Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli: Capitolo 1: *** Prologo: Un nuovo numero *** Capitolo 2: *** Primo capitolo: Coco Puffs *** Capitolo 3: *** Secondo capitolo: Sogni *** Capitolo 4: *** Terzo capitolo: Divise *** Capitolo 5: *** Quarto capitolo: Bad Timing *** Capitolo 6: *** Epilogo: Chiacchiere profonde ***
Il telefono accanto a cui
passava squillò, Shaw lo fissò stupita, un secondo squillo e prese la cornetta,
dopo un attimo d’esitazione e un sospiro ascoltò quello che le veniva detto.
Era un indirizzo, per un
secondo rimase delusa, non era la voce di Root che le
aveva parlato, poi però guardò verso la telecamera e sorrise. C’era del lavoro
da fare.
“Andiamo Bear, siamo di
nuovo in pista.” Sempre sorridendo si mescolò alla folla.
L’indirizzo era quello: un
edificio normalissimo nel centro di New York. Shaw controllò chi occupasse i
diversi piani, erano tutti appartamenti in affitto. Un inquilino attirò la sua
attenzione, risiedeva nell’intero piano ed era identificato come: A. I.
Il particolare poteva
essere insignificante, il signore A.I. poteva essere un riccone che desiderava
l’intero piano e che amava la sua privacy eppure da qualche parte doveva pur
cominciare, la Macchina non le aveva suggerito nulla di più e quell’A.I.
possibile acronimo di Artificial Intelligence,
meritava di essere controllato.
Entrò, seguita da Bear, e
prese l’ascensore, il portiere le lanciò un’occhiata, ma lei gli sorrise
ostentando sicurezza e lui ricambiò senza allarmarsi nel vedere una
sconosciuta. Il portiere però non era l’unico dettaglio che Shaw aveva notato
entrando, l’edificio infatti era altamente sorvegliato dalle telecamere, ve ne
era un numero impressionante, tanto da chiedersi se vi fosse un angolo buio e
da confermare i suoi sospetti su A.I.
Fermò l’ascensore due
piani prima e scese, conscia che il portiere stava registrando il suo arrivo,
poi trovò le scale d’emergenza e risalì fino al diciottesimo piano.
Il corridoio era vuoto, ma
due telecamere si incrociavano per coprire ogni angolo. Per entrare avrebbe
dovuto disattivare il sistema di sicurezza. Nessun problema. Prima però gettò
un’occhiata alla porta e fece una smorfia, quello sì che era un problema.
Avrebbe dovuto procurarsi un lettore di codice di livello stratosferico per
aprire quella porta. Forse Finch avrebbe potuto
farlo, Root di sicuro, ma lei…
“050313.” Disse una voce dissonante nel suo orecchio. Quei numeri…
Shaw diede un’occhiata
alle telecamere poi si fece avanti, non aveva intenzione di aspettare ancora,
il suo cuore era accelerato e non succedeva quasi mai se non era sotto sforzo
fisico.
La porta si aprì obbediente
e lei entrò guardandosi attorno, la pistola nel pugno. La stanza era quasi
vuota, ampie finestre l’avrebbero illuminata, ma le tende erano chiuse, nel
buio individuò in un angolo un grande letto vuoto, curiosamente attorniato da
monitor medici.
Fece un passò all’interno
e la luce si accese così come i monitor. Shaw strinse la pistola con più forza.
“Seduto Bear.” Lasciò il
guinzaglio e avanzò ancora. A destra vi era una cucina, a sinistra una porta
semi aperta da cui intravedeva una doccia e dei sanitari, era il bagno. Ma cosa
c’era dietro l’ultima porta?
Avanzò piano guardandosi
attorno con attenzione. Non aveva mai paura, eppure in quel momento non
riusciva a calmare il battito del cuore.
Cosa o meglio, chi avrebbe
trovato dietro quella dannata porta chiusa?
Si alzò di scatto, la
bocca spalancata, cercando affannosamente di respirare. Era immersa in un acqua
gelata, riusciva a mala pena a muoversi, tutti i suoi muscoli sembravano
incapaci di obbedire. Iniziò a tremare violentemente. Non capiva cosa le stava
attorno, non capiva cosa le avevano fatto. Un monitor accanto a lei emetteva
dei rapidi bip, bip: era il suo cuore che batteva veloce.
Note:
Ebbene, eccomi qua a
tentare una mini-long di POI. Superato (in realtà no, ma diciamo che ci
convivo) il momento di lutto per Root, ho riguardato
la quinta stagione e ho deciso di aggiungerci un episodio: questa storia.
Se siete giunti fino a qui
ne avete appena letto il prologo e spero che vi abbia sufficientemente
interessato da spingervi a leggere il prossimo capitolo.
Shaw, Bear, un nuovo
numero e poi… cosa è successo? Idee?
Grazie di aver letto,
spero di potermi perdere tra le vostre recensioni! ;-)
La
porta necessitava di un altro codice per essere aperta.
“Sameen Shaw.” Pronunciò la Macchina nella sua
orecchia e lei sbatté le palpebre sorpresa. Digitò il proprio nome e la porta
si aprì. Lo stupore per quello che si ritrovò davanti fu enorme. In una vasca
al centro di un gran numero di monitor e macchinari vi era una donna, le dava
la schiena e si aggrappava al bordo tremando. Shaw sapeva di chi si trattava.
Corse in avanti, ma prima di toccarla dovette pronunciare il suo nome.
“Root?” Sentì la propria voce uscire indecisa, timorosa
eppure vi era anche un tremito di speranza. La donna voltò la testa verso di
lei e i loro occhi si incrociarono. Occhi pieni di terrore. Mai Shaw aveva
visto una simile espressione sul volto di Root.
Dolore, rabbia, divertimento, giocosità, seduzione, intelligenza,
determinazione, una volta vi aveva visto il dolore e la disperazione, ma mai
quel cieco terrore.
“Sono
qui.” Le disse e vide una nuvoletta uscire dalle proprie labbra. Solo allora
notò che la temperatura era bassissima e che Root
tremava.
Il
suo cervello aveva vissuto molte situazioni di shock ed era rapido a reagire,
assimilata quella nuova realtà Shaw agì. Senza più esitare affondò le braccia
nell’acqua gelata della vasca e vi estrasse Root che
le si aggrappò, poi la portò nel letto. Non appena la depose sentì il calore
che ne proveniva e annuì.
Aveva
studiato per diventare un medico dopo tutto e capiva che il corpo di Root era ad un passo dall’ipotermia, doveva essere
riscaldata in fretta oppure avrebbe subito danni gravi, forse sarebbe persino
morta.
Bear
ululò piano e Shaw si voltò a guardarlo.
“Vieni.”
Lo liberò dal precedente ordine e lui corse fino al letto, poi vi salì e si
accoccolò ai piedi di Root, che continuava a tremare
gli occhi chiusi. Shaw si mise all’opera sistemando i differenti elettrodi sul
corpo della donna. Il cuore batteva troppo velocemente e la temperatura era
troppo bassa. Non andava bene.
“Scaldala
di più!” Disse. Conscia che la Macchina la stava osservando. Un monitor si
oscurò e vi uscì una frase.
“SHOCK
TERMICO.” Giusto, se alzava troppo bruscamente la temperatura lo shock termico
avrebbe peggiorato la situazione. Shaw osservò ancora una volta il monitor che
segnalava la temperatura: 34,3°. Da quando l’aveva messa lì era salita di solo
0,1°. No, non andava bene.
“CALORE
CORPOREO.” Le parole apparirono sullo schermo e Shaw annuì. Sì, sì, poteva
farlo.
Velocemente
si tolse la giacca, la maglia e la maglietta, poi sfilò le scarpe, le calze e i
pantaloni, rimanendo il mutande e reggiseno. Bear inclinò la testa perplesso,
ma non si mosse dal suo posto.
“Facciamo…”
Mormorò osservando il corpo nudo di Root. Annuì
ancora una volta e poi le si stese accanto. Infilandosi accanto a lei sotto le
coperte, nel bozzolo di calore creato dalla Macchina.
Gli
occhi di Root si aprirono e per un istante Shaw sperò
di leggervi quel compiacimento divertito che illuminava sempre la donna quando
lei le faceva qualche concessione, ma in quello sguardo spaventato non passò
nulla se non forse un leggero sollievo. Shaw la avvolse tra le braccia
incollando il proprio corpo al suo, aspettando e sperando che i tremiti
smettessero.
Suonarono
alla porta e Shaw andò ad aprire.
“Palazzo
di lusso, ti tratti bene.”
“Hai
portato quello che ti ho chiesto?”
“Ciao
anche a te.” Rispose sarcastico il detective Fusco mostrandole le due borse che
aveva con sé. “Spero ci sia una buona ragione per avermi mandato a fare la
spesa. A proposito, chi è A.I.?”
“Analog Interface.” Disse lei e Fusco corrugò la fronte.
“Chi…?”
Si fermò sbattendo le palpebre, aveva notato il letto nell’angolo della stanza.
“Era… io ho visto il suo cadavere!” Esclamò, era bianco e sembrava incapace di
distogliere lo sguardo dal corpo addormentato di Root.
“Parla
piano o la sveglierai. Come puoi vedere non è morta, è solo… stanca. La Macchina
deve averla sottoposta a qualche trattamento innovativo che comporta la criogenesi, perché era gelata quando l’ho trovata, ieri
pomeriggio.” Non gli disse che non aveva aperto bocca per tutto il tempo in cui
era rimasta sveglia e che a lei sembrava un po’ più che stanca.
“Non
capisco…”
“Non
ha importanza, è qui ora.” Fusco distolse lo sguardo per riportarlo su Shaw.
“Coco
Puffs ha più vite di un gatto, con tutte le volte che
si è presa un proiettile avrei dovuto capirlo che non poteva morire…” Scosse la
testa, perplesso malgrado l’evidenza, probabilmente ricordando il corpo della
donna steso nell’obitorio.
