Le cronache di Aveiron: Miriadi di battaglie

di Emmastory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Doloroso prosieguo ***
Capitolo 2: *** Miele amaro ***
Capitolo 3: *** Note di sollievo ***
Capitolo 4: *** Come una famiglia ***
Capitolo 5: *** Noi ***
Capitolo 6: *** Profonde ferite ***
Capitolo 7: *** Il ritorno della gioia ***
Capitolo 8: *** Le carte in tavola ***
Capitolo 9: *** L'ombra del pericolo ***
Capitolo 10: *** Notti agitate e grande tensione ***
Capitolo 11: *** Fuga dalle ombre ***
Capitolo 12: *** Perle di saggezza ***
Capitolo 13: *** Che la fortuna ci assista ***
Capitolo 14: *** Insieme ***
Capitolo 15: *** Tornare alle radici ***
Capitolo 16: *** Forte per amore ***
Capitolo 17: *** Vento di novelle ***
Capitolo 18: *** Bianco e nero ***
Capitolo 19: *** Rosa nel deserto ***
Capitolo 20: *** Ricordi fra la polvere ***
Capitolo 21: *** Prodi cavalieri ***
Capitolo 22: *** Verso la Casa ***
Capitolo 23: *** Antiche armi e celato dolore ***
Capitolo 24: *** Onorare una promessa ***
Capitolo 25: *** Grande e ardua impresa ***
Capitolo 26: *** Speme e sangue ***
Capitolo 27: *** Catene spezzate ***
Capitolo 28: *** Valori sopiti ***
Capitolo 29: *** Guerra fra due regni ***
Capitolo 30: *** Ultimi avvisi ***
Capitolo 31: *** Barlume di speranza ***
Capitolo 32: *** Sereno avvenire ***
Capitolo 33: *** Nuda e cruda realtà ***
Capitolo 34: *** Momenti felici ***
Capitolo 35: *** Stato d'allerta ***
Capitolo 36: *** Uomini selvaggi ***
Capitolo 37: *** Sciame di pensieri ***
Capitolo 38: *** Mano alle armi ***
Capitolo 39: *** Il tutto per tutto ***
Capitolo 40: *** Piccola grande Terra ***



Capitolo 1
*** Doloroso prosieguo ***


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Le cronache di Aveiron: Miriadi di battaglie

Capitolo I

Doloroso prosieguo

Silenzio. Non c’era che questo attorno a me, e tutto appariva muto. Terra dormiva, la campagna riposava, e al contrario di me, non era attiva. Seduta nella mia stanza, alla mia lignea scrivania, ero impegnata a rileggere le bianche pagine del mio diario, mio unico strumento di conforto in questo momento. Il mattino stava per lasciare il posto all’assolato pomeriggio, e leggendo con attenzione, facevo quanto fosse in mio potere per trattenere le lacrime. Fra una riga e l’altra, avevo infatti lasciato che il mio sguardo si posasse sulla frase rivoltami dal mio Stefan ormai tempo prima. “Ho fatto una promessa.” Mi aveva detto, rassicurandomi e palesando in quel modo il suo preciso volere. Non aveva infatti desiderio dissimile dal proteggermi da ladri, assassini e gente violenta, che come uno sciame di voraci insetti o affamate locuste, stava di nuovo invadendo Aveiron alla ricerca di ricchezze di ogni genere. Questa l’unica ragione per cui era partito lasciandomi da sola con nostra figlia, a pensare e penare per lui. Senza che avessi modo di accorgermene, un intero mese era già passato, e mentre il tempo continuava a scorrere, sapevo di dover reagire. Ero sola, certo, ma Terra era con me, ed io dovevo proteggerla. Spaventata e preoccupata, non faceva che chiedere del padre, ma io, affranta, non sapevo cosa rispondere. Guardandola con gli occhi velati dalle lacrime, non proferivo parola, punendomi solo dopo averla vista andarsene dalla mia stanza. In altri termini, Stefan era di nuovo scomparso, ed io sentivo che qualcosa dentro di me stava lentamente mutando. Il dolore aveva nuovamente trovato rifugio nelle crepe del mio gentile animo, e la tristezza mi consumava, rendendomi talvolta anche estremamente nervosa. Ora come ora, la testa mi duole moltissimo, e anche se sdraiarmi non serve a molto, voglio solo dormire. Chiudo gli occhi sperando di cadere preda del sonno, ma senza successo. Spossata, non mi alzo dal letto, ma muovendo una mano, noto il mio bellissimo anello. Scintillante e prezioso gioiello simbolo del nostro amore e della nostra unione in matrimonio, che conservo gelosamente sin da quel perfetto giorno. Fissandolo, sono occupata a ricordare, e d’improvviso, qualcuno bussa alla mia porta. “Posso entrare?” chiede una piccola e angelica voce, che riconosco quasi subito. “Certo, piccola.” Rispondo soltanto, per poi sorridere debolmente. “Ti ho fatto questo.” Mi dice poi mia figlia, dopo alcuni secondi di silenzio trascorsi a fissare il pavimento, ormai consunto perché calpestato infinite volte. Allo scadere degli stessi, un bianco foglio di carta, su cui la mia amata bambina ha nuovamente disegnato la sua famiglia. Ci siamo io, lei e suo padre, e stiamo sorridendo anche se piove. Quasi commossa da quella vista, nascondo una lacrima, e guardando quel piccolo angelo negli occhi, l’abbraccio. Regalandomi un sorriso, la bimba mi lascia fare, e poco dopo, chiude gli occhi per un attimo. Questo scompare velocemente dalla mia vita, e in quel momento, un’innocente domanda scuote con violenza ogni cellula del mio corpo. “Papà tornerà da noi, vero?” un semplice quesito, ma anche una sorta di conferma. Da quell’attimo in poi, religioso silenzio da parte mia, rotto solo dal suono di tre parole. “Non lo so.” Lemmi pronunciati piangendo di fronte alla mia bambina, che versando amare lacrime a sua volta, quella notte dormì al mio fianco, sperando come me di vedere suo padre nonostante la nostra ardua vita e il suo doloroso prosieguo.

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Capitolo 2
*** Miele amaro ***


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Capitolo II

Miele amaro

Di nuovo la luce, di nuovo il sole, non più la tetra e buia notte. Un nuovo giorno è iniziato, e stando alle parole di mia figlia, è speciale. Sorridendole, mi fermo a pensare, ed ecco che improvvisamente ricordo. Oggi compie quattro anni. Un anno in più di vita, e un giorno che lei vorrebbe passare in compagnia della famiglia intera. Mantenendo il silenzio, la guardo giocare. È così buona e dolce, eppure un giorno dovrà affrontare tutto questo. Mi viene da piangere, eppure resisto. Non posso farlo, non posso lasciarmi andare. La mia bambina ha bisogno di me. Inutile è dire che un giorno le cose cambieranno, ma per ora sono di tutt’altro avviso. Credo infatti con fermezza che debba vivere, ridere e giocare, e che non appena sarà abbastanza grande, potrà imparare a combattere e difendersi dal male che ci circonda. Sono ora persa nei miei pensieri come un viandante privo di una bussola, e la sua angelica voce mi distrae. “Mamma? Dov’è papà? Si perderà il mio compleanno!” si lamenta, guardandomi con occhi lucidi e con la voce rovinata dal pianto a cui sta sicuramente per dare inizio. “Non lo farebbe mai.” La rassicuro, abbassandomi così da riuscire ad abbracciarla. “Davvero?” chiede poi, quasi andando alla ricerca di conforto. “Davvero.” Risposi, facendole eco dopo un attimo trascorso a riflettere in silenzio. E così, le ore passarono, e nonostante la vedessi giocare, continuai a notare in Terra alcuni cambiamenti. Per qualche strana ragione, non appariva più come la bimba di sempre, e tutta la sua vitalità stava lentamente scemando. Sentiva come me la mancanza del padre, e proprio come la sua stabilità emotiva, anche quella del suo corpo pareva risentirne. Piange in silenzio, si nasconde, e accuse dolori ovunque. In breve, la sera scese, e non appena il sole scomparve fra le nuvole, lei rifiutò di consumare la sua cena, consistente nella torta che con le nostre mani, io e sua nonna le avevamo preparato. “Vado a dormire.” Disse, dopo aver seppur controvoglia accettato i miei auguri uniti a quelli della nonna e della cara zia. “Terra, tesoro, aspetta.” La pregai, protendendo una mano in avanti e sperando che si voltasse. “Avevi detto che sarebbe venuto.” Mi rispose soltanto, per poi darmi le spalle e andarsene piangendo. Una piccola lite per altri priva di significato, ma che per me ne aveva uno preciso. La mia povera piccola stava soffrendo, ed io non potevo permetterlo. Distrutta dal dolore, faticai a dormire, e rimanendo seduta fino a notte fonda sul divano di casa, sentii qualcuno bussare alla porta. Con il cuore pieno di speranza, andai ad aprire, ma per pura sfortuna, non vidi nessuno. Solo un pacco chiuso con un cordino giaceva sull’uscio di casa. Abbassandomi, lo esaminai, e dopo averlo raccolto da terra, notai un biglietto. “Dai questa a Terra da parte mia, e sappiate che vi amo entrambe.” Non era firmato, ma da quelle poche e semplici parole, evinsi subito il mittente. Stefan. Felice a quel solo pensiero, sorrisi. Quella sera, non svegliai la bambina. Volevo che quel regalo fosse una sorpresa, un modo come un altro per dimostrare che avevo ragione. Suo padre le voleva bene, e non si sarebbe perso il suo compleanno per nessuna ragione a questo vasto e crudele mondo. Una volta a letto, mi addormentai con il sorriso sulle labbra. L’intero mondo sembrava voler abbandonare i suoi ignari abitanti, ma nonostante questo, c’era una speranza. In breve tempo, scivolai nel sonno, e dormendo, rividi il disegno di mia figlia. Era strano e incredibile a dirsi, ma anche lei aveva ragione. Avremmo potuto sperare e sorridere nonostante il freddo e la pioggia, e assaporare del metaforico miele prima che diventasse acido e amaro.

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Capitolo 3
*** Note di sollievo ***


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Capitolo III

Note di sollievo

A occhi aperti, noto l’arrivo della mattina. Il sole mi disturba la vista, ma alzandomi in piedi, lo sento. Il suono del silenzio, e della conseguente quiete. Il regalo destinato a mia figlia è ancora nascosto sotto il mio letto, e afferrando il pacco che lo contiene, ancora chiuso, raggiungo la cucina. Lo appoggio quindi sul tavolo, e camminando verso la stanza della mia piccola, la sveglio. “C’è qualcosa che devi vedere.” L’avverto, sperando in quel modo di stimolare la sua curiosità. A quelle parole, Terra salta subito giù dal letto, ma è solo fiondandosi in cucina che si rende conto di tutto. “È… per me?” chiede, biascicando le parole a causa della sorpresa. “Sì, piccola. Avanti aprilo.” La esorto, sorridendo e posandole una mano sulla spalla. Felice come non mai, la bimba obbedì, e in preda all’euforia, mi mostrò con orgoglio il suo regalo. Una bambola nuova di zecca, realizzata in pregiata porcellana e per questo di squisita fattura. “Grazie, mamma.” Mi disse poi, abbracciandomi e stringendomi a sé con tutta la forza che sapeva di possedere. “Non ringraziare me, te la manda papà.” Le dissi, sorridendo e avendo il piacere di vederla imitarmi. “Vi voglio bene.” Rispose, abbracciandomi ancora e non trattenendo alcune piccole e sporadiche lacrime. “Anche noi, Terra, anche noi.” Dissi in un sussurro, stringendo la mia piccola al mio petto e sentendo il battito del suo giovane e puro cuore. Da quel momento in poi, il tempo continuò a scorrere, e nel pomeriggio, una lettera. Consegnata in tutta fretta, giaceva sul pavimento vicino alla porta, e notandola, Terra me la portò. “Leggila.” Mi pregò porgendomela, e guardandomi con occhi lucenti e pieni stavolta di curiosità. Guardandola, lasciai che si sedesse accanto a me sul divano di casa, e schiarendomi la voce, esaudii il suo desiderio. “È di papà.” Esordii, poco prima di iniziare a leggere. Un singolo attimo svanì quindi dalle nostre rispettive vite, e tornando a concentrarmi, lessi ad alta voce il contenuto di quella lettera. Rain, tesoro, sono ancora io. Mi dispiace ancora una volta di essermi allontanato in quel modo, di aver litigato, e di averti lasciata da sola con la nostra bambina. Se lei è lì con te, dille che le voglio bene, e cosa più importante, che sto tornando da voi. Presto saremo di nuovo insieme, e potremo tornare ad amarci. Ci rivedremo presto, Stefan.” Per l’ennesima volta, le sue parole riuscirono a toccarmi il cuore, sciogliendolo una consunta candela ormai priva del suo stoppino. Lasciandomi prendere la mano dalle emozioni, non tentai di ricacciare indietro alcune lacrime, e tirando leggermente la manica della mia veste, Terra si mostrò preoccupata. “Perché piangi? Sei triste?” “Mi chiese, sollevando la testa per guardarmi meglio ora che mi ero alzata in piedi. “Al contrario. Sono felice.” Dissi, trattenendo anche stavolta a stento le lacrime. “Papà sta tornando, tesoro mio.” Aggiunsi, posando su di lei il mio sguardo colmo di orgoglio e apprensione. Le volevo troppo bene, e non riuscivo a negarlo. Stando a quanto Stefan ci aveva scritto in quella lettera, sarebbe tornato presto a casa da noi ricominciando ad amarci come prima, e nell’attesa, avremmo potuto considerare queste come vere e proprie note di sollievo. Per pura sfortuna, la pecca era una sola. Nessuno lo sapeva, eppure esisteva un segreto che tenevo nascosto a tutti, perfino alla piccola e gioiosa Terra. Ne avrei parlato, ma solo quando le acque si sarebbero definitivamente calmate, e quando il vento, tacendo, ci avrebbe permesso di respirare.
 
 

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Capitolo 4
*** Come una famiglia ***


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Capitolo IV

Come una famiglia

Un altro giorno finiva, e ancora una volta, sembravo non aver fatto alcun progresso. Le mie orribili e folli paure erano tornate, e tutto sembrava essere regredito allo stadio iniziale. Non dormivo, faticavo a concentrarmi e pensare, avendo un unico pensiero in testa, un vero chiodo fisso. Il mio Stefan. Il biglietto che aveva lasciato a me e a Terra diceva che sarebbe tornato presto, e da quel momento, non riuscivo a spostare la mia attenzione su nulla di diverso. Ora come ora, non faccio altro che aspettare, e la mia bambina guarda con ansia fuori dalla finestra, aspettando, come un vecchio cane con il padrone, il ritorno di suo padre. Le ore stanno lentamente continuando a passare, e attendendo, rimango seduta e ferma, fissando la porta di casa. Me l’ha promesso, e arriverà, ne sono certa. I secondi se ne vanno con estrema lentezza dalla mia vita, e dopo quella che percepisco come un’attesa interminabile, vengo distratta da un suono. Terra è convinta che qualcuno abbia appena bussato. “Papà!” urla, correndo verso la stessa, ancora chiusa ma evidentemente in procinto di aprirsi. Ergendosi sulle punte dei piedi, prova a raggiungerne la maniglia, ma fallendo, si volta a guardarmi. Non piange né si lamenta, ma il suo sguardo racchiude una preghiera. Mossa a compassione da quel viso così angelico, mi avvicinai per aiutarla, e fu allora che lo vidi. Una persona completamente diversa da quella che aspettavo, eppure simile a lui. Drake. Il fratello del mio amato, lo zio della mia bambina, una delle poche persone che odiavo, ma di cui, per quieto vivere, sopportavo la presenza. “Cosa fai tu qui? Dov’è Stefan?” chiesi, guardandolo con aria triste e truce al tempo stesso. “Rain, calma. È a casa mia. Sta bene, ma era troppo stanco per tornare indietro. Temo che tu e la piccola dovrete seguirmi.” Rispose, pronunciando quell’ultima frase con serietà inaudita. A quelle parole, serrai le labbra. Sapevo bene che viveva ad Aveiron, e che per nessuna ragione, avrei mai messo in pericolo la mia piccola. La mia mente mi suggeriva di dire di no, ma il mio cuore era in disaccordo. “Dagli retta.” Diceva, battendo con forza incredibile e impedendomi di restare calma. Stringendo poi anche i pugni, sentii il mio dolore tramutarsi in ira. Andando quindi alla disperata ricerca della calma ormai persa, guardai il pavimento, poi la mia bambina, concentrandomi sui verdi occhi con cui era nata, ora di nuovo lucidi perché rovinati da un pianto che tentava in tutti i modi di trattenere. In quel momento, chiusi gli occhi, e scuotendo con decisione il capo, la presi per mano. “D’accordo.” Dichiarai, con fare collerico e al tempo stesso sconfitto. “Mamma, dove…” provò a chiedere mia figlia, sentendo il fiato mancarle e la frase morisse come una foglia autunnale prossima a marcire su un sudicio marciapiede. “Andremo da papà, tesoro. Te lo prometto.” Dissi, intuendo quella così ovvia domanda e rispondendo con una vena di nuova tristezza nella voce. Detto ciò, le strinsi la mano, e seguendo i passi di Drake, violai l’uscio di casa. Una volta fuori, un colpo di fortuna. Era incredibile, eppure non avremmo dovuto camminare. Difatti, Drake sembrava aver acquistato un cavallo, e la carrozza appariva abbastanza grande per tutti noi. “Salite.” Ci ordinò, montando in sella all’animale, bianco come latte. Alcuni attimi trascorsero veloci, e poco prima di obbedire, diedi un ultimo sguardo a quella possente bestia, che notandomi, sembrò nitrire per la contentezza. “Guardalo, sembra che tu gli piaccia.” Osservò Drake, mostrandomi un debole sorriso. Ricambiando quel gesto, tornai a concentrarmi su quella sorta di ordine, ma prima di agire, mi girai ancora verso il cavallo. Imitandomi, questo nitrì ancora, e solo in quel momento, sentii Terra tirarmi una manica del vestito. “Posso?” biascicò, chiedendo educatamente il permesso di accarezzarlo. “Certo.” Risposi, regalandole un sorriso di incoraggiamento. Alle mie parole, la bambina non rispose, e muovendo una mano, si stupì nel vedere il destriero strofinarci l’umido muso. Ridendo divertita, la piccola si ritrasse leggermente, e tornando al mio fianco, si sedette, per poi ridacchiare ripensando all’accaduto. Era strano, e anche piacevole, ma per qualche arcana ragione, mi sembrava di aver già visto quell’animale. Tacendo i miei pensieri, chiusi gli occhi, e inspirando a pieni polmoni, svuotai la mente. Da quel momento in poi, le cose cambiarono. L’unico rumore che sentii fu quello degli zoccoli del cavallo, che colpivano quasi ritmicamente il terreno. Forte, ma nonostante questo, per nulla fastidioso. Lasciandomi calmare e cullare dal quel suono, quasi mi addormentai, ma lottando per rimanere sveglia, fissai il mio pensiero su Stefan. Quasi riuscendo ad accorgersene, Terra mi guardò, ma non disse una parola. Si limitò semplicemente a guardarmi, e cercando la mia mano, la strinse. Il silenzio fu nostro compagno per il resto del viaggio, e poco prima dell’imbrunire, arrivammo. Raggiungemmo la nostra destinazione, ritrovandoci di fronte a casa di Drake. Smontando da cavallo, mi aiutò a scendere dalla carrozza, prendendo a questo scopo in braccio la bambina. Evitando di ribellarsi, lei lo lasciò fare, e poco dopo iniziò a guardarsi intorno. Chiaro era che fosse ancora piccola, ma nonostante tutto, sembrava aver capito cosa stava succedendo. Il suo sguardo non faceva che saettare costantemente in ogni direzione, e improvvisamente, la sua curiosità la aiutò a trovare una porta chiusa. Conduceva alla casa dello zio, e lei ne era felice. Durante il viaggio, lui stesso le aveva spiegato l’intera situazione riguardo a suo padre, e pur non proferendo parola, si era mostrata felice di rivederlo. Intanto, il tempo continuò a scorrere, e avvicinandosi alla porta, Drake la aprì. Lasciandoci entrare, ci guidò fino alla sua stanza, dove vidi il mio Stefan. Aveva gli occhi chiusi, e sembrava dormire. Mantenendo il silenzio, presi Terra in braccio, e con cautela, mi avvicinai. Facendolo, mi accorsi con muta gioia che respirava. Il battito del suo cuore era regolare, e fortunatamente presente. Drake aveva ragione, e lui stava bene. Stando a ciò che mi aveva detto, Stefan era così stanco da essersi addormentato con i vestiti ancora addosso, ma la cosa non mi toccava. Era vivo, e dati i nostri trascorsi, uniti al nostro passato costellata di amore e pericoli, non era certo cosa da poco. Non proferendo parola, continuai a guardare il mio amato dormire, e in quel momento, posai una mano sul mio ventre. “Quello è il tuo papà.” Dissi, parlando sottovoce al solo scopo di non essere sentita da nessuno. In fondo, il mio non era che un segreto, e come avevo deciso parlando con me stessa, lo avrei rivelato non appena mi fossi sentita pronta, ovvero quando io, Stefan e Terra saremmo tornati a condurre una vita normale, e accogliere in questa un nuovo, indifeso e dolce membro, assistendo attoniti alla realizzazione di un nostro desiderio comune, ovvero una vita nuova e più vicina a quella che desideravamo, in altri termini, quella vissuta insieme, come una vera, solida e unita famiglia.

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Capitolo 5
*** Noi ***


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Capitolo V

Noi

Era passata la notte,e la mattina ci aveva raggiunti. Malgrado lo spirare di un vento tanto freddo da congelare il caldo sangue presente nelle nostre vene, Terra ed io non volevamo muoverci da quella stanza. Comportandoci entrambe come perfette infermiere, ci prendevamo assiduamente cura di Stefan, assicurandoci personalmente che non soffrisse il gelo. Un lavoro duro, ma per alcuni versi appagante. Difatti, sapevamo entrambe di stare lavorando per ottenere un risultato di grande importanza. Il suo risveglio. Intanto, il suo burbero fratello Drake restava fermo, continuando a fissare il suo corpo all’apparenza esanime. Nel mentre, sussurrava frasi che non riuscivo a capire. I suoi occhi non si muovevano di un millimetro, e come chiunque avrebbe potuto capire, anche lui era preoccupato, sia per lui che per noi.“Se rimarrete qui congelerete entrambe, e tutto questo non fa bene alla bambina.” Ci ammonì, guardandoci con aria seria e al contempo preoccupata. “Non m’importa. Io voglio stare con il mio papà.” Rispose la piccola, voltandosi in direzione dello zio e mostrandosi con quelle parole sicura del suo volere. In quel momento, il suo tenero visetto si imbronciò, e di lì a poco, incrociò le braccia, quasi stufa dell’insistenza dello zio. “Terra, dai vieni, il fuoco è acceso.” Continuò Drake, tentando di convincere la nipote a scaldarsi sedendo di fronte al caminetto, dove alcuni ciocchi di legna ardevano venendo lentamente e inesorabilmente consumati dalle fiamme, in quel frangente perfette e mute ballerine. “Lasciala stare. Vuole solo vedere il padre.” Risposi, rompendo il silenzio improvvisamente creatosi nella stanza. A quelle parole, Drake non ebbe reazione alcuna, limitandosi a restare immobile come una statua a fissare i miei occhi, le cui ambrate iridi non tradivano emozione dissimile dalla rabbia. “Ma Rain, ragiona. Fa freddo, e…” continuò, smettendo di parlare di fronte ad un gesto della mia mano. “Non ci interessa. Noi siamo qui per Stefan, e per nessun altro.” Ringhiai inviperita, vedendo mia figlia avvicinarsi a me e abbracciarmi nel tentativo di riacquistare l’ormai perso calore corporeo. Lasciandola pazientemente fare, non mi mossi, e stringendola a me, la rassicurai parlandole in tono gentile. Alcuni attimi scomparvero come sabbia trasportata dal vento in un deserto, e solo allora, qualcosa di completamente inaspettato accadde. Un rantolo riempì il silenzio, e fissando il mio sguardo su Stefan, mi avvicinai. Era vivo, e aveva aperto gli occhi. Per pura fortuna, o forse per opera di un fato benevolo, il suo corpo non presentava segni di ferite, e il suo colorito indicava uno stato di buona salute. Tuttavia, non riusciva a parlare, ma guardandomi intorno, imputai al freddo, sovrano nella stanza, la colpa di ogni cosa. Fu quindi questione di sporadici secondi, e i nostri sguardi si incrociarono. “Rain, dimmi, stai… stai bene?” mi chiese, attendendo con impazienza una mia risposta, e alternando a quelle poche parole, qualche leggero colpo di tosse. “Sì, Stefan, sto bene, e non sono sola. Guarda, Terra è qui con me.” Dissi, scostandomi leggermente dal letto così che potesse rivedere la tanto amata figlia. Alla sua vista, la bimba si avvicinò, e non proferendo parola, si limitò ad abbracciare colui che considerava suo pilastro di vita. “Papà.” Lo chiamò, con la voce corrotta dall’emozione e gli occhi velati di lacrime derivanti da un pianto tutt’altro che triste. Accettando con calma e pazienza quella manifestazione d’affetto, Stefan si drizzò a sedere sul bordo del letto, invitando conseguentemente la bambina a salirvi. Scivolando nel silenzio, questa dischiuse le labbra in un sorriso, e obbedendo, si mise comoda. Di fronte a quella scena, il mio istinto materno iniziò a parlarmi, e per la prima volta in tutto quel tempo lo soffocai. Il segreto che custodivo avrebbe dovuto attendere ancora per qualche tempo, e per una ragione ben precisa. Dopo un lungo mese di snervante attesa unita ad un’onnipresente sensazione di angoscia, avevo nuovamente intrapreso un viaggio alla ricerca di colui che amavo, sapendo, almeno stavolta, dove si trovava. Pur non potendo negare di aver lungamente penato per lui, ora ero felice. Lo avevo di nuovo al mio fianco, e nient’altro importava. Non i Ladri, non il freddo, non il pericolo rappresentato da entrambi. Solo io, lui, e la nostra bambina, o per meglio dire, noi.

