Ops. Scusa” è l’unica cosa che riesco a dirgli mentre Matt mi circonda le spalle con un braccio avvicinandomi a lui in modo trionfante. Evidentemente per loro è divertente, io invece vorrei sprofondare.
Il resto della serata prosegue con Giulia che intervista i ragazzi ottenendo le informazioni che le servono, mentre io mi occupo di risistemare la cucina. Non voglio sentire, né tantomeno passare nei paraggi di Dominic.
Fortunatamente, il tempo scorre veloce e arriva il momento dei saluti. Ci ringraziano per la cena e l’ospitalità. Stringo nuovamente le mani ad uno ad uno, consapevole che una fortuna simile comunque non mi capiterà più. Sorrido in preda alla vergogna quando è il turno di Dominic.
“Ora sei nei guai.” mi sussurra “So dove trovarti.” e raggiunge gli altri, ma prima si volta per farmi una smorfia. Non riesco a capire se sia una minaccia o meno, in ogni caso rabbrividisco al pensiero. Sono fregata.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. ***


 
Sono tornata, chiedo scusa per il ritardo. Vi ringrazio per le visite ed i commenti, siete veramente gentili. Spero di farvi ridere un pochino!

 

7.
 
 
Sono due giorni che ovviamente ripenso, anzi ripensiamo, alla cena.
Penso che una carrellata di situazioni assurde come quelle venute fuori in quelle ore, non mi sia mai capitato. Alterno stati di imbarazzo totale a sogni ad occhi aperti. Amo il mio lato bipolare.
Questa mattina, Giulia mi ha chiamata dallo studio per dirmi che le è stato recapitato un mazzo di fiori meravigliosi da parte della band, per ringraziare della serata. Lei si è sciolta, ha il cuore tenero. Che pensiero gentile da parte loro. Non vedo l’ora di vederlo.
A fine mattinata, insieme a Leslie, andiamo a seguire un compito che esula dai nostri, ma che ci attrae tantissimo: la registrazione di un videoclip. Il direttore della fotografia ci concederà un’intervista sulle nuove tecniche applicate, pare sia un genio nel campo. Vederlo all’opera sarà sicuramente stimolante. Alex è già lì dal mattino, quando arriviamo sembra di vedere un bimbo la sera di Natale: felice ed iper eccitato. È il suo mondo ed ha l’occasione di osservare un’eccellenza al lavoro. Siamo tutti contenti per lui, chiaramente, anche se sembra una trottola.
Nel pomeriggio, torno in studio per consegnare il lavoro. Entro come sempre lasciando la borsa sulla sedia, ma ho la sensazione che ci sia qualcosa di diverso. Do un’occhiata in giro ed in effetti vedo che nel bel mezzo della mia postazione si trova un pacco. Rettangolare, non molto alto, come le confezioni delle camicie, di colore azzurro chiaro. Un bel fiocco rosso nell’angolo destro. Nessun biglietto, che stranezza. Non so nemmeno se aprirlo, ma poi la curiosità la fa da padrona. Sollevo il coperchio con delicatezza, apro le due veline di carta bianca e sgrano gli occhi.
Una felpa. O meglio quella felpa rossa.
Forse ho perso un battito. È una cosa talmente strana, da risultare persino credibile. Non c’era bisogno di un biglietto, è un indumento che ovviamente mi rimanda solo al nome di Dominic. Sorrido come una cretina di fronte a questo pensiero così carino. Sorrido al fatto che lui si sia ricordato il modello, il colore della felpa, che sia ritornato nel negozio a comprarne una e me l’abbia inviata senza un motivo. Anche perché finora chi ha avuto la peggio, è sempre stato lui, tra un ceffone e un mezzo insulto. Eppure c’è qualcosa in lui che inesorabilmente mi mette di buonumore: ecco perché devo stargli alla larga, evitarlo come la peste.
Non posso neanche ringraziarlo, in effetti, non saprei nemmeno come contattarlo. Meglio così: non rischio di infilarmi in una brutta situazione.
Rimetto tutto a posto, spengo il pc e torno a casa. Mi faccio fermare un isolato prima. Ho bisogno di camminare un pochino. Siamo io ed il mio pacchetto speciale sotto braccio. Camminare da sola a volte con il naso all’insù mi rilassa, mi riconnette con me stessa. Uno sguardo di qui, uno di là e via. Vedo la mia casetta in lontananza.
Sento il telefono vibrare proprio a qualche metro dall’edificio. Con un po’ di contorsionismo riesco a tirarlo fuori dalla borsa. È un messaggio di Giuls che mi avvisa che non verrà a cena per via di uno spettacolo a cui deve partecipare. Se n’era dimenticata, che testa. Mentre armeggio alla ricerca delle chiavi di casa, sento una mano appoggiarsi sulla mia schiena.
“O la borsa, o la vita.” dice una voce maschile alle mie spalle ed io logicamente vado un pochino nel panico. Del tipo che divento bianca di colpo e il cuore che non sa se uscirmi fuori dal petto per lo spavento. Mi giro di scatto pensando di cogliere di sorpresa il mio aggressore colpendolo con una gomitata. Ovviamente non ci riesco e quando rimango faccia a faccia con lui, credo di accarezzare l’idea di un omicidio.
“Tu, razza di idiota. Vuoi forse farmi morire?” mi metto a strillare ad un Dominic in preda alle convulsioni dovute alle risate
“L’ho detto che l’avresti pagata, ma non pensavo ci cascassi così malamente.”
“Stupido, deficiente, cretino” inizio ad imprecare in italiano sotto il suo sguardo divertito
“Almeno stavolta non le ho prese.” borbotta fissandomi
“Non ancora, vorrai dire.” ribatto iniziando a respirare nuovamente in maniera normale
“Ok, dai. Scusami. Tregua?” chiede lui facendo gli occhi da pazzo e generando in me una risata
“Che ci fai, qui?” domando tornando improvvisamente seria
“Potrei dirti che passavo di qua per caso, ma non sarebbe vero. Ti stavo aspettando.” rivela sibillino giocando con gli occhiali da sole appesi alla maglietta bianca
“Perfetto. Così posso ringraziarti per questa!” rispondo indicando con un cenno il pacco che porto sottobraccio, lui coglie il mio gesto e sorride “Non me l’aspettavo, sei stato gentile!”
“Avevo notato il tuo malsano interesse e ho pensato di prendertela. Sono contento tu l’abbia apprezzato.”
“Malsano interesse?” dico scoppiando a ridere “Scusa, Dom, ma detto da te che ti vesti con queste fantasie leopardate, è troppo.” lui mi guarda di traverso per poi ridere insieme a me. Adoro la gestualità che accompagna la sua risata. Ha degli occhi espressivi, a volte sembrano prendersi gioco di te, in altri casi al contrario sono lo specchio della felicità. La sua.