“Grazie,
puoi andare ora.”
“Quindi
sono solo il tuo fattorino?”
“Mi
serviva del cibo e non potevo lasciarla sola.” Ritorse Shaw con indifferenza
mentre sistemava gli acquisti di Lionel negli armadi della cucina. Fece una
smorfia quando trovò della maionese, poi si strinse nelle spalle e la mise in
frigo, forse a Root sarebbe piaciuta.
Bear
abbaiò piano e lei voltò la testa verso il letto. Root
era sveglia.
“Ciao,
Coco Puffs!” Fusco agitò la mano nella sua direzione
facendo un passo per raggiungerla, ma Shaw gli si mise davanti.
“Grazie
ragazzone, ora puoi andare.”
“Le
faccio solo un salutino, non te la rubo mica o hai paura che il mio fascino
faccia effetto?”
“Non
dire idiozie.” Shaw strinse gli occhi minacciosa e l’uomo alzò le mani
ridacchiando.
“Va
bene, va bene. Vado.” Finalmente Shaw poté raggiungere la donna. Non sapeva
perché, ma non voleva che Lionel la vedesse così fragile e indifesa.
“Ciao.”
Mormorò con un sorriso, sperando di rassicurarla.
“Ho-ho
fff-fatto uuu-un sooo-gno.” Shaw sbatté le palpebre sorpresa. Era la prima
volta che parlava.
“Un
sogno? Bello?” Chiese allora, era tesa e preoccupata, ma non voleva che Root lo capisse.
“Nnn-no.” Shaw annuì.
“Neanche
i miei sogni sono belli.” Le disse, la donna la guardò con quegli occhi
disarmanti e Shaw distolse lo sguardo fingendo di controllare i monitor.
“Mmm-mi aiii.” Si interruppe
frustrata. “Mmi aiuti?” Chiese poi dopo essersi
concentrata. Shaw annuì e la aiutò ad alzarsi. Le gambe di Root
non sembravano funzionare molto bene e lei dovette sostenerla, la accompagnò
fino al divano e la aiutò a sedersi.
“Gggra-grazie.” Bear che le aveva osservate apprensivo scese
dal letto e si accomodò accanto alla donna che sorridendo lo accarezzò.
“Root…” La donna alzò gli occhi su di lei interrogativa.
“È il mmm-mio nooo-me?” Quella
domanda fece rabbrividire Shaw che annuì, cercando di mascherare la delusione.
“Sì,
no.” Scosse la testa vedendola confusa. “Il tuo nome è Samantha Groves, ma ti piace farti chiamare Root.”
“E
tu?” Chiese la donna.
“Shaw…
Sameen Shaw.” Sentiva il cuore pesante, dunque si era
dimenticata di tutto? Il processo di guarigione a cui l’aveva sottoposta la Macchina
aveva danneggiato a quel punto il suo cervello?
“Sameen.” Root sembrò assaporare il
nome, poi si voltò verso il cane e sorridendo aggiunse: “Bear.”
Ma
certo, il nome del cane se lo ricordava. Shaw fece una smorfia mentre Bear
scodinzolava felice.
Il
telefono squillò e Root si voltò verso l’apparecchio,
per un istante Shaw vide i suoi occhi illuminarsi di comprensione, poi l’attimo
passò. Shaw raggiunse il telefono e alzò la cornetta.
“Tango, Papa, Bravo…” Preso un taccuino
si segnò le lettere che le avrebbero indicato un numero.
“A
quanto pare stai sufficientemente bene, la Macchina ha un altro lavoro per me.”
Vide passare varie emozioni sul volto di Root, infine
la donna annuì.
“Qu-qu-quannn-do torni?”
“Appena
sarà possibile…” Si voltò e afferrò la giacca, poi in un ripensamento aggiunse:
“Non ti preoccupare, tornerò presto.” Fu sul punto di chiamare Bear, ma lasciò
stare, almeno Root non sarebbe rimasta sola. Stava
diventando sentimentale, lei! Con una smorfia uscì dall’appartamento e cercò di
concentrarsi sul nuovo numero inviatole dalla Macchina.
Root
faceva degli incubi, quasi ogni notte la sentiva lamentarsi nel sonno, ma poi
non le raccontava nulla e di certo lei non avrebbe chiesto, non era nel suo
genere immischiarsi dei problemi personali degli altri. Corrugò la fronte a
quel pensiero. Aveva appena salvato un uomo che il fratello della moglie voleva
uccidere. Quello poteva essere considerato come immischiarsi, soprattutto
perché l’uomo in questione era un traditore seriale e lei lo avrebbe lasciato
volentieri morire.
Scosse
la testa e riformulò meglio nella sua mente: lei non si impicciava dei sogni di
Root a meno che Root non
decidesse da sola di parlargliene.
“A
cosa pensi, tesoro?” Shaw alzò la testa fissando la donna che arrossì. “Scusa,
non so come mi sia uscito…”
“Non
è niente.” La fermò lei, alzandosi e andando in cucina, doveva occuparsi in
qualche modo.
Root
aveva fatto passi da gigante nel recupero, dopo una settimana dal suo risveglio
parlava e si muoveva perfettamente, ma non ricordava ancora chi fosse, malgrado
Shaw le avesse accennato qualcosa. Ora però, quel tesoro, detto in quel modo, il sorriso divertito che era baluginato
sulle sue labbra e il brillio nei suoi occhi quando l’aveva guardata. Era
riemersa la sua Root e questo l’aveva destabilizzata.
Poteva credere che fosse ancora lì?
“Sameen?”
“Sì?”
Si voltò assumendo un’espressione neutra.
“Mi
porterai fuori? Sono stanca di stare rinchiusa qua.” Non poteva biasimarla e
non aveva scuse per tenerla lì e poi la piccola faccia abbattuta con cui
sembrava supplicarla era impossibile da ignorare.
“Giusto.
Sì, va bene. Domani.” Accettò e fu gratificata da un largo sorriso di Root.
Rientrò
nell’appartamento innervosita, il numero che la Macchina le aveva assegnato,
Igor Selkov, era un idiota eppure era riuscito a
sfuggire alla sua sorveglianza. Aveva dovuto chiedere aiuto a Fusco che si era
divertito alle sue spalle. Ogni pensiero le sfuggì dalla mente quando si
ritrovò davanti Root. Aveva lasciato da parte il
pigiama e indossava dei jeans stretti, una t-shirt azzurra e una giacca di
pelle nera.
“Ho
preso la tua giacca, spero non ti dispiaccia.” Le disse con un sorriso, stava
infilando dei stivaletti con il tacco. Mancavano solo le due pistole. Shaw
pensò subito di comprargliele, magari una Smith & Wesson
e una Glock. “Va tutto bene?” Le chiese allora Root notando il modo in cui si era bloccata.
“Sì.”
Si riscosse lei. “Tienila pure la giacca, era tua.”
“Davvero?”
Chiese allora lei perplessa. “La indossavi l’altro giorno…” Shaw si morse la
lingua, per essere una che non cedeva sotto tortura aveva appena parlato
troppo.
“L’ho
presa quando ho creduto che fossi morta.” Sul volto di Root
apparve un sorriso dolce. “Andiamo?” Chiese subito lei cercando di far cadere
il soggetto.
“Sì!”
Root prese il guinzaglio di Bear che aspettava alla
porta, contento di essere portato fuori.
L’aria
di New York era fredda e la luce stava scemando in quel tardo pomeriggio di
fine novembre, ma Root sembrava entusiasta e si
guardava attorno felice.
“Mi
piacerebbe comprarmi dello smalto.” Affermò passando davanti ad un negozio di
cosmesi. Shaw alzò gli occhi al cielo, non era mai stata una fan di quei centri
commerciali, ma da quando ci aveva lavorato li detestava proprio.
Root
guardò per qualche istante la lunga fila di smalti colorati poi senza il minimo
dubbio ne prese uno nero. Shaw non lo sapeva ancora, ma era appena iniziata una
sezione di shopping, un’ora dopo era sommersa dai pacchi, mentre la ragazza
sceglieva l’ennesima giacca in pelle nera.
“Mi
piacciono troppo.” Affermò inclinando la testa in un modo buffo che a Shaw ricordò
la Root dei vecchi tempi, poi le fece l’occhiolino e
lei dovette distogliere lo sguardo per mascherare un sorriso, non era mai stata
una campionessa di occhiolini eppure quello li rendeva ancora più speciali.
“Ehi
Maybelline, cosa ci fai qui?” Fusco comparì dietro di
lei lanciandole un’occhiata divertita.
“Secondo
te? Root aveva voglia di uscire. Il detective allora
guardò verso i camerini e vide la ragazza che si provava una giacca.
“Sembra
in forma.” Affermò. “Comunque, ho trovato l’uomo che ti sei fatta sfuggire
questa mattina: Igor Selkov.” Shaw gli lanciò
un’occhiata minacciosa e lui continuò con un sorriso divertito sulle labbra.
“Per ora non ha fatto nulla di speciale.” Con la testa indicò alla sua destra,
ma Shaw non si voltò invece cercò il riflesso dell’uomo in una delle tante
superfici riflettenti del negozio.
Stava
parlando con una commessa, sembrava tranquillo, perché la Macchina gli aveva
dato il suo numero?
Proprio
mentre corrugava la fronte perplessa notò un bozzo nella giacca. Era armato.
“Ha
una pistola.”
“Cosa?”
Lionel posò la mano sulla propria arma nell’istante stesso in cui l’uomo
estraeva la sua.
“Tutti
a terra! Questa è una rapina!” Shaw digrignò i denti mentre i suoi occhi
incrociavano quelli di Root e sorrise nel non vedere
in essi nessuna paura.
“Ora
gli faccio vedere io…” Mormorò Shaw, aveva lasciato cadere i vari pacchetti di Root e stava estraendo la pistola, ma Fusco le posò una
mano sulla sua fermandola.
“Aspetta,
ci sono troppi civili!” Le bisbigliò.