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Capitolo 6
*** Profonde ferite ***


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Capitolo VI

Profonde ferite

Alla fine era accaduto. Terra ed io ci eravamo entrambe addormentate, lasciandoci vincere dal sonno nella stessa stanza occupata da Stefan, che proprio come noi, ora dormiva. Ad ogni modo, il tempo continuò a scorrere incessantemente, e le ore notturne passarono veloci, lasciando presto spazio a quelle diurne, e permettendo al sole di spuntare e prendere il suo posto nel cielo. Fra noi tre, io fui la prima a svegliarmi, e facendolo, ebbi l’impulso di pronunciare il nome di mia figlia. “Terra?” chiamai, ancora stanca e assonnata. “Papà dorme ancora.” Rispose, guardandomi e non riuscendo a soffocare uno sbadiglio. A quelle parole, mantenni il silenzio, e spostando lo sguardo dal suo viso a quello di Stefan, scoprii che aveva ragione. Difatti, era ancora placidamente addormentato, ma un quasi impercettibile movimento della sua mano mi diede modo di appurare che fosse prossimo a svegliarsi. Aprendo gli occhi, chiamò il mio nome, e obbedendo a quella sorta di richiamo, mi avvicinai. “Rain? Sei ancora qui?” mi chiese, quasi sorpreso dalla mia presenza. “Certo, come avrei potuto lasciarti?” risposi, trovando quella domanda sciocca e a dir poco retorica. “Non capisci. Voi due non dovreste essere qui.” Disse, divenendo improvvisamente e preoccupato al tempo stesso. “Cosa?” ebbi la sola forza di chiedere, stranita e confusa. Te l’ho detto milioni di volte. Aveiron è pericolosa!” grido, alterandosi di colpo e perdendo il controllo delle sue emozioni. Intanto, nostra figlia Terra era lì, ferma e immobile come una statua, a guardarci con occhi sbarrati e colmi di paura. Nei quattro anni della sua giovane vita, non ci aveva mai visti litigare, e in cuor mio non volevo che accadesse. Chiaro era che un giorno avrebbe dovuto imparare a difendersi dal male che ci circondava, ma stando ad una mia decisione, quel giorno non sarebbe certo stato oggi. “Va a giocare, tesoro.” La pregai, cingendole un braccio attorno alle spalle e guidandola lentamente fuori dalla stanza. “Ma mamma, io non…” disse, provando a dimenarsi e lasciandosi quasi cadere di mano il suo pupazzo preferito, l’orsetto di pezza che avevo “medicato” tempo prima. “Ho detto va a giocare.” Replicai, divenendo in quell’istante fredda come ghiaccio e rigida come un’asse di legno. Quasi spaventata dalla mia reazione, la bimba scivolò nel mutismo, e raccogliendo il suo amato giocattolo, tristemente caduto sul gelido pavimento della stanza, se ne andò, richiudendosi con discrezione la porta alle spalle, e raggiungendo in fretta il salotto di casa. Non appena la piccola se ne fu andata, mi rivolsi nuovamente a Stefan. “Come hai potuto?” gli chiesi, in evidente collera e con l’occhio invelenito. “Fare cosa?” indagò lui, serio e incollerito almeno tanto quanto me. “Questo, tutto questo, e per di più di fronte alla bambina. Sai che è sensibile, non dovrebbe vederci litigare.” Risposi a muso duro, fulminandolo quindi con lo sguardo. “Tu non capisci.” Ripetè, facendomi forse inconsapevolmente ribollire il sangue nelle vene. Inviperita, continuai a fissarlo, attendendo, in perfetto silenzio, una qualsiasi risposta. “È tutto iniziato quella mattina. Sono venuto qui per cercare di proteggervi, ma a quanto vedo ho fallito.” Una frase pronunciata con una vena di tristezza e malinconia nella voce, che in un misero secondo, aveva freddato la rabbia provata in precedenza. A quelle parole, sussultai, avvertendo sulla mia pelle e nel mio giovane animo, il dolore provocatomi da degli improvvisi sensi di colpa. La nostra lite era stata sedata dal dispiacere, e ora che entrambi tacevamo, tutto era cambiato. Guardandolo negli occhi, sentii i miei velarsi di lacrime, e solo allora, lui ricominciò a parlare. “Guardati intorno.” Mi ammonì, sforzandosi di sciogliere il nodo che gli attanagliava la gola impedendogli di esprimersi. “Il regno è in ginocchio da anni, questa pazzia avanza indisturbata, e tu… Tu sei sempre in pericolo. Che razza di uomo è uno che non riesce a proteggere la propria famiglia, che sparisce lasciando sua moglie sola e incapace di difendersi?” continuò, ferendosi emotivamente e riuscendo a fare lo steso anche con me, che in quel momento, attonita, non avevo la forza di parlare. Volevo solo piangere, liberarmi, Permettere alle lacrime di sgorgare senza controllo e lasciarmi andare. Un attimo scomparve, e qualcosa dentro di me si spezzò. “No, Stefan. Ti sbagli. Tu sei meraviglioso. Hai me e Terra, e così sarà ora e per sempre. Ricordo tutto sai? Il giorno in cui mi hai salvata, il nostro primo bacio, il matrimonio e ogni istante della nostra vita insieme. Io credo in te, e tu non puoi lasciarti andare. Sappi che se ho imparato cosa sia l’amore in un mondo del genere è solo merito tuo. Io ti amo, Stefan Gardner.” Queste le frasi che pronunciai urlando e piangendo, e avendo finalmente la possibilità di esternare quanto fino a quel momento avevo covato e rinchiuso nel mio povero cuore. Un discorso importante, che avevo terminato con la più sincera e sentita delle azioni. Un bacio. Avvicinandomi, avevo permesso alle nostre labbra di unirsi, e chiudendo gli occhi, avevo espresso un semplice desiderio. Che il tempo si ferma, arrestando la sua folle corsa verso una fine ineluttabile lasciandomi vivere quel momento così perfetto in assoluta serenità. Un sogno che sembrò realizzarsi rispettando la mia volontà, poiché ad occhi chiusi, non sentii più nulla. Soltanto il battito dei nostri cuori, e la gioia riempirli entrambi. Ancora una volta, mi sentivo felice, ma al tempo stesso, incredula. Stefan aveva nuovamente corso mille pericoli per tentare di proteggermi e salvarmi dalla ferocia dei Ladri, e semplicemente parlandomi, mi aveva rivelato una verità che ignoravo, secondo la quale, in tutto quel tempo, il suo spirito era stato tediato da un senso di impotenza, e lacerato da profonde ferite. Per sua fortuna, io mi ero fidata, e andando alla sua ricerca in un regno di questo calibro, avevo implicitamente promesso di restargli accanto per sempre, proprio come lui aveva fatto con me. Sapevo bene che lo avrei aiutato, agendo da antidoto contro il suo dolore e da panacea nei riguardi di ogni sua pena.

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Capitolo 7
*** Il ritorno della gioia ***


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Capitolo VII

Il ritorno della gioia

Assolutamente fermi, statici e immobili. Tre semplici aggettivi che userei per descrivere il nostro stato in quel momento, da me definito magico e perfetto. Fermi per assaporarlo, statici per concentrarci su di esso, e immobili per bearci delle sensazioni che questo ci regalava. In altri termini, quello mio e di Stefan era un amore puro, e forse ancor più casto di quello vissuto dai miei genitori. Voltandomi metaforicamente indietro, riesco ancora a ricordare i racconti di mia madre, che nei miei tempi di bambina, continuava a ripetere di amare suo marito perfino più di sé stessa, e di non volere che il loro rapporto si incrinasse per nessuna ragione. Parole a dir poco sante, pronunciate con voce dolce e occhi lucenti per la felicità. Ricordi di un passato felice, appartenenti ad un tempo in cui tutto questo, ovvero il buio e l’oblio, non avevano ancora preso possesso del fiorente regno di Aveiron. Preda di tremende razzie e sanguinose violenze, questo ciò che era ormai diventato. Una landa arida, desolata e priva del suo antico splendore. Ad essere sincera, mi piaceva perdermi nei meandri della mia stessa mente e ricordare i tempi andati, ma ora questo non mi è possibile, poiché in questo preciso momento, sono concentrata su qualcosa di completamente dissimile. Mio marito. L’uomo che amo con tutta me stessa sin dal giorno del nostro primo incontro, avvenuto per caso, o per meglio dire, grazie ai nostri destini, che incrociandosi, ci hanno permesso di incontrarci e farci perdere l’uno negli occhi dell’altra. Riaprendoli, lo guardai per un attimo, e con un filo di voce, parlai. “Io… devo… devo dirti una cosa.” Sussurrai appena, con gli occhi ancora velati dalle lacrime del precedente pianto e l’animo in tempesta a causa del roseo segreto che ancora custodivo, e che finalmente ero pronta a rivelare. Per tutta risposta, Stefan continuò a fissarmi, e quasi rapito dalla mia bellezza, mi posò un indice sulle labbra. “Non ora, amore mio. Nulla è più importante di te in questo momento.” Disse, con voce calma e suadente. Mantenendo il silenzio, non proferii parola, e muta come un pesce, distolsi lo sguardo per un attimo, salvo poi permettere ai nostri sguardi di incrociarsi di nuovo. “Ma…” ebbi la sola forza di replicare, facendo sempre uso dello stesso tono di voce, flebile come la luce di un’ormai consunta candela prossima allo spegnersi. “Ho detto zitta, mia bella principessa.” Rispose, prendendomi delicatamente una mano al solo scopo di baciarne prima il dorso e poi le dita. In quel preciso istante, una miriade di brividi mi invase il corpo, e senza volerlo, avvampai. Accorgendosene, il mio amato continuò a operare la sua magia, e in breve tempo, mi trovai sotto il suo completo controllo. Roventi baci e vellutate carezze si susseguirono, e impegnandomi al massimo, feci di tutto per non crollare. Mi conoscevo a fondo, e sapevo bene che se avesse continuato, mi sarei presto sciolta, perdendo ogni singolo freno inibitore. A labbra serrate, lottavo contro me stessa, facendo di tutto per evitare l’inevitabile. Intanto, il tempo continuava a scorrere, e fissando nuovamente il mio sguardo su di lui, non potei resistere alla tentazione di baciarlo. Fu quindi questione di un attimo, e le nostre labbra si unirono in un bacio profondo ma casto al tempo. Non contento, Stefan osò passare una mano sul mio braccio, per poi concentrarsi sui miei seni e sulla zona circostante. Ancora impegnata in quella lotta, accesa ma tristemente impari, ero arrivata a mordermi le labbra nel tentativo di resistere e non lasciarmi andare, ma tutto fu inutile. La sua prossima mossa mi lasciò interdetta, non dandomi neppure il tempo di reagire. Una lieve ma veloce spinta, e una mia caduta sul letto presente nella stanza. Colta alla sprovvista, tentai di mantenere l’equilibrio, e pur raggiungendo questo mio obiettivo, non fui felice né soddisfatta. Mi stava amando con tutto se stesso, e data la situazione, mi era impossibile negare di sentirmi letteralmente travolta dal desiderio, ma Stefan doveva sapere. Stava per diventare padre una seconda volta, ed io portavo in grembo il suo bambino. “Stefan…” lo chiamai, con voce talmente bassa da risultare quasi inudibile. “Dimmi. Dimmi tutto ciò che devi, Rain.” Rispose, accordandomi stavolta il permesso di parlare ed esprimermi. Scuotendo leggermente il capo, mi preparai mentalmente al momento della verità, e nel momento esatto in cui credetti di essere realmente pronta, i sentimenti da me provati mi costrinsero a cedere. Avevo provato a resistere ed evitare che accadesse, ma non c’ero riuscita. Avevo tentato di impegnarmi fino allo spasimo per far passare la verità in primo piano, ma senza risultati. Avevo perfino provato a negarmi a colui che amavo mentendo a me stessa senza alcun pudore, ma era vero. Sognavo di lasciarmi stringere, amare e viziare. Di perdermi nei suoi occhi e baciare quelle così perfette labbra fino allo sfinimento, e fu solo allora che lasciandomi vincere dai sentimenti, presi una decisione. “Stefan, io… io ti amo e desidero. In questo istante.” Dissi, rendendo nuovamente mie le sue labbra, aventi a mio dire il sapore più dolce esistente al mondo. A quelle parole, Stefan non rispose, ma limitandosi a sorridere, mi diede modo di condurre quella metaforica e passionale danza. Regalandogli un sorriso a mia volta, non gli permisi di ripetersi, e carezzando ogni centimetro del suo corpo, lo guardai agire, beandomi di ogni sua azione e di ogni secondo passato insieme. Un infinito numero di baci ci tenne uniti, e quella notte, con la seppur pallida luna in cielo, e la sua tenue luce sui nostri corpi, assistetti al ritorno della gioia nelle nostre rispettive vite.

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Capitolo 8
*** Le carte in tavola ***


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Capitolo VIII

Le carte in tavola

Non ce la facevo più. Non riuscivo più a nasconderlo né a sopportarlo, e sapevo bene che era ormai arrivato il momento di essere onesta con me stessa. Un nuovo e dorato mattino aveva nuovamente raggiunto Aveiron, e mi sentivo pronta. Il ricordo della notte appena trascorsa era ancora vivo nella mia memoria, e appena sveglia, mi voltai verso il mio amato. “Ben svegliata.” Mi sussurrò, posando le sue labbra sulla mia guancia e lasciando che mi alzassi. In quel momento, ricordai ciò che cercavo di nascondere, e raggelando, feci quanto fosse in mio potere per continuare a dargli le spalle. “Cos’hai? Non stai bene?” chiese poi il mio amato, confuso e stranito dal mio comportamento, improvvisamente indecifrabile e inusuale. “Ti prego, non guardarmi.” Risposi, seria e convinta.” Cosa? Perché?” continuò a indagare, apparendo sempre più preoccupato per me. “Non è niente, sta tranquillo.” Dissi, tentando con quelle semplici parole di rassicurarlo. Proprio allora, qualcosa di inaspettato sconvolse i miei piani. Avevo deciso e promesso a me stessa di non piangere, ma seppur inavvertitamente, lasciai che alcune solitarie lacrime mi solcassero il viso, rimanendo ferma, immobile e impotente di fronte a tale spettacolo. “Rain, tesoro, perché stai piangendo?” fu l’ennesima domanda di Stefan al mio indirizzo, che attendeva una risposta proprio come le altre. In quel momento, non avvertii altro che un’acuta fitta di dolore alla tempia, sentendola pulsare come il mio cuore, gonfio di gioia e tristezza al tempo stesso. Alcuni attimi sparirono, e voltandomi a guardarlo, crollai psicologicamente proprio davanti a lui. Improvvisamente, la mia forza d’animo parve sparire, e quasi perdendo l’equilibrio, mi gettai fra le sue forti braccia, che avevo scoperto essere un nido sicuro in ognuno dei miei momenti di sconforto. “Abbiamo compiuto un miracolo. Sono di nuovo incinta.” Dissi, sforzandomi di smettere di piangere e tornare a parlare con un tono di voce più comprensibile. “Cosa… Cos’hai detto?” si informò poi lui, incredulo. “Hai sentito bene amore, sono di nuovo incinta, e tu sei suo padre. Il suo unico e vero padre.” Chiarii, ponendo inaudita enfasi sull’ultima parola che pronunciai. Sopraffatto in quel preciso istante dalla gioia, il mio Stefan non potè che abbracciarmi, riuscendo in quel frangente, perfino a sollevarmi da terra. Lasciandolo pazientemente fare, lo vidi depormi un bacio sulla guancia, per poi continuare a tenermi in braccio come era solito fare con la nostra bambina. “Da quanto tempo?” chiese poco dopo, continuando a sorridere e guardarmi con occhi lucidi di gioia. “Due mesi.” Gli dissi, veloce e senza peli sulla lingua. Un ennesimo bacio unì le nostre labbra, e solo con la sua fine mi fu permesso di tornare sulla terraferma.“Perché non me l’hai detto?” indagò, curioso e leggermente preoccupato. “Avevo paura, Stefan. Molta paura.” Continuai, riuscendo in quel modo a soddisfare la sua curiosità. “Bene, ora non dovrai più averne. Io sono qui, e nulla potrà mai dividerci. Ricordalo, principessa.” Questa fu la sua risposta, che con l’arrivo del pomeriggio, scolpii nel mio cuore e scrissi nel mio diario. La sera scese poi lenta, e il caso volle che Terra, la mia amata bambina, mi raggiungesse e vedesse intenta a scrivere e rileggere le varie frasi impresse nelle pagine. Se si era avventurata nella mia stanza senza un permesso, c’era una ragione logica e precisa. Voleva passare un pò di tempo con me, prima di essere portata come ogni notte al letto. “È il tuo diario?” mi domandò, avvicinandosi ed ergendosi sulle graziose punte per tentare di leggerne il contenuto. Data la sua tenera età, sapevo bene che non avrebbe capito, ma in quel momento, la cosa non mi toccò. “Esatto, piccola.” Risposi, sorridendo leggermente al suo indirizzo. Silenziosa come era solita essere, la bimba non rispose, e con muta concentrazione, diede uno sguardo a quanto scritto in una riga. Semplice e sobria, ma testimoniante l’amore da me provato per Stefan, l’uomo più importante nella vita di entrambe. Attendendo con pazienza, le lasciai finire la lettura, e nel momento in cui lo richiusi, vidi le sue adorabili e rosee manine chiedere un nuovo abbraccio, che concretizzai scegliendo poco dopo di sollevarla e portarla nella stanza che lo zio le lasciava occupare perché completamente vuota. Abbandonandomi quindi ad un sospiro indice della mia stanchezza, la aiutai ad infilarsi il pigiama, e subito dopo, la misi a letto, rimboccandole con amore le coperte. Vedendola sbadigliare, presunsi che fosse prossima all’addormentarsi, ma il suono della sua voce mi colse impreparata. Una seconda domanda abbandonò infatti le sue labbra. “Significa che ami papà?” un quesito sciocco, infantile e a mio dire retorico, a cui risposi tuttavia con grande sincerità. “Più di quanto tu creda, bimba mia.” Replicai, stringendola quindi in un delicato abbraccio. “E sai una cosa? Forse un giorno, quando sarai grande, capiterà anche a te.” Un’ennesima frase pronunciata con il sorriso, che ascoltando senza parlare, la piccola recepì quasi all’istante. Stanca, sbadigliò ancora, e appena un momento dopo si rintanò sotto le coperte, che ero certa l’avessero protetta fino al nuovo mattino. “A te e a tua sorella.” Sussurrai al suo orecchio non appena la credetti addormentata. Forse era rimasta sveglia, forse mi aveva sentita o forse no, ma non importava. L’unica cosa a contare era che io e suo padre ci amavamo ancora alla follia come il primo giorno, che lei fosse di nuovo felice, e che io avessi avuto il coraggio di mettere le carte in tavola.

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Capitolo 9
*** L'ombra del pericolo ***


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Capitolo IX

L’ombra del pericolo

Quel magico momento aveva avuto fine, e il tempo aveva ricominciato a scorrere. Terra era a letto da poco, e uscendo dalla sua stanza, incrociai Stefan. “Dorme?” mi chiese, preoccupato come mai prima per colei che consideravamo un piccolo miracolo. “Come un angelo.” Risposi, parlando sottovoce e continuando a guardarla fare dolci sogni. A quelle parole, Stefan non rispose, ma sorridendo, mi prese per mano. “È ora di dormire anche per noi.” Osservò, invitandomi quindi a camminare al suo fianco. In completo e perfetto silenzio, lo seguii fino alla nostra stanza. Una volta lì mi sdraiai sul letto, e posando la testa sul guanciale, mi addormentai lasciandomi abbracciare dalle coperte e carezzare da lui. Caddi quindi preda del sonno, non accorgendomi del passare delle ore notturne, e scivolando nella più completa incoscienza. Da lì in poi, il tempo stesso parve fermarsi ancora una volta, ma improvvisamente, un urlo straziante mi lacerò le membra. Svegliandomi di soprassalto, avvertii anche Stefan, che alzandosi dal letto, non perse tempo nell’aiutarmi a farlo. Un singolo attimo terminò la sua misera esistenza, e dirigendoci subito verso la fonte di quel suono, ci ritrovammo in camera di nostra figlia. Ferma e immobile nel suo letto, tremava come una foglia, ed era così spaventata da non riuscire a parlare. “Terra, amore, cos’è successo?” indagai, avvicinandomi e chinandomi per abbracciarla. “Mamma, io… io li ho visti. Sono qui!” biascicò, per poi mutare repentinamente il tono della voce e urlare ancora di paura. “Come? Chi è qui?” le chiese Stefan, confuso, stranito e a dir poco esterrefatto da quella testimonianza, proveniente da una bimba tanto piccola quanto innocente. A labbra serrate, la creatura mantenne il silenzio per un attimo, al cui scadere, una sola parola si udì. “Loro.” Disse soltanto, a occhi chiusi nel tentativo di calmarsi e ricordare. Allarmata, mi scambiai una veloce occhiata con Stefan. Non ne ero sicura, e avrei sinceramente voluto ritardare questo momento il più possibile, ma finalmente era arrivato, presentandosi nel nostro arduo vivere senza cura di nulla e nessuno. “Dovremmo dirglielo?” mi informai, guardando il mio amato negli occhi con aria mortalmente seria e decisa. “Dobbiamo farlo. Lei ha diritto di sapere, Rain.” Mi rispose, gelido e brutale. “Ma Stefan, è solo una bambina!” gridai, alterandomi di colpo e rischiando di dare inizio ad un pianto dettato dal mio istinto materno, che mi portava a proteggere mia figlia da ogni situazione. “Ha il diritto di sapere.” Ripetè, apparendo stavolta perfino più serio di prima. In quel momento, il suo sguardo mi fece raggelare, e posando gli occhi sulla mia bambina, mi decisi. “Dirmi… dirmi cosa? Azzardò, dolce e ingenua come sempre. “Che hai ragione, tesoro. Loro sono qui, e ci stanno cercando.” Dissi, fallendo miseramente nell’intento di ricacciare indietro alcune fredde lacrime, riuscite solo in quel momento a sfuggire dai miei occhi e trovare la libertà avventurandosi sulle mie guance. “Ci faranno del male?” questa la seconda domanda che abbandonò le sue labbra, e alla quale, affranta e distrutta da un lancinante dolore emotivo, non risposi. Scivolai quindi nel mutismo, ma qualcun altro lo fece per me. Difatti, fu Stefan a parlare. “Terra, vieni qui.” La pregò, guardandola negli occhi e abbassandosi fisicamente al suo livello. “Guardati.” Le disse poi, indicandole lo specchio presente nella sua cameretta. Voltandosi, la bimba obbedì ciecamente, e annuendo, attese nuovi ordini. “Dimmi cosa vedi.” Fu la richiesta del padre, serio come mai prima. “Questa sono io.” Disse quella dolce creatura, sorridendo debolmente e facendo svolazzare la camicina da notte celeste. “Esatto, e sei anche forte e coraggiosa. Io e la mamma ti vogliamo bene. Non dimenticarlo mai, e soprattutto, non avere paura.” Concluse, terminando quel discorso e spostando il suo sguardo sul mio pallido viso, ancora bagnato dalle lacrime e corrotto dal dolore. “Non avere paura.” Ripetè quel piccolo angelo, stringendo la mano del padre, innamorato perso sia di me che di lei. Fu quindi questione di un attimo, e l’orgoglio mi riempì il cuore. Non riuscivo a crederci, eppure ero certa di non star sognando. Stefan aveva appena preso in mano una situazione delicata come questa, e chiamando nostra figlia a sé, le aveva impartito una preziosa lezione, che le sarebbe servita da iniezione di coraggio nei momenti bui e difficili. Limitandomi a sorridere, rassicurai in silenzio la mia amata bambina, e prendendola per mano, la portai nella mia stanza. Sapeva bene che io e suo padre la condividevamo, ed era anche consapevole di poter entrare solo tramite un permesso, che da madre premurosa, le accordai proprio quella notte. Dopo quanto era accaduto, la paura non aveva tardato ad annidarsi nel suo animo, e volendo unicamente provare a cancellarla anche dalla sua giovane memoria, le permisi di dormire con noi, rimanendo sveglia e vigile finché non si addormentò. Soddisfatta da quella vista, mi convinsi di poter finalmente sognare a mia volta, pur avendo in mente una singola certezza, ossia quella di aver visto nei verdi occhi di mia figlia, l’ombra del pericolo.

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Capitolo 10
*** Notti agitate e grande tensione ***


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Capitolo X

Notti agitate e grande tensione

Ero riuscita a dormire, ma nonostante questa sorta di conquista, ero mortalmente certa che qualcosa sarebbe presto accaduto, sconvolgendo le vite di tutti noi, inclusa quella che conservavo e custodivo gelosamente appena sotto il mio cuore. Era strano a dirsi, ma mi sembrava di essere letteralmente tornata indietro nel tempo. Difatti, erano tornati. Gli incubi, l’agitazione, e le lunghe notti insonni. Erano stati miei compagni tempo prima, e sin da quando erano fortunatamente scomparsi con la nascita di Terra, avevo chiuso gli occhi e sperato ardentemente di non assistere al loro ritorno. Per mia sfortuna, le stelle e il destino dovevano aver avuto altri piani quella notte, e per tale ragione, ora eccomi qui, a rigirarmi in un caldo letto che in realtà non mi appartiene, non potendo dormire a causa di alcune ricorrenti visioni oniriche. Ora come ora, il tempo passa, e perfino mia figlia si agita nel sonno, mugolando parole senza apparente senso. Fermandomi ad ascoltare, riesco a carpirne solo alcune. “Mamma… papà… no…” queste tre parole che continua a ripetere con i piccoli pugni stretti in segno di difesa, e le lacrime agli occhi. Notandomi, si sveglia, e mettendosi a sedere, mi guarda. “Aiutami.” Mi prega, piangendo sommessamente e sperando nel mio reale e tempestivo ausilio. “Sono qui, piccola mia. Andrà tutto bene. Non aver paura.” Le dissi, accogliendola fra le mie braccia e carezzandole la schiena e i capelli castani. “Non aver paura.” Le dicevo, ripetendo quella frase al solo scopo di riportare alla sua mente i consigli del padre. Spaventata come mai prima, piangeva e si lamentava, guardandomi con fare sconfitto. “Non voglio più restare qui. Scappiamo.” Disse poi, lasciandomi, con quelle semplici parole, interdetta. Difatti, non sapevo cosa dirle, e in quel frangente, peggiorare la situazione non era che l’ultimo dei miei pensieri. Mantenendo il silenzio, continuai a guardarla. Aveva paura. Nei suoi occhi aleggiava il terrore più assoluto, e i tremori da cui il suo corpo era costantemente scosso ne erano una chiara testimonianza. In quel momento, mi lasciai vincere dalla tristezza, e stringendola ancor di più a me, piansi. “Noi scapperemo, noi e tuo padre. Te lo prometto, bimba mia.” Le dissi, seria e convinta, ma con gli occhi chiusi per evitare di piangere. “Ora ti prego, va a letto. Ne parleremo domani.” Aggiunsi, continuando a versare nello stesso e medesimo stato, a dir poco pietoso e degno di una povera anima in pena. Obbedendo, la piccola si rimise sotto le coperte, stavolta stringendo il suo orsacchiotto di pezza, che a suo dire, era tanto coraggioso da riuscire a proteggerla dagli incubi che a volte infestavano la colorata e viva landa dei suoi stessi e bellissimi sogni. “Con te e papà non avrò paura.” Dichiarò, tornando fortunatamente ad essere felice, e sollevando in alto il pugno chiuso, proprio come un combattente prima di una lunga e ardua battaglia. “Brava, principessina mia.” Sussurrai, non appena si fu addormentata. Evitando di distrarmi, la guardai riposare, finalmente tranquilla. Di lì a poco, mi addormentai anch’io, felice e orgogliosa. La mia piccola Terra, nonostante la tenera età, era ancora in grado, grazie alla dolcezza e al suo essere innocente, di rischiarare l’oscurità e riportare la serenità in quelle che vedevamo come notti agitate e piene di grande tensione.