Fa il finto offeso, so che le sue rotelline stanno meditando una risposta a tono alla mi affermazione.
“Parla quella che si veste nel reparto maschile.” esclama poco dopo sollevando le mani in avanti come a dire ‘te la sei cercata’. Ha ragione, in effetti.
“Ho una mia personalissima opinione della moda e dello stile. Tipo…inesistente. Vabbè.”
“Ti va di cenare insieme?” propone lui guardando l’ora rivolgendomi uno sguardo che non ammette risposte negative.
Fermi tutti: mi sta chiedendo di uscire?!
“Ehm, dunque. Giuls torna tardi, per cui sono sola. Ok, va bene.” rispondo elencando il filo dei miei pensieri ad alta voce
“Cioè, fammi capire: è un modo per dire che siccome non hai niente da fare, può andar bene uscire con me?” chiede lui sgranando gli occhi divertito. O almeno spero.
“Mmm ti lascerò crogiolarti nel dubbio, cocco bello.” ribatto “Fammi posare la felpa dentro e sono pronta. Perché dato che mi hai descritta come una che non si sa vestire, non credo di dovermi mettere in tiro per una cena con te. Giusto?” espongo trattenendo a stento una risatina cercando di essere il più seria possibile.
“Per me puoi uscire anche in pigiama. Non ci sono problemi. Sei perfetta così.” sussurra lui mentre gli volto le spalle per aprire finalmente la porta di casa. Ovviamente queste parole hanno un strano effetto su di me. Una sensazione di dolcezza e calore. Come il cioccolato caldo sulle fragole. Devo impedirgli di farmi il lavaggio del cervello con due moine.
“Che fai, non entri?” gli chiedo evitando di soffermarmi troppo sulle sue affermazioni      
“Arrivo, arrivo!” ribatte lui entrando come un fulmine mentre sto per chiudergli la porta in faccia “Questa casa mi piace proprio!”
“Ah si? Sono stata fortunata, è Giulia ad averla trovata. È un mago in queste cose!” gli spiego mentre mi avvio al piano di sopra per posare il pacco in camera mia, lui mi segue in silenzio ascoltando e guardandosi intorno. Lancia qualche sguardo alla mia stanza e si sofferma sulla mia chitarra. È acustica e colorata, va dall’interno nero a sfumare sul rosso verso l’esterno. Inutile dire che è stata la mia compagna di tanti momenti.
“La sai suonare?”
“No, la lascio lì come un soprammobile.” rispondo seria guardandolo dall’alto in basso “Dom, certo che la suono, non come l’amico tuo chiaramente, ma la strimpello sempre volentieri.”
“Ti avviso: questo tuo atteggiamento misto tra attacco, difesa e acidità probabilmente messo in atto per allontanarmi, sortisce l’effetto opposto.” mi spiega replicando il mio modo di fare. Perspicace il ragazzo.
Mi siedo sul mio letto e lo osservo. Non so come rispondere. Lui non sa un bel niente della mia vita, di quali cicatrici mi porto dietro, di quali ferite necessitano di cura. Eppure, qualcosa ha intuito ed ha preferito mettere subito le carte in tavola con me. Almeno una tregua potrei concedergliela, tutto sommato. Aprire uno spiraglio è sempre rischioso, da lì si può comunque entrare e non credo di esser pronta per una cosa simile.
“L’ho chiamata Ginger.” sbuffo raccontandogli del soprannome per nulla fantasioso rifilato alla mia chitarra “L’alternativa era Scarlett, ma poi non mi convinceva del tutto. La lascio spesso fuori dalla custodia, come puoi ben vedere. Se la guardi in controluce, puoi notare tutte le rigature che le ho causato con la mia imbranataggine.”
Lui si avvicina alla chitarra e la afferra per poi sedersi accanto a me, in silenzio, come se volesse ascoltare ciò che ho deciso di condividere con lui.
“Mi piace. È una chitarra vissuta, con una storia tutta sua.” mi dice accarezzandone la cassa
“Proprio così. Non sono brava, ho imparato da me a suonarla, ho una tecnica pessima. Però la suono per sfogarmi, per consolarmi, per divertirmi. Un po’ per tutto, insomma. Ne sono molto gelosa. Giulia non si azzarda nemmeno ad avvicinarsi.” proseguo mentre lui sentendo l’ultima frase sgrana gli occhi
“Sono un morto che cammina, quindi?” sorride curioso
“Per oggi, no. Ora siamo pari. Non mi piace essere in debito.”
“Capisco. Bene, che dici, andiamo?” mi chiede lui, mentre di colpo gli suona il telefono. È sorpreso nel rispondere. In effetti non capisco molto di quello che sta dicendo, parla veloce e soprattutto sottovoce. Gesticola in modo carino e credo anche nervoso. Ha cambiato tono di voce, prima di concludere la telefonata. Si lascia letteralmente cadere di schiena sul mio letto, sbuffando sonoramente. Ovviamente non mi risulta chiaro il perché.
“Che succede, Dom?”
“Succede che sono un cretino.”
“Questo già lo sapevo.” ribatto dandogli una pacca sul braccio in modo scherzoso, ma capisco che forse non è il caso “Ok, sono seria.”
“Mi sono dimenticato di avere un impegno con Sophie.”
Fermi tutti due la vendetta: prima mi chiede di uscire, poi si ricorda di avere già un altro appuntamento con un’altra donna e me lo viene pure a dire?! Male, molto male.
“Che hai capito?!” esclama lui interrompendo il flusso negativo dei miei pensieri, appoggiandosi ai gomiti e sollevando il busto per potermi fissare senza ritegno
“Quello che hai detto.” rispondo guardandolo con aria di sfida. Lui scuote la testa leggermente, poi mi prende per un braccio e mi avvicina a sé. Ha un profumo che adoro, il che non mi aiuta per niente date le circostanze. Circonda le mie spalle con un braccio, accarezzandomi dolcemente.
“Sophie è la nostra stylist. Matt mi ha chiamato per ricordami che questa sera devo assolutamente andare alla raccolta fondi promossa dalla società per cui lei lavora.” mi spiega senza mollare la presa, con un tono di voce a metà tra il dolce e l’amaro “Per questo mi tocca rivoluzionare i nostri piani. Però, stanne certa: a questa cena con te, ci tengo per davvero.” conclude avvicinando il suo naso alla mia guancia, sfiorandola “Adesso, hai capito?” chiede divertito
“Mah, se proprio vuoi dedicarmi un disegnino, liberissimo di farlo.” rispondo con una smorfia “Tranquillo, Dom, non mi devi alcuna spiegazione. È tutto ok!”
“Va bene, come vuoi.” dice mettendosi in piedi e sistemandosi la giacca “Temo di dover andare. Devo farmi bello!” esclama per poi farmi alzare dandomi la sua mano. Scendiamo al piano di sotto e lo seguo fino alla porta d’ingresso. Si volta e mi accarezza una guancia. In quel punto in cui siamo pelle a pelle, avvampo.