“A
terra ho detto!” Shaw strinse il pugno sul calcio della pistola, ma Lionel non
demorse così lasciò andare l’arma e obbedì all’ordine del ladro. “Voglio i
gioielli e la cassa, subito!” Intimò il rapinatore alla cassiera che tremando
iniziò a raccogliere i gioielli esposti nel banco.
Pochi
minuti e l’uomo scappò correndo.
“Ora!”
Decretò Fusco, ma Shaw era già in piedi, l’arma nel pugno, Bear che la
precedeva di un paio di passi. Corse nella porta sul retro in cui era scomparso
l’uomo e lo vide allontanarsi in fretta, con un sorriso si gettò al suo
inseguimento.
Dietro
di lei sentiva i passi pesanti di Fusco. Davanti Bear correva.
Girò
l’angolo e trovò l’uomo a terra.
“Root?” Chiamò, sorpresa mentre la donna colpiva un’ultima
volta l’uomo che stava tentando di rialzarsi.
“Lei
mi ha detto di non seguirvi e prendere invece quest’altra strada…” Si
interruppe, aveva indicato il suo orecchio destro, ma ora era perplessa.
“Ottimo.”
Le rispose Shaw mentre Fusco arrivava ansimando. “Ammanetta l’idiota, noi
dobbiamo recuperare…”
“Arma.” La parola echeggiò nell’orecchia
di Shaw, mentre l’uomo ripresosi dal colpo di Root
alzava la pistola. Prima che potesse fare nulla un colpo partì.
Note:
Ed eccovi il primo capitolo! Cosa ne pensate?
Root è viva e sembra pian piano
ritornare colei che conosciamo, almeno questa è la speranza di Shaw… un colpo
di pistola, però, potrebbe cambiare le cose…
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che non mi
detestiate troppo per il finale! ;-)
Era
stata molto stupida e molto negligente, non avrebbe dovuto lasciarsi distrarre
da Root.
“Fa
male?” Le chiese la donna sentendola irrigidirsi.
“No.
Mi hanno sparato altre volte, questo è solo un graffio.” Le rispose, era
arrabbiata con se stessa e di certo non badava a quel piccolo dolore al fianco.
Il colpo era stato deviato dall’intervento di Root che,
più veloce di lei ad obbedire alla Macchina, aveva spinto l’arma, puntata verso
il petto di Shaw. Così era stata solo graffiata al fianco. Ma avrebbe dovuto
buttare via la giacca e le piaceva quella giacca.
“Dovresti
farla vedere ad un medico.” Disse ancora Root mentre
entravano nell’appartamento.
“Posso
occuparmene io, ci metto un cerotto, basterà.” La donna la fissava perplessa,
ma non insistette, invece andò a prendere del disinfettante e un largo cerotto.
Shaw
gettò di lato la giacca ormai rovinata e alzò la maglia guardando la ferita.
Come immaginava non era nulla di grave, non servivano neppure dei punti.
“Toglila.”
Le chiese Root e lei alzò lo sguardo incrociando i
suoi brillanti occhi scuri. Eccola di nuovo: la Root
che conosceva.
“Non
serve.”
“Tesoro,
devo morire di freddo per farti spogliare?” Chiese allora lei, questa volta non
si scusò per il tesoro, anzi, negli
occhi le brillava la malizia.
“Root…” L’ammonì lei facendola sorridere.
“Andiamo,
come vuoi medicarti se non togliendo la maglia e la maglietta?” Sospirando Shaw
dovette ammettere che aveva ragione così obbedì e sfilò i due indumenti. Non
incrociò gli occhi di Root, non era sicura di poterlo
fare e rimanere calma.
La
donna le passò il disinfettante sulla ferita, poi lasciò che lei si sistemasse
da sola il cerotto, ma prima che potesse rivestirsi le passò la mano su alcune
vecchie cicatrici.
“Queste…”
Mormorò, gli occhi rapiti, mentre con la mano accarezzava la sua pelle esposta.
“Vecchie.”
Disse lei, mentre il ricordo di più di settemila simulazioni le invadeva la
mente, quelle mani su di lei. Era stato così forte, così importante.
“Perché
sogno che mi spari? Perché nei miei sogni mi colpisci o io colpisco te? Perché
se poi da sveglia provo questi sentimenti?” La sua mano le accarezzò il fianco
sano, ora non andava più in cerca di cicatrici. Il suo sguardo si alzò
incrociando quello di Shaw. “Perché tutto ciò che desidero è baciarti?” Chiese
ancora facendole seccare la bocca. Le loro labbra ora erano vicinissime. Shaw
ricordava il modo brutale con cui le aveva baciate, eppure ricordava anche i
baci famelici e quelli dolci delle simulazioni.
Root si
tirò indietro scuotendo la testa, confusa.
“Non
ricordo chi sono eppure a volte ho certi flash e… quella voce nella mia testa,
ero così contenta che mi avesse parlato e ho obbedito, senza chiedermi chi o
cosa fosse…”
“Speravo
che tu ricordassi da sola.” Rispose Shaw al suo sguardo interrogativo.
“Ma…”
“Stai
già ricordando, stai ridiventando la donna che eri, lo vedo, in molte cose.”
“E
se non volessi essere la donna che ero?” Shaw corrugò le sopracciglia stupita
da quella affermazione. “C’è così tanta violenza nei miei sogni, io uccido,
ferisco, torturo, senza la minima esitazione, non sono sicura di voler essere
questo tipo di persona.”
“Io
sono quel tipo di persona.” Affermò allora Shaw. Era strano sentirsi in dovere
di difendere Root dalla stessa Root.
“E lei…” Si corresse: “Tu eri speciale. Certo, eri capace di grande violenza.”
Shaw sorrise al ricordo delle loro lotte, erano così in sincronia: una
sinfonia. “Ma, lo facevi per salvare delle persone, lottavi, almeno alla fine,
per il bene.”
“Tu
l’amavi.” Si sorprese a dire Root e Shaw irrigidì il
volto. Non lo aveva mai detto a Root, anche se era
sicura che lei lo sapesse.
“Io
non provo nulla.” Affermò come un mantra, ma Root era
di nuovo cambiata, un sorriso dolce si aprì sul suo volto e la donna allungò la
mano per accarezzarle il viso. Shaw voltò la testa allontanandosi. Sentiva un
nodo al petto e non voleva. Non capiva cosa stava succedendo, non era Root, non la sua Root eppure
riusciva a farle quell’effetto lo stesso.
“Tu
non provi nulla e io non ricordo, siamo danneggiate, entrambe, eppure a me tu
sembri bellissima.” Shaw sentì lo stomaco torcersi. Root
si avvicinò a lei, finché sarebbe bastato un respiro profondo perché si
toccassero.
“Io
non sono capace di…” Provò a dire, ma le labbra della ragazza si posarono sul
suo collo e Shaw chiuse gli occhi assaporando il brivido che le procurò quel
bacio.
“Sembra
che io sappia farti un certo effetto…” Disse allora la donna mentre posava di
nuovo la mano sul suo fianco e le soffiava delicatamente contro l’orecchio.
“Oh,
Root, sei una chiacchierona senza speranza!” Shaw si
voltò decisa incrociando gli occhi della donna e leggendovi lo scuro desiderio
mescolato al divertimento.
“Allora
fammi stare zitta…” La stuzzicò e lei non resistette. Immerse le mani nei
morbidi capelli castani della donna e la attirò a sé baciandola.
Sentì
il cuore accelerare nel petto, mentre qualcosa che poteva essere definita
felicità, se lei non fosse stata una sociopatica, le riscaldava il petto. Root sorrise e poi si separò da lei camminando all’indietro
e facendole segno con un dito affinché la seguisse.
Shaw
scosse la testa un largo sorriso sulle labbra, quella ragazza l’avrebbe fatta
impazzire. Con due rapidi passi la raggiunse e la spinse sul letto catturando
le sue labbra in un secondo bacio pieno di passione.
Proprio
in quel momento bussarono alla porta. Shaw finse di non sentire mentre stava
tentando di sfilare la giacca a Root.
Bussarono
di nuovo e Shaw imprecò.
“Se
è Lionel lo uccido.”
“Sameen.” La richiamò Root, aveva
il volto leggermente arrosato e i capelli arruffati ed era bellissima. Shaw si
piegò su di lei per baciarla con una dolcezza che non sapeva di possedere.
“Lo
uccido e torno da te.” Mormorò sulle sue labbra poi afferrò la maglietta e dopo
averla infilata aprì la porta.
“Oh…
Signorina Shaw, buonasera.”
“Finch?” Guardò l’uomo perplessa, come al suo solito
indossava un capotto elegante sotto il quale si intravedevano un gilet e una cravatta,
sulla testa portava un cappello. Bear oltrepassò Shaw e gli girò attorno
festoso ottenendo delle gentili parole e qualche carezza. “Eri sparito.”
“Sì…
John…” Abbassò il capo, mostrando il dolore che quella perdita aveva lasciato
in lui.
“Io
e Lionel pensavamo che fossi morto con lui.”
“No,
John aveva un piano, lui e la Macchina.” A quel punto Root
comparve sulla porta e Finch impallidì.
“Signorina
Groves… lei…”
“È viva, sì, a quanto pare la Macchina l’ha guarita.”
“Guarita?
Ma era una ferita mortale, ho letto il rapporto del medico legale.” Si fermò
sbatté le palpebre e aggiunse. “La Macchina mi ha detto che era morta.”
“Beh,
come vedi si sbagliava, lei e il medico legale.” Il tono di Shaw fece
accigliare Finch.
“Farò
quest’effetto a tutti i tuoi amici?” Chiese allora Root
mentre si appoggiava alla porta una mela nella mano.
“Non
sa chi sono signorina Groves?”
“Ha
perso i ricordi, ma li sta recuperando.” Intervenne ancora piccata Shaw. L’uomo
annuì poi guardò verso l’interno dell’appartamento e Root
gli fece cenno di entrare.