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Capitolo 11
*** Fuga dalle ombre ***


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Capitolo XI

Fuga dalle ombre

Il sole era tornato a splendere, ed erano ormai passati tre giorni. Stefan ed io eravamo svegli, ma nostra figlia dormiva. “Hai ragione. Dobbiamo andarcene, e ora.” Dichiarò, in tono serio e solenne al tempo stesso. “Dov’è Terra?” mi chiese poi, spostando il suo sguardo dall’orizzonte oltre la finestra al mio viso. “Sta riposando. Lasciale fare, ha avuto una notte agitata.” Risposi, guardandolo a mia volta, ma con occhi dolenti. Poteva vederlo, ed io non avevo alcuna intenzione di nasconderlo. Le mie iridi ambrate erano ancora solcate dalle lacrime, che invano, provavo a trattenere per mezzo di sforzi che consideravo immani. Come unici risultati, non ottenevo infatti che forti dolori alle tempie e nodi alla gola, stretti con forza e pressoché impossibili da sciogliere. “Mi ha chiesto una cosa.” Continuai, tacendo subito dopo e avendo come sola intenzione quella di studiare l’espressione ora dipinta sul suo volto, ancora seria e imperturbabile. “Vuole che scappiamo, non è vero?” si informò, quasi certo di quella che sarebbe stata la mia risposta. “Come lo sai?” non potei fare a meno di chiedere, colta alla sprovvista dalle sue parole. “Me l’hai detto tu, è solo una bambina.” Fu la sua risposta, accompagnata da un debole ma convincente sorriso. In quel preciso istante, mi avvicinai, e non appena i nostri sguardi si incrociarono, non resistetti alla tentazione di baciarlo. Le nostre labbra si unirono con incredibile velocità, ma con grande sorpresa, notai che provò ad allontanarsi, negandomi solo in parte quel momento di muta felicità. Non contenta, approfondii quel bacio, prendendogli saldamente le mani e desiderando ardentemente il suo amore. Intuendo il mio volere, Stefan non si oppose, e tornando a guardarmi, pronunciò le uniche parole che avrei voluto sentirgli ripetere all’infinito, ora e per sempre. “Ti amo, amore mio.” Quattro lemmi che ascoltai in religioso silenzio, e a quali risposi prontamente. “Ti amo anch’io. Amo te e le nostre bambine.” Dissi infatti, sorridendo debolmente. “Sei sicura che sia un’altra femmina?” indagò, attendendo con pazienza una mia risposta. “Lo spero.” Sussurrai semplicemente, rapita stavolta dal suo perfetto e magnetico sguardo. Quasi sotto ipnosi, non dissi una parola, e lasciandomi guidare da lui, tornai nella stanza che condividevamo. Sedendomi sul letto, concentrai per un attimo i miei pensieri altrove, e abbandonandomi ad un cupo sospiro, sperai per il meglio. “Cos’hai?” si informò, con la voce ora corrotta da una sottile vena di preoccupazione. “Sono stressata Stefan, stressata.” Risposi, irrigidendomi di colpo e rischiando seriamente di alterarmi. Intanto, il tempo scorreva, e il mio corpo, rigido e teso come una corda di violino, era indice delle mie emozioni. Spossatezza fisica, ma soprattutto psicologica, che agendo lentamente, mi lacerava le membra. Notando ciò che mi stava accadendo, Stefan si avvicinò, e sedendosi al mio fianco, prese a baciarmi. Non negandogli tale possibilità, mi beai di ogni momento. Ad occhi chiusi, abbandonai le mie mani nelle sue, sentendolo stringermele come mai prima. Sempre più concentrata su di lui, lo lasciavo agire come sempre, e mentre ogni attimo svaniva, disintegrandosi inesorabilmente, non tentavo di sottrarmi a quello che era ormai divenuto il volere di entrambi. Sapevamo bene di essere ormai diventati adulti, ma nonostante questo, ci amavamo ancora profondamente, e con la stessa intensità del primo giorno. Ad ogni modo, mia condizione stava iniziando a palesarsi, ragion per cui non potemmo spingerci oltre un dato limite. Riuscendo incredibilmente a trovare una soluzione, Stefan si sdraiò sulle morbide coperte del letto, a pochi centimetri da me e dalla mia nuda pelle. Dato il silenzio presente nella stanza, rimanendo calma e immobile potevo letteralmente sentire il suono prodotto dal mio stesso cuore, che ora batteva impazzito, ma allo stesso ritmo di quello del mio amato. Voltandomi verso di lui, lo chiamai flebilmente per nome, e rispondere a quel richiamo, lui mi guardò. “Credi che potrebbero ritrovarci?” azzardai, ponendogli un quesito dalla difficile risoluzione. “Non pensarci nemmeno.” Mi ammonì, parlando con voce così cupa da sembrare adirato. “Questo non accadrà, stanne certa.” Continuò poi, rassicurandomi come solo lui era capace di fare. “Ma Stefan, Terra dice che…” biascicai, provando un’improvvisa e immotivata paura. “Ascoltami Rain, lo dirò una sola volta. Tu, Terra e la piccola siete sotto la mia responsabilità. Io vi amo, e farò di tutto per proteggervi. Ti è chiaro?” rispose, completando quel discorso con una domanda che trovai retorica. In completo e perfetto silenzio, non proferii parola, ma limitandomi ad annuire, mi accorsi di ciò che stava succedendo al mio corpo. Tremavo incontrollabilmente, ed ero certa che avrei ritrovato la calma solo grazie al mio Stefan e alla sua presenza al mio fianco. Chiudendo gli occhi, inspirai a pieni polmoni, per poi permettere all’aria di uscire attraverso la mia bocca. Improvvisamente, mi sentii venir meno. Caddi preda del sonno solo poco tempo dopo, trovandomi costretta ad ammettere una verità che non potevo certamente continuare a nascondere. I momenti passati con lui mi avevano privata di tutte le mie energie, e solo dormendo le avrei recuperate. Respirando profondamente ancora una volta, rilassai ogni muscolo del mio corpo, avendo modo di sentire, prima di scivolare nella più profonda incoscienza, una singola ma importante frase. “Dormi bene, tesoro mio. Tutto andrà bene, ed io ti aiuterò. Ti guiderò d’ora in avanti in questa fuga dalle ombre.”

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Capitolo 12
*** Perle di saggezza ***


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Capitolo XII

Perle di saggezza

Ad occhi aperti, ero di nuovo sveglia, e un altro giorno era ormai passato. Per qualche strana ragione, il sole non splendeva, e una fitta nebbia, umida e opprimente, permeava l’aria. Una parte di me era convinta che la colpa di tutto potesse unicamente essere imputata alle odierne condizioni meteorologiche, ma un’altra, impegnata in una dura ed impari lotta contro la prima, mi portava a credere che non fosse vero. Sono ora impegnata a riflettere, e in completa sincerità non penso sia solo e soltanto colpa del tempo, ma bensì di qualcos’altro. Ho la mente occupata da mille pensieri, e il vento ha iniziato a soffiare. Avvicinandomi alla finestra della stanza dove ho passato la notte, poso la mano sul vetro, guardando oltre quest’ultimo con fare rassegnato. “Perché?” non faccio che chiedermi, abbandonandomi ogni volta a tristi e muti soliloqui di cui nessuno oltre al mio diario è a conoscenza. “Perché non possiamo essere come la luna e il sole, vivere una diarchia benevola e priva di ogni contraddizione?” anche questa, una domanda che mi pongo sin da quel nefasto giorno, in cui la mia normale vita è cambiata per sempre, e i famigerati Ladri hanno preso il controllo della mia bella e umile Aveiron. Una città fiorente, e un regno destinato a prosperare, il cui fato è però stato riscritto dalla cupidigia umana. Pensando, non riesco a stare tranquilla, e pur provandoci, sottopongo me stessa a torture inimmaginabili. Sono quindi violenta contro la mia stessa persona, ma non voglio mollare. No. Non ne ho nessuna intenzione, non ora. Seppur lentamente, i giorni passano, e anche se non ho la forza né la voglia di sorridere, sono consapevole della mia fortuna. Data l’attuale condizione di questo regno, o di ciò che ne rimane, sono una delle poche fortunate. Difatti, e come solo pochi sanno, il numero delle donne che come me vive una vita così vicina alla normalità, si conta sulle dita di una mano. Da quando ogni cosa è in rovina, molte non ce la fanno, e scelgono sempre più spesso di lasciarsi catturare dai Ladri, o di togliersi la vita pur di sfuggire alle loro grinfie. Una realtà che osservo in perfetto silenzio da una debita distanza, e che mi viene raccontata ormai da giorni, da due fonti che ritengo affidabili. Mio cognato Drake e mia sorella Alisia. Un altro mese sta per andarsene, ed entrambi non fanno che raccontarmi quello che sanno e vedono. Uno lo fa ogni giorno e ogni qualvolta io gli chieda spiegazioni su questa così assurda realtà, e l’altra ha iniziato a farlo da solo poco tempo, tramite lettere che ricevo e leggo in completa e perfetta solitudine. Può sembrare strano, esagerato, o addirittura folle, ma stando alle sue parole, ciò che mi racconta corrisponde al vero. Dal suo punto di vista, la vita qui ad Aveiron è orribile. Ricorda ancora bene il periodo che insieme siamo state costrette a passarci prima della sua sparizione dalla mia vita, vivendo l’una al fianco dell’altra in una casa troppo piccola per i nostri stessi bisogni. Sempre secondo il suo pensiero, dovrei guardarmi bene da chiunque. Le facce amiche sono e devono essere poche, e i nemici vanno tenuti a distanza. Ora come ora, il tempo scorre, e rileggendo le parole impresse nell’ultime delle sue lettere, piango. “Rain, sono io, Alisia. Tu non ne hai idea, ma so quello che stai passando. Siamo sorelle, ti voglio bene, e non posso certamente lasciarti sola. Sto arrivando, perciò resta dove sei e non osare uscire di casa. Potrai non credermi, ma i miei sono consigli preziosi. In ultimo, resta con Stefan, e per favore, pensa, guarda nel tuo cuore e trova dentro di te la forza che hai e sai di avere. In altre parole, agisci, e fidati di tutti noi.” Ad essere sincera, vorrei davvero che mia figlia avesse notizie della zia, ma dato quello che è stata recentemente costretta a passare, non voglio intristirla e rovinare il suo grande ottimismo. “Tutto andrà bene.” Continua a ripetermi, incatenando il verde dei suoi occhi al marrone dei miei, e ricordandomi in quel modo le parole del padre. Regalandole ogni volta dei flebili sorrisi, accetto la sua idea senza esprimermi o parlare, ma c’è una cosa che lei non sa. Ne è all’oscuro, ma io non ci credo. Chiaro è che Stefan abbia promesso di proteggermi, ma nonostante tutto, io non ce la faccio. Le forze mi stanno abbandonando, e i tentativi di dimostrarmi forte si stanno tristemente rivelando vani. Lentamente, mi sento venir meno, quasi come se la vita mi venisse rubata dalle vene. La luna splende, il silenzio regna, ed io sono stanca. Ho bisogno di dormire, riflettere e pensare, e prima di farlo, affido i miei ultimi momenti di coscienza alla più brillante stella nel cielo di stasera, concentrandomi, anche dormendo, sulla mia amata sorella, e sulle sue veritiere perle di saggezza.

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Capitolo 13
*** Che la fortuna ci assista ***


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Capitolo XIII

Che la fortuna ci assista

Proprio come mi aspettavo, non sono riuscita a riposare né chiudere occhio per tutta la notte. Piangendo in silenzio, l’ho infatti passata a leggere e rileggere la lettera mandatami da mia sorella. Dopo una lettura di quel calibro, dormire mi risultò impossibile. Pur senza volerlo, continuavo a ricordare quanto avessi letto, e addormentandomi, sognavo quelle così orribili scene. Ad ogni modo, la fortuna mi assisteva, e Stefan era al mio fianco. Alla sua vista, sorridevo, e sforzandomi per mantenere un respiro regolare, ripetevo a me stessa la frase che aveva pronunciato tempo prima parlando con nostra figlia. “Non avere paura.” Tre parole semplicissime, ma che quella sera, poco prima del sorgere del magnifico sole, mi aiutarono. In conclusione, non potei evitare di perdere la calma, e solo quando la ritrovai concentrandomi sulle ultime parole nella lettera di mia sorella, riuscii finalmente a tranquillizzarmi. Seduta sul letto, attesi quindi l’arrivo della dorata alba, e dopo averla ammirata, tentai di far tornare tutto alla normalità. Vivendo la mia giornata come ero solita fare, sperai con tutto il cuore di non apparire scossa o diversa, ma per la più nera sfortuna, fallii in quel così misero intento. Stefan si svegliò solo poco tempo dopo di me, e notandomi così tesa e nervosa, si fece avanti, e guardandomi negli occhi, pronunciò una frase alla quale stentai a credere. “Ho la soluzione.” Disse, cogliendomi alla sprovvista. “Che… che significa?” chiesi, fissandolo senza capire. “Mio padre vuole vederci. Dice che ci aiuterà.” Rispose, completando quella frase con un debole ma convincente sorriso, che in quel momento funse per me da iniezione di fiducia e sicurezza. “Potremo andarci non appena vorrai.” Replicai, con voce e sguardo neutri. In quel frangente, non volevo mostrare alcuna emozione, e ci riuscii, fino a quando qualcosa dentro di me non comunicasse la sua presenza. Sorridendo, abbassai lo sguardo, fissandolo sul mio ventre, che lentamente, si stava ingrossando a causa della mia condizione. Era la mia bambina. Non ancora nata, ma viva dentro di me. Proprio come la mia dolce Terra prima della sua venuta al mondo, anche lei cercava di aiutarmi. Mantenendo il silenzio, non permisi al mio sorriso di spegnersi, e con la coda dell’occhio, vidi Stefan avvicinarsi. Rimanendo ferma e inerme, lo lasciai pazientemente fare, lasciandomi lentamente accogliere fra le sue braccia. In quel preciso istante, mi voltai a guardarlo, e una frase dettata dalla bufera di sentimenti che infuriava nel mio animo, abbandonò le mie labbra. “Dici che ce la faremo?” chiesi, sentendo improvvisamente gli occhi riempirsi di lacrime, che con forza e coraggio, ricacciai indietro. “Non lo so.” Questa fu la risposta del mio amato, e a labbra serrate, non mi pronunciai. Chiudendo gli occhi, mi fermai a pensare, tentando nel frattempo di immaginare il nostro avvenire. Un fiume di ricordi iniziò quindi a scorrere nella mia mente, e in religioso silenzio, rividi tutta la mia vita passare lenta, quasi come fosse costituita dalle scene e dai fotogrammi di un film. Era vero. Prevedere ciò che ci sarebbe accaduto era pressoché impossibile, ma dopo aver quell’ormai famosa lettera da mia sorella, che conteneva preziosi consigli, mi sentivo sicura e pronta a tutto. Lasciando che Stefan mi stringesse a sé con forza ancora maggiore, posai con delicatezza le mie labbra sulle sue, scoprendo con gioia che non si tirò indietro. Accettando quella mia manifestazione d’affetto, ricambiò con amore, e non appena quel bacio ebbe fine, mi fermai a guardarlo. I nostri sguardi si incrociarono, e un singolo istante sparì dalle nostre vite. Nessuno di noi disse una parola, ma con lo spuntare in cielo dell’argentea regina della notte, rimasi in piedi di fronte alla finestra. “A cosa pensi?” mi chiese  Stefan, seduto sul letto della stanza che condividevamo. Quasi ignorandolo, non risposi, e continuando a fissare le stelle, inviai loro il mio unico desiderio. Posando poi una mano sul vetro della finestra, lo carezzai leggermente con le dita, sussurrando quindi una semplice frase. Un pensiero che non avevo potuto evitare di formulare a causa dei miei trascorsi, e che speravo mi aiutasse a guardarmi intorno con l’ottimismo che era solito caratterizzarmi. Cinque parole nelle quali credevo fermamente. “Che la fortuna ci assista.”

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Capitolo 14
*** Insieme ***


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Capitolo XIV

Insieme

Sdraiata sul letto, stanca, ma ad ogni modo sveglia. Alzandomi, scopro che Stefan è già in piedi, e che sta trafficando con ben tre zaini. “Raccogli le tue cose.” Mi avverte, parlando in modo serio ma senza guardarmi. “Vuoi dire…” azzardo, non riuscendo a completare quella frase e sentendola morirmi in gola, così come era accaduto a tante altre, che mai pronunciate, non avevano mai conosciuto la libertà. “Sì, ce ne andremo.” Rispose, spostando il suo sguardo e la sua attenzione sul mio viso. Permettendo al colore dei nostri occhi di fondersi, gli mostrai un debole sorriso, venendo poi ricambiata. “Torneremo indietro, ad Ascantha.” Disse poi, convinto del piano che sapevo avesse diligentemente messo a punto la sera prima. Rinfrancata, sorrisi ancora, ma solo in quel momento, un ricordo ebbe modo di spaziare nella mia mente. “No. Non possiamo.” Dissi, sbarrando senza volerlo gli occhi e iniziando inconsciamente a tremare. “Che stai dicendo? Qui moriremo!” replicò Stefan, alterandosi di colpo e riuscendo perfino a spaventarmi. “Stefan, ascoltami. Io dico sul serio. È troppo pericoloso!” risposi a mia volta, con la voce e il corpo tremanti come foglie. Non riuscendo a muovermi, lo guardavo negli occhi, e facendolo, notai che respirava a fatica, tentando forse di controllare le sue stesse emozioni. Colta alla sprovvista dalla paura, chiusi gli occhi, e solo allora, qualcosa di completamente inaspettato mi accadde. Non sentii altro che dolore, e riaprendoli, scoprii cosa era accaduto. Era incredibile, ma per la prima volta in tutto quel tempo, Stefan mi aveva colpita. Un suo sonoro schiaffo aveva raggiunto la mia guancia, facendola dolere e bruciare come mai prima. Ferita da quel suo gesto tanto inconsueto, continuai a guardarlo con occhi dolenti e colmi di lacrime, attendendo una sua qualsiasi spiegazione. Alcuni secondi passarono, e allo scadere degli stessi, Stefan parve finalmente rendersi conto di quanto fosse accaduto. “Rain, tesoro… mi… mi dispiace, io…” non potè che biascicare, mentre pareva intento a ingoiare una metaforica pillola piena di vergogna. “No. Non dirlo. Mi serviva.” Risposi, concentrando tutta la mia attenzione sul suo viso e carezzandolo dolcemente. Non che mi avesse fatto male, anzi, ad essere sincera, credevo che avesse agito nella maniera più giusta. Inarrestabile, Il tempo continuava a scorrere non curandosi né attendendo le nostre decisioni, ed io ero ancora lì, ferma a piangere e lamentarmi come una povera bimba spaventata. Contrariamente a Terra e alla piccola che portavo in grembo, ero un’adulta, e forse ora avrei finalmente potuto imparare a comportarmi come tale. “Grazie.” Soffiai al suo indirizzo, sorridendogli e afferrando la sua mano al solo scopo di rimettermi in piedi. Una volta fatto, mi misi in spalla lo zaino, e solo allora, diedi inizio al mio cammino al suo fianco. Un ricordo riguardante la mia famiglia e il loro benessere si era annidato nella mia mente, ma nello stesso tempo, uno riguardante la lettera di mia sorella Alisia era sopraggiunto soppiantandolo. “Andiamo.” Dichiarai poi, stringendogli la mano con forza perfino maggiore, e avvertendo un’improvvisa e sconosciuta forza crescermi dentro. “Non ancora.” Replicò, guardandomi con aria seria. “Allora quando?” chiesi, mantenendo il silenzio e prendendo parte a quel muto gioco di sguardi. “Domani, alle prime luci dell’alba.” Una frase semplice e al contempo profonda, che alle mie orecchie giunse come una promessa. Saremmo presto partiti, e per una sola ragione, ovvero affrontare ogni pericolo a testa alta, ma soprattutto e immancabilmente insieme.

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Capitolo 15
*** Tornare alle radici ***


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Capitolo XV

Tornare alle radici

Destinazione Ascantha. Queste le parole che continuavo a ripetermi camminando, con passi lenti ma decisi. L’alba era spuntata da poco, e tutti e quattro, viaggiavamo. Il sole iniziava a mostrare il suo pallido volto, e pur non ammettendolo, avevo freddo. Guardandomi con occhi lucenti di speranza, Terra mi stringeva la mano. “Dice che ce la faremo.” Mi disse, evitando di staccare lo sguardo da me e sorridendo felice. “Di chi stai parlando?” le chiesi, lasciandomi intenerire e sfuggire un piccolo sorriso. “Di Ned.” Rispose prontamente, sollevando un braccio unicamente per mostrarmi il suo tanto amato orsetto di pezza. Guardandola, non potevo evitare di pensare ad una sola cosa. Era adorabile. Tenera, piccola, e con un cuore d’oro. “Dì, ti fidi di lui?” fu la domanda postale dal padre, che incrociando il suo sguardo, sorrise a sua volta. Certo. È il mio cavaliere.” Una risposta tanto infantile quanto sincera e dolce, alla quale Stefan ed io ridemmo di gusto. In quel momento, la sfortuna e il suo essere infantile formarono una squadra, e guardandomi in faccia, la bimba parve arrabbiarsi. “Non scherzare! Dove saresti senza papà?” gridò indispettita, pestando i piedi in terra. “Hai ragione, scusa.” Le dissi, sperando che in cuor suo riuscisse a perdonarmi. Riprendendo a camminare, fissai il mio pensiero sulla città che intendevamo raggiungere, ovvero la pittoresca Ascantha. Completamente immersa nel verde, dimora mia e dei miei genitori. Fra un passo e l’altro, la cattiva sorte tornò a farmi visita, e il mio sguardo cadde sulla mia bambina. Si era fermata, e tentava in ogni modo di levarsi un sassolino dalla scarpa. Provando istintivamente pena per lei, il padre provava ad aiutarla, ma lei rifiutava ogni volta. Testarda, caparbia e coraggiosa. Tre qualità che avevo scoperto in lei nel giorno in cui sua zia sembrava sparita nel nulla, e che ora si palesavano di fronte ai miei occhi. “Ostinata, non credi?” mi domandò Stefan, accelerando leggermente il passo al solo scopo di starmi accanto. “Vorrei sapere da chi ha imparato.” Dissi, sorridendo leggermente. “Pare sia colpa di entrambi.” Replicò, fissandomi con aria complice e divertita. Sorridendo ancora una volta, continuai a camminare, e improvvisamente, mi accorsi di un particolare. Due sentieri di fronti a noi si incrociavano, e solo una scelta appariva come giusta. “Dove andiamo?” chiese Terra, preoccupandosi e tirando dolcemente un lembo della mia veste. Smarrita, guardai dapprima suo padre, poi attorno a me, e fu allora che lo notai. Un piccolo cartello in legno a forma di freccia, con sopra una scritta a caratteri piccoli ma leggibili. Puntava verso sinistra, e la scritta recitava le parole che ormai da ore speravo di leggere. “ Benvenuti, viandanti, oltre questo punto inizia il regno di Ascantha.” Alla sola vista di quella frase, sorrisi. “Hai visto piccola?” siamo arrivati. Dissi a Terra, spostando il mio sguardo su di lei e notando sul suo volto una leggera ansia. “Sani e salvi.” Aggiunse Stefan poco dopo, lasciando che i nostri sguardi si incrociassero. Quasi ignorandolo, mi concentrai sulla bambina, scoprendo che per qualche arcana ragione, quelle parole sembravano turbarla. Prendendola per mano, la incoraggiai a camminare al mio fianco, e seguendo le indicazioni su quel cartello, sperammo di raggiungere le porte della città. Finalmente, dopo un lungo cammino eccolo. Un portone decorato sobriamente, anch’esso in duro e possente legno. Spalancato, sembrava attendere di essere varcato da comuni viaggiatori come noi. Senza ulteriori indugi, Stefan ed io unimmo le mani, e superandolo, lo sentii stringermele. “È fatta. Siamo a casa.” Pensai, mirando un cielo che era frattanto divenuto azzurro e sgombro dalle minacciose e pesanti nuvole di pioggia. In quel momento, l’unica cosa che restava da fare era raggiungere la nostra umile ma amata dimora. Prendendo in braccio Terra, le risparmiai la stanchezza del resto del viaggio, e una volta raggiunta la mia destinazione, fui felice di poter compiere un’azione semplice, ma dal mio punto di vista profondamente significativo. Frugandomi velocemente in una delle tasche del vestito, ne estrassi una piccola e aurea chiave, infilandola con delicatezza nella serratura. Un gesto a dir poco liberatorio, dopo il quale, chiusi per un attimo gli occhi. Aiutata da Stefan, mossi un singolo passo in avanti, e improvvisamente, un coro di voci si levò fino al cielo. Riaprendo gli occhi, scoprii la presenza di molti visi amici. Persone da me amate e conosciute, fra le quali potei contare anche il dottor Patrick, il caro Basil e la mia amica Samira. Sopraffatta dalle mie stesse emozioni, mi guardai intorno con aria confusa, e incontrando lo sguardo di Stefan, gli posi una muta domanda. “È opera tua?” avrei voluto chiedergli, non riuscendo a parlare tanta era la mia contentezza. Mantenendo il silenzio, Stefan si limitò ad annuire. In quell’istante, non potei evitare di sorridere, e facendolo, dovetti ammettere ancora una volta di essere davvero fortunata. Avvicinandomi a lui, lo baciai con dolcezza, non curandomi della folla che ci aveva letteralmente accolto in casa. Un singolo istante sparì dalla mia vita, e parlando con me stessa, potei finalmente dirmi tranquilla. Era incredibile, ma ce l’avevamo fatta. Dopo giorni di paura, dolore, ansia e indecisione, eravamo riusciti nel nostro intento più importante, ovvero tornare alle nostre radici.

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Capitolo 16
*** Forte per amore ***


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Capitolo XVI

Forte per amore

Altri tre mesi. Un periodo di tempo che è scivolato via dalla mia vita come è solito fare sin dal giorno del suo lento e magnifico inizio, e che ora non ha certo fatto eccezione. Seduta accanto al caminetto del salotto, spento perché non utilizzato, fisso il pavimento. Freddo e inospitale, consunto da migliaia o forse milioni di passi. Sono a casa con Stefan e Terra, ma da ormai qualche giorno, una sorta di malinconia si è impossessata ancora una volta di me. Come sono ormai abituata a fare, parlo con me stessa, non condividendo i miei pensieri con anima viva e sentendoli galleggiare nella mia povera testa, che ora duole tanto quanto le mie gambe. Stanche per il tanto camminare, hanno bisogno di riposo, e proprio stando seduta, spero di alleviare tale sofferenza. Ora come ora, i minuti passano, e inaspettatamente, Stefan mi raggiunge. “Ti senti bene?” mi chiede, sedendosi al mio fianco sul divano di casa. “No.” Rispondo mestamente, sfuggendo dai suoi sguardi al solo scopo di nascondere la mia tristezza. “Rain, dai, guardati intorno. “Siamo a casa, la bimba sta bene e una nuova vita è dentro di te. Cosa c’è che non va?” una domanda semplice, ma che dato il mio attuale stato d’animo, trovo retorica. So bene che mi ama, che vive per me e la nostra piccola Terra, e che odia vedermi infelice, ma per qualche strana ragione, la felicità legata al mio ritorno alla casa di cui tanto ho sentito la mancanza è già sparita, svanendo come un etereo fantasma esiliato dal mondo dei vivi dopo una seduta spiritica. “Non fraintendermi, sono felice, ma qualcosa mi dice che non durerà.” Dissi poi, riprendendo la parola dopo un lungo silenzio e riuscendo finalmente a rispondere alla sua domanda. “Ti capisco benissimo, e voglio dirti una cosa, ma dovrai ascoltarmi attentamente.” Continuò Stefan, prendendomi il mento con due dita e costringendomi a guardarlo. “Parla.” Lo esortai, mantenendo quella posizione e riponendo in lui tutta la mia fiducia. Gli prestai quindi orecchio, e le parole che pronunciò mi sciolsero il cuore come candida neve invernale a contatto con il caldo sole mattutino. “Ho visto anch’io la lettera che nascondevi, e Alisia ha ragione. Devi agire, camminare a testa alta e fidarti di chi hai accanto. L’unico vero cammino è quello che hai nel cuore, e ti prego, non permettere a nessuno di disturbare la sacralità di quel luogo.” Questo il discorso che tenne di fronte a me, e che ascoltai con attenzione e pazienza, ma che alla fine del quale, animata da un turbine di emozioni, parlai a mia volta. “Stefan, io ti credo, e vorrei farlo, ma è difficile. Ci provo, sempre, ma non ci riesco. Provo a resistere al dolore, ma so che questa è la realtà. Nulla la cambierà, né ora e né mai.” Parole che pronunciai con il cuore sulle labbra e alle quali il mio amato reagì prontamente. “Rain, ti prego! Se non vuoi farlo per te stessa, fallo per me! Io ti amo, e non voglio perderti! Perché credi che ti abbia chiesto di tenere l’anello?” mi disse, con la voce spezzata e corrotta da un pianto che quasi si vergognava di mostrare. Le lacrime non gli bagnavano il volto, ma potevo chiaramente notare il dolore nei suoi occhi. Provando istintivamente pena per lui, lo abbracciai, e lasciai che un bacio unisse le nostre labbra. “Hai promesso di proteggermi, e ora io lo farò con te. Sarò forte e coraggiosa, soltanto per te, amore mio.” Dissi poi, lasciando che mi stringesse a sé e mi baciasse ancora. “Ricorda solo una cosa. Tu eri, sei e sarai così per sempre. Questo non cambierà mai.” Concluse, poco prima di posare per la terza volta le sue labbra sulle mie. Il tempo continuò quindi a scorrere, e non appena andai a dormire, mi abbandonai ad un muto soliloquio, durante il quale promisi a me stessa che nonostante la paura che avevo di crollare sotto il peso della guerra che incombeva ad Aveiron, sarei stata pronta e forte per amore.