“Scusami ancora. Ci sentiamo, eh.”
“Ok, buona serata.”
Esce.
Chiudo la porta e mi appoggio automaticamente ad essa pregando che le mie gambe riescano a reggermi. Poco dopo mi ritrovo seduta per terra, con il viso in fiamme ed uno strano movimento all’altezza dello stomaco. Influenza intestinale? Mah.
Passo il resto della serata in trance, rivivendo e riascoltando tutto quello che Dom mi ha detto. È pazzesco. Da una parte è come se lo conoscessi da un pezzo, dall’altra è un completo sconosciuto che ha già capito alcune cose di me che la maggior parte della gente non nota. Inoltre, posso sfotterlo quanto mi pare, ciò non toglie che sia perfetto. Già il fatto di ammettere questa cosa, è terribile. Mi metto a letto, contemplando il soffitto. È tardi quando sento Giulia rientrare.
Sto quasi per addormentarmi quando il mio cellulare vibra. Pensavo di averlo spento. È un messaggio da un numero che non conosco, strano.
 
Buonanotte, Ginger. Un bacio.
 
Non serve firmarsi. Il cuore accelera e torna quella strana sensazione.
Cazzo, forse non è influenza.  

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Capitolo 8
*** Capitolo 8. ***


8.
 
 
Finalmente arriva sabato. Ovvero quel giorno in cui non devo essere svegliata a causa di un trillo malefico proveniente dal mio comodino. Niente allarme. Posso dormire in santa pace, o almeno è quello che spero. Oggi voglio fare tutto con estrema calma, ottenendo il massimo risultato con il minimo sforzo. Dopo essermi rotolata a sufficienza nelle lenzuola, decido di scendere in cucina per preparare dei pancake per colazione. Ogni tanto mi partono quei dieci minuti in cui devo seguire la masterchef che è in me, prima che sfugga l’inventiva. Con delicatezza, creo l’impasto, mescolo il tutto senza fare grumi e lo faccio cuocere in una padella bollente. Che profumo emanano. Poi, li impilo, evitando di dare vita ad una torre pendente e li ricopro con un po’ di sciroppo d’acero. Mi beo della visione per qualche secondo prima di armarmi di forchetta e darci dentro. Ovviamente, faccio un piatto anche per Giulia che sembra aver seguito il profumo, comparendo qualche secondo dopo dalla sala.
“Siamo di buon umore o in preda all’ansia?” domanda riferendosi al tanto daffare per la colazione. Mi conosce, lo sa che quando sono nervosa, giù di morale o via dicendo, amo mettermi a cucinare perché mi rilassa, tira fuori il lato positivo, stende i nervi. Soprattutto riempie lo stomaco e sappiamo bene che a pancia piena (di cose buone, poi) si ragiona decisamente meglio.
“Diciamo che non ci capisco nulla.”
“Mmm riguardo a Dom?” chiede addentando un pancake e facendo roteare gli occhi in segno di approvazione
“Si, mi fa sentire strana. Non mi piace.”
“Per questo lo stai evitando come la peste negli ultimi giorni?”
“Suvvia, dai.” ribatto prontamente, ma non riesco a giustificare le mie azioni, so che lei ha perfettamente ragione. Dalla sera in cui me lo sono trovato sotto casa, non ho fatto altro che evitare accuratamente di rispondere ai suoi messaggi. Non volevo illudermi di avere un qualche valore ai suoi occhi. Insomma, mi sono fatta una cultura a riguardo, con gli uomini c’è poco da fidarsi, l’ho imparato a mie spese. Se con uno normale funziona così, figuriamoci con uno che è pure famoso. Potrebbe avere chiunque, perché dovrebbe interessarsi proprio a me?! Ridicolo.
“Si, come vuoi. Fai pure finta di non capire. Vuoi rimanere sola e triste per il resto della tua esistenza?” mi rimprovera impedendomi di proseguire il mio film mentale
“Non sto facendo la finta tonta, lo sai. Penso solo che lui sia troppo, in tutti i sensi possibili. Che perde tempo con una come me e che onestamente non ho idea di cosa gli passi nella mente. Potrei essere semplicemente uno sfizio da togliersi, che ne sai? L’ha detto lui stesso che non è semplice dimenticarsi di una ragazza che gli ha mollato un ceffone. Sarà sicuramente una vendetta.”
“Dio mio quanto sei contorta. Se credi così poco in te stessa, come faranno gli altri a crederci di conseguenza? Vali più di quello che hai appena detto. Dovresti fare luce dentro di te, con quello che provi: se veramente credi di essere per lui solo quello, allora escici una sera insieme, mostrati per quello che sei e poi pace. Gli farai perdere tutte le voglie con questo atteggiamento da signorina so tutto io, è certo.” risponde lei con enfasi, mettendomi nella giusta prospettiva.
“Giulia, io ho paura, come fai a non capirlo?!” esclamo esasperata posando il piatto sul tavolo e alzandomi di corsa per andare in camera mia. Mi lascio crollare sul letto cercando la felpa rossa di Dom e stringendola al petto. Trattengo le lacrime quanto posso, non sono una che si lascia andare facilmente. Poco dopo, sento la porta della camera aprirsi e una mano accarezzarmi il braccio.
“Scusarmi. Sono una cretina indelicata. Non volevo ferirti.” sento la sua voce dolce e colpevole arrivare alle mie orecchie
“Lo so, non ti devi sentire in colpa. È solo tutto così veloce ed improvviso…” sbuffo con rabbia non si sa bene se verso me stessa o verso la situazione “Se non mi fai il culo tu, non me lo fa nessuno. Grazie Giuls.”
“Non devi pensarle più quelle cose. Non generalizzare, lo dico per te. Sei tu che mi ripeti in continuazione: Prendi quello che viene senza farti illusioni. Adesso devi farlo tu. Gianluca è stato uno stronzo, va bene, ma non permettergli di rovinarti ancora l’esistenza.” prosegue lei confortandomi. Ha capito che quella ferita non si è ancora chiusa del tutto. Non provo più nulla per Gianluca, sia chiaro, ma non riesco più a fidarmi degli uomini, mi aspetto sempre un fregatura “Ila, è il momento di tirare fuori il girl poweeer!” esclama lei iniziando a farmi il solletico
“No, cazzo, Giuls questo è un colpo basso!” strillo in mezzo alle risate
“Non la smetto finchè non mi prometti di rispondere a quel povero disgraziato.” mi impone dall’alto della sua posizione di comando e non posso far altro che annuire chiedendo pietà. Mi da un bacio in fronte e mi lascia sola. Anzi, trenta secondi dopo rientra lanciandomi il cellulare addosso.