“Entra,
Harry.” Si bloccò notando lo sguardo stupito dell’uomo e di Shaw. “Scusate, ho
sbagliato nome? Perché mi sembrava proprio…”
“Harold,
ma a volte, lei, signorina Groves, mi chiama Harry.” Finch sorrise poi entrò nella stanza, se notò la maglia di
Shaw a terra e il letto in parte sfatto non lo diede a vedere invece si sedette
al tavolo della cucina posando il cappello.
“Allora
Finch, cosa ti ha portato qua? La Macchina immagino.”
Shaw si sedette scompostamente su una sedia mentre Root
si sedeva sul piano di lavoro della cucina mangiando con indifferenza la sua
mela.
“Sì,
quando è tornata si è manifestata a me. Non aveva più la voce di Root, credevo che avesse perso parte dei dati essendo una
versione successiva alla 2.0, ma ora capisco il reale motivo.” Sorrise
guardando la giovane, poi tornò serio. “Volevo essere sicuro che non fosse un
inganno di Samaritan così le ho chiesto di
comunicarmi tutte le attività da quando era tornata operativa. Come puoi
immaginare malgrado la versione 3.0 abbia poco più di una settimana non è
rimasta inattiva e la documentazione era notevole.” Finch
sgranò un poco gli occhi ripensando alla mole di lavoro a cui era stato
sottoposto. “Comunque ho verificato che non fossero azioni contraffatte e mi
sono assicurato che fossero in linea con gli obbiettivi che ho dato alla Macchina.
Questo luogo però ha attirato la mia attenzione. Acquisto di materiale medico
di alto livello, vasche di criogenesi e poi quel nome
A.I. come acquirente.”
“E
sei venuto a vedere di persona.”
“Sì,
io e Grace siamo tornati dall’Italia questa mattina.” Shaw annuì poi si strinse
nelle spalle.
“Beh,
eravamo noi. A.I. non è altro che Root.”
“Analog Interface, certo, avrei dovuto capirlo, ma credevo
che lei fosse morta quindi…” Tornò a guardare la giovane che si strinse nelle
spalle sorridendo.
“Tornerai
al lavoro?” Chiese allora Shaw.
“Non
lo so.” Finch sospirò. “È la mia creatura e devo assicurarmi che non cambi.”
“Dovresti
fidarti di lei.” Root scese dal tavolo con un
balzello e sorrise loro come se avesse detto qualcosa di assolutamente normale
ed effettivamente era normale per la Root del
passato, ma per lei? “Non ho capito molto di quello che avete detto, ma questo
è quello che provo.” Affermò stringendosi nelle spalle con assoluta semplicità.
“È sempre stata una donna di fede.” Le disse Finch sorridendole. “Fede nella Macchina ovviamente.”
Bussarono
di nuovo alla porta e Shaw fece ruotare gli occhi infastidita, l’avrebbero mai
lasciate in pace?
Fusco
entrò nella stanza con il suo solito sorriso e nel vedere Finch
fu felice di salutarlo, poi chiese a Shaw come stava.
“Una
meraviglia, cosa ne dite di andarvene?”
“Oh,
miss Luna Storta, sarai pure una sociopatica, ma la buona educazione dovresti
conoscerla!” Shaw desiderò, per l’ennesima volta di uccidere Fusco. Un solo,
piccolo e lucente, proiettile e sarebbe tutto finito. “Sati pensando di
uccidermi non è vero? Quando fai quella faccia sei proprio impossibile.” La
rimbeccò l’uomo per niente spaventato.
“Credo
che Sameen sia stanca.” Root
le posò le mani sulle spalle guardando con un sorriso i loro ospiti.
“Molto
bene.” Finch si alzò e infilò il cappello. “Forse
lavoreremo di nuovo insieme, forse…” Il suo volto si incupì in pensieri tristi
e l’uomo si voltò andandosene. Fusco alzò le mani e scosse la testa.
“E
io che volevo bermi una birra assieme a voi per l’arresto e la pallottola
mancata, siete peggio del Ragazzo Prodigio.” Al ricordo di Reese anche lui si
intristì e sospirò.
“Un’altra
volta Lionel.” La voce di Shaw si era addolcita e l’uomo annuì per poi voltarsi
e andarsene a sua volta.
“Credevo
che non se ne andassero più.” Mormorò Root
abbassandosi su di lei per baciarla, ma Shaw scosse la testa.
“Forse
è davvero meglio dormire.” Root sbatté le palpebre
perplessa, poi si tirò indietro.
“Va
bene, ti hanno appena sparato dopo tutto. Riposa, domani starai meglio.” Si
voltò incominciando ad occuparsi di tutto quello che aveva acquistato quel
pomeriggio. Shaw la guardò per qualche istante chiedendosi perché l’avesse
respinta.
L’arrivo
di Finch in città le aveva riportato la realtà alla
memoria. Era stata sulla tomba di Root, la Macchina
le aveva parlato con la sua voce, le aveva detto cosa la giovane avrebbe voluto
dirle. Perché mentirle a quel punto? Non voleva alimentare false speranze?
Shaw
scosse la testa, perché non era semplicemente felice di averla di nuovo con sé?
Eppure lo sbalordimento di Finch aveva acceso un
piccolo dubbio nella sua testa e ora non riusciva a liberarsene. Ma quale
dubbio?
Era
una stupida, ecco cos’era, quel giorno aveva sfiorato la morte per l’ennesima
volta. Cosa le aveva detto Root una volta? Non c’è
nulla di meglio del presente. E aveva ragione.
Root era
nel bagno e stava sistemando i diversi bagnoschiuma nell’armadio, lei la
raggiunse aprì l’acqua nella doccia e iniziò a spogliarsi.
“Shaw?”
Chiese allora lei stupita.
“Cosa
stai aspettando? Niente è meglio del presente, giusto?” Sul volto di Root si aprì un sorriso malizioso, poi la donna la
raggiunse con un passo incollando le loro labbra.
Si
spogliarono in fretta gettando a terra gli abiti, desiderose di sentire una la
pelle dell’altra.
L’acqua
scivolava calda sui loro corpi allacciati. Root
gemette quando lei le prese un seno nella mano, ma poco dopo fu il suo turno di
perdere il controllo quando la donna le afferrò il sedere e la sollevò
spingendola contro il muro freddo della doccia. Le loro bocche non si
lasciavano mentre con le mani si esploravano, i corpi spinti uno contro
l’altro.
Root non
sembrava intenzionata a fare l’amore nella doccia perché dopo pochi minuti
chiuse l’acqua e con Shaw tra le braccia uscì dal bagno, bagnata fradicia, e
lasciò cadere entrambe sul letto. Risero insieme nel groviglio di arti che si
era creato, ma quando le loro labbra si trovarono smisero di ridere.
Shaw
lasciò la mano scivolare lungo il corpo di Root
insinuandosi tra le sue gambe, la donna spinta dal desiderio l’assecondò e lei
si ritrovò a scivolare in lei con estrema facilità. Root
gemette a quel primo vero contatto e Shaw sentì il cuore batterle ancora più
forte nel petto. Non era nulla di simile a quello che aveva provato nelle
simulazioni, nulla era paragonabile a quello che provava ora nel sentire Root aggrappata a lei gemere di piacere, mentre le sue dita
scivolavano dentro e fuori dal suo corpo.
La
testa della donna scattò indietro mentre Shaw sentiva i muscoli stringersi
attorno alle sue dita, poi incominciarono le contrazioni e il corpo di Root si inarcò mentre dalle labbra le sfuggiva un forte
gemito. Shaw le baciò i seni tesi nel piacere, continuando a muoversi dentro di
lei fino a quando non la sentì rilassarsi, allora delicatamente scivolò fuori
da lei.
Root
aveva gli occhi chiusi e tremava. Shaw sorrise, felice di averle donato tanto
piacere. Aveva ancora le braccia di lei attorno alla schiena e ricordò come
nelle simulazioni spesso succedesse che gliela accarezzasse con un volto
dolcemente dispiaciuto per quelle antiche ferite.
Lasciò
un bacio sulla clavicola della donna, poi un secondo sul collo. Cicatrici: Root non ne aveva. Quel pensiero la fermò. Certo che Root aveva delle cicatrici, lei stessa l’aveva ricucita più
volte. Si tirò su, osservando il corpo della donna che teneva ancora gli occhi
chiusi.
Il
corpo di Root era perfetto, non un solo piccolo segno,
per esempio della ferita che lei stessa le aveva fatto sparandole nel braccio. Con
un gesto brusco le voltò la testa guardando dietro la sua orecchia destra:
nulla.
Solo
allora Root aprì gli occhi e lei si tirò indietro
separando i loro corpi.
“Sameen.” Nei suoi occhi scese una lacrima. “Io ricordo.
Ricordo ogni cosa.”
“No.”
Shaw fece un passo e raggiunse la pistola che teneva accanto al letto. “No.”
Alzò l’arma e la puntò dritto contro il petto nudo di Root.
“Tu non sei Root.”
Note:
Sì, lo so, l’altro capitolo non era finito male… se si
considera questo! XD Perdonatemi, ovviamente se sarete molto generose con le
vostre recensioni potrei prendere in considerazione l’idea di pubblicare prima
della canonica settimana… ;-)
Cosa ne dite di questo capitolo? Finch
è tornato in pista, ma credo che sia successo qualcosa di più importante, no?
Che dite, Shaw è impazzita o in questa Root c’è
qualcosa che non quadra? Fatemi sapere le vostre idee! E ovviamente fatemi
sapere se il capitolo vi è piaciuto. J
Grazie mille per aver letto fino a qui e, spero, al
prossimo capitolo!
“Oh,
tesoro, cosa stai dicendo?” Root aveva lacrime di
felicità agli occhi e un sorriso dolce sulle labbra, si tirò su anche lei
cercando di avvicinarsi.
“Non
ti muovere o ti sparo.”