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Capitolo 17
*** Vento di novelle ***


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Capitolo XVII

Vento di novelle

Per l’ennesima volta, un mese. Se n’è ormai andata, svanendo come polvere portata via dal vento in un desolato e arido deserto. Come sempre, il tempo continua a scorrere, e per pura fortuna, siamo di nuovo a casa. Ora come ora, occupo la piccola ma comoda poltrona del salotto, accanto ad un caminetto spento e colmo di grigia cenere. Lo sguardo fisso su un punto lontano e imprecisato, il corpo rilassato e la mano sul mio ventre, ormai gonfio a causa della gravidanza che procede. In ginocchio sul tappeto, Terra gioca tranquilla, e guardandola, sorrido. Un sospiro non spegne la mia felicità, e improvvisamente, lei si alza. “Come stai? Mi chiede, curiosa e ingenua come ogni bambina della sua giovane e tenera età. “Bene.” Rispondo prontamente, evitando di esitare in sua presenza. Conoscendola forse meglio di me stessa, so bene che farlo la renderebbe ansiosa, e considerando attentamente i nostri burrascosi trascorsi, questo è l’ultimo dei miei pensieri. “E mia sorella?” si informa poi, con voce dolce e a dir poco angelica. “Benissimo.” Replico, sperando in tal modo di riuscire a soddisfare la sua curiosità. A quella risposta, il viso della bimba pare illuminarsi, e con lo scadere di un solo attimo, si fa più vicina. “Posso?” biascica, indicando il mio addome ora pronunciato. Mantenendo il silenzio, mi limito ad annuire, e prendendo la sua mano nella mia, la guido sapientemente. “Non senti nulla?” le chiesi, dopo alcuni secondi passati ad attendere una sua qualsiasi reazione. Guardandomi, la piccola scuote il capo, e solo allora, eccolo. Un movimento della sua sorellina ancora non nata, che inaspettatamente, mi provocò dolore. Sopportabile, certo, ma pur sempre dolore. A denti stretti, tentai di governarlo, non notando che tale azione sconvolse mia figlia. “Mamma!” mi chiamò, spaventata e incerta. Incredibilmente, il suo grido di paura attirò l’attenzione di suo padre. “Tutto bene?” non potè fare a meno di chiedermi, preoccupato almeno quanto lei. “S- Sì. La bambina ha soltanto scalciato.” Risposi, forzando un sorriso che non desideravo realmente mostrare. Rinfrancato da quelle parole, Stefan sorrise a sua volta, e in quell’esatto momento, un rumore spezzò la nostra concentrazione. Alzandomi lentamente, andai ad aprire, e proprio di fronte a me, vidi qualcuno che non aspettavo. “Samira? Cosa…” provai a chiederle, riuscendo non pronunciare altro che il suo nome. “Scusate, non volevo disturbare, sono qui perché…” tentò di rispondere lei, andando intanto alla ricerca di una giustificazione. In silenzio, la guardai. Il viso pallido, gli occhi lucidi, le gote arrossate dalla vergogna. “Tranquilla, parla e spiegaci cos’è successo.” Fu Stefan a parlare, sorridendole e  incoraggiandola a mettere da parte l’esitazione che le bloccava la gola impedendo alle parole di uscirne agilmente. “Vedete, domani è un giorno speciale, e volevo sapere se… se voi quattro potreste venire.” Continuò, ponendoci con tali parole un’esplicita domanda. “Dove? Azzardai, confusa e stranita. “In chiesa, al mio matrimonio.” Concluse poi, parlando con voce così bassa da risultare quasi inudibile. “Come? Ma certo!” risposi, gioiosa e convinta. “Grazie.” Disse poi lei, stringendomi in un delicato abbraccio e porgendomi con altrettanta delicatezza una raffinata busta da lettere. Chiusa ermeticamente, con della pregiata ceralacca rossa, doveva forzatamente contenere un invito per tale occasione. Passandola a Stefan, gli chiesi di aprirla, e solo poco tempo dopo, scoprii di aver ragione. Samira ci aveva davvero invitati al suo matrimonio, e mentre il tempo scorreva, mi beavo della mia fortuna e della mia felicità. Eravamo di nuovo a casa, la mia piccola si faceva sentire, e quello che spirava fuori dalla finestra non era che un gentile vento di buone novelle.

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Capitolo 18
*** Bianco e nero ***


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Capitolo XVIII

Bianco e nero

La mattina era tornata come sempre, e con gran garbo e cordialità, il dorato sole prendeva in cielo il posto della bella e argentea luna, regina di ogni notte e superiore alle compagne stelle. Un nuovo giorno era iniziato, e finalmente, ero pronta. Vestivo elegantemente, in accordo con l’occasione per la quale mi ero preparata. Il matrimonio della mia amica Samira. Cercando distrattamente il mio diario, perso per pura sfortuna e poi ritrovato nel cassetto della mia scrivania, avevo anche ritrovato la sua prima lettera. Una scritta di suo pugno nella quale affermava di essersi fidanzata, e di sentirsi innamorata e felice come mai prima in vita sua. Erano ormai passati anni dall’inizio della loro relazione, e finalmente, dopo un’attesa che lei definiva interminabile, il suo tanto amato Soren le aveva chiesto di sposarlo, non offrendo in cambio della sua mano che amore e compagnia per il resto delle loro giovani vite. L’eleganza è oggi dalla parte di tutti noi, in quanto anche la piccola Terra, vestita di bianco, indossa scarpe del medesimo colore. Guardandola, non posso fare a meno di pensare che sia carinissima, e sorridendo, mi lascio anche sfuggire una risatina. Questa svanisce velocemente, e mentre camminiamo verso la chiesa poco lontana, sento il calore del sole sulla pelle. Per pura fortuna, oggi non piove, e a quanto sembra, la funzione dovrebbe iniziare a breve. Una volta arrivati, ci sediamo tutti su una delle lignee panche lì presenti, e rompendo il silenzio, una dolce musica da pianoforte accompagna l’entrata in scena dei miei amici. Con le lacrime agli occhi, mi volto a guardarla. Samira. Il suo vestito è di un rosa tenue, e la sua fine bellezza toglie le parole dalla bocca di ogni invitato. I minuti scorrono, e prima che noi tutti abbiamo modo di accorgercene, ecco il momento più atteso e importante. Il bacio che unendo le loro labbra suggellerà la loro promessa d’amore, e che Soren e Samira si scambiano con trasporto e castità al tempo stesso. Strofinandomi un occhio con la mano, tento di arrestare la fuga di alcune lacrime, e poi, nel silenzio generale, un suono a dir poco assordante. Spaventata, afferro saldamente la mano di Stefan, e il solido portone si apre. Tremo di paura, ed è allora che li vedo. Loschi figuri incappucciati, che attentano alla felicità di ogni persona presente. Spaventata, la gente fa di tutto per fuggire, e nella confusione generale, l’istinto mi parla. Chinandomi, prendo subito in braccio Terra, e provando a correre, inciampo perdendo disgraziatamente l’equilibrio. Cado, e un improvviso dolore alla gamba mi impedisce di muovermi. Provo a rialzarmi, ma non ci riesco. Di lì a poco, la stessa sorte tocca a Samira, che per pura fortuna, si rimette in piedi fuggendo e mescolandosi alla folla. Intanto, non riesco a capire nulla. Ho gli occhi chiusi, non voglio vedere nulla di quanto sta accadendo. Il tempo scorre, e ben presto, anche la testa inizia a farmi male. Le urla della povera gente preda del panico mi perforano i timpani, e mentre il dolore mi stordisce, mi faccio coraggio. Riapro quindi gli occhi, e ho appena il tempo di vedere uno di quei mostri avvicinarsi. In quel momento, un lampo di genio. Chiudere di nuovo gli occhi, e fingermi morta. Assistita dalla fortuna, scopro che il mio piano pare aver funzionato. Il silenzio regna, e finalmente tutto è finito. Siamo soli, e anche se a fatica, mi rialzo. Nascosta sotto una delle panche della chiesa, Terra si guarda intorno, e notandomi, mi tende la mano. Afferrandola saldamente, la aiuto a rimettersi in piedi, e una domanda mi sorge spontanea. “Sei ferita?” le chiedo, guardandola con occhi colmi d’insicurezza. “No.” Risponde, e quella semplice parola mi tranquillizza. Tremando ancora per lo spavento, quasi non si regge in piedi, ma aiutandola, la sorreggo. La gamba mi faceva ancora male, e camminando verso l’uscita, vidi qualcosa in terra. Un bracciale, che ad essere sincera, mi sembrava di aver già visto. Svuotando per un attimo la mente, mi sforzai di ricordare, e improvvisamente, un guizzo di memoria. Chinandomi, raccolsi quel monile, ed esaminandolo, capii che apparteneva a Samira. Assieme a questo, un brandello della stoffa del suo vestito. Doveva esserle caduto durante quel marasma, e la stoffa doveva essersi strappata durante la corsa. Stringendolo in mano, temetti per lei e per la sua incolumità. Ricordavo di averla vista fuggire e mettersi in salvo, ma in quell’istante non ero sicura di nulla. Forse ce l’aveva fatta, o forse no, e mentre il tempo scorreva, quel dubbio mi tormentava. Tacendo, raggiunsi l’uscita della chiesa con Stefan, e fra un passo e l’altro, non potei che concentrarmi su due colori. Il bianco del mio abito in un occasione così speciale, e il nero di una sfortuna che sembrava seguirci da tempo ormai immemore.  

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Capitolo 19
*** Rosa nel deserto ***


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Capitolo XIX

Rosa nel deserto

È passato un altro mese, e di Samira nessuna notizia. Siamo tornati ancora una volta a casa, tutti sani e salvi. Ad ogni modo, il tempo continua a scorrere, e il suo Soren è disperato, e così triste da non desiderare altro che aiuto. “Credi che stia bene?” gli chiedo, concentrando tutta la mia attenzione sui suoi occhi, azzurri come preziosi zaffiri. “Non lo so. So solo di averla persa. Quegli sporchi assassini l’hanno rapita, ed io devo ritrovarla.” Mi ha risposto, fissandomi con occhi colmi di dolore. “Ti aiuteremo noi, sta tranquillo. Disse poi Stefan, dopo alcuni secondi di silenzio trascorsi ad ascoltarci e pensare ad un piano d’azione. “Grazie. Grazie di tutto, ragazzi.” Fu la sua risposta, che denotò un animo coraggioso e una prontezza incredibile. Conoscevo Soren solo da poco, ma nonostante tutto, mi fidavo, e lui di noi. Sapevo bene che amava Samira con tutto sé stesso, e che ora, in un momento di tale calibro, avrebbe fatto di tutto per ritrovarla. Nel tentativo di infondergli coraggio, gli sorrisi, e improvvisamente, un acuto dolore alla gamba mi costrinse a chiudere gli occhi. Allarmato, Stefan mi sorresse, e facendolo, mi guidò verso la comoda poltrona del salotto. A quella vista, Soren mantenne il silenzio, ma a giudicare dall’espressione dipinta sul suo giovane volto, capii che era stavolta preoccupato anche per me. “Nulla di grave, vero?” chiese infatti, guardandomi negli occhi e attendendo una mia qualsiasi risposta. “No, è solo la mia gamba.” Dissi, per poi abbassare lo sguardo e tentare di massaggiarla e diminuire in tal modo il dolore. Per pura fortuna, il mio espediente parve funzionare, ma data l’esistenza di un rovescio per tale e metaforica medaglia, un nuovo dolore mi sconvolse, colpendomi stavolta dritta allo stomaco. Colta alla sprovvista, serrai palpebre e labbra, e quasi senza accorgermene, chiamai il nome di Stefan. “Rain! Ti prego, sta calma. Andrà tutto bene, mi senti? Tutto bene.” Disse, mentre io, sconvolta da quel gran dolore, non riuscivo davvero a sopportarlo. “Non… non può essere, è… è troppo presto!” gridai, lamentandomi sonoramente. Era vero. In fin dei conti, ero incinta di soli sette mesi, e malgrado un bimbo nato in tali condizioni avesse ottimi probabilità di sopravvivere, volevo davvero che il destino cambiasse le carte in tavola. “Non ora.” Mi ripetevo, parlando con me stessa nel solo tentativo di calmarmi e ritardare l’inevitabile. In quel preciso istante, quel dolore parve cessare e abbandonarmi, proprio come io stessa desideravo. A quanto sembrava, la mia piccola continuava a scalciare. Forse aveva fretta di nascere, venire al mondo e conoscerci lasciandosi amare dalla sua intera famiglia, o forse tentava semplicemente di comunicare la sua presenza al mio interno. Non potevo saperlo, né ne ero sicura, ma una cosa era certa. Il nostro gruppo sarebbe certamente partito alla ricerca della povera Samira, ora in mano agli sporchi e violenti Ladri, suoi vili aguzzini. Con l’arrivo della sera, Stefan ed io invitammo Soren a restare a casa nostra, e accettando, lasciò che gli parlassi. Volendo unicamente provare a consolarlo, gli chiesi di parlarmi della sua amata. “Credi che stia bene?” gli chiesi, sedendomi al suo fianco sul divano di casa e sapendo di stare toccando un nervo ora scoperto. “Sì.” Fu la sua semplice risposta, che mi diede nonostante uno stretto nodo alla gola gli impedisse di esprimersi. “Per quale ragione?” indagai, sperando di aiutarlo ad abbandonare ognuna delle sue paure, che ora parevano scuotergli il corpo in maniera sempre più violenta. Il silenzio riempì la stanza per alcuni secondi, allo scadere dei quali, ascoltai la sua risposta, la quale, apparendo tanto sincera quanto bella, mi permise di sincerarmi della realtà dei suoi sentimenti per lei. “Lei ce la farà. Ce la farà perché è forte e delicata allo stesso tempo, come un prezioso diamante o una magnifica rosa nel deserto.” Queste le parole che pronunciò, e che scolpii nella mia memoria. Proprio come quella formata da me e da Stefan, la loro era una coppia giovane, e data la felicità che avevano mostrato semplicemente guardandosi, appena prima di quello che considero un disastro, ero certa che nulla sarebbe mai riuscito a spezzare il profondo legame d’amore che i loro cuori, uniti, avevano creato.

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Capitolo 20
*** Ricordi fra la polvere ***


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Capitolo XX

Ricordi fra la polvere

Il tempo scorre come limpida acqua, e oggi un uccello vola libero come sa di essere sin dal giorno della sua stessa nascita. Dal mio canto ho passato una notte tranquilla, movimentata solo dalla mia bimba che scalciava, sempre più desiderosa di nascere. Non è ancora il momento, e lo so bene, ma dopo ben sette mesi di attesa, l’ansia inizia a farsi sentire. I giorni passano lenti, e sporgendomi per guardare appena fuori dalla finestra, noto qualcosa. C’è della polvere sul davanzale. Dato tutto ciò che sta accadendo, nessuno ha mai voglia né tempo di occuparsi delle pulizie qui in casa, e a nessuno sembra importare. In fondo, ciò che importa è restare vivi in questa catastrofe. Più triste di prima, Soren non fa che rimanere muto e immobile, mentre ad occhi aperti fissa il panorama. A quanto sembra, le foglie sono mosse dal vento, e benché non sia autunno, si staccano dai rami degli alberi, cadendo poi in terra e danzando come abili e leggiadre ballerine. Improvvisamente, la sua concentrazione si spezza, e il suo sguardo cade sul pavimento. Un suo lugubre sospiro rompe il silenzio, e voltandomi a guardarlo, mi avvicino per offrirgli conforto. Quasi per istinto, Stefan gli sorride nella speranza di rivederlo felice, ma lui pare non aver voglia di far nulla. “È Samira, giusto?” azzardo, sperando ancora una volta che parlare con me della sua amata lo aiuti a calmarsi. “Già…” mi risponde, pigro come un grasso gatto acciambellato su una poltrona. “Sono qui e ti ascolto.” Continuo, sorridendo leggermente e avendo il piacere e la fortuna di vederlo imitarmi. “Sei proprio come lei, sai?” disse, riprendendo la parola solo in quel preciso istante. “Perché?” fu la mia domanda, che per quanto naturale, non lo colse di sorpresa. “Perché lei è dolce, gentile, sensibile, e… bellissima.” Mi rispose poi, dando modo alle sue labbra di dischiudersi in un sorriso. Questo le sfiorò appena, e in quell’attimo, tornò a guardarmi. Seduta al suo fianco, non proferii parola, e lo guardai con aria tranquilla, ma notando il luccicare dei suoi occhi, capii che era finalmente tornato ad essere felice. Un ricordo gli balenò in mente, e solo allora, un suo discorso ebbe inizio. “Forse non te l’ha mai detto, ma io e lei ci conoscevamo anche prima di tutto questo. Quando l’ho vista, ho capito che era quella giusta, e ci siamo subito innamorati. Ho amato quel suo lato adorabile, quel bel sorriso che non spegne mai, quei dolcissimi occhi marroni, e gliel’ho detto. Ero sorpreso, ma ho scoperto che ricambiava. Al tempo era più giovane di solo qualche anno rispetto a me, ma non importava. Abbiamo condiviso tutto, e ci siamo amati, fino ad appartenerci a vicenda.” Muta come un pesce, ascoltai quel racconto senza interrompere, ma una domanda, che per tutto quel tempo non aveva fatto altro che galleggiare nella mia mente. “Poi che successe?” chiese Terra, facendo le mie veci e non desiderando che una risposta. “Qualcosa di brutto, piccola.” Le disse, guardandola con aria non più felice e quasi sconsolata. “Quel giorno, in mezzo alla neve, aveva freddo, ed era spaventata. Due tipi loschi dovevano averle fatto del male, lasciandola lì sola e incapace di difendersi. L’ho aiutata, e solo grazie a me si è ricongiunta a suo fratello, ma non lo sa. È come se avesse perso la memoria, forse complici il freddo e la paura di allora, e sin da quel giorno, è convinta di una realtà ben diversa. Crede di conoscermi da solo un anno, ed è ben felice di avermi sposato, ma non ricorda. Non ricorda i momenti che abbiamo condiviso, non ricorda la nostra unione, non ricorda gran parte del nostro amore. Certo, ora mi ama, e ne sono felice, ma è scomparsa, e la rivoglio indietro.” Continuò, completando quel discorso con la voce rotta dall’emozione e alcune lacrime sul viso. Gli occhi velati dalle stesse, e il respiro colmo di fatica. Intristita a mia volta, non sapevo cosa dire, ma ancora una volta, fu Terra a parlare. Ergendosi sulle graziose punte, chiese di essere presa in braccio, e una volta ottenuto tale risultato, sussurrò una frase nell’orecchio del mio amico. “Noi li batteremo, d’accordo?” gli disse, ponendogli quella domanda con fare convinto. “D’accordo.” Rispose semplicemente, ritrovando la calma ormai persa e sentendosi finalmente pronto ad agire. In quel momento, il mio orgoglio di madre prese il sopravvento, e guardando la mia bambina, sorrisi. Per l’ennesima volta, si era dimostrata forte e tenera al tempo stesso, riuscendo a infondere coraggio a tutti noi, impegnati a riportare a galla ricordi in noi presenti, ma tristemente coperti dalla polvere.

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Capitolo 21
*** Prodi cavalieri ***


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Capitolo XXI

Prodi cavalieri

È trascorso appena un giorno, e andando alla ricerca di aiuto e conforto, Stefan ed io ci siamo subito rivolti a suo padre. Ha saputo consigliarci anche prima dell’inizio di quest’insensata guerra, ragion per cui ci fidiamo. Ad ogni modo, la sua risposta ci colpì duramente, lasciandoci interdetti. “Non posso aiutarvi.” Disse, a capo chino in segno di tristezza. “Cosa? Ma è impossibile!” replicai, sentendomi quasi tradita. “Mi dispiace, dovete credermi, ma sono sicuro che ce la farete. In fondo sapete difendervi, e siete insieme. Pensateci, non è questo ciò che conta?” continuò, ponendoci poi quella domanda con aria seria. Un sorriso si dipinse poi sul suo volto, e rinfrancata da quelle parole, lo guardai. “Ha ragione.” Osservai, posando il mio sguardo su uno Stefan completamente diverso. Teso, nervoso e pronto all’azione, appariva preoccupato. Quasi privo del dono della parola, continuava a guardarmi, e non appena il suo sguardo cadde sul mio ventre, lo toccai. “Starà bene, te lo prometto.” Dissi in un sussurro, avvicinandomi al solo scopo di confortarlo. Come ero ormai abituata a fare, tentavo in ogni modo di mantenere l’ottimismo, e anche se stava diventando progressivamente più difficile, non demordevo. “Dottor Patrick, la prego, noi abbiamo davvero bisogno di aiuto. Lei è l’unico che può farlo.” Aggiunsi poi, con gli occhi dolenti e la voce pregna di insicurezza. “Rain, ve l’ho detto, non posso!” fu la sua risposta, che giunse forte e chiara alle nostre orecchie. Con fare sconsolato, mi voltai fino a dargli le spalle, e con una sottile vena di rabbia nello sguardo, Stefan lo fissò. Sapevo bene che non lo odiava essendo suo figlio, ma in quell’istante, i suoi occhi parlavano chiaro. Si sentiva tradito, pugnalato alle spalle dal suo stesso padre, e per tale ragione, iroso. In quel momento, una voce ruppe il silenzio creatosi nella stanza, interferendo con il flusso dei nostri pensieri. “Ti prego, nonno, aiutaci.” Voltandomi, la vidi. Era Terra. Una bimba di soli quattro anni d’età, che nonostante tutto sembrava aver ormai compreso la gravità dell’intera situazione. Anche se con termini blandi e a lei comprensibili, sia Stefan che suo zio Drake avevano cercato di spiegarle tutto, e ascoltando come un’attenta scolara, aveva capito ogni cosa. A quelle parole, il dottor Patrick non rispose, e chiudendo gli occhi, parve mosso a compassione. “Ascoltate, io non verrò con voi, ma c’è una sola cosa da fare.” Dichiarò, apparendo serio come mai prima d’ora. “Faremo ciò che è necessario.” Risposi prontamente, irrigidendomi di colpo e avvertendo la tensione impadronirsi nuovamente di me. “Bene allora, raggiungete Aveiron, e andate alla Casa. La Leader vi aiuterà.” Concluse, guardandoci dritto negli occhi e sembrandoci stavolta molto più fiducioso. “Sarà fatto.” Replicai soltanto, per poi voltarmi e iniziare a camminare al fianco di Stefan. Fermandosi a guardarmi, mi prese per mano, e mentre nostra figlia non faceva che seguirci, entrambi ci preparavamo al momento della verità. Una vera battaglia ci attendeva, e il piano era semplice. Ai miei occhi, l’intera faccenda appariva incredibile. Forse ce l’avremmo fatta, e forse avremmo salvato il regno, ma in questo momento, nulla è scritto né certo. Fortunatamente, ogni uomo è artefice del proprio destino, e mentre la sabbia all’interno di tante piccole e metaforiche clessidre scende lenta, ci sentiamo pronti. Pronti ad agire, perché diventeremo, nel nostro piccolo, dei prodi cavalieri pronti a mostrare i propri volti sul campo di battaglia.