Lo consumo a forza di guardarlo, indecisa sul da farsi. Poi in preda ad un attimo di follia, decido di chiamarlo, per la serie o la va o la spacca. Uno, due, tre squilli. Il coraggio che inizia a scarseggiare, le paranoie che scattano in automatico e il desiderio di spegnere la telefonata.
“Buongiorno!” risponde una voce proveniente da un altro mondo, l’ho svegliato che brava
“Ecco, lo sapevo che non dovevo. Pff. Ti ho svegliato, scusami!” farfuglio in prenda all’imbarazzo che ovviamente arriva sempre con il tempismo sbagliato
“Che stupida, pensavo non mi avresti più chiamato, invece…e dire che quello impegnato sarei io.”
“Ho recepito, Howard.” ribatto con la consueta acidità mentre sento lui ridacchiare all’altro lato “Che c’è da ridere adesso?!”
“Hai pronunciato il mio cognome come se fosse una minaccia. Lo faceva sempre la mia prof di matematica a scuola.”
“Ah, sempre meglio. Pure della vecchia oltre che dell’acida, mi dai.” sbuffo divertita
“In realtà Miss Klein era una gran gnocca all’epoca, ma io ero piccolino ed innocente.”
“Perché crescendo sei migliorato, eh.” zittisco il suo lato depravato sul nascere
“Puoi dirlo forte!” ribatte orgoglioso mentre scoppio in una fragorosa risata, modesto il ragazzo “Comunque, puoi sempre scoprirlo.”
“Senti Howard, la cena è ancora valida?” sparo fuori mentre cala uno strano silenzio
“Mi stai invitando fuori, Ginger?” si prende gioco di me scandendo le parole come se fossero una cantilena. Molto maturo, già.
“Non chiamarmi Ginger!” ribatto con un tono di sfida “O…”
“Ti passo a prendere stasera alle otto.” mi interrompe lui serio “Se preferisci, puoi venire in pigiama!”
“Oh si, già mi immagino i Pigiama Party di casa Howard. Terrore puro.” rispondo sfoderando tutta la mia ironia
“Adoro il tuo sarcasmo. Ci vediamo più tardi, Ginger.” afferma lui concludendo la telefonata e lasciandomi spiazzata come ogni volta.  
Torno da Giulia, che si è amabilmente stravaccata sul divano. Mi guarda trattenendo le risate e battendo la mano sul cuscino per farmi sedere accanto a lei.
“Scusami, ma avevi un tono di voce talmente alto che era impossibile non sentirti!” mi spiega delicatamente “Comunque, mi fate troppo divertire. Tu tutta convinta di essere incazzata, scoppi a ridere dopo tre secondi. Ti smonti da sola, cara!”
“Ma che ci posso fare se lui è troppo idiota?”
“Nulla, se ti fa ridere, non c’è niente di meglio.” si volta leggermente inarcando un sopracciglio. Pericolo. Pericolo. “Adesso, tesoro, mi permetti di aiutarti a vestirti per il tuo appuntamento?”
“Non è un appuntamento.” ribatto a denti stretti “Solo una cena per fargli conoscere chi sono. Così poi, scappa a gambe levate.”
“Sei un caso perso. Assolutamente.”
Il resto della giornata scorre velocemente al punto che non ho il tempo materiale di prepararmi mentalmente all’uscita con Dom. In effetti forse è un bene, sono troppo razionale e quando lascio che sia solamente la testa a guidarmi, finisco spesso per creare disagio in me stessa e negli altri. Dovrei trovare un po’ di sano equilibrio, ma come si fa?!
Guardo l’ora, sono quasi le otto ed io sono praticamente a posto. Osservo la figura che vedo nello specchio: top grigio scuro con paillettes con sopra una giacchetta corta nera, pantaloni a sigaretta neri e tronchetti neri. Sono monocromatica, è vero. Giulia voleva obbligarmi a mettere un suo vestito blu elettrico, ma mi sono categoricamente rifiutata: ho qualche serio problema con vestitini, abitini, gonne. Devo essere della giusta luna affinchè io le indossi, seriamente. Passo rapidamente la matita sotto gli occhi e il mascara. Niente di più o mi trasformo in un panda.
Suonano alla porta e per un attimo trattengo il respiro. Cosa sto facendo?!
Poi, scuoto la testa. Mi riprendo e mi avvio verso l’ingresso, sotto lo sguardo vigilissimo della mia amica. “Goditi la serata, ascolta le tue emozioni e non troppo la tua testolina!” mi sussurra in un rapido abbraccio. Annuisco sorridente e apro sta cavolo di porta, pronta ad uscire.
Esco dal micro giardino e vedo un’auto scura parcheggiata accanto al marciapiede. Appoggiato con le braccia al tettuccio dell’auto c’è quel matto d’un batterista. Mi squadra dalla testa ai piedi sorridendo soddisfatto e staccandosi dalla vettura per venirmi incontro.
“Buonasera signorina. Credo di aver sbagliato casa.” esordisce divertito “Ero passato a prendere una ragazza che doveva uscire in pigiama.”
“Che scemo sei. T’è andata male! Dieci minuti fa, l’avresti trovata.”
“Meglio così. Preferisco questa versione. Adesso, prego, sali in macchina!” esclama frapponendosi tra me e l’auto per aprirmi la portiera. Lo guardo sorpresa. “No, non sono un gentleman. È prevenzione: una ragazza l’ultima volta me l’ha rigata perché non riusciva ad aprire la portiera nel giusto modo. Ha un meccanismo diverso, tutto qui.” mi spiega facendomi ridere di gusto.
“Buono a sapersi.” sogghigno nell’eventualità di dovergli rifare la fiancata a causa di una pessima serata. Mi allaccio la cintura e lui ingrana la marcia. Mi rilasso sul sedile mentre lo osservo di striscio guidare. È concentrato, perfettamente consapevole di cosa sta facendo, ogni tanto tamburella sul volante, da un’occhiata allo specchietto, accelera, frena, mette le frecce, si volta e mi sorride. Beccata.
“Sei silenziosa. Devo preoccuparmi?” domanda poco dopo
“Mi piace come guidi, tutto qui.” rispondo “E poi, mi piace anche il silenzio. Soprattutto su una macchina con questa cilindrata. Fa un casino pazzesco, adoro!”
“Curiosa come cosa. Comunque, siamo quasi arrivati!”
“Tranquillo, mi sono persa già cinque volte, ormai non ho idea di dove siamo.”
“Lo so, faccio questo effetto sulle donne.” ribatte facendo spallucce
“Non ti tiro uno schiaffo solo perché sei al volante e ne va della mia vita.” rispondo spostando lo sguardo fuori dal finestrino. Siamo in una zona che non ho avuto ancora l’onore di vedere da quando sono qui. L’auto si ferma e scendiamo. Oddio spero non sia uno di quei locali all’ultimo grido dove ci sono i parcheggiatori di fuori. Mi sentirei totalmente fuori posto.