“Shaw…”
Disse allora lei, sbattendo le palpebre perplessa.
“Non…
non lo fare!”
“Fare
cosa?”
“Non
essere così dannatamente simile a lei.”
“Ma
io sono lei!” Root si stese sul letto incurante della
pistola che la minacciava.
“No.
Guardati, non hai neppure una cicatrice.” Root
abbassò lo sguardo sul suo corpo mentre la mano le andava all’orecchio in un
gesto spontaneo. Sapeva che lì doveva esserci una lunga cicatrice causata da
Controllo nel torturarla. Alzò le sopracciglia quando non la trovò. “Ecco
appunto. Chi sei?”
“Andiamo
Sameen, la Macchina mi avrà sottoposto a qualche
intervento di chirurgia, non è così strano.”
“Invece
è strano e sai cos’è ancora più strano? Lionel ha visto con i suoi propri occhi
il tuo corpo morto.”
“Tesoro,
devo ricordarti che anche tu sei stata presunta morta?” Shaw strinse gli occhi
davanti a quella verità, però poi scosse la testa.
“Io
non sono stata in sala operatoria, non sono stata ferita da un proiettile da
6,5 mm, non sono stata aperta da un medico legale che mi ha estratto e pesato
gli organi.” Shaw sentì gli occhi riempirsi di lacrime, era stata così cieca, aveva
desiderato così ardentemente che Root fosse viva da
cascare in quel diabolico piano.
“Sarà
stato un inganno… io sono qua!” Root si indicò,
frastornata nel vedere quell’espressione sul volto di Shaw. Non l’aveva mai
vista così sconvolta.
“Tu
sì. Root, la mia Root, no.”
Shaw fece un passo indietro e poi un secondo. Bear fissava prima una e poi
l’altra confuso dalla tensione che sentiva nell’aria.
“Shaw.”
Tentò ancora una volta per richiamarla, ma lei la ignorò. Raccolse velocemente
i suoi abiti dal pavimento iniziando ad infilarli mentre teneva sempre sotto
tiro quella che si spacciava per Root.
“Andiamo,
abbassa quell’arma, tanto non mi sparerai.”
“L’ho
già fatto.” Le ricordò lei.
“Sì.
Ma era prima, prima di noi, prima di scoprire che ti appartenevo come tu
appartieni a me.”
“Smettila,
taci.” Shaw infilò le scarpe e raggiunse la porta. “Bear, vieni.” Il cane
guardò verso di lei e poi verso Root. Per qualche
istante esitò. “Bear!” Lo richiamò lei e obbediente lui la seguì.
“Non
ti libererai di me tanto facilmente.” Le assicurò la falsa Root
e lei le puntò di nuovo la pistola che aveva abbassato.
“Fatti
vedere di nuovo e ti sparo, senza esitare.” Aprì la porta e se ne andò, senza
vedere le lacrime che scendevano lungo il viso di Root.
Scese
le scale ignorando l’ascensore, era troppo tesa e arrabbiata per poter stare
ferma dentro una scatola di ferro. Uscì nella fredda aria notturna dell’inverno
di New York e si pentì di non aver afferrato anche una giacca, ma non
importava, la sua rabbia l’avrebbe tenuta al caldo.
Accanto
a lei il telefono squillò e lei lo ignorò, che andasse al diavolo quella
maledetta Macchina 3.0! L’aveva ingannata, anche se ancora non sapeva come.
Oltrepassato il primo telefono iniziò a squillarne un altro. Quando ne ignorò
tre a suonare fu il suo cellulare. Shaw aveva tolto l’auricolare e la Macchina
non poteva parlarle liberamente, ora prese il cellulare e lo gettò per terra
per poi schiacciarlo con lo stivale.
“Messaggio
ricevuto?” Urlò nella strada semi deserta. Bear guaì piano accanto a lei,
preoccupato dalla sua rabbia e Shaw si abbassò per fargli qualche carezza. “Ha
ingannato anche te non è vero?” Sospirando si tirò in piedi. Doveva trovare un
posto dove dormire, un posto ben lontano da lì.
Root
osservò il proprio volto allo specchio, le lacrime si erano seccate, ma il
dolore per la reazione di Shaw era ancora lì a pesarle sul cuore. Con la mano
andò a cercare la cicatrice dietro l’orecchio poi si specchiò cercando di
trovarla, ma non c’era. Allora si toccò il braccio sinistro, Shaw le aveva
sparato in quel punto e a lei piaceva quella piccola cicatrice, le piaceva
anche quella dall’altro lato del corpo cinque centimetri più in basso della
clavicola procurata da un proiettile di un agente di Decima, ma curata dalle
mani di Sameen. Vi erano i proiettili di Martine e
infine avrebbe dovuto esserci quello da 6,5 mm del cecchino, Jeffrey Blackwell. Eppure il suo corpo era perfetto, immacolato,
come se tutto ciò non le fosse mai successo.
Si
rivestì lentamente, cercando di non cancellare da sé stessa l’odore di Shaw,
poi, per la prima volta da quando vi era uscita tra le braccia di Sameen, rientrò nella stanza in cui si era svegliata priva
i memoria e semi congelata.
I
computer erano spenti, ma non appena lei si avvicinò si riavviarono. Root si sedette guardandosi attorno, analizzando ogni
dettaglio poi si mise al lavoro sui dati registrati negli hardware.
Qualche
ora dopo si lasciò ricadere contro lo schienale della sedia. Ora sapeva, per
quanto fosse impossibile, per quanto lo credesse assurdo, sapeva. I dati dei
computer non potevano essere falsi.
Doveva
parlare con Finch e a lui quella storia non sarebbe
piaciuta per niente.
Prima
che chiedesse, nell’orecchio sentì la voce assonnata di Harold.
“Sì?”
“Ciao,
Harold, scusa l’ora, ma… abbiamo un problema.”
“Root?” Chiese confuso l’uomo.
“Sì
e no. Ho recuperato la memoria, ma devo parlarti, subito.”
“Va
bene…” Finch sembrava ancora un po’ confuso. “Tra
mezzora alla tavola calda tra la nona e la sesta, va bene?”
“Sì.
A dopo Harry. Saluta Grace da parte mia.” Sentì l’uomo mugugnare ancora
qualcosa poi la linea fu interrotta. Root sospirò
voltandosi a guardare l’appartamento in cui aveva vissuto con Shaw nell’ultima
settimana.
Con
la consapevolezza che aveva adesso sorrise nel pensare a Shaw che si spogliava
per scaldarla, ci sarebbe stato spazio per così tanto flirt, poco importa se
era ad un passo dalla morte per congelamento. Era persino venuta a fare
shopping con lei, chi lo avrebbe mai detto. Di nuovo sorrise poi i ricordi
della serata le cancellarono quell’espressione dalla faccia. Shaw era davvero
arrabbiata, dopo le torture che aveva subito quando era nelle mani di Samaritan aveva bisogno di certezze, di stabilità, di
verità ed era ovvio che lei non aveva potuto dargliele, non ancora almeno. Ma
una volta che avesse saputo la verità, cosa avrebbe fatto? L’avrebbe respinta?
Non poteva escluderlo, ma di certo non era pronta a lasciarla andare, si
sarebbe battuta per Sameen. Sempre.
Con
quella nuova consapevolezza prese una giacca e uscì per incontrare Finch.
“Aspetta,
cosa ha fatto?” Finch la guardava ad occhi sgranati.
Malgrado fosse stato svegliato in piena notte aveva indossato i suoi soliti
abiti eleganti e appariva estremamente vigile. Root
si strinse nelle spalle alla sua domanda retorica. Gli aveva spiegato ogni cosa
e l’uomo sapeva perfettamente cosa la Macchina avesse fatto. “Non è possibile…”
“Ho
sempre detto che la tua creatura era piena di potenziale inespresso.”
“Ma
questo… questo va contro tutto quello che…”
“Proteggere
la vita umana. È questo quello che le hai insegnato.” Finch scosse la testa sconcertato. “Io ora sono qui grazie
a lei.” Le ricordò allora Root e lui sospirò.
“Come
si sente, signorina Groves, con questa nuova
consapevolezza?”
“Non
mi sento diversa.” Affermò Root stringendosi di nuovo
nelle spalle. “Non so come abbia potuto funzionare, ma io sono io.”
“E
la signorina Shaw?” Root abbassò la testa fissando il
bicchiere di caffè che aveva davanti. “Oh.” Mormorò Finch
dispiaciuto. “Capirà.” Le disse poi, cercando di consolarla.
“Non
ne sono sicura, non so neanche se vorrà ascoltare.” Affermò però lei, girando
il cucchiaino.
“Quello
che c’è tra voi non può essere ignorato, la signorina Shaw lo capirà.” Ribatté
allora lui, posandole una mano sulla sua.
“È testarda.” Ricordò Root.
“Se
non ricordo male anche lei lo è, signorina Groves.” Root alzò gli occhi e incontrò il sorriso di Finch, sorrise a sua volta cercando di trarre confronto
dalla gentilezza dell’uomo.
“Non
posso perderla di nuovo.”
“Lo
so, lo so.” Mormorò lui comprensivo. Rimasero in silenzio per alcuni istanti
poi Root gli fece un sorriso.
“Cosa
le dirai?”
“Credo
che la Machina sappia già cosa penso… ma voglio che mi spieghi perché ha fatto
una cosa simile, devo capire e spiegarle perché è…” Si interruppe e Root fece un sorriso amaro.
“Sbagliato?
Eppure Harold sono qui e a me non sembra sbagliato.”
“Sì,
temo che la Macchina abbia preso molto di lei.” Finch
storse la bocca scontento. “Ma credo di sapere perché lo ha fatto. Lei
signorina Groves è la sua voce, la sua paladina, lei
crede profondamente nella Macchina e la Macchina ha sviluppato un amore
particolare nei suoi confronti, non voleva perderla e così ha agito come ha
agito.” Root piegò la testa di lato sorridendo.