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Capitolo 22
*** Verso la Casa ***


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Capitolo XXII

Verso la Casa

Era fatta. Un’importante decisione era stata maturata e presa, e dopo esserci preparati adeguatamente, siamo partiti. Ancora una volta, la destinazione è Aveiron, la mia bella e umile città, regno rovinato dalla violenza di gente del calibro dei Ladri, nonché da loro stessi. Il tempo scorre, il mio cuore batte, e stoica, cammino. In cuor nostro, avremmo fortemente voluto raggiungere la nostra meta in maniera diversa, ma stando ad un consiglio fornitoci dal dottor Patrick, e presente anche in una delle tante lettere di mia sorella, non avremmo dovuto farci riconoscere. Per tale motivo, ho indossato degli abiti ormai vecchi, e chiesto a Terra di seguirmi non fidandosi di nessuno oltre a me e a suo padre. L’autunno sta arrivando, e con lui il freddo. Tremo, e camminando, avverto un insolito dolore. Un veloce ragionamento mi aiuta a collegare tutto alla mia condizione. Notando la mia agitazione, Stefan non parla, ma in compenso mi stringe la mano. “Ci siamo quasi. Tieni duro.” Mi dice, sussurrando al solo scopo di non farsi sentire da nostra figlia. Mantenendo il silenzio,mi limito ad annuire, e respirando nel vano tentativo di calmarmi, resisto. Il sole è ancora alto, e la strada di fronte a noi appare lunga e infinita. Il nostro viaggio continua, e il dolore che provo non accenna a scemare. Si presenta periodicamente, manifestandosi per mezzo di alcune fitte. Sopportabile, certo, ma così fastidioso da riuscire ad allarmarmi. Di punto in bianco, il mio istinto di sopravvivenza si palesa, e parlandomi, mi impone di non farne parola con nessuno. Soffro in silenzio, sperando che non ci scoprano, ma improvvisamente, capisco di non riuscire a resistere, e arrestando il mio cammino, mi fermo. “Che stai facendo? Andiamo!” mi incalza Stefan, guardandomi e afferrandomi un polso per spronarmi. “No. Non ce la faccio.” Ho la sola forza di replicare, con la voce che trema alla pari con il mio corpo e trova la libertà per pura fortuna. “Avanti, manca poco.” Continua, non staccando il suo sguardo dal mio e fissandomi stavolta con aria più seria. “No.” Ripetei poco dopo, irremovibile e rigida come un’asse di legno. “Ho bisogno di riposo.” Aggiunsi, toccandomi il ventre e sperando che fosse in grado di comprendere quella sorta di muto linguaggio. “Va bene.” Rispose Stefan, arrendendosi al mio volere e alla stessa evidenza. Nel dire ciò, mi strinse ancora la mano, e facendomi coraggio, raccolsi le forze necessarie a compiere qualche altro passo in avanti. “Mamma, una casa!” gridò a quel punto Terra, indicando con il dito quello che identificai come un vecchio rifugio abbandonato. Avvicinandoci, provammo a entrare, e in quel momento, la fortuna ci sorrise. A quanto sembrava, l’abitazione scoperta dalla nostra curiosa bambina non era disabitata, e alla nostra vista, un uomo e una donna ci accolsero. “Non siete come loro, vero?” chiese la donna, incerta riguardo alla nostra identità. “No, non siamo Ladri.” Rispose Stefan, convinto e sicuro. Quasi non credendo alle sue parole, questa guardò negli occhi Soren, che annuendo, l’aiuto a fidarsi. “Non mente. Dice il vero.” Ci difese, con la mano sul cuore in segno di rispetto. Solo allora, l’uomo prese a parlare. “Io sono Caleb, lei è mia moglie, Carla. Perdonateci, non lo sapevamo.” Disse, presentandosi e facendo le veci della donna amata. Alcuni secondi di silenzio invasero la stanza, e apparendo perfino più serio di prima, l’uomo guardò Stefan. “Siamo diretti ad Aveiron, e vorremmo…” provò a dire, tentando in tal modo di spiegare le nostre ragioni. “Siete liberi di restare, tutti quanti.” Proruppe, interrompendolo e tacendo solo dopo la fine di quella frase. “Grazie.” Rispose in coro lui e Soren, parlando all’unisono come gemelli. Rinfrancata dalla piega presa dalla situazione, sorrisi leggermente, ma la mia felicità si trasformò presto in puro terrore. Un’ennesima fitta di dolore alla stomaco mi colpì con forza incredibile, e barcollando, per poco non caddi. “Che cos’ha?” chiese l’uomo, confuso e stranito. “È la mia bambina!” gridai in preda al dolore, scoprendomi solo dopo incapace di restare in piedi o in equilibrio. A quella vista, la donna corse in mio aiuto, e cingendomi un braccio attorno alle spalle, mi mostrò subito una stanza in cui dormire. Piccola e semplice, possedeva solo un letto, ed era grande abbastanza per una sola persona. Ad ogni modo, non c’era tempo. La mia piccola stava nascendo, e dovevamo agire. Ero spaventata, e non sapevo cosa fare, e con il terrore padrone della mia anima, non sentii altro che le mie stesse urla per un tempo che non fui in grado di definire. Sdraiata su quel piccolo letto, provai a lottare contro quel dolore, ma solo allora, compresi ogni cosa. Ricordando la nascita di Terra, feci quanto il dottor Patrick mi aveva detto quella notte. Respirai a pieni polmoni, e ritrovando la calma, lasciai che la natura facesse il suo corso. Gli attimi si susseguirono veloci, e poco prima di perdere conoscenza a causa dell’immane sforzo, la vidi. La mia bella bambina, sana e perfetta. Appena nata, così piccola e fragile da somigliare ad una bambola. Sorridendo, feci un gesto con la mano chiedendo che mi venisse posata in braccio, e nello spazio di un momento, eccola. Fragile ma bellissima, la mia nuova bambina. Avvicinandosi, Terra le afferrò una manina, e abbracciandomi, sussurrò qualcosa. “Sei stata bravissima, mamma.” Mi disse, complimentandosi per il gesto che la natura stessa mi aveva permesso di compiere. Con muta ammirazione, il signor Caleb ci guardò tutti, e un attimo prima di cadere preda del sonno, potei vedere un sorriso spuntargli in volto, e accompagnare un’affatto amara lacrima di gioia. Stefan mi era accanto, e guardandolo, lottai contro i richiami del sonno stesso solo per poco, ma prima di soccombere e arrendermi, tornai a guardare la mia bambina, pronunciando quindi una singola frase. “Benvenuta in questo mondo, piccola Rose Gardner. In quel preciso istante, avvertii la pesantezza delle mie povere palpebre, e chiudendole, provai a dormire, rinunciando a farlo unicamente per formulare un semplice pensiero. Proprio come sua sorella Terra, Rose era per me una bimba speciale, poiché nata, come l’amore mio e di suo padre, fra mille pericoli e avversità, compreso un lungo e difficile viaggio verso l’ormai conosciuta e famosa Casa.

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Capitolo 23
*** Antiche armi e celato dolore ***


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Capitolo XXIII

Antiche armi e celato dolore

“Buona fortuna.” Questa l’unica frase che Caleb e Carla, nostri attempati amici, hanno voluto rivolgerci poco prima di vederci andar via dalla loro casa, che aveva funto per noi da rifugio in quella così movimentata notte. “Prima di andare, c’è qualcosa che vogliamo dirvi.” Disse Stefan, guardandoli entrambi negli occhi con aria seria. Appena un attimo dopo, si voltò a guardare me, lasciandomi intuire che era ormai arrivato il mio turno di parlare. “Grazie.” Ebbi a malapena il coraggio di dire, soffiando quella semplice ma importante parola con dolcezza. “Se non fosse stato per voi, nostra figlia Rose non sarebbe qui.” Aggiunsi poco dopo, con la voce tremante e corrotta dall’emozione. “Non ringraziateci, vederla nascere è stato bellissimo, quasi come assistere ad un miracolo.” Questa volta fu solo Caleb a parlare, guardando alternativamente me e la bambina, che appena nata e avvolta in una soffice coperta regalataci da sua moglie, teneva gli occhi chiusi, e respirava lentamente. “Abbiate cura di voi, e buona fortuna.” Rispose Carla, dando manforte al marito e posandomi per un singolo istante una mano sulla spalla. “Lo faremo.” Dissi poi, avendo cura di rassicurarli entrambi. In quel preciso istante, afferrai la mano di Stefan, e voltandomi, uscii assieme a lui da quella casa. Silenziosi e tranquilli, Soren e Terra continuavano a seguirci, ma camminando, mi accorsi di sbagliarmi. Non era vero. Per quanto potesse sembrar calmo, Soren non lo era. Poteva apparire assurdo, ma fin troppi indizi tradivano il suo vero stato d’animo. La postura rigida, lo sguardo quasi assente, e il desiderio di continuare a camminare nonostante un dolore al fianco di cui si lamentava già da tempo. Chiari segni di nervosismo, e durante questo così importante viaggio, un silenzio che nessuno di noi osava rompere. Fra un passo e l’altro, posavo gli occhi su Terra. Ancora piccola e fragile, stringeva il suo orsetto di pezza, e mentre gli occhi le brillavano, venendo pervasi da una luce che mai avevo visto prima, appariva determinata. “Andiamo, non possiamo fermarci.” Diceva, sempre più decisa e sicura di sé stessa. Correndo proprio di fronte a noi, si era messa in testa alla marcia, e benché avesse ripreso a camminare, faticavo a starle dietro. “Vuoi che la tenga io?” mi chiese Stefan, riferendosi ovviamente alla piccola Rose, che vagendo, parve svegliarsi dal sonno in cui era caduta. “No, no, va bene così.” Risposi, stringendola dolcemente a me e fissando lo sguardo sui suoi occhi. Due iridi castane e uguali a quelle del padre, e in quel momento, una sorta di piccolo sorriso. Era venuta al mondo da poco, e di certo non poteva parlare, ma c’era una frase che ricordavo alla perfezione, e che lei, con quel suo dolce sguardo unito a quel bel sorriso, stava sicuramente tentando di pronunciare. “Andrà tutto bene.” Una frase che avevo sentito pronunciare ormai migliaia, forse milioni di volte, e in cui credevo fermamente. Forse era sciocco, forse persino infantile, ma no, non volevo né potevo arrendermi. I minuti scorrevano, e incredibilmente, il nostro viaggio sembrava non aver fine. Muovendoci con discrezione e prudenza, cercavamo di non dare nell’occhio e non farci notare. Il piano stava funzionando, e d’improvviso, eccola. La Casa della Leader. Il nostro obiettivo, la nostra meta, l’ancora di salvezza a cui tutti ci eravamo ormai aggrappati. Con occhi colmi di gioia e stupore, ci fermammo ad ammirarla per alcuni preziosi ma sporadici secondi, allo scadere dei quali, mi feci coraggio e provai ad entrare. Bussai, ma non ottenni risposta, e solo allora, feci un secondo tentativo. Su muto consiglio di Stefan, spinsi leggermente la porta, che cigolando, si aprì lentamente. Tutto sembrava andar bene, ma prima che qualcuno di noi potesse accorgersene, tre uomini ci bloccarono la strada. “Fermi! Cosa credete di fare?” ci chiese uno, mostrando con fierezza la spada e lo scudo che non si curava di nascondere. “Siamo qui per la Leader.” Dissi semplicemente, in tono serio e perentorio, capace di chiudere all’istante ogni tipo di discussione. “La Signora non accetta visite.” Rispose il secondo dei suoi scagnozzi, guardandoci con aria di sfida. Sentendo una giusta rabbia crescermi dentro, non abbassai la guardia, e solo allora una voce ci distrasse. “Lasciateli passare!” gridò, con la fermezza che pareva essere solita caratterizzarla. Alzando lo sguardo, scoprii a chi apparteneva. Era lei, Lady Fatima. Da molti conosciuta semplicemente come Leader, capace di gesti apparentemente crudeli, ma pur sempre dettati da una volontà di ferro, avente origine dalla sua posizione. A quelle parole, gli uomini non risposero, ma voltandosi a guardarla, si mostrarono interdetti. “Lasciateli andare, subito.” Fu la sua semplice risposta, chiara e forte come mai prima. Obbedendo a quegli ordini, ci liberarono, e avvicinandomi, ebbi finalmente modo di parlarle. “Siamo qui per chiederle aiuto.” Dissi, lasciando ancora una volta che la mia voce si spezzasse come un’ormai consunta corda. “Ero certa del vostro arrivo qui, Rain. Ora vi prego, seguitemi.” Ci disse, guidandoci sapientemente in quel luogo che da tempo immemore non visitavo. Grande e accogliente, era dotato di un certo fascino, capace di farlo assomigliare ad un regale castello. Camminando, la seguivamo tutti senza proferir parola, e poco dopo, giungemmo in una stanza nascosta e mai vista prima. “Questa, miei cari, è l’Antica Armeria. Qui sono custodite le difese dell’intero regno. Molti soldati hanno tentato e fallito, ma io mi fido di voi. Scegliete con cura e usatele al meglio.” Continuò, concludendo quel discorso con aria convinta. Allontanandosi leggermente da noi, ci mostrò dove queste venivano conservate, e mentre sia Soren che Stefan scelsero una spada e uno scudo in ferro, io ripiegai su una semplice daga, simile a quella regalatami da mia madre tempo prima. In quel preciso istante, il mio sguardo si posò sulla Leader, che quasi tentando di sfuggirmi, guardò altrove. La conoscevo bene, ed ero sicura che qualcosa la stesse turbando. In fin dei conti, i suoi occhi apparivano dolenti, e per tutto quel tempo, la sua voce non aveva fatto altro che tremare. Aveva tentato di mascherare il dolore, ma proprio come i valorosi soldati di cui parlava, non era riuscita in tale impresa. Decisa a scoprire cosa la tormentasse, nascosi la mia daga, e a passi lenti, mi avvicinai. “Potete parlarmi, lo sapete bene.” Esordii, fissando lo sguardo e l’attenzione sulle sue iridi verdi. “Adesso ascoltami, Rain. Dovete farmi tutti una promessa.” Rispose, voltandosi così da poter essere guardata meglio. “Dovete andare, combattere e farvi valere, perché…” ancora una volta, la voce le tremava, e inconsciamente, aveva chiuso gli occhi nel tentativo di non piangere. Andando alla ricerca di risposte, provai a parlare, ma avvertendo la presenza di un nodo in gola, rinunciai. “Perché non posso farcela. Non posso sopportare un’altra sconfitta, né un altro sopruso di quel calibro!” gridò, stringendo i pugni e lasciando inavvertitamente cadere qualcosa in terra. Incuriosita, fissai per un attimo il pavimento. Un piccolo monile vi giaceva, brillando intensamente. “Cosa… Cosa vi hanno fatto?” chiesi, raccogliendo nel farlo tutte le mie forze e il mio coraggio. “Non riesco neanche a dirlo. È un’offesa troppo grave per essere raccontata.” Rispose, non riuscendo stavolta a evitare la fuga di alcune lacrime dai suoi occhi. “Si faccia forza.” La pregò Stefan, sperando di infonderle quella che ora le mancava. “È successo tutto in fretta. Sono venuti qui e hanno preso Rachel. Ho cercato di impedirlo, ma era troppo tardi. Ora è con Loro, e non la rivedrò mai più.” Confessò, versando amare lacrime e chinando il capo in segno di vergogna. Recuperando poi da terra quel piccolo gioiello, me lo mostrò. “Questo è ciò che ora mi resta di lei. Pendeva dalla sua collana, e l’ha perso mentre tentava di raggiungermi. Vi prego, salvatela!” in quella storia, una verità colma di dolore, e nelle sue ultime parole, una preghiera. Avvicinandosi, non chiese che un abbraccio, e rimanendo immobile, la lasciai fare. Era una Leader, il suo potere rasentava quello di un monarca, ma ora era troppo debole. Non riusciva ad agire, e noi avremmo dovuto aiutarla. “Torneremo, e Rachel sarà con noi. Promesso.” Disse Stefan, posando di nuovo il suo sguardo su di lei. Mantenendo il silenzio, si limitò ad annuire, e poco prima che mi voltassi, una frase abbandonò le sue labbra. “Prima che andiate, lasciatemi la bambina. Sarà al sicuro con me.” Una richiesta che ascoltai in religioso silenzio, e alla quale stentavo a credere. Rose era appena nata, e dopo quanto era accaduto, ora mi trovavo costretta a lasciarla. A quelle parole, perfino Terra provò a reagire, ma stringendole la mano, la fermai. In fondo, sapevo bene che sarebbe stato inutile. Attonita, non seppi come agire, e improvvisamente, una voce nella mia testa mi spinse a ragionare. Il mio istinto materno aveva iniziato a parlarmi, e guardando per un ultima volta la mia piccola, la strinsi baciandole una guancia, e subito dopo, mi staccai da lei. La lasciai quindi  fra le braccia di Lady Fatima, e allontanandomi assieme a Terra, Soren e Stefan, piansi in silenzio pensando al mio futuro, ora diviso fra antiche armi e celato dolore.

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Capitolo 24
*** Onorare una promessa ***


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Capitolo XXIV

Onorare una promessa

Rieccoci. Ancora lì, per le strade di Aveiron, a camminare e sperare di raggiungere il nostro obiettivo, ovvero il covo dei Ladri. Fa di nuovo freddo, il sole sta calando, e non abbiamo idea di dove sia. Lady Fatima ha tentato di aiutarci, ma purtroppo senza successo. Con le lacrime agli occhi, ci ha semplicemente consegnato delle armi e implorato di combattere al fine di salvare Rachel e Samira, ma mentre il tempo scorre, e la strada scivola via, ci sembra di camminare metaforicamente in cerchio. Difatti, il grande dolore e l’estrema povertà hanno reso le strade del regno indistinguibili le une dalle altre, e camminando, non abbiamo intenzione di arrenderci. Siamo tutti nervosi, ed io più di tutti. Come se questo non bastasse, la tristezza mi dilania. So bene che la mia piccola Rose è al sicuro con la Leader, ma nonostante tutto, non riesco a togliermi il suo pensiero dalla mente. In fin dei conti, è la mia bambina, ed essendo appena nata, non può certamente sopravvivere a questo scempio. “Mi prenderò cura io di lei, sta tranquilla.” Mi ha rassicurato la stessa Leader, poco prima che tutti partissimo lasciando il suo castello. Muta come un pesce, non ho fatto altro che annuire e abbracciare la mia piccola un ultima volta, sentendo in risposta un suo dolce vagito. Ora come ora, siamo stanchi, e il suono dei nostri passi, quasi ritmici e sincronizzati, e l’unico udibile. Terra mi cammina accanto, e guardandola, noto qualcosa. Stringe ancora il suo orsetto di pezza, e proprio come ieri, appare sempre più determinata. Ha quattro anni, e sono certa che abbia una gran paura, ma non piange, né si lamenta. Tutto sembra andar bene, e improvvisamente, eccola. Pronunciata proprio dalla mia piccola Terra, la domanda che non volevo sentire, e alla quale speravo di non dover rispondere. “Ned dice che vinceremo, ma ne sei sicura?” mi chiese, guardando dapprima il suo orsacchiotto, poi me. “Ha ragione, sai?” risposi, ponendole a mia volta una domanda. “Quindi ce la faremo?” continuò, quasi a volersi sincerare della realtà in cui l’innocenza riusciva a trasportarla. “Sì, e ne usciremo tutti.” Dissi poi, sentendo un’improvvisa sensazione di calore invadermi il petto. Ero tesa, e sentivo di voler piangere, ma non desiderando darle un dispiacere, glielo dissi. In quelle poche parole, una verità che forse non si sarebbe rivelata tale. Forse le stavo mentendo, o forse no, ma nessuno poteva saperlo né dirlo con certezza. Date le mie convinzioni religiose, ero ormai abituata a giungere le mani e pregare ogni notte, nella forse vana speranza di svegliarmi, assieme a mio marito e alle mie bambine, in un mondo nuovo, diverso e migliore, pieno delle luci e dei colori che la mia Terra sognava. La sera scese poi lenta, e con il suo arrivo, tornammo tutti a casa del nostro amico Caleb, che apparendo felice di rivederci, ci permise di restare per la notte. Con migliaia di pensieri in mente, non dormii, limitandomi a fissare le stelle e pregare concentrandomi sulla mia nuova missione. Assieme a Stefan e Soren, avrei dovuto impegnarmi per ritrovare e salvare sia Rachel che Samira, e l’avrei certamente fatto, senza perdere un briciolo di tempo né sprecare un grammo delle mie energie. Ad ogni modo, mi addormentai sfinita, e nel farlo, andai inconsciamente alla ricerca della mano del mio amato. La trovai nascosta sotto ad una coperta, e appena un attimo dopo, gliela strinsi. Dato il suo silenzio, lo credetti addormentato, ma vedendolo imitarmi, mi sentii sicura. In quella così buia notte, governata dal silenzio e punteggiata di stella, imparai qualcosa di importante. Agli occhi di chi non ci conosceva, apparivamo come poveri malcapitati, prede di questo mondo tanto crudele e incapace di perdonare gli errori, ma a loro insaputa, non era così. Iniziando da me, e terminando con Lady Fatima, ognuno di noi agiva al solo scopo di onorare una solenne promessa.

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Capitolo 25
*** Grande e ardua impresa ***


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Capitolo XXV

Grande e ardua impresa

Il mattino spuntava ancora, e con il freddo, ci svegliavamo. Era appena l’alba, e nessuno di noi era riuscito a passare una notte tranquilla. “Forza, è ora di andare.” Mi disse Stefan, già in piedi proprio di fronte a me. Muta come un pesce, mi limitai ad annuire, e alzandomi a mia volta, diedi inizio alla mia giornata. Caleb e Carla ci avevano permesso di passare una notte da loro, ragion per cui era ormai arrivato il momento di levare il disturbo. “Buona fortuna. Ne avrete bisogno.” Ci dissero entrambi, poco prima di lasciarci andare e augurandosi al contempo di rivederci. Sempre in silenzio, guardai Carla. Gli occhi sembravano dolerle, e il pianto minacciava di rovinarli. “Ci rivedremo presto, te lo prometto.” Le dissi, posandole una mano sulla spalla. Un modo come un altro di infonderle fiducia, e una promessa che come tante altre avrei tentato di mantenere. Il tempo continuò quindi a scorrere, e una volta in strada, iniziammo a camminare. Gli uni di fianco agli altri, concentrati e nervosi, non fiatavamo. Il dolore e la sofferenza provata occupavano i cuori di ognuno, e mentre il nostro viaggio continuava, la strada appariva vuota e deserta, tanto da sembrar priva di una fine. Ai nostri occhi, tutto appariva arido e desolato, ma nonostante tutto ciò che vedevamo, sapendo fin troppo bene che la nostra vista non veniva ingannata, tali visioni non ci sfioravano neppure. Sembrava incredibile, ma alcuni di noi si erano abituati, o addirittura, come nel caso di Soren, arresi. Con lo sguardo letteralmente perso nel vuoto, camminava, ma mantenendo un silenzio che potei unicamente definire lugubre non parlava. Preoccupata, lo guardai per un attimo, ma per tutta risposta mi ignorò. Alcuni secondi scomparvero poi dalle nostre rispettive vite, e chiudendo gli occhi, smise di muoversi. “Basta.” Disse semplicemente, in tono mesto e pesantemente corrotto da quella che interpretava come una sconfitta. “Soren, no. Ci siamo quasi, fidati di noi.” Lo incalzai, tornando a guardarlo e regalandogli un sorriso. “Io mi fido, Rain, ma a che scopo? Sono passati due giorni, e Samira potrebbe essere già morta! Rispose, non potendo evitare la fuga di alcune lacrime, che sgorgando, gli rigarono il viso senza alcun ritegno. “Non è vero. Non dire certe cose. Lei è viva, dentro e fuori dal tuo cuore.” Stavolta fu Terra a parlare, sempre stringendo il suo tanto amato pupazzetto e tenendo l’unica mano libera stretta a pugno. “Guardala, è così dolce.” Osservò lui, sorridendo leggermente. “Non è dolce, è realista, e ha ragione.” Continuai, fissandolo stavolta con aria più seria. Spostando il suo sguardo su di lui, Stefan gli tese una mano, e il nostro amico l’afferrò saldamente, quasi come se fosse stata un’ancora di salvezza. “D’accordo.” Dichiarò poi, apparendo molto più fiducioso. “Così si fa.” Pensai, vedendolo finalmente reagire nonostante una difficoltà di questo calibro, tanto grande e difficile da superare. Eravamo tutti stanchi, e la luce in cielo stava svanendo, ma non ci importava. Finalmente, il nostro più fragile compagno aveva ritrovato l’arma più potente di tutte. Non la mia daga, non il suo scudo, né certamente la sua spada, ma bensì il coraggio e la fiducia in noi e in se stesso, che questo così crudele mondo continuava imperterrito a minare e far vacillare. Tutti uniti, eravamo pronti a sostenerci a vicenda, e certi di riuscire in quella che si prospettava come una grande ma ardua impresa. Intanto, il tempo scorreva, e fra un passo e l’altro, da brava madre tenevo sempre gli occhi su Terra. Ormai vicina a compiere cinque anni, era ancora piccola, ma incredibilmente coraggiosa e pronta ad affrontare tutto e tutti. Come se questo non bastasse, era anche molto minuta, e tutto ciò non faceva che renderla adorabile. In altre parole, poteva benissimo somigliare ad una graziosa gattina, sempre in guardia e costantemente capace di tirar fuori gli artigli. Questa la descrizione che facevo sempre di mia figlia, nata in un mondo crudele, e a cui il perdono era sconosciuto, ma in cui aveva ormai imparato a vivere, sfruttando, assieme alla sua innata dolcezza, delle qualità da guerriera in erba.

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Capitolo 26
*** Speme e sangue ***


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Capitolo XXVI

Speme e sangue

Dopo un ennesimo e intenso giorno di cammino, ancora niente. La strada di fronte a noi non era cambiata di una virgola. Rimasta uguale, deserta e priva di vita. I minuti scorrevano, ed io mi sentivo progressivamente svuotata della mia vitalità. Sapevo bene di non poter mollare, e dando retta ad una voce che echeggiava nella mia testa, non demorsi. Un freddo vento spirava, raggiungendo le nostre ossa e ferendoci gli occhi, ma noi, stoici e forti come sempre, continuavamo. Istintivamente, afferrai la mano di Terra, e ad occhi chiusi, non smisi di camminare, e pur quasi inciampando non persi l’equilibrio. Come se tutto questo facesse parte di qualche oscura maledizione, lanciata su di noi da forze maligne e sconosciute, un’umida coltre di nebbia rese il nostro compito ancora più difficile. A testa bassa, tentavo di mantenere la concentrazione, e improvvisamente, un ricordo mi balenò in mente. Fermandomi, mi tolsi lo zaino dalle spalle, e dove aver frugato al suo interno, ne estrassi la mia fida torcia elettrica. La nebbia non sembrava voler svanire, ragion per cui, quello era il nostro unico modo di muoverci in sicurezza. Tutti vicini, ci sostenevamo infondendoci coraggio, e spaventata, Terra mi stringeva la mano. Aveva paura, ed era così infreddolita da non riuscire quasi a muoversi. In un disperato tentativo di aiutarla, passai la torcia a Stefan, e con entrambe le mani libere, la presi in braccio. Il vento continuava a soffiare, e spostarsi diveniva sempre più arduo, ma per pura fortuna, proprio quando credetti davvero di essermi persa nel vento e nella nebbia, ricordai qualcos’altro. La mappa. Regalatami dai miei genitori, poteva certamente rivelarsi uno strumento utile se in mani esperte. Tempo addietro, Basil mi aveva insegnato come leggerla e decifrarla, e con l’aiuto di alcune penne, aveva evidenziato quelli che definiva punti di interesse. Srotolandola, guardai la legenda, concentrandomi quindi sul significato dei colori. Il verde indicava i luoghi sicuri, e il rosso il nostro obiettivo più importante, ovvero il covo dei Ladri. Gli agenti atmosferici sembravano essere contro di noi, ma io ero fiduciosa, e sicura che ce la stessimo facendo. Stando alla mappa, eravamo vicini, e il nostro viaggio si sarebbe presto concluso. Affrettando il passo, iniziai a correre, e non notando la presenza di uno stupido sasso, vi inciampai cadendo rovinosamente. Mi ritrovai quindi con il viso in terra, e solo tentando di rialzarmi, lo vidi. Sangue. Mi ero ferita, e le mani mi sanguinavano. Come se questo non fosse abbastanza, facevo anche fatica a camminare. A quanto sembrava, un ramo appuntito mi aveva graffiato una gamba, e la ferita bruciava. Preoccupata, Terra mi chiamò, e così anche Stefan, che alla mia vista, corse in mio aiuto. Soltanto grazie a lui, riuscii a rimettermi in piedi, e fatti pochi passi, vidi ciò che da giorni aspettavo di vedere. Incredula, mi stropicciai gli occhi, ma una sorta di punto di riferimento, rappresentato da alcune macchie di sangue in strada, unite a dei brandelli di stoffa, mi permise di collegare in fretta ognuno degli indizi che avevo precedentemente ricevuto. Andando alla ricerca di risposte, guardai anche la mappa, poi la mia bussola, che indicava, fortunatamente, il nord. In altri termini, la direzione era giusta, ed eravamo arrivati. Di fronte a noi non c’era che il covo dei Ladri. Fermandoci di colpo, ci guardammo a turno negli occhi, e sfuggendo ai nostri sguardi, Soren parve crollare. “Andrò io.” Disse, sguainando la spada e dirigendosi verso il portone di legno, che, duro e possente, era chiuso da una sorta di grosso lucchetto. Quest’ultimo sembrava necessitare di una chiave, ma in sua assenza, avremmo dovuto pensare e trovare una diversa soluzione. D’improvviso, un colpo di genio. La mia daga. Semplice. Avrei potuto usarla per spezzare la catena e forzare quel lucchetto, ma avrei ovviamente avuto bisogno di aiuto. “Aspetta.” Gli intimai, afferrandogli un braccio e parlando a bassa voce. “Andremo insieme, al tre.” Disse Stefan, per poi regalargli un sorriso. Sempre a bassa voce, contai. “Uno. Due. Tre.” Riuscendo a udirmi perfettamente, Soren scattò come una molla, colpendo il catenaccio metallico con forza inaudita. Appena un attimo dopo, fu il turno di Stefan, poi il mio. Uniti, riuscimmo ad aprirci un varco, e una volta dentro, calò il silenzio. Camminavamo piano, a passo felpato, e tutto per non essere sentiti. In fin dei conti, non potevamo certo lasciarci scoprire, non ora che eravamo arrivati così lontano. Incredibilmente, quel luogo mi appariva familiare. La memoria non mi era d’ausilio, ma ero certa di stare vivendo per la seconda volta la stessa e identica situazione di anni prima. Guidata dall’istinto, mi muovevo agile e sinuosa, ma per nostra nera sfortuna, il suono di un passo troppo pesante tradì la nostra presenza. “Intrusi!” gridò una voce, appartenuta ad un uomo proprio di fronte a noi. Correndo, si avvicinò, e stringendomi i polsi, mi impedì qualsiasi movimento. Nel tentativo di liberarmi, lottai con tutte le mie forze, e nell’impeto del momento, la daga che ancora stringevo andò a conficcarsi nello stomaco di quell’individuo. Spaventata come mai prima, mia figlia tremava, e piangendo, non faceva che chiamarmi. “Mamma!” gridò in preda al terrore, mentre questo continuava a controllarla. Istintivamente, la guardai, e nascondendo la mia arma, tornai al suo fianco solo per abbracciarla. “ Tranquilla amore, Sto bene. Ora ascoltami. Qualunque cosa accada, niente paura, e soprattutto, non gridare.” Le dissi, in tono serio e perentorio, lo stesso che usavo ogni volta che la coglievo nell’atto di combinare qualche guaio. Impietrita, la bimba non proferì parola, e guardandomi negli occhi, si limitò ad annuire. Volendo unicamente rassicurarla, le sorrisi. Subito dopo, il mio sguardo tornò a posarsi su quel manigoldo. Non lo conoscevo, e per me non aveva un nome, ma di certo un ruolo preciso. Informarci. “Dove sono? Dove sono le prigioniere?” chiesi, vedendolo tamponarsi la ferita allo stomaco e contorcersi per il dolore. “Non… Non ne ho idea. Qui… non c’è nessuno.” Ebbe il coraggio di rispondermi, mentendo e sapendo di mentire. Parla, maledetto!” lo incalzò Soren, con voce rude e sguardo di ghiaccio. “Voi non… Non le troverete.” Queste le sue ultime parole, pronunciate poco prima di collassare e stramazzare al suolo, morto. A quella vista, Terra si avvicinò al padre, e quasi istintivamente, provai pena per lei. Il suo coraggio l’aveva aiutata ad uscire da molteplici situazioni di pericolo, ma quello spettacolo era stato troppo per lei. Con occhi dolenti, mi voltai a guardarla, e sforzandomi di ricacciare indietro le lacrime, scossi la testa, per poi guardare dritto di fronte a me. Scale. Un infinito e imprecisato numero di gradini ci separava dal piano superiore di quello sporco covo, e facendomi coraggio, le salii al fianco di Stefan e Soren, che intanto, si erano messi in testa alla nostra marcia. Nella corsa, non facevo che pensare, sentendomi con ogni passo sempre più fiduciosa. Ero unicamente concentrata sul mio scopo principale, e per tale ragione, il tempo appariva fermo. Ora come ora, la mente di ognuno conteneva due singoli pensieri. La flebile speme di farcela, e il sangue che inevitabilmente avremmo visto scorrere.