Dom appoggia la mano delicatamente sulla mia spalla per accompagnarmi all’interno dell’elegante edificio dalle porte di vetro. Una volta dentro, tiro un sospiro di sollievo mentalmente. Niente roba modaiola, evvai!
Un cameriere ci accompagna al tavolo, in una posizione laterale alla sala, dove ci sono dei piccoli separé rosa che danno un tocco distinto al tutto. In fondo, attaccato alla parete, c’è un grosso acquario: mi sono sempre piaciuti nei locali. Dopo esserci seduti, cala il silenzio. Non imbarazzante, anzi, come se ci stessimo studiando a vicenda. O nel mio caso, chiedendomi per l’ennesima volta il perché di tutto ciò.
“Ho come l’impressione che tu sia in un altro posto, stasera. Stai bene?” chiede lui curioso fissandomi per vedere che espressione ho in volto
“Mi sembrava di averti già detto che sono un tipo un po’ asociale.”
“A me non sembra. Anzi, quando te lo permetti, sei divertente dietro la tua mezza acidità. Mi piace parlare con te. Eppure mi sembra sempre che ci sia qualcosa che non dici, che preferisci tenere per te.” spiega lui “Ma forse sto solo delirando, non farci caso, scusami.”
“È questa l’immagine che do?” domando perplessa più a me stessa che a lui “Non mi offendo, sul serio.”
“Ok, sembra tu viva con il freno a mano tirato, se mi passi la metafora.”
“Wow. Temo tu abbia ragione. Invece tu, tutto il contrario. Vivi a cento all’ora.”
“Si, per certi versi, si. Ma correndo sempre, si perdono delle cose per strada, sai? Così come stando sempre fermi nello stesso punto, non si vede nulla.” spiega in modo semplice i nostri modi di vivere. Approvo, ovviamente. Arriva il cameriere per prendere le nostre ordinazioni, interrompendo il discorso.
“Cosa hai lasciato in Italia?” chiede curioso “Dai, parlami un pochino di te. Quello che fai qui, già lo so!”
“Ho lasciato mia madre e mio padre, anche se non stanno più insieme. Si sono separati qualche anno fa, ma hanno mantenuto buoni rapporti. Vivevo con lei, è il mio orgoglio sai? Fa l’infermiera in mezzo a bambini che lottano ogni giorno contro un brutto male. Lei regala loro i migliori sorrisi. Io invece mi cago sotto se vedo un ago, proprio l’opposto.” racconto per sdrammatizzare mentre lui appoggia la guancia sul palmo della mano per ascoltarmi “Poi, che dire. Ho lasciato degli amici chiaramente.”
“Nessun cuore spezzato alla tua partenza?” domanda improvviso
“Oltre al mio, no. Non lo permetterò più.” rispondo sentendo un leggero senso di rabbia pervadermi la voce  
“Scusami, non sono affari miei.” dice abbassando lo sguardo sulla difensiva, ha percepito il mio cambio d’umore
“No, scusa tu. Non sono arrabbiata con te, è solo una vecchia storia che ancora brucia. Mi sono imposta di non cascarci più.” spiego per evitare confusione mentre lui mi sorride
“Quando il grande amore arriva, riempie ogni dolore.”
“Il mio è andato contromano in autostrada, non c’è pericolo!” rispondo di getto con una risata amara
“Chi ti ha ridotto in questo stato?!” esclama in modo retorico Dom “Vabbè, lasciamo perdere. Ho letto il vostro servizio su Hair, molto bello!”
“D-davvero?” chiedo stupita
“Certo! Sono andato a vederlo controvoglia. Non è il mio genere. Però, le tue foto gli hanno reso giustizia. Te la cavi bene con la macchina fotografica, eh!”
“Sei gentile, ma ho ancora tanto da imparare. Alex è un mago nella grafica, è lui che mi rende il lavoro più semplice.” rispondo un po’ in imbarazzo per il suo inaspettato interesse verso i miei report
“Dunque, riservata, timida, attenta ai dettagli, amante della fotografia, non ami ricevere complimenti, acidella. Poi, improvvisamente, divertente, di compagnia, suoni la chitarra, hai dubbi gusti in fatto di abbigliamento, ti interessi di auto, sei affetta da un’avversione agli uomini ma porti i capelli rossi che non passano inosservati. Che altro mi nascondi?”
“Se ti racconto tutto di me, poi non ho più nulla da dirti! Piuttosto, mister batterista-dei-Muse, parlami di te.”
“Puoi chiamarmi Mr. Howard, se preferisci.” esclama ridendo “Dunque, ho una sorella, Emma di poco più grande di me, a cui sono molto legato. Amo i cani, i Boston terrier in particolare. Ne possedevo uno, Hendrix, ma è morto qualche anno fa. Lo adoravo e non ridacchiare per il nome che gli ho dato!”
“Scusami, ma ti batto. Ho adottato un cane a distanza in un canile di Roma quando ero una bambina. L’ho chiamato Compatistella. Perché c’era un gioco in scatola che adoravo, si chiamava Compatibility, ma mi piaceva anche stella. Ho fatto un mix tragicomico tra le due parole.” gli spiego tra una risata e l’altra, prima di bere un po’ di vino.
Una volta conclusa la cena, guardo l’ora e inaspettatamente mi rendo conto che sono le due di notte. Il tempo è volato insieme a lui. Ci avviamo all’uscita, dove Dom non ne vuole sapere di farmi pagare almeno la mia parte accampando che sono sua ospite. Era da un sacco che un uomo non mi offriva una cena, Gianluca non lo faceva quasi mai. È una sensazione piacevole e strana.
“Ti riporto a casa, signorina.” afferma prendendomi sottobraccio e tornando allegramente alla macchina “Stai crollando dal sonno!”
“La dura vita dell’asociale che non regge le ore piccole.” ridacchio aprendo la portiera prima che Dom riesca a fermarmi “Mi porti sulla cattiva strada Howard!”
In macchina devo veramente fare poco per tenere gli occhi aperti, sono concentrata nel godermi questa sensazione di benessere che mi ha invaso a partire dalla cena. È merito del mio accompagnatore, purtroppo. Tra una chiacchiera e l’altra, manco mi accorgo di essere arrivata davanti a casa. Lui scende con me e mi sento in imbarazzo. Come diavolo lo saluto?!
“Grazie per la serata, mi sono divertita. Sul serio!”
“Anch’io mi sono divertito un sacco, ma adesso, vai prima di addormentarti qui!”
“A dire il vero, in macchina un pisolino ci stava, era così comoda. Ciao, Dom.” lo saluto voltandogli le spalle e infilando le chiavi nel portoncino. Sento un brivido correre lungo la schiena mentre le sue mani mi bloccano, mi voltano verso di lui. Si avvicina per darmi un leggero bacio…sulla fronte.