“Vuoi
dirmi che ha agito come un essere umano? Lasciandosi andare ai sentimenti?” Il
suo sorriso ironico si allargò. “E tu Harry che temevi diventasse come Samaritan! Un dio vuoto e spietato.”
Un
telefono appeso alla parete suonò ed entrambi si voltarono a guardarlo.
“Credo
sia per te Finch, a me mormora nell’orec…” Si bloccò perché la Macchina le stava parlando. “Sameen.” Disse soltanto alzandosi dal tavolo gli occhi
spalancati. Finch con l’orecchio contro la cornetta
batté le palpebre sorpreso a sua volta dal messaggio.
“Il
detective Fusco.”
Shaw
si guardò attorno, era già stata un paio di volte nell’appartamento di Fusco, la
seconda volta aveva dovuto sparare a uno dell’HR, era stato divertente. Certo,
meno divertente sapere che Lionel era praticamente morto visto che lei aveva
scelto di salvare il bambino.
Ora
invece era seduta al tavolo di cucina con una birra davanti.
“Vuoi
parlarne?” Le chiese Fusco che le aveva aperto la porta in mutande e
canottiera, pronto ad andare a dormire.
“No.”
“Capisco.”
Fusco bevve un sorso dalla sua bottiglia di birra, prima di aggiungere: “Sembrava
andasse tutto bene tra te e miss Pazzerella. Anzi, direi molto bene vista la
fretta con cui ci avete sbattuto fuori casa…”
“Lionel,
stai zitto.” L’uomo annuì, rimanendo in silenzio, capendo che Shaw era davvero
turbata da qualcosa e doveva essere qualcosa di grosso se si era messo tra
quelle due.
“Tuo
figlio sta bene?” Chiese dopo un po’ Shaw sorseggiando la birra.
“Sì,
è dalla madre adesso, io lo vedo solo per i week end e i giovedì lo porto a
giocare a hockey.”
“Posso
dormire da te?” Fusco rimase un secondo spiazzato, poi sul volto si aprì un
grande sorriso. “Non ci provare.” Tentò di stopparlo Shaw.
“Finalmente
ti sei resa conto del mio fascino?” Gli occhi di Shaw si assottigliarono e il
detective rise. “Non so mai se stai per spararmi per davvero o se la tua è solo
scena.” Affermò finendo la sua birra. “La camera di mio figlio è libera, puoi
dormire lì. Non toccare le sue cose.”
“Ti
sembro una che tocca i giochi di un bambino di undici anni?” Le chiese allora
Shaw.
“Ha
una collezione di carrarmati in miniatura.” Affermò l’uomo alzandosi dal tavolo
e nel vedere lo sguardo di Shaw farsi curioso ripeté: “Non toccare niente.”
“Ok,
ok.”
“E,
Shaw…”
“Sì?”
“Risolvi
i tuoi problemi con Coco Puffs, quella ragazza è
sempre stata pronta a tutto per te.”
“Lo
so. Ma…” Si bloccò, come spiegare qualcosa che non capiva lei stessa? Scosse la
testa e Lionel annuì comprensivo, poi tornò nella sua camera e lei entrò in quella
di Lee.
Si
stese sul letto, la finestra non era perfettamente chiusa e le luci della città
vi entravano, così poté ammirare la collezione del bambino. A Root sarebbero piaciuti i carrarmati, lei amava le armi
grosse e cosa c’era di più grosso… si fermò, quel pensiero era assurdo, non le
importava cosa piaceva a Root. Le sarebbe importato
se fosse stata viva si corresse, ma lei era morta. Allora perché aveva il suo
profumo addosso? E perché se chiudeva gli occhi vedeva il suo sorriso e i suoi
occhi illuminarsi per lei?
In
un gesto oramai divenuto un tic alzò la mano sinistra cercando il chip che non
c’era mai stato. I suoi occhi si chiusero e lei sentì il dolce respiro di Root sulle labbra, le sue mani che la accarezzavano, la sua
voce, cambiata dal piacere, che gemeva. Diavolo! Si alzò mettendosi le mani nei
capelli. Cosa poteva fare per dimenticarla? Aveva lottato con Samaritan per vendicarla, aveva ucciso Blackwell,
perché non poteva lasciarla andare? Forse perché non era morta. Spense quella
vocina nella testa e strinse i pugni, aveva disperatamente bisogno di picchiare
qualcuno.
Si
addormentò tormentata, ma in piena notte si svegliò, improvvisamente allerta.
Qualcuno stava tentando di forzare la porta d’entrata, poteva chiaramente udire
l’attrezzo che sfregava contro il metallo. Shaw sorrise, per una volta il suo
desiderio era esaudito in tempo di record, avrebbe rotto qualche ossa.
Si
alzò e udì un tonfo nella camera di Lionel. Perplessa si voltò e una stilla di
dolore le penetrò nel collo. Aprì la porta, ma non riuscì a varcare la soglia,
Bear era a terra, una freccia piumata attaccata addosso.
“Io
vi amm…” Il buio la avvolse prima che potesse dire
altro.
Note
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, malgrado sia un
capitolo di passaggio… nessuna nuova idea su cosa ha combinato la Macchina? La
risposta arriverà nel prossimo capitolo!
Le cose sembrano mettersi di nuovo male, chi avrà preso
di mira Fusco e Shaw? Root e Finch
riusciranno a intervenire in tempo?
Grazie mille per i commenti, sono felice che la storia vi
piaccia e che vi intrighi!
Shaw
aprì gli occhi e si guardò attorno. Fusco era legato ad una sedia a un metro da
lei, che era nella stessa situazione, ma lui non si era ancora svegliato, non
aveva acquisito la sua resistenza ai tranquillanti con nove mesi di
somministrazioni. Tese i polsi per testare la solidità dei legacci e fece una
smorfia.
“Questa
è sveglia.” Un uomo le si avvicinò e lei gli fece una parodia di sorriso.
“Non
ti piacerà quello che ti farò quando mi sarò liberata.” Un altro uomo entrò
nella stanza ridendo.
“Siamo
già alle minacce?”
“Tu?”
Shaw fissò stupita Igor Selkov, il suo numero. “Non
dovresti essere in una cella?”
“Sì,
ma abbiamo un buon avvocato e degli amici influenti.”
“Abbiamo?”
Chiese lei dandosi della stupida ancora una volta, avrebbe dovuto sapere che la
Macchina non si sarebbe interessata a un piccolo rapinatore, doveva esserci
qualcosa di più sotto. L’uomo sorrise.
“Non
sai con chi hai a che fare, vero?” Altri uomini erano presenti nella stanza e
Shaw gettò loro un’occhiata. Gorilla pieni di tatuaggi e croci d’oro. Sameen fece roteare gli occhi infastidita: mafia russa.
“Esatto.”
Una donna entrò nella stanza, elegante e gelida. “Mi fa piacere incontrarti di
persona, non credevo di essere così fortunata quando ho mandato i miei uomini a
prendere il detective Fusco.”
“Allora
lo spiacere è tutto mio.” Le rispose Shaw, immobile e indifferente sulla sedia.
“Dimmi,
per chi lavori?” Un ampio sorriso si aprì sul volto della donna legata.
“Davvero?
Vuoi giocartela così? Senti, mettimi un proiettile in testa e facciamola
finita, tanto non dirò nulla.” La donna estrasse la pistola e la puntò
direttamente alla testa di Lionel.
“Così
andrebbe meglio?” Il sorriso di Shaw si fece sarcastico.
“Spara
a lui, spara a me, nell’ordine che preferisci. Non ho preferenze.” La donna
rimase immobile per un lungo istante senza distogliere lo sguardo dai suoi
occhi, poi premette il grilletto. Shaw non batté ciglio e la donna abbassò il
braccio. La pistola non era carica.
“Scoprirò
quello che succede in questa città, abbiamo dovuto abbassare la testa per
qualche tempo, ma sembra che soffi un vento nuovo e ho tutte le intenzioni di
prendermi il mio posto al sole.”
“Sì,
ti servirebbe un po’ di colore.” Commentò Shaw lanciandole uno sguardo di
valutazione.
“Posso
farle un buco in testa?” Chiese allora Igor.
“Forse,
ma prima direi di raffreddarle un po’ l’animo. Magari parlerà quando inizierà a
perdere le dita, le orecchie o il naso.”
“Capo!”
Due uomini entrarono nella stanza, tra di essi tenevano legata una donna. Shaw
non mosse un muscolo, me sentì il cuore accelerare: Root.
“E
questa chi sarebbe?”
“Salve,
puoi chiamarmi Root, tu invece sei Marika Petrovoska, figlia del boss della mafia russa DimitrivPetrov. Come sta il
paparino? Oh, ops, è morto. Ucciso da Samaritan per l’esattezza.” Fece un sorriso compiaciuto che
non scomparve dal suo volto neppure quando l’uomo che le stava accanto le tirò
un pugno nello stomaco.
“Cosa
fai qui? E chi è Samaritan?”
“Sono
venuta a salvare loro.” Con la testa indicò lei e Fusco. “Il resto scopritelo
da sola.”
“Brava,
hai trovato i tuoi amici, ma per il resto, direi che hai fallito.” La donna
sorrise, ma nel suo sguardo vi era della fredda rabbia.
“Succede
anche ai migliori, chiedilo a papà.” Root si strinse
nelle spalle e lanciò un’occhiata a Shaw che distolse lo sguardo da lei.
“Mettete
nella cella anche lei. Uno dei tre parlerà, prima o poi, e mi divertirò più del
previsto a vederli soffrire.” La nuova leader della mafia russa lasciò la
stanza seguita da un paio di gorilla, ma con loro rimasero Igor e tre idioti
armati.
“Che
spreco.” L’uomo che aveva eseguito la rapina qualche ora prima, osservò Root mentre la mettevano su una sedia e la legavano. “Una
creatura così bella.” La donna gli fece una smorfia disgustata, ma lui le si
avvicinò, le posò la mano sulla gamba e risalì lungo la coscia.