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Capitolo 27
*** Catene spezzate ***


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Capitolo XXVII

Catene spezzate

Eravamo ancora lì, in quel luogo così oscuro e tetro, impegnati a salire un numero imprecisato e quasi indefinibile numero di scalini. Seppur stanca, vi zampettavo con agilità, e non avevo alcuna intenzione di fermarmi, ben sapendo che ogni passo mi avrebbe avvicinata alla mia meta. Faticando a respirare, Terra mi arrancava accanto, ma era con me, e nonostante il suo spavento iniziale, tutto stava andando bene. Stefan le teneva la mano, ed io avevo fiducia. Quasi per istinto, guardai il pavimento, notando che quella lunghissima rampa di scale aveva ormai raggiunto la sua fine. Stanchissima, mi fermai per recuperare il fiato e le forze ormai perse, e mentre ero nell’atto di farlo, mi guardai attentamente intorno. Ci trovavamo in un lunghissimo e deserto corridoio, e il silenzio ci rendeva tutti sordi e nervosi. In preda a tale sensazione, mi convinsi che quella trafelata corsa non era servita a nulla. In quel momento, mi morsi la lingua al solo fine di evitare d’imprecare, e fu allora, che avvicinandomi ad una delle porte di quel corridoio, lo sentii. Un suono basso e soffocato, che al mio fine udito giungeva come un pianto. Rimanendo lì ferma ad ascoltare, diedi modo a mille ricordi di affollarmi la mente, e appena un attimo dopo, presi la mia decisione. Più pronta e decisa che mai, afferrai la maniglia di quella lignea e salda porta, scoprendola sfortunatamente chiusa. Data la situazione, non c’era tempo di ricorrere alle buone maniere, così scelsi di agire. Indietreggiando leggermente, avvisai anche gli altri. “State indietro, li ammonii, guardandoli con aria seria. Limitandosi ad annuire, i miei amici obbedirono, e solo allora, mi scagliai contro quella porta, riuscendo finalmente ad aprirla e arrivando quasi a sfondarla. Il mio gruppo riprese a seguirmi, e insieme varcammo quella soglia, scoprendo, in quella piccola e sporca stanza, illuminata solo da una polverosa lampadina occupata a oscillare proprio sopra le nostre teste, la presenza di tre ragazze. Tremavano di freddo, o forse di paura, ma a giudicare dall’espressione dipinta sui loro volti, avevano un disperato bisogno di aiuto. Camminando lentamente, Stefan si avvicinò a loro con le mani in alto, quasi a voler far loro capire di non essere pericoloso. Unendomi a lui, mossi qualche passo nella loro direzione, e fu allora che le rividi. Proprio lì, in quella stanza, rannicchiate e impaurite, c’erano Rachel e Samira. I loro vestiti ridotti a degli stracci, e i loro poveri corpi tremavano, ma le avevo riconosciute, e tentando di infondere in loro anche una sola stilla di sicurezza, sorrisi. Per pura sfortuna, il mio espediente parve non funzionare, poiché la stessa Samira si ritrasse. “Stammi lontano! Chi mi assicura che tu non sia come loro?” gridò, spaventata come una povera bestia cosciente del suo destino di preda. In quel momento, mi sentii mancare. Mi era incredibile, eppure la mia migliore amica non sapeva chi fossi. “Samira, cosa ti hanno fatto?” le chiesi fra le lacrime, che in quel frangente non tentai neanche di nascondere. “Come… come sai il mio nome?” azzardò lei, confusa e stranita. “Non ricordi? Noi due siamo amiche.” Risposi continuando a piangere ma riuscendo stavolta a ritrovare la mia compostezza. “Tu sei pazza! Io non ti credo, e non ti conosco! Fu la sua risposta, che raggiunse le mie orecchie ferendole gravemente. La stessa sorte toccò poi alla mia anima, che in quei momenti, parve andare in pezzi frantumandosi come vetro. Soffrendo in silenzio, piansi di fronte a lei, e tentando di aiutarla a rimettere insieme i suoi ora offuscati ricordi, frugai per alcuni attimi nella tasca della giacca che portavo, estraendone due oggetti che conservavo da lungo tempo. Ero certa che per lei avessero un significato profondo, e speravo ardentemente che vederli l’aiutasse a ricordare. “Dici di non conoscermi, ma se fosse così, come farei ad avere questi?” le dissi, rivolgendole tale domanda e mostrandole quei due oggetti, ovvero la stoffa del suo vestito e il bracciale che aveva perso in un giorno tanto nefasto quanto speciale. Muovendo la mano, glieli porsi, ed esaminandoli con la punta delle dita, quasi come se fosse cieca, lei li guardò a lungo, e solo allora, accadde il miracolo. Anche se a fatica, la mia amica si rialzò da terra, e camminandomi incontro, mi abbracciò forte. Nel farlo, mi chiamò per nome, e vedendola scoppiare in lacrime, la confortai. “Mi sei mancata.” Disse poi, ancora abbracciata a me e con il volto rigato di lacrime. “Anche tu, e non solo a me.” Risposi, scivolando poi nel silenzio e vedendola iniziare a brancolare nel buio dei suoi stessi dubbi. “Aspetta, cosa vuol dire?” chiese, apparendo ai miei occhi ancor più confusa di prima. “Lascerò che sia qualcun altro a spiegartelo. Dissi semplicemente, indietreggiando e facendo segno ad una persona ben più importante di avanzare. In quel preciso istante, i loro sguardi si incrociarono, e lei, ormai preda della gioia più grande e pura, chiamò il suo nome. “Soren!” gridò, gettandosi fra le sue braccia e considerandole come sempre un porto sicuro. Mantenendo il silenzio, lui la baciò, e accarezzandole i capelli, lasciò che si sfogasse. Non sapevamo cosa le fosse successo, né cosa avesse passato in tutto quel tempo, ma soltanto guardandola, notai i segni sulle sue guance, solchi lasciatile da troppo dolore e troppe lacrime versate. Aveva sofferto, ma ora era felice, e la luce nei suoi occhi ne era testimone. Silenziosa, la osservai sorridere in compagnia del suo amato Soren, e solo allora, la felicità ebbe la meglio su di me. Sorrisi leggermente, e volgendo poi il mio sguardo altrove, andai alla ricerca di Rachel. La scoprii seduta sul lercio pavimento della stanza, chiusa a riccio e quasi incapace di muoversi. Avvicinandomi con lentezza, la sentii pronunciare frasi sconnesse, e apparentemente prive di senso. “Rachel?” la chiamai, dubbiosa. Rispondendo a quella sorta di richiamo, mi guardò negli occhi, ma non disse una parola. “Sono io, Rain.” Le dissi, sperando segretamente che riuscisse a riconoscermi. Sfortunatamente, il suo mutismo si protrasse, venendo spezzato da una singola frase. “Non posso muovermi. Nessuna di noi può muoversi.” Sempre uguale, veniva pronunciata come un vedico mantra, e abbassandomi al suo livello, la guardai ancora. “Che stai dicendo?” le chiesi, scuotendola leggermente e avendo la ferma e precisa intenzione di liberarla da quella sorta di orribile trance. “La verità. Non possiamo muoverci, perché noi apparteniamo a Loro.” Rispose, con una calma e una serenità incredibili. “Cosa? Rachel, questo non è vero!” finii per gridare, alterandomi di colpo e sentendo la gola dolere a causa dello sforzo. “Sì che è vero. Noi apparteniamo a Loro, giusto?” ripetè, concludendo quella frase con una domanda e voltandosi verso la ragazza immobile al suo fianco. Muta come un pesce, questa non proferì parola, ma voltandosi, si limitò ad annuire, apparendo anche lei persa in quella sorta di ipnosi. Anche stavolta, ero attonita. Nulla di tutto questo mi appariva possibile, eppure era così. Quei maledetti l’avevano rapita e sottratta a colei che l’amava, e dopo averla imprigionata, l’avevano ridotta in quello stato. Un involucro vuoto, privo di ragione, di sentimenti o perfino di un’anima. Era orribile, ma ora lei non era che questo. “Rachel, ti prego, devi svegliarti. Ascoltami, tu non sei così, e non appartieni a Loro!” le dissi, urlando disperata e posandole entrambe le mani sulle spalle. Immobile e muta, non fece che guardarmi, e il suo stato, pietoso e catatonico, non mutò di una virgola. Notando i miei sforzi e la mia sofferenza, Stefan decise di aiutarmi, e facendo il suo ingresso sulla scena, mise in pratica lo stesso espediente utilizzato con Samira. Estraendolo dal mio zaino, prese in mano ciò che rimaneva della sua collana, e avvicinandosi, si accovacciò, e con estrema calma, glielo porse. “Cos’è questo? Te lo ricordi?” le chiese, facendo di nuovo appello a quanto appreso rubando il mestiere del padre con gli occhi. Stringendo il pugno, Rachel chiuse gli occhi, e rimase in silenzio. Per tutti noi, l’attesa fu snervante, ma finalmente, dopo un tempo che ci apparve infinito e indefinibile, lei aprì la bocca, e anche se titubando, si decise a parlare. “Lady… Lady Fatima.” Biascicò, riuscendo in quell’istante a ricordare i momenti precedenti al suo ignobile rapimento. Quasi istintivamente, le tesi una mano, e aiutandola a rialzarsi, decisi di parlarle. “Vieni, puoi tornare da lei ora.” Le dissi, offrendole in quel modo una possibilità di fuggire da quell’orrore e tornare a ricongiungersi con chi davvero l’amava. Seppur con riluttanza, lei accettò l’offerta, e nel momento in cui le nostre dita s’intrecciarono, sentii un enorme peso abbandonarmi il cuore. La nostra missione era ormai giunta al termine, e l’unica cosa ancora da fare era fuggire senza essere visti. La nostra presenza in quel luogo era malvista, ragion per cui non fu un’impresa facile, ma una volta fuori, tutti potemmo respirare profondamente, permettendo all’aria e alla speranza di riempirci l’anima e il corpo. La prigionia delle mie care amiche erano giunta al termine, le metaforiche catene ai loro polsi erano state spezzate, e grazie al nostro intervento, ora erano salve.“È fatta.” Pensai, non appena i miei piedi calpestarono il selciato.

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Capitolo 28
*** Valori sopiti ***


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Capitolo XXVIII

Valori sopiti

Un nuovo viaggio aveva per noi appena avuto inizio, e ora, tutti uniti, avevamo fiducia gli uni negli altri. In fin dei conti, avevamo affrontato mille pericoli diversi, ma nonostante tutto, avevamo continuato a muoverci al solo fine di raggiungere uno scopo comune, ovvero portare a termine la missione che ci era da ormai lungo tempo stata affidata. Camminando a testa alta, guardavo dritto di fronte a me, e il silenzio, rotto solo dal suono dei miei passi lenti e decisi, mi faceva compagnia. Dopo quanto era accaduto, Terra era scoppiata a piangere, silenziosa come sempre, ma per sua fortuna, il suo tanto amato padre era con lei, pronto ad aiutarla e riportare un sorriso sul suo dolce volto. Con una mano Stefan le accarezzò una guancia, e poco dopo, la prese in braccio. Sapevamo bene che essendo vicina al compiere cinque anni d’età, era perfettamente in grado di camminare da sola, ma lamentandosi, continuava ad affermare di essere troppo stanca. Nel tentativo di risparmiarle ulteriore fatica, Stefan la stringeva a sé, e intrecciando le mani dietro al suo collo, la piccola nascose il viso, rifiutandosi di guardarsi attorno. Era solo una bambina, e non la biasimavo, ma camminando, lasciai che un doloroso ricordo mi tornasse in mente. Da allora era quasi passato un intero anno, eppure giornalmente, maledivo me stessa per il mio gesto. Di comune accordo con suo padre, avevo deciso di rivelarle la verità sull’attuale stato del regno e sull’identità di gente del calibro dei Ladri, e mi ero perfino sentita sollevata, ma allo stesso tempo, continuavo a pentirmi di averlo fatto. Era mia figlia, e sin dal giorno in cui aveva fatto il suo ingresso in questo così crudele mondo, non avevo fatto altro che proteggerla riuscendoci alla perfezione, ma nonostante tutto questo, confesso che non avrei mai voluto vivere ciò che sto vivendo, passare ciò che sto passando, e provare ciò ora provo, né tantomeno trasferire, in un modo o nell’altro, ognuna di queste sensazioni a lei. Alla mia dolce e piccola Terra. Sono un’adulta responsabile, e lei una piccola anima candida e innocente, che per pura sfortuna, sta soffrendo. Sia Stefan che i miei amici provano sempre a confortarmi dicendomi che non è così, e pur accettando i loro sforzi, non posso fare a meno di pensare che sia colpa mia. Ogni suo broncio, ogni silenzio, ogni lacrima che versa, tutto. Forse è il dolore a parlare, ma credo davvero di aver sbagliato. In fondo, sono mortalmente certa che se non avesse mai conosciuto la nuda e cruda realtà, ora non starebbe soffrendo. Da ormai giorni, infatti, mi guarda con occhi lucidi e colmi di lacrime, ponendomi ogni volta la stessa domanda. “Ce l’abbiamo fatta?” mi chiede, lasciandomi costantemente interdetta. Mantenendo il silenzio, non le rispondo mai, ma oggi, qualcosa è cambiato. Difatti, mia figlia mi ha posto una nuova domanda, un quesito che è comunque equamente triste da risolvere. “E Rose? Dov’è? Lei ce l’ha fatta?” mi ha chiesto, con lo sguardo fisso su di me e il cuore gonfio di speranza. “Terra… lei…” non ho potuto fare a meno di biascicare, stroncando volontariamente quella frase sul nascere. “Lei è al sicuro.” Ha poi risposto Stefan, intervendo e cingendomi un braccio intorno alle spalle al solo scopo di confortarmi. Confusa, la bambina ci ha guardati, e con la voce corrotta da un pianto che desideravo soltanto di liberare, parlai. “Ha ragione papà, e ora noi andremo a prenderla.” Dissi, singhiozzando e lottando per ricacciare indietro le lacrime. In quel momento, guardai negli occhi Stefan, e ammirando il suo seppur debole sorriso, mi sentii investita da una nuova e pura energia. “Ce la faremo.” Sembrava dire, pur tacendo e non proferendo parola. Quasi istintivamente, lo presi per mano, e camminando lentamente, guardai Soren e Samira. Silenziosi quanto noi, fissavano il terreno, non accennando a smettere di muoversi. La fortuna volle che ci ritrovassimo proprio davanti a casa di Caleb e Carla, e che solo dopo averci sentito bussare, loro ci offrissero di nuovo ospitalità. Ringraziandoli, noi tutti entrammo in casa, e una volta rimasti soli nell’ampio salotto, non facemmo altro che respirare, tentando di scaldarci davanti al fuoco acceso. Stanca com’era, Terra finì per addormentarsi sul divano, e improvvisamente, nella calma generale, la voce di Samira si sentì forte e chiara. “Ragazzi, io… io devo parlarvi. Disse, guardando fisso negli occhi ognuno di noi. A quelle parole, Soren reagì prontamente, e concentrandosi sulla sua amata, attese. “È importante, e prima di tutto voglio solo dirvi che avevate ragione. I Ladri sono persone orribili, che non esitano a far del male. Hanno agito anche su di me, e tentato di plagiarmi perché non ne parlassi.” Ascoltandola in completo silenzio, le rivolsi un semplice sguardo. “Ti capisco.” Avrei voluto dirle, pur tacendo e lasciando ai miei occhi quell’ingrato compito. “Cosa? Plagiata? Che intendi?” fu l’ovvia domanda di Soren, scioccato da quelle parole. “Sono stati violenti, selvaggi e privi di cuore.” Aggiunse Rachel, in tono serio e al contempo crudamente sincero. Dì lì a poco, il silenzio più totale. Soren la guardava, apparendo confuso e attonito. Non riusciva davvero a crederci. Intuendolo, Rachel lo guardò con aria di sfida, e la frase che pronunciò fu seguita da un gesto che ci gelò il sangue. “Se non credi a noi, credi a questo.” Disse, scoprendosi un polso e rivelando quella che identificai come una ferita ancora aperta. Non sanguinava, ma appariva profonda. Ad occhi sgranati, tremavo. Era inaudito. Due povere ragazze, nel fiore dei loro anni, marchiate come delle insulse bestie. “Rachel, credimi, ci dispiace tantissimo, dispiace a noi tutti.” Soffiai in quel preciso istante, spostando lo sguardo sulla mia amica e avvicinandomi per confortarla. “Non importa. Ora è finita, e se siamo salve è solo grazie a voi.” Rispose, guardando oltre a me e Stefan, anche la nostra bambina. “Ma Rachel, Terra non ha…” biascicai, lasciando che il mio istinto materno avesse la meglio su di me. “Ti sbagli, lei ha un ruolo in tutto questo È vero, è una bambina, ma è forte.” Continuò, più seria di prima. Sconvolta, non feci che guardarla, ricominciando inconsapevolmente a tremare. “Ricordati, Rain, lei ti vuole bene,e crede in te. Noi tutti crediamo in te. Perfino Rose.” Concluse, continuando a guardarmi fisso negli occhi e facendosi più vicina. Non muovendo un singolo muscolo, la lasciai fare, e in quel preciso istante, un abbraccio ci unì. Rinfrancata da quel gesto, respirai profondamente, e una volta sdraiata in un letto che non mi apparteneva, rinunciai a dormire, scegliendo di impiegare le lunghe ore notturne in maniera diversa, e nel buio della notte, pensare. Con il silenzio come mia unica compagnia, ripensai al discorso di Rachel. Aveva parlato di unione, del nostro gruppo, e della mia amata bambina, e fra tutte, quella era stata la parte che mi aveva colpita e toccata maggiormente. Riflettendo, compresi che aveva ragione. Come mi ostinavo a pensare e ripetere, era solo una fragile bambina, ma in fondo questo era un bene, perché proprio nei cuori dei bambini ci sono l’innocenza, la purezza, l’ingenuità e l’amore, che io stessa nella mia Aveiron non vedo più da tempo, e che ho finito, anche se a malincuore, per classificare come valori dimenticati, desueti e sopiti.

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Capitolo 29
*** Guerra fra due regni ***


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Capitolo XXIX
Guerra fra due regni
In quel cupo e gelido mattino, aprii gli occhi con lentezza, ma non fui la prima a svegliarmi. Stranamente, Rachel era già in piedi. Oltre a noi, nessun altro era sveglio. Difatti, neanche la mia piccola Terra, che tanto aveva lottato al nostro fianco fino a questo così critico punto, aveva ora la forza di alzarsi. Attorno a noi, tutto era calmo, e dopo quanto ci era accaduto, mille diverse domande turbinavano come neve nella mia coscienza. Non desideravo altro che risposte, e per ottenerle, dovetti rompere il silenzio. I quesiti senza una vera e propria soluzione erano ormai diventati troppi, ma uno in particolare mi aveva anzitempo impedito di prendere sonno, e come se questo non bastasse, anche di dormire tranquillamente. “Dicevi sul serio?” chiesi a Rachel, guardandola con fare preoccupato e apprensivo. “Non mentirei mai su una cosa del genere, Rain. Sono gente violenta, chiunque lo capirebbe.” Rispose, con la voce inacidita dalla rabbia e il cuore che le batteva forte. “Scusami.” Soffiai allora, chinando il capo come un povero coniglio spaventato. “Non devi.” Disse lei semplicemente, tacendo e guardandomi dritto negli occhi per alcuni secondi. “In fondo tu sei una delle poche fortunate, giusto?” si informò poi, scivolando ancora nel silenzio in attesa di una mia risposta. Muta come un pesce, la ascoltai senza intervenire, e solo allora, quelle parole mi colpirono. D’improvviso, un guizzo di memoria mi saltò in mente, e rimanendo perfettamente immobile per un singolo istante, ricordai. La lettera ricevuta da mia sorella Alisia mi esortava ogni giorno di avere coraggio e restare in costante compagnia di Stefan, e stando ai miei ricordi, leggerla mi aveva portata a formulare lo stesso pensiero di Rachel, ancora rigidamente inciso nelle mie membra e formato da quelle stesse e identiche parole. In fin dei conti, erano crudamente vere. Data l’attuale situazione ad Aveiron, il fatto che io fossi ancora viva era un vero e proprio miracolo, e ad essere sincera me ne rallegravo, ma nonostante tutto, ero riuscita a conservare e mantenere intatto il mio vero essere, non divenendo arida e irriconoscente come tante altre persone, che una volta salvatesi da questo scempio, si ritiravano a vivere nella più completa solitudine, ignorando pesantemente le grida d’aiuto di sopravvissuti come loro. Durante gli sporadici momenti di calma che riuscivamo ad avere, avevo raccontato la mia storia ai miei compagni diverse volte, e anche se lentamente, raccontarci l’un l’altro stralci delle nostre rispettive vite ci aiutava, ed era per così dire, terapeutico. Alcuni direbbero che pensare al passato non è che sciocco o infantile, ma per nessuno di noi è così. Io, Stefan e gli altri siamo ormai diventati un gruppo, e ci vogliamo così bene che i problemi di uno diventano automaticamente di tutti. “Sai una cosa? Io ti ammiro davvero.” Continuò la mia amica, rompendo nuovamente il silenzio creatosi fra di noi e riportandomi in tal modo alla realtà che esisteva al di fuori dei miei pensieri. “Tu… Tu cosa?” non potei fare a meno di chiederle, colpita. “Sì, Rain, io ti ammiro, sul serio. Insomma, guardati. Sei scampata alla morte, hai un marito, una famiglia che ti ama, e nonostante quest’orribile disastro, sei sempre qui, e sei ancora te stessa.” Rispose, completando quella frase con un sorriso colmo di luce e facendomi sentire incredibilmente orgogliosa di me stessa. “Rachel, io… Grazie.” Biascicai in quel momento, avvicinandomi a lei soltanto per un abbraccio. Come ogni altro che si rispetti, questo ci unì e si sciolse poco dopo, ma prima che accadesse, Rachel mi parlò ancora. “Sei davvero speciale, Rain. Unica e resiliente.” Per qualche strana ragione, quest’ultima parola mi colpì, e seppur in silenzio, sorrisi di nuovo. “Che significa?” domandò poi una piccola voce alle nostre spalle, cogliendoci entrambe di sorpresa. Voltandomi, notai che era Terra. Si era appena svegliata, e come sempre, stringeva a sè il suo amico Ned, l’orsetto di pezza dal quale non si separava mai. “Significa che la mamma è forte, piccolina.” Le disse Rachel, sorridendo e carezzandole lievemente una guancia. Un gesto davvero dolce, e molto simile a quello che le avevo visto compiere tempo prima. Allora mia figlia aveva da poco raggiunto i due anni d’età, e piangeva nella speranza che qualcuno soddisfacesse il suo bisogno d’essere cullata. Per pura fortuna, lei era lì, e l’aveva aiutata, instaurando da allora con lei un vero legame. Parlandomi, mi faceva sempre i complimenti per la sua bellezza, ma fino ad ora non aveva ammesso qualcosa che da lungo tempo riuscivo a vedere chiaramente. Le voleva bene, e benché non me lo dicesse, ne ero sicura. Di lì a poco, si svegliarono anche i nostri amici, e con loro anche i padroni di casa. “Buongiorno, ragazzi, non volete niente?” ci chiese Carla, occupata ai fornelli. “Non preoccuparti, non vorremmo disturbare.” Dissi, sorridendole e rifiutando educatamente. “Nessun disturbo, tranquilla. Ora sedetevi e mangiate.” Continuò lei, decisa e premurosa. A quelle parole, mi strinsi nelle spalle, e alzandomi da quel divano, mi sedetti a tavola. Consumai il mio pasto in silenzio, e così anche gli altri, che subito dopo, ringraziarono sentitamente. Fu quindi questione di alcuni minuti, allo scadere dei quali, mi resi conto che stavamo perdendo tempo prezioso. Salutando Caleb e Carla, dissi loro che era per noi arrivata l’ora di andare. Camminando, ci allontanammo con uno scopo ben preciso, e in lontananza, sentimmo le chiare e distinte voci dei nostri amici, che sorridendo, ci auguravano ancora una volta buon viaggio. Fra un passo e l’altro, mi guardai attorno senza dire una parola, e improvvisamente, Terra si aggrappò ad un lembo della mia veste, tirandolo con leggerezza. Spostando la mia attenzione su di lei, la guardai per un attimo, e in quel momento, lei mi porse una domanda. “Andiamo da Rose?” mi chiese, dimostrando con quelle parole di essere fortemente legata alla sorellina e di volerla accanto dopo aver visto me e suo padre lasciarla fra le braccia di Lady Fatima nella speranza di evitare almeno a lei il dolore e la paura che noi tutti provavamo. Rose. La mia seconda bambina, che nonostante lo scorrere del tempo non avevo certo dimenticato. Al contrario di Terra, sempre più vicina a compiere cinque anni, ora lei ne aveva quasi uno, e ad essere sincera, mi mancava da impazzire. Proprio come Stefan, ricordavo benissimo il giorno in cui l’avevo messa al mondo, e le forti emozioni provate la prima volta che mi era stata posata in braccio. Così, con questo ricordo fisso in mente, guardai la mia piccola, e annuendo, glielo dissi. “Sì, tesoro. Andiamo a prendere Rose.” Questa la risposta che le diedi, e l’unica parola che pronunciai guardando suo padre, che annuendo a sua volta, scambiò con me un’occhiata d’intesa. Certo, il sole stava svanendo, e presto avremmo nuovamente dovuto interrompere il nostro cammino, ma non ci importava. Ora come ora, Rose era la cosa più importante a questo mondo. Lasciarla alla Casa ci aveva spezzato il cuore, ma almeno sapevamo che era sana e salva dalla guerra che infuriava ad Aveiron, e che lentamente si stava spostando anche nella più pacifica Ascantha, divenendo una vera e propria guerra fra due mondi.