“Tutti meritano il bacio della buonanotte, anche le finte acide come te.” mi sussurra spiazzandomi e facendomi arrossire violentemente “Ti tengo d’occhio, Ginger. Buonanotte!” mi dice accarezzandomi dolcemente la guancia. Poi sale in auto e riparte.
Resto cinque minuti buoni come una cogliona davanti alla porta.
Mi ha totalmente presa in contropiede e nonostante fosse un contatto molto piccolo, è bastato per turbarmi a tal punto. Ho sentito la scossa, cazzo.
In preda ai miei dubbi amletici su come comportarmi da domani in avanti, mi torna in mente la sua risata a bocca aperta quando gli ho raccontato qualcosa che lo ha divertito.
Non sarà facile toglierlo da lì, ma devo provarci.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9. ***


9.
 
 
Simon mi convoca in ufficio, chiamandomi allo studio. Da sola, senza il mio team. Inutile dire che un colpo l’ho preso anche ascoltando il suo tono di voce, che sembrava promettere ben poco di buono. Questa settimana è iniziata male, finirà anche peggio di questo passo.
Arrivo di corsa con il battito a mille, la sua segretaria mi fa passare praticamente subito. Entro e come di consueto mi siedo sulla poltrona di fronte a lui.
“Buongiorno capo.” lo saluto accennando un sorriso tirato, sono un fascio di nervi
“Scusami se ti ho messo fretta ma oggi non me ne va proprio una dritta. Vuoi un caffè?” chiede gentilmente e non c’è traccia della freddezza che ho sentito al telefono
“No, grazie, sono già abbastanza nervosa così. Meglio non peggiorare il tutto! Che succede?” domando cercando di prendere il discorso alla larga
“Allora, mi è saltato un servizio. O meglio, il ragazzo che avevamo proposto, non è stato accettato. Anzi, mi è stato detto di proporre il tuo nome o quello di Giulia.”
“Eh?” mi scappa fuori mentre Simon ride sotto i baffi
“Hai capito bene, Ila. Evidentemente è piaciuto il vostro modo di lavorare. Tra le due, però, ho scelto te. Giulia è già impegnata su un report dei Kasabian la settimana in questione. Che ne pensi?”
“Dunque: di cosa stiamo parlando? Ma poi, da sola?!” chiedo delucidazioni dato che pare faccia una fatica enorme a sbottonarsi
“Ah, si. Con il tuo team, chiaramente. Sono i Muse a volerti al concerto-evento che terranno per raccogliere fondi per un’associazione benefica.”
Credo di aver trattenuto il fiato. Sono a metà tra l’onorato e l’incazzato. Se Dom crede di entrare nelle mie grazie fornendomi un lavoro di questo tipo, si sbaglia di grosso. Poi, però, penso a Leslie ed Alex: per loro sarebbe un’occasione d’oro, oltre che per me. Non posso rifiutare, ma venderò cara la pelle.
“Accetto.” affermo decisa imbracciando il famoso coltello tra i denti
“Bene, allora vi metto in contatto. Puoi andare. Buon lavoro!”
Esco dall’ufficio con estrema fatica, come se avessi corso una maratona. Senza forze e decisamente arrabbiata. Lentamente, ritorno al mio studio. Nel corridoio non vola una mosca, molto bene: potrò dar sfogo alla mia furia senza problemi. Apro la porta, come faccio centinaia di volte, ma rimango interdetta.
“Matt?!” domando ripiombando tutto in un colpo nello stupore
“Ehi, ciao!” afferma seduto di fronte alla mia scrivania “Ti stavo aspettando.”
“Come sei entrato?” chiedo ancora guardandomi intorno “Non ti azzardare a dirmi ‘dalla porta’ perché non sono proprio dell’umore al momento.”
“C’è qualcosa che non va?” sonda il terreno provando a farmi sorridere. È così tenero con i suoi occhi azzurri e quello sguardo da bambino non completamente cresciuto.
“Uhm, fammi pensare. Il mio capo mi convoca dicendo che i Muse vogliono me per un servizio. Mi spiega che mi metterà in contatto con la band. Torno al mio studio e ci trovo il frontman della suddetta band, seduto a tradimento. Sei Flash per caso?!” gli spiego brevemente facendolo ridere
“No, purtroppo. Comunque, Simon mi ha detto che sicuramente avresti accettato. Ero già qui, così sono entrato. Sapevo non avresti rifiutato!” mi fa l’occhiolino cercando in me complicità. È questo il lato professionale maniacale di Bellamy?! Sono spacciata.
“Ok, ok. Adesso spiegami un po’ la questione. Al momento so solamente che si tratta di una raccolta fondi.” proseguo cercando di essere il più professionale possibile e non cedere ad alcuna risata isterica
“Dunque, parlando con gli altri, volevamo per questo evento qualcosa di semplice.”
“Semplici, voi? Quelli con mega effetti sul palco durante i concerti? Ma quando mai!” scoppio a ridere mentre lui mi fulmina divertito con lo sguardo
“Non posso negarlo, in effetti. Comunque, vorrei riuscissi a ricreare l’atmosfera del concerto attraverso le fotografie. Noi non siamo il centro in quel momento, quello che dovrebbe risultare importante è lo scopo per cui stiamo suonando.”
“Ok, recepito il messaggio capo. Mettere la musica a servizio di una cosa bella. Sono onesta, però: il mio team oggettivamente si troverà di fronte alla prima grossa occasione, volevo lo sapessi.” gli spiego lasciando lo schienale della mia poltroncina con le rotelle, iniziando a dondolarci sopra. È giusto che lo sappia.
“Ti ringrazio per aver messo le carte in tavola, non sono in molti a farlo.” risponde lui fissando i suoi occhi azzurri nei miei “Non devi preoccuparti, Dom mi ha fatto vedere i tuoi lavori e mi sono piaciuti moltissimo.”
“Lo sapevo che c’era il suo zampino!” esclamo di botto interrompendolo
“Prego?” chiede ovviamente lui, notando la mia strana reazione. Ha quell’espressione da so-qualcosa-ma-non-voglio-dirtelo che mi manda letteralmente fuori di testa.
“Hai capito benissimo, Bellamy. In ogni caso, ho bisogno di fare un sopralluogo prima dell’evento per valutare luci e strani effetti che sono certa ci saranno. Devo sapere tutto in anteprima, mi sono spiegata?” affermo con un tono di voce che non ammette repliche “Voglio poter programmare il tutto al meglio. Ne va della mia reputazione di fotografa e della dignità dei miei collaboratori.”
“Bene, sono contento di vederti così grintosa. Mi piace. Ti farò avere tutto entro domani pomeriggio, va bene?” spiega lui alzandosi in piedi e sporgendo la mano verso di me per stringerla, manco avessimo fatto un patto di sangue “Sarà divertente lavorare insieme. Mi fido del tuo istinto, Ila.”