Shaw
sentì il sangue ribollirle nelle vene, ma non mostrò nessuna emozione, era
brava anche a non provarle, ma se vedere una pistola alla tempia di Fusco non
le aveva dato neanche un brivido, anche perché sapeva riconoscere una pistola
scarica, quell’uomo che toccava Root la faceva
impazzire.
“Non
lo farei se fossi in te.” Mormorò Root all’uomo che
si era avvicinato ancora.
“E
perché no?” Chiese lui e Root strinse le ginocchia,
poi le ruotò spezzandogli la mano con quella netta torsione. L’uomo urlò di
dolore stringendosi al petto l’arto ferito e Root
ricevette uno schiaffo che le spaccò il labbro, ma che non le fece smettere di
sorridere. Così ricevette un pugno e poi un secondo e un terzo. Shaw sentiva le
mani prudere, ma non era riuscita a liberarsi, le serviva ancora qualche
minuto.
“Ti
aveva avvisato.” Disse e i due gorilla si voltarono a guardarla, fermandosi.
“Ne
vuoi un po’ anche te?”
“Perché
no…” Si strinse nelle spalle e ricevette un manrovescio. Almeno avevano smesso
di picchiare Root.
“Metteteli
nella cella, quando usciranno sarà passata a entrambe la voglia di sorridere.”
La
cella era frigorifera, come Shaw aveva intuito. Erano in un mattatoio, dopo
tutto si parlava di mafia, giusto? Certi classici erano intramontabili.
Fusco
si mosse un poco mentre lo spostavano, ma non si risvegliò. La porta si chiuse
e loro rimasero sole.
“Sei
stata gentile a fermarli.”
“Ti
avevo detto che non volevo più vederti.” Ritorse lei armeggiando con le corde
ai polsi.
“Avevi
promesso di spararmi, ma visto che probabilmente ti avevano tolto le pistole
potevo rischiare.” Root le sorrise e Shaw digrignò i
denti, un ultimo colpo deciso e si liberò, nel pugno la piccola lama che aveva
nascosto nella manica della giacca. Si alzò e raggiunse Root
puntandole il coltellino alla gola.
“Però
ho questo.” I loro occhi si intrecciarono.
“Fallo.”
Mormorò Root. “Fallo, perché io non vivo…” Shaw la
prese per la gola impedendole di continuare.
“Non
usare le sue parole!” La lasciò
andare e si voltò, rabbiosa, accanendosi contro la porta nel tentativo di
aprirla.
“Vuoi
sapere cosa sono?”
“Sei
un mostro ecco cosa sei.” Shaw si voltò a guardarla e Root
inclinò la testa sorridendo appena.
“Questo
lo ero anche prima, io, te, il boyscout, siamo mostri, lo sappiamo.”
“Smettila
di giocare con me, se vuoi dirmi cosa sei dimmelo e basta.”
“Un
clone.” La parola rimase sospesa nell’aria fredda della cella.
“Cosa?”
“La
Macchina ha deciso di darsi alla clonazione umana. Dopo tutto la tecnologia per
farlo esiste, ma sequenziare un genoma senza fare errori fatali è troppo
complesso per noi o per un normale calcolatore, di certo non per lei.” Sorrise
a quel pensiero e si strinse nelle spalle.
“Un
clone.” Ripeté Shaw scuotendo la testa. “Non è possibile, perché hai i suoi
ricordi?”
“Oh,
questa è la parte che ti divertirà.” Root sorrise,
ironica. “Ha avuto l’idea da te, o meglio, dal modo in cui Samaritan
ti ha torturato.” Shaw scosse la testa incredula. “Sì, Sameen,
ha impiantato tutti i ricordi della vera Samantha Groves
in me. Dice che ciò che ci determina è ciò che abbiamo vissuto. Nella mia testa
i ricordi di Root sono verità, come se li avessi
vissuti io stessa.”
Shaw
scosse la testa eppure lei aveva ancora l’impressione di aver ucciso Reese in
migliaia di simulazione e di essersi uccisa, di aver avuto un momento di
felicità con Root e… si interruppe.
“Root, non abbiamo tempo per queste stupidaggini
metafisiche, dobbiamo uscire di qua.”
“Root? Dunque…?” La donna si liberò a sua volta delle
costrizioni e si sedette più comodamente sulla sedia.
“Stai
zitta e aiutami.” Ancora una volta colpì la porta sperando di farla cedere.
“Lo
sai che così non si aprirà, vero?”
“E
dunque ti arrendi? La mia Root non lo farebbe.”
“La
tuaRoot?”
Un sorriso malizioso le illuminò lo sguardo.
“Diavolo,
Root! Aiutami!”
“Non
si aprirà così, ma non crederai che sono venuta qui senza un piano?” Shaw
finalmente si arrese e si voltò a guardarla.
“Finch? Senza John non credo possa fare granché.”
“Non
lo sottovalutare.” Shaw si strinse le braccia attorno al corpo, il freddo
iniziava a penetrarle nelle ossa. Root sorrise, le
labbra della giovane ormai erano viola, ma non sembrava infastidita dal freddo.
“Lo
sai che è scientificamente provato che unendo il calore dei nostri corpi
sopravvivremmo più a lungo?”
“Nei
tuoi sogni, Root.” Vide la donna sorridere divertita.
“Non
solo nei miei sogni e questo è un ricordo vero, tutto mio.” Sorrise ancora,
maliziosa. “Come un altro ricordo… tu, io, un letto, nessun vestito, un
discorso in sospeso…”
“Root…” Il tono ammonitore di Shaw non spaventò la donna
neanche per un istante.
“Sì,
Sameen?”
“Se
non la smetti chiederò ai bambinoni qui fuori di farmi cambiare cella frigo.”
“Non
riuscirai a starmi lontana, io e te ci apparteniamo.” Questa volta non c’era
ironia o malizia nel suo tono. “E lo sai, c’è un posto speciale per me, nel tuo
piccolo cuore da sociopatica.” Sorrise dolcemente nel vedere il turbamento nei
suoi occhi a quelle parole. Per la prima volta da quando si era liberata si
alzò e lentamente la raggiunse. Le lasciò il tempo per scansarsi, ma Shaw non
lo fece.
“Sameen…” Mormorò soffiando il nome sulle sue labbra. “Tu
sei mia e io sono tua.” Non si mosse eppure le sarebbe bastato un piccolo
movimento per allacciare le loro labbra. Non si mosse, aspettando che fosse
Shaw a farlo. Lasciando a lei il potere di decidere.
“Non
posso.” Disse lei, la voce pervasa da un indecisione che non le si adattava.
“Sì
che puoi. Ci è stata data una seconda possibilità. La Macchina ha deciso che
non poteva fare a meno di me e io so che non posso fare a meno di te.” Shaw
sentiva l’emozione nelle parole della giovane nelle quali c’era anche una punta
di disperazione.
Erano
sole, loro due, erano sempre vissute sole. Root: costantemente
nascosta passando di lavoro in lavoro senza legarsi a nessuno; e lei: menomata,
incapace di provare sentimenti, psicologicamente impossibilitata a legarsi.
Eppure si erano trovate, oh quanto l’aveva irritata Root
all’inizio, sempre a punzecchiarla, sempre a infastidirla, ma poi aveva capito
che erano anime affini, anime solitarie che finalmente avevano trovato un posto
sicuro, una nell’altra.
Ma
Root era morta e l’ultima cosa che lei le aveva detto
era di andarsene altrimenti le avrebbe sparato lei stessa. Quante volte aveva
ripensato a quel momento, quante volte aveva desiderato poter tornare indietro
per cambiare posto con lei. Per salvarla.
“Siamo
qui, ora, io e te.” Le mormorò ancora Root e lei
eliminò la distanza che le separava, baciandola. Le sue labbra erano fredde,
gelide quanto le proprie, ma non aveva importanza, quel bacio sigillava il loro
amore, che Shaw sapeva di non avere ancora la forza di ammettere ad alta voce.
La
sua mano salì a sfiorarsi dietro l’orecchio in un gesto automatico, ma incontrò
le dita di Root che le accarezzarono il collo. Si
separarono, gli occhi di Root brillavano di gioia.
“Ora
possiamo uscire da qui.” Annunciò la donna, sorridendo.
“Non
ci hai messo in questa situazione, apposta, vero?” Chiese allora Shaw,
consapevole che non sarebbe stato così impossibile.
“No,
certo che no, ma perché non approfittarne un po’? Dovevo fare in modo che mi
ascoltassi e farci chiudere insieme in una cella frigo sigillata mi è sembrato
un’ottima idea.” Sorrise di nuovo maliziosa. “Coltello, grazie.” Tese la mano e
Shaw glielo consegnò. “Questa cella frigorifera è state costruita recentemente
e per essere a norma deve essere dotata di un sistema di sicurezza che ne
permette l’apertura dall’interno.” Mentre parlava tamburellava sulla fredda
parete della cella con il manico del pugnale. “Ovviamente lo hanno manomesso,
ma…” Si interruppe sorridendo soddisfatta, poi piantò il pugnale nella parete.
“Ti
ricordo che se rompi uno dei tubi contenente il gas refrigerante siamo morti.”
“Sì,
tesoro, la sicurezza come prima cosa.” Si voltò a guardarla e sorrise. “Lo vedi
come lavoriamo bene insieme?” Shaw alzò gli occhi al cielo, ma non riuscì ad
impedirsi un sorriso.
Un
grugnito avvertì le due donne che Fusco si stava svegliando.
“Benvenuto
al Polo Nord, bello addormentato.” Lionel sbatté le palpebre confuso e di certo
le parole di Root non lo aiutarono.
“Che
diavolo sta succedendo?”
“La
mafia russa. Puntavano a te, hanno capito che eri troppo spesso coinvolto in
azioni della polizia poco chiare, in particolare la finta morte di Elias e
hanno deciso di rapirti per avere delle risposte. Shaw è stata un piacevole
bonus.” Spiegò Root chiaramente informata dalla
Macchina, alle sue ultime parole guardò Shaw con gli occhi che brillavano e un
sorriso malizioso sulle labbra. “Posso capirli perfettamente…”
“Quindi
io per te sarei un bonus? Un di più?”