Salve a tutti, miei cari lettori.Spero mi perdoniate il  mese di silenzio e assenza, ma in questo periodo l'ispirazione sembrava avermi abbandonata. Per pura fortuna ha fatto ritorno, e con lei la mia voglia di scrivere. Sperando che abbiate passato un sereno Natale, vi auguro un buon Capodanno. Un grazie ad alcuni utenti in particolare, come "la luna nera" "Karon Migarashi" "Just Bigin45 e "alessandroago_94" Un grazie speciale va anche a chi mi legge in silenzio. Al prossimo capitolo,


Emmastory :)

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Capitolo 30
*** Ultimi avvisi ***


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Capitolo XXX

Ultimi avvisi

Non volevamo che accadesse, eppure era successo di nuovo. Ormai lontani dalla casa dei nostri amici, avevamo passato la notte all’addiaccio, dormendo poco e male, poiché troppo preoccupati e tesi all’idea di essere scoperti, o peggio, catturati e uccisi. Seppur sveglia, non muovo un muscolo né dico una parola, e nel silenzio di questa così quieta notte, qualcosa si fa largo nella mia mente. Ci stiamo avvicinando alla dimora di Lady Fatima, e data la nostra stanchezza, ogni passo è per noi una tortura. Nonostante questo, resistiamo, ed io non riesco a mantenere la calma. Qualcosa, un sesto senso, il mio istinto, o forse una strana voce nella mia testa mi parla, portandomi a credere che non siamo soli, e che in queste strade stanotte c’è qualcuno. “Devo farcela, Rose ha bisogno di me.” Non faccio che ripetermi, sperando vivamente che questo pensiero scacci quello legato alla nostra presunta e affatto amichevole compagnia. Ancora una volta però, mi ritrovo davanti ad un’ardua verità. Il mio spirito è forte, ma la mia carne è debole, e proprio come chiunque altro, ho bisogno di riposare. Camminando al mio fianco, Stefan lo nota, pregandomi quindi di fermarmi, ma io non lo ascolto. Lui non lo sa, ma il pensiero della nostra piccola Rose in pericolo mi gela il sangue, ed io non posso permettere che soffra. So bene che è preoccupato per lei almeno tanto quanto me, e proprio per questo, non voglio arrendermi. Attorno a noi c’è solo il silenzio, spezzato come fragile vetro solo dal suono dei nostri passi. Lenti, decisi e a dir poco ritmici, scandiscono il nostro andare, e con il tempo diventano più veloci. Provo a sforzarmi ancora, ma l mio corpo si rifiuta. La milza mi fa improvvisamente male, e sono costretta a fermarmi. Arrestando il mio cammino, provo a respirare, riuscendoci però con enorme fatica. Preoccupati, i miei amici mi guardano, e anche se in silenzio, soffrono per me. Con loro c’è anche Terra, e mentre Stefan mi tiene la mano, la nostra bambina cammina con noi, non staccandosi neanche per un misero attimo. Proprio come me e suo padre, Rachel, la controlla, pronta a intervenire per qualsiasi evenienza. Il tempo scorre, e ben presto, mi accorgo di non essere l’unica a soffrire per le avversità di questo viaggio. D’un tratto, Samira si lamenta, e pur riuscendo a fermarsi in tempo, crolla in ginocchio. Un suo lamento di dolore ci coglie di sorpresa, e Soren reagisce, preoccupato come mai prima d’ora. “Samira!” la chiama, sperando segretamente che quanto le è appena accaduto non sia grave. È appena caduta, e non riesce a rialzarsi. Ci prova, ma ogni suo tentativo si rivela vano. “Le gambe. Mi fanno troppo male.” Ha la sola forza di dirci, con la voce spezzata da un pianto che sta sicuramente per avere inizio. “Tesoro, ti prego, alzati, andrà tutto bene. Noi ce la faremo, avanti.” Il suo amato la prega, ma lei sembra davvero non farcela. Muta e immobile, la guardo negli occhi, scorgendo nelle sue scure iridi una sofferenza immane. “Soren, mi dispiace,  ma io non… non posso. “ biascica, continuando a lamentarsi per un dolore che nessuno si spiega. “Sì che puoi. Io so che puoi, mi hai sentito? Adesso alzati e andiamo.” Le rispose lui, dopo alcuni secondi passati ad ascoltare le sue parole. Continuava a esortarla senza alcuna sosta, ma per qualche strana ragione, lei non voleva più muoversi. Forse voleva solo riposare, forse il dolore che avvertiva era troppo grande per continuare, o forse aveva davvero deciso di arrendersi. Non potevamo saperlo, e solo una cosa in quel momento era chiara come la luce della luna. Dovevamo aiutarla. Intuendo la gravità della situazione, perfino Terra provò a dare il suo tenero contributo, offrendo alla mia povera amica la rosea manina. “Non ti lasceremo qui.” Le disse, con l’ormai solita e sottile voce d’angelo che la caratterizzava. “Temo che dovrete farlo, piccina.” Queste le sue ultime parole, che pronunciò poco prima di chiudere gli occhi, lasciarsi andare e cadere a terra esanime. A quella vista, Soren esplose in un urlo liberatorio, e stringendo la mano della sua amata, provo ad aiutarla e farla rinvenire, ma purtroppo senza successo. Attoniti, guardavamo tutti il terreno dove ora la nostra amica sembrava riposare, e pur lacrimando, afferrai il braccio di Terra, costringendola così a voltarsi. Aveva fatto ciò che aveva potuto, ma per sfortuna non era bastato. Consunti dal dolore, continuavamo a guardarci a vicenda, e ciò che accade poco dopo mi lasciò senza fiato. Ancora vicino a Samira, Soren si curvò sul suo corpo ormai esanime, deponendo con coraggio e dolore, quello che a causa di un crudele scherzo di un beffardo destino, lui avvertì come un ultimo povero e disperato bacio sulle sua mano. La stessa che aveva amorevolmente stretto nel giorno del loro matrimonio, e che ora diventava via via sempre più pallida e fredda. Gli fu difficile, ma fatto ciò si rialzò, e guardandosi poi indietro, le soffiò qualcosa. “Addio, amore mio.” Tre parole che tutti ascoltammo in quella nefasta notte, e alle quali io mi rifiutai di credere. Non era possibile. Ero poco più grande di lei, ed era giovanissima, perciò non poteva essere vero. In altri termini, non poteva davvero essersene andata. Da quel momento in poi, mi rifiutai di proseguire, e rimasi con lei per alcuni lunghi minuti, guardando Stefan accogliere suo marito fra le sue braccia al solo scopo di confortarlo. Tutto sembrò quindi perduto, ma improvvisamente, un rumore in lontananza ci distrasse. Forse qualche anima ci aveva sentiti e aveva deciso di aiutarci, e a dirla tutta lo speravo davvero, poiché in cuor mio non potevo accettare la scena appena consumatasi davanti ai miei stessi occhi. Data la situazione, a cui si univano però le confortanti parole di Rachel riguardo alla mia persona, ero convinta che sarei riuscita davvero a sopportare di tutto, tranne certamente una dipartita come quella di Samira. Così ingiusta e crudele da permetterle unicamente quelli che avevamo ormai scoperto essere i suoi ultimi avvisi.




Eccomi di ritorno con questo nuovo capitolo! Spero davvero che vi sia piaciuto, così come l'intera saga fino ad ora. Prima che me ne vada, ringrazio come al solito tutti i miei sostenitori, inclusi quelli che mi leggono in assoluta pace e silenzio. Stavolta non farò nomi, ma solo perchè risulterebbe ripetitivo. Inoltre, quelle persone sanno che mi sto rivolgendo a loro in particolare, perciò non credo ce ne sia bisogno. Per ora questa parte della saga s'interrompe qui, ma niente paura, poichè ci rivedremo nel 2017. Intanto, Felice Anno Nuovo a tutti voi! Con tanto affetto,


Emmastory :)

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Capitolo 31
*** Barlume di speranza ***


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Capitolo XXXI

Barlume di speranza

Fermi, immobili e incapaci di muoverci. Eravamo ancora lì, su quella strada deserta e desolata, a disperarci per la nostra povera amica. Primo fra tutti Soren, affranto all’idea di perdere sua moglie. Stando a quanto era loro accaduto nel tempo, avevo avuto modo di capire che per la loro coppia non c’era stata che sfortuna, e non lo sopportavo. Proprio come me e Stefan, o qualunque altra coppia di innamorati esistente al mondo, ero convinta che meritassero almeno un pizzico di felicità. Poteva sembrare strano, ma era mia amica, e non volevo né potevo abbandonarla. Rimasi quindi ferma a guardarla e pensare, notando che Soren si era di nuovo accovacciato al suo fianco, e non era per nulla intenzionato, come tutti noi del resto, a lasciarla andare. Il silenzio ci rese poi quasi sordi, e in quell’istante, un rantolo. A quanto sembrava, Samira era ancora viva, e cercava di parlarci. A quella vista, Soren si voltò verso di noi, e stringendole la mano, parve rifiorire. “Ragazzi, respira! Respira!” gridò poi, facendo un gesto con la mano al solo scopo di convincerci a farci più vicini. Obbedendo a quella sorta di ordine, presi Terra per mano, e muovendo alcuni incerti passi nella sua direzione, mi avvicinai. Intanto, la mia amica rantolava, tentando in ogni modo di respirare. Incredibilmente, pronunciò una sola parola. “Soren.” Il nome del suo amato, che piangendo per la gioia, le rispose prontamente. “Sì, tesoro, sono qui. Mi vedi?” le chiese, sperando che il dolore e la stanchezza non l’avessero temporaneamente privata di quel così prezioso dono. Silenziosa, Samira provò a conservare le energie, e solo allora, annuì lentamente. A quella vista, sorrisi, e voltandomi ancora, venni di nuovo distratta da quel suono. Uno che avevo già sentito, ma che non riuscivo a identificare. Alcuni secondi passarono, e fu allora che la vidi. Incappucciata, una figura a cavallo. Indossando ancora una volta le vesti di eroe, Stefan mi si parò davanti, sguainando la spada nel tentativo di difendermi. Poco dopo, forse spaventato, quel destriero si fermò. “Chi sei?” chiese Stefan, coraggioso come sempre. “Un’amica.” Disse questa, liberandosi poi del cappuccio che le copriva il volto. Sorpreso, Stefan abbassò la sua arma, non riuscendo a credere ai suoi occhi. Il tempo continuò quindi a scorrere, e senza smontare da cavallo, la donna notò il resto del nostro gruppo. “Posso aiutare la vostra amica.” Dichiarò, guardandoci con aria seria ma al contempo amichevole. “Grazie.” Non potei fare a meno di rispondere, sentendo il mio cuore riempirsi di gioia. “Soren! Vieni, presto!” chiamai, allertando il mio amico e non desiderando altro che dargli la bella notizia. Rispondendo a quel richiamo, Soren si alzò da terra, e senza esitare, corse verso di noi. “Questa donna può aiutarci.” Gli dissi, notando il luccichio presente nei suoi occhi. Sfortunatamente, Samira non riusciva a rialzarsi, ragion per cui lui dovette farsi forza, e adagiare la sua amata sul dorso di quel baldo destriero. Di lì a poco, il nostro viaggio riprese, e dopo una veloce decisione, lasciammo che Soren viaggiasse al fianco di quella misteriosa donna, così da riuscire a restare vicino a Samira per tutta la durata del viaggio. Al contrario di loro, noi continuammo a piedi, e dopo un tempo che ci fu difficile definire, ci ritrovammo di nuovo alla dimora di Lady Fatima. In quel momento, eravamo felici. Stanchi, certo, ma anche felici. In fin dei conti, eravamo riusciti a raggiungere il nostro obiettivo, e grazie ad un caso fortuito, a cui si univa anche un vero e proprio colpo di fortuna, davanti a noi e soprattutto a Samira poteva forse finalmente splendere un barlume di speranza.

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Capitolo 32
*** Sereno avvenire ***


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Capitolo XXXII

Sereno avvenire

Erano passate solo poche ore, e nonostante il disperato tentativo di tornare alla Casa il prima possibile, al solo scopo di portare avanti la nostra nuova missione, le condizioni di Samira sembravano essere peggiorate. Non era ferita, ma le sue mani erano fredde, al contrario del suo corpo e della sua fronte, che erano invece bollenti. Come sempre, Soren passava il tempo accanto al letto in cui era fortunatamente stata adagiata, cambiandole a intervalli regolari il panno bagnato che le era stato posato sulla fronte. Non importava quante volte gli consigliassimo di riposare e darsi pace, lui era troppo preoccupato per la sua amata, e non intendeva lasciarla da sola. “Tranquillo, starà bene.” Continuavo a ripetergli, terminando ogni volta quella frase con un sorriso. “Ne sei sicura?” mi chiese, dopo ore passate in silenzio a fissare la sua tanto amata moglie sperando ch riaprisse gli occhi. “Mortalmente.” Risposi, sorridendo ancora e conservando la segreta speranza di riuscire a confortarlo. “Ha ragione.” Disse poi qualcuno alle nostre spalle, entrando in quella stanza quasi senza farsi notare. Colto alla sprovvista, Soren si voltò, guardando negli occhi la donna che ci avevo promesso e offerto aiuto. Quasi d’istinto, la guardai anch’io, notando che perfino Stefan sembrava rapito dal colore dei suoi occhi. Azzurri come il più vasto oceano, parevano averlo ipnotizzato. Guardandola, azzardai che fosse sulla cinquantina, e per tale ragione, non fui gelosa. Ad ogni modo, dovetti realmente ammettere di non poter evitare di guardare alternativamente sia lei che Stefan. “Perché continuava a fissarla? Che la conoscesse? Che gli ricordasse qualcuno?” non lo sapevo, ma ero comunque determinata a scoprirlo. “Si riprenderà.” Disse a Soren, avvicinandosi lentamente e posandogli una mano sulla spalla. “Come fa a saperlo?” le chiese lui, quasi irritato da quella sorta di supposizione. “Hai davanti a te una dottoressa.” Fu la risposta che ne seguì, pronunciata stavolta da qualcuno di completamente diverso. A sentire quella voce, ci voltammo tutti. Era Lady Fatima. Era entrata nella stanza approfittando della porta ancora aperta, e guardava la donna con fare tranquillo. “Mi chiamo Janet.” Disse quindi la donna, che avevamo ora scoperto avere una professione. Proprio come il padre di Stefan, si occupava di riportare i malati in salute, e incredibilmente, a sentire quel nome, Stefan ebbe una reazione inaspettata. “M-Mamma?” la chiamò, dubbioso e incerto. “Stefan? Sei davvero tu?” chiese lei, voltandosi verso mio marito soltanto un istante dopo. In completo silenzio, lui si avvicinò, e nello spazio di un momento, i due si abbracciarono. “Ti credevo scomparso.” Piagnucolò, stringendo fra le sue braccia il figlio che non vedeva da tempo. “Sono qui, e non sono solo.” Rispose, sorridendo leggermente, e scambiandosi con me una veloce occhiata d’intesa. “Cosa? E loro chi sono?” si informò, guardandoci entrambi negli occhi, mentre tenevo in braccio Terra “Lei è mia moglie, mentre questa è tua nipote.” Rispose Stefan, facendo le veci di entrambe. “Sono Rain, e lei è Terra.” Aggiunsi, presentandomi educatamente a quella che ora sapevo essere mia suocera. “Piacere di conoscerti, Rain.” Mi disse, sorridendo e tendendomi amichevolmente la mano. Sorridendo, l’afferrai e gliela strinsi, e appena un attimo dopo, il suo sguardo si posò sulla bambina. Mantenendo il silenzio, Terra mi fece capire di voler scendere dalle mie braccia, così la lasciai andare, e solo allora, Janet le carezzò una guancia. Timida come sempre, la piccola mostrò diffidenza, ma per fortuna Stefan riuscì a spiegarle tutto. “Su, saluta. È la nonna.” Le disse, regalandole poi un leggero sorriso. In quel momento, la bimba si fece più coraggiosa, e avvicinandosi, l’abbracciò dolcemente. Con l’arrivo della notte, Lady Fatima ci mostrò le nostre camere. Ringraziandola, le occupammo senza protestare, anche se questo non accadde a Soren, ancora caparbio e deciso a restare al fianco di Samira. “Voglio esserci quando si sveglierà.” Mi aveva detto, poco prima che salutandolo, lasciassi quella sorta di infermeria, andando quindi definitivamente a dormire. Ad ogni modo, Lady Fatima me lo impedì, pregandomi di restare sveglia ancora per qualche tempo. “Devi vedere qualcosa.” Mi disse, invitandomi con un gesto della mano a seguirla. Confusa, non feci che seguirla, raggiungendo poi quella che era la sua stanza. Sapevo bene che Rachel avrebbe certamente dormito con lei, ma ero curiosa. Mi chiedevo infatti cos’avesse da mostrarmi, e i miei dubbi sparirono solo quando vidi una piccola culla in legno proprio accanto al suo letto. Avvicinandomi lentamente, ci guardai dentro, e fu allora che finalmente, la vidi. Rose. La mia amata bambina. Aveva quasi un anno, e non la vedevo da mesi. Il desiderio di prenderla in braccio e coccolarla era fortissimo, ma dovetti desistere. In fondo stava dormendo, e non avrei mai voluto svegliarla. “Ho avuto buona cura di lei, sta tranquilla.” Mi disse, riuscendo con quelle parole a far scomparire ogni mio dubbio sul suo attuale stato di salute. Con un semplice sorriso, la ringraziai, e sporgendomi in avanti, carezzai il tondo e paffuto visetto della mia piccola. Per pura fortuna non si svegliò, e pur dormendo, vagì lievemente. A quel suono, il mio cuore quasi si sciolse, e sorridendo, annuii. In completo silenzio, l’avvolsi in una coperta, portandola quindi con me. Mi assicurai di non svegliarla e di non fare troppo rumore, e una volta arrivata, crollai completamente, cadendo preda del sonno accanto a Stefan. Il battito del cuore della mia piccola mi aiutò a dormire, e fra un minuto e l’altro, sognai, immaginando per la nostra famiglia e per i miei cari amici, un sereno avvenire.

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Capitolo 33
*** Nuda e cruda realtà ***


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Capitolo XXXIII

Nuda e cruda realtà

Mi svegliai quella mattina poco prima del sole. A occhi aperti, feci scivolare la mano sotto le coperte, così da carezzare il viso e il pancino di mia figlia Rose. Si era svegliata, ma contrariamente a noi due, suo padre dormiva. “Stefan! Dai, svegliati.” Sussurrai, sperando vivamente di non rovinargli la sorpresa. “Rain? Ma cosa…” rispose, mugugnando a causa della stanchezza. “Guarda.” Lo pregai, sorridendo leggermente e continuando a coccolare nostra figlia. Fissando il suo sguardo sulla coperta del letto, la vide. Nostra figlia. La seconda bambina che insieme avevamo messo al mondo e che finalmente avevamo avuto l’occasione di rivedere. “Rain, ma… è bellissima!” commentò a bassa voce, liberandosi delle coperte al solo scopo di riuscire a muoversi più agilmente. “È la nostra Rose.” Risposi, avvicinandomi lentamente e stringendolo in un delicato abbraccio. “Ed io la amo, sappilo.” Disse poi, lasciandosi stringere e posandomi un bacio sulle labbra. Una volta fatto, si sdraiò ancora accanto a me, passando poi gran parte del suo tempo con lei. Mantenendo il silenzio, lo guardavo. Non riuscivo a crederci. Dopo quasi un intero anno di paura, attesa e sofferenza, le eravamo di nuovo accanto, pronti a proteggerla e farla sentire amata. Per qualche strana ragione, il comportamento di Stefan in sua presenza mi faceva sorridere. Dopo il suo ritorno ad Aveiron e la nascita di Terra, ricordavo di essermi occupata di lei praticamente da sola, ma ora era diverso. Sapeva bene di essersi perso parte del prezioso  tempo che avrebbe potuto trascorrere con lei, e non voleva assolutamente ripetere lo stesso errore. Con gli occhi fissi sul padre, la piccola rideva e vagiva, e poco dopo iniziò a piangere. Ipotizzai che qualcosa l’avesse spaventata, così mi ritrassi, salvo poi alzarmi dal letto e continuare a guardarla. Piangendo, stringeva i piccoli pugni, e ad essere sincera, non riuscivo davvero a capacitarmi di quanta energia potesse avere un esserino così piccolo. Era incredibile. Appena un attimo prima sorrideva, ma ora piangeva come una fontana. Il suo visetto divenne rosso, e mentre le sue urla sembravano diventare sempre più forti, io mi bloccai. Prima di lei, avevo avuto sua sorella Terra, e credevo davvero di sapere cosa fare, ma sorprendentemente, mi fu difficile muovermi. Rimasi quindi lì ferma e immobile, troppo insicura su come agire. La testa mi faceva male, e sentirla piangere in quel modo mi debilitava. Sentendomi improvvisamente senza forze, mi sedetti sul pavimento. Il dolore mi sovrastava. Ero sua madre, eppure non avevo idea di come farla smettere. Piangeva senza sosta, e con il tempo, sembrò perfino faticare a respirare. In quel momento, ebbi un vero e proprio crollo psicologico. “No.” Continuavo a dire, tenendo la testa bassa e quasi nascondendo il volto con le mani. Sorpreso, Stefan mi guardò, e in quel preciso istante, la prese in braccio. La tenne con sé per alcune secondi, e solo allora, la bimba scivolò nel silenzio. “Ecco, ha smesso.” Mi disse, avvicinandosi e aiutandomi ad alzarmi. Mi rimisi in piedi grazie al suo aiuto, e guardandolo, sorrisi ancora. “Grazie.” Gli dissi, mantenendo il silenzio e facendo unicamente uso dello sguardo. “Calma, Rain. La terrò io, tu riposati.” Continuò, regalandomi un luminoso sorriso. In quell’istante, mi lasciai abbracciare da lui, e nell’esatto momento in cui mi accolse fra le sue braccia, mi sentii meglio. Fu come se tutte le mie preoccupazioni si fossero appena sciolte come neve, penetrando poi nel terreno. Ero finalmente tornata ad essere me stessa, ma nonostante tutto decisi di seguire il suo consiglio. Ero felice di aver riavuto mia figlia, ma nonostante questo, sentivo davvero il bisogno di stendermi e riposare. Trascorsi quindi del tempo sotto alla mia trapunta, e rimanendo sveglia, approfittai della solitudine per riflettere. Con il ritorno di Rose nella mia vita, avevo avuto modo di sentirmi completa e serena, ma ero quasi certa che la mia gioia non sarebbe durata a lungo. La mia ansia e i miei sbalzi d’umore erano tornati a farmi visita e tentare di controllarmi, e come se questo non fosse abbastanza, perfino guardare fuori dalla finestra mi rendeva nervosa. Io e i miei amici avevamo avuto un assaggio di gioia, ma ero mortalmente sicura che non sarebbe durato molto. Andando alla disperata ricerca di conforto, afferrai il mio zaino e ne estrassi il mio diario, ben sapendo di aver nascosto, fra le sue bianche pagine, una delle lettere ricevute da mia sorella. Stando a quanto mi aveva scritto, il nostro destino era segnato. Volenti o nolenti, avremmo tutti dovuto prepararci alla nuda e cruda realtà.

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Capitolo 34
*** Momenti felici ***


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Capitolo XXXIV

Momenti felici

I giorni passavano, e noi eravamo ancora ad Aveiron. In cuor nostro, Stefan ed io avremmo voluto tornare ad Ascantha, dove avevamo costruito una famiglia e una vita, ma non potevamo. Samira stava ancora male, e Soren aveva bisogno del nostro aiuto. Passava le notti accanto al suo letto, sperando ardentemente che si svegliasse, ma ciò non accadeva. Secondo la dottoressa Janet, la nostra amica non era entrata in coma, ma era semplicemente troppo stanca e debilitata per riuscire a svegliarsi. Non potevamo sentirlo, ma sapevamo che il dolore derivante dalla sua attuale condizione la distruggeva. Una sola cosa ci rinfrancava. Lei era viva. Certo, il dolore le impediva di muoversi, ma era viva. Una vera e propria panacea per la psiche di Soren, che intanto pareva perdere sonno e lucidità. In fin dei conti, non desiderava altro che vederla aprire gli occhi e parlargli. L’avevamo sentita farlo più volte mentre dormiva, ed era chiaro che il suo pensiero andasse a Soren. Il tempo continuò quindi a passare, e incredibilmente, dopo circa un mese di attesa, finalmente accadde. Eravamo tutti nella stanza, in perfetto silenzio. Era stata la dottoressa Janet a convocarci, ormai certa che non ce l’avrebbe fatta. “Vi suggerisco di darle i vostri addii, ragazzi.” Ci aveva detto, fissandoci tutti con il viso stravolto dalla tristezza. Era un medico, e soccorrere le persone malate o in difficoltà era il suo lavoro, e malgrado ci avesse detto di aver visto morire più d’una persona, era davvero triste. Le aveva tentate tutte, ma dopo un mese di tentativi e terapie differenti, aveva deciso che non c’era più nulla da fare. Completamente in disaccordo con lei, il dottor Patrick era di tutt’altro avviso. “Non se ne parla. Lei può farcela. Lo so io, lo sai tu e lo sanno tutti in questa stanza.” Aveva detto, mostrandosi iroso e autoritario con la moglie, che di fronte alla caparbietà del marito, allontanò la mano dall’ago infilato nel braccio di Samira. Difatti, un lungo tubo trasportava i liquidi e le medicine che le erano state prescritte, formando così una flebo colma di un sapiente misto di acqua e di una sorta di ricostituente. Un farmaco sperimentale, che stando alle parole della dottoressa, era la sua ultima speranza. Muta e immobile, la nostra cara amica era avvolta nelle coperte, e ad occhi chiusi, faticava a respirare. Quasi spaventata, Terra mi strinse forte la mano, e Rose la imitò istantaneamente, afferrando con tutta la sua forza la mano del padre. Nel tentativo di confortarla, Stefan la cullò qualche secondo, ed io guardai Terra, avvicinandola forzatamente a me. In quel momento, quello era il mio modo di parlarle e rassicurarla, di dirle che tutto sarebbe andato bene. Le dispiaceva vedere la nostra compagna di viaggio in quelle condizioni, e avrei potuto giurare che nessuno di noi fosse da meno. Affranto, Soren guardò il suo viso pallido e diafano, solcato dai segni della sofferenza e dalle tante lacrime versate, e proprio allora, un vero miracolo. Con uno sforzo immane, Samira aprì gli occhi, e mugugnando qualche parola, cercò con la sua mano quella dell’amato. “Samira!” la chiamò lui, iniziando poi a piangere per la contentezza. “Grazie al cielo.” Sussurrò poi, visibilmente felice per la piega che la situazione aveva preso. Alcuni secondi svanirono quindi dalla vita di ognuno di noi, e i due innamorati, finalmente riuniti e ancora insieme nonostante le numerose avversità che avevano affrontato, si scambiarono un bacio. Non uno veloce e frettoloso, ma uno ben diverso. Colmo di passione e sentimento, sembrava racchiudere ogni battito dei loro cuori e ogni parola che non si erano detti. “Ti amo Soren, ti amo davvero.” Soffiò lei in quell’istante, felicissima di essere appena stata accolta fra le braccia del suo amato marito. “Ti amo anch’io, tesoro.” Rispose lui, baciandola ancora e ancora, fino a rimanere letteralmente senza fiato. A quella scena, sorrisi quasi istintivamente, e mentre un sorriso mi spuntava in volto, una nuova sensazione di indescrivibile gioia mi riempiva lentamente il cuore. Nessuno poteva negare che una vera guerra infuriasse appena fuori da quelle mura, ma in quel preciso istante, non ci importava. Quello che contava ora era respirare e prenderci una pausa, al solo scopo di concentrarci su quelli che erano e potevano essere i nostri momenti più calmi e felici.