“Non vi deluderemo. A presto, Matt.” rispondo sciogliendo la presa, mentre lui si avvia verso la porta con la sua camminata stramba. Prima di uscire si volta con un sorriso divertito stampato sul volto.
“Per quanto riguarda il mio batterista…lo ha fatto in buona fede, credimi. Ma soprattutto: ti prego, voglio esserci quando gli aprirai la testa!” ridacchia massaggiandosi la nuca
“Ci penserò su. Grazie.” rispondo prima di vederlo scomparire dietro al porta. Mi lascio crollare sulla poltrona e ricomincio a girare su me stessa lentamente. Adoro farlo, così come adoro le sedie con le rotelline. Non so quante volte mi sono lanciata a tutto gas nel corridoio di casa quando ero in Italia. Ovviamente, lividi ovunque, ma li portavo come piccoli trofei di guerra vinta.
Inizio a pensare, riflettere, ma non ne cavo molto. Il dilemma che mi affligge è: lo chiamo per insultarlo o fingo indifferenza di fronte alle rivelazioni della giornata? Non so cosa sia peggio. A distogliermi da tutto ciò, ci pensa Leslie che entra con due bei caffè bollenti. Ovviamente lo gusto insieme a lei aggiornandola rapidamente sul nuovo lavoro che ci hanno affidato. Per poco non si strozza quando gli dico che i Muse ci vogliono. Forse dovrei avere un po’ più di tatto quando lo dirò ad Alex o finisce che da trio, rimaniamo un duo.
Il resto della giornata sembra non voler scorrere. Lavoro al computer quasi tutto il pomeriggio, accendo la musica, ma non riesco a togliermi di mente il mio pensiero fisso del giorno: Dom. Lancio occhiate furtive al cellulare, sperando decida da solo cosa fare. Poi, vengo assalita da un raptus di follia dei miei: gli scrivo un messaggio e basta, questa tortura non può continuare ancora. Sto per scrivergli una roba alla ‘sei un uomo morto’, ma mi fermo. In fondo, e ripeto in fondo, mi ha aiutato a raggiungere un sogno. Simon poteva benissimo scegliere Giulia, in effetti. Ciò non significa che alla prima occasione io debba stendere un tappeto rosso al signorino, giusto? Giusto. Sotterro l’ascia di guerra, al momento, e con essa anche il mio cellulare. Proseguo il mio lavoro, quando il mio telefono squilla. È Dom: telepatia? Inspiegabilmente mi sfugge un sorriso.
“Buonasera Howard.”
“Ciao! Che fai?” chiede lui subito
“Come i comuni mortali, lavoro.”
“A che ore finisci?”
“Curiosone. Tra un’oretta, se non ci sono imprevisti.” rispondo sempre più stranita dall’andazzo della conversazione
“Perfetto. Ti passo a prendere tra un’ora, allora. Ti devo assolutamente parlare!”
“Dom, stiamo già parlando!” esclamo ridendo
“Ok, ok. Ho voglia di vederti, beccato.” ribatte immediatamente e già me lo immagino mentre ride tirando indietro la testa e contorcendosi nelle sue migliori smorfie. Adorabile.
“Bene. Ti avviso: sei un uomo morto.” affermo serissima
“Eh?” domanda notando il cambio di tono nella mia voce, bingo! Almeno un mezzo colpo se lo merita tutto.
“Matt.” rispondo solamente scandendo ogni singola lettera
“Cazzo, che ti ha detto?!” chiede in preda all’ansia ed io non riesco a fare altro che scoppiargli a ridere nell’orecchio “Ora mi spieghi che c’è di così divertente, Ila!”
“C’è che era tutto il pomeriggio che nella mia mente provavo a minacciarti per farti spaventare. Adesso, sentire la tua voce allarmata, mi ha dato un po’ di soddisfazione.” gli spiego rapidamente
“Mmm qualcosa mi dice che c’entra il report, eh?”
“Quanto sei perspicace, Howard.”
“Ne riparliamo dopo, allora. Un bacio!” e chiude la chiamata, così. Resto come una deficiente con il telefono in mano. Sento il turbamento dietro l’angolo. Poi, scoppio a ridere: indosso la sua felpa con dei banalissimi jeans. Mi sfotterà a vita, già lo so, meglio mettermi l’anima in pace. Nonostante tutto, non riesco ad avercela con lui e l’idea di vederlo tra poco, mi mette di buonumore. La consapevolezza che il miglioramento d’umore è provocato da Dom, ovviamente mi getta nel panico più totale. Posso perdere la brocca per chiunque, ma non per lui. È un suicidio del cuore, ammettiamolo.
Spengo il computer, dopo aver salutato Leslie, raccolgo la giacca e mi avvio verso l’uscita. Davanti alla porta trovo Dominic in gran forma ad aspettarmi con un sorriso sul volto. Mi avvicino facendogli un cenno con la mano.
“Cosa ti va di fare?” chiede lui di punto in bianco “Perché se come penso, sei invasa da istinti omicidi verso di me, mi conviene stare in mezzo alla gente.”
“Howard, ti avviso, meno spiritoso. Comunque, concordo, in mezzo alla gente è perfetto.” rispondo mentre lui cambia espressione, si sta divertendo come un bambino con le macchinine. Mi prende per un braccio e mi invita a seguirlo a piedi. Niente auto? Che strano.
“Oggi mi fischiavano le orecchie, sai?” prosegue lui imperterrito, mentre io mi fermo in mezzo al marciapiede riprendendo in mano l’ascia di guerra. Mi sta irritando da morire questo suo atteggiamento. Per la cronaca, manco si è reso conto che ho smesso di camminargli accanto. Giro i tacchi e torno indietro. Sento solo un’imprecazione alle mie spalle, prima di vederlo riapparirmi di fronte.
“Che ti prende?!” chiede stupito fermandomi
“Mi prende che il tuo atteggiamento mi sta innervosendo.” comincio a gesticolare da brava italiana “Cioè, prima mi trovi un lavoro con i controcazzi, poi vieni qui e fai pure l’ironico. Me n’è bastato uno di uomo che mi dicesse come lavorare e quando e con chi. Come se non fossi in grado di fare le cose da sola, come se non fossi all’altezza o peggio non abbastanza. Ecco che mi prende. Contento?” esprimo tutto il malessere che mi accompagna da questa mattina e osservo lo sguardo di Dom diventare sempre più serio. Nel silenzio più totale, mi prende per mano e ricomincia a camminare. Zero reazione, come un muro di gomma. Stupita mi lascio trascinare da lui, qualunque sia la meta. Ferma un taxi, saliamo e dieci minuti dopo siamo di fronte ad un palazzo decisamente fuori dalla mia portata. Non oso nemmeno chiedere dove siamo, anche se presumo possa essere casa sua. Ascensore, quarto piano, porta nera con battente oro. Con un cenno della testa mi invita a seguirlo dentro. Entro come se stessi camminando sulle uova. Non avevo previsto tutto questo. Sento Dom chiudere la porta e lanciare le chiavi sul mobiletto accanto all’ingresso. Faccio solamente due passi. Mi giro verso di lui, che invece rimane fermo, incollato al muro.