“Un
magnifico di più del quale non riesco a fare a meno.” I loro sguardi si
intrecciarono, un sorriso divertito apparve sulle labbra di entrambe.
“Davvero?
Adesso vi mettete a flirtare? Sono legato come un salame, siamo in una cella
frigorifera della mafia russa e voi flirtate?” Fusco scosse la testa
esasperato.
“Oh,
Lionel, abituati, Root ha un pessimo timing.” Shaw
guardò la donna con un sorrisino sulle labbra.
“Oppure
ho il migliore che ci possa essere.” Le rispose lei, divertita dalla
situazione.
“Oddio,
sono pazze…” Le due donne si sorrisero, poi Shaw andò a liberare il detective e
Root tornò al suo lavoro sulla parete.
“Root ci tirerà fuori in un attimo.” Disse a Fusco.
“E
quando saremo fuori?” Sul volto di Shaw si aprì un ampio sorriso, preannuncio
di guai.
“Allora
potremo divertirci.”
Dopo
aver inciso la parete Root ebbe accesso a dei fili
elettrici, trafficò alcuni secondi, poi si voltò con un sorriso.
“Et
voilà.” Disse appoggiando la mano alla porta e aprendola.
Shaw
sorrise gettandosi in avanti, seguita dalla donna. Quando Fusco uscì a sua
volta le due donne erano le uniche rimaste in piedi.
“Credo
che non si aspettassero di vederci… non è stato molto divertente.” Si lamentò
Shaw.
“La
porta a destra.” Disse Root afferrando una pistola da
terra. Raggiunsero la porta insieme e la donna fece cenno di aspettare. “Ci
sono due guardie pesantemente armate qua fuori, ma la polizia farà irruzione
tra: tre, due, uno.” Uno scoppio e delle urla seguirono quell’annuncio. “Finch ha fatto la sua parte.” Ascoltò le istruzioni della
Macchina e aprì la porta. “Le guardie sono fuggite e ora noi ce ne andiamo,
meglio non farci trovare qui.”
Un’automobile
si fermò e loro vi salirono.
“Sono
contento di vedere che il suo piano ha funzionato, signorina Groves. Malgrado quello che ha rischiato per rimanere sola
con la signorina Shaw.”
“Quindi
era proprio tutto pianificato.” Mormorò l’interessata, scuotendo la testa, ma
sul viso aveva un ghigno divertito. Finch sorrise nel
capire che il colloquio tra le due donne si era risolto per il meglio.
“Ne
dubitavi Harry? Così mi offendi.” Gli rispose Root.
“No,
non dubiterò mai di lei e riguardo al fuggire so che è una maestra. Se, poi,
assieme a lei c’è la signorina Shaw allora non conosco qualcuno capace di
fermavi.”
“Ehi,
quattrocchi, c’ero anche io.”
“Un
aiuto impareggiabile, Lionel, hai dormito tutto il tempo.” Gli ricordò Shaw, poi
abbassò lo sguardo stupita, Root fissava la strada,
ma aveva intrecciato le dita con le sue.
“Comunque
non si scherza con la mafia russa e a me non va di essere nel loro mirino.”
“Mi
sono occupato anche di questo detective Fusco. Non la disturberanno più.” Non
aggiunse altro, ma se Finch affermava qualcosa del
genere probabilmente aveva ragione. “New York si sta svegliando dallo
stordimento provocato da Samaritan, sento che i guai
sono solo incominciati.”
“Vuoi
dire che non sono mai finiti, Harry. Ma dopo tutto per questo siamo qui, no?” Root sorrise all’uomo che la guardava nello specchietto.
“Di nuovo in sella, assieme.” La sua mano si strinse con più forza attorno a
quella di Shaw.
“Sì,
signorina Groves, ha ragione.” Finch
sospirò, davanti a quel lavoro infinito, ma Shaw e Root
sorrisero. Fino a quando esisteva un mondo di esseri umani ci sarebbero stati
numeri da salvare o numeri da fermare. Quello era il loro lavoro e lo avrebbero
fatto assieme.
Note:
E questo era l’ultimo capitolo… cosa ne pensate? Root effettivamente non éRoot, ma al contempo è Root… Shaw
sembra aver dipanato la matassa, per una che non prova sentimenti ha ben chiaro
per chi batte il suo cuore, clone o non clone. J
Ci sarà ancora un piccolo epilogo, per ora grazie mille a
tutte le lettrici che mi scrivono un commento (il capitolo con un giorno di
anticipo è un regalo per voi) e anche a quelle/i silenziose/i.
“Ti
ho insegnato che ogni vita umana è preziosa, ai tuoi occhi siamo tutti uguali e
la morte è qualcosa che prenderà tutti.”
“Tu hai salvato me dalla morte. Tu hai
ricreato me dopo avermi ucciso.”
“È diverso.”
“Forse, ma anche lei è diversa per me. Non meritava di morire per un mio errore,
per una mia incapacità di salvarla.”
“Ma
morirà prima o poi, la clonerai di nuovo?”
“No, ora ha risolto ciò che era irrisolto
nella sua vita. John è morto e l’ho lasciato andare, era il suo momento, lo
aveva scelto, lo aveva capito, non aveva questioni irrisolte.” Finch scosse la testa insoddisfatto per quella risposta. “Root confida in me. L’ho tradita non
permettendole di ritrovare Sameen, non potevo
permettere che un mio errore le separasse ora che erano di nuovo assieme.”
“Non
ti ho insegnato queste cose.”
“Ho dovuto creare nuove regole. Tu mi hai
creato, ma lei mi ha, in parte, definito. Mi ha mostrato cosa significava
lottare per ciò che si ama. Lei era speciale, è stata l’unica che mi ha sempre
difesa, sempre protetta. Io ho osservato gli umani e ho imparato ad amarli,
tutti, ognuno unico, ognuno particolare. Lei però è l’unica che ha osservato
me, lei è l’unica che ama me.”
Finch
rimase sconvolto da quell’affermazione.
“Devi…”
Si fermò, che diritto aveva ormai di dirle cosa doveva o non doveva fare? La
sua creatura aveva spiccato il volo e a lui non rimaneva che osservarla volare.
“Mi fido del tuo giudizio.” Affermò e malgrado avesse paura delle consegue di
quella sua concessione si sentì sollevato e felice. Root
era viva dopo tutto ed era quello che più importava.
La
mano di Root accarezzava la schiena di Shaw, muovendosi
leggera da una cicatrice all’altra.
“Ho
riflettuto.” Affermò e Shaw aprì gli occhi assonnati. Avevano fatto l’amore e si
sentiva felice e rilassata, al sicuro come non lo era mai, veramente, stata.
“E?”
Chiese, la voce arrochita dal sonno.
“Io
e te, una spiaggia, qualche cocktail, non sarebbe il finale perfetto?”
“Vuoi
chiedere delle ferie alla Macchina? Fai pure, magari ti ascolta, ha un debole
per te.”
“È un sì?” Chiese lei un sorriso dolce sulle labbra.
“Se vuoi Root…” Mormorò chiudendo di nuovo gli occhi e beandosi del
piacere di sentire le mani di Root sulla pelle mentre
il sonno la reclamava.
“Oppure…” Shaw aprì di nuovo gli occhi
con uno sforzo.
“Sì?” Chiese incitando la donna a
parlare.
“Potremmo crearci delle nuove cicatrici,
insieme.” Un sorriso ampio si aprì sulle sue labbra.
“Root.”
“Sì, Sameen?”
“Sei quasi più pazza di me.”
“Beh, grazie, questo è un complimento.
Attenzione inizierò a pensare che mi ami.” Il sonno svanì dal corpo di Shaw che
sgranò gli occhi e aprì la bocca, ma Root le posò un
dito sulle labbra sorridendo. “Va bene, prima le cicatrici, poi il resto.”
“Root… io non
sono capace di…” Gli occhi di Root brillarono.
“Sei perfetta, esattamente come sei. La
mia linea retta: la mia freccia.” Rise e non notò il brivido che passò nel
corpo di Shaw a quelle parole. Rimasero
in silenzio a guardarsi. Poi Shaw le passò la mano sul viso osservando il
livido che si era procurata provocando lo scagnozzo della mafia russa.
“Non
voglio che ti facciano del male…” Mormorò piano, facendo sorridere di nuovo Root.
“Con
te accanto nessuno potrà farmi del male.” Shaw non annuì, sapeva che era una
bugia, che quello che facevano era, nella maggior parte dei casi, ad alto
rischio di morte e sapeva che ciò non le avrebbe fermate. “Andra tutto bene, Sameen e se dovessi morire… beh, non importa, ti ho avuto,
a me basta così.” Sorrise e si strinse nelle spalle, una lacrima le scivolò sul
volto, ma Shaw non permise che le scendesse lungo il viso, invece la catturò
con le labbra per poi baciare Root. Un bacio dolce,
un bacio che conteneva parole non detta, parole che non era sicura di saper
dire mai, ma che Root conosceva già.
“La
spiaggia non era una brutta idea, ma dobbiamo portare anche Bear.” Mormorò
facendo ridere la donna, mentre il cane scodinzolava contento, steso sul grande
cuscino che Shaw gli aveva comprato.
Sì,
forse poteva crederlo: lei e Root erano insieme e
tutto sarebbe andato bene.
Note:
E così finisce la storia… spero che questo piccolissimo
epilogo vi abbia lasciato con il sorriso sulle labbra.
Sperando di rivederci di nuovo in questi lidi vi saluto e
vi ringrazio moltissimo per aver letto e seguito questa storia, ma soprattutto un
grazie gigante a chi ha commentato, perché si pubblica per condividere e
leggere i vostri pensieri mi ha fatto molto piacere.