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Capitolo 35
*** Stato d'allerta ***


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Capitolo XXXV

Stato d’allerta

Un altro giorno se n’era andato, e ancora una volta, mi svegliavo nella camera assegnatami da Lady Fatima. Samira si era ripresa completamente, e a quanto sembrava, la Leader doveva parlarmi. Appariva nervosa e stressata, e mi guardava con fare preoccupato. “Rain, noi dobbiamo parlare.” Esordì, guardandomi fisso negli occhi e facendosi incredibilmente seria. “Che succede?” le chiesi, incerta e dubbiosa su quanto avesse da dirmi. “Come sai, dirigo l’ordine e la disciplina in questa Casa,e ho preso una decisione.” Continuò, lasciandomi, al completamento di quella frase, un grosso dubbio in mente. “Siete venuti qui alla ricerca di protezione, ed è proprio quello che voglio darvi. Da ora in poi è meglio che restiate con me.” Concluse, fornendomi un utile consiglio, che a causa di una battaglia fra la mia ragione e il mio cuore, fui tentata di ignorare. Sì, ignorare, per una semplice e forse folle ragione. Il tempo stava passando, e benché quello di Aveiron fosse il mio suolo natio, volevo davvero tornare ad Ascantha, in fin dei conti, era lì che assieme a Stefan avevo ormai messo radici, e dove i miei genitori avevano scelto di vivere sperando di sfuggire agli orrori che questa insulsa guerra minacciava di farci vivere da un momento all’altro. “Lady Fatima, io Vi capisco, credetemi, ma la mia famiglia vive altrove, ed io desidero davvero rivederli, perciò…” provai a dire, sentendo improvvisamente la gola secca e stretta in un nodo. “Io capisco te, Rain, ma pensaci. Qui sarete tutti al sicuro. Tu, i tuoi amici e le tue figlie. Sai che puoi fidarti.” Mi rispose, terminando quel discorso con un sorriso e una mano sulla mia spalla. “Lo farò senz’altro.” Dissi allora, fissando il mio sguardo sul pavimento e dandole le spalle. Data la mia reazione, la Leader mi lasciò da sola, e da quel momento in poi, il suono del silenzio fu la mia unica compagnia. Non sapevo davvero cosa fare. Da un punto di vista strettamente logico, avevo due scelte. Avrei potuto seguire il consiglio di Lady Fatima e restare nella bella ma piagata Aveiron, o mostrarmi caparbia e intraprendere un viaggio verso la pacifica Ascantha, dove avevo costruito una vita e lasciato i miei genitori e la mia cara sorella. Ad essere sincera, sapevo bene che esisteva una remota possibilità che Alisia ed io non fossimo davvero legate dal sangue, ma poco importava, io le volevo bene, e ultimamente, il mio pensiero non faceva che andare a lei e ai nostri genitori. Volevo davvero rivederla, ma dato tutto che stava accadendo, non potevo. Data la gravità dell’intera situazione, ero certa che mettersi nuovamente in viaggio avrebbe significato porsi di fronte al pericolo, ragion per cui, in quel così cupo e nuvoloso pomeriggio, compresi che c’era una sola cosa da fare. Sedermi e scrivere. Certo, scrivere. Avevo iniziato a tenere un diario anni prima, scrivendo di qualunque cosa mi capitasse in questa vita così bella ma al tempo stesso ardua e ricca di avventure, e ora sentivo che era davvero arrivato il momento di aggiornarlo. Frugando per qualche secondo nel mio zaino, lo trovai e tirai fuori, per poi aprirlo e prendere in mano la mia fida biro dall’inchiostro nero come carbone. Seduta sul letto, lo tenevo sulle gambe, e aiutata solo dalla luce di una piccola lampada ferma sul comodino, scrivevo. Parole su parole, che con il tempo, formarono una lettera indirizzata a coloro che mi mancavano di più. “Mamma, papà, sono sempre io, la vostra Rain. Sono ancora ad Aveiron, ma non abbiate paura. Io, Stefan e i nostri amici stiamo bene, e questo vale anche per le bambine. Rose ha adesso quasi un anno,Terra si avvicina ai cinque, e Samira si è appena ripresa da un incidente. Lady Fatima ci ha proposto di restare qui con lei fino al calmarsi delle acque, e penso davvero di accettare. Non abbiate paura, e sappiate che vi voglio bene. Queste ultime righe vanno a te, Alisia. Avevi ragione. Una vera e propria guerra sta per iniziare, ma siamo pronti anche a questo. In ultimo, abbiate fiducia, e sappiate che vi amiamo e torneremo al più presto. Con amore, Rain.” Una lettera che scrissi con le lacrime agli occhi, che scivolandomi sul viso, caddero sul foglio che stavo usando, bagnandolo leggermente. Per pura fortuna, l’inchiostro non si rovinò, e mentre mi davo da fare per chiuderla in una bianca busta da lettere, tremavo. Le mie mani erano scosse da tremiti evidenti, e con l’arrivo della notte, dormii poco e male, poiché costantemente svegliata da visioni oniriche e paure più che fondate. In altre parole, ero ancora una volta in ansia, e anche in quest’occasione, in un profondo stato d’allerta.

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Capitolo 36
*** Uomini selvaggi ***


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Capitolo XXXVI

Uomini selvaggi

Anche stavolta, due giorni se n’erano andati. Spariti, scomparsi, finiti per sempre. Il tempo continuava a scorrere per ognuno di noi, e con l’arrivo del mattino, mi svegliavo nella stanza dove avevo finito per addormentarmi. Stefan mi era accanto, e seppur ancora nella culla dove l’avevamo lasciata riposare, Rose vagiva. Alzandomi dal letto, mi avvicinai. In quel momento, il mio sguardo cadde su di lei, e in silenzio, la guardai. La minore delle mie due figlie, piccola, fragile e costantemente bisognosa d’aiuto. Ad essere sincera, amavo lei e sua sorella Terra più della mia stessa vita, ma nonostante la scomparsa di ben due giorni dalla mia vita, ero ancora indecisa. Combattuta, con il cuore e la mente impegnati in una dura battaglia. Chiudendo gli occhi, sospirai, e Stefan mi guardò negli occhi. “Rain, ti stai lacerando. Ora basta, d’accordo? Qui stiamo bene, guardaci.” Mi disse, completando quel discorso con un sorriso che ricambiai quasi subito. Ad ogni modo, quello stesso sorriso si spense come una candela appena un attimo dopo. “Hai ragione, ma non possiamo. Certo, Lady Fatima ci ha invitati a restare, ma pensaci. Vuoi davvero vivere qui? Non può certo essere per sempre.” Fu la mia risposta, che diedi sperando di riportarlo alla ragione e svegliarlo da quello che consideravo un sogno o una fantasia. “Giudiziosa come sempre, vero?” osservò poi, attirandomi leggermente a sé e tornando poi a guardarmi. “Vero.” Dissi allora, sorridendo leggermente per una seconda volta. “Sono seria. La nostra vita non è qui. Non ricordi più Ascantha?” aggiunsi poco dopo, posando il mio sguardo su di lui e attendendo in silenzio una qualsiasi risposta. “Vorrei tanto tornarci anch’io, sai?” confessò il mio amato, dopo alcuni sporadici secondi passati nel silenzio più totale. “Allora perché non partire?” azzardai, ingenuamente spinta dal desiderio di rimettere piede sul suolo dove avevo ormai piantato solide radici. “Lo faremo, ma non ora.” Mi disse, riuscendo con quelle parole a rassicurarmi non poco. “Mi fido.” Risposi soltanto, sentendo solo allora una nuova speranza nascermi in cuore. In quel preciso istante, la nostra conversazione ebbe fine, e subito dopo tornai a svolgere le mie mansioni giornaliere, fra le quali figurava anche il prendermi cura delle bambine. Dati i suoi quasi cinque anni d’età, Terra stava crescendo, e con l’andar del tempo, le occasioni in cui si offriva di darmi una mano con la sorellina aumentavano sempre di più. “Posso tenerla?” diceva spesso, quando alla sera arrivava il momento di metterla al letto. “Sì, ma fa attenzione.” Rispondevo ogni volta, lasciandole quindi prendere in braccio la sorella minore, ancora troppo piccola per parlare ed esprimersi ma visibilmente felice di essere coccolata. Ad ogni modo, il pomeriggio arrivò lesto, non tardando poi a trasformarsi in buia e fredda notte, ma la cosa non mi toccava. Da ormai qualche tempo, infatti, avevo ripreso in mano una vecchia abitudine quasi dimenticata, ovvero quella di chiudere gli occhi e svuotare per un attimo la mente, poco prima di dormire. Fortunatamente, tale stratagemma sembrava funzionare. Difatti, dovevo ammettere che concentrarmi su momenti così infantili e teneri, parte integrante della vita di bambine del calibro di Rose e Terra, mi offriva una piacevole distrazione dal dolore e dagli orrori che parevano sempre più spesso consumarsi appena fuori dalle nostre finestre, e nella notte, rimanevo sveglia, pensando. “Saremmo davvero riusciti a partire? Stefan diceva il vero? Questa così assurda guerra avrebbe mai raggiunto una fine?” domande che mi ponevo insistentemente, sperando ardentemente di riuscire a trovare o scrivere delle risposte. Esatto, scrivere, poiché se tali risposte non esistevano, io le avrei creato. Non certo da sola, ma al fianco di Stefan e del mio gruppo di amici, che proprio come me, ora meditava pensando ad un modo di agire per dare inizio alla prima vera battaglia contro di Loro. Contro i Ladri, o per meglio dire, contro uomini tanto barbari e selvaggi da non essere meritevoli di questo nome.

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Capitolo 37
*** Sciame di pensieri ***


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Capitolo XXXVII

Sciame di pensieri

Come c’era d’aspettarsi in un momento del genere, ero di nuovo tesa. Era notte fonda, e malgrado fossi stanchissima, non riuscivo a dormire. I terribili incubi dei quali credevo di essermi finalmente liberata erano invece tornati a farmi visita, impedendomi così di dormire e passare una notte tranquilla. Nervosa come mai prima, mi rigiravo continuamente nel letto, non facendo che lamentarmi sottovoce. La testa mi faceva un male incredibile, e mentre il tempo continuava a scorrere, Stefan finì per svegliarsi. “Stai bene?” mi chiese, attendendo silenziosamente una risposta e apparendo visibilmente preoccupato. “No, la risposta è no.” Dissi, dandogli le spalle in quel preciso momento. “Dai, parliamone, ti prego.” Implorò, evitando di staccare il suo sguardo da me e carezzandomi lievemente la schiena. “Non voglio parlarne.” Risposi, rifiutandomi di guardarlo negli occhi e sentendoli bruciare a causa di alcune lacrime che desideravano uscire. Anche se in silenzio, Stefan non demorse, continuando a tentare di convincermi. “Ho detto di no, Stefan.” Sbottai, voltandomi di scatto e quasi urlando. Alcuni secondi scomparvero quindi dalla mia vita, e guardandolo negli occhi, mi sentii improvvisamente debole, e crollando, iniziai a piangere come una fontana. Innumerevoli lacrime mi solcarono il viso, e fra una e l’altra, singhiozzai sonoramente. Ero arrabbiata, combattuta e rammaricata. La presenza dei Ladri ad Aveiron era una minaccia tanto grave quanto grande, e pensando, ero arrivata ad una conclusione. Certo, la residenza di Lady Fatima ci offriva il ricovero e la protezione che ci serviva, ma nonostante questo, non riuscivo a smettere di pensare a cosa sarebbe potuto accadere qualora avessimo davvero dovuto iniziare a combattere. “Che ne sarebbe stato di noi? E Ascantha? L’avrebbero messa in ginocchio come Aveiron?” mi chiedevo spesso, ritrovandomi persa in tristissimi soliloqui senza apparente fine. “Su, basta. Sono qui per te, lo sai.” Continuò Stefan, avvicinandosi e stringendomi a sé con fare apprensivo. Rimanendo ferma e inerme, lo lasciai fare, vedendolo accogliermi fra le braccia in quell’esatto momento. Con l’andar dei secondi, mi sentii diversa. Difatti, tutto il mio dolore parve sparire e dissolversi istantaneamente, e incredibilmente, perfino il mio battito cardiaco decelerò gradualmente. Nella mia mente non c’era che pace, e poco dopo, avvertii il contatto delle sue labbra con la mia nuda pelle. “Ci sarò sempre, Rain.” Sussurrò al mio orecchio, facendomi poi provare una delle migliori sensazioni della mia vita. Un bacio raggiunse quindi il mio collo, e solo attimi dopo le mie labbra, così come il resto del mio corpo. Tremando come una foglia di fronte a tali gesti d’affetto e amore, non mossi un muscolo, godendomi ogni attimo e beandomi delle sue dolci carezze, riuscendo poi, finalmente, a far tacere il ronzio prodotto dallo sciame di metaforici insetti presenti nei miei pensieri.

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Capitolo 38
*** Mano alle armi ***


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Capitolo XXXVIII

Mano alle armi

Ero ancora lì. Fra le forti braccia del mio amato Stefan, ancora intento a baciarmi e stringermi a sé con forza inimmaginabile. Mi lasciavo baciare, e lo baciavo a mia volta, non dimenticando di fargli sapere quanto lo amassi. Di punto in bianco, avvertii una sorta di calore invadermi il corpo, e tenendo gli occhi chiusi, mi morsi un labbro nel tentativo di controllarmi e non gridare. Raggiunsi il mio limite in quel preciso istante, e arrendendomi alle mie stesse emozioni, mi accasciai sul letto, stanca ma ancora profondamente innamorata. Le ore notturne continuarono a passare, e poco prima di addormentarmi al fianco di colui che amavo, sorrisi. Sapevo bene che una guerra imperversava in tutta Aveiron, ma almeno in quella così perfetta sera, non volevo pensarci. Vivere nelle mie fantasie era l’ultimo dei miei pensieri, ma dati i miei oscuri e negativi trascorsi, pensai di meritarmi un attimo di felicità e riposo, che da ormai lungo tempo mi venivano costantemente negati. I giorni passarono, e nel corso di quasi tre lunghe settimane, non provai che orgoglio. Insieme, Stefan, i nostri amici ed io festeggiammo il quinto compleanno di Terra, che come sempre, molto matura per la sua età. In silenzio, la guardavo sorridere, felice come mai prima mentre apriva i suoi regali. Aveva le mani troppo piccole e fredde, perciò dovetti aiutarla, ma ciò non mi toccò minimamente. Ad ogni modo, uno dei regali, più gradito degli altri, attirò la mia attenzione. Contenuto in un pacco alquanto sobrio, era accompagnato da un biglietto. “Fanne buon uso, e buon compleanno, piccola Terra.” Diceva, interrompendosi appena dopo il suo nome. Non recava una firma, ma non appena lo scartò prendendolo in mano, fui in grado di capire ogni cosa. Mi bastò infatti servirmi delle parole scritte in quel biglietto. Per quanto ne sapevo, poteva esserci una sola persona a questo vasto mondo, capace di pensare a lei in maniera così profonda, regalandole qualcosa di adatto a lei, ma al contempo estremamente utile in un periodo di questo genere. Rachel. Proprio come Samira, era una mia grande amica, e rivolgendole un pensiero, sorrisi ancora una volta. Era incredibile, ma ora Terra stringeva in mano due strumenti, o per meglio dire, due armi adatte alla sua tenera e giovanissima età. Uno scudo e una piccola daga, entrambi in legno. Non pronunciando una parola, le posai una mano sulla spalla, poi la strinsi a me. Nel farlo, lasciai che alcune lacrime mi sfuggissero dagli occhi, pensando ancora a Rachel, concentrandomi poi anche su Lady Fatima. Stando a quanto ricordavo, la sua armeria nascondeva strumenti in legno, e a quanto sembrava, da donna saggia qual era, aveva scelto di provare ad aiutarci. “Adesso sarò io a difendere te e papà.” Mi disse, sorridendo e facendo saettare quella lama nell’aria. Giocava, certo, ed era ancora fortemente ingenua, ma sapevo che aveva capito. In fin dei conti, conosceva la paura che aleggiava ad Aveiron, ed era perfettamente consapevole del dolore e del pericolo. A mio avviso, tali esperienze la stanno aiutando a crescere, e ora vedo che non ha più paura. Come me e suo padre, anche lei vuole lottare per un futuro migliore, e seppur in silenzio, non potevo che sentirmi orgogliosa. Il legame che nel tempo aveva stretto con Rachel e con il resto del gruppo era forte, ed ero certa che l’avrebbe aiutata a continuare a crescere. Così, il tempo scorreva, e la fiducia che riponevo in me stessa e nei miei compagni cresceva progressivamente, oltre ogni misura. Mi sentivo molto più tranquilla, e in un certo senso, anche realizzata. Avevo dato la vita ad una piccola guerriera, che ora, proprio come noi adulti, si preparava a combattere Quelle che usavamo erano bianche, ma eravamo, per una ragione comune, tutti pronti a lottare e prendere in mano le armi.

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Capitolo 39
*** Il tutto per tutto ***


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Capitolo XXXIX

Il tutto per tutto

In un letterale e intangibile soffio di vento, un’altra lunga settimana era passata. Tutto era calmo, ma essendo al corrente di una guerra ormai sempre più prossima e vicina a scoppiare, non riuscivo a non insospettirmi. Ad ogni modo, dopo parecchio tempo, avevamo tutti deciso. Di comune accordo, avevamo ricominciato il nostro viaggio. Forse era stata una scelta folle, e lo sapevamo, ma assieme a questo, un secondo pensiero si era annidato nelle nostre menti. Non potevamo arrenderci né fuggire, o almeno non senza lottare. “Dove sono?” sibilai, camminando per le strade di Aveiron e tenendo la mano di Terra, impegnata a seguirmi in silenzio e stringere la daga ricevuta da poco in regalo. “Si nascondono.” Mi rispose Soren, riuscendo a sentirmi. “Conigli.” Una parola che squarciò un silenzio durato pochi istanti, e che sorprendentemente, abbandonò le labbra di Terra. Aveva appena cinque anni, ma stava maturando, e già ora, aveva capito ogni cosa. Conosceva la paura, il dolore e il pericolo, e nel suo piccolo, desiderava combattere e aiutare noi, il suo gruppo, la sua grande e allargata famiglia. “Sono piccola, ma anche coraggiosa.” Ripete ormai da giorni, quando persone come suo zio Drake o sua nonna Katia cercano di farla desistere e ragionare, ricordandole che a soli cinque anni d’età il suo posto è nella sua cameretta piena di bambole e giocattoli. “Non li voglio, voglio fare del bene. Per tutti, ma soprattutto per papà e mamma. “Ma è pericoloso! E tu sei una bambina!” continua a dirle anche la zia Alisia, sperando di convincerla. Per pura sfortuna, ma forse anche a causa della dolce caparbietà della nipote, fallisce miseramente. “Non è vero. Sono grande, e posso combattere come tutti gli altri.” Un ragionamento che dal suo punto di vista non fa una grinza, e che sento ogni volta che qualcuno tenta di frapporsi fra lei e questa sua idea. Vuole davvero fare del bene per tutti noi, e sembra che nulla possa fermarla. Essendo sua madre, sento il cuore riempirsi di gioia e orgoglio, ma al contrario, la mia mente si riempie di dubbi. Ce la faremo? Ne usciremo vivi? Il nostro intervento scriverà una pagina del futuro di Aveiron? Non lo sappiamo. Nessuno di noi lo sa, ma fra un passo e l’altro, mi guardo intorno, non vedendo altro che forza in varie forme. Il coraggio di Stefan, la prontezza di Soren, la fiducia mia e di Samira in quelli che consideriamo i nostri eroi, e ultimo, anche se non per importanza, l’entusiasmo di Terra, come sempre ingenuamente dolce e stavolta decisa a muoversi per ciò che crede giusto, ovvero la salvezza, se non di tutta Aveiron, almeno nostra. Un tratto che fa coppia con la sua testardaggine, e che ha sicuramente ereditato da quel grande e impavido combattente che ha per padre. Guardandoli entrambi, mi viene davvero da piangere, e mentre ogni passo del nostro cammino ci avvicina al loro al luogo in cui si nascondono in attesa di attaccare, mi sento pronta, ben sapendo che è giunta per noi l’ora di agire, muoverci e tentare il tutto per tutto.

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Capitolo 40
*** Piccola grande Terra ***


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Capitolo XL
 
Piccola grande Terra
 
Sono passate ore, ma il nostro cammino ci ha condotti a quella che ricordo benissimo essere la piazza principale di quest’intera e bella città. Umile nei suoi usi e costumi, e non troppo sfarzosa nelle sue costruzioni, vantava una grandissima popolarità fra i viandanti stanchi e bisognoso di un letto o un pasto caldo, ma ora quasi spoglia delle sue bellezze e dei suoi abitanti. In molti hanno incontrato la morte cercando di lottare e difendersi, o privandosi del dono della vita di fronte al troppo dolore. C’è ancora silenzio, e la battaglia deve ancora iniziare, e mentre aspettiamo, ci muoviamo furtivi. Soren e Stefan hanno già sguainato le spade, ed io ho fatto lo stesso con la mia daga. Pronta e silenziosa, Terra mi guarda, leggermente incerta sul da farsi. “Resta vicina a papà, capito?” l’avviso, guardandola con fare apprensivo ma allo stesso tempo incredibilmente orgoglioso. È una bella bambina, e nonostante la sua dolcezza, unita ad un’ancora esistente infantilismo e ad una minore forza fisica rispetto ad un bambino, un ragazzo o un uomo, è stoica. Non vuole cambiare assolutamente idea, e appare pronta a difendere con le unghiette e i dentini per far valere le sue idee. Un gesto nobile e lodevole da parte sua, che continuo difatti a lodare, e che spero produca il risultato che lei desidera ottenere. Mentre questo pensiero mi galleggia in mente, il silenzio si spezza. Un urlo ci perfora e buca i timpani. Quelle che sentiamo sono voci unite e indistinte, ma maschili. In un attimo, sono tutti davanti a noi. Eccoli. Loro. I Ladri. Criminali di prim’ordine, hanno in qualche modo scoperto il nostro arrivo, e ora hanno un solo piano. Eliminarci. Le armi vengono quindi sollevate, e la battaglia ha inizio. Per la prima volta, quei vili vermi scelgono di affrontarci a viso scoperto, ma i loro connotati non ci interessano. In fondo, il contatto visivo deve essere limitato, dovendo durare soltanto quanto uno scontro ad armi pari. Decisa a difendere me stessa e il mio gruppo, mi muovo sinuosa, sferrando attacchi potenti, ma al contempo calcolati e leggiadri. Riuscendo incredibilmente a mantenere calma e compostezza in un momento di tale calibro, so bene di stare ferendo e uccidendo un numero imprecisato di individui, e benché sia la mia daga che le mie stesse mani si stiano ora sporcando di sangue, ed io ne sia mortalmente spaventata, ora la vista di quel rosso liquido non pare tangermi. Sarà la mia grande concentrazione, o forse l’altissimo livello di adrenalina presente nel mio corpo, ma una cosa era certa. Non avevo più paura. Stavo combattendo, e assieme ai miei amici, membri del mio seppur piccolo gruppo, desideravo ardentemente vincere questa battaglia. Una delle tante che negli anni avevamo anche metaforicamente combattuto, ma che si stava rivelando più ardua del previsto. Ad ogni modo, i minuti scorrevano, e con la stanchezza che si faceva sentire, commisi lo sventurato errore di mettere un piede in fallo e cadere battendo la testa, avendo, nei miei ultimi attimi di coscienza, il tempo di vedere i miei compagni di viaggio, vita e lotta, combattere fino allo stremo delle loro forze per rendermi onore ora che ero caduta, ma soprattutto qualcos’altro. Gli occhi di uno sporco e ignobile Ladro incatenarsi ai miei mentre mi fissava, pronto a finirmi e infliggermi il corpo di grazia. Ero già al tappeto, stanca e incapace di muovermi, tanto che temetti di non farcela e aver perso, quando improvvisamente, sentii una voce. Seppur stordita, riuscii a distinguerla chiaramente, nonostante, questa complice l’attuale stato in cui versavo, mi giungesse ovattata. Un grido di speranza, accompagnato da lacrime di tristezza. “No, mamma!” un grido che non scorderò mai, e che terrò in mente finchè avrò vita. Fingendomi morta, evitai il pericolo, e una volta in piedi, la vidi. Terra. La mia amata bambina. Aveva mantenuto la parola data, e aveva tentato di proteggermi, e benché fossi salva, non potei evitare di crollare in ginocchio e piangere accanto al suo corpicino. La schiena solcata da una profonda ferita, i verdi occhi ormai chiusi. In quel momento, tutto per me ebbe fine. Assieme al tempo, il mio cuore si fermò, e perfino il mondo smise di ruotare. Non sapevo se era ancora viva, né se respirasse, in breve non sapevo nulla, ma ero divisa in due, e come sempre, orgogliosa di colei che mi aveva ora salvata da un destino funesto e da morte certa. Mia figlia. La piccola grande Terra.


Un caloroso saluto a tutti i miei cari lettori. Con questo quarantesimo e ultimo capitolo, la quarta parte di questa saga si è appena conclusa. Ringrazio ognuno di voi, compresi coloro che leggono in silenzio, dandovi appuntamento alla prossima parte, che dovrebbe essere online nel giro di pochi giorni. Non ne sono completamente sicura, ma conto di farcela, anche se solo il tempo potrà dirlo. Fino ad allora, vi ringrazio nuovamente. Alla prossima,


Emmastory :)

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