“Non mi piacciono le scenate pubbliche.” inizia lui con un tono di voce molto pacato “Per questo siamo qui.”
“Meno male, pensavo avessi optato per lo sciopero della parola. Iniziavo a preoccuparmi.” rispondo cercando di sdrammatizzare, ma lui rimane impassibile
“Mi hai sputato addosso un veleno che ti scorre dentro da tempo e di cui non sono la causa diretta. Quello che ti posso dire è che ti sbagli, su tutta la linea.” prosegue avvicinandosi a me, fissando gli occhi nei miei “Hai una così bassa opinione di me?” chiede con un’espressione sul viso che è tutta un programma. Vorrei abbracciarlo e dirgli che sono una cretina ad aver reagito così male, ma non ci riesco. Abbasso lo sguardo incapace di reggere ancora i suoi occhi.
“Dom, non è affatto così. O almeno, in parte non lo è. Sono io ad avere una bassa opinione di me stessa e probabilmente la gente che ho frequentato, non ha aiutato in questo senso.” spiego dicendo per la prima volta una verità dal sapore decisamente amaro per me “Non era mia intenzione offenderti, ecco. Ma tutte queste cose insieme mi hanno fatto perdere il controllo. E io sono una maniaca del controllo.”
“Avrei dovuto parlartene prima, ma hai visto com’è Matt. Appena gli ho accennato la cosa, è partito a razzo e non c’è stato verso. La mia non voleva essere un’imposizione dall’alto!” afferma lui ed io non posso far altro che scoppiare a ridere di gusto “E poi, la devi smettere di pensare di non essere abbastanza, chiaro? A me piaci, così come sei, e se serve te lo ripeterò all’infinito finchè non ci crederai anche tu.”      
“Io, non so cosa dire.” rispondo in preda all’imbarazzo più totale
“Ecco, stai zitta che è meglio!” ribatte lui sorridendo “Anzi, dammi la giacca che la poso di là.”
“Non ridere, ok?” chiedo, già sapendo che non ci riuscirà, consegnandogli la mia giacca. Mi lancia un’occhiata rapida e ride mettendosi le mani sulla bocca, come per giustificarsi.
“Giuro, è un caso. Non l’ho messa apposta.” preciso immediatamente
“Ma come? Ed io che pensavo fosse un abile tentativo per entrare nelle mie grazie.” borbotta in risposta lui, cercando di farmi il verso. Incrocio le braccia fingendo un broncio che non riesco a reggere per più di due secondi.
“Dominc Howard che mi imita.” rifletto “Non pensavo di assistere ad una cosa del genere in vita mia. Credo di avere una voce più acuta, comunque.”
Lui in risposta, posa la giacca sul mobile, si avvicina a me e con un movimento rapidissimo mi solleva il cappuccio sulla testa, dandomi un leggero scappellotto sulla nuca.
“Se è per questo, sei pure più rompiscatole. Adesso cosa posso offrirti?” domanda subito dopo invitandomi a seguirlo nell’ampio salotto. Ovviamente rimango incantata perché è tutto così ordinato, come se ogni cosa fosse stata accuratamente messa lì per un motivo. Immancabile una specie di terribile copertina leopardata piegata sul divano. Sgrano gli occhi e mi scappa una risatina che viene colta dal mio cicerone.
“Ehm. La copertina super virile sul divano.” gli spiego ridacchiando ancora di più per via della sua espressione mista tra divertimento e offesa. Mi aspetto una rispostaccia delle sue, ma non dice nulla. Anzi, si avvicina, mi appoggia al muro, mi accarezza i capelli e appoggia le sue labbra alle mie. Semplice, diretto e assolutamente sconvolgente. Mi bacia con desiderio, in un crescendo che mi toglie letteralmente il respiro. Poi, si stacca da me e rimane a fissarmi, il suo naso a pochi millimetri dal mio.
“Questo è abbastanza virile, invece?” domanda sottovoce senza lasciare la mano dal mio fianco
“Howard, questo è un colpo basso. Bassissimo.” sorrido inebetita e ipnotizzata dal suo sguardo, intreccio le braccia attorno al suo collo e riprendo a baciarlo. Sentirlo così vicino, mi spezza qualcosa dentro. Come un argine che avevo costruito nel tempo, torno a sentirmi viva, in preda a queste sensazioni meravigliose che mi riconducono a lui.
Dopo un tempo imprecisato, torniamo a parlare, a respirare, a prendere contatto con il mondo attorno. Dom mi guida sul divano e si sofferma a guardarmi mettendomi in imbarazzo.
“Era dalla cena a casa tua che volevo farlo, sai?” mi rivela lui abbassando gli occhi ed istintivamente gli accarezzo i capelli, sembra un bambino sperduto quando fa così
“Nonostante le botte prese? Che carino” ribatto appoggiandomi al suo petto “Sei così paziente, ma credo che se non lo fossi, probabilmente a quest’ora Matt sarebbe morto.”
“Forse. Non l’avevo mai vista da questa prospettiva!” risponde lui ridendo di gusto “In realtà penso di aspettare solo ciò che valga la pena esser atteso. E tu, lo meriti.” prosegue giocando con i miei capelli e queste parole letteralmente sciolgono alcune mie insicurezze come neve al sole. Affondo il viso nel suo collo e respiro il suo profumo che adoro.
“Nessuno mi ha mai parlato al cuore così. Dom, io ho paura a lasciarmi andare. Tutte le volte che l’ho fatto, mi sono ferita.” gli spiego aprendogli ancora un po’ il mio cuore “Il problema è che ho cercato di metterti alla porta, ma ogni volta che lo facevo, tu rientravi in grande stile dalla finestra…ed ero felice. Anzi, lo sono ed è solo colpa tua.”
“Siamo in due ad aver paura. Però, se ti guardo, mi passa. Voglio provarci, capisci? C’è qualcosa in te di cui non riesco a fare a meno. Non voglio, ecco.”
“Sei peggio del miele per Winnie Pooh, Howard!”
“Lo so, acidella dal cuore tenero.” mi punzecchia subito per poi rubarmi un bacio “Vuoi qualcosa da mangiare?”
“Te.” ribatto seria provocandolo, lui solleva un sopracciglio e mi si fionda addosso “Sto scherzando, una pizza va benissimo!”
“Sono un gentleman, ti va bene. Ok, ordiniamo allora!” mi bacia la fronte e si attacca al cellulare per prenotare le pizze.
Mi pizzico la faccia, per esser sicura di non aver sognato tutto questo.
Sorrido, aveva ragione Giuls, Londra mi ha fatta rinascere.

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